IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie

IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie per la scuola primaria.

Un marsupiale è un mammifero provvisto di una vasca ventrale nella quale possono essere sistemati uno o più piccoli. I marsupiali, che oggi vivono solamente in Australia e in America, sono tra i primi mammiferi che hanno fatto la loro apparizione sulla terra. Sono stati trovati fossili di marsupiali che provano come già cento milioni di anni or sono vivevano animali a sangue caldo, capaci di allattare i loro piccoli. Probabilmente questi animali di piccola taglia furono preda dei grandi rettili carnivori, ma sono sopravvissuti agli attacchi di questi mostri e ai cataclismi terrestri, così che ancor oggi, vivono allo stato selvaggio, senza che la loro costituzione si sia troppo trasformata; si trovano, come dicevamo, solo in America (opossum) e in Australia (canguro, koala, il lupo della Tasmania oggi estinto, ecc.)

Quando deve lottare il canguro si appoggia sulla sua robusta coda, e si mette in posizione di attacco. Poi improvvisamente molla una terribile pedata con le zampe posteriori, oltretutto armata di unghie che lasciano segni profondi sull’avversario.
Il canguro adirato riesce a tener testa brillantemente sia all’uomo sia ai cani: lo si è visto più volte abbattere robusti cani da caccia, senza subire alcun danno.

I grandi branchi di canguri vagano per le distese del continente australiano. Al centro del branco stanno i “grandi rossi”, circa due metri di altezza, a destra e a sinistra”i grigi” più piccoli. I canguri vanno così brucando nei pascoli dei bovini e delle greggi. E questo spiega anche perché vengano perseguitati da una caccia spietata. Per sfuggire all’uomo il canguro si lancia in una velocissima fuga. Le sue lunghe zampe posteriori, come quelle di una rana, gli permettono di fare dei salti in lungo anche di dieci metri. Se non deve sfuggire alcun pericolo, il canguro più che camminare si trascina sul suolo. S’appoggia sulla coda e sulle zampe anteriori, per poter sollevare e spingere avanti il suo corpo pesante: mentre quando scappa si appoggia solamente sulle zampe posteriori. Se si riposa, ma non è tranquillo, il canguro si corica sul ventre, con le zampe divaricate di qua e di là dal suo corpo, pronto a scappar via al primo segno d’allarme. Ma quando è sicuro che nessun pericolo è in vista, si corica su di un fianco, come noi.

La parola “canguro” ha un’origine curiosa: i marinai del capitano Cook, quando sbarcarono in Australia per le prima volta videro queste bestie saltellare e chiesero agli aborigeni: “Potete dirci che cosa siano?”, frase che in inglese suona “Can you…”. Gli aborigeni ripeterono: “Can you… can you”, e la parola canguro era bell’e inventata, o almeno così dice la leggenda.
(da “Il corriere dei piccoli”)

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(IN COSTRUZIONE)

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie per bambini della scuola primaria.

Il cammello è il primo animale di cui ci parla la Bibbia; con il cavallo i il bue, fu uno dei primi animali che l’uomo abbia assoggettato al proprio diretto servizio.  Il cammello è detto “la nave del deserto”, perché è l’unico animale che possa attraversare gli immensi deserti sabbiosi dove manca l’acqua. Un cavallo con un carico sulle spalle affonderebbe nella mobile sabbia e presto, stanco e spossato, non potrebbe più proseguire. Quando il vento soffia ed infuriano i turbini di sabbia, qualunque animale morirebbe soffocato, ma il cammello no. Esso ha delle narici che può chiudere, in modo da impedire alla sabbia di penetrare nei polmoni. I piedi del cammello sono forniti di grandi, larghe callosità a guisa di cuscino; allorché esso cammina, il suo piede grosso e soffice, fornito di due sole dita, sparpaglia intorno la sabbia più mobile e si posa saldamente sul terreno.

Uno dei fenomeni più interessanti che riguarda il cammello è il modo con cui può resistere a lungo senza bere. Lo stomaco di questo animale infatti non solo è molto ampio, ma è composto di tre sacche, due delle quali hanno le pareti rivestite di piccole cellette le quali possono essere riempite d’acqua che rimane “di riserva”.

Quando ha la fortuna di bere, il cammello inghiotte tanta acqua quanta ne può contenere. Dopo di che si accingerà coraggiosamente ad attraversare il più infuocato deserto, senza bere un sol sorso per cinque o sei giorni, sopportando sul suo dorso un peso di 150 chilogrammi, e non mangiando altro che le dure e spinose erbe che crescono qua e là anche nel deserto. Molto affine al cammello è il dromedario che si usa come cavalcatura; il dromedario è proprio dell’Arabia e dell’Africa ed ha una sola gobba. Il cammello, che ha due gobbe, è proprio dell’Asia meridionale. Queste gobbe sono formate da ammassi di grasso e, quando i cammelli fanno un viaggio lungo e faticoso, le gobbe si rendono a mano a mano più piccole, tanto che qualche volta quasi scompaiono addirittura, perché il grasso si consuma, servendo esso a nutrire l’animale.

A memoria d’uomo, i cammelli sono vissuti sempre allo stato domestico; tuttavia esistono ancora cammelli selvatici in alcune parti dell’Asia centrale. Si crede che molti secoli fa uno spaventoso turbine di sabbia spazzasse via ogni cosa in un fertile paese. Il turbine distrusse i villaggi e uccise tutti gli abitanti. Solo i cammelli resistettero: ed ora si ritiene che i cammelli servaggi e liberi di quelle regioni discendano direttamente da quelli che scomparirono allora.

Il dromedario
E’ uno dei mammiferi di maggiore statura: la sua altezza supera qualche volte anche i tre metri. Per poter camminare sulla sabbia del deserto, questo animale ha la pianta del piede conformata in maniera particolare. Essa è infatti formata da quattro cuscinetti di tessuto elastico. Quando l’animale appoggia il piede, i cuscinetti si appiattiscono, la suola si allarga, ed il piede non affonda nella sabbia.

Tra gli animali da soma il dromedario è il più resistente. Esso può camminare anche per dodici ore al giorno e per molte settimane di seguito con carichi superiori al quintale senza risentirne minimamente. Inoltre può rimanere senza bere per sette, otto giorni.
Il latte della femmina è molto sostanzioso e viene usato anche per preparare burro e formaggi. La carne è commestibile. Il pelo viene tessuto in stoffe pregiate. La pelle, morbidissima, viene utilizzata anche per confezionare indumenti.

Il lama
Strettamente imparentato con il cammello, il lama è il tipico animale da soma della Cordigliera delle Ande. E’ assai sobrio e resistente, per cui viene destinato al trasporto di merci lungo i ripidi sentieri della montagna, dove non esistono strade. La sua andatura è lenta ma sicura anche tra i passaggi più dirupati e pericolosi. Può portare anche mezzo quintale di merci e camminare per cinque giorni di seguito senza riposare, percorrendo notevoli distanze. Solitamente sono solo i maschi che vengono destinati alle carovane di trasporto. Le femmine sono tenute al pascolo.

Danno una scarsa quantità di latte, che gli Indios utilizzano in vario modo, ma sono abbastanza prolifiche e questo è molto importante perché i lama sono allevati anche come animali da macello; la loro carne è saporita come quella dei nostri maiali. Il lama è un animale assai mite, e certamente meno scontroso del mulo, al quale può essere avvicinato per la resistenza fisica e per l’adattamento alla vita in montagna.

L’unica maniera per cui reagisce alle offese è quella di lanciare un getto di salive contro l’avversario.
Il colore del suo mantello è variabile. La lana che lo ricopre è lunga e robusta, ma piuttosto grossolana, adatta per far tappeti.

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Materiale didattico sul baco da seta

Materiale didattico sul baco da seta per bambini della scuola primaria: dettati, letture, racconti, poesie.

Il baco da seta è originario della Cina. Le prime uova di questa farfalla sarebbero state portate a Costantinopoli in bastoni cavi, da alcuni monaci persiani nel IV secolo dopo Cristo. Dalla Grecia l’allevamento del baco da seta si diffuse nella Spagna, in Italia e in Francia.
Noi osserviamo al lavoro il tessitore, l’unica farfalla che l’uomo abbia allevato. La femmina depone circa seicento uova minute, dalle quali nasceranno piccoli vermiciattoli sudici, e, in capo ad alcuni giorni, muore senza aver preso il cibo. (Reichelt)

Dalle uova minutissime deposte dalla farfalla del filugello escono, in primavera, alcuni bacolini nerastri che rapidamente crescono fino a diventare dei grossi bruchi di color giallognolo che hanno raggiunto questo sviluppo mangiando tanta foglia di gelso pari a sessantamila volte il loro peso primitivo. Dopo circa quattro cinque settimane, durante le quali ha cambiato cinque volte la sua pelle, il baco inizia la costruzione del bozzolo emettendo un filo da certe ghiandole che si trovano nella bocca. Da questi bozzoli si ricava la seta.

Il baco da seta è utile all’uomo per la seta che il suo bozzolo fornisce, e per le industrie importanti collegate, quali l’allevamento dei filugelli e la lavorazione della seta. L’uomo alleva questo industrioso insetto che, in cambio di un certo quantitativo di foglie di gelso, gli fa un regalo prezioso, il bozzolo.

Il ragno e il baco da seta
Un ragno disse a un baco da seta: “Io fabbrico la mia tela in un minuto: tu impieghi giorni e giorni per chiudere la tua casa”.
“La tua casa” rispose il baco da seta “è fragile e non giova che a te; il mio bozzolo invece, e solido e giova anche agli uomini”.
Per far cosa che duri, occorre tempo. Presto e bene, raro avviene.
(Mercati)

Il bombice del gelso è un insetto che è dannoso alla pianta del gelso, perchè si nutre delle sue foglie. Gli uomini, però, hanno da molto tempo imparato che il bombice può essere anche utile. La bava che il bruco emette per costruirsi il bozzolo si indurisce a contatto dell’aria e diventa un filo sottile e lucente: un filo di seta. Il bozzolo è una specie di gomitolo di sottilissimo filo di seta. Gli allevatori immergono i bozzoli appena chiusi nell’acqua calda, in modo da uccidere l’insetto e dipanare poi il filo di seta. Il filo di ciascun bozzolo viene unito ad altri fili e poi tessuto per farne stoffe bellissime. Se gli allevatori lasciassero trasformare il bruco in farfalla, l’insetto, uscendo dal bozzolo, romperebbe il filo, che non si potrebbe più adoperare.

Il baco da seta, appena nato, è fornito di un grande appetito e mangia continuamente foglie di gelso, dapprima triturate finemente, e poi anche intere. Ogni cinque giorni circa, smette di mangiare e si addormenta un po’. Quando si risveglia, perde la sua pelle, che è diventata troppo stretta; ma gliene cresce addosso un’altra. Dopo quattro volte che ha cambiato pelle, il bruco è già molto cresciuto. E’ ormai lungo alcuni centimetri ed è di colore biancastro. Sotto la sua pelle si è formata una buona provvista di grasso. Quando è cresciuto abbastanza, il filugello si arrampica su un rametto, abbandona i suoi abbondanti pasti, e si costruisce un involucro, deponendo un filo di seta che è tutto di un pezzo e lungo più di un chilometro! Il filo, che esce dalla filiera, una piccola apertura che si trova sotto la sua bocca, è formato da un liquido, il quale, a contatto con l’aria, si solidifica. Quando il filo, ora giallo, ora bianco, ora verdognolo, ha ravvolto tutto l’animale, il bozzolo è compiuto. Nel bozzolo, il baco si è trasformato in pupa. Non è più una larva, non è ancora farfalla. Non si muove, non prende cibo. Basta, a nutrirla, il grasso che aveva accumulato quando era bruco. Il filugello rimane nel bozzolo venti giorni circa; poi inumidisce con un suo liquido speciale un’estremità del bozzolo, ed urta fortemente il capo contro la parte così rammollita. E dal bozzolo esce la farfalla. La femmina, dal corpo grosso e tozzo, non può volare; il maschio tenta di fare qualche salto, ma neanch’esso vola. Ma all’uomo poco importa che la farfalla voli: gli basta ch’essa deponga le uova che l’anno prossimo gli permetteranno di riprendere l’allevamento dei bachi.

Il bombice del gelso o baco da seta

Il bombice del gelso è un insetto che è dannoso per la pianta del gelso, perchè si nutre delle sue foglie. Gli uomini, però, hanno da molto tempo imparato che il bombice può essere anche utile.
La bava che il bruco emette per costruire il bozzolo si indurisce a contatto dell’aria e diventa un filo sottile e lucente: un filo di seta. Il bozzolo è una specie di gomitolo di sottilissimo filo di  seta.
Gli allevatori immergono i bozzoli appena chiusi nell’acqua calda, in modo da uccidere l’insetto e dipanare poi il filo di seta. Il filo di ciascun bozzolo viene unito ad altri fili e poi tessuto per farne stoffe bellissime.
Se gli allevatori lasciassero trasformare il bruco in farfalla, l’insetto, uscendo dal bozzolo, romperebbe il filo, che non si potrebbe più adoperare.

La vita del baco da seta

Il baco da seta, appena nato, è fornito di un grande appetito e mangia continuamente foglie di gelso, dapprima triturate finemente e poi anche intere. Ogni cinque giorni circa, smette di mangiare e si addormenta un po’. Quando si risveglia, perde la sua pelle, che è diventata troppo stretta, ma gliene cresce addosso un’altra.
Dopo quattro volte che ha cambiato pelle, il bruco è già molto cresciuto. E’ ormai lungo alcuni centimetri ed è di colore biancastro.
Sotto la sua pelle si è formata una buona provvista di grasso. Quando è cresciuto abbastanza, il filugello si arrampica su un rametto, abbandona i suoi abbondanti pasti, e si costruisce un involucro, deponendo un filo di seta che è tutto d’un pezzo e lungo più di un chilometro! Il filo, che esce dalla filiera, una piccola apertura che si trova sotto la sua bocca, è formato da un liquido, il quale, a contatto con l’aria, si solidifica. Quando il filo, ora giallo ora bianco ora verdognolo, ha ravvolto tutto l’animale, il bozzolo è compiuto.
Nel bozzolo, il baco si è trasformato in pupa. Non è più larva, non è ancora farfalla. Non si muove, non prende cibo. Basta, a nutrirla, il grasso che aveva accumulato quando era bruco. Il filugello rimane nel bozzolo venti giorni circa; poi inumidisce con un suo liquido speciale un’estremità del bozzolo, ed urta fortemente il capo contro la parte così rammollita. E dal bozzolo esce la farfalla. La femmina, dal corpo grosso e tozzo, non può volare; il maschio tenta di fare qualche salto, ma neanch’esso vola.
Ma all’uomo poco importa che la farfalla voli: gli basta che essa deponga le uova che l’anno prossimo gli permetteranno di riprendere l’allevamento dei bachi.

Il baco da seta

L’imperatrici cinese Silinci ebbe un giorno dall’imperatore un piccolo baco e questo consiglio: “Impara ad allevare questo baco e il popolo non ti dimenticherà mai”.
Silinci prese ad osservare i bachi, e vide ch’essi, quando fanno le loro dormite, si rivestono di un tenue velo di fili. Ella scese quei fili e tessè un fazzolettino. Silinci vide poi che i bachi montavano sui gelsi. Allora ella prese a raccogliere le foglie dei gelsi e a nutrire con esse i bachi.
Così i bachi allevati furono moltissimi e Silinci volle che tutto il popolo imparasse la nuova arte. Da allora sono passati 5.000 anni e i Cinesi ricordano ancora l’imperatrice che insegnò loro ad allevare il prezioso baco da seta. (L. Tolstoj)

I gelsi

Gli alberi che per primi si sono coperti di larghe foglie, i gelsi che segnano in lunghi filari  i campi delle messi ancora immature, si trovano di giorno in giorno più spogli. Non hanno potuto attendere l’autunno con gli altri alberi. Le mani degli uomini li hanno spogliati per nutrire i bachi voraci e quelle foglie saranno trasformate in seta lucente.

La seta

Il filugello, o bombice del gelso, o baco da seta, in un certo periodo della sua brevissima vita emette dalla bocca una sostanza liquida (la fibroina) e gommosa (la sericina) sotto forma di due filamenti (bavette) che, indurendosi a contatto con l’aria, diventano un lungo sottilissimo filo. Di questo filo, il bombice si serve per costruirsi intorno una casetta ovoidale (il bozzolo), nella quale attenderà di mutarsi in una grossa bianca farfalla.
A questo punto, l’insetto fora il bozzolo e ne esce fuori per vivere un paio di settimane, giusto il tempo per deporre le uova. Ma pochissime farfalle vedono la luce del sole: la maggioranza dei bozzoli  va a finire, per mano dell’uomo, in speciali stufe, dove un adatto calore uccide la farfalla prigioniera. I bozzoli “stufati” vengono immersi in acqua bollente al fine di rammollire la sericina e poter così trovare il capo del filamento e dipanare facilmente il bozzolo.
Da questa operazione, chiamata trattura, si ha la seta grezza o tratta. Con la seta grezza, sottoposta a lavaggi o a processi chimici, si ottiene la seta cruda, la seta cotta, la seta mezza cotta e la seta caricata; questi tipi diversi di seta servono per la produzione di vari tessuti (lisci, operati, uniti, ecc…), la cui preparazione avviene mediante alcune operazioni particolari come la cilindratura, la lucidatura e la rasatura.
I principali tipi lisci, usati largamente nell’abbigliamento, sono i crespi, i rasi, i taffetà, le faglie, le garze, il popeline e i foulards. Tra i tessuti operati ricordiamo i damaschi, che presentano disegni a rilievo, e i broccati, misti a fili d’oro e d’argento. Poichè esistono sete rigenerate (prodotte con sete già usate), sete selvatiche (prodotte da insetti che vivono in Africa e nell’Estremo Oriente) e sete artificiali, la legge prescrive, per i tessuti prodotti con le preziose bavette del bombice del gelso, un marchio che rechi la dicitura “seta pura”.

Il filugello (racconto)

Alla frontiera cinese, il fraticello fu frugato, in ogni luogo.
“Avete oro?” gli chiesero le guardie.
“No”.
“Avete argento?”
“No”.
“Avete seta?”
Il fraticello rimase in istante perplesso. Non voleva dire il falso. Ma poi rispose con decisione: “No”.
I Cinesi erano molto gelosi della loro seta. Non volevano che altri popoli della terra conoscessero il segreto di quel preziosissimo filo, col quale fabbricavano un bellissimo tessuto, lucido e morbido.
“Passate pure” gli dissero allora le guardie. Il frate raccolse il suo bastone di bambù e passò la frontiera.
Cammina cammina, sempre appoggiandosi alla sua canna, giunse finalmente al suo paese.
“Ho portato un tesoro!”
“Dov’è?”
Credevano che fosse oro, argento, pietre preziose. Il pellegrino sorrise.
Gli abitanti del paese lo guardarono increduli. Era povero, non aveva bagagli e pensarono che durante il lungo viaggio avesse smarrito la ragione.
Il frate allora mostrò il suo bastone: “E’ qui dentro”.
Gli altri risero di lui. Ma il frate ruppe la canna di bambù e mostrò alcuni semini scuri: “Ecco il tesoro”, disse.
Tutti credettero che si volesse burlare di loro. Gli voltarono le spalle e lo lasciarono solo. Allora il frate mise i semini al caldo. Dopo pochi giorni dai semini, che erano uova, uscirono alcuni bachini neri. Il frate li pose con grande cura sopra una foglia tenera di gelso. I bacolini cominciarono a mangiare e ridussero la foglia alle sole nervature.
In poco tempo i bacolini ingrassarono e diventarono chiari, lucidi e mollicci.
“Venite a vedere il grande tesoro!” diceva la gente, “Quattro o cinque bruchi che fanno ribrezzo!”
Il frate sorrideva: “Aspettate”, diceva, “aspettate e vedrete”.
I bachi crescevano sempre più. Quando furono grossi come un fuscellino, smisero di mangiare e si misero a dormire.
“Sono morti”, disse la gente.
Invece, dopo poco tempo, ripresero a mangiare. Quando furono grossi come un dito indice, si addormentarono nuovamente. Intanto il fraticello aveva cercato un rametto di scopa secca; vi fece salire i suoi bachi e disse ai suoi increduli paesani: “Ripassate tra qualche giorno, e vedrete!”
Dalla bocca dei bachi usciva un filo d’oro, che le bestiole appiccicavano nei diversi punti della scopa. Poi cominciarono a girarsi su loro stessi tessendo un fittissimo bozzolo dentro il quale restarono prigionieri.
Quando la gente chiese di vedere il prodigio, il fraticello mostrò il rametto di scopa dal quale pendevano tanti bozzoli d’oro. Si alzò un grido di meraviglia: “Sono frutti d’oro?”
“No,” rispose il frate, “sono semplicemente bachi da seta”.
Così anche gli Europei allevarono il filugello e produssero come i Cinesi i preziosi tessuti lucidi e resistenti. (P. Bargellini)

Dal baco alla seta

La seta, questo  filo luminoso, elastico e resistentissimo è il filamento elaborato dal “bombix mori”, l’insetto comunemente chiamato baco d seta. A contatto con l’aria, questo filamento si solidifica e forma la bava.
Seguiamo un po’ da vicino la vita del bombix mori.
Allo stato di larva si nutre, come tutti sanno, di foglie di gelso. Fino a poco tempo fa innumerevoli erano nelle campagne i filari di gelsi dai caratteristici tronchi mozzi su cui  spuntavano a decine i rami sottili carichi delle preziose foglie. Ora la coltura del gelso è diminuita perché non si allevano più tanti bachi come una volta: le fibre artificiali hanno in gran parte sostituito la seta naturale. Ma dove i bachi vengono ancora allevati, la foglia del gelso è indispensabile.
In un mese la larva subisce quattro mute: dopo la quarta, sale al “bosco” e comincia ad emettere  quel filo di bava con cui forma il bozzolo.
Per rinchiudersi dentro il bozzolo completamente, il baco impiega circa tre giorni, dopo i quali inizia la sua metamorfosi: da larva a crisalide, da crisalide a farfalla.
I bozzoli che devono essere utilizzati vengono essiccati: o per effetto del vapore acqueo o in forni appositi che raggiungono la temperatura di 65-85 gradi. A questo calore  la crisalide, racchiusa nella sua prigione dorata, muore, e non si trasformerà in farfalla e non uscirà più a deporre le uova.
Ma il bozzolo potrà essere sottoposto intatto, a tutte le altre operazioni necessarie per averne la seta.
Dopo essere stati essiccati e cerniti, secondo la loro grandezza e i loro possibili difetti, i bozzoli passano alla filanda dove avviene la complessa operazione detta “trattura” mediante la quale i bozzoli , ammorbiditi nell’acqua calda, strofinati opportunamente con speciali spazzole, lasciano svolgere docilmente il loro filo.
In questa operazione le bave di 4-5-6-7-10 bozzoli, secondo la grossezza desiderata del filato, si svolgono e si riuniscono insieme in un unico filo che viene avvolto sull’aspo: il prodotto così ottenuto si chiama seta greggia.

La Cina e la seta
L’allevamento dei bachi e l’industria della seta furono, nei secoli antichi, monopolio della Cina, tanto che presso  i Greci erano conosciuti con il nome di Seres: i  serici, coloro che praticavano l’arte serica. Nei paesi dell’Occidente tale arte non era conosciuta, ma era ben conosciuto ed apprezzato il prodotto che ne derivava, e  frequenti erano tra Oriente e Occidente i commerci del prezioso tessuto.
Spesso però, lungo i secoli, avvenimenti politici intralciavano, se non interrompevano, i pacifici traffici dei mercanti di seta.

Storia di due monaci
L’imperatore Giustiniano, per ovviare a tutte le difficoltà che ostacolavano i normali scambi, nel 552 spedì nelle lontane terre dei Seres due monaci  con il preciso impegno di impadronirsi del segreto della fabbricazione della seta.
I Cinesi infatti erano gelosissimi di questa loro arte che si erano tramandati di generazione in generazione, ed il compito dei monaci non si presentava dei più facili.
I due monaci, giunti sul luogo, riuscirono non solo a rendersi conto del ciclo di produzione della seta, ma anche ad impadronirsi di alcune uova dei preziosissimi bachi, e a trafugarle in patria.
Le piccolissime uova giunsero in Occidente sane e salve, si schiusero e ne uscirono, sotto gli occhi attoniti dei Bizantini, i primi bachi che si costruirono i primi bozzoli.
E da Bisanzio il segreto cinese si divulgò in altri paesi del Medio Oriente e dell’Europa.
Grande fu lo stupore dei Latini i quali avevano sempre immaginato che la seta avesse un’origine vegetale più che animale. Ci testimoniano questa opinione i versi di Virgilio che, nelle Georgiche, descrive i Seres intenti a pettinare le foglie di certi alberi per toglierne la sottil seta.
“Velleraque ut foliis depectant tenui Seres?” (Georgiche II – 120)

Arte della seta in Europa
Il fiorire dell’industria serica nei paesi del Mediterraneo fu dovuto soprattutto agli Arabi che, nel secolo IX, introdussero in Sicilia e nella Spagna tale arte.
Quest’ultimo paese, già il secolo seguente, era in grado di vantare una produzione abbondante e di buona qualità, e famose divennero in tutto il mondo le sete di Granata.
In Sicilia l’industria della sete ebbe un grande sviluppo soltanto nel secolo XII; ma fu proprio da questa estrema regione che ebbe inizio l’arte serica italiana che, dal 1200 al 1600, mantenne il primato europeo.
Il 1600 segnò purtroppo in Italia, l’inizio di un lungo periodo di decadenza politica ed economica. Languirono le arti e le industrie, ma molti operai si trasferirono in Francia dove a Lione, ad Avignone e a Tours fondarono l’industria serica.
Ma ormai i confini di tutti i paesi di Europa si erano aperti a questa importante industria tessile che fiorì in Inghilterra, nella Svizzera, in Germania e si sviluppò in tutto l’impero austroungarico sotto l’alto patronato del’imperatrice Maria Teresa. Frattanto la produzione della seta aveva avuto un grande incremento anche nel suo paese d’origine: la cina era pur sempre produttrice di tessuti finissimi;  e il Giappone, puntando sui bassi costi, non tardò a farle concorrenza.
Il secolo XIX vide l’affermarsi e svilupparsi dell’industria della seta in tutti i maggiori paesi d’Asia e d’Europa; e si distinguono ormai gli Stati che forniscono seta grezza (quelli dove le condizioni climatiche consentono l’allevamento dei bachi) e quelli che, importando la materia grezza, producono tessuti.

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I SUINI: dettati ortografici e letture

I SUINI: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.

Il cinghiale

Occhio vivace,  garretti asciutti, dorso agile, trotto veloce e nervoso, cotenna spessa e dura, zanne robuste e acuminate, il cinghiale è un lottatore di grande coraggio. Ben diverso da lui è il placido grasso maiale discendente dal cinghiale che ancora vive in libertà nelle macchie e nelle foreste paludose.

Il maiale

Nulla resta in questo animale dell’aggressività, della forza, della furberia di uno dei suoi antenati, il cinghiale. Da una parte, sensi affinati, muscoli scattanti, riflessi rapidi, coraggio ed intelligenza; dall’altra la tranquillità, in nutrimento facile, e quindi la sonnacchiosità, la petulanza ottusa, i riflessi tardi e il grasso.

Il maiale

E’ grasso, tardo, non pensa che a mangiare e a grufolare. Ma è un animale prezioso. Nulla si butta via del maiale. Con la carne si confezionano saporite salsicce, salami e prosciutti; il grasso serve per cucinare e per rendere saporite le vivande; gli intestini, seccati, servono a fare corde di strumenti musicali; con le setole si fabbricano spazzole, pennelli e scope.

Il maiale

Il contadino lo chiama il suo salvadanaio, perché quello che mette vi ritrova. Ma vi mette patate, ghiande, farina, crusca, bucce e brodaglie; ricava i prosciutti, le squisite salsicce, i salami saporiti, il condimento per le sue minestre.

Il porcellino dell’Orthobene
Si trattava di assistere al sacrificio del maiale e manipolarne le carni e i grassi fumanti. Veniva giù in marzo, coi caldi venti orientali, l’arzillo adolescente maialino; scendeva dai cari boschi di lecci dell’Orthobene con una grossa ghianda ancora ficcata nella zanna rabbiosa, coi piedi legati, sul cavallo del servo che lo portava in arcioni e invano tentava di placarne le proteste.
La gabbia dove veniva ficcato, sebbene alta e spaziosa, non lo consolava di certo: erano, i primi giorni, grugniti che spaventavano persino il prode gallo del cortile; e tentativi di smuoverne le sbarre e persino il grande truogolo di granito che forse gli ricordava le pietre della patria perduta.
Allora, in un fresco turchino giorno del primo inverno, arrivavano due valentuomini: uno smilzo e nero, con un berretto frigio sulla testa rapata e le maniche della camicia rimboccate sulle braccia pelose; sembrava il boia; l’altro un pacioccone roseo e lucido: erano due celebri macellai.
(G. Deledda)

(IN COSTRUZIONE)

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CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture

CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

La cerbiatta
Il vecchio guardava sempre le macchie di aliterno in fondo alla radura. Era verso quell’ora che la cerbiatta si avvicinava alla capanna. Il primo giorno egli l”aveva veduta balzar fuori dalle macchie spaventata, come inseguita dal cacciatori: si era fermata un attimo a guardarsi intorno coi grandi occhi dolci e castani come quelli di una fanciulla, poi era sparita di nuovo, rapida e silenziosa, attraversando come in volo la radura. Era bionda, con le zampe che parevan di legno levigato, le corna grigie, delicate come ramicelli di asfodelo secco.
(G. Deledda)

(IN COSTRUZIONE)

CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture . Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

Le volpi
Parla un volpone: “Osservate tutto e notate ogni minima cosa. Non date mai a vedere d’essere delle volpi; se volete manifestarvi ad alta voce, fingetevi cuccioli di cane: abbaiate. A caccia, ricordatevi di essere una selvaggina anche voi, guardatevi d’attorno, accosciatevi spesso, ascoltate ciò che dice la terra. Se ferite, non urlate, mettetevi sottovento dei cani e medicatevi con le radici di rafano. Non temete mai gli scoppi, temete i fruscii, e rifugiatevi di preferenza nel grano. Guardatevi dai funghi velenosi e purgatevi spesso col ricino”-
(F. Tombari)

La volpe
Il suo mantello di peli folti è un’arma di difesa: esso  assume i colori della terra, degli alberi, delle rocce, delle nevi. La volpe è un animale quasi invisibile.
Va a caccia di notte. Assale e divora lepri, conigli, topi e lucertole.  Inoltre dà la caccia agli uccelli, anche a quelli acquatici (oche, anatre, cigni) e devasta i pollai. E’ golosa di pere, susine, uva.
Corre rapida; resiste alla fatica; passa tra le fessure più strette; sa camminare leggera, senza rumore, come se scivolasse; si nasconde nei cespugli.  Nuota bene e si arrampica sugli alberi.
I boscaioli e i contadini le fanno una guerra spietata.
(H. Hvass; da “Mammiferi nel mondo”; ed. Colderini)

(IN COSTRUZIONE)

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture.  Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

Stambecchi e camosci
Si videro scendere a valle quaranta o cinquanta stambecchi e un centinaio di camosci come una frana, ma più potenti gli stambecchi, capaci di daltare rocce che i camosci girano, e di valicare d’un salto fino a sei o sette metri di terreno impervio, fermandosi di netto su una piccola punta aguzza. Sanno anche risalire pareti a picco, incastrandosi tra due piani ad angolo, facendo gioco con gli zoccoli tra l’uno e l’altro.
(G. Piovene)

Il camoscio
Un vecchio cacciatore raccontava questo episodio, occorsogli al ritorno da una infruttuosa battuta di caccia. Ritornava dunque il nostro uomo, stanco e affaticato, attraverso un sentiero impervio e sconosciuto, quando si trovò a viso a viso con un camoscio, morto. La bestia evidentemente era precipitata dalla montagna, e niente aveva potuto trattenerla nella sua caduta: solo alla fine le corna, impigliandosi fra i rami di un cespuglio, avevano tenuto sospeso l’animale nella posizione in cui appunto il cacciatore l’aveva trovato. Forse alla fine della rovinosa caduta il camoscio non era ancora morto, ma poi la fame, le ferite avevano avuto la meglio e la povera bestiola era morta, così, sospesa fra i rami, sola… La montagna, con i suoi pericoli, come si vede, sottopone il camoscio a durissime prove, se l’animale vuole sopravvivere nell’ambiente naturale tutt’altro che facile.
D’estate,  i branchi di camosci, da dieci a cinquanta, dimostrano la loro eccezionale abilità di scalatori vivendo a grandi altitudini, anche oltre i 2300 metri.
D’autunno, da ottobre fino all’inizio dell’inverno, i camosci combattono i loro mortali duelli per il predominio sul branco; poi, con la caduta delle prime nevi, scendono in basso, verso i boschi di conifere. In questo periodo il camoscio diminuisce la sua dieta fino a nutrirsi solamente di scorze d’albero, di muschi, di rovi; un nutrimento molto diverso dai ricchi pascoli estivi. In primavera, invece, nel mese di maggio, nascono i piccoli: uno o due, nel folto del bosco, lontano da tutti,  in un luogo riparato e segreto. Ben presto i piccoli saranno in grado di seguire la madre verso le vette, insieme con il branco fatto più numeroso dai nuovi nati.

Il camoscio: carta d’identità
Lunghezza: circa un metro e venti.
Altezza: 75 centimetri.
Peso: il maschio 45 chili, la femmina 35.
Il colore varia: d’estate è grigio chiaro, scuro d’inverno. Una striscia di peli più lunghi e scuri segna la pelliccia del camoscio dalla punta della coda alla testa. Con questo pelo i tirolesi fanno le nappine, che ornano i loro famosi cappelli.
Il camoscio vive in gruppo; solo i vecchi maschi hanno abitudini solitarie così come le femmine quando stanno per mettere al mondo i piccoli.
L’aquila, i cacciatori, le valanghe, le impervie cime delle montagne su cui hanno la loro residenza, rendono assai pericolosa la vita del camoscio.
L’udito e l’odorato del camoscio sono eccellenti. Non così la vista. Femmine e maschi recano sulla fronte le corna con cui affrontano i loro nemici. Il camoscio si trova sulle Alpi, e sull’Appennino, nel Parco Nazionale d’Abruzzo.

Il capriolo
Vive un po’ dappertutto in Europa. Ha forme snelle, corna ramificate. Si nutre di foglioline e di giovani germogli. Di giorno si tiene nascosto, di notte vaga per campi e prati. Se non fosse protetto da leggi speciali sarebbe già scomparso, preda ambita dei cacciatori.
Può raggiungere settantacinque centimetri di altezza, un metro e trenta di lunghezza, venticinque o trenta chili, al massimo, di peso. Ha gambe sottili, alte, nervose, forti. Il suo mantello varia con le stagioni. In inverno la lanetta, fittissima e morbida, è color bruno-ruggine.
La sua testa è corta, animata da grandi occhi vivaci, le orecchie hanno media lunghezza, le corna, proprie dei maschi, non hanno lo sviluppo e la bellezza di quelle dei cervi.
(G. Menicucci)

L’alce
Nelle regioni paludose e nelle foreste della Siberia si incontrano ancora numerose mandrie di alci, grossi animali strettamente imparentati con i cervi. Un alce adulto è alto oltre due metri al garrese e può pesare 700 chilogrammi. Le enormi corna, che cadono ogni anno in autunno per rispuntare in primavera, sono palmate e largamente spiegate a ventaglio. La femmina ne è priva ed è anche di dimensione più piccola. Il pelame, abbastanza folto, è di colore bruno scuro e nel maschio presenta una criniera assai sviluppata. Gli zoccoli molto larghi e disgiunti permettono a questi animali di camminare nella neve senza sprofondare eccessivamente. Le abitudini dell’alce sono simili a quelle del cervo. Esso preferisce però i luoghi aperti e acquitrinosi del nord dove vaga pascolando. Si nutre di foglie, di cortecce e di piante acquatiche. Per strappare queste ultime, però, deve inginocchiarsi, perché il collo è molto corto rispetto alla lunghezza delle gambe. Un tempo gli alci erano molto diffusi anche in Europa. Secondo antiche credenze, nello zoccolo del piede sinistro dell’alce risiedevano poteri magici, per cui questa parte veniva venduta a caro prezzo, ed era consigliata in numerosissime ricette dell’antica farmacopea.

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

I BOVINI: dettati ortografici e letture

I BOVINI: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.

Il bue

Il bue ha un’importanza rilevante per la storia stessa della civiltà umana. Quando l’uomo delle caverne riuscì a rendere domestico e quindi ad allevare e a trasformare gradatamente l’uro, il colossale bue preistorico, ebbe inizio una serie di eventi importantissimi. L’allevamento di questo animale  significava possibilità di avere carni a sufficienza e il numero dei buoi che uno possedeva servì a calcolare la sua ricchezza. Inoltre la forza del bovino permise la trasformazione del suolo, ancora vergine, in campi coltivati.

Il bue

Gli antichi Germani cacciavano di preferenza l’uro. Ne adoperavano la pelle per fare i vestiti, ne mangiavano la carne, nelle loro corna bevevano l’idromele. Più tardi, i Germani fissarono le loro dimore e praticarono l’agricoltura, ma l’uro calpestava i loro campi e perciò il contadino cercò di fermare il gigante. L’uro era già scomparso fin dal Medio Evo. Il gigante continua però a vivere nel bue domestico ostinato e lento, ma utile, che ora si trova sparso per tutta la terra.
(Reichelt)

Bufale
A uno a uno tutti quei blocchi oscuri, che io avevo scambiati nel crepuscolo per rialzi verdastri del terreno, si sollevarono, scuotendo polvere, e, dondolandosi con mosse lente, si avanzarono sulla radura, incontro a me. Bufale enormi della giogaia ciondolante, dai corvi brevi, dai corni lunghi, diritti serpeggianti, lunati, dal muso nero, dalla stella in fronte, dal piè balzano, dalle radici rosse. La prima del branco ruggiva sempre, fermandosi ad aspettare; e altre vacche nere, che poltrivano  digrumando fra le stoppie gialle, bruciate dal libeccio, si alzavano, si scuotevano muggendo, e s’indirizzavano adagio, circospette e annoiate, sull’orme della guida.
(F. Paolieri)

Bestie all’abbeveratoio
Ultimo divertimento della giornata fu assistere all’abbeverata del bestiame. L’abbeveratoio era in fondo a un gran prato, accanto al pozzo perenne, oggetto di molta invidia dei vicini in quelle terre siccitose. La fila delle bestie sciolte s’avvicinava lentamente dove le chiamava il boaro con un certo verso e fischio lungo, pacato, suasivo, che le invitava a bere. Camminavano sagge, con quella loro andatura che sembra inceppata, a testa bassa; e il sole basso sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche per la più parte. Immergevano il muso fino alle froge nell’acqua, e bevevano adagio, alla loro discreta maniera. Poi lo levavano stillante, e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie.
(R. Bacchelli)

Due vitellini si vogliono bene
Era successo che, proprio stando soli nella stalla, forse per ruzzare intorno alla mangiatoia o per scavalcarla, il vitellino più anziano, quello che aveva una specie di stellina in fronte, si fece male, ebbe una delle due protuberanze che, ai lati della fronte, cominciavano a indurirsi, scalfita da un chiodo, ammaccata da un urto troppo forte. Nulla di straordinario: ci fu qualche medicamento rustico, una foglia larga e fresca messa sull’ammaccatura, un po’ di dolore… Ma cosa straordinaria fu che il vitellino più giovane intervenisse lui, nelle ore in cui erano soli, a medicare, tirando fuori la lingua, che era poi anch’essa quasi come una foglia ma rosea e un poco ruvida, raspando, leccando sull’ammaccatura dell’amico come per una carezza e, insieme, una medicina.
(B. Tecchi)

Buoi al lavoro
I buoi, i grandi buoi, questi giganti
così affettuosi, così utili, così vigorosi!
Guardateli tirare, lungo le strade,
quei carichi così pesanti…
Il loro corpo, teso dallo sforzo, freme,
e il carro geme, geme a lungo.
Il carro geme, a lungo geme,
e i buoi tirano fino all’estrema fatica.
E sembra, nella sera bagnata d’ombra,
che il carro pianga per chi lo trascina…
E la sera, lungo la strada solitaria,
il carro geme, geme e se ne va.
(A. Lopez-Vieira)

Il bove
In questo sonetto, che è tra i più famosi della nostra letteratura, il poeta celebra la forza laboriosa e mite del bue e quel suo faticare docile in mezzo ai campi lavorati dall’uomo. E’ un quadro di pace solenne che ispira un senso religioso della fatica agreste.

T’amo, o pio →1 bove, e mite un sentimento
di vigore e di pace al cor m’infondi  →2,
0 che  →3 solenne come un monumento  →4
tu guardi i campi liberi e fecondi,
o che al gioco inchinandoti contento
l’agil opra de l’uom grave secondi  →5 :
ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
giro dei pazienti occhi rispondi  →6.
Da la larga narice umida e nera
fuma il tuo spirto  →7, e come un inno lieto  →8
il mugghio nel sereno aer si perde;
e del greve occhio glauco entro l’austera
dolcezza  →9 si rispecchia ampio e quieto
il divino del pian silenzio verde  →10.
(G. Carducci)

Note:
→1 pio: mite e disposto al lavoro dei campi che è, per gli uomini, una santa fatica
→2 m’infondi: mi ispiri
→3 o che: sia che
→4 come un monumento: in atteggiamento placido e solitario
→5 secondi: col movimento grave del corpo, il bove asseconda i gesti dell’uomo, agile nella fatica dell’aratura
→6 rispondi: mostri d’intendere e consentire alla sua volontà
→7 fuma il tuo spirto: esala il tuo alito
→8 come un inno lieto: il mugghiare del bove è come un inno che accompagna in letizia il lavoro dei campi
→9 entro l’austera dolcezza: dentro lo sguardo dolce e insieme solenne dell’occhio azzurro (glauco) del bove. Grave perché si volge con lentezza e pazientemente
→10 si rispecchia… silenzio verde: si riflette la pace e l’alto silenzio della pianura. Verde è congiunto con silenzio ed è un’immagine lirica che si spiega pensando che il poeta, per spontaneo gioco di fantasia, ha trasferito al silenzio la proprietà verde del piano.

Il bue
Quando l’uomo cominciò a coltivare i cereali, iniziò ad addomesticare gli animali e, tra questi, il bue.
Come sollevò il lavoro dell’uomo!
Discende da un animale preistorico chiamato uro, la cui razza è ormai scomparsa da circa quattromila secoli.
Il manzo, il toro, la mucca, il vitello, la giovenca e il bue sono differenti stati dello stesso animale: il bue.
E’ un ruminante; ha i piedi forcuti e corna cave, corpo tozzo, membra corte e robuste, collo con sotto una pelle pendula chiamata giogaia. Vive d’erba e serve all’uomo da tiro e da trasporto. Fornisce energia organica per il lavoro della terra, ottimo concime, produzione abbondante e sostanziosa di latte; carne per l’alimentazione, sangue, ossa, corna, pelle, unghie per moltissimi usi.
Si adatta alle più svariate condizioni di clima, di altitudine, di alimentazione.
Gli antichi lo veneravano.

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LE PECORE E LE CAPRE dettati ortografici, poesie e letture

LE PECORE E LE CAPRE dettati ortografici, poesie e letture per bambini della scuola primaria.

La pecora e la capra

Buone e pacifiche, le pecore e le capre pascolano sui prati e brucano l’erba e i germogli lungo le siepi. Il vello delle pecore è folto e morbido, formato da bioccoli di lana.
Il maschio della pecora si chiama montone, ed ha due corna ricurve.
Le capre hanno una graziosa barbetta sotto il mento e piccole corna curve e affilate con le quali aggrediscono e si difendono.
Pecore e capre vengono riunite in greggi sorvegliate dai pastori e dormono negli ovili con gli agnelli e i capretti.
Sono ruminanti ed erbivori; danno latte e carne; la pecora, inoltre, ci dà la lana e con la pelle della capra, conciata, si fanno scarpe e guanti.
In Italia le pecore sono allevate specialmente nel Lazio, nell’Abruzzo, nel Molise e nell’Umbria. Durante l’estate, le greggi si spostano dalle pianure ai pascoli appenninici, che abbandonano al principio dell’inverno. Questa periodica migrazione è detta transumanza. La transumanza viene effettuata su antiche vie chiamate tratturi.
Le pecore si chiamano ovini e le capre caprini. Sono ruminanti simili alla capra anche il camoscio, lo stambecco e il caribù.

La pecora

Anticamente la pecora dovette essere un animale simile al camoscio: agilissima, dotata di corna e magari di umore alquanto aggressivo. Oggi è l’animale più mansueto che si conosca: effetto dell’addomesticamento. Vicino all’uomo, allevata da lui, la pecora, innanzitutto, è ingrassata, poi ha perduto i suoi istinti aggressivi.

Ritorna il gregge

Il gregge tornò dalla montagna. Primi venivano i montoni, con le corna basse e l’aspetto selvaggio; dietro il grosso delle pecore: le madri un po’ stanche, gli agnellini da lette coi musetti tra le zampe delle mamme. I muli, infioccati di rosso, portavano nelle gerle gli agnelli di un giorno, e camminando li cullavano. Ultimi i cani, ansimanti, con un palmo di lingua fuori dalla bocca; e due pastori giganteschi avvolti in ampi mantelli rossi che scendevano giù fino ai piedi.
La processione ci sfila davanti gioiosamente e per il cancello entra nel cortile: gli zoccoli picchierellano sull’ammattonato come uno scroscio di  grandine. E in mezzo al trambusto il gregge entra nell’ovile.
(A. Daudet)

Il gregge

Ecco le pecore in viaggio. Avanti e attorno a loro, camminano i cani da guardia. Sono bianchi come le pecore e procedono a testa alta, guardinghi. Vegliano sulle pecore e le difendono. Dietro ai cani vengono i montoni, scuotendo il campanaccio schiacciato. Sono seguiti dal gregge senza ordine. A capo basso, con gli occhi tristi che non guardano di lato, le pecore camminano in branco. Dove va l’una, vanno le altre.
Quelle vicino alle siepi, strappano qualche foglia. Dietro a questo fiume di lana calda,, che alza il polverone delle strade, vengono i pastori, o a piedi o a cavallo, con l’ombrello a tracolla e un lungo bastone in mano. Essi corrono dietro alle pecore che si sbrancano, spingono quelle che restano indietro zoppicando; raccolgono gli agnelli nati lungo il viaggio, bianchi e rosa, belanti.
Ogni tanto si volgono indietro. Nuvole dense hanno coperto i loro monti. Il vento stacca dagli alberi del piano le foglie ingiallite.
(P. Bargellini)

Agnello
Nessuno ti pettina i ricci,
nessuno ti bacia sul muso,
la mamma è partita dal chiuso,
sei piccolo e senza capricci.
L’erbetta più tenera e fine
la cerchi nel prato da te:
si sente tremare il tuo bee,
per vaste pianure e colline.
Per quel campanello che scuoti
le valli non sono più mute,
la terra imbandita di rute,
riporti ad incanti remoti.
Guidato a più libera altura
tra boschi, torrenti e perigli,
mio piccolo agnello somigli
un poco di neve che dura.
(R. Pezzani)

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CAVALLO, ASINO, MULO: dettati ortografici, poesie e letture

CAVALLO, ASINO, MULO: dettati ortografici, poesie e letture per bambini della scuola primaria.

Il cavallo

Il cavallo è il più nobile animale della fattoria: è slanciato, ha la testa allungata, gli occhi grandi e le orecchie a punta di cartoccio. Scuote la folta criniera, dondola la coda lucida; ma zampe sottili e robuste, terminanti in un piede con un solo dito, protetto dallo zoccolo.
Talvolta, mentre gli si mettono i finimenti, il cavallo sbuffa, nitrisce, scalpita e allarga le froge.
Tra i denti canini e i molari c’è uno spazio vuoto che porta il nome di barra, utile per appoggiarvi il morso: è questo l’arnese di cui si è servito l’uomo per domarlo.
Il mantello o pellame che ricopre il cavallo è molto vario. Il cavallo si dice baio quando ha il mantello rosso – castano, la criniera e la coda nere; sauro quando è più scuro o più chiaro del baio, ma con la criniera e la coda dello stesso colore del mantello; morello, storno quando è grigio macchiettato di bianco; roano quando ha il mantello bianco e grigio.
La durata della vita di un cavallo non supera i trent’anni.
Il cavallo veniva impiegato nei lavori agricoli e come mezzo di trasporto.
Alla famiglia degli equini appartengono anche l’asino e il mulo.

Il cavallino
L’altro giorno, alle pendici di Monte Mario, trovai un cavallino. Un cavallino nato da un mese, un mese appena; accosto alla cavalla, che era con una lunga criniera chiara; una madre bellissima e, dietro, andava a passi lenti il cavallo padre. Anzi, prima era il pastore che, con una lunga canna di comando sulle spalle, apriva il dolce e innocente corteo, poi era il cavallo padre e la cavalla madre, i quali andavano quasi di pari passo affiancati, poi era il cavallino. Padre e madre andavano fiutando l’erba, pregustando il vicino pascolo. Ma, il cavallino, non faceva altro che saltare. I cavallini hanno la testa a triangolo, piccina; la mascella vi disegna un archetto ben profondo; hanno la coda corta, ciuffosa,  ad anelli neri come le treccine delle ragazze di pochi anni. Hanno la sella vergine, snella, benissimo marcata ai lombi e già esuberante per quanto sia poco tempo che sono nati. Hanno le zampe lunghe, nocchiute; ma lo zoccolo l’hanno piccino, e non stanno mai fermi..
(L. Bartolini)

L’asino

L’asino somiglia al cavallo, ma ha il corpo più piccolo (supera di poco l’altezza di un metro); la sua testa è grossa e pesante; le orecchie sono lunghe, la criniera è ruvida con peli dritti; la coda è liscia, rivestita di peli solo all’estremità. Il mantello dell’asino può essere di colore grigio, bianco pezzato o scuro. La sua voce è sgraziata e rumorosa: si dice raglio e si distingue nettamente dal nitrito.
L’asino si nutre di fieno e di erba fresca. E’ un animale paziente e laborioso. Veniva utilizzato per il traino, per la soma e per la sella.

Il mulo

E’ figlio dell’asino e della cavalla. Si distingue dal cavallo per la forma del capo, per le orecchie più lunghe, per la coda simile a quella dell’asino. Il colore del mantello è come quello del cavallo.
Il mulo raglia come l’asino.
Il mulo è robusto come il cavallo, paziente e laborioso come l’asino; tira spesso e facilmente calci terribili. Nei percorsi di montagna è superiore all’asino e anche al cavallo per la sicurezza con la quale cammina nei luoghi più pericolosi.

Il cavallo nella storia

Il cavallo fu più di una volta l’elemento determinante di eventi storici molto importanti. I cavalli fiancheggiarono le legioni romane in battaglia, i destrieri medioevali furono i fedeli compagni dei cavalieri nelle loro imprese straordinarie, i veloci corsieri trasportarono le popolazioni asiatiche ai confini dell’Europa. La conquista delle Americhe fu agevolata dalle poche centinaia di cavalli che gli esploratori e i conquistatori vi importarono dall’Europa.

Il cavallo

Il cavallo fu chiamato il figlio del vento perchè fino alla scoperta del motore, questo nobile animale fu il mezzo di trasporto più veloce che si conoscesse. Il cavallo fu domato dall’uomo fin dall’epoca più antica. In principio gli uomini gli davano la caccia per nutrirsi della sua carne, poi quando videro che poteva essere utilizzato per la velocità della sua andatura, lo addomesticarono e i cavalli divennero tra i servitori più preziosi dell’uomo.

Il figlio del vento

Io sono il cavallo. E sono bello. Sono agile. E veloce. E generoso. E forte. E coraggioso. E non sono, ovviamente, modesto. La modestia la lascio al mio parente, l’asino. Fu lui ad essere domato per primo e ciò dipese, quasi certamente, dalla sua mancanza di fiducia nei meriti della specie a cui apparteneva.
Ma l’asino non ama l’uomo, lo subisce. China la testa, presto volenteroso la sua schiena al carico e si sottomette docilmente alle stanghe. E l’uomo, che non ama gli umili, che non ha alcun rispetto per i sottomessi, non solo si serve di lui, ma lo beffeggia. Lo burla per le sue lunghe orecchie e chiama asini i suoi simili che non brillano per sapere.

Soltanto dopo aver domato l’asino, l’uomo volse la sua attenzione al cavallo. Il cavallo era un animale fiero, veloce, orgoglioso e l’uomo disse: “Lo domerò!”. Fu, per lui, un puntiglio d’onore. Domare un cavallo significava sentirsi più uomo, re del creato, quello per cui il creato era stato fatto.
Branchi di cavalli galoppavano per le steppe, nelle pianure, nei deserti, criniere al vento, occhi lucenti, garretti veloci, froge frementi. L’uomo  li vedeva passare nei lontani orizzonti quando procedeva, lento, sulle piste, guidando carovane di asini carichi di masserizie. Andava per le sue migrazioni, attirato dall’ignoto, verso le terre sconosciute, campi più pingui, fiumi più profondi  e foreste più folte. Ma il passo dell’asino era troppo lento per il suo desiderio e fu così che l’uomo, un giorno, cede un cappio con una lunga liana e catturò un cavallo.

Inutili i nitriti di dolore, di ribellione, di furore dell’animale prigioniero. Egli era l’uomo, il re, il dominatore, il despota. Il cavallo dovette cedere, anche se si ribellò, lo scavalcò, lo calpestò con i suoi duri zoccoli. Alla fine, schiumante di rabbia impotente, dovette quietarsi. L’uomo conobbe l’ebbrezza della velocità. Chiamò il suo destriero figlio del vento. Lo carezzò, lo strigliò, lo nutrì e gli mise il morso.
Il cavallo finì per non ribellarsi più a quel peso estraneo che sentiva sulla groppa. Imparò a conoscere lo strattone delle briglie e piegò la sua natura fiera alla volontà dell’uomo.
Divenne il suo fido compagno non soltanto nella corsa, ma anche nel combattimento. L’uomo ormai era progredito e faceva la guerra. Come fare la guerra, a quei tempi, senza il cavallo? Noi cavalli abbiamo sempre amato la battaglia. Il grido dei combattimenti ci esalta, lo strepitio delle armi ci inebria.
Incuranti del pericolo, portammo i cavalieri nella mischia e li facemmo diventare coraggiosi anche se non lo erano. Fummo bardati di ferro e di cuoio, portammo elmo e corazza come il cavaliere che ci montava. Giocammo con lui nei tornei e nelle giostre e lo seguimmo nella caccia. Un’epoca gentile e generosa prese il nome da noi: la cavalleria. Per l’uomo fummo un elemento indispensabile delle sue gesta gloriose. Dice un proverbio arabo: “Allah creò il cavallo e disse: ti ho fatto senza pari. Volerai senza lai e combatterai senza spada”.
(Mimì Menicucci)

Il cavallo

Il più importante fra gli equini è il cavallo. Ha la testa piccola, eretta, allungata; orecchie aguzze mobilissime, occhi vivaci. Il cavallo è uno degli animali che hanno prestato maggiori servizi all’uomo, ma ai nostri giorni sta perdendo di importanza, di fronte ai prodigi della meccanica che ne ha ristretto l’impiego.

L’asino

Perchè tanto disprezzo per questo animale così buono, così utile? L’asino è per natura molto paziente, tranquillo quanto il cavallo è fiero, ardente, impetuoso; sopporta con costanza e, forse, con coraggio, la fatica; è sobrio sia nella quantità che nella qualità del cibo, si accontenta delle erbe più dure e disgustose che il cavallo e gli altri erbivori lasciano e sdegnano; è invece delicatissimo per l’acqua: non vuole bere che quella più limpida.
(Buffon)

Il ciuchino del mugnaio
“Arri là!”. Passa il ciuchino
del  mugnaio con la sacca,
avviandosi al mulino
pel viottolo, alla stracca.
“Arri là!”. La testa bassa,
annusando per la strada,
par che cerchi mentre passa,
il mastello con la biada.
“Arri là!”.  Ma per carezza,
soffermandosi, ha buscata
una stretta di cavezza
e un’amabile legnata.
“Arri là!”.  Come protesta
all’offesa dignità,
il ciuchino alza la testa:
“Ah!… ih ah! ih oh! ih ah!
(Dante Dini)

Il muletto
Lontano lontano lontano
si sente suonare un campano.
E’ un muletto per un sentiero
che si arrampica su su su!
Che tra i faggi piccolo e nero,
si vede e non si vede più!
Ma il suo campanaccio si sente
suonare continuamente.
(G. Pascoli)

L’asino e la speranza
Cieco, zoppo, brutto, vecchio
tira avanti un asinello.
Ma un allegro campanello
che gli suona nell’orecchio
lo rincuora e lo consola
raccontandogli una storia:
– C’era un tempo un contadino
che trattava l’asinello
con i calci e col randello,
e dicendogli: “In cammino!”
gli metteva sempre troppa
legna od altra cosa in groppa.
Ma Giuseppe falegname
l’asinello si comprò
e gli diede fieno e strame,
tutto a nuovo lo ferrò,
riservandogli l’onore
di portar nostro Signore.
Lo curò da ogni male,
lo strigliò da capo a piè
e gli mise al pettorale
un campano come me,
che a sentirlo mentre andava
tutto il mondo si voltava.
Soffri, dunque, rassegnato.
Verrà il giorno anche per te
che Giuseppe dal mercato
ti vorrà portar con sé.
Non importa se sei brutto
avrai fieno e strame asciutto.-
L’asinello zoppicando
gode il suon che l’accarezza.
Per sentirlo a quando a quando
scuote allegro la cavezza,
e, nutrito di speranza,
meno vecchio e stanco avanza.
(Renzo Pezzani)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche sugli animali e favole in rima

 Poesie e filastrocche sugli animali e favole in rima

Poesie e filastrocche sugli animali e favole in rima – una raccolta, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La filastrocca del bimbo e delle bestiole
Il bambino.
Farfallina, farfalletta
dalle alucce tutte d’oro,
perchè voli tanto in fretta?
Perchè sempre scappi via?
Perchè vai sempre lontano?
Io ti voglio qui vicino
un momento, un momentino.
La farfalla.
Lasciami andare, bambino
non mi chiamare!
Devo volare al mio regno,
lassù nel paese più azzurro
lassù nel paese più bello.
Se scende improvvisa la notte
non giungo più in tempo al castello.
Il bambino.
Formichine, formichette
dove andate in processione?
Son già colme le casette
di granelli e briciolone.
Aspettate un momentino
e fermatevi a giocare.
Perchè far tanto cammino?
Perchè mai tanto da fare?
Le formichine.
Oh, lasciami andare, bambino,
oh, lasciami andare!
Siam cento, siam mille sorelle
e tutte dobbiam lavorare
perchè ci facciamo la dote
e presto dobbiamo sposare.
Il bambino.
La farfalla vola lontano…
la formica continua il cammino
sono un povero bambino
che non sa con chi giocare.
Il merlo dell’albero.
Lascia volare le farfalline,
le formichine lascia al lavoro:
a casa attendono le sorelline
se vuoi giocare, gioca con loro. (L. Galli)

Il ritorno delle bestie
Passa il grido d’un bimbo solo:
Turella, Bianchina, Colomba!
Porta in collo l’erba ch’ha fatta,
nella sua crinella di salcio.
Le sue bestie al greppo, alla fratta,
s’indugiano al cesto ed al tralcio.
Ei che vede sopra ogni tetto
già la nuvola celestina,
le minaccia col suo falcetto;
Colomba, Turella, Bianchina! (G. Pascoli)

Venti ranocchi
Venti ranocchi sono a lezione
con fuori gli occhi per l’attenzione.
Si fa silenzio col campanello
quindi il maestro legge l’appello.
Cro Cro? Presente! Cra Cra? Assente!
Cri Cri? Cri Cri? Son qui!
Verdello Verdardi? Verrà più tardi!
Verdino Verdato? Ancora malato!
Da un’ora circa stan zitti e attenti
poi uno dice che ha mal di denti.
Un altro lascia il posto a sedere
finge, il maestro, di non vedere.
Cri Cri è già stufo della lezione
si gira e cambia di posizione.
Cro Cro in silenzio di fila esce
va via saltando dietro ad un pesce.
Verdello scappa fuori dal banco
anche il maestro ormai è stanco.
Suona il segnale di libera uscita
oh, finalmente l’ora è finita!

Filastrocca degli animali
An ghin gà
fa l’ochetta qua qua qua
e conduce i suoi marmocchi
a giocare coi ranocchi
quanto è buffa non lo sa
com’è bello l’an ghin gà.
An ghin ghe
quando canta coccodè
la gallina ha fatto l’uovo
io lo cerco e non lo trovo
ma chissà chissà dov’è
com’è bello l’an ghin ghe.
An ghin ghi
canta il gallo cri cri cri
canta in mezzo alla campagna
la cicala lo accompagna
do re mi fa sol la si
com’è bello l’an ghin ghi.
An ghin go
l’asinello fa ih oh
dice a tutti gli animali
io conosco due vocali
tutto il resto non lo so
an ghin go.
An ghin gu
il tacchino fa glu glu
fa glu glu e diventa rosso
fa la ruota a più non posso,
ma non fa niente di più
com’è bello l’an ghin gu.

Il lupo e l’agnello
Un dì nell’acqua chiara di un rusceòòo
beveva cheto cheto un mite agnello,
quand’ecco sbuca un lupo maledetto
che grida pien di rabbia: “Chi ti ha detto
di intorbidar l’acqua mia così?
Non sai che è il mio ruscello questo qui?”
“Scusatemi maestà, ma non credete
che l’acqua sia di ognuno che abbia sete?
Le nostre poi intorbidar non posso poi,
perchè io bevo in basso più di voi”.
Così rispose il povero innocente
con la gran forza di chi non mente.
Infatti come ognuno sa
ha un gran potere la verità.
Gli dice il lupo digrignando i denti:
“Io dico che l’intorbidi, tu menti!
E poi parlasti mal di me l’anno passato!”
“Maestà non si può dir, non ero nato!”
Il lupo vinto allora dalla verità
gli disse: “Allora fu tuo padre, un anno fa!”.
E stretto fra le zanne ingiustamente
sbranò impietoso il misero innocente.

La volpe e il corvo
Sen stava messer corvo sopra un ramo,
con un bel pezzo di formaggio in becco.
La volpe si avvicina piano piano,
attratta dal profumo di quel lecco.
“Salve, messer del corvo! Io non conosco
uccel di noi più bello in tutto il bosco,
se come dicono anche il nostro canto
è bello come son le nostre piume
potreste voi davvero menar vanto
di gareggiare col sole e col suo lume”.
Non sta più nella pelle il vanitoso
di far sentire il canto suo famoso,
del suo gracchiare vuole dare un saggio,
spalanca il becco… e cade giù il formaggio.
La volpe il piglia e dice al corvo sciocco:
“E’ il giusto prezzo per la mia lezione;
per essere in futuro meno allocco
ti valga ora la fame e la punizione”.

Il lupo e i pastori
“Al lupo! Al lupo! Aiuto, per pietà!”
gridava solamente per trastullo
Cecco il guardian, sciocchissimo fanciullo.
E quando alle sue grida accorrer là
vide una grossa schiera di villani, di cacciator e di cani,
di forche, pali ed archibugi armata
fece loro sul naso una risata.
Ma dopo pochi giorni entrò davvero
tra il di lui gregge un lupo, ed il più fiero.
“Al lupo! Al lupo!” il guardianello grida
ma nessuno lo ascolta
e dice: “Ragazzuccio impertinente
tu non burlerai un’altra volta”.
Raddoppia invano le strida
urla e si sfiata invano, nessun lo sente;
e il lupo, mentre Cecco invan s’affanna
a suo bell’agio il gregge uccide e scanna.
Se un uomo per bugiardo è conosciuto
quand’anche dice il ver non è creduto.

Cane e gatto
Cuoca Agnese, cuoca Agnese,
dov’è andata cuoca Agnese?
S’è destata che era giorno
ha spazzato la cucina
ha lustrato bene il forno.
Poi, con l’abito di trine
tutto gale e falpalà
al mercato se n’è andata
chissà quando tornerà.
Silenziosa è la cucina
dorme il gatto acciambellato
presso il cesto del bucato,
ma un cagnetto battagliero
ecco irrompe nel tinello
vede il gatto e strilla fiero
“Io ti sfido qui a duello!”
Mao si sveglia e: “In guardia, Fido!”
gli risponde, “Anch’io ti sfido!”
Il duello è incominciato
Mao, gattone grosso e vecchio
salta, e va a finir nel secchio
mentre Fido il cagnolino
che sul gatto s’è avventato
urta il piatto di Pechino.
Il bellissimo ornamento
ora è lì sul pavimento
tutto rotto, sbriciolato:
il duello è terminato.
Mao sospira, Fido tace
nel silenzio ritornato
cane e gatto fan la pace.
Ma son tristi, chè un pensiero
li molesta nero nero
e colmare non si sa:
“Che dirà la cuoca Agnese
quando a casa tornerà?” (M. Castoldi)

Il leone e il topolino
Sguscia fuori il topolino
lesto lesto da un buchino;
corre a destra, corre a manca,
di guardare non si stanca;
ma si imbatte nel leone,
che vuol farne, ahimè, un boccone!
“Oh, gran re della foresta”
grida il piccolo atterrito
“Non faresti una gran festa
col mio corpo scheletrito!
Tu, che appari maestoso,
sarai anche generoso.
Deh, concedimi la vita,
che m’è ancora ben gradita!”
Il leone impietosito,
dal topino sì spaurito,
guarda a lungo il prigioniero
con lo sguardo suo severo;
lo rimette in libertà
e poi lento se ne va.

Coccinella, rana e tartaruga
Un bimbo si è fermato sulla strada
gomiti a terra, testa fra le mani
e resterebbe lì fino a domani:
passano amici della sua contrada.
“Io non sono più grande di un bottone”
dice la vanitosa coccinella.
“A me fu data solo una stagione
e la più breve, ma son così bella!”.
“Non ho colori splendenti, ho la pelle
di una rana, ma nelle notti estive
innalzo un inno dalle verdi rive
vivo nel fango e canto per le stelle.”
“E’ vero, nell’andare non sono tanto lesta
ma lungo il mio cammino continuo ad osservare:
non faccio come un bimbo che gira senza testa!”

Un brutto incontro
Tre pulcini andando a spasso
incontrarono una volpe
che venendo passo passo
leggiucchiava il suo giornale.
“Buonasera, signorina”
disser subito i pulcini.
“Oh, salute, miei carini,
e di bello che si fa?”
“Giacchè mamma è andata fuori
siamo usciti dal pollaio
vogliam fare un po’ i signori
con l’andar di qua e di là”.
“Bravi, bravi, per davvero!
Voglio stringervi la mano”.
Sì dicendo s’appressò
e glu glu, se li mangiò.

Il grillo sapientone
Nella sua casetta nera
quando vien la primavera
mastro grillo, il sapientone
agli insetti dà lezione.
La farfalla è svogliatina
disattenta e birichina
fa i dispetti al moscon d’oro
tutto intento al suo lavoro.
Poi ci sono tre sorelle
che si chiaman coccinelle
hanno gli occhi birichini
e la veste a puntolini.
Luccioletta luce spenta
piano piano si addormenta,
ma c’è un bruco pien di voglia
che ricama la sua foglia.
C’è una vespa, un moscerino
tre formiche, un maggiolino
tutti intenti alla lezione
di quel grillo sapientone.

C’era una volta un gatto
che andava in Canada
e questa è la metà.
Portava un cartoccetto
di pane col prosciutto
e questo è tutto.

Le ore del giorno
Quando l’alba si avvicina
canta il gallo alla gallina: Chicchirichì!
Or che il sole si è levato
ronza l’ape sopra il prato: Zzzzzz!
Sulla balza l’agnellino
bruca e bela, poverino: Beeeeeh!
Ecco l’ora meridiana
canta allegra la campana: Din don!
Sulla strada l’asinello
quando incontra suo fratello: Ih oh!
Quando il sole si allontana
gracidando va la rana: Cra cra!
Or la luna sale in cielo
trilla il grillo sullo stelo: Cri cri!
Brilla solo un lumicino,
dorme quieto ogni bambino.

Il granchio, il luccio e il cigno
Quando non van tra loro
i compagni d’accordo nel lavoro
non s’ottiene un bel niente:
è vana ogni fatica, inconcludente.
Un granchio un luccio e un cigno
un bel mattino
si misero a tirare un carrettino
unirono gli sforzi tutti quanti
ma il carretto non fece un passo avanti.
Leggero il peso a tutti insieme appare
ma il cigno sulle nubi vuol volare
il granchio va a ritroso e, si comprende,
il luccio per natura all’acqua attende.
Chi ha torto e chi ha ragione? Chi lo sa?
Il carro intanto resta sempre là. (I. A. Krylov)

Poesie e filastrocche sugli animali e favole in rima – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche BRUCHI E FARFALLE

Poesie e filastrocche BRUCHI E FARFALLE – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

In un prato
In un prato d’erba fina
è spuntata stamattina
una pratolina bianca
con un petalo che manca.
Pratolina senza un dente
farai ridere la gente!
Chi non ride è un bel bambino
anche a lui manca un dentino!
Sopra un cavolo cappuccio
si è posata una farfalla
mezza bianca e mezza gialla.
Tante uova piccoline
che somigliano a perline
sulle foglie ha sparpagliato
ed il volo ha poi spiccato.
Ad un cespo d’insalata
or sta dando la scalata
un bruchetto verdolino
con due corna sul capino.
La scalata è faticosa
il bruchetto si riposa.
Mangia un poco di insalata
poi riprende la scalata. (Guarnieri Martini)

Il bimbo e le farfalle
Le farfalline tornano fuori
con l’ali splendenti di bei colori.
Chiede il bambino:
“Dove eravate nel triste inverno?
Che facevate?”.
Loro rispondono:
“Dentro i nostri ovettini
piccoli piccoli come semini,
aspettavamo la primavera
per poi volare dall’alba a sera,
aspettavamo ali e colori
per poi volare tra erbe e fiori”.

Bacolino
Il bacolino mangia la foglia
finchè ne ha voglia,
e crescerà.
E quando grosso
sarà venuto,
tutto panciuto
si fermerà.
Di seta un filo
dalla sua bocca
se non si tocca,
lungo uscirà.
E gira gira
sera e mattina,
una casina
si formerà.
Sarà la casa
di seta e bella
e dentro a quella
si chiuderà.
Ed ora un bruco ha la casina
la farfallina
eccola qua. (O. Contini Levi)

I filugelli (bachi da seta)
Gran mangiare, gran dormire! I filugelli
s’imboscarono alfine tra i fastelli.
Ghiande d’oro divennero filando.
Le fanciulle or le colgono cantando.
Chi va, chi viene, come ad una festa:
ognuna ha la sua bionda corba in testa.
Come! Su brulle scope di brughiera
tanti frutti di seta in primavera?
Cantano le fanciulle innamorate.
Pare, il granaio, l’orto delle fate. (Corrado Govoni)

Il baco da seta
Sui graticci bianchi e neri
sono i bachi nati ieri
e la casa all’alba s’alza
e va attorno presta e scalza.
C’è chi muta, c’è chi sfoglia…
chi sminuzzola la foglia…
E il vermino mangia e dorme
mangia e dorme e si fa enorme:
fin che un dì gli vedi in bocca
fil di seta e il bosco tocca.
Poi si chiude in un castello
senza porte e chiavistello,
e il cortile è tutto biondo
di quel bozzolo giocondo. (Lina Carpanini)

Il baco da seta
Fo una vita da signore,
mangio e dormo a tutte l’ore,
muto foggia di vestito.
Ma un bel giorno, vergognoso
dell’inutile riposo, smetto infine di brucare
e comincio a lavorare.
Fili d’argento e filo d’oro
vo intrecciando al mio lavoro
poi mi chiudo in fretta in fretta
nella splendida casetta,
per uscir di là rinato
e in farfalla trasformato. (A. Ferraresi)

I bruchi
Il bruco che si trascina
su due molli file di piedi,
è anch’esso creatura divina,
con un cuore che tu non vedi.
Bruchi rossi come rubini,
bruchi verdi come smeraldi,
irti di peli lunghi e fini
come una seta che li riscaldi;
portano un fuoco che li consuma,
sentono un’ansia che li trasforma:
si trascinano, eppure nessuna
orma è più lieve della loro orma.
Sono anime incatenate
dentro corpi goffi e orrendi:
ma quando le belle giornate
ritornano a splendere, e i venti
vanno colmi d’odori e di polline,
nessun occhio vede più i bruchi:
son scomparsi dai prati, dai colli;
si sono chiusi in cortecce ed in buchi,
si sono appesi al ramo e alla foglia,
ma mutati, come mummie di carta
velina, con dentro la voglia
che preme, con un cuore che batte
già l’ala a una gran vita celeste.
E quando un mattino tu vedi
volare farfalle in gran veste
di gala, ah, ricorda i lor piedi
già molli e quegli orridi dorsi
villosi: ripensa al divino
anelito che li ha percorsi
nel loro terrestre cammino. (Giuseppe Porto)

Solitario
Solitario il bacolino
pur essendo ancor piccino,
preso ha stanza in una noce.
Quando il sole scalda e cuoce,
fa un buchin nel guscio e resta
ore ed ore alla finestra. (A. Morani Castellani)

La crisalide
Una crisalide svelta e sottile
quasi monile
pende sospesa dalla cimosa
della mia casa.
Salgo talora sull’abbaino,
per contemplarla,
e guardo e interrogo quell’esserino
che non mi parla.
O prigioniero delle tue bende,
pendulo e solo,
senti? Il tuo cuore sente che attende
l’ora del volo?
Tra poco l’ospite della mia casa
sarà lontana:
penderà vuota dalla cimosa
la spoglia vana.
Andrai, perfetta, dove ti porta
l’alba fiorita;
e sarà come tu fossi morta
per l’altra vita. (Giudo Gozzano)

Farfalla
Farfallina spensierata
lo sai tu dove sei nata?
Eri bruco in una cella
senza sole e senza stella.
Poi nel sole sei uscita,
come un fiore sei fiorita… (Renzo Pezzani)

La vispa Teresa
La vispa Teresa
avea tra l’erberra
al volo sorpresa
gentil farfalletta.
E tutta giuliva,
stringendola viva,
gridava a distesa:
– L’ho presa, l’ho presa!-
A lei supplicando,
l’afflitta gridò:
– Vivendo, volando,
che male ti fo?
Tu sì mi fai male,
stringendomi l’ale.
Deh, lasciami, anch’io
son figlia di Dio!-
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì. (L. Sailer)

Le due farfalle
La farfalla cavolaia
che volava tutta gaia
qua e là per l’orticello,
disse a quella tozza tozza
del parente filugello:
– Come sei pesante e rozza!-
Tosto l’altra replicò:
– Bella ed agile tu sei,
questo è vero, ma, però,
godo almen questo conforto:
fan la seta i figli miei,
mentre i tuoi rovinan l’orto!- (G. Fabiani)

Farfalle
Innanzi alla mia casa montana,
ove regna sovrana
la gioia,
sui sassi, sui fiori, sui rami,
ovunque arda il gran sole di luglio,
stanno, vanno, ristanno,
innumerevoli farfalle.
Talune son gialle
come le primule;
altre azzurrine
come miosotidi;
altre dorate
striate
e cupe
come l’arnica ardente;
altre bianche e serene
come il fior del ciliegio innocente. (Giuseppe Zoppi)

Farfalle
Nella selva ombrosa e fresca,
mentre cantan le cicale,
uno sciame di farfalle
batte l’ale.
Semi d’oro luccicanti
getta il sol tra frondi e frondi,
e ne tremolan pel suolo
ischi biondi.
Dai riflessi di velluto,
occhieggianti rosse e gialle
e di nero screziate
le farfalle,
van leggere e senza scosse
van leggere ai bianchi fiori
festa d’ale e di profumi,
di colori… (Alfredo Baccelli)

La farfalla
La farfalla è leggera
come un fiore cadente.
L’uccellino in gabbia
segue con occhio triste,
invidioso
la libera farfalla.
La schiuma
è il fiore dell’onda.
Scompare.
La farfalla
non si può posare.
Sembra che petali
di fiori caduti
risalgono in volo sui rami.
Oh! No. Sono ali
di farfalle
volteggianti attorno ai rami.
La farfalla
ora dorme sul filo dell’erba.
La brezza la culla
ed essa
sogna ancora di volare. (dal giapponese)

Farfalla
Come un bimbo in vacanza
vola, si ferma, danza.
Tutta alucce e porporina
golosa di primavera,
la portò il vento sul prato,
da un libretto nella sera. (Renzo Pezzani)

La casa delle farfalle
Settembre andava per la valle
tirandosi dietro gli ori suoi
lento come al giogo i buoi,
e noi abitavamo felici
la casa che tu dici
delle farfalle.
Le farfalle errano senza fine
leggiadre candide cenerine
gialle cerulee verdine:
vestite di seta e mussoline,
così fragili, così fine.
Trepidavano in fola ai vetri,
sfioravano tende e pareti:
di semplici e cheti
giri di danza
empievano l’estatica stanza:
finchè sazie del moto perenne
si posavano ed erano gemme.
Erano la più vaga cosa
del mondo: la gioia che non osa
traboccare nel canto,
l’aiuto del verso,
l’immagine della mia musa,
la freschezza del nostro cuore,
l’elogio del nostro amore
sempre uguale e diverso,
e ti piacevano tanto! (Angiolo Silvio Novaro)

La farfallina
Stava una farfallina
sopra un tronco muschioso;
le disse una bambina
dal visino amoroso:
“Oh mia bella farfalla,
bruna, celeste, gialla,
aspettami un pochino
che vengo accanto a te”.
Ma la bella farfalla
bruna, celeste, gialla,
per il cielo turchino
lungi l’ale battè.
“E poi dopo tornò?”
“Oh, questo non lo so”. (Camilla Del Soldato)

Farfallina
Farfallina spensierata
lo sai tu dove sei nata?
Eri bruco in una cella
senza sole e senza stella;
poi nel sole sei uscita
come un fiore sei fiorita,
come un fiore senza stelo
che magia ti gettò in cielo.

Farfalle e fiori
Son le farfalle fiori svolazzanti
e i fiori farfallette imprigionate.
Gli uni e le altre, al finir dell’estate
racchiudono nei semi i loro incanti.
E dove mai gli restano i colori?
Dentro gli occhi degli uomini, e nei cuori. (L. Schwarz)

Bacolino
Il bacolino mangia la foglia
finchè ne ha voglia, e crescerà.
E quando grosso sarà venuto,
tutto panciuto, si fermerà.
Di seta un filo dalla sua bocca,
se non si tocca, lungo uscirà.
E gira e gira, sera e mattina,
una casina si formerà.
Sarà la casa di seta bella
e dentro quella, di chiuderà.
Ed ora un buco ha la casina:
la farfallina, eccola qua! (O. Contini Levi)

Il baco da seta
Fo una vita da signore
mangio e dormo a tutte l’ore
e ogni volta che ho dormito
muto foggia di vestito.
Ma un bel giorno, vergognoso
dell’inutile riposo
smetto infine di brucare
e comincio a lavorare.
Fil d’argento e filo d’oro
vo intrecciando il mio lavoro
poi mi chiudo in fretta in fretta
nella splendida casetta
per uscir di là rinato
e in farfalla trasformato. (Ferraresi)

Farfalla
Io sono la farfalla
che volteggia nel sole,
e da lui mi faccio dire
le segrete parole.
Tra smaglianti colori
il raggio della luce
al mio cuor trepidante
sommesso lo conduce.
Poi sul fiore mi poso
al suolo incatenato
e lieve gli sussurro
il mistero svelato.
Il fioretto che in alto
non si può mai librare
silenzioso mi ascolta
e si mette a sognare. (E. Minoia)

I filugelli

Dormono. Il corpo a qualche cosa attorno
hanno legato con sottili bave
come di seta; e dormono un gran giorno.
Alfine ecco si svolgono dal grave
sonno, rifatti. Ed ecco a cento a cento
li cogli a un ramo e poni giù soave
in una stuoia il tuo cresciuto armento.
Tre volte tanto brucano foraggio
così cresciuti. Ma tre volte tanto
verdeggia il gelso al puro sol di maggio.
Due rose aperte tu porrai da un canto.
Sognino nella stanza solitaria
D’essere in Cina, i bachi, o per incanto
errar sui gelsi tra il color dell’aria. (G. Pascoli)

Farfalle

Corolle senza stelo
sorelle d’ogni fiore:
vi ha gettato il Signore
dai giardini del cielo,
a ricamare voli
sul gelsomino mondo,
a fare il girotondo
che il pratello consoli.
A voi basta sull’ala
un po’ di porporina,
per far della mattina
una festa di gala:
e a sera, sul cotogno,
posare a ghirlandelle,
per guardar le stelle
tra un sogno e l’altro sogno. (L. Carpanin)

Farfalla

La farfalla è leggera
come un fiore cadente.
L’uccellino in gabbia
segue con occhio triste,
invidioso
la libera farfalla.
La schiuma
è il fiore dell’onda.
Scompare.
La farfalla non si può posare.
Sembra che petali
di fiori caduti
risalgano in volo sui rami.
O no! Sono ali
di farfalle
volteggianti attorno ai rami.
La farfalla
ora dorme sul filo dell’erba.
La brezza la culla.
Ed essa
sogna ancora di volare. (dal giapponese)

La farfalla in città

La farfalla (un gioiello
di tinte giallo – rosa)
volò dal praticello
nella città industriosa.
Vide grossi edifici
e vetture lucenti,
colossali opifici
e congegni possenti.
Però, cercando invano
quelle vaghe corolle,
che nel bosco e nel piano
splendono fra le zolle,
pensò: “Col tuo talento,
uomo, tutto sai fare;
ma di un fiore il portento
non ti è dato creare!”.
E ritornò nel prato,
là dove un fiorellino
qualunque è insuperato
spettacolo divino. (L. Ruber)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche IL GRILLO

Poesie e filastrocche IL GRILLO – Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il grillo vagabondo
Sono un grillo pellegrino
pazzerello e canterino
vivo libero e giocondo
saltellando per il mondo.
Salto sempre allegramente
passo a volo ogni torrente
salto un fosso, un campo, un muro
per cercar grano maturo.
Se non trovo la semente
salto i pasti indifferente
salto anche il venerdì
un po’ pazzo sono sì.
Non mi piace lavorare
preferisco saltellare
potrei fare il ballerino
ma viaggiare è il mio destino.
Mi diverte esser cantante
ma per me, da dilettante.
Canto e salto tutto il giorno
ed a casa mai ritorno
sono un grillo giramondo
un eterno vagabondo.
Così vivere mi va
per goder la libertà.

Grillo
Son piccin cornuto e bruno, me ne sto tra l’erbe e i fior
sotto un giunco o sotto un pruno, la mia casa è da signor
non è d’oro e non d’argento, ma rotonda e fonda è
terra il tetto e il pavimento, e vi albergo come un re
so che il cantico di un grillo, è una gocciola nel mar
ma son triste se non trillo, su lasciatemi cantar.

La serenata del grillo
Sotto un ciuffo di mirtillo
c’era un grillo
mezzo brillo.
C’era un grillo che trillava,
tutta l’aria ne vibrava
tutta l’aria era d’argento
e giù giù nel firmamento
la gran luna, in braccio al vento
per la notte rotolava. (A. Albieri)

Il grillo
Un musicante vestito di nero
suona, ostinato, sul verde sentiero,
senza violino, nè viola, nè archetto,
senza chitarra nè flauto o fischietto.
Sotto una zolla del fresco sentiero
sta il musicante vestito di nero. (U.B.F.)

Il grillo
Tutto arzillo, salta il grillo
e, cantando il suo cri cri,
al bambino che lo cerca
sembra dire: -Sono qui!-
Ma, arrivato al punto buono,
nulla trova il cacciator,
e lo chiama altrove il suono
del grillin canzonator:
– Cri cri cri, non mi hai veduto?
Guarda bene, sono qui!-
Salta svelto il grillo astuto,
e ripete il suo cri cri. (G. Lipparini)

Il grillo
Il grillo salta
da un’erba a uno spino.
Quando la notte sarà nel giardino
tutta la gente cantare l’udrà. (R. Pezzani)

La serenata del grillo
E’ piccole e lesto;
di bruno vestito,
e vive modesto
in buco romito;
poi, tosto che intorno
offuscasi il dì,
comincia il cri cri.
E sporge la testa
dall’umile tana,
e ascolta se, desta,
risponde la rana;
se già qualche stella
nel cielo fiorì
al primo cri cri.
Lungh’esso le sponde
di tacite strade,
e per le gioconde
campagne di biade,
sul calice molle
d’un fior che s’aprì
ei canta cri cri.
Il cielo sereno
già palpita d’astri,
il prato di fieno
odora e mentastri,
e par che la notte
ne tremi così
del lungo cri cri. (A. Grilli)

 La serenata del grillo

Tutto vestito in nero,
sì come un damerino,
esce dal suo maniero
il grillo canterino.
Il sole è ormai lontano,
il monte è viola e rosa,
non s’ode più un campano
nell’aria silenziosa.
Di sotto la zimarra
leva il suo bel violino
e suona e canta e gode
il grillo canterino.
Bello è cantar di sera
sotto la prima stella
in piena primavera.
Canta! La vita è bella. (A. P. Bonazzoli)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche sulle FORMICHE

Poesie e filastrocche sulle FORMICHE – una collezione di poesie e filastrocche sulle formiche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La formica
Oh, formica, formichetta,
quante miglia devi fare?
Dove son le tue castella
che ti dai tanto da fare?
Tu non sei davvero oziosa,
chè lavori senza posa
dal mattino alla nottata,
formichetta affaccendata.

La pazienza della formica
La stradina che porta
al formicaio è storta
e, per di più, è in salita.
Benchè mezzo sfinita,
la povera formica
non bada alla fatica.
Va su per la collina
e dietro si trascina,
a stento ed a rilento,
un chicco di frumento.
E’ giunta quasi in vetta
quando una nuvoletta
sulla terra scodella
un po’ di pioggerella.
L’acqua che cade a picco
ora travolge il chicco
e il granellino biondo
tocca ben presto il fondo.
La formica che fa?
S’abbatte e si dispera?
O imprecando va
contro la sorte nera?
Macchè! Macchè! Sa bene
che i lamenti e le scene
non risolvono niente!
Perciò tranquillamente
riscende la pendenza
afferra il chicco d’oro
e con santa pazienza
ricomincia il lavoro. (Luciano Folgore)

La formica
Oh, formica, formichetta,
quante miglia devi fare?
Dove son le tue cestella
se ti dai tanto da fare?
Tu non sei davvero oziosa,
chè lavori senza posa
dal mattino alla nottata,
formichetta disperata. (Anonimo)

Indovinello
Siamo brave e piccoline
formiam file senza fine;
gironziam d’estate intorno,
lavorando tutto il giorno
per riempire i magazzini
di preziosi granellini. (Cambo)

Formichina
Formichina s’è sposata
ed è tutta affaccendata:
spazza, lava, rifà il letto,
ripulisce fino al tetto,
sforna il pane e, senza affanni,
fa la cena, stende i panni.
Poi riposa e, canticchiando,
con un piede dondolando
nella culla il suo piccino,
gli ricama un camicino. (A. Morani Castellani)

Il formicaio
Dal formicaio uscì una formica
scalò una collina a gran fatica
dal colle giù per la valle andò
nei granaio si arrampicò.
Prese un chicco dal granaio
e lo portò al suo formicaio.
Una alla volta le formichine
viaggiarono per valli e colline
e un grano alla volta, tutto il granaio
si portarono nel formicaio.

Le provviste della formica
Formichina, formichina,
dove corri così in fretta?
Porto un poco di farina
alla povera casetta;
porto riso, porto grano,
che l’inverno non è lontano.

In punta di piedi dalle formiche
In punta di piedi
sull’erba del prato
le scarpe in mano, ho camminato.
Sono stato a trovare
le mie vispe amiche
le provvide, dolci formiche!
Nel grande silenzio
le ho udite parlare
“Bambino, dobbiam lavorare!
L’autunno è vicino
è pallido il sole
fra poco apriranno le scuole!
Ci rivedremo…
… al rispuntar delle viole!”. (L. Beretta)

Formichina
Oh formichina formichina,
orsù sveglia, è già mattina!
Un giorno nuovo ormai ti aspetta
e con gioia e senza fretta
sarà bello lavorare
tanti chicchi trasportare.

La formichina ribelle
C’era una volta una formichina
un poco pigra, un po’ birichina.
Essa pensò un dì di buon mattino:
“Lascio il formicaio
e mi metto in cammino.
Da mane a sera devo girare
di qua e di là per lavorare.
No no no, no no, no no
questa vita non la fo,
no no no, no no, no no,
molto presto me ne andrò.
Me ne andrò a girare il mondo
per potermi divertire
per giocare, per danzare
fino a che finisce il dì.”.
E fu così che un dì, di buon mattino,
con poche cose dentro un fagotto,
la formichina si incamminò.
“La la la, la la, la la,
vo a gustar la libertà”.
Dopo molto camminare
pensò ben di riposare
e all’ombra di una margherita
si gustò una merenda saporita.
Ma all’improvviso un forte rumore
le mise in cuore un grande terrore.
“Svelta, scappa!” disse la margherita,
“Arriva il formichiere, ne va della tua vita!”.
Tutta tremante, la sfortunata,
chiese riparo a una foglia di insalata,
che gentilmente le offrì ospitalità:
ma quanto costa la libertà!
Subito dopo, di nuovo terrore
alla poverina scoppiava il cuore:
due grosse mani strappano l’insalata
e la formichina sembra ormai spacciata.
Pensò alla mamma, pensò al papà:
“No, non mi piace la libertà!
Amica mia, aiutami a fuggire!”
chiese rivolta ad una farfallina.
“Sulle tue ali leggere mi nasconderò
e così via me ne andrò.
Da mamma e papà voglio tornare
sarò ubbidiente e saprò lavorare!”
La pigrizia nuoce assai,
e procura solo guai.

Le formiche

Le formiche vanno assai piano:
trasportano un seme, un fuscello,
un chicco restoso di grano,
un filo di paglia leggera.
Dal buco, scavato sotterra,
vengono e vanno lontano;
ritornano in fila, pian piano:
durando così fino a sera.
Lavorano tutte: le grosse
formiche dal capo rotondo,
e quelle piccine, piccine,
che sono un po’ brune e un po’ rosse.
Non sempre c’è aprile che brilla,
non sempre c’è maggio fiorito;
non sempre c’è giugno che stilla
dolcezza dai frutti, nè luglio
col mare di messi, nè agosto
coi gialli covoni e le trebbie,
nè ottobre col denso suo mosto.
L’inverno coi giorni più brevi,
coi geli, coi venti e le nevi,
arriva improvviso; ed allora
bisogna, nel nido profondo,
aver di che vivere in pace.
Bisogna aspettarla quell’ora:
non esser di tutto sprovvisti,
non esser rimasti nell’ozio,
non essere stati mai tristi! (A. Pesce Gorini)

La formica

“Oh piccola formica
che insegni ai fannulloni
l’onor della fatica,
ove corri, ove vai
che non ti fermi mai?”
“Vado peri fatti miei;
le chiacchiere son vane,
ciò che conta è il lavoro
fin che forza rimane.
Il tempo è un gran tesoro”. (P. Bonazzoli)

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Poesie e filastrocche sugli UCCELLI

 Poesie e filastrocche sugli uccelli – una collezione di poesie e filastrocche sugli uccelli, di autori vari, per la scuola d’infanzia e primaria.

Gli uccelli
E uccelli, uccelli, uccelli,
col ciuffo, con la cresta, col collare:
uccelli usi alla macchia, usi alla valle:
scesi, dal monte, reduci dal mare:
con l’ali azzurre, rosse, verdi, gialle:
di neve, fuoco, terra, aria le piume:
con dentro il becco pippoli e farfalle. (G. Pascoli)

Buon cuore
“Ecco” diceva il passero affamato
“la neve bianca ha tutto sotterrato,
non c’è un filo d’erba qua nell’orto.
Prima di sera certo sarò morto”.
Allora s’apre piano un balconcino
e compare il visetto d’un bambino.
Il bimbo sparge in fretta sul balcone
le bricioline della colazione.
Poi si ritira. Allegro è il passerino,
par che cinguetti un “grazie” a quel bambino. (A. Ferraresi)

Parlano i canarini
Dice la canarina al canarino:
“Ascolta un po’, mio caro maritino
lo zuccherino che ci mette qua
la nostra padroncina ogni mattina
mentre si fa la nostra dormitina,
sempre sparisce, e come non si sa”.
Allora per scoprire il mariuolo
dormono entrambi con un occhio solo.
Ed ecco vedon capitar, bel bello
il bambino di casa, un furfantello.
che pian pianino lo zuccherino tocca
e di nascosto se lo mette in bocca.
Scuotono tristi il capo i canarini:
“Che gentaglia son mai questi bambini!” (L. Schwarz)

Il gatto e l’uccellino
L’uccellino sulla pianta
ride al cielo e lieto canta
quando arriva di soppiatto
per ghermirlo un grosso gatto.
L’uccellino con un trillo
vola via felice e arzillo!
Ed il gatto a muso tetro
ci rinuncia e torna indietro. (Anonimo)

Invito alle rondini
O rondine, che torni d’oltremare,
mi presti l’ali tue sì belle e nere?
Per tutta la mia terra voglio andare
le cento sue città voglio vedere
e quando la mia terra avrò veduto
ti renderò le alucce di velluto. (A. C. Pertile)

Pettirosso
Nel giardino di un bambino
è arrivato un uccellino.
Gli occhi neri, il petto grosso
il suo nome è pettirosso.
Salta, vola tutto il dì
e fa sempre tic tic tic.
E l’autunno ci ha annunciato
il suo canto ha regalato. (Anonimo)

Mastropicchio e Verderacchia
Mastropicchio Saltapicchio
col suo becco picchia e fa:
Ticche ticche ticcetà
La Ranocchia Verderacchia
gli propone: Senti qua,
io canticchio gra gra gra,
tu accompagni ticchetà! ».
Gre gre, ticche, gre gre gre,
zumpa ticche, zumpetè!
Vien la guardia: «Cosa c’è?
Favoriscano con me,
in prigione per schiamazzo
e strombazzi da strapazzo
aggravati da rumori ».
Buona notte ai suonatori! (E. Zedda)

Il ritorno della rondine
Bimbo, ritorno al tetto ove son nata
che giovinetta ancora abbandonai
poichè la primavera è ritornata;
e sono piena di faccende ormai.
Ho sposato quel vispo rondinino
che dall’infanzia fu mio buon amico
s’acchiappo’ insieme il primo moscerino
or si fa il nido preso il nido antico.
Così, bambino, accanto a te, felici,
di padre in figlio resteremo amici. (L. Schwarz)

Scricciolo
Per star bene, a questo mondo
basta un bel nidetto tondo
dove i sette fratellini
si raccolgono vicini
fuori neve a larghe falde
dentro muschio e piume calde
si è felici nel tepore
così stretti cuore a cuore. (G. Grohmann)

Passerini
Il grosso tiglio è tutto un bisbigliare
di passerini, come un chiacchierare
sentite quanto sono birichini
sembrano proprio… un crocchio di bambini. (M. M. Orsenigo)

Casa piccola
“Quel vostro nido è piccolo,
rondini, come fate?
I vostri figli crescono
e ormai più non ci state”.
“Ci stiamo, sì, stringendoci
così, tutti vicini,
stanno più caldi e morbidi
i nostri rondinini.
Poco posto si tiene
quando ci si vuol bene”. (L. Schwarz)

Il nido
Di beccucci si contorna
sulla rama il piccol nido,
quando intende il dolce grido
della mamma che ritorna.
Poi la madre ancor s’affanna
per il loro nutrimento,
mentre il nido culla il vento
e gli fa la ninna nanna. (D. Dini)

La rondine
Rondinella,
nera e snella,
sorellina
birichina
dalla dolce primavera,
t’ho aspettata!
Sei tornata
con il sole
con le viole
con l’azzurro
e in un sussurro
voli, voli nella sera.
Io ti guardo
e ti sorrido,
rondinella svelta e nera. (Anonimo)

Preparativi
Guarda: un uccello
è sceso dalla gronda.
Frulla nell’aria,
va da fronda a fronda,
salta su tutti i pruni della siepe,
si nasconde
nell’edera un momento,
getta festoso un grido
e a lui, dal nido,
un gorgheggio risponde.
Ora una gola sola può cantare;
ma nel maggio
saranno cinque voci a cinguettare.
Ed egli cerca, cerca nelle aiuole…
Ecco che trilla al sole
e torna al nido,
lieto, portando un piccolo fuscello.
un filo d’erba, un petalo, un granello. (G. Cesare Monti)

Uccelletto
In cima a un’antica pianta,
nel roseo ciel del mattino,
un uccelletto piccino
(Oh, come piccino!) canta.
Canta? Non canta: cinguetta.
Povera piccola gola,
ha in tutto una nota sola,
e questa ancora imperfetta.
Perchè cinguetta? Che cosa,
lo fa parer così giulivo?
S’allegra d’esser vivo
in quella luce di rosa. (A. Graf)

Ad una rondinella
O rondinella che hai passato i monti,
quanti paesi hai visto uguali al mio?
Perchè non t’avvicini e non racconti?
O rondinella che hai passato il mare,
gente diversa hai visto all’altra riva?
Perchè non me lo vieni a raccontare?
Io t’ho aspettato tanto, o rondinella,
tante notizie volevo sapere,
ma tu non parli nella mia favella
e voli via col l’ali tue leggere. (M. Remiddi)

La prima rondine
C’è un tremolar d’azzurro
oggi nell’aria,
un luccicar di verde
oggi nel sole,
un vago odore
di viole appena nate.
Entra giuliva
dalle finestre spalancate
la primavera in fiore.
Io seguo con occhi sospesi
lo stridulo volo di un’ala
che rade il tetto e scompare
via nell’aria, nel sole! (A. Morozzo Della Rocca)

Uccellin
Uccellin che non ti vedo
dove canti così lieto?
Ruvida l’aria, nudi i rami
ancora è inverno e tu già canti?
“Primavera, viene, viene, viene,
io lo so, io lo so, io lo so”
Oh come folle tu canti! Ma dove?
Nel cuore, nel cuore tu canti:
invisibile ti vedo, ti sento,
nell’aria ruvida, sui nudi rami:
annunzi che viene, che sempre ritornerà! (A. S. Novaro)

Il vecchio pero e la rondine
C’era un tempo un vecchio pero
che dormiva smorto e nero
nel freddo cortile.
Sotto vento, pioggia o neve
dormiva d’un sonno ben greve!
Tutta la neve che l’inverno caccia
gli assiderava le braccia,
la pioggia acuta e sottile
lo penetrava ostile,
il crudele e triste vento
lo staffilava con accanimento;
ma l’albero nulla sentiva;
sotto la sferza della rabbia viva
dormiva dormiva dormiva.
A San Benedetto
su l’alba rosata fu vista
una rondinella vispa
calare a tese ali sul tetto.
Rondine bruna, rondine gaia!
Posata sulla grondaia,
accanto al pendulo nido
miracoloso, ed ecco
il povero albero secco
irrigidito
che tanto aveva dormito
si svegliò fra tesori
di ciocche di fiori. (A. S. Novaro)

La rondinella
Torna la rondinella,
torna di là dal mare;
ha l’ali molto stanche
e deve riposare…
Qui, sotto la mia gronda,
c’è un piccol posticino,
il sol tutto lo inonda,
quando si fa mattino.
Vieni, rondine bella,
qui il nido a fabbricar;
qui posa l’ali stanche
dal tuo lungo volar. (R. Fumagalli)

Mimmo e le rondini
E due rondini ho sentito
che facean grandi complotti
coi loro cinque rondinotti.
“C’è” dicean, “un fratellino
(non ha nido, non ha penne,
ma per certo è un rondinino),
ch’è padrone del giardino.
Non ha nido e non ha penne,
ma padrone è certamente.
Se volesse, in men che niente,
ci potrebbe far contente”.
“Vacci tu” dice una rondine.
“Vacci tu” dice quell’altra.
“Tu che sai come si parla!
Tu che mai non ti confondi!”.
La nidiata è in gran subbuglio
perchè ha visto un bel cespuglio.
“Fate presto! Che s’aspetta?
Abbiam fretta, fretta, fretta!”
“Io ci vo se ci vai tu…”
e due rondini ecco giù.
“Messer Mimmo, rondinino,
padroncino del giardino,
tu puoi farci un gran piacere.
Il giardino è da vedere,
con la veste sua gaietta
tutta verde e tutta rosa.
C’è un odor di fragoletta
che solletica la gola.
La ghiaiuzza brilla e cricchia
e canticchia la fontana.
Questo è un eden di beltà.
Ma quel gatto che ci fa?”
Ah, che gioia, detto fatto,
inseguir quel tristo gatto
che vuol male ai rondinotti.
Tra i limoni e i bergamotti
si nasconde pancia a terra,
ora è entrato nella serra,
ora casca nella vasca…
Zum! Che balzo! E sul muretto,
è scappato, poveretto,
di paura morirà.
Ma che muoia! Ben gli sta!
“Pio pio pio, buon fratellino
rondinino, fior di lino,
grazie!” pigola il nidietto. (Terèsah)

Un rondinotto
E’ ben altro. Alle prese col destino
veglia un ragazzo che con gesti rari
fila un suo lungo penso di latino.
Il capo ad ora ad ora egli solleva
dalla catasta di vocabolari,
come un galletto garrulo che beva.
Povero bimbo! di tra i libri via
appare il bruno capo tuo, scompare;
come d’un rondinotto, quando spia
se torna mamma e porta le zanzare. (G. Pascoli)

Cuculo
La canzone l’ho capita
che ricanti fino a sera
di bei fiori rivestita
fa ritorno primavera.
Tu lo narri ad ogni pianta
lo ripeti ad ogni fiore
la tua gioia è tanta e tanta
e non puoi tenerla in cuore.
Ogni cosa si ridesta
gelo e nebbia non son più
il tuo cuore è tutto in festa
sì, cucù cucù cucù! (V. Giulotto)

Passerotti
Ci ci ci, ci ci ci
anche noi siamo qui
passerotti dei prati
impazienti ed affamati
con le alucce distese
le codine protese
siamo in tanti, siamo qui
dacci il pane, ci ci ci. (Anonimo)

Cardellini
Posati
su esili fili d’erba
archi di colore
oscillano
mossi dal vento. (P. Pesce)

Due rondini
Due rondini nella luce
al di sopra della porta e ritte nel loro nido
scuotono appena la testa
ascoltando la notte.
E la luna è tutta bianca. (J. Prévert)

Uccelli
Ci ci ci, ci ci, ci ci,
fan gli uccelli tutto il dì
e preparano nidietti
per deporvi i loro ovetti.
Ci ci ci, ci ci, ci ci,
fan gli uccelli tutto il dì. (Anonimo)

Uccelli
Quando vedo gli uccelli librarsi nell’aria
planare e po buttarsi in picchiata
attraverso il cielo,
nelle profondità del mio spirito sento
un ardente desiderio di volare.
Solo un folle può dimenticare
di lodare la vita nella sua potenza
quando anche gli uccelli spensierati
la lodano ogni giorno con il loro volo. (Anonimo)

L’albatro
Spesso, per divertirsi, gli uomini d’equipaggio
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
che seguono, indolenti compagni di vïaggio,
il vascello che va sopra gli abissi amari.
E li hanno appena posti sul ponte della nave
che, inetti e vergognosi, questi re dell’azzurro
pietosamente calano le grandi ali bianche,
come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.
Com’è goffo e maldestro, l’alato viaggiatore!
Lui, prima così bello, com’è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
l’altro, arrancando, mima l’infermo che volava!
Il Poeta assomiglia al principe dei nembi
che abita la tempesta e ride dell’arciere;
ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
per le ali di gigante non riesce a camminare. (C. Baudelaire)

Il passero solitario
D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia vóto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirornmi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro. (G. Leopardi)

Rondine
Vieni, vieni rondinina
a abitar la tua casina
vieni qui sotto la gronda
a danzare la tua ronda
a destarci al nuovo dì
col tuo lieto ci ci ci. (Anonimo)

Rondine
Io vengo da lontano, ci ci ci
ho sorvolato il mare tanti dì.
Di ritrovare il nido son beata
perchè quel lungo viaggio mi ha stancata.
Con quanta gioia deporrò gli ovini
da cui nasceran presto i miei piccini!
Da mane a sera mi vedrai volare
per poterli ogni giorno poi sfamare.
E quando spunta il dì e quando muore
mi sentirai cantare a tutte l’ore. (E. Minoia)

Coraggio nelle avversità
“Cip cip”, fa un passerino da una pianta
“tutto è sepolto nella neve bianca!”
“Cip cip” piangono gli altri, “la va male:
non c’è più quasi niente da mangiare!”
“Cip, cip-cip, cip.” fa il passerotto saggio:
“Eh, nell’avversità ci vuol coraggio.
Pazza l’inverno e dopo i suoi rigori
si ridiventa tutti gran signori”. (L. Schwarz)

Uccellini
Uccellini, non sapete,
ch’è venuta primavera?
Avant’ieri ancor non c’era
oggi, invece, a un tratto è qui!
Uccellini, non vedere
come d’oro splende il sole?
Salutate il primo fiore
con un lieto ci ci ci. (L. Schwarz)

L’uccellino
Scocca come una freccia un uccellino
sul ramo verde posa un momentino
gira gli occhietti, getta un trillo e va…
piccolo vaso di felicità. (L. Schwarz)

Lo scricciolo
Uno è rimasto, il più piccino,
di tanti uccelli volati via,
un batuffolo di piume
che non sa malinconia;
un batuffolo irrequieto
tra i rametti della siepe,
così piccolo che pare
un uccello da presepe.
Vispi occhietti, alucce lievi,
un codino impertinente,
così gaio e spensierato
che può vivere di niente.
Nella campagna tacita, bianca,
che il gelo tiene prigioniera,
pare la nota dimenticata,
d’una canzone di primavera.
Sempre gaio, sempre lieto,
senza timore del domani,
pare un bimbo poverello
che tiene la gioia nelle sue mani. (G. Ajmone)

Aquila
Aquila che nel ciel spieghi solenne
il volo, a salutare il dì nascente,
fatte di luce sembran le tue penne,
come il pensier che sorge nella mente.
Regale e solitaria sulle alture
guardi la terra giù come straniera,
non son fatte per te le mie pianure,
della luce e dell’aria tu sei fiera.
Ti culli nell’azzurro sconfinato,
spazi con l’occhio nell’immensità
e l’aspre rupi, dov’hai nidificato
sono un rifugio quando il sol cadrà. (Anonimo)

L’usignolo
Gira e rigira di qua e di là
la cinciallegra dove sarà?
Sarà andata col suo figliolo
a fare visita all’usignolo:
“Usignolo, puoi tu insegnare
quell’arte belle di cantare?”
L’usignolo dice di no
l’arte bella insegnare non può
l’arte bella vien da dio
tu hai il tuo canto
ed io ci ho il mio. (L. Schwarz)

Il passero solitario
Tu nella torre avita,
passero solitario,
tenti la tua tastiera,
come nel santuario
monaca prigioniera
l’organo, a fior di dita;
che pallida, fugace,
stupì tre note, chiuse
nell’organo, tre sole,
in un istante effuse,
tre come tre parole
ch’ella ha sepolte, in pace.
Da un ermo santuario
che sa di morto incenso
nelle grandi arche vuote,
di tra un silenzio immenso
mandi le tue tre note,
spirito solitario. (G. Pascoli)

Dialogo
Scilp: i passeri neri su lo spalto
corrono, molleggiando. Il terren sollo
rade la rondine e vanisce in alto:
vitt. . . videvitt. Per gli uni il casolare,
l’aia, il pagliaio con l’aereo stollo;
ma per l altra il suo cielo ed il suo mare.
Questa, se gli olmi ingiallano la frasca,
cerca i palmizi di Gerusalemme:
quelli, allor che la foglia ultima casca,
restano ad aspettar le prime gemme.
Dib dib bilp bilp: e per le nebbie rare,
quando alla prima languida dolciura
l’olmo già sogna di rigermogliare,
lasciano a branchi la città sonora
e vanno, come per la mietitura,
alla campagna, dove si lavora.
Dopo sementa, presso l’abituro
il casereccio passero rimane;
e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro
saluta le migranti oche lontane.
Fischia un grecale gelido, che rade:
copre un tendone i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.
E tutto è bianco e tacito al mattino:
nuovo: e dai bianchi e muti casolari
il fumo sbalza, qua e là turchino.
La neve! (Videvitt: la neve? il gelo?
ei di voi, rondini, ride:
bianco in terra, nero in cielo
v’è di voi chi vide . . . vide . . . videvitt?)
La neve! Allora, poi che il cibo manca,
alla città dai mille campanili
scendono, alla città fumida e bianca;
a mendicare. Dalla lor grondaia
spiano nelle chiostre e nei cortili
la granata o il grembiul della massaia.
Tornano quindi ai campi, a seminare
veccia e saggina coi villani scalzi,
e – videvitt – venuta d’oltremare
trovano te che scivoli, che sbalzi,
rondine, e canti; ma non sai la gioia
-scilp- della neve, il giorno che dimoia. (G. Pascoli)

L’uccellino del freddo
Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina. . .
trr trr trr terit tirit
Viene il verno. Nella tua voce
c’è il verno tutt’arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T’ha insegnato il breve tuo trillo
con l’elitre tremule il grillo . . .
trr trr trr terit tirit. . .
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d’udirvi cercando le larve. . .
trr trr trr terit tirit. . .
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia. . .
trr trr trr terit tirit. . .
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l’allegra fiammata scoppietta. . .
trr trr trr terit tirit. . .
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell’Alpe lontana
ce n’è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte. . .
trr trr trr terit tirit. (G. Pascoli)

L’assiuolo
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù…
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?…);
e c’era quel pianto di morte…
chiù… (G. Pascoli)

Lo stornello
– Sospira e piange, e bagna le lenzuola
la bella figlia, quando rifà il letto,-
tale alcuno comincia un suo rispetto:
trema nell’aurea notte ogni parola;
e sfiora i bossi, quasi arguta spola,
l’aura con un bruire esile e schietto:
– e si rimira il suo candido petto,
e le rincresce avere a dormir sola.-
Solo, là dalla siepe, è il casolare;
nel casolare sta la bianca figlia;
la bianca figlia il puro ciel rimira.
Lo vuole, a stella a stella, essa contare;
ma il ciel cammina, e la brezza bisbiglia,
e quegli canta, e il cuor piange e sospira. (G. Pascoli)

Il nido
Dal selvaggio rosaio scheletrito
penzola un nido. Come, a primavera,
ne prorompeva empiendo la riviera
il cinguettio del garrulo convito!
Or v’è sola una piuma, che all’invito
del vento esita, palpita leggiera;
qual sogno antico in anima severa,
fuggente sempre e non ancor fuggito:
e già l’occhio dal cielo ora si toglie;
dal cielo dove un ultimo concento
salì raggiando e dileguò nell’aria;
e si figge alla terra, in cui le foglie
putride stanno, mentre a onde il vento
piange nella campagna solitaria. (G. Pascoli)

Gli uccellini
Nella siepe tutta spini
son rimasti gli uccellini,
perchè il rovo e il biancospino,
il sambuco e l’agazzino
hanno bacche colorite,
nutrienti e saporite.
Ma lombrichi e chioccioline,
ricci, serpi e formichine,
la lucertola curiosa
(e il ramarro che riposa)
stan nascosti a sonnecchiare,
finchè il sol potrà tornare,
stan nascosti giorno e sera,
aspettando primavera.

Il nido solo
O rondinella nata in oltremare!
Quando vanno le rondini e qui resta
il nido solo, oh, che dolente andare!
Non c’è più cibo qui per loro, e mesta
la terra, e freddo è il cielo, tra l’affanno
dei venti, e lo scrosciar della tempesta.
Non c’è più cibo. Vanno. Torneranno?
Lascian la lor casa senza porta;
tornano tutte al rifiorir dell’anno. (G. Pascoli)

Partono le rondini
Oh, rondinelle! E’ triste il vostro addio,
benchè sia pieno di festosi gridi:
è tanto triste come il dondolio
che fan tra i ramoscelli i vuoti nidi.
Oh rondini! E’ pur dolce ai nostri cuori
questa vostra partenza agile e gaia,
che ci rammenta i piccoli rumori
che facevate sotto la grondaia!
S’alzan nel cielo della rosea sera
le rondinelle a stormi e a tribù.
Ritorneranno tutte a primavera?
Forse qualcuna resterà laggiù. (M. Moretti)

Piccolo nido
Piccolo nido lì sotto la gronda,
sei stanco, è vero? Stanco d’aspettare?
Oh, tra poco la rondine gioconda
ripasserà, per te, tutto quel mare!
La neve, il vento, il freddo, la bufera
non t’han guastato: sotto il tetto fido
verrà la rondinella bianca e nera…
Un altro poco ancor, piccolo nido! (Zietta Liù)

L’albero secco e la rondine
A San Benedetto,
su l’alba rosata fu vista
una rondinella vispa
calare a tese ali sul tetto.
Rondine bruna, rondine gaia!
Posata sulla grondaia,
accanto al pendulo nido,
mise un piccolo grido,
ed ecco
il povero albero secco
irrigidito,
che tanto aveva dormito,
si svegliò tra tesori
di ciocche di fiori. (A. S. Novaro)

Il nido
Io vidi ieri sotto al mio balcone
una casetta aperta all’aria, al sole;
intesi una sottil, dolce canzone
vagar per l’aria e coll’odor di viole.
“Prendiamo il nido!” e rapido balzai
sul vecchio fico che la vecchia casa
protegge, e tra le fronde m’affacciai:
… l’anima mia fu di dolcezza invasa.
La rondinella dalle alucce scure,
da cinque becchi aperti circondata,
quale mammina, che dà affetto e cure,
porgeva all’uno e all’altro l’imbeccata.
Mi parve allor veder la mamma mia
con noi piccini intorno… E ne provai
un rimorso sottile; ritirai
la mano, e ridiscesi nella via. (Hedda)

Rondine
Sui fili del telegrafo
la rondine saltella:
dà un trillo, un guizzo, vola…
Spicca nel cielo nitido,
piccola cosa bella,
piccola cosa sola
che frulla, trilla, va:
cuore che batte nell’immensità. (Hedda)

La prima rondine
Come una monachella
vestita di bianco e di nero,
la prima rondinella
è giunta dall’altro emisfero.
Sporgente dalla grondaia
la chiama il bel nido natio,
e par che gli risponda
girandogli attorno: sei mio.
E quando sotto il tetto
nel piccolo nido pispiglia,
palpita in ogni petto
l’amor della dolce famiglia. (R. Pitteri)

Rondini sul mare
Caduto il soffio della tramontana
ecco le prime rondini sul mare!
giungono d’oriente a salutare
le tue piagge dolcissime…
Alacri nel desio dei loro nidi
le rondini traversano il sereno:
una vien sola innanzi, messaggera.
Le guarda il pescatore, ode gli stridi,
pensa: ieri partirono… è un baleno
il tempo. Ecco tornata primavera. (F. Pastonchi)

La buona notte delle rondini

Quando muore il dì perduto
dietro qualche oscura vetta,
quando il buio occupa muto
ogni vuota oscura via,
una strana frenesia
tra le rondini scoppietta.
Come bimbi sopra l’aia
giocan elle con giulive
grida intorno alla grondaia;
e poi su nel cielo rosa
vanno vanno senza posa
dove Iddio soletto vive.
Gaie arrivano in presenza
del buon Dio, che tutto accoglie;
una bella riverenza
fa ciascuna, e poi dice:
“Sia la notte tua felice!”
Dice e il volo quindi scioglie.
Scioglie il volo, e giù si china
con un poco di tremore
per la lieve aria turchina;
e ritrova le sue orme,
trova il nido, e ci si addorme
col capino sopra il cuore. (A. S. Novaro)

Ritornava una rondine al tetto

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
Ora è là come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: -Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là nella casa romita,
lo aspettano, aspettano invano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano. (G. Pascoli)

 Il cuculo

O cuculo, bel cuculo barbogio
che veli sopra il fresco canepaio
cantando il tuo ritornello gaio,
il vecchio ritornello d’orologio:
tu sei la primavera pazzerella,
che si nasconde e canta allegra: -Orsù,
venitemi a pigliar… cucù! Cucù!-
dietro il frumento che va in botticella.
E quando, dopo un lungo inseguimento,
tu speri d’acciuffarla nel frumento,
ella, che ti spiò e venir ti vide,
eccola là, che canta e ti deride
da un alto pioppo, tremulo d’argento,
che s’alza in fondo al campo di frumento.
O cuculo mio del cuculo vaio
che voli sopra il fresco canepaio. (G. Govoni)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

 

Poesie e filastrocche: il cane

Poesie e filastrocche: il cane. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il cane
Noi mentre il mondo va per la sua strada,
noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l’affanno,
e perchè vada, e perchè lento vada.
Tal, quando passa il grave carro avanti
del casolare, che il rozzon normanno
stampa il suolo con zoccoli sonanti,
sbuca il can dalla fratta, come il vento;
lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia.
Il carro è dilungato lento lento.
Il cane torna sternutando all’aia. (G. Pascoli)

Ah, cane briccone!
Quel grosso cappone
è un grasso boccone
ma è frutto di un furto!
Ah, cane birbone,
ingordo furfante,
leccardo brigante!
Tu scappi e io sbuffo
però se ti acciuffo
ti do una lezione
di santa ragione!

Cane fedele
Neve, freddo intenso.
Immobile, intirizzito,
un cane sta di guardia
davanti alla porta
di una misera casa.
Dice con gli occhi buoni:
“Vigilo la miseria,
sono fedele ed amo il padrone
anche se è molto povero.
(G. Serafini)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche ASINO MULO CAVALLO

Poesie e filastrocche ASINO MULO CAVALLO – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola materna e primaria.

Il muletto
Lontano lontano lontano
si sente suonare un campano
è un muletto per un sentiero
che si arrampica su su su!
Che tra i faggi piccolo e nero
si vede e non si vede più.
Ma il suo campanaccio si sente
sonare continuamente. (G. Pascoli)

 

L’asino
Asinello trotta trotta
con la soma sulla groppa
quando a casa tornerai
la tua biada tosto avrai.
Ma se accade che ti impunti
prima ancor che siete giunti
tu diventi, o somarello,
come il mulo tuo fratello
e può darsi che il padrone
somministri una lezione. (E. Minoia)

 

L’asino e le cicale
Fermatosi ad ascoltare le cicale
un asino invidioso, dalla strada
ingenuo chiese loro come accada
che avessero tale voce celestiale.
E quelle, conosciuto l’animale:
“Se come noi, anzicchè fieno e biada,
ti nutrissi soltanto di rugiada,
ti verrebbe una voce tale e quale.”
E il ciuco a tali detti, per un pezzo,
non mise mai più biada sotto il dente
sì che le ossa erano fuor del cuoio.
“Quale disdetta!” ragliò, “Or ch’ero avvezzo
a mangiar rugiada solamente,
invece di cantar ecco che muoio!”.

 

I tre asinelli
I tre asinelli
che vanno in Egitto
ah che piacere
oh che tragitto
andare a vedere
la stella polare
che brilla nel cielo
che cade nel mare.

 

Disse un asino
Disse un asino:
“Dal mondo voglio stima e rispetto
ben so come!” e così detto
in gran manto si serrò
oilà oilà oilà
in gran manto si serrò.
Indi ai pascoli comparve
con tal passo maestoso
che all’incognito vistoso
ogni bestia si inchinò.
Oilà oilà oilà
ogni bestia si inchinò.
E dai prati corse al fonte
a specchiarsi si trattenne
ma sventura! Non contenne
il suo giubilo, e ragliò.
Fu scoperto e fino al chiuso
fu dai fischi accompagnato
e il somaro mascherato
in proverbio a noi passò.
Oilà oilà oilà
in proverbio a noi passò.
Tu che base del tuo merito
veste splendida sol fai
taci ognor, se no scoperto
come l’asino sarai.
Oilà oilà oilà
come l’asino sarai.

 

Poesie e filastrocche ASINO MULO CAVALLO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: topolini e criceti

Poesie e filastrocche: topolini e criceti – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Topino
il codino d’un topino
fuor dal buco un dì spuntò
venne il gatto quatto quatto
e coi denti l’afferrò
proprio in questa, questa è bella
un gran cane capitò
ed il gatto, quatto quatto
impaurito se ne andò
il topino il suo codino
dentro il buco ritirò.

 

Bice, il topolino
Sono Bice, un topolino
con due baffi ed un codino.
Mi piace rosicchiare
squittire e curiosare
giocare a girotondo
col gattone Edmondo
e poi correre in un buchetto
che per lui è troppo stretto
tanta voglia ho di studiare
che anche i libri so mangiare.

 

Il criceto
Caro criceto, hai calcolato bene
se aprire la casetta ti conviene?
Nel suo grembo la buona madre terra
al caldo ed al sicuro ti rinserra
mettendoti vicino nella stanza
ricche provviste e cibo in abbondanza.
Pure fatti coraggio, salta fuori,
e ricomincia ad ammucchiar tesori. (G. Grohmann)

 

Il topino
Il codino di un topino
fuor da un buco un dì spuntò.
Venne il gatto, quatto quatto,
e coi denti l’afferrò.
Proprio in quella, questa è bella,
un gran cane capitò,
ed il gatto, quatto quatto,
impaurito se ne andò.
Il topino il suo codino
dentro il buco ritirò.

 

I topini birichini
Dorme il gatto
quatto quatto
fa un topino
capolino
poi s’avanza
nella stanza.
Zitto e scaltro
n’esce un altro
poi anche un terzo
ma è uno scherzo?
Ad un tratto
miao fa il gatto
e sbadiglia
parapiglia.
In un lampo
vuoto è il campo
e i topini
birichini
han per ore
il batticuore.
Vanno avanti
or son tanti
dieci, venti,
fan commenti
giochi e sfide
burle infide
al micione
dormiglione.

 

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Poesie e filastrocche: lo scoiattolo, il ghiro e la marmotta

Poesie e  filastrocche: lo scoiattolo, il ghiro e la marmotta. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Scoiattolo
Lieto fra ombre e sole, come il più bel giocattolo
nel bosco lo scoiattolo, ruba ghiande e nocciole
saluta poi dal ramo, il riccio buon vicino
“che dolce tempo abbiamo” “Buondì scoiattolino”
e alla talpa “Signora, come avete dormito?”
“Un sonno saporito, ma dormirei ancora”
Come dev’esser bello, avere un bosco intero
scherzare col ruscello, giocar senza pensiero. Aveva

Lo scoiattolino
Lo scoiattolino non riusciva più a dormire. Nella brezza del mattino che continuava a cullarlo, lassù sul cavo più alto del faggio, si sentiva pungere gli occhi da uno spino d’oro che invano cercava di togliere dalla zampina. Schiuse le palpebre, fece capolino da sotto la gran coda in cui era avvolto, sbirciò da uno spiraglio del tettuccio. Il sole lo guardava. Presto presto si strofinò gli occhietti, una scrollatina al pelliccione, arruffò il letto, afferrò una noce e si pose a sedere. Aveva molta fame, ma era anche ben provvisto: tutto il nido foderato di noci. Ne vuotava una, gettava via il guscio e ne tirava fuori un’altra da sotto il letto.
Così, quando nel pancino non ce ne stettero più, si diede una gran lisciata di baffi e si mise a considerare l’Universo.
(F. Tombari)

Lo scoiattolo
Ed ecco il piccolo corpo fulvo drizzarsi sottile ed elegante, poco più alto della coda, rimasta anche essa ritta e a ventaglio, luminosa contro la luce; ecco le zampine anteriori portar la nocciola alla bocca e farsi mani. Erano due manine aeree, bianche, che non avevano più nulla di ferino e pareva facessero un gioco, districassero una trina delicata. Anche il triturar fine dei denti, lesti lesti, aveva qualche cosa di infantile e di birichino. Le manine hanno lavorato non so per quanti minuti in quell’opera delicata, poi d’un tratto hanno lasciato cadere due pezzi di buccia. Allora il musino è rimasto per un momento assorto e contento, con le due zampette alzate e inoperose.
(F. Tombari)

I ghiri
Nella tana, babbo ghiro
fa: “Ron ron, dunque dormite!”.
E i ghirini, tutti in giro:
“Ron ron ron, sì sì, dormiamo!”.
Sbadigliando, mamma ghira,
fa un sorriso: “Bravi figli!”.
La famiglia si rigira
e ron ron, si riaddormenta.
C’è là fuori la tormenta!
C’è là fuori il freddo inverno!
“Sì, ron ron, che ce ne importa?
Noi dormiamo qui all’interno!”.

 

Il risveglio della marmotta
“Toc toc toc, in piedi marmotta
di alzarti è più che ora
non sai ancora stupidotta
che oggi arriva primavera?”
“Chi osa bussare al mio uscio
e disturbare il mio letargo?
Ma ora che ci penso bene
è meglio che io esca al sole”.
“Sono la donnola amica
senti fischiare il gaio merlo?
Alzati e lavati la faccia
poi vieni con noi a giocare”
“Ah, bondì, che tempo splendido!
Ma già gli alberi sono in fiore
ed è uno spettacolo magico
grazie per avermi chiamata!”

 

 

L’allegro scoiattolo Geraldino
Sembra volare tra i rami di pimo
e sull’abete sia bianco che rosso
saltella e zampetta a più non posso.
Rosicchia pinoli, noci e nocciole,
me fa grandi scorte,
qualcuno ne vuole?
E quando nel bosco scende la neve
che vola a fiocchi candida e lieve
nel morbido nido di muschi e licheni
dorme beato sonni sereni.

 

 

Lo scoiattolo Rossetto
Lo scoiattolo Rossetto,
coda all’aria, naso al vento,
guizza su, salta giù,
sempre vispo e affaccendato:
i suoi baffi gli hanno detto
che il calduccio se n’è andato,
che l’autunno non è eterno,
che l’inverno è già alle viste
e bisogna far provviste.
Già ci pensa, già raccoglie
muschio e foglie
per far calda la casina
e riempir le dispensine
di castagne e noccioline.

 

 

Lo scoiattolo
Lieto, tra ombra e sole,
come il più bel giocattolo,
nel bosco lo scoiattolo
ruba ghiande e nocciole.
Saluta poi dal ramo
il riccio buon vicino
“Che dolce tempo abbiamo!”
“Buondì, scoiattolino!”
E alla talpa: “Signora,
come avete dormito?”
“Oh, un sonno saporito,
ma dormirei ancora!”
Come dev’esser bello
avere un bosco intero!
Scherzare col ruscello,
giocar senza pensiero.

 

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Poesie e filastrocche INSETTI

Poesie  e filastrocche INSETTI – una collezione di poesie e filastrocche sugli insetti, per la scuola d’infanzia e primaria.

Insetti
… del buon Dio le mille bestioline
ivi si son raccolte: gallinette
di San Giovanni, erranti farfalline,
mantidi inginocchiate sulle erbette
quasi a pregare, magre e silenziose,
e pecchie intorno al tetto laboriose.
E vi sono pur anche le innocenti
cicale che per quanto è lungo il giorno
stridono sotto l’ali tralucenti.
(F. Mistral)

 

La cicala

Acuta tra le foglie degli alberi
la dolce cicala, di sotto le ali,
fitta vibra il suo canto, quando
il sole a picco sgretola la terra. Alceo (poeta greco)

 

Il grillo

Son piccin, cornuto e bruno;
me ne sto fra l’erbe e i fior:
sotto un giunco o sotto un pruno
la mia casa è da signor.
Non è d’oro nè d’argento,
ma rotonda e fonda ell’è:
terra è il tetto e il pavimento
e vi albergo come un re.
Canto all’alba e canto a sera
in quell’atrio o al mio covil;
monacello in veste nera
rodo l’erbe e canto april.
So che il cantico di un grillo
è una gocciola nel mar;
ma son mesto s’io non trillo:
deh, lasciatemi cantar! (G. Prati)

 

Il calabrone

Questo ispido villoso calabrone
l’ho trovato ubriaco fradicio
di polline e di rugiada,
nella campana di un fiore arancione.
Zampettava qua e là, ronzando
per uscire, ma non trovava più la strada.
Lo tirai fuori, ed ora è lì, che vola
in un raggio di sole tutto d’oro,
come un ubriacone che s’alza dal marciapiede
e s’incammina malsicuro, borbottando. (C. Govoni)

 

L’ape, la formica  e il baco

Su un gelso s’incontrò un baco da seta
intento a mangiucchiare
le ghiotte foglie, con la vecchia amica
l’ape, in cerca di miele, e la formica
affaccendata sempre ed irrequieta.
“Quanto, quanto da fare!”
diceva l’ape, “Ho tanto miele e cera
ancora da recare all’alveare
del mio vecchio padrone!
Ma godo sol pensando a quanto ghiotto
miele pei suoi piccini avrò prodotto.”
“Ed io, qui sto facendo indigestione,”
soggiunse il bravo baco,
“Per rendere più liete
le donne, con le mie lucenti sete.
Ma tu, cara formica,
che sempre intorno vai
con sì lunga fatica,
agli uomini che utile tu dai?”
E la formica: “Ciò che offro loro
vale più della sete e del miele;
é meglio di un tesoro:
l’esempio del lavoro”. (Favolello)

 

Poesie e filastrocche INSETTI – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: orso e panda

Poesie e filastrocche: orso e panda. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Panda
Il panda è un orsetto curioso,
che ha gli occhi cerchiati di bianco
mi ha detto un compagno di banco,
di averne saputo il perchè
un giorno a una porta laccata,
ci volle il musetto accostare
e pur se era ancora bagnata,
da un buco all’interno spiare
così gli rimase quel segno,
che portano i panda suoi amici
che son nonostante le occhiaie,
dei sani orsacchiotti felici.

 

(in costruzione)

 

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Poesie e filastrocche: bovini

Poesie e filastrocche: bovini. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Mucchina
Dammi, mucchina
quel tuo latte bello;
ti metterò un bel nastro
e un campanello.
Campanello d’argento
nastro azzurro,
dammi il tuo latte
che vo’ fare il burro. (Camilla Del Soldato)

 

Il bove
Al rio sottile, di tra vaghe brume,
guarda il bove, coi grandi occhi: nel piano
che fugge, a un mare sempre più lontano
migrano l’acque d’un ceruleo fiume;
ingigantisce agli occhi suoi, nel lume
pulverulento, il salice e l’ontano;
svaria su l’erbe un gregge a mano a mano,
e par la mandra dell’antico nume:
ampie ali aprono imagini grifagne
nell’aria; vanno tacite chimere,
simili a nubi, per il ciel profondo;
il sole immenso, dietro le montagne
cala, altissime: crescono già, nere,
l’ombre più grandi d’un più grande mondo. (G. Pascoli)

 

(in costruzione)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: rane ranocchie e rospi

Poesie e filastrocche: rane ranocchie e rospi. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il ranocchio
Da mane a sera è sempre a bagno
dorme e vive nello stagno.
Ha l’aspetto proprio buffo
e sparisce con un tuffo.
Quando gracchia fa il suo verso
nel pantano sporco o terso.
Mangia insetti ed è mangiato
come cibo prelibato.
Nel passato con le streghe
ha condiviso molte beghe,
ma resta sempre un animale
che a un bimbo non fa male.
da Filastroccola…ndo – per le mamme e per i bimbi

 

(in costruzione)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: il ragno

Poesie e filastrocche: il ragno. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Ragno (L. Santucci)
Col lucido fil, di bava sottil
un nido d’argento, che oscilla nel vento
si fabbrica il ragno, fra il bosco e lo stagno.
Sussurra il ragnetto “D’impegno mi metto
con questa mia rete, bambini sapete
da sol mi procuro, ne sono sicuro
il letto e la cena: non vale la pena?”.

 

Il ragno
Un ragnetto birichino
stava chiuso in un buchino.
Vide il sole, uscì di lì,
vide un ramo, vi salì.
E pian piano, senza mano,
senza filo, senza ago,
una rete si cucì,
poi tranquillo vi dormì. (C. Bresadola)

 

Il ragno portacroce
Diceva alla libellula
il ragno tessitore:
“Ai tempi miei, da giovane,
ero un contemplatore;
lo sguardo fisso e attonito
al cielo ognor levavo
e di cercarmi i viveri
persin dimenticavo.
Poi giunse crudelissima
la cecità più nera
ed io mi misi a tessere
la tela mia leggera
cercando di ripetere
per chi vive quaggiù
i misteriosi circoli
che un dì vidi lassù”.
Allora la libellula
gli chiese incuriosita:
“E le innocenti vittime
cui suggi sangue e vita?”
Rispose il ragno subdolo:
“Dagli ospiti molesti
io devo pur difendere
i miei cerchi celesti!”. (G. Grohmann)

 

Il ragno e il baco da seta
“Signor baco, per favore,
non mi faccia perder tempo
mentre tesso il fil d’argento.
Guardi quanto ho lavorato
mentre lei si chiude in casa
per non esser disturbato!”
“Signor ragno, non lo sa?
La sua tela è per il vento
la mia casa è tutta seta
io la fo col mio lavoro
e mi faccio prigioniero
per donare un filo d’oro.

 

Ragnatela
Col lucido fil
di bava sottil
un nido d’argento
che oscilla nel vento
si fabbrica il ragno
fra il bosco e lo stagno.
Sussurra il ragnetto:
“D’impegno mi metto.
Con questa mia rete,
bambini, sapete,
da sol mi procuro
(ne sono sicuro)
il letto e la cena:
non vale la pena?” (L. Santucci)

 

Il ragno nel prato
Oh ragno nel prato,
che tessi la tela
con arte sì fina!
Che la rugiada
la ingemma dal cielo
al raggio che tocca
te pure, e ti svela
più brillante
di un velo di regina
a stendere il ponte
del filo sottile
tra stelo e stelo.
Dì tu, come fai,
che ali non hai?
La terra mi è madre
faccio opera umile
il filo a uno stelo sospendo
mi fermo e attendo.
Ed ecco un celeste momento
un alito nuovo di vento
lo lega allo stelo vicino
sul breve mio spazio:
ascendo, lo corro,
e ringrazio. (G. Salvadori)

 

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Poesie e filastrocche: la mosca

Poesie e filastrocche: la mosca. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La mosca
Mi ronza d’attorno insistente
curiosa.
Dovunque si posa:
sul bricco del latte, sul forno
lucente,
sul pane, sul terso bicchiere
che accosto alla bocca
per bere.
E vola nell’aria
(non varia
quel sordo ronzio), sul mio
quaderno si ferma, riposa…
che mosca noiosa! (M. Castoldi)

 

Il toro e la mosca
Postasi una mosca
sulla fronte di un toro,
gli disse con sussiego:
-Se peso troppo dimmelo, ti prego,
ed io volerò via-.
-Quanto a me- disse il toro
-vattene o resta come più ti piace.
Se tu, piccina mia,
non mi avessi avvertito,
che tu ci fossi non avrei sentito-. (Ugo Ghiron)

 

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Poesie e filastrocche sulle lucertole

Poesie e filastrocche sulle lucertole – una raccolta di poesie e filastrocche sulle lucertole, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia  e primaria.

 

Lucertolina
Lucertolina
di primavera,
sei ritornata!
La testolina
hai riaffacciata
sotto la spera
del primo sole
tra le viole… (D. Valeri)

 

Lucertolina
Lucertolina, col primo caldo,
ha messo un abito verde smeraldo,
e gode il sole, lieta ed arzilla,
lì sul balcone della sua villa.
Salve, buongiorno, lucertolina!
Alfin ti vedo, questa mattina!
Si può sapere dove sei staaa
nei meri rigidi dell’invernata?
Risponde pronta Lucertolina,
muovendo rapida la sua testina:
“Appena inverno giunge dai monti
e oscura i limpidi, vasti orizzonti
appena il freddo scende sul cuore
e spoglia l’albero, e uccide il fiore,
Lucertolina, per non soffrire
si chiude in casa e va a dormire.
(D. Patrignoni)

 

 

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Poesie e filastrocche LUCCIOLE

Poesie e filastrocche LUCCIOLE – una raccolta di poesie e filastrocche sulle lucciole, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Lucciole
Lucciole, lucciole, dove andate?
Tutte le porte sono serrate
son serrate al chiavistello
con la punta del coltello.
Lucciole, lucciole venite da me,
vi darò il pan del re
il pan del re e della regina
lucciola lucciola pellegrina. (canto popolare)

 

Luccioletta
Lucciolina, luccioletta
che m’illumini il cammino
dove vai così soletta
col tuo verde fanalino?
Se lo appendi su una siepe
pare un lume da presepe. (Luce)

 

Lucciola
O trepida luce che brilli
sull’erba dell’umido prato,
ti culla un concerto di grilli,
t’ammira un bambino incantato.
Dal cielo, milioni di stelle
t’invitan con loro, stasera;
in alto, fra quelle più belle,
ti innalzi felice e leggera.
O timida lucciola, resta
accanto a noi bimbi! Rimani
coi grilli a far festa,
o luce dai fremiti arcani.
E quando la notte che muore
s’accende dorata ad oriente,
avvinta ad un gambo di fiore,
tu spegni il tuo cuore lucente. (Antonio Libertini)

 

Girotondo delle lucciole
Gira in tondo, gira in tondo,
è più chiaro tutto il campo,
risplendente tutto il mondo.
Bimbi, lesti come il lampo:
son le lucciole arrivate
tra le spighe e i fiordalisi,
e vi annuncian che l’estate
porterà frutti e sorrisi.
Oh, danzate, lucciolette!
Ogni spiga in allegria
il buon pane ci promette:
e per tutti ce ne sia! (A. Rebucci)

 

Lucciole
Accendi il lumino, accendi,
presto, accendi, sorella:
la spiga è bionda e bella,
il papavero aspetta.
La formichina ha fretta,
è rimasta per via;
la coccinella
non sa più dove sia
il fiore, sua casetta.
Fa lume: sali, scendi;
la luna s’è celata,
la notte s’è ammantata
di buio, le è caduta
laggiù una stella.
Presto, accendi, sorella,
fa’ lume, aiuta
il grillo amico all’orlo della tana.
E vicina e lontana
di lucciole per l’aria
ondeggia la luminaria. (D. Rebucci)

 

Lucciola
Ondeggiando – la debole luce
si avvicina – con le sue ali leggere,
fragili,
la lucciola vola.
E luccica,
perchè teme
di restare nelle tenebre
sconosciuta da tutti. (Yu Ce-Nan)

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie e filastrocche – galline, pulcini e galletti

Poesie e filastrocche – galline, pulcini e galletti. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La chioccia e la massaia
Mamma chioccia a passettini
porta a spasso i suoi pulcini
ed a tutti a razzolare
presto insegna, ed a beccare.
Co co co, qui c’è un bruchetto
Co co co, lì c’è un insetto.
Veglia il cane in mezzo all’aia
e sorride la massaia
che già sogna altre covate
tutte sempre fortunate.

 

Galletto
Sulla porta del pollaio,
il galletto tutto gaio
col suo bel chicchirichì,
dà il saluto al nuovo dì.

 

Lo sbaglio del gallo
Alla casetta ove posava un gallo
picchiò la luna uscita fuor dal mare.
Vedendo l’aria empirsi di corallo
si scosse il gallo e si buttò a cantare.
Chicchirichì, il sole è qui!
Tanto cantò che udirono le stelle
e risero fra lor del grosso abbaglio
ma un vecchio asino aperse le mascelle
e protestò con un sonante raglio. (L. Schwarz)

 

Coccodè, coccodè
Coccodè, coccodè,
nel pollaio cosa c’è?
Sei pulcini sono nati
neri, bianchi, oppur striati.
Sotto l’ali, la chioccetta
i suoi bimbi chiama e aspetta.
Coccodè, coccodè,
nel pollaio questo c’è. (M. T. Rossi)

 

Nel pollaio
Ecco là: c’è un bel galletto
nel pollaio sopra il tetto
manda allegro al nuovo dì
cinque o sei chicchirichì.
Il pulcino lì vicino
tutto bello birichino
dopo sei chicchirichì
sarà lieto tutto il dì.
Poi ci son le gallinelle
fan le uova belle belle
le depongono per te
mentre cantan coccodè.

 

Galline
Al cader delle foglie, alla massaia
non piange il vecchio cor, come a noi grami:
che d’arguti galletti ha piena l’aia;
e spessi nella pace del mattino
delle utili galline ode i richiami:
zeppo, il granaio; il vin canta nel tino.
Cantano a sera intorno a lei stornelli
le fiorenti ragazze occhi pensosi,
mentre il granoturco sfogliano, e i monelli
ruzzano nei cartocci strepitosi. (G. Pascoli)

 

Pulcini
Tre pulcini vanno al campo
con la chioccia al loro fianco,
batton l’ali, corron lieti,
poi ritornan quieti quieti.

 

Co co co
Co co co, che c’è di nuovo?
La gallina ha fatto l’uovo.
Co co co, finchè potrà
la gallina coverà.
Co co co, che cosa è stato?
La gallina ha già covato.
Tic tic tic, un colpo secco
e lo rompe col suo becco.
Ecco aperto l’usciolino:
oh, buondì, signor pulcino!

 

Il pulcino
Il pulcino piccolino
dentro il guscio se ne sta,
ma ben presto, un bel mattino,
all’aperto uscir vorrà.
Picchia il guscio, tac, col becco
ed il guscio si è spaccato.
Un raspar di zampe, ed ecco,
il pulcino giallo è nato! (M. T. Chiesa)

 

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Poesie e filastrocche: coccinelle

Poesie e filastrocche: coccinelle. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La coccinella
Rossa rossa coi puntini,
nere nere le zampette,
con le antenne mini mini
e quattro forme delle alette.
Nel suo infinito desinare…
mangia insetti cattivelli …
non quel che è buono da mangiare…
come lattuga oppur piselli.
Si ferma spesso a impreziosire
quel che trova intorno a sé,
e mentre continua il suo salire
io la osservo e sai perché?
Perche è incantevole ed è bella,
questa rossa coccinella.
da Filastroccola…ndo – per le mamme e per i bimbi

 

(in costruzione)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: chiocciole

Poesie e filastrocche: chiocciole. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Chiocciola, chiocciolina
Chiocciola chiocciolina,
porti in spalla la casina.
Lasci invisibile la scia
più sottile che ci sia.
Sei imbronciata e ti spaventi
hai la lingua e tanti denti
microscopici e piccini
che non vedono i bambini.
Le cornette coi tuoi occhi
fai sparire se le tocchi
Le altre antenne per sentire
se nasconderti e sparire.
Se piove attenta …meglio scappare …
perché qualcun ti vuol mangiare
dopo averti catturata
e nella rete conservata
vuole farci un bel sughetto
col prezzemolo al guazzetto.
da Filastroccola…ndo – per le mamme e per i bimbi

(in costruzione)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche LE API

Poesie e filastrocche LE API – una collezione di poesie e filastrocche sulle api, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Ape (A. Gentili)
C’era un’ape piccolina, dentro il fiore stamattina
che suggeva che suggeva, mentre il sole risplendeva.
Poi l’ho vista via volare, fino al suo bell’alveare
l’ho sentita che ronzava, forse il miele fabbricava
quel buon miele dolce e biondo, che addolcisce tutto il mondo.

 

Felicità
C’è un’ape
che si posa
su un bottone
di rosa;
lo succhia
e se ne va…
Tutto sommato,
la felicità
è una piccola cosa. (Trilussa)

 

Il calabrone
Questo ispido villoso calabrone
l’ho trovato ubriaco fradicio
di polline e di rugiada,
nella campana di un fiore arancione.
Zampettava qua e là, ronzando
per uscire, ma non trovava più la strada.
Lo tirai fuori, ed ora è lì, che vola
in un raggio di sole tutto d’oro,
come un ubriacone che s’alza dal marciapiede
e s’incammina malsicuro,
borbottando. (Corrado Govoni)

 

L’ape
C’era un’ape piccolina
dentro il fiore, stamattina,
che succhiava, che suggeva,
mentre il sole rispendeva.
Poi l’ho vista via volare,
fino al suo bell’alveare.
L’ho sentita che ronzava,
forse il miele fabbricava.
Quel bel miele dolce e biondo
pei bambini di tutto il mondo. (A. Gentili)

 

L’ape e il fiore

Il fiore disse all’ape affaccendata:
“Sei davvero sfacciata!
Il nettare mi rubi e te ne vai
e un dono, in cambio, non mi lasci mai!”
Disse l’ape sincera:
“Sono operaia della primavera
e tutto il giorno faccio miele e cera.
Ai bimbi piace tanto il miele mio
e la cera che arde piace a Dio.
Se quel che abbiamo non lo diam col cuore,
che diremo al Signore?”
“Prendi quello che vuoi” rispose il fiore.
“M’hai insegnato che cos’è l’amore”. (R. Pezzani)

 

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Poesie e filastrocche: I gatti

Poesie e filastrocche: I gatti. Una raccolta di poesie e filastrocche sui gatti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il giornale dei gatti
I gatti hanno un giornale
con tutte le novità
e sull’ultima pagina
la “Piccola Pubblicità”.
“Cercasi casa comoda
con poltrone fuori moda:
non si accettano bambini
perchè tirano la coda”.
“Cerco vecchia signora
a scopo compagnia.
Precisare referenze
e conto in macelleria.”
“Premiato cacciatore
cerca impiego in granaio”.
“Vegetariano scapolo,
cerca ricco lattaio.”
I gatti senza casa
la domenica dopopranzo
leggono questi avvisi
più belli di un romanzo:
per un’oretta o due
sognano ad occhi aperti,
poi vanno  a prepararsi
per i loro concerti. (G. Rodari)

Il mio gattino
Com’è bello il mio gattino,
tutto nero e vellutato,
bianco solo ha il bel nasino
come fosse incipriato.
Ha due baffi… oh che baffoni!
E gli occhietti? …che bricconi!
Lo vedeste! M’è d’attorno
a scherzare tutto il giorno;
e se, stanca, m’allontano,
torna presto, piano piano.
Quando, attenta, fo il dovere,
mi disturba… ch’è un piacere:
e la penna, che va in fretta
vuol fermar con la zampetta. (P. Marcati)

Ninna nanna
Sui tetti è il gatto nero,
che sta sopra pensiero.
Dall’alto del camino
si affaccia un topolino,
ma vede il gatto e scappa,
va giù dentro la cappa.
Si salva il topolino
e dorme il mio bambino. (C. Del Soldato)

Il codino traditore
Il codino
di un topino
fuor da un buco un dì spuntò.
Venne il gatto
quatto quatto,
e coi denti l’afferrò.
Il topino,
poverino,
pianse forte e si lagnò.
Proprio in quella,
questa è bella,
un gran cane capitò.
Ed il gatto,
quatto quatto,
impaurito se ne andò.
Il topino
il suo codino
dentro il buco ritirò. (A. Cuman Pertile)

 

Il gatto
Sulla sedia accoccolato
fa l’ipocrita, il ghiottone,
tu lo credi addormentato
ma non dorme, quel sornione!
Tutto vede, a tutto è attento,
e prepara il tradimento. (E. Berni)

 

Musotondo
Il mio gatto Musotondo
verdi ha gli occhi e il pelo biondo.
Col nasetto impertinente
canzonar sembra la gente.
E’ una birba a tutta prova
che ogni dì ne fa una nuova:
proprio adesso il bricconcello
s’è cacciato in un cappello.
Vi si affaccia da padrone
quasi fosse il suo balcone.
E da lì contempla il mondo
il mio gatto Musotondo. (L. Schwarz)

 

Il mio gattino
Fufi, ha nome il mio micetto;
è carino e assai furbetto,
il suo pelo è bianco e nero,
un musin poco sincero.
Con lui gioco di sovente,
mi diverto lungamente;
lui si lascia, poverino,
prender anche pel codino.
La pazienza perde presto
sol se troppo son molesto;
ed allor che fa il micino?
Sa allungare lo zampino.
Quando dormo nel lettino
mi si accosta pian pianino;
s’accovaccia, poi m’annusa,
poi si mette a far le fusa.
Quando mamma via lo caccia,
perchè ha fatto il malandrino,
egli corre fra le braccia
del suo caro  padroncino. (D. Vignali)

Preghiera del gatto
Signore,
sono il gatto.
Non che abbia qualcosa da chiederti!
No…
Non chiedo nulla a nessuno;
ma,
se per caso, in qualche granaio del cielo,
tu avessi un topolino bianco,
o un piattino di latte,
conosco qualcuno che lo gradirebbe.
Non maledirai un giorno
tutta la razza canina?
Se così fosse direi:
così sia.
(C. Bernos de Gasztold)

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

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