Incastro del planisfero Montessori

Incastro del planisfero Montessori con presentazioni ed esercizi per bambini a partire della scuola d’infanzia e primaria.

L’incastro del planisfero utilizzato è offerto da Boboto:

Dai 3 ai 6 anni facciamo leva sulle caratteristiche della mente assorbente e della caratteristica sensibilità per il linguaggio per stimolare l’interesse del bambino verso la geografia, gettando le basi per la costruzione di un linguaggio tecnico connesso alla materia di studio.
In questo periodo i bambini interiorizzano molte informazioni sulla geografia facilmente e in modo gioioso, ad esempio i termini per indicare le zone di terraferma e quelle d’acqua, i nomi dei continenti, dei paesi, ecc.
Così, quando il bambino avrà bisogno di utilizzare questi termini per i suoi studi, nella scuola primaria, avrà già grande familiarità con essi. Questi termini saranno inoltre legati ad esperienze di successo e verranno visti dal bambino con simpatia e non con ostilità. Sarà sufficiente un breve riassunto perchè il bambino recuperi ciò che ha imparato quando era più piccolo.
E’ quindi bene che i bambini nella scuola d’infanzia entrino in contatto con i termini geografici: Equatore, Tropico del Cancro e del Capricorno, fasce climatiche, caratteristiche fisiche della terra e dell’acqua, nomi di continenti, paesi, stati, province e città, tipi di abitazioni, cibo, costume, movimenti delle persone, flora, fauna, produzioni tipiche, trasporti…
Nella scuola primaria questo lavoro verrà approfondito aggiungendo sempre più dettagli.
Possiamo dire che mentre nella scuola d’infanzia il bambino entra in contatto con i fatti, nella scuola primaria esplora le ragioni che stanno dietro i fatti e le relazioni tra i fatti.

Nella scuola d’infanzia l’apprendimento quindi si realizza attraverso esercizi pratici (ad esempio con le forme della terra e dell’acqua) ed esercizi sensoriali (ad esempio con gli incastri del planisfero, dei continenti, dei paesi ecc…).

La geografia col metodo Montessori viene presentata, come tutte le altre materie d’insegnamento, in risposta a un bisogno del bambino: in questo caso si tratta del bisogno di comprendere la loro posizione nel mondo in relazione alle loro storie personali e di viaggio.

La didattica Montessori dà molta importanza all’insegnamento della geografia, a partire da un’età molto precoce. Questo può sorprendere gli osservatori, soprattutto perchè la maggior parte dei programmi in età prescolare non comprendono la geografia. Nella didatta Montessori la geografia rappresenta un auto dato ai bambini per sviluppare una comprensione profonda del loro posto nell’universo. Il concetto chiave è quello di “educazione cosmica”.

Incastro del planisfero Montessori
Presentazione 1 

Materiali:
– incastro del planisfero Montessori
– globo colorato
– tappeto
– un mappamondo gonfiabile o una pallina di creta, plastilina o pasta di sale
– planisfero di controllo muto.

Presentazione:
– mostriamo ai bambini il globo colorato e ripetiamo insieme i nomi dei continenti. Per farlo possiamo cantarne i nomi, ad esempio, seguendo la melodia di “Fra Martino”, così:
(Fra Martino) – Europa
(campanaro) – Europa
(dormi tu) – Asia Africa
(dormi tu) – Asia Africa
(suona le campane) – America del Nord
(suona le campane) – America del Sud
(din don dan) – Antartide Oceania
(din don dan) – Antartide Oceania
cantando indichiamo i continenti nominati

– mostriamo l’incastro del planisfero, mettendolo sul tappeto accanto al globo colorato
– indicando il globo diciamo: “Questo è il modo in cui vediamo la terra dal cielo. Questa è la terraferma. Questa è l’acqua”
– “Noi viviamo sulla Terra. La Terra è una sfera. Ma per rappresentarla usiamo anche delle mappe, che invece di essere sfere, sono piatte. Infatti è più facile usare mappe piatte, e non a forma di sfera, ad esempio se stiamo facendo un viaggio”
– “Per fare una mappa praticamente dobbiamo appiattire il globo”
– se abbiamo a disposizione il mappamondo gonfiabile sgonfiamolo dicendo : “Guardate. Questa è la terra. Si tratta di una sfera. Ora la abbiamo appiattita”
– se usiamo creta, plastilina o pasta di sale facciamo una pallina, tagliamola in due metà e appiattiamole
– indichiamo l’incastro del planisfero e confrontiamolo con mappamondo sgonfio o con i due dischi di creta o pasta
– con la mano dominante e utilizzando la presa a 3 dita, afferriamo il pomolo e solleviamo l’Europa dicendo: “Questa è l’Europa, dove viviamo noi.”


– mettiamo l’incastro sul tappeto, lungo il margine superiore della tavola


– con l’indice seguiamo il contorno dell’Europa sul planisfero

– prendiamo di nuovo in mano l’incastro dell’Europa e tracciamone i contorni con l’indice
– fatto questo, rimettiamo l’incastro al suo posto nel planisfero
– ripetiamo con gli altri continenti
– mostriamo ai bambini il planisfero di controllo muto
– spostiamo gli incastri dalla tavola al planisfero di controllo, quindi rimettiamoli nella tavola.

Incastro del planisfero Montessori
Presentazione 2

Gli esercizi di geografia e di botanica sono anche esercizi sensoriali, e materiali come il il globo smerigliato e il globo colorato servono a dare un’introduzione concreta e tattile ai principi astratti della Geografia. Continenti e stati sono rappresentati con mappe colorate a incastri mobili. Queste mappe puzzle aiutano il bambino a sentire una connessione diretta tra loro e il mondo che li circonda.

Materiale:

– globo colorato
– incastro del planisfero (i continenti sono negli  stessi colori usati per il globo colorato, ognuno con un pomolo. Gli oceani sono blu e fissati al telaio)
– una pallina di creta o pasta di sale

Presentazione del materiale:
– invitiamo un gruppo di bambini
– portiamo il materiale al tappeto
– prendiamo il globo colorato e chiediamo a un bambino di indicarci un continente o un oceano
– mostriamo l’incastro del planisfero e diciamo: “Anche questa tavola rappresenta la nostra Terra, qui però la vediamo divisa in due metà e appiattita”
– possiamo dimostrare la cosa prendendo una pallina di creta o pasta di sale, tagliandola a metà e appiattendola in due cerchi

Incastro del planisfero Montessori – Presentazione:
– indichiamo un continente sul globo colorato e chiediamo al bambino di mostrarcelo sul planisfero
– invitiamo il bambino a tracciare il contorno del continente sul globo e sul planisfero
– chiediamo al bambino di togliere l’incastro e metterlo sul tappeto
– dopo che il bambino ha lavorato con l’intera mappa possiamo introdurre i nomi degli oceani con delle lezioni in tre tempi

Nomenclatura utilizzata:
I nomi dei continenti

Controllo dell’errore:
– gli incastri

Scopo:
– preparazione allo studio della geografia fisica

Età alla presentazione:
dai 3 anni e mezzo ai 4 anni, dopo il globo colorato

Incastro del planisfero Montessori
Presentazione 3
(imparare i nomi dei continenti con la lezione in tre tempi)

Gli incastri della geografia rappresentano il materiale che introduce il bambino alla conoscenza del mondo in cui vive.
Partendo dall’incastro del planisfero e progredendo attraverso gli incastri dei vari continenti e poi dei paesi, il bambino apprende una notevole quantità di informazioni che gli saranno utili negli anni successivi, e sviluppa interesse verso la geografia. La sua curiosità è costantemente stimolata. Gli incastri della geografia hanno anche uno scopo secondario, che è quello di perfezionare il controllo motorio in previsione dell’utilizzo degli strumenti di scrittura, la motricità fine e la coordinazione occhio-mano.

Incastro del planisfero Montessori – Materiale
– l’incastro del planisfero
– il globo colorato

Incastro del planisfero Montessori – Presentazione:
– inviamo i bambini a partecipare alla presentazione e portiamo il materiale sul tappeto
– mettiamo il globo colorato a sinistra del planisfero
– ripetiamo le nomenclature apprese sul globo colorato
– portiamo l’attenzione del bambino su un continente specifico sul globo e poi mostriamolo sul planisfero
– diciamo: “Anche questa tavola rappresenta la nostra Terra, qui però la vediamo divisa in due metà e appiattita”
– lentamente, utilizzando i pomoli, togliamo tre incastri, cioè tre continenti diversi
– mettiamo gli incastri a fianco della tavola
– reinseriamoli al loro posto, uno ad uno
– togliamo altri tre incastri, mettiamoli a fianco della tavola e chiediamo a un bambino alla volta di reinserirli in modo corretto
– ripetiamo togliendo quattro incastri
– ripetiamo togliendo tutti gli incastri
– ora togliamo tre incastri e nominiamoli, ad esempi dicendo: “Nord America, Oceania, Africa”
– ripetere i nomi: “Nord America, Oceania, Africa”


– chiediamo ai bambini di rimetterli al loro posto, nominandoli, cioè dicendo: “Per favore, rimetteresti a posto l’Africa?”
– quando tutti gli incastri sono di nuovo al loro posto, chiediamo a un bambino di prendere gli stessi tre pezzi, uno per uno, nominandoli, ad esempio dicendo: “Per favore, toglieresti l’incastro dell’Europa?”
– quando i tre incastri sono fuori chiediamo: “Quale continente vorresti rimettere al suo posto?”. Il bambino risponderà col nome di un continente e rimetterà l’incastro corrispondente al suo posto
– ripetiamo questa lezione in tre tempi con gli altri continenti, finché il bambino conoscerà i nomi di tutti e sette.

Incastro del planisfero Montessori – Estensioni


– il bambino può costruire il planisfero all’esterno del bordo della tavola

Incastro del planisfero Montessori – Nomenclatura usata:
Continenti, Nord America, Sud America, Europa, Africa, Asia, Oceania, Antartide.

Incastro del planisfero Montessori – Scopo:
– riconoscimento visivo delle forme dei continenti
– riconoscimento di continenti , oceani, emisferi e della loro relazione gli uni agli altri
– nomenclatura.

Incastro del planisfero Montessori – Controllo dell’errore
Gli incastri.

Incastro del planisfero Montessori – Età
Dai 3 anni e mezzo ai 4 anni

Incastro del planisfero Montessori – Nota
Possiamo presentare anche i nomi degli oceani, ma ricordando che è più importante per i bambini che conoscano i nomi dei continenti.

Incastro del planisfero Montessori
Presentazione 4

Materiali: 
– incastro del planisfero
– planisfero muto di controllo
– globo colorato
– plastilina, creta o pasta di sale

Scopo:
– introdurre il bambino alla rappresentazione piana del nostro mondo
– preparare il bambino per il lavoro sulla geografia successivo
– condurre il bambino verso l’astrazione
– comprendere il passaggio dal tridimensionale al bidimensionale
– discriminare visivamente le forme dei continenti e degli oceani
– rafforzare la mano in preparazione della scrittura.

Età: a partire dai 3 anni

Incastro del planisfero Montessori – Presentazione individuale
– portiamo sul tappeto il globo colorato, l’incastro del planisfero e il planisfero di controllo muto
– diciamo al bambino: “Oggi vedremo insieme come trasformare la mappa della terra, che è una sfera, in una mappa piatta”
– continuiamo dicendo: “E’ importante per gli uomini avere a disposizione una rappresentazione piatta della terra. Intanto è più facile disegnare le cose su un foglio che non su una sfera. Inoltre disegnando la terra su un foglio possiamo vederla tutta intera, mentre se la osserviamo nel globo possiamo vedere soltanto la parte che abbiamo di fronte, mentre l’altra parte rimane nascosta”
– formiamo una pallina con la creta, la plastilina o la pasta di sale. Con uno strumento appuntito (anche una matita) punteggiamo il contorno dell’Africa e mostriamola al bambino confrontandola col globo colorato
– tagliamo la sfera a metà, e appiattiamo le due metà cercando di non rovinare il disegno dell’Africa
– confrontiamo i dischi con gli emisferi sull’incastro del planisfero e diciamo: “Questo è il modo con cui possiamo ottenere una rappresentazione piatta del nostro mondo”
– “Quando abbiamo tagliato la sfera a metà abbiamo ottenuto i due emisferi: orientale e occidentale”
– mostriamo i due emisferi sull’incastro del planisfero e sul planisfero di controllo
– rimuoviamo gli incastri uno alla volta dalla tavola e mettiamoli nella posizione corrispondente sul planisfero di controllo


– al termine rimetterli nell’incastro.

Incastro del planisfero Montessori
Presentazione 5
(planisferi di controllo e cartellini)

Materiali:
– incastro del planisfero
– planisfero di controllo muto
– planisfero di controllo parlato.

Presentazione iniziale:
– mostriamo al bambino come prendere l’incastro dal mobiletto e portarlo sul tappeto o sul tavolo. Il piano di lavoro scelto dovrebbe essere parallelo alla parete nord della stanza. Mettiamo l’incastro nell’angolo in altro a destra del piano di lavoro
– con movimenti lenti e curati togliamo gli incastri dal planisfero e mettiamoli in ordine lungo il margine inferiore della tavola


– quando tutti gli incastri sono stati rimossi, rimettiamoli al loro posto con altrettanta lentezza e cura
– invitiamo il bambino a ripetere l’esercizio
– togliamo nuovamente tutti gli incastri e mescoliamoli. Chiediamo al bambino di riposizionarli sul planisfero
– possiamo mostrare al bambino come seguire i contorni dell’incastro tra le mani e poi quello dello spazio vuoto sul planisfero. Il pezzo va tenuto con la mano non dominante e i contorni vanno tracciati con la mano dominante
– nominiamo i continenti quando prendiamo gli incastri.

Presentazione col planisfero di controllo:
– mettiamo l’incastro del planisfero nell’angolo in alto a sinistra del piano di lavoro, col margine parallelo al muro nord della stanza
– mettiamo il planisfero di controllo a destra della tavola dell’incastro
– rimuoviamo un pezzo e spostiamolo nello spazio corrispondente sul planisfero di controllo
– continuiamo con gli altri pezzi


– rimettiamo i pezzi negli incastri originali
– nominiamo i pezzi.

Incastro del planisfero Montessori – Presentazione con i cartellini:
– mettiamo l’incastro del planisfero nell’angolo in alto a sinistra del piano di lavoro, a destra mettiamo il planisfero di controllo parlato
– disponiamo i cartellini sul piano di lavoro, sotto all’incastro del planisfero


– prendiamo un cartellino e mostriamo al bambino come trovare la parola corrispondente sul planisfero di controllo
– mettiamo il cartellino sul pezzo corrispondente nell’incastro
– continuiamo allo stesso modo con gli altri cartellini

– possiamo usare cartellini colorati negli stessi colori dei continenti al posto della mappa di controllo parlata

Incastro del planisfero Montessori
(schede delle nomenclature e cartellini)

Materiale:
– l’incastro del planisfero
– un cerchio di cartoncino da usare come modello per disegnare gli emisferi
– il globo terrestre III (globo colorato nei colori)
– una pallina di creta
– una mappa di controllo dei continenti
– una mappa dei continenti muta
– cartellini con i nomi dei continenti
– cartellini con i nomi degli oceani
– carte delle nomenclature dei continenti in tre parti (immagine, titolo, definizione)
– libretti dei continenti
– planisfero da parete

I colori usati per i continenti nel globo e negli incastri sono gli stessi. In commercio esistono in due versioni:
– Europa rosa, Asia giallo, America del nord rosso, America del sud rosso, Oceania arancio, Africa marrone, Antartide bianco;
– Europa rosso, Asia giallo, America del nord arancio, America del sud rosa, Oceania marrone, Africa verde, Antartide bianco.

Presentazione 
– indichiamo il globo III (globo colorato)
– diciamo: “Se riuscissimo a tagliare questo globo a metà e appiattire le due metà, otterremmo una rappresentazione della terra come un quadro piatto.
– prendiamo la pallina, tagliamola a metà e appiattiamola
– confrontiamo la pallina appiattita al planisfero
– mettiamo in relazione gli incastri del planisfero con i continenti globo colorato, togliendo gli incastri e verificando la congruenza con i continenti che si trovano sul globo
– ripetiamo i nomi dei continenti indicandoli sul globo
– ripetiamo i nomi degli oceani indicandoli sul globo
– correliamo i nomi dei continenti e degli oceani del globo con gli incastri dei continenti e gli oceani sul planisfero
– distribuiamo tra i bambini gli incastri del planisfero
– ogni bambino inserisce il suo incastro nel planisfero nominando il continente rappresentato
– distribuiamo i cartellini dei nomi dei continenti (i cartellini dell’Asia e dell’Antartide sono doppi  perché presenti in entrambi gli emisferi)


– ogni bambino legge il suo cartellino e lo abbina al continente appropriato
– togliamo i cartellini dei continenti ed esaminiamo i nomi degli oceani
– mettiamo in relazione i nomi degli oceani sul globo ai nomi degli oceani
sul planisfero
– distribuiamo i cartellini degli oceani (i cartellini per l’oceano Atlantico, Pacifico e Artico sono doppi perchè presenti in entrambi gli emisferi)
– ogni bambino legge il suo cartellino e lo abbina all’oceano corrispondente sul planisfero
– togliamo dal planisfero i cartellini degli oceani
– distribuiamo i cartellini di continenti ed oceani insieme


– ogni bambino legge il suo cartellino e lo pone sul continente o sull’oceano corrispondente
– togliamo tutti i cartellini dal planisfero
– mettiamo sul piano di lavoro planisfero muto
– abbiniamo i cartellini dei continenti e degli oceani agli elementi presenti sul planisfero muto
– trasferiamo gli incastri dei continenti dalla tavola al planisfero muto per verificarne l’esattezza
– prendiamo le carte delle nomenclature dei continenti e disponiamo le immagini dei continenti da sinistra a destra
– distribuiamo i titoli tra i bambini e chiediamo loro di abbinarli alle immagini


– leggiamo le definizioni di ogni continente
– distribuiamo le definizioni e chiediamo ai bambini di abbinarle alle immagini dei continenti.
– osserviamo insieme ai bambini il planisfero che abbiamo appeso al muro
– mostriamo ai bambini dove mettiamo il libretto dei continenti e le nomenclature nello scaffale della geografia
– prendiamo le carte delle nomenclature per gli oceani e disponiamo le immagini da sinistra a destra.
– distribuiamo i cartellini dei titoli tra i bambini e chiediamo loro di abbinarle alle immagini


– leggiamo le definizioni di ogni oceano.
– distribuiamo le definizioni e permettere ai bambini di abbinare le definizioni alle immagini
– osserviamo insieme il planisfero appeso alla parete
– mettiamo il libretto degli oceani e le nomenclature nello scaffale della geografia mostrandolo ai bambini

Scopo:
passare da una rappresentazione tridimensionale dei continenti e degli oceani ad una rappresentazione bidimensionale.

Età:
dai sei anni

Incastro del planisfero Montessori
Attività con l’incastro del planisfero 

– mettiamo i continenti dell’incastro del planisfero in un sacchetto del mistero: il bambino cercherà di identificarli al tatto


– abbinare i continenti degli incastri del planisfero ai continenti presenti sul globo colorato
– abbinare gli incastri del planisfero al planisfero muto
– abbinare i cartellini ai continenti sul planisfero
– abbinare i cartellini  agli oceani sul planisfero
– usare il modello di cerchio per disegnare i due cerchi che rappresentano i due emisferi e tracciare i continenti utilizzando gli incastri del planisfero. Etichettare i continenti e gli oceani.
– disegnare i continenti su cartoncini colorati seguendo i contorni degli incastri con la matita e ritagliarli. Mettere i continenti su cerchi di carta disegnati usando il cerchio di cartoncino ed etichettare continenti e oceani


– punteggiare i contorni degli incastri dei continenti su cartoncini colorati

– siccome ritagliare i continenti con le forbici può essere difficile per alcuni bambini, perchè i contorni sono molto irregolari, scegliere di punteggiarli può essere una soluzione migliore. Si può anche optare per una tecnica mista, punteggiando cioè i contorni dei continenti con punti distanziati di circa 0,5 cm e poi usare i fori come guida per le forbici. Mettere i continenti su cerchi di carta disegnati usando il cerchio di cartoncino ed etichettare continenti e oceani


– costruire un libretto dei continenti e degli oceani usando per i disegni gli incastri del planisfero e ricercando informazioni varie


– costruire da soli un planisfero di controllo, colorare i continenti (matite colorate, tempera o acquarello, gessi colorati)
– tracciare i contorni degli emisferi e dei continenti con una matita bianca su un cartoncino di colore scuro. Punteggiare i contorni. Mettere il lavoro sul vetro di una finestra per fare in modo che la luce passi attraverso la punteggiatura


– i planisferi realizzati dai bambino possono essere etichettati con cartellini prestampati, cartellini preparati dai bambini, oppure i nomi possono essere scritti direttamente sul planisfero.

– attività con le nomenclature e i libretti

– questionario sul mondo

Livello III
– questionari sui continenti (uno per ogni continente).

Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori

Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori in formato pdf, che comprendono: cartellini dei continenti, cartellini degli oceani, nomenclature in tre parti dei continenti, libretto dei continenti, nomenclature degli oceani in tre parti, libretto degli oceani, questionario sul mondo, questionari sui continenti (uno per continente), planisferi di controllo e planisfero muto, cerchio per disegnare gli emisferi…

Trovi tutto il materiale qui: 

Questo è il contenuto:

Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Cartellini dei continenti colorati con immagine del continente


Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Cartellini dei continenti colorati, degli oceani e dei punti cardinali


Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Nomenclature in 3 parti dei continenti colorate
(immagine, titolo, definizione)

Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Nomenclature in 3 parti dei continenti in bianco e nero
(immagine, titolo, definizione)


Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Nomenclature in tre parti dei continenti colorate
(immagine, planisfero e titolo)

Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Nomenclature in tre parti degli oceani colorate
(planisfero titolo e definizione) in due versioni

Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
incastro del planisfero stampabile per realizzare il materiale in proprio e per i planisferi di controllo (parlati, muti, bianco e nero e colorati)

Planisfero di controllo I: una mappa con i continenti colorati e della stessa dimensione dell’incastro del planisfero
Planisfero di controllo II: negli stessi colori e delle stesse dimensioni del primo planisfero, ed ha in più i nomi dei continenti e degli oceani. Completa la tavola un set di cartellini (colorati o in bianco e nero) da usare per etichettare l’incastro del planisfero
Planisfero di controllo III: Un planisfero in bianco e nero. I continenti sono della stessa dimensione dell’incastro del planisfero
Planisfero di controllo IV: uguale al planisfero III ma con l’aggiunta dei nomi. Completa la tavola un set di cartellini da usare con l’incastro del planisfero.
(I planisferi di controllo vengono presentati al bisogno. In seguito possiamo preparare planisferi simili ma di dimensioni ridotte da usare per colorare ed etichettare).


Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Cartellini autocorrettivi (questionario sui continenti) e comandi per attività parallele

Qual è il continente il più piccolo del mondo?
Qual è il continente più grande del mondo?
Quali  oceani bagnano l’Africa?
Qual è l’oceano più piccolo?
Quale oceano tocca sia l’America del Nord sia l’Africa?
Attraverso quali continenti passa l’equatore?
Quale continente si trova al polo sud?
Quanti continenti ci sono al mondo?
Quanti oceani ci sono al mondo?
Qual è l’oceano più grande del mondo?
Quali oceani bagnano l’Oceania?
In quale continente viviamo?
Qual è l’oceano più vicino al polo nord?
In quali due luoghi del mondo fa molto freddo tutto l’anno?
Quali continenti bagna l’Oceano Indiano?
Quale oceano tocca sia l’America del Nord sia l’Australia?
Quali oceani bagnano il Sud America?
Quali oceani bagnano l’Europa?


Materiali stampabili per l’incastro del planisfero Montessori
Cartellini questionario sui singoli continenti (tre livelli)
e comandi per attività parallele

Questionario per ogni continente:
Qual è il nome del continente?
In quale emisfero si trova?
Quali mari o oceani bagnano il continente?
Quali continenti confinano con questo continente?
Quanti paesi ci sono in questo continente?
Quali sono i nomi di questi paesi?
Progetti:
Disegna la mappa del continente, poi scrivi i nomi dei paesi, degli oceani e dei mari.
Fai un libretto dei paesi del continente.
Fai un libretto delle bandiere dei paesi del continente.

Questionario per ogni continente II
Qual è lo stato più grande del continente? E il più piccolo?
Quali stati di questo continente sono isole?
Qual è lo stato più a sud? E quello più a nord?
Quali stati si trovano lungo la costa dell’oceano?
Quali stati non sono bagnati da oceani o mari?
Qual è lo stato più popolato?
progetti II
Cerca dei francobolli provenienti dagli stati di questo continente.
Cerca  immagini o articoli che parlino degli stati di questo continente su giornali o riviste.
Individua su una cartina geografica del continente le capitali di ogni stato.
Cerca la bandiera per ogni paese del continente.

Questionario per ogni continente III
Quali sono i principali fiumi e laghi del continente?
Quali sono le catene montuose principali?
Qual è il punto più alto del continente?
Quali animali si trovano nel continente?
Che tipo di vegetazione si trova nel continente?
progetti III
Disegna una cartina del continente che mostri montagne, fiumi e laghi più importanti del continente.
Disegna una cartina del continente che mostri i diversi animali che vi vivono.
Disegna una cartina che mostri la vegetazione che si trova nel continente.

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 Incastro del planisfero: presentazioni ed esercizi qui Incastro del planisfero Montessori

Le rocce metamorfiche con nomenclature Montessori

Le rocce metamorfiche con nomenclature Montessori  pronte per la stampa. Dopo aver presentato il primo set di carte delle nomenclature, legato al ciclo delle rocce,

vediamo più da vicino i tre tipi di rocce, e dopo aver presentato le rocce sedimentarie 

le rocce magmatiche,

affrontiamo ora le rocce metamorfiche. Tutto l’argomento rientra nell’ambito della Prima grande lezione Montessori per quanto riguarda le rocce,

e della Seconda grande lezione per quanto riguarda i fossili.

pdf qui: ROCCE METAMORFICHE NOMENCLATURE MONTESSORI

Le rocce magmatiche con nomenclature Montessori

Le rocce magmatiche con nomenclature Montessori  pronte per la stampa. Dopo aver presentato il primo set di carte delle nomenclature, legato al ciclo delle rocce,

vediamo più da vicino i tre tipi di rocce, e dopo aver presentato le rocce sedimentarie 

affrontiamo qui le rocce magmatiche (anche dette rocce ignee).

Tutto l’argomento rientra nell’ambito della Prima grande lezione Montessori 

per quanto riguarda le rocce, e della Seconda grande lezione

per quanto riguarda i fossili.

QUI:


Le rocce magmatiche con nomenclature Montessori

Le rocce sedimentarie con nomenclature Montessori

Le rocce sedimentarie con nomenclature Montessori pronte per la stampa. Dopo aver presentato il primo set di carte delle nomenclature, legato al ciclo delle rocce,

vediamo più da vicino i tre tipi di rocce, cominciando dalle rocce sedimentarie. Tutto l’argomento rientra nell’ambito della Prima grande lezione Montessori per quanto riguarda le rocce,

e della Seconda grande lezione per quanto riguarda i fossili.

Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori

Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori pronte per il download e la stampa, materiale che può essere presentato nell’ambito della prima grande lezione.

Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori – Le rocce

Le rocce che ci circondano sono sempre in movimento, come se viaggiassero al rallentatore sulle montagne russe. Le forze geologiche, infatti, le spingono verso l’alto formando le montagne, le fondono e le lanciano in aria, le spaccano in piccoli pezzi, le fanno sprofondare. Questo viaggio dà origine a tre tipi di rocce:
1. le rocce ignee (o magmatiche) che si formano quando il materiale fuso di raffredda;
2. le rocce sedimentarie, che si formano quando  i frammenti creati dall’azione delle onde,  del ghiaccio o dello dello scontro con altre rocce, si depositano in strati
3. le rocce metamorfiche, che provengono dalla trasformazione  delle rocce all’interno della Terra, schiacciate da pressioni fortissime e cotte da temperature elevatissime.

Le rocce si formano, vengono distrutte e si riformano nuovamente, in un ciclo delle rocce senza fine:
– le rocce vengono frantumate dagli agenti atmosferici e spazzate via dall’erosione;
– le rocce, il fango e la sabbia si depositano nei delta dei fiumi e sui fondali oceanici;
– i depositi fluviali e marini danno origine a strati di rocce sedimentarie
– i movimenti delle placche trascinano i sedimenti nel sottosuolo
– il calore e la pressione del sottosuolo danno origine alle rocce metamorfiche
– la roccia fusa si raffredda e si indurisce formando le rocce ignee
– i sedimenti che vengono spinti nelle zone di subduzione fondono e diventano lava, che fuoriesce dai vulcani completando il ciclo.

Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori
Le rocce ignee

Le rocce ignee o magmatiche derivano da magma raffreddato. Quando il materiale fuso si raffredda, si formano piccoli cristalli, che poi si ingrandiscono. Maggiore è il tempo di raffreddamento,  più grandi sono i cristalli.
Nella lava che fuoriesce sulla superficie terrestre e si raffredda velocemente velocemente, i cristalli sono invece molto piccoli.
Le rocce ignee possono essere molto dure e vengono spesso utilizzate per costruire strade ed edifici.

I tappi di lava e i dicchi sono colonne di rocce igee che un tempo facevano parte di un vulcano:

durante l’eruzione vulcanica il magma risale in superficie attraverso il camino attivo principale del vulcano, e formando il cono vulcanico, una montagna dai fianchi ripidi, fatta di strati di cenere e lava.

Quando il vulcano si estingue, cioè non è più attivo, il magma si raffredda all’interno del camino, trasformandosi in roccia ignea solida.

Gli agenti atmosferici erodono i fianchi del vulcano estinto, scoprendo le formazioni di lava indurita, che diventano tappi e dicchi vulcanici.

Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori

Sono rocce ignee:
andesite
ossidiana
gabbro
pomice
Kimberlite
riolite
basalto vescicolare
tufo vulcanico
lava-ossidiana
granito
pallasite (meteorite)

Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori
Le rocce sedimentarie

Le rocce sedimentarie sono formate da granuli di rocce più antiche, frantumate dagli agenti atmosferici e dall’erosione. Questo materiale libero costituisce i sedimenti, che vengono trascinati trascinati dall’acqua, dal vento e dal ghiaccio acquistando forme arrotondate. Alla fine i sedimenti si depositano in strati sul fondo dei laghi, dei mari e degli oceani. Con il tempo, tutto questo materiale viene cementato o compresso, formando una roccia solida.

Sono rocce sedimentarie:
roccia ferrifera
breccia
diaspro
selce
argilllite
calcare
evaporite
arenaria.

I canyon, come il famoso Gran Canyon formato dal fiume Colorado (USA), sono luoghi ideali per osservare le rocce sedimentarie.

L’attività tettonica solleva la superficie oltre il livello del mare, e i fiumi acquistano una notevole energia, riuscendo a scavare le rocce:

Il fiume scava negli strati di rocce sedimentarie formando un canyon stretto e profondo, con versanti ripidi:

Gli strati di roccia più deboli vengono erosi alla base, allargando il canyon e facendo crollare gli strati più  al ti di roccia dura:

Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori
Le rocce metamorfiche

Sotto la superficie terrestre, le rocce si trasformano continuamente, come in una gigantesca pentola a pressione. Non fondono, restano solide, ma si trasformano lentamente in un processo chiamato metamorfismo. All’interno delle rocce i cristalli si uniscono tra di loro e si ingrandiscono. A temperature e pressioni molto alte si formano anche nuovi minerali.

Sono rocce metamorfiche:
skarn
gneiss
quarzite
anfibolite
marmo
antracite
granulite
micacisto
scisto
fillite

Il metamorfismo delle rocce può avvenire in due modi:
– in seguito a una forte pressione, come se le rocce venissero strette in una gigantesca morsa;
– in seguito a un intenso riscaldamento, come se venissero cotte da una fiamma ossidrica.

Pressione:

In alcuni casi le rocce si modificano   quando vengono spinte verso l’alto con la formazione delle montagne. Qui abbiamo tre strati di roccia sedimentaria, cioè argillite (arancio), arenaria (giallo) e calcare (blu):

La forte compressione fa ripiegare gli strati e si formano le rocce metamorfiche, cioè scisto (arancio), gneiss (beige) e marmo (blu):

Calore:

Il magma (la macchia rossa in angolo) risale in superficie e cuoce le rocce circostanti. Qui abbiamo tre strati di roccia sedimentaria, cioè argillite (arancio), arenaria (giallo) e calcare (blu):

Il magma continua a risalire attraverso le rocce sedimentarie e le trasforma in hornfels (marrone) quarzite (verde) e marmo (blu):


Il ciclo delle rocce con nomenclature Montessori

LA COLLINA materiale didattico vario

LA COLLINA materiale didattico vario – dettati ortografici, racconti, testi brevi, di autori vari, per la scuola primaria.

La collina

Le montagne, di solito, non si elevano a picco dalla pianura, ma sono precedute da modeste alture, le colline, dalle cime tondeggianti e dai dolci declivi. Esse non superano i 600 metri sopra il livello del mare; quando si elevano oltre i 600 e gli 800 metri si chiamano colli.

La strada che porta in collina sale con larghi tornanti tra ulivi e vigneti; lungo le strisce di terra pianeggiante che i contadini hanno ricavato dopo lungo e faticoso lavoro, e sui fianchi soleggiati e asciutti, sono coltivati gli ortaggi, gli alberi da frutta, il granoturco.

Fitti boschi di castagni e di noci coprono generalmente il versante non soleggiato, umido e ombroso, rotto qua e là da profondi burroni scavati dall’acqua piovana.

Le piogge che scorrono sui fianchi delle colline smuovono il terreno causando frane e burroni. L’uomo per impedire ciò costruisce muretti ed opere di sostegno.

E’ difficile irrigare le coltivazioni in collina perchè l’acqua scorre nel piano o  in profondità. L’uomo perciò costruisce serbatoi e condotti.

Sulle colline, oggi, si fabbricano di preferenza case e villette nelle quali l’uomo ritrova la quiete e l’aria pura, ormai scomparse nelle grandi città.

Quadretto

Sulla cima del colle, tra boschetti di lauri, la casa sorge splendente nel rosso tramonto. Dietro ha il monte ripido; e sul monte una fila di cipressi gracili e austeri dentellano del loro verde cupo l’orizzonte. Più dietro è una torre o un castello. Il sole calante batte nelle vetrate del piano superiore della casa che paiono incendiarsi come il riflesso di uno scudo incantato. (G. Carducci)

Origine delle colline

Ci sono colline nate dall’accumularsi di materiale strappato alle montagne, ma ve ne sono anche di sorte come per incanto dalla terra, sotto forma di vulcani.

Naturalmente Questo è accaduto molti millenni or sono. I vulcani poi si sono spenti, e il loro cratere si è adagio adagio riempito di terra.

Oggi è difficile distinguere le une dalle altre.

 I doni delle colline

Le colline sono generose nel ripagare le fatiche degli agricoltori. I pendii esposti al sole producono, come in pianura, cereali di ottima qualità, e poi ortaggi, agrumi, fiori.

A primavera la collina sembra un paesaggio di sogno, avvolta com’è dalla fioritura rosea e bianca dei suoi frutteti, che daranno poi ciliegie dal delizioso sapore, pesche vellutate, pere, mele, albicocche, e tanti altri frutti. Molti sono anche i vigneti, dalle basse viti a spalliera, che donano uva dolce, e gli oliveti dagli alberi centenari.

Sui pendii poco soleggiati crescono boschi di querce, di castagni e di noccioli. In questi boschi si raccolgono fragole dolcissime e funghi mangerecci, mughetti e narcisi dall’acuto profumo.

L’oliveto

Anche l’oliveto ha bisogno di sole. La terra, intorno agli olivi, è piuttosto arida. Il raccolto delle olive si fa ogni anno, ma è abbondante solo ogni due anni. In autunno, in alcuni paesi, si  lascia che le olive, nere e mature, cadano a terra da sè e poi si raccolgono dal suolo. In altri paesi, invece, si fanno cadere dai rami scuotendoli con lunghe pertiche.

Il castagneto

Ogni anno, in autunno, il castagneto viene invaso dai bacchiatori che portano scale e lunghe pertiche. I castagni, che sono vecchi anche di centinaia di anni, sopportano tutto con la pazienza dei nonni. Forse sanno di far felici soprattutto i bambini allorchè le castagne, tolte dai ricci spinosi, saranno lessate o arrostite.

La cisterna

L’acqua piovana in collina è preziosa e viene conservata. Dalla grondaia è avviata, per mezzo di docce, nella cisterna. Naturalmente l’acqua della cisterna non è potabile. Serve per abbeverare gli animali, oppure, dopo un’accurata bollitura, per le necessità di cucina. L’acqua potabile invece si ricava dai pozzi.

Il terrazzamento

Una volta i colli che oggi vediamo ricchi di ville e di paesi, di campi e di vigne, erano incolti. Le acque piovane corrodevano il terreno, che in molte zone diveniva brullo e coperto di pietrame.

Per coltivare in collina, l’uomo dovette diboscare o levare a una a una le pietre che coprivano il terreno. Con queste costruì dei muri a secco, cioè senza cementare le pietre con la malta, per permettere alla pioggia di scorrere via tra una pietra e l’altra. Poi riempì lo spazio tra il muro e la china del colle con terra buona, che portò su dal piano con gerle, cesti e canestri. Alla fine il contadino seminò erbe e piantò viti ed olivi; così le piante, con le loro radici, trattennero la terra.

Ancora oggi i muretti devono essere sorvegliati, perchè possono cedere in qualche punto sotto l’azione di una pioggia a dirotto o per un’improvvisa frana del terreno sottostante. In questi casi il contadino, con paziente lavoro, deve rafforzare e riassettare i muretti nei punti pericolanti.

Sistemazione dei pendii collinari

Il terrazzamento consente di coltivare anche i  pendii molto ripidi. Consiste nel trasformare il pendio collinare in ripiani orizzontali, sostenuti da muretti.

Il girapoggio è una sistemazione del terreno adatta alle colline pendenti uniformemente. Consiste nello scavo di fosse orizzontali intorno alla collina per impedire alle acque di scorrere da cima a fondo.

La spina è una sistemazione del terreno che consente di ottenere apprezzamenti di una certa regolarità. Consiste nello scavare sul pendio collinare dei canaletti disposti a spina di pesce.

Colline italiane

In Italia, vi sono territori assai estesi occupati completamente da colline. E su queste colline prosperano vigneti e oliveti. Le colline italiane più note sono quelle del Monferrato e delle Langhe, in Piemonte, le colline della Toscana, del Veneto e del Lazio.

Su alcune colline si vedono i resti dei castelli medioevali e, qua e là, borgate e paesini, tutti stretti attorno alla lor chiesa. Ci sono anche delle città che si stendono sulla collina, occupando la sommità e buona parte dei declivi.

La casa in collina

Non sempre si vive bene in pianura. Anzi, specie nei tempi antichi, quando i fiumi, non ben arginati, allagavano spesso il piano trasformandolo in palude, gli uomini preferivano costruire le loro abitazioni sulle alture. Quando poi si voleva erigere un castello, si sceglieva la cima di un colle; in tal modo era possibile vigilare per un buon tratto i dintorni, evitando così le sgradevoli sorprese di un attacco nemico. Attorno al castello, in seguito, sorgevano le case dei contadini, la chiesa e il piccolo cimitero. Così son nati quasi tutti i paesi collinari d’Italia.

Altre ragioni hanno spinto l’uomo a costruire la propria casa in collina: ad esempio, la vicinanza dei terreni da coltivare permette all’agricoltore un notevole risparmio di tempo e di fatica. In mezzo agli uliveti ed ai vigneti, alla sommità di una serie di terrazze, c’è la fattoria, non molto dissimile da quella di pianura: spesso ha il frantoio per l’olio; sempre le capaci cantine odoranti di mosto. Presso ogni cascinale c’è un profondo pozzo dal quale si estrae l’acqua necessaria ad irrigare i campi e ad abbeverare il bestiame.

Il turismo

Molti sono i villeggianti che vanno a trascorrere l’estate sulle colline fresche di ombre, e molti soggiornano, in tutte le stagioni, nei pressi delle zone collinose presso il mare o i laghi, perchè il clima è costantemente mite. Assai sviluppata è quindi l’industria alberghiera, che dà lavoro a molti abitanti del luogo.

La collina

Sui campi bassi del frumento si allineano i gelsi e innalzano vaghe cupole verdi; pinete pervase dal sole qua e là segnano la linea dei colli; gli oliveti salgono le pendici col fluttuare del loro bigio argenteo. Ma su tutto dominano le vigne, tappeti alti, chiari a primavera e cupi nell’estate, tesi giù per il dorso delle colline, a coprire la dura, smorta argilla, e a preparare la festa del vino. Bianchi e lieti fra tanta ricchezza, si scoprono i paesi… (G. Fanciulli)

LA COLLINA materiale didattico vario. Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

FENOMENI METEOROLOGICI materiale didattico

FENOMENI METEOROLOGICI materiale didattico di autori vari, per bambini della scuola primaria.

L’aria

L’aria è un miscuglio di gas costituenti l’atmosfera e in cui vivono, nella parte inferiore, gli animali e le piante. I gas si presetnano più rarefatti e mutano di proporzione man mano che si sale in altezza.
L’aria è trasparente, inodore e incolore se in masse limitate; azzurra se in grandi masse. I suoi costituenti principali sono l’azoto e l’ossigeno. Contenuti in piccole quantità, l’argo, l’elio, il cripto, lo xeno, l’idrogeno, con quantità variabili di vapore acqueo, anidride carbonica, ammoniaca, ozono, ecc… Particelle solide, spore, microorganismi formano il pulviscolo atmosferico.
A causa della funzione clorofilliana per cui le piante, di giorno, assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno, l’aria dei boschi è più salubre.
La troposfera è lo strato più basso dell’atmosfera la quale raggiunge l’altezza di circa 1000 chilometri e circonda il nostro globo seguendolo nei  suoi movimenti.

La pressione atmosferica

L’atmosfera preme enormemente sulla superficie del globo e noi non ne rimaniamo miseramente schiacciati soltanto perchè la pressione si esercita sul nostro corpo non solo esternamente da tutte le parti, ma anche internamente, ciò che produce equilibrio. Quando questo equilibrio dovesse mancare, si avrebbero gravi disturbi e la morte.
Possiamo considerare che noi portiamo sulle nostre spalle il peso di tre elefanti ci circa cinque tonnellate ciascuno e ciò senza sentire il minimo inconveniente.
Un litro d’aria pesa poco più di un grammo, ma se si pensa all’enorme spessore dell’atmosfera, il paragone degli elefanti non può sorprendere.
La pressione non è uguale dappertutto. Sulle montagne, per esempio, è molto minore che al livello del mare. Inoltre dato che l’aria fredda è più pesante di quella calda, nello stesso luogo la pressione sarà anche in base alla temperatura.
Lo strumento per misurare la pressione atmosferica è il barometro che fu inventato da Evangelista Torricelli. Questi riempì di mercurio un tubo di vetro e ne immerse l’estremità aperta in una vaschetta, anch’essa piena di mercurio. Poté constatare che la colonnina di mercurio non andava al disotto dei 76 centimetri. Era chiaro, quindi, che la pressione di una colonna di mercurio alta 76 cm e dalla sezione di un centimetro quadrato veniva equilibrata da una pressione analoga che non poteva essere che quella dell’atmosfera.
Vi sono anche altri piccoli esperimenti che  possiamo fare per constatare l’esistenza della pressione atmosferica. Eccone di seguito alcuni.

Succhiamo una bibita con una cannuccia, poi quando il liquido è giunto alla nostra bocca, appoggiamo rapidamente un dito all’estremità superiore della cannuccia e teniamolo fermo. Il liquido non uscirà, e ciò perchè il suo peso esercita una pressione minore di quella atmosferica. Non appena si toglierà il dito, il liquido uscirà dalla cannuccia.

Prendiamo un comune bicchiere e riempiamolo d’acqua fino all’orlo. Poi appoggiamo sul bicchiere un pezzo di cartone o di carta, in modo che ricopra completamente l’orlo. Capovolgiamo rapidamente il bicchiere e togliamo la mano dal cartone. Questo non cadrà e l’acqua rimarrà nel bicchiere. Perchè? Perchè nel bicchiere non c’è aria, ma soltanto acqua, e questa ha un peso inferiore a quello esercitato dalla pressione dell’aria che spinge dal basso il cartone.

Il vento

L’aria è sempre in movimento. Lo si può constatare considerandone gli effetti. Osserviamo le foglie muoversi nella brezza, il bucato sventolare,  le nuvole correre nel cielo. Questo movimento si chiama vento.
Da che cosa dipende il vento? Per poter spiegare questo fenomeno bisogna dire qualcosa sulla temperatura dell’aria. L’aria ha una sua temperatura, più calda o più fredda, secondo la stagione, l’altitudine, l’azione del sole, ecc… Ebbene: l’aria calda è più leggera dell’aria fredda e tende a salire. L’aria fredda è più pesante e tende a discendere e ad occupare quindi il posto dell’aria calda.
Possiamo procedere ad alcuni piccoli esperimenti.

Proviamo a fare sul termosifone qualche bolla di sapone. Queste saliranno verso l’alto, ciò non accadrà o accadrà con minor effetto, per le bolle di sapone che faremo in un punto lontano dalla sorgente di calore.

Se potessimo misurare, a vari livelli, la temperatura di una stanza riscaldata, potremmo constatare che, verso il soffitto, l’aria è molto più calda che nei pressi del pavimento. Ebbene, è questa differenza di temperatura che produce il vento. Quando, fuori, l’aria calda sale, l’aria fredda si precipita ad occuparne il posto e forma, così, una corrente – vento che poi noi chiamiamo con diversi nomi a seconda del punto cardinale da cui proviene.
Pensiamo adesso a tutta l’aria che avvolge il nostro globo. Sappiamo che essa è freddissima nelle regioni nordiche e caldissima nelle regioni equatoriali. Ecco perchè l’atmosfera è sempre in movimento: l’aria fredda tende ad occupare il posto di quella calda che sale e quindi si formano venti che possono essere deboli, oppure violenti e disastrosi. Abbiamo detto che essi prendono il nome del punto cardinale da cui provengono. Abbiamo così Ponente, Levante, Ostro, Tramontana, rispettivametne provenienti da ovest, est, sud e nord. E poi venti intermedi: sud-ovest Garbino o Libeccio; sud-est Scirocco; nord-est Greco; nord-ovest Maestrale. Per stabilire la direzione del vento,  si usa la rosa dei venti.

Le nuvole

Nell’atmosfera ci sono le nuvole. Ci sarà facile invitare i bambini ad osservare il cielo e quindi le nuvole. Come sono le nuvole che si presume portino la pioggia? Quali nuvole si vedono nel cielo di primavera? In quello dell’estate? Nuvole grigie, pesanti, oscure; nuvole leggere e delicate; nuvoloni bianchi e bambagiosi. Se uno di noi capitasse in una nuvola si troverebbe in breve bagnato. Infatti tutte le nuvole sono formate da vapor acqueo parzialmente condensato in minutissime gocce e, negli strati superiori dell’atmosfera, in cristallini di ghiaccio.
Ma da dove provengono queste goccioline e questi cristallini di ghiaccio? Ammassi di vapore acqueo si elevano nell’atmosfera., resi leggeri dal calore del sole. Quando il vapore acqueo si condensa diviene visibile ai nostri occhi appunto sotto forma di nubi.

Esperimento scientifico per creare nuvole in vaso qui: 

Osservazione e classificazione delle nuvole qui: 

Il ciclo dell’acqua, dettati e letture, qui: 

La pioggia

Vediamo come accade il fenomeno per cui l’acqua cade sulla superficie terrestre. Le nuvole sono sospese in una massa d’aria, che, essendosi riscaldata, sta innalzandosi. Le gocce di cui le nuvole sono formate, divenute più pesanti per la ulteriore condensazione dovuta al contatto con strati di aria fredda cominciano effettivamente a cadere, ma l’aria calda che tende ancora a salire, le risospinge verso l’alto. Facciamo l’esempio di una pallina da ping pong che venga sollevata al disopra di un ventilatore. La pallina resterà sollevata in aria, sospinta dall’aria che sale dall’apparecchio. Lo stesso avviene per le goccioline d’acqua che formano le nuvole. Ma ecco che esse ingrossano anche perchè urtandosi, si fondono tra loro e diventano quindi più pesanti. E così le gocce cominciano a cadere sulla terra. E’ la pioggia.

Esperimento scientifico per creare la pioggia in un vaso qui: 

La nebbia

L’aria è piena di vapore acqueo che proviene dalla superficie del mare o dei laghi o del suolo, potendo con sè un po’ del calore degli oggetti che ha abbandonato. Per constatare questo fenomeno basta bagnare un dito con l’alcool ed esporlo all’aria. Si avvertirà subito una sensazione di freddo e ciò perchè l’alcool, evaporando, porta con sè un po’ del calore del dito. Se il vapore acqueo che si trova nell’aria è abbondante, si dice che l’aria è umida. Quando l’aria è molto umida, l’evaporazione diminuisce ed è allora che, nelle giornate estive molto umide e afose, il sudore ci si appiccica addosso.
Abbiamo avuto occasione di vedere, specie in un raggio di sole, il pulviscolo atmosferico, cioè minutissime particelle che danzano nell’aria. Questo pulviscolo è formato dalla polvere che si leva dal suolo, da piccolissime spore, da impurità di ogni genere. Quando il vapore acqueo che proviene dal suolo ancora caldo si raffredda a contatto dell’aria fresca notturna, esso si condensa attorno ad un minuscolo granello di polvere. Queste goccioline formano una specie di nuvola bassa sul suolo, che si chiama nebbia.
Quindi, la nebbia è una specie di nuvola bassa sulla terra, formata da vapore acqueo condensato e pulviscolo atmosferico. Essa si forma anche sul mare e sui laghi e non appena il sole la riscalda a sufficienza, sparisce perchè le goccioline d’acqua evaporano e salgono nell’aria.

Esperimento scientifico per creare la nebbia in vaso qui: 

La neve

Quando l’aria è molto fredda, il vapore si condensa in tanti piccoli cristalli di ghiaccio che riunendosi formano quelli che chiamiamo i fiocchi di neve. Questi sono leggeri e morbidi perchè inglobano grandi quantità di aria. Se si osservano con una forte lente di ingrandimento, si potrà vedere che sono di  forma diversa, ma tutti fatti a stellina con sei punte.

Qui un tutorial per realizzare bellissimi fiocchi di neve di carta: 

La grandine

Il fenomeno della grandine avviene prevalentemente in estate e c’è la sua ragione. In questa stagione, l’aria è talvolta molto calda e, come abbiamo visto, tende a salire. Nelle altissime regioni atmosferiche, l’aria calda incontra generalmente  correnti assai fredde, anzi, gelate. Allora, le goccioline d’acqua che l’aria contiene, cominciano a turbinare non solo, ma gelano e si trasformano in cristalli di ghiaccio. Anche qui avviene lo stesso fenomeno della pioggia; cioè i cristalli di ghiaccio cadono e incontrano,  nella loro caduta, altre gocce d’acqua a cui si uniscono. Le correnti d’aria calda li sospingono incessantemente verso l’alto finchè i ghiaccioli, divenuti ormai grossi e pesanti, precipitano sulla terra con gli effetti disastrosi che tutti conosciamo. Nel fiocco di neve è contenuta molta aria, nel chicco di grandine no. Ecco perchè questo è più pesante e compatto.

La rugiada

Abbiamo occasione di vedere la rugiada sulle piante e sulla terra, di mattina presto, quando il calore del sole non l’ha ancora fatta evaporare.
Come si è formata? La spiegazione è semplice. Durante la giornata, i caldi raggi del sole hanno riscaldato la terra, le erbe, i fiori. Durante la notte, invece, questi si raffreddano e il vapore acqueo vi si condensa in brillanti goccioline. In autunno o in inverno, quando le notti sono molto fredde, si forma invece la brina. Mentre la rugiada è benefica, la brina, come è noto, danneggia le piante e talvolta quella che si chiama una brinata o una gelata può distruggere un intero raccolto.

Lampi e fulmini

E’ facile, durante un temporale scorgere nel cielo i lampi e vedere cadere un fulmine. La spiegazione di questo fenomeno risale a quanto abbiamo detto a proposito della pioggia. Le goccioline di acqua che, sospinte dalle correnti calde si aggirano vorticosamente nell’aria, si caricano ad opera di questo movimento di elettricità. Questa elettricità si manifesta, appunto, nel lampo che è un’enorme scintilla elettrica che scocca fra due nubi cariche di elettricità (positiva e negativa).
Se la scarica colpisce il suolo, abbiamo il fulmine di cui conosciamo gli effetti talvolta drammatici.
Il tuono è il rimbombo dell’aria quando viene squarciata dal lampo e dal fulmine, ma non deve incutere paura perchè, quando il tuono si sente, il pericolo è già passato.

L’arcobaleno

Portiamo a scuola un prisma e con esso facciamo osservare ai bambini che un raggio di sole, apparentemente fatto di luce bianca, passando attraverso il prisma si scompone di sette bellissimi colori. Ciò avviene perchè i diversi colori di cui è composta la luce bianca sono dal prisma deviati in modo diverso. La stessa cosa avviene con l’arcobaleno. Le gocce di pioggia ancora sospese nell’aria vengono attraversate dalla luce del sole i cui raggi si piegano come nel prisma di cristallo. I colori dell’arcobaleno sono sette: rosso, giallo, celeste, verde, arancione, indaco e violetto.

Un arcobaleno nella noce qui: 

L’arcobaleno nella leggenda del Lago di Carezza qui: 

Girandole e trottole per studiare lo spettro luminoso qui 

Dettati ortografici

L’aria atmosferica
La parte inferiore dell’atmosfera è costituita dallo strato gassoso che circonda il nostro globo e che lo segue nel suo movimento di rotazione. L’atmosfera è una massa gassosa alta mille chilometri.

La pressione atmosferica
L’atmosfera preme enormemente sulla superficie del nostro globo e noi non ne rimaniamo schiacciati perchè la pressione si esercita sul nostro corpo internamente ed esternamente, ciò che produce equilibrio. Quando questo equilibrio viene a mancare, come nel caso in cui l’uomo salga a grandi altezze senza essere munito di speciali apparecchi per respirare e per sostenere la mancanza di pressione, si rilevano gravi disturbi e quasi sempre la morte.

Tre elefanti sulle spalle
Chi porta elefanti sulle spalle? Chi è quest’uomo così robusto da non rimanere schiacciato non solo sotto il peso di tre elefanti, ma di uno soltanto? Siamo tutti noi, che sopportando il peso dell’aria, è come se portassimo un peso uguale a quello di tre grossi elefanti.

La pressione atmosferica
L’atmosfera pesa enormemente sopra di noi. E perchè non ne rimaniamo schiacciati? Perchè l’aria esercita questa pressione su tutte le parti del nostro corpo, non solo, ma anche nell’interno, e il risultato è che queste enormi pressioni, enormi ma uguali, si equilibrano e l’uomo può muoversi benissimo senza alcun disturbo.

La stratosfera
La stratosfera è chiamata la regione del buon tempo permanente. Il cielo è di una bellezza commovente: scuro, turchino, cupo o viola, quasi nero.
La terra, lontana, è invisibile: non si vede che nebbia. Soltanto le montagne emergono. Dapprima avvolte nelle nubi, si rivelano a poco a poco.  Una cima poi un’altra. Lo spettacolo è magnifico. (A. Piccard)

Le conquiste degli spazi
La conquista degli spazi è agli inizi. Chissà quanti palpiti, chissà quanta ammirazione, quanti evviva dovremo spendere per le sempre più meravigliose imprese future! Se siamo diversi dalle bestie, è proprio per questo insaziabile, anche se folle bisogno di andare sempre più in là, di svelare uno ad uno i misteri del creato. (D. Buzzati)

L’atmosfera
Noi siamo immersi completamente nell’aria, anzi, nella sfera d’aria che circonda la terra; meglio sarà se diremo atmosfera, che significa, appunto, sfera d’aria. La terra gira, gira vorticosamente, es e noi non ce ne accorgiamo dipende dal fatto che tutto gira con la terra, comprese le nuvole che fanno parte dell’atmosfera.

La conquista dello spazio
A ogni passo di là dalle conosciute frontiere, volere o no, il nostro cuore palpita. Al pensiero che un uomo come noi sta bivaccando lassù, nella vertiginosa e gelida parete trapunta di stelle, vien fatto di correre su per le scale, di affacciarsi sull’ultima terrazza e di agitare un lumino. Chi lo sa, se ci vede: si sentirà meno solo. (D. Buzzati)

Il lancio del missile
Il razzo, avvolto alla base da un bagliore di fiamma e da una nuvola di vapori, si stacca dalla piattaforma e sale sempre più velocemente verso l’alto. L’astronauta comincia con voce pacata a trasmettere a terra tutte le informazioni richieste dal suo eccezionale servizio e contemporaneamente esegue tutte le operazioni assegnategli come se fosse seduto davanti a una scrivania. Solo una volta, mentre la capsula ha raggiunto l’altezza di 185 chilometri, si lascia sfuggire un’esclamazione: “Che vista meravigliosa!”

Aria calda e aria fredda
Mutamenti improvvisi di temperatura molto spesso portano pioggia o tempo burrascoso. E’ per questo motivo che, alla fine di una calda giornata estiva, quando comincia a levarsi il vento e l’aria rinfresca e il cielo si copre di nuvole, si può essere quasi sicuri che ci sarà un temporale. L’aria, così calda per tutta la giornata, comincerà a salire, e quella fredda scende rapidamente a prendere il suo posto, portando con sè vento e pioggia. (J. S. Meyer)

Un oceano d’aria
Noi viviamo sul fondo di un oceano d’aria, che si innalza per chilometri e chilometri sopra le nostre teste ed è molto pesante. Se non ne sentiamo il peso è solo perchè la sua pressione si esercita sul nostro corpo dall’alto, dal basso e dai lati, in ogni direzione contemporaneamente. Inoltre c’è sempre aria nei nostri polmoni e in tutto il nostro corpo, e quest’aria che è dentro di noi e quella che è intorno a noi si bilanciano così che non di accorgiamo di quanto l’aria pesi. (J. S. Meyer)

L’atmosfera
La quasi totalità degli esseri viventi ha bisogno di aria per respirare. Anche gli alberi, le erbe, i fiori, hanno bisogno di aria; ma se potessero esistere senza di essa, sarebbero immobili come cose dipinte. Non una sola tra le innumerevoli foglie degli alberi si muoverebbe; non un solo filo d’erba si piegherebbe, e ramoscello o fronda stormirebbero ondeggiando alla brezza. E non potrebbero esserci ne api ne farfalle ne uccelli di alcuna specie, poichè come potrebbero volare se non di fosse aria a sostenerne il volo? Ogni cosa al mondo sarebbe silenziosa e muta, poichè il suono non può propagarsi se non attraverso l’aria. (J. S. Meyer)

L’aria
Senza aria o atmosfera non si avrebbe ne tempo bello ne tempo brutto, ne pioggia ne neve; e non si saprebbe che cosa sono il sereno, le nuvole, i temporali. Senz’aria non potrebbero vivere ne uomini ne animali, la quasi totalità degli esseri viventi ha bisogno di aria perchè questa necessita per respirare. ( J. S. Meyer)

Un oceano d’aria
Immaginate che cosa significherebbe vivere sul fondo dell’oceano. Supponete per un momento di poter camminare sul fondo oceanico, con tante migliaia di tonnellate d’acqua che premono su di voi e pesano come montagne. Naturalmente, non si potrebbe resistere poichè il nostro corpo non è fatto per sopportare un peso così enorme: si resterebbe schiacciati in meno di un minuto. Eppure tutti noi viviamo sul fondo di un oceano d’aria che si innalza per chilometri e chilometri sopra la nostra testa ed è molto pesante. (J. S. Meyer)

Salire nell’atmosfera
Quanto più saliamo nell’atmosfera, tanto minore è la quantità di aria sopra di  noi e minore sarà la pressione. Se potessimo salire per sessanta o settanta chilometri, difficilmente troveremmo ancora un po’ d’aria, e sarebbe la morte per noi. Il nostro corpo, infatti, è costituito per poter vivere sulla terra, nel fondo dell’oceano d’aria, e proprio dove l’aria è più pesante. (J. S. Meyer)

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Il vento

Venti e piogge
I venti non solo servono a ventilare decentemente questo nostro quartiere di residenza che è la terra, ma compiono inoltre l’alta funzione di distribuire la pioggia, senza la quale sarebbe impossibile lo sviluppo normale della vita animale e vegetale. La pioggia non è altro che acqua evaporata dagli oceani, dai mari chiusi, dalla terra arida e dalle foglie delle piante e dai nevai continentali e trasportata dall’aria sotto forma di vapore.  Quando i venti, che trasportano questo vapore, incontrano aria fredda si ha la pioggia. (Van Loon)

Il vento
Il vento è una corrente. Ma, cos’è che produce una corrente? Cos’è che la mette in moto? Le differenze di temperatura dell’aria. Di solito una parte dell’aria è più calda dell’aria circostante e quindi più leggera, e perciò tende a levarsi in alto. Levandosi, crea il vuoto. L’aria fredda delle regioni superiori, essendo più pesante, precipita turbinando nel vuoto. (Van Loon)

Vento e pioggia
Quando un vento, carico di vapore acqueo, incontra una catena di montagne, possono accadere due cose. O la sua violenza deve spezzarsi contro questo ostacolo, oppure, per poterlo oltrepassare, la corrente aerea deve innalzarsi a grande altezza. Trovando, così, una zona più fredda, il vapore acqueo si condensa, si trasforma in pioggia, e il vento, ormai diventato asciutto, passa oltre. Quindi la zona che è situata al di qua della catena di monti, avrà frequenti piogge e clima umido, la zona situata al di là avrà clima asciutto e cielo sereno. (Van Loon)

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Poesie e filastrocche sul vento qui: 

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Le nuvole

Le nubi che corrono all’impazzata per il cielo sono leggere, soffici e, spinte dal vento, sembrano bianchi agnelli in corsa. Si divertono qualche volta ad oscurare il sole, a cingere di un pallido alone la luna lucente, a coprire e a scoprire le cime lontane dei monti. Qualche volta si appesantiscono, si fanno nere e minacciose: sono allora foriere di temporale. Si scaricano in furiosi acquazzoni e non di rado in dannose grandinate. (R. Mari)

Le nuvole
Che cosa sono quelle nuvole soffici che vediamo pigramente e oziosamente fluttuare nel cielo azzurro? La maggior parte di esse hanno l’aspetto di fiocchi bambagiosi, delicati e soffici: sembrerebbe bello poter andar vagando qua e là per cielo, adagiati su di esse, spinti da un gentile venticello! Ma sappiamo che in realtà non si tratta di bambagia e tanto meno di fiocchi morbidi e leggeri.

Le nubi
Le nubi sono costituite da miliardi e miliardi di minutissime goccioline di acqua, ciascuna delle quali è così piccola che non si vede a occhio nudo. Di tali goccioline ce ne sono miliardi in una goccia di pioggia: di qui si potrà comprendere la piccolezza di ognuna e come possa essere invisibile a occhio nudo. (J. S. Meyer)

Forma delle nuvole
Quelle nuvole d’aspetto soffice e bambagioso sono chiamate cumuli. I cumuli spesso sono considerati come nuvole del bel tempo. Talvolta i cumuli si avvicinano e si uniscono sì che tutto il cielo ne è presto ricoperto. Non si tratta più di cumuli, ma di strati. Essi formano una specie di coltre e ci avverte che la pioggia può non essere lontana. Alte nel cielo, talvolta a quindici chilometri dalla terra, viaggiano quelle nuvole fini e delicate che sono dette cirri, che vuol dire riccioli. Sono freddissime  e invece che da goccioline d’acqua, sono costituite da minuti cristalli di ghiaccio. (J. S. Meyer)

Nuvole
La mattina, al primo chiarore, sorgono dai prati umidi. La sera sbucano in un batter d’occhio da qualche gola più oscura, si assottigliano, innalzandosi velocissime per le coste, si librano per le cime dei monti, poi, in un batter d’occhio, come scaturiscono, svaniscono. Il vento le incalza, le sbaraglia, le sgretola e le disperde dopo una lotta silenziosa di giganti. (G. Giacosa)

Le nuvole
Quando, levandosi dal suolo, l’aria calda le incontra, intorno ai mille o ai duemila metri, correnti o strati d’aria più fredda, il vapor acqueo in essa contenuto si raffredda e le minute goccioline di cui è composta si raggruppano insieme e formano gocce più grosse. Miliardi di gocce si ammassano e si condensano sempre più, formano cioè delle nuvole. A poco a poco si riuniscono tutte e in breve il cielo ne è completamente ricoperto. (J. S. Meyer)

Le nuvole
E’ appena giorno e io che mi sono svegliato presto ne approfitto per continuare a registrare le mie memorie nel mio caro giornalino, mentre i miei cinque compagni dormono della grossa.
Ieri l’altro dunque, cioè il 30 gennaio, dopo colazione, mentre stavo chiacchierando con Tino Barozzo, un altro collegiale grande, un certo Carlo Pezzi gli si accostò e gli disse sottovoce: “Nello stanzino ci sono le nuvole”.
“Ho capito!” rispose il Barozzo strizzando un occhio.
E poco dopo mi disse: “Addio Stoppani, vado a studiare” e se ne andò dalla parte dove era andato il Pezzi.
Io che avevo capito che quell’andare a studiare era una scusa bella e buona e che invece il Barozzo era andato nello stanzino accennato prima dal Pezzi, fui preso da una grande curiosità, e senza parere, lo seguii pensando “Voglio vedere le nuvole anch’io”.
E arrivato a una porticina dove avevo visto sparire il mio compagno di tavola, la spinsi e… capii ogni cosa.
In una piccola stanzetta che serviva per pulire e assettare i lumi a petrolio (ce n’erano due file da una parte, e in un angolo una gran cassetta di zinco piena di petrolio e cenci e spazzolini su una panca) stavano quattro collegiali grandi, che nel vedermi, si rimescolarono tutti, e vidi che uno, un certo Mario Michelozzi, cercava di nascondere qualcosa.
Ma c’era poco da nascondere, perchè le nuvole dicevano tutto: la stanza era piena di fumo e il fumo si sentiva subito che era di sigaro toscano.
“Perchè sei venuto?” disse il Pezzi con aria minacciosa.
“Oh bella, sono venuto a fumare anch’io”
“No, no!” saltò a dire il Barozzo “Lui non è abituato… gli farebbe male, e così tutto sarebbe scoperto”.
“Va bene, allora starò a veder fumare”
“Bada bene” disse un certo Maurizio Del Ponte, “Guai se…”
“Io, per regola” lo interruppi con grande dignità, avendo capito quel che voleva dire, “la spia non l’ho mai fatta, e spero bene!”
Allora il Michelozzi, che era rimasto sempre prudentemente con le mani di dietro, tirò fuori un sigaro toscano ancora acceso, se lo cacciò avidamente tra le labbra, tirò due o tre boccate e lo passò al Pezzi che fece lo stesso, passandolo poi al Barozzo che ripetè la medesima funzione passandolo a Del Ponte che, dopo le tre boccate di regola, lo rese al Michelozzi… e così si ripetè il passaggio parecchie volte, finchè il sigaro fu ridotto ad una misera cicca e la stanza era così piena di fumo che ci si asfissiava…
“Apri il finestrino!” disse il Pezzi al Michelozzi. E questi si era mosso per eseguire il saggio consiglio quando il Del Ponte esclamò:
“Calpurnio!”
E si precipitò fuori della stanza seguito dagli altri tre.
Io, sorpreso da quella parola ignorata, indugiai un po’ nell’istintiva ricerca del suo misterioso significato, pur comprendendo che era un segnale di pericolo; e quando a brevissima distanza dagli altri feci per uscire dalla porticina, mi trovai faccia a faccia con il signor Stanislao in persona che mi afferrò per il petto con la destra e mi ricacciò indietro esclamando: “Che cosa succede qua?”
Ma non ebbe bisogno di nessuna risposta; appena dentro la stanza comprese perfettamente  quel che era successo e con due occhi da spiritato, mentre gli tremavano i baffi scompigliati dall’ira, tuonò: “Ah, si fuma! Si fuma, e dove si fuma? Nella stanza del petrolio, a rischio di far saltare l’istituto! Sangue d’un drago! E chi ha fumato? Hai fumato tu? Fa’ sentire il fiato… march!”
E si chinò già mettendomi il viso contro il viso in modo che i suoi baffoni grigi mi facevano il pizzicorino sulle gote. Io eseguii l’ordine facendogli un gran sospiro sul naso ed egli si rialzò dicendo: “Tu no… difatti sei troppo piccolo. Hanno fumato i grandi… quelli che sono scappati di qui quando io imboccavo il corridoio. E chi erano? Svelto… march!”
“Io non lo so!”
“Non lo sai? Come! Ma se erano qui con te!”
A queste parole i baffi del signor Stanislao incominciarono a ballare con una ridda infernale.
“Ah, sangue d’un drago! Tu ardisci rispondere così al direttore? In prigione! In prigione! March!”
E afferratomi per un braccio mi portò via, chiamò il bidello e gli disse: “In prigione fino a nuovo ordine!”
(Vamba)

Poesie e filastrocche sulle nuvole qui: 

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La pioggia

Quando l’ammasso delle nuvole che si condensano con il freddo, si raffredda maggiormente, allora tutti i miliardi di goccioline che lo formano e che hanno già un discreto volume, diventano sempre più grosse e più pesanti e a un bel momento, cominceranno a staccarsi dalle nubi ed a precipitare sulla terra in forma di pioggia. La pioggia cade e le nuvole a poco a poco si dissolvono. (J. S. Meyer)

La pioggia
La pioggia non è altro che acqua evaporata dagli oceani, dai mari chiusi e dai nevai continentali e trasportata nell’aria sotto forma di vapore. Poichè l’aria calda può contenere molto maggior vapore che la fredda, il vapore acqueo viene trasportato senza molta difficoltà finchè i venti non incontrino aria fredda; quando ciò avviene, il vapore si condensa e precipita nuovamente alla superficie della terra in forma di pioggia o grandine o neve. (Van Loon)

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La nebbia

La nebbia è una nuvola bassa sulla terra formata da vapore acqueo e pulviscolo atmosferico. Essa si forma prevalentemente sul mare e sui laghi e non appena il sole la riscalda a sufficienza sparisce perchè le goccioline d’acqua evaporano e salgono nell’aria.

Altri dettati ortografici sulla nebbia qui: 

Poesie e filastrocche sulla nebbia qui: 

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La neve

La neve è una precipitazione atmosferica che avviene quando la temperatura dell’aria in cui il vapore acqueo si va condensando, diventa molto bassa. Per questo fatto, il vapore acqueo si condensa in minutissimi cristalli di ghiaccio disposti a forma di stella, i quali, cadendo, si raggruppano fra loro formando i fiocchi di neve.

Fiocchi di neve
Andate al’aperto con una tavola scura mentre nevica e studiate, mediante una lente di ingrandimento, le stelline graziose che vi cadono a miliardi dal cielo. Osserverete la mirabile costruzione di queste foglioline di cristallo, di questi grappoli di stelline, ognuno delle quali è un capolavoro che nessun gioielliere saprebbe mai imitare. (B. H. Burgel)

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Poesie e filastrocche sulla neve qui:

Un libretto fatto a mano sulla neve qui: 

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La brina

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Poesie e filastrocche su brina, gelo e ghiaccio qui: 

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La rugiada

La rugiada compare sempre la mattina presto, di primavera, d’estate, e anche al principio dell’autunno. Se di giorno ha fatto molto caldo e la notte è fresca, è certo che al mattino seguente ci sarà molta rugiada sui prati. Sull’erba, sulle foglie, sui fiori ci saranno tante goccioline d’acqua che brillano come diamanti alla luce dell’alba. (J. S. Meyer)

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L’arcobaleno

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La grandine

La grandine è formata di granellini gelati che cadono da nuvole cineree. E’ preceduta spesso da un uragano nel quale si percepisce un rullio caratteristico causato, pare, dallo sfregamento dei granellini di ghiaccio che si muovono in moto vorticoso, rapidissimo. La grandine è sempre apportatrice di rovine; i granelli possono raggiungere anche la grandezza di un uovo e un peso notevole.

La grandine
D’estate, quando da noi fa un caldo insopportabile, a diverse migliaia di metri dal suolo la temperatura può essere bassissima; e allora succedono strane cose. L’aria calda che si solleva dalla terra comincia, a un certo punto, a turbinare e a trasportare con sè goccioline di acqua. Su, sempre più su le sospinge l’aria calda, finchè esse raggiungono gli strati d’aria dove la temperatura è molto bassa. Allora gelano, si trasformano in minuti ghiaccioli e cominciano a cadere. Così turbinando e cadendo, si uniscono fra loro e formano chicchi di ghiaccio che, per l’aumentato peso, precipitano sulla terra in forma di grandine. (J. S. Meyer)

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La bufera

La natura è bella anche nei suoi furori: una bufera è tanto più bella, quanto più è terribile e intensa. Ecco che il cielo si oscura e il sole si nasconde fra le nuvole scure, coi contorni neri, che si rincorrono, si inseguono come eserciti in battaglia. Guizzano i lampi e le nubi vibrano e si scuotono come invase da una corrente elettrica che le illumina, ora di una luce azzurra, ora dorata, ora argentea. Di quando in quando guizzi di lampi serpeggiano nell’oscuro esercito delle nuvole.
(P. Mantegazza)

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VULCANI materiale didattico vario

VULCANI materiale didattico vario

Sul Vesuvio

Salgo per un sentiero, il quale, serpeggiante ed angusto, in tutto rassomiglia ai sentieri di alta montagna: soltanto qui non vi sono cigli erbosi e neppure quei rari fiorellini dalle tinte intense che si trovano fino alle più grandi altezze, qui vi à la lava arida e granulosa nella quale il piede affonda come nella sabbia; qui non vi sono alberi od arbusti. Tutto è arido, tetro, arso… Arrivo sull’orlo del cratere. Larghissimo e concentrico è il cratere e le ripe, incurvandosi tutto intorno, danno l’idea di quello che doveva essere il monte prima dell’eruzione di Pompei, che ne sventrò la cima e ne fece un vulcano. (A. Moravia)

I vulcani attivi in Italia

Quattro sono i vulcani attivi in Italia: Vesuvio, Etna, Stromboli e Vulcano.

Il Vesuvio è un tipico vulcano a cono; il cratere attuale è il prodotto di un’antica eruzione che ha sventrato il cratere precedente. La più spaventosa eruzione storica del Vesuvio è stata quella dell’anno 79 dopo Cristo: le città di Ercolano, Pompei e Stabia furono annientate con tutti gli abitanti, e rimasero seppellite dalle ceneri eruttate dal vulcano.

I lavori di disseppellimento, che durano ormai da due secoli, hanno permesso di riconoscere in ogni particolare la vita degli antichi Romani, le loro abitazioni, i costumi, le suppellettili.

In attività eruttiva sono Vulcano e Stromboli, quest’ultimo in attività continua da più di 3000 anni. Passando con il piroscafo presso l’isola di Stromboli durante la notte, si vede il vulcano risplendere come un faro.

Il maggior vulcano italiano, l’Etna, è anche uno dei massimi coni eruttivi della Terra. Per altezza è il maggior monte dell’Italia peninsulare e insulare, poichè supera i 33oo metri, mentre il Gran Sasso non raggiunge i 3000 metri.

E’ un enorme cono costituito da colate laviche sovrapposte e da strati di tufo. Da millenni questo vulcano è in continua attività; attualmente si verifica un’eruzione ogni dieci anni circa.

Disastrosa fu l’eruzione del 1669: le lave sgorgate da una spaccatura lunga 18 chilometri formarono i Monti Rossi e coprirono una superficie di 50 chilometri quadrati. Vennero totalmente o parzialmente distrutti dodici centri abitati, tra cui buona parte della città di Catania, ove le colate di lava si spensero al mare. Si contarono 90.000 vittime.

La distruzione di Pompei

Dopo lunghi secoli di silenzio, nell’agosto del 79, il Vesuvio si risvegliò improvvisamente: tra boati e scuotimenti spaventosi, la sommità del monte si aprì, e dalla voragine si levò un fittissimo nembo di cenere e lapilli che oscurò il sole, e ricadendo sulla terra, coprì i campi e le case, seppellendo tutto sotto una coltre di morte. Le popolazioni, sbalordite per lo spettacolo mai visto, pazze di terrore, fuggirono incalzandosi per le vie, spargendosi per i campi, avventurandosi sul mare irato, inseguite sempre dalla pioggia implacabile di cenere e di sassi. I deboli cadevano e morivano, calpestati dai fuggitivi o soffocati dalle emanazioni micidiali del suolo; i più forti correvano senza meta, a tentoni nel buio fitto, urlando. Nè mancarono gli illusi che, sperando nella pronta fine del cataclisma, si serrarono nelle case, si stiparono nei sotterranei e morirono o schiacciati sotto le macerie o esausti dalla fame o asfissiati. (A. Manaresi)

I vulcani

Al centro della Terra si trova una enorme massa di materiale incandescente avvolto tra fiamme e gas, i quali di tanto in tanto provocano spaventose esplosioni. Quando avvengono queste esplosioni il materiale incandescente viene lanciato con tale forza che riesce a rompere anche la crosta terrestre e forma una larga spaccatura attraverso la quale giunge alla luce. Qui, a mano a mano che esce, si solidifica e dà origine ad un monte a forma di cono, che si chiama vulcano. Alla sommità del cono vi è il cratere, una grande apertura circolare, sempre pronta ad emettere da un momento all’altra lava, lapilli e cenere infuocata. In Italia vi sono tre vulcani ancora attivi, pronti cioè a mettersi in eruzione. Essi sono il Vesuvio, l’Etna e lo Stromboli.

Le formiche e il gigante

Un gruppo di uomini irsuti e vestiti di pelli si inoltra, a passo cauto, tra la vegetazione che ammanta la falda del monte. Sono armati di grossi randelli in cima ai quali hanno legato una pietra scheggiata a forma di lancia. Hanno avvistato un cerbiatto e poichè sono affamati, vogliono ucciderlo. Ma il cerbiatto è scomparso.
Ora gli uomini lo cercano fra gli alberi che coprono i fianchi della montagna. Sono alberi così fitti e così alti che il sole vi penetra a stento. Se gli uomini salissero su su, fino a raggiungere la vetta, vedrebbero gli alberi cambiare aspetto. Prima castagni fronzuti, poi querce possenti, infine abeti, pini e faggi, sempre più alti, sempre più oscuri.
Il paesaggio è selvaggio, come è selvaggio l’aspetto di quegli uomini che rassomigliano agli animali di cui vanno a caccia. Irsuti, muscolosi, fronte bassa e occhi infossati, braccia lunghe e aspetto selvatico, essi non conoscono che una legge: uccidere per mangiare.
Il monte è alto e scosceso, così alto che la sua cima, spesso, è avvolta dalle nubi. Gli uomini non sono mai saliti fin lassù: hanno paura di questo gigante. Quando le nubi si diradano e la vetta appare nitida nel cielo, essi la guardano con timore, così aguzza, spoglia e rocciosa, spesso coperta di bianco. Certo, quel monte è un nume potente che, dall’alto, guarda con disprezzo i piccoli uomini, simili a formiche, che si arrampicano per i suoi pendii. Se appena lasciasse cadere un masso su di loro, ne schiaccerebbe un bel mucchio. Se scatenasse le acque, che sgorgano fra le sue rocce, li spazzerebbe tutti, proprio come si spazza uno stuolo di formiche affaccendate. Se scuotesse appena le sue membra di pietra, li travolgerebbe in un diluvio di sassi, tra rombi spaventosi.
Gli uomini sanno tutto questo, perchè l’hanno provato. E perciò temono la montagna. La temono e l’amano. Quando le furie non la squassano, la montagna apre, benevola, le sue caverne a ripararli dalle intemperie; fornisce loro i nodosi randelli e le pietre con cui atterrare la preda; i suoi alberi maturano abbondanti frutti squisiti. Gli uomini amano la montagna nonostante le sue ire, purchè però non sputi fuoco. Anche questo, infatti, talvolta accade. Essi hanno visto con sbigottimento scaturire talvolta dalla cima di un monte un’immensa fiumana liquida che bruciava tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino. Soltanto dopo che il gigante si era calmato, il fiume di fuoco diventava di nuovo pietra nera, consolidata lungo i fianchi. In seguito, l’avrebbero chiamata lava.
Ecco perchè le formiche hanno paura del gigante.
Eppure, il gigante sarebbe stato domato dalle formiche.
Siamo nello stesso luogo, ma mille e mille anni dopo. La montagna ha cambiato aspetto. I suoi versanti non sono più ricoperti da quella fitta vegetazione che impediva al sole di penetrare. Nelle zone più basse i campi coltivati si estendono a perdita d’occhio, solcati da strade su cui passano macchine velocissime. Graziose casette sorgono qua e là, fitte fitte, una vicina all’altra, e formano un paese da cui emerge la punta di uno svelto campanile.
Gli alberi non ammantano più i fianchi di questa montagna domata: sono stati abbattuti per fabbricare le case, le navi, per essere trasformati in tanti oggetti di cui l’uomo si serve perchè la sua vita sia sempre più comoda e facile. Forse ne ha abbattuti un po’ troppi. Soltanto in alto, la foresta è rimasta intatta, ma i fianchi della montagna sono ormai spogli. E la montagna si è vendicata lasciando precipitare le sue acque che, non più trattenute dai grossi tronchi, hanno portato devastazioni e rovine. L’uomo è corso ai ripari e ha imparato a rispettare gli alberi.
Ora la montagna è sua amica ed egli è salito sulla sua vetta e vi ha piantato la bandiera.
E’ vero che la vetta non è più così rocciosa e aguzza come al tempo degli uomini irsuti e coperti di pelli. Per troppi secoli si è eretta verso il cielo: le sue piogge l’hanno flagellata, le nevi che l’hanno ricoperta, ghiacciandosi, l’hanno spaccata in tutti i sensi; i torrenti, che per tanto tempo sono precipitati lungo i suoi fianchi, hanno trascinato pietre, terra, scavando profonde e ampie vallate dove si sono gettate le acque dei fiumi.
L’uomo è ormai amico della montagna. Le catene dei monti, che si stendono per migliaia e migliaia di chilometri, gli hanno permesso di difendersi dagli invasori meglio di una fortezza. Ed entro quelle catene egli ha stabilito i limiti della sua patria.
In tempo di pace, vi ha tracciato ampie strade su cui ha fatto passare le sue macchine rombanti e i suoi treni fragorosi. E per far questo, si è giovato dei valichi che si aprivano tra una vetta e l’altra. Talvolta, dove non era possibile servirsi dei valichi, ha scavato lunghe gallerie che hanno traforato addirittura la montagna da una parte all’altra.
Ecco perchè la montagna ha cambiato aspetto: quegli uomini che si arrampicavano lungo i suoi fianchi simili a formiche, così deboli in confronto della sua potenza, l’hanno dominata. Hanno imbrigliato le sue acque perchè non portassero devastazioni, ma fertilità; hanno sostituito la selvaggia vegetazione con campi e pascoli; hanno costruito comode abitazioni lungo i suoi fianchi, servendosi dei tronchi e delle pietre che la stessa montagna forniva; persino le lave, che essa aveva fatto scaturire fra un diluvio di fiamme, si sono trasformate, per opera degli uomini, in terreni fertili.
Le formiche hanno vinto il gigante.
(Mimì Menicucci)

La distruzione di Pompei

Da parecchi giorni la terra era scossa da un lieve terremoto; a un tratto le scosse divennero più violente. Una grossa nuvola nera di cenere, interrotta da lingue di fuoco, usciva dal cratere del Vesuvio e si ingrandiva sempre più: discese dal monte, coprì i campi e giunse fino al mare.
La terra sprofondò. Donne, uomini, bambini, fuggirono terrorizzati dalle loro case, urlando, piangendo, invocando gli dei. Non si vedeva nulla: i fanciulli chiamavano la mamma,  le mamme i figli, i mariti le spose. Sembrava giunta la fine del mondo.
Anche a Pompei si udì un terribile boato e sulla città sembrò scendere la notte. Moltissimi si trovavano nell’anfiteatro ad assistere ad uno spettacolo di gladiatori. I cittadini, impazziti di terrore, si riversarono sulla strada che conduceva al mare. Alcuni riuscirono a salvarsi, altri si attardarono nelle loro case per prendere i gioielli e i denaro. Di questi ultimi nessuno si salvò: morirono asfissiati dalle ceneri e dai vapori ardenti. Pompei fu sepolta e così Ercolano e Stabia.

La famosa eruzione del Vesuvio del 79

Lo scrittore romano Plinio il Giovane ci ha lasciato in una sua lettera questa viva e impressionante descrizione dell’eruzione del Vesuvio che nel 79 seppellì le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Lo zio dello scrittore, Plinio il Vecchio, considerato il più grande naturalista romano e autore di una Storia Naturale, spinto dall’amore della scienza, accorse, incurante del pericolo, per osservare da vicino il fenomeno, ma trovò la morte.
“La nube, che da lontano era difficile capire da qual monte sorgesse (solo più tardi si seppe che proveniva dal Vesuvio), somigliava per la sua forma ad un albero, più precisamente ad un pino, poichè, dopo essersi levata assai in alto, come un tronco altissimo, si ramificava intorno e appariva ora bianca, ora nerastra, secondo che era più carica di terra o di cenere.
Come era naturale, dato il suo amore alla scienza, mio zio credette che quel grandioso fenomeno fosse degno di essere esaminato più da vicino.
Ordinò dunque che gli si apparecchiasse la sua lancia (egli si trovava a Miseno, al comando della flotta romana) e stava già per uscire di casa, quando ricevette un biglietto di Rectina, moglie di Casco, atterrita dall’imminente pericolo, poichè la sua villa stava ai piedi del Vesuvio, nè altro scampo vi era se non per mare, e pregava affinchè egli volesse salvarsi da sì grande catastrofe.
Allora mio zio mutò consiglio e si accinse ad affrontare col più grande coraggio ciò che prima pensava di osservare con interesse di studioso.
Fece venire delle quadriremi, vi montò sopra egli stesso e partì per portare soccorso, non solo a Rectina, ma a molti altri, poichè la spiaggia bellissima assai era popolata.
A mano a mano che le navi si avvicinavano, una cenere più spessa e più calda pioveva su di esse; già cadevano tutt’intorno lapilli e scorie ardenti, già si era formata una improvvisa laguna, profotta dal sollevamento del fondo del mare, e il lido era reso inaccessibile peri cumuli di lapilli.
Allora, dopo essersi fermato, alquanto incerto se tornare indietro o procedere oltre, mio zio disse al pilota, che gli consigliava appunto di guadagnare l’alto mare: “La fortuna aiuta i forti: drizza la prua verso la villa di Pomponiano”.
Pomponiano si trovava a Stabia… Mio zio, portato là dal vento assai favorevole alla sua navigazione, abbraccia il suo amico tutto tremante, lo rincuora, lo esorta a farsi coraggio…
Frattanto dal Vesuvio, in più punti, si vedevano rilucere vasti incendi, il cui fulgore era accresciuto e fatto più palese dalle tenebre della notte…
Si consultarono fra loro se chiudersi dentro o se fuggire per l’aperta campagna; poichè, da un lato, le case ondeggiavano per i frequenti terremoti e sembrava che, schiantate dalle fondamenta, fossero gettate ora su un fianco ora su un altro e poi rimesse a posto; dall’altro lato, all’aperto, la pioggia delle pomici, sebbene leggere e porose, non incuteva minor paura. Tuttavia il confronto fra i due pericoli fece scegliere quest’ultimo partito: si scelse dunque l’aperta campagna…
Essi escono e si proteggono il capo, coprendosi con dei guanciali, che legano mediante lenzuoli, precauzione necessaria contro la tremenda pioggia che veniva dall’alto.
Altrove era giorno, ma là dove essi erano perdurava la notte, la più nera ed orribile fra tutte le notti, squarciata solo da un gran numero di fiaccole e da lumi d’altro genere.
Si credette bene accostarsi alla riva e vedere da vicino quello che il mare permettesse di tentare. Ma le onde erano sempre grosse e agitate da un vento contrario.
Qui, sdraiato sopra un lenzuolo che aveva fatto distendere per terra, mio zio chiede e bevve due volte dell’acqua fresca. Poi le fiamme e l’odor di zolfo, che le preannunciava, fecero fuggire tutti gli altri e costrinsero mio zio a levarsi in piedi. Si rizzò, appoggiandosi  a due schiavi, ma cadde immediatamente, come fulminato.” (Plinio il Giovane)

Storia di Roma IMPERIALE – Gli scavi di Pompei

Dopo diciassette secoli, furono iniziati gli scavi per riportare alla luce Pompei. Chi si reca oggi a visitarla, vede com’era una città al tempo di Roma antica: lunghe vie lastricate, il Foro, le terme, i templi, le case adorne di statue e affreschi, i colonnati, i giardini.
La vita a Pompei si è fermata, ma le rovine della città ci parlano ancora di quel tempo antico.

Storia di Roma IMPERIALE – La morte di Plinio

Plinio il Vecchio era un illustre scienziato. Durante l’eruzione del Vesuvio volle studiare da vicino il fenomeno e nello stesso tempo portare aiuto all’amico Pompeiano che si trovava a Stabia. Fece allestire alcune navi e partì.
Nonostante la pioggia di pietre e di ceneri ardenti, egli riuscì a giungere a Stabia.
L’indomani Plinio, Pompeiano e altri tentarono di avviarsi a piedi verso la spiaggia, ma lungo la strada l’aria, mista a vapori di zolfo, si faceva sempre più irrespirabile e Plinio morì soffocato, vittima della sua generosità.

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Racconti e leggende sulla Luna

Racconti e leggende sulla Luna – una raccolta di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Racconti e leggende sulla Luna – Perchè la Luna ha le macchie

Quando il mondo fu creato, narra un’antica leggenda dell’Estonia, di giorno splendeva chiaro il Sole e di notte faceva buio buio. Il dio Ilmarinen pensò: “Bisogna trovare il mezzo di rischiarare un po’ le notti, altrimenti non è possibile vedere se succede qualcosa di brutto…”

Ilmarinen salì su una montagna, che sorgeva sotto la volta metallica del cielo, e fabbricò la Luna: una grande palla d’argento coperta d’oro, con una lampada nell’interno, e la appese sulla volta del cielo. Poi fabbricò anche le stelle d’argento lucente e le mise accanto alla Luna, come damigelle di corte.

Così, quando a sera il Sole si coricava, la Luna e le stelle illuminavano la notte fino all’alba. La Luna era chiara e  luminosa come il Sole, soltanto i suoi raggi non erano caldi, ma freddi.

Gli uomini erano molto contenti: ma il diavolo non era soddisfatto, perchè, ora che la Luna rischiarava la notte, egli non poteva compiere le sue malefatte, come prima, nel buio fitto. Se lo vedevano, doveva scappare a gambe levate!

Meditò profondamente: “E ora, come fare?”. Chiamò tutti i diavoli a consiglio, ma nessuno seppe suggerirgli una buona idea. Trascorsero sette giorni magri, e i diavoli non potevano più rubare nulla e non avevano più nulla da mangiare.

“Qui bisogna scacciare la Luna!” esclamò il capo diavolo, “Altrimenti guai a noi! Tutt’al più potremo sopportare le stelle, che non ci disturbano…”

Ma come fare a sbarazzarsi della Luna?

“Bisogna coprirla di catrame e annerirla tutta!” disse il capo diavolo “Così non ci darà più noia”:

Tutto il giorno i demoni si diedero un gran da fare a preparare un enorme barile di catrame e a fabbricare una scala lunga lunga, fatta di sette pezzi, che si potevano sovrapporre, in modo da arrivare alla volta del cielo.

Quando a notte la Luna comparve, il diavolo capo prese la scala sulle spalle e disse ai suoi servi di seguirlo, portando una secchia di catrame misto con fuliggine e un grosso pennello.

Giunti che furono sotto la Luna, il diavolo capo preparò la scala, sovrapponendo l’un l’altro i sette pezzi, e ordinò a un diavolino: “Prendi il pennello e il secchio di catrame, e sali in cima alla scala.”. Il diavolino obbedì, ma quando fu quasi in cima, il diavolo capo per il frescolino notturno starnutì, la scala traballò, il diavolino perse l’equilibrio e precipitò giù: Psssccct! Tutto il secchio di catrame e di fuliggine si rovesciò sulla testa del diavolo capo, e questi lasciò andare la scala, che cadde e si fracassò in mille pezzi.

“Corpo della Luna!” urlò il diavolo capo furibondo “Sono io adesso, che ho la faccia incatramata!”

Provò a togliersi il catrame e la fuliggine, ma ebbe un bel provare e riprovare: non riuscì a nulla! E da quel giorno il diavolo è rimasto nero nero come la fuliggine. Non abbandonò tuttavia l’idea di annerire anche la Luna. Fece fabbricare dai diavoli un’altra scala e la piantò al limitare del bosco, dove la Luna sorge più vicina alla Terra. Appena essa si levò, il diavolo capo ordinò a un diavolino: “Presto, arrampicati su su fino all’ultimo gradino e tingile il muso!”. Il diavolino obbedì: la scala arrivava, in alto in alto, proprio vicino alla Luna, ma era un affare serio mantenersi in equilibrio lassù e spennellare… E la Luna non stava ferma, continuava a salire in cielo…

Il diavolino gettò una corda come un laccio e attaccò la scala alla Luna, continuando ad annerirle la faccia col pennello incatramato.  Sudava per la fatica, e dopo molte ore, non era riuscito che ad annerire una parte della Luna.

Di sotto, il diavolo capo stava a guardare, col viso all’insù e la bocca spalancata, il lavoro del suo valletto. “Ah, ora sì che si comincia ad andar bene!” gridò, quando vide che l’operazione procedeva, e fece un balletto di gioia.

In quel momento il dio Ilmarinen si svegliò e guardando il cielo esclamò stupefatto: “Come? Non c’è una nube, eppure la Terra è per metà immersa nel buio? Che succede?”

Aguzzò lo sguardo e vide il diavolino all’opera in cima alla scala, intento ad intingere il suo pennello nel secchio di catrame, e giù, sul limitare del bosco, il diavolo capo, che saltava come un caprone.

“Ah, birbaccioni!” gridò Ilmarinen, “Credevate di farla franca mentre dormivo, eh? Ma ora vi accomodo io! Tu, diavolino, resterai per l’eternità col tuo secchio sulla Luna, e tu, diavolo capo, precipiterai per l’eternità sottoterra!”.

E fu così. Se guardate bene, dicono gli Estoni, vedrete infatti nella luna il diavolino con il suo secchio e col pennello. Quanto alla Luna, da allora ogni tanto si tuffa nel mare e tenta di lavar via le macchie nere sul suo viso… ma non ci riesce mai!

(Leggenda estone)

Racconti e leggende sulla Luna – Il quarto di Luna e le lucciole

Paigar, il signore del cielo, disse a sua moglie: “Su, donna, prepara una gran torta. Le stelle, nostre figlie, hanno appetito, vogliono mangiare”.

La massaia, manipolando uova, farina e miele, preparò la torta: una torta immensa, soffice, con una crosta lucida e dorata. Figurarsi le stelle, quando la videro! Non aspettarono che la mamma facesse loro le parti. Si gettarono avide sul pasticcio, e una tirava di qua, una pizzicava di là, un’altra affondava nella pasta dolcissima i denti e le unghie, altre ancora, non riuscendo a servirsi, si attaccavano alle trecce e alle orecchie delle sorelline. Una parte di torta, ridotta in briciole, cadde sulla terra.

La massaia scoppiò a piangere: “Povera mia fatica!”

Paigar prese il pasticcio, ridotto ormai a un solo quarto, e lo appuntò al bruno velluto del cielo; poi scese nel mondo e animò, trasformandole in insettini luminosi, le briciole cadute.

Disse alle figlie: “O golosacce, non mangerete dolci per otto secoli!”, e confortò la moglie: “Non disperarti. Vedi come risplende, in alto, lo spicchio di torta? Resterà sempre così, luminoso e bello, e nessuno riuscirà mai a mangiarselo. Guarda giù: un poco di firmamento sfavilla nell’ombra delle notti terrestri, palpita tra l’erba, i fiori e le siepi.  Sono le lucciole, sono le briciole che tu piangevi perdute”.

(Leggenda estone)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL FIUME materiale didattico vario

IL FIUME materiale didattico vario – una raccolta di dettati ortografici, letture, poesie e filastrocche sul fiume, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

Le acque prodotte dallo sciogliersi delle nevi e dei ghiacciai scorrono in disordine fra i massi dell’alta montagna, poi si raccolgono a formare il torrente: un corso d’acqua impetuoso, ora abbondante ora povero d’acqua, interrotto da macigni e da salti improvvisi.
Il torrente scende al piede del monte e imbocca, ancora turbinoso e violento, la valle. Altri torrenti scendono da altri nevai e ghiacciai e si uniscono al primo.
Nella pianura le acque rallentano la loro corsa, si allargano in un solco (letto) più ampio. I cento torrenti sono diventati un unico fiume.
Il fiume è un corso d’acqua perenne. Esso scorre in un letto limitato da due sponde o argini. Il fiume può portare le sue acque ad un altro fiume: si dice allora che ne è l’affluente; può alimentare un lago: si dice allora che ne è l’immissario; può scaricarne le acque: si dice che ne è l’emissario; può infine portare le sue acque al mare. Il luogo ove le acque del fiume si mescolano con quelle del mare è detto foce.
Gli uomini costruirono le loro città presso i fiumi, per difendersi dietro una barriera scura e per sfruttarne le acque.
Il fiume favorisce l’agricoltura, offrendo acque per l’irrigazione. Sui fiumi navigabili si sviluppa un movimento di chiatte e di battelli per il trasporto delle merci e delle persone. Dal letto del fiume gli uomini estraggono con speciali macchie, le draghe, ghiaia e sabbia per la costruzione di case. Le grandi città scaricano nel fiume tutte le acque portate dai canali delle fognature.
Molti fiumi sono pescosi, offrono cioè quantità di buon pesce.

Il fiume

Va il fiume per la grande pianura e le sue onde mormorano sommesse: “Sono il fiume maestoso che irriga campagne, che inverdisce terre riarse, che dà moto e lavoro agli opifici, ai paesi, a città intere. Sono il fiume maestoso e calmo, rifletto il sole e la nuvola, il roseo dell’alba e l’oro del tramonto, l’alto pioppo e il piccolo cespuglio. Sulla mia riva cantano gli uomini, gorgheggiano gli uccelli, trillano i bimbi tuffandosi lieti nelle mie onde, si dondolano liete le barche. Sono il fiume e vado al mare”. (Hedda)

La sorgente

Nella primissima luce dell’alba, solamente la sorgente volubile parlava… L’acqua veniva dalle interne, misteriose vie dalla montagna, si affacciava ad uno spacco della roccia, balzava in una coppa di pietra larga, un po’ verde e un po’ violacea, tremava in giri aperti intorno al ribollire del mezzo, straripava dall’orlo e si perdeva fra i muschi e le felci. (G. Fanciulli)

La foce

Il luogo ove le acque del fiume sboccano nel mare si chiama foce. A volte la foce si apre a ventaglio ed è detta estuario. Quando invece la foce si dirama in diversi corsi d’acqua simili alle dita di una mano, si chiama delta. Quando un fiume alimenta un lago si dice che ne è l’immissario. L’emissario, invece, è un fiume che scarica le acque di un lago.

Il lavoro dell’uomo

Sulla riva del torrente l’uomo costruisce mulini, segherie, piccole officine. In capo alle valli egli innalza dighe per produrre elettricità o per irrigare la terra. Più in basso, quando l’acqua sembra stendersi pacifica nel letto del grande fiume, ecco le prime imbarcazioni: sono battelli per il trasporto di materiali o di persone, sono chiatte, adibite al traghetto dei veicoli, sono leggere barche per la pesca. I pesci di fiume sono gustosissimi: trote, anguille, carpe ed altri esemplari vengono catturati per mezzo di reti o di lenze. Neppure la sua ghiaia e la sua sabbia sono da disprezzare. I muratori ne fanno largo uso.

Il fiume è utile

Dove scorre un fiume la terra si fa rigogliosa. Aria e sole non bastano a rendere fertili i campi, è necessaria anche l’acqua, per nutrire le piante e dissetarle nei mesi più caldi. Per questo l’acqua del fiume viene incanalata e usata per irrigare vaste campagne. Alcuni fiumi sono per un buon tratto navigabili e sono solcati da barconi da trasporto; dal letto dei fiumi si ricavano ghiaia e sabbia. Il più grande fiume d’Italia è il Po, navigabile per buona parte del suo corso. Ma l’opera dell’uomo non si è fermata qui, e il Po è stato unito, per mezzo di un canale, alla laguna di Venezia.

Animali e piante nelle acque dolci e lungo le rive

I ranuncoli d’acqua fioriscono nelle zone d’acqua ferma, vicino alle sponde. Le ninfee aprono le bianche corolle nelle zone dove l’acqua è più tranquilla. Molto spesso le rive sono verdeggianti di giunchi e di canne palustri.
Nelle acque dei fiumi vivono la trota, ricercata per la squisitezza della sua carne, e il luccio che è munito di denti robustissimi. La carpa preferisce le acque poco correnti, dove abbonda la vegetazione.
Numerosi sono gli insetti che vivono vicino alle acque dolci. La libellula è uno dei più conosciuti e più belli. Le zanzare popolano soprattutto le zone di acqua stagnante.
Ci sono anche uccelli che vivono presso le acque dei fiumi. Durante l’inverno, qualche volta, nelle paludi e nei campi che costeggiano i fiumi si incontrano le anatre selvatiche. Il falco pescatore e il martin pescatore sono veloci ed instancabili nel catturare i pesci.

La piena

Quando piove troppo a lungo, il livello delle acque del fiume cresce e si innalza talvolta fino a superare e a travolgere gli argini: il fiume è in piena. Acqua torbida e fangosa invade la pianura, distruggendo le coltivazioni e danneggiando case e strade. L’uomo cerca in vari modi di prevenire le alluvioni: rimbosca le montagne, per impedire che il terreno frani e i torrenti portino a valle fango e sassi; pianta filari di alberi lungo il fiume e scava canali di scarico. Egli innalza argini e li protegge con grandi gabbie di rete metallica, piene di sassi.

La cascata

Dalla destra e dalla sinistra del fiume giungono gli affluenti frettolosi e uniscono le loro acque a quelle del compagno maggiore. E tutti insieme vanno lietamente verso il piano. Non sempre la strada è agevole e priva di ostacoli. In certi punti le pareti dei monti, entro cui scorre il fiume, si avvicinano tanto che tra l’una e l’altra rimane appena un piccolo spazio. Questo stretto passaggio si chiama gola. Altrove il terreno cede tutto d’un tratto e il fiume deve spiccare un salto più o meno alto. Si ha, così, una cascata.
Per il turista la cascata è uno dei più attraenti spettacoli che presenti la montagna. L’acqua balza dall’alto impetuosa, rivestendo di minute e luccicanti goccioline le piante, gli arbusti e le erbe che il vento del salto ha piegato verso il basso. Da punto dove la colonna d’acqua batte, cadendo, si solleva una nebbiolina, formata da piccolissime gocce frantumate dal balzo e sulla nebbiolina risplende, in graziosi colori, la luce del sole.
Per l’ingegnere la cascata è una preziosa fonte di energia elettrica. Veramente prima dell’ingegnere, ha pensato l’umile mugnaio a sfruttare il lavoro che l’acqua fa cadendo. E’ bastato mettere una ruota a pale sotto la colonna d’acqua e trasmettere, con una cinghia, il movimento della ruota alle macine che trasformano il grano in farina.
Dal primitivo impianto del mugnaio è nata la turbina, che riceve la spinta della cascata e la comunica alle macchine incaricate di produrre energia elettrica.
Così il giovane fiume balzante dalla rupe mette la sua forza a servizio dell’uomo, per illuminare le case e le strade, per animare le macchine degli opifici, per la cura dei malati, per il trasporto da luogo a luogo delle merci e delle persone.

Il fiume

Scende il fiume dalle montagne. Viaggia notte e giorno. La sera l’acqua arriva tiepida, perchè ha viaggiato tutto il giorno. La mattina arriva ghiacciata, perchè ha camminato tutta la notte. Cammina, cammina senza sapere dove va. Traversa le valli, scende lenta verso il piano, passa fra distese brulle e attraversa paesi. Improvvisamente si sente stretto tra due muraglioni. E’ arrivato in città. (A. Campanile)

La cascata

Là dove c’è la cascata, l’acqua del fiume precipita, balza, spumeggia, si gira in gorghi e in vortici. Una bambina guarda, ammirata. Il babbo prende un ramo grosso, nodoso e lo getta dove l’acqua comincia a precipitare verso la cascata. Appena tocca l’acqua, il ramo balza verso il cielo, rotola, precipita. Si agita nei gorghi. Pare che l’acqua si diverta, ferocemente, con lui. “Ecco perchè” dice il babbo alla figlia, “la cascata è pericolosa”. (M. L. Magni)

Gli scavatori di sabbia

Da giovane il fiume è impetuoso torrente dopo essere stato ruscello canterino. Scende lungo i fianchi della montagna, schiuma contro le rocce, straripa facilmente. Giunto in pianura si stende placido e silenzioso. Il suo canto diventa sussurro. Lungo le sue rive diventate calme vi sono le cave di sabbia. E gli scavatori lavorano ogni giorno per noi, per portarci quella sabbia che servirà poi per la costruzione delle nostre case.

La foce

Eccolo il nostro fiume sempre più maestoso avviarsi rapido verso il mare. Si è fatto ora silenzioso. Ha accolto lungo la sua via, a destra e a sinistra, gli omaggi degli altri fiumi; ha bagnato città e villaggi; ha specchiato nelle sue acque rosse torri, castelli solitari, umili casolari, fronde tremule d’alberi, giardini in fiore, nere ciminiere. Ha accolto bonario i ponti creati dalla mano dell’uomo; ha trasportato barche e battelli; ha diffuso da per tutto la sua forza; ha donato la prosperità.

Il ruscello

Lungo le rive muscose e verdeggianti canta allegro il ruscello, mentre l’acqua limpida saltella di sasso in sasso. Occhieggiano al suo passaggio fiorellini dallo stelo corto, dalla corolla bianca a forma di stella: i ranuncoli dell’acqua. Più in basso, il ruscello rallenta la sua corsa. E’ arrivato in un’ampia zona pianeggiante ed ora si allarga fino a formare un piccolo lago dalle acque tranquille. Eccoci davanti a un placido stagno. E’ azzurro d’acque e verde d’erbe, che sfidano anche i rigori invernali, perchè le loro radici sono protette dall’acqua profonda, che non gela mai.

Vita nello stagno

L’anitra selvatica si alza improvvisamente in volo dalle acque dove ha cercato il suo nutrimento. Ha udito qualche rumore sospetto, e cerca scampo nella fuga, ignorando che, forse, il cacciatore è in agguato. Un grazioso martin pescatore è aggrappato a una canna palustre e la fa dondolare lentamente. Scruta attento le acque in cerca di pesciolini o insetti, che sa acchiappare con grande bravura.

Lungo la strada dell’acqua

Senza un tonfo, come adagiato sull’acqua, lo scuro e pesante barcone avanza. E’ colmo di ghiaia. Davanti gli si stende, fino a smarrirsi tra i pioppi e la foschia, la verde strada del canale. Come questo, due, tre, dieci, cento altri barconi seguono il lento cammino dell’acqua. Portano rena, sabbia, ghiaia, pietre alla città che ha fretta di crescere. Vanno, portati dall’acqua. E non cambiano mai. Scuri e tranquilli, lavorano in pace, lungo la verde strada d’acqua. (M. L. Magni)

L’uomo e il fiume

Tutte le grandi civiltà sono sorte vicino ai fiumi. Infatti tra il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro è nata la civiltà cinese; sul Gange la civiltà indiana; sul Tigri e sull’Eufrate quella babilonese; sul Nilo quella egiziana; sul Tevere quella latina. Perchè accade questo? I motivi dipendono dalla presenza del fiume: le pianure in cui si stabilirono le prime genti erano state create dal fiume stesso ed erano perciò fertilissime; inoltre il fiume era una comoda via di comunicazione, forniva l’acqua per irrigare i campi e per bere, ed era una difesa naturale contro gli assalti dei nemici.
Per questi motivi nell’antichità i fiumi importanti venivano considerati sacri. Alcuni conservano ancor oggi il loro significato religioso, come il fiume Gange dove gli indiani si bagnano per purificarsi e dove gettano, dopo la morte, le loro ceneri.
Un fiume sacro alla memoria dei cristiani è il Giordano, in Terra Santa; con l’acqua di questo fiume Gesù fu battezzato.
La tecnica moderna ha consentito di realizzare lungo il percorso di molti fiumi, opere veramente considerevoli: industrie, officine e centrali idroelettriche sfruttano l’energia delle acque, e porti di notevole importanza commerciale sorgono lungo le rive dei grandi corsi d’acqua.
Spesso questi fiumi, lungo le rive dei quali sorgono ricche città portuali, sono collegati con altri centri mediante una rete di canali navigabili, in modo da favorire e agevolare lo sviluppo del commercio e dell’industria.

Vocabolario

Fiumana, rivo, riviera, affluente, immissario , emissario, tributario, torrente;

guadabile, ghiaioso, impetuoso, navigabile, perenne, profondo, rapinoso, tortuoso, vivo, morto, sinuoso;

anse, alveo, argine, bocche, bacino, banchina, braccio, chiusa, cascata, cateratta, confluente, corrente, corso, direzione, diga, delta, estuario, foce, ghiareto, greto, guado, letto, livello, meandro, pescaia, pelo, proda, ripa, sorgente, sponda o margine, tonfano, vortice o gorgo, magra, piena, rapida, risucchio, alluvione, illuvione, inondazione;

immettere, sboccare, nascere, finire, sfociare, versarsi, fluire, diramarsi, bagnare, correre, gonfiarsi, esalveare, irrigare, scaturire, sgorgare, inalveare;

fluviale, ponte, traghetto, alzaia, ciottolo, navalestro, frontista o rivierasco, portata.

 Il ruscello
C’era una volta un giovane ruscello
color di perla, che alla vecchia valle
tra molti giunchi e pratelline gialle
correva snello;
e c’era un bimbo, e gli tendea le mani
dicendo: “A che tutto codesto fuoco?
Posa un po’ qui. Si gioca un caro gioco,
se tu rimani.
Se tu rimani, e muovi adagio i passi,
un lago nasce, e nell’argento fresco
della bell’acqua io con le mani pesco
gemme di sassi:
fermati dunque, non fuggir così!
L’uccello che cinguetta ora sul ramo
ancor cinguetterà, se noi giochiamo
taciti qui”.
Rise il ruscello, e tremolò commosso
al cenno delle amiche mani tese;
e con un tono di voce cortese
disse: “Non posso!
Vorrei: non posso! Il cuor mi vola: ho fretta!
In mezzo al piano, a leghe di cammino,
la sollecita ruota del mulino
c’è che mi aspetta;
e c’è la vispa e provvida massaia
che risciacquar la nuova tela deve,
e sciorinarla, sì che al sole neve
candida paia;
e il gregge c’è, che a sera porge il muso
avido a bere di quest’onda chiara,
e gode s’io la sazio, e poi ripara
contento al chiuso…
Lasciami dunque”, terminò il ruscello,
“correre dove il mio dover mi vuole.”.
E giù nel piano, luccicando al sole,
disparve snello.

Il ruscello
Oh, piccolo ruscello argenteo e chiaro,
che in avanti ti affretti senza posa,
alla tua riva me ne sto pensoso.
Da dove vieni tu? Dove te ne vai?
Vengo dal buio seno della roccia;
il mio corso se ne va tra muschio e fiori
e sul mio specchio dolcemente freme
l’azzurra amica immagine del cielo. (W. Goethe)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Vulcano in eruzione

Il vulcano è davvero un classico tra le attività scientifiche proposte ai bambini della scuola d’infanzia e primaria. Nelle vacanze estive è anche un ottimo gioco da fare all’aperto, o in cucina…

Vulcano in eruzione: Versione 1

Materiale occorrente:

  • carta di recupero
  • una bottiglia di plastica
  • un tubo di plastica
  • colla a caldo
  • una pasta di sale fatta al momento e lasciata molto morbida
  • sassi e muschio
  • aceto, bicarbonato e ketchup
  • un imbuto per il cratere e uno per il tubo

Preparazione:

1. forare un lato della bottiglia, in basso, inserire il tubo e sigillare con la colla a caldo

2. modellare il vulcano con palle di carta di recupero e pasta di sale

3. colorare il vulcano e decorare con sassi e muschio

4. in una brocca miscelare aceto e ketchup (nella proporzione che volete)

Attività:

1. i bambini, a turno, versano del bicarbonato nella bocca del vulcano

2. i bambini, a turno, versano nel tubo la miscela di ketchup ed aceto

Vulcano in eruzione: Versione 2

 … per realizzare il vulcano basta nascondere una bottiglia di plastica all’interno di una montagna che può essere fatta con sabbia, terra, pasta da modellare, carta pesta… noi l’abbiamo preparato così:

materiale occorrente:

– un contenitore poco profondo di legno, plastica, o cartone

– una o due bottiglie di plastica

– cartoni da pizza da asporto

– vecchi quotidiani

– carta da cucina

– colori a tempera

– carta verde (velina, oleata, cartoncino)

– una colla artigianale preparata con farina bianca, acqua e aceto balsamico

– stecchini da spiedino

– sabbia, terra, sassolini (o farina gialla)

– nastro adesivo

Procedimento

Preparata la colla artigianale, noi abbiamo incollato le due bottiglie tra loro con la colla a caldo, per poter eventualmente caricare il vulcano dal basso, e anche per lo svuotamento, ma non è indispensabile. Potete tranquillamente usare una bottiglia sola.

 

poi abbiamo iniziato a modellare la montagna attorno alla bottiglia coi cartoni da pizza, fissandoli col nastro adesivo:

 

e con la nostra colla artigianale data col pennello, versata con un bicchierino, o anche preparando delle pezze di carta da cucina imbevute della nostra colla e poi appoggiate al cartone (così si fa anche pulizia senza sprecare nulla):

 

continuiamo a modellare, aggiungendo anche fogli di giornale:

 

 

rivestiamo con abbondante colla artigianale, quindi mettiamo ad  asciugare.

 

Quando è asciutto, possiamo modellare il cratere tagliando un po’ la bottiglia, e quindi passiamo alla decorazione:

 

Per la scenografia noi abbiamo usato ghiaia e farina gialla, poi abbiamo strappato la carta verde (strappare la carta è un’attività molto interessante per i bambini più piccoli, ed un ottimo esercizio di motricità fine):

 

Il nostro vulcano ha anche una bella grotta, dove può abitare ad esempio, una famiglia di orsi… ma potrebbero essere uomini preistorici,  o altri personaggi.

 

 

 

 

 

 

 

Veniamo all’eruzione; noi giochiamo spesso con le pozioni magiche, questi sono alcuni nostri esperimenti con succo di cavolo rosso, bicarbonato ed aceto, e può essere una prima buona idea per il nostro vulcano. La reazione funziona sempre, non servono dosi e i bambini si divertono molto a sperimentare le variabili di consistenza e colore:

 

 

Al posto del succo di cavolo rosso,  possiamo invece usare del colorante alimentare rosso, e sempre bicarbonato ed aceto (caricando il vulcano dall’alto o dal basso, come volete):

 

 

 

Ecco l’eruzione:

 

 

 

 

 

Un’altra possibilità è utilizzare la ricetta del “dentifricio degli elefanti”, che crea una schiuma molto densa e di grande effetto; servono:

10 cucchiai di acqua ossigenata a 20 volumi (si compra dal parrucchiere)

una o due bustine di lievito per dolci

un cucchiaio di detersivo per piatti

colorante alimentare

tre cucchiai di acqua calda per sciogliere il lievito.

Mettete nel vulcano l’acqua ossigenata, il detersivo e il colorante. A parte sciogliete il lievito e versatelo velocemente nel vulcano.

 

 

 

 

per ravvivare la reazione potete aggiungere poi aceto bianco:

 

 

La terza possibilità è versare nel vulcano della diet coke, e aggiungere alcune caramelle mentos (si crea un getto alto di schiuma marrone che non ho fatto in tempo a fotografare, poi continua per qualche secondo la fuoriuscita di schiuma)…

Poesie e filastrocche sulla pioggia il temporale l’arcobaleno

Poesie e filastrocche sulla pioggia il temporale l’arcobaleno la grandine: una raccolta di poesie e filastrocche per la scuola d’infanzia e primaria, di autori vari.

La pioggia
Pioggerellina, pioggerellina,
vien giù grossa, vien giù fina;
canta e ride, danza e svaria,
cento righe van per l’aria. ( A. A.)

Proverbi
Lampi di sera
bel tempo di spera.
Aria pecorina
acqua vicina.
Cielo a pecorelle
acqua a catinelle.
Il cielo si rischiara:
acqua prepara.

Prima dell’arcobaleno
Il brontolio si cangia in violento
sibilo e batte alle serrate porte;
voce di rabbia, sibilo di morte:
il vento, il vento, il vento.
Una luce sinistra, un guizzo, un vampo
ecco passa nel cielo rapidamente
aereo guizzo come di serpente:
il lampo, il lampo, il lampo.
Un tumulo, un fragore, un urlo, un suono
rauco, sfuggente, rotolante, cupo
voce d’antro di selva, di dirupo:
il tuono, il tuono, il tuono.
Il tuono, il lampo, il vento
e un’idea di sereno
tanto cruccio e sgomento
fino all’arcobaleno. (M. Moretti)

Una gocciola di pioggia
Una gocciola di pioggia
alla terra un dì guardò
e la vide tanto bella
che dall’alto si buttò.
Cadde e si trovò ruscello
fresco puro scintillante
poi divenne aspro torrente
impetuoso e spumeggiante.
Crebbe ancora e fu un gran fiume
calmo e lento fra le sponde
finchè giunse al mare unendo
a quell’onde le sue onde.
Nella notte il ciel brillava
d’infinite, chiare stelle
così limpide e lontane
così pure, così belle.
Sospirò la gocciolina:
“Vorrei essere lassù!”
Ed appena sorse il sole
gli gridò: “Tu sole,
che sei forte, che sei buono,
che a nessuno neghi amore,
dammi aiuto per salire
alla meta del mio cuore!”
Dentro il raggio il sol la prese
ve la tenne, la scaldò,
e la gocciola di pioggia
al suo cielo ritornò.

Pioggerella
Pioggerella fina fina
che dal cielo scendi giù
tu rimbalzi leggerina
sopra i fiori rossi e blu.
Beve il tetto, ride il mare,
canta lieto un uccellino;
al tuo lieve ticchettare
s’addormenta ogni bambino.
Si rinfresca il campo e il prato,
ti saluta il ruscelletto,
tutto il mondo par beato
sotto il provvido bagnetto.
Pioggerella fina fina,
che dal cielo scendi giù…

Pioggia
Che pazzerelle nuvole
scherzano su nel cielo
in un momento intessono
intorno al sole un velo.
Poi leste quattro gocciole
di pioggia spruzzan giù
e al sol fuggendo gridano:
“Adesso asciuga tu!”. ( L. Schwarz)

Canzonetta della pioggia
Già s’affacciano nel cielo
grossi densi nuvoloni
ogni pianta ed ogni stelo
si dispoglia a poco a poco.
Guizzan fulmini di fuoco
tra il rombar cupo dei tuoni.
Sopra l’arido selciato
è danzar di goccioloni.
Poi, d’un tratto, sul creato
col la furia di una piena
il diluvio si scatena.
Piove piove piove piove
oh, il monotono scrosciare
della pioggia che rimuove
che travolge, che trascina
ciò che incontra, ciò che intoppa
nella sua folle rapina:
cose vecchie, cose nuove,
è la furia che galoppa
verso il piano, verso il mare,
piove piove piove piove.
Piove piove piove piove
sopra i monti sopra i piani
hanno gli alberi intristiti
movimenti quasi umani.
Sono tutti infreddoliti
gli uccellini dentro i nidi
levan rauchi e strani gridi
le ranocchie nei pantani.
Sulle vette più lontane
le casette rusticane
nel grigiore mattinale
della pioggia torrenziale
sembran tutte linde e nuove
piove piove piove piove.
Malinconico concerto
di bisbigli e di richiami
come passano tra i rami
sinfonie di foglie al vento
musichette misteriose
delle piante e delle cose.
Dentro l’ombra del viale
non più trilli e guizzi d’ale.
Tutto geme e si commuove
nel gran pianto universale
piove piove piove piove!
Che tristezza, che tristezza
tutto è scuro, tutto è chiuso
sembra il mondo circonfuso
da un gran senso di stanchezza.
Stanno i bimbi ad ascoltare
dietro ai vetri dei balconi
quel continuo ticchettare
delle gronde sui lastroni.
Bimbi, è mesto il vostro cuore,
come il giorno senza cielo
ma verrà domani il sole
s’aprirà sopra ogni stelo
la corolla d’un bel fiore.
Torneranno le parole
della fede e dell’ardore
torneran gli azzurri incanti
della terra sorridente
sotto i cieli sfolgoranti
e sul vostro labbro ardente
canterà, bimbi, l’amore.

Pioverà? Non pioverà?
Farà brutto? Farà bello?
Dovrò uscire con l’ombrello?
Ma se uscissi con l’ombrelllo
lo so già farebbe bello.
Eppoi questo non è tutto.
Senza ombrello, ci scommetto,
muterebbe in tempo brutto.
Sole, pioggia, ma perchè
vi burlate ognor di me? ( Colombini Monti)

Acquazzone
Di nubi grige a un tratto il cielo fu
e il tuono brontolò con voce d’orco.
Si cacciò avanti, lungo lo stradone
carta foglie ed uccelli il polverone.
Si udirono richiami disperati
tonfi di imposte e d’usci sbatacchiati.
Si videro donne lottare in un prato
con gli angeli impauriti del bucato.
Poi seminò la pioggia a piene mani
tetti e vie di danzanti tulipani
tagliò il paesaggio, illividì ogni cosa
in un polverio d’acqua luminosa.
Quando si stava inebetiti e fissi
come sull’orlo d’infuocati abissi
dove il mondo pareva andar sommerso
il cielo sulle cose era già terso
e nei vetri appannati del tinello
risorrise il paese ad acquarello
sulla campagna dolcemente crespa
ronza la chiesa d’oro come vespa.
Non rimaneva dell’orrendo schianto
che il gocciolio di musicale pianto
della gronda, già buono già tranquillo;
lo raccolse morente il bruno grillo.
Coi tamburini gracili di pelle,
le rane lo portano alle stelle. ( C. Govoni )

Piccola nuvola
Dopo l’acquata, le nuvole pronte,
pigliano il volo, scavalcano il monte.
Or con la gonna di velo sottile,
la più pigra s’impiglia al campanile. (U. Betti)

Pioggia di primavera
Com’è dolce la pioggia
che sottile e leggiadra
scampanella nell’aria
oggi ch’è primavera!
E domani che festa,
quando il vento ed il sole
asciugheranno a gara
l’erba nuova del prato,
cogliere un mazzolino
di primule
e di viole,
un mazzetto fragrante,
nitido, di bucato! (Graziella Ajmone)

La pioggia
State a sentire che dice
la nuvoletta felice:
“Quando la pioggia mi scioglie
lustro le pietre e le foglie.
Per camminare sui tetti
mi metto gli zoccoletti.
Vado per orti e giardini
cantando come i bambini. (R. Pezzani)

Pioggia
I goccioloni han voglia di cantare
rimbalzando, saltellando
delle strade fan fossette
delle scarpe fan barchette.

Piove piove dappertutto
Cielo grigio. Tempo brutto.
Piove piove dappertutto.
Fan la doccia i fiorellini
nelle aiuole dei giardini
e nell’orto il seminato
beve l’acqua d’un sol fiato.
Io, se piove, non mi cruccio
vado a spasso col cappuccio. ( I. C. Monti)

Il temporale
Che succede? In un momento
calma e gaia era la terra
e di colpo… pioggia, vento,
lampi e tuoni in ciel fan guerra.
Son scomparsi gli uccellini
traman l’erbe e i fiorellini
e le piante… oh, che pietà,
par si spezzino a metà.  (A. Pozzi)

Non piove più
Non piove più. Le gocce
scendon con contagocce
dagli alberi inzuppati
che l’acqua ha rinfrescati.
Il vento, a poco a poco,
così come per gioco,
con soffi d’allegria
le nubi manda via.
Torna, torna il sereno:
guarda l’arcobaleno!
E’ già venuto fuori
con tutti i suoi colori  (I. C. Monti)

Pioggia
E’ un’arpa la pioggia, infinita,
fra terra e cielo
sottesa.
Con agili dita
tra fili sottili
di limpido argento
trascorre il vento
in brividi di seta
in rapidi fruscii
in lunghi mormorii.
Nasce dall’aspro archetto
di una fronda d’ulivo
un vivo
accordo di violino
e dall’orlo del tetto
una frangia di gocciole leggera
strimpella sul canale di lamiera. (L. P. Mazzola)

Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
la sua bandiera rossa e blu.
Però lo si vede -questo è il male-
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra. (Gianni Rodari)

Piove
Piove da un’ora soltanto
ma il bimbo pensa che già
piova da tanto, da tanto
sopra la grande città.
Piove sui tetti e sui muri, piove
sul viale, piove sugli alberi
oscuri con ritmo triste e uguale. (Ada Negri)

La pioggia
La pioggia picchietta
sommessa e argentina
e narra una favola
piccina piccina
d’insetti, di passeri,
di grilli, di fiori,
di piccoli cuori.
Per loro ogni gocciola
che stride e saltella
che sfrigge e che mormora
è come una stella. (O. Visentini)

Pioggerella
Pioggerella fina fina,
che dal cielo scendi giù
tu rimbalzi leggerina,
sopra i fiori rossi e blu.
Beve il tetto, ride il mare,
canta lieto un uccellino
al tuo lieve ticchettare
s’addormenta ogni bambino.
Si rinfresca il campo e il prato,
ti saluta il ruscelletto
tutto il mondo par beato,
sotto il provvido bagnetto.

Pozzanghere
Accanto al marciapiede
brilla una pozza d’acqua
e dentro vi si vede
la nube che si sciacqua:
e dietro le veleggiano
nubi in un grande mare
che sembrano una greggia
che vada a pascolare.
Ma forse questa notte
dentro l’immensità
del cielo capovolto
un astro fiorirà:
fiorirà sul selciato
sporco della città
come un dono serbato
per chi lo scoprirà. (G. Porto)

Non piove più
Non piove più! Sui prati
sotto il raggio del sole,
tra l’erba luccicante,
s’aprono le viole.
Tra i rovi della siepe
l’azzurra vinca sboccia;
ad ogni fiore in seno
brilla una pura goccia.
Le galline sull’aia
ritornano a beccare,
e i fanciulletti garruli
riprendono a saltare.
L’aria odora di terra,
su, nel cielo sereno,
con sette bei colori
brilla l’arcobaleno. (O. G. Mercanti)

Piove
Piove. Sotto la gronda un nido è vuoto.
Beve le stanche lacrime del cielo
nel gran giardino un triste albero immoto.
Un bimbo biondo, col ditino in bocca,
guarda dai vetri, silenzioso, assorto.
Forse pensa alla neve, che, se fiocca
fa tutto bello, rifà tutte nuove
le cose morte. Chissà. Forse! Intanto
in un grigiore desolato, piove. (Zietta Liù)

Saluto al sereno
Addio, rabbia di tempesta!
Addio, strepitio di tuoni!
Vanno in fuga i nuvoloni,
e pulito il cielo resta.
Addio, pioggia! Qualche stilla
dai molli alberi si stacca;
ogni foglia, fiore o bacca
al novello sole brilla.
Consolato il mondo tace.
Su ciascuna afflitta cosa,
come un balsamo, si posa
la serena amica pace. (A. S. Novaro)

Gli ombrelli
La famiglia degli ombrelli
quando piove a catinelle
si apre tutta e, per la gioia,
non può stare nella pelle.
Balla e canta, beve l’acqua,
mulinella in braccio al vento,
ride a scrosci se diluvia,
senza il minimo sgomento.
Ma, passato il temporale,
quando il sole sbuca, ahimè,
ogni ombrello , immusonito,
torna a casa chiuso in sè. (Zedda)

L’acquazzone
E venne, dopo il vento,
d’impeto, come l’onda
che sopra il mar s’avventa.
Disperse in un baleno
gli agricoltori ai campi,
scrosciò per ogni gronda
ed allagò le strade.
Poi, senza tuoni e lampi,
quasi senza sussurro,
finì con grosse, rade
gocce. Quando nel cielo
del già chiaro orizzonte
s’alzò l’arcobaleno,
candide come un velo
di sposa, navigavano
le nubi in mezzo a un mare,
divinamente azzurro. (V. Bosari)

Dopo il temporale
Spenti in ciel gli ultimi tuoni
vanno in fuga i nuvoloni
e la pioggia viene meno.
Ecco, appar l’arcobaleno…
Qualche gocciola sospesa,
qualche farfallina illesa,
galli nuovi, erta la cresta,
ai fioretti fanno festa:
goccia un frutto, una corolla,
c’è per tutto odor di zolla,
e quel giglio s’è trovato
un vestito di bucato! (L. Carpanini)

Temporale
Un bubbolio lontano…
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte;
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano. (G. Pascoli)

Piove
Piove da un’ora soltanto
ma il bimbo pensa che già
piova da tanto! Da tanto!
Sopra la grande città.
Piove sui tetti e sui muri,
piove sul lungo viale,
piove sugli alberi oscuri
con ritmo triste ed uguale;
piove; e lo scroscio si sente
giungere dalle vetrate
che versano lacrime lente
come fanciulle imbronciate.
Piove e laggiù, sulla via,
e in ogni casa, già invade
l’intima malinconia
di quella pioggia che cade.
Piove da un’ora soltanto:
ma il bimbo pensa che già
piova da tanto! Da tanto!
Sopra la grande città. ( A. Novi)

Filastrocca della pioggia
Pioggerellina, pioggerellina,
vien giù grossa, vien giù fina;
canta e ride, danza e svaria,
cento righe van per l’aria.
Pioggerella viene in fretta,
col profumo di violetta:
pioggia tiepida di maggio
nelle cose metti un raggio.
Dai fossati, a crocchi, a crocchi,
la salutano i ranocchi;
l’anatroccolo diguazza,
pioggia allegra, pioggia pazza!

La pioggia
La pioggia picchietta
sommessa, argentina,
e narra una favola
piccina piccina,
d’insetti, di passeri,
di grilli, di fiori,
di piccoli cuori:
per loro, ogni gocciola,
che stride, saltella,
che sfrigge, che mormora,
è come una stella. (O. Visentini)

La pioggia continua a cadere
La pioggia continua a cadere
e tutta la terra trafigge:
le luci grondanti e affiochite
incerte sui marciapiedi.
La pioggia continua a cadere
sottile pungente accidiosa
e tutte le strade son colme
e lacrime stillano gli alberi.
La pioggia continua a cadere,
nel grande silenzio a cadere,
ed ombre, fantasmi, s’allungano,
enormi fantasmi i palazzi. (L. Fiorentino)

Il temporale
Il cielo è carico di nuvoloni
fulmini e tuoni
fremon lassù.
La chioccia vigile
chiama i pulcini:
“Qua, piccolini,
vi coprirò”.
Ed essi corrono.
C’è il temporale
ma sotto l’ale
non treman più.

Il tuono
E nella notte nera il nulla
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s’udì di madre, e il moto di una culla. (G. Pascoli)

Il lampo
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera. (G. Pascoli)

La mia sera
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre-gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggera.
Nel giorno, che lampi! Che scoppi!
Che pace la sera.
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.
E’ quella infinita tempesta
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro. (G. Pascoli)

Addio tempesta
Addio, rabbia di tempesta
addio strepitio di tuoni,
vanno in fuga i nuvoloni
e pulito il cielo resta.
Addio pioggia! Qualche stilla
dei molli alberi si stacca
ogni foglia fiore o bacca
al novello sole brilla.
Consolato il mondo tace
su ciascuna afflitta cosa
come un balsamo si posa
la serena amica pace.  (A. S. Novaro)

Pioggia d’inverno
Quando piove, lento lento,
e fa freddo e tira vento
nella casa sta il bambino
nel suo nido l’uccellino
nella cuccia il cagnolino
presso il fuoco il mio gattino.
E il ranocchio senza ombrello?
Sotto il fungo sta bel bello.  (Cicogna)

Pioggia d’autunno
Mentre l’acqua giù dal cielo
picchiettando vien bel bello
con stivali e con ombrello
me ne vado a passeggiar.
Tic tic tic giù l’acqua cade
tac tac tac, che gocciolone!
Ma qui sotto l’ombrellone
non mi bagno a passeggiar.
Scendi pur, pioggia d’autunno,
non ti temo, ben lo vedi,
tanta gioia invece, credi,
provo andando a passeggiar. (A. Caramellino)

Tempaccio
E piove e piove e piove!
E i nuvoloni neri
vanno per il cielo, in ronda
come carabinieri.
Il sol, quasi bandito,
spinto da loro in caccia,
mostra di tratto in tratto,
la spaurita faccia. (G. Chiarini)

Pioggia

Attoniti, dai nidi
nuovi, sui vecchi tetti,
guardano gli uccelletti,
mettendo acuti gridi,
cadere l’invocata
pioggia di mezzo aprile.
Tu, dietro la vetrata
della finestra bassa,
come lor guardi e ridi…
è nuvola che passa” (L. Pirandello)

Piccola nuvola di primavera

Dopo l’acquata le nuvole, pronte,
pigliano il volo, scavalcano il monte.
Or con la gonna di velo sottile,
la più pigra s’impiglia al campanile.
“Lasciami con codesta banderuola:
mi strappi tutta! Son rimasta sola!”
Ma il campanaro senza discrezione
le risponde col campanone.
Che sobbalzo, che spavento!
Per fortuna c’era il vento
che con tutta galanteria
la piglia e la porta via.
La porta a spasso lieve lieve
sul torrente, sulla pieve;
tutto il mondo le fa vedere,
tetti rossi, maggesi nere.
E che brillio di vetri e di foglie!
Quanti bambini lungo il rio!
Quante vecchie sulle soglie!
Che festa, che chiacchierio! (U. Betti)

Arcobaleno

Non piove più! Sui prati,
sotto il raggio del sole,
tra l’erba luccicante
s’aprono le viole…
Le galline sull’aia
ritornano a beccare,
e i fanciulli garruli
riprendono a saltare.
Tra i rivi della siepe
l’azzurra vinca sboccia;
ad ogni fiore in seno
brilla ogni pura goccia.
L’aria odora di terra.
Su nel ciel sereno,
con sette bei colori,
brilla l’arcobaleno. (A. S. Novaro)

Giorno piovoso

Quante parole stanche
mi vengono alla mente
in questo giorno piovoso d’aprile
che l’aria è come nube che si spappola
o fior che si disfiora.
Dentro un velo di pioggia
tutto è vestito a nuovo.
L’umida e cara terra
mi punge e mi discioglie… (V. Cardarelli)

E piovve

Cantava al buio d’aia in aia il gallo.
E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sole dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle,
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò nei campi un raggio lungo e giallo.
Stupiano i rondinotti dell’estate
si quel sottile scendere di spille:
era un brusio con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d’oro in coppe di cristallo. (G. Pascoli)

Temporale

Dormivo e m’ha svegliato
stanotte il temporale.
Oh, che brutta nottata!
Che tempaccio infernale!
E che lampi, che vento!
Tremavo nel mio letto,
di freddo e di sgomento.
Ma tu m’hai stretto al petto,
mamma! E sul cuore fido
ho chiuso gli occhi come
un uccellin nel nido,
mormorando il tuo nome.
E ho detto: “Il temporale
io non lo temo più,
se presso il mio guanciale,
o mamma, ci sei tu!” (zietta Liù)

Piove col sole

La pioggia cade picchiettando allegra
su foglie polverose,
e scorre ai margini
e casca sopra le rose.
Colma alle rose il colorito calice
e lascia qualche goccia
ai fili d’erba
ed ai fioretti in boccio.
Ed ecco, un d’essi palpita di vita!
A un raggio che lo indora
esita un poco
poi lieve s’apre e odora. (G. Consolaro)

Grandinata

Strepitando vien giù candida e bella,
batte il suol, tronca i rami, il cielo oscura
e nelle grige vie sonante e dura
picchia, rimbalza, rotola, saltella;
squassa le gronde, i tetti alti flagella;
sbriciola sibilando la verzura.
ricasca dai terrazzi e nelle nura
s’infrange, e vasi e vetri urta e sfracella;
e per tutto s’ammonta e tutto imbianca;
ma lentamente l’ira sua declina
e solca l’aria, diradata e stanca;
poi di repente più maligna stride,
poi tutto tace, e sulla gran rovina
perfidamente il ciel limpido ride. (E. De Amicis)

L’acquazzone

Di nubi grige a un tratto il ciel fu sporco;
e il tuono brontolò con voce d’orco.
Si cacciò avanti, lungo  lo stradone,
carta, foglie ed uccelli il polverone. (C. Govoni)

Pioggia e sole
Pioggia e risplende il sole, e mai com’oggi
s’è vista, per il Colle dell’Ulivo,
la campagna così fiorita e viva,
sotto il velo sottile della pioggia.
Piove e risplende il sole, e la collina
piange e ride tra l’ombra che cammina,
come talora fa per tenerezza
la faccia della bella giovinezza. (C. De Titta)

Acqua sempre
La nube, là, nella region dei venti,
pioggia diviene, la tempesta accoglie
e, nel rigor delle giornate algenti,
in turbinosa neve si discioglie.
Son figlie dell’acqua anche le brine,
le nebbie ora gravanti or fuggitive,
del rugiadoso umor del gocciline
brillanti al sole come gemme vive.
Acqua, che in lieta voce o dolorosa
discendi al mar  e torni al  piano in vetta,
ristora i campi, premia, generosa,
che li coltiva e trepidando aspetta. (G. Pisani)

L’acquazzone
La spazzola dell’acquazzone
ha dato alla lesta una ripulita al paesaggio,
lavato la faccia alle case,
rimesso a nuovo i monti sbiaditi.
Anche l’aria è netta.
Ora si apprezza ogni gradazione del verde.
Villanelle indomenicate
le case fanno insieme una stoffa a quadratini,
a rettangolini di tutti i colori.
Quel giallo! L’ingenuità di quel celeste!
A levante, il paesaggio
è lumeggiato da una luce di magnesio.
I tetti riflettono.
Al luogo d’ogni ruga,
le montagne fanno mostra d’un filone d’argento. (C. Sbarbaro)

Pioggia
Sui campi stamattina
scende una pioggia fina
e musica soave
splende per ogni dove.
Tutta se ne commuove
la terra che riceve
questa freschezza lieve
che dolcemente piove. (A. Orvieto)

Dopo
Dopo il rimbombo nero e il verde scroscio,
il cielo s’apre a una gran pace azzurra:
razzano i tetti, ed ogni pozza in terra
è un soave-ridente occhio di cielo. (D. Valeri)

Dopo il temporale
Son passate le nuvole, e la piova
sprigionato ha dal suolo un grato odore;
lieta ogni rana si dibatte a prova,
a capo chino sgocciola ogni fiore.
Tra le fuggenti nuvole si prova
d’uscir il sole; all’umido splendore
sembra la terra ora più verde e nuova;
più turchino del ciel sembra il colore. (G. Pascoli)

Sereno
Non pareva, e s’allontana
la tempesta: l’oro piove
quale splendida fiumana
e dilaga in ogni dove.
Sembran perle sorprendenti
or le gocce ancora al varco;
ha bagliori iridescenti
fin la pozza sotto l’arco.
Ed un passero cinguetta
il suo canto più giulivo:
quante gemme sull’erbetta,
quanto argento va col rivo! (Livio Ruber)

Pioggia
Cantava al buio, d’aia in aia, il gallo.
E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose, e piovve a catinelle.
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò sul campo un raggio lungo e giallo.
Stupian i rondinotti dell’estae
di quel sottile scendere di spille:
era un brusio con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille,
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d’oro in coppe di cristallo. (G. Pascoli)

Dopo l’acquazzone
Passò scrosciando e sibilando il nero
nembo; or la chiesa squilla; il tetto, rosso,
luccica; un fresco odor dal cimitero
viene, di bosso.
Presso la chiesa, mentre la sua voce
tintinna, canta, a onde lunghe, romba,
ruzza uno stuolo, ed alla grande croce
tornano a bomba.
Un vel di pioggia vela l’orizzonte;
ma il cimitero, fatto il ciel sereno,
placido olezza; va da monte a monte l’arcobaleno. (G. Pascoli)

Piove
Piove sui tetti e sui muri,
piove sul lungo viale,
piove sugli alberi oscuri
con ritmo triste ed uguale;
piove; e lo scroscio si sente
giungere dalle vetrate
che versan lacrime lente
come fanciulle imbronciate!
Piove e laggiù sulla via,
e in ogni casa, già invade
l’intima malinconia
di quella pioggia che cade. (A. Novi)

Dopo il temporale
La bufera è lontana.
Sull’aia allegra cantano i galletti.
Ancora, sul selciato, i tetti
grondan dell’acqua piovana.
Ma or gioca rabbonito il vento
con i pioppi. Felice
d’essere salvo, benedice,
benedice, il frumento.
Questa sera offrirà un banchetto
alle sue buone lucciole veglianti,
fra l’attenzione degli astanti
farà un brindisi l’usignoletto.
E, senza distinzione
di parte, i grilli batteran le mani;
i papaveri veterani
piangeranno dall’emozione.
Oh, che gioia! Una banda di turchini
convolvoli strombetta,
davanti alla mia casetta,
in un circol di fiori contadini.
Giocattoli degli angeli, leggeri
s’alcano i cervi volanti;
tintinnano per le vie, festanti,
i sonagli dei carrettieri.
Là, dietro la bufera,
sventola l’arcobaleno;
sopra il villaggio, nel sereno,
si dondola la squilla della sera. (C. Govoni)

Spiove
Le nubi si distendono
in velo che svapora.
L’aria pulita odora
di polvere bagnata,
di fieni appena colti,
d’erbe tenere e fiori.
Il sol riappare e ride
sopra un mondo pulito
di brillanti vestito.
Son gocciole iridate
che pendono dai rami
corron sui fili tesi,
e ridono col sole.
Ma il sole ha tanta sete,
e nelle fauci ardenti
finiscono le gocciole iridate. (C. Pascucci)

Dopo il temporale
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggera.
Nel giorno, che lampi, che scoppi!
Che pace, la sera! (G. Pascoli)

Pioggia
E’ dolce il chiacchierio che fan le foglie
in capannelli sugli alberi spessi,
come quello che fanno su le soglie
le comari che parlan d’interessi.
E invece le foglie chiacchierine
parlan dell’autunno che ritorna
e che sotto la pioggia fine fine
di pampini e di bacche agile s’orna. (M. Moretti)

Pioggia
E’ un’arpa la pioggia, infinita,
fra terra e cielo
sottesa.
Con agili dita
tra i fili sottili
di limpido argento,
trascorre il vento
in brividi di seta,
in rapidi fruscii,
in lunghi mormorii.
Nasce dall’aspro archetto
d’una fronda d’ulivo
un vivo
accordo di violino
e dall’orlo del tetto
una frangia di gocciole leggera
strimpella sul canale di lamiera. (L. Pia Mazzolai)

L’acquazzone
Si sciolsero le nubi, all’improvviso
piovve a dirotto. Al limite del campo
vidi la bimba, fra uno scroscio e un lampo,
bello fra i ricci bruni, il fresco viso.
Tesi le braccia ed attraverso il nembo
la bimba accorse, fradicia e ridente,
e mi cadde sul cuore, e il suo fremente
piccolo corpo mi raccolsi in grembo.
Passano i giorni, passano e si muore.
Ben altre furie di tempesta tu
affronterai, ma non ci sarà più
la tua mamma a raccoglierti sul cuore. (A. Negri)

La quiete dopo la tempesta
Passata è la tempesta;
odo augelli far festa, e la gallina
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe là da ponente, alla montagna;
sgombrasi la campagna,
e chiaro nella valle il fiume appare. (G. Leopardi)

Il temporale
Nuvole spesse, leggere,
a poco a poco hanno invaso,
simili a draghi rampanti,
il cerchio dell’orizzonte.
Grigio su grigio: fondale
d’un palcoscenico immenso.
Grigio su grigio anche in terra:
le nebbie velano i monti
che fumano come incensieri;
sembra cinerea la valle
divisa in quadri sbiaditi.
Il palcoscenico è pronto;
é pronto il vasto fondale:
gocciole rade e sonore
annunciano, come in sordina,
l’orchestra del temporale! (E. Pesce Gorini)

Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è il male,
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra,
fare la pace prima della guerra. (Gianni Rodari)

Arcobaleno
C’è un ponte fatto di sette colori:
è un ponte strano, campato sul cielo.
E’ di cristallo? Di seta? Di velo?
E’ fatto d’acqua di sette colori.
Ma su quel ponte non passa la gente.
Svanir potrebbe in ogni momento
di sotto ai piedi, a un colpo di vento.
Lieta lo guarda ridendo la gente. (S. Pezzetta)

Arcobaleno
Piove. Le piccole
gocce sottili
in lunghi scendono
diritti fili,
senza che un alito
tenue di vento
muova quel tremulo
refe d’argento;
lene, dal nuvolo
che si dissolve,
come un polve
l’acqua vien giù.
Il sol con l’ultimo
raggio lucente
esce dai margini
dell’occidente
e tra finissimi
sciolti vapori
si frange in pallidi
vaghi colori:
dal piano al vertice
con sette giri
l’arco dell’iri
brilla lassù.
Sull’uscio il pargolo
batte le mani,
ai solchi accorrono
lieti i villani
dove dall’umida
terra rampolla
un nuovo germine
per ogni zolla;
dal tetto il passero
balza e rivola;
tra i campi scola
giallo il ruscel.
Lontano brontola
un tuono ancora,
e mentre limpido
l’aer s’indora,
e al puro zeffiro
fresco e odorato
scrollano gli alberi
le gocce del prato,
l’arco settemplice
si fa di foco,
e a poco a poco
svanisce in ciel. (R. Pitteri)

L’acquazzone
E venne, dopo il vento,
d’impeto, come l’onda
che scagliasi sul mare.
Disperse in un momento
gli agricoltori ai campi,
scrosciò per ogni gronda
ed allagò le strade.
Poi, senza tuoni o lampi,
quasi senza sussurro,
finì con grosse, rade
gocce. Quando nel cielo
dal già chiaro orizzonte,
s’alzò l’arcobaleno,
candide come un velo
di sposa, navigavano
le nubi in mezzo a un mare
divinamente azzurro. (V. Bosari)

Arcobaleno
Arcobaleno giocondo
nella tua curva gentile
è il fresco sorriso del mondo.
L’acqua del fontanile
ode lingue lambire
e il trottare del ruscello.
Le vette si fanno vicine
per questo tremore di cielo
sopra l’erbe bambine.
Da verdi solitudini segrete
si sveglia un canto di luce:
la maestà dell’abete
nell’occhio della mucca traluce. (I. Dell’Era)

Grandine
Percuote le gronde,
sui tetti saltella,
flagella le fronde,
i vetri martella.
La temono tutti.
E’ proprio maligna:
fa strage di frutti,
vendemmia la vigna.
In ogni vallata
frantuma le zolle
e falcia spietata
dei fior le corolle.
O grandine fitta,
svanisci coi lampi!
E’ muta ed afflitta
la gente dei campi. (A. Libertini)

Grandine
Tutte riunite ad un crosciante rombo
le nuvole vaganti hanno accerchiato
il cielo, dense e grevi come piombo.
Sibila il vento una minaccia oscura;
gli alberi curvi tentano la fuga;
urla e geme la terra di paura.
Una campana grida: “Aiuto, aiuto!”
Aiuto per le viti e per il grano
che aspetta solo d’essere mietuto.
Una nuvola bianca (una staffetta
di pace?) incontra il grido disperato
che rimbalza qua e là per ogni vetta.
Ma non è pace, non è pace: è guerra!
E, all’improvviso, la staffetta bianca
getta candido piombo sulla terra.
Crosci, ventate, grandine a ventaglio
saetta l’aria, picchettando allegra,
ed ogni pianta è facile bersaglio!
Invano la campana grida “aiuto”
tra lo scroscio dei chicchi levigati,
che già più delle falci hanno mietuto.
E la campagna piange, infine, stanca,
nel vasto cielo ritornato azzurro,
sopra la terra flagellata e bianca. (E. Pesce Gorini)

Sotto la pioggia
O camposanto che si crudi inverni
hai per mia madre gracile e sparuta,
oggi ti vedo tutto sempiterni
e crisantemi. A ogni croce roggia
pende come abbracciata una ghirlanda
donde gocciano lagrime di pioggia.
Sibila tra le feste lagrimosa
una folata, e tutto agita e sbanda.
Sazio ogni morto di memorie, posa. (G. Pascoli, da “Il giorno dei morti”)

Pioggia
E’ un’arpa la pioggia, infinita,
fra terra e cielo
sottesa.
Con agili dita
tra fili
sottili
di limpido argento,
trascorre il vento
in brividi di seta
in rapidi fruscii.
In lunghi mormorii.
Nasce dall’aspro archetto
di una fronda d’ulivo
un vivo
accordo di violino
e dall’orlo del tetto
una frangia di gocciole leggera
strimpella sul canale di lamiera. (L. P. Mazzolai)

L’acquazzone
E venne, dopo il vento,
d’impeto, come l’onda
che scagliasi sul mare.
Disperse in un momento
gli agricoltori ai campi,
scrosciò per ogni gronda
ed allagò le strade.
Poi, senza tuoni o lampi,
quasi senza sussurro,
finì con grosse, rade
gocce. Quando nel cielo
dal già chiaro orizzonte,
s’alzò l’arcobaleno,
candide come un velo
di sposa, navigavano
le nubi in mezzo a un mare
divinamente azzurro. (V. Bosari)

Poesie e filastrocche sulla pioggia il temporale l’arcobaleno la grandine – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici LA PIOGGIA

Dettati ortografici LA PIOGGIA – una collezione di dettati ortografici di autori vari sulla pioggia, per la scuola primaria.

La pioggia viva
La pioggia cadeva con forza crescente e assorbiva ogni altro rumore, e non si vedeva più altro. Prendevo una scatola di latta, la posavo subito fuori, davanti alla porta di casa e, sull’istante, l’acqua mi scorreva sulle mani, sui polsi, mi colava nelle maniche; in breve la scatola era piena: guardavo l’acqua cadere nell’acqua e ascoltavo e riuscivo a distinguere il rumore che faceva. Sentivo anche, la pioggia crepitare sul legno e dappertutto vedevo l’acqua corrodere il suolo, rubargli la terra, portarla via e formare ruscelli sui pendii. Guardavo l’acqua scorrere cadere rimbalzare e correre. Impregnava le vegetazioni squassate, imbevute. Guardavo lo stirarsi eccessivo degli alberi, delle piante abbattute e risollevate e riabbattute a colpi bruschi; l’acqua riempire, velare, confondere il paesaggio; accanto a me appannare il minuscolo vetro, tremarvi su, rotolare su se stessa. Alla fine tutto il temporale se n’è andato. La pioggia continua senza tregua, ora la rete si dirada. E finalmente, altri rumori, un’automobile, una frase si sentono.
Non c’è dubbio continuerà a piovere così con uguale violenza nè più nè meno fino al primo pomeriggio.
(I. Thibaudeau, da “Ouverture”)

Pioggia di primavera
La pioggia, picchiettandola con le lunghe dita leggere, faceva il solletico alla terra e le diceva piano piano: “Svegliati”. E mormorava: “Destati!”. E poi: “Su, su, è l’ora, vestiti!”. E la terra fingeva ancora di dormire perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia! Alla fine aprì gli occhi delle margherite e nei giardini restò un odore di terra bagnata. (Achille Campanile)

Che gioia camminare sotto l’ombrello, se la pioggia è leggera, ridarella, canterina. La pioggia ti aspetta una mattina sulla porta e c’è quasi il sole. Nell’aria c’è odore di strada bagnata, odore di terra da fiore. E’ più musica che pioggia. Tutto si lava, si fa bello: l’albero, il tetto, il marciapiede. Questa sì che è pioggia felice! (R. Pezzani)

Piove

Piove, e sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadine luccica; e luccicano gli ombrelli, i cappucci dei cappotti impermeabili. Nei campi, i fossi gonfi di acqua borbottano, I fiumi corrono limacciosi in piena e portano innanzi quanto hanno rapinato alle prode.
Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia, tra i vapori che salgono dalla terra e lentamente vanno a confondersi con le nuvole grige. (G. Fanciulli)

Pioggia nel bosco

Quando piove, l’acqua colpisce le fronde degli alberi, si rompe in tante goccioline, che rimbalzano tra le foglie. La pioggia giunge a terra a stilla a stilla, scorrendo anche lungo i rami e lungo i tronchi.
In terra trova uno strato di foglie morte. Le inzuppa pian piano, le fa marcire e finalmente penetra sotto terra dove trova una falda di argilla che la porterà a scaturire in una limpida sorgente. (P. Bargellini)

Dopo un acquazzone

L’aria, lavata e fresca, odorava di terra e di verdure, e la terra inzuppata, più bruna, pareva ribollire ai raggi del sole già alto. Le piante, ancora grondanti di pioggia, stormivano leggermente, facendo fiammeggiare come diamanti le goccioline d’acqua sospese alle foglie lustre. Una luce dorata bagnava dolcemente i campi, le facciate, le siepi; filtrava tra i rami scuri, rompeva e chiazzava l’ombra verde e umida delle aiuole. (A. Soffici)

Pioggia in città

La gente è stizzita e guardinga; torme nere di ombrelli si buttano contro i muri quando rasentano le automobili e tranvai sventaglianti spruzzi gialli e lunghi dalle ruote. Solo i vigili, nei loro impermeabili neri a mantellina, raccolgono pazienti e sacrificati le acque del cielo e della terra. Un nembo livido avvolge i quartieri della periferia dai viali vastissimi e deserti di bambini, guardati da palazzi torvi tutti chiusi nei loro vetri come ammalati nei loro cappotti, forse sorpresi di sentire la pioggia precipitare nei tubi delle grondaie e pulsare, quasi sangue, nelle vene. (G. B. Angioletti)

Pioggia
Ad ogni attimo un lampo violetto o verdastro palpita, seguito immediatamente da un tuono formidabile che fa rintronare i vetri. L’acqua cade rabbiosamente; il vento la spinge di traverso e i suoi fili sono come frecce di vetro scagliate obliquamente dall’alto. Gli alberi si divincolano sotto il turbine. L’orizzonte si perde in una nebbia folta, cieca. (A. Soffici)

Pioggia nel bosco
Quando piove, l’acqua colpisce le fronde degli alberi, si rompe in tante goccioline, che rimbalzano tra le foglie. La pioggia giunge a terra a stilla a stilla, scorrendo anche lungo i rami e lungo i tronchi. In terra trova uno strato di foglie morte. Le inzuppa pian piano, le fa marcire e finalmente penetra dotto terra dove trova una falda di argilla che la porterà a scaturire in una limpida sorgente. (P. Bargellini)

Piove
Piove, e sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadine luccica; e luccicano gli ombrelli, i cappucci dei cappotti impermeabili. Nei campi, i fossi gonfi di acqua borbottano. I fiumi corrono limacciosi in piena e portano innanzi quanto hanno rapinato dalle prode.
Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia, tra i vapori che salgono dalla terra  e lentamente vanno a confondersi con le nuvole grigie. (G. Fanciulli)

L’alluvione
Grandi, sparuti, lamentosi muggiti venivano dalla campagna allagata, dalle stalle che il boaro non aveva fatto in tempo ad aprire, dai campi, dove il bestiame errava con l’acqua al ginocchio, al ventre, al petto, sperduto e impantanato. Voce spiegata all’angoscia comune davano le campane a stormo: Ro rispondeva alla Guarda, martellando: e in tanti anni il vecchio campanile della Guarda non aveva ancora mai rintoccato così alla disperata: pareva l’ultima volta prima di dare il crollo. (R. Bacchelli)

Prime piogge
Da tre giorni e da tre notti cadeva sulla campagna una pioggia minuta e uguale. Era la prima pioggia d’autunno. Gli alberi del frutteto ne grondavano, ne grondavano i tetti e il suo rumore lieve e diffuso, simile al ronzio di un immenso arcolaio, senza pause, ininterrotto, era la musica dell’autunno pieno di sonno e di malinconia. Tutti nel villaggio l’ascoltavano dal chiuso delle nere stalle, delle nere cucine. (U. Fracchia)

La pioggia
Cade, cade monotona e sempre uguale. Sembra che non debba smettere più. Batte sulle strade, sui tetti,  sugli ombrelli dei passanti. Dov’è il bel sole d’oro, dove sono le nuvole candide e morbide? Piove piove e sulla strada si formano larghe pozzanghere fangose. Ma anche la pioggia è necessaria e la terra e le piante la bevono avidamente.

Dopo un acquazzone
L’aria, lavata e fresca, odorava di terra e di verdure, e la terra inzuppata, più bruna, pareva ribollire ai raggi del sole già alto. Le piante, ancora grondanti di pioggia, stormivano leggermente, facendo fiammeggiare come diamanti le goccioline d’acqua sospese alle foglie lustre. Una luce dorata bagnava dolcemente i campi, le facciate, le siepi; filtrava tra i rami scuri, rompeva e chiazzava l’ombra verde e umida delle aiuole. (A. Soffici)

La pioggia
Ecco, l’aria immota si scuote. Sembra proprio che il dio dei venti, Eolo, abbia aperto la caverna dei venti furibondi. Le foglie degli alberi spasimando si contorcono. Ecco le prime gocce, grandi, chiazzate, furenti. Qualcosa balza nell’aia: un chicco di grandine. Si attende col cuore sospeso. Nulla, non è nulla. Cessa il vento: la pioggia scende ora in pace, dolce, sonora. Se dura un’ora i pomodori si faranno turgidi; l’erba medica crescerà per un nuovo taglio, l’uva rachitica si gonfierà. (A. Panzini)

Quando piove
Fango in terra e fango in cielo, stillanti, grondanti, chiazzati di tetra umidità i tetti, le case, i muri: cinereo e grigio lutto; e dalla monotona deformità delle nubi filtra un acquerugiola lenta, fredda, ostinata, che non si vede e immola l’anima, che non si sente ed empie le strade di una poltiglia mobile e appiccicosa, lubrica e attaccaticcia e impacciante. (G. Carducci)

Storia dell’ombrello
Sapete chi fu il primo uomo che usò l’ombrello in Europa? Il signor Giona Hauway, di Londra.
Questo signore aveva viaggiato molto. Era stato in Russia, in Persia, in Cina e chissà in quanti altri posti ed aveva visto chissà quante belle cose. Poiché l’ombrello ha un’origine che si perde nella notte dei tempi, avrà visto anche che esso veniva usato da molti popoli, quale segno di distinzione o potenza. Del resto gli ombrellini erano già usati in Europa, come segno di femminilità ed eleganza, dalle signore. Ma che si fosse mai visto un uomo in giro con l’ombrello!
Invece in una giornata piovosissima dell’anno di grazia 1752, il signor Giona pensò che sarebbe stato molto utile uscire di casa al riparo di un grosso ombrello, e così fece.
Non lo avesse mai fatto! Le vie di Londra furono per lui come tante sale da… concerto o campi di esercitazioni di tiro a segno.
Infatti tutte le persone… per bene lo dileggiarono, lo fischiarono, ed i ragazzi andavano a festa nel bersagliarlo di torsoli, di patate, di uova…
Si incrociarono discussioni a non finire, sotto la pioggia s’intende e… senza riparo; chi diceva che era semplicemente ridicolo che un uomo, segno di forza e di sapienza, andasse in giro a quel modo; chi diceva, e questi era interessato, che l’ombrello avrebbe fatto morire di fame i poveri vetturini; chi infine, timorato di dio, affermava essere un insulto sacrilego verso il supremo fattore dell’universo, perchè se Lui mandava la pioggia, voleva dire che aveva intenzione che le persone si bagnassero e nessuno aveva il diritto di ripararsi!
Sotto tutto quel diluvio: pioggia, torsoli, patate, invettive d’ogni genere, il signor Giona continuò a passeggiare, riparandosi fa tutte le cose materiali che gli cadevano addosso, col suo ombrello, e dalle invettive con la sua imperturbabile flemma.
Sapete quanto ci volle perchè i londinesi e gli europei comprendessero l’utilità dell’ombrello? Trent’anni.
Nel 1782, infatti, l’ombrello era già di uso comune!
(A. M. Giannini)

Dettati ortografici LA PIOGGIA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche LE NUVOLE

Poesie e filastrocche LE NUVOLE – una raccolta di poesie e filastrocche sul vento, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Nuvole
Tutto il cielo è un immenso prato blu.
A un tratto spunta un bioccolino bianco…
s’alza, s’addensa, sboccia… eccolo, è un fiore.
Arde nel sole ed ama il sole e dona
tutta se stessa al sole, e si dissolve
nel grande ardore… Un soffio… Non c’è più.
Tutto il cielo è un immenso prato blu. Lina Schwarz

Le nuvole
Pallide nuvole soffici corrono
dentro l’azzurro del cielo s’inseguono:
se con letizia le mani si tendono,
bei girotondi giocondi ripetono;
Ma se si rotolan, strappano, spingono,
presto nel cielo l’azzurro nascondono;
ecco che tutto di grigio dipingono,
ecco la pioggia ed i tuoni che rombano.
Se poi, pentite, la pace rifanno,
senza problemi la mano si danno:
ecco che alcune già rosa si fanno;
dentro l’azzurro più soffici vanno. R. Bon

Nuvole
In una nuvola,
c’è anche un po’ di fiato
del bimbo,
del fiore,
del prato.
Dal mare blu
e dalle foglie appassite
le goccioline fin lassù son salite.

La nuvola
Ti conosco nuvoletta
che cammini sola sola
non armata di saetta
come un angelo che vola.
Ti conosco anche se il vento
che ti gonfia e ti sospinge
ti trasforma in un momento
mentre il sole ti dipinge
intingendo i suoi pennelli
nei color più vivi e belli.
Tutta rosa stamattina
tutta bianca a mezzodì
ti conosco mascherina
trasformata anche così.
Or somigli a un cavallino
sciolta al vento la criniera
ora sei la caffettiera
che trabocca nel camino
ora là nell’infinito
sembri un albero fiorito. R. Pezzani

Nuvole notturne
Oh bianche nuvolette che passate
silenziose al lume delle stelle
da qual desio, vaganti pecorelle
per i prati del ciel siete portate?
Si va, si fa. Poco di noi sappiamo
siam la rugiada e siamo la tempesta
ci guida il vento, a lui chiniam la testa
e, dove lui poggia, andiamo andiamo andiamo…

Nuvole
Che pazzerelle nuvole!
Scherzano su nel cielo…
in un momento intessono
intorno al sole un velo
poi leste quattro gocciole
di pioggia spruzzate giù
e al sole fuggendo, gridano
“Adesso asciuga tu!” L. Schwarz

Nuvoloso
Sole caldo, sole bello
perchè toglierti non vuoi
quell’orribile mantello
che ci vela i raggi tuoi?
Ogni viva creatura
sente un brivido di gel
ogni faccia si fa scura.

Guarda la nube
Guarda la nube che gioca col lampo e col tuono
guarda la luna che gioca col globo celeste,
guarda la rupe che s’alza d’un impeto al polo
e come gioca in amore col l’eco rideste!
Guarda il torrente agli scogli che mugghia, ridonda
e con la piena dell’onda rinnova la festa;
guarda la bella farfalla dal volo librato
sulla corrente, giocare col fior di giacinto:
gioca tu pure con loro, conservati bimbo
belli son tutti quei giochi che gioca il creato!

La vela
C’è una vela tutta bianca
c’è una vela in mezzo al mare
Vento, vento, sono stanca
fammi un poco riposare.
Vedi là quella casetta
c’è una mamma che ti aspetta.
D’aspettare non si stanca
vola, vola, o vela bianca.
Se mi attende una mammina
se mi vuole una bambina
soffia pure, o mio buon vento
e il mio cuor sarà contento.

Nuvole
Nuvole, nuvole…
chiama fischiando
il vento arcigno
sulla montagna:
e a fiocchi bianchi
dai cupi fianchi
dei canaloni,
su, dai burroni,
su, dalle valli,
soffici, molli,
lente risalgono
sul filo del vento
a cento
ondeggiando le nuvole. (V. Fraschetti)

La nuvola
Sembra un cuscino
di piume d’oca.
Nel ciel turchino
col vento gioca.
Gioca e rincorre le rondinelle:
lei tutta candida, blu e nere quelle.
Ma ecco: il morbido
cuscino, a un tratto,
si sporca e torbido,
greve s’è fatto.
S’è fatto nero come il carbone,
e il cielo piange… uh, che acquazzone!  (Maggiorina)

Vita e morte delle nuvole
Nata all’alba, sul prato,
dal fianco di un’acqua corrente
vivrà la nube innocente,
un giorno, il suo giorno, e morrà.
da rovi pungenti districa
i lembi del suo manto,
si libera come un canto,
figura di felicità.
Immemore di ciò che era
si lascia rapire dal vento:
polledro, fiore, bandiera,
angelo diventerà;
angelo col cuore in gola
che in cielo ha prato e campo.
Ma ecco, trafitta da un lampo
la candida nube cadrà.
Disciolta in pioggia lucetne
rintocca su ogni fronda
si fa musica errabonda,
queta, vasta sonorità. (Renzo Pezzani)

Le nuvole
Una sera, piano piano
arrivaron da lontano,
le portava sulle spalle
lo scirocco.
Eran stanche di viaggiare
follemente per i cieli
e volevan riposare
solo un poco.
Quando videro il gran mare
calmo calmo, azzurro azzurro,
s’adagiarono all’oscuro
e distesero i lor veli
per i cieli. (Lina Galli)

La nuvola
Nera, turgida, compatta,
la nuvola, come un mastino,
ringhia nel cielo turchino.
Ma quella è una nuvola matta!
E’ una nuvola forestiera
che nasconde fuoco in dosso,
Ispido fumo, serper rosso,
è l’angoscia della sera.
Il villaggio poverino,
suona l’ave, chiude le porte.
Con quella nuvola sul suo destino,
sazio di biade, pensa alla morte. (R. Pezzani)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale. Il materiale è stato raccolto da varie fonti e collezionato nel tempo. Pur avendo fatto il possibile per risalire a tutti gli autori, dove questa informazione manca si intende appunto che non mi è stato possibile risalire al nome dell’autore.

Poesie e filastrocche sul VENTO

Poesie e filastrocche sul VENTO – una raccolta di poesie e filastrocche sul vento, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il vento
Arriva il vento. Che pazzerello!
Vedi? E’ sgarbato come un monello.
Strappa il giornale che tieni in mano;
manda i cappelli lontan lontano.
Tu devi correre fino laggiù,
ma il tuo cappello corre di più.
Intanto il vento, con mano lesta,
fa il parrucchiere sulla tua testa;
e se, per caso, apri l’ombrello,
ti spazza via, presto, anche quello.
Ma che puoi farci? Non t’arrabbiare:
è un birichino e vuol giocare!
(Gianni Rodari)

Il vento
E’ mite carezza
che passa gentile
e tiepida scherza
coi fiori d’aprile
è vasto respiro
lanciato sull’onda
che spinge la vela
in corsa gioconda.
E’ mano che afferra
con dita spiegate
e all’albero strappa
le foglie dorate.
E’ gelido soffio
che scende dai monti
e in ghiaccio tramuta
i rivi e le fonti
così senza posa,
or rapido or lento
si svolge l’eterno
cammino del vento. Ada Negri

Il vento
Ma chi bussa da villano?
corri all’uscio: è già lontano.
Ma chi è quel capo ameno?
porta l’acqua ed il sereno,
sparge i semi per il mondo,
sbuffa e frulla in tondo in tondo,
mena schiaffi e scappellotti,
fischia per i vetri rotti,
ora è dolce e profumato,
ora è proprio uno sgarbato,
corre e vola in un momento…
chi sarà, bambini? Il vento! E. Bossi

Il vento
Orco è il vento che ne bosco,
sta provando il suo vocione
con un viso fosco fosco,
e con tanto di barbone
“Mangerò tutte le foglie,
mangerò tutta la terra
mangerò tutte le nubi,
che lassù si fan la guerra!”
Lo si sente, apre le porte,
e le sbatte forte forte
Con un passo, lo si sa,
spazza tutta la città.

Il vento
Esce di scuola il vento e gioca e fischia
e non ha libri nè berretto in testa;
cerca viole lungo la foresta
e sopra i pioppi dondola e s’arrischia. R. Pezzani

Un prepotente
Non ho riguardi, non conosco regole:
entro dove mi pare
senza chieder permesso,
e se gusto ci piglio,
scuoto, rovescio, sibilo, scompiglio.
Sicuro! E di te pur, ragazzo mio,
anche se sei monello,
me la rido: t’investo,
ti spingo, e se mi frulla,
di colpo, trac, ti porto via il cappello.
Tanto, chi mai mi prende o mi trattiene?
Amo gli spazi liberi,
e, a chi s’oppone, grido,
sfidandoli al cimento:
“Fatti più in là che passa il signor vento!”. Domenico Mantellini

Il vento
Nel colmo della notte, a volta, accade
che ti risvegli, come un bimbo, il vento.
Solo, pian piano, viene per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.
Striscia, guardingo, fino alla fontana;
poi si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case intorno,
tutte le querce, chinate sulla piana. Rainer Maria Rilke

Il vento
Oh, che vento monello!
Ci toglie il cappello,
stronca gli alberi vecchi,
e fischia negli orecchi…
Pure, ai navigli in mare,
le vele fa gonfiare
e trapianta erbe e fiori
come i seminatori.
Tutte pari le cose:
un po’ spine, un po’ rose;
e nessun male avviene,
senza un poco di bene. A. Pozzi

Il vento
Mi piace far dispetti
piegare gli alberetti;
far volare cappelli
e rovesciare gli ombrelli.
Sollevo polveroni,
ma scaccio i nuvoloni;
i panni al sole stesi
o alle finestre appesi
asciugo in un momento:
sono il monello vento!

Il vento
Io sono la brezza
che i fiori accarezza
lo zeffiro alato
che gioca sul prato
son mano gioconda
che scherza con l’onda
respiro sferzante
che spoglia le piante.
Son aspra tormenta
che in alto s’avventa
son fiato pungente
che ghiaccia il torrente.
Mutevole e vario
spietato e bonario
crudele e scherzoso
ignoro il riposo. G. Noseda

Vento
Come un lupo è il vento
che cala dai monti al piano
corica nei campi il grano
ovunque passa è sgomento.
Fischia nei mattini chiari
illuminando case e orizzonti
sconvolge l’acqua nelle fonti
caccia gli uomini ai ripari.
Poi, stanco s’addormenta e uno stupore
prende le cose, come dopo l’amore. A. Bertolucci

Il poeta ozioso
L’arpa d’oro
pende ai salici
il canoro
vento l’agita
non le dita
mie lo tocchino
l’infinita
anima l’animi
l’arpa al vento
al sole oscilla
brilla, squilla. G. Pascoli

Via col vento
Vola vola via col vento
per il vasto firmamento
va vicino, va lontano,
vola al monte, vola al piano
per il vasto firmamento
vola vola via col vento.

Il vento
Zompa per i tetti, sbuffa nei camini
mugghia sui vetri, in rapidi mulini
inferocito sibilando s’alza
poi, gonfio d’ira, a testa bassa incalza
fra un osannante polverume passa
una ruota di tenere fronde
mentre sui muri i tubi delle gronde
sbaccanano con colpi di grancassa. I. Drago

Vento d’autunno
Nella piazza il vento alzò a vela
nembi di polvere e foglie morte.
Graffiava i vetri, urtava le porte
sbandierava per l’alto un lenzuolo.
Poi balzò in cielo, urtò con furore
le sparse nuvole. Latrava, gemeva
con mugolii sordi faceva
il cane del celeste padrone. D. Valeri

Il vento
Oh, ma che fretta, signor spazzino,
con quella scopa sembri un mulino!
“Tutte le strade devo pulire,
perchè la neve possa venire.
Col cappuccio bianco e pulito
non vuole macchie sul suo vestito.
Povere foglie! Dopo il lavoro
ad una ad una, vanno anche loro
ma sulla terra sfiorita e nera
preparan già la primavera!

Il vento
Nell’aria grigia e morta
c’è un’onda di lamento.
Qualcuno urta la porta:
– Avanti! Passi! – E’ il vento.
Vento del Nord che porta
e neve e fame e stento:
la macchia irta e contorta
ulula di spavento.
Passano neri stormi
in frettoloso oblio;
passano nubi informi.
Tutto nell’aria oscura
passa e s’invola; addio
da non so qual sventura. (G. Pascoli)

 Viene il vento

Ecco, ora viene.
Oh, che allegria!
Tutti i cappelli
ci porta via.
Come una palla
li fa ruzzolare.
Ha una gran voglia
ei di scherzare.
Poi se la piglia
coi panni al sole,
che manda in terra
a far capriole.
Fa diventare
matte le fronde,
che si accarezzano
come fan l’onde.
Sibila, spruzza
fa andar tentoni,
scuote le porte,
spazza i balconi.
Poi tace… e quieto
se ne va via
su nell’azzurro…
oh, che allegria! (P. Boranga)

Il vento
In casa. E’ sera.
E’ primavera.
Di fuori sento
fischiare il vento.
Il vento è forte:
sbatte le porte.
Passan pei vetri
ululi tetri.
Guardo di fuori:
vedo bagliori.
Sono le stelle:
sembran più belle,
son lucidate
dalle ventate.
Giù nella strada
la gente  è rada.
Il vento, intanto,
leva il suo canto:
“Io spazzo via
ogni foschia;
dai miei furori
nascono fiori,
e la natura
faccio più pura”.
Ascolto il vento:
qual gioia sento! (M. Castoldi)

Le fatiche del vento
Molto ha da fare il vento con le nuvole,
frivolo armento senza disciplina.
Piace al sole con pompa e con ossequio
d’essere accolto in cielo ogni mattina:
e fin dall’alba, ecco il vento in servizio
a preparargli una regal cortina.
Sul vespro, poi, nuovo apparato!
Gli uomini soglion tra loro chiamar pazzo il vento;
forse perchè si pensa che non debbano
costar fatica alcuna, alcuno stento,
que’ suoi servigi; ma se gli si sbandano
le nubi e il sol se ne va via scontento?
Se ogni villano vuol acqua sul proprio
campicello, e lui, per firmamento,
gira e rigira non trova una nuvola,
quando poche sarebbero anche cento? (Luigi Pirandello)

I camicini
C’è un bucato di camicini
tutti in fila ad asciugare:
bianchi, rosa, celestini
ed il vento ci vuol giocare.
Piglia lo slancio; soffia giocondo;
i camicini si gonfian tutti
come le vele e il sole biondo
in un momento li rifà asciutti.
Uno si stanca, vola sul prato;
due pratoline si piglia a braccetto.
Così bianco e delicao
pare la veste di un angioletto. (G. Facco)

 Il vento
Ecco: è balzato da dietro il monte
e lesto scende giù nelle valli;
porta i capelli scomposti in fronte,
e guida cento pazzi cavalli.
E’ questo il vento. Grande fanciullo,
che scuote peschi, mandorli in fiore,
ruba cappelli per suo trastullo
e canta e fischia di buon umore.
Le nuvolette prende nel cielo,
queste trascina, quell’altre strappa
ne avvolge tutto come in un velo,
ma poi già stanco, lontano scappa.
gioca col sole, ruba i semetti
e li nasconde dove niun sa,
e un bel giorno tanti fioretti
vedi ed esclami: “Come fin qua?”.
E’ questo il vento; ride, schiamazza,
sembra che a tutto faccia la guerra;
ma non ha sempre la testa pazza,
chè niente è vano qui sulla terra. (Teresa Stagni)

Risveglio del vento
Nel colmo della notte, a volte accade
che si risvegli un bimbo,  il vento.
Solo, pian piano vien per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.
Striscia, guardingo, sino alla fontana;
poi si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case,  intorno;
tutte le querce mute. (R. M. Rilke)

Passa il vento
Passa il vento cantando ed accarezza
con le sue dita d’aria la ghirlanda
solitaria dei petali, l’ebbrezza
sottile degli steli. Non domanda
il vento i nomi ai fiori. Esso sa tutto.
Semina in ogni zolla, lieto vola
a rivedere la gemma ed il frutto:
Passa e carezza, ha una buona parola
per ogni erba che germina pian piano,
per la corolla che vacilla e muore
in silenzio nell’angolo lontano.
Proprio per questo l’ha fatto il Signore. (G. Porto)

Passaggio di nubi
Per le piste celesti
vanno le nubi a frotte:
viaggiano di notte
viaggiano nel dì.
A quale pellegrinaggio
s’affrettano ad andare?
Fanno ritorno al mare
di dove ognuna uscì?
Come un’agnella sbandata
cerca il gregge e il pastore
e nel crepuscolo d’oro
si perde il suo belato,
così una scompagnata
nuvola rosa in fretta
scavalca un’alta vetta
scomparendo al di là. (G. Porto)

Il vento
Il vento sta lavando le nubi.
prende una nube nera,
l’impregna d’acqua,
la torce con cura,
la sbatacchia al mulino,
ci bagna i campi,
lava il cielo;
ed ecco sbianca la nube
nera poc’anzi,
pronta ad essere appesa
al filo dell’orizzonte
ad asciugare. (A. M. Ferreiro)

Passa il vento
Ss… ss… sss! Che cosa accade?
Passa il vento per le strade!
Passa il vento freddo, forte:
porta via le foglie morte.
Sss… sss… ss! Eccole, vanno!
Chissà quando torneranno?
Non più il nido sulla rama
che ti parla; che ti chiama!
Non più il nido sotto il tetto:
anche il sole fa un giochetto…
scappa sempre più lontano…
vien la pioggia, piano, piano. (L. Nason)

Il vento
Sentite: chi bussa alla porta
fischiando sì forte?
Adesso è salito fin sopra la torre;
poi scende, borbotta, discorre:
Ancora risale su tetti e camini;
d’n tratto ricade
su piazze, su strade,
arruffa le piume dei passerini
e ruba i berretti ai bambini. (R. Rompato)

T’amo, vento
Io t’amo, vento, enorme
boscaiolo che scendi
fischiando dalle cime
e sbarbichi e scoscendi
e schiomi le foreste,
e ghiacci con un soffio
i fiumi ruinanti
e piombi sulle piane
suonando le campane. (O. Locchi)

Il vento
Esce di scuola il vento e gioca e fischia
e non ha libri nè berretto in testa;
cerca viole lungo la foresta
e sopra i pioppi dondola e s’arrischia… (R. Pezzani)

 Il vento
Guardo il vento e non lo vedo,
lo guardo lungamente e non lo vedo;
vedo solo gli alberi che pregano
e le foglie che corrono tra l’erba.
Guardo il tempo e non lo vedo,
lo guardo lungamente e non lo vedo;
vedo solo i bambini che crescono
e gli uomini che incanutiscono e si curvano. (Anatol E. Baconskj)

Vento d’autunno
Dove vanno le foglie arrossate
che il vento stacca dagli alberi?
Volano e passano; il brusio del vento
è tutto quello che rimane dell’autunno. (K. Saionji)

Tramontana
Oggi una volontà di ferro spazza l’aria
divelle gli arbusti, strapazza i palmizi
e nel mare compresso scava
grandi solchi crestati di bava.
Ogni forma si squassa nel subbuglio
degli elementi;
è un urlo solo, un muglio
di scerpate esistenze: tutto schianta
l’ora che passa: viaggiano la cupola del cielo
non sai se foglie o uccelli – e non son più.
E tu che tutta ti scrolli fra i tonfi
dei venti disfrenanti
e stringi a e i bracci gonfi
di fiori non ancora nati;
come senti nemici
gli spiriti che la convulsa terra
sorvolano a sciami,
una vita sottile, e come ami
oggi le tue radici.
(E. Montale)

Il vento portò da lontano
Il vento portò da lontano
l’accenno d’un canto primaverile,
chissà dove, lucido e profondo
si aprì un pezzetto di cielo.
In questo azzurro smisurato,
fra i barlumi della vicina primavera
piangevano burrasche invernali,
si libravano sogni stellati…
Timide, cupe e profonde
piangevano le mie corde.
Il vento portò da lontano
le tue squillanti canzoni.
(A. Bolk)

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Dettati ortografici LA NEBBIA

Dettati ortografici LA NEBBIA – Una raccolta di dettati ortografici sulla nebbia, di autori vari, per la scuola primaria.

Dettati ortografici LA NEBBIA

La nebbia
Si cammina adagio: non si vede a un palmo dal proprio naso; un odore acre alle narici penetra in gola, l’aratro scricchiola. Il vomere affonda nella porosa bambagia; i rumori giungono attutiti, come echi; gli oggetti appaiono all’improvviso, come ombre sorte dal nulla: la nebbia avvolge tutto, grava su ogni cosa.

La nebbia
Minuscole goccioline scendono dal cielo e rimangono sospese nell’aria. E’ la nebbia. Come un velo sottile si adagia sulle cose e ruba ai colori la loro vivezza. Tutto diventa grigio ed uniforme. Qualche volta riesce a nascondere ai nostri occhi tutto ciò che ci circonda. E allora ci sembra di camminare soli e che intorno a noi si muovano fantasmi. (A. Cittigno)

La nebbia
Non è ancor giunta la sera, ma è quasi buio. Tutto il cielo è occupato da cumuli di nebbie grige posate in cima il monti, da cavalloni di nuvole nere ed immote. Bigio e nero dappertutto. Nella valle un gran silenzio sinistro: s’ode soltanto lo sfruscio del fosso in piena e quello delle foglie gocciolanti che sbattono insieme e fanno un rapido sussurro marino. Giù per le strade in discesa scorre l’acqua motosa in solchi gialli. Poi la nebbia dei fondi, a strati compatti, vien su dalla valle, varca i crinali dei poggi, si rompe, si riaffittisce, ricopre tutto e finalmente si sfalda o fugge, lasciando brandelli fumosi attorno agli alberi fradici. (G. Papini)

La nebbia
E’ un ammasso di vapore acqueo visibile, che si forma sulla superficie della terra e del mare. E’ grigia, compatta, oppure leggera come un velo. In genere non fa male alla vegetazione, ma se il navigante la incontra sul mare, se l’autista vi si trova immerso senza poter più distinguere la strada, allora la nebbia può trasformarsi in un pericolo anche grave.

La nebbia
Una nebbia fitta fitta da tagliare col coltello. Le grandi lampade elettriche paiono lumini ad olio; le persone a tre metri di distanza sembrano fantasmi vaganti; i veicoli procedono lenti fra uno scampanio, uno strombettamento, un gridio che le nebbia affievolisce. I passanti camminano a tratti lesti quando credono di vederci, lenti quando temono di inciampare: si riuniscono in gruppi se devono passare dall’altra parte della via. Attraversare una piazza è un’impresa: non mancano quelli che temono di sbagliare strada. Ognuno col bavero rialzato, con le mani affondate nelle tasche o nel manicotto, pensa alla sua casetta tiepida e illuminata. (P. Bianchi)

La nebbia
Improvvisamente si udì la sirena di un autocarro lacerare la cortina di silenzio e di nebbia che avvolgeva il paesaggio: con un sibilo acuto, e prolungato, da parere che volesse preparare la strada al veicolo come un alfiere mandato avanti a sgombrare il cammino… Poi si udì il respiro affannato del motore, lo sfrigolio delle ruote contro il fango della strada, e il veicolo apparve alla svolta traballante e un po’ tardo. L’autocarro avanzava con faticosa lentezza, le piogge dei giorni passati avevano reso cedevole il fondo stradale: aveva acceso i fari sebbene non fosse ancora scuro, sicchè le due grandi luci appena proiettavano a terra, senza illuminare la via, uno scialbo e corto riflesso sul quale si adagiava l’autocarro avanzando. Anche il rumore del motore sembrava adesso un suono quasi senza significato e come spaesato nell’abbandono dei campi che si stendevano ai lati della strada rotta, allagati dall’acqua caduta abbondante, nelle trascorsi notti. (M. Prisco)

Dettati ortografici LA NEBBIA
Nebbia e gelo
Una nebbia leggera leggera imgombra l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che nasconde, ma dà una bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna. I torrenti sono gelati; le mandrie fumano sdraiate nelle tiepide stalle; i cani giacciono accovacciati; i gatti fanno le fusa accosciati in un angolo del focolare. Solo si vedono di lontano i corvi disegnare una larga macchia nera sulla distesa dei campi deserti; e, di tratto in tratto, a voli brevi, i passeri si slanciano dai comignoli fumanti al piano, e lo scricciolo dal cespuglio alla siepe. (A. Stoppani)

Dettati ortografici LA NEBBIA
La nebbia

Specie nelle regioni settentrionali le nebbie non mancano. Tutto acquista un carattere strano: pare che ogni cosa perda la sua reale consistenza e non sia presente che nei suoi contorni.
Le persone fanno pensare ad ombre vaganti; i suoni sono attutiti; la vita, il movimento, tutto rallenta; nelle vie di città automobili, autobus avanzano con prudenza per scansarsi a vicenda. Problematico e difficile il camminare per i pedoni che si urtano sui marciapiedi ed attraversano timorosi le strade.
Nelle campagne, quando la nebbia le avvolge, regna silenzio. I rumori non giungono lontano, i contadini stanno volentieri nelle stalle. Qui ora è il loro lavoro, poichè nei campi non vi è più nulla da fare se non andare a far legna nei boschi, lungo le sponde dei fossati fiancheggiati da alti alberi, lungo i filari sostenuti da olmi e da gelsi.
E nelle stalle i contadini riparano attrezzi o intrecciano canestri e ceste.
Il sole tenta di comparire, ma i suoi raggi vengono assorbiti dalla spessa coltre di nubi.

I giganti grigi

Uscire di casa con la nebbia è il più gran desiderio di Filippo.
La nebbia viene; e Filippo esce.
La nebbia lo accoglie, gli fa strada: cancella ogni ostacolo davanti a lui. I paracarri, i pioppi, il fosso sono scomparsi. Tutto è bello: ma Filippo non sa più dov’è.
Vorrebbe correre a casa, ma la nebbia gli si stringe attorno. Non è più nebbia. E’ diventata giganti grigi, silenziosi, che lo guardano, immobili. Per fortuna, una voce chiama Filippo. E’ la voce della mamma. Filippo esce dal cerchio dei giganti. Non erano che nebbia. (M. L. Magni)

Sera di nebbia
Una nebbia fitta fitta da tagliare col coltello. Le grandi lampade elettriche paiono lumini a olio; le persone a tre metri di distanza sembrano fantasmi vagolanti; i veicoli procedono lenti tra uno scampanio, uno strombettamento, un gridio che la nebbia affievolisce. I passanti camminano a tratti, lesti quando credono di vederci, lenti quando temono di inciampare; si riuniscono in gruppi se devono passare dall’altra parte della via. Attraversare una piazza è un’impresa: non mancano quelli che temono di sbagliare strada. Ognuno col bavero rialzato, con le mani affondate nelle tasche o nel manicotto, pensa alla sua casetta tiepida e illuminata. (Piero Bianchi)

Nebbia in montagna
Grande era la nebbia. Sulla montagna deserta non si vedevano ne bestie ne uomini. Null’altro che un grigiore infinito. Un fumo freddo saliva tra i piedi, passava sotto le braccia, entrava nella bocca e negli occhi. Il silenzio era così grande da parer sovrumano. Come se tutto il mondo, con tutte le sue cose e le sue voci, fosse piombato nell’abisso senza fine. (G. Zoppi)

Nebbia
La nebbia bassa avvolgeva tutte le cose. Ci si vedeva soltanto a pochi passi di distanza, altrimenti tutto era confuso in una caligine densa, grigia, che smorzava il rumore dei passi e le voci dei passanti. Le lampade accese avevano un alone biancastro e la loro luce era tenue, diafana e blanda.

Nebbia in campagna
Una nebbia leggera leggera ingombrava l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che nasconde, ma dà una bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna. Solo si vedono di lontano i corvi disegnare una larga macchia nera sulla distesa dei campi deserti.; e di tratto in tratto, a voli brevi, i passeri si slanciano dai comignoli fumanti al piano, e lo scricciolo dal cespuglio alla siepe. (A. Stoppani)

Nebbie e brine
Pesanti, si stendevano ora sui campi le nebbie autunnali, restavano più a lungo appese ai cespugli e agli alberi. Sembravano nubi spesse, bianche come il latte e c’era da chiedersi se non fossero scese dal cielo notturno o non fossero uscite dal seno della terra.
Quando finalmente si dissiparono, dopo lunga esitazione, brillò nel bosco un limpido sole, poi fu una mattina dorata, e i prati scintillarono candidi, perchè la brina li aveva ricoperti.

Dettati ortografici LA NEBBIA – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA – Una collezione di dettati ortografici sul ghiaccio e la brina, di autori vari, per la scuola primaria: ghiaccio, gelo, brina, …

Il ghiaccio
Il ghiaccio è duro, trasparente come un cristallo. Si è formato sulla superficie delle pozzanghere, nel fossato, intorno alla fontana, nei crepacci. Sembra che non voglia andarsene mai più, che niente riuscirà a scioglierlo. Ma appena un raggio si sole si poserà sulla superficie ghiacciata, prima ne trarrà barbagli luminosi e poco dopo non ci sarà più ghiaccio, ma un rivolo d’acqua corrente.

La brina
Stanotte il gran freddo ha coperto di brina tutta la campagna. Sembra un ricamo di gelo, con i suoi aghi sottili, i suoi merletti e i suoi ricami. Povere piante, sotto la sua stretta gelata! Le vedremo, presto, con le foglie accartocciate, gli steli appassiti, non più piante rigogliose, ma povere erbe bruciate dal gelo!

Il gelo
Quand’è il momento, la notizia vola in casa, di stanza in stanza, tra colpi alle porte e grida di “Il gelo! Il gelo!” ed anche i più pigri gettano via le coltri e corrono alla finestra. Gli incanti del gelo si formano di solito nel silenzio e nel buio della notte. Una pioggerella sottile cade per ore e ore sui rami spogli degli alberi, e gela. In breve, tronchi, rami e ramoscelli sono rivestiti di ghiaccio solido e puro e gli alberi sembrano come di cristallo. Il tempo si rasserena verso l’alba, lasciando un’aria pura e frizzante, un cielo senza traccia di nuvole, e tutto è immobile; non c’è alito di vento… Infine il sole lancia un fascio di raggi fra gli alberi spettrali e li trasforma in uno splendore di brillanti. (M. Twain)

Il gelo
Uno sguardo al termometro: la colonna del mercurio è scesa sotto zero, all’aperto. E’ il tempo di Mago Gelo che si diverte a decorare le siepi stecchite con gocce ghiacciate iridescenti; a mettere alle grondaie frange di ghiaccioli corti e lunghi; a disegnare sui vetri bellissime felci argentee contornate da foglie di cardo e da stelline dalle mille fantastiche forme; a far sbocciare sugli alberi rigidi fiori di ghiaccio.

Brina
Sui rami, sui tronchi scheletriti, sulle piante che non hanno più nè fiori nè foglie, in una sola notte essa depone tutte le sue stelle. E i giunchi e le canne si ammantano di bianchi fiorellini scintillanti, aggruppati gli uni agli altri, graziosissimi. E così ogni piantina, ogni filo di erba. Dovunque una goccia di rugiada che abbia potuto fermarsi, si è trasformata in migliaia di minuti cristalli sfavillanti. Talvolta sono interi campi che per una forte brinata appaiono coperti di una fioritura candida. E non solo sugli alberi o sull’erba essa si diverte a ricamare le sue trine leggere. Spesso una massa di delicati fiori non è altro che la bizzarra guarnizione depositata dalla brina sopra una pietra qualunque. Le betulle sono rivestite di candidi ghiaccioli scintillanti come argento al pallido e prezioso solicello invernale. (M. Rinella)

La brina
La natura ha mutato veste: smesso il verde, smesse le mille tinte, ha indossato una veste candida e lieve. La brina penetra ovunque, riveste con un magico velo. Le piante hanno rimesso, quasi per incanto, la chioma: ma quella chioma è canuta. I fiori e le foglie son di cristallo; ogni fronda è come un vezzo di diamante; ogni erbetta un serto di gemme. (A. Stoppani)

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA
Paesaggio invernale

Soffiava la tramontana: faceva un freddo del diavolo. Il sole scendeva pallido, scialbo, verso ponente. I ruscelli erano gelati. L’erba alle prode scricchiolava. I salici, con le rame spoglie, rosseggiavano. I pettirossi ed altri uccelli saltellavano, svolazzavano senza paura, da un ramo all’altro. Non si vedeva anima viva pei campi; solo qualche povera donnetta che equilibrava sulla testa il grembiule ripieno di legna secca, o qualche vecchio cencioso che cercava le lumache ai piedi d’una siepe morta. (Mistral)

La brina

La brina è un’artista meravigliosa. Sui rami scheletriti, sulle piante spoglie, sui cespugli inariditi e secchi, in una sola notte sa creare una bianca fioritura mirabile, di una bellezza fantastica e delicata.
I giunchi, le canne, ogni pianticina, ogni filo d’erba, ogni sasso, ogni pietra si vestono di bianchi fiorellini scintillanti, aggruppati gli uni agli altri, graziosissimi. Ovunque una gocciolina di rugiada ha potuto fermarsi, si è trasformata in centinaia di minuti cristalli sfavillanti.

La brina
La notte è stata gelida e serena. La mattina, tutte le piante sono ricamate di bianco. E’ la brina, la fredda sorella della neve; ma, al contrario di questa che giova alle piante e le ripara del gelo, la brina le ferma tutte nel suo gelido abbraccio, le ricama di un merletto ghiacciato, le copre di un sudario di morte.

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA
Una brinata

Che meravigliosa brinata! Tutto investe, tutto penetra la brina. Le piante hanno, quasi per incanto, rimesso la chioma: ma questa è chioma canuta. I fiori e le foglie sono di cristallo. Ogni fronda è una collana di gemme. Che sono mai quelle filze di cristallini che descrivono una curva così vaga fra i rami e sono tese come brandelli di merletto, dall’uno all’altro ramoscello? (A. Stoppani)

Scherzi del ghiaccio
Un vitello era solito sgambettare nella stalla. Imparò a fare giri e mezzi giri. Un giorno d’inverno, nonostante il ghiaccio, lo lasciarono uscire con il grosso bestiame per andare a bere.
Tutte le mucche si avvicinarono all’abbeveratoio con prudenza. Il vitello invece corse sul ghiaccio: la coda dritta, le orecchie abbassate, e si mise a girare in tondo. Fin dal primo giro gli mancò il piede e la sua testa picchiò sull’abbeveratoio.
“Quanto sono disgraziato! Potevo fare piroette nella paglia che mi arrivava al ginocchio e non cadevo, mentre qui, dove tutto è liscio, sono caduto!”.
Una vecchia mucca gli disse: “Se tu non fossi un vitello sapresti che là dove si galoppa con maggiore facilità è più difficile trattenersi dal cadere”-
(L. Tolstoi)

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Poesie e filastrocche sulla NEBBIA

Poesie e filastrocche sulla NEBBIA – una raccolta di poesie e filastrocche sulla nebbia per la scuola d’infanzia e primaria, di autori vari.

Nella nebbia
Stupore!
Ognuno sta solo:
un albero non sa dell’altro,
ognuno è solo. (H. Hesse)

La nebbia
Questa mattina all’alba
il sole tutto intorno
mandò una luce scialba,
e poi che fu nascosto,
parve più lento il giorno,
monotono e piovoso.
Sopra la terra il cielo
si abbassa col nebbione
l’avvolge in denso velo;
come ombre son le cose,
come ombre le persone
passano frettolose,
e ogni viso imbronciato,
anche senza parole
dice: “Sarei beato
di rivedere il sole”. (R. Calleri)

Nella nebbia
E guardai nella valle: era sparito
tutto! Sommerso! Era un gran mare piano
grigio, senz’onde, senza lidi, unito.
E c’era appena, qua e là, lo strano
vocio di gridi piccoli e selvaggi;
uccelli sparsi per quel mondo vano.
E alto, in cielo, scheletri di faggi,
come sospesi, e sogni di rovine
e di silenziosi eremitaggi.
E un cane uggiolava senza fine,
nè seppi donde, forse a certe peste
che sentii, nè lontane nè vicine. (G. Pascoli)

Nebbia
Nebbia, forse sei di festa
con quel lungo velo in testa?
Con un velo così fino
che ti scende fino al piede?
C’è là in fondo un lumicino,
ma si vede e non si vede;
ma la casa non c’è più;
è scomparso il campanile.
Anche il bosco di laggiù.
anche il gregge, anche l’ovile.
Con due salti, ecco, mi celo
nel grigiore del tuo velo. (D. Mac Arthur Rebucci)

La nebbia
La nebbia avvolge ogni cosa;
tutto è coperto da un velo;
un’aria c’è misteriosa
sospesa fra terra e cielo.
E vanno lievi i passanti
nascosti dentro la bruma:
figure vaghe, sognanti,
in quei vapori di spuma.
Il velo fitto s’aduna
così diafano, ovattato;
sembra il sole un’altra lua
tanto è scialbo ed ammalato.
E il berretto d’un piccino,
con la nappa in rossa lana,
dondolante palloncino,
nella nebbia s’allontana. (V. Seganti Pagani)

La nebbia
Sopra la terra il cielo
si abbassa, e col nebbione
l’avvolge in denso velo;
come ombra son le cose
come ombre le persone
passano frettolose,
e ogni viso imbronciato
anche senza parole
dice: “Sarei beato
di rivedere il sole”. (R. Calleri)

Pastello
Dal grigio della nebbia fitta fitta
traspaiono cipressi
ombre nere
spugne di nebbia.
E di lontano diradando lento
viene un suono di campana
quasi spento. (A. Palazzeschi)

Nebbia
Come nuvola caduta
la nebbia è sulla città.
Una torre galleggia sperduta,
sola in bianco mare.
Ma fa che il sole appaia,
fa che torni a brillare
sui tetti e sulla ghiaia!
Dal nulla emergerà
la ben nota contrada
e il cielo rivedrà
l’asfalto della strada. (M. Castoldi)

Nebbia d’inverno
Ho visto la nebbia stamane!
S’alzava fumando contenta,
portando, così sonnolenta,
le cose vicine, lontane.
Lontane, lontane, nel nulla.
Difatti inghiottiva golosa
la strada, la piazza, ogni cosa.
Del mondo restava più nulla.
Ma, in alto, che cielo d’incanto!
Vedevo l’azzurro sfumato
con l’oro del sole levato
tra il cielo e la nebbia soltanto. (L. Davanzo)

 Nebbia
Le fate del bosco
han fatto sparire
sotto veli bianchi
la montagna!
Anche le fronde,
i tetti, il campanile,
il velo della pioggia
li allontana.
Oh, come il mondo
è lieve e si svapora
in questa luce bianca
inargentata!

Nebbia
La nebbia, che bel bello
s’addensa, una bambagia,
lentamente s’adagia
su tutto il paesello,
e il mondo alfin s’appiatta
in quella bigia ovatta.
Forse, forando il velo
soffice, la sottile
punta del campanile
giunge a vedere il cielo?
Ma nel grigiore avvolti
siam tutti, anzi sepolti.
D’un tratto ecco il prodigio;
l’aria di muta e in breve
un venticello lieve
spazza l’uggioso bigio.
Spunta di già un pezzetto
d’azzurro; oh benedetto!
Il sol di nuovo brilla.
Il campanil gigante
e le strade e le piante
e il cuor, tutto scintilla.
Il mondo è un caro viso
su cui torna il sorriso. (F. Bianchi)

Poesie e filastrocche sulla NEBBIA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche I MESI DELL’ANNO

Poesie e filastrocche I MESI DELL’ANNO – una raccolta di poesie e filastrocche a tema, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Mesi
Gennaio porta il ghiaccio sul mantello
febbraio è corto e porta freddo e neve
marzo ha con sè il tempo poco bello
aprile vien con fiori ed aria leve
maggio ha i fiori e il tempo mite
giugno fa biondeggiar le messi d’oro
luglio porta i bagni e lunghe gite
agosto al contadin porta lavoro
settembre mette il vino nelle botti
ottobre getta il seme nella terra
novembre porta le lunghe notti
dicembre abbraccia l’anno e lo sotterra.

L’anno, i mesi e i giorni
Io so, bimbo, d’un albero
che cresce in tutti i siti,
i sami suoi son dodici,
di foglie rivestiti.
Ad ogni ramo pendule
stan trenta foglioline,
addentellate al margine
da ventiquattro spine.
Trapunte d’or, di porpora,
sa un verso scintillanti,
son nell’opposta pagina
oscure e scoloranti.
Ed ogni notte staccasi
dall’albero una foglia
infin ch’ei nudo all’aria
rimane di sua spoglia.
Ma in quell’istante spuntano
le gemme a cento a cento
e i rami si ricoprono
di nuovo vestimento.
Così per anni e secoli
quella vicenda dura;
e l’albero fatidico
del tempo è la misura. (E. Berni)

I dodici fratelli
Gennaio vien tremando
col cappotto e lo scaldino
vien febbraio schiamazzando
in costume d’Arlecchino
marzo porta vento a iosa,
una rondine e due viole
porta aprile un pesco rosa
che ti desta al nuovo sole
maggio canta e da lontano,
tre usignoli fanno coro
giugno tiene nella mano
una spiga tutta d’oro
luglio porta ceste piene
di susine e pesche bionde
porta agosto due sirene
che si specchiano nell’onde
se settembre si fa bello
con tre pampini di vite
reca ottobre un gran fardello
di castagne abbrustolite
poi novembre viene stanco
per la nebbia che l’assale
vien dicembre tutto bianco
con l’abete di Natale.
Sono dodici fratelli
che si tengono per mano
tutti buoni tutti belli,
anno nuovo ti aspettiamo. (G. Noseda)

I mesi dell’anno
Gennaio porta pasqua epifania,
febbraio sciala in maschera per via,
marzo per mano tien la primavera,
aprile d’ogni verde s’imbandiera.
Maggio i giardini sogna delle fate,
giugno dispensa l’oro dell’estate,
luglio ed agosto nella gran calura
godon beati la villeggiatura.
Settembre s’affaccenda per il vino,
ottobre rompe ricci di castagne,
novembre fa canute le montagne,
dicembre esulta davanti al Bambino. (I. Drago)

I mesi dell’anno
Gennaio mette ai monti la parrucca,
febbraio grandi e piccoli imbacucca;
marzo libera il sol di prigionia.
April di bei color gli orna la via;
maggio vive tra musiche d’uccelli,
giugno ama i frutti appesi ai ramoscelli;
luglio falcia le messi al solleone,
agosto, avaro, ansando le ripone;
settembre i dolci grappoli arrubina,
ottobre di vendemmia empie la tina;
novembre ammucchia aride foglie in terra,
dicembre ammazza l’anno e lo sotterra. (A. S. Novaro)

I mesi dell’anno
Gennaio porta gelo e nevicate,
febbraio grandi balli e mascherate,
marzo arriva col vento e le viole,
aprile ha l’erba per le capriole.
Maggio ci dà le rose profumate,
giugno le spighe dal bel sol dorate,
luglio ha le trebbie e sempre gran lavoro,
agosto buone frutta rosse e d’oro.
Settembre mette l’uva giù nel tino,
ottobre cambia il mosto in un buon vino,
novembre butta giù tutte le foglie,
dicembre per il fuoco le raccoglie. (O. Turchetti)

I mesi
Aprendo la sua porta
gennaio tira tira.
Febbraio gamba corta,
lo segue e gira gira.
Va marzo pazzerello
col vento nel cestello.
E sparge i fiori aprile,
sì gaio e sì gentile.
Il maggio par che voli
fra rondin e usignoli.
Poi giugno va beato
di spighe inghirlandato.
E luglio porta il sacco
di candida farina.
Agosto ha la sua sporta
di frutta sopraffina.
S’aggirano settembre
e ottobre dentro il tino.
E mesto va novembre
coi fiori e il lumicino.
Dicembre chiude l’anno
in una stanza oscura.
Ma, furbo, capodanno,
vi scopre una fessura.
Gennaio fa passare
per poi ricominciare
il giro giro tondo
che dura quanto il mondo. (F. Manisco)

Girotondo di dodici fratelli
Girotondo, girotondo!
Quanti sono? Una dozzina.
La farandola mulina
senza posa intorno al mondo.
Quello lì che a stento arranca,
tetro, livido, ingrugnato,
striminzito, infagottato
nella sua mantella bianca,
è gennaio, il primogenito
della bella fratellanza;
a ogni passo della danza,
batte i denti e manda un gemito.
Tien per mano il più piccino
della schiera e il più furbetto;
febbrarin carnevaletto,
detto pure il ventottino.
Lo vedete quant’è buffo
nel vestito d’Arlecchino,
lo vedete il birichino
come ride sotto il ciuffo?
Un sentore di viole…
ecco marzo pazzerello,
piedi nudi e giubberello
ricci al vento e viso al sole.
E’ una gioia rivederlo;
e, se a tratti si fa mesto,
pur si rasserena presto,
e fischietta come un merlo.
Si trascina appresso un bimbo
dolce, pallido, gentile.
Pratolino, ovvero aprile,
che di foglie al capo ha un nimbo.
Bello e caro quel biondino.
Ma più bello e più lucente,
ma più caro e più ridente,
questo qui che gli è vicino.
Maggio, eterno amor del mondo,
per guardarti, per goderti,
si vorrebbe trattenerti
arrestando il girotondo.
Lascia almeno che odoriamo
le tue rose inebrianti;
benedici tutti quanti
con quel tuo fiorito ramo!
Sei già andato! Ecco al tuo posto
sopraggiungere i fratelli
tuoi più simili, i gemelli
buoni: giugno, luglio, agosto.
Nudi sono come l’aria,
ma ciascun porta un suo fregio:
l’uno un ramo di ciliegio
che di frutti ondeggia e svaria,
il secondo ghirlandette
di papaveri fiammanti;
spighe, il terzo, barbaglianti,
in manipolo costrette.
Bravi e validi figlioli,
rosolati al solleone;
saltan come in un trescone
di gagliardi campagnoli.
Ma quest’altro, avviluppato
dentro un nuvolo di veli
azzurrini come i cieli,
è un fanciullo delicato.
E’ settembre, occhi di sogno,
cuore di malinconia:
spande intorno una malia,
ch’ha il profumo del cotogno…
Malinconica non pare
quella faccia rubiconda
che vien dopo, ed è gioconda
la canzon ch’odo cantare:
“Sangue chiaro e sangue fosco
dà la vigna, e noi beviamo
l’uno e l’altro, e salvi siamo!”
Matto ottobre, ti conosco.
Ahi, quei due che vengon ora,
musi lunghi, brutta cera
da ammalati, veste nera
ci predicon la malora!
Tien novembre un ramo secco
all’occhiello del gabbano,
e dicembre nella mano
più non porta che uno stecco.
Nei tasconi del loro saio
racan freddo e amare pene…
Ma vedete, ora chi viene?
Di bel nuovo è qui gennaio…
Girotondo, girotondo,
sono dodici ragazzi,
buoni e tristi, savi e pazzi:
e nel mezzo è il vecchio mondo. (D. Valeri)

I mesi dell’anno
Gennaio porta il ceppo e la Befana
febbraio carnevale e tramontana;
marzo le pratoline e le viole;
le rondinelle aprile e il dolce sole;
salutan maggio gli uccellini in coro;
giugno ha tra il fieno lucciolette d’oro;
luglio è biondo di grano al solleone;
agosto porta frutte dolci e buone;
settembre ha l’uva d’oro e di rubino,
ottobre poi la pigia dentro il tino;
novembre porta i fiori al camposanto,
dicembre culla i semi sotto il manto. (E. Bossi)

I mesi dell’anno
Vien gennaio freddoloso
con la barba di ghiaccioli
sotto il ciel cupo e nevoso.
I suoi undici fratelli
son febbraio, marzo, aprile,
maggio, giugno, luglio, agosto,
poi settembre il più gentile
ed ottobre col suo mosto
ed infin novembre brullo
e dicembre ultimo nato
che riporta nel cuore di ognuno
il bambino tanto sognato.
Che simpatica famiglia
reca sotto il suo mantello!
Nessun mese si somiglia
e a suo modo ognuno è bello.

I mesi dell’anno
Gennaio infreddolito
chiamò febbraio intirizzito
marzo, il burlone
svegliò aprile dormiglione.
Maggio aprì i suoi fiori
giugno uscì coi suoi colori,
luglio portò calura,
agosto recò l’arsura,
settembre andò al mare
e non aiutò ottobre a vendemmiare.
Vicino al camino novembre
aspettava l’ultimo, dicembre.

I mesi dell’anno
Va a sciare il buon gennaio
veste in maschera febbraio
marzo ha tante rondinelle
d’april piove a catinelle
con le rose giunge maggio
con le spighe giugno il saggio
ci fa luglio soffocare
si riposa agosto al mare
a settembre piace il mosto
ha già ottobre a scuola un posto
con le nebbie vien novembre
gioia e feste canta dicembre.

I mesi dell’anno
Dice gennaio: chiudete l’uscio
dice febbraio: io sto nel mio guscio
marzo apre gli occhi e inventa i colori
aprile copre ogni prato di fiori
maggio ti porge la rosa più bella
giugno ha nel pugno una spiga e una stella
luglio si beve il ruscello d’un fiato
sonnecchia agosto all’ombra sdraiato
settembre morde le uve violette
più saggio ottobre nel tino le mette
novembre fa di ogni sterpo fascina
verso il presepe dicembre cammina.

I mesi dell’anno
I bimbi lo sanno
che i mesi dell’anno
tra grandi e piccini
son dodici in tutto.
Se ognuno ha il suo fiore
se ognuno ha il suo frutto
nessuno è tra loro
più bello o più brutto.
Son tutti fratelli
ognuno ha un mestiere
chi cura i piselli
chi porta un paniere
chi pota, chi innesta,
chi ara, chi miete,
chi porta una brocca
di acqua a chi ha sete;
chi versa uno scroscio
di pioggia lucente.
Nessuno sta in ozio
guardando la gente.
Più bella famiglia
nessun vedrà mai.
Son dodici mesi,
e tutti operai. (R. Pezzani)

Girotondo dei dodici mesi
Girotondo sul nevaio
con gennaio e con febbraio
e per marzo pazzerello
girotondo con l’ombrello.
Girotondo al campanile
con la Pasqua dell’aprile
e per maggio ciliegino
girotondo col cestino.
Giugno ai campi, luglio al mare
girotondo da sudare.
Fugge ai monti agosto in fretta
girotondo sulla vetta.
Con settembre ottobre vola
girotondo per la scuola
e novembre, ecco, è già qui
girotondo con gli sci.
Poi, vestito di Natale,
fa dicembre il gran finale
e saluta capodanno
girotondo tutto l’anno.

I mesi
Cari amici il tempo vola
vanno i mesi a malincuore
presto giugno mietitore
verrà a chiudere la scuola
a trovare sotto il sole
fra boschetti, prati, aiuole,
ecco luglio un po’ monello
con agosto suo fratello.
Porteranno tanti doni
profumati, freschi, buoni!
Poi settembre canterino
farà festa nel vigneto
ed ottobre ancor più lieto
pigerà l’uva nel tino.
Oh, davvero il tempo vola
bimbi miei, si torna a scuola!
Di novembre poverello
parleranno le castagne
poi dicembre vecchiarello
stenderà sulle montagne
un gran manto di candore
darà gioia ad ogni cuore
e in un canto di bontà
anche l’anno finirà.

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche LA BRINA E IL GELO

Poesie e filastrocche LA BRINA E IL GELO – una raccolta di poesie e filastrocche sulla brina e sul gelo, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Brinata
Non è neve: men candida,
più sfumata fioritura,
esalata nel silenzio,
della magica natura.
Nella notte l’incantesimo
si fermò tra gli alti rami,
stese lento in mezzo agli alberi
le sue trine e i suoi ricami.
Ma la trama ormai dissolvesi,
vinta dal sol che già l’ha tocca;
un gocciar di gravi lacrime,
piove intorno, intorno fiocca. (G. Bertacchi)

Brinata
La terra era squallida e grigia
e grigio e monotono il cielo;
l’inverno riaprì la valigia
e poi disse al gelo:
“Ricama con mano gentile
quest’umida nebbia sottile!”
Il gelo si mise al lavoro:
sui penduli rami tremanti
profuse, con arte, un tesoro
di perle, e diamanti,
e, all’alba del nuovo mattino,
la terra fu tutta un giardino. (R. Calleri)

Il gelo
Dormiva la vallata nella notte serena:
s’affacciò il gelo e disse: “Bene, mi sento in vena!
Quest’ora è tranquilla, nessuno sta a vedere
e si lavora in pace. Mi fa proprio piacere.
Io non somiglio punto a quei furioni
miei parenti, la grandine, il vento, gli acquazzoni.
Quanto fracasso fanno! Par non ci sian che loro
e sciupano ogni cosa. Io sto zitto e lavoro.”
Così borbotta il gelo, ride la luna piena
mentr’ei va silenzioso per la notte serena. (C. Del Soldato)

Nebbia e brina
Nebbia, che cosa hai fatto!
Un velario di seta.
Ogni cosa è segreta
a un tratto.
Che ricamo, che trina,
quanti gioielli intorno!
Li dona al nuovo giorno
la brina. (D. Rebucci)

Brina
Lo squallido rosaio
sotto il freddo rovaio
s’è coperto di brina.
Ogni fronda, ogni spina
porta un fiore, una stella.
Il passero saltella
sui bianchi ciuffi e spera:
“C’è forse primavera?” (O. Visentini)

Brina
La nebbia del mattino
s’impiglia come un velo,
tra i rami del giardino
scintillanti di gelo:
è la brina, la lieve
sorella della neve.
Ella tesse ricami
minuti, di bianche perline,
su tutti i rami
e sulle foglioline;
fa un candido contorno
ad ogni cosa intorno.
Ieri non c’era niente:
in una notte il vago
lavoro diligente
fu fatto, a punta d’ago.
Com’è svelta e felice
questa ricamatrice! (Puck)

Fiori di ghiaccio
Mentr’io dormivo
oh, quanti strani fiori
sulla finestra
ha disegnato il gelo!
Fiori di ghiaccio, i cui steli ricurvi
compongono arabeschi fantasiosi.
Belli davvero!
Ma il fiato li scioglie,
subito.
Di quel magico giardino che resta?
Un par di lacrime sul vetro…

Il gelo
Dormiva la vallata nella notte serena;
s’affacciò il Gelo e disse: “Bene, mi sento in vena!
Quest’è un’ora tranquilla, nessuno sta a vedere
e si lavora in pace. Mi fa proprio piacere.
Io non somiglio punto a tutti quei furioni
miei parenti, la grandine, il vento, gli acquazzoni.
Quanto fracasso fanno! Par non ci sian che loro
e sciupano ogni cosa. Io sto zitto e lavoro”.
Così borbotta il Gelo; ride la luna piena
mentr’ei va silenzioso nella notte serena. (C. Del Soldato)

Il gelo
Dimmi il segreto, candido gelo:
hai imparato forse nel cielo
a far sui vetri i tuoi ricami,
così fantastici di foglie e rami?
Metti alle piante rari merletti,
ghiaccioli a frangia cuci sui tetti;
doni alle siepi mille trafori,
dispensi ai campi gelidi fiori:
fredda bellezza che fa sognare,
mistero eterno che fa pensare. (T. Romei Correggi)

 

Il gelo
Al sole ch’è malao
certo il gelo è molesto,
e si corica presto
poichè s’è tardi alzato.
Con braccia scarne aiuto
chiede il gelso e il cipresso
trema per freddo acuto
nel suo mantello stesso. (V. Bettolini)

L’arrivo di Mago Gelo
Dormiva la vallata nella notte serena.
S’affacciò il  Gelo e disse: -Bene, mi sento in vena.
Questa è un’ora tranquilla: nessuno sta a vedere
e si lavora in pace. Mi far proprio piacere.
Io non somiglio proprio a quei furioni
miei parenti: la grandine, il vento, gli acquazzoni;
quanto fracasso fanno! Par non ci sian che loro,
e sciupano ogni cosa. Io sto zitto e lavoro.-
Così borbotta il Gelo: ride la luna piena
mentre lui va silenzioso nella notte serena;
e viene alle casette della valle silente;
e alle chiuse vetrate soffiando lievemente
va ricamando trine così fini e istoriate
come il meraviglioso mantello delle fate.
E dappertutto dove, alitando si arresta,
al lume della luna d’un tratto ecco una testa
di fiori scintillanti, di candidi alberelli,
di brillanti alucce di farfalle ed uccelletti;
ecco templi d’argento dalle guglie lucenti
e intricate foreste dai rami trasparenti.
Ogni cosa s’adorna di bianco luccichio:
-Eh- dice Mago Gelo -se mi ci metto io!-
(Camilla del Soldato)

Brinata
La terra era squallida e grigia,
e grigio e monotono il cielo;
l’inverno riaprì la valigia
e poi disse al gelo:
“Ricama con mano gentile
quest’ultima nebbia sottile”.
Il gelo si mise al lavoro;
sui penduli rami tremanti
profuse con arte un tesoro
di perle e diamanti;
e all’alba del nuovo mattino
la terra fu tutta un giardino.
Il sole dai monti si affaccia
i candidi fiori a guardare,
la nebbia fumosa discaccia,
li viene a baciare;
e allora si rompe l’incanto.
I fiori si sciolgono in pianto. (R. Calleri)

Brina
Che rovina nell’orto in tre brinate!
Squallido tutto e morto;;
spogliato il susino, rigido il pero;
tre bianche mattinate
orbar di fiori l’orto,
fecero un cimitero.
Ultime, e al cuor per questo più soavi,
rose cadute qua, là fucsie a terra
non più pendule e gravi;
beate le viole nella serra!
Più non sta tra le sue foglie il fico:
trovarne uno grinzoso ed infermiccio
tra quegli stecchi è un caso;
non tiene più un racimolo il viticcio
e l’amorin nel vaso langue. (E. Giardini)

Brinata
Non è neve: men candida,
più sfumata fioritura,
esaltata nel silenzio
della magica natura.
Nella notte l’incantesimo
si fermò tra gli altri rami,
stese lento in mezzo agli alberi
le sue trine e i suoi ricami,
ma la trama ormai dissolversi,
vinta al sol che già l’ha tocca;
un gocciar di gravi lacrime
piove intorno, intorno fiocca. (G. Bertacchi)

Brinata
Ve’, che gli alberelli stamattina
all’improvviso fecero i fiori
belli ed orditi come la trina,
che sanno fare le ricamatrici!
Ieri ogni cimarella avea una spina,
come che fosse una spina d’amore,
oggi una rama porta un grumolo,
tutto bello nel suo candore;
e c’è Mariella dalla balconata,
che lascia l’anima su questi fiorellini,
fatti di niente, fatti di brina,
e riguardando or questi e or quelli,
gode e non s’accorge che in un subito,
dileguano tutti come tante stelle. (V. De Simone)

La brina
Già la brina s’è levata,
la campagna ha ricamata.
Con le perle, col diamante
che scintilla al nuovo sole
ha adornato già le piante,
e sentieri, prode, aiuole.
E salta sopra il tetto
della mia modesta casa
ha disteso il suo merletto
lungo tutta la cimasa.
Come splende la mattina
al passare della brina! (R. Rebucci)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche sulla neve

Poesie e filastrocche sulla neve – una raccolta di poesie e filastrocche sulla neve, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La neve
Neve bella,
fatta a stella,
bianca neve,
lieve lieve
vienmi in mano,
piano piano
Sei per poco
dolce gioco,
dolce gioco
in mille fiocchi
che mi frullan
sotto gli occhi. (Ada Negri)

Scenetta bianca
Da un bel boschetto a far la serenata
la luna tutta bianca s’è affacciata:
sono i monti, le valli, le colline
tutti sparsi di pecore piccine.
La luna ride un poco: un faggio stanco
dorme sognando un gran cappuccio bianco.
Sola sul monte una chiesetta in pace
con la pupilla d’oro guarda e tace. (Luisa Nason)

Nevica
Sopra i tetti, sulle strade
piano piano, lieve lieve
cade giù la bianca neve.
Danza, scherza, su nell’aria,
si rincorre, si riprende
e poi lenta lenta scende.
Come candida farfalla
che è già stanca del suo volo
si riposa sopra il suolo
ed in breve lo ricopre
d’un uguale bianco manto:
sembra tutto un dolce incanto. (P. Guarnieri)

C’è una bimba
C’è una bimba che spazza davanti alla sua porta!
La bimba è piccola e la granata è corta;
la neve è tanta tanta che copre la città:
a spazzarla via tutta chi mai ci arriverà?
Ci arriveremo tutti, se ognuno spazza un po’…
la bimba è piccolina, ma fa quello che può. (L. Schwarz)

Il gelo
Dormiva la vallata nella notte serena:
s’affacciò il gelo e disse: “Bene, mi sento in vena!
Quest’è un’ora tranquilla, nessuno sta a vedere
e si lavora in pace. Mi fa proprio piacere.
Io non somiglio punto a quei furioni
miei parenti, la grandine, il vento, gli acquazzoni.
Quanto fracasso fanno! Par che ci sian che loro
e sciupano ogni cosa. Io sto zitto e lavoro.”
Così borbotta il gelo, ride la luna piena
mentr’ei va silenzioso per la notte serena. (Camilla Del Soldato)

Neve
Cade la neve a falde larghe e piane,
da ore e ore, senza mutamento.
Non una voce; non un fil di vento;
non echi alle casupole lontane.
Nei boschi e nelle immense Alpi lontane
ogni soffio di vita sembra spento.
Sotto quel bianco ammanto è un sognar lento
di piante, d’erbe e di speranze umane. (Ada Negri)

Paese nuovo
Il bimbo guarda alla finestra i fiocchi
taciti, ch’empion turbinando l’aria;
guarda la strada bianca e solitaria,
che non ha che un ombrello e due marmocchi.
E guarda la casina dirimpetto,
ch’è agghiacciata dal vento e dalla bruma.
ma che pur nel silenzio algido fuma
con la pipa del suo comignoletto.
Sorride il bimbo nel suo caldo covo,
ed è stupito perché i fiocchi, a un tratto,
d’un paesello nero e vecchio han fatto
un paesello tutto bianco e nuovo. (Marino Moretti)

La neve e la culla
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca,
canta una vecchia, il mento sulla mano,
la vecchia canta: “Intorno al tuo lettino
c’è rose e giglio, tutto un bel giardino:”
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta… (G. Pascoli)

Nevicata
C’è la mostra del bianco. Ecco, ogni cosa
lentamente si veste di candore.
Lieve cade la neve senza posa…
Quanto biancore!
Son di bambagia i tetti diventati,
di lattemiele sembrano i camini;
le gronde e i cornicioni sono ornati
di trine fini.
Tra le farfalle bianche della neve
spaurito vola, nero, un uccellino.
Nell’aria si disperde il fumo lieve
d’alto camino.
All’improvviso appare un po’ di rosa,
lassù, nel cielo, fra la neve bianca;
ma vince ancor la neve silenziosa,
e il rosa imbianca. (A. Castoldi)

Fiocchetti bianchi
Candida, lieve,
morbida, fina,
questa mattina
scende la neve.
I fiocchi bianchi
mi sembran ali:
sui davanzali
si posan stanchi.
Dal grigio cielo,
su prati e fonti,
su chiese e ponti,
stendono un velo.
Vestono i rami
d’alberi spogli;
i sassi grami
sembrano scogli.
In girotondo
copron la siepe;
adesso il mondo
pare un presepe. (C. Ronchi)

Nevicata
Nevica; l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi: un balbettio di pianto;
passa una madre: passa una preghiera. (G. Pascoli)

Canzoncina della neve
Dal cielo tutti gli angeli
videro i campi brulli
senza fronde né fiori,
e lessero nel cuore dei fanciulli
che amano le cose bianche.
Scossero le ali stanche
di volare.
E allora scese
lieve lieve
la fiorita di neve. (O. Visentini)

La neve
Ieri sull’alto colle,
oggi nel piano arato,
la neve è sulle zolle,
e copre il seminato.
“Buon raccolto di grano!”
fa il provvido bifolco;
ma un passerotto invano
cerca l’amico solco.
E saltella leggero,
e pare quasi stanco,
piccolo punto nero
sopra l’immenso bianco. (Rubber)

La neve
Danzi nel cielo, candida e lieve,
o bella neve.
Poi silenziosa, distendi al suolo
il tuo lenzuolo.
“Uh com’è freddo questo mantello!”
geme l’uccello.
E i poverelli dicon sgomenti:
“Ah quanti stenti
e quanto freddo patir si deve
con questa neve!”.
Dicono i bimbi: “Andremo a sciare
e a scivolare,
a fare palle e un fantoccione
tutto burlone:
la pipa in bocca, i baffi neri,
gli occhi severi…”.
Dice contento il campagnolo:
Non gela il suolo
sotto la neve: e il chiccolino
sta ben caldino!”. (T. Romei Correggi)

La neve
Sui campi e sulle strade,
silenziosa e lieve,
volteggiando, la neve cade.
Danza la falda bianca,
nell’ampio ciel, scherzosa,
poi sul terren si posa stanca.
In mille immote forme,
sui ceppi e nei giardini dorme.
Tutto dintorno è pace:
chiuso in oblio profondo,
indifferente , il mondo tace. (Ada Negri)

Nevicata
Nevica: l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve:
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco con un tonfo lieve. (G. Pascoli)

Povero pettirosso!
Eccolo lì, povero pettirosso!
Con la neve, per lui c’è carestia;
e chi sa mai quanta malinconia
si sente addosso…
Nè bacche, nè granelli, eh, poverino!
e le belle giornate son lontane…
Li vuoi questi minuzzoli di pane,
pettirossino? (C. Del Soldato)

Neve bella
Neve bella, fatta a stella,
bianca bianca, lieve lieve,
vienmi in mano, piano piano,
sei, per poco, dolce gioco;
dolce gioco in mille fiocchi
che mi frullan sotto gli occhi.

Allegria sulla neve
Sulla neve è ritornata
l’allegria dei ragazzi:
c’è chi ride, c’è chi canta,
chi bersaglia i bei pupazzi.
Tutti bianchi, incappucciati,
van correndo qua e là;
sono allegri, spensierati,
pien di gran serenità. (V. Battù)

Nevicata
Le casette
stupefatte
sono bianche
come il latte.
Tutto è bianco,
monte e valle…
è un diluvio di farfalle.
Lungo i tetti
sopra i rami,
che merletti
che ricami!
Che stupore
per gli uccelli!
Che cappucci
sugli ombrelli! (P. Ruocco)

Ballatella della neve
In una casetta
dell’Alpe lontana
dimora una vecchia
fra biche di lana:
di soffice lana
di sue pecorelle
da essa tosate
a un lume di stelle;
ed ora la dona
al vento che in breve
la muta in fiocchetti
di candida neve.
Mulina, mulina
nell’aria gelata
la morbida lana
così trasformata!
Che gioia vederla!
Per tutta la valle
è come una danza
di lievi farfalle:
un piover giocondo
di piume d’argento
che cambia, oh portento
la scena del mondo.
Intanto, dal cavo
d’un buio crepaccio
or esce un vegliardo
con barba di ghiaccio.
Che torbido sguardo,
che cera stizzosa!
Al freddo suo fiato
s’ammala ogni cosa…
Ei spegne le foglie
sugli alberi foschi,
discaccia gli uccelli
lontano dai boschi,
trasmuta le fonti
in lastre di vetro
e brontola brontola
un monito tetro.
Ma sotto la neve
e bulbi e radici
riposano in pace
sicuri, felici.
E sognan l’aprile
e il sole giocondo
che ancor farà verde
la scena del mondo. (G. Striuli)

Fata bianchina
La sai tu la storia di Fata Bianchina
che soffice, cheta, dal cielo calò?
Tranquilla discese, una grigia mattina
e il candido manto su tutto gettò-
I bimbi, felici, batteron le mani,
i passerottini gemeron “Ci ci”.
Guardò il contadino sui campi lontani
e disse contento: “Va bene così”.
Ma il sole col vivido disco di fuoco
nel cielo schiarito a un tratto brillò
e Fata Bianchina dovè, a poco a poco
disfarsi nel pianto. Così se ne andò. (P. Bianchi)

Neve
Dal cielo tutti gli angeli
videro i campi brulli
senza fronde nè fiori,
e lessero nel cuore dei fanciulli
che aman le cose bianche.
Scossero le ali stanche di volare
ed allora discese lieve lieve,
la fiorita neve. (U. Saba)

Neve
Giù dal cielo grigio grigio
zitta zitta, lieve lieve
lenta lenta, bianca bianca
sulla terra vien la neve.
Mille bianche farfalline
fanno il manto alle colline
mille candide farfalle
tintinnando
fanno ai campi un bianco scialle
mille fiocchi immacolati
danno ai monti, ai boschi, ai prati
alle strade, ai tetti, al suolo
un bellissimo lenzuolo
i bambini guardan fuori
e non apron più la bocca
e la neve lenta lenta
scende scende, fiocca fiocca. (Ruocco)

Neve
Le casette stupefatte,
sono bianche come latte
tutto è bianco, monte e valle,
è un diluvio di farfalle
lungo i tetti, sopra i rami,
che merletti, che ricami.

La nevicata
Sulla campagna squallida e pensosa
scende la neve, a larghi fiocchi e lenti,
e sui morbidi strati rilucenti
immacolata e tacita si posa.
Scende d’un fitto vel, copre ogni cosa;
copre casette, ponti, acque dormienti;
e colma fossi, imbianca bastimenti
e scende senza fine e senza posa. (E. De Amicis)

Neve
Cadono i fiocchi
ma non si posano subito.
Restano un poco in alto
esitano sospesi,
come cercassero
un posto pulito
per riposare e raccogliersi. (G. Serafini)

Sgocciola la tettoia
Dalle nuvole rotte
il sole ad intervalli
in berretta da notte
mette fuori la faccia stralunata
sbadigliando di noia.
E frattanto, di neve disgelata
sgocciola la tettoia
come il nasuccio d’uno scolaretto
che smarrì il fazzoletto.
Al margine del fosso
squittisce un pettirosso. (A. Ghislanzoni)

Fiori di neve
Petali bianchi
nell’aria greve.
Fiori di neve
sui rami stanchi.
Sul verde tenero
del nuovo grano
s’adagian piano
gigli e asfodeli:
fiorita lieve
che ignora stelo…
Gemme del cielo
fiori di neve. (M. Castoldi)

Tracce sulla neve
Chi è passato di qui?
Un bruno cervo timido.
Chi è passato di là?
Un coniglietto trepido,
un orso vecchio e placido.
Chi è passato di qui?
Un topo velocissimo
che corre al suo cunicolo
tiepido e comodissimo. (K. Jackson)

La neve
Giù dal cielo
grigio grigio,
zitta zitta,
lieve lieve
lenta lenta
bianca bianca
sulla terra
vien la neve.
Mille bianche
farfalline
fanno il manto
alle colline,
mille candide
farfalle
tintinnando,
fanno ai campi
un bianco scialle.
Mille fiocchi immacolati
danno ai monti,
ai boschi, ai prati,
alle strade,
ai tetti, al suolo
un bellissimo lenzuolo.
I bambini guardan fuori
e non aprono
più bocca
e la neve
lenta lenta
scende, scende,
fiocca, fiocca. (Ruocco)

Nevica
Le casette stupefatte
sono bianche come latte.
Tutto è bianco, monte e valle…
E’ un diluvio di farfalle.
Lungo i tetti, sopra i rami,
che merletti! Che ricami!
Che stupore per gli uccelli!
Che cappucci per gli ombrelli!

Ballatella della neve
In una casetta dell’alpe lontana
dimora un vecchia fra sacchi di lana;
di soffice lana di sue pecorelle
da essa tosate a lume di stelle;
ed ora la dona al vento che in breve
la muta in fiocchetti di candida neve.
Mulina, mulina, nell’aria gelata
la morbida lana così trasformata!
Che gioia vederla, per tutta la valle
è come una danza di lievi farfalle:
un piover giocondo di piume d’argento
che cambia, oh portento!
la scena del mondo.
Ma sotto la neve e bulbi e radici
riposano in pace sicuri e felici,
e sognan l’aprile e il sole giocondo
che ancor farà verde la scena del mondo.

Inverno
Ma cosa accade?
Guardati intorno!
Alberi spogli
e breve il giorno.
Oh quanto freddo
lungo le strade
forse tra poco
la neve cade.
Con questo freddo
dentro restiamo
e un ritornello
insiem cantiamo.

Inverno
Il ghiaccio e la neve
copron la terra
Il rigido gelo
gli alberi afferra.
I rami si piegano
al fischio del vento.
S’ode nel bosco
un triste lamento.
Ma sotto la terra
umida e scura
il seme prepara
la vita futura.

Nella siepe
Nella siepe tutta spini
son rimasti gli uccellini
perchè il rovo e il biancospino
il sambuco e l’agazzino
hanno bacche colorite
nutrienti e saporite.
Ma lombrichi e chioccioline
ricci, serpi, e formichine
la lucertola curiosa
e il ramarro che riposa
stan nascosti a sonnecchiare
finchè il sol potrà tornare.
Stan nascosti giorno e sera
aspettando primavera.

Neve
Scendono le stelline
dal cielo a mille a mille
avvolte in bianco velo
la terra desolata
copron silenti e pure
d’una coltre gemmata.
Benedice la madre
quel prezioso mantello
ed il cielo saluta
col sorriso più bello. (G. Noseda)

La neve
Sui campi, sulle strade,
silenziosa, bella, lieve,
volteggiando già la neve, cade.
Danzan fiocchi bianchi
contro il cielo rosa
poi a terra posan, stanchi.
Su mille immote forme
sui tetti e sui camini
sui cippi e sui giardini, dorme.
Tutto intorno è pace
chiuso in oblio profondo
indifferente il mondo, tace. (Ada Negri)

La neve
Bianca neve silenziosa
scendi lieve senza posa.
Eri pioggia su nel cielo
t’ha gelato il crude gelo
ogni goccia fu stellina
bianca neve piccolina.
Ora scendi bianca e bella
ogni fiocco è una stella
così bianca resterai
finchè al sol ti scioglierai.
Bianca neve silenziosa
scendi scendi senza posa.

La canzone della neve
Sotto il morbido mantello
della neve immacolata
dorme l’erba scolorata
dorme nudo l’alberello.
Dorme il ghiro, dorme il tasso
la lucertola si stira
lo scoiattolo sospira
con un suon di contrabbasso.
Ma nel solco che lo serra
veglia il seme di frumento
lo vedremo al sole, al vento,
rinverdir tutta la terra.
Lo vedremo al tempo bello
d’oro il campo rivestire
finge intanto di dormire
sotto il candido mantello.

Cade lenta, silenziosa,
bianca, soffice, la neve,
è una danza misteriosa
di farfalle, lieve, lieve.
Senza fretta, piano piano,
si distende il bianco manto,
si ricopre il monte, il piano,
la natura è un dolce incanto.

Sotto la neve pane
Cadde la neve, ma non fu tormenta
sì cadde come fa quando rimane
un bianco sfarfallio nell’aria spenta
un morbido calar di bianche lane.
E da prima infiorò le rame, i fusti,
le nude siepi, tutti i secchi arbusti.
Poi disegnò come di netto smalto
i margini, le prode, ogni rialto.
Poi s’allargò, s’alzò a mano a mano
stese una coltre là dal monte al piano.
Sii benvenuta, neve. La sementa
non crescerà precoce in spighe vane
chè la fredda tua coltre l’addormenta.
Io sento dir: “Sotto la neve, pane!”. (P. Mastri)

Giorno di neve
Scende scende lieve e bianca
sulla terra così stanca
scende lenta lenta lenta
e la valle si addormenta.
Notte serena.
Dorme, sogna, mentre il cielo
torna azzurro, senza velo,
e sorride una stellina,
alla valle piccolina.

La prima neve
Questa mattina
quando apersi gli occhi
guardai dalla finestra
vidi la neve
che cadeva a fiocchi
sulla strada maestra.
Tutto era bianco:
il tetto ed il cortile
e avea un cappello bianco
il campanile.

La neve
Dorme la neve, dorme
in mille strane forme
sui sentieri, sulle strade,
sui fossati, sulle case,
sui tetti, su campagne,
su poggi, su montagne,
su quel tappeto bianco
dorme l’inverno stanco.

La neve
Fiocca fiocca, neve bianca,
fiocca fiocca, non si stanca.
Posa qua, posa là,
alla terra un manto fa.

Nevicata
Nevica: l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco;
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera:
passano i bimbi: un balbettio di pianto;
passa una madre; passa una preghiera. (G. Pascoli)

La danza della neve
Neve, neve, scendi lieve
sopra i campi e le contrade;
neve, copri col tuo manto
boschi e case, tutto quanto;
neve, scuoti, bianca e bella,
il tuo vel di reginella.
Sulla terra che rinserra
il tesor del contadino
mille chicchi, mille semi,
scenda in fiocchi il tuo mantello,
bianco bianco… fino fino,
e niun chicco al freddo tremi!
Verrà il sol di primavera
dispiegando una bandiera
di roselle e gigli e viole:
da ogni chicco il fusticino
s’alzerà lieto nel sole,
verde verde, fino fino.
Scendi, scendi, o reginella,
tutta bianca pura e bella,
scendi piano piano piano…
Benedice il contadino
il tuo manto fino fino,
chè la neve è madre al grano. (Hedda)

Ballatella della neve
In una casetta
dell’Alpe lontana
dimora una vecchia
fra biche di lana:
di soffice lana
di sue pecorelle
da essa tosata
a un lume di stelle;
ed ora la dona
al vento che in breve
la muta in fiocchetti
di candida neve.
Mulina, mulina,
nell’aria gelata
la morbida lana
così trasformata!
Che gioia vederla!
Per tutta la valle
è come una danza
di lieve farfalle:
un piover giocondo
di piume d’argento
che cambia
oh portento
la scena del mondo.
Ma sotto la neve
e bulbi e radici
riposano in pace
sicuri e felici,
e sognan l’aprile
e il sole giocondo
che ancor farà verde
la scena del mondo.
Ma sotto la neve
e bulbi e radici
riposano in pace
sicuri, felici,
e sognan l’aprile
e il sole giocondo
che ancor farà verde
la scena del mondo.
Intanto, dal cavo
d’un buio crepaccio
or esce un vegliardo
con barba di ghiaccio.
Che torbido sguardo,
che cera stizzosa!
Al freddo uso fiato
s’ammala ogni cosa…
Ei spegne le foglie
sugli alberi foschi,
discaccia gli uccelli
lontano. (G. Striuli)

Orfano
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;
canta una vecchia, il mento sulla mano.
La vecchia canta: “Intorno al tuo lettino
c’è rose e gigli, tutto un bel giardino.”
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta… (G. Pascoli)

Neve
Candida, lieve,
quasi danzando
scende la neve
infiocchettando
l’albero spoglio
che dorme e spera
qualche germoglio
per primavera.
La neve cade
cade silente
copre le strade
morbidamente,
mette il mantello
alla montagna,
uno più bello
alla campagna
che si riposa;
imbianca i tetti
veste ogni cosa,
di bei fiocchetti,
semina un velo
immacolato
tessuto in cielo
e sbriciolato
sopra la terra
ch’è vecchia e stanca,
vi si rinserra,
diventa bianca,
e serba in cuore
gelosamente,
sotto il candore
tanta semente. (M. Voltolini)

Neve

Dal cielo tutti gli angeli
videro i campi brulli,
senza fronde nè fiori
e lessero nel cuore dei fanciulli
che aman le cose bianche.
Scossero le ali stanche di volare
ed allora discese lieve lieve
la fiorita neve.
(U. Saba)

L’uomo di neve
Bella è la neve per l’uomo di neve,
che ha vita allegra anche se breve
e in cortile fa il bravaccio
vestito solo d’un cappellaccio.
A lui non vengono i geloni,
i reumatismi, le costipazioni…
Conosco un paese, in verità,
dove lui solo fame non ha.
La neve è bianca, la fame è nera.
E qui finisce la tiritera. (Gianni Rodari)

Neve
Poveretto chi non sa
sciare nè pattinare.
Di tanta neve, che ne fa?
Tutto quel ghiaccio non gli serve a nulla.
Di tanta gioia lui non può godere:
al massimo si farà
una granita in un bicchiere. (Gianni Rodari)

Neve
Una danza di pazze farfalle,
questa notte ha tramato un tappeto
che si stende dal monte alla valle.
Or non s’ode il più lieve sussurro;
tutto il mondo è coperto d’argento,
tutto il cielo asfaltato d’azzurro… (T. Colsalvatico)

Neve
Cade la neve a falde larghe e piane,
da ore e ore senza mutamento.
Non una voce; non un fil di vento;
non echi alle casupole lontane.
Nei boschi e nelle immense Alpi lontane
ogni soffio di vita sembra spento.
Sotto quel bianco ammanto è un sognar lento
di piante, d’erbe e di speranze umane. (A. Negri)

Nevicata
Dalle profondità dei cieli tetri
scende la bella neve sonnolenta,
tutte le cose ammanta come spettri;
scende, risale, impetuosa, lenta,
di su, di giù, di qua, di là, s’accenta
alle finestre, tamburella i vetri…
Turbina densa in fiocchi di bambagia,
imbianca i tetti ed i selciati lordi,
piomba, dai rami curvi, in blocchi sordi…
Nel caminetto crepita la bragia… (G. Gozzano)

Ricami di neve
Il gelo appende calici
di vetro dalle gronde,
il fiato stende impronte
di fiori sui cristalli.
L’alba cuce vivagni
di seta gialla e rosa
lungo la luminosa
curva delle montagne.
Sul manto della neve
ci sono orme di stelle:
le han lasciate gli uccelli,
tante, col piede lieve.
Ci sono orme in fila
di chiodi a croce, ad arco,
che hanno segnato un varco
profondo sulla via:
di qua e di là le siepi
sono sparse di trine
fragili, senza fine,
soffici come sete;
e i rami scheletriti
per i campi ed i prati
si sono ritrovati
a un tratto rifioriti.
Il passo vagabondo
d’un felice bimbetto
va segnando un merletto
sul candore del mondo. (G. Porto)

Come petali
Nella bigia aria sciamano
i fiocchi della neve,
come petali che cadono
da invisibili rame.
C’è un silenzio, che pare
stia per compiersi un miracolo.
I bimbi lascian di giocare e guardano
con uno stupore che li fa docili.
Si metton le fantasie
in chi sa quale viaggio
per chi sa quale reame.
I poveri vecchi si fan coraggio
sospirando avemarie. (I. Drago)

Neve
Nevica: l’aria brulica di pianto;
la terra è bianca; neve sopra neve:
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade nel bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera. (G. Pascoli)

Nevicata
Su in cielo, un immenso fatato giardino,
v’è certo di mandorli in fiore!
Stamane di sopra il grigiore
qualcuno li ha scossi giocondo,
e i fiori, sfacendosi piano,
cadere han lasciato man mano
sul torpido mondo
con timidi frulli,
con fremiti d’ale
i piccoli petali lievi… (A. Carlini Venturino)

Quadretto invernale
Il bimbo guarda alla finestra i fiocchi
taciti, ch’empion turbinando l’aria;
guarda la strada bianca e solitaria,
che non ha che un ombrello e due marmocchi.
E guarda la casina dirimpetto,
che è agghiacciata dal vento e dalla bruma,
ma che pur nel silenzio algido fuma
con la pipa del suo comignoletto.
Sorride il bimbo nel suo caldo covo,
ed è stupito perchè i fiocchi, a un tratto
d’un paesello nero e vecchio han fatto
un paesello tutto bianco e nuovo. (M. Moretti)

Primo inverno
Il cielo ha spiegato un sudario
candido sopra il mondo.
Distende a croce le braccia
l’albero solitario.
La terra pare che giaccia
in sonno tanto profondo
che somiglia a una morta
con quel sudario addosso,
con quella pianta storta
che tende i suoi rami d’osso.
E ci vien da pensare
che forse ne sole ne grida
la possano richiamare
un’altra volta alla vita. (G. Porto)

Neve
Fischia un grecale gelido, che rade:
copre un tendone i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.
E tutto  è bianco e tacito al mattino
nuovo: e dai bianchi e nudi casolari
il fumo sbalza qua e là turchino. (G. Pascoli)

Nella neve
Sull’alba, intatta al suolo,
è la gran nevicata
che fioccò tutta notte.
Poi sul bianco lenzuolo
appar qualche perdata:
piè grandi e scarpe rotte.
Soffre la vita o dorme.
Coi bambini il verno è crudo
e con l’età cadente.
Veggo, tra l’altre, l’orme
d’un piccol piede ignudo,
che m’attrista la mente…
Ahi! Ahi! chi vi ristora,
o tremanti piedini
di fanciullo errabondo?
Dunque vi sono ancora
dei poveri bambini,
che van, scalzi, pel mondo? (E. Panzacchi)

Regina bianca
Regina bianca, gioia dei fanciulli,
tu vesti come petti di colobi,
le rupi sui declivi,
le punte dei cipressi e gli alti pini.
Rendi la guancia soffice alle strade,
e fai turgidi  i tetti delle case
raccolte nel tepore delle stufe.
I campi, che sconfinano col cielo
hanno il tuo volto candido da sposa. (M. Mazzeo)

Giochi d’inverno
Nebbia, che cosa hai fatto!
Un velario di seta.
Ogni cosa è segreta
a un tratto.
Che ricamo, che trina,
quanti gioielli intorno:
li dona al nuovo giorno
la brina.
Ma zitti… bianca, lieve
tutto copre e nasconde,
viali, casette e fronde,
la neve… (D. Rebucci)

La neve
Tutta bianca nella notte bruna
la neve cade lenta volteggiando.
O pratoline, ad una ad una,
tutte bianche nella notte bruna!
Chi dunque lassù spiuma la luna?
O fresca peluria, o fiocchi fluttuanti!
Tutta bianca nella notte bruna,
la neve cade lenta volteggiando. (G. Richepin)

Neve
Eri candida foglia volando
e sul ramo fioristi senza sole
e vita più lieve del fiore del mandorlo,
non soffia uno sguardo di rosa
e subito cadi e t’infanghi. (C. Govoni)

Il biglietto del passero
Stamane, dopo la nevicata,
il davanzale
del mio balcone, candido, eguale,
sembra una pagina immacolata.
Ma, se la guardo con maggior cura
un po’ dappresso
vedo  sovr’esso
non so che segni, quale scrittura…
Chi avrà scavato dentro la neve
quei fiorellini
tutti a tre petali, stellucce fini,
allineati con grazia lieve?
Son le zampine d’un passerotto
meschino: ed ecco
i bucherelli fatti col becco,
che qualche briciola cercava sotto.
Ahimè! Stamane quel poveretto
restò a digiuno,
e d’avvertirmi trovò opportuno,
forse, lasciandomi… il suo biglietto. (Puck)

Mattino di neve
Il risveglio fu lento: dalle pievi
un suono giunse, timido e smorzato;
indi gli spalatori, a colpi brevi,
urtarono le pietre del selciato.
S’udirono di sotto al porticato
gli schiaffi sordi di stivali grevi.
Uno in istrada disse: “E’ nevicato.
Chi dorme o indugia a letto non si levi”.
E fu d’imposte un secco sbatacchiare
ed un cantilenar di voci breve,
e qualche dialoghetto di comare;
indi l’alba si alzò, pallida e lieve,
e ognuno vide la città posare
nella luce d’argento della neve. (Anna Maria Beccanulli)

La neve
Viveva in una nuvola
come una gatta in soffitta:
stanotte, zitta zitta
la neve è caduta giù.
Cosa diranno i bambini
a vederla, già morta
sui gradini della porta,
come un povero caduto lì?
Aveva freddo e nessuno gli aprì. (R. Pezzani)

Cade la neve
Cade la neve, la neve.
Alle bianche stelline nella tempesta
si protendono i fiori di gennaio
dal telaio della finestra…
Cade la neve, la neve.
Non come cadessero fiocchi,
ma come se sopra un rappezzato mantello
scendesse a terra la volta del cielo…
Cade la neve, la neve,
la neve, e ogni cosa è smarrita,
il pedone imbiancato
le piante stupite… (Boris Pasternak)

La neve
Dal cielo tutti gli angeli
videro i campi brulli
senza fronde nè fiori,
e lessero nel cuore dei fanciulli
che ama le cose bianche.
Scossero le ali stanche di volare.
Ed allora scese
lieve lieve
la fiorita di neve. (O. Visentini)

La nevicata
Sulla campagna squallida e pensosa
scende la neve, a larghi fiocchi e lenta,
e sui morbidi strati rilucenti
immacolata e tacita si posa.
Scende, d’un fitto vel copre ogni cosa;
copre casette, ponti, acque dormenti;
e colma fossi, imbianca bastimenti
e scende senza fine e senza posa. (E. De Amicis)

Nevicata
Sui campi e sulle strade
silenziosa e lieve
volteggiando, la neve cade.
Danza la falda bianca
nell’ampio ciel scherzosa,
poi sul terren si posa stanca.
In mille immote forme
sui tetti e sui camini,
sui cippi e sui giardini dorme.
Tutto d’intorno è pace;
chiuso in oblio profondo
indifferente il mondo tace. (A. Negri)

La pioggia di stelle
Chi ha detto alle neve: “Vieni?”
Ed ecco la neve è venuta,
obbediente, muta.
L’hanno chiamata i fanciulli,
forse, a vestire di bianca allegria
i campi brulli,
la deserta via?
O sono stati i granelli
sepolti nei freddi terreni,
rabbrividenti
a tutti i venti,
che han detto alla neve: “Vieni?”
O fu l’ordine di Dio?
Si muove dal cielo di stelle
un minuto scintillio:
misterioso s’affretta
verso la terra che aspetta.
Sulla terra i sapienti
studiosi,
curiosi,
con delicati strumenti,
scrutano il bianco mistero,
e dicono: “E’ vero:
la neve è una pioggia di belle,
di minime stelle!”
Le minime stelle all’aurora
un poco scintillano ancora. (Gina Vaj Pedotti)

Gli esquimesi
Strana gente, gli esquimesi:
sono di ghiaccio i loro paesi;
di ghiaccio piazze, strade e stradette,
sono di ghiaccio le casette;
il soffitto e il pavimento
sono di ghiaccio, non di cemento.
Perfino il letto è di buon ghiaccio,
tagliato e squadrato col coltellaccio.
Ed è di ghiaccio, almeno pare,
anche la pietra del focolare.
Di non – ghiaccio c’è una cosa,
la più segreta, la più preziosa:
il cuore degli uomini che basta da solo
a scaldare persino il polo. (G. Rodari)

La neve
E’ scesa la neve, divina creatura,
a visitare la valle.
E’ scesa la neve, sposa della stella,
guardiamola cadere.
Dolce! Giunge senza rumore come gli esseri soavi
che temono di far male.
Così scende la luna, così scendono i sogni…
Pura! Guarda la valle tua, come sta ricamandola
di gelsomino soffice.
Ha così dolci dita, così lievi e sottili,
che sfiorano senza toccare.
Bella! Non ti sembra che sia il dono mirabile
d’un alto donatore?
Chissà che agli uomini non rechi un messaggio
da parte del Signore. (G. Mistral)

Nevicata
Dalle profondità dei cieli tetri
scende la bella neve sonnolenta,
tutte le cose ammanta come spettri:
scende, risale, impetuosa, lenta.
Di su, di giù, di qua, di là s’avventa
alle finestre, tamburella i vetri…
Turbina densa in fiocchi di bambagia,
imbianca i tetti ed i selciati lordi,
piomba, dai rami curvi, in blocchi sordi…
Nel caminetto crepita la bragia… (G. Gozzano)

I passeri
Fischia un grecale gelido che rade:
copre un tendone i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.
E tutto è bianco e tacito al mattino:
nuovo; e dai bianchi e muti casolari
il fumo balza, qua e là turchino.
La neve! Allora, poi che il cibo manca,
alla città dai mille campanili
scendono, alla città fumida e bianca:
a mendicare. Dalla lor grondaia
spiano nelle chostre e nei cortili
la granata o il grembiul della massaia.
Scende. Scende.
Il cielo tutto a terra cade
col bianco polverio d’una rovina.
Non un’orma. Svanite anche le strade.
La terra è tutto un solo mare a onde
bianche, di zolle ov’erano le biade.
Resta il mio casolare unico, donde
esploro invano. Non c’è più nessuno.
E solo a me chiamo, ecco risponde
il pigolio d’un passero digiuno. (G. Pascoli)

Il borgo sotto la neve
Nel borgo, una breve piazzetta,
una fontanina in un canto
che fa cioc cioc ogni tanto,
tre alberi, una chiesetta
col campanile sottile
come un dito che accenni lassù,
dieci case, non una di più,
un ponticello, un fienile…
Un borgo, capite, assai breve
che basta a coprirlo un grembiule
inamidato ed uguale,
un grembiuletto di neve…
Lui dorme, lì sotto,
imbacuccato di lana…
(Aldo Gabrielli)

Nevicata
La bella neve!
Scendete, scendete,
leggiadri fiocchi
danzanti nei cieli:
come perlucce coprite,
pingete i tetti,
i tronchi, la mota,
gli steli…
(Emilio Praga)

Un po’ d’amore
Quando la neve coprì la mia casa,
un passero volò dalla cimasa.
– O passerotto, non volar lontano,
troverai neve e gelo in tutto il piano –
gli dissi. – Resta e non sarai mai solo –
M’intese? Un frullo e si posò nel brolo.
Di là ritorna spesso al davanzale,
mi chiama con un trillo e un batter d’ale.
Gli offro briciole e chicchi di gran cuore.
Quanto bene può fare un po’ d’amore!
(Dina Rebucci)

Nella neve
Sull’alba, è intatta al suolo
la grande nevicata
che fioccò tutta notte.
Poi sul bianco lenzuolo
appar qualche pedata:
piè grandi e scarpe rotte.
Soffre la vita o dorme.
Ai bimbi il verno è crudo
come all’età cadente.
Veggo, tra l’altro, l’orma
d’un picciol piede ignudo
che  m’attrista la mente…
Ahi, ahi, chi  vi ristora,
o tremanti piedini
di fanciullo errabondo?
E vi son dunque ancora
dei poveri bambini
che van, scalzi, per ‘l mondo?
(E- Panzacchi)

La neve
Viveva in una nuvola
come una gatta in soffitta:
stanotte, zitta zitta
la neve è caduta giù.
Cosa diranno i bambini
a vederla, già morta
sui gradini della porta,
come un povero caduto lì?
Aveva freddo e nessuno gli apri?
(R. Pezzani)

Cade la neve, la neve
Cade la neve, la neve.
Alle bianche stelline nella tempesta
si protendono i fiori a gennaio
dal telaio della finestra…
Cade la neve, la neve.
Non come cadessero fiocchi,
ma come se sopra un rappezzato mantello
scendesse a terra la volta del cielo…
Cade la neve, la neve,
la neve, e ogni cosa è smarrita,
il pedone imbiancato
le piante stupite…
(B. Pasternak)

La neve
Tutta bianca nella notte bruna
la neve cade lenta, volteggiando.
O pratoline, ad una ad una,
tutte bianche nella notte bruna!
Chi dunque lassù sprimaccia la luna?
O fresca peluria, o fiocchi fluttuanti!
Tutta bianca nella notte bruna,
la neve cade lenta, volteggiando.
(G. Richepin)

Uccelli nella neve
Nel pomeriggio diafano di neve
parlottano i merli affamati,
note varie, in gorgheggi pacati.
Ho messo un po’ di riso
in uno spiazzo
nero nel gran biancore,
fin da stamane all’alba.
Dolce mi è pensare alla lor festa.
“C’è del riso, c’è del riso!”
“Attenzione alle trappole!”
(il più vecchio)
“No, no è quel pittore
lo conosco da un pezzo.
O, le lor voci
dal mio letto in penombra
contro il muro
miele canoro che scorre!
M’affaccio pian piano
alla grande finestra socchiusa.
Un volo lento sul muretto
con la sua coltre di neve
nel cielo che appena s’arrossa.
(F. De Pisis)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici SOLE TERRA LUNA

Dettati ortografici SOLE TERRA LUNA – Una collezione di dettati ortografici e letture su argomenti di geografia astronomica per la scuola primaria: il sole, la luna e la terra…

Il sole già brilla all’orizzonte quando… non è ancora spuntato. 

L’alba imbiancava appena il cielo quando la comitiva si rimise in cammino sul candidissimo nevaio per muovere alla conquista di una delle vette dell’imponente massiccio alpino. Verso le ore cinque e mezza il primo raggio di sole si diffuse sulla neve animandola d’una delicatissima tinta roseo – dorata.

“E pensare” esclamò uno degli alpinisti arrestatosi ad ammirare la scena, “che noi vediamo il sole sorgere là dietro quelle vette nevose, mentre in realtà è ancora immerso al disotto dell’orizzonte!”

“Come?” esclamò Carlo, “Noi vediamo il sole ed esso non è ancora spuntato? E perchè mai?”

“Per via della rifrazione atmosferica”, spiegò gentilmente l’alpinista. ” Tu avrai certo già osservato che immergendo obliquamente un bastone per metà nell’acqua, il bastone appare spezzato, perchè un raggio di luce (in questo caso i raggi che illuminavano il bastone e ritornano a noi) passando da un mezzo in un altro, cioè dall’aria nell’acqua o nel vetro, bruscamente devia, si frange, e continua la strada su un cammino diverso. Perciò i raggi luminosi dei corpi celesti, penetrando nell’oceano atmosferico vengono deviati, subiscono un processo di rifrazione; anzi, vengono più volte deviati, rifratti, a seconda degli strati atmosferici che attraversano, e queste rifrazioni continue fanno sì che essi percorrano una linea curva.

Perciò la visuale che noi abbiamo d’un corpo celeste corrisponde alla sua posizione reale, ma è diretta più in alto. Ecco perchè il fenomeno della rifrazione atmosferica ci dà un apparente anticipo nel sorgere degli astri ed un apparente ritardo nel loro tramontare.

Nelle zone equatoriali si vede, ad esempio, il sole sorgere con circa due minuti d’anticipo, mentre al Polo, dove il sole sembra rotolare attorno all’orizzonte, lo si vede sorgere con un anticipo di circa un giorno e mezzo e tramontare con uguale ritardo!”

Le fasi della luna

Perchè vediamo la luna talora illuminata in tutta la sua faccia che ci guarda, talora invece solo per metà come una falce e perchè talora essa ci rimane totalmente invisibile? La causa di ciò sta proprio nel moto di rivoluzione attorno alla terra.

Infatti quando la luna sorge insieme al sole, questo, che si trova al di là della luna, illumina solo quella faccia della luna che è a noi invisibile; e noi della luna vediamo a mala pena parte del bordo circolare. Abbiamo quindi la luna nuova, cioè oscura.

Quando, dopo circa una settimana, essa sorge a mezzogiorno, vale a dire quando il sole ha raggiunto il culmine del suo arco, noi la vediamo illuminata solo per un quarto e cioè la metà della faccia rivolta al sole: siamo al primo quarto; la mezzaluna volta la gobba a ponente, quindi, come dice bene il proverbio, è luna crescente.

Quando ancora, dopo un’altra settimana, essa sorge col tramontare del sole, noi la vediamo illuminata completamente per quella faccia volta al sole e a noi. Siamo in luna piena.

E quando, infine, ancora dopo una settimana, sorge a mezzanotte, la vediamo illuminata solo per un quarto, stavolta però con la gobba a levante, quindi è luna calante (ultimo quarto).

Così, dopo 29 giorni circa, ritorna a sorgere col sole al mattino e perciò ridiventa luna nuova. Questo tempo, compreso tra due fasi successive di luna nuova, si chiama mese lunare. Concludendo, le fasi della luna sono quattro: luna nuova, primo quarto, luna piena, ultimo quarto.

G. Nangeroni

E’ vero che se la terra invece di impiegare un giorno per girare attorno al proprio asse impiegasse solo qualche ora, noi saremmo lanciati nello spazio?

Sì, certamente. E te lo spiego. Lega un sasso ad uno spago, fa girare e poi lascia andare. Se hai fatto girare adagio il sasso con lo spago cadrà ai tuoi piedi; ma se lo hai fatto girare in fretta, sasso e spago saranno lanciati lontano. Non è così forse che si  usa la fionda? Questa forza si chiama forza centrifuga.

Ebbene, torniamo alla terra. Se la terra impiegasse solo qualche ora, invece di ventiquattro, a fare il giro come vedremo, vuol dire che avrebbe una velocità molto maggiore e quindi imprimerebbe a tutti i corpi che stanno su di essa una forza centrifuga enorme. In tal caso tutti i corpi che non stanno proprio attaccati ad essa verrebbero lanciati nello spazio; così verrebbero lanciati nello spazio le pietre, gli animali, tutti noi, e verrebbero magari sradicate anche le piante che vedremmo volare nello spazio insieme con noi. Sarebbe veramente un caos.

Ma non abbiate timore! E’ da millenni che la terra possiede la velocità che ha oggi; e non c’è motivo di credere che essa aumenti o diminuisca la sua velocità, almeno per ancora qualche milione di anni! E ad ogni modo è più probabile che la velocità diminuisca.

G. Nangeroni

L’alba e il tramonto

Dato che ogni regione della terra, ad un certo punto della sua rotazione, volta le spalle alla luce ed entra nell’ombra (o viceversa), perchè noi non osserviamo questo passaggio in modo repentino, non passiamo, cioè, dalla luce all’oscurità e dall’oscurità alla luce in un solo attimo?

Se godiamo il beneficio di un passaggio graduale il merito è dell’atmosfera che circonda la terra. Già prima di apparirci sull’orizzonte il sole invia i suoi raggi sopra di noi, nella parte dell’atmosfera che li diffonde; in questo modo ci rischiara ancora prima che lo possiamo vedere. E’ l’alba.

Altrettanto avviene al tramonto. Il sole è già scomparso all’orizzonte e ancora il cielo è chiaro perchè gli ultimi raggi del sole, attraversandolo, vengono dispersi.

Le stagioni

 Mezzanotte del 31 dicembe: insieme con alcuni diplomatici e dignitari, un alto funzionario dell’O.N.U. sta festeggiando il nuovo anno in una sala del grande Palazzo di Vetro, la sede delle Nazioni Unite a New York. Fuori il freddo è intenso, dai vetri si vede la neve che cade. Poco dopo mezzanotte, l’alto funzionario lascia la riunione, e, ben imbacuccato, si precipita all’aeroporto dove lo attende un aereo.

Dopo diverse ore di volo, una gentile hostess lo avverte che l’atterraggio è prossimo. Il funzionario si ritira nei bagni e, dopo qualche minuto, ne sce con un bel completo leggero estivo. No, non gli ha dato alla testa il brindisi di poche ore prima: questo cambio d’abito è una cerimonia alla quale è abituato, nei lunghi viaggi che la sua carica richiede. Casi del genere accadono abbastanza spesso a diplomatici o grandi uomini d’affari, che si spostano velocemente da un emisfero all’altro della terra.

Mentre, per esempio, a New York siamo in pieno inverno, sulle spiagge del Sud America infuria invece la canicola.

Perchè? Come può verificarsi una cosa simile? La colpa è della terra, o meglio, del modo in cui la terra gira intorno al sole. Prima di tutto, dobbiamo dire una cosa molto importante: i raggi del sole che arrivano sulla terra possono essere considerati tutti paralleli tra loro. Ciò si spiega con la grande distanza fra la terra e il sole.

Prendiamo ora in esame un fascio di questi raggi, che arrivano su una superficie. Se sono perpendicolari ad essa, i raggi colpiscono in pieno una parte della superficie; se invece arrivano obliqui, colpiscono una parte maggiore; tanto maggiore quanto più cadono obliqui. Essi sono tanto più obliqui quanto più ci spostiamo verso i poli. E’ evidente che lo stesso fascio  di raggi solari riscalderà più intensamente una superficie piccola che una superficie grande. Da quanto abbiamo detto, è chiaro che le variazioni di temperatura, e quindi il susseguirsi delle stagioni, su una data zona della terra, dipendono dal modo in cui i raggi solari cadono su di essa.

A. Manzi

Conseguenze dei movimenti della terra

 L’alternarsi del giorno e della notte, la durata del giorno stesso e quella dell’anno, l’avvicendarsi delle stagioni sono tutte conseguenze dei movimenti del nostro pianeta. Difficilmente si può trovare qualcosa di più singolare di questi fenomeni che regolano la nostra vita. La durata della nostra esistenza, i suoi vari periodi, le occupazioni, il calendario annuale e le epoche della storia sono vicende strattamente legate ai moti della terra, i quali appunto determinano il nostro tempo. Un tempo che è totalmente diverso da quello che si verifica su altri mondi.

Si pensi, ad esempio, alla luna, dove l’anno non conta che dodici giorni e dodici notte, pur avendo la stessa durata del nostro; su Giove l’anno è quasi dodici volte più lungo di quello terrestre, mentre il giorno è più breve della metà: un anno di 10.455 giorni! Su Saturno la sproporzione è ancor più straordinaria: un anno dura 30 dei nostri. Se quel pianeta fosse abitato da esseri uguali a noi, un bambino di 9 anni avrebbe in realtà vissuto 270 anni dei nostri.

La terra è rotonda

Prima osservazione. I viaggi che i navigatori hanno compiuto attorno al globo terrestre sono una prova della rotondità della terra. I navigatori, infatti, partiti da un punto, hanno potuto farvi ritorno senza mai invertire la rotta.

Seconda osservazione. Gli astronauti che si allontanano dalla terra a bordo di navicelle spaziali, vedono a poco a poco la superficie terrestre incurvarsi. Quando poi gli astronauti si allontano ulteriormente, vedono il nostro pianeta sospeso, come una grossa palla, nello spazio.

Terza osservazione. L’orizzonte, cioè quella linea circolare dove sembra che il cielo tocchi la terra, non è sempre ad uguale distanza: più saliamo, più questa linea si allontana, permettendoci di abbracciare con lo sguardo una zona sempre più vasta.

Dettati ortografici – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche: I punti cardinali

Poesie e filastrocche: I punti cardinali. Una raccolta, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
I punti cardinali
“Dalla mia parte bello e raggiante
si leva il sole” dice il Levante;
“e poi tramonta placidamente
dalla mia parte” dice il Ponente;
“raggi focosi io spargo intorno!”
dice superbo il Mezzogiorno;
“ed io alle membra già stanche e rotte,
dono riposo. Son Mezzanotte!”

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

 

Dettati ortografici – Il vento

Dettati ortografici sul vento – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

 

Il vento è necessario: esso purifica l’aria, e trasportando qua e là le nuvole, modifica il clima. E’ il vento che regola le piogge, che rinfresca e rinnova l’aria, che porta l’umidità così necessaria alle piante. Inoltre, il vento è un gran disseminatore e porta i semi lontano dalla pianta madre, dove possono crescere e prosperare liberamente.

Quando il vento è troppo forte può arrecare grandi disastri. Sradica gli alberi, fa volare i tegoli, solleva, in mare, le procelle. Ma, nonostante i danni che arreca, anche il vento è necessario perchè, trasportando le nuvole, modifica il clima con le piogge e purifica l’aria.

Il vento se la piglia coi vostri capelli e vi soffia dentro come fosse un cespuglio. La gente tira via, serrata nei mantelli, a capo basso, con gli occhi chiusi. Qui il lastrico è liscio, là sepolto sotto piccole dune di sabbia e di bruciaglie sormontate da rotoli di lanugine. A ogni passo ti ruzzano tra i piedi, corrono via folleggiando, la foglia del platano e il brano di giornale, la piuma di gallina e ciocche di paglia, fiocchi di bambagia, di lana, che finiscono a darsi la posta agli angoli delle vie, sulle piazzette, nei cortili, dove si raggruppano, si sbandano, si raccolgono di nuovo e danzano a tondo finchè si sollevano insieme da terra, turbinando in balia di un mulinello. (A. Stoppani)

Il vento radeva impetuoso i  ghiaioni, le sabbie e le acque. Dagli argini si sollevava la polvere delle strade e tutte le fronde dei salici si rovesciavano, imbianchendo; l’aria s’era fatta fredda; gli arbusti e i cespugli davano sibili al vento; un lampo balenò, seguito da un tuono ripercosso dalla terra. (G. Comisso)

Giorno di vento

Nuvole scure mossero contemporaneamente dalle vette dei due versanti; al centro della vallata rimasero separate da una sottile striscia d’un celeste inverosimile, quasi verse.
Si levò un ventaccio gelido; e le nuvole si sfrangiarono, scoprendo un cielo chiaro e infido, che, altissimo, parve un vertiginoso abisso capovolto. (G. Manzini)

I venti
Uno è caldo e uno gelido; questo è furioso e quello dolce e mite; un altro squassa gli alberi schiantando i rami, e un altro invece fa lietamente ondeggiare le erbe, mormorare le fronde… Quale solleva sul mare onde giganti e quale increspa appena le acque gonfiando le vele. Uno ti accarezza dolcemente e un altro ti scaraventa addosso un nuvolo di polvere. (V. Gaiba)

Il vento
Il vento arrivò di colpo dietro la siepe e la passò d’un salto: nessuno lo aveva visto venire, nessuno lo vedeva ed era dappertutto. Aveva sempre sospiri, carezze e parole per le cose amiche. Scavalcando la siepe, il vento rise. Era già sull’erba e piegava i fili verdi ad uno ad uno. La menta e il trifoglio dettero al vento un po’ del loro profumo che lo portasse dove non potevano andare. (G. Fanciulli)

 Venti di marzo
Violenti e scontrosi tra loro, muovono alla pugna uno per volta, dominando il campo nemico. Ecco il vento del nord. Muove dal Polo, freddissimo, nemico dei fiori, delle piogge.  Rischiara l’aria, uccide le api, gela i laghi, le montagne. Il Ponente è cagione di contrasti, piagnucoloso, spira verso sera. E’ utile agli orti, alle fave, alle biade. Suo opposto è il vento dell’est, il vento che arriva dal mare. E’ temperatamente caldo e secco, propizio alle arature, pastore di mandrie di onde. Lo Scirocco, suscitatore di marette d’argento, è vento caldo, turbolento, impetuoso. E’ amico dei fiori, degli orti, utile ai frutti. (F. Tombari)

Effetti del vento
Il vento piega i rami e rovescia le foglie e gli alberi; i prati su cui il vento passa, sembrano più chiari; ciò avviene perchè ogni foglia è più pallida al suo rovescio. Gli alberi che il vento piega maggiormente sono quelli più alti e sottili e nei vasti boschi e nelle praterie le onde prodotte dal vento sono simili a quelle del mare. Gli alberi che nascono presso la spiaggia, e sono esposti al vento, sono tutti piegati; e così piegati crescono e restano. (Leonardo da Vinci; adattamento)

Il vento
Il vento passò dai paesi caldi, prese dagli alberi di aranci e di limoni il loro gradito profumo e continuò il suo cammino. Giunse in una grande città.
Tutti gli abitanti delle case, gli operai delle officine, i sagrestani delle chiese spalancarono finestre e balconi, e il buon vento entrò, portando ovunque la soave fragranza delle erbe e dei fiori… (G. E. Nuccio)

Il figlio del vento
Quando nacque il figlio del vento, alla reggia fecero gran festa. Ma un figlio del vento non può essere che un disastro.
Infatti il vento neonato non era ancora stato messo dalle fate nella culla, che già le copertine e i lenzuolini se ne volavano come bandiere per il cielo. Poi fu la volta delle fasce e dei camicini.
Quando diventò più grandicello e incominciò a camminare, alla reggia accadde il finimondo. Porte, imposte e finestre scrollate, sbattute, spezzate. Che schianti!
Finalmente il monellaccio uscì di casa per andare a giocare. E incominciò a piegare i rami degli alberi fino a spezzarli, giocò a rincorrere le foglie, a strappare i manifesti, a rubare i cappelli ai signori. Poi s’arrampicò nel cielo e giocò al treno con le nuvole.
Un giorno il figlio del vento fu mandato a scuola e imparò a suonare con le canne del fiume e con le spighe del grano. Imparò a spazzare il cielo e a raccogliere insieme i nuvoloni, a far corree le vele sul mare, a far girare le pale dei mulini e a seminare.
Ti piacerebbe conoscerlo?
Guarda fiori dalla tua finestra. E’ lì che il vento passa, nel cielo.

Dettati ortografici sul vento – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

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