I laghi: dettato e disegno – una breve descrizione e l’esempio di un disegno alla lavagna per introdurre i bambini di seconda e terza classe allo studio degli ambienti naturali.
Geografia I LAGHI
Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada da qualche grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, ha riempito la conca naturale che si è formata, e poi lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta.
Altri laghi, invece, sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Questi sono i laghi vulcanici.
Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai sulle montagne. Questi sono i laghi glaciali.
I laghi alpini, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio di alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti, e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono i laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.
I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle. Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei mesi di siccità. Prima, nei periodi di piena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese, perchè rendono più fertili i campi. Inoltre l’acqua mette in moto le turbine e queste azionano i generatori di energia elettrica, che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.
Il lago
Gli stessi ghiacciai che, in anni lontanissimi, segnarono il corso delle valli e innalzarono barriere di colline, scavarono conche profonde, riempite poi dalle acque dei torrenti e dei fiumi: si formarono così molti laghi.
Allo sbocco delle nostre valli prealpine, incontriamo grandi laghi, circondati dai monti che li riparano dai venti freddi. Lungo le rive, dove sorgono cittadine e paesi pittoreschi, la vegetazione è molto simile a quella che alligna sulle coste del mare.
Il clima, eccezionalmente mite, favorisce le colture di viti, ulivi, cedri, limoni. Nei giardini fioriscono le azalee, le magnolie, le acacie, le palme. Le popolazioni rivierasche solcano con le loro barche le acque tranquille del lago, ricche di lucci, di trote, di anguille.
Sulle Alpi, piccoli laghi dalle acque fredde e limpide rispecchiano le cime dei monti e gli scuri abeti che fanno loro corona.
Infine, alcuni laghi dell’Italia centrale occupano con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. La loro forma è quasi sempre circolare.
I laghi alpini
Come sono belli i nostri laghi alpini!
Sembrano specchi azzurri che si stendono nel fondo delle valli a riflettere le cime candide delle Alpi e le verdi foreste. In ognuno di essi si va a perdere un fiume turchino che scende dal monte; un altro fiume esce dalle loro acque incantate e riprende il suo corso verso il mare lontano.
Le rive sono pittoresche: alcune si gettano a picco nelle acque, dando al lago un aspetto selvaggio e imponente; altre digradano dolcemente verso le spiagge, ricche di vegetazione. (G. Giacosa)
Sul lago di notte
Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremore e l’ondeggiare leggero della luna, che si specchiava da mezzo il cielo. Si udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido; il gorgoglio più lontano dell’acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di quei due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti e si rituffavano.
L’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata , che si andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata indietro guardavano i monti e il paese, rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grandi ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne. (A. Manzoni)
Visione del lago
Com’è tranquillo il lago! Raramente le onde si agitano, i battelli e perfino le barche tracciano nell’attraversarlo una lieve scia bianca che subito scompare.
Le sue rive hanno olivi e viti, qualche volta anche aranci e limoni, anche se sulle montagne vicine brillano le nevi. Infatti il lago conserva a lungo il calore del sole e lo diffonde attorno. Per questo si vedono intorno al lago, oltre che ridenti cittadine e paesini di pescatori, anche alberghi e ville con magnifici parchi colmi di fiori. Ogni anno vi sono persone che dalla città vengono sulle rive dei laghi a trascorrere un periodo di riposo e di svago.
Anche d’inverno la temperatura non è mai troppo bassa e il paesaggio è sempre meraviglioso.
Come si formano i laghi
Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada da una grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, e poi, lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta. Altri laghi invece sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai delle montagne.
I laghi alpini
Questi piccoli laghi, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio d’alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono il laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.
I laghi vulcanici
Questi laghi riempiono con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. Perciò la loro forma è generalmente circolare. I principali sono i laghi di Bolsena, di Bracciano, di Albano e di Nemi, nel Lazio; il lago d’Averno in Campania; i laghi di Monticchio, in Basilicata.
I laghi prealpini
Il lago Maggiore o Verbano ha per immissario ed emissario il fiume Ticino. Il lago di Como o Lario è formato dall’Adda che di biforca in due rami: di Como e di Lecco. E’ il più profondo tra i laghi prealpini (410m).
Il lago d’Iseo o Sebino riceve le acque del fiume Oglio.
Il lago di Garda o Benaco è il più esteso d’Italia. E’ formato dal fiume Sarca il quale, uscendone, prende il nome di Mincio.
A cosa servono i laghi artificiali
I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle.
Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei periodi di siccità. Prima, nei periodi di pena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese perchè rendono più fertili i campi.
Inoltre l’acqua mette in moto le turbine, e queste azionano i generatori di energia elettrica che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.
Dice il lago
“Io rifletto nelle mie acque il cielo, i monti, i colli, i piccoli fiori, le cose grandi e le umili cose. Io accolgo sulla mia superficie i battelli che trasportano gli uomini e le cose necessarie alla vita. Accolgo le barchette dei pescatori che trovano, frugando nel mio grembo, piccoli tesori vivi. Accolgo sulle mie rive incantevoli mille e mille persone malate alle quali ridono la salute e la gioia.” A. Rovetta
Laghetti alpini
Talvolta appare un tranquillo laghetto solitario dalle acque limpide e fresche che riflettono l’azzurro intenso del cielo. Spesso, se guardi intorno a quel solitario laghetto, gli trovi a lato un lago gemello; poi altri attorno, ed altri ancora: una intera famiglia di laghetti, che da buoni fratelli si dividono l’acqua delle nevi e dei ghiacciai. A. Stoppani
Geografia Waldorf – I punti cardinali: il racconto dei quattro angeli e del nastro d’argento. Questo racconto è un vero classico nelle scuole steineriane; non si conosce l’autore e, a differenza di altri racconti proposti nella guida, mitigare la presenza degli elementi simbolici antroposofici è praticamente impossibile. Lo condivido così com’è, felice di poter soddisfare la richiesta di alcune lettrici…
Dio Padre, il quarto giorno, creò il sole, la luna e le altre luci del cielo, ma inizialmente tutti questi pianeti erravano senza ordine e senza disegno nell’immensità celeste, e nessuno di loro conosceva la propria via e il proprio cammino.
Allora Dio Padre disse agli angeli: “Intonate il vostro canto più armonioso, in modo che in tutto il mondo, nelle altezze e nelle profondità, risuoni la vostra voce!”
Gli angeli fecero come Dio Padre aveva detto, e gli spazi celesti echeggiarono di quel canto. Nessuno poteva restare indifferente a quel suono meraviglioso che si propagava ovunque come una brezza leggera e profumata.
Tutte le stelle si misero in ascolto, e ascoltando presero a danzare nell’immensità del cielo ed a comporsi in immagini e figure di straordinaria bellezza.
Questo piacque molto a Dio, e quando gli angeli terminarono il loro canto, chiese alle stelle di rimanere così, in gruppi composti e ordinati, e di continuare a danzare così, al suono della loro stessa musica, la musica delle sfere.
A quel tempo il giorno e la notte non erano ancora separati.
Allora Dio Padre chiamò quattro dei suoi angeli e disse loro: “Disponetevi nella vastità del cielo, in modo da lasciare la terra in mezzo a voi, nel centro, e da potervi guardare l’un l’altro negli occhi, a due a due”.
Gli angeli si affrettarono ad obbedire al volere di Dio Padre, e quando ebbero preso i loro posti alle quattro estremità del mondo, spalancarono le braccia, ed ognuno sorrise all’angelo fratello che gli stava di fronte.
E il loro sorriso fece nascere dal loro cuore un bel raggio d’argento, teso dall’uno all’altro.
Aleggiò sulla terra una croce d’argento grande quanto il cielo.
Il primo angelo indossava una magnifica veste gialla, l’aria attorno a lui profumava di violetta.
Dio Padre disse: “Sia affidata alle tue mani ogni forza giovane e fresca, ed ogni risvegliarsi dall’oscurità del sonno. Dona la tua forza alla terra e ai suoi esseri. Proteggi il mattino e tutto ciò che vi è in esso. II punto del cielo dove tu ti trovi si chiami LEVANTE, o EST.
Poi Dio Padre si rivolse all’angelo che stava di fronte all’angelo del Levante.
Era un bellissimo angelo viola, circondato da un buon profumo di lavanda e calendula. Gli disse: “Tu regalerai al mondo la pace dopo la fatica e il riposo dopo il duro lavoro, il crepuscolo dopo il chiarore accecante. Il tuo regno sarà la sera, e la parte del cielo in cui starai si chiamerà PONENTE, o OVEST”.
Poi Dio Padre si avvicinò al terzo angelo, che come i primi due se ne stava con le sue ali lucenti e la sua bella veste rossa al margine del cielo, proprio là dove cielo e terra si toccano.
Gli disse: “Alzati in volo dal luogo dove stai per un tratto. Devi guardare la terra dall’alto”:
Con un leggero fruscio e batter d’ali, l’angelo si sollevò verso il luogo che Dio Padre gli aveva indicato. Dio Padre allora gli disse: “Alle tue mani è affidata la pienezza della luce e del calore. Devi darla alla terra fra la mattina e la sera. Sii il custode dell’alto, dorato giorno. La parte del cielo che tu governi sia chiamata MEZZOGIORNO, o SUD.
Dio Padre si rivolse poi all’ultimo dei quattro angeli, uno splendido angelo vestito di bianco e circondato da una dolce atmosfera blu.
Gli disse: “Tu devi discendere tanto quanto tuo fratello si è alzato nel mezzogiorno”.
L’angelo obbedì rapidamente.
Allora Dio Padre gli disse: “Tu porterai in dono alla terra l’oscurità e la frescura. Manderai alla buona terra e a tutti gli esseri che la popolano il beneficio del sonno ristoratore e dei sogni buoni. Ciò che è stanco e spossato per la luce e la lunga veglia sarà rafforzato e ristorato grazie a te. Il tuo regno sarà la notte e la tua parte di cielo si chiamerà MEZZANOTTE, o NORD”.
Quando Dio Padre ebbe indicato ai quattro angeli il loro posto ed il loro compito, essi si inchinarono davanti a lui e lo ringraziarono col cuore colmo di gioia.
Allora Dio Padre si rivolse al sole e gli disse: “D’ora in poi, caro Sole, dovrai viaggiare tra questi angeli. Levati dall’orlo del cielo, presso l’angelo del Levante, innalzati fino al Mezzogiorno, poi voltati in giù verso la sera finchè presso l’angelo del Ponente giungerai a toccare ancora l’orlo del cielo. Infine sprofondati giù giù fino all’angelo della Mezzanotte e ristorati nel suo regno come tutti gli altri esseri. Poi torna ad alzarti a Levante, con forza rinnovata”.
Il Sole ringraziò Dio Padre, che gli aveva donato una via da seguire ed una meta, e con i suoi raggi si mise in cammino.
Furono così donati alla terra il mattino e la sera, il giorno e la notte.
Racconto per introdurre la geografia La casa giusta – Elaborato a partire da una traccia in uso nella scuola steineriana, questo racconto è un piccolo viaggio attraverso i climi e le abitazioni tradizionali di alcuni popoli della terra. Se proposto a blocchi, un po’ al giorno, si può esercitare il disegno copiato dalla lavagna e la scrittura; consigliate anche le cornicette… Ho inserito nel testo degli esempi. Se disegnate per i bambini alla lavagna partite creando un bello sfondo (sole, aria, prato…), poi passate alla cornicetta, e quindi al disegno, cercando di evitare prospettive troppo complicate per loro e troppi particolari che renderebbero noioso guardarvi. Non importa tanto il prodotto finito, quanto il processo.
C’erano una volta, tanto tempo fa, due fratellini, un bambino e una bambina, che abitavo su su in alto, nel cielo. Lassù c’era sempre qualche gioco nuovo da fare: saltare sulle nuvole bianche e gonfie come la panna montata, scivolare sul dorso della luna, fare le pernacchie ai raggi del sole, sedersi sulle stelle e giocare a nascondino…
Un giorno, il tempo era passato e loro erano un po’ cresciuti, il loro sguardo andò a posarsi sulla terra: com’era piccola rispetto a tutto il cielo, e com’era buia rispetto alle stelle, e com’era chiassosa rispetto alla luna silenziosa, e com’era fredda rispetto al sole! Ma com’era bello guardare i suoi alberi, i fiori che sbucavano dalla scura terra, gli animali che correvano, i fiumi e i monti, le montagne imponenti, e gli uomini, poi, che si muovevano, parlavano, ridevano… Da quando avevano scoperto la terra, i due bambini rimanevano ore ed ore a guardarla, seduti su una nuvola, e non avevano più voglia di giocare con la luna e con le stelle. Solo quando sulla terra gli uomini interrompevano le loro varie occupazioni e andavano a dormire, i bambini tornavano ai loro giochi.
Guardando e riguardando la terra, i bambini cominciarono a desiderare di scendere laggiù, ma avevano molta paura a fare un viaggio del genere da soli. Una volta arrivati, come sarebbero stati accolti? Qualcuno avrebbe avuto cura di loro? Com’erano gli uomini, buoni o cattivi? A vederli da lassù, sembravano certamente buoni, ma era proprio così? Presi da tanti dubbi, e divisi a metà tra cielo e terra, i due bambini cominciavano a sentirsi tristi.
Le stelle del cielo se ne accorsero e dissero: “Non abbiate paura… anche se scenderete sulla terra noi resteremo con voi, e potrete sempre vederci anche da laggiù”. I due bambini, a questo punto, erano determinati a partire, ma prima di farlo decisero che era meglio chiedere un consiglio al grande mago che muoveva i venti e le correnti, faceva nascere le tempeste, scatenava i fulmini, faceva rimbombare i tuoni e radunava tutte le nuvole trasformandole in animali dei più vari, come elefanti leoni aquile tori o pesci…
“Di cosa avremo bisogno una volta scesi sulla terra?”, gli chiesero. “Oh, beh, di una cosa avrete bisogno di certo” rispose il mago, “Una volta sulla terra, il cielo ce lo avrete sulla testa, e le nuvole rovesciano acqua, il sole brucia e la luna è fredda… vi occorrerà un riparo dal freddo e dal caldo, dalla pioggia e dal vento, dalla grandine e dalla neve…” “Una casa?” chiesero i bambini, “ma noi non sappiamo nulla di case…”
“Voglio aiutarvi!” , rispose il mago dopo aver riflettuto un istante, perchè quei due bambini gli erano proprio simpatici, “Venite giù con me! Io vi darò una casa sulla terra. Come la volete? Triste o allegra? Fredda o calda? Chiusa o aperta?” “Bella!” risposero in coro i bambini. “Bene”, disse il mago, “Venite allora sotto il mio mantello, e tenetevi forte!”
I due bambini si attaccarono stretti alle gambe del mago, sotto il suo mantello, e volarono giù tra le grida di meraviglia degli uccelli…
Volando, erano passati vicino al sole, che li aveva quasi scottati; allora il mago li portò subito nella zona più fredda che si possa trovare sulla terra. Lì atterrò, e i bambini uscirono da sotto il suo mantello e si guardarono attorno; erano arrivati al Polo Nord, dove la terra non germoglia e non fiorisce: vento gelido e lastre di ghiaccio luccicante dappertutto, e un gran silenzio, interrotto soltanto dallo scricchiolare del ghiaccio, dal grido di grandi uccelli bianchi e dal verso delle foche e degli orsi. Gli uomini che vivono in questa terra sono pochi.
Il mago disse: “Ah, che bel frescuccio da queste parti, eh! Proprio quello che ci voleva! Ed ora, vediamo un po’ in che casa potreste abitare…”
Il mago fece un cenno verso qualcosa che sporgeva dalla neve, a forma di cupola, e tutti e tre si avviarono da quella parte. Seminterrata nella neve, c’era una casetta rotonda, tutta ricoperta di ghiaccio, senza porte nè finestre: l’igloo. Il mago e i due bambini entrarono, abbassando la testa, in un tunnel di ghiaccio che era accanto alla casa. Percorrendo il tunnel videro numerosi cani sdraiati e mezzo addormentati. Il tunnel finì ed essi sbucarono all’interno della casa. Lì dentro non faceva più così freddo, ma c’era un fortissimo odore di grasso e di pesce. Tutta la casa era ricoperta di pelli, muschi e licheni.I due bambini esclamarono: “Oh, che bella questa casa!”.
Lì dentro ci si sentiva proprio bene e la cupola che faceva da tetto somigliava al cielo. Gli uomini che entravano nella casa si toglievano i grossi guanti e i giacconi foderati di pelliccia, e sorridevano. I loro occhi erano di forma allungata, avevano zigomi pronunciati e la pelle del viso spalmata di grasso. Il mago salutò i due bambini, e scomparve.
Fu un grande divertimento per loro vivere in una casa di ghiaccio. Parte del giorno la trascorrevano all’aperto giocando con le foche e coi cani, poi rientravano nell’igloo e si sdraiavano tra le pelli di foca, addormentandosi. Se capitava che si svegliassero durante la notte, vedevano sempre la stessa pallida luce solare, che ininterrottamente, per tutte le 24 ore di ogni giornata, era sempre la stessa: il giorno non finiva mai. Ma il tempo passò e il sole invece di esserci sempre, tramontò e l’alba non arrivava. Allora cominciarono a sentire davvero freddo! Il vento del nord cominciò a soffiare, arrivarono le tempeste di neve, le onde dell’oceano si impennarono come cavalli selvaggi. Tutti gli uomini si rintanarono negli igloo, e chiusero i cani al sicuro nel tunnel. Il maltempo durò molti, molti giorni, e la luce del sole non ricomparve: un’eterna notte si era distesa su quella strana terra e le ore passavano sempre uguali. I due bambini avevano freddo e cominciarono ad annoiarsi. Nell’igloo c’era ben poco da fare, e non si poteva neanche star dietro a una finestra a guardare il cielo nero, la furia dell’oceano o la terra battuta dal vento. Quella casa ora sembrava loro una prigione di gelo. “Che noia!” disse la bambina, “potessimo chiamare in nostro amico mago…”. “Lui ci aiuterebbe!”, rispose il bambino.
E non avevano finito di scambiarsi queste parole, che il mago apparve davanti a loro: “Cosa volete? Non siete soddisfatti della vostra casa?” “No!” rispose il bambino, “Abbiamo freddo e qui è sempre notte! Ci annoiamo!” “Questa terra non è adatta a noi”, continuò la bambina, “e poi… la casa non ha nemmeno una finestra per guardar fuori e vedere le stelle…” “Bene,” disse il Mago, “allora lasciamo questo posto! Venite sotto il mio mantello!” “Dove ci porterai?” “Dove regna il sole, venite!” I due bambini non si fecero certo pregare, e si infilarono zitti zitti sotto il grande mantello. Il mago uscì dall’igloo e si alzò in volo, incurante della bufera.
Viaggiarono per molto, molto tempo e, mentre volavano, l’aria di faceva sempre più calda, finchè i due bambini cominciarono a sudare sotto il mantello del mago. Per fortuna erano arrivati! “Eccoci a terra” disse il mago.
I due bambini uscirono da sotto il mantello e si guardarono intorno meravigliati. Erano atterrati in un posto che era in tutto e per tutto l’opposto del primo: si trovavano nell’emisfero sud! Qui la pioggia poteva cadere torrenziale per giorni e giorni, il sole era splendente, e l’aria umida e calda faceva nascere dalla terra ogni genere di pianta e alberi altissimi, col tronco liscio liscio e la chioma rigogliosa molto sopra. Al polo i colori erano bianco, grigio e azzurro pallido; qui era il regno del verde e del giallo in tutte le loro possibili gradazioni e sfumature. Tanto era ricca la vegetazione, altrettanto ricca era la varietà di animali: leoni, leopardi, pantere, iene, gazzelle, antilopi, giraffe, zebre, elefanti, scimmie, uccelli d’ogni genere. Gli uomini, a differenza degli abitanti del nord, avevano la pelle scura.
“Ah, che bel calduccio fa da queste parti, vero?” disse il mago, soddisfatto, “Credo proprio che ora sarete contenti… ieri al polo e oggi qui! Adesso non ci resta che andare a cercare la vostra casa!”. Seguito dai due bambini, il mago si inoltrò nel folto della foresta. Camminare era molto difficile, ma con un mago al proprio fianco non c’era nulla da temere, e alla fine si ritrovarono in una piccola radura circondata da alberi altissimi.
“Ecco la vostra casa!” disse il mago, indicando una costruzione rotonda come un igloo, ma tutta verde e leggera. Era una capanna fatta di rami d’albero sottili e flessibili, legati gli uni agli altri con delle liane. Al centro, un’apertura tra i tronchi indicava l’entrata. I bambini erano felici: quella sì che era una bella casa! Entrarono: il sole filtrava tra le fessure delle pareti, e l’aria profumata della foresta penetrava ovunque. “Ah, qui staremo proprio bene!” dissero, ” e stanotte finalmente riusciremo a rivedere le stelle!”. “Sono contento che vi piaccia” disse il mago, e scomparve.
Fu così che i due bambini si ritrovarono a vivere le loro meravigliose avventure nella foresta. Il più divertente dei giochi era lanciarsi la frutta addosso, loro e le scimmie. Ma era bello anche seguire il corso del fiume, naturalmente stando molto attenti ai coccodrilli… e ai leoni!
Eppure i bambini non erano del tutto felici, e continuavano a sentire la stessa nostalgia che avevano provato prima di scendere sulla terra. “Se almeno non vedessimo tutto quel buio là fuori! Se la casa fosse più… più protetta, più chiusa…”, dicevano. E la sera anche le stelle sembravano così lontane. Passò del tempo, e anche il caldo si fece insopportabile: un’aria umida e appiccicosa saliva dalla terra, arrivò un vento caldo e gli animali si nascosero nella foresta. Gli uomini si ritirarono nelle loro capanne, chiudendosi dentro con tronchi e pelli. Cadde su tutto un cupo silenzio, una calma irreale e minacciosa si stese su uomini, alberi, animali. Il sole scomparve e si scatenò una terribile tempesta; l’acqua scendeva violentissima dal cielo e ai due bambini sembrava di essere su di una barchetta leggera in balia di un mare tempestoso. “Oh, se almeno non fossimo soli, se ci fosse il mago qui con noi!” dissero. “Mi avete chiamato?” disse il mago, apparendo improvvisamente davanti a loro. “Non siete più contenti neanche di questa casa?” Eppure, vi piaceva tanto…” “Oh, sì, è bella… ma non è sicura! Noi vorremmo una casa solida che sappia resistere al vento e alla pioggia; che ci faccia sentire protetti…”
“Ho capito. Ed ora so quello che ci vuole per voi. Ritornate in fretta sotto il mantello, e partiamo!” I bambini non se lo fecero certo ripetere, si aggrapparono alle gambe del mago, e volarono via.
Viaggiarono a lungo, verso ovest, sorvolando l’oceano immenso, finchè per la terza volta si ritrovarono a terra. Erano in un paese vasto e aperto come il respiro di un gigante: l’America! Da una parte si stendevano verdi praterie sterminate, solcate da fiumi e interrotte qua e là da grandi pinete; dall’altra una catena di monti rocciosi si elevavano in picchi frastagliati verso il cielo. In quel momento il sole stava tramontando e tutto era tinto di arancione e rosso. Quanta luce!
“Venite!” disse il mago “Vi aspetta la casa dei vostri sogni!” E li portò su un picco roccioso, sovrastato da uno strano spettacolo: scavate nella roccia viva, una accanto all’altra e una sopra l’altra, c’erano case di pietra. “Questa sì che è una casa!” esclamarono i bambini, “Qui dentro non ci bagneremo, nè vedremo lampi paurosi!” “E da queste finestre potremo anche guardare le stelle.” disse la bambina. E il bambino aggiunse: “Sembra una fortezza! E possiamo giocare ai soldati!” “Bene!” disse allora il mago, “Sono proprio felice di avervi accontentati…” E sparì.
I due bambini cominciarono una nuova vita. Intorno a loro vivevano uomini forti e coraggiosi, alti e dalla pelle del colore del tramonto, con lunghi capelli lisci e neri, spesso adornati di piume. Questi uomini maneggiavano armi e attrezzi, e avevano costruito loro quelle case, scavandole nella roccia, e le avevamo chiamate “pueblo”. Erano un popolo saggio e generoso, ma anche bellicoso. Coltivavano le praterie e vivevano dei prodotti della terra e di caccia. Il bambino li seguiva spesso nel loro vagabondare e aveva imparato ad andare a cavallo e rincorrere immense mandrie di bufali e bisonti selvaggi; alci, salmoni e castori erano altri animali che si incontravano facilmente in quella zona. La bambina, invece, restava al villaggio con le donne, e con loro lavorava a fare cesti e ritagliare le pelli dei bisonti per fare coperte e vestiti. A lungo andare la bambina si stancò di vivere così.
“Le finestre qui sono buchi, vanno bene per lanciare frecce contro i nemici, ma non per ammirare il mondo!” disse un giorno. “E se anche fosse?” rispose il bambino, “a me piace sentirmi al sicuro quando arriva il nemico!” “Ma non si può vivere sempre con l’idea di doversi difendere! Io vorrei una casa delicata, dolce, con una bella finestra da cui guardare i fiori del giardino, un terrazzo…Vorrei vicini gentili che ti sorridono quando ti vedono…” “Tutte cose da femmina!” disse il bambino facendo una smorfia. “Proprio così! Questa è una casa per maschi! Un buco nella roccia per giocare alla guerra!” I due bambini cominciarono a litigare, finchè la bambina afferrò il bambino per i capelli gridando: “Vuoi la guerra? Eccotela!” E cominciarono a darsele di santa ragione. “Ah, così proprio non va!” dissero in coro le stelle del cielo, “Mago, corri dai bambini!” Ed il mago apparve tuonando: “Cosa state combinando?” “Niente…” dissero i bambini. “No, no! Questo posto proprio non va bene per voi! Vi porterò nel paese della grazia e della delicatezza, e lì sicuramente starete bene…”
I bambini si nascosero sotto il mantello del mago e volarono via dal selvaggio ovest. Viaggiarono a lungo verso est, sorvolando mari e terre, poi il mago cominciò a volare più basso e i bambini videro sotto di loro tantissima acqua, l’oceano, e in mezzo all’acqua una grande terra che si stendeva meravigliosa, ricca di verde e di montagne ricoperte di neve, e di alti monti con la cima simile ad una bocca spalancata, i vulcani. Videro sciogliersi le nevi in cascate pittoresche e laghi da sogno circondati da boschi di aceri, betulle, castagni, magnolie e salici… Quella terra era molto popolata: videro città e paesi, uomini donne e bambini.
Il mago atterrò, e i bambini con lui. Che meraviglia! Conifere di ogni specie si alternavano a magnolie, camelie, orchidee, glicini, bambù… un dolce lago azzurro, solcato da silenziose imbarcazioni, era immerso nel verde, e il verde vi si rifletteva dentro. Sulla sponda del lago, tra delicati alberelli nani, sorgeva la più deliziosa casa che i bambini avessero mai visto: col tetto a forma di pagoda, aveva le pareti di legno leggerissimo e di carta, in cui s’aprivano grandi finestre. All’interno della casa ogni cosa era delicata e leggera: c’erano piccolissimi mobili di legno laccato, tavolini bassi bassi, composizioni di fiori variopinti insieme a rami di bambù e foglie, pareti scorrevoli di carta e legno al posto delle porte. La bambina era estasiata, mentre il bambino si guardava attorno curioso. Gli uomini che le avevano costruite erano a prima vista gentili e delicati proprio come le loro case: piccoli di statura, occhi e capelli scuri, la loro legge era la cortesia.
“Qui di certo non vi verrà voglia di prendervi per i capelli” disse il mago, e come al solito scomparve. I due bambini non osarono nemmeno salutarlo, perchè sembrava che ogni voce fosse troppo forte in quel dolce paese… Così cominciò la loro vita nell’est, nel paese del Sol Levante. In questa terra l’attività più strana per i bambini era prendere il tè: solo per prepararlo ci si metteva una gran quantità di tempo, poi lo si versava in delicatissime tazzine di porcellana e lo si beveva con grande serietà. Con la stessa cura dei gesti si svolgevano quasi tutti i lavori, anche coltivare il riso, l’alimento principale di quel popolo. E la stessa cura veniva messa in tutte le arti: la lavorazione della carta e del legno, l’arte della seta, la calligrafia, la ceramica, la danza, la musica e il teatro.
Un giorno i bambini andarono ad assistere ad uno spettacolo e per la prima volta videro rappresentata la lotta tra due samurai. Gli attori erano coperti dalla testa ai piedi e portavano spada ed elmo: avevano un aspetto davvero feroce. Dopo qualche minuto di calma assoluta in cui i due guerrieri erano rimasti uno di fronte all’altro immobili come statue, si sentì un fortissimo grido e cominciò la lotta: non c’era traccia di cortesia e delicatezza! I bambini naturalmente furono molto impressionati, e tornati a casa il bambino disse: “In questo paese tutto è bello e sembra fatto di porcellana; a volte ho perfino paura a camminare perchè temo di poter rompere qualcosa o di dare fastidio…ma c’è anche qualcosa di violento e terribile… oggi quei due samurai mi hanno proprio fatto paura!”
La bambina non disse nulla. D’improvviso la terra cominciò a tremare, sembrava stesse spaccandosi in due, ci fu un terribile rombo, e la casa si piegò e finì col disfarsi, proprio come un castello di carte. Per fortuna, essendo così leggera, non fece loro alcun male.
“Ho paura!” dicevano i bambini, “Vieni qui da noi, mago!” E il mago comparve. “Presto, sotto il mantello! Scappiamo!” Si alzarono in volo e la terra divenne un’altra volta piccola piccola e lontana, in mezzo al mare…
Dopo un po’ che volavano, il mago si fermò. I due bambini sbirciarono da sotto il mantello per vedere dove erano capitati questa volta… ma si accorsero di essere ancora in alto nel cielo. Il mago era molto pensieroso. “Caro mago, cos’hai?” chiesero.
“Vi ho portati in giro per il mondo: dalle nevi del nord, alle zone tropicali del sud, dalle vaste praterie dell’ovest, fino alle belle terre dell’est. In tutti questi posti avete conosciuto gioia, sorpresa, felicità, meraviglia, ma anche tristezza, noia, paura. Soprattutto, la vostra nostalgia non vi ha mai lasciati, in nessuno di questi luoghi. Avete abitato in case di ghiaccio, di piante, di roccia, di carta, ma niente è stato adatto a voi. Non avete ancora trovato la vostra terra, la vostra casa…” “Non ti scoraggiare, caro mago” dissero i bambini.
“Non ti scoraggiare, caro mago” ripeterono in coro le stelle, “Tu li hai portati dal cielo alla terra, ma la casa giusta per loro può trovarla soltanto la grande maga misteriosa… portali da lei”. Il mago accettò il consiglio delle stelle, prese i bambini sotto il mantello e insieme volarono incontro alla terra, allontanandosi dalle nuvole e via via immergendosi nel verde e nell’azzurro, finchè arrivarono davanti alla grande maga misteriosa.
Il mago baciò i bambini, li salutò e scomparve. “Perchè siete venuti da me?” chiese la maga. “Per avere la casa sulla terra giusta per noi. Il mago non è riuscita a trovarla…” dissero i bambini.
“Certo cari bambini, la casa giusta per voi è dove c’è chi vi sta aspettando, il vostro papà e la vostra mamma. Loro, sapete, stanno preparando per voi due casette, non una soltanto! Una casetta è piccola piccola, che ci sta dentro giusto il cuore, e l’altra è grande grande. Vedete: ogni luogo della terra è meraviglioso, come è meraviglioso ogni popolo della terra ed ogni uomo, e ogni casa è la casa migliore che per quel luogo possa esistere. Ma casa è dove ci sono la mamma e il papà, e i vostri non erano in nessuno dei luoghi dove il mago vi ha portati, per questo non vi ci siete trovate bene…” “E dove sono, dove sono?”, chiesero i bambini.
“Oh”, disse la maga, “vivono in un luogo della terra non troppo a nord, nè troppo a sud; non troppo ad ovest nè troppo ad est; lì non fa troppo freddo e nemmeno troppo caldo; il sole splende ma può anche cadere la neve. E’ una bella terra, il clima è temperato, è contornata da un mare azzurro e splendente sotto i raggi del sole, ma non mancano le alte vette innevate, le colline e le pianure. Anche in questa terra esistono come nelle altre che avete visitato cose brutte, ma è la vostra casa. Era lì che spingeva la vostra nostalgia…”
Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina – Questo racconto è utile sia per illustrare il ciclo dell’acqua, sia per introdurre in geografia gli ambienti naturali montagna, collina e pianura. Andrebbe proposto a blocchi, ed ogni blocco illustrato dai bambini con matite, cerette, acquarello, ecc… (anche copiando dalla lavagna). Questo solo a titolo di esempio:
C’era una volta, molto ma molto tempo fa, un regno immenso fatto di acqua, dove tutto era pace e armonia. Era il regno di Oceano. Custodiva tante e tante meraviglie: negli abissi più profondi e inesplorati, si nascondevano grotte misteriose e montagne di sabbia e roccia rivestite di un mantello verde evanescente che danzava all’ondeggiare dell’acqua. C’erano giardini incantati, pieni di fiori e coralli dai colori più sgargianti, e piante grandi e piccole, alcune delle quali aprivano e richiudevano le loro chiome per mangiare e riposare.
Piccole e grandi creature si muovevano senza sosta tra quelle meraviglie. La loro pelle era simile al colore delle piante e dei fiori che le circondavano, e lucente, e piante e creature si confondevano tra loro.
Ogni creatura aveva un nome. C’era ad esempio il polipo, con la sua grande testa allungata dalla quale spuntavano lunghi tentacoli che si muovevano in tutte le direzioni. C’era poi la medusa, leggiadra e trasparente, che si muoveva così leggera e sinuosa da sembrare una ballerina sulle punte, in perfetta sintonia coi movimenti dell’acqua. La conchiglia dell’ostrica sembrava un ventaglio colorato e custodiva al suo interno una magnifica, perfetta perla splendente. La balena era la più grande creatura del regno. Un gigante buono. Quando nuotava, attorno a lei c’erano tanti pesciolini che le tenevano compagnia. Per respirare la balena doveva, di tanto in tanto, uscire dall’acqua, ed in quel momento spruzzava dal suo dorso una gorgogliante fontana che saliva verso il cielo e poi ricadeva su se stessa aprendosi come un fiore. C’era poi il delfino, l’acrobata di quel regno. I delfini nuotavano sempre in gruppo, ed il loro gioco preferito consisteva nel balzare fuori dall’acqua, il più alto possibile, per poi rituffarsi in acqua disegnando nell’aria archi d’argento e allegri spruzzi d’acqua.
Il colore verdazzurro del regno di Oceano gli donava un’atmosfera di sogno e di pace. In superficie tutto era un luccichio, grazie alla luce del sole: milioni di piccole stelline sembravano posarsi a danzare sul pelo dell’acqua.
Oceano aveva moltissime figlie: le gocce d’acqua, che vivevano felici nel suo regno. Oceano si occupava amorevolmente di loro e provvedeva a tutti i loro bisogni: le nutriva, le cullava cantando per loro, le proteggeva dai pericoli. Le gocce amavano Oceano, e gli erano grate e riconoscenti per quella vita così felice e spensierata.
Un giorno, mentre tutte le piccole gocce erano impegnate a giocare tra loro, si spinsero fino alla cresta delle onde, pericolosamente troppo vicino alla superficie, e lontane dal palazzo verdazzurro di Oceano. Lì udirono una misteriosissima voce chiamarle: “Goccioline! Fatevi riscaldare dai miei raggi, vi prometto che conoscerete cose fantastiche… vi farò vedere tutte le meraviglie che esistono oltre al vostro regno…”
Le gocce si spaventarono e fuggirono via. Non appena furono di nuovo a palazzo si sentirono al sicuro, ma non riuscivano a smettere di pensare a quello che era successo, e non riuscivano a darsi una spiegazione. Di chi era quella voce? Chi le aveva chiamate? Era il caso di tornare vicine alla superficie e cercare di scoprirlo, o era meglio dimenticare tutto e lasciar perdere?
Una piccola goccia parlò: “Oh, io sono così stanca di tutta questa pace, ogni giorno uguale all’altro, ogni giorno sempre più noioso di quello prima… Questo regno lo conosco ormai fino al più piccolo granello di sabbia che contiene. Basta! Voglio qualcosa di nuovo! Voglio avventura! Voi fate come volete: io salgo!”.
A parlare era Diamantina, la più curiosa e irrequieta goccia che ci fosse mai vista nel vasto oceano. Senza esitazione, dunque, si diresse verso la superficie, e molte delle sue sorelle decisero di seguirla…
… un brivido misterioso percorse le acque, e giunse fin negli abissi più profondi dell’oceano.
Appena giunte in superficie, le piccole avventuriere si sentirono avvolte da un piacevole tepore: un raggio di sole le aveva infatti accarezzate e le stava attirando a sè con forza sempre maggiore. Diamantina e le sue compagne si lasciano andare e, piano piano, con grande gioia, si arrampicarono sul raggio di sole, lasciando sotto di sè il regno di Oceano. Man mano che salivano diventavano sempre più leggere: fluttuavano nell’aria più leggere di trasparenti farfalle, e salivano sempre più in alto, sempre più su… per la prima volta in tutta la sua vita Diamantina, fuori dal regno di Oceano, vide tutti i colori del mondo.
(disegno)
Diamantina e le sue sorelle erano così felici! Ed ecco, videro comparire mago Vento: un gigante buono che se ne stava là nell’aria e sembrava divertirsi come un matto a gonfiare le sue guance a più non posso. Quando aprì la bocca, ne uscì una bella folata fresca che investì tutte le gocce, allora loro si diedero la mano e si strinsero, per evitare di venire sparpagliate chissà dove. Così unite , formarono una bella nuvola bianchissima nell’azzurro del cielo, e mago Vento continuò a soffiare, spingendo la nuvola fino alla cima di un’alta montagna rocciosa.
Lassù faceva molto freddo, non si vedevano nè erba nè alberi, ma solo rocce gigantesche, immobili e solenni. Per proteggersi dal gran freddo, ed estasiate dalla bellezza di ciò che vedevano, Diamantina e le altre gocce si strinsero ancoro più forte le une alle altre: erano nel regno di mago Gelo. Divennero per opera sua sempre più consistenti e solide e bianche, e scesero lievemente sulle montagne, trasformate in meravigliosi cristalli stellati. Si adagiarono con dolcezza al suolo formando un mantello soffice soffice e bianco bianco, e caddero in un piacevolissimo sonno che per lungo tempo le cullò su quelle alte vette.
Finalmente, un mattino, un lieve tepore le svegliò dal loro sonno, e le gocce ad una ad una si accorsero che potevano nuovamente muoversi: era arrivata la primavera.
(disegno)
Scivolarono lungo il pendio della montagna verso la valle, lungo il percorso cantavano e saltellavano e giocavano a rincorrersi, riprendendo via via la loro trasparenza. Scorrevano sempre più veloci, e ridevano, ridevano… L’eco delle loro risa risuonava tutto intorno, e improvvisamente ebbero come l’impressione di prendere velocità e di volare nel vuoto: l’emozione le fece ridere ancora più forte! E il loro salto aveva formato un’incantevole cascata.
Lungo il percorso capitava che alcune gocce scegliessero altre strade, ma sempre accadeva che un po’ più a valle si ricongiungessero. Ritrovarono perfino le sorelle che avevano scelto per un po’ di scorrere sottoterra, per poi riaffiorare dalla roccia e riunirsi a loro come acqua di sorgente. Quando furono di nuovo tutte insieme, i loro mille rigagnoli erano diventati un bel torrente limpido e lastricato di sassi grandi e piccoli.
Diamantina e le altre gocce si scambiarono i loro racconti di viaggio: c’era chi aveva conosciuto la regina Stella Alpina, chi aveva spiato una cordata di coraggiosi alpinisti, chi era passata vicino a paurosissimi burroni… un profumo molto intenso le avvolgeva e felici più che mai contemplavano il verde giovane della primavera.
Diamantina per prima si fece coraggio, e chiese: “Chi siete? Perchè ve ne state lì fermi e non venite con noi?”. “Noi siamo l’erba”, risposero in coro, “non potremmo vivere separati dalla terra, che ci nutre, ci protegge, ha cura di noi. Tappezziamo la montagna formando i pascoli, e la facciamo soffice e morbida… su di noi giocano i bambini, e senza di noi mucche, pecore, caprette, morirebbero di fame”. Diamantina e le sue compagne domandarono perplesse: “Mucche? Pecore? Caprette? E che cosa sono?” . “Sono quegli animali laggiù, vedete? Quelli a quattro zampe!”.
Le gocce conobbero così gli animali, strani esseri che, a differenza dell’erba, possono correre, saltare, galoppare…
“Anche tu ti chiami Erba?”, chiese Diamantina ad un bel fiore. “Beh, non proprio… il mio nome è Calendula, anch’io appartengo alla famiglia dell’Erba, ma a me aria e luce hanno dipinto un bel fiore con i raggi del sole…”. Mentre Calendula parlava, Diamantina si accorse di un piccolo essere simile a un fiore, ma che volteggiava nell’aria. Quando lo vide posarsi su una dolce margherita, urlò: “Attento bel fiore bianco e giallo, quella cosa ti farà male!”. “Mia cara Diamantina,” rispose Margherita, “questa è nostra sorella, la Farfalla. Non vedi come somiglia a noi fiori? Le sue ali sono come i nostri petali, ma sono petali speciali perchè possono prendere la strada del cielo. La farfalla, sai, volando qua e là per il prato, raccoglie tutte le storie che racconta la natura e le passa di fiore in fiore. Ora è a me che vuole raccontare qualcosa…”
Dopo aver salutato tutti i nuovi amici conosciuti nel pascolo montano, Diamantina e le sue compagne ripresero il loro viaggio. Ad un tratto sentirono un brivido di freddo e di paura: videro attorno a loro non più il verde dei pascoli, ma una miriade di giganti maestosi ed immobili che, nascondendo la luce del sole, creavano un’atmosfera cupa e misteriosa. Le gocce, unite nel torrente, stavano infatti attraversando un fitto bosco di pini, abeti e larici.
La luce tornò e le gocce tirarono un bel sospiro di sollievo. Avevano ripreso il loro corso naturale, quando questa volta fu un grosso sasso a sbarrar loro la strada. Alcune gocce riuscirono ad aggirarlo, passare oltre e proseguire il loro cammino; altre si fermarono a discutere a lungo davanti al masso, presero a litigare, e così divennero ben presto acqua stagnante, e il fango le imprigionò.
(disegno: montagna)
Le altre, passate il grande sasso, decisero di rallentare un po’ la loro corsa per ammirare il meraviglioso paesaggio che andava cambiando. Via via la pendenza si faceva più dolce e cominciavano ad apparire verdeggianti colline, che si susseguivano simili alle onde di un mare incantato, pronto ad offrire nuovi tesori e nuove bellezze: argentei ulivi dal tronco contorto, filari di viti, frutteti, tappeti di terra coltivata, boschetti di castagni e querce, fiori variopinti. Tante casette colorate erano sparse qua e là tra il verde. Le gocce si beavano di tutte queste meraviglie.
Diamantina e le sue compagne di viaggio si guardavano intorno felici, e la loro attenzione presto si concentrò su una specie di prato verde sospeso in alto. “Forse è un prato che vola, una specie di grande farfalla…” disse Diamantina a voce alta. “Ma che sospeso! Ma che farfalla!” disse un grosso vocione da contrabbasso, “Sono la Quercia. Le mie radici affondano nella terra, e la terra mi ha nutrita e fatta crescere così alta e maestosa perchè desiderava guardare il cielo da vicino. I miei rami servono da riparo per gli uccelli: loro cantano e volano, mentre io sto immobile a custodire la loro casa. Solo mago Vento viene ogni tanto a scuotermi un po’ le fronde: lui è mio grande amico. “
Un canto improvviso distrasse presto Diamantina: nascosto tra i fili d’erba c’era un piccolo cosino nero, ed era lui a cantare. “E tu chi sei?”, chiese Diamantina, “una capretta nana?”. “No, no!”, rispose quello. “Allora sei una mucca piccola!”. “Ma no! Sono un insetto, un grillo canterino, per la precisione, e mentre mi occupo di pulire e riordinare la tana, canto”.
“E quei fili d’erba che saltano, cosa sono?” chiese ancora Diamantina al grillo. “Sono cavallette! Non sono fili d’erba, sono insetti come me. Non stanno mai ferme, saltano, saltano… mi fanno girare la testa!”. Detto questo il grillo riprese le sue faccende e il suo canto.
(disegno: collina)
Le gocce, intanto, cominciavano a sentirsi molto stanche, dopo quel lunghissimo viaggio, ed erano confuse e stordite per la quantità di cose nuove che avevano visto lontane da casa. Rallentarono l’andatura e udirono un ronzio insistente provenire dalla riva, da un bel prato fiorito. Videro tanti piccoli esserini gialli e neri: volavano di fiore in fiore producendo il ronzio che aveva attirato la loro attenzione.
“Quelle non sono certo farfalle” pensò Diamantina, che proprio per colpa delle farfalle aveva già fatto tante brutte figure. Si avvicinò e chiese: “E voi chi siete?”. “Noi siamo le api” risposero loro, “e ci posiamo sui fiori per raccogliere il dolce nettare. Loro ce lo danno molto volentieri, perchè sanno che così noi potremo preparare la pappa reale per la nostra regina e il miele per tutti.”
Diamantina non sapeva proprio cosa fosse il miele, ma era troppo stanca per fare altre domande, così, insieme alle sue compagne, riprese il suo viaggio, muovendosi sempre più lentamente.
Il letto sul quale Diamantina e le altre gocce scorrevano non era più così ripido, ed era anche diventato molto più largo. Le gocce ora non avevano più quella voce sonora e squillante di una volta, non saltellavano, non guizzavano: scivolavano pacatamente e via via perdevano la loro limpidezza di acqua di montagna, per diventare acqua di fiume. Il fiume si allargava sempre più. Diamantina e le sue compagne si sentivano ora pesanti e stanche e provavano una grande nostalgia per il regno verdazzurro di Oceano. Attorno a loro c’erano tante cose meravigliose: le barche, le case, la vasta pianura verdeggiante, i campi dorati di grano, i filari di vite… ma Diamantina aveva perso ogni curiosità.
(disegno: pianura)
Ora le gocce scorrevano così lentamente che il tempo sembrava non passare mai…ma ecco che, in lontananza, scorsero il regno di Oceano, la loro casa. Ma come era possibile?
“Ogni fiume porta al mare, ragazze mie!” diceva Oceano, “Forza, correte, fatevi abbracciare!”
E tornate finalmente nel regno di Oceano, Diamantina potè raccontare a tutti gli abitanti del mare com’è fatta la terra: montagna, collina e pianura.
(adattamento da un racconto in uso nelle scuole steineriane)
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