Le fiabe cosmiche Montessori sulla formazione della Terra e la comparsa dei viventi ci hanno accompagnati in questi anni, portandoci ad avere familiarità con i concetti di attività vulcanica, ere geologiche, placche tettoniche e formazione dei Continenti, ciclo delle rocce, evoluzione dei viventi… e la nostra giornata a Bolca è stata una splendida conclusione per questo percorso.
Per prepararci alla visita, oltre a rivivere insieme le fiabe cosmiche, abbiamo scaricato dal sito del Museo l’opuscolo “A caccia di fossili con Angelo, il pesce paleontologo”
Il pesce Angelo (Eoplatax papilio) è una specie tropicale che popolava l’antico mare della Tetide 50 milioni di anni fa, nell’Eocene, ed è la star di Bolca.
E’ davvero bellissimo e i bambini, appena arrivati al Museo, lo hanno immediatamente riconosciuto
Ma cosa dire di questo piccolo tesorino?
Gli scienziati hanno vagliato nel corso del tempo varie ipotesi sul perchè i fossili di Bolca siano così numerosi, così vari e così perfettamente conservati. Le guide ci hanno spiegato che attualmente si pensa ad una condizione combinata di assenza di ossigeno, alte concentrazioni di sali ed alte temperature dell’acqua dovuta all’attività vulcanica sottomarina. Ci hanno fatto notare, ad esempio in questo pesciolino, la bocca aperta: la fossilizzazione ha fissato l’animale nell’istante della sua morte.
Tornando alla preparazione all’uscita, per comprendere il processo della fossilizzazione in generale (non del tipo di processo che ha coinvolto Bolca in particolare) abbiamo guardato questo video:
e poi abbiamo simulato il processo per fissare le fasi più importanti attraverso un’esperienza sensoriale e manuale.
Abbiamo usato delle vaschette di plastica trasparente per ricreare il mare con sabbia (con aggiunta di polvere di gesso) ed acqua salata. Depositato sul fondale il nostro pesce, abbiamo poi creato stratificazioni con materiali di colori diversi (polvere di gesso, colla, sale, fondi di caffè, farina, ecc.). Il giorno seguente i bambini hanno trovato i loro “sassi” solidificati ed hanno potuto separare gli strati fino a rinvenire il loro pesce.
Raccontando ai bambini che a Bolca avrebbero potuto fare la stessa cosa, ma con pietre e fossili veri, e che avrebbero potuto addirittura portare a casa i propri ritrovamenti, la prima domanda è naturalmente stata: “Ma potremmo trovare anche un dinosauro?”
A questa domanda ha risposto la nostra striscia della comparsa dei viventi:
Nell’Eocene i dinosauri erano già estinti!
Ed eccoci finalmente a Bolca:
Bolca è un piccolo paese molto accogliente, immerso in una natura di colline verdi e ampie vedute delle valli.
Da oltre 200 anni, di generazione in generazione, si occupa dei giacimenti di fossili la famiglia Cerato, e ciò che si respira è proprio l’essere invitati ed accolti a condividere, insieme alla storia del mondo, una storia personale e famigliare importante, il tramandarsi di un mestiere che è anche un’arte, e una grande generosità nel coinvolgere i bambini in questa narrazione.
Nel Museo si ammirano fossili animali e vegetali non solo di grande interesse scientifico, ma anche di una bellezza incredibile. Qui, insieme al pesce luna, c’è l’impronta in positivo e negativo di un vermetto:
Dopo aver visitato le varie sale del Museo, accompagnati all’osservazione dei vari fossili dalla giuda,
ci siamo spostati alla Pesciara. Pranzo al sacco in una verdissima area picnic, e poi finalmente è cominciata la caccia ai tesori! In tre grandi vasche di sabbia, i bambini (e anche gli adulti!) hanno usato palette e setacci alla ricerca di denti di squalo e minerali:
Ma l’attività più interessante in assoluto è stata la ricerca dei fossili. Le guide ci hanno spiegato come riconoscere gli strati nei blocchetti di pietra e come usare il martello per aprirli alla ricerca di resti fossili
Le cose più interessanti che abbiamo trovato sono state un’impronta di conchiglia, tracce di alghe e una bellissima fogliolina con la punta ripiegata su se stessa:
Materiale didattico sulla seconda guerra di indipendenza: dettati ortografici, letture, poesie per bambini della scuola primaria.
Astuzie di Cavour Al principio della campagna del 1859, per arrestare l’avanzata austriaca, Cavour, allora Ministro della Guerra, diede l’incarico di allagare le campagne tra Vercelli e Novara all’ingegnere Carlo Noè, direttore dei canali statali, scrivendogli: “Caro ingegnere Noè, il suo omonimo salvò il genere umano dalle acque, lei, per mezzo delle acque salvi la Patria”
Gli Austriaci, all’inizio della seconda guerra d’indipendenza, erano convinti di conquistare Torino in pochi giorni. Alcuni loro ufficiali, con tale certezza, fecero inviare dai proprio familiari le lettere direttamente in quella città. Cavour ne venne in possesso e, consegnandole all’ambasciatore prussiano, che sostituiva in quel momento quello austriaco, disse: “Ecco qui alcune lettere destinate a persone che non siamo riusciti a trovare in città: vogliate farle pervenire ai destinatari”.
Le forze in campo Esercito francese: 150 mila uomini. Comandante: Napoleone III, che era anche comandante supremo di tutte le forza alleate. Capo di stato maggiore, il generale Vaillant. Esercito piemontese: 63 mila uomini. Comandante: Vittorio Emanuele II. Capo di stato maggiore, il generale Morozzo della Rocca. Cacciatori delle Alpi: 3500 volontari male armati. Comandante: Giuseppe Garibaldi. La partecipazione di Garibaldi fu voluta dal re contro il parere del ministro della guerra La Marmora. Esercito austriaco: 2oo mila uomini di cui però solo 120 mila il linea. Comandante il generale Ferencz Giulay.
Solferino e San Martino L’alba del 24 giugno, aprendo le sue pupille, vide una cosa meravigliosa: tutte le alture tra il Mincio e il Garda erano coronate dai soldati dell’Austria. Tutto l’esercito austriaco, rafforzato di nuove genti, aveva rivalicato il Mincio; lassù si era schierato, appoggiato dalle retrostanti fortezze. All’alba Francesco Giuseppe contemplava il suo esercito e il generale Schlik disse: “La Maestà Vostra sta per assistere a una grande battaglia e a una grande vittoria”. Vide la torre di Solferino e comprese che il nodo della battaglia era lì. Risalì a cavallo e, accompagnato dalle sue cento guardia dalle criniere bianche, mosse veloce verso Solferino. Nella corsa perse una spallina. Risuonò il comando: “Avanti, cavalleggeri! Viva l’Imperatore!”. Baionette abbassate, senza sparare colpo, al rullo di cento tamburi, i Francesi vanno all’assalto. L’artiglieria nemica folgorava da tutte le parti. Due volte la collina è presa dai Francesi, due volte è ripresa dagli Austriaci. All’ultimo disperato assalto, la posizione è saldamente conquistata. La bandiera giallo-nera apparve, scomparve, riapparve sullo sprone di Solferino. Infine scomparve. Anche l’ufficiale che reggeva quella insegna scomparve. Sulla torre di Solferino sventola il tricolore di Francia. I centro nemico è sfondato; tutte le alture sono prese. Da Cavriana partono gli ultimi colpi di cannone. Sono le quattro e tre quarti. Dodici ore è durato il duello. Alle sette di sera Napoleone III entrava a Cavriana nella casa dove Francesco Giuseppe aveva il suo quartier generale: ma lo aveva dovuto lasciare, perché per poco non era stato fatto prigioniero anche lui. La battaglia di Solferino era terminata; riprendeva come un uragano la battaglia a San Martino. Dalle nove del mattino i soldati italiani erano lanciati in disperati assalti sotto gli occhi del re. “Figlioli” diceva il re, “o si prende San Martino o i Tedeschi faranno fare a noi San Martino!” (Fioei, venta piè San Martin, se no gli aleman a lu fan fè a nui autri!). All’ultimo assalto, con tutte le forze, San Martino è conquistata. Dunque l’Imperatore entrò in quella casa di Cavriana che per breve era stata alloggio dell’altro Imperatore. Quelli che erano con lui dicono che un’espressione di tristezza e di stanchezza profonda era scolpita sul suo volto. Si sedette presso un tavolo coperto da una tovaglia verde, e rimase a lungo immobile e in silenzio. “Sire, l’inseguimento, il coronamento della vittoria!”. Risponde l’Imperatore: “No, la giornata è finita”. Alla luce del lungo tramonto si vedevano le colonne austriache ripassare in buon ordine il Mincio. Napoleone si ritira nelle sue stanze. Vede sulla parete, tracciate a matita, tre parole italiane: “Addio, cara Italia”. Un ignoto ufficiale di Francesco Giuseppe aveva segnato le tre parole profetiche. Quando il sole apparve, l’Imperatore era già con il pensiero a Villafranca. (A. Panzini)
L’ordine del giorno di Vittorio Emanuele II dopo la vittoria di Solferino e di San Martino Soldati! In due mesi di guerra, dalle sponde della Sesia che sono state invase al Po, voi avete corso, di vittoria in vittoria, fino alle rive del Garda e del Mincio. Nella via gloriosa che avete percorso, in compagnia del nostro potente alleato, avete dato ovunque le più grandi prove di disciplina e di eroismo. La Nazione è fiera di voi; tutta l’Italia contra tra le vostre fila i suoi figli migliori, applaude il vostro coraggio e dalle vostre imprese trae fiducia per il suo destino futuro. Ora avete riportato una nuova e grande vittoria, vincendo un nemico grande di numero e protetto da ottime posizioni. Nella giornata ormai famosa di Solferino e di San Martino, avete respinto, combattendo dall’alba fino a notte, i ripetuti assalti del nemico e lo avete costretto a riattraversare il Mincio, lasciando nelle vostre mani il suo campo di battaglia, gli uomini, le armi e i cannoni. Da parte sua l’esercito francese ha ottenuto uguali risultati e ugual gloria dando prova di quel valore che, da secoli, richiama l’ammirazione del mondo. La vittoria è costata gravi sacrifici; ma da questo sangue versato per la più nobile delle cause, l’Europa imparerà come l’Italia sia degna di sedere tra le Nazioni. Soldati! Nelle battaglie precedenti ho spesso avuto occasione di segnalare all’ordine del giorno i nomi di molti di voi. Oggi io porto all’ordine del giorno l’intero esercito. (Vittorio Emanuele, 25 giugno 1859)
Il dramma di Villafranca L’8 luglio Cavour viene a sapere che il generale Fleury, primo scudiero dell’imperatore, è andato a Verona per proporre un armistizio a Francesco Giuseppe. Cavour parte subito da Torino e si precipita dal re, che è alloggiato alla villa Melchiorri, in Monzambano sul Mincio. Appena il sovrano e il ministro si trovano soli, il tono della loro voce è così alto che rimbomba all’esterno della piccola sala della villa: l’argomento della discussione è davvero drammatico. Vittorio Emanuele è obbligato a confessare che, fin dalla vigilia di Solferino, Napoleone III gli ha confidato la decisione di trattare al più presto con l’Austria, dovuta all’attitudine alla minaccia degli Stati tedeschi. E il re si è dimostrato d’accordo dicendo che tutto sommato, questa guerra abbreviata gli farà conquistare almeno la Lombardia. Se la Francia abbandonasse la lotta, il Piemonte potrebbe continuarla da solo? Ad ogni frase Cavour scattava sotto l’impulso della collera crescente, al pensiero di tutto quello che avrebbe potuto fare, di tutte le combinazioni che avrebbe potuto inventare, di tutte le leve che avrebbe potuto manovrare in quei diciotto giorni, se avesse conosciuto i piani di Napoleone III; tutto ciò lo rende furioso… Vittorio Emanuele cerca di contraddirlo, di spiegargli le sue ragioni. Non è meglio concludere la guerra guadagnando la Lombardia, piuttosto che farsi nemica la Francia, col rischio di rientrare a Torino a mani vuote, sotto la minaccia delle baionette austriache e tutta l’Europa che ride di noi? Ma Cavour, che non riesce a trattenersi, grida: “Allora, Sire, abdicate” “Tacete! Ricordatevi che sono il Re!” “Il vero re, in questo momento, sono io!” “Voi il re? Voi non siete che un insolente!” gli urla Vittorio Emanuele, ed esce dalla sala sbattendo la porta.
Napoleone III e Vittorio Emanuele dopo Villafranca Dopo il “tradimento” di Villafranca, Napoleone così spiegò le ragioni del suo comportamento: “Se la rivoluzione varcasse gli Appennini, l’unità d’Italia sarebbe fatta, e io no voglio l’unità, ma soltanto l’indipendenza. L’unità rischia di portare a problemi interni per la questione di Roma, e a problemi esteri perché con l’unità la Francia si ritroverebbe una grande nazione al suo fianco, che potrebbe far diminuire la sua influenza”. Più tardi, Vittorio Emanuela II rispose a Napoleone rinfacciandogli il suo comportamento: “Io sono vincolato dal patto con l’Europa, dal dovere di giustizia, dagli interessi della mia casa e sono vincolato al mio popolo, all’Italia. I Solferino, i San Martino riscattano talvolta i Novara, i Waterloo; ma le apostasie dei principi sono sempre irreparabili. Io sono commosso nel più profondo del mio animo per la fiducia e per l’amore che questo nobile e sventurato popolo ha riposto in me; e, prima di tradirlo, spezzo la spada e getto la corona come fece mio padre”.
Le annessioni La fine della guerra porta alla cessione della Lombardia alla Francia, che la cede a sua volta al Piemonte, in cambio di Nizza e Savoia. Il Veneto rimane ancora sotto l’Austria. Ma durante la guerra molte province sono insorte, hanno cacciato i sovrani, hanno chiesto l’annessione al Piemonte. Dopo la Toscana e Massa Carrara, anche Modena insorge e, ai primi di giugno, costringe il Duca a lasciare la città. Il 13 giugno un movimento popolare sempre più forte travolge la reggenza lasciata dal Duca e proclama l’annessione al Piemonte. A Parma il popolo è insorto fin da maggio: il 2 giugno costringe la Duchessa a fuggire e dichiara l’annessione al Piemonte. Bologna e la Romagna, Stato del Papa, vengono tenute a freno da forti truppe austriache fino all’11 giugno, ma il 12 scoppia un’impetuosa dimostrazione popolare, e il potere passa nelle mani di un governo provvisorio: entro la mezzanotte del 13 tutta la Romagna è insorta e si è liberata del dominio austriaco e clericale. Nella discussione a Zurigo, per il trattato di pace, si propone di rimettere i sovrani sui loro troni. Ma le popolazioni si ribellano, si riuniscono in grandi assemblee e reclamano l’annessione al Piemonte.
Il trattato di pace: Zurigo, 10 novembre 1859 Si firma il trattato di page che pone ufficialmente fine alla guerra. Nel trattato si confermano gli accordi di Villafranca, e si stabilisce che i principi italiani, che erano stati costretti a fuggire, debbono ritornare nei loro Stati. Ma come ciò sarà possibile? Non hanno eserciti propri, né possono contare sull’aiuto dell’Austria, perché questa, nel trattato, si è impegnata a rispettare il principio del “non intervento”. D’altra parte le popolazioni sono decise a votare, per plebiscito, l’annessione al Piemonte. Il trattato prevede che il futuro assetto dell’Italia sarà stabilito in un Congresso che sarà successivamente convocato. Ma è impressione generale che saranno i fatti e l’autodecisione delle popolazioni, che daranno un nuovo volto all’Italia.
In margine al trattato di pace: la restituzione della Corona Ferrea La corona ferrea, con la quale nel Medio Evo venivano incoronati i re d’Italia, e con la quale anche Napoleone fu incoronato “re d’Italia”, era stata tolta dal duomo di Monza, dove era conservata, e portata a Vienna dagli Austriaci, all’inizio della guerra. Ora l’Austria, in virtù del trattato di pace, è obbligata a restituirla. Sembra un presagio.
Vittorio Emanuele II La sera del 23 marzo 1849, dopo che il suo esercito era stato sconfitto dagli Austriaci, il re di Sardegna Carlo Alberto abdicò alla corona in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Era un momento tragico per la storia italiana, ma il ventinovenne re superò questa prova con fermezza e coraggio, rifiutandosi di rinnegare ed abolire lo Statuto che suo padre aveva concesso e giurato. Sinceramente convinto che il regno di Sardegna dovesse diventare il centro della lotta di tutti gli italiani, per l’unificazione e l’indipendenza nazionali, Vittorio Emanuele ebbe la fortuna di trovare in Cavour il geniale ministro che realizzò questo grande programma: e così i patrioti, sia monarchici sia repubblicani, si schierarono con il regno di Sardegna nella lotta all’Austria. Vittorio Emanuele II fu sui campi di battaglia, distinguendosi nel 1859 a Palestro e a San Marino. Appoggiò la spedizione dei Mille e, ricevuto da Garibaldi a Teano il regno delle Due Sicilie appena conquistato, portò nel 1861 la corona dell’Italia unita. Fu ancora sul campo a Custoza (18669 e infine entrò, da re, in Roma libera (1870). Carattere rude e fiero, regnò con lealtà e dignità, meritando il soprannome di “Re galantuomo”. Morì a Torino nel 1878.
Aneddoti Un giorno il D’Azeglio disse al Re: “Ce ne sono stati così pochi nella storia di re galantuomini, che sarebbe veramente bello cominciare la serie”. “Devo fare il galantuomo?”, chiese senza ridere Vittorio Emanuele. “Vostra maestà ha giurato fede allo Statuto, ha pensato all’Italia e non al Piemonte. Continuiamo allora a dare per certo che a questo mondo tanto un re quanto un individuo oscuro non hanno che una sola parola” “Ebbene, il mestiere mi sembra facile” disse sua Maestà. “E il re galantuomo l’abbiamo”, osservò il D’Azeglio.
A volte il re amava confondersi con la folla per sentirne i giudizi direttamente e per essere libero di esprimere i suoi. Nel primo anniversario dello Statuto si travestì da popolano indossando i suoi abiti da caccia, ed entrò di sera in una birreria in piazza San Carlo. Alcuni popolani che erano nel locale festeggiavano la ricorrenza e gridavano: “Viva il re! Viva lo Statuto!”. Il re si sedette ad un tavolo, ordinò, bevve in fretta e poi, prima di uscire, si rivolse ai popolani gridando: “Viva la Repubblica!”. Successe un parapiglia e il Re pensò di non riuscire ad uscirne, quando un operaio prese le sue difese e, siccome non riusciva a calmare i suoi compagni, gli venne l’idea di gridare: “Ma non vedete che è matto?”. (L. Pollini)
Motti arguti Nel 1861 passavo in rassegna le truppe in Piazza d’Armi a Milano. Erano reggimenti di fanteria nei quali abbondavano i soldati lombardi e tra questi non pochi milanesi. Un reggimento stava davanti a me e al mio Stato Maggiore, ed i soldati, come la disciplina prescrive, tenevano gli occhi fissi nei miei. Due di quei soldati, mentre aveva gli occhi rivolti a me, tenevano senza scomporsi una conversazione, che anche se fatta a voce molto bassa, riuscii ad ascoltare parola per parola. “Guarda” diceva uno, “El noster re come l’è bel grass”. E l’altro rispondeva: “El soo anca mi che l’è bel e grass; el se magna una provincia al dì, e te veut minga ch’el sia bel e grass?”
Il “miracolo” di Cavour Cavour si preparava alla guerra, ma secondo i patti di Plombieres non poteva dichiararla lui: doveva aspettare di essere aggredito. Lord Russel disse a Cavour: “Signor Conte, credo che lei stia sprecando le sue energie, perché l’Austria non le dichiarerà mai la guerra.”. “Ma io saprò convincerla”, disse Cavour. Il lord incredulo domandò allora ironicamente quando credeva possibile il miracolo diplomatico. “Intorno alla prima settimana di maggio”, rispose serio serio Cavour. E fu infatti così. (F. Palazzi)
Il compito più difficile Un giorno un gruppo di persone stavano tessendo le lodi di Cavour davanti a Napoleone III. Qualcuno disse: “Sì, è un grande uomo politico; peccato che non sia lui a governare un grande Stato”. Napoleone con molto buon senso rispose: “Credo che il compito di fare grande un piccolo Stato sia molto più difficile che non governare un grande Stato. Lasciatelo fare, Cavour è sulla buona strada”.
Un pensiero di Cavour Cavour amava tanto il lavoro e le persone attive, che gli piaceva dire: “Quando voglio che una cosa sia fatta presto e bene, mi rivolgo alle persone che sono sempre occupate: i disoccupati non hanno mai tempo di far nulla”. (F. Palazzi)
Sovrano popolare Siamo a Torino, nel 1859, alla vigilia della seconda guerra d’indipendenza. La città è tutta in attesa, fremente di entusiasmo e di speranza. Il popolo, che si era raccolto spontaneamente attorno allo stesso ideale, va una sera a fare una grande dimostrazione patriottica davanti alla dimora del conte Camillo Benso di Cavour, presidente del Consiglio dei Ministri. La mattina dopo Cavour, molto soddisfatto, parla al Re del grande vociare di entusiasmo che gli è giunto dalla strada; ma il sovrano non ha l’aria di stupirsi. “Vostra Maestà è stata già informata?” “Cuntacc!” rispose il re, “Ero anch’io fra il popolo a gridare -Viva Cavour!- “ (Vaccaro, da “Enciclopedia degli aneddoti”)
Il discorso della Corona del 10 gennaio 1859 L’apertura della sessione venne fissata al giorno 10 gennaio 1859. La sera del 7 il conte Cavour ebbe una nuova conferenza col Re, il quale esaminò attentamente il discorso, scrisse di suo pugno alcune variazioni e concordò col suo ministro le parole diventate storiche, il grido di dolore, che erano state accennate e suggerite da Napoleone III… La mattina del 10 gennaio l’aspetto dell’aula di Palazzo Madama era più che mai imponente. I ricordi del passato s’intrecciavano con le speranza e con la fiducia del futuro. Lì Vittorio Emanuele aveva pronunciato il giuramento solenne: lì sì era più volte appellato al buon senso e al patriottismo del parlamento e del suo popolo; lì quella mattina pronunciava le parole ardenti di chi sente nell’animo la gioia di un grande progetto. Quando aprì il foglio di carta che doveva leggere, ci fu un silenzio profondissimo: tutti pendevano dalle sue labbra, il segreto era stato gelosamente custodito, e l’impazienza di sentire ciò che il Re avrebbe detto, era grandissima. Egli gettò uno sguardo intorno all’aula, e poi con voce che, fioca all’inizio, andò via via prendendo vigore e colorito, lesse… Il discorso finiva così: “L’orizzonte, in mezzo a cui sorge il nuovo anno, non è pienamente sereno. Ciò non di meno vi accingerete con la consueta alacrità ai vostri doveri parlamentari. Confortati dall’esperienza del passato, andiamo risoluti incontro all’eventualità dell’avvenire. Questo avvenire sarà felice, riposando la nostra politica sulla giustizia, sull’amore della libertà e della patria. Il nostro paese, piccolo per territorio, ha guadagnato credito nei consigli europei perché grande per le idee che rappresenta e per le simpatie che ispira. Questa condizione non è priva di pericoli, perché mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi. Forti e fiduciosi nel nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi.” Ad ogni periodo il discorso venne interrotto da applausi fragorosi e dalle grida “Viva il Re!”, e alle parole “grido di dolore” eslose un entusiasmo indescrivibile. Senatori, deputati, spettatori si levarono in piedi e lo acclamarono. I ministri di Francia, di Prussia e d’Inghilterra osservavano attoniti e commossi lo spettacolo. L’incaricato degli affari di Napoli aveva il volto bagnato di sudore. (G. Massari)
L’eco a Milano del discorso di Vittorio Emanuele La notizia del discorso giunse a Milano la stessa sera. Ero al teatro della Scala; a un tratto si vide un parlarsi l’un l’altro, con ansietà, con commozione, come di persone che si comunicano una grande notizia; e si osservò una sorpresa insolita anche nei palchi delle autorità e dei generali Austriaci. Quell’elettricità che era nell’aria, che era in tutti, doveva, poche sere dopo, scoppiare rumorosamente in quella stessa sala del teatro. Si rappresentava la Norma di Bellini e, appena fu intonato il coro “Guerra, guerra!” tutto il pubblico scattò in piedi: dai palchi le signore sventolavano i fazzoletti e tutti in coro gridarono “Guerra! Guerra!”e il coro fu fatto ripetere più volte. Gli ufficiali della guarnigione che, come di solito, occupavano le due prime file della platea a loro riservate, non capirono sulle prime la ragione di quel chiasso. Esterrefatti, guardavano, quasi interrogando, nei due palchi riuniti di prima fila, dove stava il generale Giulay con parecchi ufficiali superiori. Questi capirono ben presto di che cosa si trattasse e si misero ad applaudire essi pure “Guerra! Guerra!”. Anzi Giulay stesso ne diede il segnale, battendo ripetutamente la sciabola sul pavimento. Chi avrebbe detto quella sera che la guerra sarebbe proprio scoppiata e che, cinque mesi dopo, egli avrebbe perduto a Magenta una grande battaglia? Il segnale dato da Giulay fu subito seguito da tutti gli ufficiali, che si alzarono in piedi e, fissando il pubblico, applaudirono fragorosamente. Pensate che baccano! Da una parte si gridava entusiasticamente “Viva va guerra! Viva la guerra!, si sventolavano i fazzoletti, si chiedevano nuove repliche al coro; dall’altra si battevano in modo altrettanto provocante le sciabole a terra: il teatro fu attorniato dalla truppa, chiamata in fretta, e Giulay uscì, circondato dagli ufficiali accorsi in sua difesa. Il baccano quella sera durò a lungo: era l’esplosione del desiderio represso di vedere spuntare il primo giorno della guerra. Le parole di Vittorio Emanuele II aveva aveva acceso le polveri. (G. Visconti Venosta)
Napoleone III Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del grande imperatore, nacque nel 1808 a Parigi. Irrequieto ed avventuroso, si dedicò sin da giovanissimo alla politica, e nel 1848 fu eletto presidente della Repubblica francese. Nel 1851, con un colpo di stato, si impadronì del potere e l’anno dopo si proclamò imperatore, col nome di Napoleone III. Sotto il suo regno la Francia tornò ad essere una delle massime potenze mondiali, pagando però grandezza e prestigio con la perdita della libertà. Le ambizioni di Napoleone III tramontarono nel 1870 quando, dichiarata la guerra alla Prussia, venne sconfitto e catturato nella battaglia di Sedan. Mentre il suo impero crollava, egli andò esule in Inghilterra, dove morì nel 1873. Napoleone III può essere considerato uno dei protagonisti del Risorgimento italiano. Nel 1849, egli mandò un esercito a soffocare la Repubblica romana; nel 1867, a Mentana, sbarrò a Garibaldi la via per Roma. Questi sanguinosi episodi di ostilità, tuttavia, sono riscattati da quanto Napoleone III fece nel 1859, quando mise a repentaglio la fortuna sua e della Francia per aiutare gli Italiani a liberare la Lombardia. Malgrado tutto dunque, dobbiamo riconoscenza a Napoleone.
Nasce la Croce Rossa Ferdinando Palasciano medico dell’esercito borbonico, aveva sostenuto dieci anni prima di Solferino, che “i feriti di guerra, nel momento in cui rimangono feriti, cessano di essere nemici e vanno raccolti e curati, indipendentemente dall’esercito a cui appartengono”. Per questi suoi principi Ferdinando II l’aveva degradato e imprigionato. Ma la nobile proposta del Palasciano doveva essere raccolta, dieci anni dopo, da un medico svizzero che assistette alla sanguinosissima battaglia di Solferino. In un libro intitolato “Un ricordo di Solferino” egli descrisse la tragica odissea di migliaia di feriti che, senza cure adeguate, senza assistenza, morivano dissanguati sul campo o in ricoveri improvvisati. “Proclamiamo solennemente”, disse “che i feriti di guerra sono sacri e devono essere curati anche dai nemici”. Le sue proposte, alla Conferenza Internazionale di Ginevra (1864) portarono alla nascita della Croce Rossa. Il suo nome è Enrico Dunant.
Materiale didattico sulla seconda guerra di indipendenza. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
La storia delle armi per bambini della primaria con testi e immagini che possono essere d’aiuto per preparare carte delle nomenclature, linee del tempo ed altro materiale didattico.
Etimologia La parola arma potrebbe derivare dal latino armus (armòs, in greco) che significa “omero” o “braccio. Per alcuni studiosi invece la parola potrebbe derivare dal celtico harn, “ferro”, o dall’antico germanico har “esercito” o dallo svedese harnad, “guerra”.
Storia delle armi
I primi uomini avevano bisogno di proteggersi dagli animali e di cacciarli. Dalle prime armi naturali e che hanno a disposizione anche gli animali, le unghie e i denti, passarono ad utilizzare oggetti che noi oggi chiamiamo armi, cioè attrezzi da usare per difendersi e per cacciare. Sicuramente le prime armi utilizzate dall’uomo furono le pietre o i rami spezzati che venivano trovati per terra e scagliati contro il nemico o gli animali.
La più antica arma fabbricata dall’uomo fu la clava, un pesante pezzo di legno con un’estremità più grossa e pesante e un’impugnatura più sottile. Nell’estremità grossa poteva essere infilato un anello di selce o pezzi di selce, corno o osso per rendere l’arma più micidiale.
Nel Paleolitico inferiore, 250.000 anni fa, comparvero le lance che potevano avere una punta d’osso o di legno indurito al fuoco. Grazie alla scoperta del fuoco, l’uomo capì che bruciacchiando una lancia di legno verde, la sua punta si induriva e diventava quasi di pietra. Scoprì che era meglio posizionare sulla sommità del bastone un sasso appuntito e scelse la selce, una pietra molto dura e facile da lavorare per ottenere delle punte affilate. Queste punte di pietra penetravano meglio e creavano ferite più grandi sugli animali, rispetto a quelle di legno indurito o di osso. L’uomo dell’età della pietra scoprì anche che poteva aggiungere al bastone della lancia il fuoco di sterpaglie accese.
Accanto alla lancia comparve anche la mazza, un’evoluzione della clava. Si tratta di un bastone con un’estremità appesantita da pietra. Per proteggersi da queste armi nel Paleolitico si sviluppò l’uso della corazza di pelle.
L’uomo dell’età della pietra trovò anche modi per aumentare la potenza di lancio del braccio umano, ad esempio estendendo la sua lunghezza: questo è il principio della frombola. La potenza della frombola nell’antichità è testimoniata dalla storia biblica di David e Golia. La frombola è composta da una sacca che contiene il proiettile (pietra) con due lacci. Facendo roteare velocemente la sacca, la forza centrifuga fornisce velocità al proiettile, che vola nell’aria quando si lascia il laccio.
Grazie a queste nuove armi l’uomo si trasformò da preda a cacciatore.
Nel Paleolitico superiore (circa 15.000 anni fa) vi fu la prima invenzione “meccanica”: l’arco con frecce, strumento che sfrutta l’elasticità del legno per lanciare la freccia. Il rilascio improvviso dell’energia immagazzinata dall’arco teso, quando torna alla sua forma naturale, è più rapida e più potente di qualsiasi impulso di cui i muscoli umani siano capaci. Probabilmente alla base dell’invenzione ci fu l’osservazione del trapano ad archetto, utilizzato dall’uomo preistorico per accendere il fuoco. Gli archi erano costruiti con legno di tasso o di olmo e le punte delle frecce erano di selce scheggiata, spesso con margini dentati per conficcarsi con fermezza nelle carni. L’arco segnò una vera e propria rivoluzione nella storia delle armi e da allora fu usato sia nella caccia sia nella guerra.
L’arco permise all’uomo di diventare un cacciatore più efficiente. L’uso dell’arco è testimoniato nelle pitture rupestri di Altamira. Dalla sua invenzione, le civiltà di tutto il mondo hanno prodotto archi utilizzando il tipo di vegetazione che avevano a disposizione; gli archi cinesi erano fatti ad esempio di bambù.
Nel Neolitico si sviluppano l’agricoltura e la domesticazione degli animali. Questo creò abbondanza di cibo, e così gli uomini poterono dedicarsi alla guerra direttamente o sostenendo una classe di guerrieri professionisti. Risalgono all’8.000 aC le prime mura perimetrali di difesa. Gerico èconosciuta come la “città più antica del mondo” (8.500-7.500 a.C.), fondata quando ancora non si praticava l’allevamento e non erano in uso recipienti di ceramica. Le esigenze difensive nei confronti di popolazioni rimaste ancora nomadi, costrinsero gli abitanti ad erigere una cinta di fortificazione in pietra, rinforzata all’esterno con un fossato.
Dopo la scoperta del rame puro in Anatolia, intorno al 6000 a C, la metallurgia del rame si diffuse in Egitto e in Mesopotamia. I Sumeri furono i primi ad usare armi di rame. A parte le mazze, che erano molto diffuse, per la maggior parte di trattava di oggetti troppo costosi e malleabili per essere armi efficaci. Anche i nativi americani usavano lame e coltelli di pietra focaia, ma usavano il rame per cerimonie e decorazioni. Il rame fu per molto tempo l’unico metallo noto agli umani.
Intorno al 4500 a C l’arte della metallurgia si diffuse in India, Cina ed Europa ed è con l’avvento del bronzo che le armi da taglio in bronzo divennero di uso comune. Il bronzo è una lega di rame e stagno ed è molto più duro del rame puro.
Fu ampiamente utilizzato in Asia: la civiltà della valle dell’Indo prosperò grazie al miglioramento della metallurgia. Il bronzo è stato prodotto su larga scala in Cina per le armi, tra cui lance, asce, archi compositi e elmi in bronzo o cuoio.
Il Khopesh era un’arma a forma di mezzaluna. Aveva un manico corto e una lama di bronzo. Venne inventato dai Sumeri nel 3000 a C per il bisogno di un’arma potente come un’ascia ma che non avesse il suo ingombro e il suo peso. Era l’arma principa bble delle tribù che vivevano vicino alla Mesopotamia e venne poi adottato dagli Egizi. Ramses II (1250 a C circa) fu il primo faraone ad usare il khopesh in guerra. Il Khopesh poteva essere usato come un’ascia, una spada o una falce, divenne l’arma più popolare in tutto l’Egitto e un simbolo del potere e della forza reale. Possiamo ritrovare il Khopesh anche nelle opere d’arte assire.
Circa nel 1500 a C compare l’arco composito, preciso fino a 300 metri. Furono gli Egizi a perfezionare quest’arma. Si chiama composito perché è costruito con strati di materiali diversi (tendini animali, strisce di corno, osso) che reagiscono in modo diverso sotto tensione o compressione. Questa tecnica di costruzione aumentò la distanza e la precisione del tiro e la capacità di penetrazione delle frecce, ora con la punta metallica. L’arco composito, così chiamato per il suo metodo di costruzione, è l’arco curvo corto, noto nell’arte come l’arco di Cupido. L’arco composito è più piccolo e potente dell’arco tradizionale, ed è quindi adatto ad essere usato da cavallo o da carro da guerra.
I Sumeri e gli Accadici vivevano nella Mesopotamia meridionale, l’attuale Iraq, una regione aperta agli attacchi nemici. Il guerriero sumero era equipaggiato con lance, mazze, spade e fionde. Sargon di Akkad, (2333-2279 a C) fu un grande capo militare e usò sia la fanteria che i carri da guerra a quattro ruote trainati da asini.
Per lungo tempo la posizione strategica dell’Egitto permise ai suoi abitanti di rimanere liberi da attacchi nemici, e in questo periodo non ebbero bisogno di addestrare un esercito per la difesa dei confini. Durante l’Antico ed il Medio Regno (2700 – 1650 aC) l’armamento egizio contava solo mazze di pietra, archi, frecce e giavellotti a punta di selce o bronzo, pugnale e scure in bronzo.
Tutto cambiò durante il Secondo Periodo Intermedio (1650 – 1550 a C) quando l’Egitto fu invaso dalla tribù degli Hyksos, proveniente dall’Asia Occidentale. Questi invasori possedevano armi più sofisticate degli Egizi e soprattutto usavano carri da guerra a due ruote tirati da cavalli. Con le loro invasioni queste tribù conquistavano territori, ma al tempo stesso diffondevano le loro conoscenze. Gli Hyksos usavano archi compositi e archi ricurvi; a differenza dei Sumeri, avevano carri trainati da cavalli e non asini; indossavano protezioni per il corpo e elmi metallici; possedevano pugnali spade e asce migliori di quelli egizi.
Una volta cacciati dall’Egitto, ormai gli Egizi avevano appreso da loro l’uso dei cavalli in guerra, l’uso dei carri trainati da cavalli, nuove tecniche di lavorazione del bronzo e della ceramica e nuove armi. Nel Nuovo Regno (1550 -1069 a C) il corredo militare egizio fu arricchito da daga, casco di cuoio, corazza di lino pressato, carro da guerra a due ruote raggiate. Il carro era montato da un combattente con arco, lancia e scudo.
Le armi del guerriero miceneo (2000 – 1200 a C) erano una spada in bronzo e una lancia in bronzo. Armi simili sono usate, molti secoli più tardi, dagli hopliti greci.
Dal 1100 aC i Fenici sviluppano la galera di guerra, con un ariete tagliente nella prua.
Un importante sviluppo tecnologico nella costruzione delle armi avviene quando il ferro prese il posto del bronzo (1200 a C). Lo stagno, uno dei componenti del bronzo, non è così diffuso sulla terra, mentre il ferro è il metallo più abbondante. L’uomo scoprì come indurire il ferro trasformandolo in acciaio nel 1100 a C circa e presto gli eserciti del mondo antico furono in grado di mettere in campo un numero molto maggiore di soldati, equipaggiato con armi devastanti e a costi relativamente bassi. Gli Ittiti furono probabilmente i primi a utilizzare le armi di ferro. Questo popolo si stabilì verso il 2300 a.C. in Anatolia (l’odierna Turchia). Gli Ittiti furono i primi a lavorare il ferro, di cui custodivano gelosamente il segreto. Il procedimento consisteva nel riscaldare, martellare e poi raffreddare con acqua il metallo. In questo modo ottenevano armimolto leggere e molto più resistenti di quelle in bronzo utilizzate dagli altri popoli, così sottomisero molte terre circostanti.
Gli Assiri adottarono le armi in ferro sistematicamente, così il primo esercito di ferro è quello assiro, noto dal 900 a C per i suoi brutali successi in una continua campagna di aggressione nei confronti dei suoi vicini.
Nell’800 a C i popoli della Cultura di Hallstatt dell’Europa centrale (predecessori dei Celti) forgiavano spade di ferro stupende, che portano con sé nelle loro tombe. Di lunghezza senza precedenti, queste armi venivano prodotte con una tecnologia d’avanguardia.
Il tridente era una lancia a tre punte che in origine erano di corno, e poi di metallo. Nell’antichità era usato per la pesca e la caccia soprattutto in Asia, e poi come arma. Il tridente era particolarmente popolare come arma nell’antica Grecia (800 – 338 a C). Nell’India antica è chiamato Trishula (tre lance). Successivamente il tridente è stato usato dai gladiatori romani. Anche le arti marziali orientali hanno numerose armi derivate dal tridente. Il tridente è un’arma associata a varie divinità: Poseidone, il dio indù Shiva.
I Persiani nel 600 a C, inventarono la trireme, una nave da combattimento che utilizzava come propulsione, oltre alla vela, tre file di rematori e che fu ampiamente usata dai Greci.
Gli Assiri sono noti per la loro bellicosità e la loro ferocia verso le popolazioni vinte. Il loro regno si estese in Mesopotamia dal 1770 al 612 a C. Per gli Assiri l’addestramento era importantee fondarono scuole militari. L’esercito assiro fu il primo a usare il ferro nelle sue armi e nell’ 800 a C cominciò ad utilizzare l’acciaio. Gli Assiri furono anche i primi ad utilizzare torri d’assedio, circa nell’850 a C.Prima degli Assiri l’ariete veniva portato dai soldati fino alle mura della città nemica e usato per aprire una breccia. I soldati però erano vulnerabili all’olio bollente e al lancio di pietre dei nemici. Gli Assiri perciò trasformano l’ariete e lo fissarono sul tetto di una struttura in legno con ruote. La struttura veniva spinta in posizione mentre i soldati rimanevano protetti al suo interno e potevano far oscillare l’ariete. Gli Assiri poi idearono la torre d’assedio, una struttura a ruote che aveva lo scopo di fornire ai soldati una piattaforma alta come le mura della città nemica, da cui essi potevano lanciare il loro attacco.
L’antica Grecia (800 – 338 a C) fu sempre circondata da nemici, così i Greci idearono un modello di guerra completamente diverso dagli altri popoli. La loro era una guerra di strategia: cercavano i punti di forza e di debolezza dei nemici e sceglievano le loro armi di conseguenza. I Greci usavano lunghe lance con punta di ferro, scudi, elmi e pettorali. Lo scudo dei greci era così forte da spezzare le lance. Se la loro lancia era rotta, usavano le spade per il combattimento ravvicinato.
Perfezionarono la triremi persiana e grazie a questo poterono contare su una formidabile flotta navale. A prua c’era un grande rostro di ferro (oggetto da sfondamento) mentre sul ponte operavano arcieri e frombolieri.
In guerra utilizzavano una formazione di combattimento chiamata falange greca: la fanteria pesante, armata di lance o picche (dory) e spada corta di ferro (xiphos) , rimaneva compatta e coesa e avanzava in formazione allineata, creando una foresta impenetrabile di lance e un muro di scudi (oplon). Dal nome dello scudo, questi soldati erano chiamati opliti.
I Greci perfezionarono la balista (o ballista), una potente catapulta che lanciava pietre sferiche o una grossa lancia, spesso infuocata, a lunga distanza. E’ a tutti gli effetti una versione statica della balestra.
I Macedoni governarono in Grecia dal 338 al 31 a C. Continuarono a seguire la strategia militare greca della falange, con la differenza che la fanteria macedone utilizzava la sarissa, una lancia lunga 15 piedi con una punta a forma di foglia.
L’esercito macedone aveva inoltre una cavalleria. I Macedoni utilizzavano, oltre alla balista, armi portatili come la cheiroballistra.
I Macedoni idearono anche la catapulta a torsione. Nella catapulta a torsionel’energia viene immagazzinata in un elemento (fibre vegetali, tendini e pelli di animali) che viene fortemente avvolto su se stesso, come negli aerei ad elastico. Quando il perno viene rimosso, il braccio scatta in posizione verticale e la pietra viene scagliata. I Romani la chiamarono onagro.
A partire dal 390 a C i soldati dell’antica Roma erano divisi in due gruppi: Legionari e Ausiliari; i Legionari erano cittadini romani e gli Ausiliari provenivano da tribù alleate. I Romani usavano in guerra le armi più semplici e insolite, mentre l’esercito godeva di una organizzazione impeccabile e grande disciplina. La spada romana tradizionale era il gladio. Si trattava di una spada non più lunga di 60 centimetri, con lama di ferro e impugnatura di legno ricoperto di bronzo o altri materiali. Aveva un effetto limitato quando veniva maneggiato da cavallo.
Altra arma in dotazione ai soldati romani era il pilum, un giavellotto lungo circa 150 centimetri con una parte in legno e una lunga parte in ferro, lunga tanto da poter attraversare uno scudo e raggiungere il corpo del nemico. Di solito ogni soldato ne portava due, uno leggero ed un secondo più pesante.
Altre armi usate dai Romani erano l’arco e la frombola. I Romani utilizzarono anche varie macchine da guerra. Tra queste c’erano: la balista, la catapulta, l’ariete, la torre mobile, la cheiroballista e la carrobalista, una balista posta su un apposito carro trainato da cavalli, che garantiva grande flessibilità perché spostabile durante la battaglia.
Altra macchina da guerra era lo scorpio (o scorpione), arma molto precisa e potente, da cui discenderà la balestra. Gli scorpioni venivano collocati in formazione su alture dominanti distruggendo parecchi nemici.
Il corvo era un congegno che i Romani usava per abbordare le navi nemiche. Era una passarella mobile con degli uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica, consentendo alla fanteria di combattere col nemico quasi come sulla terraferma. Con la crescita dell’esperienza nella guerra navale, il corvo fu abbandonato.
Nel 299 a C La tecnica dell’assedio romano viene migliorata dalla “tartaruga” che permette di avanzare e proteggersi dal nemico creando impenetrabili muri di scudi verso tutte le direzioni.
Dopo la morte di Marco Aurelio nel 180 d C Roma divenne vulnerabile alle invasioni barbariche e Germani (Ostrogoti, Visigoti, Vandali, Franchi) e Unni penetrarono nel territorio romano. Nel 410 avvenne il Sacco di Roma, cioè la conquista e il saccheggio della città da parte dei Visigoti guidati dal loro re Alarico. Queste tribù combattevano prevalentemente a cavallo e utilizzavano l’arco composito con frecce a punta di ferro. Altre armi erano la spada lunga a doppio taglio e l’ascia da lancio.
Durante il regno di Giustiniano (527- 565), l’impero bizantino divenne una potenza militare e si impegnò nella cacciata dei barbari. I Bizantini avevano un esercito molto disciplinato e idearono nuove e potenti armi. Intorno al 672 inventarono una sostanza incendiaria conosciuta come fuoco greco. Attraverso dei lanciafiamme montati sulle navi, sparavano questo fuoco sui nemici. Era un’arma davvero impressionante per la sua forza distruttiva e questo fuoco riusciva a rimanere acceso anche sull’acqua. Utilizzavano dei dispositivi di loro invenzione, che funzionavano con motore a torsione, per lanciare frecce con maggiore intensità. Dal 900 in poi adottarono per la costruzione delle loro armi le tecniche usate dai musulmani.
Il mondo islamico era molto più evoluto, nella costruzione delle armi, rispetto a tutti i popoli del Mediterraneo, soprattutto grazie alle relazioni commerciali con la Cina, da cui copiarono il trabucco. Si trattava di una grande macchina da guerra in grado di lanciare grandi pietre a distanza. Alcuni trabucchi venivano usati per gettare cavalli morti per diffondere malattie nelle città assediate. Il trabucco era composto da un lungo braccio con un contrappeso ad una estremità e una sacca all’altra estremità che funzionava come una grande fionda.
Intorno al 950, durante la dinastia Song, i cinesi iniziarono a produrre polvere da sparo (o polvere nera) e la lancia da fuoco fu la prima arma a utilizzarla. Era una comune lancia alla quale veniva abbinato un tubo contenente polvere da sparo e proiettili. All’accensione i proiettili venivano espulsi insieme alla fiamma per qualche metro. A partire dal 1100 con la polvere da sparo i Cinesi realizzarono le prime bombe, i primi razzi e i primi cannoni.
Nel Medioevo, in Europa, una delle armi innovative e più usate era la balestra. La balestra fu inventata nel 300 a C in Cina, ma non arrivò in Europa che nel 1000. La caratteristica principale di quest’arma è che può essere caricata in anticipo, prima di essere usata. Può lanciare quadrelli, frecce, strali, bolzoni, palle o dardi. La corda viene bloccata da un meccanismo chiamato noce, e lo scatto avviene facendo pressione su una sorta di grilletto o abbassando un piolo.
All’epoca delle Crociate (1000 – 1300) gli eserciti europei usavano lance, spade e pugnali; i soldati a piedi erano equipaggiati con una straordinaria gamma di armi inastate, che spesso riflettevano il loro luogo di origine. Le armi degli eserciti islamici non erano di molto diverse da quelle dei Crociati. Nell’esercito l’obiettivo fondamentale della cavalleria era caricare le linee nemiche e creare il caos. Per la carica iniziale i cavalieri usavano le lance, che poi venivano scartate per passare a spada, ascia e martello da guerra, che venivano usati per il combattimento corpo a corpo. La francisca, arma innovativa del Medioevo, fu inventata dai Franchi; è una scure da lancio perfettamente bilanciata, a manico corto e con lama a un taglio.
Dalla francisca si sviluppano varie armi inastate (montate su un’asta), prima fra tutte l’alabarda. Era un’arma tradizionale svizzera, costituita da una lama d’ascia sormontata da una punta, con un gancio o un piccone sul retro, in cima a un lungo palo. Quest’arma veniva usata dai soldati di fanteria contro la cavalleria.
Altra arma inastata del Medioevo era il terribile martello di Lucerna che somiglia in realtà più a un spiedo che a un martello.
E tra le armi inastate non possiamo dimenticare il roncone. Era un’arma di grande potenza perché poteva colpire, tagliare, agganciare, strappare ed era in grado di danneggiare le armature e ferire gravemente i cavalli.
L’arco era un’altra tipica arma medievale molto diffusa in tutti i paesi europei. Il successo militare dell’Inghilterra, a partire dal 1200, deve molto all’invenzione dell’arco lungo (longbow). A quel tempo l’Inghilterra era un paese rurale, e mancavano artigiani abili e risorse per costruire le balestre. L’arco lungo era costituito da un unico listello di legno di tasso, della lunghezza di circa 185 cm, ed era quindi molto economico da costruire. Grazie a quest’arma gli Inglesi sconfissero in più occasioni i loro nemici Francesi.
L’arma più importante del cavaliere era senza dubbio la spada.
I cannoni fecero la loro comparsa nel mondo musulmano e da lì a poco in Europa, verso il 1300. Venivano chiamati bombarde. La metallurgia europea dell’epoca, per quanto sviluppata, non consentiva la costruzione di fusti di grande resistenza, cosa che limitava precisione, potenza e soprattutto sicurezza dell’arma.
Insieme alle bombarde compaiono le prime armi da fuoco portatili, come ad esempio lo schioppo. Le armi da fuoco, in questo periodo, sostituirono solo le catapulte. Il cambiamento fu molto lento, anche perché inizialmente le armi da fuoco portatili avevano un costo troppo elevato e ricaricarle dopo uno sparo richiedeva troppo tempo durante le battaglie. Lo schioppo (in Inglese hand cannon , cioè cannone a mano) consisteva in una piccola bombarda montata su un’asta di legno. Originario della Cina, ebbe larga diffusione in Europa nel a partire dal 1300 e restò in uso sino 1500, quando venne sostituito dall’archibugio. Era ad avancarica (si caricava dal davanti) ed era costituito da un tubo (canna) chiuso ad un’estremità. Si inseriva la polvere e si pressava sul fondo, poi si inseriva la palla. Per accendere la polvere si inseriva un bastoncino accesso in un foro che si trovava nella parte posteriore (il focone).
Le armi medievali continuarono ad essere usate anche durante il Rinascimento e la spada rimase l’arma più popolare. Intorno al 1500 subì dei cambiamenti: vennero aggiunte le protezioni per la mano.
Nel 1500 gli eserciti erano equipaggiati con spada a doppio taglio, alabarda, arco e balestra, ma con l’aggiunta dell’archibugio, un’arma da fuoco portatile derivata dallo schioppo. Come tutte le armi da fuoco, utilizzava l’energia prodotta dall’accensione della polvere pirica per lanciare a distanza corpi solidi chiamati proiettili. L’accensione avveniva grazie all’otturatore a miccia (matchlock). Il sistema a miccia richiedeva agli archibugieri di portare con sé delle micce sempre accese. Come lo schioppo, doveva essere caricato col sistema dell’avancarica. Era un’arma pesante, lenta e poco precisa, e venne usato in battaglia per due secoli insieme ad archi e balestre. L’archibugio trovò poi sviluppo nel moschetto, dando origine al fucile moderno.
Il moschetto è un’arma da fuoco portatile, ad avancarica, derivata dall’archibugio e che fu usata fino agli inizi del 1900. Venne poi sostituita dai fucili a percussione e dai fucili a retrocarica. Il nome origina da mosca, che indicava il proiettile. Mentre l’archibugio veniva mantenuto in posizione appoggiandolo al petto, il moschetto vide l’introduzione del calcio, che permetteva di appoggiare l’arma alla spalla e di ottenere più precisione.
All’inizio il moschetto utilizzò il meccanismo a miccia (matchlock), come l’archibugio. Il meccanismo era formato da uno scodellino (un piccolo imbuto collegato alla canna), e una serpentina (un’uncino che sosteneva la miccia). Il moschettiere metteva della polvere nello scodellino e lo richiudeva. Dopo infilava la polvere e la palla di piombo nella canna (anteriormente) pigiando tutto sul fondo con un calcatoio (un’asta di legno, versione rimpicciolita di quella da cannone). Al momento dello sparo, tirando il grilletto la serpentina si muoveva verso lo scodellino mettendo a contatto la miccia accesa con la polvere: questa si incendiava e trasmetteva il fuoco alla polvere nella canna; a sua volta questa polvere esplodendo proiettava la palla lungo la canna e fuori da fucile.
In seguito, a partire dal 1540, il moschetto utilizzò il meccanismo a ruota (wheellock), che era simile ad un moderno accendino: una grossa molla, caricata con un’apposita chiave, al momento dello sparo metteva in movimento una ruota dentellata che sfregando contro un pezzo di pirite generava scintille, accendendo la polvere nella canna dell’arma. Questo meccanismo era comunque delicato e molto costoso e fu utilizzato più sulle carabine che sui moschetti.
Pochi anni dopo (1550) si diffuse un nuovo tipo di acciarino, lo snaphance (gallo che becca) che produceva le scintille facendo battere violentemente la pietra focaia su una piastra zigrinata. Dal “gallo che becca” si arrivò nel 1635 all’acciarino a pietra focaia, che utilizzava lo stesso principio, con un meccanismo migliorato. I moschettieri più addestrati potevano sparare 3 o 4 colpi al minuto.
La carabina era un’arma da fuoco simile al moschetto, ma più corta e meno potente. Il termine carabina deriva dalla parola araba karab, che significa arma da fuoco. Questo tipo di arma venne ideato intorno al 1590 per essere usata dai soldati a cavallo.
Con tutte le armi ad avancarica il grosso problema da risolvere era la lentezza tra un colpo e l’altro. Le prime armi che cercarono risolverlo furono gli organi, detti anche ribadocchini o ribauldequin, che potevano sparare colpi in successione.
A partire dal moschetto con accensione a pietra focaia (1635), per rendere più veloce il caricamento, vennero inventate le prime cartucce. Inizialmente per ogni colpo il soldato doveva caricare manualmente la polvere da sparo ed il proiettile, e quindi predisporre l’innesco. Questo richiedeva molto tempo, e per questo vennero ideate le prime cartucce, che erano tubi di carta che contenevano già pronti polvere e proiettile da inserire nella canna.
Nel 1700 comparve la prima rudimentale bomba a mano: una palla vuota di ghisa riempita di polvere nera e innescata da uno stoppino acceso.
La baionetta fu ideata nel 1600: si trattava di un’arma da taglio montata sulla canna di un fucile e consentiva alla fanteria di combattere corpo a corpo col nemico dopo aver esaurito le munizioni. La baionetta venne montata sul moschetto e rimase in uso fino alla Prima Guerra Mondiale (1915-1918).
Il cannone erano ancora la componente più lenta dell’esercito e poteva richiedeva 23 cavalli per il trasporto, che comunque procedeva a passo d’uomo. A partire dal 1600 gli eserciti puntarono sui cannoni leggeri e che potevano essere presidiati da pochi uomini. Diversi progressi tecnologici resero il cannone più mobile, soprattutto il puntamento regolabile a piolo e l’affusto mobile. L’affusto era una struttura a forma di scivolo munita di ruote che permetteva il trasporto della bocca da fuoco tenendola appoggiata su un sostegno. Il dispositivo a piolo permetteva la regolazione in altezza mediante un piolo inseribile in una serie di fessure poste in serie .
Gli scienziati si impegnarono nella ricerca di sostanze esplosive per potenziare le armi da fuoco, e già nel 1750 scoprirono il fulminato di mercurio, sostanza che poteva prendere fuoco ricevendo un colpo secco.
Il primo uso del fulminato fu ancora con le armi ad avancarica, nel 1812, quando fu inventata la capsula detonante. Si trattava di un involucro metallico a forma di bicchiere contente il fulminato. Dopo aver inserito nella canna la polvere e il proiettile, si poneva la capsula nel dispositivo dove veniva battuta dal percussore facendo partire il colpo.
Dalla scoperta del fulminato nacquero poi le armi a percussione. La prima di queste armi fu, nel 1814, il fucile ad ago, che aveva un sistema a retrocarica per cartucce di carta. Queste cartucce erano formate da un involucro di carta che conteneva la carica della polvere, la capsula detonante (che nelle armi a retrocarica si chiama innesco) e il proiettile. Premendo il grilletto, l’ago perforava la cartuccia e colpiva il fulminato, generando l’esplosione che faceva partire il proiettile. A questo punto le armi ad avancarica caddero in disuso, e gli inventori continuarono a cercare sistemi sempre più efficaci per caricare la canna dalla parte posteriore (retrocarica). La cartuccia del fucile ad ago era costituita da un involucro di carta che conteneva la carica della polvere, l’innesco e il proiettile.
Tutti questi progressi portarono, nel 1866, ad un nuovo sistema d’accensione: il sistema a percussione. La cartuccia è costituita da un bossolo d’ottone, con una capsula a percussione alla base e una carica di polvere e il proiettile compressi all’interno. La capsula a percussione (innesco) si trova al centro della base del bossolo. Quando il percussore colpisce la capsula, questa viene deformata e spinta in davanti, provocando l’accensione del fulminato.
Il sistema a percussione consente la produzione di armi a più canne fisse o rotanti e porta all’invenzione del revolver (rivoltella o pistola a tamburo) ad opera di Samuel Colt, nel 1835. Si tratta della prima arma prodotta in serie.
Tra gli anni 1860 e 1865 vi fu in vero fiorire di invenzioni e miglioramenti nelle armi da fuoco. Nel 1862 fu brevettata la mitragliatrice Gatling, a manovella. Richard Gatling, il suo inventore, scrisse che aveva costruito l’arma per diminuire la dimensione degli eserciti e ridurre così il numero di morti, e per dimostrare la futilità della guerra. Questa mitragliatrice era costituita da un fascio di 10 canne che venivano fatte ruotare manualmente in posizione di sparo, alimentate con cartucce metalliche a percussione centrale.
Negli stessi anni i chimici raggiunsero numerosi progressi nel campo degli esplosivi. Nel 1846 viene scoperto il fulmicotone, e solo due anni dopo la nitroglicerina. Nel 1867 Alfred Nobel trovò il modo di stabilizzare la nitroglicerina scoprendo la dinamite.
Nel campo dei fucili militari vengono studiate e realizzate armi in cui le operazioni di caricamento delle cartucce e di espulsione dei bossoli avvengono automaticamente, sfruttando o la pressione dei gas di sparo o l’energia del rinculo e già nella Prima guerra mondiale vennero impiegati fucili e pistole a raffica, tra cui l’italiana Villar Perosa.
Il principio dello sfruttamento dell’energia di rinculo per ricaricare un’arma (la stessa forza che sposta in avanti il proiettile agisce nell’opposta direzione) viene utilizzato per realizzare la pistola semiautomatica. Essa viene costruita in modo da non funzionare in modo automatico (a raffica): l’espulsione del bossolo e la successiva introduzione nella camera di una cartuccia avviene in modo automatico, ma per esplodere i colpi occorre azionare ogni volta il grilletto.
Nel 1905 i Tedeschi costruiscono il primo sottomarino allo scopo di raggiungere l’Inghilterra e la Francia.
Nel 1913 viene presentato a Londra il primo biplano da guerra Vickers Fighting Biplane n. 1, da cui discenderà il caccia Vickers FB5, armato di mitragliatrice, utilizzato dall’esercito britannico dal 1915 al 1916
Nel 1914 viene inventato il gas lacrimogeno.
Nel 1915 appare il primo carro armato su cingoli.
Nel 1936 si registra il primo volo dello Spitfire, che diventerà l’aereo simbolo della Seconda guerra mondiale. Era armato con quattro mitragliatrici dotate di 300 colpi ciascuna.
Nel 1941 entrò in servizio il Lancaster, prodotto nel Regno Unito e uno degli strumenti decisivi della vittoria alleata. Si trattava di un aereo da bombardamento e venne utilizzato principalmente come bombardiere notturno.
Il 3 ottobre 1942 la Germania nazista testò con successo il missile V2, armato di tritolo e nitrato d’ammonio. Il missile seguì una traiettoria perfetta e si schiantò a 193 km di distanza dalla piattaforma di lancio superando gli 80 km di quota. Gli Inglesi, consapevoli della grave minaccia di questa nuova arma, lanciarono una grossa offensiva contro i complessi di costruzione. Nell’immediato dopoguerra il missile V2 ebbe una breve ma intensa storia di utilizzazione. Sia gli americani sia i russi poterono disporre di centinaia di questi missili per far partire i rispettivi programmi missilistici, programmi che porteranno i due Paesi alla corsa di conquista dello spazio.
Il 13 giugno 1944, nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale, i nazisti lanciano la prima bomba volante V1 su Londra. Questo ordigno univa le caratteristiche di un aereo a quelle di una bomba, e fu il primo esempio di missile da crociera. Il lancio terrestre della V1, di solito, avveniva grazie a una rampa di lancio inclinata. In tutto l’Inghilterra fu raggiunta da circa 10.000 ordigni di questo tipo.
Nel 1945 l’esercito americano utilizzò ampiamente il Napalm negli attacchi incendiari alle città giapponesi. Si tratta di un’emulsione chimica altamente infiammabile. Il Napalm era già stato usato dagli USA nel 1943 in Italia per i lanciafiamme.
Nel 1942 il fisico statunitense J. Robert Oppenheimer è nominato direttore del Progetto Manhattan per lo sviluppo di un’arma nucleare e il 2 dicembre Enrico Fermi e il suo team, a Chicaco, ottiene la prima reazione nucleare a catena. Gli Stati Uniti, con l’assistenza militare e scientifica del Regno Unito e del Canada, erano così riusciti a costruire e provare una bomba atomica prima che gli scienziati impegnati nel Programma nucleare tedesco riuscissero a completare i propri studi per dare a Hitler un’arma di distruzione di massa. Il mattino del 6 agosto 1945 alle ore 8:15 l’aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo dal lancio dell’ordigno “Fat Man” su Nagasaki. Il numero di vittime dirette è stimato da 100 000 a 200 000, quasi esclusivamente civili. Per la gravità dei danni diretti e indiretti causati dagli ordigni e per le implicazioni etiche comportate dall’utilizzo di un’arma di distruzione di massa, si è trattato del primo e unico utilizzo in guerra di tali armi.
Conclusa la Seconda guerra mondiale si aprì il periodo della Guerra Fredda tra Usa e Unione Sovietica. In questa fase, dal 1947 al 1991, i due blocchi gareggiavano per costruire le bombe più grandi e devastanti. Questi ordigni venivano testati in regioni isolate, trasferendo nel caso la popolazione, ma portando gravissimi danni all’ambiente.
I Sovietici testarono con successo la loro prima bomba atomica nel Kazakistan. In risposta a questo, gli Americani annunciarono un programma di sviluppo della bomba a idrogeno. La prima bomba a idrogeno fu testata dagli USA nell’Atollo Enewetak (Isole Marshall), nel 1952. idrogeno La deflagrazione espresse una potenza 1000 volte superiore a quella delle bombe atomiche lanciate sul Giappone. Nel 1953 anche i Sovietici testarono la loro bomba a idrogeno.
A partire dal 1900 le conoscenze scientifiche nel campo della fisica, della chimica e della genetica hanno aperto la via allo sviluppo sistematico di armi micidiali. Per questo, dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati hanno aderito a varie convenzioni per proibire l’uso di determinate armi: le più importanti sono state la Convenzione per le armi biologiche (1972) e quella per le armi chimiche (1993). Tutte le armi che sono state vietate da queste convenzioni sono dette armi non convenzionali.
Einstein diceva “Io non so con quali armi sarà combattuta la Terza guerra mondiale, ma so che la Quarta sarà combattuta con pietre e bastoni”.
Recite per bambini: Lo sposalizio del mare. Il giorno dell’Ascensione, la Repubblica di Venezia celebrava “lo sposalizio del mare”, rito che risaliva al tempo in cui il doge Orseolo II aveva conquistato la Dalmazia.
Recite per bambini: Lo sposalizio del mare – Personaggi: – il papà – il figlio – la folla veneziana.
Recite per bambini: Lo sposalizio del mare – Testo
Figlio: Padre mio, in mezzo a tanta folla sono quasi soffocato; e poi, non vedo nulla.
Papà: Come vuoi che faccia? Tutto il popolo veneziano è qui, lungo il suo mare. Tutti vogliono vedere. Solo i malati sono rimasti nelle proprie case. La giornata di maggio è bellissima è Venezia esulta di colori e di gioia.
Figlio: Anch’io sono Veneziano. Ho il diritto anch’io di vedere qualcosa di così bella festa.
Papà: Giusta risposta, piccolo uomo. Fai un altro sforzo; e se riuscirai a forare questa ressa, saliremo su una scalinata di marmo, da cui anche tu vedrai lo spettacolo sul mare… Per piacere, fate largo al piccolo veneziano… Grazie, signori. Molto gentili… Eccoci sulla scalinata.
Figlio: Oh, padre mio! Che spettacolo stupendo! Quante gondole! E quante navi!
Papà: La vita di Venezia sono le sue navi. Per esse Venezia è la regina dell’Adriatico.
Figlio: Ma cosa vedo! Oh, meraviglia! Una nave d’oro che si avvicina alla riva. E i rematori, non li ha?
Folla: Viva la Serenissima! Viva San Marco!
Papà: La nave che vedi è il Bucintoro, un naviglio splendido, scintillante d’oro e di porpora, che rappresenta la potenza di Venezia sul mare e che esce solo in occasione di solenni cerimonie. I remi escono da sottocoperta, proprio perchè non si vedano i rematori. Sembra che si muova, agile e solenne, da sé.
Figlio: E quei vecchi dall’aspetto dignitoso e serio che siedono sui seggi lungo il lati della nave, chi sono?
Papà: Sono i Senatori della Repubblica. E ora osserva bene: il Bucintoro sta mettendosi di fianco a noi. Ecco il Patriarca, sotto lo stendardo col leone alato, che leva alto il braccio per benedire l’Adriatico. E’ il giorno dell’Ascensione, o figliolo: tutta Venezia prega, insieme col suo Patriarca, affinché sul mare le navi di San Marco rechino la prosperità alla nostra Repubblica… Ma ora, ecco, sì… è lui. Sì, si vede bene!
Figlio: Chi?
Papà: Il doge! E’ seduto a poppa del Bucintoro, sul trono.
Figlio: Il doge! Che fortuna! Non avrei mai creduto di vederlo!
Folla: Il doge! Il doge! Viva San Marco!
Papà: Ascolta. Squillano le trombe. Ora il doge si alza. Osserva quel che fa.
Figlio: Ha gettato qualcosa nel mare.
Papà: Sì: un anello. E’ il rito con cui Venezia sposa il mare; e significa questo: il destino della Repubblica è legato al mare, solo al mare. Il doge ha detto: “Noi ti sposiamo, o mare nostro, in segno di vero e perpetuo amore”.
Figlio: E’ bello tutto ciò. Anch’io voglio bene al mare. Anch’io un giorno voglio navigare.
Papà: Figliolo, a un genitore veneziano non potresti esprimere un desiderio più bello.
(da Recitiamo la scuola, R, Botticelli)
Recite per bambini: Lo sposalizio del mare – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Il cavaliere e la mosca – racconto sul Medioevo. Un uomo dei nostri giorni si trova trasportato al tempo dei cavalieri erranti, ed è costretto a fare un lungo viaggio con l’armatura addosso. Ed ecco quanto gli capita…
Cominciava a far caldo, senza alcun dubbio, e stavo facendo una lunghissima tirata, senza ombra affatto. Cose di sui sulle prime non mi importava niente, cominciarono ad importarmi sempre più, via via che il tempo passava. Le prime dieci o quindici volte che avrei voluto il fazzoletto, avevo tirato avanti e avevo detto: “Pazienza, non fa nulla”, e non ci avevo pensato più. Ma ora era diverso; era un assillo continuo e non me lo potevo levar dalla mente; e così alla fine, perdetti la pazienza e dissi: “Accidenti a chi ha fatto quest’armatura senza tasche!”. Capirete, aveva il fazzoletto in fondo all’elmo, insieme ad altre cosette; ma era uno di quegli elmi che uno non si può levare da solo. E così, ora, il pensiero che fosse lì, tanto vicino e ciononostante irraggiungibile, rendeva la cosa anche più difficile da sopportare. Quel pensiero distoglieva la mia mente da qualsiasi altra cosa e la concentrava sull’elmo a immaginare il fazzoletto, a dipingersi il fazzoletto; era quanto mai irritante sentirsi gocciolare il sudore dentro gli occhi e non essere in grado di raggiungere il fazzoletto.
Decisi che la prossima volta mi sarei portato dietro una borsetta, qualunque fosse l’effetto e checché dicesse la gente: il benessere prima e lo stile poi.
E così, seguitavo ad arrancare e di tanto in tanto arrivavo a una distesa polverosa e la polvere si alzava in nugoli e mi entrava nel naso e mi faceva starnutire e piangere; e, naturalmente, dicevo cose che non avrei dovuto dire; non lo nego. Non sono migliore degli altri. Pareva che non si dovesse incontrare nessuno, in quella solitaria landa, neppure un orco; e dato il mio umore in quel momento, ciò era un bene per l’orco; vale a dire, per l’orco che avesse avuto un fazzoletto. La maggior parte dei cavalieri non avrebbe pensato che a prendergli l’armatura; per conto mio, mi sarebbe bastato arrivare al suo moccichino e poi si sarebbe potuto tenere tutto il suo armamentario.
Intanto, lì dentro faceva sempre più caldo. Capirete, il sole dardeggiava e riscaldava il ferro; più andavo avanti e più il peso del ferro mi gravava addosso: ogni minuto che passava mi pareva di pesare una tonnellata di più. E bisognava cambiar mano ogni momento e passare la lancia da una parte all’altra; non potevo reggerla a lungo con una mano sola.
Insomma, sapete che quando si suda a quel modo, a torrenti, viene il momento in cui… beh, in cui tutto ti dà prurito. Tu sei dentro, le tue mani sono fuori, e in mezzo c’è il ferro.
Non è una cosa da nulla, checché paia. Prima in un punto, poi in un altro, il prurito continua a diffondersi e a dilagare e alla fine tutto il territorio è occupato e potete immaginare come ci si sente. E quando fui arrivato al punto di non poterne più, una mosca entrò di fra le sbarre e mi si posò sul naso: la visiera si era inceppata e io non potevo alzarla; potevo soltanto scuotere la testa che nel frattempo si era arroventata, e la mosca (beh, sapete come agisce la mosca quando è sicura del fatto suo) si curava dei miei scuotimenti giusto quel tanto che bastava per cambiare posto dal naso al labbro e da labbro all’orecchio, ronzando e ronzando tutto in giro e continuando a posarsi e a pungere in un modo che una persona già tribolata come lo ero io non poteva assolutamente sopportare. Non mi restava che buttarmi a capofitto nel primo stagno che avrei incontrato: e così feci. Che refrigerio, ragazzi!
(da “Un americano alla Corte di Re Artù”, di Mark Twain)
Il cavaliere e la mosca – racconto sul Medioevo – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
L’alimentazione nel tempo: dopo aver visto come mangiamo noi e quali siano i cibi in uso oggi, è naturale chiedersi “Ma prima di adesso, come e che cosa si mangiava?”. E noi, seguendo brevemente questa corsa nel tempo, avremo modo di tornare su argomenti già toccati, completeremo quanto è stato detto, riporteremo la conversazione sugli usi e abitudini dei tempi passati, amplieremo, in una parola, la conoscenza del mondo presente e passato.
L’alimentazione nel tempo – I primi uomini All’apparizione dell’uomo sulla faccia della terra, quasi sicuramente i primi uomini furono vegetariani e si nutrirono dei frutti e delle piante spontanee, poi anche di carne. Come avranno fatto a scegliere il cibo? Obbedendo agli impulsi naturali, come fanno tuttora gli animali. Prima ghiande crude e acqua, poi vino e grano. Quando fu scoperto il fuoco, le carni vennero cotte direttamente sul fuoco e come piatti vennero usate conchiglie e zucche vuote. Sapete come si faceva bollire l’acqua? Non ponendola sul fuoco, ma mettendo dentro l’acqua pietre arroventate sul fuoco! Al tempo delle palafitte, gli uomini mangiavano una specie di polente di farina di ghiande, piselli, lenticchie, nocciole, noci e altri frutti selvatici, come mele, pere, susine e ciliegie. Non ci meravigli l’uso delle ghiande! Anche oggi, presso alcuni popoli, vengono mangiate, sia crude che lessate o arrostite, come si usano da noi le castagne.
L’alimentazione nel tempo – Vino, birra, shaosing Se il vino fu un’invenzione molto antica, non meno antico è l’uso di preparare la birra, bionda o bruna. A Babilonia era già nota nell’anno 2800 aC e veniva preparata con la fermentazione dell’orzo, più o meno come si usa anche oggi. Il shaosing è invece una bevanda alcolica, ottenuta con la fermentazione del riso, in uso presso i Cinesi da millenni. Inoltre gli antichi bevevano l’idromele, una bevanda fatta di acqua e miele.
L’alimentazione nel tempo – Allevamento e arboricoltura In tempi successivi l’uomo imparò ad allevare animali per mangiarne la carne, o per ottenere il latte. Oltre ai bovini e agli ovini, veniva allevato il maiale (nell’Odissea, per esempio, ad Ulisse che tornava dopo vent’anni, il porcaro fedele preparò due giovinetti porcellini, li abbronzò li spartì, negli appuntati spiedi l’infisse: indi, arrostito il tutto, caldo e fumante… glieli offrì. Siamo a circa tremila anni fa). Inizia anche la coltivazione degli alberi da frutta e dell’olivo; si mangiavano le olive o se ne ricavava l’olio; usato come condimento ma anche per spalmarsene il corpo, per rinforzarlo e renderlo più robusto.
L’alimentazione nel tempo – Presso i Greci e i Romani Dobbiamo distinguere i pasti normali e i banchetti propriamente detti; i primi venivano consumati in piedi, specialmente quello del mattino e del mezzogiorno (erano semplici spuntini); il pasto principale era quello della sera. Cosa mangiavano? Ciò che mangiamo noi, tranne alcuni alimenti giunti in Europa molto più tardi, come vedremo: una specie di polenta di farro cotta in acqua salata; oppure un miscuglio di formaggio fresco, miele e uova; o cervello di animali condito con vino e aromi. Il pane era di tre qualità: bianco (con fior di farina), integrale (con farina e crusca) o di sola crusca e tritello. Ma veniva cotto sotto la cenere calda, fino all’epoca imperiale, quando venne introdotto a Roma l’uso del forno, come possiamo vedere negli scavi di Pompei. Mangiavano poi pani dolci (preparati con farina, miele e uva passa; oppure con farina, miele e mandorle, quindi una specie di marzapane) e legumi verdi o secchi, insalata (specialmente lattuga) e frutta. Le carni preferite erano quelle di bovini, specialmente arrosto; in primavera i pesci e in autunno gli uccelli; ma anche le carni di maiale, lepre e coniglio erano gradite; e ancora: uova di pavone, fagiano, gallina, oca e anatra. Di pesci se ne conoscevano circa 150 specie: le più pregiate erano anguille, murene, salmone, trote e tonno. Le carni potevano essere lessate, in umido o in arrosto; sulla tavola si potevano vedere polpette, salsicce, braciole, salse, fritti vari. Nei banchetti, poi l’apparato era ben più complicato: i commensali stavano quasi sdraiati sui divani, si usavano, come sempre, le dita per prendere i cibi e si pulivano con mollica di pane, che veniva poi gettata a terra per i cani e i galletti! Quasi sempre, durante i pasti, il vino veniva allungato con acqua; dopo il pasto si mangiavano cibi per stuzzicare la sete, come formaggio e gallette salate. Posate? Ignota la forchetta (che compare in alcune case signorili solo 500 anni fa), poco usato L’alimentazione nel tempo – il coltello, qualche volta usato il cucchiaio; vasellame di terracotta, nelle case dei poveri, piatti e coppe d’argento e d’oro in casa dei ricchi. Durante i banchetti, rallegrati da musica, danze e canti, l’ospite curava che vi fossero piatti a sorpresa: uccelli ripieni di carne di maiale, animali ripieni di carni di altri animali, e talvolta decine di portate, tanto da chiederci: “Ma dole mettevano tutta quella roba?”. Qualche banchetto passato alla storia? Uno di Vitellio: 2000 pesci e 7000 uccelli; quello di Eliogabalo: ventidue carrelli di vivande diverse; quello di Trimalcione: la più strana lista di vivande che sia mai stata concepita, e per numero di portate e per la loro presentazione e confezione! Non so chi di noi oggi sarebbe capace di mangiare tanto e cose così strane, senza morire!
L’alimentazione nel tempo – Nel Medioevo e nel Rinascimento I Barbari, discesi in Italia dal 400 in poi, mangiavano come uomini primitivi e, diremmo oggi, senza alcuna educazione. Usavano trasformare in coppe da bere anche il cranio dei nemici vinti in battaglia; i loro banchetti erano autentiche orge obbrobriose. Nei castelli feudali il banchetto durava fino a sei ore e le portate arrivavano fino a 18: carne e cacciagioni, uccelli, pesci, dolci, frutta varia e vino abbondante. Si stava seduti a tavola su sgabelli e il vasellame era sempre più prezioso. Durante il Rinascimento troviamo cose nuove: i maccheroni (1247), la mortadella di Bologna (1376), polenta di mais o granoturco, pomodoro, patate, tacchino, cioccolato, caffè, tè, dopo la scoperta dell’America, e, finalmente, i gelati, nella cui preparazione brillarono toscani e siciliani. Il vasellame è eseguito da cesellatori e orafi; Benvenuto Cellini modella una saliera in oro massiccio con figure mitologiche per il re di Francia! Un pittore di quest’epoca, Paolo Caliari, detto il Veronese, è il più celebre per le grandi tele di banchetti: La cena in casa del Fariseo, Le nozze di Cana, La cena di Levi; esse ci permettono di immaginare lo sfarzo delle mense del 1500 attraverso le rappresentazioni pittoriche.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture per la scuola primaria: Amalfi, Pisa, Venezia e Genova.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La leggenda dell’Anno Mille
Dice la leggenda che nell’imminenza dell’anno 1000, per una errata interpretazione di alcuni passi delle Sacre Scritture, le genti attendessero con terrore la fine del mondo, ma che poi, liberate dall’incubo, continuando il mondo la sua uguale vicenda, riprendessero a vivere con maggior lena. Si iniziava una nuova era, feconda di lavoro, di creatività in tutti i campi, materiale e morale. La leggenda ha un suo valore perchè esprime, come un simbolo, quella ripresa di vita economica e politica, quel risveglio culturale ed artistico che nell’XI secolo rinnovò tutta l’Europa e i cui segni sono particolarmente visibili in Italia. Ebbe così fine l’età feudale che, con quella dei regni romano-barbarici, costituisce l’Alto Medioevo, e si iniziò il Basso Medioevo, durante il quale la Chiesa e l’Italia si sottrassero alla dipendenza degli imperatori germanici e fiorì la nuova civiltà dei Comuni e delle Signorie (1000 – 1492). Di là dalle Alpi, in Francia, in Inghilterra e in Spagna, si costituivano invece le grandi monarchie nazionali.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Le Repubbliche marinare Alcune città marinare, favorite dalla loro naturale posizione e dalla ripresa dei traffici, raggiunsero, prima delle città di terraferma, un notevole grado di ricchezza e di indipendenza politica; esse furono Amalfi, Venezia, Pisa e Genova.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Amalfi Posta sul golfo di Salerno, fu la più fiorente città marinara del sud, superando di gran lunga Napoli, Gaeta e Bari. Trascurata dal governo di Bisanzio, minacciata dalle incursioni dei Saraceni, dovette assai per tempo provvedere alla sua difesa con una flotta, e al suo governo: tutti i cittadini, riuniti a Parlamento, eleggevano il capo della città, cioè il Duca. Tale governo repubblicano favorì in modo particolare i commerci e la navigazione. Nel X secolo Amalfi era già un centro attivissimo di commercio col Levante: a Costantinopoli, ad Antiochia, ad Alessandria e al Cairo, gli Amalfitani avevano fondachi ed alberghi, chiese ed ospizi. In quelle città del Levante portavano i prodotti agricoli italiani e caricavano damaschi, armi, profumi, spezie, tappeti e indaco che rivendevano nell’Italia centro-meridionale. La moneta amalfitana, il tari, aveva corso in tutti i porti del Mediterraneo. Gli Amalfitani compilarono il primo codice di leggi marittime, le famose Tavole Amalfitane, adottate da gran parte degli Stati mediterranei. Altro loro merito è quello di aver introdotto in Occidente l’uso della bussola, già adoperata da Cinesi ed Indiani, perfezionandola; leggendaria è l’attribuzione di essa all’amalfitano Flavio Gioia. Breve fu la vita florida e indipendente di Amalfi: verso la fine del secolo XI fu soggiogata dai Normanni, conquistatori ed unificatori di tutta l’Italia meridionale. In seguito, combattuta e vinta da Pisa, sua rivale nel Tirreno, perdette la flotta e con essa la potenza.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Venezia Abbiamo visto come le isole della laguna veneta, dall’invasione di Attila in poi, diventarono a più ripresa rifugio degli abitanti delle città venete, che andarono ad aggiungersi ai pochi e poveri pescatori che già vi dimoravano. Sicure dalle invasioni, perchè difese da un labirinto di canali, ma povere, quelle terre non potevano dare mezzi di vita a una popolazione numerosa, che perciò si volse prestissimo al commercio marittimo lungo le coste dell’Adriatico e il corso dei fiumi veneti, prima vendendovi il sale e i prodotti della pesca, poi le merci importate dall’Oriente bizantino a Ravenna. Nominalmente questi centri lagunari dipendevano dall’Esarca, ma a mano a mano che l’autorità di Bisanzio si affievoliva, essi andavano organizzando un’amministrazione autonoma. Già alla fine del VII secolo gli abitanti delle isole eleggevano a vita un magistrato supremo o Duca (in veneziano, Doge). A Rialto e sulle isolette ad essa congiunte per mezzo di ponti, si incominciò a costruire la nuova Venezia (città dei Veneti), destinata a diventare una delle più belle e ricche città del mondo; essa fu posta sotto la protezione dell’evangelista San Marco, le cui reliquie, trasportate da Alessandria d’Egitto, furono deposte nell’omonima Basilica, sorta fra i primi monumenti. Nel X secolo Venezia dovette combattere i pirati slavi (Schiavoni), che infestavano l’Adriatico. La vittoria definitiva su di essi fu riportata nell’anno 1000 dal Doge Pietro Orseolo II che occupò le coste dell’Istria e parecchie isole e città della Dalmazia. Il doge di Venezia prese allora il titolo di Dux Veneticorum et Dalmaticorum.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Per il lavoro di ricerca In che anno incominciò a sgretolarsi il sistema feudale? Intanto cosa avveniva nelle città? Come si chiamò la nuova classe sociale? Quali furono le città marinare che divennero, prima delle città di terraferma, centri attivissimi di commercio e politicamente indipendenti? Conosci gli stemmi delle gloriose Repubbliche marinare? Quale fu la più fiorente città marinara del sud? Quali meriti ebbero gli Amalfitani? Sapresti dire a che cosa servivano le Tavole Amalfitane? Qual era la moneta amalfitana? Chi introdusse in Occidente l’uso della bussola? Quando finì la potenza della gloriosa Amalfi? Da chi fu costruita Venezia? Com’era chiamato il capo della Repubblica di Venezia? Come si chiamava la sua nave? Quale cerimonia era in uso il giorno dell’Ascensione? Chi era il Santo protettore di Venezia? Come si chiamava la moneta di Venezia? Che cos’erano le galee? Da che cosa derivò il loro nome? Su quali altri tipi di navi i marinai delle Repubbliche marinare percorrevano e dominavano i mari? Ricerca notizie sulla potenza della Repubblica di Venezia.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La bandiera navale italiana Nella bandiera navale italiana lo stemma, al centro del tricolore, è costituito dai quattro stemmi di Amalfi (croce bianca in campo azzurro), di Pisa (croce bianca in campo rosso), di Genova (croce rossa in campo bianco) e di Venezia (il leone alato d’oro in campo rosso), a segnare la grande tradizione marinara della nostra storia.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Storia di una parola La cannella, il pepe, le droghe aromatiche venivano tutte dall’Oriente ed erano fra noi chiamate spezie. Esse non servivano solo per preparare le raffinatissime salse tanto in voga nel Medioevo; erano, secondo i ricettari farmaceutici del tempo, necessarie per la preparazione di medicine e di pomate. Ecco perchè il farmacista di allora veniva chiamato speziale, appellativo che familiarmente gli viene ancora dato in molti luoghi d’Italia.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Le nuove monete I mercanti delle Repubbliche marinare, che avevano navi, andavano in Oriente a comprare merci e le rivendevano in Europa a caro prezzo. Così le Repubbliche marinare si arricchivano rapidamente. Con l’oro portato dall’Africa, con l’argento ricavato nelle miniere di Spagna, di Francia, di Germania, vennero coniate nuove e belle monete, che incominciarono a circolare in Europa al posto dei denari e dei bisanti, cioè al posto delle monete araba e bizantina. La moneta di Venezia si chiamava ducato, quella di Genova genovese o genovino.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Le navi delle città marinare La galea deriva il suo nome dalla forma snella che la fa assomigliare al pesce spada che in greco è appunto chiamato galeos. Fin verso il 1000 le galee venivano usate per il trasporto di merci quanto per le azioni di guerra, ma quando, attorno a quest’epoca, in tutte le città marinare d’Italia rifiorirono le costruzioni navali, si cominciarono a progettare galee destinate esclusivamente alla battaglia. Allora, poiché nella stiva non si dovevano più immagazzinare merci, si potevano imbarcare fino a 120 vogatori, in qualche caso anche 200. In molte galee ogni remo era manovrato da due, tre o anche quattro vogatori. Inoltre le vele venivano considerate un motore ausiliario; queste navi usavano la vela triangolare, detta vela latina, e di frequente avevano due alberi. L’armamento di una galea era costituito si armi da lancio e grosse baliste; erano inoltre armate di un enorme sperone per forare lo scafo delle navi avversarie. Ciascuna galea era, infine, munita di grossi ganci e di ponti che servivano per agganciare le navi nemiche e per attaccarle all’arrembaggio. Fra vogatori, marinai, bombardieri, arcieri e soldati assalitori, l’equipaggio di tale nave poteva contare anche più di 500 uomini. Le prime galee usavano la vela quadrata, come i navigatori greci e romani. Solo verso il secolo XII si apprese dagli Arabi a usare la vela triangolare, con la quale era possibile navigare anche contro vento. La vela triangolare è detta vela latina. Ma questo nome non indica l’origine della vela. Esso deriva dalla storpiatura di vela ‘alla trina’. Così si chiamava infatti la vela triangolare, o perchè fatta a triangolo o perchè legata con la trina, una treccia di canapa formata da tre fili e usata per le legature volanti. L’equipaggio era suddiviso in compagni d’albero (marinai) e rematori. Questi ultimi erano dei detenuti, condannati al trattamento più inumano. Erano in parte condannati per delitti comuni e in parte prigionieri di guerra; alcuni erano volontari, gentaglia che non sapeva far alcun altro mestiere, e venivano chiamati, per ironia, buanavoglia. Per essere riconosciuti in caso di fuga, questi rematori delle galee, detti appunti galeotti, dovevano avere i capelli rasati o tagliati a ciuffo. Se la nave affondava, i galeotti affondavano con essa. Dovettero purtroppo trascorrere alcuni secoli prima che venissero abolite queste barbare condanne.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Le navi da carico Le nostre città marinare usarono diversi tipi di navi da carico: le galee grosse o di mercanzia, le cocche, le caracche. Erano navi alte di bordo, più larghe e tondeggianti delle galee, adatte a portare grandi carichi (e da ciò il nome di caracche che deriva dall’espressione latina navis caricata); esse furono fra le prime del Mediterraneo ad applicare una grande innovazione, apparsa già da un secolo nei navigli del Mare del Nord: la sostituzione dei remi di governo con un vero e proprio timone a barra, detto timone ‘alla navaresca’. Ben presto Genovesi e Veneziani si accorsero che queste navi erano adattissime anche al combattimento, perchè con esse si potevano colpire i nemici dall’alto, standosene ben protetti negli alti castelli di poppa e di prua.
_________________________
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La Repubblica di Amalfi
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Splendore e decadenza di Amalfi Amalfi, nell’anno 839 si rese indipendente da Napoli (del cui ducato faceva parte) ed elesse come governatore un comite (magistrato annuale). Cominciò allora la fortuna marinara della città che divenne la prima delle potenti repubbliche marinare del Tirreno. Essa seppe difendere la propria indipendenza sia contro Bisanzio sia contro i Longobardi. La sua importanza, analogamente a quella di Venezia, si fondava esclusivamente sui traffici e la navigazione. Le sue navi visitavano Alessandria e Beirut, in parte per condurvi pellegrini, in parte per andare a prendere prodotti che si potevano vendere comodamente in Italia. Ben presto i mercanti di Amalfi costituirono colonie a Palermo, a Siracusa e Messina, tutte città che si trovavano nelle mani dei musulmani. Gli Arabi gradivano questi scambi di merce, dai quali essi stessi traevano vantaggio. Concedevano generosamente ai forestieri luoghi di residenza, i cosiddetti fonduk, dove i mercanti potevano svolgere la loro attività, come anche a Venezia esistevano i fondachi per gli stranieri. Amalfi sfruttò abbondantemente i suoi vantaggi. In questa cittadina, nel periodo del suo massimo splendore (X secolo), vivevano 50.000 abitanti, cifra assai ragguardevole per quei tempi. Probabilmente Amalfi era allora la città di gran lunga più popolata di tutto l’Occidente. La sua moneta (il tari) circolava in tutta Italia e perfino in Oriente. Le sue leggi venivano rispettate ovunque e spesso venivano adottate da altre città. Il codice della navigazione di Amalfi, Tabula Amalphitana, divenne il modello di tutto il diritto marittimo dell’Occidente. A uno dei suoi cittadini, Flavio Gioia, fu attribuita l’invenzione della bussola. E’ vero che ciò non è esatto perchè l’ago magnetico era già noto ai Cinesi, tuttavia Amalfi può rivendicare il merito di aver messo questa invenzione al servizio della navigazione, collegando l’ago magnetico con la Rosa dei Venti. Amalfi decadde quando, nell’anno 1131, fu conquistata dai Normanni, che avevano già occupato la Sicilia. La città si era appena riavuta da questo colpo, quando fu attaccata, sconfitta, saccheggiata e definitivamente distrutta dai Pisani. Oggi esistono soltanto rovine che indicano il punto in cui sorgeva l’antica Amalfi. (‘I mercanti trasformano il mondo’, E. Samhaber)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Uno strumento nuovo: la bussola I mercanti delle repubbliche marinare che commerciavano con l’Oriente portarono in Europa uno strumento utilissimo per la navigazione. Si trattava di uno strumento proveniente dalla lontana Cina, che sembrava opera di magia. Era un piccolo recipiente colmo d’acqua, cioè una bussola, sul quale galleggiava una lancetta di ferro calamitato, sorretta da una scheggia di legno. La lancetta si indirizzava sempre verso nord e rendeva facile l’orientamento anche alle navi che si trovavano in mezzo al mare, lontano dalla costa, o quando di giorno o di notte, il cielo era coperto di nuvole e non si vedevano le stelle.
_______________________
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La Repubblica di Venezia
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Nascita di Venezia Rialto, piccolo ammasso di isolotti, era sto fino ad allora scarsamente abitato, ma l’inviolabile asilo che aveva offerto ai profughi di Eraclea lo designava per la scelta quale sede preferibile e permanente dello Stato. Prese singolarmente, le isolette di Rialto erano certo meno estese di Torcello, di Burano o di Eraclea, ma il gruppo ne annoverava ben sessanta, separate da stretti canali sui quali sarebbe stato agevole gettare ponti, in modo da rendere disponibile per la capitale una superficie considerevole e di molto superiore ad ogni altra. La via d’acqua larga e profonda che spartiva in due gruppi l’arcipelago era il corso del fiume Prealto, ramo staccato del Brenta; se ne fece il Canal Grande. Le sue dimensioni avrebbero consentito il passaggio delle maggiori imbarcazioni e sulle sue rive si sarebbero create banchine e depositi, nei luoghi più adatti. Al limite degli isolotti periferici si sarebbero potuti costruire una cinta muraria e un riparo in pietra, a circondare e proteggere la nuova città. Come se presentisse quale splendido destino lo attendeva, tutto il popolo di pose all’opera con incrollabile entusiasmo. Da ogni parte si innalzarono costruzioni, dapprima di legno, poi di mattoni e di pietra. Per il palazzo del doge si scelse la posizione che sarebbe rimasta immutata per sempre. Quanto al nome della città gloriosa i Veneti le diedero il proprio, quella che in origine si era chiamata Rialto, civitas Rivoalti, divenne Venetia, ossia Venezia. Questo avveniva nell’anno 810 dC. (A. Bailly)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Grandezza di Venezia Venezia divenne una grande città commerciale. Le sue navi la fecero dominatrice del Mediterraneo. Le sue flotte mercantili, protette dalle navi da guerra, commerciavano fino a Costantinopoli, entravano nel Mar Nero per ritirare i prodotti russi e gli altri prodotti che dall’Asia e dalla Cina vi arrivavano per mezzo delle carovane. Lungo le coste della Palestina e della Siria, le navi veneziane caricavano i prodotti della Mesopotamia, della Persia e dell’India, qui portati dalle carovane. Esse avevano commerci con l’Egitto, lungo le coste della Francia e della Spagna, e oltre l’Atlantico, con l’Olanda, il Belgio, l’Inghilterra e la Scandinavia. Quasi tutti i Paesi d’Europa compravano i prodotti asiatici da Venezia. Nei giorni in cui Venezia era il grande magazzino del commercio orientale, i suoi nobili mercanti, i suoi artigiani ed il suo governo costruirono bellissimi edifici. I suoi banchieri prestavano denaro ai principi di tutta Europa. Intanto i Turchi andavano occupando l’Oriente e assalivano le navi veneziane; Cristoforo Colombo aveva aperto gli orizzonti verso terre vergini dell’Occidente molto più remunerative. Di più, era giunta notizia che un portoghese di nome Vasco de Gama aveva trovato una via per le navi per arrivare direttamente in India girando attorno all’Africa. Un triste giorno i prezzi delle merci caddero circa alla metà, e non si rialzarono più. Quando i mercanti ed i banchieri veneziani seppero della scoperta di Colombo e, ancor peggio, di de Gama, capirono che Venezia non avrebbe più potuto essere il grande emporio. Essa si erge ancora con i suoi magnifici, vecchi edifici, i suoi ponti ad arco sopra i canali, le gondole che scivolano ancora lungo le calme acque delle sue strade. Invece dell’assordante rumore delle automobili, si sente il canto del gondoliere o il fischio del vaporetto. La Repubblica di Venezia fu la sola tra le Repubbliche marinare a diventare anche una grande potenza di terraferma, fino a contare, a un certo punto, tra i più forti stati europei. La sua ricchezza, comunque, le venne da Oriente. L’Adriatico diventò qualcosa come un lago veneziano, già prima delle Crociate, con la fondazione delle colonie in Istria e in Dalmazia. Le Crociate offrirono ai Veneziani l’occasione di allargare i loro traffici, prima provvedendo al trasporto dei guerrieri cristiani in Palestina, poi con la fondazione di colonie commerciali nei paesi d’Oriente, in Grecia, nel Mar Nero. Durante la quarta Crociata i Veneziani, in cambio del trasporto degli eserciti con le loro navi, ottennero addirittura di far combattere i Crociati per ristabilire la sovranità di Venezia sulla ribelle Zara e per allargarla nei territori dell’Impero d’Oriente. Il Doge di Venezia ottenne il titolo di ‘Signore di una quarta parte e mezzo dell’Impero Greco’. La Repubblica di San Marco visse fino al 1797, quando passò sotto l’Austria. (R. Smith)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture I Veneti e i loro commerci Le iniziative mercanti dei Veneti li portavano già in tutti i porti del bacino mediterraneo. Gli audaci navigatori, un tempo pescatori di laguna, andavano a commerciare a Costantinopoli, nello Ionio e nel Mar Nero, in Siria e in Africa. Non rimanevano nell’attesa che le merci forestiere fossero portate loro, ma volevano scegliere e acquistare all’origine i prodotti dai quali potessero trarre maggior lucro. Anche per via terra, a gruppi o isolati, percorrevano le strade d’Italia sostando specialmente a Pavia e a Roma. Ma essi avevano una vera e propria industria nazionale: la costruzione di navi, arte nella quale fin dal VI secolo erano già considerati maestri e in seguito si erano perfezionati, avendo studiato anche in Slavonia e in Istria nuove forme di scafi e di chiglie, altre disposizioni di remi e di vele. Naturalmente, le aveva studiate e modificate assimilandole alla propria tecnica costruttiva e avevano finanche chiamati calafati e carpentieri greci e siriani per apprendere i metodi di lavoro. Ormai nessun popolo pensava più ad emularli, in questo campo. Nell’VIII secolo le isole superavano in prosperità quasi tutti i paesi europei; praticamente i Veneti avevano il monopolio del grande commercio internazionale. Partivano col consueto carico di sale, ma al ritorno recavano ricche merci straniere: oli, cereali, tessuti, spezie. Nei lontani porti frequentati dai loro navigli i Veneti aprirono numerose agenzie, simili ai nostri attuali consolati, dirette da connazionali che studiavano le attività economiche dei paesi di residenza, le loro risorse e necessità, annodavano relazioni d’affari con le genti del luogo e agevolavano gli scambi tenendo in deposito nei loro magazzini tanto i carichi in arrivo che quelli in partenza. In seguito, anche Venezia dovette a sua volta ospitare agenti dei mercanti forestieri e concedere loro siti di sbarco e di magazzinaggio: ne conservano ancor oggi memoria il Fondaco dei Turchi e il Fondaco dei Tedeschi. Questa corrente di scambi, già molto intensa al sorgere della nuova capitale, doveva rendere splendida oltre ogni ottimistica previsione la città edificata su quegli isolotti di Rialto dei quali l’omonimo ponte, che domina con il suo maestoso arco il Canal Grande, custodisce il lontano ricordo. (A. Bailly)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Come era governata Venezia A Venezia dominava l’aristocrazia: tutti i poteri erano nelle mani del temibile Consiglio dei Dieci. Il Doge aveva solo il compito rappresentativo e presiedeva il Consiglio dei ministri, o Serenissima Signoria, composto di nove membri: si trattava ancora di altri dieci personaggi. In totale, venti nobili veneziani amministravano gli affari della Repubblica sotto il controllo molto blando del Senato, formato anch’esso da soli patrizi. Nel 1355, sembra che un Doge abbia cospirato con elementi popolari, benchè l’affare sia rimasto oscuro (I Dieci hanno fatto scomparire gli incartamenti). Il tentativo fallì. I complici del Doge furono impiccati alle finestre del Palazzo Ducale e il Doge stesso, Marin Faliero, fu decapitato il giorno seguente sulla scala della Corte d’Onore. La Regina dell’Adriatico, in questo periodo è al suo apogeo: essa conta trecento navi grandi e tremila piccole; quarantacinque galee proteggono validamente le sue rotte marittime. In uno scenario incomparabile, opulento e grandioso, essa mostra con esuberanza la sua fiducia e la sua gioia nelle feste di un carnevale che si prolunga a poco a poco per tutti i giorni dell’anno.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture L’arsenale di Venezia Il suo arsenale, situato sulle due isole Gemelle nella parte orientale della città, era il più grande e il migliore che allora si conoscesse; ancor oggi se ne vedono le profonde darsene e i tre canali scavati in seguito per collegare gli impianti originari con quelli successivi. In esso, da prototipi accuratamente studiati e uniformemente riprodotti, si costituivano ogni sorta di imbarcazioni: guerreschi vascelli rostrati dai fianchi scudati di cuoio e dai ponti muniti di catapulte e di torri per arcieri e balestrieri, navi mercantili più pesanti e lente, nelle quali l’abbondante velatura rimpiazzava i duecento vogatori delle galee e dei ‘gatti’. Questa è la tradizionale, autentica industria nazionale. Non v’è popolano che non appartenga alla marineria: marinaio, pescatore o calafato che sia. Anche coloro che esercitano un mestiere legato alla terra sono per origine dei marittimi. Del resto, vivono sul mare, il mare è il loro elemento naturale e la barca il basilare strumento di lavoro; il giorno in cui lo Stato ha bisogno di loro non fanno che cambiare i remi della barca in quelli della trireme, con una maestria marinara d’altronde indispensabile affinché la Repubblica possa essere presente là dove la chiamano i suoi interessi, ora con lo sguardo svolto a Bisanzio, della quale prevede la successione, ora ai Normanni, dei quali teme la forza e le mire ambiziose. (A. Bailly)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La forza navale di Venezia Sotto il comando del General da Mar e del Capitano del Golfo le forze navali di Venezia, o Armata Veneta, erano formate da navi a vela, che costituivano l’Armata Grossa, e da navi a remi, o Armata Sottile, mosse quest’ultime da galeotti o condannati ai remi della galea, oppure da rematori volontari chiamati buonavoglia. Comandavano le prime i Governatori del Mare, mentre le navi a remi dipendevano da un Sopracomito. Tutta l’Armata usciva dall’Arsenale, che poteva fornire navi con armamenti completi in tempo ridottissimo e che era un mosaico di squeri o cantieri. Anzi, era, a sua volta, un enorme cantiere funzionante. Dante stesso mostra di essere rimasto colpito agli ordini degli Inquisitori dell’Arsenale, dei Provveditori all’Armar e di quei Visdomini alla Tana che facevano arrivare da una località sul Mar Nero, Tanai, alle foci dell’odierno Don, la canapa destinata a divenire solida gomena in un reparto dell’Arsenale stesso, chiamato, ‘La Tana’. Popolazione vivacissima dell’Arsenale, gli arsenalotti, erano artefici abilissimi, gelosi del loro mestiere, tramandato di generazione in generazione, e del privilegio di spingere, a suon di remi, nel giorno dello Sposalizio del Mare, il Bucintoro, l’imbarcazione dogale, che sdegnava l’aiuto degli alberi e delle vele.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Le ‘uscieri’ Uscieri si chiamavano le grosse navi a vela, per gli sportelli o usci praticati sui fianchi per agevolare l’imbarco di cavalli e di macchine da guerra. Insieme alle galee e alle navi minori partecipavano anch’essi alla battaglia, rovesciando vere fortezze galleggianti dai loro castelli e dai loro ponti volanti, con adatti ordigni, i proiettili sulle navi avversarie. Fortezze che talora, in battaglia, venivano tra di loro legate per formare il cosiddetto porto d’alto mare, o porto galleggiante, perchè il vento non ne isolasse qualcuna, facendola preda delle più veloci galee, superiori certo, queste, per molti secoli, nei combattimenti rapidi in mare aperto. (M. Bini)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Severissima disciplina sulle galee veneziane La disciplina, severa in tutte le marine italiane, era severissima sulle navi di Venezia. Nel 1293 il Gran Consiglio veneziano aveva decretato che, quando l’ammiraglio aveva dato l’ordine di attaccare il nemico, se una qualche galea si fosse allontanata dal luogo della battaglia, i capi divisione, i capitani, i nocchieri e i timonieri venissero decapitati. Se non si poteva raggiungerli, venivano condannati al perpetuo esilio e tutti i loro beni erano confiscati.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Vita di galeotto Durissima era la vita al remo nelle galee. I rematori di destra stavano con il piede sinistro incatenato alla banchina (e i vogatori di sinistra inversamente) e così sul banco vogavano per dieci o dodici ore; unico riparo era una tenda o una leggera sovrastruttura. Quando si intimava il silenzio dovevano mettersi in bocca il tappo di sughero che portavano appeso al collo. La ciurma era comandata da un sottufficiale, l’aguzzino, che aveva diritto di vita e di morte sui vogatori. Dalla corsia ammoniva a nerbate, puniva a sciabolate o (dopo l’invenzione della pistola) piantando una palla in testa ai recalcitranti.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Dal ponte di comando alla catena del remo La condizione delle ciurme nelle battaglie era spaventosa e orribile; esposte ai colpi dei loro correligionari e fratelli (poichè sulle galee cristiani gli schiavi erano turchi e su quelle turche erano cristiani), avevano come unica speranza di liberazione la cattura della galea. Avveniva così talvolta che capitani di navi, e anche ammiragli, passassero dal comando al remo o dal remo ancora al comando!
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Lo sposalizio del mare Venezia stabilì di commemorare annualmente le sue vittorie con una festa nazionale che dapprima si espresse nella benedizione del mare: all’Ascensione, il vescovo di Olivolo si recava con il clero all’estremo limite dell’isola e lì, alla presenza della folla, tracciava sul mare, sede e strumento della grandezza veneziana, il sacro segno che lo univa a Dio e gli uomini. In seguito la cerimonia doveva assumere un significato ancora più chiaro e di un simbolismo più adatto a colpire l’animo della massa. Nacque così lo Sposalizio del Mare nel quale il Doge, vivente personificazione dello Stato, faceva suo il mare così come ogni uomo lega a sé la donna scelta in sposa. Per la tradizione fu il papa Alessandro III che, avendo riconosciuta la sovranità veneziana sull’Adriatico, inviò al Doge l’anello benedetto accompagnandolo con queste parole: “Ricevetelo come il segno del vostro imperio sul mare; voi e i vostri successori rinnoverete gli sponsali ogni anno affinché i tempi a venire sappiano che il mare è vostro e vi appartiene come la sposa allo sposo”. Ogni anno il doge saliva a bordo del Bucintoro, la galea nazionale fantasiosamente decorata di sculture e dorature, perfino nei remi. Diritto sotto un baldacchino purpureo circondato dalla sua Corte, percorreva la laguna in direzione del Lido e per il vicino passaggio entrava nell’Adriatico. Qui, dal Bucintoro galleggiante sul mare che Venezia considerava suo, il Doge lanciava in acqua il suo anello d’oro, pronunciando la formula rituale: “Desponsamus te, mare, in signum veri perpetuique dominii”. (A. Bailly)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Il Bucintoro Il Bucintoro era il grande e maestoso naviglio sul quale, nel dì dell’Ascensione, il Doge di Venezia procedeva, ogni anno, a solennizzare la cerimonia dello sposalizio col mare. Il Bucintoro, adornato riccamente, lungo trentun metri e largo sette, aveva due piani: nell’inferiore stavano i remiganti, nel superiore il Doge, il Patriarca, gli ambasciatori, i governatori degli arsenali, i membri del Governo, gli altri personaggi della Repubblica. (P. Persico)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Ultime parole del Doge Mocenigo Il grande doge di Venezia Mocenigo, sempre vigile nella cura della Repubblica, così disse ai maggiorenti della città, racconti attorno al suo letto di morte: “Ormai io più non posso giovare alla patria mia; perciò vi ho chiamato per raccomandarvi questa cristiana città e persuadervi ad amare i cittadini e a far giustizia e a pigliar pace… La guerra con il Turco vi ha fatto valorosi ed esperti per mare, avete sei capitani da guerra, avete molti uomini sperimentati nelle ambascerie e nel governo, avete molti dottori di diverse scienze e specialmente molti legali… La vostra zecca batte ogni anno un milione di ducati d’oro, duecentomila d’argento e ottocentomila in soldoni… Perciò sappiate governare un tale stato e abbiate cura che per negligenza mai diminuisca”. M. Bini
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture San Marco, patrono di Venezia L’evangelista Marco ha come simbolo un leone , e coi caratteri del Leone appare Gesù nel vangelo di San Marco, cioè con le qualità del forte, che scaccia i demoni, che guarisce gli ammalati e che vince la morte. Questo perchè san Marco rivolgeva il suo vangelo ai Romani, che non avrebbero dato nessun valore alle lunghe genealogie ebraiche o alle profezie. I Romani non conoscevano che il diritto e la forza. Perciò, nel vangelo di Marco, il Redentore rappresenta sempre il diritto e la forza a cui nulla può resistere. Si sa che la sua tomba di marmo, ad Alessandria, era venerata anche durante la dominazione dei Maomettani. Nell’828, due mercanti veneziani vollero togliere le reliquie di san Marco dalla terra dominata dagli infedeli. Si disse che di nascosto i due veneziani togliessero dalla tomba le ossa del santo e le nascondessero in fondo a un paniere, riempito poi di vettovaglie. Altre leggende fiorirono intorno alla venuta di san Marco sul suolo veneziano. Fra queste la più poetica ebbe credito nella città lagunare. San Marco sarebbe giunto a Venezia non dopo morto, ma ancora vivo, a causa di una grande tempesta che avrebbe spinto la sua nave, da Alessandria d’Egitto verso la laguna veneta. Sulla spiaggia, appena sbarcato, egli sarebbe stato accolto da un angelo, che gli avrebbe detto: “Pace a te, Marco evangelista mio”. Sono le parole che si leggono ancora sulle pagine del libro, tenuto dagli artigli di un leone alato, che forma lo stemma di Venezia, chiamata perciò la ‘città di San Marco’.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Indiscrezioni da Venezia La dogaressa Selvo è al centro di animatissime discussioni nell’alta società veneziana. Si sa che la dogaressa è bizantina di nascita, figlia di un imperatore e sorella di Michele VII Ducas; e fin da quando era giunta a Venezia si sapeva che era cresciuta in mezzo a lussi che noi non immaginiamo nemmeno. Si è subito fatta notare per la ricchezza e lo splendore dei suoi abiti. Ora poi sono trapelate alcune indiscrezioni che hanno scandalizzato i Veneziani. Si dice che la signora si lavi con acque odorose, si profumi, e si rinfreschi il volto con la rugiada, raccolta per lei ogni mattina dai servi. Ma ciò che le sta attirando, a quanto pare, le ire del famoso predicatore Pier Damiani è una strana abitudine della dogaressa. Pare infatti che per portare il cibo alla bocca si serva di uno strumento d’oro a due denti, invece di usare le mani. Secondo Pier Damiani si tratta di uno strumento diabolico. (L. Pisetzky)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Una nuova basilica custodirà il corpo di san Marco Un incendio ha distrutto la Cattedrale. Ma subito si pensa a costruirne una più grande e più bella. L’incarico di progettare e di innalzare la nuova chiesa è stato dato ad architetti bizantini, essendo Venezia assai legata all’Oriente, ed essendo i Veneziani molto sensibili al gusto che viene di là. Anche la nuova chiesa sarà dedicata a san Marco e ne custodirà le reliquie, come la vecchia chiesa. San Marco evangelista è infatti, da 150 anni circa, il protettore di Venezia. Precisamente da quando due mercanti veneziani, che a causa dei loro traffici si trovavano ad Alessandria d’Egitto, vennero a sapere dai cristiani di quella città, dove si trovavano nascoste le reliquie di san Marco. Ottenute quelle reliquie, essi le portarono a Venezia, facendola in barba al controllo degli Arabi. E sapete come? Al di sopra della cassa contenente il corpo del santo, misero uno strato di carni suine; gli Arabi, ai quali è vietato mangiare carne di maiale, fecero subito passare quella merce, che era bene lasciasse l’Egitto; e con la carne suina passò quel corpo, venerato ora in Venezia.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Il doge Orseolo e la Dalmazia Gli Schiavoni si erano stabiliti in Croazia e in Dalmazia e le città costiere, che politicamente dipendevano dall’Impero greco ma che questo non era però in grado di proteggere, difficilmente potevano resistere da sole alle incursioni barbaresche. Venezia invece, sia per la sua vicinanza che per la potenza della sua flotta, poteva difenderle o liberarle. Perciò esse ne richiesero l’aiuto, che Orseolo concesse a patto che le città dichiarassero obbedienza alla Repubblica, giurandole fedeltà e fornendole dei rinforzi per l’opera di liberazione. Due soltanto, Lesina e Curzola, ricusarono la sottomissione, ma tutte le altre accettarono, cosicchè nel maggio dell’anno 1000 il doge si recò a Pola con una poderosa flotta e vi si stabilì solennemente per ricevere l’omaggio dei magistrati di tutte le città costiere e incorporare nelle sue truppe i contingenti dei quali aveva imposto l’obbligo. Quindi fece vela per Zara, dove i magistrati delle città marittime dalmate vennero a loro volta per fare atto di sottomissione e presentare i rinforzi. In tal modo più di venti tra le città e isole si posero sotto il dominio di Venezia, che diventava di fatto la padrona delle coste istriana e dalmata. Contro Lesina e Curzola, le due riottose, il doge passò alla maniera forte prendendole d’assalto, ed esse dovettero reputarsi fortunate di trovare un vincitore che, contrariamente alle usanze dei tempi, risparmiasse la vita agli abitanti. Dopo di che, Orseolo sferrò l’attacco ai nidi dei pirati sul litorale, ne distrusse le imbarcazioni, li inseguì nella fuga entroterra e ne fece tale carneficina che per molto tempo furono ridotti all’assoluta impotenza. Quando il doge ritornò a Venezia, alla testa della flotta vittoriosa, fu accolto dagli osanna del popolo entusiasta; per merito suo, infatti, la Repubblica si era assicurata il dominio delle coste illiriche e dalmate. Quanto ai Greci, anziché adombrarsi dell’imponente successo veneziano, lo riconobbero e l’imperatore lo sancì conferendo al doge il titolo di Duca di Dalmazia. (A. Bailly)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Il trasporto del corpo di san Marco Il nome di san Marco era da secoli venerato nell’estuario veneto. Era antica tradizione che l’evangelista fosse stato il primo propagatore della fede sulle coste dell’Adriatico settentrionale, e il fondatore della prima chiesa di Aquileia. La leggenda narrava che la nave che lo aveva trasportato verso Aquileia da Alessandria d’Egitto, durante il suo tragitto era stata colta da una violenta burrasca, che aveva costretto l’equipaggio ad entrare nella laguna e ad approdare alle isole di Rialto. E lì, mentre il santo, sceso a terra, si riposava in attesa di riprendere il viaggio, gli era apparso un angelo che lo aveva salutato con le parole “Pax tibi, Marce, Evangelista meus”, e gli aveva annunciato che su quella terra le sue ossa avrebbero avuto un giorno riposo e venerazione. Questa leggenda, che dava quasi al luogo, scelto dai Veneti come loro capitale, una designazione soprannaturale, aveva acceso nell’animo di molti di essi il desiderio di impadronirsi dei resti mortali del santo, secondo un costume molto diffuso in quei tempi in tutta la cristianità. Senonché le ossa di san Marco erano ad Alessandria d’Egitto, dove il santo aveva subito il martirio ai tempi di Nerone, e dove, per raccoglierle, era stata costruita una bellissima chiesa. In quel tempo, in seguito alle ostilità esistenti tra l’Imperatore di Costantinopoli e i Saraceni, era severamente proibito ai mercanti veneti di approdare in Egitto, dominato dai Saraceni, e di esercitarvi quei commerci che nel passato erano stati fiorenti. Tuttavia, malgrado il divieto, i mercanti più arditi continuavano a frequentare quei posti. Due di questi, secondo la tradizione Rustico da Torcello e Bon da Malamocco, approdano un giorno ad Alessandria con ben dieci navi cariche di merci; vi trovarono i cristiani del luogo addoloratissimi, perchè i musulmani dominatori spogliavano ogni giorno le chiese dei vasi sacri e di ogni prezioso arredo, per arricchire le moschee e i loro palazzi, e già correva voce che il sultano avesse in animo di abbattere la chiesa nella quale erano custoditi i resti di san Marco per impiegare altrove i materiali. Questa notizia colpì vivamente l’animo dei due mercanti veneziani, i quali decisero di impadronirsi della reliquia e di portarla alla loro patria. Dopo molte difficoltà, riuscirono a persuadere i due religiosi greci che avevano la custodia del corpo del santo, a consegnarlo a loro, e lo trassero a bordo di una delle loro navi. Elusa con un’astuzia la sorveglianza dei doganieri, dopo un viaggio avventuroso giunsero in vista della laguna veneta, ma non osarono approdare perchè colpevoli di aver violato il divieto di commerciare coi Saraceni e inviarono un messo al doge perchè gli recasse la confessione del loro fallo e l’annuncio del prezioso carico. La notizia fu accolta con immenso giubilo. Il doge perdonò l’infrazione alle leggi e si dispose, con tutto il popolo, a ricevere degnamente le spoglie dell’evangelista. Esse vennero collocate nella cappella di san Teodoro, adiacente al Palazzo Ducale, in attesa che le accogliesse un maestoso tempio, del quale si iniziò presto la costruzione. San Marco fu eletto patrono della Confederazione veneziana, che adottò come stemma il leone alato, simbolo dell’evangelista; insieme con il libro dei vangeli e il motto “Pax tibi, Marce, Evangelista meus”. (E. Zorzi)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Una dimora veneziana Il Procuratore Contarini ordinò a Giovanni Buono la facciata della casa, chiamata d’Oro per le dorature di cui era adorna. Compiuta la facciata che, nonostante le offese del tempo, ride ancora di una immortale bellezza, fu chiamato mastro Giovanni di Francia, per ornarla ‘de pentura’. Come doveva apparire quel gioiello dell’architettura veneta! Maestro Giovanni si impegnava a dorare le rose, gli stemmi, i leoni, gli archetti, il fogliame dei capitelli e i dentelli, dipingere le ‘tresse dazuro oltremarin fin ben dopiado per muodo che i la stia benissimo’. Le merlature dovevano essere dipinte con biacca e venate come il marmo; le fasce bizantine a tralci di vite, tinte di bianco su fondo nero, e tutte le pietre rosse e tutte le ‘dentade rosse sia onte de oio e de vernixe con color che le para rosse’. (P. Molmenti)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Diplomatici veneziani E’ logico supporre che l’esaltazione di Venezia e delle sue bellezze ad opera di visitatori di ogni terra e di ogni condizione, concorresse a creare intorno alla città una leggenda avvalorata più che mai dalla chiara realtà di una flotta senza uguali, dalla ricchezza inesauribile dei commerci. Venezia è una potenza con la quale altre potenze si onorano di avere rapporti profondi e amichevoli; gli ambasciatori veneziani, educati alla più alta scuola di diplomazia e introdotti nelle corti più difficili, colgono ritratti ed atteggiamenti e li fissano per sempre nelle loro relazioni. Ecco come la grande Elisabetta d’Inghilterra accoglie l’ambasciatore della Serenissima: “Era la Regina in quel giorno vestita di taffetà d’argento e bianco fregiato d’oro, con abito aperto alquanto davanti sì che mostrava la gola, cinta di perle e di rubini fin a mezzo il petto. La testa aveva di capelli di un color chiaro che non lo può far la natura, con file di perle grosse intorno alla fronte e con archi in forma di cuffia e corona imperiale; faceva mostra di un gran numero di gemme e di perle, e nella persona era quasi coperta di cinto d’oro gioiellato e di gioielli in pezzi separati di carbonchi, balassi e diamanti, avendo anco le mani in luogo di mantili, filze doppie di perle più che mezzane, e tale in aspetto di regina non di anni 76… Sedeva sua maestà su una sedia sopra un poggiolo quadrato di due scalini… e all’entrare che feci in quella stanza si levò in piedi, e procedendo io nelle debite riverenze, giunto a lei, in atto di porre in ginocchio sopra il primo gradino, la sua maestà non permettendolo, con ambe le mani quasi mi sollevò, e mi porse la destra, la quale baciai, e in quest’atto ad un tempo stesso mi disse: <<Sia ben venuto in Inghilterra il segretario. E’ ben ora che la Repubblica mandi a vedere una regina che l’ha tanto onorata in tutte le occasioni>>.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Diplomazia veneziana Un documento di singolare importanza per il contenuto e per la forma è l’accordo che il sultano Murad II (Amorato), colui che prepara la strada a Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli, stipula con Venezia nel 1430: trattato di breve durata. Mirabile la vivacità delle espressioni che nella parlata veneta acquistano una solennità inattesa: “In nome del gran Dio nostro, amen. Mi Gran Signor e Grande Amirà, Soldan Amorato, zuro in loDio, creator del zielo e de la terra et alo gran nostro profeta Maomet et ali sete Mussafi che avemo e confessemo nuy Musulmani, et ali CXXIII mila profeti et in anema de mio avo e de mio padre, et in anema mia, et in la mia testa, e per la spada che me zengo, prometo mi Gran Signor Amorato, e zuro in li soraditi sagramenti: che dal di d’anchuo, prometo e digo de aver con mio fredello, el Doxe, con lo honorado et lustrissimo Chomun de la dogal signoria de Vienexia e con i so zentilomeni grandi e pizoli, bona, dreta, fedel, ferma et veraxia paxe per mar e per terra, et in le terre, zitade, castelli, ixole e tuti luoghi che chomanda la serenissima signoria de Vienexia, in quanti castelli, terre e zitade, ixole e luoghi, i qual lieva la insegna del San Marco, e quanti la leverà da mo in avanti”.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Venezia prima delle Crociate Lo scarso sviluppo quantitativo del commercio veneziano dei due secoli che precedono le Crociate ci è attestato dalle condizioni in cui si svolgevano i trasporti sia per mare sia per terra. I viaggi per mare erano fatti generalmente da navi di piccolissimo tonnellaggio, molte delle quali erano sprovviste di ancora, che doveva essere presa a nolo per la durata del viaggio. La mancanza di ogni strumento di orientamento obbligava a limitare la durata giornaliera del viaggio alle ore della luce solare, riparando la notte in qualche insenatura della costa istriana o dalmata, oppure lungo le rive generalmente basse e piatte della costa italiana su cui si doveva tirare in secca le piccole imbarcazioni. Ai pericoli del mare si aggiungevano e spesso sovrastavano quelli della pirateria slava, per cui, a differenza di quello che avverrà nei secoli successivi, le navi erano obbligate a viaggiare in convoglio fino al canale d’Otranto, mentre, uscite da questo, era loro permesso di viaggiare isolate; e questo non tanto perchè nel mar Ionio e nel Mar di Levante la loro sicurezza fosse garantita dalla vigilanza della flotta bizantina, ma perchè il loro piccolo numero e la varietà delle rotte che esse seguivano verso gli Stretti, verso la Siria, l’Egitto o la Sicilia, rendeva impossibile riunirle in convoglia protetti da una scorta armata. Non molto migliori erano le condizioni dei trasporti per terra, per i quali il mezzo di gran lunga preferito era la via fluviale, che si presentava relativamente agevole lungo il corso inferiore del Po e dell’Adige, ma che per questi stessi fiumi a monte di foce Mincio e di Legnago e per tanti altri corsi d’acqua del Veneto e della Valle Padana si prestavano soltanto a barche di fondo piatto e di minima portata, che in certi tratti più ripidi dovevano essere tirate con funi; mentre in montagna e specialmente lungo i valichi alpini, che talvolta incominciavano ad essere pericolosi, non potevano esser fatte che da somieri, che difficilmente portavano più di un quintale ciascuno. Tutto sommato dunque, se si può affermare che nel corso del X e del XI secolo si sono create tutte o quasi tutte le condizioni che permetteranno il grande sviluppo del commercio e di tutta l’economia veneziana nei due secoli successivi, è anche certo che questo sviluppo è stato poi decisamente favorito dalle Crociate, e che soltanto da queste ha origine la creazione di un impero coloniale veneziano nel Levante. (C. Luzzatto)
____________________
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La Repubblica di Pisa
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La Repubblica di Pisa Pisa cominciò a reggersi a Repubblica nella seconda metà del secolo XI. Dapprima fu assai ostacolata nei suoi traffici marittimi dai Saraceni, ma, in seguito, aiutata da Genova, riuscì, dopo lunga e accanita lotta, a snidare quei pericolosi pirati arabi dalle isole Baleari, dalla Corsica e dalla Sardegna, dove infestavano il Tirreno e saccheggiavano anche le altre città costiere italiane. Pur combattendo contro i Saraceni, Pisa aveva empori in Oriente e trafficava con i Turchi, i Libici, i Parti e i Caldei. Molti vantaggi economici ottenne poi dalle Crociate. Splendidi monumenti, palazzi, magnifiche chiese testimoniano ancora quanto fosse ricca e prospera questa Repubblica.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Decadenza della Repubblica di Pisa Durante il secolo XIII Pisa decadde, combattuta per terra da Firenze e da Lucca, per mare da Genova. Nella grande battaglia della Meloria, la flotta pisana fu completamente disfatta da quella genovese (1284), e migliaia di Pisani caddero prigionieri della potente rivale. Dopo questa tremenda sconfitta, Pisa non si risollevò più: perdette, l’uno dopo l’altro, i suoi possedimenti di Sardegna, di Corsica e la Colonia di San Giovanni d’Acri (Asia Minore); cedette a Genova l’Isola d’Elba, e non potè evitare la rovina commerciale del proprio porto. Ai disastri esterni si aggiunse la discordia interna tra Guelfi e Ghibellini. Un episodio ben noto di questa lotta è quello del Conte Ugolino della Gherardesca, che tentò di farsi signore della città, appoggiandosi ora ai Guelfi ora ai Ghibellini. Preso a tradimento dall’arcivescovo Ruggieri, suo rivale, venne chiuso con due figli e due nipoti in una torre, e lì fu fatto morire di fame insieme con gli altri quattro sciagurati. Dante immortalò il tragico avvenimento nel XXXIII canto dell’Inferno.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Pisa L’esistenza di Pisa quale città marinara è nota fin dall’età romana: la città sorgeva alla foce dell’Arno, ed aveva un porto grande e sicuro. Dopo l’oscura parentesi delle invasioni barbariche, Pisa conquistò la propria indipendenza e già nel secolo VIII disponeva di una grossa flotta mercantile protetta da numerose navi da guerra. Alle incursioni ed alle minacce dei Saraceni, che correvano in lungo e in largo il Mediterraneo, i Pisani risposero con una guerra spietata, caratterizzata da imprese veramente leggendarie. Nel 1063, le navi pisane, rotta la grande catena del porto arabo di Palermo, irruppero in esso, attaccando le navi alla fonda. Altre imprese vittoriose vennero compiute, nel giro di secoli di battaglie, a Reggio Calabria, sulle coste della Spagna, delle Baleari, della Sardegna, dell’Africa; famosa, e cantata dai poeti medioevali, la distruzione della roccaforte saracena di Mehedia (1087). La crescente potenza commerciale e militare pisana suscitò tuttavia la gelosia della sua grande vicina, Genova. La rivalità tra le due repubbliche le condusse ad una lunga serie di guerre nelle quali Pisa si venne sempre più indebolendo: la sconfitta della Meloria (1284) segnò l’inizio della sua inarrestabile, rapida decadenza.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Lo scoglio della Meloria Al largo del porto di Livorno, circa 7 chilometri a ponente, c’è lo scoglio della Meloria, su cui sorge un’antica torre. Sai perchè lo scoglio è famoso? Perchè nei suoi pressi i Genovesi inflissero una dura sconfitta alle navi pisane nel lontano 1284, il 6 agosto, al tempo delle lotte combattute dalle repubbliche marinare di Genova e Pisa per il dominio del Mar Tirreno. Durante la sanguinosa battaglia navale due galee genovesi accoppiate, fra le quali era tesa una grossa catena, investirono la nave capitana pisana troncandone di netto lo stendardo bianco con l’immagine della Vergine. La vittoria genovese è ricordata da un iscrizione posta sulla facciata di San Matteo, chiesa dei Doria di Genova.
Morte del conte Ugolino Alla battaglia della Meloria, nel 1284, i Pisani furono battuti definitivamente e lasciarono diecimila prigionieri nelle mani dei Genovesi. Fu allora che i guelfi toscani, alleati di Genova, minacciarono di marciare su Pisa per distruggerla. In tal frangente fu nominato prima podestà e poi capitano del popolo il conte Ugolino della Gherardesca; il quale, persuaso che si dovesse lottare contro Genova e non contro i guelfi della Toscana, si accordò con questi cedendo loro alcuni castelli e impegnandosi a render guelfa la sua città: gesto di amor patrio che andava oltre la passione politica di fazione; ma non la pensarono così i suoi concittadini che, accusatolo di tradimento, lo imprigionarono con i due figli e i due nipoti nella torre che, dopo di lui, fu detta della fame. Lì i cinque prigionieri furono lasciati miseramente morire di fame. Era l’anno 1288. Tutta la Toscana fu pervasa da un fremito di orrore per tale crudele condanna, che colpiva soprattutto gli innocenti figli e nipoti del conte. Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, ricostruisce gli ultimi giorni e la fine, ad uno ad uno, dei prigionieri, con un verismo poetico di enorme potenza.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Pisa ha corso un grave pericolo Pisa, 1005 La città ha subito un improvviso e duro assalto da parte di armati saraceni, provenienti dalla Sardegna al comando del feroce Musetto. Ecco come essa si salvò dal terribile pericolo. Pisa è immersa nel sonno. L’unico rumore sommesso è il mormorio dell’Arno, che attraversa la città. Ma forse, nelle loro case, non tutti i Pisani dormono tranquilli. Certo ignorano che alcune galee saracene, risalito il corso dell’Arno, stanno per raggiungere Porta Marina. Musetto ha scelto il momento giusto: egli sa che questa oscura notte di settembre gli permetterà di dare a fuoco le porte, di irrompere nella città, di saccheggiare, di fare strage fra i Pisani, di portar via come schiavi donne e fanciulli. Lente, silenziose, le galee saracene ormeggiano ora ai serragli del primo ponte. Ed ecco che in un attimo i pirati sono sotto Porta Marina con le fiaccole accese, assalgono con scale e raffi le mura. Abbattuta la Porta i pirati irrompono urlando nelle prime case, con le torce e le spade sguainate. Cominciano a levarsi grida di orrore. Svegliate di colpo, nel sonno, famiglie sbigottite cercano scampo a quella furia nascondendosi, fuggendo, supplicando. In pochi istanti lo scompiglio diventa indescrivibile. In mezzo a tanto sgomento, una sola fanciulla (sembra incredibile) sa conservare la calma. Questa fanciulla è Cinzica de’ Sismondi. Cinzica comprende subito che occorre fare una sola cosa, per la salvezza di Pisa: raggiungere il Palazzo del Comune e suonare a stormo le campane per dare l’allarme all’intera città. Incurante dei rischi cui va incontro, Cinzica scende dunque nella strada affollata di fuggiaschi e di Saraceni e comincia a correre, a correre… Finalmente, rischiando mille volte la morte, l’intrepida fanciulla è al Palazzo del Comune. Esausta, dà di piglio alla corda delle campane e suona, finché non le rimangono più forze. Poche ore più tardi la città è salva. I Pisani, infatti, svegliati dalle campane e corsi alle armi, erano riusciti a fermare i Saraceni, a travolgerli, a costringerli alla fuga.
_____________________
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La Repubblica di Genova
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture La Repubblica di Genova Genova fu particolarmente favorita, nello sviluppo commerciale, dalla felice posizione geografica del suo porto, situato in un golfo ampio, profondo e sicuro, protetto alle spalle da un’alta cerchia di monti. Rovinata dai Longobardi, si riebbe solo sotto i Carolingi e divenne presto il centro più importante delle due Riviere di Levante e di Ponente. Genova, liberata dal dominio dei marchesi e dei vescovi-conti verso la metà del secolo XI, si resse subito a Repubblica, e, lottando alleata con Pisa, contro i Saraceni, s’impadronì della Corsica; ottenuta poi dal Papa l’investitura sulla Sardegna, divenne la vera padrona del Tirreno, strappandone il predominio agli antichi alleati Pisani. Debellata Pisa, accrebbe la sua potenza militare, politica e commerciale, assicurandosi depositi e magazzini di merci in tutti i porti principali del Mediterraneo orientale e perfino nel Mar Nero, per cui entrò in concorrenza, e rivaleggiò, con Venezia dalla fine del secolo XIII alla fine del secolo XIV.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Il duello tra Genova e Venezia Era così grande la potenza di Venezia e di Genova, che le sorti dell’Impero Bizantino, dipendevano dall’esito delle rivalità tra le due Repubbliche. Il duello, tra Genova e Venezia, pieno di implacabile odio, ebbe varia fortuna e fu combattuto su tutti i mari, e senza quartiere, tra le potenti flotte delle due grandi nemiche, comandate da famosi ammiragli. L’episodio più importante di questo lungo conflitto fu la guerra di Chioggia (1378), durante la quale Pietro Doria, ammiraglio dei Genovesi, superbamente impose a Venezia la resa. Quest’ultima proposta esasperò i Veneziani, che, da assediati, divennero assediatori, guidati da Vittor Pisani. I Genovesi, così, furono costretti ad arrendersi per fame e a chiedere la pace, che fu stipulata a Torino (1381) per la mediazione di Amedeo VI di Savoia. La guerra di Chioggia segnò il tramonto della potenza marittima e commerciale di Genova che non fu più in condizione di prendersi la rivincita su Venezia. Questa infatti ebbe la libertà dei suoi commerci e dei suoi possedimenti in Oriente e la possibilità di espansione anche per terra in Occidente. Da allora la Repubblica di San Giorgio (Genova) fu tormentata da continue discordie interne e da guerre civili, e, per avere un po’ di pace e di tranquillità, dovette appoggiarsi ora a questa ora a quella potenza straniera a prezzo della propria libertà.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Genova Nell’anno 641 i Longobardi attaccarono e distrussero Genova: da questa catastrofe la città riuscì a risollevarsi nel giro di tre lunghi secoli. Il suo risveglio era ormai avvenuto quando, nel 935, i Saraceni piombarono su di essa, saccheggiandola ferocemente. Proprio le ripetute e gravissime incursioni arabe spinsero i genovesi ad apprestare una potente flotta con la quale difendere la città ed i suoi traffici; sorse così la Compagna, una potente associazione di mercanti-guerrieri. Verso il 1100, i consoli della Compagna divennero consoli della Repubblica genovese. Genova ebbe una grande espansione commerciale in tutto il Mediterraneo e stabilì basi e colonie un po’ ovunque; ma la sua storia è soprattutto caratterizzata dalle lunghe guerre condotte contro le repubbliche rivali, quella di Pisa e di Venezia. In più di un secolo di ostilità, alternata a lunghi periodi di pace ed anche di alleanza, Genova piegò Pisa e a sua volta venne piegata da Venezia e s’avviò alla decadenza.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Genova e l’Oriente La potenza della Repubblica marinara di Genova, in alcuni periodi, non fu inferiore a quella di Venezia. Anche i Genovesi, che, guidati dai loro mercanti e armatori, erano riusciti a rendersi indipendenti dall’Impero, raggiunsero il massimo della loro forza durante le Crociate, dapprima provvedendo ai rifornimenti degli eserciti cristiani ed ottenendone in cambio importanti posizioni nei porti della Siria e dell’Egitto. Qui essi vendevano i prodotti europei, i metalli necessari per le armature, il ferro e il legname per le navi. Qui acquistavano, per rivenderli in tutta l’Europa, i prodotti orientali portati dalle carovane che provenivano dall’interno, specialmente droghe e sete indiane. Mentre nel Tirreno la potenza di Genova entrò in conflitto con quella di Pisa (e vinsero i Genovesi sconfiggendo la rivale), in Oriente l’antagonismo fu principalmente tra genovesi e veneziani, per il monopolio dei commerci nel Mar Egeo e nel Mar Nero. Lo scontro si risolse, dopo alterne vicende, a favore di Venezia. I Genovesi (come i Veneziani e i Pisani) possedevano, nei porti orientali, banchine speciali per l’attracco delle loro navi, magazzini, strade, talvolta interi quartieri, governati con le leggi della madrepatria.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Genova Repubblica marinara Siamo agli arbori di Genova Repubblica marinara: nel 1016, per iniziativa di papa Benedetto VIII, viene allestita una flotta, composta quasi esclusivamente di navi genovesi e pisane, la quale infligge una sconfitta, lungo le coste sarde al re saraceno Mujahid che si era impadronito dell’isola e molestava con sistematiche depredazioni le coste liguri. Questa vittoria e la successiva opera di penetrazione in Sardegna e in Corsica, segna l’inizio della rivalità tra Genova e Pisa; le due città non esiteranno però ad allearsi con Gaeta, Salerno e Amalfi per combattere più volte il comune nemico: Nella seconda metà del secolo XI si inaspriscono i conflitti tra i vescovi e i visconti; ma la lotta si compone nel 1099 per merito del vescovo Arialdo, quando nasce la Compagna Communis composta dal vescovo, dai visconti e dalle compagne locali. Riunendo i nobili, i proprietari terrieri, i cittadini dediti al commercio e alla marineria, e il vescovo che conserva i suoi poteri tradizionali, la Compagna Communis si identifica col Comune e nasce così lo Stato Genovese. Nello stesso tempo la potenza marinara di Genova si consolida e si espande sulle due riviere, da Lavagna a Ventimiglia, con vasto retroterra capace di fornirle uomini e mezzi.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Leone alato e croce rossa di San Giorgio Quelli che hanno viaggiato per il mar Mediterraneo e sono passati vicini ai promontori, accanto alle mille isole dell’Egeo, e sono entrati nei porti avranno visto sempre, in cima al colle che sovrasta il mare o la città, un grande castello grigio, enorme, quasi sempre abbandonato, rovinato, cadente. Ognuno di questi castelli è un segno dell’antica potenza di Venezia, di Genova, di Pisa, di Amalfi. Essa arrivava fino a Costantinopoli, fino all’Egitto. Quando i pirati o gli infedeli vedevano all’albero di una nave la bandiera di Venezia, che era il leone alato, o la croce rossa di san Giorgio, che era la bandiera di Genova, sapevano che c’erano a bordo dei marinai animosi che non avevano paura di attaccare battaglia e, se non si sentivano molto superiori di forze, fuggivano… Era tale il terrore che quelle bandiere davano ai pirati che quando gli abitanti dell’Inghilterra incominciarono a fare lunghi viaggi per mere con le loro navi, domandarono il permesso ai Genovesi di poter innalzare anch’essi i colori di san Giorgio, per essere più rispettati. I Genovesi acconsentirono, e perciò, anche oggi, voi vedete che la bandiera d’Inghilterra reca, nell’angolo superiore sinistro, la croce rossa, che è quella dell’antica Repubblica di Genova. (P. Monelli)
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture Un documento commerciale marittimo del 1158 Giovanni Filardo, mercante genovese, s’era recato in Egitto, ad Alessandria, per farvi acquisti, portando un capitale di 753 lire genovesi. Al ritorno, poichè doveva allontanarsi per andare a San Giacomo di Galizia a sciogliervi un voto, stese un preciso inventario delle merci, per conoscenza del suo socio e parente Guglielmo che ne fece ricevuta. E’ forse uno dei più antichi documenti commerciali che noi oggi possediamo: “Io Guglielmo Filardo dichiaro che sono presso di me, nel mio magazzino: I. della commenda che feci a te Giovanni dei beni di Ansaldino mio nipote: 14 sporte di pepe del peso di 65 cantari e 45 rotuli (il cantaro era circa 80 chilogrammi e il rotulo 800 grammi) 6 fasci di legno brasile del peso di 47 cantari 10 libbre di noce moscata 1 zurra di cannella uguale 87 e mezzo menne o fasci 1 fascio di chiodi di garofano. II: della commenda fatta a te dei beni di mio nipote Guglielmo: 3 sacchi di pepe del peso di 17 cantari e 42 rotuli 1 fascio di legno brasile del peso di 7 cantari e 52 rutuli 1 zurra di cannella del peso 187 libbre 60 libbre di spica (olio di nardo) 2 libbre e mezzo di noce moscata III: della società che ho teco: 2 fasci di legno brasile selvatico del peso di 16 cantari e 88 rotuli 3 sporte di pepe e tre sacchi del peso di 29 cantari e 114 rotuli 4 fasci di galanga (radici per concia)“.
LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Il tributo: recita sul Medioevo. La scena è immaginata nell’umile casa di un servo della gleba, il contadino di allora.
Personaggi: il servo della gleba, il figlio, due alabardieri (soldati)
Figlio: Babbo, perchè sei triste? Sono stato al castello, sai! Mi hanno fatto entrare per aiutare gli sguatteri, perchè ieri c’è stata festa al castello, fino a notte fonda! Sono passato per lunghi corridoi e grandi stanze; una di queste è lunga quasi tutto il borgo… Ma perchè sei triste?
Servo della gleba: Per niente! Ti ascolto!
Figlio: Alle pareti sono appese teste di lupi e di cinghiali, corna di cervi e di caprioli. Questi animali li ha uccisi il conte, sai! E poi dappertutto si trovano lance, alabarde, mazze ferrate, e sui tavoli si vedono vassoi d’argento e coppe d’oro. Vedessi come sono lunghe le tavole della sala per il banchetto! Cento brocche di vino c’erano sopra. Nello spiedo ho visto girare un cinghiale intero e sul camino friggere in padella cento e cento uova. Uno scudiero mi ha fatto assaggiare una pietanza strana, che era avanzata e che io non avevo mai visto… Com’era buona!… Ma perchè sei triste?
Servo della gleba: Per niente, ti ripeto. Continua.
Figlio: Poi un paggio mi ha fatto entrare nella sala del banchetto, dove, insieme col conte e la contessa, c’erano i cavalieri, le dame, il menestrello, il buffone. Il conte e la contessa mi hanno sorriso.
Si sente battere alla porta con forza.
Una voce (con alterigia): Aprite! Aprite!
Il ragazzo corre ad aprire ed entrano due alabardieri.
Servo della gleba: Ah, gli esattori!
Soldato: Per ordine di messere il conte cerchiamo te. Tu devi ancora pagare la tassa del pascolo.
Servo della gleba: Messeri, ieri vi ho corrisposto il pedaggio per passare il ponte sul torrente e la tassa si mulitura. I miei prodotti li ho portati tutti al castello.
Soldato: Bene. Pagaci il tributo del pascolo con quel sacco di farina.
Servo della gleba: Ma è l’unico rimasto per me e il mio figliolo!
Soldato: Allora vieni con noi.
Servo della gleba: Dove mi conducete?
Soldato: Per ora davanti a messere il Conte, e poi…
Servo della gleba: Ma io…
Soldato: Ordine di messere il Conte!
(Lo afferrano)
Figlio: No! No! Babbo, diamo il sacco di farina. In qualche modo ci sfameremo.
Servo della gleba: E va bene, figliolo. Prendete pure, alabardieri. Il tributo per il pascolo è pagato.
(da: Recitiamo la Storia, Rodolfo Botticelli, editrice La Scuola)
Recita sul Medioevo – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
L’investitura del feudatario Personaggi: l’Imperatore e il Feudatario.
L’investitura del feudatario – Dialogo tra Imperatore e Feudatario
Feudatario (inginocchiato): Sire, inginocchiato davanti alla vostra augusta persona, con le mani giunte per umiltà nelle vostre, prometto di essere vostro uomo e di servirvi lealmente e fedelmente.
Imperatore: Nobile dignitario, io sono pronto a te, che mi presti omaggio come vassallo, a trasmettere il possesso del grande feudo di Pieve Lontana e a concedere il titolo di Marchese, purché tu presti giuramento che tu e la Marca mi sarete di valido aiuto nei perigli: giuramento che farai in nome di Dio Nostro Signore, mancando al quale sarai dichiarato fellone e spogliato del feudo.
Feudatario: In nome d’Iddio Nostro Signore, giuro davanti alla Vostra Grazia, o Sire, che mi concedete il beneficio del feudo, di custodire i vostri segreti, di rispettare e fare rispettare il vostro onore, di seguirvi in battaglia accompagnato dai miei cavalieri e fanti; vi giuro formalmente fedeltà, mi dichiaro formalmente vostro uomo, vostro fedele, e vi riconosco mio signore.
Imperatore: Per il tuo sacro giuramento ti offro il simbolo del feudo di Pieve Lontana e il titolo di Marchese concedendoti le immunità secondo il Capitolare della mia legge.
Avvenuta l’investitura del marchese o del conte, questi possono trasmettere parte del feudo ad altri minori feudatari, valvassori, ripetendo la stessa cerimonia, e questi ultimi ad altri ancora, valvassini. Basterà cambiare alcune parole e il simbolo del feudo, ricordando che si usavano gonfaloni, spade e scettri, se si trattava di feudi cospicui, e zolle, rametti o mazzi di spighe, se si trattava di feudi minori. Un pezzo di stoffa può fare da gonfalone, una riga da spada, e così via…
(da: Recitiamo la Storia, Rodolfo Botticelli, editrice La Scuola)
L’investitura del feudatario – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Il menestrello – racconto ambientato nel Medioevo per bambini della scuola primaria, adatto alla lettura e al riassunto.
Era da poco cominciato l’inverno, ed i fossi erano tutti gelati, quando un giovane venne a suonare il corno davanti al castello di sir Galihud Sans Pitiè.
Dalla finestra del barbacane un soldato gli chiese: “Che volete?”.
“Sono un menestrello” rispose il giovane, “e voglio entrare, per rallegrare il signore di questo luogo con le mie poesie”.
“Se vuoi un consiglio, vattene via. Sir Galihud Sans Pitiè non ama se non la caccia e la guerra”.
“Ma ci saranno pure delle dame, al castello, e dei cavalieri cortesi!”
“Ci sono”.
“Bene” disse il menestrello “aprimi, allora. Io canterò per loro”.
Il ponte levatoio s’abbassò, la porta si aprì ed il menestrello entrò nel maniero. Era un giovane biondo, dai lunghi capelli, dal viso bianco come la cera, dalle spalle delicate e rotonde. Vestiva di scarlatto, ed aveva a tracolla un liuto ed una sacca piena di carte. Il soldato lo condusse subito nella sala ove sir Galihud teneva tavola imbandita.
Quando videro il menestrello, le dame ed i cavalieri che vivevano al castello, o che vi erano ospiti si rallegrarono e lo invitarono a cantare le sue canzoni.
“Col permesso del signore, delle dolci dame e dei giovani cavalieri” disse allora il menestrello, “canterò la storia d’amore della regina Didone per l’eroe Enea” e cominciò a suonare ed a cantare; ma non aveva tratto che poche e delicate note, quando sir Galihud esclamò: “No, no! Codesta canzone non mi piace!”.
Il menestrello si inchinò e cominciò un’altra canzone; ma l’aveva appena intonata, che sir Galihud esclamò: “Via, via, nemmeno questa mi piace!”.
Per la terza volta il menestrello ricominciò, e per la terza volta sir Galihud lo interruppe, esclamando: “Basta con questi lamenti!”.
Il menestrello allora gli si volse e disse: “Parlando in codesto modo, messere, voi fate una grande villania prima a voi stesso che a me. Perchè cosa penseranno, le dame ed i cavalieri che vi ascoltano, se non che siete un uomo sgarbato e rozzo e senza cortesia?”
A queste parole tene dietro un lungo silenzio; e sir Galihud, alzandosi dal suo scranno esclamò: “Tu hai parlato troppo!” e scavalcata la tavola si avventò sul menestrello, e strappandogli il liuto, prese con questo a batterlo: e lo fece con tanta rabbia che ben presto il giovane cominciò a sanguinare dal naso e dalle orecchie, e cadde a terra svenuto. sir Galihud stava per colpirlo ancora, quando il giovane sir Lionel, un cavaliere ospite del castello, lo agguantò per le braccia trattenendolo e gridò: “Vergogna, sir Galihud! Voi avete battuto un uomo disarmato!”.
“Lasciatemi subito andare e chiedetemi perdono!” rispose furibondo il cavaliere “O vi batterete con me!”.
Sir Lionel lasciò la presa e disse: “Così sia. Mi batterò con voi quando vorrete!”.
“Ciò sarà subito!” replicò sir Galihud, e lasciò la stanza, per andare a prepararsi. Le dame e gli altri cavalieri seduti alla tavola, allora, si rivolsero a sir Lionel, scongiurandolo di lasciare subito il castello e di non misurarsi con sir Galihud. “Egli è feroce come un leone” gli dissero “e vi ucciderà, come avrebbe ucciso questo menestrello, perchè non ha mai dato quartiere ai suoi nemici”.
Sir Lionel rispose: “La nostra vita è nelle mani di Dio; ed anche se io morrò, almeno avrò salvato la vita di questo giovane”, e qui si chinò sul menestrello insanguinato e gli disse: “Coraggio, poeta! Di queste ferite non si muore!”.
Il menestrello aprì gli occhi e mormorò: “Dio vi ricompensi, messere, per quello che avete fatto. Da parte mia, io non lo scorderò mai”.
In questo momento entrarono gli araldi e dissero come sir Galihud fosse già sceso nel cortile ed aspettasse sir Lionel per il duello. Sir Lionel allora, con sereno volto, prese il suo cimiero e si avviò, tra il pianto delle dame ed i sospiri dei cavalieri.
sir Galihud era già in sella, e quando vide sir Lionel gridò, levando il pugno: “Nemo me impune lacessit!” che era un motto che significava ‘nessuno mi ha mai sfidato impunemente’. Sir Lionel montando in sella rispose: “Dio mi è testimone che non vi feci offesa alcuna”.
In breve, i due furono pronti per il duello, ed al segnale corsero fieramente ad incontrarsi, e ruppero le lance con strepito e fragore; ma sir Lionel fu scavalcato e piombò a terra, ed allora sir Galihud, smontato sveltamente da cavallo, gli si fece addosso e, toltogli l’elmo, gli troncò di netto la testa. Le dame gridarono, coprendosi il volto con le mani ed anche i cavalieri volsero gli occhi per non vedere.
Sir Galihud gridò: “Dov’è il menestrello? Portatelo qui!”
Due soldati trascinarono nel cortile il menestrello; e sir Galihud gli disse, accennando al corpo di sir Lionel: “Prendi il tuo protettore, e vattene. Ricorda: se metterai ancora piede nel mio castello, ti ucciderò!”.
Nel gran silenzio del cortile, il menestrello avanzò e con molta pietà prese tra le braccia sir Lionel: barcollando sotto il peso, poi, uscì dal castello. Quando fu fuori, scavò con le sue mani una fossa, e vi depose il morto, e dopo avere lungamente pianto e pregato lo coprì di terra dicendo: “Sir Lionel, non mi scorderò di voi!”.
Passarono due anni. Venne due volte la neve e cancellò ogni cosa. Poi due primavere portarono cielo azzurro e fiori, e fecero spuntare tenera erba sulla tomba di sir Lionel; giunsero due rigogliose estati, e gli autunni ricchi di foglie e di colori. Quando il terzo inverno riapparve coi primi geli, le sere tornarono a farsi molto lunghe nelle sale del castello ove sui camini ardevano ceppi resinosi.
Una sera assai fredda, ecco suonare il corno sotto il castello di sir Galihud. Questi, che sonnecchiava accanto al fuoco, domandò: “Chi suona a quest’ora?”
“Messere” annunciò un servo, “è un menestrello che chiede di entrare”.
“Ah, fatelo entrare, sir Galihud!” gridarono le dame, che si annoiavano profondamente, “che ci narri qualche storia d’amore e d’avventura!”.
“Io non sono amico dei menestrelli, lo sapete e sterminerei la loro razza. Ma poichè la sera vi sembra tanto lunga, ebbene, che quel poeta salga a cantarvi le sue canzoni!”.
Così fu fatto, ed il menestrello entrò nel maniero e venne condotto nella sala; ma, anziché avanzarsi verso la tavola, si arrestò sulla soglia, dove la luce delle torce giungeva appena.
“Vieni avanti, menestrello!” ordinò sir Galihud.
“Ci sarà tempo, per questo” rispose il menestrello senza muoversi; e le dame mormorarono: “In verità questa sembra la voce di un guerriero, e non di un poeta!”.
“Va bene, sta pure dove sei” disse sir Galihud. “Quale canzone buoi cantare?”
Stando nell’ombra il menestrello disse: “Col permesso del signore, dello dolci dame e dei nobili cavalieri, io narrerò la storia di un prode e generoso cavaliere, che venne ucciso da un villano signore senza pietà, perchè aveva difeso un povero menestrello come me”.
Tutti rabbrividirono e si volsero verso sir Galihud; e questi, buttato a terra il boccale di sidro che teneva in mano esclamò levandosi in piedi: “Codesta storia non mi piace! E tu, menestrello, fatti avanti, in modo che io ti veda in volto!”.
Allora, mentre tutti tacevano, il menestrello camminò verso il centro della sala, e rivelò l’essere suo; e tutti mormorarono stupidi perchè, malgrado avesse capelli corti da soldato, viso abbronzato, spalle larghe e quadrate, riconobbero in lui il menestrello venuto due anni prima e percosso da sir Galihud. E questi disse: “Hai sbagliato a tornare nel mio castello! Avevo promesso che ti avrei ucciso! Tu vuoi morire!”.
“Non sono ancora giunto a questo.”
“Ebbene, vi giungerai!”.
Sir Galihud prese un grosso coltello, che serviva per tagliare la carne, e si avventò sul menestrello; ma questi corse al muro dove erano appesi i trofei di guerra, e staccò da esso una spada, e brandendola disse: “Io sono qui sir Galihud, per vendicare la morte di sir Lionel!”.
“Tu morrai come lui! Nemo me impune lacessit!”
Sir Galihud menò alcuni colpi col suo coltello, ma il menestrello li schivò facilmente tutti, ed anzi a sua volta colpì di spada e ruppe il pesante giaco di cuoio di cui il cavaliere era rivestito. Tutti si meravigliarono che un poeta sapesse duellare con tanta perizia; ed ancor più si stupirono, quando sir Galihud venne ferito a un fianco, e cominciò a perdere sangue.
“Tu combatti con una spada, menestrello! Lascia dunque” esclamò il malvagio cavaliere arrestandosi ” che io mi armi come te”.
“Messere, sia come volete. Ciò non vi salverà dalla morte”.
Sir Galihud andò allora accanto al muro dei trofei di guerra; ma, invece di prendere una spada come quella del menestrello, ecco che staccò un enorme spadone che si impugnava a due mani; e con esso, roteandolo furiosamente, si fece avanti.
I cavalieri presenti pensarono, allora, che nessun onore poteva venire a sir Galihud da una simile azione. Il menestrello però non dimostrò alcuna paura, e fermamente fronteggiò sir Galihud, arretrando ed abilmente schivando tutti i terribili fendenti dello spadone.
Quando ebbe compiuto per tre volte il giro della grande sala, senza mai riuscire a menare un colpo al segno, sir Galihud si fermò ansimante e disse: “Tu fuggi, codardo!”.
“L’ho fatto fino ad ora” replicò il menestrello “perchè voi vi battete con due mani, ed io non una. Ma a questo” aggiunse fieramente, “c’è rimedio!” e con un gran fendente, tagliò netta la mano sinistra di sir Galihud. “Ecco che ora combatterete con una mano sola!” disse ancora, e mentre il malvagio cavaliere cercava, con una sola mano, di manovrare quel suo pesantissimo spadone, il menestrello lo colpì sulla testa con tanta violenza che sir Galihud cadde morto e non si mosse più.
Allora il menestrello si volse alle dame ed ai cavalieri, che avevano dato un grido, ma che non erano mossi, e disse loro: “Per due anni, signori, scordando poesia e canzoni, combattendo nella Terra Santa per il riscatto del sepolcro di Gesù, mi sono esercitato nell’arte della guerra, fortificando il mio spirito e il mio corpo. E ciò ho fatto, perchè dovevo compiere giustizia e vendicare la morte di sir Lionel. Ho atteso lungamente: ma ora che quest’uomo senza pietà è perduto ecco io rinuncio alla lancia ed alla spada. E” concluse “torno per sempre al mio liuto ed alle mie poesie”.
Così dicendo lasciò cadere la spada; né volle fermarsi al castello, benché fuori smisuratamente fioccasse la neve; e si allontanò sul suo cavallo, e mentre si allontanava, lo udirono cantare una dolce e triste canzone d’amore e di guerra.
(P. Selva)
Il menestrello – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Amalfi e la bussola – recita per la scuola primaria
Amalfi e la bussola – Personaggi -Feliciano, figlio di un navigatore amalfitano – Marina, sua sorella – un compagno, che entra alla fine della scena.
Amalfi e la bussola – Testo Marina: Feliciano, hai visto che nebbia c’è sul mare? Feliciano: E’ davvero una cosa rara per Amalfi Marina: Da lontano non si deve distinguere né la costa né il faro. Sto in pensiero per il nostro babbo. La sua nave dovrebbe essere la prima ad arrivare in porto. Feliciano: Oh, non temere! Il babbo e i suoi marinai sono abili navigatori. Noi Amalfitani abbiamo il mare nel sangue, dice il babbo. Anche io sarò un navigatore! Marina: Tu dici così, ma io non sono affatto tranquilla. Primo, per il maltempo; secondo, perchè so che il babbo dovrebbe far scaricare le sue stoffe, provenienti da Costantinopoli, entro domani l’altro per un impegno preso con certi mercanti. Come potrà trovare la direzione giusta con questa nebbia? Feliciano: Senti, Marina. Tu forse non sai ancora che le galee amalfitane hanno a bordo qualcosa che fa trovar loro l’orientamento anche senza il sole né le stelle. Marina: Ma che dici? Feliciano: Sì. Si tratta di una cosa semplice, ma meravigliosa: un ago calamitato, che il babbo chiama magnetico, fissato sopra un pezzo di legno, il quale viene fatto galleggiare in un recipiente con acqua. Questo ago ha una proprietà particolare: volge la sua punta verso nord, e così i naviganti possono conoscere la posizione dei punti cardinali. Credo che i nostri marinai abbiano appreso l’udo di questo strumento dai naviganti arabi; ma c’è chi dice che sia invenzione di un Amalfitano. Marina: Ma a me il babbo non ha detto nulla di tutto ciò! Feliciano: (con orgoglio) Tu sei una bambina. Non sarai mai un navigatore. Invece io…! Un compagno: (entrando trafelato) Feliciano! Marina! Sta entrando in porto la nave di vostro padre! Marina: Papà! Papà!
(da: Recitiamo la Storia, Rodolfo Botticelli, editrice La Scuola)
Amalfi e la bussola
Amalfi e la bussola Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Martin Luther King – materiale didattico e schede illustrate pronte per la stampa per bambini della scuola primaria, sulla vita di Martin Luther King.
Martin Luther King si celebra col MLK day negli USA il terzo lunedì di gennaio, un giorno vicino alla sua data di nascita. E’ una festività nazionale istituita per legge dal 1983, ma fu osservata da tutti gli Stati americani solo dal 1993. Per raccontare ai bambini la sua storia ho preparato una biografia, una serie di carte illustrate che possono essere utili durante il racconto, e un riassunto del discorso pronunciato a Washington nel 1963.Le immagini sono di pubblico dominio; tutte le fonti sono citate in fondo all’articolo.
Martin Luther King è l’icona mondiale della lotta per i diritti civili.
Fino a cinquant’anni fa, in USA, c’erano fontanelle pubbliche separate per bianchi e neri, a teatro la balconata separata per neri, e i posti in fondo al bus solo per neri. E’ difficile da credere ma era veramente poco tempo fa. Nella lotta per guadagnare la parità per i cittadini di qualsiasi razza si è svolta la breve vita di Martin Luther King. In quel periodo negli USA era normale salire sugli autobus, entrare nei bar, in teatro, e nelle chiese e vedere posti separati a seconda del colore della pelle delle persone, e persone come Martin Luther King sono, anche oggi, fonte di ispirazione per chi crede nella giustizia sociale. Voleva il riscatto di tutti, non solo dei neri, che non erano i soli ad essere maltrattati nel suo paese: l’ingiustizia sociale era troppa e troppe le leggi scritte ma non rispettate. Occorreva restituire dignità a tante persone schiacciate da secoli di schiavitù sociale, politica e morale. L’Italia, da paese di emigrazioni è diventato un paese di immigrazioni, e quindi una società multietnica caratterizzata dalla coesistenza di persone di etnie diverse. Molti italiani che si considerano ‘istruiti’, si rivelano poi razzisti, per diversi motivi. Il sogno di Martin Luther King può insegnare molto agli italiani sui diritti civili, sull’integrazione, sull’uguaglianza delle minoranze e sulle barriere razziali. Anche se i tempi e le situazioni sono diverse, le cause del razzismo sono sempre le stesse. Perciò, i valori che il sogno di Martin Luther King ha insegnato agli americani, possono servire da lezione anche agli italiani.
Martin Luther King jr (15 gennaio, 1929 – 4 aprile, 1968) nacque nella città di Atlanta, in Georgia, il 15 gennaio 1029.
La Georgia è uno Stato del sud degli Stati Uniti, dove il problema razziale era molto forte.
I neri americani sono i discendenti di quegli uomini che furono rapiti dai negrieri e portati dall’Africa all’America, in catene, per essere venduti come merce. Milioni di donne e di uomini vennero strappati alla loro terra e fatti schiavi per lavorare nelle piantagioni di cotone, tabacco, zucchero e caffè degli stati del sud dal 1620 fino al 1865: 200 lunghi anni durante i quali gli antenati di Martin Luther King venivano comprati, venduti e trattati non come esseri umani, ma peggio degli animali. La legge che permetteva la schiavitù negli Stati Uniti fu cancellata solo grazie a una terribile guerra civile tra gli Stati del Nord, che volevano abolire lo schiavismo, e gli Stati del Sud. Ma, soprattutto al sud, l’abolizione legale della schiavitù non portò la libertà agli americani neri, perchè i proprietari terrieri escogitarono sistemi di ricatto economico nei confronti dei lavoratori ex schiavi, per cui più lavoravano più si indebitavano. Nella pratica i neri americani non potevano nemmeno partecipare alle elezioni. Sorse inoltre il Ku Klux Klan (KKK), un gruppo fondato da ex soldati sudisti dopo la guerra civile, che ha usato la violenza e l’intimidazione per escludere i neri dal voto, dalle cariche politiche e anche dalle scuole, compiendo crimini orribili.
“Lavorare dall’alba al tramonto, incatenato alla terra dai conti da pagare al proprietario della piantagione, piangere, compatirsi per la propria mancanza di coraggio, essere lo zimbello dei giudici e dei poliziotti, finire col credere alla propria indegnità… e infine cedere, inchinarsi e odiare se stessi per la propria debolezza“.
Così Martin Luther King racconta la vita di suo nonno James Albert, che era la vita di tutti i neri americani. Nelle città si vedevano dappertutto cartelli con la scritta “colored only” o “white only” (solo per neri, solo per bianchi). I neri vivevano riuniti in zone della città, i ghetti (slums), sovrappopolati e privi di strutture e di servizi decenti. I neri americani non potevano frequentare molte scuole, Università, né entrare a far parte di molte associazioni, non votavano, subivano maltrattamenti anche da parte delle autorità e dalla polizia, ed erano spesso condannati ingiustamente da giurie popolari bianche e razziste. I neri godevano di meno diritti dei bianchi ovunque: nel campo dell’istruzione, sul lavoro, e in tutti i settori della vita sociale ed anche nell’esercito, e perfino nell’uso dei mezzi pubblici. Quello che oggi, nella nostra cultura, sembra assurdo, nell’America degli anni ‘50 e ’60 era la normalità.
In questo clima Martin Luther King nacque, visse e cominciò a lottare fin da bambino.
Oggi gli USA hanno il loro primo Presidente nero. Sono passati solo cinquant’anni dai discorsi di Martin Luther King. Il Presidente Obama non ha nella sua storia familiare ex-schiavi afroamericani, mentre la first lady, Michelle, sì. Gli USA hanno fatto molti passi avanti per i diritti civili e l’uguaglianza, ma le discriminazioni esistono ancora. Ad esempio, in alcuni stati degli USA, gli studenti di colore vengono sospesi o espulsi tre volte di più dei loro coetanei bianchi.
Fin dall’infanzia Martin Luther King subì i traumi dei bambini che scoprono di essere diversi e discriminati, che scoprono di vivere in una società razzista.
Il padre, Martin Luther King senior, era pastore della Chiesa battista, la mamma una maestra. Nei primi anni dell’infanzia giocava con i bambini del quartiere, anche coi bambini bianchi. A sei anni cominciò a frequentare la scuola elementare, e cominciarono ad accadere fatti incomprensibili per un bambino: venne escluso dai giochi dei suoi vicini di casa che, addirittura, ebbero dai loro genitori il severo divieto di parlare con lui. Martin non riusciva a capire: non aveva fatto loro alcun dispetto, non li aveva offesi in alcun modo… Non lo fecero sentire meglio le spiegazioni dei suoi genitori, che gli parlarono di cosa significasse essere di colore e vivere in uno Stato del Sud, gli raccontarono delle origini africane dei neri americani, della lunga e terribile schiavitù e della Guerra di Secessione che aveva dato loro, almeno formalmente, la libertà. A otto anni il suo papà gli dà la notizia della morte della sua cantante preferita, Bessie Smith, che dopo un incidente stradale morì perché gli ospedali per bianchi di Atlanta si rifiutarono di ricoverarla.
Ancora impreparato a reagire, queste ed altre esperienze gli rimasero scolpite per sempre nell’anima.
Martin Luther King visse la sua infanzia e adolescenza in un periodo di grande fermento storico, con la II Guerra Mondiale e la conquista dell’indipendenza delle colonie europee, e fu molto affascinato dalla figura di Gandhi, dal quale imparò i principi della lotta non-violenta. Poté studiare frequentando le scuole per ‘coloreds’ (cioè per soli neri), e fu negli anni del liceo, mentre si inseriva nel mondo degli adulti, che cominciò ad avere sempre più coscienza della discriminazione razziale. Così decise di diventare avvocato e si iscrisse all’Università di Atlanta (per soli neri), ma dopo qualche anno passò agli studi di filosofia e di teologia e diventò, a 22 anni, pastore battista. Ispirato dal metodo di lotta per i diritti basato sulla ‘non violenza’ di Gandhi, Martin Luther King si convinse che questo sistema poteva servire anche per la conquista dei diritti civili dei neri americani. Dalla meditazione sulle opere di Gandhi, trasse la conclusione che i valori cristiani uniti ai principi della non-violenza, dovevano essere la base della lotta per la giustizia sociale. Completò gli studi e, durante la preparazione della tesi di laurea conobbe Coretta Scott, che studiava canto per diventare soprano. Anche Coretta aveva il sogno di poter fare qualcosa per i neri americani. I due giovani s’innamorarono e nel 1953 si sposarono e si trasferirono nella città di Montgomery, in Alabama, entrambi erano decisi a lottare per non essere più giudicati inferiori, ma cittadini come gli altri.
In questa città Martin Luther King era pastore della chiesa battista.
Le sue prediche lo resero molto famoso tra le persone, indipendentemente dal colore della loro pelle, e riuscì ad attirare a sé un numero sempre più grande di sostenitori.
Nel dicembre del 1955 un fatto in apparenza banale, che avvenne proprio nella città di Montgomery, dette ai fatti una svolta decisiva. Sugli autobus della città le prime tre file di posti erano riservate ai bianchi, le altre potevano essere occupate da neri solo se non c’erano bianchi in piedi. Quel giorno Rosa Parks rifiutò di alzarsi e cedere il suo posto, e venne arrestata e portata in carcere. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Nel giro di poche ore King mise a disposizione la sua chiesa per organizzare la protesta e fu deciso il boicottaggio dei trasporti pubblici, una forma di lotta pacifica, ispirata agli insegnamenti di Gandhi: nessun nero sarebbe salito su un autobus fino a che non fosse stata tolta la spartizione dei sedili. L’iniziativa ebbe un enorme successo: il giorno seguente, infatti, tutti i mezzi pubblici erano deserti, perchè non solo in neri ma anche molti bianchi avevano aderito alla lotta. La situazione continuò a ripetersi anche nei giorni seguenti e gli abitanti neri di Montgomery non salirono sugli autobus e si recarono al lavoro arrangiandosi come potevano fino al dicembre dell’anno successivo: 382 giorni. In questo periodo King fu bersaglio di minacce d’ogni genere e la sua casa fu fatta saltare in aria con una bomba (la moglie e la figlia, che erano dentro, restarono fortunatamente illese). La compagnia degli autobus perse 40 milioni di dollari e le autorità arrestarono Martin L. King con un pretesto. A sorpresa, quando il processo contro di lui stava ormai per iniziare, arrivò la notizia: la Corte Suprema dichiarava illegale la segregazione praticata negli autobus.
Nacque così il Movimento per i Diritti Civili e Martin Luther King divenne il simbolo della ‘rivoluzione nera’.
Ogni sua vittoria ebbe per lui un prezzo altissimo: fu preso a sassate, picchiato ed aggredito dai cani della guardia nazionale; fu arrestato una ventina di volte durante le manifestazioni per la pace; più di una volta John Kennedy, che sarebbe diventato il Presidente degli Stati Uniti, pagò personalmente la cauzione per farlo uscire di prigione.
Martin Luther King organizzò tantissime manifestazioni pacifiche, marce, conferenze pubbliche e raduni, e il Movimento si estese ben presto a tutti gli Stati Uniti.
Organizzò ovunque boicottaggi contro gli esercizi commerciali che praticavano la segregazioni (negozi, bar, ristoranti, ecc.). Martin Luther King diceva: “Non possiamo obbedire a leggi ingiuste, perché il non collaborare col male è un obbligo morale, non meno del collaborare col bene“. E di fronte alle minacce, riferendosi al Ku Klux Klan, diceva: “Mandate i vostri sicari incappucciati nelle nostre case. Ma siate certi che vinceremo: un giorno conquisteremo la libertà, e la nostra vittoria sarà anche la vostra“.
Nel 1963, centenario dell’abolizione della schiavitù firmata da Lincoln, le azioni non violente del Movimento per i Diritti Civili dilagarono in più di 800 città.
A Birmingham, città che subì in un anno diciassette attentati dinamitardi ad opera dei razzisti bianchi, ebbe inizio una delle più importanti campagne di sensibilizzazione del Movimento. Durante una marcia tenuta la sera del venerdì Santo, vennero imprigionate centinaia di persone e, fra di esse (per la tredicesima volta) Martin Luther King. Dal carcere scrisse una famosa lettera: “E facile dire: ‘aspettate’. Ma quando avete visto poliziotti pieni d’odio colpire e perfino uccidere impunemente i vostri fratelli e le vostre sorelle; quando sentite la vostra lingua torcersi se cercate di spiegare alla vostra bambina di sei anni che non può andare al luna-park perchè è nera, e vedete spuntarle le lacrime; quando vi perseguita notte e giorno il fatto di essere nero, non sapendo mai che cosa vi può accadere; allora voi comprendete perché per noi è tanto difficile aspettare“.
Sempre nel 1963, in agosto, Martin L. King guidò un’enorme manifestazioneinterrazziale a Washington, dove pronunciò il suo discorso più famoso, poetico e struggente: “Ho un sogno” (I have a dream).
La marcia dei 250.000 arrivò a Washington il 28 agosto, per chiedere l’approvazione della legge sulla parità dei diritti civili per bianchi e neri. Oltre 80.000 dei partecipanti all’evento erano bianchi e marciavano insieme agli altri cantando ‘Black and white together’ (neri e bianchi insieme). Fu una manifestazione molto pacata e vi partecipò tutta la comunità americana, singoli individui e gruppi politici e religiosi, associazioni, sindacati dei lavoratori, bianchi, neri, meticci ed indiani: fu un’azione collettiva, di tutta la nazione americana, a favore dei più deboli ed emarginati. Le telecamere di tutto il mondo erano puntate sulla marea umana che si era raccolta intorno al monumento a Lincoln per chiedere un mondo migliore, dove giustizia ed uguaglianza non fossero utopie, ma realtà. Milioni di telespettatori in tutto il mondo, seguirono affascinati questo evento ad ascoltarono la voce di Martin Luther King, a cui fu affidato il discorso conclusivo. Il suo discorso fu accolto da applausi scroscianti. A proposito della marcia di Washington, Martin Luther King scrisse: “…L’estate del 1963 è stata una rivoluzione perché ha cambiato il volto dell’America…”. Questa marcia pacifista e la figura di Martin Luther King ebbero risonanza mondiale, e le sue predicazioni e i suoi scritti furono tradotti e letti in molti Paesi, ed anche in Italia.
Il 1964 fu un anno importante.
La legge per i diritti civili venne approvata il 10 febbraio 1964. Durante una manifestazione pacifica la polizia si scagliò con ferocia su un corteo di dimostranti, sguinzagliando cani e azionando idranti contro ragazzi inermi. Sotto la pressione dell’opinione pubblica inorridita, il Governo dichiarò illegale la segregazione nei negozi e nei locali pubblici, e stabilì che l’assunzione al lavoro doveva essere egualitaria per bianchi e neri. Erano vietate le discriminazioni per l’iscrizione ai registri elettorali ed era sancito l’obbligo di ammettere tutti i cittadini, senza distinzioni di razza, a qualsiasi scuola o esercizio pubblico. La battaglia, però, durò ancora a lungo e negli Stati del Sud, soprattutto l’Alabama e il Mississippi, continuarono a registrarsi episodi di neri picchiati e uccisi dai razzisti bianchi del Ku Klux Klan.
Il 14 ottobre Martin Luther King ricevette un telegramma da Stoccolma: “Il premio Nobel per la pace è stato assegnato a Martin Luther King per aver fermamente e continuamente sostenuto il principio della non-violenza nella lotta razziale nel suo Paese“. I 34 milioni del premio vennero messi a disposizione del Movimento per i Diritti Civili.
Ma ancora l’effettiva uguaglianza tra bianchi e neri era un obiettivo lontano.
A metà degli anni Sessanta il movimento per i diritti civili si spaccò: un gruppo di attivisti neri si oppose alle scelte moderate e pacifiste di King e diede vita a forme di protesta più radicali caratterizzate dallo slogan Blackpower (potere nero).
Tra mille difficoltà e molti oppositori Martin Luther King continuò a correre da una parte all’altra degli Stati Uniti per diffondere le idee del Movimento per i Diritti Civili, che estese la sua richiesta di riforme sociali non solo alla comunità nera, ma a tutti gli americani poveri, e si impegnò contro il coinvolgimento degli USA nella guerra del Vietnam.
Nel marzo 1968 Martin Luther King stava preparando la marcia della “miseria nazionale” durante i poveri di tutte le razze sarebbero dovuti arrivare da tutti gli Stati USA a Washington.
Il 27 marzo nella città di Memphis, in Tennessee, seimila americani neri attraversarono in corteo la città per solidarietà con 1.700 spazzini in sciopero e Martin Luther King era in testa al corteo. Pochi giorni dopo, il 3 aprile, Martin Luther King parlò, sempre a Memphis, davanti a quindicimila. Il giorno seguente, si trovava con altri membri del Movimento per i Diritti Civili in una stanza dell’Hotel Lorraine. Si affacciò ad un balcone dell’Hotel e venne colpito da un colpo di fucile. Quando morì aveva solo 39 anni ed era nel pieno della sua battaglia. Il colpo era partito dalla casa di fronte, e approfittando dei momenti di panico che seguirono, l’assassino si allontanò indisturbato. Il presunto killer fu arrestato a Londra circa due mesi più tardi, si chiamava James Earl Ray. L’uomo si proclamò innocente e disse di sapere chi fosse il vero colpevole, ma non sapremo mai la verità perchè venne accoltellato la notte seguente nella cella in cui era rinchiuso.
Al suo funerale parteciparono migliaia le persone d’ogni ceto e razza.
Celebrò la cerimonia suo padre, il pastore Martin Luther King senior, che fece riascoltare una predica registrata del figlio, nella quale, tra l’altro, diceva: “Se qualcuno di voi sarà qui nel giorno della mia morte, sappia che non voglio un grande funerale. E se incaricherete qualcuno di pronunciare un’orazione funebre, raccomandategli che non sia troppo lunga. Ditegli di non parlare del mio premio Nobel, perché non ha importanza… Vorrei solo che dicesse che sono stato una voce che ha gridato nel deserto per la giustizia, e che ho tentato di spendere la mia vita per amare e servire l’umanità».
CorettaKing, anche dopo la morte del marito, continuò la sua lotta contro la segregazione razziale e a favore della pace del mondo.
I Have a Dream – Martin Luther King jr
Riassunto del Discorso Pronunciato da Martin Luther King a Washington il 28 Agosto 1963.
Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della schiavitù. Ma cento anni dopo, i neri non sono ancora liberi; cento anni dopo, la vita dei neri è ancora una vita in catene, e queste catene sono la segregazione e la discriminazione. Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti qui, nella capitale degli Stati Unti, per incassare una cambiale. Quando i Padri Fondatori scrissero la Costituzione Americana e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono una cambiale ad ogni americano. Questa cambiale prometteva a tutti gli uomini, ai negri tanto quanto ai bianchi, il diritto di godere in America dei principi inalienabili della vita, del diritto alla libertà e del diritto alla ricerca della felicità. E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo impegno e non ha pagato la cambiale data ai suoi cittadini neri. Invece di pagare la sua cambiale, invece di onorare il suo debito, l’America ha consegnato ai neri banconote false, e quindi siamo venuti per incassare questo cambiale, per ricevere le banconote vere della libertà e della garanzia di giustizia. Siamo anche venuti per ricordare all’America l’urgenza dell’adesso. Questo è il momento di realizzare le promesse; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti. Sarebbe la fine per questa nazione, se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un autunno di libertà ed uguaglianza. Il 1963 non è una fine, ma un inizio. Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai neri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. Ma c’è qualcosa che devo dire alla mia gente. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. Non soddisfiamo la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio; conduciamo la nostra lotta con dignità e disciplina; non permettiamo che la nostra protesta degeneri in violenza; rispondiamo alla forza fisica con la forza dell’anima. Molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, capiscono che il loro destino è legato col nostro destino, e che la loro libertà è legata alla nostra libertà. Questa offesa che è l’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Quando potremo sentirci soddisfatti? Non saremo mai soddisfatti finché il nero sarà vittima degli orrori a cui viene sottoposto dalla polizia; finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città; finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono ‘riservato ai bianchi’; finché i neri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente. Non ho dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e sofferenze. Ritornate nel Mississippi, in Alabama, South Carolina, in Georgia, in Louisiana; ritornate ai vostri ghetti delle grandi città del nord, sapendo che questa situazione può cambiare, e cambierà. Non sprofondiamo nella disperazione. E anche se dovrete affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io ho un sogno. Io un sogno: nel mio sogno, un giorno, questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso dei sui ideali. Tutti gli uomini sono creati uguali, questo è uno dei sui ideali. Io ho un sogno: nel mio sogno, un giorno, i figli degli uomini che un tempo furono schiavi e i figli degli uomini che un tempo furono schiavisti, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza. Io ho un sogno: nel mio sogno, un giorno, perfino lo stato del Mississippi, dove oggi c’è arroganza ingiustizia e oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia. Io ho un sogno: nel mio sogno, un giorno, i miei quattro figli piccoli non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Io ho davanti a me un sogno, oggi! Difendiamo insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quel giorno tutti gli uomini sapranno cantare insieme l’America, dolce terra di libertà. Se l’America vuole essere una grande nazione, possa questo accadere. Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York. Risuoni la libertà negli alti monti della Pennsylvania. Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve. Risuoni la libertà dai dolci pendii della California. Ma non soltanto. Risuoni la libertà dalle montagne della Georgia. Risuoni la libertà dalle montagne del Tennessee. Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
Abdullah e il pepe: un racconto ambientato nell’epoca delle crociate, per bambini della scuola primaria adatto alla lettura e il riassunto.
Il Pascià di Alessandria, dopo aver ascoltato distrattamente tre religiosi biancovestiti, con una croce rossa e blu sul petto, chini umilmente davanti a lui, contò e ricontò la somma piuttosto forte che gli era stata appena consegnata. Poi fece schioccare le dita: “Chiamate Abdullah!”.
Lo schiavo Abdullah spuntò fuori dalle cucine dove stava lavorando da quasi undici anni. Era uno schiavo dagli occhi azzurri e dal naso un poco all’insù, vissuto fino a dieci anni, con il nome di Giannetto, in un villaggio della valle della Loira. Per aver seguito un pastore di Vendome che predicava la Crociata dei Fanciulli, egli era andato a finire in qualità di marmittone in mano ai Barbareschi…
Il Pascià gli disse: “Ecco degli ulema (dotti) del tuo paese che mi hanno versato un buon prezzo per il tuo riscatto. Poiché ti sei comportato bene, ti restituisco la libertà. Ricorda che tu sei vissuto fra noi più a lungo che non presso i Franchi; se un giorno sentissi il desiderio di ritornare da noi potrai invocare la mia protezione”.
E Abdullah-Giannetto partì con i monaci trinitari verso il molo dove si riunivano gli schiavi riscattati.
Ma verso la fine di settembre, appena cinque mesi dopo la sua liberazione, egli si trovava di nuovo davanti al Pascià, in compagnia di un altro cristiano fornito di un’enorme bisaccia di cuoio. Affondato in un sofà di seta verde, il Pascià prendeva da una cesta delle arance candite e delle uova sode…
“E così” gridò “tu hai fatto naufragio… racconta!”.
“Dopo dieci settimane di navigazione” racconta Giannetto, “la nostra nave andò a sbattere contro uno scoglio a fior d’acqua, si squarciò e affondò. Io fui spinto sugli scogli, e riuscii a toccar terra, mezzo annegato. Dopo aver preso fiato e vestito com’ero con i soli pantaloni, mi inoltrai nell’interno del paese finché raggiunsi una città fortificata, costruita sulle pendici di una collina. La gente vi parla la lingua di Felì, il Provenzale, il nostro schiavo pasticcere. Verso sera, quasi morto di fame e di sete, mi fermai alla porta di una taverna. Nel vedermi, l’enorme padrone si pose sulla soglia della porta e bastò questo per sbarrarmi l’ingresso. In quel momento io sentii in tasca delle palline dure: automaticamente ne tirai fuori alcune per vedere ci che si trattava. Erano aromi che Felì mi aveva donato al momento della partenza. Non appena vide quei granellini, l’oste mi stese la sua manaccia in modo così imperioso che io aprii le dita e cinque grani verdastri vi rotolarono. Vedendo di che cosa si trattava, l’omaccio esclamò: ‘Guarda un po’! Del pepe!’. Mi fece entrare nella cucina e mi diede da lavare dei bicchieri e dei piatti maleodoranti. Allora pensai che non avevo niente da guadagnare a essere libero… La mia cena furono un pezzo di pane e pochi fichi, prima di andare a dormire nel granaio. Qui ebbi il tempo di contare i miei grani di pepe: me ne restavano 13 e li rimisi nel sacchetto. Senza riflettere bene a quello che facevo, nascosi quel sacchetto sotto una trave: era tutta la mia fortuna e ciò mi fece ridere!… Nel cuore della notte, fui risvegliato dall’oste: alla luce fioca della candela frugava nei miei pantaloni. Poiché sapeva bene che io non avevo denaro certamente stava cercando il pepe. A forza di frugare perfino nelle cuciture, scoprì un grano che mi era sfuggito, fece un grugnito di soddisfazione e se ne andò. Il mattino, me la squagliai, naturalmente con il mio pepe!”.
“Parlami dell’oste, non è stato bastonato?” domandò il Pascià tra un boccone e l’altro.
I racconti arabi si snodano senza fine, come una stella filante, inseguendo le vicende di tutti i personaggi. Il Pascià fu quindi deluso nel sentire che Giannetto non sapeva nulla del suo ladro.
Il ragazzo riprese: “Fuori scorsi un uomo di alta statura, che mi sembrava un religioso, vestito di bianco. Costui si dirigeva verso una casa che aveva l’aspetto di una fortezza. Con il cuore che mi batteva forte, mi misi a correre e oltrepassai la porta subito dopo di lui. Cercai di raccontargli la mia avventura perchè volevo che qualcuno mi aiutasse, ma egli non ne aveva alcuna intenzione. Allora, preso dalla disperazione, gli offrii tre grani di pepe. Subito, un altro religioso che era rimasto in parte silenzioso, venne verso di me; prese i grani, mi condusse in cucina, dove mi fu data una buona minestra e poi nel magazzino dove mi vestirono decentemente. Quando uscii di là, il mercato era zeppo di gente e nessuno faceva caso a me. A un certo momento, nel tumulto delle discussioni, sentii una voce che gridava: ‘E’ caro come il pepe!’. Allora non esitai a tentare il colpo grosso: mi avvicinai a un farmacista, che aveva il negozio traboccante di fiale, di vasi e di boccali sigillati. In seguito seppi che si chiamava Pastenague. Dapprima egli si mostrò arrogante, ma io me l’aspettavo… Alcuni grani nel palmo della mia mano gli fecero allungare il collo e arrotondare l’occhio come una gallina che ha scorto un verme. Io fissai un prezzo: quattro denari d’argento per ogni grano; ci volle molto tempo perchè si decidesse, ma, alla fine, aprì uno scrigno chiodato sul quale era seduto, prese quattro grani e mi diede in cambio sedici monete d’argento tirate fuori dallo scrigno”.
“Potevi chiederne anche di più” disse il Pascià da uomo che se ne intendeva, “i giauzzi (infedeli) sono più avidi di pepe che d’oro. Ma che cosa è successo poi ai monaci?”
“Non so.” rispose Giannetto, “Con il mio denaro andai ad alloggiare nell’albergo della Palma, il migliore della città, e feci alcune spese necessarie per il viaggio. Infatti, con i cinque grani che mi restavano, credevo ormai possibile il ritorno al mio villaggio. La sera, a cena, una compagnia di mercanti che stavano andando alla fiera di Beaucaire, venne a sedermisi vicino. Essi erano molto allegri, io bevvi del vino e parlai loro del mio sacchetto di pepe che portavo appeso al collo come uno scapolare. Essi mi assicurarono che alla fiera ne avrei ricavato comodamente una libbra parigina per ogni grano e mi proposero di fare la strada assieme a loro: mi avrebbero aiutato a ricavarne un buon guadagno. Io ne provai un piacere tale che feci versare da bere molte volte a tutta la tavolata. Ma il vino che non conoscevo oramai da molti anni mi fece girar la testa… Mi svegliai, tardi, il mattino seguente; l’albergo era silenzioso, senza i campanelli dei muli, senza nitriti e senza il va e vieni dei palafrenieri con gli zoccoli. Mi precipitai alla finestra…”
Qui il Pascià si lasciò andare sul dorso agitando le gambe, chiocciando di soddisfazione.
“Ho indovinato!” gridò, “La carovana ti aveva piantato dopo averti derubato!”.
“Sì, ero stato derubato” fece Giannetto. “Qualcuno aveva tagliato il cordoncino del mio sacchetto; andai a sedermi nella grande sala, accasciato… e passò un po’ di tempo. Verso mezzogiorno, vidi entrare Pastenague preoccupato in cerca di qualcuno. Mi si avvicinò lentamente, mi tirò per la manica e mi disse all’orecchio: ‘Mi impegno a comperare tutto il pepe che potrai vendermi, fino a un quarto di libbra e a buon prezzo’. Mi voltai verso di lui e gli dissi che potevo procurargliene non solamente a dozzine di grani, e neppure a quarti di libbra, ma a centinaia di sacchi di cento libbre… e così pure per la vaniglia, per la noce moscata, e per i chiodi di garofano… Pastenague spalancò gli occhi e mi guardò spaventato: mi credeva matto! Ma oramai mi ero lanciato; descrissi le banchine del porto di Alessandria, i suoi magazzini dove si ammucchiano a montagne le balle delle spezie profumate. L’impressione del mio discorso su così viva che, prima di sera, avevamo firmato un contratto a tre: Pastenague, Goffredo, un socio che ho trovato senza difficoltà, ed io. Tu lo conosci, o signore, poichè ne hai visto l’originale e la traduzione. Tu hai certamente notato che il mio aiuto consiste nella conoscenza della lingua, ma soprattutto nella promessa della tua magnanima protezione…”.
“Avrai tutte le merci che desideri” disse il Pascià “alle stesse condizioni che noi facciamo ai mercanti genovesi”. Poi aggiunse: “I credenti e i giaurri non andranno mai d’accordo, ma possono però commerciare: il commercio è gradito a Dio; il tuo viaggio ti renderà ricco. A proposito: ti ricordo che io da solo voglio guadagnare quanto voi riuniti insieme. Ma voi siete solamente due. Parlami del tuo farmacista”.
“A proposito di lui, posso risponderti. Eravamo sulla nave in partenza col cuore stretto dall’angoscia al pensiero dei pericoli che ci attendevano. Il capitano comandò di ritirare la passerella che ci collegava ancora alla terra. Si udì allora un grido acuto e noi vedemmo Pastenague che fuggiva dalla nave correndo sulla passerella con il suo scrigno sulle spalle; e, sempre gridando, scomparve fra i pini sulla spiaggia. In quel momento il capitano lanciò l’ultimo ordine: ‘Fate le vele, con l’aiuto di Dio’.”.
Abdullah e il pepe – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Le terre che Carlo Magno aveva distribuito a conti e marchesi di chiamavano feudi, e coloro che le avevano ricevute venivano chiamati col nome generico di feudatari. Il possesso di un feudo durava quanto la vita del feudatario, e alla morte di quest’ultimo tornava sotto la diretta signoria dell’Imperatore. Coloro che avevano ricevuto un feudo dall’imperatore divenivano suoi vassalli e, finché vivevano, potevano godere di tutti i prodotti della terra su cui governavano. I vassalli, in cambio, giuravano fedeltà all’imperatore, avevano l’obbligo di versargli una parte delle ricchezze ricavate dal feudo e, in caso di necessità, di procurargli un dato numero di guerrieri. Col tempo i vassalli ottennero di essere esonerati dal pagamento delle tasse e dall’arruolamento di guerrieri. Infine, i feudatari più potenti, approfittando della debolezza di alcuni imperatori, ottennero che i loro feudi , da vitalizi, diventassero ereditari. I vassalli, divenuti proprietari del loro feudo, ne assegnarono, a loro volta, una parte ad uomini loro fedeli che si chiamavano valvassori. Costoro avevano verso i feudatari gli stessi obblighi che i feudatari avevano verso l’imperatore. Col tempo, ottennero anch’essi che le loro terre, assegnate a vita, divenissero ereditarie. Talvolta anche i valvassori affidarono una parte delle loro terre ad altri: i valvassini. La terra era lavorata di coloni e dai servi della gleba. I coloni dovevano dare al signore una parte dei raccolti e lavorare gratuitamente per la manutenzione di strade, ponti, canali. I servi della gleba (cioè i servi della terra) vivevano quasi come schiavi; non potevano sposarsi, né farsi religiosi, né cambiare mestiere, né trasferirsi altrove senza il consenso del padrone che, spesso, li tormentava con ogni sorta di prepotenze. In caso di vendita del fondo su cui lavoravano, i servi della gleba passavano in potere del nuovo padrone, come cose o animali. La cerimonia con cui si consegnava un feudo a un vassallo si chiamava investitura. Essa avveniva alla presenza di tutti i maggiori dignitari dell’Impero. Il vassallo, in ginocchio, poneva le mani nelle mani dell’imperatore giurandogli fedeltà. L’imperatore, allora, se il feudo era una marca, gli consegnava una spada per ricordargli che doveva essere pronto a difendere con le armi quanto gli era stato affidato; se invece si trattava di una contea, gli offriva una zolla di terra o un mannello di spighe. I feudi, divenuti ereditari, spettavano sempre al figlio primogenito. Gli altri figli si avviavano alla vita ecclesiastica o, ricevuti dal padre un’armatura e un cavallo, cercano gloria e fortuna combattendo per i potenti. Dapprima i cavalieri, ammirando soltanto la forza, si mostrarono intrepidi e crudeli. Poi, per merito della Chiesa, che predicava l’amore per il prossimo, divennero generosi, onesti, e si dedicarono alla difesa dei deboli e degli oppressi.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Per il lavoro di ricerca
Che cosa erano i feudi e come si chiamavano gli assegnatari? Di che cosa poteva godere il vassallo? Quali obblighi aveva verso l’imperatore? Chi erano i valvassori e i valvassini? Chi erano i coloni e i servi della gleba? Come erano considerati questi ultimi? Che cos’era l’investitura a vassallo? Come avveniva? Chi erano i cavalieri e come dovevano comportarsi? Come si svolgeva la giornata del castellano? Quali erano i costumi feudali? Quale era la cerimonia dell’armamento di un cavaliere? Come ci si comportava a tavola nell’epoca medioevale? E quali erano i cibi? Come si faceva la toletta quotidiana? Esistono ancora molti castelli in Italia; cerca, se possibile, di visitarne uno e osserva la sua struttura caratteristica (il ponte levatoio, il fossato, le torri, il torrione, ecc..); cerca di spiegarti perchè mai sia stato costruito così in alto; procura infine di disegnare un castello, magari servendoti di un’illustrazione. Visita qualche museo o ricerca delle illustrazioni che raffigurino le armi e le armature dei soldati di questo periodo. Le case dei servi della gleba sorgevano ai piedi del castello. Perchè? Come e cosa mangiavano i nobili signori del Castello? Quali divertimenti avevano i feudatari? Procura di conoscere i particolari della cerimonia detta dell’investitura e poi, con l’aiuto di qualche amico, prepara una scenetta da recitare in classe. Chi erano i Cavalieri? Quale scopo si prefiggeva la Cavalleria? Quale carriera doveva seguire un giovane prima di essere nominato cavaliere?
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Il borgo
Il feudatario viveva nel castello. Intorno ad esso sorgeva il borgo, cioè l’insieme delle umili abitazioni degli artigiani e dei servi della gleba. Gli uni fornivano al feudatario i prodotti agricoli, gli altri (tessitori, sarti, calzolai, falegnami, fabbri) gli oggetti indispensabili alla sua vita e a quella dei suoi soldati e servitori. In caso di guerra, gli abitanti del borgo si rifugiavano nel castello.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Potenza dei feudatari
Il feudo aveva tre elementi costitutivi: il beneficio, cioè la concessione del territorio, fatta dal re; il Vassallaggio, ossia l’assunzione degli obblighi verso il sovrano da parte del feudatario; l’immunità, cioè praticamente una sempre maggiore indipendenza del feudatario nei confronti del re. A questi elementi venne ad aggiungersi anche l’ereditarietà. Dopo la morte di Carlo Magno, infatti, i grandi feudatari esercitarono fortissime pressioni per ottenere che, alla loro morte, i territori da essi amministrati, anziché tornare al re, passassero in eredità ai loro figli. Carlo il Calvo, uno degli imbelli sovrani succeduti a Carlo Magno, finì col cedere a questa richiesta e nel Capitolare di Kiersy dell’anno 877 dichiarò di riconoscere ed accettare il principio dell’ereditarietà. I feudi divennero gradatamente sempre più potenti e indipendenti, e formarono veri e propri stati negli stessi confini del regno. I potenti feudatari vivevano nei loro Castelli turriti che, dapprima non furono che semplici fortezze, ma vennero col tempo a trasformarsi in comode e splendide dimore, centri di vita economica, sociale e culturale.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Omaggio e investitura
L’investitura era la cerimonia simbolica con la quale veniva stabilito il contratto feudale: in origine, il vassallo si chinava ai piedi del signore e, mettendo e sue mani nelle mani di lui, gli si dichiarava vassallo. Questo atto era detto omaggio: a sua volta, il signore lo sollevava e lo baciava sulla bocca; seguiva un giuramento di fedeltà, poi il signore gli consegnava un simbolo della terra datagli in feudo: la spada, per difenderla, oppure un ramo, un mazzo di spighe, una zolla.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La vita nell’epoca feudale
Nell’epoca feudale le città sono in piena decadenza: vi vivevano piccoli commercianti ed artigiani, povera gente gelosa della libertà, ma senza difesa e soggetta a tutte le angherie degli eserciti che passavano. Anche le città facevano parte del feudo, ma erano generalmente trascurate dai signori, perchè il centro della vita feudale era il castello; vi aveva invece una certa importanza il Vescovo. Il castello, in cui risiedeva il feudatario, era costruito in posizione dominante e facilmente difendibile. La massiccia costruzione era cinta di mura poderose, orlate alla sommità di merli che servivano di riparo ai combattenti. Intorno vi correva un fossato, pieno di acqua, su cui si abbassavano uno o più ponti levatoi: in caso di difesa essi venivano alzati, in modo da impedire ogni passaggio verso l’interno del fortilizio. All’interno vi erano ampi cortili su cui si aprivano le abitazioni, i magazzini, le scuderie, gli altri locali adibiti a vari usi. Le stanze erano vaste ma disadorne e piuttosto oscure. Solo in seguito le dimore signorili si abbellirono di ornamenti, oltre che di trofei di caccia e di guerra, e divennero più comode e perfino lussuose. Il castello è un poco il simbolo della vita aspra e violenta dell’età feudale. La guerra, la preda, il saccheggio, le incursioni nei territori nemici erano quasi consuetudini. La forza fisica, il coraggio, l’abilità di maneggiare le pesanti armi erano le doti più considerate. La caccia era insieme un divertimento e un mezzo per procacciarsi la selvaggina per i banchetti del castello. Non vi erano altri divertimenti che i tornei, combattimenti simulati tra guerrieri o tra gruppi, i conviti e le gagliarde bevute; si assisteva talora ai lazzi ed agli esercizi di giullari o si ascoltavano i canti d’amore e di guerra dei trovatori. Una cerimonia solenne della vita feudale era l’investitura. Il signore alla presenza della sua corte riunita riceveva l’atto di omaggio del vassallo e il giuramento di fedeltà; poi lo investiva del feudo, cioè gli conferiva i diritti sul territorio, consegnandogli un simbolo: una spada, un anelo, un gonfalone o, se il feudo era modesto, un fascio di spighe o anche una zolla. La povera gente viveva in capanne o in squallide dimore poste nelle immediate vicinanze del castello, in cui si rifugiava quando si avvicinava la minaccia della guerra. Attività fondamentale era l’agricoltura, praticata in grandi proprietà, che avevano per centro il castello o la curtis (cioè la fattoria con le abitazioni, le stalle, i fienili, i magazzini, i mulini e tutto quanto occorreva). In esse si produceva quello che era necessario alla vita degli abitanti: al di fuori si comperava ben poco, solo qualche prodotto essenziale come l’olio o il sale, e ben poco si andava a vendere alle fiere e ai mercati che periodicamente si tenevano in certe località. Per questo, ed anche per la mancanza di vie di comunicazione e per i continui atti di brigantaggio, i traffici erano scarsissimi. Il feudo era un mondo chiuso che bastava a se stesso. (C. Bini)
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Il castello
Il feudalesimo è l’età dei castelli. Massicci e ben fortificati, essi sorgono per lo più in luoghi naturalmente difesi, sulle alture da cui dominano la piana sottostante, all’imbocco di gole montane o presso un ponte o negli incroci delle vie più battute, per obbligare i passanti a pagare pedaggi e tributi per il trasporto delle merci. Varie cerchia di mura merlate, con torri e porte, cingevano il castello. Esternamente e tra una cerchia di mura e l’altra, correvano larghi fossati sormontati da ponti levatoi. Alte torri fiancheggiavano l’edificio, da cui spiare le mosse del nemico e scagliare dardi e pietre sugli assalitori: poche e strette feritoie si aprivano nelle mura esterne. Oltrepassato il ponte levatoio si giungeva nel cortile del castello al cui centro, generalmente, c’era un pozzo. Tutto attorno al cortile si aprivano le porte della scuderia; dell’armeria, piena di corazze, di spade, di lance, di archi e di scudi; della cucina, ampissima e annerita dal fumo; degli alloggi per la servitù e, infine, quelle della cappella. Una scala conduceva al piano superiore, dove’erano le stanze del feudatario e dei suoi familiari. Le pareti degli ampi locali erano generalmente coperte da arazzi e da affreschi. Il pavimento, invece, era di semplice pietra. I mobili, scarsi e poco comodi, consistevano in grandi cassoni di legno scolpito, dove venivano riposti gli abiti; in sedie rigide e dure con alti schienali; in tavoli robusti. Per la pulizia del mattino, nelle camera da letto si trovava soltanto una bacinella sorretta da un treppiede di ferro o di legno. Le stanze non erano luminose poichè le finestre, per ragioni di difesa e per il costo dei vetri, erano assai piccole. Al calar del sole di infilavano in appositi anelli, fissati alle pareti, grosse torce resinose che illuminavano le sale di una luce rossastra e incerta. Nella stagione invernale l’unico mezzo di riscaldamento era costituito da immensi camini, il cui calore si disperdeva nei vasti saloni. Nel castello si rendeva giustizia e si tenevano i prigionieri; spesso sotterranee, tetre e umide erano le carceri, presso le quali era la camera di tortura. Dentro il castello si rifugiavano i contadini, quando le loro terre erano invase. Nel castello feudale si distinguono tre parti: la cinta, il mastio (che avevano entrambi scopi di difesa) e il palazzo dove abitava il signore. La cinta era in muratura, con torri agli angoli. Si ebbero anche due o tre mura di cinta; la più esterna racchiudeva il borgo. Dopo il secolo III, specie nei castelli di pianura, comparve il fossato, col ponte levatoio. Il mastio era la torre più alta che sorvegliava tutta la cinta, e in cui ci si asserragliava per l’ultima difesa. Il palazzo comprendeva la sala delle udienze, le stanze del feudatario, affacciate sul grande cortile interno, le camere dei cortigiani e della servitù, le cucine e le scuderie. Nei sotterranei vi erano le prigioni ed i magazzini.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Vita nel castello
Nelle lunghe serate invernali, non appena le prime ombre battono ai vetri a piombo filato delle finestre, nella sala oscura si accendono le lucerne ad olio; la cena è pronta ed il signore, la madonna, i figli e gli ospiti si seggono a tavola. Subito dopo, la famiglia si riunisce sotto la cappa del vasto camino e al riverbero della fiamma, recita la preghiera. Fatto il segno della croce, il signore si alza e si avvia verso le sue stanze; i familiari lo seguono; la fumosa fiamma della lucerna scompare davanti a loro e il buio si fa più denso, il silenzio più profondo; il castello si addormenta. Nei profumati pomeriggi di primavera, invece, tutta la famiglia si raccoglie sul verziere e, fra risa e canti, si intrattiene in lieti passatempi, in dolci novellari. Spesso i giovani escono e sul sagrato della chiesa o sul largo spiazzo del castello, danzano il trescone. E’ in questo tempo che il giocoliere bussa alla porta del castello: la famiglia accorre, gli fa festa ed egli, al suono di un vecchio strumento musicale, fa ballare l’orso e la bertuccia. La sera il giocoliere, con raffinata arte immaginativa, racconta ai familiari le proprie avventure: parla di luoghi lontani e meravigliosi, di imprese leggendarie ed eroiche, di ricchezze favolose, di tragedie sinistre; sorride e freme la famiglia a quel parlare.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La sentinella
Sulla torre più alta del castello stava di guardia una sentinella che doveva sempre vigilare, particolarmente di notte. Per resistere al sonno, la sentinella scambiava ogni tanto un grido con i soldati di guardia in altre parti del castello. Un gridava: “Sentinella all’erta!” e l’altro rispondeva: “All’erta sto!”. Di giorno la sentinella segnalava l’arrivo di estranei, fossero essi amici o nemici.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Il saluto
Quando nel castello entrava un cavaliere, si toglieva l’elmo per dimostrare le sue intenzioni pacifiche e soprattutto la sua certezza di non essere tradito. Tale uso passò nell’esercito: ma poichè un soldato non poteva mai presentarsi disarmato, i guerrieri medioevali, trovandosi di fronte ad un loro superiore, non si toglievano l’elmo ma sollevavano la visiera scoprendo il volto. La consuetudine di portare la mano alla fronte, quasi per alzare un’immaginaria visiera, sussiste ancora oggi.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La guerra
Quando il feudatario doveva partecipare alle guerre intraprese dall’imperatore, conduceva con sé un certo numero di guerrieri. A guardia del castello rimanevano allora pochi soldati, i servitori e gli umili abitanti del borgo. Altre volte la guerra scoppiava fra due o più feudatari: allora il più forte invadeva i territori dell’avversario, ne devastava i raccolti e, infine, assaliva il castello.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La tecnica dell’assedio
L’assalto a un castello si svolgeva generalmente second una tecnica fissa. Una prima fase consisteva nel circondare completamente il castello, con la cavalleria, per impedire agli assediati ogni possibilità di fuga. Seguiva il bombardamento con le macchine da lancio: mangani e trabucchi; in questo modo di cercava di smantellare le difese dell’avversario e di danneggiare le sue macchine belliche, per preparare le condizioni adatte al vero e proprio assalto. L’assalto veniva preceduto dal tentativo di colmare il fossato; a questo scopo molti uomini correvano fin sul ciglio, vi gettavano delle fascine e poi si ritiravano precipitosamente, per evitare le pietre, le sostanze infuocate e le frecce che i difensori lanciavano su di loro. Ripetendo molte volte questa manovra, si poteva creare un passaggio attraverso il fossato per le truppe di assalto che dovevano tentare la scalata delle mura servendosi di lunghe scale. La loro azione era coadiuvata dalle torri mobili, dall’alto delle quali si potevano colpire i difensori delle mura molto meglio che dal basso.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La tecnica difensiva
E i difensori? Non restava loro che cercare di distruggere o di incendiare le macchine nemiche, lanciando pietre e sostanze incendiarie. A quelli che tentavano la scalata delle mura, riservavano una speciale accoglienza, a base di pentoloni di pece e di olio bollente. Se con l’uso di questi mezzi o con qualche audace sortita notturna non riuscivano a piegare la volontà degli aggressori, i difensori di un castello assediato mantenevano ben poche speranze di salvezza. Se non volevano arrendersi, dovevano prepararsi all’ultima disperata difesa nel mastio,la costruzione centrale del castello, nella quale si sarebbero asserragliati quando le mura e i cortili fossero caduti in mano al nemico.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Vita feudale
Appena dalle alte torri si avvistava l’approssimarsi di un attacco nemico, i popolani del borgo entravano nel cortile, si alzava il ponte levatoio e il castello restava isolato dal profondo fossato che gli attaccanti cercavano di superare con ponti mobili. Dalle mura fioccavano frecce, sassi, olio bollente e qualsiasi cosa potesse colpire gli attaccanti, che tentavano di salire con scale a pioli. In tempo di pace, il castello era ugualmente luogo di raccolta dei borghigiani. Nell’interno, non mancava mai la cappella. Nei giorni in cui il cortile si trasformava in mercato, vi convenivano non solo i mercanti della regione, ma anche i venditori ambulanti che arrivavano da lontano; questi accorrevano specialmente nei castelli dove il Barone aveva appeso il proprio sudo con lo stemma di famiglia nel cortile o sulle mura: questo significava che aveva sfidato altri Baroni a una giostra cortese e, in occasione di tali spettacoli, arrivavano sempre persone in vena di… spendere, e gli ambulanti facevano buoni affari. Oltre alle giostre d’armi, i Baroni organizzavano grandi battute di caccia, nelle quali mettevano in mostra non solo la loro abilità nel cavalcare, ma anche quella dei cani e degli uccelli rapaci, come falchi e astori, addestrati a catturare la selvaggina. Nella caccia, la preda preferita era il cervo. Quando la cattiva stagione non permetteva di divertirsi all’aperto, il Barone invitava i suoi amici nobili a banchetto nella grande sala del castello, l’unica ad essere riscaldata, perchè il fuoco era sempre acceso nel caminetto. Durante i banchetti, si divoravano enormi arrosti e si rideva ai lazzi dei giocolieri; lo spettacolo più gradito era quello offerto dai giullari che cantavano le avventure dei Paladini di Carlo Magno o le vicende dei Cavalieri della corte inglese di Re Artù. Oltre ai giullari, nei castelli vennero in seguito i trovatori e i menestrelli esperti nel comporre e nel cantare canzoni d’amore in onore delle belle dame. A tavola, I Baroni si divertivano anche con le pesanti coppe di metallo: per mettere in mostra la loro forza afferravano in due una coppa colma di vino alla quale l’uno e l’altro cercavano di bere tirandola a sé. Una specie di braccio di ferro, insomma. Nel castello non esisteva un bagno. Solo in casi… eccezionali (perchè di diceva che la pulizia togliesse la forza), il Barone si lavava in un mastello di legno. La castellana aveva anche il compito particolare di prendere e uccidere i pidocchi e le pulci che infestavano il Barone. Purtroppo, con Carlo Magno non era scomparsa solo la grandezza dell’Impero Carolingio, ma anche la bella abitudine di fare spesso il bagno!
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La giornata di un castellano
Appena vestito, il Castellano fa le prime devozioni prostrato all’inginocchiatoio, e la Castellana nel piccolo oratorio adiacente alla sua camera. Poi tutta la famiglia si raccoglie ad ascoltare la messa nella ricca e fastosa cappella, celebrata da un religioso che risiede nel castello. Dopo di che la Castellana dà una prima capatina alle cucine, e il Signore alle scuderie o alla sala d’armi, dove attende ad armeggiare col figliolo, o con gli ospiti, o con gli scudieri. Le figlie girellano intanto nel giardino, cogliendo fiori. Alle dieci della mattina uno squillo di corno annuncia il pasto. Anche nei giorni ordinari vengono serviti molti e grassi piatti: carne di bue, di cinghiale, di montone, di capriolo, galline, fagiani e via dicendo, condite con salse piccanti, tutte aromi e pizzicorini mordenti come pepe, chiodi di garofano, cannella, ginepro, ambra, benzoino, noce moscata, anice, ed altre nostrane ed orientali delizie, sulle quali primeggiano l’aglio e la cipolla. Dopo il pranzo, che è protratto il più lungamente possibile, il Signore fa la siesta; i fanciulli, dopo essersi dedicati ad alcuni esercizi sportivi, riparano col pedagogo nella stanza degli studi. La Castellana e le figlie si ritirano nelle loro camere, ove attendono, nella speranza di qualche visita, ad adornarsi. Quando capitano visite, o vi sono ospiti in casa, verso le due tutti convengono in giardino o nel parlatorio, e là si trattengono mangiando dolci e bevendo. Vengo serviti rosolio, marmellata, e perfino uccelletti arrosto, oltre alla migliore frutta della stagione. La Castellana appresta canzonieri scelti ed ogni sorta di strumenti musicali, e si canta e si suona fino all’ora della cena, che avviene tra le quattro e le cinque pomeridiane ed è il pasto principale della giornata. Venuta la sera, il Castellano si riduce accanto al fuoco in sonnecchioso silenzio, e le dame, fatte alcune lente danze al fioco chiarore delle fumose lucerne, prima novellano alquanto tra di loro, indi recitano in cerchio le preghiere, ed il cappellano dà loro lo spunto. Poi i valletti mescono al padrone il vino del sonno, quindi i Castellani, augurata la buona notte, seguiti dai rispettivi servi, si recano a dormire. (G. Giacosa)
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Occupazione di una castellana
La ragazza che andava sposa ad un feudatario, passava improvvisamente dallo stato di soggezione che aveva subito come figlia ad una posizione di attività ed importanza. Essa non era affatto la schiava del marito, ma la sua consigliera e la sua fedele collaboratrice. Gli interessi del marito diventavano la sua preoccupazione principale e ad essi sacrificava anche l’accudimento e l’educazione dei figli, che erano affidati a delle nutrici. La castellana era più moglie e padrona che madre. Organizzava tutto il necessario per nutrire e vestire gli abitanti del castello; era questo un lavoro che occupava un’intera vita e richiedeva abilità di attenta amministratrice. Quello che era necessario per una casa non poteva essere acquistato come oggi con una rapida spesa in negozio: ciò che non veniva fornito dai campi doveva essere ordinato molto tempo prima là dove lo si poteva trovare e nella quantità necessaria. Inoltre la castellana doveva curare la conservazione delle carni, della cacciagione e dei pesci e assicurare la legna per i caminetti e per la cucina. Era anche la signora che dirigeva i lavori di filatura della lana, di tessitura delle stoffe e di manifattura dei vestiti, che veniva eseguita dalle domestiche e dalle contadine. (G. M. Trevelyan)
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La caccia
Il feudatario, fosse o non fosse leale nei confronti del suo re, viveva essenzialmente per la guerra; e si teneva pronto, da un giorno all’altro a lasciare il suo castello ed a partire con i suoi più fedeli cavalieri a combattere. Quando, tuttavia, non v’era guerra, i suoi divertimenti prediletti erano altrettanto rudi: la caccia o il torneo. Se la caccia allietava il signore, essa era, per i miseri servi della gleba, un vero flagello. Per inseguire un cervo in fuga, o per catturare cinghiali, i cacciatori non esitavano di solito a lanciarsi, a cavallo, attraverso i campi coltivati con lunga ed assidua fatica, distruggendo gran parte delle colture. La caccia era rigorosamente riservata al signore, e pene gravissime erano comminate per chi osasse abbattere un qualsiasi capo di selvaggina. Più tardi, anche ai contadini fu permesso cacciare, ed il codice di nobiltà feudale distingueva gli animali in nobili ed ignobili. I primi, riservati ai signori, erano il cervo, l’alce, il capriolo e la lepre; i secondi, che potevano essere cacciati anche dai contadini: il lupo, la volpe, il cinghiale e la lince. La caccia dava occasione a festosi raduni, a grandi cavalcate, a lotte avventurose con le belve (orsi, lupi, cinghiali) che allora non mancavano nei boschi. Una forma di caccia più tranquilla ed elegante, praticata anche dalle dame e dalle damigelle, era la falconeria, cioè l’arte di dar la caccia agli uccelli servendosi di falconi addestrati in modo particolare. Questo addestramento era opera di specialisti, ma gli stessi signori vi spendevano molto tempo. Il cacciatore o la cacciatrice portavano il falcone sul polso avvolto in un guanto di cuoio. Appena avvistava la preda, il falcone si lanciava a volo, uccideva e tornava a posarsi sulla mano aperta del padrone che lo attendeva. I signori più ricchi tenevano costose collezioni di uccelli da caccia, non soltanto falconi, e schiere di falconieri addetti al loro addestramento. Il signore e la signora amavano tenere con sé il falcone preferito anche durante le conversazioni. Alcune dame se lo portavano perfino in chiesa, appollaiato sul polso. L’imperatore Federico II compose un famoso trattato sull’arte della falconeria. Ancora oggi talune popolazioni nordiche vanno a caccia con l’aquila: in Estremo Oriente si va ancora a pesca col cormorano.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La caccia: passatempo e necessità
La caccia tanto celebrata dai poeti non è tanto un passatempo della nobiltà, quale si rispecchia nella poesia cavalleresca del Medioevo, quanto una necessità di carattere economico. L’allevamento del bestiame da macello non era sufficiente per coprire il fabbisogno: perciò si andava nei boschi a procacciarsi la carne. Le risorse di grossa selvaggina erano così abbondanti, che in una buona partita di caccia ci si poteva rifornire per molte settimane. Più di tutto abbondavano i cinghiali; anche gli orsi si trovavano, e ancora oggi si trovano, in tutte le parti d’Europa; non occorrevano lunghi appostamenti per cervi e caprioli, e quanto ai volatili ce n’era a volontà. Ma i cacciatori procedettero con tanto impegno che dopo un paio di secoli una buona parte della selvaggina era sterminata. Gli europei del Medioevo mangiavano molta carne. L’alimentazione dei poveri era invero pregiudicata spesso dalle necessità della guerra o dalla scarsità dei raccolti, ma in tempi di pace era relativamente buona. Poiché c’erano poche grandi città, ai contadini rimaneva più roba. (Morus)
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Il torneo
Il torneo è il gioco che si avvicina di più alla guerra. Perciò, quando si offre l’occasione di prendere parte a una di queste feste, che vengono annunciate con molto anticipo a suon di tromba, il signore non le perde. Eppure, la partecipazione a un torneo è costosissima. Molti signori si rovinano, volendo gareggiare in lusso con quelli che sono più ricchi. Infatti, bisogna comprare una lancia con gli stemmi, uno scudo con il blasone del signore che permetta agli spettatori di riconoscerlo anche quando ha abbassato la visiera dell’elmo, un’armatura nuova e una bardatura di lusso per il cavallo… Alla vigilia dell’incontro, la città nella quale sta per avere luogo il torneo è illuminata. Gli scudi dei combattenti sono appesi davanti alle case dove essi sono alloggiati. Al suono delle trombe ha inizio, attraverso la città, la sfilata dei cavalieri che prenderanno parte al torneo. Il giorno dopo, un tratto di strada viene chiuso da barriere perchè serva da campo di battaglia. L’acciottolato viene coperto di paglia e di sabbia; tutte le finestre delle case che fiancheggiano questa lizza traboccano di spettatori. Coloro che non sono stati ammessi ai posti d’onore si ammassano dietro le barriere. L’araldo annuncia con voce squillante il nome dei combattenti che entrano in quel momento dai due lati opposti della lizza. Essi fermano per un istante la cavalcatura, salutano con la lancia le nobili dame e attendono il segnale della tromba. Risuona un breve squillo. Gli avversari speronano il corsiero e si dirigono l’uno verso l’altro con la lancia stretta sotto il gomito destro e lo scudo appeso al braccio sinistro che serve loro contemporaneamente per guidare la bestia. Quando si scontrano verso la metà del percorso, un colpo sordo risuona. Spesso uno dei due avversari viene buttato a gambe all’aria e va a rotolare nella polvere, oppure le due lance si rompono e i due cavalieri trasportati dal loro slancio continuano la corsa fino all’estremità della lizza; qui si voltano subito, per ricominciare una nuova carica con un’altra lancia che uno scudiero presenta loro. I tornei offrono a quelli che sono abili giostratori anche una possibilità di… guadagno, oltre al piacere di battersi e di riportare una vittoria davanti a una brillante assemblea di dame e di signori. Il vincitore, infatti, si può impossessare dell’equipaggiamento e del cavallo del vinto: talvolta, anche della persona e gli restituisce la libertà solo a prezzo di un forte riscatto.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture La giustizia durante l’età feudale
Allorché un accusato non aveva altro modo per provare la propria innocenza, ricorreva al giudizio di dio, certi com’erano gli uomini di quei tempi che dio avrebbe aumentato le forze dell’innocente e diminuite quelle del colpevole. Il duello era il più diffuso tra i giudizi di dio: dei due duellanti il vincitore era l’innocente o colui che aveva ragione in una vertenza. Altro giudizio era la prova dell’acqua: se l’acqua era bollente, l’accusato doveva immergervi un braccio senza scottarsi; se era fredda, l’imputato doveva tuffarcisi dentro (si trattava di un tino molto più alto di lui) senza toccare il fondo ma galleggiando. Se le prove non riuscivano egli era colpevole. La prova del fuoco in un certo senso era simile a quella dell’acqua bollente: l’accusato doveva portare per tre metri una massa di ferro rovente fra le mani; poi il sacerdote gli congiungeva le mani, le fasciava e vi poneva il proprio sigillo: dopo tre giorni, se vi erano scottature era colpevole. Altre prove del fuoco consistevano nel camminare su lastre roventi o di passare fra cataste ardenti, per un pertugio ampio poco più di mezzo metro. (C. Bini)
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Alcune pene per i colpevoli
Nel Medioevo la pena di morte era comminata frequentemente e talvolta per delitti che oggi avrebbero un castigo assai lieve; ma il modo di vedere le cose, in quei tempi, era assai dissimile da quello moderno, e soprattutto vigeva il criterio, in epoche così torbide e malsicure, di reprimere certi delitti molto frequenti e facilitati dalla situazione. La pena di morte veniva applicata con la decapitazione, con l’impiccagione, lo squartamento, l’annegamento e con altri barbari sistemi, il più crudele dei quali era il seppellimento da vivi, inflitto agli omicidi. Un castigo diffusissimo era la berlina, che consisteva nell’esporre al pubblico dileggio il condannato, in vari modi. Il tratto di corda, cioè una barbara fustigazione, serviva soprattutto a strappare le confessioni del reo; ma molto spesso confessavano anche gli innocenti! Gli ecclesiastici erano duramente colpiti; a loro era riservata la gabbia, in cui venivano chiusi come uccelli ed esposti alle intemperie anche per anni, mentre venivano nutriti a pane e acqua. Si praticavano anche le mutilazioni e la marchiatura a fuoco.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture I servi della gleba
Mentre, al tempo di Augusto, tutti erano contenti di far parte dell’impero romano, perchè in esso vi era pace e sicurezza, a poco a poco, col passare del tempo e con l’aumentare delle tasse, le popolazioni si sentivano schiave ed oppresse. Le città si spopolavano perchè, per la povertà della gente, non si potevano più fare buoni commerci. La gente si rifugiava nelle campagne e nei boschi, per nascondersi ai funzionari dello stato. Molti plebei chiedevano protezione a qualche ricco proprietario, che dava loro un po’ di terra da coltivare, li aiutava a pagare le tasse per loro. In cambio questi plebei lavoravano anche le terre del padrone e si impegnavano a non abbandonarle mai. Essi diventavano, insomma, quasi schiavi: venivano chiamati servi della gleba, che vuol dire servi della zolla, cioè della terra. E intanto i barbari si stringevano sempre più intorno ai confini, si infiltravano dentro, dovunque il confine non era ben custodito. Circondato dai nemici, oppresso dalla povertà, l’impero sembrava una grande barca sul punto di affondare.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Le tasse del contadino
Il contadino feudale era ricco solo… di tasse. In denaro aveva tre tasse annue: una modesta tassa annua, per persona, al governo, cioè al re; un modesto affitto per la casa e l’orto al signore; un’imposta richiesta una o più volte l’anno dal signore. Inoltre il contadino aveva questi obblighi: offrire al signore, ogni anno, un decimo del raccolto agricolo o del bestiame; lavorare gratis per il signore un certo numero di giorni l’anno; doveva macinare il grano, cuocere il pane, pigiare l’uva, ecc. sempre nel castello e usando le attrezzature del signore (naturalmente pagava per ogni cosa); pagare per avere il diritto di pescare, di cacciare e di pascolare le bestie nelle terre del signore; pagare quando il signore gli rendeva giustizia in tribunale; servire nella milizia del signore in caso di guerra; contribuire a pagare la somma del riscatto se il signore cadeva prigioniero; offrire ricchi doni al figlio del signore quando veniva fatto cavaliere; pagare al signore una tassa per ogni merce che vendeva nei mercati viciniori; aspettare a vendere il suo vino (o la sua birra, o qualche altro prodotto) finché il signore non avesse venduto il proprio; pagare una multa se intendeva far studiare, o mandare in seminario un figlio, perchè il castello perdeva un uomo; pagare una multa se sposava una persona appartenente ad un altro castello e poi si trasferiva; pagare una decima annua alla Chiesa. Tutto ciò può sembrare gravosissimo, ai nostri occhi. Ma va tenuto conto di alcune cose: mai il contadino era tenuto a tutte insieme queste prestazioni, ma solo ad alcune tra esse, a seconda dei casi. Inoltre, non aveva altre spese, e il signore doveva provvedere alla difesa, alle opere pubbliche, in certi casi alle spese connesse con l’agricoltura (sementi, qualche volta attrezzi, bestiame selezionato da riproduzione), e spesso anche l’obbligo di assistere il colono in caso di malattia o di vecchiaia: questo specialmente per i feudi tenuti da ecclesiastici. In definitiva, è stato calcolato che riguardo al guadagno medio, le tasse che doveva pagare il colono feudale erano meno gravose di quelle che noi paghiamo oggi.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Nel castello feudale
Un grande castello era come un piccolo mondo. Nel vasti cortili erano le dimore degli armigeri e dei servi, grandi cisterne, magazzini e botteghe per gli armaioli, i macellai e i fornai. Nulla vi mancava: dalla cappella alle immense cucine con ampi e bassi camini; dalla sala del trono, nella quale il feudatario rendeva giustizia, al carcere tetro e sotterraneo. Gli uomini che abitavano queste solitarie dimore, quando non erano in guerra, cercavano distrazioni nella caccia, negli esercizi cavallereschi e nei tornei. I tornei si bandivano per lo più in occasione di feste religiose, di incoronazioni o matrimoni di principi e di trattati di pace. Era molto gradito l’arrivo di qualche poeta (trovatore) il quale cantava le tragiche avventure di qualche dama o di qualche barone, o le meravigliose imprese dei paladini di Carlo Magno. Lauti banchetti talora si protraevano per giorni e settimane con feste e baldorie.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Il torneo
I tornei erano grandiose feste d’armi in cui coppie o squadre di cavalieri si assalivano dentro un recinto, contendendosi la vittoria. I cavalieri scendevano in campo rivestiti di armature. Tre squilli di tromba davano il segnale dell’assalto e subito i combattenti si slanciavano l’un contro l’altro, usando lance, spade, mazze. Quando i giudici ritenevano sufficiente la prova lanciavano in mezzo ai cavalieri un bastone, per significare che la giostra era finita; poi proclamavano solennemente il nome del vincitore, che riceveva il premio dalle mani di qualche dama eletta regina del torneo.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Banchetti medioevali
Guardando certe miniature o certi quadri che rappresentano scene di banchetti medioevali siamo generalmente colpiti dallo sfarzo del vasellame e delle vesti, dall’allegria e dalla vivacità dei commensali. Non vi siete mai chiesti quali profumati e appetitosi piatti potessero comparire su quelle mense? Gli uomini del Medioevo non avevano certo a disposizione la varietà e la quantità di cibi che abbiamo noi, oggi che le comunicazioni con tutto il resto del mondo ci permettono di avere sul nostro tavolo cibi provenienti dai più lontani paesi e basta entrare in un negozio per trovare quanto ci occorre. Abbiamo più volte osservato che, se in quell’epoca la caccia era tanto di moda, lo era non solo come… passatempo, ma perchè permetteva, anche ai signori, di unire l’utile (la selvaggina) al dilettevole (occupare gradevolmente le molte ore della giornata). Vediamo dunque che cosa avevano gli uomini del Medioevo a disposizione del loro… appetito. Quanto ai cereali, grano, segale, orzo e riso continuavano ad essere coltivati, come nell’antichità. Anzi, nei paesi occupati dagli Arabi queste colture rifioriscono, perchè gli Arabi sono maestri nell’arte dell’irrigazione. Ci sono zone della Spagna, dal suolo arido, che essi trasformarono in veri giardini: ancora oggi quelle zone conservano il nome di huertas, cioè “orti”. Anche per la trebbiatura, fatta nei nostri paesi battendo le spighe con cinghie e corregge, gli Arabi si mostrano all’avanguardia. Essi trascinano, sulle spighe tagliate, speciali macchine fornite di rulli, allo scopo di separare i chicchi dalla paglia. E’ merito degli Arabi anche l’introduzione nell’Africa del Nord di una specie di grano a chicco duro che, una volta macinato, dà la semola, farina che più tardi sarà particolarmente indicata per la fabbricazione delle paste alimentari. Il grano saraceno, o grano nero, viene anch’esso dalla Tartaria e dalla Russia, giungendo fino in Bretagna e in Normandia dove ancora viene coltivato, così come da noi in alcune vallate alpine, per farne frittelle o, come in quel di Sondrio, la polenta taragna. La patata è ancora assente dalle tavole del vecchio mondo, dove avrebbe potuto bene impedire molte carestie… A quei tempi essa è conosciuta solo nel suo paese d’origine, la Cordigliera delle Ande. I contadini, da noi, devono accontentarsi delle fave; i fagiolini e i fagioli sono noti invece sia agli Arabi sia agli indigeni d’America. E’ probabile che le invasioni barbariche, oltre alle molte disgrazie, ci abbiano portato anche la ricetta delle minestre e dei minestroni nei quali i legumi cuociono insieme alla carne. E veniamo alla carne. Il contadino del Medioevo assapora raramente la carne bovina. L’allevamento di questi animali è infatti costoso; essi sono perciò impiegati essenzialmente come animali da lavoro e vengono macellati solo in occasione di banchetti speciali. Più comune è invece l’uso della carne di maiale, animale più facile da allevare perchè è poco esigente circa la qualità del cibo che gli viene dato. In Europa, naturalmente; non tra gli Arabi, perchè la religione musulmana proibisce loro di mangiare carne di maiale (e giustamente, perchè non è molto igienica nei paesi caldi). Presso gli Arabi invece, le vetrine delle macellerie offrono carne di cane, di gatto, di lucertola e di serpente. Le teste e le pelli di questi animali sono esposte accanto alla carne perchè il cliente sappia bene che cosa compra. Presso gli Aztechi, in America, si mangiano cani di un razza curiosa, sprovvisti di peli, che vengono ingrassati prima di essere sacrificati. Un animale frequentemente cacciato in Italia, Inghilterra e Olanda, prima che dalle specie selvatiche si ottengano quelle domestiche, è il coniglio. Gli uccelli più apprezzati in Europa sono il fagiano e il pavone, che sono serviti sulla tavola circondati dalle loro superbe piume. Anche i piccioni sono pregiati: infatti solamente i ricchi hanno diritto di allevarne. Attorno alle loro piccionaie, gli Arabi piantano la ruta, una pianta amara che ha il compito di tenere lontani i serpenti. I pesci sono ricercati per sostituire la carne durante i periodi di digiuno imposti dalla religione cristiana. I fossati pieni d’acqua che circondano le mura, si popolano di carpe. Durante la quaresima, si vendono anche, come cibo, le aringhe secche e carne secca di balena. Anche i vari tipi di molluschi di mare aiutano a sopportare i rigori della quaresima. In Polinesia si pratica la pesca sottomarina con l’arpione da più di mille anni. E’ venuto il momento di parlare delle famose spezie che venivano dall’Oriente. Per condire i piatti, profumare dolci e anche, almeno così si credo, per curare molte malattie, le spezie mettono in movimento mezzo mondo. Carovane e navi ne assicurano il trasporto e giungono dall’Estremo Oriente, dalle coste dell’Africa o dell’India, coi loro carichi preziosi e odorosi. Quando i Turchi rendono pericoloso il trasporto delle spezie, si cerca un’altra strada da ovest, per mare; sarà il sogno di Cristoforo Colombo. I mercanti di spezie, gli speziali, fanno fortuna; essi vendono: il chiodo di garofano, conosciuto in Cina fin dalla più remota antichità e masticato dai cortigiani per profumarsi l’alito; la noce moscata, portata in Europa dagli Arabi fin dal secolo XI; lo zenzero, ricercato per profumare il pan pepato. Non meno ricercata è la cannella, una scorza proveniente da Ceylon e dalla costa del Malabar che, a partire dal secolo XIII, giunge in Europa attraverso l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e il Mediterraneo. Lo zafferano è coltivato su larga scala in Medio Oriente, ma costa carissimo: in cambio di sei libbre di zafferano si può avere un buon cavallo da sella! Quanto al pepe, la questione del prezzo è risolta in modo molto semplice: esso vale tanto oro quanto pesa. La gente modesta deve accontentarsi di aglio, di cipolla e di senape consumati in quantità enormi. Alcuni mulini hanno un paio di macine per la senape e due paia di macine per il grano. Per completare questo viaggio da buongustai facciamo una visitina nella pasticceria di un bazar orientale. Potete offrirvi un po’ di halva, torrone di miele selvatico riempito di pistacchi e mandorle, e i lokum dolciastri di amido e pistacchi. Ma cos’è questa meraviglia che un pasticcere presenta alla folla stupefatta? Si direbbe un boschetto di rose con le sue foglie; questo dolce raro è riservato per un’occasione eccezionale: si tratta della corona di matrimonio offerta a due giovani sposi. Essa è fatta di zucchero candito, alimento ancora costoso, poichè la coltivazione della canna da zucchero, pianta venuta dalle Indie, è possibile solo nelle regioni molto calde del bacino mediterraneo. Al tempo delle Crociate, la canna da zucchero giunge progressivamente in Spagna e in Sicilia, dove le canne sono macinate da macchine mosse da mulini a vento. E’ una specie di canna che bisogna tagliare a pezzi e torchiare poi in un frantoio per estrarne il succo zuccherino. Questo viene riscaldato e fatto evaporare finché perde i tre quarti del suo volume; quindi versato in appositi stampi, dove solidificando dà dei pani di zucchero. Ma continuiamo la nostra visita attraverso le botteghe del bazar. La polvere ci riempie la gola; perchè dunque non dobbiamo rinfrescarci con un gelato alla melagrana o al miele? Bisogna allora farsi avanti con i gomiti perchè gli amatori sono numerosi. Da dove viene il ghiaccio? Nel Medioevo è già un vero prodotto industriale, in Oriente. Le notti fredde d’inverno permettono di far gelare l’acqua in grandi bacini, poco profondi; gli operai rompono il ghiaccio, che si è formato per lo spessore di alcuni centimetri, e lo fanno scivolare verso il fondo di fresche cantine, dove si conserva facilmente. Questa industria è così prospera che certi Stati ne fanno un monopoli, come avviene oggi in Italia per il tabacco. I gelati sono fatti di ghiaccio grattugiato, di miele e di amido cotto a cui sono aggiunti i frutti e le essenze. Se ne avete voglia potete offrirvi anche una tazza di buon caffè. A partire dal secolo XIII, lo si può bere sia a Aden che in Egitto o in Persia; l’uso del tè, venuto dalla Cina, comincia a diffondersi anche nei paesi musulmani verso lo stesso periodo; ma l’Europa Occidentale ignora ancora il tè e il caffè, nonostante i numerosi viaggi in Oriente. A quei tempi, all’altro capo del mondo, i Messicani mangiano un cioccolato secco fatto di fave di cacao macinate con sale, ambra rossa, pepe e spezie. Essi apprezzano anche il cioccolato liquido aromatizzato con la vaniglia; l’albero che dà il cacao viene probabilmente dalle foreste dell’Amazzonia. L’America conosce anche l’albero del chinino e la coca che gli indigeni masticano per piacere.
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture Breus
Un fanciullo, incantato alla vista di un cavaliere in armi bello, anzi più bello, per lui, di San Michele, abbandona la casa, e per dieci anni sotto il nome fittizio di Breus, si copre di gloria divenendo il migliore dei cavalieri. Ma la mamma, per il dolore di quella partenza, muore; e quando egli una sera chiede ospitalità a una vecchia e trascurata dimora è accolto da una fanciulla in lacrime. Ella piange ogni volta che vede un cavaliere perchè rammenta il fratello che a dieci anni ha lasciato la casa. Lì è rimasta lei, sola con la nutrice. Commosso, Breus, che altri non è che il fanciullo partito un giorno ormai lontano, si rivela alla sorella. Il delicato racconto pascoliano, sempre tenuto su un tono di favola e di ingenuo ardimento, rivela il suo significato profondo negli ultimi versi: non c’è gloria che possa compensare il dolore mortale di una mamma. Per poter abbracciare ancora la madre, Breus darebbe ora tutte le sue più belle vittorie e si accontenterebbe di strigliare umilmente il suo ronzino.
Viveva con sua madre in Cornovaglia: un dì trasecolò nella boscaglia. Nella boscaglia un dì, tra cerro e cerro, vide passare un uomo tutto ferro. Morvan pensò che fosse san Michele: s’inginocchiò: “Signore san Michele, non mi far male, per l’amor di dio!”. “Né mal fo io, né san Michel son io. No: san Michele non posso chiamarmi: cavalier, sì: son cavaliere d’armi”. “Un cavaliere? Ma che cosa è mai?” “Guardami, o figlio, e che cos’è saprai”. “Che è codesto lungo legno greve?” “La lancia; ha sete e dove giunge, beve”. “Che è codesta di cui tu sei cinto?” “Spada, se hai vinto; croce, se sei vinto”. “Di che vesti? La veste è pesa e dura”. “E’ ferro. Figlio, questa è l’armatura”. “E tu nascesti già così coperto?” Rise e rispose il cavalier: “No, certo”. “E chi la pose, dunque, indosso a te?” “Chi può”. “Chi può?”. “Ma, caro figlio, il re!”. Il fanciullo tornò dalla sua mamma, e le saltò sulle ginocchia: “Mamma, mammina (cinguettò), tu non lo sai! Ho visto quello che non vidi mai! Un uomo bello più di san Michele ch’è in chiesa, tra il chiaror delle candele!” “Non c’è uomo più bello, figlio mio, più bello, no, d’un angelo di dio”. “Ma sì, ce n’è, mammina, se permetti: ce n’è, mammina, cavalier son detti. E io, mammina, voglio andar con loro, E aver veste di ferro e sproni d’oro”. La madre a terra cadde come morta che già Morvan usciva dalla porta: Morvan usciva e le volgea le spalle, ed entrò difilato nelle stalle; nelle stalle trovò solo un ronzino: lo sciolse, vi montò sopra: in cammino. Egli partì, né salutò persona: eccolo fuori, ecco che batte e sprona, Eccolo già lontano dal castello, dietro quell’uomo ch’era così bello. Dopo dieci anni, dieci tutti intieri, Breus il cavalier de’ cavalieri sostò pensoso avanti quel castello. Era fradicio e rotto il ponticello. Entrò pensoso nella corte antica: c’era tant’erba, c’era tanta ortica. Il rovo vi crescea come siepe, e la muraglia piena era di crepe. L’edera aveva la muraglia invasa: l’erba copria la soglia della casa. E l’uscio era imporrito e tristo a mo’ Di tomba. Egli picchiò, picchiò, picchiò… Ecco alfine una donna, ecco una donna antica e cieca, che gli aprì. ” Voi, nonna, mi potete albergar per questa notte?” “Albergar vi si può per questa notte, albergar vi si può di tutto cuore, ma l’albergo non è forse il migliore. Ché questa casa è tutta in abbandono da che il figlio partì, dieci anni or sono”. Era discesa una donzella in tanto, che appena lo guardò, ruppe in un pianto. “Perchè piangete, buona damigella? perchè piangete, cara damigella?”. “Io voglio dirvi, sire cavaliere, io voglio dirvi, che mi fa dolere. Un mio fratello che dieci anni fa (ora sarebbe della vostra età), ci abbandonò per farsi cavaliere. Io piango appena vedo un cavaliere. Se vedo un cavalier presso il castello, piango pensando al mio dolce fratello”. “Non avete la madre, o damigella? Non un altro fratello? Una sorella?”. “Nessuno… almeno ch’io li veda in viso: son, fratelli e sorelle, in paradiso. Anche la mamma l’ha chiamata Iddio: non c’è più qui che la nutrice ed io. La mia madre morì dal dispiacere quand’e’ partì per farsi cavaliere. Ecco il suo letto presso il limitare, ecco il suo seggio presso il focolare. La sua crocetta porto sopra me. Pel mio povero cuore altro non c’è”. Mise un singhiozzo il cavalier d’un tratto. Ella il pallido alzò viso disfatto. La damigella alzò con meraviglia gli occhi ch’aveano il pianto sulle ciglia. “Iddio la mamma ancora a voi l’ha presa, ch’ora piangete, che m’avete intesa?” “Ancora a me la mamma prese Iddio; ma chi gli disse: ‘Prendila’ fui io”. “Voi? Ma chi siete? Qual è il vostro nome?”. “Morvan il nome, Breus il soprannome. O sorellina, io sono pien di gloria: ogni giorno ho contata una vittoria: ma se potevo indovinar quel giorno, che l’avrei veduta al mio ritorno, o sorellina, non sarei partito! O sorellina, non sarei fuggito! Oh! Per vederla qui sul limitare, per rivederla presso il focolare, per abbracciare qui con te pur lei, le mie vittorie tutte le darei: sarei felice, pur ch’a lei vicino, di strigliar tuttavia quel mio ronzino”. (G. Pascoli)
IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture– Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture, di autori vari, per bambini della scuola primaria.
I Franchi
I Franchi, verso il secolo V, varcato il Reno, erano penetrati in Gallia e vi avevano fondato un regno romano-barbarico. Il loro re Clodoveo (481-511), capostipite della dinastia che fu detta dei Merovingi, era stato il primo fra i Germani che con il suo popolo si era convertito al cattolicesimo. A Clodoveo erano succeduti re inetti al governo che avevano lasciato il potere in mano ai Maggiordomi. Fra questi, aveva avuto grande autorità Carlo Martello, che nel 732 aveva sconfitto gli Arabi a Poitiers, salvando l’Europa. Il figlio di lui, Pipino il Breve, nel 752 fece chiudere in convento l’ultimo merovingio e si proclamò re dei Franchi. Il papa Stefano II si recò personalmente in Francia ad incoronarlo. Aveva così inizio la dinastia del Carolingi. Pipino, sollecitato dal Papa, calò in Italia e sconfisse il re longobardo Astolfo due volte, nel 754 e nel 756, costringendolo a cedere alla Chiesa le terre occupate. Il figlio di Pipino, Carlo, assunse quindi il titolo di re dei Franchi e dei Longobardi. Al papa confermò ed accrebbe le precedenti donazioni, dando vita ormai a un vero e proprio Stato Pontificio che da Roma, attraverso il Lazio, l’Umbria e le Marche, si estendeva fino alla Romagna e comprendeva le antiche terre del dominio bizantino.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Re Carlo
Carlo, Re dei Franchi, detto dai posteri, per ammirazione, Magno, fu veramente uno dei più notevoli personaggi del Medioevo. Egli fu soprattutto un grande unificatore e si giovò anche della religione per dare unità spirituale ai diversi popoli del suo immenso dominio. Egli condusse vittoriosamente in tutta l’Europa occidentale circa sessanta imprese militari e riunì sotto il suo scettro un territorio vastissimo che comprendeva la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania, l’Austria, la Repubblica Ceca, la Serbia, la Croazia, l’Ungheria, la Svizzera e metà dell’Italia odierne. Per garantire il confine dei Pirenei marciò contro gli Arabi della Spagna, tolse loro le due regioni dell’Aragona e della Catalogna, con le quali costituì la Marca Spagnola. Durante il ritorno da questa spedizione nel 778, la retroguardia di Carlo, comandata dal famoso paladino Orlando, fu assalita dai Baschi nella gola di Roncisvalle e distrutta. L’eroica morte di Orlando, caduto combattendo per il suo re e per la sua fede, fu cantata nella Chanson de Roland, il primo di una lunga serie di poemi cavallereschi sui paladini di Francia. La vastità, l’unità del dominio di Carlo e l’alto prestigio politico di cui godeva fecero rinascere l’idea dell’Impero Romano, che fu consacrata dal papa Leone III la notte di Natale dell’800 a Roma, nella basilica di San Pietro. Con una cerimonia solenne il Papa incoronò Carlo imperatore del Sacro Romano Impero, mentre tutto il popolo acclamava: “A Carlo, piissimo, augusto, coronato da dio grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria!”. Carlo meritò effettivamente questi onori perchè fu un sovrano illuminato. Benché analfabeta, promosse gli studi, le arti e l’istruzione pubblica, facendo aprire numerosissime scuole per ricchi e poveri, e fondando in Aquisgrana, sua residenza preferita, l’Accademia Palatina, che accolse i dotti del tempo. Carlo Magno morì ad Aquisgrana nell’814, dopo 46 anni di regno, e lì fu sepolto.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Come governò Carlo Magno
Carlo Magno amministrò saggiamente il suo vasto impero. Per poterlo governare meglio, secondo un’usanza franca, lo suddivise in contee, che affidò a uomini a lui fedeli; presso i confini creò contee più estese e militarmente più forti che si chiamarono marche. Coloro che governavano marche e contee, cioè i marchesi ed i conti, dipendevano direttamente dall’Imperatore ed avevano poteri amplissimi. Dapprima Carlo Magno non diede una capitale al suo Impero perchè, per meglio conoscere le condizioni di vita dei suoi sudditi, viaggiava moltissimo. Infine si stabilì ad Aquisgrana, in Germania, che divenne la capitale del Sacro Romano Impero. In quella città egli morì nell’anno 814. Carlo Magno fu uno dei più grandi imperatori germanici, valoroso e saggio. Sotto il suo Impero anche la cultura rifiorì. Egli, che l’apprezzava molto, volle che alla sua corte si raccogliessero i più dotti uomini del tempo fra i quali ricordiamo Alcuino, Paolo Diacono e Paolino, patriarca di Aquileia. Volle inoltre l’istituzione di scuole per l’istruzione dei fanciulli.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Per il lavoro di ricerca
Ricerca notizie sulla figura e la cultura di Carlo Magno. Contro quali popoli combatté Carlo Magno? Dove vinse gli Arabi? Chi erano i paladini? Ricerca notizie sulla morte del paladino Orlando. Quali terre comprendeva l’impero di Carlo Magno? Perchè fu chiamato Sacro Romano Impero? Come fu governato amministrativamente l’impero? Chi erano i “missi dominici” e che cosa dovevano controllare? Come si viveva ai tempi di Carlo Magno? Che cosa era la “legge salica?” Quando e dove morì Carlo Magno?
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Carlo Magno non sapeva né leggere né scrivere
Questa era la sua spina nel fianco, il suo lato patetico. Carlo, che la sera andava presto a letto, dovunque si trovasse, ma soffriva di insonnia, trascorreva spesso la notte compitando l’abbecedario e cercando di capirne le lettere. Ma inutilmente. Questo genio della politica e della guerra, che era riuscito a conquistare mezzo mondo, non riuscì mai a conquistare l’alfabeto. A furia di farseli ripetere dal confessore, imparò a memoria i salmi, e li cantava anzi abbastanza bene perchè, se la sua voce era stridula, l’orecchio era buono. Ma sebbene fino alla tarda vecchiaia seguitasse a trascorrere le sue notti a fare le aste, la soddisfazione di scrivere e di leggere da sé egli non l’ebbe mai. Eppure fu Carlo Magno. (I. Montanelli e R. Gervaso)
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture La figura di Carlo Magno
Era re Carlo di corporatura massiccia e robusta, di statura alta che pur tuttavia non eccedeva una giusta misura. Aveva testa tonda, occhi grandissimi e vivaci, il naso un po’ più lungo del normale, bei capelli bianchi, volto sereno e gioviale che gli conferiva una grandissima autorità e pari dignità di aspetto. Sicuro nell’incedere, emanava da tutto il corpo un fascino virile. Si esercitava di frequente all’equitazione ed alla caccia, ed era questa una passione che aveva fin da bambino. Amava anche molto i bagni minerali e spesso si esercitava al nuoto. Per tale ragione costruì una reggia in Aquisgrana ricca di acque minerali; ivi trascorse gli ultimi anni della sua vita. Invitava al bagno con lui, non soltanto i figli, ma anche i grandi del regno e gli amici e talora perfino tutte le proprie guardie del corpo. Vestiva sempre nel costume nazionale dei Franchi. Rifuggiva dai costumi di altri paesi, anche se bellissimi, e non amò mai indossarli, meno che a Roma, quando su richiesta di papa Adriano, acconsentì a portare una lunga tunica e la clamide ed i sandali alla moda dei Romani… Era assai sobrio nel mangiare e nel bere. Mentre cenava gli piaceva udire qualche musica o qualche lettura. Gli leggevano le storie degli antichi, ma amava ascoltare anche le opere di Sant’Agostino. Aveva facile e copioso l’eloquio, e sapeva esprimere con molta chiarezza il proprio pensiero.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture La cultura di Carlo
La sua istruzione e la sua cultura non derivano da studi teorici; ma piuttosto dall’esperienza pratica e dalla viva voce di chi gli stava introno. Tuttavia erano grandissime. Egli parlava la lingua franca, ma conosceva anche il latino, parlato dai suoi sudditi gallo-romani, e perfino il greco, benchè si curasse poco di parlarlo. Non era un matematico, ma aveva la mente aperta a penetrare rapidamente la complessità delle cifre e dei calcoli. Carlo possedeva cognizioni di anatomia umana e soprattutto di anatomia animale, perchè, come cacciatore, era abituato a scannare e a scuoiare la selvaggina che uccideva. Sapeva bene come vivono e come si cacciano gli uccelli, e soprattutto era molto pratico di cavalli. Conosceva un po’ tutti i mestieri perchè era abituato a sorvegliare di persona i suoi servi al lavoro: avrebbe potuto non solo riparare la bardatura del suo cavallo, ma anche estirparsi i denti e medicarsi le ferite, in caso di necessità. Inoltre conosceva, attraverso i canti dei giullari di corte, le gesta degli antenati suoi e le storie dei re dei paesi vicini. Egli tentò anche di imparare a scrivere, e, a questo scopo, aveva l’abitudine di tenere sotto i cuscini del letto alcune tavolette e alcuni fogli di pergamena per esercitarsi a tracciare di propria mano qualche lettera. Ma poco gli fruttò questo lavoro disordinato e iniziato troppo tardi. (Baker)
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Carlo Magno e gli scolari
Un giorno l’imperatore Carlo Magno visitò una scuola a Parigi e volle vedere i compiti fatti dagli alunni. Osservò che quelli fatti dai ragazzi del popolo erano molto migliori di quelli fatti dai figli dei nobili. Allora l’imperatore fece passare alla sua destra i più bravi e disse loro: “Grazie figlioli miei; studiate ancora per diventare sempre più bravi e io, quando sarete grandi, vi darò ogni sorta di onori, perchè solo voi siete degni ai miei occhi”. Po si volse a quelli che erano alla sua sinistra, fece loro un viso molto accigliato e disse: “In nome di Dio io vi dico che non mi importa nulla della vostra nobiltà e della vostra bellezza fisica. Vi ammiri pure chi vuole, per queste stolte cose. Io vi avverto che, se non diventerete migliori, non otterrete nulla da Carlo”.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Le conquiste di Carlo Magno
Carlo Magno intervenne in difesa del Papa in lotta contro i Longobardi e vinse l’ultimo re longobardo Desiderio; poi cinse a Pavia la corona dei re longobardi, stabilendo così in Italia il dominio dei Franchi. Questa fu una delle numerose guerre che egli combatté nei 46 anni del suo regno, per costituire un vasto impero in occidente. Per ben 32 anni Carlo Magno guerreggiò contro i Sassoni, un popolo ancora barbaro e idolatra che abitava la regione settentrionale della Germania. Alla fine il loro re Vitichindo si sottomise a Carlo, che lo costrinse a convertirsi al cristianesimo con tutto il suo popolo. Ardua fu anche la lotta combattuta contro gli Arabi di Spagna. Spintosi al di là dei Pirenei, Carlo Magno riportò qualche brillante successo, ma non potò conquistare Saragozza. Durante la ritirata, la sua retroguardia fu completamente distrutta al passo di Roncisvalle (778). Cadde eroicamente in quella battaglia il più famoso dei Conti Palatini, Orlando. Questa battaglia esercitò un grande fascino sulla fantasia popolare, e il ricordo di essa si tramandò con vivi e poetici particolari. Intorno a Carlo e ai suoi paladini, combattenti per la fede e per la patria, fiorì una serie di leggende che furono materia di molti poemi cavallereschi scritti da poeti francesi ed italiani. Più tardi Carlo si impadronì di tutta la regione fra i Pirenei e l’Ebro e vi costituì la Marca Spagnola, che servì da baluardo all’Europa contro gli Arabi. Carlo Magno combatté con fortuna contro i Bavari, gli Avari (stanziati nell’odierna Austria) e contro gli Slavi. Alla fine di queste guerre poteva considerarsi padrone di quasi tutta l’Europa occidentale e centrale.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Carlo Magno sotto le mura di Pavia
I soldati franchi giunsero ben presto sotto le mura di Pavia. All’avvicinarsi di essi, il re Desiderio e il duca Ottocaro salirono su di una torre altissima, da dove si poteva abbracciare con l’occhio tutta la campagna. Apparvero dapprima delle macchine da guerra che avrebbero fatto invidia a Dario e a Cesare. Desiderio domandò ad Ottocaro: “Carlo si trova in quell’immensa folla?” “Non ancora”, rispose questi. Vedendo poi le milizie raccolte in ogni parte del nostro vasto impero, il longobardo disse: “Certo, Carlo avanza trionfalmente in mezzo a quelle masse profonde”. “No, non ancora, non ancora”. Il re, turbandosi, mormorava: “Ora che faremo noi, se vengono con forze così considerevoli?” “Voi non capirete chi sia Carlo Magno ” diceva Ottocaro, “che quando comparirà. Quello che accadrà di noi allora, io non lo so”. Mentre scambiavano queste parole, giungeva la guardia reale, che non conosce mai riposo. Desiderio era stupefatto. “In fede mia, non è là Carlo!” diceva. “Non ancora!” Poi sfilano con gran seguito i vescovi, gli abati, i chierici della cappella palatina ed i Conti. A tal vista Desiderio, on potendo più oltre sopportare la luce del giorno e sentendo il freddo della morte, rompe in singulti e balbetta: “Discendiamo, nascondiamoci nelle viscere della terra, lontano dalla faccia e dal furore di un così terribile nemico!”. Ottocaro, anch’egli tremando, egli che ben conosceva la potenza di Carlo e che in tempi migliori era vissuto vicino a lui, dice: “Quando vedrai nella montagna erigersi come una messe di lance, quando le onde oscurate del Po e del Ticino, non riflettendo che il ferro delle armi, avranno gettato sulle mura nuovi torrenti di uomini coperti di ferro, allora saprai che Carlo è vicino!”. Non aveva terminato di dire, che all’improvviso l’occidente di velò di una nube tenebrosa; pareva che un uragano avesse oscurato la luce del cielo. A misura che il re avanzava, il luccicare delle spade proiettò sulla città un giorno più sinistro della stessa notte. Ben presto Carlo fu in vista, gigante di ferro: sul capo un elmo di ferro, guanti di ferro alle mani, il petto e le spalle coperti di una corazza di ferro. La mano sinistra brandiva una lancia di ferro, mentre la destra era distesa sul ferro della sua invincibile spada. Il ferro copriva le vie ed i piani; in ogni dove i raggi del sole riverberavano sul ferro. Dalla città si elevava un clamore confuso: “Quanto ferro, ohimè!” “Re!” gridò Ottocaro, “Ecco colui che i vostri occhi cercavano da gran tempo!” E pronunciando queste parole cadde svenuto. (Monaco di San Gallo)
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Il Sacro Romano Impero
Dopo tante guerre, Carlo Magno regnava su una buona parte d’Europa e dimostrava di saper governare saggiamente. Tutti vedevano in lui un grande imperatore amante della pace e dell’ordine, ed egli sognava di far rinascere l’antico ordinamento romano. Infatti il nuovo impero si chiamò Sacro Romano Impero. Ben diverso dall’antico Impero Romano, che era uno stato vero e proprio, retto dalla forza delle leggi di Roma, questo di Carlo Magno era un agglomerato di popoli diversi, ciascuno dei quali conservava le proprie leggi e le proprie tradizioni. Uguale per tutti fu invece l’ordinamento amministrativo: il territorio fu diviso in contee con a capo un conte. Nelle zone di confine si crearono le marche, più vaste e più forti delle contee, governate da marchesi (per esempio la Marca Spagnola, posta come baluardo contro gli Arabi; la Marca Avarica, l’odierna Austria, contro gli Slavi). Accanto ai conti erano per importanza i Vescovi, cui furono affidati molti uffici. Conti e marchesi reclutavano i soldati e li fornivano all’esercito imperiale, amministravano la giustizia e riscuotevano i tributi in nome dell’Imperatore. L’imperatore controllava conti e marchesi, mandando periodicamente coppie di ispettori detti “missi dominici” dei quali uno era laico e l’altro ecclesiastico, a visitare le contee; essi ascoltavano le querele delle popolazioni, si informavano dei bisogni e sopprimevano gli abusi. Carlo Magno dettò per tutto l’impero alcune leggi generali dette “Capitolari”. Ogni anno, in primavera, si radunava presso la residenza imperiale un’assemblea generale di tutti gli uomini liberi, detta Campo di maggio: vi si approvavano le leggi già preparate. Carlo Magno non scelse una città come capitale stabile; a seconda delle necessità del governo, egli mutava residenza. Negli ultimi anni risiedette di solito ad Aquisgrana.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Provvedimenti economici
Carlo Magno diede incremento anche alla vita economica, provvedendo con una serie di editti alla buona amministrazione del suolo coltivato, all’incremento dell’allevamento del bestiame, regolando le prestazioni personali dei contadini, tentando, ma invano, di salvare la classe dei piccoli proprietari. Rese più sicuro e facile il cambio con l’introduzione di un sistema monetario e di uno di pesi e misure unico per tutto l’Impero. L’avanzata degli Arabi aveva quasi del tutto distrutto le relazioni commerciali fra l’Oriente e l’Occidente; l’economia accentuò quindi il suo carattere particolaristico ed agricolo. Molte merci di lusso, provenienti dall’Oriente, erano sparite o diventate assai rare: Carlo Magno dovette perciò sostituire nella monetazione l’argento all’oro; il papiro, a partire dal secolo VIII, in Gallia cedette il posto alla pergamena.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Ciò che i missi dominici dovevano controllare
In una legge stabilita nell’802 Carlo Magno indicò che i missi dominici dovevano controllare. Tra le altre cose, essi dovevano informare l’imperatore sull’osservanza di questi obblighi: “E’ fatto obbligo ai giudici di giudicare con giustizia secondo quanto prescrive la legge scritta e non seguendo il loro arbitrio”. “Le misure siano uguali ed esatte e giuste e uguali per tutti i pesi”. “Non di compiano di domenica lavori servili”. “Si tengano tutti pronti per quando possa venire, in qualsiasi momento, un ordine dell’Imperatore”. “Tutti gli promettano fedeltà”. “I nostri missi, ovunque se ne riconosca la necessità, ricerchino e si preoccupino del giusto quanto alle chiese di dio, alle vedove, agli orfani, ai pupilli e a tutti gli altri uomini. Quanto si trovi da correggere, essi correggano il meglio che possono; quanto non riescono a correggere traducano al nostro tribunale”. (da Capitulare missorum)
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture La notte di Natale dell’800
Nella cattedrale di San Pietro c’era messa solenne, la notte di Natale dell’800; tutti i sacerdoti della curia erano assisi negli scranni; in mezzo il trono del pontefice Leone III. Al momento del Vangelo questi si alzò dirigendosi verso l’altare maggiore dove stava inginocchiato Carlo Magno, il conquistatore d’Europa, che abbandonate le vesti guerriere, indossava uno sfarzoso abito da patrizio romano. Papa Leone, nel silenzio attonito, pose sul capo di Carlo la corona degli imperatori di Roma dicendo: “A Carlo Augusto, coronato da dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria”. E parve allora che Roma fosse nuovamente tornata al centro del mondo.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Morte di Carlo Magno
Carlo Magno, in età di 72 anni, dopo aver regnato per 46 anni come re e 14 come imperatore, morì in Aquisgrana, nell’814, e fu sepolto nella basilica da lui stesso voluta. Il suo corpo fu imbalsamato e posto nel sepolcro seduto su uno scranno d’oro, cinto della spada d’oro e con in mano il Vangelo, con la corona sul capo e nella corona incastonato un frammento ligneo della croce. Indossava abiti imperiali; il volto era coperto da un sudario. Davanti a lui furono appesi lo scettro e lo scudo. Poi il sepolcro fu chiuso e sigillato.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture I giudizi di dio
La legge salica, che formava quasi la “costituzione” dei popoli franchi, conteneva parecchie norme che regolavano lo svolgimento dei processi. Per dimostrare l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato si ricorreva spesso al cosiddetto “giudizio di dio”. Si pensava cioè che dio intervenisse direttamente a favore dell’innocente. Per esempio, l’accusato veniva legato mani e piedi e gettato in un fiume, che era stato in precedenza benedetto. Se l’annegato andava a fondo, era innocente: se galleggiava era colpevole: si pensava infatti che l’acqua benedetta respingesse chi fosse macchiato da un delitto. Si presume che poi l’innocente venisse ripescato! Altre volte la prova consisteva nel camminare a piedi nudi su carboni ardenti, o nel reggere in mano un ferro incandescente. Molto spesso, infine, si decideva una controversia ricorrendo a un duello: dio avrebbe guidato la mano di chi aveva ragione e avrebbe dato la morte a chi aveva torto.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Morte di Orlando
Le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini per cacciare i Mori di Spagna ispirarono uno dei più bei capolavori della poesia epica di tutti i tempi; La canzone di Orlando (La chanson de Roland) dovuta, pare, al francese Turoldo. La pietosa fine del paladino Orlando tradito e massacrato nella gola di Roncisvalle, nei Pirenei, mentre guidava sulla via del ritorno la retroguardia dell’esercito, occupa alcune delle più belle pagine del poema. Orlando è ormai ferito a morte e tenta, ma invano, di infrangere la sua invitta e prodigiosa spada Durlindana. Sente che la morte lo possiede e lo invade dalla testa al cuore. Corre sotto un pino e si corica sull’erba verde, faccia a terra; mette sotto il corpo la spada e il corno; poi volge il capo verso i pagani, perchè vuole che Carlo e tutti dicano che il nobile paladino è morto combattendo. Poi con flebile voce grida i suoi peccati e tende a dio il guanto e le sue colpe. Sa che la sua vita è finita. E’ sopra un poggio aguzzo, il viso verso la Spagna; con una mano si batte il petto: “Confesso, o Signore, davanti alla tua maestà la mia colpa per tutti i miei peccati, da quando sono nato ad oggi, che sono battuto”. Tende il guanto destro a dio, gli angeli scendono a lui. Il paladino Orlando giace sotto il pino, ed ha la faccia rivolta verso la Spagna. E di molte cose si rammenta, di tante terre, della dolce Francia, degli uomini della sua stirpe, di Carlo suo signore che lo aveva nutrito. E non può esimersi dal piangere e dal sospirare. Ma non vuole dimenticare se stesso, confessa i propri peccati e implora da dio pietà. Offre a dio il suo guanto destro. E san Gabriele lo prende di propria mano. Sul braccio tiene il capo chino, poi a mani giunte attende la morte. Dio gli manda un suo angelo cherubino e san Michele del Periglio. E con questi San Gabriele. E così portano in paradiso l’anima del paladino.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Carlo Magno
Persona ampia e robusta, era piuttosto alto ma non troppo. Aveva testa rotonda, occhi grandi e vivaci, naso un po’ più largo del comune. Usava assiduamente cavalcare e cacciare. Si esercitava di frequentare al nuoto e invitava a bagnarsi con lui non soltanto con i figlioli, ma anche le persone più altolocate e gli amici, e talvolta perfino la moltitudine delle sue guardie del corpo, così che in certe occasioni ci furono in acqua insieme con lui cento persone e anche più. Nei giorni normali, il suo pasto principale constava di quattro portate, senza contare l’arrosto che i cacciatori solevano portare infilato negli spiedi, e che era il suo piatto preferito. Mentre cenava, ascoltava un po’ di musica o di lettura. Era così sobrio in fatto di vini che non beveva mai più di tre volte per pasto. D’estate, dopo il pasto di mezzogiorno, prendeva qualche frutto, beveva una sola volta, poi spogliatosi delle vesti e delle scarpe, come fosse notte, riposava due o tre ore.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture I passatempi di Carlo Magno
Passatempi preferiti del sovrano furono l’equitazione e la caccia, dei quali ebbe il gusto fin dalla fanciullezza. Molto lo dilettavano anche le acque termali. Spesso si dava al piacere del nuoto, vincendo in gara chiunque competesse con lui. Infatti ai bagni della Mosa, per i quali ad Aquisgrana aveva costruito un palazzo, convenivano oltre ai figli anche i dignitari della corte. Si vedevano spesso nello specchio d’acqua, assieme con l’imperatore, anche cento e più persone. Aveva buona salute; non fu malato che negli ultimi quattro anni della sua vita, quando fu soggetto a frequenti attacchi di febbre. Ma anche allora sdegnava il consiglio dei medici: egli li aveva in uggia e non voleva assoggettarsi alle loro prescrizioni, perchè gli vietavano l’uso delle carni arrostite. Questo era il piatto da lui preferito. L’Imperatore fu particolarmente sobrio nel bere perchè in tutte le persone condannava l’ubriachezza. Fin dall’infanzia fu iniziato alla vita devota e si dedicava con scrupolo alle pratiche religiose. Ma egli seguì anche i precetti evangelici della carità: aiutò i poveri anche fuori del suo Impero, inviando elemosine in Siria, in Egitto e altrove. La povertà di quegli uomini muoveva la sua compassione; e appunto per procurare a costoro qualche conforto ricercò l’amicizia dei sovrani d’oltremare. (Eginardo)
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture Il giuramento dei Vassalli
Io giuro per questi santi vangeli, che d’ora in avanti sarò fedele a costui come deve un vassallo al signore, e ciò che egli affiderà alla mia fedeltà, non rivelerò consapevolmente ad altri in suo danno. Io giuro su questi santi vangeli che d’ora innanzi sino all’ultimo giorno della vita sarò fedele a te, mio signore, contro ogni uomo eccetto l’imperatore. Cioè giuro che scientemente non parteciperò mai a deliberazione o ad atto per cui tu perda la vita o qualche membro, o riceva danno nella persona, o ingiustizia o insulto, che tu perda qualche diritto che tu hai o in futuro avrai. E se avrò saputo o udito di alcuno che voglia fare qualcuna di queste cose a tuo danno, cercherò di impedire, nella misura delle mie forze, che questo avvenga, e se non potrò oppormi ti avviserò al più presto possibile, e ti aiuterò contro di lui quando potrò. E se accadrò che tu perda qualche cosa che hai o avrai, per ingiustizia o per caso, ti aiuterò a recuperarla, e, recuperata, a conservarla. E se avrò saputo che tu vuoi giustamente assalire qualcuno, e sarò stato da te invitato, sia in forma generale sia personale, ti darò il mio aiuto come potrò. E se tu mi avrai rivelato qualche segreto, non lo svelerò al alcuno, senza tuo permesso, né farò in modo che sia svelato. E se mi chiederai consiglio su qualche cosa ti darò il consiglio che mi sembra più utile per te. E mai di persona farò coscientemente cosa che possa essere di danno ed insulto a te e ai tuoi.
CARLO MAGNO dettati ortografici e letture – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture di autori vari, per bambini della scuola primaria: Vandali, Ostrogoti, Visigoti, Eruli, Bizantini e Longobardi; Odoacre, Teodorico, Genserico, Teodolinda, Rotari, ecc…
Nell’immenso territorio, dove l’autorità dell’antico Impero era venuta meno, i popoli germanici formarono i loro regni: i Visigoti si stabilirono in Spagna, i Franchi in Gallia, i Vandali in Africa. Si costituirono in tal modo i regno romano-barbarici, così detti perché sotto lo stesso nuovo governo si riunivano le antiche popolazioni romane e le nuove genti barbariche di stirpe germanica. Col passare degli anni questi due popoli, dapprima separati, lentamente si fusero con una reciproca influenza. Molto più vasta ed efficace per la superiore civiltà, fu quella esercitata dai vinti sui conquistatori, che finirono per adottare la lingua, i costumi, le leggi e la religione del popolo che avevano sottomesso.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Gli Eruli
Gli Eruli giunsero in Italia guidati da Odoacre, che tolse il trono a Romolo Augustolo. Questi, che i soldati romani avevano acclamato loro imperatore, era un fanciullo e non aveva quindi alcuna energia per opporsi all’invasione. Fatto prigioniero, fu rinchiuso in un castello della Campania e nessun imperatore fu eletto a succedergli in Occidente. Odoacre, proclamatosi rappresentante dell’imperatore d’Oriente si insediò a Ravenna e governò l’Italia col titolo di Patrizio. Era l’anno 476 dC; esso segna la fine dell’Impero di Roma e l’inizio del Medioevo, cioè l’età di mezzo tra l’epoca antica e quella moderna.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Gli Ostrogoti
Teodorico, un barbaro valoroso ed intelligente, nella sua giovinezza era stato per molti anni ostaggio alla corte di Costantinopoli: aveva così potuto conoscere ed apprezzare la cultura e la civiltà romane. Acclamato re degli Ostrogoti, che occupavano allora la Pannonia (l’odierna Ungheria), vagheggiava nuove conquiste per dare sedi migliori al suo popolo, poco amante dell’agricoltura ed inquieto. Nel 489 Teodorico giunse alla Alpi Orientali. Non lo seguiva solo un esercito, ma un popolo intero con le donne, i figli, i servi, i carri colmi di masserizie e tende: trecentomila persone. Odoacre, sconfitto in più battaglie, si chiuse in Ravenna. Dopo tre anni di assedio, si arrese con la promessa di aver salva la vita; invece fu fatto trucidare a tradimento (493). Così finì il dominio erulo in Italia e subentrò quello degli Ostrogoti.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Il governo di Teodorico
Teodorico governò per trentatré anni col titolo di re degli Ostrogoti e Patrizio d’Italia. Egli mirò a far convivere pacificamente i due popoli pur così diversi: lasciò ai Goti l’uso delle armi e affidò agli Italici l’amministrazione civile. Migliorò le condizioni economiche dell’Italia con lavori di bonifica e con la costruzione di strade e di acquedotti, restaurò molti monumenti romani, abbellì Ravenna di un grandioso palazzo reale, un mausoleo e altri edifici; protesse le lettere e le arti, chiamò ad alti uffici uomini di valore, come lo storico Simmaco, il filosofo Severino Boezio e il dotto Cassiodoro, che divenne suo primo ministro. Benché ariano, Teodorico fu tollerante con i cattolici. Ma l’avversione degli Italici e gli intrighi della corte bizantina avvelenarono gli ultimi anni del suo regno, rendendolo sospettoso e crudele: si diede ad arrestare, perseguitare, uccidere. Anche Boezio e Simmaco furono messi a morte, e lo stesso papa Giovanni I visse i suoi ultimi giorni in carcere. Teodorico morì nel 526 e fu sepolto nel superbo mausoleo di Ravenna.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture – I Bizantini
Le relazioni tra i Romani e gli Ostrogoti peggiorarono assai con i successori di Teodorico. Ne approfittò l’imperatore d’Oriente Giustiniano per unire l’Italia all’Impero d’Oriente (553). Il dominio bizantino (così detto da Bisanzio, antico nome di Costantinopoli) produsse opposti, molteplici effetti. Infatti, se da un lato attivò le relazioni tra Italia e Oriente e fede della capitale Ravenna una città ricca e adorna di splendidi monumenti (come la famosa chiesa di San Vitale costruita appunto nel VI secolo e tutta rivestita di mosaici e d’oro), di contro afflisse le misere popolazioni con nuovi insopportabili balzelli, imposti senza ritegno dai rapaci funzionari imperiali. La vita dei commerci e delle industrie intristì e grave fu il disagio delle città e delle campagne. A rimedio di tanti guai solo la Chiesa diffondeva un po’ di bene fra le afflitte popolazioni ed accresceva in mezzo ad esse il suo prestigio.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture – Per il lavoro di ricerca
Quale barbaro fu chiamato “re della terra e del mare”? Quando cadde l’Impero Romano d’Occidente? Per opera di chi? Come si chiamava l’ultimo imperatore romano? Da chi fu sconfitto Odoacre? Come governò Teodorico? Come morì? Qual era la capitale del regno degli Ostrogoti? Che cosa era l’ “editto di Teodorico?” Da chi furono scacciati gli Ostrogoti? Perchè divenne famoso Giustiniano? Come governarono i Bizantini in Italia? Come fu divisa l’Italia in quel periodo?
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture – Il re della terra e del mare
Genserico, alla testa dei suoi Vandali, è alle porte di Cartagine. In città gli uomini fanno festa, ignari che il nemico è sotto le mura; così, mentre Genserico si accinge ad assalire i bastioni, i Cartaginesi sono nel circo. Ma d’un tratto alle porte del circo si sente qualcuno che batte per farsi aprire; i custodi chiedono chi sia mai costui che domanda di entrare in un’ora così fuori dal consueto. “Sono il re della terra e del mare!” risponde il vincitore.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture – Odoacre e la fine dell’Impero
Mentre l’Impero Romano d’Oriente fronteggiava con buon successo i barbari, e restava saldo ed unito, l’Impero Romano d’Occidente era percorso continuamente da orde selvagge, insanguinato da guerre e saccheggi, e finì per essere alla mercé dei capi barbarici e dei generali germanici. Uno di questi, Oreste, giunse nel 475 a porre sul trono imperiale suo figlio Romolo (che venne poi per spregio detto l’ “Augustolo” cioè il piccolo, misero Augusto). Ma questi regnò poco: l’anno dopo, un altro generale barbaro, Odoacre, piombò su Ravenna, la conquistò, uccise Oreste e depose l’Augustolo. Una volta deposto quel debole imperatore, Odoacre assunse il titolo di “Patrizio” ed il potere in Italia, e mandò le insegne imperiali a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente: un solo imperatore, disse, è più che sufficiente! Per una amara beffa del destino, l’ultimo re di Roma portava il nome del primo re, Romolo, colui che, secondo la leggenda, aveva fondato la città e gettato le fondamenta della sua potenza. Così nel 476 si concludeva miserevolmente la storia dell’Impero di Roma.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Curiosità
Gli ultimi imperatori dell’Impero d’Occidente salirono al trono ancora bambini: Giuliano aveva sei anni, Graziano diciassette, Valentino II cinque, e Romolo Augustolo quattordici. Per molti secoli l’Impero romano aveva avuto una difesa pronta e vigile ai confini anche lontanissimi. I barbari così spiegano il fatto: sul Campidoglio esisteva un tempietto consacrato alla Difesa entro cui erano molte statue raffiguranti le varie province di confine. Ognuna aveva al collo un campanellino e appena questa provincia fosse stata minacciata esso preannunciava il pericolo suonando. Ecco perchè, ogni qualvolta i barbari toccavano le terre di confine romano, trovavano le truppe pronte alla difesa.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Gli Ostrogoti, Teodorico e i Longobardi
Quando nel 488 Teodorico, il giovane re degli Ostrogoti, venne attraverso le Alpi Giulie in Italia, col suo esercito, fu la fine del governo di Odoacre. Questi, sconfitto prima sull’Isonzo, fu poi costretto a chiudersi in Ravenna, dove resistette valorosamente per due anni e mezzo; ma alla fine avendogli promesso Teodorico di salvargli la vita si arrese. Il patto non fu però mantenuto e Odoacre fu ucciso assieme ai suoi familiari, nel corso di una disputa insorta durante un banchetto. Teodorico, riconosciuto re d’Italia dall’imperatore di Costantinopoli, per un certo periodo governò saggiamente. Stabilì la capitale del regno a Ravenna e chi anche oggi visita quella città può ammirare splendidi monumenti come la chiesa di sant’Apollinare, il battistero, il mausoleo di Galla Placida, ecc… Negli ultimi anni del suo regno diventò crudele e sospettoso. Fece uccidere il suo consigliere, Boezio, al quale aveva conferito gli onori di console, di patrizio e di maestro degli uffizi, e fece condannare a morte Simmaco, suocero di Boezio, solo perchè ne aveva pianto in pubblico la morte. Prima di morire aveva ordinato la chiusura di tutte le chiese dei cattolici, ma l’ordine non ebbe seguito. Morì nel 526 e così ebbe fine, con un breve periodo di tirannia, un lungo e glorioso regno. Amalasunta, sua figlia, gli eresse un monumento presso Ravenna.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Teodorico
Di Teodorico dobbiamo ammirare la saggezza con la quale governò l’Italia, gli sforzi fatti per fondere i Romani con i barbari sopraggiunti (fu questo il suo ideale e non è colpa sua se non poté raggiungerlo); a suo merito dobbiamo ricordare la protezione da lui data ai grandi uomini che fecero splendere di nuova luce le lettere romane: Cassiodoro, Emiodo, Boezio e le opere pubbliche che egli iniziò, i monumenti restaurati, gli edifici innalzati nelle sue città predilette: Verona, Pavia, Ravenna. Quest’ultima città, un tempo sede della flotta romana, era divenuta già sotto Odoacre la capitale d’Italia e fioriva sulla sua laguna non ancora occupata dalle sabbie. Teodorico l’ornò di chiese e monumenti che in gran parte ancora sussistono e ci danno in modo strano l’illusione di rivivere ai tempi del grande Goto. Eppure questo re tanto amante delle arti non sapeva scrivere e per tracciare le lettere del suo nome doveva usare una laminetta traforata, attraverso la quale a fatica conduceva la penna! Assai meglio della penna egli maneggiava la spada, e lo sperimentarono numerosi popoli che egli assoggettò, entro e fuori d’Italia.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Leggende sulla morte di Teodorico
Procopio racconta che, trovandosi Teodorico ad un banchetto, gli fu portato un grosso pesce, il quale, digrignando i denti e rivolgendo minacciosamente gli occhi, pareva che assumesse le sembianze di Simmaco. Spaventato di ciò, il re si sentì preso da brividi che lo costrinsero a mettersi a letto, dove non vi furono panni che bastassero a riscaldarlo; ed il 30 agosto 526, in età di settantadue anni, fu da una forte dissenteria condotto a morte. Un’altra leggenda racconta che un collettore di tasse, passando per l’isola di Lipari, vi trovò un eremita che subito esclamò: “E’ morto Teodorico!” “Come mai” rispose l’altro “se non è molto che io lo lasciai in buona salute?” “Eppure” soggiunse l’eremita, “io l’ho visto or ora passare con le mani legate, fra papa Giovanni I e Simmaco, ed essere gettato nel cratere del vulcano di Lipari”. Un’altra leggenda racconta che Teodorico fu portato da un cavallo nero, a corsa sfrenata, fin presso il vulcano ove fu scaraventato. (Villani)
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Dalla raccolta di leggi di Teodorico
1 Prima di tutto decretiamo che se un giudice avrà accettato denaro per giudicare a danno di un innocente contrariamente alle leggi e al diritto, sarà punito con la condanna a morte. 34 Nessuno, o Romano o barbaro, si prenda la roba altrui: e se con inganno se ne sarà impadronito non potrà tenerla, e dovrà immediatamente restituirla con gli interessi. 108 Se qualcuno sarà sorpreso a sacrificare col rito pagano sarà condannato a morte. Quelli che praticano arti malefiche, cioè gli stregoni, spogliati di tutte le loro sostanze, se di agiata condizione, saranno condannati all’esilio, se di umile condizione, a morte…
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Giustiniano e la liberazione dell’Italia dagli Ostrogoti
Mentre i Goti dominavano l’Italia, l’Impero d’Oriente, ancora solido e quasi intatto, cominciava ad interessarsi delle sorti dell’Italia, oramai da troppo tempo abbandonata nell’arbitrio dei barbari. Nel 527, un anno dopo la morte di Teodorico, a Costantinopoli saliva al trono il più grande degli imperatori d’Oriente, Giustiniano. Romano di animo e di propositi, egli inaugurò il suo regno con un’opera immortale, ordinando che si raccogliessero tutte le leggi dei Romani in un unico codice che rimane tuttora il solenne monumento del genio giuridico di Roma antica. Giustiniano volle anche ricostruire l’unità dell’Impero romano e in breve strappò ai Vandali l’Africa, sottrasse ai Visigoti la spagna meridionale, e finalmente, nel 535, sbarcò con un esercito in Italia per liberarla dai Goti e ricongiungerla all’Impero. La guerra durò ben diciotto anni e devastò tutta l’Italia, ma alla fine i Goti furono definitivamente sconfitti.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Il governo bizantino in Italia (553-568)
L’Italia tornò così a far parte dell’Impero romano come una provincia. L’Imperatore la governò per mezzo di un suo rappresentante, detto Esarca, che risiedeva a Ravenna, con sommi poteri civili e militari. Ravenna, che mostra ancora nelle belle chiese di San Vitale e di Sant’Apollinare, adorne di splendidi mosaici, i ricordi di questo periodo, divenne il centro delle comunicazioni con l’Oriente. A tutta l’Italia divisa in ducati (così chiamati perchè governati da duchi bizantini) fu esteso il codice giustinianeo. Fra i vari ducati ebbe una particolare importanza il ducato di Roma, per la presenza del papa, capo della Chiesa cattolica. I Bizantini cercarono di migliorare le condizioni della penisola con l’aiuto dei Vescovi, a cui furono affidati uffici civili. Con ciò si accrebbe il potere temporale dei Vescovi, che avrà tanta importanza in seguito. Ma per sopperire alle spese della difesa e dell’amministrazione, il governo bizantino aggravò le popolazioni italiane di tasse esose, rese ancora più aspre dai metodi di riscossione e dalla corruzione dei funzionari. Per questo e per la sua breve durata, esso non potè recare all’Italia i benefici che tutti speravano. Infatti l’Italia rimase bizantina solamente quindici anni. Nel 568, appena tre anni dopo la morte di Giustiniano, una nuova ondata di barbari, i Longobardi, si rovesciò sul nostro paese
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture La conquista dei Longobardi
Non erano passati quindici anni dalla definitiva conquista dell’Italia da parte dei Bizantini quando, nell’anno 568, attraverso le Alpi Giulie sopraggiunsero nuovi invasori: i Longobardi. I soldati dell’Impero d’Oriente che presidiavano l’Italia non seppero validamente difenderla; essi si ritirarono nelle città costiere, dove avevano basi militari e flotte. I Longobardi non avevano navi cosicchè non riuscirono mai a scacciare i Bizantini dalle coste italiane e ad unire tutta l’Italia sotto il loro dominio. Fu questa una delle tristi conseguenze della conquista longobarda: l’Italia, unita dai Romani, si spezzetta in domini Bizantini e in domini Longobardi; ed anche quando finirono quei domini, l’Italia continuerà ad essere politicamente divisa.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture La conversione dei Longobardi
Il dominio dei Longobardi durò dal 568 al 774. Nei primi anni il loro governo fu aspro; poi venne mitigandosi soprattutto per la conversione al cattolicesimo della regina Teodolinda per opera di papa Gregorio Magno. Fu questo un fatto di grande valore politico e civile, perchè influì sui costumi dei dominatori, rese più umana la condizione dei vinti latini e permise non solo la convivenza ma, più tardi, anche al fusione tra vincitori e vinti. Nell’anno 603 la regina Teodolinda, adempiendo un suo voto, fece erigere in Monza la Basilica di san Giovanni Battista, decorata di preziosi ornamenti d’oro e d’argento. Nella cappella, detta ancor oggi “cappella della regina Teodolinda”, si conserva la famosa corona ferrea, la quale, dopo essere stata di Teodolinda ed aver cinto il capo dei re longobardi, servì nei secoli successivi a cingere anche la fronte imperiale di Carlo Magno, poi quella dei re d’Italia nel Medioevo e più tardi ancora quella dei re di Germania imperatori del Sacro Romano Impero.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Per il lavoro di ricerca
Di che stirpe erano i Longobardi? Come vivevano? Quali leggi li governavano? Com’erano le loro case? Come si vestivano? Quando vennero in Italia? Da chi erano guidati? Come governò Alboino? Perchè è famoso l’editto di Rotari? Quando e per opera di chi si convertirono al cattolicesimo? Chi fu Teodolinda? Che cos’è la corona ferrea e dove si trova? Conosci la sua leggenda?
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Il sogno di Teodolinda
Dice una leggenda che Teodolinda aveva promesso di erigere un tempio a San Giovanni e aspettava che un’ispirazione divina le indicasse il luogo più adatto. Mentre cavalcava col suo seguito attraverso una piana ricca di olmi e bagnata dal Lambro, la regina si fermò a riposare lungo le rive del fiume, all’ombra di un albero. Addormentatasi, ella vide in sogno una colomba che si fermò poco lontano da lei e le disse: “Modo” (cioè qui). Prontamente la regina rispose: “Etiam” (sì) e fece costruire la basilica nel luogo indicatole dalla colomba. Quella zona fu poi chiamata Modoetia (Monza).
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Odoacre, amico di San Severino
Non pare che Odoacre avesse la ferocia dei barbari di Attila o di certi imperatori romani; la leggenda ci tramanda infatti la sua vivissima amicizia con San Severino, un asceta molto venerato. Al barbaro Odoacre si attribuiscono poi sentimenti e atti pietosi verso il piccolo Romolo Augustolo che “per compassione della sua infanzia gli salvò la vita e, perchè era un bel bimbo, gli diede una rendita di seimila soldi e lo mandò in Campania a viverci liberamente con i parenti”.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Alboino in Pavia
I Longobardi (“uomini dalle lunghe barbe”) appartenevano a quelle tribù germaniche vissute lontano dai confini dell’Impero romano e rimaste sprofondate nella più oscura barbarie. Nomadi, essi avevano vagato senza meta nell’Europa Centrale; e si trovavano nei territori tra le Serbia, Croazia e Ungheria, quando sentirono parlare del clima mite, delle ricche città, dei pingui campi dell’Italia. Ciò decise il loro re, il fiero e crudele Alboino, ad ordinare un esodo di massa. Nella primavera del 568, una carovana di trecentomila longobardi, tra guerrieri, donne, vecchi e bimbi, si presentò al passo del Predil, nel Friuli, e dilagò poi nella pianura veneta. L’Italia, appena uscita, stremata, dalla lunghissima guerra greco-gotica, venne rapidamente conquistata. In breve tempo i Longobardi si impadronirono di gran parte dell’Italia settentrionale, della Toscana spingendosi a sud, fino ad occupare Benevento. Una sola città oppose agli invasori strenua resistenza: Pavia che, stretta d’assedio, respinse per tre anni gli attacchi longobardi, arrendendosi solo per fame. Era il 572: re Alboino entrava finalmente in Pavia, che sarebbe diventata, con Verona, la capitale del nuovo Regno. Iniziava per l’Italia una nuova, decisiva fase della sua storia. “E’ mia questa Italia!” gridò Alboino, affacciandosi dalle Alpi e scendendo nella pianura del Po che gli sembrò molto bella e fertile. Scelse per sua capitale Pavia. I Longobardi rimasero a lungo in quella regione. E anche quando cessò il suo dominio, il nome rimase. Infatti anche oggi il nome Lombardia ricorda la dominazione dei Longobardi. I Longobardi erano tutti biondi rossicci. Alti di statura, portavano capelli a ciuffo sulla fronte, baffi spioventi e barbe lunghe. Sui copricapo, di pelo, portavano corna di animali. La loro arma preferita era una lunga alabarda. Nel vedere quei nuovi barbari i ragazzi italiani dicevano scherzando: “Sembrano carote!” I Longobardi, dalle Alpi, giunsero fino al mar Ionio, percorrendo tutta la penisola italiana. “Fin qui è il mio regno!” disse un successore di Alboino, Autari, spingendo il cavallo nel mare, a Reggio Calabria. Proprio così. Pareva che ormai fossero i padroni di tutta l’Italia e che nessuno li potesse sconfiggere.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Alboino e Rosmunda
Per capire quanto fossero crudeli, basti dire che coi crani degli avversari uccisi si facevano coppe per il vino. Così ogni volta che bevevano, accostavano le labbra alle ossa del loro nemico. Anche Alboino aveva preso stanza nella città di Verona e occupava il castello già abitato da Teodorico. Suo nemico era stato Cunimondo, re dei Gepiti, che Alboino aveva ucciso in battaglia, sposando poi la figlia del re morto, chiamata Rosmunda. Un giorno dopo un pranzo durante il quale aveva più volte accostato le labbra al teschio di Cunimondo, mezzo brillo, Alboino chiamò uno del suo seguito e gli disse: “Perideo, prendi questa coppa di buon vino e portala alla mia dolce sposa Rosmunda”. Perideo obbedì. Quando la regina riconobbe il teschio del proprio padre, inorridì. Ma non volle mostrare la sua commozione e il suo orrore. Prese la coppa e accostò le labbra sbiancate all’orto del cranio paterno. Con gli occhi dilatati dall’orrore, mentre beveva, fissava Perideo, il quale lesse in quello sguardo una muta invocazione: “Vendicami…” Presso i barbari la vendetta era sacra. E pochi giorni dopo Perideo uccideva Alboino, per vendicare Rosmunda. (P. Bargellini)
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Autari e Teodolinda
Una cupa leggenda circonda il nome di Alboino, il re longobardo che guidò il suo popolo, trecentomila persone comprese le donne e i bambini, una carovana zingaresca di carri e masserizie, guidata da fortissimi guerrieri, a sud delle Alpi: si dice che egli costringesse la moglie Rosmunda, a bere in un boccale ricavato dal teschio del padre, ucciso dallo stesso Alboino. Più gentile e poetica è la leggenda del re Autari e della regina Teodolinda. Autari, prima di sposare quella principessa,, figlia del re degli Avari, si recò alla sua corte in incognito, per conoscerla, fingendosi un ambasciatore. La fanciulla venne chiamata alla sua presenza, perchè egli potesse vederla e, come diceva, “riferire al suo re”. Teodolinda offerse da bere agli ospiti. Quando venne il turno di Autari, questi le sfiorò la mano con un dito e le passò la destra sulla fronte, sul naso e sulla guancia. Teodolinda, turbata, riferì la cosa alla sua nutrice. Ma la vecchia la rassicurò: “Non avere timore: nessun uomo avrebbe osato toccare la futura sposa del re. Quel cavaliere è senza dubbio Autari in persona”. Così conobbe il suo sposo la giovane che, diventata regina, favorì la conversione dei Longobardi (i quali professavano a religione ariana) al cattolicesimo. Sotto i primi anni del dominio longobardo, l’Italia conobbe il più nero e doloroso periodo della sua storia. Ma col passare degli anni i Longobardi (che non riuscirono mai a costruire uno stato forte ed unito) addolcirono un poco i loro barbari costumi. Nel 643 il re Rotari emanò un complesso di leggi, attraverso il quale possiamo farci un’idea della società longobarda, in gran parte ancora barbara, ma già influenzata dallo spirito romano. L’Editto di Rotari elenca i possibili reati, indicando, per ciascuno di essi, la pena da scontare o la multa da pagare. Una curiosa disposizione dice: ” Se qualcuno avrà pelato la coda del cavallo di un altro, pagherà sei soldi”.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Leggi longobarde
I Longobardi obbedivano alle tradizioni ed ai costumi di tutte le tribù germaniche. Vigeva, tra di essi, la vendetta privata, chiamata faida: l’omicida poteva essere a sua volta ucciso da un membro della famiglia del morto; le lotte tra famiglie, in tal modo, duravano molto a lungo, e spesso si tramandavano di generazione in generazione. Un’altra barbara usanza era il “giudizio di dio”. Per stabilire se un uomo era innocente o colpevole del crimine che gli era ascritto, lo si sottoponeva a brutali prove, nella convinzione che dio avrebbe provato la sua innocenza salvandolo. Al giudizio di dio facevano ricorso spesso i Longobardi: l’imputato, legato, viene tuffato in acqua alla presenza di numerosi testimoni; se rimane a galla è ritenuto colpevole, e quindi condannato; se, invece, affonda, la sua innocenza sarà provata! Per tutto il corso del Medioevo, del resto, si ebbero varie forme del giudizio di dio: una delle più frequenti era il duello: l’accusato si doveva battere contro l’accusatore (talvolta costoro erano sostituiti da loro amici, o “campioni”): il vincitore avrebbe provato di essere nel giusto, poiché la sua vittoria, si credeva, veniva dal fatto di difendere una causa giusta. Un certo miglioramento dei costumi longobardi fu ottenuto da re Rotari, il quale, con il suo editto, limitò a pochi casi sia la faida sia il giudizio di dio. Regola della giustizia divenne il “guidrigildo”, cioè il compenso dell’offesa patita. Questi compensi erano fissati con una scrupolosa esattezza. “Chi taglia il naso ad un altro gli dovrà pagare tredici soldi” diceva la legge: ed ecco che il ferito riceveva solennemente, dal feritore, la somma dovuta. Un altro articolo diceva: “Chi fa cadere ad uno i denti mascellari, gli dovrà pagare diciannove soldi per ogni dente”. Più curiosa era quest’altra disposizione: “Se qualcuno avrà colpito un altro in testa, e gli avrà rotto le ossa, gli dovrà pagare: per un osso, dodici soldi; per due ossa, trentasei soldi. Se le ossa rotte saranno più di due, non si contino. Bisogna però che una di queste ossa sia di tale misura che, lasciata cadere all’aperto, su di uno scudo, faccia un suono udibile a dodici piedi di distanza”. Assai cara era pagata una mano: metà del prezzo necessario per compensare una vita. In longobardo, l’offesa era detta walopaus.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Come si vestivano e si acconciavano i Longobardi
Nelle decorazioni del palazzo di Monza, si può vedere molto bene in che modo a quel tempo i Longobardi vestivano e si acconciavano. Essi avevano i capelli rasi fino all’occipite e ricadenti sulla fronte fino all’altezza della bocca, divisi in due bande da una scriminatura. Le loro vesti erano ampie e generalmente di lino, ornate di strisce intessute abbastanza larghe e di vario colore. Portavano calzari aperti all’estremità e fermati da lacci intrecciati.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture In una casa longobarda
Sono entrato nella casa, chiamiamola così, di un guerriero longobardo molto stimato dai suoi connazionali per il suo valore. A me, che sono latino, è sembrato di ritornare indietro nel tempo di millecinquecento anni. L’abitazione consta di un unico vano, le cui pareti sono di legno e il tetto di paglia. Le suppellettili sono ridotte al minimo indispensabile: pentole di terra o di rame, corna di bue per contenere l’olio, o da usare come bicchiere, un mulino portatile per macinare il grano, pelli buttate per terra che servono da letto. Siccome il mio ospite era, come vi ho detto, un soldato valoroso, appesi alle pareti c’erano parecchi crani, quelli dei nemici che il gentiluomo aveva ucciso con le sue mani: così mi ha lui stesso spiegato.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture L’editto di Rotari
Rotari era un re longobardo. Nacque nel 606 e salì al trono nel 636 sposando Gondeberga, vedova di Ariovaldo. Sotto il suo regno lo stato si ingrandì grazie alla conquista della Liguria, tolta ai Greci. Ma la sua fama resta legata soprattutto all’opera di legislatore (aveva del resto dato prova della sua grandezza d’animo proteggendo i cattolici pur essendo ariano). L’editto di Rotari, detto anche editto longobardo, promulgato a Pavia nel 643, è uno specchio fedele delle condizioni di vita e di civiltà del popolo longobardo. L’editto è un vero e proprio codice, composto di 338 capitoli, di diritto penale e privato, riguardanti la repressione dei reati contro lo stato, contro l’incolumità delle persone e la salvaguardia del patrimonio, del diritto ereditario, del diritto di famiglia, dei diritti reali, dei diritti di obbligazione, della responsabilità per i servi, dei danneggiamenti e delle obbligazioni. In questo editto, scritto in latino, per la prima volta dei barbari, come dovevano essere considerati i Longobardi, tenevano conto delle esperienze del diritto romano e delle innovazioni del cristianesimo. Grande importanza è attribuita dall’editto alla famiglia, centro dell’ordinamento sociale e politico, ed a tutte le questioni familiari.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture La conversione dei Longobardi
I Longobardi dominarono per ben due secoli nell’Italia settentrionale, e in così lungo periodo ebbero modo di subire la benefica influenza della civiltà romana, alla quale attinsero per l’organizzazione dello stato, per la compilazione delle leggi mescolando addirittura il proprio linguaggio alla lingua latina. La religione cattolica contribuì in gran parte a modificare le caratteristiche di questo popolo barbaro. La conversione al cattolicesimo avvenne per opera della regina Teodolinda. I Longobardi infatti erano ariani. Era allora pontefice Gregorio Magno, monaco benedettino che, salito alla cattedra di Pietro, diceva tuttavia di sé “io sono il servo dei servi di dio”, e non sdegnava di servire i poveri, che voleva alla sua mensa. Gregorio Magno paternalmente ammonì Teodolinda, e la convertì al cattolicesimo. Ancora molti anni dovettero passare prima che la religione ariana scomparisse tra il popolo longobardo. Tuttavia l’esempio della regina operò grandi conversioni e preparò il terreno per la conversione di tutto il suo popolo.
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture Teodolinda, regina dei Longobardi e dei Latini
L’Italia è dominata dai barbari. Orde di ogni stirpe cavalcano sulle dolci terre e le distruggono. Da qualche anno vi comandano i Longobardi, ma già i Franchi hanno preso a combatterli e a fatica il longobardo Autari li ha ricacciati oltre il confine. Gli Italici attendevano i Franchi come liberatori: chi li proteggerà ora? Autari è crudele e minaccia di morte chiunque sei suoi voglia battezzare i figli. Inutilmente la moglie, Teodolinda, lo supplica di moderarsi… E’ la morte a portarsi via il re prepotente. Teodolinda rimane sola. Esce spesso dalla reggia e si reca fra la povera gente. E’ una fiammata di intima, calda sensibilità a spingerla a far del bene, ed il suo cuore ignora la differenza tra Longobardi e Latini. Un mattino, mentre la regina cavalca verso Monza, un uomo lacero traversa la strada. E’ stremato, traballa… cade. Teodolinda, incurante del fango che le insudicerà il mantello, scende di sella e si china sul mendico. “Chi sei?” il povero ha aperto gli occhi e fissa stupito la dama bionda. “Teodolinda” “La regina! Dio ti protegga sempre… tutti i Latini dicono che sei buona” “La mia gente ti trasporterà nel più vicino castello…” “Tu ami gli amici Italici…” mormora ancora l’uomo “dacci un re che ci comprenda! Lo puoi!” “Sì”. Teodolinda, cattolica, sposa in seconde nozze di Agilulfo, duca di Torino, che non perseguiterà più i cattolici. E papa Gregorio invia ai due sposi una preziosa corona. Preziosa per le gemme che la compongono, ma ancor più preziosa per il sottile cerchio di ferro che la delimita internamente, formato secondo la leggenda da un chiodo della croce: la corona ferrea. Quella che Teodolinda deporrà nella basilica di San Giovanni Battista, che ha fatto erigere in Monza. (R. Gelardini)
REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture La corona ferrea
Secondo un’antica tradizione, Sant’Elena, madre dell’Imperatore Costantino, trovò sul Calvario la Croce. Ella ne tolse un chiodo e lo fece applicare all’interno di una corona d’oro, che regalò a suo figlio. Questi la donò al papa. Circa tre secoli dopo, Gregorio Magno regalò la corona, chiamata ferrea per il chiodo che aveva internamente, alla regina Teodolinda. Ella, a sua volta, ne fece dono al Duomo di Monza, fatto edificare da lei stessa. La corona si trova lì ancora oggi.
REGNI ROMANO – BARBARICI dettati ortografici e letture – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture di autori vari, per bambini della scuola primaria.
I figli del deserto
Nella prima metà del VII secolo, e più precisamente nel 634 dC, gli Arabi assumono una posizione di primo piano alla ribalta della storia. Fino ad allora questo popolo era vissuto sparso per il deserto in tribù nomadi formate di carovanieri, di pastori e di razziatori, detti beduini, cioè figli del deserto, e sono una parte di esso, insediata lungo le coste, praticava l’agricoltura. Gli Arabi adoravano più dei; fra i tanti idoli propri di ciascuna tribù, ce ne era uno comune a tutte, la pietra nera, che si credeva portata dal cielo dall’arcangelo Gabriele e che si venerava in un santuario di forma cubica, la Càaba, alla Mecca, centro religioso e commerciale dell’Arabia. Qui da ogni parte della penisola affluivano una volta all’anno gli Arabi, in pellegrinaggio, per celebrarvi i riti e per trafficare.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Maometto
Alla Mecca, verso l’anno 570, nacque Maometto. Costui sentendosi ispirato da dio, incominciò a raccontare le rivelazioni che la divinità gli faceva e a diffondere in mezzo al popolo i principi di una religione. Maometto insegnava che vi è un dio unico, Allàh, il quale dopo aver inviato come suoi profeti Abramo, Mosè e Gesù, suscitava ora il suo ultimo e più grande profeta, Maometto: “Allàh è il solo dio e Maometto è il suo profeta”. “Gli uomini di fronte ad Allàh sono tutti uguali” diceva Maometto “come i denti di un pettine”. Chi crede in Allàh si abbandona interamente al suo volere, perchè sa che egli nella sua sapienza ha fissato per ciascun uomo un destino, che nulla può mutare. Questa fede cieca, o abbandono in Allàh, si chiama Islàm, e Islamici o Musulmani si chiamano coloro che la professano. Ad essi è riservato il paradiso, un meraviglioso giardino pieno di delizie, per meritarsi il quale adempiere i doveri religiosi, che sono: la preghiera, cinque volte al giorno, quando il muezzin, affacciato al minareto ne grida il segnale; il digiuno, dall’alba al tramonto, nel mese di Ramadàn (febbraio); l’elemosina, che il ricco deve al povero; il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita; la guerra santa contro gli infedeli. Le dottrine di Maometto furono raccolte dai discepoli in un libro sacro: il Corano.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture La guerra santa
La guerra santa predicata da Maometto trasformò rapidamente quel piccolo popolo di nomadi in un grande popolo di guerrieri e di conquistatori. Sotto la guida dei califfi, gli Arabi dilagarono in Mesopotamia e in Persia, poi in Palestina, in Siria e in Egitto. Nel 711 i Musulmani conquistarono la Spagna, passarono quindi i Pirenei, invadendo la Gallia; ma nel 732 furono respinti da Carlo Martello, generale dei Franchi. Non perciò si arrestarono le conquiste arabe nel Mediterraneo: nei primi anni dell’800, la Sicilia e le altre isole italiane erano in potere degli Arabi: il Mediterraneo divenne un mare arabo. Palermo fu allora una delle principali città d’Europa per ricchezza di monumenti e per numero di abitanti. La Sicilia, dopo i tempi floridi di Siracusa e delle colonie greche, aveva sofferto per la rapacità dei governatori romani; si era un poco sollevata nei primi due secoli dell’Impero, per ricadere poi nelle più tristi condizioni per le invasioni dei barbari e per il pessimo governo dei Bizantini. Caduta in dominio degli Arabi, rifiorì a nuova vita; le sue campagne furono allora assai ben coltivate: le industrie, i commerci, le arti prosperarono. La Sicilia raccolse e sviluppò tanta parte di civiltà degli Arabi, la diffuse nei paesi bagnati dal Mediterraneo e, prima che altrove, in Italia.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Per il lavoro di ricerca
Descrivi in paese dell’Arabia e le condizioni dei suoi abitanti prima di Maometto. Che cos’è la Kaaba? Quando visse Maometto? Che importanza ha per gli Arabi l’Egira? In quale libro è contenuta la dottrina di Maometto? Qual è il principio fondamentale della dottrina di Maometto? Perchè gli Arabi giudicarono santa la guerra? Chi erano i Califfi? Quali terre conquistarono gli Arabi in Occidente e in Oriente? Quando giunsero vittoriosi nella Spagna e chi sconfissero? Come governarono gli Arabi in Sicilia? Quale contributo diete all’agricoltura la conquista araba? Quali furono le città più ricche degli Arabi? Quali furono le scienze da loro più coltivate?
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Ritratto di Maometto
Maometto era un uomo dignitoso e raramente rideva. Di costituzione delicata, era nervoso, impressionabile, propenso alla meditazione melanconica. Nei momenti di eccitazione o di rabbia le vene del viso gli si gonfiavano pericolosamente, ma egli sapeva reprimere le proprie passioni e poteva facilmente perdonare a un nemico vinto e pentito… Era un uomo semplice e senza pretese. Gli appartamenti in cui successivamente dimorò erano casette di mattoni non cotti, con tetti di rami di palma; la porta era riparata da una tenda di pelo di capra o di cammello; l’arredamento consisteva in un materasso e alcuni cuscini sul pavimento. Fu visto spesso rammendare i propri vestiti o aggiustarsi le scarpe, accendere il fuoco, scopare il pavimento, mungere la capra in cortile e fare acquisti al mercato. Si cibava di datteri e di pane di orzo, raramente si concedeva il lusso di gustare latte o miele, e dava per primo l’esempio di astenersi dal vino. Cortese con i potenti, affabile con gli umili, indulgente verso i suoi aiutanti, gentili con tutti eccetto che con i nemici. Visitava i malati e si univa a ogni funerale che incontrasse per via. Non amava dimostrazioni di magnificenza e di grandezza. Non richiedeva il lavoro di schiavi quando aveva tempo e forza per fare da solo. Spendeva poco per la famiglia, ancor meno per sé, molto in opere di carità. (W. Durant)
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Maometto e l’Islamismo
Maometto affermava l’esistenza di un dio solo, e voleva che tutti gli idoli fossero distrutti; i sacerdoti e i ricchi mercanti della Mecca suscitarono contro di lui una tale agitazione, che dovette fuggire e rifugiarsi a Yatrib, detta poi Medina (“Città del Profeta”). Ciò avvenne l’anno 622. Questa fuga (in arabo Egira) è considerata dagli Arabi l’inizio di una nuova era. Perciò essi cominciarono a contare gli anni dal 622, che è l’anno primo della loro era. La dottrina maomettana è contenuta nel Corano, che potrebbe definirsi la Bibbia dei Musulmani, e deriva in parte dai Giudaismo e dal Cristianesimo adattati alla natura del popolo arabo. Il principio fondamentale di questa dottrina è l’esistenza di un dio solo, Allah, il quale ha già rivelato la sua legge per mezzo di Mosè e di Gesù, ed ora la rivela in modo più perfetto per mezzo di Maometto, dopo il quale non apparirà più alcun profeta. I fedeli devono obbedire ciecamente ad Allah, accettare con rassegnazione la sua volontà, annullando la propria: tutto è da Allah ineluttabilmente prestabilito. Questo abbandono alla volontà di dio si dice con parola araba Islam. Perciò Islamismo si disse la dottrina di Maometto; islamici o musulmani sono i suoi seguaci. Il paradiso è immaginato come un luogo di godimenti e di piaceri materiali, in forma di giardino, posto sulla vetta di un monte, irrorato da fresche fontane. I dannati piombano invece nell’abisso pieno di fiamme. E’ un dovere degli Arabi convertire alla vera fede di Allah gli infedeli, soprattutto gli idolatri; se gli infedeli resistono si devono sterminare con le armi. Chi cade nella guerra santa è sicuro del paradiso. Questo miraggio, unito al fanatismo religioso, trasformò gli Arabi, da povero popolo di pastori nomadi e contadini, in conquistatori. Il Corano prescrive minutamente i doveri del credente; quali: l’abluzione, la preghiera da farsi cinque volte al giorno a un segnale dato dal muezzin; il digiuno nel mese del Ramadan; il pellegrinaggio, almeno una volta nella vita, ai luoghi santi, ecc…
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Norme del Corano
Oriente e Occidente sono di Allah. Il Signore è ovunque volgete l’occhio e riempie l’universo con la sua sapienza ed infinità. L’esistenza dei cieli e della terra, della notte e del giorno che si succedono, della nave che corre sui nari a vantaggio degli uomini, della pioggia che scende dalle nubi e vivifica la terra, degli animali che popolano la superficie terrestre, dei venti che spirano or di qua or di là, delle nuvole erranti tra terra e cielo, tutto ciò è il segno della potenza dell’Altissimo anche davanti agli occhi degli ignoranti. Nel giorno del giudizio finale tutti i visi degli uomini saranno o bui o risplendenti. I rinnegatori della fede avranno il viso coperto di tenebra e Allah dirà loro : “Andate in preda alle fiamme, giacché siete stati apostati”. Invece, quelli il cui viso risplenderà, proveranno la divina bontà e di essa avranno eterno gioire. Il Signore vi ordina di giudicare con giustizia i vostri simili. Obbeditegli, perché egli tutto vede e tutto sa. Oh credenti, siate cauti nel giudicare; talvolta il giudizio è ingiusto. Frenate la vostra curiosità; non lacerate la reputazione degli assenti. Allah è autore di ogni bene che ti giunga. Tu sei l’autore del male che ti giunge. Chi obbedisce al Profeta, obbedisce al Allah. Anche il verme più vile è creatura di Dio, nutrita da lui; Dio conosce il suo rifugio e dove dovrà morire. La terra presenta ad ogni passo un quadro sempre più vario, qui giardini con vigneti e legumi, là palme, ora solitarie ora in boschetti. La stessa acqua irriga tutti i frutti, ma il suo sapore è diverso. Ecco come Dio dà la prova della sua potenza a quelli che comprendono. La spada è la chiave del cielo e dell’inferno; una goccia di sangue versato per la causa di Dio, una notte sotto le armi, avranno maggior valore che due mesi di digiuno e di preghiera. Colui che morrà in battaglia, otterrà il perdono dei peccati, nell’ultimo giorno le sue ferite saranno rosse come il vermiglio, profumate come il muschio, ed ali d’argento e di cherubino terranno il posto delle membra che avrà perdute.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture I successori di Maometto e le loro grandi conquiste
Raccolto a Medina un nucleo di fedeli, Maometto potè rientrare trionfalmente alla Mecca nel 630, dopo aver sanguinosamente vinto i suoi avversari. Cominciava la guerra santa. Quando il Profeta morì (632), quasi tutta l’Arabia era convertita all’Islamismo e le tribù, prima divise, formavano un saldo organismo politico, militare e religioso. I suoi successori si chiamarono Califfi; i primi furono elettivi, poi si fondò una dinastia. La marcia degli Arabi si sviluppò in due direzioni: ad occidente, verso l’Africa mediterranea; a nord e a oriente, verso la Siria, l’Asia Minore e il Regno di Persia. Essa fu favorita dalla debolezza in cui si trovavano allora i due stati vicini: l’Impero d’Oriente e il Regno di Persia. Il primo perdette parte dei territori, il secondo si sfasciò. Conquistata tutta l’Africa mediterranea, l’anno 711 gli Arabi varcarono lo stretto che la separa dalla Spagna e che, dal nome del loro condottiero, fu chiamato Gibilterra (Gebel-el-Tarik, cioè monte di Tarik), cozzando contro il regno dei Visigoti. In due anni questo crollò: i Visigoti superstiti ripararono nelle Asturie, una regione montagnosa lungo la costa settentrionale della penisola iberica. Né l’impervia catena dei Pirenei arrestò la formidabile espansione degli Arabi, che irruppero in Francia. Ma un valoroso duca franco, maggiordomo del re, Carlo Martello, li sconfisse a Poitiers (732), ricacciandoli al di là dei Pirenei. Nel giro di un secolo, dopo la morte del Profeta, gli Arabi avevano costituito un immenso impero che dall’India si estendeva fino alle coste dell’Atlantico, dai Pirenei al Mar Nero e dal lago d’Aral giungeva fino al deserto del Sahara e all’oceano indiano. In Asia, il loro dominio confinava col grande impero cinese.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture La civiltà araba: agricoltura, commercio, industria
Nei primi tempi della loro espansione, gli Arabi recarono gravi danni alle civiltà conquistate, perchè saccheggiarono e distrussero opere utili ed opere artistiche. Si deve a loro la distruzione completa della Biblioteca di Alessandria. Ma ben presto essi sentirono interesse ed ammirazione per le civiltà dei popoli con cui erano venuti il contatto, e le assorbirono apportandovi anche originali contributi. Agricoltura, industria e commercio fiorirono rapidamente in tutti i paesi conquistati, promuovendone la ricchezza. Nuove piante furono introdotte e diffuse nel bacino del Mediterraneo, come l’arancio, la palma, l’albicocco, il cedro, il carciofo, l’asparago, lo zafferano, il riso, il cotone, ecc… Sistemi ingegnosi di irrigazione furono attuati in Spagna meridionale e nella Sicilia, che diventò allora un giardino fiorente; ancora restano celebri avanzi di pozzi, acquedotti, bacini. Nelle regioni d’Oriente gli Arabi appresero la fabbricazione di eleganti tessuti, la lavorazione del cuoio, dei metalli, del vetro, dell’avorio e del legno. Le armi di Damasco e di Toledo, i leggeri tessuti di Mosul (mussoline), le sete, i broccati, i tappeti di Damasco, il cuoio del Marocco, i mobili intarsiati in avorio, le vetrerie, i vasi, le lampade di Baghdad e di Cordova costituirono i più raffinati prodotti al mondo tra l’VII e il XII secolo. Tutta questa produzione industriale era alimentata dalla facilità degli scambi. Provvisto di porti numerosi, dotato di una flotta potente e di antiche e regolari vie carovaniere, l’Impero arabo era intermediario tra l’Occidente e l’Estremo Oriente. Molte parole della nostra lingua, che riguardano la navigazione ed il commercio, sono derivate dall’arabo (arsenale, ammiraglio, fondaco, dogana, magazzino, ecc…). Mentre nell’Europa cristiana le maggiori città andavano decadendo e la vita economica si restringeva nelle curtis, gli Arabi crearono ovunque nuove città o impressero una floridezza nuova a quelle già esistenti.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture La ricchezza degli Arabi poveri
Gli Arabi poveri raramente erano tanto poveri da non possedere nemmeno questa semplice ricchezza: un cammello o, meglio un dromedario. Esso dava loro nutrimento, con la sua carne, il latte e i prodotti che da questo ne ricavavano. Il suo pelo serviva per la tessitura delle tende e delle vesti. Persino il suo sterco veniva raccolto e usato come eccellente combustibile. Il cammello era prezioso come mezzo di trasporto. Alla resistenza dell’animale, alla sua sobrietà, che lo fa star contento delle erbe della steppa, e che gli permette di star giorni interi senza bere, si deve se le grandi distese desertiche non sono state per i beduini un ostacolo insormontabile e se essi hanno potuto regolarmente varcarle con le loro carovane, con gli eserciti, con conseguenze di grande portata per la storia politica, economica e culturale. (M. Guidi)
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture I musulmani e la schiavitù
Tra i musulmani la schiavitù era abbastanza diffusa, limitatamente però ai lavori domestici: gli Arabi non avevano grandi proprietà terriere in cui occorresse il lavoro degli schiavi. La religione considerava atto di pietà la liberazione di uno schiavo musulmano; considerava un dovere, invece, la riduzione in schiavitù dei nemici. La dura sorte di venir venduti come schiavi toccò, così, anche a molti europei, catturati in battaglia, o durante le scorrerie degli Arabi lungo le coste, o in seguito alle imprese dei pirati arabi che molestavano il traffico delle navi degli “infedeli” nel Mediterraneo. Se i prigionieri erano di buona famiglia, ed esisteva la speranza di un buon riscatto, anziché venduti sui mercati erano restituiti alle famiglie dietro pagamento di una grossa taglia. C’è da dire che i padroni arabi non erano duri con gli schiavi. I più colti praticavano la virtù della misericordia, raccomandata dal Corano, anche nei loro confronti. Quando poi, in Spagna, gli Arabi vennero sconfitti dalle forze della nascente potenza spagnola, toccò a loro essere venduti come schiavi, dove venivano adibiti ai servizi domestici. Molti villaggi, in Liguria, sono sorti in cima alle colline proprio per essere al riparo dalle scorrerie arabe.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture La cultura araba
Magnifico sviluppo ebbe l’architettura, dalle linee armoniose e dalla ricchissima colorazione policroma. I più bei monumenti sono: il palazzo dell’Alhambra a Granata e l’Alcazar a Siviglia. Non ebbe invece grande sviluppo la pittura per il divieto, posto da Maometto, di rappresentare dio in figura umana, allo scopo di impedire il ritorno degli Arabi all’idolatria: in compenso fiorì l’arte decorativa col bizzarro, caratteristico stile degli arabeschi. Tra le opere letterarie, celebre è la raccolta di novelle “Le mille e una notte”. Nel campo delle scienze, partendo dalle conquiste dei Greci e dei popoli orientali, gli Arabi fecero molti progressi: crearono l’algebra, diedero nuova forma al calcolo con l’uso delle cifre arabiche, introdussero lo zero, posero le basi della chimica moderna; la geografia, l’astronomia, la medicina e la chirurgia ebbero da loro contributi nuovi. Ma la civiltà araba, dopo aver raggiunto il suo massimo sviluppo tra il X e il XII secolo, si arrestò e decadde.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Le mille e una notte
Le mille e una notte sono una raccolta di fiabe e novelle arabe famose in tutto il mondo. La cornice favolosa è data dalla leggenda della principessa Sheherazade, che per mille e una notte intrattenne il Sultano con i suoi racconti, ottenendo dalla sua curiosità il continuo rinvio della morte cui era condannata. Al termine dei racconti, il Sultano si riconcilia con lei, ritira la condanna e dà una grande festa. Il libro è pieno di magie, stregonerie, trasformazioni di uomini in animali e viceversa, strumenti fatati (la lampada di Aladino, il tappeto volante e così via). Ma è anche ricchissimo di descrizioni della vita araba nella splendida capitale e nella reggia di Baghdad o nei vicoli del Cairo, dove si aggira una folla pittoresca di facchini, comari, artigiani, mariuoli, avventurieri. Negli straordinari viaggi del marinaio Sindbad rivive l’epopea di qualche Ulisse arabo nei mari d’Oriente. Principi, mercanti, navigatori, studiosi, poeti, uomini del popolo sono i personaggi di una commedia umana che ha per noi il valore di un grande documentario dei costumi e della mentalità degli Arabi nel periodo di maggior splendore della loro civiltà.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Le armi degli Arabi
Le spade caratteristiche degli Arabi erano ricurve: spesso le lame erano finemente lavorate con intarsi d’oro e d’argento e i foderi erano ornati di pietre preziose. I soldati erano armati poi di giavellotto e di lunghe lance orante di criniere di cavallo, e portavano uno scudo piuttosto piccolo. Usavano un elmo con nasale e gorgiera di maglia di ferro per riparare il collo e il naso. Gli uomini indossavano il Kaftan, cioè un ampio mantello di lana e portavano lunghe braghe, strette alle caviglie. Si coprivano il capo con il turbante.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture L’incendio della biblioteca di Alessandria d’Egitto
Amru, generale del califfo Omar, conquistò l’Egitto. Entrato in Alessandria, dove ancora esisteva al famosa biblioteca, in cui i Tolomei avevano raccolto tutte le opere dei Greci antichi, Amru, che stimava le scienze e il letterati, fece amicizia con un dotto greco, di nome Giovanni. Si narra che questi volesse approfittare dell’amicizia che aveva con lui per salvare la biblioteca di Alessandria, ricca di ben 600.000 volumi e lo supplicasse di conservarla. “Io non posso rispondere di nulla ” disse Amru “senza aver ottenuta l’approvazione dell’imperatore dei fedeli”. Ne scrive pertanto al califfo, il quale gli dà questa risposta: “Se i libri di cui parli non contengono ciò che è nel libro di dio, essi sono inutili, falli bruciare; se non si accordano, essi sono dannosi, falli bruciare”. Amru a malincuore obbedì scrupolosamente all’ordine del califfo. (Manaresi)
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture I pirati arabi distruggono un’abbazia
I monaci benedettini di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno si incontravano spesso per feste religiose. In una di queste, che aveva raccolto il popolo delle due badie, avvenne un tremendo massacro. Assaliti dalle orde dei Saraceni che erano risaliti dal litorale di Castel Volturno, furono asserragliati, massacrati e sgozzati; massacro di un esercito inerme preso al laccio dal nemico in una gola di monti senza scampo. La basilica, le chiese furono depredate e incendiate, con grande lutto per la fede e per l’arte. Una traccia resta ancora nell’oratorio di San Lorenzo, unica chiesa superstite ma non indenne.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Gli Arabi in Sicilia
La Sicilia, passata dal governo tirannico di Bisanzio a quello più illuminato degli Arabi, fece enormi progressi intellettuali ed economici, i cui benefici effetti si risentirono con le altre dominazioni. Gli Arabi, bravi agricoltori, curarono i boschi, i corsi d’acqua, la piantagione di alberi fruttiferi, la coltivazione delle ortaglie e del cotone, introdussero in Sicilia la coltivazione della canna da zucchero e degli agrumi, oggi grande ricchezza dell’isola. Divisero le grandi estensioni di terreno in tante piccole proprietà. Palermo divenne, assieme ad altre, una bella, popolosa, ricca città.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Parole arabe in italiano
Molto spesso, parlando di qualche cosa, noi usiamo, senza saperlo, parole che sono state introdotte nella nostra lingua da un grande popolo del passato: gli Arabi. Zucchero, per esempio, è una parola di derivazione araba, come arabe sono le parole cotone, magazzino, almanacco, ammiraglio, albicocca, denaro, divano, materasso e molte altre. Queste stesse parole sono presenti anche in altre lingue europee. Per esempio, dalla parola araba sukkar deriva l’italiano zucchero, lo spagnolo azucar, il francese sucre , l’inglese sugar, il tedesco zucker.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture I cavalli, orgoglio degli Arabi
Gli Arabi non avevano grandi mandrie di bovini, ma pecore e cammelli, asini e cavalli. I cavalli erano il loro orgoglio, animali svelti, alti e ben proporzionati, di temperamento nervoso e velocissimi. I migliori provenivano dall’altopiano di Nedshd; e in tutto l’Oriente erano considerati il più nobile prodotto della natura; in realtà erano il risultato di un accurato allevamento. Il cavalo ebbe fin dall’inizio una notevole importanza nella storia e nelle leggende dell’Islam. Lo stesso Maometto, che non era un beduino, ma un cittadino, fin dalla prima giovinezza aveva avuto gran confidenza con gli animali. Da bambino aveva accompagnato suo zio in un viaggio in Siria, e più tardi guidò egli stesso carovane di mercanti attraverso il deserto, al servizio di una ricca vedova attempata che possedeva alla Mecca un’impresa di trasporti e che poi divenne sua moglie. Probabilmente faceva i suoi viaggi di affari su di un cammello, o su un asino, ma quando diventò conquistatore, e si coprì di gloria, ebbe un focoso destriero, anche per le sue missioni spirituali. I suoi fedeli raccontano che sul suo cavallo miracoloso, Barak, guidato dall’arcangelo Gabriele cavalcò nella santa notte dalla Mecca al Tempio di Gerusalemme e di là salì in cielo. Presso la rupe dalla quale il cavallo aveva spiccato il volo verso il cielo, il secondo califfo Omar al-Khattab, al posto del Tempio di Salomone fece erigere la grandiosa moschea che porta il suo nome. Ciò nonostante, Omar fece il suo ingresso a Gerusalemme come semplice beduino, su un cammello che portava un sacco di biada, un altro di datteri e una borsa di cuoio con acqua da bere. I successi militari degli Arabi sconfinavano nel prodigioso. Con piccole squadre di cavalieri sottomisero i più grandi regni. I Persiani cercarono di trattenerli con un considerevole corpo di elefanti, ma dopo una lotta durata tre giorni, la battaglia degli elefanti di Kadesia si risolse a favore dei lancieri arabi; trecento arabi e settemila berberi presero la Spagna; solo a Poitiers, nel centro della Francia, la cavalleria araba fu bloccata per la prima volta. (Morus)
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Il grande viaggio
La morte non atterriva gli Arabi, perchè essi sapevano che nell’aldilà esiste un dio giusto che premia chi ha vissuto con fede e ha sempre compiuto il bene. Perciò, quando un Arabo doveva intraprendere un lungo viaggio, metteva nel suo bagaglio anche il lenzuolo candido che avrebbe fatto da sudario. Durante il cammino, se l’Arabo si sentiva male e comprendeva che non aveva ormai più molto da vivere, avvertiva i compagni e si faceva dare un’ultima fiasca d’acqua. Poi si allontanava in solitudine. Scavava la sua fossa, con l’acqua faceva le ultime abluzioni rituali, recitava le preghiere e infine si sdraiava serenamente nella buca, in attesa della morte. Non si preoccupava per la sepoltura: avrebbe pensato il vento del deserto ad accumulare in poche ore la sabbia sulla sua fossa.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Inferno e paradiso Certamente noi preparammo ai cattivi il fuoco che li circonderà di un turbine di fumo, e, se chiederanno aiuto, avranno acqua che brucerà loro la faccia come se fosse rame fuso. Ma a quelli che avranno invece creduto e operato con rettitudine, non lasceremo mancare il premio dei giusti. Avranno i giardini del Paradiso, saranno adorni di bracciali d’oro e vestiti di abiti verdi di seta preziosa intessuta d’oro e di una sopravveste splendente.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Dal Corano
Dio ha creato per voi il bestiame; esso vi dà calore e profitto, vi dà nutrimento. La sera quando le bestie tornano alla stalla, la mattina quando vanno al pascolo, sono per voi uno spettacolo bello da vedere. Trasportano i vostri carichi a paesi che non raggiungereste senza affanno e fatica, poichè il Vostro Signore è buono e pietoso. Egli ha creato cavalli, muli ed asini per cavalcatura e per ornamento, e altre cose che non conoscete neppure. A Dio appartiene quanto è nei cieli e sulla terra: Egli è colui che basta a se stesso… e se tutti gli alberi della terra fossero penne, ed al mare fossero aggiunti sette mari, tutti d’inchiostro, non si esaurirebbero scrivendo le parole di Dio. Certo Egli è potente e saggio…
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture La Sicilia sotto gli Arabi
La Sicilia fu governata da un Emiro (Balì) che dipendeva giuridicamente dall’Emiro di Kairouan, ma che, eccezion fatta per l’interpretazione dei dogmi, esercitava un governo assoluto. Palermo fu la capitale del nuovo stato. Dall’Emiro dipendevano i Cadì, che amministravano le città importanti, e funzionari minori. Dopo gli atti violenti della conquista, gli Arabi divennero miti, e il loro governo fu tutt’altro che gravoso. L’isola fu divisa in tre province o valli: Mazara (anche oggi, Mazara del Vallo), Demone e Noto. In generale, Val Demone (Sicilia nord orientale) formata dalle catene dei Peloritani e dei Nebrodi e dall’Etna, tutta aspre valli ed impervie montagne, rimase indipendente di fatto, con municipalità locali; Val di Noto (Sicilia sud orientale) fu resa tributaria; a Sicilia centrale e occidentale, Val di Mazara, era veramente suddita. I beni ecclesiastici e demaniali vennero confiscati dal governo musulmano, ma i cittadini, pur perdendo ogni autorità politica, continuavano a vivere secondo le proprie leggi e costumi, godevano pienamente il diritto di proprietà, potevano praticare la loro religione. La legge musulmana proteggeva le persone e gli averi con le medesime sanzioni penali per i musulmani, e ammetteva ogni contrattazione civile tra loro e i dominatori, anche i lasciti per testamento. Tutti gli uomini liberi, di qualsiasi grado, erano davanti ai vincitori ragguagliati in un’unica condizione, detta dsimma. I dsimmi (sudditi o umiliati) erano sottoposti a vari divieti: non potevano portare armi né andare a cavallo, né bere vino in pubblico, né celebrare pompe funebri; la loro condizione di inferiorità, indicata esteriormente con un segno sulla porta di casa e sul vestito, si rivelava dall’obbligo di cedere per strada il passo ai musulmani e di alzarsi nei ritrovi quando entrava un musulmano. In complesso, al condizione fatta dagli Arabi ai vinti non fu eccessivamente gravosa. Per questo e per l’odio verso l’antico dominate bizantino, i Siciliani non si ribellarono e la signoria araba si consolidò; occorrerà una forza proveniente dall’esterno, i Normanni, per abbatterla. La Sicilia sotto i Musulmani fiorì di commerci e di industrie. Come Cordova, in Spagna, Palermo fu uno dei centri principali della civiltà araba: nel secolo X contava circa 300.000 abitanti ed era ricca e festosa. Con essa gareggiavano Catania, Messina, Siracusa, Castrogiovanni. L’agricoltura fu favorita dallo spezzettamento del latifondo: molte grandi proprietà del dominio bizantino o della Chiesa, confiscate dal governo musulmano, furono in parte divise tra i conquistatori, in parte date in affitto o in enfiteusi. Maometto aveva stabilito che chiunque rendesse una vita alla terra incolta, ne divenisse proprietario. Questo favorì il dissodamento e la coltura intensiva di terre abbandonate. Gli Arabi introdussero nell’isola piante e metodi di coltura che avevano appreso in Oriente: agrumi, fichi d’India, palme da dattero, gelso, cotone, canna da zucchero, ecc., e seppero regolare il corso dei fiumi con sapienti lavori idraulici. La lingua e la cultura indigena non vennero soffocate, anzi valorizzate e arricchite dalla cultura greco orientale, di cui gli Arabi furono mediatori.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture La tecnica araba
Gli Arabi furono i primi ad iniziare un’applicazione più sistematica della ruota ad acqua e del mulino a vento. Mentre nel mondo classico la ruota ad acqua non ebbe mai un’importanza particolare, gli Arabi ne fecero una delle loro principali risorse. In Mesopotamia essi adottarono una ruota a pale galleggianti su chiatte ancorate alle rive del Tigri, per dare energia ai mulini, alle fabbriche di carta e ad altri macchinari, dove fecero grande uso di ruote dentate di legno e di altri congegni di trasmissione dell’energia. Riferisce un antico storico che “… nell’Afghanistan tutti i mulini a vento sono mossi dal vento del nord e quindi orientati in questa direzione. Applicate ai mulini a vento vi sono delle file di persiane che vengono chiuse o aperte per trattenere o immettere il vento. Infatti, se questo è troppo forte, la farina brucia e diventa nera e la stessa macina può surriscaldarsi e guastarsi.” Questo nuovo modello di mulino a vento è dovuto agli Arabi. Nell’epoca d’oro della civiltà islamica (900-1.000) una serie di scienziati fece progredire la tecnica chimica studiando attentamente sostanze organiche e inorganiche, grazie allo sviluppo di strumenti scientifici. Lo scienziato arabo Al-Biruni usò il suo picnometro per determinare il peso specifico di molti minerali e pietre preziose. Uno degli strumenti maggiormente diffusi nel mondo arabo fu l’astrolabio. Risale certamente a Tolomeo e ad altri astronomi ellenistici, ma gli Arabi lo perfezionarono fino a farne uno strumento utile e di impiego universale per la misurazione degli angoli e il calcolo delle posizioni dei corpi celesti. Gli Arabi furono anche famosi per l’arte del vasellame e specialmente per gli smalti lucenti e colorati applicati alle terraglie. Quei recipienti smaltati, molti dei quali a prova di fuoco, erano particolarmente adatti agli esperimenti tecnici. Il miglioramento della qualità del vasellame aiutò grandemente i chimici arabi ad intraprendere una produzione su larga scala di certi prodotti chimici. Essi inventarono i forni cilindrici o conici, in cui venivano poste file di alambicchi per la produzione di acqua di rose o di nafta (benzina) per la combustione dei gas. Nel 1085 un incendio nella cittadella del Cairo distrusse non meno di 300 tonnellate di benzina. La produzione di quantitativi così ingenti era possibile soltanto con il suddetto metodo. Città come Damasco erano, secondo testi antichi, centri di produzione e distillazione. Gli Arabi si interessarono anche alla produzione di tessili. Come certi nomi di sostanze e apparecchi chimici (quali alcali, antimonio, alambicco), passarono dalla lingua araba alla nostra, anche molti nomi arabi di tessuti furono adottati da noi. Così il damasco, ad esempio, deriva originariamente da Damasco, e la mussola da Mosul, mentre la parola taffetà deriva dal persiano taftah e il fustagno, una stoffa famosa nel Medioevo, da Fostat, un sobborgo del Cairo. Il sorgere di un’industria araba della carta fu dovuto ai contatti con la Cina. Nel 793 sorgeva a Baghdad la prima cartiera. Ben presto l’uso della carta divenne così diffuso, che intorno all’800 troviamo scrivani che si scusavano se per stendere le lettere dovevano ricorrere ancora al papiro. Verso il 900 si introdussero a Baghdad formati standard di carta e se ne fabbricarono qualità assai leggere, che servivano per la posta aerea di allora, cioè il servizio dei piccioni viaggiatori. L’industria della carta era strettamente connessa con quella della legatura dei libri, nella quale eccellevano gli Arabi. Essi facevano bellissime copertine di cuoio lavorato a mano e decorato d’oro. Gli Arabi per primi escogitarono un procedimento di raffinazione dello zucchero, e speciali procedimenti per l’estrazione dei profumi dai fiori. E’ di quei tempi l’introduzione su larga scala delle armi chimiche.
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture Il Corano
La dottrina di Maometto è contenuta nel Corano. Corano (“lettura, recitazione”) è l’insieme delle recitazioni pronunciate da Maometto come profeta che si riteneva ispirato dalla rivelazione divina, le quali, raccolte dai suoi ascoltatori, vennero riunite dopo la sua morte. Il Corano è completato dalla Sunna, ossia dalla condotta pratica del Profeta, come risulta dai sui detti e atti tramandati dalla tradizione. Il dogma musulmano è assai semplice. L’unità e l’onnipotenza di Dio (Allah), la vita futura con pene e ricompense, la missione divina di Maometto: questi sono gli articoli di fede. Allah comunica con gli uomini mediante la rivelazione, trasmessa per mezzo dei profeti: ogni popolo ha il suo profeta, ogni epoca il suo libro sacro. Tra i grandi profeti che hanno preceduto Maometto è Gesù: Maometto, l’ultimo venuto tra i profeti, è il profeta per eccellenza, ha apportato la rivelazione definitiva. Dopo la morte l’uomo deve rendere conto delle sue azioni: i reprobi e gli infedeli verranno precipitati nella Gehenna, ove saranno tormentati; ai veri credenti, ai giusti è invece riservato il paradiso, le cui delizie saranno eterne. Per meritare le gioie del paradiso l’uomo deve avere fede e sottomissione assoluta ad Allah, non deve mai rappresentarlo sotto forme visibili, deve obbedire alla sua legge, diffonderla per il mondo anche con le armi, compiere le pratiche essenziali del culto (preghiere, abluzioni, pellegrinaggi), fare elemosina. La carità è stretto obbligo per i Musulmani. La morale è intimamente legata alla religione: il Corano condanna l’avarizia, la menzogna, l’orgoglio, la malvagità; proibisce vino e gioco, i due vizi favoriti dagli Arabi, raccomanda la modestia, la castità, la rettitudine, la pazienza, l’umiltà, e soprattutto la carità. I credenti sono tutti fratelli: gli ebrei e i cristiani potranno, pagando tributo, professare la propria fede. Il Corano permette più mogli, ma la monogamia è considerata preferibile; proibisce l’infanticidio; protegge i deboli, gli orfani, gli schiavi. Si può quindi affermare che la legislazione del Corano abbia costituito per gli Arabi un effettivo progresso. Per il Musulmano il Corano è ciò che la Bibbia è per il popolo ebraico: il libro per eccellenza, che sta al di sopra di ogni altro libro per il suo carattere sacro. Quando vengono letti ad alta voce i versetti del Corano, tutti i presenti devono osservare un assoluto silenzio e nessuno può permettersi di bere o di fumare. In parecchi luoghi era consuetudine insegnare ai bambini inferiori ai dieci anni i 6.200 versetti a memoria, ridotti poi, nelle scuole di tipo più moderno , ad una scelta antologica che non affatichi tanto la memoria. L’unicità di dio è continuamente ribadita nel Corano: “Egli è Dio; non ci è altro Dio che Lui, conoscitore del visibile e dell’invisibile, il misericordioso, il compassionevole! Egli è Dio, non v’è altro Dio che Lui, il re, il santo, il pacificatore, il fedele, il custode, il potente, il dominatore, il grandissimo”. Ci sono versetti che esortano a confidare nella sapienza di Dio, che ha fini ben precisi da realizzare: “Non disperare dello Spirito di Dio”; “Non pensare che Dio sia immemore di coloro che commettono ingiustizie”. Anche nel Corano, come nella tradizione cristiana e presso altre religioni, si possono trovare espressioni quasi proverbiali che aiutano la gente modesta, a portare il peso del vivere con rassegnazione e con totale fiducia in Dio: “Dio non aggrava un’anima più di quanto essa non possa sopportare”; “Se la tentazione da parte di Satana ti inducesse al male, cerca rifugio in Dio che tutto ascolta e conosce”; “Nessuna anima porterà il peso di un’altra”. (L. Salvatorelli)
ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
La leggenda di Attila e Leone I in recita – Questa leggenda misteriosa nella sua semplicità, ha ispirato molti artisti che la hanno immortalata su tela e nel marmo: tra queste opere è celebre l’affresco di Raffaello in Vaticano.
La leggenda di Attila e Leone I in recita Scena I (In una piazza della città di Aquileia, assediata dagli Unni)
Personaggi: Primo cittadino Secondo cittadino Terzo cittadino Quarto cittadino Altri cittadini intorno
Primo cittadino: Amici! Cittadini! Conviene ancora resistere alle forza di Attila? Da settimane lottiamo contro la forza che ci serra, ma è inutile: la fine della nostra città è vicina. C’è una sola speranza di salvezza…
Secondo cittadino: Quale?
Primo cittadino: Quella riposta nelle trattative con Attila. Offriamo al re degli Unni la nostra amicizia. I barbari sono clementi quando sperano di avere una nuova amicizia.
Secondo cittadino: Di quale speranza vaneggi? Quale follia ti spinge a proporre tali trattative? Il re degli Unni non vuole parole, non vuole amici, e nemmeno traditori: desidera solo per i suoi nemici morte, rovina, fuoco.
Terzo cittadino: Il nome di Attila vuol dire ferro. Egli è di ferro. Soprattutto il suo cuore è di ferro.
Quarto cittadino: Attila è il flagello di dio. Dovunque le sue orde sono passate, è rimasta la desolazione. Donne, vecchi, fanciulli non sono risparmiati dalla sua ferocia. Se una speranza c’è, questa è riposta nella resistenza delle nostre mura e dei nostri petti.
Primo cittadino: Guardate lassù! Una cicogna sfugge dalla nostra città spingendo davanti a sé i suoi piccoli. Oh, potessi fare altrettanto io! Potessi mettere in salvo i miei figlioli!
La leggenda di Attila e Leone I in recita Scena II (E’ la visione della futura Venezia. La scena si svolge in una qualsiasi città del Veneto, dopo che Aquileia è caduta).
Personaggi: Primo cittadino Secondo cittadino Vescovo Altri cittadini
Primo cittadino: Amici! Una terribile notizia. Aquileia è caduta in mano degli Unni. La porta l’Italia è aperta al più crudele dei barbari.
Cittadini: Che facciamo? Decidiamo di resistere?
Primo cittadino: E’ inutile. Non abbiamo armi sufficienti e poi… da quando l’Italia consce il piede dei Barbari, la virtù romana è spenta!
Secondo cittadino: Ecco ciò che faremo: aspetteremo Attila ed i suoi Unni con le porte della città aperte, lo accoglieremo con onori, lo blandiremo con gli elogi. I barbari, quando ricevono buona accoglienza, entrano da una parte ed escono dall’altra.
Primo cittadino: E’ un consiglio vile e pericoloso!
Secondo cittadino: E che altro si può fare? Vorresti forse che le nostre case fossero bruciate, le nostre donne uccise, i nostri fanciulli rapiti?
Cittadini: Ha ragione!
Vescovo: Calma, figlioli! La paura del pericolo non vi mostra la via più chiara. Io, insieme con la benedizione di dio, sono pronto a darvi un consiglio.
Cittadini: Quale?
Vescovo: Lasciamo le nostre terre e trasferiamoci al di là del mare, sulle isole della laguna. Che Attila trovi le nostre città deserte. Che Attila trovi il silenzio. Là, sulle isole, non verrà. Là, sulle isole, noi costruiremo le nostre case.
Primo cittadino: Le nostre case! Forse vi troveremo la salvezza, ma non un solido avvenire. La terra è sabbiosa, il mare è minaccioso. Come costruire una nuova città?
Vescovo: Oh cittadini! Oh figlioli! Sulla sabbia, dove lavorino uomini animati da speranza e fiducia, possono sorgere case solide e serene. Ecco, io la vedo, la nostra nuova città. E’ tutta di marmo, si innalza al cielo con cupole e campanili, e si specchia nel mare. Il sole vi batte sopra radioso.
La leggenda di Attila e Leone I in recita Scena III (Nella tenda di Attila)
Personaggi: Attila Generale Servo
Generale: Oh re, quale cruccio ti rende inquieto?
Attila: Ho trovato città abbandonate, campagne silenziose e morte. Non questa Italia sognavo. Mi aspettavo un’Italia verde e ricca da saccheggiare con profitto.
Generale: Oh re, ma noi andiamo avanti!
Attila: Sì, andremo avanti, finché non troveremo…
Servo (entrando): Oh mio re, ambasciatori romani sono arrivati per parlarti.
Attila: Ambasciatori? Immagino quello che mi vogliono dire. Mi vorranno fermare, offrendomi denaro. Io lo rifiuterò! O forse mi offriranno il possesso di una provincia. Che sciocca proposta sarebbe! Perché dovrei accontentarmi di una provincia, quando posso prendermele tutte? (esce).
Generale: Sperano di fermare il nostro re, ma è inutile…
Servo: Non so.
Generale: Noi Unni continueremo la nostra marcia.
Servo: Non so.
Generale: Niente può resistere alla nostra furia.
Servo: Non so.
Generale: Ma che vuol dire questo “non so”?
Servo: Ecco, rientra il nostro re!
Attila (entrando): Ufficiale, ordina a tutti di tornare indietro!
Generale (meravigliato): Ma come?
Attila (sconvolto) Non sono chiaro? Con me si paga ogni discussione. Suvvia, torneremo indietro, lasceremo l’Italia!
La leggenda di Attila e Leone I in recita Scena IV (Nella tenda di Attila, lontano dall’Italia)
Personaggi: Attila Generale
Generale: Oh re, ora che i nostri eserciti sono rientrati nella steppa tranquilla, dimmi, se è possibile: perchè lasciasti improvvisamente l’Italia?
Attila: Quel giorno mi incontrai col papa Leone Magno. Fu lui che mi convinse di tornare indietro.
Generale: Perchè? Quante legioni aveva il papa?
Attila: Nessuna. Neppure un uomo armato!
Generale: E allora? Che accadde?
Attila: Dietro alla sua figura ho avuto la visione di una spada di fuoco. Io, che fin da bambino avevo adorato la forza materiale, capii quel giorno che esiste una potenza d’altro genere. Una potenza contro la quale è inutile afferrare le spade e preparare guerre. E sarà sempre inutile.
(Rodolfo Botticelli, adattamento da “Recitiamo la Storia”, editrice La Scuola 1967)
LA STORIA DELLE ORIGINI DELLA LINGUA INGLESE fa parte del quadro della QUARTA GRANDE LEZIONE Montessori. Per approfondire e accedere a tutto il materiale relativo vai qui:
La tendenza umana verso la comunicazione ha spinto le persone a creare il linguaggio, poi, nel corso del tempo, questi linguaggi si sono evoluti, riflettendo le idee delle persone ed il loro ambiente. Maria Montessori sostiene che per educare il potenziale umano è necessario che gli individui, nei primi anni di vita, vengano messi in relazione con gli esseri umani, e che provino gratitudine per tutti gli uomini e le donne che giorno dopo giorno hanno lavorato affinché noi potessimo vivere una vita più ricca e piena.
Il bambino può usare la sua fantasia per immaginare le persone che parlavano le lingue che hanno dato origine alla sua. Capire come la lingua italiana si è evoluta nel passato, e come continua a cambiare ancora oggi, si tradurrà nei bambini nella percezione dell’importanza di questa nostra lingua, e farà comprendere quanto sia positivo per i popoli entrare in contatto tra loro. La storia delle origini della lingua italiana deve essere presentata in relazione al concetto di mescolanza di culture, fornendo esempi di come la lingua italiana sia stata interessata da questa mescolanza. E’ un fenomeno che continua a verificarsi anche oggi. Lo stesso vale per la storia delle origini della lingua inglese, che pur essendo facoltativa, può essere molto interessante per i bambini, visto che studiano questa lingua a scuola e spesso entrano in contatto con essa nella vita quotidiana.
Una delle difficoltà che abbiamo nel presentare la storia della lingua inglese ai bambini più piccoli, è che dobbiamo fare riferimento alla storia inglese ed americana. C’è quindi la tendenza a saltare questa lezione. L’Inglese è una lingua che si è sviluppata col contributo di molti popoli, quindi ha molte diverse radici etimologiche. Noi vogliamo innanzitutto che i bambini comprendano che l’Inglese non è figlio di un solo genitore. Non sappiamo se in origine gli esseri umani parlassero una sola lingua, o più lingue. Possiamo solo immaginare come sia nato il linguaggio, ma non potremo mai saperlo con certezza. Prima della comparsa di documenti scritti, la storia della lingua può essere solo ipotizzata.
Anche per la storia delle origini della lingua inglese può essere utile utilizzare l’albero linguistico:
LA STORIA DELLE ORIGINI DELLA LINGUA INGLESE
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI La storia delle origini della lingua inglese
L’Inglese è un amalgama di molte lingue. La lingua originaria, da cui si è sviluppato, è il proto-indoeuropeo, portato in Europa e Asia, a ondate successive, da tribù provenienti dalla Russia. Le tribù che raggiunsero l’Inghilterra, portando con sé la propria lingua, furono gli Angli, i Sassoni e gli Juti, provenienti dalle coste della Germania. Con queste invasioni, il territorio dell’isola si frammentò in diverse regioni: in alcune si parlava la lingua dei popoli originari, in altre la lingua dei conquistatori. Queste due lingue finirono col mescolarsi, e diedero vita alla lingua inglese, che si sviluppò nelle regioni centrali e nord-orientali, diventando la lingua letteraria dell’isola.
Quando le persone si muovevano, portavano con sé la propria cultura, la propria lingua, le proprie tradizioni, i propri canti e le proprie poesie. Il primo grande racconto inglese si chiamava Beowulf, e veniva tramandato di bocca in bocca, senza avere forma scritta. Raccontava la storia e le avventure di un personaggio chiamato appunto Beowulf. E’ stato trascritto soltanto in epoche recenti, in un dialetto sassone occidentale dell’Anglosassone (o Inglese Antico). Dovevano esisterne molte copie, ma l’unica ancora esistente si trova oggi al British Museum di Londra. L’Anglosassone è considerato il diretto antenato dell’Inglese.
Tuttavia, molti popoli di lingue diverse hanno contribuito alla formazione dell’Inglese che conosciamo.
Nel 597 Sant’Agostino si recò in Inghilterra come vescovo missionario, e fu il diretto responsabile della mescolanza tra Inglese e Latino. Ecco perché, guardando l’etimologia delle parole inglesi, troviamo molte radici latine.
Durante i secoli VIII, IX e X dC i territori furono interessati da invasioni di popoli provenienti dalla Scandinavia, così troviamo nell’Inglese anche molte radici scandinave, in particolare nei suffissi, ad esempio –by, che viene dalla parola “byre” che significa fattoria.
Nell’XI secolo ci fu l’invasione dei Normanni, che provenivano dalla Francia. I Normanni imposero la loro lingua, che veniva parlato nei tribunali e divenne la lingua dei ceti più elevati, mentre l’Inglese era parlato solo da popolo. In questo periodo il Francese era la lingua colta dell’Inghilterra. Anche a Corte si parlava Francese. Solo nel 1462, data molto importante per una ragione che se volete potrete ricercare da soli, il Parlamento tornò a parlare in Inglese, e salì al trono un Re di lingua inglese, così tornò ad essere la lingua più importante.
Il Francese, naturalmente, ha lasciato il segno, e nella lingua inglese ci sono molte radici, suffissi e prefissi che derivano da questa lingua.
Nel XVI secolo assistiamo ad un grande sviluppo delle scienze, e gli scienziati europei scelsero come lingua tecnica il Greco antico: i termini scientifici e tecnici provenivano dal Greco. Per questo nell’inglese troviamo oggi anche molte radici greche.
Per comprendere la varietà di etimologie dell’Inglese, è necessario quindi capire la Storia. Però si tratta di un lavoro molto utile per spiegare i fatti di questa lingua. Ad esempio un bambino si può chiedere perché parole che si pronunciano nello stesso modo (ad esempi son e sun), si scrivono in modo diverso. O perché le parole si scrivono in un modo e si pronunciano in un altro (ad esempio la parola love, che si pronuncia luv). Queste difficoltà ortografiche dell’Inglese risalgono al tempo degli scrivani normanni, che erano di lingua francese. Essi usavano uno stile di scrittura che prevedeva che, quando alcune lettere si trovavano l’una accanto all’altra (ad esempio U-M, oppure U-N)non era così facile dire quante gambe avessero le lettere una volta scritte insieme. Così essi cambiarono alcune di queste lettere nelle parole, ad esempio U-N divenne O-N. E siccome la parola figlio si usa di più, quando si scrive, della parola sole, adesso sole si scrive SUN e figlio si scrive SON. Quando in Inglese usiamo il pronome io (I) lo scriviamo sempre con la lettera maiuscola, mentre tutti gli altri pronomi vengono scritti in minuscolo: anche questo deriva dal fatto che i Normanni lo scrivevano in questo modo. Molte delle difficoltà che incontriamo nello scrivere le parole Inglesi oggi, poi, derivano direttamente da errori di trascrizione fatti dagli scrivani di lingua francese.
L’Inglese che parlavano i primi coloni, inoltre, non è l’Inglese che si parla ora in USA, ed è abbastanza diverso dall’Inglese che si parla oggi in Gran Bretagna, o in Australia. Infatti le lingue, dopo essersi diffuse, hanno continuato ad evolversi in modo indipendente. Probabilmente l’accento dell’Inglese-americano è più vicino a quello di shakespeariano dell’Inglese-britannico, e l’Inglese-britannico è più lontano dall’Inglese di Shakespeare dell’Inglese-americano. Ad esempio, nel British English il participio passato GOTTEN è diventato GOT nel XVII secolo, dopo che l’American English era già sviluppato, così mentre in Gran Bretagna GOTTEN non si usa più, in America è ancora usato.
LA STORIA DELLE ORIGINI DELLA LINGUA INGLESE
THE HISTORY OF THE ORIGINS OF THE ENGLISH LANGUAGE is part of the framework of the FOUR MONTESSORI COSMIC LESSON. To deepen and access to all related material go here: https://www.lapappadolce.net/.
The human tendency toward communication has prompted people to create the language, then, over time, these languages have evolved, reflecting the ideas of the people and their environment. Maria Montessori says that to educate the human potential it is necessary that the individuals, in the first years of life, are correlated with human beings, and that they feel gratitude to all the men and women who have worked day after day so that we can live a fuller and richer life. The story of spoken language is an abstracte study: charts of language families, migration maps an pictures of ancient people may help. The child can use his imagination to picture the people who spoke the languages that gave rise to his language. Understanding how the English language has evolved in the past, and how it continues to change even today, will result in children, in the perception of the importance of this our language, and will understand what is good for the people to get in touch with each other.
Every language has a history, and all languages change over time, sometimes veri slowly and sometimes very rapidly. The history of the origins of the English language must be presented in relation to the concept of mixing of cultures, providing examples of how the English language has been affected by this mixture. It is a phenomenon that continues to occur even today.
One of the difficulties we have in presenting the history of the English language for young children, is that we have to refer to the history of English and American.
So there is a tendency to skip this lesson. English is a language that has developed with the contribution of many people, so it has many different etymological roots. We want first of all that children understand that English is not the son of a single parent. Though a subtle point, we should make clear the difference between the movement of peoples and the spread of language. Populations may remain relatively stationary, while absorbing the culture of their far away trading partners or distant rulers.
We do not know if originally humans spoke one language, or multiple languages. We can only imagine how it is born the language, but we can never know for sure. Before the appearance of written documents, the history of the language can only be hypothesized.
Even in the history of the origins of the English language it may be helpful to use the linguistic family tree:
FOUR GREAT LESSON MONTESSORI THE HISTORY OF THE ORIGINS OF THE ENGLISH LANGUAGE
What language do we speak? English. There are many hundreds of languages spoken in the world. Why we speak English? It is a very long story…
English is an amalgamation of many languages. The original language, from which it developed, is the proto-Indo-European. Scientists think that all European, Indian and Iranian languages come from this one ancient language. Indo-Europeans lived in southeastern Europe about 6,000 years ago and then spread out into central Europe, Asia Minor, Iran, India ad finally to the Mediterranean and northen Europe
The English language come to us from Britain, but Britain was not always an Englis-speaking land. By about 500 bc the people of Britain were speaking a Celtic language. In 43 AD the Romans invaded Britain. Romans spoke and write Latin, and Latin became the language for government, business and education, but the common people continued to speak their Celtic dialects.
When Romans abandoned Brirain, new groups of warriors invaded. These people were Germanic-speaking tribes.
When people were moving, they brought with them their culture, their language, their traditions, their songs and their poems. The first major English tale was named Beowulf, and was handed down by word of mouth, without be in writing. He told the story and adventures of a character named precisely Beowulf. It was transcribed only in recent times, in a West Saxon dialect called Anglo-Saxon, the Old English. There had many copies of this, but the only still existing is now in the British Museum in London. The Anglo-Saxon is considered the direct ancestor of English (fonte Wikipedia).
However, many peoples of different languages have contributed to the formation of English we know.
In 597 St. Augustine went to England as a missionary bishop, and was directly responsible for the mix of English and Latin. That is why, looking at the etymology of English words, we find many Latin roots.
During the centuries VIII, IX and X AD the territories were affected by invasions of peoples from Scandinavia, so we find into English also many Scandinavian roots, particularly in the suffixes, for example-by, which comes from the word “byre” meaning farm.
In the eleventh century there was the invasion of the Normans, who came from France. The Normans imposed their language, which was spoken in the courts and became the language of the upper classes, while English was spoken only by people. In this period the French was the cultured language of England. Court also spoke French. Only in 1462, very important date for a reason that if you want you can look for yourself, Parliament returned to speak in English, and ascended the throne a King of English language, so it returned to be the most important language.
The French, of course, has left its mark, and in the English language there are a lot of roots, prefixes and suffixes that are derived from this language.
In the sixteenth century we are witnessing a great development of science, and European scientists chose as technical language the ancient Greek: the scientific and technical terms came from the Greek. For this reason we find in English today also many Greek roots.
To understand the variety of etymologies of English, so you need to understand the history. But it is a very useful work to explain the facts of this language.
For example, a child may wonder why words that are pronounced the same way (eg son and sun), are written differently. These difficulties of English spelling back to the time of the Norman scribes, who were French-speaking.
They used a writing style which provided that, when some letters were next to each other (for example U-M, or U-N) was not so easy to say how many legs had once written letters together. So they changed some of these letters in the words, for example UN became ON. And because the word son is used more, when you write, of the word sun, sun now he writes SUN and son writes SON.
When in English we use the pronoun I always write it with a capital letter, while all other pronouns are written in lower case: this comes from the fact that the Normans were writing it in this way.
Many of the difficulties we encounter in writing the English words today, then, are derived directly from errors of transcription made by the French-speaking scribes.
The English language spoken by the first settlers, is also not the English that we speak now in the US, and is quite different from English that is spoken today in Britain, or Australia, or Canada.
In fact, languagesafter having spread, have continued to evolve independently. Probably the American-English accent is closer to the Shakespearean accent than to the British-English and British English is farther from English of Shakespeare than it is American-English.
For example, in the British English the past participle gotten became GOT in the seventeenth century, after the the American English was already developed, so while in Britain gotten no longer used, in America it is still used. Most words ending in an unstressed -our in British English (e.g., colour, flavour, behaviour,harbour, honour, humour,labour, neighbour, rumour, splendour) end in -or in American English (color, flavor, behavior, harbor, honor, humor, labor,neighbor, rumor, splendor). Wherever the vowel is unreduced in pronunciation, e.g., contour, velour, paramour and troubadour the spelling is the same everywhere. For words ending -bre or -tre British spellings calibre, centre, fibre, goitre, litre, lustre, manoeuvre, meagre, metre, mitre, nitre, ochre, reconnoitre, sabre, saltpetre, sepulchre, sombre, spectre, theatre and titre but all have -er in American spelling. (fonte Wikipedia)
Anche per questo racconto può essere utile l’albero linguistico:
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI LA STORIA DELLE ORIGINI DELLA LINGUA ITALIANA
Tutte le lingue europee, persiane e indiane appartengono ad un unico gruppo linguistico, che è chiamato Indo – Europeo. Questo perché derivano da una lingua originaria.
Gli studiosi ritengono che l’antenato della lingua che parliamo oggi sia una lingua parlata da una popolazione nomade, dedita alla pastorizia, che si trasferì dalla Russia verso l’Europa Centrale circa 4.000 anni fa.
Chi erano questi pastori? Cosa facevano? Com’era l’Europa a quel tempo?
L’Europa a quel tempo era abitata da popolazioni dedite all’agricoltura; si trattava di gruppi che costruivano enormi tombe per la sepoltura comune. Uno di questi gruppi è denominato Cultura del vaso campaniforme, a causa della forma delle sue ceramiche. E’ stato un periodo molto tranquillo della storia. C’erano i costruttori di tombe, i ceramisti e gli agricoltori che vivevano uno a fianco all’altro. In questo scenario si sono introdotte popolazioni guerriere, armate di asce fatte di rame o pietra levigata. Un aspetto interessante di queste popolazioni è che seppellivano gli uomini coricati sul fianco destro con la testa rivolta a ovest, mentre le donne coricate sul fianco sinistro e con la testa rivolta verso est. Le loro asce erano deposte davanti ai loro occhi. Queste popolazioni si spostarono in successive migrazioni. (Mostrare ai bambini delle mappe, che i bambini possono approfondire).
Una parte di queste tribù raggiunse l’Europa occidentale, un’altra si insediò in Persia e un’altra ancora in India (Arii). La lingua detta Proto-Indo Europeo si ramificò perciò in due direzioni: occidentale e orientale.
Le tribù giunte in Europa occidentale si suddivisero così: gli Ittiti e i Greci in Asia Minore e Grecia; i Germani in nord Europa; i Celti sfiorano le Alpi, entrando anche in Italia; mentre il resto proseguì verso le coste dell’Atlantico. Anche i cosiddetti “Popoli del mare” che invasero il Vicino Oriente (inclusi i Dori che occuparono la Grecia nel 1200 aC) sono di origine indoeuropea (mostrare mappe e schemi).
Nella penisola italica (XVII-IX secolo aC) arrivarono le seguenti popolazioni indoeuropee: a nord Leponzi e Celti (chiamati anche Galli) e i Veneti; al centro i Picenti, i Latini, gli Umbri e i Volsci, al sud i Sanniti e gli Iapigi; in Sicilia i Siculi. Questi popoli, fondendosi con le popolazioni già stanziate, ebbero la meglio sul piano linguistico. Le popolazioni che gli indoeuropei trovarono in Italia conoscevano il rame e vivevano prevalentemente su palafitte, che durarono fino all’età del ferro, quando si sviluppò la civiltà Villanoviana (1000 aC) che determinò la formazione di grossi villaggi da cui poi emersero le città etrusche.
Le principali lingue indoeuropee dell’antichità sono state le seguenti: Indiano (Vedico e Sanscrito) Iranico (Persiano Antico, Avestico, Medo, Scitico) Armeno e Ittito (in Asia Minore) Tocarico (parlato nel Turkestan orientale) Tracio e Frigio Slavo Baltico (antico Prussiano, Lituano e Lettone) Germanico Celtico, Osco-Umbro, Latino e Greco, che sono all’origine delle parlate italiche.
Le lingue indoeuropee più importanti presenti nella penisola italica furono: – Celtico e Gallico: popolazioni celtiche entrarono in Italia verso l’800 aC stabilendosi principalmente nella pianura padana e nelle Marche. Le loro lingue scomparvero completamente dopo la conquista romana. – Paleoveneto: era la lingua degli Euganei – Greco: la colonizzazione greca dell’Italia meridionale e delle isole ebbe inizio nell’VIII secolo aC (Magna Grecia). La lingua dei Greci resistette a lungo alla romanizzazione, e il latino assimilò moltissimi vocaboli da questa lingua. – Latino: quando i Latini giunsero alle foci del Tevere incontrarono gli Etruschi. Il latino non fu in grado di soppiantare il greco nell’Italia meridionale, anzi lo adottò come seconda lingua. Man mano comunque che Roma si imponeva su tutta la penisola, il latino finì col prevalere su tutte le altre lingue preromane.
Dal Latino provengono le lingue NEO LATINE o ROMANZE (Italiano, Francese, Spagnolo, Portoghese e Rumeno). Bisogna considerare però che durante il periodo Romano la popolazione era divisa in due classi sociali: una abbastanza ricca da andare a scuola, e che parlava il latino standard, una povera che non andava a scuola e parlava il latino volgare (cioè del popolo).
Con la caduta dell’Impero Romano (476 dC) il latino non è più la lingua ufficiale e col passare del tempo nessuno lo parla più: diventa una “lingua morta”, mentre il latino volgare rimane vivo perché il popolo continua ad usarlo e modificarlo.
Essendo una lingua spontanea, non scritta, ogni popolazione lo parlava e modificava a modo suo. Inoltre arrivarono in Italia altre popolazioni, e ogni regione cominciò a vivere per conto proprio, perdendo i contatti con le regioni vicine per lunghi periodi. La popolazione si riuniva durante il periodo delle invasioni nei posti che riteneva più sicuri: monti e vallate isolate. Si formarono così tante piccole comunità isolate, e si svilupparono tanti volgari diversi, tutti che derivavano dal latino.
Nel Medioevo non esistono più il latino standard e il latino volgare, ma esistono i volgari italiani: lingue che assomigliano al latino e assomigliano all’italiano, ma che hanno caratteristiche proprie. Un esempio famoso si trova nelle poesie della Scuola Siciliana (volgare siciliano).
Dal XVI secolo al XIX il fiorentino si impose sempre più come lingua unitaria, ma non era parlata per la comunicazione quotidiana se non in Toscana. In tutte le altre regioni le persone di ogni condizione sociale parlavano il dialetto.
La situazione era caotica: i volgari italiani erano tanti e diversi e comunicare era difficile. Nel 1500 un gruppo di intellettuali lanciò un dibattito noto come Prima questione della lingua. Uno di questi, Pietro Bembo, propose come modello per una lingua unica il volgare fiorentino del 1300 di Dante, Petrarca e Boccaccio (detti ‘le tre corone’). La proposta venne accettata e il volgare fiorentino diventa il modello da seguire nell’italiano insegnato a scuola. Ma naturalmente per le strade di Firenze il volgare fiorentino era diverso da quello del 1300.
Ora, come per il latino, avvenne che solo le persone istruite parlavano il volgare fiorentino considerato corretto, mentre il popolo continuava a parlare e modificare i propri volgari. Ma poiché ora c’è una lingua ufficiale, questi volgari prendono il nome di dialetti.
L’esigenza di una lingua comune si manifestò nei primi dell’Ottocento quando cominciò a diffondersi l’idea di un’Italia unita del Risorgimento.
Nel 1840 Alessandro Manzoni pubblica I promessi sposi, romanzo scritto in una lingua nuova: si tratta del volgare fiorentino reso attuale e arricchito da espressioni contemporanee degli altri volgari.
Quando l’Italia venne unificata (1861) si pose la Seconda questione della lingua e viene scelta come lingua unitaria la lingua di Manzoni: questa lingua è la base dell’Italiano moderno.
Di nuovo abbiamo una lingua ufficiale, insegnata nelle scuole e modello da seguire, usata solo dai ricchi, mentre il popolo continua a parlare i dialetti.
Durante il XX secolo l’italiano ebbe crescente diffusione negli strati più povera grazie al fatto che la scuola elementare diventa obbligatoria. Inoltre le due guerre mondiali porta per la prima volta ad un mescolamento tra italiani. Ancor più fece poi, nel Novecento, la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa (cinema, radio, televisione).
Qui di seguito trovi due versioni del racconto e l’albero linguistico, scaricabile e stampabile in formato pdf.
La storia viene ulteriormente sviluppata in seguito, con la storia delle origini della lingua italiana e con la storia delle origini della lingua inglese.
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI LA STORIA DELLE FAMIGLIE LINGUISTICHE Prima versione
Gli studiosi credono che le lingue attuali siano divise in famiglie. Alcune sono parenti vicine, diciamo sorelle, altre parenti di secondo o terzo grado. Un modo per riconoscere lingue che provengono dalla stessa famiglia linguistica è confrontare le parole che esse usano per chiamare i numeri. Tutti i popoli, infatti, hanno la necessità di contare.
Oggi, circa la metà della popolazione mondiale parla una lingua della famiglia indo-europea, mentre l’altra metà parla lingue di altra provenienza.
La maggior parte delle famiglie linguistiche europee sono legate le une alle altre, ed hanno un’origine comune, una lingua madre chiamata lingua proto-indoeuropea. Le prime persone che parlavano questa lingua, di cui non abbiamo testimonianza, provenivano dalle steppe della Russia, erano pastori nomadi che viaggiavano alla ricerca di pascolo. Si muovevano velocemente perché avevano addomesticato i cavalli, ed avevano carri a ruote trainati da buoi. Come arma avevano delle asce: lo sappiamo perché abbiamo trovato le loro tombe, ed abbiamo scoperto che seppellivano i loro uomini accanto alle loro armi. Le donne venivano sepolte coi loro gioielli d’ambra. Quando questo popolo giunse in Europa, venne in contatto con le popolazioni locali. Si trattava di agricoltori sedentari, che vivevano in villaggi sparsi, e seppellivano i loro morti in grandi tombe megalitiche. Gli uomini con le asce non furono gli unici a raggiungere l’Europa in quel periodo. Abbiamo testimonianze anche del popolo della ceramica campaniforme, proveniente dalla Spagna, che deve questo nome all’uso di fabbricare vasi a forma di campana, e forse conoscevano la tecnica della produzione della birra. Conoscevano anche il bronzo, perché abbiamo trovato coltelli, lance, punte di freccia e gioielli di questo materiale. Probabilmente svolgevano attività di scambio e commercio con gli agricoltori. Questi popoli si mescolarono tra loro, e probabilmente nacque così una lingua comune, che doveva essere il proto-indoeuropeo.
Circa 4.000 anni fa, pare che queste popolazioni cominciarono a muoversi in direzioni diverse, allontanandosi dalle pianure dell’Europa centrale in cui si erano stabiliti in origine. Alcuni si diressero verso Oriente ed altre verso Occidente, e viaggiando incontravano altre popolazioni, che parlavano altre lingue. Così ogni popolazione sviluppò da quella che era una lingua comune, una propria variante. Anche la nostra lingua è nata così.
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI LA STORIA DELLE FAMIGLIE LINGUISTICHE Seconda versione
È esistita una lingua uguale per tutti gli uomini, che poi si è diversificata? Da dove viene la nostra lingua? Chi l’ha parlata per primo? Come si sentivano gli uomini quando pronunciarono le prime parole? Quanto tempo fa gli uomini hanno cominciato a parlare? Quando l’Italiano è nato, somigliava a quello che parliamo noi?
Secondo gli studiosi, tutte le lingue europee, persiane e indiane, con poche eccezioni, appartengono ad uno stesso gruppo linguistico. Secondo i Filologi questo gruppo di lingue, chiamato gruppo Indo-europeo, si è diffuso a partire da un punto di origine comune, in un dato momento storico. Si pensa che l’antenato delle lingue indo-europee fosse una lingua parlata da un popolo nomade dedito alla pastorizia, che dalla Russia si spostò verso l’Europa centrale, circa 4.000 anni fa.
Chi erano questi pastori nomadi? Cosa trovarono quando arrivarono in Europa?
Non si sa con certezza, ma si ipotizza che 4.000 anni fa l’Europa fosse un territorio poco popolato, dove gli uomini vivevano divisi in villaggi agricoli (non città). Questi agricoltori erano viaggiatori che via via, provenendo da altre zone, si insediavano dove le condizioni erano più favorevoli all’agricoltura, portando con sé la propria cultura, e i propri usi e costumi. Di questa epoca rimangono le costruzioni megalitiche: grandi tombe funerarie per le sepolture comuni, ad esempio. Probabilmente si dedicavano anche agli scambi e al commercio. Conosciamo una popolazione tra queste, chiamata Cultura del vaso campaniforme, per via dei resti di vasi di ceramica a forma di campana che abbiamo rinvenuto.
Ebbene, tutte queste persone vivevano insieme in modo relativamente pacifico, quando sulla scena irruppe la popolazione dei pastori nomadi di cui abbiamo parlato, e che chiamiamo Popolo dell’Ascia. Il Popolo dell’Ascia si muoveva da un luogo all’altro e non era così pacifica. L’ascia era la loro arma caratteristica: si trattava di asce di guerra fatte di rame o di pietra levigata. Poiché sono state trovate alcune delle loro tombe, sappiamo qualcosa del loro culto dei morti. Nelle loro tombe, gli uomini sono sempre distesi sul fianco destro e con la testa rivolta verso est e i piedi ad ovest. Il volto era girato verso sud, le gambe erano piegate e, nel caso degli uomini, davanti ai loro occhi venivano poste le loro asce. Cercando di interpretare questo modo di seppellire i morti, si è pensato che questi uomini adorassero il sole, ma non ne possiamo essere certi.
Gli studiosi pensano che questi uomini, comunque, parlassero una lingua che può essere l’antenato comune delle lingue indo-europee, chiamata Proto-indoeuropeo, la bisnonna della nostra lingua. Questa popolazione era in grado di muoversi molto velocemente perché aveva addomesticato il cavallo e aveva imparato ad utilizzare la ruota. Costruiva quindi carri trainati da cavalli o da buoi.
LA STORIA DELLE FAMIGLIE LINGUISTICHE
THE STORY OF LINGUISTIC FAMILIES It is part of the framework of the MONTESSORI FOUR GREAT LESSON. Below are two versions of the story and the linguistic family tree.
The story is further developed later, with the story of the origins of the Italian language and the history of the origins of the English language.
MONTESSORI FOUR GREAT LESSON THE STORY OF LINGUISTIC FAMILIES First version
Researchers think that the present languages are divided into families. Some are close relatives, say sisters, other relatives of second or third degree. One way to recognize that languages come from the same language family is to compare the words they use to call the numbers. All peoples, in fact, need to count.
Today, about half the world’s population speaks a language of the Indo-European family, while the other half speak languages from other sources.
Most language families in Europe are linked to each other, and have a common origin, a native language called Proto-indoeropean.
The first people who spoke this language, we have not evidence, came from the steppes of Russia, were nomads who traveled in search of grazing. They moved quickly because they had domesticated horses, and had wheeled carts pulled by oxen. As weapons they had axes: we know this because we found their graves, and we found that buried their men next to their weapons. Women were buried with their amber jewelry.
When these people came to Europe, he came into contact with local people. They were sedentary farmers, who lived in scattered villages, and buried their dead in large megalithic tombs.
Men with axes were not the only ones to reach Europe in that period. We have also testimonies of the people of ceramics Belldirectly coming from Spain, so named because manufactured vessels bell-shaped, and perhaps knew the technique beer brewing. Also knew the bronze, because we found knives, spears, arrowheads and jewelry of this material. Probably they held exchange activities and trade with the farmers. These peoples were mingled with each other, and was probably born in this way a common language, which was to be the proto-Indo-European.
About 4,000 years ago, it seems that these people began to move in different directions, moving away from the lowlands of central Europe where they were originally established. Some made their way to the East and the other towards the West, traveling and met other people who spoke other languages. So every population grew from what was a common language, its own variant. Even our language was born in this way.
MONTESSORI FOUR GREAT LESSON THE STORY OF LINGUISTIC FAMILIES Second version
It existed a language equal for all men, which later diversified? Where it comes from our language? Who has spoken it first? What men felt when they uttered the first words? How long ago people began to talk? When English is born, it resembled the English that we speak?
According to scientists, all European languages, Persian and Indian, with few exceptions, belong to the same language group. According Philologists this group of languages, called the Indo-European group, has spread from a common point of origin, at a given moment in history. It is thought that the ancestor of the Indo-European languages, was a language spoken by a nomadic people devoted to the sheep, who moved from Russia to Central Europe, about 4,000 years ago.
Who were these nomadic shepherds? What they found when they arrived in Europe?
It is not known with certainty, but it is assumed that 4,000 years ago Europe was a sparsely populated territory, where men lived, divided into agricultural villages (not city). These farmers were travelers who gradually, coming from other areas, came to settle where conditions were more favorable to agriculture, taking with them their culture, and their customs and traditions. Of this time remain the megalithic constructions: big funerary tombs for common burials , for example. Probably they dedicated themselves to trade and commerce. We know a population of these, called Bell Beaker Culture, because of the remains of ceramic pots shaped bell that we found.
Well, all these people lived together relatively peacefully, until the population of nomadic shepherds that we talked about, and we call the People of the Axe, burst onto the scene. The People of the Axe, moving from place to place and it was not so peaceful. The ax was their characteristic weapon: it was axes of war made of copper or polished stone. For we have found some of their graves, we know something of their cult of the dead. In their graves, the men are always lying on his right side with the head turned towards east and feet turned towards west. The face was turned towards the south, the legs were bent and, in the case of men, before their eyes were put their axes. Trying to interpret this way of burying the dead, the scientists thought that these men should worship the sun, but we can not be certain.
Researchers think that these men, however, spoke a language which can be the common ancestor of the Indo-European languages, called Proto-indoeropeo, the great-grandmother of our language. This population was able to move very quickly because he had tamed the horse and had learned to use the wheel. Then built carts pulled by horses or oxen.
LA STORIA DEL LINGUAGGIO VERBALE fa parte del quadro della QUARTA GRANDE LEZIONE Montessori. Per approfondire e accedere a tutto il materiale relativo vai qui:
Per la storia del linguaggio orale prepariamo racconto semplice ma appassionante, sul modello di quello presentato di seguito. Le diverse teorie sull’origine del linguaggio attireranno di certo l’attenzione dei bambini, se sono offerte in forma di racconto, con esempi accattivanti, cercando di mostrare ciò che deve essere successo quando i primi esseri umani hanno cercato di comunicare tra di loro per esprimere i propri bisogni, sentimenti, le proprie idee e preoccupazioni.
La tendenza umana verso la comunicazione ha spinto le persone a creare il linguaggio, poi, nel corso del tempo, questi linguaggi si sono evoluti, riflettendo le idee delle persone ed il loro ambiente. e questi cambiato nel corso del tempo per riflettere le persone e il loro ambiente. Mostrando il bambino il loro posto nella loro cultura è parte di metterli in contatto con la loro cultura e aiutarli ad adattarsi. Maria Montessori sostiene che per educare il potenziale umano è necessario che gli individui, nei primi anni di vita, vengano messi in relazione con gli esseri umani, e che provino gratitudine per tutti gli uomini e le donne che giorno dopo giorno hanno lavorato affinché noi potessimo vivere una vita più ricca e piena.
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI La storia del linguaggio verbale
Racconto:
Chissà com’era la vita dei primi uomini apparsi sulla Terra. Perché cominciarono a parlare tra loro? Come parlavano? Cosa dicevano?
Nessuno lo sa con certezza, ma potrebbe essere successo così: i primi uomini erano sempre alla ricerca di cibo, di piante commestibili, o animali da cacciare. Quando faceva freddo, cercavano materiali utili per coprirsi, o luoghi adatti a diventare rifugi. E cosa fecero secondo te?
Chi vuole far finta di essere un uomo primitivo? Vediamo, fate finta di essere molto affamati. Avete trovato delle mele da mangiare e volete dirlo alla vostra famiglia, ma non sapete nessuna parola. Come potete fare? (Proporre varie scenette del genere, poi introdurre le teorie sulla nascita del linguaggio).
Gli studiosi hanno proposto varie teorie sulla nascita del linguaggio, e siccome non è possibile sapere come siano andate realmente le cose, tutte queste teorie sono realistiche.
Secondo la teoria del bow wow (o teoria onomatopeica) la lingua è nata come imitazione dei suoni della natura e dei versi degli animali.
Secondo la teoria del poo poo il linguaggio è nato con le interiezioni, grida istintive utilizzate per esprimere sensazioni ed emozioni.
Secondo la teoria yo he ho gli esseri umani, per lavorare insieme, avevano bisogno di sincronizzare i loro movimenti.
Secondo la teoria del gesto: gli uomini hanno cominciato a comunicare coi gesti e poi si è sviluppato il linguaggio.
Secondo la teoria del Ding-Dong la lingua parlata è nata a seguito di espressioni vocali emesse quando qualcuno veniva, ed esempio, colpito alla testa da un frutto, o si faceva male in altro modo.
Secondo la teoria Bocca-Gesto i gesti fatti con la bocca e con le mani hanno portato naturalmente al movimento delle labbra e della lingua, e così si iniziò a vocalizzare.
Secondo la teoria musicale (o del sing song) le prime parole erano lunghe e musicali, scaturite dal gioco, dal corteggiamento e da elementi emozionali.
Secondo la teoria del contatto, siccome gli animali chiamano gli altri emettendo suoni, gli umani li hanno imitati, ad esempio per salutarsi.
Secondo la teoria del comando le prime parole erano comandi del tipo corriamo, cacciamo, saltiamo, fermiamoci.
Così, come non sappiamo come sia nata la lingua scritta, allo stesso modo non sappiamo come e quando sia nata la lingua parlata. I primi uomini devono aver prodotto suoni, e questi devono aver avuto un significato per le altre persone.
Senza lo sviluppo del linguaggio parlato, gli esseri umani non avrebbero potuto fare tutte le cose di cui sono stati capaci.
Tutte le teorie e le congetture sulla nascita del linguaggio sono basate sull’idea che i primi esseri umani avevano assoluta necessità di comunicare tra loro.
LA STORIA DEGLI ALFABETI che presento qui è una versione molto dettagliata della storia della scrittura, dalle pitture rupestri all’ebook. Vengono inoltre presentate molte curiosità sulla scrittura e gli alfabeti di tutto il mondo. Nella seconda parte del racconto le lettere vengono presentate una ad una, raccontando di ognuna l’evoluzione storica dal sinaitico ad oggi. Il racconto è accompagnato da nomenclature e dalle schede riassuntive lettera per lettera. La STORIA DEGLI ALFABETI fa parte del quadro della QUARTA GRANDE LEZIONE Montessori; per saperne di più ed accedere a tutto il materiale relativo vai qui:
LA STORIA DEGLI ALFABETI – Materiale utile per la presentazione:
Carte illustrate per la storia degli alfabeti
Schede della storia delle lettere dell’alfabeto
LA STORIA DEGLI ALFABETI – Racconto:
Gli esseri umani vivono su questo pianeta da migliaia di anni, e fin dall’inizio hanno avuto bisogni di parlare tra loro. A volte possiamo comunicare con gli altri senza emettere suoni: possiamo usare le espressioni facciali, o i gesti, o entrambi. Ma il modo più importante che gli esseri umani hanno di comunicare tra loro è il linguaggio. Originariamente, il linguaggio era esclusivamente orale: le persone, semplicemente, parlavano tra di loro. Ma la lingua parlata non consente di tenere traccia di ciò che è stato detto, e non consente di comunicare con le persone lontane. Così, alla fine, le persone hanno ideato il linguaggio scritto, che consente di fare entrambe le cose.
Tutte le lingue utilizzano simboli: segni o immagini che rappresentano cose reali o idee. Gli antichi Egizi usavano disegni che rappresentavano parole. Potevano fare questi disegni sulla pietra, o su rotoli di papiro. A migliaia di chilometri di distanza, gli antichi Cinesi svilupparono un sistema di scrittura composto da caratteri che significavano parole o idee. Questo popolo utilizza lo stesso sistema ancora oggi.
Talvolta si usano anche disegni che rappresentano una sorta di rebus, un simbolo complesso che contiene sia immagini, sia parole, da decifrare.
I simboli servono spesso anche a dare indicazioni rapide di regole, direzioni, luoghi, come avviene per la segnaletica stradale, i cartelli nei bagni pubblici, ecc…
Oggi la maggior parte di ciò che scriviamo è composto da parole, piuttosto che da disegni. Per migliaia di anni, tuttavia, dalle pitture rupestri agli antichi Egizi, le immagini furono l’unico tipo di scrittura.
Ma è molto difficile disegnare un’immagine di tutto ciò che gli esseri umani possono pensare. Come possiamo fare un disegno di “ieri”, o di “freddo”, o di “possibile”?
Gli uomini, per questo motivo, resero i loro disegni sempre più astratti, e dopo molti secoli, scoprirono anche che potevano utilizzare i loro disegni per rappresentare non le cose che vedevano o toccavano o pensavano, ma i suoni della loro lingua.
Queste “immagini sonore” sono chiamate lettere, simboli che stanno al posto dei suoni che compongono tutte le nostre parole. Così ogni lingua ha bisogno di un numero relativamente ridotto di lettere per essere scritta. Un elenco, fatto secondo un ordine particolare, di tutte le lettere usate per scrivere una data lingua, viene chiamato alfabeto. Nessuno sa precisamente quando o dove gli uomini abbiano per la prima volta costruito un alfabeto, sappiamo che l’alfabeto che usiamo noi oggi ha origine dagli antichi alfabeti usati in Medio Oriente.
Gli scienziati che studiano la storia delle lingue, hanno stabilito che le origini del nostro alfabeto risalgono al 2.000 aC, cioè a più di 4.000 anni fa. Questi scienziati studiano le lingue antiche, ed esaminano le tavolette di argilla e le iscrizioni che vengono rinvenute durante gli scavi archeologici. Poi confrontano quello che trovano in un dato luogo con i reperti trovati in altri luoghi. Spesso è molto difficile capire esattamente cosa significhino i segni di queste iscrizioni antiche. Molti esemplari di antiche scritture sono andati perduti nel corso dei secoli, per cui sono molte le cose che non possiamo dare per certe. Anche oggi gli studiosi continuano ad indagare le antiche iscrizioni, per conoscere meglio la storia del nostro alfabeto.
Come ha fatto un alfabeto nato 4.000 anni fa a diventare l’alfabeto che usiamo oggi? Attraverso le migrazioni dei popoli, il commercio e le guerre di conquista.
Il nostro alfabeto si è evoluto, nel corso di molti secoli, nei paesi del Mediterraneo. L’alfabeto SINAITICO, creato nella penisola del Sinai, ha rappresentato un grande passo avanti nella storia della comunicazione umana. Era più facile da imparare, le immagini erano molto semplificate, e le lettere avevano la stessa funzione che hanno negli alfabeti fenicio, greco e latino. Più tardi si è rivelato utile anche per scrivere lingue diverse, come l’Inglese, lo Spagnolo, il Tedesco, il Polacco, il Turco e perfino l’Hawaiano. Le lettere che utilizziamo oggi derivano quindi dai geroglifici egizi, che sono stati presi in prestito dai popoli della penisola del Sinai, e trasformati in lettere. Queste lettere poi sono state prese in prestito dai Fenici, che le hanno trasmesse ai Greci. I Greci le hanno prestate ai Romani, e questi le hanno trasmesse a noi.
Solo pochi anni fa gli scienziati hanno trovato nella Valle del Nilo una parete rocciosa scolpita con simboli, che avevano circa 4.000 anni. Scoprirono che i simboli non rappresentavano cose o idee, ma suoni. Queste iscrizioni, dunque, rappresentano l’esemplare dell’alfabeto più antico. Le incisioni, probabilmente, non furono eseguite da Egizi, ma dai minatori e dagli altri lavoratori stranieri che provenivano dalla penisola del Sinai.
Il popolo che viveva nella penisola del Sinai aveva regolari scambi commerciali con l’Egitto, quindi aveva familiarità con la loro scrittura geroglifica. Molte delle lettere che essi crearono, pensano gli studiosi, sono basate sui simboli egizi. La loro scrittura si sviluppò intorno al 1.500 aC ed il loro alfabeto era composto da 18 lettere.
I Fenici, che vivevano sulla costa mediterranea nei pressi della penisola del Sinai, adattarono l’alfabeto sinaitico alla propria lingua. Il loro alfabeto si sviluppò tra il 1.000 e l’800 aC, ed aveva 20 lettere. I Fenici erano grandi costruttori di navi ed abili marinai, e vendevano e compravano merci in tutti i Paesi del Mediterraneo. Il loro alfabeto così si diffuse rapidamente nei Paesi con i quali avevano scambi commerciali, inclusa la Grecia.
Intorno all’800 aC i Greci cambiarono la forma della maggior parte delle lettere fenicie, e ne aggiunsero alcune altre. Questo si è dimostrato molto utile, perché la lingua greca era molto diversa da quella fenicia. I Greci portarono il loro alfabeto in tutte le colonie che fondarono nei Paesi del Mediterraneo.
Nel 200 aC i Romani, che vivevano nella penisola italica, presero il posto dei Greci come popolo più potente del Mediterraneo. Ben presto estesero il loro impero al Portogallo, la Spagna, la Francia ed altre regione europee, tra le quali la Gran Bretagna. Ovunque sono arrivati, hanno portato il loro alfabeto con loro.
Ma che suono avevano queste lettere antiche? Non possiamo essere sicuri del suono esatto che le lettere dei primi alfabeti rappresentavano. Gli scienziati ritengono che ALEPH fosse un suono gutturale simile alla pronuncia della nostra H. In generale le consonanti sono pronunciate arrestando o limitando il flusso d’aria mentre parliamo, mentre le vocali si pronunciano senza interferire col flusso dell’aria. Nelle lingue semitiche, come l’antico Sinaitico e il Fenicio o l’Ebraico e l’Arabo moderni, le parole vengono scritte senza vocali. Le vocali vengono pronunciate parlando, ma non vengono trascritte. I popoli semitici, dal senso dalla frase, sono in grado di capire quali siano le vocali da usare. Ad esempio, se noi scriviamo L BMBN ST CRRND, dovremmo essere in grado di leggere LA BAMBINA STA CORRENDO.
Chi chiamò “alfabeto” l’elenco delle lettere? La parola ALFABETO deriva dal nome delle prime due lettere greche, ALFA e BETA. Non furono i Greci ad aver avuto l’idea di alfabeto, ma ci hanno dato il nome. I Romani all’inizio chiamarono il loro elenco di lettere LITERAE (lettere) o ELEMENTA (elementi), una parola che può derivare dalla sequenza LMN che si trova nel mezzo della lista. Tuttavia, già nel III secolo aC era in uso la parola ALPHABETUM, derivata dalle prime due lettere dell’alfabeto greco, e che divenne poi la nostra parola ALFABETO.
I Greci furono i primi ad usare, per le lettere, dei nomi che non avevano altri significati. Per i Fenici, la parola ALEPH era sia il nome di una lettera, sia la parola per dire BUE; BETH era sia il nome della lettera sia la parola per dire CASA; GIMEL era sia il nome di una lettera, sia un bastone che si usava per cacciare. Invece, per i Greci, le parole ALPHA, BETA, GAMMA, erano solo nomi di lettere che rappresentavano, con la loro iniziale, un suono. Non avevano altri significati.
I Romani furono i primi a citare le loro lettere, non con il loro nome, ma con il loro suono, come facciamo noi oggi quando invece di dire A BI CI DI E EFFE, diciamo A B C D E F. I Greci invece usavano nominarle come ALFA BETA GAMMA DELTA, ecc…
Nessuno sa perché le lettere dell’alfabeto appaiono nell’ordine in cui le vediamo, ma sappiamo che hanno mantenuto lo stesso ordine dal tempo dei Fenici. L’ordine alfabetico ci aiuta ad organizzare le informazioni. Un dizionario che elenchi migliaia di parole in ordine sparso, sarebbe impossibile da consultare.
Durante le Olimpiadi moderne, la squadra della Grecia, che è stata la sede delle prime Olimpiadi della storia, entra in campo sempre per prima, la squadra del Paese ospitante sempre per ultima, mentre tutte le altre squadre entrano in ordine alfabetico, a seconda della lingua che si parla nel Paese ospitante. Se ad esempio le Olimpiadi si svolgono in un Paese dove si parla Inglese, gli USA entrano quasi per ultimi, come il Regno Unito (United Kingdom). Quando si svolgono in paesi di lingua Francese o Spagnolo, gli USA entrano molto prima, perché in Francese si chiamano ETATS UNIS e in Spagnolo ESTADOS UNIDOS.
Le lingue non condividono tra loro tutti gli stessi suoni. Ci sono suoni che esistono in una lingua, ma non esistono in un’altra. Ad esempio ad un Tedesco, i suoni di v e di w della lingua inglese sembrano identici, ma non lo sono per gli Inglesi. Nel passaggio dell’alfabeto da un popolo all’altro, quindi da una lingua all’altra, avveniva che l’alfabeto straniero non rispondesse a tutte le esigenze della lingua che voleva adottarlo. Ad esempio i Greci, per scrivere il Greco, non avevano bisogno di alcune delle consonanti usate dei Fenici per scrivere il Fenicio. Per questo, ad esempio, i Greci presero dall’alfabeto fenicio ALEPH HE e KHETH, che erano consonanti, e le usarono come vocali per ALFA, EPSILON ed ETA.
Le lingue che si parlano oggi nel mondo hanno più suoni di quelli espressi nei loro alfabeti. Ad esempio l’alfabeto inglese ha 26 lettere, ma si è calcolato che, a seconda dell’accento, la maggior parte degli anglofoni usano più di 40 suoni differenti. Quindi, molte delle nostre lettere rappresentano in realtà più di un suono. Ad esempio, in Italiano, la lettera O si scrive nello stesso modo in ORMA e in ORO, ma i suoni sono diversi: è chiusa in orma ed è aperta in oro.
Molte lingue usano le stesse lettere, ma spesso abbinandole a suoni diversi. Ad esempio lo Spagnolo, il Tedesco e l’Inglese hanno nel loro alfabeto la lettera J. In Inglese questa lettera si chiama JAY e sta per g dolce. In Spagnolo si chiama JOTA e ha un suono simile alla H aspirata. In Tedesco si chiama JOT e ha un suono simile ad Y. Stessa lettera, lingue diverse, suoni diversi. Le persone sono molto brave ad utilizzare lo stesso alfabeto, ma adattandolo ai suoni della propria lingua.
L’alfabeto più diffuso nel mondo oggi è l’alfabeto latino, quello utilizzato dagli antichi Romani molti secoli fa. Quando gli eserciti romani conquistarono l’Europa, i popoli che vivevano in Spagna, Francia, Germania, Italia, Scandinavia ed Inghilterra cominciarono a scrivere nelle loro lingue, ma utilizzando l’alfabeto latino. Questi paesi poi diffusero le loro culture nelle loro colonie che fondarono in Asia, Africa e nelle Americhe, così anche i popoli di questi continenti utilizzarono l’alfabeto latino. Poiché, come abbiano detto, ogni lingua può avere dei suoni che altre lingue non hanno, i vari popoli hanno dovuto inventare dei modi per utilizzare le lettere esistenti nell’alfabeto latino, per rappresentare più suoni differenti. L’Inglese, ad esempio, a volte combina più lettere insieme per rappresentare alcuni dei suoi suoni, ad esempio CH, SH, TH. Succede anche in italiano con SC SCH GL GN ecc… In Italiano, ed anche in Spagnolo R è diverso da RR o L è diverso da LL.
Oltre all’alfabeto latino, si sono diffusi nel mondo altri alfabeti, di origine comune a quello latino, come l’alfabeto ebraico e quello arabo, che derivano dall’alfabeto fenicio, e l’alfabeto cirillico, usato in Russia e in Europa Orientale, che deriva dall’alfabeto greco.
La maggior parte delle scritture moderne si leggono da sinistra a destra. Ma l’antico Greco si scriveva in entrambe le direzioni, in questo modo: la prima riga procedeva da sinistra a destra, poi giunti al margine, la seconda riga proseguiva a ritroso nel senso opposto, con un procedimento a nastro. Questo modo di scrivere si chiama scrittura BUSTROFEDICA perché aveva un andamento che ricordava il bue che ara i campi (dal greco “bue” e “invertire”).
Leggere il Latino non è per noi così semplice, perché essi usavano solo le lettere maiuscole e non avevano alcun segno di interpunzione, nemmeno gli spazi tra una parola e l’altra. Le frasi, allo stesso modo, non erano separate tra loro. Ad esempio, questa spiegazione sarebbe risultata così:
Siccome era molto difficile leggere una scrittura simile, i Romani stessi, col passare del tempo, si stancarono, e cominciarono a mettere uno spazio tra una parola e l’altra e un punto simile a questo ∙ alla fine di ogni frase.
Gli Egizi hanno inventato un supporto per la scrittura chiamato papiro e che fabbricavano con una pianta che cresceva lungo le sponde del fiume Nilo. La superficie del papiro era molto facile da disegnare. Il papiro però era molto costoso, e le persone, per risparmiare, scrivevano su entrambe le facciate di ogni foglio. Per questo hanno inventato colori che potevano essere lavati dai papiri, per poterli utilizzare più volte. L’inchiostro nero veniva prodotto con fuliggine mischiata a polpa di papiro.
Le popolazioni della penisola del Sinai ed i Fenici usavano invece delle tavolette di argilla. Disegnare immagini perfette sulla creta molle non è facile, e questo può essere uno dei motivi per cui gli alfabeti si sono sviluppati proprio in queste regioni.
I Romani usavano sia rotoli di papiro, sia tavolette d’argilla. Spesso scolpivano le loro iscrizioni nella pietra, soprattutto sulle pareti degli edifici pubblici e sui monumenti. Molti Romani usavano anche portare con sé delle piccole tavolette di legno spalmate di cera, per scrivere. Riscaldando la cera potevano fare TABULA RASA, cancellare quello che avevano scritto prima, e scrivere qualcosa di nuovo.
A partire dal Medioevo si iniziò a scrivere su pelli di animali appositamente preparate, e chiamate pergamene. La più preziosa era la velina. Sia la pergamena comune, sia la velina, erano materiali estremamente costosi, e questo limitava la quantità di scritti realizzabili.
La carta, inventata in Cina nel I secolo aC, non raggiunse l’Europa prima del XII secolo dC. Fino a quando non furono messi a punto sistemi di produzione in serie, cosa che avvenne molti secoli dopo, la carta era un lusso riservato a pochi.
Con l’invenzione della stampa, sempre più persone hanno imparato a leggere e scrivere. Siccome scrivere ogni lettera staccata richiede più tempo, per una scrittura a mano più veloce si è ideato il corsivo. Nel corsivo la forma delle lettere è cambiata per permettere di collegarle tra loro, senza dover staccare la penna dal foglio tra le lettere della stessa parola. Il corsivo è stato inventato in Italia nel Medioevo.
I Romani incidevano spesso messaggi nella pietra. Essi scoprirono che l’aggiunta di un breve trattino alle estremità delle lettere aiutava a scriverle più ordinato e proporzionato. Questo trattino è chiamato SERIF, che in Francese significa LINEA.
In tempi moderni, con l’evoluzione della stampa e soprattutto con la scrittura al computer, sono comparsi nuovi stili tipografici di scrittura (detti FONT) e nuovi caratteri. Le persone preferiscono usare quelli più semplici e stilizzati, per questo molti FONT hanno eliminato i trattini dell’alfabeto latino, e per questo si chiamano SANS SERIF, che in Francese significa SENZA LINEA.
Quando scriviamo al computer, per prima cosa possiamo scegliere il font che desideriamo. In secondo luogo possiamo scegliere di scrivere coi caratteri normali, oppure di usare (per tutto il testo o solo per isolare alcune parole o frasi), il CORSIVO, il GRASSETTO, o il SOTTOLINEATO.
Nel CORSIVO, in genere le lettere sono inclinate verso destra ed appaiono più leggere.
Per evidenziare le parole si usa il GRASSETTO. I caratteri in grassetto sono più pesanti e più scuri delle lettere stampate coi caratteri normali.
Anche il SOTTOLINEATO, che fa apparire una riga continua al di sotto dei caratteri, è un modo di evidenziare parole o frasi.
Prima di Johannes Gutenberg, che visse nella metà del 1.400, la scrittura era eseguita solo a mano. Gutenberg portò due importanti innovazioni. Una fu l’invenzione dei caratteri mobili, cioè di piccoli timbri di metallo per ogni lettera dell’alfabeto. L’altra fu la macchina da stampa, che permetteva di realizzare centinaia di copie di un libro da una stessa matrice.
La stampa e la tipografia cambiarono molto poco nel corso del tempo, fino al XIX secolo, quando vennero inventate macchine che potevano impostare automaticamente i caratteri di un’intera riga o anche di un’intera pagina. Nel XX secolo la stampa si è così evoluta che oggi interi libri, sia composti da caratteri tipografici, sia da immagini, come ad esempio i libri d’arte, vengono composti al computer e stampati grazie ad enormi macchinari automatizzati.
Gli alfabeti sono utilizzati in tutto il mondo. Secondo alcune stime, più di tre quarti delle lingue del mondo utilizzano alfabeti, e circa il 60% della popolazione mondiale parla lingue che hanno un alfabeto scritto. Milioni di persone nel mondo, per lo più in Asia, usano simboli basati su immagini, che sono chiamati LOGOGRAMMI (simboli di parole) o IDEOGRAMMI (scrittura di idee).
Molte lingue indiane usano un alfabeto chiamato DEVANAGARI. Questo alfabeto utilizza lettere che appaiono molto diverse da quelle dell’alfabeto latino, ma in alcune di esse gli scienziati vedono delle somiglianze con le lettere dell’alfabeto fenicio.
In tutte le altre parti del mondo, domina l’alfabeto latino. Sviluppato in origine dai popoli della penisola del Sinai, l’alfabeto è stato adottato ed elaborato dai Fenici e dai Greci, e si è trasmesso fino a noi grazie ai Romani, lungo una lunga storia di scambi commerciali, guerre di conquista e migrazioni. Con l’alfabeto latino si scrivono decine di lingue diverse. Anche molte delle lingue che non usano le lettere latine, hanno alfabeti che mostrano somiglianze con quello latino, a dimostrare che sono tutti un regalo che ci è stato fatto dai popoli del Medio Oriente.
Che vantaggi ha usare un alfabeto?
Per prima cosa, è un sistema semplice da imparare. Per imparare l’Italiano, ad esempio, abbiamo bisogno di imparare solo 21 lettere, per imparare l’Inglese ne occorrono 26. Per imparare la scrittura cinese è necessario, invece, conoscere alcune centinaia di segni diversi. Inoltre scrivere o stampare le lettere dell’alfabeto è più semplice che riprodurre centinaia di simboli singoli diversi.
Nell’era dell’elettronica, inoltre, le testiere dei nostri computer sono molto semplici e veloci da usare, grazie al fatto che i nostri alfabeti hanno bisogno di poche lettere. Così l’alfabeto, creato molto tempo fa in Medio Oriente, rende un buon servizio anche oggi, favorendo la comunicazione e rendendola facile ed efficace.
Se confrontiamo tra loro le prime due lettere degli alfabeti di diverse lingue tra loro, possiamo accorgerci che alcune lettere sono simili per forma, ed alcune, pur essendo diverse per forma, hanno nomi molto simili.
Lo studio delle lingue antiche è una scienza. Come in tutte le scienze, le nuove scoperte possono portare a nuove conclusioni. Gli scienziati possono essere in disaccordo sul significato di simboli che risalgono a più di 3.000 anni fa.
Questa tabella mostra, per ogni lettera, sia ciò che gli scienziati danno per certo, sia ciò che è ancora oggetto delle loro investigazioni.
LETTERA A Nell’antichità, il bue era nei paesi del Medio Oriente un animale prezioso. Veniva usato per tirare l’aratro e preparare i campi di grano e di cotone, e per trasportare l’acqua che serviva ad irrigare i campi. I buoi, inoltre, fornivano la carne per nutrirsi e le pelli per vestirsi e costruire le tende. Il nome semitico di questo utilissimo animale era ALEPH, e la sua immagine divenne la prima lettera dell’alfabeto sinaitico. Originariamente, infatti, questa lettera sembrava una testa di bue. Quando i Greci presero in prestito questa lettera, la chiamarono ALPHA.
LETTERA B A prima vista, la lettera B non sembra un bel posto in cui vivere, ma in origine rappresentava proprio questo: BETH, cioè casa. L’antica parola beth delle lingue del Medio Oriente si trova nel nome di alcune città, ad esempio BETHLEMME che significa “casa del pane”. La lettera nell’alfabeto sinaitico rappresenta probabilmente la piantina di una casa con una sola stanza. Nell’alfabeto fenicio aveva una punta verso alto, indicando forse una tenda. Nell’alfabeto greco, la lettera all’inizio aveva due punte, e si chiamava BETA. Poi cominciarono ad arrotondare le punte facendo somigliare la lettera a quella che noi usiamo oggi.
LETTERE C e G Nel mondo delle lettere, G è parente stretta di C. Infatti, nell’alfabeto sinaitico e in quello fenicio, la lettera C era un modo di scrivere il suono G. Il suo nome era GIMEL. Alcuni linguisti credono che derivasse da una parola che significa “bastone da lanciare”, uno strumento usato per cacciare gli animali. Altri, invece, fanno risalire la parola al nome del cammello. La forma della lettera fenicia ricorda una gobba di cammello. Altri ancora, facendo riferimento alla forma che ha nell’alfabeto sinaitico, suggeriscono che la parola significasse angolo. Quando i Greci hanno preso in prestito questa lettera, l’hanno chiamata GAMMA e l’hanno utilizzata per il suono G. I Romani hanno aggiunto una linea e ne hanno arrotondato la forma. In origine, la usavano sia per il suono G sia per il suono K. Non sappiamo perché l’abbiano fatto, perché l’alfabeto greco aveva già una lettera per il suono K. La nuova lettera aveva una forma molto simile alla C, ma con l’aggiunta di una linea posta di traverso, per non confondere le due lettere tra loro. Uno scrittore romano riferisce che fu un maestro, ex schiavo, di nome Spurio Carvilio, ad aver introdotto la lettera G nell’alfabeto latino, intorno al 240 aC, ma la notizia non può essere considerata certa.
LETTERA D Gli studiosi sono abbastanza certi del fatto che la nostra lettera D ha avuto origine dalla lettera DALETH dei Fenici, parola che nella loro lingua significava PORTA. Quello che non è chiaro è perché la lettera somigli così poco a una porta. Alcuni studiosi affermano che il carattere fenicio rappresenta un pannello decorato di una porta di legno. Altri pensano che rappresenti una pelle animale che serviva a coprire l’ingresso a una tenda. Un’altra idea è che la forma della lettera Daleth deriva dalla lettera D dell’alfabeto sinaitico, chiamata DAG, che era un pesce. Dopo 4.000 anni, è difficile affermare una qualsiasi cosa con certezza. Qualunque sia stata l’origine del segno, i Greci trasformarono la porta fenicia in triangolo equilatero e la chiamò DELTA. Noi oggi usiamo questa parola per indicare il pezzo di terra, o meglio di limo, che si forma alla foce dei fiumi. In un certo senso, il delta è la porta del fiume.
LETTERA E L’origine della lettera E è incerta. Il simbolo sinaitico somiglia ad una persona che tiene le braccia alte verso il cielo, e forse indica una persona che sta pregando. Può anche significare, semplicemente, ALTO. La maggior parte degli studiosi di oggi credono che il disegno rappresenti una persona che esprime sorpresa. Il simbolo fenicio per la lettera E sembra completamente diverso, e alcuni lo interpretano come FINESTRA. Qualunque sia il suo significato, si trattava di una consonante, sia nel Sinaitico sia nel Fenicio. Quando fu presa in prestito dai Greci, divenne la vocale EPSILON, che aveva il suono della e breve. I Greci usavano una lettera diversa per il suono della E lunga.
LETTERE F U V W Y Cinque delle nostre lettere, F, U, V, W e Y provengono tutte dalla lettera VAU dell’alfabeto sinaitico. Durante i suoi viaggi attraverso i secoli, alla lettera VAU successero cose molto interessanti. Nella penisola del Sinai la consonante VAU era scritta con una curva o un cerchio posti sopra un’asta, ed aveva probabilmente il suono V. I Fenici cambiarono la parte superiore della lettera, la chiamarono WAW e si pensa la pronunciassero W. I Greci la trasformarono in due lettere separate nel loro alfabeto: spostando la parte superiore su di un lato crearono la lettera DIGAMMA, che era una consonante dal suono W. Il suono era piuttosto raro nella lingua greca, per cui questa lettera non era molto usata, ed alla fine fu eliminata dal loro alfabeto; arrotondando la parte superiore della lettera fenicia, crearono una vocale, UPSILON, che rappresenta il suono U. I Romani presero in prestito sia DIGAMMA sia UPSILON. Con digamma crearono una consonante che rappresentava il suono F. Poi eliminarono il gambo dell’upsilon e la usarono come consonante per il suono V e come vocale per il suono U. Dopo molti secoli, i Romani cominciarono a scrivere questa lettera col fondo arrotondato: era più facile incidere V sulla pietra, ma era più facile scrivere U con l’inchiostro sulla pergamena. Così, per molti secoli, le persone usavano indifferentemente il simbolo U e il simbolo V. Successivamente si usò U solo come vocale e V solo come consonante. Il suono W della lingua inglese nel Medioevo si scriveva UU (doppia U); poi divenne W. I Romani inoltre mantennero l’upsilon originale del Greco. Probabilmente aveva un suono I consonantico, spesso confuso con I vocalico. Oggi l’Inglese usa la Y come consonante nelle parole come YOU e YET, e come vocale nelle parole come BABY o MY.
LETTERA H La lettera H è nata come consonante, si è trasformata in una vocale, e ora è di nuovo consonante. Nell’alfabeto sinaitico si chiamava KHETH, che significa treccia o corda attorcigliata. Era pronunciata come consonante, simile all’attuale H della lingua inglese. I Fenici modificarono il simbolo, e il nome della KHETH nella loro lingua significava recinto (anche se per noi somiglia più ad una scala), mantenendo il suono H. I Greci chiamarono la lettera ETA, che aveva il suono di E aperta. I Romani presero la lettera ETA greca, ma siccome avevano già un simbolo per il suono E sia chiuso sia aperto, la usarono per il suono H, che a loro mancava, e così la H tornò ad essere una consonante. Nell’evoluzione della forma, la lettera, sia nell’alfabeto greco sia in quello latino, ha aperto il recinto.
LETTERE I e J Come la C e la G, anche le lettere I e J sono strettamente legate tra loro. Entrambe provengono dalla lettera YOD dell’alfabeto sinaitico e fenicio, dove aveva il significato di MANO o BRACCIO. Nelle forme antiche di questa lettera si intuiscono facilmente le dita di una mano. La YOD era una consonante, con un suono probabilmente simile a quello inglese nella parola Yard o a quello italiano nella parola IATO. I Greci la chiamarono IOTA e le diedero una forma più semplice. Poiché era una consonante di cui i Greci non avevano bisogno, la usarono come vocale per il suono I. I Romani usarono questa lettera per due suoni distinti. Uno era un suono vocalico probabilmente simile alla I in CIBO, mentre l’altro era un suono consonantico, simile a YET in Inglese. Durante il Medioevo le persone dei paesi anglofoni cominciarono a pronunciare questa lettera con G dolce, come nell’Inglese JET e nell’Italiano GELO. Intorno al XVI secolo dC le persone di lingua Inglese iniziarono a scrivere un piccolo uncino al termine della lettera I quando aveva funzione di consonante, e così nacque la J separata dalla I. Molte lingue usano le stesse lettere, ma spesso abbinandole a suoni diversi. Ad esempio lo Spagnolo, il Tedesco e l’Inglese hanno nel loro alfabeto la lettera J. In Inglese questa lettera si chiama JAY e sta per g dolce. In Spagnolo si chiama JOTA e ha un suono simile alla H aspirata. In Tedesco si chiama JOT e ha un suono simile ad Y. Stessa lettera, lingue diverse, suoni diversi. Le persone sono molto brave ad utilizzare lo stesso alfabeto, ma adattandolo ai suoni della propria lingua.
LETTERE Q e K Sia l’alfabeto sinaitico sia quello fenicio aveva due tipi di suoni K. Anche se i suoni erano simili, le lettere che li rappresentavano erano molto diverse. Una delle due lettere per rappresentare il suono K era chiamata KAPH, che significava “palmo della mano” ed aveva il suono più simile alla K dell’Inglese e alla c dura dell’Italiano. L’altra lettera era chiamata QOPH, ed aveva suono simile alla Q attuale. Non siamo sicuri sul significato della parola QOPH; il suo simbolo somigliava al nodo fatto su una corda, o ad una scimmia, o alla cruna di un ago. I Greci presero in prestito la KAPH, la chiamarono KAPPA, e trasformarono la sua forma rendendola simile alla K attuale. Anche i Romani la adottarono, anche se la usavano raramente, perché la C latina era usata sia per il suono C dolce, sia per il suono C duro. In alcune regioni della Grecia era stata introdotta anche la lettera KAPH, che venne chiamata KOPPA. I Romani adottarono anche questa lettera e la trasformarono in Q. La usavano solo davanti alla U, come facciamo ancora noi in Italiano, e come avviene in Inglese per parole come QUIET, QUEEN ecc…
LETTERA L In un certo senso, la lettera L è connessa alle lettera A. ALEPH, oppure A, era il bue. Per guidare i buoi, i popoli della penisola del Sinai usavano uno speciale pungolo che chiamavano LAMED. Il simbolo di questo bastone è all’origine della nostra lettera L. I Fenici spostarono la curva verso il basso. I Greci trasformarono la curva in angolo. L’angolo ebbe varie direzioni con l’andare dei secoli, sia nell’alfabeto greco, sia in quello latino, fino ad assumere la forma attuale.
LETTERA M La parola acqua ci fa pensare immediatamente sete, lavarsi, lavare, nuotare, cucinare. Cosa c’entra l’acqua con la lettera M? Anche se non il collegamento non ci appare immediato, la lettera M e l’acqua sono, possiamo dire, la stessa cosa. Il popolo della penisola del Sinai ed i Fenici chiamavano questa lettera MEM, che significava appunto ACQUA. In entrambi gli alfabeti, la forma di questa lettera rappresenta delle onde. Poiché sappiamo che i Fenici furono grandi navigatori, non stupisce che essi abbiano usato le onde del mare per simboleggiare l’acqua.
LETTERA N Guardando il simbolo dell’alfabeto sinaitico per la parola NUN, cosa pensi significhi? Un serpente? Un pesce? Un fulmine? I popoli che vivevano lungo le rive del Mar Rosso e del Mar Mediterraneo certamente avevano alla base della loro alimentazione il pesce. Gli scienziati pensano che la lettera nell’alfabeto sinaitico, e ancor più quella dell’alfabeto fenicio, assomiglino ad un pesce, o alla testa di un pesce. Infatti in queste lingue NUN significa pesce. E’ anche possibile che presso le popolazioni della penisola del Sinai, il nome della lettera fosse NAMESH, che significa serpente, e che i Fenici l’abbiano trasformata in NUN, che significa pesce, per rendere il simbolo più simile alla loro lettera M, MEM, che significa acqua. Forse nel corso dei secoli, la lettera ha finito quindi per assumere la forma di pesce a causa della stretta relazione tra le lettere M ed N nell’alfabeto. Le due lettere stanno una accanto all’altro, ed entrambe rappresentano suoni nasali, cioè che vengono pronunciate facendo passare aria attraverso il naso.
LETTERE O P R S LE popolazioni della penisola del Sinai ed i Fenici ricavavano i simboli per l’alfabeto da disegni di oggetti della vita quotidiana. Quattro delle nostre lettere, O, P, R ed S, provengono dai nomi di parti del viso.
LETTERA O La lettera O proviene dal nome AYIN, che significa OCCHIO. Quando i Greci adottarono questa lettera, la arrotondarono e la trasformarono da consonante a vocale, dandole il nome di OMICRON.
LETTERA P La lettera P proviene dal nome PE, che significa BOCCA. All’inizio la lettera greca somigliava molto a quella fenicia. I romani presero questa forma e la trasformarono rendendola simile alla P odierna.
LETTERA R La lettera R proviene dal nome RESH che significa TESTA. I Greci chiamarono questa lettera THO, e la scrivevano come la P. I romani aggiunsero, in seguito, una coda, che la rese simile all’attuale R.
LETTERA S SHIN era probabilmente la parola usata nella penisola del Sinai per indicare i DENTI. In Fenicio, SHIN aveva un suono simile a SC italiano e SH inglese, ma i Greci la utilizzarono per il suono S. Per quanto riguarda la forma, la girarono sul lato opposto. I Romani ne arrotondarono le punte, per renderla simile alla S attuale.
LETTERA T La lettera T, in origine, somigliava molto alla nostra X. Il suo nome presso le popolazioni della Penisola del Sinai, TAU, forse significa RUOTA. La sua forma deriva, probabilmente, dai raggi di una ruota. Può anche essere che TAU significhi invece semplicemente SEGNO. Anche oggi, infatti, le persone che non hanno imparato a scrivere usano un segno simile per firmare. La lettera dell’alfabeto fenicio è quasi uguali a quella dell’alfabeto sinaitico. I Greci spostarono la linea trasversale all’inizio della lettera. Questa è l’unica lettera greca che ha mantenuto lo stesso nome che aveva già nell’alfabeto fenicio, TAU. I romani trasferirono la lettera nel loro alfabeto senza ulteriori modifiche, è così è rimasta anche ai giorni nostri.
LETTERA X La lettera X è arrivata fino ai nostri giorni, proveniente dagli alfabeti dei popoli della penisola del Sinai e fenicio, ma è stata oggetto di qualche confusione presso i Greci ed i Romani. L’alfabeto fenicio aveva la lettera SHIN, che rappresentava il suono SC italiano o SH inglese. Nell’alfabeto sinaitico la lettera originale si chiamava SAMEKH, nome che significa PESCE o LISCA DI PESCE. Presso i Fenici assunse il significato di PILASTRO o SUPPORTO INTERNO. I greci, come abbiamo già detto, avevano già la lettera SHIN per la lettera S, per il suono S. Nella loro lingua avevano però un altro suono, il suono KS (simile al KS nell’Inglese BOOKS), che nella lingua fenicia non era presente, e per rappresentarlo usarono la lettera SAMEKH, cambiando il suo suono da SH a KS. Chiamarono questa lettera XI, mantenendo la sua forma simile a quella della lettera fenicia. I Romani presero in prestito la lettera X dai Greci, e la lettera è così arrivata fino ai giorni nostri.
LETTERA Z La lettera Z è l’unica ad essere stata eliminata dall’alfabeto, per essere poi reintrodotta. Per i popoli della penisola del Sinai e per i Fenici, ZAYIN significava ARMA o PUGNALE. I Greci chiamarono questa lettera ZETA e ne cambiarono la forma, collegando la parte superiore ed inferiore con un tratto diagonale. I Romani non hanno mai usato davvero la ZETA dei Greci. Non avevano parole che contenessero il suono Z, ad eccezione di pochissimi vocaboli di origine greca, ma per queste poche parole pensarono che il suono S fosse abbastanza simile al suono Z da poterlo sostituire. Nel 312 aC un funzionario di nome Caecus ordinò di rimuovere la Z dall’alfabeto. Originariamente il suo posto nell’alfabeto era dopo la F, così la G venne inserita al suo posto. Intorno al 100 dC i Romani presero in prestito, per la propria lingua, molte parole greche che prima non usavano, ed hanno così scoperto che la Z poteva essere loro utile. Hanno così aggiunto la Z alla fine dell’alfabeto, dove è rimasta. Una curiosità: nell’alfabeto inglese, la Z è l’unica lettera ad avere un nome diverso in USA e in Gran Bretagna. In USA la Z si chiama ZEE, mentre in Gran Bretagna si chiama ZED.
LA STORIA DELLA SCRITTURA fa parte del grande quadro della QUARTA GRANDE LEZIONE Montessori che tratta della nascita della scrittura e del linguaggio. Per saperne di più ed accedere a tutto il materiale relativo vai qui:
Raccontiamo questa storia posando una carta illustrata dopo l’altra, lungo una linea del tempo fatta con una corda intervallata da mollette da bucato, oppure semplicemente posandole in sequenza sul tavolo o su di un tappeto, una dopo l’altra.
PITTURE RUPESTRI circa 15.000 aC. Gli esseri umani vivevano sulla Terra da circa 4 milioni di anni. Avevano imparato a controllare il fuoco, a costruire strumenti di lavoro, a proteggersi dal cattivo tempo. Questi uomini avevano il desiderio di condividere con gli altri le cose che vedevano, così cominciarono a dipingere grandi scene sulle pareti delle grotte e delle caverne. Possiamo imparare molto sugli animali importanti per questi uomini, studiando queste immagini.
PITTOGRAMMI circa 7.500 aC. Col passare del tempo, gli esseri umani cominciarono ad utilizzare una combinazione di immagini per raccontare le loro storie. Utilizzavano le immagini come se fossero simboli, simboli che rappresentavano una parola. Il disegno di una ciotola accanto al disegno di una bocca, ad esempio, significava “mangiare”. Per disegnare usavano colori naturali: sangue secco, bacche, carbone, sassi polverizzati.
SCRITTURA CUNEIFORME circa 3500 aC. Gli abitanti di Sumer crearono una grande civiltà. Non avevano molti alberi sul loro territorio, così impararono ad usare l’argilla per preparare delle tavolette sulle quali era possibile scrivere. Le tavolette, una volta scritte, venivano cotte al sole. Per scrivere usavano uno strumento appuntito, chiamato stilo. La loro scrittura è chiamata scrittura cuneiforme, che significa a forma di cuneo. I Sumeri vivevano in Mesopotamia, tra i due fiumi Tigri ed Eufrate.
SCRITTURA DELLA CIVILTA’ DELLA VALLE DELL’INDO 3.500 aC. Questa civiltà si sviluppò sulle rive del fiume Indo, tra la Penisola Arabica e l’India attuali. Utilizzarono un sistema di scrittura che comprendeva circa 250 simboli. Incidevano questi simboli su lastre di pietra morbida. Questa scrittura non è ancora stata decifrata; chissà, forse un giorno proprio uno di voi riuscirà a risolvere questo mistero storico… Mentre le civiltà sumere ed egizie continuarono a prosperare, la civiltà della valle dell’Indo si è estinta.
GEROGLIFICI EGIZI circa 3200 aC. Gli Egizi hanno utilizzato per scrivere i geroglifici. Inizialmente i geroglifici venivano incisi su pietra. L’uso dei geroglifici era molto difficile da imparare: essi venivano anche chiamati “scrittura degli dei”. Le poche persone che sapevano scrivere i geroglifici e decifrarli erano chiamati scribi. Potevano diventare scribi soltanto gli uomini, mentre le donne non potevano andare a scuola. Col tempo gli Egizi impararono a fabbricare dei fogli utilizzando la pianta del papiro, e invece di scrivere su questi fogli con i pennelli, cominciarono ad usare strumenti appuntiti intinti nei colori. Questi fogli di papiro, una volta scritti, venivano conservati in rotoli, che erano i libri degli Egizi. I geroglifici egizi potevano rappresentare una parola oppure un suono, come le lettere che usiamo oggi. Scrivevano da sinistra a destra, da destra a sinistra, dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso.
IDEOGRAMMI DELLA DINASTIA SHANG 2.000 aC. La Dinastia Shang è la seconda dinastia cinese, e si sviluppò nella valle del fiume Giallo, nella Cina nordorientale. Per la scrittura, questa civiltà utilizzava circa 3.000 simboli (ideogrammi), che potevano rappresentare nomi o verbi. La scrittura cinese odierna non è molto diversa da questa prima scrittura, e questo è dovuto al fatto che il popolo cinese rimase a lungo isolato dal resto del.
SCRITTURA FENICIA 1.600 aC. I Fenici vivevano sulle coste del Mar Mediterraneo. Erano mercanti che navigavano in tutti i territori circostanti per vendere avorio, spezie, incenso, ornamenti e vetro. Il loro nome deriva dal nome di un colorante rosso porpora che usavano per tingere i tessuti, che ricavavano da un mollusco, e della cui estrazione erano l’unico popolo a possedere il segreto. Per registrare tutte le loro attività commerciali, i Fenici sentirono il bisogno di inventare un sistema di scrittura semplice e veloce. Poiché nei loro viaggi erano entrati in contatto con Sumeri ed Egizi, e con i loro sistemi di scrittura, presero in prestito le idee di questi due popoli. Il loro primo alfabeto era composto da circa 80 simboli, ma via via lo semplificarono fino a ridurlo a 22. Ognuno di questi 22 simboli rappresentava un suono, o più precisamente il suono di una consonante, perché l’alfabeto fenicio non aveva.
ALFABETO GRECO 800 aC. I Greci appresero la scrittura dai Fenici, ma poiché i due popoli parlavano lingue diverse, i Greci dovettero aggiungere all’alfabeto fenicio delle nuove lettere, e il loro alfabeto era composto da 24 lettere. La parola “alfabeto” deriva dalle prime due lettere dell’alfabeto greco, che erano alpha e beta. A differenza dei Fenici, nell’alfabeto greco c’erano anche le vocali, inoltre i Greci usavano mettere gli spazi tra le parole, avevano introdotto nella scrittura alcuni segni di interpunzione, e furono in primi a scrivere esclusivamente da sinistra verso.
ALFABETO LATINO 100 aC. I Romani furono una grande civiltà e riuscirono a conquistare territori vastissimi. I Romani presero in prestito l’alfabeto greco, ma modificando la forma delle lettere per rendere la scrittura più semplice e veloce. Queste lettere, che hanno più di duemila anni, somigliamo molto alle nostre lettere maiuscole. I Romani, invece di conservare i loro scritti in rotoli, cominciarono ad utilizzare i libri.
MEDIOEVO nel Medioevo i monaci copiavano a mano i libri, utilizzando una bella calligrafia e riproducendo alcune lettere in caratteri molto decorati, chiamati lettere miniate. Scrivevano con le penne d’oca e utilizzavano fogli ricavati dalle pelli di animali chiamati pergamene.
CINA Nel 900 aC i Cinesi avevano fatto molte scoperte e inventato molte cose, molto prima degli Europei, ma le due culture ebbero poche occasioni di contatto. I Cinesi avevano inventato la prima macchina da stampa, che utilizzava inizialmente singoli ideogrammi intagliati nel legno. Le pagine venivano stampate componendo i segni intagliati insieme. Più tardi presero ad intagliare su un unico pezzo di legno l’intera pagina. In questo modo potevano realizzare molte copie della stessa pagina, anche se il legno, con l’uso, tendeva a deteriorarsi. Intorno al 105 dC i Cinesi misero anche a punto la tecnica della fabbricazione della carta, utilizzando polpa di legno.
CARLO MAGNO fu un grande conquistatore del Medioevo. Egli aveva collezionato ad Alessandria moltissimi libri, e diede al monaco Alcuino, nel 780 dC, l’incarico di occuparsene. Sfortunatamente la Biblioteca di Alessandria non è sopravvissuta fino ai nostri giorni, poiché è stata distrutta da un incendio. Alcuino fissò molte delle regole ortografiche sull’uso delle lettere maiuscole e sulla punteggiatura, che usiamo ancora oggi.
USO DELLA STAMPA IN EUROPA 1400 dC. Johann Gutenberg, un tedesco, fu il primo europeo a mettere a punto una tecnica per la fabbricazione della carta e una macchina da stampa che permetteva di realizzare copie dei libri in modo più veloce. Entrambe le scoperte erano già state fatte dai Cinesi, ma essi non le avevano condivise con gli altri popoli. Grazie a Gutenberg, ora i libri potevano essere prodotti in un giorno, mentre i monaci, scrivendoli a mano, impiegavano molti mesi. I caratteri tipografici, inizialmente realizzati in legno, vennero poi prodotti in bronzo.
STELE DI ROSETTA nel 1799 AD alcuni soldati napoleonici, durante la campagna d’Egitto trovarono una lastra di pietra che recava un’iscrizione in tre alfabeti: geroglifico, demotico e greco. Siccome siamo in grado di leggere il greco antico, fu possibile decifrare anche il testo nelle altre scritture. Gli studiosi impiegarono circa 40 anni, ma alla fine il segreto dei geroglifici era svelato. Leggere ciò che un popolo scriveva, ci dà molte informazioni su di esso, e ci mostra ciò che gli uomini del tempo pensavano e come vivevano.
EPOCA MODERNA Oggi la parola scritta può viaggiare da una parte all’altra del mondo in pochi secondi. I computer e i satelliti hanno reso possibile lo scambio di notizie in tempo reale. Le lingue possono essere tradotte da macchine. Una grande quantità di informazioni possono essere contenute in spazi piccolissimi, come le chiavette di memoria usb. Intere enciclopedie possono essere contenute in pochi centimetri di spazio, e forse un giorno la scrittura su carta sarà considerata nello stesso modo in cui noi oggi consideriamo le pitture rupestri.
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI LA STORIA DELLA SCRITTURA
L’alfabeto che usiamo sembra essersi sviluppato dalla scrittura dei Fenici, come abbiamo raccontato ieri. La storia dell’uomo, della quale abbiamo fonti scritte, copre un tempo di circa 5.000 anni. Non è molto tempo, vero?
Possiamo dire che la scrittura è stata immaginata dagli uomini molto tempo prima dei Fenici, infatti abbiamo delle splendide pitture rupestri risalenti al Paleolitico, ad esempio quelle di Lasco e di Altamira. Ma non siamo del tutto certi che queste pitture rupestri servissero a comunicare informazioni, ad esempio sulla caccia o sulla coltivazione delle piante utili all’uomo. Alcuni studiosi pensano che ci sia una connessione tra questi dipinti ed il luogo in cui sono stati trovati: queste grotte hanno un’acustica particolare, e forse c’era un legame tra la pittura e la musica. Antropologi, archeologi, paleontologi e gli altri studiosi stanno ancora formulando ipotesi al riguardo.
In America, le prime tribù di nativi comunicavano tra di loro attraverso disegni, e così erano in grado di capirsi tra loro anche parlando lingue diverse. Così facciamo ancora oggi, quando abbiamo necessità di farci capire da qualcuno, ma parliamo lingue diverse. Anche i bambini, prima di imparare a scrivere, usano spesso il disegno a questo scopo. Anche oggi, nel mondo, possiamo trovare molti tipi di messaggi scritti con immagini e non con alfabeti: ad esempio i cartelli stradali, gli stemmi delle squadre sportive, le bandiere degli Stati, le emoticon che usiamo quando scriviamo messaggi dal computer o dal telefono.
Tornando però alla scrittura di messaggi attraverso le immagini, nel passato accaddero due cose molto importanti: in primo luogo le immagini furono sempre più semplificate e codificate, fino a trasformarsi in segni più che disegni; in secondo luogo i primi disegni rappresentavano una parola intera, ma poi apparvero segni che servivano a rappresentare non nomi, ma suoni (sillabe e suoni singoli).
Sembra che il primo sistema di scrittura vero e proprio si sia sviluppato all’interno della civiltà sumera. I Sumeri vivevano nelle regioni meridionali della Mesopotamia, tra il 4.000 e il 3.000 aC. Questo territorio era ricchissimo di argilla, ed essi la usarono per fabbricare delle tavolette che incidevano con i caratteri che componevano il loro alfabeto. Per tracciare questi segni usavano un bastoncino appuntito, chiamato stilo. Poiché questi segni sembrano dei cunei, la scrittura dei Sumeri è nota come scrittura cuneiforme. Venne utilizzata per un periodo molto lungo. Quando i Sumeri furono conquistati degli Assiri e dai Babilonesi, anche i conquistatori, pur parlando lingue diverse (di origine semitica), continuarono ad usarla. La scrittura cuneiforme si diffuse in tutto il Medio Oriente e fu utilizzata anche dagli Ittiti e dai Persiani, anche se parlavano anch’essi lingue diverse.
Tempo dopo gli Egizi iniziarono a registrare messaggi utilizzando un codice composto da immagini. All’inizio utilizzavano come supporto le pietre, poi impararono a fabbricare una sorta di carta utilizzando la pianta del papiro, che cresceva abbondante sulle rive del fiume Nilo. L’utilizzo di pennelli su papiro rendeva semplice l’operazione, e i disegni si semplificarono notevolmente nel tempo. Finendo col somigliare per il modo di fluire, alla scrittura corsiva.
Gli Egizi utilizzavano questa scrittura a scopi religiosi, e si parla perciò di scrittura sacra. Nella sua forma meno complicata e più fluente si chiama anche scrittura ieratica o sacerdotale.
Intorno al 700 aC si cominciò ad utilizzare un’altra variante di scrittura, nota come scrittura demotica, che significa “scrittura per il popolo”.
L’alfabeto che utilizziamo oggi nella maggior parte dell’Europa Occidentale è sicuramente derivato da quello sviluppato dai Fenici e diffuso grazie ai Greci prima, ed ai Romani poi.
Sappiamo che i Fenici furono grandi navigatori e che si muovevano con imbarcazioni a vela lungo tutto il Mediterraneo, acquistando e vendendo merci. Sappiamo che entrarono in contatto con i Greci, e pensiamo che i Greci abbiano iniziato ad utilizzare l’alfabeto dei Sumeri intorno al 900 aC.
I segni dell’alfabeto dei Fenici si sono probabilmente sviluppati a partire dai geroglifici egizi, ma si sono molto evoluti nel tempo, perché le lettere che usiamo oggi sono molto diverse dalle lettere fenicie.
I Greci aggiunsero all’alfabeto fenicio i simboli per le vocali, perché nell’alfabeto fenicio non erano presenti, mentre per i Greci le vocali erano indispensabili. I Greci scrivevano tutte le lettere in maiuscolo, e non c’erano spazi tra le parole.
Quando i Romani acquisirono l’uso dell’alfabeto greco, il loro contributo principale fu quello di rendere più belli i segni, aggiungendo linee curve e abbellimenti.
L’evoluzione dell’alfabeto portò poi ad aggiungere le lettere minuscole alle maiuscole.
Col tempo si praticò ovunque l’arte della bella scrittura (calligrafia). Famosi, ad esempio, gli scrivani irlandesi.
La loro scrittura è stata sviluppata ulteriormente dal vescovo Alcuino, che viveva a Tours, in Francia, alla corte di Carlo Magno. Alcuino lavorò allo sviluppo di un alfabeto che poteva essere scritto facilmente e velocemente. Si basò sulla calligrafia degli scrivani irlandesi, ma semplificò i suoi segni, rendendoli semplici da scrivere. Questo alfabeto prende il nome di “scrittura carolina”, dal nome di Carlo Magno. Era una scrittura molto chiara e leggibile, e per questo si diffuse in tutta Europa. Coincide con il minuscolo che usiamo ancora oggi.
Verso la fine del Medioevo si erano sviluppati, nei vari Paesi, vari stili di scrittura. Uno di questi era il gotico, nome che significa “lettera nera”.
Nel X secolo nacque in Italia il corsivo, che ebbe grande diffusione e entro il XVI secolo si era diffuso ormai anche in Francia e Inghilterra.
Gli stili di scrittura continuarono ad evolvere, finché si arriva all’invenzione dei caratteri di stampa, che apre una nuova epoca della storia umana, con grandi cambiamenti che riguardano anche i modi di pensare.
La stampa dei caratteri di scrittura è molto simile a quello che facciamo quando stampiamo con la patata. I libri antichi seguivano esattamente lo stesso concetto: l’immagine della lettera veniva riprodotta in rilievo, a specchio perché risultasse corretta una volta stampata sulla carta, su blocchi di legno. Le lettere in rilievo venivano composte e stampate sulla carta, con l’inchiostro, per formare la pagina. Questa invenzione rendeva più semplice riprodurre i libri, rispetto al precedente metodo di scrittura a mano, ma, certo, il procedimento era ancora molto lungo e laborioso.
Sullo stesso concetto delle prime stampe si basa anche un particolare modo di firmare che si usava in questo periodo. Poiché allora poche persone sapevano leggere e scrivere, e pochi sapevano scrivere anche solo il proprio nome, per firmare si usavano i sigilli. Si trattava di immagini o simboli in rilievo, fatti di metallo, che venivano montati su manici di legno o su anelli da portare al dito, e che si usavano per imprimere il segno sulla ceralacca.
Le tecniche di stampa intanto si sono sempre più evolute, ed i Cinesi diedero un grande contributo a renderla più veloce. Pensiamo che gli Europei abbiamo imparato a fare la carta da questo popolo, ma molti dettagli della vicenda restano oscuri.
La prima carta veniva prodotta a partire dalla pianta di riso, poi, per un lungo periodo, sono stati utilizzati gli stracci. L’uso delle fibre di legno risale a poco più di 100 anni fa.
L’uso dei caratteri mobili sostituì quello delle tavolette scolpite a rilievo in blocchi di legno, e questa fu un altro notevole progresso.
Infine le lettere mobili furono realizzate in metallo e in molte copie, in modo da poter comporre un’intera pagina in una sola volta, e farne più copie.
Oggi, accanto alla scrittura stampata su carta, abbiamo a disposizione anche testi non stampati, che leggiamo da computer, tablet, telefoni e altri supporti. Possiamo stampare testi da casa, grazie alle stampanti collegate ad essi. Abbiamo anche a disposizione vari stili tipografici diversi. In genere la nostra calligrafia è più semplificata e personale di quanto lo fosse nelle epoche precedenti.
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI LA STORIA DELLA SCRITTURA
Ricordate l’alfabeto greco, la storia del bue e della Casa e di come l’alfabeto è arrivato fino a noi, che abbiamo imparato a scrivere con le lettere smerigliate?
Quando si iniziò ad utilizzare la scrittura, alcuni popoli scrivevano su cortecce d’albero, alti sulla creta, altri sulla pietra, altri sulle pelli degli animali, sulla cera, e perfino sulla sabbia.
I Sumeri utilizzavano una scrittura detta CUNEIFORME, perché i segni avevano forma di cunei. Sappiamo che essi imprimevano questi segni su tavolette di argilla morbida, che poi facevano cuocere al sole. Queste tavolette si sono conservate nel tempo, e possiamo ammirarle ancora oggi.
Gli Egizi usavano i GEROGLIFICI, nome che venne dato a questa scrittura dai Greci, e che significa “scrittura sacra”, poiché credevano che venisse usata soltanto a scopi religiosi. In realtà gli Egizi usavano due tipi di scrittura:
IERATICA, che utilizzavano i sacerdoti per scrivere su edifici e monumenti. Non tutti erano in grado di leggerla, poiché era molto complicata;
DEMOTICA, che si usava nella vita di tutti i giorni, ed era molto più semplice. Veniva scritta su fogli di papiro utilizzando delle cannucce come penne.
I Fenici possono essere considerati i veri inventori dell’alfabeto (scriviamo una frase qualunque omettendo le vocali, ad esempio FNC NN SVN L VCL – i Fenici non usavano le vocali). Riuscite a leggere quello che ho scritto? I Fenici avevano 22 lettere nel loro alfabeto, che rappresentavano i suoni della loro lingua, ma non avevano vocali, perché nella loro lingua potevano comunicare anche senza di esse. Grazie al loro alfabeto semplice e veloce, potevano tenere registri commerciali molti accurati.
I primi Greci scrivevano con un sistema chiamato scrittura BUSTROFEDICA perché aveva un andamento che ricordava il bue che ara i campi (dal greco “bue” e “invertire”). La scrittura non aveva una direzione fissa: la prima riga procedeva da sinistra a destra, poi giunti al margine, la seconda riga proseguiva a ritroso nel senso opposto, con un procedimento a nastro. I Greci aggiunsero al loro alfabeto le vocali.
I Romani presero l’alfabeto greco e lo modificarono per soddisfare meglio le proprie esigenze. Semplificarono i segni, anche perché usavano scolpire testi sulle pietre di monumenti ed edifici. Scrivevano tutto in caratteri maiuscoli.
Nel medioevo, i monaci irlandesi che avevano imparato ad usare l’alfabeto latino, trascorrevano molto del loro tempo copiando i testi antichi. La loro era una scrittura a carattere soprattutto sacro, e per questo curavano molto la bellezza dei loro segni. Grazie a loro le lettere si modificarono: i segni diventarono più piccoli ed arrotondati, così era possibile scrivere molte parole su ogni pagina ed abbellirle con decorazioni preziose. Questo stile di scrittura venne chiamato “minuscolo”.
Il monaco Alcuino, alla corte di Carlo Magno, insegnò questo stile di scrittura agli studiosi di corte, a Tours, in Francia. Questo stile subì varie trasformazioni, ed è stata poi chiamata scrittura CAROLINA, dal nome dell’imperatore. La scrittura carolina si diffuse a tutti i Paesi d’Europa, ed ogni nazione sviluppò da essa uno stile proprio, ad esempio i gotico, e il corsivo italico.
L’arte degli stili di scrittura a mano si chiama CALLIGRAFIA.
LA STORIA DEL BUE IN CASA rientra nel quadro della QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI e narra della nascita della scrittura presso le civiltà del Mediterraneo.
Per avere il quadro completo della quarta grande lezione e consultare tutto l’altro materiale vai qui:
Qui trovi il racconto e le carte illustrate relative, scaricabili e stampabili in formato pdf.
LA STORIA DEL BUE IN CASA – Materiale utile per la presentazione:
Immagini:
un’immagine che le persone avrebbero potuto usare per raccontare una storia, senza usare l’alfabeto
tavolette sumere
geroglifici
alfabeto fenicio
alfabeto greco
alfabeto latino
LA STORIA DEL BUE IN CASA – Racconto:
Per moltissimo tempo, quando le persone volevano lasciare un messaggio agli altri, disegnavano la scena che volevano raccontare sulla pietra (mostrare la carta 1).
Poi, a Sumer, gli uomini hanno cominciato, per registrare i loro messaggi, a incidere dei segni sulla creta molle, utilizzando uno strumento appuntito chiamato stilo. Le tavolette di creta, una volta incise, venivano cotte al sole, e diventavano dure. In questo modo venivano scritti veri e propri libri, ed esistevano intere biblioteche di testi scritti con questo stile di scrittura, chiamato scrittura cuneiforme. Cuneiforme significa “a forma di cuneo”. Potete immaginare la meraviglia che provarono i primi studiosi che scoprirono questo tesoro (mostrare la carta 2).
Un altro gruppo di persone che viveva in Egitto, usava invece scolpire o dipingere dei bellissimi segni sulla pietra. Essi poi scoprirono una pianta chiamata papiro, una canna che cresce sulle sponde del fiume Nilo, ed impararono ad usarla per fabbricare dei fogli, sui quali scrivevano con un inchiostro che ricavavano dalla fuliggine, utilizzando dei pennelli (mostrare la carta 3).
Per leggere questi messaggi è necessario conoscere il significato esatto di ognuno dei disegni. Questi disegni sono chiamati geroglifici (parola che significa “scrittura sacra scolpita”). Era sacra perché pochi erano in grado di leggerla.
Nello stesso periodo esisteva un altro gruppo di uomini, i Fenici. Questo popolo viaggiava in lungo e in largo per il Mar Mediterraneo, su barche a vela, per vendere argento, gioielli, spezie, seta e porpora di Tiro, un colorante rosso molto speciale, che ricavavano da una specie particolare di mollusco, e che veniva usato per tingere i tessuti. I Fenici erano molto abili nel commercio, vendevano le loro merci, prendevano il ricavato e velocemente salpavano verso altri territori, per mettere a frutto al meglio il loro commercio. Viaggiavano continuamente, entrando così in contatto con molti popoli e molte lingue diverse. Quando incontrarono gli Egizi furono molto impressionati dalla loro scrittura, e pensarono che poteva essere molto utile disporre di un metodo per registrare le cose comprate e vendute, e poter così calcolare quanto era stato il guadagno. La scrittura degli Egizi, però, era molto complicata, e scrivere in quel modo richiedeva troppo tempo, così decisero di utilizzare un sistema più semplice e veloce. Si accorsero che gli Egizi, oltre ad usare geroglifici che simboleggiavano oggetti o idee, avevano dei geroglifici che rappresentavano soltanto suoni, i suoni prodotti mentre si pronunciano le parole. Pensarono così che sarebbero bastati una ventina di questi segni per avere a disposizione tutti i suoni, e quindi poter scrivere tutte le parole. I segni che usarono i Fenici per scrivere somigliavano ad oggetti d’uso quotidiano (mostrare la carta 4).
Qui possiamo vedere i loro primi due segni. Il primo si presenta come la testa di un bue, e rappresenta il suono “Aleph”. Il secondo sembra una casa, e rappresenta il suono “Beth”.
Anche agli antichi Greci l’idea dei Fenici piacque molto, ed anch’essi vollero usarla per scrivere le cose che ritenevano importante registrare. Rinunciarono a far somigliare le loro lettere a buoi o a case, e le lettere cominciarono ad assumere un aspetto diverso (mostrare la carta 5).
Queste sono le prime due lettere hanno usato: sono ”Alpha’ e “Beta”, le prime due lettere dell’Alphabeta, parola greca che significa appunto alfabeto. I Greci usavano le lettere per scrivere testi poetici e teatrali, e per registrare le proprie idee sulla vita.
I Romani, che vennero dopo i Greci, pensarono anch’essi che un alfabeto fosse davvero molto utile: si poteva usare per scrivere i progetti per costruire le strade, per inviare messaggi nei territori lontani, per coordinare il lavoro di tutti i soldati e i governatori del vasto territorio che controllavano. Poiché i Romani amavano anche scrivere messaggi sui monumenti e sugli edifici che costruirono, semplificarono molto le lettere, in modo che fossero facili e veloci da scrivere (mostrare la carta 6).
Così, i segni inventati dai Fenici sono stati utilizzati da molti uomini e si diffusero in tutto il mondo, fino ad arrivare a noi. Sono gli stessi delle nostre lettere smerigliate.
Quando impariamo a conoscere le lettere che compongono l’alfabeto, possiamo scrivere le nostre idee e dire agli altri ciò che pensiamo. Possiamo leggere messaggi scritti da persone che non abbiamo mai incontrato, che vivono dall’altra parte del mondo, o che sono vissuti nel passato.
Possiamo inviare messaggi ai nostri amici mentre siamo in vacanza, o scrivere biglietti d’auguri per augurare loro un buon compleanno.
Anche se l’invenzione dell’alfabeto è avvenuta molto tempo fa, l’ho usata per raccontare questa storia a voi, oggi!
LA STORIA DEL BUE IN CASA
THE STORY OF THE OX IN THE HOUSE is part of the FOURTH GREAT MONTESSORI LESSON and tells of the birth of writing in the Mediterranean civilizations.
Here is the story and picture cards related, downloadable and printable for free in pdf format.
THE STORY OF THE OX IN THE HOUSE
Useful material for the presentation:
Pictures:
an image that people could use to tell a story without using the alphabet
Sumerian tablet
hieroglyphs
Phoenician alphabet
greek alphabet
Roman alphabet
THE STORY OF THE OX IN THE HOUSE
Story:
For a very long time, when people wanted to leave a message to others, they drew the scene who wanted to tell on the stone (show the card 1).
Then, in Sumer, the men began for recording their messages, to engrave marks on soft clay, using a sharp tool called stylus. The clay tablets, once recorded, were cooked in the sun, and became hard. In this way they were written real books, and there were entire libraries of texts written in this style of writing, called cuneiform writing. Cuneiform means “wedge-shaped”. You can imagine the wonder that the first scientists who discovered this treasure felt (show the card 2 and the card 3).
Another group of people who lived in Egypt, used instead to carve or paint some beautiful marks on the stone. They then discovered a plant called papyrus, a reed that grows on the banks of the Nile River, and learned to use it to manufacture sheets, on which they wrote with an ink that took from the soot, using brushes (show card 4, card 5 and card 6).
To read these messages you must know the exact meaning of each drawings. These drawings are called hieroglyphics (a word that means “sacred writing carved”). It was sacred because few people were able to read it.
In the same period there was another group of people, the Phoenicians. This people traveling the length and breadth of the Mediterranean Sea, on sailboats, to sell silver jewelry, spices, silk and Tyrian purple, a very special red dye, which they extracted from a particular species of mollusk, and thatwas used to dye fabrics. The Phoenicians were very skilled in the trade, they were selling their goods, they took the money and quickly sailed towards other territories, to build on the best of their trade.
They are traveling constantly, thus entering into contact with many people and many different languages. When they met the Egyptians were very impressed by their writing, and thought it could be very useful to have a method for recording the things bought and sold, and be able to calculate how much was the gain.
The writing of the Egyptians, however, was very complicated, and write in that way required too much time, so they decided to use a simpler and faster system. They realized that the Egyptians, as well as using hieroglyphs that symbolized objects or ideas, they had hieroglyphics representing only sounds, the sounds produced while the words are pronounced. So they thought that would have been enough twenty of these signs to have all the sounds, and then be able to write all the words. The signs that the Phoenicians used to write were like everyday objects (show the card 7).
Here we can see their first two signs. The first looks like the head of an ox, and it represents the sound “Aleph”. The second feels like a home, and it represents the sound “Beth”.
Even the ancient Greeks really liked the idea of the Phoenicians, and also wanted to use it to write down things they considered important to record. They gave up to look like their letters to oxen or homes, and letters began to take on a different look (show the card 8).
These are the first two letters that they used: they are ” Alpha ‘and’ Beta ‘, the first two letters dell’Alphabeta, a Greek word which means alphabet. The Greeks used the letters to write poems and plays, and to record their ideas on life.
The Romans, who came after the Greeks, they too thought that an alphabet was indeed very useful: it could be used to write projects to build roads, to send messages to distant lands, to coordinate the work of all the soldiers and governors of the vast territory they controlled. Because the Romans also loved to write messages on the monuments and buildings that they built, they simplified a lot the letters, so that they were quick and easy to write (show card 9).
Thus, the signs invented by the Phoenicians have been used by many people and spread around the world, up to us. They are the same as our movable alphabets.
When we learn the letters of the alphabet, we can write our ideas and tell others what we think. We can read messages written by people who have never met, who live halfway around the world, or who have lived in the past. We can send messages to our friends while we’re on vacation, or write greeting cards to wish them a happy birthday.
Even if the invention of the alphabet was made a long time ago, I used it to tell this story to you… today!
Fiaba cosmica della storia della scrittura Montessori, in tre versioni. Per avere il quadro completo della quarta grande lezione e consultare tutto l’altro materiale vai qui:
– carte illustrate per la fiaba cosmica della storia della scrittura (facoltative)
Fiaba cosmica della storia della scrittura. Pdf qui:
Fiaba cosmica della storia della scrittura – Racconto:
Qualche settimana fa, abbiamo raccontato la storia della nascita dell’Universo. Al termine del racconto, ricorderete che la Terra era formata. In un’altra storia avviamo visto che l’equilibrio non era completo, ed è comparsa la vita a risolvere questo problema. Apparve una grande varietà di animali e piante, che col tempo popolarono i mari, la terraferma ed il cielo. Abbiamo visto molti di questi esseri viventi sulla nostra linea del tempo. Al termine di questa linea, il nostro pianeta era pronto ad accogliere l’essere umano. Abbiamo raccontato una storia che parlava di quando è arrivato sulla Terra e di ciò che faceva, fin dalla sua prima comparsa. Abbiamo poi srotolato la lunga fascia nera, che aveva al termine una striscia speciale. Abbiamo poi visto un’altra fascia, quella della mano, e abbiamo parlato del lavoro che gli uomini da sempre svolgono sulla Terra.
Oggi racconteremo un’altra storia sugli esseri umani, una storia molto speciale.
Non sappiamo esattamente quando si è svolta, sappiamo che è avvenuta molto tempo fa, e sappiamo di certo che è una storia vera.
Quando i primi uomini e le prime donne vennero sulla Terra, avevano dei bisogni da soddisfare. Ad esempio avevano bisogno di cibo. Per questo cominciarono ad esplorare l’ambiente intorno a loro per trovare cose da mangiare. Era un tempo molto lontano, e non c’erano negozi di generi alimentari o fattorie. Quando qualcuno trovava qualcosa di buono, la notizia si diffondeva anche agli altri. E la notizia si diffondeva anche nel caso di cose disgustose o velenose.
Durante le loro esplorazioni, capitava che questi uomini a volte si allontanassero molto dal loro rifugio. Per diffondere le notizie riguardo a ciò che era buono da mangiare ed a ciò che non lo era, a qualcuno (non sappiamo chi) venne un’idea: disegnerò questa cosa per lasciare un messaggio di quello che ho scoperto. Per molto tempo le persone fecero questo: riproducevano con immagini le cose che volevano condividere con gli altri.
Questo sistema fu usato per lunghissimo tempo, finché un gruppo di esseri umani, chiamati Egizi, cominciò a disegnare immagini più dettagliate delle cose. Questi segni venivano da sempre disegnati sulle pietre, ma gli Egizi pensarono che ci fosse bisogno di un sistema più semplice e veloce per lasciare agli altri uomini dei messaggi. Scoprirono così un metodo per fabbricare dei fogli, utilizzando una pianta che cresceva abbondante sulle rive del loro grande fiume. Con questo tipo speciale di foglio, era possibile disegnare i segni con dei pennelli, e questo metodo fu adottato poi per lunghissimo tempo. In seguito qualcuno ebbe l’idea di rendere il lavoro ancora più veloce e semplice: invece di usare i pennelli, si poteva usare uno strumento più appuntito, una sorta di penna, per tracciare i segni.
Con le immagini che gli Egizi usavano per scrivere i loro messaggi, però, c’era un problema: non sempre si potevano decifrare con certezza i messaggi, perché una stessa immagine poteva voler dire cose diverse. Ad esempio un tavolo poteva voler dire tavolo, oppure gamba, oppure mangiare. Come facevano le persone che guardavano il disegno, a capire il messaggio?
Un altro gruppo di uomini, chiamati Fenici, viveva molto tempo fa sulle sponde del Mediterraneo. Mentre gli Egizi vivevano lungo le rive del fiume Nilo, e vivevano di agricoltura, i Fenici erano commercianti e marinai, e viaggiavano con le loro navi raggiungendo molti Paesi, trasportando argento, vetro e cristalli, profumi, gioielli e ornamenti preziosi. Raggiunti Paesi lontani con le loro navi, offrivano queste cose alle persone che volevano comprarle. Tra le loro merci più preziose c’era un tessuto che nessun altro popolo sapeva fabbricare: un tessuto tinto con la porpora di Tiro. Questo tessuto era così prezioso che veniva usato solo da re ed imperatori. Tutti desideravano acquistare le merci vendute dai Fenici, e il tessuto tinto con porpora di Tiro era la merce più desiderata di tutte. Ma non è questo il motivo per cui i Fenici sono un popolo molto importante nella storia dell’umanità. Essi fecero una cosa ancora più importante. I Fenici conoscevano la scrittura tramite disegni degli Egizi, e sapevano che il significato di questa scrittura non era sempre chiaro. Siccome erano un popolo dedito totalmente al commercio e alla navigazione, non avevano il tempo di mettersi a disegnare tutte quelle immagini per lasciare i loro messaggi. Avevano bisogno di un modo più semplice per registrare la merce che compravano e vendevano. Così ebbero un’idea davvero intelligente. Decisero di utilizzare solo le immagini che gli Egizi usavano per riprodurre i suoni, modificarono un po’ queste immagini, e decisero di tenere solo alcune di esse.
La cosa interessante è che con poche immagini che significavano un determinato suono, era molto più facile scrivere ciò che si voleva comunicare. I Fenici scoprirono quello che voi stessi avete scoperto quando avete cominciato ad usare le lettere smerigliate e gli alfabeti mobili. Hanno trovato un modo per rendere la scrittura semplice e veloce.
La nostra storia non finisce però con i Fenici. Un altro popolo, i Greci, presero i simboli fenici, ne modificarono la forma, e usarono i nuovi segni per scrivere. L’alfabeto ideato dai Greci passò poi ad un altro popolo, i Romani, che modificano ulteriormente i loro segni. Le lettere che noi usiamo oggi per scrivere assomigliano molto a quelle usate dai Romani.
Quindi le lettere che usiamo oggi per scrivere, sono nate grazie ai Fenici, il primo popolo che utilizzò dei segni per riprodurre i suoni. Questi segni ci aiutano a comunicare con le persone che sono lontane da noi e non possono sentire la nostra voce, e per comunicare con tutte le persone che verranno dopo di noi.
Fiaba cosmica della storia della scrittura
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Fiaba della lingua scritta (o della comunicazione attraverso i segni) Seconda versione
Fiaba cosmica della storia della scrittura – Materiale utile per la presentazione:
– linea del tempo per la fiaba cosmica della storia della scrittura (facoltativa)
Fiaba cosmica della storia della scrittura – Racconto:
Ricordate quando abbiamo parlato di come si è formata la Terra? E quando abbiamo parlato della comparsa dei viventi? Le piante si sono trasferite sulla terraferma, gli anfibi hanno emesso il primo suono e la Terra ha udito per la prima volta una voce, poi sono arrivati gli animali e infine, quando la Terra fu pronta, arrivarono gli esseri umani. Poi abbiamo parlato anche di questi esseri umani: donne, uomini e bambini come noi. Abbiamo parlato dei loro doni speciali e di ciò che hanno fatto.
Oggi parleremo in particolare di una cosa che gli esseri umani sono riusciti a fare molto tempo fa, ma solo dopo essere vissuti sulla Terra molto, molto a lungo.
Gli scienziati pensano che l’essere umano, fin dalla sua prima comparsa, fosse in grado di parlare con suoni e risate. Già i primi uomini impararono a dare nomi agli oggetti per comunicare agli altri ciò che volevano, o per mettere in guardia gli altri dai pericoli, ad esempio dalla presenza di animali feroci, o per far sapere agli altri dove trovare cibo, o buoni posti in cui rifugiarsi. La sera poi raccontavano agli altri le cose interessanti che avevano visto durante il giorno, e confortavano i loro bambini, se qualcosa li aveva spaventati.
Ma questo lo potevano fare solo con le persone che erano presenti davanti a loro. Come sappiamo, però, l’uomo ha un cuore in grado di provare amore anche per persone che non sono presenti davanti a loro, addirittura possono provare amore per persone mai incontrate.
Per lasciare messaggi a persone che non erano presenti in quel momento, gli uomini all’inizio usarono i sassi, disponendoli secondo certi schemi, poi iniziarono a fare dei disegni. Questo è ciò che può essere successo.
C’era una volta un ragazzo che non aveva un nome. Era usanza del suo popolo scegliere un nome adatto ai ragazzi, solo quando essi avessero compiuto un atto coraggioso.
Nel paese dove il ragazzo viveva, venne una grande siccità. Il fiume cominciò a prosciugarsi, e presto non ci fu più nulla da mangiare. Le piante erano appassite e gli animali selvatici erano scappati. Le persone dovettero abbandonare la loro terra, alla ricerca di acqua.
Il ragazzo aveva un cane, e alcuni uomini della sua tribù volevano ucciderlo per cibarsene, ma il ragazzo lo difese dicendo che il cane era un buon cacciatore e che lui e il suo cane insieme sarebbero riusciti a trovare del cibo per tutti. Così il ragazzo e il suo cane andarono sulle montagne a cercare qualcosa da mangiare.
Dopo molti giorni di esplorazione, si fecero molto deboli per la fame e la sete. Poi il ragazzo vide tre cervi. Lui ed il cane inseguirono uno di essi ed arrivarono in un canyon. Nel canyon nascosto c’erano acqua, erba, e molti altri cervi.
Il ragazzo tagliò una striscia di corteccia di betulla e vi incise la descrizione della sua scoperta. Poi legò la striscia al cane e l’animale tornò al villaggio.
Alcuni giorni dopo, tutta la gente della tribù arrivò al canyon, guidata dal cane. Tutti onorarono il ragazzo e gli diedero nome: “Ragazzo che ha reso felice e sana la sua gente trovando un ricco branco di cervi e acqua”.
Quando il ragazzo crebbe, diventò il capo del suo popolo, e tutti lo chiamarono “Ricco branco”.
Fiaba cosmica della storia della scrittura
QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Fiaba della lingua scritta (o della comunicazione attraverso i segni) Terza versione
Fiaba cosmica della storia della scrittura – Materiale utile per la presentazione: – Linea del tempo della comunicazione attraverso i segni versione 1
Fiaba cosmica della storia della scrittura – Racconto:
Pochi giorni fa vi ho raccontato una storia che parlava della Terra e di come si è formata. Abbiamo poi parlato di come sono apparsi gli animali e le piante. Abbiamo poi raccontato la storia della comparsa degli esseri umani.
La storia che voglio raccontarvi oggi è iniziata quando gli esseri umani vivevano già da molto tempo sulla Terra. Non c’è modo di sapere esattamente quando si è svolta, sappiamo soltanto che successe molto tempo fa. E soprattutto sappiamo che si tratta di una storia vera.
I primi uomini e le prime donne che vissero sulla Terra avevano bisogno di molte cose, ad esempio di un riparo, di vestiti e di cibo. A quel tempo, naturalmente, non esistevano negozi di generi alimentari o di abbigliamento. E non c’erano case in cui andare ad abitare. Ma sappiamo che, anche così, la Terra era pronta per accogliere gli esseri umani, quando sono comparsi. Il dono che essi possedevano di una mente più grande di quella di tutti gli altri animali, capace di pensare ed immaginare, li aiutò a cercare e trovare tutto ciò di cui avevano bisogno.
Forse per comunicare tra loro le soluzioni che via via trovavano per soddisfare i loro bisogni, all’inizio usavano gesti, o una combinazione di gesti e suoni (mimare alcuni gesti accompagnati da suoni per indicare ai bambini qualcosa).
Questo sistema funzionava abbastanza bene, ed essi lo usarono per lungo tempo. Alla fine, però, si presentarono nuove sfide.
Se una persona trovava qualcosa di buono da mangiare, ad esempio uno stagno ricco di pesci, e nessun altro era lì, non potevano usare suoni o gesti, perché in quel momento non c’era nessun altro. Così si chiesero: “Come faccio a raccontare quello che ho trovato?”. Probabilmente la prima persona non è riuscita a risolvere il problema, ma ad un certo punto qualcuno ci riuscì. Non sappiamo chi fosse, né quando ebbe questa intuizione, ma sappiamo che ad un certo punto, qualcuno pensò che poteva “fotografare” lo stagno ricco di pesci, cioè realizzare un’immagine dipinta di esso, un’immagine che raccontasse la storia della scoperta dello stagno. Con i suoni e con i gesti non sarebbe stato possibile.
Ad esempio un cacciatore che aveva visto dieci bisonti nei pressi di una data roccia, disegnava un bisonte, e sotto ad esso disegnava dieci aste.
Il tempo passava, e gli uomini continuarono a disegnare. I loro dipinti erano meravigliosamente belli, e si possono ammirare anche oggi.
A un certo punto della storia, circa 5.000 anni fa, si sviluppò una civiltà chiamata Civiltà Egizia. Gli Egizi vivevano lungo le rive del fiume Nilo, in Africa del Nord. Questo popolo usava tantissimo i messaggi illustrati: alcuni li scolpivano sulla pietra, altri li dipingevano sulla pietra, altri li dipingevano su fogli di carta. Le pietre le prendevano dal suolo che abitavano, mentre la carta la fabbricavano con la pianta del papiro, una canna che cresce abbondante sulle rive del Nilo. All’inizio dipingevano su questa carta utilizzando i pennelli, ma poi preferirono uno strumento appuntito intinto nei colori, come una penna (mostrare dei geroglifici).
Come potrete immaginare, decifrare questi messaggi non era così facile, soprattutto perché la stessa immagine poteva significare cose diverse. Ad esempio l’immagine di una gamba poteva significare:
– gamba (cioè esattamente la cosa disegnata)
– correre, perché le gambe si usano per correre (cioè un’idea connessa alla cosa disegnata)
– rapidamente (cioè una qualità connessa alla cosa disegnata).
Nello stesso periodo di tempo in cui gli Egizi vivevano sulle rive del Nilo, un altro gruppo di uomini, chiamati Fenici, vivevano in un’altra regione del Nord Africa, sulle sponde del Mar Mediterraneo. I Fenici erano abili navigatori, e viaggiavano verso tutte le terre intorno al Mediterraneo vendendo le loro merci, soprattutto avorio, spezie, incenso, argento, ornamenti e vetro. Avevano anche una merce molto speciale, che solo loro possedevano: un tessuto pregiatissimo tinto di porpora. Essi scoprirono che un particolare mollusco conteneva nel suo guscio particelle di un colorante rosso brillante, e lo utilizzarono come colorante per tingere i tessuti. Per ottenere questo colorante occorrevano milioni di molluschi, che venivano poi lavorati per estrarne il prezioso colorante. Poiché era molto difficile da ottenere, e solo i Fenici erano in grado di estrarlo, questo colorante era molto costoso. Solo le famiglie reali o quelle molto ricche potevano permettersi di tingere i loro vestiti con questo bel colore. Ed i Fenici tennero il segreto della sua fabbricazione gelosamente al sicuro. Ma il segreto della porpora di Tiro non è il motivo per cui il popolo dei Fenici è così importante nella storia dell’uomo. I Fenici, infatti, seppero fare una cosa ancora più importante per tutti noi.
I Fenici vendevano e compravamo merci anche dagli Egizi, e così conobbero il loro modo di registrare messaggi attraverso i geroglifici. Però, essendo un popolo di commercianti, essi avevano bisogno di un modo più rapido e preciso di scrittura. Così presero in prestito dai geroglifici egizi solo le immagini che essi usavano per rappresentare i suoni della lingua, e non quelli che rappresentavano parole o idee, e ne semplificarono la forma, per renderli più veloci da scrivere. Queste immagini erano poche, ma bastavano per registrare tutte le cose che per loro erano importanti, come la merce comprata e venduta, le somme di denaro, e così via.
I Fenici scoprirono quello che avete scoperto voi quando avete imparato ad usare le lettere smerigliate e gli alfabeti mobili, cioè l’uso di segni che rappresentano suoni, con i quali si possono comporre le parole.
Anche se possiamo dire che i Fenici furono i primi ad usare quello che noi conosciamo come “alfabeto”, per noi è difficilissimo riconoscerne le lettere. Quindi la storia non finisce qui.
I primi ad usare la parola “alfabeto” furono i Romani, e le lettere romane sono quelle che noi possiamo riconoscere più facilmente. Le lettere dell’alfabeto smerigliato sono quasi le stesse dell’alfabeto romano.
I Fenici furono i primi ad aver avuto l’idea di scrivere i suoni. Non c’era più bisogno di disegnare le immagini degli oggetti, bastavano i segni dei suoni.
Noi oggi continuiamo ad usare la loro idea. Quando scriviamo un racconto, registriamo le lettere che formano il suono delle parole che vogliamo scrivere. Quando leggiamo, riconosciamo i suoni delle lettere che formano le parole. Questa storia potrebbe averla scritta un antico Fenicio, e noi ora potremmo leggerla.
LA QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI si inserisce nel quadro dell’Educazione Cosmica ed è anche chiamata storia della comunicazione attraverso i segni. La lezione tratta dello sviluppo delle scritture nel mondo: pittogrammi, simboli, geroglifici, alfabeti antichi, invenzione della stampa, ecc…
Questo è tutto il materiale che compone la lezione, in sequenza:
Lettura: letteratura, poesia, saggistica, mitologia e fiabe popolari, autori, comprensione dei testi, analisi logica e del periodo, analisi del testo letterario.
Linguaggio: origine delle lingue, lingue straniere, storia delle lingue, esposizione di ricerche, recite.
Strutture linguistiche: alfabeti, costruzione di libri, psicogrammatica, punteggiatura, analisi della frase semplice e complessa, studio della parola, figure retoriche.
LA QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
I racconti e le lezioni relative alla QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI vengono presentati nei primi mesi dell’anno scolastico, aprendo all’esplorazione del linguaggio (psicogrammatica), alla Storia e alla Geografia. Dopo la lezione si continua ad esplorare ogni aspetto della narrazione, seguendo gli interessi dei bambini.
Iniziamo ogni argomento con la fiaba cosmica, per fare appello alla fantasia e alle capacità di immaginazione del bambino. Seguono poi varie altre storie che raccontano lo sviluppo dei segni scritti, il resoconto dettagliato dei vari alfabeti, la storia dello sviluppo della lingua italiana, la storia dell’evoluzione della lingua.
Con la prima fiaba cosmica il bambino prova interesse per l’Universo; con la seconda il suo sguardo si estende a tutti i viventi; con la terza la sua ammirazione si concentra sull’essere umano. Con la quarta lezione vogliamo che la sua gratitudine si riversi sulla comunicazione scritta e sul linguaggio.
La QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI è molto diversa dalle prime tre, perché non si esaurisce nel corso del primo anno scolastico come succede per le altre, e non apre semplicemente ad alcune aree tematiche.
Dobbiamo considerare che i bambini utilizzano il linguaggio da molti anni prima di entrare nella scuola primaria.
Durante la presentazione iniziale, le tabelle e le carte illustrate devono essere scelte ed usate con attenzione, perché possono trasformarsi da aiuti visivi, a distrazioni. I bambini potranno accedervi liberamente dopo la lezione.
La storia della scrittura può portare a svolgere ricerche sulle antiche civiltà che per prime hanno utilizzato la scrittura.
Nel presentare la fiaba della lingua scritta ( o della comunicazione attraverso i segni) vogliamo suscitare nel bambino amore per la bellezza e la semplicità del linguaggio. Mostriamo che l’alfabeto è un mezzo che serve a rendere visibili i suoni del linguaggio verbale.
Cominciamo con la storia della comunicazione attraverso i segni perché è tangibile e si riferisce a un’esperienza che i bambini hanno vissuto in prima persona, quando hanno imparato loro stessi a utilizzare l’alfabeto per scrivere e leggere. Le motivazioni di questa scelta si trovano nel testo di Maria Montessori La Mente assorbente, nel capitolo 11.
Presentiamo la storia della lingua scritta per stimolare nei bambini l’interesse verso il linguaggio e la lingua scritta. Facciamo inoltre sentire il bambino in contatto con tutta l’umanità. Attraverso il racconto mostriamo loro come la lingua parlata è diventata visibile. Partendo dalla Preistoria, stimoliamo nei bambini un sentimento di gratitudine e rispetto verso questo dono che è la lingua scritta.
Successivamente focalizziamo l’interesse sulla lingua italiana in particolare, mostrando al bambino come la lingua scritta, una volta sorta, ha continuato ad evolversi.
Come già detto, presentiamo la storia della comunicazione scritta dopo la fiaba cosmica, ma anche questa storia deve avere la forma di un racconto appassionante. Per la storia dello sviluppo dei simboli scritti usiamo carte delle nomenclature e tavole illustrate, che mostrano i vari alfabeti (geroglifici, scrittura fenicia, vari alfabeti moderni, ecc…), illustrazioni, fotografie, pitture rupestri.
Questa prima storia è solo l’inizio di un lavoro di studio e ricerca che proseguirà per più anni, collegandosi allo studio della Storia dei popoli. Saranno quindi date nel corso del tempo varie lezioni, incentrate su vari temi di interesse. In questa prima fase gettiamo i semi per lo studio e le ricerche successive. In ogni lezione di approfondimento possiamo inserire varie attività di ricerca, artistiche e manuali, scelte in base agli interessi dei bambini. I vari punti di interesse esposti nella prima lezione sulla storia della scrittura, germoglieranno col tempo. Per stimolare questo sviluppo:
prepariamo una raccolta di materiale sulle varie tappe della storia della lingua scritta;
costruiamo ogni lezione partendo sempre da ciò che i bambini conoscono o hanno incontrato come concetto generale;
facciamo il più possibile appello alle capacità di immaginazione e ragionamento;
lasciamo sempre delle questioni aperte, in modo che i bambini possano esplorarle in base ai propri interessi
offriamo materiali adeguati, una buona biblioteca, questionari, materiali per attività pratiche e manuali;
sosteniamo il lavoro individuale dei bambini, fornendo le informazioni necessarie e gli strumenti.
All’interno di questa prima lezione sulla storia della lingua scritta, si sono molti punti che stimolano l’approfondimento, ad esempio si può fare una ricerca sulla parola “alfabeto”, si può indagare la storia di ogni lettera del nostro alfabeto, si può studiare come le lettere sono cambiate nel tempo e come è cambiato il modo di scriverle e collegarle tra loro.
L’obiettivo della prima storia sulla scrittura è quello di aiutare i bambini a capire che è proprio attraverso i segni che abbiamo avuto in dono dai Fenici, che noi oggi possiamo entrare in contatto coi pensieri di altri uomini, uomini che si trovano magari dall’altra parte del mondo, o che sono morti da migliaia di anni. Questi segni ci permettono di sapere cosa stanno pensando o hanno pensato.
I punti di contatto tra la storia dei popoli e la storia della scrittura sono molti. Per ogni civiltà dobbiamo chiederci:
Dove si sono sviluppate?
Usavano la comunicazione scritta?
Se sì, come scrivevano?
Che genere di informazioni registravano?
Qual era lo scopo?
Dopo la lezione, una delle attività che suscita più interesse nei bambini, è data dagli esercizi di calligrafia o bella scrittura. Altre attività interessanti possono riguardare la fabbricazione della carta (per sperimentare quanto tempo ed energie richiede), la costruzione di libri, la visita a musei, tipografie e case editrici, la stampa. In lezioni successive possiamo proporre ai bambini i dettagli dello sviluppo della scrittura nelle varie culture, possiamo chiedere ai bambini di fare una ricerca sul tema che preferiscono, organizzare esposizioni di gruppo o individuali delle loro ricerche, insegnare a prendere appunti e rispondere a questionari, esplorare altri alfabeti e supporti diversi dalla carta, scrivere i loro nomi con alfabeti diversi.
L’unico concetto che può essere difficile da comprendere per i bambini più piccoli, è quello di traduzione. I bambini, infatti, pensano che scrivendo una parola italiana utilizzando un alfabeto diverso dal loro, ad esempio utilizzando i simboli fonetici geroglifici, o greci, o cinesi, hanno scritto una parola egizia, o greca, o cinese.
LA QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
Prima di iniziare il racconto della fiaba e della storia della comunicazione scritta, è bene assicurarsi che i bambini abbiano cognizione di cosa significa commercio, scambio, baratto. La nascita della scrittura è infatti legata alla nascita del commercio, ma se i bambini non capiscono l’importanza di registrare ciò che viene comprato e venduto, non capiranno questo collegamento.
Per la storia del linguaggio orale prepariamo una storia semplice ma appassionante. Le diverse teorie sull’origine del linguaggio attireranno di certo l’attenzione dei bambini, se sono offerte in forma di racconto, con esempi accattivanti, cercando di mostrare ciò che deve essere successo quando i primi esseri umani hanno cercato di comunicare tra di loro per esprimere i propri bisogni, sentimenti, le proprie idee e preoccupazioni.
Mostriamo durante il racconto anche riproduzioni di pittogrammi primitivi, di geroglifici e di alfabeti, o tabelle che mostrino la stessa parola scritta in modi diversi: questo susciterà nei bambini ammirazione e gratitudine. Inoltre farà provare anche a loro il desiderio di esprimere per iscritto i propri sentimenti ed i propri pensieri. Anche tutte le tecnologie moderne applicate alla comunicazione tra le persone sarà compresa con grande calore, nel contesto del progresso umano, che si è svolto nel corso di secoli di lavoro e paziente ricerca.
La tendenza umana verso la comunicazione ha spinto le persone a creare il linguaggio, poi, nel corso del tempo, questi linguaggi si sono evoluti, riflettendo le idee delle persone ed il loro ambiente. e questi cambiato nel corso del tempo per riflettere le persone e il loro ambiente. Mostrando il bambino il loro posto nella loro cultura è parte di metterli in contatto con la loro cultura e aiutarli ad adattarsi. Maria Montessori sostiene che per educare il potenziale umano è necessario che gli individui, nei primi anni di vita, vengano messi in relazione con gli esseri umani, e che provino gratitudine per tutti gli uomini e le donne che giorno dopo giorno hanno lavorato affinché noi potessimo vivere una vita più ricca e piena.
Il bambino può usare la sua fantasia per immaginare le persone che parlavano le lingue che hanno dato origine alla sua. Capire come la lingua italiana si è evoluta nel passato, e come continua a cambiare ancora oggi, si tradurrà nei bambini nella percezione dell’importanza di questa nostra lingua, e farà comprendere quanto sia positivo per i popoli entrare in contatto tra loro. La storia delle origini della lingua italiana deve essere presentata in relazione al concetto di mescolanza di culture, fornendo esempi di come la lingua italiana sia stata interessata da questa mescolanza. E’ un fenomeno che continua a verificarsi anche oggi.
La grande lezione sul linguaggio, come quella sulla Matematica, deve svilupparsi nell’arco di più anni scolastici. E’ importante portare l’attenzione dei bambini verso tutti i principali eventi della storia della comunicazione, e metterli in contatto con i sorprendenti tesori della conoscenza e della creazione artistica che si sono conservati nel corso dei millenni e dei secoli, e che si sono trasmessi fino a noi grazie a mezzi altrettanto sorprendenti: i mezzi di comunicazione, appunto. Tutta questa attività umana ha sempre risposto a un bisogno fondamentale: il bisogno umano di comunicare e il desiderio di soddisfarlo.
Lo stesso vale per la storia della lingua inglese, che pur essendo facoltativa, può essere molto interessante per i bambini, visto che studiano questa lingua a scuola e spesso entrano in contatto con essa nella vita quotidiana.
LA QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Storia della lingua scritta – Idee per i giorni successivi
Pitture rupestri: possono essere riprodotte su un grande foglio di carta marrone da pacco, utilizzando spazzole o le mani. Qui degli esempi:
Scrittura cuneiforme: pressare della creta sul vassoio per fare una tavoletta. Usare un bastoncino per scrivere un messaggio nella creta.
Scrittura fenicia: offrire ai bambini una tabella che mostra le lettere dell’alfabeto fenicio confrontate alle stesse lettere di altri alfabeti. I bambini possono scrivere con l’alfabeto fenicio il proprio nome o una frase, o un paragrafo. Possono utilizzare anche gli altri alfabeti.
Fabbricare un foglio di papiro
Scrivere un testo usando i geroglifici
Scrivere un testo senza usare le vocali e la punteggiatura, come facevano i Fenici
Primo libro: cera su corteccia. Trovare un pezzo largo di corteccia. Stendere della cera tinta di un colore scuro e scrivere un messaggio con uno stilo quando la cera è indurita.
Fabbricazione a mano della carta. Qui un tutorial:
Linee del tempo illustrate per la storia della scrittura Linea del tempo della storia della scrittura
versione 1
Questa linea del tempo mostra l’evoluzione della scrittura dalle pitture rupestri ad oggi, analizzando in particolare la forma e la funzione dei vari sistemi. Le didascalie sono molto concise e riguardano: pittogrammi, ideogrammi, alfabeti, carta e stampa.
Linee del tempo illustrate per la storia della scrittura Linea del tempo della storia della scrittura
versione 2
Questa linea del tempo è più dettagliata della precedente, e dà informazioni sui popoli e la storia dei vari popoli, con didascalie piuttosto estese.
pdf qui: Linee del tempo illustrate per la storia della scrittura versione 1 e versione 2
Linee del tempo illustrate per la storia della scrittura
Dopo aver stampato il materiale, è sufficiente unire i fogli tra loro per formare una striscia continua che può servire per la narrazione delle varie storie, o può essere appesa in aula.
Linee del tempo illustrate per la storia della scrittura
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) è un materiale ideato per dare ai bambini un’immagine globale della storia umana, divisa in Preistoria e Storia. Al centro c’è l’importanza della scoperta della scrittura. Viene presentata dopo il racconto della terza fiaba cosmica,
che narra della comparsa degli esseri umani sulla Terra, e prepara al lavoro sulla storia del linguaggio scritto e verbale (quarta lezione cosmica) e quindi al lavoro con la lingua (psicogrammatica, letteratura, lettura e scrittura, composizione). Qui trovi quattro versioni possibili del racconto, la descrizione del materiale e note utili per preparare la lezione.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) Descrizione del materiale
Si tratta di una fascia nera (in panno o altro tessuto, o anche carta) di dimensioni variabili. La lunghezza della fascia indica il periodo di tempo dalla comparsa degli esseri umani sulla Terra ad oggi, cioè i 7 milioni di anni dell’evoluzione umana. Al centro della fascia c’è l’immagine di una mano che stringe uno strumento di pietra, che rappresenta l’importanza della mano (del lavoro) per gli esseri umani. Al termine della fascia nera c’è una strettissima banda rossa che rappresenta la storia umana dopo l’avvento dell’espressione simbolica, cioè la Storia, che comincia appunto con la nascita della scrittura. La parte nera rappresenta invece la Preistoria, cioè la storia della quale non abbiamo testimonianza scritta.
Le dimensioni delle fasce in uso sono in genere queste: – 3 metri di lunghezza per 30 cm di larghezza (la banda rossa è larga 1 cm) – 10 metri di lunghezza per 12 cm di larghezza (la banda rossa è larga 5 cm) Alcune fasce presentano delle tacche bianche regolari sul bordo superiore (a distanza di 15 cm l’una dall’altra) per indicare meglio lo scorrere del tempo, ma si tratta di un’aggiunta facoltativa.
La fascia viene avvolta come una bobina attorno ad un bastone, in modo che la banda rossa finale e soprattutto la mano disegnata al centro risultino completamente nascoste ai bambini.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) Preparazione alla lezione
Tutta la storia dell’uomo è legata alla sua capacità di lavorare, capacità che gli ha permesso di sopravvivere. Il messaggio che risuona attraverso questo racconto è che dobbiamo essere grati a quegli uomini delle generazioni precedenti che hanno svolto il loro lavoro nel mondo, con fedeltà, amore e sapienza, perché è grazie a tutti loro che noi oggi abbiamo la vita e godiamo delle loro scoperte e della loro conoscenza.
La fascia nera della mano presenta innanzitutto l’uomo preistorico. E’ un materiale pensato per mostrare ai bambini che la maggior parte della storia del’uomo non è registrata, non ci sono di essa documenti scritti. Questo fa assumere alla conquista della scrittura un tono di splendore, ed i bambini comprendono che tutto ciò che possiamo sapere dell’uomo preistorico deriva da quello che si è lasciato alle spalle, cioè dagli oggetti che ha costruito con la pietra, i metalli, la ceramica. Di questo tempo in cui l’uomo non scriveva, possiamo solo fare ipotesi su ciò che è successo, ma non possiamo saperlo con certezza. Dicendo questo, i bambini usano la propria immaginazione per ricostruire la vita dei primi uomini e capire come abbiano realizzato i loro strumenti, come hanno imparato a farlo, come si procuravano ciò di cui avevano bisogno.
Alcuni bambini iniziano a chiedersi questi uomini facevano tutti le stesse cose, e se le facevano tutti nello stesso modo. Alcuni penseranno allo scambio e al baratto. Oggi abbiamo molti mezzi per accedere alle informazioni, siamo in grado di sapere in ogni momento cosa sta avvenendo in qualsiasi parte del mondo. La vita dei primi uomini, invece, era molto diversa, e le conoscenze erano probabilmente condivise tra cerchie molto ristrette, cioè solo tra gli uomini che vivevano a stretto contatto tra loro. Spesso i bambini sono molto incuriositi dalla nascita della scrittura. Non ne conosciamo il primo autore, non c’è il nome di un inventore, sappiamo soltanto che si è trattato di una grandissima conquista, di un grandissimo dono per tutta l’umanità.
Durante il nostro racconto, teniamo sempre presenti questi punti fondamentali: – I doni speciali degli esseri umani (vedi terza lezione) – La capacità di usare questi doni per soddisfare i bisogni fondamentali.
Poiché la lezione punta sull’immaginazione del bambino, non serve accompagnare il racconto da immagini delle invenzioni e realizzazioni umane lungo una linea temporale. E’ bene invece introdurla facendo un breve collegamento iniziale con le fiabe cosmiche precedenti, per dare ai bambini l’occasione di partecipare e sentire la storia della Terra come un racconto unitario. Questo non deve essere un esame per valutare ciò che ricordano.
Attraverso il racconto si introduce la storia delle culture, raccontando idee, costumi, valori, invenzioni di una particolare civiltà, società o gruppo sociale, dandone una visione d’insieme e non troppo particolareggiata. Si racconta quale posto speciale occupino gli esseri umani sulla Terra, quali sono i loro specialissimi doni, quali sforzi hanno compiuto per sopravvivere e migliorare le proprie condizioni di vita.
Questo racconto fatto di progressi acquisiti col lavoro, alimenta la fiducia dei bambini in loro stessi, nella loro intelligenza e nel loro futuro. Rende i bambini consapevoli di quelli che sono i bisogni universali degli esseri umani, e di alcune delle strategie che gli uomini hanno usato per soddisfarli. Ciò che i bambini devono percepire è che la mano è uno strumento della mente e del cuore dell’uomo.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) Presentazione
La fascia nera della mano viene srotolata sul pavimento durante il racconto della storia, di modo che l’immagine della fascia nera e le parole coinvolgano al meglio i bambini.
Dopo la presentazione della fascia nera i bambini sono lasciati liberi di riflettere e di porre domande. In questo modo si preparano le basi per la costruzione di una linea del tempo dell’evoluzione umana, che sarà uno dei tanti lavori successivi, sempre nell’ambito della terza grande lezione cosmica, mentre di pari passo si potrà procedere con la quarta lezione e con l’avvio degli studi nell’area linguistica.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) Prima versione
Abbiamo già ascoltato la storia di come la vita è apparsa sulla Terra. I primi esseri viventi si trovavano tutti nell’oceano. Poi si è sviluppata una grande varietà di vita vegetale ed animale, che si spostò anche sulla terraferma: pesci, anfibi, grandi rettili, uccelli e mammiferi. Alla fine della linea del tempo, c’era una piccola immagine di un essere diverso da tutti gli altri: l’uomo. Abbiamo detto che l’essere umano è arrivato dopo un lungo periodo di preparazione, cioè è apparso solo quando la Terra aveva da offrirgli tutto ciò di cui aveva bisogno per la sopravvivenza. Dopo questo racconto abbiamo srotolato la lunga fascia nera, e abbiamo visto che la Terra ha impiegato davvero tanto, tantissimo tempo per questa preparazione alla venuta dell’uomo. Al termine della lunga fascia nera l’era una sottile striscia rossa, che misurava l’intera storia degli esseri umani, dalla loro comparsa fino a noi. Poi abbiamo nuovamente parlato degli esseri umani, e abbiamo visto quali sono i suoi doni speciali.
Anche se la Terra era ricca di tesori, gli esseri umani hanno dovuto lavorare per trovare il cibo e costruire i propri rifugi. Hanno dovuto imparare a cacciare gli animali, a riconoscere i frutti e le bacche e le piante commestibili. Hanno dovuto imparare a costruire i propri rifugi e a trovare quello che poteva servire per coprirsi.
Per la storia che ascoltiamo oggi useremo un’altra fascia nera. Questa fascia però non rappresenta tutta la storia della Terra, ma soltanto quella degli esseri umani (indicare la fascia arrotolata sul bastone).
Comincia con la storia dei primi esseri umani, e prosegue con tutti quelli che sono seguiti (iniziare asrotolare).
Per quello che riguarda i primi esseri umani, non sappiamo esattamente ciò che fecero momento per momento. Sappiamo sicuramente che si prendevano cura di se stessi e degli altri, sappiamo che si amavano.
Possiamo usare la nostra mente per immaginare quale fosse la loro vita. Anche loro usavano la propria mente per pensare, lavorare, soddisfare i propri bisogni di cibo, riparo, abbigliamento: avevano gli stessi bisogni che abbiamo anche noi oggi.
Col passare del tempo gli esseri umani hanno continuato a migliorare il loro ambiente, ad esplorarlo per conoscerlo sempre meglio, a trovare modi sempre nuovi di soddisfare i propri bisogni (a questo punto del racconto siamo arrivati al disegno della mano che tiene lo strumento di pietra).
Questa mano che impugna una pietra rappresenta il lavoro degli esseri umani. La pietra rappresenta uno strumento che l’uomo ha realizzato per riuscire a soddisfare meglio i propri bisogni. E’ una pietra che l’uomo ha lavorato perché potesse soddisfare una particolare necessità.
Sappiamo così poco di questi primi esseri umani. Ciò che sappiamo si basa su quello che gli archeologi hanno trovato, cioè molte pietre simili a questa, ceramiche, resti di fuochi (continuare a srotolare la fascia).
Ma gli uomini hanno continuato a vivere, lavorare e pensare, e quando poterono soddisfare i loro bisogni in modo più efficiente, i loro pensieri furono più liberi, ed essi cominciarono a chiedersi più cose sul mondo che li circondava, cominciarono ad interrogarsi sul futuro, pensarono a quelli che sarebbero venuti dopo di loro, e cominciarono a decorare ed abbellire se stessi e il loro ambiente (continuare a srotolare la fascia).
Sappiamo che non hanno mai smesso di prendersi cura gli uni degli altri: ogni essere umano ha una mente per pensare, un cuore per amare le mani per lavorare. Così gli uomini hanno continuato a lavorare per soddisfare i propri bisogni ed aiutare le persone amate.
Qui, dopo questo lungo periodo di tempo (indicare la fascia nera srotolata), gli esseri umani hanno cominciato ad usare le loro mani anche per qualcos’altro (indicare la banda rossa finale).
Si tratta di una cosa così speciale, che la indichiamo col rosso. L’essere umano qui ha iniziato ad usare le proprie mani per la scrittura. Da questo momento in poi, sappiamo quello che facevano e ciò che pensavano, perché lo possiamo leggere, scritto direttamente da loro. Gli uomini hanno cominciato a scrivere le loro storie, a raccontare eventi, a scrivere i loro pensieri.
Prima dell’uso della scrittura (indicare la fascia nera che rappresenta la Preistoria), ci sono state tantissime generazioni di esseri umani che hanno vissuto e sono morte, che hanno pensato, amato, lavorato, ma noi sappiamo pochissimo di tutto questo, perché di tutto questo tempo non c’è nulla di scritto.
Quando gli esseri umani hanno iniziato a utilizzare il linguaggio scritto per esprimere il loro spirito e raccontare la loro vita, è cominciata quella che chiamiamo Storia (indicare la banda rossa finale). Tutto ciò che è venuto prima, è invece Preistoria.
Nella Preistoria l’uomo utilizzava le mani, guidate dalla mente, per la sopravvivenza. Ma gettate le basi per garantire la sopravvivenza in modo più semplice per tutti, le mani si sono liberate, e sono servite per un altro scopo: registrare la Storia.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) Seconda versione
Ricordate di quando abbiamo parlato esseri umani, e abbiamo detto che possono pensare, amare e usare le mani? Ripensiamo ai primi esseri umani apparsi sulla Terra.
All’inizio di questa fascia nera abbiamo la comparsa degli esseri umani sulla Terra, questi esseri capaci di pensare, amare e lavorare con le mani. La Terra offriva loro animali e piante per mangiare, pietre per rifugiarsi, il sole che scaldava, l’acqua da bere: tutto ciò di cui l’uomo aveva bisogno, era disponibile.
Proprio qui, all’inizio, gli esseri umani già vivevano sulla Terra (dal momento che la fascia nera è totalmente vuota, priva di immagini o didascalie, i bambini sono molto incuriositi dal fatto che ne indichiamo dei punti, a nessuno in genere interrompe il racconto, anzi spesso continuano a guardare la fascia come fingendo di vedere le immagini).
Cosa facevano?
Erano alla ricerca di cibo. Pescavano. Cantavano ai loro bambini. Giocavano (iniziare asrotolare la fascia).
Trascorrevano il loro tempo sulla Terra cercando e utilizzando le cose di cui avevano bisogno per sopravvivere. Cercavano cibo, riparo, protezione dei pericoli. Amavano i loro figli e se ne prendevano cura (scoprire il disegno della mano).
Guardate! Vi ricordate quando abbiamo detto che l’uomo ha tre doni speciali? Ecco una mano, per ricordarci uno di questi doni speciali.
I primi uomini, fin dall’inizio, usavano le mani per pescare, raccogliere frutti, cullare i bambini. Non solo da questo momento, ma fin dall’inizio. Cosa c’è di nuovo, qui? La mano tiene una pietra. Uno strumento. Qui dunque gli esseri umani hanno scoperto come utilizzare gli strumenti, e questo ha cambiato la loro vita.
Potevano confezionare vestiti per ripararsi dal freddo durante l’Era Glaciale. Potevano fabbricare coperte, tagliare gli alberi, costruire rifugi coperti di pelli.
Cominciarono a guardarsi intorno con più curiosità, si resero conto che altri posti della Terra attendevano di essere esplorati, e cominciarono a viaggiare. Presto iniziarono a fondare delle città.
Ora guardate. Cos’è questa banda rossa? E’ la Storia.
Sì, perché ora gli esseri umani hanno voluto condividere ciò che vedevano del mondo, registrare quello che facevano, che pensavano, che avevano imparato. Ma questa storia la racconteremo un altro giorno.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) Terza versione
Ti ricordi di come gli esseri umani siano apparsi sulla Terra solo quando tutto era pronto per accoglierli? Di cosa avevano bisogno per vivere? Sì, di aria, cibo, acqua, materiali da usare per coprirsi e per rifugiarsi.
E quando sono apparsi, cosa li rendeva già così diversi da tutti gli altri viventi? Sì, avevano tre doni: il cuore per amare, la mente per pensare ed immaginare, le mani per lavorare.
Secondo te, cosa facevano gli uomini, appena iniziarono a vivere sulla Terra? Sì, cercavano o si costruivano un riparo, cercavano cibo, protezione dei pericoli, comunicavano tra loro, cacciavano, raccoglievano piante e frutti…
E cosa li aiutava a fare tutte queste cose? Su questa fascia c’è un indizio, continuate a guardare.
Oh! Ma qui c’è una mano che sta stringendo qualcosa. Cosa potrebbe essere? Sì, è una pietra speciale, una punta di lancia, uno strumento che è stato utilizzato da tutti gli uomini, in tutto il mondo.
Secondo te, cosa potevano fare con questo strumento? Sì, potevano usarla per tagliare, rompere, aprire…
E quali altri lavori si possono fare con le mani? Sì, cucire, creare gioielli, raccogliere la frutta, costruire capanne, raccogliere la legna, stringere le mani degli altri, dipingere nelle grotte, suonare un flauto o un tamburo…
Questi uomini facevano tante cose, e tra queste si raccontavano storie tra loro, dicevano agli altri quello che era successo nella loro vita, quello che avevano visto e che avevano imparato. Cercavano di trovare le cause delle cose che succedevano, e si scambiavano le loro idee. Ad un certo punto gli esseri umani trovarono il modo di scrivere tutte queste cose, in modo da registrarle, così nulla poteva essere dimenticato.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line) Quarta versione
Ricordate la linea del tempo della vita? Qual era l’ultimo essere che vi compariva? Sì, l’essere umano. L’uomo è l’essere che arrivò sulla Terra per ultimo.
La Terra ha impiegato molto tempo per prepararsi ad accoglierlo. L’essere umano per vivere aveva bisogno di aria da respirare, di animali e piante da mangiare. Di alberi e roccia per costruirsi i rifugi. Solo quando ci furono tutte queste cose, la Terra fu pronta ad accoglierlo.
Ecco una linea del tempo degli esseri umani sulla Terra (iniziare lentamente a srotolare la fascia).
Questa fascia rappresenta tutto il tempo in cui l’uomo è esistito, dalle sue origini a noi.
I primi esseri umani avevano bisogno di cibo, come noi. Avevano bisogno di un posto dove vivere. Avevano bisogno di vestiti da indossare. Non sappiamo quali fossero i loro nomi. Non sappiamo esattamente cosa facessero tutto il giorno. Ma sappiamo che erano qui (srotolare fino al disegno della mano).
E questa cos’è? E’ una mano!
Noi esseri umani siamo esseri speciali perché usiamo le nostre mani per fare le cose. Le usiamo per raccogliere il cibo. Le usiamo per confezionare vestiti. Le usiamo per costruire case. Le usiamo per disegnare e per scrivere. Questo ci rende unici, e diversi dalle piante e dagli altri animali.
Non sappiamo esattamente cosa facessero i primi uomini tutto il giorno, ma sappiamo che qualunque cosa stessero facendo, stavano usando le loro mani (continuare a srotolare la fascia).
Alcune delle cose fatte da questi uomini con le loro mani, in un tempo così lontano, sono arrivate fino a noi. Gli archeologi, infatti, hanno trovato vari oggetti costruiti da loro e sepolti nel terreno. Ad esempio hanno trovato molti strumenti. Questi oggetti ci raccontano alcune delle cose che facevano questi primi uomini, ma non ci dicono tutto. Non sappiamo esattamente chi ha fatto queste cose, sappiamo soltanto che sono opera umana.
Fino a questo momento (indicare la banda rossa al termine della fascia).
All’interno di questo piccolo periodo di tempo, sappiamo esattamente quello che gli esseri umani facevano, perché questo è il periodo in cui l’uomo ha imparato ad utilizzare la scrittura. Qui gli uomini hanno scritto ciò che hanno fatto, e noi possiamo leggerlo e saperlo con certezza. E anche noi, oggi, scriviamo quello che facciamo, e gli uomini che verranno dopo di noi lo leggeranno e lo sapranno.
LA FASCIA NERA DELLA MANO MONTESSORI (Hand Time Line)
LA TERZA GRANDE LEZIONE MONTESSORI riguarda la comparsa e l’evoluzione dell’uomo sulla Terra e porta alla costruzione di una linea del tempo che evidenzia le tre grandi caratteristiche che rendono la nostra specie così importante: una mente immaginativa, una mano che sa compiere un lavoro, un cuore che sa amare. Qui trovi:
tre versioni della fiaba cosmica relativa
idee e materiali vari per i giorni successivi
letture per la preparazione dell’insegnante
links a materiali e risorse utili.
La terza lezione cosmica Montessori evolve nello studio di queste materie:
Storia: linee del tempo, preistoria, civiltà antiche, storia mondiale, storia di Continenti e Paesi specifici
Cultura: arte, artisti, musica, compositori, danza, teatro, architettura, design, filosofia, religioni, buone maniere e gentilezza.
Studi sociali: attualità, politica, economia, commercio, volontariato
Invenzioni e scoperte scientifiche: scienziati, inventori, metodo scientifico, invenzioni, macchine semplici.
LA TERZA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Presentazioni e materiali (quando presentare la terza grande lezione ai bambini)
Questo è lo schema delle presentazioni, considerando in particolare lo studio della Storia:
LA TERZA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Terza grande lezione Montessori: la comparsa dell’uomo
PRIMA VERSIONE
Chi si ricorda qual era l’ultimo mammifero comparso sulla linea del tempo di vita? Come si è preparata la Terra per la vita di questo mammifero? Prima di tutto la Terra si è dovuta raffreddare, e per questo c’è voluto un tempo molto, molto lungo. Sono comparse le acque e le rocce. Poi una prima forma di vita si è sviluppata nell’acqua, e si è diversificata sempre più, riempendo gli oceani. In seguito le piante si sono spostate a vivere sulla terraferma e questo ha prodotto il terriccio, e insieme agli insetti ha fornito il cibo per tutti i viventi che vennero dopo. Alla fine di tutto questo lavoro, la Terra era pronta. Solo allora poteva giungere l’essere umano. Un essere umano simile a voi ed a me. L’essere umano apparve molto tempo dopo l’inizio del raffreddamento della Terra. Ti ricordi la piccolissima strisciolina rossa alla fine della lunga striscia nera che abbiamo srotolato sul pavimento? Quella piccola parte rossa ci ricorda che gli esseri umani si trovano sulla Terra da pochissimo tempo. Oggi parleremo un po’ dell’essere umano. L’uomo è un essere molto diverso da tutti gli esseri viventi comparsi prima di lui. Ma cosa lo rende così diverso e speciale?
La vostra mente in questo momento sta pensando. Forse vi state chiedendo cosa sto per dire. Oppure state pensando ad altro. Questo tipo di mente che pensare come state pensando voi ora, appartiene solo agli esseri umani. Gli esseri umani possono pensare e chiedersi perché soffia il vento, perché cade la pioggia, che cosa sono le stelle. Alcune persone hanno inventato e raccontato storie su ciò che stavano pensando. La gente continua a farlo anche oggi.
C’è un’altra cosa che rende gli esseri umani diversi da qualsiasi altro essere vivente della Terra: gli esseri umani possono amare. Voi potete amare. Io posso amare. Posso amare mia madre, le mie sorelle, i miei fratelli, mio padre, la mia famiglia, voi, tutte le persone di questa scuola. Ancora di più, voi ed io possiamo amare chi è vicino a noi, ma possiamo provare amore anche per chi è lontano da noi. Possiamo sperare che tutti gli uomini sulla Terra abbiano qualcosa da mangiare. In questo modo, siamo in grado di amare anche persone che non conosciamo e che non possiamo vedere.
Gli scienziati hanno ipotizzato che il nostro cervello ci ha permesso di amare e di pensare, ma c’è anche qualcos’altro. Quando l’essere umano si è alzato su due gambe, le sue braccia e le sue mani conquistarono la libertà, e poterono essere usate per tenere in braccio i bambini durante il lavoro e nei viaggi. Forse questo ha contribuito a sviluppare la capacità di amare. Una volta che l’uomo fu capace di stare in piedi, le mani furono anche libere di toccare, tenere, tastare ed esaminare gli oggetti da diverse prospettive. E forse questo ha contribuito a sviluppare la sua mente.
Così gli esseri umani hanno tre doni speciali: la mano, la mente e la capacità di amare.
Ma c’è dell’altro. Quando l’essere umano è apparso sulla Terra, era in grado di fare molte più cose di quelle che possono fare le piante e gli animali. Ad esempio ogni pianta può crescere solo in un dato ambiente, e ogni animale mangia solo un tipo particolare di cibo. Alcuni uccelli mangiano la frutta, ed altri mangiano gli insetti. Alcuni mammiferi mangiano l’erba e alcuni altri la carne. Tutti gli uccelli della stessa specie mangiano lo stesso cibo. Invece l’uomo mangia moltissime cose diverse. E non solo. Gli uomini vivono in case diverse: alcuni hanno case di mattoni, alcuni di legno, alcuni di fango. In queste case possono esserci porte di legno, o di legno, o possono anche non esserci porte.
Come è possibile che gli esseri umani possano vivere in modi così diversi? Proprio perché ha questi tre doni speciali: la mente, le mani ed il cuore. Con le mani può costruire cose che ha progettato con la sua mente, con la mente può risolvere i problemi che incontra, e grazie alla capacità di amare può desiderare di fare qualcosa per gli altri.
L’essere umano cammina su due gambe, perché le sue mani possano essere libere di fare le cose e di tenere quelli che amano. Immaginate se non fosse così. Pensate a quanto sarebbe difficile strisciare e tenere una matita, o leggere un libro, o spolverare i mobili, o fare tutte le cose che facciamo ogni giorno.
La piccola immagine al termine della linea del tempo dei viventi, ci mostra da quanto poco tempo l’uomo è sulla Terra. Non è sorprendente che in questo breve periodo di tempo, questo tipo di essere vivente, con i suoi doni speciali della mente, delle mani e del cuore, ha fatto e ancora sta facendo tante cose?
La storia dell’umanità è molto eccitante. C’è molto da scoprire sull’uomo e su tutto ciò che è successo da quando l’uomo è apparso sulla Terra. Questa è la prima storia, ma ce ne saranno molte altre. Nei prossimi giorni parleremo dei primi uomini, di com’erano e di come vivevano. Questi primi uomini vissero in epoche molto lontane dalla nostra, ma erano proprio come voi e come me. Avevano una mente, potevano amare, e potevano usare le proprie mani.
LA TERZA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Terza grande lezione Montessori: la comparsa dell’uomo
SECONDA VERSIONE
Vi ricordate la linea del tempo della vita? In fondo alla linea del tempo c’era una striscia rossa molto stretta e l’immagine di un essere umano. Avete anche visto la sottile linea rossa al termine della lunga striscia nera del tempo. Questa piccola linea rossa mostrava da quanto tempo gli uomini vivono sulla Terra. Essi sono apparsi solo dopo che moltissimi altri esseri sono apparsi prima di loro. Alghe ed altri organismi si svilupparono nell’acqua. Poi giunsero molte altre piccole creature, che riempirono gli oceani e purificarono l’acqua. Più tardi, queste creature divennero più grandi e svilupparono conchiglie, poi ossa, poi una colonna vertebrale. Alcune piante ed alcuni animali si spostarono sulla terraferma. Gli animali impararono a prendersi cura dei loro piccoli in modo sempre migliore. Le piante impararono ad utilizzare il sole, l’acqua ed i minerali del terreno per far crescere semi e frutti.
E gli esseri umani poterono arrivare solo quando la Terra fu pronta ad accoglierli. Sono apparsi quando sulla Terra ci fu cibo per loro, quando ci furono tappeti erbosi su cui camminare, quando sotto la terra si furono formati depositi di minerali che un giorno avrebbero imparato ad usare.
Oggi voglio raccontarvi qualcosa di più sugli esseri umani, e su come i primi uomini comparsi sulla Terra fossero proprio come voi e me.
Quando questi uomini apparvero, il mondo era popolato da giganteschi felici e grandi orsi che vivevano nelle caverne. In quell’antico mondo, i primi uomini trovaro molti tipi diversi di piante. Questi uomini non avevano denti aguzzi per difendersi. Non avevano artigli affilati per arrampicarsi sugli alberi e fuggire dai pericoli, o per scavare alla ricerca di radici da mangiare, o per uccidere gli animali e nutrirsene. Non sapevano quali frutti fossero buoni da mangiare, e quali velenosi.
Gli animali, quando nascono, hanno questo tipo di conoscenze. Ogni animale quando nasce è in grado di trovare il cibo adatto a lui e trovarlo. Ogni animale sa provvedere alla sua sopravvivenza. I leoni mangiano la carne e non l’erba, ed usano i loro artigli e i loro denti per cacciare e per difendersi. I cervi mangiano l’erba, e sanno che non potrebbero mai mangiare la carne! E sono molto abili a scappare dai predatori. Ogni animale ha un suo modo di vivere, e sa automaticamente cosa fare. Ogni animale si è adattato a vivere in un particolare ambiente. Il leone ha bisogno delle pianure erbose, e non potrebbe mai vivere nei territori ghiacciati e nevosi del nord. I cervi sono a casa propria nelle foreste, e non potrebbero certo vivere in nessun altro luogo.
Invece gli esseri umani sono nati senza sapere cosa mangiare o come proteggersi. Non erano particolarmente adatti a nessuna determinata area della Terra. Per altri versi, avevano delle somiglianze con un particolare gruppo di animali, i mammiferi.
Infatti, gli uomini avevano i peli, partorivano i loro piccoli e li nutrivano col proprio latte. Ma per molti altri aspetti erano diversi dai mammiferi, e da tutti gli altri animali. E proprio grazie a queste differenze, gli esseri umani sono riusciti a sopravvivere in quel mondo.
Innanzitutto essi camminavano su due gambe, così avevano le mani libere di lavorare, fare cose, curare i propri figli e giocare. Immaginate se così non fosse. Come potremmo tenere una matita, o prendere una qualsiasi cosa di cui abbiamo bisogno, se dovessimo usare le mani ed i piedi per camminare?
Guarda la tua mano. Il pollice è una cosa meravigliosa! (Mostrare il pollice opponibile mentre continuiamo a raccontare). Può superare il palmo della mano e raggiungere le altre dita. Cosi possiamo prendere una piccola e delicata conchiglia solo usando pollice e indice, oppure stringere saldamente il ramo di un albero e dondolarci sospesi ad esso.
Nessun altro essere può fare le cose che gli esseri umani possono fare con le proprie mani. Quale animale è in gradi di infilare un ago, guidare un’auto con sicurezza nel traffico cittadino, o dipingere un bel quadro? Solo gli esseri umani, che hanno queste mani meravigliose, possono fare queste cose!
Un’altra cosa che rendeva gli esseri umani diversi da tutti gli altri esseri era il suo cervello, più grande e complesso. Con questo cervello, gli esseri umani potevano pensare alle cose. La loro intelligenza li ha portati a porsi domande su tutto ciò che vedevano attorno a sé. Si chiedevano perché la pioggia cadesse, e cosa fossero le stelle. Si chiedevano cosa fosse il grande rombo del tuono che sentivano venire dal cielo, e cosa causasse il sorgere del sole nel cielo, e il suo scendere e scomparire nella notte.
Gli esseri umani possono pensare a ciò che è successo nel passato, e possono anche pensare a quello che potrebbe avvenire nel futuro. Adesso, voi state forse pensando a quello che ho detto, o forse vi state chiedendo cosa sto per dire! La mente dei primi uomini, come la vostra e la mia, erano in grado di immaginare risposte alle domande che si ponevano, e furono in grado di trovare la ragione di molte cose.
Questa capacità di pensare, incuriosirsi e immaginare, è ciò che ha permesso agli esseri umani di inventare il linguaggio, in modo da poter raccontare quello che si sta pensando.
Grazie a questa capacità sono anche nati i numeri, la matematica e la geometria. Questi primi uomini si poterono dedicare anche all’arte ed alla musica. E’ grazie a loro che noi oggi godiamo di statue e dipinti, e abbiamo canzoni da cantare. I primi esseri umani hanno imparato l’uno dall’altro a fare queste cose, e le loro conoscenze sono arrivate fino a noi.
I primi esseri umani non erano adattati per vivere in un ambiente terrestre in particolare. Potremmo pensare che questo sia una cosa terribile, e forse è in parte vero, perché significa che gli uomini non hanno un luogo in cui vivere semplicemente, senza problemi. Ma in realtà questa caratteristica si è rivelata essere un grande dono. Poiché avevano una mente capace di pensare e immaginare, e mani capaci di lavorare, gli uomini, quando cadeva la neve e cominciava a fare freddo, presero a dirsi: “Ho freddo. Ho bisogno di qualcosa per coprire il mio corpo e tenermi al caldo, come il leone ha la pelliccia. Ho bisogno di un rifugio, come lo scoiattolo ha la tana”.
E così inventarono vestiti e case.
Non avevano bisogno di corpi particolarmente adattati ad un ambiente particolare. Hanno invece usato ciò che trovavano attorno a sé per adattare l’ambiente a loro stessi!
Grazie a questo, gli esseri umani si sono sparsi in tutto il mondo, e hanno trovato il modo migliore per vivere nelle pianure del leone, nelle foreste dei cervi, e nelle terre ghiacciate delle renne.
Gli esseri umani di quei tempi erano in grado di immaginare cose che non erano mai esistite: erano in grado, come gli esseri umani di oggi, di usare la propria immaginazione per pensare a cose nuove, e quindi di realizzarle con le proprie mani. Potevano, ad esempio, immaginare una ciotola di argilla, e poi modellarla.
La capacità di immaginare qualcosa di nuovo, e poi realizzarla, è una capacità che avevano già i primi uomini, ed è ciò che ha permesso loro di sopravvivere nel loro mondo.
Ma parliamo adesso di un’altra caratteristica dell’essere umano, che forse è la più importante di tutte, perché è quella che più di tutte le altre ci fa umani: gli uomini sono in grado di amare. Posso amare la i propri genitori, i fratelli e le sorelle, le zie e gli zii. Possono amare i propri amici. Amano le molte persone che vivono vicino a loro, ma possono anche amare persone che non hanno mai incontrato, e prendersene cura. Pensa a delle persone in difficoltà in un altro Paese: esse possono ricevere l’aiuto da qualcuno che non sapevano nemmeno che esistesse! Potrebbe trattarsi di me, o di qualcuno tra voi, qualcuno che ha sentito parlare dei loro problemi, ed ha fatto qualcosa per aiutarli.
La storia degli esseri umani è iniziata molto tempo fa, sulla Terra. E’ una storia molto emozionante, fatta di molti capitoli. Ci sono capitoli che contengono grandi felini e orsi. Altri capitoli raccontano come i primi uomini raggiunsero nuove zone della Terra, i loro pericolosi viaggi su grandi distese di ghiaccio, oceani tempestosi, deserti incandescenti.
Questi primi uomini che si avventuravano in territori che nessuno aveva mai visitato prima, erano mamme, papà e bambini, bambini come te o neonati tenuti in braccio. Questi viaggiatori incontrandosi raccontavano le loro avventure alla luce di grandi fuochi. Un narratore cominciava con la sua storia, poi si inseriva nel discorso un altro, e poi un altro, ed i bambini bevevano ogni loro parola. Un giorno avrebbero raccontato le stesse storie ai loro figli, e forse avrebbero aggiunto un altro capitolo, raccontando la propria vita.
Alcuni di questi primi esseri umani ci hanno lasciato bellissimi dipinti e sculture, ed anch’essi hanno raccontato la loro storia. Ed è una storia che ancora oggi possiamo capire, non appena guardiamo questi messaggi nelle grotte.
Altri uomini scrissero la storia della loro vita su tavolette di argilla, che noi abbiamo ritrovato sepolte tra le rovine di città deserte. Così abbiamo potuto ritrovare anche pergamene, rotoli fatti di canne di papiro, ecc… e abbiamo potuto leggere delle vite dei re antichi e della vita dei grandi eroi di quei tempi.
Grazie alla nostra mente, siamo in grande di ascoltare le parole di persone che abitarono la Terra migliaia di anni fa.
Nella storia degli esseri umani si incontrano cavalieri in armatura, regine nei castelli, musicisti che hanno scritto la meravigliosa musica che ascoltiamo oggi, e gli uomini e le donne che hanno viaggiato nello spazio.
C’è una quantità enorme di cose da scoprire su ciò che è successo da quando gli esseri umani sono apparsi sulla Terra.
Questa che abbiamo raccontato oggi è soltato la prima sugli esseri umani, ma ce ne saranno moltissime altre. Un altro giorno parleremo meglio dei primi esseri umani e di come vivevano. Ci accorgeremo così che erano proprio come noi. Essi avevano una mente con la quale pensare ed immaginare, delle ani con cui lavorare, e potevano amare, proprio come voi e come me.
LA TERZA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Terza grande lezione Montessori: la comparsa dell’uomo
TERZA VERSIONE
Vi ricordate le storie che abbiamo raccontato fino ad oggi? All’inizio c’era il nulla, solo un enorme e scuro spazio vuoto. Poi, in quello spazio, si creò una nube di fuoco, sche si sprigionò da una scintilla luminosa di energia. Tutto l’Universo era contenuto in quella nube. Poi l’Universo si stabilizzò, ma per questo servì un tempo immenso. Ti ricordi a quali leggi obbedivano le particelle? E ti ricordi coe si è formata la Terra? Come si è formata la crosta e come si è raffreddata? C’era un grosso problema a quel tempo… ti ricordi qual era? Sì, l’aria era velenosa. E qual è stata la soluzione? Sì, sono apparsi i batteri, e poi gli organismi pluricellulari. Arrivarono le amebe e poi via via gli esseri viventi continuarono a diversificarsi, e apparvero i trilobiti e tutti gli altri animali acquatici, poi le piante si trasferirono sulla terraferma, arrivarono gli insetti, poi gli anfibi, i rettili, gli uccelli e i mammiferi.
E poi? Sì, alla fine delle nostre storie apparvero gli esseri umani: uomini, donne e bambini, proprio come voi e me. Esseri con doni speciali, che avevano un cervello per pensare e immaginare, le mani per lavorare e un cuore che poteva amare anche le persone che non avevano mai incontrato.
Oggi voglio raccontarvi la storia degli esseri umani e dei loro doni speciali.
Gli esseri umani hanno una mente capace di immaginare e di pensare a molte cose diverse. Questi primi uomini sentivano la pioggia, il vento, il sole che li riscaldava di giorno e il freddo della notte, guardavano gli arcobaleni nel cielo e si spaventavano dei tuoni. Cominciarono presto a farsi domande su tutte queste cose, perché l’intelligenza umana vuole sempre sapere perché le cose accadono. E così hanno costruito delle storie che spiegassero le cose, e se le sono raccontate gli uni agli altri.
I primi esseri umani avevano un cuore capace di amare, e amavano i membri della loro famiglia e si prendevano cura di loro, provavano nostalgia quando erano lontani da loro, ed erano felici di ritornare e trascorrere il loro tempo insieme. Ma amavano anche persone che non avevano incontrato, amavano gli animali e le piante, e si prendevano cura di loro. Infatti, gli uomini possono desiderare che tutti siano felici, curati, sicuri, che abbiano abbastanza da mangiare, che abbiano accanto qualcuno che si prenda cura di loro.
Gli esseri umani avevano mani per tenere le mani degli altri, per costruire rifugi e raccogliere la frutta, per cullare i bambini e farli addormentare. Immaginate quanto sarebbe difficile fare tutte queste cose, se dovessimo usare le mani per camminare. Come potremmo fare tanti lavori?
Proprio come questi primi esseri umani abbiamo una mente in grado di pensare e immaginare, mani per fare il nostro lavoro, e un cuore per amare tutte le persone, gli animali, le piante e i luoghi.
Le piante e gli animali seguono regole determinate su come devono vivere, dove devono andare, cosa devono mangiare e quando devono dormire. Anche gli esseri umani fanno tutte queste cose, ma possono farle in modi diversi.
Possono mangiare tanti tipi di alimenti. Ad esempio oggi a colazione uno di voi può aver mangiato pane e marmellata, un altro latte e cereali… Cosa avete mangiato a colazione? (Chiedere ai bambini cosa hanno mangiato a colazione, in modo che possano vedere la varietà di cibo che abbiamo a disposizione per nutrirci).
Tutti gli animali della stessa specie vivono nello stesso luogo: gli uccelli nei nidi, le volpi nelle buche del terreno, ma gli uomini possono vivere in tanti diversi tipi di abitazione e decorarli in modi molto diversi. Io vivo in un appartamento al terzo piano. Tu dove vivi? Di che colore è la tua cameretta?
La nostra storia di esseri umani è iniziata molto tempo fa. Si tratta di una storia lunga, e l’uomo ha dovuto lavorare molto duramente ed usare la sua immaginazione, ed essere molto coraggioso, e pensare a tutte le cose che potevano aiutarlo a sopravvivere e a migliorare sempre più la propria condizione.
LA TERZA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Preparazione dell’insegnante (Per la bibliografia e i links a risorse utili consulta l’elenco a fine articolo).
Tradizionalmente, nei giorni precedenti al racconto della terza fiaba cosmica, si presenta la LINEA NERA DEL TEMPO, ma se non avete a disposizione i mezzi per procurarvi o costruire questo materiale, potete utilizzare una delle linee del tempo della vita ( o l’orologio delle ere) enfatizzando coi bambini quanto sia immenso il tempo della Terra prima della comparsa dell’essere umano, e quanto sia minuto rispetto ad esso il tempo che va dalle nostre origini a noi, che viviamo sulla Terra oggi.
Tutte le cinque grandi lezioni hanno un legame diretto in particolare con la Storia, aprendosi contemporaneamente a specifici altri ambiti del sapere. A partire dalla terza lezione, esponiamo ai bambini tutti gli aspetti positivi della storia umana, concentrandoci sui doni che rendono l’uomo un essere unico e creativo. L’uomo infatti ha:
le mani libere, con il pollice opponibile, e la postura eretta, che gli consentono di agire;
un grande cervello che gli consente di pensare ed immaginare;
un cuore capace di amore.
La Storia è il racconto di come gli esseri umani hanno lavorato insieme per migliorare le proprie condizioni di vita, e porta i bambini ad avere fiducia nell’umanità e nella sua forza positiva, ed a desiderare di collaborare con gli altri e dare in ogni lavoro il proprio contributo. Già nella prima lezione cosmica è evidente che esiste una sorta di solidarietà naturale che sta alla base dello sviluppo di tutta la vita nel tempo e nello spazio. Tutti i viventi sono in relazione tra loro, e si evolvono insieme.
LA TERZA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
Questo è lo schema delle presentazioni, considerando in particolare lo studio della Storia:
con la seconda mostriamo come la Terra si è preparata per accogliere l’essere umano;
con la fascia nera del tempo diamo una rappresentazione lineare del tempo che è dovuto passare prima della comparsa dell’essere umano. Srotolando questo nastro l’impressione che ne ricavano i bambini sul tempo della Terra prima e dopo la comparsa dell’uomo è fortissima;
con la terza fiaba ci concentriamo sui tre doni speciali che caratterizzano gli esseri umani. Presentando i primi esseri umani raccontiamo la loro vita quotidiana, il loro modo di vivere e sopravvivere ai pericoli. Mostriamoli come esseri umani completi, spirituali e pratici;
con la fascia nera della mano mostriamo come l’uomo si è adattato all’ambiente ed a ciò che lo circonda, ed a come è stato capace di creare una Sovranatura fisica. Raccontiamo come gli uomini hanno imparato nuove tecniche e comportamenti per migliorare le proprie condizioni di vita, e sottolineiamo anche che ogni miglioramento è stato un dono non solo per sé, ma anche per le generazioni future. Facciamo sentire i bambini in relazione profonda con questi antichi uomini, in modo che anche essi sentano che possono contribuire a costruire un futuro migliore per tutti;
con le carte dei bisogni fondamentali dell’uomo mostriamo come la Storia dell’uomo sia la storia dei suoi bisogni e dei modi che posto in essere per soddisfarli, in relazione all’ambiente;
con la quarta e la quinta fiaba cosmica mostriamo la nascita del linguaggio e della matematica, e quindi il contributo dell’uomo alla Sovranatura spirituale. Con queste due lezioni ci concentriamo su due grandi invenzioni umane, che sono alla base di una lunghissima serie di altri successi di cui godiamo pienamente oggi, grazie a questi antichi uomini, che vivevano in un modo tanto semplice rispetto al nostro, e ai quali dobbiamo così tanto.
Le tendenze dei bambini tra i 6 ai 12 anni da prendere in considerazione per l’insegnamento della storia e della geografia sono: il desiderio di sapere come e perché; il senso di giustizia; l’attrazione per personaggi eroici o che sono stati capaci di compiere grandi cose. Il desiderio di conoscenza, in questo periodo della vita, è grande come lo è il bisogno di esplorazione sensoriale nel periodo precedente, dai 3 ai 6 anni. Maria Montessori ha detto: dobbiamo dare i bambini piccoli al mondo, e i bambini più grandi all’Universo.
Tra gli autori che hanno ispirato Maria Montessori ci furono lo storico Leopold Von Ranke, il geologo Antonio Stoppani, l’astronomo James Jeans e lo scrittore H.G. Wells. Stoppani è stato tra i primi a prendere in considerazione la Terra non solo come deposito di minerali e fossili, ma come un qualcosa cui molte forze sono al lavoro insieme per creare e mantenere un ordine cosmico. I fenomeni che si sono susseguiti e si susseguono sul pianeta appaiono guidati da un’Intelligenza, anzi una super-intelligenza, un’intelligenza superiore. Questo tipo di geografia era molto congeniale al pensiero di Maria Montessori. Considerando che lo studio di questa materia, all’epoca, consisteva principalmente nel memorizzare nomi di fiumi, montagne, capitali e così via, Stoppani illustrò il lavoro di modellaggio che fa l’acqua, o del lavoro che fa il vento per produrre le correnti oceaniche, o del lavoro di purificazione dell’aria e dell’acqua fatto dagli esseri viventi. In “The science of life” HG Wells illustra vari aspetti del mondo vegetale ed animale, in particolare l’aspetto evolutivo (connesso con le ere geologiche) e l’aspetto della relazione tra viventi diversi (ad esempio la forma dei fiori e quella degli insetti che si nutrono del loro polline). Anche in questo caso, ogni cosa sembra programmata da un’intelligenza superiore. Questa Super Intelligenza si ritrova anche nei fenomeni descritti da Jeans.
Maria Montessori chiamò questa intelligenza “Guida Inconscia”, perché il suo campo d’azione è immensamente più vasta rispetto alla parte cosciente, nel regno della vita. Negli esseri viventi, questa parte inconcia che lavora al funzionamento e al mantenimento dell’ordine cosmico, è la condizione indispensabile per l’ esistenza. Ad esempio, gli insetti che visitano i fiori sono consapevoli soltanto del fatto che stanno rispondendo ad un bisogno (quello di alimentarsi di nettare), ma non sanno di svolgere una funzione più grande, un compito cosmico, che è quello di fecondare i fiori e propagare le piante. Le piante, a loro volta, sembra che agiscono con intelligenza, che facciano piani dettagliati per fornire agli insetti i mezzi migliori per nutrirsi del loro polline, e garantire così la fecondazione. Allo stesso modo hanno imparato a fare uso del vento, dell’acqua e degli animali. Se avessero un’intelligenza, forse sarebbero consapevoli di farlo per rispondere ai propri bisogni di sopravvivenza e riproduzione. Ma, come gli insetti, non sarebbero consapevoli del loro compito cosmico, che è quello di eliminare l’anidride carbonica dall’aria, drenare il terreno, produrre ossigeno, non soltanto a vantaggio degli esseri viventi, ma anche degli elementi inanimati (considerando la luce) e perfino delle stelle. Infatti, i raggi del sole riscaldano la Terra, ma la temperatura non è uniforme, a causa del moto attorno al sole e dell’angolo del suo asse, e questo causa le stagioni. Poiché ci sono queste differenze di temperatura sul pianeta, si creano i venti, e l’acqua che evapora viaggia da un luogo all’altro, poi precipita per provvedere alle esigenze dei viventi, per i quali l’acqua è indispensabile quanto lo è l’ossigeno. E così il cosmo intero è coinvolto, e non solo la Terra. Per questo il nome di “cosmico”. Tutto ciò che contribuisce all’armonia ed allo sviluppo dell’ordine cosmico, è chiamato “compito cosmico”, e l’educazione che presenta questo concetto ai bambini, è chiamata “educazione cosmica”.
Anche la Storia dell’uomo deve essere vista in questo contesto, per essere compresa. Ispirata dalla curiosità dei bambini, Maria Montessori ha compreso che la storia non può essere insegnata come oggetto isolato, ma deve essere integrata con altri campi del sapere; la storia dell’uomo deve essere inserita inoltre nel contesto della storia della Terra, iniziando dalla sua formazione.
Come abbiamo già visto qui, per rendere tutto ciò più interessante per i bambini, Maria Montessori ha ideato dei racconti che si appellano alla loro capacità di immaginazione. Ad esempio, nello studio della storia della comparsa dei viventi sulla Terra (seconda lezione cosmica), ha rappresentato ogni progresso evolutivo attraverso sentimenti umani: le alghe ad un certo punto dicono “Uniamoci, e diventeremo più forti”; poi dicono “A cosa serve fare tutte lo stesso lavoro? Perché non ci specializziamo e ce lo dividiamo?”; e così via. Sullo sfondo di tutti questi racconti, sta il fatto che le alghe stanno assolvendo un compito cosmico, che è quello di preparare le condizioni di vita adatte alla comparsa di esseri via via più evoluti. Un altro esempio è quello dei diversi tipi di viventi che possono svilupparsi su di una roccia. Esiste un tipo di vegetale che riesce a vivere sulla roccia, il lichene, che riesce a nutrirsi di essa, cresce e muore. I licheni si succedono uno dopo l’altro, crescendo e morendo, e questo prepara le condizioni di vita adatte alla crescita dei muschi. Anche i muschi si susseguono, nascendo, crescendo e morendo, e la sostanza organica che ne deriva, il terriccio, permette la crescita delle erbe, poi dei cespugli, poi degli alberi.
Un altro progresso ha riguardato i sentimenti. All’inizio, la riproduzione è stata una questione di divisione cellulare. Poi con le piante e gli animali è arrivata la riproduzione vera e propria. I primi animali, che vivevano negli oceani, deponevano grandi quantità di uova non protette (come fanno ancora oggi pesci ed anfibi). Poi arrivarono i rettili, che dissero: “Dobbiamo proteggere la nostra prole”, e così vennero le uova protette da gusci, che venivano nascoste nel terreno in modo che i nemici non potessero vederle. Ma anche in questo caso la prole veniva abbandonata. Poi vennero gli uccelli, che non abbandonano le uova, ma restano con loro fino alla nascita dei piccoli, che poi nutrono ed educano fino a che non diventano capaci di provvedere a se stessi. Poi vennero i mammiferi, che dissero: “Le uova sono troppo esposte. Meglio tenerle all’interno del corpo, così prima di prendermele dovranno uccidermi”. Così i mammiferi estesero l’amore per la propria prole a tutto il periodo dell’infanzia, fino a che, raggiunta l’età adulta, veniva cacciata. Ma questo amore era limitato alla propria progenie, ed era limitato nel tempo. Infine, con la comparsa dell’uomo, l’amore per la prole durò per tutta la vita, e si estese anche a uomini del passato, che non esistevano più (ad esempio i genitori), o anche ad uomini sconosciuti, che non erano parte della famiglia.
Nelle ere geologiche che hanno preceduto la comparsa della vita umana, questo sarebbe stato impossibile. L’ambiente doveva essere preparato, e tutte le ere geologiche hanno dato il loro contributo a questo lavoro. Ecco perché abbiamo detto che per capire la storia dell’uomo, dobbiamo inserirla nel contesto della storia della Terra.
Quando nella terza lezione presentiamo l’uomo, parliamo della sua intelligenza, del suo bisogno di vivere con gli altri, della sua capacità di vivere in qualsiasi ambiente, della sua grande creatività che gli permette di soddisfare le proprie esigenze, e della sua capacità di non essere mai soddisfatto. L’uomo aspira sempre ad ottenere condizioni migliori.
Possiamo dire che la Storia dell’uomo era, ed è tuttora, la storia dei suoi bisogni e di come li ha soddisfatti. Vivendo in ambienti diversi, scoprì modi diversi per provvedere alle proprie esigenze: riparo, cibo, abbigliamento, trasporto, ecc… Così, a poco a poco, si formarono gruppi separati di uomini, caratterizzati da un comportamento comune, con soluzioni uguali per rispondere ai bisogni in relazione al proprio ambiente. Questi gruppi sono entrati in contatto tra loro sia in modo pacifico (commercio), sia in modo violento (guerre e invasioni), e così ebbero bisogno di aggregarsi in gruppi più grandi. In questo modo si realizzò un interscambio di idee, invenzioni e scoperte. Noi possiamo risalire soltanto ad alcune di queste scoperte (ad esempio l’invenzione dell’alfabeto), mentre ad altre non possiamo (ad esempio l’uso della ruota o del fuoco). Ma tutte queste scoperte hanno contribuito a costruire la civiltà di oggi. Se analizziamo le cose che utilizziao oggi (cibo, alloggi, mezzi di trasporto, musica, pittura, ecc…) ci rendiamo conto che esse sono il risultato del lavoro non di una sola nazione, ma di molte. Non ci sono razze superiori o inferiori: l’umanità è una. Ognuna produce qualcosa, che poi diventa patrimonio di tutta l’umanità.
Non ci sono razze superiori o inferiori, ma l’umanità è una. Se opportunità e condizioni si presentano, la gente di qualsiasi razza produrre qualcosa, che viene accettato praticamente come grande contributo all’intera umanità.
I bambini, data questa impostazione, sono in grado di studiare la Storia attraverso la ricerca attiva, in ogni campo. Non occorre un libro di testo, ma una biblioteca con enciclopedie, biografie, testi di botanica, zoologia, ecc… Occorre visitare luoghi di interesse storico, musei, ecc… Quando si studia una nazione, non si trattano solo gli eventi, ma anche le persone: la loro provenienza, le loro abitudini, qual era la condizione della donna, quale grado di sviluppo ha raggiunto materialmente la loro cultura per quanto riguarda strumenti, abiti, abitazione, e quanto ha raggiunto spiritualmente con l’arte, la religione, la filosofia.
Il modo pratico, poi, di collocare gli eventi nella giusta sequenza storica, è quello di costruire le linee del tempo. Alcune possono essere proposte dall’insegnante, mentre molte altre vengono realizzate dai bambini stessi.
Alcuni elementi tra i più importanti per la nostra civiltà attuale, come i mezzi di trasporto, l’illuminazione, ecc… vengono trattati attraverso lezioni apposite, che illustrano il loro sviluppo attraverso i secoli. Per altri argomenti, invece, è sufficiente fornire le chiavi ai bambini, in modo tale che essi possano portare avanti lo studio da soli, senza dover ascoltare lezioni non necessarie.
Il concetto di sostenibilità è molto presente nella coscienza moderna, con la crescente consapevolezza dell’impatto delle azioni umane sull’ambiente naturale e sulle società umane. Ma spesso al centro di questo concetto di sostenibilità c’è l’idea che gli esseri umani non facciano anch’essi parte dell’ambiente naturale.
Maria Montessori, in Educazione e Pace, definisce la pace come uno stato attivo in cui gli esseri umani sono parte integrante di un tutto cosmico armonioso, in cui ogni organismo assolve il suo ruolo secondo la sua vera natura, nel quadro delle leggi universali. I concetti di sostenibilità, equità, giustizia e gestione delle risorse sono parte integrante di questa visione.
Il suo concetto di sostenibilità si basa su due idee fondamentali:
l’attività umana è vista in un contesto evolutivo, non separata dai processi naturali dell’evoluzione della Terra e delle specie, a come parte integrante di essa. Senza questa consapevolezza, l’uomo mette a rischio il futuro suo e di tutto il pianeta.
gli squilibri che osserviamo nella natura e nella società dipendono da adulti che non hanno realizzato pienamente il proprio potenziale umano, perché hanno avuto ostacoli al loro naturale sviluppo durante gli anni formativi. Maria Montessori sottolinea gli immensi poteri dei bambini ed il grande compito che hanno: creare gli adulti. Ogni bambino realizza questo compito creativo – costruttivo interagendo con l’ambiente in cui è nato, e che è preparato dagli adulti per lui. Solo quando gli adulti creano con consapevolezza un ambiente che garantisce la libertà del bambini di svilupparsi in base alle leggi naturali, possiamo realizzare la vera natura dell’uomo. Quindi alla radice della pace, c’è il normale sviluppo di ogni individuo.
Il compito del bambino è quello di costruire la normalità umana, il compito dell’adulto è quello di difendere questa costruzione. La collaborazione tra l’adulto e il bambino è il fondamento della sostenibilità, che è il fondamento della pace.
L’uomo ha creato una Sovranatura. Per esempio, con l’agricoltura e l’allevamento, l’uomo ha creato in un tempo breve ciò che il processo naturale di evoluzione avrebbe realizzato forse in migliaia o milioni di anni. L’uomo col suo lavoro ha trasformato la superficie della Terra. Si serve dei ciò che vi è sepolto, di ciò che si trova nell’atmosfera, crea nuovi metalli, nuove sostanze … “Questo mondo è qualcosa di più della natura, e per costruirlo l’uomo usa tutto ciò che esiste in natura. L’uomo crea una (sovra) natura. E la Sovranatura creata dall’uomo è diversa dalla natura ordinaria.
Tendiamo a pensare a questa sovranatura come separata dalla natura, ma secondo Maria Montessori vede gli ambienti creati dall’uomo come naturali, quanto lo sono gli ambienti creati dagli altri esseri viventi. Ciò che noi chiamiamo “natura” oggi, è stato tutto creato da esseri viventi. Quando la vita è apparsa sulla Terra, ha trasformato la sterile sfera di roccia, acqua e gas, nel bellissimo pianeta azzurro che conosciamo oggi. E’ stata la vita ad aver creato sulla terra e nell’acqua le condizioni necessare perché altre forme di vita potessero evolversi e prosperare. Nel corso di vari eoni, la vita ha costruito la Terra che oggi conosciamo, ed è la vita che mantiene questo bellissimo pianeta in equilibrio perfetto, per sostenere la vita. Ogni creatura ha un compito cosmico. Anche l’uomo. La civiltà è una parte della natura, e per questo parliamo di Sovranatura. Civiltà è un termine vago, mentre Sovranatura rende perfettamente il concetto. La Sovranatura si sviluppa nutrendosi della natura, facendo uso di tutto ciò che si trova sul pianeta e nell’atmosfera per migliorare la natura stessa: l’ambiente civile è un’altra forma di natura.
Attraverso il suo lavoro, l’uomo ha consapevolmente, deliberatamente, creato nuove forme di vita: fiori, frutti, cereali e altri vegetali, animali, alberi, ecc… Attraverso la sua attività, l’uomo non è stato solo un agente dell’evoluzione per nuove forme di vita, ma ha anche creato un nuovo ambiente complesso, all’interno del quale egli opera; un ambiente che non è naturale, ma è natura.
La storia umana è la cronaca del lavoro dell’uomo adulto, e quando parliamo di sostenibilità ci concentriamo sul come cambiare le tendenze sbagliate degli adulti. Nel cercare soluzioni, non prendiamo mai in considerazione il contributo dato dai bambini alla società. Il bambino è così, davvero, il “cittadino dimenticato”. Nel creare la Sovranatura in cui vive, l’uomo adulto non tiene conto delle esigenze dell’uomo bambino. In “Educazione e Pace” Maria Montessori fornisce un contesto cosmico all’attività umana e si concentra sul miglioramento del livello di sviluppo umano. I bambini hanno un immenso potenziale che può portare ad una trasformazione radicale della società umana.
L’idea che gli esseri umani svolgono una funzione all’interno di un ecosistema interdipendente, e che le azioni umane hanno un impatto sull’equilibrio di tale ecosistema, è sempre stata presente nella maggior parte delle culture cosiddette primitive. Ma questa idea deve trovare un posto sempre più rilevante anche nel pensiero occidentale, per la necessità di controllare i livelli di inquinamento e di conservare e tutelare l’ambiente. Maria Montessori ha una visione cosmo centrica della sostenibilità. Se estendiamo lo sguardo attraverso i secoli, vediamo che ogni essere vivente ha alterato la Terra con la propria attività, e che l’equilibrio tra tutte queste attività ha costruito l’equilibrio terrestre. Ogni volta che l’equilibrio terrestre è stato disturbato dall’attività di un essere, è stato ripristinato dall’attività di un altro. L’equilibrio terrestre non è statico, ed attraverso questa attività la Terra stessa continua ad evolversi.
Attraverso l’Educazione Cosmica aiutiamo i bambini a sviluppare la consapevolezza che gli esseri umani sono parte di un tutto interdipendente.
Non soltanto il mondo sovranaturale è in costruzione, ma lo è anche l’evoluzione umana. Non si sta verificando soltanto un’ulteriore evoluzione della natura, ma anche un ulteriore sviluppo della personalità umana.
Come abbiamo già detto, è compito di ogni bambino, dal momento della nascita, realizzare il suo potenziale umano. Gli esseri umani nascono con una mente che pensa, una mano che funziona e un cuore che ama. Il compito di ogni bambino è appunto quello di realizzare questo potenziale formando un’unità funzionale. E diventa un’unità funzionale quando le sue tre dimensioni (fisica, intellettuale e spirituale) sono in armonia.
Nel creare la Sovranatura in cui viviamo, le potenzialità della mente e della mano si sono evolute notevolmente, ma abbiamo trascurato il cuore che anima questo lavoro. Sostenendo il bambino nella sua opera di creazione dell’adulto come unità funzionale, possiamo correggere questa anomalia. La ricostruzione della società umana deve iniziare con il supporto del lavoro dei bambini. Nel suo lavoro di costruzione dell’adulto, il bambino è guidato da leggi naturali: come la Sovranatura si fonda sulla natura, così anche lo sviluppo della personalità umana si fonda su di essa. Bisogna creare una sovranatura che tenga conto con consapevolezza e amore di questo. Solo così l’uomo adulto, collaborando al processo naturale di costruzione dell’uomo operato dal bambino, potrà costruire la normalità umana.
A differenza degli altri viventi, l’uomo non è nato con un compito cosico particolare: il suo compito non è limitato, non è specificatamente definito. Ogni essere umano deve determinare il proprio contributo individuale, il proprio compito cosmico.
Prima della comparsa dell’uomo, ogni cambiamenti evolutivo è avvenuto lentamente, inconsciamente. Con l’avvento dell’uomo però, un nuovo elemento è entrato nella storia: la coscienza. Quando gli esseri umani hanno cominciato a costruire la Sovranatura, questa Sovranatura ha a sua volta influenzato lo sviluppo dell’uomo, la sua evoluzione come individuo e come specie. Per il fatto di possedere una coscienza, l’uomo è in grado di determinare la direzione della propria evoluzione, in collaborazione con il bambino, che ha i poteri creativi e costruttivi di realizzare il potenziale umano. Fornendo al bambino le condizioni adatte , l’energia psichica del bambino si svilupperà in base alle proprie leggi, ed avrà un effetto sugli adulti stessi.
L’uomo, che vive nella Sovranatura e deve realizzare la sua vera natura interagendo proprio con la Sovranatura stessa, è nella posizione unica di poter determinare la propria evoluzione. Ma questa evoluzione può avvenire solo nell’ambito delle leggi universali. Comprendendo della sua vera natura e il contesto cosmico delle proprie azioni, l’uomo può creare una Sovranatura dove ogni bambino può sviluppare il potenziale umano sempre più pienamente. L’ambiente è lo strumento per l’evoluzione cosciente dell’uomo. Questa è la vera radice della sostenibilità.
La libertà individuale è la base di tutto il resto. Senza tale libertà è impossibile sviluppare pienamente la personalità. La libertà è la chiave di tutto il processo.
La libertà è essenziale per lo sviluppo umano fin dalla nascita: ogni bambino ha bisogno di libertà per completare il suo compito di formazione dell’uomo. I pregiudizi radicati negli adulti, che non riescono a riconoscere la vera natura e le potenzialità del bambino, sono ostacoli che impediscono la libertà del bambino. Dalla qualità del lavoro del bambino, dipende la nostra capacità di adempiere il nostro compito di adulti. Se non riconosciamo l’importanza del lavoro del bambino, non gli permettiamo di completare il suo compito in libertà. Spetta all’adulto “difendere la costruzione della normalità umana”. Il Metodo Montessori, per questo, può essere definito come l’offrire i mezzi, difendere il bambino, riconoscere su basi scientifiche la sua natura, proclamare i suoi diritti sociali. Comprendere su base scientifica la natura del bambino sostiene la realizzazione di ambienti che promuovono la realizzazione del potenziale umano.
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip) si presenta tradizionalmente dopo la seconda fiaba cosmica, e per preparare la terza. Se non avete a disposizione i mezzi per procurarvi o costruire questo materiale, potete utilizzare una delle linee del tempo della vita preparate dopo la seconda grande lezione, enfatizzando coi bambini quanto sia immenso il tempo della Terra prima della comparsa dell’essere umano, e quanto sia minuto rispetto ad esso il tempo che va dalle nostre origini a noi, che viviamo sulla Terra oggi.
Si tratta di una lezione molto emozionante per i bambini, e quando viene presentata bene, usando meno parole possibili e facendo pause significative, fa davvero una grande impressione. Viene spessa citata da adulti e bambini come una delle lezioni preferite. Maria Montessori, come vedremo meglio poi, la chiamò in origine “lezione di umiltà”.
E’ stata elaborata da Maria Montessori in India, e rappresenta la durata dell’evoluzione terrestre. L’idea base è quella di far appello all’immaginazione dei bambini per trasmettere loro una visione generale della storia della Terra. Infatti, secondo Maria Montessori, è importante che l’interesse dei bambini si attivi dal generale al particolare: bisogna comprendere prima le correlazioni tra le cose, e poi indagare le cose stesse separatamente.
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip)
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip) La storia di questo materiale: una lezione di umiltà
Possiamo immaginare che la cosa sia andata così… Era il 1939. In un caldo pomeriggio, nella città di Madras in India, Maria Montessori parlava con un gruppo di bambini, all’ombra di un grande e vecchio albero di Banyan. Un bambino di circa dieci anni la interrompe, proclamando con orgoglio la superiorità della civiltà indiana, che è una delle più antiche del mondo. Dice che non sa cosa avrebbe mai da imparare da lei e dalla sua cultura, che è meno antica della sua, e che l’India non ha nulla da imparare dall’Occidente. Sì, in effetti la civiltà indiana risale a 10.000 anni fa, mentre quella egiziana soltanto a 3.500 anni, e l’assiro-babilonese a 5.000 anni. Ma non dice altro. Poi, forse sorseggiando il tè del pomeriggio, ripensa alle parole del bambino, e si chiede quale sia il modo migliore di rispondere. Gli operai della compagnia telefonica, stanno distendendo sulla strada lunghi cavi, che poi fissano ai pali. Li osserva e continua a bere il suo tè. Lei e suo figlio Mario, in India, lavoravano al piano di studi per i bambini delle elementari, ed avevano appena preparato le grandi lezioni cosmiche. Così le venne l’idea. Con l’aiuto di una sarta locale, prepara una lunghissima striscia di stoffa nera, lunga 300 metri e larga 50 centimetri. Solo l’ultimo centimetro della striscia aveva un colore diverso: rosso. La striscia è arrotolata come una bobina attorno ad un bastone. Aiutata da due insegnanti della scuola, mostra la striscia ai bambini. Senza dire una parola, le due insegnanti cominciano a srotolare la striscia nera di stoffa lungo la strada, allontanandosi lentamente e tenendo in bastone tra di loro, in bicicletta. Maria Montessori e i bambini, incuriositi, le seguono. Anche i bambini del vicinato si aggiungono alla processione. Tutti chiedono: “Cos’è? A cosa serve?”, ma Maria Montessori, con molta tranquillità, risponde soltanto: “Aspettate, e vedrete”. Forse non dice nient’altro, fino alla fine della lunga striscia, quando appare la sorpresa: la sottile strisciolina rossa. Poi dice: “Questa piccola strisciolina rossa rappresenta tutto il tempo che è trascorso dalla comparsa del primo essere umano sulla Terra. Tutta la parte nera è l’età della Terra”. I bambini guardano indietro, vedono la lunga fascia scomparire in lontananza, e poi guardano di nuovo la piccola striscia rossa. Maria Montessori tiene tra le mani la piccola parte rossa, e forse sorride al bambino che le ha ispirato questa lezione. In realtà non sappiamo cosa abbia detto, ma potrebbe proprio essere andata così.
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip) Descrizione del materiale La fascia ideata da Maria Montessori, come già detto, era lunga 300 metri e larga 50 cm. Solo l’ultimo centimetro della striscia aveva un colore diverso: rosso. Oggi si utilizzato fasce lunghe 30, 50 o 100 metri, larghe dai 30 ai 40 cm. La strisciolina rossa occupa 1 o 2 cm. Nella fascia lunga 30 metri i primi 10 m mostrano la formazione della Terra, i successivi 15 m la comparsa degli organismi unicellulari, gli ultimi 5 m lo sviluppo di tutte le forme di vita e la striscia rossa finale la comparsa dell’uomo.
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip)
Presentazione ai bambini – prima versione
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip) Preparazione Nel piano di studi della scuola primaria Montessori è inserita una serie di importanti lezioni che hanno lo scopo di suscitare meraviglia, stupore e gratitudine. Quando presentiamo questa lezione la cosa più importante è resistere alla tentazione di parlare troppo. Questa lezione non vuole essere una ripetizione dell’Orologio delle Ere o della prima grande lezione cosmica. Maria Montessori non disse ai bambini quasi nulla, mentre la lunga striscia nera venne srotolata lungo la strada. Anche se si dispone di spazio sufficiente per srotolare la lunga fascia all’interno, si consiglia comunque di farlo all’esterno, perché è molto più scenografico. Dopo la lezione potete, se lo ritenete opportuno, raccontare la storia del come e del perché Maria Montessori ha inventato questo materiale. Quando i bambini sentono che la fascia originale era lunga dieci volte di più quella che abbiamo usato noi, sono molto impressionati e di solito si chiedono quanto lontano dalla loro scuola sarebbe arrivata. Avvolgere la fascia nera intorno a un bastone, iniziando dalla striscia rossa (in modo che la sezione rossa sia l’ultima ad apparire ai bambini), assicurandosi che risulti ben nascosta.
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip) Presentazione Invitare i bambini a seguirvi, perché ci sarà una lezione molto speciale all’aperto. Se ci sono bambini più grandi, che hanno già assistito alla lezione negli anni precedenti, spiegate loro l’importanza di non rivelare agli altri la sorpresa: potete ad esempio dare loro il compito di essere i vostri assistenti e di aiutarvi a srotolare la fascia. Posare a terra la bobina e cominciare a srotolarla, iniziando a raccontare.
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip) Racconto (esempio) Questa fascia nera rappresenta l’età della Terra, dalla sua origine (fermarsi; circa 30 secondi di silenzio). All’inizio la Terra era una sfera incandescente (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). E fu così per molto, molto tempo (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). Poi la Terra si presentò coperta di vulcani, e così fu per molto, molto tempo (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). Poi arrivarono le piogge, che sono durate molto, molto tempo (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). Pioveva e pioveva. E questo è durato molto, molto tempo ancora. (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio).
Infine Terra ha cominciato a raffreddarsi, e ci volle molto, molto tempo(srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). Sulla Terra ora c’erano solo rocce, oceani e vulcani, ma nessuna forma di vita. E questo per molto, molto tempo. (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). Solo rocce, acqua e fuoco. Niente di verde. Per molto, molto tempo (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). La Terra era già molto vecchia. Guardate quanto è lunga la fascia dietro di noi (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio).
Ci stiamo avvicinando alla fine della fascia, e qui la vita ha cominciato a svilupparsi sulla Terra, impiegando molto, molto tempo (srotolare un’altra parte di fascia in silenzio). Guarda, qualcosa di diverso sta per accadere! (Rallentare in prossimità della fine della fascia e fermarsi quando appare la striscia rossa). Gli esseri umani appaiono sulla Terra per la prima volta. Questo piccolo lembo rosso rappresenta tutto il tempo che è passato da quando i primi esseri umani sono giunti sulla Terra. (Pausa)
Ecco, sto tenendo in mano tutta l’umanità di tutto il mondo, da quando è apparsa: dai primi esseri umani che vivevano in Africa, agli abitanti delle caverne, e poi gli Aborigeni, gli Egizi, i Greci, i nativi americani, i Maya e tutti gli uomini che sono sulla Terra oggi. Qui si può tenere tutta l’umanità in una mano.
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip)
Presentazione ai bambini – seconda versione
(Posare a terra la bobina e cominciare a srotolarla, iniziando a raccontare). Ti ricordi? Molto, molto tempo fa non c’era assolutamente niente, semplicemente immenso caos e oscurità. E’ stato così per un tempo molto lungo, e poi è successo qualcosa. (Srotolare una parte di fascia in silenzio). In questo vuoto incommensurabile di freddo e l’oscurità, apparve una grande nuvola ardente che comprendeva in sè tutte le stelle.
(Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). L’intero universo era in quella nuvola, e tra le piccole gocce c’era il nostro Sistema Solare. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). Poi le stelle si sono distribuite nello spazio, in modo che ora sono a milioni di chilometri di distanza, e la luce delle stelle che vediamo la notte ha impiegato anni luce per arrivare a noi. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). Si formò la crosta terrestre, ma la Terra era ancora molto calda e circondata dal freddo e buio spazio. Ti ricordi che abbiamo detto che tutte le particelle dell’Universo hanno leggi speciali alle quali obbediscono? (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio).
Ci fu la Danza degli Elementi, il calore saliva verso il freddo, e il freddo scendeva verso il calore. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). La Terra lentamente si è raffreddata, i vulcani si sono fermati ed il Sole ha cominciato a spendere felicemente. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). Poi ci fu un problema: pioveva e pioveva e pioveva, l’acqua consumò le rocce, che si gettarono nel mare, avvelenandolo. Vi ricordate cosa ha risolto il problema? Sì, sono apparsi i batteri e poi altri organismi, come le amebe. E che cosa ha fatto? Hanno seguito le leggi date loro:mangiare, cresciuto e riprodursi. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio).
Questi organismi avevano una sola cellula, e dovevano fare tutto il lavoro da sole. Così si sono stancati, e hanno deciso di unirsi, dividersi i compiti e rendere il lavoro più efficiente. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). Così sono apparsi i trilobiti, i cefalopodi con i piedi in testa, e i crinoidi che assomigliano a delle piante, ma sono animali che vivono in torri di pietra. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). E poi cosa è successo? Sì, la vita continuava a cambiare e provare cose nuove: apparvero alghe e coralli, che purificavano l’acqua e formavano bellissime isole e scogli.
(Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). Poi alcune creature hanno deciso di provare a vivere sulla terraferma, hanno costruito una sacca all’interno del corpo per respirare, e arti al posto delle pinne, per muoversi fuori dall’acqua. Sono stati chiamati anfibi, e la loro fu la prima voce che si udì sulla Terra. Poi arrivarono i rettili, che cambiarono pelle e comiciarono a fare uova con i gusci duri. Ebbero molto successo, e crebbero fino a raggiungere dimensioni gigantesche. Immaginate un combattimento tra dinosauri: doveva essere terrificante. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio).
Intanto le creature più piccole si sono mosse verso le zone più fredde, si sono trasformate in animali a sangue caldo, hanno ricoperto il loro corpo di peli e hanno cominciato a prendersi cura dei propri piccoli dopo la nascita. Erano gli uccelli e i mammiferi. Mentre gli uccelli deponevano le uova fuori dal corpo, i mammiferi le tennero all’interno, e quando i piccoli nascevano li nutrivano con il proprio latte. I mammiferi ebbero molto successo, e si diffusero su tutta la Terra. (Guardare indietro la fascia già srotolata, poi srotolarne un’altra parte, in silenzio). Poi è stata la volta di una creatura molto speciale: l’essere umano. Questa parte rossa è tutto il tempo passato dalla comparsa del primo uomo, e ci siamo anche noi. Guardate il tempo che ha impiegato la Terra per essere pronta a far vivere gli esseri umani!
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip)
Note
Questa lezione chiave è particolarmente adatta ai bambini più piccoli, di prima classe. I più grandi possono partecipare come aiutanti, e sarà molto utile per loro, perché li stimolerà ad approfondire aspetti particolari presentati nella lezione.
Dopo la lezione si può lasciare la fascia nera a disposizione dei bambini, che potranno usarla per le loro ricerche, insieme alle linee del tempo. Alcuni bambini vorranno riguardarla anche dopo il racconto della terza fiaba cosmica, che tratta della comparsa dell’uomo sulla Terra.
I bambini più grandi possono usare la fascia nera anche come base per posizionare su di essa le carte delle nomenclature delle varie linee del tempo, fossili e altri materiali, fare misurazioni e aggiungere cartellini e materiali trovati nei testi di ricerca, come per le linee del tempo:
LA FASCIA NERA DEL TEMPO MONTESSORI (long black strip)
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI riguarda la storia della comparsa dei viventi sulla Terra, esclusa la storia dell’evoluzione umana, che viene trattata nella terza lezione. Qui trovi tre diverse versioni della fiaba cosmica relativa, linee del tempo e carte scaricabili e stampabili in formato pdf, idee e materiali vari per i giorni successivi.
Il primo giorno di scuola, i bambini ascoltano la PRIMA GRANDE LEZIONE che è la base della grande lezione sulle origini dell’Universo. Come già anticipato qui, il complesso svolgersi della grande lezione prosegue con dimostrazioni, ricerche, esperimenti, attività artistiche e manuali, toccando nel corso degli anni varie materie ed argomenti di studio: Astronomia, Meteorologia, Chimica, Fisica, Geologia, Geografia. Tutto il piano è inquadrato nella grande cornice dell’Educazione Cosmica.
La seconda grande lezione tratta dell’origine della vita. La lezione porta alla costruzione della Linea del tempo della vita: un lungo cartellone con immagini e didascalie su microorganismi, piante ed animali che sono vissuti e vivono sulla terra. Si enfatizza la grande diversità delle forme viventi, e l’importanza del contributo di ognuna per il mantenimento della vita del pianeta. Questa lezione coinvolge nel tempo queste materie:
Biologia: cellule, organismi pluricellulari, regni della natura, campioni, dissezioni, osservazioni, uso del microscopio
Botanica: studio delle piante, classificazioni, funzione, parti delle piante (seme, fiore, frutto, foglie, tronco, radice), tipi di piante
Vita antica: ere geologiche, evoluzione della specie, estinzione, fossili, scavi archeologici
Animali: classificazioni, bisogni, similitudini e differenze, nutrizione, igiene,
Regni delle monere, dei protisti e dei funghi: cosa sono, classificazione, osservazione
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI – carte illustrate
Presentazione e materiali (per tutte le versioni della seconda fiaba cosmica Montessori):
– TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI: servono innanzitutto per costruire le linee del tempo, e sono un materiale molto utile da consultare in tutto il periodo successivo, sia ai bambini, sia agli insegnanti. Trovi quelle che ho preparato qui, scaricabili e stampabili in formato pdf:
– LINEE DEL TEMPO: potete chiamare i bambini in cerchio ad ascoltare la storia, mostrando via via illustrazioni (o oggetti). E’ la modalità più semplice, e facilmente praticabile anche se insegnate in una scuola non montessoriana. In alternativa potete utilizzare una del tempo. Qui trovi linee del tempo semplici, da realizzare in proprio o coi bambini:
– OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE: è un classico materiale per visualizzare la linea del tempo della comparsa dei viventi nelle scuole Montessoriane, dopo aver presentato la seconda lezione. Trovi la mia versione qui:
Una linea del tempo (facoltativa) e le carte illustrate per la prima versione del racconto.
carte seconda lezione versione 1 Elenco delle carte illustrate e delle dimostrazioni (se preferite prepararle voi):
Immagini di batteri. Mostrando le foto, sottolinea che i batteri reali sono milioni di volte più piccoli rispetto alla foto.
Mostra ai bambini come posizionare le mani sul torace per sentire come si espande nell’inspirazione e si ritira nell’espirazione.
Immagini, modelli o campioni di spugne, alghe, anemoni, meduse…
Immagini di trilobiti.
Preparare su un vassoio una pallina di pasta di sale e un oggetto (ad esempio una foglia o un modellino di insetto di plastica). Premere l’oggetto saldamente nella pasta, spiegando che è la stessa cosa che avvenne quando si sono formati i trilobiti fossili: gli strati di terra premevano su di essi. Estrarre con cautela l’oggetto e invitare gli studenti a guardare l’impronta.
Immagine, modello, o campione di un pesce. Chiedere ai bambini di identificare le parti del corpo del pesce (pinne, coda, scaglie, occhi, branchie).
Chiedere ai bambini di mettersi a coppie e di sentire a turno le vertebre della spina dorsale con le mani.
Immagine della prima vita sulla terra: piante.
Immagini, modelli, o campioni di insetti. Invitare i bambini a identificare le parti del corpo dell’insetto (testa, occhi, esoscheletro, torace, addome, antenne, zampe).
Immagine o modello di un anfibio (rana, rospo, o salamandra). Invitare i bambini a identificare le parti del corpo degli anfibi (testa, corpo, zampe, branchie, pelle, spina dorsale).
Immagine di una felce, felce in vaso e fotografia di una felce fossile.
Immagini o modelli di rettili. Chiedere ai bambini di identificare le parti del corpo del rettile (pelle, testa, narici, occhi, collo, corpo, zampe, coda).
Immagine o modello di un dinosauro.
Immagini di conifere, o una piccola conifera in vaso e un paio di rami e pigne di diverse conifere. Schiacciare una foglia di conifera e invitare i bambini a sentirne l’odore.
Immagini di piante da fiore, o pianta fiorita in vaso.
Immagine o modello di un uccello primitivo.
Immagini o modelli di mammiferi primitivi e moderni.
Tre mappe: Pangea; Laurasia e Gondwana; continenti attuali. Descrivere le masse mutevoli dei continenti, e spiegare come i continenti di oggi si sono stati formati dalla Pangea. Far notare come le forme dei continenti sembrano incastrarsi come un puzzle.
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
La comparsa della vita sulla Terra
Appena la Terra si fu formata, insieme agli altri pianeti e alle stelle del nostro sistema solare, non era che una palla incandescente di gas. Nel corso di milioni di anni la palla di gas si raffreddò, e si formarono diversi strati di materia. Raffreddandosi, molti dei gas passarono allo stato liquido, così la terra attraversò una fase in cui era rivestita di liquidi e roccia fusa. Meteoriti si schiantavano sella terra, vulcani vomitavano gas e lava incandescente. Il cielo terrestre conteneva molti gas e non era blu, come oggi, ma rossastro come oggi possiamo vederlo al tramonto.
A quel tempo la Terra era ancora troppo calda per consentire la vita di piante o animali, e dovettero passare altri milioni di anni perché la superficie terrestre si raffreddasse ulteriormente, portando alla formazione di una crosta rugosa e screpolata. L’acqua al di sotto di questa crosta usciva in superficie attraverso le fessure della crosta solida, così sopra la Terra si formò il vapore acqueo ed apparvero le prime nuvole. Quando dalle nubi iniziò a cadere la pioggia, la Terra era ancora così caldo che le gocce evaporavamo immediatamente, ma quando infine la Terra fu sufficientemente fredda, la pioggia caduta cominciò a rimanere superficie del pianeta, formando un gigantesco oceano.
Tutta questa massa d’acqua era mescolata a particelle di roccia. Gli scienziati ritengono che queste particelle davano all’oceano un colore verdastro, simile a quello delle olive. Questo gigantesco oceano copriva quasi completamente la Terra, mentre una minima porzione era costituita da roccia: gli scienziati ritengono che questa roccia fosse di color rosso ruggine.
Quanto ci apparirebbe strana questa Terra primordiale! Non c’erano alberi, erba o fiori. Nessun animale viveva su di essa: non c’erano rane, cani, ragni, serpenti, elefanti. Non c’erano esseri umani. E se non c’erano esseri umani, non c’erano case ed edifici, automobili, e tutte le altre invenzioni dell’uomo. Immaginate il mondo senza persone o animali di qualsiasi tipo! La Terra formata da roccia rossa e oceano verde, doveva essere un posto davvero molto strano…
…eppure, non visto, nel profondo del gigantesco oceano che la copriva, qualcosa di nuovo e meraviglioso stava accadendo.
In qualche modo, e anche gli scienziati più intelligenti di oggi non sanno esattamente come, una piccola parte di materia ha preso vita. Questa prima materia vivente era molto più piccola di un granello di sabbia, così piccola da essere invisibile ad occhio nudo. Per poterla vedere, ci sarebbe voluto un potente microscopio, ma naturalmente, a quel tempo, non c’erano microscopi e non c’erano persone che potessero usarli! Il piccolo pezzo di materia vivente nell’oceano si sviluppò molto tempo prima della prima vita forma di vita sulla terraferma. Era una forma di vita piccola e semplice, senza gambe, senza occhi e senza bocca; non aveva stelo o tronco; era simile ad una gelatina, ma era viva. Al giorno d’oggi, ci sono milioni e milioni di queste minuscole forme di vita sulla Terra: le chiamiamo ‘batteri’. I primi batteri apparsi sulla Terra erano tuttavia molto speciali, perché trovarono miracolosamente il modo per vivere e moltiplicarsi nell’oceano, anche se quel primo oceano era pieno di minerali e gas che oggi avvelenerebbero qualsiasi forma di vita. (Dimostrazione 1)
Per milioni di anni, non ci fu sulla Terra che questa prima semplicissima forma di vita. Dopo molto tempo, un particolare gruppo di questi batteri, i batteri blu-verdi chiamati ‘alghe blu-verdi’ ha cominciato a svilupparsi nelle zone meno profonde dell’oceano, dove la luce del sole riusciva a riscaldare l’acqua. In queste acque calde e poco profonde, le alghe blu-verdi hanno trovato il modo di produrre del cibo per se stesse, utilizzando le tre cose di cui erano circondate: l’energia dalla luce del sole, l’acqua dall’oceano, e l’anidride carbonica dall’aria. Oggi questo processo è chiamato ‘fotosintesi’, ed è utilizzato dalle piante. Non appena le alghe blu-verdi hanno cominciato a produrre questo alimento per se stesse, hanno anche iniziato a produrre un nuovo gas. Questo nuovo gas in parte si riversava nell’oceano, ma per la maggior parte saliva verso il cielo, con l’evaporazione dell’acqua: fu l’inizio di quello che ora chiamiamo ‘atmosfera terrestre’, cioè di quella coltre d’aria che circonda la superficie della (Terra. Il nuovo gas prodotto dalle alghe fu importante e specialissimo, perché è il gas che tutti gli animali della Terra, in futuro, avrebbero usato per respirare. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 2) .
Il suo nome è ossigeno. Nell’epoca di cui stiamo parlando, tutta la vita presente sul nostro pianeta si trovava nell’oceano. Dopo i batteri, si sono lentamente sviluppate molte altre forme di vita, molte specie di piante e creature marine: alghe, spugne, anemoni di mare, meduse, vermi, ed altro. Questi essere furono per lunghissimo tempo gli unici abitanti del pianeta, e si trovavano tutti in acqua. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 3)
Poi, un giorno, una nuova ed affascinante creatura apparve nell’oceano: era diversa da qualsiasi altra forma di vita venuta prima di lei, perché aveva una testa, un corpo, una coda, delle zampe. Non aveva le ossa, ma invece aveva un duro guscio esterno, simile ad una corazza. Questo guscio è chiamato ‘esoscheletro’, che significa che la parte più dura del corpo della creatura si trova all’esterno invece che all’interno. La nuova ed affascinante creatura cresceva velocemente, e presto ce ne furono migliaia di tipi diversi: alcuni avevano occhi e nuotato nell’acqua; alcuni non avevano occhi e strisciavano sui fondali dell’oceano; alcuni non erano più grandi di una capocchia di uno spillo; alcuni erano grandi come un lavello della cucina. Se la creatura era in pericolo, si arrotolava su se stessa formando una palla. Erano i ‘trilobiti’, creature diverse da qualsiasi altra cosa al mondo. Per questo i trilobiti sono diventati tanto famosi, così famosi che l’epoca di cui stiamo parlando è chiamata dagli studiosi ‘Età della Trilobiti’ (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 4).
I trilobiti vissero nell’oceano per un periodo molto lungo, poi, a poco a poco, morirono tutti, per ragioni che nessuno oggi capisce veramente. Quando tutti i membri di una data specie muoiono, gli scienziati dicono la specie è estinta: i trilobiti si estinsero. Ma, se si sono estinti, come è possibile che noi oggi possiamo parlare di loro? Perché i trilobiti hanno lasciato segni della loro esistenza. Quando morirono, i corpi dei trilobiti si coprirono di strati di sabbia e roccia. Nel corso del tempo, questi strati di sabbia e roccia sono diventati così pesanti che il corpo dei trilobiti si è impresso nella roccia. Le impronte di piante o animali impresse nella antichissime rocce sono chiamate fossili, e da sempre le persone hanno trovato molto affascinante la scoperta e lo studio di questi reperti, che mostrano com’erano le piante e gli animali del passato. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 5).
Pensate che, prima dell’estinzione, i trilobiti presenti nell’oceano erano la forma di vita più numerosa di qualsiasi altra. Poi arrivò un nuovo tipo di animale: aveva un corpo lungo, ma era privo di zampe. La sua pelle era dura e squamosa. Questi nuovi animali nuotavano facilmente nell’oceano, perché avevano dei lembi che fuoriuscivano dal loro corpo e li aiutavano a seguire la loro direzione o fermarsi: le pinne. Essi riuscivano a respirare sott’acqua attraverso una serie di alette, le branchie. Questi animali furono i primi pesci della Terra. Nel corso del tempi i pesci divennero molto abbondanti, tanto che l’epoca di cui stiamo parlando si chiama Età dei pesci. Come sappiamo, i pesci esistono ancora oggi ne nostri oceani, mari, laghi e fiumi, e alcuni di essi sono ancora molto simili ai pesci dell’antichità (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 6).
I primi pesci comparsi sul nostro pianeta sono da considerarsi molto importanti, perché si trattò dei primi animali che avessero le ossa, la parte più dura del corpo, all’interno e non all’esterno, come era per i trilobiti. L’insieme delle ossa di un essere vivente è chiamato scheletro. Uno scheletro è una sorta di telaio attorno al quale è costruito il corpo. Ma c’è un altro motivo che ci deve far considerare i primi pesci esseri molto speciali: essi sono stati i primi ad avere un osso lungo che percorreva la loro schiena. Noi oggi chiamiamo quest’osso ‘spina dorsale’, e tutti gli animali che lo possiedono sono chiamati vertebrati (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 7).
Mentre il primo oceano terrestre si popolava con un numero sempre maggiore di pesci, qualcosa di nuovo ed eccitante stava per accadere anche sulla terraferma: alcune delle alghe, che vivevano nelle zone poco profonde dell’oceano, cominciano a crescere sul terreno fuori dall’acqua. Forse avvenne che il livello dell’acqua si abbassò ulteriormente, lasciando alcune alghe nella sabbia umida, esse vi si attaccarono , e nel tempo si trasformarono in piante capaci di vivere fuori dall’acqua. Sulla terraferma, queste piante raccoglievano il nutrimento necessario dalla luce del sole e dall’umidità dalla sabbia: fu la prima forma di vita sulla superficie della Terra! (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 8).
Presto si svilupparono molti tipi di piante, di forme e dimensioni diverse. Anche oggi, ci sono piante così piccole da essere invisibili, e piante enormi, come gli alberi. Dopo la comparsa delle piante, iniziò sul nostro pianeta un periodo molto intenso ed emozionante: nuove forme di vita sorsero ovunque sulla Terra. Dopo la diffusione delle piante, comparve il primo animale. Esso era molto piccolo, e produceva uova. Aveva un esoscheletro come i trilobiti, una testa, una parte centrale chiamata torace, una parte posteriore chiamata addome, e tre coppie di zampe. Sulla esta aveva grandi occhi sporgenti, e due piccole parti filiformi che spuntavano all’esterno. L’animale utilizzava queste due piccole parti filiformi per percepire le cose: noi oggi le chiamiamo ‘antenne’. Poiché non aveva spina dorsale, era un invertebrato. Comparvero col tempo innumerevoli varietà di questo animale: alcuni strisciavano, altri avevano due paia di ali che consentivano loro di volare. Questi animali stupefacenti, che sono apparsi sulla Terra subito dopo la comparsa delle piante terrestri, sono chiamati insetti. Oggi gli insetti sono la forma di vita più numerosa del pianeta. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 9)
Nel periodo in cui apparvero gli insetti, si sviluppò un altro tipo di animale, un essere davvero molto strano, che si spostò a vivere dall’acqua alla terraferma. Nell’oceano, infatti, viveva un pesce che aveva sviluppato enormi pinne. Col tempo queste pinne si trasformarono in corte zampette, che l’animale usò per muoversi, trasferendosi dall’acqua alla terraferma. Arrivati qui, questi pesci con le zampe trovarono cibo delizioso in grande quantità: gli insetti! Da allora condussero una doppia vita: potevano vivere nell’oceano come i pesci, e talvolta uscire dall’acqua e vivere in superficie come gli animali. Anche oggi esistono animali con queste caratteristiche, e li chiamiamo ‘anfibi’. Nel corso del tempo si svilupparono molte varietà di anfibi, di forma e dimensione varia; alcuni di essi erano grandi circa come un bambino di sei anni! Gli anfibi avevano la pelle liscia ed umida, e attraverso questa pelle erano in grado di respirare, mentre quando nuotavano sott’acqua respiravano con le branchie. Gli anfibi sono molto importanti, perché furono i primi animali terrestri dotati di spina dorsale, cioè i primi vertebrati. Rospi, rane e salamandre sono anfibi. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 10).
Nel periodo in cui comparvero gli insetti e gli anfibi, si verificarono altri eventi molto importanti. Il grande blocco di terra che emergeva dall’oceano si ruppe in due giganteschi pezzi, chiamati continenti. Questi continenti, galleggiando molto lentamente, andarono via via alla deriva nel gigantesco oceano, finchè un giorno non urtarono uno contro l’atro. La forza dello scontro fu tale che rimasero bloccati insieme, formando un supercontinente chiamato dagli studiosi Pangea. Dove i due continenti si sono uniti, la terra si è accartocciata ed ha creato una lunga fila di montagne: una catena montuosa. Questa prima catena montuosa esiste ancora nel mondo di oggi e si trova in Russia. Anche in questa lontana epoca, crescevano sulla superficie della Terra molti tipi di piante. In particolare, enormi felci sono cresciute nelle zone ombreggiate ed umide che noi oggi chiamiamo paludi. Le felci producono un particolare tipo di seme, la spora, ed ogni spora può far crescere una nuova pianta; così le felci divennero così numerose che enormi foreste di felci si distribuirono su tutta la superficie terrestre. Le felci esistono ancora oggi: crescono nei boschi e nelle foreste, e vengono anche coltivate in vaso come piante da appartamento. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 11).
Queste foreste di felci hanno avuto grandissima importanza per la storia della Terra: quando una foresta di felci invecchiava e moriva, un’altra cresceva sui suoi resti. Nel corso del tempo si accumularono strati su strati di materia organica che si trasformavano in un ricco suolo. Senza questo contributo delle piante, la superficie terrestre sarebbe rimasta di sola nuda roccia. Nel corso di un periodo di tempo lunghissimo, inoltre, gli strati più profondi di felci morte si trasformarono in un nuovo tipo di minerale, di colore nero, che oggi chiamiamo carbone. Nello stesso periodo in cui si diffusero le felci, sulla Terra comparve un’altra splendida creatura: un animale anfibio che, progressivamente, aveva smesso del tutto di vivere nell’acqua. Forse gli piaceva stare asciutto, più di quanto non gli piacesse essere bagnato! Nel corso del tempo, la creatura perse le branchie, e quindi non poteva più respirare sott’acqua. Si trattava di un vertebrato che deponeva uova, e vivendo sulla superficie terrestre sviluppò una pelle spessa, secca e ruvida. Amava stare a scaldarsi al sole. Oggi chiamiamo queste creature ‘rettili’(LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 12).
I rettili prosperarono, e presto ce ne furono di diversi tipi: c’erano così tanti rettili che oggi chiamiamo questo periodo Età dei rettili. Avvenne poi una cosa molto strana: alcuni di questi rettili hanno cominciato a crescere, crescere e crescere, fino a diventare giganteschi. Alcuni crebbero alti quanto un palazzo di cinque piani e lunghi quanto tre autobus in fila! Questi giganteschi rettili erano così pesanti che la terra tremava quando camminavano o correvano. Avevano lunghe e potenti code, che li aiutava a bilanciare l’immenso peso. Se attaccati da altri animali, questi giganteschi rettili utilizzavano le code anche come arma di difesa. Avevano un collo molto lungo, che serviva loro per raggiungere le foglie sulle cime degli alberi, delle quali si nutrivano. Questi giganteschi rettili erano i dinosauri. Alcuni di essi camminavano su quattro zampe, alcuni su due gambe; alcuni avevano le ali e potevano volare. Alcuni dinosauri erano erbivori, cioè si nutrivano di piante, mentre altri erano carnivori, cioè mangiavano anfibi e rettili più piccoli. Nel corso del tempo si svilupparono centinaia di diversi tipi di dinosauri. Ossa di dinosauro, scheletri, denti e fossili sono stati trovati in tutto il mondo, e oggi possiamo ammirarli nei musei. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 13).
I dinosauri dominarono la superficie della Terra per milioni di anni, ma poi scomparvero per sempre. Gli scienziati hanno formulato varie ipotesi sulla loro estinzione. Alcuni ritengono che un meteorite gigantesco, una roccia proveniente dallo spazio, cadde sulla Terra. L’enorme schianto del meteorite avrebbe creato un grande quantità di polvere nell’atmosfera terrestre, e questa polvere avrebbe modificato il clima del pianeta, impedendo alla luce solare di raggiungere la Terra. Questo avrebbe provocato la morte di molte piante, e di conseguenza di molti animali erbivori. Diminuendo gli erbivori, anche i carnivori si sarebbero trovati senza cibo. Questi scienziati ritengono che sopravvissero solo gli animali che si nutrivano di piante in decomposizione, così la vita continuò: alcuni animali ed alcune piante sopravvissero, e ne apparvero di nuovi. Una nuova pianta che iniziò a crescere in questa epoca fu un albero con foglie ad ago e semi contenuti in un cono. Questi alberi sono oggi chiamati ‘conifere’, ed esistono ancora oggi in tutto il mondo (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 14) .
Un’altra nuova pianta che apparve nella stessa epoca, era particolarmente bella, perché aveva delle parti molto colorate: i fiori. I fiori attiravano gli insetti, soprattutto dei nuovi insetti alati, che noi oggi chiamiamo farfalle. Le farfalle e altri insetti trasportavano il polline, la polvere prodotta dai fiori, facendolo viaggiare da un fiore all’altro. A volte il vento li aiutava in questo lavoro. Le piante che ricevevano il polline di altre piante, potevano generare una pianta nuova, e così ci furono presto molte varietà di piante da fiore. Oggi le piante da fiore sono le più numerose sulla Terra, rendono il nostro mondo bello, e molte di esse producono alimenti, come frutta e noci. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 15).
Dopo che i dinosauri si furono estinti, apparve un nuovo tipo di animale, capace di volare. C’erano già molti insetti volanti a quel tempo, ma questo animale era molto più grande di un insetto: in verità alcuni esemplari erano grandi come un uomo. Aveva ali, piume, e una bocca molto buffa: lunga, dura e a punta. Era un vertebrato e deponeva le uova. Questo nuovo animale era il primo uccello apparso sulla Terra. Oggi molti scienziati ritengono che questo primo uccello si sia sviluppato dai grandi rettili volanti. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 16).
Un altro nuovo tipo di animale che apparve dopo l’estinzione dei dinosauri era un vertebrato con un cervello più grande di tutti gli altri animali apparsi prima sulla Terra. Aveva un rivestimento peloso per mantenere caldo il corpo, e produceva latte per nutrire i suoi piccoli. Di questo nuovo animale si svilupparono presto molte varietà: alcuni piccoli come un dito, altri grandi come una casa. La maggior parte di essi stava a quattro zampe, mentre alcuni sono andati a vivere nell’oceano, e uno ha addirittura scelto di volare come un uccello. Alcuni si nutrivano di piante, ed altri si animali. Noi oggi chiamiamo questi animali ‘mammiferi’. Il topo, il rinoceronte, l’elefante, il cavallo, il canguro, il gatto, il pipistrello, il cane, la balena, il cammello e la scimmia sono tutti mammiferi. Questi animali prosperarono sulla Terra e divennero presto molto numerosi, così numerosi che quest’epoca della Terra è conosciuta come Età dei mammiferi. (LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Dimostrazione 17)
Nel frattempo, il grande supercontinente che abbiamo chiamato Pangea, si diviso in due grandi masse separate, che galleggiavano sulla vastità dell’oceano. Questi due supercontinenti sono oggi chiamati Laurasia e Gondwana. A poco a poco, anche questi due supercontinenti hanno cominciato a rompersi e ad andare alla deriva sull’oceano. Lentamente, nel corso di milioni di anni, si formarono sette nuovi continenti, che sono quelli che esistono oggi. Le piante e gli animali vivevano sui due supercontinenti si separarono, e alcuni scienziati ritengono che questa separazione potrebbe essere uno dei motivi per cui oggi, alcuni animali e alcune piante si trovano solo su alcuni continenti (Dimostrazione 18).
La Terra era ormai ricca di vita: piante di tutte le forme, colori e dimensioni vivevano sulla terraferma e nell’acqua; pesci, delfini e altre creature marine nuotavano negli oceani; anfibi come rane e salamandre vivevano in parte in acqua e in parte in superficie; alcuni insetti, come gli scarafaggi, si stabilivano sulla terra, mentre altri, come le farfalle, volavano in aria; rettili, come tartarughe e serpenti, strisciavano; uccelli, come gabbiani e uccelli canori, volavano nei cieli; mammiferi, come le scimmie e le enormi creature chiamate mammut lanosi, che somigliavano agli elefanti di oggi, vagavano per la terra. Prima che si sviluppasse la vita, la Terra era un pianeta roccioso, con un cielo rossastro e un oceano verde oliva. Dopo la comparsa della vita, ha cominciato a cambiare colore: le piogge cambiarono il colore dell’oceano da verde a blu, e non appena l’ossigeno aumentò nell’atmosfera, il cielo diventò azzurro. Anche la superficie terrestre cominciò a cambiare: si raffreddò e si copri di ricco terriccio, piante verdi, fiori colorati, frutti, e molti tipi di animali. Piante ed animali vivevano sul nostro pianeta in armonia, ed in un modo o nell’altro si aiutavano a vicenda a prosperare. Gli insetti aiutavano le piante trasportando il polline; le piante rilasciavano ossigeno nell’atmosfera per permettere la vita degli animali; gli animali producevano anidride carbonica per permettere la vita delle piante; le piante morte e in decomposizione fornivano terreno fertile per favorire la crescita di nuove piante, che poi avrebbero nutrito gli animali; alcuni di questi animali erano il cibo di altri.
Ci sono stati molti cambiamenti nel clima terrestre, nel corso di milioni di anni. Ogni volta che il tempo è cambiato, molti animali e piante sono morti, perché il loro ambiente era diventato a troppo caldo, troppo freddo, troppo umido o troppo secco, ed essi non potevano cambiare abbastanza in fretta da adattarsi al cambiamento. Ma molte piante e animali sono sopravvissuti a questi cambiamenti della Terra. E un altro animale, un mammifero molto speciale, non era ancora apparso sulla Terra. Questo mammifero avrebbe camminato su due gambe, sarebbe stato molto, molto intelligente ed avrebbe inventato moltissime cose. Noi oggi chiamiamo questo mammifero ‘uomo’, ma il racconto di come gli esseri umani vennero sulla Terra è tutta un’altra storia.
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
FIABA COSMICA ‘LA COMPARSA DELLA VITA’
seconda versione
Materiali:
Linea del tempo (facoltativa)
Immagini per la linea del tempo versione 2
carte seconda lezione versione 2
In alternativa ho preparato la linea del tempo pronta per la stampa in formato pdf (illustrata e muta con immagini da aggiungere durante il racconto:
Ricordate la storia di come si è formata la Terra? Oggi ascolteremo la storia della Terra che prende vita con le piante e gli animali. Ripensiamo a quando nacque la Terra: da una goccia di luce e calore senza regole. Poi, ogni particella ha cominciato ad obbedire alle sue leggi, la Terra si è raffreddata e stabilizzata in base a queste leggi, e si sono formate l’acqua, l’aria e la roccia. La Terra divenne una perla illuminata dal sole, e il sole non riusciva a smettere di ammirarla. Un giorno, mentre la guardava, si accorse che c’era qualcosa di diverso in quell’ordine meraviglioso che si era stabilito: stava per accadere qualcosa, forse stavano per arrivare dei problemi… infatti, stava piovendo da lunghissimo tempo sulla Terra, e l’acqua piovana, attraversando l’aria si mischiava con diversi gas (anidride carbonica, anidride solforosa, protossido d’azoto), e questo la trasformava in una pioggia acida, che travolgeva le rocce e la lava gettandone grandi parti nell’oceano. Si scatenavano così terribili tempeste e parti di roccia corrosa dalla pioggia si gettavano nell’oceano: il mare si stava riempendo di sali minerali, mentre la superficie solida della Terra sembrava destinato a scomparire. L’ordine che era stato creato sembrava davvero in pericolo! Quale poteva essere la causa? Chi era il colpevole? Il sole si rivolse all’acqua e disse: “E’ colpa tua, che sciogli la roccia e la getti nell’oceano!”
Ma l’acqua rispose: “Sono innocente! Io non sto facendo altro che obbedire alle leggi: quando mi scaldo divento vapore e salgo, ma quando ho freddo ritorno liquida e cado. Siccome sono un liquido, io posso spingere solo verso il basso e di lato, ma non verso l’alto, e ogni volta che incontro un vuoto lo occupo. Cosa posso fare? Non ho scelta! E’ colpa della mia sorella aria, casomai, che mi porta in giro di qua e di là e mi fa cadere sulla rocca. E’ colpa sua, parla con lei!”
Allora il sole si rivolse all’aria, ma l’aria disse: “A me è stato dato il compito di fare da coperta alla Terra, in modo che non abbia mai freddo, e devo coprirla sempre. Mi piace il mio compito, ma la Terra ha una grande pancia, e cosa succede alla testa e ai piedi? Che rimangono sempre fuori! Per questo sono sempre in movimento: quando vado sull’acqua, la coperta scopre la schiena; corro a coprire la schiena, e si scoprono i piedi. Quando incontro le zone piatte è anche facile, ma quando mi imbatto in una montagna è diverso: è difficile scalare le montagne, e sono così stanca che per farcela mi devo alleggerire, e così lascio un po’ dell’acqua che porto con me. Non ho mai tempo da perdere, ho un lavoro importante da compiere. E’ colpa di quelle rocce! Perché la pelle deve per forza avere una superficie così rugosa? Le rocce non hanno considerazione per nessuno. Non si spostano per lasciarmi passare, a volte sono così calde che quando mi avvicino sono costretta a salire al cielo per non bruciare. Quando sono troppo alte, poi, mi fanno congelare.”.
Il sole andò dalle rocce, e le rocce risposero: “Perché dai la colpa a noi? Noi non facciamo nulla, ce ne stiamo solo sedute al nostro posto. Quando il sole splende su di noi ci scaldiamo, ma non siamo noi a volere questo calore. Siamo fatte così. Tu, sole, vuoi dare la colpa a noi, ma la verità è che è tutta colpa tua!”.
Così il sole andò via. Non voleva essere incolpato, ma così il problema non fece che peggiorare. Perché, vedete, era colpa di tutti. Tutti si stavano comportando come dovevano, seguendo ognuno le proprie leggi, ma l’ordine generale era minacciato, e presto la Terra non sarebbe più stata una magnifica perla nello spazio. Bisognava fare qualcosa… ma cosa?
Fortunatamente successe una cosa davvero meravigliosa: apparve qualcosa di nuovo sulla Terra, qualcosa di così piccolo da essere invisibile. Erano piccole particelle che avevano ricevuto un dono speciale, un potere in grado di salvare la Terra. Questo dono era la vita. Anche loro dovevano obbedire alle loro leggi, ma erano leggi diverse da quelle delle particelle precedenti: esse dovevano mangiare e crescere, ma non tutte lo stesso cibo. Inoltre dovevano riprodursi, cioè creare esseri simili a se stesse.
Le prime microscopiche particelle viventi si svilupparono nell’oceano. Mangiavano continuamente, e così facendo riuscirono a ripulire l’acqua dai sali minerali che vi erano disciolti. Con questi sali alcuni esseri costruivano attorno al loro corpo una conchiglia, e quando morivano questi gusci cadevano sul fondo del mare, tenendo i sali intrappolati con loro. Il tempo passava, e si accumularono strati su strati di queste conchiglie. Questi strati erano come le pagine di un libro: alcune queste pagine si sono scritte prima che noi uomini apparissimo sulla Terra, e ci sono state lasciate perché noi possiamo leggerle e sapere cosa è successo nei tempi più remoti.
Le prime creature viventi erano formate da una sola cellula, che da sola faceva tutto ciò che c’era da fare: mangiare, respirare, crescere, liberarsi degli scarti. Questi esseri microscopici, vagando nell’oceano, pulirono le acque, impiegando moltissimo tempo. Poi sembra che alcune di queste creature abbiano pensato: “Potremmo fare molto meglio di così! Uniamoci tra di noi, e formiamo insieme un’unica creatura più grande!”. Così si organizzarono e apparvero nell’oceano esseri formati da molte cellule, che continuavano ad alimentarsi, crescere e moltiplicarsi, come facevano le loro antenate.
Passò dell’altro tempo, e queste creature pensarono: “Perché, invece di fare tutte la stessa cosa, non ci dividiamo i compiti? Alcune di noi potrebbero occuparsi solo del cibo, alcune solo della respirazione, altre solo del movimento, e così via”. Così fecero, e nelle acque del nostro pianeta apparvero creature nuove, dotate di zampe, bocca, cuore, polmoni: creature con organi specializzati. Quando apriamo il grande libro della Terra alla prima pagina, vi troviamo tutte queste creature: esseri unicellulari, esseri pluricellulari, ed esseri muniti di organi (Aprire la linea del tempo dei viventi al Periodo Cambriano).
Ecco l’ameba, una creatura unicellulare senza guscio (indichiamo l’ameba disegnata sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essa la carta dell’immagine dell’ameba).
Ed eccone un altro, chiamato flagellato, con due piccole fruste che gli servivano per muoversi. (indichiamo il flagellato disegnato sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad esso la carta dell’immagine).
Questa creatura è costituita da un gruppo di cellule. (indichiamo la spugna disegnata sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essa la carta dell’immagine).
Anemoni di mare simili a questa (indichiamo l’anemone disegnata sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essa la carta dell’immagine)vivevano ferme in un luogo. Per procurarsi il cibo, muovevano nell’acqua queste parti lunghe e sottili del loro corpo, e le piccole creature che vagavano nell’acqua lì attorno venivano trascinate nelle loro bocche.
C’erano poi delle creature molto particolari, che in questo antico oceano si trovavano in grandissima quantità (indichiamo i trilobiti disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine), e che oggi chiamiamo trilobiti. Erano creature molto avanzate per il loro temo, e ne crebbero di diverse forme e dimensioni. Oggi sono estinti, ma vissero per un lunghissimo periodo di tempo negli oceani che ricoprivano il nostro pianeta.
(Apriamo ora la linea del tempo sul Periodo Ordoviciano)
Col passare del tempo, apparvero sulla Terra creature sempre più varie e si verificò ogni sorta di trasformazione negli esseri viventi. Guardate qui! Questa creatura è detta cefalopode (indichiamo il cefalopode sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad esso la carta dell’immagine), ed aveva le zampe attaccate alla testa.
(Apriamo la linea del tempo della vita sul Periodo Siluriano)
Passò dell’altro tempo, ed ecco apparire altri strani esseri: questi, ad esempio, sembrano fiori su uno stelo (indichiamo i crinoidi disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine), e sono chiamati crinoidi, o gigli di mare, anche se si tratta di animali e non di piante. Essi stavano fermi in un luogo, come gli anemoni di mare, ed erano composti da un corpo molle e gelatinoso racchiuso in una serie di anelli duri, formati da sali minerali. Mentre lo stelo stava ancorato al fondale dell’oceano, le sue braccia fluttuavano nell’acqua per raccogliere il cibo, cioè per intrappolare le minuscole creature che nuotavano lì attorno. Quando i crinoidi morivano, il loro gambo crollava e cadeva sul fondo. Le acque era colme di vita, in questo periodo…
(Aprire la linea del tempo della vita al periodo Siluriano e Devoniano)
Arrivarono poi esseri viventi che, invece di mangiare altre creature, erano in grado di produrre il proprio nutrimento attraverso la luce del sole ed i sali minerali contenuti nell’acqua. Forse, alcune delle creature che vivevano nell’oceano, ad un certo punto avranno pensato: “Chissà come sarà la vita fuori dall’acqua!”, e così si spostarono verso le rive dell’oceano, e le onde e le maree le trasportarono sulla terraferma. Rimasero lì un po’, finchè di nuovo l’oceano le attirò a sé con le sue onde, ma venne il giorno in cui una di loro disse: “Oh, come è bello stare qui, invece che nell’acqua!” e decise di rimanere per sempre in superficie. Lì trovò molto sole e molta aria, e l’aria conteneva tutta l’anidride carbonica di cui aveva bisogno per produrre il proprio cibo e nutrirsi, così si attaccò al suolo, da cui traeva anche sali minerali ed acqua. (indichiamo le piante palustri disegnate sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad esse la carta dell’immagine)
E così, per la prima volta, una pianta apparve sulla Terra! E quando le piante morivano, lasciavano i loro corpi lì, preparando il terreno per altre le forme di vita a venire.
(Aprire la linea del tempo della vita sul Periodo Devoniano)
La vita a questo punto della storia si stava spostando sulla terraferma. E mentre le piante si diffondevano, apparvero nostro pianeta due nuovi tipi di esseri viventi: uno era il polipo del corallo che, nell’oceano, ha contribuito alla costruzione della superficie terrestre mangiando e trasformando i sali minerali disciolti nell’acqua; l’altro era un animale che aveva nel suo corpo una sorta di canna rigida. Fino ad allora, la parte più dura del corpo degli animali si trovava al di fuori del corpo, questo animale è stato il primo dotato di spina dorsale, cioè il primo vertebrato. Si trattava di un pesce, ma molto diverso dai pesci che conosciamo noi: era enorme ed aveva placche durissimo che lo rivestivano come una corazza (indichiamo i pesci corazzati senza mascelle disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine)
Alcuni di questi pesci corazzati vivevano nelle profondità dell’oceano senza muoversi, aspettando con le bocche aperte che arrivasse del cibo da inghiottire; altri invece presero a nuotare e presto svilupparono pinne mobili che li aiutava nel movimento.
(Aprire la linea del tempo della vita sul periodo Carbonifero)
Nell’era successiva la superficie terrestre prese a salire, e luoghi che prima erano occupati dall’oceano, ora cominciarono a prosciugarsi. Poi la terra ha cominciato a salire. I pesci che vivevano in queste aree si trovarono fuori dall’acqua. Immaginate di essere una di queste creature: avete bisogno di acqua, ma l’acqua sta sparendo! Questi pesci, che ne avevano bisogno, cominciarono a pensare a cosa fare, ora che si trovavano sulla terraferma: si trattava di cambiare o morire. Così decisero di costruire un sacco all’interno del loro corpo, che contenesse una scorta d’acqua, in modo che, quando l’acqua mancava, essi erano comunque in grado di respirare. Così si svelò agli esseri viventi il segreto della respirazione, e sulla terra comparvero gli anfibi (indichiamo gli anfibi disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine), animali che vivono in parte in acqua e in parte in superficie. Le pinne, una volta avvenuto il passaggio sulla terraferma, non erano di alcuna utilità, così si trasformarono diventando zampe.
Qualcosa di meraviglioso accadde con la nascita degli anfibi: si udì il suono della prima voce sul nostro pianeta. Una voce sulla Terra! Prima che arrivassero gli anfibi, il silenzio sul nostro pianeta era interrotto solo dal rumore della pioggia sulle rocce, o dal rombo del tuono. Immaginate che emozione sarebbe stata, aver potuto sentire il primo suono sulla Terra!
E nel frattempo anche alcune piante avevano lasciato l’oceano, e si erano sviluppate sulla superficie terrestre in una grande varietà di forme e dimensioni, producendo il cibo loro necessario attraverso l’aria e la luce del sole (indichiamo muschi e felci arboree disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine).
C’erano anche numerosi insetti, che rappresentavano una fonte abbondante di cibo per gli anfibi (indichiamo gli insetti disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine), che grazie a questo avevano una vita felice sulla terraferma, se solo non ci fosse stato un piccolo problema: la loro pelle li costringeva a vivere in prossimità dell’acqua, mentre loro cominciavano a desiderare la libertà. Volevano viaggiare, essere indipendenti! Volevano mangiare anche le piante e gli insetti che crescevano lontani dell’acqua… ma come fare?
(Aprire la linea del tempo della vita sul Periodo Permiano)
Lentamente sono riusciti a sviluppare un tipo nuovo di pelle, che non si asciugava, e per le proprie uova hanno inventato il guscio. Ora non c’era più alcun problema! E sulla superficie terrestre comparvero i rettili, animali con una pelle in grado di sopportare il calore del sole, e un guscio duro per le proprie uova, per impedire loro di asciugarsi (indichiamo i rettili disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine). Ora questi animali poteva muoversi liberamente, e spostasi sulla Terra ovunque volessero.
E poi cosa successe? Poiché sulla superficie terrestre c’erano grandi quantità di anfibi e di piante, i rettili poterono prosperare, aumentando di numero, ma anche di dimensioni. Nulla poteva fermare queste creature, ed essi diventarono signori e padroni della Terra, prendendo possesso dell’oceano, della terraferma e perfino dell’aria.
(Aprire la linea del tempo della vita sul Periodo Mesozoico)
Ecco l’immagine di una di queste creature: (indichiamo l’Apatosauro disegnato sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad esso la carta dell’immagine).
Sapete quanto era grande questa creatura? Era lunga venti metri! La sua testa era grande come il corpo di un uomo. E c’era qualcosa di molto singolare in questo gigante: aveva un cervello nella testa, e un cervello alla base della coda, in modo che i messaggi provenienti dalla coda non avessero bisogno di viaggiare fino alla testa. Potete immaginare come la Terra venisse scossa da queste enormi creature che si muovevano sulla sua superficie. Per quanto riguardava il cibo, poi, questi animali avevano a disposizione tutto ciò di cui avevano bisogno.
Poiché gli animali più piccoli non avevano nessuna possibilità di competere con questi giganti, essi si rifugiarono nelle zone più fredde della superficie terrestre, cioè dove l’ambiente era sfavorevole per la vita dei rettili. Col passare del tempo, per proteggersi meglio dal freddo, essi svilupparono un rivestimento sulla loro pelle, fatta di piume o peli, che serviva a mantenere il sangue caldo: nacquero i primi uccelli ed i primi mammiferi (indichiamo l’Archaeopteryxeil canguro preistoricodisegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine).
Che cosa dire delle loro uova? Essi non potevano lasciarle fuori al freddo, così impararono lentamente a trattenerle nel proprio corpo. Solo gli uccelli non poterono farlo, perché per loro era impossibile portare nel loro corpo il peso delle uova e volare, così essi hanno imparato a costruire i nidi ed a covarle, alimentando i cuccioli finchè essi non sono in grado di procurarsi il cibo da soli.
(Aprire la linea del tempo della vita sul Periodo Cenozoico)
I mammiferi (indichiamo i mammiferi del Cenozoico disegnati sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad essi la carta dell’immagine), come abbiamo detto, impararono a tenere le uova all’interno del proprio corpo ma, cosa ancor più straordinaria, presero a nutrire i cuccioli con il proprio latte! Questo fu un fatto assolutamente nuovo: nessuna specie animale l’aveva fatto prima! Tutti gli altri animali, dopo aver deposto le uova le abbandonano, e quando nascono i piccoli, provvedono da subito a se stessi. Invece i piccoli degli uccelli e dei mammiferi rimangono coi genitori per un periodo più o meno lungo, fino a che non diventano autonomi.
Passò del tempo, e il clima della Terra subì un cambiamento: cominciò a fare sempre più freddo. I dinosauri cominciarono a scomparire dalla faccia del pianeta, anche se nessuno sa davvero come questo sia avvenuto, ed i mammiferi presero il sopravvento. Sono cresciuti e si sono moltiplicati, occupando tutta la terraferma; erano animali giganti: ippopotami giganti, elefanti giganti, maiali giganti… (indichiamo il grande erbivoro dell’Oligocene disegnato sulla linea del tempo, o sovrapponiamo ad esso la carta dell’immagine).
Anche se faceva davvero molto freddo, ed enormi lastre di ghiaccio ricoprivano la superficie terrestre, i grandi mammiferi riuscirono a prosperare a lungo, spostandosi continuamente in cerca di cibo e di un clima più mite, ma alla fine anch’essi si estinsero.
Al termine di questo periodo di glaciazione, poi, accadde qualcosa di molto interessante: comparve un nuovo tipo di creatura. Non aveva denti affilati per sbranare le prede, né enormi artigli per combattere, né una folta pelliccia per proteggersi, ma aveva qualcosa che nessun altro animale possedeva: un cervello più grande e luminoso, che aveva in sé il potere di pensare ed immaginare. Ed insieme al cervello, questa creatura portava dentro di sé anche una quantità enorme d’amore. Questa nuova creatura è l’essere umano. (indichiamo l’uomo alla fine della linea del tempo della vita).
L’essere umano è una creatura diversa dagli altri animali, perché può andare oltre l’amore per la propria prole ed amare tutto ciò che la circonda, ed estendere questo amore anche a tutto ciò che non vede.
Vedete, era come se tutto quello che è successo (muovete la mano facendola scorre lungo tutta la linea del tempo di vita) doveva accadere per permettere la comparsa dell’uomo sulla Terra.
Gli esseri umani non avrebbero avuto nessuna possibilità di sopravvivere se fossero arrivati qui (indica il Periodo Cambriano), o qui (indicateilperiodo Siluriano). Alla fine, però, tutto era pronto.
Se la Terra avesse una voce, avrebbe detto ai primi uomini: “Ho disteso tappeti di erba per i vostri piedi, in modo che voi possiate camminare su un terreno morbido. Ho messo fiori tra i miei capelli e mi sono ricoperta di gioielli per il vostro piacere. Ho riempito la credenza di latte, carni, frutta e verdura, per farvi mangiare. Giù in cantina ho accumulato il carbone e il ferro. Ora è tutto pronto, ed è tempo per voi, esseri umani, di venire da me. “.
Ed eccoci qui: tutto questo (muovete la mano facendola scorre lungo tutta la linea del tempo di vita) è stato preparato per noi, ed ora siamo parte della storia.
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
FIABA COSMICA ‘LA COMPARSA DELLA VITA’
terza versione
Presentazione
Se decidiamo di usarne una, posiamo la linea del tempo, ancora chiusa, sul pavimento, e raccogliamo i bambini attorno ad essa. Apriamola solo quel tanto che basta a mostrare i batteri. Se qualche bambino si lamenta perché non vede bene, ricordiamo che il cartellone verrà appeso ad una parete, e ci resterà per tutto l’anno scolastico. Se i bambini nel corso della narrazione pongono molte domande, si può dividere il racconto in più giorni, e magari ricapitolarla per intero alla fine.
carte seconda lezione versione 3
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI – Materiale:
linea del tempo (facoltativa)
una bottiglia di ammoniaca
Immagine della Rodinia
Immagine di batteri
Immagine di cianobatteri
Immagine di Ediacarani
Aprire la linea del tempo sul Paleozoico
Indicare il periodo Cambriano
Immagine di alghe
Immagine di amebe
Immagine di organismi unicellulari
Immagine di radiolari e foramiferi
Immagine delle spugne
Immagine di idre
Immagine di platelminti
Immagine di trilobiti
Immagine di molluschi
Immagine di echinodermi
Immagine di anellidi
Immagine del Pikaia
Indicare il periodo Ordoviciano
Immagine di cistoidi
Immagine di coralli
Immagine del NautIloide
Immagine del Gondwana
Indicare il periodo Siluriano
Immagine di pesci corazzati
Immagine di scorpioni di mare
Immagine di trilobiti
Immagine dei primi vegetali terrestri
Indicare il periodo Denoviano
Immagine di felci e funghi
Immagine di insetti
Immagine di anfibi
Immagine della Laurasia
Indicare il periodo Carbonifero
Immagine di foreste di felci
Immagine di libellule fossili
Immagine di rettili
Indicare il periodo Permiano
Immagine di Terapsidi
Immagine della Pangea
Indicare il periodo Mesozoico
Immagine di Pterosauri
Indicare il periodo Giurassico
Immagine di conifere
Immagine di uccelli preistorici
Immagine di Sauropodi
Immagine della Laurasia e del Gondwana
Indicare il periodo Cretaceo
Immagine di piante da fiori
Immagine di Adrosauridi
Immagine di Stegosauri
Immagine di Anchilosauri
Immagine di Triceratopo
Immagine di Tirannosauro
Indicare il periodo Cenozoico
Frammentazione della Pangea
Immagini di mammiferi primitivi
In alternativa ho preparato una linea del tempo pronta per la stampa, in formato pdf, illustrata o muta con immagini da inserire durante il racconto:
Vi ricordate com’era la Terra al termine della nostra prima storia? La terra è nata nell’eone dell’ADEANO, circa 4,5 miliardi di anni fa. All’inizio era solo una massa vorticosa di polvere e particelle, ma ben presto si sono creati gli elementi e la forza di gravità, e si è formata la crosta terrestre. La Terra si è poi raffreddata, l’acqua è evaporata ed è ricaduta in forma di pioggia, e questa pioggia ha riempito tutte le cavità che incontrava, mentre molti vulcani continuavano con le loro eruzioni spaventose. Il cielo era del tutto diverso da quello che ammiriamo oggi: era di colore arancione e non offriva nessuna protezione dai raggi del sole; inoltre l’aria era composta da metano, idrogeno, ammoniaca, anidride carbonica, azoto e zolfo, tutte sostanze estremamente puzzolenti. Questo (aprire una bottiglia di ammoniaca) vi darà una vaga idea di come poteva puzzare, ma immaginate di aggiungervi odore di uovo marcio e di zolfo… Tutte queste sostanze che si trovavano nell’aria, rendevano la pioggia molto acida, e in grado di sciogliere i minerali presenti nelle rocce. A noi la pioggia non sembra un fenomeno tanto potente, a meno che non viviamo nelle zone del mondo in cui ancora si verificano grandi inondazioni, ma in realtà è potentissima, ed i sali di cui era composta la roccia si riversarono nell’oceano. L’acqua sulla superficie terrestre si mescolò agli elementi presenti nell’aria ed ai sali, mentre tempeste gigantesche infuriavano su tutto il pianeta. Gli scienziati pensano che, quando una tempesta elettrica colpì quest’acqua densa e scura, si verificò l’evento più incredibile che sia mai avvenuto, e proprio nell’oceano si svilippò un semplice alimento, una specie di brodo, anche se non c’era proprio nessuno che potesse nutrirsene. Poi apparve la vita.
Siamo nel Proterozoico. Durante il Proterozoico le superfici rocciose della Terra si erano mosse ed incontrate tra loro, formando un supercontinente chiamato Rodinia, che galleggiava in un unico immenso oceano chiamato Panthalassa. La vita in questo eone era microscopica e molto semplice, ma da subito seguì le leggi dei viventi, che tutti avrebbero seguito dopo di lei, per sempre: mangiare, crescere, riprodursi. Questa microscopica forma di vita restò tutta sola sulla Terra per più di un miliardo di anni, ma in questo tempo riempì l’oceano e, nutrendosi delle sostanze disciolte nell’acqua, la ripulì progressivamente. Chiamiamo questi primi viventi Procarioti o Monere. Non importa che siano passati 4000 milioni di anni dalla loro prima comparsa: questi minuscoli organismi vivono ancora oggi. L’evento più importante del Proterozoico fu che l’atmosfera si caricò di ossigeno, grazie ai procarioti, soprattutto cianobatteri, e per le numerose glaciazioni. Cosa sono i Cianobatteri? I batteri sono organismi molto resistenti, i più antichi viventi della Terra. Alcuni di essi, col tempo, cambiarono abitudini, preferendo alimento diverso da quello offerto dal denso oceano: la luce solare. Questi organismi sono unicellulari e a volte vivono in colonie. I Cianobatteri sono organismi unicellulari che si riproducono dividendosi in due, e che producono ossigeno, e sono anche chiamati alghe azzurre. Lentamente crearono una nuova atmosfera così ricca di ossigeno, che non piaceva ai primi Procarioti, anzi per loro era proprio tossica, così essi si nascosero sotto i Cianobatteri, che crescevano in forma di enormi tappeti galleggianti sulla superficie dell’oceano. Possiamo dire che i Cianobatteri hanno protetto i loro fratelli. Infine questi tappeti galleggianti si sono induriti formando grandi Stromatoliti che si allinearono lungo i bordi dei nuovi continenti: si trattava delle prime barriere coralline. Gli Stromatoliti hanno riempito gli oceani della Terra fino a circa 600 milioni di anni fa, poi sono lentamente scomparsi. Quale può essere stata la causa? Nello stesso periodo in cui si sono evoluti i Cianobatteri, è apparsa nell’oceano una nuova forma di vita, più complicata: gli Eucarioti, organismi che oggi appartengono a più regni (Protisti, Piante, Funghi e Animali), ma che in un primo momento erano solo grandi organismi unicellulari del regno dei Protisti. Gli organismi Eucarioti erano in grado di mangiare organismi viventi più piccoli, ma in realtà questi organismi più piccoli continuavano a vivere all’interno degli organismi più grandi, quindi non si trattava proprio di mangiare. Gli organismi più piccoli, dall’interno, li aiutavano.
E questo miscuglio di due organismi insieme ha prodotto numerosi cambiamenti. Alcuni di questi organismi hanno cominciato a vivere insieme, prima formando colonie, poi unendo le loro cellule e dividensosi i compiti: alcune si occupavano del cibo, altre della respirazione, altre del movimento. Gli scienziati hanno chiamato queste forme di vita più complesse Ediacarani. Gli scienziati ritengono che potessero gonfiarsi fino a raggiungere dimensioni enormi: quindi potrebbero aver assorbito ossigeno e sostanze nutritive direttamente dall’acqua, oppure ancora, può darsi che si nutrissero di Stomatoliti. Può essere che siano stati loro i responsabili della scomparsa degli Stomatoliti.
Siamo ora nell’Era del Paleozoico. Paleozoico(aprire la linea del tempo sul Paleozoico) significa ‘vita antica’, infatti, la maggior parte delle forme di vita della Terra si sono sviluppate durante questa era geologica, che si suddivide in sei periodi: Cambriano, Ordoviciano, Siluriano, Denoviano, Carbonifero e Permiano. L’era del Paleozoico comincia 542 milioni di anni fa, poco dopo la prima divisione del supercontinente Rodinia in supercontinenti più piccoli, alla fine di un’era glaciale. Molte forme di vita, tra cui gli Edicariani, si estinsero. In questa era, apparvero i primi fossili.
Il periodo Cambriano (indicare il Cambriano) è noto come il tempo dell’esplosione della vita: gli scienziati hanno calcolato in questo periodo l’apparizione di oltre 900 specie di viventi. Il loro lavoro è ora molto facilitato, perché i nuovi animali apparsi sulla Terra avevano sviluppato delle corazze (o conchiglie) che ricadendo sul fondo dell’oceano si trasformavano in fossili, e questo ha permesso uno studio più accurato. Quasi tutte queste forme di vita erano invertebrati, cioè non avevano una spina dorsale interna, e vivevano tutti nell’oceano, anche se alcuni batteri probabilmente si erano già avventurati sulla terraferma. Molti di questi animali, tutti eucarioti, ci sarebbero stati familiari, al giorno d’oggi. All’inizio di questo periodo, le forme di vita presenti nell’oceano erano batteri, alghe e spugne. Si svilupparono le Alghe unicellulari che si comportano come le piante, cioè si nutrono dei raggi solari e rilasciano come scarto l’ossigeno. C’erano le Amebe che per nutrirsi circondano e inglobano il cibo. C’erano i cianobatteri, che si moltiplicarono molto velocemente, e rilasciarono nell’oceano grandi quantità di ossigeno. C’era l’Euglena, anche lei un protista essendo un po’ animale e un po’ pianta, perché si nutre sia con la fotosintesi con le particelle organiche. C’erano poi il Paramecium, un organismo microscopico unicellulare con migliaia di piccoli peli sul corpo; i radiolari e i foramiferi, di cui possiamo studiare i fossili, perché rivestiti da una conchiglia. Le Alghe rosse sono tra gli organismi eucarioti più antichi della Terra. Le spugne (o poriferi) furono probabilmente tra i primi animali che visseso nel periodo Cambriano. Si tratta di molti minuscoli organismi che lavorano insieme come se fossero un organismo unico. Infatti, se prendiamo una spugna viva e la facciamo passare attraverso un colino, vedremo che essa si divide, ma una volta passata attraverso le maglie, tenderà a ricongiungersi finchè ad un certo punto tutti gli organismi che la compongono torneranno di nuovo uniti formando una spugna sola. Ovunque nell’oceano le cellule cooperavano tra loro. I celenterati (o cnidari) furono probabilmente i primi animali in grado di muoversi. Appartengono ai celenterati le odierne meduse, i coralli, le idre e gli anemoni di mare. Hanno due strati di cellule diverse, nervi e muscoli, che lavorano insieme per permettere il movimento. Essi non si muovono con uno scopo, però, ma solo per fluttuare nell’acqua, in qualsiasi direzione capiti. Essi hanno anche cellule specializzate all’interno dei loro tentacoli, che possono pungere una preda, però non sono dei cacciatori veri e propri: stanno semplicemente ad aspettare sul fondo marino finchè non è la preda stessa ad arrivare. Le Idre erano l’organismo più evoluto di questo periodo: erano carnivori che usavano i tentacoli per catturare la preda e spingerla nella bocca. I vermi piatti (o platelminti) furono probabilmente i primi cacciatori attivi: avevano tre strati di cellule, un cervello molto semplice, e un cordone nervoso che attraversa il loro corpo nel senso della lunghezza. Hanno simmetria bilaterale come noi, una testa e una coda. Non hanno occhi, ma hanno le cellule sensibili alla luce, chiamati ocelli, e sono in grado di muoversi e cercare attivamente il cibo. I crostacei (o artropodi marini) furono, nel Cambriano, gli animali marini di maggior successo. Sono crostacei gli odierni granchi, i gamberi, le aragoste. Artropodi significa ‘dal piede snodato’, che indica il fatto che questi animali possono piegare le loro zampe. Tutti gli artropodi hanno corpi divisi in segmenti, e sono rivestiti da un’armatura protettiva chiamata esoscheletro. Quando crescono, devono uscire dal guscio, costruirne uno più grande ed entrarvi. Hanno sviluppato un’incredibile varietà di cellule specializzate: antenne, artigli, ali, corazze, bocca. I Trilobiti furono gli artropodi che riempirono i mari durante il Paleozoico. Il loro corpo era formato da tre segmenti, e ne esistevano di moltissime varietà diverse. Nel Cambriano la maggior parte di essi viveva sul fondo dell’oceano, e non nuotavano. Probabilmente si trattava di predatori che si nutrivano di animali più piccoli, forse erano spazzini, cioè mangiavano animali morti. Alcuni di essi avevano occhi simili agli insetti e ai crostacei odierni. I molluschi furono gli animali capaci si sviluppare la miglior difesa contro tutti questi nuovi predatori: hanno costruito una conchiglia intorno ai loro corpi molli. Sono molluschi di oggi le vongole, le lumache, lumache, i calamari e i polpi. Le loro conchiglie sono gusci dotati di camere riempite con acqua e aria, che possono essere regolate per farli scendere o salire in acqua. Gli echinodermi sono le odierne stelle marine, i gigli di mare, i ricci di mare, i cetrioli di mare. Questi animali si sono sviluppati assumendo una forma molto particolare, costituita da cinque parti radiali che si dipartono da un centro, e non hanno cervello. Le loro cinque zampe sono ricoperte da piedi tubolari, che usano per muoversi e per fare leva quando devono aprire i loro molluschi preferiti. I loro corpi dono rivestiti da placche fisse, spesso spinose e ricoperte da una pelle sottile. La maggior parte di questi animali hanno un potere molto speciale: la rigenerazione. Significa che sono in grado di riprodurre un arto, una volta che l’hanno perso. Gli anellidi sono, ad esempio, i lombrichi. Possiamo pensare che si tratti di animali umili, ma in realtà sono incredibilmente potenti ed utili, in quanto smomovo il terreno ripulendolo delle scorie, e svolgendo questo lavoro rilasciano anidride carbonica, elemento prezioso per la crescita delle piante. Il corpo degli anellidi è composto da bande a forma di anello, chiamati segmenti. Hanno un sistema per la circolazione del sangue e dell’ossigeno, una bocca e un ano. Gli anellidi si muovono strisciando, ed i fondali del periodo Cambriano erano pieni di questi piccoli animali scavatori. I cordati furono altri animali marini molto importanti del periodo Cambriano. Erano simili all’odierna anguilla, e la loro importanza sta nel fatto che si trattava di animali che possedevano una canna rigida che percorreva nel senso della lunghezza il loro corpo, all’interno, per proteggere il nervo principale che discendeva dal cervello verso la periferia. Il cordato più importante del Cambriano fu il Pikaia, che gli scienziati considerano nostro antenato, e che è vissuto 500 milioni di anni fa. Dopo il periodo Cambriano, ogni epoca successiva ha portato qualche nuovo cambiamento, che ha permesso ad alcune specie di sopravvivere, mentre ha portato altre all’estinzione.
Nell’Ordoviciano (indicare il periodo Ordoviciano), iniziato 500 milioni di anni fa, i Cistoidi cominciarono a governare le acque terrestri. Vivevano verso le rive, in acque poco profonde, e si tenevano strettamente ancorati alle rocce. Avevano gusci duri intorno al corpo, ed hanno contribuito alla formazione delle spiagge sulle rive dei mari. Apparvero anche numerosi Coralli in quest’epoca, che costruirono enormi barriere coralline. Apparvero poi nuovi e feroci predatori, i Cefalopodi, che devono questo nome al fatto che avevano le braccia sulla testa. Alcune conchiglie cefalopodi erano molto simili alle conchiglie odierne, e dovevano essere splendidamente colorate. Uno di loro, il Nautiloide, crebbe fino a raggiungere i 9 metri di lunghezza: aveva tentacoli muniti di ventose appiccicose, e un becco durissimo che usava per rompere i gusci delle prede. Durante l’Ordoviciano i continenti a sud si erano uniti in un supercontinente chiamato Gondwana e ci fu un’altra grande glaciazione. Alla fine del periodo Ordoviciano ci furono estinzioni di massa che portarono alla scomparsa della metà degli organismi multicellulari che vivevano nel mare.
Durante il periodo Siluriano (indicare il periodo Siluriano) la Gondwana continuò a spostarsi a sud, mentre intorno all’Equatore si formò un supercontinente chiamato Euramerica, attraverso lo scontro dell’Europa con il Nord America. La forza dell’urto portò alla formazione delle lunghe catene montuose che vanno dalla costa orientale degli USA alla Norvegia. Dopo le estinzioni di massa dell’Ordoviciano la vita riprese. Il clima caldo e umido favorì la vita marina. Nell’oceano apparvero i primi pesci, che non avevano mascelle ed aspiravano il cibo dai fondali. Questi primi pesci erano coperti di placche ossee di protezione. Alla fine del periodo Siluriano sviluppano mascelle e pinne e si ricoprirono di piccole squame sovrapposte, come i pesci odierni. I predatori più feroci erano artropodi chiamati scorpioni di mare. Il più grande misurava fino a 6 metri di lunghezza ed aveva pinze molto taglienti, zampe sulla testa, davanti alla bocca, e per muoversi utilizzava la coda e delle braccia laterali. Aveva occhi molto grandi. In risposta, i trilobiti, che riempivano ancora l’oceano a quel tempo, svilupparono corazze ancora più dure e probabilmente impararono ad appallottolasi per proteggersi. Al termine del Periodo Siluriano la Terra era ancora un luogo molto ostile: i vulcani erano ancora in eruzione, e sulla superficie terrestre imperversavano forti venti, mentre i raggi solari erano fortissimi. La terraferma era costituita da sola roccia. Si verificò allora un altro grande evento che avrebbe cambiato per sempre la Terra: alghe marroni, rosse e verdi prosperavano nelle acque poco profonde lungo le coste, formando enormi letti che a volte le onde portavano a riva, dove morivano. Col tempo alcune delle alghe verdi hanno sviluppato un sistema per proteggersi dalla disidratazione, creandosi un rivestimento ceroso chiamata cuticola, che aveva delle piccole apertura che permettevano di assorbire comunque anidride carbonica ed espellere ossigeno. In seguito hanno sviluppato radici che servivano a tenerle ancorate al suolo ed a trarre da esso sali minerali ed acqua. Questi primi vegetali terrestri non erano molto alti, anzi erano simili agli odierni muschi, eppure hanno iniziato a trasformare molto lentamente la superficie terrestre.
Nel periodo Devoniano (indicare il periodo Denoviano) le piante si erano già molto evolute, sviluppando steli rigidi che permettevano loro di elevarsi dal suolo, radici e foglie. C’erano enormi foreste di felci, e comparvero anche i funghi. Le piante hanno cominciato a lavorare la roccia con le proprie radici, e quando morivano i loro resti si mescolavano a funghi e batteri formando strati su strati di materiale terroso, che lentamente ricoprì la superficie terrestre. I piccoli artropodi presto cominciarono ad uscire dall’oceano per approfittare di tutto questo nuovo cibo che si era creato sulla terraferma e si svilupparono i primi insetti.
I pesci intanto avevano continuato ad evolversi, ed avevano popolato tutto l’oceano. C’erano pesci dotati di armatura ossea, pesci con la pelle squamosa, pesci con o senza mascelle, pesci con cartilagine o con ossatura interna. Alcune specie svilupparono delle pinne dotate di muscoli, chiamate pinne lobate, a differnza delle pinne della maggior parte dei pesci che sono invece ossee. Questi pesci particolari avevano anche una vescica natatoria che li aiutava a salire e scendere nell’acqua. Questi pesci, trovandosi in superficie, trasformarono le loro pinne carnose in zampe, e le vesciche natatorie in polmoni, e così nacquero gli anfibi, animali in grado di vivere sia sulla terraferma sia nell’acqua. Anche gli anfibi si sono evoluti in forme diverse: alcuni erano enormi e vivevano la maggior parte della loro vita in acqua, mentre i più piccoli vivevano principalmente in superficie, ma sempre vicino all’acqua, nutrendosi di insetti. Nel Denoviano, mentre il Gondwana continua a dominare l’emisfero sud, dall’unione di Euramerica e Siberia si formò la Laurasia. Si formarono i monti Appalachi in America e le catene montuose in Gran Bretagna e Scandinavia.
Il periodo Carbonifero (indicare il periodo Carbonifero) è così chiamato proprio perché è stata l’epoca in cui nel sottosuolo si è creato il carbone. In superficie si erano sviluppate foreste di felci alte anche 150 metri, e gli insetti sciamavano ovunque: c’erano ragni, scarafaggi, cavallette, coleotteri e millepiedi. Alcuni insetti svilupparono le ali, e ronzavano tra le piante per sfuggire ai predatori. Le libellule potevano raggiungere i 70 centimetri. Presto arrivarono anche farfalle e falene. Però in quell’epoca non c’erano ancora animali sufficienti ad abbattere la grande quantità di materia vegetale morta che si accumulava ai piedi delle foreste, così tutta questa materia cominciò ad accumularsi in strati che lentamente si trasformarono in carbone. Avvenne poi che alcuni anfibi si stancarono di vivere vicino all’acqua: volevano andare più lontano per cacciare gli insetti e trovare piante da mangiare. Così questi animali svilupparono una pelle che non si asciugava sotto i raggi cocenti del sole, e iniziarono a rivestire le loro uova con un guscio duro: nacquero così i rettili. Al termine del Carbonifero apparvero le prime piante che si riproducevano attraverso semi, e non spore. I semi, trasportati dal vento, erano in grado di viaggiare molto lontano, e così anche le zone più aride dei continenti si rivestirono di una folta vegetazione.
Il periodo Permiano (indicare il periodo Permiano) inizia dunque con la diffusione dei rettili. I primi avevano zampe laterali ed erano piccoli mangiatori di insetti, però erano già in grado di vivere lontano dall’acqua. Al termine di questo periodo, enormi rettili vagavano sulla Terra: alcuni avevano sviluppato enormi vele sulla schiena, ed alcuni erano ferocissimi carnivori, mentre altri erano tornati al mare ed avevano sviluppato nuovamente le pinne. I Terapsidi furono i primi ad avere zampe che crescevano sotto al corpo, e non lateralmente. Questo permetteva loro di muoversi più velocemente. Tenendo il torace alto e libero di espandersi, non avevano bisogno di fermarsi per respirare. Alcuni divennero animali a sangue caldo, cioè erano in grado di regolare la loro temperatura corporea senza l’aiuto del sole: questo significava che potevano essere attivi per periodi di tempo più lunghi. Avevano una dentatura simile a quella dei mammiferi odierni, ed avevano inoltre sviluppato la capacità di respirare anche durante la masticazione, così non dovevano più ingoiare il cibo intero. Alcuni erano dotati di pelliccia. Ormai gli esseri viventi aveno popolato ogni angolo della Terra. Ogni animale svolgeva un suo particolare compito. I predatori perfezionavano le loro tecniche di caccia, le prede le loro strategia di difesa. Poi avvenne qualcosa sul nostro pianeta, che cambiò tutto. Gli scienziati non sanno ancora esattamente cosa sia successo, ma le ipotesi sono molte: forse enormi eruzioni vulcaniche hanno avvelenato l’atmosfera; forse si è schiantato sulla Terra un enorme meteorite che ha causato un brusco cambiamento climatico; forse gli animali non sono stati in grado di adattarsi alle grandi montagne che si sono create in questo periodo. Non si sa. Ad ogni modo, ci fu una grande estinzione, la più grande che sia mai avvenuta sulla Terra. Questa estinzione di massa ha coinvolto sia gli ambienti terrestri, sia gli ambienti marini, facendo scomparire i trilobiti, tutti i grandi anfibi e alcune specie dei piccoli. Sparirono anche molte piante acquatiche. Durante il Permiano tutte le terre emerse si erano riuniti una grande massa continentale chiamata Pangea.
L’era successiva è nota col nome di Mesozoico (indicare il periodo Mesozoico), che significa vita media. Il Mesozoico si suddivide in Triassico, Giurassico e Cretaceo.
La fine del Permiano aveva lasciato molte zone della Terra disabitate, e gli esseri sopravvissuti all’estinzione di massa si sono evoluti molto rapidamente: comparvero i dinosauri. Già nel Permiano alcuni rettili avevano sviluppato delle membrane di pelle che utilizzavano per planare tra gli alberi, ma ora comparvero i primi animali muniti di ali vere e proprie, e in grado di volare: gli Pterosauri.
Nel Giurassico (indicare il periodo Giurassico) il clima tornò ad essere più piovoso, e si formarono enormi foreste di conifere e felci, come nel Carbonifero. Sulla superficie terrestre si erano formati laghi e fiumi, ed agli oceani che dividevano i continenti si erano aggiunti mari meno profondi. Sorsero grandi barriere coralline, popolate di polpi e calamari. Gli insetti si erano evoluti molto rapidamente, ed erano apparse api, mosche, formiche, vespe. Gli Pterosauri volavano ancora nei cieli, ma verso la fine di questo periodo apparvero gli uccelli veri e propri, col becco senza denti, e ricoperti di piume. I rettili dominavano ancora la Terra. Nei mari e negli oceani enormi rettili marini vivevano a fianco di squali e pesci. Sulla terraferma i dinosauri più comuni erano i Sauropodi: enormi animali dal collo lungo, che trascorrevano le loro giornate sgranocchiando le foglie che trovavano sugli alberi ad alto fusto. Apparvero tartarughe e coccodrilli, ma anche nuovi giganti carnivori, dinosauri che camminavano sulle due zampe posteriori, mentre quelle anteriori erano munite di potenti artigli. Nel Giurassico il supercontinente della Pangea si divise in un supercontinente del nord, la Laurasia, e uno a sud, la Gondwana.
Nel Cretaceo (indicare il periodo Cretaceo) comparvero negli oceani aragoste, granchi e gamberi. Sulla terraferma comparvero i serpenti e nei cieli uccelli marini che si nutrivano di pesce. Nel regno vegetale fecero la loro apparizione i fiori, che gli insetti aiutarono a diffondere in ogni luogo della terra, trasportando il loro polline: oggi esistono circa 250.000 specie di piante da fiore, mentre le altre sono in tutto 50.000, e questo dimostra il successo di questo tipo di pianta rispetto alle altre. Gli Adrosauridi erano i dinosauri più diffusi. Vivevano in branchi. C’erano poi gli Stegosauri e gli Anchilosauri, tutti animali che avevano corpi dalle forme molto elaborate, con punte e strane corni sporgenti, e molto diversi dai dinosauri del Giurassico. Verso la fine del Cretaceo comparve anche il Triceratopo. Il predatore più temibile era il Tirannosauro. Poi successe nuovamente qualcosa che per noi rimane avvolto nel mistero, e tutti i dinosauri si estinsero, insieme a molte altre specie di piante ed animali, mentre quelle che sopravvissero cambiarono per adeguarsi al nuovo ambiente. Ricordate ad esempio i rettili che erano diventati a sangue caldo? Ebbene, questi animali divennero marsupiali in grado di produrre il latte per nutrire i piccoli.
Il Cenozoico (indicare il periodo Cenozoico), nome che significa ‘nuova vita’ è diviso in due periodi: Terziario e Quaternario. In questa era si completò la frammentazione della Pangea: Nord America e Groenlandia si separarono dall’Eurasia. L’Australia e l’India cominciarono a spostarsi verso Nord-Est. L’Antartide si separò dall’Australia. L’India entrò in collisione con l’Asia portando alla formazione della catena dell’Himalaya. In questo periodo pesci e squali furono i più grandi carnivori marini. Sulla terraferma i mammiferi cominciarono a colmare le lacune lasciate dall’estinzione dei dinosauri. La maggior parte dei primi mammiferi erano mangiatori di piccoli insetti, per lo più notturni, perché al tempo dei dinosauri era il modo più sicuro per vivere. Ora che i dinosauri erano scomparsi, poterono proliferare e ne comparvero di tipi molto diversi: alcuni vivevano sugli alberi, come gli scoiattoli odierni; alcuni avevano zanne e corna; alcuni tornaro a vivere nell’oceano prendendo il posto dei dinosauri marini. Divennero uccelli comuni sulla Terra pinguini, anatre, gabbiani, aironi, pellicani, e successivamente pappagalli, piccioni, picchi, corvi e falchi. Un altro gruppo di mammiferi assunse enorme importanza: i mammiferi placentati. Il loro successo è dovuto al fatto che la loro prole ha una maggiore percentuale di sopravvivenza degli altri, e per questo si diffusero in tutte le zone della Terra. Oggi esistono più di 4000 specie di mammiferi placentati, che si sono adattati a tutte le zone climatiche: dalle più secche alle più umide, dalle più fredde alle più calde, dall’aria all’acqua. In questo periodo apparvero sulla Terra talpe, serpenti velenosi, conigli, cammelli, topi, ratti, cavie, istrici e avicole, e alla fine di questo periodo anche gatti, cani ed orsi. Tra i mammiferi terrestri più grandi c’era il lupo gigantesco (Megistoterio): la sua testa era due volte più grande come un orso grizzly. Il Diatryma era invece un uccello carnivoro, incapace di volare, alto fino a due metri. Quando il primo elefante apparve, somigliava più che altro ad un grande maiale dal naso lungo, ed il primo cavallo era circa delle dimensioni di una volpe.
Infine, comparve sulla terra un nuovo essere, che camminava su due gambe ed era diverso da tutte le forme di vita comparse prima di lui, dando inizio ad una nuova storia: la nostra. Ma quello lo racconteremo un altro giorno. E sai una cosa? Ci sono degli scienziati che affermano che viviamo ancora nell’era dei batteri, la prima forma di vita che abbiamo incontrato nella linea del tempo dei viventi, perché sulla Terra ci sono più batteri che qualsiasi altra forma di vita. È un peccato che non ne riconosciamo l’importanza: nessuna vita sarebbe comparsa sulla Terra, e nulla sarebbe esistito, senza di loro.
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI – Lezioni chiave
I regni della natura.
Classificazioni per regno, tipo, classe e ordine dei viventi.
Rocce sedimentarie.
Biomes
I Continenti (cartografia)
Le cellule
Le grandi estinzioni
Il tempo geologico (eoni, ere, periodi, epoche)
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Idee per i giorni seguenti:
Far comporre ai bambini la linea del tempo dei viventi.
Presentare l’orologio delle ere geologiche.
Presentare il calendario della Terra.
LA SECONDA GRANDE LEZIONE MONTESSORI Carte per il linguaggio
LINEE DEL TEMPO PER LA COMPARSA DEI VIVENTI Ho preparato una serie di tutorial per preparare delle linee del tempo che possono essere utili per la presentazione della seconda lezione cosmica montessoriana,
sia per gli esercizi dei bambini nel periodo successivo.
Come sempre ho ricercato le soluzioni più pratiche ed economiche, in modo che il lavoro possa essere facilmente presentato a casa o nelle scuole che non dispongono di tutte le risorse necessarie per accedere ai materiali Montessori ‘firmati’.
Una linea del tempo della vita, molto economica, può essere facilmente realizzata con una corda (acquistabile in tutti i negozi di ferramenta e di fai da te a meno di 50 centesimi al metro). Prese le dovute misurazioni, la corda viene separata da mollette da bucato per distinguere le ere geologiche. La corda, che misura nel tutorial che ho preparato 4,6 metri, avrà così funzione di guida nello svolgersi del racconto, e potrà essere usata dai bambini per lo studio nei giorni successivi:
La corda o il nastro possono essere distesi direttamente sul pavimento, oppure su un lungo foglio di carta bianca. Possiamo anche preparare una lunga striscia di tessuto nero, o un lungo ‘tappeto’ formato da pezze di colore diverso a seconda dell’era geologica che rappresenta.
Si può poi optare per la preparazione di un lungo cartellone, che terremo disteso sul pavimento per narrare la storia e posizionare le illustrazioni, e che poi potremo appendere ad una parete: sarà molto utile ai bambini per il loro lavoro di studio e ricerca dei giorni seguenti:
Il materiale consiste di una linea del tempo disegnata (completa) ed una seconda linea del tempo muta. La linea del tempo completa potrà essere utilizzata per la narrazione della storia, e poi servirà da controllo per il lavoro dei bambini sulla linea del tempo muta: possiamo stenderle entrambe sul pavimento, oppure appendere la linea illustrata ad una parete, per la consultazione.
Ognuna di queste linee del tempo della vita, dalla corda ai cartelloni, saranno accompagnate da vario materiale che tratta una specifica era geologica, e un set di immagini da posizionare correttamente lungo la linea:
Le linee del tempo possono essere realizzate utilizzando diverse scale. Possono anche essere costruite dai bambini, individualmente o in gruppo. In ogni tutorial troverete la scala utilizzata e i dati necessari, se volete realizzarle in classe.
Una linea del tempo davvero economica e che farà grande impressione nella mente dei bambini, è questa linea del tempo, lunga più di 200 strappi, da realizzare con la carta igienica, seguendo le tabelle scaricabili nel tutorial:
Linee del tempo per la comparsa dei viventi stampabili in formato pdf. Questo materiale può essere utile durante la presentazione della seconda grande lezione Montessori,
e può essere poi appeso come cartellone nella stanza.
Ho preparato due linee, ed ognuna comprende: – la linea del tempo completa di immagini e didascalie – una linea del tempo muta, da far completare ai bambini – i cartellini delle immagini con le didascalie da inserire nella linea del tempo muta.
Linee del tempo per la comparsa dei viventi PRIMA LINEA DEL TEMPO
Linee del tempo per la comparsa dei viventi
– linea del tempo con immagini – linea del tempo bianca – immagini per la linea del tempo.
Linee del tempo per la comparsa dei viventi SECONDA LINEA DEL TEMPO
Linee del tempo per la comparsa dei viventi
– linea del tempo 2 con immagini – linea del tempo 2 muta – linea del tempo 2 immagini.
Corda del tempo per la comparsa dei viventi lunga 4,6 metri: tutorial. Una linea del tempo della vita, molto economica, può essere facilmente realizzata con una corda (acquistabile in tutti i negozi di ferramenta e di fai da te a meno di 50 centesimi al metro). Prese le dovute misurazioni, la corda viene separata da mollette da bucato per distinguere le ere geologiche. La corda avrà così funzione di guida nello svolgersi del racconto della seconda fiaba cosmica Montessori,
(trovi altre carte illustrate, meno dettagliate, anche nel post sulla seconda grande lezione cosmica Montessori).
Corda del tempo per la comparsa dei viventi
Corda del tempo per la comparsa dei viventi – Materiale occorrente: – una corda lunga circa 5 m (le ere geologiche occupano in tutto 4,6 m) – mollette da bucato – righello e metro da sarto – tabella con le indicazioni dei nomi delle ere geologiche e dei centimetri che ogni era occupa lungo la corda:
Corda del tempo per la comparsa dei viventi – Come si fa:
Semplicemente mettere una molletta ad un capo della corda (inizio del Precambriano), e da lì, seguendo la tabella e misurando col metro o col righello, procedere a posizionare la seconda molletta a 4.057 cm dalla prima per l’inizio del Paleozoico, da questa molletta la prossima a 296 cm, e via così fino al Cenozoico.
Stesa la corda sul pavimento, o meglio su di un tappeto, posizionare i cartellini:
Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi, impressionante per la sua lunghezza, ma estremamente economica e semplice da realizzare, anche coi bambini. Può stimolare il lavoro di approfondimento e ricerca dopo la seconda grande lezione Montessori.
Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Scopo del lavoro : dare una dimostrazione grafica dell’enorme estensione del tempo geologico rispetto ai tempi recenti.
Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Materiale occorrente: – un rotolo di carta igienica (231 strappi o più) – penne a gel (a differenza dei pennarelli non spandono e restano leggibili) – nastro adesivo trasparente per le eventuali riparazioni riparazioni – un righello (solo per tracciare le linee, non per misurare) – tabelle 1 e 2. Le tabelle stampabili in formato pdf sono qui:
Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – TABELLE
Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Direttive generali
Prima di iniziare, fare delle prove sul primo strappo del rotolo con la penna gel, per assicurarsi che il tratto risulti ben leggibile. Il lavoro consisterà nell’utilizzare le perforazioni tra gli strappi come un righello, segnando le date e i nomi elencati nelle tabelle che seguono. Se la carta si strappa, riparare con nastro adesivo.
Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Come si fa Mettere il rotolo a destra e iniziare a srotolarlo. Segnare il primo strappo (OGGI) e consultando la tabella 1 proseguire contando gli strappi e segnando le informazioni presenti nella tabella (da oggi all’Adeano). Numerare gli strappi, per facilitare la seconda fase del lavoro.
Arrivati all’Adeano, riavvolgere la carta dal Neogene (oggi) all’Adeano e posizionare il rotolo alla nostra sinistra.
Utilizzando la TABELLA ” segnare all’interno delle varie ere geologiche le informazioni richieste:
Se volete potete via via riavvolgere la carta attorno a un secondo rotolo, da tenere alla vostra destra:
Srotolando sul pavimento di un lungo corridoio la nostra linea del tempo, l’impressione è davvero notevole:
E’ un lavoro davvero economico e semplice, e mi permetto di consigliarlo, sia nell’ambito della seconda lezione cosmica, sia per stimolare lo studio della Preistoria e della Storia della Terra e dell’uomo…
Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi
NOMENCLATURE MONTESSORI Ere geologiche e comparsa dei viventi. Questo materiale è molto utile per memorizzare i concetti presentati nella seconda grande lezione Montessori, e per stimolare lo studio e la ricerca, anche utilizzando le linee del tempo.
Queste nomenclature sono composte da: – una carta con immagine e titolo insieme – una carta con la sola immagine – un cartellino con il solo titolo – una carta con descrizione scritta e titolo insieme – una carta con la sola descrizione – un cartellino con il solo titolo.
NOMENCLATURE MONTESSORI Ere geologiche e comparsa dei viventi
Sono nomenclature adatte ai bambini a partire dalla scuola primaria, e differiscono da quelle usate nella Casa dei bambini, che non hanno descrizioni scritte, ma solo immagini e titoli. Per saperne di più puoi leggere qui:
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra – Una breve didascalia dell’Era geologica e dei viventi apparsi nel periodo, e l’immagine (cliccare sulle miniature per aprire il file). Questa attività può essere proposta dopo il racconto della seconda grande lezione Montessori.
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra ADEANO: 4.600.000.000 – 3.800.000.000 di anni fa
La terra è nata in questa Era, circa 4 miliardi e 600 milioni di anni fa. All’inizio era solo una massa vorticosa di polvere, elementi e particelle, ma ben presto si è creata la forza di gravità e si è formata la crosta terrestre. Le eruzioni vulcaniche hanno immesso nell’atmosfera gas velenosi.
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra ARCHEANO: 3.800.000.000 – 2.500.000.000 di anni fa
Risalgono a questo periodo le più antiche rocce terrestri databili. Gli organismi appartenenti ai Procarioti (o Monere) sono stati i primi ad apparire sulla Terra. Il regno dei Procarioti ha più organismi di qualsiasi altro. I Procarioti sono così piccoli, eppure siamo a conoscenza della loro esistenza grazie alle impronte fossili. Per poterli vedere occorre il microscopio. I procarioti hanno un’enorme importanza per la Terra e per la sua storia.
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra STROMATOLITI:
Una nuova forma di vita apparve alla fine di questa era: i Protisti. Erano organismi unicellulari, ma avevano la clorofilla. Si nutrivano con la luce solare, l’acqua e l’anidride carbonica emessa dei procarioti, e come prodotto di scarto rilasciavano ossigeno. I Protisti a volte vivevano in colonie. Abbiamo evidenze fossili di CIANOBATTERI, anche chiamati alghe blu-verdi, che vivevano in grandi formazioni chiamate STROMATOLITI. Gli stromatoliti hanno dominato il mondo per i successivi 2 miliardi e mezzo di anni.
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra BATTERI:
I batteri sono organismi molto resistenti. Ancora oggi sopravvivono al congelamento, a temperature medie e all’ebollizione. I batteri si nutrivano dei sali minerali e dei rifiuti organici disciolti nell’acqua dell’Oceano. Sono gli organismi che vivono da più tempo sulla Terra.
PROTEROZOICO: 2.500.000.000 542.000.000 di anni fa
Ultima era del Precambriano. La parola deriva del greco ‘protero’ che significa precoce, e ‘zoico’ che significa vita. La crosta terrestre si era formata. C’erano ancora molti vulcani in eruzione e terremoti. Entro la fine di questa era, la crosta terrestre era fresca e ci fu la prima glaciazione. Si è sviluppata la vita.
EUCARIOTI:
1.750.000.000 di anni fa. La più antica evidenza fossile di microorganismi dotati di nucleo (eucarioti).
ALGHE:
I più antichi organismi pluricellulari di cui abbiamo evidenze fossili furono le alghe. Queste alghe a volte vengono classificate tra i Protisti ed a volte tra le Piante. Le alghe sono molto importanti anche oggi, perché da sole svolgono circa la metà di tutta la fotosintesi. Esse quindi forniscono alla Terra la maggior parte del suo ossigeno. Sono anche una parte importante della catena alimentare acquatica.
FOSSILI DI EDIACARA:
670.000.000 di anni fa I fossili trovati in questa località australiana sono molto importanti per studiare questa era geologica. Nelle sue rocce tenere si sono impresse le testimonianze fossili di invertebrati marini preistorici, tra cui i più antichi VERMI e le più antiche MEDUSE.
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra DICKINSONIA:
Dominio: Eucariota Regno: Animalia. Organismo marino estinto grande dai 4 mm a 1,4 metri. Era formato da segmenti che emergevano da una fossa centrale. I segmenti erano separati da una membrana a formare una simmetria a scorrimento. I segmenti erano camere riempite di liquido a pressione più alta di quella circostante.
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra CICLOMEDUSA:
Dominio: Eucariota Regno: Animalia Organismo marino estinto. I fossili sono strutture circolari del diametro che va da pochi cm a circa 20. Al centro di questa forma vi era un bozzo circolare, attorno al quale erano presenti fino a cinque anelli di crescita. I suoi fossili sono numerosi in Australia, Norvegia, Inghilterra, Russia, Cina, Canada e Messico.
TRIBRACHIDIO
Dominio: Eucariota Regno: Animalia E’ un organismo marino estinto che aveva la forma di un disco piatto del diametro di circa 5 cm. All’interno del disco aveva tre braccia ricurve che si dipartivano dal centro e si allungavano fino al bordo del corpo. Questa simmetria tripartita è quasi unica tra gli animali, che di solito hanno una simmetria bilaterale o radiale. Filamenti sparsi si estendevano al limite delle braccia.
DINOFLAGELLATE
Regno: Protisti Phylum: Dinofita Sono alghe microscopiche: la più grande ha un diametro di 2 mm. Sono uno dei più importanti gruppi del fitoplancton. Hanno varie forme e presentano due flagelli con peli laterali. Furono le prime ad essere protette da una sostanza legnosa simile alla cellulosa. Di colore bruno rossastro, vivono nelle acque costiere, più calde, e sono la causa delle maree rosse.
HYDRA
Regno: Animalia Phylum: Cnidaria E’ l’organismo più evoluto di questo periodo. E’ un carnivoro che usa i propri tentacoli per catturare la preda, e poi la spinge nella bocca. La sua bocca è anche il suo ano. Si riproduce per gemmazione: sul corpo si formano delle piccole gemme che poi si staccano per formare nuovi individui.
EUGLENA
Regno: Protista Phylum: Euglenozoa Organismo unicellulare dal corpo molle. Gli scienziati sono certi che visse in questo periodo, anche se non ci sono fossili. Ha un organo simile ad un occhio che serve a rilevare la luce. Essendo sia animale sia pianta, appartiene ai Protisti. Può nutrirsi della luce (fotosintesi), o mangiare particelle di cibo che trova disciolte nell’acqua. Vive ancora oggi nelle acque torbide e stagnanti.
PARAMECIUM
Regno: Protista Phylum: Ciliophora o Ciliati E’ un organismo microscopico unicellulare che gli scienziati ritengono vivesse sulla Terra anche in quest’epoca. Ha migliaia di piccoli peli sul suo corpo, che utilizza per muoversi. Si nutre di batteri, ma anche attraverso la fotosintesi, e per questo è un Protista. Può muoversi molto rapidamente. Vive ancora oggi, nelle acque dolci e stagnanti.
RADIOLARI Regno: Protista Classe: Rhizopoda Sappiamo che vissero nei primi mari della Terra, perché hanno bellissimi scheletri silicei, coperti da proiezioni aghiformi, che sono arrivati a noi in forma fossile. Non superano il millimetro e oggi fanno parte del plancton marino di tutti gli oceani.
FORAMINIFERI
Regno: Protista Classe: conchiglie porose Sono organismi microscopici. La loro cellula è protetta e rivestita esternamente da un guscio, che può raggiungere i 14 cm di diametro. Abitano tutti gli ambienti marini e si sono adattati a molti modi di vita. Sono una parte importante dell’ecosistema marino perché sono fonte di cibo per molti altri organismi. I loro numerosi fossili sono molto importanti per i geologi.
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra AMEBA
Regno: Protista Classe: Sarcodini Si tratta di un organismo unicellulare caratterizzati dal fatto che cambia forma. Si muove utilizzando gli pseudopodi (falsi piedi). Il suo movimento è molto lento. Per nutrirsi circonda il cibo fino ad inglobarlo all’interno del suo corpo. Vive ancora oggi fondo di raccolte d’acqua ricche di sostanze nutritive. Non ha lasciato alcun fossile in quanto è un organismo dal corpo molle.
CIANOBATTERI
Dominio: Procarioti Regno: Batteri Sono organismi unicellulari che si riproducono dividendosi in due e che si nutrono attraverso la fotosintesi. I batteri sono stati i precursori di tutte le forme di vita terrestri. Questi organismi, chiamati anche alghe azzurre, producono ossigeno che immettono nell’atmosfera. Sono sempre unicellulari e possono vivere come cellule singole o riuniti in colonie di forme diverse.
CLOROFITE
Regno: Plantae Sono un gruppo di alghe unicellulari, che vivono in colonie anche molto grandi, e sono dette alghe verdi. Si pensa che da esse si siano evolute le piante superiori perché possiedono clorofilla e accumulano amido. Nella parete cellulare ci può essere cellulosa.
ALGHE ROSSE
Regno: Plantae Phylum: Rhodophyta Si tratta di organismi eucarioti tra i più antichi della Terra. Poiché costruivano strutture calcaree, possiamo studiarne i fossili. Avevano un fusto, una sorta di radici e molti rami. Vivono ancora oggi nei mari caldi.
ALGHE BRUNE
Regno: Chromista Classe: Phaeophyta Sono alghe che esistono ancora oggi e che hanno varie forme e dimensioni. Possiamo studiarle perché hanno lasciato tracce fossili. Sono organismi complessi che preferiscono acque fredde e ben ossigenate. I Sargassi appartengono a questo gruppo.
PALEOZOICO: 542.000.000 – 245.000.000 di anni fa La parola viene dal greco che significa vecchio e ‘zoico’ che significa vita. Questa Era si compone di sei periodi ed è la più lunga nella linea del tempo. Tutti i viventi si trovavano nell’oceano che copriva la maggior parte della superficie terrestre. Non c’era ozono nell’atmosfera ed i raggi ultravioletti del Sole raggiungevano la Terra.
CAMBRIANO: 542.000.000 – 488 .000.000 di anni fa
Il nome deriva dal nome latino del Galles (Cambria), dove furono trovati i primi fossili di questo periodo. Cominciato alla fine di una grande glaciazione , in questo periodo il clima era mite e tutta la vita si svolgeva nell’Oceano. Ci fu una grande esplosione di vita in questo periodo, e molti dei microrganismi presenti sulla Terra oggi, comparvero allora. Erano presenti alche esseri più grandi, anche se si trattava soltanto di semplici invertebrati.
BRACHIOPODI
Regno: Animalia Phylum: Brachiopoda Sono invertebrati marini dotati di conchiglia a due valve. Oggi sono poco diffusi in quanto vivono nelle zone rifugio, cioè in ambienti a scarsa popolazione e competizione.
FLAGELLATI
Regno: Protista Phylum: Ciliophora Sono organismi microscopici, molto vari per forma e dimensioni. Hanno tutti uno o più prolungamenti, simili a lunghi peli, chiamati flagelli, che utilizzano per muoversi.
VOLVOX
Regno: Plantae Phylum: Chlorophyta Si tratta di alghe verdi unicellulari sferiche e munite di due flagelli, che formano colonie, anch’esse sferiche. Le cellule si muovono in modo coordinato grazie al movimento coordinato dei flagelli. Le cellule sono dotate di fotorecettori che consentono alla colonia di nuotare verso la luce. Vivono in una varietà di habitat di acqua dolce.
VAUXIA
Regno: Animalia Phylum: Porifera E’ un genere estinto di spugna munito di uno scheletro fatto di silice, una sostanza che si trova nella sabbia. Erano animali unicellulari che vivevano in colonie e si nutrivano estraendo i nutrienti dall’acqua.
KUTORGINA
Regno: Animalia Phylum: Brachiopodi Questo brachiopode estinto non poteva muoversi e la sua conchiglia restava ancorata a superfici dure, come le rocce dei fondali marini.
TETRACORALLI
Regno: Animalia Phylum: Cnidaria o Celenterati Furono tra i primi coralli ad apparire sulla Terra. Si sono poi estinti al termine del Paleozoico. Vivevano in acqua calda e poco profonda, solitari o in colonie. Avevano tentacoli per catturare il cibo. Secernevano gusci di calcio, di cui sono rimasti numerosi fossili.
ANEMONI
Regno: Animalia Phylum: Cnidaria o celenterati Sono celenterati, una parola che significa ‘intestino vuoto’. Hanno la bocca al di sotto dei loro corpi e si riproducono sessualmente. Pungono le loro prede con i tentacoli.
BRIOZOI
Regno: Animalia Phylum: Briozoi Si tratta di invertebrati acquatici che vivono in colonie a forma di tubi, ancorate al fondale, che somigliano al muschio. Un piccolo animale, grande al massimo mezzo millimetro e munito di tentacoli, vive in ogni tubo. Questo animale è più evoluto del corallo, in quanto ha la bocca separata dall’ano. Si ciba di plancton e di particelle organiche che cattura filtrando l’acqua.
CRINOIDI
Regno: Animalia Phylum: Echinodermata Assomigliavano agli odierni gigli di mare, avevano un peduncolo formato da segmenti e una corona formata da cinque braccia flessibili, di solito ramificate. Bocca ed ano si trovavano rivolti verso l’alto. Erano filtratori passivi che si nutrivano di Protisti, larve di invertebrati, piccoli crostacei e detriti organici, che catturavano con le braccia e spingevano verso la bocca.
AYSHEAIA PEDUNCULATA
Regno: Animalia Phylum: Lobopodia Animale marino estinto simile al lombrico, col corpo composto da anelli, ma con 20 piccole zampe rivolte verso il basso. Era lungo circa 8 cm. Sulla testa aveva due corna, che probabilmente servivano a spruzzare un liquido puzzolente per allontanare i predatori. Si nutriva di spugne.
CISTOIDI
Regno: Animalia Phylum: Echinodermata Echinodermi estinti che vivevano ancorati ai fondali marini. Avevano braccia che facevano ondeggiare avanti e indietro per raccogliere il cibo dall’acqua.
OLOTURIA (cetriolo di mare)
Regno: Animalia Phylum: Echinodermata Diffusi sui fondali marini di tutto il mondo, nel corso di questi 600 milioni di anni ad oggi sono cambiati pochissimo. Hanno un corpo cilindrico allungato con bocca e ano situati alle estremità opposte. L’endoscheletro è ridotto a spicole calcaree immerse nel derma, e di conseguenza il corpo è elastico.
SCENELLA
Regno: Animalia Phylum: Molluschi Animale estinto dotato di conchiglia bivalve con pochi ornamenti concentrici. Era delle dimensioni di circa 5 millimetri e se ne sono trovati numerosissimi fossili.
ALGHE BRUNE
Regno: Protista Phylum: Phaeophyta In questo periodo queste alghe unicellulari si sono evolute in grandi colonie di organismi pluricellulari, tanto da poter raggiungere la lunghezza di 180 metri. Vivono nelle acque costiere. I Sargassi appartengono a questo gruppo.
TRILOBITI
Regno: Animalia Phylum: Artropodi Questi artropodi rappresentavano i due terzi di tutta gli esseri viventi acquatici del periodo. Erano artropodi, perché avevano zampe snodate. Il loro nome significa ‘tre lobi’, perché avevano il corpo diviso in tre segmenti che correvano longitudinalmente lungo il corpo. Ne esistevano di vario tipo.
MARRELLA
Regno: Animalia Phylum: Artropodi Era un animale piccolo e dalle forme eleganti: non superava i 2 centimetri di lunghezza. E’ anche detto “granchio dai merletti”. Aveva due paia di antenne mobili e grandi spine sul corpo. I suoi fossili sono molto numerosi.
MYLLOKUNMINGIA
Regno: Animalia Phylum: Chordata Si tratta del più antico fossile di vertebrato, che è anche il più antico fossile di pesce. E’ stato trovato in Cina. Era un piccolo pesce, lungo 28 millimetri e alto 6. Aveva una pinna dorsale e un paio di pinne ventrali. La testa aveva cinque o sei branchie. Non aveva mascella.
LANCELET
Regno: Animalia Phylum: Cordata Si tratta di piccoli cordati simili ai pesci che vivono nei mari di tutto il mondo, nella fascia temperata e nei mari tropicali. Sono molto utili per lo studio dell’evoluzione dei vertebrati.
CONODONTI
Regno: Animalia Phylum: Chordata Sono un misterioso gruppo di animali vissuti nel Paleozoico ed estinti nel Giurassico. Erano lunghi dai 4 ai 40 cm, avevano un corpo vermiforme allungato e una testa bulbosa. Si tratta di vertebrati molto primitivi.
SPUGNE
Regno: Animalia Phylum: Porifera Si tratta di organismi pluricellulari, con corpi ricchi di pori e canali che permettono all’acqua di circolare attraverso di essi. Hanno uno scheletro calcareo o siliceo. Attraverso il costante flusso di acqua attraverso i loro corpi ottengono cibo e ossigeno. In questo periodo comparvero le silicee o cornee.
ANOMALOCARIDE
Regno: Animalia Phylum: Lobopodia Animale estinto. Lungo circa 60 cm, era uno dei più grandi animali del periodo. Era un predatore: le due grandi spine ai lati della bocca servivano a catturare le prede, che poi venivano inghiottite. Probabilmente si nutriva di trilobiti.
ORDOVICIANO 488.000.000 – 443.000.000 di anni fa
I primi fossili di questo periodo sono stati trovati in Galles, a Ordovices. Vissero molti tipi di alghe e Protisti, che hanno lasciato enormi giacimenti di conchiglie e materia organica che si è trasformata in giacimenti di petrolio. I fossili di invertebrati marini di questo periodo sono molto comuni, e si trovano in tutti i continenti. Erano ancora molto numerosi TRILOBITI e BRACHIOPODI. Ci fu anche una grande diffusione di CEFALOPODI, calamari che vivevano in lunghe conchiglie.
RECEPTACULITES Regno: Piante Divisione: Clorofita Erano probabilmente alghe calcaree, e per il loro aspetto sono anche dette “corallo girasole”. Sono un genere estinto.
SCORPIONE DI MARE
Regno: Animalia Phylum: Arthropoda Gruppo estinto di artropodi tipici dei mari e delle acque dolci del Paleozoico. I più grandi superavano i due metri di lunghezza. Erano predatori di pesci primitivi. Avevano un carapace piatto e un corpo diviso in dodici segmenti. La coda era lunga e sottile e terminava con un aculeo. Sono anche chiamati Euripteridi.
ENDOCERAS
Regno: Animalia Phylum: Molluschi Si tratta di un mollusco cefalopode estinto apparso in questo periodo. Aveva un rivestimento esterno a forma di corno ed era gigantesco: lungo anche 13 metri, aveva tentacoli lunghi più di 4 metri. Durante la riproduzione deponeva circa 200 uova. I suoi fossili sono stati trovati in Inghilterra.
MACLURITOIDEA
Regno: Animalia Phylum: Molluschi Classe: Gastropoda Si tratta di una lumaca, ora estinta, che esisteva in diverse varietà. Aveva il guscio a spirale, ed era quasi certamente sedentaria: viveva sui fondali e si nutriva filtrando l’acqua.
STELLE MARINE
Regno: Animalia Phylum: Echinodermata Classe: Asteroidea Presenti in tutti i mari del mondo, hanno una simmetria raggiante su cinque braccia. Le sue prede preferite sono piccoli crostacei e molluschi, tra cui ricci e cozze. Con le sue forti zampe, riesce ad aprire il guscio anche delle conchiglie più resistenti.
CALIMENE
Regno: Animali Classe: Trilobiti Era un trilobite che viveva sui fondali marini e si cibava di piccoli organismi presenti nel fango. Per difendersi dai predatori, poteva appallottolarsi su se stesso: alcuni fossili, infatti, mostrano questo animale avvolto a palla. In questo periodo, comunque, i trilobiti stavano lentamente diminuendo.
GRAPTOLITE
Regno: Animalia Phylum: Hemichordata Sono fossili molti comuni. Il loro nome “scrittura di pietra” deriva dalla loro forma, simile alla scrittura cuneiforme. Estinti nel Carbonifero, vivevano in colonie. Avevano un corpo molle, vermiforme, e vivevano in teche disposte su uno o due file lungo i rami della colonia. Dalle teche partiva un filamento col quale l’animale si fissava a un galleggiante.
MUSCHI E LICHENI
Durante questo periodo troviamo numerose spore, prima evidenza fossile di vita vegetale terrestre. Queste prime piante erano molto piccole, erano legate alla vicinanza all’acqua, e potevano crescere solo in ambienti molto umidi.
OSTRACODERMI
Regno: Animalia Phylum: Chordata Il loro nome significa “con pelle a conchiglie”. Sono pesci estinti, primitivi e senza mascella, che erano ricoperti da un’armatura di piastre ossee. Erano lunghi meno di 30 cm, erano molto lenti e probabilmente vivevano sui fondali. Usavano le branchie unicamente per la respirazione, e non per l’alimentazione.
SILURIANO
443.000.000 – 416.000.000 anni fa Il nome di questo periodo deriva da quello di un antico popolo, i Siluriani, che viveva nel Galles. Le eruzioni vulcaniche ed i terremoti l’hanno reso un periodo molto violento ed ostile alle forme di vita. Il livello delle acque mutò e si crearono mari poco profondi. Il clima era molto umido e le piante si diffusero in numero massiccio, liberando tantissimo ossigeno nell’atmosfera, ed intorno alla Terra si creò lo strato di ozono che la protegge dai raggi più nocivi del Sole.
PSILOFITO
Regno: Plantae Phylum: Psilophyta È stata una delle prime piante a vivere sulla terraferma, così destinata a cambiare la faccia della Terra. Non aveva foglie o radici, e per questo si parla di pianta nuda. Non avendo un sistema circolatorio, dipendeva dall’acqua. Era alta poche decine di centimetri.
POLMONATI Regno: Animalia Phylum: Molluschi Classe: Gastropoda Si tratta di molluschi che avevano gusci a spirale e che potevano vivere sulla terraferma. Presentano un piede forgiato a suola che secerne un muco che determina il movimento del mollusco.
PTERIGOTO
Regno: Animalia Phylum: artropodi Il più grande artropode di tutto il Paleozoico. Era un gigantesco scorpione di mare, che raggiungeva i 3 metri di lunghezza, e che mangiava tutto quello che incontrava, soprattutto era ghiotto di trilobiti. Mangiava però anche i pesci corazzati. Le sue mascelle erano in grado di sgretolare anche le corazze più dure. Si crede che sia l’antenato dello scorpione odierno.
DALMANITE
Regno: Animalia Phylum: Artropode Era il trilobite più comune di questo periodo, prima della estinzione di tutti i trilobiti, causata forse dai pesci carnivori o forse dalla comparsa di artropodi più grandi. Era lunga circa 5 cm.
MIRIAPODI
Regno: Animalia Phylum: Artropode Sono una specie di artropodi dall’elevato numero di zampe, suddivisi in millepiedi e centopiedi. Hanno una capsula cefalica e un tronco allungato con numerosi segmenti, ciascuno recante un paio di zampe. Furono i primi animali terrestri.
PNEUMODESMUS
Regno: Animalia Phylum: Arthropoda Subphylum: Myriapoda E’ una specie di millepiede che comparve sulla Terra nel primo Siluriano. Rinvenuto in Scozia, è il più antico fossile di animale terrestre.
OSTEOSTRACI
Regno: Animalia Phylum: Chordata Sono un grande gruppo di vertebrati fossili simili a pesci, vissuti dal Siluriano al Denoviano. I loro fossili si rinvengono in tutto il mondo, e ne esistono più di 200 specie diverse. Sono anche detti “pesci corazzati” perché posseggono rivestimenti ossei. Si nutrivano dei molluschi che vivevano nei fondali fangosi delle coste marine, dei laghi e dei fiumi.
COOKSONIA
Regno: Plantae La più antica pianta terrestre vascolare conosciuta, visse tra il Siluriano e il Devoniano. Le piante vascolari hanno tessuti interni per lo scambio di liquidi e gas. I tessuti vascolari forniscono anche un supporto interno, così le piante possono innalzarsi dal suolo. Queste piante primordiali non avevano foglie, e non erano più alte di un paio di centimetri. Avevano uno stelo a forma di Y e capsule per le spore.
DEVONIANO
416.000.000 – 359.000.000 di anni fa E’ anche chiamato “Età dei pesci”. Il nome deriva da Devon, dove sono stati trovati i primi fossili. Le piante hanno continuato a prosperare e alla fine di questo periodo esistevano enormi foreste di felci. Ci furono grandi eruzioni vulcaniche. L’acqua si riscaldò e ridusse la sua quantità di ossigeno. I mari si ritirarono, e i pesci sopravvissuti si adattarono in modo straordinario: iniziarono ad usare le loro corte pinne per muoversi sulla terraferma alla ricerca di acqua, e svilupparono dei polmoni primitivi. Questo li ha portati lentamente a diventare animali terrestri.
CORALLI
Regno: Animalia Phylum: Cnidari o Celenterati I coralli amavano molto i mari poco profondi di questo periodo e formarono grandi isole coralline, tanto che alcuni scienziati chiamano questo periodo anche Età dei coralli. Tra le tante varietà c’era il Caninia.
LICOFITE Regno: Plantae Phylum: Lycophyta Le piante hanno avuto un periodo difficile prima di adattarsi alla vita sulla terraferma. Le paludi, prosciugandosi, diventavano deserti; poi venivano di nuovo inondate e le piante acquatiche tornavano. Le nuove piante terrestri avevano spore e non avevano radici, ma erano dotate di foglie primitive attaccate ad un gambo.
ASTEROXYLON
Regno: Plantae Divisione: Sporophyta Pianta licofita estinta. I suoi resti fossili sono stati ritrovati nel famoso giacimento di Rhynie Chert. Cresceva nei pressi di una sorgente termale ricca di silice. Aveva spore e non aveva radici, ma era dotata di foglie primitive attaccate ad un gambo.
ARCHEOPTERIDE
Regno: Plantae Divisione: Progimnosperme Pianta estinta. Fu uno dei primi alberi comparsi sulla Terra. Poteva superare i 10 metri. Le foglie erano cuneiformi e aveva capsule che racchiudevano le spore.
OFIURIDEI
Regno: Animalia Phylum: Echinodermata Anche detti “stelle serpentine” somigliano alle stelle marine, ma hanno un disco centrale più sviluppato e utilizzano le punte per il movimento. Hanno braccia molto lunghe e fragili, ma che possono ricrescere in qualsiasi momento, nel caso in cui si rompano.
TRILOBITI
Regno: Animalia Phylum: trilobiti Questi animali continuarono a prosperare, in questo Periodo, in numerose varietà diverse, con dimensioni che variavano dai venti ai cinque centimetri. Accanto a loro prosperavano anche molti artropodi.
RAPIDISTI
Regno: Animalia Phylum: Cordati In questo periodo alcuni pesci avevano sviluppato polmoni e scheletri ossei che permettevano loro di muoversi sulla terraferma quando gli stagni si prosciugavano. Questi pesci avevano pinne carnose, muscolari, e sono anche chiamati “pesci pinnati”. Alcuni potevano raggiungere i 2 metri di lunghezza. Questi pesci vivevano per lo più in ambiente marino e presto avrebbero dominato le acque.
EUSTENOTTERO
Regno: Animalia Phylum: Chordata Grosso pesce d’acqua dolce, estinto. Lungo fino a 1,2 m, è il più famoso dei rapidisti. Infatti aveva pinne carnose e si ritiene che sia il precursore degli anfibi e di tutti gli altri tetrapodi. Doveva essere uno dei massimi predatori del suo habitat.
NAUTILUS
Regno: Animalia Phylum: Molluschi Ha un guscio molto pesante, a spirale logaritmica, che ha al suo interno delle camere d’aria usate per salire o scendere nell’acqua. E’ molto forte: ha lunghi tentacoli che usa per catturare le sue prede, e un becco simile a quello del pappagallo. Creduto estinto fino al 1829, è ora considerato un fossile vivente. Vive nell’Oceano Pacifico e nell’Oceano Indiano.
SQUALI
Regno: Animalia Phylum Chordata I pesci corazzati avevano sviluppato un’armatura per proteggersi dai predatori. Anche se dotati di pinne, l’armatura era troppo pesante, e vivevano nascosti tra le alghe aspettando le prede. Poi i pesci ebbero la necessità di diventare più veloci, e comparvero questi nuovi pesci, come il Cladoselache, che non avevano armatura, ma una cartilagine interna e grandi pinne. Il Cladoselache raggiungeva i 4 metri ed è stato il nuotatore più veloce del Periodo.
RHYNIOGNATHA
Regno: Animalia Classe: Insecta E’ il più antico insetto fossile conosciuto. L’unico reperto è conservato al Museo di Storia Naturale di Londra. Aveva mandibole tipiche degli insetti alati, quindi forse le ali si erano già sviluppate in questo periodo, ma non ne abbiamo tracce fossili. Somigliava a un collembolo.
TRIGONOTARBITA
Regno: Plantae E’ uno degli alberi più antichi, ora estinto. Le più antiche foreste erano costituite da piante di questo genere. Aveva l’aspetto di una gigantesca palma alta circa 10 m, dalle fronde simili a quelle delle felci. Non aveva vere e proprie foglie, e si riproduceva per spore. Le radici profonde degli alberi mutarono il paesaggio, stabilizzando il suolo e formando terriccio. L’aumento della fotosintesi modificò il ciclo del carbonio terrestre.
WATTIEZA
Regno: Plantae E’ uno degli alberi più antichi, ora estinto. Le più antiche foreste erano costituite da piante di questo genere. Aveva l’aspetto di una gigantesca palma alta circa 10 m, dalle fronde simili a quelle delle felci. Non aveva vere e proprie foglie, e si riproduceva per spore. Le radici profonde degli alberi mutarono il paesaggio, stabilizzando il suolo e formando terriccio. L’aumento della fotosintesi modificò il ciclo del carbonio terrestre.
GIMNOSPERME Regno: Plantae Il nome significa “seme nudo”. E’ un gruppo di piante vascolari (tracheobionta) che producono semi non protetti da un ovario, e sono tutte piante legnose. Comprende le Pinofite, le Ginkofite, le Cicadofite e le Gnetofite. Apparvero al termine di questo periodo e si svilupparono in tutti i periodi successivi.
ACANTOSTEGA
Regno: Animalia Superclasse: Tetrapoda E’ uno dei primi vertebrati terrestri con zampe riconoscibili. Anatomicamente era intermedio tra i pesci dalle pinne lobate e i primi tetrapodi pienamente capaci di camminare sulla terra. E’ il progenitore degli anfibi.
CARBONIFERO
359.000.000 – 299.000.000 di anni fa Il termine è usato in Europa, mentre negli Stati Uniti il periodo si divide in ‘Periodo del Mississipi’ e ‘Periodo della Pensylvania’ . Prende il nome da ‘carbonio’, che è l’elemento principale del carbone. I mari avanzavano e si ritiravano a fasi alterne. Si formavano grandi foreste e immense paludi. Alla fine del periodo enormi foreste si estinsero e iniziò una nuova era glaciale. Il carbone si formò ovunque. In questo periodo apparvero nuovi insetti, i primi anfibi, e in seguito i primi rettili.
CONIFERE
Regno: Plantae Divisione: Pinophyta Tra i primi alberi di questo gruppo ci fu la Lebachia, ora estinta. Era alta più di 10 metri e simile al cipresso. Aveva foglie aghiformi, però i semi non erano ancora coni. Erano le piante che meglio potevano resistere ai climi asciutti. Le conifere fossili includono molte forme differenti.
ANNULARIA Regno: Plantae Classe: Equisetopsida Questi vegetali estinti, di cui abbiamo molti fossili, avevano strutture radianti ed erano molto simili agli odierni equiseti.
LEPIDODENDRON
Regno: Plantae Phylum: Lycophyta Il nome deriva dal greco e significa “albero a scaglie”. Erano piante primitive, vascolari, arboree, che superarono i 30 m di altezza con tronchi di diametro superiore al metro. Avevano tronchi alti e spessi, e alla sommità una corona di rami che si biforcavano e portavano grappoli di foglie simili a fili d’erba, disposti a spirale. I Licopodi moderni sono i muschi.
ILONOMO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Noto come il più antico rettile mai scoperto, era simile ad una lucertola. Era lungo circa 20 cm, corpo allungato e lunghe zampe da corridore ai lati del corpo. Probabilmente cacciava insetti e altri piccoli animali.
ARTHROPLEURA
Regno: Animalia Phylum: Arthropoda E’ un genere di millepiedi che superava i 2 m di lunghezza. E’ uno dei più grandi invertebrati comparsi sulla terraferma. I suoi predatori dovevano essere pochi, fino alla comparsa degli anfibi di grossa taglia. Si estinse nel Permiano.
MEGANEURA
Regno: Animalia Classe: Insecta Ora estinta, ricordava moltissimo una libellula, ma di dimensioni gigantesche: aveva un’apertura alare superiore ai 75 cm. Era un predatore che si cibava di piccoli anfibi e altri insetti.
PALEODITTIOTTERI
Regno: Animalia Classe: Insecta Apparvero in questo periodo migliaia di tipi di insetti, che sciamarono attraverso le foreste. I primi insetti erano minuscoli e privi di ali. Gli insetti più evoluti avevano piccole ali sulla schiena, e furono i precursori degli insetti alati. Apparvero poi insetti, ora estinti, che avevano grandi dimensioni e un paio di ali aggiuntive.
SCARAFAGGI
Regno: Animalia Classe: Insecta Oggi ne esistono più di 4.000 specie diverse e apparvero in questo periodo. Avevano ali che potevano essere ripiegate, per potersi nascondere a terra. Alcuni raggiungevano i 10 centimetri.
GLOSSOPTERIDE
Regno: Plantae I resti di queste piante sono stati fondamentali come prova per la teoria della deriva dei continenti. Era una pianta che poteva raggiungere i 6 metri di altezza. Le sue foglie avevano una forma simile ad una lingua, e deve il suo nome a questo.
ITTIOSTEGA
Regno: Animalia Phylum Chordata E’ considerato il primo passo dei vertebrati verso la vita terrestre, ed aveva caratteri intermedi tra pesci ed anfibi. Possedeva zampe che non usava tanto per camminare quanto per farsi strada tra le piante palustri, e aveva sette dita per zampa.
DIPLOVERTEBRONTE
Regno: Animalia Phylum Chordata Anfibio estinto della lunghezza di circa 60 cm. Viveva sulle rive di fiumi e laghi. La coda e il corpo non erano molto allungati. Ne esistevano varie specie. Era un predatore e si nutriva di piccoli pesci e invertebrati. E’ vicino all’origine dei rettili.
MOSTRO DI TULLY
Regno: Animalia Phylum: incerto Misterioso animale invertebrate a corpo molle. Aveva un corpo allungato, lungo circa 5 cm, e n paio di pinne nella parte posteriore del corpo. La parte anteriore terminava con una proboscide dotata di otto piccoli denti aguzzi. Aveva un paio di peduncoli nella parte inferiore, che forse sostenevano due occhi (o altri organi di senso).
PERMIANO
299.00.000 251.000.000 anni fa Vi furono grandi eruzioni vulcaniche, le paludi si prosciugarono e si elevarono le catene montuose. Vi fu una nuova era glaciale. Molti animali e piante si estinsero. Le grandi felci scomparvero. Si avviavano all’estinzione anche i trilobiti ed i pesci corazzati. Il clima globale si fece più secco e si svilupparono i rettili, che divennero i grandi animali terrestri dominanti. Caratteristici di questo periodo erano i sinapsidi col dorso a vela. I primi fossili sono stati trovati nel Perm, una provincia russa vicina ai monti Urali. Il clima del Permiano era più favorevole alle forme di vita terrestri, e per questo i rettili ebbero il sopravvento.
MESOSAURO
Regno: Animalia Phylum: Chordata Genere estinto, era ungo circa un metro. Fu uno dei primi rettili che ritornarono a vivere in acqua da quando gli anfibi fecero la loro comparsa. Si era adattato alla vita subacquea sviluppando zampe palmate e un corpo idrodinamico e flessibile. Aveva una lunga fila di denti molto fini, per cui probabilmente si nutriva di plancton, e i denti avevano funzione di filtro.
DICINODONTI
Regno: Animalia Classe: Synapsida Grande gruppo vissuto in questo periodo. I fossili si trovano in tutti i continenti. La maggior parte aveva un grande becco leggermente ricurvo, come quello di una tartaruga. Il nome significa “due denti da cane”, perché avevano due zanne superiori. Al contrario dei CINODONTI, erano erbivori. Avevano un corpo a botte e zampe corte e forti.
INSETTI
Regno: Animalia Phylum: Arthropoda Questi animali svilupparono in questo periodo la crescita con metamorfosi, che poteva essere incompleta (uovo, ninfa e stadio adulto) o completa (uovo, larva, pupa, stadio adulto). Mentre la ninfa ha una vita molto simile a quella dell’adulto, la vita della larva è completamente diversa da essa. Oggi il novanta per cento di questi animali segue la metamorfosi completa.
ERIOPE
Regno: Animalia Classe: Amphibia Era un anfibio gigante che si aggirava tra paludi e laghi e che passava la maggior parte del suo tempo sulla terraferma, come oggi le rane. Superava i 2 m di lunghezza, aveva zampe corte e forti, un corpo massiccio e la coda corta. La testa era larga e piatta. Aveva una dentatura formidabile ed era un feroce predatore. Si nutriva di pesci e di piccoli anfibi.
MYOBATRACHUS
Regno: Animalia Classe: Amphibia Erano minuscoli anfibi non più grandi di 3 centimetri. Avevano la testa larga, con grandi occhi. Il corpo era molto tozzo. Le zampe posteriori erano più lunghe di quelle anteriori.
CICLOTOSAURO
Regno: Animalia Classe: Amphibia E’ stato il più grande anfibio mai vissuto: poteva raggiungere i tre metri di lunghezza. Era un grande predatore semiacquatico. Aveva una testa vagamente triangolare e denti fitti e aguzzi. Passava la maggior parte del tempo immerso appena sotto la superficie dell’acqua, praticamente invisibile. Si nutriva di pesci e di altre prede più grandi, tendendo loro agguati, come gli odierni coccodrilli.
LABIDOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Rettile estinto, simile alle iguane odierne. Misurava circa 75 centimetri ed aveva un capo grosso, una coda piuttosto corta e un corpo massiccio. Probabilmente si nutriva di vegetali coriacei o di insetti coriacei, avendo una forte dentatura adatta a triturare.
DIMETRODONTE
Regno: Animalia Classe: Synapsida spesso confuso con i dinosauri, ma in realtà appartiene ai rettili che ha dato origine ai mammiferi. Era un feroce carnivoro che superava i 3 m di lunghezza. Aveva una vela dorsale formata da espansioni delle vertebre unite da una membrana di pelle. La vela serviva per regolare la temperatura corporea. Aveva denti di due misure: simili agli incisivi e ai canini. Questa differenziazione è tipica dei mammiferi e non è presente nei rettili.
CYNOGNATHUS
Regno: Animalia Classe: Synapsida Il suo nome significa ‘mascella di cane’. Era un rettile carnivoro lungo fino a 2 metri, mentre in altezza non superava i 70 centimetri. Forse era provvisto di baffi, come il cane e il gatto. Mentre i rettili respirano tra un boccone e l’altro, questo animale aveva due canali di respirazione separati, uno che partiva dal naso e uno che partiva dalla bocca. In questo modo poteva mangiare e respirare contemporaneamente, come i mammiferi.
CICADOFITE Regno: Plantae Phylum: Cycadophyta Il Permiano fu un periodo molto secco, e le grandi foreste che dipendevano dall’acqua per la loro sopravvivenza, si estinsero. Presero così il sopravvento le Conifere e le Cicadofite, piante che assomigliano alle palme, ma non producono fiori. I semi sono contenuti in coni, come per le conifere.
EDAFOSAURO
Regno: Animalia Classe: Synapsida Tetrapode fossile vissuto nel Permiano. Era un grosso erbivoro. Somiglia al Dimetrodonte, ma è molto diverso dal suo “cugino” carnivoro. Il cranio era più piccolo, e aveva piccoli denti a scalpello davanti, e smussati sul palato, per triturare il fogliame. Le sue vele erano poi più basse e robuste. Le sue dimensioni andavano dal metro ai 3,2 m.
LICHENOPE
Regno: Animalia Classe: Synapsida Era un rettile-mammifero. Il suo nome significa “aspetto di lupo”. Era lungo circa 1 m, aveva zampe lunghe e snelle con forti artigli, testa grossa armata di denti aguzzi, alcuni dei quali erano vere e proprie zanne. Le zanne servivano a pugnalare le prede e strapparne le carni. Poteva aggredire animali molto più grandi di lui: piccoli dicinodonti e rettili.
MESOZOICO: 251.000.000 – 65.500.000 di anni fa.Il termine deriva dal greco ‘meso’ che significa media e ‘zoico’ che significa vita. La vita in questo periodo si spostò decisamente sulla terraferma, seguendo gli insetti e le piante, gli anfibi ed i rettili che avevano preparato l’ambiente adatto e fornito il cibo. Si era anche creata un’atmosfera ricca di ossigeno. Questa è l’epoca dei dinosauri e si divide in Triassico, Giurassico e Cretaceo. E’ detta anche età dei rettili.
TRIASSICO 251.00.000 – 199.000.000 di anni fa. Questo periodo ha segnato l’inizio dell’era Mesozoica. Prende il nome dal fatto che da questo momento in poi troviamo rocce formate da tre strati. In questo periodo il supercontinente Pangea si divise in tre continenti. Molti vulcani erano in piena attività, e molti anfibi morirono a causa del clima caldo e secco, che era invece molto favorevole ai rettili.
LISTROSAURO
Regno: Animalia Classe: Synapsida Dopo la grande estinzione di massa l’animale più comune era un sinapside (anche detti rettili-mammiferi) appartenente ai Dicinodonti: il LISTROSAURO. Trovato in continenti diversi, fornisce la prova che essi sono stati collegati tra loro. Lungo circa 1 m, somigliava un po’ ad un maiale. Fu l’erbivoro più diffuso sul pianeta.
DINOSAURI Regno: Animalia Classe: Reptilia La parola deriva dal greco e significa ‘lucertola terribile’. Sono un gruppo di rettili molto diversificato che comparve nel Triassico e si estinse alla fine del Mesozoico (estinzione K-T) con l’eccezione del ramo dei TEROPODI che, evolvendosi, avevano già portato alla comparsa degli UCCELLI, considerati perciò dinosauri viventi. I dinosauri si separarono dal ramo degli ARCOSAURI duranti il Triassico.
EORAPTOR
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria E’ il più antico dinosauro fossile, trovato in Argentina. Era lungo circa 1 m. Il suo nome significa ‘cacciatore dell’alba’. Era un carnivoro bipede: le zampe anteriori erano più corte (circa metà delle posteriori). Probabilmente si nutriva di piccoli rettili e insetti, ma anche di vegetali. Era un veloce corridore.
FABROSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Piccoli erbivori bipedi. Erano veloci corridori. Avevano zampe posteriori estremamente allungate e una coda rigida e lunga.
ITTIOSAURI
Regno: Animalia Classe: Reptilia Nei mari apparvero rettili marini simili al delfino per le pinne, la coda e la pinna dorsale. Superavano i 7 m di lunghezza, non avevano branchie e respiravano l’aria attraverso le narici. Non andavano mai sulla terraferma e davano alla luce piccoli vivi in acqua. Il più grande, lo SHONISAURUS, era lungo 55 m.
MAMMIFERI Regno: Animalia Superclasse: Tetrapoda Classe: Mammalia Classe di vertebrati a diffusione cosmopolita. Conta più di 5.400 specie viventi, di forma variabile e dimensioni dai pochi cm agli oltre 30 m. Di questa classe fa parte l’essere umano. Le caratteristiche di questa classe sono: presenza di pelo e allattamento della prole.
MEGAZOSTRODO
Classe: Synapsida Infraclasse: Mammaliaformes E’ considerato il più antico mammifero. Ricordava vagamente il toporagno In tutto il Mesozoico i mammiferi rimasero piuttosto piccoli. E’ un anello di collegamento tra i CINODONTI e i mammiferi propriamente detti. Era lungo circa 12 cm e si nutriva di piccoli rettili e insetti. Aveva i sensi dell’olfatto e dell’udito molto sviluppati e probabilmente era un animale notturno.
CINODONTI
Regno: Animalia Classe: Synapsida Ordine: Therapsida Avevano quasi tutte le caratteristiche dei mammiferi, ma deponevano ancora le uova. E’ probabile che fossero a sangue caldo, e che fossero coperti di pelo.
POSTOSUCO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Infraclasse: Archosauria Era uno dei più grossi predatori vissuti duranti il Triassico e riusciva a intimorire senza troppe difficoltà i piccoli dinosauri come il Celofisio. Era lungo 5 – 6 metri. Era quadrupede e riusciva difficilmente ad alzarsi sulle zampe posteriori. Usava così la tecnica dell’agguato.
FITOSAURI
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Infraclasse: Archosauria Rettili estinti simili ai coccodrilli, ma non strettamente imparentati con essi. Avevano la gola e la schiena protette da pesanti placche ossee. Non trascinavano la coda, come invece fanno i coccodrilli. Avevano le narici poste in alto, davanti agli occhi. Potevano stare immersi in agguato lasciando emergere solo le narici.
CELOFISIO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Piccolo dinosauro carnivoro. Il nome significa “forma cava”, perché aveva ossa cave. Era lungo fino a 3 m e alto poco più di 1 m. Aveva una struttura leggera ed agile, fatta per la velocità. Si nutriva di lucertole, anfibi e insetti.
PLATEOSAURUS
Regno: Animalia Classe: Archosauria Superordine: Dinosauria Era un erbivoro precursore dei sauropodi (collo lungo). Era lungo fino a 9 m. Solitamente procedeva a quattro zampe nutrendosi dei vegetali che crescevano a terra, ma a volte si ergeva sulle zampe posteriori per raggiungere i rami alti.
PROGANOCHELIDE
Regno: Animalia Classe: Reptilia Ordine: Testudines È una delle più antiche tartarughe marine scoperte. Era lunga circa un metro. Aveva un becco corneo privo di denti, e siccome non poteva ritirare la testa e la coda nel carapace, queste erano rivestite di spine.
CYMBOSPONDYLUS
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Ordine: Ichthyosauria Rettile marino estinto dell’ordine degli Ittiosauri, lungo fino a 9 m. E’ anche chiamato” lucertola di mare”: aveva un corpo snello e lungo con pinne e coda. Poteva emergere dall’acqua per respirare ossigeno attraverso i polmoni. Nuotava dimenando il corpo da destra a sinistra, come le anguille e i serpenti marini, suoi diretti discendenti.
AMMONITE
Regno: Animalia Phylum: Mollusca Gruppo di cefalopodi estinti. Sono animali di ambiente marino che avevano una conchiglia esterna formata di carbonato di calcio. La conchiglia era divisa in camere, di cui il mollusco abitava solo l’ultima. Le altre erano camere d’aria riempite di gas, per controllare il galleggiamento. Era simile quindi ai nautiloidi tuttora viventi. Erano carnivori.
BELEMNITI
Regno: Animalia Phylum: Mollusca Cefalopodi marini estinti, lontani parenti di polpi, seppie e calamari. Avevano una conchiglia interna di forma conica o cilindrica. Non avendo pesanti gusci esterni erano veloci nuotatori. Erano carnivore e si nutrivano di crostacei e pesci.
GINKGO
Regno: Plantae Phylum: Ginkgophyta In questo periodo conifere e cicadofite erano abbondanti sugli altipiani, mentre felci ed equiseti vivevano nelle pianure, nelle vicinanze dei laghi e dei fiumi. L’albero del Ginkgo, che esiste ancora oggi ed è considerato un fossile vivente, apparve in questo periodo. Si tratta di una conifera, che ha foglie che in inverno ingialliscono e cadono. E’ un albero molto resistente.
GIURASSICO 199.000.000 – 145.500.000 di anni fa. Dopo la grande estinzione della fine del Triassico, i dinosauri diventano gli animali terrestri dominanti. Il clima lentamente tornò ad essere tropicale ed umido. Apparvero paludi, laghi e corsi d’acqua, e crebbero fitti boschi. I rettili, in questa grande abbondanza alimentare, raggiunsero dimensioni incredibili. Il periodo è, infatti, famoso per la grande varietà di dinosauri che ha invaso tutti gli ambienti disponibili.
DILOFOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Superordine: Dinosauria E’ un buon esempio di primo dinosauro giurassico. Era un carnivoro lungo fino a 7 m e alto 4 m. Aveva creste ossee doppie alla sommità della testa. Era molto agile e si spostava correndo sulle zampe posteriori.
ARCHAEOPTERIX
Regno: Animalia Classe: Aves Il suo nome significa ‘ala antica’. E’ il più antico uccello. Era carnivoro. Poteva arrivare ad una lunghezza massima di 0,5 m, ma aveva un’apertura alare di circa 2 m. Le penne erano già molto evolute. Possedeva molti tratti dei dinosauri carnivori, come i denti nel becco e la lunga coda. Non era un buon volatore: forse planava semplicemente tra i rami degli alberi.
SEISMOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Superordine: Dinosauria E’ stato uno dei più grandi dinosauri sauropodi, forse il più grande animale terrestre di tutti i tempi. Aveva una lunghezza di circa 38 metri e un peso di 80 tonnellate. Viste le enormi dimensioni si decise di chiamarlo “rettile terremoto”, perché sicuramente, camminando, faceva tremare la terra.
CENTROSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Grossi dinosauri carnivori comparsi alla fine del Giurassico. Assomigliavano al rinoceronte unicorno.
ALLOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Era lungo fino a 12 m e alto circa 4 m. Nonostante la mole era molto agile e veloce, e riusciva a cacciare anche i sauropodi. Per questo motivo è chiamato il “leone dei Giurassico”. Era un classico teropode, con caratteristiche simili a quelle degli uccelli: sterno e vertebre del collo spugnose e cave, zampe artigliate.
STEGOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Dinosauri erbivori con tipiche piastre ossee distribuite lungo il dorso fino alla coda. Anche se il dorso era ben protetto, i fianchi erano vulnerabili. Era lungo circa 20 metri, aveva una testa piccola e mascelle deboli. Nella coda aveva un secondo cervello, che governava le zampe posteriori, e che era 20 volte più grande di quello che aveva nel cranio.
LIOPLEURODONTE Regno: Animalia Classe: Reptilia Rettile marino estinto e ottimo nuotatore. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza. Aveva una grande testa, collo corto, corpo cilindrico e zampe a forma di pagaia. Era un predatore carnivoro che si nutriva di ittiosauri, cefalopodi e grossi pesci.
AEGER Regno: Animalia Phylum: Arthropoda Subphylum: Crustacea Crostaceo fossile molto simile a un gamberetto, ora estinto. Non superava gli 8 cm di lunghezza e si nutriva di piccoli animali delle acque costiere.
PTEROSAURI
Regno: Animalia Classe: Reptilia Uno dei più importanti ordini estinti di rettili, e i primi vertebrati in grado di volare. Il nome significa “lucertole alate”. Le ali erano molto diverse da quelle degli uccelli: avevano il quarto dito della mano allungato in modo sproporzionato e una membrana di pelle che univa questo dito con i piedi. Probabilmente vivevano sulle alte scogliere e piombavano sull’acqua per cacciare pesci e piccoli animali marini, che afferravano coi denti lunghi e affilati.
PTERODATTILO Regno: Animalia Classe: Reptilia Ordine: Pterosauria Il suo nome significa “dito alato” ed è un genere di rettili volanti (pterosauri). Aveva un’apertura alare di 2,5 m. Come tutti gli pterosauri aveva ali formati da una membrana e ossa cave. Era molto leggero e poteva planare con facilità, anche se non poteva volare a lungo.
PLESIOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Gruppo di rettili acquatici estinti. Avevano un corpo largo, coda corta, collo lungo e zampe trasformate in pinne. Raggiungevano i 15 m di lunghezza e si nutrivano di pesci ed altre creature marine. Forse deponeva le uova sulla terraferma.
BRACHIOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Enorme erbivoro lungo 24 metri. Poteva allungare il collo ad un’altezza di 12 metri da terra. Poteva pesare più di 85 tonnellate, ma il suo cervello pesava soltanto 200 grammi. Per mantenere la sua mole trascorreva la sua esistenza mangiando.
MORGANUCODONTE
Regno: Animalia Superclasse: Tetrapoda Classe: Synapsida Piccolo tetrapode, spesso classificato tra i mammiferi primitivi, è uno dei più conosciuti tra i mammaliformi. Della taglia di un topo, era rivestito di pelo, era a sangue caldo, ed era un animale notturno che si cibava di uova, insetti e altri invertebrati.
CRETACEO 145.500.000 – 65.500.000. In questo periodo ci furono grandi eruzioni vulcaniche e si formarono le Montagne Rocciose, le Ande, le montagne dell’Antartide e del Nord-Est Asiatico. Entro la fine di questo periodo, i Continenti avevano ormai assunto un aspetto simile a quello odierno, il clima però continuava ad essere mite e caldo, e piante ed animali continuarono a moltiplicarsi. Questo periodo è anche chiamato Età dei Dinosauri, perché fu il periodo in cui questi animali dominavano la Terra.
ANGIOSPERME
Regno: Plantae Superdivisione: Spermatophyta Apparvero in questo periodo alberi simili al noce, al rovere, all’olmo, all’acero e alla magnolia. Quando le prime piante da fiore comparvero, ci fu un’esplosione di vita vegetale. Cespugli ed arbusti fornirono una migliore protezione per gli animali che vivevano sulla terraferma. I viburni, ad esempio, erano piante che somigliano all’odierno caprifoglio. La superficie della Terra si era finalmente rivestita di colori.
ARCHAEFRUCTUS Regno: Plantae Divisione: Angiospermae E’ un genere estinto di erbacee acquatiche da seme, ed è una delle prime piante da fiore (angiosperme). Non aveva sepali e petali, ma possedeva carpelli e stami.
TENONTOSAURUS
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Era un grande dinosauro erbivoro. Di forma pesante, aveva un’andatura quadrupede. Il collo era piuttosto lungo e aveva una coda muscolosa e lunghissima, che sfiorava i 4,5 m, mentre in totale l’animale era lungo circa 8 m. Forse la usava come strumento di difesa.
SAUROPOSEIDON
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria E’ stato forse l’animale più alto di tutti i tempi, raggiungendo i 18 m. Era simile al Brachiosauro, ma meno robusto: lungo circa 30 metri, pesava al massimo 70 tonnellate. E’ stato uno degli ultimi sauropodi. Era erbivoro.
CARNOTAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Era un grosso dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “toro mangia carne”, perché era provvisto di corna. Misurava circa 9 m di lunghezza, era alto circa 3 m e pesava circa 3 tonnellate. Aveva un’andatura bipede.
SPINOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Superordine: Dinosauria Dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “rettile spinoso”. Poteva raggiungere i 18 m di lunghezza. Forse utilizzava la sua vela (alta circa 2 m) nel corteggiamento, oppure per regolare la temperatura corporea. Non era un grande predatore, ed era più adatto alla pesca e alla necrofagia (cioè si nutriva di resti di animali morti).
LAMBEOSAURO
Regno: Animalia Superordine: Dinosauria Famiglia: Hadrosauridae Era un dinosauro erbivoro della famiglia degli Adrosauridi (dinosauri a becco d’anatra). Questo animale aveva una strana cresta ossea sulla testa. Aveva centinaia di piccoli denti aguzzi per frantumare aghi di pino, ramoscelli legnosi e semi. Quando si usuravano, venivano sostituiti.
MAIASAURA
Regno: Animalia Superordine: Dinosauria Famiglia: Hadrosauridae Era un dinosauro erbivoro. Il suo nome significa “buona madre lucertola” perché con esso sono stati trovati nidi fossili con uova e cuccioli di varie età. Aveva il becco degli adrosauridi e una piccola cresta sopra gli occhi. Era lungo circa 9 m, mentre le uova erano grandi come quelle di struzzo. Dovevano quindi crescere molto in fretta. Viveva in branchi.
PROTOCERATOPS
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Il suo nome significa “primo muso fornito di corno”. Era un dinosauro erbivoro di piccole dimensioni (Lungo meno di 2 m e alto 1 m). Aveva una testa imponente, corazzata, con un becco a pappagallo. Era un quadrupede discretamente veloce. E’ l’antenato di tutti i Ceratopsidi. Forse vivevano in branchi o gruppi familiari.
VELOCIRAPTOR
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Era un carnivoro bipede piumato con una lunga coda e un artiglio ricurvo su ogni zampa posteriore, che usava nella caccia. Misurava circa 3 m di altezza ed era lungo 6 m. Il fossile più famoso è stato trovato in Mongolia: si tratta di uno scheletro fissato mentre sta combattendo con un PROTOCERATOPS.
STIRACOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Dinosauro erbivoro, il suo nome significa “lucertola fornita di punte”. Misurava 5,5 m di lunghezza ed era alto circa 2,5 m. Fa parte dei Ceratopi (famiglia di dinosauri con la testa corazzata). La sua vistosa testa serviva come deterrente contro potenziali predatori. Viveva in branchi.
TYRANNOSAURUS REX
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria E’ stato il più grande carnivoro mai esistito: era lungo fino a 13 m e pesava fino a 7 tonnellate. Camminava su due enormi zampe, ed utilizzava la coda lunga e possente per aiutarsi a bilanciare il peso. Non era molto veloce. Era un carnivoro opportunista, cioè mangiava sia prede vive, sia resti di animali morti.
ANCHILOSAURI
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Furono gli animali terrestri più corazzati di tutti i tempi. Questi erbivori raggiungevano i 7 metri di lunghezza, e per una protezione ottimale stavano accucciati a terra. Avevano spine taglienti ed appuntite ai lati dal corpo, e una coda che terminava con un osso, per difendersi. I denti non erano forti e potevano nutrirsi solo di piante. Avevano zampe ungulate.
QUETZALCOATLO
Regno: Animalia Classe: Reptilia E’ uno dei più grandi rettili volanti scoperti. Il nome deriva da una divinità Maia, Quetzalcóatl, che aveva l’aspetto di un serpente piumato. Aveva un’apertura alare di 18 metri, pari cioè a quella di un aeroplano. Aveva il collo molto lungo. Probabilmente poteva alzarsi in volo e planare, ma cacciava a terra, forse poggiando su tutte e quattro le zampe.
ARGYROLAGUS
Regno: Animalia Classe: Mammalia Era un piccolo mammifero marsupiale. Aveva una tasca dove teneva i piccoli per allattarli durante la crescita. Aveva grandi zampe per saltare, orecchie grandi e una coda molto lunga. Era lungo circa 40 cm.
GRIFEA
Regno: Animalia Phylum: Mollusca Classe: Bivalvia Mollusco estinto, imparentato con l’attuale ostrica. Viveva distesa sul lato per poter aprire e chiudere il guscio.
TRICERATOPO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Erano dinosauri molto ben attrezzati per la battaglia: avevano due corna, lunghe un metro, sopra ciascuno degli occhi, e se attaccati erano molto aggressivi. Avevano un becco corneo ed erano erbivori. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza.
TILOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Famiglia: Mosasauridae Rettile marino estinto. Aveva corpo allungato, coda potente e grandi piedi palmati. I suoi denti potevano ricrescere, come quelli degli squali odierni. Aveva la mascella simile a quella dei serpenti di oggi, che poteva spalancare enormemente per ingoiare le prede.
CENOZOICO 65.500.000 anni fa – oggi E’ anche detto Età dei Mammiferi. Il nome deriva dal greco ‘ceno’ che significa recente, e zoico che si significa ‘vita’. I dinosauri si erano estinti e la superficie terrestre era coperta di piante da fiore. Era il momento più propizio per lo sviluppo dei mammiferi, che presero così in consegna la Terra. I primi erano molto piccoli, ma ben presto le loro dimensioni aumentarono. In Europa si divide in PALEOGENE (65,5 – 23,030 milioni di anni fa) e NEOGENE (23,030 milioni di anni fa – oggi).
PALEOGENE 65.500.000 – 23.030.000 di anni fa L’Europa e l’Asia erano in questo periodo separati dall’America come lo sono ora, ma continuava ad esistere un ponte di terra, probabilmente dove ora si trova lo Stretto di Bering. Si formarono l’Himalaya e le Alpi. L’Antartide scivolò dove si trova oggi e cominciò a ricoprirsi di ghiacci. In tutti gli altri continenti il clima era ancora caldo e tropicale, e la successiva era glaciale cominciò a preannunciarsi solo alla fine di questo periodo. I mammiferi presero possesso della Terra.
CONDILARTRI
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine di mammiferi placentati primitivi, poco specializzati, con dieta mista o erbivora, e dita provvista di piccoli zoccoli (anche nelle forme carnivore). Le nuove teorie però dimostrano che questo ordine è un raggruppamento improprio, molte delle famiglie che ne facevano parte sono state elevate al rango di Ordini a sé stanti.
PANTODONTI
Regno: Animalia Classe: Mammalia Gruppo di mammiferi arcaici, tra i più antichi erbivori, che si svilupparono dopo l’estinzione dei dinosauri. In principio di piccola taglia, e forse onnivori, divennero grandi animali completamente erbivori.
TEILHARDINA
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Primates Primate estinto appartenente simile al tarso. E’ tra i più antichi primati. Era molto piccola e pesava circa 100 g.
EOIPPO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Perissodattili Famiglia: Equidae Mammifero erbivoro estinto appartenente ai perissodattili. E’ uno degli equidi più antichi. Era alto meno di mezzo metro e non somigliava molto a un cavallo. Aveva il dorso arcuato, il muso corto e la coda lunga.
DIATRYMA
Regno: Animalia Classe: Aves Genere di uccelli preistorici carnivori alti circa 2 m. Vivevano nelle pianure e dal momento che non esisteva nessun altro grande predatore, non aveva rivali e si nutriva prevalentemente di piccoli mammiferi. Erano incapaci di volare. Poteva correre molto velocemente su due zampe, e utilizzava i piedi, dotati di artigli, per colpire la preda.
INDRICOTHERIUM
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Perissodattili Superfamiglia: Rhinocerotoidea Genere estinto di mammiferi che comprendeva giganteschi rinoceronti privi di corno. Più grande mammifero terrestre conosciuto: era alto 5,5 m e lungo 8 m. Era erbivoro. Dopo l’estinzione non ha lasciato discendenti.
ESPEROCIONE
Regno: Animalia Ordine: Mammalia Famiglia: Canidae Mammifero carnivoro (o forse onnivoro) estinto, appartenente alla famiglia dei canidi. Era lungo 80 cm, aveva un corpo basso e allungato e zampe esili e corte. La coda era molto lunga e flessibile. Ricordava più una donnola che un cane.
BRONTOTERIO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Perissodactyla Genere estinto di mammifero perissodattilo. Era erbivoro. Raggiungeva i 2,5 m di altezza. Sul muso aveva un corno a forma di V, simile a una fionda. Si estinse quando si diffusero le praterie, perché questa nuova vegetazione era dura e poco digeribile per lui.
PROAILURO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Famiglia: Felidae Mammifero carnivoro estinto appartenente ai felidi. Aveva un corpo allungato molto simile a quello di un gatto odierno.
MAGNOLIE
Regno: Plantae Famiglia: Magnoliaceae Genere di piante che comprende oltre 80 specie arboree e arbustive. Sono state tra le prime angiosperme comparse sulla Terra. Il Paleogene è stato un periodo caldo e umido, con climi tropicali e subtropicali anche nelle regioni più settentrionali. Le magnolie erano molto comuni.
BASILOSAURUS
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Cetacea Il suo nome significa “sauro imperatore”- E’ un genere estinto di cetaceo, lungo come una balena odierna (circa 18 m). Aveva un corpo serpentiforme e una testa relativamente piccola. Si nutriva di pesci, granchi e calamari.
MEGATERIO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Pilosa Genere estinto di mammiferi che comprendeva varie specie di bradipi terricoli giganti. Il suo nome significa “grande bestia”: era lungo fino a 6 m e pesava 4 tonnellate. Aveva un manto lanoso a pelo lungo. Era erbivoro e si nutriva delle foglie degli alberi.
EPICAMELO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Famiglia: Camelidae E’ un parente estinto del cammello. Aveva zampe molto lunghe e un lungo collo che forse veniva ripiegato a S come quello dei cigni. Raggiungeva i 3 m. Era molto veloce. Era un erbivoro che brucava le foglie più alte degli alberi.
LITOPTERNA
Regno: Animalia Classe: Mammalia Gruppo di Mammiferi estinti. Si sono evoluti in modo indipendente e si sono trovati soltanto in Sud America ed erano una via intermedia tra i cammelli ed i cavalli.
UINTATERIO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Dinocerata Mammifero erbivoro estinto lungo 4 m e alto 2 m. Ricordava vagamente un rinoceronte, anche se non era strettamente imparentato con esso. Aveva due grandi canini superiori, vagamente simili a quelli della tigre dai denti a sciabola.
CORIFODONTE
Regno: Animalia Classe: Mammalia Sottordine: Pantodonta Era molto simile all’ippopotamo odierno. Raggiungeva gli otto metri di lunghezza, e aveva zampe simili a quelle degli elefanti. I maschi avevano zanne che usavano nei combattimenti e per abbassare i rami delle piante. Vivevano vicino ai corsi d’acqua.
MOERITERIO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Proboscidea Era simile a un tapiro, lungo 3 m., e non può essere considerato un antenato vero e proprio dell’elefante. Aveva una corta proboscide e brevi zanne, ma i denti fanno pensare che si nutrisse di piante acquatiche.
NOTARCTO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Primates Primate preistorico molto simile a un lemure attuale. Era lungo circa 40 cm (esclusa la coda) e pesava circa 4 kg. Aveva incisivi, canini e molari. Mani e piedi erano dotati di pollici grandi e opponibili. Gli occhi erano nella parte anteriore della testa. Doveva essere un ottimo arrampicatore. Si nutriva delle foglie degli alberi. La lunga coda era prensile.
PALEOMASTODONTE
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Proboscidea Tra i più antichi animali con proboscide e antenato degli elefanti. Aveva il corpo tozzo e zanne sulla mascella superiore ed inferiore; quelle inferiori servivano probabilmente per scavare nel fango alla ricerca di cibo. Raggiungeva i 2 metri di altezza e poteva pesare fino a 2 tonnellate.
CREODONTI
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine estinto di mammiferi carnivori. Furono i carnivori terrestri dominanti per 20 milioni di anni. Somigliavano ai carnivori odierni: alcuni assomigliavano a gatti, altri a cani, a donnole, a orsi, e altro ancora.
ARTIODATTILI
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine di animali imparentati con ippopotamidi, suini, ruminanti, bovini e cetacei. Sono erbivori. La loro caratteristica è di avere un numero pari di dita. La zampa è retta dal terzo e quarto dito (mentre nei perissodattili il peso è sostenuto solo dal terzo dito). Le specie di questo ordine presenti in Italia oggi sono : camoscio, capra, muflone, stambecco, cinghiale, daino, capriolo e cervo.
IRACOTERIO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Perissodactyla Era lungo circa 60 cm e alto 20 cm. Aveva quattro dita munite di zoccolo nelle zampe anteriori, mentre le posteriori avevano tre dita. Aveva una spina dorsale arcuata e le zampe posteriori simili a quelle del coniglio. Era un erbivoro brucatore, che si nutriva di foglie soffici, frutti e noci.
NEOGENE 23.030.000 di anni fa – oggi. E’ la seconda parte del Cenozoico. All’inizio di questa Era il clima è tra i più caldi ed asciutti di sempre, e si sviluppano grandi praterie. E’ difficile da immaginare, ma prima di questo periodo la superficie terrestre non era coperta da ERBE, ma da piccole felci e altre piante. Si sono verificate in questo periodo quattro ere glaciali, separate da periodi interglaciali con temperature più calde. Oggi La Terra ora si trova in un periodo interglaciale.
PRATERIA: E’ un’area di terra con vegetazione composta da piante basse (soprattutto graminacee) ed erbe più o meno alte a seconda delle precipitazioni. Generalmente ci sono pochi alberi. Possono essere tropicali, temperate, umide, montane, polari, xeriche, naturali, seminaturali o coltivate.
ERBA: Con questo termine si indicano piante basse con fusto verde e non legnoso. Solitamente sono piante annuali, ma ne esistono anche di biennali e di perenni, che dopo l’appassimento della parte aerea, rinascono l’anno dopo grazie alla sopravvivenza della radice. Le più conosciute sono: ambrosia, cicoria, gramigna, trifoglio, verbena. Ci sono poi quelle aromatiche.
SMILODONTE
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Carnivora Famiglia: Felidae E’ il membro più noto delle tigri dai denti a sciabola, grandi felini dai lunghissimi canini superiori. Era lungo 2 m e alto 1,2 m. Si alimentavano di prede cacciate e carcasse. Cacciava tutti i grandi animali dell’epoca, compresi i mammut. Si nascondeva da pozze d’acqua, dove le sue prede erbivore andavano a bere.
UOMO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Primates Famiglia: Hominidae Nel Neogene apparvero sulla Terra i primi ominidi progenitori dell’Homo Sapiens, che è il nome scientifico della specie umana. Gli umani hanno un cervello molto strutturato, capace di un pensiero sviluppato sotto forma di creatività, ragionamento astratto, linguaggio e introspezione. Ha la postura eretta che rende liberi gli arti superiori.
MAMMUT LANOSO
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Proboscidea Specie estinta di elefante, che viveva nei freddi climi del nord. I maschi avevano lunghe zanne ricurve verso l’alto e all’indietro. Avevano una pelliccia lunga e folta, e al contrario degli elefanti odierni, orecchie e coda molto piccole. Non erano giganteschi, solo poco più grandi degli elefanti africani di oggi: circa 5 metri di lunghezza e 6 tonnellate di peso.
PERISSODATTILI
Regno: Animalia Classe: Mammalia Superordine: Ungulata Sono un ordine di mammiferi al quale appartengono il cavallo (e le forme affini), i rinoceronti e i tapiri. La caratteristica distintiva di questo gruppo di ungulati è la presenza di arti con dita dispari (il nome significa, infatti, “dita dispari”). Dovuta alla scomparsa di alcune di esse, che ha prodotto arti con asse portante sul terzo dito.
ELEFANTE
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine: Proiboscidea I progenitori di questo animale comparvero nel Paleogene ed erano il Moeriterio e il Deinoterio. Sono animali grigi di grande mole, con orecchie grande e mobili, due zanne prominenti e una proboscide, derivata dalla fusione di naso e labbro superiore. Sono erbivori.
PRIMATI
Regno: Animalia Classe: Mammalia Ordine di mammiferi placentati che comprende tarsi, lemuri, scimmie e l’uomo moderno. Tutti i primati hanno 5 dita su ogni zampa con un pollice opponibile, una dentatura non specializzata, visione a colori e binoculare (cioè occhi rivolti in avanti). Tra i più antichi primati c’erano la TEILHARDINA e il NOTARCTO.
_________________________
DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra
NOMENCLATURE MONTESSORI DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI per la scuola primaria. Ho preparato le nomenclature sui dinosauri, e un set di carte dei comandi, cioè un piccolo questionario a schede per il lavoro individuale, l’approfondimento e la ricerca. Il materiale fa parte del lavoro sulla seconda grande lezione Montessori.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI: una breve didascalia e l’immagine (cliccare sulle miniature per aprire il file). L’attività fa parte del lavoro successivo al racconto della seconda grande lezione Montessori.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI LABIDOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Comparsa: Permiano Rettile estinto, simile alle iguane odierne. Misurava circa 75 centimetri ed aveva un capo grosso, una coda piuttosto corta e un corpo massiccio. Probabilmente si nutriva di vegetali coriacei o di insetti coriacei, avendo una forte dentatura adatta a triturare.
DIMETRODONTE
Regno: Animalia Classe: Synapsida Comparsa: Permiano spesso confuso con i dinosauri, ma in realtà appartiene ai rettili che ha dato origine ai mammiferi. Era un feroce carnivoro che superava i 3 m di lunghezza. Aveva una vela dorsale formata da espansioni delle vertebre unite da una membrana di pelle. La vela serviva per regolare la temperatura corporea. Aveva denti di due misure: simili agli incisivi e ai canini. Questa differenziazione è tipica dei mammiferi e non è presente nei rettili.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI CYNOGNATHUS
Regno: Animalia Classe: Synapsida Comparsa: Permiano Il suo nome significa ‘mascella di cane’. Era un rettile carnivoro lungo fino a 2 metri, mentre in altezza non superava i 70 centimetri. Forse era provvisto di baffi, come il cane e il gatto. Mentre i rettili respirano tra un boccone e l’altro, questo animale aveva due canali di respirazione separati, uno che partiva dal naso e uno che partiva dalla bocca. In questo modo poteva mangiare e respirare contemporaneamente, come i mammiferi.
EDAFOSAURO
Regno: Animalia Classe: Synapsida Comparsa: Permiano Tetrapode fossile vissuto nel Permiano. Era un grosso erbivoro. Somiglia al Dimetrodonte, ma è molto diverso dal suo “cugino” carnivoro. Il cranio era più piccolo, e aveva piccoli denti a scalpello davanti, e smussati sul palato, per triturare il fogliame. Le sue vele erano poi più basse e robuste. Le sue dimensioni andavano dal metro ai 3,2 m.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI LISTROSAURO
Regno: Animalia Classe: Synapsida Comparsa: Triassico Dopo la grande estinzione di massa l’animale più comune era questo sinapside (anche detti rettili-mammiferi) appartenente ai Dicinodonti. Trovato in continenti diversi, fornisce la prova che essi sono stati collegati tra loro. Lungo circa 1 m, somigliava un po’ ad un maiale. Fu l’erbivoro più diffuso sul pianeta.
DINOSAURI Regno: Animalia Classe: Reptilia Comparsa: Mesozoico La parola deriva dal greco e significa ‘lucertola terribile’. Sono un gruppo di rettili molto diversificato che comparve nel Triassico e si estinse alla fine del Mesozoico (estinzione K-T) con l’eccezione del ramo dei TEROPODI che, evolvendosi, avevano già portato alla comparsa degli UCCELLI, considerati perciò dinosauri viventi. I dinosauri si separarono dal ramo degli ARCOSAURI duranti il Triassico.
EORAPTOR
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Triassico E’ il più antico dinosauro fossile, trovato in Argentina. Era lungo circa 1 m. Il suo nome significa ‘cacciatore dell’alba’. Era un carnivoro bipede: le zampe anteriori erano più corte (circa metà delle posteriori). Probabilmente si nutriva di piccoli rettili e insetti, ma anche di vegetali. Era un veloce corridore.
FABROSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Triassico Piccoli erbivori bipedi. Erano veloci corridori. Avevano zampe posteriori estremamente allungate e una coda rigida e lunga.
ITTIOSAURI
Regno: Animalia Classe: Reptilia Comparsa: Triassico Nei mari apparvero rettili marini simili al delfino per le pinne, la coda e la pinna dorsale. Superavano i 7 m di lunghezza, non avevano branchie e respiravano l’aria attraverso le narici. Non andavano mai sulla terraferma e davano alla luce piccoli vivi in acqua. Il più grande, lo SHONISAURUS, era lungo 55 m.
POSTOSUCO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Infraclasse: Archosauria Comparsa: Triassico Era uno dei più grossi predatori vissuti duranti il Triassico e riusciva a intimorire senza troppe difficoltà i piccoli dinosauri come il Celofisio. Era lungo 5 – 6 metri. Era quadrupede e riusciva difficilmente ad alzarsi sulle zampe posteriori. Usava così la tecnica dell’agguato.
FITOSAURI
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Infraclasse: Archosauria Comparsa: Triassico Rettili estinti simili ai coccodrilli, ma non strettamente imparentati con essi. Avevano la gola e la schiena protette da pesanti placche ossee. Non trascinavano la coda, come invece fanno i coccodrilli. Avevano le narici poste in alto, davanti agli occhi. Potevano stare immersi in agguato lasciando emergere solo le narici.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI CELOFISIO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Triassico Piccolo dinosauro carnivoro. Il nome significa “forma cava”, perché aveva ossa cave. Era lungo fino a 3 m e alto poco più di 1 m. Aveva una struttura leggera ed agile, fatta per la velocità. Si nutriva di lucertole, anfibi e insetti.
PLATEOSAURUS
Regno: Animalia Classe: Archosauria Superordine: Dinosauria Comparsa: Triassico Era un erbivoro precursore dei sauropodi (collo lungo). Era lungo fino a 9 m. Solitamente procedeva a quattro zampe nutrendosi dei vegetali che crescevano a terra, ma a volte si ergeva sulle zampe posteriori per raggiungere i rami alti.
CYMBOSPONDYLUS
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Ordine: Ichthyosauria Comparsa: Triassico Rettile marino estinto dell’ordine degli Ittiosauri, lungo fino a 9 m. E’ anche chiamato” lucertola di mare”: aveva un corpo snello e lungo con pinne e coda. Poteva emergere dall’acqua per respirare ossigeno attraverso i polmoni. Nuotava dimenando il corpo da destra a sinistra, come le anguille e i serpenti marini, suoi diretti discendenti.
DILOFOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Superordine: Dinosauria Comparsa: Giurassico E’ un buon esempio di primo dinosauro giurassico. Era un carnivoro lungo fino a 7 m e alto 4 m. Aveva creste ossee doppie alla sommità della testa. Era molto agile e si spostava correndo sulle zampe posteriori.
SEISMOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Superordine: Dinosauria Comparsa: Giurassico E’ stato uno dei più grandi dinosauri sauropodi, forse il più grande animale terrestre di tutti i tempi. Aveva una lunghezza di circa 38 metri e un peso di 80 tonnellate. Viste le enormi dimensioni si decise di chiamarlo “rettile terremoto”, perché sicuramente, camminando, faceva tremare la terra.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI CENTROSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Giurassico Grossi dinosauri carnivori comparsi alla fine del Giurassico. Assomigliavano al rinoceronte unicorno.
ALLOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Giurassico Era lungo fino a 12 m e alto circa 4 m. Nonostante la mole era molto agile e veloce, e riusciva a cacciare anche i sauropodi. Per questo motivo è chiamato il “leone dei Giurassico”. Era un classico teropode, con caratteristiche simili a quelle degli uccelli: sterno e vertebre del collo spugnose e cave, zampe artigliate.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI STEGOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Giurassico Dinosauri erbivori con tipiche piastre ossee distribuite lungo il dorso fino alla coda. Anche se il dorso era ben protetto, i fianchi erano vulnerabili. Era lungo circa 20 metri, aveva una testa piccola e mascelle deboli. Nella coda aveva un secondo cervello, che governava le zampe posteriori, e che era 20 volte più grande di quello che aveva nel cranio.
LIOPLEURODONTE Regno: Animalia Classe: Reptilia Comparsa: Triassico Rettile marino estinto e ottimo nuotatore. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza. Aveva una grande testa, collo corto, corpo cilindrico e zampe a forma di pagaia. Era un predatore carnivoro che si nutriva di ittiosauri, cefalopodi e grossi pesci.
PTEROSAURI
Regno: Animalia Classe: Reptilia Comparsa: Giurassico Uno dei più importanti ordini estinti di rettili, e i primi vertebrati in grado di volare. Il nome significa “lucertole alate”. Le ali erano molto diverse da quelle degli uccelli: avevano il quarto dito della mano allungato in modo sproporzionato e una membrana di pelle che univa questo dito con i piedi. Probabilmente vivevano sulle alte scogliere e piombavano sull’acqua per cacciare pesci e piccoli animali marini, che afferravano coi denti lunghi e affilati.
PTERODATTILO Regno: Animalia Classe: Reptilia Ordine: Pterosauria Comparsa: Giurassico Il suo nome significa “dito alato” ed è un genere di rettili volanti (pterosauri). Aveva un’apertura alare di 2,5 m. Come tutti gli pterosauri aveva ali formati da una membrana e ossa cave. Era molto leggero e poteva planare con facilità, anche se non poteva volare a lungo.
PLESIOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Comparsa: Giurassico Gruppo di rettili acquatici estinti. Avevano un corpo largo, coda corta, collo lungo e zampe trasformate in pinne. Raggiungevano i 15 m di lunghezza e si nutrivano di pesci ed altre creature marine. Forse deponeva le uova sulla terraferma.
BRACHIOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Giurassico Enorme erbivoro lungo 24 metri. Poteva allungare il collo ad un’altezza di 12 metri da terra. Poteva pesare più di 85 tonnellate, ma il suo cervello pesava soltanto 200 grammi. Per mantenere la sua mole trascorreva la sua esistenza mangiando.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI TENONTOSAURUS
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Era un grande dinosauro erbivoro. Di forma pesante, aveva un’andatura quadrupede. Il collo era piuttosto lungo e aveva una coda muscolosa e lunghissima, che sfiorava i 4,5 m, mentre in totale l’animale era lungo circa 8 m. Forse la usava come strumento di difesa.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI SAUROPOSEIDON
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo E’ stato forse l’animale più alto di tutti i tempi, raggiungendo i 18 m. Era simile al Brachiosauro, ma meno robusto: lungo circa 30 metri, pesava al massimo 70 tonnellate. E’ stato uno degli ultimi sauropodi. Era erbivoro.
CARNOTAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Era un grosso dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “toro mangia carne”, perché era provvisto di corna. Misurava circa 9 m di lunghezza, era alto circa 3 m e pesava circa 3 tonnellate. Aveva un’andatura bipede.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI SPINOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “rettile spinoso”. Poteva raggiungere i 18 m di lunghezza. Forse utilizzava la sua vela (alta circa 2 m) nel corteggiamento, oppure per regolare la temperatura corporea. Non era un grande predatore, ed era più adatto alla pesca e alla necrofagia (cioè si nutriva di resti di animali morti).
LAMBEOSAURO
Regno: Animalia Superordine: Dinosauria Famiglia: Hadrosauridae Comparsa: Cretaceo Era un dinosauro erbivoro della famiglia degli Adrosauridi (dinosauri a becco d’anatra). Questo animale aveva una strana cresta ossea sulla testa. Aveva centinaia di piccoli denti aguzzi per frantumare aghi di pino, ramoscelli legnosi e semi. Quando si usuravano, venivano sostituiti.
MAIASAURA
Regno: Animalia Superordine: Dinosauria Famiglia: Hadrosauridae Comparsa: Cretaceo Era un dinosauro erbivoro. Il suo nome significa “buona madre lucertola” perché con esso sono stati trovati nidi fossili con uova e cuccioli di varie età. Aveva il becco degli adrosauridi e una piccola cresta sopra gli occhi. Era lungo circa 9 m, mentre le uova erano grandi come quelle di struzzo. Dovevano quindi crescere molto in fretta. Viveva in branchi.
PROTOCERATOPS
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Il suo nome significa “primo muso fornito di corno”. Era un dinosauro erbivoro di piccole dimensioni (Lungo meno di 2 m e alto 1 m). Aveva una testa imponente, corazzata, con un becco a pappagallo. Era un quadrupede discretamente veloce. E’ l’antenato di tutti i Ceratopsidi. Forse vivevano in branchi o gruppi familiari.
VELOCIRAPTOR
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Era un carnivoro bipede piumato con una lunga coda e un artiglio ricurvo su ogni zampa posteriore, che usava nella caccia. Misurava circa 3 m di altezza ed era lungo 6 m. Il fossile più famoso è stato trovato in Mongolia: si tratta di uno scheletro fissato mentre sta combattendo con un PROTOCERATOPS.
STIRACOSAURO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Dinosauro erbivoro, il suo nome significa “lucertola fornita di punte”. Misurava 5,5 m di lunghezza ed era alto circa 2,5 m. Fa parte dei Ceratopi (famiglia di dinosauri con la testa corazzata). La sua vistosa testa serviva come deterrente contro potenziali predatori. Viveva in branchi.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI TYRANNOSAURUS REX
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo E’ stato il più grande carnivoro mai esistito: era lungo fino a 13 m e pesava fino a 7 tonnellate. Camminava su due enormi zampe, ed utilizzava la coda lunga e possente per aiutarsi a bilanciare il peso. Non era molto veloce. Era un carnivoro opportunista, cioè mangiava sia prede vive, sia resti di animali morti.
ANCHILOSAURI
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Furono gli animali terrestri più corazzati di tutti i tempi. Questi erbivori raggiungevano i 7 metri di lunghezza, e per una protezione ottimale stavano accucciati a terra. Avevano spine taglienti ed appuntite ai lati dal corpo, e una coda che terminava con un osso, per difendersi. I denti non erano forti e potevano nutrirsi solo di piante. Avevano zampe ungulate.
QUETZALCOATLO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Comparsa: Cretaceo E’ uno dei più grandi rettili volanti scoperti. Il nome deriva da una divinità Maia, Quetzalcóatl, che aveva l’aspetto di un serpente piumato. Aveva un’apertura alare di 18 metri, pari cioè a quella di un aeroplano. Aveva il collo molto lungo. Probabilmente poteva alzarsi in volo e planare, ma cacciava a terra, forse poggiando su tutte e quattro le zampe.
TRICERATOPO
Regno: Animalia Classe: Reptilia Superordine: Dinosauria Comparsa: Cretaceo Erano dinosauri molto ben attrezzati per la battaglia: avevano due corna, lunghe un metro, sopra ciascuno degli occhi, e se attaccati erano molto aggressivi. Avevano un becco corneo ed erano erbivori. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza.
TILOSAURO
Regno: Animalia Classe: Sauropsida Comparsa: Cretaceo Famiglia: Mosasauridae Rettile marino estinto. Aveva corpo allungato, coda potente e grandi piedi palmati. I suoi denti potevano ricrescere, come quelli degli squali odierni. Aveva la mascella simile a quella dei serpenti di oggi, che poteva spalancare enormemente per ingoiare le prede.
DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI
E' pronto il nuovo sito per abbonati: la versione Lapappadolce che offre tutti i materiali stampabili scaricabili immediatamente e gratuitamente e contenuti esclusivi. Non sei ancora abbonato e vuoi saperne di più? Vai qui!