Dettati ortografici – Giugno

Dettati ortografici sul mese d giugno

Il sole si affaccia all’orizzonte e spande la sua luce sulla terra e nel cielo. Illumina le cime dei monti, le punte dei campanili, i tetti delle case. Getta un tappeto d’oro sui campi e mille scintille sulle acque del mare, dei laghi, dei fiumi. I galli annunciano il nuovo giorno e le campane squillano. Il contadino, di buon’ora, si avvia nel campo, ove l’attende il suo lavoro. L’aria, già calda al mattino, annuncia una giornata afosa.  Le cicale iniziano presto il loro grido insistente e, quando i bambini si svegliano, il sole, già alto nel cielo, entra nelle case a portare luce, salute, allegria. (M. Menicucci)

Carlo è felce quando può correre per i prati col suo cane. Mentre Bobi scappa avanti, Carlo si butta a terra, fra l’erba alta. Il cane si ferma e si gira di scatto: alza il muso, drizza le orecchie e poi, via! Con un balzo è sopra al suo padroncino e tutti e due rotolano insieme. Il bambino strilla e ride: il cane uggiola di gioia.

I contadini sotto il sole di giugno raccolgono i covoni di grano. Il loro viso scuro riluce di gocce di sudore, ma instancabili continuano il lavoro.  Un uccellino, in un prato accanto, si ferma un momento a guardare, poi continua, in un lieto cinguettio, a insegnare ai suoi piccoli a volare.

E’ arrivato giugno col sole caldo, con i temporali estivi e con i primi frutti succosi. Nelle belle giornate il sole si leva prestissimo e risplende per ore ed ore. Ai bambini piace attardarsi all’aperto fino al suo tramonto e salutare l’arrivo della sera con giochi e grida festose.

I prati sono verdi e nei campi biondeggia il grano. Di sera si vedono piccoli lumini vagare piano piano qua e là: sono le lucciole, che i bimbi talvolta rincorrono, felici di potere stringere un po’ di luce. Gli alberi sono folti di foglie e donano la loro ombra benefica. In campagna c’è molto lavoro ed i contadini si preparano per la fatica della mietitura. Anche i bimbi si preparano per la loro ultima fatica dell’anno scolastico e sperano di potere portare a casa una bella promozione.

Giugno, mese di spighe, ricco di sole e di feste, apre con chiavi d’oro le porte dell’estate. Il sole avvampa; le spighe diventano d’oro; i fiori hanno i colori più belli; alcuni petali ricordano lo splendore delle pietre preziose. Stridono le cicale; erra laboriosa l’ape; lampeggiano le falci; suda sui libri lo scolaro. Per chi ha ben lavorato, è l’ora del raccolto. (L. Rini Lombardini)

Giugno è il mese dei prati erbosi e delle rose; il mese dei giorni lunghi e delle notti chiare. Le rose fioriscono nei giardini, si arrampicano sui muri delle case. Nei campi, tra il grano, fioriscono gli azzurri fiordalisi e i papaveri fiammanti e la sera mille e mille lucciole scintillano fra le spighe. Il campo di grano ondeggia al passare del vento: sembra un mare d’oro. Il contadino guarda le messi e sorride. Ancora pochi giorni e raccoglierà il frutto delle sue fatiche. (G. Carducci)

Sera di giugno. La luna doveva già essere alta dietro il monte. Tutta la pianura, allo sbocco della valle, era illuminata da un chiarore d’alba. A poco a poco al dilagare di quel chiarore, anche nella costa cominciarono a spuntare i covoni raccolti in mucchi, come tanti sassi posti in fila. Degli altri punti neri si muovevano per la china, e a seconda del vento giungeva il suono grave e lontano dei campanacci che portava il bestiame grosso, mentre scendeva passo passo verso il torrente. Si tratto in tratto soffiava pure qualche folata di venticello più fresco dalla parte di ponente e per tutta la lunghezza della valle udivasi lo stormire delle messi ancora in piedi (G. Verga)

Giugno. I giorni succedevano ai giorni. Il sole descriveva un arco sempre più vasto nel cielo, il pomeriggio  si faceva di giorno in giorno più ardente, il fogliame si addensava sulle piante, il grano ingialliva nei campi, la vite e l’ulivo fiorivano profumando l’aria, e al loro odore si mescolava quello delle cantaridi verdi e dorate; gli uccelli tacevano, acquattati sulle uova dei nidi; la notte le lucciole uscivano di tra le spighe ancora acerbe, imitando nel buio lo stellato del firmamento. L’ultimo spicchio ranciato della luna calante si dondolava riflesso nell’acqua nera e cheta, simile a una barchetta di foglio dorato dimenticata lì da qualche bambino. Un coro di ranocchi al quale si mescolava la voce più chioccia di qualche rospo malinconico, si alzava ogni tanto con impeto lirico su dal pacciame, subitamente interrotto dal più leggero rumore che facesse il vento tra i giunchi e i salici della proda, o qualcuno che passasse nelle vicinanze. (A. Soffici)

Ai ultimi di maggio il cielo impallidì e perdette le nuvole che aveva ospitate per così lungo tempo al principio della primavera. Il sole prese a picchiare e continuò di giorno in giorno a picchiar sempre più sodo sul giovane granoturco finchè vide ingiallire gli orli d’ogni singola baionetta verde. Le nuvole tornarono, ma se ne andarono subito, e dopo qualche giorno non tentarono nemmeno più di tornare. Le erbacce si vestirono di un verde più scuro per mescolarsi alla vista, e smisero di moltiplicarsi. La terra si coprì di una sottile crosta dura che impallidiva man mano che il cielo impallidiva… Nei solchetti scavati dall’acqua la terra si sgretolò in rigagnoli di polvere minuta, tosto percorsi da innumerevoli processioni di formiche e  di formiconi. E sotto le sferzate ogni giorno più crudeli del sole le foglie del giovane granoturco perdevano la loro baldanza e la loro durezza; s’inchinavano, dapprima, e poi man mano che s’infiacchiva la loro colonna vertebrale, si prostravano. E venne il giugno, e il sole diventò selvaggio; le strisce brune sulle foglie del granoturco si estesero dagli orli fino a toccare le colonne vertebrali. Le ortiche si sfrangiarono, si raggrinzirono, invecchiarono. L’aria era afosa e il cielo sempre più pallido e di giorno in giorno la terra incanutiva. (J. Steinbeck, da “Furore”)

Le api irrequiete e vivacissime passavano dall’uno all’altro fiore, facendo bottino di polline e di nettare; le vespe andavano tagliando coi loro strumenti da falegname il legno per fabbricare la loro carta; i neri calabroni rodevano le corolle per cavarne fuori stami e pistilli. Un mondo di piccoli coleotteri mangiava allegramente i petali e ognuno di essi aveva scelto il suo fiore prediletto. Mi fermai dinanzi a un cespuglio di rose, mi fermai a lungo: molti bruchi verdi e gentili rodevano il margine delle foglie, mentre le tenere gemmette erano tutte quante coperte da afidi che ne cavavano il succo. Intanto una formica correva frettolosa dall’uno all’altro di quei piccoli animalucci, eccitandoli a secernere quell’umore di cui le formiche sono tanto ghiotte. In una aiuola di narcisi fioriti era un andare e un venire di farfalle di ogni colore che leggere leggere passavano d’una in altra corolla, succhiandone il miele. Quanto brulichio, quanto movimento, quanta attività!

Giugno è il mese che sta nel mezzo dell’anno come un trionfatore. Ora grano ora frutta, ora splendidi fiori e piante aromatiche, ora canto di uccelli e di insetti notte e giorno. Nei buchi delle mura le rondini hanno posato il nido, e da quello l’uccello implume si affaccia tentando il volo. Una vita immensa e tenace si è sparsa su tutta la terra. Tra le fratte di lentisco e di mirto scivolano le lucertole e i ramarri, saltano i grilli e volano come frecce gli uccelli. Su tutto le cicale cantano battendo il tempo minuto per minuto, e il loro canto dura fino a notte, quando nei campi l’opera del contadino non  è ancora terminata. (C. Alvaro)

Al principio di giugno, una sera, improvvisamente, scorgo una lucciola, poi altre due o tre, stelle avventurose e solitarie che fluttuano nell’aria chiara, come se navigassero sulla cresta di un’onda, o facessero la riverenza. Le loro minuscole luci s’accendono e si spengono secondo il ritmo del volo. A prenderne una sul palmo della mano sprigiona un bagliore strano, un messaggio misterioso, un piccolo alone verde pallido. La sera dopo, nei boschi, se ne trovano a centinaia. Per un motivo a noi ignoto restano sempre circa un metro da terra. Vien fatto di immaginare che un branco di ragazzi sui sei o sette anni, stia correndo per la foresta buia con candele o bacchette accese ad un fuoco magico, saltando allegramente, inseguendosi a balzelloni, roteando in segno di festa le piccole torce chiare. I boschi si riempiono di vita sfrenata e gioconda, mentre tutto è silenzio perfetto. (K. Blixen)

Era il colmo di giugno. In quei giorni le cicale emerse dalla terra salivano sugli ulivi a togliersi gli scafandri, ad asciugare le ali. I sole alto, quasi a piombo, cuoceva la terra. Ed ecco da un orifizio sotto un pino uscir fuori a uno a uno tanti piccoli caratteri simili a minuscoli 8, a impercettibili 3: erano le formiche brune. S’affaccendavano in piena luce a spiare indecise, quasi cieche, agitando i fili delle antenne. Subito, da un’aiuola spuntavano altre piccole formiche,  si incontravano, si annusavano; riprendevano di corsa verso una sola direzione, aggiravano un ciottolo, il pino, scansavano la ronda, s’introducevano nell’orifizio. Allora cominciarono a venir fuori tutte: a una, a due, a dieci, venti scaturivano fuori pigiandosi, accavallandosi l’una sull’altra; tutte, i maschi, i vecchi, le grosse regine, le ancelle: non finivano più, s’addensavano in masse, facevano circolo, si disponevano in file… (F. Tombari)

Giorgio ha un cartoccio di ciliege: sono rosse, lucide e succose. E’ proprio vero                                                                                                      che una tira l’altra: basta infatti che ne afferri una, perchè si formi dietro a quella tutta una fila. “E’ il frutto che mi piace di più”, dice Giorgio convinto. Ma ripeterà così anche quando assaporerà le prime albicocche della stagione nuova, le prime pesche, le prime prugne, le prime pere.

I papaveri hanno invaso il campo di grano. Sono un esercito. I soldatini indossano la camicia rossa e non fanno male a nessuno: la loro spada è una spiga. Il vento li agita: i soldatini sembrano correre nel campo conquistato. Quando poi il vento tace, ogni papavero si attarda al margine del solco col fiordaliso, suo compaesano, che indossa la tuta azzurra dell’operaio. (N. Salvaneschi)

“Buongiorno!” frinisce la cicala, appena il sole fa capolino dietro la foglia che le fa da cassa. “Buongiorno!”. Anche le formiche salutano la luce che filtra fra le erbe del prato; ma hanno una vocina sottile e nessuno le ode. “Buongiorno!”. Api, farfalle, calabroni, coccinelle, salutano il sole nascente con i loro ronzii, col battito delle loro ali, col fremito delle piccole elitre. In breve, da tutta la campagna, si leva un coro: “Buongiorno, oh sole!” (N. Oddi Ozzanesi)

 

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Dettati ortografici MAGGIO

Dettati ortografici MAGGIO – Una collezione di dettati ortografici sul mese di maggio, di autori vari, per la scuola primaria.

Maggio, bel maggio, maggio amor dei fiori! Ogni pianta, a maggio, ha il suo fiore, ed ogni fiore farà il seme e il seme darà la vita a una nuova pianta.

Maggio è forse, il più bel mese dell’anno. Tutte le piante sono in fiore, qualche albero già prepara il suo frutto. Il grano ha messo il suo fiorellino. Il cielo è quasi sempre azzurro, la temperatura è mite, il sole splende e manda i suoi raggi a riscaldare la terra.

Quante rose a maggio! Rose semplici con cinque petali,  rosi grandi, doppie, rose rosse, rosa, bianche, gialle. Rose nei cespugli, arrampicate sui cancelli, rose nei giardini e sulle siepi.

Sopra il muretto del giardino fa capolino una rosa. E’ una rosa rossa, profumata, che si dondola nell’arietta tiepida. Bella rosa,  tu sei la regina di maggio!

Il grano ha fatto la spiga. E’ ancora una spiga verse, senza granelli, ma presto diverrà piena, pesante e sotto il sole caldo sarà tutta d’oro. E’ il pane di domani.

Fra il grano verde c’è tutto uno sfarfallio di rosso: sono i rosolacci che crescono fra le spighe. E fra i rosolacci c’è anche qualche macchia azzurra: sono i fordalisi che hanno il colore del cielo di maggio.

Fra i rami del ciliegio già rosseggiano i rossi frutti che sembrano tanti cuoricini appesi ai rami. Le ciliege sono buone, piacciono ai bambini, ma piacciono anche ai passeri che vanno a beccarle, golosamente.

Le rose sono sbocciate. Fioriscono sulla siepe, sui cespugli, sui muri. La rosa è la regina di maggio. Tutta l’aria è piena del profumo delle rose.

Ancora una! Ancora un’altra! Invincibile tentazione… La ciliegia ride scaltra: mangia, mangiami, ghiottone!

Le rose fioriscono sulle siepi, nei giardini, nei vasi che si tengono sui davanzali. Sono rose rosse dai petali di velluto, rose di color rosa come le guance dei bambini, rose bianche come la cera, che stanno bene sulla tavola apparecchiata.

Maggio è il mese delle rose e ogni pianta di rosa mette il suo bocciolino e fa sbocciare il suo fiore profumato.

Maggio è il mese più bello dell’anno. La campagna è piena di fiori, le spighe diventano dorate, il  cielo è azzurro e solo qualche nuvolone bianco, talvolta, vi naviga lento.

Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e afferrano al volo fiocchi di bambagia e di lanuggine per fare il nido più morbido e caldo.

 Com’è bello il mese di maggio! Quanti fiori, quante rose! Si sente una gran gioia nel cuore, un gran bisogno di correre e di saltare all’aperto, di respirare l’aria pura a pieni polmoni. (G. Ugolini)

Maggio è il mese più bello dell’anno: la campagna è piena di fiori, le spighe sembrano  un mare verde, il cielo è azzurro e il sole caldo, ma non ardente. Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e afferrano, a volo, fiocchi di bambagia per fare il nido più morbido e più caldo. (G. Vaj Pedotti)

Dai folti e verdi cespugli, le rose mandano il loro intenso profumo nell’aria scossa dai dolci rintocchi delle campane. Trionfo di giovinezza e di colori, di fiori e di sole. I ciliegi piegano i loro rami gremiti di frutti vermigli; i bambini, chini sui libri per l’ultima fatica,  guardano invidiosi i garruli voli delle rondini e le danze delle farfalle in pieno sole. Di maggio la gioia canta anche tra le ombre notturne: sotto il cielo inghirlandato di stelle, l’aria è densa di molti profumi e di armoniosi pigolii. L’albero del melo, ultimo a fiorire nell’orto, si ingemma, tra le corolle bianche venate di rosso, di vivide lucciole. (L. Rini Lombardini)

Maggio è il mese in cui più attivo e quasi febbrile si fa il lavoro: nel campo continuano le sarchiature e si iniziano le rincalzature e i trapianti, mentre nei prati comincia la falciatura delle erbe foraggere; si vedono vigne ordinate, orti sistemati con arte e pazienza. Il grano è ormai alto e in qualche luogo si comincia già a vedere la spiga e si odono i canti dei contadini al lavoro: è la primavera che fa cantare gli uomini mettendo loro la gioia nel cuore.

A maggio l’orticello è una bellezza. L’insalatina ha disteso il suo tappeto di un verde tenero. Le cipolline, a due a due, fanno compagni alle piante che ingrossano sottoterra. I piselli dall’alto della pianta mostrano i baccelli già maturi che si nascondono tra le foglie. Il prezzemolo, la salvia, il basilico confondono i loro odori: e su per il muricciolo le piante dei fagioli a fiori bianchi e rossi. Intanto in un angolo, tra le foglie, le fragole sono già mezzo rosseggianti. Una capinera sulla cima di un gran pesco canta ai piccini la canzone di maggio. (Bollini)

A maggio i giardini sono tutti in fiore, sono tutti una festa di forme, di colori, di profumi. Le rose sono le grandi regine: rose rosse, bianche, gialle; rose dai petali vellutati, rose ancora in bocciolo, rose tutte fiorite, che piano si sfogliano, esalano nell’aria il loro profumo e, un poco superbe, si difendono con le spine. I giacinti bianchi, azzurri, rosei, color lilla levano gli steli robusti e portano fiori fitti fitti. Gli anemoni hanno tinte così vivaci che tutta l’aiuola sembra un invito alla gaiezza. Sul muro, dove cresce rampicante, già odora il delicato gelsomino e i gigli sono già alti, già mostrano al sommo i boccioli duri, ancora un poco verdastri, da cui presto sbocceranno i fiori dal purissimo candido colore.

Non c’è rosa che a maggio non sbocci: rose grandissime nei giardini, fortemente profumate, semplici rose di siepe che subito si sfogliano. Ce ne sono di tanti colori, dal rosso così cupo che sembra quasi nero, al bianco così candido che sembra neve. E tra questi due colori, tutte le tinte, dal rosa camicino al giallo zafferano, dal rosso violento, al bianco cereo. Rose nei giardini, nelle siepi, nei cespugli, rose ad alberello, a spalliera, rose rampicanti che arrivano sul tetto. E profumi d’ogni intensità. (M. Menicucci)

E’ bello sostare sul prato di maggio. Il profumo dell’erba novella e dei fiori freschi ti riempiono di fragranza: la vista delle pecore mansuete che brucano e il pastore che zufola o intaglia ti allieta e ti fa amare la vita. Bisogna sostare sul prato di maggio per temprarsi le membra e per rinfrancarsi l’anima. Questo è il mese più adatto. Beato chi se lo può godere sui prati fioriti e festosi. (G. Fanciulli)

Era il mese di maggio. Ed era così sull’imbrunire. Il vecchio pastore, sdraiato sull’erba, guardava le sue capre, tutte raccolte entro il cerchio di pietroni che, là, a mezza valle, servivano per l’addiaccio dei greggi migranti. Alcune dormivano già; altre, accosciate, volgevano il capo, tendevano il muso pigramente di qua e di là, a fiutare gli odori della sera; poche erano ancora in piedi, ma tranquille, mansuete, e come attonite nell’incantata immobilità dell’aria azzurra, venata d’oro. Il cane spinone, fatto il suo ultimo giro, veniva ora ad accucciarsi ai piedi del padrone, fissandolo coi suoi caldi occhi d’ambra e d’amore.

E’ spiovuto. La natura è tutta fresca, raggiante. La terra sembra assaporare con voluttà l’acqua che le dà la vita. Si direbbe che la pioggia ha rinfrescato anche la gola degli uccelli. Il loro canto è più puro, più vivo: tutto uno squillo. Vibra a meraviglia nell’aria, divenuta anch’essa tutta sonora. Gli usignoli, i fringuelli, i merli, i tordi, i rigogoli, i reattini cantano a gara, come pazzi di gioia. Lo strillo di un’oca, stridulo come trombetta, accresce, per contrasto, l’incanto. Innumerevoli meli fioriti appaiono, di lontano, sfere di neve. I ciliegi, candidi anch’essi, scattano su in piramidi o si spiegano in ventagli di fiori. A volte, gli uccelli sembrano come intesi a produrre quegli effetti d’orchestra, in cui tutti gli strumenti si confondono in una massa di armonia. (T. Gautier)

Al crepuscolo appaiono i pipistrelli, razziatori di insetti notturni dal volo rapido, fulmineo. Il grillo tenta i suoi primi accordi che dureranno intensi e continui tutta la notte. I ranocchi iniziano i loro notturni richiami mentre la lucciola, accesa la sua lampada,  perlustra le rive in cerca di lumache. L’aria si fa fresca: la rugiada scende a ristorare animali e vegetali; le stelle guardano dagli alti silenzi del cielo. E’ la notte. (P. Segnali)

In maggio si fa il primo taglio dell’erba per ottenere il fieno maggengo. L’erba dei prati è alta e basta un soffio di vento perchè si pieghi, scompigliandosi. Farfalle e api volano di fiore in fiore in cerca di nettare. Poi un mattino il contadino falcia il prato. In pianura, dove i prati sono vasti, si adopera la falciatrice, una macchina; in collina e sulle montagne, nelle zone non troppo alte, coltivate, dove i prati sono irregolari, talvolta su pendii ripidi, il contadino adopera la falce. Ogni tanto l’affila… L’erba viene recisa, stride, cade e vien lasciata seccare. Cadono anche i fiori, grandi e piccini e, seccando, perdono i loro bei colori, si fanno spenti, quasi grigi. L’erba diventa fieno e quando il fieno è ben asciutto, viene ammucchiato con i rastrelli e raccolto sui carri.

A maggio la spiga è già formata; la piantina si alza esile e diritta con le foglie strette, verdi. E’ così dritta perchè i chicchi non sono ancora maturi. Osserviamoli: sono molli, bianchicci, lattiginosi. Ci penserà la terra con i suoi umori che le radici della piantina succhiano continuamente a renderli grossi, gonfi, turgidi, e il sole, che si fa sempre più caldo, a renderli dorati. Allora, nel mese di giugno, la spiga non potrà più tenersi diritta, si curverà, contenta, per il peso dei chicchi.

Tutto il grande campo di grano color verderame era zeppo di spighe diritte; lassù, nel cielo azzurro, c’era il sole raggiante e tutte le allodole cantavano dallo spuntare dell’alba fino a sera. Dopo il tramonto, la rugiada cadeva dolce come un’onda rinfrescante sul grano infiammato dal sole e la grande luna d’oro splendeva mitemente sui campi che maturavano. (G. Joergensen)

Con gli uccellini che frequentano a primavera inoltrata il  vecchio pino dell’orto credo che si potrebbe popolare un bel boschetto. Dall’alba all’ora di notte un turbinio continuo d’ali e un solo clamore di vocine forti, brevi e pungenti, sempre di una misura. Passeri, certo; e devono convenire qui da tutte le grondaie del vicinato come bambini in un giardino pubblico. Però tra loro c’è anche qualche uccello forestiero, venuto chissà da dove; questo che gracida asprigno a modo di raganella, quest’altro che tenta un gorgheggio d’acqua sorgiva, o quest’altro ancora che cigola acuto e monotono. Lanciano ogni tanto il loro verso strano tra l’interminabile gridio dei passeri, ma subito tacciono, sopraffatti e confusi. (Diego Valeri)

A maggio non basta un fiore! Ne vuole tanti sulla siepe, sui cespugli, nei prati, fra le fessure dei muri. Tutto è in fiore a maggio: la pianta curata dal giardiniere e la piantina che si sforza di crescere sul bordo della strada. La fioritura a maggio è legge per tutte le piante. Perchè una pianta nasce, cresce, si nutre? Per fiorire, per obbedire alla gran legge della natura. Credete che il fiore sia soltanto bellezza? Se fosse così, la pianta potrebbe forse farne a meno. Invece no, deve fiorire per preparare il seme. Deve pensare alla discendenza, e suo dovere è quello di far sbocciare il gran fiore e il minuscolo fiore di campo che solo un’ape operosa conosce. (M. Menicucci)

Ora che siamo in maggio e le rose sono tutte in fiore, nell’aria si sente un gran brusio. Le api vanno e vengono frettolose, infaticabili; e sembrano d’oro nel sole d’oro. Vanno a fare il loro bottino di polline e di nettare nei calici dei fiori che portano alle loro casette, dove lo trasformano in cera e in miele, il bel miele biondo in cui pare siano racchiusi tutti i profumi e tutta la luce di un giorno di primavera. (G . Zanetti)

Maggio è il mese più bello dell’anno. La campagna è piena di fiori, i campi di frumento sembrano un mare verde, il cielo è azzurro e il sole caldo, ma non ardente. Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e cercano e afferrano a volo fiocchi di bambagia per rendere il nido più morbido e caldo. (M. Menicucci)

Maggio si presenta inghirlandato di rose. Non vi è giardino che non offra al nostro occhio la splendida fioritura della regina dei fiori. Rosse, ardenti come il fuoco, scarlatte come i tramonti sereni, rosa come pallide aurore, bianche come le nevi splendenti dell’inverno, gialle carnicine, le rose presentano una ricca tavolozza. La primavera vi attinge i colori più belli per dipingere i sogni dei bambini felici. (G. G. Moroni)

Tutto è in fiore a maggio. La pianta ha atteso tanti mesi, ha succhiato l’umore della terra, ha respirato tanto ossigeno dall’aria, si è fatta grande, robusta, bella. Perchè? Per dar vita al fiore. E’ venuto maggio e il fiore è sbocciato. Gli insetti sono accorsi, hanno succhiato, ingordi, il dolcissimo nettare e, così facendo, hanno trasportato il polline da un fiore all’altro. Il miracolo si è compiuto. Il fiore diventerà frutto, seme, vita! E maggio, ridente e rigoglioso, passa sui campi, sui giardini, sulle siepi e dappertutto lascia un fiore, il profumato segno del suo passaggio. (M. Menicucci)

Maggio è il mese dei nidi, le piccole case degli uccelli. Forse ci domandiamo come le piccole creature alate riescano a costruire case tanto perfette. Il fatto è che più che con le ali, con il becco e con petto, gli uccelli costruiscono il loro nido con il cuore, perchè è destinato ad accogliere i loro piccoli nati. Essi amano i loro figlioletti ancora prima che nascano: come le mamme ed i papà di tutti i bimbi che vivono sulla terra. (G. G. Moroni)

Maggio è forse il più bel mese dell’anno. L’aria è tiepida e profumata, i prati sono fioriti, le siepi non mostrano più i loro rami spinosi. Gli uccellini gorgheggiano. E’ ora di fare il nido. E se talvolta qualche nuvolone soffice e candido vela l’azzurro del cielo, è un broncio che passa presto: il cielo torna subito a sorridere. (M. Menicucci)

Nelle risaie a maggio  incomincia la monda. I campi si sono riempiti di erbacce ed è necessario strapparle perchè non danneggino gli steli preziosi. E’ un lavoro pesante, che obbliga a stare per parecchie ore chini, con le gambe immerse nell’acqua. Per lo più viene espletato da giovani donne reclutate per questo lavoro nelle regioni vicine. (G. G. Moroni)

La rosa è celebrata tra i fiori come la regina della bellezza. Nella rosa c’è tutto: forma, colore, odore. Anche gli altri fiori sono belli: non esiste un fiore brutto, ma nessuno è bello come la rosa, bello e perfetto. A qualche fiore, che pure sopravanza la rosa per bellezza, manca il profumo; a qualche altro che ha un soave profumo, manca il colore. Qualcuno ha un odore acutissimo, ma un aspetto modesto: solo la rosa è perfetta, completa, regina. (M. Menicucci)

Una nota di rosso tra il verde delle erbe e delle foglie: sono le ciliegie che abbiamo guardato maturare, pregustando la gioia di coglierle. Se ne sono accorti i passeri, che vanno a beccare golosamente le palline pienotte e rilucenti per essere i primi a godere della primizia. Vorremmo seguire il loro esempio, ma noi… non abbiamo le ali. (G. G. Moroni)

La campagna è tutta in fiore. Gli alberi si sono ormai rivestiti di foglie, il grano è già alto e fa la spiga. Sulle siepi sbocciano le rose selvatiche, di un colore delicato e gentile. Maggio è, forse, il più bel mese dell’anno. (M. Menicucci)

Maggio è il mese delle rose e delle fragole. Negli orti prorompono i piselli, le fave, le prime zucchine, e spandono i loro aromi casalinghi e buoni il prezzemolo, il basilico, la salvia, la maggiorana. Ronzano le api. le cetonie. le libellule. le coccinelle: tutti gli insetti, insomma. che sembrano gioielli smaltati che volano. (F. Palazzi)

Gli alberi hanno perduto tutti i loro fiori. Ma se guardate attentamente fra i rami, al posto dei fiori vedrete certi piccoli frutti verdi, duri, che chiedono solo un po’ di sole e un po’ di caldo per diventare grossi, morbidi, succosi. Il fiore è bello, ma il frutto è bello e buono e ognuno di essi ha la sua stagione. (M. Menicucci)

Mattino di  maggio. A poco a poco le stelle si spengono nella luce del giorno nascente, il cielo luminoso s’inarca, piccole palle di nuvole volano alte nella luce; nuvolette rosee e tonde sopra gli oscuri corpi dei monti. Anche gli uccelli si mettono a cantare, cinciallegre e zigoli; tutt’ a un tratto c’è una quantità di uccelli fra i rami dei cespugli. Altri s’innalzano dai campi; le loro piume improvvisamente s’accendono nella luce; cantano, ricadono a terra. Poi il sole alza il suo capo abbagliante sopra la montagna e incede maestoso, e tutta la vastità del cielo si riempie del suo splendore, cielo e terra. (K. Waggerl)

Fiori di maggio. I contadini hanno approfittato dei giorni asciutti per tagliare il maggese; il frumento s’è legato alto, mettendo la spiga: ai lati delle strade ha fatto ritorno la capricciosa ombra delle robinie; e ogni albero di gran fruscio palpita, frulla, cinguetta, per via degli uccelli indaffarati a preparare  i nidi. Che respiro, che gioia, quando maggio sta per entrare in giugno… Rose ne trovo dovunque; ben condotte lungo fili di ferro sui muretti delle casine rustiche, ben curate negli orticelli, fra le lattughe, i porri e le camomille: quasi tutte di quel roseo vinoso proprio delle vere rose di maggio, che tengono sempre, ronzante tra i petali, una cetonia vorace. Il loro odore si mescola a quello dei fieni di fresco recisi, riposanti in ondulate strisce sui prati nell’attesa di venir raccolte sui carri; e ad un altro, che non so definire, di polvere della strada, di siepi selvatiche, di more acerbe, di snelli corpi infantili in corsa: di terra, d’aria, di sole: non so. (A. Negri)

Comincia a far caldo. Il sole si alza sempre più presto e tramonta sempre più tardi. L’aria è piena di profumi. E’ la festa dei fiori e della loro regina che è la rosa.  Le spighe del grano già ondeggiano e si piegano sotto il peso dei chicchi. Le viti sono fiorite e cominciano a mettere in mostra i grappoli ancora acerbi.
Talvolta si ode brontolare il tuono e scoppiano improvvisi i primi temporali. (S. Pezzetta)

Nessun mese è così verde e così fiorito come il dolce mese di maggio. L’erba è già alta, piena di fiori, di profumati odori, di api, di vespe, di calabroni, di grilli, di coccinelle. Pare che il prato parli, danzi e canti. Ma, soprattutto, il campo è in gran lavoro. Tutte le piante sono coperte di foglie, che catturano i raggi del sole, fabbricano zucchero e lo spingono verso i mille e mille piccoli frutti verdi che devono maturare.
Le ciliegie rubizze, le profumate fragole sono già mature. Sugli alberi dei frutteti e dei boschi sono nascosti mille nidi, ove le madri covano silenziose. E tutta la campagna canta. (M. Comassi)

Dettati ortografici MAGGIO – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici APRILE

Dettati ortografici APRILE – Una collezione di dettati ortografici (difficoltà miste) sul mese di aprile, per la scuola primaria.

Aprile
Prati verdi, agnellini saltellanti, uccelli che preparano il nido amorosamente, ruscelli canori che scorrono tra sponde fiorite, lucertole che si scaldano al sole, farfalle dalle ali screziate: ogni cosa graziosa e gentile allieta questo mese, che è uno dei più belli dell’anno. “Aprile dolce dormire” dice il proverbio, ed è anche vero; ma è dolce anche vivere in questo mese. Talvolta piove, sì, “aprile ogni giorno un barile”,  ma è pioggia benefica. I campi, gli orti, i prati se la bevono con avidità. Gli alberi hanno indossato il vestito nuovo di fronde tenere e verdi e se ne compiacciono. Il mondo sembra tutto nuovo, tutto lustro, vivido e luminoso. (Palazzi)

Aprile
In Italia il primo aprile è un giorno particolare. I ragazzi si divertono a fare le burle e gli scherzi più strani che chiamano pesci d’aprile. Per esempio, se ti dicono: “Hai una mosca sul naso” e tu ci credi,   ti hanno fatto un pesce d’aprile. Si attribuisce l’invenzione del pesce d’aprile al popolo di Firenze: pare infatti che un tempo, in quella città, il primo d’aprile ci fosse l’usanza di mandare i semplicioni a comperare, in una certa piazza, del pesce che era soltanto raffigurato. Altri pensano che questa tradizione abbia avuto origine in Francia: forse perchè tanto tempo fa, in alcune città l’anno ufficiale cominciava il primo aprile. In seguito, quando si adottò il nuovo calendario, il capodanno cadde il primo di gennaio; ma alcune persone lo dimenticarono e continuarono a festeggiarlo come prima: per questo furono chiamati sciocchi o pesci d’aprile.

Aprile
Il nome di questo mese viene da “aprire” perchè la terra si apre sotto l’impeto della vegetazione, i fiori si schiudono, gli insetti escono dal loro involucro per mettere le ali. Durante questo mese, in genere, si celebra la Pasqua. Non vogliamo dimenticare inoltre il pesce d’aprile, a cui è scherzosamente dedicato il primo giorno di questo mese. Sempre in questo mese cade l’anniversario della Liberazione. Uno dei fiori caratteristici di aprile è il glicine.

Aprile
Aprile è un mese gentile, odoroso di fiori, tiepido di sole. Le siepi sono tutte in veste bianca: fra l’erba odorano le viole, il cielo è dolcemente azzurro. La campagna è ormai tutta verde. Le rose sono in boccio e sono pieni di fiori anche gli alberi da frutto: meli, peri, susini e ciliegi.

Aprile
In aprile anche la pioggia è piacevole e lietamente accolta. Le pioggerelle frequenti ed insistenti di questo mese rendono  meno dure le zolle disseccate dai venti freddi di marzo, saziano la sete delle erbe e degli alberi, permettono alle radici di succhiare avidamente dal terreno gli umori necessari alla vita. (G. G. Moroni)

Aprile
Aprile, ce lo dice il suo nome, apre la porta all’ingresso trionfale della stagione dei fiori, degli uccelli, dei cieli sereni e splendenti d’azzurro. Il fremito di vita nuova, che sembra animare ogni zolla, è avvertito intimamente anche da noi: si rivela nel desiderio di godere in pace questo sole giocondo, di giocare fuori all’aperto, di contemplare lietamente ciò che avviene attorno a noi. (G. G. Moroni)

Aprile
D’aprile si ammirava il felice fiorire della campagna. Gli alberi erano vividi di foglie, il campo era verde di grano. La vite cominciava a gettare le prime aguzze foglioline. Accanto al campo passava un gregge di pecore guardate dal cane, ch’era il più alto di tutte; e il pastore con la mazza alzata le spingeva sulla strada perchè non mangiassero il grano tenero, ch’era stato tanto tempo sotto la neve. (G. Titta Rosa)

Aprile
Aprile è un bel mese, nè caldo nè freddo, con un cielo dolcemente azzurro, gli alberi in fiore, il canto degli uccelli. Le rondini, ormai tutte tornate dai lontani paesi, hanno ritrovato il loro nido dove, presto, cinguetteranno i rondinini.

Aprile
Aprile, dolce dormire. E tu, la mattina, resteresti tanto volentieri fra le lenzuola. Non essere pigro, non senti gli uccellini che cantano, le rondini che garriscono, le campane che suonano? Tutti sono già al lavoro, uomini e animali. Aprile ti chiama, col suo bel cielo azzurro, con gli alberi fioriti, col dolce venticello che fa frusciare le foglie. Non lasciare senza risposta il suo appello.

Aprile
Aprile, ogni giorno il suo barile. E quasi ogni giorno il cielo si vela di nuvolette leggere, manda sulla terra una pioggia gentile che ristora la campagna, disseta le piante, rinfresca l’aria. E, a ogni goccia di pioggia che cade, è un fiore che sboccia, una gemma che si apre, una foglia che ingrandisce. Aprile è, forse, il più bel mese dell’anno.

Aprile
La campagna è ormai tutta verde. Gli alberi sono pieni di foglie e di fiori, le siepi sono ammantate di bianco, l’erbetta tenera e verde copre la terra, gli uccellini cinguettano allegramente. Ogni balcone ha una pianta fiorita. Il cielo è dolcemente azzurro, il vento fa frusciare le foglie degli alberi. Benvenuto, aprile!

Aprile
Avanti, bel mese sorridente! Tu fai sbocciare, ogni giorno, cento e cento fiori profumati, rose di macchia, convolvoli, campanelle, glicini e lillà. Il tuo venticello è tiepido e profumato, nei tuoi occhi si rispecchia l’azzurro del cielo. Benvenuto, aprile!

Aprile
Aprile arrivò e aveva in mano un ramo fiorito. Vide che marzo, quel fratellino pazzerello, aveva fatto il suo dovere, ma non troppo. C’era, sì, qualche fiore, c’era, sì, qualche spicchio di cielo azzurro, ma per aprile non bastava. Spazzò il cielo e subito tutte le nuvole si allontanarono. Toccò, col suo ramoscello, gli alberi e subito questi misero tanti fiori e tante foglie. Aprile non si stancava: la sua fatica era leggera e dolce.

Aprile
Aprile è arrivato. La gente apre le finestre e invita l’aria tiepida ad entrare; le ragazze cantano felici. Fiori dappertutto. Perfino le piantine che crescono sulla strada e che tutti, camminando, schiacciano col piede, mettono un fiorellino, piccino, ma coraggioso. Gli insetti escono dalla terra e si mettono a volare.

Aprile
Qualche volta il cielo si vela, ma è un velo di pioggerella leggera: dà un’annaffiatina ai fiori e sparisce. Quando aprile si avanza tra i fiori, le farfalle e gli insetti ronzanti, tutto rinasce a nuova vita. Gli alberi sono in fiore, il cielo è dolcemente azzurro, nei prati odorano le violette e sui vecchi muri si arrampica il glicine profumato.

Aprile
Quanti fiori nei giardini, ad aprile! Nascoste, fra l’erba, sbocciano le violette profumate, sulla siepe, le rose di macchia. Ecco i garofani rossi di fiamma, le campanelle azzurre, le margherite fatte a stella. Ogni pianta ha il suo fiore. Anche le piantine che non si sa come si chiamano, hanno messo il loro bocciolino. Le api volano sui fiori e visitano il fiorellino più modesto come il fiore più splendente.

Aprile
Aprile deriva da “aprire”, perchè con questo mese comincia la bella stagione, si schiudono gemme e fiori, e la terra si apre alla vegetazione.
La natura è nel suo pieno rigoglio. Quali sono i fiori tipici dell’aprile? Il glicine, che ammanta con la sua veste smagliante i vecchi muri e le terrazze; il lillà, i cui fiorellini sono golosamente visitati dagli insetti che ne cercano la gocciolina di nettare nascosta in fondo ai calici; gli alberi da frutto, meli, peri, ciliegi, tutti in fiore.

Gli insetti sono ormai tutti in piena attività: farfalle di tutti i colori, vespe, calabroni, api… Tutti gli animali che erano caduti in letargo nella cattiva stagione si sono ormai risvegliati: bisce, lucertole, tassi, ghiri e pipistrelli. Inoltre sono tornate le rondini che hanno già cominciato a riattare il nido.

Nel cielo intensamente turchino qualche nuvola leggera sdrucciola lentamente. Il sole sparge sui campi il suo calore tiepido e dolce. Gli uccelli, ebbri di gioia, cantano. Nei prati, le primule e le margherite sollevano le timide testine al sole che le ha risvegliate. I boschi si ravvivano di profumi e di canti. Il ruscello inargentato rinnova la sua musica antica, fra sorrisi azzurri di mammole e di pervinche. Nei campi, i susini ed i ciliegi in fiore sembrano lunghe sciarpe rosee e bianche. La primavera! Dappertutto ha diffuso la sua giovinezza, il suo riso, la sua bellezza, la sua luce. (G. Barbetti)

Aprile
Aprile è un bel mese di primavera. Il cielo è dolcemente azzurro e soltanto qualche nuvoletta bianca vaga qua e là sospinta da un venticello lieve. I prati sono fioriti. Sbocciano, fra l’erba, le margherite bianche che sembrano stelline, le primule, le viole; i bambini le colgono e ne fanno mazzetti che offrono alla mamma e alla maestra. Aprile, dolce dormire. I bambini, la mattina, non vorrebbero aprire gli occhietti pieni di sonno, ma la mamma li bacia in fronte e dice: “Sù, è tardi!”.

Il mese di aprile

La primavera avanza lentamente; l’accompagnano molte fioriture, molti risvegli, un buon tepore ed anche la benefica pioggia o il vento  che trasporta i semi. La campagna si anima notevolmente poichè si lavora da per tutto. Sui pascoli montani tornano gli armenti che sono stati a svernare nelle pianure.
I contadini impiegano bene il mese di aprile con l’intensa ripresa dei loro lavori: completano la semina di patate, fagioli, lenticchie, granoturco, riso; nelle vigne spargono lo zolfo ramato, disinfettano i tralci ed i tronchi contro la peronospora. Intanto nei frutteti proseguono la potatura delle piante e gli innesti. Grandi lavori si fanno nell’orto dove si rinnovano trapianti e semine di cardi, carote, lattughe, rape, cetrioli, zucchine, trifogli, mentre si raccolgono i primi asparagi, i piselli, le insalate. Anche il giardino vuole semine e trapianti: garofani, astri, violaciocche, verbene e tanti altri fiori daranno alla primavera la gioia dei loro profumi e dei loro colori.
Aprile anticamente era consacrato a Cibele, madre degli dei. Il suo nome deriva dal latino “aperire”, che vuol dire aprire; infatti, in questo mese, tutto si apre a nuova vita.

Canzone d’aprile

Cielo d’aprile, fresco come acqua viva, canta: la rondine è tornata. Nubi bianche e nere, scendete: il pesco è appena fiorito. Venti del sud, correte: gli agnelli sono sul prato. Sole, per te si è aperto il primo fiore: bacia la terra. Lampi, lucidi come fuoco, brillate: i pampini inverdiscono la vite. Tuoni duri come rombi di battaglia, squarciatevi sopra il grano: ha sete. E voi grilli e farfalle, allodole e merli, tenete compagnia al contadino che lavora. E voi bisce acquaiole che giocate con le rane dagli occhi pendule: uscite. E voi, semi, piante, fiori, gioia della terra, rallegrate il cuore degli uomini. (L. Davanzo)

Aprile

Aprile arrivò e aveva in mano un ramo fiorito. Vide che marzo, quel fratellino pazzerello, aveva fatto il suo dovere, ma non troppo. C’era sì qualche fiore, c’era sì qualche spicchio di cielo azzurro, ma per aprile non bastava. Spazzò il cielo e subito tutte le nuvole si allontanarono. Toccò, col suo ramoscello, gli alberi e subito questi misero tanti fiori e tante foglie. Aprile non si stancava: la sua fatica era leggera e dolce. (M. Menicucci)

Così è aprile

Ogni albero è una nuvola verdognola di foglie che incupiscono ad ogni bacio del sole, a ogni scossa di vento.
E nel vento, che odore! Odore di peschi e di ciliegi e di meli e di albicocchi e d’ogni grazia di dio. Un frullo da una siepe: c’è un nido; e la mamma covava. Eccola lì che si lamenta, ci dice che ci leviamo subito di torno, che le facciamo paura.
Guardate il grano come cresce: par che non veda l’ora di buttar fuori la spiga. E le viti non piangono più: sventolano i pampini teneri e tra i pampini è il piccolissimo grappolo.

E’ una mattina di aprile

Dal cielo grigio cominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Esse si fanno sempre più fitte e l’aria sembra intessuta di fili d’argento. Vero è il proverbio: “Aprile ogni giorno un barile”.
Le persone che passano per la strada cercano un rifugio. I tetti delle case, gli asfalti delle strade, le piante luccicano sotto la pioggerellina fine ed insistente.

Aprile in campagna

Ti viene incontro il verde tenero dei prati che appaiono così morbidi che si ha la tentazione di sdraiarvisi dentro, di sentire sul viso, sulle mani, ovunque, la freschezza di quell’erba nuova.
E poi gli alberi in fiore che danno una improvvisa emozione: quel delicato e gentile pesco rosa che pare una nuvola illuminata dal sole al tramonto, quel vaporoso albero bianco che appare come incappucciato di neve.

Aprile sui monti

In alto c’è ancora neve, ma sotto i verdi pascoli si sono fatti più verdi, più intensamente colorati. Le mandrie escono dagli stalli e vanno lentamente da un prato all’altro, da un pendio all’altro; il suono dei campanacci porta una acuta malinconia nel cuore di chi ascolta, come di voce che si perde lontano nel silenzio dei boschi. Appaiono siepi in fiore, una festa multicolore fatta di innumerevoli fiori che sembrano gocce di cielo, immagini di paradiso.

Fiori d’aprile

Fra i fiori selvatici, aprile dona l’azzurra pervinca, lungo le siepi, e nei fossi, riuniti in grappoli, i fiorellini delicati del nontiscordardime. Adornano i prati innumerevoli ranuncoli dai fiori giallo – oro, e le graziose pratoline.
Nei giardini fioriscono le fresie, le giunchiglie, l’anemone e il giaggiolo; da balconi, da muri, da cancellate pendono ricchi grappoli del fiore del glicine… mentre nell’aria appaiono le prime farfalle e arrivano gli uccelli migratori.

Arrivano gli usignoli

Siamo alla metà di aprile. Si susseguono giornate limpide e chiare e notti palpitanti di stelle. Il biancospino ha lasciato cadere gli ultimi petali di immacolato candore e si sta rivestendo di un tenero verde.
Eccoli, arrivano gli usignoli. Vengono di notte alla spicciolata. Arrivano prima i maschi, cercano il posto ove hanno formato il loro nido l’anno scorso, e cantano per richiamare le spose.
L’usignolo sceglie per il suo impareggiabile canto le ore del tramonto, della notte, dell’alba. (T. Bettolo)

Un giorno d’aprile

Un giorno d’aprile il vento disse al sole: “Proviamo a fare un bel disegno nel cielo?”
“Ebbene, comincia tu”, rispose il sole.
Il vento cominciò. Scese nel mare, si caricò di nuvole e andò a stenderle nel cielo. Che bei disegni! Parevano fiori, alberi, animali, montagne. Ma le nubi erano quasi tutte dello stesso colore.
“Ora tocca a te!” disse il vento.
Il sole, zitto zitto, si fece prestare tante goccioline dalle nuvole e tra quelle goccioline mandò i suoi raggi. Oh, che bellezza! Subito nel cielo si disegnò un bell’arco di sette colori: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto.
Tutti gli uomini e gli animali che lo videro stettero lì incantati a guardare. (E. Nuccio)

Profumi e colori

Verso la fine di aprile le viole, i giacinti, i narcisi, i tulipani, i nontiscordardime traboccano dalle aiuole. Il glicine si veste di grappoli violacei. Il caprifoglio è tutto un mazzetto color miele. Le serenelle folte di corimbi bianchi e lilla profumano l’aria. Tra poco sbocceranno le rose: a maggio.

Due pesci d’aprile famosi

Famoso è rimasto lo scherzo preparato a Roma dal sarto Pasquino ai danni di un avaro signore. Un anno, ai 31 di marzo, parecchi romani si videro recapitare un biglietto d’invito a pranzo per l’indomani da parte del ricco signore. E il giorno dopo, tra lo stupore generale, tutti si presentarono puntualmente a palazzo. Rimandare tanta gente indietro sarebbe stato uno scandalo; così il pranzo dovette essere preparato e gli ospiti dovettero essere accolti, sia pure a malincuore. Ma che lezione fu quella per l’avaro!
Qualche anno fa a Verona furono annunciati i balli svedesi, nell’Arena, per il primo di aprile. Oltre duemila persone acquistarono i biglietti. Aspetta, aspetta… i balli non cominciavano mai… Ad un certo momento gli spettatori videro apparire in mezzo all’Arena un enorme pesce di carta, mentre un ragazzetto si presentava alla folla facendo ballare sulle dita… i fiammiferi svedesi. L’incasso fu destinato a pubblica beneficenza.

Dettati ortografici APRILE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici MARZO

Dettati ortografici MARZO – Una collezione di dettati ortografici di vari autori sul mese di marzo, per la scuola primaria, adatti alle classi dalla prima alla quinta.

Sui rami si gonfiano le gemme; tornano gli uccelli migratori. Il sole sorge più presto e tramonta più tardi; a qualche giornata ancora fredda si alternano giornate tiepide e assolate. Il contadino teme la grandine che può mettere in pericolo i raccolti e le fioriture delle piante da frutto che in questo mese si riempiono di corolle delicate.
Marzo era il primo mese del calendario romano ed era consacrato a Marte, dio della guerra, da cui prese il nome.

Marzo comincia. Il suo nome viene da Marte, l’antico e sempre minaccioso dio della guerra. Come uscendo dal letargo invernale, il pagano guerriero, proprio in questo mese, si accingeva a percorrere la terra. Per gli antichi, la guerra era un’avventura primaverile. Si attendeva marzo, il mese dedicato al dio bellicoso, per dar fiato ai corni e muovere gli eserciti che invadevano i campi come le acque del disgelo. (P. Bargellini)

Marzo. Il cielo di marzo è mutevole; qualche giorno è di un gentile azzurro con nuvolette bianche e morbide, qualche giorno è tempestoso e freddo come se l’inverno volesse tornare indietro.

Il vento. Spesso soffia forte, sbatacchia finestre e porte, scuote violentemente i rami degli alberi e sfoglia i fiori delicati del mandorlo e del pesco. Ma qualche volta è gentile come una carezza.

Primi fiori.  Nei prati sbocciano le pratoline bianche orlate di rosso, tra l’erba si nasconde la violetta, sui rami dei mandorli e dei peschi c’è tutta una fioritura di stelle bianche e rosa.

Primavera. E’ primavera. Il cielo è dolcemente azzurro, il vento tiepido, gli alberi sono fioriti, gli uccellini cinguettano preparando il nido per i piccini che verranno.

E’ ora. Una violettta si affacciò e chiese: “E’ ora?”. Una margheritina aprì il suo collettino bianco, orlato di rosso, e domandò: “E’ ora?”. Una farfalla picchiò alla porta della sua prigione e disse: “E’ ora?”. “Avanti, avanti!” esclamò allegramente un bel raggio di sole.

Marzo. E’ un mese pezzerello, ora ride e ora piange. Ecco il sole che splende nel cielo sgombro di nubi; subito dopo il tempo s’imbroncia e giù acqua a catinelle!

Primi tepori. La campagna è ancora spoglia, pure a guardare bene i rami, si possono vedere le gemme avvolte nella loro peluria, ma pronte a dischiudersi ai raggi tiepido del sole.

Marzo. Fra le zolle di terra ecco i fili d’erba affacciarsi timidamente e nell’aria c’è un leggero odore di fiori non ancora sbocciati, ma che presto si schiuderanno al dolce vento di primavera.

Marzo. Non bisogna voler male a questo mese pazzerello: basta un giorno di sole ed ecco i mandorli fioriti miracolosamente ecco le violette che odorano fra l’erba, ecco le pratoline che riempiranno i prati di stelle.

Marzo. Marzo è pazzo. Ora piove, ora c’è il sole. Via le nuvole ed ecco l’azzurro; via l’azzurro ed ecco le nuvole. Marzo è un mese pazzerello; ora ride e ora piange.

Marzo è il mese dei venti e delle piogge. I giorni continuano ad allungarsi; la temperatura aumenta; si hanno, però, frequenti burrasche. I campi e i prati si fanno verdi e cominciano a coprirsi di fiori. Fioriscono gli anemoni, le primaverine, le pervinche e soprattutto i pioppi e, in genere, tutte le piante amiche del vento. Fanno pompa dei loro fiori i mandorli, i ciliegi, i susini. Nelle siepi compaiono i candidi fiori dei prugnoli e dei biancospini. (L. Vaccari)

Il tiepido vento si marzo giocava a cacciare, con furia scherzosa, le nuvole chiare. Le arruffava, le scapigliava, le lacerava a frange, a cirri, le fugava dai colli, le inseguiva, le disperdeva e trascorreva lontano. Ma subito dopo ritornava col suo lungo ululo festoso; s’aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi. (V. Brocchi)

Il vento di marzo si aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi, li sbandava, scuoteva gli alberi sui colli, rapiva petali di fiori novelli, godeva di farli sperdere nella limpidezza dell’aria; li lasciava piovere sulle piazze e sulle vie, metteva un tintinnio a tutti i vetri. (V. Brocchi)

A marzo guardati attorno. Osserva il ramo di un albero: vedrai tanti piccoli bottoni verdi, ancora accartocciati, stretti stretti. Sono le gemme che aspettano un’ora di tepore per aprirsi. Da quelle gemme verranno le foglioline verdi e tenere, verranno i fiori gentili del mandorlo e del pesco. Guarda sul prato. Vedrai l’erba che, improvvisamente, è spuntata ed ha ricoperto la terra con un morbido tappeto verde. Le siepi, già brulle e spoglie, si coprono, da un giorno con l’altro, di una fioritura candida e fitta. E’ il biancospino che ha fretta, che vuol fiorire, che dice: “Primavera è qui che viene”.

Marzo era un fantasticone, bizzarro, che pareva fatto apposta per far impazzire la gente. Bello e gagliardo, con gli occhi azzurri, che qualche volta si oscuravano per un repentino corruccio, capelli a ciocchette del color della viola, era sempre con le gambe in aria a correre, a far dispetti, a gridare per il cielo come un indemoniato, scagliando acqua e qualche volta anche grandine, sui fiori e sugli alberi spaventati, (F. Perri)

Terzo mese dell’anno, primo della primavera, fu il primo mese dell’anno fino a Numa Pompilio che premise il gennaio e il febbraio. Era dedicato a Marte che, forse, in origine era dio della vegetazione primaverile, ma ben presto, fu considerato dio della guerra. Il sole entra nell’Ariete. Marzo è, qualche volta, ventoso e freddo, ma cominciano le belle giornate di primavera, i fiori sbocciano e le erbette smaltano i prati.

Era il marzo temperato e sereno, coi primi fiori degli alberi da frutto e delle siepi di biancospino. Le prode stellate di margheritine e di primule, sapevano di violette nascoste fra i cespi dell’erba; il grano era tenero sul campo. Bello era il mondo nella bella giornata del mese bellissimo; l’allodola, perduta in canto ed in luce nell’alto del cielo, s’incantava lassù, nel mentre gli uccelletti di minor volo cinguettavano d’ogni parte il loro canto contento più umile. (R. Bacchelli)

Verso la metà di marzo, il cielo era turchino; un vento tiepido attraversava la foresta e arrivava alle case. La neve si scioglieva; larghi spacchi vi si formavano, subito riempiti di acqua bruna, e, per la china, cento improvvisi ruscelli scorrevano. Dalle potenti spalle degli abeti cadevano larghi drappi bianchi. Ovunque era fruscio, mormorio d’acqua. (G. Fanciulli)

Marzo è matto. Ormai si è fatto questo nome, chi glielo leva più? Eppure, vorrei vedere un altro al posto suo, così a cavalcioni tra inverno ed estate, fra caldo e freddo e, da una parte, lo tira il vento di febbraio, dall’altra, il cielo d’aprile gli fa l’occhiolino. C’è ancora il gelo nei crepacci della montagna e già nei prati, le violette hanno fretta di venir su. E quel povero marzo corre di qui, di là, aiuta le gemme a schiudersi, spazza il cielo dalle nuvole, si dà da fare da tutte le parti… Si capisce che qualche volta, gli vengono le bizze e fa il matto. Troppe esigenze per questo povero mese! E l’umore cambia.

Il malumore di marzo dura poco, ed eccolo ridere fra le lacrime, eccolo fare una smorfia buffa e saltabeccare fra i prati di nuovo tutti in fiore. Poi, appena vede una rondine, si quieta. E sta a guardarla che guizza per l’aria, veloce come una freccia e dice: “Mi par di riconoscerla. Dev’essere quella dell’altro anno”. E la rondine grida che sì sì, è lei e dice trovato a marzo e a tutte le cose.

Marzo è matto. Un giorno ride pazzamente e si sente allegro come un fringuello; allora è tutta una meraviglia: peschi fioriti, viole sbocciate, cielo sereno, venticelli scherzosi e tiepidi… Ma poi marzo si stanca e arriva il malumore. E allora son dolori: venti strapazzoni che spogliano quei poveri rami di pesco, pioggia a dirotto e tutti si rintanano in casa dicendo: “E’ tornato l’inverno!”.

Il cielo di marzo
Il cielo di marzo è mutevole. Qualche volta manda la pioggia e persino un po’ di nevischio, ma spesso è azzurrino, quasi trasparente, con nuvole leggere, ben diverse da quelle compatte e bigie dell’inverno. Il sole è ormai tiepido e al suo dolce calore, si schiudono i primi fiori.

Il mese del risveglio
Marzo è il mese della primavera, quando tutto si risveglia, piante e animali e perchè no? L’uomo. Infatti, anche l’uomo, con l’arrivo della bella stagione, sente rinnovate le sue energie, ha desiderio di camminare, di sgranchirsi le gambe tenute troppo tempo a impigrirsi nel chiuso, di buttar via gli indumenti pesanti, di guardarsi attorno e godere di quanto la natura gli offre in questo ridestarsi del creato.

Marzo, il cui nome deriva da Marte, il dio a cui i Romani lo avevano dedicato, fu il primo mese dell’anno romano fino all’anno 601 dalla fondazione di Roma. Nel nostro calendario è il terzo, ma nel calendario astronomico è sempre il primo perchè in questo mese il sole entra nell’Ariete, che è il primo segno dello Zodiaco. Nel plenilunio di marzo si celebra la Pasqua. In questo mese, e precisamente il 21, ha luogo l’equinozio di primavera in cui la notte e il giorno sono di uguale lunghezza.

E’ arrivato marzo e con lui la primavera. E’ un mese un po’ pazzerello, ci porta sole e solicello, vento e venticello, qualche temporale o una pioggerellina che bagna la terra e la sveglia dal suo lungo sonno invernale. Ecco infatti le gemme sui rami degli alberi, i primi mandorli fioriti, le siepi di biancospino piene di stelline bianche e profumate; tra l’erbetta tenera spuntano le margherite col cuore d’oro e le timide violette. Il grano spunta e sembra un morbido tappeto verde.

In marzo, in alcuni paesi, si possono osservare le migrazioni di stormi di uccelli che vengono dai luoghi caldi per recarsi al  nord dove usano fare il nido.  L’uccello migratore delle nostre regioni è principalmente la rondine. Tra l’erba possiamo osservare il brulichio degli insetti che escono dalle loro tane, o che hanno addirittura cambiato aspetto e cominciano a volare, a succhiare, a riprodursi secondo il loro ciclo vitale. Qualche farfalla già vola tra i primi fiori.

Quali sono questi primi fiori? Innanzi tutto le pratoline: bianche, orlate di rosso, sono le più audaci e le più allegre; al primo raggio di sole tiepido, le vediamo sbocciare miracolosamente tra l’erba e si chiudono non appena il sole mette il broncio. Altri fiori dell’acerba primavera: le primule, gli anemoni e la trionfatrice della stagione: la violetta. E’ il simbolo della modestia; è di un bel colore, profumatissima, di una forma graziosa, eppure si cela tra l’erba, non ostenta nè la sua bellezza, nè il suo colore, nè il suo profumo. Soltanto chi la sa cercare la trova e può godere delle sue belle virtù.

I colori di marzo sono il bianco del mandorlo, il rosa del pesco, il viola della violetta, il violaceo dell’anemone, il bianco orlato di rosso della margheritina, il rosso viola della primula, il giallo della giunchiglia. Cogliamo i fiori a volontà, specie i fiori dei prati che sono di tutti e di nessuno, ma attenzione a non troncare i rami fioriti degli alberi, perchè ogni fiore diventerà un frutto. Vi sono frutti commestibili e frutti che non si mangiano, ma ogni fiore diventa frutto. Il fine di ogni fioritura è quello di preparare il seme per dare origine a una nuova pianta. Infatti, dentro ogni frutto, c’è il seme.

Gli uccellini cominciano a cinguettare; prima degli altri, i passeri, i quali cominciano già a pensare al nido. Il passero fa il nido sotto un tegolo, al riparo. Gli altri uccellini lo fanno, in genere, tra i rami degli alberi. Hai mai visto un nido? E’ intrecciato di rametti come se fosse tessuto. Questo meraviglioso lavoro è fatto dagli uccelli col becco e le zampette. Poi la femmina lo imbottisce di lanuggine che trova nei fiori di pioppo, di salice e nel cardo. Ma gli uccelli non si peritano di strappare anche qualche filo a un lembo di stoffa, di afferrare al volo qualche piumetta e qualche fiocco di ovatta. I piccoli devono stare morbidi e caldi.

Non tutti gli uccelli fanno il nido tra i rami degli alberi: ve ne sono alcuni che si accontentano di un crepaccio, di un buco nel muro, alcuni che lo fabbricano con due foglie cucite insieme abilmente con fili d’erba per mezzo del becco, altri, come i rapaci, non fanno che un rozzo groviglio di rami in una anfrattuosità della roccia.

Marzo è matto, dice il proverbio, perchè il cielo è mutevole: qualche giorno è di un gentile azzurro con nuvolette bianche e morbide, qualche giorno tempestoso e freddo come se l’inverno volesse tornare indietro. Il vento spesso soffia forte, sbatacchia le finestre, scuote violentemente i rami degli alberi e sfoglia i delicati fiori del mandorlo e del pesco. Ma anche il vento è necessario perchè rinnova l’aria e la purifica, trasporta il polline da un albero all’altro e passando da un fiore ad un altro della stessa specie, lo trasforma in frutto. Tra i benefici del vento dobbiamo mettere anche quello di portare le nuvole qua e là e di modificare, quindi, il clima, con le piogge che derivano da questo movimento del vapore acqueo. In alcune regioni il vento viene utilizzato per muovere le pale dei mulini e si ha così un’energia che non costa niente.  Quando però il vento assume la forza di un ciclone può arrecare danni gravissimi: svelle da terra interi alberi, fa crollare muri e soprattutto sconvolge il mare causando naufragi e disgrazie.

Dicono che marzo è pazzo; ma che deve fare il poveretto, se è a servizio di due padroni che lo comandano a piacer loro? Se è l’inverno che ordina, marzo deve mandare giù la pioggia e scatenare il vento che strapazza i rami pieni di gemme; se è la primavera che lo chiama a sè, allora ecco che sparge i fiori sui prati, mette in fuga le nuvole, intiepidisce l’aria, invita i bambini all’aperto.

Sereno a volte e limpido come un immenso specchio azzurro, anche il cielo partecipa alla festa della natura. Ma talvolta, all’improvviso, il cielo si oscura e assume il color cinerino dell’autunno: la nuvolaglia nasconde il sole e una pioggia fitta e insistente cade sulla terra. Un broncio di breve durata. Dopo la pioggia il sole torna a splendere più luminoso e più caldo.

Al torrente è arrivata tanta acqua dai nevai che si sfanno, e la sua voce canta più alta fra i ciottoli, parla più tenera fra i salici… Per tutta la valle scende un vento fresco, non freddo; scioglie gli ultimi nodi dell’inverno, porta il fumo dei camini, il suono delle campane e le prime libere canzoni. (G. Fanciulli)

Il torrente sussultava in fondo alla valle, fra i peschi e i mandorli fioriti. E tutto era puro, giovane, fresco, sotto la luce argentea di quel gran cielo mite, sul cui orizzonte i profili morbidi dei monti, ancora coperti di neve, si stendevano come file di colombi addormentati. (G. Deledda)

Quando l’inverno muore lentamente nella primavera, nelle sere di quei bei giorni limpidi, lieti, senza vento, in cui si tengono spalancate per le prime volte le finestre e si portano sulle terrazze i vasi di fiori, le città offrono uno spettacolo gentile e pieno di allegria e di poesia. A passeggiare per le vie, si sente di tratto in tratto nel viso un’ondata d’aria tiepida, odorosa. Di che? Di quali fiori? Di quali erbe? Chi lo sa! Sono profumi indistinti e sconosciuti, che sanno di freschezza, di giovinezza e di vita (E. De Amicis)

Lungo le rive dei fossi si aprono i primi fiori e sui pendii dei colli, altri, di colori più intensi, azzurri o gialli. Sulle cime dei monti gli ultimi filoni di neve sfumano in nere nubi. Il verde del frumento si accresce, ed altri campi, si fanno gialli di ravizzone. Biancheggiano i susini, i peri, alterni al rosa dei peschi. Le galline hanno un canto diverso, appare la prima farfalla, e gli uccelli cantano tra gli alberi che ancora non danno ombre. Finisce l’inverno, si entra in primavera; certi anni il passaggio viene come velato da un lungo periodo di piogge, ritorna il sole e sui rami si scopre la frutta già segnata senza esserci accorti dei fiori. (G. Comisso)

Ora la primavera avanza. La rondine dà la sveglia ai pigri, e la collina si veste da sposa con quei suoi bianchi filari di ciliegi fioriti, che sembrano da lontano lunghi festoni serpeggianti, tesi lungo i pendii per un corteo di angeli. E accanto al bianco dei ciliegi, ecco la meraviglia rosea dei peschi. E’ un succedersi di bianco e di rosa, di superbe macchie vivissime sul verde, ormai deciso, della campagna. E’ questo il momento più bello della primavera, che avanza regalmente con profumi, colori e tepori, con ronzii e cinguettii. Le gemme spuntano, ingrossano, scoppiano in fronde di un verde tenero e, a poco a poco, l’impeto interno della terra madre si sfoga in una vegetazione lussureggiante, e la campagna, la collina e il monte si vestono si un manto imperiale. (A. Dusso)

Il trepido vento di marzo giocava a cacciare con furie scherzose le nuvole chiare. Le arruffava, le scapigliava, le lacerava a frange, a cirri, le fugava dai colli, le inseguiva, le disperdeva e trascorreva lontano. Ma, subito dopo, ritornava col suo ululo festoso; s’aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi, li sbandava, scuoteva gli alberi sui colli, rapiva petali di fiori novelli, godeva di farli sperdere nella limpida aria; li lasciava piovere sulle piazze e sulle vie; metteva un tintinnio a tutti i vetri. (V. Brocchi)

Appena giunto in città, il venticello di marzo cominciò a soffiare in tutte le direzioni, allegro, invadente, felice di scorrazzare. Chiudeva ed apriva le imposte, sbatacchiava usci, il monello, come se fosse stato a casa sua. Faceva tremare i grandi cristalli delle vetrine, e si trastullava tra i vestiti dei passanti e distribuiva loro sulla faccia i biglietti del tram gettati a terra. (Lunarino)

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Dettati ortografici FEBBRAIO

Dettati ortografici a tema: il mese di febbraio. Una collezione di dettati ortografici sul mese di febbraio, di autori vari, per la scuola primaria

Dettati ortografici FEBBRAIO

E’ un mese allegro, pieno di mascherine, di coriandoli, di stelle filanti e di frittelle. L’inverno di fa ancora sentire, ma se guardate bene, vedrete una gemma che sta per schiudersi sul ramo di un albero, vedrete un fiorellino che timidamente sboccia, vedrete un tiepido raggio di sole che cerca di farsi strada fra le nuvole.

La campagna è ancora spoglia, ammantata di brina; pure, se guardate attentamente, vedrete una gemma, nel cavo di un ramo, che sta per schiudersi; vedrete sul piano le prime margheritine e sull’orlo del fossato sentirete il profumo delle prime violette. E il pesco e il mandorlo, fra poco, avranno la loro veste fiorita.

Il ghiaccio intorno alla fontana si è sciolto, le piantine rialzano il capo e mettono un bocciolino con la speranza di farlo presto schiudere. La siepe si copre di gemme e fra qualche giorno il biancospino fiorirà. Anche i mandorli e i peschi sono pronti: al primo raggio di sole tiepido si copriranno della loro bella veste fiorita.

Primi tepori
Fra le erbe del prato, le violette non sono ancora sbocciate. Se ne sente, però, il profumo. anche l’aria odora un po’ di primavera. Gli uccellini cinguettano; pensano al nido. Gli insetti cominciano a ronzare; qualcuno ha messo già le ali, dopo la lunga invernata passata sotto terra.

Molta gente borbotta contro questo piccolo mese. Febbraietto, corto e maledetto! Eppure, è proprio febbraio che porta le mascherine, e che soprattutto porta i primi tepori, più luce al giorno, qualche gemma, e persino qualche fiore. E allora, un po’ di pazienza per i suoi bronci che sono seguiti sempre da un lieto sorriso!

Parla febbraio: “Nei campi che cosa si fa? Non troppo, ancora, ma c’è la speranza del marzo vicino. I contadini si preparano sapendo che, dopo di me, verranno subito i primi tepori. Essi pensano a potare le viti, a scortecciarle per distruggere gli insetti dannosi. Nei luoghi dove il clima è meno freddo, i pastori cominciano la tosatura delle pecore”.

La terra è ancora brulla, gli alberi nudi e stecchiti. Pure, se osservate bene, vedrete un leggero spolverio verde sui rami, sui cespugli. Sono le gemme che aspettano un raggio di sole per potersi schiudere. Se guardate fra le erbe del prato, forse troverete una violetta, la prima, che però, nel suo linguaggio, vi dirà che la primavera non è lontana.

Febbraio è il mese più breve perchè ha soltanto ventotto giorni e ventinove negli anni bisestili. Febbraio era, nel calendario romano antico, l’ultimo mese dell’anno. Il primo mese era marzo, da Marte, il dio della guerra. Il nome deriva da “februare” che vuol dire purificare, espiare; il mese, infatti, era dedicato alla purificazione. I nostri antenati usavano espiare per sè e per i defunti e purificare gli animali mediante cerimonie che si svolgevano sul Colle Palatino. A noi, febbraio porta la bella festa del Candelora e l’allegria del Carnevale.

Se provate a fare una passeggiata in campagna, quante cose di riveleranno ai vostri occhi che voi nemmeno pensavate! Spunta già il grano, e lieve lieve, morbido morbido, copre la terra di un mantello verde non appena la neve la lascia libera. E se guardate sulle siepi, troverete certi bocciolini duri e pelosi che aspettano soltanto un raggio di sole per aprirsi. E’ il biancospino, e tra qualche giorno, vedremo che fioritura candida e profumata sopra le siepi rinsecchite! Gli uccellini cinguettano: sono allegri anche loro. Cominciano a trovare qualcosa di più da mettere nel becco: gli insetti, le larve fanno capolino dalla terra e sono proprio dei bocconi saporiti.

Febbraio è il mese più corto dell’anno, un mese ancora freddo, ma che ci mostra i primi avvisi di primavera. Il suo nome deriva dal latino “Februarius” da “februus” che vuol dire purificante, purgante. In questo mese gli antichi romani facevano, infatti, i sacrifici di espiazione durante le feste dei Lupercali, istituite a quanto si dice, da Romolo, in onore della lupa che lo aveva nutrito.

Febbraio fu aggiunto agli altri mesi da Numa Pompilio e con esso terminava l’anno, che cominciava con marzo. Febbraio consta solo di ventotto giorni e, negli anni bisestili, ventinove. Gli anni centenari sono bisestili soltanto se possono dividersi per 400.

Il mese di febbraio è l’ultimo mese dell’inverno e secondo il proverbio, che “il più duro da scorticare è la coda” anche febbraio ci riserva spesso le più crude manifestazioni del freddo. Imperano ancora il gelo, il vento e qualche volta anche la neve. Però, se guardiamo attentamente intorno a noi, vedremo già qualche manifestazione della primavera imminente.

Il cielo di febbraio è spesso nuvoloso e grigio, ma con qualche squarcio di azzurro che si fa sempre più grande e frequente con il progredire del mese. Le giornate si allungano.

Sui rami delle piante possiamo notare a partire da febbraio gli ingrossamenti che daranno luogo alle gemme; qualcuna, anzi, ha già la gemma ben visibile: il pioppo, il ligustro, il biancospino. Osservando queste gemme vedremo che questi germogli ben riparati da un rivestimento che può variare da pianta a pianta. In qualcuno c’è addirittura una morbida pelliccetta pelosa che tiene riparato il prezioso contenuto, in altri c’è un rivestimento di scaglie dure e coriacee che lo difendono dal vento gelido e dagli sbalzi di temperatura; in altri ancora l’involucro della gemma è rivestito di resina impermeabile che difende il germoglio dalla pioggia.

A fine febbraio, se la temperatura non è troppo cruda, c’è l’esplosione dei fiori di mandorlo e di pesco che illeggiadriscono la campagna con un’improvvisa manifestazione primaverile. Ed ecco la prima violetta, la prima margheritina, la primula…

La vita animale in febbraio è ancora sopita, ma presto si manifesterà. Dove sono gli insetti? Morti, oppure sotto terra, nascosti nella corteccia degli alberi sotto l’aspetto di crisalidi, oppure ancora nell’uovo; ma ecco le prime mosche, i primi bruchi avventurosi, ecco le formiche, ecco il guizzo di una lucertola che si è svegliata in anticipo! La lucertola, come gli altri rettili, è rimasta immersa nel letargo perchè, avendo il sangue a temperatura ambiente, non potrebbe resistere al freddo invernale. Ma il primo raggio di sole l’ha destata dal suo intorpidimento anche perchè qualche insetto è sbucato fuori e il primo appetito si potrà saziare.

In febbraio i tassi, le marmotte, i ghiri, i pipistrelli non si sono ancora destati; restano immersi nel letargo, durante il quale le funzioni vitali rallentano al massimo permettendo all’animale di rimanere digiuno per lunghi mesi. Ma col primo pallido sole di febbraio, c’è da giurarlo, anche loro cominciano a sentire il sangue muoversi, cominciano a sentire gli stimoli della fame e presto anch’essi sbucheranno fuori dalle loro tane.

La terra è ancora umida e fredda, pure, se guardi con attenzione, vedrai qualche filo d’erba spuntare nelle fessure, vedrai qualche ramo che presenta i piccoli rigonfiamenti dove si nascondono le future gemme, vedrai, forse, una pratolina sbocciare timidamente sulla zolla ancora spoglia. Sono gli indizi dell’arrivo imminente della primavera. Non lasciarti sfuggire questi segni: ne ricaverai una grande gioia pregustando in anticipo il bel sole che verrà, il rigoglio della natura che ancora non appare, ma che un giorno, non lontano, esploderà in tutto il suo vigore, e la sua bellezza.

Febbraio è l’ultimo mese d’inverno. Ancora è freddo, la nebbia pesa sulla campagna, il vento soffia gelido, e spesso la neve cade ancora dal cielo a ricoprire la terra. Febbraio, quando te ne andrai? Sei il più piccino dei mesi, ma sei forse il più cattivo. Non ne possiamo più di freddo, di nebbia, di neve. Desideriamo, con tutto il cuore, il tiepido sole di primavera, le prime violette, le pratoline candide che sembrano stelline cadute sul prato. Febbraio, vattene via lesto! Vogliamo la primavera!
E’ ancora freddo; spesso il vento soffia gelido fra i rami nudi degli alberi. Pure, se guardi con attenzione, vedrai qualche coraggioso filo d’erba spuntare nelle fessure sui muri, vedrai qualche insetto avventuroso tentare i primi voli, vedrai qualche squarcio di azzurro nel cielo grigio e forse, chissà, potrai trovare sulla riva di un fosso una violetta profumata che è sbocciata per darti il saluto della primavera che si avvicina.

Febbraio è un mese di passaggio fra l’inverno e la primavera. Per questo è così instabile, capriccioso e infido. Anche se ha qualche giornata di sole, non dargli retta: rallegrati, ma tieni il tuo cappotto e il tuo berretto. Anche se un mandorlo fiorisce coraggiosamente, gioisci della sua fioritura gentile, ma non ti sorprendere se l’indomani il vento stizzoso lo avrà spogliato. E se trovi una violetta sul bordo di un fosso, prendila come un saluto del bel tempo che verrà.

Dicono i contadini: “Febbraio febbraietto corto e maledetto”. Ma perchè, povero piccolo mese? In fondo anche lui porta le gioie di un’acerba primavera: qualche violetta sbocciata sull’orlo di un fosso, qualche pratolina fra l’erba, le mimose pronte a sbocciare e soprattutto la fioritura dei mandorli e dei peschi. Non maledire questo mese anche se è ancora freddo e nebbioso. Vedrai, in marzo, che cosa ti ha preparato febbraio.

Gli alberi stendono al cielo i loro rami nudi e rinsecchiti. Pure, se li osservi con attenzione, vedrai dei piccoli rigonfiamenti che si fanno, di giorno in giorno, più turgidi e verdi. Sono le gemme che ancora non germogliano, ma lo faranno non appena un raggio di sole più tiepido le sveglierà dal loro sonno invernale. Sono rivestite da una folta pelliccetta, oppure da squame dure e coriacee; ma ben presto il loro rivestimento si aprirà per dar luogo al fiore, alla foglia, al rametto giovane della primavera.

Il vento, la neve, la pioggia, sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di stare troppo a lungo in questa compagnia; e per questo, forse, è il mese più corto dell’anno e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi ancora coperti di brina. Che fatica per il povero febbraio con le sue scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ma febbraio prende la sua fatica allegramente. (F. Palazzi)

Se osserviamo bene, vedremo i primi sintomi del risveglio della natura. Le gemme sono ancora coperte di scaglie resinose e impermeabile che le proteggono dal freddo, ma nei posti più soleggiati, sputano ciuffi d’erba verde, lungo le prode sbocciano le violette timide, i ranuncoli gialli. Sulle zolle ancora nude ecco le pratoline bianche col collarino rosso che si schiudono all’apparire del sole, per richiudersi subito non appena il sole scompare. E’ la primavera che si annuncia.

Non ti fidare se febbraio ti regala qualche bella giornata. Ecco che, dopo il tepore, un vento gelido accumula di nuovo le nuvole della pioggia. E se il mandorlo e il pesco una mattina ti sorprendono con la loro leggiadra fioritura, non è difficile che, l’indomani, i fiori siano tutti a terra e gli alberi più spogli di prima. Ma, anche nei suoi capricci, febbraio precede la primavera e te lo dice con i suoi timidi tentativi durante i quali fa sbocciare un fiore, squarcia le nubi e accoglie festosamente un bel raggio di sole.

L’albero che ha perduto nell’inverno tutte le foglie, sente la carezza del primo sole: “Svegliati, dunque! E mettiti al lavoro! Che cosa aspetti ancora? La buona terra è pronta a darti i suoi ricchi umori. Io ho tiepidi raggi. L’aria ti sussurra attorno una dolce canzone.”. L’albero ode le care voci e chiama dal suo cuore i teneri germogli. (G. Camillucci)

Il mese di febbraio è l’ultimo mese dell’inverno e spesso ci riserba le più crude manifestazioni del freddo. Imperano ancora il gelo, il vento, e spesso la neve. Pure, se guardiamo attentamente intorno a noi, vedremo già qualche manifestazione della primavera imminente. Il cielo spesso nuvoloso e grigio, ha talvolta uno squarcio d’azzurro che, col progredire del mese, si fa sempre più grande e più luminoso. Le giornate sono più lunghe e, talvolta, ci arriva un soffio profumato che sa di bosco e di giardino anche se boschi e giardini sono ancora spogli e addormentati.

Primavera? Siamo ai primi di febbraio e ancora ne ha da cadere di neve, ancor da pungere di freddo. Pure, adesso che ci penso, e guardo meglio in giro, l’annuncio della primavera non è solo sulla bocca della fioraia all’angolo della strada. Forse nelle nubi; forse nel vento; o nell’erba dei giardinetti che hanno il cancello sul marciapiede; o fra le connessure delle pietre; ma, insomma, è. Gioca con me a nasconderello; dove si appiatti non potrei dire, nè dove sbuchi per tornare a rintanarsi; non dice, promette, e poi fugge. (Ada Negri)

Febbraio è un mese infido, volubile. E’ un mese invernale, e vuol sembrare invece un mese di primavera; e lo dice anche. Il due febbraio si festeggia la Candelora, così chiamata per le offerte di candele che si fanno alla Madonna in quel giorno. Ebbene, febbraio fa cantare: “Oggi è la Candelora, dell’inverno semo fora”. Sì, in qualche giorno del mese c’è infatti un sole luminoso e quasi tiepido che ci consola; e sulle rade dei fossi spuntano già le prime violette dell’anno… ma poi, il giorno dopo, ecco che fischia la tramontana e riprende a fioccare la neve. (F. Palazzi)

E’ spuntata la prima viola sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata! E’ venuta a dire che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si copriranno di gemme di fiori, di frutti. E’ venuta a dire al contadino che i lavori dei campi lo aspettano. E’ venuta a promettere ai poverelli, che quest’inverno hanno tanto sofferto, che non farà più freddo. Tra poco il sole tiepido scalderà la terra e la terra tornerà rigogliosa con l’aiuto della natura e il lavoro dell’uomo. (L. Steiner)

Brillano al sole le nevi; sgrondano i tetti. Riponete, ragazzi, slitte e pattini; finito ormai è quest’affanno dell’inverno. L’abete ha sciorinato lungo il clivio la sua ombretta celeste. Non più sentieri ghiacciati, Non più sizze che taglian le orecchie. Ora tutto s’allenta, s’espande, si dona. Com’è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti si rallegrano, l’ombra del fico si disegna sul muro con una tenerezza nuova. (C. Linati)

Un giorno di sole riappare, dapprima timido, freddo, poi manoa mano più caldo; che aria di festa! I prati ritornano soffici, si sciolgono i ruscelli e riprendono a cantare. I ragazzi, felici, invadono le strade gridando, e i poveri sorridono… Ma il gelo, ahimè! Non si è dato per vinto. Di nuovo vittorioso torna signore delle cose. Tutto di nuovo è freddo, silenzioso, immobile. I bambini sono tornati nelle case; i poveri tremano. Quanto durerà ancora il regno del gelo? (G. Fanciulli)

Parla febbraio: “Nell’antico calendario romano io avevo ventinove giorni; me ne tolsero uno per regalarlo ad agosto e, da allora, me lo rendono solo negli anni bisestili; non riesco, però, ad averne mai più di ventinove, e rimango sempre il più corto dei dodici fratelli. Dicono che sono cattivo: Febbraio, febbraietto corto e maledetto. Allora cerco di portare un poco di allegria con il carnevale; e la gente si diverte più che può senza curarsi del mio freddo.” (M. Toscano)

Parla febbraio: “E nei campi, che cosa si fa? Non troppo ancora, ma c’è la speranza del marzo vicino; i contadini si preparano, sapendo che, dopo di me, verranno subito i primi tepori. Essi pensano a potare le viti, a scortecciarle per distruggere gli insetti dannosi. Le greggi, seguite dal vigile pastore, risalgono i colli in cerca delle prime erbette. Si comincia la tosatura delle pecore; la lana è la prima preziosa raccolta dell’annata.” (M. Toscano)

Oh valletta, che ancora non è primavera e tu di sorridere tenti già! Lascia che io riveda com’è quel bel verde che quasi negli occhi l’immagine più non ne trovo! Rimirati, o valletta, raccogliere ad una ad una le piccole dolci tue cose… Quelle prime tue primule uscite a sentire se il sole è già tiepido, l’aria meno grigia, quel tuo timido verde che torna cercando fra gli aridi ciuffi il sentiero. (F. Chiesa)

Piove, e sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadine luccica; e luccicano gli ombrelli, i cappucci dei cappotti impermeabili. Nei campi, i fossi gonfi d’acqua borbottano. I fiumi corrono limacciosi in piena e portano innanzi quanto hanno rapinato dalle prode. Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia, tra i vapori che salgono dalla terra e lentamente vanno a confondersi alle nuvole grige. Non finirà mai più? Si sta bene al chiuso, all’asciutto, al caldo. E per fortuna febbraio è corto. (G. Fanciulli)

Il giorno della Candelora la primavera si è affacciata nei cieli ed ha sbandierato il suo gonfalone di raso celeste. Dalle piazze, dalle vie, dagli abbaini, dai fondachi, tra le tende e dietro i vetri, gli uomini l’han vista, l’hanno sentita; i giovani non un guizzo di gioia nella pupilla… Già ci investe la luce. Questa è per tutti gioia e potenza. I giorni sono più lunghi… Fa meno freddo. Ognuno di noi ha uno scopo da raggiungere, immediato: la primavera. (A. Bucci)

Nel lungo inverno la terra pare come morta, ma non è così. Essa dorme il suo sonno tranquillo e riposante; dormono anche molti animali nelle loro tane. Dorme la terra, ma pure nel sonno, come una madre amorosa, copre sotto il suo manto milioni di semi che come lei dormono, e li difende dal freddo e li prepara per il risveglio primaverile. (G. Cives)

Mi ricordo bene di certe corte e ventose giornate di gennaio e di febbraio, quando si camminava via lesti per le strade dure, ghiacciate, che risuonavano sotto i passi, fra i muri asciutti che rimandavano gli echi, sotto le sfilacciature bianche delle nuvole alte. A forza di camminare tornavo a casa coi piedi brucianti e il viso acceso, tutto vibrante e vigoroso come se tornassi da una vittoria. (G. Papini)

Quando sul salice appaiono le prime infiorescenze, non c’è dubbio: la primavera ha ripreso possesso di questo vecchio mondo. Le gemme sono le sue messaggere. Durante l’inverno, le gemme cominciano a far capolino. Poi lentamente s’ingrossano, e sui rami spogli si vedono piccole protuberanze coperte di scaglie color bronzo, marroncino, e d’un delicato verde. Alcune di esse sono lisce, altre lanuginose, o ruvide, o increspate, come protette da corazze di vari colori e di varie forme. (D. Culross Peattie)

Le scaglie che rivestono le gemme non servono a proteggerle dal freddo, come si crede. Durante l’inverno le gemme sono fredde, addirittura ghiacciate, poichè spesso nell’interno si formano cristalli di ghiaccio. Le scaglie servono a proteggere le gemme dal vento gelido. Poi, mentre la neve resiste ancora sulle cime dei monti e Febbraio sferza ogni cosa col vento e le piogge violente, la temperatura delle gemme aumenta, e una mattina, all’improvviso, tutto intorno a noi s’è rivestito di verde, e il miracolo della primavera si rinnova. (D. Culross Peattie)

Febbraietto corto e freddo, in ogni luogo ci mise la febbre. Tutta la terra ha un nascosto bollore. Sale alle cime la linfa e le gemme già si ingrossano e friggono. Continuano le piantagioni e la potatura. L’accetta lavora in pieno per togliere il vecchio e il superfluo ed aiutare il nuovo. La cattiva accetta rovina gli alberi. Il belar degli agnelli empie la campagna dove mandorli e peschi cominciano a fiorire; e dalle masserie fuma l’odor delle ricotte. Carnevale passa tra risa e divertimenti. (F. Lanza)

E’ il mese più breve perchè ha soltanto 28 giorni e ventinove negli anni bisestili. Febbraio era, nel calendario romano antico, l’ultimo mese dell’anno. Il primo mese era Marzo, da Marte, il dio della guerra. Il nome deriva da “februare” che vuol dire purificare, espiare: il mese infatti era dedicato alla purificazione. I nostri antenati usavano espiare per sè e per i defunti e purificare gli animali mediante cerimonie che si svolgevano sul Colle Palatino. A noi, febbraio porta la bella festa della Candelora e l’allegria del Carnevale.

Se provate a fare una passeggiata in campagna, quante cose si riveleranno ai vostri occhi che voi nemmeno pensavate! Spunta già il grano, e lieve lieve, morbido morbido, copre la terra di un mantello verde non appena la neve la lascia libera. E se guardate sulle siepi, troverete certi bocciolini duri e pelosi che aspettano soltanto un raggio di sole per aprirsi. E’ il biancospino e, fra qualche giorno, vedrete che fioritura candida e profumata sopra le siepi rinsecchite! Gli uccellini cinguettano: sono allegri anche loro. Cominciano a trovare qualche cosa di più da mettere nel becco: gli insetti, le larve fanno capolino dalla terra e sono proprio dei saporiti bocconi.

D’inverno, bisce e lucertole sono tutte sparite, sprofondate nei crepacci e nascoste sotto i sassi a dormire profondamente. Ma quando un raggio di sole tiepido batte sul loro rifugio, il sangue scorre più veloce, i battiti del cuore si fanno più rapidi e comincia a farsi sentire l’appetito. Coraggio, facciamo capolino! Chissà che non ci sia qualcosa da divorare tanto per non morire di fame. Il grasso del corpo che questi animali hanno consumato durante il loro letargo è ormai tutto finito e c’è bisogno di rinnovare le provviste!

Dettati ortografici a tema: il mese di febbraio

Il primo raggio di sole ha destato la lucertola che fa capolino dal suo rifugio, palpitante sotto la sua leggiadra corazza verde. Tassi, ghiri, marmotte sono ancora in letargo, il lunghissimo sonno durante il quale le funzioni vitali si sono rallentate al massimo permettendo all’animale di vivere senza mangiare e senza muoversi e di sopportare il freddo intenso. Ma il loro sangue comincia a scorrere più veloce, il cuore batte più svelto e l’appetito comincia a farsi sentire. Presto, al primo sole di primavera, li vedremo far capolino dalle loro tane, baffi vibranti e naso al vento per sentire il primo avviso di primavera.

Febbraio febbraietto, corto e maledetto! Ma perchè maledetto, povero, piccolo mese, così allegro, così spensierato, sempre in vena di mascherarsi e di andare a ballare? Per qualche stizzone di gelo più forte, ora che la gente cominciava a gustare il tepore del primo sole? Ma insomma, anche febbraio è un mese dell’inverno e anche lui ha il suo bravo diritto di avere piogge, freddo, geli e magari qualche nevicata. Ma, in compenso, guardate quante maschere! E quante stelle filanti! E quanti coriandoli! Una continua festa!

Il cielo fa ancora il broncio, ma non gli date retta: non vedete un riflesso azzurro nelle pozzanghere? E se cercate bene sulle prode dei fossi, chissà che non troviate una violetta, magari una sola, ma così profumata, così gentile che vi metterà in cuore una grande allegrezza. E poi, anche se febbraio vuol fare il cattivo, non durerà molto. Ha solo ventotto giorni, qualche volta ventinove, e presto ci dirà addio. E poichè è il più piccino, bisogna pure perdonargli qualche bizza!

Il secondo mese dell’anno è caro ai bimbi per le allegre ricorrenze del carnevale. Pantalone, Arlecchino, Balanzone, Pulcinella, Gianduia, Rugantino, Stenterello… scherzano e ridono per le vie delle proprie città, fino al giorno delle ceneri, al quale seguirà la Quaresima, periodo di raccoglimento e di penitenza che precede di quaranta giorni la Pasqua. La terra incomincia a scuotersi dal torpore invernale.  Le giornate si sono allungate e il sole si mostra più spesso nel cielo. Spuntano le prime margherite, fioriscono le mimose. Il grano incomincia a verdeggiare nei campi. Il contadino semina rape, piselli, lattughe, cipolle. Il nome febbraio deriva dalla parola latina “februare”, che vuol dire purificare, perchè, anticamente, era questo il tempo in cui il corpo veniva purificato per renderlo degno di avvicinarsi ai templi degli dei. I romani lo avevano dedicato a Giunone.

Tutte le cose dormono ancora il lungo  sonno invernale. I ghiaccioli pendono dalle grondaie e i comignoli fumano dalla mattina alla sera. Il gelo sembra padrone del mondo.
Ma un giorno il sole riappare: un sole dapprima timido, freddo, poi a mano a mano più caldo.
Che aria di festa! I prati tornano soffici, i ruscelli si sciolgono e riprendono a cantare. I ragazzi, felici, invadono le strade gridando, e i poveri sorridono. Appaiono i primi fili d’erba, nuovi nuovi. Ma il gelo, ahimè, non si è dato per vinto. Di nuovo vittorioso, torna signore delle cose. Tutto di nuovo è freddo, silenzioso, immobile. I bambini sono tornati nelle case; i poveri tremano. (G. Fanciulli)

Brillano al sole le nevi, sgrondano i tetti. Riponete, ragazzi, slitte e pattini: finito è ormai quest’affanno dell’inverno. Non più sentieri ghiacciati, non più ventate che tagliano le orecchie. Ora tutto si allenta, si espande, si dona. Come è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti s’allegrano, l’ombra del fico di disegna sul muro con una tenerezza nuova. Riponete, ragazzi, slitte e pattini! Andiamo ai primi lavori. (C. Linati)

Il più breve mese dell’anno, spesso, giunge con furia di vento, di freddo e di neve. Ma dopo alcuni giorni, dove sono le nubi? Non c’è più che un po’ di nebbia, rada rada, che lascia vedere il cielo sereno.
Allora, la neve e il ghiaccio cominciano a sciogliersi e i ruscelli riprendono il loro cammino.
Allora, ai margini delle strade di campagna, tra foglie secche e teneri fili d’erba, si scoprono cespi di primule, macchie di crochi, ciuffi di violette.
Timido annuncio della bella stagione.

Il mese allegro è spesso il mese più freddo dell’anno. L’inverno fa sentire ancora i suoi rigori, ma le sponde dei fossi, le prode dei campi mostrano fili d’erba nuova e boccioli che aspettano un raggio di sole per aprirsi.
Poi, febbraio è un mese allegro. La gente si diverte ed è contenta perchè è carnevale, ma soprattutto perchè l’inverno sta per finire.

Il cielo è nuvoloso: ogni tanto qualche lembo di azzurro, qualche sprazzo di sole; e poi da capo il grigiore freddo e uggioso. Il vento soffia, sibila, stride, scuote le porte, forza le imposte, fa tintinnare i vetri e rabbrividire i bambini. Le montagne si risvegliano, e incominciano a scuotere la canizie dal capo: la neve a poco a poco si discioglie; giunge di lontano il fragore dei torrenti che precipitano a valle. Qua e là verdeggiano gli olivi.
I ragazzi sgambettano allegri di stanza in stanza e scendono volentieri a rincorrersi per le strade e per la campagna. (G. Berlutti)

La nebbia, e le nuvole, cariche di pioggia e di neve, sono rimaste sorprese. Chi sono quegli uccelli scuri e fischiettanti, che volano nella bufera, sicuri e ad ali aperte? Nessun altro uccelletto ha ancora avuto il coraggio di tornare. Ma gli storni sì. Eccoli. Si posano. Vanno  popolare le aie deserte.
Nella fredda notte, il gelo è ancora feroce. Ma lo storno dorme accanto a un camino tiepido. Nella mattina, il gelo ha fatto luccicare di ghiaccio e di brina i campi e i rigagnoli. Poi viene il sole. Il gelo si nasconde nell’ombra. E lo storno vola fuori a fischiettare.

Il vento, la neve, la pioggia sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di star troppo a lungo in questa strana compagnia: e per questo, forse, è il mese più corto dell’anno, e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi coperti di brina e di ghiaccio.
Che vitaccia fa il povero febbraio, con le scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ognuno ha, nella vita, la sua sorte di lavoro, la sua razione di fatica. Ma febbraio prende la sua fatica allegramente. I mesi dell’anno hanno bisogno anche di lui per scaricare il freddo bagaglio dell’inverno. Febbraio corre. Per nascondere la sua fatica si è messo sul volto la maschera del carnevale. (O. Vergani)

La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva dietro le palpebre chiuse, a sentirsi frugare tra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le lunghe dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva piano piano: “Svegliati”. E mormorava: “Svegliati”. E poi: “Su, su, è l’ora, vestiti”.
E la terra fingeva ancora di dormire, perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia.
Alla fine ha aperto gli occhi delle margheritine, ed è rimasto un odore di terra bagnata nei giardini. (A. Campanile)

Si sente nell’aria l’alito della primavera: il rigore dell’inverno si è spezzato. Il bel tempo dura da una settimana e i giorni si succedono uguali, pieni di lavoro; la sera si ritorna a casa soddisfatti. In questi giorni mi sento insolitamente allegro: sono buono e garbato con tutti.
Nei campi le voci risuonano chiare e festose. Verrebbe voglia di abbracciare tutta la gente che fatica sulla terra. Anche gli uccelli, sentendo il tepore dell’aria, sono in festa.
E’ stata una bella giornata, ma con le prime ombre della sera il freddo si è fatto pungente. Passando nel querceto, sento i ruscelli fiottare; gli alberi spogli nel chiarore lunare hanno una rigidità spettrale. (F. Seminara)

Quando l’inverno muore lentamente nella primavera, nelle sere di questi bei giorni limpidi, lieti, senza vento, in cui si tengono spalancate per le prime volte le finestre e si portano sulle terrazze i vasi dei fiori, le città offrono uno spettacolo gentile e pieno di allegria e di poesia. A passeggiare per le vie si sente, di tratto in tratto, nel viso, un’andata d’aria tiepida, odorosa.
Di che? Di quali fiori? Di quali erbe? Chi lo sa!
Son profumi indistinti e sconosciuti, che sentono di freschezza, di gioventù, e di vita. (E. De Amicis)

Il 19 febbraio si festeggia San Biagio. San Biagio, prima di essere eletto vescovo, faceva il medico. Durante la persecuzione di Licinio, si nascose in una caverna dove curava le bestie che a lui accorrevano. Scoperto e condotto davanti al magistrato, fu condannato a morte.
Mentre veniva condotto al supplizio, avrebbe guarito un fanciullo che stava per soffocare per aver inghiottito una spina di pesce. Grazie a questo prodigio, Biagio viene invocato specialmente per i mali di gola ed il giorno della sua festa viene, appunto, benedetta la gola con l’apposizione di due candele benedette da parte del sacerdote.

Secondo la legge di Mosè, quaranta giorni dopo la nascita di un bambino, ogni mamma si presentava al Tempio per la purificazione, recando un’offerta. Anche la Madonna presentò Gesù al Tempio ed offrì due tortore. In alcuni paesi, si ricorda la purificazione di Maria con una processione nella quale i fedeli portano candele benedette. Per questo motivo, il 2 febbraio viene detto la “Candelora”.

Il passero pigola tra le fronde sempre verdi e fa capolino dalla volta di un tegolo, rannicchiato, irsuto come un riccio. Poveri passeri! Li vedete fatti dalla necessità doppiamente domestici, spiccarsi tratto tratto dai comignoli, venire a stormi dalla campagna tutta coperta, svolazzarvi tra le gambe, cercando qualche cosa da beccare. Intanto quella pietosa bimba sbriciola agli affamati uccelletti il panino della sua colazione. (A. Stoppani)

Il mese di febbraio
In febbraio proseguono le feste del Carnevale. Pantalone, Arlecchino, Balanzone, Pulcinella, Gianduia, Rugantino, Stenterello, scherzano e ridono per le vie delle proprie città, fino al giorno delle Ceneri, al quale seguirà la Quaresima, periodo di raccoglimento e di penitenza che precede di quaranta giorni la Pasqua.
Le giornate si sono allungate, il sole si mostra più spesso nel cielo. Spuntano le prime margherite, fioriscono le mimose.
Nei tempi antichi questo era l’ultimo mese dell’anno. I Romani lo chiamarono così da verbo latino “februare” che significa purificare. Infatti era questo il periodo delle purificazioni di fine anno. Anzitutto debbo dirvi che purificare per i Romani era un atto al quale essi attribuivano un gran valore, ai fini di procacciarsi il favore degli dei.
E volete sapere in che modo effettuavano queste purificazioni? O col fuoco, portando in giro grandi fiaccole nelle cerimonie religiose, o con l’acqua, con la quale effettuavano abbondanti aspersioni sulle cose e sulle persone. Ecco perchè all’ingresso dei loro templi si trovavano sempre grandi recipienti ricolmi di limpide acque.

Febbraio
Il vento, la neve, la pioggia sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di star troppo a lungo in questa strana compagnia e, per questo, forse, è il mese più corto dell’anno e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi ricoperti di brina e di ghiaccio. Che vitaccia fa il povero febbraio con le scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ognuno ha, nella sua vita, la sua sorte di lavoro, la sua razione di fatica… ma febbraio prende la sua fatica allegramente e la nasconde sotto la maschera del Carnevale.
(O. Vergani)

Febbraio
Febbraietto corto e freddo in ogni luogo mise la febbre. Tutta la tera ha un nascosto fervore. Sale alle cime la linfa e le gemme già ingrossano. Continuano le piantagioni e la potatura, e si zappa la vigna che poi bisogna impalmare.
E’ l’epoca giusta per gli innesti.
Dissodata la terra, si piantano le viti nuove; si riparano le conche e i muretti.
I seminati vogliono pioggerelle e nelle giornate belle, vi si passa la zappa.
Il belare degli agnelli e dei vitellini empie la campagna, che già mandorli e peschi cominciano a infiorare.
Carnevale passa con risa e divertimenti.
L’inverno prima d’andarsene intirizzisce marine e montagna; ma non hai tempo di volgerti indietro, che marzo ti passa avanti.
(F. Lanza)

Il febbraio dell’aquila
Era stato un inverno terribile; il novilunio aveva illuminata la campagna, nascosta completamente sotto un’infinita coltre di neve, covando i germi delle messi sotto un’insolita parvenza di morte.
I rami degli abeti innumerevoli parvero allora braccia stanche di una cappa troppo pesante; e i grandi alberi, digradanti in fila lungo il confine aspro e scosceso della foresta, furono simili a schiere di frati minori che vanno per via.
Sui rami nevosi la luna accendeva riflessi d’oro e d’argento; non un soffio di brezza agitava il grande esercito dei giganti pietrificati dal gelo.
In quelle lunghe notti, l’aquila dormiva, col fiero capo nascosto sotto un’ala enorme o abbandonato sul petto gonfio di penne, nell’incavatura di due rupi in bilico sull’abisso; e fin lassù arrivavano, così alto era il silenzio, gli urli lamentosi e strani delle volpi e di qualche lupo affamato.
I gioghi s’incoronavano di spettacolari ammassi di nuvole; e in grembo a quelle scoppiarono folgori secche e abbaglianti; e raffiche impetuose di venti furibondi agitarono e sbatterono, per l’anfiteatro delle montagne, fitti velari d’acqua, che si polverizzava sulle frasche, nascondendo ogni cosa.
I leprotti non uscivano più dai covi; le starne rimanevano nascoste nel cavo dei grandi alberi sventrati, in imezzo alle alte piante, i pollai erano chiusi.
non vi era possibilità di caccia e l’aquila languiva.
Per quanto capace di un digiuno di due, tre settimane, troppo frequenti erano ormai i periodi nei quali il colossale nido rimaneva sprovvisto di cibo. L’aquila aveva covato tre aquilotti: uno lo uccise, perchè troppo debole, poi ne uccise un altro, perchè troppo vorace…
(F. Paglieri)

Disgelo
Brillano al sole le nevi; sgrondano i teti, l’abete ha sciorinato lungo il declivio la sua ombra celeste. Non più sentirsi ghiacciati, non più ventate che tagliano le orecchie.
Com’è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti si rallegrano, l’ombra degli alberi si disegna per terra e sul muro con una tenerezza nuova.
E andiamo ai primi lavori. C’è il fosso da ripulire sotto il campo d’avena, la cavedagna che vuol essere riassettata alla falda del poggio.
Un’occhiata al pronto marcito sebbene verdeggi sull’orlo; poi scalzeremo un po’ di bosco ed a sera faremo il frutteto. Voi, ragazzi, riponete slitte e pattini: finito è ormai quest’affanno dell’inverno.
(C. Linati)

Non è ancora primavera
Primavera? Siamo ai primi di febbraio e ancora ne ha di cadere, di neve; ancora da pungere, di freddo. Pure, adesso che ci penso, e mi guardo meglio in giro, l’annuncio della primavera non è solo sulla bocca della fioraia all’angolo della strada. Forse nelle nubi, forse nel vento, o nell’erba dei giardinetti che hanno il cancello, sul marciapiede, o fra le pietre: ma, insomma, c’è. Gioca con me a nascondino: dove si nasconda non potrei dirlo, né da dove sbuchi fuori per poi tornare a rintanarsi; non dice nulla, promette e poi fugge.
(A. Negri)

Primavera precoce
Il temporale della sera precedente aveva fatto sulla natura l’effetto di una bastonata secca sulla testa di un uomo, cui tutte le idee si imbrogliano: la natura, intontita, aveva scambiato febbraio con aprile.
Quel giorno non c’era più niente a posto. Il cielo era d’un colore tenero di cobalto, tutto limpido; un vento tiepido vi correva, e sembrava che lo spazzasse e lo riscaldasse. I colori vivaci, rossi e azzurri, che per tanti giorni non si erano più visti, ora si stendevano dappertutto: il sole, allegro pittore, spennellava franco e denso le strade, le case e gli uomini.
Gli alberi erano ancora nudi, ma una brezzolina li faceva tremolare: e in rapido tremolio rammentava il bisbiglio inquieto delle prime foglioline.
(Gatti)

Presagi di febbraio
E’ quasi mezzogiorno, e dappertutto c’è un gran silenzio. Non odo che un fracasso di treno lontano, laggiù dalla parte di Firenze, qualche canto di gallo; e il taglio secco delle forbici, e questo squillo del pennato dei portatori, che mi rammenta dolcemente gli inverni della mia collina, della mia infanzia…
Ma col sole ecco la dimoia e la mota. I rigagnoli corrono; le primavere, i ranuncoli e anche gli anemoni mettono la testa fuori dalle zolle credendo che sia aprile. Infatti fa quasi caldo e non vedo che un po’ di neve rosea in cima alle lontane montagne pistoiesi, mentre i pettirossi cantano qui accanto, nelle siepi di sanguine, e le cince fra le chiome rossissime dei salici.
Un contadino che saluto mi dice che questa stagione non vale nulla per i raccolti. Ma io sono felice. Tutta la terra ai miei piedi, pare una pedana di seta, ricamata a colori pallidi, ma caldi e luminosi.
(A. Soffici)

La certezza della primavera
Era un ramo d’annunciazione.
Non pensai più che a una cosa: dopodomani è marzo…
Presto dimoia: le prode dei fossi sono  brune di mammole sotto la neve che sta per sciogliersi: gli alberi dietro quell’apparenza arcigna e stecchita, covano le gemme. Che ti immaginavi? Che l’inverno non dovesse finire mai?
Ancora, dunque, la certezza della primavera: giornate che si allungano, aria che si riscalda, prati che rinverdiscono, primule senza gambo che, se le vuoi cogliere, le strappi da terra e tutto: così fresca, la terra, nelle mani. E ancora gli alberi da frutto che si fanno bianchi e rosa come le nuvole. E ancora, ancora, per noi, forza da riprendere, lavoro da compiere, promesse da mantenere, anime da conoscere: vita, insomma, da vivere.
Per qualche istante non ebbi negli occhi che lo splendore del ramo di pesco: nel cervello, che pensieri simili ad esso.
La gioia di quella fioritura diveniva, in me, gioia di sentirmi al mondo.

In cerca della primavera
Sono condotto su una stradaccia di fango secco che va serpeggiando tra rocce sconnesse, incrinate e corrose dai ghiacci; tra scoscendimenti biancazzurri, scarniti e scavati dalle piogge; tra pietraie sinistre cosparse di tumuli erbosi e di arbusti dove, si dice, le volpi hanno le tane e le vipere i covi.
E poi vado avanti su prode molli e franose, su sentieri invasi dalle felci intirizzite e dai rovaio spogli…
Ma finalmente ecco aprirsi davanti una valletta verde e benevola. Sembra davvero, dopo tanta ostilità selvaggia e tanto affannoso strapazzo, una raccolta sala ospitale, con i suoi tappeti d’erba fitta e asciutta, con i suoi giacigli di foglie secche, con i suoi cerchiellini di fiori acerbi e primaticci e, soprattutto, con le sue rustiche mense di pietra umida e oscura…
Sopra una di queste tavole c’è un incavo naturale della pietra dove è rimasto un monticello di neve che fa pensare a una ciotola di sale bianchissimo… Intorno l’aria è gelata, il silenzio è perfetto, la solitudine definitiva, ma il bel cielo in alto mi appare più vicino, più amico…
(G. Papini)

L’arrivo dello scirocco
Al termine di ogni inverno arrivava lo scirocco col suo rombo profondo che l’alpigiano ode con tremore e spavento, mentre in paesi stranieri lo bramano con struggente nostalgia.
Uomini e donne, montagne, selvaggina e bestiame lo sentono molte ore prima che si avvicini. La sua venuta, quasi sempre preceduta da freschi venti contrari, si annuncia con un sibilo caldo e profondo. Per qualche istante il lago verdazzurro diventa nero come l’inchiostro e all’improvviso si incorona di spume candide e irrequiete: tranquillo e silenzioso fino a qualche minuto prima, incomincia a tuonare con l’accanita risacca di un mare contro la riva.
Nello stesso tempo tutto il paesaggio si rannicchia per paura. Sulle cime che di solito sognano in remote lontananze si possono ora contare i macigni, e nei villaggi che normalmente sembrano macchie brune laggiù in riva al lago si distinguono ora tetti, cornicioni e finestre. Tutto si restringe, monti, prati, case, come un gregge impaurito. Poi incominciano i fischi rabbiosi e la terra trema. Onde del lago sollevate si disperdono nell’aria come fumo e, specialmente di notte, si ode la disperata battaglia tra l’uragano e le montagne. Poco tempo dopo si sparge la notizia di torrenti colmati, di case divelte, di barche fracassate, di padri e di fratelli dispersi.
(H. Hesse)

Scende, tra le nebbie, il sole
Il sole sembrava, scendendo fra le nebbie, una palla di rame che scomparisse in mezzo alla cenere. Ma eccolo che ritorna.
E’ un intenso color di rosa, che dal lontano occidente sale e si dilata sino a impregnare di sé gran parte del cielo. Le masse d’alberi, rese spaziate e leggere dalla nudità dei rami, si disegnano in trine e trafori, delicatissime, sugli accesi riflessi degli sfondi. Il ghiaccio delle lance s’imporpora, rifrange splendori di rubini. I tronchi dei pioppi e dei salici si animano di una profonda tinta violastra.
Salici di fiumi, dal ceppo basso, largo, nocchieruto, dalle grosse teste scarmigliate e irte: pioppi alti e sottili, incorporei come ombre: terra d’inverno, più vasta, perchè più spoglia, più libera, perchè placata.
Ma già l’aria s’è fatta d’un grigio azzurrognolo d’ortensia: il rosso è tutto nell’acqua. Si spostano i riflessi: si spezzano le armonie: qualcosa ha da morire, e si dibatte contro la fine, pur sapendo che ha da rinascere. Qualcosa di infinitamente piccolo, di infinitamente grande: il giorno.
(A. Negri)

Tramonto
I tramonti duravano ore e ore, come se la giornata si rifiutasse di terminare, e quel sole infantile, già mezzo nascosto tra le montagne azzurre, stesse troppo bene in cielo. Erano tramonti lentissimi, pieni di tutti i colori più meravigliosi; dove il rosso del fuoco passava all’arancione, e al giallo; e a uno strano verde mattino pieno d’incanto e al viola dei fiori, chiaro chiaro come le prime violette di primavera, e poi sempre più cupo e notturno. Quei colori scendevano dalle nuvole, si muovevano dolcemente, riempivano l’aria e sembrava la facessero densa come un’acqua trasparente.
D’un tratto, in quell’aria visibile, apparivano i pipistrelli, e svolazzavano silenziosi, in cerchi incerti, neri come la notte prossima, e così lontana.
(C. Levi)

A catafascio nel gelo
Mentre dalla finestra del mio studio guardo la strada illividita dall’inverno, spazzata dal gelido tramontano, deserta, vedo venire in bicicletta, correndo in senso inverso, due uomini rimbacuccati, i quali rasentano a testa bassa l’alto ciglio della siepe per ripararsi dal vento che taglia loro la faccia paonazza.
Arrivati proprio davanti a me senza essersi visti l’un l’altro, essi si cozzano con violenza e vanno entrambi a catafascio con le loro biciclette contro il ciglio indurito del gelo.
Restano un momento lì a gambe all’aria, come istupiditi; poi, in silenzio, si distrigano dalle loro macchine, si rimettono in piedi, si tastano tutto il corpo, si scuotono la terra e gli stecchi dagli abiti, raccattano il cappello; infine, presa per il manubrio ciascuno la sua bicicletta, ne stringono fra i ginocchi la ruota davanti per raddrizzarla.
Nel fare questa operazione, uno di loro dice: “Andavo a testa bassa, non vedevo”.
“Sono cose di poca importanza” risponde l’altro.
Tutt’e due inforcano di nuovo la bicicletta e se ne vanno pedalando, ognuno per il suo verso.
(A. Soffici)

Le prime passeggiate
Era un loro modo di passare il pomeriggio, ora che le giornate cominciavano a farsi più lunghe e c’era già per aria come un presentimento di primavera, andarsene con un libro o un lavoro in campagna. O nelle pinete verso l’interno, dove il profumo della resina creava un’aria rarefatta e remota: oppure lasciandosi il borgo alle spalle e prendendo il viottolo che portava al mare.
Anche qui c’era una pineta, ma più limitata e raccolta, e il paesaggio diventava arido, forse per le vicinanze delle cave di pietra. C’erano larghe zone incolte, avvallamenti ruvidi e cunette folte di verde, qua e là: i cespugli delle ginestre, la lava seccata e indurita, il binario dei carrelli per il trasporto delle pietre, un’aria di brughiera; e più giù il mare, con un modesto cantiere allestito nelle rovine d’una torre saracena.
Le case coloniche erano rade, calcinate di bianco, ma con l’intonaco screpolato dalle intemperie del luogo aperto aumentavano la desolazione del paesaggio più che mitigarne l’asprezza con una nota di umanità.
(M. Prisco)

Giochi sulla spiaggia
Siamo rimasti sulla spiaggia tutta la mattina. Ogni minuto Luigino aveva una nuova idea. Inventai anch’io un gioco che piacque molto. Ciascuno, a turno, faceva il cacciatore e con la palla cercava di colpire gli altri che fuggivano. Chi era colpito aveva l’obbligo di buttarsi a terra mentre la caccia continuava. Se il cacciatore mancava il bersaglio, un altro poteva raccogliere la palla e diventare a sua volta cacciatore. Vinceva chi restava solo fra i caduti. Naturalmente Luigino era il più bravo. Anche Marie era bravissima. Non avrei mai creduto che fosse così svelta ad abbassarsi per schivare il colpo ed acciuffare la palla che rotolava via. S’era accesa in viso e quando aveva la palla era implacabile.
Hai voglia di fuggire!
Ti veniva dietro, instancabile. Per correre più veloce s’era tolta le scarpe e ti arrivava addosso in quattro salti. E, infine, pam, il suo tiro faceva sempre centro.
Negli intervalli fra un gioco e l’altro sedevamo in faccia al mare. La sabbia era tiepida e faceva piacere starsene lì a crogiolarsi al sole.
(M. Cancogni)

Piove
Sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadina luccica… Nei campi i fossi gonfi d’acqua borbottano. I fiumi in piena corrono limacciosi e portano quanto hanno rapinato dalle prode. Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia… E per fortuna febbraio è corto…
(G. Fanciulli)

Dettati ortografici FEBBRAIO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici: Gennaio

Dettati ortografici su gennaio – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste. Brevi dettati ortografici a tema per esercitare la scrittura e seguire il ritmo della natura… 

Il cielo è grigio, coperto di nuvoloni carichi di pioggia o di neve. Gli uccellini non cantano più. Gli alberi sono nudi e spogli.

Sotto la neve, pane! E gennaio copre di un mantello candido le verdi piantine del grano che così non geleranno.

Gennaio è un dei mesi più freddi dell’anno. La neve ricopre tutto col suo mantello candido. Il vento urla fra i rami degli alberi spogli.

Fra le divinità adorate dai Romani, vi era Giano, il dio dai due volti, propiziatore del nuovo anno, simbolo della fine e del principio, al quale era dedicato il primo mese: gennaio. E poichè dove una cosa finisce ne comincia necessariamente un’altra, Giano era anche il dio dei confini, delle porte, della pace e della guerra; la sua specialità era, insomma, di iniziare un periodo e di chiuderne un altro.

E’ arrivato gennaio col suo carico di freddo, di neve, di pioggia. Ma anche il freddo è necessario. Le piantine di grano, non potendo uscire all’aperto per il gran freddo, moltiplicano sotto terra le loro radici, e si preparano a diventare robuste e rigogliose.

E’ un mese freddo, ma anc’esso necessario. I cattivi germi e gli insetti nocivi muoiono. La terra, sotto la coltre gelida, si riposa e si prepara al lavoro della primavera. Anche gli alberi dormono. Il cielo è quasi sempre grigio e spesso cade la neve.

E’ un mese freddo e rigido. Il cielo è quasi sempre nuvoloso e il sole raramente fa capolino con un raggio scialbo e pallido. Il vento fischia nelle strade deserte. La gente si ripara con indumenti pesanti e caldi, sospirando il ritorno della bella stagione.

In gennaio gli alberi sono brulli, spogli; il vento squassa i loro rami stecchiti. Sembrano morti, ma morti non sono. La vita scorre nel tronco immobile che presto metterà gemme e fiori.

Le nuvole di gennaio sono bigie, pesanti, apportatrici di pioggia e di neve. Il vento le ammassa all’orizzonte in un nembo che copre tutto l’azzurro del cielo. Il sole a stent può farsi strada per qualche momento fra le nuvole grigie, ma il suo raggio non riesce a riscaldare la terra gelida.

Siamo nel cuore dell’inverno. L’aria è gelida. Il vento ulula per le strade, la gente cammina in fretta, avvolgendosi strettamente in sciarpe e cappotti per difendersi dalla gelida tramontana. Si sogna il tepore della primavera.

Parla gennaio: “Sono il primo di dodici fratelli e porto pioggia, neve, brina e freddo intenso. Tutto dorme, ma sotto la bianca coltre di neve, le piantine si sforzano di gettare più radici che possono. A primavera germoglieranno. Quando me ne sarò andato, i campi di copriranno di verde erbetta, il grano di domani.”.

Gennaio è un simpatico mese. Dietro a lui, altri undici signori, chi allegro, chi malinconico, chi coperto di pellicce, chi col costume da bagno. Sono i mesi, suoi fratelli, e insieme formano l’anno. Gennaio porta anche lui, come dicembre, un bel sacchetto di doni. I ragazzi gli vogliono bene; quando c’è per aria odore di regali, va bene anche il freddo, va bene anche la neve. E i ragazzi sognano: calzette piene di doni, cestini rigurgitanti di buone cose, e la tavola, apparecchiata per i giorni di festa.

Gennaio è uno dei mesi più freddi dell’anno. La neve ricopre tutto col suo mantello candido. Il vento ulula e s’ingolfa per le strade. sbatacchiando le finestre. Gli uccellini non trovano neppure un semino per sfamarsi e pigolano e si lamentano. Gli alberi sono spogli e tendono verso il cielo le loro braccia rinsecchite. I prati sono coperti di neve o di brina.

Nella campagna c’è un gran silenzio. La terra dorme, copera di neve, ma, sotto, lavora. La neve la ripara dal gelo e i semi si svegliano domandando se è ora di germogliare. No, non è ora. Fuori fa freddo, continuate a dormire. E invece, quelli, pian piano, mettono fuori una radichetta, e aprono gli occhietti curiosi. Ma, finchè il sole non batterà, di fuori, con i suoi raggi, è proibito uscire.

Lucertole, ghiri, bisce e tassi dormono profondamente. Consumano il grasso che hanno accumulato durante la buona stagione, così risparmiano di mangiare e non soffrono il gelo. Gli uccellini, sui rami spogli, pigolano di fame e di freddo. Gennaio è lungo. Tanti giorni di neve, di pioggia, di vento. Quando le feste sono finite, la gente comincia a mormorare: “Ma quando se ne va?”. E sogna le violette di febbraio.

Gennaio è uno dei mesi più lunghi; con esso comincia l’anno nuovo. E’ un mese freddo: neve, brina, gelo. Ma sotto la crosta gelata della terra, riparati dal mantello nevoso, i semi si danno un gran da fare per stendere le loro radici, per rafforzarle in modo da poter uscire con una pianticina robusta quando il tempo lo permetterà. Ma ora tutto è scheletrito, spoglio, rigido e triste.

Gennaio è il primo mese dell’anno, uno dei mesi più freddi. Nei crepacci e intorno alle fontane si forma il ghiaccio, I monti sono coperti di neve. L’erba dei prati è intristita dal gelo. Gli uccellini hanno freddo e fame. E’ difficile trovare anche un semino per saziare l’appetito. Volano qua e là, pigolando piano, come se chiedessero la carità di una briciola. Ma gennaio porta anche delle belle feste: Capodanno e l’Epifania. Sono feste liete e tutti di fanno gli auguri.

In gennaio il contadino riposa; ma la terra, sotto, lavora. E, più è freddo e più nevica, e più le piantine morse dal freddo accumulano energia per coprirsi di fior e di frutta e più il grano tenuto indietro dalla neve, accestisce: ogni chicco quattro o cinque steli; ogni stelo una spiga, ogni spiga tanti granelli. Aritmetica dell’universo. Sotto la neve, pane; sotto l’acqua, fame.

Gennaio prende il suo nome da Giano, il dio che i Romani raffiguravano con due facce: una volta al passato, una volta all’avvenire. Infatti, essendo il primo mese dell’anno, gennaio ci invita a guardare quello che è passato e a sperare e far propositi per i giorni che verranno. Che cosa ci riservano, questi? Nessuno lo sa.

I contadini seminano il grano, arano il terreno per le patate e il granoturco; potano le viti e gli ulivi. Gennaio è il mese più freddo dell’anno, ma è tanto amato dai bambini per l’Epifania.

Sole di gennaio
Siamo alla fine di gennaio e nell’aria c’è già un sole, un respiro, un errabondo odore di primavera.
Si sente dire che sui colli i mandorli cominciano a fiorire; ma qui, nell’orto suburbano che mi consola con la sua vista serena, non si scorge ancora nessun segno di vita.
Dietro la siepe di bosso e il filare di girasoli rinsecchiti e pencolanti l’arida terra porta soltanto qualche ciuffo d’erba pallida tra i mucchi di grigia sterpaglia. I ciliegi disegnano netto nel cielo l’arabesco dei loro rami nerastri e gropposi. Più oltre, la vite a pergola lascia pendere qualche esile tralcio, nudo, chiaro e liscio.
Eppure la precoce primavera è arrivata anche qua.
Il colore del sole mattutino, disteso sul terreno è color di rosa; le ombre dei ciliegi su quel rosa sono violette; quelle della vigna sul muretto bigio di fondo, azzurre e come tremanti. E le tre case che chiudono l’orizzonte, una rosa, una giallina, gialla la terza, slavate dalla pioggia e scialbate dal sole, direi che mandino luce, quasi fossero fatte di una preziosa materia trasparente.
Sono case qualunque, case utilitarie, che non han nulla di bello e neppure ambiscono ad esser belle; ma in quest’aria primaverile d’inverno diventano bellissime: magiche creazioni del nostro sole di pianura, di pianura padovana.
Perchè, sì, anche qui sento e riconosco la mia città materna: in questa semplicità e modestia di paesaggio, in questa timida delicatezza di rapporti tonali in questa luce di poesia che si sprigiona dalle più umili e povere cose.
(D. Valeri)

Dettati ortografici su Gennaio – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici: Dicembre

Dettati ortografici su dicembre – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Il nome di dicembre

Dicembre ha questo nome perchè, al tempo degli antichi Romani, quando cioè l’anno cominciava a marzo, era il decimo mese del calendario. Poi i mesi diventarono dodici, ma il nome restò, così come è restato a settembre, a ottobre e a novembre.

La campagna

La campagna è squallida; nei boschi la vita sembra scomparsa, ma in realtà la volpe, la donnola ed il lupo si avventurano nei campi in cerca di cibo. La stagione invernale è propizia a coloro che amano gli sport di montagna e si recano a sciare sui campi di neve. Nel mese di dicembre proseguono nei campi i dissodamenti, il taglio delle siepi, la potatura degli alberi e la pulizia dei fossi. Si bacchiano le olive e, nelle regioni più calde e nelle isole, si raccolgono gli agrumi che andranno in ogni parte d’Italia e all’estero.

Dicembre

Dicembre è un mese freddo, uno dei più freddi dell’anno. Il cielo è quasi sempre grigio, piovoso; spesso cade la neve. Il vento soffia tra i rami degli alberi spogli e li fa tremare sotto la sua gelida furia. Gli uccellini non cantano più. Soltanto i passeri pigolano, infreddoliti e affamati.

Dicembre

Dicembre è un mese freddo perchè con esso entra l’inverno col suo corteo di nebbie, di pioggia, di neve. Ma se scostate il mantello di dicembre scorgerete una quantità di giocattoli, e un bell’albero di Natale. Dicembre è anche un mese pieno di belle e piacevoli sorprese.

Dicembre

A dicembre come passano le giornate, e che freddo! Si fa tutto in fretta, ma il tempo non basta mai: viene subito sera, ed una volta a letto, sotto il caldo delle coperte, si ripensa all’estate trascorsa, alle belle giornate, alla campagna verde e festosa. Ora, dappertutto foglie secche e niente fiori, niente uccelli. Dove sono andate a finire le rondini tanto allegre? Si vedono solo passeri e pettirossi tristi e infreddoliti.
(G. Cauzillo)

Dicembre

Dicembre è un mese brutto per i poveri. Hanno bisogno di fuoco, di indumenti pesanti, di cibo, di casa. E spesso, i poveri non hanno nulla di tutto questo. Il vento soffia impetuoso e penetra sotto le travi sconnesse. I poveri desiderano la primavera, ma la bella stagione è lontana. Per i poveri l’inverno è duro e doloroso.

Dicembre

Il freddo è arrivato. Gli alberi hanno perduto tutte le foglie e scheletriti e nudi rabbrividiscono al vento che li scuote. Lucertole, bisce, insetti, sono tutti giù, sotto terra a dormire. Si sveglieranno a primavera. Il cielo è grigio e spesso piove. Allora, nella strada, si allargano le pozzanghere fangose, che rispecchiano le nuvole grigie.

Dicembre

Dicembre è un mese pieno di belle feste. Feste di santi, che portano i doni, festa del bambino Gesù, che in questo mese è nato, festa dell’anno vecchio che se ne va per lasciare il posto all’anno nuovo, che tutti sperano sia più buono di quello che è passato.

Dicembre

Dicembre rassomiglia a un vecchione con la lunga barba bianca, tutto avvolto nel suo ampio mantello coperto di neve. Ma se schiude un po’ quel suo misterioso mantello, ecco far capolino un bell’albero di Natale, e tanti, tanti doni, per la gioia dei bambini buoni.

La campagna

I contadini lavorano attorno alla casa: provvedono alla pulitura e alla preparazione degli attrezzi. Viene travasato il vino nuovo. Continua e termina la raccolta delle olive; nei mercati, sulle mense, compaiono arance e mandarini. In questo mese si festeggiano l’Immacolata e la Madonna di Loreto con processioni e falò. In Lombardia, nel Veneto e in Sicilia i bambini attendono i doni da Santa Lucia. Il Natale raduna tutte le famiglie davanti al presepe e attorno al desco per la tradizionale cena della vigilia. San Silvestro chiude l’anno con danze e canti.

Dicembre

E’ dicembre e l’inverno non aspetta la data ufficiale per fare il suo ingresso. Guardiamoci attorno: le manifestazioni invernali sono visibili ovunque. Il cielo, almeno in Italia, è quasi sempre grigio, nuvoloso, percorso da nubi spesse e pesanti. Osserviamo il cielo non solo durante le sue variazioni (pioggia, sereno, nebbia, ecc.) ma anche nelle varie ore del giorno.
Guardiamoci intorno. I segni dell’inverno sono dappertutto. Prati brulli, spesso coperti di brina, cespugli secchi, alberi scheletriti che ormai hanno perduto quasi tutte le foglie, siepi spoglie che lasciano vedere l’intrico dei rami.
In tanto squallore spicca la macchia scura di qualche albero sempreverde. Osserviamo la foglia di questi alberi. Se si tratta di conifere, la foglia è sottile, appuntita come un ago e resistente agli agenti atmosferici. Osserviamo anche gli altri sempreverdi: l’ulivo, l’alloro, ecc. Hanno le foglie dure, resistenti, spesso rivestite di uno spesso strato di cutina, una sostanza coriacea e impermeabile che le difende dalla pioggia, dal freddo, dal gelo.
Nonostante la campagna sia spoglia, non mancano piante da osservare. Non hanno l’esuberanza della vegetazione primaverile ed estiva. Alcune piante sono fornite di bacche: le rose selvatiche, per esempio, e le piante caratteristiche di dicembre: l’agrifoglio e il pungitopo, che spesso servono come motivo di decorazione natalizio.
Le manifestazioni della vita animale sono scarse perchè quasi tutti gli uccelli sono emigrati, fatta eccezione per i passeri, i merli, gli scriccioli, i pettirossi e pochi altri. Alcuni animali, come le lucertole, le bisce, le marmotte, i tassi, i ghiri, sono immersi nel letargo, un sonno profondissimo durante il quale la respirazione e le pulsazioni del cuore sono rallentate al massimo. L’animale, immerso nel letargo, non ha bisogno di mangiare e consuma il grasso accumulato durante la buona stagione.
E gli insetti? Spariti, morti, magari dopo aver deposto le uova in un luogo dove il piccolo nato troverà culla e cibo. Sotto terra ci sono le larve, mollicce, oppure coriacee, ma sempre inerti, come morte. Non sono morte; attendono invece alla loro metamorfosi. A primavera le vedremo trasformate in insetti perfetti.

Dicembre

Nelle campagne è un gran silenzio. La terra dorme, spesso coperta di neve, ma, sotto, lavora. La neve la ripara dal gelo e i chicchi si svegliano, ma non osano metter fuori le loro foglioline verdi. Si danno, invece, da fare con le radici che s’insinuano coraggiose fra le zolle e si moltiplicano e diventano forti per poter essere in grado, dopo, di nutrire e fortificare la pianta che spunterà in primavera.

Dicembre

E’ l’ultimo mese dell’anno e porta nebbia, freddo, pioggia e, spesso, neve. Ma anche il freddo è necessario. Le piante perdono le foglie, ma le radici, sotto terra, si moltiplicano e diventano più robuste. Saranno, così, in grado di sostenere e di nutrire meglio la pianta a primavera quando tutta la natura si ridesterà a nuova vita. Gli alberi alzano verso il cielo grigio le loro braccia spoglie. Sembrano morti, ma lungo il tronco e i nei rami, scorre la linfa che è il sangue della pianta. Scorre piano, lentamente, senza forza, ma a primavera ricomincerà a vivificare l’albero che metterà foglie e fiori.

Una giornata di dicembre
Era una di quelle giornate di dicembre, in cui si direbbe che si solennizzi il vero ingresso trionfale, definitivo, dell’inverno,  con un immenso parata di neve. Chi si era svegliato presto aveva sentito battere sordamente le ore dalla vicina torre, quasi la campana fosse coperta da un panno, o il batacchio rivestito d’ovatta.
Chi è solito aspettare il giorno tra le coperte, ne aveva visto la luce distendersi sulle pareti con insolita bianchezza. Chi aveva messo la faccia fuori, l’aveva ritirata esclamando: “Ehi! Che bella nevicata!”.
Chi fosse salito il alto, avrebbe visto i tetti, le strade, le mura, le campagne al di fuori, l’immenso piano, i colli, le Prealpi, le Alpi, se erano visibili, tutto d’un solo colore.
Quando mi affacciai alla finestra la neve veniva ancora giù, a larghe falde.
(A. Stoppani)

Mattinata di dicembre
La tramontana di stanotte ha seccato la strada; le carreggiate sono dure come il vetro e luccicano per un po’ di brina nell’ombra scura degli ulivi.
Gli alberi nudi frastagliano il cielo coi loro rami e le loro vette che sembrano d’oro.
Sono vicino ad un orto di contadino pieno di piante di carciofi. Oltre l’orto c’è una loggetta e, sotto, una donna che leva il pane dal forno.
Arriva fino a me l’odore del pane misto a quello della terra. Dopo tanta acqua i campi esultano a sentirsi riscaldati e prosciugati da un po’ di sole.
Il grano si rialza dal fango delle zolle, nei solchi c’è però ancora dell’acqua che riflette il cielo azzurro.
(A. Soffici)

Dettati ortografici sui dicembre – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici NOVEMBRE

Dettati ortografici NOVEMBRE – Una raccolta di dettati ortografici, con vari livelli di difficoltà, sul mese di novembre, per bambini della scuola primaria.

Novembre
E’ un mese freddo, nebbioso, umido. Gli alberi sono spogli e alzano, verso il cielo grigio, le loro braccia stecchite. I prati sono umidi di nebbia, la siepe è nuda e mostra l’intrigo dei suoi rami spinosi. Si sente l’inverno vicino.

Fa freddo
Le belle giornate di sole ormai se ne sono andate. Il cielo, quasi sempre grigio, nebbioso, lascia cadere una pioggerellina minuta e fredda. Gli animali si sono rifugiati sotto terra, nelle loro tane tiepide e sicure, i rettili sono nascosti nel profondo dei crepacci, i pipistrelli, a testa in giù, si sono appesi sotto la volta delle grotte oscure. Si sveglieranno a primavera.

I doni di novembre
Novembre porta la pioggia, la nebbia, la brina. Il cieso è sempre grigio, cade una pioggerella minuta e fredda, i prati sono zuppi di umidità, sopra ogni filo d’erba brilla una goccia. Se questa umidità si gela, avremo la brina, la fredda sorella della neve.

L’estate di San Martino
Nei primi giorni di novembre, talvolta il cielo si rischiara. Il sole appare tra la nuvolaglia grigia, i fioretti si schiudono, le erbe raddrizzano i loro steli. Sembra tornata la primavera. Ma è soltanto l’estate di San Martino.

L’estate di san Martino
Il cielo è nebbioso; i rami secchi degli alberri, ormai privi di foglie, lasciano cadere lente gocce di umidità rappresa. Ma ecco che, un bel giorno, il cielo si rasserena, il sole torna a scaldare, tiepido, la terra, i passeri cinguettano, qualche fiore sboccia pensando che sia primavera: è l’estate di San Martino, breve, dolce stagione, piena di tepore e di bellezza.

Novembre
Il cielo non ha più il suo bel colore azzurro. Ora è bigio e coperto di nuvole dense. Gli alberi hanno perduto le foglie. Erano così belli, vestiti di verde! Sono rimasti nudi e stecchiti e rabbrividiscono al vento freddo che scuote i rami con triste fruscio.

Freddo
Il freddo è arrivato. Gli alberi hanno ormai perso tutte le foglie, e scheletriti e nudi, rabbrividiscono al vento che soffia, violento, fra i rami. Lucertole, bisce, insetti, sono tutti giù, sottoterra, immersi nel letargo. Si sveglieranno a primavera. I prati sono senza erba; sulle zolle si forma la brina e sui cespugli secchi si posano i passeri infreddoliti alla ricerca di un granellino per sfamarsi.

Novembre
Una nebbia leggera leggera ingombra l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che non nasconde, ma dà bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna. Di tratto in tratto, a voli brevi, i passeri si slanciano, dai comignoli al piano, e lo scricciolo dal cespuglio alla macchia. (A. Stoppani)

Novembre
Al tempo degli antichi Romani, che furono quelli a dar il nome ai mesi, l’anno cominciava con marzo, ed ecco che novembre era, appunto il nono mese. Mutò il calendario, ma il nome restò, così come sono restati quelli di settembre, di ottobre e di dicembre.

Giorno di nebbia
La nebbia, fitta, umida, silenziosa, bianca, al mattino avvolge in un velo leggero le persone, le automobili, i contorni delle case. Sembra di vivere in un mondo sconosciuto, in mezzo ad ombre. Perfino i suoni sembrano avere un tono più lieve. Verso mezzogiorno la nebbia si dirada e il sole appare in cielo.

Nebbia
Leggera e silenziosa è calata la nebbia. Nasconde col suo velo la luce pallida del sole, i colori degli ultimi fiori dell’autunno. Le case, gli alberi, le persone sembrano ombre. Io cammino adagio, stretto alla mano della mamma. Forse tra poco un raggio di sole riuscirà a sciogliere il velo fitto della nebbia. Allora guarderò lassù per rivedere il cielo.

Pioggia
Il cielo è grigio, pare che un velo lo ricopra tutto. Piove piano, piano. Le gocce si rincorrono in un gioco scherzoso. Ecco, ora una goccia leggera batte ai vetri della finestra. Toc, tic, tac. La pioggia canta la sua canzone. Io l’ascolto in silenzio e osservo nella pozzanghera del cortile il cielo che si riflette.

Arriva il gelo
Viene nelle notti serene, quasi all’improvviso. Si stende tacito sulla terra che si irrigidisce e diventa dura come la pietra. Al mattino un’aria tagliente ci sferza il viso. Tutte le pozzanghere e i fossi sono ricoperti di uno strato di ghiaccio.

 Novembre

Un uomo vestito di grigio, magro e palliduccio, avanza a gran passi. Porta con sè un sacchetto, poche foglie ingiallite e molti crisantemi bianchi. Ma che cosa perde da quel sacchetto? Chicchi di grano? Si capisce, è Novembre, il seminatore.

L’autunno intorno a noi

Guarda: ogni stagione ha la sua poesia di giorni e di cose. Se la primavera inventa i colori, l’autunno li cancella. La terra ha lavorato a dar fieni e biade, ed ecco l’autunno coprirla di foglie cadute, velarla di nebbie sottili, perchè s’addormenti e dolcemente riposi. Gli alberi fino a ieri così folti di chiome, così beati d’ombre e popolati di nidi, ingialliscono e si spogliano. E dove sono gli uccelli?

Nel mese di novembre continua la semina del frumento, delle fave, dell’orzo e della segale. Da per tutto, negli orti e nei giardini, fioriscono i crisantemi. Le giornate sono sempre più brevi. Nel calendario romano novembre era il nono mese dell’anno ed era dedicato a Diana, la dea della caccia. Il mese di novembre è consacrato al culto dei defunti.

Dice la terra: “Ho maturato il grano e l’uva, ho dato il pane agli uomini e alle formiche; dopo tanta fatica, devo riposare. Datemi il seme, che io lo chiuda dentro di me, perchè appena tornerà il sole maturerò ancora le piante che devono darvi il pane”.

Un uomo vestito di grigio, magro e palliduccio, avanza a gran passi. Porta con sè un sacchetto, poche foglie ingiallite e molti crisantemi bianchi. Ma che cosa perde da quel sacchetto? Chicchi di grano? Si capisce, è Novembre, il seminatore.

 

Novembre

Ottime, per la semina, queste giornate di novembre brumose, nebbiose, piovigginose; così la terra è molliccia e le formiche non rubano i chicchi, e i passerotti non li beccano e i polli, razzolando, non li trovano. E intanto, si colgono gli ultimi frutti: no, gli ultimi frutti sono, veramente, le olive. Or che la campagna si addormenta nel riposo invernale, le olive rimangono alla pioggia e al gelido vento sui rami fronzuti. (T. Pellizzari)

L’ultimo raccolto di novembre

Quando la campagna si addormenta nel riposo invernale, le olive rimangono alla pioggia e al gelido vento, nei rami fronzuti. E si gonfiano. E si annerano. E si colmano di olio odoroso. E il contadino comincia a coglierle. E le frangerà sotto la macina. E le torchierà nel pressoio. E dal pressoio, fluiranno taciti rivi d’oro. (T. Pellizzari)

Novembre in campagna

Una nebbia leggera leggera ingombra l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che non nasconde, ma dà bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna… Di tratto in tratto, a voli brevi e furtivi, i passeri si slanciano dai comignoli al piano e lo scricciolo dal cespuglio alla macchia. (A. Stoppani)

Fiori di novembre

I giardini non hanno più fiori: soltanto i crisantemi fanno nei cespugli una macchia rossastra, gialla, bianca. Sono fiori grandi, rotondi, fitti di petali, oppure semplici e piccoli come margherite. La gente li coglie per portarli alle tombe dei morti e il cimitero, in quei giorni, sembra un grande, magnifico giardino. Ma non c’è allegria come negli altri giardini.

Novembre

Novembre è un mese triste. Porta la brina, la nebbia, la pioggia. Il cielo è quasi sempre nuvoloso. I rami degli alberi sono stecchiti perchè hanno perdute tutte le foglie. In questo mese si ricordano le persone care che non ci sono più. Sulle loro tombe si portano i crisantemi che fanno, nel cimitero, un grande giardino. Pure, qualche cosa di allegro c’è anche a novembre. Si raccolgono le castagne che piacciono molto ai bambini. Nei campi il contadino semina. I chicchi affondano nel terreno lavorato. A primavera la terra sarà tutta verde e fresca.

Estate di san Martino

Novembre è un mese triste: nebbia, freddo, cielo nuvoloso, alberi che si spogliano. Passano gli ultimi stormi di uccelli migratori che si dirigono verso i paesi caldi. Sui rami degli alberi, ormai privi di foglie, si formano grosse gocce di umidità rappresa. Gli insetti sono spariti, la natura è brulla e silenziosa. Ma ecco che un giorno il cielo si rasserena, il sole torna a scaldare tiepido, la terra, i passeri cinguettano, qualche fiore sboccia illudendosi che sia tornata la primavera. Non è primavera: è l’estate di san Martino, breve dolce stagione piena di tepore e di bellezza.

E’ novembre
Presto, cogliamo questi ultimi lampi di bellezza della terra esausta che si prepara a morire. Quante volte avremmo voluto fissare sulla carta l’emozione, il nostro amore per la zolla grassa, bollente, coperta di verde, per la spiga pesante che il sole abbrustolisce, per il grappolo azzurro, lustro, per il ramo curvo carico di frutta! Non abbiamo saputo! Non perdiamo questi splendori estremi. Riempiamoci gli occhi del vermiglione, della porpora, dell’arancione dei pampini agonizzanti; del giallo e del bianco dei fiori ritardatari. L’erba fresca inzuppata di rugiada, le foglie scintillanti nelle mattine ancora soleggiate, i campi e le prode fumanti come la groppa di un bue che ha lavorato troppo. Domani il sipario della nebbia calerà su tutto e sul nostro cuore. Non vedremo, non ameremo più nulla che i nostri ricordi. (A. Soffici)

Giornate novembrine
In questi giorni d’autunno, solo la natura ha colori smaglianti, più festosi di quelli di primavera. Le foglie delle viti e dei boschi vanno dal giallo canarino al rosso carabiniere, passando attraverso ogni sfumatura; l’oro grezzo, il bronzo nuovo, il cuoio vecchio, il pane. La gente in ogni villaggio, la mattina dei Santi, quando ci sono passato, andava al cimitero a portare fiori. Avevano tutti l’abito buono. I giovani o quasi giovani vestiti come in città, i vecchi contadini ancora con il fazzoletto di seta bianca legato al collo, il cappello di feltro tondo con qualche buffetto, il sigaro toscano o la pipa tra i denti, la carnagione arrossata dal sole e dai buoni vini.
La gente andava a piedi, in motoretta, con le donne aggrappate al sellino posteriore, o in automobile. C’erano automobili a centinaia da tutte le parti, vecchie rabberciate e ridipinte, quasi nuove ben lucidate, e nuovissime appena uscite dal negozio. Si allineavano in bell’ordine, all’ingresso del cimitero, dove il vigile, vestito a nuovo, faceva autorevoli segni. Le donne portavano grandi mazzi, tenuti stretti al petto come un bambino, per lo più crisantemi color d’oro, grandissimi, certamente molto più grandi di quelli che si usavano prima della guerra, rinchiusi in sacchi di plastica, perchè non si sciupassero. L’ordine era nelle cose ma anche nei sentimenti, nell’obbedienza ai precetti e alle tradizioni, nella pietà per i defunti. (L. Barzini J un)

Colore di novembre
Novembre: mese delle prime brinate, delle prime nebbie, delle uggiose piogge. Qualche volta fa la sua apparizione la neve; sovente accade già di trovare, il mattino, fontane e ruscelli gelati. Nelle case, sui focolari scoppiettanti, o sulle stufe che brontolano, c’è quasi sempre una pentola che fuma. I bimbi disegnano casine, barche ed alberi sui vetri appannati.
In questo mese, l’acqua è davvero presente in quasi tutti i suoi travestimenti.

Il mese di novembre
La campagna lentamente si spoglia. I campi arati fumano, e la prima nebbia li fascia; e gli alberi nudi levano come scheletri le braccia. Cadono pioggerelle fini, e intanto i solchi e le zolle si vanno riempendo di semi che danno frutti alla nuova stagione.
I contadini piantano nuovi vigneti e nuovi filari di alberi.
Si raccolgono le prime olive da mangiare dolci; sulle bancarelle dei fruttivendoli fanno spicco i vivaci colori delle mele, delle pere, dei cachi, mentre le caldarroste spandono all’intorno un gradevole profumo.
Nei giardini sbocciano gli ultimi fiori: i crisantemi, bianchi, viola, gialli, dal profumo amaro.

 

Tempo di caccia
Il primo sole del novembre si affaccia malinconico alle ultime cime della montagna, già biancheggianti per la neve caduta di fresco, e, mandando i suoi languidi raggi attraversi ai rami brulli dei castagneti, tinge di rosa la croce di ferro del campanile.

Qualche nuvola bianca sta fissa sui monti più lontani, uno strato bigio di nebbia allaga la pianura, e il villaggio dorme ancora sotto un freddo e splendido sereno d’autunno.

I cacciatori son già tutti partiti, dopo che ha suonato la campana dell’alba; vi è stato allora un breve segno di vita, qualche latrato, qualche fischio, qualche colpo alle porte per destare i compagni addormentati, e poi deserto e silenzio turbato soltanto ad intervalli dal fruscio delle foglie secche dei platani della piazzetta, che bisbigliano lievi lievi, portate in giro sul lastrico da radi sbuffi di tramontana. (R. Fucini)

San Martino

Nacque nel 316 in Ungheria. Suo padre era un ufficiale romano. Ancora ragazzo fu avviato alla carriera delle armi che più tardi, divenuto prete, abbandonò. Fu eletto vescovo di Tours. Morì nel 397. La leggenda narra che San Martino, il santo della carità, divise il proprio mantello con un povero incontrato in una rigida giornata autunnale. Come premio a questo suo atto generoso, Dio mutò la temperatura di quella giornata in un clima di primavera. Da quel giorno quel periodo venne chiamato “l’estate di San Martino”. San Martino è considerato anche il simbolo dell’abbondanza.

San Martino

Nacque in Pannonia. Suo padre, tribuno romano, fece di lui un soldato. Ebbe innato il senso della carità. E’ particolarmente noto l’episodio di cui fu protagonista in una fredda giornata di novembre. Mentre a cavallo percorreva un solitario sentiero, si imbatté in un poveretto tremante. Non esitò a dividere con lui il suo mantello. Nella notte, in sogno, gli apparve un giovane uomo rivestito del drappo che aveva donato al poveretto e lo ringraziò.
Commosso da questo strano sogno, non esitò a convertirsi al Cristianesimo. Fondò poi alcuni monasteri ed ebbe grande popolarità.
La sua tomba divenne meta di numerosi pellegrinaggi, cosicché in quel luogo sorse una stupenda Basilica.

Dettati ortografici su NOVEMBRE – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici su ottobre

Dettati ortografici su ottobre, di autori vari, per la scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Ottobre
Al tempo degli antichi Romani, che furono quelli a dar il nome ai mesi, l’anno cominciava con marzo, ed ecco che ottobre era, appunto l’ottavo mese. Mutò il calendario, ma il nome restò, così come sono restati quelli di settembre, di novembre e di dicembre.

Ottobre al mare
Come corre l’acqua lungo i rigagnoli delle strade! Addio, estate! Addio, bagni!

E’ tanto bello anche il mare così grigio e malinconico senza più traccia alcuna di umanità, come al giorno della sua creazione. Già gli alberghi, le pensioni, chiusi i vetri sul mare, hanno ritirato i tavolo dalle rotonde, dai terrazzi.

Sono le sere in cui i pochi villeggianti rimasti si illudono di avere il mare tutto per loro e tornano dalle passeggiate, chiusi negli impermeabili; sono le notti di vento e di salsedine, quando cadono lungo i viali le foglie di tiglio che la prima tramontana spazzerà via del tutto. (F. Tombari)

Ottobre
Ottobre tinge tutto d’oro. D’oro sono le foglie che si staccano dall’albero, d’oro sono i tramonti, d’oro il sole che manda i suoi tiepidi raggi ad illuminare la terra arata, la campagna ormai stanca, il cielo velato dalle prime nebbie di autunno.

E’ un bel mese, ottobre. Il sole è un po’ stanco, ma si dà ancora da fare per dipingere le foglie di rosso e di giallo. E le foglie insuperbiscono di quel colore, senza immaginare che basta un soffio di vento per staccarle dal ramo. Un lieve volo e giù, per terra. Se durante la notte il vento ha tirato un po’ forte, la mattina c’è tutto un tappeto frusciate per terra.

Due ricchezze ci dona la terra nel mese di ottobre: nei tini canta il vino frizzante; nei boschi i ricci aperti lasciano cadere le castagne, che un tempo davano cibo nutriente ai montanari. Ma ai frutti freschi e succosi bisogna dire addio. Il sole, ormai debole e pallido, non riesce a maturare gli ultimi: la sorba e la nespola. Esse finiranno di maturare, nel granaio, nel tepore della paglia. (F. Bartorelli)

Ottobre

Ottobre dà l’idea di un grasso oste che, col grembiule bianco e il pancione, ci inviti a passare nella sua cantina. Vuole darvi ad intendere che ha il vino nuovo, ma non gli date retta. E’ ancora il vino dell’altr’anno; quello di adesso bolle ancora nel tino, giù nel profondo della cantina.

E i contadini hanno paura di questo vino che bolle. Sanno che può far brutti scherzi e, quando devono scendere giù dove la vinaccia gorgoglia, ci vanno con la candela accesa. Se la candela si spegne scappano subito e dicono: “Giù non si può respirare; c’è il vino che bolle”. E non scendono finchè il pericolo non è passato.

Ma se non c’è il vino nuovo nell’osteria di Mastro Ottobre, un leprotto al forno lo troverete di certo. E’ tempo di caccia e per la campagna si sentono gli spari dei cacciatori. Pum pum, e starne e beccacce e lepri cadon giù stecchite sopra il campo arato, dopo aver cercato invano di sfuggire alla corsa disperata dei cani.

Ottobre

E’ un bel mese, ottobre. Il sole è un po’ stanco, ma si dà ancora da fare per dipingere le foglie di rosso e di giallo. E le foglie insuperbiscono di quel colore, senza immaginare che basta un soffio di vento per staccarle dal ramo. Un lieve volo e giù, per terra. Se durante la notte il vento ha tirato un po’ forte, la mattina c’è tutto un tappeto frusciate per terra.

In montagna, gli stambecchi, rinvigoriti, fanno battaglia con le loro corna; la marmotta s’è ritirata nella sua tana a mangiare il fieno che ha messo in serbo. Fra poco s’addormenterà per risvegliarsi soltanto quando il venticello di marzo farà frusciare i rami degli alberi rinverditi.

I campi sono tutti scuri, puliti, con certi solchi dritti, pronti a ricevere il seme.
(M. Manicucci)

Ottobre

Nei luoghi in cui si coltiva la vite si vendemmia; l’uva viene pigiata per ottenere il mosto che, con la fermentazione, diverrà vino. Nei campi si ara e in alcuni luoghi comincia la semina del grano. Finisce la raccolta del granoturco ed inizia quella delle castagne, delle noci e delle nocciole. Si potano gli alberi da frutto. Il mese di ottobre nel nostro calendario è il decimo mese dell’anno; nel più antico calendario romano era l’ottavo mese.

Ottobre
Gli alberi a foglie caduche si spogliano lentamente ai forti venti autunnali. Sui monti è già freddo e le greggi scendono al piano. Gli insetti spariscono nelle cavità degli alberi o sotto terra; molti animali, come il riccio, la talpa e la marmotta cadono in letargo; altri, come la volpe, infoltiscono la loro pelliccia; molti uccelli, come la rondine,  migrano verso i paesi più caldi.

I contadini curano i frutteti, disinfettano le piante, sistemano l’orto, piantano i cavolfiori, i piselli, le fave, l’aglio. Nei luoghi in cui si coltiva la vite si vendemmia; l’uva viene pigiata per ottenere il mosto che, con la fermentazione diventerà vino. Nei campi si ara e in alcuni luoghi comincia la semina del grano. Finisce la raccolta del granoturco ed inizia quella delle castagne, delle noci e delle nocciole. Si potano gli alberi da frutto.

Il mese di ottobre sul nostro calendario è il decimo mese dell’anno; nel più antico calendario romano era l’ottavo mese.

Ottobre
Odore di ottobre. Nell’aria, che si riposa nella campagna, volano schiere di uccelli: dal bosco vicino, che comincia a tingersi di macchie rossastre, viene il canto dosato e lento del cuculo. La stagione indugia, dorandosi in un’attesa piena di sopore. Le strade odorano di mele cotogne e d’uva, e dalle porte spalancate delle cantine esce il fumo delle caldaie schiumanti il mosto, fra le voci aspre e clamorose dei pigiatori. (G. Titta Rosa)

Vento d’ottobre
Un soffio di vento ottobrino scuote gli alberi del bosco. E’ un vento frizzante che scende dai monti già avvolti di nebbia. Alcune foglie si staccano; scivolano, quasi trattenute ancora, lungo i rami più grossi; volteggiano nell’aria; si posano al suolo umido e nero.

“Addio!” dicono le foglie gialle, “Addio, albero amico! Il vento ci strappa senza pietà. Non sentiremo più il canto degli uccelli, non godremo più i raggi del sole!”

Un soffio più impetuoso… Numerose foglie sfarfallano intorno; altre si alzano da terra in un breve ultimo volo. Ora sul prato si stende un giallo tappeto di foglie morte; ma, a primavera, nuove foglie rivestiranno di tenero verde tutti gli alberi del bosco. (L. Fiorentini)

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