Dettati ortografici a tema: il mese di febbraio. Una collezione di dettati ortografici sul mese di febbraio, di autori vari, per la scuola primaria

Dettati ortografici FEBBRAIO

E’ un mese allegro, pieno di mascherine, di coriandoli, di stelle filanti e di frittelle. L’inverno di fa ancora sentire, ma se guardate bene, vedrete una gemma che sta per schiudersi sul ramo di un albero, vedrete un fiorellino che timidamente sboccia, vedrete un tiepido raggio di sole che cerca di farsi strada fra le nuvole.

La campagna è ancora spoglia, ammantata di brina; pure, se guardate attentamente, vedrete una gemma, nel cavo di un ramo, che sta per schiudersi; vedrete sul piano le prime margheritine e sull’orlo del fossato sentirete il profumo delle prime violette. E il pesco e il mandorlo, fra poco, avranno la loro veste fiorita.

Il ghiaccio intorno alla fontana si è sciolto, le piantine rialzano il capo e mettono un bocciolino con la speranza di farlo presto schiudere. La siepe si copre di gemme e fra qualche giorno il biancospino fiorirà. Anche i mandorli e i peschi sono pronti: al primo raggio di sole tiepido si copriranno della loro bella veste fiorita.

Primi tepori
Fra le erbe del prato, le violette non sono ancora sbocciate. Se ne sente, però, il profumo. anche l’aria odora un po’ di primavera. Gli uccellini cinguettano; pensano al nido. Gli insetti cominciano a ronzare; qualcuno ha messo già le ali, dopo la lunga invernata passata sotto terra.

Molta gente borbotta contro questo piccolo mese. Febbraietto, corto e maledetto! Eppure, è proprio febbraio che porta le mascherine, e che soprattutto porta i primi tepori, più luce al giorno, qualche gemma, e persino qualche fiore. E allora, un po’ di pazienza per i suoi bronci che sono seguiti sempre da un lieto sorriso!

Parla febbraio: “Nei campi che cosa si fa? Non troppo, ancora, ma c’è la speranza del marzo vicino. I contadini si preparano sapendo che, dopo di me, verranno subito i primi tepori. Essi pensano a potare le viti, a scortecciarle per distruggere gli insetti dannosi. Nei luoghi dove il clima è meno freddo, i pastori cominciano la tosatura delle pecore”.

La terra è ancora brulla, gli alberi nudi e stecchiti. Pure, se osservate bene, vedrete un leggero spolverio verde sui rami, sui cespugli. Sono le gemme che aspettano un raggio di sole per potersi schiudere. Se guardate fra le erbe del prato, forse troverete una violetta, la prima, che però, nel suo linguaggio, vi dirà che la primavera non è lontana.

Febbraio è il mese più breve perchè ha soltanto ventotto giorni e ventinove negli anni bisestili. Febbraio era, nel calendario romano antico, l’ultimo mese dell’anno. Il primo mese era marzo, da Marte, il dio della guerra. Il nome deriva da “februare” che vuol dire purificare, espiare; il mese, infatti, era dedicato alla purificazione. I nostri antenati usavano espiare per sè e per i defunti e purificare gli animali mediante cerimonie che si svolgevano sul Colle Palatino. A noi, febbraio porta la bella festa del Candelora e l’allegria del Carnevale.

Se provate a fare una passeggiata in campagna, quante cose di riveleranno ai vostri occhi che voi nemmeno pensavate! Spunta già il grano, e lieve lieve, morbido morbido, copre la terra di un mantello verde non appena la neve la lascia libera. E se guardate sulle siepi, troverete certi bocciolini duri e pelosi che aspettano soltanto un raggio di sole per aprirsi. E’ il biancospino, e tra qualche giorno, vedremo che fioritura candida e profumata sopra le siepi rinsecchite! Gli uccellini cinguettano: sono allegri anche loro. Cominciano a trovare qualcosa di più da mettere nel becco: gli insetti, le larve fanno capolino dalla terra e sono proprio dei bocconi saporiti.

Febbraio è il mese più corto dell’anno, un mese ancora freddo, ma che ci mostra i primi avvisi di primavera. Il suo nome deriva dal latino “Februarius” da “februus” che vuol dire purificante, purgante. In questo mese gli antichi romani facevano, infatti, i sacrifici di espiazione durante le feste dei Lupercali, istituite a quanto si dice, da Romolo, in onore della lupa che lo aveva nutrito.

Febbraio fu aggiunto agli altri mesi da Numa Pompilio e con esso terminava l’anno, che cominciava con marzo. Febbraio consta solo di ventotto giorni e, negli anni bisestili, ventinove. Gli anni centenari sono bisestili soltanto se possono dividersi per 400.

Il mese di febbraio è l’ultimo mese dell’inverno e secondo il proverbio, che “il più duro da scorticare è la coda” anche febbraio ci riserva spesso le più crude manifestazioni del freddo. Imperano ancora il gelo, il vento e qualche volta anche la neve. Però, se guardiamo attentamente intorno a noi, vedremo già qualche manifestazione della primavera imminente.

Il cielo di febbraio è spesso nuvoloso e grigio, ma con qualche squarcio di azzurro che si fa sempre più grande e frequente con il progredire del mese. Le giornate si allungano.

Sui rami delle piante possiamo notare a partire da febbraio gli ingrossamenti che daranno luogo alle gemme; qualcuna, anzi, ha già la gemma ben visibile: il pioppo, il ligustro, il biancospino. Osservando queste gemme vedremo che questi germogli ben riparati da un rivestimento che può variare da pianta a pianta. In qualcuno c’è addirittura una morbida pelliccetta pelosa che tiene riparato il prezioso contenuto, in altri c’è un rivestimento di scaglie dure e coriacee che lo difendono dal vento gelido e dagli sbalzi di temperatura; in altri ancora l’involucro della gemma è rivestito di resina impermeabile che difende il germoglio dalla pioggia.

A fine febbraio, se la temperatura non è troppo cruda, c’è l’esplosione dei fiori di mandorlo e di pesco che illeggiadriscono la campagna con un’improvvisa manifestazione primaverile. Ed ecco la prima violetta, la prima margheritina, la primula…

La vita animale in febbraio è ancora sopita, ma presto si manifesterà. Dove sono gli insetti? Morti, oppure sotto terra, nascosti nella corteccia degli alberi sotto l’aspetto di crisalidi, oppure ancora nell’uovo; ma ecco le prime mosche, i primi bruchi avventurosi, ecco le formiche, ecco il guizzo di una lucertola che si è svegliata in anticipo! La lucertola, come gli altri rettili, è rimasta immersa nel letargo perchè, avendo il sangue a temperatura ambiente, non potrebbe resistere al freddo invernale. Ma il primo raggio di sole l’ha destata dal suo intorpidimento anche perchè qualche insetto è sbucato fuori e il primo appetito si potrà saziare.

In febbraio i tassi, le marmotte, i ghiri, i pipistrelli non si sono ancora destati; restano immersi nel letargo, durante il quale le funzioni vitali rallentano al massimo permettendo all’animale di rimanere digiuno per lunghi mesi. Ma col primo pallido sole di febbraio, c’è da giurarlo, anche loro cominciano a sentire il sangue muoversi, cominciano a sentire gli stimoli della fame e presto anch’essi sbucheranno fuori dalle loro tane.

La terra è ancora umida e fredda, pure, se guardi con attenzione, vedrai qualche filo d’erba spuntare nelle fessure, vedrai qualche ramo che presenta i piccoli rigonfiamenti dove si nascondono le future gemme, vedrai, forse, una pratolina sbocciare timidamente sulla zolla ancora spoglia. Sono gli indizi dell’arrivo imminente della primavera. Non lasciarti sfuggire questi segni: ne ricaverai una grande gioia pregustando in anticipo il bel sole che verrà, il rigoglio della natura che ancora non appare, ma che un giorno, non lontano, esploderà in tutto il suo vigore, e la sua bellezza.

Febbraio è l’ultimo mese d’inverno. Ancora è freddo, la nebbia pesa sulla campagna, il vento soffia gelido, e spesso la neve cade ancora dal cielo a ricoprire la terra. Febbraio, quando te ne andrai? Sei il più piccino dei mesi, ma sei forse il più cattivo. Non ne possiamo più di freddo, di nebbia, di neve. Desideriamo, con tutto il cuore, il tiepido sole di primavera, le prime violette, le pratoline candide che sembrano stelline cadute sul prato. Febbraio, vattene via lesto! Vogliamo la primavera!
E’ ancora freddo; spesso il vento soffia gelido fra i rami nudi degli alberi. Pure, se guardi con attenzione, vedrai qualche coraggioso filo d’erba spuntare nelle fessure sui muri, vedrai qualche insetto avventuroso tentare i primi voli, vedrai qualche squarcio di azzurro nel cielo grigio e forse, chissà, potrai trovare sulla riva di un fosso una violetta profumata che è sbocciata per darti il saluto della primavera che si avvicina.

Febbraio è un mese di passaggio fra l’inverno e la primavera. Per questo è così instabile, capriccioso e infido. Anche se ha qualche giornata di sole, non dargli retta: rallegrati, ma tieni il tuo cappotto e il tuo berretto. Anche se un mandorlo fiorisce coraggiosamente, gioisci della sua fioritura gentile, ma non ti sorprendere se l’indomani il vento stizzoso lo avrà spogliato. E se trovi una violetta sul bordo di un fosso, prendila come un saluto del bel tempo che verrà.

Dicono i contadini: “Febbraio febbraietto corto e maledetto”. Ma perchè, povero piccolo mese? In fondo anche lui porta le gioie di un’acerba primavera: qualche violetta sbocciata sull’orlo di un fosso, qualche pratolina fra l’erba, le mimose pronte a sbocciare e soprattutto la fioritura dei mandorli e dei peschi. Non maledire questo mese anche se è ancora freddo e nebbioso. Vedrai, in marzo, che cosa ti ha preparato febbraio.

Gli alberi stendono al cielo i loro rami nudi e rinsecchiti. Pure, se li osservi con attenzione, vedrai dei piccoli rigonfiamenti che si fanno, di giorno in giorno, più turgidi e verdi. Sono le gemme che ancora non germogliano, ma lo faranno non appena un raggio di sole più tiepido le sveglierà dal loro sonno invernale. Sono rivestite da una folta pelliccetta, oppure da squame dure e coriacee; ma ben presto il loro rivestimento si aprirà per dar luogo al fiore, alla foglia, al rametto giovane della primavera.

Il vento, la neve, la pioggia, sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di stare troppo a lungo in questa compagnia; e per questo, forse, è il mese più corto dell’anno e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi ancora coperti di brina. Che fatica per il povero febbraio con le sue scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ma febbraio prende la sua fatica allegramente. (F. Palazzi)

Se osserviamo bene, vedremo i primi sintomi del risveglio della natura. Le gemme sono ancora coperte di scaglie resinose e impermeabile che le proteggono dal freddo, ma nei posti più soleggiati, sputano ciuffi d’erba verde, lungo le prode sbocciano le violette timide, i ranuncoli gialli. Sulle zolle ancora nude ecco le pratoline bianche col collarino rosso che si schiudono all’apparire del sole, per richiudersi subito non appena il sole scompare. E’ la primavera che si annuncia.

Non ti fidare se febbraio ti regala qualche bella giornata. Ecco che, dopo il tepore, un vento gelido accumula di nuovo le nuvole della pioggia. E se il mandorlo e il pesco una mattina ti sorprendono con la loro leggiadra fioritura, non è difficile che, l’indomani, i fiori siano tutti a terra e gli alberi più spogli di prima. Ma, anche nei suoi capricci, febbraio precede la primavera e te lo dice con i suoi timidi tentativi durante i quali fa sbocciare un fiore, squarcia le nubi e accoglie festosamente un bel raggio di sole.

L’albero che ha perduto nell’inverno tutte le foglie, sente la carezza del primo sole: “Svegliati, dunque! E mettiti al lavoro! Che cosa aspetti ancora? La buona terra è pronta a darti i suoi ricchi umori. Io ho tiepidi raggi. L’aria ti sussurra attorno una dolce canzone.”. L’albero ode le care voci e chiama dal suo cuore i teneri germogli. (G. Camillucci)

Il mese di febbraio è l’ultimo mese dell’inverno e spesso ci riserba le più crude manifestazioni del freddo. Imperano ancora il gelo, il vento, e spesso la neve. Pure, se guardiamo attentamente intorno a noi, vedremo già qualche manifestazione della primavera imminente. Il cielo spesso nuvoloso e grigio, ha talvolta uno squarcio d’azzurro che, col progredire del mese, si fa sempre più grande e più luminoso. Le giornate sono più lunghe e, talvolta, ci arriva un soffio profumato che sa di bosco e di giardino anche se boschi e giardini sono ancora spogli e addormentati.

Primavera? Siamo ai primi di febbraio e ancora ne ha da cadere di neve, ancor da pungere di freddo. Pure, adesso che ci penso, e guardo meglio in giro, l’annuncio della primavera non è solo sulla bocca della fioraia all’angolo della strada. Forse nelle nubi; forse nel vento; o nell’erba dei giardinetti che hanno il cancello sul marciapiede; o fra le connessure delle pietre; ma, insomma, è. Gioca con me a nasconderello; dove si appiatti non potrei dire, nè dove sbuchi per tornare a rintanarsi; non dice, promette, e poi fugge. (Ada Negri)

Febbraio è un mese infido, volubile. E’ un mese invernale, e vuol sembrare invece un mese di primavera; e lo dice anche. Il due febbraio si festeggia la Candelora, così chiamata per le offerte di candele che si fanno alla Madonna in quel giorno. Ebbene, febbraio fa cantare: “Oggi è la Candelora, dell’inverno semo fora”. Sì, in qualche giorno del mese c’è infatti un sole luminoso e quasi tiepido che ci consola; e sulle rade dei fossi spuntano già le prime violette dell’anno… ma poi, il giorno dopo, ecco che fischia la tramontana e riprende a fioccare la neve. (F. Palazzi)

E’ spuntata la prima viola sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata! E’ venuta a dire che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si copriranno di gemme di fiori, di frutti. E’ venuta a dire al contadino che i lavori dei campi lo aspettano. E’ venuta a promettere ai poverelli, che quest’inverno hanno tanto sofferto, che non farà più freddo. Tra poco il sole tiepido scalderà la terra e la terra tornerà rigogliosa con l’aiuto della natura e il lavoro dell’uomo. (L. Steiner)

Brillano al sole le nevi; sgrondano i tetti. Riponete, ragazzi, slitte e pattini; finito ormai è quest’affanno dell’inverno. L’abete ha sciorinato lungo il clivio la sua ombretta celeste. Non più sentieri ghiacciati, Non più sizze che taglian le orecchie. Ora tutto s’allenta, s’espande, si dona. Com’è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti si rallegrano, l’ombra del fico si disegna sul muro con una tenerezza nuova. (C. Linati)

Un giorno di sole riappare, dapprima timido, freddo, poi manoa mano più caldo; che aria di festa! I prati ritornano soffici, si sciolgono i ruscelli e riprendono a cantare. I ragazzi, felici, invadono le strade gridando, e i poveri sorridono… Ma il gelo, ahimè! Non si è dato per vinto. Di nuovo vittorioso torna signore delle cose. Tutto di nuovo è freddo, silenzioso, immobile. I bambini sono tornati nelle case; i poveri tremano. Quanto durerà ancora il regno del gelo? (G. Fanciulli)

Parla febbraio: “Nell’antico calendario romano io avevo ventinove giorni; me ne tolsero uno per regalarlo ad agosto e, da allora, me lo rendono solo negli anni bisestili; non riesco, però, ad averne mai più di ventinove, e rimango sempre il più corto dei dodici fratelli. Dicono che sono cattivo: Febbraio, febbraietto corto e maledetto. Allora cerco di portare un poco di allegria con il carnevale; e la gente si diverte più che può senza curarsi del mio freddo.” (M. Toscano)

Parla febbraio: “E nei campi, che cosa si fa? Non troppo ancora, ma c’è la speranza del marzo vicino; i contadini si preparano, sapendo che, dopo di me, verranno subito i primi tepori. Essi pensano a potare le viti, a scortecciarle per distruggere gli insetti dannosi. Le greggi, seguite dal vigile pastore, risalgono i colli in cerca delle prime erbette. Si comincia la tosatura delle pecore; la lana è la prima preziosa raccolta dell’annata.” (M. Toscano)

Oh valletta, che ancora non è primavera e tu di sorridere tenti già! Lascia che io riveda com’è quel bel verde che quasi negli occhi l’immagine più non ne trovo! Rimirati, o valletta, raccogliere ad una ad una le piccole dolci tue cose… Quelle prime tue primule uscite a sentire se il sole è già tiepido, l’aria meno grigia, quel tuo timido verde che torna cercando fra gli aridi ciuffi il sentiero. (F. Chiesa)

Piove, e sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadine luccica; e luccicano gli ombrelli, i cappucci dei cappotti impermeabili. Nei campi, i fossi gonfi d’acqua borbottano. I fiumi corrono limacciosi in piena e portano innanzi quanto hanno rapinato dalle prode. Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia, tra i vapori che salgono dalla terra e lentamente vanno a confondersi alle nuvole grige. Non finirà mai più? Si sta bene al chiuso, all’asciutto, al caldo. E per fortuna febbraio è corto. (G. Fanciulli)

Il giorno della Candelora la primavera si è affacciata nei cieli ed ha sbandierato il suo gonfalone di raso celeste. Dalle piazze, dalle vie, dagli abbaini, dai fondachi, tra le tende e dietro i vetri, gli uomini l’han vista, l’hanno sentita; i giovani non un guizzo di gioia nella pupilla… Già ci investe la luce. Questa è per tutti gioia e potenza. I giorni sono più lunghi… Fa meno freddo. Ognuno di noi ha uno scopo da raggiungere, immediato: la primavera. (A. Bucci)

Nel lungo inverno la terra pare come morta, ma non è così. Essa dorme il suo sonno tranquillo e riposante; dormono anche molti animali nelle loro tane. Dorme la terra, ma pure nel sonno, come una madre amorosa, copre sotto il suo manto milioni di semi che come lei dormono, e li difende dal freddo e li prepara per il risveglio primaverile. (G. Cives)

Mi ricordo bene di certe corte e ventose giornate di gennaio e di febbraio, quando si camminava via lesti per le strade dure, ghiacciate, che risuonavano sotto i passi, fra i muri asciutti che rimandavano gli echi, sotto le sfilacciature bianche delle nuvole alte. A forza di camminare tornavo a casa coi piedi brucianti e il viso acceso, tutto vibrante e vigoroso come se tornassi da una vittoria. (G. Papini)

Quando sul salice appaiono le prime infiorescenze, non c’è dubbio: la primavera ha ripreso possesso di questo vecchio mondo. Le gemme sono le sue messaggere. Durante l’inverno, le gemme cominciano a far capolino. Poi lentamente s’ingrossano, e sui rami spogli si vedono piccole protuberanze coperte di scaglie color bronzo, marroncino, e d’un delicato verde. Alcune di esse sono lisce, altre lanuginose, o ruvide, o increspate, come protette da corazze di vari colori e di varie forme. (D. Culross Peattie)

Le scaglie che rivestono le gemme non servono a proteggerle dal freddo, come si crede. Durante l’inverno le gemme sono fredde, addirittura ghiacciate, poichè spesso nell’interno si formano cristalli di ghiaccio. Le scaglie servono a proteggere le gemme dal vento gelido. Poi, mentre la neve resiste ancora sulle cime dei monti e Febbraio sferza ogni cosa col vento e le piogge violente, la temperatura delle gemme aumenta, e una mattina, all’improvviso, tutto intorno a noi s’è rivestito di verde, e il miracolo della primavera si rinnova. (D. Culross Peattie)

Febbraietto corto e freddo, in ogni luogo ci mise la febbre. Tutta la terra ha un nascosto bollore. Sale alle cime la linfa e le gemme già si ingrossano e friggono. Continuano le piantagioni e la potatura. L’accetta lavora in pieno per togliere il vecchio e il superfluo ed aiutare il nuovo. La cattiva accetta rovina gli alberi. Il belar degli agnelli empie la campagna dove mandorli e peschi cominciano a fiorire; e dalle masserie fuma l’odor delle ricotte. Carnevale passa tra risa e divertimenti. (F. Lanza)

E’ il mese più breve perchè ha soltanto 28 giorni e ventinove negli anni bisestili. Febbraio era, nel calendario romano antico, l’ultimo mese dell’anno. Il primo mese era Marzo, da Marte, il dio della guerra. Il nome deriva da “februare” che vuol dire purificare, espiare: il mese infatti era dedicato alla purificazione. I nostri antenati usavano espiare per sè e per i defunti e purificare gli animali mediante cerimonie che si svolgevano sul Colle Palatino. A noi, febbraio porta la bella festa della Candelora e l’allegria del Carnevale.

Se provate a fare una passeggiata in campagna, quante cose si riveleranno ai vostri occhi che voi nemmeno pensavate! Spunta già il grano, e lieve lieve, morbido morbido, copre la terra di un mantello verde non appena la neve la lascia libera. E se guardate sulle siepi, troverete certi bocciolini duri e pelosi che aspettano soltanto un raggio di sole per aprirsi. E’ il biancospino e, fra qualche giorno, vedrete che fioritura candida e profumata sopra le siepi rinsecchite! Gli uccellini cinguettano: sono allegri anche loro. Cominciano a trovare qualche cosa di più da mettere nel becco: gli insetti, le larve fanno capolino dalla terra e sono proprio dei saporiti bocconi.

D’inverno, bisce e lucertole sono tutte sparite, sprofondate nei crepacci e nascoste sotto i sassi a dormire profondamente. Ma quando un raggio di sole tiepido batte sul loro rifugio, il sangue scorre più veloce, i battiti del cuore si fanno più rapidi e comincia a farsi sentire l’appetito. Coraggio, facciamo capolino! Chissà che non ci sia qualcosa da divorare tanto per non morire di fame. Il grasso del corpo che questi animali hanno consumato durante il loro letargo è ormai tutto finito e c’è bisogno di rinnovare le provviste!

Dettati ortografici a tema: il mese di febbraio

Il primo raggio di sole ha destato la lucertola che fa capolino dal suo rifugio, palpitante sotto la sua leggiadra corazza verde. Tassi, ghiri, marmotte sono ancora in letargo, il lunghissimo sonno durante il quale le funzioni vitali si sono rallentate al massimo permettendo all’animale di vivere senza mangiare e senza muoversi e di sopportare il freddo intenso. Ma il loro sangue comincia a scorrere più veloce, il cuore batte più svelto e l’appetito comincia a farsi sentire. Presto, al primo sole di primavera, li vedremo far capolino dalle loro tane, baffi vibranti e naso al vento per sentire il primo avviso di primavera.

Febbraio febbraietto, corto e maledetto! Ma perchè maledetto, povero, piccolo mese, così allegro, così spensierato, sempre in vena di mascherarsi e di andare a ballare? Per qualche stizzone di gelo più forte, ora che la gente cominciava a gustare il tepore del primo sole? Ma insomma, anche febbraio è un mese dell’inverno e anche lui ha il suo bravo diritto di avere piogge, freddo, geli e magari qualche nevicata. Ma, in compenso, guardate quante maschere! E quante stelle filanti! E quanti coriandoli! Una continua festa!

Il cielo fa ancora il broncio, ma non gli date retta: non vedete un riflesso azzurro nelle pozzanghere? E se cercate bene sulle prode dei fossi, chissà che non troviate una violetta, magari una sola, ma così profumata, così gentile che vi metterà in cuore una grande allegrezza. E poi, anche se febbraio vuol fare il cattivo, non durerà molto. Ha solo ventotto giorni, qualche volta ventinove, e presto ci dirà addio. E poichè è il più piccino, bisogna pure perdonargli qualche bizza!

Il secondo mese dell’anno è caro ai bimbi per le allegre ricorrenze del carnevale. Pantalone, Arlecchino, Balanzone, Pulcinella, Gianduia, Rugantino, Stenterello… scherzano e ridono per le vie delle proprie città, fino al giorno delle ceneri, al quale seguirà la Quaresima, periodo di raccoglimento e di penitenza che precede di quaranta giorni la Pasqua. La terra incomincia a scuotersi dal torpore invernale.  Le giornate si sono allungate e il sole si mostra più spesso nel cielo. Spuntano le prime margherite, fioriscono le mimose. Il grano incomincia a verdeggiare nei campi. Il contadino semina rape, piselli, lattughe, cipolle. Il nome febbraio deriva dalla parola latina “februare”, che vuol dire purificare, perchè, anticamente, era questo il tempo in cui il corpo veniva purificato per renderlo degno di avvicinarsi ai templi degli dei. I romani lo avevano dedicato a Giunone.

Tutte le cose dormono ancora il lungo  sonno invernale. I ghiaccioli pendono dalle grondaie e i comignoli fumano dalla mattina alla sera. Il gelo sembra padrone del mondo.
Ma un giorno il sole riappare: un sole dapprima timido, freddo, poi a mano a mano più caldo.
Che aria di festa! I prati tornano soffici, i ruscelli si sciolgono e riprendono a cantare. I ragazzi, felici, invadono le strade gridando, e i poveri sorridono. Appaiono i primi fili d’erba, nuovi nuovi. Ma il gelo, ahimè, non si è dato per vinto. Di nuovo vittorioso, torna signore delle cose. Tutto di nuovo è freddo, silenzioso, immobile. I bambini sono tornati nelle case; i poveri tremano. (G. Fanciulli)

Brillano al sole le nevi, sgrondano i tetti. Riponete, ragazzi, slitte e pattini: finito è ormai quest’affanno dell’inverno. Non più sentieri ghiacciati, non più ventate che tagliano le orecchie. Ora tutto si allenta, si espande, si dona. Come è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti s’allegrano, l’ombra del fico di disegna sul muro con una tenerezza nuova. Riponete, ragazzi, slitte e pattini! Andiamo ai primi lavori. (C. Linati)

Il più breve mese dell’anno, spesso, giunge con furia di vento, di freddo e di neve. Ma dopo alcuni giorni, dove sono le nubi? Non c’è più che un po’ di nebbia, rada rada, che lascia vedere il cielo sereno.
Allora, la neve e il ghiaccio cominciano a sciogliersi e i ruscelli riprendono il loro cammino.
Allora, ai margini delle strade di campagna, tra foglie secche e teneri fili d’erba, si scoprono cespi di primule, macchie di crochi, ciuffi di violette.
Timido annuncio della bella stagione.

Il mese allegro è spesso il mese più freddo dell’anno. L’inverno fa sentire ancora i suoi rigori, ma le sponde dei fossi, le prode dei campi mostrano fili d’erba nuova e boccioli che aspettano un raggio di sole per aprirsi.
Poi, febbraio è un mese allegro. La gente si diverte ed è contenta perchè è carnevale, ma soprattutto perchè l’inverno sta per finire.

Il cielo è nuvoloso: ogni tanto qualche lembo di azzurro, qualche sprazzo di sole; e poi da capo il grigiore freddo e uggioso. Il vento soffia, sibila, stride, scuote le porte, forza le imposte, fa tintinnare i vetri e rabbrividire i bambini. Le montagne si risvegliano, e incominciano a scuotere la canizie dal capo: la neve a poco a poco si discioglie; giunge di lontano il fragore dei torrenti che precipitano a valle. Qua e là verdeggiano gli olivi.
I ragazzi sgambettano allegri di stanza in stanza e scendono volentieri a rincorrersi per le strade e per la campagna. (G. Berlutti)

La nebbia, e le nuvole, cariche di pioggia e di neve, sono rimaste sorprese. Chi sono quegli uccelli scuri e fischiettanti, che volano nella bufera, sicuri e ad ali aperte? Nessun altro uccelletto ha ancora avuto il coraggio di tornare. Ma gli storni sì. Eccoli. Si posano. Vanno  popolare le aie deserte.
Nella fredda notte, il gelo è ancora feroce. Ma lo storno dorme accanto a un camino tiepido. Nella mattina, il gelo ha fatto luccicare di ghiaccio e di brina i campi e i rigagnoli. Poi viene il sole. Il gelo si nasconde nell’ombra. E lo storno vola fuori a fischiettare.

Il vento, la neve, la pioggia sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di star troppo a lungo in questa strana compagnia: e per questo, forse, è il mese più corto dell’anno, e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi coperti di brina e di ghiaccio.
Che vitaccia fa il povero febbraio, con le scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ognuno ha, nella vita, la sua sorte di lavoro, la sua razione di fatica. Ma febbraio prende la sua fatica allegramente. I mesi dell’anno hanno bisogno anche di lui per scaricare il freddo bagaglio dell’inverno. Febbraio corre. Per nascondere la sua fatica si è messo sul volto la maschera del carnevale. (O. Vergani)

La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva dietro le palpebre chiuse, a sentirsi frugare tra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le lunghe dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva piano piano: “Svegliati”. E mormorava: “Svegliati”. E poi: “Su, su, è l’ora, vestiti”.
E la terra fingeva ancora di dormire, perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia.
Alla fine ha aperto gli occhi delle margheritine, ed è rimasto un odore di terra bagnata nei giardini. (A. Campanile)

Si sente nell’aria l’alito della primavera: il rigore dell’inverno si è spezzato. Il bel tempo dura da una settimana e i giorni si succedono uguali, pieni di lavoro; la sera si ritorna a casa soddisfatti. In questi giorni mi sento insolitamente allegro: sono buono e garbato con tutti.
Nei campi le voci risuonano chiare e festose. Verrebbe voglia di abbracciare tutta la gente che fatica sulla terra. Anche gli uccelli, sentendo il tepore dell’aria, sono in festa.
E’ stata una bella giornata, ma con le prime ombre della sera il freddo si è fatto pungente. Passando nel querceto, sento i ruscelli fiottare; gli alberi spogli nel chiarore lunare hanno una rigidità spettrale. (F. Seminara)

Quando l’inverno muore lentamente nella primavera, nelle sere di questi bei giorni limpidi, lieti, senza vento, in cui si tengono spalancate per le prime volte le finestre e si portano sulle terrazze i vasi dei fiori, le città offrono uno spettacolo gentile e pieno di allegria e di poesia. A passeggiare per le vie si sente, di tratto in tratto, nel viso, un’andata d’aria tiepida, odorosa.
Di che? Di quali fiori? Di quali erbe? Chi lo sa!
Son profumi indistinti e sconosciuti, che sentono di freschezza, di gioventù, e di vita. (E. De Amicis)

Il 19 febbraio si festeggia San Biagio. San Biagio, prima di essere eletto vescovo, faceva il medico. Durante la persecuzione di Licinio, si nascose in una caverna dove curava le bestie che a lui accorrevano. Scoperto e condotto davanti al magistrato, fu condannato a morte.
Mentre veniva condotto al supplizio, avrebbe guarito un fanciullo che stava per soffocare per aver inghiottito una spina di pesce. Grazie a questo prodigio, Biagio viene invocato specialmente per i mali di gola ed il giorno della sua festa viene, appunto, benedetta la gola con l’apposizione di due candele benedette da parte del sacerdote.

Secondo la legge di Mosè, quaranta giorni dopo la nascita di un bambino, ogni mamma si presentava al Tempio per la purificazione, recando un’offerta. Anche la Madonna presentò Gesù al Tempio ed offrì due tortore. In alcuni paesi, si ricorda la purificazione di Maria con una processione nella quale i fedeli portano candele benedette. Per questo motivo, il 2 febbraio viene detto la “Candelora”.

Il passero pigola tra le fronde sempre verdi e fa capolino dalla volta di un tegolo, rannicchiato, irsuto come un riccio. Poveri passeri! Li vedete fatti dalla necessità doppiamente domestici, spiccarsi tratto tratto dai comignoli, venire a stormi dalla campagna tutta coperta, svolazzarvi tra le gambe, cercando qualche cosa da beccare. Intanto quella pietosa bimba sbriciola agli affamati uccelletti il panino della sua colazione. (A. Stoppani)

Il mese di febbraio
In febbraio proseguono le feste del Carnevale. Pantalone, Arlecchino, Balanzone, Pulcinella, Gianduia, Rugantino, Stenterello, scherzano e ridono per le vie delle proprie città, fino al giorno delle Ceneri, al quale seguirà la Quaresima, periodo di raccoglimento e di penitenza che precede di quaranta giorni la Pasqua.
Le giornate si sono allungate, il sole si mostra più spesso nel cielo. Spuntano le prime margherite, fioriscono le mimose.
Nei tempi antichi questo era l’ultimo mese dell’anno. I Romani lo chiamarono così da verbo latino “februare” che significa purificare. Infatti era questo il periodo delle purificazioni di fine anno. Anzitutto debbo dirvi che purificare per i Romani era un atto al quale essi attribuivano un gran valore, ai fini di procacciarsi il favore degli dei.
E volete sapere in che modo effettuavano queste purificazioni? O col fuoco, portando in giro grandi fiaccole nelle cerimonie religiose, o con l’acqua, con la quale effettuavano abbondanti aspersioni sulle cose e sulle persone. Ecco perchè all’ingresso dei loro templi si trovavano sempre grandi recipienti ricolmi di limpide acque.

Febbraio
Il vento, la neve, la pioggia sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di star troppo a lungo in questa strana compagnia e, per questo, forse, è il mese più corto dell’anno e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi ricoperti di brina e di ghiaccio. Che vitaccia fa il povero febbraio con le scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ognuno ha, nella sua vita, la sua sorte di lavoro, la sua razione di fatica… ma febbraio prende la sua fatica allegramente e la nasconde sotto la maschera del Carnevale.
(O. Vergani)

Febbraio
Febbraietto corto e freddo in ogni luogo mise la febbre. Tutta la tera ha un nascosto fervore. Sale alle cime la linfa e le gemme già ingrossano. Continuano le piantagioni e la potatura, e si zappa la vigna che poi bisogna impalmare.
E’ l’epoca giusta per gli innesti.
Dissodata la terra, si piantano le viti nuove; si riparano le conche e i muretti.
I seminati vogliono pioggerelle e nelle giornate belle, vi si passa la zappa.
Il belare degli agnelli e dei vitellini empie la campagna, che già mandorli e peschi cominciano a infiorare.
Carnevale passa con risa e divertimenti.
L’inverno prima d’andarsene intirizzisce marine e montagna; ma non hai tempo di volgerti indietro, che marzo ti passa avanti.
(F. Lanza)

Il febbraio dell’aquila
Era stato un inverno terribile; il novilunio aveva illuminata la campagna, nascosta completamente sotto un’infinita coltre di neve, covando i germi delle messi sotto un’insolita parvenza di morte.
I rami degli abeti innumerevoli parvero allora braccia stanche di una cappa troppo pesante; e i grandi alberi, digradanti in fila lungo il confine aspro e scosceso della foresta, furono simili a schiere di frati minori che vanno per via.
Sui rami nevosi la luna accendeva riflessi d’oro e d’argento; non un soffio di brezza agitava il grande esercito dei giganti pietrificati dal gelo.
In quelle lunghe notti, l’aquila dormiva, col fiero capo nascosto sotto un’ala enorme o abbandonato sul petto gonfio di penne, nell’incavatura di due rupi in bilico sull’abisso; e fin lassù arrivavano, così alto era il silenzio, gli urli lamentosi e strani delle volpi e di qualche lupo affamato.
I gioghi s’incoronavano di spettacolari ammassi di nuvole; e in grembo a quelle scoppiarono folgori secche e abbaglianti; e raffiche impetuose di venti furibondi agitarono e sbatterono, per l’anfiteatro delle montagne, fitti velari d’acqua, che si polverizzava sulle frasche, nascondendo ogni cosa.
I leprotti non uscivano più dai covi; le starne rimanevano nascoste nel cavo dei grandi alberi sventrati, in imezzo alle alte piante, i pollai erano chiusi.
non vi era possibilità di caccia e l’aquila languiva.
Per quanto capace di un digiuno di due, tre settimane, troppo frequenti erano ormai i periodi nei quali il colossale nido rimaneva sprovvisto di cibo. L’aquila aveva covato tre aquilotti: uno lo uccise, perchè troppo debole, poi ne uccise un altro, perchè troppo vorace…
(F. Paglieri)

Disgelo
Brillano al sole le nevi; sgrondano i teti, l’abete ha sciorinato lungo il declivio la sua ombra celeste. Non più sentirsi ghiacciati, non più ventate che tagliano le orecchie.
Com’è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti si rallegrano, l’ombra degli alberi si disegna per terra e sul muro con una tenerezza nuova.
E andiamo ai primi lavori. C’è il fosso da ripulire sotto il campo d’avena, la cavedagna che vuol essere riassettata alla falda del poggio.
Un’occhiata al pronto marcito sebbene verdeggi sull’orlo; poi scalzeremo un po’ di bosco ed a sera faremo il frutteto. Voi, ragazzi, riponete slitte e pattini: finito è ormai quest’affanno dell’inverno.
(C. Linati)

Non è ancora primavera
Primavera? Siamo ai primi di febbraio e ancora ne ha di cadere, di neve; ancora da pungere, di freddo. Pure, adesso che ci penso, e mi guardo meglio in giro, l’annuncio della primavera non è solo sulla bocca della fioraia all’angolo della strada. Forse nelle nubi, forse nel vento, o nell’erba dei giardinetti che hanno il cancello, sul marciapiede, o fra le pietre: ma, insomma, c’è. Gioca con me a nascondino: dove si nasconda non potrei dirlo, né da dove sbuchi fuori per poi tornare a rintanarsi; non dice nulla, promette e poi fugge.
(A. Negri)

Primavera precoce
Il temporale della sera precedente aveva fatto sulla natura l’effetto di una bastonata secca sulla testa di un uomo, cui tutte le idee si imbrogliano: la natura, intontita, aveva scambiato febbraio con aprile.
Quel giorno non c’era più niente a posto. Il cielo era d’un colore tenero di cobalto, tutto limpido; un vento tiepido vi correva, e sembrava che lo spazzasse e lo riscaldasse. I colori vivaci, rossi e azzurri, che per tanti giorni non si erano più visti, ora si stendevano dappertutto: il sole, allegro pittore, spennellava franco e denso le strade, le case e gli uomini.
Gli alberi erano ancora nudi, ma una brezzolina li faceva tremolare: e in rapido tremolio rammentava il bisbiglio inquieto delle prime foglioline.
(Gatti)

Presagi di febbraio
E’ quasi mezzogiorno, e dappertutto c’è un gran silenzio. Non odo che un fracasso di treno lontano, laggiù dalla parte di Firenze, qualche canto di gallo; e il taglio secco delle forbici, e questo squillo del pennato dei portatori, che mi rammenta dolcemente gli inverni della mia collina, della mia infanzia…
Ma col sole ecco la dimoia e la mota. I rigagnoli corrono; le primavere, i ranuncoli e anche gli anemoni mettono la testa fuori dalle zolle credendo che sia aprile. Infatti fa quasi caldo e non vedo che un po’ di neve rosea in cima alle lontane montagne pistoiesi, mentre i pettirossi cantano qui accanto, nelle siepi di sanguine, e le cince fra le chiome rossissime dei salici.
Un contadino che saluto mi dice che questa stagione non vale nulla per i raccolti. Ma io sono felice. Tutta la terra ai miei piedi, pare una pedana di seta, ricamata a colori pallidi, ma caldi e luminosi.
(A. Soffici)

La certezza della primavera
Era un ramo d’annunciazione.
Non pensai più che a una cosa: dopodomani è marzo…
Presto dimoia: le prode dei fossi sono  brune di mammole sotto la neve che sta per sciogliersi: gli alberi dietro quell’apparenza arcigna e stecchita, covano le gemme. Che ti immaginavi? Che l’inverno non dovesse finire mai?
Ancora, dunque, la certezza della primavera: giornate che si allungano, aria che si riscalda, prati che rinverdiscono, primule senza gambo che, se le vuoi cogliere, le strappi da terra e tutto: così fresca, la terra, nelle mani. E ancora gli alberi da frutto che si fanno bianchi e rosa come le nuvole. E ancora, ancora, per noi, forza da riprendere, lavoro da compiere, promesse da mantenere, anime da conoscere: vita, insomma, da vivere.
Per qualche istante non ebbi negli occhi che lo splendore del ramo di pesco: nel cervello, che pensieri simili ad esso.
La gioia di quella fioritura diveniva, in me, gioia di sentirmi al mondo.

In cerca della primavera
Sono condotto su una stradaccia di fango secco che va serpeggiando tra rocce sconnesse, incrinate e corrose dai ghiacci; tra scoscendimenti biancazzurri, scarniti e scavati dalle piogge; tra pietraie sinistre cosparse di tumuli erbosi e di arbusti dove, si dice, le volpi hanno le tane e le vipere i covi.
E poi vado avanti su prode molli e franose, su sentieri invasi dalle felci intirizzite e dai rovaio spogli…
Ma finalmente ecco aprirsi davanti una valletta verde e benevola. Sembra davvero, dopo tanta ostilità selvaggia e tanto affannoso strapazzo, una raccolta sala ospitale, con i suoi tappeti d’erba fitta e asciutta, con i suoi giacigli di foglie secche, con i suoi cerchiellini di fiori acerbi e primaticci e, soprattutto, con le sue rustiche mense di pietra umida e oscura…
Sopra una di queste tavole c’è un incavo naturale della pietra dove è rimasto un monticello di neve che fa pensare a una ciotola di sale bianchissimo… Intorno l’aria è gelata, il silenzio è perfetto, la solitudine definitiva, ma il bel cielo in alto mi appare più vicino, più amico…
(G. Papini)

L’arrivo dello scirocco
Al termine di ogni inverno arrivava lo scirocco col suo rombo profondo che l’alpigiano ode con tremore e spavento, mentre in paesi stranieri lo bramano con struggente nostalgia.
Uomini e donne, montagne, selvaggina e bestiame lo sentono molte ore prima che si avvicini. La sua venuta, quasi sempre preceduta da freschi venti contrari, si annuncia con un sibilo caldo e profondo. Per qualche istante il lago verdazzurro diventa nero come l’inchiostro e all’improvviso si incorona di spume candide e irrequiete: tranquillo e silenzioso fino a qualche minuto prima, incomincia a tuonare con l’accanita risacca di un mare contro la riva.
Nello stesso tempo tutto il paesaggio si rannicchia per paura. Sulle cime che di solito sognano in remote lontananze si possono ora contare i macigni, e nei villaggi che normalmente sembrano macchie brune laggiù in riva al lago si distinguono ora tetti, cornicioni e finestre. Tutto si restringe, monti, prati, case, come un gregge impaurito. Poi incominciano i fischi rabbiosi e la terra trema. Onde del lago sollevate si disperdono nell’aria come fumo e, specialmente di notte, si ode la disperata battaglia tra l’uragano e le montagne. Poco tempo dopo si sparge la notizia di torrenti colmati, di case divelte, di barche fracassate, di padri e di fratelli dispersi.
(H. Hesse)

Scende, tra le nebbie, il sole
Il sole sembrava, scendendo fra le nebbie, una palla di rame che scomparisse in mezzo alla cenere. Ma eccolo che ritorna.
E’ un intenso color di rosa, che dal lontano occidente sale e si dilata sino a impregnare di sé gran parte del cielo. Le masse d’alberi, rese spaziate e leggere dalla nudità dei rami, si disegnano in trine e trafori, delicatissime, sugli accesi riflessi degli sfondi. Il ghiaccio delle lance s’imporpora, rifrange splendori di rubini. I tronchi dei pioppi e dei salici si animano di una profonda tinta violastra.
Salici di fiumi, dal ceppo basso, largo, nocchieruto, dalle grosse teste scarmigliate e irte: pioppi alti e sottili, incorporei come ombre: terra d’inverno, più vasta, perchè più spoglia, più libera, perchè placata.
Ma già l’aria s’è fatta d’un grigio azzurrognolo d’ortensia: il rosso è tutto nell’acqua. Si spostano i riflessi: si spezzano le armonie: qualcosa ha da morire, e si dibatte contro la fine, pur sapendo che ha da rinascere. Qualcosa di infinitamente piccolo, di infinitamente grande: il giorno.
(A. Negri)

Tramonto
I tramonti duravano ore e ore, come se la giornata si rifiutasse di terminare, e quel sole infantile, già mezzo nascosto tra le montagne azzurre, stesse troppo bene in cielo. Erano tramonti lentissimi, pieni di tutti i colori più meravigliosi; dove il rosso del fuoco passava all’arancione, e al giallo; e a uno strano verde mattino pieno d’incanto e al viola dei fiori, chiaro chiaro come le prime violette di primavera, e poi sempre più cupo e notturno. Quei colori scendevano dalle nuvole, si muovevano dolcemente, riempivano l’aria e sembrava la facessero densa come un’acqua trasparente.
D’un tratto, in quell’aria visibile, apparivano i pipistrelli, e svolazzavano silenziosi, in cerchi incerti, neri come la notte prossima, e così lontana.
(C. Levi)

A catafascio nel gelo
Mentre dalla finestra del mio studio guardo la strada illividita dall’inverno, spazzata dal gelido tramontano, deserta, vedo venire in bicicletta, correndo in senso inverso, due uomini rimbacuccati, i quali rasentano a testa bassa l’alto ciglio della siepe per ripararsi dal vento che taglia loro la faccia paonazza.
Arrivati proprio davanti a me senza essersi visti l’un l’altro, essi si cozzano con violenza e vanno entrambi a catafascio con le loro biciclette contro il ciglio indurito del gelo.
Restano un momento lì a gambe all’aria, come istupiditi; poi, in silenzio, si distrigano dalle loro macchine, si rimettono in piedi, si tastano tutto il corpo, si scuotono la terra e gli stecchi dagli abiti, raccattano il cappello; infine, presa per il manubrio ciascuno la sua bicicletta, ne stringono fra i ginocchi la ruota davanti per raddrizzarla.
Nel fare questa operazione, uno di loro dice: “Andavo a testa bassa, non vedevo”.
“Sono cose di poca importanza” risponde l’altro.
Tutt’e due inforcano di nuovo la bicicletta e se ne vanno pedalando, ognuno per il suo verso.
(A. Soffici)

Le prime passeggiate
Era un loro modo di passare il pomeriggio, ora che le giornate cominciavano a farsi più lunghe e c’era già per aria come un presentimento di primavera, andarsene con un libro o un lavoro in campagna. O nelle pinete verso l’interno, dove il profumo della resina creava un’aria rarefatta e remota: oppure lasciandosi il borgo alle spalle e prendendo il viottolo che portava al mare.
Anche qui c’era una pineta, ma più limitata e raccolta, e il paesaggio diventava arido, forse per le vicinanze delle cave di pietra. C’erano larghe zone incolte, avvallamenti ruvidi e cunette folte di verde, qua e là: i cespugli delle ginestre, la lava seccata e indurita, il binario dei carrelli per il trasporto delle pietre, un’aria di brughiera; e più giù il mare, con un modesto cantiere allestito nelle rovine d’una torre saracena.
Le case coloniche erano rade, calcinate di bianco, ma con l’intonaco screpolato dalle intemperie del luogo aperto aumentavano la desolazione del paesaggio più che mitigarne l’asprezza con una nota di umanità.
(M. Prisco)

Giochi sulla spiaggia
Siamo rimasti sulla spiaggia tutta la mattina. Ogni minuto Luigino aveva una nuova idea. Inventai anch’io un gioco che piacque molto. Ciascuno, a turno, faceva il cacciatore e con la palla cercava di colpire gli altri che fuggivano. Chi era colpito aveva l’obbligo di buttarsi a terra mentre la caccia continuava. Se il cacciatore mancava il bersaglio, un altro poteva raccogliere la palla e diventare a sua volta cacciatore. Vinceva chi restava solo fra i caduti. Naturalmente Luigino era il più bravo. Anche Marie era bravissima. Non avrei mai creduto che fosse così svelta ad abbassarsi per schivare il colpo ed acciuffare la palla che rotolava via. S’era accesa in viso e quando aveva la palla era implacabile.
Hai voglia di fuggire!
Ti veniva dietro, instancabile. Per correre più veloce s’era tolta le scarpe e ti arrivava addosso in quattro salti. E, infine, pam, il suo tiro faceva sempre centro.
Negli intervalli fra un gioco e l’altro sedevamo in faccia al mare. La sabbia era tiepida e faceva piacere starsene lì a crogiolarsi al sole.
(M. Cancogni)

Piove
Sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadina luccica… Nei campi i fossi gonfi d’acqua borbottano. I fiumi in piena corrono limacciosi e portano quanto hanno rapinato dalle prode. Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia… E per fortuna febbraio è corto…
(G. Fanciulli)

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Di Maria Marino

Sono Maria Marino. Mi occupo di pedagogia, didattica, arte e manualità. Lapappadolce è il sito che scrivo come insegnante e mamma, per contribuire nel mio piccolo a rendere più accessibili a tutti i bambini, a scuola o a casa, la didattica Montessori, la pedagogia Waldorf, e tutte le pratiche educative che ho imparato con loro e in cui credo.

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