Dettati ortografici sull’estate: una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per la scuola primaria.

L’estate è la stagione più calda dell’anno. Il sole ardente fa maturare nei campi il grano; le spighe piene e mature sembrano d’oro. Il contadino le guarda e, vicino al raccolto, dimentica le fatiche passate. E’ la stagione dei temporali,degli acquazzoni, delle grandinate. Spesso le grandinate distruggono in pochi minuti, coi raccolti, le fatiche di molti mesi. Il contadino le teme come il peggiore flagello. (Bianchi e Giaroli)

Di giorno le cicale cantano sugli alberi, e i grilli, a sera, cantano fra l’erba del prato. I contadini mietono il buon grano, che darà il pane per tutta l’annata. Le rondini stridono nel cielo e, quando scendono le prime ombre della sera, rientrano nei nidi, sotto le gronde. I pastori lasciano la pianura e salgono col gregge ai pascoli montani. I giorni sono lunghi, le notti sono corte. S’incomincia a pensare alla villeggiatura. Giunge l’estate, la bella stagione della quiete e del riposo.

D’estate le giornate sono lunghe e abbaglianti di sole, il cielo è di un colore azzurro intenso, le notti sono brevi, luminose, stellate. Corrono le lucertole lungo i muri, nei prati cantano i grilli, sulle siepi stridono le cicale, le rane e le raganelle gracidano nei fossati: volano le farfalle, le lucciole. Mille insetti palpitano fra la vegetazione rigogliosa della terra.

E’ estate. Sui monti le ultime nevi si sciolgono. Nel piano gli alberi sono in pieno rigoglio. La campagna è tutta verde. Sciami d’api ronzano tra le corolle dei fiori, gli uccelli scendono sui campi a beccare i chicchi, a scegliere insetto da insetto; risalgono nel più alto dei cieli con magnifico volo. Lo stagno rispecchia le nubi e l’azzurro del cielo; il ruscello gorgoglia e bagna le sponde fiorite.

D’estate certe notti di luna sono così chiare che le farfalle, ingannate da quest’ambiguo albore di eclissi, continuano a volare come se fosse ancora giorno; e il palpito dei loro voli insonni, che si intravede nella perlacea nebbiolina notturna, dà l’impressione che i prati siano popolati di fantasmi d’ali, evocati dal plenilunio. (P. Calamandrei)

Attorno a me il sole occhieggiava sull’erba, e faceva brillare qualche filo di ragno ancora coperto di rugiada. Un venticello tenerissimo piegava con grazia i sottili arbusti del boschetto di nocciole, e qualche foglia giungeva ad accarezzarmi la fronte. (G. Titta Rosa)

Com’è bella nella sua vestina bianca con sfrangiature verdi e marroni sulle punte, con il corpicino elegante. Ma il povero cavolo come la teme! Questa farfalla, la pieride cavolaia maggiore, si posa sulla pagina inferiore delle sue grandi foglie. Qui depone tante uova ben nascoste. Dopo pochi giorni, dalle uova nascono i bruchi. E che cosa fanno? Brucano la foglia, passano sulla pagina superiore e si mettono a divorare. In breve della bella foglia non restano che le nervature.

Cre… cre… cre… cre… Come sono noiose queste raganelle! Non tacciono un minuto. Sono là sulle rive del fosso. Saltano dall’acqua all’erba della riva, e dall’erba ai cespugli… E tutto il giorno si sente la loro voce. Gri… gri… gri… gri… Appena l’aria si fa bruna, ecco il sottile canto dei grilli. Di giorno sono nascosti nei buchetti sotto terra; di sera, escono, stanno tra l’erba fresca, trillano. Cantano alle stelle, alla luna, alla notte serena e silenziosa. (E. Graziani Camillucci)

I raggi del sole non hanno la stessa efficacia secondo che ci giungono a piombo o in modo obliquo. Essi riscaldano fortemente le regioni che li ricevono a piombo, e poco quelle che li ricevono obliquamente. Per capirlo basta aver osservato che, per godere in pieno il calore di un focolare, bisogna collocarvisi in faccia e che, tenendosi in disparte, si riceve assai meno calore. Nel primo caso, il calore cade dritto su di noi e produce più effetto; nel secondo ci arriva di traverso e rimane indebolito. Così, posta innanzi al focolare del sole, la terra non riceve in tutta la sua superficie la stessa quantità di calore, perchè per certe regioni i raggi dell’astro arrivano a piombo, e per altre in modo più o meno obliquo. Inoltre, al guadagno in calore durante il giorno sotto l’irradiazione solare succede la dispersione della notte, il raffreddamento notturno. Più la giornata sarà lunga e corta la notte, più elevata sarà la temperatura, perchè il guadagno eccederà di molto la perdita. Per queste due cause riunite in una stessa epoca dell’anno la temperatura è lungi dall’essere la stessa dappertutto. Fa caldo in certi punti, più o meno verticalmente assolati con giorni lunghi e notti brevi; fa freddo in altri a insolazione obliqua, dalle giornate corte e notti lunghe. Qua è l’inverno, là è l’estate. (J. H. Fabre)

Tutto brilla nella natura all’istante del meriggio. L’agricoltore che prende cibo e riposo; i buoi sdraiati e coperti di insetti volanti, che, flagellandosi con le code per cacciarli, chinano di tratto in tratto il muso, sopra cui risplendono spesse stille di sudore, e abboccano negligentemente e con pausa il cibo sparso innanzi ad essi; il gregge assetato che col capo basso si affolla e si rannicchia sotto l’ombra; la lucertola che corre timida  a rimbucarsi, strisciando rapidamente e per intervalli lungo la siepe; la cicala che riempie l’aria di uno stridore continuo e monotono; la zanzara che passa ronzando vicino all’orecchio; l’ape che vola incerta, e si ferma su di un fiore, e parte, e torna al luogo donde è partita: tutto è bello, tutto è delicato e toccante. (G. Leopardi)

Era l’ora del caldo e del riposo. La terra si ampliava nella distesa del sole. Il cielo era chiuso e grave. Neanche una vela sul mare. Tacevano le vespe e i  bombi. Un frutto tonfava giù da un ramo. Era il grande silenzio infuocato, quando gli occhi dei colombi stanno chiusi sotto l’ala e il bue rumina accosciato corpulento sulla paglia fresca. (D. Slataper)

Passeggiammo per le vie desolate tagliando qua e là alla ricerca dell’avara ombra lungo i muri… Decidemmo di sederci a un caffè vicino a una fontana, lo scroscio dell’acqua violento e monotono. A un tavolo poco lontano ragazzi strepitavano a gran gesti in un’accanita discussione di calcio. Nomi di giocatori e insulti giostravano pesanti nel vuoto per liquefarsi in pausa di greve silenzio. Le forme delle motociclette appostate lungo il marciapiede scintillavano. Dagli ombrelloni cadevano magri cerchi d’ombra. Sentivo il piano del tavolo caldissimo sotto le dita. Intorno botteghe chiuse, targhe stinte sui muri. Qualcuno  spiava dalla fessura d’una persiana. (G. Arpino)

E’ l’ora in cui la luce si smorza, in cui mi rimane qualche minuto per andare un po’ in giardino. Si apre la porta, ed ecco la cavità del giardino, con l’ampio cielo al di sopra. Una sottile mezzaluna nel verde della distesa, pere che pendono, afferrando un raggio col ventre rotondo e riflettendolo come una lampada. I grappoli d’uva bianca si dorano sulla spalliera. Un uccello saltella ancora nel cespuglio di noccioli. Il mio giardino si addormenta su cuscini di fiori e di verdure; ecco le rudbekie gialle, gli astri color d’ametista, le dalie a rosoni di carta pieghettata, gli ultimi fagioli che intrecciano i loro pendagli, i porri dalle larghe chiome aperte come quelle dei palmizi, i cavoli azzurrastri e rotondi. Il mio giardino si addormenta coi piedi al fresco nel rivoletto di metallo bianco che brilla, allungandosi tra le sue rive e va, verso il gran fiume, laggiù… Ecco che a poco a poco tutto si immerge nell’ombra e tace. Non distinguo più il volto dei pomodori impolverati di solfato di rame, nè la sfinge alla ricerca di nettare sulle ultime bocche di leone, nè i pipistrelli che scrivono non so cosa nell’aria oscura. (M. Roland)

Fra i piccoli trifogli l’ape ebbra e rumorosa svolazza e raccoglie l’impercettibile nettare. Il merlo sommessamente modula una sua frase che sembra significare assentimento alla pace che qui regna uguale anche tra gli spini dalle punte violette dei cardi o per le caselle delle stipule percorse da piccolissime farfalle color lillà. La bianca cavolaia barcolla ebbra fra i cespugli delle felci. E quale immagine più cara di quella del fragile rosolaccio rosso scarlatto: come un tenero fuoco che ravviva le blandizie d’una breve radura? (L. Bartolini)

Cominciava il caldo, un duro caldo che pesava nell’aria e continuava a pesare imperturbato sino alla sino alla fine di settembre. Come i pesci di un’acqua, sotto il cui recipiente sia stato acceso il fuoco, e che mandi già le prime bollicine, gli uomini rallentavano ancor più la loro andatura, mentre sugli occhi portavano, come una palpebra sottile e perennemente abbassata, la stanchezza e il desiderio di non veder nulla. Altri, che passeggiavano verso le sei di pomeriggio, non richiamavano i pesci alla memoria, ma le beccacce, allorchè, morte, vanno penzolando dal pugno del cacciatore. (V. Brancati)

L’estate è la stagione più calda dell’anno. Comincia il 21 giugno e termina il 23 settembre. Il sole spunta molto presto (prima delle cinque) e tramonta molto tardi (verso le venti). Le giornate sono lunghissime e il caldo diventa insopportabile ogni giorno di più. Di tanto in tanto improvvisi temporali rinfrescano l’atmosfera. Non è raro il caso che campi e frutteti vengano devastati dalla grandine, molto temuta dai contadini. Per fuggire il caldo soffocante, la gente va al mare o in montagna. Ma non tutti si possono concedere un meritato riposo in vacanza. Per gli agricoltori, l’estate è una stagione di intensa attività. Infatti ci sono molti lavori da compiere e non bisogna perdere tempo. Il grano deve essere mietuto.

Un tempo si mieteva a mano, oggi invece ci sono macchine meravigliose che avanzano nei campi di grano, lasciando dietro di sè i sacchi pieni di chicchi puliti, la pula e le balle di paglia. Poi c’è il granoturco da sarchiare; l’erba da falciare; le viti e gli alberi da frutta da irrorare con le sostanze antiparassitarie che disinfestano cioè liberano le piante dai parassiti.

D’estate i giardini sono un incanto. Fioriscono i gerani, i gigli, le rose variopinte, i garofani, le dalie. Maturano i cocomeri, i meloni, le albicocche, le prugne, le ciliegie e le pesche. Un’infinità di insetti e di animaletti vari animano come in primavera i prati, i giardini e i boschi: api, farfalle, formiche, grilli, cicale, zanzare, libellule, calabroni… Però i loro canti, i loro voli,  i loro bisbigli e ronzii sono diventati più intensi, chiassosi: sembra che vogliano rendere omaggio alla più bella stagione dell’anno.

Sul calar della sera compaiono i pipistrelli, che svolazzano qua e là a caccia di insetti. Questi animaletti non sono uccelli, ma mammiferi: gli unici che sanno volare. Nel cuore della notte si odono i gorgheggi dell’usignolo, il verso del gufo e il grido della civetta.

Arriva l’estate. E’ incoronata di spighe mature e tutta vestita d’oro; i suoi grandi occhi color del fiordaliso sfavillano. Diffonde intorno a sè lo splendore e l’allegria del sole. Davanti a lei tutti si presentano con fiducia, e i poveri specialmente la tengono per loro grande amica: il buon caldo allora non costa nulla! Quando arriva nell’aia, l’estate si siede su un mucchio di grano falciato e canta. Gli uomini la guardano e le dicono: “Benedetta, tu ci porti il pane!” (G. Fanciulli)

In questi giorni il sole la fa da padrone. E le notti sono calde. Alla mutevolezza della stagione sopravviene l’estate vampante. Anche l’usignolo, che ha i piccoli, ha smesso di verseggiare alle stelle. Rimane vicino al nido, svolazzando nei boschetti. Sotto la mia finestra c’è un ranocchione vecchio. Il suo gracidare sembra un ammonimento. Vive presso una pozza d’acqua che una polla mantiene viva tutta l’estate, nascosto tra un ciuffo di selci. Sta di casa sotto un embrice che le donne hanno appoggiato alla sponda per lavare i panni. Se si muove l’embrice, poi riaffiorano i suoi occhioni, come bolle nel mezzo della pozza, e spariscono di nuovo risucchiati. (B. Samminiatelli)

E’ l’estate. Il sole arroventa l’aria , ci fa sudare e ci abbrunisce la pelle. E’ in questa stagione che si falcia il fieno, si miete il grano e matura la frutta. In questi giorni, il mietitore, curvo sul mareggiare d’oro delle spighe, lavora e suda; è felice perchè raccoglie il frumento, che è il frutto del suo lavoro. Anche tu, ragazzo, se hai studiato con amore, riceverai il premio delle tue fatiche, sarai promosso e potrai godere le vacanze. (G. Fanelli)

Il campo ondeggia come un mare, il grano verde si fa biondo. Sulla proda sono cresciuti alcuni steli di grano meno alti di quelli del campo. In mezzo ad essi un papavero spiega la sua larga corolla che pare di seta rossa; due fiordalisi, accanto ad esso, sono come due occhi azzurri che lo guardano stupiti. Una farfalla, con le ali color arancione, vola dallo stelo di grano al papavero e da questo ai fiordalisi e sembra un bellissimo fiore vivo.

Nei campi fino a qualche mese fa era quasi impossibile distinguere un prato da un campo di grano. Ora quelle piante sono cresciute ed hanno generato una spiga che il sole ha indorato. L’erba è diventata molto alta, in alcuni punti è stata già falciata e si essicca al sole. E’ proprio tra l’erba alta che si aggira una moltitudine di insetti e di piccoli animali tutti intenti nel loro lavoro. Alcuni, come le api e i calabroni, si inebriano di nettare, altri tagliano e incidono ogni filo d’erba come le cavallette. (G. Piovene)

Il grano è maturo. Le bionde distese di pianticelle ondeggiano ancora per pochi giorni. Già si sente nei campi lo scoppiettio sonoro delle mietitrebbie, le moderne macchine capaci di tagliare il frumento e di liberarlo contemporaneamente dalla paglia e dalla pula. Sui campi d’oro e sulle verdi distese coltivate si leva intanto il monotono frinire delle cicale. E’ il canto dell’estate, un inno al sole intenso di questi giorni, che dà luce, vita, gioia. Ridono, rosse e fresche nel banco del fruttivendolo, le prime fette di popone. Le fontane invitano a dissetarsi. I giardini sono tutti una festa di fiori e di colori.

Le giornate sono lunghe e i bambini possono stare tante ore a giocare nel cortile e nei prati. Il caldo piace, e con i vestiti leggeri si muovono meglio. Ma non devono andare scalzi. Per terra ci possono essere vetri, cocci, spini, chiodi. Se entrano nel piede fanno tanto male. (P. Boranga)

Alcuni pipistrelli svolazzano attorno alla casa con un piccolo grido lieve. Dal seno delle erbe in fiore si alza il monotono concerto dei grilli; un rospo solitario, collocato al fresco sotto una pietre, emette di tanto in tanto la sua nota flautata, mentre le rane riempiono i fossati delle praterie vicine dei loro rauchi gracidamenti. Le civette alternano le loro dolci voci di richiamo; la capinera, infine, dà l’addio della sera alla chioccia, già sonnecchiante sulle sue uova.  (E. Fabre)

M’ero fermato su un ponticello in pineta a guardare la fretta dei contadini che raccoglievano il fieno falciato e seccato. Nel pomeriggio sciroccale l’afoso vento nero adunava nuvole di pioggia, e le rondini volavano basse. Tre erano armati di forcone: uno, uomo; l’altro, ragazzotto; il terzo, poco più che bambino. Levavano i fastelli di legno sulle lucide e temibili branche, e facevano il cumulo. Finchè restava basso ed informe, concorrevano promiscui al mucchio, ma quando saliva a spalla d’uomo ed era quindi al punto di ricevere sesto e misura e garbo a spiovente di cupola appuntita, allora il minore dei tre si faceva da parte a cominciarne un altro. Il maggiore sul suo forcone non si trovava mai nè più nè meno di quel che gli occorresse a riempire un vuoto, a rincalzare uno sdrucio nella compagine, a rialzare una curva. Pettinava, toglieva, rimetteva e aggiungeva: in poco d’ora il cumulo era fatto e assettato. R. Bacchelli

Partite, ragazzi, senza libri, e portate con voi solo reticelle per farfalle, palle di gomma, bambole, secchielli, palette per scavare la sabbia e innalzare castelli sulla riva del mare. E per un  mese almeno non pensate ad altro che a giocare, e la sera, poichè le sere del mese di giugno sono piene di lucciole, raccoglietene molte in scatoline trasparenti, e andate con esse in giro per i prati come portaste una lampada, la lampada più bella che si possa immaginare, una lampada viva. Finiti i vostri giochi, prima di andare a letto, aprite la scatolina e liberate le piccole stelle che vi sono dentro. La sera dopo, ritorneranno spontaneamente nella scatola e torneranno a formare la lampada che illumina i vostri giochi. Dopo un mese di vita senza pensieri, fatta di castelli di sabbia, di aquiloni e di lampade vive, pregate il vostro papà di regalarvi qualche libro. Ma non libri di scuola. Libri di racconti e di favole. E ogni tanto leggetene qualche pagina. Ma, sempre, il maggior tempo passatelo a giocare. E, di tanto in tanto, sapete, per non perder l’esercizio dello scrivere, che cosa dovete fare? Mettete sulla carta il racconto di una bella giornata trascorsa, d’una gita, di un gioco, di un’avventura. G. Mosca

Dopo un intero anno di lavoro la scuola si chiude. I nostri cuori già pregustano i lieti ozi delle giornate estive, in cui sola cura sarà il trovare nuovi giochi e nuovi svaghi. Pure qualche volta il nostro pensiero tornerà alla scuola: rivedremo il nostro maestro alla cattedra, i compagni nei banchi, le pareti ornate dei nostri disegni. Forse sentiremo un po’ di nostalgia e vedremo con gioia avvicinarsi il giorno in cui torneremo tutti insieme qui.

In una settimana il fieno fu tutto falciato; e allora con le forche andavano a rivoltarlo, prima di fare i mucchi, perchè si seccasse bene di sotto e il sole entrasse anche dentro. La caldura aveva bruciato ogni cosa, e anche il grano  pigliava un colore bianco che diventava più giallo o anche di notte si vedeva bene. Il terreno era così arroventato che senza gli zoccoli bruciava i piedi, e le passere che varcavano le vallate da poggio a poggio, pareva che cadessero giù a strapiombo. F. Tozzi

L’abbeveratoio era in fondo al gran prato. La fila delle bestie sciolte si avviava lentamente,a testa bassa; e il sole sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche, per la più parte. Immergevano nell’acqua il muso fino alle froge e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie. Il cane di casa, abbaiando, fingeva per gioco di assalire questa o quella. Rientrarono ad una ad una nella stalla le bestie. Era il tramonto del sole. R. Bacchelli

Era mezzogiorno e splendeva un sole ardentissimo. Non stridore di cicala, non canto d’uccello, non volo di farfalle, non voce, non moto nè vicino nè lontano; ogni cosa quieta, pareva che la natura dormisse. Allora la campagna s’anima di una vita fantastica, come di notte. Si sentono suoni indefiniti, come di lunghe grida lontane.; soffi, fruscii, ora a molta distanza, ora all’orecchio, qui, là, non si sa dove, da ogni parte; pare che nell’aria ci sia qualcuno o qualcosa che fluttua e che si agita; s’avvicina, si scosta, ritorna, ci rasenta, s’allontana; si direbbe ch e vi sono degli esseri invisibili che stanno macchinando qualcosa.  A un tratto si sente un acuto ronzio di insetto; passa e silenzio. S’ha una scossa, ci si volta: è caduta una foglia. Sbuca una lucertola, si ferma, par che stia a sentire, e, come impaurita da quel silenzio, via. La campagna ha qualcosa di solenne e di triste come un mare solitario; la testa si abbassa come per forza e l’occhio socchiuso vaga per le valli oscure e per i cupi recessi che la fantasia languida finge tra i fili d’erba e i granelli della terra. E. De Amicis

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