Racconti per la primavera – una collezione di racconti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria…

Racconti per la primavera – Storia del bruco Morbidone
C’era una volta una farfallina azzurra, molto graziosa nel suo vestito di seta celeste. Volava insieme a tante altre farfalline azzurre. Disse: “Conosco un magnifico posto per deporre le uova. I nostri piccini avranno una culla da re”.
Questo magnifico posto era un melo in fiore e le farfalline deposero un piccolo uovo in ogni fiore, poi morirono, perchè le farfalle, quando hanno pensato ai piccolini che debbono nascere, non hanno più nulla da fare.
I fiori del melo perdettero i petali e pian piano si trasformarono in frutti. Ma in ognuna di quelle piccole mele che il sole coloriva e faceva diventare sempre più grosse, c’era un bacolino appena nato dall’uovo deposto dalle farfalline azzurre, un bacolino che aveva trovato la casa e insieme la polpa saporita da mangiare.

Il bruco Morbidone era uno di questi bacolini, e poichè era dotato di grandissimo appetito, in breve era diventato grasso e ben pasciuto. Anche la mela diventava grossa e si coloriva al sole, ma non era allegra perchè non aveva nessun piacere di sentirsi divorare tutta la polpa da quel ghiottone di bruco.
Morbidone si era aperta una finestrina nella buccia della mela e ogni mattina vi si affacciava per prendere il fresco e per scambiare qualche chiacchiera con i suoi compagni. Ma un giorno sentì uno strattone che lo mandò a ruzzolare in fondo alla casetta.
“Che maniera!” strillò. Ma non aveva finito di gridare che sentì dei denti entrare profondamente nella mela e mancò poco che venisse schiacciato.
“Puah, c’è il verme!” disse una voce e la mela venne scagliata lontano.
Il bruco Morbidone, non appena si fu riavuto dal colpo, si affacciò alla finestrina e con voce soffocata dall’indignazione, si mise a strillare: “Chi è questo ignorante che mi chiama verme? Verme sarà lui e tutti i suoi discendenti! Non lo sa che io appartengo alla specie dei bruchi e con i vermi non ho proprio nulla in comune?”.
“Ah, non sei un verme?” disse una coccinella che si lustrava la corazza. “Ma gli somigli!”.
“Non gli somiglio nient’affatto!” gridò il bruco Morbidone, che aveva un carattere piuttosto irascibile. “Il verme ha forse le zampe? Non hai mai visto un lombrico? Quello sì che è il campione di tutti i vermi! E ti pare che abbia le zampe? Io, invece, ne ho ben cinque paia, anche se due paia le perderò strada facendo”.

“Uh, perdi le zampe!” sghignazzò la coccinella, “E quando succederà?”
Ma il bruco Morbidone, indignato, aveva sbattuto la finestrina borbottando: “Che razza d’ignorante!”.
Si guardò intorno e si sentì improvvisamente molto triste e malinconico. Neppure la polpa della mela gli piaceva più.
“Forse ho fatto indigestione”, pensò. “E’ meglio che vada a fare una passeggiata”.
Si attaccò a un filo di seta, finissima produzione propria, e si calò dalla finestrina. Un soffio d’aria lo fece dondolare dolcemente, e i fiori gli mandarono un’ondata di profumo.
“Come è bello il mondo!”, mormorò il bruco Morbidone, e si addormentò.
Quando si destò, era primavera. Le violette odoravano dolcemente fra l’erba novella.
“Buongiorno, farfallina azzurra!” disse una lumachina che si arrampicava sullo stelo di un rosaio.
“Dici a me? Ma io sono il bruco Morbidone!”
“Forse lo eri”, disse la lumachina ritirando maliziosamente un cornino. “Ma ora sei una bella farfallina vestita di velo celeste. Puoi specchiarti in una goccia di rugiada”.
“E’ vero, è vero!” esclamò il bruco Morbidone diventato farfallina, dopo esseri specchiato. “Questa è una bellissima sorpresa”.
Pazza di gioia, la farfallina si mise a volare nell’aria tranquilla e si mescolò a uno sciame di farfalline simili a lei, che svolazzavano sopra i fiori. E allora, un ricordo lontano affiorò nella sua piccola mente, il ricordo di un buon sapore di mela…
“Conosco un posto” disse alle compagne, “un magnifico posto per deporre le uova…”
E la storia ricominciò.
(Mimì Menicucci)

Racconti per la primavera – La rosa più bella del mondo

Quando la Rosa Bella aprì gli occhi alla luce del mattino, fu molto contenta di essere sbocciata.
“Buongiorno!” le disse un petulante Garofano Rosso. “Sei la Rosa Bella?”
“Sì, ma non mi basta. Voglio essere la rosa più bella del mondo.”.
Il Garofano la guardò stupefatto.
“Accipicchia!” esclamò “Accipicchia!” e non seppe aggiungere altro.
Lo Gnomo Puc, che si era svegliato di ottimo umore perchè aveva dormito sotto una pianta di papavero che gli aveva conciliato il sonno, finì di pettinarsi la barba, poi disse: “E’ facile. E’ una cosa facilissima”.
Subito la rosa diventò tutta d’oro, petali, foglie, tutto, e si ritrovò fra le mani del re, perchè soltanto i re posso avere delle rose d’oro.

“E’ una rosa bellissima” disse il re contemplandola “un vero capolavoro. Ma io, oltre a essere re sono anche poeta e preferisco le rose dai petali di velluto”.
“Gnomo Puc!” chiamò la Rosa Bella, e lo gnomo Puc venne subito, a cavalcioni della sua pipa.
“Che c’è?”
“Credevo che la rosa d’oro fosse la rosa più bella del mondo. Invece non è vero. Voglio essere una rosa di velluto”.
Lo gnomo Puc la toccò con la cannuccia della sua pipa e subito la Rosa d’oro divenne di velluto e si trovò appuntata sulla pelliccia di una signora.
“Bellissima questa rosa di velluto!” disse qualcuno toccandola con un dito.
“Sì” rispose la signora “ma, come tutte le rose di velluto, non ha odore. Il più umile fiorellino di campo odora più di questa rosa artificiale. E perciò non ha nessun valore.”
“Gnomo Puc!” gridò la rosa di velluto.
“Che cosa succede?” chiese questi, accorrendo.

“Mi hanno chiamato una rosa artificiale e hanno detto che non ho nessun valore. Che cos’è che ha più valore di tutto, per gli uomini?”
“Lasciami pensare cinque minuti” disse lo gnomo Puc. Si mise a pensare con la testa tra le mani, poi guardò l’orologio e disse: “Ecco fatto. Più valore di tutto, per gli uomini, ce l’ha il diamante.”.
“Bene!” esclamò la Rosa “Fammi diventare una rosa di diamanti”.
Lo gnomo Puc la contentò. La Rosa sfolgorò e mandò sprazzi di luce dalle gemme di cui era composta. Un uomo la guardava attentamente con la lente nell’occhio.
“Perfetta…” mormorò “un valore inestimabile.”
Poi la mise in un astuccio di raso e la ripose nella cassaforte.
La Rosa si trovò al buio.
“Dove sono?” gridò.
Le rispose un tintinnio che sembrò una risata beffarda.
“Sei nella cassaforte di un avaro” disse una voce sottile.
“Chi ha parlato?”
“Siamo delle monete d’oro, condannate, come te, a un brutto destino: non vedere mai il sole”.
“Gnomo Puc!” gridò la Rosa “Vieni subito d’urgenza!”.
“Eccomi!” disse lo gnomo Puc, che poteva entrare anche nelle casseforti. “Com’è, non sei contenta?”
“Nient’affatto!” disse la Rosa “Voglio ritornare dov’ero quando sono nata”.
E subito tornò ad essere la Rosa Bella del giardino.

Tutti le fecero festa e la riempirono di complimenti.
Poi scesero in giardino due bambine e si misero a cogliere i fiori. Colsero molti fiori, anche il Garofano Rosso e la Rosa Bella che misero proprio al centro del mazzo. Poi andarono dalla mamma e glielo regalarono.
“Oh, come sono brave le mie bambine!” esclamò la mamma” Mi hanno regalato un mazzolino stupendo. Questa rosa, poi, è certo la più bella rosa del mondo”.
Lo gnomo Puc, che ascoltava dietro la porta, si stropicciò le mani, soddisfatto.
Mimì Menicucci

Racconti per la primavera – Il pettirosso di mamma Orsa

Un giorno di primavera, quando mamma Orsa era piccola, trovò un piccolo pettirosso in giardino, troppo piccolo per volare.
“Oh, come sei carino” disse, “Da dove vieni?”
“Dal mio nido” rispose il pettirosso.
“E dov’è il tuo nido, piccolo pettirosso?”, domandò mamma Orsa.
“Credo che sia lassù” rispose il pettirosso.
“No, quello era il nido del passerotto”
“Forse è più in là” disse il pettirosso.
“No, quello era il nido del merlo”.
Mamma Orsa guardò da tutte le parti, ma non riuscì a trovare il nido del pettirosso.
“Puoi vivere con me” disse, “sarai il mio pettirosso”.
Portò il pettirosso a casa e gli preparò un nido.
“Mettimi vicino alla finestra, per favore” disse il pettirosso. “Mi piace guardar fuori e vedere gli alberi e il cielo”
Mamma Orsa lo mise vicino alla finestra.

“Oh” disse il pettirosso “dev’essere divertente volare lì fuori”
“Sarà divertente anche volare qui dentro” rispose mamma Orsa.
Il pettirosso mangiava, cresceva, cantava. Presto imparò a volare. Volava in giro per la casa e si divertiva, proprio come mamma Orsa aveva detto.
Ma un giorno che era triste, mamma Orsa gli domandò: “Perchè sei triste, piccolo pettirosso?”
“Non lo so” rispose il pettirosso, “il mio cuore è triste”.
“Prova a cantare una canzone” disse mamma Orsa.
“Non posso” rispose il pettirosso.
Gli occhi di mamma Orsa si riempirono di lacrime. Portò il pettirosso in giardino.
“Ti voglio bene, piccolo pettirosso” disse “e voglio che tu sia felice. Vola via, se vuoi. Sei libero”.
Il pettirosso si alzò alto in volo nel cielo azzurro.
Cantò una canzone dolce e acuta.
Poi tornò giù, dritto verso mamma Orsa.
“Non essere triste” disse il pettirosso, “anch’io ti voglio bene. Devo volare per il mondo, ma ritornerò. Ogni anno, ritornerò”.
Allora mamma Orsa gli dette un bacio, e il pettirosso volò via.
(Else Holmelund Binarik)

Racconti per la primavera – La rondine
Il primo stormo di rondinelle arriva fra le vecchie case del borgo. Ciascuna cerca il suo nido, e se lo trova sciupato dal vento, dalla pioggia, dalla neve, la rondine va in cerca di fuscelli, di bioccoli sulla siepe, per ripararlo.
C’è una rondinella che arriva un po’ in ritardo.
Alcune compagne curiose e pettegole le volano incontro, la circondano:
“Sai, il tuo nido è occupato”
“C’è dentro una pesseretta”
“Quando ci ha viste s’è avventata col becco spalancato”
“Non vuole uscire”
“Dobbiamo scacciarla”
“E’ una prepotente”
“E’ un’intrusa”
“Andiamo a vedere” fa la rondine, già sdegnata, perchè è stato occupato il suo nido.”Vedrete, ci penso io!”
E vola verso il campanile.

Eccolo il suo nido, sotto l’arcata.
La rondinella si lancia a volo presa dall’ira… ed ecco, trova tre testoline ancora implumi, tre beccucci spalancati, tre passerini affamati.
“Andiamo” dice la rondine alle compagne “Mi aiuterete a costruirmi un nido nuovo”
“Come? Come? Vorresti…”
“Poveri passerotti, sono tanto piccini…” dice la rondine con un cinguettio commosso.
(Eugenia Graziani Camillucci)

Racconti per la primavera – Marzo e il pastore
Una mattina, sul cominciare della primavera, un pastore uscì con le pecore e incontrò Marzo per la via. Disse Marzo: “Buongiorno, pastore, dove le porti oggi le pecore?”
“Eh, Marzo, oggi vado al monte!”
“Bravo pastore, fai bene, buon viaggio!” E fra sè disse “Lascia fare a me; oggi i innaffio io per bene!”
Il pastore, però, che l’aveva squadrato ben bene in viso, aveva fatto tutto il contrario. La sera, nel tornare a casa, incontrò di nuovo Marzo.

“Ehi, pastore, com’è andata oggi?”
“E’ andata benone. Sono stato al piano: una bellissima giornata, un sole che scottava.”
“Ah, sì? Ci ho gusto!” (e intanto si morse un labbro) “E domani dove andrai?”
“Domani tornerò al piano. Con questo bel tempo…”
“Bravo, addio!”
E partirono. Ma il pastore, invece di andare al piano, andò al monte; e Marzo giù acqua e vento e grandine al piano. La sera trovò il pastore.
“Oh pastore, buonasera! E oggi com’è andata?”
“Benone! Sai, sono andato al monte. E’ stata una giornata d’incanto. Che cielo! Che sole!”
“Bravo pastore… e domani dove andrai?”
“Eh, domani andrò al piano!”
Insomma, per farla corta, il pastore gli disse sempre il contrario, e Marzo non ce lo potè mai beccare. Si arrivò così alla fine del mese.

L’ultimo giorno Marzo disse al pastore: “Eh beh pastore, come va?”
“Va bene,ormai è finito Marzo e sono a cavallo. Non c’è più paura e posso star tranquillo…”
“Dici bene,e domani dove andrai?”
“Domani vado al piano, faccio più presto”
“Bravo, addio!”
Allora Marzo in fretta e furia andò da Aprile, gli raccontò la cosa e, infine, gli disse: “Ora avrei bisogno che tu mi prestassi un giorno”.
Aprile, senza farsi pregare, gli prestò un giorno.
La mattina dopo, il pastore fece uscire le pecore e andò al piano come aveva detto. Ma, quando fu una certa ora e il gregge era sparso per i prati, cominciò una ventipiova da fare spavento; acqua a ciel rotto, vento e neve e grandine. Il pastore ebbe da fare e da dire a riportare le pecore all’ovile.
La sera Marzo andò a trovare il pastore, che era là nel canto del fuoco, senza parole, tutto malconcio, e gli chiese ironico: “Oh pastore, buona serata! Oggi com’è andata?”
“Ah, Marzo mio, sta’ zitto, sta’ zitto, per carità! Oggi è stata proprio nera. Peggio di così neanche a mezzo gennaio; si sono scatenati per aria tutti i diavoli dell’inferno.”
E’ per questo che marzo ha trentun giorni; perchè ne ha preso in prestito uno da aprile.
(I. Neri)

Racconti per la primavera – La leggenda del tuono
Una mattina, Nube Bianca, una graziosa bimba pellirossa, mentre si chinava al allacciare un sandalo, notò ai suoi piedi una lumaca.
Infastidita, con un calcio la buttò lontano e riprese il suo cammino. Passarono molte ore e Nube Bianca non fece ritorno a casa.
I fratelli l’attesero a lungo; poi, preoccupati, incominciarono a chiamarla: “Nube Bianca, dove sei? Nube Bianca, rispondi!”
Corsero a destra e a sinistra, e finalmente la videro. Stava immobile sulla cima di una rupe.
“Scendi, Nube Bianca! Cosa fai lassù?”
“Non posso muovermi” rispose tristemente la sorellina “sono stata punita per aver maltrattato una lumaca. Potrò scendere solo se venite a prendermi”.

“Proviamo a salire” propose il maggiore dei fratelli “dobbiamo salvarla”.
Purtroppo la roccia era troppo ripida e i quattro ragazzi, ad ogni tentativo di arrampicarsi non facevano che scivolare indietro.
“E se ci costruissimo delle ali con il legno di quel cedro laggiù?” propose il fratello maggiore.
Corsero a staccare i rami, li intrecciarono, e se li legarono sulle spalle. Ma fecero solo qualche metro e ripiombarono a terra.
“Proviamo a costruirle più leggere” disse uno dei fratelli.
Tornarono tutti e quattro di corsa al villaggio, raccolsero le lische dei salmoni lasciate sulla riva da alcuni pescatori e le legarono con striscioline di pelle.

“Facciamo presto! Tu lega le ali alle mie spalle. Io aiuto Freccia Rossa, che è troppo piccolo per arrangiarsi da solo. Siamo pronti? Alziamoci in volo insieme!”
Il vento che vide i loro sforzi, si commosse e soffiò forte. I ragazzi non fecero che un lieve movimento. Esso li sollevò e li accompagnò fino alla capanna.
Ma appena i quattro fratelli ebbero deposto Nube Bianca a terra, un nuovo colpo di vento li alzò e li portò lontano nel cielo.
“Addio… addio…” ripeterono a lungo, finché svanirono per sempre. Ammirato dal loro coraggio, il vento li aveva trasformati in tuoni.
Da allora i pellirosse della costa del Pacifico, quando si scatenano grossi temporali, riconoscono nei tuoni i quattro fratelli coraggiosi.

Racconti per la primavera – Marzo irrequieto
Tre erano i figlioli della Primavera: Marzo, Aprile e Maggio. A questi tre ragazzi la Primavera delegava, per un mese ciascuno, il governo dei venti e, quando le cose erano nella mani di Marzo, la prima a tremare era la madre.
Delle cose del cielo in quel mese non se ne capiva nulla: ora il cielo scottava come in giugno, ora una tramontana gelata scendeva dai monti e faceva rabbrividire i germogli; ora il cielo si copriva di nubi come in gennaio e quel pazzo monello, dopo aver raccolto sulle montagne burrasche di neve e di tempesta, le scagliava per la campagna, facendo strage di fiori e di gemme.

Un giorno sua madre gli disse: “Senti, Marzolino mio, tu sai: in tutto l’inverno ho accumulato un subisso di nuvole sporche che ora vorrei lavare. Ti prego di farmi qualche giorno di bel tempo, con un bel sole forte, perchè voglio fare il bucato di tutto ed asciugarlo il più rapidamente possibile”.
Marzo, naturalmente, si diede a rassicurare compiutamente la madre e l’indomani la Primavera, in gran faccende, a mezzogiorno aveva già steso al sole, che splendeva magnifico in cielo, una gran quantità di panni candidi.

Tutto andava per il meglio, quando Marzo, affacciatosi da un angolo dell’orizzonte, vedendo quel candido bucato disteso sui monti e la mamma tutta intenta a sciabordare nelle acque profonde, fu preso da uno di quegli irresistibili impeti di monelleria che sono il meglio e il peggio del suo carattere.
“Che bella cosa” disse tra sè “portare un po’ in giro tutto quel bucato! Mia madre è tanto, tanto carina quando corre qua e là, coi capelli in aria, a raccattare i suoi panni!”

Detto fatto, apre l’otre dei venti ed ecco un furioso maestrale mettersi a correre come un matto verso la pianura. Solleva nuvole di polvere, scavezza ramoscelli, sbatacchia rabbiosamente le chiome degli alberi e finalmente si precipita sul bucato: lenzuoli, tovaglie, camicie, tutto all’aria! Qualche lenzuolo si straccia sui cespugli della montagna, altri vengono sollevati e trasportati a precipizio nell’azzurro e sul mare: il cielo è tutto pieno di stracci variopinti, sbattuti qua e là dalla furia del vento.

La povera Primavera, disperata, coi capelli all’aria, corre per i campi cercando di agguantare a volo quei panni volanti, e grida e chiama e si aggrappa agli alberi per non essere sbattuta via anche lei dalla tempesta.
E intanto uno squillo di risa argentine risuona per le campagne: ridono rombando gli alberi dei boschi, ridono le fontane, e ride pazzamente Marzo, con i grandi occhi azzurri spalancati dietro le cime dei monti.
(M. Spano)

Racconti per la primavera – Gli uomini di burro

Giovannino Perdigiorno, gran viaggiatore e famoso esploratore, capitò una volta nel paese degli uomini di burro. A stare al sole si squagliavano, dovevano vivere sempre al fresco, e abitavano in una città dove al posto delle case c’erano tanti frigoriferi. Giovannino passava per le strade e li vedeva affacciati ai finestrini dei loro frigoriferi, con una borsa del ghiaccio in testa. Sullo sportello di ogni frigorifero c’era un telefono per parlare con l’inquilino.
“Pronto”
“Pronto”
“Chi parla?”
“Sono il re degli uomini di burro. Tutta panna di prima qualità. Latte di mucca svizzera. Ha guardato bene il mio frigorifero?”
“Perbacco è d’oro massiccio. Ma non esce mai di lì?”
“D’inverno, se fa abbastanza freddo, in un’automobile di ghiaccio.”
“E se per caso il sole sbuca d’improvviso dalle nuvole mentre la vostra maestà fa la sua passeggiatina?”
“Non può, non è permesso. Lo farei mettere in prigione dai miei soldati”.
“Bum” disse Giovannino. E se ne andò in un altro paese.
(G. Rodari)

Racconti per la primavera – Il fiore
C’era un bocciolo che faticava ad aprirsi. Era duro, piccolo, verde e pareva che non dovesse sbocciare mai. Allora disse alla pianta: “Succhia forte il buon nutrimento dalla terra, così io potrò diventare più grosso”.
La pianta succhiò con tutte le sue radici e il bocciolo ingrossò, ma rimaneva verde e duro. Allora disse alle nuvole:”Mandate giù una pioggerella, ma non tanto forte, altrimenti mi sciupate”.
E le nuvole mandarono giù una spruzzatina sulla terra, ma con molta educazione.

Poi il bocciolo disse al sole: “Per piacere, riscaldami coi tuoi raggi, ma non mi bruciare, sarebbe un peccato”. E il sole lo accarezzò col suo tepore.
Finalmente in una bella mattina di primavera, il bocciolo si aprì e ne venne fuori un magnifico fiore rosso che pareva di seta.
Una farfalla disse: “Che bellezza! Un fiore così bello non si è mai visto in questo giardino!”. E vi si posò sopra con delicatezza.

La terra, le nuvole, il sole ne furono molto orgogliosi. Le campanelle bianche, screziate di rosa, si misero a suonare a festa.
Verso sera arrivò un bambino. Vide il bellissimo fiore rosso e lo colse. Poi lo strappò.
Le campanelle smisero di dondolarsi e chinarono le corolle con molta malinconia.
Il giardino pianse per tutta la notte.
(Mimì Menicucci)

Racconti per la primavera – La cameriera della Primavera
C’era una donnina che si chiamava Sigismonda e stava al servizio della Primavera. Qualche giorno prima che questa scendesse sulla terra per il solito viaggio, Sigismonda si metteva a cavalcioni della scopa e si calava giù per le azzurre vie del cielo. Veniva a vedere se, sulla terra, tutto era in ordine.
“Benvenuta, Sigismonda!” gridavano i merli che la vedevano per primi dall’alto degli alberi.
“Come va, come va?” chiedeva Sigismonda, soddisfatta di quella festosa accoglienza, “Avete preparato la nuova canzone?”
“Si capisce”, dicevano i merli, “La vuoi sentire?”
“Grazie, no, io non me ne intendo!” rispondeva Sigismonda. Era un po’ sorda e si vergognava a dirlo. Ma i merli erano così impazienti di cantare la loro nuova canzone che chiudevano gli occhi e si mettevano a fischiettare. Sigismonda approfittava della loro distrazione e scendeva sui teti a salutare i passeri.

“Sigismonda, abbiamo già fatto i nidi!” gridavano quelli, tutti insieme, con gran baccano.
“Mi compiaccio! Primavera sarà molto contenta!”
“Quando arriverà, troverà già i piccini”.
E i passeri, dalla gioia, si buttavano giù a precipizio, poi tornavano su velocissimi e Sigismonda doveva andarsene perchè le veniva il capogiro.
Le campanelle azzurre cominciavano a suonare dolcemente non appena la vedevano. Gli uomini non sentivano nulla, ma i grilli e gli insetti del prato godevano molto di quella musica e la stavano ad ascoltare estasiati.

“Sigismonda, un concerto così, Primavera non l’ha mai sentito!”
“Oh, che piacere sarà per lei! Ha sempre tanta voglia di ballare!”
“Io le ho preparato una serenata coi fiocchi. La vuoi sentire, Sigismonda?”
E il grillo cominciava a suonare e Sigismonda si addormentava e faceva dei bellissimi sogni. Quando la serenata era finita, il grillo la pizzicava dolcemente sotto la pianta dei piedi e Sigismonda si svegliava.

“E’ bellissima questa serenata! Beata Primavera che potrà sentirla tutte le sere!”
E poichè si faceva tardi, la donnina si affrettava a guardare se tutto era in ordine. Ma tutto era in ordine, sempre. Nessuno mancava mai all’appello della Primavera e tutti erano puntuali come orologi di precisione. I bocciolini si tenevano pronti ad aprirsi tutti insieme non appena Primavera li avessi sfiorati col piede, le erbette erano nuove e lustre, i ruscelletti ridevano sommessamente, correndo tra i sassi puliti.
“Mi pare che tutto sia pronto!” diceva finalmente Sigismonda, e rideva anche lei, giocondamente, perchè era sempre allegra come si conviene alla cameriera della stagione più bella dell’anno.

Poi diceva agli scoiattoli che si spazzolassero bene la coda, cosa che questi facevano con grande piacere, dava un ultimo colpo di scopa ai mucchi di neve rimasti nei crepacci, pettinava i prati che il vento si era divertito a scapigliare e infine, guardandosi intorno diceva:”Che bellezza!”.

Si metteva di nuovo a cavalcioni della scopa e, dopo aver salutati tutti festosamente, tornava per le azzurre vie del cielo e le stelle le facevano l’occhiolino, molto contente di rivederla.
Mimì Menicucci

Racconti per la primavera – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

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