Aritmetica Waldorf: la storia di Fuochino e Granfumo per esercitare l’addizione

Aritmetica Waldorf: la storia di Fuochino e Granfumo per esercitare l’addizione… come in uso nella presentazione dell’aritmetica Waldorf, la storia fa da cornice per una serie di operazioni di addizione, partendo dal tutto (la somma) per poi considerare le parti…

Fuochino era uno scoiattolo rosso che poteva arrampicarsi sugli alberi più alti del bosco e saltare di ramo in ramo volando leggero come un uccello, toccando appena i rami con le sue zampette.

Granfumo era una una topolino rosso che sbucava lesto dalla sua lana sottoterra, come il vapore, e scavava nelle profondità del terreno per costruire la sua tana, in cui trovava riparo dalla neve e dal gelo dell’inverno.

Era ottobre, ed entrambi stavano lavorando alacremente per trovare ed accumulare le noci ed i chicchi da trasportare come scorte invernali in un luogo segreto.

Fuochino aveva già portato nella cavità di un albero molte noccioline, ma anche radici ed erbe. Granfumo aveva fatto lo stesso, ed aveva nascosto il suo tesoro nei tunnel sotterranei della sua tana.

Un mattino, non molto tempo dopo, entrambi avevano raccolto, circa in un’ora, parecchie noccioline. In tutto avevano trovato ben 12 noci, e Fuochino era stato molto più fortunato di Granfumo: lui aveva trovato 8 noci, mentre l’amico ne aveva trovate solo 4.

Così, quando Fuochino andò a cercarne delle altre, Granfumo rubò due delle sue noci dal suo nascondiglio segreto  e le portò nel suo tunnel, insieme alle altre 4. Adesso lui ne aveva? Mentre Fuochino, che prima ne aveva 8, ora quante se ne ritrova?

Ma guarda! Ognuno ha lo stesso numero di noci!

Ora che Granfumo aveva scoperto il nascondiglio segreto di Fuochino, i piccoli furti continuarono. Infatti gli prese altre 4 noci, e le portò nella sua tana sottoterra. Adesso quante ne aveva? E quante ne erano rimaste a Fuochino?

Non ancora soddisfatto, tornò un’altra volta nella dispensa dello scoiattolo, e gli prese altre due noci, ma questa volta aveva proprio esagerato! Non potè portarle nella sua tana, perchè ormai era troppo piena…

Waldorf arithmetic: the story of Redtail and Graysmoke for addition. As in use in the presentation of the Waldorf arithmetic, the story makes the frame for a series of addition operations, starting from all (the sum) and then consider the parts …


Redtail (Fuochino) was a red squirrel who could climb up tallest trees in the woods and jump from branch to branch flying as light as a bird, barely touching the branches with his paws.

Graysmoke (Grigiofumo) was a little gray mouse that came out quick from his underground burrow, like steam, and dug deep in the ground to build his burrow, in which was sheltered from the snow and ice of winter.

It was October, and both were working hard to find and accumulate nuts and beans to carry as winter stocks in a secret place.

Redtail had already brought in the hollow of a tree many peanuts, but also roots and herbs. Graysmoke had done the same, and had hidden his treasure in the underground tunnels of his burrow.

One morning, not long after, both had gathered, in about an hour, several peanuts. In all they found as many as 12 peanuts, and Redtail was much luckier than Graysmoke: he had found eight peanuts, while his friend had found only four.

So when Redtail went to look for other, Graysmoke stole two of his nuts from his hiding place and brought them into his tunnel, along with the other 4. Now he had? While Redtail, which before had 8 peanuts, now how many peanuts has?

But look! Each has the same number of nuts!

Now that Graysmoke had discovered the secret hiding place of Redtail, petty theft continued.He took another 4 peanuts, and brought them into his underground burrow. Now, how many did he have? And how many they were left to Redtail?

Not yet satisfied, he returned again in the pantry of the squirrel, and took two more peanuts, but this time he had really gone too far! He could not bring into his hole, because it was too full …

I laghi: dettato e disegno

I laghi: dettato e disegno –  una breve descrizione e l’esempio di un disegno alla lavagna per introdurre i bambini di seconda e terza classe allo studio degli ambienti naturali.

Geografia I LAGHI

Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada da qualche grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, ha riempito la conca naturale che si è formata, e poi lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta.

Altri laghi, invece, sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Questi sono i laghi vulcanici.

Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai sulle montagne. Questi sono i laghi glaciali.

I laghi alpini, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio di alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti, e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono i laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.

I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle. Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei mesi di siccità. Prima, nei periodi di  piena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese, perchè rendono più fertili i campi. Inoltre l’acqua mette in moto le turbine e queste azionano i generatori di energia elettrica, che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.

Il lago

Gli stessi ghiacciai che, in anni lontanissimi, segnarono il corso delle valli e innalzarono barriere di colline, scavarono conche profonde, riempite poi dalle acque dei torrenti e dei fiumi: si formarono così molti laghi.

Allo sbocco delle nostre valli prealpine, incontriamo grandi laghi, circondati dai monti che li riparano dai venti freddi. Lungo le rive, dove sorgono cittadine e paesi pittoreschi, la vegetazione è molto simile a quella che alligna sulle coste del mare.

Il clima, eccezionalmente mite, favorisce le colture di viti, ulivi, cedri, limoni. Nei giardini fioriscono le azalee, le magnolie, le acacie, le palme. Le popolazioni rivierasche solcano con le loro barche le acque tranquille del lago, ricche di lucci, di trote, di anguille.

Sulle Alpi, piccoli laghi dalle acque fredde e limpide rispecchiano le cime dei monti e gli scuri abeti che fanno loro corona.

Infine, alcuni laghi dell’Italia centrale occupano con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. La loro forma è quasi sempre circolare.

I laghi alpini

Come sono belli i nostri laghi alpini!

Sembrano specchi azzurri che si stendono nel fondo delle valli a riflettere le cime candide delle Alpi e le verdi foreste. In ognuno di essi si va a perdere un fiume turchino che scende dal monte; un altro fiume esce dalle loro acque incantate e riprende il suo corso verso il mare lontano.

Le rive sono pittoresche: alcune si gettano a picco nelle acque, dando al lago un aspetto selvaggio e imponente; altre digradano dolcemente verso le spiagge, ricche di vegetazione. (G. Giacosa)

Sul lago di notte

Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremore e l’ondeggiare leggero della luna, che si specchiava da mezzo il cielo. Si udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido; il gorgoglio più lontano dell’acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di quei due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti e si rituffavano.

L’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata , che si andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata indietro guardavano i monti e il paese, rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grandi ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne. (A. Manzoni)

Visione del lago

Com’è tranquillo il lago! Raramente le onde si agitano, i battelli e perfino le barche tracciano nell’attraversarlo una lieve scia bianca che subito scompare.

Le sue rive hanno olivi e viti, qualche volta anche aranci e limoni, anche se sulle montagne vicine brillano le nevi. Infatti il lago conserva a lungo il calore del sole e lo diffonde attorno. Per questo si vedono intorno al lago, oltre che ridenti cittadine e paesini di pescatori, anche alberghi e ville con magnifici parchi colmi di fiori. Ogni anno vi sono persone che dalla città vengono sulle rive dei laghi a trascorrere un periodo di riposo e di svago.

Anche d’inverno la temperatura non è mai troppo bassa e il paesaggio è sempre meraviglioso.

Come si formano i laghi

Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada  da una grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, e poi, lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta. Altri laghi invece sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai delle montagne.

I laghi alpini

Questi piccoli laghi, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio d’alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono il laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.

I laghi vulcanici

Questi laghi riempiono con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. Perciò la loro forma è generalmente circolare. I principali sono i laghi di Bolsena, di Bracciano, di Albano e di Nemi, nel Lazio; il lago d’Averno in Campania; i laghi di Monticchio, in Basilicata.

I laghi prealpini

Il lago Maggiore o Verbano ha per immissario ed emissario il fiume Ticino. Il lago di Como o Lario è formato dall’Adda che di biforca in due rami: di Como e di Lecco. E’ il più profondo tra i laghi prealpini (410m).

Il lago d’Iseo o Sebino riceve le acque del fiume Oglio.

Il lago di Garda o Benaco è il più esteso d’Italia. E’ formato dal fiume Sarca il quale, uscendone, prende il nome di Mincio.

A cosa servono i laghi artificiali

I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle.

Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei periodi di siccità. Prima, nei periodi di pena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese perchè rendono più fertili i campi.

Inoltre l’acqua mette in moto le turbine, e queste azionano i generatori di energia elettrica che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.

Dice il lago

“Io rifletto nelle mie acque il cielo, i monti, i colli, i piccoli fiori, le cose grandi e le umili cose. Io accolgo sulla mia superficie i battelli che trasportano gli uomini e le cose necessarie alla vita. Accolgo le barchette dei pescatori che trovano, frugando nel mio grembo, piccoli tesori vivi. Accolgo sulle mie rive incantevoli mille e mille persone malate alle quali ridono la salute e la gioia.” A. Rovetta

Laghetti alpini

Talvolta appare un tranquillo laghetto solitario dalle acque limpide e fresche che riflettono l’azzurro intenso del cielo. Spesso, se guardi intorno a quel solitario laghetto, gli trovi a lato un lago gemello; poi altri attorno, ed altri ancora: una intera famiglia di laghetti, che da buoni fratelli si dividono l’acqua delle nevi e dei ghiacciai. A. Stoppani

Acquarello steineriano: La leggenda del lago di Carezza

Acquarello steineriano: il racconto della leggenda del Lago di Carezza e i tutorial per fare delle esperienze di pittura ad acquarello su foglio bagnato coi bambini, elaborate prendendo libera ispirazione dalla tecnica usata nelle scuole steineriane (o Waldorf)…

La leggenda può essere raccontata in terza classe, quando si parla degli ambienti naturali (montagna, collina, pianura, laghi, fiumi, ecc…) o in quinta parlando del Trentino Alto Adige; per questo ho inserito progetti più complessi per i più grandi, e più semplici per i piccoli…

(Per avere maggiori informazioni sulla tecnica, la preparazione dell’ambiente e dei materiali, ecc…puoi leggere qui)

La leggenda del lago di Carezza

Il lago di Carezza è anche detto “Lago dell’Arcobaleno”. Infatti nelle sue acque si vedono riflessi iridescenti, con tutti i colori dell’arcobaleno.

La leggenda racconta che molti e moli anni or sono nel Lago di Carezza viveva una bellissina ondina. Sovente saliva a fior d’acqua, si sedeva sulla sponda e cantava dolcemente. Ma se udiva avvicinarsi qualcuno, si rituffava immediatamente  nelle onde.

Presso il lago c’è un grande bosco, che giunge fino in vetta al monte Latemar. Nella foresta abitava uno stregone. Egli un giorno vide la bellissima ondina e ne ne invaghì.

Andò sulla sponda del lago e la chiamò, chiedendole di mostrarsi e dicendole che ne avrebbe fatto la sua sposa.  Ma l’ondina non gli diede ascolto e rimase in fondo al lago.

Allora lo stregone ricorse all’astuzia: si trasformò in una lontra, si acquattò tra le pietre, vicino alla riva, e attese che l’ondina uscisse dall’acqua e si mettesse a cantare al sole.

Gli uccellini del bosco solevano radunarsi sugli alberi vicino alla riva per ascoltare il canto dell’ondina e imparare da lei le più dolci modulazioni. Quando videro la perfida lontra avvicinarsi a tradimento, si misero a svolazzare di qua e di là inquieti, con brevi gridi di angoscia. E l’ondina, che stava appunto affiorando, comprese che un pericolo la minacciava e tornò in fondo al lago.

Furibondo lo stregone andò sul monte Vajolon a consultare una vecchia strega che abitava lassù in una caverna. La vecchia si fece beffe di lui, ridendo del fatto che lui, mago potente, si era fatto canzonare dal una piccola ondina.

Poi gli  disse: “Ascolta, l’ondina non ha mai visto un arcobaleno… fabbricane uno bellissimo, che col suo arco vada dalla vetta del Latemar al lago. L’ondina certo verrà fuori ad ammirarlo. Tu intanto trasformati in un vecchio mercante e avvicinati alla riva come se nulla fosse. Poi tocca l’arcobaleno dicendo: <<Oh, questo è il tessuto con cui si fanno il vestito le figlie dell’aria!>>. Certo l’ondina incuriosita, verrà a parlare con te. Tu allora invitala a casa tua a vedere le vesti delle figlie dell’aria e gli altri tesori. Ti seguirà senza dubbio…”.

Lo stregone, entusiasta del consiglio della vecchia maga, fabbricò l’arcobaleno, e l’ondina salì a fior d’acqua per ammirarne l’iridescente splendore. Ma era furba, e anche sotto il travestimento da mercante riconobbe l’odiato stregone: con un fulmineo guizzo si rituffò nell’acqua.

Il mago fu invaso da un terribile furore: afferrò l’arcobaleno, lo schiantò con selvaggia violenza e lo buttò nel lago. Poi fuggì nella foresta imprecando.

Tutorial: Il mago cattivo e l’ondina – per i più grandi

Colori usati: giallo limone, blu oltremare, blu di Prussia, rosso carminio, rosso vermiglio

Iniziamo facendo una piccola macchia gialla sul foglio (la luce dell’ondina) ed intorno giochiamo col blu oltremare con movimenti acquosi che avvolgono l’ondina dolcemente, fino a formare il lago:

Tutto intorno al lago illuminiamo il foglio con il giallo limone, che brilla come la luce dei diamanti (il mondo minerale):

Portiamo nel mondo minerale acqua (blu di Prussia) e creiamo il mondo vegetale, assecondando il movimento del giallo(la foresta):

e per creare le montagne rinforziamo l’elemento minerale (ancora blu di prussia), in alto:

Le montagne sono forti e maestose, aggiungiamo questa forza (rosso carminio):

Individuiamo tra il verde della foresta le macchiette di verde più scuro e doniamo ad ogni albero il suo tronco:

quindi con altro blu di Prussia ed altro giallo limone giochiamo a definire gli alberi più grandi della foresta:

Nella foresta si nasconde il mago cattivo, inseriamo la luce rossa della sua presenza:

Con del giallo limone facciamo cantare l’ondina, in modo che la sua luce si propaghi un po’ intorno a lei a semicerchi di luce:

Se i bambini se la sentono, si possono definire le due figure all’interno della loro luce utilizzando un pennellino più sottile:

Il mago cattivo e l’ondina – per i più piccoli

Colori utilizzati: giallo limone, blu oltremare, blu di Prussia, rosso vermiglio.

Creiamo sul foglio una bella luce gialla accogliente, che lascia vicino al suo cuore lo spazio per l’amico che deve arrivare:

L’amico atteso è la luce dell’acqua del lago (blu oltremare), ma anche questa luce lascia vicino al suo cuore lo spazio per una terza amica:

Mentre aspettiamo questa amica del giallo e del blu, un’altra luce entra a disturbare l’armonia: la luce rossa del mago cattivo…

Ed ecco che la bella luce dell’ondina si tuffa nel blu:

Il lago è felice e si espande sempre più, facendo nascere attorno a sé tanto verde (blu di Prussia molto diluito sul giallo limone), formando foreste e montagne:

L’esperienza di può concludere così oppure, se i bambini se la sentono, possono definire meglio le figure dell’ondina e del mago all’interno delle loro luci, con un pennellino più piccolo:

Il mago stende l’arcobaleno tra il monte e il lago – Per i più piccoli

Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro, blu oltremare, blu di Prussia, rosso vermiglio, rosso carminio.

Cominciamo col blu oltremare, creando in basso il lago, quindi facciamo scendere partendo dall’alto una bella luce gialla che va ad accarezzarlo:

Creiamo la montagna verde col blu di Prussia sul giallo limone, aspettando l’arcobaleno. Per l’arcobaleno usare intorno alla montagna:

– rosso vermiglio

– giallo oro  su parte del rosso(arancione)

– giallo limone

– blu di Prussia su parte del giallo (verde)

– blu oltremare

– rosso carminio sul blu oltremare (viola)

L’arcobaleno rimane per sempre nel lago con l’ondina – Per i più piccoli

Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro, blu oltremare, blu di Prussia, rosso vermiglio, rosso carminio.

Una bella luce gialla accogliente sulla parte più esterna del foglio guarda l’ondina, che sta al centro:

Tutte le luci dell’arcobaleno, una alla volta, la abbracciano. Prima il rosso proprio attorno a lei, poi tutte le altre, fino a riempire tutto il lago:

Infine la luce dell’acqua del lago crea montagne e foreste intorno – pittura (quasi) asciutta:

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Aritmetica Waldorf: un gioco per la moltiplicazione

E’ un gioco scritto per 20 bambini, per giocare con la moltiplicazione e le tabelline.

Ci sono 10 portoni e 10 cercatori.

I portoni stanno in piedi in cerchio, ed i cercatori stanno fuori. I portoni hanno il viso rivolto verso l’esterno ed indossano dei mantelli fissati al collo ed ai polsi, in vari colori.  I cercatori indossano cappellini di carta di un unico colore.

portone chiuso

I portoni dicono: “Dieci portoni sorvegliano il tesoro e aprirli è facile per loro. Per ogni portone c’è una chiave speciale, ma tu devi scoprire qual è”.

I cacciatori rispondono: “Noi vogliamo il vostro tesoro, e lo ruberemo senza decoro. Ognuno di noi ha lo stesso nome, e ci chiamiamo tutti 2 (o 3, 4, 5, ecc…)

Uno per uno, i cacciatori vanno di fronte ad un portone. Il cercatore chiede: “Sono qua, posso entrare?”

Il portone risponde: “Io sono 2, e tu chi sei?”

“Io sono 2!”

“Allora puoi entrare. 2 è 2×1”

portone aperto

“Io sono 4, e tu chi sei?”

“Io sono  2!”

“Allora puoi entrare. 4 è 2×2”

ecc…

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Lavoretto per la festa della mamma – fiore di feltro


Lavoretto per la festa della mamma – fiore di feltro. Avevo già descritto la tecnica di produzione dei fiori di feltro

per gli adulti, ma si tratta di  un procedimento troppo impegnativo proposto ai bambini.

La lana cardata che occorre per il lavoretto si può trovare, ad esempio, qui: LANA CARDATA

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Genitori Channel ospita il mio articolo che mostra come è semplice, con pochi accorgimenti aggiuntivi, far fare questa bella esperienza anche ai bambini più piccoli.

E’ un’attività che consiglio davvero, per esperienza: è molto ricca dal punto di vista sensoriale, avvicina al mondo della natura, porta calma e concentrazione (anche per il massaggio dei polpastrelli che la lana ci ricambia mentre la massaggiamo, ma non solo) e, siccome la bellezza della lana (anche senza essere lavorata) è garanzia di successo, porta tutti i bambini a sentirsi “bravissimi” e in questo caso davvero orgogliosi di poter fare alla mamma un così bel regalo…

… potete leggere l’articolo completo qui: http://www.genitorichannel.it

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Tutorial fiori in feltro

Tutorial fiori in feltro – Un tutorial fotografico per imparare a realizzare fiori di feltro con la tecnica dell’infeltrimento con acqua e sapone. Non si tratta di un fiore in particolare, ma di “un’idea di fiore” che si costruisce, come avviene davvero anche in natura, con la luce ed  il calore che insieme portano alla formazione prima del bocciolo, e poi del fiore.

Con questi fiori possiamo realizzare fermacapelli, spille per giacche, collane, braccialetti, segnalibri, ferma tende, cinture, coroncine da principessa per le bimbe ecc… o anche semplicemente fiori sullo stelo per il tavolo delle stagioni.

Anche a prescindere  dal valore che può avere l’oggetto finito, e ci sono veri artisti del feltro,  penso che la manualità creativa che porta a realizzare piccole cose non in serie sia anche per gli adulti  un’importante esperienza sensoriale e meditativa, e per questo il tutorial punta a creare una situazione da risolvere solo nel momento non prevedibile dell’apertura del bocciolo: dipenderà dai colori scelti, dalla grandezza e dalla forma  assunta dalla lana nel bocciolo, dallo spessore, dai bordi regolari o irregolari,  dal vostro modellare e tirare il feltro in un modo o nell’altro, quale fiore avrete creato.

Considerare solo il  tempo che richiede realizzare un fiorellino così, può farci capire quale ne sia il vero valore per chi si è cimentato.

Materiale occorrente:

– lana cardata colorata verde, gialla ed in altri colori a scelta
– sapone di marsiglia meglio se all’olio d’oliva (ma si può usare anche detersivo per piatti) e acqua bollente
– una stuoietta (tipo quelle da sushi, ma si può usare anche un pezzo di arella rotta o simili, o in alternativa anche un pezzo di plastica a bolle) e un asciugamano
– mattarello
– una matita
– eventualmente fil di ferro, elastico per capelli, spilla, ecc..
– ago e filo per assemblare fiori e foglie, e altri eventuali elementi

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Come si fa:
Mettere sulla stuoia delle nuvolette di lana asciutta nei colori che preferite (io ho scelto verde, rosso, arancione e giallo). La nuvoletta può essere di qualsiasi dimensione, e tenete presente che con l’infeltrimento diventerà molto più piccola; la mia era all’inizio circa 20 cm, ed al termine circa 11cm:

Cominciate a massaggiare coi polpastrelli, con movimenti circolari, bagnando le mani con l’acqua calda ed insaponandole più volte:

Ripete da entrambe le facce, rivoltando la nuvoletta più volte; questo lavoro può richiedere 3 minuti circa:

Ora arriva la fase della follatura, che può richiedere 15 – 20 minuti (tenendo presente che più si lavora, più il feltro sarà di buona qualità.
Alternativamente facciamo le seguenti operazioni, e durante ognuna di questa operazioni spostiamo la nuvoletta in ogni senso (vedrete infatti come la lana “si accorcia” sempre nel senso in cui la arrotoliamo, quindi se variamo i sensi, avremo un feltro omogeneo):

rulliamo la lana nella stuoia, premendo, prima con leggerezza per non spostare i colori, poi via via sempre più forte

premiamo sulla stuoia ruotando il mattarello, sempre prima con leggerezza per non spostare i colori, poi via via sempre più forte

usiamo come mattarello una matita, avvolgiamo la nuvoletta e ruotiamo premendo con forza.

E’ anche importante, di quando in quando, tirare la nuvoletta lungo i bordi, per ottenere un feltro più compatto, prezioso e sottile:

Questo è il mio fiore dopo tutti i maltrattamenti subiti:

Ora possiamo accartocciare la nuvoletta come a formare un germoglio, poi la ruotiamo tra le mani e premendo leggermente, rigirandola molto velocemente (attenzione a non esagerare, altrimenti vi sarà impossibile aprirlo…):

Passiamo alla fase più divertente e creativa; apriamo il germoglio e (il trucco è pensare a un fiore) per prima cosa inseriamo il pollice all’interno e tiriamo i petali; poi osservando attentamente, possiamo decidere come aprire, tirare o arricciare i petali, accentuare il calice (si può inserire la matita e premere) ecc…

Mentre il fiore si asciuga, facciamo utilizzando la stessa tecnica qualche foglia:

Ed ora possiamo decidere cosa fare del nostro fiore…
Per realizzare un fiore sullo stelo, avvolgiamo la lana verde asciutta intorno a del fil di ferro modellato a piacere (avvolgendo fino all’ultimo peletto finale, la lana si blocca da sola). Poi, se volete, passare su tutto lo stelo dell’acqua e sapone, massaggiando leggermente

Montate a vostro gusto, fissando gli elementi con punti invisibili dati con ago e filo:

Per realizzare una semplice decorazione, una spilla, un fermacapelli create la composizione di fiori e foglie, fissate con ago e filo, e aggiungete sul l’eventuale elastico, cerchietto, molletta, spilla scelta:

La composizione può essere puoi cucita su una corda di feltro, che si prepara così:

– predisponete una lunga striscia di lana asciutta, ricordando che tutte le aggiunte in lunghezza possono essere fatte solo finchè la lana è asciutta.

– bagnando ripetutamente le mani con acqua calda e sapone, cominciare a ruotare la lana sulla stuoia, con leggerezza e calma, fino a bagnare tutta la lunghezza. Tornare all’inizio della striscia e ricominciare, e così più volte, aumentando progressivamente la pressione. Ogni tanto appallottolare tra le mani, girare premendo, poi distendere e tirare la striscia con forza… almeno un quarto d’ora di lavoro, per un  buon feltro.


Montando i  fiori sulla corda di feltro, come già detto, potrete realizzare svariati oggetti ed accessori…

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Racconto IL NUMERO PIU’ RICCO

Racconto IL NUMERO PIU’ RICCO – Un racconto che ho riscritto seguendo una traccia in uso nelle scuole Waldorf , da utilizzare in prima classe per esplorare le qualità dei numeri da uno a tredici ed avere una prima impressione visiva in merito al ritmo delle numerazioni, ed ai concetti di numeri pari e numeri dispari, ma anche di divisibilità…

Tantissimo tempo fa, non si sa dove e non si sa quando, i numeri da 1 a 13 si misero a viaggiare per il mondo a caccia di avventure, e un giorno, non si sa dove e non si sa quando, si trovarono nel loro viaggiare davanti ad un castello di straordinaria bellezza. Il portone era aperto, ma bussarono comunque per cortesia. Nessuno veniva e così decisero di entrare. Il castello  era una vera meraviglia: bagni, cucine, biblioteca, salone per le feste, stanze per stare da soli e stanze per stare in compagnia, e poi orti, giardini, pozzi e fontane, colori allegri alle pareti e strumenti musicali e giochi e… e insomma non mancava proprio nulla! Anzi, qualcosa mancava, una sola: mancavano gli abitanti. Sembrava proprio che una mano magica e buona avesse preparato tutti questi tesori proprio per loro.

Esplorarono tutto il castello stanza per stanza. Dal centro del salone delle feste partiva una lunga scala d’oro che saliva, saliva, saliva… piena di meraviglie. La percorsero e si trovarono in una stanza che per ricchezza e bellezza superava tutte le altre: al centro della stanza c’era un grande trono tutto d’oro, ma con cuscini morbidissimi per sedersi…

A quella vista ogni numero, naturalmente, desiderò accomodarsi regalmente su quel trono… essere re… il numero più importante… quello che comanda su tutti.

Uno prese a dire: “Io sono il primo, vedete bene che sto davanti a tutti voi. E quando si conta, tutti voi venite dopo di me!”

Due rispose: “Io non sono d’accordo, perchè io valgo il doppio di te!”

Tre urlò stizzito: “No, io!”

E Quattro non si tirò indietro: “Ah, beh! Allora il re sono io, perchè valgo più di Uno, di Due e anche di Tre!”

Non passò molto tempo che tutti urlavano insieme e non si capiva più nè chi parlava nè cosa stava dicendo, e avevano tutti ragione, e non aveva ragione nessuno…

Solo Dodici se ne stava in disparte, e mentre osservava i suoi cari amici, pensava a come si potesse risolvere la situazione facendo felici tutti. Aspettò… i numeri si stancarono di urlare, e così potè fare la sua proposta: “Facciamo una gara”, disse, ” il re sarà il numero più ricco… il più colorato… quello che dentro di sè può contenere più numeri. Se infatti è il più colorato e il più ricco e ha dentro tanti numeri, potrà governare con giustizia e staremo tutti benone.”

Dopo qualche istante di silenzio, Tredici disse: “E’ chiaro che il re sono io, sono il più grande di tutti! Però possiamo anche provare a fare questa gara, e poi vediamo…”. E tutti si dissero d’accordo.

Si disposero bene in fila e la gara cominciò.

Fu molto divertente. Ad ogni numero venne assegnato un colore diverso in cui star dentro, e giocando si  vide che:

Il numero 1 era presente in tutti i numeri

Il numero 2 era presente nei numeri 2, 4, 6, 8, 10 e 12,

Il numero 3 era presente nei numeri 3, 6, 9 e 12

Il numero 4 era presente nei numeri 4, 8 e 12

Il numero 5 era presente nei numeri 5 e 10

Il numero 6 era presente nei numeri 6 e 12

Il numero 7 era presente solo nel numero 7

Il numero 8 era presente solo nel numero 8

Il numero 9 era presente solo nel numero 9

Il numero 10 era presente solo nel numero 10

il numero 11 era presente solo nel numero 11

il numero 12 era presente solo nel numero 12

Il numero 13 era presente solo nel numero 13.

Oh,  che meraviglia guardarlo! Dodici era ricchissimo e coloratissimo con tutti quei numeri dentro, il più colorato di tutti! Era davvero molto bello e tutti erano felici e gli battevano le mani. Fu così che divenne re.

Da buon sovrano si dedicò da subito ad organizzare il lavoro nel castello; la cosa più importante per lui era rendere felici tutti i suoi numeri, senza far preferenze. Certo il regno era grande e lavorare bisognava, ma si poteva fare così: lui poteva lavorare da re e  i dodici numeri potevano lavorare da sudditi per sei giorni alla settimana, e la domenica festa per tutti!

Pensò quindi che per ogni ora del giorno una sentinella diversa si sarebbe data il cambio sulla torre principale del castello, pronta ad avvisare tutti dell’arrivo di nuovi amici; infatti:

Decise poi, senza far preferenze, che a turno, due al giorno, avrebbero avuto il comando come capi del governo, perchè infatti:

Poi, sempre senza far preferenze, li divise in due eserciti: l’esercito del giorno, e l’esercito della notte; infatti:

Quindi li divise in tre gruppi specializzati: un gruppo per leggere i libri dei racconti, un gruppo per cantare e suonare, e un gruppo per preparare i pasticcini per la domenica; infatti:

Infine, li divise in quattro gruppi per sbrigare tutte le faccende quotidiane: lavorare la terra, accendere i fuochi, portare l’acqua e arieggiare le stanze del palazzo; infatti:

E così vissero in armonia, felici e contenti, domenica dopo domenica, non si da dove non si sa quando…

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Tutorial BAMBOLINE IN FELTRO

Tutorial BAMBOLINE IN FELTRO – Riordinando casa oggi abbiamo ritrovato questa bambolina, che ha ormai più di dieci anni… è uno dei miei primi esperimenti col feltro  e le mie ragazze ci hanno giocato davvero tanto:

così ho pensato di cimentarmi di nuovo…

… ed ecco il tutorial.

Materiale occorrente

lana cardata color incarnato e un assortimento di colori a scelta

sapone di marsiglia meglio se all’olio d’oliva (ma si può usare anche detersivo per piatti) e acqua bollente

una stuoietta (tipo quelle da sushi, ma si può usare anche un pezzo di arella rotta o simili, o in alternativa anche un pezzo di plastica a bolle) e un asciugamano

filo da ricamo e aghi da cucito. Gli aghetti da feltro possono essere utili ma non sono indispensabili

forbici o taglierino

un pezzo di cartone di recupero per i modelli. Se usate come ho fatto io un cartone da pizza, avete a disposizione davvero l’ideale perchè è resistente ed abbastanza impermeabile. Se non comprate pizza da asporto potete usare il cartone di una scatola qualsiasi, ma dovrete rivestire il modello con della pellicola da cucina per renderlo più resistente. Se il modello si disfa prima del tempo, infatti, c’è il rischio che la lana infeltrendosi faccia presa all’interno, e non è poi più possibile aprire il lavoro.

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Come si fa

Scelto il modello che desiderate realizzare, riportatelo sul cartone e ritagliate. Qui potete scaricare e stampare quelli che ho usato io, ma si tratta di forme davvero elementari che possono benissimo essere disegnate ad occhio:

Per la bambolina rosa e quella bianca vi servirà la forma ovale per la culla  e la forma piccola per il corpo della bambola; per la bambolina verde la forma grande, quella piccola e quella per il cappello da gnomo.

Ora impariamo la tecnica base per infeltrire la lana con acqua e sapone. La preparazione a secco della lana è molto importante. L’infeltrimento infatti è un processo irreversibile che porta le fibre della lana prima ad aprirsi (grazie all’azione dell’acqua e del calore, facilitata dal sapone) e poi a richiudersi saldandosi tra loro (grazie all’azione meccanica del “maltrattamento”, cioè del movimento e della pressione). L’unico vero ingrediente “segreto” è il tempo: più tempo si dedica a massaggiare, premere, strapazzare la lana, più la qualità del nostro feltro risulterà buona. Per essere più tecnica, la fase di “maltrattamento” è detta follatura. Per capire meglio, questa è una fibra di lana vista al microscopio:

photo credit: www. edym.com

La tecnica è la stessa che permette di realizzare pantofole, cappelli, borse, ecc… cambia solo il modello. Anche se sembra difficile, ho tenuto corsi di feltro con bambini a partire dai 5 anni, ed hanno realizzato davvero pantofole, borsette e quadri di buona qualità.

Prendiamo il modello, e procediamo con la lana asciutta rivestendolo in questo modo: una volta in senso verticale, una volta orizzontale, un’altra volta verticale ed un’ultima orizzontale:

Io ho preparato così tutti modelli, prima di bagnare il piano di lavoro; questa è una buona pratica da seguire soprattutto se si lavora coi bambini…

Versate poi dell’acqua bollente in una ciotolina e immergete la saponetta. Se usate detersivo liquido versate in una ciotola più grande l’acqua bollente e una ciotolina più piccola il  detersivo.

Insaponate i polpastrelli, poi bagnateli nell’acqua e cominciate a massaggiare la lana con movimenti piccoli, rotatori e leggeri.

La sensazione sulle dita è molto piacevole, e procedete con pazienza senza mai esagerare col bagnare, finchè non vi sarete accorti che siete arrivati a bagnare ed insaponare fino al cartone, da entrambi i lati.

Tenere la stuoietta sopra l’asciugamano è un buon trucco per evitare di bagnare troppo la lana, perchè soprattutto ai bambini piace esagerare con l’acqua, e con la stuoietta l’eccesso viene filtrato lasciando asciutta la superficie di lavoro.

Continuate a massaggiare coi polpastrelli, aggiungendo acqua o sapone solo se sentite che facilita il lavoro di massaggio, e man mano che procedete aumentate gradualmente la pressione.

Ora infatti le scaglie delle fibre si stanno aprendo, ed aumentando la pressione eliminiamo non solo l’eccesso d’acqua, ma anche l’aria tra fibra e fibra. Come ho già detto, più tempo dedicherete all’operazione, migliore sarà il risultato. Tecnicamente al termine di questa operazione avrete ottenuto il “prefeltro”.

Ora si possono proporre due strade. Soprattutto se lavorate coi bambini, a questo punto della lavorazione possono essere stanchi, e molto probabilmente sarà anche finito il tempo a disposizione… ho sperimentato come buona mediazione chiudere ogni pezzo singolo in un sacchetto di  stoffa o uno strofinaccio da cucina, chiudendolo ognuno con un elastico, e mettere il tutto in lavatrice scegliendo un programma a 60 gradi almeno con centrifuga finale (ma non è il sistema più “ortodosso”):

Chiudendo bene la lana nella stoffa la lavatrice non subirà danni, ed inoltre possiamo approfittare per aggiungere al carico tovaglie e altri resistenti…

Il procedimento manuale prevede invece la follatura, che porta ad eliminare aria e acqua tra le scaglie e fare in modo che esse si saldino tra di loro come se fossero tanti uncini.

Per ottenere questo passiamo col mattarello premendo forte su ogni pezzo, sempre alternando le direzioni e le facce, poi arrotoliamo sempre in tutte le direzioni nella stuoietta e rulliamo con energia, infine stropicciamo come una polpetta ruotando tra le mani, poi riapriamo, tiriamo forte in tutte le direzioni, poi ancora mattarello e così via…

Infeltrire richiede fiducia: per un bel po’ di tempo vi sembrerà di affannarvi inutilmente, ma ad un certo punto vi accorgerete che il vostro pezzo si sarà ridotto notevolmente di dimensioni e apparirà molto compatto: si sarà davvero infeltrito!

Quando sarete arrivati a questo punto, stirate il modello bene, tirando un po’ in tutte le direzioni, o anche aiutandovi col mattarello, tagliate dove serve ed estraete quel che resta del modello di cartone (se avete scelto di servirvi della lavatrice, togliete ogni pezzo dalla stoffa, stirate e procedete poi come mostrato da qui in poi. Nella foto a sinistra ci sono i miei modelli appena usciti appunto dalla lavatrice):

Serve altra acqua calda e altro sapone, in entrambi i casi.

Dobbiamo modellare e dare ulteriore stabilità al nostro feltro soprattutto nella parte interna: infiliamo un dito insaponato e bagnato nell’apertura e dall’interno e dall’esterno massaggiamo premendo abbastanza forte, poi rulliamo sulla stuoietta, appallottoliamo il lavoro, ristiriamolo e così via, finchè non siamo soddisfatti:

La fase finale, e l’ultimo “maltrattamento” consiste nel risciacquare per eliminare tutto il sapone. Prima con acqua molto calda, poi strizziamo, poi con acqua molto fredda e strizziamo e così via. Meglio se l’ultimo risciacquo è con acqua fredda. Stiriamo bene tirando e facciamo asciugare.

Confezione e rifiniture:

Testina e manine possono essere realizzate o in feltro (ormai lo sappiamo fare) oppure con la maglina da bambole:

( Testa: fate un nodo in una striscia di lana color incarnato, avvolgete la lana che avanza sul nodo come per fare un gomitolo, bagnate con acqua molto calda e sapone e ruotate tra le mani prima con pressione leggera leggera, poi sempre più forte. Risciacquate come spiegato sopra. Manine: preparate una striscetta di lana sulla stuioia, rullate con le mani bagnate e insaponate come spiegato, stropicciate, sciacquate…)

Bambolina rosa

Per la bambolina rosa ho preparato a parte, sempre con la tecnica dell’infeltrimento, una pezzetta rosa per la cuffietta, e un cordoncino per poter portare la cullina al collo:

poi ho assemblato e decorato così:

Bambolina bianca

La testa e le manine sono in feltro come quelle della bambolina rosa, ma cambiano le decorazioni:

Bambolina verde:

Tutorial: gattino e leone realizzati con pezzetti di maglia

Tutorial gattino e leone realizzati con pezzetti di maglia. Un lavoro manuale semplicissimo e dal risultato strepitoso. I bambini possono realizzarlo in proprio a partire dai sei anni d’età, ma è anche un bel giocattolo che le mamme possono preparare per i più piccoli.

Tutorial gattino e leone realizzati con pezzetti di maglia
Materiale occorrente:

tre rettangoli di maglia realizzati a punto legaccio o ritagliati da una vecchia maglia infeltrita: per il corpo un rettangolo 14x11cm circa, per la testa 5×10 cm, per la coda una strisciolina 14×2 cm

lana per imbottire

ago e lana o filo resistente dello stesso colore delle pezze

qualche filo colorato da ricamo per le rifiniture

lana colorata a scelta se si vuole fare la criniera del leone

Tutorial gattino e leone realizzati con pezzetti di maglia
Come si fa:

Tenete il rettangolo per il corpo sul diritto, piegate ogni angolo e cucite a partire dal vertice, fino a metà del lato corto, congiungendo parte del lato corto e parte del lato lungo del rettangolo, come mostrato nelle foto,  per i quattro angoli:

imbottite con la lana:

e chiudete:

preparate la coda cucendo a formare un tubo, che non serve imbottire, e fissate al corpo:

Ora prendete il rettangolo di maglia che serve per la testa e piegatelo a metà nel senso della lunghezza, dritto contro dritto:

cucite lungo il margine, lasciando un’apertura per ribaltare il lavoro; ribaltate sul dritto:

Col filo dello stesso colore fermare le orecchie così, cucendo due triangolini a destra e a sinistra, e lasciando al centro uno spazio:

Preparate una pallina con la lana da imbottire, inseritela nella testa, quindi chiudete il pezzetto rimasto aperto:

fate una filza dalla parte del collo e arricciate un po’ , poi fissate la testa al corpo:

A vostro gusto aggiungete nasino, baffi e occhietti:

Se invece dei baffetti ricamiamo un naso scuro, aggiungiamo alla coda un ciuffetto di lana scura e intorno alla testa una criniera variopinta, il gattino diventa un leone:

Tutorial gattino e leone realizzati con pezzetti di maglia

tutorial per gattino e leoncino di maglia

Per leggere gli altri tutorial clicca sull’immagine che ti interessa:

tutorial gallinella di maglia
tutorial coniglietto di maglia

Tutorial gattino e leone realizzati con pezzetti di maglia

Knitted cats and lions tutorial. A simple manual work, but the result is amazing. Children can make it on their own as young as six years old, but it is also a nice toy that moms can prepare for the little ones.

Knitted cats and lions tutorial

What do you need?

three rectangles of knitting in garter made or cut from an old sweater felted:
for the body a rectangle approximately 14x11cm,
for the head 5×10 cm,
for the tail a strip 14×2 cm;
wool to stuff;
needle and wool or strong thread of the same color of the pieces;
some colored embroidery thread for the finish;
colored wool of your choice if you want to do the lion’s mane.

Knitted cats and lions tutorial

How is it done?

Keep the rectangle for the body on the right, fold each corner and sewn   from the top down, up to half of the short side, joining part of the short side and the long side of the rectangle, as shown in the photos, for the four corners:

stuff with wool:

and close:

prepare the tail by stitching to form a tube, which does not serve stuffing, and attach to the body:

Now take the rectangular of knitting that is used for the head and fold it in half in the sense of the length, right sides together:

sewn along the edge, leaving an opening to turn the job; overturned on the obverse:

With the thread of the same color stop their ears, sewing two triangles on the right and left, leaving in the middle a space:

Prepare a ball with wool to stuff, enter it in the head, then close the small piece remained open:

make a string on the side of the neck and curled a bit, then fix the head to the body:

Add nose, mustache and eyes:

If instead of the mustache we embroider a dark nose, add to tail a tuft of dark wool, and around the head a colorful mane, the kitten becomes a lion:

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cat and lion tutorial

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To read the other tutorials click on the image that interests you:

 rooster and hen tutorial

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rabbit tutorial

Tutorial – gallinella realizzata con un quadrato di maglia

Tutorial – gallinella realizzata con un quadrato di maglia: lavoretto tipico della scuola Waldorf, dove grande importanza è data al lavoro manuale e in particolare al lavoro a maglia, queste gallinelle sono indicate anche per il gioco e come regalo o decorazione per Pasqua, e possono essere confezionate anche con ritagli di vecchi maglioni.

Materiale occorrente:

un quadrato di maglia realizzato a punto legaccio, o un quadrato ritagliato da una maglia vecchia o infeltrita

lana per imbottire

filo dello stesso colore della pezza, ago, uncinetto

qualche filo di lana arancio, gialla, grigia per le rifiniture

eventualmente un sassolino.

Come si fa:

Piegate il vostro quadrato a metà lungo la diagonale e cucite sul rovescio, lasciando un apertura per ribaltare il lavoro:

ribaltate sul dritto e imbottite con la lana; se volete dare più stabilità potete aggiungere alla fine un sassolino:

quindi chiudete:

Con l’uncinetto aggiungete crestina, piume della coda, e con ago e filo occhi e becco:

Per leggere gli altri tutorial clicca sull’immagine che ti interessa:

tutorial per coniglietto in maglia
tutorial per gattino e leoncino di maglia

Tutorial coniglietto realizzato con un quadrato di maglia

Tutorial coniglietto realizzato con un quadrato di maglia. Come saprete nelle scuole Waldorf i bambini si cimentano, a partire dalla prima classe, col lavoro a maglia. Questi animaletti sono tra i primi lavoretti che realizzano e confezionano con le loro mani. I coniglietti, naturalmente, sono anche un bel lavoretto per Pasqua.

Naturalmente i primi lavori consistono in pezzette quadrate o rettangolari a punto legaccio, e sorge l’esigenza di farne qualcosa di spettacolare… da questo sono nati i notissimi animaletti imbottiti che sicuramente avrete già visto anche nel web:

Gli stessi animaletti possono essere realizzati anche utilizzando una maglia vecchia o reduce da un errore di lavaggio, insomma infeltrita…

Questo il tutorial per il coniglietto, in versione pezza a punto legaccio e maglia riciclata:

Materiale occorrente:

un quadrato di maglia (dimensioni a scelta)

lana per imbottire

filo robusto per cucire.

Come si fa:

Preparate una pezza quadrata a punto legaccio, oppure tagliate da una vecchia maglia due quadrati, cuciteli a doppio sul rovescio e ribaltate il lavoro:

Con ago e lana dello stesso colore della vostra pezza fate una filza per arricciare lungo la linea della metà del quadrato, poi salite verso il centro del lato superiore e scendete tornando al punto di  partenza. Togliete l’ago lasciando il filo libero (andrà tirato per l’arricciatura):

Preparate una pallina di lana da imbottire (se usate una pezza scura potete avvolgere la pallina con un po’ di lana dello stesso colore, tipo gomitolo:

Tirate la filza per arricciare, chiudendo all’interno della maglia la pallina di lana, e fermate con un doppio nodo:

Come vedete, con pochi semplici passi il vostro coniglietto ha già testina e orecchie; ora cucite tra loro i due lembi di maglia del corpo:

e inserite ne tubo ottenuto la lana per imbottire:

Chiudete arricciando il fondo. Un trucco per rendere il coniglietto più stabile è quello di inserire un sassolino qui, prima di cucire:

Ora bisogna preparare il codino a pallina. Se usate la maglia infeltrita, preparate una pallina di lana per imbottire, rivestitela con un ritaglio di maglia e applicatela. Se usate una pezza di maglia, preparate la pallina di lana per imbottire, fissatela al coniglietto, e poi ricamatela con la lana dello stesso colore:

Ora i coniglietti sono pronti; se volete aggiungete occhi e nasino ricamati:

Per leggere gli altri tutorial clicca sull’immagine che ti interessa:

tutorial per la gallinella di maglia
tutorial per gattino e leoncino di maglia

Waldorf poems and verses

Waldorf poems and verses – una collezione di poesie, motti e filastrocche, di autori vari, per la lezione di Inglese nello stile della scuola steineriana.

Waldorf poems and verses
Hidden
Deep in the kingdom there spreads a great forest,
Deep in the forest a mountain soars high;
Deep in the mountain a high vaulted cavern,
Secret and solemn, where fools may not pry.
Deep in the cavern there stands a great granite,
Solid and silent and strong as the earth;
Deep in the granite there glistens and gleams
A radiant jewel of wondrous worth.
Paul King

The little brown bulb
The little brown bulb lies quiet and warm,
Sheltered from wind and sheltered from storm.
“Awake, Little Bulb,” call the rain and the sun,
“Wake and unfold
Your green and your gold,
For winter is done.”
Paul King

Winter and Spring
Cruel winter froze the stream,
Made all things hard with ice and snow.
The creatures shivered, the flowers died,
Nothing could live, and nothing could grow.
Then came summer’s kindly warmth,
The sun shone down with love and light.
The hard ice cracked and melted away
And life bloomed again in colours bright.
Paul King

The lighthouse
Out in the bay there’s a lighthouse,
On an island of rock on its own.
The mighty waves buffet its boulders
And the winds howl around it and moan.
But so firmly it stands on the granite,
Undaunted by wind or by sea,
And its bright beam sweeps through the stormy night
To bring the ships safe to the quay.
Paul King

Morning Verse
The sun with loving light
Makes bright for me each day.
The soul with spirit power
Gives strength into my limbs.
In sunlight shining clear
I reverence, O God,
The strength of humankind
Which thou, so graciously,
Hast planted in my soul
That I, with all my might,
May love to work and learn
From thee comes light and strength
To thee rise love and thanks.

Waldorf poems and verses

How Beautiful the World Is
How beautiful the world is,
How blue the sky above,
How green the grass in the morning dew,
How musical the dove.
Eyes to see the colours bright,
Ears for music of delight,Nose to smell the fragrant rose,
Skin to feel the breeze that blows.
How beautiful the world is,
How blue the sky above,
God is there in all creation
Flowing forth in light and love.
Paul King

The song of the stars
The song of the stars resounds in the heavens,
The song of the sun awakens the day,
The song of my heart is the sun in my soul,
And I’ll listen, and listen, to what it can say.
P. King
A head I have for thinking deeply,
Listening, and learning, and looking with care.
Hands I have for work and creating
With fingers skillful to make and repair.
In my heart I can carry the sun
Shining with love for everyone.
Paul King

From Wibbleton to Wobbleton is fifteen miles,
From Wobbleton to Wibbleton is fifteen miles,
From Wibbleton to Wobbleton,
From Wobbleton to Wibbleton,
From Wibbleton to Wobbleton is fifteen miles.

Waldorf poems and verses
Hickory, dickory, dare,

The pig flew up in the air.
A man in brown
Brought him down
Hickory, dickory, dare.
Higglety, pigglety, pop!
The dog has eaten the mop;
The pig’s in a hurry,
The cat’s in a flurry,
Higglety, pigglety, pop!
Hoddley, poddley, puddle and fogs,
Cats are to marry the poodle dogs;
Cats in blue jackets and dogs in red hats,
What will become of the mice and the rats?
Tumbling Jack goes clickety-clack,
Down the ladder and then comes back,
Clickety-clack, rattle and hop,
Over and down again, flipperty-flop!

Waldorf poems and verses
The Robin’s Song

God bless the field and bless the furrow,
Stream and branch and rabbit burrow,
Hill and stone and flower and tree,
From Bristol town to Wetherby –
Bless the sun and bless the sleet,
Bless the land and bless the street,
Bless the night and bless the day,
From Somerset and all the way
To the meadows of Cathay;
Bless the minnow, bless the whale,
Bless the rainbow and the hail,
Bless the nest and bless the leaf,
Bless the righteous and the thief,
Bless the wing and bless the fin,
Bless the air I travel in,
Bless the mill and bless the mouse,
Bless the miller’s bricken house,
Bless the earth and bless the sea,
God bless you and God bless me!
(old English Rhyme)

After the Rain
Drip, drip, drip from the twigs and the leaves,
Drop, drop, drop from the drain-pipe and the eaves,
Plip, plip, plip making dimples in the sand,
Plap, plap, plap in the palm of my hand.
Driplets on the petal tips,
Droplets on the grass,
A-glistening in the sunlight
When the rain cloud has passed. Paul King

Bees
Buzzing bees, buzzing bees,
Buzzing and bumbling from flower to flower,
Sucking sweet nectar out of the bloom,
To fill with gold your honeycomb bower.
Paul King

Waldorf poems and verses
One tired tortoise

Plodding in the Karoo,

He bumped into another one
And that made two.
Two tired tortoises
Resting by a tree,
Along came another one
And that made three.
Three tired tortoises
With feet feeling sore
Along came another one
And that made four.
Four tired tortoises
Just trying to survive,
Along came another one
And that made five.
Five tired tortoises
In a thirsty fix,
Along came another one
And that made six.
Six tired tortoises
Wished they were in Devon,
Along came another one
And that made seven.
Seven tired tortoises
Getting quite irate,
Along came another one
And that made eight.
Eight tired tortoises
Starting to decline,
Along came another one
And that made nine.
Nine tired tortoises
Prayed and said ‘Amen’,
Along came another one
And that made ten.
Ten tired tortoises drinking at a well,
Then each one yawned and said Goodnight
And slipped into his shell.
Paul King

Waldorf poems and verses
Twelve Tiny Tadpoles (adding 2)

2 tiny tadpoles swimming near the shore,
up swam another two and that made 4.
4 tiny tadpoles playing naughty tricks,
up swam another two and that made 6.
6 tiny tadpoles in a giddy state,
up swam another two and that made 8.
8 tiny tadpoles found a little den,
up swam another two and that made 10.
10 tiny tadpoles in the mud did delve,
up swam another two and that made 12.
12 tiny tadpoles wriggling just for fun,
One called out, “There’s the stork!”,
. . . And then there were none.
(because they’d all hidden, not because they were all eaten!)
Paul King

Finger exercise rhyme
Hens at the Dish
Peck, peck, peck,
Peck, peck, peck,
The hens in the yard go
Peck, peck, peck.
First one, second one,
Third one, fourth one,
Pecking round the dish
Till the grain’s all gone.
Paul King

Left and Right
Left and Right were going to fight,
They crossed their swords in the middle of the night.
Left and Right were equally strong.
Left and Right were equally wrong!
Left and Right grew tired of the fight,
So they all shook hands and said Good-night.

Waldorf poems and verses
The Lion and the Mouse

Lion lies sleeping, silent and still,
Along comes a mouse and thinks he’s a hill.
Up the great body the little mouse goes,
Through mane, across ear, and down Lion’s nose.
But Lion wakes up and gives a great roar,
Catches poor Mouse in his long cruel claw.
“How dare you walk over your king and your lord!
For this only death shall be your reward.”
The little mouse shivers and shudders with fright,
Tries hard to think how to put things a-right.
“Forgive my mistake, mighty Lion, I pray,
And I promise to help you too some day.”
At this Lion laughs and shakes to and fro,
But he’s now in good humour and lets the mouse go.
Days come and days go, and some hunters pass by
Who set a great lion-trap cunning and sly.
Lion walks in, unaware of the threat,
And suddenly finds himself caught in a net.
Frustrated he roars with wrath and despair;
Little Mouse hears how he’s caught in a snare.
She remembers her promise and runs without pause
To the spot where the Lion so rages and roars.
Her sharp little teeth set to gnawing the rope,
Thread after thread, now the Lion feels hope.
Soon there’s a hole and the Lion is freed.
The Mouse has kept her promise indeed!

Waldorf poems and verses
The Fox and the Crow

A coal-black crow sits in a tree,
A morsel of cheese in his beak has he.
A fox slinks by as sly as you please,
And cunningly plots how to get the cheese.
“Oh how I admire your feathers so spry,
The sheen of your tail and the glint of your eye,
The elegant curve of your beak sharp and long –
But would I could hear your sweet voice raised in song!”
At this the crow’s flattered and quite taken in;
To impress the fox further he will now begin.
He throws back his head, and rasping and raw,
He utters a raucous, cacophonous “Caw!”
With beak all agape, the cheese tumbles out,
The fox snaps it up in his long pointed snout.
“Sing, Crow, your vanity, long as you please.
You keep your song, and I’ll have the cheese!”

The Pine Tree and the Reed
“You are small and weak,” the pine tree said
To the swaying reed by the stream below,
“Whereas I am stately, high above you,
And have far more to show!”
The reed was silent. But soon after this
A gale began to bluster and blurt.
The rigid pine tree snapped in the wind,
But the pliant reed bent unhurt.

Waldorf poems and verses
Chatterford Market

Cabbage and carrots,
Beetroot and beans,
Spinach and sprouts,
Marrows and greens:
All of the freshest
Crispy and spry,
At Chatterford market,
Buy! Come buy!
Lettuce and leeks,
Pumpkin and peas,
Cherries and berries
And lemons to squeeze.
There’s big yellow cheese
And honey from bees
And all sorts of teas
From bushes and trees,
And cakes and pies
To feast the eyes,
Pies and pasties of every size.
There are things we all know
And things that surprise
At Chatterford Market
Under the skies.

The little bird
The little bird sighed, “Oh me, oh my!
How they will laugh if I try to fly.
If I flutter and flop, or tumble and fall,
Will the creatures all laugh at me, clumsy and small?”
But the sun shone down with a kindly face
“Just try and soon you will fly with grace.”
The bird practised hard never minding to fall,
And now the great eagle flies highest of all.

Waldorf poems and verses
Acorn and Oak

“Oh I’ll never be big,” the acorn said
As it gazed on high to the oak tree tall,
“I’m little and round as a miller’s thumb,
I’ll never be big, I’ll always be small.”
The oak tree smiled a knowing smile,
“My trunk is thick, and my roots are deep,
My branches and twigs spread high and wide,
For birds to nest in, and bugs to sleep.
But I was an acorn too on a time,
– ‘Oh I’ll never be big, I’ll never be strong,’-
That’s what I thought many years ago…
And, dear little acorn, you see I was wrong!”

Johnny’s farm
Waldorf poems and verses

Johnny had a little dove, coo, coo, coo.
Johnny had a little mill, clack, clack, clack.
Johnny had a little cow, moo, moo, moo.
Johnny had a little duck, quack, quack, quack.
Coo, coo; clack, clack; moo, moo; quack, quack;
Down on Johnny’s little farm.
Johnny had a little hen, cluck, cluck, cluck.
Johnny had a little crow, caw, caw, caw.
Johnny had a little pig, chook, chook, chook.
Johnny had a little donkey, haw, haw, haw.
Coo, coo; clack, clack; moo, moo; quack, quack;
Cluck, cluck; caw, caw; chook, chook; haw, haw;
Down on Johnny’s little farm.
Johnny had a little dog, bow, wow, wow.
Johnny had a little lamb, baa, baa, baa.
Johnny had a little son, now, now, now!
Johnny had a little wife, ha! ha!! ha!!!
Coo, coo; clack, clack; moo, moo; quack, quack;
Cluck, cluck; caw, caw; chook, chook; haw, haw;
Bow-wow; baa, baa; now, now; ha! ha!!
Down on Johnny’s little farm.
(traditional)

Lovely Things
Bread is a lovely thing to eat –
God bless the barley and the wheat!
A lovely thing to breathe is air –
God bless the sunshine everywhere!
The earth’s a lovely place to know –
God bless the folks that come and go!
Alive’s a lovely thing to be –
Giver of life – we say – bless Thee!
H.M.Sarson

Waldorf poems and verses
Measurement
“Oh build for me builder
A house of my own,
With plank and with timber,
With tiling and stone;
A solid foundation,
Four walls stout and thick,
A roof of good oak beam,
And chimney of brick.”
“Yes, I’ll build you a house,
The best that I can,
But the measurements true
I’ll need for the plan.
How deep the foundation?
What height for the wall?
What length for the rooms,
And the passage and hall?
How high is the chimney?
How wide are the floors?
How broad is the staircase?
How narrow the doors?
Give me the measure
To build your house right:
The width and the length,
The depth and the height.”
Paul King

Waldorf poems and verses
Nouns and Verbs

Of all the things I can know and love,
Like the earth below and the sky above,
The wind in the trees
And the waves of the sea:
All these the noun will name for me.
The dolphin, the whale and fishes bright,
The lark at dawn, and the owl of the night,
The fox in his den,
And the buck that springs:
The naming noun will name these things.
Of all the things that as deeds are done,
I can leap or linger, romp and run,
I can weep salt tears,
And chuckle with glee:
And these the doing verbs decree.
I live, I learn, I wish for, I work,
But if a good deed I would lazily shirk,
Then a charm I can say
The good to fulfill:
I can,
I should,
I want to,
I will!
Paul King

Waldorf poems and verses
Where am I?
In the hand of God is the Universe,
In the Universe is our galaxy,
In our galaxy is the Solar System,
In the Solar System is the Earth,
On Earth is the continent of Africa,
In Africa is the country of South Africa,
In South Africa is the province of the Western Cape,
In the Western Cape is the city of Cape Town,
In Cape Town is the suburb of Kenilworth,
In the suburb of Kenilworth is Marlowe Road,
In Marlowe Road is Michael Oak School,
In Michael Oak is Class Four,
In Class Four are rows of desks,
In one of those rows is my desk,
Here I sit.

Waldorf poems and verses
Here I sit
at my desk
in one of the rows
in Class 4
in Michael Oak
in Kenilworth
in Cape Town,
in the Western Cape
in South Africa
in Africa
on Earth
in the Solar System
in the galaxy
in the universe
in the hand of God.

Waldorf poems and verses
Butterfly and Flower

See the flower open
Its petals one by one –
Butterfly wings upon a stem
Waving in the sun.
See the flitting butterfly
In shimmering colours bright –
A flower free and flying
In the warm summer’s light.
See the bee
How selflessly
She toils to bring the honey home.
The silent hive
She’ll keep alive
When blooms are blown and winter’s come.

By day the light of the radiant Sun,
By night the light of mysterious Moon,
And the wandering Stars ever above,
Guide and guard us night and noon.
Light of the sun shine in my thoughts
Beauty of moon weave in my heart,
Wisdom of stars flow through my deeds.
Morning, evening, night and noon.

The pillars of the temple
Stand between earth and sky :
Upon a footing that’s sturdy and firm
They lift the roof on high.

The great and glorious golden sun
Shines from on high on everyone,
On saint and sinner, shepherd and king,
On the great and the stumbling, unstinting.

See the stone
Sculpted by storm,
Weathered by wind
To a rugged form.
See the shell
Whose elegant spin
Spirals and twists
To the heart within.
Weather and wind
Or life unfurled:
Inner and outer
Shape the world.

Waldorf poems and verses
Above me, the heavens with moon and sun,

Below me, the earth firm and strong,
Behind me, an angel to guard me and guide,
Before me, the goal to which I stride,
Beside me, my loved ones, and all around
Fire and water and air abound.
Above, below; near and wide;
Behind, before, and either side :
The encompassing world lies far and nigh,
And in the centre, here stand I.

Crystal, jewel, rock or stone,
In me is sinew, flesh and bone.
The plant unfolding stem and leaf,
In me is growth and pulsing life.
The sentient beast that roves the plain
In me is shades of joy and pain.
The sun that gives its loving light,
In me is thinking’s radiance bright
Beast and plant, earth and sun –
All the world in me is One.

The word of a king can slay or spare,
The word of a clown can gladden.
The word of a friend can comfort and share,
The word of a foe can sadden.
The word of God creates a world
Of firmament, land and sea;
The word of my mouth
Shapes my life,
And so creates me.

The master paints a picture
And its greatness shineth forth;
The journeyman travels to broaden his skill
By many a winding path;
The apprentice must practise and practise
And practise undaunted still more –
But first he takes a simple broom
And sweeps the master’s floor.

Rain, fall!
Water, flow!
Bring new life
That the plant may grow.
Soften the earth
That the root grow deep;
Moisten the air
That stem and leaf
Unfurl and unfold
In the shimmering light
And bring forth the flower
For our delight

The tool unused lies lost in dust,
The sword unused turns dull with rust,
The path unused grows clogged with weed,
The crop untended goes to seed.
Skills unused will soon decay,
Talents wasted, fade away.

I will work with a wish and I’ll work with a will,
And the task that life brings me I’ll gladly fulfil,
And unfolding new skills, many joys shall be mine.
Away dull rust! Let me shine!

In the waters of a pool,
Deep and green, dim and cool,
Unperturbed by swirl or swish,
Hangs a dreaming silver fish.
Thrice a-dream in waters deep,
Wrapped in fast aquatic sleep.

Then with a flip and a flash and a flay
Swift as the lightning it flickers away.

The sails are full, the anchor hauled,
The rolling keel o’erleaps the swell,
The wheeling gulls above me call,
And wind and wave betoken well.

Storm or calm
Near or far,
Undeterred I’ll follow my star.

Earth beneath my feet,
Thee my step doth greet.
Through the light of days
I walk upon thy ways,
Straight or curved or steep
In places high or deep.
Wisdom guide my soul,
Lead me to life’s goal;
Firmness bear me on
Till my path be done.
Earth beneath my feet,
Thee I gently greet.

I waken to the morning light,
I waken to the hills and seas,
I waken to the birds and beasts,
I waken to the plants and trees;
And the world of people round me moves,
Family, teachers, friends and more –
The world awaits me every morn
To know, to cherish and explore.
In the world I will seek
For the good and the true
By the thought that I think
And the deeds that I do

Waldorf poems and verses
The Ballad of Semmerwater

Deep asleep, deep asleep,
Deep asleep it lies,
The still lake of Semmerwater
Under the still skies.
And many a fathom, many a fathom,
Many a fathom below,
In a king’s tower and a queen’s bower
The fishes come and go.
Once there stood by Semmerwater
A mickle town and tall;
King’s tower and queen’s bower
And the wakeman on the wall.
Came a beggar halt and sore:
“I faint for lack of bread!”
King’s tower and queen’s bower
Cast him forth unfed.
He knock’d at the door of the eller’s cot,
The eller’s cot in the dale.
They gave him of their oatcake,
They gave him of their ale.
He has cursed aloud that city proud,
He has cursed it in its pride;
He has cursed it into Semmerwater
Down the brant hillside;
He has cursed it into Semmerwater
There to bide.
King’s tower and queen’s bower,
And a mickle town and tall;
By glimmer of scale and gleam of fin,
Folk have seen them all.
King’s tower and queen’s bower,
And weed and reed in the gloom;
And a lost city in Semmerweater,
Deep asleep till Doom.
Sir William Watson

Waldorf poems and verses
The Water Cycle

Water hard as iron,
Water flowing free,
Water floating light as air,
Water one in three.
Vapour rising skyward,
Falls to earth as rain,
Flows in river, stream and sea
To rise as cloud again.
Lifting skyward, falling earthward,
Ever on the move,
Thus the cycle of all life
Comes and goes on earth.
Paul King

Waldorf poems and verses
Deep in the night is darkness,

With my soul in slumber deep.
Moonlight dreams on the waters,
Moonlit dreams in my sleep.
High in the star-filled firmament
The song of the spheres is heard,
Giving me strength for the morrow,
In thought and deed and word.
Now light of the sun is dawning,
And light of my mind as I wake:
Alive in the world,
At home on the earth,
My path through life to take.
Paul King

The rocks are hard
And we stumble.
The rocks are sharp
And we bleed.
The rocks are heavy, jagged and dense,
Crushing and dark indeed.
But the rocks bear the weight of the world,
They bear up our steps with might;
And deep within, like stars on earth,
Their jewels glisten bright.
Paul King

A pebble dropped in a lake
Sends ripples gliding to shore.
The world is changed for ever;
Does the ripple glide ever more?
A word of kindness spoken
Sends warmth where was pain before.
The world is changed for ever:
The warmth lives on ever more.
Paul King

Waldorf poems and verses
Bean bag

(per l’esercizio del girare il sacchetto di fagioli attorno ai fianchi. Ogni verso è un giro completo)

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Round About

Round the coppice
Round the trees,
Round the woods
With the rustling leaves;
Round the tree trunk,
Round the stem:
Round about
And home again.
Paul King

(tenere il sacchetto di fagioli nella mano destra, gettarlo accompagnadolo bene con la mano sopra la testa e riprenderlo con la mano sinistra. Quattro lanci per ogni verso).

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Red, and orange, and yellow, and green:

The rainbow’s seven colours have a bright shiny sheen.
Light blue, indigo, and violet all told. At the end of the rainbow is a pot of gold

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

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Geografia Waldorf – I punti cardinali: il racconto dei quattro angeli e del nastro d’argento

Geografia Waldorf – I punti cardinali: il racconto dei quattro angeli e del nastro d’argento. Questo racconto è un vero classico nelle scuole steineriane; non si conosce l’autore e, a differenza di altri racconti proposti nella guida, mitigare la presenza degli elementi simbolici antroposofici è praticamente impossibile. Lo condivido così com’è, felice di poter soddisfare la richiesta di alcune lettrici…

Dio Padre, il quarto giorno, creò il sole, la luna e le altre luci del cielo, ma inizialmente tutti questi pianeti erravano senza ordine e senza disegno nell’immensità celeste, e nessuno di loro conosceva la propria via e il proprio cammino.

 Allora Dio Padre disse agli angeli: “Intonate il vostro canto più armonioso, in modo che in tutto il mondo, nelle altezze e nelle profondità, risuoni la vostra voce!”

Gli angeli fecero come Dio Padre aveva detto, e gli spazi celesti echeggiarono di quel canto. Nessuno poteva restare indifferente a quel suono meraviglioso che si propagava ovunque come una brezza leggera e profumata.

Tutte le stelle si misero in ascolto, e ascoltando presero a danzare nell’immensità del cielo ed a comporsi in immagini e figure di straordinaria bellezza.

Questo piacque molto a Dio, e quando gli angeli terminarono il loro canto, chiese alle stelle di rimanere così, in gruppi composti e ordinati, e di continuare a danzare così, al suono della loro stessa musica, la musica delle sfere.

A quel tempo il giorno e la notte non erano ancora separati.

Allora Dio Padre chiamò quattro dei suoi angeli e disse loro: “Disponetevi nella vastità del cielo, in modo da lasciare la terra in mezzo a voi, nel centro, e da potervi guardare l’un l’altro negli occhi, a due a due”.

Gli angeli si affrettarono ad obbedire al volere di Dio Padre, e quando ebbero preso i loro posti alle quattro estremità del mondo, spalancarono le braccia, ed ognuno sorrise all’angelo fratello che gli stava di fronte.

E il loro sorriso fece nascere dal loro cuore un bel raggio d’argento, teso dall’uno all’altro.

Aleggiò sulla terra una croce d’argento grande quanto il cielo.

Il primo angelo indossava una magnifica veste gialla, l’aria attorno a lui profumava di violetta.

Dio Padre disse: “Sia affidata alle tue mani ogni forza giovane e fresca, ed ogni risvegliarsi dall’oscurità del sonno. Dona la tua forza alla terra e ai suoi esseri. Proteggi il mattino e tutto ciò che vi è in esso. II punto del cielo dove tu ti trovi si chiami LEVANTE, o EST.

Poi Dio Padre si rivolse all’angelo che stava di fronte all’angelo del Levante.

Era un bellissimo angelo viola, circondato da un buon profumo di lavanda e calendula. Gli disse: “Tu regalerai al mondo la pace dopo la fatica e il riposo dopo il duro lavoro, il crepuscolo dopo il chiarore accecante. Il tuo regno sarà la sera, e la parte del cielo in cui starai si chiamerà PONENTE, o OVEST”.

Poi Dio Padre si avvicinò al terzo angelo, che come i primi due se ne stava con le sue ali lucenti e la sua bella veste rossa al margine del cielo, proprio là dove cielo e terra si toccano.

Gli disse: “Alzati in volo dal luogo dove stai per un tratto. Devi guardare la terra dall’alto”:

Con un leggero fruscio e batter d’ali, l’angelo si sollevò verso il luogo che Dio Padre gli aveva indicato. Dio Padre allora gli disse: “Alle tue mani è affidata la pienezza della luce e del calore. Devi darla alla terra fra la mattina e la sera. Sii il custode dell’alto, dorato giorno. La parte del cielo che tu governi sia chiamata MEZZOGIORNO, o SUD.

Dio Padre si rivolse poi all’ultimo dei quattro angeli, uno splendido angelo vestito di bianco e circondato da una dolce atmosfera blu.

Gli disse: “Tu devi discendere tanto quanto tuo fratello si è alzato nel mezzogiorno”.

L’angelo obbedì rapidamente.

Allora Dio Padre gli disse: “Tu porterai in dono alla terra l’oscurità e la frescura. Manderai alla buona terra e a tutti gli esseri che la popolano il beneficio del sonno ristoratore e dei sogni buoni. Ciò che è stanco e spossato per la luce e la lunga veglia sarà rafforzato e ristorato grazie a te. Il tuo regno sarà la notte e la tua parte di cielo si chiamerà MEZZANOTTE, o NORD”.

Quando Dio Padre ebbe indicato ai quattro angeli il loro posto ed il loro compito, essi si inchinarono davanti a lui e lo ringraziarono col cuore colmo di gioia.

Allora Dio Padre si rivolse al sole e gli disse: “D’ora in poi, caro Sole, dovrai viaggiare tra questi angeli. Levati dall’orlo del cielo, presso l’angelo del Levante, innalzati fino al Mezzogiorno, poi voltati in giù verso la sera finchè presso l’angelo del Ponente giungerai a toccare ancora l’orlo del cielo. Infine sprofondati giù giù fino all’angelo della Mezzanotte e ristorati nel suo regno come tutti gli altri esseri. Poi torna ad alzarti a Levante, con forza rinnovata”.

Il Sole ringraziò Dio Padre, che gli aveva donato una via da seguire ed una meta, e con i suoi raggi si mise in cammino.

Furono così donati alla terra il mattino e la sera, il giorno e la notte.

Geografia Waldorf – I punti cardinali

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Racconto per introdurre la geografia La casa giusta

Racconto per introdurre la geografia La casa giusta – Elaborato a partire da una traccia in uso nella scuola steineriana, questo racconto è un piccolo viaggio attraverso i climi e le abitazioni tradizionali di alcuni popoli della terra. Se proposto a blocchi, un po’ al giorno, si può esercitare il disegno copiato dalla lavagna e la scrittura; consigliate anche le cornicette… Ho inserito nel testo degli esempi. Se disegnate per i bambini alla lavagna partite creando un bello sfondo (sole, aria, prato…), poi passate alla cornicetta, e quindi al disegno, cercando di evitare prospettive troppo complicate per loro e troppi particolari che renderebbero noioso guardarvi. Non importa tanto il prodotto finito, quanto il processo.

C’erano una volta, tanto tempo fa, due fratellini, un bambino e una bambina, che abitavo su su in alto, nel cielo. Lassù c’era sempre qualche gioco nuovo da fare: saltare sulle nuvole bianche e gonfie come la panna montata, scivolare sul dorso della luna, fare le pernacchie ai raggi del sole, sedersi sulle stelle e giocare a nascondino…

Un giorno, il tempo era passato e loro erano un po’ cresciuti, il loro sguardo andò a posarsi sulla terra: com’era piccola rispetto a tutto il cielo, e com’era buia rispetto alle stelle, e com’era chiassosa rispetto alla luna silenziosa, e com’era fredda rispetto al sole! Ma com’era bello guardare i suoi alberi, i fiori che sbucavano dalla scura terra,  gli animali che correvano, i fiumi  e i monti, le montagne imponenti, e gli uomini, poi, che si muovevano, parlavano, ridevano… Da quando avevano scoperto la terra, i due bambini rimanevano ore ed ore a guardarla, seduti su una nuvola, e non avevano più voglia di giocare con la luna e con le stelle. Solo quando sulla terra gli uomini interrompevano le loro varie occupazioni e andavano a dormire, i bambini tornavano ai loro giochi.

Guardando e riguardando la terra, i bambini cominciarono a desiderare di scendere laggiù, ma avevano molta paura a fare un viaggio del genere da soli. Una volta arrivati, come sarebbero stati accolti? Qualcuno avrebbe avuto cura di loro? Com’erano gli uomini, buoni o cattivi? A vederli da lassù, sembravano certamente buoni, ma era proprio così? Presi da tanti dubbi, e divisi a metà tra cielo e terra, i due bambini cominciavano a sentirsi tristi.

Le stelle del cielo se ne accorsero e dissero: “Non abbiate paura… anche se scenderete sulla terra noi resteremo con voi, e potrete sempre vederci anche da laggiù”.
I due bambini, a questo punto, erano determinati a partire, ma prima di farlo decisero che era meglio chiedere un consiglio al grande mago che muoveva i venti e le correnti, faceva nascere le tempeste, scatenava i fulmini, faceva rimbombare i tuoni e  radunava tutte le nuvole trasformandole in animali dei più vari, come elefanti leoni aquile tori o pesci…

“Di cosa avremo bisogno una volta scesi sulla terra?”, gli chiesero.
“Oh, beh, di una cosa avrete bisogno di certo” rispose il mago, “Una volta sulla terra, il cielo ce lo avrete sulla testa, e le nuvole rovesciano acqua, il sole brucia e la luna è fredda… vi occorrerà un riparo dal freddo e dal caldo, dalla pioggia e dal vento, dalla grandine e dalla neve…”
“Una casa?” chiesero i bambini, “ma noi non sappiamo nulla di case…”

“Voglio aiutarvi!” , rispose il mago dopo aver riflettuto un istante, perchè quei due bambini gli erano proprio simpatici, “Venite giù con me! Io vi darò una casa sulla terra. Come la volete? Triste o allegra? Fredda o calda? Chiusa o aperta?”
“Bella!” risposero in coro i bambini.
“Bene”, disse il mago, “Venite allora sotto il mio mantello, e tenetevi forte!”

I due bambini si attaccarono stretti alle gambe del mago, sotto il suo mantello, e volarono giù tra le grida di meraviglia degli uccelli…

Volando, erano passati vicino al sole, che li aveva quasi scottati; allora il mago li portò subito nella zona più fredda che si possa trovare sulla terra. Lì atterrò, e  i bambini uscirono da sotto il suo mantello e si guardarono attorno; erano arrivati al Polo Nord, dove la terra non germoglia  e non fiorisce: vento gelido e lastre di ghiaccio  luccicante dappertutto, e un gran silenzio, interrotto soltanto dallo scricchiolare del ghiaccio, dal grido di grandi uccelli bianchi e dal verso delle foche e degli orsi. Gli uomini che vivono in questa terra sono pochi.

Il mago disse: “Ah, che bel frescuccio da queste parti, eh! Proprio quello che ci voleva! Ed ora, vediamo un po’ in che casa potreste abitare…”

Il mago fece un cenno verso qualcosa che sporgeva dalla neve, a forma di cupola, e tutti e tre si avviarono da quella parte. Seminterrata nella neve, c’era una casetta rotonda, tutta ricoperta di ghiaccio, senza porte nè finestre: l’igloo. Il mago e i due bambini entrarono, abbassando la testa, in un tunnel di ghiaccio che era accanto alla casa. Percorrendo il tunnel videro numerosi cani sdraiati e mezzo addormentati. Il tunnel finì ed essi sbucarono all’interno della casa. Lì dentro non faceva più così freddo, ma c’era un fortissimo odore di grasso e di pesce.  Tutta la casa era ricoperta di pelli, muschi e licheni.I due bambini esclamarono: “Oh, che bella questa casa!”.

Lì dentro ci si sentiva proprio bene e la cupola che faceva da tetto somigliava al cielo. Gli uomini che entravano nella casa si toglievano i grossi guanti e i giacconi foderati di pelliccia, e sorridevano. I loro occhi erano di forma allungata, avevano zigomi pronunciati e la pelle del viso spalmata di grasso. Il mago salutò i due bambini, e scomparve.

Fu un grande divertimento per loro vivere in una casa di ghiaccio. Parte del giorno la trascorrevano all’aperto giocando con le foche e coi cani, poi rientravano nell’igloo e si sdraiavano  tra le pelli di foca, addormentandosi. Se capitava che si svegliassero durante la notte, vedevano sempre la stessa pallida luce solare, che ininterrottamente, per tutte le 24 ore di ogni giornata, era sempre la stessa: il giorno non finiva mai.
Ma il tempo passò e il sole invece di esserci sempre, tramontò e l’alba non arrivava. Allora cominciarono a sentire davvero freddo! Il vento del nord cominciò a soffiare, arrivarono le tempeste di neve, le onde dell’oceano si impennarono come cavalli selvaggi. Tutti gli uomini si rintanarono negli igloo, e chiusero i cani al sicuro nel tunnel. Il maltempo durò molti, molti giorni, e la luce del sole non ricomparve: un’eterna notte si era distesa su quella strana terra  e le ore passavano sempre uguali. I due bambini avevano freddo e cominciarono ad annoiarsi. Nell’igloo c’era ben poco da fare, e non si poteva neanche star dietro a una finestra a guardare il cielo nero, la furia dell’oceano o la terra battuta dal vento. Quella casa ora sembrava loro una prigione di gelo.
“Che noia!” disse la bambina,  “potessimo chiamare in nostro amico mago…”.
“Lui ci aiuterebbe!”, rispose il bambino.

E non avevano finito di scambiarsi queste parole, che il mago apparve davanti a loro: “Cosa volete? Non siete soddisfatti della vostra casa?”
“No!” rispose il bambino, “Abbiamo freddo e qui è sempre notte! Ci annoiamo!”
“Questa terra non è adatta a noi”, continuò la bambina, “e poi… la casa non ha nemmeno una finestra per guardar fuori e vedere le stelle…”
“Bene,” disse il Mago, “allora lasciamo questo posto! Venite sotto il mio mantello!”
“Dove ci porterai?”
“Dove regna il sole, venite!”
I due bambini non si fecero certo pregare, e si infilarono zitti zitti sotto il grande mantello. Il mago uscì dall’igloo e si alzò in volo, incurante della bufera.

Viaggiarono per molto, molto tempo e, mentre volavano, l’aria di faceva sempre più calda, finchè i due bambini cominciarono a sudare sotto il mantello del mago. Per fortuna erano arrivati!
“Eccoci a terra” disse il mago.

I due bambini uscirono da sotto il mantello e si guardarono intorno meravigliati. Erano atterrati in un posto che era in tutto e per tutto l’opposto del primo: si trovavano nell’emisfero sud! Qui la pioggia poteva cadere torrenziale per giorni e giorni, il sole era splendente, e l’aria umida e calda faceva nascere dalla terra ogni genere di pianta e alberi altissimi, col tronco liscio liscio e la chioma rigogliosa molto sopra. Al polo i colori erano bianco, grigio e azzurro pallido; qui era il regno del verde e del giallo in tutte le loro possibili gradazioni e sfumature. Tanto era ricca la vegetazione, altrettanto ricca era la varietà di animali: leoni, leopardi, pantere, iene, gazzelle, antilopi, giraffe, zebre, elefanti, scimmie, uccelli d’ogni genere. Gli uomini, a differenza degli abitanti del nord, avevano la pelle scura.

“Ah, che bel calduccio fa da queste parti, vero?” disse il mago, soddisfatto, “Credo proprio che ora sarete contenti… ieri al polo e oggi qui! Adesso non ci resta che andare a cercare la vostra casa!”.
Seguito dai due bambini, il mago si inoltrò nel folto della foresta. Camminare era molto difficile, ma con un mago al proprio fianco non c’era nulla da temere, e alla fine si ritrovarono in una piccola radura circondata da alberi altissimi.

“Ecco la vostra casa!” disse il mago, indicando una costruzione rotonda come un igloo, ma tutta verde e leggera. Era una capanna fatta di rami d’albero sottili e flessibili, legati gli uni agli altri con delle liane. Al centro, un’apertura tra i tronchi indicava l’entrata. I bambini erano felici: quella sì che era una bella casa! Entrarono: il sole filtrava tra le fessure delle pareti, e l’aria profumata della foresta penetrava ovunque.
“Ah, qui staremo proprio bene!” dissero, ” e stanotte finalmente riusciremo a rivedere le stelle!”.
“Sono contento che vi piaccia” disse il mago, e scomparve.

Fu così che i due bambini si ritrovarono a vivere le loro meravigliose avventure nella foresta. Il più divertente dei giochi era lanciarsi la frutta addosso, loro e le scimmie. Ma era bello anche seguire il corso del fiume, naturalmente stando molto attenti ai coccodrilli… e ai leoni!

Eppure i bambini non erano del tutto felici, e continuavano a sentire la stessa nostalgia che avevano provato prima di scendere sulla terra.
“Se almeno non vedessimo tutto quel buio là fuori! Se la casa fosse più… più protetta, più chiusa…”, dicevano.
E la sera anche le stelle sembravano così lontane.
Passò del tempo, e anche il caldo si fece insopportabile: un’aria umida e appiccicosa saliva dalla terra, arrivò un vento caldo e gli animali si nascosero nella foresta. Gli uomini si ritirarono nelle loro capanne, chiudendosi dentro con tronchi e pelli. Cadde su tutto un cupo silenzio, una calma irreale e minacciosa si stese su uomini, alberi, animali. Il sole scomparve e si scatenò una terribile tempesta; l’acqua scendeva violentissima dal cielo e ai due bambini sembrava di essere su di una barchetta leggera in balia di un mare tempestoso.
“Oh, se almeno non fossimo soli, se ci fosse il mago qui con noi!” dissero.
“Mi avete chiamato?” disse il mago, apparendo improvvisamente davanti a loro. “Non siete più contenti neanche di questa casa?” Eppure, vi piaceva tanto…”
“Oh, sì, è bella… ma non è sicura! Noi vorremmo una casa solida che sappia resistere al vento e alla pioggia; che ci faccia sentire protetti…”

“Ho capito. Ed ora so quello che ci vuole per voi. Ritornate in fretta sotto il mantello, e partiamo!”
I bambini non se lo fecero certo ripetere, si aggrapparono alle gambe del mago, e volarono via.

Viaggiarono a lungo, verso ovest, sorvolando l’oceano immenso, finchè per la terza volta si ritrovarono a terra. Erano in un paese vasto e aperto come il respiro di un gigante: l’America! Da una parte si stendevano verdi praterie sterminate, solcate da fiumi e interrotte qua e là da grandi pinete; dall’altra una catena di monti rocciosi si elevavano in picchi frastagliati verso il cielo. In quel momento il sole stava tramontando e tutto era tinto di arancione e rosso. Quanta luce!

“Venite!” disse il mago “Vi aspetta la casa dei vostri sogni!”
E li portò su un picco roccioso, sovrastato da uno strano spettacolo: scavate nella roccia viva, una accanto all’altra e una sopra l’altra, c’erano case di pietra.
“Questa sì che è una casa!” esclamarono i bambini, “Qui dentro non ci bagneremo, nè vedremo lampi paurosi!”
“E da queste finestre potremo anche guardare le stelle.” disse la bambina.
E il bambino aggiunse: “Sembra una fortezza! E possiamo giocare ai soldati!”
“Bene!” disse allora il mago, “Sono proprio felice di avervi accontentati…”
E sparì.

I due bambini cominciarono una nuova vita. Intorno a loro vivevano uomini forti e coraggiosi, alti e dalla pelle del colore del tramonto, con lunghi capelli lisci e neri, spesso adornati di piume. Questi uomini maneggiavano armi e attrezzi, e avevano costruito loro quelle case, scavandole nella roccia, e le avevamo chiamate “pueblo”. Erano un popolo saggio e generoso, ma anche bellicoso. Coltivavano le praterie e vivevano dei prodotti della terra e di caccia. Il bambino li seguiva spesso nel loro vagabondare e aveva imparato ad andare a cavallo e rincorrere immense mandrie di bufali e bisonti selvaggi; alci, salmoni e castori erano altri animali che si incontravano facilmente in quella zona. La bambina, invece, restava al villaggio con le donne, e con loro lavorava a fare cesti e ritagliare le pelli dei bisonti per fare coperte e vestiti.
A lungo andare la bambina si stancò di vivere così.

“Le finestre qui sono buchi, vanno bene per lanciare frecce contro i nemici, ma non per ammirare il mondo!” disse un giorno.
“E se anche fosse?” rispose il bambino, “a me piace sentirmi al sicuro quando arriva il nemico!”
“Ma non si può vivere sempre con l’idea di doversi difendere! Io vorrei una casa delicata, dolce, con una bella finestra da cui guardare i fiori del giardino, un terrazzo…Vorrei vicini gentili che ti sorridono quando ti vedono…”
“Tutte cose da femmina!” disse il bambino facendo una smorfia.
“Proprio così! Questa è una casa per maschi! Un buco nella roccia per giocare alla guerra!”
I due bambini cominciarono a litigare, finchè la bambina afferrò il bambino per i capelli gridando: “Vuoi la guerra? Eccotela!”
E cominciarono a darsele di santa ragione.
“Ah, così proprio non va!” dissero in coro le stelle del cielo, “Mago, corri dai bambini!”
Ed il mago apparve tuonando: “Cosa state combinando?”
“Niente…” dissero i bambini.
“No, no! Questo posto proprio non va bene per voi! Vi porterò nel paese della grazia e della delicatezza, e lì sicuramente starete bene…”

I bambini si nascosero sotto il mantello del mago e volarono via dal selvaggio ovest.
Viaggiarono a lungo verso est, sorvolando mari e terre, poi il mago cominciò a volare più basso e i bambini videro sotto di loro tantissima acqua, l’oceano, e in mezzo all’acqua una grande terra che si stendeva meravigliosa, ricca di verde e di montagne ricoperte di neve, e di alti monti con la cima simile ad una bocca spalancata, i vulcani. Videro sciogliersi le nevi in cascate pittoresche e laghi da sogno circondati da boschi di aceri, betulle, castagni, magnolie e salici… Quella terra era molto popolata: videro città e paesi, uomini donne e bambini.

Il mago atterrò, e i bambini con lui.
Che meraviglia! Conifere di ogni specie si alternavano a magnolie, camelie, orchidee, glicini, bambù… un dolce lago azzurro, solcato da silenziose imbarcazioni, era immerso nel verde, e il verde vi si rifletteva dentro. Sulla sponda del lago, tra delicati alberelli nani, sorgeva la più deliziosa casa che i bambini avessero mai visto: col tetto a forma di pagoda, aveva le pareti di legno leggerissimo e di carta, in cui s’aprivano grandi finestre. All’interno della casa ogni cosa era delicata e leggera: c’erano piccolissimi mobili di legno laccato, tavolini bassi bassi, composizioni di fiori variopinti insieme a rami di bambù e foglie, pareti scorrevoli di carta e legno al posto delle porte. La bambina era estasiata, mentre il bambino si guardava attorno curioso. Gli uomini che le avevano costruite erano a prima vista gentili e delicati proprio come le loro case: piccoli di statura, occhi e capelli scuri, la loro legge era la cortesia.

“Qui di certo non vi verrà voglia di prendervi per i capelli” disse il mago, e come al solito scomparve.
I due bambini non osarono nemmeno salutarlo, perchè sembrava che ogni voce fosse troppo forte in quel dolce paese…
Così cominciò la loro vita nell’est, nel paese del Sol Levante.
In questa terra l’attività più strana per i bambini era prendere il tè: solo per prepararlo ci si metteva una gran quantità di tempo, poi lo si versava in delicatissime tazzine di porcellana e lo si beveva con grande serietà. Con la stessa cura dei gesti si svolgevano quasi tutti i lavori, anche coltivare il riso, l’alimento principale di quel popolo. E la stessa cura veniva messa in tutte le arti: la lavorazione della carta e del legno, l’arte della seta, la calligrafia, la ceramica, la danza, la musica e il teatro.

Un giorno i bambini andarono ad assistere ad uno spettacolo e per la prima volta videro rappresentata la lotta tra due samurai. Gli attori erano coperti dalla testa ai piedi e portavano spada ed elmo: avevano un aspetto davvero feroce. Dopo qualche minuto di calma assoluta in cui i due guerrieri erano rimasti uno di fronte all’altro immobili come statue, si sentì un fortissimo grido e cominciò la lotta: non c’era traccia di cortesia e delicatezza!
I bambini naturalmente furono molto impressionati, e tornati a casa il bambino disse: “In questo paese tutto è bello e sembra fatto di porcellana; a volte ho perfino paura a camminare perchè temo di poter rompere qualcosa o di dare fastidio…ma c’è anche qualcosa di violento e terribile… oggi quei due samurai mi hanno proprio fatto paura!”

La bambina non disse nulla.
D’improvviso la terra cominciò a tremare, sembrava stesse spaccandosi in due, ci fu un terribile rombo, e la casa si piegò e finì col disfarsi, proprio come un castello di carte. Per fortuna, essendo così leggera, non fece loro alcun male.

“Ho paura!” dicevano i bambini, “Vieni qui da noi, mago!”
E il mago comparve.
“Presto, sotto il mantello! Scappiamo!”
Si alzarono in volo e la terra divenne un’altra volta piccola piccola e lontana, in mezzo al mare…

Dopo un po’ che volavano, il mago si fermò. I due bambini sbirciarono da sotto il mantello per vedere dove erano capitati questa volta… ma si accorsero di essere ancora in alto nel cielo. Il mago era molto pensieroso.
“Caro mago, cos’hai?” chiesero.

“Vi ho portati in giro per il mondo: dalle nevi del nord, alle zone tropicali del sud, dalle vaste praterie dell’ovest, fino alle belle terre dell’est. In tutti questi posti avete conosciuto gioia, sorpresa, felicità, meraviglia, ma anche tristezza, noia, paura. Soprattutto, la vostra nostalgia non vi ha mai lasciati, in nessuno di questi luoghi. Avete abitato in case di ghiaccio, di piante, di roccia, di carta, ma niente è stato adatto a voi. Non avete ancora trovato la vostra terra, la vostra casa…”
“Non ti scoraggiare, caro mago” dissero i bambini.

“Non ti scoraggiare, caro mago” ripeterono in coro le stelle, “Tu li hai portati dal cielo alla terra, ma la casa giusta per loro può trovarla soltanto la grande maga misteriosa… portali da lei”.
Il mago accettò il consiglio delle stelle, prese i bambini sotto il mantello e insieme volarono incontro alla terra, allontanandosi dalle nuvole e via via immergendosi nel verde e nell’azzurro, finchè arrivarono davanti alla grande maga misteriosa.

Il mago baciò i bambini, li salutò e scomparve.
“Perchè siete venuti da me?” chiese la maga.
“Per avere la casa sulla terra giusta per noi. Il mago non è riuscita a trovarla…” dissero i bambini.

“Certo cari bambini, la casa giusta per voi è dove c’è chi vi sta aspettando, il vostro papà e la vostra mamma. Loro, sapete, stanno preparando per voi due casette, non una soltanto! Una casetta è piccola piccola, che ci sta dentro giusto il cuore, e l’altra è grande grande. Vedete: ogni luogo della terra è meraviglioso, come è meraviglioso ogni popolo della terra ed ogni uomo, e ogni casa è la casa migliore che per quel luogo possa esistere.   Ma casa è dove ci sono la mamma e il papà, e i vostri non erano in nessuno dei luoghi dove il mago vi ha portati, per questo non vi ci siete trovate bene…”
“E dove sono, dove sono?”, chiesero i bambini.

“Oh”, disse la maga, “vivono in un luogo della terra non troppo a nord, nè troppo a sud; non troppo ad ovest nè troppo ad est; lì non fa troppo freddo e nemmeno troppo caldo; il sole splende ma può anche cadere la neve. E’ una bella terra, il clima è temperato, è contornata da un mare azzurro e splendente sotto i raggi del sole, ma non mancano le alte vette innevate, le colline e le pianure. Anche in questa terra esistono come nelle altre che avete visitato cose brutte, ma è la vostra casa. Era lì che spingeva la vostra nostalgia…”

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina – Questo racconto è utile sia per illustrare il ciclo dell’acqua, sia per introdurre in geografia gli ambienti naturali montagna, collina e pianura. Andrebbe proposto a blocchi, ed ogni blocco illustrato dai bambini con matite, cerette, acquarello, ecc…  (anche copiando dalla lavagna). Questo solo a titolo di esempio:

C’era una volta, molto ma molto tempo fa, un regno immenso fatto di acqua, dove tutto era pace e armonia. Era il regno di Oceano. Custodiva tante e tante meraviglie: negli abissi più profondi e inesplorati, si nascondevano grotte misteriose e montagne di sabbia e roccia rivestite di un  mantello verde evanescente che danzava all’ondeggiare dell’acqua. C’erano giardini incantati, pieni di fiori e coralli dai colori più sgargianti, e piante grandi e piccole, alcune delle quali aprivano e richiudevano le loro chiome per mangiare e riposare.

Piccole e grandi creature si muovevano senza sosta tra quelle meraviglie. La loro pelle era simile al colore delle piante e dei fiori che le circondavano, e  lucente, e piante e creature si confondevano tra loro.

Ogni creatura aveva un nome. C’era ad esempio il polipo, con la sua grande testa allungata dalla quale spuntavano lunghi tentacoli che si muovevano in tutte le direzioni. C’era poi la medusa, leggiadra e trasparente, che si muoveva così leggera e sinuosa da sembrare una ballerina sulle punte, in perfetta sintonia coi movimenti dell’acqua. La conchiglia dell’ostrica sembrava un ventaglio colorato e custodiva al suo interno una magnifica, perfetta perla splendente. La balena era la più grande creatura del regno. Un gigante buono. Quando nuotava, attorno a lei c’erano tanti pesciolini che le tenevano compagnia. Per respirare la balena doveva, di tanto in tanto, uscire dall’acqua, ed in quel momento spruzzava dal suo dorso una gorgogliante fontana che saliva verso il cielo e poi ricadeva su se stessa aprendosi come un fiore. C’era poi il delfino, l’acrobata di quel regno. I delfini nuotavano sempre in gruppo, ed il loro gioco preferito consisteva nel balzare fuori dall’acqua, il più alto possibile, per poi rituffarsi in acqua disegnando  nell’aria archi d’argento e allegri spruzzi d’acqua.

Il colore verdazzurro del regno di Oceano gli donava un’atmosfera di sogno e di pace. In superficie tutto era un luccichio, grazie alla luce del sole:  milioni di piccole stelline sembravano posarsi a danzare sul pelo dell’acqua.

Oceano aveva moltissime figlie: le gocce d’acqua, che vivevano felici nel suo regno. Oceano si occupava amorevolmente di loro e provvedeva a tutti i loro bisogni: le nutriva, le cullava cantando per loro, le proteggeva dai pericoli. Le gocce amavano Oceano, e gli erano grate e riconoscenti per quella vita così felice e spensierata.

Un giorno, mentre tutte le piccole gocce erano impegnate a giocare tra loro, si spinsero fino alla cresta delle onde, pericolosamente troppo vicino alla superficie, e lontane dal palazzo verdazzurro di Oceano. Lì udirono una misteriosissima voce chiamarle: “Goccioline! Fatevi riscaldare dai miei raggi, vi prometto che conoscerete cose fantastiche… vi farò vedere tutte le meraviglie che esistono oltre al vostro regno…”

Le gocce si spaventarono e fuggirono via. Non appena furono di nuovo a palazzo si sentirono al sicuro, ma non riuscivano a smettere di pensare a quello che era successo, e non riuscivano a darsi una spiegazione. Di chi era quella voce? Chi le aveva chiamate? Era il caso di tornare vicine alla superficie e cercare di scoprirlo, o era meglio dimenticare tutto e lasciar perdere?

Una piccola goccia parlò: “Oh, io sono così stanca di tutta questa pace, ogni giorno uguale all’altro, ogni giorno sempre più noioso di quello prima… Questo regno lo conosco ormai fino al più piccolo granello di sabbia che contiene. Basta! Voglio qualcosa di nuovo! Voglio avventura! Voi fate come volete: io salgo!”.

A parlare era Diamantina, la più curiosa e irrequieta goccia che ci fosse mai vista nel vasto oceano. Senza esitazione, dunque, si diresse verso la superficie, e molte delle sue sorelle decisero di seguirla…

… un brivido misterioso percorse le acque, e giunse fin negli abissi più profondi dell’oceano.

Appena giunte in superficie, le piccole avventuriere si sentirono avvolte da un piacevole tepore: un raggio di sole le aveva infatti accarezzate e le stava attirando a sè con forza sempre maggiore. Diamantina e le sue compagne si lasciano andare e, piano piano, con grande gioia, si arrampicarono sul raggio di sole, lasciando sotto di sè il regno di Oceano. Man mano che salivano diventavano sempre più leggere: fluttuavano nell’aria più leggere di trasparenti farfalle, e salivano sempre più in alto, sempre più su… per la prima volta in tutta la sua vita Diamantina, fuori dal regno di Oceano, vide tutti i colori del mondo.

(disegno)

Diamantina e le sue sorelle erano così felici! Ed ecco, videro comparire mago Vento: un gigante buono che se ne stava là nell’aria e  sembrava divertirsi come un matto a gonfiare le sue guance a più non posso. Quando aprì la bocca, ne uscì una bella folata fresca che investì tutte le gocce, allora loro si diedero la mano e si strinsero, per evitare di venire sparpagliate chissà dove.  Così unite , formarono una bella nuvola bianchissima nell’azzurro del cielo, e mago Vento continuò a soffiare, spingendo la nuvola fino alla cima di un’alta montagna rocciosa.

Lassù faceva molto freddo, non si vedevano nè erba nè alberi, ma solo rocce gigantesche, immobili e solenni. Per proteggersi dal gran freddo, ed estasiate dalla bellezza di ciò che vedevano, Diamantina e le altre gocce si strinsero ancoro  più forte le une alle altre: erano nel regno di mago Gelo. Divennero per opera sua sempre più consistenti e solide e bianche, e scesero lievemente sulle montagne, trasformate in meravigliosi cristalli stellati. Si adagiarono con dolcezza al suolo formando un mantello soffice soffice e bianco bianco, e caddero in un piacevolissimo sonno che per lungo tempo le cullò su quelle alte vette.

Finalmente, un mattino, un lieve tepore le svegliò dal loro sonno, e le gocce ad una ad una si accorsero che potevano nuovamente muoversi: era arrivata la primavera.

(disegno)

Scivolarono lungo il pendio della montagna verso la valle, lungo il percorso cantavano e saltellavano e giocavano a rincorrersi, riprendendo  via via la loro trasparenza. Scorrevano sempre più veloci, e ridevano, ridevano… L’eco delle loro risa risuonava tutto intorno, e improvvisamente ebbero come l’impressione di prendere velocità e di volare nel vuoto: l’emozione le fece ridere ancora più forte! E il loro salto aveva formato un’incantevole cascata.

Lungo il percorso capitava che alcune gocce scegliessero altre strade, ma sempre accadeva che un po’ più a valle si ricongiungessero. Ritrovarono perfino le sorelle che avevano scelto per un po’ di scorrere sottoterra, per poi riaffiorare dalla roccia e riunirsi a loro come acqua di sorgente.  Quando furono di nuovo tutte insieme,  i loro mille rigagnoli erano diventati un bel torrente limpido e lastricato di sassi grandi e piccoli.

Diamantina e le altre gocce si scambiarono i loro racconti di viaggio: c’era chi aveva conosciuto la regina Stella Alpina, chi aveva spiato una cordata di coraggiosi alpinisti, chi era passata vicino a paurosissimi burroni… un profumo molto intenso le avvolgeva e felici più che mai contemplavano il verde giovane della primavera.

Diamantina per prima si fece coraggio, e chiese: “Chi siete? Perchè ve ne state lì fermi e non venite con noi?”. “Noi siamo l’erba”, risposero in coro, “non potremmo vivere separati dalla terra, che ci nutre, ci protegge, ha cura di noi. Tappezziamo la montagna formando i pascoli, e la facciamo soffice e morbida… su di noi giocano i bambini, e senza di noi mucche, pecore, caprette, morirebbero di fame”. Diamantina e le sue compagne domandarono perplesse: “Mucche? Pecore? Caprette? E che cosa sono?” . “Sono quegli animali laggiù, vedete? Quelli a quattro zampe!”.

Le gocce conobbero così gli animali, strani esseri che, a differenza dell’erba, possono correre, saltare, galoppare…

“Anche tu ti chiami Erba?”, chiese Diamantina ad un bel fiore. “Beh, non proprio… il mio nome è Calendula, anch’io appartengo alla famiglia dell’Erba, ma a me aria e luce hanno dipinto un bel fiore con i raggi del sole…”. Mentre Calendula parlava, Diamantina si accorse di un piccolo essere simile a un fiore, ma che volteggiava nell’aria. Quando lo vide posarsi su una dolce margherita, urlò: “Attento bel fiore bianco e giallo, quella cosa ti farà male!”. “Mia cara Diamantina,” rispose Margherita, “questa è nostra sorella, la Farfalla. Non vedi come somiglia a noi fiori? Le sue ali sono come i nostri petali, ma sono petali speciali perchè possono prendere la strada del cielo. La farfalla, sai, volando qua e là per il prato, raccoglie tutte le storie che racconta la natura e le passa di fiore in fiore. Ora è a me che vuole raccontare qualcosa…”

Dopo aver salutato tutti i nuovi amici conosciuti nel pascolo montano, Diamantina e le sue compagne ripresero il loro viaggio. Ad un tratto sentirono un brivido di freddo e di paura: videro attorno a loro non più il verde dei pascoli, ma una miriade di giganti maestosi ed immobili che, nascondendo la luce del sole, creavano un’atmosfera cupa e misteriosa.  Le gocce, unite nel torrente, stavano infatti attraversando un fitto bosco di pini, abeti e larici.

La luce tornò e le gocce tirarono un bel sospiro di sollievo. Avevano ripreso il loro corso naturale, quando questa volta fu un grosso sasso a sbarrar loro la strada. Alcune gocce riuscirono ad aggirarlo, passare oltre e proseguire il loro cammino; altre si fermarono a discutere a lungo davanti al masso, presero a litigare, e così divennero ben presto acqua stagnante, e il fango le imprigionò.

(disegno: montagna)

Le altre, passate il grande sasso, decisero di rallentare un po’ la loro corsa per ammirare il meraviglioso paesaggio che andava cambiando. Via via la pendenza si faceva più dolce e cominciavano ad apparire verdeggianti colline, che si susseguivano simili alle onde di un mare incantato, pronto ad offrire nuovi tesori e nuove bellezze: argentei ulivi dal tronco contorto, filari di viti, frutteti, tappeti di terra coltivata, boschetti di castagni e querce, fiori variopinti. Tante casette colorate erano sparse qua e là tra il verde. Le gocce si beavano di tutte queste meraviglie.

Diamantina e le sue compagne di viaggio si guardavano intorno felici, e la loro attenzione presto si concentrò su una specie di prato verde sospeso in alto. “Forse è un prato che vola, una specie di grande farfalla…” disse Diamantina a voce alta.  “Ma che sospeso! Ma che farfalla!” disse un grosso vocione da contrabbasso, “Sono la Quercia. Le mie radici affondano nella terra, e la terra mi ha nutrita e fatta crescere così alta e maestosa perchè desiderava guardare il cielo da vicino. I miei rami servono da riparo per gli uccelli: loro cantano e volano, mentre io sto immobile a custodire la loro casa. Solo mago Vento viene ogni tanto a scuotermi un po’ le fronde: lui è mio grande amico. “

Un canto improvviso distrasse presto Diamantina: nascosto tra i fili d’erba c’era un piccolo cosino nero, ed era lui a cantare. “E tu chi sei?”, chiese Diamantina, “una capretta nana?”. “No, no!”, rispose quello. “Allora sei una mucca piccola!”. “Ma no! Sono un insetto, un grillo canterino, per la precisione, e mentre mi occupo di pulire e riordinare la tana, canto”.

“E quei fili d’erba che saltano, cosa sono?” chiese ancora Diamantina al grillo. “Sono cavallette! Non sono fili d’erba, sono insetti come me. Non stanno mai ferme, saltano, saltano… mi fanno girare la testa!”. Detto questo il grillo riprese le sue faccende e il suo canto.

(disegno: collina)

Le gocce, intanto, cominciavano a sentirsi molto stanche, dopo quel lunghissimo viaggio, ed erano confuse e stordite per la quantità di cose nuove che avevano visto lontane da casa. Rallentarono l’andatura e udirono un ronzio insistente provenire dalla riva, da un bel prato fiorito. Videro tanti piccoli esserini gialli e neri: volavano di fiore in fiore producendo il ronzio che aveva attirato la loro attenzione.

“Quelle non sono certo farfalle” pensò Diamantina, che proprio per colpa delle farfalle aveva già fatto tante brutte figure. Si avvicinò e chiese: “E voi chi siete?”. “Noi siamo le api” risposero loro, “e ci posiamo sui fiori per raccogliere il dolce nettare. Loro ce lo danno molto volentieri, perchè sanno che così noi potremo preparare la pappa reale per la nostra regina e il miele per tutti.”

Diamantina non sapeva proprio cosa fosse il miele, ma era troppo stanca per fare altre domande, così, insieme alle sue compagne, riprese il suo viaggio, muovendosi sempre più lentamente.

Il letto sul quale Diamantina e le altre gocce scorrevano non era più così ripido, ed era anche diventato molto più largo. Le gocce ora non avevano più quella voce sonora e squillante di una volta, non saltellavano, non guizzavano: scivolavano pacatamente e via via perdevano la loro limpidezza di acqua di montagna, per diventare acqua di fiume. Il fiume si allargava sempre più. Diamantina e le sue compagne si sentivano ora pesanti e stanche e provavano una grande nostalgia per il regno verdazzurro di Oceano. Attorno a loro c’erano tante cose meravigliose: le barche, le case, la vasta pianura verdeggiante, i campi dorati di grano, i filari di vite… ma Diamantina aveva perso ogni curiosità.

(disegno: pianura)

Ora le gocce scorrevano così lentamente che il tempo sembrava non passare mai…ma ecco che, in lontananza, scorsero il regno di Oceano, la loro casa. Ma come era possibile?

“Ogni fiume porta al mare, ragazze mie!” diceva Oceano, “Forza, correte, fatevi abbracciare!”

E tornate finalmente nel regno di Oceano, Diamantina potè raccontare a tutti gli abitanti del mare com’è fatta la terra: montagna, collina e pianura.

(adattamento da un racconto in uso nelle scuole steineriane)

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Il passaggio dal minuscolo al corsivo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare.

Il passaggio dal minuscolo al corsivo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare. L’anno scorso abbiamo imparato un nuovo alfabeto: lo stampato minuscolo. Vi ricordate quante avventure avevano vissuto precipitando dalla montagna? Ora vi voglio raccontare cosa è successo alle nostre letterine maiuscole e minuscole quest’estate, durante una meravigliosa notte di luna piena…

Il sole, come accade di solito in questa stagione, era andato a dormire molto tardi ed aveva lasciato il posto alla luna e alle stelle. Nell’aria calda e profumata si stagliava il canto felice dei grilli e il gracchiare delle ranocchie, che si erano messe in attività tra le ninfee dello stagno.

Le letterine maiuscole e minuscole, quella sera, erano andate a dormire prima del solito, stanche morte. Erano state tutta la giornata a prendere il sole e a fare il bagno. Qualcuna aveva anche schiacciato un pisolino pomeridiano all’ombra di un papavero. Sul far della sera erano ritornate a casa. Il sole quel giorno le aveva ben ben cucinate e si sentivano molto molto stanche e spossate. Per questo andarono a dormire prima del solito.

Le minuscole diedero il bacio della buonanotte alle sorelle maggiori, poi andarono in camera loro, si misero la camicia da notte, si tolsero le ciabatte, ed oplà, con un bel saltello eccole tutte  a letto sotto le lenzuola: ventisei lettini ben allineati l’uno accanto all’altro. Bastarono pochi minuti, ed erano tutte addormentate. Alcune sognavano beatamente, altre russavano…

…ad  un tratto, nel cuore della notte, una calda brezza estiva invase la stanza. L’aria entrava dalla finestra ed arrivava fino ai lettini, accarezzando dolcemente le letterine. Si svegliarono.

L’aria era calda. Il canto dei grilli e delle ranocchie era così allegro e distinto, che sembrava invitarle ad uscire.

Saltarono giù dal letto, si tolsero la camicia da notte, si vestirono, e in pochi minuti erano già tutte in giardino. La piccola z fu l’ultima ad uscire… chiuse piano la porta di casa, col cuore che batteva forte in gola:  temeva che le sorelle più grandi, le maiuscole, potessero svegliarsi e non dar loro il permesso di uscire: la notte, si sa, porta con sè molti pericoli… Ma le maiuscole non si accorsero di nulla.

E già le loro sorelline minuscole vagavano per il mondo, lontane da casa.

Il firmamento luccicava: c’erano molte stelle e la luna era piena. Le letterine si distesero sull’erba alta del prato e si misero ad ammirare il cielo e a contare le stelle. Erano così vicine che quasi si potevano toccare.

Poi si arrampicarono su un albero per ammirare gli uccellini che dormivano. Poi si misero a correre, ad arrivarono nei pressi di una stalla. Vi entrarono. Tutti gli animali stavano dormendo.

Entrarono poi nella casa del contadino, in punta di piedi salirono le scale fino al primo piano, si infilarono curiose nella serratura di una porta, ed in un attimo furono nella cameretta dei bambini.

Salirono sul trenino, giocarono a palla e con le costruzioni, e così fecero un bel po’ di rumore, tanto che la mamma dei bambini si svegliò. Corsa in cameretta non vide nessuno, per fortuna, perchè le letterine si erano nascoste tutte sotto i letti. Scampato il pericolo, corsero nel pollaio.

Le galline continuarono a dormire tranquillamente, ma il gallo si svegliò di soprassalto e urlò: “Chicchirichì!”

Tutte le luci di casa si accesero e le  letterine se la diedero a gambe levate!

Corsero, corsero e corsero, così tanto che arrivarono senza nemmeno rendersene conto nel bosco. Esauste e senza fiato, si fermarono a riposare.

Ed ecco, sentirono un canto. Era il canto degli gnomi che si recavano al lavoro, con le loro lanternine e i loro sacchi. Nascondendosi di tronco in tronco, presero a seguirli.

Davanti alla porta della loro caverna, gli gnomi si misero in cerchio ed accesero un bel fuoco, e proprio a causa della luce della fiamma rossa e gialla, si accorsero che qualcuno le stava spiando: le letterine erano state scoperte!

“Chi è là?” borbottarono in coro. Le poverine si misero a correre, i nani dietro… Correndo a più non posso giunsero ad un laghetto. La a, che correva avanti a tutte, si arrestò bruscamente per non cadere in acqua… ma non servì a nulla: il resto della fila non riuscì a fermarsi in tempo. L’una addosso all’altra caddero tutte nel lago.

Stavano quasi per annegare, quando a, che sapeva nuotare un po’ meglio delle altre, disse: “Non abbiate paura, teniamoci tutte per mano, e vi porterò tutte fuori…”

E così, mano nella mano, risalirono in superficie.

A causa di quel bagno fuori programma erano diventate tutte molli, ed anche per questo non smisero mai più di tenersi per mano.

Quando tornarono a casa, sempre per mano, era già mattino, e le sorelle grandi erano in giardino a bagnare i fiori: non si erano ancora accorte della loro sparizione.

Al vederle arrivare, così tutte molli e per mano, invece di arrabbiarsi cominciarono a ridere come delle matte, e non riuscivano proprio a fermarsi!

Allora la piccola a, infuriata e offesa, strappo’ la canna e innaffiò per bene tutte le sorelle maiuscole.

Poverine, adesso anche loro erano diventate molli, anche più molli delle minuscole: quasi distrutte.

La piccola a si pentì molto… Per consolare le sorelle maggiori, le minuscole le asciugarono, le coccolarono, le pettinarono ben bene una ad una, misero loro i bigodini, fecero riccioli e boccoli ad ognuna…

(adattamento da un racconto in uso nelle scuole steineriane)

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Recite per bambini – I nani

Recite per bambini –  I nani. Una recita in rima che narra della fine dell’amicizia tra uomini e nani… Faustino,  il re dei nani, chiede in sposa la bella Matilde, e così ha inizio la storia…

Il re dei nani Faustino siede sul suo trono; attorno a lui stanno molti nani…

Faustino: Sul mio trono manca, a me vicina, gentile e generosa una regina

Primo nano: Fra picchi e vette andai a cercare, oh re, ma nessuna ne trovai degna di te.

Secondo nano: Nei pascoli e nei boschi io pur cercai, ma donna di te degna non trovai.

Terzo nano: Io scesi fino al piano; in un paese vicino al nostro, vidi un re cortese. Ed una principessa bella e buona, che sembra degna della tua corona. E’ Matilde, di mirabile bellezza, garbata e dolce, tutta gentilezza.

Faustino: Dal padre di Matilde dunque andate, e di Faustino ambasciatori siate. Dite che chiedo d’ottenerla in sposa e sempre mi sarà cara e preziosa.

I nani: Sarà come tu chiedi, o re Faustino

Faustino: Andate, e non sostate nel cammino.

Davanti al castello di Matilde…

Poldo: Omuncoli, chi siete? Che cosa pretendete?

Primo nano: Noi ti chiediamo di lasciarci entrare, perchè con il tuo re dobbiam parlare.

Poldo: Nemmeno per idea, via via, smammare. Da questa porta non vi lascio entrare.

Secondo nano: Di re Faustino siamo ambasciatori, fateci entrare, e coi dovuti onori.

Poldo: Ma senti questi nani, che villani! Ma guarda che sfacciati! Chi dunque vi ha chiamati?

Terzo nano: Messaggio portiamo, ma non certo a te. Fa’ il tuo dovere, e portaci dal re.

Poldo: Va bene, allora entrate, e col mio re parlate. Potessi comandare, vi farei bastonare e mettere alla porta, gente di razza corta!

Ildebrando: O Poldo, perchè tanto rancore? Sono esseri di senno e di valore, che non hanno meritato le tue offese. Devi imparare ad esser più cortese!

Nella stanza del trono…

Primo nano: Oh re potente, innanzi a te mi inchino, siamo inviati qui da re Faustino.

Re: Di lui m’han detto che è potente e saggio, or dite la ragion del vostro viaggio.

Secondo nano: Il re Faustino, nostro buona sovrano, della figliola tua chiede la mano.

Re: Son grato al vostro re per la proposta, che mi lusinga assai: ma la risposta da mia figlia soltanto può venire, che è libera di scegliere e di agire.

Terzo nano: Di re Faustino ambasciatori siamo, e la richiesta sua ti trasmettiamo; Matilde bionda, bella, generosa, del nostro re vuoi essere la sposa?

Matilde: Signori, la richiesta assai mi onora, e di respingerla invero m’addolora; ma son giovane molto, impreparata ad essere regina, e affezionata alla terra nativa, alla mia gente… Piangerei nel lasciarla, amaramente… Ma dite al re che grata assai gli sono, e del rifiuto mio chiedo perdono.

Re: La decisione di mia figlia accetto, ma dite al re che molto lo rispetto, per la saggezza sua e il suo valore.

Primo nano: Oh, sire, noi partiamo col dolore, di portare un rifiuto a re Faustino, ma cortese tu fosti, e a te mi inchino.

Secondo nano: Noi pure, sire, molto ti onoriamo, e alla bella Matilde ci inchiniamo.

Davanti al castello di Matilde… 

Poldo: Guardali i cavalieri, che andavan tanto fieri! Direi che l’ambasciata è stata sfortunata…

Terzo nano: Tu, che sei il guardiano del castello, dovresti comperare un chiavistello da metterti alle labbra ed imparare a fare il tuo mestier senza parlare!

Poldo: Omuncolo borioso, sfacciato, vanitoso! Non creder di salvarti, verrò presto a cercarti!

Nella sala del trono di re Faustino…

Primo nano: Sventura, sventura su di noi, oh re Faustino!

Secondo nano: Trovammo la morte sul nostro cammino!

Faustino: La morte? Partiste in missione di pace!

Primo nano: Trafitto nel bosco un tuo fido ora giace.

Faustino: Notizie inattese e crudeli portate; che avvenne? In che modo? Or tutto narrate!

Secondo nano: Matilde le nozze con te rifiutò, e un servo cattivo di noi si beffò-

Primo nano: Venimmo a parole, e a mezza strada, ci diede l’assalto con lancia e con spada.

Faustino: A offerta d’amore risposta di morte? Non sanno, gli stolti, che sfidan la corte? Che sono maestro d’incanti e magia? Vendetta crudele dev’esser la mia!

Narratore: La sala risplende di luci festose , si canta, si danza… Ma cadon le rose, in magica pioggia che tutti stupisce, e al padre, non visto, Matilde rapisce…”

Nel castello di Re Faustino…

Matilde: Faustino è un ospite perfetto ed io pure lo stimo e lo rispetto, ma quando penso al padre, nel mio cuore, risuona sempre un canto di dolore

Primo nano: Abbi fede signora, certo un giorno, alla tua casa potrai far ritorno.

Nel castello di Matilde…

Fratello: Amici, una notizia assai gradita! Ho trovato Matilde! Fu rapita, per mezzo di un incanto da Faustino, che la tiene nascosta a sè vicino. Seguitemi, che andiamo a liberarla!

Ildebrando: Tutti siamo impazienti di trovarla, ma il nano è un avversario molto forte, e noi siam pochi per tentar la sorte. Chiedi aiuto al potente Teodorico, che è un eroico guerriero, e un fido amico.

Fratello: Oh re, per mia sorella ci accingiamo a un’impresa difficile e chiediamo aiuto a te, che sei l’eroe famoso, da cento lotte uscito vittorioso.

Teodorico: Ben volentieri accetto, e sono pronto, a unirmi a voi per vendicar l’affronto.

Poldo: Vi seguo nell’impresa, che ho lungamente attesa. Quella gente sfacciata dev’esser bastonata!

Davanti al castello di Faustino…

Fratello: Giungemmo all’alba in vista del giardino, ma lungo e faticoso fu il cammino.

Ildebrando: Meravigliosamente belle e profumate sono le rose, al sole dell’estate.

Teodorico: E’ questa, dunque, la gloriosa impresa? Qui non vedo nè mura nè difesa. Solo un filo di seta qui m’appare, che non posso e non voglio sorpassare. Facciamo entrare un messo nel giardino, che porti i nostri patti a re Faustino.

Poldo: Questa idea di far pace davvero non mi piace. Voglio con queste mani, schiacciare il re dei nani! (Spezza il filo e calpesta le rose)

Faustino: Guai a chi invade e offende il regno mio!

Poldo: Io non ti temo, Poldo sono io!

(Duello tra Poldo e Faustino; Poldo cade a terra sconfitto)

Fratello: Di mia sorella devi render conto.

Faustino: Non subì, stanne certo, alcun affronto. Ha delle belle sale per dimora, e uno stuolo d’ancelle che la onora.

Fratello: Mettila sull’istante in libertà, o la tua testa mozza qui cadrà.

Teodorico: Perchè tanta durezza contro il nano? E’ un nemico leale e un buon sovrano. Non permetto che qui, in presenza mia, gli si parli con tanta scortesia.

Matilde: Fratello, finalmente m’hai trovata! Ti ringrazio d’avermi liberata, però mi spiace che vi sia contesa fra te e Faustino, chè nessuna offesa ebbi da lui, che sempre mi onorò, e come una regina mi ospitò.

Teodorico: Hai parlato con senno e con giustizia, motivo più non v’è d’inimicizia. Abbiamo combattuto con onore, ora sia pace e cada ogni rancore.

Poldo: Io preferisco star per conto mio, piuttosto che venire a patti, addio!

Faustino: Ora che siamo amici, permettete che vi mostri il mio regno e le segrete ricchezze che contiene; mi sarà gradito offrirvi la mia ospitalità.

Narratore: Agli occhi stupiti dei cavalieri apparvero mirabili cose; il regno dei nani conteneva tesori inestimabili e opere d’arte di grandissimo pregio. Ebbe luogo un ricchissimo banchetto, rallegrato da canti e balli… ma a mezzanotte, mentre tutti dormivano, Poldo con una schiera di armati assalì di sorpresa il regno dei nani. Si accese una lotta terribile, ed alla fine, dopo alterne vicende, re Faustino fu vinto e fatto prigioniero. Lo chiusero in una vecchia casa solitaria e gli diedero Poldo per custode. La dura prigionia di Faustino durò per molti anni…

Poldo: Che freddo! Quanta neve!

Soldato: Vieni qui presso al fuoco. (Giocano a dadi e bevono birra)

Poldo: Che sonno! Dormo un poco seduto accanto al fuoco, tu veglia al posto mio.

Soldato: Così sia, ma ho sonno anch’io.

Faustino: Mi accosto piano piano al focolare, sulla cenere ardente consumare lascio la corda che mi tien legato… nessuno ha visto, ed io son liberato!

Faustino fugge, giunge nel giardino davanti al suo castello…

Faustino: Ecco le rose rosse del giardino, che splendono nel sole del mattino. Sono esse che han mostrato all’uomo indegno, la via per penetrare nel mio regno. In roccia muterò tutto il roseto, che diventi invisibile e segreto. Sia notte o giorno, pietra resterà, e nessun occhio umano lo vedrà.

Narratore: Ma nell’incantesimo Faustino aveva dimenticato il crepuscolo, che non è nè giorno nè notte… così ogni sera, dopo il tramonto, si rivedono le rose rosse del giardino incantato. Allora gli abitanti della montagna escono dalle loro capanne e guardano e ammirano e, per un attimo solo, nelle loro menti inconsapevoli, sorge una confusa intuizione del buon tempo passato, quando gli uomini non di odiavano nè si uccidevano, e tutte le cose erano belle e buone. 

(Di autore ignoto.)

Racconto per presentare la grammatica Misbrigo, Preciso e Giulivo

Racconto per presentare la grammatica Misbrigo, Preciso e GiulivoUn racconto per introdurre nome, verbo ed aggettivo, molto utilizzato nelle scuole steineriane.  Misbrigo è il verbo, Preciso il nome e infine Giulivo l’aggettivo…

C’erano una volta tre fratelli. Uno si chiamava Preciso, un altro Giulivo e il terzo Misbrigo. I tre fratelli vivevano in una casetta al limitare del bosco, ai margini della città, con papà Grammaticale e mamma Analisi. Ora, pur stando sempre insieme, i tre fratelli erano molto diversi tra loro.

Misbrigo era il maggiore dei tre; era forte, alto e muscoloso, e girava sempre con un martello in mano, o con altri attrezzi. Ovunque andasse, lui era di poche parole. Amava dire: “Poche chiacchiere, e lavorare!”.

Il fatto però era che lui faceva e faceva, ma non avendo un piano, un progetto, non avendo compreso bene ciò che doveva fare, e spesso faceva cose brutte e sbilenche che facevano fatica a stare in piedi.

Il più piccolo dei tre era Preciso. Lui, al contrario di Misbrigo, se ne stava sempre a fare progetti, e sapeva i nomi di tutte le cose, anche i più difficili. Era un vero vocabolario vivente. Però, stando sempre al tavolo, seduto, a fare progetti, non gli veniva mai in mente di alzarsi e mettere in pratica quello che progettava. E così rimaneva tutto nella sua testa.
Il fratello mediano, Giulivo, era ancora diverso dagli altri due. Lui non faceva, non brigava, non si dava sempre da fare come Misbrigo. Però nemmeno stava seduto a far progetti e a leggere libri come Preciso. Lui suonava strumenti musicali, dipingeva, scriveva poesie e racconti. Faceva passeggiate nel bosco e incontrava fiori e piante di cui non conosceva il nome, e li guardava, e li descriveva: “Oh, che graziosi fiorellini che pendono dallo stelo come tanti piccoli calici bianchi!”.

“Si chiamano mughetti!” diceva allora Preciso, e intanto Misbrigo si era già allontanato da loro per raccogliere legna per il fuoco.

Oppure succedeva che Giulivo vedeva un albero e diceva “Oh, che forte quest’albero! Come appare nobile e potente! E che piccoli frutti ovali con un cappuccetto buffo!”.

“Ma è una quercia!” diceva preciso. E intanto Misbrigo raccoglieva le ghiande in un sacco per portarle ai maialini.

Un giorno arrivò in casa dei tre fratelli un amico del padre, il signor Bellalingua, che desiderava costruirsi una casa accanto a quella della famiglia del signor Grammaticale, e cercava per questo degli operai.

“Ah…” disse, “che bello sarebbe trovare qualche operaio davvero capace cui affidare la costruzione della nuova casa mentre io resto in città a sbrigare i miei affari!”

Il signor Grammaticale rispose: “Ma questa è una cosa che possono benissimo fare i miei figlioli!”

E così fu deciso che i tre fratelli avrebbero costruito una bella casa al signor Bellalingua, che disse: “Bene, ragazzi! Tra un mese tornerò a vedere cosa siete riusciti a fare. Se avrete fatto un buon lavoro, riceverete una grossa ricompensa.”
E fu così che Misbrigo, Preciso e Giulivo si misero all’opera per costruire la casa.

Non appena il signor Bellalingua si fu congedato, Misbrigo partì in quarta e andò sul posto dove sarebbe dovuta sorgere la casa, e cominciò a trivellare, spianare, estirpare, e tanta era la terra che spostava, scavava, accumulava, appianava, che sembrava una talpa al lavoro. S’era creato tutto attorno un nuvolone di polvere e terra, e Misbrigo stava là in mezzo che spingeva la carriola, la vuotava, correva e brigava.

Quando ebbe scavato profonde fondamenta, cominciò ad accumulare mattoni e cemento e a metterli uno sull’altro.
Preciso gli diceva: “Aspetta a cominciare! Prima bisogna fare un progetto sulla carta. Bisogna fare un disegno, pensare bene a dove mettere le sale, la camera da letto, la cantina…”. E si mise così a disegnare il progetto della casa su un grande foglio di carta.

 Ma Misbrigo non lo stava quasi a sentire e borbottava: “Tu parli, parli… ma per fare una casa bisogna lavorare, faticare, altro che far progetti!” e mentre lavorava prese a cantilenare:
“Certo a scriver tu lo sai
non succedon certo guai!
Tu sei molto intelligente
ma non si scava con la mente!
I progetti tu sai fare
io però so lavorare:
misurare, scavare, impastare,
non mi pesa dover sudare.
Inchiodare, avvitare, pestare,
livellare, segare, stuccare.
Sali, scendi, controlla tutto:
della fatica vedrai il frutto!”
Così, in quattro e quattr’otto, Misbrigo aveva scavato le fondamenta, tirato su i muri, messo il tetto, fissato le finestre.

Alla fine di tutto questo lavoro, guardò la casa: certo l’aveva fatta velocemente, e non mancava nulla, ma era tutta sbilenca, i muri erano storti, le finestre una più alta e una più bassa, gli scalini diseguali, addirittura in una stanza si era dimenticato di mettere la porta, e non si poteva proprio entrare, se non dalla finestra, che però era troppo alta.
Quando Preciso arrivò col suo progetto e vide la casa, scoppiò a ridere. Misbrigo ci rimase così male che sbattè una porta con tanta violenza che la casa crollò!

Allora Misbrigo disse a Preciso: “Non voglio più saperne di questa casa! Falla tu se sei capace, visto che sei tanto intelligente!”

Visto che Misbrigo non voleva più saperne di costruire la casa, Preciso disse: “Bene, allora mi ci proverò io.”
Così andò a prendere il suo bel progetto, lo mirò e lo rimirò, e poi disse fra sè e sè: “Bene… bene…, da dove cominciare ora? Dovrei scavare nuove fondamenta, ma come? Non sono mica una talpa, io!”.

Guardò gli attrezzi che intanto Misbrigo andava riordinando, e di ognuno conosceva alla perfezione il nome: “Ah, ecco, questo è un piccone, qui abbiamo una vanga, e questo è un martello pneumatico”. Ma gli sembravano tanto pesanti, e non aveva nessuna voglia di raccoglierli. Prese giusto in mano un piccone, ma si chiese: “Come si userà mai questo coso?”. Insomma, alla fine gli pareva talmente difficile e faticoso imparare a maneggiare tutti gli attrezzi, che ben presto rinunciò e si disse: “Forse per riuscire a maneggiare gli attrezzi ho bisogno di un progetto ancora più preciso!”.

 E così se ne andò verso casa cantilenando:
“Voglio fare un bel progetto
fondamenta muri e tetto.
Porte, finestre, poggioli e scale
tutte a ovest voglio le sale
poi le camere da letto
il salotto dirimpetto.
A nor metto la cucina
e vicino la cantina…
Si può fare a sud la stalla
per poi metter la cavalla.
Mattoni, cemento, di legno i tasselli,
calce, carriola, chiodi e martelli,
viti, chiodi, travi, bulloni,
acqua, ghiaia, sabbia e mattoni”

Intanto Giulivo arrivò da quelle parti, correndo dietro a una farfalla, e dicendo: “Che bella, che leggera, che aggraziata! Com’è vispa, colorata, dolce, delicata, tenera, svolazzante…”, e avanti così, quasi senza prendere fiato, tanto da far girare la testa. Ma quando incontrò Misbrigo, tutto rabbuiato, si fermò di colpo. Si dimenticò improvvisamente della farfalla, e disse al fratello: “Come mai sei così triste, sconsolato, rabbuiato, irritato, pensieroso? Sei forse stanco, depresso, sfinito, esausto, sfiduciato,…” e via di questo passo.

Ma prima che Misbrigo, che non ce la faceva più, potesse interromperlo, subito fu distrato da una brezza leggera, chiuse gli occhi e disse: “Ah, che brezza leggera, rinfrescante, serena, mite, carezzevole, confortante,…”
Allora Misbrigo lo interruppe dicendogli: “Ehi, Giulivo! Perchè non provi un po’ tu a costruire la casa del signor Bellalingua? Io e Preciso non ci siamo riusciti!”

“Oh, certo!”, disse Giulivo, “Posso certo fare io. Farò una casa bella, luminosa, ampia, spaziosa…”, e cominciò così a lavorare cantilenando:
“Bella, lucente, ampia, spaziosa,
profumata, pulita, odorosa,
così dev’essere questa dimora,
linda e radiosa ad ogni ora!
Soleggiata e risplendente,
confortevole e accogliente,
armoniosa nei colori,
ai balconi tanti fiori!
Rossi, verdi, gialli e bianchi,
che a guardarli non ti stanchi.”

Giulivo si mise dunque all’opera cantando. In quel mentre arrivò anche Preciso, con un suo nuovo progetto. Così, mentre Misbrigo tutto rosso in faccia, se ne stava corrucciato a guardare, e mentre Preciso cercava di dargli consigli su come mettere in pratica il suo progetto, Giulivo cominciò a costruire.

Il fatto è che non riusciva a fare granchè: prendeva un piccone per fare le fondamenta, e si fermava dicendo: “Oh! Com’è pesante, com’è appuntito, com’è lucente!”, e stava ad ammirarlo come una cosa straordinaria.

Poi doveva appoggiare i mattoni e quando ne prendeva uno se ne stava a dire: “Oh! Che solido, che squadrato, e com’è rosso, liscio, esatto, rettangolare,…” e di nuovo continuava quasi fino a restare senza fiato.

Suo fratello Preciso, calmo e tranquillo, gli diceva: “E’ semplicemente un mattone, e quello è un piccone, niente di più”.

Però con Giulivo che continuava a fermarsi, e con Preciso che non faceva altro che dare direttive e nomi alle cose, la casa proprio non procedeva. Bastava poi che passasse una formica e Giulivo si fermava e esclamava: “Oh, tu, animaletto carino, nero, infaticabile, antennuto, forzuto, svelto, leggero, agile, coraggioso, piccolino, tenero,…” e di nuovo si perdeva, senza fermarsi più.

Preciso si sistemava gli occhiali e guardava l’animaletto, e diceva: “E’ semplicemente una formica. Anzi, il suo vero nome è formiculus vulgaris, che è il suo nome in latino.”, e Giulivo ribatteva: “Ohi, che nome difficile, misterioso, latinoso, affascinante, simpatico, esatto, scientifico, ricercato, scioglilinguoso, …”.

Al vedere i due che tanto chiacchieravano e nulla facevano, Misbrigo era diventato rosso di impazienza e sembrava un peperone sul punto di esplodere. E infatti esplose: “Insomma, voi due! La volete smettere di guardare le formiche e i mattoni? I mattoni non si guardano, si prendono e si cementano in un muro… così!”.
E in tal modo cominciò a tirare su un muro.

Intanto però Preciso gli dava indicazioni su dove mettere i muri, le varie stanze, prendeva le misure delle finestre e così la casa veniva su solida e ben piantata. Giulivo poi, tutto sorridente, aggiungeva sempre un tocco di bellezza e di armonia dicendo ad esempio: “Questo balcone è troppo squadrato, spigoloso, angoloso, incassato, duro… facciamolo più arrotondato, armonioso, proporzionato, leggero, panoramico, grazioso,…” e di nuovo fino a perdere il fiato.

E insomma, lavorando di lena e collaborando tra loro, Misbrigo a faticare, Preciso a dirigere e Giulivo a far belle e varie le cose, la casa cominciò a venir sù, e talmente solida, ordinata e graziosa che raramente se n’era vista una simile.

La casa dunque era costruita. Dopo un mese tornò il signor Bellalingua, per andare ad abitarvi. Quando arrivò e vide la casa restò a bocca aperta: “Oh, ragazzi, ma avete fatto un lavoro a dir poco straordinario!”.

“Beh… modestamente…” disse sorridendo felice Giulivo, “…è effettivamente un lavoro straordinario, notevole, stupendo, bellissimo, eccezionale, fantastico, insuperabile,…” e chissà quanto sarebbe andato avanti se Misbrigo non gli avesse dato uno strattone per farlo tacere, e Preciso non gli avesse detto: “Beh, adesso non esagerare. E’ semplicemente un lavoro, niente di più e niente di meno.”

Poi Misbrigo disse: “Ma insomma, perchè ce ne stiamo qui fuori? Andiamo dentro, facciamo vedere le stanze al signor Bellalingua, cuciniamo qualcosa, accendiamo il fuoco nel camino, sistemiamo la legna…”, e nemmeno aveva finito di parlare che già era sparito dentro in casa per mettersi a fare tutte queste cose. Poi entrarono anche gli altri.
Preciso cominciò a mostrare le stanze al signor Bellalingua: “Ecco, vede, questa è la cucina. Ci sono il forno, il frigorifero, un tavolo, quattro sedie, le stoviglie, le posate, il caminetto, il forno, gli stracci, i barattoli, i fiammiferi, gli stuzzicadenti, i tappi, i centrini,…” e sarebbe andato avanti a nominare tutte le piccole e le grandi cose che stavano in casa, persino i granelli di polvere, se non fosse inciampato in Giulivo, che si era chinato per guardare un grillo che camminava sul pavimento: “Che animaletto strano, buffo, verdino, scattante, saltellante, veloce, rotondo, antennuto, simpatico, piccolino,…”. Preciso diete un’occhiata, e con molta calma disse: “E’ un semplice grillo, anzi un grillus piagnucolosus, che sarebbe il suo vero nome.”

Ma intanto Giulivo si era fatto prendere da un ragno che penzolava dal soffitto: “Oh, che leggero, penzolante, acrobatico, coraggioso, dondolante, veloce, forzuto,…”.

In quel mentre arrivò Misbrigo con una montagna di legna, accese il fuoco, pulì il tavolo, apparecchiò, cucinò, stappò le bottiglie, versò da bere, e non stava fermo un minuto.

Alla fine, quando tutti erano a tavola e finalmente ci fu un po’ di tranquillità, il signor Bellalingua riuscì a parlare. “Cari ragazzi” disse, “devo dire che non potevo proprio sperare in una casa più bella. E vorrei farvi una proposta: poichè io da solo non sarei in grado di occuparmi dell’ordine e della manutenzione della casa, perchè non ci abitate voi? Potrete prendervi una stanza a testa, e quando io verrò troverò sempre la casa in ordine, e mi sentirò sempre tranquillo e a mio agio con voi”.

Giulivo era entusiasta: “Oh, che proposta bella, interessante, avvincente, affascinante, promettente, brillante, convincente,…”. Vedendo tanto entusiasmo, il signor Bellalingua era contento, e visto che anche Misbrigo e Preciso erano d’accordo, la proposta fu accettata.

Così i tre fratelli vissero per sempre nella casa del signor Bellalingua, ognuno facendo bene quello che meglio sapeva fare, e collaborando tra loro, perchè solo grazie a questo le cose riuscivano bene e davano gioia a tutti quanti.

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Acquarello steineriano – Racconto: “I colori”

Acquarello steineriano – Racconto: “I colori”. Un adattamento di una storia  di ispirazione steineriana per presentare i colori…  purtroppo non conosco la fonte originale. La storia si presta ad essere illustrata con l’acquarello, o raccontata utilizzando fazzoletti o fatine colorate o pupette in lana cardata, o fogli di carta colorata trasparente da sovrapporre tra loro…

Foglio Bianco si trovava tutto spiegazzato e abbandonato in fondo ad un cassetto, da tanto tanto tempo. Era per lui una vita molto noiosa e monotona, quella. Ma un giorno, finalmente, si sentì afferrare da due piccole mani, e si ritrovò sopra ad un tavolo.

Foglio pensò: “Mi sembra un bel posto, davvero… però anche qui, mai nessuno che mi faccia compagnia!”

Proprio mentre lo pensava, si sentì cadere addosso delle gocce, e si disse: “Ecco, adesso anche la pioggia!”. Si guardò attorno, e così si accorse che, proprio lì, vicino a lui, c’era un povero triste pennello che stava piangendo… le gocce non erano di pioggia! “Cosa fai?” chiese. E Pennello gli raccontò la sua storia. Anche lui si sentiva solo, ed era davvero molto triste perchè non aveva mai nessuno con cui giocare, da tanto tanto tempo.

“Perchè non giochi c0n me?” disse Foglio a Pennello, ma questi rispose: “Come lo vorrei, ma non mi posso muovere! Sono vittima di un incantesimo. Solo il giorno in cui qualcuno riuscirà a bagnarmi i piedi potrò tornare me stesso, e se non succederà mi toccherà restarmene immobile e secco qui dentro…”

Mentre Foglio e Pennello si raccontavano i loro guai, apparve alla finestra una bellissima farfalla: si trattava della fata Fantasia, che avendo ascoltato tutto, aveva deciso di aiutare i due poveri amici. Fantasia, senza dir nulla, prese il pennello e lo immerse in un vasetto pieno d’acqua.

“Evviva! Evviva!” si mise a gridare Pennello, sul punto di impazzire dalla gioia, “Posso muovermi! Foglio, aspettami qui. Ho un’idea meravigliosa. Corro a chiamare un po’ di amici e poi è fatta… Farfallina, puoi per caso portarmi fino al sole?”

“Sì” rispose la fata Fantasia, “aggrappati alle mie ali e andiamo!”.

Il viaggio cominciò, ma giunto vicino al sole la luce era così accecante che non si potè proprio andare oltre. Allora Pennello, da una certa distanza,  gridò: “Sole! Mandami qualcuno che non posso venirti più vicino di così! Devo aiutare il mio amico Foglio!”

Il sole era ben lieto di poter aiutare i due amici, e mandò su di un carro tutto d’oro un luminosissimo folletto. “Ciao Pennello! Mi chiamo Gialloluce e sono proprio felice di venire con te sulla terra!”, disse.

tutorial:

Sulle ali di Fantasia i due tornarono da Foglio, che aspettava con ansia, e dalla gioia cominciarono a saltellare tutti insieme: Gialloluce si espandeva di qua e di là, e sprizzava felice luce da tutte le parti… nessuno era più solo!

Nella stanza dove si trovavano i tre amici, proprio vicino al tavolo, c’era un caminetto nel quale scoppiettava un bel fuoco. E, come risvegliato dal gioco di Pennello Foglio e Gialloluce, dalle mille scintille del fuoco uscì con un balzo un folletto tutto rosso, molto molto chiassoso, che con salti e capriole si avvicinò all’allegra compagnia dicendo: “Ciao! Finalmente! Io sono Rossobrucio, mi fate giocare con voi?”

 

“Vieni!” gli rispose Gialloluce, “diventeremo amici!”

tutorial:

Come se si conoscessero da sempre, Rossobrucio e Gialloluce cominciarono a cantare e ballare con Foglio e Pennello, ed ora Foglio non aveva proprio più niente dell’aspetto triste e solitario che aveva all’inizio… anzi, ad un certo punto cominciò a sentirsi fin troppo allegro: “Brucio! Scotto!” cominciò a gridare, “Fate qualcosa!”

E improvvisamente apparve una nuova amica. “Ciao Foglio!” disse, “Mi chiamo Fatarancio e compaio ogni volta che Gialloluce e Rossobrucio si incontrano. Non resisto, non c’è niente da fare! Quando li vedo insieme, devo fare anch’io i miei saltelli con loro!”

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“Ciao Fatarancio!” dissero tutti gli amici in coro, “Benvenuta!”. E Pennello, un po’ preoccupato per l’amico Foglio che continuava a sentirsi scottare, chiese: “Tu che sei nuova, non sai mica se esiste qualcuno che possa portare un po’ di fresco?”

“Mmh…” rispose Fatarancio, “qui ci sarebbe bisogno di qualche spiritello lunare di mia conoscenza… Gialloluce, mi presteresti il tuo carro?”

E Fatarancio si mise in viaggio. Arrivata sulla luna, cercando di sopportare meglio che si poteva il gran freddo che regnava là intorno, chiese con gentilezza: “Dolce Luna, mi manderesti una delle tue ragazze sulla terra? Rosso e giallo si sono incontrati, e se non dai una mano, un caro amico passerà dei guai…”

 

Alla luna piaceva poter dare una mano, quando si presentava l’occasione, e mandò in missione Fatacielo: una fatina tutta vestita di blu leggero e pietre preziose e cristalli, che portava sempre nella sua borsetta un soffio di gelo.

tutorial:

Arrivate da Foglio, Fatacielo si mise a ballare con gli altri, e mentre ballava aprì la sua borsetta e i veli del suo vestito si gonfiarono a onde facendo mille giochi… piano piano le fiamme si calmarono e come per magia comparve un nuovo amico:  il folletto Violabenedetto! Amicizia e gratitudine erano ovunque.

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Una storia per il compleanno

Una storia per il compleanno – Un adattamento (molto alleggerito) di una storia  di ispirazione steineriana per il compleanno…  purtroppo non conosco la fonte originale. 

Giovanni abitava in una casa tutta luce: una stella. Viveva là con molti altri bambini, e insieme giocavano mille giochi sulle nuvole. La sera, stanchi, rientravano nella Casa d’Oro e mangiavano il pane delle stelle, e non serviva dormire perchè quel pane era il miglior riposo che si possa immaginare.
Tutti i giorni erano belli lassù, ma tra tutti uno fu per Giovanni davvero speciale: il giorno in cui incontrò il suo angelo. Era bellissimo. Quel giorno Giovanni aveva visto una nuvola molto diversa da tutte le altre avvicinarsi alla Casa d’Oro, e su quella nuvola c’era proprio lui. Era ancora lontano, ma già Giovanni pensava: “Che bello che è, e mi vuole bene…”
Quel giorno così si incontrarono e si riconobbero, e da allora i giochi sulle nuvole diventarono anche più divertenti.

Quando era il momento il Signore della Casa d’Oro chiamava uno dei bambini e lo faceva entrare nella stanza del trono, e così anche Giovanni un giorno si trovò davanti al Signore, che gli disse: “Caro Giovanni, è già da un bel po’ che sei qui con me nella Casa d’Oro. Ora mi piacerebbe mandarti sulla Terra, cosa ne pensi?”
“Oh, no!” disse Giovanni, “Io sto bene qui, e mi diverto un sacco col mio angelo e con tutti i miei amici… voglio restare sempre qui!”
“Lo so, Giovanni,” disse sorridendo il Signore, “ma vedi, laggiù sulla terra ci sono delle persone che ti stanno aspettando e che hanno davvero molto bisogno di te. Vorrei mandarti da loro, e mi piacerebbe che laggiù tu raccontassi di noi, della Casa d’Oro, dei giochi sulle nuvole e del pane delle stelle. Ascolteranno solo te, e solo tu puoi farlo…”
“D’accordo… va bene…” rispose allora Giovanni, “io ci andrò, ma soltanto se il mio angelo potrà venire con me!”
Molti altri giorni trascorsero tra i mille giochi sulle nuvole, infine una mattina l’angelo si avvicinò a Giovanni su di una nuvola più grande e densa delle solite, con un piccolo carretto dorato al suo fianco, dicendo: “Ora ti farò visitare tutti quei regni che fino ad ora hai visto solo da lontano, e riceverai tantissimi regali. Ecco a cosa serve il carretto!”
Ed insieme partirono per il loro lungo viaggio verso la terra.

La nuvola speciale si avvicinò al primo regno, tutto profumi e trasparenze blu. Giovanni in questo regno camminava senza nessuna fatica, come spinto gentilmente da un venticello azzurro e leggero, e presto si trovò davanti al signor Saturno, seduto sul suo trono blu e avvolto in una bellissima luce blu e nel suo meraviglioso mantello, naturalmente blu, e trapuntato di stelle. Quando il signor Saturno lo vide, aprì le braccia sorridendo, e lo invitò ad avvicinarsi.
“Caro Giovanni” disse, “benvenuto! So che stai andando sulla terra, e mi piacerebbe darti qualcosa che possa aiutarti a non dimenticare mai che sei luce di stella”. Così dicendo, tagliò un lembo del suo mantello, quel che serviva a farne uno per Giovanni, e glielo mise sulle spalle.
E gli regalò anche un piccolo scettro da re, tutto d’oro, dicendo: “Questo ti aiuterà a dare la giusta misura ad ogni cosa, e vedrai! Ti servirà molto, una volta sulla terra…”

La nuvola poi si avvicinò al secondo regno, che sembrava fatto di fiori arancioni piccoli come calendule. Il signore di questo regno, Giove, sedeva su un trono arancione e aveva una lunga barba bianca e in testa una corona a dodici punte. Sembrava molto serio e pensieroso, ma accolse comunque Giovanni con gioia e calore.
“Caro Giovanni, che piacere vederti!” disse, “stai andando sulla terra, vero? Sarà bene darti un po’ di saggezza prima che tu arrivi laggiù, perchè sai essere figlio degli uomini può essere più complicato che essere luce di stella!”
Il signor Giove mise allora sulla testina di Giovanni una piccola corona d’oro, e aggiunse: “Se laggiù ti dovessi trovare in difficoltà, pensami e io ti darò la saggezza che ti serve: brillerà sul tuo capo come una corona, e tu saprai cosa fare…”

Il terzo era un regno tutto rosso, e a differenza del regno blu e del regno arancione, non era fatto solo di trasparenza e profumo, ma ci si poteva anche camminare sopra. Il signore di questo regno, Marte, indossava una bellissima armatura e aveva al suo fianco una pesante spada di ferro. Giovanni lo vide avvicinarsi a lui sorridente, e lo trovò bellissimo.
“Ciao, Giovanni!” disse Marte, “Ma, …come farai ad arrivare sulla terra leggerino come sei? Avvicinati…”
Il cavaliere lo abbracciò e, subito Giovanni si sentì forte, molto forte. Poi gli regalò una piccola spada di ferro, simile alla sua.

Ripreso il viaggio sulla nuvola, con l’angelo sempre con lui e tutti i doni ricevuti, i due videro davanti a loro il quarto regno, ma non poterono avvicinarsi troppo. Era un regno troppo luminoso e caldo per loro.
Il signore di questo regno, che si chiamava Sole, mandò presto a Giovanni un suo messaggero, un angelo imponente e tutto vestito d’oro. Il messaggero gli diede il dono scelto per lui dal signor Sole: una spilla d’oro. Quando la indossò, per la prima volta potè sentire il battito del suo cuore.

Il quinto regno era di soffice verde, così calmo e accogliente che veniva voglia di tuffarcisi dentro e starsene lì a farsi coccolare. Venere, la regina di questo regno, fu davvero felice di vedere Giovanni. “Che piacere averti qui, caro!” disse, “Sento il tuo cuoricino battere, devi già essere stato dal signor Sole! Voglio proprio aggiungere il mio piccolo regalino al suo!”.
E così dicendo diede a Giovanni una scatolina, che conteneva tantissime piccole boccettine, tutte diverse tra loro per forma e colore. Una meraviglia!
“Prendi!” disse “dal tuo cuore alle tue mani! Con queste potrai regalare agli uomini che incontrerai sulla terra il tuo aiuto. Possono aiutare chi è triste, chi è sfortunato, chi ha paura… insomma ce n’è per ogni guaio e per ogni disgrazia, se vorrai…”

Il sesto era un regno tutto giallo, e prima di scendere dalla nuvola l’angelo disse: “Speriamo bene! Qui il signore è un certo Mercurio, e capirai! Ha l’incarico di fare il messaggero di tutto il cielo, e trovarlo in casa è un miracolo!”
Infatti dovettero aspettare un bel po’, ma quando finalmente fece ritorno, anche lui diede a Giovanni il suo dono, anzi gliene diede addirittura tre.
“Giovanni, eccoti finalmente!” disse, “Vedi? Io ho queste ali sulle spalle, sono il messaggero e mi servono a fare tutte le mie consegne, ovunque e a tutta velocità… così ho pensato che anche tu potrai fare come me, una volta sulla terra.”
Il signor Mercurio diede un piccolo bacio a Giovanni: “Ora hai Parola e Pensieri…ma prendi anche questa, ti sarà indispensabile”, e mise tra le sue mani una piccola bilancia. E subito ripartì per altre consegne.

Lasciando il regno giallo del signor Mercurio, il cielo cominciò a scurirsi e la nuvola li portò nel settimo regno, il regno della signora Luna.
Questa misteriosa e bellissima regina stava seduta sul suo trono e sembrava proprio lì ad aspettarli. Era tutta bianca e argento splendente, aveva un sorriso buono e luminoso, e teneva tra le mani uno stranissimo oggetto, che Giovanni non aveva mai visto prima.
“Ma che bello che sei!” disse “Col tuo mantello, la corona, la spada e tutto il resto … dovresti proprio vederti!”
“Ma io so chi sono, signora” disse Giovanni senza capire.
“Oh, certo…” rispose dolcemente la signora Luna “…sei Giovanni. Ma non ti sei mai visto… avvicinati ancora un po’, guardati…”, e così dicendo porse a Giovanni l’oggetto misterioso e sconosciuto che teneva tra le mani: un piccolo specchio.
Giovanni era estasiato, non riusciva a distogliere lo sguardo dallo specchio, e finì con l’addormentarsi placidamente tra le braccia della signora Luna.
L’angelo, che si trovava a pochi passi da lui, sorrise amorevolmente e insieme alla signora Luna portò sulla terra tutti i doni che Giovanni aveva ricevuto lungo il viaggio, perchè sapeva che lui da solo non avrebbe potuto farcela. Lì sulla terra li avrebbe ritrovati tutti.
Poi prese Giovanni in braccio e insieme tornarono sulla loro nuvola, per proseguire il loro viaggio.

Quando Giovanni si svegliò sulla sua nuvola, si sentiva benissimo. Sapeva che tutti i suoi doni lo stavano aspettando sulla terra, e che una meravigliosa avventura stava per cominciare. Sentiva di essere atteso e desiderato, ed era solo impaziente di arrivare.
La nuvola si fermò davanti ad una grande porta, Giovanni la aprì, e vide davanti a sè un lunghissimo ponte. Scese dalla nuvola e cominciò a camminare; il suo angelo era sempre un passo dietro di lui, anche se ora non poteva vederlo. Lontana brillava una piccola luce, e Giovanni cominciò a correrle incontro, e la luce diventava sempre più grande. Era felice.
Si accorse di essere arrivato quando la luce lo avvolse completamente e si ritrovò in una casetta piccola piccola, sì, ma con due graziose finestrelle da cui guardare il mondo. Mamma Claudia e papà Paolo l’avevano preparata per lui, proprio per lui, con tanto amore.
Si era sul finire dell’estate e in quella giornata di settembre stavano lì a guardarlo ammirati, insieme al piccolo Giacomo e alla piccola Sara, i suoi fratellini.
Da quel giorno sette anni sono trascorsi…
… felice compleanno, Giovanni!

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Recite per bambini – La nascita dei colori

Recite per bambini – La nascita dei colori. Entra il narratore, e si dispone a lato. Mentre parla fanno il loro ingresso Luce e Tenebra (bianco e nero) e simulano di combattere con le loro spade. Restano sempre da una parte del palcoscenico, mentre nell’altra avviene la danza dei colori. Le due parti vengono illuminate a seconda del momento.

Narratore
In principio era la notte, nera buia scura e fredda, poi le tenebre son rotte, da una luce che vi aleggia. Una lotta è cominciata, tra due arditi cavalieri, dura aspra e anche spietata, perchè entrambi forti e fieri.

Luce
Io sono il cavaliere bianco, una spada di luce porto al mio fianco, come il cristallo son limpido e puro, nel cuore mio ardito mai non spauro.

Tenebre
Ed io sono il cavaliere oscuro, avvolto in un manto buio e cupo, temprata han le tenebre l’arma mia nera, combatto con forza ardita e sincera.

Narratore
Luce e buio, chiaro e scuro, insieme lottano con cuore puro, e al cozzare di lor spade di scintille in terra cade, una pioggia di colori e tutto tinge coi suoi doni. Ora il mondo è colorato, e il nostro cuore è assai grato.

(mentre Luce e Tenebra stanno da una parte del palcoscenico, entrano i colori e si dispongono sparsi, mentre il sole comincia a parlare muovendosi tra loro).

Giallo
Splende il sole tondo e giallo, al suo levare canta il gallo, e tutto illumina sua luce di colori ora riluce.

Rosso
Rossa la rosa dona a ciascuno la sua bellezza e il suo profumo.

Viola
Sotto le foglie di un bel violetto, di piccoli fiori si cela un merletto.

Verde
Verde di tenera erbetta è il prato, ma tutti quei fiori lo fan colorato.

Arancione
L’arancia del sole racchiude il calore, ed arancione è il suo colore.

Blu
Blu è l’abbraccio del cielo stellato, manto di zaffiro d’or ricamato.

Narratore
Ma continua lo scontro sempre più duro, ognuno combatte con cuore sicuro, e quasi le spade fosser pennelli, nascono in terra i colori più belli.

(Incomincia la danza dei colori, che si avvicinano e si allontanano seguendo il testo).

Colori
Sono al mondo tre colori per per bellezza lor splendori, tutto tingon con le dita; rosso accende di sua vita, giallo illumina ed irraggia, blu silente tutto abbraccia. Se poi danzano insieme di creare nessun teme nuovi accordi e nuovi toni: giallo e rosso or arancioni, blu e giallo danno il verde, e nel violetto chi si perde? Son alcuni poi fratelli, stando insieme son sì belli, che si cercan con piacere: viola il giallo vuol vedere, mentre arancio cerca il blu, chi ama il rosso dillo tu!

Luce
Anch’io al mondo voglio donarmi, per un momento poso le armi, sì che d’un latteo candido manto, tutto si tinga come d’incanto.

Tenebra
Ed io non voglio esser da meno, porto nel cuore uno scrigno pieno di un nero più nero del nero inchiostro, sul mondo lo spiego e i suoi doni mostro.

Luce
Se tu di tenebre vuoi tutto oscurare, brilli la luna il buio a rischiarare.

Bianco
Bianca nel cielo brilla la luna, cala la notte e tutto s’oscura.

Nero
Così nel buio nero e profondo, si può sognare di un altro mondo.

Narratore
Ancor due colori strani portano doni a piene mani: pura luce c’è nel bianco, alle tenebre sta al fianco, per brillare nel cristallo chiede al nero di abbracciarlo.

Tenebra
Ancora insieme, sempre uniti, fosse possiamo chiamarci amici?

Luce
Allora un modo dobbiamo trovare, per confrontarci senza lottare.

Tenebra
Creiamo un ponte dall’uno all’altro, unisca gli opposti con il suo arco.

Luce
Lo chiameremo arcobaleno, e nascerà dal bianco e dal nero: dove la luce la tenebra incontra, ora le spade più non si scontran.

Tenebra
Anzi si tendan benevolmente le loro mani sopra l’abisso, che da ponente fino ad oriente sia il divario sempre sconfitto

Narratore
Ed ecco apparire la scala armoniosa, tra le mani tese dei due cavalieri, e lungo il suo arco gli sguardi sorpresi, da tenebra a luce van senza posa.

(I colori si allineano nell’ordine dell’arcobaleno tra Luce e Tenebra, davanti ai quali si pongono Bianco e Nero).

Colori
Sette sono i colori, che dal porpora al violetto, sanno calmare col loro balletto, i due arditi opposti cuori. E a goderne è proprio l’uomo, a cui donato è sempre a nuovo, un mondo allegro e variegato, ogni volta appena nato.

Tutti
A mostrare come la pace tra gli opposti sia capace, di creare un universo dal principio assai diverso.

(Autore ignoto)

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Recite per bambini – L’uomo e l’animale

Recite per bambini – L’uomo e l’animale. Una recita in rima, molto utilizzata nelle scuole steineriane in quarta classe.

Narratore:
Gentili Signore e Signori
siamo qui oggi per raccontare
la storia singolare
dell’uomo e dell’animale
che sulla terra stanno insieme
per godere il bello e il bene
che ogni essere fecondo
porta sempre in dono al mondo,
del coraggio e dell’astuzia,
della rabbia e la pigrizia
il ricco gioco del creato
che è ora qui rappresentato.

Essere umano:
Mi presento, l’uomo sono
la coscienza è il mio dono,
ma non solo, su, andiamo…
queste cose le sappiamo.
Io le mani posso usare
afferrare o accarezzare,
posso stare dritto in piedi,
ecco, guarda, non lo vedi?
Ho la bocca per parlare
o il silenzio accompagnare.
La casalinga o il ragioniere,
il farmacista o il parrucchiere.
Tutte le cose che posso fare
sono impossibili da elencare.
Posso scrivere e anche tanto
e della parola seguire l’incanto.
Ho il coraggio e la pazienza,
la furbizia e la sapienza.
Potrei dirne ancora a quintali,
ma ora è momento di voi animali.

Elefanti:
I nostri passi sono pesanti,
fate largo tutti quanti!
Siamo antichi e siam sapienti,
animali sorprendenti.
Gran memoria possediamo
ed alla terra noi la doniamo.
Con lunghe zanne ci difendiamo
con grandi orecchie tutto ascoltiamo.
Del passato e del presente
non ci sfugge proprio niente.
Ma attenzione, zitti, ascoltate…
… un topo! Aiuto! Scappate! Scappate!

Topo
Elefanti elefantoni,
siete grandi ma lenti e fifoni!
Io piccino invece sguscio
nella casa sotto l’uscio.
Sono il topo roditore
mangio e corro a tutte l’ore
son veloce e furbo assai
forse prendermi potrai
con astuzia e con coraggio
e con la trappola col formaggio!
Ma ora scappo, mica son matto,
qui si sente odore di gatto!

Gatto
M’è scappato, il roditore,
era qui, sento l’odore!
Beh, peccato, ma non fa niente,
sarebbe stato divertente.
Una bella leccatina
e son pulito da sera a mattina
Ho un mantello lisciato e lucente
ammirate brava gente.
Sono il gatto vanitoso
io di giorno mi riposo
e la notte balzo in piedi
proprio quando non mi vedi.
So essere buffo e divertente
ma a cambiare ci vuole un niente
Da tutto il mondo son rispettato
e dagli uomini molto amato.

Felini
Dei micetti siamo parenti
ma più lunghi abbiamo i denti.
Siamo veloci come il vento
e il nostro fiuto è un vero portento.
Con le orecchie noi sentiamo
anche se starnuta un nano.
Siamo temuti e rispettati
e da infinito coraggio animati.
Ci piace vivere con la famiglia
coccole e giochi: che meraviglia!
Ci muoviamo con passo felpato
quando la preda abbiamo avvistato.
Sappiamo cacciare ferocemente,
ma sentite: arriva un serpente!

 

Serpente
Noi siamo i serpenti
strisciamo qua e là
famosi e temuti
in ogni civiltà.
Facciamo uova e cambiamo pelle
il sole ci scalda
cacciamo con le stelle.
Attenzione ai nostri denti,
c’è il veleno, sian serpenti!

Riccio e scoiattolo
Amico riccio, tutto spinoso,
sono qui che mi riposo.
Vuoi sederti anche tu a riposare,
che due chiacchiere mi va di fare?
Oggi ho raccolto castagne e ghiande
per la provvista delle vivande,
che nell’inverno, senza fogliame,
non ci faranno morire di fame.
Mangiare le cose messe da parte,
questa sì che è vera arte!
Anche tu, riccio, sei previdente,
un vero amico, davvero eccellente.

Coccinella
Volo e volo, che bellezza,
nell’aurora, nella brezza,
sorridente e spensierata
con un elfo ed una fata.
Per volare su prati e canali
basta battere un poco le ali.
Ho un bel vestito fatto a puntini
il prato mi ama, e anche i bambini
e sotto il sole e sotto la luna
si dice pure ch’io porti fortuna.

Essere umano
Ecco qui, li avete ascoltati,
gli amici animali si son presentati.
Ogni storia è interessante
quella del topo e dell’elefante
del serpente e della rana
dello scoiattolo nella sua tana.
Ognuno ha un dono particolare
e con precisione sa cosa fare.
Ma io questi doni li ho dentro tutti
sia quelli belli sia quelli brutti,
io questi doni li ho tutti in me
dall’uomo misero al grande re.
Col cuore supero il coraggio del leone
col pensiero volo più alto del falcone
posso avere più fame di un lupo
e desiderare il cielo più forte del bruco.

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La spirale dell’avvento

La spirale dell’avvento – Il primo giorno di scuola del mese di dicembre, o se possibile la prima domenica di avvento, si può preparare in casa, a scuola o  anche all’aperto una grande spirale con rami di abete.

Cantando insieme i canti natalizi, ogni bambino percorre la spirale dell’avvento con una candela spenta tra le mani, la accende alla candela grande posta al centro, e nel percorso inverso depone la candelina accesa tra i rami. Poi esce dal percorso dando spazio ad un  altro bambino.

Se i bambini sono troppo piccoli per percorrerla da soli, l’adulto può accompagnarli stando dietro a loro. Sulla spirale possono essere poste a distanza regolare delle stelline di carta, per segnare i posti dove i bambini metteranno le loro candeline accese. La candela grande al centro, che rappresenta la luce di Natale, può essere decorata con dei cristalli.

La mela può divenire in questa festa il miglior portacandela. Nelle mele rosse precedentemente lucidate, viene scavato un foro perfettamente perpendicolare e non troppo fondo col cavatorsoli (2cm circa). Le candele, mentre vengono inserite nella mela, possono essere circondate da punte di abete molto corte o da una rosellina di carta dorata.

Su di un tavolino posto all’ingresso della spirale di preparano tutte le mele con le candeline, e si mettono in un bel cesto.
Dopo aver fatto tutti i preparativi, per ogni evenienza poniamo un secchio d’acqua con uno straccio in un luogo nascosto ma facilmente accessibile.

Quando tutti i bambini hanno portato nella spirale dell’avvento la loro luce, è bello restare ad ammirarla qualche istante. Poi ci sono due possibilità di conclusione, entrambe molto belle.

Si può, dopo un momento di ammirazione, fare che ogni bambino ripercorra la spirale e ne porti fuori una candelina ancora accesa, che terrà tra le mani, sedendo su delle sedie poste precedentemente in cerchio attorno alla spirale.

Quindi la maestra passa con una campanella a spegnere le candeline ad una ad una, perchè possano essere portate a casa ed essere riaccese dalla mamma e dal papà.

Oppure si può decidere di lasciare come ultima  impressione visiva nei bambini quella della spirale illuminata, e condurli fuori dal salone mentre ancora tutte le candele sono accese.

Poi, di nascosto, si spegneranno le candele e in un altro momento della giornata si consegneranno le mele ai bambini perchè possano essere portate ed usate a casa.

Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:

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E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:

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Acquarello steineriano: presentazione

Acquarello steineriano: presentazione – Lo scopo di questi esercizi è quello di far fare ai bambini esperienze guidate del colore, svincolato quanto più possibile dall’elemento della forma.

 

Per questo si utilizzano acquarelli molto diluiti e si lavora sul foglio di carta bagnato.

L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino ad affinare la sua sensibilità di percezione del colore e ad acquisire attraverso la pratica le nozioni di colori primari, complementari e secondari.

Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due pitture uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…

Acquarello steineriano  – Importante

La conclusione della lezione viene rimandata al giorno successivo, quando le pitture sono asciutte e vengono esposte una accanto all’altra per essere osservate insieme.

L’osservazione, parte integrante della lezione di pittura, può inizialmente essere guidata, poi i bambini saranno in grado di cogliere molti più particolari di quanto non sappiamo fare noi.

Si può ad esempio chiedere: “Secondo voi il giallo è più chiaro (più caldo, più freddo, più luminoso, più felice, ecc…) quando è grande o quando è piccolo? Quando è vicino al rosso o quando è vicino al blu?” ecc…

E’ importante non solo che imparino ad osservare, ma anche che imparino a descrivere i colori verbalmente. Via via si possono così introdurre i termini tecnici relativi alla teoria dei colori e la nomenclatura appropriata.

 

E’ un lavoro che può cominciare nella scuola d’infanzia, e proseguire in tutti gli anni successivi. Parallelamente, è chiaro, i bambini sperimenteranno anche tutte le altre tecniche (tempera, acrilici, ecc…), con scopi diversi.

Acquarello steineriano – Materiale occorrente:

– acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori: giallo limone, giallo oro, blu oltremare, blu di prussia, rosso vermiglio e rosso carminio. I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.

– un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)

– una bacinella e un vasetto d’acqua

– una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)

– un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)

 

Acquarello steineriano – Preparazione della lezione

Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna. Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.

poi si dispone il materiale, se volete così è il modo migliore per evitare incidenti:

e si può iniziare…

Acquarello steineriano – Qualche consiglio aggiuntivo per homeschooler

In testa ai consigli va quello di prepararsi bene prima di presentare un’attività ai vostri bambini. Se non avete esperienza di pittura ad acquarello, la sera prima, di nascosto, fate voi l’esercizio che volete proporre il giorno dopo.

Altro consiglio è di tenere sempre presente che coi bambini più importante di tutto è che al termine di qualsiasi attività loro si devono sentire più ricchi e più abili, che l’esperienza insomma rappresenti per loro un successo. Non perchè noi diciamo “Ma che bello!”, ma perchè loro stessi si possono stupire della bellezza che possono creare.

Infine ricordate lo scopo dell’attività che volete proporre: nella pittura ad acquarello, ad esempio, uscite dalla logica del voler ottenere un bel prodotto finito. Pensate invece che lo scopo è il processo che ha portato, quasi come effetto collaterale, alla sua realizzazione. Per questo, e anche per “non rovinare la sorpresa” è importante non mostrare ai bambini lavori già fatti prima della lezione.

Preparare con cura il materiale significa anche mettere in tavola solo quello che serve, se ad esempio vogliamo fare un esercizio di rosso e giallo, non mettiamo in tavola anche il blu…

Coi bambini più piccoli, come potrete leggere dagli esempi, è bello guidare l’esperienza facendo in modo che il dipingere sia la storia dei colori che, come veri e propri personaggi, agiscono sul foglio. Questo, naturalmente,  se parliamo di bambini piccoli che sanno già seguire lo svolgersi di un racconto.

Se volete invece sperimentare anche prima del raggiungimento di questa tappa evolutiva, vale il principio dell’apprendere per imitazione: si invitano altri bambini a dipingere con lui, oppure ci si siede a dipingere anche noi… parlando pochissimo, e curando tantissimo la preparazione del materiale e la bellezza e precisione dei nostri gesti.

 

Le bambole e l’antroposofia di Rudolf Steiner seconda parte

La “bambola Waldorf” è molto presente nel web e in molte delle nostre case,  e forse è interessante leggere cosa ne dice l’antroposofia…

Il mio personale parere è brevemente riassunto qui http://www.lapappadolce.net. Trovo però utile la pubblicazione di questi due articoli intanto per chi crede (perchè di credo si tratta, come vedrete) nell’antroposofia, perchè sono articoli  abbastanza rari,  e poi per le persone che magari sono affascinate dall’indubbia bellezza degli ambienti e dei materiali delle scuole steineriane, ma non ne conoscono i presupposti… Conoscere è importante…

Questo genere di bambola non è stato inventato da Rudolf Steiner: sono le bambole dei bambini poveri, che sempre le mamme hanno confezionato per i loro bambini prima dell’avvento della produzione in serie, della plastica, e dell’estetica e dei bisogni indotti dal marketing.

I bambini ricchi avevano la bambola di porcellana, i bambini poveri giocavano con la bambola fatta con le foglie del mais (da cui la famosa bambola annodata), o con figure intagliate approssimativamente nel legno, o con uno straccio annodato, appunto… Oppure le mamme e le nonne facevano le bambole di pezza ai loro bambini. Quello che ha fatto Steiner è stato “canonizzare” il modello e inserirlo all’interno di un complesso impianto filosofico-teologico, cosa che ha fatto praticamente con ogni possibile aspetto della vita (dall’agricoltura all’arredamento all’abbigliamento a tutte le arti e non mi dilungo). Ma così oggi ha senso parlare della bambola di pezza, come della “bambola Waldorf”, e in questo modo un’importantissima tradizione continua a vivere.

Come sempre dico, io credo che la bambola fatta a mano sia un giocattolo bellissimo, qui c’è in mio manuale se può esservi d’aiuto:

qui: ebook bambole Waldorf

bellissimo farla e bellissimo giocarci, ma mi sento libera di non credere a quanto ci si vuole mettere dietro; pure rispetto chi lo crede, se è consapevole e altrettanto rispettoso.

Questi articoli  sono comparsi in Von der Wurde des Kindes intorno agli anni ’70, il primo (Pensieri aforistici sulle bambole) a firma di Anne Schnell, il secondo (Bambole e animali nella stanza dei bambini) di Johanna Veronica Picht. Li ho rimaneggiati  parecchio nel tentativo di renderli il più comprensibili possibile a tutti. Le parti in grassetto sono quelle che più direttamente fanno riferimento alla confezione della bambola…


Bambole e animali nella stanza dei bambini

Secondo Steiner tutto ciò che il bambino vive nel suo ambiente, lascia in lui profonde impressioni, e non solo immagini-ricordo. Il bambino infatti non imita soltanto le persone, ma anche il colori, le forme, e la qualità degli oggetti che lo circondano, e imitando tutto muove in lui sentimenti, e questi sentimenti poi sono gli stessi che si trovano implicati nella costruzione dei suoi organi interni: le impronte lasciate dalle immagini divengono un ricordo indelebile scritto nel corpo del bambino.

In altre parole il corpo trattiene le esperienze dell’infanzia.

Chiediamoci dunque quale significato possono rivestire la prima bambola o il primo animale giocattolo del bambino, visto che si tratta dei due oggetti più frequentemente proposti.

Consideriamo la bambola. Ce ne sono di tutti i tipi: grandi e piccole, dure e morbide, vestite sfarzosamente o avvolte in semplici stoffe, con occhi che di aprono e si chiudono, con un meccanismo parlante; sono fabbricate in serie oppure cucite a mano, avvolte con un panno, annodate, legate o intagliate nel legno.

Eppure nessuna di queste bambole  può competere con ciò che il bambino stesso, con la sua fantasia creatrice, eleva al ruolo di bambola. Spesso è un pezzo di legno a trasformarsi in bambola, oppure un paio di pagliuzze legate fra loro, oppure una borsa dell’acqua calda avvolta in un panno. Con un vecchio pannolino si possono svolgere, la sera a letto, interessanti discussioni; oppure  una palla colorata con la sua coda di strisce colorate, di quelle che si preparano per giocare in estate, può essere portata a passeggio nella carrozzina.

E’ un bisogno primario del bambino quello di possedere una bambola, amarla, curarla e portarla in giro con sè. La bambola dà al bambino la possibilità di trasferire su di lei ciò che lui stesso sperimenta nel suo rapporto con la mamma, di confidare le proprie gioie e le proprie preoccupazioni, come si trattasse di una parte di sè, a volte dandole addirittura il proprio nome.

Il bambino secondo Steiner sta ancora compiendo il suo cammino di incarnazione ed è al tempo stesso molto aperto, con dedizione, al mondo esteriore. In lui interno ed esterno non sono ancora divisi. Così nel gioco il bambino si trova in un elemento creativo di libertà, e che offre possibilità molteplici.

Il bambino piccolo non sperimenta la bellezza esteriore della bambola, ma ciò che egli stesso ha messo della sua interiorità in ciò che per lui assume il ruolo di bambola. Se la bambola è vecchia, sporca e lacera, la mamma deve avere grande sensibilità per cogliere il giusto momento per rinnovarla o ripararla senza ferire il bambino, magari con piccole modifiche graduali.

La separazione da una bambola dovrebbe essere sempre lasciata alla decisione del bambino. Spesso la primissima bambola viene conservata per lunghissimo tempo dai bambini: la farfalla non è ancora volata via da questa bambola… Esiste un’identità di termine, nella lingua tedesca, per indicare la bambola e il bozzolo da cui si libererà poi la farfalla. La parola è Puppe per entrambi, quasi che la bambola contenesse in sè anche una farfalla che attende di volare via, come il bambino che esce dalla sua infanzia.

La bambola è un’accompagnatrice, una confidente, un’amica capace di consolare, un aiuto nel cammino del divenire dell’uomo e un sostegno a trovare se stessi. Come immagine dell’uomo  il bambino esercita con lei le qualità sociali di base.

Come deve essere una bambola, perchè possa rispondere al meglio alla sua funzione?

Intanto la bambola deve lasciare libera la fantasia infantile, quella fantasia infantile che anima la bambola (le dà un’anima): la bambola deve poter piangere o ridere, star sveglia o dormire.  Deve anche poter diventare facilmente un principe o una principessa, un bambino o una bambina. Ma non solo.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Le bambole e l’antroposofia di Rudolf Steiner – prima parte

In qualità di adulti o di giovani in cammino di crescita, dovremmo essere in grado di vivere come il bambino vive nei suoi processi di fantasia mentre gioca con la sua bambola. Per poter comprendere questa affermazione però, dobbiamo fare riferimento a quanto esposto da Rudolf Steiner proprio in relazione alla bambola, ed ai nessi esistenti tra la bambola, l’estetica, la spiritualità e la pedagogia.

La “bambola Waldorf” è molto presente nel web e in molte delle nostre case,  e forse è interessante leggere cosa ne dice l’antroposofia… Il mio personale parere è brevemente riassunto qui http://www.lapappadolce.net. Trovo però utile la pubblicazione di questi due articoli intanto per chi crede (perchè di credo si tratta, come vedrete) nell’antroposofia, perchè sono articoli  abbastanza rari,  e poi per le persone che magari sono affascinate dall’indubbia bellezza degli ambienti e dei materiali delle scuole steineriane, ma non ne conoscono i presupposti… Conoscere è importante…

Questo genere di bambola non è stato inventato da Rudolf Steiner: sono le bambole dei bambini poveri, che sempre le mamme hanno confezionato per i loro bambini prima dell’avvento della produzione in serie, della plastica, e dell’estetica e dei bisogni indotti dal marketing. I bambini ricchi avevano la bambola di porcellana, i bambini poveri giocavano con la bambola fatta con le foglie del mais (da cui la famosa bambola annodata), o con figure intagliate approssimativamente nel legno, o con uno straccio annodato, appunto… Oppure le mamme e le nonne facevano le bambole di pezza ai loro bambini. Quello che ha fatto Steiner è stato “canonizzare” il modello e inserirlo all’interno di un complesso impianto filosofico-teologico, cosa che ha fatto praticamente con ogni possibile aspetto della vita (dall’agricoltura all’arredamento all’abbigliamento a tutte le arti e non mi dilungo). Ma così oggi ha senso parlare della bambola di pezza, come della “bambola Waldorf”, e in questo modo un’importantissima tradizione continua a vivere.

Come sempre dico, io credo che la bambola fatta a mano sia un giocattolo bellissimo, qui c’è in mio manuale se può esservi d’aiuto: https://www.teacherspayteachers.com/Product/manuale-per-realizzare-le-bambole-Waldorf-1938893


bellissimo farla e bellissimo giocarci, ma mi sento libera di non credere a quanto ci si vuole mettere dietro; pure rispetto chi lo crede, se è consapevole e altrettanto rispettoso.

Questi articoli  sono comparsi in Von der Wurde des Kindes intorno agli anni ’70, il primo (Pensieri aforistici sulle bambole) a firma di Anne Schnell, il secondo (Bambole e animali nella stanza dei bambini) di Johanna Veronica Picht. Li ho rimaneggiati  parecchio nel tentativo di renderli il più comprensibili possibile a tutti. Le parti in grassetto sono quelle che più direttamente fanno riferimento alla confezione della bambola…


Pensieri aforistici sulle bambole

In qualità di adulti o di giovani in cammino di crescita, dovremmo essere in grado di vivere come il bambino vive nei suoi processi di fantasia mentre gioca con la sua bambola. Per poter comprendere questa affermazione però, dobbiamo fare riferimento a quanto esposto da Rudolf Steiner proprio in relazione alla bambola, ed ai nessi esistenti tra la bambola, l’estetica, la spiritualità e la pedagogia.

Nella delicata relazione che si sviluppa giorno dopo giorno tra adulto e bambino, tutto ciò che si crea attorno a una bambola che la mamma stessa ha realizzato, può diventare una vera scuola di amore umano e amore di vita, e donare al bambino gioia nei rapporti e gioia di vita;  nutre inoltre le sue forze vitali favorendo lo sviluppo sano del suo corpo, della sua anima e del suo Io.

Per meglio esporre il suo pensiero, Steiner porta un  confronto tra la “cosiddetta bella bambola” e una “bambola veramente bella“. La prima, che ai suoi tempi sapeva solo parlare e muovere gli occhi, e che oggi sa  fare molto di più, ha avuto origine dall’idea che ha prodotto anche i robot.

La bambola veramente bella, che ci viene descritta da Steiner, può essere semplicemente costituita da un pezzo di stoffa annodato o legato, in modo tale che nella parte superiore si formi la testa, con occhi naso e bocca, di cui gli ultimi due non sono indispensabili. Se poi si annodano i due angoli superiori e quelli inferiori, questa bambola avrà anche braccia e gambe.

Rudolf Steiner parla in modo esteso ed approfondito della bambola, mettendola in relazione al bambino dai due anni e mezzo fino ai cinque anni, e illustrando ciò che caratterizza questo periodo della vita: una particolare fantasia che si sviluppa proprio in questa età, una fantasia viva e ricca di stimoli, ma anche meravigliosamente delicata in questo suo primo attivarsi.

Secondo l’antroposofia prima della nascita si verificano tutta una serie di eventi sovrasensibili, cioè di carattere spirituale, difficili da cogliere col nostro pensare moderno, ma secondo Steiner da considerarsi come scientifici, seppure nel nostro linguaggio manchino perfino i termini per definirli. E’ secondo lui necessario, quindi, introdurre un altro concetto nella nostra moderna immagine del mondo. E senza credere in questa realtà spirituale, non si può comprendere il concetto di fantasia infantile, nè come questa rappresenti una forza salutare che rappresenterà una risorsa dell’uomo per tutto l’arco della sua vita.

In un breve testo,  “Educazione del bambino e preparazione degli educatori”,  Rudolf Steiner parla della nascita del bambino come costituita in realtà da una sequenza di varie nascite, poichè considera l’uomo formato non solo dal corpo fisico, ma da altri tre corpi: il corpo delle forze vitali o di crescita (che chiama corpo eterico), il corpo delle forze dell’anima (che chiama corpo astrale o senziente) e il corpo dell’Io. Avvengono più nascite, appunto perchè questi corpi non nascono contemporanemente.

L’antroposofia crede fermamente nella reincarnazione e nell’esistenza di una gerarchia molto dettagliatamente classificata di “entità spirituali” (angeli, arcangeli, serafini, cherubini ecc…). Tra queste entità le più alte, in armonia con il cammino che l’individualità umana ha compiuto sulla terra di incarnazione in incarnazione, prima della nascita del bambino  lavorano con l’aiuto della corrente ereditaria alla costruzione del corpo fisico dell’essere che vuole nascere, e questo rispettando anche il destino di tale individualità. Le forze eteriche materne che lo avvolgono, attive nella corrente ereditaria, collaborano a questo lavoro per formare nel nascituro le sue funzioni vitali, e naturalmente anche il padre del bambino collabora in questo lavoro di costruzione.

Via via viene descritta la nascita dei vari corpi.

In particolare si afferma che l’Io del bambino resta inizialmente avvolto nella sua anima, come una meravigliosa immagine. Per questo, in questo periodo della vita che comincia col periodo embrionale e termina circa col terzo anno di età, è possibile leggere nei sentimenti innati di un bambino quale sia il suo destino individuale. Io e corpo dell’anima costruiscono insieme il corpo delle forze vitali, e questo fa crescere il corpo fisico del bambino. Quindi Io, anima e forze vitali insiemi agiscono insieme nel corpo fisico, costruiscono gli organi interni, e sono forze attivissime come detto fino ai tre anni, anche se permangono con intensità minore fino al cambio dei denti.

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Insegnamento del calcolo e temperamenti nella scuola steineriana

Insegnamento del calcolo e temperamenti nella scuola steineriana è un utile correttivo nelle tendenze unilaterali dei temperamenti. Teniamo presente che, nel bambino, se prevale l’io avremo un temperamento malinconico, se prevale il corpo astrale avremo un temperamento collerico, se prevale il corpo eterico un temperamento sanguinico, e se prevale il corpo fisico avremo un temperamento flemmatico.

Genericamente, quindi:
addizione: operazione legata al corpo fisico, si addice al temperamento flemmatico
sottrazione: operazione legata al corpo eterico, si addice al temperamento sanguinico
moltiplicazione: operazione legata al corpo astrale, si addice al temperamento collerico
divisione: operazione legata all’io, si addice al temperamento malinconico,
ma senza rigidità.

L’addizione che parte dalla somma e la scompone in varie combinazioni di addendi, è particolarmente adatta al bambino flemmatico, in quanto egli ripete così spiritualmente ciò che avviene fisicamente nella materia. E’ il processo di crescita, di continua divisione della cellula, e questa è un’attività dell’io, che nel bambino flemmatico, troppo vincolato alla propria fisicità, ha bisogno di essere rafforzato. Addizionando in questo modo il bambino impara anche, implicitamente, l’addizione nella sua forma tradizionale (cioè partendo dagli addendi), quando deve verificare la corrispondenza dei gruppetti ripartiti con la somma. Questo modo più consueto di addizionare è invece più adatto al temperamento collerico, opposto al flemmatico: nel collerico è molto forte la spinta a distruggere, è invece più debole quella a ricomporre; perciò quando ad un collerico facciamo ricercare la somma di due o più addendi, gli diamo implicitamente un impulso verso la ricomposizione.

La sottrazione è legata al corpo eterico, al corpo delle forze vitali, quello che crea, ripete, genera, ed è legata in particolar modo al temperamento sanguinico. Il bambino sanguinico ha forze vitali esuberanti, per cui avrà il minor danno a svolgere la sottrazione nel modo tradizionale 8-5=3 (minuendo – sottraendo = resto). Invece il temperamento malinconico, opposto al sanguinico, soffre per una scarsa mobilità delle sue forze vitali: per lui è un impulso importante svolgere la sottrazione partendo dal resto. Questa è anche la situazione che più frequentemente ci si presenta nella vita, quella cioè di sapere quel che c’era e quel che c’è, ma di non sapere quello che non c’è più. Il bambino malinconico riceve un impulso vitale perchè rispecchia il suo “senso di privazione”, perchè qui viene trovato ciò che manca.

Per la moltiplicazione e la divisione abbiamo una sorpresa: potremmo aspettarci la moltiplicazione in relazione al collerico, nel quale prevale l’elemento astrale, e la divisione in relazione al malinconico, nel quale prevale l’elemento egoico. Invece Steiner inverte questo accoppiamento, e collega in modo più consono la moltiplicazione al temperamento malinconico e la divisione al temperamento collerico. In realtà per Steiner non c’è una netta differenziazione fra moltiplicazione e divisione, ma entrambe rappresentano due aspetti dello stesso calcolo. Steiner chiama divisione ciò che abitualmente è chiamato divisione, e viceversa.
Se infatti poniamo il problema: “Quante mele fanno 7 volte 4 mele?”, abbiamo 7×4=28, ma per trovare la settima parte di 28 mele dobbiamo pur fare una divisione. Così pure per sapere quanti gruppi di 4 mele possiamo fare con 28 mele.
Per Steiner era evidente come le operazioni fluissero l’una nell’altra in modo artistico, e non vi fosse altro luogo, se non l’astrazione, dove queste possono esistere in modo distinto.

Ogni temperamento è avvicinato omeopaticamente ad una delle quattro operazioni, perchè realmente:
– l’essere flemmatico procede addizionando, giustapponendo, sistemando fluidamente il mondo e gli esseri attorno alla sua interiorità, come in uno scenario;
– il collerico entra nel mondo dividendo, separando, cogliendo fortemente la propria e l’altri individualità e le cose del mondo esterno. Avanza attivamente verso di esse, con un’interiorità che non si appaga di se stessa, ma vuole imporsi all’esterno;
– il malinconico procede sottraendo, appropriandosi cioè di quegli aspetti degli esseri e del mondo esterno che possono ruotare attorno alla sua preminente interiorità
– il sanguinico si muove moltiplicando, ricevendo nuove sollecitazioni ad ogni occasione, lievitando quasi, montando come una panna leggera, rarefacendosi poi, finchè tutto sfuma.

Se si porgessero le operazioni solo nel modo usuale, il flemmatico non farebbe alcuna fatica ad addizionare, il collerico a dividere, il sanguinico a moltiplicare e il malinconico a sottrarre, ma non si promuoverebbe nessuna azione terapeutica.

4+5+9+7=25 significa per un flemmatico esaltare la sua unilateralità, che si manifesta in antipatia verso il mondo e grande benessere per quel che riguarda la propria interiorità. E’ come dire: “Questo essere, accanto a quest’altro essere, accanto a questo evento, accanto a questo oggetto, vanno a sommarsi, a confondersi nella totalità indifferenziata del mondo”. E’ invece terapeutica per il collerico.
25=4+5+9+7 significa: “Questo mondo così informe, che io ottusamente avverto intorno a me, è costituito invece da questo particolare essere, accanto a questo particolare essere, ecc…”.

30:5=? induce il collerico ad accettare la sua unilateralità, facendogli dire: “Questo essere particolare, la cui presenza io sento bene perchè si differenzia dal mio io, entra nel mondo segmentandolo in suoi precisi, particolari spazi”. E’ invece terapeutica per il flemmatico.
6=?:5 (quanti sassi servono a fare 6 mucchietti da 5 sassi ciascuno?) è come dire: “Qual è la condizione generale, il contesto ampio del mondo, che dà valore a questo essere particolare e gli consente di occupare questi determinati spazi, che io percepisco così bene?”. Questa è la tolleranza, che può nascere solo da una visione corale del mondo, dove ogni individuo, ogni evento ed ogni oggetto viene rispettato e non prevalicato.

7×8=56 porterebbe il sanguinico a rafforzare la sua unilateralità, lo farebbe rimbalzare di 7 in 7 come una palla, fino a 56; come dire: “Mi piace incontrare questo essere, o attraversare questo evento, e poi subito essere inviato ad un altro, e poi un altro, ecc…”. E’ invece terapeutica per il malinconico.
56=?x8 (quante volte ci sono 8 palline nel 56?) porta il sanguinico a concentrarsi sulla totalità, considerarne una parte (8) e poi procedere alla ricerca di quel punto centrale (7) che mette in relazione esatta il primo ed il secondo elemento. Come dire: “Io non accresco a ventaglio le mie emozioni, ma scelgo con attenzione, avvalendomi anche della mia mobilità, la giusta direzione che collega un evento futuro ad un punto di partenza”.

18-7=11 rafforzerebbe nel malinconico il suo sentire: “Dal mondo che mi circonda e mi opprime, io sono continuamente costretto a ricevere degli elementi che entrano nella mia interioritàm e si accumulano, ampliando le difficoltà della mia esistenza. Di questa realtà esterna in me resta ogni giorno una traccia, un peso, ed io devo espormi ad essi e tenerli con me”. E’ invece terapeutica per il sanguinico.
11=18-? (queste sono 18 palline, io non ne voglio 18, ma solo 11, quante palline non mi servono?). Così il bambino malinconico sente: “Io devo scegliere quell’unico, essenziale evento o pensiero, sentimento, proposito, che estratto da questo contesto generale possa darmi la misura precisa e quindi reale per tutti gli esseri, di quanto mi resta e mi riguarda”.

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L’insegnamento del calcolo nei primi anni della scuola Waldorf

L’insegnamento del calcolo nei primi anni della scuola Waldorf. Se cerchiamo l’oggetto della matematica non lo troviamo in natura: oggetto della matematica è la grandezza, la quantità. Ma la grandezza non è qualcosa che esista di per sè. Nell’esperienza umana non c’è un oggetto che sia pura grandezza: accanto ad altri caratteri, ogni oggetto ne ha alcuni che sono determinabili per mezzo dei numeri.

Quando accostiamo i numeri al bambino, dovremmo tenere bene in mente questo aspetto puramente ideale, astratto, della matematica.

D’altra parte è proprio la facoltà di calcolare all’origine della libertà dell’uomo. L’uomo si separa dal mondo, lo analizza, ne acquisisce una particolare conoscenza e vi si riunisce poi, ad un gradino più alto, arricchito dalla conoscenza di se stesso. In un certo senso l’uomo sperimenta se stesso attraverso questo scomporre e ricomporre la realtà.

Nell’addizione prevale la vicinanza spaziale, non c’è una relazione gerarchica tra le parti, e ognuna vale quanto l’altra: la posizione degli addendi è indifferente per la somma. Le grandezze stanno una accanto all’altra.
Nella sottrazione c’è una gerarchia, un principio ordinatore che stabilisce la posizione ed il valore delle singole parti. Le grandezze stanno una in contrapposizione dell’altra.
Nella moltiplicazione le grandezze stanno una dentro l’altra. Anche per la moltiplicazione vale la proprietà commutativa, ma in un certo senso in un modo più ampio rispetto all’addizione. Nella moltiplicazione esiste una doppia relazione fra tutti i numeri in cui possiamo scomporre i fattori.
Se facciamo il calcolo scritto di una qualsiasi divisione, ci accorgiamo subito che per dividere dobbiamo servirci di tutte e quattro le operazioni.

Il bambino vive nella percezione globale del mondo, non nell’analisi delle sue parti, e questo ha una valenza non solo didattica ma anche etica, educativa in generale. Il mondo, nella realtà vivente, è sempre uno, anche se noi lo scomponiamo, e il bambino quanto più è piccolo, tanto più vive in questa unità. Dal rispetto di questa unità bambino-mondo, dipende se il bambino riuscirà a mantenere una naturale curiosità e passione per il calcolo, o se si arresterà trovandola una cosa estranea e difficile.
Soprattutto nei primi tre anni di scuola il calcolo deve essere trattato più che altro come un gioco, come una ginnastica interiore. E’ indubbia la funzione utilitaristica della matematica, ma il suo obiettivo ultimo è l’educazione del pensiero logico, e il pensiero è in definitiva un’attività spirituale. Inoltre la matematica stabilisce una verità oggettiva, indipendente dai sentimenti e dalle emozioni. Essa manifesta l’ordine del mondo, e questo ordine è qualcosa verso cui l’uomo istintivamente tende. E’ un bisogno umano quello di trovare un’armonia interiore, e i numeri possono aiutare anche in questo.
Il maestro deve vivificare in ogni modo questo primo insegnamento del calcolo, e può servirsi del movimento, del ritmo, del canto, del colore, delle forme disegnate, affinchè i bambini si divertano e trovino in ogni occasione l’aderenza di questo insegnamento alla realtà della vita. Tutto andrebbe presentato in forma di racconto.

I numeri si dovranno presentare a partire dall’uno, mostrando concretamente il fatto che tutti i numeri si sono formati dalla divisione dell’uno.
Si dovranno caratterizzare i singoli numeri come delle personalità con caratteri ben precisi. In questo ci verrà incontro la natura stessa dei bambini, che non vivono un rapporto di utilitarismo col mondo, ma al contrario di totale devozione.
L’uno è il mondo che contiene ogni cosa, è ogni bambino, intero e indivisibile, ma uno è anche un bottone di legno, o un pezzo di carta dal quale per divisione faremo nascere davanti ai bambini il due. Possiamo dar loro una pallina di cera e far fare l’esperienza concreta del due dall’uno. Potremo fare numerosi esempi per mostrare come l’uno sia un intero e tuttavia abbia le sue parti: un mondo con tante nazioni, un giorno con mattina pomeriggio sera, un’ora con 60 minuti o un minuto con 60 secondi, una mano con 5 dita, una famiglia con i suoi componenti, ecc…

Contare

Quando i bambini arrivano in prima, di solito sanno già contare, tuttavia dovremo partire proprio dall’inizio, cioè dal contare, prima di calcolare. Contare in avanti e indietro, per uno, per due, per tre… I bambini amano contare, entrare in questo ordine dove ogni parola ha il suo posto e deve aspettare il suo turno.

Sarà bene portare i numeri ai bambini facendoglieli sperimentare nella propria corporeità:
1 il bambino tutto intero
2 le mani, le orecchie, gli occhi, i piedi, le gambe…
3 testa tronco arti, falangi delle dita,…
4 gambe e braccia
5 le dita della mano.

Potremo trovare svariati riferimenti all’esperienza dei bambini:
1 l’uomo
2 padre e madre, notte e giorno, sole e luna, cielo e terra,…
3 mamma papà bambino
4 le zampe dei quadrupedi, i muri della stanza, i lati della finestra, i punti cardinali, i quattro elementi,…
5 lo troviamo in molti fiori, nelle rosacee
6 gigli e tulipani, cellette delle api, cristallo del fiocco di neve,…
7 note musicali, giorni della settimana, colori dell’arcobaleno
8 zampe degli insetti
9 numero perfetto: 3 volte 3
10 le dita delle mani, dei piedi

Il contare inizialmente avrà un carattere ritmico: poggiando la voce su un dato numero, per esempio su ogni secondo numero, verrà fuori la numerazione del due; poggiamo la voce su ogni terzo numero e avremo la tabella del tre.
Si può accompagnare il numero accentuato con un battito di mani o di piedi, o con altri movimenti. Si può ancora evidenziare la numerazione voluta con il colore e le dimensioni delle cifre.
Dalla tabella del 3, accentuando ogni secondo numero, possiamo ricavare la tabella del 6…

Dopo aver esercitato per un certo tempo e in diversi modi il contare, servendoci del ritmo, delle filastrocche, delle numerazioni ecc…, possiamo fare coi bambini le prime esperienze di calcolo partendo da un tutto, che può essere la mano, le due mani, o un insieme di oggetti (mele, castagne, fagioli, conchiglie, ecc…).

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La “pedagogia” steineriana e una doverosa premessa

La “pedagogia” steineriana e una doverosa premessa. A tutte le indicazioni date nel sito relative alla Pedagogia steineriana, devo fare una doverosa premessa.

Questa pedagogia, infatti, rientra in un sistema organizzato, messo a punto (i sostenitori preferiscono usare i termini “fondato” o “donato”) da Rudolf Steiner, e che abbraccia praticamente ogni possibile aspetto dell’umano, compresi esoterismo, religione,  misticismo, spiritualismo, occultismo, e che passa per abbigliamento e acconciatura, alimentazione, sessualità, economia, e insomma abbiamo capito…

Le persone che abbracciano questo sistema si definiscono “antroposofi” da “antroposofia”, appunto (o “Scienza dello Spirito”). La definizione di “movimento religioso” non viene però assolutamente accettata dagli antroposofi.

La pedagogia steineriana, si tiene a precisare con estrema fermezza e a garanzia di una certa ortodossia negli ambienti steineriani,  non è un metodo, ma si fonda imprescindibilmente sull’Antroposofia.

Per chi volesse approfondire la questione, esiste una quantità di materiale praticamente sterminato: ci si può fare una piccola idea semplicemente scorrendo il catalogo delle Edizioni Antroposofiche, dove abbondano  le parole occulto, cristico, iniziazione, spirituale, karmico ecc…

Io personalmente, e nel rispetto del credo e del pensiero di tutti, amo della pedagogia  e della didattica, indipendentemente dalla matrice ideologica o religiosa di riferimento,  tutto quello che porta al bambino magia, bellezza, gioia di apprendere. E tutto ciò che è utile a “tirar fuori” il meglio da ognuno, e a rimuovere ostacoli nell’apprendere. E’ l’unico aspetto che mi interessa. Cerco di scegliere con buonsenso, con senso critico sempre vigile, e liberamente.

Se il tale approccio rappresenta una risposta per i bambini  reali che seguo, lo scelgo.

Altrimenti no.

I tratti più illuminati di questa pratica pedagogica, a mio parere, si trovano nel piacere-diritto alla lentezza, nella capacità di attingere alla tradizione popolare europea per riscoprire i ritmi della natura, nel contrastare con la bellezza le tendenze materialistiche e consumistiche che troppo attaccano il  mondo dell’infanzia, nella possibilità di valorizzazione all’interno della scuola non solo i bambini “brillanti” da un punto di vista intellettivo.

E poi ad ognuno le proprie considerazioni…

Del resto non si può nemmeno negare che le Scuole Steineriane, almeno in Italia, svolgono anche un nobilissimo ruolo di “rifugio” (e senza nemmeno la preoccupazione dell’esame di passaggio come avviene nell’homeschooling) per tutti quei bambini che non sono in grado di frequentare con successo o per lo meno senza sofferenza, classi di 30 alunni in questa “nuova” scuola pubblica.

photo credit: http://southerncrossreview.org/68/sagarin-waldorf.htm

Io credo che, volendo portare ai bambini elementi della pratica steineriana, al di fuori della scuola steineriana, si possa decidere con le famiglie dei bambini se festeggiare San Martino, il Natale, ecc… e se la cosa non offende in alcun modo il pensiero o il credo religioso di nessuno, si festeggia. E’ un bel modo per sentire i ritmi delle stagioni, (tutte le festività cristiane affondano le loro radici nella tradizione contadina precristiana-pagana) e soprattutto per scandire l’anno con giorni speciali e più gioiosi degli altri. Ma la stessa cosa si può fare anche in tantissimi altri modi.

Che poi San Michele sia un essere spirituale ecc… o meno, non è cosa della quale si occupa la scuola. Posso non crederlo, ma anche rispettare chi lo crede, se ha altrettanto rispetto.

E’ l’atteggiamento che ho tenuto anche all’interno della scuola steineriana, per un po’ con successo. Poi la convivenza è diventata impossibile, per me e soprattutto per “loro”  😉

 

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Cenni sulla pedagogia Steiner-Waldorf

(testi ad uso “esterno”, privi dei tipici termini steineriani che invece abbonderebbero in una versione per “uso interno”)

La pedagogia Steiner-Waldorf si fonda su un’attenta osservazione delle tappe evolutive del bambino.
Lo sviluppo armonico del bambino come centro di ogni attività didattica è l’obiettivo che viene perseguito, tenendo conto dell’integrità della persona nei suoi aspetti corporei, emozionali ed intellettivi. Le attività proposte vengono quindi indirizzate alle aree motoria, affettiva e cognitiva in modo ritmico ed equilibrato.
L’insegnante ha il compito di aiutare il bambino nell’armonioso sviluppo di tutti i suoi elementi costitutivi, di favorirne la crescita, di aiutarlo ad affrontare e superare gli ostacoli che via via si possono presentare.

Il bambino in età prescolare è un essere che assorbe tutto ciò che gli proviene dall’ambiente e dalle persone che lo circondano: sensazioni, stimoli di varia natura, parole.
In questa età ciò che educa è il modo in cui l’adulto che gli sta vicino, pensa, sente, parla ed agisce. Il gesto esteriore come l’atteggiamento interiore ci chi lo circonda raggiunge il bambino, lasciando una profonda traccia nel suo linguaggio, nei suoi sentimenti e nel suo modo di pensare e di agire.
All’età di sei sette anni il legame immediato ed imitativo del bambino col mondo gradualmente recede e lascia spazio ad una nuova forma di rapporto con la realtà sempre più cosciente.

Al bambino tra i 7 ed i 14 anni le conoscenze devono essere trasmesse attraverso il sentimento e l’esperienza, e  per questo nelle scuole Waldorf viene attribuita grande importanza all’attività artistica e manuale.

L’arte nella scuola Waldorf non è intesa come un’aggiunta di attività didattiche al piano di studi (musica, recitazione, pittura, modellaggio, scultura, ecc…), ma è insita nel modo stesso di presentare tutte le materie di studio. Lavorare per immagini, rintracciare i fili che collegano le cose tra di loro e all’uomo, significa ritrovare ciò che le cose e gli esseri sono ed esprimono prima di venire catalogati, definiti, analizzati. Come la lingua madre si impara ben prima di studiare la grammatica, così tutte le discipline vengono proposte in modo creativo e ricco di immagini per giungere in un secondo tempo alla loro sistematizzazione scientifica.

 

Le caratteristiche didattiche che contraddinguono la scuola Waldorf sono:

il maestro unico, che resta l’insegnante di riferimento della classe per tutti gli otto anni del primo ciclo di istruzione (elementari e medie). Il maestro di classe è dunque colui che assiste a tutte le fasi di crescita di ogni bambino per un lungo arco di tempo, e diventa la guida e il sostegno cui rivolgersi con fiducia, conoscendo il  bambino nel suo contesto biografico e la sua famiglia. Suo compito è anche quello di confrontarsi con gli altri docenti nel Consiglio di Classe e coordinare le attività didattico-educative;

il Collegio Docenti, che si riunisce settimanalmente per valutare i processi di apprendimento dei bambini, il raggiungimento degli obiettivi, e per delineare le strategie e gli interventi pedagogici. Il medico scolastico, oltre alla normale attività sanitaria, affianca gli insegnanti del Collegio nella valutazione del processo evolutivo dei bambini;

insegnamento ad epoche. L’insegnamento delle discipline viene condotto all’interno di una ripartizione a periodi, chiamati “epoche”. Le discipline non si susseguono giornalmente secondo un orario spezzato, ma vengono proposte dall’insegnante una per volta, nella prima parte della mattinata, per un periodo di tempo continuativo che va dalle tre alle quattro settimane (epoca di Storia, epoca di Matematica, epoca di Grammatica, ecc…). Senza la frammentazione si favorisce lo sviluppo della capacità di concentrazione, la comprensione, l’acquisizione e la padronanza da parte del bambino dei contenuti proposti. Dopo le ore di “epoca”, nella seconda parte della giornata si alternano tutti gli altri insegnamenti, comprese alcune ore di esercitazione di Italiano e Matematica, che vanno ad integrare l’insegnamento ad epoche.

assenza di libri di testo. I bambini producono essi stessi i libri di studio, dedicandosi alla costruzione di quaderni dove, sotto la guida del maestro, confluiscono  in forma artistica i contenuti salienti di ogni materia.

ricchezza della proposta didattica. Nella scuola Waldorf viene proposta ai bambini una molteplicità di attività didattico-educative, per permettere uno sviluppo equilibrato di tutte le loro potenzialità: musica strumentale, canto, danza, recitazione, pittura, disegno, modellaggio, lavori manuali, artigianato, agricoltura, ecc… In tal modo l’abituale differenza che si crea nella scuola tra allievi intellettualmente dotati e meno dotati perde molta della sua importanza: ogni bambino, in qualche elemento della sua personalità, possiede delle doti ed è compito dell’insegnante scoprire e valorizzare qualità e capacità di ognuno.

. due lingue straniere. Sin dal primo anno di scuola primaria si inizia a far vivere ai bambini l’esperienza di due lingue straniere attraverso un approccio inizialmente solo orale, con canti, giochi, filastrocche e girotondi che avvicinano con naturalezza e gioia ai modi, alle espressioni, ai fonemi, che vengono assorbiti ed imitati come avviene con la lingua madre. Negli anni successivi vengono introdotte gradualmente la scrittura, la lettura e l’analisi della lingua;

la comunità-scuola. Nella pedagogia Waldorf viene data grande importanza allo sviluppo del senso comunitario, per esempio con le feste stagionali. Inoltre ci sono le “feste del mese”, dove tutte le classi della scuola, dalla prima all’ottava, propongono agli altri alunni della scuola, ai maestri ed ai genitori, rappresentazioni artistiche di vario genere, rendendoli partecipi del lavoro da ognuno svolto nelle lezioni. Questi incontri sviluppano un sano senso sociale e creano interesse per gli altri. I più piccoli, di fronte all’esibizione dei più grandi, sono pieni di ammirazione e sentonon che anche loro, un giorno, saranno in grado di fare altrettanto; i più grandi possono rivivere esperienze significative del loro passato;

valutazione. I genitori ricevono periodicamente dagli insegnanti una relazione che riguarda il comportamento ed i progressi del bambino in ogni ambito, inserendo non solo gli aspetti non solo prettamente legati al raggiungimento di obiettivi didattici. Al bambino invece viene consegnata una breve storia o una poesia che, con un linguaggio artistico, rispecchia il suo carattere, i talenti, le qualità, e fornisce una qualche chiave che in prospettiva può aiutarlo a progredire. Il documento di valutazione ufficiale, invece, è destinato solo ai genitori.

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Il curricolo nella scuola primaria Waldorf

(per farsi un’idea di quanto espresso nella premessa)

Classe prima: la fase di passaggio fra scuola d’infanzia e scuola primaria

Il bambino nel primo anno di scuola viene accompagnato nell’esperienza delle forme e dei suoni delle lettere dell’alfabeto e dei simboli numerici e nell’acquisire il giusto atteggiamento nei confronti della scuola, adeguandosi alle sane abitudini ed al ritmico lavoro della classe.

I maestri lavorano affinchè i bambini formino un gruppo coeso, che mostra interesse per gli altri e sa ascoltare.

Il primo biennio (classi seconda e terza)
I primi tre anni di scuola hanno un’impronta unitaria. Tutto ciò che è stato avviato in prima classe, viene portato avanti in modo che il bambino si trovi inserito con vivacità e naturalezza negli elementi plastico-pittorici e musicali-linguistici presenti nelle varie materie di insegnamento.

Il secondo biennio (classi quarta e quinta)
Il nono anno rappresenta una cesura importante e richiede da parte degli insegnanti e degli educatori la massima attenzione. E’ l’età in cui per il bambino si compie  il  vero distacco dall’ambiente, fino ad ora ha vissuto con naturalezza. La coscienza di sè aumenta. Questa fase richiede molto tatto e molta saggezza da parte dell’educatore, che deve cercare di salvaguardare i bambini dalle delusioni a cui a quest’età vanno facilmente incontro, soprattutto nei confronti degli adulti.

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Italiano scrittura

In PRIMA CLASSE la scrittura si sviluppa a partire dal disegno pittorico. Dapprima il bambino non ha un rapporto col disegno astratto dei caratteri grafici delle lettere (anche nella storia si può notare come l’umanità abbia sviluppato l’alfabeto da una scrittura ideografica).

Se si mette il bambino a contatto direttamente con la scrittura convenzionale, si provoca in lui un precoce invecchiamento.

La natura umana in divenire richiede che si progredisca dalla forma artistica a quella intellettuale, che l’attività della testa scaturisca dall’attività manuale, vale a dire dalla pittura e dal disegno, alla scrittura e alla lettura. Tramite racconti si caratterizzano da un lato i sentimenti che si esprimono nelle vocali (nella A la meraviglia, nella U la paura, …), dall’altro le consonanti come immagini degli oggetti del mondo esterno (M di monte, V da valle, S da serpente…).

Dal disegno di tali immagini viene poi ricavata la relativa lettera.

Se per esempio per scrivere la F facciamo imitare al bambino la forma di una falce, gli avremo dato una lettera in forma di immagine. Si procede con un ritmo di tre giorni: primo giorno racconto, secondo giorno disegno guidato, terzo giorno lettera.

La mano, scrivendo, deve eseguire qualcosa che l’occhio ha prima guardato con compiacimento, e l’occhio deve guidare la penna con amore. Allora la scrittura sarà bella e caratteristica. Vengono utilizzati quaderni bianchi e senza righe. Prima di impegnare il bambino nell’ortografia, si cura la sensibilità del bambino per la lingua e per le diverse lunghezze dei suoni attraverso il canto e la recitazione.

E’ estremamente importante che le discipline apparentemente più lontane, confluiscano l’una nell’altra in modo unitario.

In SECONDA CLASSE si passa allo stampato minuscolo ed al corsivo. Gradualmente il bambino deve imparare a riassumere ciò che gli è stato raccontato e poi a descrivere brevemente ciò che ha appreso.

Per la scrittura si fa ancora uso delle cerette e delle matite colorate. Si dedica particolare cura alla struttura ed articolazione del linguaggio. La sensibilità per i suoni brevi lunghi accentati deve arrivare ad una certa consapevolezza. L’ortografia si perfeziona soprattutto attraverso l’ascolto.

In TERZA CLASSE si cerca di ampliare la capacità di riferire per iscritto quando è stato visto o letto. L’ortografia viene esercitata attraverso l’articolazione del linguaggio, l’ascolto e il parlare.

In QUARTA CLASSE la capacità acquisita di riferire e riassumere per iscritto deve essere applicata nella composizione di lettere di ogni genere, anche commerciali.

In QUINTA CLASSE il bambino non deve più limitarsi a riferire liberamente ciò che ha sentito o letto, ma deve cominciare a servirsi del discorso diretto.

E’ importante che a quest’età si sviluppi la capacità di distinguere la propria opinione da quella altrui; il bambino deve essere in grado di riferire cose che lui stesso ha pensato, visto e udito o di riportare il parere di altri.

In tutto ciò che scrive ed espone deve imparare a tener conto di questa differenza, deve approfondire l’uso dei segni di interpunzione, delle virgolette, …

 

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Materiale narrativo

Il materiale narrativo per la PRIMA CLASSE verrà scelto tra le fiabe classiche con le loro immagini così vivide, stimolanti per le forze rappresentative e ricche di profondi misteri, o tratto da aspetti evidenti della realtà esteriore. Tutto acquista efficacia se è espresso con un linguaggio chiaro, distinto, pittoresco, colorito. Nella scelta delle poesie si tiene conto della melodia, della rima, del ritmo e della metrica.

In SECONDA CLASSE dalla fiaba si passa alla favola e alle leggende, soprattutto sulla vita e le imprese dei santi cristiani,  uomini alla ricerca della perfezione.

In TERZA CLASSE Nella scelta delle poesie oltre al ritmo ed alla melodia, si cerca la bellezza espressiva, Il racconto in questa classe viene attinto dalle storie dell’Antico Testamento, che rappresentano per la pedagogia steineriana l’inizio della storia culturale del mondo.

In QUARTA CLASSE il materiale di lettura  e narrativa viene attinto dalla mitologia nordica e germanica e dalle imprese degli eroi antichi.

In QUINTA CLASSE la lettura e la narrazione vertono sulla mitologia classica greca.

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Grammatica

In SECONDA CLASSE i primi elementi di Grammatica devono essere integrati in modo piacevole nel racconto, senza far mai mancare una certa nota umoristica.

Si inizia col verbo, che per il bambino è l’elemento più vivo. Se pensa un’azione, il bambino prova subito il desiderio di muoversi; se pensa al verbo “martellare” ad esempio, è portato a compiere il gesto con le braccia. L’aggettivo qualificativo lo lascia più indifferente: le qualità degli oggetti le sperimenta con il sentimento e non col fare (volontà).

I sostantivi poi sono ancora più estranei alla sua natura: freddi, astratti, oggetti del puro pensare. Così la grammatica viene sperimentata umanamente. Si introduce la costruzione della frase, in modo semplice ed evidente, tenendo presente che la grammatica a quest’età deve rappresentare una tacita presa di coscienza di un qualcosa che già è usato istintivamente.

Addentrandosi nelle leggi del linguaggio si tocca la grandezza dell’Io umano che evolve lentamente nella vita.

In TERZA CLASSE il bambino deve avere una visione dell’analisi grammaticale e della costruzione della frase, e imparare l’uso dei segni di interpunzione.

In QUARTA CLASSE deve venir spiegato con chiarezza il significato dei tempi dei verbi e delle coniugazioni e si deve fare in modo che i bambini imparino a sentire istintivamente il rapporto che lega la proposizione alla parola. La lezione di italiano tra i nove e i dieci anni deve soprattutto accentuare l’aspetto plastico e strutturale del linguaggio.

In QUINTA CLASSE il bambino deve imparare a sentire la differenza tra la forma attiva e la forma passiva del verbo.

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Lezioni di vita pratica (o scienze umane integrate)

in TERZA CLASSE con questi argomenti si cerca di  favorire un inserimento cosciente nella realtà circostante. Si può spiegare come avviene la preparazione della calce e il suo uso nelle costruzioni, la coltivazione dei campi, l’aratura e la semina, inoltre si fanno conoscere i vari cereali.

Si fa sentire che l’animale ha bisogno della pianta per nutrirsi, e che la pianta richiede l’apporto dell’animale per la concimazione e del minerale come nutrimento e sostegno.

Si suscita così la sensazione che tutto quanto esiste al mondo è legato da una connessione meravigliosa e si risveglia un senso di riconoscenza verso ciò che sta sopra l’uomo. Da questo aspetto di sentimento si torna però sempre al campo pratico, predisponendo attività pratiche di agricoltura.

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Lingue straniere

in PRIMA CLASSE si sperimenta la lingua parlata, attraverso esercizi di conversazione e servendosi di canzoni, filastrocche e poesie, per formare l’orecchio per il ritmo, la melodia ed il suono della lingua straniera.La grammatica non  viene studiata.

La tendenza all’imitazione, ancora molto marcata a quest’età, e la grande plasmabilità degli organi vocali che  hanno permesso al bambino l’apprendimento della lingua madre, non devono restare inattive e possono venire impiegate per un primo approccio con le lingue straniere.

Nel secondo biennio l’insegnamento prosegue in forma orale, mirando però sempre più alla conversazione, in particolare costruite sulle professioni dell’uomo e sull’ambito familiare. Si imparano inoltre i giorni della settimana, i mesi e le stagioni. In terza classe si introduce la scrittura delle lettere dell’alfabeto e dei primi vocaboli.

In QUARTA CLASSE si inizia la grammatica delle lingue straniere in rapporto al grado di coscienza raggiunto dai bambini. Dalla poesia, che nei primi tre anni era stata il tema quasi esclusivo delle lezioni di lingua, si passa alla prosa. La grammatica viene esercitata in modo induttivo, sevendosi di esempi liberamente scelti e facendo studiare a memoria non gli esempi, ma le regole. Si inizia la coniugazione del verbi. Si inizia anche a scrivere e a tradurre, non però letteralmente ma a senso.

In QUINTA CLASSE si prosegue con l’analisi grammaticale e si danno i primi elementi di sintassi.

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Latino e greco

in QUINTA CLASSE si avvia lo studio delle lingue antiche, allo scopo di rendere viva e sensibile la lingua e la cultura greca e latina.

Fino alla nona classe questa materia è obbligatoria e fondamentale per tutti i ragazzi. In quinta classe si tratta più che altro di una preparazione: i bambini sono introdotti alla lingua antica senza costrizione e senza uno studio sistematico della grammatica.

Devono sentire l’essenzialità del suono, ripetere ed imparare a memoria brevi testi. Prima di capire devono imparare a parlare, ed è sufficiente che sappiano il contenuto di ciò che dicono.

Possibilmente si trattano insieme il latino e il greco, si scelgono frasi brevi riguardanti l’ambiente, oppure motti e proverbi in prosa e in poesia, favolette e brani conosciuti dei Vangeli.

In seguito si introducono poesie assecondando il senso del ritmo che vive nel bambino. Non si usano libri di testo.

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Storia

in PRIMA e SECONDA CLASSE, attraverso racconti e fiabe, vengono messi in risalto i rapporti di successione tra i vari eventi. Vengono proposte esperienze collegate ai ritmi del mondo naturale e in particolare alle stagioni.

In TERZA CLASSE si comincerà lo studio vero e proprio della Storia, dai racconti dell’Antico Testamento (non dalla preistoria).

In QUARTA CLASSE l’apprendimento della storia dovrebbe sfociare dall’osservazione dell’ambiente circostante. Le caratteristiche del luogo vengono descritte nel loro sviluppo storico.

In QUINTA CLASSE viene data la prima vera visione storica, attraverso lo studio della storia e della cultura dei popoli orientali e dei greci.

Prima d’ora si era trattato più di singole storie, di biografie di personaggi importanti e così via. Adesso di cerca di rendere evidente e comprensibile l’essenza particolare delle singole epoche di cultura indivando sintomi storici caratteristici.

L’esposizione deve avere un’accentuazione artistico-immaginativa e rivolgersi sempre alla sensibilità del ragazzo. La storia, descrivendo le gesta e le sofferenze dell’uomo, tende nel bambino a farlo rivolgere verso il suo mondo interiore.

Geografia

in PRIMA CLASSE si portano al bambino conoscenze del proprio paese; questo ha il compito di risvegliare nel bambino ancora sognante l’interesse per l’ambiente con cui deve legarsi in maniera più cosciente. Il maestro deve presentare alla sua coscienza ed alla sua capacità di immaginazione cose già note, come piante animali pietre monti fiumi prati, non con descrizioni astratte, ma secondo un criterio in cui viva la fantasia morale. Cielo nuvole stelle fiori animali pietre e via dicendo, devono esprimere e far sentire vivacemente, come in un dialogo, la loro grandezza, la loro devozione, la dolcezza e la fierezza.
In TERZA CLASSE comincia lo studio della Geografia, partendo dall’ambiente più vicino per ampliare ed approfondire le conoscenze del territorio e delle attività umane come parte integrante dell’ambiente.
In QUARTA CLASSE la geografia scaturisce ancora dall’osservazione dell’ambiente circostante.
In QUINTA CLASSE la conoscenza del proprio paese diviene vera e propria geografia. Si tratta della configurazione del terreno e delle condizioni economiche delle zone più prossime. La geografia fa spaziare per il mondo e risveglia nei bambini  un senso di fraternità per tutte le regioni della terra.

 

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Scienze

nelle prime classi elementi noti quali animali, piante, pietre, vengono presentate ai bambini in forma artistico-immaginativa come preparazione ad un approccio scientifico.

In QUARTA CLASSE i regni della natura vengono osservati e studiati più oggettivamente. La scienza naturale può aver inizio allorchè il bambino ha acquisito di per sè maggiore oggettività. L’essere umano viene presentato per primo, in maniera elementare, ma allo stesso tempo artistica e riverente. Il regno animale viene descritto nel suo rapporto con l’uomo, osservando singoli animali e confrontando il loro organismo con quello umano. Il bambino dovrà sentire che la molteplicità delle forme animali è riunita nell’essere umano con ordine ed armonia.

In QUINTA CLASSE si parla di forme animali meno note. Dall’essere umano e dall’animale si passa alla pianta. La botanica viene svolta in rapporto alla vita della terra, considerata come un organismo vivente unitario. A quest’età il bambino sente fortemente il bisogno di cercare i rapporti di causalità.

E’ un’esigenza che può venire soddisfatta nel  modo migliore se potrà osservare le varie forme vegetali e studiare le loro trasformazioni a seconda delle condizioni del terreno, del clima,…

 

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Aritmetica

in PRIMA CLASSE si inizia con le quattro operazioni entro il venti per arrivare se possibile al cento seguendo un criterio artistico: passare dall’intero alle parti (nell’addizione si parte dalla somma, nella moltiplicazione dal prodotto,…). Nella vita infatti l’uomo, prima di notare i particolari, coglie l’intero.

Il modo in cui il bambino apprende il calcolo è formativo per si cervello e i primi elementi del calcolo influiscono sul futuro modo di pensare dell’adulto, che può diventare incline alla sintesi o tendere ad atomizzare. Vi è poi un aspetto morale nel fatto che il bambino cominci con la distribuzione, per esempio di mele, oppure che accumuli per sè quelle stesse mele.

Il movimento ritmico, la corsa, il salto, il battito delle mani faciliteranno la presa di contatto con il calcolo. Vengono utilizzati quaderni bianchi senza righe, per favorire l’organizzazione spaziale, e viene praticato intensivamente il calcolo orale.

In SECONDA CLASSE le quattro operazioni vengono estese a numeri più elevati e si insiste molto sul calcolo orale. Non si tema di far lavorare la memoria, perchè il calcolo è fondamentale per la sua sana formazione. Quando il bambino ha quasi completato la seconda dentizione, gli si fanno studiare a memoria le tabelline, aiutandolo con movimenti ritmici, battito delle mani, salti,…

Nel periodo che va dalla seconda dentizione alla pubertà la memoria si sviluppa e si rafforza ed è giusto che venga debitamente curata e formata.

In TERZA CLASSE le quattro operazioni vengono esercitate sulla base di numeri più complessi e applicate ai piccoli casi della vita pratica.

In QUARTA CLASSE si passa allo studio delle frazioni ordinarie e decimali.

In QUINTA CLASSE si prosegue con le frazioni e con le frazioni decimali. Il calcolo comprenderà tutti i numeri  interi e decimali.

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Geometria

dal disegno di forme, che è stato coltivato fin dall’inizio della scuola, emerge in QUINTA CLASSE la geometria.

Le forme che finora sono state disegnate in modo artistico, come il triangolo, il quadrato, il cerchio,… devono venir comprese secondo concetti geometrici.

 

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Pittura

pittura e disegno introducono il bambino nel mondo delle forze plastico-formative. Il senso del colore si sviluppa sperimentando il colore puro nei suoi accordi e contrasti e considerando la forma come opera del colore stesso (approccio goetheanistico). All’inizio le linee vengono sperimentate come incontro di superfici di colore.

Nei primi anni i bambini hanno imitato per lo più ciò che il maestro proponeva o mostrava loro.

A partire dalla QUARTA CLASSE lavorano servendosi della loro fantasia creativa. Usando il colore fluido il loro senso del colore si è destato ed ora possono usarlo come mezzo espressivo.

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Disegno di forme

in PRIMA CLASSE il disegno evolve da un lato dalla pittura, dall’altro dall’esperienza stessa del movimento. La linea retta e la linea curva vengono sperimentate camminando o tracciandone plasticamente la forma nell’aria. Deve essere coltivato un senso interiore della forma.

Se il bambino percorre dei cerchi, delle ellissi, delle lemniscate seguendo la curva che si forma, quando poi disegna queste linee sente vivere un altro se stesso nelle linee che traccia, ed impara a comprendere il linguaggio delle forme. La copiatura degli oggetti viene inizialmente evitata.

In QUARTA CLASSE, dopo aver sperimentato negli anni precedenti le forme pure ed aver acquisito il senso della forma curva, semicurva, acuta, ellittica, retta,… arriva il momento di far ritrovare loro tutte queste forme negli oggetti esteriori, di farli copiare dal vero.

 

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Modellaggio

attraverso il modellaggio della cera vergine d’api viene curata ulteriormente l’abilità plastica del bambino. In QUARTA CLASSE comincia la copia dal vero.

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Lavoro Manuale

in PRIMA CLASSE i bambini di entrambi i sessi imparano a lavorare a maglia con i due ferri e ad eseguire semplici lavori di cucito, ricamo e tessitura a telaio. Il lavoro a maglia da un lato favorisce la consapevolezza e l’abilità manuale, dall’altro è un’attività che risveglia e stimola le disposizioni spirituali del bambino. Per suscitare il senso del colore e della forma, si fanno eseguire alla lavagna diversi esercizi coi gessetti colorati.

In SECONDA CLASSE si proseguono i lavori iniziati in prima, poi si passa all’uncinetto. Nella seconda parte della lezione di fanno eseguire oggetti dove i bambini possono manifestare liberamente il loro gusto sia nella preparazione del disegno, che nel ricamo e nella decorazione.

In TERZA CLASSE sia i maschi che le femmine eseguono all’uncinetto lavori più impegnativi come berretti e simili, oltre a confezionare lavoretti collaterali come in seconda.

In QUARTA CLASSE i bambini imparano a cucire con precisione e  a conoscere i vari punti eseguendo, per esempio, una borsa da lavoro ricamata in modo da permettere l’esplicarsi delle qualità artistiche oltre che tecniche. La decorazione dell’oggetto dovrà infatti essere in accordo col suo uso.

In QUINTA CLASSE si confezionano calze e guanti in maglia, animali di stoffa e bambole di ogni tipo.

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Musica

in PRIMA CLASSE per prima cosa i bambini devono avvicinarsi all’esperienza della quinta (scala pentatonica). Si esercita l’orecchio mediante semplici melodie e ritmi, coltivando il sentimento per ciò che è bello e per ciò che non lo è.

Alternando l’ascolto attivo all’interpretazione canora e strumentale, il bambino riesce ad apprendere i brani musicali proposti.

Si cantano canzoncine comprese nelle cinque note e tutti i bambini in gruppo suonano il flauto dolce. Alcuni potranno poi passare al violino e si potranno aggiungere anche gli strumenti a percussione. Grande importanza viene data al canto con accompagnamento di strumenti.

In SECONDA CLASSE alle canzoni comprese nell’intervallo di quinta si aggiugono quelle comprese nell’ottava.

In TERZA CLASSE si inizia la scrittura delle note nella tonalità di do maggiore. Il canto acquista maggiore espansione.

In QUARTA CLASSE si fa sperimentare l’intervallo di terza maggiore e minore. Negli anni precedenti la musica era servita per il canto e per coltivare l’orecchio, ora va elaborata in modo che il bambino impari ad assecondare le esigenze della musica come arte.

Si cerca di far comprendere semplici concetti teorici mediante esercizi di ritmo, melodia ed armonia. Si fanno conoscere attraverso l’ascolto pezzi musicali di pregio particolare. Si prosegue con la lettura delle note e si fanno eseguire canti a due voci e canoni.

In QUINTA CLASSE vengono insegnate le tonalità. Si eseguono canti a due e tre voci e canoni.

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Euritmia

l’euritmia è una nuova arte nata nel 1912 dalle indicazioni di Rudolf Steiner. Si può definire poesia e canto resi visibili attraverso il gesto ed il movimento corporeo. Si basa sulla recitazione e sulla musica.

Quando pronunciamo un suono, dentro di noi si crea una sorta di atteggiamento volitivo ed è questo che viene tradotto e reso visibile mediante il movimento euritmico.

Ogni vocale e consonante ha il suo specifico gesto. Anche nel canto si estrinsecano quegli atteggiamenti interiori in corrispondenza delle singole note ed intervalli che a loro volta vengono rappresentati con i movimenti del corpo.

Quando ci di immedesima nella poesia e nella musica e si cerca di seguirne le leggi col movimento, si svolge un’attività che coinvolge l’essere nella sua interezza.

In PRIMA CLASSE il bambino percorre delle forme geometriche o libere seguendo i motivi musicali. Si iniziano i movimenti euritmici relativi alle vocali ed alle consonanti attraverso l’imitazione e servendosi di poesie, filastrocche o brevi fiabe nelle quali sia presente l’elemento ritmico, che si evidenzia alternando passi lunghi e brevi  e si cerca di sviluppare la capacità di ascolto facendo battere il tempo con le mani e con il passo secondo la metrica.

In SECONDA CLASSE si eseguono esercizi del tipo “io-tu” o “noi ci cerchiamo” che hanno la funzione di armonizzare i temperamenti, coltivare l’intelligenza, la vivacità dell’animo, ed un sano senso sociale. Nell’eseguire queste forme ogni bambino deve conoscere esattamente il cammino che deve percorrere e al tempo stesso muoversi in gruppo con gli altri.

In TERZA CLASSE i movimenti corrispondenti ai suoni sono divenuti così sicuri da permettere la rappresentazione di parole e di frasi.

L’euritmia, per il fatto che ogni suono viene espresso con il movimento di tutto il corpo, rappresenta un mezzo efficace per correggere la trascuratezza nello scrivere. Per favorire un rapporto più consapevole con quanto li circonda, rapporto che si risveglia intorno ai nove-dieci anni, si esercita il passo, che li fa sentire saldamente posati a terra.

In QUARTA CLASSE si inizia la rappresentazione degli elementi grammaticali attraverso forme spaziali (verbi e sostantivi).

In QUINTA CLASSE si favorisce il controllo degli arti mediante esercizi con le verghe e l’accentuazione del passo.

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Ginnastica

l’insegnamento della ginnastica inizia in TERZA CLASSE, intesa come proseguimento dell’euritmia. La ginnastica si può definire linguaggio visibile, cioè manifestazione visibile del processo respiratorio che vive in ciò che si esplica quando la respirazione influisce sul sistema sanguigno.

Nel movimento ginnico si ha una irrorazione della muscolatura da parte del sangue con il conseguente irrobustimento e l’acquisto di elasticità di tutto il sistema muscolare.

Eseguendo la ginnastica si sperimentano la statica  e la dinamica, si acquista il senso dello spazio dominato da forze. La volontà si manifesta in modo diretto, mentre nei movimenti euritmici abbiamo piuttosto l’espressione volitiva del sentimento e della vita dell’anima.

Fino ai dieci anni la base fisiologica della ginnastica va vista soprattutto nell’attività del sangue e dei muscoli, e solo dopo i dodici ani si dovrà tenere conto maggiormente della base organica e meccanica del sistema osseo.

La caratteristica degli esercizi adatti ai bambini di terza, quarta e quinta classe sarà dunque la vivacità: si dovrà rcreare un rapporto emotivo e fantasioso tra il bambino e l’esercizio da eseguire.

In QUARTA CLASSE nella ginnastica con attrezzi sono particolarmente indicati la spalliera, la corda, la scala a corda, gli anelli, il cavallo e il salto. Nella ginnastica a corpo libero si prediligono i giochi in cerchio.

In quinta classe cominciano i movimenti indipendenti, fuori dal cerchio, su parole scandite ritmicamente.

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Collegio insegnanti: il colloquio pedagogico

Il modello tradizionale del colloquio pedagogico qui presentato è nato nei Camphill ed è stato creato da un team di medici. Questo modello invece è stato messo a punto da insegnanti.

Il medico agisce attraverso medicamenti, il pegagogo e il terapista agiscono attraverso l’autoeducazione, devono in un certo senso diventare loro stessi medicamento. Il medico si chiede: “Che cosa posso fare per in bambino?”, il maestro si chiede: “Cosa posso fare per me, per aiutare il bambino?”.

Il colloquio termina nel momento in cui ogni partecipante ha trovato un’immagine interiore del bambino (non una terapia); un’immagine archetipica, e questo archetipo ha la caratteristica di essere creativo e vuole manifestarsi.  Dalla creazione di questa immagine archetipica ogni partecipante troverà la sua azione terapeutica per il bambino.

Il colloquio pedagogico si differenzia per età; questo modello si può adottare con bambini in età scolare. L’immagine è quella del labirinto, come cammino di conoscenza, e quindi come percorso figurato del colloquio pedagogico.

Esterno (davanti al labirinto)

Immagine esteriore, descrizione del corpo fisico
. atteggiamento del bambino, postura
. movimento: mimica, sguardo, gestualità, controllo del movimento, forza
. figura del movimento: si muove nell’aria, nell’acqua, nella terra
. come manifesta il rifiuto, la dedizione (ridere, piangere)
. come avviene il contatto col mondo esterno
. come si sente nel proprio corpo (senso della vita)
. destrezza
. pesantezza/leggerezza
Linguaggio
. tono
. volume
. articolazione
. espressione
. respiro
Alimentazione
. comportamento prima e dopo il pasto
. sue sensazioni rispetto a gusto, odorato, vista, calore

Elemento animico
(dentro il labirinto, tra le strade, a volte vicino a volte lontano, perchè non c’è una visione oggettiva, si entra nel soggettivo e ogni maestro del Collegio ha un soggettivo diverso)

Comportamento
. attenzione nell’ascoltare, nel capire, nel parlare, incontro con l’io altrui
. pensare: orientamento spazio-temporale, orientamento dei pensieri, saper fare sintesi, memoria, fantasia, intelligenza, intelligenza pratica, capacità di rappresentazione
. sentire: sentire e adattarsi alla realtà, affettività intesa come tono dell’umore o fondamento base del sentimento, entusiasmo, aspetti sociali ( autostima, comportamento sociale, reazione allo stress, paure)
. volontà: istinto, brame, desideri, motivazione (quattro aspetti della volontà); determinazione (portare avanti l’iniziativa), costanza, volontà di apprendere e di vivere.

Insegnante

(è il punto in cui si deve essere arrivati al centro, stare al centro del labirinto col bambino, vedere coi suoi occhi, sentire con la sua anima

. come deve essere il maestro perchè il bambino si possa sentire capito
. come incoraggiare le sue potenzialità
. qual è l’ambiente adatto al  bambino
. quali regole lo fanno star bene
. qual è il quadro più adatto per la sua stanza
. che ruolo proporgli nelle recite e perchè.

Poesie e filastrocche: i numeri e le quattro operazioni

Poesie e filastrocche: i numeri e le quattro operazioni, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. E’ un materiale molto utilizzato nella scuolas steineriana o Waldorf.

Da uno a dieci
Uno due, la mucca e il bue
due tre, andarono dal re
tre quattro, leccarono il suo piatto
quattro cinque, il re prese le stringhe
cinque sei, olà soldati miei
sei sette, legatele ben strette
sette otto, e fatene un fagotto
otto nove, finchè la mucca e il bove
nove e dieci, diventino due ceci.

 

Numeri
Quando il numero uno vuoi cercare
lo trovi sopra di te, nello splendor solare.
Per me e per te, per la mucca e per il bue
noi contiamo: uno e due.
Mamma papà e bambino, vedi da te
devi contare: uno due e tre.
Quattro stagioni ci sono nell’anno
e i quattro elementi l’universo fanno;
quattro regni ci sono in natura:
l’uomo, l’animale, la pianta e la pietra dura.
In ogni mano cinque dita abbiamo
1, 2, 3, 4 e 5, è con loro che contiamo.
E cinque dita le ha anche il piede, in basso,
danno loro equilibrio e solidità al mio passo.
Se le dita delle due mani contiamo
1 2 3 4 5 6 7 8 9 e al dieci arriviamo.
I diversi numeri del mondo
si stanno intorno da quando siamo nati
ma mai potremo contare, a dire il vero,
tutte le stelle che ci sono in cielo.

 

Numero tre
Io, tu e lui
noi siamo il tre.
Sole, luna e terra
sono il tre.
Mamma papà e bimbo
sono il tre;
terra acqua ed aria
sono il tre.
Testa, cuore ed arti
poi nominare in te
volere sentire e pensare
sono il tre.
Ed ecco perchè
del numero tre
la forma possiamo dare
a tutto il nostro fare.

 

Numerazione del 3
1 2 3 se tu vuoi saper perchè
4 5 6 ti dirò che è stata lei
7 8 9 ti darò tutte le prove
10 11 12 eravamo bagnati fradici
13 14 15 punzecchiati dalle cimici
16 17 18 abbiamo deciso di far fagotto
19 20 21 non è rimasto più nessuno
22 23 24 per la strada incontrammo un matto
25 26 27 che voleva tagliarci a fette
28 29 30 che giornata, santa polenta!

 

Numerazione del 4
1 2 3 4 abbiamo comprato un gatto matto
5 6 7 8 ed insieme anche un leprotto
9 10 11 12 siamo stati a vedere i comici
13 14 15 16 sono venuti pure i medici
17 18 19 20 che per il freddo battevano i denti
21 22 23 24 anche il leprotto diventò matto
25 26 27 28 e decise di far fagotto
29 30 31 32 andò a chiamare l’asino e il bue
33 34 35 36 ma erano partiti già per Canazei
37 38 39 40 quanta paura, tanta tanta!

 

Pinocchietto
Pinocchietto va a palazzo
con i libri sotto il braccio
la lezione non la sa
certo un 4 piglierà
con il 5 non si passa
con il 6 così così
con il 7 ben benino
con un 8 ben benotto
con il 9 professore
con il 10 direttore.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Bambole e giochi Waldorf

Bambole e giochi Waldorf. La domanda su cosa sia veramente il gioco e quale significato sia da attribuire al giocattolo, sembra diventare sempre più difficile.
Troppo facilmente il giocare viene scambiato con il puro e semplice essere occupato.
Si è contenti, quando i bambini fanno qualche cosa e ci si chiede troppo poco sulle forze che vengono di volta in volta suscitate e chiamate ad agire sul bambino.
Vogliamo abbozzare qualche pensiero e dare alcuni esempi pe stimolare le possibilità di osservazione e una comprensione più profonda.

Sempre, quando incontriamo dei bambini in attività, da soli o in piccoli gruppi, possiamo vedere  che, se giocano veramente, rappresentano scene di vita quotidiana. La persona adulta ha per loro una grande importanza.
All’adulto essi alzano gli occhi con ammirazione. In sua presenza sperimentano con lui imposta la sua vita in casa, sulla strada, nei negozi, nel rapporto con le altre persone, ecc…, come si preoccupa per la famiglia, per la casa, come domina la tecnica.
Tutte queste esperienze danno degli impulsi per diventare attivi per ciò che noi chiamiamo giocare. La più grande soddisfazione dei bambini nasce come conseguenza di processi molto faticosi.

 

Ad esempio, se dei bambini di 5 o 6 anni vogliono avere un tipo particolare di automobile, per esempio un’ambulanza, in cui poter anche salire, avranno bisogno non solo di molta fantasia, ma anche di molta abilità, pazienza e forza di volontà.
Eccoli allora mettersi all’opera coi mezzi più semplici: tavolo, cavalletti, sedie, sgabelli, eventualmente delle tavole ben piallate, vengono avvicinate o poste una sopra l’altra in modo adeguato.
Il tutto viene ricoperto e chiuso con dei teli. Le mollette da biancheria offrono in questo caso un prezioso aiuto. Dei legni con la corteccia diventano il paraurti, i fari, il tubo di scappamento, il cambio e il freno; un disco di legno diventa il volante, un pezzo di corteccia sistemato artisticamente lo specchietto retrovisore. Dei cordoncini di lana legati uno all’altro, dei nastri per corone arrotolati saranno le luci di posizione e dei freni. Il lampeggiatore sul tetto viene fatto funzionare da un bambino che siede sopra il veicolo e gira la sua mano.

All’inizio di un tale gioco c’è per lo più l’idea dell’auto speciale e l’impulso a costruirla.
Durante la costruzione, in rapporto ai diversi materiali e ai compagni di gioco, arrivano le singole idee per l’elaborazione, l’allestimento e i miglioramenti. E ogni volta che un’idea ha preso forma, subentra la più grande soddisfazione.
A questo punto ci imbattiamo in una domanda: che cos’è che fa diventare un pezzo di corteccia uno specchietto retrovisore?
Niente altro che la fantasia infantile.
E questa corteccia sarà lo specchietto retrovisore finchè la fantasia dei bambini in questione lo vorrà. Un pezzetto di corteccia analogo può servire allo stesso tempo ad un altro gruppo di bambini come cornetta del telefono, pattino o barchetta.

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Osservatori inesperti possono chiedersi quand’è che i bambini arrivano al gioco vero e proprio, se ogni volta devono impiegare così tanto tempo per fabbricarsi i propri giocattoli.
Poi vedono con sorpresa, che dopo averlo usato per poco tempo o addirittura poco prima della sua conclusione, il tutto viene smontato, trasformato e ricostruito in un altro posto.
Giocare significa dunque essere nel processo, non servirsi di un prodotto finito.

L’uomo, e in modo particolare il bambino piccolo, è un essere in divenire. Anche nell’ambiente che lo circonda, ha bisogno di trovare la possibilità di trasformare, di creare qualcosa di nuovo. Non sono le cose perfette e compiute che rinfrancano, soddisfano e danno forza al bambino. Questo vale in modo particolare per i giocattoli.

I giocattoli dovrebbero avere la caratteristica di sollecitare la fantasia del bambino, in modo tale che egli possa scoprirvi ogni volta qualcosa di diverso.

Un ramo piegato e con più diramazioni, ricoperto completamente con un telo può essere una montagna in un paesaggio; ricoperto solo a metà una grotta per i nani, una stanza delle bambole, una stalla. Un bambino, tenendolo sulla testa, può andarsene in giro a passi maestosi facendo il cervo, un altro può usarlo come falce per tagliare l’erba, un altro come strumento musicale.

Un pezzo di legno tondo spaccato a metà e con un breve ramo laterale, si trasforma in locomotiva, distributore, radio, ferro da stiro o scivolo per il parco giochi della bambola.

 

Non ogni giocattolo si lascia trasformare in questo meraviglioso modo. Certamente diamo ai bambini anche degli oggetti, che sono più formati e che lasciano intravedere una tipica figura umana o di animale, un ponte o una macchina.
Ma non è necessario che essi rappresentino la maggioranza di tutti gli oggetti presenti nella stanza del bambino.

Se poi rivolgiamo attenzione particolare a quei materiali che sostengono e favoriscono un tipo di gioco come quello di cui abbiamo parlato sopra, allora noi diamo nutrimento a quelle forze infantili che premono per essere messe in attività, rafforzarsi ed essere poi a disposizione come potenzialità per altri compiti, durante il periodo della scuola e più tardi nella vita.

In questo tipo di gioco il bambino può sperimentare in modo libero, e nell’essere attivo può conoscere il mondo.

Il collegamento con il mondo può avvenire non solo con la mente, ma andando molto più in profondità, fino nelle funzioni vitali. Questo dà al bambino fiducia e sicurezza interiore.

Per l’adulto è difficile immedesimarsi nel mondo di fantasia del bambino e nell’operare delle sue forze. Troppo facilmente vorrebbe condividere con i bambini il fascino, la gioia, il piacere di guardare oggetti in miniatura, perfette imitazioni o perfino figure umane e animali deformate in caricature.

Ma i “godimenti” non danno ai bambini alcun paradiso, al contrario aiutano a perderlo.
I giochi, cioè l’essere attivi, li mantengono sereni.

 

Un giocattolo offre un godimento solo attraverso il suo aspetto esteriore, serenità solo attraverso il suo uso.
Ciò che rende e mantiene sereno e felice è proprio l’attività, e i giochi dei bambini non sono altro che l’espressione di un’attività seria, rivestita di leggerezza.
Il gioco del bambino non è mai un’attività fatta superficialmente, ma un agire pervaso di profonda serietà.

Se oggi questo non avviene, con alcuni bambini, la causa è da ricercare raramente in loro stessi, bensì nell’ambiente che li circonda: il comportamento degli adulti o il tipo di giocattoli messi a loro disposizione, ha fatto sì che andasse persa la capacità di un gioco pieno di dedizione.
Se si è consapevoli delle necessità pedagogiche, si può rimediare.
Chi ha bambini piccoli attorno a sè, non dovrebbe mai dimenticare di avere una profonda influenza sulle forze di volontà dei bambini attraverso tutte le sue attività e soprattutto attraverso il modo in cui lui è attivo.

Il bambino accoglie in sè tutti gli avvenimenti e le esperienze provenienti dall’ambiente dell’adulto che è attivo intorno a lui, le afferra con la sua volontà, le porta dentro di sè con l’imitazione e dà forma al suo modo di giocare.
E’ importante perciò che l’adulto, in presenza del bambino, sia attivo.
Una mamma quando per esempio lava la verdura, scopa la stanza o stira, agisce in modo molto più stimolante che se scrivesse una lettera; e così il papà che lava l’automobile è più stimolante che se legge il giornale.

Il fatto che il bambino impara attraverso l’imitazione porta con sè la conseguenza che l’adulto, in presenza del bambino, dovrebbe comportarsi in maniera degna di essere imitata.
L’adulto può arrivare a interiorizzare questo fatto a tal punto da diventare capace, col tempo, di guidare il bambino molto più attraverso l’imitazione che attraverso spiegazioni e proibizioni.

Gioco e lavoro, un’apparente contraddizione dal punto di vista dell’adulto.

Ma la differenza tra il gioco del bambino e il lavoro dell’adulto sta solo nel fatto che il lavoro deve adeguarsi ad una meta esteriore, l’attività del bambino invece origina da impulsi che nascono dalla sua stessa interiorità, dalla sua fantasia, senza una precisa responsabilità di fronte ad altri uomini o verso la cosa stessa.

Si può dire che il lavoro è determinato dal di fuori, il gioco dal di dentro.

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Il giocattolo da uno a tre anni

Da uno a tre anni i bambini stanno soprattutto con la mamma, e il loro più grande piacere è trafficare con mestoli, pentole, ecc…

Per questo sono sufficienti solo poche cose nell’angolo dei giochi:

. una grande bambola coi nodi (telo quadrato con il lato di circa 70cm, testa dimetro 12cm)

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Il passaggio dal maiuscolo al minuscolo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare.

Il passaggio dal maiuscolo al minuscolo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare, in uso nelle scuole Waldorf, per presentare lo stampato minuscolo.

Il passaggio dal maiuscolo al minuscolo

Dopo essere state maltrattate per un anno intero, chiuse nei quaderni dei bambini della prima classe, le povere letterine tornarono a casa lamentandosi: la povera A aveva le gambe tutte larghe, la S non ne parliamo visto che ogni tanto i bambini la mettevano addirittura a testa in giù, poi c’era la D con la gobba, la T col tetto cadente, la R con una gamba rotta, la H zoppa, la P con la pancia che pendeva, la I col mal di schiena, la O piena di bitorzoli, la V che prendeva il volo… insomma non vedevano proprio l’ora di tornare a casa a riposare.

Ma non appena varcarono la soglia, quale sorpresa trovarono! Mentre loro erano state coi bambini di prima, le loro sorelline ne avevano approfittato per mettere tutta la casa sottosopra.
Le sorelle maiuscole, stanche e tutte ammaccate, non riuscivano proprio a riposare con tutta quella confusione, e per di più le minuscole facevano un sacco di capricci, e dicevano che anche loro volevano andare a scuola e conoscere i bambini della classe.

Dopo aver passato la notte in bianco, il mattino seguente le poverette stavano peggio di prima, e così decisero di andare tutte dal dottore. Visto che erano gravi, il dottore decise di ricoverarle tutte in ospedale. Ognuna venne curata, medicata, incerottata, ingessata e massaggiata, e dopo due settimane poterono tutte insieme lasciare l’ospedale. Erano tornate come nuove e si sentivano davvero bene, ma il dottore si raccomandò di non interrompere le cure, e consigliò loro di trascorrere un periodo di convalescenza in montagna. Nonostante le cure, infatti, erano ancora piuttosto deboli, e c’era il pericolo di ricadute. Così il dottore si fece promettere che sarebbero andate in montagna da sole, senza le sorelline minuscole.

E le maiuscole uscirono dall’ospedale in fila indiana, ed erano proprio belle: A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z.

Andarono a casa per preparare le valige e salutare le sorelline minuscole, ma quelle cominciarono a strillare e a far dispetti, e testarde e capricciose com’erano, non volevano sentir ragioni. Anche loro volevano andare in vacanza in montagna! Le povere sorelle maiuscole cercarono in ogni modo di convincerle, si spiegar loro che era stato il dottore a prescrivere il riposo assoluto, e che finchè non fossero completamente guarite, non avevano proprio le forze per occuparsi di loro in vacanza.

Ma non c’era niente da fare… Promisero allora che, non appena si fossero sentite un po’ meglio, le avrebbero chiamate, e così anche loro avrebbero fatto un po’ di vacanze in montagna, ma anche questa promessa non servì a nulla, se non a far aumentare le lagne e i capricci.

Allora si accordarono in segreto di far finta davanti alle piccole di aver cambiato idea e di aver rinunciato a partire, e si diedero appuntamento a mezzanotte nella stanza di A. Cenarono come se niente fosse, si lavarono, diedero il bacio della buonanotte alle sorelline e andarono a letto facendo finta di dormire. A mezzanotte, sicure che le piccole monelle fossero cadute nel tranello, si radunarono senza far nessun rumore e si prepararono alla fuga. Ma non si accorsero che due occhietti brillavano sotto il letto, e che una delle sorelline le aveva spiate ed era pronta a spifferare tutto alle altre.

Così, mentre le sorelle maiuscole preparavano i bagagli nella camera di A ed aspettavano l’alba per iniziare il loro viaggio, la sorellina piccola aveva già dato l’allarme alle altre, ed un’altra riunione segreta si stava tenendo al piano di sotto, in cucina…

Alle prime luci del mattino, le maiuscole uscirono in punta di piedi, coi loro zaini e le loro valige, e intrapresero il cammino verso la montagna… pensavano proprio di essere riuscite a farla franca. E non sospettarono mai di nulla, finchè non giunsero ad un’altura che dominava tutto il paesaggio sottostante: l’ampia vallata era disseminata di piccoli e graziosi paesini, ciascuno con la sua chiesetta e il suo alto campanile, c’era un magnifico laghetto che specchiava l’azzurro del cielo e il verde delle montagne, c’erano prati e covoni di fieno… e un po’ più in basso, dietro di loro, c’erano ahimè le sorelline minuscole…

-Aspettateci!-, gridavano quelle sciocchine, troppo piccole per avventurarsi da sole per quei ripidi sentieri -Vogliamo venire con voi!-

Le sorelle maiuscole erano più spaventate che meravigliate, e temendo ormai il peggio gridarono: -Tornate indietro! Potreste cadere da un momento all’altro! Non vedete? Per voi è troppo pericoloso salire fin quassù!-
E mentre le maggiori pensavano di averle finalmente convinte a si fermarono a fare un picnic prima di proseguire per la ripida salita, le piccole fecero finta di tornare indietro, ma approfittando della distrazione delle sorelle, si nascosero dietro ai sassi, agli alberi ed ai cespugli, e ripresero l’inseguimento.

Quando le grandi ripresero il cammino, le piccole fecero altrettanto… arrancavano a gran fatica, cercando di non farsi scoprire, in fila indiana, per mano una dietro l’altra, ma quella salita era davvero troppo per le loro piccole gambette. E successe l’irreparabile: la prima della fila perse l’equilibrio e gridando: -Aiutooooo!- cominciò a rotolare a valle lungo il pendio della montagna, trascinando con sè nella rovinosa caduta tutte le altre.

Di scatto le sorelle maggiori, giunte quasi in vetta, si voltarono e videro le piccole monelle rotolare come una valanga verso il basso, e sparire nell’ampia vallata sottostante. Non restava altro da fare che dire addio alla vacanza, e scendere a cercarle a valle, sperando per il meglio.

Con le orecchie ben aperte ridiscesero il sentiero, e stavano ormai disperando dopo ore ed ore di inutili ricerche.
Giunte a valle, sempre più preoccupate, decisero di dividersi per cercare meglio, ed ognuna prese una direzione diversa.

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Una storia per presentare le vocali in prima classe

Una storia per presentare le vocali in prima classe – un racconto in uso nella scuola Waldorf per presentare ai bambini vocali dell’alfabeto maiuscolo.

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Una storia per presentare le vocali in prima classe

“La storia di Lauretta”

 

Molto, molto tempo fa, in un paese ai confini del mondo,viveva una bambina che si chiamava Lauretta. Quel paese era come un giardino, era un mare d’erba senza confini, i fiori erano i pesci, di mille colori e di mille specie. Se ne occupava un giardiniere, che conosceva tutti i segreti della vita, così quei fiori non appassivano mai, anzi diventavano sempre più belli, luminosi, profumati. Lauretta viveva proprio in quel giardino come un fiore tra i fiori. Ma proprio davanti alla sua casetta di fiori non ce n’erano. Anche lì l’erba era tenera e delicata, l’aria luminosa e tiepida come una carezza, ma non un fiore. E questa sua aiuola davanti casa le metteva malinconia.

Un giorno arrivarono nel paese un uomo e una donna: camminavano lentamente, con la schiena curva, sembravano molto stanchi. Andarono dal giardiniere e gli consegnarono due sacchettini. Poi si stesero sull’erba a riposare, e mentre dormivano il giardiniere aprì i due sacchetti e sparse i semi che contenevano nel prato. Magicamente apparvero nuovi meravigliosi fiori. Lauretta, che aveva osservato la scena da lontano, corse allora dal giardiniere per chiedergli una manciata di quei semi da spargere sulla sua aiuola senza fiori. Ma il giardiniere le disse che lui altri semi non li aveva, e che non ne esistevano nemmeno altri in tutto il loro paese: per procurarseli bisognava essere disposti a partire per un lungo viaggio.

 

Lauretta provava un desiderio fortissimo, che la spinse ai margini del giardino e senza che quasi se ne rendesse conto, si trovò a percorrere il sentiero del bosco, un sentiero che diventava sempre più ripido, stretto e buio. Lauretta aveva paura, ma proprio quando pensò di tornare indietro ricordò il giardiniere e il suo volto rassicurante e sereno, e si fece coraggio. Rialzando lo sguardo, vide sorgere davanti a sè, in fondo al sentiero, un grande arco luminoso. Lo oltrepassò, e si trovò in un’ampia sala circolare, al centro della quale splendeva una creatura incantevole. La sua veste era candida come neve, i suoi capelli una cascata d’argento fine, il suo volto pallido e luminoso come luna d’estate. La splendida creatura sedeva su un cuscino di seta finissima, e teneva fra le dita delicate un sottilissimo filo di luce, che avvolgeva lentamente, in silenzio, formando un gomitolo sempre più grande. Non guardò Lauretta, sembrò proprio non accorgersi nemmeno di lei, continuando ad avvolgere il gomitolo. Lauretta la guardava trasognata e col cuore in attesa.

 

La creatura finalmente si alzò, e fissandola negli occhi, le porse il gomitolo di luce. Lauretta se lo portò al cuore, chiuse gli occhi per un istante poi, raccogliendo tutto il suo coraggio, lo lanciò dietro di sè. Subito si sentì venir meno le forze, e cadde addormentata, mentre il filo magico, srotolandosi, disegnò un sentiero tortuoso, che si perdeva in lontananza, tra il verde. Lauretta si svegliò nell’ora magica dell’aurora, quando tutto è avvolto da pallida luce azzurra. Tutto era silenzio. La natura era immersa nel sonno. Dormivano gli uccelli nel nido con la testina sotto l’ala, dormivano gli scoiattoli raggomitolati nelle loro tane, dormivano le api nelle loro cellette, dormiva la coccinella dentro il calice del fiore bianco, dormiva la lucertola sotto il sasso, dormiva la lumaca sotto la foglia, perfino le mosche dormivano, e le zanzare, e le libellule e le farfalle. I fiori non mostravano i petali, perchè dormivano anche loro. Lauretta si sentiva smarrita, non ricordava nulla di ciò che le era accaduto fino a quel momento, ma lo spettacolo che le si presentò era così straordinario che la fece commuovere: il sole stava sorgendo lentamente all’orizzonte, e intorno a lui si spandeva una calda luce rosata. Le labbra di Lauretta si schiusero senza che se ne rendesse conto, e tutta la sua ammirazione e la sua devozione risuonarono come una lunga A. Dopo qualche istante il sole comparve rosso in tutta la sua maestosità, ed Lauretta fu quasi accecata da tanto splendore.

 

Così cominciò a percorrere il lungo sentiero che il gomitolo di luce aveva tracciato per lei. Il mondo era magnifico, Lauretta non sapeva da che parte voltarsi per ammirare tutto quello che aveva intorno. Era un mondo da scoprire e gustare: colori, suoni, e profumi ovunque. I fiori si erano svegliati e stiracchiavano al primo sole i loro petali, mentre l’erba sembrava un tappeto tessuto con tutte le sfumature di verde. L’aria vibrava del canto degli uccelli. Lauretta corse sui prati, si rotolò tra l’erba, ammirò i cespugli fioriti, vide alberi di ogni forma e grandezza e tra le frode vide fervere la vita: uccelli che costruivano il nido, scoiattoli che si rincorrevano saltando da un ramo all’altro, insetti che ronzavano leggeri nell’aria.”Chi sei?” chiese Lauretta a una creaturina col vestito giallo e nero, che volava di fiore in fiore. “Sono l’ape operosa, faccio visita agli amici fiori che mi danno il dolce nettare da portare nella mia casetta. Con quel succo farò il miele, che piace tanto agli uomini”. Ma ora cosa stava succendendo? Un fiorellino bianco si era messo a volare? Ma no, era una farfalla. “Non devi toccarmi, sulle mie ali c’è la polverina magica che mi fa volare, e se me la sciupi non potrò più visitare i fiori, che mi sono fratelli. Sai, loro hanno le radici e non possono volare, sono io che racconto loro i segreti del cielo, dell’aria e della luce.” La farfalla si posò tra i capelli di Lauretta, e subito altre se ne aggiunsero, a formare una corona. “Ma guardate, farfalline! Lì la terra si sta muovendo, chesuccede?” Un buffo musetto comparve davanti a lei, appuntito, con gli occhi chiusi. “E tu chi sei?”

“Sono la talpa, scavo gallerie sotterranee. Le mie zampette sono anche meglio delle pale che usano gli uomini nel loro lavoro. Piacere di averti conosciuta Lauretta, ma ora è meglio tornare a casa per me, questa luce mi dà fastidio e ho molto lavoro da sbrigare”.

Mentre la talpa ne ne andava, Lauretta sentì solletico a un piede e vide un cosino piccolo e nero camminare veloce veloce “Sono la formica, non farmi perdere tempo bimba. Devo raccogliere il chicco che ho perduto e correre dalle mie sorelle che mi stanno aspettando.””Posso vedere la tua casa?””Sì, ma promettimi di non toccarla, potresti rovinare il lavoro di ore solo muovendo un dito. Se hai pazienza e mi aspetti, ti indicherò la strada.”

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Presentazione dello stampato maiuscolo e dei numeri in prima classe

Presentazione dello stampato maiuscolo e dei numeri in prima classe – un racconto in uso nella scuola Waldorf per presentare ai bambini le lettere dell’alfabeto ed i numeri.

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Presentazione dello stampato maiuscolo e dei numeri in prima classe

Tonino il pastorello

In un paese lontano lontano, ai piedi dei monti, c’era una volta un pastorello di nome Tonino. Viveva da solo in una casetta ai margini del bosco con il suo piccolo gregge di pecorelle. Era molto povero e possedeva soltanto un carrettino che gli serviva per raccogliere la legna per il fuoco e un flauto dal quale sapeva tirar fuori splendide melodie. Non sapeva leggere nè scrivere perchè non mai potuto frequentare la scuola, ma era molto saggio e aveva imparato a leggere nel grande libro della natura, che gli aveva rivelato molti segreti; conosceva i tesori racchiusi in ogni fronda, sapeva distinguere le varietà di minerali nascosti nella roccia, sapeva interpretare il linguaggio del vento, il formarsi delle nuvole, il suono della pioggia. Nel vicino villaggio tutti gli volevano bene perchè era buono e generoso e pur amando la vita solitaria era sempre pronto a rendersi utile, e quando c’era bisogno di lui non negava mai il suo aiuto a nessuno.

Durante l’estate lo si vedeva poco al villaggio, perchè portava le pecore al pascolo sugli alti monti e non tornava che di tanto in tanto. Trascorreva in quei luoghi dei lunghi periodi vivendo sempre all’aperto, parlando solo con le sue pecorelle a cui era molto affezionato, e che conosceva tutte per nome: Bianchina, Batuffolo, Berta, Gippetta… Loro amavano il loro padroncino e mentre brucavano ascoltavano liete il suono del flauto di Tonino che si diffondeva tra i monti, i boschi e le ampie vallate.Di notte il pastorello dormiva sotto le stelle accoccolato accanto al gregge, il buio non gli faceva paura: si sentiva protetto dalla volta stellata che lo avvolgeva come un magico manto.

 

Al sopraggiungere dell’inverno teneva le pecorelle al riparo nell’ovile, e trascorreva le sue giornate occupato in mille lavori che sapeva svolgere con bravura e precisione. Con le sue mani costruiva gli oggetti più svariati: dai cestini di vimini intrecciati che regalava al fornaio in cambio di qualche pagnotta, ai giocattoli per i bambini del villaggio che sapeva intagliare nel legno, dagli arnesi da lavoro per il contadino Virgilio, agli utensili più svariati che gli venivano richiesti. Era davvero bravo e pensava a tutti.

Un giorno, sul finire dell’estate, accadde un fatto molto strano. Il pastorello aveva portato le sue pecorelle a pascolare su un’altura dove l’erba era tenera e fresca. Stava ammirando lo splendido panorama quando, guardando verso il basso, vide un bambino e una bambina che giocavano. Come si divertivano! Il pastorello, dall’alto, poteva sentire le loro grida festose e dalle loro voci li riconobbe: erano Bianca e Berto, i figli del taglialegna; vide che Bianca teneva in braccio proprio quella bambolina che teneva tra le mani anche quando, tempo prima, era andata da lui per chiedergli se poteva farle una culletta di legno. Ma ecco, i bimbi prima gioiosi e tranquilli, cominciarono improvvisamente a litigare.

Tonino cercò di chiamarli, ma erano troppo lontani e non lo potevano sentire, impegnati com’erano a scambiarsi parole cattive. Il litigio si fece sempre più acceso, e i due bimbi finirono per picchiarsi. La bambolina era abbandonata lì, sull’erba. Mentre Tonino pensava al da farsi, vide spuntare dal folto del bosco un esserino con un buffo cappuccetto e un sacchettino sulle spalle. Si guardò intorno con aria furtiva, afferrò la bambolina dimenticata, e quella si rimpicciolì, tanto da poter entrare nel suo minuscolo sacchettino. Poi con la rapidità di un fulmine, sparì tra i cespugli. Per la prima volta il pastorello lasciò incustodite le sue pecorelle, e si precipitò lungo il pendio per inseguire il ladro. Ma le sue ricerche furono vane, sembrava proprio che fosse sparito nel nulla. Sconcertato di fronte a questo mistero, non riusciva a darsi pace, e il giorno dopo si recò a casa di Bianca per capirne qualcosa di più. La trovò molto triste. “Sai cos’è successo? Ho perduto la mia bambolina, proprio quella che mi aveva fatto la mamma. Adesso la cullina che mi avevi fatto per lei è vuota”. Tonino cercò di consolarla, poi la salutò senza dire nulla di ciò che aveva visto, convinto che nessuno gli avrebbe creduto.

Si incamminò verso casa, immerso nei suoi pensieri, quando passando accanto all’abitazione del contadino Virgilio, udì una gran confusione: tutta la famiglia era in agitazione e ognuno si affannava alla ricerca di qualcosa che era misteriosamente scomparso. Il pastorello si avvicinò a Virgilio, e gli chiese cosa stesse succedendo. “Stavo falciando l’erba del campo, quando ho sentito un caldo afoso e insopportabile, così sono entrato un momento in casa a bere e quando sono ritornato fuori la falce era sparita. Mentre andavano insieme a cercarla, in cuor suo Tonino temeva che la falce avesse fatto la stessa fine della bambola di Bianca. Iniziarono a cercare, e mentre Virgilio ispezionava una siepe, sentì dietro di sé una risatina. Si girò con aria minacciosa verso il povero Tonino “Cos’hai da ridere? Mi stai prendendo in giro? Tira subito fuori la mia falce. Adesso sono sicuro che me l’hai presa tu!”. Il pastorello cercò di spiegargli che non era colpevole e che anche lui aveva sentito quella risatina, ma siccome Virgilio invece di credergli si arrabbiava sempre più, non gli restò che andarsene via dispiaciuto, senza dir niente.

Arrivò a casa avvilito e sconsolato, e come se ancora non bastasse lo aspettava un’altra brutta sorpresa: era sparito il suo tavolino nuovo. L’aveva da poco finito di costruire e quella mattina, prima di andare da Bianca, gli aveva dato gli ultimi ritocchi, l’aveva levigato e, dopo averlo verniciato, l’aveva messo fuori perchè si asciugasse. E ora era sparito. Ma cosa stava succedendo? Per non farsi prendere dallo scoramento, decise di impegnare il tempo in qualcosa di utile. Aveva promesso a Bianca un lettino per la nuova bambola che la nonna le stava preparando. Così prese un pezzo di legno di abete e si mise all’opera. Ci mise tanta passione che dimenticò perfino di mangiare. Ma quale soddisfazione a lavoro finito… chissà come sarebbe stata contenta Bianca.

Proprio in quel momento bussarono alla porta, era Bianca che in lacrime diceva “Sei stato cattivo, perchè mi hai portato via la culla? Ho cercato dappertutto in casa, l’hai presa tu. E anche il nonno è arrabbiato e dice che gli ho nascosto la sua pipa, ma io non sono stata”.

Tonino cercò di calmare Bianca come poteva. “Non piangere, lo so che non hai nascosto tu la pipa. Succedono fatti inspiegabili in questi giorni, c’è sotto un mistero, credimi. Anche il mio tavolino è scomparso nel nulla. Ma guarda, ho un regalo per te…” e le mostrò il lettino per la bambola nuova. Bianca tornò a casa col lettino, e fece anche pace col nonno, ma non sapeva che presto anche il lettino sarebbe scomparso.

Nei giorni seguenti nel villaggio continuarono a verificarsi strane sparizioni, che provocarono litigi tra gli abitanti: mogli e mariti si incolpavano a vicenda di trascuratezza e distrazione, i genitori sgridavano i bambini pensando che si divertissero in brutti scherzi, i bimbi litigavano tra loro perchè perdevano i giocattoli… insomma in breve tempo quel paese era diventato il regno del discordia. Una sera gli abitanti decisero di riunirsi nella piazza per cercare insieme una spiegazione. Discussero animatamente per ore. Erano forse tutti vittime di qualche sconosciuta malattia che li aveva colpiti rendendoli disordinati e maldestri? C’era forse tra di loro un ladruncolo, che si divertiva alle loro spalle? Ma chi poteva essere, se tutti si conoscevano così bene e ciascuno godeva della piena fiducia di tutti?Il problema sembrava non aver soluzione, e alla fine ognuno tornò alla propria casa più triste e preoccupato di prima.

Anche Tonino non si dava pace, e una sera, all’imbrunire, mentre come al solito si trovava nel bosco col suo carrettino per raccogliere la legna per il fuoco, accadde un fatto nuovo e inaspettato. Il carrettino procedeva lungo il sentiero sassoso e accidentato, quando all’improvviso una ruota si staccò e cominciò a rotolare lungo il pendio, sempre più veloce. Tonino si mise a correre per cercare di recuperarla, mentre quella si allontanava sempre più lungo i sentieri scoscesi, passando tra cespugli e anfratti di rocce, inoltrandosi nel folto del bosco. Esausto per la lunga corsa, la vide infine fermarsi davanti a una grotta, e quando si avvicinò rimase sbalordito: chi l’aveva fermata? La ruota non poggiava su nessun ostacolo e appariva come trattenuta da una forza invisibile. Con molta cautela, e mantenendosi prudentemente a una certa distanza, scrutò all’interno della grotta e gli parve di distinguere, al debole chiarore di una lanterna, le sagome di alcuni degli oggetti che erano scomparsi nel villaggio. Si fece coraggio e si apprestò ad entrare nella grotta, ma una forza misteriosa lo respingeva, impedendogli di procedere.

Cercò allora di riprendersi almeno la ruota, ma fu inutile. Sembrava incollata al suolo. Tonino era molto spaventato, ma alla fine la curiosità vinse sulla paura e si avvicinò all’ingresso della grotta per cercare nuovamente di entrare. In quel momento sentì dal suo interno un rumore sordo e tonante che lo spaventò come non mai: qualcuno stava russando lì dentro. Terrorizzato Tonino fuggì via correndo come un matto. Percorse di volata la difficile salita e giunse in un’ampia radura erbosa. Si fermò a riprendere fiato, ma le ore erano passate, il sole stava tramontando e c’era solo la luce pallida della luna a illuminare il sentiero. Come trovare la via del ritorno?

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Presentazione delle lettere dell’alfabeto maiuscolo in prima classe

Presentazione delle lettere dell’alfabeto maiuscolo in prima classe – un racconto in uso nella scuola Waldorf per presentare ai bambini le lettere dell’alfabeto.

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Presentazione delle lettere dell’alfabeto maiuscolo in prima classe

 “In una ridente vallata ai confini del mondo…”

 

In una ridente vallata ai confini del mondo, c’era una volta un piccolo villaggio. Le case erano poche, soltanto undici, e c’era una sola stalla, sufficiente ad ospitare tutti gli animali del piccolo paese.

Gli abitanti della ridente vallata erano persone tranquille e felici. Ognuno di essi lavorava e svolgeva il proprio compito in modo da mantenere l’ordine e la prosperità del villaggio.

Le piccole, accoglienti case, erano tutte costruite col legno ricavato dai numerosi pini del bosco. Su ciascuna porta era intagliato il simbolo del mestiere svolto dal capofamiglia. Ciò era necessario in quanto le persone del paese non sapevano ne leggere ne scrivere.

Come dicevamo, ognuno lavorava sodo dalla mattina alla sera. Il contadino Virgilio, ad esempio, dissodava la terra, seminava il grano e gli ortaggi, curava gli alberi da frutto, e faceva tutto questo con tanto amore che i risultati erano sempre più che soddisfacenti. Nella stagione calda il grano era alto e dorato, gli ortaggi di un bel verde splendente e gli alberi davano frutti grossi e succosi. Virgilio contadino aveva il viso rugoso, cotto dal sole, ma sempre ridente, con le sue forti braccia e con l’unica falce esistente in paese manteneva l’erba sempre ben rasata, tanto da farla sembrare un soffice tappeto. Con l’erba tagliata formava dei bei covoni, e i suoi figli si divertivano a saltarci sopra, inventando sempre nuovi giochi, finchè il papà li richiamava all’ordine. Poi, quando il sole aveva asciugato  ben bene l’erba, facendola diventare fieno, i bambini avevano il compito di riporla nel fienile.

Vicino alla casa del contadino Virgilio abitava l’apicoltore, il signor Orazio. Orazio aveva costruito con le sue mani tante piccole casette affinchè le api potessero porvi il nettare che succhiavano dai fiori, dopo averlo trasformato in miele.

Orazio era amico delle api, enon aveva alcun timore di  avvicinarsi alle casette per raccogliere il miele, che distribuiva poi a tutti gli abitanti del villaggio.

Viveva da solo, non aveva ne moglie ne figli, e le sue uniche compagne erano le api. Queste gli raccontavano tante storie sulla vita dei fiori e degli esseri dell’aria.

Un altro abitante del villaggio era Bastiano, il pastore, che oltre alla sua casa aveva una grande stalla dove ogni sera riportava il bestiame al ritorno dal pascolo.

Il suo compito era piuttosto faticoso: partiva all’alba con pecore e le mucche, e anche qualche capretta, saliva per il monti e camminava e camminava, finchè trovava un bel prato verde dove gli animali avrebbero brucato della buona erba.

Bastiano aveva un cane di nome Fido, che lo aiutava nel suo lavoro. Era un cane da pastore, forte, coraggioso e fedele. Bastiano trascorreva molte ore a contatto con la natura, e così era diventato amico degli gnomi e delle ondine che vivevano lassù e cantavano e scherzavano con lui.

Il suo nanetto preferito era Dondolo, il più piccole e il più vivace di tutti. Poi, quando il sole tramontava e scendeva la sera, il pastore riportava il bestiame nella stalla.

Subito iniziava a mungere le mucche e le capre. Il buon latte serviva per fare il burro e il formaggio, oltre che essere bevuto al mattino con la polenta calda. Poi nella stagione giusta, tosava le pecore e portava la lana alle tre filatrici che abitavano nella casa accanto alla sua.

Le tre filatrici erano piuttosto vecchie. Si chiamavano Berta, Nena e Pia e brontolavano in continuazione perchè la lana o era troppo sporca, o troppo corta o troppo riccia, insomma Bastiano non riusciva mai ad accontentarle. Berta aveva un grosso labbrone a forza di leccare il filo di lana,  Nena aveva un pollicione a forza di torcere il filo, e Pia aveva un grosso piedone a forza di calcare il pedale della rocca.

Comunque le tre filatrici facevano bene il loro lavoro: tessevano la lana, la coloravano, poi confezionavano abiti, coperte ed altre cose utili per gli abitanti del villaggio.Nel paese naturalmente c’era anche bisogno di legna da ardere nei camini, o di qualche mobile ed utensile per la casa.

A tutto questo pensava Tobia, che era il boscaiolo. Si recava nel bosco tutti i giorni. Sempre allegro, cantando, con la sua grande scure e le sue forti braccia, abbatteva i pini, ne segava i tronchi, e li preparava per poterli trasportare a valle, nella sua casa. Qui poteva lavorare con gli arnesi adatti e costruiva ciò di cui c’era bisogno. Il suo vicino di casa era Martino, il fabbro.

Dalle sue finestre usciva sempre un gran rumore: infatti egli ferrava i cavalli, batteva sull’incudine e forgiava il ferro caldo per fare utensili per le massaie. I bambini del villaggio amavano molto la casa di Martino: restavano per ore affascinati ad osservarlo mentre svolgeva il suo lavoro.

Ciò che attirava soprattutto i bimbi era il gran fuoco che ardeva in continuazione e nel quale essi riuscivano a vedere gli spiritelli danzare.Il villaggio era attraversato da un torrente che scendeva gorgogliando dalla montagna; l’acqua era pura e cristallina.Sulle rive del torrente si affacciavano la casa del vasaio e il mulino del mugnaio.

Il vasaio si chiamava Domenico ed era abilissimo nel lavorare la creta. La impastava con l’acqua, e dalle sue mani uscivano le più belle ciotole ed i più bei vasi.

Il suo vicino, il mugnaio Giovanni, aveva invece un gran lavorare per preparare la farina. La ruota del mulino girava senza sosta, mossa dall’acqua del torrente, ed il grano posto all’interno del mulino, sulla pietra che la ruota faceva girare, si frantumava fino a diventare impalpabile farina.

Domenico viveva nel mulino che aveva costruito con l’aiuto del boscaiolo, e anche se non era una casa vera e propria, ci stava come un re.

Quando i bambini lo incontravano, si prendevano sempre gioco di lui perchè il suo aspetto era davvero buffo, tutto coperto di polvere bianca dalla testa ai piedi com’era. Giovanni non amava molto lavarsi e più di qualche volta i suoi amici erano costretti con la forza e con gran divertimento, ad immergerlo nel torrente per vederlo pulito.

Pietro era il calzolaio ed preparava e riparava le scarpe per tutti gli abitanti del villaggio. Lavorava molto: i piedi erano tanti! Inoltre doveva conciare le pelli degli animali, renderle morbide e colorarle.

Tutto il paese attendeva con gioia l’autunno: la stagione dell’uva matura e della vendemmia. Vi partecipava in allegria tutto il villaggio, cantando e ballando fino al calar della sera. C’era un gran viavai di gente dai vigneti alla casa di Giacomo il vinaio, che aveva il compito di preparare il vino e conservarlo nelle botti, al buio della sua cantina.

Quando il sole splendeva e dorava i prati, tutti potevano vedere Alchemio, il dottore del paese, che con la schiena ricurva dera e raccoglieva con pazienza erbe, piante e radici per preparare buoni sciroppi e medicamenti per gli ammalati.

Alchemio era molto vecchio e saggio; se qualcuno aveva un problema da risolvere, si consigliava con lui, che sapeva tante cose.

Nelle ora più calde del pomeriggio, i bambini si raccoglievano attorno al vecchio dottore e seduti all’ombra di una grande quercia, ascoltavano rapiti storie e leggende che il saggio conosceva, ma nessuno sapeva come.

Ed ecco, un giorno avvenne qualcosa di molto misterioso, che turbò la serenità del piccolo villaggio…

In una notte di luna piena, comparve nel paese uno strano vecchio tutto vestito di nero. Si guardò intorno con aria furtiva, poi si diresse senza esitare verso la prima casa: quella di Virgilio il contadino.

Bussò alla porta con insistenza. “Chi è a quest’ora di notte?” chiese Virgilio. “Sono un vecchio viandante, devo mangiare qualcosa, e riposare, fatemi entrare…”. Virgilio aprì la porta, un po’ titubante, e fece entrare lo strano vecchio. Lo fece sedere a tavola, e mentre gli preparava il piatto si accorse che la fiamma del camino si spegneva. Come poteva sapere che dove il vecchio passava, ogni fonte di calore si esauriva?

Il povero contadino ne fu molto imbarazzato; avrebbe voluto chiedere spiegazione per ciò che era successo, ma gliene mancò il coraggio. Il vecchio finì di mangiare in silenzio, come se non si fosse accorto di nulla, quindi si alzò, si riavvolse ben bene nel suo grande mantello nero, come per nascondere il suo vero essere, e chiese a Virgilio con tono di comando: “Dov’è lo stanzino degli attrezzi da lavoro?”.

Il contadino, sempre più impaurito, lo accompagnò, e non appena la porta si aprì, il vecchio prese a fissare la falce con i suoi occhi di ghiaccio, lanciando nell’aria il suono “Fffffffff!”. All’istante la bella lucente falce si trasformò in un rigido segno scolpito nell’aria.

Tutto avvenne così rapidamente che Virgilio, sbigottito più che mai, non si accorse neppure che il vecchio se ne era andato.

Poco dopo nell’umile cucina il fuoco riprese ad ardere e tutto tornò come prima. Il povero contadino però, quella notte non potè dormire ripensando all’accaduto, e rischiò più volte di svegliare la moglie che dormiva tranquilla e non si era accorta di nulla.

Ma nel piccolo villaggio c’era qualcun altro che non poteva dormire… era Pietro il calzolaio, che doveva finire di cucire gli stivaletti rossi per i nanetti del bosco, che dovevano essere pronti assolutamente per giorno dopo.

Dovete infatti sapere che Pietro aveva una figlia, unica consolazione della sua vita. Aveva cercato di farla crescere dandole tutto l’amore e le cure possibili perchè non sentisse troppo la mancanza della sua mamma. Ma la bimba si era ammalata gravemente e deperiva ogni giorno di più.

Invano il vecchio saggio dottor Alchemio aveva tentato di guarirla con le sue medicine, così il padre, disperato, un giorno l’aveva presa in braccio e, dopo averla avvolta in una bella coperta di lana, l’aveva portata nel bosco nella speranza che l’aria balsamica della pineta potesse giovarle.

La bimba si lamentava debolmente mentre Pietro piangendo, pregava il buon Dio di aiutarla. Fu così che gli gnomi del bosco, che udirono tutto, uscirono dalle loro case mossi a compassione, si riunirono, parlottarono tra loro, poi svelti svelti cominciarono a raccogliere radici, bacche e succhi della terra.

Si rivolsero quindi a Pietro dicendogli: “Non disperare buon uomo, la tua bimba guarirà se tu per sette giorni la nutrirai con questi prodotti speciali. In cambio però vogliamo qualcosa.”. “Dite pure, sono pronto a qualsiasi sacrificio”.

“Bene, entro sette giorni dovrai confezionare per noi sette paia di stivaletti rossi”. Pietro promise che avrebbe eseguito di certo il lavoro, e se ne tornò sereno a casa con la sua piccina. Fece tutto quello che le creature del bosco gli avevano ordinato e la piccola, un po’ alla volta, cominciò a stare meglio.

Riprese un bel colorito e presto smise di lamentarsi. Sicuramente sarebbe presto ritornata allegra e felice a correre e saltare per casa. Quella notte dunque, Pietro stava lavorando di buona lena per gli gnomi, quando senza farsi sentire anche in casa sua entrò il vecchio dal nero mantello. Il calzolaio sentì solo un brivido di freddo, e non si accorse d’altro.

Il vecchio intanto s’era avvicinato alla sedia dove stava posata la bambola della bimba, e dopo averla fissata coi suoi occhi di ghiaccio, aveva preso a lanciare nell’aria il suono “Bbbbbbb!”. All’istante al posto della bambola rimase nell’aria uno strano segno, ed il vecchio sparì, in silenzio così come era entrato.

Da qualche tempo nel villaggio fervevano i preparativi perchè si stava avvicinando il giorno delle nozze tra il pastore Bastiano e la figlia di Tobia il boscaiolo.

Il padre della sposa doveva procurarsi il legname per fare i mobili che servivano ad arredare la camera da letto degli sposi. Il pastore Bastiano infatti non aveva un letto a casa sua, perchè dormiva da sempre in un giaciglio, e spesso anche nella stalla, dove faceva più caldo, e dove gli animali gli tenevano compagnia.

Una mattina all’alba, il boscaiolo Tobia si avviò nel bosco per abbattere gli alberi che servivano a preparare il legno necessario per la costruzione del letto. Per fortuna era di buon umore, perchè proprio quel giorno i folletti, i nanetti e le altre creature del bosco erano in vena di scherzi, anche più del solito.

Tobia li conosceva bene, e quindi non si stupì quando vide il primo tronco abbattuto muoversi da solo. Quando poi era pronto ad abbattere un secondo albero, la sua scure era sparita, e solo dopo lunghe ricerche la trovò nascosta tra i rami di un pino.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Alfabeto illustrato steineriano

Alfabeto illustrato steineriano: ogni lettera illustrata con un oggetto che inizia con la lettera scelta, ma che anche richiama la forma della lettera nella sua forma stessa.

 

A angelo
B bambola
C culla
D drago
E elicottero
F falce
G grotta (gnomo)
H è muta
I io
L letto
M montagne
N nano
O orologio
P pipa
Q quadro(quattro)
R ruota
S serpente
T tavolo
U uva
V valle
Z zaino

Come vedete, lo sforzo è quello di cercare  un elemento che richiami nella forma e nel suono iniziale del suo nome, la forma della lettera…

Per la lettera A usiamo l’angelo. Ricordo però che generalmente le vocali sono presentate a parte, evocando il sentimento e richiamando alla forma del suono nell’euritmia, e non solo la forma della lettera:

 

Alfabeto illustrato steineriano – LETTERA B: BAMBOLA

Alfabeto illustrato steineriano – LETTERA C: CARROZZINA (O CULLA)

 

Alfabeto illustrato steineriano – LETTERA D: DRAGO

 

LETTERA E: ELICOTTERO

LETTERA F: FALCE

 

LETTERA G: GROTTA

LETTERA H

 

 

LETTERA I: IO

 

LETTERA L: LETTO

 

LETTERA M: MONTAGNA

Alfabeto illustrato steineriano LETTERA N: NANO

 

LETTERA O: OROLOGIO

 

LETTERA P: PIPA

 

LETTERA Q: QUADRO

 

LETTERA R: RUOTA

 

LETTERA S: SERPENTE

LETTERA T: TAVOLO

 

LETTERA U: UVA

LETTERA V: VALLE

LETTERA Z: ZAINO

 

 

 

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