IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie per la scuola primaria.
Un marsupiale è un mammifero provvisto di una vasca ventrale nella quale possono essere sistemati uno o più piccoli. I marsupiali, che oggi vivono solamente in Australia e in America, sono tra i primi mammiferi che hanno fatto la loro apparizione sulla terra. Sono stati trovati fossili di marsupiali che provano come già cento milioni di anni or sono vivevano animali a sangue caldo, capaci di allattare i loro piccoli. Probabilmente questi animali di piccola taglia furono preda dei grandi rettili carnivori, ma sono sopravvissuti agli attacchi di questi mostri e ai cataclismi terrestri, così che ancor oggi, vivono allo stato selvaggio, senza che la loro costituzione si sia troppo trasformata; si trovano, come dicevamo, solo in America (opossum) e in Australia (canguro, koala, il lupo della Tasmania oggi estinto, ecc.)
Quando deve lottare il canguro si appoggia sulla sua robusta coda, e si mette in posizione di attacco. Poi improvvisamente molla una terribile pedata con le zampe posteriori, oltretutto armata di unghie che lasciano segni profondi sull’avversario. Il canguro adirato riesce a tener testa brillantemente sia all’uomo sia ai cani: lo si è visto più volte abbattere robusti cani da caccia, senza subire alcun danno.
I grandi branchi di canguri vagano per le distese del continente australiano. Al centro del branco stanno i “grandi rossi”, circa due metri di altezza, a destra e a sinistra”i grigi” più piccoli. I canguri vanno così brucando nei pascoli dei bovini e delle greggi. E questo spiega anche perché vengano perseguitati da una caccia spietata. Per sfuggire all’uomo il canguro si lancia in una velocissima fuga. Le sue lunghe zampe posteriori, come quelle di una rana, gli permettono di fare dei salti in lungo anche di dieci metri. Se non deve sfuggire alcun pericolo, il canguro più che camminare si trascina sul suolo. S’appoggia sulla coda e sulle zampe anteriori, per poter sollevare e spingere avanti il suo corpo pesante: mentre quando scappa si appoggia solamente sulle zampe posteriori. Se si riposa, ma non è tranquillo, il canguro si corica sul ventre, con le zampe divaricate di qua e di là dal suo corpo, pronto a scappar via al primo segno d’allarme. Ma quando è sicuro che nessun pericolo è in vista, si corica su di un fianco, come noi.
La parola “canguro” ha un’origine curiosa: i marinai del capitano Cook, quando sbarcarono in Australia per le prima volta videro queste bestie saltellare e chiesero agli aborigeni: “Potete dirci che cosa siano?”, frase che in inglese suona “Can you…”. Gli aborigeni ripeterono: “Can you… can you”, e la parola canguro era bell’e inventata, o almeno così dice la leggenda. (da “Il corriere dei piccoli”)
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ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie per bambini della scuola primaria.
Il cammello è il primo animale di cui ci parla la Bibbia; con il cavallo i il bue, fu uno dei primi animali che l’uomo abbia assoggettato al proprio diretto servizio. Il cammello è detto “la nave del deserto”, perché è l’unico animale che possa attraversare gli immensi deserti sabbiosi dove manca l’acqua. Un cavallo con un carico sulle spalle affonderebbe nella mobile sabbia e presto, stanco e spossato, non potrebbe più proseguire. Quando il vento soffia ed infuriano i turbini di sabbia, qualunque animale morirebbe soffocato, ma il cammello no. Esso ha delle narici che può chiudere, in modo da impedire alla sabbia di penetrare nei polmoni. I piedi del cammello sono forniti di grandi, larghe callosità a guisa di cuscino; allorché esso cammina, il suo piede grosso e soffice, fornito di due sole dita, sparpaglia intorno la sabbia più mobile e si posa saldamente sul terreno.
Uno dei fenomeni più interessanti che riguarda il cammello è il modo con cui può resistere a lungo senza bere. Lo stomaco di questo animale infatti non solo è molto ampio, ma è composto di tre sacche, due delle quali hanno le pareti rivestite di piccole cellette le quali possono essere riempite d’acqua che rimane “di riserva”.
Quando ha la fortuna di bere, il cammello inghiotte tanta acqua quanta ne può contenere. Dopo di che si accingerà coraggiosamente ad attraversare il più infuocato deserto, senza bere un sol sorso per cinque o sei giorni, sopportando sul suo dorso un peso di 150 chilogrammi, e non mangiando altro che le dure e spinose erbe che crescono qua e là anche nel deserto. Molto affine al cammello è il dromedario che si usa come cavalcatura; il dromedario è proprio dell’Arabia e dell’Africa ed ha una sola gobba. Il cammello, che ha due gobbe, è proprio dell’Asia meridionale. Queste gobbe sono formate da ammassi di grasso e, quando i cammelli fanno un viaggio lungo e faticoso, le gobbe si rendono a mano a mano più piccole, tanto che qualche volta quasi scompaiono addirittura, perché il grasso si consuma, servendo esso a nutrire l’animale.
A memoria d’uomo, i cammelli sono vissuti sempre allo stato domestico; tuttavia esistono ancora cammelli selvatici in alcune parti dell’Asia centrale. Si crede che molti secoli fa uno spaventoso turbine di sabbia spazzasse via ogni cosa in un fertile paese. Il turbine distrusse i villaggi e uccise tutti gli abitanti. Solo i cammelli resistettero: ed ora si ritiene che i cammelli servaggi e liberi di quelle regioni discendano direttamente da quelli che scomparirono allora.
Il dromedario E’ uno dei mammiferi di maggiore statura: la sua altezza supera qualche volte anche i tre metri. Per poter camminare sulla sabbia del deserto, questo animale ha la pianta del piede conformata in maniera particolare. Essa è infatti formata da quattro cuscinetti di tessuto elastico. Quando l’animale appoggia il piede, i cuscinetti si appiattiscono, la suola si allarga, ed il piede non affonda nella sabbia.
Tra gli animali da soma il dromedario è il più resistente. Esso può camminare anche per dodici ore al giorno e per molte settimane di seguito con carichi superiori al quintale senza risentirne minimamente. Inoltre può rimanere senza bere per sette, otto giorni. Il latte della femmina è molto sostanzioso e viene usato anche per preparare burro e formaggi. La carne è commestibile. Il pelo viene tessuto in stoffe pregiate. La pelle, morbidissima, viene utilizzata anche per confezionare indumenti.
Il lama Strettamente imparentato con il cammello, il lama è il tipico animale da soma della Cordigliera delle Ande. E’ assai sobrio e resistente, per cui viene destinato al trasporto di merci lungo i ripidi sentieri della montagna, dove non esistono strade. La sua andatura è lenta ma sicura anche tra i passaggi più dirupati e pericolosi. Può portare anche mezzo quintale di merci e camminare per cinque giorni di seguito senza riposare, percorrendo notevoli distanze. Solitamente sono solo i maschi che vengono destinati alle carovane di trasporto. Le femmine sono tenute al pascolo.
Danno una scarsa quantità di latte, che gli Indios utilizzano in vario modo, ma sono abbastanza prolifiche e questo è molto importante perché i lama sono allevati anche come animali da macello; la loro carne è saporita come quella dei nostri maiali. Il lama è un animale assai mite, e certamente meno scontroso del mulo, al quale può essere avvicinato per la resistenza fisica e per l’adattamento alla vita in montagna.
L’unica maniera per cui reagisce alle offese è quella di lanciare un getto di salive contro l’avversario. Il colore del suo mantello è variabile. La lana che lo ricopre è lunga e robusta, ma piuttosto grossolana, adatta per far tappeti.
ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie. – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Materiale didattico sul baco da seta per bambini della scuola primaria: dettati, letture, racconti, poesie.
Il baco da seta è originario della Cina. Le prime uova di questa farfalla sarebbero state portate a Costantinopoli in bastoni cavi, da alcuni monaci persiani nel IV secolo dopo Cristo. Dalla Grecia l’allevamento del baco da seta si diffuse nella Spagna, in Italia e in Francia. Noi osserviamo al lavoro il tessitore, l’unica farfalla che l’uomo abbia allevato. La femmina depone circa seicento uova minute, dalle quali nasceranno piccoli vermiciattoli sudici, e, in capo ad alcuni giorni, muore senza aver preso il cibo. (Reichelt)
Dalle uova minutissime deposte dalla farfalla del filugello escono, in primavera, alcuni bacolini nerastri che rapidamente crescono fino a diventare dei grossi bruchi di color giallognolo che hanno raggiunto questo sviluppo mangiando tanta foglia di gelso pari a sessantamila volte il loro peso primitivo. Dopo circa quattro cinque settimane, durante le quali ha cambiato cinque volte la sua pelle, il baco inizia la costruzione del bozzolo emettendo un filo da certe ghiandole che si trovano nella bocca. Da questi bozzoli si ricava la seta.
Il baco da seta è utile all’uomo per la seta che il suo bozzolo fornisce, e per le industrie importanti collegate, quali l’allevamento dei filugelli e la lavorazione della seta. L’uomo alleva questo industrioso insetto che, in cambio di un certo quantitativo di foglie di gelso, gli fa un regalo prezioso, il bozzolo.
Il ragno e il baco da seta Un ragno disse a un baco da seta: “Io fabbrico la mia tela in un minuto: tu impieghi giorni e giorni per chiudere la tua casa”. “La tua casa” rispose il baco da seta “è fragile e non giova che a te; il mio bozzolo invece, e solido e giova anche agli uomini”. Per far cosa che duri, occorre tempo. Presto e bene, raro avviene. (Mercati)
Il bombice del gelso è un insetto che è dannoso alla pianta del gelso, perchè si nutre delle sue foglie. Gli uomini, però, hanno da molto tempo imparato che il bombice può essere anche utile. La bava che il bruco emette per costruirsi il bozzolo si indurisce a contatto dell’aria e diventa un filo sottile e lucente: un filo di seta. Il bozzolo è una specie di gomitolo di sottilissimo filo di seta. Gli allevatori immergono i bozzoli appena chiusi nell’acqua calda, in modo da uccidere l’insetto e dipanare poi il filo di seta. Il filo di ciascun bozzolo viene unito ad altri fili e poi tessuto per farne stoffe bellissime. Se gli allevatori lasciassero trasformare il bruco in farfalla, l’insetto, uscendo dal bozzolo, romperebbe il filo, che non si potrebbe più adoperare.
Il baco da seta, appena nato, è fornito di un grande appetito e mangia continuamente foglie di gelso, dapprima triturate finemente, e poi anche intere. Ogni cinque giorni circa, smette di mangiare e si addormenta un po’. Quando si risveglia, perde la sua pelle, che è diventata troppo stretta; ma gliene cresce addosso un’altra. Dopo quattro volte che ha cambiato pelle, il bruco è già molto cresciuto. E’ ormai lungo alcuni centimetri ed è di colore biancastro. Sotto la sua pelle si è formata una buona provvista di grasso. Quando è cresciuto abbastanza, il filugello si arrampica su un rametto, abbandona i suoi abbondanti pasti, e si costruisce un involucro, deponendo un filo di seta che è tutto di un pezzo e lungo più di un chilometro! Il filo, che esce dalla filiera, una piccola apertura che si trova sotto la sua bocca, è formato da un liquido, il quale, a contatto con l’aria, si solidifica. Quando il filo, ora giallo, ora bianco, ora verdognolo, ha ravvolto tutto l’animale, il bozzolo è compiuto. Nel bozzolo, il baco si è trasformato in pupa. Non è più una larva, non è ancora farfalla. Non si muove, non prende cibo. Basta, a nutrirla, il grasso che aveva accumulato quando era bruco. Il filugello rimane nel bozzolo venti giorni circa; poi inumidisce con un suo liquido speciale un’estremità del bozzolo, ed urta fortemente il capo contro la parte così rammollita. E dal bozzolo esce la farfalla. La femmina, dal corpo grosso e tozzo, non può volare; il maschio tenta di fare qualche salto, ma neanch’esso vola. Ma all’uomo poco importa che la farfalla voli: gli basta ch’essa deponga le uova che l’anno prossimo gli permetteranno di riprendere l’allevamento dei bachi.
Il bombice del gelso o baco da seta
Il bombice del gelso è un insetto che è dannoso per la pianta del gelso, perchè si nutre delle sue foglie. Gli uomini, però, hanno da molto tempo imparato che il bombice può essere anche utile. La bava che il bruco emette per costruire il bozzolo si indurisce a contatto dell’aria e diventa un filo sottile e lucente: un filo di seta. Il bozzolo è una specie di gomitolo di sottilissimo filo di seta. Gli allevatori immergono i bozzoli appena chiusi nell’acqua calda, in modo da uccidere l’insetto e dipanare poi il filo di seta. Il filo di ciascun bozzolo viene unito ad altri fili e poi tessuto per farne stoffe bellissime. Se gli allevatori lasciassero trasformare il bruco in farfalla, l’insetto, uscendo dal bozzolo, romperebbe il filo, che non si potrebbe più adoperare.
La vita del baco da seta
Il baco da seta, appena nato, è fornito di un grande appetito e mangia continuamente foglie di gelso, dapprima triturate finemente e poi anche intere. Ogni cinque giorni circa, smette di mangiare e si addormenta un po’. Quando si risveglia, perde la sua pelle, che è diventata troppo stretta, ma gliene cresce addosso un’altra. Dopo quattro volte che ha cambiato pelle, il bruco è già molto cresciuto. E’ ormai lungo alcuni centimetri ed è di colore biancastro. Sotto la sua pelle si è formata una buona provvista di grasso. Quando è cresciuto abbastanza, il filugello si arrampica su un rametto, abbandona i suoi abbondanti pasti, e si costruisce un involucro, deponendo un filo di seta che è tutto d’un pezzo e lungo più di un chilometro! Il filo, che esce dalla filiera, una piccola apertura che si trova sotto la sua bocca, è formato da un liquido, il quale, a contatto con l’aria, si solidifica. Quando il filo, ora giallo ora bianco ora verdognolo, ha ravvolto tutto l’animale, il bozzolo è compiuto. Nel bozzolo, il baco si è trasformato in pupa. Non è più larva, non è ancora farfalla. Non si muove, non prende cibo. Basta, a nutrirla, il grasso che aveva accumulato quando era bruco. Il filugello rimane nel bozzolo venti giorni circa; poi inumidisce con un suo liquido speciale un’estremità del bozzolo, ed urta fortemente il capo contro la parte così rammollita. E dal bozzolo esce la farfalla. La femmina, dal corpo grosso e tozzo, non può volare; il maschio tenta di fare qualche salto, ma neanch’esso vola. Ma all’uomo poco importa che la farfalla voli: gli basta che essa deponga le uova che l’anno prossimo gli permetteranno di riprendere l’allevamento dei bachi.
Il baco da seta
L’imperatrici cinese Silinci ebbe un giorno dall’imperatore un piccolo baco e questo consiglio: “Impara ad allevare questo baco e il popolo non ti dimenticherà mai”. Silinci prese ad osservare i bachi, e vide ch’essi, quando fanno le loro dormite, si rivestono di un tenue velo di fili. Ella scese quei fili e tessè un fazzolettino. Silinci vide poi che i bachi montavano sui gelsi. Allora ella prese a raccogliere le foglie dei gelsi e a nutrire con esse i bachi. Così i bachi allevati furono moltissimi e Silinci volle che tutto il popolo imparasse la nuova arte. Da allora sono passati 5.000 anni e i Cinesi ricordano ancora l’imperatrice che insegnò loro ad allevare il prezioso baco da seta. (L. Tolstoj)
I gelsi
Gli alberi che per primi si sono coperti di larghe foglie, i gelsi che segnano in lunghi filari i campi delle messi ancora immature, si trovano di giorno in giorno più spogli. Non hanno potuto attendere l’autunno con gli altri alberi. Le mani degli uomini li hanno spogliati per nutrire i bachi voraci e quelle foglie saranno trasformate in seta lucente.
La seta
Il filugello, o bombice del gelso, o baco da seta, in un certo periodo della sua brevissima vita emette dalla bocca una sostanza liquida (la fibroina) e gommosa (la sericina) sotto forma di due filamenti (bavette) che, indurendosi a contatto con l’aria, diventano un lungo sottilissimo filo. Di questo filo, il bombice si serve per costruirsi intorno una casetta ovoidale (il bozzolo), nella quale attenderà di mutarsi in una grossa bianca farfalla. A questo punto, l’insetto fora il bozzolo e ne esce fuori per vivere un paio di settimane, giusto il tempo per deporre le uova. Ma pochissime farfalle vedono la luce del sole: la maggioranza dei bozzoli va a finire, per mano dell’uomo, in speciali stufe, dove un adatto calore uccide la farfalla prigioniera. I bozzoli “stufati” vengono immersi in acqua bollente al fine di rammollire la sericina e poter così trovare il capo del filamento e dipanare facilmente il bozzolo. Da questa operazione, chiamata trattura, si ha la seta grezza o tratta. Con la seta grezza, sottoposta a lavaggi o a processi chimici, si ottiene la seta cruda, la seta cotta, la seta mezza cotta e la seta caricata; questi tipi diversi di seta servono per la produzione di vari tessuti (lisci, operati, uniti, ecc…), la cui preparazione avviene mediante alcune operazioni particolari come la cilindratura, la lucidatura e la rasatura. I principali tipi lisci, usati largamente nell’abbigliamento, sono i crespi, i rasi, i taffetà, le faglie, le garze, il popeline e i foulards. Tra i tessuti operati ricordiamo i damaschi, che presentano disegni a rilievo, e i broccati, misti a fili d’oro e d’argento. Poichè esistono sete rigenerate (prodotte con sete già usate), sete selvatiche (prodotte da insetti che vivono in Africa e nell’Estremo Oriente) e sete artificiali, la legge prescrive, per i tessuti prodotti con le preziose bavette del bombice del gelso, un marchio che rechi la dicitura “seta pura”.
Il filugello (racconto)
Alla frontiera cinese, il fraticello fu frugato, in ogni luogo. “Avete oro?” gli chiesero le guardie. “No”. “Avete argento?” “No”. “Avete seta?” Il fraticello rimase in istante perplesso. Non voleva dire il falso. Ma poi rispose con decisione: “No”. I Cinesi erano molto gelosi della loro seta. Non volevano che altri popoli della terra conoscessero il segreto di quel preziosissimo filo, col quale fabbricavano un bellissimo tessuto, lucido e morbido. “Passate pure” gli dissero allora le guardie. Il frate raccolse il suo bastone di bambù e passò la frontiera. Cammina cammina, sempre appoggiandosi alla sua canna, giunse finalmente al suo paese. “Ho portato un tesoro!” “Dov’è?” Credevano che fosse oro, argento, pietre preziose. Il pellegrino sorrise. Gli abitanti del paese lo guardarono increduli. Era povero, non aveva bagagli e pensarono che durante il lungo viaggio avesse smarrito la ragione. Il frate allora mostrò il suo bastone: “E’ qui dentro”. Gli altri risero di lui. Ma il frate ruppe la canna di bambù e mostrò alcuni semini scuri: “Ecco il tesoro”, disse. Tutti credettero che si volesse burlare di loro. Gli voltarono le spalle e lo lasciarono solo. Allora il frate mise i semini al caldo. Dopo pochi giorni dai semini, che erano uova, uscirono alcuni bachini neri. Il frate li pose con grande cura sopra una foglia tenera di gelso. I bacolini cominciarono a mangiare e ridussero la foglia alle sole nervature. In poco tempo i bacolini ingrassarono e diventarono chiari, lucidi e mollicci. “Venite a vedere il grande tesoro!” diceva la gente, “Quattro o cinque bruchi che fanno ribrezzo!” Il frate sorrideva: “Aspettate”, diceva, “aspettate e vedrete”. I bachi crescevano sempre più. Quando furono grossi come un fuscellino, smisero di mangiare e si misero a dormire. “Sono morti”, disse la gente. Invece, dopo poco tempo, ripresero a mangiare. Quando furono grossi come un dito indice, si addormentarono nuovamente. Intanto il fraticello aveva cercato un rametto di scopa secca; vi fece salire i suoi bachi e disse ai suoi increduli paesani: “Ripassate tra qualche giorno, e vedrete!” Dalla bocca dei bachi usciva un filo d’oro, che le bestiole appiccicavano nei diversi punti della scopa. Poi cominciarono a girarsi su loro stessi tessendo un fittissimo bozzolo dentro il quale restarono prigionieri. Quando la gente chiese di vedere il prodigio, il fraticello mostrò il rametto di scopa dal quale pendevano tanti bozzoli d’oro. Si alzò un grido di meraviglia: “Sono frutti d’oro?” “No,” rispose il frate, “sono semplicemente bachi da seta”. Così anche gli Europei allevarono il filugello e produssero come i Cinesi i preziosi tessuti lucidi e resistenti. (P. Bargellini)
Dal baco alla seta
La seta, questo filo luminoso, elastico e resistentissimo è il filamento elaborato dal “bombix mori”, l’insetto comunemente chiamato baco d seta. A contatto con l’aria, questo filamento si solidifica e forma la bava. Seguiamo un po’ da vicino la vita del bombix mori. Allo stato di larva si nutre, come tutti sanno, di foglie di gelso. Fino a poco tempo fa innumerevoli erano nelle campagne i filari di gelsi dai caratteristici tronchi mozzi su cui spuntavano a decine i rami sottili carichi delle preziose foglie. Ora la coltura del gelso è diminuita perché non si allevano più tanti bachi come una volta: le fibre artificiali hanno in gran parte sostituito la seta naturale. Ma dove i bachi vengono ancora allevati, la foglia del gelso è indispensabile. In un mese la larva subisce quattro mute: dopo la quarta, sale al “bosco” e comincia ad emettere quel filo di bava con cui forma il bozzolo. Per rinchiudersi dentro il bozzolo completamente, il baco impiega circa tre giorni, dopo i quali inizia la sua metamorfosi: da larva a crisalide, da crisalide a farfalla. I bozzoli che devono essere utilizzati vengono essiccati: o per effetto del vapore acqueo o in forni appositi che raggiungono la temperatura di 65-85 gradi. A questo calore la crisalide, racchiusa nella sua prigione dorata, muore, e non si trasformerà in farfalla e non uscirà più a deporre le uova. Ma il bozzolo potrà essere sottoposto intatto, a tutte le altre operazioni necessarie per averne la seta. Dopo essere stati essiccati e cerniti, secondo la loro grandezza e i loro possibili difetti, i bozzoli passano alla filanda dove avviene la complessa operazione detta “trattura” mediante la quale i bozzoli , ammorbiditi nell’acqua calda, strofinati opportunamente con speciali spazzole, lasciano svolgere docilmente il loro filo. In questa operazione le bave di 4-5-6-7-10 bozzoli, secondo la grossezza desiderata del filato, si svolgono e si riuniscono insieme in un unico filo che viene avvolto sull’aspo: il prodotto così ottenuto si chiama seta greggia.
La Cina e la seta L’allevamento dei bachi e l’industria della seta furono, nei secoli antichi, monopolio della Cina, tanto che presso i Greci erano conosciuti con il nome di Seres: i serici, coloro che praticavano l’arte serica. Nei paesi dell’Occidente tale arte non era conosciuta, ma era ben conosciuto ed apprezzato il prodotto che ne derivava, e frequenti erano tra Oriente e Occidente i commerci del prezioso tessuto. Spesso però, lungo i secoli, avvenimenti politici intralciavano, se non interrompevano, i pacifici traffici dei mercanti di seta.
Storia di due monaci L’imperatore Giustiniano, per ovviare a tutte le difficoltà che ostacolavano i normali scambi, nel 552 spedì nelle lontane terre dei Seres due monaci con il preciso impegno di impadronirsi del segreto della fabbricazione della seta. I Cinesi infatti erano gelosissimi di questa loro arte che si erano tramandati di generazione in generazione, ed il compito dei monaci non si presentava dei più facili. I due monaci, giunti sul luogo, riuscirono non solo a rendersi conto del ciclo di produzione della seta, ma anche ad impadronirsi di alcune uova dei preziosissimi bachi, e a trafugarle in patria. Le piccolissime uova giunsero in Occidente sane e salve, si schiusero e ne uscirono, sotto gli occhi attoniti dei Bizantini, i primi bachi che si costruirono i primi bozzoli. E da Bisanzio il segreto cinese si divulgò in altri paesi del Medio Oriente e dell’Europa. Grande fu lo stupore dei Latini i quali avevano sempre immaginato che la seta avesse un’origine vegetale più che animale. Ci testimoniano questa opinione i versi di Virgilio che, nelle Georgiche, descrive i Seres intenti a pettinare le foglie di certi alberi per toglierne la sottil seta. “Velleraque ut foliis depectant tenui Seres?” (Georgiche II – 120)
Arte della seta in Europa Il fiorire dell’industria serica nei paesi del Mediterraneo fu dovuto soprattutto agli Arabi che, nel secolo IX, introdussero in Sicilia e nella Spagna tale arte. Quest’ultimo paese, già il secolo seguente, era in grado di vantare una produzione abbondante e di buona qualità, e famose divennero in tutto il mondo le sete di Granata. In Sicilia l’industria della sete ebbe un grande sviluppo soltanto nel secolo XII; ma fu proprio da questa estrema regione che ebbe inizio l’arte serica italiana che, dal 1200 al 1600, mantenne il primato europeo. Il 1600 segnò purtroppo in Italia, l’inizio di un lungo periodo di decadenza politica ed economica. Languirono le arti e le industrie, ma molti operai si trasferirono in Francia dove a Lione, ad Avignone e a Tours fondarono l’industria serica. Ma ormai i confini di tutti i paesi di Europa si erano aperti a questa importante industria tessile che fiorì in Inghilterra, nella Svizzera, in Germania e si sviluppò in tutto l’impero austroungarico sotto l’alto patronato del’imperatrice Maria Teresa. Frattanto la produzione della seta aveva avuto un grande incremento anche nel suo paese d’origine: la cina era pur sempre produttrice di tessuti finissimi; e il Giappone, puntando sui bassi costi, non tardò a farle concorrenza. Il secolo XIX vide l’affermarsi e svilupparsi dell’industria della seta in tutti i maggiori paesi d’Asia e d’Europa; e si distinguono ormai gli Stati che forniscono seta grezza (quelli dove le condizioni climatiche consentono l’allevamento dei bachi) e quelli che, importando la materia grezza, producono tessuti.
Materiale didattico sul baco da seta. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
I SUINI: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.
Il cinghiale
Occhio vivace, garretti asciutti, dorso agile, trotto veloce e nervoso, cotenna spessa e dura, zanne robuste e acuminate, il cinghiale è un lottatore di grande coraggio. Ben diverso da lui è il placido grasso maiale discendente dal cinghiale che ancora vive in libertà nelle macchie e nelle foreste paludose.
Il maiale
Nulla resta in questo animale dell’aggressività, della forza, della furberia di uno dei suoi antenati, il cinghiale. Da una parte, sensi affinati, muscoli scattanti, riflessi rapidi, coraggio ed intelligenza; dall’altra la tranquillità, in nutrimento facile, e quindi la sonnacchiosità, la petulanza ottusa, i riflessi tardi e il grasso.
Il maiale
E’ grasso, tardo, non pensa che a mangiare e a grufolare. Ma è un animale prezioso. Nulla si butta via del maiale. Con la carne si confezionano saporite salsicce, salami e prosciutti; il grasso serve per cucinare e per rendere saporite le vivande; gli intestini, seccati, servono a fare corde di strumenti musicali; con le setole si fabbricano spazzole, pennelli e scope.
Il maiale
Il contadino lo chiama il suo salvadanaio, perché quello che mette vi ritrova. Ma vi mette patate, ghiande, farina, crusca, bucce e brodaglie; ricava i prosciutti, le squisite salsicce, i salami saporiti, il condimento per le sue minestre.
Il porcellino dell’Orthobene Si trattava di assistere al sacrificio del maiale e manipolarne le carni e i grassi fumanti. Veniva giù in marzo, coi caldi venti orientali, l’arzillo adolescente maialino; scendeva dai cari boschi di lecci dell’Orthobene con una grossa ghianda ancora ficcata nella zanna rabbiosa, coi piedi legati, sul cavallo del servo che lo portava in arcioni e invano tentava di placarne le proteste. La gabbia dove veniva ficcato, sebbene alta e spaziosa, non lo consolava di certo: erano, i primi giorni, grugniti che spaventavano persino il prode gallo del cortile; e tentativi di smuoverne le sbarre e persino il grande truogolo di granito che forse gli ricordava le pietre della patria perduta. Allora, in un fresco turchino giorno del primo inverno, arrivavano due valentuomini: uno smilzo e nero, con un berretto frigio sulla testa rapata e le maniche della camicia rimboccate sulle braccia pelose; sembrava il boia; l’altro un pacioccone roseo e lucido: erano due celebri macellai. (G. Deledda)
(IN COSTRUZIONE)
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CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.
La cerbiatta Il vecchio guardava sempre le macchie di aliterno in fondo alla radura. Era verso quell’ora che la cerbiatta si avvicinava alla capanna. Il primo giorno egli l”aveva veduta balzar fuori dalle macchie spaventata, come inseguita dal cacciatori: si era fermata un attimo a guardarsi intorno coi grandi occhi dolci e castani come quelli di una fanciulla, poi era sparita di nuovo, rapida e silenziosa, attraversando come in volo la radura. Era bionda, con le zampe che parevan di legno levigato, le corna grigie, delicate come ramicelli di asfodelo secco. (G. Deledda)
(IN COSTRUZIONE)
CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture . Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.
Le volpi Parla un volpone: “Osservate tutto e notate ogni minima cosa. Non date mai a vedere d’essere delle volpi; se volete manifestarvi ad alta voce, fingetevi cuccioli di cane: abbaiate. A caccia, ricordatevi di essere una selvaggina anche voi, guardatevi d’attorno, accosciatevi spesso, ascoltate ciò che dice la terra. Se ferite, non urlate, mettetevi sottovento dei cani e medicatevi con le radici di rafano. Non temete mai gli scoppi, temete i fruscii, e rifugiatevi di preferenza nel grano. Guardatevi dai funghi velenosi e purgatevi spesso col ricino”- (F. Tombari)
La volpe Il suo mantello di peli folti è un’arma di difesa: esso assume i colori della terra, degli alberi, delle rocce, delle nevi. La volpe è un animale quasi invisibile. Va a caccia di notte. Assale e divora lepri, conigli, topi e lucertole. Inoltre dà la caccia agli uccelli, anche a quelli acquatici (oche, anatre, cigni) e devasta i pollai. E’ golosa di pere, susine, uva. Corre rapida; resiste alla fatica; passa tra le fessure più strette; sa camminare leggera, senza rumore, come se scivolasse; si nasconde nei cespugli. Nuota bene e si arrampica sugli alberi. I boscaioli e i contadini le fanno una guerra spietata. (H. Hvass; da “Mammiferi nel mondo”; ed. Colderini)
(IN COSTRUZIONE)
LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.
Stambecchi e camosci Si videro scendere a valle quaranta o cinquanta stambecchi e un centinaio di camosci come una frana, ma più potenti gli stambecchi, capaci di daltare rocce che i camosci girano, e di valicare d’un salto fino a sei o sette metri di terreno impervio, fermandosi di netto su una piccola punta aguzza. Sanno anche risalire pareti a picco, incastrandosi tra due piani ad angolo, facendo gioco con gli zoccoli tra l’uno e l’altro. (G. Piovene)
Il camoscio Un vecchio cacciatore raccontava questo episodio, occorsogli al ritorno da una infruttuosa battuta di caccia. Ritornava dunque il nostro uomo, stanco e affaticato, attraverso un sentiero impervio e sconosciuto, quando si trovò a viso a viso con un camoscio, morto. La bestia evidentemente era precipitata dalla montagna, e niente aveva potuto trattenerla nella sua caduta: solo alla fine le corna, impigliandosi fra i rami di un cespuglio, avevano tenuto sospeso l’animale nella posizione in cui appunto il cacciatore l’aveva trovato. Forse alla fine della rovinosa caduta il camoscio non era ancora morto, ma poi la fame, le ferite avevano avuto la meglio e la povera bestiola era morta, così, sospesa fra i rami, sola… La montagna, con i suoi pericoli, come si vede, sottopone il camoscio a durissime prove, se l’animale vuole sopravvivere nell’ambiente naturale tutt’altro che facile. D’estate, i branchi di camosci, da dieci a cinquanta, dimostrano la loro eccezionale abilità di scalatori vivendo a grandi altitudini, anche oltre i 2300 metri. D’autunno, da ottobre fino all’inizio dell’inverno, i camosci combattono i loro mortali duelli per il predominio sul branco; poi, con la caduta delle prime nevi, scendono in basso, verso i boschi di conifere. In questo periodo il camoscio diminuisce la sua dieta fino a nutrirsi solamente di scorze d’albero, di muschi, di rovi; un nutrimento molto diverso dai ricchi pascoli estivi. In primavera, invece, nel mese di maggio, nascono i piccoli: uno o due, nel folto del bosco, lontano da tutti, in un luogo riparato e segreto. Ben presto i piccoli saranno in grado di seguire la madre verso le vette, insieme con il branco fatto più numeroso dai nuovi nati.
Il camoscio: carta d’identità Lunghezza: circa un metro e venti. Altezza: 75 centimetri. Peso: il maschio 45 chili, la femmina 35. Il colore varia: d’estate è grigio chiaro, scuro d’inverno. Una striscia di peli più lunghi e scuri segna la pelliccia del camoscio dalla punta della coda alla testa. Con questo pelo i tirolesi fanno le nappine, che ornano i loro famosi cappelli. Il camoscio vive in gruppo; solo i vecchi maschi hanno abitudini solitarie così come le femmine quando stanno per mettere al mondo i piccoli. L’aquila, i cacciatori, le valanghe, le impervie cime delle montagne su cui hanno la loro residenza, rendono assai pericolosa la vita del camoscio. L’udito e l’odorato del camoscio sono eccellenti. Non così la vista. Femmine e maschi recano sulla fronte le corna con cui affrontano i loro nemici. Il camoscio si trova sulle Alpi, e sull’Appennino, nel Parco Nazionale d’Abruzzo.
Il capriolo Vive un po’ dappertutto in Europa. Ha forme snelle, corna ramificate. Si nutre di foglioline e di giovani germogli. Di giorno si tiene nascosto, di notte vaga per campi e prati. Se non fosse protetto da leggi speciali sarebbe già scomparso, preda ambita dei cacciatori. Può raggiungere settantacinque centimetri di altezza, un metro e trenta di lunghezza, venticinque o trenta chili, al massimo, di peso. Ha gambe sottili, alte, nervose, forti. Il suo mantello varia con le stagioni. In inverno la lanetta, fittissima e morbida, è color bruno-ruggine. La sua testa è corta, animata da grandi occhi vivaci, le orecchie hanno media lunghezza, le corna, proprie dei maschi, non hanno lo sviluppo e la bellezza di quelle dei cervi. (G. Menicucci)
L’alce Nelle regioni paludose e nelle foreste della Siberia si incontrano ancora numerose mandrie di alci, grossi animali strettamente imparentati con i cervi. Un alce adulto è alto oltre due metri al garrese e può pesare 700 chilogrammi. Le enormi corna, che cadono ogni anno in autunno per rispuntare in primavera, sono palmate e largamente spiegate a ventaglio. La femmina ne è priva ed è anche di dimensione più piccola. Il pelame, abbastanza folto, è di colore bruno scuro e nel maschio presenta una criniera assai sviluppata. Gli zoccoli molto larghi e disgiunti permettono a questi animali di camminare nella neve senza sprofondare eccessivamente. Le abitudini dell’alce sono simili a quelle del cervo. Esso preferisce però i luoghi aperti e acquitrinosi del nord dove vaga pascolando. Si nutre di foglie, di cortecce e di piante acquatiche. Per strappare queste ultime, però, deve inginocchiarsi, perché il collo è molto corto rispetto alla lunghezza delle gambe. Un tempo gli alci erano molto diffusi anche in Europa. Secondo antiche credenze, nello zoccolo del piede sinistro dell’alce risiedevano poteri magici, per cui questa parte veniva venduta a caro prezzo, ed era consigliata in numerosissime ricette dell’antica farmacopea.
CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
I BOVINI: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.
Il bue
Il bue ha un’importanza rilevante per la storia stessa della civiltà umana. Quando l’uomo delle caverne riuscì a rendere domestico e quindi ad allevare e a trasformare gradatamente l’uro, il colossale bue preistorico, ebbe inizio una serie di eventi importantissimi. L’allevamento di questo animale significava possibilità di avere carni a sufficienza e il numero dei buoi che uno possedeva servì a calcolare la sua ricchezza. Inoltre la forza del bovino permise la trasformazione del suolo, ancora vergine, in campi coltivati.
Il bue
Gli antichi Germani cacciavano di preferenza l’uro. Ne adoperavano la pelle per fare i vestiti, ne mangiavano la carne, nelle loro corna bevevano l’idromele. Più tardi, i Germani fissarono le loro dimore e praticarono l’agricoltura, ma l’uro calpestava i loro campi e perciò il contadino cercò di fermare il gigante. L’uro era già scomparso fin dal Medio Evo. Il gigante continua però a vivere nel bue domestico ostinato e lento, ma utile, che ora si trova sparso per tutta la terra. (Reichelt)
Bufale A uno a uno tutti quei blocchi oscuri, che io avevo scambiati nel crepuscolo per rialzi verdastri del terreno, si sollevarono, scuotendo polvere, e, dondolandosi con mosse lente, si avanzarono sulla radura, incontro a me. Bufale enormi della giogaia ciondolante, dai corvi brevi, dai corni lunghi, diritti serpeggianti, lunati, dal muso nero, dalla stella in fronte, dal piè balzano, dalle radici rosse. La prima del branco ruggiva sempre, fermandosi ad aspettare; e altre vacche nere, che poltrivano digrumando fra le stoppie gialle, bruciate dal libeccio, si alzavano, si scuotevano muggendo, e s’indirizzavano adagio, circospette e annoiate, sull’orme della guida. (F. Paolieri)
Bestie all’abbeveratoio Ultimo divertimento della giornata fu assistere all’abbeverata del bestiame. L’abbeveratoio era in fondo a un gran prato, accanto al pozzo perenne, oggetto di molta invidia dei vicini in quelle terre siccitose. La fila delle bestie sciolte s’avvicinava lentamente dove le chiamava il boaro con un certo verso e fischio lungo, pacato, suasivo, che le invitava a bere. Camminavano sagge, con quella loro andatura che sembra inceppata, a testa bassa; e il sole basso sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche per la più parte. Immergevano il muso fino alle froge nell’acqua, e bevevano adagio, alla loro discreta maniera. Poi lo levavano stillante, e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie. (R. Bacchelli)
Due vitellini si vogliono bene Era successo che, proprio stando soli nella stalla, forse per ruzzare intorno alla mangiatoia o per scavalcarla, il vitellino più anziano, quello che aveva una specie di stellina in fronte, si fece male, ebbe una delle due protuberanze che, ai lati della fronte, cominciavano a indurirsi, scalfita da un chiodo, ammaccata da un urto troppo forte. Nulla di straordinario: ci fu qualche medicamento rustico, una foglia larga e fresca messa sull’ammaccatura, un po’ di dolore… Ma cosa straordinaria fu che il vitellino più giovane intervenisse lui, nelle ore in cui erano soli, a medicare, tirando fuori la lingua, che era poi anch’essa quasi come una foglia ma rosea e un poco ruvida, raspando, leccando sull’ammaccatura dell’amico come per una carezza e, insieme, una medicina. (B. Tecchi)
Buoi al lavoro I buoi, i grandi buoi, questi giganti così affettuosi, così utili, così vigorosi! Guardateli tirare, lungo le strade, quei carichi così pesanti… Il loro corpo, teso dallo sforzo, freme, e il carro geme, geme a lungo. Il carro geme, a lungo geme, e i buoi tirano fino all’estrema fatica. E sembra, nella sera bagnata d’ombra, che il carro pianga per chi lo trascina… E la sera, lungo la strada solitaria, il carro geme, geme e se ne va. (A. Lopez-Vieira)
Il bove In questo sonetto, che è tra i più famosi della nostra letteratura, il poeta celebra la forza laboriosa e mite del bue e quel suo faticare docile in mezzo ai campi lavorati dall’uomo. E’ un quadro di pace solenne che ispira un senso religioso della fatica agreste. T’amo, o pio →1 bove, e mite un sentimento di vigore e di pace al cor m’infondi →2, 0 che →3 solenne come un monumento →4 tu guardi i campi liberi e fecondi, o che al gioco inchinandoti contento l’agil opra de l’uom grave secondi →5 : ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento giro dei pazienti occhi rispondi →6. Da la larga narice umida e nera fuma il tuo spirto →7, e come un inno lieto →8 il mugghio nel sereno aer si perde; e del greve occhio glauco entro l’austera dolcezza →9 si rispecchia ampio e quieto il divino del pian silenzio verde →10. (G. Carducci)
Note: →1 pio: mite e disposto al lavoro dei campi che è, per gli uomini, una santa fatica →2 m’infondi: mi ispiri →3 o che: sia che →4 come un monumento: in atteggiamento placido e solitario →5 secondi: col movimento grave del corpo, il bove asseconda i gesti dell’uomo, agile nella fatica dell’aratura →6 rispondi: mostri d’intendere e consentire alla sua volontà →7 fuma il tuo spirto: esala il tuo alito →8 come un inno lieto: il mugghiare del bove è come un inno che accompagna in letizia il lavoro dei campi →9 entro l’austera dolcezza: dentro lo sguardo dolce e insieme solenne dell’occhio azzurro (glauco) del bove. Grave perché si volge con lentezza e pazientemente →10 si rispecchia… silenzio verde: si riflette la pace e l’alto silenzio della pianura. Verde è congiunto con silenzio ed è un’immagine lirica che si spiega pensando che il poeta, per spontaneo gioco di fantasia, ha trasferito al silenzio la proprietà verde del piano.
Il bue Quando l’uomo cominciò a coltivare i cereali, iniziò ad addomesticare gli animali e, tra questi, il bue. Come sollevò il lavoro dell’uomo! Discende da un animale preistorico chiamato uro, la cui razza è ormai scomparsa da circa quattromila secoli. Il manzo, il toro, la mucca, il vitello, la giovenca e il bue sono differenti stati dello stesso animale: il bue. E’ un ruminante; ha i piedi forcuti e corna cave, corpo tozzo, membra corte e robuste, collo con sotto una pelle pendula chiamata giogaia. Vive d’erba e serve all’uomo da tiro e da trasporto. Fornisce energia organica per il lavoro della terra, ottimo concime, produzione abbondante e sostanziosa di latte; carne per l’alimentazione, sangue, ossa, corna, pelle, unghie per moltissimi usi. Si adatta alle più svariate condizioni di clima, di altitudine, di alimentazione. Gli antichi lo veneravano.
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LE PECORE E LE CAPRE dettati ortografici, poesie e letture per bambini della scuola primaria.
La pecora e la capra
Buone e pacifiche, le pecore e le capre pascolano sui prati e brucano l’erba e i germogli lungo le siepi. Il vello delle pecore è folto e morbido, formato da bioccoli di lana. Il maschio della pecora si chiama montone, ed ha due corna ricurve. Le capre hanno una graziosa barbetta sotto il mento e piccole corna curve e affilate con le quali aggrediscono e si difendono. Pecore e capre vengono riunite in greggi sorvegliate dai pastori e dormono negli ovili con gli agnelli e i capretti. Sono ruminanti ed erbivori; danno latte e carne; la pecora, inoltre, ci dà la lana e con la pelle della capra, conciata, si fanno scarpe e guanti. In Italia le pecore sono allevate specialmente nel Lazio, nell’Abruzzo, nel Molise e nell’Umbria. Durante l’estate, le greggi si spostano dalle pianure ai pascoli appenninici, che abbandonano al principio dell’inverno. Questa periodica migrazione è detta transumanza. La transumanza viene effettuata su antiche vie chiamate tratturi. Le pecore si chiamano ovini e le capre caprini. Sono ruminanti simili alla capra anche il camoscio, lo stambecco e il caribù.
La pecora
Anticamente la pecora dovette essere un animale simile al camoscio: agilissima, dotata di corna e magari di umore alquanto aggressivo. Oggi è l’animale più mansueto che si conosca: effetto dell’addomesticamento. Vicino all’uomo, allevata da lui, la pecora, innanzitutto, è ingrassata, poi ha perduto i suoi istinti aggressivi.
Ritorna il gregge
Il gregge tornò dalla montagna. Primi venivano i montoni, con le corna basse e l’aspetto selvaggio; dietro il grosso delle pecore: le madri un po’ stanche, gli agnellini da lette coi musetti tra le zampe delle mamme. I muli, infioccati di rosso, portavano nelle gerle gli agnelli di un giorno, e camminando li cullavano. Ultimi i cani, ansimanti, con un palmo di lingua fuori dalla bocca; e due pastori giganteschi avvolti in ampi mantelli rossi che scendevano giù fino ai piedi. La processione ci sfila davanti gioiosamente e per il cancello entra nel cortile: gli zoccoli picchierellano sull’ammattonato come uno scroscio di grandine. E in mezzo al trambusto il gregge entra nell’ovile. (A. Daudet)
Il gregge
Ecco le pecore in viaggio. Avanti e attorno a loro, camminano i cani da guardia. Sono bianchi come le pecore e procedono a testa alta, guardinghi. Vegliano sulle pecore e le difendono. Dietro ai cani vengono i montoni, scuotendo il campanaccio schiacciato. Sono seguiti dal gregge senza ordine. A capo basso, con gli occhi tristi che non guardano di lato, le pecore camminano in branco. Dove va l’una, vanno le altre. Quelle vicino alle siepi, strappano qualche foglia. Dietro a questo fiume di lana calda,, che alza il polverone delle strade, vengono i pastori, o a piedi o a cavallo, con l’ombrello a tracolla e un lungo bastone in mano. Essi corrono dietro alle pecore che si sbrancano, spingono quelle che restano indietro zoppicando; raccolgono gli agnelli nati lungo il viaggio, bianchi e rosa, belanti. Ogni tanto si volgono indietro. Nuvole dense hanno coperto i loro monti. Il vento stacca dagli alberi del piano le foglie ingiallite. (P. Bargellini)
Agnello Nessuno ti pettina i ricci, nessuno ti bacia sul muso, la mamma è partita dal chiuso, sei piccolo e senza capricci. L’erbetta più tenera e fine la cerchi nel prato da te: si sente tremare il tuo bee, per vaste pianure e colline. Per quel campanello che scuoti le valli non sono più mute, la terra imbandita di rute, riporti ad incanti remoti. Guidato a più libera altura tra boschi, torrenti e perigli, mio piccolo agnello somigli un poco di neve che dura. (R. Pezzani)
LE PECORE E LE CAPRE dettati ortografici, poesie e letture. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
CAVALLO, ASINO, MULO: dettati ortografici, poesie e letture per bambini della scuola primaria.
Il cavallo
Il cavallo è il più nobile animale della fattoria: è slanciato, ha la testa allungata, gli occhi grandi e le orecchie a punta di cartoccio. Scuote la folta criniera, dondola la coda lucida; ma zampe sottili e robuste, terminanti in un piede con un solo dito, protetto dallo zoccolo. Talvolta, mentre gli si mettono i finimenti, il cavallo sbuffa, nitrisce, scalpita e allarga le froge. Tra i denti canini e i molari c’è uno spazio vuoto che porta il nome di barra, utile per appoggiarvi il morso: è questo l’arnese di cui si è servito l’uomo per domarlo. Il mantello o pellame che ricopre il cavallo è molto vario. Il cavallo si dice baio quando ha il mantello rosso – castano, la criniera e la coda nere; sauro quando è più scuro o più chiaro del baio, ma con la criniera e la coda dello stesso colore del mantello; morello, storno quando è grigio macchiettato di bianco; roano quando ha il mantello bianco e grigio. La durata della vita di un cavallo non supera i trent’anni. Il cavallo veniva impiegato nei lavori agricoli e come mezzo di trasporto. Alla famiglia degli equini appartengono anche l’asino e il mulo.
Il cavallino L’altro giorno, alle pendici di Monte Mario, trovai un cavallino. Un cavallino nato da un mese, un mese appena; accosto alla cavalla, che era con una lunga criniera chiara; una madre bellissima e, dietro, andava a passi lenti il cavallo padre. Anzi, prima era il pastore che, con una lunga canna di comando sulle spalle, apriva il dolce e innocente corteo, poi era il cavallo padre e la cavalla madre, i quali andavano quasi di pari passo affiancati, poi era il cavallino. Padre e madre andavano fiutando l’erba, pregustando il vicino pascolo. Ma, il cavallino, non faceva altro che saltare. I cavallini hanno la testa a triangolo, piccina; la mascella vi disegna un archetto ben profondo; hanno la coda corta, ciuffosa, ad anelli neri come le treccine delle ragazze di pochi anni. Hanno la sella vergine, snella, benissimo marcata ai lombi e già esuberante per quanto sia poco tempo che sono nati. Hanno le zampe lunghe, nocchiute; ma lo zoccolo l’hanno piccino, e non stanno mai fermi.. (L. Bartolini)
L’asino
L’asino somiglia al cavallo, ma ha il corpo più piccolo (supera di poco l’altezza di un metro); la sua testa è grossa e pesante; le orecchie sono lunghe, la criniera è ruvida con peli dritti; la coda è liscia, rivestita di peli solo all’estremità. Il mantello dell’asino può essere di colore grigio, bianco pezzato o scuro. La sua voce è sgraziata e rumorosa: si dice raglio e si distingue nettamente dal nitrito. L’asino si nutre di fieno e di erba fresca. E’ un animale paziente e laborioso. Veniva utilizzato per il traino, per la soma e per la sella.
Il mulo
E’ figlio dell’asino e della cavalla. Si distingue dal cavallo per la forma del capo, per le orecchie più lunghe, per la coda simile a quella dell’asino. Il colore del mantello è come quello del cavallo. Il mulo raglia come l’asino. Il mulo è robusto come il cavallo, paziente e laborioso come l’asino; tira spesso e facilmente calci terribili. Nei percorsi di montagna è superiore all’asino e anche al cavallo per la sicurezza con la quale cammina nei luoghi più pericolosi.
Il cavallo nella storia
Il cavallo fu più di una volta l’elemento determinante di eventi storici molto importanti. I cavalli fiancheggiarono le legioni romane in battaglia, i destrieri medioevali furono i fedeli compagni dei cavalieri nelle loro imprese straordinarie, i veloci corsieri trasportarono le popolazioni asiatiche ai confini dell’Europa. La conquista delle Americhe fu agevolata dalle poche centinaia di cavalli che gli esploratori e i conquistatori vi importarono dall’Europa.
Il cavallo
Il cavallo fu chiamato il figlio del vento perchè fino alla scoperta del motore, questo nobile animale fu il mezzo di trasporto più veloce che si conoscesse. Il cavallo fu domato dall’uomo fin dall’epoca più antica. In principio gli uomini gli davano la caccia per nutrirsi della sua carne, poi quando videro che poteva essere utilizzato per la velocità della sua andatura, lo addomesticarono e i cavalli divennero tra i servitori più preziosi dell’uomo.
Il figlio del vento
Io sono il cavallo. E sono bello. Sono agile. E veloce. E generoso. E forte. E coraggioso. E non sono, ovviamente, modesto. La modestia la lascio al mio parente, l’asino. Fu lui ad essere domato per primo e ciò dipese, quasi certamente, dalla sua mancanza di fiducia nei meriti della specie a cui apparteneva. Ma l’asino non ama l’uomo, lo subisce. China la testa, presto volenteroso la sua schiena al carico e si sottomette docilmente alle stanghe. E l’uomo, che non ama gli umili, che non ha alcun rispetto per i sottomessi, non solo si serve di lui, ma lo beffeggia. Lo burla per le sue lunghe orecchie e chiama asini i suoi simili che non brillano per sapere.
Soltanto dopo aver domato l’asino, l’uomo volse la sua attenzione al cavallo. Il cavallo era un animale fiero, veloce, orgoglioso e l’uomo disse: “Lo domerò!”. Fu, per lui, un puntiglio d’onore. Domare un cavallo significava sentirsi più uomo, re del creato, quello per cui il creato era stato fatto. Branchi di cavalli galoppavano per le steppe, nelle pianure, nei deserti, criniere al vento, occhi lucenti, garretti veloci, froge frementi. L’uomo li vedeva passare nei lontani orizzonti quando procedeva, lento, sulle piste, guidando carovane di asini carichi di masserizie. Andava per le sue migrazioni, attirato dall’ignoto, verso le terre sconosciute, campi più pingui, fiumi più profondi e foreste più folte. Ma il passo dell’asino era troppo lento per il suo desiderio e fu così che l’uomo, un giorno, cede un cappio con una lunga liana e catturò un cavallo.
Inutili i nitriti di dolore, di ribellione, di furore dell’animale prigioniero. Egli era l’uomo, il re, il dominatore, il despota. Il cavallo dovette cedere, anche se si ribellò, lo scavalcò, lo calpestò con i suoi duri zoccoli. Alla fine, schiumante di rabbia impotente, dovette quietarsi. L’uomo conobbe l’ebbrezza della velocità. Chiamò il suo destriero figlio del vento. Lo carezzò, lo strigliò, lo nutrì e gli mise il morso. Il cavallo finì per non ribellarsi più a quel peso estraneo che sentiva sulla groppa. Imparò a conoscere lo strattone delle briglie e piegò la sua natura fiera alla volontà dell’uomo. Divenne il suo fido compagno non soltanto nella corsa, ma anche nel combattimento. L’uomo ormai era progredito e faceva la guerra. Come fare la guerra, a quei tempi, senza il cavallo? Noi cavalli abbiamo sempre amato la battaglia. Il grido dei combattimenti ci esalta, lo strepitio delle armi ci inebria. Incuranti del pericolo, portammo i cavalieri nella mischia e li facemmo diventare coraggiosi anche se non lo erano. Fummo bardati di ferro e di cuoio, portammo elmo e corazza come il cavaliere che ci montava. Giocammo con lui nei tornei e nelle giostre e lo seguimmo nella caccia. Un’epoca gentile e generosa prese il nome da noi: la cavalleria. Per l’uomo fummo un elemento indispensabile delle sue gesta gloriose. Dice un proverbio arabo: “Allah creò il cavallo e disse: ti ho fatto senza pari. Volerai senza lai e combatterai senza spada”. (Mimì Menicucci)
Il cavallo
Il più importante fra gli equini è il cavallo. Ha la testa piccola, eretta, allungata; orecchie aguzze mobilissime, occhi vivaci. Il cavallo è uno degli animali che hanno prestato maggiori servizi all’uomo, ma ai nostri giorni sta perdendo di importanza, di fronte ai prodigi della meccanica che ne ha ristretto l’impiego.
L’asino
Perchè tanto disprezzo per questo animale così buono, così utile? L’asino è per natura molto paziente, tranquillo quanto il cavallo è fiero, ardente, impetuoso; sopporta con costanza e, forse, con coraggio, la fatica; è sobrio sia nella quantità che nella qualità del cibo, si accontenta delle erbe più dure e disgustose che il cavallo e gli altri erbivori lasciano e sdegnano; è invece delicatissimo per l’acqua: non vuole bere che quella più limpida. (Buffon)
Il ciuchino del mugnaio “Arri là!”. Passa il ciuchino del mugnaio con la sacca, avviandosi al mulino pel viottolo, alla stracca. “Arri là!”. La testa bassa, annusando per la strada, par che cerchi mentre passa, il mastello con la biada. “Arri là!”. Ma per carezza, soffermandosi, ha buscata una stretta di cavezza e un’amabile legnata. “Arri là!”. Come protesta all’offesa dignità, il ciuchino alza la testa: “Ah!… ih ah! ih oh! ih ah! (Dante Dini)
Il muletto Lontano lontano lontano si sente suonare un campano. E’ un muletto per un sentiero che si arrampica su su su! Che tra i faggi piccolo e nero, si vede e non si vede più! Ma il suo campanaccio si sente suonare continuamente. (G. Pascoli)
L’asino e la speranza Cieco, zoppo, brutto, vecchio tira avanti un asinello. Ma un allegro campanello che gli suona nell’orecchio lo rincuora e lo consola raccontandogli una storia: – C’era un tempo un contadino che trattava l’asinello con i calci e col randello, e dicendogli: “In cammino!” gli metteva sempre troppa legna od altra cosa in groppa. Ma Giuseppe falegname l’asinello si comprò e gli diede fieno e strame, tutto a nuovo lo ferrò, riservandogli l’onore di portar nostro Signore. Lo curò da ogni male, lo strigliò da capo a piè e gli mise al pettorale un campano come me, che a sentirlo mentre andava tutto il mondo si voltava. Soffri, dunque, rassegnato. Verrà il giorno anche per te che Giuseppe dal mercato ti vorrà portar con sé. Non importa se sei brutto avrai fieno e strame asciutto.- L’asinello zoppicando gode il suon che l’accarezza. Per sentirlo a quando a quando scuote allegro la cavezza, e, nutrito di speranza, meno vecchio e stanco avanza. (Renzo Pezzani)
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Schede per i primi esercizi di composizione poetica scaricabili e stampabili gratuitamente in formato pdf. Gli esercizi comprendono: Lettura di poesie, poesia ripetitiva, poesia di elenchi, poesia di bugie, poesia con ritornello, poesia in rima, allitterazioni, Haiku.
Schede per i primi esercizi di composizione poetica
Lettura di poesie
Quando presentiamo una poesia, offriamone una copia ad ogni bambino su fogli singoli. Leggiamo la poesia a voce alta ai bambini. Chiediamo poi ai bambini di unirsi a noi nella recitazione a voce alta: questa esperienza può essere ripetuta per più giorni consecutivi. In seguito facciamo leggere ai bambini la poesia all’unisono. Diamo poi ai bambini la loro copia, da inserire in un quaderno di poesie, copiare in bella grafia, illustrare ecc…
In questo modo possiamo proporre ai bambini diversi tipi di poesia, di modo che i bambini possano averne molti esempi e sviluppare sensibilità verso questo tipo di composizione, partendo dall’aspetto orale.
Schede per i primi esercizi di composizione poetica
Poesia ripetitiva
Materiale occorrente per la presentazione: lavagna cancellabile, gessi o pennarelli.
Riunite un gruppo di bambini, e dite che comporrete una poesia insieme. La poesia sarà ripetitiva: ogni linea dovrà iniziare con le stesse parole.
Ogni bambino contribuisce alla composizione con una linea. Scrivere le linee sulla lavagna in forma poetica.
Chiediamo poi ai bambini di leggere la poesia, facciamo tutti i cambi che desideriamo per creare l’ordine che preferiamo per la nostra composizione.
Quando i bambini sono soddisfatti, copiano la loro poesia sul quaderno delle poesie, o su un foglio in bella grafia. Se lo desiderano la possono illustrare.
In seguito possiamo mettere a disposizione dei bambini delle carte pronte da completare per comporre le loro poesie ripetitive, individualmente o in piccoli gruppi.
Schede per i primi esercizi di composizione poetica Poesia di elenchi
L’esercizio si svolge come il precedente, ma invece di ripetere l’inizio per ogni verso, mettiamo il membro di una data lista, ad esempio nomi di fiori, di alberi, di mammiferi, di pianeti, ecc…
Schede per i primi esercizi di composizione poetica Poesia di bugie
Diciamo ai bambini che il poeta vuole raccontare bugie divertenti, per allietare i suoi lettori, o per enfatizzare la realtà mostrandola rovesciata (ad esempio: la pioggia sale, il cielo è sempre giallo,ecc…)
Schede per i primi esercizi di composizione poetica Poesia con ritornello
Diciamo ai bambini che comporremo una poesia in cui una certa frase si ripete a intervalli regolari. Discutiamo sul significato di ritornello, strofa, verso, ripetizione. Usando lo schema, i bambini si cimentano con le loro composizioni poetiche.
Schede per i primi esercizi di composizione poetica Poesia in rima
Per la composizione di poesie in rima può essere utile mettere a disposizione dei bambini un rimario, ad esempio:
Introduciamo il libro e diciamo ai bambini che l’autore ha compilato liste di parole che terminano tutte con lo stesso suono. Leggiamo loro qualche pagina d’esempio, di modo che possano farsi l’idea di cosa siano le rime. Diciamo poi delle parole e chiediamo ai bambini di dirci delle rime. Quando i bambini hanno capito, possono dedicarsi alle loro composizioni. Possiamo fornire loro schede che suggeriscano dei soggetti, avendo cura di scegliere parole che rimano facilmente.
Schede per i primi esercizi di composizione in poesia Allitterazioni
L’allitterazione è la ripetizione degli stessi suoni all’inizio o all’interno delle parole. Per introdurre l’argomento il testo migliore è l’Alfabetiere di Bruno Munari:
che presenta con allitterazioni le lettere dell’alfabeto una ad una. Introduciamo il libro, e diciamo che l’autore ha scritto allitterazioni per ogni lettera dell’alfabeto. Leggiamo le poesie ai bambini, di modo che si possano fare un’idea di cosa sia un’allitterazione. (Un bel lavoro realizzato dai bambini con questo materiale si trova qui: https://arringo.wordpress.com/
Scriviamo alla lavagna una parola, ad esempio L Lucertola, e chiediamo ai bambini di dirci tutte le parole con L che vengono loro in mente, scriviamole alla lavagna. Sviluppare le parole in una o due frasi, quindi farle copiare ai bambini sui loro quaderni delle poesie, o su fogli da illustrare e decorare.
A questo punto i bambini possono comporre le loro allitterazioni. Possono consultare il dizionario e il dizionario dei sinonimi e dei contrari per cercare parole che iniziano con lo stesso suono.
Schede per i primi esercizi di composizione in poesia Haiku
La poesia Haiku, nata in Giappone, è stata adottata dai poeti di tutto il mondo. L’italiano è particolarmente adatto agli Haiku, perché la quantità di sillabe presente in ogni parola è equivalente al giapponese, così che il volume di informazioni che si può includere in 5-7-5 sillabe è quasi uguale nelle due lingue.
Materiali: un libro di haiku, lavagna cancellabile e pennarelli, copie di un haiku per ogni bambino e matite.
Questa è una raccolta scritta per i bambini, ad esempio Un gatto nero in candeggina finì… 35 haiku per bambini di ogni età di Pino Pace:
Presentazione:
Riuniamo un gruppo di bambini e diciamo loro che leggeremo delle poesie scritte con uno schema che si chiama Haiku. Prima di iniziare a leggere, chiedere ai bambini di stare attenti, per vedere se riescono a capire di quale schema stiamo parlando.
Leggiamo qualche poesia, poi cominciamo a raccogliere le risposte dei bambini (diranno ad esempio che non ci sono rime, che parlano dalla natura o delle stagioni, ecc…)
Ora diamo ai bambini un Haiku e chiediamo loro di leggere la prima riga, battendo le mani per ogni sillaba. Alla fine della riga, chiediamo di scrivere il numero di sillabe contate. Facciamo lo stesso per tutte e tre le righe: le sillabe sono sempre 5 -7 – 5.
Altre caratteristiche dell’Haiku (informazioni per l’insegnante):
Sono ispirati da elementi naturali. Gli haiku contemporanei possono anche non avere per soggetto la natura, ma parlare di ambienti urbani, emozioni, relazioni e argomenti comici.
Un Haiku non ha mai titolo
Gli Haiku dovrebbero sempre contenere due idee sovrapposte. Le due parti sono grammaticalmente indipendenti, e sono di solito immagini separate. L’idea è creare un distacco tra le due parti per creare un paragone interno. Per questo nell’Haiku è obbligatorio l’inserimento di una pausa tra le due parti.
Gli Haiku sono concentrati su dettagli dell’ambiente che si legano alla condizione umana.
I poeti giapponesi usavano tradizionalmente l’haiku per catturare e cogliere l’essenza un’immagine naturale effimera, come una rana che salta in uno stagno, la pioggia che cade sulle foglie, o un fiore che si piega nel vento. Molte persone fanno passeggiate solo per trovare l’ispirazione per le loro poesie, definite in giapponese passeggiate ginkgo.
Un riferimento alla stagione o al passare della stagione, definito in giapponese “kigo”, è un altro elemento fondamentale. Il riferimento può essere diretto (nome della stagione) o indiretto (foglie che cadono, alberi che fioriscono). In Giappone esiste lo Saijiki, o Antologia delle Quattro Stagioni, che è un dizionario specializzato contenente un elenco completo di tutti i riferimenti stagionali.
Gli Haiku sono composti di dettagli osservati dai cinque sensi. Il poeta assiste a un evento e usa le parole per comprimere .Cosa hai notato riguardo al soggetto? Che colori, forme e contrasti hai osservato?Quali erano i suoni del soggetto? Qual era il tono e il volume dell’evento che è appena accaduto? Aveva un sapore o un odore? Come puoi descrivere in modo preciso la sensazione che hai provato?
Metodo (in breve) per comporre Haiku:
Leggi molti Haiku.
Tieni presenti le regole per la composizione di Haiku: 3 versi (5 – 7 – 5 sillabe; un riferimento stagionale, una pausa).
Fissa nella tua mente l’istante che ti ha colpito, la sensazione che hai provato, e descrivila cercando di ricrearlo a livello emotivo in tutti i particolari, senza descrizioni esteriori.
Elimina tutte le parole superflue: ti servono veramente tutti gli aggettivi e gli articoli che hai inserito?
Definisci la stagione in cui vuoi collocare la tua composizione: cioè inserisci il kigo.
Non inserire metafore.
Non inserire rime.
Cerca la tua pausa ed inseriscila.
Invitiamo i bambini a scrivere il loro primo Haiku, immaginando di essere un elemento della natura, ad esempio un pettirosso.
Poesie e filastrocche ESTATE – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Primavera è passata
Caldo briccone! Senza ragnatele è il cielo; puro, limpido, celeste, come un immenso mare senza vele, una canzone senza note meste. Viene l’estate quasi inaspettata! Fa già calduccio a maggio, e tra i frutteti ridono le ciliegie, e sul sagrato gorgheggia l’usignol cento segreti. (L. Nason)
Estate
I merli, i capineri, gli usignoli empion l’aria di gridi, e canti, e voli. Che piacere a sentirli ed a vederli, i capineri, gli usignoli, i merli! Maggiolini, libellule, api d’oro ondeggiano, più lievi, in mezzo a loro. Uccelli grandi, insetti piccolini: libellule, api d’oro, maggiolini. Ma una bambina canta in mezzo ai pini, e l’ascoltano l’api e i maggiolini. Si ferman tra le foglie sciami e stuoli, e taccion anche i merli e gli usignoli. (M. Dandolo)
Vien l’estate
Vien l’estate, scrive parole, sulle corolle di tutti i roseti. Stelle di lucciole sotto gli abeti, grilli che cantano, falci nel sole. Nel solco tiepido, tra balza e ciglio, le spighe ondeggiano di fiordalisi; i rosolacci dal cuore vermiglio sembrano fiamme di tutti i sorrisi. Odor di fieni, frinir di cicale, sereni vesperi, cieli d’opale. (C. Ronchi)
I mesi dell’estate
Giugno, luglio, agosto. Sono nudi come l’aria ma ciascuno porta un suo fregio, l’uno un ramo di ciliegio che di frutti ondeggia e svaria; il secondo ghirlandette di papaveri fiammanti, spighe il terzo barbaglianti, in manipolo costrette. Bravi e validi figlioli, rosolati al solleone; saltan come in un trescone di gagliardi compagnoni. (D. Valeri)
Il primo giorno d’estate
Il camioncino dei gelati (la campanella allegra) passa tra gli alberati viali residenziali. I bambini, che giocano nel prato a perdifiato, smettono e gli vanno incontro: i nichelini in mano. I cani, risvegliati, abbaiano per chiasso e gli uccelli cinguettano tra i rami. Si dondolano, frullano in alto e in basso. Una cicala urla nell’ora meridiana: è la prima di un’estate di tenere piogge, che pareva una burla. E’ scoppiata e si sente l’avvenuto momento da come il cielo vibra sull’erba radente. Ogni cosa, nella luce, ha la trasparenza dell’aria. C’è un paese al mondo, dove non sia questa festa? (A. Barolini)
Serenata estiva
Nella notte prodigiosa tutta polline di stelle, grilli, assioli e raganelle van tessendo senza posa una dolce serenata alla luna innamorata. E la luna guarda e ride da un guancial di puro argento, mentre il pettine del vento sui maggesi passa e stride deponendo ad ogni fiore una lucciola sul cuore. (G. Striuli)
Canicola
Oggi la mia felicità è l’allodola che nell’incendio del mattino estivo dagli abissi del cielo verso il rivo fresco e giulivo del suo canto, mentre la terra par che dorma, e intanto tutto matura, ed io riposo accanto alla schiera che miete grave le spighe d’oro vivo e le vespe irrequiete ingannano la sete con il sangue degli ultimi papaveri. (O. Ferrari)
Mi cuocio al sole
Fra un leccio un pino un ulivo è un tondo d’erba al sole con rossi cardi timi sfioriti acerbe spighe d’avena che dondolano sul mare. Altro non vedo che questo tondo d’erba alto sul mare. E mi cuocio al sole fra voli di farfalle sparsi canti di uccelli ansia di mare. (M. Novaro)
Sera estiva
E’ l’ora in cui gli uccelli accovacciati la testolina metton sotto l’ala; le lucciolette ricamano i prati, e canta a vespro la fulva cicala. Traversa il cielo un vento accidioso, della sua meta incerto e senza lena; al suo passaggio il bosco pensieroso saluta sì, ma rispettoso appena. (E. Praga)
Meriggio
Silenzio! Hanno chiuso le verdi persiane e gli usci le case. Non vogliono essere invase dalla tua gloria, o sole! Non vogliono! Troppo le fiamme che versi nella contrada, dove qua e là dalla strada ferrata d’acciaio sfavilla rovente. Pispigliano appena gli uccelli, poi tacciono, vinti dal sonno. Sembrano estinti gli uomini, tanta è, ora, pace, silenzio. (U. Saba)
Momento estivo
Un bimbo, un usignolo, due farfalle ed un ruscello che gorgoglia lieve: sul ponte un uomo con la falce a spalle, sotto, a basso, una rondine che beve. Nella grande distesa messi gialle, lontano, al monte, un bioccolo di neve; e passa e muore per la queta valle un suono di campana arguto, breve. Tutto vive la piccola sua vita nella lentezza di quell’ora afosa, nel silenzio dell’aria intorpidita. Con mossa uguale il ruscelletto scende: e domina dal cielo, gloriosa, l’ampia vita del sole che risplende. (D. Borra)
Il colombo Davide
Una sera entrò un colombo. Era estate ero stanco la finestra era aperta il colombo grigio bianco. Entrò mi guardò fece segno: aveva un’ala rotta. Gli detti casa e casato. Lo chiamai Davide e molto invidiai la sua allegria. Per lunghi giorni mi tenne compagnia. Una sera se ne andò: era infermo era allegro lo trovai morto nel giardino. (R. Carrieri)
Il libro vi saluta
Se pur costa dolore, dobbiamo dirci addio. Io conosco il tuo cuore, tu hai scoperto il mio. Insieme abbiam vissuto ore calde e serene. Ci siam voluti bene. Tu intanto sei cresciuto, tu sei fatto un ometto; tu bimba, una donnina. Io, vecchio che cammina, quel che sapevo ho detto. (R. Pezzani)
Giocare, giocare
Andiamo alle falde del colle oggi a giocare, giocare, giocare. Sul colle ove sbocciano le margherite come neve, neve, neve. Intrecceremo una ghirlanda di margherite, una domani e domani ancora, là dove le margherite sbocciano come neve, é laggiù che vogliamo andare. Giù nella baia ove i bimbi nuotano come pesci, pesci, pesci. Giù nella baia ove i bimbi nuotano, giù nella baia macchiata di bianche vele, o sul colle ove sbocciano le margherite. E’ laggiù che vogliamo andare. (P. Kumalo)
Scuola vuota
La scuola è vuota, i bimbi andati via, i finestroni chiusi, i banchi all’aria. In un canto una scopa solitaria riposa dopo fatta pulizia. Solo un sommesso pigolio d’uccello rompe il silenzio dei deserti androni; e nel cortile, liberi e padroni, fanno vacanza i gatti del bidello. (L. Schwarz)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
IL MARE poesie e filastrocche di autori vari per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
L’onda Scherzosa, spumosa, gioconda, tu mormori e corri, lieve onda, con mille e poi mille sorelle, che danzano e ridon fra loro nel bacio del bel sole d’oro e sotto la luna e le stelle. Tu fai dondolare la candida e fragile vela per gioco, la culli col canto tuo fioco, pian piano, e intanto la porti lontano, lontano. Eppoi ti trastulli felice coi bimbi: li spruzzi, li arruffi se fra le tue braccia si tuffano; con loro discorri. Che dice la voce tua blanda e ridente in note sì chiare? I bimbi l’intendono: la viva lor gioia lo sente che sei come loro gioconda, scherzosa, serena, live onda del mare. (Gentucca)
I giardini del mare Chi li ha visti i giardini del mare dove ogni cosa un gioiello pare? In una luce di seta verdina un popolo cammina assorto, silenzioso, ospite d’un mondo prezioso. C’è un prato d’alghe: lentamente oscilla; rupe muscosa scintilla: fra i rami di corolla guizzano pesci vestiti di giallo, sogliole d’argento… E le seppie dal passo sonnolento vanno con le lamprede in cerca di facili prede; dagli antri dove dormon le sirene escon le murene e la medusa che danzando sciacqua la veste color d’acqua… Nella luce di seta verdina così un popolo vive e cammina: assorto, silenzioso, ospite d’un mondo prezioso. Più in fondo è il regno del nero e vi alberga il mistero. (Mario Pucci)
IL MARE poesie e filastrocche Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche LA SCUOLA – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Il libro
Prese il libro il bambino: l’aprì, lesse, pensò. Egli era in un giardino di quanti fior non so. Guardò intorno. Nel sole splendevan cento colori, ma disse: “Le parole son più belle dei fiori”. (Renzo Pezzani)
Bambini a scuola
Oh, l’ala del tempo ben rapida vola!… finita è l’estate, si torna alla scuola. Bisogna lasciare i laghi tranquilli, le verdi vallate dai freschi zampilli, le morbide rene, i tuffi nell’onde che il vento ricama di trine gioconde, i colli beati smaltati di fiori, le vigne fragranti, i boschi canori, le corse frementi per prati ed aiuole! Bambini, bambine: si apron le scuole! Su via, non torcete le bocche soavi; non fate le bizze: vi voglio più savi. Se dopo il lavoro più lieto è il piacere, è giusto che a questo poi segua il dovere. Or dunque togliete dai vostri cassetti i bianchi quaderni, i libri, i righetti, le penne, i compassi, ed ilari e franchi, correte a sedervi sui soliti banchi. La scuola, materna, le braccia vi schiude e al dolce suo seno felice vi chiude. E voi salutatela col cuore canoro: è bello in letizia tornare al lavoro. Io, giunto alla fine di questo preludio, depongo la penna… Bambini, buon studio. (Gino Striuli)
La maestra ha sorriso
La maestra è accigliata, è triste, stamattina; trepida la nidiata per la cara maestrina. Lettura. Sono intenti i bimbi; ella tace, severa. Maestra, ma non senti che fuori è primavera? Occhieggiano i bambini dal libro, un po’ spauriti, anche i più birichini non osano farsi arditi. Storia. “Perchè il ministro Cavour…”. La mano bianca si posa sul registro come farfalla stanca. Franco aveva pur detto di saper la lezione… Ma ora un sospirone gli sale su dal petto. Una lacrima scende lenta, sul ciglio chiaro: trema il labbro innocente. “Che c’è, piccolo caro?” Lo guarda, ella, gli prende il mento: oh, il dolce viso che di nuovo risplende! La maestra ha sorriso. (M. Tomaseri Tamagnini)
Il vecchio quaderno
Le sere d’inverno, posato in un canto, il vecchio quaderno ha un triste rimpianto:: “Il bimbo che lieto, con trepida mano, tracciò l’alfabeto, riposa lontano!: Lasciò la sua mamma ancor giovinetto; ardeva la fiamma nel bel caminetto. Ed or si consola narrando alle stelle, dei giorni di scuola, le favole belle. Son favole pure di nuvole azzurre, d’un mondo piccino, d’un grigio topino. Chissà se la sera, in tutto segreto, dirà la preghiera oppur l’alfabeto? (A. Libertini)
Scuola elementare
Con l’autunno precoce e capriccioso, tu lasci la tua casa e la tua mamma. E te ne vai, felice e baldanzoso, verso la nuova scuola. Già una fiamma d’amore nuovo ti risplende in viso. Io ti porgo il cappotto e la cartella e mi trema nel cuore il tuo sorriso. “Sarà piena di lode la pagella!” Pieno di fede e di speranze, ardito mi prometti sereno di studiare. Ma il mio cuore è un po’ triste e un po’ smarrito: “Resta ancora con me, bimbo a giocare!” Dal berretto calato sulla fronte sbuca un ciuffo ribelle di capelli. “La penna e la matita sono pronte?” Sì, ma i tuoi ricci come sono belli! E te ne vai felice nella via salutandomi ancora con la mano. Io provo una sottile nostalgia mentre tu mi sorridi da lontano. (M. Luisa Cortese)
Scuola elementare
Ricordo della scuola elementare: colletto bianco col nastrino blu, un desiderio intenso di imparare le prima cose a, e, i, o, u. Aste tracciate a segni colorati, con la matita nuova rossa e blu, quaderni rilegati ed ordinati con l’esercizio: ma, me, mi, mo, mu. Il sillabario ancora misterioso, rivelava col segno la parola, qualche visetto attento e giudizioso sgranava assorto gli occhi di viola. Ma una bambina spesso si incantava a guardar fuori un po’ di cielo blu, cullata dalla voce che spiegava dolce e paziente: ma, me, mi, mo, mu. O signorina, così buona e attenta, quanta pena non dette al suo lavoro la capricciosa bimba disattenta, che già viveva in un suo mondo d’oro, di smagliante ed ignara fantasia, girando attorno quei suoi occhioni blu, già viveva di sogni e di poesia sul ritmo lento: ma, me, mi, mo, mu. (M. Luisa Cortese)
Primo giorno di scuola
E’ pronta la cartella, il grembiulino, il colletto stirato come va. Dunque, va proprio a scuola, il birichino! Stamani in casa si respirerà! Giornale e pipa, aah! beatamente il nonno potrà starsene sdraiato, una mattina intera. Strilli, niente. Un bacio a tutti… Ecco. Se n’è andato. Ma dopo un’ora… “Forse piangerà” (pensa la mamma) E corre alla finestra. “Sarà buona e paziente, la maestra?” (sospira nonna). E il nonno: “Chi lo sa…” Un’aria così greve intorno pesa! Son tristi l’orsacchiotto, il pulcinella, traditi da un’ignobile cartella. Si parla a bassa voce, come in chiesa. Nonno aggiusta le ruote di un trenino perchè il bimbo sorrida, al suo ritorno… Oh, com’è lungo questo primo giorno che del pupo d’ieri fa un omino! (Zietta Liù)
Scuola di campagna
Solitaria scuoletta di campagna, che sorridi tra il verde al primo sole, grato un profumo sento di viole intorno a te, che zeffiro accompagna. Vedo di fiori ornata la finestra dell’aula ancora nel silenzio assorta, vedo i bimbi schierati sulla porta in attesa che arrivi la maestra. Son lì composti; han fatto molta strada per giungere alla scuola; ma quegli occhi da cui la gioia lor part che trabocchi, brillano come stille di rugiada. Io so che vi rallegra: è la parola, bimbi, di chi v’insegna tante cose, di chi circonda di cure amorose il dolce tempo che passate a scuola. (Ascenso Montebovi)
Scuola di campagna
E’ fuor del borgo, due passi di là dal più fresco ruscello, recinta di muro e cancello, la piccola scuola di sassi. Agnella staccata dal branco col suono che al collo le han messo richiama ogni bimbo al suo banco, nell’aula che odora di gesso. C’è ancora la vecchia lavagna, con su l’alfabeto mal fatto; lo scrisse un bambino, distratto dal verde di quella campagna. E lei che mi vide a sei anni, c’è ancora, la voce un po’ fioca, vestita d’identici panni, la vecchia signora che gioca. Il tempo passò senza lima, su queste memorie. Ritorno lo stesso bambino di un giorno sereno, nell’aula di prima. E in punta di piedi, discreto, nell’ultimo banco mi metto e canto, nel dolce coretto dei bimbi, l’antico alfabeto. (Renzo Pezzani)
Compagni di banco
Che cosa vuoi? Son pronto a darti tutto: una penna, un quaderno, un taccuino, purchè tu venga per un po’ vicino… …Noi sederemo ad uno stesso banco riordineremo i libri a quando a quando, e rileggendo un compito e guardando sul tavolino un grande foglio bianco… (Marino Moretti)
Ritorno a scuola
Oh, sì! prendiamo la cartella scura, il calamaio in forma di barchetta, i pennini, la gomma e la cannetta, la storia sacra e il libro di lettura… Andiamo, andiamo! Il tema è messo in bella! Andiamo, andiamo! Il tema è messo in buona! Dio, com’è tardi! La campana suona… Fra poco suonerà la campanella… Ma che dico? E’ domenica, è vacanza! non c’è scuola, quest’oggi: solamente c’è da imparare un po’ di storia a mente, soli, annoiati, nella propria stanza… (Marino Moretti)
La scuola
Ha riaperto la scuola i suoi battenti; l’insegnante sorride con amore: ben sa che degli alunni c’è nel cuore il rimpianto pei bei divertimenti. Monti, campagna, mare… che concerti d’urla felici! Che giocondo ardore! In piena libertà correvan l’ore; e adesso invece tutti fermi e attenti! “Consolatevi” ei dice, “il tempo vola: verranno un’altra vola le vacanze; ma ora, ricordate, siete a scuola. E nello studio certo troverete la gioia che ha dolcissime fragranze, se trarre buon profitto voi saprete!” (Livio Ruber)
La scuola
Chi mai l’ha costruita, un po’ appartata all’altre case, come una chiesuola, e poi che l’ebbe tutta intonacata le ha scritto in fronte la parola “Scuola”? E chi le ha messo al collo per monile una campana senza campanile? Chi disegnò per lei quei due giardini con pochi fiori e giovani alberelli difesi dall’insulto dei monelli da fascetti di brocche, irti di spini? Chi seminò con tanto amor le zolle? Perchè, bambino, costruir la volle? Non per un bimbo, ma per quanti sono nel mondo, suona quella campana; e la scuola ti sembra così bella, e quell’aiuola un rifiorente dono, perchè col giardiniere e il muratore, vi mise mano, ogni dì, anche l’amore. (Renzo Pezzani)
A scuola
Come il mulino odora di farina, e la chiesa d’incenso e cera fina, sa di gesso la scuola. E’ il buon odor che lascia ogni parola scritta sulla lavagna, come un fioretto in mezzo alla campagna. Tutto qui dentro è bello e sa di buono. La campanella manda un dolce suono, e a una parete c’è una croce appesa… pare d’essere in chiesa: s’entra senza cappello, si parla a voce bassa, si risponde all’appello… Oh, nella scuola il tempo come passa! S’apre il libro, si legge e la signora spiega, per chi non sa, or questo or quello come in un gioco: un gioco così bello che quando di fa l’ora d’uscir, vorremmo che durasse ancora. Come il mulino odora di farina e la chiesa d’incenso e cera fina, la casa prende odor dal pane nostro e la scuola dal gesso e dall’inchiostro. (Renzo Pezzani)
La scuola La scuola è proprio come una chiesetta che i suoi fedeli aspetta: aspetta i suoi fedeli ogni mattina questa allegra chiesina. Talora nelle nobili città, ha lustro e maestà; talor, purtroppo, è misero abituro, il luogo angusto e oscuro. Eppure anche se povera e modesta prende un’aria di festa quando è piena di voi, bimbi, la scuola, quando non è più sola. Di fianco non le sorge col gentile richiamo il campanile; eppure anch’essa snocciola bel bello un suon di campanello. Ed entrano i fedeli a mano a mano, con un libretto in mano, per andarsi a seder tutti, o sorpresa! sui banchi come in chiesa. Lo studio, bimbi, in certa qual maniera, è anch’esso una preghiera. (L. Ambrosini)
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Poesie e filastrocche ERBA E PRATO – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Un filo d’erba
Che cos’è un filo d’erba? Un filo d’aria che si sente e non si vede, sperduto affogato nel mare del prato; un filo di verde che si perde nell’azzurro, tracciato da un pittore di valore; un filo di luce come niente, ma che non si pente d’esser così poco, quasi scintilla di un grande fuoco, un filo di profumo, che in silenzio dice: “Mi consumo d’amore”, un filo di voce, che sussurra bisbiglia ci parla con cuore puro. Un filo d’erba è una cosa da nulla che si trastulla col vento, che gioca col sole a nascondino come un bambino birichino; che guarda con occhi sempre nuovi la luna, falcata o a frittata, il pulviscolo d’oro e d’argento delle stelle ricamate nel firmamento; che fa l’occhiolino a un fiore vicino; che per nutrimento si contenta di un chicco di sale e di una sola gocciolina piovuta dal cielo o scappata bel bello al ruscello; che si adorna con una perlina di brina dai colori dell’arcobaleno, tanto piccolina e leggera che appena si vede e può volar via così, ma tanto grande da contenere il sole, tutto il sole visto di qui. Un filo d’erba è proprio una cosa da niente: c’è e non si scorge, esiste e non si sente, si sporge dal balcone e poi si pente, ha la sua casa piccolina sulla terra verdolina accanto allo stelo di un papavero, ma cerca disperatamente le vie del cielo splendenti di luce. (M. Giusti)
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ITALIA materiale didattico – una raccolta di materiale didattico vario per iniziare lo studio della geografia italiana nella scuola primaria.
Come l’Italia sorse dal mare Durante una gita in montagna, Roberto scoprì con sorpresa, nella parete rocciosa, l’impronta di una piccola conchiglia, e chiede al babbo come potesse quella conchiglia trovarsi lassù, a duemila metri sopra il livello del mare. Il babbo sorrise. “La cosa è semplice” spiegò. “Milioni di anni fa, tutte queste montagne erano sepolte sotto il mare. Poi emersero, portando in alto dei fossili, cioè i resti pietrificati di pesci e di molluschi. Dove ora sorge la nostra bella penisola,una volta si stendevano e acque del Mediterraneo”. “Ma come fece l’Italia a emergere dal mare?” “Guarda” fece il babbo. Prese il giornale, lo distese per terra, poi appoggiò le mani sui due lati e incominciò a premere verso il centro. Il foglio si accartocciò, si sollevò in tante pieghe. “Vedi?” riprese il babbo, “Ecco come si sollevarono i monti. Fa’ conto che la mano destra sia il continente africano e la mano sinistra sia il continente europeo. Ora devi sapere che i continenti si muovono, come se fossero degli immensi zatteroni. I due continenti, accostandosi lentamente, fecero sollevare in tante pieghe il fondo del Mediterraneo, appunto come mi hai visto fare con il giornale. Così nacque la catena delle Alpi e la lunga, frastagliata catena degli Appennini…”. Roberto ascoltava stupefatto.
“Hai presente la cartina geografica dell’Italia fisica? Sembra uno stivale proteso verso il mare. Ma guarda bene: c’è tutta una struttura montagnosa che ne costituisce l’ossatura. A nord, come un grande arco, si stende la catena delle Alpi. Dalle Alpi Occidentali si dipartono gli Appennini che percorrono in lungo tutta l’Italia. Le stesse montagne della Sicilia sono un prolungamento degli Appennini, e perciò si chiamano Appennini Siculi”. “E le pianure, come sono nate?” “Dai depositi dei fiumi. Guarda la Pianura Padana. Dalle Alpi scendono molti fiumi che trasportano detriti e terriccio. Col passare dei secoli questi detriti hanno colmato il mare e così si sono formate le pianure. Non è chiaro?” Roberto si fermò un attimo a guardare. All’orizzonte si estendeva la pianura sconfinata, velata da una leggera nebbiolina. Sembrava appena uscita dal mare, proprio come aveva detto il babbo.
Come si è formata l’Italia Siamo nell’era terziaria (l’uomo apparirà soltanto nell’era successiva, la quaternaria). Le precedenti ere: primigenia, primaria e secondaria, avevano già visto alcune terre sprofondare lentamente nel mare ed altre emergere; ora un’altra grande vicenda, detta “corrugamento alpino” sta per cambiare volto all’Europa. Una parte dell’Europa meridionale sprofonda nel mare, e nel Mediterraneo soltanto il massiccio Sardo-Corso continua a spuntare dalle acque, mentre comincia ad emergere, ciò che sarà il nostro suolo, una leggera falce di terra, costituita dalle maggiori creste alpine. Lentamente ecco affiorare poi, fra le spume del mare, il bruno dorso dell’Appennino nelle sue cime più alte, cosicchè l’Italia appare come una serie di isole. Continuando i movimenti corruganti per effetto delle immani forze endogene della terra, ecco man mano delinearsi l’alto e potente arco alpino e ad esso, e tra di loro, saldarsi le isole, che si spingono nel mare verso sud a formare un’unica lunga catena: l’Appennino.
Nel Pliocene, ultimo periodo dell’era terziaria, la cui durata si calcola dai sei ai dieci milioni di anni, l’Italia comincia a delinearsi nella sua struttura essenziale, caratteristica: c’è quantomeno lo scheletro, cui i successivi innalzamenti e i depositi alluvionali dei fiumi aggiungeranno, poco per volta, la polpa delle pianure. Nel passaggio dal Pliocene al Quaternario si ebbe un forte abbassamento della temperatura con relativo imponente sviluppo dei ghiacciai, e con un’intensa attività vulcanica. Dell’epoca glaciale si calcola la durata in 600.000 anni. Tutti i più alti rilievi alpini erano coperti di ghiaccio; solo le cime più ripide e scoscese emergevano nude. I sistemi glaciali più estesi delle Alpi erano quelli della Dora Riparia, della Dora Baltea, del Ticino, dell’Adda, dell’Oglio, dell’Adige, del Piave e del Tagliamento. I ghiacciai depositavano, ai margini e soprattutto alla fronte, i detriti di cui erano carichi: i depositi frontali si presentano tuttora come archi di colline disposte ad anfiteatro. Al ritirarsi dei ghiacciai, le conche situate a monte di tali sbarramenti morenici si colmarono d’acqua, a costituire gli odierni laghi d’Iseo, di Garda, Maggiore, di Como.
I ghiacciai hanno modellato anche le vallate sulle quali scorrevano, arrotondandone e lisciandone il fondo ed i fianchi (sezione a U), cosicchè la forma di queste valli si presenta oggi ben diversa da quella delle valli erose unicamente dai fiumi (che hanno una sezione a V). Dai ghiacciai scendevano enormi fiumane, che divagavano capricciosamente, su letti larghissimi, per l’intera Pianura Padana, in più punti acquitrinosa e intransitabile. Sull’Appennino, data la minore altezza dei rilievi e la diversa latitudine, non si ebbe un’espansione glaciale imponente come sulle Alpi; ma ghiacciai locali ebbero tutti i massicci più elevati, dal monte Antola nell’Appennino ligure, al monte Pollino in Calabria. I ghiacciai più estesi furono quelli del Cimone e della Cusna nell’Appennino toscano; nell’Appennino centrale quelli dei monti Sibillini, del Gran Sasso, del Velino-Sirente, della Maiella, del monte Marsicano, del monte Greco; nell’Appennino meridionale quelli dell’Alburno, del Matese, del Pollino e della Serra Dolcedorme; qualche ghiacciaio ebbe anche l’Etna. Estesi invece furono i bacini lacustri appenninici, prosciugati poi in varie epoche, e di cui restano, comunque, cospicui residui.
Alla fine del Terziario l’Etna aveva iniziato la sua attività; attività endogena si era avuta nei monti Berici, nei Lessini, nei colli Euganei, nei monti Iblei in Sicilia, nel monte Ferru in Sardegna, e nell’interno di Alghero e di Bosa (dove si trovano colate laviche caratteristiche: le giare). Il Pleistocene vide imponenti attività vulcaniche sul versante tirrenico: centri eruttivi si ebbero nella Toscana meridionale (Orciatico, Montecatini, Roccastrada, ecc…), nel monte Amiata, nel gruppo della Tolfa, dei monti Volsini, Cimini, Sabatini, dei Colli Laziali; più a sud furono attivi il vulcano di Roccamonfina, i Campi Flegrei, il Vesuvio, i vulcani delle isole Ponziane, di Ischia, il Vulture, e quelli delle Eolie e di Linosa. Estintasi l’attività eruttiva, i crateri, in molti casi si trasformarono in laghi. Le ceneri e i lapilli eruttati si consolidarono in estesi depositi di tufo; Roma stessa è in parte costruita su rilievi tufacei provenienti dal Vulcano Laziale.
Il periodo che segue il ritiro dei ghiacciai è detto Olocene e risale al 20-25.000 anni fa. E’ difficile farci un’idea dell’aspetto che presentava la nostra Italia. Sulle Alpi i ghiacciai si andavano ritirando verso le loro posizioni attuali: la montagna si copriva di boschi fittissimi, popolati da fiere, da mammiferi giganteschi, da uccelli. Al ritiro dei ghiacciai corrispondeva un maggior deflusso di acque che andavano ad innalzare il livello dei mari; l’Adriatico avanzava verso nord a sommergere lo spazio tra la Penisola Italiana e la Balcanica. I grandi laghi si venivano colmando e al posto di essi subentravano pianure interne, spesso cosparse di bacini residui o di acquitrini. Frequente anche la formazione di torbiere. L’attività vulcanica si veniva a poco a poco spegnendo o attenuando. La rete idrografica si veniva stabilizzando con fenomeni di cattura, erosione regressiva, ecc… L’Italia andava assumendo a poco a poco quella che è la sua attuale fisionomia; l’uomo vi si diffondeva, e con l’uomo iniziava anche l’intelligente opera trasformatrice del paesaggio naturale.
Come è nata l’Italia
L’Italia è una terra di incomparabile bellezza per i suoi stupendi paesaggi che vanno dalle alte vette nevose delle Alpi alle splendide coste, dai boschi alle fertili pianure. E’ una penisola e cioè una terra circondata dal mare da tutte le parti meno una. Si stende nel Mar Mediterraneo ed è simile, per la sua forma, a uno stivale. Ma un tempo non aveva questa forma, anzi, in tempi assai più remoti non esisteva affatto, come qualsiasi altra terra: è noto infatti che i continenti sono terre emerse. Da un potente sconvolgimento della crosta terrestre era sorto dal mare un immenso fascio di catene che attraversava quasi tutto il globo. In questo fascio, c’erano anche le Alpi. E alla base delle Alpi, di frangevano, spumeggiando, le onde.
In seguito, lentissimamente, il suolo cominciò a sollevarsi, a emergere dall’acqua ed ecco il dorso dell’Appennino nereggiare fra le spume del mare. A grado a grado, la catena appenninica si unisce a quella delle Alpi. Altre terre emergono qua e là come tante isole, e dopo milioni di anni, queste isole affioranti dal mare si saldano insieme. E’ lo scheletro montuoso dell’Italia. Intorno a questo scheletro, lentamente si vengono formando le pianure. Fra queste, la più vasta, la pianura del Po. Dove ora sono le fertili terre coltivate, una volta c’era il mare, e pertanto vi si rinvengono numerose conchiglie fossili, testimoni di un tempo in cui le acque si spingevano nelle gole alpine che allora erano insenature costiere, profonde e strette. Una parte delle Alpi, quella che si chiama Dolomiti, sorge addirittura su banchi di corallo.
A quest’epoca il globo era ricoperto, quasi interamente, dai ghiacci e, nella loro corsa al piano, le acque provenienti dai ghiacciai trasportavano ammassi di pietre, rocce e detriti di ogni genere, strappati ai versanti lungo i quali precipitavano. I ghiacciai delle Alpi, nonostante la loro apparente immobilità, avevano invece un moto lento ma continuo, e per l’azione di questo movimento, nel corso dei secoli il dorso dei monti si levigò, si abbassò, i crepacci si colmarono trasformandosi in ampie valli in fondo alle quali scorreva un fiume. I sassi e le rocce, trasportati dalle acque e trascinati dal movimento dei ghiacciai, formarono degli ammassi che oggi si chiamano morene. Le morene, sempre nel corso dei secoli, si alzarono come barriere e le acque, arrestate da questi ostacoli, formarono i bellissimi laghi subalpini, gemme dell’Italia settentrionale.
Nel frattempo, il fondo del mare si andava sollevando e al posto delle acque si formava un’ampia e bassa pianura, attraverso la quale si convogliavano le acque provenienti da una parte dalle Alpi e dall’altra dagli Appennini. Queste acque infine si raccolsero in un ampio e maestoso fiume che un giorno si sarebbe chiamato Po. Nel corso dei millenni l’Italia prese la forma attuale. Ma questa non sarà certo la sua forma definitiva. Se, fra migliaia e migliaia di anni gli uomini saranno ancora su questa terra, essi vedranno un’Italia ben diversa dall’Italia di oggi. Quelli che attualmente sono picchi altissimi, si saranno trasformati in vette arrotondate e in dolci pendii; le valli si saranno colmate e i fiumi avranno cambiato il loro corso. Dove oggi c’è una verde pianura, ci sarà forse una montagna di detriti rocciosi; nuove spaccature si saranno aperte e in fondo ad esse scorreranno le acque tumultuose di nuovi fiumi; dove oggi c’è un ghiacciaio forse ci sarà un lago azzurro, qualche isola sarà scomparsa nel mare e altre ne saranno emerse. Il delta del Po si sarà saldato all’opposta sponda adriatica, e Venezia, se ancora esisterà, sorgerà sulle rive di un lago…
Come potranno avvenire questi cambiamenti? Forse la nostra patria è davvero destinata ad essere vittima di paurosi sconvolgimenti e convulsioni della terra? Si tratterà sì anche di sconvolgimenti e convulsioni, ma soprattutto dell’azione secolare degli elementi. L’aria, l’acqua, il fioco sono le forze naturali che modificano incessantemente la forma della terra. Il vento che spazza, per migliaia e migliaia di anni, il crinale di una montagna, finisce con l’appiattirlo, col levigarlo; la pioggia che flagella il monte per secoli, scalza i massi di pietra e li fa rotolare lungo i pendii, approfondisce i crepacci, corrode le vette, trascina a valle i detriti. Il ghiaccio che si forma nelle fenditure, spacca le pietre più dure, le disgrega, le riduce in frammenti…
Nell’interno della terra il fuoco ancora rugge e divampa. Talvolta, questo fuoco trova una via d’uscita in una frattura della crosta terrestre e allora erompe all’esterno in un getto violento di fiamme, di cenere, di lave liquefatte.
E il fuoco? Con l’andar del tempo, dove prima c’era soltanto una spaccatura della roccia, eruttante fuoco, si forma un vulcano. In Italia abbiamo ancora alcuni vulcani attivi: l’Etna, il Vesuvio, lo Stromboli. Ma un tempo i vulcani di questa nostra terra erano molto più numerosi e con le loro eruzioni coprirono intere regioni di alti strati di tufo, di cenere, di lava che si andarono solidificando. I sette colli su cui venne fondata Roma sono fatti di tufo, cioè di cenere vulcanica solidificata.
Passano mille e mille anni e il vulcano si esaurisce, si quieta, si spegne. Nel suo cratere, ormai inattivo, si raccolgono le acque formando un lago pittoresco. Tale è l’origine di alcuni laghi dell’Italia centrale, il lago di Vico, di Nemi, di Albano, ecc…
Ma il fuoco non scaturisce soltanto dalla terra, bensì anche dal fondo del mare. E col tempo si formano delle isole tutte di origine vulcanica, come Ischia, Procida, Capraia, Ponza, le Eolie, ecc… E, nell’andare dei secoli, così si formeranno anche isole che forse gli uomini un giorno abiteranno. Nel 1931 sorse, dal fondo del Mar Ionio, un’isola vulcanica che fu chiamata Fernandea e che dopo qualche settimana fu di nuovo inghiottita dalle acque.
Ecco come il paesaggio cambia, ecco come nel corso dei millenni cambia l’aspetto dei monti, delle pianure, dei mari, della costa.
Ma il paesaggio non cambia soltanto per opera degli elementi o degli sconvolgimenti o dei cataclismi. Cambia anche per l’opera dell’uomo che assoggetta la terra alla sua volontà, ai suoi bisogni, alle esigenze della sua vita. Prendiamo, come esempio, ancora una volta, la Pianura Padana. Oggi, questa terra è una delle più fertili d’Italia, ma un tempo, mille e mille anni fa, era una distesa arida e sassosa dalla parte dei monti, paludosa, cespugliosa e fangosa lungo il fiume. I fiumi che l ‘attraversavano spostavano continuamente il loro corso, lasciando ammassi di ghiaia e invadendo terre fino allora asciutte.
Com’è avvenuta la trasformazione che ha fatto, di questa regione ingrata e malsana, una delle più ricche e fertili terre d’Italia? E’ avvenuta per opera dell’uomo. L’uomo ha sistemato le acque costringendole entro il loro letto mediante l’erezione di argini e di muraglioni; le ha convogliate in canali, formando così un sistema di irrigazione che ha reso fertili le zone prima di allora malsane e paludose; ha costruito potenti dighe per costringere le acque a mettere in moto macchinari, opifici e, soprattutto, ha impiantato centrali elettriche per dare la forza motrice e la luce a città e paesi anche molto lontani.
Non contento di questo, l’uomo ha scavato il sottosuolo e ne ha tratto il gas metano che va ad alimentare impianti casalinghi, portando fiamma e calore da per tutto. Con il sorgere delle industrie, con l’incremento dell’agricoltura, con l’avanzare della civiltà, la regione si è popolata di grandi e attive città che l’uomo ha collegato fra loro con chilometri e chilometri di strade, creando una fitta rete di comunicazioni che ha favorito rapidi spostamenti da un paese all’altro. Ecco che cosa può mutare profondamente l’aspetto di un luogo.
(Mimì Menicucci)
era secondaria
era terziaria
era quaternaria
oggi
Il nome “Italia”
Molti furono i nomi usati nell’antichità per designare la nostra penisola. I Greci la chiamarono Esperia o “Terra del tramonto” per indicarne la posizione rispetto alla loro patria (l’Italia è a occidente della Grecia); altri la dissero Enotria o “Terra del vino”; altri ancora Saturnia o “Terra di Saturno”, dio delle messi. Prevalse infine il nome Italia, usato in un primo tempo per designare l’estrema punta della Calabria e poi dai Romani esteso a tutta la penisola.
E’ un nome bellissimo, ma purtroppo non se ne conosce l’esatta etimologia. Un tempo lo si faceva derivare da quello di un leggendario re Italo, più tardi lo si ritenne una derivazione dal termine osco Viteliu (o dalla voce latina vitulus) a indicare che l’Italia era una terra ricca di bovini. Oggi si è propensi a credere che esso derivi da Italoi che significa abitanti dei monti, quali infatti sarebbero stati i primi abitanti della montuosa Calabria.
Nel IV secolo aC il nome Italia era già esteso a tutto il territorio a sud dell’Arno; durante l’impero di Augusto comprendeva anche la Pianura Padana. Le tre grandi isole Sicilia, Sardegna e Corsica furono denominate Italia soltanto durante il regno di Diocleziano (IV secolo dC).
Dove l’Italia cresce di sette millimetri all’ora
Alle foci del Po la terra d’Italia avanza in mare di sessanta metri all’anno, che, se non sbaglio i conti, sono circa diciassette centimetri al giorno: qualcosa come sette millimetri all’ora. Possono sembrare pochi, perchè il mondo, in fatto di rapidità, si è fatto esigente; ma se si pensa che la marcia continua da decine di migliaia di anni e che a forza di millimetri l’instancabile fiume ha riempito tutto quello che era, un tempo, il golfo padano e che oggi è la Pianura Padana, il pensiero di questo lavoro, che si svolge dalla preistoria e continuerà quando di noi non sarà più nemmeno un pizzico di polvere, fa venir voglia di levarsi il cappello. (O. Vergani)
L’azione modellatrice del mare L’azione morfologica del mare, rispetto alle coste, si esercita attraverso le due forme fondamentali dell’abrasione e dell’alluvionamento, ciascuna della quali assume però diversi aspetti. Ci limiteremo a quelli che interessano le coste italiane. Quando si affacciano sul mare rocce argillose o argillosabbiose di consistenza omogenea, l’abrasione genera delle ripe a picco (analoghe alle falaises francesi), di cui si hanno esempi sulle coste delle Marche; quando le rocce piombano a picco sul mare, l’abrasione crea, a livello del mare, una piattaforma costiera sulla quale poi si smorza il moto ondoso. Quando invece si affacciano al mare rocce con strati di diversa consistenza, si generano piccole insenature dove l’abrasione è più forte, alternate a piccoli promontori in corrispondenza degli strati più resistenti. Il mare scava poi solchi di battente e grotte, frequentissime sulle coste alte italiane. La più celebre delle grotte erose dal mare è certamente la Grotta Azzurra di Capri, ma numerose altre ve ne sono nelle isole dell’Arcipelago napoletano, nella Penisola Sorrentina (Grotta Verde), al Capo Palinuro, sulla costa della Calabria tirrenica, lungo il Promontorio Circeo, nell’Argentario, nel Promontorio di Portovenere, sulla costa ligure di ponente e in Sardegna. Parecchie grotte si trovano a diverse altezze rispetto all’attuale livello marino: esse testimoniano antiche linee di spiaggia e spesso, come la grotta delle Arene Candide nella Riviera di Ponente, danno reperti preistorici. Altra azione dell’abrasione marina è il distacco dalla terraferma di scogli, faraglioni, isolotti: ne sono esempi l’isola Palmaria (il cui distacco dalla costa di Portovenere fu però dovuto anche ad altre cause); l’isola di Dino presso la costa calabra; alcune isolette davanti alla costa occidentale e l’isolotto di Capo Passero all’estremità sud-est della Sicilia; l’isola Monica davanti alla costa di Santa Teresa di Gallura in Sardegna, ecc… In senso opposto all’abrasione, e con effetti molto più rilevanti, agisce l’alluvionamento. I materiali erosi e quelli riversati dai fiumi, talora, dopo un più o meno lungo trasporto ad opera delle correnti e una elaborazione meccanica e chimica, vengono dal mare depositati a formare coste alluvionali piatte, sabbiose, normalmente strette (ad esempio in molte piccole insenature liguri, sulle coste calabresi, marchigiane, abruzzesi ecc…) accompagnate spesso, in quelle di maggior ampiezza, da dune accumulate dal vento in cordoni litorali, quali si trovano sulle coste toscane (dove vengono chiamati tomboli), laziali (dove vengono chiamati tumuleti), della Sicilia e della Sardegna. I più vistosi effetti dell’alluvionamento si hanno alle foci dei fiumi, nei delta. Nei mari più riparati, come nell’Adriatico centrale e in fondo al golfo di Taranto, i materiali riversati dai fiumi formano cimose litoranee regolari; altrimenti si ha la formazione di veri e propri delta dalle complicate e irregolari ramificazioni, che in epoca storica, per effetto dell’azione abrasiva e delle correnti litoranee del mare, hanno subito alterne vicende di avanzamento, di stasi, di spostamenti che, complicati dall’intervento dell’uomo, ne hanno più volte mutato la configurazione: tali l’apparato deltizio Po – Adige, i delta della Magra, dell’Ombrone, del Garigliano, del Tagliamento, del Serchio – Arno, del Volturno, del Crati, del Simeto ecc… Complessivamente la costa avanza a spese del mare: Adria e Ravenna, che nell’antichità erano città marine, ora distano dal mare rispettivamente 14 e 8 chilometri; Luni, da cui prende nome la Lunigiana, ora nell’interno, era anticamente un porto etrusco.
Il nostro paese
Vi sono paesi nel mondo, i quali, per la loro posizione geografica e configurazione, sono destinati a rappresentare sempre una delle prime parti della storia mondiale: fra questi vi è l’Italia. Pochi paesi nel mondo hanno confini così ben delimitati, come il nostro; pochi paesi hanno una posizione geografica così privilegiata come quella dell’Italia. Situata nel centro del più bel mare del mondo, esso riassunse in sè quella civiltà mediterranea, romana e cristiana, che oggi è la civiltà del mondo intero. (Gribaudi)
La forma dell’Italia
L’Italia è una penisola circondata da tre parti dal mare e a nord incoronata dalla fulgida catena delle Alpi. Ma un tempo non aveva questa forma. Una serie di paurosi e violenti sconvolgimenti fecero affiorare alcune terre e sprofondarne altre; il mare invase immensi territori e da altri si ritirò ruggendo. Il risultato di queste convulsioni di acqua e di terra fu la forma caratteristica di acqua e di terra fu la forma caratteristica delle Alpi, alle splendide marine, dai boschi selvosi alle fertili pianure.
La pianura Padana
Dove ora sono le fertili terre coltivate della pianura padana, una volta c’era il mare che si spingeva nelle gole alpine che allora erano insenature costiere. I ghiacciai che ammantavano le alte cime delle Alpi e che, apparentemente erano immobili, si muovevano, invece, con un moto lentissimo, ma continuo, trascinando ammassi di pietre, rocce e detriti di ogni genere, strappati dai versanti lungo i quali scendevano. Nel frattempo, il fondo del mare si andava sollevando e si formò così una vasta pianura attraverso la quale si convogliavano le acque irruenti dei fiumi. Fra questi, il più grande, il più ricco d’acqua, il Po.
L’azione degli elementi
Il vento che spazza, per migliaia e migliaia di anni, il crinale di una montagna, finisce per appiattirlo, per levigarlo. La pioggia che flagella il monte per secoli, scalza i massi pietrosi e li fa rotolare lungo i pendii, approfondisce i crepacci, corrode le vette, trascina a valle i detriti. E il fuoco? Nell’interno della terra il fuoco ancora rugge e divampa. Talvolta, questo fuoco trova una via di uscita in una frattura della crosta terrestre e allora erompe all’esterno in un getto violento di fiamme, di cenere, di lave liquefatte. Con l’andar del tempo, dove prima c’era soltanto una spaccatura della roccia eruttante fuoco, si forma un vulcano. La terra, insensibilmente, cambia forma e dimensione.
L’opera dell’uomo
Il paesaggio non cambia soltanto per opera degli elementi e dei cataclismi. Cambia anche per l’opera dell’uomo che assoggetta la terra alla sua volontà, ai suoi bisogni, alle esigenze della sua vita. Egli sistema le acque costringendole entro il loro letto, costruisce dighe e centrali elettriche che daranno vita ai suoi opifici ed energia elettrica alle sue città. Traccia chilometri e chilometri di strade, rende fertili zone un tempo paludose e malsane, costruisce case che formano paesi e città. Ecco che cosa può mutare profondamente l’aspetto di un luogo.
Come si è formata l’Italia
La penisola italiana è emersa dal mare. Per secoli e secoli dalle azzurre onde di un mare sconvolto, affiorano punte, scogli, terre che a settentrione si disposero a semicerchio, le Alpi. E si formarono montagne, colline, pianure; i fiumi precipitarono nelle valli e dove le acque passavano crescevano le erbe e le piante, sbocciavano i fiori. Presto la terra fu tutta un verdeggiare di floridi campi. Nelle selve cinguettarono gli uccelli, per le pianure corsero, code e criniere al vento, torme di cavalli selvaggi; dalle macchie folte uscirono grandi buoi che giravano intorno i grandi occhi stupiti. Poi nei campi, presso i fiumi, apparvero uomini alti e forti, dallo sguardo fiero, che impugnavano rami nodosi e schegge di selce.
I primi abitatori dell’Italia
Chi furono i primi abitatori dell’Italia? Oggi ci soni i Veneti, i Liguri, i Romani, i Piemontesi, tutti Italiani dalle Alpi alla Sicilia, ma migliaia e migliaia di anni fa gli abitanti erano ben diversi e anche l’Italia presentava un aspetto del tutto differente da quello di oggi. Una regione coperta di fittissime foreste, senza abitazioni, senza coltivazioni, senza alcun segno di civiltà. E su questa terra, lussureggiante di boschi, ancora scossa dalle convulsioni di decine e decine di vulcani, gruppi di uomini irsuti, dalle grosse teste e dalle lunghe braccia, vagavano fra gli alberi in cerca di cibo.
I primi abitatori dell’Italia
Nelle grotte del monte Circeo si sono trovati resti di uomini vissuti in Italia migliaia e migliaia di anni fa, razze del tutto scomparse. Ma la civiltà non è avanzata con lo stesso passo in tutte le regioni del mondo. Le migrazioni portarono ondate di popoli più civili di quelli che abitavano la penisola.
Popoli d’Italia
Col passare del tempo, ondate di uomini migrarono nella penisola; erano popoli provenienti dalle città del Mediterraneo, che avevano imparato a costruire le navi, che conoscevano il commercio e sapevano fare i calcoli; erano Etruschi, che sapevano fabbricare bellissimi vasi di terracotta e avevano una forma di avanzata civiltà, erano i Galli che provenivano dal nord, erano i Cartaginesi che venivano dall’Africa. Tanti popoli, tante razze, che si mescolarono fra loro, costruirono le abitazioni, diffusero le loro scoperte. Uomini dai capelli biondi o bruni, ma tutti di carnagione chiara, forti, intelligenti, industriosi: gli antenati dei futuri Italiani.
Le morene
Nell’antichità tutta la pianura dell’Italia settentrionale formava un vasto golfo. Le pittoresche gole alpine erano, allora, altrettante anguste insenature costiere che servivano di afflusso alle acque scendenti dai ghiacciai che in quel tempo coprivano la maggior parte dell’Europa. Nella loro corsa al piano, i ghiacciai convogliavano macigni rocce detriti che strappavano ai versanti tra i quali precipitavano: a questo materiale si dava il nome di morena. Le morene ostruivano così le vallate e all’atto dello scioglimento dei ghiacciai trattenevano l’acqua formando così un lago.
Regioni d’Italia
Vorrei cantarvi tante canzoni, o dell’Italia dolci regioni: Piemonte, Veneto e Lombardia, Liguria, Emilia, Toscana mia! Le Marche e l’Umbria vorrei vedere, l’Abruzzo, il Lazio e le costiere della Campania, tutto un giardino, ricche di frutta, di grano e vino. Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia bella, terra incantata, Sardegna bruna di là dal mare, oh, vi potessi tutte ammirare! (A. Cuman Pertile)
Lo stivale
Io non son della solita vacchetta nè sono uno stival da contadino, e se paio tagliato con l’accetta chi lavorò non era un ciabattino; mi fece a doppia suola e alla scudiera e per servir da bosco e da riviera. Dalla coscia in giù fino al tallone sempre all’umido sto senza marcire, son buon da caccia e per menar di sprone. I molti ciuchi ve lo posson dire: tacconato di solida impuntura ho l’orlo in cima e in mezzo la costura. (G. Giusti)
Italia Quando nomino “Italia” voglio dire questa terra divina su cui si corica e cammina il mio povero corpo e mi fa piangere e soffrire: questo azzurro che riempie le pupille dei miei bambini, quest’aria che respiriamo; questi campi, questi giardini pieni di fiori così belli e perfetti che sembrano fatti con gli stampi. Quando nomino “Italia” voglio dire questa pianura, questi monti, che sono solo italiani perchè non sono così belli in nessun altro luogo; questo mare ch’è tutto mio perchè l’ho accarezzato con le mani, queste città serene e soleggiate. (C. Govoni)
Italia Italia: parola azzurra bisbigliata sull’infinito da questa razza adolescente ch’ha sempre una poesia nuova da costruire una gloria nuova da conquistare. Italia: primavera di sillabe fiorite come le rose dei giardini peninsulari, stellata come i firmamenti del Sud fatti con immense arcate blu. Italia: nome nostro e dei nostri figli, via maestra del nostro amore, rifugio odoroso dei nostri pensieri, ultimo bacio sulle nostre palpebre nel giorno che la morte serenamente verrà.
Osservando la carta geografica troveremo la spiegazione dei versi “Dalla coscia in giù fino al tallone sempre all’umido sto senza marcire”. L’Italia, infatti, è circondata per tre parti dal Mar Mediterraneo che, in vicinanza delle coste, prende diversi nomi: Mar Ligure, Mar Tirreno, Mar Ionio, Mare Adriatico, facilmente rilevabili sempre dall’osservazione della carta. E ci sarà facile anche spiegare il significato dell’ “orlo in cima e in mezzo la costura“, osservando la catena delle Alpi che a nord costituisce una potente frontiera naturale, e quella degli Appennini che si stende per tutta la lunghezza della penisola.
La felice posizione che l’Italia occupa nel Mediterraneo, ne fa il centro delle comunicazioni fra l’Europa, l’Asia e l’Africa. Anche per tale motivo, nel passato Roma potè divenire caput mundi, il centro del mondo conosciuto allora. La scoperta dell’America, spostando questo centro dal Mediterraneo all’Atlantico, dette un duro colpo alla supremazia commerciale dell’Italia; tuttavia, la sua posizione geografica continua ancor oggi ad essere molto importante, in quanto la nostra penisola fa da tramite tra l’Europa centrale, l’Africa ed i paesi del Medio Oriente.
L’Italia Quando gli antichi Greci sbarcarono in quella regione dell’Italia che oggi chiamiamo Calabria, vi trovarono un popolo che portava il nome di Vituli. Quel nome significava “popolo di vitello” perchè era, per quella gente, un animale sacro. La pronuncia greca cambiò in Itali la parola Vituli, perciò quella reglione fu chiamata Italia. Più tardi, con la venuta dei Romani e con l’espansione del loro dominio, il nome venne a designare tutta la Penisola, oltre il Po fino ai piedi delle Alpi. La nostra Penisola, che si protende per più di mille chilometri al centro del Mar Mediterraneo, ha la forma di un ampio stivale, con un tacco un po’ alto, sormontato da un robusto sperone. Essa è come un gigantesco ponte gettato a congiungere l’Europa con l’Africa. Per questa sua particolare posizione l’Italia subì dapprima l’influenza di alcune civiltà sorte lungo le coste del Mediterraneo, e divenne poi essa stessa sede si una grande civiltà, quella di Roma, che si diffuse in tutto il mondo antico.
La natura ha dato all’Italia confini ben definiti. A nord la grande cerchia delle Alpi la separa dall’Europa. Attraverso facili valichi e numerose gallerie, sono possibili le comunicazioni con la Francia, la Svizzera, l’Austria, la Slovenia. Scendendo verso sud, l’Italia è lambita dal Mar Mediterraneo, che ad est prende in nome di Mare Adriatico, a sud di Ionio, ad ovest di Tirreno e Ligure. Dai mari italiani emergono numerose isole, spesso raggruppate in arcipelaghi. Le più vaste sono la Sicilia e la Sardegna. Le isole minori, sparse un po’ in tutti i mari, sono raggruppate in arcipelaghi. L’arcipelago Toscano comprende la ferrigna isola d’Elba, attorno alla quale sono disseminate Gorgona, Capraia, Pianosa e l’isola del Giglio. Dell’Arcipelago delle Ponziane fanno parte le isole di Ponza, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano. L’Arcipelago Campano è costituito dalle isole napoletane di Ischia, Procida, Capri e Nisida. L’Arcipelago delle Eolie o Lipari, di fronte alle coste settentrionali della Sicilia, comprende Salina, Filicudi, Alicudi e i grandi crateri attivi di Vulcano e Stromboli. Al largo di Palermo emerge, solitaria, Ustica. L’Arcipelago delle Egadi, ad ovest della Sicilia, comprende le isole di Favignana, di Marettino e di Levanzo. Pantelleria, famosa per i suoi vini, fa parte della provincia di Trapani. Le Pelagie sono situate presso le coste dell’Africa. Fra esse abbiamo Lampedusa, Linosa e Lampione. Le Tremiti emergono nell’Adriatico, a nord del Gargano, con le isolette di Caprara e San Domino. Altre isole, sparse attorno alle coste della Sardegna, sono San Pietro, Sant’Antioco, Asinara, Caprera, La Maddalena.
Per il lavoro di ricerca Come è nato il nome della nostra Patria? Che forma ha l’Italia? Ha sempre avuto la forma attuale, l’Italia, oppure, come tutte le terre emerse, ha subito numerose trasformazioni? I confini dello Stato Italiano, retto oggi a Repubblica, coincidono sempre con i confini naturali della regione? Quali territori restano esclusi? Quanti abitanti conta l’Italia? Che cos’è il censimento? Da quali mari è bagnata la penisola italiana? Dove sono situati tali mari? Qual è la massima profondità del mar Ligure? E del mar Tirreno? Del mar Ionio? Del mar Adriatico? Del mare di Sicilia? Del mare di Sardegna? Quali tipi di coste conosci? Com’è il clima d’Italia? Quali sono i principali golfi della costa ligure, tirrenica, ionica e adriatica? Quali sono le principali penisole italiane? Quali sono le due maggiori isole? Quali altre isole conosci? Sai dire il nome dello stretto che separa le coste calabresi dalla Sicilia? Come si chiamano i punti estremi dell’Italia?
Osserviamo la carta geografica (località marine) Qual è il mare che bagna la spiaggia di Ancona? E la spiaggia di Napoli? Pensate che i mari siano tutti uguali? Chissà quale sarà il più profondo… il più salato… il più pescoso… Sapete nominare ed indicare sulla carta il nome dei mari italiani e distinguere, dall’intensità del colore blu, il più profondo?
Lo Stato italiano Perchè una nazione diventi Stato occorre che vi sia un ben determinato confine (detto confine politico) il quale può identificarsi con quello naturale, che segna i limiti della regione; e poi occorre anche che entro questo territorio circoscritto vi sia un governo, con proprie leggi, con un proprio esercito, una propria bandiera, insomma che la nazione costituisca un’entità politica differenziata dalle altre. Nella nostra regione fisica si è formato lo Stato Italiano, retto oggi a Repubblica, i cui confini però, per quanto ottimi, non coincidono sempre con i confini naturali della regione. Restano infatti esclusi circa 21.000 km2 corrispondenti al 7% del territorio totale della regione fisica. E precisamente: – l’isola di Corsica (Francia) – il Nizzardo – il monte Chaberton, la valle stretta di Bardonecchia, il Passo del Moncenisio, tre piccoli lembi sulle Alpi Occidentali (alla Francia) – il Canton Ticino (alla Svizzera) – la Venezia Giulia e l’Istria (all’ex Jugoslavia) – l’isola di Malta e Gozo (Stato indipendente) – il Principato di Monaco (Stato indipendente) – la Repubblica di San Marino (Stato indipendente) – la Città del Vaticano (Stato indipendente). Solo modestissimi lembi di terre al di là dello spartiacque alpino sono stati incorporati nello Stato Italiano: – la valle del Reno di Lei – la valle di Livigno – il passo di Dobbiaco – il passo di Tarvisio Pure le Isole Pelagie, nel mar Ionio, fanno parte dello Stato Italiano (Lampedusa, Lampione, Linosa). Esse fisicamente sono isole africane. Questi lembi, sommati assieme, danno una superficie di appena 684 km2.
Il clima d’Italia Possiamo suddividere il territorio italiano, per caratteri climatici, in sei regioni: 1. regione alpina. Temperatura decrescente con l’altitudine; inverni lunghi e nevosi, estati brevi e fresche. Piogge abbondanti soprattutto verso est. Clima mite nella zona dei laghi e delle valli ben riparate. 2. regione padano-veneta. Clima continentale. Minime invernali che scendono a 15° – 17° sotto zero; massime estive fino a 36° – 38° sopra lo zero. 3. regione ligure-tirrenica. Clima mite, piogge autunnali, cielo prevalentemente sereno; neve rara. 4. regione adriatica. Maggiori contrasti fra estate e inverno quanto a temperatura, e minore piovosità rispetto alla regione ligure-tirrenica. 5. regione peninsulare interna. Formata dagli altipiani e dalle conche dell’Umbria e dell’Abruzzo, dalle alte terre del Sannio, dell’Irpinia, della Basilicata e della Calabria. Temperatura decrescente con l’altitudine; inverni rigidissimi, neve copiosa; estati molto calde. Piovosità variabile da zona a zona. 6. regione insulare. Clima mite ed uniforme; inverni temperati, estati lunghe e calde. Piogge scarse, soprattutto invernali; neve soltanto sulle cime più alte.
Le isole La Sicilia è la più grande isola italiana e di tutto il Mediterraneo; dagli antichi era detta Trinacria per la sua forma a tre punte. Misura 25.000 km2 di superficie; i vertici del triangolo sono costituiti da Capo Faro, da Capo Passero e da Capo Boeo. Il lato maggiore, verso il Tirreno, ha coste alte e rocciose; notevoli la penisoletta di Milazzo, i golfi di Termini, di Palermo e di Trapani. Fronteggiano questa cosa le isole di Lipari o Eolie (tra le quali la maggiore è appunto Lipari; tuttavia molto note sono anche Stromboli, per il suo vulcano, e Ustica) e il gruppo delle Egadi. Il lato medio, verso il canale di Sicilia, ha coste prevalentemente basse e unite; sporge appena Capo Granatola e molto falcata è l’insenatura di Terranova; porti artificiali sono Marsala e Porto Empedocle. Fronteggiano queste coste, a notevole distanza, l’isola di Pantelleria e il gruppo delle Pelagie (Linosa e Lampedusa). Il lato più breve, rivolto verso il mar Ionio, ha coste frastagliate e basse nel tratto meridionale, unite a quelle settentrionali. Molto ampia e aperta è l’insenatura del golfo di Catania; dei tre porti (Messina, Siracusa e Augusta) il più importante è certamente il primo, per le comunicazioni col continente. I monti della Sicilia sono una continuazione dell’Appennino. A nord, lungo la costa, si elevano i monti Peloritani, i Nebrodi, le Madonie, a sudest si stendono gli altipiani collinosi, come i monti Erei e i monti Iblei. Isolato sorge l’Etna o Mongibello (m 3279), il più imponente vulcano attivo d’Europa. Ai piedi dell’Etna si stende la piana di Catania. Ad ovest l’isola è occupata da una serie di altipiani, da groppe collinose e da piccoli massicci.
La Sardegna è la seconda isola dell’Italia e del Mediterraneo, coi suoi 24.000 km2 di superficie. Sulla costa settentrionale notevoli sono il golfo dell’Asinara, delimitato a ovest dall’isola omonima, e le Bocche di Bonifacio, che dividono la Sardegna dalla Corsica; Porto Torres è lo scalo di Sassari. La costa verso il Tirreno, nel tratto rivolto a nordest, è incisa da rias e forma i golfi degli Aranci, o di Terranova, e di Orosei; è fronteggiata da numerose isolette tra cui Caprera, Tavolara e La Maddalena. La costa meridionale, verso il canale di Sardegna, sporge coi capi di Carbonara e di Spartivento, che racchiudono il golfo di Cagliari. La costa che guarda il mar Esperico si sviluppa sinuosa, coi golfi di Alghero a nord e di Oristano al centro, e a sud con le isole di San Pietro e di Sant’Antioco, la quale ultima forma il golfo di Palmas. In Sardegna, più che vere e proprie catene montuose, vi sono altipiani e massicci separati da pianure o da larghi avvallamenti. Il massiccio più aspro è il Gennargentu, che tocca i 1834 metri; da ricordare per la loro ricchezza di minerali, nell’angolo sudovest dell’isola, i monti di Iglesias. L’unica pianura di una certa estensione è quella del Campidano, tra i golfi di Oristano e di Cagliari.
Delle isole minori italiane meritano di essere ricordate, nel Tirreno, l’arcipelago toscano formato dall’Isola d’Elba e dalle più piccole Gorgona, Capraia, Pianosa, Montecristo, Giglio, Giannutri; le Pontine, di fronte al golfo di Gaeta, formate dalle isole di Ponza, Zannone, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano; le Napoletane, cioè Ischia, Procida, Vivara e Capri. Nell’Adriatico ricordiamo le Tremiti e Pelagosa.
Principali isole italiane (superficie in km2) Sicilia…………….. 25.426,2 Sardegna………… 23.812,6 Elba…………………….223,5 Sant’Antioco…………108,9 Pantelleria……………..82,9 San Pietro………………51,3 Asinara………………….50,9 Ischia…………………….46,4 Lipari…………………….37,3 Salina…………………….26,4 Giglio…………………….21,2 Vulcano…………………20.9 Lampedusa…………….20,2 La Maddalena…………20,1 Favignana………………19,8 Capraia………………….19,5 Caprera………………….15,8 Marettimo………………12,3 Stromboli……………….12,2 Capri……………………..10,4 Montecristo……………10,4 Pianosa………………….10,3 Filicudi…………………….9,5 Ustica………………………8,3 Ponza………………………7,5 Tavolara………………….5,9 Levanzo…………………..5,6 Linosa……………………..5,4 Stagnone………………….5,4 Alicudi……………………..5,1 Spargi………………………4,2 Procida…………………….3,9 Molara……………………..3,4 Panaria…………………….3,3 Santo Stefano…………….3,1 Giannutri…………………..2,3 Gorgona……………………2,0 San Domino……………….2,0
I fiumi
Per l’abbondanza delle piogge e per la presenza delle due catene montuose delle Alpi e degli Appennini, i fiumi che scorrono in Italia sono numerosi. Essi, però, a causa della forma stretta e allungata della Penisola, hanno in gran parte corso breve. Per le loro particolari caratteristiche possiamo distinguerli in fiumi alpini e fiumi appenninici. I fiumi alpini sono di origine glaciale, hanno cioè origine dai ghiacciai, nascono dalle Alpi e sono soggetti a piene primaverili ed estive, causate dallo scioglimento delle nevi. I principali hanno corso lungo e sono ricchi di acque. I fiumi appenninici, mancando sull’Appennino i nevai e i ghiacciai, sono alimentati quasi esclusivamente dall’acqua piovana. Essi hanno corso breve, e sono soggetti a improvvise e talvolta rovinose piene primaverili ed autunnali, e a secche estive quasi assolute. Sono quindi fiumi a carattere torrentizio.
Il Po è il più grande fiume d’Italia. Nasce dal Monviso, nelle Alpi occidentali, e percorre tutta la Pianura Padana fino all’Adriatico, nel quale si getta con foce a delta. Durante il suo corso di 652 chilometri, riceve e numerosi affluenti che discendono in parte dal versante meridionale della catena alpina (affluenti di sinistra) e in parte dal versante settentrionale della catena appenninica (affluenti di destra). Bagna le città di Saluzzo, Torino, Casale Monferrato, Piacenza, Cremona. Gli affluenti di sinistra del Po sono la Dora Riparia e la Dora Baltea, la Sesia, il Ticino, l’Adda, l’Oglio e il Mincio. Gli affluenti di destra sono il Tanaro (l’unico che nasce dalle Alpi Marittime, presso il Col di Tenda), la Scrivia, la Trebbia, la Secchia, il Panaro.
Gettano le loro acque nell’Adriatico, oltre il Po, i seguenti fiumi alpini: l’Adige, il Brenta, il Piave, la Livenza, il Tagliamento e l’Isonzo. Dagli Appennini scendono il Reno, la Marecchia, il Foglia, il Metauro, l’Esino, il Tronto, la Pescara, il Sangro, il Biferno, il Fortone e l’Ofanto. Nel mar Ionio sfociano, con abbondanza di acque in primavera ed in autunno, il Bradano, il Basento, l’Agri, il Sinni e il Crati. Nel Tirreno si gettano la Roia, la Polcevera, la Lavagna, l’Arno, l’Ombrone, il Tevere, il Garigliano, il Volturno e il Sele. I fiumi delle isole sono di scarsa importanza ed hanno un regime di acque incostante; assomigliano più a grossi torrenti che a veri e propri fiumi. In Sicilia scorrono l’Alcantara, il Simeto, il Salso, il Belice e il Platani. In Sardegna i fiumi più importanti sono il Coghinas, il Triso, il Flumini Mannu e il Flumendosa.
I laghi
L’Italia è, tra i paesi dell’Europa, uno dei più ricchi di laghi. Sparsi un po’ in tutte le regioni della Penisola, se ne contano 4100. Essi danno una nota di bellezza a molti paesaggi. Possiamo distinguerli in laghi alpini, laghi prealpini, laghi vulcanici, laghi appenninici e laghi costieri. I laghi alpini, piccoli e sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio d’alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli alberi e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono i laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina. Allo sbocco delle valli prealpine si stendono i laghi più importanti della Penisola. Solitamente sono di forma irregolare, e le loro acque riempiono il fondo di lunghe valli scavate dai ghiacciai, che un tempo scendevano fino ai margini della Pianura Padana. Sono tutti alimentati da un fiume e circondati da monti che si specchiano a picco nelle acque azzurre, o discendono con dolci declivi e a balze verdeggianti verso le rive popolate di ville e di giardini.
I laghi prealpini esercitano una benefica influenza sul clima e sulla vegetazione. Infatti sulle loro sponde prosperano piante proprie dei paesi caldi, quali il limone, il cedro, l’ulivo. La suggestiva bellezza del paesaggio, inoltre, è motivo di richiamo per numerosi turisti italiani e stranieri. I principali laghi prealpini sono: – il Lago Maggiore o Verbano, che ha per immissario e per emissario il fiume Ticino. La parte settentrionale del bacino appartiene alla Svizzera. Dallo specchio delle sue acque emergono le meravigliose Isole Borromee: Isola Madre, Isola Bella, Isola dei Pescatori. – il Lago di Como o Lario, che è formato dall’Adda e si biforca in due rami: di Como e di Lecco. E’ il più profondo fra i laghi prealpini (m 410). – il Lago d’Iseo o Sebino, che riceve le acque del fiume Oglio. In esso sorge l’isola più vasta dei laghi prealpini: Montisola.
– il lago di Garda o Benaco, che è il più esteso d’Italia. Per la sua posizione, che è la più meridionale tra quelle dei laghi prealpini, gode di un clima particolarmente mite, che favorisce una vegetazione di tipo mediterraneo: ulivi, viti, agrumi. E’ formato dal fiume Sarca il quale, uscendone, prende il nome di Mincio. I laghi vulcanici sono situati nella fascia antiappenninica del Lazio, della Campania e della Basilicata, e riempiono con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. Perciò la loro forma è generalmente circolare. I principali sono i laghi di Bolsena, di Bracciano, di Albano e di Nemi, nel Lazio; il lago d’Averno, nei Campi Flegrei, in Campania; i laghi di Monticcchio, in Basilicata. Anticamente molti laghi, ora prosciugati e scomparsi, occupavano vaste conche dell’Appennino. Fra quelli rimasti i più notevoli sono il lago Trasimeno, in Umbria; il lago di Scanno, nell’Abruzzo; il lago del Matese, in Campania. Lungo le coste della penisola vi sono dei laghi che si sono formati a causa del moto ondoso del mare, il quale ha accumulato cordoni sabbiosi dinanzi alle insenature chiudendole. Tali laghi sono i laghi di Lesina, di Varano, di Salpi, in Puglia; il lago di Fusaro in Campania; i laghi di Fondi, di Fogliano, di Sabaudia, nel Lazio; i laghi di Massaciuccoli, di Burano, di Orbetello in Toscana; i laghi di Elmas, di Cabras, di Sassu in Sardegna.
Il suolo d’Italia Veramente meravigliosa è la varietà delle terre e delle coste d’Italia. Qui sono monti giganteschi, avvolte da nubi le cime nevose e scintillanti al sole, dirupi solcati da ghiacciai e flagellati dalla tempesta, balze scoscese, cupi burroni precipitosi, massi erranti per la pianura, e sassi e ciottoli e ghiaie alle falde. Foreste di castagni, di faggi, di larici e di pini fanno veste a quei monti, poi cespiti di rododendri ed erbe dal cortissimo stelo, e muschi e licheni, che di varie tinte, brue, argentine, dorate, coronano le rocce. Urla il lupo fra quelle foreste, e balza la lince, s’appiatta l’orso e corre presso la neve, nel suo manto invernale, il candidissimo ermellino, e ronzano insetti. E alle cime, ai pendii, alle nevi, alle foreste, ai vaganti nuvoloni, fanno specchio nella valli romite le onde limpidissime degli incantevoli laghi. Costà son valli di soavissime chine, sparse d’ulivi, echeggianti, d’autunno, delle grida festose delle vendemmiatrici, e fertili piani sparsi e biondeggianti messi, solcati da fiumi maestosi o da fecondi canali; e colà vaste, malinconiche pianure, e terre scaldate da un ardentissimo sole, dove allignano piante e volano e corrono e strisciano animali dell’Africa vicina.
Cinta dal mare per sì gran parte, s’allunga l’Italia in una distesa di svariatissime coste; qua con dolce pendio lentamente digradanti, là scosse e percosse dalle onde; ora selvose, ora nude, ora coronate da ridenti colline, che si protendono in lunghi promontori e capi, e file di scogli, o scavate in vasti golfi, o seni o porti amplissimi e contro ogni mare sicuri. Invero, se la varietà e la bellezza della terra opera in bene sull’uomo, gli Italiani dovrebbero essere i primi del mondo. (M. Lessona)
Grotte d’Italia Nel Carso Triestino abbiamo le grotte di Trebiciano, dei Serpenti, dei Morti e le cavità di San Canziano, percorse dal Timavo nella parte sotterranea del suo corso; in quello della Cicceria, l’Abisso Bertarelli, profondo 450 metri; in quello carniolino le Grotte di Postumia col Piuca sotterraneo; presso la Selva di Tarnova l’Abisso Montenero di 480 metri; sulla Bainsizza quello di Verco di 518 metri. Ma la massima profondità, d’Italia e del mondo, è data alla Pluga della Preta nei Lessini con 637 metri; sul monte Campo dei Fiori presso Varese abbiamo la Grotta abisso Guglielmo di 350 metri; nelle Alpi Apuane la Tana dell’uomo selvatico di 318 metri. Migliaia sono le grotte italiane che sono state regolarmente esplorate con successo, molte infatti hanno permesso di ritrovare e riportare alla luce manufatti appartenenti alle diverse epoche preistoriche. Numerose sono quelle situate in terreno calcareo, come quelle dei già nominati altipiani carsici: del Cansiglio, di Asiago, dei Tredici Comuni, di Serle nel bresciano, oppure quelle dei diversi tratti dei monti lombardi, laziali, campani, e delle Murge pugliesi. Fra le grotte più famose citiamo quelle di Castellana; le più vaste quelle di Postumia e San Canziano; quelle di Grimaldi (Liguria); delle Scalucce di Breonio nel veronese; del Diavolo e ROmanelli nella Terra d’Otranto; di Pertosa nel salernitano; di Pastena (Frosinone); di Capri; di Sant’Angelo nel ternano. Quelle dell’isola di Levanzo, nelle Egadi, hanno rivelato graffiti che si avvicinano alla famosa arte paleolitica delle caverne franco-cantabriche, e figure dipinte.
Il clima italiano
La temperatura La nostra penisola è tanto allungata che necessariamente i paesi del nord hanno temperature più basse dei paesi del sud. Infatti i paesi del sud sono più vicini all’Equatore, mentre quelli del nord sono più vicini al Polo Nord. Per l’influenza benefica, poi, dell’ampio Tirreno, le spiagge tirreniche sono più calde di quelle adriatiche, essendo queste bagnate da un mare più ristretto, quasi interno e poco profondo. Inoltre le zone montane hanno temperature più basse delle zone di pianura. E questo perchè l’umidità della pianura conserva meglio il calore, e perchè le parti più basse sono più estese e perciò rimandano all’aria molti più raggi caldi ricevuti dal sole. Questo valga per la temperatura media dell’anno.
Inoltre, mentre nelle zone marittime non vi è molta differenza tra estate e inverno, nelle zone di pianura non marine, come la Pianura Padana, la differenza è enorme. Infatti il calore viene conservato meglio dalle acque che non dalle terre, le quali rapidamente lo rimbalzano e lo disperdono. Invece nelle zone di montagna, come ad esempio sulle Alpi, vi è enorme differenza tra le calde giornate (calde anche d’inverno, quando c’è il sole e non c’è troppo vento) e le rigide nottate (rigide anche d’estate, specialmente nelle notti serene).
La piovosità Le regioni più piovose in Italia sono quelle montuose. Questo perchè i monti, essendo più freddi, condensano l’umidità più delle pianure; si producono così le nubi e dalle nubi le piogge. Sui monti del Lago Maggiore, sui monti della Carnia e dell’Istria, sull’Appennino Ligure alle spalle di Genova, si possono avere anche tre metri d’altezza di acqua all’anno; cioè se avessimo un recipiente aperto alto tre metri, all’aria libera, in un anno si riempirebbe totalmente (purchè naturalmente impedissimo l’evaporazione). Le zone meno piovose sono le pianure molto basse, come il Ferrarese e il Tavoliere della Puglia, in cui a mala pena si raggiunge il mezzo metro.
Ed è poco perchè la vegetazione possa crescere bene, a meno che come a Ferrara non vi passino molti fiumi o, come nelle Puglie, non siano stati costruiti molti canali di irrigazione. Ma che importa se in posto piove anche molto, ma solo nel periodo in cui le piante non ne hanno bisogno? Le zone più fertili sono quelle in cui piove tra la primavera e l’autunno, cioè quando la vegetazione vive attivamente o sta per mettersi a riposo. In Italia si hanno a questo riguardo tre caratteristici regimi.
Sulle coste della Sicilia, della Sardegna e di altre terre meridionali, piove specialmente d’inverno. Il perchè è semplice. D’inverno il mare è più caldo della terraferma, quindi si formano dei venti che dalle fredde terre circostanti vanno verso il più tiepido mare sulle cui isole convergeranno i venti umidi, saliranno e determineranno perciò le piogge. D’estate, siccità quasi assoluta. E’ il clima chiamato mediterraneo. Peccato che piova solo d’inverno, perchè è d’estate che le piante volentieri si inebrierebbero di acqua! Però debbo dirvi che in queste regioni, sempre tiepide e calde, anche d’inverno, vi sono piante caratteristiche che possono sopportare la siccità estiva: pini mediterranei dalla chioma a ombrello, olivi, querce da sughero, fichi d’india, agavi, ginepri, mirti, lauri, ginestre, eriche, pistacchi, capperi e altro ancora.
Sulle Alpi e sui monti in generale piove o nevica specialmente d’estate. Infatti è d’estate che i monti, ben riscaldati dal sole, richiamano i venti dai mari attorno; e i venti umidi incontrandosi o condensando l’umidità a contatto dei monti, producono nubi e poi piogge. E’ il clima chiamato continentale. I pini e gli abeti d’alta montagna molto opportunamente non perdono le foglie, perchè non potrebbero nei tiepidi ma brevi tre mesi estivi rifarsele e lavorare per fabbricarsi il cibo. Fanno eccezione i larici, che perdono le foglie anche se sono conifere come i pini e gli abeti e anche se, come questi, crescono sulle montagne. Duvunque altrove piove di primavera e d’autunno con grande vantaggio della vegetazione. In conclusione in Italia vi sono quattro tipi di clima: – il clima alpino, con molto basse temperature notturne e invernali, e con piovosità abbondante estiva: le Alpi e parte dell’Appennino settentrionale e centrale; – quello mediterraneo, con temperature miti per tutto l’anno e con piovosità invernale e non troppo abbondante, anzi talora scarsa: le isole e la penisola a sud di Salerno; -quello peninsulare con temperature miti lungo la costa, mediocri nell’interno e con piovosità primaverile e autunnale: tutta la parte rimanente della Penisola; – quello della Pianura Padana, con temperature elevate d’estate e basse d’inverno, piovosità primaverile e autunnale.
Elementi del clima Il clima è composto di più elementi e le sue caratteristiche sono influenzate in modo determinante da numerosi fattori. Per stabilire lo stato del tempo si prendono in considerazione la temperatura dell’aria (misurata con il termometro), la pressione atmosferica (misurata con il barometro) ed i venti (la cui velocità è misurata con l’anemometro), la nebulosità del cielo (stimata in decimi), l’umidità dell’aria (misurata con l’igrometro) e le precipitazioni (misurate col pluviometro).
L’osservazione metodica, giorno per giorno, delle condizioni meteorologiche nel loro diverso combinarsi e manifestarsi e la registrazione dei relativi dati, condotta per più anni di seguito, permettono non solo di seguire il loro andamento nel corso delle quattro stagioni, ma anche di identificarne le caratteristiche medie e di stabilire così il tipo di clima di una certa regione, vasta o ristretta che sia.
La previsione del tempo in montagna Sono i grandi moti atmosferici che determinano le condizioni meteorologiche generali; e sono le diverse condizioni meteorologiche generali; e sono le diverse condizioni della superficie terrestre che reagiscono diversamente, a seconda della reazione particolare che le terre, le acque, le foreste, le paludi, i deserti, e soprattutto le montagne, esercitando sui venti, la temperatura e l’umidità delle correnti aeree.
Specialmente e in maniera rilevantissima sono le catene montuose, e fra queste naturalmente le Alpi, che modificano potentemente l’andamento generale del tempo, determinando così fenomeni locali, i quali sono spesso in aperta contraddizione con le previsioni fatte dai centri meteorologici, che occorre ripeterlo, si limitano a riferire sulle condizioni generali generali del tempo, dipendenti nell’immediato futuro dalle leggi generali di successione dei grandi fenomeni atmosferici.
Per il tempo locale occorre possedere quella lunga precisa conoscenza della regione per cui si può tentare di prevedere il tempo che farà, cercando di concordare le segnalazioni dei bollettini meteorologici con i pronostici eminentemente locali, ma fidandosi soprattutto di questi ultimi. E’ indubbio che la meteorologia ha fatto grandissimi progressi, ma è altrettanto vero che nulla di assolutamente definitivo è stato raggiunto. Meno che meno, in materia di previsioni in montagna, problema questo quanto mai arduo e forse insolubile per la scienza stessa.
In montagna si possono ascoltare tutti i bollettini di questo mondo; si possono avere a disposizione barometri e termometri e fare le più accurate osservazioni, e confrontarle e studiarle: tutto ciò, diciamolo francamente, servirà certamente, ma non c’è da fidarsi troppo. Questo ben tenga presente chi frequenta la montagna e soprattutto chi fa dell’alpinismo: nulla trascurino di quanto può insegnar loro la scienza, anzi ne facciano pure tesoro; ma si valgano soprattutto dell’esperienza dei montanari e della loro personale esperienza. E più di tutto, gli alpinisti, quando si mettono sull’alta montagna, siano ben certi della loro robustezza, del loro allenamento e della loro capacità, e si affidano fiduciosi alla buona fortuna. (A. Sanmarchi)
Un lembo d’Italia in territorio straniero Sulla sponda orientale del Lago di Lugano sorge Campione d’Italia, piccolo Comune che occupa un’area di soli 2,6 kmq, ed è abitato da poco più di mille persone. E’ grazioso, ma non varrebbe la pena di segnalarlo se non rappresentasse una vera e propria curiosità storica. Esso, infatti, pur essendo in territorio svizzero, appartiene all’Italia e precisamente alla provincia di Como, città dalla quale dista solo 25 km. La sua posizione, unica al mondo, trova origine nel lontano secolo VIII, quando l’allora signore di Campione fece dono dei propri beni agli Abati di Sant’Ambrogio. Alla fine del secolo XVIII fu assegnato alla Lombardia e, con la Lombardia, passò poi all’Italia.
Il posto di frontiera più alto d’Italia Da Courmayeur, nelle notti serene, guardando verso il Monte Bianco, sulla sinistra del Dente del Gigante, si scorge un lumicino che sembra sospeso nel vuoto. E’ la casermetta di Punta Helbronnen, situata a quota 3462, sede del più alto presidio di frontiera d’Italia, anzi d’Europa. Cinque carabinieri italiani e altrettanti gendarmi francesi controllano qui i passaporti dei passeggeri della Funivia dei Ghiacciai, che dal dicembre del 1957 unisce l’Italia alla Francia sorvolando il massiccio del Bianco.
La traversata, lunga 15 km, ha inizio a La Palud, piccola frazione di Courmayeur, in territorio italiano, e termina a Chamonix, capitale dell’alpinismo francese, dopo aver raggiunto la massima altitudine di 3842 m a l’Auguille du Midi. E’ un volo entusiasmante durante il quale si può ammirare ciò che di più sublime hanno le Alpi. Da Punta Helbronner all’Aiguille du Midi, per un tratto di cinque chilometri, si sorvola uno dei massimi ghiacciai alpini e la formidabile cupola del Bianco sembra così vicina che si è tentati di allungare la mano per accarezzarla.
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IL FIUME materiale didattico vario – una raccolta di dettati ortografici, letture, poesie e filastrocche sul fiume, di autori vari, per bambini della scuola primaria.
Le acque prodotte dallo sciogliersi delle nevi e dei ghiacciai scorrono in disordine fra i massi dell’alta montagna, poi si raccolgono a formare il torrente: un corso d’acqua impetuoso, ora abbondante ora povero d’acqua, interrotto da macigni e da salti improvvisi. Il torrente scende al piede del monte e imbocca, ancora turbinoso e violento, la valle. Altri torrenti scendono da altri nevai e ghiacciai e si uniscono al primo. Nella pianura le acque rallentano la loro corsa, si allargano in un solco (letto) più ampio. I cento torrenti sono diventati un unico fiume. Il fiume è un corso d’acqua perenne. Esso scorre in un letto limitato da due sponde o argini. Il fiume può portare le sue acque ad un altro fiume: si dice allora che ne è l’affluente; può alimentare un lago: si dice allora che ne è l’immissario; può scaricarne le acque: si dice che ne è l’emissario; può infine portare le sue acque al mare. Il luogo ove le acque del fiume si mescolano con quelle del mare è detto foce. Gli uomini costruirono le loro città presso i fiumi, per difendersi dietro una barriera scura e per sfruttarne le acque. Il fiume favorisce l’agricoltura, offrendo acque per l’irrigazione. Sui fiumi navigabili si sviluppa un movimento di chiatte e di battelli per il trasporto delle merci e delle persone. Dal letto del fiume gli uomini estraggono con speciali macchie, le draghe, ghiaia e sabbia per la costruzione di case. Le grandi città scaricano nel fiume tutte le acque portate dai canali delle fognature. Molti fiumi sono pescosi, offrono cioè quantità di buon pesce.
Il fiume
Va il fiume per la grande pianura e le sue onde mormorano sommesse: “Sono il fiume maestoso che irriga campagne, che inverdisce terre riarse, che dà moto e lavoro agli opifici, ai paesi, a città intere. Sono il fiume maestoso e calmo, rifletto il sole e la nuvola, il roseo dell’alba e l’oro del tramonto, l’alto pioppo e il piccolo cespuglio. Sulla mia riva cantano gli uomini, gorgheggiano gli uccelli, trillano i bimbi tuffandosi lieti nelle mie onde, si dondolano liete le barche. Sono il fiume e vado al mare”. (Hedda)
La sorgente
Nella primissima luce dell’alba, solamente la sorgente volubile parlava… L’acqua veniva dalle interne, misteriose vie dalla montagna, si affacciava ad uno spacco della roccia, balzava in una coppa di pietra larga, un po’ verde e un po’ violacea, tremava in giri aperti intorno al ribollire del mezzo, straripava dall’orlo e si perdeva fra i muschi e le felci. (G. Fanciulli)
La foce
Il luogo ove le acque del fiume sboccano nel mare si chiama foce. A volte la foce si apre a ventaglio ed è detta estuario. Quando invece la foce si dirama in diversi corsi d’acqua simili alle dita di una mano, si chiama delta. Quando un fiume alimenta un lago si dice che ne è l’immissario. L’emissario, invece, è un fiume che scarica le acque di un lago.
Il lavoro dell’uomo
Sulla riva del torrente l’uomo costruisce mulini, segherie, piccole officine. In capo alle valli egli innalza dighe per produrre elettricità o per irrigare la terra. Più in basso, quando l’acqua sembra stendersi pacifica nel letto del grande fiume, ecco le prime imbarcazioni: sono battelli per il trasporto di materiali o di persone, sono chiatte, adibite al traghetto dei veicoli, sono leggere barche per la pesca. I pesci di fiume sono gustosissimi: trote, anguille, carpe ed altri esemplari vengono catturati per mezzo di reti o di lenze. Neppure la sua ghiaia e la sua sabbia sono da disprezzare. I muratori ne fanno largo uso.
Il fiume è utile
Dove scorre un fiume la terra si fa rigogliosa. Aria e sole non bastano a rendere fertili i campi, è necessaria anche l’acqua, per nutrire le piante e dissetarle nei mesi più caldi. Per questo l’acqua del fiume viene incanalata e usata per irrigare vaste campagne. Alcuni fiumi sono per un buon tratto navigabili e sono solcati da barconi da trasporto; dal letto dei fiumi si ricavano ghiaia e sabbia. Il più grande fiume d’Italia è il Po, navigabile per buona parte del suo corso. Ma l’opera dell’uomo non si è fermata qui, e il Po è stato unito, per mezzo di un canale, alla laguna di Venezia.
Animali e piante nelle acque dolci e lungo le rive
I ranuncoli d’acqua fioriscono nelle zone d’acqua ferma, vicino alle sponde. Le ninfee aprono le bianche corolle nelle zone dove l’acqua è più tranquilla. Molto spesso le rive sono verdeggianti di giunchi e di canne palustri. Nelle acque dei fiumi vivono la trota, ricercata per la squisitezza della sua carne, e il luccio che è munito di denti robustissimi. La carpa preferisce le acque poco correnti, dove abbonda la vegetazione. Numerosi sono gli insetti che vivono vicino alle acque dolci. La libellula è uno dei più conosciuti e più belli. Le zanzare popolano soprattutto le zone di acqua stagnante. Ci sono anche uccelli che vivono presso le acque dei fiumi. Durante l’inverno, qualche volta, nelle paludi e nei campi che costeggiano i fiumi si incontrano le anatre selvatiche. Il falco pescatore e il martin pescatore sono veloci ed instancabili nel catturare i pesci.
La piena
Quando piove troppo a lungo, il livello delle acque del fiume cresce e si innalza talvolta fino a superare e a travolgere gli argini: il fiume è in piena. Acqua torbida e fangosa invade la pianura, distruggendo le coltivazioni e danneggiando case e strade. L’uomo cerca in vari modi di prevenire le alluvioni: rimbosca le montagne, per impedire che il terreno frani e i torrenti portino a valle fango e sassi; pianta filari di alberi lungo il fiume e scava canali di scarico. Egli innalza argini e li protegge con grandi gabbie di rete metallica, piene di sassi.
La cascata
Dalla destra e dalla sinistra del fiume giungono gli affluenti frettolosi e uniscono le loro acque a quelle del compagno maggiore. E tutti insieme vanno lietamente verso il piano. Non sempre la strada è agevole e priva di ostacoli. In certi punti le pareti dei monti, entro cui scorre il fiume, si avvicinano tanto che tra l’una e l’altra rimane appena un piccolo spazio. Questo stretto passaggio si chiama gola. Altrove il terreno cede tutto d’un tratto e il fiume deve spiccare un salto più o meno alto. Si ha, così, una cascata. Per il turista la cascata è uno dei più attraenti spettacoli che presenti la montagna. L’acqua balza dall’alto impetuosa, rivestendo di minute e luccicanti goccioline le piante, gli arbusti e le erbe che il vento del salto ha piegato verso il basso. Da punto dove la colonna d’acqua batte, cadendo, si solleva una nebbiolina, formata da piccolissime gocce frantumate dal balzo e sulla nebbiolina risplende, in graziosi colori, la luce del sole. Per l’ingegnere la cascata è una preziosa fonte di energia elettrica. Veramente prima dell’ingegnere, ha pensato l’umile mugnaio a sfruttare il lavoro che l’acqua fa cadendo. E’ bastato mettere una ruota a pale sotto la colonna d’acqua e trasmettere, con una cinghia, il movimento della ruota alle macine che trasformano il grano in farina. Dal primitivo impianto del mugnaio è nata la turbina, che riceve la spinta della cascata e la comunica alle macchine incaricate di produrre energia elettrica. Così il giovane fiume balzante dalla rupe mette la sua forza a servizio dell’uomo, per illuminare le case e le strade, per animare le macchine degli opifici, per la cura dei malati, per il trasporto da luogo a luogo delle merci e delle persone.
Il fiume
Scende il fiume dalle montagne. Viaggia notte e giorno. La sera l’acqua arriva tiepida, perchè ha viaggiato tutto il giorno. La mattina arriva ghiacciata, perchè ha camminato tutta la notte. Cammina, cammina senza sapere dove va. Traversa le valli, scende lenta verso il piano, passa fra distese brulle e attraversa paesi. Improvvisamente si sente stretto tra due muraglioni. E’ arrivato in città. (A. Campanile)
La cascata
Là dove c’è la cascata, l’acqua del fiume precipita, balza, spumeggia, si gira in gorghi e in vortici. Una bambina guarda, ammirata. Il babbo prende un ramo grosso, nodoso e lo getta dove l’acqua comincia a precipitare verso la cascata. Appena tocca l’acqua, il ramo balza verso il cielo, rotola, precipita. Si agita nei gorghi. Pare che l’acqua si diverta, ferocemente, con lui. “Ecco perchè” dice il babbo alla figlia, “la cascata è pericolosa”. (M. L. Magni)
Gli scavatori di sabbia
Da giovane il fiume è impetuoso torrente dopo essere stato ruscello canterino. Scende lungo i fianchi della montagna, schiuma contro le rocce, straripa facilmente. Giunto in pianura si stende placido e silenzioso. Il suo canto diventa sussurro. Lungo le sue rive diventate calme vi sono le cave di sabbia. E gli scavatori lavorano ogni giorno per noi, per portarci quella sabbia che servirà poi per la costruzione delle nostre case.
La foce
Eccolo il nostro fiume sempre più maestoso avviarsi rapido verso il mare. Si è fatto ora silenzioso. Ha accolto lungo la sua via, a destra e a sinistra, gli omaggi degli altri fiumi; ha bagnato città e villaggi; ha specchiato nelle sue acque rosse torri, castelli solitari, umili casolari, fronde tremule d’alberi, giardini in fiore, nere ciminiere. Ha accolto bonario i ponti creati dalla mano dell’uomo; ha trasportato barche e battelli; ha diffuso da per tutto la sua forza; ha donato la prosperità.
Il ruscello
Lungo le rive muscose e verdeggianti canta allegro il ruscello, mentre l’acqua limpida saltella di sasso in sasso. Occhieggiano al suo passaggio fiorellini dallo stelo corto, dalla corolla bianca a forma di stella: i ranuncoli dell’acqua. Più in basso, il ruscello rallenta la sua corsa. E’ arrivato in un’ampia zona pianeggiante ed ora si allarga fino a formare un piccolo lago dalle acque tranquille. Eccoci davanti a un placido stagno. E’ azzurro d’acque e verde d’erbe, che sfidano anche i rigori invernali, perchè le loro radici sono protette dall’acqua profonda, che non gela mai.
Vita nello stagno
L’anitra selvatica si alza improvvisamente in volo dalle acque dove ha cercato il suo nutrimento. Ha udito qualche rumore sospetto, e cerca scampo nella fuga, ignorando che, forse, il cacciatore è in agguato. Un grazioso martin pescatore è aggrappato a una canna palustre e la fa dondolare lentamente. Scruta attento le acque in cerca di pesciolini o insetti, che sa acchiappare con grande bravura.
Lungo la strada dell’acqua
Senza un tonfo, come adagiato sull’acqua, lo scuro e pesante barcone avanza. E’ colmo di ghiaia. Davanti gli si stende, fino a smarrirsi tra i pioppi e la foschia, la verde strada del canale. Come questo, due, tre, dieci, cento altri barconi seguono il lento cammino dell’acqua. Portano rena, sabbia, ghiaia, pietre alla città che ha fretta di crescere. Vanno, portati dall’acqua. E non cambiano mai. Scuri e tranquilli, lavorano in pace, lungo la verde strada d’acqua. (M. L. Magni)
L’uomo e il fiume
Tutte le grandi civiltà sono sorte vicino ai fiumi. Infatti tra il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro è nata la civiltà cinese; sul Gange la civiltà indiana; sul Tigri e sull’Eufrate quella babilonese; sul Nilo quella egiziana; sul Tevere quella latina. Perchè accade questo? I motivi dipendono dalla presenza del fiume: le pianure in cui si stabilirono le prime genti erano state create dal fiume stesso ed erano perciò fertilissime; inoltre il fiume era una comoda via di comunicazione, forniva l’acqua per irrigare i campi e per bere, ed era una difesa naturale contro gli assalti dei nemici. Per questi motivi nell’antichità i fiumi importanti venivano considerati sacri. Alcuni conservano ancor oggi il loro significato religioso, come il fiume Gange dove gli indiani si bagnano per purificarsi e dove gettano, dopo la morte, le loro ceneri. Un fiume sacro alla memoria dei cristiani è il Giordano, in Terra Santa; con l’acqua di questo fiume Gesù fu battezzato. La tecnica moderna ha consentito di realizzare lungo il percorso di molti fiumi, opere veramente considerevoli: industrie, officine e centrali idroelettriche sfruttano l’energia delle acque, e porti di notevole importanza commerciale sorgono lungo le rive dei grandi corsi d’acqua. Spesso questi fiumi, lungo le rive dei quali sorgono ricche città portuali, sono collegati con altri centri mediante una rete di canali navigabili, in modo da favorire e agevolare lo sviluppo del commercio e dell’industria.
fluviale, ponte, traghetto, alzaia, ciottolo, navalestro, frontista o rivierasco, portata.
Il ruscello C’era una volta un giovane ruscello color di perla, che alla vecchia valle tra molti giunchi e pratelline gialle correva snello; e c’era un bimbo, e gli tendea le mani dicendo: “A che tutto codesto fuoco? Posa un po’ qui. Si gioca un caro gioco, se tu rimani. Se tu rimani, e muovi adagio i passi, un lago nasce, e nell’argento fresco della bell’acqua io con le mani pesco gemme di sassi: fermati dunque, non fuggir così! L’uccello che cinguetta ora sul ramo ancor cinguetterà, se noi giochiamo taciti qui”. Rise il ruscello, e tremolò commosso al cenno delle amiche mani tese; e con un tono di voce cortese disse: “Non posso! Vorrei: non posso! Il cuor mi vola: ho fretta! In mezzo al piano, a leghe di cammino, la sollecita ruota del mulino c’è che mi aspetta; e c’è la vispa e provvida massaia che risciacquar la nuova tela deve, e sciorinarla, sì che al sole neve candida paia; e il gregge c’è, che a sera porge il muso avido a bere di quest’onda chiara, e gode s’io la sazio, e poi ripara contento al chiuso… Lasciami dunque”, terminò il ruscello, “correre dove il mio dover mi vuole.”. E giù nel piano, luccicando al sole, disparve snello.
Il ruscello Oh, piccolo ruscello argenteo e chiaro, che in avanti ti affretti senza posa, alla tua riva me ne sto pensoso. Da dove vieni tu? Dove te ne vai? Vengo dal buio seno della roccia; il mio corso se ne va tra muschio e fiori e sul mio specchio dolcemente freme l’azzurra amica immagine del cielo. (W. Goethe)
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Poesie e filastrocche CRISTOFORO COLOMBO – Una collezione di poesie e filastrocche sul tema “Cristoforo Colombo e la scoperta dell’America” (12 ottobre 1492), per la scuola primaria.
Colombo Va, sotto il cielo di piombo, va la fragile caravella che la Regina Isabella t’ha regalato, Colombo… Quand’ecco su dal suo cuore che più l’angoscia non serra prorompe un grido: “La terra!”La prima! San Salvatore! Ora il gran cielo di piombo tutto s’irradia di luce… è sempre il sole: Colombo! (Zietta Liù)
Tre caravelle Sul mare azzurro tre caravelle filano lente sotto le stelle. Vengon da un porto molto lontano: le guida intrepido un italiano. Cercano terra di là dal mare da tanto tempo e nulla appare. Nulla si vede la ciurma è stanca. Nulla si vede la lena manca. Sopra la tolda sol l’italiano, solo Colombo guarda lontano. “Terra!” si grida. Eccola, appare sul far del giorno bruna sul mare. Quel dì la terra nuova toccò Colombo, e a Dio la consacrò. (G. Fanciulli)
Colombo C’era una volta, sì, c’era… Sembra la favola bella della Regina Isabella… Pure è una favola vera. Oh, lunghe notti! Di piombo il cielo, ostile ed infido. Tu chiudi in cuore il tuo grido e speri, e speri, Colombo. Talvolta, l’angoscia che serra e soffoca il cuore è sì forte, che quasi tu pensi alla morte… Ed ecco la terra, la terra! Hai vinto. La terra lontana s’ammanta di fulgido sole, s’ammanta di gloria italiana. C’era una volta, sì, c’era… Sembra una favola bella, pure è una favola vera. (Zietta Liù)
La scoperta dell’America Colombo, il tuo ardire fu tanto, ardire di fede e coraggio, che te rassomiglia ad un santo nell’aspro e lunghissimo viaggio. Partisti con tre caravelle, tre fragili navi spagnole, passavano notti di stelle, passavano giorni di sole, di flutti pacati e procelle e mai alla meta arrivavi; la ciurma gridava ribelle: tu solo credevi e speravi. Ed ecco un mattino apparire il lido da tanto sognato: che cosa importava il patire, se infine sei stato premiato? Scendesti la terra a baciare e colmo di gioia nel cuore volesti quel suolo chiamare col nome di San Salvatore. (T. Romei Correggi)
Terra! Terra!… notturna, d’un tratto, bandì dalle coffe una voce. Vesti il mantello scarlatto, solleva il vessillo e la croce, tu che mettesti la prora nel pallido occaso, e l’aurora seguì la tua scia! Guarda: fu ieri: una canna nuotava sul mare profondo; oggi si cullano in panna le navi sull’orlo del mondo. Sorgi, Colombo: l’aurora nel grande vestibolo indora la Santa Maria. (G. Pascoli)
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Poesie e filastrocche su SAN FRANCESCO – una collezione di poesie e filastrocche su San Francesco, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
San Francesco A quei che avean sol cenci, ai poverelli parlava come a teneri fratelli: Dicea: “Se fame vi rimorde e sete, vostro è il mio pan, vostro è il mio vin, prendete”. E il bianco pan, l’alfore colme, i vari panni, le fibbie, i nitidi calzoni, la morbida e sottil giubba di seta, tutto ei donava con faccia lieta, fin la cintura pallida d’argento… E più donava e più vivea contento! (A. S. Novaro)
San Francesco Parlava alle cicale, predicava agli uccelli, e l’albero e l’arbusto erano suoi fratelli. Le agnelle al suo passare accorrevano liete, le tortore selvagge rendeva mansuete. Ai lupi furiosi donava la dolcezza, tanta virtù gentile avea nella carezza. (G. Salvatori)
L’amore di San Francesco per le creature Agli uomini con elmo e con corazza, con la spada al fianco e la ferrata mazza, diceva: “Il cielo nessuna guerra vuole, vuol che vi amiate sotto il dolce sole. La tortorella mai non piange sola: presso ha il compagno che la racconsola; le piccole api fanno le cellette concordi, e ognuna un po’ di miele mette, le rondinelle vanno per miglia e miglia, concordi, e ognuna un chicco solo piglia. Amatevi anche voi, dunque! Lasciate il ferro e l’ira! Amatevi e cantate!” E a quei che aveano solo cenci, ai poverelli, parlava come a teneri fratelli. Diceva: “Se fame vi morde, o sete, vostro è il mio pane, vostro il mio vin: prendete!” E il bianco pan, l’anfore colme, i rari panni, le fibbie, i nitidi calzari, la morbida e sottil giubba di seta; tutto donava egli con faccia lieta: fin la cintura di forbito argento: e più donava, e più ridea, contento. Ma quando nulla gli rimase addosso fuor che un bigello assai ruvido e grosso, a mo’ d’uccel che frulla, in un giocondo impeto, uscì cantando in mezzo al mondo: Lodato sia il Signore a tutte l’ore! Lodato sia che alzò i turchini cieli, che dai notturni veli delle tenebre oscure cavò le palpitanti creature. Cavò dal buio il sole, il mio fratello sole! Grande lo fe’, magnifico, raggiante, a sè somigliante. Lodato sia con mia sorella luna. Bianca la fece il mio signor come una perla del mare, e di gemmette rare la volle incoronare! Lodato sia col mio fratello fuoco. Egli è robusto, allegro, ardimentoso: veglia nell’ombra e non ha mai riposo; monta ostinato e non si stanca al gioco. Lodato sia con mia sorella acqua. Pura la volle Iddio, semplice e casta; serve all’uomo preziosa, bacia i fioretti, e fugge vergognosa. Lodato sia col mio fratello vento, col nuvolo e il sereno ad ogni tempo onde ha ogni vita il suo sostentamento. Lodato sia con la mia madre terra: assai tesori ella nel grembo serra, e porta i frutti e la foresta acerba, i fior, gli uccelli coloriti, e l’erba. Mettete le ali al cuore e lodate il Signore. Così cantava; e su gli eretti steli rideano i fiori, e gli uomini crudeli sentiano il cuor puro e leggero farsi; e i ruscelletti alla campagna sparsi muovevan lesti ad abbracciargli il piede come un fanciul che a un tratto il babbo vede: e le irrequiete rondini dai tetti facean silenzio; e più, pe’ chiari e schietti azzurri, a volo discendevano calme a passeggiargli su le aperte palme. Così cantava da mattina a sera; e quando il buio intorno al capo gli era, sul nudo suol che gli facea da cuna dormia sognando la sorella luna.
(A. S. Novaro)
La predica agli uccelli Francesco, andando con la compagnia, alberi vide ai lati della via ed una moltitudine di uccelli che piegavano col peso i ramoscelli. “Fratelli miei, voi grati esser dovete a chi vi fece creature liete”. Mentre Francesco così stava a dire, loro battevan l’ali quasi ad applaudire, e abbassavano le brune testoline e allegrezza mostravan senza fine. Poi disse loro “Andate!” e a quella dolce voce in aria si levarono festanti e si sentivano meravigliosi canti. (F. Salvatori)
San Francesco e il lupo
Viveva un dì, narra un’antica voce, intorno a Gubbio un lupo assai feroce che aveva denti più acuti dei mastini e divorava uomini e bambini. Dentro le mura piccole di Gubbio stavan chiusi i cittadini e in dubbio ciascuno della vita. La paura non li faceva uscire dalle mura. E San Francesco venne a Gubbio e intese del lupo, delle stragi, delle offese; ed ebbe un riso luminoso e fresco, e disse: “O frati, incontro al lupo io esco!” Le donne aveano lacrime così grosse, ma il santo ilare e ardito uscì. E a mezzo il bosco ritrovò il feroce ispido lupo, e con amica voce gli disse: “o lupo, o mio fratello lupo, perchè mi guardi così ombroso e cupo? Perchè mi mostri quegli aguzzi denti? Vieni un po’ qua, siedimi accanto, senti: io so che tu fai molto male a Gubbio e tieni ogni della vita in dubbio, e so che rubi e uccidi e non perdoni nemmeno ai bimbi, e mangi i tristi e i buoni; orbene, ascolta: com’è vero il sole cioè che tu fai è male. Il ciel non vuole. Ma tu sei buono, e forse ti ha costretto a ciò la fame. Ebbene, io ti prometto che in Gubbio avrai d’ora in avanti il vitto: ma tu prometti essere onesto e dritto e non dare la minima molestia: essere, insomma, una tranquilla bestia. Prometti, dunque tutto questo, di’?” E il lupo abbassò il capo, e fece: “Sì” “Davanti a Dio tu lo prometti?” E in fede il lupo alzò molto umilmente il piede. Allora il santo volse allegro il passo a Gubbio; e il lupo dietro, a capo basso. Il Gubbio fu grande festa, immensi evviva: scoppiò la gioia e fino al ciel saliva. E domestico il lupo entro rimase le chiuse mura e andava per le case in mezzo ai bimbi come un vero agnello e leccava la gota a questo e a quello. E poi morì. E fu da tutti pianto e seppellito presso il camposanto.
(A. S. Novaro)
La leggenda di Fra Cipresso
Per il cielo, pianametne (era un tuo mattino, aprile), ascendea benedicente San Franscesco tutto umile ne la dolce chiarità. Lunga ed aspra era la via in fra i rovi e fra le spine. Quante spine! Egli via via le mutava in roselline che spiccavano qua e là. Pianamente il Santo andava, ch’era a fin del suo viaggio: ogni arbusto si inchinava reverente al suo passaggio, domandando: “Chi sarà?” Proseguiva il Santo, ed ecco s’impigliò la veste un poco: c’era un ramo rotto, secco. Pensò allora “Frate fuoco per sua preda oggi l’avrà”. Era un ramo di cipresso: lo raccolse il poverello, si servì, contento, d’esso qual di forte bastoncello, fido amico per chi va. Ma su fuoco del convento no, non arse il vecchio ramo; si contorse, quasi il vento gli fischiasse un suo richiamo da le azzurre immensità. E le foglie gialle e trite non s’accesero, no, d’oro: si piegarono, stecchite, scricchiolando, quasi in coro, domandassero pietà… Passò allora ne gli azzurri occhi del santo una visione: udì canti, udì sussurri, vide tante cose buone per un atto di bontà, e da fuoco trasse il ramo. Disse: “Vuol vivere, e anch’esso vegetare, il ramo gramo! crescerai, frate cipresso, ne la mia comunità!”. E, ne l’orto mite e breve, lo piantò con le sue mani; ed il ramo secco, lieve, mise rami, rami, rami… fu un colosso: e ancora è là. Là si culla ne l’azzurro; ogni ramo ci ha il suo nido, ogni ramo ha il suo sussurro, ogni nido ci ha il suo grido di bellezza e di bontà. Là, nel quieto orto dimesso dolce e vigile cantore, vive ancor, frate cipresso; ed è il frate che non muore nella pia comunità. (Giuseppe Nanni)
San Francesco Dolce era l’aria e limpido il mattino e passava nel ciel più d’un uccello, e allegramente si mise in cammino per la Marca d’Ancona un fraticello. Egli cantava una canzon gioconda, quella che aveva fatto da se stesso mentre, nascosto in una verde fronda, qualche usignol gli rispondea sommesso. E il venticello gli girava attorno e gli portava il buon profumo fresco tolto un po’ prima che facesse giorno al bosco e all’orticello, al pino e al pesco. E le cincie calando alla campagna, seguendo i raggi rapidi del sole; “Non sei per caso quello che a Bevagna ci disse tante tenere parole?” E i fiorellini si volgeano verso i piedi suoi che non facean già male, quasi essi pure ad ascoltare il verso che uscia dai labbri armonioso e uguale. E il sole che avea il santo odor del cielo, e il sol che avea il buon odor del bosco, gli facea dire da un suo raggio anelo: “Sei tu quel di San Damiano, ti conosco”. L’altro diceva: “Sì, sono quello”, con un accento semplicetto e gaio, e palpitava il cuor del fraticello, il dolce cuore dentro il rozzo saio. Tutte le cose dal buon Dio create cantava con inchini e con sorrisi il fraticello che avea nome Frate Francesco, ed era di lassù, d’Assisi. (M. Moretti)
Il cantico delle creature Laudato sii, mio Signore, con tutte le tue creature, specialmente il fratello Sole, che reca il giorno: Tu per suo mezzo ci illumini ed egli è bello e raggiante con grande splendore, di Te Altissimo porta significazione. Laudato sìì, mio Signore, per sora Luna e le stelle: Tu le hai formate in cielo, chiare preziose e belle. Laudato sii mio Signore, per frate Vento e per l’aria e il nuvolo e il sereno ed ogni tempo col quale alle tue creature dai sostentamento. Laudato sii, mio Signore, per frate Foco con il quale tu illumini la notte: egli è bello, e giocondo e robusto e forte. Laudato sii per nostra madre Terra, la quale ne sostenta e ne governa, e produce diversi frutti con coloriti fiori ed erba. Laudato sii per quelli che perdonano pel tuo amore e sostengono infermità e tribolazione. Beati quelli che le sosterranno in pace, che da Te, Altissimo, saranno incoronati. (San Francesco)
Poesie e filastrocche su San Francesco – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane
Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane: una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per la scuola d’infanzia e primaria.
Stornello Fior di frumento! Sussurrano le spighe sotto il vento: “Un chiccolin di grano ne dà cento!”
Semina Getta i semi nella terra il contadino, poi si riposa e guarda tutto intorno; guarda il campo, la casa e il mulino, pensa che i semi saran pane un giorno. (C. Del Soldato)
Le stelline del bosco C’era nel bosco un seme piccolino come nera capocchia di spillino. A poco a poco ne sbocciò una pianta che nel maggio si ornava tutta quanta di vaghi fiori bianchi come stelle, con corolle delicate e belle. Ogni fiore più tardi fece frutto che si riempì di semi tutto tutto. Poi venne frate vento e li strappò, tutt’intorno li sparse e sotterrò. E’, frate vento, un buon seminatore che i semi porta via d’ogni colore; li sparpaglia peri campi e le colline, perfin sopra le mura e le rovine. Indovinate quel che avvenne poi? Ditelo, bimbi, indovinate voi! (A. Cuman Pertile)
Al campo Su, coi fecondi raggi novelli, al campo, al campo, cari fratelli! Al campo, al campo. Dio benedica del campagnolo l’umile fatica. Dolce il lavoro, quando in bel giorno tutto il creato ci arride intorno; e sotto il piede ci odora il fiore che ignoto vive, che ignoto muore. (G. Carducci)
La semina Semina un uomo ove passò il bifolco con la forza dei tori: il seme splende e in pioggia d’oro scende fra l’ombra delle bianche nubi e i voli. Tempo verrà che i dolci rosignoli canteranno fra i verdi lauri e i mirti, e nei solchi, sugli irti steli, la spuga granirà feconda. (G. Pascoli)
La semina Cadon le foglie; e tristi i grilli piangono l’estate. L’altra notte non chiusi occhio tanto era quel grido! “Seminate! Seminate!” credei sentire… O Dio, fa che non invano nei rudi solchi quella gente in riga semini il pane suo quotidiano. (G. Pascoli)
Seminagione Chi ha seminato, in pace riposa. Anche il solco, col seme che nel grembo si preme, in grande quiete ora giace. Ora Dio radunerà i venti dalle grotte lontane per spingere nubi sul pane ch’è dentro le sementi. Così dall’umano lavoro, con la pioggia del cielo e la luce del sole, Iddio produce il sano pane d’oro. (Giuseppe Porto)
L’aratro Io solco la terra che dorme; la desto dal greve riposo, e suscito i succhi e gli umori che danno, alle zolle, i colori rossicci e ferrigni del saio. E va la mia punta lucente fra steli e germogli appassiti, tra larve minute ed insetti, tra foglie marcite e bruchetti. (Edvige Pesce Gorini)
La semenza Nella terra il bove traccia con l’aratro il dritto solco; con la forza delle braccia sparge il seme il buon bifolco. (V. Brocchi)
La novellina del grano Un giorno un chiccolino giocava a nascondino; nessuno lo cercò ed ei s’addormentò. Dormì sotto la neve un sonno lugno e greve; alfine si destò e pianta diventò, La pianta era sottile, flessibile, gentile, la spiga mise fuor d’un esile color. Il sole la baciava, il vento la cullava: di chicchi allor s’empì pel pane di ogni dì. (A. Cuman Pertile)
Il grano Suda suda il contadino: il frumento è già grandino. Viene maggio: è verdolino; viene giugno: è giallo giallo. Ecco il vento: si diverte con le spighe un poco aperte. (L. Galli)
Grano
Sepolto da provvida mano dormivi nel solco celato, oh piccolo chicco di grano, nel sen della terra adagiato: la culla era calda, sicura, vegliava su te la natura. Sui campi deserti, silenti, un umido velo discese, poi freddi soffiarono i venti; ma i solchi dal gelo difese la neve, e coi bianchi mantelli te, chicco, protesse, e i fratelli. Ma giunse coi dolci tepori di marzo il benefico sgelo. Dal molle terriccio uscì fuori un verde, esilissimo stelo: al sole di marzo così il piccolo chicco fiorì. E crebbe, e la fragile spiga fu colma del nuovo tesoro che premia l’umana fatica: i solchi rifulsero d’oro. Al sole, cantando, i coloni raccolsero i biondi covoni. (I. Alliaud)
Chiccolino Chiccolino, dove stai? Sotto terra, non lo sai? E là sotto non fai nulla? Dormo dentro la mia culla. Dormi sempre? Ma perchè? Voglio crescer come te. E se tanto crescerai Chiccolino, che farai? Una spiga metterò, tanti chicchi ti darò. (A. Cuman Pertile)
La spiga Eri un chicco di frumento chiuso in grembo alla campagna. Ora al vento, ora all’acqua che ti bagna pieghi umile il tuo lungo stel sottile, le tue reste delicate. Brillerai d’oro vestita, bionda figlia dell’estate, quando al cielo il canto sale delle tremule cicale. (M. Castoldi)
Il pane S’io facessi il fornaio vorrei cuocere un pane così grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare. Un pane più grande del sole, dorato, profumato come le viole. Un pane così verrebbero a mangiarlo… …i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini. Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia. (G. Rodari)
Il pane Il pane ha un sapore che il sole ricorda, e la spica dal biondo colore. Conosce l’umana fatica quel pane dorato che trovi sul desco ogni giorno, che a volte hai spezzato ancora fragrante di forno. E’ sempre gustoso, condito di gioia e di pene. E’ un dono prezioso, la prova che ci si vuol bene. (M. Castoldi)
Il nostro pane Ricordi quel grano nel solco, quel grano piccino così, caduto di mano al bifolco (che inverno!) e di gel non morì? Ricordi quel piccolo stelo d’un verde lucente, che in campo tremava d’un tuono, d’un lampo, fidando soltanto nel cielo? Ricordi la spiga ancor molle piegata sul gambo cresciuto? Il giorno, bambino, è venuto che l’uomo la tolga alle zolle. Di giugno si miete. Ciascuno raccolga nel campo perchè, un poco più bianco o più bruno, ciascuno abbia un pane per sè. (R. Pezzani)
Il pane Pane, panetto mio, così buono ti volle Iddio. Così dorato, così croccatne, sei uscito da mani sante. Sei sbocciato come un fiore dalla gioia e dal dolore, dalla terra lavorata, dal sudore che l’ha bagnata. Pane, panetto mio, così buono ti volle Iddio. (R. Pezzani)
Il pane Un pane grande, caldo, rotondo, luminoso come il sole da spartire a chi ne vuole, un pane grande, più grande del mondo. Che ce ne sia per vecchi e bambini e per i poveri nostri vicini. (R. Pezzani)
Il pane
Nella terra il bove traccia con l’aratro il dritto solco; con la forza delle braccia sparge il seme il pio bifolco. Spiga già la messe al vento ondeggiando tutta d’oro; ogni chicco di frumento si trasforma in un tesoro. Il mulin, rombando, il grano frange in candida farina; il fornaio la raffina, staccia, intride a mano a mano; cuoce poi nel forno ardente gli odorosi bianchi pani e li porge alle tue mani, o mio piccolo ridente. Bambini, per noi l’aratro, il molino il buon contadino lavorano, e i buoi. (V. Brocchi)
Il pane Laggiù in mezzo al campo bruno, sotto un cielo basso, aggrondato, un piccolo uomo inginocchiato si curva tutto sul solco oscuro, a guardare, ad ascoltare, a parlare a qualcosa, che non si sa. Pare un prete sull’altare quando comunica col Signore; ed p un poveretto seminatore che si gode d’accarezzare la sua terra di pena e d’amore e tra le zolle dure spiare il suo grano che cosa fa. (D. Valeri)
Il forno Il forno è aperto: dalla nera volta e dai larghi mattoni dello spiazzo, un odore di cenere si spande. S’accende il fuoco e dai sarmenti secchi e dai fasci di lucida ginestra creste di fiamme salgono cricchiando. Oscillano a raggiera bianche e rosse, come gigli infiammati. Poi di giallo si colorano tutte e d’arancione. Un luccichio rosato invade la fuliggine indurita; una vampa di porpora colora i mattoni porosi; un’ampia brace fa corona alle fiamme che, guizzando, lambiscono la volta, diventata bianca, d’un bianco di calcina secca. Qualche fuscello si contorce ancora Tra la brace ammucchiata e spinta in giro da verdi fascinelle di sambuco. Il forno è pronto: candido, infuocato; entrano in fila, le pagnotte bianche segnate dalla croce ad una ad una. (Edvige Pesce Gorini)
Il pane Il pane ha un sapore che il sole ricorda, e la spiga dal biondo colore. Conosce l’umana fatica quel pane dorato che trovi sul desco ogni giorno, che a volte hai spezzato ancora fragrante di forno. E’ sempre gustoso, condito di gioie e di pene. E’ un dono prezioso, la prova che Dio ci vuol bene. (Maggiorina Castoldi)
Il forno abbandonato C’è una cupola maliziosa in disparte presso la casa, che alla porta guarda curiosa. L’apertura è una bocca nera che al mattino s’empie d’aurora che al tramonto beve la sera. Sempre aperto rimane il forno: entrano polvere, acqua ed aria; tutto quanto capita il giorno. S’entra il vento diventa fioco, s’entra un seme germoglia bianco; ed il forno sospira: “Fuoco!” E vorrebbe tante fiammelle rosse, gialle, multicolori, di crepitanti fascinelle! Ma è sempre vuoto, sempre spento; il buon pane non entra mai; entrano l’aria, l’acqua e il vento! (Edvige Pesce Gorini)
L’ora del pane Sorprendono le campane l’ultima stella accesa. Sa d’incenso la chiesa l’alba è l’ora del pane. Chi comincia il suo giorno e nel ciel non dispera sente nella preghiera l’odor buono del forno. Sente che la promessa chiusa nell’orazione si farà nella Messa pane di comunione: pan di lievito, fresco nella madia e sul desco. (R. Pezzani)
Terra e pane Appoggiato al suo aratro in mezzo al solco bruno della terra rimossa, il vecchio contadino mangia un pezzo di pane. Pane solo, raffermo che lentamente affetta e mastica pacato. Intorno è il vasto campo che il vomero ha segnato di ferite profonde… e l’uomo antico è solo; mangia e guarda la terra, e assapora il pane il gusto misterioso del suo grembo infinito. (G. Di Leo Catalano)
Mietitura
O San Giovanni della mietitura, apri le porte d’oro; è tempo ormai. La falce è in filo e la messe è matura; apri le porte d’oro ai tuoi granai, o San Giovanni della mietitura. Eccoli i mietitori. Hanno percorso le vie bianche di sole a schiere a schiere. A ognun la falce rilucea sul dorso come un tempo la daga al cavaliere. Domani questa messe ampia cadrà. (P. Mastri)
Si miete
Ricordi quel grano nel solco, quel giorno, piccino così, caduto di mano al bifolco (che inverno!) e di gel non mori? Ricordi quel piccolo stelo d’un verde lucente, che in campo tremava d’un tuono, d’un lampo, fidando soltanto nel cielo? Ricordi la spiga ancor molle, piegata sul campo cresciuto? Il giorno, bambino, è venuto che l’uomo la tolga alle zolle. Di giugno si miete. Ciascuno raccolga nel campo, perchè un poco più bianco o più bruno, ciascuno abbia un pane per sè. (R. Pezzani)
La mietitura
Già si mieteva, e già la trebbiatrice, appiattatta tra i meli alla pianura, martellava con l’eco la pendice, ed era il polso della mietitura. Gianni sognava l’aia, i miti buoi, l’aspro tribbio che stritola i mannelli e scivola e trabalza; e a sera, poi, la loppa al vento e in cumulo i granelli. (N. Venieri)
Trebbiatura
Meriggio. La macchina trebbia ansando con rombo profondo. Il grano, rigagnolo biondo, giù scorre. Nell’aria è una nebbia sottile. Sogguarda per l’aia il nonno, con faccia rubizza. Nell’aria una rondine guizza radendo la bassa grondaia. E intanto, che ressa sul ponte tra i mucchi di spighe e di paglia, col sole negli occhi che abbaglia, col sole che infuoca ogni fronte! Le donne di rosse pezzuole avvolgono le trecce sudanti. Non s’odon nè risa nè canti. Ma il nonno: “Su, allegre, figliole!” (E. Panzacchi)
I covoni
Sui campi disteso al sole ed al vento non ondula più il biondo frumento. Or tacite stanno qua e là grandi spighe; ai piedi vi accorrono le industri formiche. Che ricca cuccagna! Si carican, vanno. Che importa se pesa, se grave è l’affanno? Il lungo corteo così laborioso c’insegna che il grano è un dono prezioso. (G. Consolaro)
La falce
Falce, sei bella, quando, nell’ore calde di giugno splendi nel pugno del mietitore. Prona la terra ride col sole in un sonoro fremito d’oro. L’uomo l’afferra, per sè la vuole: e con la manca gli steli abbranca d’oro, siccome ciuffi di chiome; con l’altra mano te vibra. E’ un lampo che fende il grano da campo a campo che guizza e va. (P. Mastri)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche sugli animali e favole in rima
Poesie e filastrocche sugli animali e favole in rima – una raccolta, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
La filastrocca del bimbo e delle bestiole Il bambino. Farfallina, farfalletta dalle alucce tutte d’oro, perchè voli tanto in fretta? Perchè sempre scappi via? Perchè vai sempre lontano? Io ti voglio qui vicino un momento, un momentino. La farfalla. Lasciami andare, bambino non mi chiamare! Devo volare al mio regno, lassù nel paese più azzurro lassù nel paese più bello. Se scende improvvisa la notte non giungo più in tempo al castello. Il bambino. Formichine, formichette dove andate in processione? Son già colme le casette di granelli e briciolone. Aspettate un momentino e fermatevi a giocare. Perchè far tanto cammino? Perchè mai tanto da fare? Le formichine. Oh, lasciami andare, bambino, oh, lasciami andare! Siam cento, siam mille sorelle e tutte dobbiam lavorare perchè ci facciamo la dote e presto dobbiamo sposare. Il bambino. La farfalla vola lontano… la formica continua il cammino sono un povero bambino che non sa con chi giocare. Il merlo dell’albero. Lascia volare le farfalline, le formichine lascia al lavoro: a casa attendono le sorelline se vuoi giocare, gioca con loro. (L. Galli)
Il ritorno delle bestie Passa il grido d’un bimbo solo: Turella, Bianchina, Colomba! Porta in collo l’erba ch’ha fatta, nella sua crinella di salcio. Le sue bestie al greppo, alla fratta, s’indugiano al cesto ed al tralcio. Ei che vede sopra ogni tetto già la nuvola celestina, le minaccia col suo falcetto; Colomba, Turella, Bianchina! (G. Pascoli)
Venti ranocchi Venti ranocchi sono a lezione con fuori gli occhi per l’attenzione. Si fa silenzio col campanello quindi il maestro legge l’appello. Cro Cro? Presente! Cra Cra? Assente! Cri Cri? Cri Cri? Son qui! Verdello Verdardi? Verrà più tardi! Verdino Verdato? Ancora malato! Da un’ora circa stan zitti e attenti poi uno dice che ha mal di denti. Un altro lascia il posto a sedere finge, il maestro, di non vedere. Cri Cri è già stufo della lezione si gira e cambia di posizione. Cro Cro in silenzio di fila esce va via saltando dietro ad un pesce. Verdello scappa fuori dal banco anche il maestro ormai è stanco. Suona il segnale di libera uscita oh, finalmente l’ora è finita!
Filastrocca degli animali An ghin gà fa l’ochetta qua qua qua e conduce i suoi marmocchi a giocare coi ranocchi quanto è buffa non lo sa com’è bello l’an ghin gà. An ghin ghe quando canta coccodè la gallina ha fatto l’uovo io lo cerco e non lo trovo ma chissà chissà dov’è com’è bello l’an ghin ghe. An ghin ghi canta il gallo cri cri cri canta in mezzo alla campagna la cicala lo accompagna do re mi fa sol la si com’è bello l’an ghin ghi. An ghin go l’asinello fa ih oh dice a tutti gli animali io conosco due vocali tutto il resto non lo so an ghin go. An ghin gu il tacchino fa glu glu fa glu glu e diventa rosso fa la ruota a più non posso, ma non fa niente di più com’è bello l’an ghin gu.
Il lupo e l’agnello Un dì nell’acqua chiara di un rusceòòo beveva cheto cheto un mite agnello, quand’ecco sbuca un lupo maledetto che grida pien di rabbia: “Chi ti ha detto di intorbidar l’acqua mia così? Non sai che è il mio ruscello questo qui?” “Scusatemi maestà, ma non credete che l’acqua sia di ognuno che abbia sete? Le nostre poi intorbidar non posso poi, perchè io bevo in basso più di voi”. Così rispose il povero innocente con la gran forza di chi non mente. Infatti come ognuno sa ha un gran potere la verità. Gli dice il lupo digrignando i denti: “Io dico che l’intorbidi, tu menti! E poi parlasti mal di me l’anno passato!” “Maestà non si può dir, non ero nato!” Il lupo vinto allora dalla verità gli disse: “Allora fu tuo padre, un anno fa!”. E stretto fra le zanne ingiustamente sbranò impietoso il misero innocente.
La volpe e il corvo Sen stava messer corvo sopra un ramo, con un bel pezzo di formaggio in becco. La volpe si avvicina piano piano, attratta dal profumo di quel lecco. “Salve, messer del corvo! Io non conosco uccel di noi più bello in tutto il bosco, se come dicono anche il nostro canto è bello come son le nostre piume potreste voi davvero menar vanto di gareggiare col sole e col suo lume”. Non sta più nella pelle il vanitoso di far sentire il canto suo famoso, del suo gracchiare vuole dare un saggio, spalanca il becco… e cade giù il formaggio. La volpe il piglia e dice al corvo sciocco: “E’ il giusto prezzo per la mia lezione; per essere in futuro meno allocco ti valga ora la fame e la punizione”.
Il lupo e i pastori “Al lupo! Al lupo! Aiuto, per pietà!” gridava solamente per trastullo Cecco il guardian, sciocchissimo fanciullo. E quando alle sue grida accorrer là vide una grossa schiera di villani, di cacciator e di cani, di forche, pali ed archibugi armata fece loro sul naso una risata. Ma dopo pochi giorni entrò davvero tra il di lui gregge un lupo, ed il più fiero. “Al lupo! Al lupo!” il guardianello grida ma nessuno lo ascolta e dice: “Ragazzuccio impertinente tu non burlerai un’altra volta”. Raddoppia invano le strida urla e si sfiata invano, nessun lo sente; e il lupo, mentre Cecco invan s’affanna a suo bell’agio il gregge uccide e scanna. Se un uomo per bugiardo è conosciuto quand’anche dice il ver non è creduto.
Cane e gatto Cuoca Agnese, cuoca Agnese, dov’è andata cuoca Agnese? S’è destata che era giorno ha spazzato la cucina ha lustrato bene il forno. Poi, con l’abito di trine tutto gale e falpalà al mercato se n’è andata chissà quando tornerà. Silenziosa è la cucina dorme il gatto acciambellato presso il cesto del bucato, ma un cagnetto battagliero ecco irrompe nel tinello vede il gatto e strilla fiero “Io ti sfido qui a duello!” Mao si sveglia e: “In guardia, Fido!” gli risponde, “Anch’io ti sfido!” Il duello è incominciato Mao, gattone grosso e vecchio salta, e va a finir nel secchio mentre Fido il cagnolino che sul gatto s’è avventato urta il piatto di Pechino. Il bellissimo ornamento ora è lì sul pavimento tutto rotto, sbriciolato: il duello è terminato. Mao sospira, Fido tace nel silenzio ritornato cane e gatto fan la pace. Ma son tristi, chè un pensiero li molesta nero nero e colmare non si sa: “Che dirà la cuoca Agnese quando a casa tornerà?” (M. Castoldi)
Il leone e il topolino Sguscia fuori il topolino lesto lesto da un buchino; corre a destra, corre a manca, di guardare non si stanca; ma si imbatte nel leone, che vuol farne, ahimè, un boccone! “Oh, gran re della foresta” grida il piccolo atterrito “Non faresti una gran festa col mio corpo scheletrito! Tu, che appari maestoso, sarai anche generoso. Deh, concedimi la vita, che m’è ancora ben gradita!” Il leone impietosito, dal topino sì spaurito, guarda a lungo il prigioniero con lo sguardo suo severo; lo rimette in libertà e poi lento se ne va.
Coccinella, rana e tartaruga Un bimbo si è fermato sulla strada gomiti a terra, testa fra le mani e resterebbe lì fino a domani: passano amici della sua contrada. “Io non sono più grande di un bottone” dice la vanitosa coccinella. “A me fu data solo una stagione e la più breve, ma son così bella!”. “Non ho colori splendenti, ho la pelle di una rana, ma nelle notti estive innalzo un inno dalle verdi rive vivo nel fango e canto per le stelle.” “E’ vero, nell’andare non sono tanto lesta ma lungo il mio cammino continuo ad osservare: non faccio come un bimbo che gira senza testa!”
Un brutto incontro Tre pulcini andando a spasso incontrarono una volpe che venendo passo passo leggiucchiava il suo giornale. “Buonasera, signorina” disser subito i pulcini. “Oh, salute, miei carini, e di bello che si fa?” “Giacchè mamma è andata fuori siamo usciti dal pollaio vogliam fare un po’ i signori con l’andar di qua e di là”. “Bravi, bravi, per davvero! Voglio stringervi la mano”. Sì dicendo s’appressò e glu glu, se li mangiò.
Il grillo sapientone Nella sua casetta nera quando vien la primavera mastro grillo, il sapientone agli insetti dà lezione. La farfalla è svogliatina disattenta e birichina fa i dispetti al moscon d’oro tutto intento al suo lavoro. Poi ci sono tre sorelle che si chiaman coccinelle hanno gli occhi birichini e la veste a puntolini. Luccioletta luce spenta piano piano si addormenta, ma c’è un bruco pien di voglia che ricama la sua foglia. C’è una vespa, un moscerino tre formiche, un maggiolino tutti intenti alla lezione di quel grillo sapientone.
C’era una volta un gatto che andava in Canada e questa è la metà. Portava un cartoccetto di pane col prosciutto e questo è tutto.
Le ore del giorno Quando l’alba si avvicina canta il gallo alla gallina: Chicchirichì! Or che il sole si è levato ronza l’ape sopra il prato: Zzzzzz! Sulla balza l’agnellino bruca e bela, poverino: Beeeeeh! Ecco l’ora meridiana canta allegra la campana: Din don! Sulla strada l’asinello quando incontra suo fratello: Ih oh! Quando il sole si allontana gracidando va la rana: Cra cra! Or la luna sale in cielo trilla il grillo sullo stelo: Cri cri! Brilla solo un lumicino, dorme quieto ogni bambino.
Il granchio, il luccio e il cigno Quando non van tra loro i compagni d’accordo nel lavoro non s’ottiene un bel niente: è vana ogni fatica, inconcludente. Un granchio un luccio e un cigno un bel mattino si misero a tirare un carrettino unirono gli sforzi tutti quanti ma il carretto non fece un passo avanti. Leggero il peso a tutti insieme appare ma il cigno sulle nubi vuol volare il granchio va a ritroso e, si comprende, il luccio per natura all’acqua attende. Chi ha torto e chi ha ragione? Chi lo sa? Il carro intanto resta sempre là. (I. A. Krylov)
Poesie e filastrocche sugli animali e favole in rima – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche BRUCHI E FARFALLE – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
In un prato In un prato d’erba fina è spuntata stamattina una pratolina bianca con un petalo che manca. Pratolina senza un dente farai ridere la gente! Chi non ride è un bel bambino anche a lui manca un dentino! Sopra un cavolo cappuccio si è posata una farfalla mezza bianca e mezza gialla. Tante uova piccoline che somigliano a perline sulle foglie ha sparpagliato ed il volo ha poi spiccato. Ad un cespo d’insalata or sta dando la scalata un bruchetto verdolino con due corna sul capino. La scalata è faticosa il bruchetto si riposa. Mangia un poco di insalata poi riprende la scalata. (Guarnieri Martini)
Il bimbo e le farfalle Le farfalline tornano fuori con l’ali splendenti di bei colori. Chiede il bambino: “Dove eravate nel triste inverno? Che facevate?”. Loro rispondono: “Dentro i nostri ovettini piccoli piccoli come semini, aspettavamo la primavera per poi volare dall’alba a sera, aspettavamo ali e colori per poi volare tra erbe e fiori”.
Bacolino Il bacolino mangia la foglia finchè ne ha voglia, e crescerà. E quando grosso sarà venuto, tutto panciuto si fermerà. Di seta un filo dalla sua bocca se non si tocca, lungo uscirà. E gira gira sera e mattina, una casina si formerà. Sarà la casa di seta e bella e dentro a quella si chiuderà. Ed ora un bruco ha la casina la farfallina eccola qua. (O. Contini Levi)
I filugelli (bachi da seta) Gran mangiare, gran dormire! I filugelli s’imboscarono alfine tra i fastelli. Ghiande d’oro divennero filando. Le fanciulle or le colgono cantando. Chi va, chi viene, come ad una festa: ognuna ha la sua bionda corba in testa. Come! Su brulle scope di brughiera tanti frutti di seta in primavera? Cantano le fanciulle innamorate. Pare, il granaio, l’orto delle fate. (Corrado Govoni)
Il baco da seta Sui graticci bianchi e neri sono i bachi nati ieri e la casa all’alba s’alza e va attorno presta e scalza. C’è chi muta, c’è chi sfoglia… chi sminuzzola la foglia… E il vermino mangia e dorme mangia e dorme e si fa enorme: fin che un dì gli vedi in bocca fil di seta e il bosco tocca. Poi si chiude in un castello senza porte e chiavistello, e il cortile è tutto biondo di quel bozzolo giocondo. (Lina Carpanini)
Il baco da seta Fo una vita da signore, mangio e dormo a tutte l’ore, muto foggia di vestito. Ma un bel giorno, vergognoso dell’inutile riposo, smetto infine di brucare e comincio a lavorare. Fili d’argento e filo d’oro vo intrecciando al mio lavoro poi mi chiudo in fretta in fretta nella splendida casetta, per uscir di là rinato e in farfalla trasformato. (A. Ferraresi)
I bruchi Il bruco che si trascina su due molli file di piedi, è anch’esso creatura divina, con un cuore che tu non vedi. Bruchi rossi come rubini, bruchi verdi come smeraldi, irti di peli lunghi e fini come una seta che li riscaldi; portano un fuoco che li consuma, sentono un’ansia che li trasforma: si trascinano, eppure nessuna orma è più lieve della loro orma. Sono anime incatenate dentro corpi goffi e orrendi: ma quando le belle giornate ritornano a splendere, e i venti vanno colmi d’odori e di polline, nessun occhio vede più i bruchi: son scomparsi dai prati, dai colli; si sono chiusi in cortecce ed in buchi, si sono appesi al ramo e alla foglia, ma mutati, come mummie di carta velina, con dentro la voglia che preme, con un cuore che batte già l’ala a una gran vita celeste. E quando un mattino tu vedi volare farfalle in gran veste di gala, ah, ricorda i lor piedi già molli e quegli orridi dorsi villosi: ripensa al divino anelito che li ha percorsi nel loro terrestre cammino. (Giuseppe Porto)
Solitario Solitario il bacolino pur essendo ancor piccino, preso ha stanza in una noce. Quando il sole scalda e cuoce, fa un buchin nel guscio e resta ore ed ore alla finestra. (A. Morani Castellani)
La crisalide Una crisalide svelta e sottile quasi monile pende sospesa dalla cimosa della mia casa. Salgo talora sull’abbaino, per contemplarla, e guardo e interrogo quell’esserino che non mi parla. O prigioniero delle tue bende, pendulo e solo, senti? Il tuo cuore sente che attende l’ora del volo? Tra poco l’ospite della mia casa sarà lontana: penderà vuota dalla cimosa la spoglia vana. Andrai, perfetta, dove ti porta l’alba fiorita; e sarà come tu fossi morta per l’altra vita. (Giudo Gozzano)
Farfalla Farfallina spensierata lo sai tu dove sei nata? Eri bruco in una cella senza sole e senza stella. Poi nel sole sei uscita, come un fiore sei fiorita… (Renzo Pezzani)
La vispa Teresa La vispa Teresa avea tra l’erberra al volo sorpresa gentil farfalletta. E tutta giuliva, stringendola viva, gridava a distesa: – L’ho presa, l’ho presa!- A lei supplicando, l’afflitta gridò: – Vivendo, volando, che male ti fo? Tu sì mi fai male, stringendomi l’ale. Deh, lasciami, anch’io son figlia di Dio!- Confusa, pentita, Teresa arrossì, dischiuse le dita e quella fuggì. (L. Sailer)
Le due farfalle La farfalla cavolaia che volava tutta gaia qua e là per l’orticello, disse a quella tozza tozza del parente filugello: – Come sei pesante e rozza!- Tosto l’altra replicò: – Bella ed agile tu sei, questo è vero, ma, però, godo almen questo conforto: fan la seta i figli miei, mentre i tuoi rovinan l’orto!- (G. Fabiani)
Farfalle Innanzi alla mia casa montana, ove regna sovrana la gioia, sui sassi, sui fiori, sui rami, ovunque arda il gran sole di luglio, stanno, vanno, ristanno, innumerevoli farfalle. Talune son gialle come le primule; altre azzurrine come miosotidi; altre dorate striate e cupe come l’arnica ardente; altre bianche e serene come il fior del ciliegio innocente. (Giuseppe Zoppi)
Farfalle Nella selva ombrosa e fresca, mentre cantan le cicale, uno sciame di farfalle batte l’ale. Semi d’oro luccicanti getta il sol tra frondi e frondi, e ne tremolan pel suolo ischi biondi. Dai riflessi di velluto, occhieggianti rosse e gialle e di nero screziate le farfalle, van leggere e senza scosse van leggere ai bianchi fiori festa d’ale e di profumi, di colori… (Alfredo Baccelli)
La farfalla La farfalla è leggera come un fiore cadente. L’uccellino in gabbia segue con occhio triste, invidioso la libera farfalla. La schiuma è il fiore dell’onda. Scompare. La farfalla non si può posare. Sembra che petali di fiori caduti risalgono in volo sui rami. Oh! No. Sono ali di farfalle volteggianti attorno ai rami. La farfalla ora dorme sul filo dell’erba. La brezza la culla ed essa sogna ancora di volare. (dal giapponese)
Farfalla Come un bimbo in vacanza vola, si ferma, danza. Tutta alucce e porporina golosa di primavera, la portò il vento sul prato, da un libretto nella sera. (Renzo Pezzani)
La casa delle farfalle Settembre andava per la valle tirandosi dietro gli ori suoi lento come al giogo i buoi, e noi abitavamo felici la casa che tu dici delle farfalle. Le farfalle errano senza fine leggiadre candide cenerine gialle cerulee verdine: vestite di seta e mussoline, così fragili, così fine. Trepidavano in fola ai vetri, sfioravano tende e pareti: di semplici e cheti giri di danza empievano l’estatica stanza: finchè sazie del moto perenne si posavano ed erano gemme. Erano la più vaga cosa del mondo: la gioia che non osa traboccare nel canto, l’aiuto del verso, l’immagine della mia musa, la freschezza del nostro cuore, l’elogio del nostro amore sempre uguale e diverso, e ti piacevano tanto! (Angiolo Silvio Novaro)
La farfallina Stava una farfallina sopra un tronco muschioso; le disse una bambina dal visino amoroso: “Oh mia bella farfalla, bruna, celeste, gialla, aspettami un pochino che vengo accanto a te”. Ma la bella farfalla bruna, celeste, gialla, per il cielo turchino lungi l’ale battè. “E poi dopo tornò?” “Oh, questo non lo so”. (Camilla Del Soldato)
Farfallina Farfallina spensierata lo sai tu dove sei nata? Eri bruco in una cella senza sole e senza stella; poi nel sole sei uscita come un fiore sei fiorita, come un fiore senza stelo che magia ti gettò in cielo.
Farfalle e fiori Son le farfalle fiori svolazzanti e i fiori farfallette imprigionate. Gli uni e le altre, al finir dell’estate racchiudono nei semi i loro incanti. E dove mai gli restano i colori? Dentro gli occhi degli uomini, e nei cuori. (L. Schwarz)
Bacolino Il bacolino mangia la foglia finchè ne ha voglia, e crescerà. E quando grosso sarà venuto, tutto panciuto, si fermerà. Di seta un filo dalla sua bocca, se non si tocca, lungo uscirà. E gira e gira, sera e mattina, una casina si formerà. Sarà la casa di seta bella e dentro quella, di chiuderà. Ed ora un buco ha la casina: la farfallina, eccola qua! (O. Contini Levi)
Il baco da seta Fo una vita da signore mangio e dormo a tutte l’ore e ogni volta che ho dormito muto foggia di vestito. Ma un bel giorno, vergognoso dell’inutile riposo smetto infine di brucare e comincio a lavorare. Fil d’argento e filo d’oro vo intrecciando il mio lavoro poi mi chiudo in fretta in fretta nella splendida casetta per uscir di là rinato e in farfalla trasformato. (Ferraresi)
Farfalla Io sono la farfalla che volteggia nel sole, e da lui mi faccio dire le segrete parole. Tra smaglianti colori il raggio della luce al mio cuor trepidante sommesso lo conduce. Poi sul fiore mi poso al suolo incatenato e lieve gli sussurro il mistero svelato. Il fioretto che in alto non si può mai librare silenzioso mi ascolta e si mette a sognare. (E. Minoia)
I filugelli
Dormono. Il corpo a qualche cosa attorno hanno legato con sottili bave come di seta; e dormono un gran giorno. Alfine ecco si svolgono dal grave sonno, rifatti. Ed ecco a cento a cento li cogli a un ramo e poni giù soave in una stuoia il tuo cresciuto armento. Tre volte tanto brucano foraggio così cresciuti. Ma tre volte tanto verdeggia il gelso al puro sol di maggio. Due rose aperte tu porrai da un canto. Sognino nella stanza solitaria D’essere in Cina, i bachi, o per incanto errar sui gelsi tra il color dell’aria. (G. Pascoli)
Farfalle
Corolle senza stelo sorelle d’ogni fiore: vi ha gettato il Signore dai giardini del cielo, a ricamare voli sul gelsomino mondo, a fare il girotondo che il pratello consoli. A voi basta sull’ala un po’ di porporina, per far della mattina una festa di gala: e a sera, sul cotogno, posare a ghirlandelle, per guardar le stelle tra un sogno e l’altro sogno. (L. Carpanin)
Farfalla
La farfalla è leggera come un fiore cadente. L’uccellino in gabbia segue con occhio triste, invidioso la libera farfalla. La schiuma è il fiore dell’onda. Scompare. La farfalla non si può posare. Sembra che petali di fiori caduti risalgano in volo sui rami. O no! Sono ali di farfalle volteggianti attorno ai rami. La farfalla ora dorme sul filo dell’erba. La brezza la culla. Ed essa sogna ancora di volare. (dal giapponese)
La farfalla in città
La farfalla (un gioiello di tinte giallo – rosa) volò dal praticello nella città industriosa. Vide grossi edifici e vetture lucenti, colossali opifici e congegni possenti. Però, cercando invano quelle vaghe corolle, che nel bosco e nel piano splendono fra le zolle, pensò: “Col tuo talento, uomo, tutto sai fare; ma di un fiore il portento non ti è dato creare!”. E ritornò nel prato, là dove un fiorellino qualunque è insuperato spettacolo divino. (L. Ruber)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche IL GRILLO – Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Il grillo vagabondo Sono un grillo pellegrino pazzerello e canterino vivo libero e giocondo saltellando per il mondo. Salto sempre allegramente passo a volo ogni torrente salto un fosso, un campo, un muro per cercar grano maturo. Se non trovo la semente salto i pasti indifferente salto anche il venerdì un po’ pazzo sono sì. Non mi piace lavorare preferisco saltellare potrei fare il ballerino ma viaggiare è il mio destino. Mi diverte esser cantante ma per me, da dilettante. Canto e salto tutto il giorno ed a casa mai ritorno sono un grillo giramondo un eterno vagabondo. Così vivere mi va per goder la libertà.
Grillo Son piccin cornuto e bruno, me ne sto tra l’erbe e i fior sotto un giunco o sotto un pruno, la mia casa è da signor non è d’oro e non d’argento, ma rotonda e fonda è terra il tetto e il pavimento, e vi albergo come un re so che il cantico di un grillo, è una gocciola nel mar ma son triste se non trillo, su lasciatemi cantar.
La serenata del grillo Sotto un ciuffo di mirtillo c’era un grillo mezzo brillo. C’era un grillo che trillava, tutta l’aria ne vibrava tutta l’aria era d’argento e giù giù nel firmamento la gran luna, in braccio al vento per la notte rotolava. (A. Albieri)
Il grillo Un musicante vestito di nero suona, ostinato, sul verde sentiero, senza violino, nè viola, nè archetto, senza chitarra nè flauto o fischietto. Sotto una zolla del fresco sentiero sta il musicante vestito di nero. (U.B.F.)
Il grillo Tutto arzillo, salta il grillo e, cantando il suo cri cri, al bambino che lo cerca sembra dire: -Sono qui!- Ma, arrivato al punto buono, nulla trova il cacciator, e lo chiama altrove il suono del grillin canzonator: – Cri cri cri, non mi hai veduto? Guarda bene, sono qui!- Salta svelto il grillo astuto, e ripete il suo cri cri. (G. Lipparini)
Il grillo Il grillo salta da un’erba a uno spino. Quando la notte sarà nel giardino tutta la gente cantare l’udrà. (R. Pezzani)
La serenata del grillo E’ piccole e lesto; di bruno vestito, e vive modesto in buco romito; poi, tosto che intorno offuscasi il dì, comincia il cri cri. E sporge la testa dall’umile tana, e ascolta se, desta, risponde la rana; se già qualche stella nel cielo fiorì al primo cri cri. Lungh’esso le sponde di tacite strade, e per le gioconde campagne di biade, sul calice molle d’un fior che s’aprì ei canta cri cri. Il cielo sereno già palpita d’astri, il prato di fieno odora e mentastri, e par che la notte ne tremi così del lungo cri cri. (A. Grilli)
La serenata del grillo
Tutto vestito in nero, sì come un damerino, esce dal suo maniero il grillo canterino. Il sole è ormai lontano, il monte è viola e rosa, non s’ode più un campano nell’aria silenziosa. Di sotto la zimarra leva il suo bel violino e suona e canta e gode il grillo canterino. Bello è cantar di sera sotto la prima stella in piena primavera. Canta! La vita è bella. (A. P. Bonazzoli)
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Poesie e filastrocche sulle FORMICHE – una collezione di poesie e filastrocche sulle formiche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
La formica Oh, formica, formichetta, quante miglia devi fare? Dove son le tue castella che ti dai tanto da fare? Tu non sei davvero oziosa, chè lavori senza posa dal mattino alla nottata, formichetta affaccendata.
La pazienza della formica La stradina che porta al formicaio è storta e, per di più, è in salita. Benchè mezzo sfinita, la povera formica non bada alla fatica. Va su per la collina e dietro si trascina, a stento ed a rilento, un chicco di frumento. E’ giunta quasi in vetta quando una nuvoletta sulla terra scodella un po’ di pioggerella. L’acqua che cade a picco ora travolge il chicco e il granellino biondo tocca ben presto il fondo. La formica che fa? S’abbatte e si dispera? O imprecando va contro la sorte nera? Macchè! Macchè! Sa bene che i lamenti e le scene non risolvono niente! Perciò tranquillamente riscende la pendenza afferra il chicco d’oro e con santa pazienza ricomincia il lavoro. (Luciano Folgore)
La formica Oh, formica, formichetta, quante miglia devi fare? Dove son le tue cestella se ti dai tanto da fare? Tu non sei davvero oziosa, chè lavori senza posa dal mattino alla nottata, formichetta disperata. (Anonimo)
Indovinello Siamo brave e piccoline formiam file senza fine; gironziam d’estate intorno, lavorando tutto il giorno per riempire i magazzini di preziosi granellini. (Cambo)
Formichina Formichina s’è sposata ed è tutta affaccendata: spazza, lava, rifà il letto, ripulisce fino al tetto, sforna il pane e, senza affanni, fa la cena, stende i panni. Poi riposa e, canticchiando, con un piede dondolando nella culla il suo piccino, gli ricama un camicino. (A. Morani Castellani)
Il formicaio Dal formicaio uscì una formica scalò una collina a gran fatica dal colle giù per la valle andò nei granaio si arrampicò. Prese un chicco dal granaio e lo portò al suo formicaio. Una alla volta le formichine viaggiarono per valli e colline e un grano alla volta, tutto il granaio si portarono nel formicaio.
Le provviste della formica Formichina, formichina, dove corri così in fretta? Porto un poco di farina alla povera casetta; porto riso, porto grano, che l’inverno non è lontano.
In punta di piedi dalle formiche In punta di piedi sull’erba del prato le scarpe in mano, ho camminato. Sono stato a trovare le mie vispe amiche le provvide, dolci formiche! Nel grande silenzio le ho udite parlare “Bambino, dobbiam lavorare! L’autunno è vicino è pallido il sole fra poco apriranno le scuole! Ci rivedremo… … al rispuntar delle viole!”. (L. Beretta)
Formichina Oh formichina formichina, orsù sveglia, è già mattina! Un giorno nuovo ormai ti aspetta e con gioia e senza fretta sarà bello lavorare tanti chicchi trasportare.
La formichina ribelle C’era una volta una formichina un poco pigra, un po’ birichina. Essa pensò un dì di buon mattino: “Lascio il formicaio e mi metto in cammino. Da mane a sera devo girare di qua e di là per lavorare. No no no, no no, no no questa vita non la fo, no no no, no no, no no, molto presto me ne andrò. Me ne andrò a girare il mondo per potermi divertire per giocare, per danzare fino a che finisce il dì.”. E fu così che un dì, di buon mattino, con poche cose dentro un fagotto, la formichina si incamminò. “La la la, la la, la la, vo a gustar la libertà”. Dopo molto camminare pensò ben di riposare e all’ombra di una margherita si gustò una merenda saporita. Ma all’improvviso un forte rumore le mise in cuore un grande terrore. “Svelta, scappa!” disse la margherita, “Arriva il formichiere, ne va della tua vita!”. Tutta tremante, la sfortunata, chiese riparo a una foglia di insalata, che gentilmente le offrì ospitalità: ma quanto costa la libertà! Subito dopo, di nuovo terrore alla poverina scoppiava il cuore: due grosse mani strappano l’insalata e la formichina sembra ormai spacciata. Pensò alla mamma, pensò al papà: “No, non mi piace la libertà! Amica mia, aiutami a fuggire!” chiese rivolta ad una farfallina. “Sulle tue ali leggere mi nasconderò e così via me ne andrò. Da mamma e papà voglio tornare sarò ubbidiente e saprò lavorare!” La pigrizia nuoce assai, e procura solo guai.
Le formiche
Le formiche vanno assai piano: trasportano un seme, un fuscello, un chicco restoso di grano, un filo di paglia leggera. Dal buco, scavato sotterra, vengono e vanno lontano; ritornano in fila, pian piano: durando così fino a sera. Lavorano tutte: le grosse formiche dal capo rotondo, e quelle piccine, piccine, che sono un po’ brune e un po’ rosse. Non sempre c’è aprile che brilla, non sempre c’è maggio fiorito; non sempre c’è giugno che stilla dolcezza dai frutti, nè luglio col mare di messi, nè agosto coi gialli covoni e le trebbie, nè ottobre col denso suo mosto. L’inverno coi giorni più brevi, coi geli, coi venti e le nevi, arriva improvviso; ed allora bisogna, nel nido profondo, aver di che vivere in pace. Bisogna aspettarla quell’ora: non esser di tutto sprovvisti, non esser rimasti nell’ozio, non essere stati mai tristi! (A. Pesce Gorini)
La formica
“Oh piccola formica che insegni ai fannulloni l’onor della fatica, ove corri, ove vai che non ti fermi mai?” “Vado peri fatti miei; le chiacchiere son vane, ciò che conta è il lavoro fin che forza rimane. Il tempo è un gran tesoro”. (P. Bonazzoli)
Poesie e filastrocche sulle FORMICHE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Gnometti sabbiolini TUTORIAL con cartamodello stampabile gratuitamente in formato pdf e RACCONTO. Il tutorial può essere utile anche per realizzare gli Gnomi della Matematica Waldorf (verde, rosso, giallo e blu).
L’omino del sonno C’è un omino piccino piccino che va in giro soltanto di sera e cammina pianino pianino con un sacco di polvere nera. E’ l’omino inventor del dormire che nel lungo serale cammino senza farsi veder ne’ sentire porta il sonno per ogni bambino. Non si sa se sia bello o sia brutto se sia vecchio più o meno del nonno si sa solo che va dappertutto e che lascia, passando, un gran sonno. Quando stanchi si senton gli occhietti è perché sta passando l’omino ed è l’ora in cui tutti i bimbetti fan la nanna nel loro lettino! (J. Colombini Monti)
Materiale occorrente:
– tessuto (io ho usato la manica di una vecchia maglia) – maglina per bambole – lana bianca per imbottire e per barba e capelli – ago, filo, forbici – semi di lino e fiori di lavanda
Come si fa: Riportate il cartamodello sul tessuto e tagliate:
Poi fate la prima cucitura così (a mano o con la macchina da cucire):
Sovrapponete così il dietro (quello che avete parzialmente cucito) al davanti e cucite; cucite anche il berretto:
Quindi rivoltate sul dritto:
Ora prepariamo la testina. Facciamo un nodo, poi usiamo i ciuffi che avanzano per formare una pallina, tipo gomitolo:
Rivestiamo la pallina con una falda di lana, chiudiamo sul collo, poi facciamo una legatura per dividere volto da cranio, e sul volto passiamo lungo la metà un filo, tiriamolo bene e fermiamo, per formare la linea degli occhi:
Arrotoliamo del filo intorno al collo:
Rivestiamo con la maglina e aggiungiamo una pallina per il naso:
Con un cucchiaino riempiamo il corpo dello gnomo di semi di lino e fiori di lavanda:
Quindi cuciamo intorno al collo, ricamiamo occhi e bocca, aggiungiamo barba e capelli, e se vogliamo un sacchettino di stoffa pieno di semini, e lo Gnomo Sabbiolino è pronto:
Ma chi è lo Gnomo Sabbiolino?
Si tratta di un personaggio che fa parte della cultura popolare di molti paesi; presente anche in alcune regioni italiane, è molto celebrato in particolare in Germania come “Sandmann” .
L’omino del sonno Ha un lume sul cuore, ma fioco fioco, Appena un chiarore. L’omino del sonno Ha scarpe di panno, Quando cammina Rumore non fanno. L’omino del sonno Ha in testa un berretto, Di lana calda, Per stare a letto. L’omino del sonno Va in giro in vestaglia, Tutta rossa, Fatta a maglia. L’omino del sonno Ha in mano un sacchetto Con due cordelle Legato stretto. Dentro il sacchetto Ha una polverina Che non si vede, leggera fina Butta la polvere lesto l’omino: Già dorme il bimbo, lui spegne il lumino. (M.Martini)
Ha molti nomi, è anche Mago Sabbiolino e Orco Sabbiolino (se porta sogni brutti), Ole-Luk-Oie, Sandmann, Ole Chiudigliocchi, Serralocchi, ecc…
La storia tradizionale è all’incirca questa:
“Sabbiolino è un nano che porta un grosso sacco sulle spalle. Tutte le sere, al crepuscolo, si toglie le scarpe per non fare rumore e viene da noi, nel mondo degli umani. E ‘così piccolo e così bravo a nascondersi, che nessuno riesce a vederlo e nessuno saprebbe riconoscerlo. Questo è un gran bene, perchè se per disgrazia capitasse ad un umano di vederlo, il povero Sabbiolino svanirebbe nel nulla…
Sabbiolino ha molto, molto lavoro da fare ogni sera! Deve far visita a tutti i bambini che devono addormentarsi nei loro caldi lettini… e così saltella e svolazza per tutta la notte. Prima va dai bambini più piccoli. Aspetta che nelle camerette ci sia buio, per non farsi vedere, si mette davanti al lettino, apre il suo sacco e prende due chicchi di sabbia.
Appena il bambino chiude gli occhi, posa delicatamente i granelli uno sull’occhio destro e uno sull’occhio sinistro, e comincia a raccontare una storia nell’orecchio del piccolo: “C’era una volta un bambino che partì per il deserto, in cerca di fiabe. Il suo villaggio le aveva perse tutte, insieme alla fantasia, e il bambino, anche se piccolo, era determinato e coraggioso, e voleva ritrovarle e riportarle al villaggio. Cammina cammina, arrivò ad una foresta di pietra, e lì trovò uno scrigno con scritto il suo nome. Meravigliato lo aprì e vi trovò…”
Arrivato a questo punto della storia Sabbiolino si ferma, il bambino si è ormai addormentato dolcemente, a volte ha anche iniziato a russare, e può sognare il seguito della storia. Silenziosamente il nano esce dalla cameretta e va a trovare un altro bambino.
Quando ha terminato il suo lavoro coi più piccoli, Sabbiolino va a far visita anche ai bambini più grandi, ma per farli addormentare invece della sabbia, usa chicchi di mais, che soffia sui loro occhi, e anche loro si addormentano felici.
Il suo è un lavoro molto importante, perchè se per caso si dimenticasse di un bambino, il poverino non potrebbe dormire per tutta la notte…
Nessuno, nemmeno i bambini possono vedere Sabbiolino, ma almeno i bambini possono vedere, al mattino, una piccola traccia che il nano lascia per loro: la sabbiolina negli occhi…”
Esistono innumerevoli varianti, a volte Sabbiolino si serve di un’asina per compiere il suo lavoro, altre volte spruzza latte negli occhi, o polvere di stelle, ecc…
Dalla tradizione alla letteratura, esistono due famosi racconti che hanno per protagonista Sabbiolino. Il primo é Ole-Luk-Oie, di Hans Christian Andersen:
“In tutto il mondo non c’è nessuno che sappia tante storie quante ne sa Ole Chiudigliocchi. E come le sa raccontare! Verso sera, quando i bambini sono ancora seduti a tavola, o sulle loro seggiole, arriva Ole Chiudigliocchi, sale le scale silenziosamente, perché cammina senza scarpe, apre lentamente la porta e plaff! spruzza un po’ di latte negli occhietti dei bambini, poco, poco, ma comunque abbastanza perché loro non riescano più a tenere gli occhi aperti e perciò non lo vedano; sguscia dietro di loro, gli soffia dolcemente sul collo e subito sentono la testa pesante, ma non tanto da far male; perché Ole Chiudigliocchi vuole il bene dei bambini, desidera soltanto che stiano tranquilli, e loro sono davvero tranquilli solo quando finalmente vanno a letto e devono stare zitti perché lui possa raccontare le sue storie. Quando i bambini finalmente dormono, Ole Chiudigliocchi si siede sul loro letto; ha un bel vestito, un mantello di seta, ma è impossibile dire di che colore è perché a ogni suo movimento ha riflessi ora verdi, ora rossi, ora blu. Tiene sotto le braccia due ombrelli, uno pieno di figure, e lo apre sopra i bambini buoni che così sognano per tutta la notte le storie più belle, l’altro invece non ha niente e viene aperto sui bambini cattivi che così dormono in modo strano e quando si svegliano la mattina, non hanno sognato niente. Ora ascoltiamo come Ole Chiudigliocchi per tutta una settimana si è recato da un bambino di nome Hjalmar, e sentiamo che cosa gli ha raccontato. Sono sette storie in tutto, perché ci sono sette giorni in una settimana…”
Il secondo è Der Sandmann, L’Uomo della Sabbia, di E.T.A. Hoffmann, che se volete potete leggere qui. In questo caso l’uomo di sabbia è una sorta di uomo nero, inserito in un racconto gotico che ha avuto grande successo, e che è stato anche analizzato da Freud.
Sulla storia Der Sandmann è basato anche il balletto Coppelia.
Poesie e filastrocche: Maggio. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Maggio
Andiamo a cogliere fiori, sui prato lungo i rivi
e di tanti colori, sceglieremo i più vivi
per far mazzi e ghirlande, freschissimo tesoro
ora che maggio spande, il suo sorriso d’oro.
Poesie e filastrocche MAGGIO
Maggiolata
Maggio risveglia i nidi,
maggio risveglia i cuori;
porta le ortiche e i fiori,
i serpi e l’usignol.
Schiamazzano i fanciulli
in terra, in ciel gli augelli,
le donne han nei capelli
rose, negli occhi il sol.
Tra colli, prati e monti,
di fior tutto è una trama;
canta, germoglia ed ama
l’acqua, la terra, il ciel.
G. Carducci
Maggio
Sotto l’ombra di un bel faggio,
ci ci canta il cardellino;
con un canto tenerino
dice: “Benvenuto maggio”.
I. Nieri
Maggio
Bimbi, è tornato maggio,
i prati gli fan festa:
si mettono una vesta
di fiorellini azzurri
per salutarlo al suo passaggio.
A. Albieri
Canzoncina di maggio
“Dolce maggio, maggio d’oro”
canta il coro
degli snelli
passeretti e dei fringuelli
fra le fronde.
“Maggio, maggio benedetto!”
su dal cielo,
da ogni tetto,
gaio il coro
delle rondini risponde.
U. Ghiron
Maggio
Il più bello è certo il maggio
che ha per manto un biondo raggio
ed ha fiori intorno al crine:
gigli e rose porporine.
D. Vignali
Maggio
Una rosa rampicante
è arrivata in cima a un faggio
vuole andare in paradiso
perchè è maggio.
S. Plona
Poesie e filastrocche MAGGIO
Rosa di maggio
C’era una rosa dentro un giardino;
un’ape venne di buon mattino:
prese il suo miele e se ne andò.
C’era una rosa dentro un giardino;
venne ronzando un maggiolino:
mangiò una foglia e se ne andò.
C’era una rosa dentro un giardino;
venne cantando un bel bambino:
colse la rosa e se ne andò.
Ma non lo punse con la sua spina,
la rosa bianca, la rosellina.
S. Plona
Invito
Si vede che maggio è tornato:
mammine, stendete il bucato.
Il cielo fratello ci parla,
la luce, fa bene a guardarla.
Mettete una rosa al balcone:
la casa sarà rallegrata,
la mensa sarà profumata,
le cose saranno più buone,
più belle… provate, mammine,
uscite coi bimbi sull’aie!
Luisa Nason
Poesie e filastrocche MAGGIO
Maggio ridente
Maggio, con la tua veste
ricamata di fiori
t’ha inventato splendori
la mattina celeste.
Dal campo che s’indora
e il nuovo grano promette,
l’allodola sale alle vette,
campanellina dell’aurora…
Della tua fresca falciata
odora ogni sentiero:
anche il viottolo più nero
ti fa vedere una nidiata.
L. Carpanini
Maggio benedetto
Per le tue rose
candide e porporine
e per le roselline
che s’apron rugiadose
nella siepe che va lungo la via,
sii benedetto , o mese d’allegria!
Per l’operoso stuolo
delle api, che gli umori
raccolgono dai fiori,
e pel dolce usignolo
ch’empie i boschi di grata melodia,
sìì benedetto, o mese d’allegria!
Per tutta la dolcezza
che c’infondi nel cuore,
maggio, che in ogni fiore
dischiudi una carezza
ed un miracolo sei di cortesia,
sìì benedetto, o mese d’allegria!
A. Enriquez
Un quadretto
Un bimbo, un usignolo, due farfalle,
ed un ruscello che gorgoglia lieve:
sul ponte un uomo con la falce a spalla,
sotto, in basso, una rondine che beve.
Nella grande distesa, un bioccolo di neve;
e passa e muore per la quieta valle
un suono di campana, arguto e breve.
D. Borra
Poesie e filastrocche MAGGIO
Tempo di falciare
Il trifoglio ha già messo il fiocco rosso:
è tempo di falciare.
Sui prati caldi è un gran ronzare d’api,
e giù negli aspri fossi
vanno le bisce in cerca di frescura.
Il cielo, dopo l’alba
limpida e fresca come una sorgente,
s’ammanta in bianco velo;
e si scopre soltanto quando è sera
per lasciar che le stelle
– occhi lucenti – veglino sul mondo.
Fanciulli Pucci
Bella stagione
I merli, i capineri, gli usignoli
empion l’aria di gridi, canti e voli.
Che piacere sentirli, ed a vederli,
i capineri, gli usignoli, i merli!
Maggiolini, libellule, api d’oro
ondeggiano, più lievi, in mezzo a loro.
Uccelli grandi, insetti piccolini:
libellule, api d’oro, maggiolini.
Ma una bambina canta in mezzo ai pini,
e l’ascoltano le api e i maggiolini.
Si ferman tra le foglie sciami e stuoli
e tacciono i merli e gli usignoli.
M. Dandolo
Poesie e filastrocche MAGGIO
Il roseto
Fresche rose
odorose
incoronano re magggio
di splendori porporini.
sotto i cieli mattutini.
Ma più lieto
è il roseto
che la luna a notte imbianca;
goccia a goccia la rugiada
dentro i fiori si fa strada…
Vi s’incanta,
dalla pianta
sua segreta, l’usignolo,
e v’intona una strofetta:
la più bella che sia detta.
L. Carpanini
E’ nata una rosa
Voi ricordate, quando l’ho presa,
bimbe, la povera piantina:
era uno stecco, con solo appena
qualche foglia tra spina e spina.
L’ho collocata sul davanzale
della finestra che ha sempre il sole,
sono stata attenta a non farle male,
e l’ho guardata, sì, con amore.
Un sorso d’acqua tutte le sere,
e tutti i giorni la luce del cielo
e voi potete adesso vedere
quel ch’essa ha fatto di ogni suo stelo.
Grande si è fatta, robusta e bella,
si è rivestita di fresco fogliame,
e infine ha acceso la sua fiammella
di gioia, in cima al più alto stame.
D. Valeri
Maggio
Quando vien di maggio il mese,
il bel mese delle rose,
scampanellano festose
le campane delle chiese.
E la gente, verso sera,
entra in chiesa, umile e pia,
per i canti e la preghiera
del bel mese di Maria
L. Ambrosini
Poesie e filastrocche MAGGIO
Maggio
Il grano granisce nei campi;
le nubi sono armate di lampi;
la roggia è piena
di acqua spensierata e serena.
Metton fiori i balconi,
il bucato fa bandiera;
dolce fanciulla, la sera
s’ingioiella di costellazioni.
Il giorno è un lungo mattino,
un vitello è nella stalla;
sulle aie si balla
dietro il suono d’un pellegrino.
E il cimitero, poverino,
è verde come un giardino.
Renzo Pezzani
Maggio
Maggio, sempre cortese,
è il mese delle rose:
porta dolci sorprese
e promesse festose.
Passa ovunque gradita
un’aria profumata:
ride, paga di vita,
ogni cosa creata.
M. R. Messina
Poesie e filastrocche MAGGIO
Canto mattinale
Al chiaro sol di maggio
il passero trillò spiccando il volo;
l’allodola un “a solo”
dolcissima intonò; e il fresco canto
nel cielo risuonò, pieno d’incanto:
“Sei bella, vita, che ci rechi il sole,
primavera che porti le viole,
amor da cui germoglian mille nuove
piccole vite,
amor che le famiglie tieni unite!
Benedetto sia il sole e la natura
e l’aria fresca e pura;
l’olmo paterno che sostiene il nido,
il gorgheggio ed il trillo
e la canzon monotona del grillo,
i chicchi, i vermiciattoli e le larve
che ci sostentano!”. Disse, e poi scomparve.
Hedda
Maggio
Fuori da tutti i roveti,
fuori da tutti i cespugli,
sulle acque vive e sugli
alberi dei frutteti,
sulle terrazze allegre
di rose e di fanciulle,
sui bianchi pioppi e sulle
cime dell’elci nere,
maggio agli occhi ragiona
lieto, e bisbiglia ai cuori,
maggio, la grande intona
sinfonia dei colori.
Enzo Panzacchi
Poesie e filastrocche MAGGIO
Maggio
Maggio: fragranza di mille rose
sereni incanti d’albe e tramonti,
voli e gorgheggi negli orizzonti,
danze amorose
d’api sui fiori. Il ciel sorride
a questa vita fulgente e nuova,
la rondinella gaia ritrova
il nido e stride
piena di vita. Oh, dolce amore!
Tutto è bellezza, fascino, pace;
scende la calma, santa e verace
in ogni cuore.
Maggio è tornato pien di promesse
ed ha per tutti luce e sorrisi:
nei campi s’alza, fra i fiordalisi,
copiosa messe.
M. Boletti Bonardi
Maggio
Sul mare, ad oriente,
son molte vele bianche
immote e come stanche
cui bacia il sol morente.
Un volo di colombi
trepidi nell’azzurro
s’alza con un sussurro
breve, poi par che piombi.
E sale dai gradini
a ondate vaporose
l’olezzo delle rose,
l’odor dei gelsomini.
Odi? Là dal villaggio
parton voci di festa.
Oh, ridi, anima mesta.
E’ maggio! E’ maggio! E’ maggio!
Butti
Poesie e filastrocche MAGGIO
Notte di maggio
Notte di maggio. Lenta
la luna in mezzo al cielo
passeggia e si ravvolge
di nuvole in un velo.
Il grillo, la farfalla,
il bimbo e l’usignolo
dormono. Brilla in cielo
un lume solo solo.
E’ una stellina d’oro
che dice: “Chi son io,
che veglio sopra il mondo,
bambino mio?”
Hedda
Chiesa di maggio
Sciama con un ronzio d’ape, la gente
da la chiesetta in sul colle selvaggio;
e per la sera limpida di maggio;
vanno le donne a schiera, lente lente.
E passano tra l’alta erba stridente,
e pare una fiorita il lor passaggio;
la attende, a valle, tacito il villaggio
con le capanne chiuse e sonnolente.
Ma la chiesetta ancor ne l’alto svaria
tra le betulle, e il tetto d’un intenso
rossor sfavilla nel silenzio alpestre.
Il rombo de le pie laudi ne l’aria
palpita ancora: un lieve odor d’incenso
spendesi tra le mente e le ginestre.
G. Pascoli
Poesie e filastrocche MAGGIO
Il giardino nel bosco
In un mese di maggio
era nato sul limite di un bosco
un piccolo giardino,
così, per un capriccio di natura
o uno scherzo del vento.
v’era di tutto: viole, ciclamini,
rose, bottoni d’oro,
gladioli bianchi e azzurri fiordalisi;
lungo il tronco di un leccio,
alti su l’erbe i freschi semprevivi,
salivano i convolvoli.
Tanta bellezza invero era sciupata,
chè la zona del bosco
era lontana e mai nessun vi andava.
Ma, ugualmente felici,
i fiori si scaldavano al buon sole;
e facevan festa
ai leprotti, agli insetti ed agli uccelli:
a tutte le creature viventi
oppure solo di passaggio
nei boschi a maggio.
G. Fanciulli
Canzoncina di maggio
“Dolce maggio, maggio d’oro”
canta il coro
degli snelli
passeretti e dei fringuelli,
tra le fronde.
“Maggio, maggio benedetto!”
su dal cielo,
da ogni tetto,
gaio il coro
delle rondini risponde.
E s’incrociano per l’aria,
via tra voli, via tra frulli,
i garriti, i cinguettii
che salutano il tuo raggio,
dolce maggio.
E odorose,
dai giardini,
a te ridono le rose;
e dai campi,
(mentre il sole gitta lampi)
buone e sole
ti fan festa
pur le timide viole.
Ugo Ghiron
Poesie e filastrocche MAGGIO
Filastrocca di maggio
Filastrocca del bel maggio
col vestito della festa,
che hai cucito lesta lesta
quando il sol ti dava un raggio.
Filastrocca dei colori:
bianco, rosso, azzurro e giallo,
mentre il grano, come un gallo,
la sua cresta mette fuori.
Anonimo
Maggio
“Viva maggio, mese d’oro!”
Canta il coro
degli uccelli
pazzerelli
sulle gronde
tra le fronde;
“Viva maggio, mese d’oro!”
“Viva maggio, mese bello!”
Canta il bimbo
ridarello
con le rose più odorose,
le ciliegie
saporose…
“Viva maggio, mese bello!”
Teresah
Poesie e filastrocche MAGGIO
Le rose di maggio
Rose rosse… Vere rose!
Tutto il mondo fiorito di rose!
Tutto il mondo odoroso di rose!
Anche dove men te l’aspetti
nei giardini fatti serpai,
fra le ortiche e i cardi a mazzetti,
ecco, s’accendono rosai.
S’arrampicano le rose
ai cancelli arrugginiti;
s’affacciano a mura corrose;
si concimano di detriti.
Anche negli orti dei conventi
per le aiuole di nuove lattughe,
dove, ancora sonnolenti,
passeggiano le tartarughe;
anche lì che fioritura
di rose! E un odor da lontano,
che vince ogni clausura:
odor di mese mariano.
E le chiesine di campagna?
Le più nude e poverine
han sugli altari di lavagna
rose doppie e rose canine.
Perfino in quei brevi sterrati
nei cortili degli ospedali
dove guardano al sole i malati
col viso cereo sui guanciali,
v’è luce di rose maggesi;
e che dolce malinconia
di speranza in quegli occhi accesi
di febbre e di nostalgia.
P. Mastri
Maggiolata
Ora tu vieni, o maggio, dolce mese,
che porti cieli azzurri e verdi prati,
e rose per gli altari delle chiese,
e fioriti giardini profumati.
O generoso maggio, ben tornato
col riso dei fanciulli saltellanti
nei più rosei tramonti del creato,
col volo degli uccelli cinguettanti
le garrule canzoni in armonia!
O generoso maggio, ti saluto!
Nel dolcissimo nome di Maria
a te porgo, felice, il benvenuto.
C. Mazzoleni
Poesie e filastrocche MAGGIO
Pioggia di maggio
Passa una nuvola come un cigno
dentro il cielo senza rughe.
Scioglie la pioggia nell’orto verdigno,
tocca fronde, lava lattughe.
Sfatta la nuvola rimane il bello
e questo fiato da bocca di fiore,
l’orto fresco di colore
e la musica d’un ruscello.
Rimane il cielo così pulito
con un’allodola così sincera
che appena dici una preghiera
già cammina nell’infinito.
Renzo Pezzani
Maggio
Ma mi dite che cos’ha
questa sera la piccola città?
Ma mi dite perchè mai
questa saggia bottegaia
sempre grave e intesa al sodo,
fa la matta a questo modo?
Si direbbe che il profumo
della glicine e del tiglio
le abbia messo lo scompiglio
nel cervello.
Certamente io mai non vidi
il mio truce salumaio
stare in ozio
come adesso,
su la soglia del negozio
e sorridere a se stesso
così gaio.
Certamente il calzolaio
non cantò mai come canta
questa sera,
delicato appassionato,
“e mia sposa sarà la mia bandiera…”
“Avvocato, buona sera!
Avvocato, come va?”
L’avvocato non fa caso
non mi vede, non mi sente,
e mi passa sotto il naso
fischiettando allegramente
e rotando a mulinello
la sua mazza.
Nella piazza
è un tumulto di bambini
piccinini:
un concerto stonatello
di grilletti canterini
cui fa il basso la campana
del castello…
Ma mi dite, ma mi dite, che cos’ha
stasera questa piazza di città?
Diego Valeri
Poesie e filastrocche MAGGIO
E’ maggio
A maggio non basta un fiore.
Ho visto una primula: è poco.
Vuol nel prato le prataiole:
è poco: vuole nel bosco il croco.
E’ poco: vuole le viole; le bocche
di leone vuole e le stelline dell’odore.
Non basta il melo, il pesco, il pero.
Se manca uno, non c’è nessuno.
E’quando è in fiore il muro nero
è quando è in fiore lo stagno bruno,
è quando fa le rose il pruno,
è maggio quando tutto è in fiore.
Giovanni Pascoli
Maggio
Oh maggio, ben tornato!
L’april con la sua brezza
annunciò che venivi,
e intorno ha sparpagliato
una festa di canti e di colori:
erba sui prati e sulle fronde fiori!
Splende il cielo tra fregi
di lievi nuvolette
e un impazzar di voli;
dal fiorir dei ciliegi
già s’incarnano i frutti porporini
per le succose labbra dei bambini.
I rivi saltellanti
scintillan del tuo riso;
scintillan del tuo sole;
è un gareggiar d’incanti
fra cielo e terra per la tua venuta:
vieni, bel maggio, il mondo ti saluta.
F. Castellino
La gioia perfetta
Come triste il giorno di maggio
dentro il vicolo povero e solo!
Di tanto sole neppure un raggio,
con tante rondini neanche un volo…
Pure, c’era in quello squallore,
in quell’uggia greve e amara,
un profumo di cielo in fiore,
un barlume di gioia chiara.
C’era… c’erano tante rose
affacciate a una finestra,
che ridevano come spose
preparate per la festa.
C’era, seduto sui gradini
d’una casa di pezzenti,
un bambino piccino piccino
dai grandi occhi risplendenti.
C’era, il alto, una voce di mamma,
-così calma, così pura!-
che cantava la ninna nanna
alla propria creatura.
E poi dopo non c’era più nulla…
Ma, di maggio, alla via poveretta,
basta un bimbo un fiore una culla
per formarsi una gioia perfetta.
Diego Valeri
Poesie e filastrocche MAGGIO
Maggio
Fra le foglie d’acacia e di mimosa
perdon leggeri i grappoli fioriti;
matura ogni cespuglio la sua rosa,
ogni siepe ha i suoi pruni rinverditi.
Azzurra occhieggia la pervinca al sole,
e sboccian rade l’ultime viole.
Rose di macchia e rose di giardino,
bianchi mughetti e spighe d’amorino,
rose di macchia, profumate stelle,
fior di vitalba e fiori d’ulivelle,
il maggio passa… apritevi, olezzate,
rose di macchia, stelle profumate.
O. Grossi Mercanti
Canti di maggio
Chi li ha sentiti i canti
dei contadini in maggio?
E vanno avanti, avanti,
cantando del villaggio,
nel fior degli stornelli,
le glorie dell’amor;
e rose hanno ai capelli
ed han la gioia in cuor.
Cantano: e premio è il canto
dell’ansia e del lavoro.
Crescon le messi intanto
che si faranno d’oro.
Guido Mazzoni
Poesie e filastrocche MAGGIO
Il mese di Maggio
Godiamoci, ragazzi, maggio, il mese
che da tempo è chiamato ciliegiaio.
Cuor d’oro, infatti, provvido e cortese,
offre tra i frutti quello che è più gaio:
la ciliegia e l’amarena rossa e nera,
occhio splendente della primavera.
Anche il mondo dei frutti è alquanto vario
se pensate alle forme ed ai colori;
è un mondo, come il nostro, straordinario,
ma talora è così solo di fuori;
un frutto, per esempio, appare bello e piacente,
ma poi al palato dice poco o niente.
Ma la ciliegia… benedetta sia!
Fresca e succosa, tenera o croccante,
ai bimbi e ai grandi dona l’allegria
e il volto di ogni mensa fa esultante.
Allegre dagli orecchi dei bambini
pendo come accesi cuoricini.
I cieli a maggio sono dolci e chiari
tinti di azzurro rosa e verdolino
già i nuovi tralci piegano i filari
e contento li allaccia il contadino;
ancor s’innesta, o si rincalza il grano,
mentre il fieno fa biondi il monte e il piano.
La spiga sotto il sole già s’indora
chinando il capo un poco insonnolita;
il pollo chiacchierando va a pastura;
la fragola già occhieggia imbaldanzita;
ogni ragazza canta uno stornello:
“Fiorin di maggio, fiore mio, fiorello…”.
A sera il contadino torna all’aia
i somarelli carichi d’avena,
accanto a casa riode la massaia
che intona una canzone a voce piena:
“Oh, figlia mia, tu sei fiore di ruta,
quando il principe passa ti saluta!”.
“Oh, figlia mia, tu sei macchia di rosa,
sei macchia d’albicocco damaschino,
per te il principe piange e non riposa
pensando ai tuoi capelli d’oro fino.
A maggio tu risplendi come un fiore,
dove cammini ci lasci l’odore…”.
Tutta la terra a maggio è dolce pane,
tutta la terra a maggio è dolce fiore,
alla luna crescente abbaia il cane,
in frutto si tramuta ogni sudore…
Maggio mese di gioia e d’allegria,
benedetto tu sempre, e così sia!
G. Ravegnani
Poesie e filastrocche MAGGIO
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Festa della mamma – ebook – Libretto d’auguri illustrato con tisane, tè, sale grosso e collage… In realtà è quasi un libro tattile e non ha molto senso come ebook, ma lo condivido volentieri sperando possa essere di ispirazione per inventare lavoretti simili coi vostri bambini.
Festa della mamma – ebook – Libretto d’auguri illustrato con tisane, tè, sale grosso e collage…
Si tratta della poesia “Alla mamma” di Luisa Nason, illustrata con tecniche varie:
Alla mamma Mamma, per la tua festa io ti offro una cesta di baci e un cestino di stelle. Ti offro un cuscino di fiori su cui posare la testa quando sei stanca; una fontana di perle lucenti color della luna, una ghirlanda di rose e una montagna di cose gentili un cuore tanto piccino e un amore grande così: mamma per questo dì. ( L. Nason)
Poesie e filastrocche sui mestieri – una raccolta di poesie e filastrocche sul lavoro dell’uomo e i mestieri, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Il treno degli emigranti Non è grossa, non è pesante la valigia dell’emigrante… C’è un po’ di terra del mio villaggio, per non restar solo in viaggio… un vestito, un pane, un frutto e questo è tutto. Ma il cuore no, non l’ho portato: nella valigia non c’è entrato. Troppa pena aveva a partire, oltre il mare non vuole venire. Lui resta, fedele come un cane, nella terra che non mi dà pane: un piccolo campo, proprio lassù… Ma il treno corre: non si vede più. Gianni Rodari
I colori dei mestieri Io so i colori dei mestieri: sono bianchi i panettieri, s’alzan prima degli uccelli e han farina nei capelli; sono neri gli spazzacamini, di sette colori son gli imbianchini; gli operai dell’officina hanno una bella tuta azzurrina, hanno le mani sporche di grasso: i fannulloni vanno a spasso, non si sporcano nemmeno un dito, ma il loro mestiere non è pulito. Gianni Rodari
Gli odori dei mestieri Io so gli odori dei mestieri: di noce moscata sanno i droghieri, sa d’olio la tuta dell’operaio, di farina sa il fornaio, sanno di terra i contadini, di vernice gli imbianchini, sul camice bianco del dottore di medicina c’è un buon odore. I fannulloni, strano però, non sanno di nulla e puzzano un po’. Gianni Rodari
Capelli bianchi Quanti capelli bianchi ha il vecchio muratore? Uno per ogni casa bagnata dal suo sudore. Ed il vecchio maestro quanti capelli ha bianchi? Uno per ogni scolaro cresciuto nei suoi banchi. Quanti capelli bianchi stanno in testa al nonnino? Uno per ogni fiaba che incanta il nipotino. Gianni Rodari
L’omino della gru Filastrocca di sotto in su per l’omino della gru. Sotto terra va il minatore, dov’è buio a tutte l’ore; lo spazzino va nel tombino, sulla terra sta il contadino, in cima ai pali l’elettricista gode già una bella vista, il muratore va sui tetti e vede tutti piccoletti… ma più in alto, lassù lassù c’è l’omino della gru: cielo a sinistra, cielo a destra, e non gli gira mai la testa. Gianni Rodari
Il giornalista O giornalista inviato speciale quali notizie porti al giornale? Sono stato in America, in Cina, in Scozia, Svezia ed Argentina, tra i Sovietici e tra i Polacchi, Francesi, Tedeschi, Sloveni, Slovacchi, ho parlato con gli Eschimesi, con gli Ottentotti, coi Siamesi, vengo dal Cile, dall’India e dal Congo, dalla tribù dei Bongo-Bongo… e sai che porto? Una sola notizia! Sarò licenziato per pigrizia. Però il fatto è sensazionale, merita un titolo cubitale: tutti i popoli della terra han dichiarato guerra alla guerra. (G. Rodari)
Nel giardino Nel bel giardino, sotto il sole d’oro, un ragno tesse la sua tela fina fra stelo e stelo; alla sua casettina porta un chicco di grano la formica. Un’ape succhia il nettare di un fiore e, con voli felici, il suo nidietto, fa un passero canoro sotto il tetto. Una gallina insegna ai suoi pulcini come si becca… Ognuno ha il suo lavoro nel bel giardino, sotto il sole d’oro. C. Bettelloni
Lavoro Sono un bambino e vivo in città ma il lavoro lo conosco in verità: mi lucido le scarpe ed al mattin sorveglio il latte e studio la lezione; e, dopo desinar, gioco un pochino poi faccio spesa, e sono proprio buone le frutta quando io le ho comperate chè, a voi lo dico in tutta confidenza, con molta cura le ho scelte ed assaggiate; prima di sera scrivo con pazienza il compito, e ripasso la lettura, giocattoli ripongo e poi preparo i libri nella borsa con gran cura. Ditelo, via; “E’ un bimbo proprio raro!” T. Belforti
L’alba Tutta dolce, tutta bianca l’alba sale il cielo azzurro… corre un fremito, un sussurro sulla terra non più stanca; ogni fiore si ridesta, gli uccellini fanno festa… sorge a un tratto il sole d’oro: bimbi ed uomini, al lavoro! E. Bossi
Il fannullone Oh! Che piacere – mangiare e bere andare a spasso – e fare chiasso, senza lavori – senza sudori senza doveri – senza pensieri! passare il giorno – … ma sbadigliando! In conclusione del fannullone, qual è la gioia? Morir di noia. L. Schwarz
La fucina Il mantice rifiata a più non posso nella fucina e la fiammella balla, sul mucchierello del carbone rosso, con ali azzurre come una farfalla. N. Vernieri
La scelta del mestiere -Ho da scegliermi un mestiere- pensa Piero tutto il giorno. -Se facessi il panettiere? Oh, ma scotta troppo il forno!… Se facessi il muratore? Ma il mestiere è tanto duro! Forse forse il minatore… Ma sta sempre giù all’oscuro! Potrei fare l’imbianchino! E se piglio il torcicollo? Mi farò spazzacamino! E se il tetto mi dà un crollo? Ho da fare il macellaio? No, del sangue ho un grande orrore! E se andassi marinaio? Ma del mare ho un gran terrore! Così Piero tutto il giorno per cercar la professione, se ne va girando attorno sfaccendato e bighellone. Cerca cerca, il tempo passa nulla impara e nulla sa e se ora in ozio ingrassa, come mai la finirà? L. Schwarz
I bravi omettini I due bravi omettini han lasciato i balocchi. Quattro manine d’oro quattro lesti piedini due vispe paia d’occhi si son messi al lavoro. Perchè ognuno è felice perchè il lavoro è un gioco la fatica allegria quando la mamma dice: -Aiutatemi un poco, bravi bambini, via._ C. Del Soldato
Sveglia Chicchirichì fa il galletto, cì cì cì fa l’uccelletto, din don dan fa la campana sia vicina, sia lontana, annunciandoci il ritorno del radioso nuovo giorno. Si alzan tutti a questo coro e si avviano al lavoro; si alza presto il contadino: va nei campi dal mattino. Si alza presto l’operaio: la fatica lo fa gaio. Si alza pure dal lettino e va a scuola ogni bambino. Resta solo nella culla il piccin che non fa nulla. L. Scardaccione
Girotondo del fannullone Il lunedì, ch’è il dì dopo la festa, o Dio, che ho il mal di testa, non posso lavorar! Il martedì mi siedo sulla soglia ad aspettar la voglia che avrò di lavorar. Il mercoledì preparo i miei strumenti, ma, ahimè, c’è il mal di denti, non posso lavorar. Il giovedì, che da così bel tempo, davvero non mi sento di andare a lavorar. Il venerdì, ch’è il dì della passione mi metto in devozione, non posso lavorar. Sabato sì ch’è proprio il giorno buono; ma per un giorno solo che vale lavorar? D. Valeri
Anch’io lavoro La formica innanzi giorno va pei campi, va per l’aie cerca, cerca d’ogni intorno, fino a sera cercherà. Ed il ragno, che si cela fra le siepi e in mezzo ai rami, cominciata ha la sua tela, fino a sera tesserà. E la rondine al mio tetto fabbricando va il suo nico; fino a sera durerà nel lavor quell’uccelletto. O formica, o rondinella, lavorate, lavorate! Anche questa bambinella come voi lavorerà. S. Dazzi
Il lavoro Lavoro è zappare la terra, battere il martello nella buia bottega, guidare i treni veloci, partire e tornare pei cieli; lavoro è pulire le strade, cuocere il pane, curare chi soffre. Ecco, ogni azione compiuta per il bene di tutti è lavoro. A. Ferrari
Il grillo vagabondo Sono un grillo pellegrino. pazzerello e canterino: vivo libero e giocondo saltellando per il mondo. Salto sempre allegramente, passo a volo ogni torrente, salto un fosso, un campo, un muro per cercar grano maturo. Se non trovo la semente salto i pasti indifferente, salto anche il venerdì un po’ pazzo sono sì. Non mi piace lavorare preferisco saltellare; potrei fare il ballerino, ma viaggiare è il mio destino; mi diverte esser cantante, ma per me, da dilettante. Canto e salto tutto il giorno ed a casa mai ritorno: sono un grillo giramondo, un eterno vagabondo. Così vivere mi va, per goder la libertà. M. Argilli
L’omino dei gelati Nel parco pubblico della città è ricomparso alla fine di maggio un simpatico e strano personaggio… (Un uomo o un mago? Nessuno lo sa!) In giacca bianca e bottoni dorati – tondo, rubizzo, giocondo all’aspetto – spinge pian piano un grazioso carretto su cui c’è scritto in azzurro “Gelati”. Quel carrettino! Che grandi sospiri quando nel parco compie i suoi giri! I bimbi sognano di poter dire: “Mi dia un gelato da mille lire!”. Da quale strana terra incantata è qui venuto quel caro omino con le delizie del suo carrettino fatte di crema e di panna montata? Forse le fate della montagna gli dan la neve pei suoi sorbetti: forse nel regno della cuccagna a lui, di notte, mille folletti portan le essenze più dolci e strane di miele, fragole, menta e banane. Forse… (bambini sentite me) del parco pubblico quell’uomo è il re! Quando si chiudono tutti i cancelli e buoni dormono bimbi ed uccelli, sotto un gran platano il nostro ometto si siede in trono sul suo carretto. Il venditore di palloncini a lui s’inchina con riverenza, gli rende omaggio la diligenza frenando il trotto dei suoi ciuchini. E intanto ammiccano, là fra le rose, le lucciolette lievi e curiose… Ma chi può dirlo? Nessuno sa chi sia davvero quel personaggio ch’è ricomparso alla fine di maggio nel parco pubblico della città. V. Ruocco
La vocazione del perdigiorno Vediamo un po’: che mestiere farò? Il meccanico no, perchè ci si insudicia tutti e così neri e brutti e con la faccia scura si fa brutta figura. Vediamo un po’: che mestiere farò? Il falegname no, perchè quando seghi di lena ti fa male la schiena, e quando pialli ti vengono i calli. Vediamo un po’: che mestiere farò? Il contadino no perchè nella terra che è soda la vanga s’inchioda, e per bene zappare bisogna faticare. Vediamo un po’: che mestiere farò? Io proprio non lo so, il sarto lo scarto, il cuoco può scottarsi col fuoco, il muratore può sciogliersi in sudore, il calzolaio poi non mi va giù per quel puzzo di cuoio e caucciù, e piuttosto di fare il parrucchiere faccio un altro mestiere. Ecco proprio non so che mestiere farò. Che non ci sia davvero un mestiere leggero in cui si possa stare in pace a riposare? A. Novi
La piccola massaia Perchè mamma ha da finire di stirare e di cucire, dopo il pranzo la bambina rigoverna la cucina. Toglie l’acqua dal fornello, mette i piatti nel mastello. Poi asciuga le posate chè non restino macchiate. Ora mira quel che ha fatto con il cuore soddisfatto. Prende il libro e si dispone a imparare la lezione. R. Pezzani
Chi lavorò per la casetta? Vien per primo il muratore: calce e pietre egli ha portato. Con che cosa ha lavorato? Viene avanti un falegname travi e porte, anche scalini e finestre ha preparato. Con che cosa ha lavorato? Viene il fabbro: chiavistelli, serrature e infin cancelli mise a posto e preparò. Con che cosa lavorò? Non scordiamo l’imbianchino e nemmen l’elettricista e l’idraulico e il giardiniere: tutti han fatto il loro dovere. Ed infine dal mattino la mamma cara e buona rende linda ognor e gaia la casetta, che risuona di tua vita, o mio piccino. T. Belforti
La macchina per cucire La macchina cuce ronzando via, rapida, sempre di più. La stoffa si ammucchia frusciando, su e giù vola l’ago, su e giù. Che bella impuntura perfetta! Han fatto un grembiule in un’ora: la macchina allegra che ha fretta la mamma che canta e lavora. A. Lugli
La mietitrice La mietitrice, in mezzo al biondo grano, canta e miete con l’agile mano. Miete e canta: “O spighe tutte d’oro, frutto di terra, frutto di lavoro!” Canta e miete: “O morbidi covoni, che date i pani saporiti e buoni a tutti i bimbi ricchi e poveretti. turgidi chicchi siate benedetti!” La mietitrice, in mezzo al grano biondo mietendo canta: “Com’è bello il mondo!”
Piccolo pescatore Lietamente batte l’onda sulla sponda… dallo scoglio un bimbo tende l’amo e attende… Fanno i pesci: “Oh lo sappiamo! Quello è un amo”. Ed al largo van nuotando, canzonando. Ma di luce è il cielo, e pare cielo il mare. Tutto lieto il bimbo pesca l’acqua fresca. L. Schwarz
Filastrocca dei mestieri C’è chi semina la terra, c’è chi impara a far la guerra, chi ripara le auto guaste e chi sforna gnocchi e paste. C’è chi vende l’acqua e il vino, chi ripara il lavandino, c’è chi pesca nel torrente e magari prende niente. C’è chi guida il treno diretto e chi a casa rifà il letto, chi nel circo fa capriole e chi insegna nelle scuole. C’è chi recita, chi balla e chi scopa nella stalla. Così varia è questa vita che la storia è mai finita. Gianni Rodari
Per essere contenti Diceva un’ape: “Ohimè che gran fatica correr sempre su e giù di fiore in fiore; d’ogni corolla sugger l’umore! Di me ben più felice è la formica!…” Diceva la formica: “Oh, che dannata vita girare in cerca di alimenti faticar sempre, vivere di stenti!… L’ape, certo, è di me più fortunata…” Da un ramo un uccellino che le udì, modulò il canto e disse lor così: “Sorelle, ognuno il suo destino porta e l’invidia davver non ci conforta. Un mezzo c’è per vivere contenti: fare il proprio dover senza lamenti!” G. Fabiani
Il vigile urbano Chi è più forte del vigile urbano? Ferma i tram con una mano, con un dito, calmo e sereno, tiene indietro un autotreno; cento motori scalpitanti li mette a cuccia alzando i guanti. Sempre in croce in mezzo al baccano; chi è più paziente del vigile urbano? Gianni Rodari
Il mio vigile Ad un angolo della città il mio vigile fermo sta impeccabile ed attento a sorvegliare il movimento. I veicoli che vanno a un suo cenno fermi stanno e anche i grossi torpedoni fan la sosta buoni buoni. E’ assai alto di statura però a me non fa paura. Quando gli passo sotto il viso mi fa perfino un sorriso. Mamma Serena (I libri del come e del perchè)
L’arrotino O quell’ometto, con quel carretto, che giri la ruota in quel vicoletto, che giri la ruota tutto il dì: pedali, pedali e sei sempre lì! Gianni Rodari
Disoccupato Dove sen va così di buon mattino quell’uomo al quale m’assomiglio un poco? Ha gli occhi volti all’interno, la faccia sì dura e stanca. Forse cantò coi soldati di un’altra guerra, che fu la nostra guerra. Zitto egli sen va, poggiato al suo bastone e al suo destino, tra gente che si pigia in lunghe file alle botteghe vuote. E suona la cornetta all’aria grigia dello spazzino. Umberto Saba
Cose utili L’incudine e il martello la lima e lo scalpello, la pialla e il pialletto, la lesina e il trincetto, le forbici e il ditale, e l’ago e l’agoraio, la penna e il calamaio, son per l’uomo cose d’oro perchè servono al lavoro. F. Dall’Ongaro
I mestieri Il falegname dice: “Io lavoro felice il pioppo e la betulla. Fo la madia agli sposi, al bambino la culla perchè sogni e riposi”. Arriva l’arrotino e si ferma ai cancelli e chiama il contadino che gli porta i coltelli, le forbici, le scuri. Tutti quei ferri oscuri, invecchiati nei campi, ora mandano lampi. Il contadino dice al bove che l’aiuta e faticando tace: “La stagione è venuta; dobbiamo arar la terra”… Com’è bella la pace! Com’è brutta la guerra! R. Pezzani
Il lavoro I piccoli animali fanno tutti un mestiere: fanno il fabbro e l’artiere, son sarti e manovali. Il ragno tessitore rifabbrica la tela, che somiglia a una vela su un mare di splendore. La rana che si liscia all’orlo del fossato sta in guardia dall’agguato che le tende la biscia. Lo scarabeo al cantiere rotola una pallina: così come cammina somiglia a un carrettiere. E, se senti un scricchio, e un passo nel fogliame: se senti un falegname che batte e pialla, è il picchio. C’è tutto un gran fervore c’è tutto un gran da fare: perchè chi vuol mangiare bisogna che lavori. G. Porto
Il ferro Come canta, stamattina, il martello tuo, fuciina. Il sagrato ne è percosso, anche il cielo si fa rosso. Con la cresta di corallo l’accompagna, adesso, il gallo; e anche il bue manda un muggito, che da poco poco è uscito, e il bifolco l’aia spazza e si leva la ragazza. S’è svegliata, già vestita, la farfalla colorita e risale sopra il coppo del camino, poi sul pioppo. La piazzetta tutta suona e di stelle si incorona. Rosso è il ferro come il cielo: ecco, ha fatto fiore e stelo. Lina Carpanini
Bellezza e lavoro Disse l’ape alla farfalla: Io t’invidio, o mia sorella: tu sei libera, sei bella, voli amabile tra i fiori; mentre io son condannata tutti i giorni ai miei lavori”. Ma la vaga farfallina le rispose assai gentile: “Non aver, mia cara, a dire più al lavor che alla beltà. A te il miele; a me che resta quando il verno tornerà?” A. Alfani
I due vomeri Un dì d’autunno un vomere fattosi per lungo ozio rugginoso, vide il fratel tornarsene dai campi luminoso, e domandò curioso: “Sopra la stessa incudine fatti, e d’un solo acciaio, io son pieno di ruggine, tu sì pulito e gaio: chi mai ti ha fatto così bello?” “Il lavoro, caro fratello!”. C. Betteloni
Nel giardino Nel bel giardino, sotto il sole d’oro, un ragno tesse la sua tela fina fra stelo e stelo; alla sua casettina porta un chicco di grano, la formica. Un’ape succhia il nettare di un fiore, e, con voli felici, il suo nidietto, fa un passero canoro sotto il tetto. Una gallina insegna ai suoi pulcini come si becca… Ognuno ha il suo lavoro nel bel giardino, sotto il sole d’oro. C. Betteloni
Il pastorello e il marinaio Il pastorello guarda l’immenso azzurro mare e pensa: “Se potessi io pure navigare verso i lidi infiorati d’eterna primavera, correre sopra l’onde, lottar con la bufera!” Il marinaio guarda la collina fiorita, pensa: “Lassù fra il verde, com’è bella la vita! Lungi dalle tempeste, nella casetta sola, dove l’amor riunisce la lieta famigliola”. Dalla collina al mare soffia leggero il vento, e pensa: “Del suo stato nessun uomo è contento”. A. Tedeschi
Il tesoro Quanto a tesori, un’altra se ne narra: c’era una volta un vecchio contadino che aveva il suo campetto e la sua marra e tre figlioli. Giunto al lumicino volle i suoi tre figlioli accanto al letto. “Ragazzi” disse “vado al mio destino ma vi lascio un tesoro, è nel campetto…” e non potè più dir altro, o non volle. A mente i figli tennero il suo detto. Quando fu morto, quelli il piano, il colle vangano, vangano, vangano invano voltano al sole e tritano le zolle niente! Ma nel raccolto, quando il grano vinse i granai, lo videro il tesoro che aveva detto il vecchio: era in lor mano. Era la vanga dalla punta d’oro. G. Pascoli
I seminatori Van per il campo i validi garzoni guidando i vuoi dalla pacata faccia e, dietro quelli, fumiga la traccia del ferro aperta alle seminagioni. Poi, con un largo gesto delle braccia spargon gli adulti la semenza, e i buoni vecchi, levando al cielo le orazioni pensa a frutti opulenti, se a Dio piaccia. Quasi una pia riconoscenza umana oggi onora la terra! Nel modesto lume del sole, al vespero, il nivale tempio di monti innalzasi, una piana canzon levano gli uomini, e nel gesto hanno una maestà sacerdotale. G. D’Annunzio
Il pane Il mulin, rombando, il grano frange in candida farina il fornaio la raffina staccia, intride, a mano a mano; cuoce poi nel forno ardente gli odorosi bianchi pani e li porge alle tue mani oh, mio piccolo ridente. V. Brocchi
Evviva ogni lavoro La farfalletta vola i bimbi vanno a scuola il gatto fa le fusa se sbaglio chiedo scusa. La rondine è sul tetto il cappellino metto buongiorno buonasera saluto anche una pera. Grazie, per favore, sorrido con amore il cavalier cavalca chi pesca è sulla barca. Il pane fa il fornaio tra i fiori sta il fioraio fa i conti il ragioniere le aiuole il giardiniere. Fa gli abiti la sarta e c’è chi vende la carta. Cantiamo tutti in coro: “Evviva ogni lavoro!”
Il minatore Sempre giù nei regni oscuri batto batto col piccone ed al grembo della terra strappo i blocchi di carbone. Giù nel cuore della terra nero nero e impolverato compio lieto il mio lavoro che parrebbe tanto ingrato. Il bel sole non mi scalda non mi allieta col suo raggio ma nel cuore ho un altro sole che ravviva il mio coraggio. “Batti” dico “minatore tutto il mondo è rallegrato se riceve il buon calore che il tuo braccio ha preparato”. E la terra ti sorride se la liberi dai doni da millenni custoditi per i figli tristi e buoni. E. Minoia
Il ciabattino Tira, tira, ciabattino il tuo filo, ch’è impeciato sarà lieto il fanciullino che la scarpa hai risuolato; sempre curvo sul bischetto batti il cuoio col martello poi lo tagli col trincetto e lo rendi liscio e bello. Suole e tacchi, canticchiando, tu ripari attentamente e i bambini, saltellando, te li rompon nuovamente. Taglia, impecia, tira, batti fino a sera senza posa ma i lavori saran fatti e sereno poi riposa. I piedini affonderanno nella neve, asciutti asciutti, ed un grazie ti diranno di gran cuore, i bimbi tutti. E. Minoia
Canzone del cuoco Cuoco cuoco cuoci un poco nel tuo forno grande e tondo il buon pane dall’odore che rallegra il nostro cuore.
Calzolaio Io sono l’ometto che fa il calzolaio seduto al deschetto lavoro e son gaio. Se avete una scarpa che è rotta e non va portatela subito portatela qua.
Il lavoro Scuote la mamma i panni al sole spuntan già le prime viole. Batte il cuoio il ciabattino nel suo buio sgabuzzino. Zappa il babbo la sua aiuola mentre il bimbo corre a scuola.
Falciatura Taglia falce spoglia il prato dell’erbetta che ci ha dato. Presto un mato indosserà che più bello ancor sarà. Di fioretti tempestato e di aromi profumato. Taglia falce su, t’affretta già la mucca: l’erba aspetta. E la terra liberata della messe che ci ha data, lenta esala sopra il prato il respiro suo beato. E. Minoia
Semina Nel silenzio del mattino getta il chicco il contadino getta il chicco, getta getta alla terra che lo aspetta. Gli gnometti nel profondo si rallegran per il mondo getta il chicco, getta getta alla terra che lo aspetta. Guarda il ciel benedicente il cader della semente getta il chicco, getta getta, la semente è benedetta.
Il contadino Porta sull’ampie spalle il suo fardello. la zappa luccicante ed il piccone, cammina fischiettando una canzone mentre lo bacia in fronte il sol novello. Sorride alla campagna circostante, che lo vide ogni giorno alla stess’ora, saluta con lo sguardo le sue piante e il fertile terreno che l’onora. Poi si accinge al lavoro con fermezza, senza indolenze, senza un sol lamento: passa tra l’erbe sussurrando il vento che scompiglia i capelli e li accarezza. A mezzogiorno, smette di zappare per la parca, affrettata colazione; poi ricomincia sotto il solleone con maggiore entusiasmo a lavorare. Finchè viene la sera… O contadino, io t’ammiro e ti guardo con rispetto, mi piace il fare tuo sincero e schietto, che non conosce l’ozio cittadino. R. Rippo
Gli attrezzi del contadino Io son la zappa buona a dissodare i terreni più duri e più sassosi; l’erbacce e le radici so estirpare e i luoghi incolti rendere ubertosi. Ed io sono il rastrel dai forti denti che rompon e sminuzzano il terreno, ricoprono le piccole sementi e, se tu vuoi, radunano il buon fieno. E siamo noi le forbici e i coltelli per ben potare e far gli innesti belli: falci e falcetti siamo per segare l’erba fiorita o il gran da macinare. Sono l’aratro pio, grande e possente, che col vomere smuovo il suol profondo, che apro il diritto solco alla semente del granoturco e del frumento biondo. A. Cuman Pertile
Il lavoro Lavoro, miei bimbi, sapete che cosa vuol dire? Guardatevi attorno: tutto il mondo lavora. Lavoro è zappare la terra battere il martello nella buia bottega, guidare i treni veloci, partire e tornare pei cieli; lavoro è pulire le strade, cuocere il pane, curare chi soffre. Ecco: ogni azione compiuta per il bene di tutti è lavoro. Nel lavoro ognuno trova la gioia; e sol chi lavora è felice. A. Ferrari
L’ape, la formica e il baco Su un gelso s’incontrò un baco da seta intento a mangiucchiare le ghiotte foglie, con la vecchia amica l’ape, in cerca di miele e la formica affaccendata sempre ed irrequieta. “Quanto, quanto daffare!” diceva l’ape, “Ho tanto miele e cera ancora da recare all’alveare del mio vecchio padrone! Ma godo sol pensando a quanto ghiotto miele pei suoi piccini avrò prodotto”. “E io qui sto facendo indigestione,” soggiunse il bravo baco, “per rendere più liete le donne, con le mie lucenti sete. Ma tu, cara formica, che sempre intorno vai con sì lunga fatica, agli uomini che utile tu dai?” E la formica: “Ciò che offro loro è meglio di un tesoro: l’esempio del lavoro.” Favolello
Speranza dell’emigrante Prende un sacco, bacia la terra, va lontano e non va alla guerra. Porta il picco come una croce se parla, il pianto gl’incrina la voce. Rottame vivo di beni distrutti ha sulla faccia il bacio di tutti, che, lui pensando, raccolti ogni sera, musicheranno miseria e preghiera. Grande è la terra, più grande il mare: Dio solo sa se potrà ritornare a rivedere suo figlio, perchè in mezzo al mare una strada non c’è. Solo il dolore egli avrà per compagno e nella tasca di duro fustagno, dentro la tasca più fonda e segreta, la chiave nera e la poca moneta. Con quella chiave egli vuole partire. Senza speranza che vuole morire. Chissà che un giorno approdando un naviglio ritroverebbe, cresciuto, suo figlio e la sua piccola donna nei bui silenzi, desta, che prega per lui. R. Pezzani
Pizzicheria “Ettogrammo, chilo, mezzochilo, cacio, burro, prosciutto, salame, acciughe, salacche, baccalà…” Sono voci del gergo si questo virtuoso reame. “Mi serve o non mi serve? Ho tanta fretta!” “Aspetti…” “Mi dia retta. Venga qua”. S’infuria una servetta, una s’acquieta. “Il solito formaggio ma con poca corteccia”. E una sicura mano apre una breccia nel parmigiano. Molla e tira, tira e molla, poca corteccia e di molta midolla. Aver fretta ed aspettare, pesare, tagliare, affettare, entrare, andar via, sono le note costanti della quotidiana sinfonia in una antica pizzicheria… A. Palazzeschi
Tutti lavorano Dice il cane: io guardo la casa. Dice il gatto: io acchiappo i topi. Dice il bue: io tiro il carro. Dice la gallina: io faccio le uova. Dice la mucca: io do il latte. Dice la pecora: io do la lana. Dicono gli uccelli: noi cantiamo e facciamo festa a tutti. Dice il bambino: io gioco e vado a scuola. M. Ciliberti
Ode al muratore tranquillo Il muratore dispose i mattoni. Mescolò la calce, lavorò con la sabbia. Senza fretta, senza parole, fece i suoi moviemtni erigendo la scala livellando il cemento. Lento andava e veniva nel suo lavoro e dalla sua mano la materia cresceva. La calce coprì i muri un pilastro levò in alto la sua nobiltà e il tetto frenò la furia del sole esasperato. Sa un punto all’altro andava con mani tranquille il muratore rimovendo materiali. E alla fine della settimana, i pilastri, l’arco, figli della calce, della sabbia, della saggezza e delle mani inaugurarono la semplice saggezza e la frescura. Pablo Neruda.
Nostro lavoro quotidiano
Se tu lavori con la gioia nel cuore, il lavoro non pesa. se tu pensi che il tuo lavoro è un granello di sabbia che si aggiunge a tutto il lavoro del mondo, anche il lavoro più duro è leggero. Se tu pensi che l’ape lavora, l’uccello lavora, ogni essere del mondo lavora, tu ti senti creatura del mondo in perfetta armonia col creato. (A. Rosi)
Il più bel giorno
S’io facessi il fornaio vorrei cuocere un pane così grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare. Un pane più grande del sole, dorato, profumato come le viole. Un pane così verrebbero a mangiarlo dall’India e dal Chili i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini. Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia! (G. Rodari)
Il falegname
La pialla mormora, stride la sega del falegname nella bottega, spesso il martello picchia sonoro e senza posa ferve il lavoro. Il buon artiere non è mai stanco; eh, quanti arnesi tiene sul banco: lime, tenaglie, torni, succhielli! E sceglie e adopera or questi or quelli. I grossi tronchi prima recide, indi paziente leviga, incide, trafora il legno con precisione e mille oggetti poi ne compone. Ne fa balocchi, gabbie, utensili, tavole e sedie rozze e gentili.
Il pastore
Sopra l’erbetta tenera sta un pastorello assiso, e il gregge suo che pascola guarda con lieto viso. A lui d’accanto mormora il ruscelletto lieve, quegli dell’acqua limpida placidamente beve. Quand’ecco vede sorgere nube nel cielo oscura, che in breve tempo ingombralo e ispira a ognun paura. (G. Leopardi)
La bottega del fabbro
Dall’alba a sera, di settimana in settimana, sopra l’incudine come i rintocchi di una campana suonano i tocchi del martel rude; sulle stridenti braci il ventoso mantice anela senza riposo. I fanciulletti, che dalla scuola tornano, all’uscio fermano il passo e contemplando senza parola stanno il martello, che or alto or basso fuor della soglia correre a milla, come la pula, fa le scintille. (G. Zanella)
Seminatore
Con gesto largo dell’esperta mano, o contadino, semini il frumento, sai che la terra non promette invano e il viso hai serio e l’animo contento. Sembra che brilli, nel suo volo, il grano come se al sole lo spargesse il vento. La bruna terra ride al colle, al piano, ed ogni chicco te ne darà cento. (F. Socciarelli)
L’arrotino
Arriva l’arrotino e si ferma ai cancelli e chiama il contadino che gli porti i coltelli, le forbici, le scuri. Tutti quei ferri oscuri invecchiati nei campi ora mandano lampi. (R. Pezzani)
I pescatori notturni
Vengono al mar quando la luna accende per gli spazi tranquilli il mesto vel; vengono al mar quando la nebbia stende le bianche braccia e lo congiunge al ciel; portan la vela lacerata ai venti, come stendardo che in battaglia errò; portano remi e canapi stridenti, che il nerbo delle braccia affaticò; e sulla tolda silenziosa e bruna restan le lunghe notti ad aspettar, ad aspettar sotto la fredda luna che il pan dell’indomani apporti il mar. (E. Praga)
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Poesie per la festa della mamma – una raccolta di poesie e filastrocche per la festa della mamma, di autori vari, adatte a bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Ti voglio bene Ti voglio bene, mamma… come il mare! Non basta: come il cielo! No, più ancora. Mamma, ci penso già quasi da un’ora, eppure quel nome non lo so trovare. So che quando torno dalla scuola i gradini li faccio a rompicollo, per l’impazienza di saltarti al collo e il cuoricino, puf, mi balza in gola. Ti voglio bene quando sei vicina e quando non ci sei: quando mi abbracci. Ti voglio bene anche se mi fai gli occhiacci. Ti voglio bene sempre, sai, mammina? L. Santucci
Il mazzo di fiori Tre garofani, due rose, sei viole del pensiero, cinque bianche tuberose: un bel mazzo per davvero! Carlo porta i fiori in dono alla mamma: quanti sono?
Proprio quella Chiede Lilì: “Ma dimmi, babbo mio, come hai potuto indovinar da te, proprio la mamma che volevo io, proprio la mamma che va ben per me?” L. Schwarz
Fiori per la mamma Io raccolgo roselline, tu ranuncoli dorati tu narcisi e pratoline sulle rive e in mezzo ai prati. Oh mammina, tanti fiori raccogliamo, sai perchè? Per l’aroma? Pei colori? Per donarli tutti a te. D. A. Rebucci
Mamma Quando l’ombra discende sonnolenta, mamma, mi piace di sentir la mano tua, che carezza i miei capelli, lenta; sentir la voce tua che parla piano; posar la testa sopra i tuoi ginocchi! E quando chini il viso sul mio viso, tutta la luce, mamma, è nei tuoi occhi, nel tuo sereno e limpido sorriso; e una gran pace scendo in me così, null’altro desiderio il cuor m’infiamma, e la gioia del mondo è tutta qui, nella tua mano che mi sfiora, mamma! Zietta Liù
Il bimbo e la mamma Mammina, quante dolci piccole stelle! Ma le piante sono come belve accovacciate! Un’ombra si muove piano, piano… dove sei, mamma! Prendimi per mano. Un passo leggero ci segue. Uno sconosciuto nero muove le fronde… Si nasconde come per farci spavento! E’ il vento. Non è vero, mammina? E’ il vento. Le stelle sono lontane lontane… Sembrano carovane sperdute nell’oscurità… E si cercano invano! Di là dalle stelle, che ci sarà? Mammina, prendimi per mano. (U. Betti)
Alla mamma Mamma, per la tua festa io ti offro una cesta di baci e un cestino di stelle. Ti offro un cestino di fiori su cui posare la testa quando sei stanca; una fontana di perle lucenti color della luna, una ghirlanda di rose e una montagna di cose gentili un cuore tanto piccino e un amore grande così: mamma per questo dì. L. Nason
La mamma Che cos’è la mamma? Oh, bambino, tu vuoi saperlo cos’è? Qualcosa di grande! Benchè il tuo cuoricino sia piccino piccino la mamma dentro ci sta! La mamma è lo stesso del tuo cuore che soffre per te che vive soltanto perchè tu vivi, suo tenero fiore! C. Pagani
Gli occhi della mamma Se mi soffermo a guardare negli occhi la mia mamma vi scorgo uno stagno incantato. Attorno s’innalzano gli alberi e un’isola un poco confusa circondan le limpide acque. Potessi io volger la prua della mia povera barca verso quelle acque silenti! I pesci più rari vi nuotano e uccelli preziosi sugli alberi dell’isola a me tanto cara innalzano canti di giubilo. Se mi soffermo a guardare negli occhi della mia mamma vi scorgo uno stagno incantato. Poesia popolare giapponese
Per la mamma Filastrocca delle parole: si faccia avanti chi ne vuole. Di parole ho la testa piena, con dentro “la luna” e “la balena”. Ma le più belle che ho nel cuore, le sento battere: “mamma”, “amore”. Gianni Rodari
Favola e sogno Oh, la brina degli anni sui capelli! E’ scesa lenta e d’improvviso è sera. Ma nel crepuscolo ancora l’anima ad una qualche favola s’indora dolcemente. Un navicello antico scivolando su meraviglie d’acque nel mattino mi porta ad un’isola verde ove sotto platani frondosi in riva a un quieto lago sorridono le madri: la mia con gli occhi andalusi, giovane come nel tempo ch’era appena fanciulla. Non parla, tra le braccia mi stringe al seno: e l’aria m’avvolge d’un canto invisibile d’uccelli tra i rami in mutevoli voli dentro le folte fronde. Oh, la brina degli anni sui capelli! Ma io come un bambino stordito cerco mia madre e può ricondurmi da lei qualche favola bella che l’anima indora. C. Saggio
Ti voglio tanto bene Ho pregato un poeta di farmi una poesia con molti auguri per te, mammina mia; ma il poeta ha risposto che il verso non gli viene; così ti dico solo: ti voglio bene! L.Schwarz
Mamma cangura Quale mamma si cura del suo piccolino più della cangura? Anziché in passeggino in giro lo porta in una sorta di sporta fatta di pelle senza manici nè bretelle senza cinghie nè tracolla, e come una molla spicca salti lunghi e alti mentre il suo cuccioletto sta comodo come a letto…
Auguri mamma Se io fossi, mamma, un uccellino che vola nel cielo profondo vorrei offrirti il mio canto più dolce, soave, giocondo. Se io fossi, mamma, una stella che brilla nel bruno firmamento con more e baci a cento a cento. Ma essendo solo un bambino e non avendo che il cuore, ti voglio stare vicino per dirti tutto il mio amore.
L’amore per la mamma Mammina, mia dolce, mia cara mammina, vuoi conoscere l’amore della tua bambina? Il mio amore per te è lungo come una strada che non finisce, non finisce mai, e più cammini, più lontano vai, non termina l’amore e non si chiude la strada. M. Remiddi
Ho fatto un mazzolino Ho fatto un mazzolino coi fiori del giardino li ho colti stamattina insieme col papà, sono i fiori per la tua festa, cara mamma eccoli qua: una rosa perché ti voglio bene, una viola perché sarò ubbidiente, un papavero non so perché un non ti scordar di me. Un mughetto insieme a un gelsomino da quest’oggi sarò sempre più buono una primula vuol dire che il primo pensiero sei per me! Qualche ciclamino perché dimentichi che sono birichino, un girasole, una margherita, perché tu sei il sole della vita! Una rosa perché ti voglio bene una viola perché sarò ubbidiente, un garofano, una pansé e tutto l’amore che c’è in me!
La mamma viene Alla finestra sono affaccendati insieme tre piccini. tre fratelli. E guardano ansiosi per la via fra muri e siepi, così bianca e lunga, se alfine giunge chi tarda: se giunga la mamma, che ha promesso, andando via, di tornare presto con le mani piene. “Mamma! La mamma viene!” scoppia dalle tre gole un solo grido. E’ spuntato, là in fondo, il caro viso di mamma, che già guarda alla finestra, agitando un involto con la destra. E s’affretta, s’affretta… Ecco, è vicina e già saluta col soave riso i bimbi ch’ella adora ed ha lasciato triste la mattina, lavorando di lena tutto il giorno sol per quest’ora dolce del ritorno. D. Garoglio
Festa per la mamma Mamma, per la tua festa avevo preparato un fiore di cartapesta: gambo verde, petali rosa vedessi mamma che bella rosa! Ma per la strada il fiore è caduto, o forse sull’autobus l’ho perduto. Che pasticcio, mammina mia, avevo imparato la poesia: la poesia non la so più, ora che faccio, dimmelo tu. Posso offrirti un altro fiore quello che nasce nel mio cuore. Posso dirti un’altra poesia: Ti voglio bene, mammina mia.
Per la mamma La mia preghiera ascolta angelo dolce e pio, tu che in cielo ogni volta puoi parlare con Dio. Digli che sono piccino, che la mia mamma adoro, che sono birichino ma sono il suo tesoro. Digli che sarò buono, che a lui mi raccomando e che nessun bel dono per questo gli domando. I. Alliaud
Augurio alla mamma Quando ti levi splenda il sole cantino gli uccellini. Quando sfaccendi in ogni stanza ci sia un lume di speranza. Se accarezzi i tuoi bambini siano un mazzetto di fresche viole; se rammendi, se dipani benedette le tue mani. Se riposi a tarda sera nel giardino della preghiera ti sia lampada una stella, la più chiara, la più bella. E la notte, quando chiudi gli occhi e al sonno ti abbandoni, venga l’angelo a piedi nudi, e di sogni t’incoroni. A. Rebucci
Ha detto mamma Venite anche voi l’udrete: ha detto proprio bene “Mamma!” il mio uccellino; l’ha detto, ve ne assicuro! Voi sorridete incredule e pensate che io vi inganni ma no, egli l’ha detto poco fa, distintamente. Ma ora perchè mai si ostina a restar muto mentre vi chiamo per farvelo sentire? “Mamma” su dilla ripeti la parola meravigliosa; su, mio piccolo, parla, altrimenti mi derideranno rideranno di me. E diranno che tua madre ha sognato di ufire quello che tu pure dici così bene! Ah! Perchè taci? E’ dunque una grazia che tu fai solo a tua madre il dirmi “mamma” distintamente? Anonimo del Congo
Che cosa è una mamma Una mamma è come un albero grande che tutti i suoi frutti ti dà: per quanti gliene domandi, sempre uno ne troverà. Ti dà il frutto, il fiore, la foglia, per te di tutto si spoglia: anche i rami si taglierà. Una mamma è come un albero grande. Una mamma è come il mare. Non c’è tesori che non nasconda. Continuamente con l’onda ti culla e ti viene a baciare. Con la ferita più profonda non potrai farla sanguinare. Una mamma è come il mare. Una mamma è questo mistero. Tutto comprende, tutto perdona, tutto soffre, tutto dona, non coglie fiore per la sua corona. Puoi passare da lei come straniero poi calpestarla in tutta la persona: ti dirà: buon cammino, bel cavaliero! Una mamma è questo mistero. F. Pastonchi
La festa della mamma O mamma, ti vo’ far la serenata e ti dirò che un angelo tu sei, donato dal Signore ai giorni miei. Con i fiori più rari, una corona voglio intrecciarti, mia mammina buona, e al sole vo’ rubare i raggi belli, per farne un serto per i tuoi capelli. Ti donerò ogni giorno tanto amore e specialmente se ti piange il cuore; il cielo pregherò perchè tu viva tanti e tant’anni, sempre più giuliva; giuliva di vedere i figli tuoi sempre più buoni, come tu li vuoi. T. Romei Correggi
L’infinito amore E’ grande il cielo, e riluce di stelle, è grande il mare e in fondo ha le sue perle, è grande il mondo e in seno ha una gran fiamma che brucia dentro il cuore d’ogni mamma; e questa fiamma il suo cuore s’affina, e la sublima, la rende divina: le fa scordare le sue pene amare, se un bimbo le sta in grembo a trastullare. O amor di mamma! O nome tutto santo! Commuovi il cuore da venirne il pianto! C. Di Bella
Essere re Ti piacerebbe essere re con un bel cavallo bianco una spada d’oro al fianco, un castello tutto per te? Aver dietro scudieri armati, così bene allineati che uno ne vedi ma cento ce n’è. Avere in tasca cento fiorini che tutto il mondo si può comperare quanto è la terra e quanto è il mare e montagne, città, giardini. Ma non avere la mamma con te che dentro gli occhi ti cerca il cuore. Avere tutto , meno il suo amore. Ti piacerebbe essere re? R. Pezzani
Mamma Ho pregato un poeta di farmi una poesia con molti auguri per te, mammina mia, ma il poeta ha risposto che il verso non gli viene così ti dico solo: “Ti voglio tanto bene!” Lina Schwarz
Madre La parola più bella sulle labbra del genere umano è madre e la più bella invocazione è “madre mia”. E’ la fonte dell’amore, della misericordia, della comprensione, del perdono. Ogni cosa in natura parla della madre la stella sole è madre della terra e le dà il suo nutrimento di calore; non lascia mai l’universo nella sera finchè non abbia coricato la terra al suono del mare e al canto melodioso degli uccelli e delle acque correnti. E questa terra è madre degli alberi e dei fiori. Li produce, li alleva e li svezza. Alberi e fiori diventano madri tenere dei loro grandi frutti e semi. La parola “madre” è nascosta nel cuore e sale sulle labbra nei momenti di dolore e di felicità, come il profumo sale dal cuore della rosa e si mescola all’aria chiara e all’aria nuvolosa. Kalil Gibran
Madre Io credo senza incertezza e affermo che per le tue preghiere, madre, Dio mi ha concesso l’intenzione di non proporre, non volere, non pensare, non amare altro che il raggiungimento della verità. Sant’Agostino
Mamma Quando l’aurora desta sotto il limpido cielo mattutino, ad uno ad uno tutti i campanili, e sopra il tuo balcone è già una festa di lunghi trilli, di squittii, di gridi, tu sogni Cappuccetto, che il cammino perso ha nel cuore della gran foresta, o Pinocchio che sfugge agli assassini. Ma la mamma ti bacia sui capelli, e il lupo fugge, cadono i briganti, compaiono le fate coi principi a cavallo entro castelli dalle torri incantate, cantano al bosco, dentro argentei nidi sospesi sopra limpidi ruscelli, uccelli tutti d’oro sfolgoranti; e, sotto i cigli chiusi, tu sorridi. V. Bosari
Stornellata alla mamma Fior di gaggia… E’ bello il sol nella gran luce sua. Più bello è il viso della mamma mia. Fior di piselli… Occhieggiano i bei fior su monti e valli; ma gli occhi della mamma son più belli. Fior d’amaranto… Cantar per l’aria gli uccellini sento; ma assai più dolce è della mamma il canto. Fiore che olezza… Zeffiro lieve carezzando passa; ma più lieve di mamma è la carezza. Fiore d’acanto… Se una pena nel cor pungere sento, corro da mamma; e si rasciuga il pianto. Ginestre d’oro… Nè ricchezze nè beni in terra spero: mi basta il cor di mamma: è il mio tesoro. B. Fosi
Finestra illuminata Forse è una buona vedova… Quand’ella facea l’imbastitura e il soprammano, venne il suo bimbo e chiese la novella. Venne ai suoi piedi, ella contò del topo, del mago… Alla costura, egli , pian piano, l’ultima volta le sussurrò: “Dopo?” Dopo tanto c’è sempre qualche occhiello. Il topo è morto, s’è smarrito il mago. Il bimbo dorme sopra lo sgabello, tra le ginocchia, al ticchettio dell’ago. G. Pascoli
Mia madre Non sempre il tempo la beltà cancella, o la sfioran le lacrime e gli affanni; mia madre ha sessant’anni e più la guardo e più mi sembra bella. Non ha un accento, un guardo, un riso, un atto che non mi tocchi dolcemente il cuore; ah, se fossi pittore, farei tutta la vita il suo ritratto! Vorrei ritrarla quando inchina il viso perch’io le baci la sua treccia bianca, o quando, inferma e stanca, nasconde il suo dolor sotto un sorriso… Ma, se fosse un mio prego in cielo accolto, non chiederei del gran pittor d’Urbino il pennello divino per coronar di gloria il suo bel volto: vorrei poter cambiar vita con vita, darle tutto il vigor degli anni miei, veder me vecchio e lei, dal sacrificio mio, ringiovanita. E. De Amicis
La mamma Anche povera come l’uccello che, fuor del nido, nulla possiede, sempre la mamma ha cuore da dare chè suo figlio non abbia a penare. Sempre la mamma è il fiore odoroso che tutto intorno riempie di sè, anche se sta lontano da te col suo pensiero ti vive accanto. Splende il suo cuore come una stella, vive il suo amore come una fonte: alla sua acqua riprendi lena, alla sua luce rischiari la fronte. Tu ti nascondi, ma lei ti vede; tu non le parli, ma lei t’intende; sulla tua soglia sempre si siede; pena le dai e letizia ti rende. Come albero che goccia nel sole rivestito di subito incanto, se tu le dici dolci parole diventa luce pure il suo pianto. I.Drago
Mamma La casa senza mamma è un fuoco senza fiamma, un prato senza viole, un cielo senza sole. Dove la mamma c’è il bimbo è un vero re, la bimba reginella la casa tanto bella. R. Pezzani
La mamma Sul paesino bianco bianco scende la notte scura scura, ma il cuor piccino non ha paura anzi è preso da un dolce incanto. Che cos’ha per compagnia la piazzetta solitaria? Ha la fontana che sempre varia la sua canzone di fantasia. E l’alberella che par morta senza un fremito di volo? L’alberella ha l’usignolo che col suo piangere la conforta. E nella casa che s’empie già d’uno stuolo vago e leggero d’ombre vestite di mistero, il bambino felice cos’ha? Il bambino ha la sua mamma ce gli fa nido con le sue braccia, che se lo stringe guancia a guancia e gli canta la ninna nanna. D. Valeri
Cantilena della mamma per il bimbo malato Non piangere, uccellino azzurro venuto d’oltre mare tra il sussurro delle palme di Barberia, viticcio della vita mia, buono come la mandorla nel guscio, gentile come il cucciolo sull’uscio, dolce come la mora della siepe, bello come la stella del presepe: non piangere per amore della mamma tua: manderemo via la bua. A. S. Novaro
La tua mamma La tua mamma vien ridendo, vien ridendo alla tua porta. Sai tu dirmi che ti porta? Il suo vivo e rosso cuore, e lo colloca ai tuoi piedi con in mezzo, ritto, un fiore: ma tu dormi e non lo vedi. A. S. Novaro
La tua villa, mamma! Perchè tu mi dici che sei stanca, io ti faccio, per il tuo riposo, una piccola villa sulla riva del mare. Esiguo è questo foglio, non più grande del palmo d’una tenera mano. Pure ha spazio che basta. E qui metto la strada con la siepe e le more, e qui metto le aiuole, e qui con un fruscio di timidi piedini, i pioppi e il viale. E qui metto, sul mare, il dolce girotondo di quattro finestre di quattro sorelle vestite di verde. E un tetto di rose. E un grido di gioia. Ci metto l’amaca che dondola lenta, ci metto una tenda, ci metto i tuoi fiori, ci metto il mio cuore. Riposati. E’ tua. V. Malpassuti
La mamma Se un bimbetto fa un capitombolo, se brucia il ditino sulla fiamma, chi chiama subito subito? La mamma, sempre la mamma! E la mamma è lì che consola, che conforta, che consiglia, con un bacio, una parola. B. Brusoni
Serenata Dormi se dormir ti piace, o ricciolin di spuma, dormi nella tua piuma. C’è chi per te si impegna per darti pace e fila e cuce per darti luce. Dormi se dormir ti piace. Se vedessi quante stelline picchiano alle tue finestrelle, a sette a sette per vederti dormire nel tuo lettin di gigli per vedere i tuoi cigli che fanno ombra alle guance rotondelle! Se vedessi quanti stelline! F. Pastonchi
La veste nuova Voglio farti una vestina di lanetta e cotonina che nessuno ce l’avrà. Ma per fare economia taglierò una veste mia che nessuno lo saprà. Non ho l’ago, nè il cotone. Per cucirla una canzone la tua mamma canterà taglia e cuci si fa sera. Per vederci una preghiera sul mio labbro splenderà. Ecco fatta. E domattina sembrerai una regina. Oh! La mia felicità, R. Pezzani
Alla mamma Mamma, per la tua festa io ti offro una cesta di baci e un cestino di stelle. Ti offro un cuscino di fiori, su cui posare la testa quando sei stanca, un cuore tanto piccino e un amore grande così, mamma, per questo dì. Luisa Nason
Alla mamma Non vo’ vederti più sera e mattina pensare agli altri e non pensare a te: non la vo’ più veder la mia mammina vegliar la notte e lavorar per me. Voglio comprare una casina bianca piena di sole e piena d’allegria, e là ti condurrò quando sei stanca, là ti riposerai, mammina mia. R. Fucini
Mamma Chi dice mamma dice paradiso, luce del cuore, tenerezza, incanto! E’ sempre della mamma dolce il viso, e nel suo bacio, benedetto e santo, sta chiusa dell’amor tutta l’essenza… Chi dice mamma dice provvidenza! E. Fiorentino
Che fa la mamma? Che fa il tuo babbo, dimmi, piccina? Il falegname. Brava bambina! E sai tu dirmi che fa la mamma? Oh, sissignora, lei fa la mamma. Tu non m’intendi, fanciulla mia: il suo lavoro chiedo qual sia. La mamma cuce giubbe e calzoni, gonne, vestiti, bei grembiuloni… Oh, fa la sarta, vero, bambina? Oh, nossignora. La mia mammina rammenda e stira… come si dice? Che fa, vuoi dire, la stiratrice. Nemmeno questo… Di bene, allora! Lei non m’intende, buona signora. Spiegati, dunque. Per noi bambini cuce la mamma bei vestitini: quando son sporchi li rifà netti, spazza le stanze, prepara i letti, i buoni cibi cuoce alla fiamma… insomma, creda, che fa la mamma! A. Cuman Pertile
Nell’aia La donna ha messo contro il muro il bambino e, accoccolata davanti a lui, gli tende le braccia e dice: “Vieni!”. Ma il bimbo non osa. E la madre: “Avanti, gioia mia! Fatti coraggio. Vieni da mamma tua! Vieni”. E il piccino si lascia andare, tentenna un momento poi casca tra le braccia della madre. Ride la donna e abbraccia stretto stretto il figliolo. Ride il bimbo. Dall’orto lì presso il nonno alza la testa dal lavoro e grida al nipotino: “Bravo!”. Intanto dalla strada, appoggiato al suo lungo bastone, un vecchio mendicante guarda. Michele Lessona
Prime stelle Una mamma è seduta col suo bambino in braccio sul poggiolo infiorato; vedo nella penombra le due manine tese verso un fiore dorato. E spesso le manine si levano, e si tuffano d’un tratto nella bruna chioma della pensosa madre che par sorrida alla nascente luna. Si scuote ella, e raccoglie le due piccole mani nelle sue mani, e china la persona sul piccolo corpo, e la testa preme sopra quella testina. Io non vedo; ma certo ora la madre bacia il suo bimbo. Non vedo: ma le stelle si svegliano tremolando, e sorridono solo per questo, io credo. Milly Dandolo
Mamma Non c’è parola più bella tra centomila parole; sono due sillabe sole lucenti più d’una stella. Non c’è parola più cara, nè più soave e serena; sono due lettere appena che l’uomo subito impara. Non c’è parola più grande su tutta, su tutta la terra; risuona in pace ed in guerra, in lontanissime lande. Non c’è parola più santa, tra le parole, nel cuore, comprende tutto l’amore, dolce parola che incanta. R. Bossa
Voci Quante voci, nel mondo grande! La voce del vento tra le fronde, il fischio del treno, lo sciacquio delle onde. Il rombo del tuono lontano, il ti-tac del cuore vicino, la cascata col suo fragore e il ronzio d’un motore. …E la dolce ninna nanna cantata al più piccino da una voce soave di mamma. Gina Vaj Pedotti
Il bambino e la mamma Gli chiedo:”Mi vuoi bene?” Dice: “Mammina, sì” Insisto ancora:”Quanto?” “Guarda: tanto così!” Apre le nude braccia come ali pronte al volo: da una manina all’altra c’è un mezzo metro solo. E sorride, con gli occhi color del cielo terso. Fra le due braccine tese c’è tutto l’universo. Gina Vaj Pedotti
Mamma Mammina cara, per la tua festa vorrei regalarti una collana d’oro per dirti: “Mamma, ti adoro!”. Vorrei regalarti una perla blu, per dirti quanto preziosa sei tu. Vorrei regalarti un anello con un grosso diamante per dirti, mamma, quanto sei importante. Vorrei regalarti un orologio con un fiore per dirti, mamma, “Ti voglio bene a tutte le ore”. A. A.
Poesie per la festa della mamma– Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Poesie e filastrocche sulla pioggia il temporale l’arcobaleno la grandine: una raccolta di poesie e filastrocche per la scuola d’infanzia e primaria, di autori vari.
La pioggia Pioggerellina, pioggerellina, vien giù grossa, vien giù fina; canta e ride, danza e svaria, cento righe van per l’aria. ( A. A.)
Proverbi Lampi di sera bel tempo di spera. Aria pecorina acqua vicina. Cielo a pecorelle acqua a catinelle. Il cielo si rischiara: acqua prepara.
Prima dell’arcobaleno Il brontolio si cangia in violento sibilo e batte alle serrate porte; voce di rabbia, sibilo di morte: il vento, il vento, il vento. Una luce sinistra, un guizzo, un vampo ecco passa nel cielo rapidamente aereo guizzo come di serpente: il lampo, il lampo, il lampo. Un tumulo, un fragore, un urlo, un suono rauco, sfuggente, rotolante, cupo voce d’antro di selva, di dirupo: il tuono, il tuono, il tuono. Il tuono, il lampo, il vento e un’idea di sereno tanto cruccio e sgomento fino all’arcobaleno. (M. Moretti)
Una gocciola di pioggia Una gocciola di pioggia alla terra un dì guardò e la vide tanto bella che dall’alto si buttò. Cadde e si trovò ruscello fresco puro scintillante poi divenne aspro torrente impetuoso e spumeggiante. Crebbe ancora e fu un gran fiume calmo e lento fra le sponde finchè giunse al mare unendo a quell’onde le sue onde. Nella notte il ciel brillava d’infinite, chiare stelle così limpide e lontane così pure, così belle. Sospirò la gocciolina: “Vorrei essere lassù!” Ed appena sorse il sole gli gridò: “Tu sole, che sei forte, che sei buono, che a nessuno neghi amore, dammi aiuto per salire alla meta del mio cuore!” Dentro il raggio il sol la prese ve la tenne, la scaldò, e la gocciola di pioggia al suo cielo ritornò.
Pioggerella Pioggerella fina fina che dal cielo scendi giù tu rimbalzi leggerina sopra i fiori rossi e blu. Beve il tetto, ride il mare, canta lieto un uccellino; al tuo lieve ticchettare s’addormenta ogni bambino. Si rinfresca il campo e il prato, ti saluta il ruscelletto, tutto il mondo par beato sotto il provvido bagnetto. Pioggerella fina fina, che dal cielo scendi giù…
Pioggia Che pazzerelle nuvole scherzano su nel cielo in un momento intessono intorno al sole un velo. Poi leste quattro gocciole di pioggia spruzzan giù e al sol fuggendo gridano: “Adesso asciuga tu!”. ( L. Schwarz)
Canzonetta della pioggia Già s’affacciano nel cielo grossi densi nuvoloni ogni pianta ed ogni stelo si dispoglia a poco a poco. Guizzan fulmini di fuoco tra il rombar cupo dei tuoni. Sopra l’arido selciato è danzar di goccioloni. Poi, d’un tratto, sul creato col la furia di una piena il diluvio si scatena. Piove piove piove piove oh, il monotono scrosciare della pioggia che rimuove che travolge, che trascina ciò che incontra, ciò che intoppa nella sua folle rapina: cose vecchie, cose nuove, è la furia che galoppa verso il piano, verso il mare, piove piove piove piove. Piove piove piove piove sopra i monti sopra i piani hanno gli alberi intristiti movimenti quasi umani. Sono tutti infreddoliti gli uccellini dentro i nidi levan rauchi e strani gridi le ranocchie nei pantani. Sulle vette più lontane le casette rusticane nel grigiore mattinale della pioggia torrenziale sembran tutte linde e nuove piove piove piove piove. Malinconico concerto di bisbigli e di richiami come passano tra i rami sinfonie di foglie al vento musichette misteriose delle piante e delle cose. Dentro l’ombra del viale non più trilli e guizzi d’ale. Tutto geme e si commuove nel gran pianto universale piove piove piove piove! Che tristezza, che tristezza tutto è scuro, tutto è chiuso sembra il mondo circonfuso da un gran senso di stanchezza. Stanno i bimbi ad ascoltare dietro ai vetri dei balconi quel continuo ticchettare delle gronde sui lastroni. Bimbi, è mesto il vostro cuore, come il giorno senza cielo ma verrà domani il sole s’aprirà sopra ogni stelo la corolla d’un bel fiore. Torneranno le parole della fede e dell’ardore torneran gli azzurri incanti della terra sorridente sotto i cieli sfolgoranti e sul vostro labbro ardente canterà, bimbi, l’amore.
Pioverà? Non pioverà? Farà brutto? Farà bello? Dovrò uscire con l’ombrello? Ma se uscissi con l’ombrelllo lo so già farebbe bello. Eppoi questo non è tutto. Senza ombrello, ci scommetto, muterebbe in tempo brutto. Sole, pioggia, ma perchè vi burlate ognor di me? ( Colombini Monti)
Acquazzone Di nubi grige a un tratto il cielo fu e il tuono brontolò con voce d’orco. Si cacciò avanti, lungo lo stradone carta foglie ed uccelli il polverone. Si udirono richiami disperati tonfi di imposte e d’usci sbatacchiati. Si videro donne lottare in un prato con gli angeli impauriti del bucato. Poi seminò la pioggia a piene mani tetti e vie di danzanti tulipani tagliò il paesaggio, illividì ogni cosa in un polverio d’acqua luminosa. Quando si stava inebetiti e fissi come sull’orlo d’infuocati abissi dove il mondo pareva andar sommerso il cielo sulle cose era già terso e nei vetri appannati del tinello risorrise il paese ad acquarello sulla campagna dolcemente crespa ronza la chiesa d’oro come vespa. Non rimaneva dell’orrendo schianto che il gocciolio di musicale pianto della gronda, già buono già tranquillo; lo raccolse morente il bruno grillo. Coi tamburini gracili di pelle, le rane lo portano alle stelle. ( C. Govoni )
Piccola nuvola Dopo l’acquata, le nuvole pronte, pigliano il volo, scavalcano il monte. Or con la gonna di velo sottile, la più pigra s’impiglia al campanile. (U. Betti)
Pioggia di primavera Com’è dolce la pioggia che sottile e leggiadra scampanella nell’aria oggi ch’è primavera! E domani che festa, quando il vento ed il sole asciugheranno a gara l’erba nuova del prato, cogliere un mazzolino di primule e di viole, un mazzetto fragrante, nitido, di bucato! (Graziella Ajmone)
La pioggia State a sentire che dice la nuvoletta felice: “Quando la pioggia mi scioglie lustro le pietre e le foglie. Per camminare sui tetti mi metto gli zoccoletti. Vado per orti e giardini cantando come i bambini. (R. Pezzani)
Pioggia I goccioloni han voglia di cantare rimbalzando, saltellando delle strade fan fossette delle scarpe fan barchette.
Piove piove dappertutto Cielo grigio. Tempo brutto. Piove piove dappertutto. Fan la doccia i fiorellini nelle aiuole dei giardini e nell’orto il seminato beve l’acqua d’un sol fiato. Io, se piove, non mi cruccio vado a spasso col cappuccio. ( I. C. Monti)
Il temporale Che succede? In un momento calma e gaia era la terra e di colpo… pioggia, vento, lampi e tuoni in ciel fan guerra. Son scomparsi gli uccellini traman l’erbe e i fiorellini e le piante… oh, che pietà, par si spezzino a metà. (A. Pozzi)
Non piove più Non piove più. Le gocce scendon con contagocce dagli alberi inzuppati che l’acqua ha rinfrescati. Il vento, a poco a poco, così come per gioco, con soffi d’allegria le nubi manda via. Torna, torna il sereno: guarda l’arcobaleno! E’ già venuto fuori con tutti i suoi colori (I. C. Monti)
Pioggia E’ un’arpa la pioggia, infinita, fra terra e cielo sottesa. Con agili dita tra fili sottili di limpido argento trascorre il vento in brividi di seta in rapidi fruscii in lunghi mormorii. Nasce dall’aspro archetto di una fronda d’ulivo un vivo accordo di violino e dall’orlo del tetto una frangia di gocciole leggera strimpella sul canale di lamiera. (L. P. Mazzola)
Dopo la pioggia Dopo la pioggia viene il sereno, brilla in cielo l’arcobaleno: è come un ponte imbandierato e il sole vi passa, festeggiato. E’ bello guardare a naso in su la sua bandiera rossa e blu. Però lo si vede -questo è il male- soltanto dopo il temporale. Non sarebbe più conveniente il temporale non farlo per niente? Un arcobaleno senza tempesta, questa sì che sarebbe una festa. Sarebbe una festa per tutta la terra fare la pace prima della guerra. (Gianni Rodari)
Piove Piove da un’ora soltanto ma il bimbo pensa che già piova da tanto, da tanto sopra la grande città. Piove sui tetti e sui muri, piove sul viale, piove sugli alberi oscuri con ritmo triste e uguale. (Ada Negri)
La pioggia La pioggia picchietta sommessa e argentina e narra una favola piccina piccina d’insetti, di passeri, di grilli, di fiori, di piccoli cuori. Per loro ogni gocciola che stride e saltella che sfrigge e che mormora è come una stella. (O. Visentini)
Pioggerella Pioggerella fina fina, che dal cielo scendi giù tu rimbalzi leggerina, sopra i fiori rossi e blu. Beve il tetto, ride il mare, canta lieto un uccellino al tuo lieve ticchettare s’addormenta ogni bambino. Si rinfresca il campo e il prato, ti saluta il ruscelletto tutto il mondo par beato, sotto il provvido bagnetto.
Pozzanghere Accanto al marciapiede brilla una pozza d’acqua e dentro vi si vede la nube che si sciacqua: e dietro le veleggiano nubi in un grande mare che sembrano una greggia che vada a pascolare. Ma forse questa notte dentro l’immensità del cielo capovolto un astro fiorirà: fiorirà sul selciato sporco della città come un dono serbato per chi lo scoprirà. (G. Porto)
Non piove più Non piove più! Sui prati sotto il raggio del sole, tra l’erba luccicante, s’aprono le viole. Tra i rovi della siepe l’azzurra vinca sboccia; ad ogni fiore in seno brilla una pura goccia. Le galline sull’aia ritornano a beccare, e i fanciulletti garruli riprendono a saltare. L’aria odora di terra, su, nel cielo sereno, con sette bei colori brilla l’arcobaleno. (O. G. Mercanti)
Piove Piove. Sotto la gronda un nido è vuoto. Beve le stanche lacrime del cielo nel gran giardino un triste albero immoto. Un bimbo biondo, col ditino in bocca, guarda dai vetri, silenzioso, assorto. Forse pensa alla neve, che, se fiocca fa tutto bello, rifà tutte nuove le cose morte. Chissà. Forse! Intanto in un grigiore desolato, piove. (Zietta Liù)
Saluto al sereno Addio, rabbia di tempesta! Addio, strepitio di tuoni! Vanno in fuga i nuvoloni, e pulito il cielo resta. Addio, pioggia! Qualche stilla dai molli alberi si stacca; ogni foglia, fiore o bacca al novello sole brilla. Consolato il mondo tace. Su ciascuna afflitta cosa, come un balsamo, si posa la serena amica pace. (A. S. Novaro)
Gli ombrelli La famiglia degli ombrelli quando piove a catinelle si apre tutta e, per la gioia, non può stare nella pelle. Balla e canta, beve l’acqua, mulinella in braccio al vento, ride a scrosci se diluvia, senza il minimo sgomento. Ma, passato il temporale, quando il sole sbuca, ahimè, ogni ombrello , immusonito, torna a casa chiuso in sè. (Zedda)
L’acquazzone E venne, dopo il vento, d’impeto, come l’onda che sopra il mar s’avventa. Disperse in un baleno gli agricoltori ai campi, scrosciò per ogni gronda ed allagò le strade. Poi, senza tuoni e lampi, quasi senza sussurro, finì con grosse, rade gocce. Quando nel cielo del già chiaro orizzonte s’alzò l’arcobaleno, candide come un velo di sposa, navigavano le nubi in mezzo a un mare, divinamente azzurro. (V. Bosari)
Dopo il temporale Spenti in ciel gli ultimi tuoni vanno in fuga i nuvoloni e la pioggia viene meno. Ecco, appar l’arcobaleno… Qualche gocciola sospesa, qualche farfallina illesa, galli nuovi, erta la cresta, ai fioretti fanno festa: goccia un frutto, una corolla, c’è per tutto odor di zolla, e quel giglio s’è trovato un vestito di bucato! (L. Carpanini)
Temporale Un bubbolio lontano… Rosseggia l’orizzonte, come affocato, a mare; nero di pece, a monte; stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un’ala di gabbiano. (G. Pascoli)
Piove Piove da un’ora soltanto ma il bimbo pensa che già piova da tanto! Da tanto! Sopra la grande città. Piove sui tetti e sui muri, piove sul lungo viale, piove sugli alberi oscuri con ritmo triste ed uguale; piove; e lo scroscio si sente giungere dalle vetrate che versano lacrime lente come fanciulle imbronciate. Piove e laggiù, sulla via, e in ogni casa, già invade l’intima malinconia di quella pioggia che cade. Piove da un’ora soltanto: ma il bimbo pensa che già piova da tanto! Da tanto! Sopra la grande città. ( A. Novi)
Filastrocca della pioggia Pioggerellina, pioggerellina, vien giù grossa, vien giù fina; canta e ride, danza e svaria, cento righe van per l’aria. Pioggerella viene in fretta, col profumo di violetta: pioggia tiepida di maggio nelle cose metti un raggio. Dai fossati, a crocchi, a crocchi, la salutano i ranocchi; l’anatroccolo diguazza, pioggia allegra, pioggia pazza!
La pioggia La pioggia picchietta sommessa, argentina, e narra una favola piccina piccina, d’insetti, di passeri, di grilli, di fiori, di piccoli cuori: per loro, ogni gocciola, che stride, saltella, che sfrigge, che mormora, è come una stella. (O. Visentini)
La pioggia continua a cadere La pioggia continua a cadere e tutta la terra trafigge: le luci grondanti e affiochite incerte sui marciapiedi. La pioggia continua a cadere sottile pungente accidiosa e tutte le strade son colme e lacrime stillano gli alberi. La pioggia continua a cadere, nel grande silenzio a cadere, ed ombre, fantasmi, s’allungano, enormi fantasmi i palazzi. (L. Fiorentino)
Il temporale Il cielo è carico di nuvoloni fulmini e tuoni fremon lassù. La chioccia vigile chiama i pulcini: “Qua, piccolini, vi coprirò”. Ed essi corrono. C’è il temporale ma sotto l’ale non treman più.
Il tuono E nella notte nera il nulla a un tratto, col fragor d’arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi vanì. Soave allora un canto s’udì di madre, e il moto di una culla. (G. Pascoli)
Il lampo E cielo e terra si mostrò qual era: la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto; come un occhio, che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera. (G. Pascoli)
La mia sera Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c’è un breve gre-gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggera. Nel giorno, che lampi! Che scoppi! Che pace la sera. Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell’aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell’umida sera. E’ quella infinita tempesta finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d’oro. (G. Pascoli)
Addio tempesta Addio, rabbia di tempesta addio strepitio di tuoni, vanno in fuga i nuvoloni e pulito il cielo resta. Addio pioggia! Qualche stilla dei molli alberi si stacca ogni foglia fiore o bacca al novello sole brilla. Consolato il mondo tace su ciascuna afflitta cosa come un balsamo si posa la serena amica pace. (A. S. Novaro)
Pioggia d’inverno Quando piove, lento lento, e fa freddo e tira vento nella casa sta il bambino nel suo nido l’uccellino nella cuccia il cagnolino presso il fuoco il mio gattino. E il ranocchio senza ombrello? Sotto il fungo sta bel bello. (Cicogna)
Pioggia d’autunno Mentre l’acqua giù dal cielo picchiettando vien bel bello con stivali e con ombrello me ne vado a passeggiar. Tic tic tic giù l’acqua cade tac tac tac, che gocciolone! Ma qui sotto l’ombrellone non mi bagno a passeggiar. Scendi pur, pioggia d’autunno, non ti temo, ben lo vedi, tanta gioia invece, credi, provo andando a passeggiar. (A. Caramellino)
Tempaccio E piove e piove e piove! E i nuvoloni neri vanno per il cielo, in ronda come carabinieri. Il sol, quasi bandito, spinto da loro in caccia, mostra di tratto in tratto, la spaurita faccia. (G. Chiarini)
Pioggia
Attoniti, dai nidi nuovi, sui vecchi tetti, guardano gli uccelletti, mettendo acuti gridi, cadere l’invocata pioggia di mezzo aprile. Tu, dietro la vetrata della finestra bassa, come lor guardi e ridi… è nuvola che passa” (L. Pirandello)
Piccola nuvola di primavera
Dopo l’acquata le nuvole, pronte, pigliano il volo, scavalcano il monte. Or con la gonna di velo sottile, la più pigra s’impiglia al campanile. “Lasciami con codesta banderuola: mi strappi tutta! Son rimasta sola!” Ma il campanaro senza discrezione le risponde col campanone. Che sobbalzo, che spavento! Per fortuna c’era il vento che con tutta galanteria la piglia e la porta via. La porta a spasso lieve lieve sul torrente, sulla pieve; tutto il mondo le fa vedere, tetti rossi, maggesi nere. E che brillio di vetri e di foglie! Quanti bambini lungo il rio! Quante vecchie sulle soglie! Che festa, che chiacchierio! (U. Betti)
Arcobaleno
Non piove più! Sui prati, sotto il raggio del sole, tra l’erba luccicante s’aprono le viole… Le galline sull’aia ritornano a beccare, e i fanciulli garruli riprendono a saltare. Tra i rivi della siepe l’azzurra vinca sboccia; ad ogni fiore in seno brilla ogni pura goccia. L’aria odora di terra. Su nel ciel sereno, con sette bei colori, brilla l’arcobaleno. (A. S. Novaro)
Giorno piovoso
Quante parole stanche mi vengono alla mente in questo giorno piovoso d’aprile che l’aria è come nube che si spappola o fior che si disfiora. Dentro un velo di pioggia tutto è vestito a nuovo. L’umida e cara terra mi punge e mi discioglie… (V. Cardarelli)
E piovve
Cantava al buio d’aia in aia il gallo. E gracidò nel bosco la cornacchia: il sole si mostrava a finestrelle. Il sole dorò la nebbia della macchia, poi si nascose; e piovve a catinelle, Poi tra il cantare delle raganelle guizzò nei campi un raggio lungo e giallo. Stupiano i rondinotti dell’estate si quel sottile scendere di spille: era un brusio con languide sorsate e chiazze larghe e picchi a mille a mille; poi singhiozzi, e gocciar rado di stille: di stille d’oro in coppe di cristallo. (G. Pascoli)
Temporale
Dormivo e m’ha svegliato stanotte il temporale. Oh, che brutta nottata! Che tempaccio infernale! E che lampi, che vento! Tremavo nel mio letto, di freddo e di sgomento. Ma tu m’hai stretto al petto, mamma! E sul cuore fido ho chiuso gli occhi come un uccellin nel nido, mormorando il tuo nome. E ho detto: “Il temporale io non lo temo più, se presso il mio guanciale, o mamma, ci sei tu!” (zietta Liù)
Piove col sole
La pioggia cade picchiettando allegra su foglie polverose, e scorre ai margini e casca sopra le rose. Colma alle rose il colorito calice e lascia qualche goccia ai fili d’erba ed ai fioretti in boccio. Ed ecco, un d’essi palpita di vita! A un raggio che lo indora esita un poco poi lieve s’apre e odora. (G. Consolaro)
Grandinata
Strepitando vien giù candida e bella, batte il suol, tronca i rami, il cielo oscura e nelle grige vie sonante e dura picchia, rimbalza, rotola, saltella; squassa le gronde, i tetti alti flagella; sbriciola sibilando la verzura. ricasca dai terrazzi e nelle nura s’infrange, e vasi e vetri urta e sfracella; e per tutto s’ammonta e tutto imbianca; ma lentamente l’ira sua declina e solca l’aria, diradata e stanca; poi di repente più maligna stride, poi tutto tace, e sulla gran rovina perfidamente il ciel limpido ride. (E. De Amicis)
L’acquazzone
Di nubi grige a un tratto il ciel fu sporco; e il tuono brontolò con voce d’orco. Si cacciò avanti, lungo lo stradone, carta, foglie ed uccelli il polverone. (C. Govoni)
Pioggia e sole Pioggia e risplende il sole, e mai com’oggi s’è vista, per il Colle dell’Ulivo, la campagna così fiorita e viva, sotto il velo sottile della pioggia. Piove e risplende il sole, e la collina piange e ride tra l’ombra che cammina, come talora fa per tenerezza la faccia della bella giovinezza. (C. De Titta)
Acqua sempre La nube, là, nella region dei venti, pioggia diviene, la tempesta accoglie e, nel rigor delle giornate algenti, in turbinosa neve si discioglie. Son figlie dell’acqua anche le brine, le nebbie ora gravanti or fuggitive, del rugiadoso umor del gocciline brillanti al sole come gemme vive. Acqua, che in lieta voce o dolorosa discendi al mar e torni al piano in vetta, ristora i campi, premia, generosa, che li coltiva e trepidando aspetta. (G. Pisani)
L’acquazzone La spazzola dell’acquazzone ha dato alla lesta una ripulita al paesaggio, lavato la faccia alle case, rimesso a nuovo i monti sbiaditi. Anche l’aria è netta. Ora si apprezza ogni gradazione del verde. Villanelle indomenicate le case fanno insieme una stoffa a quadratini, a rettangolini di tutti i colori. Quel giallo! L’ingenuità di quel celeste! A levante, il paesaggio è lumeggiato da una luce di magnesio. I tetti riflettono. Al luogo d’ogni ruga, le montagne fanno mostra d’un filone d’argento. (C. Sbarbaro)
Pioggia Sui campi stamattina scende una pioggia fina e musica soave splende per ogni dove. Tutta se ne commuove la terra che riceve questa freschezza lieve che dolcemente piove. (A. Orvieto)
Dopo Dopo il rimbombo nero e il verde scroscio, il cielo s’apre a una gran pace azzurra: razzano i tetti, ed ogni pozza in terra è un soave-ridente occhio di cielo. (D. Valeri)
Dopo il temporale Son passate le nuvole, e la piova sprigionato ha dal suolo un grato odore; lieta ogni rana si dibatte a prova, a capo chino sgocciola ogni fiore. Tra le fuggenti nuvole si prova d’uscir il sole; all’umido splendore sembra la terra ora più verde e nuova; più turchino del ciel sembra il colore. (G. Pascoli)
Sereno Non pareva, e s’allontana la tempesta: l’oro piove quale splendida fiumana e dilaga in ogni dove. Sembran perle sorprendenti or le gocce ancora al varco; ha bagliori iridescenti fin la pozza sotto l’arco. Ed un passero cinguetta il suo canto più giulivo: quante gemme sull’erbetta, quanto argento va col rivo! (Livio Ruber)
Pioggia Cantava al buio, d’aia in aia, il gallo. E gracidò nel bosco la cornacchia: il sole si mostrava a finestrelle. Il sol dorò la nebbia della macchia, poi si nascose, e piovve a catinelle. Poi tra il cantare delle raganelle guizzò sul campo un raggio lungo e giallo. Stupian i rondinotti dell’estae di quel sottile scendere di spille: era un brusio con languide sorsate e chiazze larghe e picchi a mille a mille, poi singhiozzi, e gocciar rado di stille: di stille d’oro in coppe di cristallo. (G. Pascoli)
Dopo l’acquazzone Passò scrosciando e sibilando il nero nembo; or la chiesa squilla; il tetto, rosso, luccica; un fresco odor dal cimitero viene, di bosso. Presso la chiesa, mentre la sua voce tintinna, canta, a onde lunghe, romba, ruzza uno stuolo, ed alla grande croce tornano a bomba. Un vel di pioggia vela l’orizzonte; ma il cimitero, fatto il ciel sereno, placido olezza; va da monte a monte l’arcobaleno. (G. Pascoli)
Piove Piove sui tetti e sui muri, piove sul lungo viale, piove sugli alberi oscuri con ritmo triste ed uguale; piove; e lo scroscio si sente giungere dalle vetrate che versan lacrime lente come fanciulle imbronciate! Piove e laggiù sulla via, e in ogni casa, già invade l’intima malinconia di quella pioggia che cade. (A. Novi)
Dopo il temporale La bufera è lontana. Sull’aia allegra cantano i galletti. Ancora, sul selciato, i tetti grondan dell’acqua piovana. Ma or gioca rabbonito il vento con i pioppi. Felice d’essere salvo, benedice, benedice, il frumento. Questa sera offrirà un banchetto alle sue buone lucciole veglianti, fra l’attenzione degli astanti farà un brindisi l’usignoletto. E, senza distinzione di parte, i grilli batteran le mani; i papaveri veterani piangeranno dall’emozione. Oh, che gioia! Una banda di turchini convolvoli strombetta, davanti alla mia casetta, in un circol di fiori contadini. Giocattoli degli angeli, leggeri s’alcano i cervi volanti; tintinnano per le vie, festanti, i sonagli dei carrettieri. Là, dietro la bufera, sventola l’arcobaleno; sopra il villaggio, nel sereno, si dondola la squilla della sera. (C. Govoni)
Spiove Le nubi si distendono in velo che svapora. L’aria pulita odora di polvere bagnata, di fieni appena colti, d’erbe tenere e fiori. Il sol riappare e ride sopra un mondo pulito di brillanti vestito. Son gocciole iridate che pendono dai rami corron sui fili tesi, e ridono col sole. Ma il sole ha tanta sete, e nelle fauci ardenti finiscono le gocciole iridate. (C. Pascucci)
Dopo il temporale Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c’è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggera. Nel giorno, che lampi, che scoppi! Che pace, la sera! (G. Pascoli)
Pioggia E’ dolce il chiacchierio che fan le foglie in capannelli sugli alberi spessi, come quello che fanno su le soglie le comari che parlan d’interessi. E invece le foglie chiacchierine parlan dell’autunno che ritorna e che sotto la pioggia fine fine di pampini e di bacche agile s’orna. (M. Moretti)
Pioggia E’ un’arpa la pioggia, infinita, fra terra e cielo sottesa. Con agili dita tra i fili sottili di limpido argento, trascorre il vento in brividi di seta, in rapidi fruscii, in lunghi mormorii. Nasce dall’aspro archetto d’una fronda d’ulivo un vivo accordo di violino e dall’orlo del tetto una frangia di gocciole leggera strimpella sul canale di lamiera. (L. Pia Mazzolai)
L’acquazzone Si sciolsero le nubi, all’improvviso piovve a dirotto. Al limite del campo vidi la bimba, fra uno scroscio e un lampo, bello fra i ricci bruni, il fresco viso. Tesi le braccia ed attraverso il nembo la bimba accorse, fradicia e ridente, e mi cadde sul cuore, e il suo fremente piccolo corpo mi raccolsi in grembo. Passano i giorni, passano e si muore. Ben altre furie di tempesta tu affronterai, ma non ci sarà più la tua mamma a raccoglierti sul cuore. (A. Negri)
La quiete dopo la tempesta Passata è la tempesta; odo augelli far festa, e la gallina tornata in su la via, che ripete il suo verso. Ecco il sereno rompe là da ponente, alla montagna; sgombrasi la campagna, e chiaro nella valle il fiume appare. (G. Leopardi)
Il temporale Nuvole spesse, leggere, a poco a poco hanno invaso, simili a draghi rampanti, il cerchio dell’orizzonte. Grigio su grigio: fondale d’un palcoscenico immenso. Grigio su grigio anche in terra: le nebbie velano i monti che fumano come incensieri; sembra cinerea la valle divisa in quadri sbiaditi. Il palcoscenico è pronto; é pronto il vasto fondale: gocciole rade e sonore annunciano, come in sordina, l’orchestra del temporale! (E. Pesce Gorini)
Dopo la pioggia Dopo la pioggia viene il sereno, brilla in cielo l’arcobaleno: è come un ponte imbandierato e il sole vi passa, festeggiato. E’ bello guardare a naso in su le sue bandiere rosse e blu. Però lo si vede, questo è il male, soltanto dopo il temporale. Non sarebbe più conveniente il temporale non farlo per niente? Un arcobaleno senza tempesta, questa sì che sarebbe una festa. Sarebbe una festa per tutta la terra, fare la pace prima della guerra. (Gianni Rodari)
Arcobaleno C’è un ponte fatto di sette colori: è un ponte strano, campato sul cielo. E’ di cristallo? Di seta? Di velo? E’ fatto d’acqua di sette colori. Ma su quel ponte non passa la gente. Svanir potrebbe in ogni momento di sotto ai piedi, a un colpo di vento. Lieta lo guarda ridendo la gente. (S. Pezzetta)
Arcobaleno Piove. Le piccole gocce sottili in lunghi scendono diritti fili, senza che un alito tenue di vento muova quel tremulo refe d’argento; lene, dal nuvolo che si dissolve, come un polve l’acqua vien giù. Il sol con l’ultimo raggio lucente esce dai margini dell’occidente e tra finissimi sciolti vapori si frange in pallidi vaghi colori: dal piano al vertice con sette giri l’arco dell’iri brilla lassù. Sull’uscio il pargolo batte le mani, ai solchi accorrono lieti i villani dove dall’umida terra rampolla un nuovo germine per ogni zolla; dal tetto il passero balza e rivola; tra i campi scola giallo il ruscel. Lontano brontola un tuono ancora, e mentre limpido l’aer s’indora, e al puro zeffiro fresco e odorato scrollano gli alberi le gocce del prato, l’arco settemplice si fa di foco, e a poco a poco svanisce in ciel. (R. Pitteri)
L’acquazzone E venne, dopo il vento, d’impeto, come l’onda che scagliasi sul mare. Disperse in un momento gli agricoltori ai campi, scrosciò per ogni gronda ed allagò le strade. Poi, senza tuoni o lampi, quasi senza sussurro, finì con grosse, rade gocce. Quando nel cielo dal già chiaro orizzonte, s’alzò l’arcobaleno, candide come un velo di sposa, navigavano le nubi in mezzo a un mare divinamente azzurro. (V. Bosari)
Arcobaleno Arcobaleno giocondo nella tua curva gentile è il fresco sorriso del mondo. L’acqua del fontanile ode lingue lambire e il trottare del ruscello. Le vette si fanno vicine per questo tremore di cielo sopra l’erbe bambine. Da verdi solitudini segrete si sveglia un canto di luce: la maestà dell’abete nell’occhio della mucca traluce. (I. Dell’Era)
Grandine Percuote le gronde, sui tetti saltella, flagella le fronde, i vetri martella. La temono tutti. E’ proprio maligna: fa strage di frutti, vendemmia la vigna. In ogni vallata frantuma le zolle e falcia spietata dei fior le corolle. O grandine fitta, svanisci coi lampi! E’ muta ed afflitta la gente dei campi. (A. Libertini)
Grandine Tutte riunite ad un crosciante rombo le nuvole vaganti hanno accerchiato il cielo, dense e grevi come piombo. Sibila il vento una minaccia oscura; gli alberi curvi tentano la fuga; urla e geme la terra di paura. Una campana grida: “Aiuto, aiuto!” Aiuto per le viti e per il grano che aspetta solo d’essere mietuto. Una nuvola bianca (una staffetta di pace?) incontra il grido disperato che rimbalza qua e là per ogni vetta. Ma non è pace, non è pace: è guerra! E, all’improvviso, la staffetta bianca getta candido piombo sulla terra. Crosci, ventate, grandine a ventaglio saetta l’aria, picchettando allegra, ed ogni pianta è facile bersaglio! Invano la campana grida “aiuto” tra lo scroscio dei chicchi levigati, che già più delle falci hanno mietuto. E la campagna piange, infine, stanca, nel vasto cielo ritornato azzurro, sopra la terra flagellata e bianca. (E. Pesce Gorini)
Sotto la pioggia O camposanto che si crudi inverni hai per mia madre gracile e sparuta, oggi ti vedo tutto sempiterni e crisantemi. A ogni croce roggia pende come abbracciata una ghirlanda donde gocciano lagrime di pioggia. Sibila tra le feste lagrimosa una folata, e tutto agita e sbanda. Sazio ogni morto di memorie, posa. (G. Pascoli, da “Il giorno dei morti”)
Pioggia E’ un’arpa la pioggia, infinita, fra terra e cielo sottesa. Con agili dita tra fili sottili di limpido argento, trascorre il vento in brividi di seta in rapidi fruscii. In lunghi mormorii. Nasce dall’aspro archetto di una fronda d’ulivo un vivo accordo di violino e dall’orlo del tetto una frangia di gocciole leggera strimpella sul canale di lamiera. (L. P. Mazzolai)
L’acquazzone E venne, dopo il vento, d’impeto, come l’onda che scagliasi sul mare. Disperse in un momento gli agricoltori ai campi, scrosciò per ogni gronda ed allagò le strade. Poi, senza tuoni o lampi, quasi senza sussurro, finì con grosse, rade gocce. Quando nel cielo dal già chiaro orizzonte, s’alzò l’arcobaleno, candide come un velo di sposa, navigavano le nubi in mezzo a un mare divinamente azzurro. (V. Bosari)
Poesie e filastrocche sulla pioggia il temporale l’arcobaleno la grandine – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche LE NUVOLE – una raccolta di poesie e filastrocche sul vento, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Nuvole Tutto il cielo è un immenso prato blu. A un tratto spunta un bioccolino bianco… s’alza, s’addensa, sboccia… eccolo, è un fiore. Arde nel sole ed ama il sole e dona tutta se stessa al sole, e si dissolve nel grande ardore… Un soffio… Non c’è più. Tutto il cielo è un immenso prato blu. Lina Schwarz
Le nuvole Pallide nuvole soffici corrono dentro l’azzurro del cielo s’inseguono: se con letizia le mani si tendono, bei girotondi giocondi ripetono; Ma se si rotolan, strappano, spingono, presto nel cielo l’azzurro nascondono; ecco che tutto di grigio dipingono, ecco la pioggia ed i tuoni che rombano. Se poi, pentite, la pace rifanno, senza problemi la mano si danno: ecco che alcune già rosa si fanno; dentro l’azzurro più soffici vanno. R. Bon
Nuvole In una nuvola, c’è anche un po’ di fiato del bimbo, del fiore, del prato. Dal mare blu e dalle foglie appassite le goccioline fin lassù son salite.
La nuvola Ti conosco nuvoletta che cammini sola sola non armata di saetta come un angelo che vola. Ti conosco anche se il vento che ti gonfia e ti sospinge ti trasforma in un momento mentre il sole ti dipinge intingendo i suoi pennelli nei color più vivi e belli. Tutta rosa stamattina tutta bianca a mezzodì ti conosco mascherina trasformata anche così. Or somigli a un cavallino sciolta al vento la criniera ora sei la caffettiera che trabocca nel camino ora là nell’infinito sembri un albero fiorito. R. Pezzani
Nuvole notturne Oh bianche nuvolette che passate silenziose al lume delle stelle da qual desio, vaganti pecorelle per i prati del ciel siete portate? Si va, si fa. Poco di noi sappiamo siam la rugiada e siamo la tempesta ci guida il vento, a lui chiniam la testa e, dove lui poggia, andiamo andiamo andiamo…
Nuvole Che pazzerelle nuvole! Scherzano su nel cielo… in un momento intessono intorno al sole un velo poi leste quattro gocciole di pioggia spruzzate giù e al sole fuggendo, gridano “Adesso asciuga tu!” L. Schwarz
Nuvoloso Sole caldo, sole bello perchè toglierti non vuoi quell’orribile mantello che ci vela i raggi tuoi? Ogni viva creatura sente un brivido di gel ogni faccia si fa scura.
Guarda la nube Guarda la nube che gioca col lampo e col tuono guarda la luna che gioca col globo celeste, guarda la rupe che s’alza d’un impeto al polo e come gioca in amore col l’eco rideste! Guarda il torrente agli scogli che mugghia, ridonda e con la piena dell’onda rinnova la festa; guarda la bella farfalla dal volo librato sulla corrente, giocare col fior di giacinto: gioca tu pure con loro, conservati bimbo belli son tutti quei giochi che gioca il creato!
La vela C’è una vela tutta bianca c’è una vela in mezzo al mare Vento, vento, sono stanca fammi un poco riposare. Vedi là quella casetta c’è una mamma che ti aspetta. D’aspettare non si stanca vola, vola, o vela bianca. Se mi attende una mammina se mi vuole una bambina soffia pure, o mio buon vento e il mio cuor sarà contento.
Nuvole Nuvole, nuvole… chiama fischiando il vento arcigno sulla montagna: e a fiocchi bianchi dai cupi fianchi dei canaloni, su, dai burroni, su, dalle valli, soffici, molli, lente risalgono sul filo del vento a cento ondeggiando le nuvole. (V. Fraschetti)
La nuvola Sembra un cuscino di piume d’oca. Nel ciel turchino col vento gioca. Gioca e rincorre le rondinelle: lei tutta candida, blu e nere quelle. Ma ecco: il morbido cuscino, a un tratto, si sporca e torbido, greve s’è fatto. S’è fatto nero come il carbone, e il cielo piange… uh, che acquazzone! (Maggiorina)
Vita e morte delle nuvole Nata all’alba, sul prato, dal fianco di un’acqua corrente vivrà la nube innocente, un giorno, il suo giorno, e morrà. da rovi pungenti districa i lembi del suo manto, si libera come un canto, figura di felicità. Immemore di ciò che era si lascia rapire dal vento: polledro, fiore, bandiera, angelo diventerà; angelo col cuore in gola che in cielo ha prato e campo. Ma ecco, trafitta da un lampo la candida nube cadrà. Disciolta in pioggia lucetne rintocca su ogni fronda si fa musica errabonda, queta, vasta sonorità. (Renzo Pezzani)
Le nuvole Una sera, piano piano arrivaron da lontano, le portava sulle spalle lo scirocco. Eran stanche di viaggiare follemente per i cieli e volevan riposare solo un poco. Quando videro il gran mare calmo calmo, azzurro azzurro, s’adagiarono all’oscuro e distesero i lor veli per i cieli. (Lina Galli)
La nuvola Nera, turgida, compatta, la nuvola, come un mastino, ringhia nel cielo turchino. Ma quella è una nuvola matta! E’ una nuvola forestiera che nasconde fuoco in dosso, Ispido fumo, serper rosso, è l’angoscia della sera. Il villaggio poverino, suona l’ave, chiude le porte. Con quella nuvola sul suo destino, sazio di biade, pensa alla morte. (R. Pezzani)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale. Il materiale è stato raccolto da varie fonti e collezionato nel tempo. Pur avendo fatto il possibile per risalire a tutti gli autori, dove questa informazione manca si intende appunto che non mi è stato possibile risalire al nome dell’autore.
Poesie e filastrocche sul VENTO – una raccolta di poesie e filastrocche sul vento, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Il vento Arriva il vento. Che pazzerello! Vedi? E’ sgarbato come un monello. Strappa il giornale che tieni in mano; manda i cappelli lontan lontano. Tu devi correre fino laggiù, ma il tuo cappello corre di più. Intanto il vento, con mano lesta, fa il parrucchiere sulla tua testa; e se, per caso, apri l’ombrello, ti spazza via, presto, anche quello. Ma che puoi farci? Non t’arrabbiare: è un birichino e vuol giocare! (Gianni Rodari)
Il vento E’ mite carezza che passa gentile e tiepida scherza coi fiori d’aprile è vasto respiro lanciato sull’onda che spinge la vela in corsa gioconda. E’ mano che afferra con dita spiegate e all’albero strappa le foglie dorate. E’ gelido soffio che scende dai monti e in ghiaccio tramuta i rivi e le fonti così senza posa, or rapido or lento si svolge l’eterno cammino del vento. Ada Negri
Il vento Ma chi bussa da villano? corri all’uscio: è già lontano. Ma chi è quel capo ameno? porta l’acqua ed il sereno, sparge i semi per il mondo, sbuffa e frulla in tondo in tondo, mena schiaffi e scappellotti, fischia per i vetri rotti, ora è dolce e profumato, ora è proprio uno sgarbato, corre e vola in un momento… chi sarà, bambini? Il vento! E. Bossi
Il vento Orco è il vento che ne bosco, sta provando il suo vocione con un viso fosco fosco, e con tanto di barbone “Mangerò tutte le foglie, mangerò tutta la terra mangerò tutte le nubi, che lassù si fan la guerra!” Lo si sente, apre le porte, e le sbatte forte forte Con un passo, lo si sa, spazza tutta la città.
Il vento Esce di scuola il vento e gioca e fischia e non ha libri nè berretto in testa; cerca viole lungo la foresta e sopra i pioppi dondola e s’arrischia. R. Pezzani
Un prepotente Non ho riguardi, non conosco regole: entro dove mi pare senza chieder permesso, e se gusto ci piglio, scuoto, rovescio, sibilo, scompiglio. Sicuro! E di te pur, ragazzo mio, anche se sei monello, me la rido: t’investo, ti spingo, e se mi frulla, di colpo, trac, ti porto via il cappello. Tanto, chi mai mi prende o mi trattiene? Amo gli spazi liberi, e, a chi s’oppone, grido, sfidandoli al cimento: “Fatti più in là che passa il signor vento!”. Domenico Mantellini
Il vento Nel colmo della notte, a volta, accade che ti risvegli, come un bimbo, il vento. Solo, pian piano, viene per il sentiero, penetra nel villaggio addormentato. Striscia, guardingo, fino alla fontana; poi si sofferma, tacito, in ascolto. Pallide stan tutte le case intorno, tutte le querce, chinate sulla piana. Rainer Maria Rilke
Il vento Oh, che vento monello! Ci toglie il cappello, stronca gli alberi vecchi, e fischia negli orecchi… Pure, ai navigli in mare, le vele fa gonfiare e trapianta erbe e fiori come i seminatori. Tutte pari le cose: un po’ spine, un po’ rose; e nessun male avviene, senza un poco di bene. A. Pozzi
Il vento Mi piace far dispetti piegare gli alberetti; far volare cappelli e rovesciare gli ombrelli. Sollevo polveroni, ma scaccio i nuvoloni; i panni al sole stesi o alle finestre appesi asciugo in un momento: sono il monello vento!
Il vento Io sono la brezza che i fiori accarezza lo zeffiro alato che gioca sul prato son mano gioconda che scherza con l’onda respiro sferzante che spoglia le piante. Son aspra tormenta che in alto s’avventa son fiato pungente che ghiaccia il torrente. Mutevole e vario spietato e bonario crudele e scherzoso ignoro il riposo. G. Noseda
Vento Come un lupo è il vento che cala dai monti al piano corica nei campi il grano ovunque passa è sgomento. Fischia nei mattini chiari illuminando case e orizzonti sconvolge l’acqua nelle fonti caccia gli uomini ai ripari. Poi, stanco s’addormenta e uno stupore prende le cose, come dopo l’amore. A. Bertolucci
Il poeta ozioso L’arpa d’oro pende ai salici il canoro vento l’agita non le dita mie lo tocchino l’infinita anima l’animi l’arpa al vento al sole oscilla brilla, squilla. G. Pascoli
Via col vento Vola vola via col vento per il vasto firmamento va vicino, va lontano, vola al monte, vola al piano per il vasto firmamento vola vola via col vento.
Il vento Zompa per i tetti, sbuffa nei camini mugghia sui vetri, in rapidi mulini inferocito sibilando s’alza poi, gonfio d’ira, a testa bassa incalza fra un osannante polverume passa una ruota di tenere fronde mentre sui muri i tubi delle gronde sbaccanano con colpi di grancassa. I. Drago
Vento d’autunno Nella piazza il vento alzò a vela nembi di polvere e foglie morte. Graffiava i vetri, urtava le porte sbandierava per l’alto un lenzuolo. Poi balzò in cielo, urtò con furore le sparse nuvole. Latrava, gemeva con mugolii sordi faceva il cane del celeste padrone. D. Valeri
Il vento Oh, ma che fretta, signor spazzino, con quella scopa sembri un mulino! “Tutte le strade devo pulire, perchè la neve possa venire. Col cappuccio bianco e pulito non vuole macchie sul suo vestito. Povere foglie! Dopo il lavoro ad una ad una, vanno anche loro ma sulla terra sfiorita e nera preparan già la primavera!
Il vento Nell’aria grigia e morta c’è un’onda di lamento. Qualcuno urta la porta: – Avanti! Passi! – E’ il vento. Vento del Nord che porta e neve e fame e stento: la macchia irta e contorta ulula di spavento. Passano neri stormi in frettoloso oblio; passano nubi informi. Tutto nell’aria oscura passa e s’invola; addio da non so qual sventura. (G. Pascoli)
Viene il vento
Ecco, ora viene. Oh, che allegria! Tutti i cappelli ci porta via. Come una palla li fa ruzzolare. Ha una gran voglia ei di scherzare. Poi se la piglia coi panni al sole, che manda in terra a far capriole. Fa diventare matte le fronde, che si accarezzano come fan l’onde. Sibila, spruzza fa andar tentoni, scuote le porte, spazza i balconi. Poi tace… e quieto se ne va via su nell’azzurro… oh, che allegria! (P. Boranga)
Il vento In casa. E’ sera. E’ primavera. Di fuori sento fischiare il vento. Il vento è forte: sbatte le porte. Passan pei vetri ululi tetri. Guardo di fuori: vedo bagliori. Sono le stelle: sembran più belle, son lucidate dalle ventate. Giù nella strada la gente è rada. Il vento, intanto, leva il suo canto: “Io spazzo via ogni foschia; dai miei furori nascono fiori, e la natura faccio più pura”. Ascolto il vento: qual gioia sento! (M. Castoldi)
Le fatiche del vento Molto ha da fare il vento con le nuvole, frivolo armento senza disciplina. Piace al sole con pompa e con ossequio d’essere accolto in cielo ogni mattina: e fin dall’alba, ecco il vento in servizio a preparargli una regal cortina. Sul vespro, poi, nuovo apparato! Gli uomini soglion tra loro chiamar pazzo il vento; forse perchè si pensa che non debbano costar fatica alcuna, alcuno stento, que’ suoi servigi; ma se gli si sbandano le nubi e il sol se ne va via scontento? Se ogni villano vuol acqua sul proprio campicello, e lui, per firmamento, gira e rigira non trova una nuvola, quando poche sarebbero anche cento? (Luigi Pirandello)
I camicini C’è un bucato di camicini tutti in fila ad asciugare: bianchi, rosa, celestini ed il vento ci vuol giocare. Piglia lo slancio; soffia giocondo; i camicini si gonfian tutti come le vele e il sole biondo in un momento li rifà asciutti. Uno si stanca, vola sul prato; due pratoline si piglia a braccetto. Così bianco e delicao pare la veste di un angioletto. (G. Facco)
Il vento Ecco: è balzato da dietro il monte e lesto scende giù nelle valli; porta i capelli scomposti in fronte, e guida cento pazzi cavalli. E’ questo il vento. Grande fanciullo, che scuote peschi, mandorli in fiore, ruba cappelli per suo trastullo e canta e fischia di buon umore. Le nuvolette prende nel cielo, queste trascina, quell’altre strappa ne avvolge tutto come in un velo, ma poi già stanco, lontano scappa. gioca col sole, ruba i semetti e li nasconde dove niun sa, e un bel giorno tanti fioretti vedi ed esclami: “Come fin qua?”. E’ questo il vento; ride, schiamazza, sembra che a tutto faccia la guerra; ma non ha sempre la testa pazza, chè niente è vano qui sulla terra. (Teresa Stagni)
Risveglio del vento Nel colmo della notte, a volte accade che si risvegli un bimbo, il vento. Solo, pian piano vien per il sentiero, penetra nel villaggio addormentato. Striscia, guardingo, sino alla fontana; poi si sofferma, tacito, in ascolto. Pallide stan tutte le case, intorno; tutte le querce mute. (R. M. Rilke)
Passa il vento Passa il vento cantando ed accarezza con le sue dita d’aria la ghirlanda solitaria dei petali, l’ebbrezza sottile degli steli. Non domanda il vento i nomi ai fiori. Esso sa tutto. Semina in ogni zolla, lieto vola a rivedere la gemma ed il frutto: Passa e carezza, ha una buona parola per ogni erba che germina pian piano, per la corolla che vacilla e muore in silenzio nell’angolo lontano. Proprio per questo l’ha fatto il Signore. (G. Porto)
Passaggio di nubi Per le piste celesti vanno le nubi a frotte: viaggiano di notte viaggiano nel dì. A quale pellegrinaggio s’affrettano ad andare? Fanno ritorno al mare di dove ognuna uscì? Come un’agnella sbandata cerca il gregge e il pastore e nel crepuscolo d’oro si perde il suo belato, così una scompagnata nuvola rosa in fretta scavalca un’alta vetta scomparendo al di là. (G. Porto)
Il vento Il vento sta lavando le nubi. prende una nube nera, l’impregna d’acqua, la torce con cura, la sbatacchia al mulino, ci bagna i campi, lava il cielo; ed ecco sbianca la nube nera poc’anzi, pronta ad essere appesa al filo dell’orizzonte ad asciugare. (A. M. Ferreiro)
Passa il vento Ss… ss… sss! Che cosa accade? Passa il vento per le strade! Passa il vento freddo, forte: porta via le foglie morte. Sss… sss… ss! Eccole, vanno! Chissà quando torneranno? Non più il nido sulla rama che ti parla; che ti chiama! Non più il nido sotto il tetto: anche il sole fa un giochetto… scappa sempre più lontano… vien la pioggia, piano, piano. (L. Nason)
Il vento Sentite: chi bussa alla porta fischiando sì forte? Adesso è salito fin sopra la torre; poi scende, borbotta, discorre: Ancora risale su tetti e camini; d’n tratto ricade su piazze, su strade, arruffa le piume dei passerini e ruba i berretti ai bambini. (R. Rompato)
T’amo, vento Io t’amo, vento, enorme boscaiolo che scendi fischiando dalle cime e sbarbichi e scoscendi e schiomi le foreste, e ghiacci con un soffio i fiumi ruinanti e piombi sulle piane suonando le campane. (O. Locchi)
Il vento Esce di scuola il vento e gioca e fischia e non ha libri nè berretto in testa; cerca viole lungo la foresta e sopra i pioppi dondola e s’arrischia… (R. Pezzani)
Il vento Guardo il vento e non lo vedo, lo guardo lungamente e non lo vedo; vedo solo gli alberi che pregano e le foglie che corrono tra l’erba. Guardo il tempo e non lo vedo, lo guardo lungamente e non lo vedo; vedo solo i bambini che crescono e gli uomini che incanutiscono e si curvano. (Anatol E. Baconskj)
Vento d’autunno Dove vanno le foglie arrossate che il vento stacca dagli alberi? Volano e passano; il brusio del vento è tutto quello che rimane dell’autunno. (K. Saionji)
Tramontana Oggi una volontà di ferro spazza l’aria divelle gli arbusti, strapazza i palmizi e nel mare compresso scava grandi solchi crestati di bava. Ogni forma si squassa nel subbuglio degli elementi; è un urlo solo, un muglio di scerpate esistenze: tutto schianta l’ora che passa: viaggiano la cupola del cielo non sai se foglie o uccelli – e non son più. E tu che tutta ti scrolli fra i tonfi dei venti disfrenanti e stringi a e i bracci gonfi di fiori non ancora nati; come senti nemici gli spiriti che la convulsa terra sorvolano a sciami, una vita sottile, e come ami oggi le tue radici. (E. Montale)
Il vento portò da lontano Il vento portò da lontano l’accenno d’un canto primaverile, chissà dove, lucido e profondo si aprì un pezzetto di cielo. In questo azzurro smisurato, fra i barlumi della vicina primavera piangevano burrasche invernali, si libravano sogni stellati… Timide, cupe e profonde piangevano le mie corde. Il vento portò da lontano le tue squillanti canzoni. (A. Bolk)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche su APRILE – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Nuvoletta gentile Vanno le pecorelle per le strade del cielo, coprono sole e stelle con un leggero velo. Camminan dolci e quiete notte, mattina e sera e sciogliendosi in pianti adornan di brillanti madonna primavera. La nuvola più bianca, pur non essendo stanca, non vuol più camminare perchè da un fior che ha sete s’è sentita invocare. La chiaman le sorelle; ma la nube gentile in cielo non c’è più: è discesa quaggiù, dal fiore dell’aprile. M. Gianfaldoni Miserendino
Aprile Questo mese canterino che ha un fioretto sullo stemma, non dimentica un giardino, non si scorda di una gemma. Mostra i suoi color più belli da ringhiere e da cancelli. Cuor contento ed occhi puri, con un filo d’erba in bocca, mette il verde anche sui muri. S’addormenta in mezzo al prato: è felice d’esser nato. Sopra il monte aspetta il sole. Tutti i doni ha nella sporta per lasciarne ad ogni porta. Ma per sè altro non vuole che la piuma di un uccello per ornarsene il cappello. Renzo Pezzani
Aprile Così aprile in un giorno m’ha dipinto il giardino: di bianca calce tutto il muro intorno e tutto il cielo del più bel turchino. Di verde non ha fatto economia. E’ così verde questa terricciuola che sembra l’orto della poesia. Che chiasso di colori in ogni aiuola e quanti fiori, quanta fantasia di blu, di rossi, di celesti e viola! C’è un fior per tutti in questo mio giardino! Fanne un mazzetto da portare a scuola! Così dipinse April questa mia breve terra intingendo il pennello nel cuore fin che bastò il colore. Renzo Pezzani
Aprile L’alba del tuo ritorno, o dolce aprile, con infinita gioia salutiamo: “Benvenuto” diciamo “mese ridente, tiepido e gentile!” V. Lima Nicolosi
Aprile Aprile pittore sai dirmi quant’ore avrai consumato per rendere il prato sì vago e sì bello? Non ebbe il pennello del tuo più divino il grande d’Urbino! Di mille colori dai tingere i fiori e il verde sfumare di tinte ore chiare ora cupe – i nidi ti mandano gridi festanti – fu greve l’inverno di neve! Ma tanto gentile sei tu, vago aprile! A. Fucigna
Stornelli d’aprile Fior d’amaranto è tornato l’april, tiepido è il vento, e già stilla dai tronchi il primo pianto. Fior di frumento mentre stilla dai tronchi il primo pianto, ride di fiori l’albero contento. E. Panzacchi
Piccolo motivo d’aprile La sorella ricama nell’orto un fazzoletto. Oh, come è lustro il tetto di brina stamattina! Una pendula rama le tocca la testina. Che strepito nel cielo, che contesa canora! La sorella lavora con un sorriso gaio… le scende un fior di melo sul piccolo telaio. Marino Moretti
Pioggia d’aprile Sui campi stamattina scende una pioggia fina, e musica soave spande per ogni dove. Tutta se ne commuove la terra, che riceve questa freschezza lieve che dolcemente piove. A. Orvieto
Pioggia e sole d’aprile Son aghi sottili che sembrano fili di liquido argento stroncati dal vento. La pioggia s’arresta, la nube dilegua; nell’ora di tregua gli uccelli fan festa. Ma i piccoli fili d’acciaio lucenti cadendo sottili ritornan frequenti. S’arresta la piova… e il sole ritrova tra nuvole rade le azzurre sue strade. G. Cesare Monti
Canto d’aprile C’è fra i rovi, ieri non c’era, l’erba che trema come un verde fuoco, l’ha perduta per gioco la giovane primavera. La pecorella vestita di lana ora strappa le tenere foglie, e per ogni ciuffo che coglie batte un tocco di campana. A quel suono fiorisce il pesco, si schiudono le finestrelle, e le rondini col cuore fresco giungono dalle stelle. L’acqua chioccia nella peschiera rotonda come una secchia, e l’allodola dentro vi specchia il suo canto di primavera. R. Pezzani
Aprile Allorchè torna aprile campeggia sopra il prato il fiordaliso e nell’acqua che corre si specchia ogni bel viso. Sull’albero l’uccello canta soavemente: chi lo sente rivede il paradiso. N. Moscardelli
Canto d’aprile Già frondeggia, sfiorito, il biancospino che primo salutò la primavera: già il nido i merli, sul leccio e sul pino, chiassosi fanno: e al giunger della sera l’usignolo flauteggia innamorato. Già grida nell’azzurro il volo delle rondini veloci: già le garrule voci dei bambini sul prato sopraffanno il sussurro dei fiorellini a schiera, e il cuore delle mamme, in quelle voci. V. Masselli
Pesci d’aprile Attento, attento bambino! C’è per aria un pesciolino di panno, sporco di gessetto, e qualcuno sussurra: “Lo metto sulla schiena al più distratto”. E’ un pesciolino matto, un pesciolino d’aprile. Se ti tocca, sii gentile; si tratta d’un piccolo gioco, uno scherzo che dura poco, non più d’un giro di sole, e l’usanza così vuole. Il pesciolino che vola, tra i piccoli della scuola, è un segno primaverile della gaiezza infantile. Attento, attento bambino: vola vola il pesciolino. V. Masselli
Mario E’ come il cielo d’aprile: piange, ma basta un nonnulla (un passerotto che frulla, o una pagliuzza) e il cortile ode il suo riso beato. Vedi? Il sereno è tornato. Ma dura poco: si turba (basta un nonnulla: una rossa mela che coglier non possa, o un’ape che lo disturba); versa di pianto un barile… E’ come il cielo d’aprile. M. Castoldi
Pioggia d’aprile Attoniti dai nidi nuovi, sui vecchi tetti guardano gli uccelletti, mettendo acuti gridi cadere l’invocata pioggia di mezzo aprile. Tu dietro la vetrata dalla finestra bassa come lor guardi e ridi. E’ nuvola che passa. L. Pirandello
Aprile Ecco aprile giovinetto che ha negli occhi le viole. Con il primo mite sole vien danzando per le aiuole un allegro minuetto. Lo salutano i ruscelli, canticchiando in freschi cori: lo salutano gli odori delle mammole e dei fiori ed il trillo degli uccelli. D. Dini
Pioggia d’aprile Nuvole pazzerelle! Scherzano su nel cielo in un momento intessono intorno al sole un velo. Poi leste quattro gocciole di pioggia spruzzan giù: e al sol fuggendo, gridano: “Adesso asciuga tu!” L. Schwarz
Aprile Aprile, dolce dormire, nel bianco tuo lettino, mentre la cincia trilla e frulla il cardellino… Hedda
Canti della mattina Cantan le rose e cantan le viole. cantano i gigli dalle verdi aiuole: “Buongiorno, o sole!”. E canta l’usignol, canta lo storno, cantano i monti e il mare intorno intorno “O sol buongiorno!”. R. Fucini
Il mago d’aprile Buongiorno, mago aprile! Sei tornato? – Si desta al semplice suo tocco con tre ghirlande in testa nell’orto l’albicocco; l’acacia nel cortile mette il più bel monile; le rondini dai nidi gridano: “Vidi! Vidi!” Buongiorno! Lo sparuto margine del fossato si veste del più ricco mantello di broccato per te, che faccia spicco; e il ruscello già muto, ripreso il flauto arguto suona, portando al mare argenti e perle rare. A. S. Novaro
Aprile Verde, festoso, gentile è il panorama d’aprile; sembra dipinto a pennello da qualche grande pittore. “Guardate il cielo, che bello!” bisbiglian le viole in fiore. “Guardate il mare, che incanto!” dicon le vele nel vento. “Guardate le erbe, che manto!” cantan le nubi d’argento. Son fratelli e compagni torrenti, rivoli e stagni; son compagni e fratelli passeri, tordi e fringuelli; son fedelissimi amici steli, germogli e radici. (L. Folgore)
Ritorna aprile Allorchè ritorna aprile campeggia sopra il prato il fiordaliso, e nell’acqua che corre si specchia ogni bel viso; sull’albero l’uccello canta soavemente: e chi lo sente rivede il paradiso. (N. Moscardelli)
Aprile Andiamo a trovare aprile sull’erba dei prati! Lo vedremo giocare col vento lieve di primavera, snidare col tiepido sole i pigri animaletti, lanciare coi bimbi folletti grossi aquiloni. Andiamo a trovare aprile. (A. Russo)
Aprile, dolce dormire Svegliati, svegliati, campanaro, la rondine canta, il cielo è chiaro! Piglia la corda e suona le campane, chè il fornaio vuol fare il pane, ogni cuor vuol palpitare. Ma in ogni casa mamma è desta, e spalanca la finestra, e fa tutto, ma pianino, chè ancora dorme il suo bambino… (Dorme con le manucce strette e l’angelo chissà cosa ci mette). E le campane delle chiesuole: “Ah, che buon’aria! Oh, che buon sole!” Fiorito è il monte, lucente il mare, e tu, perchè non ti vuoi svegliare? (U. Betti)
Aprile Escono i bambini dalla scuola, e siedon sotto i nespoli in fiore, sulle rive profonde del fiume. Il cielo immobile e chiaro moltiplica i loro sorrisi. (A. Madaro)
Sera d’aprile Batte la luna soavemente di là dei vetri, sul mio vaso di primule: senza vederla la penso come una grande primula anch’essa, stupita, sola, nel prato azzurro del cielo (A. Pozzi)
Aprile April dolce dormire! E caldi calci, voi fingete non sentire la mamma e i baci suoi. Eppur son già quattr’ore che gli uccellini, a frotte, cantan sui rami in giore i sogni della notte. Levatevi! C’è il sole, che splende allegramente nel cielo azzurro, e vuole tutta scaldare la gente. (G. Mazzoni)
Aprile Aprile, l’incerto, non sa cosa fare. Gli piace la pioggia la grandine bianca il vento le nubi il sole le viole… Portate l’ombrello perchè pioverà! Portate il cappello gran caldo farà… (K. Jackson)
Saluto d’aprile E’ venuto aprile! Dall’uscio ha fatto capolino come un bambino! Come un bambino che tenta i primi passi, e poi si sgomenta, e pensa… e ride con gli occhi stupiti color del cielo, ride al mondo grande, alle nuvolette di velo! (U. Betti)
Aprile Ancora assonnato è il prato invernale … che riposa. Lenta, silenziosamente, vi cresce la barba dell’erba; e tu, aprile, ti diverti a tirarla e a spettinarla con un pettine di vento, che è odoroso più del miele… E tremano e ridono il bosco il cespuglio e la siepe: perchè sulla loro tenera pelle sta ora facendo il solletico l’aprile scherzoso. (A. Toth)
Aprile Aprile, il gran pittore, va a spasso col pennello e mette giù colore per fare il mondo bello. Dipinge di celeste l’occhietto ai fiordalisi; col bianco fa la veste dei candidi narcisi; alle margheritine mette nel cuore il giallo; alle campanelline dà un tocco di corallo. Di luce e di colore veste la terra intera. Poi domanda il pittore: “Ti piace, oh primavera?”. (P. Antico)
Il mago Aprile “Buongiorno, Mago Aprile! Sei tornato?”. Si desta al semplice suo tocco con tre ghirlande in testa, nell’orto l’albicocco; l’acacia nel cortile mette il più bel monile. Le rondini dai nidi, gridano: “Vidi, vidi!” (A. S. Novaro)
Pioggia d’aprile Cadi piano, o sottile pioggia primaverile! Non battere la cima del biancospino gentile, se prima non l’ho visto. (dal giapponese)
Pioggia d’aprile Che pazzerelle nuvole! Scherzano su nel cielo… In un momento intessono intorno al sole un velo; poi, lese, quattro gocciole di pioggia spruzzan giù, al sole, fuggendo, gridano: “Adesso asciuga tu!” (L. Schwarz)
Gioia d’aprile Per sapere la gioia dell’aprile bisogna, amici, uscir per i sobborghi, mirare il ciel, le vie dorate, gli orti, e i colli che traspaiono laggiù. Prime foglie tremanti su la rama nuda, o lucenti nella terra bruna! Si vorrebbe baciarle ad una ad una, piangendo di dolcezza e di bontà. Una distesa d’orti. In primo piano: selvette d’insalata ricciolina, viali d’aglio, qualche testolina di fagiolo che spunta a far cucù. Dietro: tappeti di varia verdura distesi in simmetria, tende pezzate, molli trapunte, scure fiocchettate di verze gialle e cavolfiori blu. Nello sfondo, robinie che la guazza ha ingioiellato di puri diamanti, un filare di pioppi palpitanti… e il cielo azzurro… La serenità. (D. Valeri)
E’ aprile
Ho visto, sotto i culmini dei monti, bianchi di neve, disserrarsi i fonti; scender chiare fiumane alla pianura, e risalir le greggi alla pastura. E al piano ho visto i campi di frumento mareggiar verdi nel soave vento. E volando sul mare di zaffiro, ho sentito cantare il suo respiro, e ho visto aprirsi vele di speranza, ali di fiamma, sopra ogni paranza. Genti: è aprile! La nuvola che va spande sul mondo la felicità. (D. Valeri)
E’ nato aprile
Aprite le finestre: è nato aprile! Il verde nei sentieri è traboccato, escon le pecorelle dall’ovile. Aprite le finestre: aprile è nato! Spicchi di cielo sembran tutti i rivi, nuvole rosa tutti i peschi in fiore, e gli alberi di nidi si fan vivi, ringiovanisce in ogni petto il cuore. Le prime rose infiorano gli altari, odora su dai prati il primo fieno; la rondinella, attraversati i mari, solca di voli e stridi il ciel sereno. In tripudio d’amor si rannovella tutta la terra e muta il grezzo panno in una veste rilucente e bella. Aprite, aprile, gioventù dell’anno! (F. Castellino)
Sera d’aprile
Batte la luna soavemente di là dai vetri sul mio vaso di primule: senza vederla la penso come una grande primula anch’essa, stupita, sola, nel prato azzurro del cielo. (A. Pozzi)
Prato d’aprile
C’era un prato: con folte erbe, frammiste a bianchi fiori, e gialli, e violetti; e fra esse un brusio di mille piccole vite felici; e se sull’erbe e i fiori spirava il vento, con piegar di steli tutto il prato nel sol trasecolava. E volavan farfalle, uguali a petali sciolti dai gambi; e si perdean rapidi i miei pensieri in quell’aerea danza ove l’ala era il fiore e il fiore l’ala. (A. Negri)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche sugli uccelli – una collezione di poesie e filastrocche sugli uccelli, di autori vari, per la scuola d’infanzia e primaria.
Gli uccelli E uccelli, uccelli, uccelli, col ciuffo, con la cresta, col collare: uccelli usi alla macchia, usi alla valle: scesi, dal monte, reduci dal mare: con l’ali azzurre, rosse, verdi, gialle: di neve, fuoco, terra, aria le piume: con dentro il becco pippoli e farfalle. (G. Pascoli)
Buon cuore “Ecco” diceva il passero affamato “la neve bianca ha tutto sotterrato, non c’è un filo d’erba qua nell’orto. Prima di sera certo sarò morto”. Allora s’apre piano un balconcino e compare il visetto d’un bambino. Il bimbo sparge in fretta sul balcone le bricioline della colazione. Poi si ritira. Allegro è il passerino, par che cinguetti un “grazie” a quel bambino. (A. Ferraresi)
Parlano i canarini Dice la canarina al canarino: “Ascolta un po’, mio caro maritino lo zuccherino che ci mette qua la nostra padroncina ogni mattina mentre si fa la nostra dormitina, sempre sparisce, e come non si sa”. Allora per scoprire il mariuolo dormono entrambi con un occhio solo. Ed ecco vedon capitar, bel bello il bambino di casa, un furfantello. che pian pianino lo zuccherino tocca e di nascosto se lo mette in bocca. Scuotono tristi il capo i canarini: “Che gentaglia son mai questi bambini!” (L. Schwarz)
Il gatto e l’uccellino L’uccellino sulla pianta ride al cielo e lieto canta quando arriva di soppiatto per ghermirlo un grosso gatto. L’uccellino con un trillo vola via felice e arzillo! Ed il gatto a muso tetro ci rinuncia e torna indietro. (Anonimo)
Invito alle rondini O rondine, che torni d’oltremare, mi presti l’ali tue sì belle e nere? Per tutta la mia terra voglio andare le cento sue città voglio vedere e quando la mia terra avrò veduto ti renderò le alucce di velluto. (A. C. Pertile)
Pettirosso Nel giardino di un bambino è arrivato un uccellino. Gli occhi neri, il petto grosso il suo nome è pettirosso. Salta, vola tutto il dì e fa sempre tic tic tic. E l’autunno ci ha annunciato il suo canto ha regalato. (Anonimo)
Mastropicchio e Verderacchia Mastropicchio Saltapicchio col suo becco picchia e fa: Ticche ticche ticcetà La Ranocchia Verderacchia gli propone: Senti qua, io canticchio gra gra gra, tu accompagni ticchetà! ». Gre gre, ticche, gre gre gre, zumpa ticche, zumpetè! Vien la guardia: «Cosa c’è? Favoriscano con me, in prigione per schiamazzo e strombazzi da strapazzo aggravati da rumori ». Buona notte ai suonatori! (E. Zedda)
Il ritorno della rondine Bimbo, ritorno al tetto ove son nata che giovinetta ancora abbandonai poichè la primavera è ritornata; e sono piena di faccende ormai. Ho sposato quel vispo rondinino che dall’infanzia fu mio buon amico s’acchiappo’ insieme il primo moscerino or si fa il nido preso il nido antico. Così, bambino, accanto a te, felici, di padre in figlio resteremo amici. (L. Schwarz)
Scricciolo Per star bene, a questo mondo basta un bel nidetto tondo dove i sette fratellini si raccolgono vicini fuori neve a larghe falde dentro muschio e piume calde si è felici nel tepore così stretti cuore a cuore. (G. Grohmann)
Passerini Il grosso tiglio è tutto un bisbigliare di passerini, come un chiacchierare sentite quanto sono birichini sembrano proprio… un crocchio di bambini. (M. M. Orsenigo)
Casa piccola “Quel vostro nido è piccolo, rondini, come fate? I vostri figli crescono e ormai più non ci state”. “Ci stiamo, sì, stringendoci così, tutti vicini, stanno più caldi e morbidi i nostri rondinini. Poco posto si tiene quando ci si vuol bene”. (L. Schwarz)
Il nido Di beccucci si contorna sulla rama il piccol nido, quando intende il dolce grido della mamma che ritorna. Poi la madre ancor s’affanna per il loro nutrimento, mentre il nido culla il vento e gli fa la ninna nanna. (D. Dini)
La rondine Rondinella, nera e snella, sorellina birichina dalla dolce primavera, t’ho aspettata! Sei tornata con il sole con le viole con l’azzurro e in un sussurro voli, voli nella sera. Io ti guardo e ti sorrido, rondinella svelta e nera. (Anonimo)
Preparativi Guarda: un uccello è sceso dalla gronda. Frulla nell’aria, va da fronda a fronda, salta su tutti i pruni della siepe, si nasconde nell’edera un momento, getta festoso un grido e a lui, dal nido, un gorgheggio risponde. Ora una gola sola può cantare; ma nel maggio saranno cinque voci a cinguettare. Ed egli cerca, cerca nelle aiuole… Ecco che trilla al sole e torna al nido, lieto, portando un piccolo fuscello. un filo d’erba, un petalo, un granello. (G. Cesare Monti)
Uccelletto In cima a un’antica pianta, nel roseo ciel del mattino, un uccelletto piccino (Oh, come piccino!) canta. Canta? Non canta: cinguetta. Povera piccola gola, ha in tutto una nota sola, e questa ancora imperfetta. Perchè cinguetta? Che cosa, lo fa parer così giulivo? S’allegra d’esser vivo in quella luce di rosa. (A. Graf)
Ad una rondinella O rondinella che hai passato i monti, quanti paesi hai visto uguali al mio? Perchè non t’avvicini e non racconti? O rondinella che hai passato il mare, gente diversa hai visto all’altra riva? Perchè non me lo vieni a raccontare? Io t’ho aspettato tanto, o rondinella, tante notizie volevo sapere, ma tu non parli nella mia favella e voli via col l’ali tue leggere. (M. Remiddi)
La prima rondine C’è un tremolar d’azzurro oggi nell’aria, un luccicar di verde oggi nel sole, un vago odore di viole appena nate. Entra giuliva dalle finestre spalancate la primavera in fiore. Io seguo con occhi sospesi lo stridulo volo di un’ala che rade il tetto e scompare via nell’aria, nel sole! (A. Morozzo Della Rocca)
Uccellin Uccellin che non ti vedo dove canti così lieto? Ruvida l’aria, nudi i rami ancora è inverno e tu già canti? “Primavera, viene, viene, viene, io lo so, io lo so, io lo so” Oh come folle tu canti! Ma dove? Nel cuore, nel cuore tu canti: invisibile ti vedo, ti sento, nell’aria ruvida, sui nudi rami: annunzi che viene, che sempre ritornerà! (A. S. Novaro)
Il vecchio pero e la rondine C’era un tempo un vecchio pero che dormiva smorto e nero nel freddo cortile. Sotto vento, pioggia o neve dormiva d’un sonno ben greve! Tutta la neve che l’inverno caccia gli assiderava le braccia, la pioggia acuta e sottile lo penetrava ostile, il crudele e triste vento lo staffilava con accanimento; ma l’albero nulla sentiva; sotto la sferza della rabbia viva dormiva dormiva dormiva. A San Benedetto su l’alba rosata fu vista una rondinella vispa calare a tese ali sul tetto. Rondine bruna, rondine gaia! Posata sulla grondaia, accanto al pendulo nido miracoloso, ed ecco il povero albero secco irrigidito che tanto aveva dormito si svegliò fra tesori di ciocche di fiori. (A. S. Novaro)
La rondinella Torna la rondinella, torna di là dal mare; ha l’ali molto stanche e deve riposare… Qui, sotto la mia gronda, c’è un piccol posticino, il sol tutto lo inonda, quando si fa mattino. Vieni, rondine bella, qui il nido a fabbricar; qui posa l’ali stanche dal tuo lungo volar. (R. Fumagalli)
Mimmo e le rondini E due rondini ho sentito che facean grandi complotti coi loro cinque rondinotti. “C’è” dicean, “un fratellino (non ha nido, non ha penne, ma per certo è un rondinino), ch’è padrone del giardino. Non ha nido e non ha penne, ma padrone è certamente. Se volesse, in men che niente, ci potrebbe far contente”. “Vacci tu” dice una rondine. “Vacci tu” dice quell’altra. “Tu che sai come si parla! Tu che mai non ti confondi!”. La nidiata è in gran subbuglio perchè ha visto un bel cespuglio. “Fate presto! Che s’aspetta? Abbiam fretta, fretta, fretta!” “Io ci vo se ci vai tu…” e due rondini ecco giù. “Messer Mimmo, rondinino, padroncino del giardino, tu puoi farci un gran piacere. Il giardino è da vedere, con la veste sua gaietta tutta verde e tutta rosa. C’è un odor di fragoletta che solletica la gola. La ghiaiuzza brilla e cricchia e canticchia la fontana. Questo è un eden di beltà. Ma quel gatto che ci fa?” Ah, che gioia, detto fatto, inseguir quel tristo gatto che vuol male ai rondinotti. Tra i limoni e i bergamotti si nasconde pancia a terra, ora è entrato nella serra, ora casca nella vasca… Zum! Che balzo! E sul muretto, è scappato, poveretto, di paura morirà. Ma che muoia! Ben gli sta! “Pio pio pio, buon fratellino rondinino, fior di lino, grazie!” pigola il nidietto. (Terèsah)
Un rondinotto E’ ben altro. Alle prese col destino veglia un ragazzo che con gesti rari fila un suo lungo penso di latino. Il capo ad ora ad ora egli solleva dalla catasta di vocabolari, come un galletto garrulo che beva. Povero bimbo! di tra i libri via appare il bruno capo tuo, scompare; come d’un rondinotto, quando spia se torna mamma e porta le zanzare. (G. Pascoli)
Cuculo La canzone l’ho capita che ricanti fino a sera di bei fiori rivestita fa ritorno primavera. Tu lo narri ad ogni pianta lo ripeti ad ogni fiore la tua gioia è tanta e tanta e non puoi tenerla in cuore. Ogni cosa si ridesta gelo e nebbia non son più il tuo cuore è tutto in festa sì, cucù cucù cucù! (V. Giulotto)
Passerotti Ci ci ci, ci ci ci anche noi siamo qui passerotti dei prati impazienti ed affamati con le alucce distese le codine protese siamo in tanti, siamo qui dacci il pane, ci ci ci. (Anonimo)
Cardellini Posati su esili fili d’erba archi di colore oscillano mossi dal vento. (P. Pesce)
Due rondini Due rondini nella luce al di sopra della porta e ritte nel loro nido scuotono appena la testa ascoltando la notte. E la luna è tutta bianca. (J. Prévert)
Uccelli Ci ci ci, ci ci, ci ci, fan gli uccelli tutto il dì e preparano nidietti per deporvi i loro ovetti. Ci ci ci, ci ci, ci ci, fan gli uccelli tutto il dì. (Anonimo)
Uccelli Quando vedo gli uccelli librarsi nell’aria planare e po buttarsi in picchiata attraverso il cielo, nelle profondità del mio spirito sento un ardente desiderio di volare. Solo un folle può dimenticare di lodare la vita nella sua potenza quando anche gli uccelli spensierati la lodano ogni giorno con il loro volo. (Anonimo)
L’albatro Spesso, per divertirsi, gli uomini d’equipaggio catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari, che seguono, indolenti compagni di vïaggio, il vascello che va sopra gli abissi amari. E li hanno appena posti sul ponte della nave che, inetti e vergognosi, questi re dell’azzurro pietosamente calano le grandi ali bianche, come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi. Com’è goffo e maldestro, l’alato viaggiatore! Lui, prima così bello, com’è comico e brutto! Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco, l’altro, arrancando, mima l’infermo che volava! Il Poeta assomiglia al principe dei nembi che abita la tempesta e ride dell’arciere; ma esule sulla terra, al centro degli scherni, per le ali di gigante non riesce a camminare. (C. Baudelaire)
Il passero solitario D’in su la vetta della torre antica, Passero solitario, alla campagna Cantando vai finchè non more il giorno; Ed erra l’armonia per questa valle. Primavera dintorno Brilla nell’aria, e per li campi esulta, Sì ch’a mirarla intenerisce il core. Odi greggi belar, muggire armenti; Gli altri augelli contenti, a gara insieme Per lo libero ciel fan mille giri, Pur festeggiando il lor tempo migliore: Tu pensoso in disparte il tutto miri; Non compagni, non voli Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; Canti, e così trapassi Dell’anno e di tua vita il più bel fiore. Oimè, quanto somiglia Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso, Della novella età dolce famiglia, E te german di giovinezza, amore, Sospiro acerbo de’ provetti giorni, Non curo, io non so come; anzi da loro Quasi fuggo lontano; Quasi romito, e strano Al mio loco natio, Passo del viver mio la primavera. Questo giorno ch’omai cede alla sera, Festeggiar si costuma al nostro borgo. Odi per lo sereno un suon di squilla, Odi spesso un tonar di ferree canne, Che rimbomba lontan di villa in villa. Tutta vestita a festa La gioventù del loco Lascia le case, e per le vie si spande; E mira ed è mirata, e in cor s’allegra. Io solitario in questa Rimota parte alla campagna uscendo, Ogni diletto e gioco Indugio in altro tempo: e intanto il guardo Steso nell’aria aprica Mi fere il Sol che tra lontani monti, Dopo il giorno sereno, Cadendo si dilegua, e par che dica Che la beata gioventù vien meno. Tu, solingo augellin, venuto a sera Del viver che daranno a te le stelle, Certo del tuo costume Non ti dorrai; che di natura è frutto Ogni vostra vaghezza. A me, se di vecchiezza La detestata soglia Evitar non impetro, Quando muti questi occhi all’altrui core, E lor fia vóto il mondo, e il dì futuro Del dì presente più noioso e tetro, Che parrà di tal voglia? Che di quest’anni miei? che di me stesso? Ahi pentirornmi, e spesso, Ma sconsolato, volgerommi indietro. (G. Leopardi)
Rondine Vieni, vieni rondinina a abitar la tua casina vieni qui sotto la gronda a danzare la tua ronda a destarci al nuovo dì col tuo lieto ci ci ci. (Anonimo)
Rondine Io vengo da lontano, ci ci ci ho sorvolato il mare tanti dì. Di ritrovare il nido son beata perchè quel lungo viaggio mi ha stancata. Con quanta gioia deporrò gli ovini da cui nasceran presto i miei piccini! Da mane a sera mi vedrai volare per poterli ogni giorno poi sfamare. E quando spunta il dì e quando muore mi sentirai cantare a tutte l’ore. (E. Minoia)
Coraggio nelle avversità “Cip cip”, fa un passerino da una pianta “tutto è sepolto nella neve bianca!” “Cip cip” piangono gli altri, “la va male: non c’è più quasi niente da mangiare!” “Cip, cip-cip, cip.” fa il passerotto saggio: “Eh, nell’avversità ci vuol coraggio. Pazza l’inverno e dopo i suoi rigori si ridiventa tutti gran signori”. (L. Schwarz)
Uccellini Uccellini, non sapete, ch’è venuta primavera? Avant’ieri ancor non c’era oggi, invece, a un tratto è qui! Uccellini, non vedere come d’oro splende il sole? Salutate il primo fiore con un lieto ci ci ci. (L. Schwarz)
L’uccellino Scocca come una freccia un uccellino sul ramo verde posa un momentino gira gli occhietti, getta un trillo e va… piccolo vaso di felicità. (L. Schwarz)
Lo scricciolo Uno è rimasto, il più piccino, di tanti uccelli volati via, un batuffolo di piume che non sa malinconia; un batuffolo irrequieto tra i rametti della siepe, così piccolo che pare un uccello da presepe. Vispi occhietti, alucce lievi, un codino impertinente, così gaio e spensierato che può vivere di niente. Nella campagna tacita, bianca, che il gelo tiene prigioniera, pare la nota dimenticata, d’una canzone di primavera. Sempre gaio, sempre lieto, senza timore del domani, pare un bimbo poverello che tiene la gioia nelle sue mani. (G. Ajmone)
Aquila Aquila che nel ciel spieghi solenne il volo, a salutare il dì nascente, fatte di luce sembran le tue penne, come il pensier che sorge nella mente. Regale e solitaria sulle alture guardi la terra giù come straniera, non son fatte per te le mie pianure, della luce e dell’aria tu sei fiera. Ti culli nell’azzurro sconfinato, spazi con l’occhio nell’immensità e l’aspre rupi, dov’hai nidificato sono un rifugio quando il sol cadrà. (Anonimo)
L’usignolo Gira e rigira di qua e di là la cinciallegra dove sarà? Sarà andata col suo figliolo a fare visita all’usignolo: “Usignolo, puoi tu insegnare quell’arte belle di cantare?” L’usignolo dice di no l’arte bella insegnare non può l’arte bella vien da dio tu hai il tuo canto ed io ci ho il mio. (L. Schwarz)
Il passero solitario Tu nella torre avita, passero solitario, tenti la tua tastiera, come nel santuario monaca prigioniera l’organo, a fior di dita; che pallida, fugace, stupì tre note, chiuse nell’organo, tre sole, in un istante effuse, tre come tre parole ch’ella ha sepolte, in pace. Da un ermo santuario che sa di morto incenso nelle grandi arche vuote, di tra un silenzio immenso mandi le tue tre note, spirito solitario. (G. Pascoli)
Dialogo Scilp: i passeri neri su lo spalto corrono, molleggiando. Il terren sollo rade la rondine e vanisce in alto: vitt. . . videvitt. Per gli uni il casolare, l’aia, il pagliaio con l’aereo stollo; ma per l altra il suo cielo ed il suo mare. Questa, se gli olmi ingiallano la frasca, cerca i palmizi di Gerusalemme: quelli, allor che la foglia ultima casca, restano ad aspettar le prime gemme. Dib dib bilp bilp: e per le nebbie rare, quando alla prima languida dolciura l’olmo già sogna di rigermogliare, lasciano a branchi la città sonora e vanno, come per la mietitura, alla campagna, dove si lavora. Dopo sementa, presso l’abituro il casereccio passero rimane; e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro saluta le migranti oche lontane. Fischia un grecale gelido, che rade: copre un tendone i monti solitari: a notte il vento rugge, urla: poi cade. E tutto è bianco e tacito al mattino: nuovo: e dai bianchi e muti casolari il fumo sbalza, qua e là turchino. La neve! (Videvitt: la neve? il gelo? ei di voi, rondini, ride: bianco in terra, nero in cielo v’è di voi chi vide . . . vide . . . videvitt?) La neve! Allora, poi che il cibo manca, alla città dai mille campanili scendono, alla città fumida e bianca; a mendicare. Dalla lor grondaia spiano nelle chiostre e nei cortili la granata o il grembiul della massaia. Tornano quindi ai campi, a seminare veccia e saggina coi villani scalzi, e – videvitt – venuta d’oltremare trovano te che scivoli, che sbalzi, rondine, e canti; ma non sai la gioia -scilp- della neve, il giorno che dimoia. (G. Pascoli)
L’uccellino del freddo Viene il freddo. Giri per dirlo tu, sgricciolo, intorno le siepi; e sentire fai nel tuo zirlo lo strido di gelo che crepi. Il tuo trillo sembra la brina che sgrigiola, il vetro che incrina. . . trr trr trr terit tirit Viene il verno. Nella tua voce c’è il verno tutt’arido e tecco. Tu somigli un guscio di noce, che ruzzola con rumor secco. T’ha insegnato il breve tuo trillo con l’elitre tremule il grillo . . . trr trr trr terit tirit. . . Nel tuo verso suona scrio scrio, con piccoli crepiti e stiocchi, il segreto scricchiolettio di quella catasta di ciocchi. Uno scricchiolettio ti parve d’udirvi cercando le larve. . . trr trr trr terit tirit. . . Tutto, intorno, screpola rotto. Tu frulli ad un tetto, ad un vetro. Così rompere odi lì sotto, così screpolare lì dietro. Oh! lì dentro vedi una vecchia che fiacca la stipa e la grecchia. . . trr trr trr terit tirit. . . Vedi il lume, vedi la vampa. Tu frulli dal vetro alla fratta. Ecco un tizzo soffia, una stiampa già croscia, una scorza già scatta. Ecco nella grigia casetta l’allegra fiammata scoppietta. . . trr trr trr terit tirit. . . Fuori, in terra, frusciano foglie cadute. Nell’Alpe lontana ce n’è un mucchio grande che accoglie la verde tua palla di lana. Nido verde tra foglie morte, che fanno, ad un soffio più forte. . . trr trr trr terit tirit. (G. Pascoli)
L’assiuolo Dov’era la luna? ché il cielo notava in un’alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi: chiù… Le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte: sentivo il cullare del mare, sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo nel cuore un sussulto, com’eco d’un grido che fu. Sonava lontano il singulto: chiù… Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento: squassavano le cavallette finissimi sistri d’argento (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più?…); e c’era quel pianto di morte… chiù… (G. Pascoli)
Lo stornello – Sospira e piange, e bagna le lenzuola la bella figlia, quando rifà il letto,- tale alcuno comincia un suo rispetto: trema nell’aurea notte ogni parola; e sfiora i bossi, quasi arguta spola, l’aura con un bruire esile e schietto: – e si rimira il suo candido petto, e le rincresce avere a dormir sola.- Solo, là dalla siepe, è il casolare; nel casolare sta la bianca figlia; la bianca figlia il puro ciel rimira. Lo vuole, a stella a stella, essa contare; ma il ciel cammina, e la brezza bisbiglia, e quegli canta, e il cuor piange e sospira. (G. Pascoli)
Il nido Dal selvaggio rosaio scheletrito penzola un nido. Come, a primavera, ne prorompeva empiendo la riviera il cinguettio del garrulo convito! Or v’è sola una piuma, che all’invito del vento esita, palpita leggiera; qual sogno antico in anima severa, fuggente sempre e non ancor fuggito: e già l’occhio dal cielo ora si toglie; dal cielo dove un ultimo concento salì raggiando e dileguò nell’aria; e si figge alla terra, in cui le foglie putride stanno, mentre a onde il vento piange nella campagna solitaria. (G. Pascoli)
Gli uccellini Nella siepe tutta spini son rimasti gli uccellini, perchè il rovo e il biancospino, il sambuco e l’agazzino hanno bacche colorite, nutrienti e saporite. Ma lombrichi e chioccioline, ricci, serpi e formichine, la lucertola curiosa (e il ramarro che riposa) stan nascosti a sonnecchiare, finchè il sol potrà tornare, stan nascosti giorno e sera, aspettando primavera.
Il nido solo O rondinella nata in oltremare! Quando vanno le rondini e qui resta il nido solo, oh, che dolente andare! Non c’è più cibo qui per loro, e mesta la terra, e freddo è il cielo, tra l’affanno dei venti, e lo scrosciar della tempesta. Non c’è più cibo. Vanno. Torneranno? Lascian la lor casa senza porta; tornano tutte al rifiorir dell’anno. (G. Pascoli)
Partono le rondini Oh, rondinelle! E’ triste il vostro addio, benchè sia pieno di festosi gridi: è tanto triste come il dondolio che fan tra i ramoscelli i vuoti nidi. Oh rondini! E’ pur dolce ai nostri cuori questa vostra partenza agile e gaia, che ci rammenta i piccoli rumori che facevate sotto la grondaia! S’alzan nel cielo della rosea sera le rondinelle a stormi e a tribù. Ritorneranno tutte a primavera? Forse qualcuna resterà laggiù. (M. Moretti)
Piccolo nido Piccolo nido lì sotto la gronda, sei stanco, è vero? Stanco d’aspettare? Oh, tra poco la rondine gioconda ripasserà, per te, tutto quel mare! La neve, il vento, il freddo, la bufera non t’han guastato: sotto il tetto fido verrà la rondinella bianca e nera… Un altro poco ancor, piccolo nido! (Zietta Liù)
L’albero secco e la rondine A San Benedetto, su l’alba rosata fu vista una rondinella vispa calare a tese ali sul tetto. Rondine bruna, rondine gaia! Posata sulla grondaia, accanto al pendulo nido, mise un piccolo grido, ed ecco il povero albero secco irrigidito, che tanto aveva dormito, si svegliò tra tesori di ciocche di fiori. (A. S. Novaro)
Il nido Io vidi ieri sotto al mio balcone una casetta aperta all’aria, al sole; intesi una sottil, dolce canzone vagar per l’aria e coll’odor di viole. “Prendiamo il nido!” e rapido balzai sul vecchio fico che la vecchia casa protegge, e tra le fronde m’affacciai: … l’anima mia fu di dolcezza invasa. La rondinella dalle alucce scure, da cinque becchi aperti circondata, quale mammina, che dà affetto e cure, porgeva all’uno e all’altro l’imbeccata. Mi parve allor veder la mamma mia con noi piccini intorno… E ne provai un rimorso sottile; ritirai la mano, e ridiscesi nella via. (Hedda)
Rondine Sui fili del telegrafo la rondine saltella: dà un trillo, un guizzo, vola… Spicca nel cielo nitido, piccola cosa bella, piccola cosa sola che frulla, trilla, va: cuore che batte nell’immensità. (Hedda)
La prima rondine Come una monachella vestita di bianco e di nero, la prima rondinella è giunta dall’altro emisfero. Sporgente dalla grondaia la chiama il bel nido natio, e par che gli risponda girandogli attorno: sei mio. E quando sotto il tetto nel piccolo nido pispiglia, palpita in ogni petto l’amor della dolce famiglia. (R. Pitteri)
Rondini sul mare Caduto il soffio della tramontana ecco le prime rondini sul mare! giungono d’oriente a salutare le tue piagge dolcissime… Alacri nel desio dei loro nidi le rondini traversano il sereno: una vien sola innanzi, messaggera. Le guarda il pescatore, ode gli stridi, pensa: ieri partirono… è un baleno il tempo. Ecco tornata primavera. (F. Pastonchi)
La buona notte delle rondini
Quando muore il dì perduto dietro qualche oscura vetta, quando il buio occupa muto ogni vuota oscura via, una strana frenesia tra le rondini scoppietta. Come bimbi sopra l’aia giocan elle con giulive grida intorno alla grondaia; e poi su nel cielo rosa vanno vanno senza posa dove Iddio soletto vive. Gaie arrivano in presenza del buon Dio, che tutto accoglie; una bella riverenza fa ciascuna, e poi dice: “Sia la notte tua felice!” Dice e il volo quindi scioglie. Scioglie il volo, e giù si china con un poco di tremore per la lieve aria turchina; e ritrova le sue orme, trova il nido, e ci si addorme col capino sopra il cuore. (A. S. Novaro)
Ritornava una rondine al tetto
Ritornava una rondine al tetto: l’uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini. Ora è là come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell’ombra che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l’uccisero: disse: -Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono… Ora là nella casa romita, lo aspettano, aspettano invano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. (G. Pascoli)
Il cuculo
O cuculo, bel cuculo barbogio che veli sopra il fresco canepaio cantando il tuo ritornello gaio, il vecchio ritornello d’orologio: tu sei la primavera pazzerella, che si nasconde e canta allegra: -Orsù, venitemi a pigliar… cucù! Cucù!- dietro il frumento che va in botticella. E quando, dopo un lungo inseguimento, tu speri d’acciuffarla nel frumento, ella, che ti spiò e venir ti vide, eccola là, che canta e ti deride da un alto pioppo, tremulo d’argento, che s’alza in fondo al campo di frumento. O cuculo mio del cuculo vaio che voli sopra il fresco canepaio. (G. Govoni)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche sui fiori: una collezione di poesie e filastrocche sui fiori, di autori vari, per bambini della scuola materna e primaria.
Fiore
Portatemi pure l’anello del re ma questo fioretto lo tengo per me. C’è forse nel mondo qualcuno che vide un fior di geranio che scotta, che ride, macchiare d’un sangue più rosso e cocente di questo, una casa di povera gente? C’è forse più fresco, più vago giardino di questo vasetto che vale un soldino; che guarda la nuvola, aspetta l’uccello, nè siepe ha di spino, nè chiuso cancello? In quale camino c’è dunque una brace più viva, più pronta a scaldare la pace? C’è forse nel mondo, più ricco uno scrigno di questo vasetto di coccio rossigno; un salvadanaio di tanti tesori che dà, come questo, a chi vuole, i suoi ori? C’é forse altra grazia più vera e segreta che accenda pensieri, che ispiri il poeta? Se spicco quel fuoco e lo metto all’occhiello, il mondo mi guarda, diventa il più bello. Portatemi pure lo scettro del re ma questo fioretto lo tengo per me. (R. Pezzani)
Fiori Sono i fiori una sublime lezione d’altruismo: a tutti, per niente, dispensan profumi e colori: sanno di render meno triste la terra. Degli uomini nessuno può guardarli senza diletto, a meno che in suo petto dell’egoismo non racchiuda i tarli. (R. Penaglia)
Primule Sbocciano al tenue sole di marzo ed al tepor de’ primi venti, folte, a mazzi, più larghe e più ridenti de le viole. Pei campi e su le rive, a piè de’ tronchi, ovunque, aprono a bere aria e luce anelando di piacere, le bocche vive. E son tutti esultanza per esse i colli; ed io le colgo a piene mani, mentre mi cantan per le vene sangue e speranza. (Ada Negri)
Il biancospino Di marzo, per la via delle fontane, la siepe s’è svegliata tutta bianca: ma non è neve, quella: è biancospino tremulo ai primi soffi del mattino. Si destano lontano le campane e l’acqua di cantar non è mai stanca. (Angelo Orvieto)
Camomilla Oh Camomilla, tenero fiore togli la bua, togli il dolore, alla mia bimba disperata, che piange tutta sconsolata. Con la corona dai raggi bianchi, fai ristorar gli occhietti stanchi. Con il giallo del capolino, togli la bua dal suo pancino. Con il profumo dolce e grazioso concedi a lungo un buon riposo. (di C. Folcando – Edita)
Margherite Sopra l’erba novella fiorite a cento a cento, fremon le margherite nel brivido del vento. Testolina dorata, collaretto d’argento, stelo breve e diritto grazioso portamento. Coglierla? Ma vi pare? Pel gusto di un momento stroncar tanta esistenza? Triste divertimento. Vedete come godono la carezza del vento? E come si compiacciono d’essere a cento a cento? (C Del Soldato)
La pratolina “Oh, graziosa pratolina che sorridi fra l’erbetta tinta ancor di bianca brina, perchè mai cotanta fretta? Bigio e tetro è ancora il cielo, fredda è l’aria e gelo in terra; stende ancor la neve un velo, sono i vasi ancora in serra.” “Non m’importa della brina non m’arresta un po’ di neve; primavera è qua vicina col suo passo lieve lieve. Fra non molto spunteranno sulle prode le viole; dalle nubi eromperanno caldi i raggi del bel sole. (Domizio Vignali)
Fiorita Ecco i peri, i peschi, il melo in fiorita prodigiosa; ci fu mai più bella cosa di quei ciuffi bianchi e rosa contro il cielo? (Puch)
Il biancospino Il biancospino è in fiore. Della neve ha il colore. Le brocche son gremite di corolle infinite, leggiadra nevicata che non dilegua al sole, ma cede a una ventata… Per te ridon le aiuole più chiare nel mattino lucente biancospino. (M. Castoldi)
Bucaneve Scricchiolando lieve lieve l’ultima crosta di neve s’è infranta. Chi la rompeva? E dalla neve il bucaneve è nato. Così, di dentro al suo guscio, anche il pulcino apre un uscio per farsi avanti nel mondo… (F. M. Bongioanni)
La canzone delle viole Piccine, azzurrine, baciate dal sole noi siamo le dolci, le prime viole. Superbe non siamo, non siamo curiose le foglie tenere ci tengono ascose. Col mite profumo, con voce sommessa, cantiamo del marzo la dolce promessa. (Ida Alliaud)
La prima margherita Si risvegliò la prima margherita tra l’erbe nuove sopra il breve stelo; ancora tutta chiusa e infreddolita levò la testa per guardare il cielo. Vide venir la primavera e allora gridò: “Fiorite, o sorelline, è l’ora!” (Lina Schwarz)
La pratolina Sulle rive del ruscello tinte ancor di bianca brina, è sbocciata, timidetta, una bella pratolina. Allo zefiro si culla e sorride al sol, felice; al bambin che la saluta in segreto parla e dice: “La stagione fredda e tetra finalmente è per finire, guarda il mandorlo ed il pesco, sono lì per rifiorire! (Domiziano Vignali)
Il fiore Ferma sopra la zolla guardava con stupore una bambina un fiore dalla strana corolla. “Oh corolla stupenda che tremi in mezzo al prato, per lo stelo dorato aspetta che ti prenda!” E corsero i piedini sul prato di rugiada trapunta di rubini. Tese la mano. E la gialla corolla stese al vento l’ala di un volo lento. Era un gran farfalla. (Giuseppe Porto)
Frutto e fiore Non lo toccare il fiorellin del melo: esso ci annuncia ch’è passato il gelo. Rispetta il fiore se del frutto hai voglia; rispetta il fiore e non toccar la foglia. (F. Dall’Ongaro)
Prato Guarda giù nell’erba folta: forse un angelo è passato; mai si videro nel prato tanti fiori in una volta. Tanti e tutti così belli che farfalle e farfallini stupefatti fanno inchini ora a questi ed ora a quelli. E se poi deve passare svolazzando qua e là, sai la brezza cosa fa? Chiude l’ali e sta a guardare. (D. Rebucci)
Pratolina Pratolina appena nata, chi di frangia ti ha vestita chi ti ha d’oro incoronata? Ti dischiudi sul mattino e saluti di lontano le farfalle e l’uccellino. Ti raccogli verso sera come un cuor che si prepara al silenzio e alla preghiera. (D. Rebucci)
A nascondino C’era una piccola margheritina nata da poco, vispa e carina. Diceva: “Mamma, voglio giocare, ma sono sola, che posso fare?” “Gioca col sole, piccina mia, fa’ a nascondino con allegria!”. La piccolina col sole giocò: ed lui, sì grande, non rifiutò. Sotto una foglia lei si celava, chiamava: “Cu cu!” Lui la cercava. Ed anche l’aria si divertiva, passava cauta e il fiore scopriva. (A. Cuman Pertile)
La violetta e la pervinca
La violetta mammola è sbocciata in mezzo all’erba tenerella e bassa; ma subito in gran fretta s’è chinata per potersi nascondere a chi passa. Ma l’azzurra pervinca a lei vicina guarda in alto col grande occhio contento tutta si mostra e dice: “O sorellina, esci tu pure, e godi il sole e il vento.” La violetta mammola risponde: “Dio concesse una grazia ad ogni fiore: da me un profumo lieve si diffonde, a te fu dato invece un bel colore”. (M. Dandolo)
La violetta
Troppo presto sei nata, mite viola del pensiero! Forse il cielo ti ha ingannata, ieri azzurro ed oggi nero? Fredda e cupa vien la sera con la notte torna il gelo. Trema e muore sullo stelo la gentile mammoletta che voleva, troppo in fretta, annunciar la primavera. (E. Ottaviani)
La prima viola La neve è stata tanta e sulla via anche quel cespo triste di viole sembrò morir, ma guarda che magia! da quanto è ritornato il biondo sole apparve qualche foglia e, meraviglia! un profumo mi tocca, mi commuove come una voce che nel cuor consiglia e sveglia in fondo al cuore voci nuove. Quel profumo mi fece un po’ curiosa e, cercando, una timida viola scopersi come fata misteriosa tra l’erba verde così sola sola… (L. Nason)
Nel prato
Nel mare verde del prato tutto fili d’erba novella, il bimbo si tuffa beato e grida, ride, saltella come uccello spensierato. Meraviglie di coccinelle. di farfalle, di bruchi, insetti, variopinte campanelle, scarabei in corsaletti; e poi gocciole di brillanti, gocciole di rugiada, sui fili d’erba tremanti verdi come la giada. Papaveri tinti di rosso, lucertole nel canneto, raganelle lungo il fosso, scopre il bimbo ogni segreto, nel mare verde del prato. Come lieve passan l’ore, che meraviglia il creato e le opere del Signore! (V. Seganti Pagani)
Il fiore di prato
Guarda com’è vestito, neppur l’imperatore ebbe un simile manto. Che seta! Che splendore! Lo lava la rugiada, lo distende l’aurora, col suo pennello vivo il sole lo colora. Che mirabile cosa ogni fiore di prato! La margherita ha un nitido colletto inamidato: il ranuncolo giallo un abito tessuto con i raggi del sole: la viola è di velluto, la mammola nei petali ha il velo della sera, e il miosotide è cielo, cielo di primavera. Che seta, che spendore ogni fiore di prato. Nessuno l’ha vestito, nessun l’ha seminato. Soltanto tu, Signore. (L. Nason)
Il gelsomino notturno
E s’aprono i fiori notturni, nell’ora che penso ai miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia. Sotto l’ali dormono i nidi come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti si esala l’odore di fragole rosse. Un’ape tardiva sussurra trovando già prese le celle. La chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolio di stelle…
Il fiore azzurro (il lino)
Disse un bel fiore azzurro: “Il vento mi carezza con un lieve sussurro; l’aurora mi regala brillanti di rugiada, che il calore del sole poi dirada. Non profumo gli altari né mi recano in dono, in giorni lieti e cari, i bimbi e le fanciulle; sullo stelo fiorisco, specchio l’azzurro cielo e poi finisco. E mi tramuto in tela candidissima e molle, per l’altare e la vela, per bendare le ferite e fasciare il bambino nudo, nella sua culla: io sono il lino!” (E. Pesce Gorini)
Alla primula Nel nome hai la modesta tua grazia e col timido colore, o primula, sei lesta più di qual si sia fiore ad inseguir la neve spaventata. Tu credi a primavera dubitosa. (R. Bacchieri)
La violetta mammola La violetta mammola è sbocciata in mezzo all’erba tenerella e bassa; ma subito in gran fretta s’è chinata per potersi nascondere a chi passa. (M. Dandolo)
Le violette Le violette? Le scorsi a piè d’un muro: facevano una chiazza di viola, come di sangue, sul tappeto scuro dell’ortica e dell’erba vetriola. Erano lì: fiorivano ignorate in quel luogo selvaggio, tra un sentiero perduto e un muro cieco; inebriate d’ombra e silenzio; dietro al cimitero. (D. Valeri)
Il pesco e la viola Ancora è freddo, ancora luccica sulle vette la neve, e il pesco mette le sue gemme e s’infiora. E’ tutto brullo intorno l’orto, ma il pesco pare voglia un po’ consolare questo pallido giorno. E dice a una viola, che ora gli è sorta ai piedi: -Primavera, non vedi? torna, ma è troppo sola. (M. Moretti)
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Poesie e filastrocche per Pasqua – una raccolta di poesie e filastrocche a tema, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
La sorpresa Son di zucchero? Son vere? Hanno il tuorlo o la sorpresa? Zitti zitti miei bambini, che ci son dentro i pulcini. Spunta un becco poi un ciuffetto una zampina una codina. Quanti! E in quell’uovo cosa c’è? La sorpresa, la sorpresa! Non ci credi? Sì davvero! Un pulcino tutto nero! (K. Jackson)
Pasqua Che chiasso c’è nell’aria che si svaria in mille suoni? Son canzoni vagabonde, come l’onde, che si perdono nel cielo con un velo di sonora poesia, dolce e pia. Sono accordi di campane, cori striduli di rane; gridi allegri di monelli su le piazze e dentro l’aia. Son risate di grondaie, animate da nidiate, di festosi passerotti; son strambotti musicali, batter d’ali… (M. Argante)
Resurrezione Che hanno le campane che squillano vicine, che ronzano lontane? E’ un inno senza fine or d’oro, ora d’argento nell’ombre mattutine… (G. Pascoli)
Pasqua A festoni la grigia paretaria come un bimba gracile s’affaccia ai muri della casa centenaria. Il ciel di pioggia è tutto una minaccia sul bosco triste, che lo intrica il rovo spietatamente, con tenaci braccia, quand’ecco dai polla, sereno e nuovo, il richiamo di Pasqua empie la terra con l’antica favola dell’uovo. (G. Gozzano)
Pasqua La gemma priì, dal pesco, un occhiolino; vide il cielo turchino e il sol di primavera, si ridestò, leggera… dopo il suo lungo sonno un roseo fiore donò al suo ramo. Allora tutta la schiera dei ciliegi, dei mandorli, dei meli, su verso i puri cieli gettò petali bianchi e profumati, lievi come carezza, cantando con la brezza: “O sole, o primavera, ben tornati!” Passò il vento ridendo gaiamente e destò, la campana del villaggio: “Oh, si avvicina maggio!” e din don dan si dette a scampanare din don! Din dan! Erano così chiare, fresche, squillanti, trepide, sonore le sue note canore! Uomini, donne, bimbi in allegrezza di nuova vita, in un con la natura gettarono alla pura aria, al sereno cielo il nuovo canto! Pasqua, il suo dolce incanto dona alla terra che sorride e tace per troppa gioia! E la Pasqua parlò: “Con voi sia pace!” (Hedda)
Pasqua E’ Pasqua stamattina, per questo la collina si sveglia tutta in fiore. L’argento degli ulivi illumina i declivi: ogni fontana aspetta con l’acqua benedetta; campane e campanelle sono tutte sorelle; festose, umili, chiare cominciano a cantare. (D. Rebucci)
Pasqua Din don dan: le campane nell’azzurro pasquale hanno un tono cordiale, quasi di voci umane. Che cosa farai, tu, di nuovo e di fecondo? Con sua cert’aria scaltra la gallinella arzilla prima da una pupilla ti guarda e poi dall’altra, e dice: “Ho fatto l’uovo pasquale, coccodè. Adesso tocca a te, cot cot, a far del nuovo!” Uscita dall’ovile la pecora brucando fa un belato blando tra attonito e gentile: “Be-eh, vi ho fatto dono dei miei figlioli cari, e tu non ti prepari a un sacrificio buono?” La colomba nel sole con aria un poco tronfia tuba dalla rigonfia gola le sue parole: “Io sono dell’amore il simbolo, glu glu. Ma, rissosetto, tu cos’hai in fondo al cuore?” Una mano cortese a capo del tuo letto un fragile rametto di fresco ulivo appese, e, se ogni cosa tace, non sembra dire anch’esso un non so che, sommesso, di dolcezza e di pace? (F. Bianchi)
Giorno benedetto Il passero all’alba cinguetta sopra il tetto: -Di Pasqua, ecco, è spuntato il giorno benedetto! Ed il ramo fiorito del pesco, giù, nell’orto, fremendo all’aria lieve dice: -Gesù è risorto. Lo festeggia l’aprile col verde, i fiori, il sole; coll’aria che ha un profumo di tenere viole. E di mille campane s’ode il festoso suono, che al cuor dell’uomo parla di amor, pace e perdono. (M. Bernardini)
Pasqua -Uscite, uscite!- dice allegro il sole; -volete star in casa ad ammuffire? Tra l’erba nova olezzano le viole e tornan tutti i rami a rinverdire. -Uscite, uscite!- cantano gli uccelli; -ogni nido, ogni zolla si ridesta, la terra, il cielo, il mar son tanto belli; e prati e colli son vestiti a festa. Inni giocondi canta lieto il core, e la parola del rancor si tace; torna la Pasqua, festa dell’amore, che ci vuol tutti buoni e tutti in pace. (A. C. Pertile)
Campane di Pasqua Per l’aria si spande la voce del pio campanile. Squillate in letizia, campane, che è festa d’amore nel cielo! In terra, tra i solchi, lo stelo matura del pane. So so quel che dite a rintocchi – La pace… il perdono… la fede…- (L. Rinaldi)
La domenica dell’ulivo Han compiuto in questo dì gli uccelli il nido (oggi è la festa dell’ulivo) con foglie secche, radiche, fuscelli; quel sul cipresso, questo sull’alloro, al bosco, lungo il chioccolo d’un rivo, nell’ombra mossa d’un tremolio d’oro. E covano sul musco e sul lichene, fissando muti il cielo cristallino, con improvvisi palpiti, se viene un ronzio d’api, un vol di maggiolino. (Giovanni Pascoli)
Campane di Pasqua Gli orti di rosa chiaro restano stupefatti: musico è il campanaro. Il giacinto si sente il riso sulla bocca: gioiscono le mente, la vigna immusolita, tanto è bello il concerto che ritorna alla vita. E il bambinetto balla tutto vestito a festa tra un fiore e una farfalla. (L. Carpanini)
Pasqua La gemma aprì, dal pesco, un occhiolino; vide il cielo turchino e al sol di primavera, si ridestò leggera… Allor tutta la schiera dei ciliegi, dei mandorli, dei meli, su, verso i puri cieli, gettò petali bianchi e profumati, lievi come una carezza cantando con la brezza: -O sole, o Primavera, ben tornati!- Passò il vento ridendo gaiamente e destò la campana del villaggio: -Oh, s’avvicina maggio!- e: din don dan! si dette a scampanare. Erano così chiare, fresche, squillanti, trepide, sonore le sue note canore! Uomini, donne, bimbi, in allegrezza di nuova vita, in un con la natura gettarono alla pura aria, al sereno cielo il nuovo canto! Pasqua il suo dolce incanto dona alla terra che sorride e tace per troppa gioia. E la Pasqua parlò: -Con voi sia pace!- (Hedda)
La dolce festa -Dimmi, chiesina candida e gentile, che cosa ti rallegra stamattina? -Aspetto che si svegli il campanile con la squilla più dolce ed argentina. Per la festa di Pasqua tutta splendo, per dire al mio Signor che anch’io l’attendo. E tu, caro piccino, dove vai in questa bianca luce mattutina? Questi bei fiori a chi li donerai? -A Gesù ch’è risorto stamattina, perchè in ogni fior veda brillare il cuor che voglio a Lui tutto donare! (L. Nason)
Odor di rose E’ Pasqua. Quanta festa c’è nell’aria, nei campi, fra la gente! Il bel tempo si desta e il mondo lo saluta allegramente. I bambini, ridendo, saltellano nei prati e sui ciglioni, van viole cogliendo, e cantan della scuola le canzoni. Cristo è risorto e gioia si legge in tutti i volti e delle cose. Com’è lungi la noia… Si sente, fra le siepi, odor di rose. (A. Castoldi)
Pasqua Perchè le campane, stamane, hanno un suono sì lieto? Perchè odorano tanto le viole e il sole risplende sereno? Perchè gli uccellini e i bambini cantan con gioia sì pura? Perchè risorge l’amore e la dolcezza nel cuore; perchè nel cielo, laggù, torna a guardarci Gesù. (T. Stagni)
E’ risorto Vola una gentil rondinella portando nel becco l’ulivo, essa reca una lieta novella, e colui che l’ascolta è giulivo. Nel prato sorridono i fiori, ancor tardi sul timido stelo; li bacia coi miti tepori il sole, splendente nel cielo. Ogni cosa gioisce e si tace, profonda letizia è nel cuore: in questo bel giorno di pace, risorto è da morte, il Signore. (M. Mariconda) Aprite il cuore E Pasqua viene con la primavera, col sole, con le rondini e le stelle: e il cielo è di brillanti, quand’è sera. E mentre tutto s’addormenta e tace, un angelo, col ramo suo d’argento, batte a ogni porta e dice: -Uomini, pace!- Dice ai bambini: -Aprite il vostro cuore in boccio alle speranze della vita! E’ la resurrezione del Signore!- (zietta Liù)
Pasqua Un odore di viole l’aria ci porta in dono, lassù fiorisce il sole per tutti: oh, com’è buono! Il mandorlo è gremito il pesco non decide di farsi un bel vestito aspetta e intanto ride… Un bambino già muove sull’aia il primo passo, il sole scherza e piove nel ruscello, più in basso… Una bambina bionda si guarda le scarpine, una cincia gioconda prova le canzoncine. La chioccia già ammaestrata la sua piccola schiera, spalanca una finestra in ciel la primavera; un angelo si sporge e guarda e si compiace, dice: -Gesù risorge, agli uomini sia pace!- (L. Nason)
Sabato santo Sabato santo perchè sei stato tanto? perchè non sei venuto? -Perchè non ho potuto!- Una coscia di gallina, un uovo benedetto, una fetta di schiacciata… Ecco Pasqua bell’e ritornata! (versi popolari)
Pasqua
Dice il sole: “Voglio oggi brillare, lucente come l’oro” E gli uccellini: “E noi cantare in coro” E i fiori: “Freschi e belli oggi vogliam sbocciare” E le campane: “A festa vogliam suonare” Dicono i bimbi: “E’ Pasqua, giorno del Signore il suo splendore doni una voce ad ogni cuore”
Mattino di Pasqua Din-don, din-don, din-don! Sole sui fiori e rondini sul tetto Sia benedetto il nome del Signore. Din-don, din-don, din-don! Festa d’amore Gesù è risorto, l’inverno è morto. Din-don, din-don, din-don! (G. Fanciulli)
Pasqua Tre campane ha il campanile che fan festa a tutto il cielo, e vicino al dolce ovile son fioriti il pesco e il melo; è tra i fiori un’acqua chiara che rallegra e che consola; è nei cuori una parola che ogni fior sbocciando impara. Oggi è Pasqua d’ogni fiore; è la festa del Signore. Giù dai monti il pastorello per la messa arriverà col vestito nuovo e bello per la pia solennità; e il viandante frettoloso ed il povero mendico troveranno un tetto amico e buon pane e buon riposo. (L. Nason)
Ritorno di Pasqua Una fonte che ci parla fra l’erbette e le viole, una nuvola dorata, rose sparse in mezzo a il sole, la finestra spalancata fin dall’alba, il prato in fiore; una storia che, a cantarla, ci vuol proprio il nostro cuore, una siepe e una agnellino, una chioccia ed un pulcino, l’uovo in bianca e rossa vesta, tutto ornato per la festa, la colomba con l’ulivo nel tramonto rosso vivo, tornan tutti al nostro cuore per la Pasqua del Signore. Din don dan… L’angioletto ancor si vede con la croce della fede la campana che stornella, il capretto che saltella, il pastore che s’affretta per la festa benedetta, la massaia che conduce il suo bimbo in questa luce. Din don dan… Ma una cosa non si vede senza l’occhio de la fede; non si vede il nostro cuore col bel dono del Signore che, nel giorno Suo divino accompagna ogni bambino. (L. Nason)
Resurrezione Dormivi, e la siepe è fiorita; dormivi, ed il rovo che ancora al crepuscolo nere tendeva le braccia, stamane è tutto un rigoglio di fiori E il cielo ha smaglianti colori. E squillano mille campane. Le rondini volano a schiere nell’aria: già sono lontane. E’ Pasqua: la chiesa gremita odora d’incenso e di ceri. Sfiorato da tremule dita già l’organo geme e un inno tra i fiocchi leggeri d’incenso dilaga nell’aria che tutta ne palpita e freme. (M. Castoldi)
Pasqua
I cieli sono in festa la terra si è ridesta canta felice il cuore è risorto il Signore! (L. Schwarz)
Campane di Pasqua Dalla valle rifiorita alle vette più lontane dice il suon delle campane ch’è risorto il Salvator. Splende il sole dell’aprile sul sorriso d’ogni fior! Dolce Pasqua d’amor tu, che porti col sole, mille fresche viole, mille rondini in vol, fa sbocciare nei cuori di chi spera e chi crede, al calore delle fede, mille rose d’amor! (R. Tosi)
Rami d’olivo -Quanti rami d’olivo! Avanti! Avanti! Son bell’e benedetti: o chi ne vuole? Li ho colti stamattina, e tutti quanti coi primi raggi li ha baciati il sole. Sull’uscio, alla finestra, a capo al letto metteteci l’olivo benedetto; come la luce e le stelle serene un po’ di luce, al cor, fa tanto bene… (M. Giarrè Billi)
Pasqua
Esulta la terra di fiori ammantata si veste di luce la silfide alata e sfreccia nel cielo tra stormi di uccelli che al Cristo cinguettano i canti più belli Nell’acqua le ondine tra veli fluenti rispecchiano i cieli d’azzurro ridenti Scintilla la pietra dal sole irradiata tra il verde giocondo dell’erba spuntata Il Cristo è risorto trionfa di morte a impulsi di amore spalanca le porte Al coro armonioso di tutto il creato s’unisce la voce dell’uomo rinato La luce del Cristo ha accolta nel cuore la tenebra ha vinto fa Pasqua d’amore. (E.Minoia)
Pasqua del bambino O Signore, Signore, che ritorni al Tuo regno, potessi del mio amore darti un piccolo segno. Ho chiesto fiori al pesco ho chiesto al vecchio ulivo il rametto più fresco che si celava schivo. L’offro: ma se più care le promesse ti sono, oh, le vedrai sbocciare. Sarò il tuo bimbo più buono. (D. Rebucci)
La Pasqua viene Questa voce innocente che ci chiama dal bosco è voce, la conosco, di sorgente. Là in margine s’adorna di steli e di corolle, l’agnello all’erba molle, già ritorna. Bambini, apriamo il cuore alle gioie serene: la dolce Pasqua viene: la Pasqua del Signore. (D. Rebucci)
Pasqua Il sole stamattina è molto affaccendato a risvegliare i fiori del frutteto e del prato. Poi bussa d’ogni nido alla porta piccina: -Su, cinguettate, presto: è festa stamattina. Alle campane dona il raggio più lucente e prega: -Sorelline, chiamate tanta gente! Chiede mammina rondine: -Che succede laggiù? Cantano i bimbi in coro: – E’ risorto Gesù! Ogni bimbo ha nel cuore un fiore ed un sorriso; Gesù tutto contento li porta in Paradiso. (L. Nason)
Pasqua Senti… Canta una fonte l’armonia dolce di Pasqua: come canta bene! e un usignolo le fa compagnia Senti… cantano i rami dei frutteti, cantano i fior di pesco e le verbene; è Pasqua, oggi non hanno più segreti. Senti… Cantano insieme le campane; dal monte e dalla cerula prianura ci porta il vento le voci lontane. Ascolta… C’è una voce nel tuo cuore come una fonte di dolcezza pura: -E’ Pasqua, è Pasqua, è risorto il Signore!- Non vedi… ogni finestra par fiorita: se non ha fiori il soli li provvede che si compiace a risvegliar la vita; ed ogni viso è ormai senza dolore, perchè alle pene basta questa fede: -E’ Pasqua, è Pasqua, è risorto il Signore!- (L. Nason)
Poesie e filastrocche per Pasqua – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche sulla PRIMAVERA – una raccolta di poesie e filastrocche sulla primavera, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Coniglietti a primavera Tre coniglietti in fila breve nasini al sole, code di neve. Tre coniglietti fanno tre salti e poi rosicchiano foglie giganti. Tre coniglietti in lieta schiera danzano in tondo: è primavera! (K. Jackson)
Bosco di primavera Vola un profumo lieve dal biancospin di neve; splendon rugiade d’oro sul mirto e sull’alloro. Canta la cinciallegra e il bosco si rallegra. Fa uno starnuto il riccio e la gazza il suo bisticcio, ma c’è un garofanino che sboccia lì vicino e cinguetta capinera: per dir che è primavera. (M. L. Magni)
Le foglioline Dicon le foglioline appena nate, al vecchio tronco: “Nonno, l’hai sentite le rondini? Che splendide giornate! Vedi? Non siam più tutte aggrinzite! Ci siamo tese come le manine carezzose dei bimbi; e i freschi venti ci fanno vispe come farfalline, e il sole ci fa tutte rilucenti. (C. Del Soldato)
Primavera Nell’aria gli uccellini nell’acqua i pesciolini in terra i frutti e i fiori di splendidi colori. In cielo tante stelle, ah, quante cose belle!
Le foglioline Dicon le foglioline appena nate, al vecchio tronco: “Nonno l’hai sentite le rondini? CHe splendide giornate! Vedi? Non siamo più tutte aggrinzite! Ci siam tese come le manine carezzanti dei bimbi: e i freschi venti ci fanno vispe come farfalline, e il sole ci fa tutte rilucenti”. (C. Del Soldato)
Primavera Ecco ecco che è arrivata primavera scapigliata, primavera bella bella, primavera pazzerella. Son fioriti i biancospini, nasceranno i rondinini dentro i nidi verdi e gialli; danzaranno i loro balli le farfalle bianche e gialle. (L. Galli)
Primavera La nube rosata che vaga nel cielo ravviva l’aurora del tiepido aprile. Nei campi odorosi di tenera erbetta macchie di fiori multicolori. Le rondini sono tornate ai nidii, rifatti e puliti, dell’altro autunno. Incanto di mille ridenti colori: incanto di primavera. (A. Russo)
Si sveglia la primavera Quando il cielo ritorna sereno come l’occhio di una bambina, la primavera si sveglia. E cammina per le mormoranti foreste, sfiorando appena con la sua veste color del sole i bei tappeti di borraccina. Ogni filo d’erba reca un diadema, ogni stilla trema. Qualche gemma sboccia un po’ timorosa, e porge la boccuccia color di rosa per bere una goccia di rugiada… (U. Betti)
Primavera Tre coniglietti in fila breve nasini al sole, code di neve. Tre coniglietti fanno tre salti e poi rosicchiano foglie giganti. Tre coniglietti in lieta schiera danzano in tondo: è primavera! (K. Jackson)
Primavera Primavera, primavera, dolcemente scendi giù; ben ti avverte in sulla sera il cucù col suo cù, cù! Ben ti avvertono nei prati, dove l’erba rifiorì, tanti grilli indaffarati notte e giorno a far crì, crì! A tal musica le piante, metton fiori tutte quante. (Yambo)
Primavera Lucciole belle venite da me, son principessa, son figlia di re ho trecce d’oro filato fino fino ho un usignolo che canta sul pino una corona di nidi alle gronde una cascata di glicini bionde un rivo garrulo limpido fresco fiori di mandorlo, fiori di pesco ho veste verde di vento cucita tutta di piccoli fiori fiorita occhi di stelle nel viso sereno dolce profumo di viole e di fieno e per il sonno dei bimbi tranquilli la ninna nanna felice dei grilli (R. Pezzani)
San Benedetto Ecco le rondini, San Benedetto! Rondini e rondini che cercano i nidi per ogni tetto con striduli gridi. Cantano: “E’ primavera!” E sfrecciano nei cieli dalla mattina a sera. Cantano: “E’ primavera! E spuntano steli su dalla terra nera. Cantano : “E’ primavera; è rinata la vita, è ritornata la gioia ch’era solo smarrita!”
Primavera Primavera vien danzando, vien danzando alla tua porta. Sai tu dirmi che ti porta? Ghirlandette di farfalle campanelle di vilucchi, quali azzurre, quali gialle; e poi rose, a fasci, a mucchi. Angiolo Silvio Novaro
Primavera Quando tornan le rondini alle gronde e di voli e di nidi empion la sera, arriva la festosa primavera. (E. Pesce Gorini)
La Primavera Di nuovo è tornata la Primavera. C’è luce di giorno e di sera. I giardini si riempiono di fiori. Tornano i bambini a giocare fuori. Di nuovo la verde raganella canta la sua storiella. Ma chi abita in città non la sa sa solo che fa cra-cra. (A. Grossi)
Primavera Primavera… tutta gridi d’uccellini dentro i nidi, tutta fiori nel vestito nuovo nuovo, fresco fresco, rosa e lieve come il pesco, per miracolo fiorito. Primavera, ridi, ridi, ridi al sole, ai fiori, ai nidi. (Giardina)
La buona novella Il vento l’ha contata a un fil d’erbetta, e l’erba la contò alla farfalletta. La farfalla la disse ad un bambino: “Non lo sai dunque? Ciccicì, ciccì! La buona e bella primavera è qui! (R. Fumagalli)
Primavera Le campanelle raccontano alle stelle che il sole, che il sole fa nascere le viole… A nuovo vestite spuntano le margherite, primule e mughetti, cespugli e cespuglietti, piante e piantine, erbette fine fine… E il sole ad ogni fiore dà il suo colore. Rosse le rose, gialle le mimose, candidi i gigli, e tutti son suoi figli. (Lina Schwarz)
Primavera Ecco ecco ch’è arrivata primavera scapigliata, primavera bella bella, primavera pazzerella, con il sole, con le viole, con i gridi, con gli stridi dentro i nidi. Son fioriti i biancospini, cresceranno i rondinini dentro i nidi verdi e gialli; danzeranno i loro balli le farfalle bianche e gialle. (L. Galli)
Primavera Ed ecco che un susino bianco sbocciò sul verzicar del grano. Come un sol fiore gli sbocciò vicino un pesco, e un altro. I peschi del filare parvero cirri d’umido mattino. Uscìano le api. Ed or s’udiva un coro basso, un brusìo degli alberi fioriti, un gran sussurro, un favellar sonoro. Dicean del verno, si facean gl’inviti di primavera. Per le viti sole era ancor presto, e ne piangean, le viti, a grandi stille, in cui fioriva il sole. (G. Pascoli)
Filastrocca di primavera Filastrocca di primavera più lungo è il giorno, più dolce la sera. Domani forse tra l’erbetta spunterà la prima violetta. O prima viola fresca e nuova beato il primo che ti trova, il tuo profumo gli dirà, la primavera è giunta, è qua. Gli altri signori non lo sanno E ancora in inverno si crederanno: magari persone di riguardo, ma il loro calendario va in ritardo. (Gianni Rodari)
Note di primavera La capinera prova una canzone ricamata di trilli e poi cinguetta come una scolaretta. I grilli bisbigliano graziose parole alle margherite, vestite di bianco. Spuntano le viole… A notte le raganelle cantano la serenata per le piccole stelle. (Ugo Betti)
Primavera “Primavera tutta bella, che cos’hai nella cestella?” “Io vi porto biancospini, nidi nuovi d’uccellini, erbe e fiori lungo i fossi, alberelli bianchi e rossi, cori di ranocchi e rane, dolci suoni di campane. (Romana Rompato)
Risveglio La primavera si desta, si veste, corre leggera per prati e foreste. Guarda un giardino, ci nasce un fioretto, guarda un boschetto, c’è già un uccellino. Guarda la neve, già scorre il ruscello; viene l’agnello, si china e ne beve. Guarda il campetto, già il grano germoglia. Tocca un rametto, ci spunta una foglia. Canta l’uccello nel folto del rovo: “Il mondo è bello vestito di nuovo!”. (Renzo Pezzani)
Primavera in città Primavera è venuta in città e nessuno ancora lo sa. Lo sa solo quel bambino che laggiù in periferia ha trovato un fiorellino nel bel mezzo della via. Ma anche gli altri la vedranno e nel cuor la sentiranno e perfin la grossa gru resterà col naso in su per veder la primavera che nel ciel passa leggera.
La prima viola E’ nata la prima violetta tra la fresca erbetta del prato e ha detto, facendo l’inchino: “Cantate! Il bel tempo è vicino!”. (B. Marini)
La prima margherita Si risvegliò la prima margherita su l’erbe nuove, sopra il verde stelo. Ancora tutta chiara e infreddolita levò la testa per guardare il cielo: vide venir la primavera e allora gridò: “Fiorite, o sorelline, è l’ora!”. (Hedda)
Primavera Viene la primavera da una terra lontana. Mette nell’aria un trillo. Per la valle e la piana tornata è primavera. (Renzo Pezzani)
Pioggia primaverile La pioggia imminente la sente la rondine bassa che passa. Gocciò la campana: la rana di fuor dal paese l’intese. Nel cielo già lieve vien greve la nube e sul concio fa il broncio. Poi tac; picchietta con fretta sul fieno, sul grano del piano. Or ecco, d’un fiato il prato di gocciole intride, sorride. (L. Carpanini)
Piccola nuvola di primavera Dopo l’acquata le nuvole, pronte, pigliano il volo, scavalcano il monte. Or con la gonna di velo sottile, la più pigra s’impiglia al campanile. “Lasciami con codesta banderuola; mi strappi tutta! Son rimasta sola!”. Ma il campanaro senza discrezione le risponde col campanone! Che sobbalzo, che sgomento! Per fortuna c’era il vento che con tutta galanteria la piglia e se la porta via. La porta a spasso lieve lieve sul torrente, sulla pieve; tutto il mondo le fa vedere, tetti rossi, maggesi nere… Quanti bimbi lungo il rio! E che brillio di vetri e foglie. Quante vecchie sulle soglie! Che festa, che chiacchierio! Bimbi e rondini a strillare e bucati a salutare. (Ugo Betti)
Goal Giocano a calcio i grilli e non lasciano tranquilli i fiori circostanti. Han scelto come palla una mimosa gialla. Il grillo centravanti la passa ad un terzino che, con uno zampino, le fa fare un bel volo ad un palmo dal suolo. Vicino a un paracarro ci sta compar ramarro che segue la tavolata a bocca spalancata. Compiuto il suo tragitto, la palla poco esperta finisce a capofitto dentro la bocca aperta del ramarro che dice: -“Goal”- e tutto felice per l’improvvisa pappa ingoia il fiore e scappa. (L. Folgore)
Primavera Se vien primavera, con danza leggera tesori disserra, dal sen della terra ed ecco la viola, profuma l’aiuola l’anemone bianco, si culla al suo fianco a crescer s’affretta, la tenera erbetta e lieve si china, la margheritina.
Canti di primavera Se vuoi sentir cantare la primavera, fanciullo, va’ nel prato, chiudi gli occhi. Verranno i grilli al calar della sera: terran concerto insieme coi ranocchi. Tra i fili d’erba terran concerto in mezzo al prato, sotto il cielo aperto. Se primavera vuoi sentir cantare, ad occhi chiusi resta ad ascoltare. (M. Castoldi)
Primavera Primavera è ritornata, col vestito a più colori ha la testa inghirlandata, e un gran cesto di bei fiori nidi e trilli lieta porta, e un festoso cinguettare la natura ch’era morta, si ridesta al suo passare con la voce più sincera, ogni cuore ti saluta chiara e dolce primavera, benvenuta!
Gioia Mi svegliano al mattino canti d’uccelli e mormorii di fronde. Spalanco i vetri al sole: ed ecco il vento entra col sole e intorno mi diffonde il profumo dell’orto e del giardino. O buon sole, o buon vento, alberi, uccelli e fiori, vi saluto! Ringrazio Dio del bene che mi date, ringrazio Dio che il bel tempo è venuto e grido con gli uccelli e son contento! (Milly Dandolo)
Primavera Quando tornan le rondini alle gronde e di voli e di gridi empion la sera, arriva la festosa primavera. (E. Pesce Gorini)
Primavera La primavera mi piace davvero perché mi vesto più leggero gioco fuori, mangio gelati faccio le corse in mezzo ai prati. Vado a passeggio con mamma e papà questa è la vera felicità! (E.Severini)
Il vestitino bianco Ben tornata, primavera, che vesti di bianco i bambini e fai cantare le capinere nei giardini! Anche la mamma povera, pel suo bambino, vuol cucire un vestitino. E cuce cuce, tutta la sera. U. Betti
Primavera L’albero che sta innanzi alla marina a primavera di fiori s’indora; ci vien la lodoletta ogni mattina, e si mette a cantar la bella aurora. (Canto popolare)
La filastrocca della primavera Ecco ecco ch’è arrivata primavera scapigliata, primavera bella bella, primavera pazzerella, con il sole, con le viole, con i gridi, con gli stridi dentro i nidi. Son fioriti i biancospini, nasceranno i rondinini dentro i nidi verdi e gialli; danzeranno i loro balli le farfalle bianche e gialle. (L. Galli)
La buona novella Il vento l’ha contata a un fil d’erbetta, e l’erba la contò alla farfalletta. La farfalla la disse a un passerino e il passero la disse a un bambino: “Non lo sai dunque? Ciccicì, cicì! La buona e bella primavera è qui!” (Rosa Fumagalli)
Primavera Viene la primavera da una terra lontana. Mette nell’aria un trillo. Per la valle e la piana tornata è primavera. (R. Pezzani)
Il risveglio dei fiori Un bel mattino, ai primi dell’aprile, un leprottino trepido e gentile perlustrò la campagna, zolla a zolla per ridestar dal sonno ogni corolla. La pratolina, tutta bianca e rosa, sollevò la faccina sonnacchiosa e borbottò tra il sonno: “Chi mi desta? Chi mi ha dato un colpetto sulla testa?” Ma poi, vedendo splendere il bel sole, si mise a dar la sveglia anche alle viole. I giacinti, ricciuti e sbarazzini, tornarono a fiorire nei giardini. Gli anemoni leggiadri e gli asfodeli fecero un bell’inchino sugli steli, e in disparte, il vanesio tulipano, si lustrò la corolla piano piano. E tutti insieme, fiori e fiori e fiori sciorinarono al sole i bei colori era a vedersi una leggiadra schiera simbolo eterno della primavera. (M. Dandolo)
La primavera si desta La primavera si desta, si veste corre leggera per prati e foreste. Guarda un giardino ci nasce un fioretto. Guarda un boschetto c’è già un uccellino. Guarda la neve già scorre un ruscello, viene l’agnello si china e ne beve. Guarda il campetto già il grano germoglia. Tocca un rametto ci spunta una foglia. Canta l’uccello nel folto del rovo: “Il mondo è bello vestito di nuovo!”
Primavera Un ramo di pesco vestito di rosa un cantico fresco nell’aria odorosa un nido, un grido il sole, tre viole un soffio di vento un rosso di sera e il cuore è contento perchè è primavera. (L. Caramellino)
Primavera Se vien primavera con danza leggera tesori disserra dal sen della terra. Ed ecco la viola profuma l’aiuola, l’anemone bianco si culla al suo fianco; a crescer s’affretta la tenera erbetta e lieve si china la margheritina. Fra peschi rosati che ornano i prati trascorre giulivo il garrulo rivo. Nel cielo d’opale è un fremito d’ale. Ovunque si svela la primavera che vita ne adduce su raggi di luce.
Primavera
Ed ecco che un susino bianco sbocciò sul verzicar del grano. Come un sol fiore gli sbocciò vicino un pesco, e un altro. I peschi del filare parvero cirri d’umido mattino. Usciano le api. Ed or s’udiva un coro basso, un brusio degli alberi fioriti, un gran sussurro, un favellar sonoro. Dicean del verno, si facean gl’inviti di primavera. Per le viti sole era ancor presto, e ne piangean, le viti, a grandi stille, di cui fioriva il sole. (G. Pascoli)
La prima
Venne col vento, si posò, la prima, sul comignolo antico e salutò. Era già l’ombra della sera; in cima ai greppi s’accendevano i falò. Festeggiavano ai monti il santo buono che ha un nome di bel tempo e di ventura, e la campana gli sgranò col suono tre corone di lodi, alla pianura. Niuno seppe che dolcezza s’era raccolta sulla casa quella sera, sulla casetta placida dell’ava dove la prima rondine posava. (Teresah)
San Benedetto
San Benedetto! San Benedetto! Fiori nei prati, rondini al tetto! Ecco s’avanza il fraticello agile e lieve come un uccello. Tiene celati tutti i suoi doni: rondini brune, nidi, farfalle, margheritine candide e gialle. Passa, lasciando lungo la via un’olazzante tiepida scia: note festose di lieti canti, tutti i sorrisi, tutti gli incanti. Ridono i bimbi. Saltan giocondi, li bacia il sole coi raggi biondi. San Benedetto! San Benedetto! Fiori nei prati, rondini al tetto! (L. M. Martorana)
Giorno d’arrivo
Giorno d’arrivo il tuo, San Benedetto, ecco una prima rondine che svola. E trova i pioppi nella valle sola, la grande pieve, il nido piccoletto. (G. Pascoli)
La primavera
Quando il cielo ritorna sereno come l’occhio di una bambina, la primavera si sveglia. E cammina, per le mormoranti foreste, sfiorando appena con la sua veste color del sole i bei tappeti di borraccina. Ogni filo d’erba reca un diadema, ogni stilla trema. Qualche gemma sboccia un po’ timorosa, e porge la boccuccia color di rosa per bere una goccia di rugiada. Nei casolari solitari, i vecchi si fanno sulla soglia e guardano la terra che germoglia. A notte le raganelle cantano la serenata per le piccole stelle. I balconi si schiudono perchè la notte è mite, e qualcuno s’oblia ad ascoltar quel che voi dite alle piccole stelle, o raganelle malate di malinconia. (U. Betti)
Gemme Ed ecco sul tronco si rompono le gemme: un verde più nuovo dell’erba che il cuore riposa: il tronco pareva già morto, piegato sul declivo. E tutto mi sa di miracolo: e sono quell’acqua di nube che oggi rispecchia nei fossi più azzurro il suo pezzo di cielo, quel verde che spacca la scorza che pure stanotte non c’era. (S. Quasimodo)
Albero in fiore E dove li tenevi, alberino lucente, i fiori che ora levi e non pesano niente? Eri, a gennaio, brullo: la neve ti vestì. Stamane, al primo frullo, il corpo ti fiorì. Ora, il cielo sereno guardi, tutto un chiarore… Di gioia vieni meno? Ringrazi Iddio Signore? Passa la brezza e coglie petali e poi li sperde per zolle ancora spoglie, sul primo fiato verde. Un attimo… e non sei. Ma la tua luce dura in fondo agli occhi miei, candida fioritura. (M. Castoldi)
Il ciliegio Ho un ciliegio nell’orto (proprio sotto il murello) vecchio rugoso e storto che rinnova il mantello a ogni primavera; e tra le nuove foglie quando viene la sera, i passeri raccoglie. Nel sussurrar del vento tra il cinguettar vivace, parla sereno e lento: “Son vecchio ma mi piace allargare i miei rami nell’aria cilestrina udir questi richiami di sera e di mattina…” (G. Fanciulli)
Nell’orto Questa notte, un miracolo pare, è passato qualcuno nell’orto: stavan mute le stelle a guardare. Non sembrava il bel mandorlo morto? Non sembrava il bel mandorlo secco? Ma qualcuno con mano leggera ha posato farfalle a ogni stecco per poi ratto fuggire. Chi era? E stamane, ne chiaro mattino, un bambino riguarda stupito, e gli pare un sorriso divino il bel mandorlo nuovo e fiorito. (T. Stagni)
Tempi belli …Ora comincia il tempo bello. Udite un campanello che in mezzo al cielo dondola? E’ la cincia. Comincia il tempo bello. Udite lo squillar d’una fanfara che corre il cielo rapida? E’ il fringuello. Fringuello e cincia ognuno già prepara per il suo nido il mustio e il ragnatelo; e d’ora in ora primavera a gara cantano uno sul pero, uno sul melo. (G. Pascoli)
Maltempo Sono stanco. Stanco di questa pioggia che viene giù minuta insistente noiosa. Stanco del fango di queste sporche gore. Stanco del vento che fischia tra le imposte ed urla minaccioso tra gli alberi del bosco. Stanco del rombo del torrente che croscia lontano nella valle con lavorio di massi. Stanco del freddo che mi raggela il sangue e mi perfora l’ossa. Stanco di questa nebbia che occlude gli orizzonti ed imprigiona il sole. Stanco forse perchè ho tanta voglia di sole! (M. Macchione)
Nuovo tempo Stamane per le strade di campagna il cielo è dentro le pozzanghere. La pioggia di tre giorni ristagna, un biondo vento soffia in su le nuvole. Mussole e lini bianchi palpitano sulle siepi. I rametti già così stanchi, in vetta d’improvviso gemmano. Le passere lascian la pigrizia, sbucano dal loro ciuffo di piume, nuove alla nuova delizia saltellando il capo scuotendo. Dalla terra odore di essenze. Tra il verde, rado stupore di case. (M. Dazzi)
Primavera è nell’aria Stanotte s’è messa in cammino la primavera nell’aria. D’intorno, sul capo, la svaria un velo di stelle turchino. Il suo profumo è un sospiro diffuso sui freschi giardini. La terra non ha più confini, il mare non ha più respiro. L’alba sorride cogli occhi dalle lunghe ciglia di cielo. Vibra negli orti ogni stelo come se una mano lo tocchi. Le strade hanno tenui tremori di verde lungo i fossati. Gli alberi si sono svegliati con bianche ghirlande di fiori. (G. Villaroel)
Primavera C’è tra i sassi, ieri non c’era, l’erba, che trema come un verde fuoco: l’ha perduta nel gioco la giovane primavera. La pecorella, vestita di lana, ora strappa le tenere foglie, e, per ogni ciuffo che coglie, batte un tocco di campana. A quel suono fiorisce il pesco; si schiudono le finestrelle e le rondini dal cuore fresco giungono dalle stelle. Ogni cosa ha la sua festa (poichè brilla come bandiera il bucato alla ringhiera) e le ragazze un fiore in testa. L’acqua chiocca nella peschiera rotonda come una secchia e l’allodola dentro vi specchia il suo canto di primavera. (R. Pezzani)
Primavera Quando il cielo ritorna sereno come l’occhio d’una bambina la primavera si sveglia. E cammina per le mormoranti foreste, sfiorando appena con la sua veste color del sole i bei tappeti di borraccina. Ogni filo d’erba porta un diadema, ogni stilla trema. Qualche gemma sboccia un po’ timorosa, e porge la boccuccia color di rosa per bere una goccia di rugiada… Nei casolari solitari i vecchi si fanno sulla soglia e guardano la terra che germoglia. A notte le raganelle cantano la serenata per e piccole stelle. I balconi si schiudono perchè la notte è mite, qualcuno s’oblia al ascoltare quel che voi dite alle piccole stelle, o raganelle malate di malinconia. (U. Betti)
Pioggia primaverile La pioggia imminente la sente la rondine bassa che passa. Gocciò la campana: la rana di fuor del paese l’intese. Nel cielo già lieve vien grave la nube e sul concio fa il broncio. Poi tac; picchietta con fretta sul fieno, sul grano del piano. Or ecco, d’un fiato il prato di gocciole intride, sorride. (L. Carpanini)
Anche il mare Anche il mare ha la sua primavera: rondini all’alba, lucciole la sera. Ha i suoi meravigliosi prati di rosa e di viola, che qualcuno invisibile, là, falcia, e ammucchia il fieno in cumulo di fresche nuvole. (C. Govoni)
E’ primavera Il sole batte, con le dita d’oro, alle finestre. Uno squittio sottile è sui tetti. Nell’orto la fontana ricomincia a cantare. E’ primavera. Le chiese, in alto, con le croci accese, i monti immensi con le cime rosa, le strade bianche con gli sfondi blu. E’ primavera. E’ primavera. Il cielo spiega gli arazzi delle nubi al vento. L’albero gemma. Verzica la terra. Nel cortile la pergola è fiorita. Ai balconi: le donne in vesti chiare. E’ primavera. E’ primavera. E il mare ha un riso azzurro e un brivido di seta. (G. Villaroel)
Dove vai San Benedetto Stamattina a casa mia si fermò San Benedetto; mi svegliò con la poesia delle rondini sul tetto, del colore d’un suo fiore, delle gocce di rugiada sull’erbetta della strada. Dove vai, San Benedetto? Sopra i rami nudi e brulli, dolci frutti d’ali al vento. Lungo i cigli fior vermigli. Tra le pietre del muretto son sbocciati a cento, a mille, campanelle, fiori bianchi, fiori a stelle… Dove vai, San Benedetto? Se n’è andato il buon vecchietto con il sacco ed il bastone. Mi ha lasciato una canzone: la dolcissima poesia, fresca, fresca, come un fiore, delle rondini sul tetto, delle gocce di rugiada sull’erbetta della strada. (C. Ronchi)
Attesa Son disseccate ancor tutte le aiuole; nervosa ancor la terra, umida e ghiaccia, ma il vento le nuvole discaccia e riappare sfolgorante il sole, che col fecondo palpito l’abbraccia; già nei cespugli mammole, viole spuntan, timide di sentirsi sole; qualche gemma sui rami irti s’affaccia. (D. Garoglio)
Disgelo Case nel sole: una striscia di giallo, di scialbo giallo, su prati nevati. (Alberi, dietro: alti pioppi sfumati dentro un sottile pulviscolo d’oro). Lucide chiazze di cupo viola sui tetti bianchi; la neve si sfa. Finestre aperte; bucato a festoni; donne affaccendate… E’ l’inverno che va… (D. Valeri)
Stagione incerta E’ presto ancora: v’è del gelo ai fossi, della brina sugli embrici del tetto, quasi inverno… ma già si allunga il giorno e là dietro la siepe s’alza un palpito bianco di farfalle; poi verranno le rondini dal mare; e al tempo benedetto delle messi (rosso il trifoglio, bionde, alte le spighe) l’allodoletta trillerà sul grano. Oh, come corre rapido il pensiero! Già coglie il fiore non ancora nato, affretta arrivi e voli. Ma per ora non v’è che questo incerto, liquido cielo, questa terra spoglia, quest’odor d’erba nuova e di bucati. (A. Brondi)
Bel mare Un bel mare, così, tutto nuovo, verdino come il grano dei campi, con bianchi sbuffi di spume e lampi di diamanti sulla sabbia d’oro, un bel mare così, sotto un cielo grigio lanoso, gonfio di sole che sta per rompere come un fiore di giaggiolo dal suo nodo di velo, un mare così basta a far primavera; e subito par che la gioia ritorni… Il rombo delle onde è come un cuore che batta ovunque, che batta forte. Morto ogni ricordo di morte; perchè c’è il mare, perchè c’è il sole. (D. Valeri)
Primavera vicina Più morbida, più lieve l’aiuola, ecco, s’inturgida; candide come neve ondeggian le campanule, un vivo odor di fuoco va dispiegando il croco; il suol di sangue stilla, lo smeraldo sfavilla. Le primule si gonfiano con borioso piglio; mentre l’astuta mammola s’asconde ad ogni ciglio, un alito possente scuote la vita intera. E’ viva, è qui presente ormai la primavera. (J. W. Goethe)
Primavera imminente Nel bianco cespuglio chi canta? Il rossignolo. Ingannato dal suo desiderio di primavera ha scambiato gli ultimi fiocchi di neve per i fiori di pruno. (Sosei – celebre bonzo del secolo IX)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche il papà una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Il babbo Povero babbo! Stanco, scalmanato, tutte le sere torna dal lavoro, ma per cantar la nanna al suo tesoro ha sempre un po’ di forza e un po’ di fiato. L. Schwarz
Festa del papà Tanti auguri babbo caro di salute e d’ogni bene or che sono un o scolaro li so far come conviene. Se sapessi, babbo mio, in cucina che da fare un gran moto, un tramestio un andare e ritornare. Già ti annuncio in confidenza (tanto tu non lo dirai) che un budin nella credenza c’è, ma grande, grande assai. Che tripudio, che contento! Ah, se fosse ognor così che giulivo movimento caro babbo, che bel dì.
Il padre Mio padre non è morto, mio padre cammina con me, sento ancora il suo passo. Sento che s’accosta ai libri, toglie la bibbia dallo scaffale: da tanto la sua immagine è scomparsa, ma mio padre è sempre con me. Sotto la lampada egli siede la sera, e tiene il libro in mano: e a volte chiede piano se ho trovato la pace. A volte lo sento parlare, ma non vedo il suo viso, mi sembra d’essere ancora bambino e ascolto le parole d’Isaia. E se siedo alla notte sulla soglia, e la luna percorre il dorato sentiero, sento che siede accanto a me come un tempo sedava. (E. Wiechert)
A mio padre Padre, se anche tu non fossi il mio padre, se anche fossi un uomo estraneo per te stesso egualmente t’amerei. Chè mi ricordo d’un mattin d’inverno che la prima viola sull’opposto muro della tua camera scopristi e ce ne desti la novella allegro. Poi la scala di legno tolta in spalla di casa uscisti e l’appoggiavi al muro. Noi piccoli stavamo alla finestra. E di quell’altra volta mi ricordo che la sorellina, bambinetta ancora, per la casa inseguivi minacciando (la caparbia avea fatto non so che). Ma raggiuntala che strillava forte dalla paura, ti mancava il cuore: chè avevi visto te inseguir la tua piccola figlia, e tutta spaventata tu vacillando l’attiravi al petto, e con carezze dentro le tue braccia l’avviluppavi come per scamparla da quel cattivo ch’era il tu di prima. Padre se anche tu non fossi il mio padre, se anche tu fossi un uomo estraneo fra tutti quanti gli uomini già tanto pel tuo cuore fanciullo t’amerei. (C. Sbarbaro)
Padre Padre, un giorno ti condurrò per queste vie, con queste mani che reggevi un giorno nelle tue. T’indicherò come facevi, i seminati, i colli, le case sparse, quasi con le tue stesse parole; e tutto sarà nuovo per te, come per me in quei lontani giorni, e sorriderai col mio sorriso. Allora io non avrò più l’innocenza, ma la ritroverò negli occhi tuoi, e sarà, padre, il tuo ultimo dono. (T. Colsalvatico)
A mio padre Caro papà che te ne stai rinchiuso in quell’ufficio sempre a lavorare esci a vedere il sole, vieni anche tu un po’ fuori a respirare. Fai quattro passi, arriva alla stazione, arriva al bar a prendere un gelato, mettiti un po’ a giocare in mezzo a noi, sopra un grande prato. Se stai fra noi, papà, ritornerai felice, e tante noie scorderai. (A. Valsecchi)
Poesie e filastrocche il papà Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche su FEBBRAIO – una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Febbraio E’ febbraio un monellaccio, molto allegro e un po’ pagliaccio per le piazze e per le sale, accompagna il carnevale se fra i mesi suoi fratelli, ve ne sono di più belli il più allegro e birichino, sempre è lui, il più piccino.
Febbraio Oh febbraio piccolino, non è vero che tu sia proprio un mese malandrino. Fra i tuoi giorni di bufera e di freddo, tu ci porti un pochin di primavera. Se nel cielo ride il sole, spuntan subito, sul greppo, una primula e due viole. Poi tu allunghi la giornata più di un’ora e ci regali qualche bella mascherata. Non sei dunque malandrino, o febbraio piccolino. (T. R. Correggi)
Febbraio Se ti dicon, febbraietto, che sei corto e maledetto, non avertene per male: è un proverbio che non vale. Il tuo gelido rovaio, un ricordo di gennaio, presto viene e presto va e paura non ci fa. Oh, nemmen quella tua neve ci sgomenta, così lieve che un respiro di tepore basta a scioglierne il rigore. E se ancor ti coglie il gelo e s’addensan nubi in cielo, basta un raggio del tuo sole a dar vita alle viole. Poco dura la bufera se alle porte è primavera; non è vero, febbraietto, che sei corto e maledetto. (F. Castellino)
Febbraio Febbraio, bizzoso, cattivo, cattivo, perchè tante nubi? Perchè tanto gelo? Eppure nel cuore tu sogni e racchiudi il tenero azzurro d’un lembo di cielo e porti negli occhi un raggio di sole ch’è più luminoso più bello che mai. Febbraio bizzoso, dov’è primavera? Oh, dimmelo piano! Tu ridi: lo sai. (G. Aimone)
Febbraio E’ febbraio un monellaccio, molto allegro e un po’ pagliaccio: ride, salta, balla e impazza, per le vie forte schiamazza per le piazze e per le sale accompagna il carnevale. Se fra i mesi suoi fratelli ve ne sono dei più belli, il più allegro e birichino sempre è lui, ch’è il più piccino. (M. Vanni)
Il mandorlo di febbraio Avevo udito dire all’ortolano: “Mandorluccio, non fare l’imprudente, tra breve il garbinel più non si sente e ripiglia a fischiare il tramontano.” Avevo anch’io timore di febbraio, mese corto e malnato, mese amaro, ed anch’io te l’avrei voluto dire: “Non fiorir, mandorluccio, non fiorire!” Ma quando stamattina giù ho guardato nell’orto in faccia al sole t’ho veduto tutto rami d’argento tra il saluto e il volo degli uccelli, lì incantato t’ho detto tra di me: “Hai fatto bene!” La bellezza è così, vien quando viene; la bellezza non bada al tempo, o caro, mio bianco mandorluccio di febbraio. (C. De Titta)
Febbraio Ecco qua il più piccino, gaio, breve, mingherlino, tutto trilli e sonatine, canti, balli, mascherine, tutto frizzi ed allegria che spumeggia e corre via. Ecco, appena cominciato già è passato… In un soffio se ne va e di tutto quel frastuono, nulla, nulla resterà. (Hedda)
Febbraio Se ridi, o febbraio piccino, col sole sia pure d’un dì, è un riso che dura pochino, pochino pochino così. Appena quel tanto che basta a fare cantare le gronde dell’acqua mutevole e casta che lascia la neve che fonde. Ma basta quel primo turchino, quel po’ d’intravvista speranza a dare una nuova fragranza al cuore e al destino. (R. Pezzani)
La prima viola E’ nata la prima violetta tra la fresca erbetta del prato e ha detto facendo l’inchino: “Cantate, il bel tempo è vicino!” (B. Marini)
Vien febbraio Vien febbraio mese gaio che folleggia che passeggia con la maschera sul viso, con la celia, col sorriso che fa il chiasso per le strade mentre ancor la neve cade. (Malfatti Petrini)
Febbraio Caro alla vita è il mese di febbraio, che ama impazzar, folletto, per le strade e sparge lieto in tutte le contrade il cieco ardore del suo cuore gaio. (B. Da Osimo)
Febbraio Nuvoli, vento, neve, acqua, tempesta! E’ arrivato febbraio, febbraietto! “Ah, febbraietto, corto e maledetto” gli gridan tutti: “Vattene alla lesta!” Corre via febbraietto e sembra dire: “Allegri, chè l’inverno è per finire!” E allegro per il colle e per il piano, ora pota le viti il buon villano, mentre le vie, le piazze cittadine, empie un gaio vociar di mascherine. (U. Ghiron)
Febbraio Cosa ci porti, corto febbraio? Sì, dietro l’uscio v’è primavera con la sua veste dolce e leggera, col suo sorriso limpido e gaio. Tu ci riporti le mascherine, coi lieti giorni di carnevale; empi di canti le gaie sale e la tua gioia par senza fine. C’è chi ti dice: “Febbraio amaro” perchè, talvolta, di pioggia e neve non sei tu il mese certo più avaro, col tuo cappuccio di nubi, greve. Ma cosa importa? Fresca e leggera a te dappresso, bionda nel sole. tutta sorriso, tutta viole, ecco che appare la primavera. (Zietta Liù)
Febbraio Corro lieto nel bosco a cogliere viole: qua e là penetra il sole; qua e là si fa più fosco… C’è qualche bacca rossa sulle stecchite fratte, odor d’erbe disfatte, odor di terra smossa; e al lume dell’aurora, brina gelata e bianca. Come farfalla stanca, vien qualche fiocco ancora… Ma indugia, innanzi sera, talvolta, uno splendore che annunzia già il tepore di dolce primavera. (C. Allori)
Febbraio
Nè amato nè inviso tu giungi, o febbraio: ci mostri il tuo viso più triste che gaio. Sorridi talvolta, ma è un riso di scherno nell’aria sconvolta dal rigido inverno. E il timido sole che splende non piace: c’è sempre chi vuole scaldarsi alla brace. (L. Ruber)
Febbraio
Il sol ruppe la neve e alla costiera in quel giorno brillò la prima volta un mite verde. Ed ecco, il cuore ascolta l’uccello che promette primavera. Respira già quest’aria cristallina nascosta dalle foglie macerate, la mammola. Viole son nate nel sol di quest’angelica mattina. (R. Pezzani)
Solicello di febbraio
Solicello di febbraio che sorridi lieve lieve, sulle siepi e sulle case già si liquefa la neve. Dopo i giorni cupi e tetri il tuo raggio com’è gaio com’è dolce il tuo tepore solicello di febbraio! Tu, riscaldi i poverelli solicello chiaro e mite più non tremano gli uccelli sulle piante intirizzite e i vecchietti freddolosi siedon già sulle panchine mentre sciamano s’intorno variopinte mascherine. Solicello di febbraio già la livida bufera si allontana e cede il passo alla rosea primavera; già si schiudono le gemme canta il passero sul tetto solicello di febbraio solicello benedetto! (P. Ruocco)
Speranza
C’è un grande albero spoglio in mezzo all’orto; pare che soffra e non si possa coprire e riscaldare. Vola sui rami nudi un passero sperduto e cinguetta più forte in segno di saluto. Geme l’albero: “Un tempo fui giovane e fui bello; candidi fiorellini erano il mio mantello… Il passero cinguetta: “O vecchio albero, spera… Si sciolgono le nevi; verrà la primavera. (M. Dandolo)
Febbraio Questo è febbraio: tipo di mese corto e amaro, spesso scortese. Folate fredde taglian la faccia, Agli usci aperti danno la caccia; van brontolando dentro i camini, fermano il volo degli uccellini, e, se furiose soffian sul mare, lo fan di spume tutto arricciare. Neanche un fiore sopra la terra… E quelle rose? Sono di serra. Forse lontano, sotto i bei cieli del mezzogiorno, gemmano i meli, ma a tramontana con l’aria greve neppure l’ombra di un bucaneve. E’ meglio quindi stare al riparo… Questo è febbraio corto ed amaro. (G. Folgore)
Febbraio
Febbraio è sbarazzino. Non ha i riposi del grande inverno, ha le punzecchiature, i dispetti di primavera che nasce. Dalla bora di febbraio requie non aspettare. Questo mese è un ragazzo fastidioso, irritante che mette a soqquadro la casa, rimuove il sangue, annuncia il folle marzo periglioso e mutante. (V. Cardarelli)
Fine di febbraio Un azzurro nel fosco dischiuso ricomincia gioia ai miei occhi; tre nubi una nube che si sfiocchi basta anch’essa al mio amore illuso; un barlume d’oro che piova su zolle nerastre grasse, è come se ricreasse il mondo, e aprisse una vita nuova. Stagione benigna e vivace, che tutto è attesa e annuncio divino, e il cuore si crede vicino al suo vero e alla sua pace. Domani… domani lo vedremo, caduta la tenda oscura, il volto della gioia più pura, il riso del bene supremo. (Ma domani sarà la solita festa di sole, di turchino, di verde, in cui la vita inebriata si perde… E dell’anima che cosa resta?) D. Valeri
Febbraio Corro lieto nel bosco a cogliere viole; qua e là penetra il sole; qua e là si fa più fosco… C’è qualche bacca rossa sulle stecchite fratte, odor d’erbe disfatte, odor di terra smossa; e, al lume dell’aurora, brina gelata e bianca. Come farfalla stanca, vien qualche fiocco ancora… Ma indugia, innanzi sera, talvolta uno splendore che annuncia già il tepore di dolce primavera. (C. Allori)
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Poesie e filastrocche Carnevale – una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria
Pranzo e cena Pulcinella ed Arlecchino cenavano insieme in un piattino: e se nel piatto c’era qualcosa chissà che cena appetitosa. Arlecchino e Pulcinella bevevano insieme in una scodella, e se la scodella vuota non era chissà che sbornia, quella sera. (G. Rodari)
Il vestito di Arlecchino Per fare un vestito ad Arlecchino ci mise una toppa Meneghino: ne mise un’altra Pulcinella, una Gianduia, una Brighella. Pantalone, vecchio pidocchio, ci mise uno strappo sul ginocchio, e Stenterello, largo di mano, qualche macchia di vino toscano. Colombina che lo cucì fece un vestito stretto così. Arlecchino lo mise lo stesso, ma ci stava un tantino perplesso. Disse allora Balanzone, bolognese dottorone: “Ti assicuro e te lo giuro che ti andrà bene il mese venturo se osserverai la mia ricetta: un giorno digiuno e l’altro bolletta.” (G. Rodari)
La maschera Vent’anni fa mi mascherai pur io! E ancora tengo il muso di cartone che servì per nasconder quello mio. Sta da vent’anni sopra un credenzone quella maschera buffa, ch’è restata sempre con la medesima espressione, sempre con la medesima risata. (Trilussa)
Pagliaccio Ed ecco un flauto si mette a suonare. Allora un pagliaccio rosso coperto di campanellini esce a ballare con lazzi ed inchini! E tenta una capriola… fa finta di farsi male… ride… Si rizza con un salto mortale! Poi s’arrampica, come fa il gatto per acchiappare i pipistrelli! E poi fa finta di ruzzolare, perchè ridano tutti quanti. (U. Betti)
L’allegra mascherata Che risate che allegria per la via! Con tamburi di cartone, con lustrini di… stagnola, i monelli van cantando a squarciagola. Son vispi come uccelli che han trovato l’usciolino spalancato dell’aerea prigione. Chi s’è tinto di carbone, chi s’è tutto infarinato, chi strombetta per la via… che allegria! (M. Castoldi)
Burattini Son di legno, son piccini, sono svegli e birichini, semre buoni ed ubbidienti, sempre allegri e sorridenti, son delizia dei bambini: viva, viva i burattini. Pulcinella ed Arlecchino, Stenterello e Meneghino, e Brighella e Pantalone, Facanappa e Balanzone, fanno ridere i bambini: viva, viva i burattini. Quando alcun non li molesta, dormon tutti nella cesta, se ne stanno in compagnia, sempre in pace ed armonia, come tanti fratellini, viva, viva i burattini. (E. Berni)
Il gioco dei “se” Se comandasse Arlecchino il cielo sai come lo vuole? A toppe di cento colori cucite con un raggio di sole. Se Gianduia diventasse ministro dello Stato farebbe le case di zucchero con le porte di cioccolato. Se comandasse Pulcinella la legge sarebbe questa: a chi ha brutti pensieri sia data una nuova testa. (G. Rodari)
Maschere Sono una maschera dotta e sapiente chiacchiero molto, concludo niente! Son di Bologna un gran dottore, mi sottopongono ogni malore, ed io con l’abile mia parlantina sputo sentenze di medicina. Curo il malato col latinorum per omnia saecula saeculorum! Sono una maschera multicolore di professione fo il servitore. Mia prima origine fu bergamasca, ma non avendo mai un soldo in tasca vissi a Venezia come emigrante. Son litigioso, furbo, intrigante, ma sono il principe dei birichini! Sono una maschera sempre affamata biancovestita e mascherata. Mia patria è Napoli, dove perfetti nascono i piatti degli spaghetti. Son della terra delle canzoni, son del paese dei maccheroni, son specialista in bastonate: quante ne ho prese tante ne ho date! (D. Volpi)
La trombettina Ecco che cosa resta di tutta la magia della fiera: quella trombettina, di latta azzurra e verde che suona una bambina… Ma, in quella nota sforzata, ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi, c’è la banda d’oro rumoroso, la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini. Come, nel gocciolare della gronda, c’è tutto lo spavento della bufera, la bellezza dei lampi e dell’arcobaleno; nell’umido cerino d’una lucciola che si sfa su una foglia di brughiera, tutta la meraviglia della primavera. (C. Govoni)
Armi dell’allegria Eccole qua le armi che piacciono a me: la pistola che fa solo “pum” (o “bang”, se ha letto qualche fumetto) ma buchi non ne fa… Il cannoncino che spara senza fare tremare nemmeno il tavolino… il fuciletto ad aria che talvolta per sbaglio colpisce il bersaglio ma non farebbe male nè a una mosca nè a un caporale… Armi dell’allegria! Le altre, per piacere, ma buttatele tutte via! (G. Rodari)
Le maschere Io sono fiorentino vivace e birichino; mi chiamo Stenterello l’allegro menestrello. Cantando stornellate fo far mille risate. Ed ecco qua Brighella, la più brillante stella del gaio carnevale quando ogni scherzo vale… Arrivo io ballando, scherzando e poi saltando. Mi chiamano Arlecchino e sono il più carino. Mi chiamo Pantalone: il vecchio brontolone; ma in tutto onor vi dico: “Io sono vostro amico”. Ed io son Pulcinella! La maschera più bella. Oh oh, che ballerino, somiglio ad un frullino… (S. Antonelli)
Carnevale E’ arrivato carnevale con coriandoli e stelline e graziose mascherine. Van cantando per la via in allegra compagnia Arlecchino e Pulcinella Balanzone con Brighella, e Rosaura e Colombina. Con le maschere la gente se la spassa assai beata: è stagione spensierata va passata allegramente. (L. Borselli)
Che allegria! Guarda, mamma, nella via quanta gente e che allegria! Che bizzarre mascherate, dalla banda rallegrate! Quante voci, quanti fiori quanta gioia inonda i cuori! Vedo Cecca e Meneghino, Scaramuccia ed Arlecchino, e quell’altro? Ah, è Trivella, che dà il braccio a Pulcinella! E quel goffo Pantalone con i baffi… di cartone? Or s’avanzano bel bello e Pagliaccio e Stenterello… Senti, senti, mia mammina, che gazzarra! Una ventina di giocondi fanciulletti mascherati da folletti. (G. Pisani)
Viva le maschere Viva le maschere! Evviva! Evviva! Io ti conosco, maschera bella: tu sei Gianduia, tu sei Brighella, qui Colombina con Pantalone, quindi Arlecchino con Pulcinella. O mascherine, chi ve l’ha fatto quell’abituccio tutto a colori quell’abituccio che ci ricorda la primavera coi mille fiori? Chi ve l’ha messa nel fondo del cuore quell’allegrezza che a tutti date? O mascherine, grazie di cuore per tanta gioia che ci portate. (A. Caramellino)
Volta la carta di carnevale Volta la carta di carnevaletto quattro salti e uno sgambetto. C’è Arlecchino “venessiano” Pulcinella “nabbolidano” c’è Gianduia piemontese Pantalone bolognese. C’è Rosaura e Colombina cameriera sopraffina, Meneghin vien da Milano Sor Tartaglia gli è toscano. L’uno mangia maccheroni l’altro grossi panettoni, uno suona il mandolino l’altro al fianco ha lo spadino, ma son tutta una brigata bella, allegra, indiavolata, che si bacia, che s’azzuffa, che combina una baruffa, ma che alfin allegramente, ricomincia come niente il più gaio girotondo che rallegra tutto il mondo. (C. Gasparini)
A carnevale Pensato han tutti e due che in carnevale ogni burletta vale. E per fare un bella mascherata, la camera dei nonni han saccheggiata. Lui s’è pigliato il panama, il bastone, un solenne giubbone; ed una grossa pipa con la canna, certamente più lunga di una spanna. Lei s’è messa una gran cuffia trinata, la vestaglia fiorata, ha preso un ombrellino del Giappone e con gli occhiali legge un giornalone. Così a braccetto, come due sposini, vanno a far chiasso in casa dei cugini, perchè ogni burla vale nella lieta stagion di carnebale
Mascherata Carnevale pazzerello, sei davvero tanto bello! Tu porti sulla via un pochino d’allegria. Coi coriandoli e le stelle, mascherine gaie e belle fanno smorfie e sorrisini, fan balletti e fanno inchini. C’è Pierrot e Pierottina, Arlecchino e Colombina, Rugantino e Pantalone con Tartaglia e Balanzone; Stenterello e Meneghino vanno a spasso con Gioppino; e si vede Pulcinella fare chiasso con Brighella. Carnevale pazzerello, sei davvero tanto bello. (T. Romei Correggi)
Carnevale Il febbraio pazzerello ci ha portato Carnevale a caval di un asinello e con seguito regale: Pantalone e Pulcinella e Rosaura e Colombina, Balanzone con Brighella e Pieretta piccolina. A braccetto con Gioppino, che dimena un gran bastone, van Gianduia e Meneghino sempre pronti a far questione. Arlecchin chiude la schiera, che, fra canti e balli e lazzi lieta va, da mane a sera, con gran coda di ragazzi. Va, tra salti e piroette, seminando per la via, di coriandoli una scia, tra un frastuono di trombette. (L. Re)
Teste fiorite Se invece dei capelli sulla testa ci spuntassero i fiori, sai che festa? Si potrebbe capire a prima vista chi ha il cuore buono, chi la mette trista. Il tale ha in fronte un bel ciuffo di rose: non può certo pensare a brutte cose. Quest’altro, poveraccio, è d’umor nero: gli crescono le rose del pensiero. E quello con le ortiche spettinate? Deve aver le idee disordinate, e invano ogni mattina spreca un vasetto o due di brillantina. (G. Rodari)
Canzoncina Danza lieta, mascherina, danza fino a domattina! Son coriandoli le stelle! E i panini son frittelle. Sono tutti sorridenti, sono tutti assai contenti. Lo sapete che Arlecchino fu vestito, poverino, con cenci regalati dai bambini fortunati? Arlecchino sorridente è l’immagine vivente dell’aiuto che può dare chi anche agli altri sa pensare. Danza lieta, mascherina, danza fino a domattina!
Il girotondo delle maschere E’ Gianduia torinese Meneghino milanese. Vien da Bergamo Arlecchino Stenterello è fiorentino veneziano è Pantalone con l’allegra Colombina. Di Bologna Balanzone con il furbo Fagiolino. Vien da Roma Rugantino, pur romano è Meo Patacca, siciliano il buon Pasquino di Verona Fracanapa. (G. Gaida)
La giostra Eccola nella piazza della chiesa, eccola sorta come per incanto! Chi non l’avea desiderata tanto? Chi non l’avea tanto sognata e attesa? Bella la giostra! E’ tutta luce e argento, tutta specchi, bagliori, oro, turchesi, così come quei fantastici paesi ch’io vedo solo quando mi addormento. (M. Moretti)
Carnevale Carnevale vecchio e pazzo s’è venduto il materasso per comprare pane e vino tarallucci e cotechino. E mangiando a crepapelle la montagna di frittelle gli è cresciuto un gran pancione che somiglia ad un pallone. Beve e beve e all’improvviso gli diventa rosso il viso poi gli scoppia anche la pancia mentre ancora mangia, mangia… Così muore carnevale e gli fanno il funerale dalla polvere era nato ed in polvere è tornato. (G. D’Annunzio – Filastrocche del mio paese)
Maschere Rosaura geme Florindo freme, Lelio domanda, Pantalon nega; Brighella stringe solida lega con Arlecchino; chè, se Cavicchio trova Batocchio presso un crocicchio, gli strizza l’occhio e stretto il patto, saldo il contratto. Pierrot non vede… egli strimpella la serenata… e Colombina che l’ha sentito fruscia in sordina nel vano scuro della vetrata… E là, premendosi la man sul cuore, trepida ascolta… (G. Adami)
La mascherina povera Lazzi e schiamazzi fanno i ragazzi tutti un po’ pazzi. E il bimbo va col cappello del nonno, la giacca del papà, stanco, pieno di sonno, per la grande città. Lazzi e schiamazzi fanno i ragazzi. e il bimbo è lì aria di funerale a godersi così il suo “bel” carnevale. (A. Novi)
Mascherine Bentornate, mascherine, nell’allegro girotondo! Arlecchini e Colombine in un palpito giocondo. Trallalera, trallalà. Ogni lieto scherzo vale: benvenuto carnevale che vi porta tutte qua. C’è bisogno d’un sorriso dopo tante tante pene, che c’illumini un po’ il viso. Vi vogliamo tanto bene. (Zietta Liù)
Carnevale Che fracasso! Che sconquasso! Che schiamazzo! E’ arrivato carnevale buffo e pazzo, con le belle mascherine, che con fischi, frizzi e lazzi, con schiamazzi, con sollazzi, con svolazzi di sottane e di vecchie palandrane, fanno tutti divertire. Viva viva carnevale, che fischiando, saltellando, tintinnando, viene innanzi e non fa male, con i sacchi pieni zeppi di coriandoli e confetti, di burlette e di sberleffi, di dispetti, di vestiti a fogge strane, di lucenti durlindane, di suonate, di ballate, di graziose cavatine, di trovate birichine! Viva viva carnevale, con le belle mascherine! (M. Giusti)
Stornellate di carnevale Fior di melone! Giochiamo e divertiamoci ben bene: è carnevale! Evviva Pantalone! Fior di mortella! A carnevale tutto il mondo balla; la maschera più gaia è Pulcinella! Fior di cedrina! Anche Rosaura danza la furlana, con Florindo e la vispa Colombina! Fiore di grano! Arrivano Tartaglia e Rugantino; facciamo girotondo: qua la mano! Fiore di spino! Ogni viso sia lieto e il cor sereno. Viva, viva, Brighella ed Arlecchino! (V. Masselli)
Carnevale E’ tornato carnevale. Quante belle mascherine per per strade e per le sale! Son tesori di damine in merletti e crinoline, con la cipria sui musetti. Castellane e gnomettini, pellirosse e gnomettini, che si scambiano gli inchini: “Colombina, i miei rispetti” “Un saluto ad Arlecchino!” “Ciao, Brighella!” “Pierottino, vuoi confetti?” “Mi regali una ciambella?” Ora fanno un girettino per le strade, per le sale per mostrare il costumino, dell’allegro carnevale. Poi la sera stanche, alfine, delle chicche e dei balletti, tutte a nanna, mascherine, a sognare gli angioletti. (V. S. Pagani)
Carnevale Mascherine, mascherine, per i bimbi e le bambine son venute da lontano, nel costume antico e strano Pulcinella ed Arlecchino, Pantalone e Colombina facce buffe, occhio ridente, saltan tutte lietamente tra i bambini e le bambine, benvenute mascherine! (G. Vaj Pedotti)
Carnevale Chiuso nel suo cappottino, sta nella terra il semino sogna le cose più belle: sono dei fiori o son stelle? Fuori c’è un mare di gelo, vento tra i rami del melo cime coperte di neve, che scende placida e lieve ad un tratto il silenzio si rompe: tra rumori e squilli di trombe mille canti si sentono fuori, nelle strade frastuoni e colori mascherine allegre cantate, che l’inverno ha le ore contate ricordate voi tutte al semino, che il suo sogno è davvero vicino.
La canzone delle mascherine Un saluto a tutti voi: dite un po’: chi siamo noi? ci guardate e poi ridete? Oh, mai più ci conoscete! Noi scherziam senza far male. Viva, viva il Carnevale! Siamo vispe mascherine, Arlecchini e Colombine, diavolini, follettini, marinari, bei ciociari, comarelle, vecchiarelle: noi scherziam senza far male. Viva, viva il Carnevale! Vi doniamo un bel confetto, uno scherzo, un sorrisetto: poi balliamo, poi scappiamo. Voi chiedete: “Ma chi siete?” Su, pensate, indovinate. Siamo vispe mascherine, Arlecchini e Colombine, diavolini, follettini, marinari, bei ciociari, comarelle, vecchiarelle: noi scherziam senza far male. Viva, viva il Carnevale! (A. Cuman Pertile)
Viva carnevale La stagion di carnovale tutto il mondo fa cambiar. Chi sta bene e chi sta male carneval fa rallegrar. Chi ha denari, se li spende; chi non ne ha, ne vuol trovar; e s’impegna, e poi si vende per andarsi a sollazzar. Qua la moglie e là il marito, ognun va dove gli par; ognun corre a qualche invito chi, a giocar e chi a ballar. Par che ognun di carnovale, a suo modo possa far, par che ora non sia male anche pazzo diventar. Viva dunque il carnovale, che diletti ci suol dar. Carneval che tanto vale, che fa i cuori giubilar. (C. Goldoni)
Mascherine Ecco qui le mascherine tutte vispe tutte belle mascherine pazzerelle che vorrebbero danzar. Io vo’ fare un bell’inchino un bacetto io vo’ mandar. Una gaia piroetta con bel garbo io voglio far. Ecco qui un girotondo pieno di grazia e di allegria che saluta tutto il mondo prima ancor di andare via. L’allegria non fa mai male, viva viva il carnevale!
Pulcinella
Sono una maschera sempre affamata, biancovestita e mascherata. Mia patria è Napoli, dove perfetti nascono i piatti degli spaghetti. Son della terra delle canzoni; son del paese dei maccheroni. Son specialista in bastonate: quante ne ho prese, tante ne ho date.
Rugantino
Sono la maschera più brontolona, anche se arguta, semplice e buona. Se ti facessero ‘na prepotenza, chiamami subito: corro d’urgenza! Faccio una strage, faccio macelli, specie col vino de li Castelli! Se dopo tutto vengo alle mani c’è poco da rugà, semo romani.
Meneghino
Sono una maschera innamorata della città che m’ha creata. Porto nel cuore la Madunina e canto sempre ogni mattina, col panettone in una man, ch’ el me’ Milan, l’è un gran Milan. Contro i ribaldi e gli oppressori in ogni tempo feci fuori.
Balanzone
Sono una maschera dotta e sapiente: chiacchiero molto, concludo niente. Son di Bologna un gran dottore: mi sottopongono ogni malore ed io con l’abile mia parlantina sputo sentenze di medicina. Curo il malato col latinorum per omnia saecula saeculorum.
Carnevale viene
Viva viva Carnevale che fischiando saltellando tintinnando viene avanti e non fa male, con i sacchi pien di zeppi di coriandoli e confetti, di burlette e di sberleffi, di dispetti, di vestiti a fogge strane, di lucenti durlindane, di suonate, di ballate; di graziose cavatine, di trovate birichine. Viva viva Carnevale con le belle mascherine. (M. Giusti)
A carnevale ogni scherzo vale
Pensato han tutti e due che in Carnevale ogni burletta vale. E per fare una bella mascherata, la camera dei nonni han saccheggiata. Lui s’è pigliato il panama, il bastone, un solenne giubbone; ed una grossa pipa con la canna, certamente più lunga di una spanna. Lei s’è messa una gran cuffia trinata, la vestaglia fiorata. Ha preso un ombrellino del Giappone e con gli occhiali legge un giornalone. Così a braccetto, come due sposini, vanno a far chiasso in casa dei cugini, perchè ogni burla vale nella lieta stagion del Carnevale.
Il gioco dei se
Se comandasse Arlecchino il cielo sai come lo vuole? A toppe di cento colori cucite con un raggio di sole. Se Gianduia diventasse ministro dello stato farebbe le case di zucchero con le porte di cioccolato. Se comandasse Pulcinella la legge sarebbe questa: a chi ha brutti pensieri sia data una nuova testa. (G. Rodari)
Ecco le maschere
Io sono fiorentino vivace e birichino; mi chiamo Stenterello l’allegro menestrello. Cantando stornellate, fo’ far mille risate. Ed ecco qua Brighella, la più brillante stella del gaio Carnevale, quando ogni scherzo vale… Arrivo io ballando, scherzando e poi saltando. Mi chiamo Arlecchino e sono il più carino. Mi chiamo Pantalone, il vecchio brontolone; ma in tutto onor vi dico: “Io sono vostro amico”. Ed io son Pulcinella la maschera più bella. Oh oh, che ballerino somiglio ad un frullino. (S. Antonelli)
Burattinaio al lavoro
Da paese a paese egli cammina portando la baracca sulle spalle da paese a paese, dalla valle alla collina. E quando incontra un piccolo villaggio egli si ferma per quei tre marmocchi chiama Arlecchino che straluni gli occhi per suo vantaggio chiama la reginetta e il suo bel paggio che si facciano ancor qualche moina e Brighella cuor d’oro e Colombina rosa di maggio; e raccattato qualche buon soldino dal capannel che un poco si dirada, egli continua sull’aperta strada il suo cammino. (M. Moretti)
Il vestito di Arlecchino
Stan le allegre mascherine strette intorno alla lor mamma ch’è davvero molto stanca: da più giorni taglia e cuce cuce e taglia senza posa variopinti costumini per Gianduia e Meneghino Pulcinella e Pantalone Stenterello e Rugantino ma pel povero Arlecchino nulla ancora ha preparato… E’ domani Carnevale tutte insiem le mascherine dovran vispe folleggiare; e lei, povera mammina, cerca e fruga dappertutto fruga e cerca sempre invano. Cassettoni ha ribaltato armadietti e cassapanche, neppur l’ombra di una pezza per il povero Arlecchino le riesce di trovare… Ma un’idea meravigliosa le balena all’improvviso: coi ritagli avanzati degli altri vestitini tutto a scacchi un abituccio potrà ancora preparare. Mezzanotte è già suonata, ma felice veglia ancora quella mamma industriosa, chè il più allegro dei vestiti Arlecchin potrà indossare! (G. Martinelli)
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