LA BAMBINA TROPPO PIGRA racconto

LA BAMBINA TROPPO PIGRA racconto sulla pigrizia e  il lavoro per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La bambina troppo pigra

C’era una volta una bambina tanto pigra che la pigrizia si sarebbe vergognata di essere sua sorella. Quella bambina non si scomodava nemmeno per portarsi il cibo alla bocca.
Un giorno, mentre sedeva in rima al fiume, si udì chiamare da un palmizio. Il palmizio cresceva sull’altra sponda.
“Ehi! Ehi!” le diceva, agitando i rami alla sua volta.

La bambina era troppo pigra per rispondere, e tanto più per attraversare il fiume e chiedere alla palma che volesse.
Infine la palma, stizzita, gridò: “Possibile che tu non sia nemmeno curiosa di sapere che cosa io desidero offrirti? Guarda, al tuo fianco c’è una barca. Montaci su, rema fin qui, e cogli i miei germogli”.
La bambina pigra a malincuore si alzò, entrò nella barca, remò fino all’altra sponda, e: “Eccomi!” disse alla palma.

La palma la picchiò lievemente con i suoi rami.
“Questo” le disse, “per punirti della tua pigrizia. Ora cogli i miei germogli, portali con te, lasciali asciugare un poco al sole, e poi con essi fabbricati una cesta. Guai a te se non mi obbedirai. Allora sì che te ne pentiresti!”
La bambina quasi piangeva a dover lavorare, ma non potè fare a meno di obbedire.
Colse i germogli, se li portò a casa, li mise ad essiccare al sole e cominciò ad intrecciare una cesta di modeste dimensioni.

Quando fu pronta, la cesta disse: “Brava, ragazzina! Ora portami sulla strada che va al mercato; deponimi là dove passa la gente, poi torna a casa”.
La ragazzina obbedì. Tornò a casa. La cesta rimase dov’essa l’aveva deposta.
Passò molta gente e non fece attenzione alla cesta.

Giunse un ricco signore, la scorse e si domandò: “Chissà chi l’ha perduta? La prenderò e la porterò con me al mercato. Se troverò il suo proprietario, gliela restituirò; se non lo troverò, me la terrò per metterci gli acquisti”.
La raccolse e andò al mercato. Lì domandò se qualcuno avesse perduto la cesta. Nessuno disse di averla perduta. Allora egli fece le sue provviste e la riempì di ghiottonerie. La riempì di noci, banane, torte, datteri, pesci, riso cotto, poi la depose accanto a un pozzo, e si intrattenne a conversare con alcuni amici.
Ma quando si voltò per riprenderla, la cesta non c’era più.

Aveva messo le gambe e correva a rotta di collo verso la casa della ragazzina pigra.
Correva e gridava: “Presto, presto, vienimi incontro; da sola non riesco a trascinare questo peso”.
La bambina, sia pure di malavoglia, uscì per aiutarla. E l’aiutò.
Poi, viste le buone cose che la cesta conteneva, si disse che metteva di conto di andare tutte le mattine a porla sulla via del mercato.
Così fece. Ogni volta, la cesta ritornava a casa da sola, colma di ghiottonerie.
Poi, all’improvviso, cessò di funzionare.
La bambina, però, intanto, era guarita dalla sua pigrizia.

Ogni giorno saliva sulla barca, remava fino all’altra sponda, coglieva i germogli di palma, intrecciava ceste e andava a venderle al mercato.

Con i denari guadagnati comprava noci, banane, torte, pesci, riso cotto e datteri. E tutto le pareva più buono, perchè se lo procurava col suo lavoro.

(P. Ballario)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

I DUE CAMPETTI racconto

I DUE CAMPETTI racconto per bambini della scuola d’infanzia e primaria, sul tema della pigrizia e del lavoro.

Uno di qua, uno di là dal fiume si stendevano due piccoli campi. Due fratelli li coltivavano, uno sollecito e l’altro pigro.
Il fratello sollecito si alzava all’alba e si metteva subito a lavorare il suo campetto. Vangava, concimava, seminava. Poi, a suo tempo, ripuliva i solchi, annaffiava, rincalzava le piante, le curava.
L’altro fratello si levava sul mezzogiorno. Dava alla peggio poche zappate. Gli faceva fatica star curvo sui solchi, annaffiare, potare. Lasciava crescere le erbe selvatiche.

Di quando in quando, sbadigliando, dava un’occhiata al campetto del fratello e diceva: “Quella è terra migliore. Deve essere esposta meglio al sole, più umida e più grassa”.
Tanto fece e tanto disse che convinse il fratello a fare il cambio.

Il fratello sollecito ripulì il campo mezzo selvatico. Lo lavorò di lena. Piantò, sarchiò, potò.
Il pigro invece, sicuro di avere ora il campo migliore, dormì anche di più e lavorò di meno.

Non passò molto tempo e il campo peggiore diventò il migliore, mentre il migliore diventò uno sterpaio.
“Come sono sfortunato!” disse il fratello pigro, vedendo che le coltivazioni del suo campo andavano in rovina. “Proprio ora che il mio campo migliorava, l’ho ceduto…”.

Tanto fece e tanto disse che lo rivolle per sè.
Ma dopo poco tempo si fu alle solite.

Il campetto del fratello sollecito prosperava. Quello del fratello pigro invece inaridiva.

“Colpa del seme! Colpa del sole! Colpa della pioggia! Colpa dell’erbaccia! Colpa dei bruchi! Colpa di tutti e di tutto!” pensava il fratello pigro.

E non si avvedeva che la colpa era tutta e soltanto sua.

P. Bargellini

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Recite per bambini e racconti sulla Festa del lavoro e i mestieri

Recite per bambini e racconti sulla Festa del lavoro  e i mestieri – una raccolta di testi di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Tutti lavorano
Per non studiare le sue lezioni, per non fare i compiti, per non aiutare i grandi, Silvio è scappato via di casa, solo soletto, e corre come un capriolo via per i campi e per i boschi, mentre la sua povera mamma si affligge e lo cerca da tutte le parti.
Silvietto è felice di essere libero, di non far nulla, e parla con tutto ciò che gli sta intorno.
“Oh piccola ape, color dell’oro, dove corri così frettolosa?” chide Silvietto, “Fermati un po’; sii buona; scherza e ridi con me.”
“Non posso, piccino”, risponde l’ape color dell’oro, “Bisogna ch’io succhi il nettare dei fiori, per farne del miele e della cera”.
Silvietto, si da pensoso per un istante; poi ripiglia la corsa e dice all’asinello bigio macchiato di bianco, che pascola nel prato: “Pigliami in groppa, asinello grazioso, e fammi fare una bella trottata!”
“Non posso, bimbo caro” risponde l’asinello, “Ora che ho mangiato, il mio padrone mi carica di erbe e di frutta, e andremo insieme in città”.
Silvietto fa una smorfia di dispetto. Si china sul ruscello limpido, vivace, rapido e gli mormora: “Ruscelletto, ruscelletto mio, te ne prego: arrestati un po’ e divertiti con me che sono solo solo e mi annoio”.
“Non posso, piccino mio: devo correre verso il mulino di Tonio, per far girare la macina; se no, il grano non si cambia in farina”.
E Silvietto è stupito e indispettito. Ma come? Hanno tutti qualcosa da fare? Un dovere da compiere, un lavoro da eseguire?
Una povera vecchia appare da un bosco lontano; è curva sotto un fascio di legna secca e cammina adagio adagio, ansimando.
“Che cosa fate, cara vecchietta?”, domanda il bambino.
“Eh, figliolo mio, ho raccolto con grande stento questa legna in montagna; ora la porto in paese e la vendo al fornaio per un po’ di pane. Così potrò mangiare per qualche giorno.
“Datemi il vostro fascio, lo porterò io”, dice Silvietto a un tratto.
E passo passo la vecchia e il bimbo ritornano al villaggio.
M. Serao

Recite per bambini e racconti sulla Festa del lavoro  e i mestieri – Storia di un passerotto e di una formica
C’era un passerotto molto sfaccendato e prepotente. Un giorno trovò un chicco di grano. Stava per ingoiarlo, quando una formica gli disse: “Per piacere, passerotto, regalami quel chicco”
“Che discorsi!” esclamò il passero, “Ho trovato un chicco di grano e questa formica lo vuole. C’è della gente sfacciata a questo mondo!”

“Non lo voglio gratis”, disse la formica “Quest’estate vieni a trovarmi e, invece di un chicco, te ne darò cinque”.
Il passero ci pensò sopra per qualche minuto, poi disse: “Mi conviene. Vorrei solo sapere come farai”.
“Pianterò questo chicco in terra”, spiegò la formica, “A primavera spunterà una piantina. La piantina crescerà e metterà la spiga. Il sole la maturerà e, se tu conosci le spighe, e io so che le conosci, saprai che di chicchi ne contengono tanti. Così io potrò darti cinque granelli e il resto lo metterò in magazzino”.
“Mi fai sudare solo a sentirti parlare”, disse il passero sfaccendato, “Eccoti il chicco di grano ed arrivederci a quest’estate”.
Venne il mese di giugno e tutti i campi erano d’oro. Il passero si ricordò del granello che aveva dato in prestito e andò a trovare la formica.
Vide la spiga di grano, piena di chicchi, che dondolava al vento, davanti al formicaio.
“Questa è la mia spiga!” disse, “Ora la beccherò”
“Piano, piano!” replicò la formica, “Questa non è la tua spiga. Tuoi sono soltanto cinque granelli”.
“Chi è questa formica importuna?” gridò il passero, “Qui c’è una spiga nata da un chicco di grano che io trovai un giorno”.

“Ah, la pensi così?” disse la formica. Chiamò in aiuto le sue compagne, le quali dettero tutte addosso al passero che, con quelle formiche infuriate attorno, non trovò di meglio che volarsene via.
“Ho conosciuto, una volta, una formica sfacciata!” gridò da lontano.
“E io un passero prepotente e poltrone!” rispose la formica e, svelta svelta, si dette da fare per portare i chicchi nel formicaio, al sicuro dal becco del passero.
Ma, poichè era anche una formica onesta, i suoi cinque granelli glieli lasciò.

Recite per bambini e racconti sulla Festa del lavoro  e i mestieri – Il bambino e la formica
C’erano una volta un bambino e una formica. Disse il bambino: “Come sei piccola, formichina nera! Sta tutta sulla mia unghietta e io ti posso schiacciare col dito!”
“Non lo fare,” rispose la formichina “ammazzeresti una grande lavoratrice!”.
“Ma che sai fare tu di tanto importante?” domandò incuriosito il bimbo.
“Saresti capace di portare sulle tue spalle un grosso albero?”, chiese la formica.
“Non ancora” rispose il bimbo.
“Questa foglia che io porto nella mia tana pesa per me quanto un albero per te”.
“Oh!”, fece il bimbo.
“E saresti capace di trascinarti dietro un elefante per la coda?”
“Davvero no, non ci riuscirebbe nemmeno il mio papà!”
“Quel bruco morto, che io mi tiro nella mia dispensa, pesa per me quanto un elefante per te!”
“Uh!” disse il bimbo, “Meriti davvero una medaglia!”
“Io ho più che una medaglia,” rispose la formichina, “perchè in tutti i libri di scuola insegno ai bambini l’amore per il lavoro”.

Recite per bambini e racconti sulla Festa del lavoro  e i mestieri – L’amico
Un uomo era sempre sereno, sempre contento. Lavorava e cantava.
“Beato lui!” diceva la gente, “E’ sempre allegro”.
“E’ il mio amico che mi tiene allegro”, rispondeva l’uomo.
Non andava quasi mai all’osteria e a chi gli chiedeva il perchè, rispondeva: “Il mio amico mi tiene abbastanza compagnia”.
Raramente era malato e a chi se ne meravigliava, diceva:”Il mio amico mi tiene in salute”.
Sempre metteva avanti questo suo amico, che nessuno aveva mai visto.
Ma dov’è questo vostro amico?” chiedevano all’uomo.
“Come? Non lo vedete? Dalla mattina alla sera è con me!”
“Ma gli volete tanto bene?”
“Che volete! L’ho conosciuto da bambino e mi è stato subito simpatico. In sua compagnia sono stato sempre bene”.
“Ma chi è, dunque?”
“Non lo vedete? Siete proprio ciechi? E’ il lavoro.
(da Gira gira mondo, Vallecchi)

Il figlio dotto
Il figlio giunse dalla città a far visita al padre in campagna. Il padre gli disse: “Oggi si falcia: prendi il rastrello e vieni ad aiutarmi!”
Ma il figlio non aveva voglia di lavorare e rispose: “Io ho studiato le scienze e ho dimenticato tutte le parole dei contadini: che cos’è un rastrello?”
Non appena uscì in cortile, inciampò in un rastrello e il manico lo colpì in testa. Allora si ricordò che cos’era un rastrello, si premette una mano sulla fronte e disse:”Chi è quell’imbecille che ha lasciato qui il rastrello?”
L. Tolstoj

Recite per bambini e racconti sulla Festa del lavoro  e i mestieri

Lavori in fattoria e ciclo dell’anno

Gennaio.
Il pastore è ora molto occupato perchè cominciano ad arrivare gli agnellini e deve badare a loro ed alle loro madri.
All’aperto, quando è bel tempo, gli uomini tagliano le siepi, potano gli alberi da frutta e puliscono i fossati.
Forse le patate sono state accatastate e ora il contadino vuole venderne un po’: così bisogna aprire la catasta e suddividere le patate secondo la grandezza.Poi vengono messe nei sacchi, pesate e mandate al mercato o dal compratore.
C’è molto più lavoro con gli animali, d’inverno, perchè bisogna portare loro il cibo e portar fuori il letame col carro (molto diverso da quando erano all’aperto).
Questo è anche il momento di revisionare le macchine, aggiustare gli attrezzi, riparare steccati e cancelli, le costruzioni, e fare tutte quelle manutenzioni che non si ha tempo di fare durante l’estate.

Febbraio
Il lavoro di questo mese è molto simile a quello di gennaio. Se non piove molto, forse, è possibile coltivare un po’ verso la fine del mese.
Il terreno deve essere preparato per i nuovi prodotti.
Il contadino ha tanti lavori diversi da fare durante l’inverno. Oltre ad organizzare tutto il lavoro della fattoria, deve decidere che cosa far crescere e dove, e quali sementi comprare.
E’ anche molto importante che egli fatta tutto il suo lavoro d’ufficio. Ha tante carte da riempire per l’amministrazione e le tasse.

Marzo
In marzo è freddo, ma la primavera non è molto lontana.
Il frumento invernale comincia appena a mostrarsi attraverso il terreno, ma la superficie della terra si è fatta un po’ troppo compata e bisogna smuoverla. A questo scopo il contadino manda i suoi uomini a smuovere un po’ il terreno con gli erpici, attrezzi che hanno tantissime piccole punte. Gli erpici vengono trascinati sopra le piante o con i trattori o con i cavalli, ne sradicano alcune, senza tuttavia danneggiare il raccolto e al tempo stesso estirpano le erbacce.
Se ora il terreno è a blocchi, si usa il rullo, purchè il tempo sia asciutto.
Se il tempo è buono, il campo delle patate può esser preparato, anche se per la semina sarebbe ancora un po’ presto. Si usa un attrezzo che è come un doppio aratro. e che quando viene spinto attraverso il terreno, butta la terra sui due lati facendo un solco profondo. Questo solco è necessario per piantare le patate. Si fa poi passare il doppio aratro sui bordi del solco e così le patate vengono ricoperte. Il gelo uccide le patate, perciò devono essere piantate in modo che quando i germogli sbucano dal suolo non ci sia più pericolo di gelate.
I contadini amano un marzo asciutto.
Verso la fine del mese possono essere seminati avena, orzo e frumento primaverile.

Aprile
E’ un mese delizioso. Nella natura tutto comincia ad apparire nuovamente fresco.
Nella fattoria i campi sono di varie sfumature di verse, a seconda dei prodotti che vi stanno crescendo, o di marrone, dove la terra è ancora nuda.
Questo è un grande mese per seminare.
La seminatrice è probabilmente l’attrezzo più usato di questo mese. Essa sparge i semi di barbabietola da zucchero, di foraggio, di rapa, di verza e di fagioli nei vari campi.
Alcuni prodotti, come i cavoletti, vengono prima seminati in piccole cassette o terrari, e poi trapiantati.
Le mucche possono uscire dalle stalle per un’ora o due al giorno, ma non devono restare fuori troppo a lungo perchè altrimenti mangerebbero troppa erba fresca e si ammalerebbero.
Agli agnelli viene tosata la coda per evitare che si sporchino e si infestino di mosche.
Per la famiglia si piantano nell’orto un po’ di carote, cipolle ed altri ortaggi.

Maggio
In questo mese le mucche possono lasciare le stalle ed andare nei campi.
Per le pecore è tempo di essere tosate.
Nei campi tutto cresce in fretta, comprese le erbacce. I contadini escono con gli estirpatori tirati dai trattori o dai cavalli e vanno su e giù per i filari per diserbare. Le erbacce che non possono essere rimosse con mezzi meccanici, vengono estirpate con la zappa.
Le patate crescono molto velocemente, e devono essere ricoperte con altra terra, perchè se le nuove vengono in superficie diventano verdi e non sono buone da mangiare.
I cavoli vengono ora piantati in piazzole, in modo che il terreno tra l’uno e l’altro possa esser coltivato.
Se le pecore sono state tenute nell’ovile, bisogna portare il letame nei campi col carro.

Giugno
E’ un buon mese per far fieno. L’erba che si lasciata crescere per questo, e per far riposare la terra, viene ora tagliata e poi stesa al suolo per asciugarsi bene. Se il tempo è buono, in pochi giorni è pronta per essere raccolta ed ammucchiata, ma per asciugarsi bene ha bisogno di essere rivoltata prima più volte. Qualche volta piove e così si deve ricominciare daccapo. Può succedere qualche volta che piova così tanto che il fieno si rovini, e questa è una grande perdita. Per stabilire se il fieno è abbastanza asciutto per essere ammucchiato, il contadino ne torce tra le mani una manciata: se scricchiola e si rompe, vuol dire che è pronto.
Naturalmente il lavoro con gli animali continua ininterrotamente. Due volte al giorno le mucche devono essere riportate nelle stalle per la mungitura. Le galline probabilmente stanno ora facendo grandi quantità di uova.
Nel frutteto la frutta comincia a svilupparsi e maturare.

Luglio
Un giorno, di buon mattino, il contadino si mette il suo vestito migliore, tira fuori l’automobile, e va nella città più vicina.
Al mercato del bestiame ci sono mucche, pecore, maiali e galline. Lì incontra molti suoi amici e se la passa con loro chiacchierando e discutendo di animali, battendo i fianchi alle mucche, e strofinando il dorso dei maiali. Se poi trova qualche animale che gli va a genio, lo compera.
Naturalmente i mercati agricoli vengono organizzati in tutti i periodi dell’anno, ma di solito è a luglio che si svolgono le fiere agricole più importanti. In queste occasioni si possono vedere gli animali di razza più pregiata, e le macchine agricole più moderne. Contadini, commercianti,allevatori ed esperti di una cosa o dell’altra si incontrano qui e possono parlare dei loro problemi.
Alla fattoria il lavoro continua come al solito.
Le barbabietole da zucchero e da foraggio e le rape sono diventati così grandi che le loro foglie si toccano l’una con l’altra.
Le patate hanno foglie fresche verde scuro alte circa trenta centimetri. I cavoli ed i fagioli sono alti circa sessanta centimetri.
I cereali cominciano a formare le spighe.
Se i covoni di fieno sono all’aperto, devono essere coperti. Il vecchio modo di farlo è procurarsi della paglia e rimboccarli. La paglia di frumento è la migliore per questo scopo.

Agosto
Questo è il mese della mietitura del grano. Un giorno il contadino esamina il suo frumento e trova i grani non più lattiginosi, ma compatti: significa per lui che è ora di tagliarlo. Manda fuori la mietitrice, che è una macchina che taglia il grano e lo lega in fasci. I fasci vengono poi messi in biche, cioè otto o dieci fascine vengono messe in piedi e appoggiate l’una verso l’altra. Vengono lasciate così un po’ di giorni e poi raccolte e immagazzinate.
Una macchina più complicata potrebbe fare il lavoro più velocemente, ma ad alcuni contadini le macchine complicate non piacciono. Essi pensano che sia meglio mietere il grano e poi lasciarlo a maturare ancora un po’ al sole, prima di immagazzinarlo.
L’avena è pronta per la mietitura quando il campo è di colore biondo cenere, o quando l’aveva “mostra i suoi denti”.
I grani dell’orzo hanno piccoli filetti color porpora che scompaiono quando sono maturi.
Nel frutteto le prugne sono ora gonfie e succose e alcune mele sono pronte per essere raccolte.

Settembre
Settembre è un mese pieno di colori. Gli alberi diventano rossi, gialli e marroni. Il sole brilla attraverso una leggera bruma. La maggior parte delle piante ha completato il suo ciclo di crescita e c’è intorno una sensazione di compiutezza. Questo è il mese del raccolto. Le forze che hanno fatto uscire le piante dalla terra non sono più attive.

Ottobre
Tutto il terreno che è stato spogliato dal raccolto deve ora essere nuovamente preparato. I campi che sono rimasti a riposo negli anni precedenti devono ora essere concimati ed arati.
Alcuni prodotti non sono stati ancora raccolti, ma ora finalmente la barbabietola da zucchero può essere spedita alla fabbrica e le rape e le barbabietole da foraggio vengono portate nei magazzini e conservate per quando serviranno. Per conservarle al meglio il contadino ne fa delle cataste coperte di paglia e terra: i tuberi, con questa antica tecnica, possono conservarsi per mesi e mesi.
Le mucche devono essere nutrite e munte, le loro stalle devono essere ripulite e provviste di paglia sempre fresca.
I maiali devono essere nutriti e ripuliti.
Anche il pollame deve essere accudito, ma questo è spesso compito della moglie del contadino.
Qualcuno deve badare anche alla pecore.

Novembre
Il lavoro di aratura continua. Continua anche la raccolta degli ultimi prodotti.
Se il contadino decide di seminare il grano invernale, il terreno deve essere preparato e seminato.
Le pecore vengono portate nei campi dove si sono raccolti i tuberi, per mangiare tutte le foglie verdi che sono rimaste nel campo, e anche per concimare il terreno.
E’ anche tempo di portare le mucche nelle stalle per l’inverno, dove saranno foraggiate con fieno, tuberi, cavoli, pastone e un particolare impasto che deve essere comperato: si tratta di un cibo speciale che le aiuta a produrre più latte.
Il contadino terrà d’occhio il giornale per vedere i prezzi sul mercato dei prodotti che ha da vendere. Se pensa che il prezzo sia giusto, manda alcuni dei suoi uomini a prendere cavoletti e verze, o anche qualche animale, e li manderà al mercato.

Dicembre
Le giornate sono fredde e corte. Quando il tempo è adatto, forse è possibile arare ancora un po’, e c’è sempre il lavoro da fare con gli animali.
Una giornata di gelo è buona per portare nei campi il concime col carro, perchè il terreno è duro.
Il pastore è ora occupato a costruire piccoli ricoveri di paglia nel campo, perchè presto nasceranno gli agnellini. Egli ora deve stare quasi sempre col gregge.
Se non è stata usata una macchina agricola di quelle che fanno tutto, ora è il momento di sgranare il grano. Di solito questo si fa in un grande granaio, ed è un lavoro che si può fare con la pioggia ed anche con la neve.

La prima giornata di lavoro del giovane emigrato

Paolo arrivò primo al lavoro. Studiò la facciata, osservò le impalcature, passò la mano sui mattoni e sulle pietre del muro. Severo era il job nel suo odore fresco e pungente di calce, legna spaccata, vernice e rugiada. Nel mattino rigido il sole s’alzava in una gloria di toni fulvi che promettevano una calda giornata di lavoro.
Santo, il manovale, aprì il ripostiglio degli attrezzi, si levò il giacchettone di pelle, rimboccò le maniche fin sopra i gomiti e preparò il necessario per la calce.

“Mattinieri siamo, eh, mastro Paolì?” disse, e tirò fuori dal ripostiglio i tubi dell’acqua, la pala, la marra, la carriola. Aggiustandosi i risvolti delle maniche studiò il sole.
“Oggi farà caldo. Non levarti troppa roba di dosso; i primi caldi portano la polmonite”.
Poi, come uno che ha un’eternità di strada da percorrere e se la prende calma, tirò fuori adagio, uno dopo l’altro, i sacchi di cemento e li pose ritti presso il recinto della calce.

Gli uomini arrivavano e Paolo era pronto con la mestola. Il fischio scatenò il concerto delle mestole sonanti, raspanti, picchiettanti sui mattoni.
Giuseppe Febbregialla, uno della corporazione, piccolo, itterico, dalle mascelle quadrate, chiamò Paolo: “Neh, Filippo, chiammo a tte!”
Paolo accorse e l’altro gli mostrò dove doveva riempire di calce e mattoni gli interstizi tra le stecche parallele che poggiavano sul piano di cemento. Quando Paolo gli disse che il suo nome era Paolo, Febbregialla fece: “Va bbuò, Filippo, tira avanti!”
E Paolo lavorò per ore e ore, solo, in ginocchio, chino sulle stecche. Ogni volta che piegava la schiena, sentiva una fitta acuta ai lombi. Il manico della mestola cominciò a sembrargli di pietra, la polvere di mattone gli escoriava le dita, la calce gli scottava le mani. Si Alzava, di quando in quando, in piedi per distendere i muscoli della schiena e, una volta, alzandosi, posò il piede su stecche malferme, scivolò e cadde, battendo su una pietra aguzza. Il dolore gli mozzò il fiato e gli riempì di lacrime gli occhi. Dio che male, ma non voglio che nessuno se ne accorga, devo lavorare, si disse. Si morse la lingua e si rimise in piedi e si sentiva gonfiare la botta, che gli faceva male. Appoggiò una mano in terra e lavorò con l’altra sola. Per posare un mattone deponeva la mestola, e se doveva rompere un mattone in due per riempire un mezzo vuoto, doveva ogni volta sedersi sui talloni. Tra le lacrime vedeva male, e una volta, rompendo un mattone, si picchiò sul pollice, e il dolore fu tale che si portò il pollice alla bocca per non gridare. Non è niente, non è niente, devo finire questo lavoro. Il pollice pulsava forte, si gonfiava, diventava livido, ma lui non voleva mollare.

Quando fischiò l’ora del pranzo i ginocchi raggranchiti non furono in grado, lì per lì, di sollevarlo in piedi.
Pietro Di Donato

L’oste che non voleva lavorare
Personaggi: oste, la moglie, un dottore e un notaio.

(La scena si svolge nella stanza da letto dell’oste)

Moglie: Sono le undici, l’osteria è piena di gente e tu te ne stai a letto come se non fosse affar tuo
Oste: Che affare e non affare! Se tu ti sentissi male come mi sento io, non parleresti a questo modo, te l’assicuro.
Moglie: Ma a chi vuoi darla a bere? A sentir te, da quando siamo sposati non sei stato bene nemmeno un giorno. Se fosse vero, carino mio, a quest’ora saresti morto e seppellito.
Oste: Eh, già! Per te fingo, vero? E tutta la camomilla che bevo e non mi piace?
Moglie: Già. E tutto il vino che ti piace e che bevi quando vengono quei bricconi dei tuoi amici a farti visita?
Oste: Quale vino?
Moglie: Lasciamo andare, altrimenti si rischia di non finirla più. Ma sta’ sicuro che una volta o l’altra te la faccio passare io la voglia di darti malato per startene comodamente a letto quanto ti pare!

(La moglie esce e il sipario si chiude per due minuti. All’apertura nella stessa stanza, accanto al letto dell’oste, si trovano il dottore e il notaio)

Dottore: (parla nell’orecchio al notaio, ma in modo che l’oste lo senta) Ormai non c’è più nulla da fare. E’ spacciato…
Notaio: (con meraviglia)Ma è possibile?
Oste: (in tono lamentoso) Ahi, ahi! Dottore, sto male!
Dottore: Eh! Via, non vi disperate. Vedrete che con queste gocce vi passerà tutto.
Oste: (piangendo) Signor notaio, chi l’avrebbe mai detto che anche per me sarebbe arrivato il gran giorno?
Notaio: Ma perchè piangete! Il dottore mi ha detto che non siete grave. Vero dottore?
Dottore: Certo… certo… (Poi parla nell’orecchio del notaio) E’ solo … ps… ps… ps…
Notaio: (rivolgendosi all’oste) Avete sentito? Niente di grave. Piuttosto perchè non pensate a regolare i vostri conti con gli uomini e con Dio?
Oste: (disperato) Come?
Notaio: Sì, insomma… cosa fatta capo ha.
Oste: Mi dica un po’, signor notaio, perchè lei che ha sempre tanto da fare, si è scomodato a venirmi a trovare?
Notaio: Son passato dall’osteria e vostra moglie mi ha detto che stavate male. Allora son salito: ecco tutto.
Oste: Ah, è così, vero? Dottore, datemi un bicchiere di vino, perchè malato o no, io mi voglio alzare e dire alla mia donna due parole!
Notaio: e questo che c’entra?
Oste: Che c’entra, eh? Crede che non abbia capito? Mi manda il notaio per farmi credere di essere moribondo. Glielo do il testamento! (Fa per alzarsi, molto arrabbiato)
Dottore: Ma che fate, state sotto!
Oste: Stia tranquillo, dottore. So io come curarmi. Quanto a lei, caro signor notaio, se ha voluto guadagnare qualche soldo con me, ha sbagliato porta. Lei, con me, dovrà sempre pagare se vorrà bere un bicchiere di buon vino! E ora vada pure a dirglielo a mia moglie!

(Il notaio si allontana)

Dottore: ma voi state male… non potete!
Oste: La ringrazio per le sue cure, caro dottore! Ma creda a me, a morire c’è sempre tempo!

(Anche il dottore esce e l’oste resta solo)

Oste: M’hanno fatto prendere una bella paura, quei due! E io che quasi non mi ero accorto dell’inganno. Spacciato, capisci? Io… certo… quella povera donna… lavora tutto il giorno come una bestia e io me ne sto qui a letto a far niente. Ha ragione.
In fondo in fondo, il padrone dell’osteria sono io. Certo!

(Affacciandosi alla porta)
Pietrooo! Attacca la mula. Andiamo a caricare il vino dal fattore.

Recite per bambini e racconti sulla Festa del lavoro  e i mestieri – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

dettati ortografici e letture LA FESTA DEL LAVORO – MESTIERI

Dettati ortografici e letture LA FESTA DEL LAVORO – MESTIERI: una raccolta di dettati ortografici e letture di autori vari per la scuola primaria

Importanza del lavoro
Ogni lavoro è importante, sia quello compiuto dalle braccia, sia quello compiuto dalla mente perchè in ogni uomo che lavora c’è sempre una mente che pensa e provvede, c’è sempre una persona che pensa, che fatica per sè, per i propri cari, per il bene dell’umanità.
Ogni luogo in cui vivi, porta l’impronta dell’operosità di chi ti ha preceduto perchè la storia del progresso è la storia del lavoro.
Come tu stesso puoi concludere, vedi allora come è importante il lavoro per la dignità della nostra vita individuale e sociale. Ed è per questo che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro.

Tutti lavorano: nei campi, nelle officine, nei negozi, nelle scuole. Il lavoro è necessario all’uomo. Anche il bambino ha il suo lavoro: egli studia, aiuta la mamma nelle piccole faccende, si rende utile nella casa con lavoretti leggeri.

Il falegname adopera la sega, la pialla, il martello. E con il legno fabbrica le porte, le finestre, i mobili solidi e belli.
Il calzolaio batte la suola. Seduto al suo deschetto, egli taglia il cuoio e fabbrica gli scarponi per gli uomini e le scarpette per i bambini.
C’è un pezzo di stoffa: il sarto potrà trasformarla in un bel vestitino e per questo ha bisogno dell’ago, del filo, delle forbici e della macchina da cucire.
Ecco il muratore che costruisce la casa. Mette  i mattoni uno sull’altro, li tiene insieme con la calcina, e il muro viene su, diritto, solido, forte.
Guardati attorno: quante cose sono fatte di legno! Le porte, le finestre, le travi, i mobili… Il grande albero della foresta si è trasformato in un armadio, in un banco, per il lavoro del falegname.
Di ferro sono le chiavi, le serrature, i cardini su cui girano le porte. Di ferro sono le navi che solcano il mare e il chiodino per attaccare il quadretto.
Non lavorano soltanto i falegnami, i fabbri, i calzolai. Lavora anche chi scrive, chi pensa, chi studia. Lavorano il medico, il professore, l’impiegato. Chi lavora con le braccia, chi col cervello.

Il primo maggio si celebra la festa del lavoro in tutto il mondo. In questo giorno,le macchine cessano di rombare, i forni di ardere, i martelli di battere. L’uomo cessa, in tutto il mondo, la sua attività lavorativa.

Se non ci fosse il lavoro, noi dovremmo vivere ancora come l’uomo delle caverne. E’ per opera del lavoro umano che noi abbiamo le case, i vestiti, i mezzi di trasporto. Supponiamo, per un momento, che nessuno lavori più: dopo qualche tempo le case cadrebbero in rovina, gli uomini sarebbero coperti di stracci la terra non darebbe più che un frutto misero e insufficiente.

In tutto il mondo, il primo maggio, per ventiquattro ore, cessa il frastuono delle macchine, il fischio delle sirene, il ronzio affaccendato degli operai che vanno e tornano dal lavoro. Dopo la brevissima sosta, il lavoro riprenderà il suo ritmo incessante, dalla grande officina e dall’affollato stabilimento, alla modesta botteguccia dell’artigiano del  paese, e all’umilissimo bischetto del ciabattino, che ripara e rattoppa le scarpe. Ogni lavoro ha la sua importanza e la sua nobiltà, purchè venga accuratamente ed onestamente compiuto, non solo nell’interesse del singolo, ma anche a vantaggio dei nostri simili, della collettività. (da S. I. M.)

Anche lo studio è lavoro. Lavoro non è solamente quello che esce dalle mani del muratore, del calzolaio, dell’operaio: lavoro è tutto quanto è frutto dell’opera dell’uomo, tanto della mano quanto della mente. Anche voi, studiando, lavorate: il vostro lavoro è lo studio.  (P. Dazzi

Il lavoro è una veste che nutre voi e me, che edifica le vostre case e prepara i vostri letti, apre le strade, fabbrica i veicoli che le percorrono, stende i fili della corrente elettrica e del telefono; falcia l’erba, miete il grano, dispone i fiori nei giardini, illumina le nostre stanze, stampa i libri, dipinge i quadri, fotografa le nostre persone, scolpisce le statue, costruisce le navi e gli aeroplani; trasforma la creta in fine porcellana. (Gould)

Vi sono delle fabbriche in cui non si può interrompere il lavoro neanche la notte, come non si può interrompere in certe grandi officine meccaniche, nei forni dove si fonde la ghisa, nelle stazioni ferroviarie, nelle tipografie dei grandi giornali e così via. C’è quindi una massa di operai, di artigiani, di ferrovieri, di tipografi, che deve lavorare la notte… Di notte vegliano farmacisti e dottori, a turno, perchè siano pronti i soccorsi sanitari, se qualche malato ne ha bisogno; a turno lavorano, negli ospedali, anche ostretriche ed infermieri. Tutta questa gente compie un dovere sacro di lavoro e di assistenza. Ammiriamoli e siamo loro riconoscenti. (M. Serao)

Il lavoro umano ha mille aspetti e strumenti diversi. Accanto al lavoratore del braccio trovi il lavoratore della mente; quando il contadino si avvia per i campi, il minatore scende nelle viscere della terra; mentre l’operaio suda fra lo strepito delle macchine ed il fabbro batte il ferro sull’incudine, l’architetto disegna progetti di edifici e il chirurgo si curva sul malato disteso sul tavolo operatorio. Anche tu sei un lavoratore perchè con lo studio ti prepari ad essere di aiuto alla società.

Incontri il lavoro dell’uomo dovunque tu posi le mani, qualsiasi oggetto tu adoperi. La casa dove abiti, la strada che percorri, la scuola che frequenti, l’abito che indossi sono frutto del lavoro dell’uomo. Immagina che non ci sia più intorno a te nulla di ciò che ha fatto l’uomo. Vedresti intorno a te la foresta selvaggia, oppure la palude insidiosa, o il deserto solitario. Sentiresti il brivido del freddo, o il bruciore del sole, avresti il terrore delle belve selvagge.

Primo maggio: oggi il mondo è in festa. E’ una festa che affratella tutti gli uomini di tutte le nazioni del mondo e che fa pensare al più bello dei doveri della vita: quello del lavoro. In tutto il mondo oggi gli uomini sono fratelli nella gioia di questa festa,  come erano ieri e come lo saranno domani nella fatica dei muscoli e nello sforzo del pensiero.

Tutti gli uomini lavorano; chi lavora nei campi, chi nelle officine, chi nei negozi, chi negli uffici; chi lavora con il braccio, chi con la mente. Lavorare è necessario. Anche il bambino ha il suo lavoro: studia e si rende utile in casa con qualche servizietto. Il fannullone, invece, che non ha voglia di lavorare, vive del lavoro degli altri. Egli è come la pianta di edera che si aggrappa all’albero e ne succhia la vita per mezzo delle radici che gli affonda nel tronco. Per questo, forse, il grande albero morrà, ma con lui morrà anche la pianta infingarda.

L’elettricista. Arriva, bene accolto, l’elettricista. In cima a una scala, come il ragno che fa la tela, tende fili e fili; ogni tanto un isolatore, qua e là alcune valvole e poi anche qualche presa di corrente… (L. Bartelletti)

I pescatori. Di buon mattino, quando il primo sole rischiara gli scogli e la spiaggia, i pescatori tornano. Se cantano, vuol dire che la pesca è stata fortunata. Se non cantano, vuol dire che il rischioso lavoro di una notte è stato inutile. Le ultime ombre della notte sembrano allora ai poveri pescatori più oscure e cattive. (M. Comassi)

Il calzolaio. Non credo che nessun banco da lavoro sia così affollato e disordinato come un bischetto: nè così piccolo.  Lesine, punteruolo, trincetti, il vasetto della colla, ritagli di pelle, pezzetti di vetro; e fino negli estremi angoli, qualcosa da trovare,  per esempio il sego, nel quale di tanto in tanto si tuffa la frettolosa punta della lesina, per poi bucare meglio il cuoio. (G. Fanciulli)

Muratori. I manovali riempivano i cofani di calcina; infilavano le scale sorreggendosi con la mano di piolo in piolo, recando sull’omero i cofani e le pile di mattoni. I muratori raggiungevano i ponti spingendosi su per le scale; il sole ricominciava a cuocere il loro viso, le braccia, la nuca; grondavano sudore. (V. Pratolini)

Di notte. Mentre ciascuno di noi riposa tranquillamente in un letto che non avrebbe saputo costruire con le proprie mani, i fornai attendono a cuocergli il pane per la mattina dopo, telefonisti, scrittori e tipografi collaborano in vario modo a preparargli il giornale, e la guardia notturna cammina su e giù per impedire l’opera losca dei malandrini, e il pompiere veglia pronto a spegnere il fuoco devastatore, e marinai e ferrovieri guidano nella notte i veicoli che recano le lettere, giornali, derrate e il nutrimento del corpo e la gioia dell’animo.

Gli spazzini. E’ mattina presto in città. Il silenzio è quasi assoluto ma, ad un tratto, ecco comparire dal fondo della strada un grosso furgone tutto chiuso. Si arresta e, rapidi, scendono gli spazzini. Le loro mani, protette da grossi guanti di gomma, afferrano i carrelli e li spingono verso gli ingressi delle case. Inizia il loro lavoro: bidoni pieni che vanno verso il furgone pronto a ingoiare rumorosamente quintali di rifiuti, bidoni vuoti che tornano. Ogni giorno così, con tanta abilità, con tanta dignità.

Pescatori. Le paranze alzano le vele gialle pittorescamente decorate e lasciano il porto. In alto mare i pescatori calano le reti che galleggiano, perchè sostenute dai sugheri. Quando le ritirano sono pesanti. Le issano a bordo con fatica e nella barca, allora, è tutto un guizzare di pesci argentei, azzurrini, rosei. (G. Facco)

Il fabbro. Nell’officina il mantice soffia e palpita con ritmo incessante, come organo di vita. Il carbone arde, alita la fiamma e investe, il ferro rosseggia. Prigioniero di solide tenaglie il rovente metallo geme sull’incudine. Sopra di lui scendono celeri, ripetuti, i colpi del martello. L’abile, insistente picchiar del martello plasma forme nuove, rendendo ubbidiente la dura materia alle esigenze dell’arte. Dall’oscuro, sudato lavoro del fabbro, nascono mirabili opere. I colpi del martello, che risuonano a sera sull’incudine, sono canti di vita operosa, sono canti di vittoria. (A. Magnani)

L’orologiaio. Per le sue mani passano oro, argento, rubini minuscoli, ma non se ne accorge: per lui merita tanti riguardi il pataccone d’acciaio del ferroviere, quanto il microscopico orologino tempestato di brillanti della gran signora. L’importante è cercare il male e guarirlo, come sulla tavola operatoria sono uguali il principe e il povero, così per l’orologiaio meritano la stessa considerazione l’orologio da polso e quello da tasca, quello che scintilla sulla scrivania e quell’altro che alla parete scandisce i secondi col pendolo grave. Orologi di ogni dimensione sono lì davanti a lui e sembrano famiglie patriarcali riunite: il nonno, i genitori e la schiera garrula dei figli e dei nipotini. (D. Provenzal)

Il barbiere. La sua non è una bottega, ma uno “studio”, quasi… Nelle botteghe si compra, si vende, e qualche volta si fabbrica: qui nulla di ciò. Qui vedi giovani vestiti di bianco i quali si affettano a gettare un manto bianco alche sulle spalle dei clienti perchè sia tutto candido: e specchi, tavolette di marmo, acciai lucidi e tersi: nell’aria un vago sentore di profumi e di cipria. D’inverno l’ambiente è caldo, d’estate piacevolmente fresco: sifoni d’acqua olezzante sostituiscono, in piccolo, gli zampillo odorosi dei giardini del Gran Sultano. (D. Provenzal)

Il fornaio. Un delizioso odore di pane appena sfornato si spande per tutta la piazza del paese. Il fornaio ha lavorato varie ore della notte: ha impastato la farina ed ha sorvegliato la macchina impastatrice; ha tagliato dall’impasto grissini, panini, pagnotte, cornetti e li ha messi nel forno osservandone di tanto in tanto la cottura. Al mattino il pane è pronto per chi si reca al lavoro. Passano gli operai e comprano la grossa pagnotta odorosa; passano gli scolari e comperano il panino croccante… E finalmente il fornaio può andare a riposare. (O. Vergani)

Il postino. Con il sole o con la pioggia, chi è che non si ferma mai e va tutto il giorno, paziente, di porta in porta? Va con la neve, va con il fango, non ha paura del freddo, non ha paura del caldo. Pensa quante cose ti porta: la letterina d’auguri dei nonni, il pacchetto con il regalo della zia, le cartoline degli amici. E quante cose ancora ti porterà, con il volgere degli anni. E non ti dirà neanche il suo nome, non chiederà nemmeno che lo ringrazi; e ogni giorno camminerà per te, dall’alba al tramonto, con la sua grande borsa a tracolla, per tutta la vita… ( O. Vergani)

Contadini. Il contadino non si riposa mai, nemmeno quando la neve copre la sua terra. Ma la stagione dei lavori grandi è certamente quella che va da maggio ad ottobre e culmina con la mietitura. Dopo questa fatica il contadino un po’ si riposa, ma il campo chiama il vomere. Le prime nebbie di inizio novembre chiamano ad altri lavori. Il grano è nei sacchi allineati al muro, la dispensa odora di mele cotogne, di sorbe, di pere, di conserve. L’anno ricomincia, c’è nell’aria l’aria di un inizio. Ed è la semina: quella del grano, la più solenne dell’anno. (G. Titta Rosa)

La zappa. Voi non sapete quanto sia bella una zappa.Non potete sapere, voi cittadini di città, quanto può essere bella una zappa! Una semplice zappa di campagna, una vera zappa nelle due mani del contadino, una reale zappa appoggiata ai sassi del muro, accanto all’uscio del contadino. Un pezzo di legno infilato in un pezzo di ferro: un povero pezzo di legno, una semplice stanga di legno forte: un pezzo di legno appena squadrato dal filo dell’accetta, e non pulito, non verniciato, non lustrato: le due mani dello zappatore, ingrossate, indurite, gli daranno giorno per giorno la lucentezza dell’antico; un povero pezzo di ferro, un piccolo pezzo di metallo nero che il fabbro fece rosso nel fuoco, e che il contadino fa splendere al sole come l’argento. (G. Papini)

I pompieri. A un tratto si sente lo strido lugubre, tenace, prima fioco, poi più forte, e finalmente come palle di cannone, piombano sul luogo e si arrestano di scatto le automobili dei pompieri. Senza guardare in faccia nessuno, i pompieri balzavano a terra srotolando di corsa i tubi delle pompe, aprono le prese d’acqua, avvitano le pompe, le stendono sul selciato. Ecco, l’acqua gorgoglia nei tubi che si gonfiano, si snodano, si induriscono e, in meno che non si dica… quattro o cinque getti violenti entrano in pieno nelle finestre. (A. Campanile)

Un’operaia. Un’operaia, in una fabbrica di terraglie, sta davanti ad una macchina che svolge un nastro corrente largo due palmi, perchè il piatto è appena stampato in una polvere che soltanto il colpo vigoroso dello stampaggio riesce a tenere insieme. La mano della donna prende uno dopo l’altro questi piatti e li depone in una catasta che andrà al forno. Basterebbe un movimento un poco meno delicato per sbriciolare la polvere friabile in cui è stampato l’oggetto. Non c’è una macchina al mondo che possa fare questa operazione. Dalla mano di questa donna dipende, in definitiva, il rendimento della fabbrica. (C. Alvaro)

Il magnano. Intanto il magnano ha piantato in piazza la sua officina. Ha fatto in terra una fossetta, e nella fossetta accende un po’ di carbone; ha appeso a un treppiede il suo manticino, e con una funicella lo muove; strige tra le ginocchia una piccola incudine, ci picchia sopra con il mazzuolo. Chi aveva una secchia bucata, una pentola ammaccata, una brocca sconquassata, è andato a scovarla nella polvere dei ripostigli. Le comari vengono in processione, armate di casseruole rugginose e di padelle senza fondo, ed egli attentamente le gira e le rigira, le guarda contro luce, ne saggia il suono con le nocche, e infine, rassegnato, le lascia cadere nel mucchio. (U. Fracchia)

Da un bioccolo di lana l’uomo, col suo lavoro, fabbrica un morbido e caldo tessuto; con un bozzolo fa la lucida stoffa di seta; per opera dell’uomo il tronco di un albero viene trasformato in una tavola, in una sedia; una pianta di lino in una bella e candida tela; un pezzo di minerale in una chiave, in una forchetta.

Il vigile. Veste proprio come tutti gli altri “ghisa”. Si chiama Clementina Guarneri ed è la prima donna-vigile di Milano. Le piacciono le automobili, il traffico e… il suo lavoro. Non crede che ci siano lavori adatti solo a uomini e lavori adatti solo a donne, ma pensa che ogni persona debba scegliersi il mestiere che più le piace. Spesso un passante si ferma per chiederle un’informazione: dove si trova una certa via, quale tram si può prendere per raggiungere il tal posto, se c’è nelle vicinanze una farmacia. Ora dal margine della strada osserva scorrere il traffico, automobilisti e pedoni sono più disciplinati quando vedono un vigile. Deve essere sempre pronta ad intervenire in caso di necessità: il passaggio di un’ambulanza, un ingorgo stradale, un incidente, il guasto di un semaforo. “Avanti, avanti!”, “Alt! Adesso tocca a voi!”, dice coi i movimenti delle braccia e delle mani quando si pone in mezzo ad un incrocio.  (S. Ceruti)

I lavori di un tempo. Il mestiere del contadino, del muratore, del fabbro, del falegname è uno dei quattro più antichi. Il contadino rompe la zolla e ne cava il pane; il muratore squadra la pietra ed innalza la casa: la casa del povero, la casa del re, la casa degli scolari; il fabbro arroventa e torce il ferro per dar la spada al soldato, il vomere al contadino, il martello al falegname; il falegname sega e inchioda il legno per costruire la porta che protegge la casa dei ladri e per fabbricare il letto sul quale dormono innocenti e ladri. Queste semplici cose ordinarie, comuni, usuali che non le vediamo più, che passano ormai disavvedute sotto i nostri occhi avvezzi a più complicate meraviglie, sono le più semplici creazioni dell’uomo, ma più miracolose e necessarie di tutte le altre inventate dopo. (G. Papini)

Mietitori. Il sole diede il suo oro alla campagna e nelle spighe è già pronto il frumento. Calano da ogni parte a brigate i mietitori, e nelle sere odorose di gigli s’odono canzoni di tutti i paesi. Brillano le falci e la fronte dell’uomo si bagna di sudore. Nelle ore di afa, che tutte le cose s’assannano e l’aria è come un mare di fuoco, le cicali stridono e le stoppie saltando in aria scoppiettano. Gli alveari, poichè le api succhiano instancabili tutta la primavera, colano di miele, e nelle celluzze i nuovi nati s’impinzano, molli come cera. Il tempo del pane nuovo è venuto. (F. Lanza)

La mietitrice. Ho fatto la conoscenza di una macchina straordinaria, che miete il frumento, lo raccoglie in manipoli, lega a uno a uno questi manipoli con un giro di corda, e a uno a uno li scaglia fuori, là dove il campo è già spoglio. Le andate e i ritorni restringono sempre più il campo da mietere, finchè neppure una spiga resta più sul proprio gambo ed il campo è nudo. E gli uomini? Uno siede alla guida, un altro sta in piedi sul carrello, attento al lavoro della macchina; e un terzo, in disparte, raccoglie i manipoli, li raggruppa e forma i covoni. (D. Valeri)

La trebbiatrice. Il macchinista ha fatto presto ad avviare il motore , la cinghia è stata subito innestata; sotto alla trebbiatrice han disteso un panno a raccogliere quel poco che la macchina avrebbe lasciato perdere dagli ingranaggi; e l’uomo è subito montato su. Il contadino porge un covone dopo l’altro, con un falcetto un altro taglia il legaccio, e il primo infila un covone per un capo, nella bocca della tramoggia. Solo il macchinista se ne sta inoperoso, una gamba appoggiata al suo motore. (G. Titta Rosa)

Il pompiere. Durante un incendio ogni vigile del fuoco ha il suo compito. Alcuni attaccano i tubi alle prese dell’acqua e all’autocisterna. Altri dirigono i getti d’acqua verso il fuoco. Altri, con un telone, raccolgono coloro che si lanciano dai piani superiori degli edifici per sfuggire alla furia delle fiamme. Altri ancora traggono in salvo le persone in pericolo. (da I quindici)

Il barbiere. Dicono che sia un po’ adulatore. Infatti, a un giovinetto che abbia una peluria quasi invisibile sul viso egli domanda: “Barba?”, mentre a un vecchio che ha forse quattro o cinque peli sul cranio deserto, egli chiede ossequioso: “Capelli?”. (D. Provenzal)

Disoccupato. Non tutti hanno la fortuna di possedere un lavoro. Molte persone, pur avendo la buona volontà di lavorare, non ne trovano oppure non ce l’hanno più perchè la loro fabbrica è stata chiusa, o a causa di infortuni che non permettono più una vita attiva. Il lavoro è un bene prezioso, che va rispettato.

Nella costruzione di una casa lavora il muratore ma, prima di lui ha lavorato l’ingegnere che ha fatto il progetto, l’architetto che lo ha studiato nei minimi particolari; per fare i mobili lavora il falegname, ma prima di lui ha lavorato colui che li ha disegnati; lavora il contadino per far fruttare la terra, ma prima di lui hanno lavorato coloro che hanno studiato la composizione della terra, dei concimi, i fenomeni metereologici ed è seguendo le regole che essi ne hanno tratto, che il contadino può ricavare il massimo prodotto dal terreno.

Se è lavoro quello dell’artigiano, è lavoro non meno nobile e in alcuni casi infinitamente più gravoso, quello dello scienziato che studia le malattie, quello dell’astronomo che passa le sue notti a consultare il giro delle stelle; è lavoro quello dello scrittore che compone i suoi racconti, quello del medico che cura l’ammalato; quello dell’insegnante che cerca di educare e istruire i bambini. E’ lavoro quello dello scolaretto che studia per diventare un uomo utile ai suoi simili, quello della casalinga è lavoro.

Il valore del lavoro non è dato dalla sua specialità, ma dal modo come viene eseguito. Un professore che scrive un libro sopra un argomento difficile, ma che fa il suo lavoro senza esattezza nè precisione, fa un lavoro inutile. L’importante non è eseguire un dato lavoro, ma eseguirlo il più perfettamente possibile. Tutti i lavori sono necessari. Tutti sono belli, nobili, degni di lode. Non c’è un lavoro che possa aver la supremazia su un altro lavoro, ma è degno di lode qualsiasi lavoro purchè sia eseguito bene.

Anche gli animali lavorano. Non solo gli animali domestici, ma anche gli animali liberi, come gli uccellini, ad esempio. Nonostante l’apparenza spensierata, la loro vita è tutto un lavoro: lavorano per cercare il materiale e poi per costruirsi il nido, lavorano per allevare la prole, lavorano per procurare il cibo a sè e ai piccoli.
Guardiamo gli insetti. Non fanno che girare tutto il giorno, da un fiore all’altro, e oltre a fare un lavoro indiretto, utile all’uomo, qual è quello dell’impollinazione, fanno un lavoro per se stessi, in quanto si procurano il cibo e cercano il luogo più adatto per deporre le uova. Talvolta usano accorgimenti straordinari: forano la corteccia degli alberi, perforano semi, e tutto questo in un lavoro sagace, continuo.
Guardiamo le api, i lavoratori per eccellenza che, per fabbricare una certa quantità di miele e di cera, devono visitare migliaia di fiori, che costruiscono una casetta perfetta, che allevano i piccoli come amorose nutrici, che combattono per difendere l’alveare dagli intrusi.
Guardiamo le formiche, da sempre esempio di laboriosità e prudenza.
Guardiamo  le vespe che costruiscono il nido trasformando il legno in solido cartone e che, forse, hanno insegnato all’uomo la maniera di fabbricare la carta.
Anche l’animale selvatico lavora: lavora per procurarsi il cibo, per scavarsi la tana, giungendo, come nel caso del castoro, a dare esempio all’uomo di edilizia e ingegneria.
Persino il ragno, dette forse all’uomo la prima idea per filare e tessere, senza parlare del filugello il cui filo ci dà addirittura la seta.

I mestieri necessari per costruire la casa 
Il muratore spegne la calce viva con l’acqua e la mescola con la sabbia: con questo materiale, che si chiama malta, unisce i mattoni che dispone uno sopra l’altro per fare il muro. Per fare questo lavoro adopera la pala, la cazzuola, la secchia, lo sparviero, il filo di piombo. I muratori lavorano anche in alto, sulle impalcature. Questo è perciò anche un mestiere pericoloso. Dobbiamo considerare con simpatia questi lavoratori che, nel lavoro, rischiano anche la vita. Alla costruzione della casa, col muratore lavorano l’elettricista e l’idraulico, e il piastrellista. Quando la casa è finita per quel che riguarda i muri e i pavimenti, c’è da pensare agli infissi: porte e finestre. Li fabbricherà il falegname, con la collaborazione del vetraio, e dopo sarà sempre lui a costruire anche i mobili per arredare la casa. A volte il falegname partecipa anche alla costruzione vera a propria della casa, perchè le travi che sostengono il tetto sono di legno. Gli strumenti del falegname sono la sega circolare, la pialla e altri tipi di sega, il martello, la morsa, il tornio. La casa è ormai fornita di porte e di finestre; sono pronti anche i mobili, manca però l’opera di un altro operaio, il fabbro, che dovrà fabbricare le serrature, i cardini, le chiavi. Il fabbro batte con il maglio sull’incudine. Prima mette una sbarra di ferro sul fuoco fino a renderla incandescente. Il fuoco arde nella fucina, dove viene alimentato  dal mantice; il ferro, sulla fiamma, diventa rosso e malleabile. Il fabbro, col suo martello, riesce a dargli la forma che vuole. Altri strumenti che adopera per il suo lavoro sono la morsa, le tenaglie e le pinze.

Pendolari. “Noi pendolari, in fondo, siamo dei senza famiglia. Adesso, se permette, mi rimetto a dormire. Tanto il ritardo è assicurato: a Rogoredo si blocca tutto un’altra volta…”. L’operaio si tira sulla faccia la tenda, pesante, impolverata, che copre il finestrino, allunga le gambe come può e rimane immobile. Scene come questa sono di tutti i giorni, di tutte le albe sugli accelerati. Una vita da forzati. I pendolari dell’alba, dei primi accelerati, sono tra quelli che salgono ed hanno appena il tempo di lasciarsi cadere sul sedile, tirare la tendina e ricominciare a dormire (se il troppo caldo o il troppo freddo, d’inverno, lo consentono). Nei convogli successivi, quelli delle sette e mezzo, trovare un posto a sedere, specie nelle stazioni intermedie, è come vincere un terno. Bisogna rassegnarsi a stare in piedi, pigiati,  tra gli spifferi, la gente che passa e ripassa, con l’occhio all’orologio, pronte a scendere di volata e a saltare sul primo tram. Di sera la stessa trafila, faticosa, interminabile. Aspettare, aspettare, rassegnarsi a non vedere i figli, a non scambiare due chiacchiere con loro, con la moglie, con gli amici, mandar giù un boccone di cena e trascinarsi a letto. (V. Emiliani – “Il giorno” del 6 ottobre 1972)

L’architetto urbanista. L’architetto urbanista si occupa della sistemazione organica di nuovi quartieri, della distribuzione logica di scuole, mercati, del verde pubblico e dei campi da gioco. Agli urbanisti è anche affidato l’incarico di stabilire gli itinerari e i sensi obbligati della circolazione automobilistica della nostra città dal traffico sempre più congestionato. L’urbanista non lavora quasi mai solo, ma all’interno di un gruppo di lavoro. (M.P. Lanieno)

Tutti lavorano. Non lavora soltanto chi esercita la forza delle braccia, chi suda sul martello, sulla vanga, sulla zappa. Lavora anche chi scrive, chi studia, chi pensa. Lavora il medico che cura l’ammalato, il maestro che arricchisce la mente dei ragazzi, lo scienziato che scopre nuove leggi e nuovi ritrovati per la felicità e il benessere degli uomini.

Nessun lavoro è umile. Nessuno deve vergognarsi del suo lavoro anche se è modesto. Tutti i lavori sono belli, nobili se eseguiti con diligenza e buona volontà. Ogni lavoro ha la sua importanza purchè sia eseguito bene.

Il lavoro. Quando rovinate e rompete le vostre cose, pensate a tutto il lavoro che è stato necessario per fabbricarle. E pensate che voi, per pigrizia o trascuratezza, in un momento avete distrutto il lavoro di tanti giorni, di tanti uomini.

Tutti lavorano. Tutti lavorano: il contadino e l’artista, il fabbro e il letterato, il muratore e lo scienziato. Ciascuno secondo le proprie inclinazioni, ciascuno secondo le proprie forze. Soltanto gli oziosi non lavorano perchè preferiscono sfruttare il lavoro altrui. (Bitelli)

Anche gli animali lavorano. L’ape visita un fiore dopo l’altro per portare la sua provvista all’alveare; la formica corre corre tutto il giorno per riempire i suoi magazzini; il cavallo tira il carro con pazienza; gli uccellini si affaticano per fabbricare il nido prima, e per dar da mangiare ai piccini, poi. Spesso gli animali sono d’esempio all’uomo.

Nessun lavoro è vile. Meglio un buon ciabattino che un cattivo dottore. Chi si vergogna del suo mestiere, o del mestiere di suo padre, non sa quello che fa. Bisogna vergognarsi di eseguire male un lavoro, ma quando un lavoro è portato bene a termine, chi lo ha eseguito è un uomo che ha diritto alla gratitudine e al rispetto di tutti (Dazzi)

Il lavoro. Anche lo studio è lavoro. Lavoro non è soltanto quello che esce dalle mani del muratore, del fabbro, del calzolaio; il lavoro è frutto dell’opera della mano come della mente. Il marinaio che attraversa gli oceani, il magistrato che giudica, il medico che cura i malati, il maestro che insegna, lo scrittore che scrive libri, lavorano tutti.

La festa del lavoro. Coloro che in tutto il mondo vivono di lavoro, impiegati, operai, contadini, sospendono oggi la loro dura fatica per riunirsi fraternamente, per ricordare che deve essere organizzato un mondo in cui tutti gli uomini possano godere i beni della terra. (N. Tramontano)

Il portalettere

Arriva il postino con la sua borsa gonfia di lettere, di cartoline, di giornali. Porta le notizie dei figli lontani ai genitori che le aspettano; porta le letterine dei nipoti ai nonni e agli zii; porta i saluti degli amici; porta le importanti lettere di affari. Qualche volta deve anche portare lettere che recano dispiacere. Le lettere sono chiuse e il postino non sa se porta gioia o pena. Ci sono anche giornali e belle riviste illustrate nella borsa del postino, ma egli non può distrarsi, egli deve sempre andare. Non sarà mai stanco di camminare il postino?

La festa del lavoro

Il primo maggio, in ogni città e in ogni paese del mondo si celebra la festa del lavoro. Il lavoro genera il progresso, affratella i popoli, rende più comoda e più facile la vita dell’uomo.
Quando l’uomo comparve nel mondo, non era molto diverso dagli animali: viveva nelle caverne, coperto di ispide pelli, correva per le foreste in cerca di cibo, non aveva armi per difendersi, non conosceva il fuoco, tremava di terrore quando udiva scoppiare il tuono fra le nubi, e si nutriva di carni crude e di frutta selvatica.
Ebbene, l’uomo, così debole, vinse il leone e la tigre,conquistò il fuoco, trasse dalle viscere della terra i metalli, si fabbricò le armi, costruì le case e le città, addomesticò gli animali e li piegò al suo volere; tracciò le strade, navigò sui mari…
E tutte queste meraviglie le compì col lavoro, grazie a quella volontà che lo spinse a non essere mai pago, a fare sempre, a cercare, studiare, sperimentare, senza scoraggiarsi di fronte alle difficoltà, ai pericoli, alle sofferenze.

Dettati ortografici e letture LA FESTA DEL LAVORO – MESTIERI. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

poesie e filastrocche sui MESTIERI – Festa del lavoro

Poesie e filastrocche sui mestieri – una raccolta di poesie e filastrocche sul lavoro dell’uomo e i mestieri, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il treno degli emigranti
Non è grossa, non è pesante
la valigia dell’emigrante…
C’è un po’ di terra del mio villaggio,
per non restar solo in viaggio…
un vestito, un pane, un frutto
e questo è tutto.
Ma il cuore no, non l’ho portato:
nella valigia non c’è entrato.
Troppa pena aveva a partire,
oltre il mare non vuole venire.
Lui resta, fedele come un cane,
nella terra che non mi dà pane:
un piccolo campo, proprio lassù…
Ma il treno corre: non si vede più.
Gianni Rodari

I colori dei mestieri
Io so i colori dei mestieri:
sono bianchi i panettieri,
s’alzan prima degli uccelli
e han farina nei capelli;
sono neri gli spazzacamini,
di sette colori son gli imbianchini;
gli operai dell’officina
hanno una bella tuta azzurrina,
hanno le mani sporche di grasso:
i fannulloni vanno a spasso,
non si sporcano nemmeno un dito,
ma il loro mestiere non è pulito.
Gianni Rodari

Gli odori dei mestieri
Io so gli odori dei mestieri:
di noce moscata sanno i droghieri,
sa d’olio la tuta dell’operaio,
di farina sa il fornaio,
sanno di terra i contadini,
di vernice gli imbianchini,
sul camice bianco del dottore
di medicina c’è un buon odore.
I fannulloni, strano però,
non sanno di nulla e puzzano un po’.
Gianni Rodari

Capelli bianchi
Quanti capelli bianchi
ha il vecchio muratore?
Uno per ogni casa
bagnata dal suo sudore.
Ed il vecchio maestro
quanti capelli ha bianchi?
Uno per ogni scolaro
cresciuto nei suoi banchi.
Quanti capelli bianchi
stanno in testa al nonnino?
Uno per ogni fiaba
che incanta il nipotino.
Gianni Rodari

L’omino della gru
Filastrocca di sotto in su
per l’omino della gru.
Sotto terra va il minatore,
dov’è buio a tutte l’ore;
lo spazzino va nel tombino,
sulla terra sta il contadino,
in cima ai pali l’elettricista
gode già una bella vista,
il muratore va sui tetti
e vede tutti piccoletti…
ma più in alto, lassù lassù
c’è l’omino della gru:
cielo a sinistra, cielo a destra,
e non gli gira mai la testa.
Gianni Rodari

Il giornalista
O giornalista inviato speciale
quali notizie porti al giornale?
Sono stato in America, in Cina,
in Scozia, Svezia ed Argentina,
tra i Sovietici e tra i Polacchi,
Francesi, Tedeschi, Sloveni, Slovacchi,
ho parlato con gli Eschimesi,
con gli Ottentotti, coi Siamesi,
vengo dal Cile, dall’India e dal Congo,
dalla tribù dei Bongo-Bongo…
e sai che porto? Una sola notizia!
Sarò licenziato per pigrizia.
Però il fatto è sensazionale,
merita un titolo cubitale:
tutti i popoli della terra
han dichiarato guerra alla guerra.
(G. Rodari)

Nel giardino
Nel bel giardino, sotto il sole d’oro,
un ragno tesse la sua tela fina
fra stelo e stelo; alla sua casettina
porta un chicco di grano la formica.
Un’ape succhia il nettare di un fiore
e, con voli felici, il suo nidietto,
fa un passero canoro sotto il tetto.
Una gallina insegna ai suoi pulcini
come si becca… Ognuno ha il suo lavoro
nel bel giardino, sotto il sole d’oro.
C. Bettelloni

Lavoro
Sono un bambino e vivo in città
ma il lavoro lo conosco in verità:
mi lucido le scarpe ed al mattin
sorveglio il latte e studio la lezione;
e, dopo desinar, gioco un pochino
poi faccio spesa, e sono proprio buone
le frutta quando io le ho comperate
chè, a voi lo dico in tutta confidenza,
con molta cura le ho scelte ed assaggiate;
prima di sera scrivo con pazienza
il compito, e ripasso la lettura,
giocattoli ripongo e poi preparo
i libri nella borsa con gran cura.
Ditelo, via; “E’ un bimbo proprio raro!”
T. Belforti

L’alba
Tutta dolce, tutta bianca
l’alba sale il cielo azzurro…
corre un fremito, un sussurro
sulla terra non più stanca;
ogni fiore si ridesta,
gli uccellini fanno festa…
sorge a un tratto il sole d’oro:
bimbi ed uomini, al lavoro!
E. Bossi

Il fannullone
Oh! Che piacere – mangiare e bere
andare a spasso – e fare chiasso,
senza lavori – senza sudori
senza doveri – senza pensieri!
passare il giorno – … ma sbadigliando!
In conclusione
del fannullone,
qual è la gioia?
Morir di noia.
L. Schwarz

La fucina
Il mantice rifiata a più non posso
nella fucina e la fiammella balla,
sul mucchierello del carbone rosso,
con ali azzurre come una farfalla.
N. Vernieri

La scelta del mestiere
-Ho da scegliermi un mestiere-
pensa Piero tutto il giorno.
-Se facessi il panettiere?
Oh, ma scotta troppo il forno!…
Se facessi il muratore?
Ma il mestiere è tanto duro!
Forse forse il minatore…
Ma sta sempre giù all’oscuro!
Potrei fare l’imbianchino!
E se piglio il torcicollo?
Mi farò spazzacamino!
E se il tetto mi dà un crollo?
Ho da fare il macellaio?
No, del sangue ho un grande orrore!
E se andassi marinaio?
Ma del mare ho un gran terrore!
Così Piero tutto il giorno
per cercar la professione,
se ne va girando attorno
sfaccendato e bighellone.
Cerca cerca, il tempo passa
nulla impara e nulla sa
e se ora in ozio ingrassa,
come mai la finirà?
L. Schwarz

I bravi omettini
I due bravi omettini
han lasciato i balocchi.
Quattro manine d’oro
quattro lesti piedini
due vispe paia d’occhi
si son messi al lavoro.
Perchè ognuno è felice
perchè il lavoro è un gioco
la fatica allegria
quando la mamma dice:
-Aiutatemi un poco,
bravi bambini, via._
C. Del Soldato

Sveglia
Chicchirichì fa il galletto,
cì cì cì fa l’uccelletto,
din don dan fa la campana
sia vicina, sia lontana,
annunciandoci il ritorno
del radioso nuovo giorno.
Si alzan tutti a questo coro
e si avviano al lavoro;
si alza presto il contadino:
va nei campi dal mattino.
Si alza presto l’operaio:
la fatica lo fa gaio.
Si alza pure dal lettino
e va a scuola ogni bambino.
Resta solo nella culla
il piccin che non fa nulla.
L. Scardaccione

Girotondo del fannullone
Il lunedì, ch’è il dì dopo la festa,
o Dio, che ho il mal di testa,
non posso lavorar!
Il martedì mi siedo sulla soglia
ad aspettar la voglia
che avrò di lavorar.
Il mercoledì preparo i miei strumenti,
ma, ahimè, c’è il mal di denti,
non posso lavorar.
Il giovedì, che da così bel tempo,
davvero non mi sento
di andare a lavorar.
Il venerdì, ch’è il dì della passione
mi metto in devozione,
non posso lavorar.
Sabato sì ch’è proprio il giorno buono;
ma per un giorno solo
che vale lavorar?
D. Valeri

Anch’io lavoro
La formica innanzi giorno
va pei campi, va per l’aie
cerca, cerca d’ogni intorno,
fino a sera cercherà.
Ed il ragno, che si cela
fra le siepi e in mezzo ai rami,
cominciata ha la sua tela,
fino a sera tesserà.
E la rondine al mio tetto
fabbricando va il suo nico;
fino a sera durerà
nel lavor quell’uccelletto.
O formica, o rondinella,
lavorate, lavorate!
Anche questa bambinella
come voi lavorerà.
S. Dazzi

Il lavoro
Lavoro è zappare la terra,
battere il martello nella buia bottega,
guidare i treni veloci,
partire e tornare pei cieli;
lavoro è pulire le strade,
cuocere il pane,
curare chi soffre.
Ecco, ogni azione compiuta
per il bene di tutti è lavoro.
A. Ferrari

Il grillo vagabondo
Sono un grillo pellegrino.
pazzerello e canterino:
vivo libero e giocondo
saltellando per il mondo.
Salto sempre allegramente,
passo a volo ogni torrente,
salto un fosso, un campo, un muro
per cercar grano maturo.
Se non trovo la semente
salto i pasti indifferente,
salto anche il venerdì
un po’ pazzo sono sì.
Non mi piace lavorare
preferisco saltellare;
potrei fare il ballerino,
ma viaggiare è il mio destino;
mi diverte esser cantante,
ma per me, da dilettante.
Canto e salto tutto il giorno
ed a casa mai ritorno:
sono un grillo giramondo,
un eterno vagabondo.
Così vivere mi va,
per goder la libertà.
M. Argilli

L’omino dei gelati
Nel parco pubblico della città
è ricomparso alla fine di maggio
un simpatico e strano personaggio…
(Un uomo o un mago?
Nessuno lo sa!)
In giacca bianca e bottoni dorati
– tondo, rubizzo, giocondo all’aspetto –
spinge pian piano un grazioso carretto
su cui c’è scritto in azzurro “Gelati”.
Quel carrettino! Che grandi sospiri
quando nel parco compie i suoi giri!
I bimbi sognano di poter dire:
“Mi dia un gelato da mille lire!”.
Da quale strana terra incantata
è qui venuto quel caro omino
con le delizie del suo carrettino
fatte di crema e di panna montata?
Forse le fate della montagna
gli dan la neve pei suoi sorbetti:
forse nel regno della cuccagna
a lui, di notte, mille folletti
portan le essenze più dolci e strane
di miele, fragole, menta e banane.
Forse… (bambini sentite me)
del parco pubblico quell’uomo è il re!
Quando si chiudono tutti i cancelli
e buoni dormono bimbi ed uccelli,
sotto un gran platano il nostro ometto
si siede in trono sul suo carretto.
Il venditore di palloncini
a lui s’inchina con riverenza,
gli rende omaggio la diligenza
frenando il trotto dei suoi ciuchini.
E intanto ammiccano, là fra le rose,
le lucciolette lievi e curiose…
Ma chi può dirlo? Nessuno sa
chi sia davvero quel personaggio
ch’è ricomparso alla fine di maggio
nel parco pubblico della città.
V. Ruocco

La vocazione del perdigiorno
Vediamo un po’:
che mestiere farò?
Il meccanico no,
perchè ci si insudicia tutti
e così neri e brutti
e con la faccia scura
si fa brutta figura.
Vediamo un po’:
che mestiere farò?
Il falegname no,
perchè quando seghi di lena
ti fa male la schiena,
e quando pialli
ti vengono i calli.
Vediamo un po’:
che mestiere farò?
Il contadino no
perchè nella terra che è soda
la vanga s’inchioda,
e per bene zappare
bisogna faticare.
Vediamo un po’:
che mestiere farò?
Io proprio non lo so,
il sarto
lo scarto,
il cuoco
può scottarsi col fuoco,
il muratore
può sciogliersi in sudore,
il calzolaio poi non mi va giù
per quel puzzo di cuoio e caucciù,
e piuttosto di fare il parrucchiere
faccio un altro mestiere.
Ecco proprio non so
che mestiere farò.
Che non ci sia davvero
un mestiere leggero
in cui si possa stare
in pace a riposare?
A. Novi

La piccola massaia
Perchè mamma ha da finire
di stirare e di cucire,
dopo il pranzo la bambina
rigoverna la cucina.
Toglie l’acqua dal fornello,
mette i piatti nel mastello.
Poi asciuga le posate
chè non restino macchiate.
Ora mira quel che ha fatto
con il cuore soddisfatto.
Prende il libro e si dispone
a imparare la lezione.
R. Pezzani

Chi lavorò per la casetta?
Vien per primo il muratore:
calce e pietre egli ha portato.
Con che cosa ha lavorato?
Viene avanti un falegname
travi e porte, anche scalini
e finestre ha preparato.
Con che cosa ha lavorato?
Viene il fabbro: chiavistelli,
serrature e infin cancelli
mise a posto e preparò.
Con che cosa lavorò?
Non scordiamo l’imbianchino
e nemmen l’elettricista
e l’idraulico e il giardiniere:
tutti han fatto il loro dovere.
Ed infine dal mattino
la mamma cara e buona
rende linda ognor e gaia
la casetta, che risuona
di tua vita, o mio piccino.
T. Belforti

La macchina per cucire
La macchina cuce ronzando
via, rapida, sempre di più.
La stoffa si ammucchia frusciando,
su e giù vola l’ago, su e giù.
Che bella impuntura perfetta!
Han fatto un grembiule in un’ora:
la macchina allegra che ha fretta
la mamma che canta e lavora.
A. Lugli

La mietitrice
La mietitrice,
in mezzo al biondo grano,
canta e miete
con l’agile mano.
Miete e canta:
“O spighe tutte d’oro,
frutto di terra,
frutto di lavoro!”
Canta e miete:
“O morbidi covoni,
che date i pani
saporiti e buoni
a tutti i bimbi
ricchi e poveretti.
turgidi chicchi
siate benedetti!”
La mietitrice,
in mezzo al grano biondo
mietendo canta:
“Com’è bello il mondo!”

Piccolo pescatore
Lietamente batte l’onda
sulla sponda…
dallo scoglio un bimbo tende
l’amo e attende…
Fanno i pesci: “Oh lo sappiamo!
Quello è un amo”.
Ed al largo van nuotando,
canzonando.
Ma di luce è il cielo, e pare
cielo il mare.
Tutto lieto il bimbo pesca
l’acqua fresca.
L. Schwarz

Filastrocca dei mestieri
C’è chi semina la terra,
c’è chi impara a far la guerra,
chi ripara le auto guaste
e chi sforna gnocchi e paste.
C’è chi vende l’acqua e il vino,
chi ripara il lavandino,
c’è chi pesca nel torrente
e magari prende niente.
C’è chi guida il treno diretto
e chi a casa rifà il letto,
chi nel circo fa capriole
e chi insegna nelle scuole.
C’è chi recita, chi balla
e chi scopa nella stalla.
Così varia è questa vita
che la storia è mai finita.
Gianni Rodari

Per essere contenti
Diceva un’ape: “Ohimè che gran fatica
correr sempre su e giù di fiore in fiore;
d’ogni corolla sugger l’umore!
Di me ben più felice è la formica!…”
Diceva la formica: “Oh, che dannata
vita girare in cerca di alimenti
faticar sempre, vivere di stenti!…
L’ape, certo, è di me più fortunata…”
Da un ramo un uccellino che le udì,
modulò il canto e disse lor così:
“Sorelle, ognuno il suo destino porta
e l’invidia davver non ci conforta.
Un mezzo c’è per vivere contenti:
fare il proprio dover senza lamenti!”
G. Fabiani

Il vigile urbano
Chi è più forte del vigile urbano?
Ferma i tram con una mano,
con un dito, calmo e sereno,
tiene indietro un autotreno;
cento motori scalpitanti
li mette a cuccia alzando i guanti.
Sempre in croce in mezzo al baccano;
chi è più paziente del vigile urbano?
Gianni Rodari

Il mio vigile
Ad un angolo della città
il mio vigile fermo sta
impeccabile ed attento
a sorvegliare il movimento.
I veicoli che vanno
a un suo cenno fermi stanno
e anche i grossi torpedoni
fan la sosta buoni buoni.
E’ assai alto di statura
però a me non fa paura.
Quando gli passo sotto il viso
mi fa perfino un sorriso.
Mamma Serena (I libri del come e del perchè)

L’arrotino
O quell’ometto, con quel carretto,
che giri la ruota in quel vicoletto,
che giri la ruota tutto il dì:
pedali, pedali e sei sempre lì!
Gianni Rodari

Disoccupato
Dove sen va così di buon mattino
quell’uomo al quale m’assomiglio un poco?
Ha gli occhi volti all’interno, la faccia
sì dura e stanca.
Forse cantò coi soldati di un’altra
guerra, che fu la nostra guerra. Zitto
egli sen va, poggiato al suo bastone
e al suo destino,
tra gente che si pigia
in lunghe file alle botteghe vuote.
E suona la cornetta all’aria grigia
dello spazzino.
Umberto Saba

Cose utili
L’incudine e il martello
la lima e lo scalpello,
la pialla e il pialletto,
la lesina e il trincetto,
le forbici e il ditale,
e l’ago e l’agoraio,
la penna e il calamaio,
son per l’uomo cose d’oro
perchè servono al lavoro.
F. Dall’Ongaro

I mestieri
Il falegname dice:
“Io lavoro felice
il pioppo e la betulla.
Fo la madia agli sposi,
al bambino la culla
perchè sogni e riposi”.
Arriva l’arrotino
e si ferma ai cancelli
e chiama il contadino
che gli porta i coltelli,
le forbici, le scuri.
Tutti quei ferri oscuri,
invecchiati nei campi,
ora mandano lampi.
Il contadino dice
al bove che l’aiuta
e faticando tace:
“La stagione è venuta;
dobbiamo arar la terra”…
Com’è bella la pace!
Com’è brutta la guerra!
R. Pezzani

Il lavoro
I piccoli animali
fanno tutti un mestiere:
fanno il fabbro e l’artiere,
son sarti e manovali.
Il ragno tessitore
rifabbrica la tela,
che somiglia a una vela
su un mare di splendore.
La rana che si liscia
all’orlo del fossato
sta in guardia dall’agguato
che le tende la biscia.
Lo scarabeo al cantiere
rotola una pallina:
così come cammina
somiglia a un carrettiere.
E, se senti un scricchio,
e un passo nel fogliame:
se senti un falegname
che batte e pialla, è il picchio.
C’è tutto un gran fervore
c’è tutto un gran da fare:
perchè chi vuol mangiare
bisogna che lavori.
G. Porto

Il ferro
Come canta, stamattina,
il martello tuo, fuciina.
Il sagrato ne è percosso,
anche il cielo si fa rosso.
Con la cresta di corallo
l’accompagna, adesso, il gallo;
e anche il bue manda un muggito,
che da poco poco è uscito,
e il bifolco l’aia spazza
e si leva la ragazza.
S’è svegliata, già vestita,
la farfalla colorita
e risale sopra il coppo
del camino, poi sul pioppo.
La piazzetta tutta suona
e di stelle si incorona.
Rosso è il ferro come il cielo:
ecco, ha fatto fiore e stelo.
Lina Carpanini

Bellezza e lavoro
Disse l’ape alla farfalla:
Io t’invidio, o mia sorella:
tu sei libera, sei bella,
voli amabile tra i fiori;
mentre io son condannata
tutti i giorni ai miei lavori”.
Ma la vaga farfallina
le rispose assai gentile:
“Non aver, mia cara, a dire
più al lavor che alla beltà.
A te il miele; a me che resta
quando il verno tornerà?”
A. Alfani

I due vomeri
Un dì d’autunno un vomere
fattosi per lungo ozio rugginoso,
vide il fratel tornarsene
dai campi luminoso,
e domandò curioso:
“Sopra la stessa incudine
fatti, e d’un solo acciaio,
io son pieno di ruggine,
tu sì pulito e gaio:
chi mai ti ha fatto così bello?”
“Il lavoro, caro fratello!”.
C. Betteloni

Nel giardino
Nel bel giardino, sotto il sole d’oro,
un ragno tesse la sua tela fina
fra stelo e stelo; alla sua casettina
porta un chicco di grano, la formica.
Un’ape succhia il nettare di un fiore,
e, con voli felici, il suo nidietto,
fa un passero canoro sotto il tetto.
Una gallina insegna ai suoi pulcini
come si becca… Ognuno ha il suo lavoro
nel bel giardino, sotto il sole d’oro.
C. Betteloni

Il pastorello e il marinaio
Il pastorello guarda
l’immenso azzurro mare
e pensa: “Se potessi
io pure navigare
verso i lidi infiorati
d’eterna primavera,
correre sopra l’onde,
lottar con la bufera!”
Il marinaio guarda
la collina fiorita,
pensa: “Lassù fra il verde,
com’è bella la vita!
Lungi dalle tempeste,
nella casetta sola,
dove l’amor riunisce
la lieta famigliola”.
Dalla collina al mare
soffia leggero il vento,
e pensa: “Del suo stato
nessun uomo è contento”.
A. Tedeschi

Il tesoro
Quanto a tesori, un’altra se ne narra:
c’era una volta un vecchio contadino
che aveva il suo campetto e la sua marra
e tre figlioli. Giunto al lumicino
volle i suoi tre figlioli accanto al letto.
“Ragazzi” disse “vado al mio destino
ma vi lascio un tesoro, è nel campetto…”
e non potè più dir altro, o non volle.
A mente i figli tennero il suo detto.
Quando fu morto, quelli il piano, il colle
vangano, vangano, vangano invano
voltano al sole e tritano le zolle
niente! Ma nel raccolto, quando il grano
vinse i granai, lo videro il tesoro
che aveva detto il vecchio: era in lor mano.
Era la vanga dalla punta d’oro.
G. Pascoli

I seminatori
Van per il campo i validi garzoni
guidando i vuoi dalla pacata faccia
e, dietro quelli, fumiga la traccia
del ferro aperta alle seminagioni.
Poi, con un largo gesto delle braccia
spargon gli adulti la semenza, e i buoni
vecchi, levando al cielo le orazioni
pensa a frutti opulenti, se a Dio piaccia.
Quasi una pia riconoscenza umana
oggi onora la terra! Nel modesto
lume del sole, al vespero, il nivale
tempio di monti innalzasi, una piana
canzon levano gli uomini, e nel gesto
hanno una maestà sacerdotale.
G. D’Annunzio

Il pane
Il mulin, rombando, il grano
frange in candida farina
il fornaio la raffina
staccia, intride, a mano a mano;
cuoce poi nel forno ardente
gli odorosi bianchi pani
e li porge alle tue mani
oh, mio piccolo ridente.
V. Brocchi

Evviva ogni lavoro
La farfalletta vola
i bimbi vanno a scuola
il gatto fa le fusa
se sbaglio chiedo scusa.
La rondine è sul tetto
il cappellino metto
buongiorno buonasera
saluto anche una pera.
Grazie, per favore,
sorrido con amore
il cavalier cavalca
chi pesca è sulla barca.
Il pane fa il fornaio
tra i fiori sta il fioraio
fa i conti il ragioniere
le aiuole il giardiniere.
Fa gli abiti la sarta
e c’è chi vende la carta.
Cantiamo tutti in coro:
“Evviva ogni lavoro!”

Il minatore
Sempre giù nei regni oscuri
batto batto col piccone
ed al grembo della terra
strappo i blocchi di carbone.
Giù nel cuore della terra
nero nero e impolverato
compio lieto il mio lavoro
che parrebbe tanto ingrato.
Il bel sole non mi scalda
non mi allieta col suo raggio
ma nel cuore ho un altro sole
che ravviva il mio coraggio.
“Batti” dico “minatore
tutto il mondo è rallegrato
se riceve il buon calore
che il tuo braccio ha preparato”.
E la terra ti sorride
se la liberi dai doni
da millenni custoditi
per i figli tristi e buoni.
E. Minoia

Il ciabattino
Tira, tira, ciabattino
il tuo filo, ch’è impeciato
sarà lieto il fanciullino
che la scarpa hai risuolato;
sempre curvo sul bischetto
batti il cuoio col martello
poi lo tagli col trincetto
e lo rendi liscio e bello.
Suole e tacchi, canticchiando,
tu ripari attentamente
e i bambini, saltellando,
te li rompon nuovamente.
Taglia, impecia, tira, batti
fino a sera senza posa
ma i lavori saran fatti
e sereno poi riposa.
I piedini affonderanno
nella neve, asciutti asciutti,
ed un grazie ti diranno
di gran cuore, i bimbi tutti.
E. Minoia

Canzone del cuoco
Cuoco cuoco
cuoci un poco
nel tuo forno
grande e tondo
il buon pane
dall’odore
che rallegra
il nostro cuore.

Calzolaio
Io sono l’ometto
che fa il calzolaio
seduto al deschetto
lavoro e son gaio.
Se avete una scarpa
che è rotta e non va
portatela subito
portatela qua.

Il lavoro
Scuote la mamma
i panni al sole
spuntan già
le prime viole.
Batte il cuoio
il ciabattino
nel suo buio
sgabuzzino.
Zappa il babbo
la sua aiuola
mentre il bimbo
corre a scuola.

Falciatura
Taglia falce
spoglia il prato
dell’erbetta
che ci ha dato.
Presto un mato
indosserà
che più bello
ancor sarà.
Di fioretti
tempestato
e di aromi
profumato.
Taglia falce
su, t’affretta
già la mucca:
l’erba aspetta.
E la terra
liberata
della messe
che ci ha data,
lenta esala
sopra il prato
il respiro
suo beato.
E. Minoia

Semina
Nel silenzio del mattino
getta il chicco il contadino
getta il chicco, getta getta
alla terra che lo aspetta.
Gli gnometti nel profondo
si rallegran per il mondo
getta il chicco, getta getta
alla terra che lo aspetta.
Guarda il ciel benedicente
il cader della semente
getta il chicco, getta getta,
la semente è benedetta.

Il contadino
Porta sull’ampie spalle il suo fardello.
la zappa luccicante ed il piccone,
cammina fischiettando una canzone
mentre lo bacia in fronte il sol novello.
Sorride alla campagna circostante,
che lo vide ogni giorno alla stess’ora,
saluta con lo sguardo le sue piante
e il fertile terreno che l’onora.
Poi si accinge al lavoro con fermezza,
senza indolenze, senza un sol lamento:
passa tra l’erbe sussurrando il vento
che scompiglia i capelli e li accarezza.
A mezzogiorno, smette di zappare
per la parca, affrettata colazione;
poi ricomincia sotto il solleone
con maggiore entusiasmo a lavorare.
Finchè viene la sera… O contadino,
io t’ammiro e ti guardo con rispetto,
mi piace il fare tuo sincero e schietto,
che non conosce l’ozio cittadino.
R. Rippo

Gli attrezzi del contadino
Io son la zappa buona a dissodare
i terreni più duri e più sassosi;
l’erbacce e le radici so estirpare
e i luoghi incolti rendere ubertosi.
Ed io sono il rastrel dai forti denti
che rompon e sminuzzano il terreno,
ricoprono le piccole sementi
e, se tu vuoi, radunano il buon fieno.
E siamo noi le forbici e i coltelli
per ben potare e far gli innesti belli:
falci e falcetti siamo per segare
l’erba fiorita o il gran da macinare.
Sono l’aratro pio, grande e possente,
che col vomere smuovo il suol profondo,
che apro il diritto solco alla semente
del granoturco e del frumento biondo.
A. Cuman Pertile

Il lavoro
Lavoro, miei bimbi, sapete
che cosa vuol dire?
Guardatevi attorno: tutto il mondo
lavora.
Lavoro è zappare la terra
battere il martello nella buia bottega,
guidare i treni veloci,
partire e tornare pei cieli;
lavoro è pulire le strade,
cuocere il pane,
curare chi soffre.
Ecco: ogni azione compiuta
per il bene di tutti è lavoro.
Nel lavoro ognuno trova
la gioia;
e sol chi lavora è felice.
A. Ferrari

L’ape, la formica e il baco
Su un gelso s’incontrò un baco da seta
intento a mangiucchiare
le ghiotte foglie, con la vecchia amica
l’ape, in cerca di miele e la formica
affaccendata sempre ed irrequieta.
“Quanto, quanto daffare!”
diceva l’ape, “Ho tanto miele e cera
ancora da recare all’alveare
del mio vecchio padrone!
Ma godo sol pensando a quanto ghiotto
miele pei suoi piccini avrò prodotto”.
“E io qui sto facendo indigestione,”
soggiunse il bravo baco,
“per rendere più liete
le donne, con le mie lucenti sete.
Ma tu, cara formica,
che sempre intorno vai
con sì lunga fatica,
agli uomini che utile tu dai?”
E la formica: “Ciò che offro loro
è meglio di un tesoro:
l’esempio del lavoro.”
Favolello

Speranza dell’emigrante
Prende un sacco, bacia la terra,
va lontano e non va alla guerra.
Porta il picco come una croce
se parla, il pianto gl’incrina la voce.
Rottame vivo di beni distrutti
ha sulla faccia il bacio di tutti,
che, lui pensando, raccolti ogni sera,
musicheranno miseria e preghiera.
Grande è la terra, più grande il mare:
Dio solo sa se potrà ritornare
a rivedere suo figlio, perchè
in mezzo al mare una strada non c’è.
Solo il dolore egli avrà per compagno
e nella tasca di duro fustagno,
dentro la tasca più fonda e segreta,
la chiave nera e la poca moneta.
Con quella chiave egli vuole partire.
Senza speranza che vuole morire.
Chissà che un giorno approdando un naviglio
ritroverebbe, cresciuto, suo figlio
e la sua piccola donna nei bui
silenzi, desta, che prega per lui.
R. Pezzani

Pizzicheria
“Ettogrammo, chilo, mezzochilo,
cacio, burro, prosciutto, salame,
acciughe, salacche, baccalà…”
Sono voci del gergo
si questo virtuoso reame.
“Mi serve o non mi serve?
Ho tanta fretta!”
“Aspetti…”
“Mi dia retta.
Venga qua”.
S’infuria una servetta,
una s’acquieta.
“Il solito formaggio
ma con poca corteccia”.
E una sicura mano
apre una breccia nel parmigiano.
Molla e tira, tira e molla,
poca corteccia e di molta midolla.
Aver fretta ed aspettare,
pesare, tagliare, affettare,
entrare, andar via,
sono le note costanti
della quotidiana sinfonia
in una antica pizzicheria…
A. Palazzeschi

Tutti lavorano
Dice il cane:
io guardo la casa.
Dice il gatto:
io acchiappo i topi.
Dice il bue:
io tiro il carro.
Dice la gallina:
io faccio le uova.
Dice la mucca:
io do il latte.
Dice la pecora:
io do la lana.
Dicono gli uccelli:
noi cantiamo e facciamo festa a tutti.
Dice il bambino:
io gioco e vado a scuola.
M. Ciliberti

Ode al muratore tranquillo
Il muratore
dispose
i mattoni.
Mescolò la calce, lavorò
con la sabbia.
Senza fretta, senza parole,
fece i suoi moviemtni
erigendo la scala
livellando il cemento.
Lento andava e veniva
nel suo lavoro
e dalla sua mano
la materia cresceva.
La calce coprì i muri
un pilastro levò in alto
la sua nobiltà
e il tetto
frenò la furia
del sole esasperato.
Sa un punto all’altro
andava
con mani tranquille il muratore
rimovendo materiali.
E alla fine
della settimana,
i pilastri,
l’arco,
figli della calce, della sabbia,
della saggezza e delle mani
inaugurarono la semplice saggezza
e la frescura.
Pablo Neruda.

Nostro lavoro quotidiano

Se tu lavori
con la gioia nel cuore,
il lavoro non pesa.
se tu pensi
che il tuo lavoro
è un granello di sabbia che si aggiunge
a tutto il lavoro del mondo,
anche il lavoro più duro
è leggero.
Se tu pensi che l’ape
lavora, l’uccello lavora,
ogni essere del mondo
lavora,
tu ti senti creatura
del mondo in perfetta
armonia col creato. (A. Rosi)

Il più bel giorno

S’io facessi il fornaio
vorrei cuocere un pane
così grande da sfamare
tutta, tutta la gente
che non ha da mangiare.
Un pane più grande del sole,
dorato, profumato
come le viole.
Un pane così
verrebbero a mangiarlo
dall’India e dal Chili
i poveri, i bambini,
i vecchietti e gli uccellini.
Sarà una data da studiare a memoria:
un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia! (G. Rodari)

Il falegname

La pialla mormora, stride la sega
del falegname nella bottega,
spesso il martello picchia sonoro
e senza posa ferve il lavoro.
Il buon artiere non è mai stanco;
eh, quanti arnesi tiene sul banco:
lime, tenaglie, torni, succhielli!
E sceglie e adopera or questi or quelli.
I grossi tronchi prima recide,
indi paziente leviga, incide,
trafora il legno con precisione
e mille oggetti poi ne compone.
Ne fa balocchi, gabbie, utensili,
tavole e sedie rozze e gentili.

Il pastore

Sopra l’erbetta tenera
sta un pastorello assiso,
e il gregge suo che pascola
guarda con lieto viso.
A lui d’accanto mormora
il ruscelletto lieve,
quegli dell’acqua limpida
placidamente beve.
Quand’ecco vede sorgere
nube nel cielo oscura,
che in breve tempo ingombralo
e ispira a ognun paura. (G. Leopardi)

La bottega del fabbro

Dall’alba a sera, di settimana
in settimana, sopra l’incudine
come i rintocchi di una campana
suonano i tocchi del martel rude;
sulle stridenti braci il ventoso
mantice anela senza riposo.
I fanciulletti, che dalla scuola
tornano, all’uscio fermano il passo
e contemplando senza parola
stanno il martello, che or alto or basso
fuor della soglia correre a milla,
come la pula, fa le scintille. (G. Zanella)

Seminatore

Con gesto largo dell’esperta mano,
o contadino, semini il frumento,
sai che la terra non promette invano
e il viso hai serio e l’animo contento.
Sembra che brilli, nel suo volo, il grano
come se al sole lo spargesse il vento.
La bruna terra ride al colle, al piano,
ed ogni chicco te ne darà cento. (F. Socciarelli)

L’arrotino

Arriva l’arrotino
e si ferma ai cancelli
e chiama il contadino
che gli porti  i coltelli,
le forbici, le scuri.
Tutti quei ferri oscuri
invecchiati nei campi
ora mandano lampi. (R. Pezzani)

I pescatori notturni

Vengono al mar quando la luna accende
per gli spazi tranquilli il mesto vel;
vengono al mar quando la nebbia stende
le bianche braccia e lo congiunge al ciel;
portan la vela lacerata ai venti,
come stendardo che in battaglia errò;
portano remi e canapi stridenti,
che il nerbo delle braccia affaticò;
e sulla tolda silenziosa e bruna
restan le lunghe notti ad aspettar,
ad aspettar sotto la fredda luna
che il pan dell’indomani apporti il mar. (E. Praga)

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