FENOMENI METEOROLOGICI materiale didattico

FENOMENI METEOROLOGICI materiale didattico di autori vari, per bambini della scuola primaria.

L’aria

L’aria è un miscuglio di gas costituenti l’atmosfera e in cui vivono, nella parte inferiore, gli animali e le piante. I gas si presetnano più rarefatti e mutano di proporzione man mano che si sale in altezza.
L’aria è trasparente, inodore e incolore se in masse limitate; azzurra se in grandi masse. I suoi costituenti principali sono l’azoto e l’ossigeno. Contenuti in piccole quantità, l’argo, l’elio, il cripto, lo xeno, l’idrogeno, con quantità variabili di vapore acqueo, anidride carbonica, ammoniaca, ozono, ecc… Particelle solide, spore, microorganismi formano il pulviscolo atmosferico.
A causa della funzione clorofilliana per cui le piante, di giorno, assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno, l’aria dei boschi è più salubre.
La troposfera è lo strato più basso dell’atmosfera la quale raggiunge l’altezza di circa 1000 chilometri e circonda il nostro globo seguendolo nei  suoi movimenti.

La pressione atmosferica

L’atmosfera preme enormemente sulla superficie del globo e noi non ne rimaniamo miseramente schiacciati soltanto perchè la pressione si esercita sul nostro corpo non solo esternamente da tutte le parti, ma anche internamente, ciò che produce equilibrio. Quando questo equilibrio dovesse mancare, si avrebbero gravi disturbi e la morte.
Possiamo considerare che noi portiamo sulle nostre spalle il peso di tre elefanti ci circa cinque tonnellate ciascuno e ciò senza sentire il minimo inconveniente.
Un litro d’aria pesa poco più di un grammo, ma se si pensa all’enorme spessore dell’atmosfera, il paragone degli elefanti non può sorprendere.
La pressione non è uguale dappertutto. Sulle montagne, per esempio, è molto minore che al livello del mare. Inoltre dato che l’aria fredda è più pesante di quella calda, nello stesso luogo la pressione sarà anche in base alla temperatura.
Lo strumento per misurare la pressione atmosferica è il barometro che fu inventato da Evangelista Torricelli. Questi riempì di mercurio un tubo di vetro e ne immerse l’estremità aperta in una vaschetta, anch’essa piena di mercurio. Poté constatare che la colonnina di mercurio non andava al disotto dei 76 centimetri. Era chiaro, quindi, che la pressione di una colonna di mercurio alta 76 cm e dalla sezione di un centimetro quadrato veniva equilibrata da una pressione analoga che non poteva essere che quella dell’atmosfera.
Vi sono anche altri piccoli esperimenti che  possiamo fare per constatare l’esistenza della pressione atmosferica. Eccone di seguito alcuni.

Succhiamo una bibita con una cannuccia, poi quando il liquido è giunto alla nostra bocca, appoggiamo rapidamente un dito all’estremità superiore della cannuccia e teniamolo fermo. Il liquido non uscirà, e ciò perchè il suo peso esercita una pressione minore di quella atmosferica. Non appena si toglierà il dito, il liquido uscirà dalla cannuccia.

Prendiamo un comune bicchiere e riempiamolo d’acqua fino all’orlo. Poi appoggiamo sul bicchiere un pezzo di cartone o di carta, in modo che ricopra completamente l’orlo. Capovolgiamo rapidamente il bicchiere e togliamo la mano dal cartone. Questo non cadrà e l’acqua rimarrà nel bicchiere. Perchè? Perchè nel bicchiere non c’è aria, ma soltanto acqua, e questa ha un peso inferiore a quello esercitato dalla pressione dell’aria che spinge dal basso il cartone.

Il vento

L’aria è sempre in movimento. Lo si può constatare considerandone gli effetti. Osserviamo le foglie muoversi nella brezza, il bucato sventolare,  le nuvole correre nel cielo. Questo movimento si chiama vento.
Da che cosa dipende il vento? Per poter spiegare questo fenomeno bisogna dire qualcosa sulla temperatura dell’aria. L’aria ha una sua temperatura, più calda o più fredda, secondo la stagione, l’altitudine, l’azione del sole, ecc… Ebbene: l’aria calda è più leggera dell’aria fredda e tende a salire. L’aria fredda è più pesante e tende a discendere e ad occupare quindi il posto dell’aria calda.
Possiamo procedere ad alcuni piccoli esperimenti.

Proviamo a fare sul termosifone qualche bolla di sapone. Queste saliranno verso l’alto, ciò non accadrà o accadrà con minor effetto, per le bolle di sapone che faremo in un punto lontano dalla sorgente di calore.

Se potessimo misurare, a vari livelli, la temperatura di una stanza riscaldata, potremmo constatare che, verso il soffitto, l’aria è molto più calda che nei pressi del pavimento. Ebbene, è questa differenza di temperatura che produce il vento. Quando, fuori, l’aria calda sale, l’aria fredda si precipita ad occuparne il posto e forma, così, una corrente – vento che poi noi chiamiamo con diversi nomi a seconda del punto cardinale da cui proviene.
Pensiamo adesso a tutta l’aria che avvolge il nostro globo. Sappiamo che essa è freddissima nelle regioni nordiche e caldissima nelle regioni equatoriali. Ecco perchè l’atmosfera è sempre in movimento: l’aria fredda tende ad occupare il posto di quella calda che sale e quindi si formano venti che possono essere deboli, oppure violenti e disastrosi. Abbiamo detto che essi prendono il nome del punto cardinale da cui provengono. Abbiamo così Ponente, Levante, Ostro, Tramontana, rispettivametne provenienti da ovest, est, sud e nord. E poi venti intermedi: sud-ovest Garbino o Libeccio; sud-est Scirocco; nord-est Greco; nord-ovest Maestrale. Per stabilire la direzione del vento,  si usa la rosa dei venti.

Le nuvole

Nell’atmosfera ci sono le nuvole. Ci sarà facile invitare i bambini ad osservare il cielo e quindi le nuvole. Come sono le nuvole che si presume portino la pioggia? Quali nuvole si vedono nel cielo di primavera? In quello dell’estate? Nuvole grigie, pesanti, oscure; nuvole leggere e delicate; nuvoloni bianchi e bambagiosi. Se uno di noi capitasse in una nuvola si troverebbe in breve bagnato. Infatti tutte le nuvole sono formate da vapor acqueo parzialmente condensato in minutissime gocce e, negli strati superiori dell’atmosfera, in cristallini di ghiaccio.
Ma da dove provengono queste goccioline e questi cristallini di ghiaccio? Ammassi di vapore acqueo si elevano nell’atmosfera., resi leggeri dal calore del sole. Quando il vapore acqueo si condensa diviene visibile ai nostri occhi appunto sotto forma di nubi.

Esperimento scientifico per creare nuvole in vaso qui: 

Osservazione e classificazione delle nuvole qui: 

Il ciclo dell’acqua, dettati e letture, qui: 

La pioggia

Vediamo come accade il fenomeno per cui l’acqua cade sulla superficie terrestre. Le nuvole sono sospese in una massa d’aria, che, essendosi riscaldata, sta innalzandosi. Le gocce di cui le nuvole sono formate, divenute più pesanti per la ulteriore condensazione dovuta al contatto con strati di aria fredda cominciano effettivamente a cadere, ma l’aria calda che tende ancora a salire, le risospinge verso l’alto. Facciamo l’esempio di una pallina da ping pong che venga sollevata al disopra di un ventilatore. La pallina resterà sollevata in aria, sospinta dall’aria che sale dall’apparecchio. Lo stesso avviene per le goccioline d’acqua che formano le nuvole. Ma ecco che esse ingrossano anche perchè urtandosi, si fondono tra loro e diventano quindi più pesanti. E così le gocce cominciano a cadere sulla terra. E’ la pioggia.

Esperimento scientifico per creare la pioggia in un vaso qui: 

La nebbia

L’aria è piena di vapore acqueo che proviene dalla superficie del mare o dei laghi o del suolo, potendo con sè un po’ del calore degli oggetti che ha abbandonato. Per constatare questo fenomeno basta bagnare un dito con l’alcool ed esporlo all’aria. Si avvertirà subito una sensazione di freddo e ciò perchè l’alcool, evaporando, porta con sè un po’ del calore del dito. Se il vapore acqueo che si trova nell’aria è abbondante, si dice che l’aria è umida. Quando l’aria è molto umida, l’evaporazione diminuisce ed è allora che, nelle giornate estive molto umide e afose, il sudore ci si appiccica addosso.
Abbiamo avuto occasione di vedere, specie in un raggio di sole, il pulviscolo atmosferico, cioè minutissime particelle che danzano nell’aria. Questo pulviscolo è formato dalla polvere che si leva dal suolo, da piccolissime spore, da impurità di ogni genere. Quando il vapore acqueo che proviene dal suolo ancora caldo si raffredda a contatto dell’aria fresca notturna, esso si condensa attorno ad un minuscolo granello di polvere. Queste goccioline formano una specie di nuvola bassa sul suolo, che si chiama nebbia.
Quindi, la nebbia è una specie di nuvola bassa sulla terra, formata da vapore acqueo condensato e pulviscolo atmosferico. Essa si forma anche sul mare e sui laghi e non appena il sole la riscalda a sufficienza, sparisce perchè le goccioline d’acqua evaporano e salgono nell’aria.

Esperimento scientifico per creare la nebbia in vaso qui: 

La neve

Quando l’aria è molto fredda, il vapore si condensa in tanti piccoli cristalli di ghiaccio che riunendosi formano quelli che chiamiamo i fiocchi di neve. Questi sono leggeri e morbidi perchè inglobano grandi quantità di aria. Se si osservano con una forte lente di ingrandimento, si potrà vedere che sono di  forma diversa, ma tutti fatti a stellina con sei punte.

Qui un tutorial per realizzare bellissimi fiocchi di neve di carta: 

La grandine

Il fenomeno della grandine avviene prevalentemente in estate e c’è la sua ragione. In questa stagione, l’aria è talvolta molto calda e, come abbiamo visto, tende a salire. Nelle altissime regioni atmosferiche, l’aria calda incontra generalmente  correnti assai fredde, anzi, gelate. Allora, le goccioline d’acqua che l’aria contiene, cominciano a turbinare non solo, ma gelano e si trasformano in cristalli di ghiaccio. Anche qui avviene lo stesso fenomeno della pioggia; cioè i cristalli di ghiaccio cadono e incontrano,  nella loro caduta, altre gocce d’acqua a cui si uniscono. Le correnti d’aria calda li sospingono incessantemente verso l’alto finchè i ghiaccioli, divenuti ormai grossi e pesanti, precipitano sulla terra con gli effetti disastrosi che tutti conosciamo. Nel fiocco di neve è contenuta molta aria, nel chicco di grandine no. Ecco perchè questo è più pesante e compatto.

La rugiada

Abbiamo occasione di vedere la rugiada sulle piante e sulla terra, di mattina presto, quando il calore del sole non l’ha ancora fatta evaporare.
Come si è formata? La spiegazione è semplice. Durante la giornata, i caldi raggi del sole hanno riscaldato la terra, le erbe, i fiori. Durante la notte, invece, questi si raffreddano e il vapore acqueo vi si condensa in brillanti goccioline. In autunno o in inverno, quando le notti sono molto fredde, si forma invece la brina. Mentre la rugiada è benefica, la brina, come è noto, danneggia le piante e talvolta quella che si chiama una brinata o una gelata può distruggere un intero raccolto.

Lampi e fulmini

E’ facile, durante un temporale scorgere nel cielo i lampi e vedere cadere un fulmine. La spiegazione di questo fenomeno risale a quanto abbiamo detto a proposito della pioggia. Le goccioline di acqua che, sospinte dalle correnti calde si aggirano vorticosamente nell’aria, si caricano ad opera di questo movimento di elettricità. Questa elettricità si manifesta, appunto, nel lampo che è un’enorme scintilla elettrica che scocca fra due nubi cariche di elettricità (positiva e negativa).
Se la scarica colpisce il suolo, abbiamo il fulmine di cui conosciamo gli effetti talvolta drammatici.
Il tuono è il rimbombo dell’aria quando viene squarciata dal lampo e dal fulmine, ma non deve incutere paura perchè, quando il tuono si sente, il pericolo è già passato.

L’arcobaleno

Portiamo a scuola un prisma e con esso facciamo osservare ai bambini che un raggio di sole, apparentemente fatto di luce bianca, passando attraverso il prisma si scompone di sette bellissimi colori. Ciò avviene perchè i diversi colori di cui è composta la luce bianca sono dal prisma deviati in modo diverso. La stessa cosa avviene con l’arcobaleno. Le gocce di pioggia ancora sospese nell’aria vengono attraversate dalla luce del sole i cui raggi si piegano come nel prisma di cristallo. I colori dell’arcobaleno sono sette: rosso, giallo, celeste, verde, arancione, indaco e violetto.

Un arcobaleno nella noce qui: 

L’arcobaleno nella leggenda del Lago di Carezza qui: 

Girandole e trottole per studiare lo spettro luminoso qui 

Dettati ortografici

L’aria atmosferica
La parte inferiore dell’atmosfera è costituita dallo strato gassoso che circonda il nostro globo e che lo segue nel suo movimento di rotazione. L’atmosfera è una massa gassosa alta mille chilometri.

La pressione atmosferica
L’atmosfera preme enormemente sulla superficie del nostro globo e noi non ne rimaniamo schiacciati perchè la pressione si esercita sul nostro corpo internamente ed esternamente, ciò che produce equilibrio. Quando questo equilibrio viene a mancare, come nel caso in cui l’uomo salga a grandi altezze senza essere munito di speciali apparecchi per respirare e per sostenere la mancanza di pressione, si rilevano gravi disturbi e quasi sempre la morte.

Tre elefanti sulle spalle
Chi porta elefanti sulle spalle? Chi è quest’uomo così robusto da non rimanere schiacciato non solo sotto il peso di tre elefanti, ma di uno soltanto? Siamo tutti noi, che sopportando il peso dell’aria, è come se portassimo un peso uguale a quello di tre grossi elefanti.

La pressione atmosferica
L’atmosfera pesa enormemente sopra di noi. E perchè non ne rimaniamo schiacciati? Perchè l’aria esercita questa pressione su tutte le parti del nostro corpo, non solo, ma anche nell’interno, e il risultato è che queste enormi pressioni, enormi ma uguali, si equilibrano e l’uomo può muoversi benissimo senza alcun disturbo.

La stratosfera
La stratosfera è chiamata la regione del buon tempo permanente. Il cielo è di una bellezza commovente: scuro, turchino, cupo o viola, quasi nero.
La terra, lontana, è invisibile: non si vede che nebbia. Soltanto le montagne emergono. Dapprima avvolte nelle nubi, si rivelano a poco a poco.  Una cima poi un’altra. Lo spettacolo è magnifico. (A. Piccard)

Le conquiste degli spazi
La conquista degli spazi è agli inizi. Chissà quanti palpiti, chissà quanta ammirazione, quanti evviva dovremo spendere per le sempre più meravigliose imprese future! Se siamo diversi dalle bestie, è proprio per questo insaziabile, anche se folle bisogno di andare sempre più in là, di svelare uno ad uno i misteri del creato. (D. Buzzati)

L’atmosfera
Noi siamo immersi completamente nell’aria, anzi, nella sfera d’aria che circonda la terra; meglio sarà se diremo atmosfera, che significa, appunto, sfera d’aria. La terra gira, gira vorticosamente, es e noi non ce ne accorgiamo dipende dal fatto che tutto gira con la terra, comprese le nuvole che fanno parte dell’atmosfera.

La conquista dello spazio
A ogni passo di là dalle conosciute frontiere, volere o no, il nostro cuore palpita. Al pensiero che un uomo come noi sta bivaccando lassù, nella vertiginosa e gelida parete trapunta di stelle, vien fatto di correre su per le scale, di affacciarsi sull’ultima terrazza e di agitare un lumino. Chi lo sa, se ci vede: si sentirà meno solo. (D. Buzzati)

Il lancio del missile
Il razzo, avvolto alla base da un bagliore di fiamma e da una nuvola di vapori, si stacca dalla piattaforma e sale sempre più velocemente verso l’alto. L’astronauta comincia con voce pacata a trasmettere a terra tutte le informazioni richieste dal suo eccezionale servizio e contemporaneamente esegue tutte le operazioni assegnategli come se fosse seduto davanti a una scrivania. Solo una volta, mentre la capsula ha raggiunto l’altezza di 185 chilometri, si lascia sfuggire un’esclamazione: “Che vista meravigliosa!”

Aria calda e aria fredda
Mutamenti improvvisi di temperatura molto spesso portano pioggia o tempo burrascoso. E’ per questo motivo che, alla fine di una calda giornata estiva, quando comincia a levarsi il vento e l’aria rinfresca e il cielo si copre di nuvole, si può essere quasi sicuri che ci sarà un temporale. L’aria, così calda per tutta la giornata, comincerà a salire, e quella fredda scende rapidamente a prendere il suo posto, portando con sè vento e pioggia. (J. S. Meyer)

Un oceano d’aria
Noi viviamo sul fondo di un oceano d’aria, che si innalza per chilometri e chilometri sopra le nostre teste ed è molto pesante. Se non ne sentiamo il peso è solo perchè la sua pressione si esercita sul nostro corpo dall’alto, dal basso e dai lati, in ogni direzione contemporaneamente. Inoltre c’è sempre aria nei nostri polmoni e in tutto il nostro corpo, e quest’aria che è dentro di noi e quella che è intorno a noi si bilanciano così che non di accorgiamo di quanto l’aria pesi. (J. S. Meyer)

L’atmosfera
La quasi totalità degli esseri viventi ha bisogno di aria per respirare. Anche gli alberi, le erbe, i fiori, hanno bisogno di aria; ma se potessero esistere senza di essa, sarebbero immobili come cose dipinte. Non una sola tra le innumerevoli foglie degli alberi si muoverebbe; non un solo filo d’erba si piegherebbe, e ramoscello o fronda stormirebbero ondeggiando alla brezza. E non potrebbero esserci ne api ne farfalle ne uccelli di alcuna specie, poichè come potrebbero volare se non di fosse aria a sostenerne il volo? Ogni cosa al mondo sarebbe silenziosa e muta, poichè il suono non può propagarsi se non attraverso l’aria. (J. S. Meyer)

L’aria
Senza aria o atmosfera non si avrebbe ne tempo bello ne tempo brutto, ne pioggia ne neve; e non si saprebbe che cosa sono il sereno, le nuvole, i temporali. Senz’aria non potrebbero vivere ne uomini ne animali, la quasi totalità degli esseri viventi ha bisogno di aria perchè questa necessita per respirare. ( J. S. Meyer)

Un oceano d’aria
Immaginate che cosa significherebbe vivere sul fondo dell’oceano. Supponete per un momento di poter camminare sul fondo oceanico, con tante migliaia di tonnellate d’acqua che premono su di voi e pesano come montagne. Naturalmente, non si potrebbe resistere poichè il nostro corpo non è fatto per sopportare un peso così enorme: si resterebbe schiacciati in meno di un minuto. Eppure tutti noi viviamo sul fondo di un oceano d’aria che si innalza per chilometri e chilometri sopra la nostra testa ed è molto pesante. (J. S. Meyer)

Salire nell’atmosfera
Quanto più saliamo nell’atmosfera, tanto minore è la quantità di aria sopra di  noi e minore sarà la pressione. Se potessimo salire per sessanta o settanta chilometri, difficilmente troveremmo ancora un po’ d’aria, e sarebbe la morte per noi. Il nostro corpo, infatti, è costituito per poter vivere sulla terra, nel fondo dell’oceano d’aria, e proprio dove l’aria è più pesante. (J. S. Meyer)

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Il vento

Venti e piogge
I venti non solo servono a ventilare decentemente questo nostro quartiere di residenza che è la terra, ma compiono inoltre l’alta funzione di distribuire la pioggia, senza la quale sarebbe impossibile lo sviluppo normale della vita animale e vegetale. La pioggia non è altro che acqua evaporata dagli oceani, dai mari chiusi, dalla terra arida e dalle foglie delle piante e dai nevai continentali e trasportata dall’aria sotto forma di vapore.  Quando i venti, che trasportano questo vapore, incontrano aria fredda si ha la pioggia. (Van Loon)

Il vento
Il vento è una corrente. Ma, cos’è che produce una corrente? Cos’è che la mette in moto? Le differenze di temperatura dell’aria. Di solito una parte dell’aria è più calda dell’aria circostante e quindi più leggera, e perciò tende a levarsi in alto. Levandosi, crea il vuoto. L’aria fredda delle regioni superiori, essendo più pesante, precipita turbinando nel vuoto. (Van Loon)

Vento e pioggia
Quando un vento, carico di vapore acqueo, incontra una catena di montagne, possono accadere due cose. O la sua violenza deve spezzarsi contro questo ostacolo, oppure, per poterlo oltrepassare, la corrente aerea deve innalzarsi a grande altezza. Trovando, così, una zona più fredda, il vapore acqueo si condensa, si trasforma in pioggia, e il vento, ormai diventato asciutto, passa oltre. Quindi la zona che è situata al di qua della catena di monti, avrà frequenti piogge e clima umido, la zona situata al di là avrà clima asciutto e cielo sereno. (Van Loon)

Altri dettati ortografici sul vento qui: 

Poesie e filastrocche sul vento qui: 

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Le nuvole

Le nubi che corrono all’impazzata per il cielo sono leggere, soffici e, spinte dal vento, sembrano bianchi agnelli in corsa. Si divertono qualche volta ad oscurare il sole, a cingere di un pallido alone la luna lucente, a coprire e a scoprire le cime lontane dei monti. Qualche volta si appesantiscono, si fanno nere e minacciose: sono allora foriere di temporale. Si scaricano in furiosi acquazzoni e non di rado in dannose grandinate. (R. Mari)

Le nuvole
Che cosa sono quelle nuvole soffici che vediamo pigramente e oziosamente fluttuare nel cielo azzurro? La maggior parte di esse hanno l’aspetto di fiocchi bambagiosi, delicati e soffici: sembrerebbe bello poter andar vagando qua e là per cielo, adagiati su di esse, spinti da un gentile venticello! Ma sappiamo che in realtà non si tratta di bambagia e tanto meno di fiocchi morbidi e leggeri.

Le nubi
Le nubi sono costituite da miliardi e miliardi di minutissime goccioline di acqua, ciascuna delle quali è così piccola che non si vede a occhio nudo. Di tali goccioline ce ne sono miliardi in una goccia di pioggia: di qui si potrà comprendere la piccolezza di ognuna e come possa essere invisibile a occhio nudo. (J. S. Meyer)

Forma delle nuvole
Quelle nuvole d’aspetto soffice e bambagioso sono chiamate cumuli. I cumuli spesso sono considerati come nuvole del bel tempo. Talvolta i cumuli si avvicinano e si uniscono sì che tutto il cielo ne è presto ricoperto. Non si tratta più di cumuli, ma di strati. Essi formano una specie di coltre e ci avverte che la pioggia può non essere lontana. Alte nel cielo, talvolta a quindici chilometri dalla terra, viaggiano quelle nuvole fini e delicate che sono dette cirri, che vuol dire riccioli. Sono freddissime  e invece che da goccioline d’acqua, sono costituite da minuti cristalli di ghiaccio. (J. S. Meyer)

Nuvole
La mattina, al primo chiarore, sorgono dai prati umidi. La sera sbucano in un batter d’occhio da qualche gola più oscura, si assottigliano, innalzandosi velocissime per le coste, si librano per le cime dei monti, poi, in un batter d’occhio, come scaturiscono, svaniscono. Il vento le incalza, le sbaraglia, le sgretola e le disperde dopo una lotta silenziosa di giganti. (G. Giacosa)

Le nuvole
Quando, levandosi dal suolo, l’aria calda le incontra, intorno ai mille o ai duemila metri, correnti o strati d’aria più fredda, il vapor acqueo in essa contenuto si raffredda e le minute goccioline di cui è composta si raggruppano insieme e formano gocce più grosse. Miliardi di gocce si ammassano e si condensano sempre più, formano cioè delle nuvole. A poco a poco si riuniscono tutte e in breve il cielo ne è completamente ricoperto. (J. S. Meyer)

Le nuvole
E’ appena giorno e io che mi sono svegliato presto ne approfitto per continuare a registrare le mie memorie nel mio caro giornalino, mentre i miei cinque compagni dormono della grossa.
Ieri l’altro dunque, cioè il 30 gennaio, dopo colazione, mentre stavo chiacchierando con Tino Barozzo, un altro collegiale grande, un certo Carlo Pezzi gli si accostò e gli disse sottovoce: “Nello stanzino ci sono le nuvole”.
“Ho capito!” rispose il Barozzo strizzando un occhio.
E poco dopo mi disse: “Addio Stoppani, vado a studiare” e se ne andò dalla parte dove era andato il Pezzi.
Io che avevo capito che quell’andare a studiare era una scusa bella e buona e che invece il Barozzo era andato nello stanzino accennato prima dal Pezzi, fui preso da una grande curiosità, e senza parere, lo seguii pensando “Voglio vedere le nuvole anch’io”.
E arrivato a una porticina dove avevo visto sparire il mio compagno di tavola, la spinsi e… capii ogni cosa.
In una piccola stanzetta che serviva per pulire e assettare i lumi a petrolio (ce n’erano due file da una parte, e in un angolo una gran cassetta di zinco piena di petrolio e cenci e spazzolini su una panca) stavano quattro collegiali grandi, che nel vedermi, si rimescolarono tutti, e vidi che uno, un certo Mario Michelozzi, cercava di nascondere qualcosa.
Ma c’era poco da nascondere, perchè le nuvole dicevano tutto: la stanza era piena di fumo e il fumo si sentiva subito che era di sigaro toscano.
“Perchè sei venuto?” disse il Pezzi con aria minacciosa.
“Oh bella, sono venuto a fumare anch’io”
“No, no!” saltò a dire il Barozzo “Lui non è abituato… gli farebbe male, e così tutto sarebbe scoperto”.
“Va bene, allora starò a veder fumare”
“Bada bene” disse un certo Maurizio Del Ponte, “Guai se…”
“Io, per regola” lo interruppi con grande dignità, avendo capito quel che voleva dire, “la spia non l’ho mai fatta, e spero bene!”
Allora il Michelozzi, che era rimasto sempre prudentemente con le mani di dietro, tirò fuori un sigaro toscano ancora acceso, se lo cacciò avidamente tra le labbra, tirò due o tre boccate e lo passò al Pezzi che fece lo stesso, passandolo poi al Barozzo che ripetè la medesima funzione passandolo a Del Ponte che, dopo le tre boccate di regola, lo rese al Michelozzi… e così si ripetè il passaggio parecchie volte, finchè il sigaro fu ridotto ad una misera cicca e la stanza era così piena di fumo che ci si asfissiava…
“Apri il finestrino!” disse il Pezzi al Michelozzi. E questi si era mosso per eseguire il saggio consiglio quando il Del Ponte esclamò:
“Calpurnio!”
E si precipitò fuori della stanza seguito dagli altri tre.
Io, sorpreso da quella parola ignorata, indugiai un po’ nell’istintiva ricerca del suo misterioso significato, pur comprendendo che era un segnale di pericolo; e quando a brevissima distanza dagli altri feci per uscire dalla porticina, mi trovai faccia a faccia con il signor Stanislao in persona che mi afferrò per il petto con la destra e mi ricacciò indietro esclamando: “Che cosa succede qua?”
Ma non ebbe bisogno di nessuna risposta; appena dentro la stanza comprese perfettamente  quel che era successo e con due occhi da spiritato, mentre gli tremavano i baffi scompigliati dall’ira, tuonò: “Ah, si fuma! Si fuma, e dove si fuma? Nella stanza del petrolio, a rischio di far saltare l’istituto! Sangue d’un drago! E chi ha fumato? Hai fumato tu? Fa’ sentire il fiato… march!”
E si chinò già mettendomi il viso contro il viso in modo che i suoi baffoni grigi mi facevano il pizzicorino sulle gote. Io eseguii l’ordine facendogli un gran sospiro sul naso ed egli si rialzò dicendo: “Tu no… difatti sei troppo piccolo. Hanno fumato i grandi… quelli che sono scappati di qui quando io imboccavo il corridoio. E chi erano? Svelto… march!”
“Io non lo so!”
“Non lo sai? Come! Ma se erano qui con te!”
A queste parole i baffi del signor Stanislao incominciarono a ballare con una ridda infernale.
“Ah, sangue d’un drago! Tu ardisci rispondere così al direttore? In prigione! In prigione! March!”
E afferratomi per un braccio mi portò via, chiamò il bidello e gli disse: “In prigione fino a nuovo ordine!”
(Vamba)

Poesie e filastrocche sulle nuvole qui: 

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La pioggia

Quando l’ammasso delle nuvole che si condensano con il freddo, si raffredda maggiormente, allora tutti i miliardi di goccioline che lo formano e che hanno già un discreto volume, diventano sempre più grosse e più pesanti e a un bel momento, cominceranno a staccarsi dalle nubi ed a precipitare sulla terra in forma di pioggia. La pioggia cade e le nuvole a poco a poco si dissolvono. (J. S. Meyer)

La pioggia
La pioggia non è altro che acqua evaporata dagli oceani, dai mari chiusi e dai nevai continentali e trasportata nell’aria sotto forma di vapore. Poichè l’aria calda può contenere molto maggior vapore che la fredda, il vapore acqueo viene trasportato senza molta difficoltà finchè i venti non incontrino aria fredda; quando ciò avviene, il vapore si condensa e precipita nuovamente alla superficie della terra in forma di pioggia o grandine o neve. (Van Loon)

Altri dettati ortografici sulla pioggia qui: 

Poesie e filastrocche sulla pioggia qui: 

Dettati ortografici sul temporale qui: 

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La nebbia

La nebbia è una nuvola bassa sulla terra formata da vapore acqueo e pulviscolo atmosferico. Essa si forma prevalentemente sul mare e sui laghi e non appena il sole la riscalda a sufficienza sparisce perchè le goccioline d’acqua evaporano e salgono nell’aria.

Altri dettati ortografici sulla nebbia qui: 

Poesie e filastrocche sulla nebbia qui: 

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La neve

La neve è una precipitazione atmosferica che avviene quando la temperatura dell’aria in cui il vapore acqueo si va condensando, diventa molto bassa. Per questo fatto, il vapore acqueo si condensa in minutissimi cristalli di ghiaccio disposti a forma di stella, i quali, cadendo, si raggruppano fra loro formando i fiocchi di neve.

Fiocchi di neve
Andate al’aperto con una tavola scura mentre nevica e studiate, mediante una lente di ingrandimento, le stelline graziose che vi cadono a miliardi dal cielo. Osserverete la mirabile costruzione di queste foglioline di cristallo, di questi grappoli di stelline, ognuno delle quali è un capolavoro che nessun gioielliere saprebbe mai imitare. (B. H. Burgel)

Altri dettati ortografici sulla neve qui:

Poesie e filastrocche sulla neve qui:

Un libretto fatto a mano sulla neve qui: 

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La brina

Dettati ortografici su brina,  gelo, ghiaccio, qui: 

Poesie e filastrocche su brina, gelo e ghiaccio qui: 

50 e più giochi da fare col ghiaccio qui:

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La rugiada

La rugiada compare sempre la mattina presto, di primavera, d’estate, e anche al principio dell’autunno. Se di giorno ha fatto molto caldo e la notte è fresca, è certo che al mattino seguente ci sarà molta rugiada sui prati. Sull’erba, sulle foglie, sui fiori ci saranno tante goccioline d’acqua che brillano come diamanti alla luce dell’alba. (J. S. Meyer)

Altri dettati e poesie sulla rugiada qui: 

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L’arcobaleno

Dettati ortografici sull’arcobaleno qui: 

Poesie e filastrocche sull’arcobaleno qui: 

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La grandine

La grandine è formata di granellini gelati che cadono da nuvole cineree. E’ preceduta spesso da un uragano nel quale si percepisce un rullio caratteristico causato, pare, dallo sfregamento dei granellini di ghiaccio che si muovono in moto vorticoso, rapidissimo. La grandine è sempre apportatrice di rovine; i granelli possono raggiungere anche la grandezza di un uovo e un peso notevole.

La grandine
D’estate, quando da noi fa un caldo insopportabile, a diverse migliaia di metri dal suolo la temperatura può essere bassissima; e allora succedono strane cose. L’aria calda che si solleva dalla terra comincia, a un certo punto, a turbinare e a trasportare con sè goccioline di acqua. Su, sempre più su le sospinge l’aria calda, finchè esse raggiungono gli strati d’aria dove la temperatura è molto bassa. Allora gelano, si trasformano in minuti ghiaccioli e cominciano a cadere. Così turbinando e cadendo, si uniscono fra loro e formano chicchi di ghiaccio che, per l’aumentato peso, precipitano sulla terra in forma di grandine. (J. S. Meyer)

Altri dettati sulla grandine qui: 

Poesie e filastrocche sulla grandine qui: 

La bufera

La natura è bella anche nei suoi furori: una bufera è tanto più bella, quanto più è terribile e intensa. Ecco che il cielo si oscura e il sole si nasconde fra le nuvole scure, coi contorni neri, che si rincorrono, si inseguono come eserciti in battaglia. Guizzano i lampi e le nubi vibrano e si scuotono come invase da una corrente elettrica che le illumina, ora di una luce azzurra, ora dorata, ora argentea. Di quando in quando guizzi di lampi serpeggiano nell’oscuro esercito delle nuvole.
(P. Mantegazza)

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Materiale didattico sui minerali

Materiale didattico sui minerali per la scuola primaria.

Il regno minerale

Un sasso, un pezzo di ferro sono corpi senza vita, senza movimento: non respirano, non mangiano, non crescono e non si riproducono.
Restano sempre in quello stato senza invecchiare nè morire.
Non somigliano proprio per nulla agli animali e alle piante: sono infatti corpi inorganici e si dicono minerali.
Molti minerali si trovano nelle cave, alla superficie della terra. Altri invece sono estratti con duro e faticoso lavoro dalle miniere, profonde e lunghe gallerie scavate sotto terra.

Minerali commestibili

L’acqua è un minerale composto di due gas: l’idrogeno (due parti) e l’ossigeno (una parte), combinati insieme. L’acqua, come l’aria, è indispensabile alla vita animale e vegetale. E’ molto abbondante sulla terra, sia allo stato liquido (mari, laghi, fiumi e sorgenti) sia allo stato solido (ghiacciai), sia allo stato di gas, come vapor acqueo (nell’aria).
Essa è presente in grande quantità anche nel nostro corpo (circa il 70%) e in quello di tutti gli esseri viventi (animali e piante). L’acqua è un liquido insapore, incolore e inodore; diventa ghiaccio, cioè solidifica, a zero gradi; bolle, invece, a 100 gradi.

Il sale è un minerale ricavato dall’evaporazione dell’acqua del mare in grandi bacini, costruiti lungo la costa. Oltre che in cucina il sale viene usato per la preparazione di vari prodotti industriali, mediante speciali accorgimenti.

Il salgemma è il sale che, a forma di grossi cristalli, si estrae dalle miniere.

La città di sale
Vi è una città in Polonia, Wieliczka, sotto la quale è scavata una grande città sotterranea lunga quattromila metri e  larga milleduecent0, con una rete stradale lunga complessivamente novantatre chilometri. Strade scavate nel minerale grigio, lucido, che scintilla alla luce delle lampade elettriche; di tanto in tanto piazze coperte, dalle volte sostenute da eleganti colonne grige e luminose; scale che conducono da un piano all’altro: tutto ciò che vediamo è sale.
Monti anni fa i minatori che scendevano qui sotto, intagliarono la roccia salina e diedero forma a una bella chiesa che dedicarono a Santa Cunegonda e a una cappella che consacrarono a Sant’Antonio.
Muri, altari, statue, colonne, lampade: tutto è di sale.

L’aria

L’aria è un minerale allo stato gassoso, indispensabile alla respirazione e quindi alla vita degli animali e delle piante. Essa è costituita da un miscuglio di azoto, ossigeno e piccole tracce di altri gas, come l’anidride carbonica, il vapor acqueo, ecc…
L’aria avvolge la terra formando quell’immenso involucro che si chiama atmosfera.

Minerali da costruzione

L’argilla è una terra che, lavorata con acqua, si lascia modellare con facilità.  Viene usata per la fabbricazione di mattoni pieni e forati e di tegole e piastrelle per l’edilizia; per la preparazione di vasi, stoviglie, ceramiche, maioliche, porcellane.
Per ottenere i mattoni ed altri laterizi, impiegati come materiale da costruzione, l’argilla viene bagnata, impastata, modellata in una macchina, lasciata essiccare all’aria libera e poi cotta in fornace.

Il calcare è una pietra comune; cotta in fornaci ad alta temperatura, si riduce  in finissima polvere bianca (detta calce viva); bagnata con acqua (calce spenta), si riscalda gonfiandosi; rimescolata poi con sabbia dà la calcina o malta che si usa nella costruzione di edifici.

Il gesso è friabile allo stato grezzo. Cotto a forte temperatura, perde l’acqua che contiene e diviene polvere finissima; mescolato di nuovo con acqua, indurisce prestissimo. Si usa per intonaci e per decorazioni in rilievo di pareti e di soffitti e per la preparazione di statuette, di busti, di medaglioni decorativi. (I gessi per la lavagna si ottengono ricuocendo l’impasto di gesso).

Nei cementifici si cuoce e si tritura una miscela di calcare e di argilla ottenendo il cemento, un materiale da costruzione importantissimo. Il cemento, ridotto in polvere, mescolato alla ghiaia e alla sabbia, forma il calcestruzzo, un impasto con cui vengono gettate le fondamenta ed innalzate le strutture degli edifici. Il cemento armato è un insieme d calcestruzzo e di sbarre di ferro. E’ molto resistente alla compressione e alla trazione e garantisce la massima solidità.

Il marmo è la più pregiata tra le pietre da costruzione. Serve per statue, colonne, monumenti e per la preparazione di elementi decorativi nell’edilizia: rivestimenti di pareti e di scale, pavimentazioni, ecc…
I marmi più noti e pregiati sono: il bianco di Carrara, il rosso di Verona, il verde di Polcevera, il nero Portoro, il Botticino, il badiglio, l’alabastro, l’onice, il cipollino, il serpentino.

Una cava di marmo
Operai al lavoro con la perforatrice e il martinello. Il marmo viene staccato dalla montagna in grandi blocchi. Si praticano alcuni fori profondi con la perforatrice, nei fori si introduce una carica di dinamite, si accende la miccia e, pochi minuti dopo, uno scoppio. Il blocco si stacca e viene poi tagliato in grosse lastre col filo metallico elicoidale, formato da tre fili d’acciao avvolti in spirale. Il filo sega il marmo con l’aiuto di un poco di sabbia silicea bagnata con molta acqua.

Cave di marmo
Quasi tutti del paese lavorano  in vario modo il marmo. Chi sale la montagna all’alba per scavarlo. E chi lo trasporta dalle montagne al piano.
A mezzo di certe strade lisce e storte, come il gioco delle montagne russe; il masso imbracato con doppie corde, le cui cime attorcigliano i pilastri, si muove e scende, piano, sgusciando sui travetti di legno, insaponati.
Gli uomini visti da lontano sembrano api attorno a un pezzo di pane bianco che si muove lentamente verso un alveare in pianura.
Invece sono uomini che trafficano, intorno ad un masso gigante, con pali, con legni, con cavi ininterrottamente, finchè il masso non è sulla carretta che lo aspetta sulla via carraiola. (E. Pea)

Minerali combustibili

Gli strati profondi della crosta terrestre racchiudono alcuni minerali che hanno una grandissima importanza per la vita dell’uomo: i combustibili. Essi costituiscono una preziosa fonte di energia perchè, bruciando, sviluppano calore e forniscono alle macchine l’energia necessaria per compere il loro lavoro. I combustibili più importanti sono il carbone, il petrolio e il metano.

Il carbone
Il carbone ha un’origine antichissima. In epoche lontanissime, quando l’uomo ancora non esisteva, profondi sconvolgimenti si susseguirono nella crosta terrestre. La Terra era in gran parte ricoperta di alberi giganteschi e, quando i terremoti squassavano il suolo, intere foreste rimanevano sepolte sotto enormi strati di fango e di roccia.

I vegetali subirono una lenta trasformazione. Si carbonizzarono e diedero origine a una roccia nera e compatta: il carbon fossile.
Il carbon fossile più antico, e quindi più pregiato, è l’antracite. Esso brucia lentamente, sviluppando grande calore.
Un altro tipo di carbone, meno antico dell’antracite, ma anch’esso assai pregiato, è il litantrace, che viene usato nella fabbricazione di gas illuminante.

Al termine della lavorazione per produrre il gas, rimane un carbone chiamato coke. Esso veniva usato per il riscaldamento e, negli altiforni, per la produzione della ghisa.
La lignite è un carbone non molto pregiato perchè bruciando sviluppa poco calore e lascia molte scorie.
Il carbone più recente è la torba, che è un combustibile di scarso rendimento.
In Italia esistono miniere di carbon fossile in Val d’Aosta e in Sardegna, ma la quantità prodotta è scarsa e insufficiente al fabbisogno nazionale.

In una miniera di carbone
Dal pozzo della miniera salgono le gabbie dell’ascensore.
Ritornano alla luce, dalle profondità della terra, i minatori che hanno terminato il loro turno di lavoro.
Sono neri di polvere di carbone e stanchi per la dura fatica.
Una nuova squadra è già pronta per dare il cambio.
Ogni minatore indossa la divisa di lavoro: pantaloni chiusi negli stivaloni, giubbotto ed elmetto di cuoio. Sul davanti dell’elmetto brilla la lente di una piccola torcia elettrica.
Montano nella gabbia, ordinati a gruppi di sei alla volta. Il cancelletto si chiude. Un rumore di catene e di ruote indica che l’ascensore è in movimento e che gli operai della miniera scendono nella profondità della terra. Un’altra gabbia si riempie a parte.

Ancora gabbie che risalgono e che scendono.
Nella miniera il lavoro non si interrompe mai.
Dai fondo del pozzo si diramano a destra e a sinistra gallerie larghe e basse. Ogni due o tre metri, puntelli di legno reggono la volta del soffitto. Un cartello vistoso ammonisce che dentro la galleria non si deve fumare nè accendere qualsiasi fiammella. Una sigaretta accesa, un piccolo insignificante fuoco, può produrre scoppi di grisou, incendiare il carbone e seppellire nelle frane i minatori.
Carrelli pieni e vuoti percorrono in su e in giù le gallerie, sferragliando sulle piccole rotaie. Arrivano all’imbocco di speciali pozzi, dove vengono agganciati a resistenti cavi di acciaio, che li afferrano e li fanno salire alla superficie per depositare il loro carico.

Tornano vuoti in fondo alla miniera, per essere di nuovo riempiti. In ogni braccio di galleria si sente il martellante picchiettio delle perforatrici, che scavano e intaccano i blocchi di carbone.
Allo scialbo chiarore delle lampade elettriche, i minatori, nudi fino alla cintola, perforano le pareti. Sotto i colpi dei martelli elettrici, blocchi di nero minerale si staccano, vengono subito frantumati in piccoli pezzi e caricati sui carrelli. Il lavoro è febbrile.

Gli uomini, lucidi di sudore, illuminati dalle lampade attaccate agli elmetti, sembrano strani fantasmi. Il calore è soffocante. L’aria, pressata nelle gallerie dalle pompe esterne, è pesante, calda, e non dà alcun refrigerio.
Nella miniera non si canta e non si parla; si s’intende coi gesti. Il rumore assordante delle perforatrici, lo sferragliare dei carrelli in movimento, i sordi colpi dei picconi, lo stridere delle catene delle ruote, sovrastano qualunque voce.

Finalmente, dopo un turno di quatto ore di lavoro, i minatori montano nelle gabbie e salgono a rivedere la luce ed a respirare di nuovo aria libera e pura.
Una nuova squadra di minatori è pronta per scendere nelle profondità della terra, per scavare nuovo carbone.
Così, ogni giorno, ogni notte.
(D. Romoli)

In una miniera di carbone
Siamo a mille metri sotto terra. Davanti a noi si apre un lungo corridoio scavato nel carbone, illuminato ogni cento metri da una lampada di sicurezza appesa all’armatura di legno.
Camminiamo tra le rotaie della ferrovia di scarico con la testa inclinata sulla spalla per non urtare nelle travi della volta.
(C. Malaparte)

Il lavoro in miniera
Il calore è terribile… l’aria è densa, grassa, irrespirabile. Lo stridere degli scalpelli, l’ansimare dei petti, le voci roche, il sibilo dell’aria compressa delle pistole, i colpi sordi dei picconi e dei martelli riempiono di un frastuono orrendo lo spazio dove i minatori lavoravano.
Uno degli addetti alle perforatrici ferma l’attrezzo, si mette a sedere, in disparte, sul manico di un piccone, addenta vorace un pezzo di pane; e in quel semplice gesto si rivela umano, creatura viva a mille metri sotto il proprio paese, la propria casa.
(C. Malatesta)

Minatori
Soldati di un’arma sconosciuta
per cui tutta la vita è guerra eterna,
bandiera essi non hanno, nè fanfara:
e il loro tamburo è il rombo del motore.
Han cucito il piastrino sulla blusa
son sopra inciso il nome
che testimoni della loro presenza
quando all’appello non risponderanno.
In una mano reggono la lampada
e nell’altra il piccone,
a brano a brano rompono la notte
quasi in cerca di un altro sole.
(N. Moscardelli)

Il carbon fossile
In epoche lontanissime, quando l’uomo ancora non esisteva sulla terra, la natura badò ad immagazzinare le grandi riserve di energia che sono servite e servono all’industria moderna: in grandi cataclismi, foreste gigantesche scomparvero sotto terra; qui bruciarono senza fiamma (come il legno nelle cataste del carbonaio) e si trasformarono in carbon fossile.

Il petrolio
Il petrolio è un minerale liquido che si è formato nel sottosuolo moltissimi secoli fa.
Sul fondo dei mari si accumularono nei secoli resti di animali e di piante. Col tempo questi depositi furono ricoperti di sabbia e fango, e lentamente si trasformarono in petrolio.
I giacimenti di petrolio vengono sfruttati mediante potenti macchine trivellatrici dotate di motore e di un’asta di trivellazione munita, all’estremità, di uno scalpello perforatore.

Il petrolio è un minerale molto prezioso: fornisce il bitume per pavimentare strade e terrazze, serve per preparare una speciale cera per candele e materie plastiche. Ma soprattutto il petrolio ci dà la benzina che fa muovere macchine, automobili, aeroplani e navi.

La raffinazione del petrolio grezzo
Quando, trivellando il terreno, cioè perforandolo a grandi profondità, sgorga il petrolio, esso deve essere a lungo raffinato per trasformarlo in benzina.
Le raffinerie sorgono spesso lontano dai giacimenti.
Enormi recipienti, colmi di petrolio grezzo, vengono scaldati a lungo: il calore divide il petrolio grezzo in cinque parti diverse che galleggiano una sopra l’altra, senza mescolarsi fra loro. La benzina è la più leggera e sta in alto, senza confondersi col petrolio da illuminazione che, a sua volta, galleggia sulla nafta più densa. Sotto, in fondo al recipiente, stanno gli olii e il bitume.

Sono pronti, così, la benzina per le automobili e gli autocarri e le navi; gli olii per lubrificare le macchine e il bitume per pavimentare le strade.
Gli stabilimenti nei quali il petrolio viene raffinato spesso sono lontani dai pozzi; e il prezioso liquido, per giungervi, deve fare un lungo viaggio: prima, in grossi tubi (gli oleodotti), per esser portato a grandi petroliere, che gli faranno passare il mare; dopo essere stato raffinato il petrolio riprende nuovamente il viaggio per essere distribuito.

Il petrolio in Italia

C’era una volta una gallina sbarazzina che fuggì dal pollaio e andò a rifugiarsi in un vecchio pozzo abbandonato. E c’era un contadino che la inseguì: discese appeso a una fune, deciso a riportarla a casa. Sul fondo accese una candela per vedere dove si fosse rifugiata la ribelle, e allora successe il cataclisma: uno scoppio, una fiammata, un odore nauseabondo… Gallina e contadino rimasero nel pozzo anneriti, bruciacchiati e ben decisi a non rimettervi più dentro ne piede ne zampa.

Questo accadeva parecchi anni fa in un podere della Pianura Padana: si trattava delle prime tracce di idrocarburi (petrolio e gas metano) trovati in Italia. Poi il petrolio sembrò scomparire. Fu cercato con ostinazione, anche se con mezzi non troppo potenti, ma sembrava che l’Italia non avesse nessuno di quei giacimenti sotterranei che arricchivano altre nazioni.
Alcuni tecnici, però, continuarono a lavorare con accanimetno, animati da un uomo di grande energia, Enrico Mattei. E nel 1946 proprio nel centro della Pianura Padana, una trivellazione giunse a 1600 m di profondità e fece scaturire un getto di gas metano.

Voi forse sapete com’è fatta una trivella. Un altissimo castello di acciaio regge un’asta metallica che affonda nel terreno, girando su se stessa: è una trivella con una punta dotata di denti durissimi, capaci di sgretolare e forare qualunque roccia. Gira e scende, lentamente, sempre più in basso: a mano a mano che penetra nel sottosuolo, si aggiungono all’asta nuovi settori.

Ma i ricercatori non procedono alla cieca. Prima di loro i geologi, cioè coloro che studiano la composizione della terra e delle rocce e la loro disposizione, hanno cercato di capire che cosa ci poteva essere a mille e più metri di profondità: hanno fatto esplodere cartucce di dinamite per ascoltare l’eco dello scoppio, hanno usato strumenti precisi e delicati. Ma quanto è difficile trovare il punto esatto di un autentico giacimento di petrolio o di metano!
I tecnici italiani dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) acquistarono fiducia e slancio, dopo il primo successo. Altri possi diedero metano in abbondanza. Poi, nel 1949, la notizia clamorosa: a Cortemaggiore, in Emilia, i pozzi davano anche petrolio, oltre a gas.

Da allora si è fatta molta strada: oltre che nella Pianura Padana, il metano è scaturito in Abruzzo e in Basilicata. Giacimenti di petrolio sono stati scoperti sulle coste e sotto il mare di Gela, in Sicilia. Sono sorte così nuove industrie, con un nome nuovo: “petrolchimiche”. Esse ricavano dagli idrocarburi innumerevoli altri prodotti, dalle materie plastiche d’ogni tipo ai concimi chimici.
Oggi i tecnici italiani sono abilissimi e lavorano anche all’estero. Perforano pozzi in molte zone dell’Africa e dell’Asia, nei deserti, nelle savane e sul mare, con la stessa abilità, con la stessa pazienza, con successo e fortuna.
(D. Volpi)

Storia del petrolio
Il petrolio (dal latino petra ed oleum, cioè “olio di pietra” era già conosciuto migliaia di anni fa. Si sa, infatti, che gli antichi Egizi ricavavano dal petrolio la pece in cui immergevano le bende usate per fasciare le mummie. I Romani adoperavano questo liquido per lubrificare le ruote dei carri. In America, molto tempo prima dell’arrivo degli Europei, gli Indiani raccoglievano il petrolio che galleggiava sulla superficie di alcune acque sorgive; lo usavano per curare malattie e ferite.

Ma bisogna giunger al XIX secolo per trovare uno sfruttamento industriale del petrolio. Verso la metà del XIX secolo lo sviluppo della tecnica fece ricercare nuove fonti di energia. Per centinaia di anni gli uomini avevano svolto la loro attività finchè durava la luce del sole; al calar delle tenebre dovevano interrompere il lavoro perchè i mezzi di illuminazione erano scarsi e poco efficaci: torce, fiaccole, lampade a olio e candele, poi olio di balena.

Si era presentato inoltre un nuovo e urgente problema da risolvere. Nuove macchine si stavano costruendo in tutti i Paesi più progrediti. Fino a quei tempi, quasi tutti i prodotti erano opera del lavoro manuale, oppure si ottenevano con l’aiuto di semplicissime macchine azionate a mano, le cui lente ruote potevano essere ingrassate con un pezzetto di lardo o con poche gocce di olio vegetale. Ma ora le nuove macchine erano più complesse ed esigevano lubrificanti migliori e in grande quantità. Ed ecco che qualcuno in America si accorse che l’olio di Seneca (così veniva chiamato il petrolio dal nome di una tribù di Indiani che ne faceva uso), una volta purificato, bruciava nelle lampade con una luce molto chiara e luminosa. Lo scoprì un certo Sam Kier, venditore ambulante di petrolio per uso medicinale. Egli aveva distillato il petrolio per togliergli il caratteristico odore sgradevole; fu così che ottenne il cherosene, primo prodotto estratto dal petrolio grezzo.

Nello stesso periodo, la parte più pesante del petrolio venne analizzata e si trovò che sostituiva un ottimo lubrificante. Dunque, il petrolio poteva soddisfare le esigenze della nuova industria. La prospettiva di ingenti guadagni spinse i pionieri americani ad accaparrarsi le terre dove si trovavano giacimenti petroliferi. All’inizio tentarono di raccogliere il petrolio schiumandolo dalla superficie delle acque su cui galleggiava. Poi, per merito di Edwin Drake, fu trovato un sistema più pratico e redditizio, quello che, perfezionato e potenziato, viene usato ancor oggi: la trivellazione di un pozzo.

Dopo il successo di Drake (1859) migliaia di persone si dedicarono alla ricerca del petrolio. Anche in Europa, nel frattempo, venivano scoperti e sfruttati dei giacimenti. Si cominciò in Romania, dove il primo “campo petrolifero” venne scoperto nel 1856 con una produzione di duemila barili all’anno; la stessa cifra venne raggiunta dagli Stati Uniti.
L’Italia venne terza nel 1860 con la scoperta dei giacimenti dell’Appennino Tosco – Emiliano, raggiungendo alcuni anni dopo la produzione degli altri due Stati.
Ma mentre la Romania andò aumentando la sua produzione e l’aumento degli Stati Uniti raggiunse cifre iperboliche, il progesso produttivo del nostro Paese si arrestò ed è ancor oggi modesto.

Il metano
E’ chiamato anche “gas delle paludi”: si forma, infatti, dalla putrefazione delle acque stagnanti.
E’ un utile minerale gassoso che si estrae dal sottosuolo attraverso pozzi simili a quelli per il petrolio, ma solitamente meno profondi. Viene usato in sostituzione della benzina per i motori a scoppio, nell’industria e per usi domestici.

Per trasportarlo da un luogo all’altro si usano i metanodotti, condutture che portano, appunto, il metano. Per far giungere questo gas anche ai piccoli paesi si usano anche delle bombole speciali che permettono la conservazione e un facile trasporto del prodotto.

Lo zolfo
E’ un minerale di colore giallo. L’Italia ne ha ricchi giacimenti in Sicilia, nelle Marche, nella Romagna e in Calabria. Lo si trova a fior di terra (solfatare) e in ricche miniere (solfare).
Serve per la fabbricazione dei fiammiferi, della polvere da sparo e dei concimi. Viene pure impiegato per preparare coloranti, medicinali, per la vulcanizzazione della gomma e per combattere alcune malattie della vite.

Carbone rosso
Nuvole di vapore, bianco come la neve, si alzano violentemente nel cielo. Lentamente si dissolvono e lasciano cadere sulla terra, quasi senza alberi, deserta, riarsa, una polvere impalpabile fine e bianca.
Quegli sbuffi di vapore sono più caldi dell’acqua bollente. Si sprigionano da spaccature del suolo, e tra boati e fischi, si alzano dalla terra molle per condensarsi nell’aria. Le case del paese sono quasi addossate agli stabilimenti,  che sorgono nel mezzo di una conca vulcanica, orrida e desolata.
Siamo a Larderello, il regno dei “soffioni boraciferi”; nella terra, che anticamente era creduta l’ingresso dell’inferno.

Si respira un’aria acidula, odorante di zolfo e di marcio.
I soffioni naturali, che sono i più deboli per getto di vapori, si raccolgono in acque fumanti, nei cosiddetti “lagoni”.
Quelli provocati artificialmente, con trivellazioni del suolo, sono coperti con grandi cappe metalliche, in modo che il vapore non vada perduto. Ogni cappa di soffione imprigiona il vapore e lo conduce, per mezzo di robuste tubature di ferro, agli stabilimenti, dove si unisce ad altri tubi, di altri soffioni. Le tubazioni immettono in “lagoni” artificiali, che scaricano l’acqua sopra immense distese di lamiere ondulate.

Altri soffioni, meno importanti, riscaldano, coi loro 200 gradi di calore, le lamiere di essiccazione. Fanno evaporare l’acqua, che lascia nelle scanalature una polvere bianca: l’acido borico.
I soffioni più potenti vengono incanalati verso macchine gigantesche, che muovono ruote e motori. Mastodontiche dinamo elettriche, azionate dalla forza del vapore, tra un rumore assordante, producono enormi quantità di energia. Danno la possibilità alle centrali di fornire elettricità alle ferrovie della Toscana ed a molti stabilimenti industriali.

Luce, calore, moto, energia, sono forniti dal “carbon rosso”, cioè dal calore delle manifestazioni vulcaniche.
Tutto viene dato gratuitamente dalla natura.
Larderello, con i suoi soffioni e i suoi stabilimenti posti nella vasta conca di un grande cratere vulcanico, continua giorno e notte a gettare al cielo le sue alte e violente colonne di fumo bianco. La sua costante potenza supera quella delle più poderose centrali termiche d’Europa.
Le alte ciminiere, le gabbie delle sonde, le armature dei suoi pozzi di trivellazione, sono come alberi fantastici, che sorgono fra il fumo dei vapori di quella terra riarsa, ma benefica.
Sembra l’ingresso dell’inferno, ma invece  è la gloria della volontà umana, che ha saputo imprigionare, a suo profitto, le forze della natura.
Il nome Larderello, che viene dato alla zona, deriva dal conte Francesco Lardarel che iniziò lo sfruttamento del “carbon rosso”.

I soffioni, oltre all’energia elettrica, danno acido borico, acido carbonico, azoto, idrogeno e metano, che vengono usati in moltissime industrie.
Un solo soffione può avere la portata di oltre centomila chilogrammi di vapore all’ora. Ogni centrale elettrica, azionata dai soffioni, può produrre cinquecento milioni di chilowatt (kW) di energia elettrica all’anno.
(D. Romoli)

I metalli

I metalli sono fra i minerali più utili all’uomo. Si trovano nel sottosuolo, quasi sempre mescolati con altri minerali. Gli utensili dell’artigiano, gli attrezzi del contadino, le macchine, gli arnesi, i motori, i tubi e moltissimi altri oggetti sono di metallo.
Il fuoco fonde i metalli e l’uomo se ne serve per separarli dai minerali coi quali sono mescolati.
Le caratteristiche dei metalli sono la lucentezza e la pesantezza. Alcuni, poi, si dicono malleabili perchè si possono ridurre in lamine sottilissime; altri sono detti duttili perchè si possono ridurre in fili sottilissimi.

Il ferro
Ho ottenuto il permesso di visitare una miniera di ferro, perciò mi unisco a un gruppo di minatori che stanno per incominciare il loro turno di lavoro.
Entriamo nella miniera. La gabbia di un ascensore ci accoglie: subito sprofondiamo nelle viscere della terra. Dopo pochi istanti l’ascensore si ferma e noi usciamo nel buio.

Gli uomini fissano la lampada sugli elmetti e imboccano una galleria di cui non si scorge il fondo. Io cammino in mezzo a loro. Da lontano mi giungono strani rumori: rimbombi, stridori di macchine, gorgoglii di acque che scorrono invisibili. Finalmente scorgo alcune deboli luci: sono le lampade di altri minatori che devono essere sostituiti dai miei compagni. Mentre quelli si allontanano, questi incominciano a lavorare: afferrano i martelli perforatori e li accostano alla roccia.
“Dov’è il ferro?” chiedo al caposquadra.

“Qui, davanti a lei!”
“Ma questa è pietra, non è ferro…”
L’uomo sorride, afferra un pezzo di roccia che era per terra e me lo mostra: “Il ferro, com’è conosciuto dalla gente, non si trova quasi mai allo stato puro. Esso è nascosto nelle rocce. Questo sasso è appunto un minerale di ferro, cioè una roccia che lo contiene in abbondanza. Per ottenere il ferro, bisogna liberarlo dalla sua prigione di pietra. Ma per far questo dobbiamo portarlo fuori dalla miniera”.
Intanto i minatori hanno terminato di forare la roccia che chiude il fondo della galleria.
“Perchè fate questi buchi nella montagna?” domando ancora.

“Per preparare le mine”, mi risponde il caposquadra. “In questi fori noi mettiamo l’esplosivo. Quando esso scoppierà, spaccherà il minerale in tanti pezzi”.
Mentre egli mi spiega, i minatori introducono nei fori i candelotti di esplosivo, poi li collegano con le micce.
Ora dobbiamo allontanarci perchè c’è pericolo. Di corsa ci rifugiamo lontano, in una nicchia della roccia.
Dopo qualche minuto si sentono fortissimi scoppi e la galleria si riempie di fumo e di polvere.

Nella ferriera
Seguiamo un carico di minerale di ferro. All’uscita dalla miniera i vagoncini scaricano nei carrelli di una teleferica il minerale portato dal basso. Per questa via esso giunge nella ferriera. Qui è frantumato da apposite macchine e preparato per entrare nell’altoforno.

L’altoforno è una grande costruzione a forma di tino, aperto in alto. Dalla sua sommità vengono introdotti i minerali di ferro, il carbon fossile e altre sostanze che favoriscono la fusione.
Il forno rimane acceso in continuazione. Il carbone, per il calore interno, si incendia, sviluppando 1500 gradi. A questa temperatura il minerale fonde. Il ferro che vi era contenuto si raccoglie in basso; le altre sostanze galleggiano sopra il ferro fuso.

Allora si apre lo sportello della colata, posto alla base del forno. Il metallo, liquido ed incandescente, esce sotto forma di un ruscelletto sfavillante, corre verso gli stampi, li riempie. Qui diventa solido e lentamente si raffredda.

Il ferro uscito dall’altoforno si chiama ghisa: non è ancora ferro puro perchè contiene tracce di altre sostanze.
A sua volta la ghisa viene rifusa in altri forni e purificata. Così si trasforma in acciaio ed in ferro puro.
L’acciaio è un composto di ferro e carbone. E’ assai più duro, più resistente, più flessibile del ferro e perciò si presta meglio alla costruzione di macchine e di congegni.

Utilità del ferro
Il ferro è di un’utilità che sorpassa quella di ogni altro metallo ed entra nella maggior parte degli oggetti che ci circondano.

Di ferro è probabilmente il telaio della nostra finestra, di ferro è l’asta e la maniglia che servono a chiuderla; di ferro la serratura che dà sicurezza alla nostra stanza; di ferro la chiave che ne muove i congegni; di ferro gli alari del nostro caminetto; di ferro le molle con cui vi accomodiamo sopra i pezzi di legna; di ferro i chiodi su cui abbiamo appeso i quadri; di ferro il fusto del nostro letto; di ferro molti utensili di cucina, di ferro le sbarre di sostegno della casa; di ferro, nelle loro parti più importanti, gli strumenti dell’agricoltura…

Sulla bocca dell’altoforno
L’altoforno! Ne avevo visto, da bambino, il lampeggiare corrusco oltre i tetti fumosi di un capannone lungo, massiccio, greve, simile a un mostro antidiluviano, addormentatosi per errore tra le piccole case grige, spaurite, della periferia industriale.

Ed un giorno, ero poco più di un giovinetto, entrai nello stabilimento.
Il mio posto era tra lo scarico dei vagoni e una specie di gabinetto d’analisi; ma una mattina non resistetti e sgattaiolai nel capannone dell’altoforno.

Era inverno e, appena entrato, ebbi una sensazione piacevole di tepore; ma subito mi accorsi che l’aria aveva qualcosa di acre, di pesante. La gran fornace era lì, a pochi metri. I carrelli, caricati da manovali pagati a cottimo che lavoravano con una frenesia inumana, entravano, si aprivano nel be mezzo come una mela spaccata, lasciavano cadere il loro carico e se ne tornavano via, richiudendosi mentre dalla gola del forno erompeva una nube giallastra, fetida, che si disperdeva, pigramente, oltre i travicelli bluastri.
(M. Comassi)

Il rame
E’ un metallo di un bel colore rossiccio, molto abbondante in natura. A contatto con l’umidità perde la sua lucentezza e si riveste di uno strato verdastro, il verderame, sostanza pericolosa quando di forma sui contenitori per alimenti.
Il rame si usa soprattutto per la fabbricazione di cavi elettrici e di caldaie. Fuso in lega con lo stagno forma il bronzo; in lega con lo zinco forma l’ottone.

L’alluminio
E’ un metallo color bianco argenteo, molto malleabile, di facile lavorazione. Non si trova libero in natura, ma è contenuto nei minerali della bauxite e del caolino.
E’ usato per la fabbricazione di fili elettrici, di utensili da cucina, di scatolame. In lega con altri metalli, serve alle industrie automobilistiche ed aeronautiche.

Il piombo
E’ tenero, grigio, pesante. E’ adoperato per la fabbricazione di tubazioni, di caratteri tipografici (in lega con l’antimonio), di accumulatori elettrici, di pallini da caccia. Entra in diverse leghe.

Lo zinco
E’ azzurrognolo; si usa per rivestire fili, lamiere, reti metalliche, grondaie, secchi e vasche di ferro, onde evitare il formarsi della ruggine.

Il mercurio
E’ l’unico metallo liquido. Si estrae da un minerale rossastro, il cinabro, che era conosciuto come sostanza colorane dagli Etruschi e dai Romani. Era molto usato nella costruzione di termometri, ed è utilizzato per pompe ed altri strumenti.

Lo stagno
E’ di colore argenteo; è usato per rivestire recipienti di ferro o di rame. La latta dei barattoli è una leggera lamina di ferro stagnato. Unito al piombo dà la lega dei saldatori.

Minerali preziosi

L’argento è usato per coniare medaglie, per posaterie di lusso, per bracciali e collane, per orologi ed anelli, ecc…
L’oro si trova in natura in forma di pepite o in granelli mescolati a sabbia. Giallo e lucente è, come l’argento, metallo duttile e malleabile. Come l’argento, esso entra in lega con il rame ed acquista così la durezza necessaria per la sua utilizzazione, che è simile o uguale a quella dell’argento. Non è attaccabile da alcun acido.
Il platino, assai raro, è di colore bianco argenteo: è metallo che resiste ad alte temperature e, come l’oro, ma è assai costoso.

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Il ciclo dell’acqua – dettati ortografici e letture

Il ciclo dell’acqua – dettati ortografici  e letture sul ciclo dell’acqua e i fenomeni atmosferici, di autori vari, per bambini della scuola primaria e d’infanzia

Pioggia, neve e grandine

Oggi il cielo è nuvoloso e a tratti cade una pioggia fitta e sottile che bagna ogni cosa. Essa può risultarci fastidiosa, ma è benefica alle coltivazioni dei campi ed è indispensabile alla vita di tutti gli esseri viventi.
Mentre osserviamo la pioggia, chiediamoci un po’ da dove arriva. Già lo sappiamo: viene dalle nubi che stanno in cielo e che il vento porta qua e là a suo piacere. Bene! Ma le nubi come si sono formate?
Le acque dei fiumi, dei laghi, dei fossati e specialmente le estese acque del mare, sotto il benefico effetto dei caldi raggi del Sole, si sentono, in  superficie, diventare più leggere, ed evaporano, trasformandosi in nuvolette invisibili di vapore acqueo.
Il vapore si alza leggero nell’aria e lassù in cielo si raggruppa formando le nubi. Quando le nubi incontrano correnti di aria fredda, le goccioline che le formano si condensano, si uniscono cioè tra loro, e formano gocce più grosse e più pesanti che cadono: è la benefica pioggia.
D’inverno, quando l’aria è freddissima, le goccioline delle nubi possono trasformarsi il leggeri cristalli di ghiaccio che scendono dal cielo come bianchi e soffici fiocchi: è la neve che ammanta di bianco ogni cosa.
D’estate, durante certi violenti temporali, le goccioline delle nubi sono investite da improvvise correnti di aria fredda. Il rapido abbassamento della temperatura le trasforma in chicchi di ghiaccio: è la grandine, che danneggia interi raccolti.

Il cammino dell’acqua sulla terra

Piove, grandine, nevica: l’acqua ristagna sulla terra nel luogo in cui è caduta. In breve tempo l’aria e il sole la fanno nuovamente evaporare.
Altre volte l’acqua penetra sottoterra, scioglie il terriccio necessario alla vita delle piante e delle erbe e, in parte, compie un lungo percorso nel sottosuolo, per poi zampillare da una roccia e formare una sorgente.
Ma non tutta l’acqua che cade sulla terra ristagna o viene assorbita dal terreno. Una buona parte si raccoglie in rigagnoli, in brevi ruscelli, in impetuosi torrenti, forma i grandi corsi d’acqua: i fiumi.
I fiumi si versano nei laghi e, più spesso, nel mare che tanta acqua ha già raccolto direttamente, con le piogge.

Come si formano le nuvole

E’ il sole che forma le nuvole, ed è il vento che le raduna, le sparpaglia, le sposta. Il sole riscalda le acque dei mari, dei laghi, dei fiumi, degli stagni. Una parte dell’acqua riscaldata si trasforma in una fumata leggera e trasparente di vapore.
Il vapore acqueo si solleva a grandi altezze e si raccoglie, si condensa nelle nuvole. Quando una nuvola è così carica di vapore da apparire scura, a contatto con l’aria fresca di lassù, si trasforma in acqua e piove.

Le nuvole

Scherzano, passeggiano nel cielo azzurro. Nuvole color di rosa, nuvole pensose color di perla, nuvole vanesie in trina rossa e gialla, nuvole serie in velluto scuro coi bordi d’oro. Vengono dal profondo, danzano intorno al sole in veli tenui, si sciolgono nel profondo. Passano greggi mansuete al pascolo, cavalieri in cerca di ventura, belle addormentate dai capelli sciolti alla brezza. Sorgono e si disfanno torri e castelli, cupole di chiese e case di villaggi. Tumulti di battaglie diradano, diradano, s’illuminano, vaporano in file d’angeli d’argento. (G. Manacorda).

L’eterno ciclo dell’acqua

Le nubi mandano sulla terra molta acqua sotto forma di pioggia, di neve o di grandine. Quest’acqua va poi ad alimentare ruscelli e fiumi che la trasportano nuovamente al mare. Poi dal mare e dai corsi d’acqua che attraversano la superficie terrestre l’acqua ritorna in cielo a formare le nubi. Così il giro dell’acqua non si interrompe mai.

Utilità della neve

La neve, cadendo al suolo, ricopre tutto con il suo strato candido e crea meravigliosi spettacoli invernali nelle campagne, nei parchi, nei giardini.
Ma, naturalmente, i suoi effetti non sono semplicemente decorativi. Innanzitutto, l’accumularsi delle nevi sui monti costituisce delle grandiose riserve d’acqua.
La neve protegge la terra dal gelo e favorisce quindi la vegetazione erbacea, soprattutto quella del grano: sotto la neve pane, diceva il proverbio. La neve è pessima conduttrice di calore perchè racchiude molta aria, perciò mentre la temperatura dello strato superiore del manto nevoso può scendere a parecchi gradi sotto zero, quella dello strato inferiore, a immediato contatto col suolo, di solito si mantiene intorno agli zero gradi.
Al esempio, in uno strato nevoso di 40 centimetri di spessore, se la temperatura in superficie è di 8° sotto zero, lo strato più basso è a circa 0°.
Questo spiega bene quale ottima difesa contro il gelo invernale abbiano nella neve le tenere pianticelle di grano, i tuberi, le radici.

Fulmini e tuoni

D’estate, dopo ore di grande calura, qualche volta, nel cielo si addensano nuvoloni scuri. Il temporale sfoga con una pioggia battente. Tra le nuvole guizzano a tratti lingue di fiamma vivida che rischiarano il paesaggio. Qualche attimo dopo la fiammata, si sente un rumore secco, come uno sparo.
La fiamma che serpeggia da una nuvola all’altra è un fulmine; il rumore che segue è quello del tuono. Talvolta il fulmine scocca da una nuvola alla terra e colpisce persone, cime di alberi, edifici.
I fulmini sono enormi scintille elettriche prodotte tra le nuvole. Nell’aria del temporale sono sospese gocciole a milioni. Forti colpi di vento le afferrano, le fanno ruotare a grande velocità. Questo turbine di pioggia produce elettricità, come la dinamo di una centrale.
Il tuono non è altro che il rumore dell’aria colpita dalla scarica, come da una frustata. Fulmine e tuono avvengono nello stesso tempo: noi vediamo prima il bagliore e udiamo dopo il tuono, perchè la luce corre nell’aria assai più veloce del suono.
Per sapere a quale distanza da noi è scoppiato un fulmine bisogna calcolare i secondi che intercorrono tra il bagliore e il tuono e poi moltiplicare il numero dei secondi per 340: il prodotto dirà a quanti metri da noi è scoppiato il fulmine.

L’acquazzone

Da oriente vennero galoppando grandi nuvole bianche che poi si fecero bigie e pesanti. L’azzurro sparì, ingoiato da quella nuvolaglia spessa. Scoccò un lampo abbagliante, seguito, da lontano, da un tuono profondo. Qualche goccia cominciò a cadere, rada.
Poi la pioggia s’infittì, precipitò, scrosciò violenta. Le strade subito ruscellarono, le foglie degli alberi stormirono sotto la sferza, la terra giacque ristorata sotto l’acqua dirotta. (F. Herczeg)

Si avvicina il temporale

La nebbia si era da poco addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbuiandosi sempre più, davano l’idea di un annottare tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la sfera del sole, pallida, che spargeva intorno a sè un barlume fioco e sfumato, e pioveva un colore smorto e pesante. (A. Manzoni)

La rugiada

Quando, d’estate, nelle prime ore del mattino si attraversa un prato o si cammina su un tappeto di foglie cadute, le scarpe si bagnano di rugiada. La rugiada è formata da goccioline brillanti sulle erbe e sulle fronde. Come si è formata?
Durante il giorno il sole ha riscaldato il terreno. Nella notte esso ha ceduto il suo calore all’aria intorno ed è diventato freddo. Il contatto tra l’aria tiepida ed il terreno freddo ha provocato la trasformazione del vapore acqueo nelle goccioline di rugiada.

La brina

La brina è la sorella della rugiada, poichè nasce dallo stesso fenomeno; ma per realizzarsi le occorre una temperatura minori di 0°. Allora le minutissime goccioline di vapore condensato, congelandosi, si trasformano in minuscoli aghi di ghiaccio, che si dispongono bizzarramente a piume e a mazzetti sulle foglie, sull’erba, sulle siepi, sugli alberi, su ogni cosa. E la natura appare allora delicatamente incipriata, avviluppata da un velo argenteo e iridescente che crea mille piccoli arcobaleni, mille colori e mille sprazzi di luce ai raggi del nascente sole.

La nebbia

Se un raggio di sole filtra attraverso le imposte socchiuse, noi vediamo in esso muoversi una quantità infinita di grani di polvere: è il pulviscolo, sempre sospeso nell’aria e specialmente in quella di città, dove fumano ciminiere e camini e corrono automobili a migliaia.
Nei mesi d’autunno e d’inverno, soprattutto nelle pianure attraversate da numerosi corsi d’acqua, l’aria è sovente umida, carica di minuscole goccioline che a causa del freddo non riescono a sollevarsi.
Si forma così un velo, più o meno denso, che si distende pigramente su ogni cosa: è la nebbia. Questo velo si fa più grigio e impenetrabile nelle città, dove appunto è abbondante il pulviscolo che si impasta con le innumerevoli gocciole sospese nell’aria.

Perchè nasce il vento

La Terra è avvolta da una fascia spessa di aria che la segue nella sua rotazione. A tratti, grandi masse di aria, i venti, si spostano sfiorando la sua superficie. Il vento è leggero o forte secondo la velocità di queste masse in spostamento.
La causa prima del vento è il calore del sole. Quando una zona terrestre è stata molto riscaldata, riscalda a sua volta l’aria che le sta sopra. L’aria calda diventa più leggera e sale. Lo spazio lasciato libero dell’aria calda è subito occupato da correnti di aria più fresca e quindi più pesante. Il movimento di queste masse provoca il vento.
L’uomo utilizza la forza del vento per la navigazione a vela e per il movimento di mulini e di elevatori d’acqua. Molte piante affidano al vento il trasporto del polline e dei semi.

Il sole e le nuvole

Le nuvole invidiose dello splendore del sole decisero di ricoprirlo. Si radunarono nel cielo, diventarono nere e continuarono a salire. Ma lassù faceva un gran freddo; le nuvole si strinsero fra loro e qualcuna cominciò a piangere con grossi goccioloni. In breve tutto fu un pianto e le nuvole si sciolsero in pioggia. Dall’alto il sole tornò a sfolgorare. (G. Fanciulli)

La nuvola rosa

La nuvola correva con la gonna lieve e rosata gonfia di vento; era lieta come una bimba in vacanza nei prati azzurri del cielo.
Alzatasi al primo raggio dell’alba, ora era tutta rosa nel sole: uno splendore di quel mattino d’aprile.
Pochi però la guardavano a quell’ora; gli uomini o dormivano o lavoravano; gli alberi erano intenti a prepararsi il vestito nuovo. Ma sulla collina c’era un piccolo pesco diverso dagli altri: era giovane, trovava tutto bello e nuovo ed era tanto felice di essere al mondo!
Fu il solo ad accorgersi della nuvoletta rosa. La vide salire all’orizzonte, lieve, luminosa: uno splendore.
Si incantò a guardarla, mormorando fra sè: “Com’è bella…!” (G. Aimone)

Le nubi

Vagavano il lenta processione, bianche come spuma lattea, gonfie, bislunghe, ricciute, ondulate e dalle forme più strane. Alcune, più basse, annaspavano i loro fiocchi attorno alle guglie rocciose; alte, superbe, bianche come la neve; navigavano sull’azzurro inseguite da un corteo di nembi e di cirri; altre ancora, più sottili e trasparenti, parevano lembi di garza leggera o fiocchi di bambagia cardata dal vento. (G. Deledda)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL FIUME materiale didattico vario

IL FIUME materiale didattico vario – una raccolta di dettati ortografici, letture, poesie e filastrocche sul fiume, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

Le acque prodotte dallo sciogliersi delle nevi e dei ghiacciai scorrono in disordine fra i massi dell’alta montagna, poi si raccolgono a formare il torrente: un corso d’acqua impetuoso, ora abbondante ora povero d’acqua, interrotto da macigni e da salti improvvisi.
Il torrente scende al piede del monte e imbocca, ancora turbinoso e violento, la valle. Altri torrenti scendono da altri nevai e ghiacciai e si uniscono al primo.
Nella pianura le acque rallentano la loro corsa, si allargano in un solco (letto) più ampio. I cento torrenti sono diventati un unico fiume.
Il fiume è un corso d’acqua perenne. Esso scorre in un letto limitato da due sponde o argini. Il fiume può portare le sue acque ad un altro fiume: si dice allora che ne è l’affluente; può alimentare un lago: si dice allora che ne è l’immissario; può scaricarne le acque: si dice che ne è l’emissario; può infine portare le sue acque al mare. Il luogo ove le acque del fiume si mescolano con quelle del mare è detto foce.
Gli uomini costruirono le loro città presso i fiumi, per difendersi dietro una barriera scura e per sfruttarne le acque.
Il fiume favorisce l’agricoltura, offrendo acque per l’irrigazione. Sui fiumi navigabili si sviluppa un movimento di chiatte e di battelli per il trasporto delle merci e delle persone. Dal letto del fiume gli uomini estraggono con speciali macchie, le draghe, ghiaia e sabbia per la costruzione di case. Le grandi città scaricano nel fiume tutte le acque portate dai canali delle fognature.
Molti fiumi sono pescosi, offrono cioè quantità di buon pesce.

Il fiume

Va il fiume per la grande pianura e le sue onde mormorano sommesse: “Sono il fiume maestoso che irriga campagne, che inverdisce terre riarse, che dà moto e lavoro agli opifici, ai paesi, a città intere. Sono il fiume maestoso e calmo, rifletto il sole e la nuvola, il roseo dell’alba e l’oro del tramonto, l’alto pioppo e il piccolo cespuglio. Sulla mia riva cantano gli uomini, gorgheggiano gli uccelli, trillano i bimbi tuffandosi lieti nelle mie onde, si dondolano liete le barche. Sono il fiume e vado al mare”. (Hedda)

La sorgente

Nella primissima luce dell’alba, solamente la sorgente volubile parlava… L’acqua veniva dalle interne, misteriose vie dalla montagna, si affacciava ad uno spacco della roccia, balzava in una coppa di pietra larga, un po’ verde e un po’ violacea, tremava in giri aperti intorno al ribollire del mezzo, straripava dall’orlo e si perdeva fra i muschi e le felci. (G. Fanciulli)

La foce

Il luogo ove le acque del fiume sboccano nel mare si chiama foce. A volte la foce si apre a ventaglio ed è detta estuario. Quando invece la foce si dirama in diversi corsi d’acqua simili alle dita di una mano, si chiama delta. Quando un fiume alimenta un lago si dice che ne è l’immissario. L’emissario, invece, è un fiume che scarica le acque di un lago.

Il lavoro dell’uomo

Sulla riva del torrente l’uomo costruisce mulini, segherie, piccole officine. In capo alle valli egli innalza dighe per produrre elettricità o per irrigare la terra. Più in basso, quando l’acqua sembra stendersi pacifica nel letto del grande fiume, ecco le prime imbarcazioni: sono battelli per il trasporto di materiali o di persone, sono chiatte, adibite al traghetto dei veicoli, sono leggere barche per la pesca. I pesci di fiume sono gustosissimi: trote, anguille, carpe ed altri esemplari vengono catturati per mezzo di reti o di lenze. Neppure la sua ghiaia e la sua sabbia sono da disprezzare. I muratori ne fanno largo uso.

Il fiume è utile

Dove scorre un fiume la terra si fa rigogliosa. Aria e sole non bastano a rendere fertili i campi, è necessaria anche l’acqua, per nutrire le piante e dissetarle nei mesi più caldi. Per questo l’acqua del fiume viene incanalata e usata per irrigare vaste campagne. Alcuni fiumi sono per un buon tratto navigabili e sono solcati da barconi da trasporto; dal letto dei fiumi si ricavano ghiaia e sabbia. Il più grande fiume d’Italia è il Po, navigabile per buona parte del suo corso. Ma l’opera dell’uomo non si è fermata qui, e il Po è stato unito, per mezzo di un canale, alla laguna di Venezia.

Animali e piante nelle acque dolci e lungo le rive

I ranuncoli d’acqua fioriscono nelle zone d’acqua ferma, vicino alle sponde. Le ninfee aprono le bianche corolle nelle zone dove l’acqua è più tranquilla. Molto spesso le rive sono verdeggianti di giunchi e di canne palustri.
Nelle acque dei fiumi vivono la trota, ricercata per la squisitezza della sua carne, e il luccio che è munito di denti robustissimi. La carpa preferisce le acque poco correnti, dove abbonda la vegetazione.
Numerosi sono gli insetti che vivono vicino alle acque dolci. La libellula è uno dei più conosciuti e più belli. Le zanzare popolano soprattutto le zone di acqua stagnante.
Ci sono anche uccelli che vivono presso le acque dei fiumi. Durante l’inverno, qualche volta, nelle paludi e nei campi che costeggiano i fiumi si incontrano le anatre selvatiche. Il falco pescatore e il martin pescatore sono veloci ed instancabili nel catturare i pesci.

La piena

Quando piove troppo a lungo, il livello delle acque del fiume cresce e si innalza talvolta fino a superare e a travolgere gli argini: il fiume è in piena. Acqua torbida e fangosa invade la pianura, distruggendo le coltivazioni e danneggiando case e strade. L’uomo cerca in vari modi di prevenire le alluvioni: rimbosca le montagne, per impedire che il terreno frani e i torrenti portino a valle fango e sassi; pianta filari di alberi lungo il fiume e scava canali di scarico. Egli innalza argini e li protegge con grandi gabbie di rete metallica, piene di sassi.

La cascata

Dalla destra e dalla sinistra del fiume giungono gli affluenti frettolosi e uniscono le loro acque a quelle del compagno maggiore. E tutti insieme vanno lietamente verso il piano. Non sempre la strada è agevole e priva di ostacoli. In certi punti le pareti dei monti, entro cui scorre il fiume, si avvicinano tanto che tra l’una e l’altra rimane appena un piccolo spazio. Questo stretto passaggio si chiama gola. Altrove il terreno cede tutto d’un tratto e il fiume deve spiccare un salto più o meno alto. Si ha, così, una cascata.
Per il turista la cascata è uno dei più attraenti spettacoli che presenti la montagna. L’acqua balza dall’alto impetuosa, rivestendo di minute e luccicanti goccioline le piante, gli arbusti e le erbe che il vento del salto ha piegato verso il basso. Da punto dove la colonna d’acqua batte, cadendo, si solleva una nebbiolina, formata da piccolissime gocce frantumate dal balzo e sulla nebbiolina risplende, in graziosi colori, la luce del sole.
Per l’ingegnere la cascata è una preziosa fonte di energia elettrica. Veramente prima dell’ingegnere, ha pensato l’umile mugnaio a sfruttare il lavoro che l’acqua fa cadendo. E’ bastato mettere una ruota a pale sotto la colonna d’acqua e trasmettere, con una cinghia, il movimento della ruota alle macine che trasformano il grano in farina.
Dal primitivo impianto del mugnaio è nata la turbina, che riceve la spinta della cascata e la comunica alle macchine incaricate di produrre energia elettrica.
Così il giovane fiume balzante dalla rupe mette la sua forza a servizio dell’uomo, per illuminare le case e le strade, per animare le macchine degli opifici, per la cura dei malati, per il trasporto da luogo a luogo delle merci e delle persone.

Il fiume

Scende il fiume dalle montagne. Viaggia notte e giorno. La sera l’acqua arriva tiepida, perchè ha viaggiato tutto il giorno. La mattina arriva ghiacciata, perchè ha camminato tutta la notte. Cammina, cammina senza sapere dove va. Traversa le valli, scende lenta verso il piano, passa fra distese brulle e attraversa paesi. Improvvisamente si sente stretto tra due muraglioni. E’ arrivato in città. (A. Campanile)

La cascata

Là dove c’è la cascata, l’acqua del fiume precipita, balza, spumeggia, si gira in gorghi e in vortici. Una bambina guarda, ammirata. Il babbo prende un ramo grosso, nodoso e lo getta dove l’acqua comincia a precipitare verso la cascata. Appena tocca l’acqua, il ramo balza verso il cielo, rotola, precipita. Si agita nei gorghi. Pare che l’acqua si diverta, ferocemente, con lui. “Ecco perchè” dice il babbo alla figlia, “la cascata è pericolosa”. (M. L. Magni)

Gli scavatori di sabbia

Da giovane il fiume è impetuoso torrente dopo essere stato ruscello canterino. Scende lungo i fianchi della montagna, schiuma contro le rocce, straripa facilmente. Giunto in pianura si stende placido e silenzioso. Il suo canto diventa sussurro. Lungo le sue rive diventate calme vi sono le cave di sabbia. E gli scavatori lavorano ogni giorno per noi, per portarci quella sabbia che servirà poi per la costruzione delle nostre case.

La foce

Eccolo il nostro fiume sempre più maestoso avviarsi rapido verso il mare. Si è fatto ora silenzioso. Ha accolto lungo la sua via, a destra e a sinistra, gli omaggi degli altri fiumi; ha bagnato città e villaggi; ha specchiato nelle sue acque rosse torri, castelli solitari, umili casolari, fronde tremule d’alberi, giardini in fiore, nere ciminiere. Ha accolto bonario i ponti creati dalla mano dell’uomo; ha trasportato barche e battelli; ha diffuso da per tutto la sua forza; ha donato la prosperità.

Il ruscello

Lungo le rive muscose e verdeggianti canta allegro il ruscello, mentre l’acqua limpida saltella di sasso in sasso. Occhieggiano al suo passaggio fiorellini dallo stelo corto, dalla corolla bianca a forma di stella: i ranuncoli dell’acqua. Più in basso, il ruscello rallenta la sua corsa. E’ arrivato in un’ampia zona pianeggiante ed ora si allarga fino a formare un piccolo lago dalle acque tranquille. Eccoci davanti a un placido stagno. E’ azzurro d’acque e verde d’erbe, che sfidano anche i rigori invernali, perchè le loro radici sono protette dall’acqua profonda, che non gela mai.

Vita nello stagno

L’anitra selvatica si alza improvvisamente in volo dalle acque dove ha cercato il suo nutrimento. Ha udito qualche rumore sospetto, e cerca scampo nella fuga, ignorando che, forse, il cacciatore è in agguato. Un grazioso martin pescatore è aggrappato a una canna palustre e la fa dondolare lentamente. Scruta attento le acque in cerca di pesciolini o insetti, che sa acchiappare con grande bravura.

Lungo la strada dell’acqua

Senza un tonfo, come adagiato sull’acqua, lo scuro e pesante barcone avanza. E’ colmo di ghiaia. Davanti gli si stende, fino a smarrirsi tra i pioppi e la foschia, la verde strada del canale. Come questo, due, tre, dieci, cento altri barconi seguono il lento cammino dell’acqua. Portano rena, sabbia, ghiaia, pietre alla città che ha fretta di crescere. Vanno, portati dall’acqua. E non cambiano mai. Scuri e tranquilli, lavorano in pace, lungo la verde strada d’acqua. (M. L. Magni)

L’uomo e il fiume

Tutte le grandi civiltà sono sorte vicino ai fiumi. Infatti tra il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro è nata la civiltà cinese; sul Gange la civiltà indiana; sul Tigri e sull’Eufrate quella babilonese; sul Nilo quella egiziana; sul Tevere quella latina. Perchè accade questo? I motivi dipendono dalla presenza del fiume: le pianure in cui si stabilirono le prime genti erano state create dal fiume stesso ed erano perciò fertilissime; inoltre il fiume era una comoda via di comunicazione, forniva l’acqua per irrigare i campi e per bere, ed era una difesa naturale contro gli assalti dei nemici.
Per questi motivi nell’antichità i fiumi importanti venivano considerati sacri. Alcuni conservano ancor oggi il loro significato religioso, come il fiume Gange dove gli indiani si bagnano per purificarsi e dove gettano, dopo la morte, le loro ceneri.
Un fiume sacro alla memoria dei cristiani è il Giordano, in Terra Santa; con l’acqua di questo fiume Gesù fu battezzato.
La tecnica moderna ha consentito di realizzare lungo il percorso di molti fiumi, opere veramente considerevoli: industrie, officine e centrali idroelettriche sfruttano l’energia delle acque, e porti di notevole importanza commerciale sorgono lungo le rive dei grandi corsi d’acqua.
Spesso questi fiumi, lungo le rive dei quali sorgono ricche città portuali, sono collegati con altri centri mediante una rete di canali navigabili, in modo da favorire e agevolare lo sviluppo del commercio e dell’industria.

Vocabolario

Fiumana, rivo, riviera, affluente, immissario , emissario, tributario, torrente;

guadabile, ghiaioso, impetuoso, navigabile, perenne, profondo, rapinoso, tortuoso, vivo, morto, sinuoso;

anse, alveo, argine, bocche, bacino, banchina, braccio, chiusa, cascata, cateratta, confluente, corrente, corso, direzione, diga, delta, estuario, foce, ghiareto, greto, guado, letto, livello, meandro, pescaia, pelo, proda, ripa, sorgente, sponda o margine, tonfano, vortice o gorgo, magra, piena, rapida, risucchio, alluvione, illuvione, inondazione;

immettere, sboccare, nascere, finire, sfociare, versarsi, fluire, diramarsi, bagnare, correre, gonfiarsi, esalveare, irrigare, scaturire, sgorgare, inalveare;

fluviale, ponte, traghetto, alzaia, ciottolo, navalestro, frontista o rivierasco, portata.

 Il ruscello
C’era una volta un giovane ruscello
color di perla, che alla vecchia valle
tra molti giunchi e pratelline gialle
correva snello;
e c’era un bimbo, e gli tendea le mani
dicendo: “A che tutto codesto fuoco?
Posa un po’ qui. Si gioca un caro gioco,
se tu rimani.
Se tu rimani, e muovi adagio i passi,
un lago nasce, e nell’argento fresco
della bell’acqua io con le mani pesco
gemme di sassi:
fermati dunque, non fuggir così!
L’uccello che cinguetta ora sul ramo
ancor cinguetterà, se noi giochiamo
taciti qui”.
Rise il ruscello, e tremolò commosso
al cenno delle amiche mani tese;
e con un tono di voce cortese
disse: “Non posso!
Vorrei: non posso! Il cuor mi vola: ho fretta!
In mezzo al piano, a leghe di cammino,
la sollecita ruota del mulino
c’è che mi aspetta;
e c’è la vispa e provvida massaia
che risciacquar la nuova tela deve,
e sciorinarla, sì che al sole neve
candida paia;
e il gregge c’è, che a sera porge il muso
avido a bere di quest’onda chiara,
e gode s’io la sazio, e poi ripara
contento al chiuso…
Lasciami dunque”, terminò il ruscello,
“correre dove il mio dover mi vuole.”.
E giù nel piano, luccicando al sole,
disparve snello.

Il ruscello
Oh, piccolo ruscello argenteo e chiaro,
che in avanti ti affretti senza posa,
alla tua riva me ne sto pensoso.
Da dove vieni tu? Dove te ne vai?
Vengo dal buio seno della roccia;
il mio corso se ne va tra muschio e fiori
e sul mio specchio dolcemente freme
l’azzurra amica immagine del cielo. (W. Goethe)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina – Questo racconto è utile sia per illustrare il ciclo dell’acqua, sia per introdurre in geografia gli ambienti naturali montagna, collina e pianura. Andrebbe proposto a blocchi, ed ogni blocco illustrato dai bambini con matite, cerette, acquarello, ecc…  (anche copiando dalla lavagna). Questo solo a titolo di esempio:

C’era una volta, molto ma molto tempo fa, un regno immenso fatto di acqua, dove tutto era pace e armonia. Era il regno di Oceano. Custodiva tante e tante meraviglie: negli abissi più profondi e inesplorati, si nascondevano grotte misteriose e montagne di sabbia e roccia rivestite di un  mantello verde evanescente che danzava all’ondeggiare dell’acqua. C’erano giardini incantati, pieni di fiori e coralli dai colori più sgargianti, e piante grandi e piccole, alcune delle quali aprivano e richiudevano le loro chiome per mangiare e riposare.

Piccole e grandi creature si muovevano senza sosta tra quelle meraviglie. La loro pelle era simile al colore delle piante e dei fiori che le circondavano, e  lucente, e piante e creature si confondevano tra loro.

Ogni creatura aveva un nome. C’era ad esempio il polipo, con la sua grande testa allungata dalla quale spuntavano lunghi tentacoli che si muovevano in tutte le direzioni. C’era poi la medusa, leggiadra e trasparente, che si muoveva così leggera e sinuosa da sembrare una ballerina sulle punte, in perfetta sintonia coi movimenti dell’acqua. La conchiglia dell’ostrica sembrava un ventaglio colorato e custodiva al suo interno una magnifica, perfetta perla splendente. La balena era la più grande creatura del regno. Un gigante buono. Quando nuotava, attorno a lei c’erano tanti pesciolini che le tenevano compagnia. Per respirare la balena doveva, di tanto in tanto, uscire dall’acqua, ed in quel momento spruzzava dal suo dorso una gorgogliante fontana che saliva verso il cielo e poi ricadeva su se stessa aprendosi come un fiore. C’era poi il delfino, l’acrobata di quel regno. I delfini nuotavano sempre in gruppo, ed il loro gioco preferito consisteva nel balzare fuori dall’acqua, il più alto possibile, per poi rituffarsi in acqua disegnando  nell’aria archi d’argento e allegri spruzzi d’acqua.

Il colore verdazzurro del regno di Oceano gli donava un’atmosfera di sogno e di pace. In superficie tutto era un luccichio, grazie alla luce del sole:  milioni di piccole stelline sembravano posarsi a danzare sul pelo dell’acqua.

Oceano aveva moltissime figlie: le gocce d’acqua, che vivevano felici nel suo regno. Oceano si occupava amorevolmente di loro e provvedeva a tutti i loro bisogni: le nutriva, le cullava cantando per loro, le proteggeva dai pericoli. Le gocce amavano Oceano, e gli erano grate e riconoscenti per quella vita così felice e spensierata.

Un giorno, mentre tutte le piccole gocce erano impegnate a giocare tra loro, si spinsero fino alla cresta delle onde, pericolosamente troppo vicino alla superficie, e lontane dal palazzo verdazzurro di Oceano. Lì udirono una misteriosissima voce chiamarle: “Goccioline! Fatevi riscaldare dai miei raggi, vi prometto che conoscerete cose fantastiche… vi farò vedere tutte le meraviglie che esistono oltre al vostro regno…”

Le gocce si spaventarono e fuggirono via. Non appena furono di nuovo a palazzo si sentirono al sicuro, ma non riuscivano a smettere di pensare a quello che era successo, e non riuscivano a darsi una spiegazione. Di chi era quella voce? Chi le aveva chiamate? Era il caso di tornare vicine alla superficie e cercare di scoprirlo, o era meglio dimenticare tutto e lasciar perdere?

Una piccola goccia parlò: “Oh, io sono così stanca di tutta questa pace, ogni giorno uguale all’altro, ogni giorno sempre più noioso di quello prima… Questo regno lo conosco ormai fino al più piccolo granello di sabbia che contiene. Basta! Voglio qualcosa di nuovo! Voglio avventura! Voi fate come volete: io salgo!”.

A parlare era Diamantina, la più curiosa e irrequieta goccia che ci fosse mai vista nel vasto oceano. Senza esitazione, dunque, si diresse verso la superficie, e molte delle sue sorelle decisero di seguirla…

… un brivido misterioso percorse le acque, e giunse fin negli abissi più profondi dell’oceano.

Appena giunte in superficie, le piccole avventuriere si sentirono avvolte da un piacevole tepore: un raggio di sole le aveva infatti accarezzate e le stava attirando a sè con forza sempre maggiore. Diamantina e le sue compagne si lasciano andare e, piano piano, con grande gioia, si arrampicarono sul raggio di sole, lasciando sotto di sè il regno di Oceano. Man mano che salivano diventavano sempre più leggere: fluttuavano nell’aria più leggere di trasparenti farfalle, e salivano sempre più in alto, sempre più su… per la prima volta in tutta la sua vita Diamantina, fuori dal regno di Oceano, vide tutti i colori del mondo.

(disegno)

Diamantina e le sue sorelle erano così felici! Ed ecco, videro comparire mago Vento: un gigante buono che se ne stava là nell’aria e  sembrava divertirsi come un matto a gonfiare le sue guance a più non posso. Quando aprì la bocca, ne uscì una bella folata fresca che investì tutte le gocce, allora loro si diedero la mano e si strinsero, per evitare di venire sparpagliate chissà dove.  Così unite , formarono una bella nuvola bianchissima nell’azzurro del cielo, e mago Vento continuò a soffiare, spingendo la nuvola fino alla cima di un’alta montagna rocciosa.

Lassù faceva molto freddo, non si vedevano nè erba nè alberi, ma solo rocce gigantesche, immobili e solenni. Per proteggersi dal gran freddo, ed estasiate dalla bellezza di ciò che vedevano, Diamantina e le altre gocce si strinsero ancoro  più forte le une alle altre: erano nel regno di mago Gelo. Divennero per opera sua sempre più consistenti e solide e bianche, e scesero lievemente sulle montagne, trasformate in meravigliosi cristalli stellati. Si adagiarono con dolcezza al suolo formando un mantello soffice soffice e bianco bianco, e caddero in un piacevolissimo sonno che per lungo tempo le cullò su quelle alte vette.

Finalmente, un mattino, un lieve tepore le svegliò dal loro sonno, e le gocce ad una ad una si accorsero che potevano nuovamente muoversi: era arrivata la primavera.

(disegno)

Scivolarono lungo il pendio della montagna verso la valle, lungo il percorso cantavano e saltellavano e giocavano a rincorrersi, riprendendo  via via la loro trasparenza. Scorrevano sempre più veloci, e ridevano, ridevano… L’eco delle loro risa risuonava tutto intorno, e improvvisamente ebbero come l’impressione di prendere velocità e di volare nel vuoto: l’emozione le fece ridere ancora più forte! E il loro salto aveva formato un’incantevole cascata.

Lungo il percorso capitava che alcune gocce scegliessero altre strade, ma sempre accadeva che un po’ più a valle si ricongiungessero. Ritrovarono perfino le sorelle che avevano scelto per un po’ di scorrere sottoterra, per poi riaffiorare dalla roccia e riunirsi a loro come acqua di sorgente.  Quando furono di nuovo tutte insieme,  i loro mille rigagnoli erano diventati un bel torrente limpido e lastricato di sassi grandi e piccoli.

Diamantina e le altre gocce si scambiarono i loro racconti di viaggio: c’era chi aveva conosciuto la regina Stella Alpina, chi aveva spiato una cordata di coraggiosi alpinisti, chi era passata vicino a paurosissimi burroni… un profumo molto intenso le avvolgeva e felici più che mai contemplavano il verde giovane della primavera.

Diamantina per prima si fece coraggio, e chiese: “Chi siete? Perchè ve ne state lì fermi e non venite con noi?”. “Noi siamo l’erba”, risposero in coro, “non potremmo vivere separati dalla terra, che ci nutre, ci protegge, ha cura di noi. Tappezziamo la montagna formando i pascoli, e la facciamo soffice e morbida… su di noi giocano i bambini, e senza di noi mucche, pecore, caprette, morirebbero di fame”. Diamantina e le sue compagne domandarono perplesse: “Mucche? Pecore? Caprette? E che cosa sono?” . “Sono quegli animali laggiù, vedete? Quelli a quattro zampe!”.

Le gocce conobbero così gli animali, strani esseri che, a differenza dell’erba, possono correre, saltare, galoppare…

“Anche tu ti chiami Erba?”, chiese Diamantina ad un bel fiore. “Beh, non proprio… il mio nome è Calendula, anch’io appartengo alla famiglia dell’Erba, ma a me aria e luce hanno dipinto un bel fiore con i raggi del sole…”. Mentre Calendula parlava, Diamantina si accorse di un piccolo essere simile a un fiore, ma che volteggiava nell’aria. Quando lo vide posarsi su una dolce margherita, urlò: “Attento bel fiore bianco e giallo, quella cosa ti farà male!”. “Mia cara Diamantina,” rispose Margherita, “questa è nostra sorella, la Farfalla. Non vedi come somiglia a noi fiori? Le sue ali sono come i nostri petali, ma sono petali speciali perchè possono prendere la strada del cielo. La farfalla, sai, volando qua e là per il prato, raccoglie tutte le storie che racconta la natura e le passa di fiore in fiore. Ora è a me che vuole raccontare qualcosa…”

Dopo aver salutato tutti i nuovi amici conosciuti nel pascolo montano, Diamantina e le sue compagne ripresero il loro viaggio. Ad un tratto sentirono un brivido di freddo e di paura: videro attorno a loro non più il verde dei pascoli, ma una miriade di giganti maestosi ed immobili che, nascondendo la luce del sole, creavano un’atmosfera cupa e misteriosa.  Le gocce, unite nel torrente, stavano infatti attraversando un fitto bosco di pini, abeti e larici.

La luce tornò e le gocce tirarono un bel sospiro di sollievo. Avevano ripreso il loro corso naturale, quando questa volta fu un grosso sasso a sbarrar loro la strada. Alcune gocce riuscirono ad aggirarlo, passare oltre e proseguire il loro cammino; altre si fermarono a discutere a lungo davanti al masso, presero a litigare, e così divennero ben presto acqua stagnante, e il fango le imprigionò.

(disegno: montagna)

Le altre, passate il grande sasso, decisero di rallentare un po’ la loro corsa per ammirare il meraviglioso paesaggio che andava cambiando. Via via la pendenza si faceva più dolce e cominciavano ad apparire verdeggianti colline, che si susseguivano simili alle onde di un mare incantato, pronto ad offrire nuovi tesori e nuove bellezze: argentei ulivi dal tronco contorto, filari di viti, frutteti, tappeti di terra coltivata, boschetti di castagni e querce, fiori variopinti. Tante casette colorate erano sparse qua e là tra il verde. Le gocce si beavano di tutte queste meraviglie.

Diamantina e le sue compagne di viaggio si guardavano intorno felici, e la loro attenzione presto si concentrò su una specie di prato verde sospeso in alto. “Forse è un prato che vola, una specie di grande farfalla…” disse Diamantina a voce alta.  “Ma che sospeso! Ma che farfalla!” disse un grosso vocione da contrabbasso, “Sono la Quercia. Le mie radici affondano nella terra, e la terra mi ha nutrita e fatta crescere così alta e maestosa perchè desiderava guardare il cielo da vicino. I miei rami servono da riparo per gli uccelli: loro cantano e volano, mentre io sto immobile a custodire la loro casa. Solo mago Vento viene ogni tanto a scuotermi un po’ le fronde: lui è mio grande amico. “

Un canto improvviso distrasse presto Diamantina: nascosto tra i fili d’erba c’era un piccolo cosino nero, ed era lui a cantare. “E tu chi sei?”, chiese Diamantina, “una capretta nana?”. “No, no!”, rispose quello. “Allora sei una mucca piccola!”. “Ma no! Sono un insetto, un grillo canterino, per la precisione, e mentre mi occupo di pulire e riordinare la tana, canto”.

“E quei fili d’erba che saltano, cosa sono?” chiese ancora Diamantina al grillo. “Sono cavallette! Non sono fili d’erba, sono insetti come me. Non stanno mai ferme, saltano, saltano… mi fanno girare la testa!”. Detto questo il grillo riprese le sue faccende e il suo canto.

(disegno: collina)

Le gocce, intanto, cominciavano a sentirsi molto stanche, dopo quel lunghissimo viaggio, ed erano confuse e stordite per la quantità di cose nuove che avevano visto lontane da casa. Rallentarono l’andatura e udirono un ronzio insistente provenire dalla riva, da un bel prato fiorito. Videro tanti piccoli esserini gialli e neri: volavano di fiore in fiore producendo il ronzio che aveva attirato la loro attenzione.

“Quelle non sono certo farfalle” pensò Diamantina, che proprio per colpa delle farfalle aveva già fatto tante brutte figure. Si avvicinò e chiese: “E voi chi siete?”. “Noi siamo le api” risposero loro, “e ci posiamo sui fiori per raccogliere il dolce nettare. Loro ce lo danno molto volentieri, perchè sanno che così noi potremo preparare la pappa reale per la nostra regina e il miele per tutti.”

Diamantina non sapeva proprio cosa fosse il miele, ma era troppo stanca per fare altre domande, così, insieme alle sue compagne, riprese il suo viaggio, muovendosi sempre più lentamente.

Il letto sul quale Diamantina e le altre gocce scorrevano non era più così ripido, ed era anche diventato molto più largo. Le gocce ora non avevano più quella voce sonora e squillante di una volta, non saltellavano, non guizzavano: scivolavano pacatamente e via via perdevano la loro limpidezza di acqua di montagna, per diventare acqua di fiume. Il fiume si allargava sempre più. Diamantina e le sue compagne si sentivano ora pesanti e stanche e provavano una grande nostalgia per il regno verdazzurro di Oceano. Attorno a loro c’erano tante cose meravigliose: le barche, le case, la vasta pianura verdeggiante, i campi dorati di grano, i filari di vite… ma Diamantina aveva perso ogni curiosità.

(disegno: pianura)

Ora le gocce scorrevano così lentamente che il tempo sembrava non passare mai…ma ecco che, in lontananza, scorsero il regno di Oceano, la loro casa. Ma come era possibile?

“Ogni fiume porta al mare, ragazze mie!” diceva Oceano, “Forza, correte, fatevi abbracciare!”

E tornate finalmente nel regno di Oceano, Diamantina potè raccontare a tutti gli abitanti del mare com’è fatta la terra: montagna, collina e pianura.

(adattamento da un racconto in uso nelle scuole steineriane)

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Racconti sull’acqua

Racconti sull’acqua di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Storia di una goccia d’acqua

C’era una volta una goccia d’acqua che, con tante sorelline, se ne stava beata in fondo al mare. Un giorno salì alla superficie. In altro c’era un’immensa volta turchina su cui vagavano certe nuvole bianche, e in mezzo a tutto quell’azzurro, una gran palla d’oro mandava raggi infuocati.

“Com’è bello!” disse la gocciolina. “E come andrei volentieri fin lassù”.

Come se qualcuno l’avesse sentita e avesse potuto esaudire il suo desiderio, la gocciolina si sentì diventare leggera leggera, finchè si accorse che saliva verso il cielo.

“Che cosa succede?” disse spaventata.

“Nulla, sorellina!” rispose una goccia che saliva insieme a lei. “O almeno nulla di speciale. Io lo so perchè ho già fatto questo viaggio. Il sole ci ha scaldato e siamo diventate leggere leggere. Il fatto è” aggiunse “che non siamo più gocce d’acqua”.

“E cosa siamo, allora?” chiese la nostra gocciolina incuriosita.

“Siamo vapore, o meglio vapore acqueo. Una parola difficile, ma io sono una gocciolina istruita”.

“E cosa ci capiterà adesso? Mi piacerebbe saperlo!”.

“Ih, quanta fretta! Aspetta e lo saprai.”

Che viaggio meraviglioso! Dall’alto, la gocciolina, ormai non più gocciolina, poteva vedere i prati verdi, il mare spumeggiante, i ruscelli argentini, i grandi laghi. La gocciolina si divertì moltissimo a vedere tante belle cose, ma poi si guardò intorno e vide che con tante sorelline che erano salite insieme a lei, si era formata una nuvoletta bianca come quella che tante volte aveva visto quando era sperduta nel mare.

Il viaggio fu piuttosto lungo.

Intanto altre gocce, trasformate anch’esse in vapore acqueo, si erano unite a loro e avevano formato un nuvolone bianco che andava, andava, portato dal vento. E il vento lo portò vicino alle montagne che si levavano diritte, con le loro vette rocciose.

Non era più quel venticello scherzoso che aveva portato a spasso la nuvoletta bianca, era un vento gelido che stracciava la nuvola e la portava di qua e di là senza riguardo.

Quelle che erano state goccioline divennero tutte molto tristi e la nuvola prese il colore della loro tristezza e si fece grigia: e poichè chi è triste piange, anche la nuvola cominciò a far cadere sulla terra certi goccioloni grossi che parevano lacrime. Ma non si trattava di tristezza.

Glielo spiegò, alla nostra gocciolina, la goccia istruita che aveva viaggiato con lei. “Siamo diventate troppe” disse ” e poi non senti che freddo? Questo vento non ha proprio nessun riguardo. Io mi sento tutta rabbrividire. E non sono più vapore acqueo, ma sono di nuovo acqua, anzi, di nuovo una goccia d’acqua.”

Anche la nostra gocciolina dovette abbandonare il cielo. E, dopo aver attraversato un nembo tempestoso, si ritrovò sul petalo di un fiore dove brillò come un diamante. La gocciolina era di nuovo felice.

Il sole splendeva ed era proprio il sole che le dava dei colori così belli. Ma era tanto caldo, il fiore ebbe sete e bevve la gocciolina, che si trovò così sotto terra, al buio.

“Il buio non mi piace!” disse la gocciolina. “Se devo essere acqua, voglio tornare al mare!”

“Ci tornerai” disse una voce e la gocciolina si accorse di essere nuovamente accanto alla sorellina istruita “Ma prima dovrai viaggiare un bel po’. Ne so qualcosa io!” aggiunse, dandosi molta importanza.

La gocciolina cominciò a camminare, a infiltrarsi fra le zolle, e durante il suo cammino vide mille boccucce che volevano succhiarla. Erano le radici che avevano sete. Le goccioline erano tante e contentarono un po’ tutti, finchè a forza di camminare, si ritrovarono tutte all’aperto.

Era una bella sorgente di acqua pura e fresca e un uccellino vi volò sopra e bevve. Poi, molto soddisfatto, fece una cantatina e se ne andò.

“E’ finito?” chiese la gocciolina alla goccia istruita “Comincio a essere un po’ stanca”.

“Finito? Si può dire che il nostro viaggio comincia adesso!”

La sorgente si era trasformata in un ruscello che correva correva come sospinto da una forza misteriosa. Lungo il cammino si riunivano altri ruscelli e insieme formarono un bel fiume. Il fiume, scorrendo calmo e placido, faceva lungo il suo corso tante cose.

Muoveva le pale dei mulini, entrava in certi tubi lunghi per mettere in movimento grandi macchine che dovevano dare l’elettricità, alimentò le fontane, si precipitò nei laghi e non c’era pericolo che la nostra gocciolina, sballottata in quel modo, s’annoiasse.

Ma ormai era stanca e il ricordo della sua vita in quella bella distesa azzurra, si faceva sempre più vivo in lei. E arrivò finalmente il giorno in cui il fiume sboccò in mare e la gocciolina rivide di nuovo i suoi amici pesci e li salutò con affetto.

“Sapete” disse loro dandosi grande importanza “non mi chiamo più gocciolina. D’ora in poi mi chiamerete la grande viaggiatrice”. E quelli risero. Si capisce, come sanno ridere i pesci.

M. Menicucci

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie e filastrocche ACQUA

Poesie e filastrocche ACQUA – una raccolta di poesie e filastrocche sull’acqua, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La goccia (G. Noseda)

Io sono la piccola
garrula goccia
che sgorga timida
fuor dalla roccia
sono la gocciola
fresca e lucente
che scende querula
lungo il torrente
sono la tremula
splendente stilla
che mite e placida
nel lago brilla
e con innumeri
gocce sorelle
nell’ampio oceano
specchio le stelle.

 

Acqua (E. Minoia)
Acqua fresca che saltelli,
canticchiando sopra i massi
ti salutan gli alberelli,
ristorati quando passi.
E son liete l’erbe e i fiori,
di specchiarsi nel tuo seno
mentre in altro ti sorride,
il bel ciel terso e sereno.

 

Amo (G. Noseda)
Amo il bel fuoco ardente,
e rosso, che scintilla
che s’alza arditamente,
che scalda, guizza e brilla.
La luce amo, splendente,
di qua, di là, d’intorno
che chiara e trasparente,
mi rende bello il giorno.
Amo l’acqua fluente,
azzurra tersa e viva
distesa dolcemente
tra l’una e l’altra riva.
Amo la terra bruna che,
madre di noi tutti
nel grembo suo ci aduna,
e nutre dei suoi frutti.

 

La canzone dell’acqua
Sotto il ponte, l’acqua chiara
fa una conca, tutta cielo;
vi si specchiano, ridendo,
due casette e un pino nero.
Ma, correndo, l’acqua canta
le novelle ai pesciolini,
quelli verdi e quei d’argento,
che s’inseguon più piccini:
“Nasco, su, da una sorgente
fra due sassi di montagna;
son ruscello e poi torrente,
son cascata e poi fiumana;
ma di correre ho gran fretta,
perchè il mar, laggiù, m’aspetta.
Il gran mar con le tempeste,
le balene e i pescicani
e le navi che van leste
ai paesi più lontani. (M. Mazza)

 

L’acqua
Ora sonante e torbiba
precipito dal monte,
or limpida e freschissima
zampillo dalla fonte.
Nel basso piano immobile,
talora imputridita,
coi miasmi pestiferi
insidio la tua vita.
Ed or con veste candida,
bella figlia del cielo,
il suol ricopro e gli alberi
del soffice mio velo.
Così, irrequieta, instabile,
muto forma e colore;
son limpida, son solida,
sono tenue vapore. (E. Berni)

 

L’acqua
Acqua pura di sorgiva
chi ti tocca ti sente viva,
chi ti porta via col secchio
porta il cielo in uno specchio.
Beve luce chi ti beve,
eri nuvola, eri neve,
eri canto di fontana
eri squillo di campana.
Sei la gioia del giardino
sei la forza del mulino.
Pellegrina affaccendata
tornerai dove sei nata. (R. Pezzani)

 

Acqua
Sempre indocile, trepida, infantile,
con che dolcezza timida ti lagni
nella discreta pace di un cortile!
Ma lietamente garrula, tra spini
d’agreste fosso, il misero accompagni
per ombre solitarie di cammini. (F. Pastonchi)

 

Fontanella
Perchè stasera la fontanella
piange con tanta malinconia?
Eppure è nata di già una stella
e farle un poco di compagnia.
E non è molto che la comare
venne ad attingere l’ultima secchia,
non fece quindi che chiacchierare
allegramente con ogni vecchia.
La luna, invece, tanto curiosa,
nella sua lunga pallida via,
di sopra i tetti vide, ogni cosa,
sa d’ogni pena, lieve che sia.
E sa che, quando l’aria dorata
a poco a poco si fa più scura,
forse sentendosi abbandonata,
la fontanella quasi ha paura. (Guazzoni)

 

La fontanina
Sola, ai piedi del monte
tutto verde di aberi,
sta una piccola fonte
che sa molti segreti.
Sa i segreti dei grilli
e i sospiri dei fiori,
d’ogni uccello sa i trilli
e d’ogni alba i colori.
Nelle notti d’argento
mormora una canzone
e ridice col vento
le novelle più buone.
Sembra, il suo mormorio
gentile, una preghiera
che salga verso Dio
da un’anima sincera. (T. Stagni)

 

Filastrocca della fontana
Fontanella d’acqua ricciuta,
dico a tutti che t’ho bevuta:
ho bevuta quest’acqua matta,
cielo caduto, neve disfatta,
questa luce limpida e pronta
che un po’ canta e un po’ racconta. (R. Pezzani)

 

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici: L’acqua

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Dettati ortografici sull’acqua – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

L’acqua di trova nelle sorgenti, nei ruscelli, nei torrenti, nei fiumi, nei laghi, negli stagni, nel mare. Può essere salata, dolce, limpida, pura, fangosa, torbida. L’acqua disseta e ristora le piante, rende fertili i terreni, serve ai bisogni vitali degli uomini e degli animali. Senza l’acqua, la terra diverrebbe un deserto roccioso.

L’acqua
La vedi sotto diversi aspetti: pioggia, neve, grandine, nebbia, rugiada, brina, ghiaccio. Ma è sempre acqua: fresca e garrula nelle sorgenti, impetuosa nel torrente, calma e possente nel fiume, furibonda o tranquilla nell’immensità dell’oceano. L’acqua pura è inodore, insapore, incolore. Solo nel mare e nei grandi laghi assume un colore azzurro o verdastro o grigio a seconda del cielo che vi si rispecchia.

L’acqua
L’acqua la troviamo nei laghi, nei fiumi, nelle sorgenti, nel mare. Ma se spremi una susina matura, ne vedrai uscire il dolce succo; anche questo è, in gran parte, acqua. E così nelle foglie, nel tronco. L’acqua si trova anche nel nostro corpo come nel corpo di tutti gli esseri animati. L’acqua è un elemento essenziale alla vita.

L’acqua
Ama l’acqua. Essa ti disseta quando sei accaldato e assetato, tiene lindi i tuoi vestiti e la tua biancheria, libera il corpo da tutte le impurità, ti rinfresca e ti ristora. Ama l’acqua che è amica dell’uomo.

L’acqua
L’acqua è amica quando disseta e libera il corpo dalle impurità, quando ristora le piante, quando, nei laghi, nei fiumi e nel mare, serve per potersi recare da una riva all’altra. Ma può essere anche nemica, quando cade rovinosa dal cielo, tutto travolgendo al suo passaggio, quando è impura e può trasmettere malattie, quando, trasformata in grandine, distrugge in un attimo il raccolto di un anno.

L’acqua
La vediamo sotto tante forme e sotto tanti aspetti: pioggia, grandine, neve, rugiada, brina. Gentile e chiacchierina nella fontana, fresca e chiara nella sorgente, impetuosa nel torrente, tumultuosa nel fiume, furibonda o tranquilla nell’ampio mare. L’acqua può fare tanto male e tanto bene: fa bene quando disseta e ristora, fa male quando inonda, travolge e distrugge.

La sorgente
Era un incantevole sito appartato. L’acqua gorgogliava limpida, sprizzando non si sa da dove, e pareva che le piante intorno tendessero verdi mani frondose per raccoglierla nelle loro palme. In fondo al gorgo ribollivano granelli di sabbia. Sgorgando, l’acqua si apriva un canale nel candido calcare e correva via rapida, trasformandosi in ruscello. (Rawlings)

La famiglia Acqua
Mamma Acqua ha diversi figli.
Il più monello è Acquazzone: quando arriva lui fanno tutti la doccia, anche senza averne voglia.
Una persona seria è Acquedotto, che pensa a distribuire acqua alle case dei paesi e delle città.
Acquario, invece, gioca volentieri coi pesci, mentre Acquaio fa la pulizia in cucina.
In famiglia c’è anche un pittore: Acquarello, che usa i pennelli dal mattino alla sera.
La più piccina di tutti è Acquolina, che sta sempre con il naso incollato alle vetrine delle pasticcerie.
Naturalmente la famiglia Acqua è una famiglia fortunata, perchè anche d’estate non soffre mai la sete.

Dettati ortografici sull’acqua – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

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