Anche se sembra un gioco semplice, il mancala non è un gioco di fortuna, ma piuttosto di pianificazione strategica, stima e calcolo delle quantità. Nelle versioni di mancala più complesse si inserisce anche l’elemento della velocità, dando un vantaggio a chi ha mente e dita abbastanza agili da superare l’avversario.
Mancala in realtà non è un gioco, ma piuttosto una famiglia di giochi che condividono alcune regole di base che possono variare notevolmente per complessità, tanto da poter essere paragonabili al go asiatico o agli scacchi. In questo articolo parlo del mancala giocato con le regole del kalah (o kalaha), il più adatto ai bambini.
Il mancala è uno dei giochi da tavolo per due giocatori più antichi al mondo. Le tavole mancala più antiche sono state trovate in Giordania in un insediamento neolitico e risalgono al 6000 aC circa, epoca in cui gli uomini stavano iniziando a padroneggiare l’agricoltura e l’allevamento. Antichissime tavole mancala sono state rinvenute in tutta l’Africa e in Iran. La rara scoperta di queste tavole dimostra che il mancala è uno dei giochi più antichi, se non il più antico conosciuto dall’umanità, ma non chiarisce dove e quando abbia avuto origine, considerando che può essere giocato semplicemente scavando buche temporanee nel terreno e utilizzando semi deperibili che non lasciano tracce archeologiche.
Qualunque variante si giochi, due giocatori, distribuiscono le “pedine” (sassi, conchiglie, semi o perfino palline di sterco animale) all’interno di file di fori (case o pozzi) disposti parallelamente, e in qualunque cultura si giochi, queste pedine sono chiamate “semi” e il loro movimento da un foro all’altro viene definito “semina”. Questo suggerisce quali potrebbero essere le origini del gioco: piantare semi nel terreno.
Oltre ad essere uno dei giochi più antichi del mondo, è probabilmente anche uno dei più giocati: anche se in Europa è poco conosciuto, è diffusissimo in tutto il continente africano, in Asia e nelle Americhe. In Africa pare ci siano tante varianti di regole di gioco quanti sono i gruppi etnici o addirittura le città.
Il mancala assume in Africa anche significati magici e metaforici. Spesso il tavoliere rappresenta il villaggio, dove ogni buca è una capanna. I semi singoli vengono chiamati donne o vedove, due semi vengono chamati sposi, poi ci possono essere i capi, i bambini, il bestiame, ecc.
Perchè proporre il mancala ai bambini
affina la motricità fine e la coordinazione occhio-mano, impegnando i muscoli di tutta la mano
permette di esercitare le abilità di conteggio in modo divertente, raccogliendo e distribuendo i semi
insegna ad attendere e rispettare i turni
permette di esercitare l’abilità di stima di quantità
aiuta a sviluppare la capacità di fare previsioni, mettere in atto strategie, il ragionamento astratto ipotetico-deduttivo. Giocare a mancala richiede il conteggio mentale e la previsione del movimento dei semi sul tavoliere
stimola le capacità di attenzione e concentrazione
porta all’intuizione delle proprietà della moltiplicazione.
Giochiamo a mancala
Come dicevo, la variante di mancala che propongo ai bambini è quella giocata con le regole del kalah.
Il tavoliere può essere acquistato, o meglio può essere costruito con i bambini. E’ composto da due file di sei buche disposte parallelamente. A destra e a sinistra si trovano due buche più grandi, i granai. Il nostro è fatto con fondi di bicchierini di plastica e ciotoline incollate su un rettangolo di cartone. I semi sono soia.
Preparazione I giocatori siedono uno di fronte all’altro davanti al tavoliere. La fila di buche davanti ad ogni giocatore è la sua, e il suo granaio è quello alla sua destra. In ogni buca si mettono 4 semi, mentre i granai restano vuoti.
Scopo del gioco Vince chi al termine della partita ha collezionato il maggior numero di semi nel suo granaio.
Gioco
Il gioco procede in senso antiorario e si gioca a turno.
Semina
Quando è il suo turno, il giocatore prende in mano tutti i semi di una delle sue buche e li distribuisce in senso antiorario nelle buche successive, uno per buca. Se dopo aver distribuito i semi nelle sue buche e nel suo granaio avanzano semi, può continuare a distribuire i semi nelle buche dell’avversario, uno per buca. Se dopo aver distribuito i semi nelle sue buche, nel suo granaio e nelle buche dell’avversario avanzano semi, il giocatore continua la distribuzione tornando alle sue buche, ma non può mettere semi nel granaio dell’avversario. In altre parole la distribuzione continua finchè i semi non sono terminati, eventualmente saltando il granaio dell’avversario.
Tocca ancora a te
Se il giocatore riesce a depositare l’ultimo seme nel suo granaio, ha diritto ad un altro turno, può quindi prendere in mano tutti i semi di un’altra delle sue buche e distribuirli in senso antiorario nelle buche successive, uno per buca. Così tutte le volte che riuscirà a mettere l’ultimo seme di un mucchietto nel suo granaio.
Cattura
Se il giocatore riesce a mettere l’ultimo seme del suo mucchietto in una buca vuota della sua fila di buche, catturerà tutte le pietre dell’avversario che si trovano nella buca direttamente di fronte. Metterà quindi nel suo granaio i semi dell’avversario e il suo seme, e il turno passerà all’avversario.
Conclusione
Il gioco termina quando tutte le buche di uno dei due giocatori risultano vuote. Se l’altro giocatore ha ancora dei semi nelle sue buche, restano sue: può quindi prenderle e metterle nel suo granaio.
Cos’è il cubismo? Un corto animato di grande qualità di Tate Kids. In Inglese, ma è possibile guardarlo con i sottotitoli in Italiano con Youtube. Parla in particolare delle figure di Pablo Picasso e Georges Braque. La mia prima scelta perchè i bambini ne sono stati davvero catturati
Cos’è il cubismo? Della National Gallery of Scotland (Inglese con sottotitoli)
Abbiamo parlato del cubismo guardando e commentando insieme il video prodotto da Tate kids.
In preparazione all’uscita didattica al Museo Guggenheim di Venezia abbiamo osservato e commentato insieme le opere presenti nella collezione.
Abbiamo realizzato il nostro autoritratto cubista ispirato al cubismo analitico
Abbiamo realizzato il nostro autoritratto ispirato al cubismo sintetico
Contenuti per l’insegnante
Parigi, 1908. Tutti gli artisti sono impegnati ad inviare le loro opere ai giudici che stanno allestendo un’importante mostra. Uno di questi giudici è Henri Matisse, un pittore molto rispettato e che all’epoca era uno degli artisti più famosi al mondo.
Ecco che arriva un giovane artista, con sei opere che spera impressioneranno il comitato della mostra. Si chiama Georges Braque ed ha 26 anni. Colleziona manifesti. Di notte li stacca dai muri di Parigi. Oltre ad essere un artista, è molto bravo negli sport.
Quando Matisse vede i quadri di Braque li trova assurdi. “Sono fatti di piccoli cubi!”, dice… un critico d’arte lo sente e nomina questa nuova arte cubismo.
Il cubismo è stato ideato da due grandi amici: George Braque e Pablo Picasso. Avevano la stessa età, ma erano molto diversi. Georges lavorava molto lentamente ed aveva un carattere introverso e solitario; Pablo lavorava molto velocemente ed aveva un carattere aperto e socievole.
Ma sai chi erano i loro eroi? I fratelli Wright, che avevano da poco inventato una macchina volante, Picasso e Braque misero perfino dei riferimenti al volo nei loro quadri, ed anche loro volevano essere degli inventori: volevano inventare una nuova arte che stupisse le persone.
Si ispirarono all’arte di tutto il mondo: le sculture africane, le stampe giapponesi, le pitture rupestri.
Notarono che quando guardiamo qualcosa, possiamo vederla solo da un punto di vista, ad esempio solo di fronte, o solo di lato, o solo dall’alto… quindi, invece di provare a dipingere le cose come le vedevano, iniziarono a dipingere le cose come le potevano immaginare.
Per questo hanno dipinto oggetti visti da molti lati contemporaneamente ed hanno quindi appiattito tutte queste visioni in un’unica immagine. In questo modo potevano rivelare in un’unica immagine diversi lati delle cose: potevano rivelare diversi lati delle cose nello stesso momento.
Ci sono molti tipi di cubismo; i più importanti sono: . il cubismo analitico, che rompe la forma in forme geometriche. Nel cubismo analitico gli artisti sentono il colore come un elemento di distrazione, e per questo utilizzano solo i grigi ed i marroni . il cubismo sintetico, che è più creativo e si basa sull’immaginazione dell’artista. Torna il colore.
Diamo un’occhiata a un esempio di cubismo analitico.
Georges Braque-Glass on a table.
Braque ha dipinto un bicchiere su un tavolo, ma è difficile da individuare perchè il bicchiere e il tavolo sono mostrati da molte angolazioni diverse. Possiamo vedere la parte anteriore, posteriore e laterale del bicchiere, tutto allo stesso tempo. E’ come se fosse in una stanza degli specchi, o come se lo stessimo guardando con una vista ai Raggi X.
Ora ecco un esempio di cubismo sintetico, un collage di Pablo Picasso.
Bottle of Vieux Marc, Glass, Guitar and Newspaper 1913 Pablo Picasso 1881-1973 Purchased 1961 http://www.tate.org.uk/art/work/T00414
Quali oggetti possiamo individuare? Un giornale, una bottiglia, un bicchiere, una chitarra. Dove potremmo trovare tutte queste cose in un unico luogo? In un bar! E’ come un puzzle o un indovinello, Picasso si diverte. Ti dà indizi riguardo all’immagine che stai guardando. Osserva la chitarra: è davvero una chitarra? O sono parti di una chitarra? Picasso vuole che il tuo cervello metta insieme lo strumento.
In molti hanno provato a decifrare il cubismo nel corso degli anni, ma Picasso e Braque si sono sempre rifiutati di spiegarlo.
Altri artisti, oltre a Braque e Picasso, hanno iniziato a realizzare opere d’arte cubiste.
Questa, ad esempio, è una scultura di Henri Laurens:
Head of a Young Girl 1920 Henri Laurens 1885-1954 Presented by Gustav and Elly Kahnweiler 1974, accessioned 1994 http://www.tate.org.uk/art/work/T06807
E questo è un dipinto di Juan Gris:
Bottle of Rum and Newspaper 1913-4 Juan Gris 1887-1927 Presented by Gustav and Elly Kahnweiler 1974, accessioned 1994 http://www.tate.org.uk/art/work/T06808
Sonia e Robert Delaunay hanno inventato una versiona colorata del cubismo chiamata orfismo. Questo dipinto di Sonia Delaunay illustra una poesia che descrive un viaggio attraverso la Russia sull’Espresso Transiberiano. Hai presente quando guardi fuori dal finestrino di un treno in corsa? Quando il paesaggio si offusca e diventa di tanti colori diversi? Questo è ciò che Delaunay ti mostra nel suo dipinto.
Anche musicisti e scrittori sono stati ispirati dal cubismo.
Alla gente piaceva l’ottimismo del cubismo, il modo in cui offriva un nuovo modo di vedere le cose e di celebrare la vita moderna.
Poi, nel 1915, il cubismo si interruppe bruscamente con lo scoppio della prima guerra mondiale. Braque prestò servizio come soldato e fu ferito sul fronte occidentale. Picasso, nel frattempo, continuò a lavorare a Parigi e si interessò ad altre idee rivoluzionarie come il surrealismo.
Dopo la guerra Picasso e Braque si separarono, ma per sei entusiasmanti anni, dal 1908 al 1914, questi due artisti hanno creato qualcosa di rivoluzionario, un modo completamente nuovo di guardare il mondo.
Autoritratto secondo il cubismo analitico
Per ogni bambino scattiamo tre primi piani del volto: uno frontale, uno di profilo e uno dall’alto. Stampiamo le immagini
Dividiamo le tre immagini in tante forme diverse, cercando di mantenere intatti gli elementi principali del volto (occhi, nasi, orecchie, bocche)
Incolliamo gli elementi ritagliati su un cartoncino bianco, accostando le varie parti dei volti nel modo che più ci piace
Osserviamo la nostra composizione: noteremo che nel nostro collage si sono create delle linee che possiamo marcare con l’aiuto di un pennarello nero e un righello. Evidenziamo anche nasi, occhi, bocche e orecchie
quindi riempiamo gli spazi bianchi utilizzando tempera esclusivamente nei colori bianco, marrone e nero
Autoritratto secondo il cubismo sintetico
Per ogni bambino scattiamo tre primi piani del volto: uno frontale, uno di profilo e uno dall’alto. Stampiamo le immagini
Mettiamo un foglio di carta da lucido su ogni immagine e utilizzando un pennarello nero tracciamo i tre ritratti
Dividiamo le tre immagini in tante forme diverse, cercando di mantenere intatti gli elementi principali del volto (occhi, nasi, orecchie, bocche).
Tracciamo delle linee guida su un foglio bianco, quindi Incolliamo gli elementi ritagliati accostando le varie parti dei volti nel modo che più ci piace, tenendo come punto di riferimento le linee tracciate
Dipingiamo il nostro collage con i colori a tempera
Per eruzione vulcanica s’intende la fuoriuscita sulla superficie terrestre, in maniera più o meno esplosiva, di magma (una volta eruttato il magma prende il nome di lava) ed altri materiali gassosi provenienti dal mantello o dalla crosta terrestre. In genere un’eruzione vulcanica avviene o dal cratere principale di un vulcano o dai crateri secondari presenti nell’edificio vulcanico.
Con questo esperimento scientifico i bambini possono visualizzare l’aumento di pressione che si crea nella “camera magmatica” del vulcano per azione del calore e la conseguente fuoriuscita di gas e bombe vulcaniche.
una brocca d’acqua (all’acqua potete aggiungere colorante rosso e del detersivo per piatti)
un tappo di gomma da provette per la beuta
un tappo di gomma da provette per l’imbuto
un fornelletto da esterno
materiali leggeri come argilla espanza, terriccio da cactus, pezzetti di corteccia ecc.
Preparazione
1. praticare un foro al centro del tappo di gomma grande e inserire l’imbuto
2. riempire la beuta con 500 ml di acqua, quindi inserire sul collo della beuta il tappo con l’imbuto. Premere bene per fissarlo saldamente
3. appoggiare il tappo di gomma piccolo sull’apertura dell’imbuto, senza spingere. NON PREMERLO! (la beuta potrebbe esplodere)
4. riempire l’imbuto di materiali secchi (sempre senza spingere)
Esecuzione dell’esperimento
1. recarsi all’esterno (considerate che l’eruzione raggiunge vari metri di altezza, quindi meglio farlo all’aperto per evitare di colorare il soffitto!)
2. porre la beuta sul fornelletto
3. accendere il fornelletto e attendere a qualche metro di distanza
L’eruzione vulcanica fa parte della serie di esperimenti che vengono proposti durante la prima grande lezione cosmica in relazione alla formazione del pianeta Terra
Naturalmente questo esperimento deve essere eseguito da un adulto, mentre i bambini osservano, ma vale davvero la pena proporlo perchè è una rappresentazione più fedele alla realtà rispetto al vulcano bicarbonato di sodio e aceto. Inoltre l’eruzione è davvero spettacolare.
Esperimento scientifico: una candela che succhia l’acqua.
Scopo
Dimostrare che la combustione consuma ossigeno.
Età
Dai 6 anni.
Materiali
Un piatto o un contenitore di plastica candeline da compleanno un vaso di vetro trasparente pasta da modellare acqua colorata.
Note di sicurezza
Insegnare ai bambini come utilizzare i fiammiferi in sicurezza. Eseguire l’esperimento lontano da materiali infiammabili e legarsi i capelli.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la combustione consuma ossigeno
. per fissare la candelina al piatto possiamo usare un po’ di cera fusa oppure una pallina di pasta da modellare. Mettiamo quindi una candela in verticale in mezzo al piatto
. riempiamo il piattino con acqua e accendiamo la candela
. capovolgiamo un vaso trasparente sulla candela accesa
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni
. i bambini scopriranno che dopo alcuni secondi la candela si spegne, quindi il livello dell’acqua inizia a salire
. ripetiamo l’esperimento, ma questa volta con due candeline accese
. quando si spegneranno avranno risucchiato più acqua
. accendiamo tre candele e ripetiamo:
. proviamo con 5 candeline e un vaso più grande:
. quando si spegneranno avranno risucchiato tantissima acqua. L’effetto sarà velocissimo e davvero sorprendente
Osservazioni e conclusioni
Mentre le candeline bruciano all’interno del vaso, il calore fa espandere l’aria. Il vaso si riempie lentamente con l’aria calda che occupa più spazio rispetto all’aria fredda, quindi parte di essa fuoriesce dal vaso. Quando le candeline bruciano reagiscono con l’ossigeno presente nell’aria, questo riduce la quantità di ossigeno e aumenta la quantità di anidride carbonica nel vaso. L’ossigeno costituisce solo il 20% dell’aria e una candela smetterà di bruciare quando il livello di ossigeno scenderà a circa il 15%. Quando le candeline si spengono nel vaso, l’aria al suo interno si raffredda. Mentre l’aria si raffredda, la pressione all’interno del vetro diminuisce perché quando i gas si raffreddano si restringono. L’effetto del raffreddamento dei gas è molto maggiore della semplice perdita di ossigeno. Inoltre, parte dell’anidride carbonica formata dalla fiamma si dissolve nell’acqua, diminuendo ulteriormente la pressione. L’acqua al di fuori del vaso viene spinta nel vaso dalla pressione più alta dell’esterno rispetto all’interno del vaso.
Questo esperimento mostra una reazione da ossidazione e la pressione dell’aria.
Materiali
Pagliette non saponate aceto una bottiglia di vetro trasparente un palloncino.
Età
Dai 6 anni.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento mostra una reazione di ossidazione
. prendiamo alcuni fili di lana d’acciaio da una paglietta e mettiamoli in una bottiglia di vetro trasparente
. versiamo dell’aceto (o succo di limone) sulla lana d’acciaio
. fissiamo un palloncino sulla bocca della bottiglia e lasciamo riposare
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
L’aceto rimuove il rivestimento dalla lana d’acciaio, quindi l’acciaio, in presenza di ossigeno, inizia ad ossidarsi Mentre la reazione avviene, il palloncino verrà spinto nella bottiglia, perché la reazione di ossidazione consuma l’ossigeno contenuto nella bottiglia, riducendo la pressione al suo interno. Poiché la pressione all’esterno della bottiglia è maggiore della pressione all’interno della bottiglia, questa spingerà il pallone verso l’interno.
Osservare come un combustibile brucia in presenza di ossigeno, ma non in presenza di anidride carbonica.
Età
Dai 9 anni.
Materiali
Piattini due bottigliette di vetro lievito in polvere bastoncini per spiedini in legno e accendino oppure fiammiferi lunghi bicarbonato di sodio aceto o succo di limone due bicchierini acqua ossigenata.
Note di sicurezza
Insegnare ai bambini come utilizzare i fiammiferi in sicurezza. Eseguire l’esperimento lontano da materiali infiammabili e legarsi i capelli.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che un combustibile brucia in presenza di ossigeno, ma non in presenza di anidride carbonica
. mettiamo sul tavolo le due bottigliette una accanto all’altra
. riempiamo la prima bottiglietta per circa un terzo con acqua ossigenata e aggiungiamo del lievito
. agitiamo la bottiglietta con delicatezza, copriamola con un bicchiere capovolto, e lasciamo riposare per circa 10 minuti
. versiamo nella seconda bottiglietta 4 cucchiaini di bicarbonato e aceto bianco o succo di limone, versandolo poco alla volta. Copriamo anche questa bottiglietta con un bicchiere capovolto
. accendiamo la punta dello spiedino (o un lungo fiammifero) e aspettiamo che si formi una bella brace prima di spegnere
Togliamo il bicchiere dalla prima bottiglietta e inseriamo lentamente il bastoncino: la fiamma si riaccenderà
. passiamo il bastoncino acceso nella seconda bottiglietta: il fuoco si spegnerà
Possiamo ripetere l’esperimento più volte finché l’ossigeno non si esaurirà completamente nella prima bottiglietta
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
Nella prima bottiglietta il contatto tra acqua ossigenata e lievito produce ossigeno perché l’acqua ossigenata è un veleno per il lievito. Il lievito si difende dall’acqua ossigenata trasformandola in composti innocui, cioè in acqua e ossigeno, per l’azione degli enzimi della perossidasi. L’ossigeno è un comburente, cioè aiuta la fiamma a bruciare, e per questo il bastoncino si accende. Nella seconda bottiglietta l’aceto e il bicarbonato di sodio subiscono una reazione chimica che porta alla formazione di anidride carbonica e di sodio acetato, un sale che rimane in soluzione. L’anidride carbonica ostacola il fuoco soffocando la combustione, ed è per questo che il bastoncino si spegne.
Osservare che la candela brucia in presenza di ossigeno, ma non in presenza di anidride carbonica.
Materiali
Candele di compleanno o candele a stelo aceto o succo di limone lievito secco in polvere vaso di vetro pulito cucchiaio fiammiferi piccolo pezzo di pasta da modellare o cera.
Note di sicurezza
Insegnare ai bambini come utilizzare i fiammiferi in sicurezza.
Età
Dai 6 anni.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe.
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la candela brucia in presenza di ossigeno, ma non in presenza di anidride carbonica
. prendiamo un piccolo pezzetto di pasta da modellare e pressiamolo bene sul fondo del primo barattolo
. incastriamo bene una candelina nella pasta
. versiamo con cura un cucchiaio di lievito dentro il vaso, tutto intorno alla candela, distribuendolo uniformemente
. accendiamo la candela con un fiammifero
. versiamo lentamente e delicatamente una piccola quantità di aceto nel barattolo
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
La candela brucia per un po’ e poi si spegne. L’atmosfera terrestre è formata da vari gas, tra i quali ossigeno, azoto e anidride carbonica. L’ossigeno e l’azoto sono leggeri. L’ossigeno ha la proprietà di aiutare il fuoco a bruciare. L’anidride carbonica è più pesante degli altri gas e non permette alle sostanze di bruciare in sua presenza. Quando aggiungiamo l’aceto al lievito, le due sostanze reagiscono tra loro. Questa reazione produce anidride carbonica, che è più pesante dell’ossigeno, e per questo riempie la parte più bassa del vaso, spingendo via l’ossigeno. Quando l’anidride carbonica prodotta dalla reazione riempie il vaso, la fiamma della candela si spegne. Il fuoco, infatti, non può ardere in presenza di anidride carbonica. La fiamma della candela si spegne quando non ha più ossigeno da bruciare. Lo stesso principio si applica agli estintori, che sono riempiti di anidride carbonica sotto pressione. Gli estintori infatti soffocano gli incendi togliendo l’ossigeno al fuoco.
Dimostrare che l’acqua e i metalli assorbono calore impedendo a oggetti infiammabili di bruciare.
Età
Dai 9 anni.
Materiali
Candela accendino o fiammiferi 2 Palloncini una moneta filo di cotone 2 scatoline di carta 2 sacchetti di plastica 2 bicchieri di plastica acqua (eventualmente colorata con coloranti alimentari o acquarelli) mascherina.
Note di sicurezza
Eseguire l’esperimento all’aperto o in una stanza ben aerata. Insegnare ai bambini come utilizzare i fiammiferi in sicurezza. Indossare una mascherina.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che l’acqua e i metalli assorbono calore impedendo a oggetti infiammabili di bruciare
. accendiamo la candela
. mettiamo un pezzetto di filo di cotone sulla fiamma della candela: brucerà
. prendiamo un altro pezzo di filo, leghiamogli una moneta e mettiamolo sulla fiamma: il filo non brucerà
. mettiamo una scatolina sulla fiamma: brucerà
. versiamo dell’acqua in un’altra scatolina e mettiamola sulla fiamma: la scatolina non brucerà
. mettiamo un bicchiere sulla fiamma: brucerà
. mettiamo delle monete in un altro bicchiere e mettiamolo sulla fiamma: il bicchiere non brucerà
. gonfiamo un palloncino e mettiamolo sulla candela: esploderà. Mettiamo un po’ d’acqua in un altro palloncino e gonfiamolo
. avviciniamo lentamente il palloncino alla candela: il palloncino non esploderà
. mettiamo un sacchetto sulla fiamma: brucerà
. mettiamo dell’acqua in un altro sacchetto e mettiamolo sulla fiamma: il sacchetto non brucerà
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
L’acqua assorbe molto bene il calore. Le pareti sottilissime del palloncino consentono al calore di attraversarle senza problemi e riscaldare l’acqua all’interno. L’acqua più vicina alla fiamma si riscalda e inizia a salire, così l’acqua più fredda la sostituisce e assorbe il calore della candela. Il lo scambio di acqua calda e fredda continua a circolare all’interno del palloncino, che per questo motivo non scoppia. La fuliggine sul fondo del pallone è in realtà carbonio che si è depositato lì dalla combustione dello stoppino: questa fuliggine rende il palloncino più resistente al fuoco. Usare l’acqua per controllare il calore è un processo molto interessante: il nostro corpo, ad esempio, si raffredda espellendo il sudore.
Indagare l’effetto di diversi liquidi sulla tensione superficiale dell’acqua.
Età
Dai 6 anni.
Materiali
Sapone liquido vari liquidi domestici, ad esempio: aceto, latte, olio da cucina, balsamo, soia di salsa vaschetta del ghiaccio o portauova un cartone del latte pepe macinato o altra spezia cotton fioc o bastoncini per spiedini teglia o ampio contenitore.
Note di sicurezza
Dopo l’esperimento gettare l’acqua saponata per evitare che venga accidentalmente ingerita.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento indaga l’effetto di diversi liquidi sulla tensione superficiale dell’acqua
. prepariamo un vassoio per cubetti di ghiaccio o un contenitore per uova con una piccola quantità di diversi liquidi domestici in ogni compartimento
. mettiamo un po’d’acqua in un piatto fondo. Cospargiamo la superficie dell’acqua con pepe macinato o altra spezia
. immergiamo un’estremità del cotton fioc in un liquido alla volta e proviamo ad immergerla nell’acqua, osservando il risultato
. da ultimo immergiamo il cotton fioc imbevuto di sapone liquido
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni e scegliamo quale liquido è il migliore
. prendiamo un contenitore vuoto del latte e ritagliamo una barchetta lunga circa 4 cm. Ritagliamo una piccola tacca sul retro della barchetta
. riempiamo una teglia con acqua
. posizioniamo la barchetta sulla superficie dell’acqua
. immergiamo un cotton fioc nel detersivo liquido e usiamolo per toccare l’acqua vicina alla parte posteriore della barca
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
La superficie dell’acqua è un po’ come la superficie di un palloncino gonfio. Nel palloncino ogni molecola della gomma le molecole che le stanno intorno. La superficie dell’acqua è simile perché ogni molecola d’acqua tira le molecole che le stanno intorno. Se si conficca uno spillo in un palloncino, la gomma si allontana da quel punto. Qualcosa di simile accade quando si mette del sapone sulla superficie dell’acqua. Quando mettiamo il sapone accanto al retro della barchetta, l’acqua si muove la parte posteriore della barca è spinge la barca in avanti, proprio come i gas caldi che escono dal fondo di un razzo lo spingono verso l’alto. In natura, quando un uccello sbatte le ali preme verso il basso l’aria, e di conseguenza va verso l’alto. Quando nuotiamo le braccia spingono l’acqua all’indietro e questo è ciò che ci fa muovere in avanti. Nel caso della barchetta alimentata a sapone, l’acqua viene spinta all’indietro dal sapone, e per questo la barca va avanti. Senza sapone, l’acqua tira la barca da tutte le direzioni, e di conseguenza il suo movimento è minimo.
Dimostrare le proprietà della tensione superficiale dell’acqua.
Età
Dai 6 anni.
Materiali
Uno stuzzicadenti shampoo una bacinella d’acqua forbici.
Note di sicurezza
Dopo l’esperimento gettare l’acqua saponata per evitare che venga accidentalmente ingerita.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra le proprietà della tensione superficiale dell’acqua
. arrotondiamo una delle punte dello stuzzicadenti con le forbici e usiamola per tamponare un po’ di shampoo
. mettiamo lo stuzzicadenti nella bacinella
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
Lo stuzzicadenti inizierà a muoversi nella direzione della punta appuntita. Lo shampoo contiene agenti che riducono la tensione superficiale dell’acqua. Non appena lo shampoo sulla punta dello stuzzicadenti si scioglie, riduce la tensione superficiale dell’acqua attorno, liberando così la presa dell’acqua su quella estremità dello stuzzicadenti. L’acqua attorno all’altra estremità dello stuzzicadenti ha ancora tensione superficiale, quindi tira lo stuzzicadenti in quella direzione.
Dimostrare le proprietà della tensione superficiale dell’acqua.
Età
Dai 6 anni.
Materiali
Un vaso cilindrico pieno d’acqua talco detersivo per i piatti.
Note di sicurezza
Dopo l’esperimento gettare l’acqua saponata per evitare che venga accidentalmente ingerita.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra l’azione della tensione superficiale
. riempiamo il vaso di acqua e cospargiamo di talco la superficie dell’acqua
. il talco galleggerà sulla superficie: la tensione superficiale dell’acqua è tale da trattenere le piccole particelle di polvere sulla superficie
. ora mettiamo una goccia di detersivo per piatti nell’acqua
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
Il sapone rompe la tensione superficiale dell’acqua permettendo talco di cadere nell’acqua. È interessante da guardare: la polvere cadrà semplicemente attraverso il foro creato dal sapone: il resto continuerà a rimanere in cima all’acqua, come neve che cade da una nuvola.
Acqua un piatto fondo pepe macinato (o altre spezie in polvere) detersivo liquido.
Note di sicurezza
Dopo l’esperimento gettare l’acqua saponata per evitare che venga accidentalmente ingerita. Non toccarsi gli occhi e il naso dopo aver maneggiato il pepe.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la tensione superficiale
. versiamo l’acqua nel piatto
. cospargiamo la superficie dell’acqua con pepe macinato
. versiamo una goccia di detersivo per i piatti sulla punta di un dito
. tocchiamo con la punta del dito la superficie dell’acqua, al centro del piatto
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni. Cosa è successo? Perché?
Osservazioni e conclusioni
La maggior parte dei granelli di pepe è sfrecciata ai lati del piatto e alcuni granelli sono caduti sul fondo. La prima domanda da porsi è: “Perché i fiocchi di pepe galleggiano? Perché non affondano o si dissolvono nell’acqua?” Il pepe è idrofobo, cioè l’acqua non è attratta dal pepe, e per questo il pepe non può dissolversi in essa. I granelli di pepe galleggiano perché le molecole d’acqua si attraggono tra di loro e sulla superficie si comportano come un sottile film elastico. Poiché i fiocchi di pepe sono leggeri e idrofobi, la tensione superficiale li fa galleggiare sopra. La domanda successiva a cui pensare è: “Perché il pepe fugge ai bordi del piatto quando il sapone tocca l’acqua?” Il sapone riduce la tensione superficiale dell’acqua, riducendo la reciproca attrazione delle molecole d’acqua. Lungo i bordi del piatto, lontani dal sapone, la tensione superficiale dell’acqua non cambia, quindi attrae il pepe. Il sapone quindi rompe la tensione superficiale e quando la tensione superficiale si rompe, il pepe viene tirato verso i bordi del piatto. L’acqua da sola non è in grado di eliminare lo sporco da un piatto o un tessuto. I detersivi hanno grandi proprietà: si dissolvono nell’acqua, riducendo la reciproca attrazione delle sue molecole, mentre attirano e legano insieme piccole particelle di sporco. In questo modo, lo sporco viene staccato dal piatto o dal tessuto e disperso in acqua, e questo consente un lavaggio efficace.
Conoscere i processi coinvolti nella produzione della ricotta.
Età
Dai 6 anni.
Materiali
2 parti di kefir 1 parte di latte intero.
Si può utilizzare kefir pronto oppure prepararlo con i granuli di fungo tibetano per kefir
Note di sicurezza
Spiegare ai bambini come evitare i pericoli legati uso dei fornelli e di materiali molto caldi.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento ci aiuterà a conoscere i processi coinvolti nella produzione della ricotta
. portiamo il latte a ebollizione, quindi versiamo il kefir e mescoliamo. Il coagulo dovrebbe iniziare ad apparire dopo pochi secondi
. mescoliamo delicatamente tenendo il fuoco basso
. i grumi diventano sempre più grandi e il siero di latte si separa dai grumi
. mettiamo una garza o un panno di lino o un pezzo di collant in un colino e scoliamo il nostro composto
. facciamo gocciolare bene il siero
. quindi mettiamo la ricotta in un piatto
. condiamo con sale e se vogliamo aggiungiamo spezie a piacere e olio
. dopo la produzione di ricotta avremo come avanzo di produzione il siero di latte. Il siero di latte contiene molto calcio e altri sali minerali. Sfortunatamente, non ha un buon sapore. Puoi provarlo a bere, oppure darlo ai tuoi animali domestici (ai miei gatti piace) o usarlo per innaffiare le piante.
Osservazioni e conclusioni
Il latte è costituito da acqua, zuccheri, proteine (tra le quali la caseina), grassi e sali minerali uniti in una miscela chiamata colloide.
Un colloide è una miscela che non si separa col passare del tempo (come l’acqua e la sabbia) e nemmeno può essere separata con un normale filtraggio.
Normalmente le molecole di caseina si respingono a vicenda, ma se il pH del latte diminuisce, le molecole di caseina si attraggono improvvisamente l’una con l’altra. Questo le fa aggregare tra loro a forme una sostanza che non è latte, ma cagliata.
Questo processo è detto coagulazione.
Il liquido che rimane dopo la coagulazione è il serio di latte.
Il pH del latte può essere abbassato in diversi modi. Nella nostra ricetta abbiamo abbassato il pH aggiungendo il kefir, che è acido.
Il kefir avvia il processo di coagulazione e il calore accelera la reazione.
Comprendere che lo yogurt è il sottoprodotto di batteri che digeriscono il lattosio nel latte.
Materiali
Un litro di latte 4 cucchiai colmi di yogurt con fermenti lattici attivi bagno di acqua calda o sole estivo normale attrezzatura da cucina garza termometro da cucina (opzionale).
Note di sicurezza
Spiegare ai bambini come evitare i pericoli legati uso dei fornelli e materiali molto caldi.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che lo yogurt è il sottoprodotto di batteri che digeriscono il lattosio nel latte
. riscaldiamo il latte a fuoco molto basso senza portarlo a ebollizione (dovrebbe essere intorno agli 80° C)
. togliamo il latte dal fuoco e lasciamolo raffreddare (fino a 45 ° C)
. aggiungiamo lo yogurt al latte e mescoliamo bene
. prepariamo una vaschetta di plastica con acqua calda (45°), versiamo il composto in più vasetti di vetro e immergiamoli nell’acqua calda
. in estate mettiamo la vaschetta al sole, in inverno teniamola su di un termosifone per 8-12 ore
. in estate possiamo anche semplicemente versare il composto in un vaso di vetro e metterlo in un luogo caldo e in ombra per 12 ore
. filtriamo con una garza se vogliamo uno yogurt più denso prima di gustare in nostro yogurt, teniamolo un paio d’ore in frigorifero
. mangiamolo al naturale o aggiungendo i nostri frutti preferiti
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
I batteri che “producono” yogurt più conosciuti sono: Lactobacillus acidophilus, Bifido bacterium, Lactobacillus bulgaricus e Lactobacillus casei. Grazie all’azione di questi batteri il latte cambia la sua composizione e diventa più digeribile. Questi batteri partecipano anche alla produzione di alcune vitamine nel tratto digestivo, formano una barriera protettiva contro i microrganismi patogeni, possono essere mangiati anche da persone allergiche al latte vaccino. Lo yogurt è il prodotto che deriva dalla fermentazione batterica del latte. Quando acquisti yogurt che contiene “fermenti lattici attivi”, significa che in quello yogurt sono ancora presenti batteri viventi. Alimentando questi batteri e mantenendoli alla loro temperatura ottimale, essi mangeranno, si moltiplicheranno e trasformeranno il latte in yogurt. I batteri utilizzati nella produzione dello yogurt metabolizzano il lattosio, uno zucchero presente nel latte, per produrre energia e creare acido lattico come prodotto di scarto. Questo acido aiuta a dare allo yogurt la tipica consistenza e il sapore che conosciamo. Quando riscaldiamo il latte le catene che formano le sue proteine si rilasciano. Raffreddando il intorno ai 45 gradi, arriviamo alla temperatura ottimale affinché i batteri dello yogurt subiscano il metabolismo. Poichè i batteri producono gradualmente acido lattico, le proteine si trasformano gradualmente in solidi e si coagulano delicatamente in una rete di catene. Questa rete è in grado di intrappolare il liquido all’interno e il prodotto finale è un gel liscio che si rafforza nel tempo. Tempi di fermentazione più lunghi produrranno uno yogurt più acido e più forte. Filtrando il prodotto si ottiene uno yogurt più denso perché la filtrazione separa fisicamente la cagliata solida dal siero di latte liquido. Il grasso del latte non partecipa a questo processo, ma influenza la consistenza e il sapore del prodotto finale. Se abbiamo accesso a un microscopio a luce composta, possiamo osservare i batteri dello yogurt ad alto ingrandimento. Per preparare il vetrino usare lo stuzzicadenti per spalmare una piccola quntità di yogurt sul vetrino, aggiungere una goccia d’acqua e fermare col vetrino coprioggetto. In generale, questi batteri si presentano in due forme principali: a forma di stelo oblungo (Lactobacillus) o a forma di piccola sfera (Streptococco).
Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:
Conoscere i processi coinvolti nella produzione del burro.
Età
Dai 4 anni.
Facciamo il burro coi bambini Materiali
. panna (la più grassa che trovi) . un vaso di vetro o plastica con coperchio a tenuta grande 3 volte almeno la quantità di panna . una bottiglia di plastica (facoltativa) . una ciotola . acqua corrente.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Facciamo il burro coi bambini Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. almeno cinque ore prima di eseguire l’esperimento tiriamo la panna fuori dal frigo, in modo che al momento di utilizzarla sia a temperatura ambiente
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. versiamo la panna nel barattolo e avvitiamo il coperchio con cura. Per iniziare si può usare una bottiglia di plastica, e poi travasare la panna in un vaso
. iniziamo a scuotere il barattolo (o la bottiglia) avanti e indietro, finché non si forma il burro: questa operazione potrebbe richiedere da 5 a 20 minuti
. scegliendo una colonna sonora per questa fase, e passandosi il barattolo a turno tra più bambini, scuotere il barattolo sarà più divertente
. di tanto in tanto chiediamo ai bambini di guardare all’interno del barattolo
. la panna si ispessisce gradualmente man mano che scuotiamo il barattolo. Ad un certo punto diventerà così densa che si muoverà molto meno mentre scuotiamo: la panna sarà diventata panna montata. In questa fase la panna potrebbe rivestire le pareti del barattolo, e può essere il momento di travasare la panna dalla bottiglia al barattolo
. continuiamo a scuotere il barattolo, finché non sentiremo come uno sciabordio. A questo punto infatti il burro si sarà separato dal siero. Questo cambiamento avviene all’improvviso, in pochi secondi
. il burro sarà di un colore giallo pallido, mentre il liquido sarà chiaro e lattiginoso. Il contenuto del barattolo sarà ben visibile adesso perché agitando il siero laverà le pareti del barattolo mentre il grumo solido di burro sbatterà di qua e di là
. apriamo il barattolo, vuotiamolo del liquido e rimettiamo il coperchio. Scuotiamo nuovamente per separare altro liquido dal burro. Ripetiamo l’operazione più volte
. togliamo il pezzo di burro dal barattolo e mettiamolo in una ciotola di acqua fredda
. laviamoci le mani e impastiamo delicatamente il burro per rimuovere eventuale altro siero presente
. ripetiamo più volte, usando ogni volta acqua fredda pulita. Questa operazione è molto importante, perché se non rimuoviamo accuratamente il liquido dal burro, questo non potrà conservarsi molto a lungo e diventerà presto rancido
. mettiamo il burro in un contenitore e poniamolo una decina di minuti in frigorifero
. spalmiamo un po’ del nostro burro su dei cracker o sul pane, così i bambini potranno assaggiarlo
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
Quando scuotiamo la panna abbastanza a lungo, i piccoli globuli di grasso che contiene si legano tra loro e inglobano le proteine, formando una sostanza solidificata: il burro. Il liquido residuo è il siero. Il latte di mucca appena munto è composto da panna e latte insieme. La panna è meno densa del latte, quindi galleggia sulla superficie e può essere rimossa. Il latte scremato è il latte rimasto dopo la rimozione della panna.
Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:
Esperimento scientifico: legumi in crescita giorno per giorno.
Scopo
Osservare germinazione e crescita di un fagiolo.
Età
Dai tre anni.
Materiali
Barattoli o vasetti di yogurt garze, panno-carta, tessuto leggero o collant elastici fagioli.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che con questo esperimento osserveremo germinazione e crescita di un fagiolo
. versiamo l’acqua nel primo vaso
. copriamo il barattolo con una garza e fermiamola con un elastico (oppure utilizziamo carta, filtri per caffè ecc.). Posiamo i fagioli in modo che restino sollevati ma a contatto con l’acqua
. al posto della garza possiamo usare filtri di carta o sacchetti per alimenti e carta assorbente
. possiamo preparare vari contenitori con più fagioli di varietà diverse. Questo aumenterà le probabilità di successo dell’esperimento
. mettiamo una brocca d’acqua o un piccolo annaffiatoio accanto ai barattoli, così i bambini potranno prendersi cura dei fagioli ogni giorno
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni per le tre settimane successive, poi le piantine saranno pronte per il trapianto il vaso.
Osservazioni e conclusioni
. giorno 1: i fagioli cominciano a gonfiarsi
. giorno 5. Iniziano a germogliare
. giorno 7: il germoglio cresce
. giorno 11: spuntano le prime foglie e le radici secondarie
. giorno 12: le foglie si innalzano verso la luce e le radici crescono
. giorno 18: le foglie crescono e ne spuntano di nuove. Anche le radici crescono
. giorno 22: foglie e radici continuano a crescere. Le foglie sono già abbastanza grandi …
. giorno 25. Il nostro seme è diventato una pianta sana e bella 🙂
Variante
Vuoi che il bambino visualizzi tutta la sequenza dal vivo? Pianta ogni giorno un fagiolo in un vasetto diverso. Spettacolare!
Dimostrare il processo di assorbimento e traspirazione che avviene nelle piante.
Materiali
Alcuni garofani bianchi (o cavolo cinese, o gambi di sedano con le foglie, o altri fiori bianchi) colorante alimentare acqua di rubinetto bicchieri o vasetti di vetro trasparente.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra il processo di assorbimento e traspirazione che avviene nelle piante
. decidiamo di quale colore ci piacerebbe far diventare il nostro fiore
. riempiamo il contenitore di vetro con acqua di rubinetto
. aggiungiamo il colorante alimentare all’acqua
. mettiamo il fiore scelto nell’acqua colorata
. possiamo eseguire questo esperimento con più fiori e più vasetti, mettendo in ognuno un colore diverso
. se utilizziamo il sedano o il cavolo cinese (o un fiore con un gambo abbastanza grosso,) possiamo provare a colorare lo stesso gambo con colori diversi, tagliando il gambo in due sezioni e immergendo ognuna in un colore diverso
. per osservare i risultati di questo esperimento bisognerà essere pazienti: per alcuni fiori serviranno poche ore, per altri potrebbero essere necessari 1 o 2 giorni
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
L’acqua viaggia verticalmente lungo gli steli e raggiunge foglie e fiori. Lo possiamo appurare con questo esperimento: l’acqua colorata del bicchiere arriva a colorare foglie e fiori. Nelle piante non sono presenti strutture che spingono l’acqua dal basso verso l’alto, ma processi chimico fisici diversi agiscono insieme per permettere all’acqua di raggiungere fiori e foglie. Questi processi sono: osmosi, capillarità, traspirazione.
L’acqua del terreno passa per osmosi all’interno delle radici attraversando la loro membrana cellulare. All’interno delle radici c’è una concentrazione di sali maggiore di quella del terreno, e per questo la pressione aumenta. la membrana costituita dalle cellule epidermiche: si crea un gradiente di concentrazione tra l’esterno (soluzioni poco concentrate nel terreno) e l’interno della pianta (soluzioni molto concentrate nelle cellule). La pressione che si crea si chiama “pressione radicale”, ed è abbastanza forte da spingere l’acqua fino ad altezze maggiori di quanto permetta la capillarità.
Se consideriamo i minuscoli diametri dei vasi in cui scorrono acqua e sali minerali, è chiaro che la capillarità svolge un ruolo importante nella salita dell’acqua dalla radice alla foglia. Tuttavia, anche la capillarità e la pressione radicale insieme non basterebbero a far salire l’acqua fino alla cima di un sequoia.
Il terzo elemento che permette all’acqua di salire all’interno della pianta è la pressione negativa che si crea nella pianta per effetto della traspirazione, cioè l’evaporazione dell’acqua dalle foglie. L’evaporazione avviene perché il sole, scaldando le foglie, porta l’acqua dallo stato liquido a quello gassoso (vapore).
Più del 90 per cento dell’acqua assorbita da una pianta viene persa per traspirazione, cioè eliminata attraverso le foglie. Questo processo che potrebbe sembrare uno spreco di energia e di acqua, genera nei vasi una depressione che aspira i liquidi verso l’alto.
La depressione dipende dalla dimensione della chioma e dall’intensità del calore solare, ma si calcola che può raggiungere le 15 atmosfere, cioè permette la risalita dei liquidi fino agli oltre 100 metri delle sequoie. Proviamo a mettere un vaso in una stanza buia e una in una stanza soleggiata: quali garofani traspirano di più? Saremo in grado di dirlo perché il fiore con il colore più intenso sarà quello che ha traspirato di più.
Osservare la germinazione del grosso seme dell’avocado.
Età
Dai 3 anni.
Materiali
Stuzzicadenti un bicchiere o un vasetto carta casa coltello un sacchetto per alimenti acqua.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento mostrerà come si sviluppa una pianta di avocado a partire dal seme
. rimuoviamo il seme da un avocado e laviamolo delicatamente in acqua tiepida. . determiniamo la direzione in cui il nostro seme deve essere posto nell’acqua. Il fondo è più largo e ha una piccola rientranza al centro, ed è da lì che si formeranno le nuove radici
. usiamo gli stuzzicadenti per infilzare la parte superiore del seme di avocado, quindi immergiamolo in un piccolo vasetto d’acqua assicurandoci che il fondo sia rivolto verso il basso
. mettiamo il bicchiere in un luogo caldo lontano dalla luce solare diretta.
Altri modi per far germogliare un seme di avocato sono:
. tagliare mezzo centimetro ad ogni estremità del seme prima di metterlo in acqua
. avvolgere il seme in triplo foglio di carta casa, mettere in sacchetto per alimenti e aggiungere acqua (se gli altri metodi non funzionano, ho sperimentato che questo è infallibile)
. chiediamo ai bambini di osservare il seme nelle due settimane successive.
Osservazioni e conclusioni
. dovremmo vedere che le radici e lo stelo iniziano a germogliare non prima di 8 settimane
. la parte superiore del seme di avocado si ridurrà di volume e formerà una fessura
. la fessura si estenderà fino al fondo del seme
. nella fessura nella parte inferiore, inizierà a emergere un piccolo fittone
. il fittone continuerà a crescere e potrebbe formare delle diramazioni
. un piccolo germoglio sboccherà nella parte superiore del seme
. quando la radice avrà una lunghezza di circa 15 centimetri, tagliamola circa a metà per rinforzarla
. aspettiamo che la radice si ingrossi e il fusto abbia foglie nuove, quindi piantiamolo in vaso lasciando il seme a metà scoperto e annaffiandolo frequentemente
. non dimentichiamo che più luce del sole la pianta riceve, meglio è.
Usare gli steli del dente di leone per dimostrare l’osmosi e introdurre i concetti di idrofilo e idrofobo.
Materiali
Denti di leone appena colti una bacinella d’acqua.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra l’osmosi
. prendiamo uno stelo di dente di leone e dividiamolo nel senso della lunghezza tirando in direzioni opposte
. poniamo gli steli divisi in contenitore pieno d’acqua e osserviamo i gambi arricciarsi assumendo forme di spirale
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
L’interno dello stelo del dente di leone è idrofilo, cioè assorbe acqua. La parola idrofilo significa “amante dell’acqua”. L’interno dello stelo è infatti la parte che assorbe l’acqua. Quando mettiamo lo stelo diviso nella bacinella, l’interno dello stelo ha la possibilità di assorbire davvero tanta acqua. Attraverso il processo di osmosi l’acqua passa dalla bacinella alle cellule dell’interno dello stelo. L’esterno dello stelo è idrofobo, cioè respinge l’acqua. La parola idrofobo significa “che odia l‘acqua. Così mentre le cellule idrofile (interne) assorbono acqua e si gonfiano, le cellule idrofobe (esterne) rimangono della stessa dimensione. La dimensione maggiore delle cellule su un lato del gambo forza lo stelo ad arricciarsi in varie forme.
Esperimento scientifico: l’arcobaleno in una stanza.
Scopo
In questo esperimento rifrangiamo la luce del sole attraverso l’acqua.
Età
Dai 4 anni.
Materiali
Luce del sole torcia contenitore trasparente specchietto vecchio cd fogli di carta bianca acqua.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe.
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la luce che percepiamo come bianca è composta dai colori dell’arcobaleno
. in una stanza in penombra illuminiamo un contenitore pieno d’acqua con la torcia
. proviamo varie angolazioni finché non vedremo apparire sul muro un piccolo arcobaleno
. ora usciamo all’aperto o andiamo in una stanza ben illuminata dai raggi del sole e versiamo l’acqua in un contenitore trasparente riempendolo circa a metà
. immergiamo lo specchietto in modo che la parte immersa dello specchietto venga colpita dai raggi del sole
. incliniamo lo specchietto finché non vedremo il nostro arcobaleno, quindi appendiamo in foglio di carta bianca per vederlo meglio
. lasciamo il foglio bianco appeso e proviamo a inclinare un cd in modo che riceva i raggi del sole
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
La luce, quando viene rifratta nel modo giusto, si separa nei colori che la compongono. Con la parola rifrazione intendiamo il modo in cui la luce si piega quando passa attraverso mezzi diversi, come il vetro o l’acqua. La luce che di appare bianca è una combinazione di tutti i colori visibili. Quindi, quando la luce si piega, tutti i suoi componenti (rosso, arancione, giallo, verde, blu e indaco) si piegano. Ognuno di questi colori si piega con un’angolazione diversa perché ogni colore viaggia a una velocità diversa all’interno dell’acqua o del vetro.
Un arcobaleno è un’eccellente dimostrazione della rifrazione della luce. Dopo o durante la pioggia, puoi vedere un arcobaleno se la luce del sole colpisce le goccioline d’acqua nell’aria ad una certa angolazione.
L’effetto dei nostri esperimenti non somiglia esattamente all’arcobaleno che vediamo nel cielo dopo la pioggia, ma condivide con esso le stesse caratteristiche generali per quanto riguarda i colori e il loro ordine. I nostri esperimenti e l’arcobaleno che appare nel cielo condividono gli stessi principi: la rifrazione e la riflessione.
Nella prima parte dell’esperimento, rifrangiamo la luce della torcia attraverso l’acqua. Quando facciamo brillare la luce bianca della torcia o del sole nell’acqua, la luce si piega. A seconda del tipo di torcia che abbiamo a disposizione l’effetto sarà più o meno marcato.
Nella seconda parte dell’esperimento i diversi colori della luce solare vengono rifratti da diversi angoli perché hanno lunghezze d’onda diverse. Di conseguenza, quando la luce bianca viene rifratta, viene separata in diversi colori, fenomeno che prende il nome di “dispersione”. Quando riflettiamo la luce fuori dall’acqua usando lo specchio, riflettiamo la stessa luce bianca ma scomposta dalla rifrazione nei colori dell’arcobaleno.
Nella terza parte dell’esperimento la luce non viene rifratta, ma diffranta. Nella rifrazione, come abbiamo visto, la luce subisce una deviazione passando da un mezzo a un altro. Nella diffrazione la luce non cambia mezzo, ma devia il suo percorso perché nel mezzo sono presenti degli ostacoli.
Il cd si comporta come un reticolo di diffrazione, uno strumento ottico usato in laboratorio per separare i colori della luce. In un cd le informazioni sono immagazzinate in una singola traccia a forma di spirale, molto densa, che corre dal centro al bordo del disco. I solchi del cd deviano e diffondono la lucei in modo diverso per le diverse lunghezze d’onda, cioè per i diversi colori: i colori si sparpagliano in modo simile alle onde del mare quando arrivano all’imboccatura di un porto: incontrando l’ostacolo, si irradiano in tutte le direzioni, interferendo non solo fra loro ma anche con quelle in arrivo.
I reticoli di diffrazione sono presenti anche in natura. Per esempio, i colori iridescenti delle piume del pavone, della madreperla, le ali delle farfalle e di altri insetti.
Perché i tramonti sono rosso arancio e il cielo azzurro?
Scopo
Dimostrare che la luce del sole si riflette urtando le molecole sospese nell’aria, il che rende il nostro cielo blu e i nostri tramonti rossi, facendo brillare una torcia attraverso bastoncini di colla a caldo.
Età
Dai 5 anni.
Materiali
Una piccola torcia bastoncini di colla a caldo fogli di carta bianca nastro adesivo trasparente.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la dispersione della luce nell’atmosfera
. mettiamo dei fogli di carta in fila sul tavolo
. mettiamo la torcia e un bastoncino di colla sui fogli bianchi
. teniamo la torcia vicino ad un’estremità di un bastoncino di colla a caldo, di modo che la luce risplenda attraverso la colla
. notiamo che l’estremità del bastoncino più vicina alla luce è di un colore diverso rispetto all’altra estremità: appare più bianca mentre la parte più lontana appare più gialla
. fissiamo insieme due bastoncini di colla e teniamoli insieme con del nastro adesivo trasparente
. ripetiamo la nostra indagine accendendo la torcia e notiamo le differenze di colore lungo i bastoncini
. continuiamo ad aggiungere bastoncini di colla legandoli col nastro adesivo e continuiamo ad i cambiamenti di colore e intensità lungo i bastoncini nella loro lunghezza complessiva. Noteremo che la luce diventa via via più rossa e fioca lungo i bastoncini fissati insieme, man mano che la luce si allontana dalla torcia
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
La torcia emette luce bianca, che è la somma dei colori dello spettro luminoso. Il bastoncino di colla diffonde la luce blu della torcia leggermente più di quanto non diffonda la luce gialla o rossa. Questo fa sì che l’estremità del bastoncino più vicino alla torcia ci appaia di colore bluastro mentre vedremo l’altra estremità gialla-arancione. Quando aumentiamo la lunghezza aggiungendo altri bastoncini, una maggior quantità di luce blu viene dispersa, e l’estremità lontana dalla torcia assume un colore arancione. Abbiamo realizzato un modello del fenomeno chiamato scattering (in italiano diffusione ottica o dispersione), grazie al quale vediamo il cielo azzurro e i tramonti rosso-arancio Il cielo è blu perché la luce blu è più facilmente dispersa nella nostra atmosfera, proprio come la luce blu della nostra torcia è stata più facilmente dispersa nei bastoncini di colla. Al tramonto il sole è basso, vicino all’orizzonte, e la luce viaggia attraverso un maggiore spessore di atmosfera di quanto non faccia quando il sole è alto nel cielo. La luce della torcia viaggiando nei bastoncini di colla diventava più rossa man mano si allontanava dalla torcia. Allo stesso modo il tramonto appare rosso quando il percorso della luce solare si allunga. Il sole produce luce bianca, che è costituita dalla luce di tutti i colori: rosso, arancione, giallo, verde, blu e viola. Anche la nostra torcia produce luce bianca. La luce è un’onda e ognuno di questi colori corrisponde a una frequenza diversa e quindi a una diversa lunghezza d’onda della luce. I colori nello spettro luminoso sono disposti in base alle loro frequenze: la luce viola e blu hanno frequenze più alte di quella gialla, arancione e rossa. Quando la luce bianca del sole splende attraverso l’atmosfera terrestre, si scontra con le molecole di gas. Queste molecole diffondono la luce. Più è corta la lunghezza d’onda della luce, più è dispersa dall’atmosfera. Poiché la sua lunghezza d’onda è molto più breve, la luce blu è sparsa circa dieci volte di più della luce rossa. La frequenza della luce blu, rispetto alla luce rossa, è più vicina alla frequenza di risonanza degli atomi e delle molecole che compongono l’aria. Cioè, se gli elettroni legati alle molecole nell’aria vengono spinti, oscillano con una frequenza naturale che è persino più alta della frequenza della luce blu. La luce blu spinge gli elettroni con una frequenza vicina alla loro frequenza di risonanza naturale, che provoca la radiazione della luce blu in tutte le direzioni in un processo chiamato scattering. La luce rossa che non è dispersa continua nella sua direzione originale. La luce viola ha una lunghezza d’onda ancora più corta della luce blu. Allora, perché il cielo non è viola? In base al colore che subisce di più il fenomeno dello scattering, il cielo dovrebbe essere viola. Ci appare blu perché la nostra sensibilità ai colori di fa captare il viola in modo molto debole, mentre percepiamo in modo intenso il blu, presente in grande quantità e facilmente percepibile dai nostri fotorecettori specializzati a captare il blu, il verde e il rosso. Lord John Rayleigh, alla fine del 1800, capì che il colore blu del cielo era il risultato di un fenomeno chiamato scattering: l’atmosfera non assorbe la luce, ma le molecole in sospensione la riflettono, e questa riflessione è più pronunciata per le lunghezze d’onda più corte, cioè il blu e il viola, alla fine dello spettro visibile. Gli esperimenti di Newton con i prismi avevano dimostrato, duecento anni prima, che la luce bianca è composta dai colori dello spettro visibile: il rosso, l’arancio, il giallo, il verde, il blu e il violetto. Mentre la luce attraversa l’atmosfera, gli atomi assorbono e riemettono luce. Non cambia l’intensità della luce, ma la direzione: e questo cambio di direzione, che chiamiamo scattering, è 10 volte più intenso per il viola rispetto al rosso. È quello che chiamiamo scattering selettivo o scattering di Rayleigh (dal nome di chi l’ha studiato per primo). La luce blu ha una lunghezza d’onda breve e ad alta frequenza, così viene diffusa molto facilmente. Quando guardiamo il cielo, tutta la luce che vediamo è stata diffusa, cioè redirezionata verso i nostri occhi. Siccome vediamo solo questa, ci appare blu.
Perchè i tramonti sono rosso arancio? Un esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Scopo
Dimostrare che i tramonti ci appaiono rosso-arancio a causa delle lunghezze d’onda dei colori dello spettro solare e del movimento della terra intorno al sole.
Età
Dai 5 anni.
Materiali
Un contenitore trasparente acqua sostanza lattiginosa (sapone, latte, latte in polvere, yogurt, cera per pavimenti, ecc.) una torcia elettrica che emetta luce bianca una stanza buia.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che i tramonti ci appaiono rosso-arancio a causa delle lunghezze d’onda dei colori dello spettro solare, e del movimento della terra intorno al sole
. mettiamo il contenitore dove possa essere osservato da tutti i lati
. riempiamolo per ¾ con acqua. Mettiamo la torcia accesa contro una parete del contenitore così suo raggio passi attraverso l’acqua. Proviamo a individuare il fascio di luce nell’acqua: si potranno vedere particelle di polvere, tuttavia sarà piuttosto difficile individuare esattamente il fascio
. tenendo la torcia in posizione aggiungiamo goccia a goccia la sostanza lattiginosa finché il fascio di luce non diverrà ben visibile
. osserviamo il raggio: nella zona più vicina alla torcia apparirà azzurro, mentre nella zona più lontana apparirà rosso-arancio
. più sostanza lattiginosa aggiungiamo, più saranno visibili l’azzurro all’inizio e l’arancio alla fine. Più sostanza lattiginosa aggiungiamo all’acqua, più il fascio di luce si diffonderà nel liquido
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
La luce solare ci appare bianca perché contiene tutti i colori nello stesso raggio. Ognuno di questi colori si sposta con onde più o meno ampie.
Quando la luce entra nell’atmosfera si scontra coi gas e le altre particelle contenute nell’aria. I colori con onde più corte, cioè il violetto e l’azzurro, si scontrano con le particelle e vengono deviati e riflessi in tutte le direzioni. Per questo, ovunque si guardi, i raggi che arrivano ai nostri occhi appaiono azzurri. I colori con onde più lunghe, cioè il rosso e l’arancio, scavalcano le particelle e continuano il loro tragitto. Per questo, all’alba e al tramonto, quando i raggi arrivano sulla terra lunghi e obliqui, vediamo il cielo rosso-arancio. Quando il raggio della torcia viaggia attraverso l’aria, non possiamo vedere il fascio di lato perché l’aria è uniforme, e la luce della torcia viaggia in linea retta. Lo stesso vale quando il fascio viaggia attraverso l’acqua, poiché l’acqua è uniforme, e il fascio viaggia in linea retta. Potremo intravedere il fascio di luce solo se nell’aria o nell’acqua sono presenti particelle di polvere. Quando abbiamo versato la sostanza lattiginosa nell’acqua, abbiamo aggiunto molte piccole particelle di proteine e grassi in sospensione nell’acqua Che cosa significa questo esperimento e cosa ha a che fare col cielo azzurro e i tramonti arancio? L’azzurro del cielo è luce solare dispersa dalle particelle di polvere nell’atmosfera. Se non ci fosse alcuna dispersione, e tutta la luce viaggiasse direttamente dal sole alla terra, il cielo apparirebbe nero avviene di notte. La luce viene diffusa dalle particelle di polvere nello stesso modo della luce della torcia dispersa dalle particelle lattiginose in questo esperimento.
Al tramonto o all’alba, la luce del sole effettua un percorso più lungo attraverso l’atmosfera rispetto a quanto avviene durante le ore del giorno e per questo puoi vedere i colori dall’altra parte dello spettro: rossi e arancioni.
Perché l’alba sembra diversa dal tramonto? E’, simmetricamente, lo stesso fenomeno, e se le condizioni atmosferiche fossero identiche nei due passaggi avremmo albe identiche ai tramonti. La differenza sostanziale sta nella temperatura e nella quantità di polveri sottili sospese nell’aria. All’alba l’aria è più pulita e più fresca, al tramonto invece l’aria è più calda e ricca di particelle, soprattutto a causa delle attività umane.
Sfruttare la reazione chimica tra bicarbonato di sodio, albume d’uovo e aceto per simulare un’eruzione vulcanica.
Età
Dai 4 anni.
Materiali
Una tortiera una piastra per forno o una tovaglia di plastica una bottiglietta di plastica bicarbonato di sodio un imbuto un cucchiaio aceto bianco 2 uova crude carta stagnola colorante alimentare o acquarello.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questa attività può essere presentata ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. versiamo nella bottiglietta un cucchiaio da tavola colmo di bicarbonato di sodio, aiutandoci con un imbuto
. rompiamo due uova crude, separiamo gli albumi dai tuorli e versiamo gli albumi nella bottiglietta
. aggiungiamo del colorante e agitiamo la bottiglietta
. mettiamo la bottiglietta al centro della tortiera. Per preservare il tavolo, mettiamo il tutto su una piastra da forno o usiamo una tovaglia cerata
. avvolgiamo bottiglietta e tortiera nella carta stagnola, quindi foriamo all’altezza della bocca della bottiglietta
. versiamo tutto in una volta mezzo bicchiere di aceto nella bottiglietta
. dopo alcuni secondi, vedremo sgorgare dalla bocca del vulcano una copiosa schiuma colorata
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
L’aceto contiene acido acetico; quando entra in contatto con il bicarbonato di sodio sviluppa una reazione chimica che porta alla formazione di anidride carbonica, un gas. A contatto con l’albume, l’acido acetico provoca la sua coagulazione, trasformandolo in una schiuma simile a quella che si ottiene quando lo montiamo con la frusta elettrica. Questa schiuma fuoriesce dalla bocca del vulcano spinta dall’anidride carbonica.
Scoprire che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi di colori diversi.
Età
Dai 6 anni.
Materiali
Forbici carta colorata o da origami in giallo, viola, verde, blu (due tonalità) e arancione (due tonalità) colla.
Note di sicurezza
Insegniamo ai bambini come utilizzare le forbici in sicurezza.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi diversi
. tagliamo un foglio di carta arancione a metà longitudinalmente e incolliamolo sul foglio blu
. tagliamo due quadrati da ciascuno dei fogli colorati e creiamo due colonne di quadrati colorati uguali, uno sullo sfondo blu e uno sullo sfondo arancione
. noteremo che due quadrati dello stesso colore appaiono come tonalità
. per ogni coppia di quadrati ritagliamo un rettangolo abbastanza grande da poter essere posizionato su entrambe le colonne per il confronto
. posizioniamo la striscia di confronto in modo che tocchi entrambi i quadrati di uno stesso colore per verificare
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
La parte posteriore dell’occhio è rivestita da cellule sensibili alla luce, tra le quali i coni, sensibili al colore. I coni si influenzano a vicenda in modi complessi. Queste connessioni ci danno una buona visione dei colori, ma possono anche ingannare il nostro sguardo. Quando i coni in una parte dell’occhio vedono la luce blu, rendono i coni vicini meno sensibili al blu. Per questo motivo, se mettiamo un punto viola su uno sfondo blu, il punto appare un po’ meno blu di quanto non sarebbe altrimenti. Allo stesso modo, una macchia rossa su uno sfondo arancione sembra meno arancione di quanto sarebbe altrimenti.
Scoprire la stretta relazione che esiste tra olfatto e gusto.
Età
Dai cinque anni.
Materiali
Batuffoli di cotone estratto profumato (vaniglia, rosa, ecc.) mela o altro frutto.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la relazione esistente tra olfatto e gusto
. diamo al bambino un pezzetto di mela e chiediamogli di notarne il sapore. Nulla di nuovo!
. mettiamo alcune gocce di estratto su un batuffolo di cotone
. chiediamo al bambino di annusare il batuffolo di cotone e mangiare un altro pezzo di mela mentre lo fa.
Osservazioni e conclusioni
Questo esperimento darà al bambino un’idea di quanto odori e sapori siano connessi. Più di 3/4 di ciò che gustiamo è correlato alla percezione del suo odore. Pensa a quando hai il raffreddore: il tuo cibo sembra senza sapore. La nostra lingua può riconoscere molto facilmente solo 4 sapori fondamentali: il salato, l’amaro, il dolce e l’acido. Gli altri sapori sono collegati a ciò che odoriamo. Prova a mettere in bocca una caramella: all’inizio potresti non essere in grado di dire il sapore specifico della caramella oltre a una sensazione generale di dolcezza o asprezza. Con il passare del tempo, potresti notare che mentre la caramella si dissolve, puoi identificare il gusto specifico. Questo perché alcune molecole di profumo volatilizzano e viaggiano fino al tuo organo olfattivo attraverso una specie di porta sul retro, cioè su un passaggio nella parte posteriore della gola e del naso. Dal momento che possiamo sentire solo 4 diversi veri sapori, è in realtà l’odore che ci fa sperimentare i sapori complessi e appetitosi che associamo ai nostri cibi preferiti. Ecco perché nella seconda parte dell’esperimento il gusto della mela ci è sembrato diverso.
Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che le onde sonore si propagano nell’aria.
Età
Dai 5 anni.
Materiali
Un contenitore un foglio di carta sottile o pellicola per alimenti un elastico semi di lino o di papavero o sabbia colorata o tè o farina un mattarello e una pentola metallica.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. copriamo il contenitore col materiale scelto e fermiamolo con un elastico, di modo che rimanga ben teso
. versiamo i semi o la sabbia sulla superficie tesa
. avviciniamo la tortiera al contenitore, col fondo all’esterno, e colpiamola col mattarello
. guardiamo i semi rimbalzare e muoversi
. proviamo a girare la tortiera, col fondo verso il contenitore, e proviamo di nuovo a batterla col mattarello: non succederà nulla
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
Le onde sonore emesse dalla tortiera durante l’impatto col mattarello si propagano nell’aria e mettono in moto i semi (o altro materiale scelto).
Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che il suono ha bisogno di qualcosa da attraversare e che l’aria non è un materiale molto efficiente a tale scopo.
Età
Dai 5 anni.
Materiali
Un righello (di legno, plastica o metallo) due cucchiaini di diverse dimensioni (prova con un cucchiaino e un cucchiaio da portata) corda o filo di cotone.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. creiamo un cappio nel mezzo del filo e inseriamo il manico del cucchiaio
. stringiamo il nodo saldamente, in modo che il cucchiaio penda al centro del filo
. prendiamo le due estremità del filo e avvolgiamo ognuna di esse attorno al dito indice su ciascuna mano
. mettiamo gli indici con la cordicella avvolta intorno in ogni orecchio, come per tapparsi le orecchie
. Il cucchiaio dovrebbe pendere appena sotto la vita
. chiediamo a un bambino di colpire il cucchiaio col righello
Osservazioni e conclusioni
Con questo esperimento i bambini scoprono come viaggiano le onde sonore. Se usiamo un cucchiaio piccolo, il bambino sentirà un suono di campanello, con un cucchiaio più grande il suono somiglierà a un gong. Possiamo provare anche diversi tipi di filo: più la corda è densa, migliore sarà il suono. Quando il righello colpisce il cucchiaio, crea vibrazioni che generano onde sonore. Queste onde sonore viaggiano lungo il filo invece che nell’aria. Il filo agisce come un conduttore per le onde sonore. A seconda delle dimensioni del cucchiaio e della lunghezza del filo, il suono apparirà più alto (come una campana) o più profondo (come un gong). Poiché il filo consente alle onde sonore di continuare a viaggiare, il suono del cucchiaio risuonerà o riverbererà, cioè persisterà abbastanza a lungo dopo aver colpito il cucchiaio. L’unico che può sentire il suono del campanello o del gong sarà la persona con il filo nelle orecchie: tutti gli altri nella stanza sentiranno solo un debole tintinnio quando il righello colpisce il cucchiaio. Ciò dimostra come la stessa vibrazione suona in modo diverso quando viaggia attraverso materiali diversi. Quando colpiamo un cucchiaio con un righello, il suono viaggia attraverso l’aria per raggiungere il nostro orecchio, e gran parte di questo suono si perde lungo la strada. Quando colpiamo il cucchiaio appeso al filo, le vibrazioni sonore viaggiano dal cucchiaio attraverso la corda e le dita al tuo orecchio, e in questo modo molta meno energia sonora si perde nel percorso. Sebbene la maggior parte dei suoni che sentiamo siano trasmessi attraverso l’aria, l’aria non è l’unica portatrice di onde sonore, né la migliore. Prova a mettere un orologio sul tavolo e avvicinati: sentirai il suo ticchettio attraverso l’aria. Ma prova a mettere l’orecchio sul tavolo: il ticchettio sarà molto più forte. In alcuni materiali le molecole sono strettamente legate tra loro, in altri materiali, le molecole sono lontane tra loro. La vicinanza delle molecole tra loro in un materiale può influenzare la facilità con cui esse possono urtarsi l’un l’altra e dare inizio ad una vibrazione. Le molecole del metallo che forma il cucchiaio sono molto vicine tra loro. Quando colpiamo il cucchiaio le molecole del metallo iniziano a vibrare. Le vibrazioni nel metallo viaggiano attraverso la corda e le dita fino al nostro orecchio. Questa attività rivela alcuni fatti importanti sulla natura del suono e ci dice che il suono viaggia in modo diverso attraverso solidi, liquidi e gas. La corda è un solido, quindi il suono che sentiamo attraverso di essa è diverso dal suono che sentiamo quando le vibrazioni giungono alle nostre orecchie attraverso l’aria (un gas).
Varianti
. puoi usare un appendiabiti metallico al posto del cucchiaio.
Esperimenti scientifici per bambini – OOBLECK. Un esempio di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere è l’oobleck, una sospensione di amido di mais e acqua.
Esperimenti scientifici per bambini Oobleck
Scopo
Esplorare le proprietà di un fluido non newtoniano.
Età
Dai 4 anni.
Materiali
2 parti di amido di mais 1 parte di acqua Colorante alimentare (se vuoi) Una teglia di alluminio e un contenitore di plastica Una traccia audio da 40 50 o 63 Hz (cerca su YouTube) Il miglior altoparlante che riesci a trovare.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che con questo esperimento esploreremo le proprietà di un fluido non newtoniano
. in una contenitore di plastica uniamo una parte di acqua a due parti di amido di mais. Se lo desideriamo aggiungiamo del colorante alimentare
. mescoliamo con cura
. dopo aver preparato il composto teniamo a portata di mano dell’acqua perché l’oobleck tende ad asciugarsi assumendo l’aspetto del fango secco: per mantenerlo fluido basta aggiungere ogni tanto un po’ d’acqua
. immergiamo una mano e cerchiamo di toglierla più velocemente che possiamo: sentiremo una forte resistenza
. prendiamo in mano un po’ di fluido e schiacciamolo: sembrerà diventare solido, ma diminuita la pressione il composto tornerà fluido
. proviamo a colpire con forza il fluido: la mano rimarrà incastrata
. maneggiamo il nostro fluido liberamente per sentirlo passare da fluido a solido e viceversa
. versiamo il nostro oobleck in una teglia di alluminio
. scarichiamo tracce audio con diversi toni: quelli che funzionano meglio sono 40 HZ, 50 e 63
. mettiamo la teglia sull’altoparlante mentre trasmette la traccia scelta, ed esercitiamo con le dita una certa pressione lungo il bordo della teglia. Il nostro oobleck comincerà a danzare
Osservazioni e conclusioni
L’oobleck è un esempio di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere. È una sospensione di amido di mais e acqua. Il nome “oobleck” deriva dal libro per bambini Bartholomew and the Oobleck del Dr Seuss (che non è stato tradotto in Italiano).
L’oobleck è davvero sorprendente: si comporta come un liquido se lasciato a riposo, come un solido non appena lo si maneggia, e colpendolo diventa tanto più duro quanta più forza si applica al colpo. Un fluido non–newtoniano è un fluido la cui viscosità varia a seconda della velocità con cui lo si misura. I fluidi non newtoniani si dividono in due classi: 1. fluidi pseudoplastici: la viscosità diminuisce all’aumentare della velocità 2. fluidi dilatanti: la viscosità aumenta all’aumentare della velocità. L’Oobleck fa parte di questa classe: sollecitazioni rapide lo rendono più viscoso rispetto allo stato di riposo. I fluidi non newtoniani oppongono una resistenza maggiore all’aumentare della pressione esercitata. Nel nostro esperimento, la maizena non si scioglie nell’acqua, ma le sue particelle rimangono in sospensione. Quando si esercita una forte pressione, le particelle si ammassano e non fanno penetrare l’oggetto. Se invece l’oggetto viene immerso lentamente, le particelle hanno il tempo di separarsi. Anche il fango e le sabbie mobili sono fluidi non newtoniani: se vi si affonda, bisogna sollevare le gambe molto lentamente, altrimenti si resta sempre più intrappolati perché facendo movimenti veloci si esercita una pressione maggiore e le sabbie mobili si oppongono con maggior resistenza.
Osservare gli effetti della rifrazione della luce.
Età
Dai 5 anni.
Materiali
Un bicchiere trasparente acqua una moneta da 2 centesimi (o qualsiasi altra moneta).
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. Mettiamo la moneta nel bicchiere vuoto
. mettiamoci in modo da vedere la moneta di lato attraverso il vetro (non dall’alto) . versiamo lentamente l’acqua nel bicchiere finché non vedremo una seconda moneta apparire sull’altro lato del bicchiere . muoviamo la testa su e giù e osserviamo come la moneta appare due volte e quando torna ad essere una moneta sola
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
La luce si piega quando passa da un mezzo (acqua) a un altro mezzo di diversa densità (aria). Questo avviene quando passa dall’acqua all’aria, o dal vetro all’acqua Questa flessione della luce, chiamata rifrazione, fa cambiare la posizione apparente della moneta e te la fa vedere in una posizione meno profonda di quella è la posizione reale. Quando la luce passa attraverso il vetro del bicchiere, fa apparire la moneta più vicina a chi osserva. Di conseguenza, si vedranno due immagini della moneta.
Olio di semi acqua sciroppo di zucchero di canna un contenitore in pirex piccolo un contenitore in pirex grande un contenitore di vetro piccolo un contenitore di vetro grande.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Presentazione
. mettiamo il contenitore di pirex piccolo in quello grande
. riempiamo il contenitore piccolo con acqua: il bicchiere piccolo resterà visibile
. mettiamo acqua anche nel bicchiere grande: il bicchiere piccolo continuerà ad essere visibile
. possiamo quindi dire che il bicchiere più piccolo è visibile in acqua
. rimuoviamo l’acqua, asciughiamo i due contenitori e riproviamo l’esperimento con l’olio di semi. Prima riempiamo il bicchiere piccolo, poi quello grande (cioè lo spazio tra i due bicchieri)
. il contenitore più piccolo sarà scomparso
. riproviamo l’esperimento con due contenitori di vetro
. versando l’olio in entrambi i contenitori, il più piccolo resterà visibile
. anche versando acqua i due contenitori resteranno visibili
. aggiungiamo all’acqua sciroppo di canna da zucchero: continuiamo finché il contenitore piccolo non sarà scomparso
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Osservazioni e conclusioni
Riempendo i due contenitori di pirex con olio da cucina il contenitore più piccolo diventa molto difficile da vedere: ne rimarrà solo un’immagine Questo accade perché l’indice di rifrazione del pirex e dell’olio da cucina è quasi lo stesso, cioè la velocità con cui la luce attraversa il pirex e l’olio non cambia. Per questo il contenitore di pirex diventa invisibile. Lo stesso avviene coi contenitori di vetro, quando aggiungiamo sciroppo fino a raggiungere l’indice di rifrazione del vetro.
Perchè il cielo è azzurro: un semplice esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Scopo dell’esperimento
Dimostrare che il cielo è azzurro perché il colore blu all’interno della luce solare è il più disperso dalle molecole d’aria e viene percepito meglio dai nostri occhi.
Materiali
– un contenitore trasparente (provare vari contenitori) – acqua – sostanza lattiginosa (sapone, latte, latte in polvere, yogurt, cera per pavimenti, ecc.) – una torcia elettrica che emetta luce bianca – una stanza buia.
Note di sicurezza
Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.
Età consigliata
A partire dei 5 anni.
Perchè il cielo è azzurro?
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. scegliamo una stanza facilmente oscurabile
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento ci spiega come mai vediamo il cielo azzurro, anche se la luce del sole è incolore ai nostri occhi.
. riempiamo il contenitore trasparente con acqua.
. oscuriamo la stanza
. sciogliamo un po’ di sostanza lattiginosa nell’acqua, per ottenere una soluzione torbida
. puntiamo la torcia verso la soluzione torbida, colpendola di lato
. giochiamo con l’angolazione della torcia fino a veder apparire l’azzurro
. se abbiamo difficoltà, proviamo a guardare il contenitore dall’alto
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Perchè il cielo è azzurro? Osservazioni e conclusioni
La luce “incolore” del sole è in realtà luce bianca: è composta infatti da tutti i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola) mescolati insieme.
La luce si piega quando passa attraverso mezzi diversi, in questo caso acqua e aria. Questa flessione della luce è chiamata rifrazione.
I diversi colori della luce solare vengono rifratti da diversi angoli perché hanno lunghezze d’onda diverse.
L’atmosfera della Terra contiene polvere, gocce d’acqua e altre minuscole molecole che non possiamo normalmente vederle a occhio nudo. In una giornata limpida, dunque. la luce del sole che filtra attraverso l’atmosfera si disperde in contrando le particelle contenute nell’aria.
Questa dispersione non è uguale per tutti i colori dello spettro: è molto più forte per i colori che hanno frequenze più alte e lunghezze d’onda più corte: il blu-viola. Quindi i colori violetto e blu si diffondono nell’aria più dei colori giallo rosso verde. Tra il viola e il blu, però, gli occhi umani sono più sensibili al blu.
Possiamo dire, dunque, che il cielo è blu perché il colore blu all’interno della luce solare è quello che si diffonde meglio nell’aria e che viene percepito meglio dai nostri occhi.
In questa dimostrazione la sostanza lattiginosa imita le particelle presenti nell’aria e, come queste, piega la luce (non del sole, ma della torcia).
IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie per la scuola primaria.
Un marsupiale è un mammifero provvisto di una vasca ventrale nella quale possono essere sistemati uno o più piccoli. I marsupiali, che oggi vivono solamente in Australia e in America, sono tra i primi mammiferi che hanno fatto la loro apparizione sulla terra. Sono stati trovati fossili di marsupiali che provano come già cento milioni di anni or sono vivevano animali a sangue caldo, capaci di allattare i loro piccoli. Probabilmente questi animali di piccola taglia furono preda dei grandi rettili carnivori, ma sono sopravvissuti agli attacchi di questi mostri e ai cataclismi terrestri, così che ancor oggi, vivono allo stato selvaggio, senza che la loro costituzione si sia troppo trasformata; si trovano, come dicevamo, solo in America (opossum) e in Australia (canguro, koala, il lupo della Tasmania oggi estinto, ecc.)
Quando deve lottare il canguro si appoggia sulla sua robusta coda, e si mette in posizione di attacco. Poi improvvisamente molla una terribile pedata con le zampe posteriori, oltretutto armata di unghie che lasciano segni profondi sull’avversario. Il canguro adirato riesce a tener testa brillantemente sia all’uomo sia ai cani: lo si è visto più volte abbattere robusti cani da caccia, senza subire alcun danno.
I grandi branchi di canguri vagano per le distese del continente australiano. Al centro del branco stanno i “grandi rossi”, circa due metri di altezza, a destra e a sinistra”i grigi” più piccoli. I canguri vanno così brucando nei pascoli dei bovini e delle greggi. E questo spiega anche perché vengano perseguitati da una caccia spietata. Per sfuggire all’uomo il canguro si lancia in una velocissima fuga. Le sue lunghe zampe posteriori, come quelle di una rana, gli permettono di fare dei salti in lungo anche di dieci metri. Se non deve sfuggire alcun pericolo, il canguro più che camminare si trascina sul suolo. S’appoggia sulla coda e sulle zampe anteriori, per poter sollevare e spingere avanti il suo corpo pesante: mentre quando scappa si appoggia solamente sulle zampe posteriori. Se si riposa, ma non è tranquillo, il canguro si corica sul ventre, con le zampe divaricate di qua e di là dal suo corpo, pronto a scappar via al primo segno d’allarme. Ma quando è sicuro che nessun pericolo è in vista, si corica su di un fianco, come noi.
La parola “canguro” ha un’origine curiosa: i marinai del capitano Cook, quando sbarcarono in Australia per le prima volta videro queste bestie saltellare e chiesero agli aborigeni: “Potete dirci che cosa siano?”, frase che in inglese suona “Can you…”. Gli aborigeni ripeterono: “Can you… can you”, e la parola canguro era bell’e inventata, o almeno così dice la leggenda. (da “Il corriere dei piccoli”)
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CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.
Stambecchi e camosci Si videro scendere a valle quaranta o cinquanta stambecchi e un centinaio di camosci come una frana, ma più potenti gli stambecchi, capaci di daltare rocce che i camosci girano, e di valicare d’un salto fino a sei o sette metri di terreno impervio, fermandosi di netto su una piccola punta aguzza. Sanno anche risalire pareti a picco, incastrandosi tra due piani ad angolo, facendo gioco con gli zoccoli tra l’uno e l’altro. (G. Piovene)
Il camoscio Un vecchio cacciatore raccontava questo episodio, occorsogli al ritorno da una infruttuosa battuta di caccia. Ritornava dunque il nostro uomo, stanco e affaticato, attraverso un sentiero impervio e sconosciuto, quando si trovò a viso a viso con un camoscio, morto. La bestia evidentemente era precipitata dalla montagna, e niente aveva potuto trattenerla nella sua caduta: solo alla fine le corna, impigliandosi fra i rami di un cespuglio, avevano tenuto sospeso l’animale nella posizione in cui appunto il cacciatore l’aveva trovato. Forse alla fine della rovinosa caduta il camoscio non era ancora morto, ma poi la fame, le ferite avevano avuto la meglio e la povera bestiola era morta, così, sospesa fra i rami, sola… La montagna, con i suoi pericoli, come si vede, sottopone il camoscio a durissime prove, se l’animale vuole sopravvivere nell’ambiente naturale tutt’altro che facile. D’estate, i branchi di camosci, da dieci a cinquanta, dimostrano la loro eccezionale abilità di scalatori vivendo a grandi altitudini, anche oltre i 2300 metri. D’autunno, da ottobre fino all’inizio dell’inverno, i camosci combattono i loro mortali duelli per il predominio sul branco; poi, con la caduta delle prime nevi, scendono in basso, verso i boschi di conifere. In questo periodo il camoscio diminuisce la sua dieta fino a nutrirsi solamente di scorze d’albero, di muschi, di rovi; un nutrimento molto diverso dai ricchi pascoli estivi. In primavera, invece, nel mese di maggio, nascono i piccoli: uno o due, nel folto del bosco, lontano da tutti, in un luogo riparato e segreto. Ben presto i piccoli saranno in grado di seguire la madre verso le vette, insieme con il branco fatto più numeroso dai nuovi nati.
Il camoscio: carta d’identità Lunghezza: circa un metro e venti. Altezza: 75 centimetri. Peso: il maschio 45 chili, la femmina 35. Il colore varia: d’estate è grigio chiaro, scuro d’inverno. Una striscia di peli più lunghi e scuri segna la pelliccia del camoscio dalla punta della coda alla testa. Con questo pelo i tirolesi fanno le nappine, che ornano i loro famosi cappelli. Il camoscio vive in gruppo; solo i vecchi maschi hanno abitudini solitarie così come le femmine quando stanno per mettere al mondo i piccoli. L’aquila, i cacciatori, le valanghe, le impervie cime delle montagne su cui hanno la loro residenza, rendono assai pericolosa la vita del camoscio. L’udito e l’odorato del camoscio sono eccellenti. Non così la vista. Femmine e maschi recano sulla fronte le corna con cui affrontano i loro nemici. Il camoscio si trova sulle Alpi, e sull’Appennino, nel Parco Nazionale d’Abruzzo.
Il capriolo Vive un po’ dappertutto in Europa. Ha forme snelle, corna ramificate. Si nutre di foglioline e di giovani germogli. Di giorno si tiene nascosto, di notte vaga per campi e prati. Se non fosse protetto da leggi speciali sarebbe già scomparso, preda ambita dei cacciatori. Può raggiungere settantacinque centimetri di altezza, un metro e trenta di lunghezza, venticinque o trenta chili, al massimo, di peso. Ha gambe sottili, alte, nervose, forti. Il suo mantello varia con le stagioni. In inverno la lanetta, fittissima e morbida, è color bruno-ruggine. La sua testa è corta, animata da grandi occhi vivaci, le orecchie hanno media lunghezza, le corna, proprie dei maschi, non hanno lo sviluppo e la bellezza di quelle dei cervi. (G. Menicucci)
L’alce Nelle regioni paludose e nelle foreste della Siberia si incontrano ancora numerose mandrie di alci, grossi animali strettamente imparentati con i cervi. Un alce adulto è alto oltre due metri al garrese e può pesare 700 chilogrammi. Le enormi corna, che cadono ogni anno in autunno per rispuntare in primavera, sono palmate e largamente spiegate a ventaglio. La femmina ne è priva ed è anche di dimensione più piccola. Il pelame, abbastanza folto, è di colore bruno scuro e nel maschio presenta una criniera assai sviluppata. Gli zoccoli molto larghi e disgiunti permettono a questi animali di camminare nella neve senza sprofondare eccessivamente. Le abitudini dell’alce sono simili a quelle del cervo. Esso preferisce però i luoghi aperti e acquitrinosi del nord dove vaga pascolando. Si nutre di foglie, di cortecce e di piante acquatiche. Per strappare queste ultime, però, deve inginocchiarsi, perché il collo è molto corto rispetto alla lunghezza delle gambe. Un tempo gli alci erano molto diffusi anche in Europa. Secondo antiche credenze, nello zoccolo del piede sinistro dell’alce risiedevano poteri magici, per cui questa parte veniva venduta a caro prezzo, ed era consigliata in numerosissime ricette dell’antica farmacopea.
CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
La storia delle armi per bambini della primaria con testi e immagini che possono essere d’aiuto per preparare carte delle nomenclature, linee del tempo ed altro materiale didattico.
Etimologia La parola arma potrebbe derivare dal latino armus (armòs, in greco) che significa “omero” o “braccio. Per alcuni studiosi invece la parola potrebbe derivare dal celtico harn, “ferro”, o dall’antico germanico har “esercito” o dallo svedese harnad, “guerra”.
Storia delle armi
I primi uomini avevano bisogno di proteggersi dagli animali e di cacciarli. Dalle prime armi naturali e che hanno a disposizione anche gli animali, le unghie e i denti, passarono ad utilizzare oggetti che noi oggi chiamiamo armi, cioè attrezzi da usare per difendersi e per cacciare. Sicuramente le prime armi utilizzate dall’uomo furono le pietre o i rami spezzati che venivano trovati per terra e scagliati contro il nemico o gli animali.
La più antica arma fabbricata dall’uomo fu la clava, un pesante pezzo di legno con un’estremità più grossa e pesante e un’impugnatura più sottile. Nell’estremità grossa poteva essere infilato un anello di selce o pezzi di selce, corno o osso per rendere l’arma più micidiale.
Nel Paleolitico inferiore, 250.000 anni fa, comparvero le lance che potevano avere una punta d’osso o di legno indurito al fuoco. Grazie alla scoperta del fuoco, l’uomo capì che bruciacchiando una lancia di legno verde, la sua punta si induriva e diventava quasi di pietra. Scoprì che era meglio posizionare sulla sommità del bastone un sasso appuntito e scelse la selce, una pietra molto dura e facile da lavorare per ottenere delle punte affilate. Queste punte di pietra penetravano meglio e creavano ferite più grandi sugli animali, rispetto a quelle di legno indurito o di osso. L’uomo dell’età della pietra scoprì anche che poteva aggiungere al bastone della lancia il fuoco di sterpaglie accese.
Accanto alla lancia comparve anche la mazza, un’evoluzione della clava. Si tratta di un bastone con un’estremità appesantita da pietra. Per proteggersi da queste armi nel Paleolitico si sviluppò l’uso della corazza di pelle.
L’uomo dell’età della pietra trovò anche modi per aumentare la potenza di lancio del braccio umano, ad esempio estendendo la sua lunghezza: questo è il principio della frombola. La potenza della frombola nell’antichità è testimoniata dalla storia biblica di David e Golia. La frombola è composta da una sacca che contiene il proiettile (pietra) con due lacci. Facendo roteare velocemente la sacca, la forza centrifuga fornisce velocità al proiettile, che vola nell’aria quando si lascia il laccio.
Grazie a queste nuove armi l’uomo si trasformò da preda a cacciatore.
Nel Paleolitico superiore (circa 15.000 anni fa) vi fu la prima invenzione “meccanica”: l’arco con frecce, strumento che sfrutta l’elasticità del legno per lanciare la freccia. Il rilascio improvviso dell’energia immagazzinata dall’arco teso, quando torna alla sua forma naturale, è più rapida e più potente di qualsiasi impulso di cui i muscoli umani siano capaci. Probabilmente alla base dell’invenzione ci fu l’osservazione del trapano ad archetto, utilizzato dall’uomo preistorico per accendere il fuoco. Gli archi erano costruiti con legno di tasso o di olmo e le punte delle frecce erano di selce scheggiata, spesso con margini dentati per conficcarsi con fermezza nelle carni. L’arco segnò una vera e propria rivoluzione nella storia delle armi e da allora fu usato sia nella caccia sia nella guerra.
L’arco permise all’uomo di diventare un cacciatore più efficiente. L’uso dell’arco è testimoniato nelle pitture rupestri di Altamira. Dalla sua invenzione, le civiltà di tutto il mondo hanno prodotto archi utilizzando il tipo di vegetazione che avevano a disposizione; gli archi cinesi erano fatti ad esempio di bambù.
Nel Neolitico si sviluppano l’agricoltura e la domesticazione degli animali. Questo creò abbondanza di cibo, e così gli uomini poterono dedicarsi alla guerra direttamente o sostenendo una classe di guerrieri professionisti. Risalgono all’8.000 aC le prime mura perimetrali di difesa. Gerico èconosciuta come la “città più antica del mondo” (8.500-7.500 a.C.), fondata quando ancora non si praticava l’allevamento e non erano in uso recipienti di ceramica. Le esigenze difensive nei confronti di popolazioni rimaste ancora nomadi, costrinsero gli abitanti ad erigere una cinta di fortificazione in pietra, rinforzata all’esterno con un fossato.
Dopo la scoperta del rame puro in Anatolia, intorno al 6000 a C, la metallurgia del rame si diffuse in Egitto e in Mesopotamia. I Sumeri furono i primi ad usare armi di rame. A parte le mazze, che erano molto diffuse, per la maggior parte di trattava di oggetti troppo costosi e malleabili per essere armi efficaci. Anche i nativi americani usavano lame e coltelli di pietra focaia, ma usavano il rame per cerimonie e decorazioni. Il rame fu per molto tempo l’unico metallo noto agli umani.
Intorno al 4500 a C l’arte della metallurgia si diffuse in India, Cina ed Europa ed è con l’avvento del bronzo che le armi da taglio in bronzo divennero di uso comune. Il bronzo è una lega di rame e stagno ed è molto più duro del rame puro.
Fu ampiamente utilizzato in Asia: la civiltà della valle dell’Indo prosperò grazie al miglioramento della metallurgia. Il bronzo è stato prodotto su larga scala in Cina per le armi, tra cui lance, asce, archi compositi e elmi in bronzo o cuoio.
Il Khopesh era un’arma a forma di mezzaluna. Aveva un manico corto e una lama di bronzo. Venne inventato dai Sumeri nel 3000 a C per il bisogno di un’arma potente come un’ascia ma che non avesse il suo ingombro e il suo peso. Era l’arma principa bble delle tribù che vivevano vicino alla Mesopotamia e venne poi adottato dagli Egizi. Ramses II (1250 a C circa) fu il primo faraone ad usare il khopesh in guerra. Il Khopesh poteva essere usato come un’ascia, una spada o una falce, divenne l’arma più popolare in tutto l’Egitto e un simbolo del potere e della forza reale. Possiamo ritrovare il Khopesh anche nelle opere d’arte assire.
Circa nel 1500 a C compare l’arco composito, preciso fino a 300 metri. Furono gli Egizi a perfezionare quest’arma. Si chiama composito perché è costruito con strati di materiali diversi (tendini animali, strisce di corno, osso) che reagiscono in modo diverso sotto tensione o compressione. Questa tecnica di costruzione aumentò la distanza e la precisione del tiro e la capacità di penetrazione delle frecce, ora con la punta metallica. L’arco composito, così chiamato per il suo metodo di costruzione, è l’arco curvo corto, noto nell’arte come l’arco di Cupido. L’arco composito è più piccolo e potente dell’arco tradizionale, ed è quindi adatto ad essere usato da cavallo o da carro da guerra.
I Sumeri e gli Accadici vivevano nella Mesopotamia meridionale, l’attuale Iraq, una regione aperta agli attacchi nemici. Il guerriero sumero era equipaggiato con lance, mazze, spade e fionde. Sargon di Akkad, (2333-2279 a C) fu un grande capo militare e usò sia la fanteria che i carri da guerra a quattro ruote trainati da asini.
Per lungo tempo la posizione strategica dell’Egitto permise ai suoi abitanti di rimanere liberi da attacchi nemici, e in questo periodo non ebbero bisogno di addestrare un esercito per la difesa dei confini. Durante l’Antico ed il Medio Regno (2700 – 1650 aC) l’armamento egizio contava solo mazze di pietra, archi, frecce e giavellotti a punta di selce o bronzo, pugnale e scure in bronzo.
Tutto cambiò durante il Secondo Periodo Intermedio (1650 – 1550 a C) quando l’Egitto fu invaso dalla tribù degli Hyksos, proveniente dall’Asia Occidentale. Questi invasori possedevano armi più sofisticate degli Egizi e soprattutto usavano carri da guerra a due ruote tirati da cavalli. Con le loro invasioni queste tribù conquistavano territori, ma al tempo stesso diffondevano le loro conoscenze. Gli Hyksos usavano archi compositi e archi ricurvi; a differenza dei Sumeri, avevano carri trainati da cavalli e non asini; indossavano protezioni per il corpo e elmi metallici; possedevano pugnali spade e asce migliori di quelli egizi.
Una volta cacciati dall’Egitto, ormai gli Egizi avevano appreso da loro l’uso dei cavalli in guerra, l’uso dei carri trainati da cavalli, nuove tecniche di lavorazione del bronzo e della ceramica e nuove armi. Nel Nuovo Regno (1550 -1069 a C) il corredo militare egizio fu arricchito da daga, casco di cuoio, corazza di lino pressato, carro da guerra a due ruote raggiate. Il carro era montato da un combattente con arco, lancia e scudo.
Le armi del guerriero miceneo (2000 – 1200 a C) erano una spada in bronzo e una lancia in bronzo. Armi simili sono usate, molti secoli più tardi, dagli hopliti greci.
Dal 1100 aC i Fenici sviluppano la galera di guerra, con un ariete tagliente nella prua.
Un importante sviluppo tecnologico nella costruzione delle armi avviene quando il ferro prese il posto del bronzo (1200 a C). Lo stagno, uno dei componenti del bronzo, non è così diffuso sulla terra, mentre il ferro è il metallo più abbondante. L’uomo scoprì come indurire il ferro trasformandolo in acciaio nel 1100 a C circa e presto gli eserciti del mondo antico furono in grado di mettere in campo un numero molto maggiore di soldati, equipaggiato con armi devastanti e a costi relativamente bassi. Gli Ittiti furono probabilmente i primi a utilizzare le armi di ferro. Questo popolo si stabilì verso il 2300 a.C. in Anatolia (l’odierna Turchia). Gli Ittiti furono i primi a lavorare il ferro, di cui custodivano gelosamente il segreto. Il procedimento consisteva nel riscaldare, martellare e poi raffreddare con acqua il metallo. In questo modo ottenevano armimolto leggere e molto più resistenti di quelle in bronzo utilizzate dagli altri popoli, così sottomisero molte terre circostanti.
Gli Assiri adottarono le armi in ferro sistematicamente, così il primo esercito di ferro è quello assiro, noto dal 900 a C per i suoi brutali successi in una continua campagna di aggressione nei confronti dei suoi vicini.
Nell’800 a C i popoli della Cultura di Hallstatt dell’Europa centrale (predecessori dei Celti) forgiavano spade di ferro stupende, che portano con sé nelle loro tombe. Di lunghezza senza precedenti, queste armi venivano prodotte con una tecnologia d’avanguardia.
Il tridente era una lancia a tre punte che in origine erano di corno, e poi di metallo. Nell’antichità era usato per la pesca e la caccia soprattutto in Asia, e poi come arma. Il tridente era particolarmente popolare come arma nell’antica Grecia (800 – 338 a C). Nell’India antica è chiamato Trishula (tre lance). Successivamente il tridente è stato usato dai gladiatori romani. Anche le arti marziali orientali hanno numerose armi derivate dal tridente. Il tridente è un’arma associata a varie divinità: Poseidone, il dio indù Shiva.
I Persiani nel 600 a C, inventarono la trireme, una nave da combattimento che utilizzava come propulsione, oltre alla vela, tre file di rematori e che fu ampiamente usata dai Greci.
Gli Assiri sono noti per la loro bellicosità e la loro ferocia verso le popolazioni vinte. Il loro regno si estese in Mesopotamia dal 1770 al 612 a C. Per gli Assiri l’addestramento era importantee fondarono scuole militari. L’esercito assiro fu il primo a usare il ferro nelle sue armi e nell’ 800 a C cominciò ad utilizzare l’acciaio. Gli Assiri furono anche i primi ad utilizzare torri d’assedio, circa nell’850 a C.Prima degli Assiri l’ariete veniva portato dai soldati fino alle mura della città nemica e usato per aprire una breccia. I soldati però erano vulnerabili all’olio bollente e al lancio di pietre dei nemici. Gli Assiri perciò trasformano l’ariete e lo fissarono sul tetto di una struttura in legno con ruote. La struttura veniva spinta in posizione mentre i soldati rimanevano protetti al suo interno e potevano far oscillare l’ariete. Gli Assiri poi idearono la torre d’assedio, una struttura a ruote che aveva lo scopo di fornire ai soldati una piattaforma alta come le mura della città nemica, da cui essi potevano lanciare il loro attacco.
L’antica Grecia (800 – 338 a C) fu sempre circondata da nemici, così i Greci idearono un modello di guerra completamente diverso dagli altri popoli. La loro era una guerra di strategia: cercavano i punti di forza e di debolezza dei nemici e sceglievano le loro armi di conseguenza. I Greci usavano lunghe lance con punta di ferro, scudi, elmi e pettorali. Lo scudo dei greci era così forte da spezzare le lance. Se la loro lancia era rotta, usavano le spade per il combattimento ravvicinato.
Perfezionarono la triremi persiana e grazie a questo poterono contare su una formidabile flotta navale. A prua c’era un grande rostro di ferro (oggetto da sfondamento) mentre sul ponte operavano arcieri e frombolieri.
In guerra utilizzavano una formazione di combattimento chiamata falange greca: la fanteria pesante, armata di lance o picche (dory) e spada corta di ferro (xiphos) , rimaneva compatta e coesa e avanzava in formazione allineata, creando una foresta impenetrabile di lance e un muro di scudi (oplon). Dal nome dello scudo, questi soldati erano chiamati opliti.
I Greci perfezionarono la balista (o ballista), una potente catapulta che lanciava pietre sferiche o una grossa lancia, spesso infuocata, a lunga distanza. E’ a tutti gli effetti una versione statica della balestra.
I Macedoni governarono in Grecia dal 338 al 31 a C. Continuarono a seguire la strategia militare greca della falange, con la differenza che la fanteria macedone utilizzava la sarissa, una lancia lunga 15 piedi con una punta a forma di foglia.
L’esercito macedone aveva inoltre una cavalleria. I Macedoni utilizzavano, oltre alla balista, armi portatili come la cheiroballistra.
I Macedoni idearono anche la catapulta a torsione. Nella catapulta a torsionel’energia viene immagazzinata in un elemento (fibre vegetali, tendini e pelli di animali) che viene fortemente avvolto su se stesso, come negli aerei ad elastico. Quando il perno viene rimosso, il braccio scatta in posizione verticale e la pietra viene scagliata. I Romani la chiamarono onagro.
A partire dal 390 a C i soldati dell’antica Roma erano divisi in due gruppi: Legionari e Ausiliari; i Legionari erano cittadini romani e gli Ausiliari provenivano da tribù alleate. I Romani usavano in guerra le armi più semplici e insolite, mentre l’esercito godeva di una organizzazione impeccabile e grande disciplina. La spada romana tradizionale era il gladio. Si trattava di una spada non più lunga di 60 centimetri, con lama di ferro e impugnatura di legno ricoperto di bronzo o altri materiali. Aveva un effetto limitato quando veniva maneggiato da cavallo.
Altra arma in dotazione ai soldati romani era il pilum, un giavellotto lungo circa 150 centimetri con una parte in legno e una lunga parte in ferro, lunga tanto da poter attraversare uno scudo e raggiungere il corpo del nemico. Di solito ogni soldato ne portava due, uno leggero ed un secondo più pesante.
Altre armi usate dai Romani erano l’arco e la frombola. I Romani utilizzarono anche varie macchine da guerra. Tra queste c’erano: la balista, la catapulta, l’ariete, la torre mobile, la cheiroballista e la carrobalista, una balista posta su un apposito carro trainato da cavalli, che garantiva grande flessibilità perché spostabile durante la battaglia.
Altra macchina da guerra era lo scorpio (o scorpione), arma molto precisa e potente, da cui discenderà la balestra. Gli scorpioni venivano collocati in formazione su alture dominanti distruggendo parecchi nemici.
Il corvo era un congegno che i Romani usava per abbordare le navi nemiche. Era una passarella mobile con degli uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica, consentendo alla fanteria di combattere col nemico quasi come sulla terraferma. Con la crescita dell’esperienza nella guerra navale, il corvo fu abbandonato.
Nel 299 a C La tecnica dell’assedio romano viene migliorata dalla “tartaruga” che permette di avanzare e proteggersi dal nemico creando impenetrabili muri di scudi verso tutte le direzioni.
Dopo la morte di Marco Aurelio nel 180 d C Roma divenne vulnerabile alle invasioni barbariche e Germani (Ostrogoti, Visigoti, Vandali, Franchi) e Unni penetrarono nel territorio romano. Nel 410 avvenne il Sacco di Roma, cioè la conquista e il saccheggio della città da parte dei Visigoti guidati dal loro re Alarico. Queste tribù combattevano prevalentemente a cavallo e utilizzavano l’arco composito con frecce a punta di ferro. Altre armi erano la spada lunga a doppio taglio e l’ascia da lancio.
Durante il regno di Giustiniano (527- 565), l’impero bizantino divenne una potenza militare e si impegnò nella cacciata dei barbari. I Bizantini avevano un esercito molto disciplinato e idearono nuove e potenti armi. Intorno al 672 inventarono una sostanza incendiaria conosciuta come fuoco greco. Attraverso dei lanciafiamme montati sulle navi, sparavano questo fuoco sui nemici. Era un’arma davvero impressionante per la sua forza distruttiva e questo fuoco riusciva a rimanere acceso anche sull’acqua. Utilizzavano dei dispositivi di loro invenzione, che funzionavano con motore a torsione, per lanciare frecce con maggiore intensità. Dal 900 in poi adottarono per la costruzione delle loro armi le tecniche usate dai musulmani.
Il mondo islamico era molto più evoluto, nella costruzione delle armi, rispetto a tutti i popoli del Mediterraneo, soprattutto grazie alle relazioni commerciali con la Cina, da cui copiarono il trabucco. Si trattava di una grande macchina da guerra in grado di lanciare grandi pietre a distanza. Alcuni trabucchi venivano usati per gettare cavalli morti per diffondere malattie nelle città assediate. Il trabucco era composto da un lungo braccio con un contrappeso ad una estremità e una sacca all’altra estremità che funzionava come una grande fionda.
Intorno al 950, durante la dinastia Song, i cinesi iniziarono a produrre polvere da sparo (o polvere nera) e la lancia da fuoco fu la prima arma a utilizzarla. Era una comune lancia alla quale veniva abbinato un tubo contenente polvere da sparo e proiettili. All’accensione i proiettili venivano espulsi insieme alla fiamma per qualche metro. A partire dal 1100 con la polvere da sparo i Cinesi realizzarono le prime bombe, i primi razzi e i primi cannoni.
Nel Medioevo, in Europa, una delle armi innovative e più usate era la balestra. La balestra fu inventata nel 300 a C in Cina, ma non arrivò in Europa che nel 1000. La caratteristica principale di quest’arma è che può essere caricata in anticipo, prima di essere usata. Può lanciare quadrelli, frecce, strali, bolzoni, palle o dardi. La corda viene bloccata da un meccanismo chiamato noce, e lo scatto avviene facendo pressione su una sorta di grilletto o abbassando un piolo.
All’epoca delle Crociate (1000 – 1300) gli eserciti europei usavano lance, spade e pugnali; i soldati a piedi erano equipaggiati con una straordinaria gamma di armi inastate, che spesso riflettevano il loro luogo di origine. Le armi degli eserciti islamici non erano di molto diverse da quelle dei Crociati. Nell’esercito l’obiettivo fondamentale della cavalleria era caricare le linee nemiche e creare il caos. Per la carica iniziale i cavalieri usavano le lance, che poi venivano scartate per passare a spada, ascia e martello da guerra, che venivano usati per il combattimento corpo a corpo. La francisca, arma innovativa del Medioevo, fu inventata dai Franchi; è una scure da lancio perfettamente bilanciata, a manico corto e con lama a un taglio.
Dalla francisca si sviluppano varie armi inastate (montate su un’asta), prima fra tutte l’alabarda. Era un’arma tradizionale svizzera, costituita da una lama d’ascia sormontata da una punta, con un gancio o un piccone sul retro, in cima a un lungo palo. Quest’arma veniva usata dai soldati di fanteria contro la cavalleria.
Altra arma inastata del Medioevo era il terribile martello di Lucerna che somiglia in realtà più a un spiedo che a un martello.
E tra le armi inastate non possiamo dimenticare il roncone. Era un’arma di grande potenza perché poteva colpire, tagliare, agganciare, strappare ed era in grado di danneggiare le armature e ferire gravemente i cavalli.
L’arco era un’altra tipica arma medievale molto diffusa in tutti i paesi europei. Il successo militare dell’Inghilterra, a partire dal 1200, deve molto all’invenzione dell’arco lungo (longbow). A quel tempo l’Inghilterra era un paese rurale, e mancavano artigiani abili e risorse per costruire le balestre. L’arco lungo era costituito da un unico listello di legno di tasso, della lunghezza di circa 185 cm, ed era quindi molto economico da costruire. Grazie a quest’arma gli Inglesi sconfissero in più occasioni i loro nemici Francesi.
L’arma più importante del cavaliere era senza dubbio la spada.
I cannoni fecero la loro comparsa nel mondo musulmano e da lì a poco in Europa, verso il 1300. Venivano chiamati bombarde. La metallurgia europea dell’epoca, per quanto sviluppata, non consentiva la costruzione di fusti di grande resistenza, cosa che limitava precisione, potenza e soprattutto sicurezza dell’arma.
Insieme alle bombarde compaiono le prime armi da fuoco portatili, come ad esempio lo schioppo. Le armi da fuoco, in questo periodo, sostituirono solo le catapulte. Il cambiamento fu molto lento, anche perché inizialmente le armi da fuoco portatili avevano un costo troppo elevato e ricaricarle dopo uno sparo richiedeva troppo tempo durante le battaglie. Lo schioppo (in Inglese hand cannon , cioè cannone a mano) consisteva in una piccola bombarda montata su un’asta di legno. Originario della Cina, ebbe larga diffusione in Europa nel a partire dal 1300 e restò in uso sino 1500, quando venne sostituito dall’archibugio. Era ad avancarica (si caricava dal davanti) ed era costituito da un tubo (canna) chiuso ad un’estremità. Si inseriva la polvere e si pressava sul fondo, poi si inseriva la palla. Per accendere la polvere si inseriva un bastoncino accesso in un foro che si trovava nella parte posteriore (il focone).
Le armi medievali continuarono ad essere usate anche durante il Rinascimento e la spada rimase l’arma più popolare. Intorno al 1500 subì dei cambiamenti: vennero aggiunte le protezioni per la mano.
Nel 1500 gli eserciti erano equipaggiati con spada a doppio taglio, alabarda, arco e balestra, ma con l’aggiunta dell’archibugio, un’arma da fuoco portatile derivata dallo schioppo. Come tutte le armi da fuoco, utilizzava l’energia prodotta dall’accensione della polvere pirica per lanciare a distanza corpi solidi chiamati proiettili. L’accensione avveniva grazie all’otturatore a miccia (matchlock). Il sistema a miccia richiedeva agli archibugieri di portare con sé delle micce sempre accese. Come lo schioppo, doveva essere caricato col sistema dell’avancarica. Era un’arma pesante, lenta e poco precisa, e venne usato in battaglia per due secoli insieme ad archi e balestre. L’archibugio trovò poi sviluppo nel moschetto, dando origine al fucile moderno.
Il moschetto è un’arma da fuoco portatile, ad avancarica, derivata dall’archibugio e che fu usata fino agli inizi del 1900. Venne poi sostituita dai fucili a percussione e dai fucili a retrocarica. Il nome origina da mosca, che indicava il proiettile. Mentre l’archibugio veniva mantenuto in posizione appoggiandolo al petto, il moschetto vide l’introduzione del calcio, che permetteva di appoggiare l’arma alla spalla e di ottenere più precisione.
All’inizio il moschetto utilizzò il meccanismo a miccia (matchlock), come l’archibugio. Il meccanismo era formato da uno scodellino (un piccolo imbuto collegato alla canna), e una serpentina (un’uncino che sosteneva la miccia). Il moschettiere metteva della polvere nello scodellino e lo richiudeva. Dopo infilava la polvere e la palla di piombo nella canna (anteriormente) pigiando tutto sul fondo con un calcatoio (un’asta di legno, versione rimpicciolita di quella da cannone). Al momento dello sparo, tirando il grilletto la serpentina si muoveva verso lo scodellino mettendo a contatto la miccia accesa con la polvere: questa si incendiava e trasmetteva il fuoco alla polvere nella canna; a sua volta questa polvere esplodendo proiettava la palla lungo la canna e fuori da fucile.
In seguito, a partire dal 1540, il moschetto utilizzò il meccanismo a ruota (wheellock), che era simile ad un moderno accendino: una grossa molla, caricata con un’apposita chiave, al momento dello sparo metteva in movimento una ruota dentellata che sfregando contro un pezzo di pirite generava scintille, accendendo la polvere nella canna dell’arma. Questo meccanismo era comunque delicato e molto costoso e fu utilizzato più sulle carabine che sui moschetti.
Pochi anni dopo (1550) si diffuse un nuovo tipo di acciarino, lo snaphance (gallo che becca) che produceva le scintille facendo battere violentemente la pietra focaia su una piastra zigrinata. Dal “gallo che becca” si arrivò nel 1635 all’acciarino a pietra focaia, che utilizzava lo stesso principio, con un meccanismo migliorato. I moschettieri più addestrati potevano sparare 3 o 4 colpi al minuto.
La carabina era un’arma da fuoco simile al moschetto, ma più corta e meno potente. Il termine carabina deriva dalla parola araba karab, che significa arma da fuoco. Questo tipo di arma venne ideato intorno al 1590 per essere usata dai soldati a cavallo.
Con tutte le armi ad avancarica il grosso problema da risolvere era la lentezza tra un colpo e l’altro. Le prime armi che cercarono risolverlo furono gli organi, detti anche ribadocchini o ribauldequin, che potevano sparare colpi in successione.
A partire dal moschetto con accensione a pietra focaia (1635), per rendere più veloce il caricamento, vennero inventate le prime cartucce. Inizialmente per ogni colpo il soldato doveva caricare manualmente la polvere da sparo ed il proiettile, e quindi predisporre l’innesco. Questo richiedeva molto tempo, e per questo vennero ideate le prime cartucce, che erano tubi di carta che contenevano già pronti polvere e proiettile da inserire nella canna.
Nel 1700 comparve la prima rudimentale bomba a mano: una palla vuota di ghisa riempita di polvere nera e innescata da uno stoppino acceso.
La baionetta fu ideata nel 1600: si trattava di un’arma da taglio montata sulla canna di un fucile e consentiva alla fanteria di combattere corpo a corpo col nemico dopo aver esaurito le munizioni. La baionetta venne montata sul moschetto e rimase in uso fino alla Prima Guerra Mondiale (1915-1918).
Il cannone erano ancora la componente più lenta dell’esercito e poteva richiedeva 23 cavalli per il trasporto, che comunque procedeva a passo d’uomo. A partire dal 1600 gli eserciti puntarono sui cannoni leggeri e che potevano essere presidiati da pochi uomini. Diversi progressi tecnologici resero il cannone più mobile, soprattutto il puntamento regolabile a piolo e l’affusto mobile. L’affusto era una struttura a forma di scivolo munita di ruote che permetteva il trasporto della bocca da fuoco tenendola appoggiata su un sostegno. Il dispositivo a piolo permetteva la regolazione in altezza mediante un piolo inseribile in una serie di fessure poste in serie .
Gli scienziati si impegnarono nella ricerca di sostanze esplosive per potenziare le armi da fuoco, e già nel 1750 scoprirono il fulminato di mercurio, sostanza che poteva prendere fuoco ricevendo un colpo secco.
Il primo uso del fulminato fu ancora con le armi ad avancarica, nel 1812, quando fu inventata la capsula detonante. Si trattava di un involucro metallico a forma di bicchiere contente il fulminato. Dopo aver inserito nella canna la polvere e il proiettile, si poneva la capsula nel dispositivo dove veniva battuta dal percussore facendo partire il colpo.
Dalla scoperta del fulminato nacquero poi le armi a percussione. La prima di queste armi fu, nel 1814, il fucile ad ago, che aveva un sistema a retrocarica per cartucce di carta. Queste cartucce erano formate da un involucro di carta che conteneva la carica della polvere, la capsula detonante (che nelle armi a retrocarica si chiama innesco) e il proiettile. Premendo il grilletto, l’ago perforava la cartuccia e colpiva il fulminato, generando l’esplosione che faceva partire il proiettile. A questo punto le armi ad avancarica caddero in disuso, e gli inventori continuarono a cercare sistemi sempre più efficaci per caricare la canna dalla parte posteriore (retrocarica). La cartuccia del fucile ad ago era costituita da un involucro di carta che conteneva la carica della polvere, l’innesco e il proiettile.
Tutti questi progressi portarono, nel 1866, ad un nuovo sistema d’accensione: il sistema a percussione. La cartuccia è costituita da un bossolo d’ottone, con una capsula a percussione alla base e una carica di polvere e il proiettile compressi all’interno. La capsula a percussione (innesco) si trova al centro della base del bossolo. Quando il percussore colpisce la capsula, questa viene deformata e spinta in davanti, provocando l’accensione del fulminato.
Il sistema a percussione consente la produzione di armi a più canne fisse o rotanti e porta all’invenzione del revolver (rivoltella o pistola a tamburo) ad opera di Samuel Colt, nel 1835. Si tratta della prima arma prodotta in serie.
Tra gli anni 1860 e 1865 vi fu in vero fiorire di invenzioni e miglioramenti nelle armi da fuoco. Nel 1862 fu brevettata la mitragliatrice Gatling, a manovella. Richard Gatling, il suo inventore, scrisse che aveva costruito l’arma per diminuire la dimensione degli eserciti e ridurre così il numero di morti, e per dimostrare la futilità della guerra. Questa mitragliatrice era costituita da un fascio di 10 canne che venivano fatte ruotare manualmente in posizione di sparo, alimentate con cartucce metalliche a percussione centrale.
Negli stessi anni i chimici raggiunsero numerosi progressi nel campo degli esplosivi. Nel 1846 viene scoperto il fulmicotone, e solo due anni dopo la nitroglicerina. Nel 1867 Alfred Nobel trovò il modo di stabilizzare la nitroglicerina scoprendo la dinamite.
Nel campo dei fucili militari vengono studiate e realizzate armi in cui le operazioni di caricamento delle cartucce e di espulsione dei bossoli avvengono automaticamente, sfruttando o la pressione dei gas di sparo o l’energia del rinculo e già nella Prima guerra mondiale vennero impiegati fucili e pistole a raffica, tra cui l’italiana Villar Perosa.
Il principio dello sfruttamento dell’energia di rinculo per ricaricare un’arma (la stessa forza che sposta in avanti il proiettile agisce nell’opposta direzione) viene utilizzato per realizzare la pistola semiautomatica. Essa viene costruita in modo da non funzionare in modo automatico (a raffica): l’espulsione del bossolo e la successiva introduzione nella camera di una cartuccia avviene in modo automatico, ma per esplodere i colpi occorre azionare ogni volta il grilletto.
Nel 1905 i Tedeschi costruiscono il primo sottomarino allo scopo di raggiungere l’Inghilterra e la Francia.
Nel 1913 viene presentato a Londra il primo biplano da guerra Vickers Fighting Biplane n. 1, da cui discenderà il caccia Vickers FB5, armato di mitragliatrice, utilizzato dall’esercito britannico dal 1915 al 1916
Nel 1914 viene inventato il gas lacrimogeno.
Nel 1915 appare il primo carro armato su cingoli.
Nel 1936 si registra il primo volo dello Spitfire, che diventerà l’aereo simbolo della Seconda guerra mondiale. Era armato con quattro mitragliatrici dotate di 300 colpi ciascuna.
Nel 1941 entrò in servizio il Lancaster, prodotto nel Regno Unito e uno degli strumenti decisivi della vittoria alleata. Si trattava di un aereo da bombardamento e venne utilizzato principalmente come bombardiere notturno.
Il 3 ottobre 1942 la Germania nazista testò con successo il missile V2, armato di tritolo e nitrato d’ammonio. Il missile seguì una traiettoria perfetta e si schiantò a 193 km di distanza dalla piattaforma di lancio superando gli 80 km di quota. Gli Inglesi, consapevoli della grave minaccia di questa nuova arma, lanciarono una grossa offensiva contro i complessi di costruzione. Nell’immediato dopoguerra il missile V2 ebbe una breve ma intensa storia di utilizzazione. Sia gli americani sia i russi poterono disporre di centinaia di questi missili per far partire i rispettivi programmi missilistici, programmi che porteranno i due Paesi alla corsa di conquista dello spazio.
Il 13 giugno 1944, nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale, i nazisti lanciano la prima bomba volante V1 su Londra. Questo ordigno univa le caratteristiche di un aereo a quelle di una bomba, e fu il primo esempio di missile da crociera. Il lancio terrestre della V1, di solito, avveniva grazie a una rampa di lancio inclinata. In tutto l’Inghilterra fu raggiunta da circa 10.000 ordigni di questo tipo.
Nel 1945 l’esercito americano utilizzò ampiamente il Napalm negli attacchi incendiari alle città giapponesi. Si tratta di un’emulsione chimica altamente infiammabile. Il Napalm era già stato usato dagli USA nel 1943 in Italia per i lanciafiamme.
Nel 1942 il fisico statunitense J. Robert Oppenheimer è nominato direttore del Progetto Manhattan per lo sviluppo di un’arma nucleare e il 2 dicembre Enrico Fermi e il suo team, a Chicaco, ottiene la prima reazione nucleare a catena. Gli Stati Uniti, con l’assistenza militare e scientifica del Regno Unito e del Canada, erano così riusciti a costruire e provare una bomba atomica prima che gli scienziati impegnati nel Programma nucleare tedesco riuscissero a completare i propri studi per dare a Hitler un’arma di distruzione di massa. Il mattino del 6 agosto 1945 alle ore 8:15 l’aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo dal lancio dell’ordigno “Fat Man” su Nagasaki. Il numero di vittime dirette è stimato da 100 000 a 200 000, quasi esclusivamente civili. Per la gravità dei danni diretti e indiretti causati dagli ordigni e per le implicazioni etiche comportate dall’utilizzo di un’arma di distruzione di massa, si è trattato del primo e unico utilizzo in guerra di tali armi.
Conclusa la Seconda guerra mondiale si aprì il periodo della Guerra Fredda tra Usa e Unione Sovietica. In questa fase, dal 1947 al 1991, i due blocchi gareggiavano per costruire le bombe più grandi e devastanti. Questi ordigni venivano testati in regioni isolate, trasferendo nel caso la popolazione, ma portando gravissimi danni all’ambiente.
I Sovietici testarono con successo la loro prima bomba atomica nel Kazakistan. In risposta a questo, gli Americani annunciarono un programma di sviluppo della bomba a idrogeno. La prima bomba a idrogeno fu testata dagli USA nell’Atollo Enewetak (Isole Marshall), nel 1952. idrogeno La deflagrazione espresse una potenza 1000 volte superiore a quella delle bombe atomiche lanciate sul Giappone. Nel 1953 anche i Sovietici testarono la loro bomba a idrogeno.
A partire dal 1900 le conoscenze scientifiche nel campo della fisica, della chimica e della genetica hanno aperto la via allo sviluppo sistematico di armi micidiali. Per questo, dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati hanno aderito a varie convenzioni per proibire l’uso di determinate armi: le più importanti sono state la Convenzione per le armi biologiche (1972) e quella per le armi chimiche (1993). Tutte le armi che sono state vietate da queste convenzioni sono dette armi non convenzionali.
Einstein diceva “Io non so con quali armi sarà combattuta la Terza guerra mondiale, ma so che la Quarta sarà combattuta con pietre e bastoni”.
I PESCI dettati ortografici e materiale didattico vario: dettati, racconti, poesie e letture per bambini della scuola primaria.
I PESCI dettati ortografici
I pesci
I pesci vivono nell’acqua del mare (pesce di acqua salata), del lago, dei fiumi e degli stagni (pesce di acqua dolce). Le forme e le dimensioni dei pesci sono svariatissime. Poiché essi devono scivolare agevolmente nell’acqua, il loro corpo non presenta ostacoli: ha una forma affusolata. La testa è attaccata al tronco; gli occhi sono posti lateralmente e non hanno palpebre. Ai lati della testa ci sono le branchie, due aperture ricche di sangue: il pesce fa entrare l’acqua dalla bocca e la fa uscire appunto dalle branchie, trattenendo parte dell’ossigeno contenuto nell’acqua. Le branchie, quindi, servono al pesce per respirare. I pesci hanno il corpo coperto di scaglie, disposte come le tegole di un tetto. Per spostarsi nell’acqua si servono delle pinne e della coda; quest’ultima fa anche da timone. Essi possono vivere solo nell’acqua perchè non sanno respirare l’ossigeno direttamente dall’aria; si riproducono per mezzo di uova, che le femmine depongono in giugno.
La pesca
All’imbrunire, il porticciolo brulica di pescatori: voci, richiami, preparativi per la partenza. Si radunano le reti, si avviano i motori delle paranze e dei bragozzi. Le donne e i bambini salutano dalla spiaggia e dai moli. Gli uomini partono: staranno in mare tutta la notte, sperando di tornare, all’alba, con le ceste colme di pesce. Altri pescatori, invece, a bordo di motopescherecci, praticano la pesca d’alto mare, spingendosi a centinaia di chilometri dalla costa.
I pesci dell’acquario
Nell’angolo più caldo e luminoso della stanza, fa bella mostra di sé l’acquario. E’ un recipiente di cristallo, pieno d’acqua chiara e col fondo coperto da uno strato di sabbia, dove crescono pianticelle acquatiche. In quel piccolo spazio dei vispi pesciolini, alcuni piccolissimi ed altri più grandicelli, ma tutti assai graziosi. Le loro squame hanno vivaci colori, di un rosso più o meno intenso, con gradazioni azzurre, gialle e d’argento. Vi sono pesci dalla splendida e vaporosa coda a strascico; ve ne sono di quelli simili a farfalle, con lunghe striature nere, oppure dal corpo appiattito, che assomiglia ad una rondine, e due lunghe antenne sotto il capo.
Mangiare ed… essere mangiati
Sul fondale poco profondo vivono animali che sembrano piante, ma che sono pronti a ghermire qualsiasi preda passi loro a tiro; granchi mimetizzati in agguato fra le rocce e i coralli. Ecco la spugna, il riccio di mare, il corallo, la medusa, tutti pronti a mangiare e… ad essere mangiati. Sì, perchè questa è l’eterna vicenda della vita. Il microscopico copepodo mangia gli esseri ancor più microscopici che formano il plancton (piante e uova di animali e batteri). Ma l’aringa è subito pronta a divorare il copepodo (circa 60.000 ogni pasto), eppure essa non sfugge all’attacco del calamaro che, ghermitala con i suoi tentacoli, la sbrana a colpi di becco. E il calamaro viene divorato dal branzino. E così via. Fino a che l’ultimo pesce divoratore non muore per cause naturali e allora precipita sul fondo, in pasto agli abitanti degli abissi che si nutrono di carogne; e questo a loro volta cadono sul fondo dove i batteri li decompongono e formeranno quel detrito che fornisce alimento ad altri animali o diverrà concime per le diatomee, le microscopiche piante marine. Queste nasceranno, verranno divorate insieme con il plancton e il giro ricomincia. Nel mare non c’è mai pace: si insegue, si lotta, si divora e si viene divorati.
I pesci
I pesci hanno per sé tutta l’acqua del mare, dei laghi, dei fiumi: e nuotano. Ne conosciamo molti: pescecane, pesce martello e pesce spada, luccio e storione, tonno e sardina, sogliola, carpa, nasello, triglia; infine la trota, che vive nei laghi e risale i fiumi. Quello che a noi sembra il pesce più grosso è l’enorme balena: ma essa in realtà non è un pesce, è un mammifero. I pesci possono vivere solo sott’acqua: portati fuori dall’acqua, muoiono. Perciò l’uomo per ucciderli non ha che da pescarli.
La sardina
E’ lunga da dodici a venticinque centimetri, ha il corpo allungato. Vive nel Mediterraneo e nell’Atlantico nord – orientale. Sono famose per la pesca delle sardine le zone di mare attorno all’isola di Terranova (America settentrionale).
La pesca delle sardine
La bella stagione aveva recato correnti di acqua calda dal sud e le sardine non potevano tardare. Infatti i pescatori avvistarono i primi branchi, gruppi enormi composti di migliaia di pesci argentei lunghi da quindici a venti centimetri, che si spostavano in massa nel mare aperto. I pescatori prepararono subito le reti e le esche. Un grosso banco di avvicinava rapidamente. Era il momento di agire. L’esca, costituita di uova di pesce e di farina di arachidi, venne sparsa abbondante nell’acqua. Le sardine sembravano impazzite nel gustare quel cibo di cui erano tanto ghiotte. Compivano continue evoluzioni e intanto rimanevano impigliate nelle reti. Ben presto le barche furono ricolme di pesci argentei e guizzanti che brillavano al sole.
La sogliola
Questo pesce, quando è adulto, cessa di nuotare per adagiarsi sul fondo del mare; allora sul suo corpo avvengono fenomeni strani; la superficie del pesce rivolta verso l’alto diventa scura prendendo il colore del fondo marino e l’occhio che sarebbe dovuto rimanere sul lato rivolto verso il basso, si sposta verso il lato superiore accostandosi all’altro occhio.
Il pescecane
Lungo sei sette metri, è uno squalo gigantesco munito di una bocca le cui mascelle portano denti grandi e taglienti. Questo animale, assai vorace e pericoloso anche per l’uomo, abita i mari caldi e temperati e segue spesso le navi per cibarsi dei resti di cucina che vengono gettati in mare.
Il merluzzo
Abita in branchi numerosi dei mari del Nord, ed è oggetto di grande e accanita pesca. Le sue carni vengono vendute in tutto il mondo, seccate o salate, col nome di stoccafisso e baccalà.
Il tonno
E’ un pesce che può raggiungere la lunghezza di circa tre metri e il peso di alcuni quintali. Vive nel Mar Mediterraneo, in branchi numerosissimi, a grande profondità. E’ un grande nuotatore, dalla robusta coda forcuta e dal corpo a forma di fuso e quindi molto adatto a fendere l’acqua. Il dorso del tonno è di un bel colore azzurro cupo, il ventre è di color argenteo: i colori propri dei grossi pesci che vivono nel mare aperto.
Il pesce spada
Abbastanza comune nei mari d’Italia, questo pesce è caratteristico per il lungo rostro a forma di spada sporgente dalla mascella. E’ un voracissimo predatore e forse il più veloce fra tutti i pesci, capace perfino di slanciarsi sopra la superficie del mare con spettacolari salti nell’acqua. Il suo carattere è fiero e violento: non di rado si scaglia contro le imbarcazioni conficcando la spada nel fasciame, restando però vittima della sua collera. La pesca del pesce spada che si pratica con una fiocina speciale, la draffiniera, è molto emozionante. I pescatori sono disposti su un luntro, una larga barca a remi con albero molto alto, sul quale, in posizione di vedetta, sta appostato il fariere. Quando quest’ultimo avvista il pesce, dirige i rematori verso la preda. Giunti a qualche metro di distanza, il lanciatore tira con forza e precisione la sua fiocina assicurata a una corda robusta e sottile, lunga anche 800 metri, che viene allentata al pesce colpito in modo da seguirlo fino all’esaurimento delle energie.
Ippocampo o cavalluccio marino
Questo tipo di pesce deve il suo nome al fatto che la sua testa è molto simile a quella del cavallo. Il maschio è munito di una sacca ventrale in cui la femmina depone le uova, dalle quali nascono i piccoli già molto simili agli adulti.
La carpa
La carpa è un pesce di acqua dolce. Essa in genere abita gli stagni, i laghi, i fiumi ed è molto diffusa nel lago Trasimeno e nel lago di Como. Non è un pesce molto pregiato. Essa si nutre di piante acquatiche, di piccoli animali che vivono nei fondi melmosi, di sostanze in decomposizione. Poiché la carpa non è un pesce rapace, non ha bisogno neppure di essere molto veloce: ed ecco che il suo corpo è piuttosto tozzo. La bocca della carpa è circondata da labbra carnose ed ha alcuni filamenti che servono come organi di senso, per meglio esplorare l’ambiente in cui vive. La carpa ha molti nemici che la fanno stare giorno e notte col batticuore. Essi sono la lontra, il topo acquatico, il falco pescatore, l’airone e molti pesci rapaci.
Il luccio
Il luccio è un grosso pesce dal corpo lungo fino a due metri, ottimo nuotatore. Ha il muso aguzzo, una grossa bocca munita di denti anche sul palato. Vive nelle acque dolci d’Europa, d’America e dell’Asia. Il luccio è il più feroce dei pesci d’acqua dolce, il vero pescecane dei nostri fiumi e laghi. Se i giovani lucci sfuggono alla voracità dei loro simili, diventano pesci di notevoli dimensioni. In Italia sono frequenti nei laghi e talora anche nelle acque salmastre delle lagune. Possono vivere fino ad età molto avanzata; balzano fuor d’acqua per afferrare uccelletti; in qualche caso riescono perfino a morsicare i bagnanti. I lucci sono assai dannosi alle piscicoltura perchè distruggono gli altri pesci. In certi laghetti, l’apparizione di qualche luccio vuol dire la scomparsa rapida di ogni altro pesce.
Il pesce persico
Un pesce che non teme il luccio è il pesce persico, assai più piccolo, ma difeso da una forte spina che ferirebbe la bocca del feroce nemico. Il pesce persico è squisito e assai bello: le sue pinne sono di un delicatissimo color roseo. E’ uno dei pesci più ricercati delle nostre acque.
Il salmone
Il salmone comune misura sino a un metro e mezzo di lunghezza e può superare i venticinque chili di peso. Non vive nei nostri mari. Esso fa esattamente il contrario di quanto fanno le anguille. Nasce dalle uova deposte nelle acque dolci ma, fatto adulto, torna al mare. Verso il terzo, quarto anno di vita, durante l’inverno, risale fiumi e torrenti, superando anche ostacoli difficoltosi, come dighe e cascate, per deporre le uova.
La trota
E’ simile al salmone e può raggiungere il metro di lunghezza. E’ molto diffusa nei fiumi e nei torrenti specialmente d’Europa: vive volentieri soprattutto nelle acque fredde e chiare delle zone montane. La sua carne è molto pregiata.
I PESCI racconti
Il lungo viaggio di mamma anguilla
Da molte stagioni mamma anguilla viveva nel fossato. Le trote ed i ranocchi la conoscevano da gran tempo: la ricordavano giovane, sottile e lunga poco più di una spanna; ora invece era lunga quasi un metro e grossa quanto un braccio di bimbo. Quando giunse l’autunno, mamma anguilla apparve tutta affaccendata; si strofinava contro le erbe, per pulire la pelle incrostata di fango e faceva esercizi di nuoto; sembrava si stesse preparando per un grande viaggio. E difatti, un giorno, al tramonto, partì. Percorse il fossato ed entrò nel canale; dal canale nel fiume. Nel fiume nuotò per intere giornate e giunse al mare. Nel mare nuotò per lunghe settimane e giunse all’oceano. Qui giunta, volse il capo all’ingiù e cominciò a scendere, a scendere verso gli abissi marini. L’acqua si faceva sempre più fredda e più scura, ma mamma anguilla, senza timore, proseguì la sua lunga discesa. Quando giunse a tremila metri di profondità, trovò l’ambiente adatto alla nascita dei suoi piccoli ed allora depose le uova. Nacquero le piccole anguille. Erano vermetti trasparenti, senza colore; pian piano salirono alla superficie. Mangiarono e crebbero e, quando furono lunghe sei centimetri, iniziarono anch’esse un lungo viaggio. Fecero a ritroso il percorso compiuto dalla loro mamma ed arrivarono al mare, al fiume, al fossato. E qualcuna, forse, giunse al fossato da dove la mamma era partita.
I pescatori
Gigino e il babbo sono andati a Chioggia, presso Venezia. Sono arrivati proprio nel momento in cui le barche tornavano dalla pesca, e Gigino s’è trovato sulla riva dove ne erano approdate molte. I marinai andavano e venivano dalle barche alla riva, su ponticelli fatti con tavole, portando sulle spalle ceste colme di pesci argentei, ancora guizzanti e sgocciolanti. Gigino guardava: sardine, sogliole, triglie, granchi, sgombri, orate, cefali, seppie, calamaretti, pesciolini minuti… che pranzone di magro si sarebbe potuto imbandire! Sulle barche intanto i marinai stendevano le reti ad asciugare, lavavano il ponte, abbrustolivano fette di polenta su fornelletti a carbone. Sior Momi, il pescatore con cui il babbo era andato a parlare, è un uomo anziano, un po’ curvo dalla fatica del remo, con viso rugoso, abbronzato dal sole e dall’aria salsa. Ha sempre in bocca la pipa e parla il dialetto cadenzato dei Chioggiotti. Quando ebbero finito di trattare i loro affari, sior Momi si avviò col babbo verso la sua barca, una bella barca: Speranza II, con le grandi vele arancione che si specchiavano nell’acqua cheta della laguna. Gigino guardava, incantato. – Ti piacerebbe venire a pescare? – gli chiese sior Momi. – Magari! – – Si parte al tramonto, si sta fuori tutta la notte, e all’alba si torna: salvo che non si faccia una crociera più lunga e non si vada a dare una capatina nei porti dell’Istria o della Romagna. Allora, si sta fuori una settimana o anche più, si fa da mangiare sopra coperta e si dorme in cuccetta. – “Dev’essere bellissimo…”, pensò Gigino. – E dica un po’, sior Momi – domandò il babbo, – perchè la sua barca si chiama Speranza II? – Sior Momi si levò la pipa di bocca. – Perchè la Speranza I l’ha presa il mare, una notte di fortunale -. Un attimo di pausa… poi aggiunse, a voce bassa: – E si portò via anche il mio ragazzo più grande, che aveva vent’anni.- (G. Lorenzoni)
Pesci! Pesci!
Pescatore che vai sul mare quanti pesci puoi pescare? Posso pescarne una barca piena con un tonno e una balena, ma quel ch’io cerco nella rete forse voi non lo sapete: cerco le scarpe del mio bambino che va scalzo poverino. Proprio oggi ne ho viste un paio nella vetrina del calzolaio: ma ce ne vogliono di sardine per fare un paio di scarpine… Poi con due calamaretti gli faremo i legaccetti. (G. Rodari)
Pescatori
Infaticati e rudi s’alternano al cimento: sferzano il sole e il vento i corpi seminudi. Dietro la tesa fune ecco una rete oscilla: guizza la preda e brilla dentro le maglie brune… Or chi vuol ricordare pericoli e strapazzi? Buona pesca, ragazzi! (A. Graf)
I PESCI dettati ortografici e altro materiale
Il pesce sente gli odori
Il pesce vede bene fino a una decina di centimetri e la ragione di questo fatto è chiara: l’acqua permette solo raramente una visibilità illimitata. Alcuni pesci hanno una linea che corre lungo i lati del corpo. In questa linea vi sono microscopici organi di senso. Quando il pesce si avvicina ad un ostacolo, l’acqua preme contro il suo corpo. Gli organi di senso, posti lungo il corpo, avvertono questa pressione e il pesce cambia direzione. La linea laterale, come vengono chiamati questi organi, aiuta il pesce ad individuare anche la posizione del nemico o della preda. Il pesce riesce a distinguere bene i vari odori: il suo senso dell’olfatto può essere eccitato anche da piccolissime particelle di odori diluiti nell’acqua. E’ per mezzo dell’olfatto che i pesci, come gli altri animali, riconoscono il cibo, i loro piccoli, il nemico. La loro sensibilità è estrema. Un esempio ce lo mostrano i vaironi. Quando un individuo di una frotta è ferito, la sua pelle emette nell’acqua una sostanza il cui odore spaventa gli altri peci che si riuniscono in gruppo e scappano a nascondersi. Non è con le pinne che il pesce nuota, ma con la coda e con tutto il corpo. Le pinne funzionano da stabilizzatori, da timoni, da freni.
Lo storione
Ecco un pesce che ha sempre goduto ottima fama! I Romani antichi lo tenevano in gran conto: esso compariva in banchetti di lusso, preparato con salse complicate, e circondato di fiori! Nella Cina, lo storione era riservato alla mensa imperiale. Nel Medioevo, solo ai nobili era dato mangiare carne di storione. Lo storione, insieme ad altre specie affini, vive nelle acque profonde del Mediterraneo, del Mar Nero, del Mare del Nord, dell’Atlantico, ma giunto il momento della riproduzione, in primavera, risale i fiumi per deporvi le uova. I piccoli rimangono per un certo tempo nel fiume, ma appena hanno raggiunto un certo sviluppo, ritornano al mare, dove rimangono fino a quando, a loro volta, dovranno pensare a deporre le uova. Nelle regioni molto fredde, gli storioni ritornano nei fiumi per passarvi l’inverno in letargo, mezzo nascosti nel fango. Anche nei nostri maggiori fiumi, nel Po, nell’Adige, nell’Arno, nel Tevere, non è difficile pescare qualche bell’esemplare di storione, che è ricercatissimo per la bontà delle sue carni. Lo storione ha corpo allungato, fusiforme, è lungo due o tre metri, e qualche esemplare arriva anche ai cinque metri. Il suo peso passa facilmente il quintale. La pelle è percorsa da cinque serie di piastre ossee piramidali lungo il tronco, e, osservata alla superficie, pare smaltata. Il capo, allungato e corazzato di piastre ossee, finisce in un lungo muso depresso, munito inferiormente di quattro filamenti carnosi, detti cirri, che servono per il tatto e per rimescolare le materie che lo storione, animale voracissimo, fruga e scopre col muso. Con le uova di storione si prepara il caviale, cibo assai ricercato e pregiato come antipasto. Un altro prodotto importante che ci fornisce lo storione è la colla di pesce o ittiocolla, che si ricava dalla vescica natatoria e che serve a molti usi, per esempio a chiarificare il vino e la birra.
Il pescecane
Ecco la voracissima fiera del mare! Validissimo nuotatore, è fornito di odorato sviluppatissimo, che gli permette di fiutare una preda anche a distanze considerevoli. E i denti? Avete mai visto la bocca di un pescecane? Essa è fornita di molte file di denti, presentanti una o più punte, lunghi, taglienti, seghettati! Un braccio umano, una gamba, sono come per noi gli ossicini del pollo, in quelle boccacce spaventose! I pescecani, detti anche squali, comprendono moltissimi generi: solo nei nostri mari ne vivono ventitré generi, con un buon numero di specie! Nel Mediterraneo si può incontrare un pescecane detto verdesca, il quale, se in altri mari arriva a più di sei metri di lunghezza, nel Mediterraneo non supera i tre metri. Ha il corpo slanciato e forte, la pelle minutamente zigrinosa, il muso allungato. La bocca ha numerosi, forti denti triangolari, a margini seghettati, di cui i superiori hanno la punta volta in fuori. La verdesca è vivipara e… con grande abbondanza. In una femmina si trovarono cinquantaquattro embrioni di pescecane! I giovani seguono per qualche tempo la madre, che li protegge; anzi, in caso di pericolo, è stato osservato che essi si riparano nella bocca materna! La verdesca è assai diffusa nell’Atlantico e nel Pacifico. Abita per lo più a grandi profondità, ma sta anche a fior d’acqua, ad un miglio circa dalle coste. E’ agile e voracissima; si ritiene sia uno degli squali più impavidi e più pericolosi per l’uomo. Ci sono certi pescecani, detti carcarodonti, che arrivano a dodici metri di lunghezza, e possono inghiottire un uomo intero! Altri, detti smerigli, lunghe anche sei metri, sono molto arditi e pericolosi, e si arrischiano persino ad assalire i pescatori sulle barche! Nel Mediterraneo ci si può imbattere nel pescecane codalunga; detto così per la coda che spesso è più lunga di tutto il corpo, e arriva ai quattro metri, complessivamente. Pare che sia inoffensivo per l’uomo; si ciba principalmente di pesci. Nuota con impeto, e si dice che le femmine proteggano i piccoli, ricoverandoli, al caso, sotto le pinne pettorali. Tante volte l’apparenza inganna. Questo è il caso del sélache gigante, un pescecane lungo quattordici metri e anche più, ma che tuttavia è poco temibile. Abita nei mari freddi, dove nelle belle giornate viene talora a frotte presso la superficie, dove se ne sta tranquillo, lasciandosi cullare dalle onde… Ma, di solito, predilige le profondità. Si ciba di piccoli pesci e crostacei. I giovani sèlaci sono assai diversi dagli adulti, tanto che per parecchio tempo si credette appartenessero ad un’altra specie di pesci. Nell’Atlantico settentrionale il sèlache gigante è cacciato con la fiocina e col rampone, per ricavarne l’olio eccellente, dal grosso fegato; ma pare che ora anche questa specie vada estinguendosi. I pescecani più lunghi sono i rinodonti, dell’Oceano Indiano e del Pacifico. Arrivano ai venti metri di lunghezza; quasi come un piroscafo! Però sono anch’essi inoffensivi, perchè si cibano di piccoli animali marini.
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Dettati e materiale didattico sulle piante per bambini della scuola primaria.
Il soffione
Se noi soffiamo sul palloncino del soffione che cresce nei prati, ai margini delle strade o tra le pietre, lo vediamo scomporsi in tanti piccoli elementi, i quali se ne vanno lontani, veloci e leggeri. Prendiamo uno di quegli elementi. E’ formato da un corpicino sul quale è impiantato un filamento terminante in una raggiera di peluzzi. Possiamo paragonarli all’ombrello del paracadute, e il fruttino ovale al passeggero. Il vento lo afferra, lo trascina in alto, lo sospinge in basso e va a capitare, proprio come era il desiderio della pianta madre, in un luogo umido dove può svilupparsi a meraviglia. (G. Scortecci)
Per il lavoro di ricerca
Come è fatto un fiore? A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline? Che cos’è l’impollinazione? Come avviene e per mezzo di chi? Come si forma il frutto? Quali frutti conosci? Quali sono i frutti carnosi e quali i frutti secchi?
A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline?
Gli ovuli sono gli organi destinati a trasformarsi in semi. Perchè questa trasformazione avvenga occorre, però, che gli ovuli si incontrino con un granello di polline. Il polline viene prodotto dalle antere. Esso dovrà perciò essere trasportato fin sulla punta del pistillo: da qui potrà scendere fin nell’ovario dove incontrerà gli ovuli. Allora si formeranno i semi, ed il fiore avrà adempiuto il suo compito; infatti a questo punto il fiore appassisce e cade. Bisogna ricordare una importante legge che regola l’impollinazione dei fiori: in genere il fiore, perchè dai suoi semi possa nascere una pianta sana e vigorosa, deve essere fecondato con polline prodotto da un altro fiore. Ma chi provvede a portare il polline dall’uno all’altro fiore? Ogni famiglia di piante ha scelto un suo modo per provvedere a questo trasporto: c’è chi si serve del vento, chi dell’acqua e chi dell’opera di diversi animaletti, generalmente insetti, ma in qualche caso anche uccelli e molluschi.
L’impollinazione
Tutte le piante superiori si riproducono per mezzo di semi, i quali si sviluppano dal fiore solo quando questo viene fecondato. Voi sapete già come è fatto un fiore e quali sono i suoi organi principali. Conoscete quindi gli stami e le antere, che producono il polline, la minuta polverina gialla che rimane attaccata alle dita quando tocchiamo l’interno di un fiore maturo.
Quei minuscoli granuli gialli, prodotti in tanta abbondanza dai fiori, sono uno dei più preziosi elementi esistenti in natura, poichè racchiudono il segreto della vita delle piante. Sono proprio i granuli di polline che provocano la fecondazione degli ovuli, una volta giunti sul pistillo che sovrasta l’ovario.
Se esaminate il polline al microscopio noterete che i granuli hanno forme diverse, che variano da pianta a pianta. Ce ne sono di ovali, di cilindrici, di rotondi. Alcuni terminano con delle piccole punte, altri sono leggermente uncinati, altri ancora sono a forma di mezzaluna. Se provengono da piante che si fanno impollinare dal vento, sono più piccoli ed hanno forme più appiattite, per poter volare più facilmente. Se invece sono destinati ad essere trasportati lontano dagli insetti, sono di maggiori dimensioni e risultano appiccicosi.
Se un granulo di polline raggiunge il pistillo, l’ovulo viene fecondato. Ma raramente succede che il polline prodotto da un fiore vada a fecondare l’ovario dello stesso fiore.
Le piante fanno di tutto per ottenere che il polline arrivi al pistillo di un altro fiore o da un’altra pianta. Ciò permette la produzione di frutti e di semi migliori, più adatti alla germinazione; questo processo si chiama fecondazione incrociata e la sua estrema utilità fu dimostrata da Darwin già nel 1859.
Per questo motivo vi sono fiori nei quali il polline matura quando ancora il pistillo non è completamente sviluppato, e altri in cui si verifica il caso inverso. Vi sono poi fiori il cui pistillo si sviluppa molto in altezza, al di sopra delle antere, sempre per impedire che il polline sottostante possa raggiungere l’apertura (stigma). Altre piante infine producono fiori con solo stami che danno il polline (fiori maschili) e fiori col solo pistillo terminante nell’ovario (fiori femminili). Di questo gruppo sono le piante che si fanno impollinare dal vento, come le conifere. Esse non producono fiori con corolle vistose, perchè non devono attirare gli insetti. Producono invece quantità incredibile di polline, perchè dei milioni e milioni di granelli che volano nell’aria solo qualcuno giunge sul fiore adatto.
Alcune piante affidano il polline al vento, altre si servono dell’acqua, altre ancora si impollinano da sole, ma nella maggior parte questa importantissima operazione viene affidata agli animali, e in particolare agli insetti. Per essi le piante producono fiori profumati, fiori provvisti di dolce nettare, fiori dai petali vistosamente colorati. La stessa forma delle corolle ha il preciso scopo di lasciar passare l’insetto adatto all’impollinazione e di impedire chi si entrino altri animaletti meno graditi. Basta osservare ciò che avviene in un fiore di salvia, per restare stupiti dal meraviglioso meccanismo posto in atto per favorire l’impollinazione incrociata.
Quando un’ape, attirata dal profumo o dal nettare, si appoggia sul petalo più basso per entrare nel fiore, preme su una speciale levetta che fa abbassare lo stame. Questo, che è già incurvato dal peso dell’antera matura, va a toccare il dorso peloso dell’insetto e lo cosparge di polline. L’ape poi vola su un altro fiore e l’operazione si ripete. Ma la salvia è una di quelle piante che fanno maturare prima le antere e poi il pistillo. Così quando l’insetto giunge su un fiore con le antere avvizzite vi trova un pistillo maturo, che incurvandosi con lo stesso meccanismo va a raccogliere il polline di altri fiori sul dorso dell’ape, fecondandosi.
I frutti
Quando il polline, al momento della fioritura, viene portato sulla stimma per opera, o degli insetti, o del vento, o di altri agenti, si ha la fecondazione degli ovuli. Avvenuta questa, gli ovuli si trasformano in semi mentre le parti dell’ovario si gonfiano, si fanno carnose, tonde, colorite, oppure, a seconda dei casi, solide, fibrose: sta formandosi il frutto. Per noi i frutti sono il piacevole completamento dei pasti, ma per la pianta rappresentano un momento importantissimo e delicato della sua vita. Il frutto protegge il seme e serve a disseminarlo nel terreno. Per il botanico i frutti si dividono in due categorie: carnosi e secchi. I primi sono pieni di polpa carnosa, turgida, ricca di succo e ci richiamano subito alla mente le ciliegie, le pesche, le mele, le pere. I frutti secchi non hanno una parete così succosa come i loro parenti carnosi. Ne esistono molte varietà di cui le principali sono: la noce, il legume, la cariosside. Oltre a i veri frutti, esistono anche i falsi frutti alla cui formazione concorrono, oltre all’ovario, altre parti del fiore. Per esempio il vero frutto della fragola è formato da quei granellini neri che ne costellano la polpa e che vengono generalmente ritenuti semi. Altri falsi frutti sono il fico e il pomo.
I fuoriclasse della botanica
Ecco alcuni semi, fiori, frutti, piante ed alberi che sono veri e propri campioni mondiali di qualche specialità che ti indicherò. Il seme più grosso: cocco. Il fiore più grande: bolo. Il frutto più voluminoso: turien. L’albero più alto: sequoia. L’albero più grosso: baobab. Il legno più leggero: balsa. Il legno più pregiato: ebano. La pianta più delicata: sensitiva. La pianta più ricca di olio: sesamo. La pianta che piange di più: vite. L’albero europeo più longevo: tiglio.
Le sequoie
Le sequoie sono famose per le dimensioni gigantesche e per la longevità. Gli esemplari più alti e più vecchi hanno addirittura un nome proprio e sono severamente protetti. Vi sono due specie di sequoie: la gigante e la sempreverde (ma anche la prima conserva le foglie verdi d’inverno). Attualmente la sequoia gigante di maggiori dimensioni è la General Sherman, che ha quasi 4.000 anni ed è altra 88 metri. Il suo diametro alla base è di circa nove metri. Le sequoie sempreverdi sono meno longeve, ma raggiungono le altezze maggiori. La Founder’s Tree, che si trova in California, è alta ben 110 metri. Il suo tronco però è meno massiccio ed ha alla base un diametro di quattro metri e mezzo. Il principale carattere che distingue le due specie è dato dalla forma e dalla disposizione delle foglie Nella sequoia sempreverde sono lineari e coriacee, lunghe un centimetro, lisce e aghiformi, con l’estremità appuntita; nella sequoia gigante sono molto più piccole, a forma d brattee appuntite, e disposte sui rametti come tante embrici. Entrambe le specie producono pigne, più semplici e piccole nella sequoia sempreverde. I tronchi hanno corteccia rossastra molto screpolata e legno leggero e resistente, rossiccio, poco pregiato.
Le piante che danno le spezie
Queste piante devono la loro speciale natura ad oli essenziali che esse contengono, e mentre di alcune mangiamo il frutto, come il pepe comune, la noce moscata e la vaniglia, di altre, quali il cinnamomo e la cassia, usiamo la corteccia e, nel caso dello zenzero, la radice. La spezia più usata è il pepe, del quale si riconoscono diverse varietà. Quella più comune, conosciuta in commercio come pepe nero, è la bacca macinata di una pianta che cresce in India e che viene coltivata anche in altri paesi, compresi Giava e Sumatra. Si tratta di una pianta rampicante o strisciante, una liana, con lo stelo di colore scuro, i cui rami, che si curvano verso terra, portano spighe di fiori verdi, dai quali si formano poi bacche d’un rosso chiaro, della grossezza di un pisello. Queste bacche, una volta seccate, costituiscono il pepe in grani del commercio. Una buona pianta di pepe produce da due a tre chilogrammi di frutti. Nelle piantagioni, il pepe è sempre sostenuto da pali o da alberi piantati appositamente. Anzi, questi ultimi sono preferiti perchè la pianta prospera meglio dove può godere un po’ d’ombra. Le bacche vengono raccolte quando il loro colore si tramuta dal verde al rosso, periodo nel quale sono più piccanti, e vengono poi stese su stuoie, a seccare al sole. Seccando, diventano nere e grinzose, ed in questo stato sono dette pepe nero.
Palma da cocco
La palma da cocco è definita “il re dei vegetali” per la quantità di prodotti che da essa si ricavano. E’ un bell’albero dal fusto robusto, alto fino a trenta metri e terminante con un bel ciuffo di foglie pennate, ciascuna delle quali è lunga da quattro a cinque metri. All’ascella delle foglie si sviluppano i fiori maschili e femminili, raggruppati in piccole inflorescenze. I frutti che ne derivano sono le ben note drupe ovali, pesanti fino a due chili. Sull’albero però le noci di cocco non hanno l’aspetto bruno scuro che conoscete. Esse sono rivestite da uno spesso strato fibroso, di colore verde, che viene asportato prima di mettere il frutto in commercio. Con quelle fibre si fabbricano stuoie e cordami. Una palma più produrre anche una decina di mazzi di noci, ciascuno composto di dieci o dodici frutti. Sotto il bruno strato legnoso, che viene a volte utilizzato per fare bottoni, la noce di cocco presenta il seme, cioè quella polpa bianca mangereccia, ricca di zuccheri grassi e proteine, che viene venduta a spicchi anche da noi. Questa polpa, disseccata, rappresenta la copra da cui si ricava l’olio di cocco, usato per la fabbricazione di cosmetici, profumi, margarina e saponi. Con i residui opportunamente triturati si ottiene un buon foraggio.
Il segreto degli alberi
Il mondo è davvero meraviglioso in tutti i suoi esseri e in tutti i suoi aspetti particolari. Prendiamo, ad esempio, gli alberi: che cosa c’è di apparentemente più semplice? Ma proviamo ad osservare e a studiare come si nutre la pianta, come respira e traspira, quali delicate e vitali funzioni assolvono le radici e le foglie. Ci troveremo davanti a segreti meravigliosi, che ci lasceranno stupiti e incantati. E’ appunto ciò che capita a Mario, il protagonista di questo racconto. Durante una passeggiata in montagna, conversando col suo papà, il bambino viene a conoscenza dei più delicati segreti degli alberi, fa perfino conoscenza con una fatina che ha nome Clorofilla. Volete conoscerla anche voi?
A mezza costa i prati cessavano, limitati da una siepe spinosa, e aveva inizio il bosco. Un bosco fitto, folto, ombroso, tutto tremolante d’occhi di sole, in una penombra azzurrina dove gli insetti ronzavano infaticabile nel misterioso silenzio del mattino. “Com’è fresca l’aria sotto gli alberi!”, esclamò Mario respirando a pieni polmoni, appena il sentiero si fu inoltrato nel mezzo del bosco. Il babbo si fermò, prese il fazzoletto e si asciugò il sudore sulla fronte. “Si sta bene qui sotto”, disse. “L’aria è fresca, ma è anche pura, frizzante, sottile: sembra di sentire l’ossigeno sotto il naso…”, e respirò a sua volta a pieni polmoni. “Sapresti dirmi”, riprese il babbo, “perchè l’ombra, sotto gli alberi, è così fresca?” “Perchè le foglie riparano dal sole”, rispose Mario. Ma il babbo scosse la testa. “Questo è vero solo in parte. Anche una tenda può riparare dai raggi del sole, e forse meglio delle foglie che, come vedi, lasciano giungere degli spiragli luminosi fin sul sentiero. Eppure sotto una tenda l’aria diventerà presto asciutta e calda. Mentre nel bosco questo non succede mai. Ci deve essere un’altra ragione…” Mario rimase pensieroso. Non sapeva che dire. E certo, anche molti di voi non avrebbero saputo che cosa rispondere. Allora il babbo riprese a parlare. “Non hai mai sentito dire che gli alberi respirano, proprio come gli uomini? Guarda questa foglia. A occhio nudo non si vede che ha una superficie ruvida, percorsa da sottili nervature. Ma osservata al microscopio essa è tutta punteggiata di minuscole boccucce, dette stomi. L’apertura di queste boccucce è sottilissima, di 0,00005 millimetri, in modo che non vi entrano né polvere né liquidi; solo i gas possono passare, ed entrano ed escono secondo un ordine meraviglioso”. “Ma a che servono queste boccucce, se sono così piccole?” “A che servono? Intanto, devi sapere che, se queste boccucce sono piccole, sono però numerosissime. Pensa che, per ogni millimetro quadrato ce ne sono in media 200, e che una quercia, tutto sommato, ne ha parecchi miliardi. E ora vediamo un po’ a che cosa servono. Ma permettimi prima una domanda: come si nutrono le piante?” “Attraverso le radici!” rispose Mario, che l’aveva sentito tante volte. Il babbo rimase un istante in silenzio, poi riprese: “In un certo modo sì, ma non è del tutto esatto. Vedi, le radici assorbono dal terreno sostanza minerali inorganiche e cioè alcuni sali che si trovano disciolti nell’acqua che imbeve la terra. Le radici li assorbono e li spingono su su lungo il tronco. Ma questi sali non sono ancora un cibo pronto per essere assimilato dalla pianta. Sono ancora, come dicono gli studiosi, linfa grezza. Questa linfa grezza deve subire una trasformazione che la muti da sostanza inorganica in sostanza organica. E’ a questo punto che entrano in funzione le foglie e quella specie di fatina verde che si chiama Clorofilla. Questa fatina, che non è altro che una sostanza speciale, ha la proprietà di saper prendere l’anidride carbonica che è nell’atmosfera e che attraverso gli stomi, quelle famose boccucce, è entrata nella foglia. Sotto l’azione della luce, la clorofilla scinde l’anidride carbonica nei suoi elementi: carbonio e ossigeno. Trattiene il carbonio e manda fuori l’ossigeno, sempre attraverso quelle famose boccucce…” “Ecco perchè l’aria è limpida e pura sotto gli alberi! I nostri polmoni hanno bisogno di ossigeno e queste boccucce delle foglie ce lo restituiscono puro e semplice”. “E perchè?” “Ricordi quella linfa grezza che, assorbita dal terreno, sta salendo lungo il fusto? E’ composta di sostanze inorganiche. Ora questa magica trasformazione avviene proprio con l’intervento del carbonio che, combinandosi con le materie prime portate su dalla linfa, le muta in amidi e in zuccheri che scorrono poi in tutta la pianta, dal più alto ramo giù giù fino alle radici, nutrendo tutte le cellule. Ora capisci perchè non è esatto dire che la pianta si nutre attraverso le radici. Le radici offrono il materiale alla nutrizione, la linfa grezza; ma è nelle foglie che la linfa grezza si trasforma in cibo, in amidi e in zuccheri… Le foglie sono dei veri e propri laboratori chimici. Con l’intervento della clorofilla, sotto l’azione della luce, scompongono l’anidride carbonica in ossigeno e carbonio. Rigettano l’ossigeno e trattengono il carbonio. E col carbonio, attraverso una serie di reazioni chimiche, trasformano i sali minerali assorbiti dalle radici in sostanze organiche, ne fanno un cibo perfetto, pronto a entrare in circolazione attraverso tutto l’albero. Questa trasformazione, che avviene nelle foglie, si chiama fotosintesi clorofilliana…”. Mario era rimasto a bocca aperta e ora guardava le foglie con sguardo quasi religioso. “E’ davvero una meraviglia…”, disse sottovoce. “E ora”, riprese il babbo, “se ti domandassi perchè l’aria è così fresca e così pura sotto gli alberi, che cosa mi risponderesti?” “Risponderei che tutti dipende dal fatto che la foglia assorbe l’anidride carbonica, la scompone, trattiene il carbonio e manda fuori l’ossigeno…” “Giusto, ma questo spiega soltanto perchè l’aria sia pura… Non spiega ancora perchè è sempre così fresca e umida. Guarda questo muschio, è tutto bagnato, umido di rugiada… Perchè? Nella fotosintesi clorofilliana, non tutta l’acqua che trasporta su, verso le foglie, le sostanze minerali assorbite dal terreno, viene utilizzata. L’acqua superflua viene eliminata attraverso gli stomi, assieme all’ossigeno che la pianta non utilizza. E quelle famose boccucce la cacciano fuori sotto forma di vapore acqueo. Pensa che una quercia media, nei cinque mesi a cavallo tra la primavera e l’estate, traspira ben centoundici tonnellate d’acqua… Le pompa su dalle radici, se ne serve, e poi la getta fuori, come facciamo noi quando sudiamo, in un continuo ricambio”. “Allora anche le piante, oltre a nutrirsi e a respirare, sudano…” “Proprio così; e questo fenomeno, che si chiama traspirazione, rende l’aria attorno sempre fresca, sempre umida… Ma tu hai detto una cosa a cui io ho accennato solo di sfuggita. Hai detto che le piante respirano. Ma quando? Come?” “Quando assimilano il carbonio e mandano fuori l’ossigeno”. “E questo quando avviene?”. “Di giorno”. “E perchè proprio di giorno? Non potrebbe avvenire anche di notte?”. “No”, rispose Mario dopo un attimo di perplessità. “Non può avvenire, perchè la clorofilla, per scindere l’anidride carbonica in carbonio e in ossigeno, ha bisogno della luce. L’hai detto tu. E di notte la luce non c’è”. Il babbo lo guardò sorridendo. Era contento. Mario aveva proprio ragione. Ma c’erano molte cose da precisare e il babbo riprese con calma: “Vedi, quella che tu chiami respirazione, e cioè l’eliminazione dell’ossigeno, è più propriamente una operazione della fotosintesi clorofilliana. E hai ragione di dire che la luce vi è necessaria e che pertanto avviene solo di giorno. Ma la respirazione è una cosa del tutto diversa, è proprio il contrario della fotosintesi, e perciò avviene di notte, quando non c’è la luce. In questo caso, la pianta trattiene l’ossigeno e espelle l’anidride carbonica. Per questo è pericoloso dormire di notte sotto gli alberi. Quanto l’aria è ricca di ossigeno durante il giorno, altrettanto è ricca di anidride carbonica durante la notte. E quindi è dannosa per l’uomo”. Intanto, camminando passo passo, erano giunti a una radura erbosa. Il bosco si apriva all’improvviso, lasciava irrompere la luce in tutto il suo fulgore e, oltre gli speroni del monte, apriva un vasto orizzonte con la linea azzurra del mare. Il vento, tra le foglie, faceva un rumore alto e lontano. Com’era bello guardare da lassù, come affacciati ad un balcone proteso sul mare, e ascoltare il bosco, coi suoi ronzii impercettibili, con la sua musica aerea di rami e di foglie. Mario guardava meravigliato, ma pensava ancora alle piante, ai loro strani e meravigliosi segreti. (L. Ardenzi)
Osserva un seme
Potrai facilmente procurarti fagioli, ceci, lenticchie, piselli e fave (secchi), o chicchi di grano, di orzo o di granoturco. Essi rappresentano i semi delle piante cui appartengono: da essi, in opportune condizioni ambientali, germoglieranno le nuove piante. Fagioli, ceci, fave, piselli sono semi di leguminose; i chicchi di grano, di orzo, di granoturco sono semi di graminacee. Osserva la forma di un seme di leguminosa: esso è fornito di un tegumento esterno, facilmente asportabile; tale tegumento serve per la protezione del seme stesso. Asportando il tegumento, il seme si divide facilmente in due parti: i due cotiledoni del seme. Tra i due cotiledoni, verso uno dei due poli del seme, potrai notare l’embrione, che non sempre può essere osservato con facilità ad occhio nudo: esso tuttavia può essere notato facilmente, perchè può essere staccato dal resto del seme. L’embrione è la parte più importante di tutto il seme, perchè da esso inizierà lo sviluppo della nuova pianta. Nell’embrione, anche se non sempre l’osservazione è facile, esistono una radichetta, un fusticino ed una piumetta. Dalla radichetta avrà origine la radice della nuova pianta, dal fusticino si svilupperà il nuovo fusto e dalla piumetta avranno origine le prime foglioline della nuova pianta. A queste parti bisogna aggiungere i cotiledoni, riserva di nutrimento. Altra riserva di nutrimento è l’albume che accompagna le parti del seme che abbiamo già citato. Sia l’albume che i cotiledoni rappresentano riserve di nutrimento: in alcuni semi i cotiledoni sono molto sviluppati e l’albume è inesistente o quasi come nel caso dei semi di leguminose, mentre in altri semi i cotiledoni sono poco sviluppati e il seme è ricco di albume. I semi di graminacee sono ricchi, ad esempio, di albume farinoso, che costituisce gran parte del seme. Osservando un seme di graminacea non riuscirai facilmente a staccare il tegumento esterno del seme stesso, che non risulta diviso in due parti: il seme di una graminacea ha un solo cotiledone, e sarà più difficile l’osservazione dell’embrione. Se il seme di una pianta ha due cotiledoni, la pianta è detta dicotiledone; se il seme, invece, ha un solo cotiledone, la pianta è una monocotiledone.
La germinazione del seme
Il seme, se posto nelle opportune condizioni ambientali, germoglia. Il principale fattore della germinazione è l’umidità. Poni alcuni semi di leguminose o di graminacee su uno strato di ovatta, che avrai cura di tenere sempre umido. Noterai che i semi si gonfieranno fino a rompere il loro tegumento, e che si vedrà spuntare l’estremità appuntita della radichetta. Se osservi in questo particolare momento il seme, aprendolo con attenzione, puoi facilmente notare le tre parti essenziali dell’embrione: radichetta, fusticino, piumetta. Poni alcuni semi sul fondo di un vaso di vetro, alto e dall’imboccatura larga, e tienili umidi poggiandoli, come nella precedente esperienza, su uno strato di ovatta. Chiudi il vaso e lascia passare un po’ di tempo, tenendo il vaso al buio. Se scopri il vaso lentamente e vi introduci un fiammifero acceso, questo si spegne. I semi hanno consumato l’ossigeno presente, sviluppando anidride carbonica. Se lasci il vaso chiuso la germinazione si arresta. I semi, durante la germinazione, respirano. Poni alcuni semi nelle stesse condizioni della precedente esperienza, introducendo tra i semi un termometro e lasciando il vaso scoperto. Noterai che il termometro segnerà, dopo un certo tempo, una temperatura maggiore di quella segnata all’inizio. I semi, durante la germinazione, generano calore. Poni alcuni semi lungo le pareti di un vaso di vetro, piuttosto in alto, e poni dietro ad essi un foglio di carta assorbente o da filtro che ricopra le pareti del vaso. Nell’interno del vaso introdurrai del terriccio, che avrai cura di mantenere umido. Potrai anche riempire il bicchiere con muschio o cotone idrofilo, sempre umidi. Potrai così osservare la germinazione del seme ed il primo sviluppo della pianta. Noterai che il seme si gonfia fino a rompere il tegumento esterno; spunta poi la radice che, indipendentemente dalla posizione del seme, si rivolge verso il basso; successivamente spunterà la piumetta che si rivolgerà verso l’alto, fino a fuoriuscire dal vaso. I cotiledoni forniscono il nutrimento necessario alla pianta in questo primo stadio della loro vita. Essi possono restare sottoterra (e si diranno ipogei) o venir fuori con la pianta (e si diranno epigei). In quest’ultimo caso i cotiledoni assumono il colore verde tipico delle foglie. Prepara più vasi con terriccio e affonda in essi alcuni semi. Poni questi vasi nelle più diverse condizioni di luce: in piena luce, in penombra, al buio completo. Ciò ci servirà per le future esperienze. In uno dei vasi che hai posto in piena luce, potrai seguire, quando la pianta sarà germogliata, le varie fasi del suo accrescimento, accrescimento che potrai misurare ad intervalli regolari. Noterai che esso è più rapido agli inizi della vita della pianta, più lento successivamente; ma la pianta comincia a presentare gemme, da cui si svilupperanno altre foglie. Potrai anche notare che lo sviluppo della pianta in terriccio non solo è più rapido di quello della pianta su letto umido di ovatta, ma è completo. Ciò è dovuto al fatto che la pianta sul letto umido di ovatta può avere nutrimento soltanto dalle sostanze contenute nei cotiledoni, mentre la pianta in terriccio, una volta sviluppata, è in grado di assorbire sostanze nutritive dal terriccio stesso. (U. Sardi – “Osservazioni ed elementi di Scienze”)
Dimostriamo che un seme germina solo in presenza di aria
Un seme è, come sapete, una cosa viva. Come tale dunque respira, si nutre e risente dei fattori ambientali (aria, umidità, temperatura e luce), che possono favorire o ostacolare la nascita di una pianta, cioè la germinazione del suo seme.
Materiale: 2 vasetti da fiori, terra soffice mista a sabbia, una manciata di semi (fagioli o fave o ceci o frumento), acqua naturale, acqua bollita a lungo. Procedimento: seminare in ciascun vasetto (contrassegnandolo con un cartellino numerato) un ugual numero di semi della stessa qualità. Innaffiare il vasetto 1 con acqua naturale e quello 2 con acqua bollita a lungo e fatta raffreddare (quest’acqua, bollendo, avrà perso tutta l’aria che conteneva). Coprire i vasetti con lastre di vetro perchè l’umidità non si disperda. Disponete i due vasi in ambienti caldo (20-22 gradi). Lasciare tutto così per qualche giorno, poi, in base a quanto avete notato, scrivete le vostre osservazioni, che costituiranno il vostro “Giornale delle scienze”. I semi del vasetto 1, innaffiato con acqua naturale, sono germinati normalmente in giorni …. ; quelli del vasetto 2, bagnati con acqua priva d’aria, non sono germinati. Dunque un seme per germinare ha bisogno di aria, cioè di ossigeno per respirare.
Materiale: 3 vasetti da fiori, semi, terra soffice. Procedimento: mettere una stessa quantità di terra nei tre vasetti (contrassegnandoli coi numeri 1, 2 e 3). Assicuratevi che la terra del primo vasetto sia ben asciutta (potreste introdurla per qualche minuto nel forno, perchè perda tutta l’umidità). Seminate nei tre vasetti un ugual numero di semi, tutti dello stesso tipo, e innaffiate soltanto i vasi 2 e 3, lasciando asciutto il primo. Innaffiate una volta al giorno il vaso 2, due volte al giorno e abbondantemente il vaso 3; continuate a non innaffiare il vaso 1. Il foro di scollo del vasetto 3 dovrebbe essere chiuso con un tappo, perchè l’acqua non esca dal vaso. Redigete il vostro “Giornale delle scienze”. Ora sappiano che nel vasetto con terra completamente asciutta la germinazione ….; in quello bagnato normalmente ….; in quello bagnato troppo ….. Dunque un seme per poter germogliare, oltre all’…. e al …. ha bisogno anche di ….; ma questa, se in quantità eccessiva, …
Materiali: 2 vasetti da fiori, i soliti semi, terra soffice. Procedimento: seminate in ogni vasetto uno stesso numero di semi e copriteli con due o tre centimetri di terra umida. Collocatene uno in piena luce, l’altro in un luogo buio (in cantina o coperto da un panno nero). Redigete il “Giornale delle scienze”. Ora sappiamo che la germinazione nel vasetto 1 è avvenuta … e dopo giorni … nel vasetto 2 collocato in … è avvenuta dopo … giorni. Dunque un seme per germogliare ha bisogno di …
Le foglie
Non occorre essere grandi osservatori per sapere che le foglie hanno forme svariate e diversissime. Tutti voi avete visto esemplari di foglie semplici, composte, palmate o pennate. Su un fatto però difficilmente avrete fermato l’attenzione, e cioè sulla loro continua freschezza. Pensate: se durante le ore del solleone, in piena estate, mettete dei fogli di carta o dei frammenti di qualsiasi materiale al sole, dopo qualche ora li troverete molto caldi. Se si tratterà di metallo, scotteranno addirittura. Le foglie degli alberi, invece, rimangono esposte al sole tutto il giorno, ma se le toccate sono sempre fresche come se non fossero state colpite dai suoi caldi raggi. Questa è una delle meraviglie di fronte alle quali ci troviamo, quando osserviamo quegli importantissimi organi della pianta che sono le foglie. La loro continua freschezza è dovuta al fatto che esse evaporano incessantemente una incredibile quantità di acqua, residuo delle complicate trasformazioni chimiche che avvengono nelle loro parti interne. Una pianta di granoturco durante l’estate può trasudare ben duecento litri d’acqua. Una betulla nello stesso periodo ne traspira ben settemila litri. Questo vi dice anche quanto servano le piante al ricambio dell’ossigeno nell’atmosfera.
Le foglie che si mangiano
Avete mai calcolato quanti sono i tipi di foglie che si consumano nell’alimentazione umana? Il prezzemolo, il basilico, la salvia, il rosmarino,… Se poi pensiamo a quelle che servono per l’alimentazione animale, il numero si allarga a dismisura. Si può anzi affermare che non c’è tipo di foglia che non abbia il suo amatore, sia esso bruco o roditore o erbivoro, il quale la preferisce ad altre specie. E’ esatto quindi affermare che le foglie nutrono non solo la pianta che le ha generate, ma tutto il mondo vivente. Il loro scopo primo, però, è quello di nutrire la pianta; questo è evidente. Utilizzando l’acqua, l’aria e qualche sostanza minerale succhiata dal suolo esse sono capaci di produrre lo zucchero e gli amidi, che sono alla base di ogni sostanza organica. A rendere possibile questa trasformazione è la clorofilla, l’elemento verde della foglia, che capta l’energia del sole e se ne serve per dissociare gli atomi di ossigeno, di idrogeno e di carbonio che compongono aria e acqua per unirli in modo diverso e produrre così la materia organica. Si tratta di un’operazione a tal punto delicata e complicata, che finora nessun laboratorio umano è riuscito a riprodurla artificialmente.
Foglie strane
Per adattarsi all’ambiente, al clima, alle particolari esigenze della pianta le foglie talora assumono forme assai strane, di cui vi diamo qualche esempio. La foglia di Victoria regia, pur essendo molto pesante date le sue dimensioni (oltre un metro di diametro) può galleggiare sull’acqua grazie alla sua forma di vassoio a bordi rialzati e alla presenza nei suoi tessuti di numerose piccole camere d’aria. Le foglie di Aloe spinosa, costrette a immagazzinare grandi quantità d’acqua per i periodi di siccità, diventano turgide e carnose. In altre piante esse si trasformano in spine, in altre ancora diventano trappole per catturare gli insetti, di cui poi la pianta carnivora si nutre. Nella vite alcune foglie si trasformano in quegli organi di attacco che si chiamano viticci. Occorre ricordare inoltre che i fiori sono particolari trasformazioni delle foglie. Come vedete, si tratta di organi complicati e mutevoli.
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Complemento di tempo col metodo Montessori. Presentazioni ed esercizi per bambini della scuola primaria e frasi col complemento di tempo.
Per l’insegnante:
il complemento di tempo esprime le diverse circostanze di tempo dell’azione o della condizione indicata dal verbo. Vi sono due tipi fondamentali di complemento di tempo:
– tempo determinato, indica il momento in cui si verifica l’azione o la circostanza espressa dal verbo; risponde alle domande quando? per quando? a quando? in quale momento o periodo? come negli esempi: Arrivò alle sei. Ci vediamo questa sera. Gli ho scritto domenica. Mi svegliai a notte inoltrata. L’ho conosciuto durante la guerra. Rinviamo alla prossima volta. Il complemento di tempo determinato è retto dalle preposizioni e locuzioni preposizionali in, a, di, per, su, con, tra, durante, al tempo di, prima di, ecc. Si trova spesso senza preposizione: Ho studiato due ore. Il complemento di tempo determinato può essere espresso anche da un avverbio (ieri, oggi, mai ecc.) o da una locuzione avverbiale (una volta, di quando in quando, un tempo ecc.) per cui si ha un complemento avverbiale di tempo: Un tempo eravamo buoni amici. Ieri siamo andati in discoteca.
– tempo continuato: indica per quanto tempo dura l’azione o la circostanza espressa dal verbo; risponde alle domande quanto? per quanto tempo? in quanto tempo? da quanto tempo? come negli esempi: Rimango qui per due settimane. Lo conosco da molti anni. Piovve tutto il giorno. Ti aspetto fino alle dieci. Finirò in pochi giorni. La partita durò due ore. Il complemento di tempo continuato può essere espresso anche da un avverbio (lungamente, sempre ecc.) o da una locuzione avverbiale (per sempre, a lungo ecc.) per cui si ha un complemento avverbiale di tempo: Lo ricorderà per sempre. Ha aspettato a lungo. Ride sempre.
Nota: – inizialmente presentiamo ai bambini il complemento di tempo senza distinguere tra tempo determinato e continuato.
___________________ Presentazione al primo livello per il complemento di tempo
Materiale:
– frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1a un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera con la scritta: chi è che?… che cosa è che?… una freccia nera con la scritta: chi? che cosa una freccia arancio con la scritta: quando? (per il complemento di tempo).
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro il materiale previsto per l’esercizio – scegliamo una frase, ad esempio DURANTE IL PRANZO ALMA MI HA RACCONTATO TUTTO. – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro – chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “HA RACCONTATO” – mettiamo il verbo HA RACCONTATO sul cerchio rosso – chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “ALMA” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande e colleghiamo il soggetto al predicato con la freccia nera con le domande chi è che?… che cosa è che?… – chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: ” TUTTO” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio e poniamolo a destra del predicato – colleghiamo il predicato al complemento oggetto per mezzo della freccia nera con le domande ‘chi? che cosa?’ – chiediamo: “Quali sono i complementi indiretti?”. I bambini rispondono: “MI, DURANTE IL PRANZO” – diciamo “Sì, questi due complementi sono indiretti perchè completano la frase”. – diciamo: “I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo la parola MI sul cerchio piccolo arancio – chiediamo: “Quale domanda dobbiamo fare per poter rispondere MI, cioè A ME?”. I bambini rispondono: “A chi?” – mettiamo la freccia arancio con la domanda ‘a chi? a che cosa?’ tra il cerchio rosso e il cerchio arancio piccolo, in modo che punti verso il cerchio arancio – mettiamo le parole DURANTE IL PRANZO sul cerchio piccolo arancio – chiediamo: “Quale domanda dobbiamo fare per poter rispondere DURANTE IL PRANZO ?”. I bambini rispondono: “quando?” – mettiamo la freccia arancio con la domanda ‘quando?’ tra il cerchio rosso e il cerchio arancio piccolo, in modo che punti verso il cerchio arancio
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Con la stella logica 1
(nei giorni successivi):
Con la tabella 1:
___________________ Presentazione al secondo livello per il complemento di tempo
Materiale:
– frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1b un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera stampata fronte/retro con la scritta: chi è che?… che cosa è che?…/soggetto una freccia nera stampata fronte/retro con la scritta: chi? che cosa/complemento oggetto o diretto una freccia arancio stampata fronte/retro con la scritta: quando?/complemento di tempo.
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro il materiale previsto per l’esercizio – scegliamo una frase, ad esempio GIOVANNI HA RICEVUTO LA RISPOSTA DUE GIORNI FA – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro – chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: ” HA RICEVUTO” – mettiamo il verbo HA RICEVUTO sul cerchio rosso – chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “GIOVANNI” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande – chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “LA RISPOSTA” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio – colleghiamo il soggetto al predicato con la freccia nera ponendola prima dalla parte delle domande e poi voltandola dalla parte della scritta SOGGETTO – colleghiamo il complemento oggetto al predicato con la freccia nera ponendola prima dalla parte delle domande e poi voltandola dalla parte della scritta COMPLEMENTO OGGETTO – chiediamo: “Qual è il complemento indiretto?”. I bambini rispondono: ” DUE GIORNI FA – mettiamo DUE GIORNI FA sul cerchio piccolo arancio – diciamo “Sì, DUE GIORNI FA è un complemento indiretto perchè completa la frase. I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – chiediamo: “Quale domanda dobbiamo fare per poter rispondere ‘DUE GIORNI FA’?”. I bambini rispondono: “quando?” – mettiamo la freccia arancio con la domanda ‘quando?’ tra il cerchio rosso e il cerchio arancio piccolo, in modo che punti verso il cerchio arancio
– diciamo: “La domanda ‘quando?’ si riferisce a un complemento indiretto che chiamiamo COMPLEMENTO DI TEMPO. – voltiamo la freccia in modo che compaia la scritta COMPLEMENTO DI TEMPO – diciamo: “Il complemento di tempo risponde alla domanda: ‘quando?’
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Con la stella logica 2
(nei giorni successivi):
Con la tabella 2:
___________________ Presentazione al terzo livello il complemento di tempo
Materiale:
– frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1c un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera con la scritta: soggetto una freccia nera con la scritta: complemento oggetto una freccia arancio con la scritta: complemento di tempo.
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro materiale previsto per la presentazione – scegliamo una frase, ad esempio L’ALBERGO OFFRE LA COLAZIONE AGLI OSPITI DALLE OTTO ALLE NOVE – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro – chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “OFFRE” – mettiamo il verbo OFFRE sul cerchio rosso – chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “L’ALBERGO“ – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande – chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “LA COLAZIONE“ – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio – chiediamo: “Quali sono i complementi indiretti?”. I bambini rispondono: “AGLI OSPITI, DALLE OTTO ALLE NOVE“ – diciamo “Sì, AGLI OSPITI e DALLE OTTO ALLE NOVE sono complementi indiretti perchè completano la frase. I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo le parole AGLI OSPITI sul cerchio piccolo arancio – colleghiamo con le frecce nere il predicato al soggetto e al complemento oggetto – indichiamo AGLI OSPITI e chiediamo: “A quale domanda risponde?”. I bambini dicono: “a chi?’ – diciamo: “La domanda ‘a chi?‘ si riferisce a un complemento indiretto che chiamiamo COMPLEMENTO DI TERMINE – colleghiamo il predicato al complemento di termine – mettiamo le parole DALLE OTTO ALLE NOVE sul cerchio piccolo arancio – indichiamo DALLE OTTO ALLE NOVE e chiediamo: “A quale domanda risponde?”. I bambini dicono: “quando?’ – diciamo: “La domanda ‘quando?‘ si riferisce a un complemento indiretto che chiamiamo COMPLEMENTO DI TEMPO – colleghiamo il predicato al complemento di tempo
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Con la stella logica 3 (nei giorni successivi):
Con la tabella 3:
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Scopo: – comprendere la costruzione della frase – comprendere la relazione che c’è tra il predicato (verbo) e le famiglie del nome del soggetto, del complemento oggetto o diretto e dei complementi indiretti. – lavorare coi complementi indiretti – introdurre il complemento di tempo.
Età: – dai 9 ai 12 anni.
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Frasi col complemento di tempo
Determinato: Durante il pranzo Alma mi ha raccontato tutto. Ogni anno festeggio il Natale con la mia famiglia. Giovanni ha ricevuto la risposta due giorni fa. Dopo la partita le giocatrici fanno la doccia. Partirò in giugno. I soccorsi arrivarono il giorno dopo. D’estate si consumano bevande fredde. Francesca arriverà da un momento all’altro. Lo zio arrivò alle sei. Ci vediamo questa sera. Gli ho scritto domenica. Mi svegliai a notte inoltrata. L’ho conosciuto durante la guerra. Rinviamo alla prossima volta. Dopo pranzo mi prende la sonnolenza. Stamattina mi sono svegliata alle otto. Restituite i libri entro questa settimana. A Capri in inverno il clima è mite. Passi a chiamarmi, domattina? Oggi sono andata a scuola. Ieri ho visto tua madre. Alle 19.30 andrò al cinema. Questa mattina sono svegliata alle sei. Domani andrò in gita a Firenze. Il 14 febbraio è san valentino. Questa sera torno a mezza notte. Oggi ho ricevuto la mia pagella. L’Unione Europea è nata nel 1993. Tra poco il garzone ci porterà le pizze. Stamperò al più presto il documento. A Pasqua ti regalerò un grosso uovo con la sorpresa. Nella notte dei cani randagi hanno distrutto il giardino. D’estate gioco con i miei amici Luca e Marco. Il corso finirà tra due settimane. Usciremo tra poco. Nel 1492 Cristoforo Colombo attraversò l’Atlantico e raggiunse l’America. Tra cinque minuti suonerà la campanella. Ieri sono andata al mare. Domani andrò in montagna. Lunedì andrò a ritirare le analisi. Abbiamo invitato Luisa e Marco la settimana scorsa. Avevamo appuntamento alle dieci. Halloween cade nel mese di Ottobre. Oggi non sono andata a scuola. Nel 2002 abitavo a Milano. Abbiamo cercato il gattino per tutto il pomeriggio. Ieri sera ci siamo divertiti tantissimo. Ieri notte si è verificato un grave incidente lungo la statale. Al tempo dei miei nonni non c’era il computer. Di sera mi piace ascoltare il gracidio delle rane. Antonio ha sposato Lucia nel 1999. Tornerò per l’ora di pranzo. Farò i compiti dopo la merenda. La festa inizierà all’arrivo di Michele. Il film comincia alle nove. L’anno prossimo mi trasferirò a Casablanca. Ha viaggiato di notte. Comincerà a notte inoltrata. Arriveranno in serata. Ci andremo fra maggio e giugno. Sono uscito verso le sette. Telefonami intorno alla mezzanotte. Presto ti darò mie notizie. Ieri ho visitato l’orto botanico con i miei compagni e insegnanti. Con te mi diverto sempre. Mio fratello si alza presto e prepara la colazione. Un tempo le automobili non esistevano. Il 10 agosto possiamo ammirare le stelle cadenti. Charles Dickens nacque nel 1812 e morì nel 1870. Più tardi i miei amici ed io usciremo, mangeremo una pizza e vedremo un film. Ieri mio fratello ha presentato la sua fidanzata a mamma e papà. Nel 1907 Joseph Kipling ricevette il premio Nobel. Tre anni fa mio zio ha adottato un cagnolino. A Natale mangiamo il panettone con i canditi. Tre anni fa la signora Linda ha conosciuto suo marito. La sera leggo un libro con i miei fratelli. Quella notte Andrea aveva fatto un brutto sogno. Presto rinuncerò a questo incarico. Ieri il nonno ha dipinto il cancello. Fra due giorni lo rivedrò e gli racconterò l’accaduto. Alle cinque mio papà finisce il lavoro. Devi curarti al più presto! La prima Barbie fu creata nel 1959. I bambini fanno sempredomande. Presto arriveranno i miei genitori. Il mio cane ruba sempre i biscotti. La mia sorellina guarda ogni mattina i cartoni animati. Nel pomeriggio Daniele mi porterà una torta. Oggi la maestra ci ha assegnato un compito. Non crederò mai alle tue parole. Il 6 gennaio la befana porta i doni ai bambini. Nel XIII secolo Gengis Khan creò un vastissimo impero. Presto comincerà il corso di canto. Tra poco cominceranno le vacanze. Verrà l’anno prossimo. Arrivò nel pomeriggio. L’editore pubblicherà il libro l’anno venturo. Farà gli esercizi dopo la merenda. Domani visiteremo la città antica. Ieri hanno incontrato il dottor Rossi. Sono nato nel 1980. Mi sono svegliata all’alba. Mi sono alzato col sole. Siamo arrivati intorno alle tre. Il venerdì vado in palestra. La lezione c’è ogni sabato. Prendo il treno due volte al giorno. Vado in montagna una volta all’anno.
Continuato: Ripassammo la parte per quindici giorni. Ci fermeremo per tre notti. Il negozio chiude fino al 28 di agosto. Lo aveva aspettato solo pochi minuti. Per alcuni giorni nessuno lo vide. E’ arrivato nel pomeriggio. Rimango con voi per due settimane. Lo conosco da molti anni. Piovve tutto il giorno. Ti aspetto fino alle dieci. Finirò in pochi giorni. La partita durò due ore. Rimase due ore sotto la pioggia. Per tre giorni non mi riconobbe. Rimase per un’ora seduta su una panchina. L’epidemia durò parecchi mesi. Ho abitato a Firenze per tre anni. Questo ragazzo dorme sempre. Mi ha parlato a lungo di te. L’albergo offre la colazione dalle otto alle nove. Ieri Marco ha studiato per tre ore. Resto in città per tutta l’estate. Lo spettacolo durò. Lucia ha guardato la televisione per tutto il pomeriggio. Aspetto una tua risposta da stamattina. Durante la partita abbiamo mangiato dieci sacchetti di patatine.. Il tempo è stato bello fino alle dieci. Ho corso per due ore. Abito in questo quartiere fin dalla nascita. Ho fatto la dieta per un mese. Starà con voi per due settimane. Per quanto tempo dovrò sopportarti ancora? Ho provato la canzone dalle dieci alle undici. La polizia ha interrogato il sospettato per tre ore. L’attaccante ha commesso un fallo durante la partita. Ieri sono rimasta a lungo con la nonna. Ti ho aspettato finora! Si fermeranno da noi per dieci giorni. Durante tutta la settimana ha telefonato tre volte. Il tempo non migliorerà fino a martedì. Lo ricorderà per sempre. Ha aspettato a lungo. Ride sempre. Per sei giorni Gaia non ha voluto parlare con me. Andrea aveva completato il compito in breve tempo. Giustiniano regnò per 38 anni. Ho taciuto per tanto tempo. Non posso uscire fino a domenica. Ho nuotato per un’ora. La pioggia cadde per tre giorni. L’ho frequentato per alcuni mesi. Nevica da ieri sera e le scuole sono chiuse. Mio fratello ha fatto i capricci per mezz’ora. Lo sto leggendo da alcuni giorni. Da allora non è capitato nessun incidente. Ti ho aspettato per un’ora. Le previsioni annunciano nevicate per tre giorni 17. Piovve tutto il week-end. Resterò fino a venerdì. Guidò per tutto il viaggio. Resterò fino a domani. L’ho ascoltato tutto il pomeriggio. Abbiamo studiato Geografia per tre ore. Mi sono addormentato durante la lezione. Ho riposato due ore circa. Stanno discutendo da un’ora.
Il complemento di mezzo e strumento col metodo Montessori: presentazioni ed esercizi per bambini della scuola primaria.
Per l’insegnante:
il complemento di mezzo e strumento indica l’essere o la cosa per mezzo di cui si fa o avviene qualcosa; risponde alle domande per mezzo di chi? per mezzo di che cosa? come negli esempi: Con il tuo aiuto risolverò la questione. Vengo con l’aereo. Si nutrono di erbe. Scrivo a macchina. Ho spedito il pacco per mezzo di un corriere.
Il complemento di mezzo e strumento è retto dalle preposizioni con, per, a, in, di, da, mediante, o dalle locuzioni preposizionali per mezzo di, per opera di, grazie a, ecc. Bisogna far attenzione a non confondere il complemento di mezzo con quello di compagnia e unione, anch’esso introdotto dalla preposizione con. Se possiamo sostituire nella frase la locuzione per mezzo di, siamo di fronte ad un complemento di mezzo, altrimenti ad un complemento di compagnia o unione: Mangio con la forchetta. (per mezzo della forchetta); Bevo il latte con il caffè. (complemento di unione).
Si ha specificatamente: – il complemento di mezzo quando la parola esprime persona o cosa, per opera della quale si compie l’azione; – il complemento di strumento quando invece la parola indica un oggetto o uno strumento. Il complemento di mezzo può essere di senso figurato, come negli esempi: Quella ragazza vive solo di sogni, è ora che metta i piedi per terra. Ha combattuto con le unghie e con i denti e alla fine ha ottenuto ciò che voleva.
Si noti inoltre che le espressioni a mano, a vela, a benzina, a vento, a motore e simili, benché abbiano assunto un valore avverbiale, indicano propriamente complementi di mezzo. Sono inoltre complementi di mezzo alcune locuzioni specifiche introdotte dalla preposizione semplice a e dipendenti da nomi; per esempio: Vorrei cambiare la mia cucina a gas con una elettrica. I primi motori a reazione sono stati davvero innovativi per l’industria aerospaziale.
Se il mezzo o lo strumento è indicato da una proposizione, questa si chiama proposizione strumentale, come negli esempi: Dormendo le forze si ritemprano. Con il viaggiare si accresce la cultura.
A volte un complemento di strumento e mezzo può essere introdotto da una proposizione subordinata strumentale che utilizza il verbo nella forma del gerundio. Esempio : Il fornaio sfamò le persone cucinando tantissimo pane”
___________________ Il complemento di mezzo e strumento Presentazione al primo livello
Materiale: – frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1a un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera con la scritta: chi è che?… che cosa è che?… una freccia nera con la scritta: chi? che cosa una freccia arancio con la scritta: per mezzo di chi? per mezzo di che cosa? (per il complemento di mezzo e strumento).
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro il materiale previsto per l’esercizio – scegliamo una frase, ad esempio GIOVANNI PULISCE I VETRI CON L’ACETO – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro – chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “PULISCE” – mettiamo il verbo PULISCE sul cerchio rosso – chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “GIOVANNI” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande e colleghiamo il soggetto al predicato con la freccia nera con le domande chi è che?… che cosa è che?… – chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “I VETRI” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio e poniamolo a destra del predicato – colleghiamo il predicato al complemento oggetto per mezzo della freccia nera con le domande ‘chi? che cosa?’ – chiediamo: “Qual è il complemento indiretto?”. I bambini rispondono: “CON L’ACETO” – diciamo “Sì, CON L’ACETO è un complemento indiretto perchè completa la frase. Abbiamo detto che i complementi indiretti sono spesso preceduti da un complemento oggetto o diretto e che la prima parola di un complemento indiretto è spesso una preposizione” – diciamo: “I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo le parole CON L’ACETO sul cerchio piccolo arancio – chiediamo: “Quale domanda dobbiamo fare per poter rispondere CON L’ACETO?”. I bambini rispondono: “per mezzo di che cosa?” – mettiamo la freccia arancio con le domande ‘per mezzo di chi? per mezzo di che cosa?’ tra il cerchio rosso e il cerchio arancio piccolo, in modo che punti verso il cerchio arancio
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Con la stella logica 1 (nei giorni successivi):
Con la tabella 1:
___________________ Il complemento di mezzo e strumento Presentazione al secondo livello
Materiale: – frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1b un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera stampata fronte/retro con la scritta: chi è che?… che cosa è che?…/soggetto una freccia nera stampata fronte/retro con la scritta: chi? che cosa/complemento oggetto o diretto una freccia arancio stampata fronte/retro con la scritta: per mezzo di chi? per mezzo di che cosa?/complemento di mezzo e strumento.
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro il materiale previsto per l’esercizio – scegliamo una frase, ad esempio FRANCESCA HA TAGLIATO UNA MELA CON IL COLTELLO – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro – chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “HA TAGLIATO” – mettiamo il verbo HA TAGLIATO sul cerchio rosso – chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “FRANCESCA” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande – chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “UNA MELA” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio – colleghiamo il soggetto al predicato con la freccia nera ponendola prima dalla parte delle domande e poi voltandola dalla parte della scritta SOGGETTO – colleghiamo il complemento oggetto al predicato con la freccia nera ponendola prima dalla parte delle domande e poi voltandola dalla parte della scritta COMPLEMENTO OGGETTO – chiediamo: “Qual è il complemento indiretto?”. I bambini rispondono: “CON IL COLTELLO” – mettiamo CON IL COLTELLO sul cerchio piccolo arancio – diciamo “Sì, CON IL COLTELLO è un complemento indiretto perchè completa la frase. Abbiamo detto che i complementi indiretti sono spesso preceduti da un complemento oggetto o diretto e che la prima parola di un complemento indiretto è spesso una preposizione” – diciamo: “I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo le parole CON IL COLTELLO sul cerchio piccolo arancio – chiediamo: “Quale domanda dobbiamo fare per poter rispondere ‘CON IL COLTELLO’?”. I bambini rispondono: “PER MEZZO DI CHE COSA?” – mettiamo la freccia arancio con le domande ‘per mezzo di chi? per mezzo di che cosa?’ tra il cerchio rosso e il cerchio arancio piccolo, in modo che punti verso il cerchio arancio
– diciamo: “Le domande ‘con chi? con che cosa?’ si riferiscono a un complemento indiretto che chiamiamo COMPLEMENTO DI MEZZO E STRUMENTO. – voltiamo la freccia in modo che compaia la scritta COMPLEMENTO DI MEZZO E STRUMENTO – diciamo: “Il complemento di mezzo e strumento risponde alle domande: ‘per mezzo di chi? per mezzo di che cosa?’
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Con la stella logica 2 (nei giorni successivi):
Con la tabella 2:
___________________ Il complemento di mezzo e strumento
Presentazione al terzo livello
Materiale: – frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1c un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera con la scritta: soggetto una freccia nera con la scritta: complemento oggetto una freccia arancio con la scritta: complemento di mezzo e strumento.
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro materiale previsto per la presentazione – scegliamo una frase, ad esempio GLI OPERAI SOLLEVARONO IL CARICO CON LA GRU – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro – chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “SOLLEVARONO” – mettiamo il verbo SOLLEVARONO sul cerchio rosso – chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “GLI OPERAI” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande – chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “IL CARICO” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio – chiediamo: “Qual è il complemento indiretto?”. I bambini rispondono: “CON LA GRU” – diciamo “Sì, CON LA GRU è un complemento indiretto perchè completa la frase. Abbiamo detto che i complementi indiretti sono spesso preceduti da un complemento oggetto o diretto e che la prima parola di un complemento indiretto è spesso una preposizione” – diciamo: “I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo le parole CON LA GRU sul cerchio piccolo arancio – colleghiamo con le frecce nere il predicato al soggetto e al complemento oggetto – indichiamo CON LA GRU e chiediamo: “A quale domanda risponde?” – diciamo: “Le domande ‘per mezzo di chi? per mezzo di che cosa?’ si riferiscono a un complemento indiretto che chiamiamo COMPLEMENTO DI MEZZO E STRUMENTO – colleghiamo il predicato al complemento di mezzo e strumento
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Con la stella logica 3 (nei giorni successivi):
Con la tabella 3:
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Scopo: – comprendere la costruzione della frase – comprendere la relazione che c’è tra il predicato (verbo) e le famiglie del nome del soggetto, del complemento oggetto o diretto e dei complementi indiretti. – lavorare coi complementi indiretti – introdurre il complemento di mezzo e strumento.
Età: – dai 9 ai 12 anni.
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Frasi per il complemento di mezzo e strumento
Il cane fu colpito con un bastone. Ci parlammo per telefono. Sollevarono mediante la gru il pesante carico. Si mise in contatto con noi tramite un amico. Per opera di tuo fratello ho salvato la barca. Partimmo tutti in macchina. Ha scritto con la penna. Ho demolito il muretto col piccone. S’è fatto la barba col rasoio. Sta lavorando con la vanga. Lo riconobbi dalla voce. Il satellite era stato lanciato in orbita mediante un potentissimo missile. Tenevano i contatti per mezzo di ambasciatori. Con le sue sfuriate inasprisce di più la gente. Verrò in autobus o con un taxi. Con gli antibiotici mi è passata la febbre. Prova a pulirlo con l’aceto. Verremo in macchina con Marco e Andrea. Potete risolvere il problema con un semplice ragionamento. Viveva con i risparmi che aveva accumulato in lunghi anni di lavoro. Arrivarono tutti in auto; solo uno giunse a piedi. Siamo stati avvisati dall’allarme. Giunto davanti al cancello, l’aprì con il telecomando. La casetta se l’era costruita lui, con le sue mani. Chi giocava a calcio, chi in bicicletta. Grazie al cacciatore, Cappuccetto Rosso si è liberato del lupo. Per mezzo del latte i neonati crescono sani. Sono venuto con l’autobus. Mi ha colpito con una freccia. L’ha disegnato con una matita. Andrò in Italia in aereo. Andiamo in macchina. Con il tuo aiuto posso completare il progetto. Vado a scuola con la moto. Taglio la carta con le forbici. Vado spesso a cavallo. Con l’autobus ho raggiunto in un’ora la città. Grazie al cielo sei salvo. E’ coi giusti ingredienti che vengono fatti i dolci migliori. Col casco la tua sicurezza sulle due ruote è assicurata. Andrò in Italia in aereo. Andiamo in macchina. Con il tuo aiuto posso completare il progetto. Questo ritratto l’ha disegnato con una matita. In Calabria arano i campi ancora con i buoi. Di solito vado a scuola col motorino. Ho mandato una lettera a Mario per mezzo di Antonio. I pompieri hanno salvato il gatto per mezzo di una scala. Sono andato a scuola con la macchina. Mi hanno rotto il naso con un pugno. Ho tagliato una mela con il coltello. Dovremo attraversare il fiume in zattera. Ho fissato la libreria al muro con il trapano. Ho passato l’esame grazie al tuo aiuto. Grazie alla dieta, Luisa ha perso cinque chili. Se puoi, preferirei essere pagato in contanti. Siamo saliti in quota con una modernissima cabinovia. Non ci crederai ma il marito di Rossella è arrivato al porto in elicottero. Quando esci ricordati di chiudere a chiave. Il tavolo degli sposi era decorato con magnifiche composizioni floreali. Siamo usciti in bicicletta, ma, a metà strada, ci ha sorpresi un forte acquazzone. Ho saputo la notizia tramite internet. Di nascosto ho ripreso l’esame di Marco con l’Ipod. Con l’aiuto di mia sorella ho potuto scoprire i tradimenti di mio marito. Mio padre uccise la vipera a bastonate. Facile vincere così, con una barca a motore! Con la violenza difficilmente si ottiene qualcosa. Misurai a occhio la distanza dall’acqua e mi tuffai dallo scoglio. Luca arrivò in tempo con il treno. Laura ha superato l’esame per mezzo del professore. Il cane salvò il padrone abbaiando in strada. La mamma rimproverò il figlio con grida molto alte. Il pellegrino con la borraccia dell’acqua visse ancora a lungo. La riuscita dell’esame arrivò per mezzo del Preside della scuola. La nave evitò di affondare con l’ancora fissata sul fondale. L’insegnante ha punito l’intera classe con molti compiti. Il rappresentante di abiti raggiunse casa seguendo il tom tom. Il malato è stato guarito per mezzo dell’intercessione della Madonna. Arrivi prima se vai via campagna. Sei riuscita a mettere in pratica la ricetta di quella torta continuando a leggere il libro di cucina.
Il complemento di termine col metodo Montessori. Presentazioni ed esercizi per bambini della scuola primaria.
Il complemento di termine col metodo Montessori Presentazione al primo livello
Materiale: – frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1a un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera con la scritta: chi è che?… che cosa è che?… una freccia nera con la scritta: chi? che cosa una freccia arancio con la scritta: a chi? a che cosa? (per il complemento di termine).
Per l’insegnante:
il complemento di termine indica l’essere o la cosa su cui “termina l’azione”, cioè a cui è diretta l’azione espressa dal verbo. Risponde alle domande: “A chi? A che cosa” come negli esempi: – la lettera fu recapitata al destinatario; – ho fatto un regalo a Giorgio; – questo vestito a me non piace.
Il complemento di termine col metodo Montessori – Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro il materiale previsto per l’esercizio
– scegliamo una frase, ad esempio MARIA HA PRESTATO IL SUO LIBRO AD ANDREA – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro
– chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “Ha prestato” – mettiamo il verbo HA PRESTATO sul cerchio rosso
– chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “Maria” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande
– chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “Il suo libro” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio
– chiediamo: “Qual è il complemento indiretto?”. I bambini rispondono: “Ad Andrea” – diciamo “Sì, AD ANDREA è un complemento indiretto perchè completa la frase. Abbiamo detto che i complementi indiretti sono spesso preceduti da un complemento oggetto o diretto e che la prima parola di un complemento indiretto è spesso una preposizione” – diciamo: “I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo le parole AD ANDREA sul cerchio piccolo arancio – chiediamo: “Quale domanda dobbiamo fare per poter rispondere AD ANDREA’?”. I bambini rispondono: “A chi?” – mettiamo la freccia arancio con le domande ‘a chi? a che cosa?’ tra il cerchio rosso e il cerchio arancio piccolo, in modo che punti verso il cerchio arancio
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Il complemento di termine col metodo Montessori – Con la stella logica 1 (nei giorni successivi):
Il complemento di termine col metodo Montessori – Con la tabella 1:
___________________ Il complemento di termine col metodo Montessori
Presentazione al secondo livello
Materiale:
– frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1b un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera stampata fronte/retro con la scritta: chi è che?… che cosa è che?…/soggetto una freccia nera stampata fronte/retro con la scritta: chi? che cosa/complemento oggetto o diretto una freccia arancio stampata fronte/retro con la scritta: a chi? a che cosa? / complemento di termine.
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro il materiale previsto per l’esercizio – scegliamo una frase, ad esempio MARCO HA CHIESTO INFORMAZIONI AD UN PASSANTE – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro
– chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “Ha chiesto” – mettiamo il verbo HA CHIESTO sul cerchio rosso
– chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “Marco” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande
– chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “Informazioni” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio
– colleghiamo il soggetto al predicato con la freccia nera ponendola prima dalla parte delle domande e poi voltandola dalla parte della scritta SOGGETTO:
– colleghiamo il complemento oggetto al predicato con la freccia nera ponendola prima dalla parte delle domande e poi voltandola dalla parte della scritta COMPLEMENTO OGGETTO:
– chiediamo: “Qual è il complemento indiretto?”. I bambini rispondono: “Ad un passante” – mettiamo AD UN PASSANTE sul cerchio piccolo arancio- diciamo “Sì, AD UN PASSANTE è un complemento indiretto perchè completa la frase. Abbiamo detto che i complementi indiretti sono spesso preceduti da un complemento oggetto o diretto e che la prima parola di un complemento indiretto è spesso una preposizione” – diciamo: “I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo le parole AD UN PASSANTE sul cerchio piccolo arancio – chiediamo: “Quale domanda dobbiamo fare per poter rispondere ‘AD UN PASSANTE’?”. I bambini rispondono: “A chi?” – mettiamo la freccia arancio con le domande ‘a chi? a che cosa?’ tra il cerchio rosso e il cerchio arancio piccolo, in modo che punti verso il cerchio arancio
– diciamo: “Le domande ‘a chi? a che cosa?’ si riferiscono a un complemento indiretto che chiamiamo COMPLEMENTO DI TERMINE. Si chiama complemento di termine perchè indica l’essere o la cosa su cui termina l’azione – voltiamo la freccia in modo che compaia la scritta COMPLEMENTO DI TERMINE – diciamo: “Il complemento di termine risponde alle domande: ‘a chi? a che cosa’
– invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto – ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Con la stella logica 2 (nei giorni successivi):
Con la tabella 2:
___________________ Il complemento di termine col metodo Montessori
Presentazione al terzo livello
Materiale:
– frasi preparate – scatola per l’analisi logica Montessori C1c un cerchio rosso con la scritta PREDICATO un cerchio nero grande (per il soggetto) un cerchio nero medio (per il complemento oggetto o diretto) un cerchio arancio piccolo (per i complementi indiretti) una freccia nera con la scritta: soggetto una freccia nera con la scritta: complemento oggetto una freccia arancio con la scritta: complemento di termine.
Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto – diciamo: “Abbiamo già imparato come si analizza una frase”. Ricapitoliamo insieme quello che abbiamo imparato – diciamo: “Oggi faremo una nuova attività con le frasi” – mettiamo sul piano di lavoro materiale previsto per la presentazione – scegliamo una frase, ad esempio IL CANE HA RIPORTATO LA PALLA ALLA BAMBINA – chiediamo ai bambini di leggere la frase. Mettiamo la frase al centro del piano di lavoro
– chiediamo: “Qual è il predicato?”. I bambini rispondono: “Ha prestato” – mettiamo il verbo HA RIPORTATO sul cerchio rosso – chiediamo: “Qual è il soggetto?”. I bambini rispondono: “IL CANE” – mettiamo il soggetto sul cerchio nero grande – chiediamo: “Qual è il complemento oggetto?”. I bambini rispondono: “LA PALLA” – mettiamo il complemento oggetto sul cerchio nero medio – chiediamo: “Qual è il complemento indiretto?”. I bambini rispondono: “ALLA BAMBINA” – diciamo “Sì, ALLA BAMBINA è un complemento indiretto perchè completa la frase. Abbiamo detto che i complementi indiretti sono spesso preceduti da un complemento oggetto o diretto e che la prima parola di un complemento indiretto è spesso una preposizione” – diciamo: “I complementi indiretti, che servono a completare la frase aggiungendosi a predicato, soggetto e complemento oggetto sono molti. Ogni complemento indiretto risponde a delle domande diverse.” – mettiamo le parole ALLA BAMBINA sul cerchio piccolo arancio – colleghiamo con le frecce nere il predicato al soggetto e al complemento oggetto – indichiamo ALLA BAMBINA e chiediamo: “A quale domanda risponde?” – diciamo: “Le domande ‘a chi? a che cosa?’ si riferiscono a un complemento indiretto che chiamiamo COMPLEMENTO DI TERMINE. Si chiama complemento di termine perchè indica l’essere o la cosa su cui termina l’azione – colleghiamo il predicato al complemento di termine – invertiamo l’ordine delle parti della frase in tutte le possibili combinazioni. Solo l’ordine di partenza risulterà quello corretto
– ricostruiamo la frase – i bambini lavoreranno con il materiale da soli dopo la presentazione – i bambini registrano l’attività sui loro quaderni di grammatica – nei giorni seguenti i bambini comporranno loro frasi e le analizzeranno col materiale.
Il complemento di termine col metodo Montessori – Con la stella logica 3 (nei giorni successivi):
Il complemento di termine col metodo Montessori – Con la tabella 3:
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Il complemento di termine col metodo Montessori
Scopo:
– comprendere la relazione che c’è tra il predicato (verbo) e le famiglie del nome del soggetto, del complemento oggetto o diretto e dei complementi indiretti. – lavorare coi complementi indiretti – introdurre il complemento di termine.
Età:
– dai 9 ai 12 anni.
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Frasi col complemento di termine
Marco ha chiesto informazioni ad un passante. Il contadino dava il fieno al cavallo. La signora restituì il portafoglio al suo proprietario. Francesca ha passato il sale a Filippo. Alma ha mandato un messaggio alla mamma. Il direttore ha offerto un buon lavoro a Sofia. Antonio bada alla sua sorellina. I miei fratelli hanno regalato un tablet al nonno. Gli amici non recano danno agli altri. Cappuccetto Rosso porta un cestino alla nonna. Lei confida alla sua amica i suoi segreti. L’insegnante ha prestato il suo dizionario a Gaia. Il nonno ha preparato una torta a suo nipote. Massimo stava raccontando una barzelletta a Riccardo. La mamma faceva coraggio a sua figlia. Alberto ha prestato il cd a mio fratello. Anna ha passato il compito a Marco. Nessuno ha spiegato a Giovanna il suo errore. Il cane ha riportato la palla alla bambina. Alma offre un fiore a Gaia. Francesca ha regalato i suoi sci ad Antonio. Federico ha chiesto la matita a Maria. Lo zio ha spedito una email ad un suo vecchio amico. Questo libro appartiene a me. Il cacciatore sparò al lupo. Davide porta una rosa a Martina. L’uccellino porta il cibo al suo piccolo. Maria telefonerà a Luca. I miei genitori non hanno partecipato a quella riunione. I miei cugini hanno regalato un cagnolino alla nonna. Anna ha spedito una cartolina a Francesco. Claudio dovrebbe dedicarsi allo studio. Luigi ha chiesto un favore a Margherita. Gaia ha consegnato il compito al professore. Noi abbiamo scritto una lettera ai nostri amici. Io ho dettato gli appunti alla mia migliore amica. Noi faremo un dono alla sua signora. Il giornalista diede un calcio alla sedia. La sposa ha regalato a Marta il suo bouquet. La piccola Alma assomiglia alla nonna materna. I cani abbaiano alla luna. Io ho offerto dei biscotti aimiei amici. Elena ha donato i suoi vestiti vecchi all’associazione. La mamma ha applicato delle toppe al mio maglione. Questo cagnolino è affezionato al suo padrone. Il regista ha presentato il nuovo film agli spettatori La mia amica è molto attenta alla moda.
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