Teatrino di Natale IL PASTORELLO

Teatrino di Natale IL PASTORELLO con testo ed un esempio di realizzazione con personaggi e scenografia in lana cardata. E’ un racconto molto semplice e particolarmente adatto ai più piccoli.
Questo modo di presentare i racconti è molto utilizzato nelle scuole steineriane: mentre si racconta si muovono i personaggi davanti ai bambini, facendoli via via apparire dalla scenografia stessa. Alcuni punti del racconto possono essere sottolineati dal suono di campanelli, metallofoni, legnetti, bastoni della pioggia, ecc…

Realizzare personaggi ed animaletti in lana cardata è molto più semplice di quello che può sembrare, e per incantare i bambini non è affatto necessaria la perfezione… Se volete, potere trovare vari tutorial che ho preparato negli anni scorsi, cercando qui

Personaggi:

– il pastorello
– la pecorella Biancaneve
– un uccellino
– uno scoiattolo
– una lepre
– un gufo
– un nano

C’era una volta un pastorello che possedeva un’unica pecora. E poichè era bianca come la neve, la chiamò Biancaneve.

Ogni giorno il pastorello andava con Biancaneve al pascolo, dove si potevano trovare erbe succose ed aromatiche.

Per poterla udire anche da lontano,  le appese al collo un campanello d’oro.

Un giorno se ne andarono al pascolo già al levare del sole, e siccome aveva cominciato a fare caldo, erano entrambi assetati. Udirono venire, dal bosco vicino, un lieve sussurrare. Era proprio acqua? Appena si avvicinarono, videro una sorgente zampillare dalla roccia. Il pastorello si chinò, attinse l’acqua chiara con tutte e due le mani, e bevve, bevve a volontà.

Poi anche la pecorella bevve l’acqua che scorreva sui sassi come un ruscello.

Il pastorello però, tutto ad un tratto si sentì così stanco che non volle più proseguire. Si tolse il berretto ed anche la bisaccia. Si sdraiò lì vicino e si  addormentò.

La pecorella, invece, corse via seguendo il ruscello, lontano,

sempre più lontano…

Quando il ragazzo si svegliò, si guardò intorno e cominciò a gridare, chiamando la sua pecora: “Biancaneve! Biancaneve!”, ma nessuno rispose.

Poi si mise a tracolla la sua bisaccia e si mise in cammino per cercare Biancaneve.

Per tutto il giorno continuò a cercare, fino a sera. Mancava poco al tramonto, e il pastorello  si sedette su una pietra e si mise a piangere.

E mentre così piangeva, udì all’improvviso il canto meraviglioso di un uccellino che cantava la sua canzone della sera, e sembrava volesse consolare il suo pianto.

Appena l’uccellino tacque, il pastorello disse: “Ah, mio piccolo uccellino, io cerco Biancaneve, la mia pecorella”. L’uccellino fece cenno col capo e indicò con il becco la direzione del bosco. Di sicuro voleva dire: “E’ andata di là!” e poi se ne volò via.

Il ragazzo si alzò e riprese il cammino a grandi passi attraverso il bosco, sul muschio tenero e sulle pietre dure, ma ad un tratto sentì scricchiolare qualcosa in un cespuglio.

Era forse una volpe? O addirittura un lupo? Ma no, era un piccolo scoiattolo, che stava cercando una nocciola per la cena.

“Buonasera caro scoiattolo, hai forse visto Biancaneve, la mia pecorella?”

Lo scoiattolo scosse il capo e disse: “No, non so dove sia la tua pecora, ma ti voglio accompagnare dalla lepre. Ha le gambe lunghe e sa arrivare lontano”.

Insieme andarono verso la casa della lepre

La lepre si era trovata, per dormire, un buon rifugio tra i rami di un cespuglio. Lo scoiattolo ritornò nel bosco a cercare nocciole.

Il pastorello salutò la lepre e le chiese: Caro leprotto, non sai dove è andata a finire Biancaneve, la mia cara pecora?”

Anche il leprotto non lo sapeva, però gli disse: “Ti accompagnerò dal gufo che ha grandi occhi e vede anche di notte. Forse saprà consigliarti.

Si inoltrarono nel bosco.  “Questo è il gufo” disse la lepre. Il gufo era appollaiato su un albero alto e con i suoi grandi occhi guardava il pastorello là sotto. La lepre ritornò nel suo nascondiglio.

Il pastorello si fece coraggio e gridò: “Buona sera gufo. Hai forse visto Biancaneve, la mia pecora?”

“No” disse il gufo “Non so dov’è la tua pecora, ma laggiù tra le radici abita un nano del bosco, forse lui ti può aiutare”.

Il pastorello si avvicinò e cercò la porticina tra le radici, bussò e gridò:

“Nano nanetto, stammi a sentire, la porticina vieni ad aprire”.  La porticina si aprì e comparve un omino con una lunga barba.

Teneva in mano una piccola lanterna. “Non so dove sia la tua pecora, però ti voglio accompagnare e farti luce”.

Cammina cammina giunsero ad una buca profonda. Si fermarono ed udirono un tintinnio. Era forse il campanellino d’oro di Biancaneve?

“Beeeh… beeeh… ” faceva la pecorella. “Din din din…” faceva il campanellino.

Il nano del bosco fece luce con la sua lanterna: Biancaneve era giù in fondo, nella buca. Era caduta laggiù, e non sapeva più risalire.

“Aspetta, vengo a prenderti!” disse il pastorello, e scese nella buca.

“Beeeh… beeeh… ” faceva la pecorella. “Din din din…” faceva il campanellino.  Che gioia quando il pastorello, arrampicandosi, vide Biancaneve! La prese e la tenne stretta tra le braccia. Tremava tutta.

Il nano del bosco, con la sua lanterna,  si mise davanti a loro e li accompagnò finchè giunsero a casa.

Finalmente erano arrivati al sicuro e al caldo.

Il pastorello ringraziò il nano per l’aiuto ricevuto, ed il nano potè far ritorno nella sua casa tra le radici del bosco.

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E terminato il racconto, può cominciare il gioco…

 

Racconto per il solstizio di inverno

Racconto per il solstizio di inverno  – La piccola casa senza porte e senza finestre
Un breve racconto adatto anche ai più piccoli, che può essere una bella introduzione per una pittura ad acquarello,

per la preparazione di una torta di mele o della marmellata, oppure, soprattutto coi più piccoli, per attività di stampa su carta o tessuto… La carta stampata può essere usata come carta regalo per i doni natalizi.

La piccola Gaia aveva giocato tutto il giorno con tutti i giochi che aveva nella sua cameretta, e aveva fatto tutti gli altri giochi che conosceva, e ora si stava proprio annoiando.
Così andò dalla mamma e le chiese: “E adesso cosa posso fare?”
La mamma le rispose:  “Ho sentito parlare di una piccola casa rossa senza porte e senza finestre, con una stella dentro. Potresti andare a cercarla…”.

Gaia uscì di casa e in cortile incontrò il suo amico Giovanni. Gli chiese: “Tu per caso sai dove si può trovare una piccola casa rossa senza porta e senza finestre, e con una stella dentro?”
Il bambino rispose: “No, non so proprio dove si trovi questa casa che dici, però potremmo andare a chiederlo al mio papà. Lui è un agricoltore, e conosce un sacco di cose. Adesso è nella stalla, andiamo!”.
Così, Gaia e il suo amico andarono nella stalla, e chiesero al contadino: “Sai dove possiamo trovare una piccola casa rossa senza porta e senza finestre e con una stella dentro?”
“No…” rispose il papà del bambino, “ma potreste provare a chiedere alla nonna. Adesso è nella sua casa sulla collina. E’ molto saggia, sapete, e sa molte cose. Forse vi potrà aiutare”.
Così Gaia e Giovanni si incamminarono su per la collina, e chiesero alla nonna: “Sai dove possiamo trovare una piccola casa rossa senza porta e senza finestre e con una stella dentro?”
“No,” rispose la nonna, “io non lo so, però potreste provare a chiederlo al vento… Lui va dappertutto e vede tante cose. Sono sicura che potrà aiutarvi”.
Allora Gaia e Giovanni uscirono dalla casa della nonna, e chiesero al vento: “Sai dove possiamo trovare una piccola casa rossa senza porta e senza finestre e con una stella dentro?”
Il vento rispose: “Certo, seguitemi!”.
E si mise a soffiare e fischiare. I due bambini cominciarono a corrergli dietro. Il vento guidò i due bambini attraverso la campagna, fino ad un bellissimo frutteto. Si fermò ai piedi di un albero, e disse ai bambini: “Eccola!”.
I bambini ringraziarono il vento, raccolsero la piccola casa rossa senza porta e senza finestre e con una stella dentro e corsero a mostrarla alla mamma di Gaia.
La mamma era in cucina in quel momento, e Gaia entrò dicendo: “Guarda mamma, abbiamo trovato la piccola casa rossa senza porta e senza finestre, però non riusciamo a trovare la stella…”
La mamma sorrise, prese un coltello e tagliò a metà la casa, scoperchiando il tetto.
“Sì!” gridarono felici i bambini, “La stella! Che bella!”

 

(Autore sconosciuto, ne esistono varie versioni anche in rete).

ACQUARELLO STEINERIANO – La visita del raggio di sole

ACQUARELLO STEINERIANO – La visita del raggio di sole. Un tutorial per proporre ai bambini un’esperienza di pittura alla scoperta dello spettro luminoso, giocando coi colori primari per ricavare i secondari. Il racconto accompagna la realizzazione del quadro e, come spesso dico, il processo è molto più interessante del risultato finale, che pure è notevole.
Questo percorso è particolarmente adatto a questo periodo dell’anno, in particolare intorno al giorno di Santa Lucia e del Solstizio di inverno, essendo una semplice base meditativa sulla luce.


A seconda dell’età del bambino, otterremo composizioni più semplici, o più elaborate, e vedremo nascere per ogni colore infinite tonalità e sfumature.
E’ adatto anche agli adulti.
Se è la prima volta che vi cimentate con questa tecnica di pittura ad acquarello, vi consiglio prima di cominciare di leggere qui: 

ACQUARELLO STEINERIANO – La visita del raggio di sole

Una mattina di un giorno molto speciale, mentre il sole stava per sorgere offrendo al mondo il suo “Buongiorno!”, uno dei suoi raggi decise di andare  a portare agli uomini il suo personale saluto prima di tutti gli altri raggi.
Questo raggio era formato, come lo sono tutti i raggi del sole, da sei raggi più piccoli di colore diverso, ma poichè ognuno indossava un mantello bianco, e si muovevano tutti insieme per mano, sembravano un unico raggio bianco.

Era l’alba, e non appena il raggio prese a scendere dal sole, per portare il suo messaggio d’amore al mondo più in fretta che poteva, attraversò una fessura delle persiane di una finestra: era la finestra della cameretta di Antonio, che se ne stava a dormire al canduccio del suo letto. Entrando nella stanza, il raggio andò a posarsi proprio su un vaso di cristallo che si trovava sulla scrivania, e non appena attraversò quel materiale così puro, sfaccettato e trasparente, tutti i piccoli raggi colorati che lo formavano si tolsero i loro mantelli bianchi e andarono a posarsi sul soffitto della stanza, mano nella mano, formando bellissimo girotondo che danzava coloratissimo proprio sopra al letto di Antonio.
Dei sei piccoli raggi, i tre maggiori si prendevano cura dei tre minori, e li aiutavano in ogni occasione a brillare della loro luce particolare, li aiutavano ad essere se stessi. I tre fratelli maggiori erano il rosso, il giallo e il blu.

(i bambini stendono i tre colori sul foglio, a loro gusto, facendo in modo di  riempirlo, ma evitando che i colori si tocchino tra loro):

Il rosso e il giallo tenevano per mano insieme il piccolo arancio. E il piccolo arancio condivideva il calore del rosso e la luminosità del giallo, stando tra loro, ed era molto felice.

 (i bambini lavano bene il pennello, e senza prendere altro colore, portano un po’ di rosso sul giallo e un po’ di giallo sul rosso):

Con l’altra mano il giallo teneva accanto a sè il piccolo verde, aiutato dal blu. E il piccolo verde condivideva la luminosità del giallo e il fresco del blu, stando tra loro, ed era molto felice.

(i bambini, dopo aver lavato bene il pennello e senza aggiungere altro colore portano un po’ di blu sul giallo e un po’ di giallo sul blu):

Con l’altra mano il blu teneva accanto a sè il piccolo viola, aiutato dal rosso. E il piccolo viola condivideva il calore del rosso e il fresco del blu, ed era molto felice.

(Infine i bambini, come per gli altri colore, fanno incontrare tra loro blu e rosso)

Così rosso, arancio, giallo, verde, blu e viola facevano il loro girotondo luminoso guardando dall’alto il bambino, e non passò molto tempo che Antonio sentì la loro luce sulle palpebre chiuse, e aprì gli occhi per vedere cosa stesse succedendo. Si svegliò pensando: “Ma c’è della luce, deve essere già mattino!”.


Si alzò dal letto, si lavò il viso e le mani, e si vestì. Prima di andare in cucina per la colazione, aprì le persiane della sua cameretta, per far entrare più luce.
Non appena lo fece, i sei raggi colorati scesero velocissimi dal soffitto, attraversarono di nuovo il cristallo del vaso, si rimisero i loro mantelli bianchi, e felici corsero verso il sole, per riunirsi agli altri raggi e aiutarli a rendere luminoso il giorno.
E Antonio guardò fuori e disse “Buongiorno, sole!”, e lo ringraziò per avergli inviato quel raggio a fargli visita nella sua stanza. Era molto contento.

(Adattamento da un racconto di Cornelia Fulton Crary)

Racconto di Natale IL PANE

Racconto di Natale IL PANE

In un castello situato su un’altura abitava un re. Da lassù egli poteva rivolgere lo sguardo lontano e vedere tutta la terra. Il re aveva un figlio, che ogni giorno se ne stava per lunghissimo tempo alla finestre del castello. Che cosa poteva cercare il suo sguardo nelle lontananze del mondo? Cercava gli uomini, e osservava come vivevano, come operavano e come si trovavano nel bisogno.
Un giorno disse a suo padre: “Gli uomini soffrono la miseria e la fame, lasciami andare da loro a portare del pane”.

Il re, che amava molto il proprio figlio, gli diede la sua benedizione per il lungo viaggio. Il figlio si spogliò dei suoi abiti regali, indossò tunica e scarpe da viaggio, prese con sè la bisaccia con il pane e si pose il cappello sul capo. Poi si mise in viaggio.
Il cammino era arduo, ma il figlio del re non si concesse riposo: pensava solo alla miseria degli uomini e voleva giungere da loro il più presto possibile.

Finalmente arrivò alle case dove abitavano gli uomini. Bussò subito alla prima casa, ma la porta era chiusa a chiave. Guardò attraverso la finestra. Dentro sedeva un uomo, il capo tra le mani, e si poteva udire come si lamentava della sua triste povertà.
Il figlio del re diede qualche colpetto al vetro della finestra e gridò: “Aprimi, io voglio aiutarti!”.
Ma l’uomo non sollevò nemmeno lo sguardo e continuò a lamentarsi dicendo: “Nessuno mi potrà aiutare…”
La porta rimase chiusa e il figlio del re dovette proseguire.

Anche alla casa seguente la porta era chiusa a chiave. Attraverso la finestra potè vedere una donna che con zelo stirava la sua biancheria. “Aprimi!”, gridò il figlio del re “C’è un ospite qui fuori che vuole farti visita…”
Ma la donna aumentò ancora di più il suo zelo e gridò: “Non mi serve alcun ospite, io devo sempre e solo lavorare per poter nutrire i miei bambini!”. E la porta rimase chiusa.

Il figlio del re andò così bussando di casa in casa, ma ovunque trovò porte chiuse.
Alla fine giunse ad una casupola, che era la più povera di tutte.
Gli abitava Gianni, lo spaccalegna, con sua moglie. Aveva già visto il viandante che scendeva lungo la via e disse a sua moglie: “Si sta facendo notte, vogliamo dargli rifugio?”.
La donna era d’accordo, ed entrambi si affacciarono sulla porta. Salutarono il viandante e lo invitarono a passare la notte con loro.

Il viandante entrò volentieri nella casupola. La donna gli offrì il posto a tavola, lo spaccalegna gli si sedette accanto, mentre la moglie preparava la cena.
“Per fortuna abbiamo ancora una piccola crosta di pane”, mormorò tra sè la donna “e la nostra cara capra che ci dà il latte, così posso cuocere una zuppa…”
Spezzettò il pane nella pentola, vi mise un pizzico di sale, vi versò un po’ di acqua bollente e poi il  latte.
“Ecco” disse all’ospite, mentre posava la pentola da cui usciva un caldo vapore “questa zuppa calda vi farà bene, dopo il lungo viaggio”.

Si sedettero insieme e gustarono con gioia la calda zuppa.
Lo spaccalegna era così povero che nella sua casupola aveva solo un letto per sua moglie. Per se stesso aveva un pagliericcio. Durante la cena la donna pensò tra sè: “Il viandante sarà stanco, gli voglio offrire il mio letto, così che possa stare al caldo e riposarsi…”.
“Qui” disse all’ospite, dopo che ebbero terminato di mangiare, e mostrò l’angolo dove era situato il letto “è il vostro giaciglio per la notte”.

Allo spaccalegna piacque che la moglie offrisse il suo letto al viandante. Prese dallo stanzino ancora della paglia per un altro letto, augurarono insieme al viandante la buonanotte e anche loro si coricarono.
Al mattino la donna si alzò di buonora. Voleva mungere la sua capra prima che l’ospite si svegliasse, poichè quel latte era l’unica cosa che poteva offrirgli per colazione. L’ultimo tozzo di pane l’aveva già usato per la zuppa la sera prima.

Presto l’intera capanna fu desta. La moglie dello spaccalegna posò la brocca del latte sulla tavola e disse un po’ rattristata: “Purtroppo questo è tutto quanto vi posso offrire per colazione: non abbiamo nemmeno più un pezzettino di pane per voi”.
Allora il viandante aprì la sua bisaccia e posò sulla tavola un intero pane. Fu una gioia, e per lo spaccalegna e sua moglie fu come se non avessero mai mangiato un pane così buono.
Il viandante ringraziò per l’ospitalità e proseguì il suo cammino.

Il pane però lo lasciò sulla tavola, per lo spaccalegna e sua moglie. Così lo spaccalegna potè prenderne con sè un grosso pezzo quando andò nel bosco a lavorare.
Anche la donna se ne tagliò un altro pezzettino e fece ancora un piccolo spuntino prima di riporlo nella madia. Quel pane era proprio una bontà.
Ad un tratto sentì un bambino piangere là fuori. Il bambino aveva fame e non aveva niente da mangiare. Allora la moglie dello spaccalegna gli portò un pezzo del suo buon pane. Il bambino tornò presto felice e ne avanzò un pezzetto per il suo fratellino, che era con lui.
Sulla via c’erano altri bambini e tutti vollero un po’ di quel pane che la moglie dello spaccalegna aveva dato al primo bambino, poichè affamati lo erano tutti quanti.

La moglie dello spaccalegna vide dalla finestra ciò che stava accadendo là fuori. Chiamò i bambini e con il suo grosso coltello tagliò una fetta di pane dopo l’altra e le distribuì. E sempre più bambini entravano nella casetta, e ognuno ne voleva un pezzetto.
La moglie dello spaccalegna sorrise e disse: “Vedo già che mi toccherà affettare tutto il pane!”
Ma che meraviglia fu quando si accorse che, nonostante continuasse ad affettare il pane, questo tornava intero!
Presto tutti i bambini corsero fuori, gustandosi il loro pezzo di pane. La gente chiese loro da chi lo avessero avuto.

“Cosa? Dalla moglie dello spaccalegna? Ma non è possibile! Non hanno da mangiare neppure per loro stessi!”.
Erano tutti curiosi, molto curiosi, e corsero dalla donna per farsi raccontare da chi avesse avuto tutto quel pane. La donna raccontò del viandante che avevano ospitato e che prima di partire aveva donato loro il pane.
Nella casa dello spaccalegna, da allora in poi, non ci fu più miseria.
C’era sempre pane a sufficienza; così anche la gente del paese poteva averne, quando rimaneva senza.

Adattamento da un racconto natalizio in uso nella scuola Waldorf, autore ignoto.

Recita natalizia IL PASTORELLO

Recita natalizia IL PASTORELLO per bambini della scuola primaria. Testo in rima, in uso nelle scuole steineriane, di  autore ignoto.

Personaggi:
Maria
Giuseppe
primo bambino
secondo bambino
terzo bambino
coro di bambini
pastorello
primo pastore
secondo pastore
terzo pastore
coro di pastori
un angelo
re magi
narratore

Maria (entra sorridendo):
Ecco fatto:
accudito è l’asinello
con le pecore e l’agnello
l’orto è stato ben curato
ed il pranzo preparato.
Or mi posso riposare
e quest’aria respirare
dove splende il caro sole
che rallegra tutti in cuore.
Cantan lieti gli uccellini
dolci lodi sì piccini
al buon Dio loro createre
e con loro voglio gioire
ringraziare il buon Signore
dei suoi doni a non finire.

Primo bambino (entra e si rivolge agli altri bambini, ancora dietro le quinte):
Su guardate, c’è Maria,
ma sbrigatevi suvvia
la dobbiamo salutare
e con lei possiam giocare.

Maria (rivolgendosi al gruppo di bambini che entra in scena):
O piccini, su venite
e con me lieti gioite
di quest’aria sì serena
che cancella ogni pena.

Coro di bambini
Salve, dolce e bella Maria,
gioca un po’ con noi, suvvia

Maria
Su prendiamoci per mano
e un girotondo cominciamo.

Pendendosi le mani, Maria e i bambini fanno un girotondo cantando:
Girotondo girotondo
com’è bello questo mondo,
gli facciamo un bell’inchino
e poi alziamoci pianino
ci stringiamo sul suo cuore
poi ci apriamo come un fiore.
Innalziam le mani al sole
che scaldarci sempre vuole
e abbracciamo bene il mondo
tutto quanto tondo tondo.
Salutiamo poi ogni cosa
che la vita fa gioiosa.
Riprendiamoci la mano
stanchi a terra ci sediamo.

Pastorello (entra, camminando lento e triste con una gamba dura)

Maria
Ma chi è mai questo bambino
che cammina a capo chino
ed avanza triste e solo
procurandomi gran duolo?

Secondo bambino
Lascia perdere, è lo storpio
tanto lui non può giocare.

Terzo bambino
Ma non vedi che è uno sgorbio?
Non può correr nè saltare.

Maria (alzandosi)
Ma che dite? Che parole
mai pronuncia il vostro cuore?
(al pastorello)
Caro bimbo, mio piccino,
vieni qui a noi vicino
perchè solo te ne vai
ed insieme a noi non stai?

Pastorello (dolce e triste)
Io non posso mai giocare
devo andare a lavorare:
son pastore e sono zoppo
qui da voi sarei di troppo.

Maria
Caro mio bel pastorello
guarda il cielo com’è bello
tu ben lieto devi stare
per le pecore guardare,
così tenere e mansuete
offron tanta pace e quiete.

Pastorello
Ven ben che splende il sole
e per lui è tutto il mio cuore
e son lieto di guardare
le mie pecore brucare,
ma fatica la mia gamba
e da soli ci si stanca:
son sì brutto che nessuno
mi vuol bene e con me sta.

Maria
Cosa dici? Lassù uno
il suo cuore a tutti dà.
Guarda questo fiorellino
non ti sembra sì piccino?
Eppur Dio l’ha sì adornato
che rallegra tutto il prato.
Sii ben certo che anche tu
sei amato da lassù.
Lieto l’animo apri al mondo
e lui saprà farti giocondo,
perchè ognuno ha sue qualità
sian le tue dolcezza e bontà.
Io ti dono questo fiore
che saprà scaldarti il cuore
e voi bimbi ora andate
e il pastore accompagnate.

Bambini (si alzano e prendono il pastorello per mano)
Certo Maria, come vuoi tu,
non resterà solo mai più.

Pastorello
Grazie, non so che altro dire
per il tuo dolce cuor riverire.

Maria
Solo in un modo mi puoi ringraziare
loda il Signore e non fare mai male.
Ora vai, bimbo, felice al lavoro
e sii nell’anima assai fiducioso
perchè in terra non s’è mai vista
cosa gioiosa o che sembri trista
che non risponda alle leggi d’amore
del nostro sommo divino Signore.

I bambini escono e Maria resta in piedi al centro della scena. Entra l’angelo con un giglio bianco in mano, e si inginocchia davanti a lei.
Angelo
O piena di grazie, a te m’inchino

Maria
Chi mai spendente più chiaro
fino ai piedi si china
di un’umile fanciulla?

Angelo
E’ il messaggero di Dio, Gabriele,
che porta a te l’annuncio che in culla
presto un bimbo avvolgerai in tele.

Maria (si inginocchia umilmente)
Sono io che davanti a te mi inginocchio
e a terra volgo l’indegno mio occhio
ma perdona il mio ardire se chiedo
come un figlio può avere
chi marito non tiene?

Angelo
Tu concepirai da Dio l’unico suo figlio
dall’anima più pura di un candido giglio
(offre a Maria il fiore)
di voi tutti redentore
sarà il re dell’amore
e si chiede di lassù
che il suo nome sia Gesù.

Maria
Umile ancella mi piego al volere
di chi dal sommo del suo potere
ha donato a sì piccola serva l’onore
di portare in grembo sì nobile fiore.

(Escono di scena, ed entrano i bambini col pastorello)

Primo bambino
Orsù giochiamo in questo bel prato
e tu non startene lì imbronciato.

Pastorello
Ma io con voi non posso giocare
qui in disparte lasciatemi stare.

Primo bambino
Ma no, troviamo qualcosa che puoi
fare anche tu insieme con noi.

Secondo bambino
Dicci un po’: che cosa sai fare?

Pastorello
Beh, il mio flauto so ben suonare.

Terzo bambino
E allora che aspetti ad intonare
una melodia per farci cantare?

(Il pastorello suona e i bambini cantano)

Primo bambino
Ma sei ben bravo, bravo davvero
lo devo dire, sono sincero.

Secondo bambino
Fa le tue mani e le tue labbra
ciò che non riesce a far la tua gamba.

Pastorello
Sì, questo è vero, ma come vorrei
corre con voi, amici miei.

Terzo bambino
Ma troveremo mille maniere
per giocare sempre tutti insieme.

Coro di bambini
Or ti aiutiamo le pecore a chiamare
così alle stalle le puoi riportare.

(Escono di scena, mentre sullo sfondo entrano Giuseppe e Maria)

Maria
Caro Giuseppe, sento che è il tempo
che ora si schiuda il mio grembo
e mostri sl mondo il frutto soave
donato dal cielo a domare ogni male.

Giuseppe
Sei sicura Maria che sia proprio l’ora?
Un riparo per la notte non abbiamo ancora…

Maria
Son certa, Giuseppe, freme la vita
che se ne stava prima sopita.

Giuseppe
Lì poco più avanti mi pare una grotta
darà a noi riparo ora che annotta.

Maria
Stammi vicino, marito caro,
ora che il bimbo divino verrà
trema il mio cuore davanti al sovrano
che le mie umili braccia terran.
Come potrò esser mai degna
di far da madre a chi in cielo regna?

Giuseppe
Dolce Maria, non aver paura.
l’anima tua è limpida e pura;
abbi fiducia nel nostro Signore
che al ventre tuo donò il salvatore.

Maria
Preghiamo insieme perchè dall’alto
scenda su noi fede e coraggio.

Maria e Giuseppe (si inginocchiano)
Sudditi noi c’inchiniamo obbedienti
che tu c’invii gioie oppur stenti
sia fatta comunque la tua volontà
che muove sempre da immensa bontà.

Si alzano ed entrano nella grotta (dei teli in un angolo che si richiudono su di loro). Dei pastori stanno seduti al centro della scena, e accendono un fuoco. Il pastorello sta sa un lato.

Pastorello
Che strana notte, strana davvero,
nell’aria si sente pungere il gelo
eppure dolce scende un tepore
che dona al sangue nuovo vigore
e nella pace di questo momento
sembra che tutto sia in pieno fermento.

Primo pastore (arrogante)
Ehi, tu, pastorello,
smetti di sognare
non startene bel bello
datti un po’ da fare:
porta un po’ di legna
che il fuoco non si spenga
cerca almeno di far presto
la tua gamba muovi lesto!

Compare in cielo la cometa, mentre il pastorello si alza.
Pastorello
Ma cosa succede, guardate lassù
che splendida stella squarcia il cielo blu!

Secondo pastore (spaventato)
Il ragazzo ha ragione, che mai sarà?
La fine del mondo presto verrà!

Coro di pastori (terrorizzati)
Su presto, di corsa, fuggiamo, fuggiamo,
il più possibile lontano andiamo!

Pastorello
Ma dove andate? Allor non udite?
Il canto sublime voi non sentite?

Terzo pastore
Saranno i diavoli che vengono in branchi
via, prima che tutta la terra si squarci!

Pastorello
Ma insomma, che cosa mai temete,
non sentite com’è dolce questa quiete?
Se qualcuno dovesse mai apparire
sarà un angelo splendido oltre ogni dire.

Angelo
Bene hai parlato, fanciullo caro,
il tuo cuore vede assai chiaro,
é questa una notte davvero speciale
che fa dileguare le tenebre e il male.
A voi  pastori voglio annunciare
la nascita in terra del vostro messia
correte in fretta ad adorare
il bimbo Gesù nato a Maria.

Narratore
Nell’auro ricamo di stelle
un cielo di mille fiammelle
è apparsa la luce d’oriente
che annuncia del bimbo incantato
l’arrivo nel mondo stregato.

Intanto i pastori sono usciti seguendo l’angelo. Resta in scena il pastorello.
Pastorello
Ecco, l’angelo d’oro è sparito
e i pastori gli hanno obbedito:
sono corsi a riverire
il bambino e in lui gioire.
Ma come posso fare io
con lo zoppicare mio
da Maria ad arrivare
e suo figlio anch’io osannare?
Lento e storto io cammino
troppo tardi arriverò
e così io mai, tapino,
il piccino adorerò.
(Cammina lentamente)
Lungo e duro è il sentire
non ce la farò davvero.
Ma un modo ci sarà
perchè giunga anch’io fin là!
(Appare l’angelo alle sue spalle. Al un certo punto il pastorello si ferma.)
Certo è vero, un modo c’è
perchè anch’io lodi il mio re:
se le gambe mie van zoppe
non del flauto le sue note
danzeranno lor nel vento
a festeggiare il lieto evento
e alle orecchie di Maria
porteran la mia poesia.
(Prende il flauto e suona. Si illumina la stalla ancora chiusa.)
Ma che succede, vedo un chiarore
che accende il me un nuovo ardore
odo una voce che forte mi chiama
sono sicuro, è qualcuno che mi ama!

Angelo (mostrandosi)
Certo, hai ragione, tenero bimbo,
ora hai finito di viver nel limbo
riconosciuta hai la voce d’amore
che parla a chi ode il canto del cuore.
Corri, che aspetti, non puoi più tardare,
dal tuo signore ti vuoi inginocchiare?

Pastorello
Come vorrei poter volare
ed al mio re tutto donare,
ma non ho altro che un piede storto
che ne farà mai di un povero storpio?

Angelo
Abbi fiducia, mio pastorello,
non potrai fargli dono più bello
della tua anima limpida e chiara
che il signore così tanto ama.

L’angelo lo spinge dolcemente, e intanto si aprono i teli della grotta e la scena illumina la sacra famiglia con i Re e i pastori in adorazione.

Pastorello
Ma che succede? Che cosa mi accade?
Quasi mi sembra di poter volare!
(Riesce a camminare bene e veloce).
Ecco li vedo, splendon di sole
ed è sì piccino il mio signore.
Nato in un’umile e fredda stalla
è lì deposto tra povera paglia.

Narratore
Osanna dal fondo dei cuori
di bimbi di re e di pastori
che giungono qui a riverire
tra la paglia di un caldo fienile
il balsamo di tutti i mali
donato dal cielo agli umani.

Pastorello
Tutti si chinano innanzi a loro
pastori e re con le corone d’oro.
Sol presuntuoso un pastorello
se ne sta ritto come alberello?

Angelo (spingendolo dolcemente verso terra)
Su, piega il ginocchio dinnanzi al re
che è sceso qui in terra anche per te.

Pastorello (inginocchiandosi)
Ma mi posso inginocchiare!

Angelo
Vedi come ti sorride
è contento il buon Gesù;
ora cosa gli vuoi offrire
fagli un dono pure tu

Pastorello
Al suo sguardo pien d’amore
il mio corpo è un tremore
ma di gioia e libertà
chiedo sol la sua maestà.
Da donare ho sol me stesso
e mi offro tutto adesso
d’ora in poi lui soltanto
sarà re di me piccino
e protetto dal suo manto
sarà dritto il mio cammino:
il vero sempre seguirò
e della vita sol gioirò.
Solo questo ho da donare
che mi diede un dì tua madre
(tira fuori il fiorellino)
Sempre splende di sua vita
la corolla colorita.
(posa il fiorellino davanti a Gesù bambino).

Maria
Gioisce il mio figliolo
ti ringrazia del tuo dono
ma tutti i giorni gli hai donato
ciò che hai fatto di tua vita
e la voce del tuo flauto
fino in cielo si è sentita.

Angelo
Ognuno offre quello che ha:
pace in terra, gioia in cielo
che dischiude il suo velo
a chi ha buona volontà.

Narratore
Avvolto da cori celesti
coperto di umili vesti
è apparso nel mondo un piccino
che cela un mistero divino:
del sole lui reca la luce
e il calore che al vero conduce.
Esulta gioioso ogni cuore
è nato il re dell’amore.

(Recita in uso nelle scuole steineriane, autore ignoto).

Corona dell’Avvento a spirale – tutorial

Questa corona dell’Avvento a spirale può essere realizzata insieme ai bambini durante la prima settimana dell’avvento, e sarà un lavoro particolarmente sentito soprattutto se domenica hanno potuto fare l’esperienza della camminata nella spirale di rami di pino.

La corona è divisa in blocchetti di due e tre candeline per essere più facile da conservare negli anni, e per essere composta in vari modi; può essere anche utilizzata, ad esempio, come base per l’allestimento del presepe sul tavolo delle stagioni.

Per realizzarla ho usato una pasta da modellare fatta in casa; trovi la mia ricetta qui

 ed altre quindici ricette tra le quali poter scegliere (paste di sale, di bicarbonato, di cartapesta, ecc…) qui

La corona dell’Avvento accompagnerà il bambino nell’attesa del Natale creando l’immagine di una luce che, giorno dopo giorno, si fa sempre più intensa…

La corona dell’Avvento, a quattro candele o a spirale, è un simbolo natalizio tradizionale ed è molto presente nel web: qui una raccolta di esempi dai quali ho tratto ispirazione:

Corona dell’Avvento – materiale occorrente
– pasta da modellare che indurisce all’aria (fatta in casa o acquistata)
– una sagoma circolare per aiutare il modellaggio della spirale
– un piccolo pezzo di fil di ferro per tagliare i segmenti
– acqua per lisciare e rifinire
– carta vetrata
– colori a scelta
– candeline (io ho scelto le candeline scaldavivande, che sono le più economiche e facili da sostituire)

Corona dell’Avvento – come si fa

modellate la spirale sul vostro disco (io avevo un vassoio girevole Ikea)

Inserite le 28 candeline cercando di mantenere la stessa distanza:

Bagnandovi le mani lisciate bene la spirale

anche aiutandovi con un pennellino:

 Con un pezzetto di fil di ferro, di volta in volta sagomato in modo diverso, dividete la spirale in segmenti:

e metteteli ad asciugare all’aria

togliendo le candeline. Prima che i pezzi asciughino totalmente, è possibile eliminare le sbavature fatte coi tagli con della carta vetrata; smussando un po’ anche gli angoli otterrete le tipiche forme “Waldorf”

Dipingete i pezzi:

E una volta asciutta, la vostra corona dell’avvento è pronta:

Recite di Natale – Il dono dei nani

Recite di Natale – Il dono dei nani. 

C’era una volta una povera famiglia di contadini. Babbo e mamma lavoravano i campi e i figlioli badavano alle bestie. Bruno conduceva al pascolo le pecore, e Bianca guidava le oche. Il babbo aveva promesso che, al momento di vendere la lana e le piume, avrebbe portato del mercato un bel regalo per i due bambini. Bruno e Bianca aspettavano con impazienza quel regalo, e intanto facevano coscienziosamente il loro lavoro, ma un giorno…

Bruno: Oggi le pecorelle erano inquiete, forse avevano caldo, forse sete… E’ molto tempo ormai che camminiamo, e quasi non capisco dove siamo. Dei grandi abeti, un limpido ruscello, un ammasso di rocce, un ponticello: per riposarmi qui starò da re, anche per voi va bene?

Pecorelle: Beh! Beh! Beh!

Bruno: L’erba è tenera e fresca. L’acqua c’è. Vi piace questo posto?

Pecorelle: Beh! Beh! Beh!

Le pecorelle si misero a brucare, e Bruno si accomodò ai piedi di un abete per riposare. Senza accorgersene si addormentò, ma ben presto alcune voci lo destarono…

Nani: Pim pum. Pim pam! Noi del bosco i nani siamo, proteggiamo le sementi, raccogliam gemme lucenti. Pim pum. Pim pam! Tutto il giorno lavoriam.

Nano: Guardate, un gregge qui nel nostro prato!

Nano: E da che parte sarò mai sbucato?

Nano: Son pecore venute da lontano…

Nano: Non facciamo rumore, parla piano.

Nano: Hanno proprio una splendida pelliccia.

Nano: E’ tutta lana pura, bianca e riccia.

Nano: Io, se potessi averne un bel sacchetto, farei un materasso pel mio letto.

Nano: Io dormo sulla paglia che è pungente.

Nano: Ed io sul fieno dormo malamente.

Nano: Ma di lana, purtroppo, non ne abbiamo

Nano: Si sveglia il pastorello… via, scappiamo!

Bruno: Ho visto i nani, proprio intorno a me. Ho dormito? Ho sognato?

Pecorelle: Beh! Beh! Beh!

Appena a casa, Bruno raccontò in gran segreto la sua avventura alla sua sorellina, ma Bianca gli disse che doveva proprio aver sognato. Però, qualche giorno dopo…

Bianca: Oggi le mie ochette hanno voluto uscire dal sentiero conosciuto. E’ molto tempo ormai che camminiamo, e quasi non capisco dove siamo. Uno stagno dall’acqua trasparente, un ponticello, un salice piangente. Per riposare ci fermiamo qua, anche per voi va bene?

Oche: Qua qua qua!

Bianca: C’è l’erba fresca ed acqua in quantità. Vi piace questo posto?

Oche: Qua qua qua!

Le ochette si misero a sguazzare nello stagno, e Bianca si accomodò ai piedi del salice per riposare. Senza accorgersene si addormentò, ma ben presto alcune voci la svegliarono…

Nani: Pim pum, pim pam! Le radici difendiam, custodiamo oro e argento, siamo sempre in movimento. Pim pum, pim pam! Noi del bosco i nani siam!

Nano: Guardate quante belle oche bianche!

Nano: Da dove son venute? Sembran stanche…

Nano: Sono certo arrivate da lontano.

Nano: Non facciamo rumore, parla piano.

Nano: Come dev’esser morbida la piuma!

Nano: Se almeno ne prendessimo qualcuna… Le prenderei per farmi un cuscinetto.

Nano: Io non ce l’ho davvero nel mio letto.

Nano:  Io ho provato con la segatura, e non si dorme bene perchè è dura.

Nano: Ma di piume purtroppo non ne abbiamo…

Nano: Si sveglia la bambina, via, scappiamo!

Bianca: Ho visto i nani, erano proprio là. Ho dormito? Ho sognato?

Oche: Qua qua qua!

Appena a casa, Bianca raccontò in gran segreto la sua avventura al fratellino, e insieme si convinsero che avevano veramente visto i nani. Ma per quanto li cercassero ancora nel bosco e tornassero spesso dove li avevano incontrati, quelli non si lasciarono più far vedere. I due bambini, però, non riuscivano a dimenticarli…

Passò del tempo, le pecore furono tosate e le oche spiumate. Un giorno il babbo disse che andava al mercato a vendere lana e piume, e che avrebbe portato a casa il regalo promesso. Che cosa desideravano? Bruno  e Bianca risposero che che non volevano niente dal mercato, e che desideravano solo tenere per sè un sacco di lana e un sacco di piume. Il babbo si meravigliò, ma fece come i bambini chiedevano. Così Bruno e Bianca presero i loro sacchi sulle spalle, e se ne andarono nel bosco.

Bruno: Io stavo zitto zitto sotto al pino, e i nani mi passavano vicino…

Bianca: sotto il salice quieta me ne stavo, e i nani eran vicini, e li ascoltavo…

Bruno: Però non voglion essere osservati, e appena mi hanno visto son scappati.

Bianca: Nel prato i nostri doni ora lasciamo, chiamiamo i nani, e lesti ce ne andiamo.

I bambini chiamano, poi si nascondono. Sbucano i nani…

Nano: Perchè quei due bambini ci han chiamati?

Nano: Son stati qui un momento e son scappati!

Nano: Han posato qui due sacchi, che sarà?

Nano: Io non resisto dalla curiosità!

Nano: Io mi avvicino a dare una sbirciatina…

Nano: Questo è pieno di piuma bianca e fina!

Nano: Questo è pieno di lana, che bellezza!

Nano: Sarà proprio per noi questa ricchezza?

Bianca e Bruno in coro: I nani del bosco i doni troveranno, e più contenti questa notte dormiranno…

Nano: Ma certo che è per noi, non hai sentito?

Nano: Questo regalo è certo il più gradito.

Nano: Quei due bambini sono molto buoni…

Nano: Torniamo a casa con i nostri doni!

Passano dei mesi, e venne il tempo del Natale. Bruno e Bianca aspettavano con gioia quel giorno. L’unica cosa che li rattristava, era che non avrebbero avuto l’albero di Natale come l’avevano visto in casa dei bambini più ricchi di loro. La mamma diceva che u abete ne bosco sarebbe stato presto trovato, ma che erano troppo poveri per potersi comprare tutti gli ornamenti necessari: palline d’argento, stelle d’oro, ciondoli variopinti… I bambini capivano che la mamma aveva ragione, ma spesso, quando erano soli, sospiravano pensando all’alberello desiderato. Alla vigilia di Natale, vi fu trambusto in famiglia per gli ultimi preparativi, e tutti poi si coricarono presto. Ma un po’ prima di mezzanotte, piano piano, l’uscio di casa si aprì…

Nano: Venite avanti piano, zitti zitti…

Nano: Se qualcuno ci vede siamo fritti!

Nano: Abbiam fatto fatica nella neve.

Nano: Non credevo che fosse così greve.

Nano: Io dico che è una bella improvvisata…

Nano: qui due bimbi l’han proprio meritata!

Nano: Chissà che festa, chissà che battimani!

Nano: Capiranno che è il dono di noi nani?

E posano nel salotto di casa un albero di Natale carico di luci e meravigliose decorazioni…

(Autore ignoto)

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Racconto su San Nicola – 6 dicembre

Racconto su San Nicola – 6 dicembre. Questa festa si ricollega alla figura storica di Nicola, che visse nel VI secolo.

Anche se è spesso vestito di rosso, San Nicola nella tradizione indossa una tunica bianca e blu e ha un mantello azzurro stellato.

Sappiamo tutti che Babbo Natale è diventato rosso perchè ha bevuto la Cocacola, e a maggior ragione immaginare San Nicola azzurro aiuta i bambini a distinguere tra i due personaggi.

In testa porta la mitra, ha solidi stivali perchè deve camminare molto, e in una mano tiene un bel bastone da vescovo (la pastorale con la spirale avvolta), nell’altra dovrebbe tenere un grande libro d’oro, dove sono scritte tutte le azioni degli uomini, ma coi bambini tralascio sempre questi aspetti troppo moraleggianti e un po’ da “partita doppia” (aspetti in alcune tradizioni addirittura caricati dalla presenza accanto a Nicola di un antagonista malvagio, il Krampus…)

photo credit http://www.ripleys.com/

Siccome San Nicola deve camminare molto, indossa grossi stivali, e come richiamo al suo tanto camminare, è tradizione che al suo passaggio gli stivali e le pantofole dei bambini si riempiano di cose buone da mangiare, soprattutto mele, noci, pane bianco (o farina bianca,  o dolcetti al miele).

Altri doni ne falsificano un po’ l’immagine e fanno di San Nicola un Babbo Natale fuori tempo.

photo credit http://www.sensationalcolor.com

E’ inoltre preferibile non far venire San Nicola a scuola o a casa, ma far trovare i doni ai bambini al mattino presto o al ritorno da una breve passeggiata.

Magari il giorno prima si puliscono per bene le pantofole insieme ai bambini, con una spazzolina e un panno morbido, e si sistemano insieme a loro con gran cura prima di lasciare la scuola.

A casa questo si può fare la sera prima di andare a dormire, oppure al mattino presto, prima di uscire…

Racconto su San Nicola – 6 dicembre

Ecco un piccolo racconto che si può leggere ai bambini, anche il giorno prima:

“Nel lontano oriente viveva un uomo molto buono, il vescovo Nicola. Un giorno sentì dire che lontano lontano, in occidente, c’era una grande città dove tutti gli uomini pativano la fame, perfino i bambini piccoli.

Chiamò allora tutti gli abitanti della città e chiese loro di portargli  i migliori frutti dei loro orti e dei loro campi. Questi tornarono poco dopo con grossi cesti pieni di mele e di noci, sacchi di grano dorato per fare la farina, pane bianco e dolcetti al miele.

Il vescovo Nicola fece caricare tutto su una nave. Era una nave imponente e maestosa, blu come il cielo, ed aveva una grande vela bianchissima che splendeva sotto i raggi del sole.

Iniziarono il viaggio verso occidente, e il vento si mise subito ad aiutarli, soffiando sempre nella direzione giusta. Ci impiegarono sette giorni e sette notti, e quando giunsero alle porte della città stava calando la sera. Per le strade non si vedeva anima viva, ma qua e là brillava qualche lucetta alle finestre.

Il vescovo Nicola bussò ad una di esse. In quella povera casetta viveva una mamma coi suoi cinque bambini. La donna, sentendo bussare, disse ai figlioletti di andare ad aprire la porta, pensando si trattasse di qualche poverello bisognoso di ospitalità. I bambini obbedirono, ma non trovarono nessuno; anche la mamma venne a controllare, e poi tornarono tutti insieme a casa.

Vicino alla stufa a legna la mamma aveva messo le scarpine dei suoi bimbi ad asciugare, perchè nel pomeriggio erano andati a far legna nel bosco.

Rientrando in casa, sentirono tutti un delizioso profumino provenire proprio dalla stufa, si avvicinarono e trovarono le loro scarpe traboccanti di noci, mele rosse, mandarini, pane e dolcetti al miele. E lì vicino c’era anche un grande sacco pieno di chicchi di grano. Tutti poterono finalmente mangiare, ed i bimbi crebbero sani e vivaci.

Così San Nicola ogni anno, nel giorno del suo compleanno, si mette in viaggio per venire da noi. Monta sul suo cavallo bianco e cavalca di stella in stella, e porta ogni anno i suoi doni per ricordare ai bambini che presto sarà Natale”.

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Acquarello steineriano – l’abete

Acquarello steineriano – l’abete. Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro e blu di prussia.

Acquarello steineriano – l’abete
Come si fa

Riempire tutto il foglio di tante stelline giallo oro e giallo limone:

continuare a fare stelline col blu di prussia. Poi col blu di prussia creare una base in basso, dalla quale far emergere un bel tronco dritto:

cercare nelle stelline la chioma dell’abete, lavorando coi gialli e col blu:

Se volete farne un  albero di Natale, aspettate che il foglio sia ben asciutto, poi lo potrete decorare applicando palline e stelline di carta, oppure disegnandole con le matite colorate…

Acquarello steineriano – l’abete

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Waldorf watercolor tutorial- the fir tree. Colors that are used: lemon yellow, golden yellow and Prussian blue.

The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but not essential:

Waldorf watercolor tutorial- the fir tree
How is it done?

Fill the entire sheet of many starlets with golden yellow gold and lemon yellow:

continue making starlets with Prussian blue. Then with Prussian blue to create a base at the bottom, from which bring out a nice straight trunk:

Search in little stars on the sheet the foliage of the fir tree, working with the yellows, and the blue:

If you want make a Christmas tree, wait until the sheet is dry, then you can decorate applying balls and stars of paper, or by drawing them with colored pencils …

Poesie e filastrocche sul Natale

Poesie e filastrocche sul Natale – una raccolta di poesie e filastrocche di autori vari sul Natale, per la scuola d’infanzia e primaria.

Lo zampognaro
Se comandasse lo zampognaro
che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?
“Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d’oro e d’argento”.
Se comandasse il passero
che sulla neve zampetta,
sai che cosa direbbe
con la voce che cinguetta?
“Voglio che i bimbi trovino
quando il lume sarà acceso
tutti i doni sognati
più uno, per buon peso”.
Se comandasse il pastore
del presepio di cartone
sai che legge farebbe
firmandola col lungo bastone?
“Voglio che non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”.
Sapete che cosa vi dico
io che non comando niente?
“Tutte queste belle cose
accadranno facilmente;
se ci diamo la mano
i miracoli si faranno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno”.
(Gianni Rodari)

Invito al presepio
Venne un angelo al mio cuore,
al mio cuore di bambino.
Disse: mettiti in cammino,
troverai il tuo signore,
più radioso di una fiamma,
sui ginocchi della mamma.”
Nella notte santa e bella
camminai dietro i pastori
camminai dietro la stella
coi miei piccoli dolori,
e ad ogni passo mi sentivo
più leggero e più giulivo.
Giunsi infine ad una grotta,
(come povera di tutto!)
dalla porta vecchia e rotta
la Madonna col suo putto
vidi, e l’angelo e il pastore
adorare il mio signore;
e tre re soavi e buoni
giunti là chissà da dove;
ed un asino ed un bove
silenziosi testimoni
che l’avevano scaldato
con la nuvola del fiato.
Adorai il bimbo, e poi
lo pregai di farmi buono
e gli chiesi qualche dono
qualche dono anche per voi.
(R. Pezzani)

Il presepe
Vi sono monti scoscesi, nudi ed erti
e un ciel di carta azzurra a punti d’oro,
vi son le snelle palme dei deserti,
tra la neve coi pini e con l’alloro.
C’è un bel prato di muschio verdolino,
tante casette sparse qua e là
un ponticello ed un laghetto alpino
proprio d’un monte sulla sommità.
E vi sono pastori e pastorelle
che vanno con gli armenti in compagnia.
un elefante e tante pecorelle
verso la capannuccia del messia.
E la santa capanna è illuminata
sol da una stella che vi splende su…
oh, quanta gente intorno inginocchiata
anche i re magi, ai piedi di Gesù!
Ed il Gesù piccino sorridendo,
stende le braccia a tutti quei fedeli,
angeli e cherubini van scendendo
sopra quel tetto dagli aperti cieli.
(E. Morini Ferrari)

L’asinello di Gesù
L’asinello lascia il pasto
e la schiena sotto il basto
va per strade senza siepe
e vuol giungere al presepe.
Son passati i pastorelli
con le lane, con gli agnelli,
c’è un fiorire per le fratte,
le fontane danno latte
e tra i pruni zuccherini
è un vagar di cherubini.
Lui, ch’è irsuto, bigio, brutto,
non ha un dono per il putto:
ma riscalderà col fiato
il signore del creato.
(L. Carpanini)

Presepio
E’ una notte fredda e serena
con in mezzo la luna piena;
poi la luce di fa più bella
per l’accendersi di una stella;
e quando gli angeli scendono a volo
in terra nasce il divino figliolo.
Ora è Natale e nella capanna
c’è un dolce bimbo con la sua mamma
mentre il padre dal volto sereno
la mangiatoia riempie di fieno.
C’è tanto freddo e tanto gelo
e per coprirlo non c’è un velo.
Ma l’asino e il bue messisi a lato
lo riscaldano col fiato.
(G. Rossi)

E’ nato
Dite se avete mai visto
un fantolino più bello
con qui colori di pomo.
E’ vispo come un uccello.
Ha tutto il cielo negli occhi,
tutte le grazie sono sue.
E’ nato re in una grotta,
tra un asinello ed un bue.
(R. Pezzani)

Notte santa
Scintillano le stelle,
fiaccolette d’argento,
e illuminano a festa
l’azzurro firmamento,
mentre a migliaia, in terra,
spandono le campane
ad invitar le genti
mistiche note arcane.
Laggiù, nella chiesetta,
brillano come gemme
i ceri sacri, accesi
al bimbo di Betlemme.
Ed al presepio santo
c’invita il redentore:
qui la preghiera sale
dal cuore come un fiore.
(R. Tosi)

E’ nato, alleluia alleluia
è nato il sovrano bambino
la notte che già fu sì buia
risplende di un astro divino
orsù cornamuse, più gaie
sonate, squillate campane
venite pastori e massaie
oh genti vicine e lontane
per quattro mill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore
è nato, è nato il Signore
è nato nel nostro paese
la notte che già fu sì buia
risplende di un astro divino
è nato il sovrano bambino
è nato, alleluia alleluia.
(G. Gozzano)

Doni al bambino
Gesù bambino nella notte santa
ebbe i doni del cielo e della terra:
ebbe i fiori più belli d’ogni serra,
e le più belle foglie di ogni pianta.
Ogni stella gli offerse un raggio vivo:
ebbe da tutti i re gemme e corone:
il vento gli cantò la sua canzone,
gli mandò i suoi sospiri il dolce rivo.
E chi soffriva gli donò il suo pianto,
chi godeva gli diede il suo sorriso.
Dalle soglie dell’alto paradiso
gli gettarono le nubi un roseo manto.
Ebbe la lana di ogni pecorina,
tutto quello che aveva ogni pastore.
Ogni mamma gli diede un suo dolore,
ogni siepe gli diede una sua spina.
Ma c’era un bimbo povero che,
senza mantello, verso il suo destino andava.
Era giunto così presso il bambino:
cercava un dono, ma non lo trovava!
Toccare non osò la santa culla:
un muto pianto gli bagnò le gote:
si strinse al cuore le manine vuote,
guardò il bambino e non gli diede nulla.
Ma nella notte così fredda e nera
quel nulla diventò luce e calore:
di tutti gli astri aveva lo splendore
e tutti i fiori d’ogni primavera.
(Milly Dandolo)

Albero di Natale
Le candeline accese
sui rami dell’abete
sembrano tutte liete
di vegliar da vicino
il dolce sonno di Gesù bambino.
I gingilli d’argento,
le belle arance d’oro,
chiedono tra di loro
scampanellando piano:
“Ci toccherà la sua piccola mano?”
Gli angioletti di cera
dalle manine in croce
sussurrano con voce
quasi di paradiso:
“Se avessimo soltanto un suo sorriso!”
E la stella cometa
che vide tutto il mondo
dice con profondo
sospiro di dolcezza:
“Non vidi mai quaggiù tanta bellezza!”
(Milly Dandolo)

Notte di prodigio
Mezzanotte! Le fonti gelate
si disciolgono per incanto;
si ridestano dal greve sonno
tutte le piante addormentate.
E le strade non hanno più spini,
i sassi non fanno più male;
le siepi sono tutte chiare,
come fiorite di biancospino.
Ogni cuore si leva al richiamo
d’un azzurro messaggero,
ogni viandante segue una stella
che gli illumina il sentiero…
(Graziella Ajmone)

Il Cristo bambino
I suoi occhi acquamarina si aprono
al sorridente mare del mattino.
Due soli splendenti hanno illuminato l’alba.
Le sue gote di melagrana sono fiori di rosa
di alloro, fiori rosa
i cui steli e radici
salutano l’umanità con amore.
Le sue esili braccia levate
in un simmetrico arco armonioso
che abbraccia il mondo.
La sua bocca due petali di rosa
la sua lingua un’arpa dolce e melodiosa
i capelli brillano di luce
intrecciati con rami di rosmarino.
I polsi mazzolini di violette
e quando respira
la stanza si riempie d’incenso
che brucia in un fuoco divino.
Quando cammina sarà
un ondeggiare di broccato
vermiglio, blu e d’oro bordato
d’argento e tempestato di pietre.
Gloria eterna a Lui
neonato salvatore, il Re
e a Colui che Lo adorna.
(K. Naregarsi)

Oh bambino Gesù, sei piccolino
e poveretto forse più di me
hai solo un po’ di paglia per lettino
ma tu scendi dal cielo, oh re dei re
tutto quello che ho, Gesù bambino
è tutto dono della mia bontà
tu mi hai dato la vita, un cuoricino
la mia mamma adorata, il mio papà
mi hai fatto tanti doni cari e belli
ed io, che non ti ho dato ancora nulla
prego in ginocchio come i pastorelli
dinnanzi allo splendor della tua culla
e il mio piccolo cuore dono a te
oh signore del mondo, oh re dei re.

Canto di Natale del ciliegio
Giuseppe e Maria passeggiando qua e là
scorsero ciliegie e mele in grande quantità
e Maria chiese a Giuseppe. con fare gentile e carino:
coglimi qualche ciliegia perchè aspetto un bambino
rispose Giuseppe così rozzo e scortese
chiedi al padre del bimbo perchè non te le ha prese
e allora il bambino dal grembo ordinò
piegati ciliegio che mia madre ne abbia un po’
e il ciliegio come un arco si piegò un istante
per far raggiungere a Maria il ramo più distante
e allora Giuseppe prese Maria sulle ginocchia
dicendo: Signore, perdona la mia spocchia
e abbracciando Maria disse: Negli anni che verranno
mio piccolo salvatore, per il tuo compleanno
colline e montagne a te si inchineranno
e dal ventre materno parlò ancora il bambino
il mio compleanno sarà a Natale, di mattino
quando colline e montagne mi faranno un inchino.

Natale
Si squarcia nella notte il fondo velo
ed un vivo splendore appare in cielo.
Scendon giù dalle saperne sfere
infinite degli angeli le schiere:
-Osanna, osanna- cantano in coro
e manifestan la grandezza loro.
Abbagliati i pastori, ed esultanti
senton nel cuore l’eco di quei canti.
Balzan in piedi, pieni di fervore
per cercare nel mondo il redentore.
e van e vanno guidati dalla stella
fin sulla soglia della capannella
E’ nato là il salvatore, è nato
le genti vuol redimer dal peccato
è venuto qui in terra il Dio d’amore
per riscaldare a tutti a tutti il cuore
nell’anime la pace scenderà
agli uomini di buona volontà.
(E. Minoia)

O Simplicitas
Un angelo mi visitò ed ero impreparata
a esser di Dio strumento
madre diventerò ma ero spaventata
tremai per un momento
l’angelo era ancora là, sia fatta la sua volontà
ed accettai l’avvento.
Dovrebbe un re solenne nascere in nobile dimora
pensavo in quel momento
partimmo per Betlemme, tutto era strano allora
soffiava un freddo vento
portavo un vecchio mantello, non ci accolsero nell’ostello
la città era in fermento
Un bimbo appena nato, che ancor non sa parlare
giace in umiltà
Giuseppe lo ha vegliato, le bestie lo san scaldare
si muovono a pietà
è nato in una stalla? Capii quella novella
più di un re lo adorerà
era un fatto strano, la stalla di un pastore
un gregge che belava, il verbo fatto umano
giaceva sul mio cuore, la gioia mi inondava
e i pastori vennero a rendere onore
a quel bimbo nostro signore
e a tutta la saggezza che incarnava.
(M. L’Engle)

Natale
Nel cuor dell’inverno
tra neve e tra geli
discende il bambino
dall’alto dei cieli
riporta alla terra
la luce e il calore
e accende nei cuori
speranza ed amore.
(E. Minoia)

Una sposa magica
Ebbi una dolce, candida visione
una sposa magica, splendida apparizione
che sapeva parlare di gioia e di dolore
una giovane madre che con devozione
a vegliare il bimbo nella culla si dispone
lo custodisce cantando per ore
ninna nanna, ninna oh, dormi dolce bambino.

Presepio
Il mio pastore c’è.
Anche quest’anno
lassù, tra i monti, ha lasciato il capanno
e scende a visitare il re dei re.
Va, scalzo, per sentieri
di muschio, in mezzo a laghetti e ruscelli.
Portano agnelli
altri pastori, le donne panieri.
Egli ha le mani vuote: è poverello
e non ha nulla
per la divina culla.
Ma la gioia gli scalda il volto bello.
Dietro il fulgore
dei Magi chinerà timido e muto
il suo capo ricciuto:
offrirà il cuore.
(L. Barberis)

Natale
Voli d’angeli
nel ciel di turchese,
sorrisi incantanti di bimbi,
ceppi tra gli alari
di mille focolari.
Presepi fasciati di sogno
di trepida attesa,
alberelli raggianti di luce,
voci di chiese
in ogni paese.
Doni che giungono a mille
da mille remote contrade,
biglietti d’augurio,
conviti
che tutti ci voglion riuniti.
(Luisa Zoi)

Natale
Stella stellina che brilli lassù
ravviva il tuo lume, che passa Gesù
Campana piccina che attendi lassù
intona il tuo canto che nasce Gesù
Oh cuore piccino che attendi quaggiù
prepara i tuoi doni che nasce Gesù.

Natale
Un canto nell’aria
Un campo innevato! Una stalla piena di fieno!
Ronfa un asinello!
Una madre il suo bimbo culla!
Una mangiatoia, e una mucca col vitello!
-Noi ricordiamo tutto quello_ e voci gaie, nell’aria quieta!
E tre re magi, e una cometa!
Duemila anni di neve sanno
che nell’aria c’è un canto a Natale ogni anno
e si sente in questo incanto una melodia serafica, un inno fatato
che dice a tutti che lui è rinato
che tutto ciò che amiamo è rinato.
(J. Stephens)

Natale
Lo spirito del mondo discende sulla terra
e in quel grembo profondo per mesi si rinserra.
Con la mano leggera mille fiaccole accende
sì che la notte nera ad un tratto risplende.
La pietra si ravviva, si ridestano i semi
la larva si fa viva.
Anche nel cuore dell’uomo lo spirito discende
e una fiamma d’amore e una speranza accende.
(E. Minoia)

Salus mundi
Vidi una stalla bassa e scura
nella mangiatoia giaceva un neonato
i buoi lo conoscevano, se ne presero cura
dagli uomini era ignorato
del mondo la salvezza futura
ai rischi del mondo abbandonato.
(M. Coleridge)

Natale
Nella notte oscura io non ho paura
brillano le stelle nel cielo così belle
guardan Gesù bambino piccolino piccolino
che ci è nato per amore
sulla Terra e qui nel cuore.
(L.Baratto)

Natale
Quanto più triste è attorno a noi l’inverno
quanto dura è la zolla e spento il cielo
dal profondo fiorisce a noi tra il gelo un fiore eterno.
Suonano dai suoi petali parole di pace in terra ad ogni buon volere
e per il cuore che lo sa vedere rinasce il sole.
(L. Schwarz)

Natale
Lei giaceva tranquilla sulla paglia
mentre lui veglia il bambino, incerto
e le ombre danzano sulla porta della stalla
i buoi ondeggiano, nella capanna volteggia una falena
è Gabriele con ali di seta, che va dove lei giace
tranquilla sulla paglia
un falegname e sua moglie, ignari
che re e pastori li cercan da lontano
e le ombre danzano sulla porta della stalla
dorme il bambino, un asinello sbuffa
lui mormora prudente e guarda lei
che giace tranquilla sulla paglia
canta il gallo, ma il canto non vien fuori
sulla collina sagome scure di pastori
e le ombra danzano sulla porta della stalla
nell’aria calma si sente vita nuova
che copre il profumo lontano della mirra
lei giace tranquilla sulla paglia
e le ombre danzano sulla porta della stalla.
(J. Nicholls)

Natale
Nato è il bambino nella capanna
veglia Giuseppe, veglia la mamma
nel cielo appare la nuova stella
che annuncia il mondo la gran novella
gli angeli cantan in una schiera
risorgi uomo, risorgi e spera
fa che il bambino ti nasca in cuore
e che ti porti luce ed amore.
(E. Minoia)

Natale
…che neve, che sera!
Ma a un tratto comparve una stella;
ed ecco sembrò primavera.
La siepe che dianzi era brulla
fiorì d’improvviso. S’udiva
leggero un pio ritmo di culla,
e un palpito d’ali d’argento,
e un dolce tinnar di campane
portato giù a valle dal vento.
E vivo splendeva laggiù
sull’umile grotta, a Betlemme,
un fiore divino, Gesù.
(Zietta Liù)

Ascolta… senti?
Senti! Non odi questa melodia,
non senti il grido del pastor contento
un coro di fanciulli; e per la via,
tra gli alberi, frusciar lieto il vento?
Non vedi dunque il fiocco lieve lieve,
non vedi su nel cielo la cometa
non vedi il folleggiare della neve,
che nel cadere sembra bianca sete?
Ascolta! …Senti questo battere d’ale
che pare il tintinnar di mille gemme,
e il richiamo dell’angelo trionfale,
perdersi nella valle di Betlemme?
Non scorgi dunque il fioco lanternino
che illumina la stalla,
non vedi il bove quieto ed il ciuchino,
non vedi il bimbo sulla paglia gialla?
Non vedi la dolce maria che rapita
mira il bambino? E al fianco suo Giuseppe
cui trema la gran barba incanutita?
E i tre re Magi giunger dalle steppe?
Ascolta!… Senti? Il coro celestiale
canta lassù: “Auguri! Oggi è Natale!”
(A. Zelli)

Natale
Maria dentro la grotta si posò,
e Giuseppe a Betlemme si avviò.
Ma d’un tratto sentì che mentre andava
a mezzo il passo il piè gli s’arrestava.
Vide attonita l’aria e il cielo immoto,
e uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto;
e poi vide operai sdraiati a terra,
e posata nel mezzo una scodella;
e chi mangiava ecco non mangiava più
chi ha preso il cibo non lo tira su
chi leva la man la tiene levata
e tutti al cielo volgono la faccia.
Le pecore condotte a pascolare
sono lì che non possono più andare
fa il pastor per colpirle con la verga
e gli resta la man sospesa e ferma
e i capretti che all’acqua aveano il muso
ber non possono al fiume in sé rinchiuso
E poi Giuseppe vide in un momento
ogni cosa riprender movimento
tornò sopra i suoi passi, udì un vagito
Gesù era nato, il fiore era fiorito.
(D. Valeri)

Natale
E l’angelo volò sotto le stelle
vide un castello con tre grandi porte
e sulle porte nove sentinelle.
L’angelo del Signore gridò forte: “E’ nato!”
E l’angelo volò sotto le stelle
e vide tre pastori in una corte
presso un fuoco, ravvolti in una pelle.
L’angelo del Signore gridò forte: “E’ nato!”
I pastori si misero in cammino
coi montoni, le pecore, gli agnelli,
e per la prima volta Gesù bambino apparve
a tre pastori poverelli.
(S. Plona)

Natale
Cosa mai porterà quel poveretto al bambino che è nato
il cespo è nudo, spoglio è l’alberetto
e le sue mani, ruvide di gelo
pendono vuote, vuota è la bisaccia
ma la sua scarna faccia
si illumina di cielo.
Va nella notte bianca
di neve aspro il sentiero
ma più s’accosta, più il passo è leggero
s’affretta, si rinfranca.
Eccolo, è giunto, è giunto al limitare
della santa capanna
fulgori, incensi, osanna
ed egli non ha nulla da donare.
Vuote le mani, lacrime alle ciglia…
oh, dai cenci scuote i bianchi fiocchi
e d’improvviso pare, meraviglia,
che una cascata di gemme trabocchi.
(D. Mc Arthur)

Natale
Canta la chiesetta del monte la sua pastorale
è apparsa nel buio orizzonte la stella del santo Natale
è apparso un angelico stuolo nel cielo d’oriente
e annunzia ch’è nato il Figliolo di Dio a tutta la gente
Din don din don! Che dolcezza, che gioia nel cuore
o notte di eterna bellezza, o notte di pace e d’amore!
La terra di neve s’ammanta, cammina una stella lassù
è questa la notte più santa, din don din don è nato Gesù.

Natale
Che ti ha portato il Bambino?
Un aeroplano che vola, tre arance, un burattino
e la cartella di scuola con libri belli ha riempito
poi c’era accosto al mio letto un nuovo grazioso vestito
e, nuovo, su quello, un berretto…
Nient’altro il Bambino ti ha offerto? Nient’altro ti ha fatto gioire?
E’ molto mi pare, ma certo, qualcosa ancora ho da dire
e a dirtelo, vedi, ora stento
oh, dentro al cuore un bel dono
io solo, io solo lo sento:
la voglia di esser più buono.
(G. Fanciulli)

Natale
Cosa c’è sull’abete piccino che ride come un bambino?
C’è una lieve campana sospesa a un filo bianco
a chi l’urta nel fianco parla con voce umana
C’è un grazioso uccellino occhietti d’oro, alucce d’argento
se appena lo tocca il vento è pronto a spiccare un saltino
C’è una trombetta discreta che non suona forte ma brilla
e in alto, come sfavilla! C’è la stella cometa
E c’è un angelo che vola: non risponde se lo chiamo
appende stelle di ramo in ramo e candeline celesti e viola
Questo c’è sull’abete piccino che ride come un bambino.

Natale
Attraverso quelle nubi
onde è oscuro il nostro ciel
passan pur di gloria i raggi
e si squarcia il denso vel.
Odi l’eco dolce e arcano
di quegl’inni pien d’ardor
che si cantan nella luce
nella patria dell’amor.

I pastori
“La luce di una stella”
dice il vecchio pastore
“ci insegna la strada,
la strada che porta al Signore”.
Ed i pastori, umili e buoni,
alla capanna vanno
e recano doni.
E le pie pastorelle
preparan lini candidi,
e latte, e lana delle agnelle.
Il più piccolo pastorello
ha già pronto lo zufoletto,
per cantare la ninna nanna
al divino pargoletto.
Don… dan… don…
Dice il vecchio pastore:
“La mezzanotte scocca
udite il cor degli angeli?
E’ nato il redentore!”.
“Gloria al signore!”
ripete ogni pastore
“E pace in terra agli uomini!
Pace… ed amore!”
(Elisa Furiosi)

Ninna nanna a Gesù bambino
Nella gelida capanna
c’è un bambin che fa la nanna.
Gli è vicino la sua mamma
che lo ninna e che lo nanna.
Fa’ la nanna, o piccolino,
fa’ la nanna, o re divino!
San Giuseppe poverello
sta attizzando il fuocherello
per scaldare il corpicino
di quel fiore di bambino.
Fa’ la nanna, o fiorellino,
fa’ la nanna, o re divino!
Son venuti i pastorelli
con le pecore e gli agnelli,
le zampogne per suonare
e Gesù riaddormentare.
Fa’ la nanna, o fantolino,
fa’ la nanna, o re divino!
(Domenico Vignali)

Natale
Nella notte tutta stelle
passa un angelo piccino.
Ha soltanto un camicino
e le alucce chiare e belle.
Van pastori e pastorelli
dietro a lui nella capanna,
dove il bimbo fa la nanna,
e gli portano gli agnelli.
La Madonna veglia e tace,
veglia e tace a capo chino;
guarda trepida il bambino,
il suo cuore non ha pace.
Lo riavvolge dentro il manto,
lo contempla con dolore;
senza fasce è il Dio d’amore.
Trattenere non può il pianto.
San Giuseppe inginocchiato
guarda il bove e l’asinello
che riscaldano col fiato
quel bambino così bello.
Ed intanto tutti in coro
cantan gli angeli l’osanna
a Gesù che fa la nanna
sotto la cometa d’oro.
(Giannina Facco)

Notte santa
Il sole accesso calava
dietro i monti di Giuda:
lungo la valle nuda
il vento mugolava.
Ma sul colle alto, Betlemme
radiava come gemme.
Stanchi, senza parole,
montavate. Sparve il sole
nel silenzio, e mentre annotta
non albergo, una grotta
trovaste; e tu Maria,
dicesti: “Così sia”.
Su rozza paglia stavi,
sonno ti prese. Sognavi
che ti nasceva Gesù.
Angosciata ti svegli, e ai tuoi piedi,
in un mare di luce, lo vedi!
Come uccelletto in nido
la sua boccuccia apriva,
piccoletta quasi uliva;
i piedini e le manine sue
li scaldavan l’asinello e il bue.
Giuseppe in rapimento
muto, le braccia in croce,
chino sul petto il mento,
adorava. Ma tu, che voce,
che grido, o Maria, mettesti.
quando aprì gli occhi celesti!
(Angiolo Silvio Novaro)

Il vecchio Natale
Mentre la neve fa, sopra la siepe,
un bel merletto e la campana suona
Natale bussa a tutti gli usci e dona
ad ogni bimbo un piccolo presepe.
Ed alle buone mamme reca i forti
virgulti che orneran furtivamente
d’ogni piccola cosa rilucente
ninnoli, nastri, sfere, ceri attorti.
A tutti il vecchio dalla barba bianca
porta qualcosa; qualche bella cosa
e cammina e cammina senza posa
e cammina e cammina e non si stanca.
E dopo aver tanto camminato
nel giorno bianco e nella notte azzurra
canta le dodici ore che sussurra
la notte, e dice al mondo : “E’ nato!”
(M. Moretti)

Natale
Maria dentro la grotta si posò
e Giuseppe a Betlemme si avviò,
ma un momento sentì che mentre andava
a mezzo il passo il piè gli s’arrestava.
Vide attonita l’aria e il cielo immoto
e gli uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto
e poi vide operai sdraiati a terra
e posata nel mezzo una scodella
e chi mangiava, ecco non mangia più
chi ha preso il cibo non lo tira su
chi levava la man la tien levata
e tutti al cielo volgono la faccia.
Le pecore condotte a pascolare
sono lì che non possono più andare,
fa il pastore per colpirle con la verga
e gli resta la man sospesa e ferma.
E i capretti che all’acqua aveano il muso
ber non possono al fiume in sé rinchiuso.
E poi Giuseppe vide in un momento
ogni cosa riprender movimento.
Tornò sopra i suoi passi, udì un vagito,
Gesù era nato, il fiore era fiorito.
(D. Valeri)

Natale
Bianca la terra, il cielo grigio
“Suonate campane a distesa,
è nato!”. Sul vivo prodigio
la Vergine è china e protesa.
Non broccati, non grevi tende,
proteggono il bimbo dal gelo
qualche tela di ragno pende
dal soffitto che mostra il cielo.
Gesù tutto bianco e vermiglio
sulla paglia fredda si muove
gli rifiatano sul giaciglio
a scaldarlo l’asino e il bove.
Sopra il tetto che si spalanca
nero, la neve fiocca uguale.
Angioletti in tunica bianca
ricantano ai greggi: “E’ Natale!”
(T. Gautier)

Quieta notte
Quieta notte, santa notte!
Tutto dorme, veglia solo
la diletta coppia santa;
il bel bimbo, capelli ricciuti
dorme in pace celestiale.
Quieta notte, santa notte!
Ai pastori il primo annuncio
con il cantico degli angeli
squilla forte, lontano e vicino:
“Gesù il salvatore è qui!”.
Quieta notte, santa notte!
Figlio di Dio, oh come sorride
l’amore sulla tua divina bocca!
Suona per noi l’ora salvatrice,
Cristo, nel suo Natale!
(G. Regini)

Serenità natalizia
E’ Natale! Batte l’ale
per il freddo l’angioletto
e si scalda il fanciulletto
della mamma presso il cor.
E’ Natale! Nessun male
faccia piangere i bambini
anche gli orfani e i tapini
passin lieto questo dì.
E’ Natale! Sovra l’ale
scenda l’angiol come neve
porti a tutti, dolce e lieve,
i bei doni dell’amor!
(A. C. Pertile)

Uber sonne, uber sterne
Lentamente va Maria
tra le chiare stelle d’or,
prende luce, prende gloria
per il bimbo suo Signor.
Nell’immensità stellare
su nel cielo Maria va
reca i doni che il Natale
alla terra porterà.
Chiede al sole ed alla luna
fili bianchi e fili d’or
per cucire una vestina
al bambino suo Signor.
Stan le stelle tutte attorno
a guardar Maria che va
con i doni che il Natale
alla terra porterà.
(canto tradizionale)

Natale è vicino
Il gelido vento
che scende
giù giù dal camino
ha detto: “E’ vicino”
Il passero
in cerca di briciole
l’abete ed il pino
Han detto: “E’ vicino”
Col vecchio dicembre
la neve vien giù
e i bimbi
vicino al camino
ripetono lieti: “E’ vicino”
“Arriva
il bambino Gesù”.

Vigilia di Natale
Nella grande cucina di campagna
era riunita tutta la famiglia
per quella dolce sera, tanto attesa.
Oh, dolce sera della gran vigilia!
Erano i grandi intorno al focolare,
a rievocar Natali ormai lontani,
come in un sogno, pieno di dolcezza,
lieti Natali della fanciullezza.
E i bimbi erano intorno ad un presepe
a rimirar pastori e pecorelle,
laghetti, monti, limpidi ruscelli
e la capanna umile, e in ciel le stelle.
La mezzanotte lentamente suona.
Tutti in ginocchio dicon la corona.
Sulla capanna splende un sole d’oro:
nato è Gesù e or vive in mezzo a loro.
Il nonno, una figura patriarcale,
intona l’inno della pastorale:
“Tu scendi dalle stelle, o re del cielo
e vieni in una grotta al freddo e al gelo”.
Un angelo si ferma ad ascoltare
la dolce nenia della pastorale.
Un palpito nei cuoi, un fruscio d’ale,
e l’angelo sussurra: “Buon Natale!”.
(Elisa Furiosi)

Notte di Natale
Chiara notte, notte bella
i pastori, gli agnellini
gli angioletti ed i bambini
tre re magi ed una stella
vanno tutti da Gesù.

Notte di Natale
Nella gelida notte di Natale
un canto di campane si diffonde:
nell’aria ondeggia, e il firmamento sale
azzurro e cupo come mar senz’onde.
Gli angeli piegan sulle culle l’ale
narrando ai bimbi favole gioconde.
Chi stanco vigilò, riposa in pace.
Cantano le campane e il mondo tace.
(Fausto Salvatori)

La sacra famiglia
Maria lava al ruscello
e gli uccellini intanto
accompagnano il moto
col loro dolce canto.
San Giuseppe sui rami
i panni va stendendo
e l’acqua del ruscello
scorre via sorridendo.
Cantano gli angioletti
e i rami sono in fiore
dove brillano le fasce
di Gesù mio signore.
(S. Plona)

La notte di Natale
Mamma, chi è nella notte
canta questo canto divino?
Caro, è una mamma poveretta e santa
che culla il suo bambino.
Mamma, m’è parso di sentire un suono
come di campanella.
Sono i pastori, mio piccolo buono,
che van dietro alla stella.
Mamma, c’è un battere d’ali
un sussurrar di voci intorno intorno.
Son gli angeli discesi
ad annunciar il benedetto giorno.
Mamma, il cielo si schiara e si colora
come al levar del sole.
Splendono i cuori degli uomini
è l’aurora del giorno dell’amore.
(D. Valeri)

Notte di Natale
Calma è la notte, limpida, serena;
la luce delle stelle è mite e buona.
Il venticello fiata appena appena,
nelle braccia al mistero s’abbandona.
La neve bianca arricchisce la scena
della natura e più luce le dona,
la ciaramella intona una novena
che arriva al cielo come una canzona.
Sacro è il silenzio, misterioso e fondo,
quasi che non volesse profanare
l’aspettativa dolce che è nel mondo!
(P. G. Cesareo)

Sogno di Natale
Stanotte ho sognato che tu, dolce mamma,
accanto mi stavi, quand’ecco una fiamma
nel cielo s’è accesa. La notte già buia
qualcuno ha percorso cantando alleluja.
E il coro armonioso di voci d’argento
ho udito cantare sull’ali del vento:
“Dio vero discese tra gli uomini: osanna!”
E il coro era preso una grigia capanna.
Fin là siamo andati. Pian piano. La neve
di soffici piume sembrava più lieve:
fasciava la terra sopita nel bianco.
Il viaggio fu dolce, o mamma, al tuo fianco!
Allora l’ho visto il bimbo divino
più bello di un fiore e piccino piccino.
Splendeva, coperto soltanto d’un velo
d’un tenero, azzurro chiarore di cielo.
Per te, dolce mamma, per il babbo mio,
il bene gli ho chiesto di cui son capace:
pei morti il riposo, pel mondo la pace;
pei poveri un tetto, pei tristi l’oblio.
(Mario Pucci)

Il vecchio Natale
Mentre la neve fa, sopra la siepe,
un bel merletto e la campana suona,
Natale bussa a tutti gli usci e dona
ad ogni bimbo un piccolo presepe.
Ed alle buone mamme reca i forti
virgulti che orneran furtivamente
d’ogni piccola cosa rilucente,
ninnoli, nastri, sfere, ceri attorti…
A tutti il vecchio dalla barba bianca
porta qualcosa, qualche bella cosa
e cammina e cammina senza posa,
e cammina e cammina e non si stanca.
E dopo aver tanto camminato,
nel giorno bianco e nella notte azzurra,
conta le dodici ore che sussurra
la notte e dice al mondo: “E’ nato!”.
(Marino Moretti)

Piccole mani
Manine di Gesù,
piccoli petali rosa
che mamma stringe di più
per riscaldarvi al suo cuore,
manine che or vi schiudete
in atto d’amore;
o soavissime mani
che le pupille dei ciechi
risanerete domani,
piccole dita di fiore
che dalla fronte d’ognuno
nel giorno di Natale
cancellerete il dolore,
sfioratemi la fronte,
venite al mio guanciale
e da babbo e mamma mia
ogni pensiero doloroso,
io vi prego, mandate via,
soavi piccole mani.
E così sia!
(Zietta Liù)

Offerta
“Io porto al presepe
il sempreverde, ancora
fresco della mia siepe”.
“Io un bocciolo che odora
di primavera, lieve
bocciolino di serra,
bianco come la neve
che vela cielo e terra”.
“Io a mani giunte andrò
al bimbo mio Signore;
in dono porterò
il mio piccolo cuore”.
(Dina Mc Arthur Rebucci)

La Madonna dei pastori
Come sempre, Maria,
la notte di Natale,
al suo presepe antico,
nel gran gelo invernale,
discese in compagnia:
c’era Gesù sul fieno,
Giuseppe, i Magi, gli angeli
tutti del paradiso
e Giovanni con l’esile
croce premuta al seno.
C’erano le Madonne
di tutti i santuari
di tutti gli oratori
discese dagli altari,
nelle lucenti gonne,
discese dai dipinti
di tutti  i dipintori,
da tutti i crocevia,
ricche di sete e d’ori
di ninnoli e di cinti.
Recavano in omaggio
voti, gioielli, fiori;
recavano il perdono
per tutti i peccatori
giunti in pellegrinaggio.
Ce n’era una, di legno,
scolpita rozzamente
con abito e mantello
stinti dalle tormente
del piccolo suo regno:
apparve la più povera,
senza cuori d’argento.
Scendeva dai suoi monti
dove ululava al vento
il lupo solitario,
e lassù non salivano
che pochi pastorelli
forse una volta all’anno,
con la bisaccia e il pane,
avvolti nei mantelli.
Essa è là, non si muove,
quasi mortificata
di tutte le ricchezze
stipate sull’entrata,
sparse per ogni dove;
e reggendo con molta
cura il grembiule nero,
reca sol bianca neve:
quella del suo sentiero,
così, per via, raccolta.
Maria la scorse, e lieve:
“Come ti chiami?”. Ed ella
dal suo cantuccio, fuori:
“Mi chiamano, sorella,
Madonna dei pastori”.
Disse, ed in quel momento
le cadde giù il grembiule
dalle mani tremanti,
e una pioggia di falce
si sparse sul viale:
diventarono fiori,
si dilatò un profumo
ed una luce, e fuori
belarono le agnelle.
Maria sorrise al dono,
felice. E a quella i venti
che vagano sul monte,
e i torrenti e le genti,
infiorarono il trono.
Ogni Natale ancora
rifioriscono al molle
tepore del suo piede
cespugli di corolle
candide, come allora.
(Giuseppe Porto)

Natale
Ascolta mammina…
C’è qualcuno
che bussa alla porta!
E’ un angel del cielo
che porta
un dolce messaggio
per te!
E’ un dolce messaggio
d’amore,
è un dolce messaggio
di pace
che certo ti piace,
messaggio che dice:
“Ti rendo felice!”.
Lo manda il celeste bambino
che tanto ho pregato per te,
con tante promesse di bene
al mio piccolo re.
Babbo non senti?
Qualcuno qui batte per te!
E’ il mio piccolo cuore
che ha detto al Signore
le dolci parole
cercate per te.
Gli ha detto:
“Celeste bambino,
il babbo, ti prego
deh, fallo contento!
Un sacco d’argento
tu portagli qui,
un sacco con dentro
la pace, la gioia,
l’onesto lavoro”.
Così ho pregato,
e Gesù redentore
ascoltarmi saprà.
Vedrai tu mamma…
vedrai papà!
(B. Marini)

Messa di mezzanotte
C’era un silenzio
come d’attesa
lungo la strada
che andava alla chiesa;
è fredda l’aria
di notte, in quell’ombra
là, solitaria.
C’eran le stelle
nel cielo invernale;
e un verginale
chiarore di neve,
ma lieve e rada.
C’era una siepe
nera e stecchita:
parea fiorita
di suo biancospino.
E mi tenea
oh, mio sogno lontano
mia madre per mano.
E nella tiepida
chiesa, che incanto!
fra lumi e un denso
profumo d’incenso
e suono d’organo
e voci di canto,
ecco il presepe,
con te, bambino…
(Pietro Mastri)

Natale
Gremito di stelle è il firmamento;
di ghiaia d’argento
brilla la strada del mare
per qualcuno che deve arrivare.
Manti di neve agli alti crinali
come drappi ai davanzali
parano i monti a festa. Vicino,
lontano, di luce accesa, pare
la terra un altare.
Socchiuse tuttora
son le porte dei casolari;
sconosciuti che in quest’ora
si salutano in cammino
si riconoscono familiari.
Il mastino li guarda passare
e si scorda di abbaiare.
Non nelle fiabe soltanto
è questa notte d’incanto.
O cuore di tanta gente
che ritornato innocente
t’apri come un fiore,
nasce, stanotte, nasce il Signore!
(Ignazio Drago)

Le sue ricchezze
Gesù, Gesù bambino
è nato poverino
come nessuno fu.
La casa una capanna,
la culla un po’ di fieno,
per vestirlo una spanna
di lino o forse meno.
Per fargli caldo, il fiato
d’un asino e d’un bue.
Queste che vi ho contato
son le ricchezze sue.
(Renzo Pezzani)

Natale
Quei fiori di brina
alla finestra
sono piume di tenere colombe,
così candidi e fragili, mio Dio.
Oh Maria, gentile
madre amorosa
che una spina già punge:
i tuoi occhi sono dolcemente
tristi, mentre preghi
tuo Figlio.
Gli angeli intanto
con le trombe
lucenti del giorno del giudizio annunciano
la lieta novella:
“Dei poveri è il regno dei cieli,
Alleluia”.
Ma i poveri piangono ancora
di freddo, o Signore, e di pena.
(A. Franchi)

Natale al lago turchino
E’ un Natale poverino
quello di Lago Turchino
piccolo paese lassù
che non ha neppure un campano
per farsi sentire lontano.
Forse un lumino di più
arderà sui focolari; brucerà
un ciocco di più
tra le castagne e il vino.
Ma a mezzanotte quando
romberanno gli angeli
osannando
sopra il sospeso sonno
di ogni piccolo giaciglio
si schiuderanno nimbi
di fulgide comete
trepide e liete
più d’ogni bella strenna di città.
(Marcello del Monaco)

L’albero di Natale
La stella d’Oriente,
arrivata a Betlemme,
fu più veloce dei Magi,
che andavan lemme lemme.
Un po’ per aspettarli,
un po’ per contemplare,
si fermò su un abete
vicino a un casolare.
Ma, ohimè, la bella coda
tra i rami si impigliò:
di frammenti una pioggia
frusciando cascò,
Balzarono i dormenti,
stupirono i bambini
nel mirare l’abete
palpitar di lumini.
(Giuseppe Consolaro)

La notte che verrai
Gesù, la notte che verrai
la porta aperta troverai
del cuore mio.
Ci sarà il fuoco acceso
ed un lumino,
così la letterina leggerai.
Mi lascerai i tuoi doni,
ed io del cuore
ti farò offerta.
Vieni, Gesù,
e troverai la porta aperta.
(da Il corriere dei piccoli)

Una casina di pace
In una casina di pace
c’è un bimbo che giace
su un poco di paglia.
Sì povero è nato
che il bove lo scalda col fiato.
Tra canti divini
la madre lo adora
lo fascia di candidi lini.
Giuseppe va in cerca di legna
per fare un fuochetto,
ed ogni angelo insegna,
ad ogni pastore,
la strada che guida al Signore.
Anch’io
l’ho visto il mio Dio.
Anch’io confuso agli agnelli
gli chiedo per mamma e papà
la pace e la felicità.
(Renzo Pezzani)

Natale, notte santa
L’angelo:
“Di Natale la notte santa
vengo ai bimbi ad annunciare:
tutto il cielo al mondo canta
che il suo re sta per passare,
che il suo re sta per venire
senza manto né corona
per lasciare a tutti in dono
una gioia dolce  e buona”.
La stella:
“Son la stella d’oro e argento
che ha segnato la sua via
per gridare al freddo e al vento:
Presto, presto, andate via!
Per guidare il pastorello
che la via non conosceva
con la pecora e l’agnello
fino al Re che l’attendeva”.
Pastorelli:
“Siamo noi quei pastorelli,
che han sentito il dolce canto,
che per valli e per ruscelli
han trovato il  luogo santo”.
Pecorelle:
“E noi siam le pecorine
che han belato di dolcezza,
nel mirar quelle manine
che han creato ogni bellezza”.
Bambini:
“E noi siamo quei bambini
che al presepio hanno portato
puri doni e fiorellini.
Or torniamo col cuor beato
per recare a tutti in dono
la parola del Signore
la promessa del perdono
la promessa dell’amore”.
(Luisa Nason)

Bimbi attorno al presepio
Quando s’apre il velario che il lontano
paese di Betlemme cela,
dalla calca dei bimbi sgorgano
torrenti di gioiosi sguardi.
Solo allora l’ingenua stella
d’argento risplende e gli animali
al chiuso dello speco fiatano
e il cereo fantolino vive
e Maria dice: “Sorridi,
sono essi, i bimbi:
quelli che sui muretti e le deserte vie
colsero il muschio per il suo presepe”.
(Vittorio Maselli)

La rosa di Natale
L’angelo annuncia d’improvviso:
“Nasce Gesù del paradiso!”
E il rosaio che buca tutto,
le sue spine ha senza frutto,
butta una rosa porporina
gocciolata dalla brina.
Il giardino raggelato
se n’è tutto illuminato!
La fontana che era muta
canta, il prato l’invelluta;
e già occhieggian mele appiole,
s’apron gigli e fresche viole,
al colore senza uguale
della rosa di Natale.
(Lina Carpanini)

Annuncio
Ascoltate la novella
che portiamo a tutto il mondo;
è di tutte la più bella,
è fiorita dal profondo.
Nella stalla ecco ora è nato
il dolcissimo bambino;
la Madonna l’ha posato
sulla paglia, il poverino,
ma dal misero giaciglio
già la luce si diffonde,
già sorride il divin figlio
ed il cielo gli risponde.
Quel sorriso benedetto
porti gioia a ogni tetto!
(Giuseppe Fanciulli)

Notte di Natale
Porti ognuno il suo cuore
il suo cuore come un agnello:
se incontra un lupo lo chiami fratello,
se incontra un povero, quello è il Signore.
Andiamo, dunque, che l’ora è propizia.
Notte d’angeli s’è fatta ormai.
Sotto la neve dan fiori i rosai.
Ecco la stella natalizia.
Non fu mai vista più chiara stella
sul campanile del nostro paese.
La più povera delle chiese
fa sentire la campanella.
Una campana così contenta
che non c’è cuore che non lo senta.
(Renzo Pezzani)

Bacia, o figlio
Stava dentro la capanna
Maria, figlia di Sant’Anna:
e mirando il suo bel sole
gli diceva queste parole:
Dormi, dormi, o cuor di mamma,
fai la ninna e fai la nanna!
Dormi, o figlio tenerello
dormi, figlio vago e bello;
chiudi, chiudi i lumi santi,
le tue stelle fiammeggianti.
Dormi, dormi o cuor di mamma,
fai la ninna e fai la nanna.
Vedi su dall’oriente
tre corone risplendenti:
porteranno per ristoro
mirra, incenso e un dono d’oro.
Bacia, o figlio, la tua mamma,
non più ninna e non più nanna.
(Canzone popolare toscana)

Natale
Cielo nero, terra bianca:
lieti, i bronzi hanno squillato.
Maria china il dolce viso
sul bambino: Cristo è nato.
Non cortine festonate
per proteggerlo dal gelo
ma le trame, i ragni, ai travi
hanno ordito al re del cielo.
Giace il re dell’universo
sulla paglia. Con il fiato
miti il bove e l’asinello
il bambino han riscaldato.
Frange bianche sulla stoppia,
ma sul tetto spalancato
vedi il ciel. “Gloria al Signore!”
hanno gli angeli cantato.
“Pace agli uomini di buona
volontà”. Guidò il pastore
al presepe l’astro. “Osanna!”
grida, “E’ nato il redentore!”
(M. Lucchesi)

La capannuccia
Dov’è la stella, che sì rade e smorte
faceva tutte le altre nella quieta
notte, battendo alle terrene porte
col suo pendulo raggio di cometa?
Noi lo vedemmo, o bambino Gesù.
Passava per l’aria un balenio di chiare
fiamme e un rombar di grandi ali veloci:
pareva che avessero sovrumane voci,
passavano alte con un gran cantare.
Noi le ascoltammo, o bambino Gesù-
E i pastori che stavano nel ghiaccio
alzavano gli occhi alla buona novella,
E si avviarono e avevano in braccio,
chi l’agnellino e chi una caramella.
Noi li seguimmo, o bambino Gesù.
(Pietro Mastri)

Natale
E l’angelo volò sotto le stelle,
vide un castello con tre grandi porte,
e sulle porte nove sentinelle.
L’angelo del Signore gridò forte:
“E’ nato!”
E l’angelo volò sotto le stelle
e vide tre pastori in una corte,
presso un fuoco, ravvolti in una pelle.
L’angelo del signore gridò forte:
“E’ nato!”
I pastori si misero in cammino
coi montoni, le pecore, gli agnelli,
e per la prima volta Dio bambino
apparve: a tre pastori poverelli.
(Stefania Plona)

Davanti al presepio
Santo Gesù bambino
che a te chiami i fanciulli
col tuo amore divino
ho lasciato i trastulli
eccomi qui in ginocchio
per farti, umile, un dono:
t’offro tutto il mio cuore
serbalo puro e buono.
(Edvige Pesce Gorini)

Notte di Natale
Mezzanotte: discende all’improvviso
un angelo che sta nel paradiso.
Sfiorando con le bianche ali distese
il campanile aguzzo del paese,
risveglia dolcemente le campane.
Ora chiese vicine, altre lontane,
dagli angeli destate, fanno un coro
chiamando e rispondendosi tra loro.
Dicono “pace, pace sulla terra!”
mentre gli uomini s’odiano e fan guerra.
Un angelo che ha visto pianto e male
in questa notte santa di Natale,
con l’ali s’è coperto il dolce viso
poi tornato è lassù, nel paradiso.
(Matilde Caccia)

La santa notte
Il vecchio pastore:
“La luce della stella,
questa notte, è più bella.
Oh giovane pastore
seguiamo quella luce:
di certo ci conduce
dov’è nato il Signore”.
Coro di pastori:
“Siamo tutti pastori umili e buoni,
svegliati dalla stella luminosa
veniamo tutti con anima gioiosa,
a recar doni”.
Coro di pastorelle:
“Noi siamo giovinette pastorelle
e faremo noi pur la stessa via.
Vogliamo recare al figlio di Maria
latte ed agnelle”.
Il più piccolo dei pastorelli:
“Il pastorello io sono
più timido, più buono,
più di tutti piccino;
al celeste bambino
farò la ninna nanna
con lo zufolo di canna”.
Il vecchio pastore:
“Mezzanotte è suonata…
La stella si è fermata!
E’ nato il redentore:
sia lodato il Signore!”
Voce d’angeli:
“La stella, in cielo, immobile,
chiara e lucente sta.
Sia pace, in terra, agli uomini
di buona volontà”.

Il pellegrino
L’orto secco acqua non beve,
il campo dorme sotto la neve;
lume di luna cammina a passo
sulle montagne di freddo sasso.
Solo i pastori vegliano al chiuso
presso i fuochi, com’è d’uso.
Ed ecco giungere il pellegrino
fatto di e di cielo turchino.
“Non temete, mi manda il Signore”.
Batte a ognuno forte il cuore.
E la pastora va coi lini
il pastore con gli otri di vini.
Gli alberi che lo guardano passare,
si fanno belli di corolle chiare,
l’acqua che era impietrita,
scrolla il sonno, torna alla vita,
e il biancospino fiorisce la siepe
lungo la strada, fino al presepe.
Là il pastore depone l’agnello
presso il lupo che gli è fratello
e per la gioia grande che ne ha
tutta notte suonerà.
(Lina Carpanini)

Natale
Maria dentro la grotta si posò,
e Giuseppe a Betlemme si avviò.
Ma un momento sentì, che mentre andava,
a mezzo il passo il piè gli si arrestava.
Vide attonita l’aria e il cielo immoto
e uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto;
e poi vide operai sdraiati a terra,
posata nel mezzo una scodella:
e chi mangiava, ecco, non mangia più,
chi ha preso il cibo non lo tira su,
chi levava la man la tien levata,
e tutti al cielo volgono la faccia.
Le pecore condotte a pascolare
sono lì che non possono più andare;
fa il pastor per colpire con la verga
e gli resta la man sospesa e ferma;
e i capretti che all’aria aveano il muso
ber non possono al fiume in sé rinchiuso…
E poi Giuseppe vide in un momento
ogni cosa riprender movimento.
Tornò sopra i suoi passi, udì un vagito,
Gesù era nato, il fiore era fiorito.
(Diego Valeri)

Umili visitatori
Poiché mezzanotte scocca
e Gesù la terra tocca
in un bel fiorir di fratte
San Giuseppe va per latte.
E “Venite” dice a tutti
gli animali belli e brutti.
Dietro a lui si sono messi
tutti in fila, e i serpi anch’essi.
Vedi l’anatra da fiume
e la lucciola col lume,
la cicala senza sporta
che ancor canta, mezza morta.
L’ermellino che dormiva
per la strada si vestiva
di quel bianco immacolato
per veder Gesù beato.
(Lina Carpanini)

La notte di Natale
Mamma, chi è che nella notte canta
questo canto divino?
Caro, è una mamma poveretta e santa
che culla il suo bambino.
Mamma, m’è parso di sentire un suono
come di ciaramella…
Sono i pastori, o mio bambino buono,
che van dietro alla stella.
Mamma, c’è un batter d’ali, un sussurrare
di voci intorno intorno…
Son gli angeli discesi ad annunciare
il benedetto giorno.
Mamma, il cielo si schiara e si colora
come al levar del sole.
Splendono i cuor degli uomini e l’aurora
del giorno dell’amore.
(Diego Valeri)

Canzoncina di Natale
San Giuseppe sega e pialla
pialla e sega in fretta in fretta,
ché il suo bimbo è in una stalla
e ci vuole una culletta.
La Madonna cuce e taglia
taglia e cuce a testa china
ché il suo bimbo è sulla paglia
e non ha la camicina.
Non ha niente il bambinello
ma sorride ed è beato
le stelline su nel cielo
sembra fiori dentro un prato.
San Giuseppe, che t’affanni?
Maria dolce, leva il capo.
Senza culla e senza panni
s’è il bambino addormentato.
(Lia Zerbinotti)

L’agnellino di Gesù
L’agnellino nato appena
cammina nella notte,
dietro le sante frotte
dei pastori che vanno di lena.
Ma con sottile belare
odora di latte la bocca
e il tenue passo non tocca
le strade di neve chiare.
Giungerà con il pastore
l’agnellino, o cadrà?
L’angelo solo lo sa
che gli ode battere il cuore.
(Lina Carpanini)

Carrettiere
O carrettiere che dai neri monti
vieni tranquillo, e fosti nella notte
sotto ardue rupi e sopra aerei ponti;
che mai diceva il querulo aquilone
che muggia nelle forre e fra le grotte?
Ma tu dormivi sopra il tuo carbone.
A mano a mano, lungo lo stradale
venia fischiando un soffio di procella:
ma tu sognavi ch’era di Natale;
udivi i suoni d’una ciaramella.
(Giovanni Pascoli)

La nascita del Messia
Quando a Betlemme giunsero
tutti gli alberghi pieni
già erano. Brillavano
le stelle, alte, nel seno
del freddo ciel d’inverno,
che ancora un posticino,
per le lor membra rotte,
trovato non avevano;
E dalle torri l’ore
incalzanti battevano:
E nove!… E dieci!… E undici!
Oh, Signore! Oh, Signore!
Quando la mezzanotte
scoccò, si udì un vagito
nell’umile capanna:
era nato, il divino
sovrano, il redimito
dalla più grande attesa!
Portò l’annuncio l’astro
ai Magi d’Oriente;
cacciarono i pastori
con l’esile vincastro
le greggi dalle grotte,
e ognuno al grande invito
accorse. E un cor d’angeli
cantò, per tutti i secoli
che sono e che verranno,
alto, nell’infinito:
“Osanna! Osanna! Osanna!”
(Vincenzo Bosari)

Natale
Dicembre… Che  neve, che sera!
Ma a un tratto comparve una stella…
La siepe che dianzi era brulla
fiorì d’improvviso. S’udiva
leggero un pio ritmo di culla
e un palpito d’ali d’argento
un dolce tinnar di campane
portato giù a valle dal vento.
E vivo splendeva laggiù,
nell’umile grotta, a Betlemme,
un fiore divino: Gesù.
(Zietta Liù)

Il presepe di Greccio
Salgono i frati: vien dalla vallata
la buona gente nella notte fonda.
Fiaccole e lumi segnano i sentieri
e l’aria è immota sotto lo stellato.
Culla la valle suono di campane.
Lieve è il cammino; vanno i passeggeri
recando ognuno un cuore di bambino
colmo di attesa. Van come i pastori
verso il presepio e intorno è tanta pace.
Ecco appare la grotta, ecco, sospesa,
brilla la stella! Gli occhi desiosi
guardan la greppia, il bue e l’asinello
guardan l’altare; poi ciascuno sogna.
Ma il Santo vede: vede il Dio bambino
piccolo e bianco nella mangiatoia.
Si china; ascolta il tenero vagito,
gli fa culla d’amore tra le braccia
sopra il suo saio povero e sdrucito
e il cuor divino batte sul suo cuore.
Angeli scendon lungo vie di stelle;
un cielo d’indicibile splendore
s’incurva sul presepe; a tratti, sale
un dondolio lontano di campane.
Vive ciascuno il sogno di Natale.
(Graziella Ajmone)

La notte santa
“Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell’osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanco sei”.
Il campanile scocca
lentamente le sei.
“Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio,
un po’ di posto avete per me e per Giuseppe?”
“Signori me ne duole; è notte di prodigio,
son troppi i forestieri; le stanze sono zeppe”.
Il campanile scocca
lentamente le sette.
“Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!”
“Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi,
tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto”.
Il campanile scocca
lentamente le otto.
“O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!”
“S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno
d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove”.
Il campanile scocca
lentamente le nove.
“Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci”.
“Ma fin sul tetto ho gente: attendono la stella…
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci…”
Il campanile scocca
lentamente le dieci.
“Oste di Cesarea…”. “Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame:
non amo la miscela dell’alta e bassa gente”.
Il campanile scocca
le undici lentamente.
La neve! “Ecco una stalla!”. Avrà posto per due?
“Che freddo!”. Siamo a sosta. “Ma quanta neve, quanta!
Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…”
Maria già trascolora, divinamente affranta…
Il campanile scocca
la mezzanotte santa.
E’ nato! Alleluia! Alleluia!
E’ nato il sovrano bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d’un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaie
suonate: squillate, campane!
Venite, pastori e massaie;
o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill’anni i profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
E’ nato! E’ nato il Signore!
E’ nato nel nostro paese!
Risplende d’un astro divino
la notte che già fu sì buia.
E’ nato il sovrano bambino.
E’ nato!
Alleluia! Alleluia!
(Guido Gozzano)

Natività
Bei pastori, venite alla Capanna:
sentirete cantar gloria ed osanna.
Solleciti veniti e con amore.
In ciel vedrete una lucente stella
che mai si vide al mondo la più bella.
Solleciti venite e con amore.
Voi troverete giacer sopra il fieno
quel che ha creato il ciel vago e sereno.
Solleciti venite e con amore.
Maria vedrete. Maria graziosa,
più bella assai che non è giglio o rosa.
Solleciti venite e con amore.
Giuseppe ancora in quel presepio santo
voi troverete pien di gloria e canto.
Solleciti venite e con amore.
(Fra Serafino Razzi)

Ninna nanna
Ninna nanna,
c’è la neve sulla siepe,
c’è una stella sul presepe
e c’è un bimbo che sorride
nella gelida capanna…
Ninna nanna.
Ninna nanna,
lo difendono dal gelo
la Madonna col suo velo,
l’asinello col suo fiato…
anche il bove immacolato
a scaldarlo ecco s’affanna…
Ninna nanna.
Ninna nanna,
come nevica di fuori!
Ma gli agnelli ed i pastori
vanno, fra nevischio e vento;
e un grande angelo d’argento
scende in terra e grida osanna!
Ninna nanna.
Ninna nanna,
fra la neve e fra le spine
delle siepi montanine
s’ode un piccolo singhiozzo.
E’ un uccello, un passerotto.
Tanta neve, tanto freddo
a morire lo condanna…
Ninna nanna.
Ninna nanna,
ma Gesù che non s’inganna
e ha sentito il pigolio,
parla piano alla sua mamma.
Ninna nanna.
E con l’alito divino
sul suo cuore, il bimbo biondo,
già riscalda l’uccellino,
l’uccellino moribondo…
Vola il passero guarito.
Ride in festa la capanna…
Ninna nanna.
(Pasquale Ruocco)

Il pianeta degli alberi di Natale
Dove sono i bambini che non hanno
l’albero di Natale
con la neve d’argento, i lumini
e i frutti di cioccolata?
Presto, presto, adunata, si va
nel Pianeta degli alberi di Natale,
io so dove sta.
Che strano, beato Pianeta…
Qui è Natale ogni giorno.
Ma guardatevi intorno:
gli alberi della foresta,
illuminati a festa,
sono carichi di doni.
Crescono sulle siepi i panettoni,
i platani del viale
sono platani di Natale.
Perfino l’ortica
non punge mica,
ma tiene su ogni foglia
un campanello d’argento
che si dondola al vento.
In piazza c’è il mercato dei balocchi.
Un mercato coi fiocchi,
ad ogni banco lasceresti gli occhi.
E non si paga niente, tutto gratis.
Osservi, scegli, prendi e te ne vai.
Anzi, anzi, il padrone
ti fa l’inchino e dice: “Grazie assai,
torni ancora domani, per favore:
per me sarà un onore…”
Che belle vetrine senza vetri!
Senza vetri, s’intende,
così ciascuno prende
quello che più gli piace: e non si passa
mica alla cassa, perchè
la cassa non c’è.
Un bel Pianeta davvero
anche se qualcuno insiste
a dire che non esiste…
Ebbene, se non esiste, esisterà:
che differenza fa?
(Gianni Rodari)

Zampognari
Vanno con le zampogne sotto il braccio,
vanno con lunghi ruvidi mantelli,
tengono il volto chino verso terra
e hanno il corpo sì alto e vigoroso
e si muovono con tanta tristezza,
come nessuno mai.
Vanno con lo strumento sulle labbra,
vanno con i berretti di pelliccia,
e ora con la destra
ora con la sinistra
suonano la zampogna così tristi,
come nessuno mai.
Vanno con la zampogna sotto il braccio,
vanno con lunghi ruvidi mantelli,
vanno con i berretti di pelliccia,
vanno e rivanno lo stesso cammino,
parlano modulando la zampogna,
come nessuno mai.
(Josip Murn-Aleksandrov)

Presepe
Già tutto è un presepe:
i campi, e d’attorno, la siepe,
il piccolo borgo, la pieve
sepolti sotto la neve.
Passano angeli in cielo
con grandi ali di velo:
bussano con lieve tocco
sui vetri, al primo rintocco;
li insegnano a dito, a momenti,
i bimbi, con occhi innocenti.
E’ musica di campane
sperdute, ovattate, lontane;
o un suono già tanto vicino
di zampognari in cammino?
Cuore di povera gente,
povera gente lieta
che ha visto una stella cometa.
Ognuno, lo può giurare
sul tetto l’ha vista brillare.
C’è un bimbo sotto ogni tetto
che sogna il tepore del letto.
Sia bruno o ricciolino
somiglia a Gesù bambino.
Sogna il corteo dei Re Magi
che muove, dai grandi palagi,
cofani d’oro e brillanti,
cammelli, paggi, elefanti,
o doni di piccole cose
meravigliose?
Scompaiono sotto la  neve
il piccolo borgo, la pieve,
i campi, e, attorno, la siepe…
Che grande presepe!
(Mario Pompei)

Cantilena di Natale
Dormi, bambino della mamma!
Se dormi, fra poco vedrai
l’angelo grande, e la stella
cometa. Ninna nanna,
bambino della mamma!
Se dormi, verranno i pastori
con gli agnellini e la dolce
zampogna. Ninna nanna,
bambino della mamma!
Se dormi, verranno i Re Magi
carichi d’oro, d’argento,
di mirra. Ninna nanna,
bambino della mamma!
Se dormi, vedrai la Madonna
che adora in ginocchio Gesù
Bambino. Ninna nanna,
bambino della mamma!
Se dormi, ti verrà vicino,
per giocare, Gesù Bambino:
ti dirà i balocchi del cielo,
le stelle del firmamento,
zampogne d’oro e d’argento,
perchè tu dorma contento,
bambino della mamma!
Ninna nanna!
(M. Dandolo)

Vigilia di Natale
Sotto il cielo chiaro ed uguale
la nuvola d’oro distesa resta
come un drappo spiegato a festa
per la fiera di Natale.
Le bancarelle coi sempreverdi,
hanno gli abeti, le stelle argentate,
bianchi angioletti dall’ali gemmate,
e campane rosse e blu.
Ma chi attira la folla, laggiù,
è l’omino che vende casette,
pecorelle, pastori, caprette,
e il presepio di Gesù.
C’è una casina con l’orticello
che ha il suo pozzo con la puleggia
e vicino un alberello
(un rametto di saggina
tinto di verde) che ombreggia
tutta la rossa casina.
I bimbi intorno a guardano intenti
sorridendo di gioia sincera:
i loro volti, così contenti,
hanno una luce di primavera.
E’ per tutti un incanto d’amore:
è il Natale del Signore!
(G. Liburdi Giovanelli)

Vespro d Natale
Incappucciati, foschi, a passo lento,
tre banditi percorrevano la strada
deserta e grigia, tra la selva rada
dei sughereti, sotto il ciel d’argento.
non rumore di mandrie o voci, il vento
Vasto silenzio. In fondo, Monte Spada
ridea bianco nel vespro sonnolento.
O vespro di Natale! Dentro il core
ai banditi piangea la nostalgia
di te, pur senza udirne le campane:
e mesti eran, pensando al buon odore
del porchetto e del vino, e all’allagria
del ceppo, nelle lor case lontane.
(S. Satta)

Le ciaramelle
Udii tra il sonno le ciaramelle
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata nei suoi tuguri
tutta a buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto a trave:
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
si cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno
là nella casa, qua su la spiepe:
sembra la terra, prima del giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce canto di chiesa:
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
(G. Pascoli)

Notte santa
Il sole acceso calava
dietro i monti di Giuda
lungo la valle nuda
il vento mugulava,
ma sul colle alto Betlemme
radiava come gemme.
Stanchi, senza parole
montavate! Sparve il sole
nel silenzio, e mentre annotta
non albergo, una grotta
trovaste e tu, Maria,
dicesti: “Così sia!”
Sulla rozza paglia stavi,
sonno ti prese… sognavi
che ti nasceva Gesù…
Angosciata ti svegli, e ai tuoi piedi,
in un mare di luce, lo vedi:
così fu.
Come uccelletto in nido
la sua boccuccia apriva
piccoletta quasi oliva;
punto freddo non dentiva;
i piedini e le manine sue
li scaldavan l’asinello e il bue.
Giuseppe, in rapimento,
muto, le braccia in crode,
chino sul petto il mento,
adorava. Ma tu che voce,
che grido, o Maria,
mettesti
quando aprì gli occhi celesti!
(A. S. Novaro)

Natale
Un asinello, un bue,
una stella, una grotta…
Fate presto voi due,
fate presto che annotta.
Vi basterebbe un guscio
di casa e una fiammella…
Date una voce a quella
gente che chiude l’uscio.
Il cielo è così nero
e solo il ciel v’ascolta.
Prendete quel sentiero.
Arrivati a una svolta
fate altri venti passi.
Lì c’è una capannuccia:
un tetto su una gruccia
e un muretto di sassi.
Maria ha il cuor sgomento,
non trova più coraggio.
Fu così lungo il viaggio,
fu così aspro il vento;
la strada così brutta
nel polverone bianco!
Ma Giuseppe le è al fianco
e gli si affida tutta.
Son giunti, oh, finalmente!
S’è mai visto ricovero
più sconnesso, più povero?
dite voi, buona gente.
Giuseppe andò per brocche.
Tocca spini e si punge.
Ah ecco, quando giunge
vede tra quattro cocche
d’un lino di bucato
un fagottino tondo
il più bello del mondo,
un bimbo appena nato.
Piegata sulla cuna
che raggia non più squallida,
Maria, ch’è tanto pallida
splende come la luna.
E vede pel deserto
sentiero e in mezzo ai prati
dei pellegrini alati
che provano un concerto;
e soavi cantori
calan dal firmamento;
vede arrivar pastori
dalla barba d’argento;
il fabbro e l’arrotino;
il servo, il falegname;
la mamma e il suo bambino;
l’uomo sazio e chi ha fame.
E in mezzo a un gregge vede,
vello di color cupo,
venire, mansueto, un lupo…
E quasi non ci crede.
(R. Pezzani)

Campane di Natale
Per gli umili e pei grandi le campane
suonano tutte nella Notte Santa.
Per le case vicine e lontane
degli angeli la schiera in cielo canta.
C’era una santa donna che cercava
con il suo sposo un posto per dormire.
Cercava, la Madonna, e non trovava;
ed il figlio di dio dovea venire.
Dovea venire in terra per morire
spora la croce, martire d’amore,
dovea venire in terra per patire
tutto il tormento dell’uman dolore.
Cercava la Madonna , e non trovava.
Infin l’accolse una capanna pia;
sulla capanna il ciel chino vegliava
e sul figlio divino di Maria.
Campane di Natale, ora v’imploro
che portiate al Signor la mia preghiera.
Oh, non ci sia nessun senza ristoro
nel chiaro giorno e nella notte nera!
Campane di Natale, non ci sia
chi cova l’odio triste nel suo cuore;
intenda ognun la santa poesia,
la vostra voce di fraterno amore.
(L. Orsini)

Su, pastore, e seguila
C’è una stella in Oriente il mattino di Natale.
Su, pastore, e seguila.
Ti condurrà nel luogo dove è nato il Salvatore.
Su, pastore, e seguila.
Lascia le greggi e lascia gli agnelli.
Su, pastore, e segui, segui.
Lascia le pecore e lascia i montoni.
Su, pastore, e segui, oh, segui, segui, segui.
Su, pastore, e segui, segui,
segui la stella di Betlemme,
su, pastore, e seguila.
Se vuoi dare ascolto alla voce dell’angelo…
Su, pastore, e seguila.
Dimentica il tuo gregge, dimentica la mandria.
Su, pastore, e seguila.
Lascia greggi e lascia agnelli,
Su, pastore, e segui, segui.
Lascia pecore e lascia montoni…
Su, pastore, e segui, oh, segui, segui, segui,
su, pastore, e segui, segui,
segui la stella di Betlemme,
Su, pastore, e seguila.
(J. W. Johnson)

La stella di Natale
E’ la prima parte, la più semplice, di una bella poesia dello scrittore russo Boris Pasternak. Nota come il paesaggio di questo piccolo presepe ha un che di tipicamente russo, della Russia orientale, con la steppa, la neve, i pastori che, alzandosi, si scuotono di dosso la paglia dei poveri giacigli e, in alto, il grande cielo della mezzanotte, tutto pieno di stelle. E’ un altro omaggio al Natale.
C’era l’inverno.
Soffiava il vento dalla steppa.
E freddo aveva il neonato nella tana
sul pendio del colle.
L’alito del bue lo riscaldava.
Animali domestici
stavano nella grotta,
sulla culla vagava un tiepido vapore.
Scossi dalle pelli il polverio del giaciglio
e i grani di miglio,
dalle rupi guardavano
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.
Lontano era il campo della neve e il cimitero,
i recinti, le pietre tombali,
le stanghe di corro confitte nella neve,
e il cielo sul camposanto, pieno di stelle.
E lì accanto, sconosciuta prima di allora,
più modesta di un lucignolo
nella finestrella del capanno
tremava una stella sulla strada di Betlemme.
(B. Pasternak)

La messa di mezzanotte
C’era un silenzio
come di attesa
lungo la strada
che andava alla chiesa;
e fredda l’aria
di notte, in quell’ombra
là solitaria.
C’eran le stelle
nel cielo invernale;
e un verginale
chiarore di neve,
ma lieve e rada.
C’era una siepe
nera e stecchita:
parea fiorita
di suo biancospino.
E mi teneva,
oh, mi sogno lontano,
mia madre per mano.
E nella tiepida
chiesa, che incanto!
Fra lumi e un denso
profumo d’incenso
e suono d’organo
e voci di canto,
ecco, il Presepe
con Te, Bambino…
(P. Mastri)

Gesù Bambino
Quello di Francis Thompson è un omaggio personale, una conversazione amichevole con il Bambino Gesù. Il poeta si mette nei panni di un bimbo e s’informa., con preoccupazioni e parole di bimbo, sulla vita trascorsa in terra da un bambino abituato a stare in cielo a giocare con gli angeli belli.
Eri tu fragile, Gesù Bambino,
un giorno, e come me piccino?
E che sentivi a vivere
fuori dai Cieli, e proprio come io vivo?
Pensavi mai le cose di lassù,
dove fossero gli angeli chiedevi?
Io al tuo posto avrei pianto
per la mia casa fatta di cielo;
io cercherei d’intorno a me, nell’aria,
“Gli angeli dove sono?” chiederei,
e destandomi mi dispererei
che non ci fosse un angelo a vestirmi!
Anche tu possedevi dei balocchi
come li abbiamo noi, bimbe e bambini?
E giocavi nei Cieli con tutti
gli angeli non troppo alti,
con le stelle a piastrella? Si giocava
a rimpiattino, dietro le loro ali?
Tua madre ti lasciava sciupare le sue vesti
sul nostro suol giocando?
Com’è bello serbarle, sempre nuove,
per i cieli d’azzurro sempre tersi
T’inginocchiavi, a notte, per pregare,
e le tue mani come noi giungevi?
E a volte erano stanche, le manine,
e assai lunga sembrava la preghiera?
E ti piace così, che noi giungiamo
le nostre mani per pregare te?
A me sembrava, avanti io lo sapessi,
che la preghiera solo così vale.
e tua madre, la sera, ti baciava,
i tuoi panni piegandoti con cura?
Non ti sentivi proprio buono, a letto,
baciato e quieto, dette le orazioni?
A tuo Padre, la mia preghiera mostra,
(Egli la guarderà, sei così bello!),
e digli: “O Padre, io, Figlio tuo,
ti reco la preghiera di un bambino”.
Sorriderà, che la lingua dei bimbi
sia la stessa di quando tu eri bambino!
(F. Thompson)

Ho nel cuore un  presepe
Ho nel cuore un presepe
senz’angeli a volo:
con solo…
con solo
un vagito di bimbo.
Non voglio pastori,
né greggi sui monti,
ma un mazzo di cuori
e pupille…
di volti africani
cinesi ed indiani.
Ho nel cuore un presepe…
da nulla:
una culla,
un bimbo sconsolato,
un pellerossa a lato
che lo scalda col fiato:
e poi
con aria tranquilla
un bimbetto lo ninna.
E il bambino Gesù
non piange più.
(M. Ricco)

Il pellerossa nel presepe
Il pellerossa con la piuma in testa
e con l’ascia di guerra in pugno stretta,
come è finito tra le statuine
del presepe, pastori e pecorine;
e l’asinello e i maghi sul cammello,
e le stelle ben disposte,
e la vecchina delle caldarroste?
Non è il suo posto, via, Toro Seduto:
torna presto di dove sei venuto.
Ma l’indiano non sente. O fa l’indiano.
Se lo lasciamo, dite, fa lo stesso?
O darà noia agli angeli di gesso?
Forse è venuto fin qua,
ha fatto tanto viaggio
perché ha sentito il messaggio;
pace agli uomini di buona volontà.
(G. Rodari)

Il mago di Natale
S’io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento,
ma non l’alberello finto,
di plastica, dipinto
che vendono adesso all’Upim:
un vero abete, un pino di montagna.
con un po’ di vento vero
impigliato tra i rami,
che mandi profumo di resina
in tutte le camere,
e sui rami i magici frutti:
regali per tutti.
(G. Rodari)

Presepio
Il mio pastore c’è.
Anche quest’anno, lassù tra i monti
ha lasciato il capanno
e scende a visitare il Re dei re.
Va scalzo per sentieri
di muschio, in mezzo a laghetti e ruscelli.
Portano agnelli
altri pastori, le donne panieri.
Egli ha le mani vuote: è poverello
e non ha nulla
per la divina culla.
Ma la fede gli brucia il volto bello.
Dietro il fulgore
dei Magi chinerà timido e muto
il suo capo ricciuto:
offrirà il suo cuore.
(L. Barberis)

Il presepio
Vi sono monti scoscesi, nudi ed erti
e un ciel di carta azzurra a punti d’oro,
vi sono le snelle palme dei deserti,
tra la neve coi pini e con l’alloro.
C’è un bel prato di muschio verdolino
tante casette sparse qua e là,
un ponticello ed un laghetto alpino
proprio d’un monte sulla sommità.
E vi sono pastori e pastorelle
che vanno con gli armenti in compagnia,
un elefante e tante pecorelle
verso la capannuccia del Messia.
E la santa capanna è illuminata
sol da una stella che vi splende su…
Oh, quanta gente intorno inginocchiata,
anche i Re Magi, ai piedi di Gesù!
Ed il Gesù piccino sorridendo,
stende le braccia a tutti quei fedeli,
angeli e cherubini van scendendo
sopra quel tetto dagli aperti cieli…
(B. Morino Ferrari)

I pastori al presepe
Mossero; e Betlehem, sotto l’osanna
de’ cieli ed il fiorir dell’infinito,
dormiva. E videro, ecco, una capanna.
Ed ai pastori l’accennò col dito
un Angelo: una stalla umile e nera,
donde gemeva un filo di vagito.
E d’un figlio dell’uomo era, ma era
quale d’agnello. Esso giacea nel fieno
del presepe, e sua madre, una straniera,
sopra la paglia…
… e non aveva ella né due
assi: all’albergo alcun le disse: “E’ pieno”.
Nella capanna povera le sue
lacrime sorridea sopra il suo nato;
su cui fiatava un asino ed un bue.
“Noi cercavamo quei che vive…” entrato
disse Maath. Ed ella: “Il figlio mio
morrà (disse, e piangeva su l’agnello
suo tremebondo) in una croce…”. “Dio…!”
Rispose all’uomo l’universo: “E’ quello!”
(G. Pascoli)

Luce nel presepe
Gesù Bambino,
c’è tanto freddo nel mondo
in questa notte del tuo Natale.
C’è ancora tanto male
e tante anime sono
come giardini di ville abbandonate,
povere anime agghiacciate e senza fiori.
Gesù bambino,
il mondo forse è un vecchio pellegrino
carico di stanchezza e di dolore,
che va cercando nel buio della notte
la luce del suo presepe.
Gesù, Gesù bambino,
lasciati ritrovare
nella tua culla d’amore
perché il mondo ti possa riabbracciare.

Piccolo albero
Piccolo albero
piccolo silenzioso albero di Natale
così piccolo sei
che sembri piuttosto un fiore
chi ti ha trovato nella verde foresta
e tanto ti dispiacque di venire via?
Vedi, io ti conforterò
perché odori di tanta dolcezza
bacerò la tua fresca corteccia
ti terrò stretto stretto al sicuro
tu non devi avere paura
guarda: i lustrini
che tutto l’anno dormono in una scatola buia
e sognano d’esserne tolti per poter luccicare
le palline le catenelle rosso-oro i fili di lana
alza le tue piccole braccia
e teli darò tutti
ogni dito avrà il suo anello
e non ci sarà più un solo posto buio d’infelicità
poi quando sarai completamente vestito
ti affaccerai alla finestra, ché tutti ti vedano
e con che meraviglia ti guarderanno!
E tu ne sarai molto orgoglioso…
e la mia sorellina ed io ci piglieremo per mano
con gli occhi incantati sul nostro bell’albero
danzeremo canteremo
“Natale! Natale!”
(E.E. Cummings)

Al bambin Gesù
Lo so perché sei nato poverello
tu che comandi a tutto il mondo e al cielo:
per ricordare al ricco ch’è fratello
di chi soffre la fame e soffre il gelo:
per ricordare al povero che il core
può trovar pace in ogni povertà,
per dire al mondo che non c’è dolore
che non sia vinto dalla carità.
Lo so, lo so! Ma sono pigro a dare:
ma, se per poco soffro, mi dispero;
ancora amar non so; non so sperare
come vorresti tu, proprio davvero.
Benedici dal cielo, mio Signore,
la mia piccola buona volontà:
fammi sempre più buono e forte il core,
il core che ubbidirti ancor non sa.
(V. Battistelli)

Poesie e filastrocche sul Natale – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

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Recite di Natale – L’asino e il bue

Recite di Natale – L’asino e il bue. Una recita natalizia che si rifà alla tradizione per la quale nella notte di Natale gli animali per una breve ora possono parlare con voce umana. I bambini ne sono incantati. (Potete inserire a vostro piacere canti natalizi per i cambi di scena, l’introduzione e il finale). Purtroppo non conosco la fonte.

Narratore: Quando nella stalla di Betlemme nacque Gesù, Dio fece un dono a tutti gli animali: che nella notte di Natale potessero salutare il Bambino con voce umana.

Narratore: Dall’alta rastrelliera, pian pianino, il bue strappò del fieno profumato, si avvicinò alla greppia del bambino, e disse:

Per coprirti l’ho portato. Presso i piedini poi mi fermerò, e col mio fiato li riscalderò.

Narratore: L’asinello pazzerello saltò un po’ per allegria, e poi disse:

Amico bello, guardà là, guarda Maria, che sorride dolcemente, non starò senza far niente. Fammi un po’ di posto, su, voglio anch’io scaldar Gesù.

Narratore: Lassù, nel vano di una finestrella, un ragno stava intento al suo lavoro. Disse:

perchè la tela sia più bella, dal sole prenderò tre fili d’oro, e tre fili d’argento dalla luna. Dalle stelle, una perla per ciascuna.

Narratore: Da un angolino un topo sussurrò:

sono il topino, nel mio buco sto. Ma quando tutti saranno andati via, verrò a tenerti un po’ di compagnia. E ti porterò il mio piccolo tesoro: un bel chicco di grano tutto d’oro.

Narratore: lasciata la tranquilla prateria, le pecore si misero in cammino, in cerca di Giuseppe e di Maria, della capanna e di Gesù bambino. Dissero:

una bella stella ci conduce, là dove splende la divina luce

Narratore: il cane abbaiava e correva intorno alle sue pecorelle

Avanti, venite! La notte è splendente di stelle. Non fatemi tanto aspettare, c’è un bimbo che debbo vegliare.

Narratore: anche in Betlemme tutti gli animali apriron gli occhi sventolando l’ali, e allungando le orecchie, ed il galletto diede la sveglia ritto in cima al tetto:

Amici, amici, in questa notte bella s’è accesa in terra una divina stella. In una mangiatoia un bimbo c’è. Povero e nudo, eppure Re dei Re. Gli angeli in cielo van cantando osanna. Venite amici, andiamo alla capanna!

Narratore: la mucca mormorò:

tiepido e bianco, io porto il latte sotto l’ampio fianco. Maria ne mungerà un secchiellino, che l’aiuti a nutrire il suo bambino.

Narratore: l’oca il collo allungò di qua e  di là chiamando la massaia:

qua qua qua. Eccomi pronta a dare il mio piumino, per fare un letto morbido al bambino.

Narratore: venne nitrendo il cavallino:

cosa darò a Gesù bambino? So solo galoppare, che potrò mai regalare? Il mio cuore e niente più, posso offrirti o buon Gesù

Narratore: dietro al fieno stava un riccio bruno. Disse:

Sto qui nascosto, chè nessuno mi veda, però ci sono anch’io a salutar Gesù, figlio di Dio. Tengo bassi gli aculei miei pungenti, chè il bambino di me non si spaventi.

Narratore: da una fessura usciron le farfalle, movendo l’ali con palpiti di gioia:

un giardino è nato in questa stalla, e il più bel fiore è nella mangiatoia. Intorno a quel bel fiore voleremo e un diadema di voli gli faremo

Narratore: nel bosco nero un orso si destò. Scosse la testa, e cupo brontolò:

mi sembra di sentire che un bambino si disceso dal cielo, qui vicino

Narratore: l’orsa fiutò nell’aria

è un bimbo biondo come il miele, e profuma tutto il mondo

Narratore: dissero in coro gli orsacchiotti

è buono il miele, e noi ne siamo ghiotti. Andiamo dunque a far le capriole intorno al bimbo biondo come il sole

Narratore: lo scoiattolo allegro e saltellante, scese di ramo in ramo fra le piante

porto una pigna di quel grosso pino e la depongo ai piedi del bambino

Narratore: la lepre aveva udito da lontano con le sue lunghe orecchie la notizia. Venne correndo per il bosco e il piano, col cuoricino pieno di letizia.

E’ Natale, e non ho più paura, presso al bambino posso star sicura

Narratore: nella boscaglia i lupi eran nascosti, e stavan quieti e buoni, e ben composti.

le zampe vogliamo un po’ incrociare, per mostrare che anche noi sappiam pregare

Narratore: la volpe di mostrarsi non osava, era fuori dall’uscio e mormorava

là dentro c’è una luce che mi abbaglia, eppure è solo un bimbo nella paglia

Narratore: il capriolo levò al cielo i suoi occhi, e vide mille stelle scintillare

con umiltà piego i ginocchi, perchè è nato un bimbo da adorare

Narratore: gli uccelli tutti in coro si misero a cantare

c’è una cometa d’oro, c’è un bimbo da cullare. Cantiamo in lieto stuolo, seguendo l’usignolo

Narratore: l’usignolo mandò due note chiare poi disse

Vedo il bosco verdeggiare, sento odore di rose nella serra, come se tornasse primavera. Ogni ramo di pianta porta un fiore: è nato in terra il nostro salvatore. Ogni uccello gli canti il suo saluto. Figlio di Dio, sìì nostro benvenuto

Narratore: e da quel momento, ogni volta che torna la notte di Natale, gli animali possono parlare per un’ora con voce umana.

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Racconti natalizi

Racconti natalizi – una raccolta di racconti di autori vari sul Natale, per bambini del nido, della scuola d’infanzia e primaria.

Racconti natalizi
La leggenda dell’abete (G. Benzoni)

S’approssimava l’inverno di tanti e tanti anni fa. Un uccellino, che aveva un’ala spezzata, non sapeva dove ripararsi dal freddo e dalla neve. Si guardò intorno per cercare un asilo e vide i begli alberi di una grande foresta. A piccoli passi si portò faticosamente al limitare del bosco. Il primo albero che vide fu una betulla dal manto d’argento.

– Graziosa betulla, vuoi ospitarmi fra le tue fronde fino alla buona stagione?-
– Che curiosa idea! Ne ho abbastanza di custodire le mie foglie!-
L’uccelletto saltellò fino all’albero vicino. Era una quercia dalla fitta chioma.
– Grande quercia, vuoi tenermi al riparo fino a primavera?-
– Che domanda! Se io ti riparassi mi beccheresti tutte le ghiande!-
L’uccellino volò alla meglio fino a un grosso salice che sorgeva sulla riva di un fiume.
– Bel salice, mi dai ricovero fino a che dura il freddo?-
– No davvero! Va’, va’ lontano da me!-

Il povero uccellino non sapeva più a chi rivolgersi, ma continuò a saltellare… Lo vide un abete e gli chiese:
– Dove vai, uccellino?-
– Non lo so. Nessuno mi vuole ospitare e io non posso volare tanto lontano, con questa ala spezzata.-
– Vieni qui da me, poverino. Riparati sul ramo che più ri piace-
– Oh, grazie. E potrò restare qui tutto l’inverno?-
– Certamente, mi terrai compagnia.-

Una notte il vento gelido sferzò le foglie, che caddero a terra mulinando. La betulla, la quercia, il salice, in breve tempo si trovarono nudi e intirizziti. L’abete invece conservò le sue foglie, e le conserva tuttora.
Sapete perchè? Perchè Dio volle premiarlo della sua bontà.

Racconti natalizi
Storia del piccolo abete

Era autunno e gli alberi del bosco perdevano le foglie. E non erano affatto contenti di rimanere nudi e spogli, coi rami stecchiti. Per questo non badavano al pianto di un uccellino che si trascinava per terra perchè aveva un’ala spezzata. L’uccellino si fermò al piede della quercia e le disse: “Oh quercia grande e potente, fammi  rifugiare tra i tuoi rami! Ho un’ala spezzata e il freddo che sta per arrivare può farmi morire”.

“Non ho voglia di essere buona!” rispose la quercia. “Quando perdo le foglie sono di cattivo umore”.
L’uccellino si trascinò allora ai piedi di un castagno: “Oh, signore del bosco” cinguettò “fammi rifugiare in un buco del tuo tronco! Ho un’ala spezzata e non so dove passare l’inverno”.

Il castagno fu scosso da un forte soffio di vento e molte foglie caddero. “Non sono il signore del bosco” disse “Se lo fossi, proibirei al vento di strapparmi le foglie, ma non ho tempo di occuparmi di una creaturina piccola come te!”.
L’uccellino, sospirando, chiese aiuto a un altro albero, poi ad un altro ancora, ma tutti gli risposero di no, perchè perdevano le foglie e si sentivano cattivi. Allora, il povero uccellino si accucciò per terra e, se avesse saputo farlo, avrebbe pianto.

“Dove vai, povero uccellino dall’ala spezzata?” chiese un piccolo abete che ancora aveva tutti i suoi aghi verdi.
“Non vado in nessun posto” rispose l’uccellino, “nessun albero ha voluto darmi rifugio per quest’inverno”.
“Te lo darò io” disse il piccolo abete. “Quando avrò perdute le foglie, stringerò più forte i rami per ripararti. Speriamo di farcela”.
In quel momento apparve un grande angelo bianco. Disse: “Il Signore ti ha benedetto, piccolo albero. Tu non perderai la tua veste verde nemmeno in inverno. Dio premia tutti gli atti di bontà”.
Venne l’inverno, e il bosco era silenzioso e ammantato di neve. Gli alberi erano immobili e stecchiti come se fossero morti. Ma il piccolo abete non aveva perduto le foglie. Era rimasto col suo vestito verde ed era il solo in  tutto il bosco.

Un giorno passò il vecchio Dicembre. Cercava un albero per appendervi i doni che ogni anno portava alle famiglie. Ma quegli alberi così spogli gli mettevano la la tristezza nel cuore.
“Non posso attaccare i lumini e i doni a un albero dai rami stecchiti” diceva, e sospirava. Stava per andarsene, quando vide un alberello tutto verde.  Era il piccolo abete che aveva dato rifugio all’uccellino.
“Oh” esclamò gioiosamente il vecchio Dicembre “Ho trovato finalmente l’albero che ci vuole!”
Da allora l’abete, che resta sempre verde, anche d’inverno, fu scelto per appendervi i lumini e i doni ed è accolto con gioia da tutte le famiglie. (M. Menicucci)

Racconti natalizi
L’oste

… Sì, ora ricordo, ma vi ripeto, non è facile tenere a mente i clienti. E poi, i clienti di quei giorni! Che trambusto! Che via vai!
Augusto, il grande imperatore romano, aveva emanato un editto per il censimento. Voleva sapere quanti cittadini popolassero il suo grandissimo Impero.  Anche la Palestina si trovava sotto il suo dominio. Noi Ebrei avevamo, è vero, un re nostro. Si chiamava Erode, e risiedeva a Gerusalemme, la capitale del Regno. Ma sopra di lui c’era l’imperatore romano, che contava più di lui. Bisognava obbedire.  Perciò tutti tornavano al paese d’origine per farsi segnare sulle liste della propria tribù.

Ve l’ho detto, furono giorni di grande affluenza, di grande confusione, e devo ammetterlo, di grande guadagno. Il cortile era pieno di animali e di gente. I servi non ce la facevano a servire tutti. Si era giunti alle ultime forcate di fieno, e quanto alla paglia, lo dico con vergogna, molte volte fui costretto a ridistribuire quella già usata. Una sconvenienza, lo so, ma come volete che facessi?

Fu una sera, sull’ora della notte. I servi vennero a dirmi che alla porta si erano presentati due nuovi clienti.  Detti in giro un’occhiata. Sotto il portico, la gente si pesticciava. Chiesi ai servi: “Che gente è? Persone di riguardo?”
Scrollarono il capo.

“Poveri” mi dissero “un operaio e una donna sopra un asino”.
“Se vogliono buttarsi in un canto…” dissi, indicando i portici affollati.
“Chiedono una camera particolare” mi fu risposto.
“Allora mandateli con Dio. Bella pretesa; una camera particolare in questi momenti, e per gente povera”.
“La donna è stanca del viaggio” mi disse un vecchio servo.
“E che cosa ci posso fare io? Anch’io sono stanco! Non ne posso più. Se fossero stati clienti buoni… ma con certa gente spesso ci si rimette anche la paglia”.

I servi erano incerti. Allora mi feci io sulla porta.
“Mi dispiace” dissi col migliore dei modi, “mi dispiace, ma non c’è posto. Con questo benedetto censimento! Anche voi siete qui per l’editto?”
“Sì” rispose l’uomo, un tipo di operaio.
“Di che famiglia siete?”
“Della famiglia di David”.

Lo guardai sorpreso. La famiglia dell’antico profeta era famiglia reale.
“E non avete parenti in città?”
L’uomo abbassò gli occhi. Guardai la donna raccolta sull’asino. Che viso pallido e bello! Sotto la coperta che le ricadeva sulle spalle, nella semioscurità, sembrava che facesse luce.
“Sono dolente” dissi ancora “ma non c’è posto. Neppure nel cortile; una camera particolare mi è impossibile”.
“Questa donna è stanca” disse sommessamente l’uomo.
La riguardai. Ella abbassò le ciglia.
“Sentite” dissi loro “se volete restare soli e passare una notte al coperto, vi consiglio una cosa. Sul fianco del colle ci sono alcune grotte che servono da stalla. In mancanza di meglio, possono servire come camere particolari. Non ve ne offendete. Così risparmierete anche quei pochi denari”.
I due non fiatarono. L’uomo tirò la cavezza dell’asino che si mosse zoppicando. Il lume di quel volto di donna affaticata sparve nel buio.

Rimasi sulla porta, ascoltando lo zoccolo dell’asino che si allontanava. Mi invase una grande tristezza. Li avrei voluti richiamare. Ma come era possibile ospitarli? Vi assicuro che non c’era più posto sotto il portico, e di camere particolari, neppure parlarne.
Con tutto ciò ero triste. Rientrai. Avevo una pietra sul cuore. (P. Bargellini)

 

Racconti natalizi
Un mantello speciale (S. Lagerloff)

C’era una volta un uomo che uscì fuori nella notte per cercare del fuoco. Andò di casa in casa e picchiava: -Oh, buona gente, apritemi! Ho un bambinello appena nato e cerco del fuoco per riscaldare il mio bambino e la sua mamma.-

Era una notte profonda: tutti dormivano. L’uomo camminò ancora finchè, lontano, scorse un chiarore: si avvicinò e vide nell’aperta campagna un bel fuoco che ardeva, e intorno molte pecore, che dormivano vigilate da un pastore e dai cani. Quando l’uomo si avvicinò alle pecore, tre grossi cani si destarono e spalancarono le bocche per abbaiare, ma non poterono; allora mostrarono i denti e fecero per slanciarsi su di lui, ma i loro denti non poterono morderlo. L’uomo voleva avvicinarsi al fuoco, ma le pecore erano così fitte che tra loro non si poteva passare e l’uomo passò sopra di loro, senza che  nessuna si svegliasse o si muovesse, e giunse vicino al fuoco. Allora il pastore si svegliò; era un vecchio severo e violento.

Vedendo quell’uomo vicino al suo gregge, prese un lungo bastone e glielo lanciò contro, ma il bastone cadde proprio ai suoi piedi senza toccarlo. Lo straniero si fece allora vicino al pastore e gli disse: -Dammi un po’ di fuoco che riscaldi il mio bambino appena nato e la sua mamma.-
-Prendine quanto ne vuoi- rispose il pastore, ma intanto pensava “Costui non potrà prenderne nemmeno un poco, perchè non ha con sè una pala, nè un recipiente per portare i tizzi accesi”.
Ma l’uomo si chinò, prese con le mani alcuni carboni accesi, e li mise nel mantello. Il pastore meravigliato pensava: “Che nottata è questa, che i cani non mordono, e il fuoco non brucia?”. E, pieno di curiosità, seguì l’uomo che aveva già preso la via del ritorno.
Vide che lo straniero non aveva una casa: si era fermato davanti a una grotta, nella quale erano una donna e un bimbo. Il pastore allora ebbe pietà del bambino tremante nella notte fredda, e dal sacco che aveva sulle spalle trasse fuori una morbida e bianca pelle di pecora, e la offrì all’uomo per il bambino.

In quel momento, proprio quando il suo cuore diventava buono, vide intorno a sè una fitta schiera di angeli dalle grandi ali d’argento. Tutti insieme cantavano che nella notte era nato il Redentore.
Allora il pastore capì perchè in quella notte tutto era così buono e nessuna cosa faceva del male.

Racconti natalizi
Il pastorello povero (G. E. Nuccio)

Quando gli angeli del cielo annunciarono per valli e per monti ch’era nato Gesù, tutti si misero in cammino per andarlo a visitare. E chi gli portava pane e frumento, chi cacio e ricotta, chi miele e latte, chi capretti o conigli.
Venne anche un garzoncello di pastori; ma si sentiva umiliato, e quasi si vergognava, perchè non possedeva nulla da donare a Gesù Bambino. E come entrò, si stette in un angolo della grotta; e stringeva sul petto il suo zufolo, l’unica cosa che avesse.

Ma lo vide la Madonna, e venne a prenderlo per una mano, e gli fece coraggio col suo dolce sorriso. Allora il pastorello si fece animo e disse: -Non ho niente da donare a Gesù Bambino. Solo vorrei offrirgli una sonatina con questo mio zufolo-.

-Sì, figlio mio- disse la Madonna, sorridendogli amorosa. Ma proprio in quel momento, entrarono i tre Re Magi, tutti vestiti di porpora e  d’oro, con largo seguito di servitori carichi di ricchissimi doni. Allora il pastorello tornò a mettersi in un angolo della grotta, ma la Madonna lo cercò con gli occhi amorosi, lo scorse e venne di nuovo a prenderlo per mano.

E, facendolo passare tra i magnifici Magi vestiti di porpora e d’oro, lo guidò fin presso la culla di Gesù. Allora il pastorello, voltosi dalla parte del bambino, intonò col suo zufolo la più dolce canzone.
Nella grotta si fece un silenzio grande: tutti, Magi e pastori, cacciatori  e contadini, donne e ragazzi, tacquero; e le pecore e i colombi e gli uccelli, che stavano dentro e fuori della grotta, tacquero anch’essi; e lo stesso il ruscello, che scorreva lì presso; e il mulino si fermò per non fare rumore.
La voce dello zufolo era dolce e soave, come quella di tutte le madri della terra, messe ginocchioni per adorare il Figliolo divino. E Gesù Bambino stava ad ascoltare e guardava, con i suoi occhi dolci di luce, negli occhi del pastorello. E il pastorello si sentiva tanta dolcezza nel cuore; proprio gli pareva di essere tutto solo con Gesù e la Madonna.

Allorchè il suono dello zufolo si tacque, la santa Vergine venne accanto al pastorello, e gli fece una carezza sul capo. E Gesù Bambino, levando la sua bianca manina, lo benedisse. E quando il pastorello passò in mezzo alla folla, tra pastori e contadini, fra servi e Magi, tutti si chinarono al suo passaggio, quasi fosse il re più ricco. Perchè egli aveva offerto il dono più prezioso a Gesù: la musica sgorgata dal suo cuore.

Racconti natalizi
Il pastorello
Il bambino Gesù era nato nel presepe. Era un bambino piccolo e povero, avvolto in poche fasce e messo a giacere sulla paglia, ma era il Signore del mondo. Questo aveva detto l’angelo ai pastori meravigliati.
Quando l’angelo ebbe annunciato la nascita di Gesù, i pastori si levarono, abbandonarono le greggi e si avviarono per visitare il piccolino che era nato.

Ma non si va a mani vuote da un bambino nato da poco, e ogni pastore prese qualche cosa, chi un agnello candido e ricciuto, chi una forma di formaggio, chi una fiasca di latte. Solo un povero pastorello non aveva niente, perchè era molto povero. Povero quasi come il bambino Gesù. Ma anche il pastorello volle andare a visitare quel piccino che era nato.

Si avviò insieme agli altri. La strada era lunga e faticosa, e il pastorello restò indietro. Mentre si affrettava, solo solo, sentì nel buio un lamento.
“Chi è?” chiese, e aguzzò gli occhi nella notte.
Seduto sul margine della strada, vide un bambino che si stringeva fra la mani un piedino, e piangeva.
“Ti fa molto male?” chiese il pastorello.
“Sì” rispose singhiozzando il bambino. “Mi sono punto con uno spino e ora non posso camminare”
“Dove abiti?”
“Lassù” e indicò la cima della montagna.
“Io dovrei andare da tutt’altra parte” sospirò il pastorello “ma non posso lasciarti qui solo e ferito. Ti porterò fino a casa tua”.

Prese in braccio il bambino e cominciò a salire. Che fatica! Invece di un bambino, pareva che portasse un macigno!
Finalmente, tutto sudato e trafelato, arrivò in vetta al monte e depose il bambino davanti all’uscio di una capanna, sopra un po’ di paglia. Ed ecco che una stella si staccò dal cielo e venne a posarsi sul tetto; e il povero giaciglio splendette come se la paglia fosse diventata d’oro. In mezzo a una gran luce, il pastorello vide, invece del piccolo ferito, un bambino di grande bellezza che dolcemente gli sorrideva.

“Io sono il bambino che è nato stanotte” disse “Il salvatore del mondo annunciato dagli angeli. Tu credevi di allontanarti da me e invece ti ero tanto vicino. Chi aiuta gli altri è vicino a Dio”.
Il pastorello si inginocchiò guardando il bambino con occhi pieni di meraviglia e stupore. Poi si ricordò di qualcosa e, mortificato, disse: “Signore, non ho nulla da offrirti…”

“Mi hai già dato molto, perchè mi hai dato la tua bontà” rispose il bambino, e con la piccola mano raggiante, benedisse l’umile pastorello della montagna. (M. Menicucci)

 

Racconti natalizi
Il pastore

Che freddo quella notte! Le stelle bucavano il cielo come punte di diamante. Il gelo induriva la terra.  Sulla collina di Betlemme tutte le luci erano spente, ma nella vallata ardevano, rossi, i nostri fuochi.
Le pecore, ammassate dentro gli stazzi, si addossavano le une sulle altre col muso nascosto nei velli.
Noi di guardia invidiavamo le bestie che potevano difendersi così bene dal freddo. Si stava attorno ai fuochi che ci cuocevano da una parte, mentre dall’altra si gelava.

Sulla mezzanotte il fuoco cominciò a crepitare come se qualcuno vi avesse gettato un fascio di pruni secchi.
Nello stazzo, le pecore si misero a tremare. Levavano i musi in aria e belavano.
“Sentono il lupo” pensai.
Cercai a tastoni il bastone e mi alzai. I cani giravano su se stessi e uggiolavano. “Hanno paura anche loro”, pensai.

Intanto, anche i compagni si erano alzati da terra. Facevano gruppo scrutando la campagna.
Non era più freddo. Il cuore, invece di battere per la paura, sussultava quasi di gioia. Era di notte e si vedeva luce come di giorno.
Sembrava che l’aria fosse diventata polvere luminosa. E in quella polvere, a un tratto, prese figura una creatura così bella che ne provammo sgomento.
“Non temete” disse l’apparizione “io vi annunzio una grande gioia destinata a tutto il popolo. Oggi vi è nato un salvatore, nella città di David. E questo sia per voi il segnale: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”.

Non aveva finito di parlare, e da ogni parte del cielo apparvero angeli luminosi, e cantavano “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Poi tornò la notte e noi restammo come ciechi nella valle piena di oscurità. I fuochi si erano spenti. Le pecore tacevano. I cani si erano acciambellati per terra.

“Abbiamo sognato!” pensammo. Ma eravamo stati in troppi a fare lo stesso sogno.
Lì vicino, sulla costa della collina, erano scavate alcune grotte, che servivano da stalla. Avevano una mangiatoia formata di terra dura. Se il salvatore si trovava in una mangiatoia, voleva dire che era nato in una di quelle grotte.
Infatti trovammo, come ci aveva detto l’angelo, un bambino fasciato, in mezzo a due animali, un bue ed un asino. Il bue era quello che dimorava nella stalla. L’asino vi era giunto coi genitori del bambino.
Sul basto sedeva il padre, pensieroso; presso la mangiatoia si trovava inginocchiata la madre, in adorazione del suo nato.
Guardai quel bambino e il mio cuore si intenerì.
Sono un povero pastore, ma ogni volta che vedo un agnellino mi commuovo. E quel bambino mi parve il più tenero, il più innocente degli agnelli.
Non so dire altro. Posso aggiungere che non ho più trovato in vita mia una dolcezza simile a quella provata davanti a quel bambino. Anche ora che ci ripenso, mi torna la tenerezza per quell’agnello innocente e gentile.
Sono un povero pastore. Perdonatemi se lo chiamo così: è per me il nome più dolce e più caro. (P. Bargellini)

Racconti natalizi
Dell’abete solitario

Nel Vosgi, molto vicino a Strasburgo, c’è lo Schneeberg. Fra la sua cima e quella del Donon vi sono  diversi gruppi di rocce sugli altopiani o nelle gole delle valli, dove una volta stavano i sacerdoti dei celti e dove guardavano al di là di Stasburgo il levar del sole.

La leggenda contava dodici alte rocce che, nelle sante notti dopo la nascita di Gesù, si mettono in cammino e, ognuna per la sua strada ed ognuna nella sua notte particolare, si affretta ad andare sullo Schneeberg per inchinarsi, da lassù, al sole che sorge.

Su una si queste alte rocce stava, nella dodicesima notte al tempo del compimento dei tempi, un abete solitario sotto il cielo pieno di neve. Per tutta la notte aveva sognato della stalla di Betlemme. Sul far del giorno arrivarono tre carovane con i Re che avevano adorato il bambino a Betlemme ed ora con il loro seguito e con gli animali cercavano il centro del mondo per dirigersi verso oriente, occidente e sud.

Davanti all’abete solitario si fermarono, pensando che proprio qui fosse il centro del mondo. Mentre pensavano questo, divamparono dodici fiamme sopra alle cime ed alle rocce del circondario, fin giù nella pianura dell’Alsazia.
I Re si abbracciarono e gli animali delle tre carovane parlarono ancora una volta gli uni con gli altri.
Ma l’abete si inchinò profondamente davanti ai tre re venuti dall’Oriente e davanti ad ognuno degli animali, perchè nella sua nostalgia sapeva che questi avevano visto il Signore del mondo nella stalla  e vedeva la luce che albergava ancora nei loro cuori.
Allora i tre Re benedissero l’abete solitario ed ognuno di loro ne staccò un ramo, per portarlo con sè, finchè l’abete tremò di gioia.

Prima di separarsi i Re predissero solennemente all’abete che un giorno, in un lontano futuro, esso sarebbe sceso dall’altura del Vosgi verso Strasgurgo e poi, da qui, in tutte le valli ed i paesi e le città del mondo e che sarebbe diventato l’albero di Natale, un simbolo della luce nella stalla di Betlemme, che come un sole dei mondi guarda ancor oggi sulla terra addormentata.
(Camille Schneider)

Leggenda dei pastori
C’era una volta, in un fredda e gelida notte invernale, un povero pastore che svegliandosi spaventato contò le pecore del suo gregge. Mancava una mamma pecora: la pecora migliore che aveva. Il pastore si mise alla sua ricerca, camminava per prati e campi cercando ovunque, sui picchi e in fondo ai burroni. Ascoltava sperando di sentire qualche belato spaventato, ma tutto era silenzioso. Camminò a lungo senza trovare la pecora e si meravigliò del fatto che non era per niente stanco. Un morbido tappeto di fiori stava sotto ai suoi piedi e un soffio tiepido di primavera alitava sul suo viso, eppure si era nel mezzo dell’inverno…

Le gemme si schiusero e il suo cuore stesso fioriva come un bocciolo. Cosa c’era? Tutto era così trasformato!
Solo quando pensava alla sua pecora lo riprendeva la tristezza. Mai più avrebbe avuto una simile bella mamma pecora nel suo gregge, con un vello così morbido e bianco! Egli l’amava molto, più di tutte le altre pecore. Oh, se potesse ritrovarla!

Mancava poco e gli  avrebbe dato un agnellino, e lui durante la notte l’avrebbe scaldato avvolgendolo nel suo mantello, e di giorno l’avrebbe portato sulle spalle nel cammino verso i pascoli alti del monte, a primavera.
Alzando lo sguardo verso i monti lontani vide salire una grande stella lucente come un brillante. “Che stella sarà mai?” si chiese. Non aveva mai visto una stella simile. La stella del mattino non poteva essere, era ancora notte piena. La stella saliva, saliva, e la sua luce era così potente che tutt’attorno cominciò a luccicare.

Il cuore del giovane pastore era pieno di meraviglia, e lui camminava proprio seguendo la direzione della stella. Da quanto tempo camminava, non lo sapeva. Andò avanti finchè arrivò ad una capanna bassa, una misera stalla irradiata dall’oro della stella. Alle sue orecchie arrivò un canto dolcissimo… e quando arrivò vicino dovette coprirsi con la mano gli occhi, tanto era lo splendore che irraggiava da un piccolo bimbo appena nato. Il bimbo giaceva sulla paglia dura e la madre lo cullava cantando dolcemente. Poi lei prese delicatamente un po’ di paglia d sotto ai suoi piedini e la diede al bue e all’asinello che stavano accanto alla greppia.

Il pastore non sapeva di stare davanti a Maria che in quella povera stalla aveva fatto nascere il bimbo celeste. Come si meravigliò il pastore quando il bambino Gesù allungò le sue manine verso una pecora bianca che fiduciosamente posò il muso sulla greppia. Come gioiva il bambino toccando la morbida lana bianca e quando lo sfiorò il tiepido alito dell’animale. Il giovane pastore riconobbe la pecora che aveva cercato tutta la notte.

Maria sorrise, accennò con la testa al pastore e lui potè vedere un po’ dello splendore della stella nei suoi occhi. La madre gli disse, passando le dita tra i morbidi fiocchi della pecora: “La stella l’ha guidata, essa ci ha dato da bere, grazie buon pastore!”.

Il pastore si inchinò davanti al bambino. Nella sua povertà non sapeva cosa donargli. Tagliò un angolo della pelliccia che portava sulle spalle e la stese sulle delicate gambine del bimbo, così che nessun soffio gelido di vento lo sfiorasse. Dalla sua borsa prese l’ultimo pezzetto di pane e lo offrì a Maria.

Un uccellino volò leggero sul palmo della mano di Maria a beccare alcune briciole e trillò.  Dal bambino irraggiò una luce che arrivò sul petto dell’uccellino e le sue piume si colorarono d’oro. L’uccellino col petto d’oro passò sopra la greppia e volò via gioioso.

S’era silenzio nella stalla, gli animali respiravano calmi. La pecora si avvicinò al pastore e si inginocchiò accanto a lui, che la accarezzò. Com’era bianca e morbida la sua lana, poteva essere un morbido e caldo lettino per il bambinello.

“Caro bambinello, io ti ringrazio e ti voglio regalare la mia pecora. La lana morbida ti riscalderà nella notte, e il suo latte ti darà forza e farà bene anche a tua madre!”
Come in sogno il pastore camminò per prati e campi per raggiungere il suo gregge, il cielo sopra di lui era pieno di migliaia di stelle che illuminavano la sua via. Dopo un pezzetto di strada incontrò Giuseppe, che come Maria aveva negli occhi lo splendore della stella. Giuseppe gli disse: “Il mio bambino ti dona la pace”. Come campane risuonarono queste parole nel cuore del pastore. Oh, notte meravigliosa!

Il pastore contò le sue pecore. Si sbagliava? Si stropicciò gli occhi e ricontò di nuovo. Ma per quanto ricontasse il numero era sempre lo stesso: le pecore erano tre volte di più. I suoi occhi increduli guardarono il gregge diventato così numeroso e grande.
Un raggio della stella toccò il suo cuore e il pastore andò con il pensiero al cammino appena fatto, e rivide il bambino giacere nella greppia, pieno di luce celeste. La madre lo cullava e da così lontano sorrise al pastore: “Molte meraviglie accadono in questa notte, tutti saranno benedetti!”.
Vicino a lui sentì un lieve belare. Un agnellino appena nato, con la pelliccia candida come la neve, giaceva  sulla tera. Egli lo raccolse e l’agnellino si strinse a lui.
Il cuore del giovane pastore voleva saltare dalla gioia. Vide il cielo aprirsi sopra di lui e un fermento riempì l’aria, tutte le stelle brillavano e in file lucenti apparvero le schiere celesti.
Gli Angeli cantavano, volarono in basso e benedissero la terra e tutto ciò che c’era su di essa.

 

Racconti natalizi
La leggenda del Re segreto

Non tanto tempo fa c’era un paese che era il più grande del mondo perchè aveva sottomesso quasi tutti gli altri paesi. Aveva raggiunto non soltanto grande fama, ma anche ricchezze straordinari e i suoi abitanti dovevano confessarsi che alla loro fortuna non mancava quasi nulla.

Un giorno scoppiò in questo paese una strana malattia. Essa colpì dapprima poche persone, poi sempre di più, ed infine divenne un’epidemia. Si manifestò dapprima con strane forme di paralisi, non solo esterne ma anche interne. Le persone colpite non potevano più muoversi, dopo un po’ non riuscivano più a parlare, e infine nemmeno a pensare.

Gli abitanti del paese si disperarono per questa calamità, scoppiata proprio nel loro periodo più felice. Quando la malattia si dilatò  e colpì anche le persone più importanti, il re convocò i suoi consiglieri e li interrogò sul da farsi in questa situazione di emergenza.  Ma i consiglieri non sapevo dire nulla  di più di quanto i medici avevano stabilito. L’unica cosa che consigliavano al re era di far spargere la voce nel regno che chiunque conoscesse un rimedio si presentasse senza indugio. Così fece il re, e dopo un po’ di tempo si presentò al castello un anziano pastore. Esso diede al re un consiglio inaspettato. Disse: “In questa emergenza ti può aiutare una sola cosa. Manda tua figlia al re segreto. Esso ti darà ciò di cui hai bisogno”.

Sentendo queste parole, il re non fu molto felice. Mandare sua figlia, da sola, presso un re sconosciuto, che inoltre era anche segreto: questo non gli garbò per nulla. Ma quando poco dopo fu lui stesso colpito dalla malattia, si decise a seguire il consiglio.

Così la giovane figlia del re se ne andò e cominciò a cercare il re segreto. Non sapeva in quale luogo abitasse, non conosceva nemmeno la strada per arrivarci, era solo piena di un desiderio profondo di trovarlo e di aiutare gli uomini. Camminò dal mattino alla sera e non trovò niente.  E quando alla fine della giornata non aveva ancora concluso nulla, decise di non entrare nell’osteria, ma di passare la notte all’aria aperta, per cogliere eventualmente un segno. Così scalò una collina e lì si fermò. Un cielo infinito, di un blu profondo, si stendeva sopra di lei. Mai prima aveva visto un cielo così. A lungo contemplò quella vista e si lasciò trasportare dallo sguardo in quelle lontananze. Si sentì sempre più libera e le sembrava di comprendere molti segreti del mondo. Poi si addormentò profondamente. Quando la mattina dopo si destò, si accorse con grande meraviglia di essere avvolta in un mantello stupendo, blu scuro. Il giorno dopo proseguì la sua marcia. Incontrò numerose persone che le chiedevano aiuto, certe volte anche con malagrazia, con parole sgarbate e cattive.

La figlia del re li ascoltò tutti senza protestare nè arrabbiarsi, e li aiutò tutti, come potè. Infine le venne incontro un uom o che era ormai quasi nudo. Egli le domandò di dargli qualche indumento caldo. Allora lei gli donò il suo vestito perchè, si disse, in fondo lei aveva il mantello. Appena ebbe dato il suo vestito si accorse di indossare un nuovo abito che brillava del rosso più meraviglioso.

Quando il giorno seguente proseguì per la sua strada, le si presentarono molti ostacoli. I sentieri diventavano sempre più difficili e le sue forze stavano per abbandonarla. Solo la sua volontà di raggiungere la meta restò ferma.

Arrivò su un prato che era ornato da splendidi alberi con molto fogliame e frutti luminosi. Si sedette sotto l’albero più grande; le sue forze erano finite. Seduta così, pensò tra sè: “Se solo avessi oltre alla volontà anche la forza!”. In quel momento l’albero potente cominciò a muoversi. Si scosse, si spostò, e un paio di splendide scarpine caddero a terra: erano fatte di oro lucido e caldo. Quando la figlia del re indossò le scarpine, le sue membra furono pervase da una forza che mai aveva sentito prima. Ora poteva riprendere il cammino.

Il quarto giorno il sentiero si inabissò piano verso l’interno della terra. Dapprima la principessa fu circondata da un buio angosciante, poi divenne sempre più chiaro, ed infine arrivò una luce di un’incredibile morbidezza. Le sembrò di entrare nella camera più intima della terra. Nel centro della sala si trovava un trono sul quale era seduto un giovane re che era illuminato come da un sole dolce. Era circondato dagli spiriti della natura, dalle guide degli uomini e dai capi degli angeli. Ora la figlia del re seppe di essere arrivata alla meta.

Il giovane sul trono guardò la principessa e vide ciò che indossava: il mantello blu che aveva sulle spalle, l’abito rosso e le scarpine dorate. Allora disse: “Meriti di ricevere il bene per aiutare gli uomini”, e le porse una coppa d’oro, riempita di acqua limpidissima. La invitò a bere. Poi le diede l’incarico di portare quest’acqua agli uomini e di dare loro la notizia dell’esistenza del re segreto. Quelli che avrebbero creduto al suo messaggio, avrebbero potuto bere e sarebbero stati salvati dalla loro malattia.

In questo modo molti già hanno ricevuto una nuova vita, ma ci saranno ancora molti altri che apriranno i loro cuori al messaggio che esiste un re segreto che è il guardiano e il donatore dell’acqua della vita. Egli abita tra noi e protegge gli uomini.
(Eberhard Kurras)

Racconti natalizi
Il pastore Giona nella stalla
Giona il pastore giaceva avvolto stretto nella sua coperta nella paglia, e dormiva. L’estate era passata da un bel po’. I pascoli erano brulli; già nell’autunno, quando le tempeste spazzavano sopra i campi arati, aveva raccolto le sue pecore e trovato un rifugio  insieme a loro dall’oste dell’osteria Corona.  Esso aveva dietro l’osteria una grotta stretta dove teneva la sua mucca e d’inverno potevano alloggiare lì tutti quanti, Giona, la mucca e le pecore. Spazio non ne aveva più nessuno, ma il pastore non ci faceva caso e non aveva niente in contrario a  dormire con le sue care pecore.

La mucca era mite, sognava forse della primavera prossima, quando avrebbe avuto di nuovo tutta la grotta per sè. Ma nel frattempo godeva del calore che emanava dai lanosi coinquilini.

Il vento d’inverno soffiava rigido attraverso le aperture tra le travi, ma perdeva quasi subito la sua potenza fredda in questo povero rifugio abitato da uomo e animali.

Improvvisamente il pastore si destò, si strofinò gli occhi e si guardò intorno tutto stranito. Osservò con cura ogni dettaglio del vano che già conosceva tanto bene, come se durante il sonno esso gli fosse diventato estraneo.  Le mura di roccia, irregolari, che limitavano la grotta su tre lati e formavano anche il soffitto, erano neri dei fuochi che si accendevano lì un tempo. La porta era di legno grezzo, attaccata su dei cardini poco stabili, e aveva delle fessure così larghe che anche senza finestra si poteva osservare tutto ciò che si svolgeva nel cortile.

Giona tastò la paglia che copriva appena la terra nuda, toccò la mangiatoia che conteneva il fieno per la mucca e per le pecore come se la volesse esaminare: “Sì, sì…” mormorò finalmente, “si tratta solo della nostra stalla!”. Però nel frattempo scosse la testa, ancora incredulo.

Dove credeva di essersi svegliato? Il pastore pose una mano sul capo di una pecora e cominciò a raccontare… alcuni pensano che sia stupido parlare agli animali, perchè non capiscono una parola, ma Giona ne sapeva di più, e naturalmente anche le sue pecore ne sapevano di più! Girarono tranquillamente le teste verso di lui e ascoltarono  il suono della sua voce calda e profonda che diede loro una sensazione di sicurezza e di protezione.

– Pensate un po’…” raccontò Giona, “ero in un castello, in un palazzo dorato, lì c’era una sala così meravigliosa, che non ho mai visto nulla di simile prima. I muri erano d’oro puro e il soffitto era come un cielo stellato, il tappeto come un giardino fiorito di rose e di gigli. Inoltre lì veniva suonata la musica più deliziosa da musicisti ineguagliabili. Nel bel mezzo della sala si trovava un letto a baldacchino con dei cuscini di piuma soffice. E pensate un po’, in questo letto di piume dormivo io, così morbidamente come sulle ali di un angelo.

Ma improvvisamente si sentì un richiamo forte: “Il re viene, fate posto per il re!”. Un servitore venne correndo e mi disse, anzi mi pregò di far posto nel castello per il re.  “Vero che lo fai per il re?” mi disse. Allora io mi alzai, ma quando i miei piedi toccarono terra mi svegliai, ed ora il castello è scomparso e mi trovo di nuovo qui da voi nella stalla-.

Le pecore continuarono a guardare il pastore con i loro occhi tranquilli e scuri. Avevano capito, potevano immaginarsi la bella sala nel castello dorato. Ancora una volta Giona si strofinò con mani forti gli occhi, ma il sogno non si lasciò cacciare. Restò lì e questa era anche la sua intenzione, perchè era stato un angelo a far sognare così il pastore, con una buona ragione.

Fuori il vento soffiò la sua canzone gelata. Giona tirò su la coperta più stretta intorno alle spalle. “No… di sicuro questa è una grotta e non un castello… ma fa un bel calduccio qui, vicino alle pecore dal folto vello! Siamo proprio fortunati!”, constatò Giona “Siamo proprio fortunati a poter essere qui, tutti insieme. L’inverno è  un pastore crudele, è meglio evitarlo!”.

Poi sbirciò curioso attraverso le fessure della porta, perchè dal cortile si sentivano delle voci. La voce dell’oste un po’ tonante ma non sgradevole, e la stanca voce di un uomo. Giona non poteva vedere i due, perchè il sole era già tramontato e il mondo era grigio e senza contorni. Improvvisamente però vide avvicinarsi una luce: era l’oste che bussava alla porta tenendo una lanterna: “Giona… Ehi, Giona… sei sveglio?, disse l’oste a voce bassa. “Ma sì, certo” rispose il pastore, ed aprì la porta.

L’aria fredda che entrò lo fece rabbrividire.
“Ah, Giona, mio buon amico,” disse l’oste “pensa un po’… è venuta ancora gente, non riescono a trovare un alloggio perchè tutte le case sono piene. Sono talmente stanchi e deboli che proprio non riesco a mandarli via. Giona, per una notte sola, conduci le tue pecore di nuovo sul pascolo. Hanno in fondo una pelliccia calda e non patiranno il freddo. Fai posto per questa brava gente…”

Il pastore non sentì nemmeno più l’aria fredda dell’inverno. Aveva ascoltato l’oste con meraviglia. Il sogno che aveva avuto si ripresentò di nuovo luminoso davanti a lui.
“Oste” disse finalmente in tono mite “è il re che cerca alloggio?”

L’oste lo guardò meravigliato, scosse la testa e disse: “Che strane cose dici certe volte, Giona.  Il re nella mia stalla? No, no, è gente poverissima. Un uomo e una giovane donna che porta un bambino sotto il cuore. Vero Giona che lo fai, per questa povera gente?”

Così, esattamente così, aveva chiesto anche il servitore nel sogno, pensò improvvisamente il pastore. Ma all’oste disse semplicemente: “Lo faccio”. Poi andò verso le sue pecore e chiamò: “Venite, venite mie care, dobbiamo uscire, il nostro palazzo viene usato da gente povera!”

Senza nessuna fretta, ma senza opporre alcuna resistenza, le pecore lo seguirono: Giona prese il lungo bastone da pastore e si mise davanti al gregge. Guardò gli stranieri molto intensamente quando passò accanto a loro. “Ma no, l’oste aveva ragione, non si trattava di un re che chiedeva alloggio…” Giona vide un uomo con la barba arruffata dal vento, le guance magre arrossate dal vento, e un po’ più in là, su un asino magrissimo, era seduta una giovane donna avvolta in un mantello blu col cappuccio, gli occhi stanchi e tristi, il viso pallido. “No, è semplicemente  povera gente che ha bisogno d’urgenza di un tetto…”

“Su… su… mie care… venite al pascolo” disse Giona alle sue pecore, e si incamminò con passo deciso. Il freddo non avrebbe avuto la meglio su di lui. Fuori dalla porta della città erano accesi dei fuochi: uno, due, tre, e lì erano seduti altri pastori che per far posto a tutta la gente che cercava alloggio avevano dovuto abbandonare stalle molto migliori di quella di Giona.

Si scaldarono accanto al fuoco, di buonumore e con qualche buon boccone portato dall’uno o dall’altro. Giona fu salutato cordialmente e tra canti e conversazioni presto dimenticò il suo sogno, la stalla e la povera gente.

Si fece tardi, e un profondo sonno si impadronì dei pastori, che non si accorsero della quiete infinita e piena di pace che improvvisamente scese sulla terra. Solo le pecore alzarono la testa per guardare il cielo, nel quale le stelle brillavano della loro luce più bella. Non c’era nulla in quella notte, in quel cielo, se non quella tranquillità meravigliosa e limpida.

Improvvisamente, poi, il cielo sembrò aprirsi e una luce dorata precipitò sulla terra. A questa luce dovette cedere ogni buio. Allo stesso tempo l’aria si era riempita delle melodie più dolci. I pastori ormai svegli, ma ancora intontiti dal sonno, guardarono la luce, ascoltarono il messaggio della nascita del bambino divino sulla terra e il canto “Osanna nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.

Balzarono su, senza sentire freddo nè stanchezza. Volevano vedere il bambino al quale era dedicato tutto questo. La musica celeste indicò loro la strada verso la città, li accompagnò alla stalla.

Credete che Giona abbia riconosciuto la sua stalla, quella grotta dalle pareti nere e con la porticina di legno? Ma no, tutto sembrava così diverso, perchè tutto era stato trasformato dalla nascita del bambino divino. Non più nere erano le pareti della grotta, ma luminose d’oro, e il soffitto si era inarcato come un cielo stellato, il pavimento era un tappeto di rose e gigli, e lì in mezzo stava seduta la regina in un abito pieno di stelle, accanto ad una culla dorata; nella culla, su cuscini d’oro, un piccolo bambino che era così bello che i pastori sentirono una fitta di gioia nel cuore, forte quasi da sembrare un dolore.

Restarono inginocchiati a lungo davanti alla mangiatoia. All’inizio in silenzio, poi pregando e cantando le loro canzoni da pastori. Donarono al bambino celeste ciò che avevano con sè, e quando infine si alzarono e si congedarono, Giona non potè fare a meno di prendere la mano del bambino e baciarla. E allora sentì chiaramente che il bambino gli diceva: “Grazie caro Giona per avermi fatto posto”.

Confuso l’uomo si guardò intorno: aveva veramente sentito quelle parole, o aveva soltanto sognato? Non riusciva a rispondere a questa domanda, e non c’è nulla di cui meravigliarsi: quando i cieli scendono sulla terra e noi possiamo vederli con i nostri occhi, non siamo in grado di dire se siamo svegli o se si tratta di un sogno.

Alcuni giorni dopo l’oste mandò a chiamarlo per dirgli che la grotta era di nuovo libera, e Giona vi fece ritorno con le sue pecore. Benchè le pareti fossero nere come sempre, e la porta di legno sgangherata, nella mangiatoia il pastore vide un cuscino dorato. Confuso si strofinò gli occhi: un cuscino dorato… ma no… non era un cuscino… era la paglia che luccicava come oro, come se il bambino celeste avesse dormito proprio lì. Giona non parlò mai di questo evento a nessuno, e nessuno al di fuori di lui aveva visto l’oro: solo lui e forse le pecore. Ma esse conservarono il segreto proprio come fece il loro pastore. Qualche volta però, quando Giona avvolto nelle sue coperte dormiva sulla paglia, vedeva di nuovo il bambino e sentiva di nuovo la voce che gli diceva: “Grazie caro Giona per avermi fatto posto”.
(George Deissig)

Racconti natalizi
L’ultima visitatrice
Si era a Betlemme, allo spuntar del giorno. La stella stava sparendo e l’ultimo pellegrino aveva lasciato la stalla, Maria aveva rassettato la paglia ed il bimbo si era addormentato. Ma si dorme, il giorno di Natale?
Dolcemente la porta si aprì, spinta, si direbbe, da un soffio di vento più che da una mano, e una donna apparve sulla soglia, coperta di stracci, così vecchia e rugosa che nel suo viso color della terra la bocca sembrava soltanto una ruga in più.

Vedendola Maria si spaventò, quasi fosse entrata una fata cattiva. Fortunatamente il bambino dormiva!
L’asino e il bue masticavano pacificamente la loro paglia e guardavano avvicinarsi la donna senza alcuna meraviglia, quasi la conoscessero da sempre.

Maria, invece, non scattava gli occhi da lei.

Ogni passo che la donna faceva, sembrava lento come un secolo. La vecchia arrivò vicino alla mangiatoia, mentre il bambino continuava a dormire. Ma si dorme, il giorno di Natale?

Improvvisamente il bambino aprì gli occhi, e sua madre fu molto meravigliata, vedendo che gli occhi della vecchia e quelli del suo bambino, erano esattamente uguali, e brillavano della stessa luce di speranza.
La vecchia si chinò sulla paglia, mentre la sua mano cercava tra le pieghe dei suoi stracci qualcosa, che pareva ci volessero secoli a trovare.

Maria la guardava con la stessa inquietudine, le bestie la guardavano invece senza sorpresa, come se sapessero cosa stava succedendo.
Infine, dopo lungo tempo, la vecchia tirò fuori dai suoi panni un oggetto che, nascosto nella mano, diede al bambino.
Dopo i tesori dei Magi e i doni dei pastori, cos’era anche questo regalo? Da dove si trovava, Maria non poteva vederlo. Vedeva solamente la schiena della vecchia curva per l’età, che si piegava ancora di più per chinarsi sulla mangiatoia. Ma l’asino ed il bue la vedevano, e non si meravigliarono affatto.

Questo durò a lungo. Poi la donna si rialzò, come alleggerita da un peso così gravoso che la tirava verso la terra. Le sue spalle non erano più arcuate come prima, la sua testa toccava quasi il tetto di paglia, e il suo viso aveva ritrovato miracolosamente la sua giovinezza.  Quando si allontanò dalla culla per tornare verso la porta e sparire nella notte da dove era venuta, Maria potè finalmente vedere che cos’era quel misterioso dono.

Eva (poichè era lei) aveva appena dato al bambino una piccola mela. E questa piccola mela rossa brillava nelle mani del bambino come il globo del mondo nuovo che stava per nascere con lui.
(Jerome e Jean Tharaud)

Racconti natalizi – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Racconti natalizi

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Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento

Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento – una raccolta di dettati ortografici per la scuola primaria, difficoltà miste, di autori vari.

L’ambiente natalizio
Il Natale si festeggia in dicembre, all’inizio dell’inverno astronomico. Tutta l’atmosfera è pervasa dall’incanto di questa ricorrenza.
Il Natale si associa al freddo, alla neve, al rovaio e quindi alla casa riscaldata, intima, festosa, all’amore rinnovato per la propria famiglia anche perchè questa festa è attesa e desiderata in particolar modo dai bambini. Il nuovo nato è un bambino come loro ed essi lo sentono vicino, hanno confidenza con lui, gli chiedono grazie e doni.
Osserviamo l’ambiente natalizio. Dell’inverno abbiamo già parlato, ma cercheremo di rinnovare le nostre impressioni naturalistiche. Elementi del paesaggio natalizio sono il freddo, la nebbia, la neve, il ghiaccio, gli alberi spogli. Ed ecco questo ambiente vivificato da una stella luminosa, ecco i cieli azzurri del presepe, le palme dei paesi caldi, il contrasto fra gli smorti colori dell’inverno e i vivi colori del presepe, che eccita i bambini e li dispone all’attesa.
Anche la casa acquista grande importanza. Oltre all’ambiente naturale, osserviamo le vetrine cariche. Vetrine di negozi alimentari con salumi, pollame, cibi d’ogni genere, sempre invitanti ed eccezionali, vetrine di giocattoli, vetrine di pasticceri dove fanno mostra di sé i dolci caratteristici del Natale, panettoni, torroni e quanto la tradizione locale offre.

Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento
Notizie storiche

Il Natale, che oggi si festeggia il 25 dicembre, non fu solennizzato sempre nello stesso giorno. Pare che nel secolo III si festeggiasse il Natale insieme all’Epifania il 6 gennaio, specie in Oriente; ma verso la metà del IV secolo la Chiesa romana fissò tale solennità al 25 dicembre, forse sotto Papa Liberio. Ciò per sovrapporre la festa cristiana a quella pagana del sole.
Tra i costumi natalizi, comuni a tutti i paesi cattolici, sono la messa si mezzanotte e il presepe. Il primo presepe viene attribuito a San Francesco, il quale ricostruì la scena della natività a Greccio, un piccolo paese dell’Appennino umbro. La parola presepe vuol dire stalla e, anche, mangiatoia che si pone nella stalla. L’uso del presepe, dapprima limitata alle chiese, si estese in seguito fra i privati e molti scultori e pittori vi si ispirarono per produrre pregevolissime opere.
Altro uso natalizio, che ha auto origine nei paesi del Nord, è l’albero di Natale.

La terra di Gesù
Palestina si chiamava anticamente la sola parte costiera della regione a cui più tardi fu esteso questo nome; il nome deriva dall’ebraico Pelistin con cui veniva indicato il popolo dei Filistei. Questo paese è formato da tre zone parallele: la zona costiera, l’altopiano e la valle del Giordano. Il Giordano è un piccolo fiume che scorre nel fondo di una stretta valle, forma alcuni laghi, dei quali il più celebre è quello di Genezareth o Tiberiade, e finisce nel Mar Morto, un mare interno che è posto a 400 m sotto il livello del Mediterraneo e le cui acque sono salmastre e contengono bitume, cosicchè le sue rive sono desolate e deserte. L’altopiano è monto accidentato, ed è il prolungamento della catena del Libano; oggi è nudo e roccioso, ma nei tempi antichi aveva ampie foreste e vi crescevano viti, olivi e buoni pascoli, tanto che agli occhi degli Ebrei, quando vi si stabilirono cacciandone i Filistei, sembrò un paese incantevole e lo chiamarono la “Terra Promessa”. La parte settentrionale dell’altopiano si chiama Galilea, la centrale Samaria, le due meridionali Giudea e Idumea. (P. Silva)

Il Natale di Gesù
La data della nascita di Gesù fu parecchio controversa. Per parecchio tempo, le chiese orientali festeggiarono il Natale il 6 gennaio. La chiesa romana, invece, adottò la data attuale fin dal IV secolo dC. Alla scelta di tale data contribuì anche la considerazione di un fatto religioso pagano: il 25 dicembre veniva celebrato dai pagani il giorno natalizio del Sole vittorioso, la cui nascita coincide appunto col solstizio d’inverno. Dopo il 21 dicembre, infatti, il sole ricomincia a percorrere nell’azzurro del cielo archi sempre maggiori e le giornate si allungano.
Contrapporre la nascita di Gesù a quella del sole invitto significava poter distogliere dalla celebrazione della festa pagana molte persone. E come, poi, non pensare a Gesù, sole delle genti, via e luce, quando il sole ricomincia ad annunciare la sua vittoria sulle brume della stagione inclemente? (R. Lesage)

Tre messe
Quel che caratterizza la festa di Natale è la celebrazione delle tre messe solenni a mezzanotte, all’aurora e alla mattina. La messa di mezzanotte risale a pappa Sisto III (432-440) che, a seguito del Concilio di Efeso, aveva fatto grandi restauri alla Basilica Liberiana, dedicata alla Madonna, costruendovi in una piccola cripta una riproduzione della grotta di Betlemme, che diede poi il nome alla Basilica stessa, facendola chiamare Santa Maria del Presepe. Qui infatti, forse ad imitazione della celebrazione notturna che si faceva alla Basilica  della Natività a Betlemme, Sisto III ordinò un’ufficiatura notturna, che si concludeva poi con la messa. (R. Lesage)

Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento
Natale, cenni storici

Il Natale si celebra il 25 dicembre. Anticamente questa festa non si celebrava sempre nello stesso giorno; fu il papa Giulio II che, nel secolo IV, fissò la data del 25 dicembre, dopo aver fatto eseguire diligenti ricerche negli archivi.
Dal secolo VI fu permesso ai sacerdoti di celebrare tre messe in questo giorno: la prima è detta “messa di mezzanotte”, la seconda “messa dell’aurora” e la terza “messa del giorno”.
Nel Medioevo si celebravano i “Misteri”, cioè scene della vita e della passione di Gesù. Oggi si celebrano ancora in alcuni paesi.
Fra gli usi natalizi più comuni è il presepe, il quale dapprima si faceva solamente in chiesa, poi si diffuse nelle case. Verso il Settecento ebbe la massima diffusione. (C. Bucci)

Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento
Regione che vai, Natale che trovi

Cominciamo il nostro itinerario dalle regioni settentrionali, seguendo solo il filo della fantasia e citando in ordine alfabetico le località dove si possono trovare tracce originali di storie curiose ed abitudini antiche, legate alla mistica suggestione della Santa Notte.

Ad Andalo, in Valtellina, la vigilia di Natale, in segno di promessa, gli innamorati depongono sul davanzale delle loro amate, usando un lungo bastone, uno zoccolo dipinto, arricchito da nastri e nappe. L’usanza ricorda lo sfortunato amore di un mago dal “pie’ bisulco” che, recandosi a trovare la sua bella, perse uno zoccolo a doppia unghia e con esso il suo magico potere, tramutandosi in un povero pastore.

A Bergamo è diffusa la credenza che nella Notte Santa tutti gli animali, e specialmente i gatti, acquistino poteri divinatori e con il loro atteggiamento suggeriscano l’esito delle future vicende familiari.

In Brianza, a Porto d’Adda, all’avvicinarsi del Natale gruppi di giovani confezionano dei fischietti con canne di bambù e girano per le vie del paese suonando nenie natalizie, formando una banda che la gente chiama degli “organini”.

A Como quasi tutti, a Natale, fanno un presepe molto grande e bruciano il ginepro. Alla sera, tutte le famiglie si riuniscono nelle cucine accanto ai grandi camini e intonano cori natalizi accompagnati dai caratteristici strumenti musicali del luogo: gli zufoli, chiamati in dialetto fifuc.

A Mantova la sera della vigilia il più anziano della casa benedice i tortelli con l’acqua santa e tutti recitano le preghiere prima di iniziare la cena.

Si racconta che il Monte Bernina ed il suo celebre ghiacciaio, sorto dove un giorno si stendeva un florido pascolo, siano opera del diavolo che, nella notte di Natale, volle punire un pastore il quale, rifiutando asilo a un mendicante, gli concesse soltanto di accostarsi al truogolo del maiale. Immediatamente prese a nevicare e l’indomani, al dissolversi di una pesante nuvola nera, al posto del pascolo e della malga apparve l’immenso ghiacciaio.

A Boca (Novara) nel 1600, a breve distanza da un miracoloso crocefisso, il 24 dicembre a tarda sera, due ladri attendevano il passaggio di un giovane che tornava al paese dopo un anno di lavoro, con in tasca un discreto gruzzolo. A passo lesto per giungere in tempo alla Messa di mezzanotte, il viandante attraversa il bosco recitando il rosario quando, giunto in vista dei due ladri, li vide fuggire a gambe levate. Il giorno seguente seppe che a mettere in fuga i malfattori era stata l’apparizione di due aitanti gendarmi alle sue spalle. Inutile dire che dei due misteriosi protettori non si ebbe più notizia. Sul luogo dell’incontro il giovane fece erigere una chiesetta, oggi diventata un celebre santuario.

Sul monte Cesarino, il cui nome ricorda il passaggio di Giulio Cesare,  è credenza popolare che viva un cane feroce il quale sputa fiamme dalla bocca e azzanna e divora i bambini che di notte si avventurino per boschi o sentieri. Soltanto la sera della vigilia il cane fantasma si ammansisce; e anzi, se incontra un fanciullo lo accompagna per tutta la strada, difendendolo e lambendogli le mani.

A Deiva Marina (La Spezia) all’interno della chiesa di Santa Maria Assunta si legge su una lapide del settimo secolo una strana iscrizione che riporterebbe fedelmente il testo di una lettera di Cristo, caduta dal cielo per ammonire i fedeli. Nel messaggio è detto, tra l’altro, che dalla mezzanotte della vigilia all’alba di Santo Stefano persino i diavoli fanno festa, perchè neppure loro possono sottrarsi alla suggestione ed al misticismo della divina notte.

Secondo la credenza popolare, al Pian di strì (Piano delle Streghe), sotto il monte Gridone,verso la Val Vigezzo, streghe, maghi e folletti si riuniscono da tempo immemorabile in base a un ben prestabilito calendario settimanale. Solo nella settimana di Natale il “Pian di strì rimane deserto ed ognuno può passarvi anche in piena notte senza timore di cattivi quanto ultraterreni incontri.

Il nome di Frassinoro, una località vicino a Modena, deriverebbe secondo un’antica leggenda da un prodigioso fatto accaduto durante una processione natalizia e che viene ancor oggi celebrato nella ricorrenza. Un simulacro della Vergine, appeso al ramo di un grande frassino, avrebbe preso a brillare intensamente facendo diventare tutta d’oro la chioma dell’albero, fra la commossa esultanza dei fedeli.

A Genova, come è d’uso da secoli, a Natale si accende un ciocco di legno in mezzo alle piazze e tutti vanno a prendere un tizzone di brace per il proprio camino. Chi non ha il camino lo mette ad ardere negli scaldini di ferro.

A Graines (Aosta) in ricordo di una vecchia usanza per cui i contadini del luogo erano costretti, all’inizio dell’inverno, a coprire di terriccio i risplendenti ghiacciai della Becca di Torchè, affinchè il loro riverbero non bruciasse la delicata carnagione delle signore del castello, la vigilia di Natale, durante una fastosa luminaria, i giovani vanno a buttare ai margini del ghiacciaio sacchetti di terra e fiori di carta in segno augurale e in atto di omaggio verso le ragazze del paese.

A Pieve di Cadore la sera del 24 dicembre, prima che giungano gli ospiti per il cenone di mezzanotte, si pone in ogni casa una scopa attraverso la soglia della cucina. Secondo la leggenda, se una delle ospiti fosse una strega travestita, alla vista della scopa, sua tradizionale cavalcatura, non saprebbe resistere al desiderio di inforcarla, facendosi così riconoscere.
A Treviso per la vigilia di Natale è tradizione accendere al tramonto grandi falò, intonando una filastrocca propiziatrice per un raccolto abbondante: “Pan e vin, la laganega soto el camin, la farina soto la panera…” e così via. Poi, spento il fuoco propiziatorio, si fruga nella cenere con lunghi bastoni e dalla direzione che prendono le faville si traggono auspici per la prossima annata: se esse prendono il vento verso il Friuli conviene rassegnarsi ad un raccolto misero, mentre se vanno verso occidente tutto andrà nel migliore dei modi.
La beata Stefania Quinzani, oggi venerata in tutto il cremonese, durante la sua gioventù era giunta a Zappello, da Brescia, col proposito di fare la domestica in un pio istituto. La notte di Natale, per far sì che i bambini affidatile attendessero tranquillamente i dodici rintocchi per assistere alla santa messa, miracolosamente ottenne che un grande melo dell’orto del convento fruttificasse d’improvviso, in modo da permettere ai piccini di cogliere e mangiare quei saporitissimi pomi.

In provincia di Piacenza si usa preparare il pranzo due giorni prima. Alla vigilia si fa il pranzo serale: è composto di un bel piatto di tortelli alla piacentina, cioè col ripieno a base di spinaci, ricotta, formaggio e uova.

A Benevento nella notte natalizia si usa sempre, in tutto il territorio di questa provincia, porre una scopa fuori della porta d’ingresso nella credenza che le eventuali streghe,  prima di entrare, debbano strappare i fili di saggina, ad uno ad uno, finchè l’alba, sorprendendole ancora affaccendate in questo lavoro, le costringe a fuggire. Ed effettivamente, per quanto ciò possa destare incredulità, le scope lasciate sulla soglia la sera, al mattino vengono sempre ritrovate rotte o sciupate.

Nelle Marche in occasione del Natale, i fidanzati si scambiano fazzoletti di lino ripieni di castagne, di noci e di mandorle.

A Nereto (Teramo) alle due di notte dell’antivigilia di Natale a campana maggiore della parrocchia viene puntualmente messa in moto ed i suoi rintocchi risuonano a lungo, in ricordo del prodigioso intervento della Madonna che, anticamente, mise in fuga una colonna di Francesi incamminata verso il paese con il proposito di metterlo a ferro e fuoco.

In Puglia anche sei il progresso ha sostituito ai vecchi camini più moderni sistemi di riscaldamento, la tradizione del ceppo natalizio sopravvive tuttora tenace nelle campagne e nelle borgate. In Puglia il ceppo viene circondato da dodici pezzi di legno diversi, che rappresentano i dodici apostoli; attorno alla tavola siede la famiglia che ospita tanti poveri quanti sono i suoi defunti. Analoga è l’usanza che vige in Calabria, dove però si usa adornare il ceppo con tralci di edera.

A Bari  a mezzanotte si vedono tutte le strade illuminate di stelle filanti e di fuochi d’artificio sotto forma di topi che vanno dietro alle persone. Poi, il topo va in aria e scoppia, illuminandosi. Con queste luminarie si sta alzati fino alla mattina del Natale. I dolciumi che si fanno a Natale sono cartellate, torrone, castanielle, panzerotti, taralli con il pepe e con lo zucchero.

Nel Santuario de La Verna (Arezzo) per tradizione i frati devono recarsi in processione due volte nel pomeriggio e di notte lungo il corridoio delle Stimmate. Si racconta che una vigilia di Natale, non potendo i frati raggiungere, per la troppa neve caduta, il porticato che si snoda sino alla cappella dove San Francesco ricevette i sacri segni, il mattino seguente si scorsero sulla bianca coltre le impronte degli animali della foresta che avevano compiuto, invece dei monaci, il mistico percorso.

In molti paesi della Sardegna a Natale si usa confezionare dolci speciali a forma di nuraghi, che si chiamano passalinas e che vengono offerti a chiunque bussi alla porta perchè la leggenda vuole che Gesù e San Pietro scendano sulla terra vestiti da mendichi e bussino alla porta di tutti per provare il cuore degli uomini.

In Toscana la festa del ceppo è una tradizione natalizia che consacra il dovere dell’ospitalità: il 24 dicembre, al tramonto, il capofamiglia pone sugli alari una grossa radice di ulivo o di quercia e vi dà fuoco; fintanto che il ciocco continua ad ardere la porta di casa resta aperta e chiunque entri ha diritto ad un piatto di arrosto e, se vuole, anche ad un letto per la notte.
In altre regioni il compito di accendere il gaio fuoco natalizio non spetta al capofamiglia ma alla persona più anziana, la quale chiama poi attorno a sè i giovani, invitandoli a percuotere con un bastone il ciocco per farne sprizzare le scintille allo scopo di trarne auspicio.
Altrove sono i fidanzati a ricavare l’oroscopo dal ceppo acceso nella santa notte, sulla cui brace vengono gettate alcune noci a seconda che esse scoppino o brucino lentamente.

In Calabria finita la messa di mezzanotte  le persone baciano Gesù bambino ed escono dalla chiesa. I pastori con le loro zampogne suonano per le strade principali ed annunciano la nascita del redentore. Nelle vie sparano i mortaretti.
In altri paesi dell’Italia meridionale c’è l’abitudine di tenere, la notte di Natale, la porta aperta e la tavola imbandita fino al ritorno dalla chiesa dopo aver ascoltato la messa di mezzanotte. Una vecchia leggenda dice che la Madonna e il Bambinello hanno modo di scaldarsi e di nutrirsi e benedire così la casa.
In certi paesi gruppi di ragazzi si riuniscono nel pomeriggio di Natale e poi passano di casa in casa a cantare una canzone natalizia, ricevendo così vari doni.

In Sicilia sul piazzale della chiesa, sempre nella notte della vigilia, brucia un fuoco di legna che vuole significare che il popolo intende riscaldare il santo bambino. Un’altra usanza, che fa sembrare sempre più bella la giornata del Natale, è di scegliere un bambino povero e di vestirlo come Gesù, e poi deporlo presso l’altare. Ogni abitante del luogo porta a quel piccino un piccolo dono. Terminata la messa, il bimbo trionfante ritorna alla propria casa.
Ciò che mangiano alcuni Siciliani alla vigilia è pesce e olive, il loto cibo preferito, e nello stesso giorno preparano dei buonissimi dolci.

In Campania alla vigilia di Natale si spara il mortaretto e, giusto alla mezzanotte della vigilia, si lancia nel cielo una stella tutta illuminata a ricordo della nascita del redentore.
Concludiamo questa nostra rapida carrellata ricordando un’altra simbolica consuetudine profondamente radicata in tutte le regioni italiane: quella del pungitopo, la pianta sempreverde che in occasione delle festività natalizie e di Capodanno fa la sua comparsa in migliaia e migliaia di case. Essa ha origine da una delicata e commovente leggenda che risale all’alto Medioevo e che può essere così riassunta: molti secoli fa, nella notte del 24 dicembre, un arbusto disadorno, dalle foglie dure e aguzze come aculei, se ne stava tutto solo in mezzo alla radura di un bosco, schivato da ogni essere vivente,  quando si accorse che un grosso lupo si teneva nascosto dietro a un cespuglio, pronto ad assalire due leprotti; la pianticella allora cercò di attirare l’attenzione di un topolino di passaggio, si chinò e lo punse leggermente e gli sussurrò di far sì che le piccole lepri minacciate di morte corressero a mettersi sotto la sua protezione. Così infatti avvenne: l’arbusto diede asilo alle tre bestiole disponendo i rami in modo da formare una specie di gabbia con gli aculei rivolti verso l’esterno; il lupo tentò invano, per tutta la notte, di ghermire la sua preda, finchè fu costretto a rinunciare e dovette allontanarsi ferito e scornato.
Al mattino, molte delle foglie aguzze erano spezzate o divelte, e in loro vece delle bellissime bacche rosse, nate all’improvviso, adornavano la pianta, che da allora in poi si sarebbe chiamata “pungitopo”.
Così, tra streghe e folletti messi in fuga, tradizioni serene ed altre un po’ meno, continua ancora oggi e si perpetua in Italia, come in ogni altro Paese del mondo, il lunghissimo racconto di Natale, questa favolosa storia punteggiata di comete e di prodigi, ovattata dal candore della neve: la storia di una Notte in cui l’impossibile diventa realtà e la realtà, quanche volta, sfiora l’incredibile: la notte santa, che vide la nascita del redentore di tutte le genti che vivono su questa terra.

Natale nel mondo
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento

Tra i Lapponi, insieme con i pastori di renne che vivono vagabondi lungo le giogaie di questa sterminata landa, sono disceso per la notte di Natale a Karasjok, villaggio formato da una trentina di capanne sparse attorno alla chiesetta. Per la celebrazione natalizia più di seicento Lapponi sogliono adunarsi a questa volta. Alcuni sono giunti a cavallo dalle regioni della Finlandia, dai clivi settentrionali della Svezia, dai mardi del Fiord di Tana che sfocia sulle coste del Mare di Barents. Altri su slitte trainate da renne hanno risalito le anse tortuose dei fiumi trasformati in lastre di cristallo. Altri ancora, i poverissimi, i derelitti, sono venuti a piedi, armati di canna e di bisaccia, dalle impervie montagne del Capo Nord aprendosi a forza il varco tra gli arbusti congelati della tundra, come la gente di dio al tempo dei miracoli. Su tutti i pellegrini si stende la notte: questa ininterrotta, spietata notte polare, che solo nell’intervallo di due ora meridiane sembra elevare all’orizzonte una promessa ingannevole e fugacissima. La piccola chiesa di Karasjok, unico tempio cristiano in tutta questa regione, è eretta al centro di un piazzale sopraelevato a cui fanno barriera due rozze cancellate. E’ una costruzione di legno verniciato di bianco, sormontata da un tetto a punta aguzza, da un campanile corto e sottile come l’orecchio di un coniglio. A un richiamo della campana il sagrato si affolla; sta per cominciare la messa. (V. B. Brocchieri)

Tra gli Eschimesi passare il Natale in una capanna di ghiaccio, su un paesaggio di neve, è un’emozione che solo il Polo può donare. Per giunta il 25 dicembre è il punto culminante della notte polare, e le stelle brillano fin quasi a mezzogiorno. Nonostante il freddo e il buio, i cristiani vogliono passare bene le feste. Alcuni giorni prima, si riuniscono a consiglio, caricano le slitte con montagne di roba: pelli, letti, carne gelata di caribù, orso, foca e salmone; gli uomini a piedi, le donne col più piccino le cappuccio dietro il dorso, e gli altri bambini sopra la slitta, e si parte in carovana verso la chiesa. Vi arrivano da lontano, talvolta da trecento chilometri, dopo tre, otto, dieci giorni di corsa sul ghiaccio. Il Natale, insieme alla Pasqua, è forse l’unica solennità in cui si può contare l’entità numerica di un distretto cattolico del nord: trenta slitte con  più di centocinquanta Eschimesi e trecento cani. E poichè è una festa comune, oltre che l’igloo di famiglia, se ne costruisce un altro molto grande dove i pellegrini si raccolgono per passare il tempo in allegria. E’ la migliore occasione per il cantastorie di farsi onore.

Nelle distese bianche della Norvegia, il Natale reca naturalmente la gioia a tutti; ma è nata qui una gentile e specifica tradizione secondo cui devono gioire non soltanto gli uomini, ma anche le bestie. E quindi, già nei giorni della vigilia, i bimbetti norvegesi, imbacuccati nelle pellicce, corrono nei campi coperti di neve e vi spargono a piene mani il grano. Così gli uccelli, almeno a Natale, troveranno di che sfamarsi anche sul bianco e nemico lenzuolo gelido che ricopre per tanto tempo la terra norvegese. Questo atto gentile vuol essere una specie di simbolico atto di gratitudine al bue e all’asino che riscaldarono Gesù.
In Inghilterra le feste natalizie, pur tra freddo, pioggia e bruma, durano più di una settimana ed hanno un carattere del tutto familiare. La sera della vigilia i bambini, con un palo a cui è sovrapposta una lanterna con due corna di bue, girano per le strade nebbiose, e di tratto in tratto gridano: “Buon Natale!”. Le sere del 24 e del 25 dicembre quel grande alveare umano che è Londra assume quasi l’aspetto di una città abbandonata , perchè tutti rimangono in casa, nella dolce intimità familiare.

In Svezia la notte di Natale in ogni casa uno dei figli entra, seguito da quattro bambini vestiti di bianco con fasce rosse attorno alla vita e porta appeso ad un bastone una lanterna di carta come una grande stella. La gioia esplode da tutti i cuori a quella vista e i genitori porgono ai bambini dolci e doni.

In Norvegia, sempre nella notte natalizia, i pastori e i contadini riuniti a frotte, si recano nelle vecchie foreste e abbattuto un albero, gli danno fuoco tra la più grande allegria generale.

Nella vecchia Russia si usava invece innalzare un mucchio di grano sulla tavola con un grande dolce in mezzo. Il padre si sedeva ad un capo della tavola e chiedeva ai figlioli che erano dal lato opposto, se lo vedevano. I figli rispondevano che non lo vedevano. L’ingenua risposta era un segno d’augurio che nell’annata il grano sarebbe cresciuto così alto nei campi, da nascondere una persona.

Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento
Il primo presepe

San Francesco, nel 1223, era tornato da poco dalla Palestina. Qui era riuscito a visitare i luoghi santi grazie a un salvacondotto concessogli miracolosamente dal sultano, ed ancora aveva nel cuore le commoventi visioni di quella terra.

Pensava certamente a Betlemme quando, essendo ormai vicino il Natale, chiamò l’amico Giovanni Vellita e gli disse: “Vorrei celebrare la messa di Natale nel bosco di Greccio, di fronte a una grotta che è sulla collinetta che tu hai donato ai frati. E vorrei che in quella grotta ci fossero una mangiatoia, un bue e un asinello come quando nacque Gesù. Puoi, amico mio, procurarmi tutto questo?”
Giovanni Vellita,  che era un generoso proprietario terriero benefattore dell’Ordine dei Frati Minori fondato da San Francesco, si adoperò per far trovare al santo quanto desiderava.

La notte di Natale, con grande devozione, i contadini, i pastori e gli artigiani del luogo, gente di ogni età e condizione, si avviarono alla grotta in pellegrinaggio. Un sacerdote celebrò la messa di mezzanotte sopra una mangiatoia. San Francesco, non essendo sacerdote ma soltanto diacono, cantò il vangelo della nascita e lo spiegò al popolo, accorso nel bosco con le fiaccole accese. Giovanni Vellita ebbe il premio della sua bontà e tutti quello della loro fede: nella mangiatoia, fra il bue e l’asinello, apparve il Bambin Gesù, luminoso e sorridente.
Questa fu l’origine del presepe: riprodurre la scena della natività, prima con quadri viventi, con sacre rappresentazioni, con personaggi reali, e poi con statuine e plastici.

Presepi artistici
La più antica raffigurazione del presepe di cui si abbia documentazione sicura è quella che si conserva a Roma nella Basilica di Santa Maria Maggiore; si tratta di una grandissima opera d’arte, scolpita verso la fine del 1200 da Arnolfo di Cambio. Fin dal V secolo, però, la basilica possedeva una rozza scultura in legno della natività, e dal VII secolo custodisce quella che, secondo la tradizione, è la culla di Gesù bambino, costruita da san Giuseppe durante la fuga in Egitto per adagiarvi il bimbo, e formata da cinque assicelle di legno scuro.

Per venire alle vere e proprie statuine e alle raffigurazioni del presepe in Europa, ecco alcune notizie delle origini e dei primi secoli di questa arte minore.

Pare sia stata la regina Sancia, moglie di Roberto d’Angiò re francese di Napoli, che fece allestire il primo presepe artistico a statuette. Da allora i presepi napoletani hanno avuto una grande tradizione. Celebre fu quello di S. Domenico Maggiore, nel 1400: le pietre della grotta furono portate da Betlemme fra difficoltà enormi, come è facile immaginare.

Nel 1375 le suore domenicane di Lucca donarono a santa Caterina da Siena che le visitava una statuina di Gesù bambino in stucco dipinto. Queste statuine venivano fatte nei conventi della città. Due secoli dopo suor Costanza Micheli si adoperò per spedire le statuine in tutte le capitali europee, al prezzo di 50 scudi. La Repubblica Lucchese le inviava come omaggio tipico della città agli altri Governi.

Ai primi del 1700 si ha notizia di figurinai (cioè fabbricanti di statuine) lucchesi in Germania. Alla fine del settecento i figurinai, esperti nella lavorazione del gesso, erano organizzati in compagnie sui mercati di Spagna, Francia e Inghilterra.

Diversa la tecnica dei Napoletani, più elaborata ed artistica. A san Giovanni a Carbonara si può ammirare il primo presepe dell’Italia meridionale, in legno intagliato: realizzato nel 1484, segna l’inizio di un modo particolare di realizzare la scena natalizia che si diffuse anch’esso in tutta Europa: profondità di spazio, moltiplicarsi di figure secondarie, e l’adottare lo stile e i costumi del popolo e del luogo in cui l’opera viene realizzata, quasi a dire che il presepe ha un significato eterno e può essere raffigurato in costumi popolari napoletani invece che in quelli storici. Il più bel presepio del mondo di questo tipo si trova nella Reggia di Caserta, nella Sala degli Specchi.

Gli altri popoli adattarono dunque, sull’esempio napoletano, la raffigurazione del presepe all’ambiente e ai costumi nazionali.

In Spagna i presepi artistici del passato ed anche le presenti realizzazioni mostrano, sull’esempio di un celebre modello di Granada, un patio dell’architettura andalusa, con archi moreschi, e persino gon gitani che ballano le tipiche danze iberiche. Inutilmente cerchereste un asinello nella grotta: vi troverete invece accanto al bue la mula, il paziente animale cui il popolo spagnolo tanto ha dovuto sui campi e per i sentieri, per secoli.

In Olanda i personaggi trovano collocazione non in una grotta, ma in una graziosa casetta (è noto l’amore che gli Olandesi hanno per la casa!) e, sullo sfondo, un mulino a vento. Non pastori, ma mugnai infarinati e contadini, pescatori, marinai.

I Finlandesi, e specialmente i Lapponi e altri popoli nordici, costruiscono il presepe in un igloo o in una capanna lappone, con pastori di renne e non di pecore, e cacciatori in abiti di pelliccia e di lane multicolore. Risulta evidente così si comporta come se la natività fosse avvenuta sul suo territorio.

In Inghilterra il presepe non era molto conosciuto; i cattolici sono solo una piccola percentuale della popolazione, e l’usanza prevalente era quella dell’albero. Oggi l’uso del presepe si diffonde ovunque, anche presso gli Anglicani, ed è diventata una tradizione dei grandi magazzini che allestiscono una vetrina apposta.

I materiali usati sono i più rari: legno o maiolica nelle opere di maggior impegno, legno nel Tirolo, gesso dalla Lucchesia in tutta Europa, argilla per terrecotte a Roma( famosissimi i figurinai romani!), in Umbria e nelle Marche (celebri i figurinai di Ascoli), di cartapesta con teste di creta (a Napoli), di corallo, rame dorato, cera, avorio, madreperla, alabastro, sughero, conchiglie marine, tela incollata in Sicilia e Sardegna, tanto per restare in Italia.

In Provenza c’è un fiorente artigianato di statuine (“santos”) in argilla, o anche ceramica. Vengono esposte e vendute in una fiera annuale nella principale via di Marsiglia.

Presepi viventi
Da quel primo di Greccio, molti altri presepi viventi sono derivati. In Inghilterra, a Leeds, per tutte le sere del periodo natalizio un corteo sfila per le vie della città: c’è la sacra famiglia, ci sono i re magi e i pastori; il gruppo si ferma sempre sulla scala del Municipio, dove viene accolto a turno dalla popolazione e dai rappresentanti di varie organizzazioni che cantano melodie natalizie.

In Francia, nella Provenza, la messa di mezzanotte è l’occasione per una sorta di sacra rappresentazione detta del “Pastrage”. Dietro l’altare, una voce che rappresenta un angelo annuncia la natività; allora entra in chiesa, al suono di pifferi e tamburi, un corteo di pastori e pastorelle nei costumi della regione; li segue un carretto trainato da un montone ben infiocchettato, che trasporta un belante agnellino. Il pastore più anziano prende l’agnello e lo offre inginocchiato al bambino Gesù.

In Svizzera, a Rappenswill (Cantone di San Gallo), il presepe vivente inizia con un solenne e pittoresco corteo che si dirige verso la piazza principale, gremita di folla. Lo precedono bambini e bambine vestiti di tuniche bianche fluttuanti, seguono i personaggi della sacra famiglia, poi i re magi e i  pastori con le loro greggi.

L’albero di Natale
Accanto all’italianissima tradizione del presepe, si è diffusa sempre più anche da noi la consuetudine dell’albero di Natale. Come è nata questa tradizione?
Molti sono propensi a credere che l’albero di Natale sia un residuo del culto pagano adottato dai cristiani e da essi rivolto alla propria fede.

I Romani usavano portare in giro, durante i Saturnali, un giovane abete quale segno della fine dell’inverno e dell’avvento della primavera, e migliaia di alberi sempreverdi in tutta la città erano adornati con lumi e festoni colorati, per indicare il fervore della vita che caratterizza l’inizio della primavera.
Questa pratica fu estesa alla Germania e ad altri Paesi dell’Europa centrale, quando i Romani occuparono questi luoghi verso il 15 aC.

Un tardo mito germanico narra di San Vilfredo, come di colui che per primo vide nell’albero di Natale un simbolo della nascita di Gesù. Il santo aveva tagliato una grossa quercia, che era stata oggetto di venerazione da parte dei Druidi; appena la quercia fu abbattuta, si scatenò un furioso temporale che distrusse completamente l’albero, mentre un giovane abete che stava lì vicino rimase intatto. San Vilfredo ne trasse argomento per una predica, nella quale chiamò l’abete albero della pace, poichè dal suo legno si fanno le abitazioni degli uomini, e emblema della vita infinita perchè le sue foglie sono sempre verdi, e terminò con l’esortazione di chiamare l’abete anche albero del bambin Gesù.

La Germania è il Paese che più entra nella storia dell’albero di Natale. Leggiamo che Martin Lutero fu tanto impressionato,  una sera di Natale, dal miracolo del cielo trapunto di stelle, che preparò per i suoi figli un albero illuminato da candele, quasi a rappresentare con esso  il cielo stellato, da dove scendeva Gesù. Più tardi l’albero di Natale fece la sua comparsa in Inghilterra.
Nel 1840 la regina Vittoria collocò un albero di Natale tra i suoi ornamenti natalizi, e sembra che questo fatto abbia dato il segnale dell’adozione generale dell’usanza.
In alcuni Paesi il significato religioso dell’albero è così sentito che non è permesso appendere ai suoi rami altro che candele e ornamenti, mentre i doni vengono collocati davanti o intorno alla pianta. Che l’albero di Natale sia o non sia un residuo del culto pagano, è certo che esso è diventato col cristianesimo un emblema della natività e un elemento essenziale di tutte le feste che riguardano l’infanzia.

Il primo Babbo Natale
Babbo Natale, personaggio di fiaba che si inserisce nella realtà della tradizione natalizia dei nostri giorni, è una figura molto cara all’infanzia. Il buon vecchio incappucciato, con la lunga barba bianca, il rosso vestito, il bastone in mano e la gerla in spalla, è il mago benefico che tuttora si può incontrare anche nel frastuono delle affollate vie cittadine, animate per la ricorrenza natalizia.

Eppure questo personaggio un po’ burlesco e di fiaba ha la sua vera storia che risale, nientemeno, a San Nicola di Bari, vescovo di Mira (Venezia), santo dei giovani, dei bambini, degli studenti e che quasi tutti i paesi del mondo elessero a loro patrono, tanto la fama del santo era diffusa.

Il santo fu infatti assunto a patrono dei giuristi, avvocati e studenti in Francia; dei mercanti in Germania; dei marinai in Grecia; dei viaggiatori e dei bambini in Belgio; dei bottegai in Inghilterra; degli scolari in Olanda.
Ovunque egli fu sempre raffigurato con la mitria in testa, il rosso pallio sulle spalle, il pastorale in mano e la lunga barba bianca.

Narra la storia che a Parigi, verso la fine del XII secolo, era invalsa l’usanza presso un collegio di quella città, che nella ricorrenza della festa del santo, il 6 dicembre, uno studente travestito da San Nicola distribuisse doni ai bimbi bisognosi.

Questa simpatica usanza si diffuse presto anche in Germania ed in Olanda, paesi prevalentemente protestanti, e qui il San Nicola perse i caratteri sacerdotali e divenne il buon vecchio che porta i doni ai bambini; il pastorale fu sostituito da un comune bastone, la mitria vescovile da un rosso cappuccio orlato di bianca pelliccia, ed il pallio da una tunica, pure rossa.

Ecco come nacque il personaggio del Babbo Natale che, qualche secolo più tardi, attraversò anche l’oceano ad opera degli emigranti olandesi; così il Sint Klaes olandese si tramutò nel Santa Claus degli americani, che è poi ritornato a noi come Babbo Natale, ma in definitiva altri non è se non il San Nicola laicizzato.

Natale si avvicina. La nebbia sale dalla valle e si confonde col fumo lento delle case. E’ una lentezza pacata che si distende sulle fatiche ultimate degli uomini; è una carezza, un premio. Cominciano le veglie nelle case, che sono tutte una lunga veglia di Natale. La natura è spenta e la terra svapora. I suoni sono spogliati e si perdono in un’aria vuota, dove sembrano morire. S’odono voci di bimbi, versi di tacchini, campane che si sciolgono l’una dietro l’altra, come lo snodarsi di una catena sonora. (B. Sanminiatelli)

Presto sarà Natale: la più dolce, la più attesa festa dell’anno. Si comincia ad attenderla sin dal primo venire del freddo, sin dal primo giorno di cielo buio. E i giorni passano. Le ultime foglie secche fuggono crepitando davanti al vento gonfio di neve. Il sole e l’azzurro non sono più che un lontano ricordo. Sembra che la primavera non debba venire più, che gli alberi non avranno più fiori, che il cielo non avrà più luce. Allora tutte le speranze si rifugiano nel Natale, questo giorno tiepido e risplendente, questo spuntar miracoloso di frutti d’oro e d’argento e di candeline accese sui rami degli alberi, questo palpitante accendersi di stelle, nel purissimo azzurro del cielo del presepe. Ai primi di dicembre il Natale si annuncia con la vista e l’odore dei mandarini, quei mandarini ravvolti nella carta velina colorata che, a bruciarla, vola sin quasi al soffitto e, se giunge a toccarlo, è di buonissimo augurio. Poi i dolci nelle vetrine, le botteghe adorne di foglie di alloro, di stagnola, di striscioline di carta, le mostre di giocattoli in tutte le strade; ed ogni giorno che passa è un passo in più verso la sempre più grande, sempre più risplendente luce del Natale. (G. Mosca)

Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento

Il Natale arriva ogni anno, eppure ogni volta ci sembra un Natale nuovo e la festa ci riempie il cuore di rinnovata dolcezza. Possiamo dire veramente che il Natale è la festa di un bambino e di tutti i bambini, che più degli adulti sentono la gioia della nascita di un bambino simile a loro.

Fuori fa freddo. Le cose posano tacite, immobili, nella notte invernale. Lenta ed uguale cade la neve. Dan! Dan! Dan! All’improvviso il suono largo e festoso della campane rompe il grande silenzio della notte tranquilla. Questa è la notte santa. Din, don, dan! Venite. E’ nato. (A. Colombo)

Fra nebbie grigie e candori di neve, trascorrono i giorni più brevi dell’anno. E’ tornato dicembre a portarci le feste serene, a ricondurre a casa coloro che erano lontani, a riunire le famiglie attorno al presepe. Grande o piccino, ogni casa conosce la gioia del presepe, preparato nei giorni dell’attesa. A poco a poco s’innalzano e si allungano sullo sfondo verdi colline incoronate di palmeti e di castelli. Ruscelli d’argento scendono giù, dai brevi pendii, ad abbeverare i bianchi greggi in cammino verso la capanna. I pastori riposano all’ombra delle palme: seduti, sdraiati, alcuni davanti al fuoco acceso. Bianche stradine di ghiaia conducono donne e uomini, bimbi e piccoli branchi di animali domestici ad incontrare Gesù. Lento e silenzioso è il loro andare. Non c’è fretta: non è ancora il giorno della vigilia! Ma la mangiatoia della capanna è già colma di bionda paglia. L’asino e il bue aspettano pazienti. Maria e Giuseppe stanno per giungere. Quando suoneranno le campane di mezzanotte, il bimbo più piccolo di casa poserà il piccolo Gesù nella fredda stalla, e al chiarore delle candeline, la cometa brillerà di grande splendore. (R. Lageder)

La notte era senza luna, ma tutta la campagna risplendeva di una luce bianca ed uguale come nel plenilunio, poichè il bambino era nato: dalla capanna lontana i raggi si diffondevano nella solitudine. Il bambino Gesù rideva teneramente, tendendo le braccia aperte verso l’alto; e l’asino e il bue lo riscaldavano col loro fiato, che fumava nell’aria gelida come un aroma sulla fiamma. Maria e Giuseppe di tratto in tratto di scuotevano dalla contemplazione estatica e si chinavano per baciare il figliolo. Vennero i pastori, dal piano e dal monte, portando i doni, e vennero anche i re magi. Erano tre. (G. D’Annunzio)

Il Natale si celebra il 25 dicembre in tutto il mondo, ma specialmente nei paesi cattolici questa è una festa della massima importanza. In questo giorno le famiglie si riuniscono, e anche chi si è dovuto allontanare da casa per ragioni di lavoro, fa tutto il possibile per tornare a trascorrere la festa natalizia con la propria famiglia. (F. Monelli)

Nel presepe dalle valli sbucano fiumi; le montagne sono ripide e selvagge. Sembra un paese vero. C’è quello che porta la ricottina. C’è il cacciatore col fucile, c’è quello che porta l’agnello e fuma una lunga pipa; c’è il mendicante. C’è la gente che balla fra il tamburino, il piffero e la zampogna davanti al presepe. C’è l’osteria dove si mangia il maiale e la gente beve, accanto alla fontana dove la donnina lava i panni. I re magi spuntano dall’alto della montagna con i servitori che guidano i cammelli. La stella splende sulla grotta e gli angeli vi danzano sopra leggeri e celesti come i pensieri dei bambini e degli uomini, in questi giorni. (C. Alvaro)

S’avvicina il momento della nascita di Gesù bambino. La notte è tranquilla. La luna è nascosta. All’improvviso le campane si svegliano e, da collina a collina, si rispondono in mezzo alla nebbia. Da vicino e da lontano, su prati e su boscaglie, si innalzano e si abbassano e sembrano ripetere sonore e chiare: “Pace”.

San Francesco d’Assisi trovandosi, nella notte di Natale, in un paesello di montagna, si recò in una grotta e, per raffigurarsi meglio la scena della natività, vi depose una mangiatoia e, ai lati di questa, mise un asino e un bue. Mentre era immerso in profondi pensieri, vide apparire sulla paglia Gesù bambino che lo benediceva sorridendo. Questo fu il primo presepe.

A Natale, la tavola è imbandita festosamente e sopra vi compaiono saporite pietanze e dolci squisiti. Ma il pranzo più prelibato è quello che si celebra in pace e allegria e soprattutto quello che lascia il posto agli ospiti che possono bussare alla porta.

Natale è la festa più bella di tutte, perchè con la nascita di Gesù, l’innocenza tornò nel mondo. Da allora, questa è la festa della speranza e della pace. Tutto sembra fatto per la gioia dei ragazzi che sono la speranza del mondo. Nei paesi s’è lavorato tutta la settimana per fare il presepe. Nel fondo si tendono rami di aranci carichi di frutta. Si lanciano ponti coperti di muschio da un punto all’altro, si costruiscono montagne ripide e selvagge, steccati per le mandrie, e laghetti. (C. Alvaro)

Che cosa c’è, nell’anno, di più soave, bello, gioioso? Nel Natale è la festa luminosa della natura, della vita, dell’incanto e della grazia. Il Natale è la gioia delle nostre case, anche dove esistono preoccupazioni e tristezze. (Breviario di Papa Giovanni)

I pastori vegliavano nella notte quando furono sorpresi dalla luce e dalle parole di un angelo. E appena videro, nella poca luce della stalla, una donna giovane e bella, che contemplava in silenzio il figliolo, e videro il bambino con gli occhi aperti allora, quel corpicino roseo e delicato, quella bocca che non aveva ancor mangiato, il loro cuore s’intenerì. Offrirono quel poco che avevano, quel poco che è tanto se è dato con amore: il latte, il formaggio, la lana, l’agnello. (G. Papini)

Una felice tradizione racconta che San Francesco d’Assisi, tre anni prima di morire, fece apparecchiare il primo presepe a Greccio, nella selva, fra la mangiatoia e il fieno, con l’asinello e il bue. Era limpidissima la notte di Natale: la selva splendeva di lumi e risonava di canti. Da ogni parte il santo aveva chiamato i suo i fratelli e la gente devota. Fu celebrata anche la messa, e san Francesco, come inebriato di allegria, cantò il Vangelo. (F. Flora)

Il presepe sorge di sughero e di muschio a creare una regione di piccole valli, ove qua l’argento crea un fiumicello e là uno specchio, cinto di terra, forma il lago, e variamente le casette e i pastori e gli animali formano gruppo, e una fontana con un piccolo vero zampillo fluisce: e nella grotta Maria e Giuseppe, l’asino e il bue, aspettano Gesù bambino. All’ora della nascita, tra i lumi delle candele, spente le altre luci in ogni stanza, lo porta nella bambagia il più piccolo della casa. Ed è la festa più cara, dove gli adulti e i vecchi ritrovano per poco l’infanzia e odono il canto degli angeli che dice gloria e pace sulla terra agli uomini di buona volontà. (F. Flora)

E il gallo cantò: “Cuccurucù, è nato Gesù!”. “Do?”, chiedevano i buoi dalle stalle. “Betlem, betlem!” belavano le pecore. Passava il vento: “Ave, ave, ave!”. Come fuori al transitar della notte, la luce si faceva strada da oriente, si profilava l’oro dell’aurora in cammino. I pastori, trasognati, si levarono abbagliati dalla gran luce. E il cielo era pieno di incanti. “Che c’è, che c’è, che c’è?”, diceva una cincia. “Dio, dio, dio!” garrivano tutti gli uccelli. E l’intero firmamento di astri cedeva il posto a uno solo. (F. Tombari)

Anticamente con la parola “avvento” si indicava soltanto il giorno della nascita di Gesù. Ora invece si intende indicare anche un periodo precedente il Natale e che esattamente comprende le quattro domeniche prima della festa. In principio, durante l’avvento, si osservava il digiuno, ma col tempo questa regola severa fu abbandonata ed attualmente viene rispettata solo dagli ordini religiosi. L’avvento è un periodo di meditazione e di attesa. Il ciclo dell’anno liturgico inizia proprio con l’avvento.

Il Natale si celebra in tutto il mondo cattolico il 25 dicembre e ricorda la nascita di Gesù a Betlemme. Questo avvenimento segna una data fondamentale anche nella Storia che, da questo momento, si divide in due grandi periodi: quello che comprende gli anni prima della nascita di Cristo, e quello degli anni trascorsi dopo. Tutti gli avvenimenti della Storia perciò vengono considerati come avvenuti “avanti Cristo” e “dopo Cristo”.

Nell’aria di Natale si entrava decisamente solo con l’arrivo degli zampognari. Giungevano all’improvviso, si fermavano alle porte del paese, e cominciavano subito a suonare. Erano di solito due. Non guardavano in faccia nessuno mentre suonavano, i loro occhi pareva non vedessero, come quelli delle statue. E il loro viso era immobile, fisso, non diceva nulla. Il più giovane, finita la suonata, faceva il giro della cerca, ignorando il folto cerchio dei ragazzi. Raccolto qualche soldo, la zampogna ripigliava come prima. Gli zampognari entravano anche nelle case dove c’era il presepe, e in quelle suonavano anche la “pastorella” come si sarebbe cantata in chiesa la notte di Natale. Poi ripartivano, nevicasse o piovesse. Passati gli zampognari, il Natale pareva più vicino. L’aria della festa restava nel paese come un’attesa fiduciosa, una buona notizia, un’allegria comune. (G. Titta Rosa)

Ad un tratto cominciai a udire un suono di campane, lontano, lontano, d’una dolcezza infinita. Erano cinque campane che sonavano a concerto: prima la più piccina, poi la grandicella, poi ancora la piccina, e così via: la mezzana, la grande… intrecciandosi strettamente via via, fino alla maggiore che chiudeva la cantata con il suo vocione, e dicevano: – Sai bene, sai bene che domani è Natale.- (F. Chiesa)

E’ festa grande il giorno di Natale! Ogni bambino nel lettino sogna una cesta di dolci e di balocchi, e appena sveglio, con i piedi scalzi, corre a guardare l’albero, felice.

L’albero è pieno di luci e di fuochi che fan sembrare d’oro e di cristallo ogni ninnolo appeso. Ed anche l’albero, anche l’abete è felice. Egli pensa: “Quand’ero nel bosco, sognavo d’avere la vela un giorno, e condurre col vento una nave lontana! E tutto allora io mi beavo di questo mio sogno e ne fremevo impaziente d’attesa.

Ora che più non odo l’usignolo, che nel mio verde teneva dimora, pur sono felice perchè qui ricolmo di luci e di doni, mi beo delle voci di tanti bimbi, che sì, non conosco, ma sono buoni, e trillano sereni come i miei passerotti. Questa casa se non è quieta come il verde bosco dove sono nato, tuttavia rispetta il giorno santo che Gesù nasceva. E qui mi sento come in Paradiso.” (G. Serafini)

A mezzanotte, ben coperti, chiudevano la porta e s’avventuravano nell’ombra, sulla strada piena di neve, per recarsi alla messa di Natale. Ai rintocchi della campana, la montagna si popolava di lumi, di fiaccole. Quando i rintocchi tacevano, si distingueva lontano la nenia di una zampogna, rispondeva più vicino il gaio ritornello di uno zufolo, che si intrecciava a una sinfonia di pifferi e di viole: erano i pastori che lasciavano nell’ovile le pecore e scendevano a messa. E lungo la via si affratellavano coi contadini che portavano manciate di grano da far benedire, con i montanari dalle grosse scarpe ferrate e dai cappelli ornati di vischio. (O. Visentini)

Felice giorno di Natale, quando i piccoli con le gambine si agitano per l’impazienza, e gli occhi accesi, spiano davanti alle porte chiuse, dietro alle quali di preparano luminose e fragranti meraviglie, e stanno a guardare con visi intenti la mamma che cuoce il pesce per la cena! Con vecchie canzoni sulle fresche labbra, trotterellano verso la nonna, che sogna nell’alta poltrona davanti al fuoco, per baciarle le mani piene di rughe. Poi arriva anche il babbo. Racconta di Gesù bambino: che gli è venuto incontro coi i capelli che sembravano d’oro e le mani piene di meravigliose cose variopinte. Fuori urla la bufera, una slitta si ode tintinnare lontano e tutto ciò è così pieno di mistero e così grande e così gioioso che non lo si può mai dimenticare. (M. R. Rilke)

La sera della vigilia di Natale la luce dei negozi pioveva sulle merci esposte fuori, e i riflessi si stendevano sul selciato appiccicaticcio della via. Il cielo era nascosto da una nebbiolina che tremava intorno agli aloni dei fanali. Per le vie strette e irregolari non passavano nè automobili, nè tram. Ceste colme di arance fra le arance di carta velina. Mele rosse e lucenti.

A passarci accanto scorgevo l’interno illuminato di una bottega. Continuando la via, mi restava negli occhi l’immagine di quell’interno: lo splendore della lampada sospesa nel mezzo sotto il piattello bianco, la luce che pioveva in basso, dolce, sulle persone che parlavano, sul cranio lucido del bottegaio e sui suoi gesti silenziosi. Seguitavo a camminare. Senza scosse passavo sul selciato umido e sconnesso, sui ricami di fanghiglia iridati dai riflessi incerti delle luci, sui rifiuti, sui detriti, sull’umidore in ombra.

L’indomani era festa! Un sorriso mi saliva dall’anima agli occhi e alle labbra. Camminavo nella città, fra la gente, i passi suonavano quieti sul selciato. Accanto, altri rumori di passi. L’attesa colava nella via come un liquido impalpabile. Tutti si muovevano come me, attenti a evitare ogni stridore che rompesse l’incanto. (M. Cancogni)

Erano venuti per fare raccolta di muschio e di fronde verdi, essendo l’antivigilia di Natale, vale a dire il momento di costruire in una delle cappelle della chiesa il presepe. Chi portava un sacco, chi un cesto, chi un falcetto, chi semplicemente le proprie mani, le quali pure bastavano a strappar via dai tronchi lunghi strascichi di edera ed a svellere alla terra e ai ceppi quelle belle zolle pelose, d’un verde forte e dorato, morbide e pulite, che anche gli angeli potevano essere contenti di farvi due passi sopra. Il maestro sceglieva qua e là nel bosco i più bei rami d’agrifoglio, di tasso e di pino silvestre. (F. Chiesa)

 Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento
L’attesa

Presto sarà Natale: la più dolce, la più attesa festa dell’anno. Si comincia ad attenderla sin dal primo venire del freddo, sin dal primo giorno di cielo buio. E i giorni passano. Le ultime foglie secche fuggono crepitando dinanzi al vento gonfio di neve. Il sole e l’azzurro non sono più che un lontano ricordo.
Sembra che la primavera non debba venire più, che gli alberi non avranno più fiori, che il cielo non avrà più luce. Allora tutte le speranze si rifugiano nel Natale, questo giorno tiepido e risplendente, questo spuntare miracoloso di frutti d’oro e d’argento e di candeline accese sui rami degli alberi, questo palpitante accendersi di stelle, nel purissimo azzurro del cielo del presepe.
Ai primi di dicembre il Natale si annuncia con la vista e l’odore dei mandarini, quei mandarini avvolti nella carta velina colorata che, a bruciarla, vola sin quasi al soffitto, e se giunge a toccarlo è di buonissimo augurio.
Poi i dolci nelle vetrine, le botteghe adorne di foglie di alloro, di stagnola, di striscioline di carta, le mostre di giocattoli in tutte le strade; ed ogni giorno che passa è un passo di più verso la sempre più grande, sempre più risplendente luce del Natale. (G. Mosca)

 

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