ALBERI FORESTALI tavole riassuntive e schede

ALBERI FORESTALI tavole riassuntive e schede  pronte per la stampa e il download, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. 

Trovi la tavola riassuntiva della classificazione delle piante qui:

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E questo lo stesso materiale in formato scheda:

ALBERI FORESTALI tavole riassuntive e schede

LE SOLANACEE tavole riassuntive e schede

LE SOLANACEE tavole riassuntive e schede  pronte per la stampa e il download, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. 

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LE SOLANACEE tavole riassuntive e schede

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LE COMPOSTE tavole riassuntive e schede

LE COMPOSTE tavole riassuntive e schede  pronte per la stampa e il download gratuito,in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.

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LE OMBRELLIFERE tavole riassuntive e schede

LE OMBRELLIFERE tavole riassuntive e schede pronte per la stampa e il download gratuito, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.

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LE ROSACEE tavola riassuntiva e schede

LE ROSACEE tavola riassuntiva e schede  pronte per la stampa e il download gratuito, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.

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LE ROSACEE tavola riassuntiva e schede

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LA CLASSIFICAZIONE DELLE PIANTE scheda riassuntiva

LA CLASSIFICAZIONE DELLE PIANTE scheda riassuntiva pronta per la stampa e il download in formato pdf, per bambini della scuola primaria.

Le piante si suddividono in due grandi categorie: le piante con fiore e le piante senza fiore.

Tra le piante con fiore troviamo quelle con foglie a nervature non parallele e quelle a nervature parallele.

Tra le piante con foglie a nervature non parallele troviamo tutte le piante che presentano fiori completi, cioè con stami, petali, sepali e pistilli, che sono:
– crucifere
– rosacee
– leguminose
– ombrellifere
– composte
– solanacee

e piante che presentano due qualità di fiori sullo stesso albero, che sono gli alberi forestali come la quercia.

trovi il materiale sulle crocifere qui:

trovi il materiale sulle rosacee qui:

Ho utilizzato la pianta del fagiolo in queste tavole:

– parti della pianta e funzioni: 

– il fiore e la fecondazione:

– la germinazione: 

trovi il materiale sulle ombrellifere qui:

trovi il materiale sulle composte qui:

trovi in materiale sulle solanacee qui:

trovi il materiale sugli alberi forestali (cupolifere) qui:

Tra le piante con foglie a nervature parallele troviamo:
– liliacee
– graminacee

trovi il materiale sulle liliacee qui:

trovi il materiale sulle graminacee qui:

Le piante senza fiore comprendono:
– felci: con radici, fusto, foglie
– muschi: con fusto e foglie, senza radici
– alghe: ne radici ne fusto ne foglie

trovi il materiale sulle felci qui:

trovi il materiale sui muschi qui:

trovi il materiale sulle alghe qui:

I funghi non sono da considerarsi piante.

trovi il materiale sui funghi qui:

LA CLASSIFICAZIONE DELLE PIANTE scheda riassuntiva

Recita per la festa degli alberi – 21 novembre

Recite per la festa degli alberi – 21 novembre brevi recite sull’albero e il bosco per la scuola d’infanzia e primaria.

A colloquio con gli alberi

Narratore: Il bosco sembra dormire nel suo grande silenzio accarezzato dal vento.

Bambino: Quanti alberi uno vicino all’altro su questa montagna!

Abete: Siamo così fitti perchè formiamo un bosco

Bambino: Come ti chiami?

Abete: Io sono l’abete. Ci cono però qui altre conifere: i pini e i larici. Ci chiamano così perchè abbiamo la chioma a forma di cono.

Bambino: E dimmi, siete sempre così verdi?

Abete: Noi e i pini sì, perchè sopportiamo il freddo. Il larice invece in autunno resta nudo come la maggior parte degli alberi.

Bambino: Ci sono solamente boschi di conifere?

Abete: No, ci sono boschi di castagni, di faggi, di querce, di noci, di noccioli e di tante altre piante.

Pino: Noi siamo però i più belli: chiunque ci vede rimane incantato. Anche tu, ad ogni Natale, adoperi i nostri rami più piccoli o le nostre cime per fare l’albero tutto splendente di luci. Non è vero?

Bambino: Sì, è vero.

Narratore: Il bambino fa qualche passo, poi si avvicina a un pino e fa per appoggiare una mano al tronco.

Pino: Sta’ attento. Non mettere le dita sulla resina.

Bambino: A che cosa serve?

Pino: Difende il tronco ed è anche utile all’uomo. Ma l’utilità che vi diamo noi alberi non è tutta qui.

Abete: Il pino ha ragione. Sapessi, mio caro piccolo amico, quanto legname vi diamo continuamente noi alberi, e voi con esso costruite case, navi, ponti, mobili; cuocete i cibi e vi riscaldate durante l’inverno. Inoltre le nostre radici trattengono i terreni evitando molti disastri, inondazioni, frane, alluvioni.

Pino: Non ti sei ancora chinato ad osservare il soffice tappeto dove ora cammini? Ai nostri piedi nascono e maturano mirtilli, fragole, lamponi, e fioriscono ciclamini, ranuncoli, bucaneve…

Abete: E vi puoi trovare anche molti funghi.

Bambino: Che buoni!

Abete: Sì, ma devi stare attento a quelli velenosi, perchè un solo pezzettino potrebbe farti morire.

Bambino: Sì, lo so. Ora, purtroppo, devo andarmene. Mi piacerebbe riposare qui e respirare sempre quest’aria fresca, leggera, satura di profumi. In città l’aria non è affatto pura, nè sa di resina. D’estate poi si soffoca dal caldo! Vi prometto di risalire fin quassù il prossimo anno. Aspettatemi!

Narratore: L’abete si curvò, e il bosco ripiombò nella sua pace montana, rotta soltanto dalla voce del vento

(M. Zagaria)

Festa degli alberi

Gruppi di bambini: tutti agitano ramoscelli o presentano frutti della pianta che rappresentano.

Io sono la quercia robusta. Vivo anni e secoli. Resisto alla furia dei venti. Do il solido legno e il ceppo per le lunghe veglie. Evviva la quercia, regina delle alture!

Io sono il pino, re dei monti. Do legno alle navi che solcano i mari e do salute. Nereggio nella foresta, ma d’inverno mi vesto di candida neve.

Ed io sono l’ulivo, dalle pallide foglie argentate e dalle bacche che danno l’olio prezioso. Dico a tutti una parola di pace. Come la luce e le stelle serene, un po’ di pace ci fa tanto bene.

Sono il castagno. Scalco i vecchi stanchi, i bimbi buoni, bruciando nel focolare. Do travicelli e travi alla modesta casa che ripara dal freddo e brilla nella notte; il frutto saporito e nutriente ai piccoli e ai grandi; lo strame alla vaccherella ch’è la ricchezza del povero montanaro. Do tutto, mentre rabbrividisco al vento!

Io sono il melo. Mi adorno di candidi fiori a primavera, offro in autunno le mele saporite. Come altri alberi, dono frutta per la delizia dei bambini, legna nel crudo inverno, legname buono per molti lavori.

Ed io sono il pesco. Mi vesto di rosa in primavera, offro frutti squisiti in estate.

Ecco il ciliegio. Quanti mazzetti di corallo brillano tra il verde delle mie foglie, al finire di maggio! E che delizia per i bambini!

Io sono l’albero: pino o ciliegio, castagno od ulivo, platano o pioppo, gelso od ontano, pesco o rovere; io rappresento le buone piante che aiutano l’uomo a ripararsi dal freddo  e dalle intemperie, allietano le sue veglie, mitigano al lavoratore e al viandante il calore estivo, a tutti offrono doni! Non fateci male, bambini, strappando fronde e fiori, tormentando il tronco. In cambio dei nostri doni, noi non chiediamo che di essere rispettati e difesi nel nostro sviluppo: null’altro!

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici e materiale didattico sulle PIANTE

Dettati ortografici e materiale didattico sulle PIANTE

Una strana pianta
Stamani la zia Bettina s’è molto inquietata con me per uno scherzo innocente che, in fin dei conti, era stato ideato con l’intenzione di farle piacere.
Ho già detto che la zia è molto affezionata a una pianta di dittamo che tiene sulla finestra di camera sua,  a pianterreno, e che annaffia tutte le mattine appena si alza. Basta dire che ci discorre perfino insieme e gli dice: “Eccomi, bello mio, ora ti do da bere! Bravo, mio caro, come sei cresciuto!”. E’ una mania, e si sa che tutti i vecchi ne hanno qualcuna.
Essendomi dunque alzato prima di lei, stamattina, sono uscito di casa, e guardando la pianta di dittamo m’è venuta l’idea di farla crescere artificialmente per far piacere alla mia Bettina che ci ha tanta passione.
Lesto lesto, ho preso il vaso e l’ho vuotato. Poi al fusto della pianta di dittamo ho aggiunto, legandovelo bene bene con un pezzo di spago, un bastoncino dritto, sottile ma resistente, che ho ficcato nel vaso vuoto, facendolo passare attraverso quel foro che è nel fondo di tutti i vasi da fiori, per farci scolare l’acqua quando si annaffiano.
Fatto questo, ho riempito il vaso con la terra che vi avevo levata, in modo che la pianta non pareva fosse stata minimamente toccata; e ho rimesso il vaso al suo posto, sul terrazzino della finestra, il cui fondo è di tante assicelle di legno, facendo passare tra l’una e l’altra di esse il bastoncino che veniva giù dal foro del vaso e che io tenevo in mano, aspettando il momento il momento di agire. Dopo neanche cinque minuti, eccoti la zia Bettina che apre la finestra di camera, e incomincia con la sua scena patetica col dittamo:
“Oh, mio caro, come stai? Oh, poveretto, guarda un po’: hai una fogliolina rotta.. sarà stato qualche gatto… qualche bestiaccia…”
Io me ne stavo lì sotto, fermo, e non ne potevo più dal ridere.
“Aspetta, aspetta! seguitò a dire la zia Bettina.
“Ora piglio le forbicine e ti levo la fogliolina troncata, se no secca… e ti fa male alla salute, sai, carino!”
Ed è andata a prendere le forbicine. Io allora ho spinto un po’ in su il bastoncino.
“Eccomi, bello mio!” ha detto la zia Bettina tornando alla finestra. “Eccomi, caro !”
Ma ha cambiato a un tratto il tono della voce ed ha esclamato: “Non sai cos’ho da dire?Che tu mi sembri cresciuto!”
Io scoppiavo dal ridere, ma mi trattenevo, mentre la zia seguiva a nettare il suo dittamo con le forbicine e a discorrere: “Ma sì, che sei cresciuto.. E sai cos’è che ti fa crescere? E’ l’acqua fresca e limpida che ti do tutte le mattine… Ora, ora.. bello mio, te ne do dell’altra, così crescerai di più…”
Ed è andata a pigliar l’acqua. Io intanto ho spinto in su il bastoncino, e questa volta l’ho spinto parecchio in modo che la pianticella doveva parere un alberello addirittura.
A questo punto ho sentito un urlo e un tonfo. “Uh, il mio dittamo!”
E la zia per la sorpresa e lo spavento di veder crescere la sua pianta a quel modo, proprio a vista d’occhio, s’era lasciata cascar di mano la brocca dell’acqua che era andata in mille pezzi.  Poi sentii che borbottava queste parole: “Ma questo è un miracolo! Ferdinando adorato, che forse il tuo spirito è un questa cara pianta che mi regalasti o desti per la mia festa?”
Io non capivo precisamente quel che voleva dire, ma sentivo che la sua voce tremava e, per farle più paura che mai ho spinto più in su che potevo il bastoncino. M mentre la zia, vedendo che il dittamo seguitava a crescere, continuava ad urlare: “Ah! Oh! Oh! Uh!, il bastoncino ha trovato un intoppo nella terra del vaso, e siccome io lo spingevo con forza per vincere il contrasto, è successo che il vaso si è rovesciato fuori dalla finestra, ed è caduto rompendosi ai miei piedi.
Allora ho alzato gli occhi e ho visto la zia affacciata, con un viso che faceva paura.
“Ah! Sei tu!” ha detto con voce stridula. Ed è sparita dalla finestra per riapparire subito sulla porta, armata di un bastone.
Io, naturalmente, me la son data a gambe per il podere, e poi sono salito sopra un fico dove ho fatto una gran scorpacciata di fichi verdini, che sredovo di scoppiare.
Vamba (da “Il giornalino di Gian  Burrasca”)

Dal fiore al frutto

Tra la nube dei fiori del frutteto le api sono incessantemente all’opera; e se osserviamo un fiore schiuso da qualche ora, sullo stimma verde ed umido non sarà difficile scorgere qualche granulo di polline giallo portato lì da un’ape.
L’impollinazione è il primo atto della nascita di un frutto. Prendiamo due fiori, il primo lasciamolo libero all’aria, il secondo ingabbiato in un sacchettino di garza in modo che le api non vi si possano posare. Il primo verrà impollinato, il secondo no; poche ore dopo vedremo che i petali del primo fiore stanno cominciando a scolorire; il rosa del fiore di pesco diventa bianco, il bianco del pero diviene grigio. Il secondo fiore si mantiene invece fresco e puro, i suoi colori risplendono per richiamare un insetto che porti il polline così necessario.

Torniamo ora al primo fiore, che è stato impollinato; i suoi petali cadono, il suolo sotto agli alberi è coperto di petali. Il fiore del mele e del pero si riduce così al solo calice, una stellina verde a cinque punte. Nel fiore del pesco anche il calice appassisce; ma entro pochi giorni vedremo che sotto alla spoglia rinsecchita c’è qualche cosa che preme e si gonfia, finchè la spoglia si spacca e cade; è l’ovario, che nel fiore era minutissimo ed ora invece è già trasformato in una minuscola pescolina. Dentro di esso vi sono diverse loggette nelle quali si trovano dei corpicini verdi: i semi.

Nel frutticino del melo, come in quello del pesco, già poche ore dopo l’impollinazione si svolge un’attività straordinaria; se potessimo osservare la respirazione di queste creaturine ci accorgeremmo che respirano il doppio o il triplo di un fiore non impollinato. Lo sviluppo dei semi, che comincia subito dopo l’impollinazione, è la causa di questa notevole attività.
Il seme è la parte più importante del frutto. Nel seme vi è un embrione ossia una pianta piccolissima: lo si vede molto bene ad esempio fendendo in due il seme del cachi. Per le piante il seme è la parte più importante del frutto; avviene così che esse nutrano più volentieri un frutto che ha molti semi di uno che ne ha pochi; e che lasciano cadere un frutto che non ne ha nessuno.
Si verificano così, poco dopo la fioritura, le “cascole” delle piante da frutto. Cadono prima i fiori che non hanno ricevuto il polline; poi cominciano a cadere i frutticini. Sono le mele e le pere in cui l’embrione è morto perchè ha sofferto la siccità o la brina; oppure i frutti con pochi semi. Non c’è da preoccuparsi in genere per queste cadute di frutti; sull’albero ce ne sono talmente tani che ne restano sempre abbastanza per un buon raccolto.

Ed ecco che i frutti cominciano a prendere colore; il verde diventa giallo, certe parti della buccia cominciano a prendere il color rosso.
Le ciliegie, per esempio, sono di un rosso acceso bellissimo; merli e passeri non possono fare a meno di fermarsi ad ammirarle e dar loro una beccatina. Finchè il seme è immaturo, il frutto ha cercato di non farsi notare, è rimasto verde; ma ora che il seme è pronto, il frutto si rende visibile, perchè c’è il caso che il merlo o il passero invece di beccare semplicemente la ciliegia voglia portarsela via per mangiarla con comodo; e in questo caso il seme verrebbe portato lontano.

Una quantità di alberi da frutto e di altre piante vengono diffuse dagli uccelli; il caffè per esempio viene diffuso dalle scimmie e il tasso e il vischio dal merlo. Ci sono parecchi semi che hanno una buccia talmente dura da poter sopportare i succhi gastrici dello stomaco degli animali. L’animale mangia il frutto, lo digerisce e lascia cadere il seme a qualche chilometro di distanza.
Confrontiamo ora due tipi di frutto, la nocciola e la ciliegia: il primo è un frutto secco, ossia l’ovario del fiore si è trasformato in un guscio durissimo che protegge il seme. Il secondo è invece un frutto polposo: all’esterno troviamo una buccia elastica; poi un secondo involucro: la polpa del frutto; infine un terzo involucro, il guscio durissimo che protegge il seme. I botanici hanno cercato di classificare i frutti in una serie di tipi diversi, e hanno avuto un bel da fare perchè su cento piante troveremo cento tipi di frutto. Vediamone qualcuno.
Il baccello del fagiolo è di nuovo un frutto secco. Però, al contrario della noce, quando è maturo si apre lasciando uscire i semi.

Un altro bel tipo di frutto è la capsula: anch’esso si apre quando è maturo, ma non si divide in sue valve come il baccello. Prendiamo ad esempio la capsula del garofano e dei suoi parenti: finchè i semi sono teneri è un piccolo orciolo verde ben chiuso. Quando i semi maturano si apre alla sommità con una perfetta corona di dentini che si rovesciano all’indietro; sono sei oppure dieci, o talora cinque secondo la pianta. Anche il papavero possiede una capsula altrettanto graziosa: ha un coperchio piatto che a maturità si solleva leggermente scoprendo una serie di fessure. Gli steli nel frattempo si sono essiccati e sono divenuti rigidi; il vento non li fa più ondeggiare dolcemente, ma imprime loro una serie di scosse brusche che fanno volar fuori i semi.

Insomma la varietà di forme dei frutti è veramente straordinaria, come potremmo osservare guardando qualche decina di piante diverse. Un curioso passatempo è quello di sezionare un fiore cercando quale parte diventerà il frutto. Nel pesco e nel pisello, per esempio, togliendo il calice, la corolla e la corona degli stami rimarrà libero l’ovario con lo stimma: e sarà molto facile riconoscere nell’ovario la futura pescolina o il futuro baccello. Nel fico invece sarà piuttosto difficile trovare il fiore perchè è al sicuro e ben protetto.

sull’argmento impollinazone e fecondazione trovi altro materiale didattico qui:

Come è fatto il seme?

Prendiamo un seme di una mela e togliamogli la buccia scura: nell’interno troveremo due masserelle simili a foglie bianche spesse e dure:  i cotiledoni. In alto, tra i cotiledoni, vi è un piccolo essere dall’apparenza insignificante che racchiude in sè tutta la vita della futura pianta: è l’embrione.
Questo, quando il seme sarà interrato, prenderà nutrimento dai cotiledoni e diventerà una nuova pianta. Ma i cotiledoni a che cosa servono? A nutrire l’embrione finchè non avrà la forza sufficiente per assorbire dal terreno il nutrimento.

L’astuzia delle piante per la diffusione dei semi

Le piante non si possono muovere dal posto dove si trovano abbarbicate e perciò adoperano i sistemi più ingegnosi per poter diffondere i loro semi.
Alcune ricoprono il seme di una polpa dolce e succosa, perchè gli animali e l’uomo stesso se ne impadroniscano e, gettato via il nocciolo, che è duro, permettano, anche senza volere, la nascita di una nuova pianta.
Alcune hanno i semi muniti di ganci e uncini, che si aggrappano al pelo degli animali e ai nostri vestiti e vengono trasportati lontano, prima di cadere sulla terra dove genereranno un’altra pianta.

Altre hanno i semi muniti di eliche o di paracadute, graziosi ombrellini di fate. Il vento li stacca dalla piante madre e, su per le vie dell’aria, li conduce con sè fino al luogo dove la terra li accoglierà.
Altre piante ancora, che vivono vicino all’acqua, hanno semi come piccole navicelle, che navigano sulla corrente senza che l’acqua li corrompa, finchè approdano e danno vita ad una nuova pianta.
Ma le piante più curiose sono quelle che esplodono addirittura i loro semi, come fanno il geranio, la viola, il popone. I semi sono tanto pigiati dentro la loro stanzina che, quando non ne possono più, schizzano fuori come piccoli proiettili, si capisce, senza far fracasso. (A. Lugli)

Importanza dell’albero

Enorme è l’importanza che riveste l’albero nell’economia dei popoli, con la sua triplice funzione: produttrice, difensiva e climatica.
Chi può enumerare tutti i prodotti che l’albero ci fornisce sia direttamente che attraverso i mirabili processi chimici e meccanici delle industrie moderne?

Dai frutti, che ci donano, insieme con tutte le fragranze, l’intero complesso degli alimenti indispensabili alla vita (zuccheri, amidi, proteine, grassi, sali, vitamine), al legno che, nelle sue fibre dure e pur cedevoli, tenaci e pur elastiche, assomma le virtù di una materia prima insostituibile per le industrie del legname, per l’ebanista, il liutaio, il carpentiere; dal sughero soffice e impermeabile alle pregiate resine, dalle materie tannanti alle sostanze medicinali, dalla carta alla seta artificiale.

Non meno importante è la funzione difensiva esercitata dall’albero. Guai se i monti non fossero, almeno in parte, coperti dal manto protettore dei boschi, guai se i terreni incoerenti e franosi rimanessero esposti all’azione distruttiva delle acque dilavanti e degli agenti degradatori dell’atmosfera. Si chiamano dilavanti le acque che, durante le piogge torrenziali, scorrono impetuosamente lungo i declivi asportandone la coltre terrosa e mettendo a nudo la roccia. (esperimento sull’erosione del suolo  )

Quanti colli, in passato adorni di magnifiche selve, sono oggi completamente isteriliti a causa di un inconsulto diboscamento e mostrano i loro fianchi incisi da solchi profondi separati da lame di roccia striata e corrosa, gli orridi calanchi e, al piede dei declivi, ammassi caotici di sfasciume, selvagge petraie di grigio calcare rupestre, in un quadro di squallore e desolazione.
E’ l’albero che protegge gli argini dei torrenti e contiene l’impeto delle acque, è l’albero che trattiene e consolida i terreni franosi nell’intreccio delle sue radici salde come maglie d’acciaio, è l’albero che imbriglia le mobili dune e le trasforma in colline verdeggianti, che redime la mortifera palude, erompe trionfante dalle ardenti sabbie del deserto sol che le sue radici trovino un minimo di umidità vitale.

Ben nota è l’influenza che l’albero esercita sulle condizioni climatiche del territorio circostante.
La vegetazione boscosa attenua le  radiazioni solari, assorbe calore e lo restituisce lentamente all’atmosfera, rendendo meno aspra l’escursione termica diurna; rompe, con l’ostacolo opposto dal tetto delle sue chiome, la forza del vento, e la sua azione prosciugante trattiene e condensa l’umidità atmosferica, influenzando il regime delle piogge. Infine, il bosco accresce bellezza al paesaggio e gli dà un’impronta di solennità e di magnificenza.
(B. D’Alessandro)

Vedi anche:

A che cosa servono le piante

Le piante sono amiche generose degli uomini e degli animali. Chi ci darebbe il pane e gli altri cibi, le vesti e il legname per costruire mobili ed altri oggetti utili, se non ci fossero le piante?
Inoltre esse ci danno medicinali, cellulosa e gomma tanto necessarie alle nostre industrie.
Sono utilissime alla nostra salute. Infatti hanno il mirabile potere di assorbire dall’aria un gas nocivo, l’anidride carbonica, e di  donarne un altro prezioso che si chiama ossigeno.

Le loro radici ramificate nel terreno ed i loro tronchi sono come delle barriere che impediscono il formarsi di frane e valanghe. Le loro foglie ci donano l’ombra e la frescura nelle ore afose dell’estate ed i loro fiori ci rallegrano con i loro colori.

La bellezza degli alberi

Gli alberi sono belli in qualunque stagione: quando d’inverno ricoperti di brina o di neve assumono, al nostro sguardo, le forme più strane; quando, in primavera, le tenere foglie li ricoprono; quando, d’estate, offrono comodo ristoro; quando, d’autunno, si vestono dei più vari e vivaci colori.

Per il lavoro di ricerca:

. Quali differenze ci sono tra alberi, arbusti ed erbe?
. Quali sono le parti principali di una pianta?
. A che cosa serve la radice? E il fusto?
. A che cosa servono le foglie?
. Quali piante si dicono alimentari e perchè?
. Che cosa sono i cereali?
. Quali piante da frutto prosperano nelle nostre campagne?
. Quali sono le piante industriali? A che cosa servono?
. Che cosa sono le conifere?
. Dai semi o fiori o frutti o radici di molte piante si ricavano sostanze preziose per la salute dell’uomo: ricerca il nome di alcune di esse.
. Che cosa scorre sotto la corteccia delle piante?
. Dormono anche le piante?
. Senza le piante, potrebbero vivere gli uomini e gli animali?
. Che cosa sono gli ortaggi?
. Perchè alcune piante si dicono tessili?
. Ricerca notizie sulla canapa, il lino e il cotone.
. Che cosa sono le piante grasse?
. Dove vivono le alghe?
. Quali sono i nemici degli alberi?

Alberi, arbusti, erbe

La terra verdeggia di piante: sono alberi, arbusti, erbe.
Gli alberi hanno tronco altro e vigoroso e rami estesi, ricchi di foglie. Gli arbusti hanno gambi brevi, legnosi, flessibili, intrecciati fittamente. Le erbe hanno stelo sottile, corto, fragile e crescono folte nei prati.

Le piante offrono alimenti e sostanze utili agli uomini ed agli animali. L’uomo si nutre di frutta e di ortaggi; costruisce mobili di quercia e di noce; molti animali si nutrono di semi e di erbe.

Le parti principali di una pianta

Le parti principali di una pianta sono la radice, il fusto e le foglie.
La radice serve a fissare la pianta al terreno. Assorbe da questo l’acqua e le sostanze minerali necessarie alla nutrizione della pianta.

Il fusto sorregge le foglie ed i fiori. Nel suo interno vi sono canali che servono a trasportare, dalle radici alle foglie e da queste agli altri organi, le sostanze necessarie alla nutrizione della pianta. Alcuni fusti (bulbi, rizomi, tuberi) servono alla pianta come magazzini di riserva.

Le foglie sono generalmente verdi. Esse sono i polmoni delle piante: con le foglie la pianta respira. Inoltre, le foglie provvedono a fabbricare una parte del nutrimento necessario alla pianta.

Come sono fatte le piante

Tre sono le parti fondamentali della pianta: le radici, il fusto e le foglie.
Le radici affondano nel terreno come le fondamenta di una casa ben costruita. Ad esse, infatti, è affidato il compito,  importantissimo, di sostenere la pianta. E come le fondamenta di un edificio racchiudono la cantina nella quale si possono conservare le provviste, anche le radici funzionano da cantina e dispensa per la pianta.

La terza funzione delle radici, forse la più importante di tutte, è quella di assorbire il nutrimento dal terreno. A questo scopo le estremità delle radici sono coperte da sottili peluzzi che si insinuano nel terreno. La parte estrema di essi è protetta da una cuffia che permette alla radice di avanzare nel terreno. Così, attraverso la sottilissima membrana che ricopre la radice, la pianta assorbe dal terreno il nutrimento che le occorre.

Il fusto ha forme diversissime; è fusto il filo d’erba come una quercia gigantesca. Si hanno così fusti che durano un anno e fusti che possono sfidare i secoli. All’esterno il grosso tronco legnoso è ricoperto da una spessa corteccia che ne difende le delicate parte interne. A volte questa corteccia si trasforma in sughero. Lungo il fusto spuntano gemme da cui nasceranno i rami e le foglie.
L’interno di un fusto è un meraviglioso impianto di condutture. I canali che lo percorrono sono di due tipi: tubi legnosi che portano verso le foglie l’acqua e le sostanze alimentari assorbite dal terreno e tubi crobosi (tessuto vegetale che forma pareti sottili e ricche di fori, in funzione di crivello, cioè di setaccio) che riportano giù verso le radici ed i suoi depositi sotterranei ciò che le foglie hanno trasformato.
Osservando la base tagliata di un tronco, noi vediamo tanti anelli concentrici: sono i tubi o canale crobosi.
Le foglie nascono sul tronco e dai rami, che del tronco sono la continuazione. Prima appare una piccola gemma, protetta da squame pelose ed attaccaticce, poi da questa si dispiega la foglia in tutta la sua bellezza.
Sole e luce sono la vita delle foglie e la loro funzione è proprio questa: assorbirne il più possibile. La loro forma può essere svariatissima, semplice, composta, ovale, tonda, irregolare, ma sempre esse rappresentano una grande finestra aperta verso il sole.

La foglia è composta di una delicata trama di nervature che sono le parti ultime e sottilissime dei vasi crobosi e legnosi. La parte (o pagina) superiore di una foglia è la grande vetrata attraverso la quale la luce entra a fiotti. Dietro questa delicata pellicola si accalcano le cellule ricche di clorofilla, la sostanza verde capace di trasformare un gas dell’aria in alimento per la pianta.

La pagina inferiore invece, molto meno verse, opaca, ha delle piccolissime aperture, dette stomi, attraverso le quali l’aria passa e circola dentro la foglia.
Per vivere, anche le piante, come l’uomo, e gli animali, hanno bisogno di respirare ossigeno, un gas contenuto nell’aria, emettendo poi un altro gas, l’anidride carbonica, come sostanza di rifiuto.

Le foglie

A cosa servono le foglie? Le radici succhiano acqua e sali minerali dal terreno. Il gambo trasporta acqua e sali minerali fino alle foglie. Ma l’acqua e i sali minerali non bastano a fare il cibo per la pianta. Occorre anche aria e sole.
Sotto le foglie ci sono tante piccole aperture; attraverso di esse, l’aria entra nelle foglie e si mescola all’acqua e ai sali minerali trasportati dal gambo e sparsi in tutta la foglia attraverso sottili vene. Quando il sole splende sulle foglie, esse fanno il cibo con l’aria, l’acqua ed i sali minerali. Le foglie, dunque, sono molto importanti perchè permettono alla pianta di fabbricarsi il cibo.

Quando le foglie hanno fabbricato il cibo, lo mandano in tutte le parti della pianta attraverso altri sottili canali, simili a quelli che servono a portare l’acqua e i sali minerali dalle radici alle foglie. Questo cibo ha l’aspetto di un liquido e si chiama linfa.
La pianta non adopera tutto il cibo che le piante producono. Una parte del cibo prodotto dalle foglie viene immagazzinato come riserva, per quando la pianta sarà senza foglie e non potrà fabbricarne.
Il cibo che non viene adoperato può essere immagazzinato in varie parti. Tutte le piante, però, immagazzinano cibo nei loro semi, perchè esso serve per far crescere le nuove piante.

Il sangue delle piante

Gli alberi dell’orto si sono svegliati nel chiaro mattino di aprile.
– Che cosa succede? – domanda un giovane pesco a un pero suo vicino.
– Sento qualche cosa di strano serpeggiarmi in ogni parte. Come un dolce umore che dalle radici sale fino all’ultimo ramo e mi rende forte e felice. Che sia questo tiepido sole che di ha svegliati? –
– Anch’io sento lo stesso umore scorrermi dentro – risponde il pero – ma non è il sole. E’ la linfa, mio caro, è il nostro sangue che dalle radici sale su su, fino alle foglie, e da lì scende di nuovo e si spande in ogni nostra fibra. E’ la linfa: quella che darà alle foglie le sue sostanze preziose, ai fiori il colore ed il profumo, ai frutti la polpa e lo zucchero, al legno e alla scorza quanto è loro necessario per crescere. –
– E darà sempre così, ogni anno? – domanda ancora il pesco.

– Sempre. Ogni anno questo miracolo si rinnova. Io sono assai più vecchio di te, vedi, e pure adesso mi sento giovane e forte. E se tu crescerai grosso e robusto e ti coprirai di fiori e darai tanti frutti, lo dovrai sempre a questo sangue nuovo e generoso che a primavera ti sentirai scorrere dentro. –
– Pensare che io credevo di essere mezzo morto durante tutto l’inverno! E’ bello svegliarsi con questa nuova vita! – esclama il pesco.
– Sì, è bello! – e il vecchio pero distende meglio i suoi rami in un impeto di rinnovata giovinezza.

Le piante respirano, mangiano, bevono, dormono

La pianta respira, la pianta mangia, la pianta beve, la pianta dorme. Essa respira come noi l’aria atmosferica che avviluppa il globo di una sfumatura azzurrina, ma la sua respirazione ha luogo in senso inverso della nostra: essa infatti consuma l’anidride carbonica, elemento mortale per noi.

Essa mangia e beve: i suoi alimenti sono l’acqua, il carbonio, l’ammoniaca, lo zolfo, il fosforo.
L’organizzazione meravigliosa delle sue radici e delle sue foglie le permette di prendere, e perfino d’andare a cercare, i suoi principi nutritivi nell’aria e nel suolo, tanto lontano quanto le sue braccia possono estendersi.

Essa dorme: la maggior parte delle piante segue docilmente la natura e dorme dal tramonto al levar del sole; ma altre osano appena di levarsi prima del mezzogiorno e perfino non di svegliano affatto quando il tempo è piovoso.
(D. Sant’Ambrogio)

Anche le piante si nutrono
Oltre all’azione clorofilliana, di cui abbiamo fatto cenno, la pianta svolge altre attività, intese a crearsi il necessario nutrimento, attraverso le radici (quasi sempre sotterranee, qualche volta acquatiche). Attraverso i peli assorbenti, le radici assimilano dal terreno le sostanze indispensabili alla vita vegetale, disciolte in acqua, cioè in soluzione, come fosforo, potassio, azoto, calcio, magnesio, zolfo, tutti sotto forma di sali. Come il nostro stomaco secerne diversi acidi che trasformano il cibo ingerito in chimo, così le radici emettono acidi che trasformano le sostanze del terreno in modo da poter essere assorbite. Le radici inoltre sono molto più lunghe e più vaste della parte aerea della pianta; se mai abbiamo visto sradicare una pianta, possiamo averne un’idea approssimativa: più alta è una pianta, più profonde ed estese sono le radici, che devono non solo assorbire il nutrimento, ma sostenere anche tutta la pianta.

Alcune strani piante sono, almeno in parte, carnivore, quasi come gli animali; per esempio la dionea, che vive nell’America settentrionale, possiede foglie particolari e, quando un insetto si posa su di esse, immediatamente si chiudono, trattenendo imprigionato l’insetto. Subito dalle foglie esce un liquido che uccide la bestiolina e la rende digeribile per la pianta. Quando il pasto è consumato, le foglie si riaprono e ciò che non è stato digerito viene lasciato cadere.

La radice
La pianta vive costruendo il suo corpo con i materiali che ricava dall’aria (anidride carbonica) e dal terreno (acqua e sali minerali sciolti in essa).
Una parte della pianta, la radice, scende nel terreno, mentre l’altra si innalza nell’aria. Il vento, con la sua forza, potrebbe buttare a terra le parti aeree della pianta, se questa non fosse ben fissata al terreno. La radice compie questo lavoro. Inoltre la radice, come abbiamo detto, mediante i suoi peli assorbenti, che si inseriscono tra i detriti del terreno ed assorbono come tante pompe aspiranti il liquido nutritivo del terreno stesso, alimenta la pianta. La radice può anche compiere in certe piante, come la carota e la barbabietola, la funzione di magazzino di sostanze nutritive.

Ogni pianta ha una sua particolare radice che si sviluppa in maniera diversa secondo la struttura del terreno.
Nel deserto dell’Africa esiste una pianta cespugliosa, l’Alhagi camelorum, che è capace di sviluppare ben 40 metri di radice per raggiungere l’acqua sotterranea.
Le radici possono essere a fittone o fascicolate.

Sono a fittone le radici che si sviluppano in continuazione del fusto, come quella della fava, della carota, del pino e del garofano.

radici a fittone
radice napiforme

Sono fascicolate le radici che si sviluppano a ciuffo, come quelle del frumento, del granoturco, della segale.

radice tuberosa fascicolata carnosa
radice affastellata

L’apparato radicale e la zona pilifera
Sulla superficie delle radici sono sparsi i peli radicali che facilitano l’assorbimento dell’acqua e dei sali contenuti nel terreno. Al termine la radice è protetta da una cuffia che si rinnova.

L’aria e le piante
Non hai mai pensato che la pianta, oltre che della luce, del calore, dell’umidità e dell’acqua ha bisogno, per vivere, anche dell’aria? E’ proprio così: come gli uomini e gli animali tutti, anche la pianta respira. Possiamo fare un piccolo esperimento. Ci occorrono due vasi o campane di vetro. Lasciamo completamente vuoto il primo recipiente.

Nel secondo mettiamo una pianticina e ricopriamo il recipiente con un foglio di carta nera perchè non passi neppure un po’ di luce.
Passato un giorno e una notte introduciamo nei recipienti una candelina accesa. Che cosa succede? Succede che la fiamma della candelina rimane accesa nel recipiente vuoto mentre si spegne in quello in cui è stata messa una pianticina.

Questo esperimento ci dimostra che la pianta ha assorbito tutto l’ossigeno contenuto nel recipiente ed ha emesso l’anidride carbonica che ha fatto spegnere la candelina.
La respirazione delle piante avviene soprattutto per mezzo delle foglie, che presentano sulla loro superficie tante piccole aperture o stomi, cioè bocche attraverso le quali avviene appunto lo scambio gassoso necessario alla vita delle piante.

Funzione delle foglie
Le foglie sono i polmoni della pianta, quindi respirano l’aria che le circonda, trattengono l’anidride carbonica ed emettono ossigeno. Ma come avviene? Ciò che rende verdi le foglie è la clorofilla (pigmento colorante, attivo), che sotto l’influenza della luce ed ad una certa temperatura (10° – 35°) scompone l’anidride carbonica contenuta nell’aria, trattiene il carbonio e libera l’ossigeno (infatto l’anidride carbonica è CO2, cioè composta da carbonio e ossigeno). Cosa ne fa la foglia del carbonio?

Sempre per azione della clorofilla, sotto l’influenza della luce, il carbonio si combina con gli elementi dell’acqua contenuti nella linfa proveniente dalle radici, e dall’unione si questi tre elementi inorganici (carbonio, idrogeno, ossigeno) si forma una sostanza organica vegetale: l’amido, che poi, a sua volta, si trasforma in altre sostanze, che circolano nella pianta, un poco come nel nostro sangue, che viene continuamente rifornito dai cibi digeriti e dall’ossigeno della respirazione.

Se le piante compiono questa meravigliosa funzione di purificare l’aria, diminuendo la quantità di anidride carbonica, nociva per noi, è indispensabile avere molto verde a disposizione, accrescerne il numero, rimboschire le zone prive di alberi, rispettare le piante e averne cura.

Le piante di difendono dal caldo, dal freddo, dalla fame, dalla sete, e dai pericoli. Come?
Le radici delle piante affondano nel terreno. Perciò le piante non possono muoversi come gli animali per cercare il cibo e l’acqua. E, quando arriva il freddo, non possono migrare in cerca di luoghi più caldi.
La maggior difesa, per una pianta, consiste nel crescere e nel vivere in quei luoghi dove essa può trovare quello che le occorre: terreno che fornisca il nutrimento necessario, acqua a sufficienza, temperatura adatta ai suoi bisogni.

Ma le piante hanno anche tanti nemici! Gli erbivori mangiano l’erba dei prati, le foglie e le cortecce degli alberi; alcune larve di insetti e insetti adulti rodono le radici o divorano foglie e frutti. Come si difendono le piante da questi nemici?
In alcuni casi, le piante si difendono con armi che ricordano le unghie e i denti degli animali. Il biancospino e la rosa sono armati, per esempio, di spine; il cardo e il carciofo hanno foglie e fiori pungenti; l’ortica brucia la pelle di chi sfiora le sue foglie.

La maggior difesa di una pianta è però data dall’abbondante produzione di semi. Se una pianta muore, molte altre crescono e prendono il suo posto.

Perchè gli alberi perdono le foglie in inverno?

Quando l’albero ha le foglie circolano per tutto il tronco l’acqua e i sali minerali assorbiti dal terreno. Se questi liquidi circolassero anche d’inverno, il freddo potrebbe farli gelare e, così gelati, essi spaccherebbero internamente la piana, facendola morire. Per questo molti alberi perdono le foglie.

Vi sono però anche alberi che non perdono le foglie: l’alloro, l’ulivo, l’edera. Anche l’abete, il cipresso, il pino non perdono le foglie. Nei paesi freddi, il periodo caldo dura poco. Se l’abete e le piante simili ad esso dovessero aspettare il caldo per mettere le foglie e nutrirsi, avrebbero troppo poco tempo per farlo. Non riuscirebbero ad accumulare cibo a sufficienza per sopravvivere durante la stagione fredda.  Per questo continuano a tenere le foglie, e a nutrirsi anche quando fa freddo. Ma come mai la linfa che circola nel tronco di questi alberi non gela?
Quando fa molto freddo, possiamo vedere appeso ai distributori di benzina un cartello che dice: “Mettete nell’acqua della vostra automobile l’antigelo”. Vi sono cioè delle sostanze che, messe nell’acqua, impediscono a questa di gelare.

Avete mai provato a prendere in mano un pezzo di corteccia di abete, o di pino, o di cipresso? E’ appiccicosa, perchè contiene una sostanza che si chiama resina. La resina è l’antigelo delle piante che vivono dove fa freddo e continuano a tenere le foglie.
Insieme con la linfa, circola nella pianta anche la resina, che impedisce alla linfa di gelare.
Così l’abete, il pino, il cipresso possono continuare a tenere le foglie d’inverno.

La disseminazione

La natura ha provveduto perchè le piante giovani vadano a svilupparsi lontano dalla madre.
L’abete e il pino hanno semi alati. Il tiglio ha addirittura il frutto alato. I semi del cotone sono avvolti in una peluria vaporosa.

La pianta chiamata dente di leone ha il frutto secco con tanti pelini raggiati che formano come un paracadute. Il vento stacca dalla pianta madre questi semi e questi frutti e li sparge lontano.
Nelle leguminose, quando i semi sono maturi, il baccello esplode e lancia lontano i semi che contiene.
Altri frutti sono pesanti e il vento non li potrebbe trasportare. E allora?

Anche questo caso è stato risolto. Il profumo, il colore, il sapore dolce dei frutti invita gli animali a mangiarli. La polpa dei frutti è facilmente digeribile, ma i semi che vi stanno dentro, coperti da una buccia durissima, no. Essi vengono espulsi dall’intestino dell’animale e lasciati a terra. Lì essi germogliano. (O. Valle)

Il fusto
Il fusto o caule è quella parte della pianta che si sviluppa dal fusticino dell’embrione, in una direzione che di solito è opposta a quella della radice; serve a portare le foglie e a condurre la linfa.
Per lo più ha forma cilindrica, diventando conico più in alto, verso l’apice; vi sono però anche fusti poliedrici (salvia, menta), appiattiti o sferici (come in certe piante grasse), ecc…

Varia è la consistenza: quelli deboli, pieghevoli son detti erbacei; quelli lignificati, tronchi; al fusto del grano e delle altre graminacee, vuoto nell’interno e ingrossato ai nodi, dove si inseriscono le foglie, si dà il nome di culmo.
Varia è anche la lunghezza dei fusti, da quelli così brevi che si direbbero mancanti a quelli giganteschi, alti più di 100 metri, come varia è la grossezza: ve ne sono di sottilissimi e di colossali, il cui diametro raggiunge, e può anche superare, una dozzina di metri.

Il fusto che si innalza e sta dritto per virtù propria, reggendo rami e foglie, si dice eretto; quello che invece striscia sul suolo si chiama prostrato. Altri ancora per innalzarsi hanno bisogno di aiuto, e cioè o si avvolgono a spirale intorno a sostegni rigidi (fagiolo, vilucchio, luppolo) e sono detti fusti volubili, oppure diventano rampicanti, aggappandosi ai sostegni per mezzo di radici avventizie (edera) o di organi di attacco detti cirri o viticci (vite, zucca, pisello, ecc…).

E’ la necessità che hanno le foglie di essere esposte alla luce a determinare il portamento, la ramificazione del fusto ed anche il suo allungamento; così, dove sono molto fitte, le piante hanno il fusto più alto.

Gemme

L’apice vegetativo del tronco, delicato come quello della radice, è coperto, invece che dalla cuffia, da tante foglioline: all’insieme  dell’apice e delle foglie che lo proteggono si dà il nome di gemma.
Oltre alla gemma apicale, di solito il gusto ne porta altre laterali, che danno origine ai rami; i rami, a loro volta portano gemme terminali e laterali, dalla quali si hanno ulteriori ramificazioni,  oppure foglie e fiori.

Le piante, la luce e il calore

Una delle scorse estati trovai, in una vallata alpina, una galeopsis alta circa mezzo metro.
Ne raccolsi i semi e li affidai al terreno nel giardino botanico alpino Chanousia del Piccolo San Bernardo, a 2000 metri sul mare. Ebbene, l’anno dopo, ebb delle piante minuscole, alte appena due o tre centimetri.
Un’altra volta, sempre nello stesso giardino, coltivai una pianta di stella alpina (edelweiss). La pianta prosperò e mise i suoi candidi e caratteristici fiori, che fotografai. A ottobre porti con me, in vaso, la pianta a Tivoli, presso Roma, e la collocai sul muro di una terrazza. Verso la fine di novembre, la pianta perdette le foglie, in aprile cominciò a rimetterle e in maggio fiorì.
Con grande meraviglia di tutti però, foglie e fiori non erano più bianchi, come avrebbero dovuto, bensì verdastri, quasi come quelli di una qualunque erba.
Che cosa era accaduto? La pianta si era accorta che a Tivoli le notti non erano così rigide come in alta montagna, nè i raggi del sole così ardenti e luminosi e… aveva trovato inutile l’acquisto del suo bianco mantello di lana che l’avrebbe, a un tempo, riparata dal freddo e dall’energetica insolazione. Perciò aveva abbandonato i peli che la ricoprivano e la rendevano bianca… lasciando vedere tutto il colore verde delle sue foglie.
A luglio riportai la pianta in montagna; essa soffrì, per il brusco cambiamento. Avvizzì, perdette le foglie, ma non morì. Ne rimise delle nuove… che, erano bianche per fitta peluria. La stella alpina aveva rimesso il mantello.
Ecco dunque provato che le piante sentono lo stimolo del calore. Ma esse avvertono anche la luce.
Osservate il girasole. Non volge sempre la sua grande inflorescenza verso l’astro luminoso? E, se si piega da quella parte, non sente, forse?
Osservate quelle graziose campanelline che si chiamano convolvoli. Sono aperte e bellissime sul far della sera e per tutta la notte, fino alla mattina; ma, non appena sorge il sole, una dopo l’altra si chiudono, come se temessero la luce troppo intensa.
Altri fiori, al contrario (la margherita, ad esempio) temono le tenebre e chiudono e abbassano i petali non appena il sole tramonta. Non indica questo che le piante avvertono la mancanza e la presenza di luce?
Osservate un campo di trifoglio. Di giorno le tre foglioline, di cui è formata ogni foglia, sono aperte a ventaglio, ma di notte sono abbassae le une contro le altre. Così fa l’ippocastano, il ben noto albero dei nostri viali.
(L. Vaccani)

Curiosità sulle piante

Una scoperta recente ha svelato il segreto delle piante. Una sostanza chiamata auxina presiede alla crescita delle varie parti della pianta (radici, foglie, rami, fiori, ecc…).
L’uomo è riuscito a estrarre da diverse fonti vegetali questa straordinaria sostanza e ha provato le prime applicazioni pratiche. Trattando dei fiori di pomodoro recisi con auxina estratta da frutti, ad esempio, si sono ottenuti, in vitro, dei pomodori grandi e senza semi, ma di buon sapore.

In ogni pianta vi sono gemme dette dormienti perchè possono rimanere prigioniere della corteccia anche più di cento anni senza sbocciare. Si apriranno, invece, quando, essendo stati distrutti gli altri germogli dall’uomo o dalle intemperie, la pianta si trovi in condizioni particolarmente difficili, che minacciano la sua vita.

Un seme può mantenersi vivo per anni, anche per secoli. Alcuni semi di pianta sensitiva sono infatti germogliati dopo sessant’anni. Semi di fagiolo dopo cento anni e altri di segale dopo centocinquanta anni.
In mancanza di umidità, però, nessun seme è in grado di germogliare.

Alcuni alberi possono giungere a età molto avanzata. Per esempio, il cipresso e il tasso possono vivere tremila anni, il castagno duemila, il pino settecento.
Le maggiori altezze raggiunte dagli alberi dei nostri boschi sono: abete bianco 75 m; larice, cipresso e pino 50 m.
In America, certe conifere come la sequoia gigante, superano i 120 m di altezza, i 15 m di diametro alla base e talvolta raggiungono i cinquemila anni di età.

Una palma che cresce in Brasile ha foglie enormi: circa 20 m di lunghezza e 10 m di larghezza. Altra foglia gigante è quella della Victoria Regia che galleggia sulle acque degli stagni e dei fiumi  dell’America tropicale. Ha la forma di una coppa di due metri di diametro.

I fuoriclasse della botanica

Ecco alcuni semi, fiori, frutti, piante ed alberi che sono veri e propri “campioni mondiali” di qualche specialità che indicheremo:
il seme più grosso: cocco
il fiore più grande: bolo
il frutto più voluminoso: turien
l’albero più alto: sequoia
l’albero più grosso: baobab
il legno più leggero: balsa
il legno più pregiato: ebano
la pianta più delicata: sensitiva
la pianta più ricca di olio: sesamo
la pianta che piange di più: vite
l’albero europeo più longevo: tiglio.

Le piante alimentari

Sono piante alimentari quelle che danno all’uomo foglie, frutti e semi utili al suo nutrimento. Alimentare vuol dire nutrire. L’uomo coltiva queste piante con molta cura e cerca di migliorarne la qualità e la quantità.
Esse popolano i campi, i frutteti, gli orti; fanno bella mostra di sè sui banchi del mercato e nelle vetrine dei negozi.

Il grano

In tutte le campagne d’Italia, in giugno, è facile osservare un campo di grano, che ci appare come un mare di spighe bionde. Gli steli, che prendono il nome di culmi, si piegano ed ondeggiano quando il vento soffia furiosamente. Essi resistono bene alle raffiche violente; cessato il vento, si rialzano come se nulla fosse accaduto. Anche se abbattuti al suolo, riescono a raddrizzarsi.
Perchè i culmi sono tanto resistenti?

Il culmo resiste meglio alle flessioni perchè è cavo. L’uomo, forse prendendo esempio dalle piante, ha imparato a usare i tubi per le sue costruzioni. Il culmo è diviso in tanti pezzetti, o segmenti, perchè un tubo corto resiste alle flessioni meglio di uno lungo.
Dai nodi dello stelo partono le foglie che lo avvolgono per un tratto. In alto, lo stelo termina con la spiga, composta di numerose spighette, difese da piccole lance, le reste. Ogni spiga porta dai trenta ai quaranta chicchi di grano.
Da noi, in Italia, il grano viene seminato in autunno. L’umidità della terra fa gonfiare il seme, in cui si può vedere una puntina, detta germe o embrione della nuova pianta.
Prima di tutto l’embrione forma una radichetta che si affonda nel terreno.
Poi si forma una fogliolina che ben presto spunta dal suolo.

In seguito si formano molte altre foglie e poi la spiga, che contiene i semi nutrienti che il sole fa maturare e imbiondire.
L’agricoltore coltiva il grano per la preparazione del pane e della pasta. Quando il sole di giugno ha maturato e indorato la spiga, il contadino miete il grano. Le spighe vengono trebbiate in una macchina che separa la paglia  e la pula dai chicchi, che cadono nei sacchi.

Il grano è portato al mulino ed i chicchi vengono ridotti in farina. La farina, mescolata con lievito, acqua e sale, viene impastata; la pasta è modellata in pagnotte che sono poste a cuocere nel forno.
Altra farina è utilizzata dai pastifici e trasformata in pasta alimentare.

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Il granoturco

E’ alto più di due metri, ha un gambo robusto e grosse foglie ruvide. In cima porta un ciuffo di fiori e, dove le foglie si attaccano al gambo, si forma una pannocchia protetta da un cartoccio di foglie spesse. La pannocchia è formata da un torsolo, il tutolo, sul quale sono fissati centinaia di grani rotondi, di colore giallo rossiccio.
Quando la pannocchia è bionda viene raccolta, scartocciata e lasciata al sole perchè i grani finiscano di maturare. Poi è sgranata e i chicchi vengono macinati o usati interi per alimentare il pollame e il bestiame. Con la farina di granoturco si cuociono polente squisite.

Ma a quante altre cose serve il granoturco! Da esso derivano più di duecento prodotti. Si usa nella manifattura della carta, del sapone, dei bottoni, della colla, della tela cerata, delle vernici. Non basta: la radio, i telefoni, le gomme per automobili, l’industria dei gelati e dei fuochi d’artificio sono tutte tributarie del granoturco.

L’orzo e la segale

Appartengono alla stessa famiglia del grano. L’orzo ha uno stelo più breve di quello del grano e cresce in luoghi freddi. Il suo seme è usato come alimento per gli uomini e gli animali e per fabbricare la birra.
La segale ha uno stelo molto più lungo e pieghevole di quello del grano e una spiga più magra, più allungata. E’ coltivata nei paesi di alta montagna. Con la sua farina si impasta il pane scuro.

Il riso

E’ un cereale che cresce sotto l’acqua, nelle risaie, che sono terreni allagati. La pianta rimane nell’acqua fino a che lo stelo è alto circa un metro e porta la spiga matura. Essa è un ciuffo che contiene un gran numero di chicchi.
In Italia il riso è coltivato nella Pianura Padana.

Le piante da frutto

Quante piante da frutto prosperano nelle nostre campagne! A primavera, ecco le ciliegie, che ci giungono con le fragole di cui sono ricchi, oltre che i giardini, i boschi dei nostri monti.
A giugno maturano le albicocche dorate, a cui tengono dietro le pesche morbide e vellutate. Contemporaneamente matura il ribes rosso, acidulo, apprezzato per le conserve.
Le susine sono gustose e sane: la loro pianta non richiede troppe cure e cresce facilmente.
I bei poponi gustosi ed i grossi cocomeri ci dissetano nel cuor dell’estate.

Poi arrivano i fichi, saporiti e dolcissimi, ci avvertono che l’autunno è vicino con le sue mele e le sue pere.
L’autunno è anche la stagione dell’uva e delle noci, mentre, sui monti, si raccolgono le castagne.
Lungo le sponde dei nostri mari crescono gli aranci: i loro frutti spiccano fra il verde cupo del fogliame. Ad essi si accompagnano i gialli limoni, i grossi cedri ed i mandarini profumati.

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Il melo

Il melo ha foglie tondeggianti, seghettate ai margini. I fiori, bianchi all’interno e rosati all’esterno, hanno cinque petali e sono riuniti in mazzetti. I frutti hanno la polpa dolce e profumata e contengono semi molto piccoli.

Il ciliegio

Ha foglie ovali, seghettate ai margini. I bianchi fiori, riuniti in mazzetti, hanno un lungo picciolo. Il frutto contiene un nocciolo che racchiude il seme.
Anche il pesco e il susino hanno i semi racchiusi in un duro nocciolo.

Il fico

E’ un albero non molto alto, con rami contorti. Le foglie sono ampie e ruvide. I fiori sono racchiusi in quella specie di piccola pera che noi chiamiamo frutto e mangiamo quando è matura.
I veri frutti sono i granellini contenuti nel suo interno.

L’olivo

mosca olearia

E’ un albero che ama il sole e l’azzurro. Non importa che la terra in cui affonda le radici sia arida e pietrosa.
L’olivo è un albero che sa cercare con le profonde radici anche la minima goccia d’acqua. Il suo tronco è contorto e nodoso; gli anni della sua vita non si contano. Quanti anni vive un olivo? Esso vive centinaia di anni. E’ antico come i templi della Grecia, è vecchio come certi castelli in rovina. Molte volte il tronco dell’ulivo è scavato, sembra lì lì per morire. Ed ogni anno, invece, al soffio della primavera, appaiono i suoi fiori a grappolo che a poco a poco si trasformano in drupe, i suoi frutti gonfi di olio. Il tempo del raccolto dura tutto l’inverno. Le donne e gli uomini, con sacchi e ceste, si avviano verso gli oliveti.

Gli alberi aspettano gli uomini per cedere i loro preziosi frutti. Si adoperano pertiche, si battono con riguardo i rami. Sotto gli olivi sono distesi grandi lenzuoli per raccogliere i frutti che cadono e per metterci quelli che si sono staccati da soli dai rami. Le olive mature, di un bel violetto – nero, vengono poi portate all’oleificio, e da esse si estrae l’olio con macchine speciali: frantoi, torchi e filtri.

Le olive verdi vengono mangiate subito o messe in salamoia.
L’uomo fin dall’antichità ha ricavato un olio alimentare, oltre che dalle olive, dalle noci, dalle arachidi, dalle mandorle.

Vedi anche:

Gli ortaggi

Gli ortaggi sono le piante alimentari che di coltivano nell’orto. L’orto è un terreno che si estende, di solito, vicino alla casa dell’uomo e può essere facilmente irrigato.
La famiglia degli ortaggi è molto numerosa; essi germogliano in ogni stagione, anche sotto la neve, e gli ortolani li inviano a ceste e a sacchi su tutti i mercati.

Tra essi ha particolare valore la pianta della patata, di cui consumiamo il tubero, ricco di una materia farinosa e nutriente detta fecola.
Così consumiamo il bulbo dell’aglio e della cipolla, la radice della carota e della barbabietola.

Altro ortaggio di notevole valore per la nostra mensa è il pomodoro, il cui frutto rosso e saporito viene consumato fresco o conservato sotto forma di salsa.
L’orto di dà anche i legumi che costituiscono un alimento gustoso e nutriente.

La carota

Le foglie della carota sono frastagliatissime e i fiori sono riuniti a formare una specie di ombrello. La radice ingrossata è per la pianta una specie di magazzino di sostanze nutritive. Proprio perchè contiene queste sostanze, noi mangiamo la radice.
Anche la barbabietola e la rapa hanno radici ingrossate che noi utilizziamo come cibo.

Il cavolo

Il cavolo ha foglie larghe e carnose, che costituiscono un ottimo alimento per l’uomo. Ha un fusto breve e una grossa radice.
Nell’orto crescono altre piante di cui noi utilizziamo le foglie: spinaci, insalata, prezzemolo , salvia.
Le foglie della salvia non ingialliscono e non cadono in autunno: la salvia è perciò una pianta sempreverde.

La patata

Ha fiorellini bianco – violacei raccolti in mazzetti. Il  fusto ha rami sotterranei ingrossati e carnosi, chiamati tuberi, ricchi di sostanze nutritive. Noi mangiamo i tuberi. Ogni tubero porta delle gemme, dalle quali può nascere una nuova pianta.

Anche la cipolla ha un fusto sotterraneo ricco di sostanze nutritive, il bulbo. Esso è la parte che mangiamo.
Forse sarà una sorpresa per molti ragazzi sapere che parenti della patata sono il pomodoro, la melanzana, il peperone e perfino il tabacco.

pomodoro peperone e tabacco

Qualcuno potrà dire: “Ma la patata ha i frutti sottoterra, mentre i suoi parenti li hanno sui rami”. Non è vero: anche la patata ha i suoi frutti sui rami: sono delle piccole bacche verdi che all’uomo non servono, anzi sono velenose.

Il fagiolo

Nell’orto, anche se piccolo, possiamo trovare un gran numero di piante utili all’uomo. Tra queste, una delle più diffuse è il fagiolo. Il seme del fagiolo è formato, oltre che dall’embrione, da due parti dette cotiledoni, dapprima unite, che si dividono appena la germinazione è incominciata. Il fagiolo rampicante ha bisogno di un sostegno; lo cerca e vi si attorciglia.

Le larghe foglie del fagiolo, assetate di luce, si dispongono in modo da ricevere i raggi solari. Nel luogo in cui stavano i fiori, si formano i frutti: i baccelli, entro i quali stanno i semi.
Il fagiolo ha diversi parenti, che fanno parte della famiglia delle leguminose: il pisello, che può essere consumato fresco, ma si conserva facilmente essiccato o anche cotto e inscatolato; la fava, che viene per lo più consumata fresca. Oltre a questi, sono parenti del fagiolo la lenticchia, la soia, il lupino, il glicine, l’arachide e diecimila altre piante.

Il pepe

Il pepe, la forte spezia che viene dall’Indocina e dal Siam, è fornito da alti alberi, di cui vi sono esemplari bellissimi in Sicilia. I frutti del pepe, distaccati ancora immaturi e disseccati, danno il pepe nero, mentre i frutti maturi, essiccati con parte della polpa, formano il pepe bianco, che è molto più forte.

Il caffè

E’ una pianta che è assai importante per l’economia del mondo. La sua patria originaria è stata l’Abissinia. Gli Arabi diffusero l’uso della bevanda di caffè: essi non potendo bere vino, perchè vietato dal Corano, ricorsero al caffè, che è il vino dell’Islam.

In Europa il suo uso divenne di moda alla fine del secolo XVII: a Venezia lo si beveva amaro, perchè si riteneva che l’amaro servisse a mantenere in giovinezza chi lo beveva.
Ormai il caffè è bevuto da per tutto: costituisce una bevanda stimolante, che vince la stanchezza ed acuisce la mente.

 

Le piante tessili

C’è un gruppo di piante che forniscono, nello stelo o nelle foglie, fibre adatte ad essere intrecciate e tessute: sono le piante tessili. Le loro fibre hanno lunghezza diversa e vario spessore, resistenza e flessibilità. Dalle fibre si estraggono i fili per la tessitura che, oggi, è fatta con telai meccanici molto perfezionati.
Sono piante tessili la canapa, il cotone, il lino e la iuta.

La canapa

canapa

La canapa ha uno stelo alto fino a due metri, ha foglie larghe come il palmo della mano e ciuffi di foglioline aguzze e ruvide.
Il contadino coltiva la canapa con molta cura, lavora profondamente il terreno e lo concima in abbondanza. La semina avviene in febbraio o marzo, e la raccolta in luglio e agosto.
Dopo il taglio, i fusti si lasciano essiccare per due o tre giorni. Poi vengono messi in vasche piene d’acqua (maceri): successivamente si sfilacciano e le fibre ottenute sono inviate nelle grandi fabbriche per la lavorazione industriale.
Queste fibre servono a fare tele, corde e spago. In Itali asi coltiva la canapa nell’Emilia, nel Piemonte, nel Veneto e in Campania.

Il cotone

cotone

Molti dei nostri indumenti sono di cotone. Che cos’è il cotone?
E’ una bella pianta che cresce nelle pianure di zone molto calde. Nella valle del Nilo, in Egitto, nel sud degli Stati Uniti d’America e in India è molto abbondante. In piccole quantità viene coltivato anche in Italia, in Sicilia.
La pianta del cotone è piuttosto alta; può raggiungere anche i due metri. Quando i suoi frutti sono giunti a maturazione, si aprono e mostrano i semi ricoperti di un candido fiocco. Al momento della raccolta, i fiocchi vengono messi in sacchi ed inviati ai cotonifici. In queste fabbriche il cotone viene lavorato; da esso si ottengono fili lunghissimi, che apposite macchine avvolgono in grosse matasse. In seguito, altre macchine tesseranno il filo col quale si otterranno tessuti di ogni genere.

Il lino

lino

E’ una pianta alta una sessantina di centimetri. Nel periodo della fioritura, la pianta del lino si copre di piccoli fiori di color azzurro pallido e il campo assomiglia a una distesa d’acqua.
Dal fusto del lino si ricavano le fibre che, filate, torte e intrecciate, sono usate per tessere tele assai fini, trine, merletti.
Il seme del lino è fortemente oleoso.

Le piante industriali

Molti alberi popolano i boschi della collina e della montagna o fiancheggiano le sponde dei fiumi; essi offrono il loro tronco al lavoro dell’uomo e al riscaldamento della sua casa. Questi alberi producono legno per mobili, legname da costruzione, legna da ardere, pasta di legno per la produzione della carta.
Il noce e il faggio offrono legno pregiato per mobili; il rovere ha legno adatto per i pavimenti; il pioppo produce legno per la preparazione di compensati e di cellulosa; l’acacia, l’olmo, il gelso danno legna da ardere.

Le conifere

Appartengono a questa classe gli alberi che producono frutti duri, a forma di cono: le pigne. Sono il pino, il larice, l’abete. Essi crescono sulla montagna; una specie di pino, il marittimo, ha la chioma a forma di ombrello e vive lungo le coste italiane.
Questi alberi hanno foglie trasformate in sottili aghi verdi; dai loro tronchi cola una sostanza profumata: la resina.
Con il tronco dell’abete e del larice si preparano travature e serramenti.

La quercia

La quercia è un albero rude e forte che si innalza lento, vestito di una scorza ruvida, ma che custodisce un legno che dura eterno e resiste alle insidie del tempo. La quercia è nel fiore della sua bellezza quando ha, almeno, un secolo di vita; ed è bellissima quando è tre, quattro volte centenaria.

Piante che guariscono

Non si può avere un’idea di quante sono le piante dai cui semi o fiori o frutti o radici si ricavano sostanze medicinali preziose per la salute dell’uomo; anche da quelle che sono velenose, purchè se ne usi il succo con molta discrezione.
Per esempio c’è una pianta chiamata belladonna le cui bacche sono velenosissime; ma da esse si ricava un liquido che, preso in poche gocce, aiuta la cura di molte malattie; non solo, ma serve anche a dilatare la pupilla degli occhi, se vi si lasciano cader due o tre gocce, in modo che l’oculista possa meglio osservare chi ricorre a lui perchè ha la vista debole.

Dalla corteccia dell’albero di china si ricava un’altra sostanza preziosa che si usa soprattutto per confezionare il chinino, che abbassa la febbre ed un tempo era indispensabile per la cura della malaria.
In India cresce una pianta alta fino a sette metri, che da noi non raggiunge i due metri di altezza, il ricino.
La modesta camomilla, che cresce come una margherita nei nostri orti dà, bollita, un infuso che aiuta la digestione e il sonno; e così si preparano infusi con le foglie di mente, di timo, di malva. Taluni gradevoli, taluni no, ma tutti balsamici.
E, d’inverno, quante volte la mamma ha preparato quella specie di polentina fatta con i semi di lino, racchiusa in una pezzuola e posta calda calda sul petto per sgombrarlo da qualche brutto catarro? E il catarro, le bronchiti e tanti altri mali delle vie respiratorie si curano con le gocce di eucalipto; l’eucalipto è una grande pianta che cresce in India e nei paesi che le sono vicini.

Dalla radice di una pianta detta liquirizia si ricava un altro succo tanto utile; non serve solo a fare dolci, ma anche a preparare pastiglie per il mal di gola perchè ha la proprietà di ammorbidire le vie respiratorie.
Oggi molte medicine sono preparate esclusivamente con prodotti chimici, fabbricati nei laboratori, ma una volta quante malattie si curavano solo ricorrendo alle erbe, alle foglie, alle piante; decotti, infusi, distillati erano comuni in tutte le case. Tutte queste piante così benefiche per l’uomo hanno un nome: piante officinali.

Le piante grasse

Sono piante originarie di zone dove le piogge sono rare. Hanno il fusto verde, capace di conservare l’acqua assorbita dalle radici durante le piogge, per utilizzarla nei periodi di siccità. Anche le loro foglie si sono trasformate in spine per non disperdere l’acqua.

Le alghe

Anche sott’acqua vivono alcune pianticelle: le alghe, che formano sul fondo marino meravigliose praterie, macchie, radure e foreste. Tra queste strane piante vivono moltissimi pesci e animaletti che si nutrono di esse, vi si nascondono e vi depositano le uova.
Alcune alghe sono sottili come capelli, altre larghe e ondulate come nastri, altre disposte a ventaglio e a ciuffo. Ci sono alghe rosse, verdi, brune. Ci sono alghe piccolissime che l’occhio umano non distingue e che vivono sospese nelle acque. Ce ne accorgiamo soltanto quando si trovano in grande quantità, perchè fanno apparire torbide le acque.

Le piante della strada

Un mondo meraviglioso, sconosciuto a moltissimi, ci offre persino la strada della città dove attorno allo zoccolo di un lampione, nello spigolo del marciapiede spunta un filo verde, un ciuffo di fiorellini: le erbacce, le più umili tra le creature che vivono sulla terra. Ma lo stesso filo d’erba, per quanto piccolo possa essere, è una di quelle meraviglie che l’uomo non è riuscito ancora a decifrare completamente. Anche le altre erbe della strada hanno una loro storia, le loro caratteristiche.

La lattuga selvatica è addirittura un indicatore geografico. Le sue foglie, esposte al sole, sono costantemente orientate in direzione Nord – Sud. In questo modo i loro lembi ricevono solo di striscio i raggi cocenti del mezzogiorno.
La poa è l’erbetta che annuncia per prima, col suo tenue verde, l’arrivo della primavera. Questa pianta occhieggia al sole di ogni strada, a qualsiasi altitudine, resistendo al calpestamento continuo. La più audace è senz’altro la petacciola che sfida, con le foglie tenaci, persino le ruote dei carri spingendosi fino al centro della carreggiata.

Altre erbe, come la malva e la stessa ortica, sono ben note come erbe medicinali. Il fieno stellino munisce i semi di gancetti che si attaccano a tutto ciò che li avvicina; il dente di leone ha invece armato i suoi semi di un paracadute per farli volare lontano.
La sanguinella, dalle foglie sottili, si difende dal calpestio dei passanti, stando aderente al suolo.

Vedi anche:

Le piante carnivore

Le piante carnivore, o insettivore, costituiscono una delle parti più interessanti e più strane dell’immensa flora terrestre. Si tratta, come il nome stesso indica, di piante che si nutrono di piccoli animali, per lo più insetti o minuscoli crostacei, dai quali utilizzano le sostanze loro necessarie, ad esempio l’azoto, che non possono trovare nell’ambiente in cui vivono.
Infatti crescono generalmente in luoghi umidi, acquitrinosi o sono piante acquatiche: solo alcune abitano terreni sabbiosi o rocciosi.

Dato il singolare modo di nutrizione, esse sono fornite di speciali dispositivi per imprigionare la preda e producono sostanze dette enzimi che permettono la digestione e quindi l’assimilazione dell’animale catturato.
Gli apparati per la cattura non sono altro che foglie trasformate in organi cavi (ascidi) di vario aspetto, simili ad urne o a vescicole, così da essere perfettamente adatte alla nuova funzione. La parte più interessante dunque di questi vegetali sono le foglie, dall’apparenza innocua, che si tendono simili a tentacoli, per catturare l’incauto insetto.
Queste piante carnivore prosperano nei nostri paesi come in quelli tropicali, e ve ne sono di moltissime specie, circa cinquecento; ma qui parleremo delle più interessanti.

Bellissima è la Nepente, pianta rampicante delle foreste indonesiane; la parte terminale delle sue foglie costituisce un ascidio a forma di urna ricoperta di piccoli peli, munita di coperchietto e colorata vivacemente. La natura, così saggia e giusta nel disporre l’ordine delle cose, ha donato a queste foglie, nell’orlo dell’ulna, sostanze zuccherine che attirano gli insetti verso quell’irresistibile dolcissimo cibo. Essi si posano, ignari della fine crudele che li attende, e succhiano avidi lo zucchero, ma la foglia muove i peli come minuscoli tentacoli e l’insetto vi resta inesorabilmente impigliato, scivola nel fondo dell’ulna, dove il liquido secreto della pianta stessa prepara il processo di digestione.

L’Erba vescica, invece, che è una pianta acquatica priva di radici,  ha foglie trasformate in piccole vesciche, vere e proprie trappole per gli incauti animaletti che vi penetrano.

E stranamente belle, ma piene di insidie, sono le foglie della Drosera, le cui tre specie Drosera rotundifolia, intermedia e longifolia sono molto diffuse anche da noi, specialmente nelle torbiere di montagna. Le foglie,rotonde od allungate, di un bel verde, sono ricoperte da numerosi e lunghi tentacoli rossi, le cui estremità secernono una sostanza vischiosa, rifrangente la luce, che appare come una gocciolina di rugiada. L’insetto, richiamato da quella multicolore trasparenza, vi si posa e subito rimane invischiato, mentre i tentacoli, lasciato ormai il loro aspetto innocuo e bellissimo, si curvano su di lui e lo soffocano.

Terminato il processo di digestione, i tentacoli ritornano nella posizione primitiva, pronti ad attirare altri animaletti, con spietata ed incosciente crudeltà.
Un’altra interessantissima pianta carnivora è la Dionaea muscipola, comunemente detta “piglia – mosche”. E’ un’erba alta circa 20 centimetri, che cresce nell’America settentrionale e le cui foglie sono dotate di una sensibilità notevolissima. La lamina fogliare, sostenuta da un picciolo spatolato, ha i margini provvisti di denti lunghi e acuminati: essa è divisa dalla nervatura principale che funziona da cerniera, in due tempi mobili. Su ciascuno di essi si trovano, oltre a numerose ghiandole, tre setole, che stimolate dal contatto di piccoli animali, fanno avvicinare i due lembi con movimento brusco e rapido, cosicchè i denti marginali si incastrano uno all’altro e la preda resta prigioniera.

E cento e cento altre piante, di apparenza strana e diversa, che qui sarebbe impresa ardua elencare, vivono sui monti, negli acquitrini, tra le misteriose folte vegetazioni tropicali. Ma ognuna ha in comune l’istinto crudele di catturare le piccole prede, ragione del loro nutrimento e della loro perpetuazione.

Piante viaggiatrici

Anche le piante viaggiano, e vanno addirittura da una parte del mondo all’altra.
Il riso, col quale la mamma prepara la saporita minestra, nacque in India; di là fu trapiantata nell’Estremo Oriente: in Cina e in Giappone, ove divenne il cibo preferito di questi popoli. Molto più tardi, e precisamente nel 1468, giunse anche in Europa, portato da alcuni mercanti italiani Il primo riso fu da noi coltivato nella pianura di Pisa.

Quasi lo stesso viaggio del riso fecero gli agrumi. Solo che, mentre il riso scelse le umide pianure, gli agrumi scelsero le coste ben soleggiate del Mediterraneo. Nacquero essi pure in India, poi si diressero nell’Estremo Oriente. Primo ad arrivare in Europa fu il cedro, che anche i Romani adoperavano; poi arrivarono le piante di limone e di arancio amaro, portate dagli Arabi intorno all’anno mille; infine, dopo altri cinquecento anni i Portoghesi trapiantarono nel Mediterraneo anche l’arancio dolce, dai bei frutti succosi.

Ma la pianta più girellona è certo quella del caffè. Essa nacque nelle montagne dell’Abissinia e di lì passò, ma non si sa ne quando ne come, in Arabia. In Arabia fu anzi preparata la prima tazza di caffè per merito di un pastorello, attento osservatore delle sue pecore. Egli aveva notato, infatti, che le sue miti pecore diventavano irritate, belavano, restavano sveglie la notte, quando avevano mangiato i frutti di una certa pianta. Provò a cogliere quei frutti, ne fece un infuso e così nacque la prima tazza di caffè. La bevanda piacque moltissimo agli Arabi ed ai Turchi che ne fecero subito grande uso; da essi lo conobbero i mercanti veneti, e vollero introdurne l’uso anche nella loro città, dove aprirono la prima bottega del caffè. Ma da principio nessuno voleva bere quell’amaro miscuglio (allora non c’erano le macchine espresso, e lo stesso zucchero era un genere rarissimo venduto dai farmacisti, come medicina), ma poi piacque, e nessuno ne potè fare a meno.

Nel 1705 arrivò in Europa anche la prima pianta di caffè: la regalò un olandese al re di Francia Luigi XIV, Abituata ai climi caldi, non avrebbe potuto sopravvivere all’inverno di Parigi, e allora il re pensò di farla viaggiare ancora, mandandola nientedimeno che in America, nel suo possesso della Martinica. L’affidò al cavaliere Declieux che fu davvero compito cavaliere, e protesse la pianta, che minacciava ad ogni momento di morire, come se fosse stata una principessa di sangue reale. Basti dire che, quando a bordo mancò l’acqua, il fedele cavaliere rimase senza bere, pur di dissetare la sua protetta. Così essa giunse ancora viva alla Martinica, che è un’isola dell’arcipelago delle Antille; e lì riprese forza, crebbe, mise al mondo figlioli, nipoti e pronipoti a migliaia e migliaia.

Le immense coltivazioni americane di caffè ebbero tutte origine da quella prima piantina viaggiatrice, salvata dal buon Declieux.
Il Nuovo Mondo ci aveva già regalato molte piante utilissime, prima che il caffè vi sbarcasse. Lo stesso Cristoforo Colombo, insieme con i sigari degli indigeni, aveva portato in Spagna i chicchi del granoturco, che dà il buon pane dei poveri negli anni di carestia.
Più tardi gli Spagnoli trovarono in Cile la patata, e la mandarono in patria. Ma nessuno voleva cibarsene, ne in Spagna ne in Inghilterra ne in Francia. Ci vollero decine e decine di anni prima di convincere la gente a nutrirsene, e dovette mettersi di mezzo un re di Francia, che fece servire patate ai suoi pranzi, e portò appuntati sulla giacca mazzetti di fior di patata.
Allora i cortigiani, per far cosa gradita al re, mangiarono anch’essi patate; quando le persone del popolo videro che i nobili mangiavano patate, le vollero anche loro, e così la patata entrò, come prezioso cibo, in tutte le case: in quelle ricche come in quelle povere.

Altri arrivi si ebbero in quello stesso tempo: arrivarono i pomodori dal Perù, e da altre regioni varie qualità di fagioli.
E insieme con le piante arrivò anche un volatile dalla carne saporita: il tacchino, che gli Aztechi del Messico già avevano addomesticato. (R. Frattina)

Piante secolari

Non tutte le specie di piante vivono, naturalmente, lo stesso numero di anni: vi sono piante, soprattutto quelle delicate dei fiori, che hanno vita assai breve; ve ne sono invece altre la cui vita dura lunghi anni e anche secoli. Fra queste ultime poi vi sono piante eccezionali, quasi fossero i campioni della loro specie, la cui vita dura per un tempo che lascia sbalorditi.

Vicino a Gerusalemme, nell’orto dei Getsemani, vi sono ulivi che hanno più di duemila anni.  Sempre in Palestina, sulle pendici del Libano, alcuni cedri di età incalcolabile hanno raggiunto alla base dei loro tronchi una circonferenza di ben dodici metri.

In Sicilia, fino a pochi anni fa, si ammirava un castagno detto dei cento cavalli perchè la tradizione narrava che un re con cento cavalieri avesse trovato ristoro sotto le sue enormi fronde. E tanti avrebbe potuto accogliere infatti; misurava, solo di tronco, sessanta metri di circonferenza!

In America, nella California, ha sempre destato la più viva curiosità un albero che per la sua gigantesca proporzione è stato battezzato Mammut. Si dice che abbia addirittura più di seimila anni di età.
Un tronco altrettanto gigantesco fu portato una volta a un’esposizione di San Francisco, in America: il suo interno era stato svuotato e vi si potè tenere un concerto, con tanto di pianista davanti a un piano a coda e quaranta invitati in comode poltrone!

La terra
Dentro la terra c’è un qualche cosa che nessuno conosce, che si trasforma nel tronco duro e legnoso degli alberi, nella polpa morbida e zuccherina delle fragole, in quella farinosa del grano, nel nettare dei fiori, nella sostanza carnosa del fungo.
E’ un qualche cosa che sale su dalla terra per le scaglie, per i tronchi nodosi e contorti e si trasforma nel profumo delicato dei fiori, nel sapore dolce dell’uva, nel succo amarognolo delle prugne, in quello bruciante dell’ortica, in quello untuoso delle olive.

Attraverso quali filtri, in quali misteriosi laboratori si fabbricano le combinazioni chimiche che danno origine a queste sostanze? E come tutto ciò sta rinchiuso nel mistero della terra umida, scura, friabile, che non sa di nulla?
Quando penso e osservo tutto ciò, mi pare impossibile che io sia sulla terra, piccino piccino, a vedere tali cose grandi.

Piante parassite

Ecco una pianta che non trae il nutrimento dal terreno: è il vischio, che affonda le sue radici sui rami di alcuni alberi, rubando loro la linfa già elaborata: è una pianta parassita.

Nasce una pianta

Prendiamo un seme di fagiolo, pianta tra le più comuni e conosciute. Mettiamolo in un bicchiere contenente un po’ d’acqua. A poco a poco l’involucro tenace che proteggeva il seme si è screpolato e ha lasciato vedere due piccoli ammassi farinosi, i cotiledoni, che serviranno ad alimentare la nuoca pianticina.
Guardiamo bene il nostro seme di fagiolo: non si possono già riconoscere una radichetta, un fusticino, una piccola gemma?
Nel piccolo seme non c’è dunque già tutta la pianta? Proprio così: anche la più gigantesca pianta dei monti e delle foreste è già tutta contenuta nell’umile seme.

La germinazione

Se poniamo dei semi di fagiolo a poca profondità in un terreno umido e areato, vedremo che a poco a poco si svolgerà una radichetta, che si copre di peli succiatori e si ramifica. Apparirà poi il fusticino che cerca subito la luce, mentre i cotiledoni, dopo che hanno offerto sostanze nutritive alla pianticina, appassiscono e cadono.
Infine ecco le foglie che si disporranno in un modo singolare  sul fusto che è erbaceo e ha bisogno di avvolgersi ad un sostegno.
Il fiore del fagiolo comprende il calice, la corolla, gli stami e il pistillo: è dunque un fiore completo.
Il calice è composto, come tutti fiori in cui esso è presente, dai sepali; la corolla è composta dai petali.
Allorchè il frutto del fagiolo è maturo, ecco che si forma il baccello che ha la forma di  un sacchettino dalle pareti assai resistenti, nel cui interno si trovano i semi, o fagioli.

Il risveglio della pianta

Dopo circa quattro mesi dalla germinazione, la nostra pianta di fagiolo incomincia ad ingiallire, dopo che ha prodotto i fiori ed i frutti.
Poi, a poco a poco dissecca e muore.
Il ciclo del fagiolo si compie in breve tempo: si dice che il fagiolo è una pianta annuale.
Ma una forza misteriosa è racchiusa nei semi: basterà che siano messi nella buona terra perchè diano origine a nuove piante.

Esercizi di ricerca e di sperimentazione

Prova a far germogliare tra due pezzi di carta imbevuta d’acqua dei semi: le radici appariranno coperte di piccolissimi peli.
Qual è la loro funzione? Come si chiamano?
Prova a togliere dal terreno una piantina: vedrai che i peli radicali sono coperti di particelle terre fitte. Anche se tieni immersa a lungo la piantina nell’acqua on potrai liberare le sue radici si quelle particelle di terra.
Sembra che vi siano incollate.
Ricorda che le funzioni delle radici sono quelle di alimentare la pianta e di ancorarla saldamente al terreno.
Studia ancora la funzione dei peli succiatori. Poni in un bicchiere contenente acqua una piantina e mettine un’altra in un bicchiere contenente olio. La pianta che la zona pilifera nell’acqua continuerà a vegetare: l’altra invece come si presenterà dopo poco tempo?
In che modo i peli succiatori assorbono dal terreno l’acqua contenente i sali nutritivi in essa disciolti?
Fai la seguente esperienza e saprai rispondere bene.
Procurati una membrana semipermeabile (un po’ di cellophane) e metti in essa un poco di colla da falegname sciolta. Lega poi la membrana ad un tubo di vetro lungo 30 cm ed avente il diametro di mezzo centimetro. Questo apparecchio da te costruito si chiama osmometro.
Prova ad immergere e a mantenere l’osmometro in acqua colorata. Vedrai che l’acqua salirà nel tubo di vetro passando attraverso i pori della membrana.
Questo passaggio dall’esterno all’interno della membrana si chiama fenomeno di osmosi.
Com’è l’estremità della radice delle piante? Non somiglia la cuffia al puntale di un bastone? Osservane una con l’aiuto di una buona lente.
Perchè è più resistente. Quale compito ha?
Che cosa emettono i peli succiatori della pianta?
Prova a lasciare per alcuni giorni su una lastra levigata di marmo una pianticella in germinazione. Vedrai l’impronta che vi lascerà la zona pilifera, che ha corroso la superficie del marmo.
I peli succiatori della pianta emettono acido carbonico, che ha il potere di sciogliere il carbonato di calcio, che si trova nel terreno, fornendo così il calcio utile alla nutrizione della pianta.
Prova ad immergere un ramo di giglio bianco in una vasca in cui ci sia dell’acqua colorata. Come diventeranno dopo qualche giorno i candidi fiori del giglio? Perché? Puoi fare lo stesso esperimento con un fusticino legnoso. Guardalo bene dopo aver immerso immerso in acqua una parte di esso: osserva l’alone circolare colorato al centro del fusto.
Perchè un albero muore, se si toglie un anello di corteccia?
La clorofilla ha un immenso valore per la vita degli animali e delle piante: senza clorofilla non di sarebbe vita nella terra. Il processo clorofilliano non si produce nel buio.
Prova a seminare del frumento in due vasi pieni di terra. Uno di essi lo terrai al buio, l’altro alla luce. Come saranno le pianticelle cresciute al buio? Esponendole alla luce rinverdiranno?
Il colore verde è più vivo nella pagina superiore o in quella inferiore della foglia? Perchè?
Pesta in un mortaio delle foglie verdi di una pianta: metti poi la poltiglia ottenuta in un bicchiere contenente alcool.
Come si colorerà l’alcool? Quale sostanza  si è disciolta nell’alcool?
Copri una parte di una foglia con della stagnola e lasciala attaccata ala pianta per tutta la giornata. Quando è giunte la sera, stacca la foglia e togli la stagnola: immergi poi la foglia in una soluzione di iodio. Noterai subito che la parte non coperta dalla stagnola assumerà il colore blu, perchè contiene amido, mentre la parte che durante il giorno era coperta dalla stagnola rimane incolore.
Ciò dimostra che la funzione clorofilliana si svolge di giorno sotto l’azione della luce e del calore del sole.
In estate una grande quantità di vapore acqueo passa dalle foglie nell’aria: pensa che un solo albero in un giorno emette fino a cento litri d’acqua!
Come si chiama questa attività della pianta?
E’ utile per la nostra vita?

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Materiale didattico sul FIORE

Materiale didattico sul FIORE per bambini della scuola primaria.

I fiori

Il gambo dei fiori si chiama peduncolo.

sezione di un fiore

La parte più bella ed appariscente è la corolla, composta da foglioline variamente colorate che si chiamano petali.

petalo

Al di sotto della corolla vi è il calice, le cui foglioline verdi, dette sepali, sono più piccole dei petali. Il calice serve a proteggere il fiore quando è ancora in boccio.

sepali

Nell’interno della corolla vi sono gli stami, filamenti sottili che terminano in un rigonfiamento pieno di polline, una polverina di colore giallo.

stami

Ancora nell’interno della corolla si possono notare uno o due pistilli (simili a bottigliette), la parte più larga dei quali è l’ovario.

pistillo

Aprendo delicatamente l’ovario troviamo gli ovuli (simili a piccole uova), che daranno vita ai semi.
Quando il polline entra nell’ovario, i petali e gli stami cadono, l’ovario si ingrossa ed a poco a poco si trasforma in frutto.

Com’è fatto un fiore

Per il lavoro di ricerca

– Quali parti puoi distinguere nel fiore? Tali parti esistono sempre in ogni fiore?
– Che cos’è il polline e a che cosa serve?
– Che cosa contiene l’ovario?
– A che cosa servono gli ovuli?
– Che cos’è l’impollinazione e come può avvenire?
– Quando è avvenuta l’impollinazione che cosa accade?
– Che cos’è il seme e a che cosa serve?
– Perchè i fiori sono tanto diversi l’uno dall’altro?
– Tutte le piante fioriscono?
– Come si chiamano le piante che hanno fiori e frutti e che quindi si riproducono per mezzo di semi?
– Come provvedono a riprodursi le piante che non hanno fiori? Quali sono le principali di esse?
– Quali sono i più comuni fiori dei nostri prati e dei nostri giardini?
– Generalmente i fiori si dischiudono di giorno; ve ne sono alcuni però che di giorno, quando c’è troppa luce, si chiudono. Ne hai già sentito parlare?
– Altri fiori si chiudono appena toccati accartocciando i petali, come per proteggersi. Ne conosci qualcuno?
– Che cosa sono le serre?

A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline?

Gli ovuli sono gli organi destinati a trasformarsi in semi. Perchè questa trasformazione avvenga occorre, però, che gli ovuli si incontrino con un granello di polline.

tipi di granuli di polline ingranditi

Il polline viene prodotto dalle antere. Esso dovrà perciò venir trasportato fin sulla punta del pistillo: da qui potrà scendere fin nell’ovario dove incontrerà gli ovuli. Allora si formeranno i semi, ed il fiore avrà adempiuto il suo compito; infatti a questo punto il fiore appassisce e cade.

sezione schematica di un fiore

Bisogna ricordare una importante legge che regola l’impollinazione dei fiori: in genere il fiore, perchè dai suoi semi possa nascere una pianta sana e vigorosa, deve essere fecondato con polline prodotto da un altro fiore.
Ma chi provvede a portare il polline dall’uno all’altro fiore?

Ciascuna famiglia di piante ha scelto il suo modo per provvedere a questo trasporto: c’è chi si serve del vento, chi dell’acqua e chi dell’opera di diversi animaletti, generalmente insetti, ma in qualche caso anche uccelli e molluschi.

Impollinazione

Perchè possa aver luogo una impollinazione è necessario che il polline di un fiore venga portato sul pistillo di un altro fiore della stessa specie.

Impollinazione per mezzo di insetti

Molti fiori nel punto più profondo della loro corolla secernono il nettare, un succo sciropposo, dolce e profumato, che è un ottimo cibo per gli insetti. L’insetto, per nutrirsi, vola sul fiore e si intrufola fra i petali; nel raggiungere le goccioline di nettare sfiora le antere e impolvera di granelli di polline il suo corpicino peloso.

Quando ha succhiato tutto il nettare di un fiore l’insetto si leva a volo e va in cerca di un altro fiore della medesima specie per trovare altro nettare dello stesso sapore. Anche qui, intrufolandosi nella corolla, urta gli organi del fiore e finisce col depositare sulla punta appiccicosa del pistillo qualche granello del polline che reca addosso. Il polline può venire così a contatto con gli ovuli contenuti nell’ovario e fecondarli.

Gli insetti sono dunque dei diligenti corrieri di trasporto di polline; compiendo questo servizio essi compensano i fiori del nettare che viene offerto loro ad ogni sosta.

Impollinazione per mezzo del vento

Altre piante producono fiori piccoli, privi di corolle, di odore, di nettare. Esse si affidano per la fecondazione al vento.
Un esempio tipico è la quercia: preleviamo in aprile – maggio, quando le foglie stanno formandosi, un rametto; noteremo dei lunghi filamenti. Se osservati con la lente, noteremo in essi dei ciuffetti di stami con le loro antere.

Piogge di polline

I pini e le conifere in genere sono fecondati dal vento. Essi, quando è l’epoca di maturazione dei loro fiori maschili, lasciano cadere il polline in quantità così grande che nelle pinete si assiste ad una vera e propria pioggia di polline.

La varietà dei fiori

La varietà dei fiori è veramente grande.
Ci sono fiori con petali nettamente distinti (rosa, garofano); altri con petali tutti saldati insieme, come nelle campanule e nelle primule; fiori con petali diversi l’uno dall’altro e disposti in modo del tutto particolare; altri con petali e sepali dello stesso colore (tulipano).

Spesso i fiori sono irriconoscibili: assumono l’aspetto di animali, di foglie; alcuni sono snelli e armoniosissimi, atri tozzi e pesanti; sono piatti o cilindrici o allungatissimi, hanno forma di bottiglia, di tubo, di croce, di mano aperta, di pantofola, e altro ancora.

Naturalmente, viene subito spontanea una domanda: perchè la natura ha creato fiori tanti diversi, a volte tanto strani? Una spiegazione completa non si può dare, ma una risposta abbastanza sensata è questa: per necessità.
In natura, tutto quello che chiamiamo bellezza, stranezza, non è che necessità. Le forme strane, i colori fantastici, gli odori repellenti o soavissimi non sono stati creati per nostra meraviglia e diletto, ma rispondono a bisogni ben precisi della vita vegetale. La natura non fa nulla di inutile.
Quali sono queste esigenze, queste necessità? Evidentemente quelle connesse con la vita e la funzione del fiore.
Il fiore è un organo della pianta a cui è affidato un compito importante e delicato: quello di produrre il seme perchè la pianta possa riprodursi.

Quindi le corolle sgargianti, le forme strane, le bizzarrie (o meglio, quelle che a noi sembrano forme strane o bizzarre), i profumi intensi servono a favorire in tutti i modi quella importantissima funzione.
Servono quindi ad attirare gli insetti; a costringerli a penetrare nell’interno e magari ad agitarsi, a dibattersi per caricarsi ben bene di polline; servono per respingere gli animali non graditi; per riparare il preziosissimo polline dalla pioggia e dalla polvere, e per altri motivi ancora.

Le fanerogame

Fiori e frutti, per quanto strano possa sembrare, non sono altro che foglie trasformate. E trasformate per la più importante delle funzioni, quella di riprodursi. Non tutte le piante possiedono fiori; non ne hanno le alghe, ad esempio, nè i funghi: anch’essi provvedono naturalmente a perpetuarsi, ma lo fanno in modo diverso, mediante delle piccolissime spore.

alghe
fungo

La massima parte delle piante che cadono sotto i nostri occhi si riproducono mediante i fiori  e prendono perciò il nome di fanerogame  (piante a nozze visibili).

Curiosità: il linguaggio dei fiori

Per chi volesse esprimere con i fiori un proprio sentimento, ecco il significato attribuito ad alcuni di essi:
gelsomino – amabilità
violetta – modestia e bellezza d’animo
magnolia – simpatia
viola del pensiero – ricordo
geranio rosso – stupidaggine
miosotis – non ti scordar di me
narciso – egoismo
bocca di leone – non ti fidare
papavero rosso – indifferenza
margherita – ci penserò.

La serra

La primavera è la stagione in cui i semi che i contadini hanno seminato nei campi crescono, perchè oltre alla terra, che dà nutrimento, trovano tutte le cose di cui hanno bisogno: acqua, perchè piove molto; luce, perchè i giorni di allungano; caldo, perchè il sole riscalda più che in inverno.

Si possono far crescere le piante anche in inverno, se riusciamo a dare alle piante tutto ciò di cui hanno bisogno, cioè nutrimento, acqua, caldo, luce, se cioè facciamo in casa nostra una primavera artificiale.

Dove fa freddo, le piante si possono far crescere nelle serre. Una serra è una grande costruzione con le pareti ed il soffitto di vetro. Attraverso il vetro entra la luce del sole, che serve alle piante; ma il freddo non riesce ad entrare, inoltre ci sono stufe per scaldare le piante. Il calore della stufa non esce fuori, perchè il vetro lascia entrare la luce, ma non lascia uscire il caldo.

I  fiori guardano il sole

Un rapporto misterioso lega le piante alla luce e al calore. La loro attività, si sa, è in funzione delle stagioni e delle variazioni della temperatura. Alcune sembrano conformarsi al cammino apparente del sole e seguirlo nel suo percorso in cielo: tale è il caso del papavero e del girasole, la cui grossa testa d’oro presenta sempre la sua ampia faccia all’astro del giorno. Molte, infine, variano le posizioni di veglia e di sonno in relazione con l’alternanza del giorno e della notte: ciò è rilevabile particolarmente in alcune piante delle leguminose, come il trifoglio, l’erba medica, l’acacia, il fagiolo e soprattutto la sensitiva.

All’avvicinarsi della notte, il trifoglio e l’erba medica inclinano le foglioline, portando le loro pagine superiori in contatto le une con le altre. Nel fagiolo, nell’acetosella, nel lupino, nella robinia e in alcune altre piante di questo genere, le foglioline, invece, si abbassano e accostano le loro pagine inferiori.

Nella sensitiva (Mimosa pudica), i movimenti di veglia e di sonno sono molto più complicati. Questa pianta, come abbiamo visto, ha le foglie composte di foglioline pinnate, situate lungo quattro piccioli secondari retti a loro volta da un picciolo principale. Venuta la sera, le foglioline si ripiegano verso l’alto, abbracciandosi a due a due con le loro pagine superiori e ripiegandosi sul picciolo secondario. Nello stesso tempo, il picciolo principale si abbassa e si inclina lungo lo stelo, trascinando così il resto della foglia; verso le otto della sera, il movimento di discesa è terminato. Il riposo è breve perchè, a partire dalle dieci della sera, il picciolo principale comincia a rialzarsi e prima dell’alba ha superato la linea orizzontale, i piccioli secondari divergono, le foglioline si piegano e la foglia intera riprende la posizione di veglia, che conserve poi durante tutta la giornata. Fatto curioso: se si sopprimono artificialmente i periodi alternati del giorno e della notte, cioè di luce e di oscurità, sottomettendo le sensitive a una luce continua, le fasi di attività e di riposo, di veglia e di sonno, persistono ancora per un certo periodo. Abbiamo qui un sorprendente fenomeno di memoria organica, una specie di abitudine acquisita della pianta, che essa può perdere solo gradatamente.

Anche lo sbocciare dei fiori è legato, il più delle volte, all’alternanza del giorno e della notte e, in generale, alle vicissitudini luminose o termiche.

L’orologio dei fiori

Flora, la dea della primavera, che è stata spesso rappresentata nella pittura romana come una giovane donna adorna di fiori, ha dato il suo nome al complesso delle piante spontanee e coltivate di una certa regione. Questo gentile… dono, se così possiamo chiamarlo, è opera di un famoso naturalista svedese del XVIII secolo, Carlo Linneo, il quale usò per primo con questo significato il nome di Flora in una sua opera.

Linneo ha fatto anche qualcosa d’alto, ha donato a Flora… un orologio. Egli cioè ha stabilito una specie di orologio, secondo le ore in cui si schiudono o si chiudono numerosi fiori, dai più mattinieri, che si aprono prima dell’alba, ai più tardivi, che spiegano le loro corolle all’arrivo della notte. Tra  i fiori indicati da Linneo ne abbiamo scelti alcuni e abbiamo ricostruito un orologio, non completo, ma sufficientemente indicativo:
convolvolo delle siepi – si apre tra le 3 e le 4
cicoria – si apre tra le 4 e le 5
lino – si apre tra le 5 e le 6
calendula officinalis – si apre tra le 6 e le 7
anagallide – si apre tra le 7 e le 8
malva – si apre tra le 9 e le 10
ornitolago – si apre tra le 10 e le 11
portulaca – si apre tra le 12 e le 13
malva – si chiude tra le 13 e le 14
polmonoria – si chiude tra le 14 e le 15
bella di giorno – si chiude tra le 15 e le 17
enotera – si apre tra le 17 e le 18
bella di notte – si apre tra le 18 e le 19
geranio – diffonde il suo profumo verso le 20.

Curiosità sui fiori

Si trovano, in natura, fiori piccolissimi, lunghi soltanto alcuni decimi di millimetro. Altri, invece, raggiungono dimensioni straordinarie, probabilmente allo scopo di rendersi visibili agli insetti, anche da lontano e tra la folta vegetazione tropicale. I due più grandi fiori esistenti vivono nelle foreste tropicali dell’arcipelago malese: la Rafflesia Arnoldii che ha il diametro di un metro e pesa circa undici chili; e lo Amorphophallus titanum che raggiunge un’altezza di due metri e mezzo!

Una strana orchidea, il selenipedio, ha petali lunghissimi, simili a un nastro, talvolta lunghi oltre 70 cm.
La passiflora è anche chiamata “fiore della passione” perchè la forma degli stami e dei pistilli ricorda i simboli della passione di Gesù.

Sorprendente è la fioritura del bambù: queste piante fioriscono in età molto avanzata (alcuni a 120 anni!) e una sola volta nella loro vita. Infatti, appena fiorite, muoiono. Ma il fatto davvero curioso è che le piante di bambù di una stessa specie fioriscono contemporaneamente in ogni parte del mondo, indipendentemente dai fattori climatici.

Impollinazione e fecondazione del fiore

Spesso i fiori attirano e cedono il polline solo a un certo tipo di insetti, per evitare di disperderlo su fiori non della stessa specie. Cioè, un fiore che attira e carica di polline un calabrone, può darsi che non faccia altrettanto nei confronti di un’ape o di una farfalla. Una prova di ciò è da questo fatto curioso. Quando il trifoglio rosso fu introdotto in Australia, esso prosperò ma non si riprodusse: mancava l’insetto impollinatore adatto. Fu indispensabile acclimatare nel nuovo continente anche l’imenottero (bombo), che era l’insetto pronubo del trifoglio.

Per meglio regolare la distribuzione del polline, i fiori si aprono e chiudono a ore fisse, quasi semafori nell’intenso traffico degli insetti.
Vi sono piante che emanano un odore disgustoso per l’uomo, simile a quello della carne marcia o del concime. Pronubi di questo tipo di fiore sono moscerini e mosche che amano questi odori.
Quando un’ape ha visitato un’orchidea, esce a ritroso dal piccolo spazio contenente il nettare. Il fiore, allora, le configge nella nuca una freccia che porta due sacchi pollinici. L’ape vola su un altro fiore che a sua volta le toglierà questa sua curiosa acconciatura.

La natura ha pensato proprio a tutto: nei paesi tropicali dove vivono fiori dalla corolla molto lunga, si trovano farfalle che hanno la spiritromba (apparato succhiatore della farfalla) che può raggiungere anche la lunghezza di 25 cm.
Esiste un fiore, il gichero, che tiene prigionieri nel calice gli insetti che vengono a succhiare il suo nettare. Questa… dolce prigionia può prolungarsi anche per diversi giorni, fintanto cioè che gli stami, maturando, non lasciano cadere il polline su di loro.

Disegni da colorare FIORI con scheda didattica e nomenclature Montessori

Disegni da colorare FIORI con scheda didattica e nomenclature Montessori per bambini della scuola primaria, anche stampabili in formato pdf.

Le carte delle nomenclature sono queste:

I fiori più comuni dei nostri prati e dei nostri giardini

viola del pensiero

Per mettersi bene in vista questo fiore ha colorato i suoi petali di colori diversi l’uno dall’altro. Le striature che convergono verso il centro indicano agli insetti la strada da seguire per raggiungere il nettare e, naturalmente, gli stami e i pistilli.

ranuncolo

I ranuncoli levano la loro corolla su uno stelo eretto, ornato di foglie palmate come le dita di una mano; sono detti anche “botton d’oro” perchè sembra abbiano racchiuso, nei loro cinque petali, tutto il colore del prezioso metallo.

ciclamino

I ciclamini hanno radice grossa, rotonda, carnosa; foglie leggermente ovali e graziosamente screziate di un verde più chiaro; fiori rosei, profumati, se cresciuti in località di alta montagna. Nell’Italia centrale e meridionale, i ciclamini hanno foglie e fiori più grandi; ma i fiori sono più pallidi e senza profumo.

petunia

La petunia è una pianta vivace che vive parecchi anni. Ha foglie pelose e fitte, fiori a forma di campana di vari colori: bianchi, rossi, violacei o azzurri.

zinnia

La zinnia proviene dal Messico ed è un fiore molto diffuso. I suoi fiori doppi o semplici, di svariatissime tinte, sbocciano solitari sulla cima di ogni ramoscello. Questo fiore adorna tutti i giardini, anche i più poveri, per la sua grande facilità di crescita e di coltivazione.

serenella o lillà

La serenella (o lillà) è molto diffusa nei giardini perchè si adatta ad ogni terreno e ad ogni posizione. Fiorisce in pannocchie all’estremità dei rami ed emette un soave profumo. I fiori bianchi o lilla sono semplici o doppi.

ortensia

L’ortensia è originaria dell’Asia. E’ un arboscello di piccole dimensioni, con foglie verdi, lucenti. Sulla cima di ogni ramo porta grandissimi fiori, disposti a corimbo, vivacissimi.

bocca di leone

Le bocche di leone sono così chiamati per la loro forma e per la caratteristica di aprirsi come una bocca se premuti leggermente ai lati; sono fiori riuniti all’estremità di steli rigidi; i colori vanno dal bianco al giallo, all’arancione, al rosa salmone, al rosa vivo, al cremisi intenso. Spesso in un unico fiore sono riuniti più colori, con un effetto curioso e piacevole.

peonia

Le peonie sono assai decorative e disposte in gran quantità nei giardini per la varietà dei colori e per la facilità di coltura. E’ un fiore di lunga durata e spesso di delicato profumo.

garofano

I garofani hanno steli diritti, fiori con corolle dei colori più vari: rosa, porporino, rosso, carneo, bianco. I fiori sono talora semplici, talora doppi, o di un solo colore o striati o punteggiati. Molte specie di questo fiore sono state introdotte dalla Cina e dal Giappone. Da questo fiore si ottengono prodotti di profumeria.

begonia

Le begonie hanno eleganza e bellezza di fogliame, magnificenza e durata di fioritura, estrema facilità di coltura. Le specie sono circa ottocento; provengono principalmente dall’America meridionale e dall’Asia.

fucsia

Graziosissima, coi rami rossicci, la fucsia può prendere forma di alberello, di piramide o di ombrello. Le foglie sono verdi nella parte superiore, sono rosseggianti al di sotto. I fiori pendono come ciondoli da un gambo leggero, che si china al loro peso. Le tinte dei fiori sono bellissime; fra esse spicca sempre un rosso vivo, che contrasta con un violetto splendido.

margherita

La margherita bianca o semplice è preferita alla doppia ed alla gialla. In terra e nei vasi forma un alberello regolare con foglie belle, tagliuzzate, d’un verde chiaro. I suoi fiori hanno i petali candidi, lunghi, distesi regolarmente attorno al centro giallo del fiore; sembrano stelle raggianti e stanno bene nei vasi sui balconi.

mughetto

Il mughetto è anche detto “giglio delle valli” ed ha belle foglie lucenti. Dal cespo verdissimo e compatto delle foglie sorgono gli steli dei fiori, graziosi e diritti, carichi di candide campanelle. Questi fiori emanano tutto attorno un soavissimo profumo.

erica

Le foglie sempreverdi dell’erica porporina spuntano a tre a tre dallo stelo; sono sottili, accartocciate per il lungo, così che sembrano aghi; i fiori color carminio, disposti ad intervalli sulla parte superiore dello stelo, pendono un poco l’uno sull’altro; hanno quattro sepali distinti; ma i petali, riuniti, formano una specie di campanellina rossa, ovale, la cui apertura ha quattro lobi. Il pistillo  è così lungo che sporge dalla bocca del fiore; intorno al pistillo, ma ben dentro al fiore, stanno otto stami.

ginestra

La ginestra cresce in cespugli fitti e con i suoi bei fiori giallo lucente mette allegria; bisogna osservarla da vicino per trovare qualche foglia su questa pianta, perchè tanto le foglie quanto i ramoscelli si sono tutti tramutati in punte acute. I fiori sono simili a quelli del pisello, di cui le ginestre sono parenti. Esiste una ginestra nana che cresce appena a fior di terra, e per le caviglie è tutt’altro che piacevole. Le ginestre contengono i semi entro piccoli baccelli bruni che, quando sono maturi, si spaccano per il lungo come quelli dei piselli; essi sono granellini duri, verde – bruni.

orchidea delle farfalle

L’orchidea delle farfalle ha due grandi foglie oblunghe vicine al terreno, uno stelo altro da 30 a 40 cm, intorno a cui sembrano raggruppate in quantità farfalline bianchicce e piumose. Se la osserviamo nell’ora del crepuscolo, la somiglianza tra i suoi fiori e le farfalle è anche maggiore; ed è molto probabile che le farfalle vere vengano più facilmente intorno a questa pianta, ingannate appunto dal suo aspetto.

pervinca

La pervinca ha un gambo strisciante con stoloni. I fiori sono a cinque petali, di colore blu chiaro. Cresce nei boschi radi e nelle siepi.

 Se possono esservi utili, qui i disegni da colorare stampabili gratuitamente in formato pdf:

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62. Erosione del suolo – Esperimenti scientifici – L’importanza del verde

Erosione del suolo – Esperimenti scientifici – L’importanza del verde

Erosione del suolo – Questo esperimento sull’erosione del suolo, che ha un impatto visivo formidabile anche per la sua semplicità, serve a dimostrare la relazione esistente tra precipitazioni, erosione del suolo, tutela dei corsi d’acqua e vegetazione.

Un esperimento estremamente semplice che sottolinea quanto sia importante la copertura vegetale del terreno.

Si può proporre in tre varianti:
– predisponendo la semina di piantine
– utilizzando piante pronte da  trapiantare
– utilizzando campioni di suolo.

Erosione del suolo – Esperimento – Prima variante

Prepariamo tre bottiglie di plastica uguali, ritagliamole come mostrato nelle foto e posizioniamole su una superficie piana (io le ho incollate con la colla a caldo su una tavoletta di compensato):

l’imboccatura delle tre bottiglie deve sporgere un po’ fuori dal piano d’appoggio. In ogni bottiglia distribuiamo la stessa terra, in pari quantità, premendola bene per compattarla quanto più possibile. La terra deve essere al di sotto del livello dell’apertura della bottiglia:

Tagliamo il fondo di altre tre bottiglie di plastica trasparente, e pratichiamo due fori per inserire la cordicella. Queste coppette hanno la funzione di raccogliere, durante l’esperimento vero e proprio, l’acqua in eccesso delle innaffiature che riproduce l’acqua piovana:

Poi rimettiamo il tappo alla prima bottiglia, dove semineremo:

e mettiamo nella seconda bottiglia un letto di residui vegetali morti (rametti, cortecce, foglie secche, radici morte).

Nella terza bottiglia lasceremo solo la terra.

Spargiamo i semi nella prima bottiglia (io ho scelto crescione, basilico ed erba cipollina), copriamo con un velo di terra e premiamo un po’, poi innaffiamo.

Possiamo utilizzare la parte di bottiglia tagliata per creare una serra che aiuterà i semi a germogliare più velocemente:

Esponiamo alla luce del sole, e prendiamoci cura della nostra semina finchè le pantine non si saranno ben sviluppate. L’esperimento vero e proprio si potrà fare solo allora…

Questa variante  è particolarmente adatta ad essere proposta ai bambini più piccoli, perchè genera curiosità ed aspettative, invita a prendersi cura nel tempo del terreno di semina e stimola l’osservazione del processo di sviluppo della pianta a partire dal seme.

Un processo completo come questo, insegna ai bambini piccoli tantissimi concetti che possono apparire “troppo complicati”, e crea un legame col mondo reale: la pianta viene dal seme (e non dal supermercato o dal fiorista). Quando poi, dopo tanta attesa e tante cure, avremo le piantine nella prima bottiglia, e dopo che chissà quante volte i bambini avranno guardato le altre due e quelle strane coppette facendosi tutte le loro domande, sarà indimenticabile quello che vedranno…

Senza dover dare particolari “spiegazioni” verbali (i piccoli possono apprendere concetti astratti attraverso la loro esperienza e non dalle nostre parole astratte), anche se forse solo i più grandi potranno arrivare all’idea di erosione del suolo, sicuramente tutti avranno chiaro il legame verde=pulito.

Facendo invece l’esperimento con bambini della scuola primaria, che già hanno affrontato i temi dell’ecologia, dell’impoverimento del suolo, della franabilità del terreno legata al diboscamento, della tutela dei corsi d’acqua, tutti questi concetti si chiariranno davvero “in un colpo d’occhio”.

Una volta che le nostre piantine si saranno sviluppate, potremo osservare acqua limpida uscire dalla prima bottiglia, ed acqua progressivamente più sporca dalla seconda e dalla terza; ecco le immagini scattate un paio di settimane dopo la semina:

Erosione del suolo – Esperimento – Variante due

Acceleriamo il processo sostituendo alla semina il trapianto di piantine già sviluppate (io avevo dei gerani):

e naturalmente in questo caso togliamo il tappo anche dalla prima bottiglia:

Ora versiamo la stessa quantità di acqua in ogni bottiglia. Perchè la cosa sia più chiara possibile,  e ogni concetto passi attraverso l’esperienza diretta, possiamo fare un segno all’interno dell’innaffiatoio :

Versiamo dunque l’acqua in tutte e tre le bottiglie, in tutte e tre nello stesso punto (l’estremità opposta all’apertura)

e osserviamo:

Le immagini sono scattate in sequenza.

Utilizzando piantine da trapianto, come vedete, l’acqua del primo contenitore al termine non è perfettamente limpida (inevitabilmente attorno all’apparato radicale ci sarà del terriccio aggiunto di fresco che sporca un po’ l’esperimento), ma l’acqua nella ciotola risulta comunque pulita rispetto a quella contenuta nelle altre due.

Erosione del suolo – Esperimento – Terza variante

Questa variante è adatta a bambini della scuola primaria e oltre: aggiunge infatti all’esperimento la scientificità e la serietà del “prelevare campioni di suolo”, cosa che per i bambini piccoli, invece, può generare un’impressione non proprio positiva.

E con questo arriviamo a poter citare gli ispiratori dell’esperimento:

Come vedete, qui sono state utilizzate bottiglie più grandi per i campioni, e per l’innaffiatura si è utilizzato un tubo con tre rubinetti (per questo è evidente il foro nel terzo campione).

Si tratta di andare all’aperto e prelevare tre zolle differenti di terreno: una di erba viva, una di terra coperta di residui vegetali morti, una priva di qualsiasi altro elemento.

Si aprono i rubinetti, ma pochissimo, in modo che l’acqua goccioli lentamente in ognuna delle bottiglie, si attende e si osserva. Si può anche versare l’acqua senza usare rubinetti, purchè ogni bottiglia ne riceva, come già detto, la stessa quantità.

Visitando il blog (anche se in portoghese) potrete trovare altri interessanti esperimenti e molto materiale sul tema dell’erosione.

Science experiment on soil erosion – This experiment, which has a tremendous visual impact due to its simplicity, it will demonstrate the relationship between precipitation, soil erosion, protection of watercourses and vegetation.

A very simple experiment that stresses the importance of the vegetation cover of the soil. You can propose in three versions: – Preparing the planting of seedlings – Using plants ready to be transplanted – Using soil samples.

Science experiment on soil erosion – First version

Prepare three identical plastic bottles, cut as shown in the pictures and put them on a flat surface (I’ve stuck with the hot glue on a tablet of plywood):

the opening of the three bottles should protrude a little out of the surface. Put in each bottle the same amount of ground and press hard to pack as much as possible. The ground must be below the level of the opening of the bottle:

Cut the bottom of other three bottles of transparent plastic, and make two holes for the string. These cups will serve to collect, during the experiment, the water in excess, which reproduces the rainwater:

Then put the cap on the first bottle in which to plant the seeds:

put inside the second bottle some dead vegetal wastes (twigs, bark, leaves, dead roots). In the third bottle just leave ground.

Spread the seeds in the first bottle (I chose watercress, basil and chives), cover with a layer of ground and press a little, then watering; you can use the piece of plastic cut from the bottle to cover the soil seed like a greenhouse, which will help the seeds to germinate faster:

Expose to sunlight, and take care of planting until the plants are well developed. The actual experiment can be done only then …

This version is particularly suitable to be offered to younger children, because it generates curiosity and expectations, invites you to take care of sowing and stimulates the observation of the process of development of the plant from seed.

A process as complete teaches children many concepts that may appear “too complicated”, and creates a link with the real world: the plant is from seed (and not from the supermarket or florist). When, after a long wait and a lot of care, we have the plants in the first bottle, and after the children have watched day after day the other two bottles and cups, making all their questions, what they see will be unforgettable …

Without having to give specific verbal explanations (little ones can learn abstract concepts through their experience and not by our words), though perhaps only the older children come to the idea of soil erosion, surely everyone will clear the link green = clean .

If you do this experiment with primary school children, who have already studied about ecology, land degradation, landslides, deforestation, protection of watercourses, etc … all of these concepts will become experience.

When the plants will be developed, we can see clear water out of the first bottle, and water progressively dirtier out of the second and third.
Here are the pictures taken two weeks after sowing:


Science experiment on soil erosion – Second Version

Speed up the process and replace the sowing with the transfer of plants already developed (I had geraniums):

of course, in this case, remove the cap also from the first bottle:

Pour the same amount of water in each bottle. To make it as clear as possible, and to learn each concept through direct experience, make a mark inside the watering can:


Pour the water into all three bottles, in all three at the same point (the end opposite the opening) and observe:


The images are taken in sequence.

Using plants already developed, as you can see, the water from the first container at the end of the experiment, it is not perfectly clear (inevitably, there will be some fresh soil around the root), but the water in the first bowl will always be clean compared to the water contained in the other two bowls.

Science experiment on soil erosion – Third version

This version of the experiment on soil erosion is suitable for children of primary school and beyond: it adds the seriousness of “taking samples of the soil.” With younger children, however, take samples of soil (especially living plants) can generate a negative impression. And so I can quote the inspirers of this experiment:

Solo na escola – ESALQ solonaescola.blogspot.it

As you see, here were used larger bottles for the samples, and it is used for watering a tube with three taps (for this reason it is so evident the hole in the third sample).
It is to go outside and take three different clods of soil: a patch of grass alive, a ground covered with dead plant residues, a clod without any other element.
Open taps, but very little, so that the water drips slowly in each of the bottles, wait and observe.
It can also pour water without using taps, provided that each bottle receives, as already said, the same amount of water.

Visiting the blog (although in Portuguese) you can find other very interesting experiments and educational materials on the topic of soil erosion.

Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane

Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane

Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane: una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per la scuola d’infanzia e primaria.

Stornello
Fior di frumento!
Sussurrano le spighe sotto il vento:
“Un chiccolin di grano ne dà cento!”

Semina
Getta i semi nella terra il contadino,
poi si riposa e guarda tutto intorno;
guarda il campo, la casa e il mulino,
pensa che i semi saran pane un giorno. (C. Del Soldato)

Le stelline del bosco
C’era nel bosco un seme piccolino
come nera capocchia di spillino.
A poco a poco ne sbocciò una pianta
che nel maggio si ornava tutta quanta
di vaghi fiori bianchi come stelle,
con corolle delicate e belle.
Ogni fiore più tardi fece frutto
che si riempì di semi tutto tutto.
Poi venne frate vento e li strappò,
tutt’intorno li sparse e sotterrò.
E’, frate vento, un buon seminatore
che i semi porta via d’ogni colore;
li sparpaglia peri campi e le colline,
perfin sopra le mura e le rovine.
Indovinate quel che avvenne poi?
Ditelo, bimbi, indovinate voi! (A. Cuman Pertile)

Al campo
Su, coi fecondi raggi novelli,
al campo, al campo, cari fratelli!
Al campo, al campo. Dio benedica
del campagnolo l’umile fatica.
Dolce il lavoro, quando in bel giorno
tutto il creato ci arride intorno;
e sotto il piede ci odora il fiore
che ignoto vive, che ignoto muore. (G. Carducci)

La semina
Semina un uomo ove passò il bifolco
con la forza dei tori: il seme splende
e in pioggia d’oro scende
fra l’ombra delle bianche nubi e i voli.
Tempo verrà che i dolci rosignoli
canteranno fra i verdi lauri e i mirti,
e nei solchi, sugli irti
steli, la spuga granirà feconda. (G. Pascoli)

La semina
Cadon le foglie;
e tristi i grilli piangono l’estate.
L’altra notte non chiusi occhio tanto era
quel grido! “Seminate! Seminate!”
credei sentire…
O Dio, fa che non invano
nei rudi solchi quella gente in riga
semini il pane suo quotidiano. (G. Pascoli)

Seminagione
Chi ha seminato, in pace
riposa. Anche il solco, col seme
che nel grembo si preme,
in grande quiete ora giace.
Ora Dio radunerà i venti
dalle grotte lontane
per spingere nubi sul pane
ch’è dentro le sementi.
Così dall’umano lavoro,
con la pioggia del cielo e la luce
del sole, Iddio produce
il sano pane d’oro. (Giuseppe Porto)

L’aratro
Io solco la terra che dorme;
la desto dal greve riposo,
e suscito i succhi e gli umori
che danno, alle zolle, i colori
rossicci e ferrigni del saio.
E va la mia punta lucente
fra steli e germogli appassiti,
tra larve minute ed insetti,
tra foglie marcite e bruchetti. (Edvige Pesce Gorini)

La semenza
Nella terra il bove traccia
con l’aratro il dritto solco;
con la forza delle braccia
sparge il seme il buon bifolco. (V. Brocchi)

La novellina del grano
Un giorno un chiccolino
giocava a nascondino;
nessuno lo cercò
ed ei s’addormentò.
Dormì sotto la neve
un sonno lugno e greve;
alfine si destò
e pianta diventò,
La pianta era sottile,
flessibile, gentile,
la spiga mise fuor
d’un esile color.
Il sole la baciava,
il vento la cullava:
di chicchi allor s’empì
pel pane di ogni dì. (A. Cuman Pertile)

Il grano
Suda suda il contadino:
il frumento è già grandino.
Viene maggio:
è verdolino;
viene giugno:
è giallo giallo.
Ecco il vento: si diverte
con le spighe un poco aperte. (L. Galli)

Grano

Sepolto da provvida mano
dormivi nel solco celato,
oh piccolo chicco di grano,
nel sen della terra adagiato:
la culla era calda, sicura,
vegliava su te la natura.
Sui campi deserti, silenti,
un umido velo discese,
poi freddi soffiarono i venti;
ma i solchi dal gelo difese
la neve, e coi bianchi mantelli
te, chicco, protesse, e i fratelli.
Ma giunse coi dolci tepori
di marzo il benefico sgelo.
Dal molle terriccio uscì fuori
un verde, esilissimo stelo:
al sole di marzo così
il piccolo chicco fiorì.
E crebbe, e la fragile spiga
fu colma del nuovo tesoro
che premia l’umana fatica:
i solchi rifulsero d’oro.
Al sole, cantando, i coloni
raccolsero i biondi covoni. (I. Alliaud)

Chiccolino
Chiccolino, dove stai?
Sotto terra, non lo sai?
E là sotto non fai nulla?
Dormo dentro la mia culla.
Dormi sempre? Ma perchè?
Voglio crescer come te.
E se tanto crescerai
Chiccolino, che farai?
Una spiga metterò,
tanti chicchi ti darò. (A. Cuman Pertile)

La spiga
Eri un chicco di frumento
chiuso in grembo alla campagna.
Ora al vento,
ora all’acqua che ti bagna
pieghi umile
il tuo lungo stel sottile,
le tue reste delicate.
Brillerai d’oro vestita,
bionda figlia dell’estate,
quando al cielo il canto sale
delle tremule cicale. (M. Castoldi)

Il pane
S’io facessi il fornaio
vorrei cuocere un pane
così grande da sfamare
tutta, tutta la gente
che non ha da mangiare.
Un pane più grande del sole,
dorato, profumato
come le viole.
Un pane così
verrebbero a mangiarlo…
…i poveri, i bambini,
i vecchietti e gli uccellini.
Sarà una data
da studiare a memoria:
un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia. (G. Rodari)

Il pane
Il pane ha un sapore
che il sole ricorda, e la spica
dal biondo colore.
Conosce l’umana fatica
quel pane dorato
che trovi sul desco ogni giorno,
che a volte hai spezzato
ancora fragrante di forno.
E’ sempre gustoso,
condito di gioia e di pene.
E’ un dono prezioso,
la prova che ci si vuol bene. (M. Castoldi)

Il nostro pane
Ricordi quel grano nel solco,
quel grano piccino così,
caduto di mano al bifolco
(che inverno!) e di gel non morì?
Ricordi quel piccolo stelo
d’un verde lucente, che in campo
tremava d’un tuono, d’un lampo,
fidando soltanto nel cielo?
Ricordi la spiga ancor molle
piegata sul gambo cresciuto?
Il giorno, bambino, è venuto
che l’uomo la tolga alle zolle.
Di giugno si miete. Ciascuno
raccolga nel campo perchè,
un poco più bianco o più bruno,
ciascuno abbia un pane per sè. (R. Pezzani)

Il pane
Pane, panetto mio,
così buono ti volle Iddio.
Così dorato, così croccatne,
sei uscito da mani sante.
Sei sbocciato come un fiore
dalla gioia e dal dolore,
dalla terra lavorata,
dal sudore che l’ha bagnata.
Pane, panetto mio,
così buono ti volle Iddio. (R. Pezzani)

Il pane
Un pane grande, caldo, rotondo,
luminoso come il sole
da spartire a chi ne vuole,
un pane grande, più grande del mondo.
Che ce ne sia per vecchi e bambini
e per i poveri nostri vicini. (R. Pezzani)

Il pane

Nella terra il bove traccia
con l’aratro il dritto solco;
con la forza delle braccia
sparge il seme il pio bifolco.
Spiga già la messe al vento
ondeggiando tutta d’oro;
ogni chicco di frumento
si trasforma in un tesoro.
Il mulin, rombando, il grano
frange in candida farina;
il fornaio la raffina,
staccia, intride a mano a mano;
cuoce poi nel forno ardente
gli odorosi bianchi pani
e li porge alle tue mani,
o mio piccolo ridente.
Bambini, per noi
l’aratro, il molino
il buon contadino
lavorano, e i buoi.  (V. Brocchi)

Il pane
Laggiù in mezzo al campo bruno,
sotto un cielo basso, aggrondato,
un piccolo uomo inginocchiato
si curva tutto sul solco oscuro,
a guardare, ad ascoltare,
a parlare a qualcosa, che non si sa.
Pare un prete sull’altare
quando comunica col Signore;
ed p un poveretto seminatore
che si gode d’accarezzare
la sua terra di pena e d’amore
e tra le zolle dure spiare
il suo grano che cosa fa. (D. Valeri)

Il forno
Il forno è aperto: dalla nera volta
e dai larghi mattoni dello spiazzo,
un odore di cenere si spande.
S’accende il fuoco e dai sarmenti secchi
e dai fasci di lucida ginestra
creste di fiamme salgono cricchiando.
Oscillano a raggiera bianche e rosse,
come gigli infiammati. Poi di giallo
si colorano tutte e d’arancione.
Un luccichio rosato
invade la fuliggine indurita;
una vampa di porpora colora
i mattoni porosi; un’ampia brace
fa corona alle fiamme che, guizzando,
lambiscono la volta, diventata
bianca, d’un bianco di calcina secca.
Qualche fuscello si contorce ancora
Tra la brace ammucchiata e spinta in giro
da verdi fascinelle di sambuco.
Il forno è pronto: candido, infuocato;
entrano in fila, le pagnotte bianche
segnate dalla croce ad una ad una. (Edvige Pesce Gorini)

Il pane
Il pane ha un sapore
che il sole ricorda, e la spiga
dal biondo colore.
Conosce l’umana fatica
quel pane dorato
che trovi sul desco ogni giorno,
che a volte hai spezzato
ancora fragrante di forno.
E’ sempre gustoso,
condito di gioie e di pene.
E’ un dono prezioso,
la prova che Dio ci vuol bene. (Maggiorina Castoldi)

Il forno abbandonato
C’è una cupola maliziosa
in disparte presso la casa,
che alla porta guarda curiosa.
L’apertura è una bocca nera
che al mattino s’empie d’aurora
che al tramonto beve la sera.
Sempre aperto rimane il forno:
entrano polvere, acqua ed aria;
tutto quanto capita il giorno.
S’entra il vento diventa fioco,
s’entra un seme germoglia bianco;
ed il forno sospira: “Fuoco!”
E vorrebbe tante fiammelle
rosse, gialle, multicolori,
di crepitanti fascinelle!
Ma è sempre vuoto, sempre spento;
il buon pane non entra mai;
entrano l’aria, l’acqua e il vento! (Edvige Pesce Gorini)

L’ora del pane
Sorprendono le campane
l’ultima stella accesa.
Sa d’incenso la chiesa
l’alba è l’ora del pane.
Chi comincia il suo giorno
e nel ciel non dispera
sente nella preghiera
l’odor buono del forno.
Sente che la promessa
chiusa nell’orazione
si farà nella Messa
pane di comunione:
pan di lievito, fresco
nella madia e sul desco. (R. Pezzani)

Terra e pane
Appoggiato al suo aratro
in mezzo al solco bruno
della terra rimossa,
il vecchio contadino
mangia un pezzo di pane.
Pane solo, raffermo
che lentamente affetta
e mastica pacato.
Intorno è il vasto campo
che il vomero ha segnato
di ferite profonde…
e l’uomo antico è solo;
mangia e guarda la terra,
e assapora il pane
il gusto misterioso
del suo grembo infinito. (G. Di Leo Catalano)

 Mietitura

O San Giovanni della mietitura,
apri le porte d’oro; è tempo ormai.
La falce è in filo e la messe è matura;
apri le porte d’oro ai  tuoi granai,
o San Giovanni della mietitura.
Eccoli i mietitori. Hanno percorso
le vie bianche di sole a schiere a schiere.
A ognun la falce rilucea sul dorso
come un tempo la daga al cavaliere.
Domani questa messe ampia cadrà. (P. Mastri)

Si miete

Ricordi quel grano nel solco,
quel giorno, piccino così,
caduto di mano al bifolco
(che inverno!) e di gel non mori?
Ricordi quel piccolo stelo
d’un verde lucente, che in campo
tremava d’un tuono, d’un lampo,
fidando soltanto nel cielo?
Ricordi la spiga ancor molle,
piegata sul campo cresciuto?
Il giorno, bambino, è venuto
che l’uomo la tolga alle zolle.
Di giugno si miete. Ciascuno
raccolga nel campo, perchè
un poco più bianco o più bruno,
ciascuno abbia un pane per sè. (R. Pezzani)

La mietitura

Già si mieteva, e già la trebbiatrice,
appiattatta tra i meli alla pianura,
martellava con l’eco la pendice,
ed era il polso della mietitura.
Gianni sognava l’aia, i miti buoi,
l’aspro tribbio che stritola i mannelli
e scivola e trabalza; e a sera, poi,
la loppa al vento e in cumulo i granelli. (N. Venieri)

Trebbiatura

Meriggio. La macchina trebbia
ansando con rombo profondo.
Il grano, rigagnolo biondo,
giù scorre. Nell’aria è una nebbia
sottile. Sogguarda per l’aia
il nonno, con faccia rubizza.
Nell’aria una rondine guizza
radendo la bassa grondaia.
E intanto, che ressa sul ponte
tra i mucchi di spighe e di paglia,
col sole negli occhi che abbaglia,
col sole che infuoca ogni fronte!
Le donne di rosse pezzuole
avvolgono le trecce sudanti.
Non s’odon nè risa nè canti.
Ma il nonno: “Su, allegre, figliole!” (E. Panzacchi)

I covoni

Sui campi disteso
al sole ed al vento
non ondula più
il biondo frumento.
Or tacite stanno
qua e là grandi spighe;
ai piedi vi accorrono
le industri formiche.
Che ricca cuccagna!
Si carican, vanno.
Che importa se pesa,
se grave è l’affanno?
Il lungo corteo
così laborioso
c’insegna che il grano
è un dono prezioso. (G. Consolaro)

La falce

Falce, sei bella,
quando, nell’ore
calde di giugno
splendi nel pugno
del mietitore.
Prona la terra
ride col sole
in un sonoro
fremito d’oro.
L’uomo l’afferra,
per sè la vuole:
e con la manca
gli steli abbranca
d’oro, siccome
ciuffi di chiome;
con l’altra mano
te vibra. E’ un lampo
che fende il grano
da campo a campo
che guizza e va. (P. Mastri)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo

Anche se l’accrescimento può essere soggetto a diversi fattori ambientali, l’orientamento della pianta è guidato da tre fattori principali che sono il fototropismo, il gravitropismo e il tigmotropismo:

il fototropismo, o crescita verso la luce, assicura che le foglie ricevano una quantità ottimale di luce per la fotosintesi;
il gravitropismo, o crescita in risposta alla gravità, permette alle radici di crescere nel suolo verso il basso e ai fusti di crescere verso l’alto, lontano dal suolo;
il tigmotropismo, o crescita a seguito di contatto, permette alle radici di crescere attorno agli ostacoli ed permette alle piante rampicanti di avvolgersi attorno alle strutture di supporto.

Il fototropismo è mediato dall’auxina (un ormone vegetale della crescita). L’auxina si forma nell’apice e poi scende distribuendosi uniformemente in tutte le cellule della pianta, ma se l’illuminazione non proviene dall’alto, l’auxina anziché distribuirsi uniformemente si sposta verso il lato non illuminato. L’accumulo di questo ormone determinerà crescita maggiore nel lato in ombra, con conseguente piegamento verso la luce.

Il fototropismo è stato descritto per la prima volta da Darwin, ed è stato osservato anche nel plancton acquatico.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
 Materiale necessario per costruire il labirinto:

– una scatola di cartone con coperchio, possibilmente di colore scuro
– ritagli di cartone, possibilmente di colore scuro

Piantine:

l’esperimento riesce particolarmente bene utilizzando patate, patate dolci o cipolle germogliate che possono essere messe in un vaso di terriccio ben bagnato, oppure sospese in un vaso d’acqua con degli stecchini di legno:

photo credit http://amicidellortodue.blogspot.it/

oppure piantando un seme di fagiolo in un vasetto con un po’ di terriccio ben bagnato:

photo credit: http://lalica.wordpress.com/

Se usiamo il vaso con terriccio, sia per la semina, sia per patate e cipolle germogliate, occorrerà  di tanto in tanto innaffiare, e anche se usiamo il vaso d’acqua dovremo controllare se serve aggiungerne.

Con le patate e le cipolle si può anche provare a metterle nella scatola così, senza acqua né terriccio: contengono in effetti acqua e nutrienti che per un po’ possono assicurare la crescita del germoglio anche in assenza di terra ed acqua. Se scegliete questa soluzione, il processo di sviluppo della pianta potrebbe essere un po’ più lento, ma vi sarà possibile sigillare meglio il coperchio alla scatola.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Obiettivi dell’esperimento:

dimostrare l’effetto della luce sulla crescita delle piante.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Tempi:

occorreranno circa due settimane dall’esperimento, per poter osservare i risultati. Di più se rinunciate a terriccio ed acqua.

Per preparare i bambini possiamo, nei giorni precedenti, invitarli ad osservare le piante sul davanzale della finestra. Cosa possiamo dire della loro crescita?  Che le piante non crescono verso la stanza, ma verso l’esterno della casa. Perchè? Perchè le piante si rivolgono alla luce del sole. Possiamo anche uscire all’aperto ed osservare e confrontare la crescita delle piante che incontriamo.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Preparazione della scatola

La scatola può essere preparata in diversi modi, l’importante è che presenti un solo foro in alto per l’ingresso della luce e che i cartoni divisori siano alternati in modo tale da non impedire alla luce di seguire un certo percorso verso la pianta, ed alla pianta di crescere verso il foro, una volta che la scatola sarà chiusa.

I cartoni divisori devono avere esattamente la stessa altezza di quella della scatola, in modo tale da toccare il coperchio, quando la scatola verrà chiusa. Potete farne quanti ne volete. Possono essere di lunghezza diversa, oppure posso essere tutti lunghi come la lunghezza della scatola, e si possono praticare fori (finistrelle di circa 3×3 cm) a distanze diverse per il passaggio della luce.

Alcuni esempi:

http://www.asc-csa.gc.ca/

photo credit: http://www.epa.gov/

photo credit: http://www.imsa.edu

photo credit: http://kitchenpantryscientist.com/
 
photo credit http://bangkokpatanascience.blogspot.it/
 
photo credit: http://archive.blisstree.com/
 

Per la riuscita ottimale dell’esperimento, naturalmente, la scatola deve essere integra ed il coperchio deve chiudere perfettamente, così la luce può davvero entrare solo attraverso il foro superiore. Si può controllare inserendo una torcia,al buio, nel foro superiore, e si può provvedere a sigillare meglio con l’aiuto del nastro adesivo, ma bisogna ricordare che ogni tanto la scatola deve essere aperta per dare l’acqua alla pianta.

È essenziale che anche i cartoni divisori all’interno siano a tenuta di luce lungo i punti di fissaggio alla parete della scatola e utilizzare nastro adesivo nero può essere una buona soluzione.

Inoltre anche tutti i bordi dei cartoni divisori che toccano il coperchio, quando viene montato, devono essere a tenuta di luce; per impedire alla luce di fuoriuscire al di sopra dei divisori che vengono in contatto con il coperchio si può provvedere a rivestire l’interno del coperchio con un foglio di spugna o qualche strato di feltro, e poi mettere il coperchio premendo delicatamente, in modo tale da comprimere l’imbottitura contro i divisori di cartoni ed i bordi esterni della scatola.

Possiamo anche più semplicemente incappucciare la scatola con un telo nero che presenti solo un foro in corrispondenza del foro per la luce praticato sulla scatola.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Cosa fare

Preparata la scatola e il germoglio, posizionare la piantina sul fondo, chiudere col coperchio e posizionare in un luogo soleggiato, in modo che il foro in alto possa ricevere quanta più luce possibile.

Possiamo coi bambini fare previsioni rispetto a quello che accadrà all’interno della scatola, e i bambini possono provare a disegnarle.

Si può approfittare dell’apertura della scatola per le innaffiature, per fare misurazioni e registrazioni.
Quanto velocemente può la vostra pianta di fagioli o di patate crescere? Patate e fagioli sono piante che crescono molto in fretta: una pianta di fagioli raggiunge l’altezza di circa 50 centimetri in tre settimane, e una pianta di patata cresce fino a 60 centimetri in quattro settimane. I bambini possono usare un righello per misurare la crescita della pianta, e fare un segno all’interno della scatola . Queste misurazioni possono essere fatte ogni giorno. Osserveremo che durante i primi giorni la crescita sarà molto molto lenta, ma poi accelererà notevolmente dopo il terzo o quarto giorno, soprattutto se saremo costanti con le innaffiature.

Possono inoltre essere preparate delle “scatole di controllo”. La più interessante sarà quella preparata come spiegato, ma poi, invece di essere esposta al sole col foro in alto, la si può appendere a un sostegno alto, in modo che l’apertura per la luce venga a trovarsi in basso. Cosa accadrà alla piantina in questa scatola? Sarà in grado di sfidare la forza di gravità e crescere a testa in giù per raggiungere la luce?

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Conclusioni possibili

Le piante, che appaiono immobili per definizione in quanto saldamente ancorate alla terra con le loro radici, in realtà sono in grado di compiere movimenti in risposta a stimoli esterni.

La luce solare è essenziale per la crescita delle piante, e le piante fanno tutto il possibile per riceverla.

Coi bambini più grandi possiamo parlare nello specifico del fototropismo e dei suoi meccanismi ricorrendo ai termini esatti, oppure presentare il fenomeno a partire da ciò che è direttamente osservabile.

Le piante, come tutti gli esseri viventi, sono costituiti da piccole unità chiamate cellule. Nelle piante, alcune cellule presenti nelle foglie e negli steli sono sensibili alla luce. Mentre gli esseri umani e altri animali mangiano cibo per ottenere energia, le piante ricavano l’energia che serve loro per vivere dal sole. Una pianta che non può ricevere una quantità di luce adeguata  può morire, e per questo ogni pianta cerca sempre di crescere in direzione del sole. Per la nostra piantina chiusa nel labirinto, anche la piccola quantità di luce che entra attraverso il foro è sufficiente a guidare il germoglio verso l’esterno.

All’apertura della scatola potremo notare come il germoglio e le foglioline appaiano biancastre nelle zone più lontane dal foro. Le piante infatti, ricevuta l’energia che serve loro attraverso la luce del sole, producono una sostanza chimica chiamata clorofilla, che è di colore verde. Quando la clorofilla manca, le foglie invece di essere verdi diventano bianchicce, gialle, rossicce, marroncine; come avviene naturalmente in autunno.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo – Fonti:

– http://www.imsa.edu

– http://scienceforcuriousstudents.blogspot.it

– http://www.planet-science.com/

– http://kitchenpantryscientist.com/

– http://www.ehow.com/

– http://plantsinmotion.bio.indiana.edu

– http://www.asc-csa.gc.ca/

– http://bangkokpatanascience.blogspot.it

– http://archive.blisstree.com/

– http://herbarium.desu.edu/

– http://it.wikipedia.org/wiki/Fototropismo

– http://www.tesionline.it/v2/

fototropismo

Botanica: il giardino delle meraviglie, un semplice esperimento sulla disseminazione

Botanica: il giardino delle meraviglie, un semplice esperimento sulla disseminazione. Prepariamo due cassette, da posizionare all’aperto sul terrazzo o sul davanzale di una finestra: in una di queste piantiamo qualche seme: grano, lenticchie, piselli, qualche bulbo. Li vedremo presto  germogliare, crescere e infine fiorire. Nell’altra cassetta non pianteremo niente, e la chiameremo “Il giardino delle meraviglie”…

Coi bambini diamo le stesse cure ad entrambe le cassette, provvedendo ad innaffiare la terra, e osservando via via quello che avviene.

Cosa succederà nel Giardino delle meraviglie? Un bel giorno anche qui, pur non avendo seminato nulla, spunteranno delle piantine. Chi le ha seminate allora? Il vento, oppure un uccellino di passaggio che ha lasciato cadere un semino. Potremo così parlare ai bambini della disseminazione.

La pianta ha un solo unico fine: quello di produrre il seme; ecco perchè fiorisce e fruttifica. Quando poi i suoi semi sono maturi, la natura provvede affinchè essi siano portati il più possibile lontano dalla pianta madre.

Il vento è un gran disseminatore e così gli uccelli, che ingoiano il frutto e lasciano cadere il seme. Ma spesso è la pianta stessa che provvede a questo compito vitale. Osserviamo ad esempio il seme dell’acero, munito di elica che gli permette di volare lontano sulle ali del vento; i semi di altre piante sono, invece, muniti di pungiglioni con cui si attaccano al vello delle pecore che li porteranno lontano; altri sono forniti di peli leggeri che li faranno vagare nell’aria, come i semi del soffione e della cicoria.

Qualcuno di questi semi andrà sicuramente a cadere nel nostro Giardino delle meraviglie, e darà origine ad alcune piantine nelle quali potremo riconoscere qualche piantina che cresce nel prato vicino.

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato – Ho realizzato tempo fa queste schede illustrate per il riconoscimento delle erbe selvatiche più comuni per una seconda classe, dopo aver lavorato coi  dettati ortografici sulle erbe del prato,

avviando anche le prime raccolte di erbe per la produzione di un erbario di classe.

Il livello di approfondimento è adeguato all’età. I nomi latini sono importanti, accanto al nome volgare, per ricercare ulteriori informazioni relative a quella specifica erba; non se ne richiede certo la memorizzazione :-)… e lo stesso vale per la classificazione botanica.

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Queste sono le schede per il riconoscimento delle erbe del prato:


che puoi scaricare in formato pdf qui:

Istruzioni per le schede per il riconoscimento delle erbe del prato: ogni foglio contiene la scheda fronte-retro di due erbe del prato. Ritagliate dunque due strisce orizzontali da ogni foglio, e ripiegatele lungo la linea verticale al centro. La scheda può essere plastificata così a doppio, oppure l’interno può essere utilizzato per conservare i campioni di erbe raccolte e per le annotazioni.

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Per un lavoro più approfondito le risorse migliori che ho trovato nel web, tutte gratuite, sono queste:

le schede botaniche illustrate da Carl Axel Magnus Lindman
http://caliban.mpiz-koeln.mpg.de/lindman/

le schede botaniche illustrate da  Otto Wilhelm Thomé
http://www.biologie.uni-hamburg.de/b-online/thome/Alphabetical_list.html

una raccolta di link ad altre risorse:
http://www.floramedica.org/page7.htm

raccolte da cui ho tratto le immagini per realizzare le schede.

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Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Dettati ortografici LE ERBE DEL PRATO

Dettati ortografici LE ERBE DEL PRATO – Una collezione di dettati ortografici sul tema “le erbe del prato”, di autori vari, per la scuola primaria.

Il prato
In primavera il prato si riveste di erba verde e profumata. Fra l’erbetta tenera sbocciano le prime margheritine, le calendule, tutti i piccoli, variopinti giori di cui pochi conoscono il nome, ma che fanno il prato leggiadro e bello.

Quanti fiori!
Quanti fiori sul prato verde, nuovo. tutto imbrillantato di rugiada! Pratoline bianche con l’orlino rosso, calendule arancione, campanelle bianche e viola che di arrampicano sui cancelli, vilucchi modesti, bianchi, venati di rosso, e poi tutti i piccoli fiori di cui forse pochi sanno il nome, ma che fanno il prato così leggiadro, così variopinto, così profumato!

Sotto la siepe ancora fitta di stecchi spinosi, è spuntata la prima viola. Coraggiosamente ha sfidato i pericoli dell’ultimo freddo ed ha levato la sua testina scura fra un groviglio di foglie secche, di germogli novelli, di fili di paglia, di grumi di terra. Grazie, piccola annunciatrice della primavera.
R. Rompato

Il prato è colmo di fiori: vedi le radichelle gialle, le azzurre corolle della cicoria, le testine piumose della pimpinella, i trifogli bianchi, gialli, rossi, l’oro dei ranuncoli, il bianco rosato delle pratoline… e i fiori della malva, del tasso barbasso, i fiorellini leggeri delle veroniche, gli occhi azzurri delle genziane, i grappoletti della prunella, le creste di gallo, i tralci dell’odoroso pisello… E’ una festa di colori e di aromi; la festa della primavera. (N. A. Oddi)

I fiori
Appena la natura ripalpita ai primi soffi di primavera, ecco i fiori. Fiori dappertutto: nei campi e nei prati, sulle rive dei ruscelli, nelle siepi, nei boschi, nei giardini. Fiori che ornano con ugual grazia i vasi di cristallo e i pentolini sbocconcellati, le case dei ricchi e le modeste dimore dei poveri. (Savini)

La prima viola
E’ spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata! E’ venuta a dire alla primavera che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si copriranno di gemme, di fiori, di frutti. (Steiner)

Alla viola
Grazie, piccola annunciatrice della primavera! Tu vieni a dirci che le rondini sono in viaggio per tornare ai loro nidi, che gli alberi si sono già coperti di gemme, che il contadino prepara i lavori dei campi… Tu vieni a dirci la parola della speranza e della gioia, piccola viola che ti dondoli al vento di marzo, con delle perline di brina ancora luccicanti sul lembo delle foglie, ma con la profumata corolla spalancata a bere il calore del pallido sole.
R. Rompato

L’amemone
Fior di vento è il mio nome; e quando, a primavera, tutta la pianura si desta fremente all’alito dei primi venti, io alzo ridente la mia corolla al sole. Mi piace sentirmi curvare da quel manto leggero che piega gli steli e fa ondeggiare gli alti, solenni pioppi. E’ bello fare a rimpiattino con gli aguzzi ciuffi d’erba che, timidi, si affacciano a cercare il sole.
R. Rubatto

Fiori selvatici
In primavera, quando tutto rinasce nella natura, è una gioia osservare il verde delle erbe e del fogliame riprendere la sua rivincita sulla bianchezza delle nevi. Gli steli delle erbe, che possono rivedere la luce, perdono la loro tinta rossastra per diventare di un bel verde. I prati sono screziati da moltitudini di fiori e qui ecco ranuncoli, anemoni e primule sbocciate a mazzi, più lontano il verde scompare sotto il niveo biancore del grazioso narciso.
G. Reclus

Risveglio dei fiori
Al mattino, appena il cielo biancheggia ad oriente e spegne ad uno ad uno i suoi lumi, appena le nuvole cominciano a colorarsi di tinte d’opale, d’argento, d’oro, di porpora, i colori dei fiori cominciano a distinguersi fra le erbe sempre meno scure, e prima i bianchi e i gialli, più tardi i rosei, i cilestrini, i blu. Presto presto, se il cielo non sia nuvoloso o piovoso, le pratoline sciolgono le cuffiette, i vilucchi calano i cappucci, si aprono le campanelle e i gialli soffioni e le cicorie somiglianti a fiordalisi.
Paolo Lioly

Fiori di campo
Sbocciano in piena libertà, all’aria aperta della campagna. Danno un aspetto vago all’erba dei prati, inghirlandano a festa la spalliera delle colline, riempiono di profumo le gole dei burroni e il silenzio delle ombrose valli. (Collodi)

Fiori di campo
Li trovate dappertutto: lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, lungo le prode, su per i greppi, nelle aiuole degli orti e dei giardini. Si direbbe che questi piccoli e graziosi amici stanno a far capolino fra l’erba per sorridere mentre passate, per darvi il bene arrivato e per rallegrarvi la strada. (Collodi)

Fiori di campo
Entrate nel bosco ed ecco venirvi incontro il mughetto con le sue campanelline d’argento e la violetta dal profumo delicato; fra quel ciuffo d’erba verde biancheggia l’elegante margheritina, e in mezzo ai campi di biade, spicca il rosso fiammante del rosolaccio e la tinta azzurra del fiordaliso. (Collodi)

I fiori
I fiori vivono e parlano. Il profumo è il loro respiro, il colore la loro voce. La rosa ho un linguaggio e il garofano dice parole diverse dalla violetta. Così ogni fiore ha la sua voce e dal giardino e dal prato si alza un coro di profumi. (Salvaneschi)

Il prato
Il prato era tutto brullo, con pochi ciuffi di erba inaridita dal gelo. E’ bastata una mattina di sole, è bastata una lieve pioggerellina di primavera ed ecco che il prato si è ricoperto di erbetta tenera e profumata; ecco gli insetti ronzare intorno ai primi fiori, ecco le pratoline aprire gli occhietti meravigliati, ecco le violette esalare il loro delicato profumo.

Il prato
Sul prato cresce l’erba, talvolta così disprezzata che molti la chiamano erbaccia. Non è erbaccia, è il fieno profumato per alimentare il bestiame, è il foraggio per l’inverno, quando il gelo avrà ucciso tutte le piante; è la bellezza del prato, è una meraviglia della natura.

Il prato
Certamente ti piace correre per i prati, sdraiarti fra la verde erbetta, cogliere i fiorellini che sbocciano al tiepido sole di primavera. Ebbene, quando ti sarai sfogato a correre, a saltare, a cogliere fiori, fermati un momento a guardare, da vicino, l’erba dei prati. Vi scoprirai tante cose: vedrai che mondo pieno di meraviglie è quel prato che tutti calpestano senza badarci.

Le piantine del prato
Povere piantine, calpestate da tutti, urtate, lacerate, strappate! Sembrerebbero destinate a morire appena nate. E invece, la natura, materna anche con loro, le ha dotate di tessuti resistenti, capaci di guarire dalle ferite più profonde. Osserva queste piantine e vedrai come si sono adattate a vivere dovunque hanno trovato un po’ di terra, un po’ di sole, una goccia d’acqua.

Le piante del prato
Chi le ha seminate? Forse è stato il vento, un rivolo d’acqua, un uccellino, che hanno trasportato un piccolo seme; e il piccolo seme ha germogliato, ha messo foglioline e radichetta, ha fatto persino il fiore, il seme.

La portulaca

E’ una piantina di prato che forse avrai vista tante volte. Ha le foglioline grasse e un fusto cilindrico e fragile. Si spezza facilmente, ma la portulaca è dura a morire. E’ sottoposta a ogni specie d’ingiuria: piedi, ruote, zoccoli. Il fusto della piantina si spezzerà, ma se tornerai dopo qualche giorno, vedrai che la coraggiosa piantina ha rimarginato la sua ferita ed è viva e vegeta come prima.

Il soffione

Tutti lo conoscono. E’ quel piccolo ciuffo di peli che a soffiarci sopra sparisce, come sparisce la fiamma del lumino, sotto un soffio vigoroso. In fondo a ciascuno dei peluzzi, che si chiamano pappi, c’è un semino. E basta un soffio di vento perchè questi semini, portati dal loro paracadute che è, insieme, ala, se ne vadano alla ventura per cadere lontano e dar vita a una nuova pianta.

La cicoria

Hai visto, chissà quante volte, i prati fioriti dell’azzurro fiore della cicoria. E’ una pianta amara che forse non ti piace, quando la mamma la cuoce per fartela mangiare. Ma è una piantina preziosa perchè la sua radice, tostata e macinata, è buona per fare il caffè, che non è caffè ma un surrogato adatto ai bambini, certamente più del caffè vero.

Il trifoglio
E’ bella la fogliolina del trifoglio che è, insieme, una e tre: tre cuoricini venati di rosso, una fogliolina sola. Il fiore del trifoglio non è un fiore solo, ma sono tanti fiorellini uniti insieme che odorano acutamente di miele. Lo sanno le api e gli altri insetti che accorrono, avidi, a succhiarne il dolcissimo nettare.

Le piante del prato
Le piante del prato sono tante, tante, che non arriveremo mai a conoscerle tutte. In genere sono molto modeste, senza pretese, ma molte di esse potrebbero avere anche un po’ di superbia, perchè sono lontane cugine del grano. E tutte insieme formano il profumato fieno, quello che serve a nutrire il bestiame e che, per un miracolo che solo la natura sa fare, si trasforma in latte, lana, carne.

Le erbe del prato
I bambini amano i terreni erbosi e preferiscono camminare sul prato invece che sulla strada. E’ bello imparare ad osservare l’erba del prato, questa erba così calpestata, così trascurata, da meritare talvolta il nome di erbaccia.

Alcune di questa piante hanno una grossa radice a fittone, profondamente e solidamente conficcata nella terra, tanto che è difficile strapparla. E’ una delle difese che la pianta mette in opera per salvaguardare la sua esistenza. Altre piante hanno le foglie disposte a rosetta. Poichè le annaffia la natura, le piantine sono fatte così per poter raccogliere più acqua e quindi portarla alla radice. In genere l’erba del prato è resistente, non facile ad essere strappata, oppure il tessuto delle foglie è tale da rimarginarsi ad ogni lacerazione.

Chi ha seminata l’erba del prato? Nessuno (quando non si tratti di prati artificiali). Le piantine hanno lasciato cadere il seme, tanti semi che sono sbocciati spontaneamente formando così il verde tappeto. Il vento ha trasportato lontano molti di questi semi, e il prato si è esteso, l’erba ha invaso l’orlo dei fossati, il margine della strada.

Guardiamo in particolare qualcuna di queste piantine. La petacciola, o meglio la piantaggine, ha le spighe verdastre, rigide, diritte. Si lascia svellere con una certa difficoltà.

La portulaca ha delle foglioline grasse che talvolta si mangiano anche in insalata. Il suo fusto è rossastro, cilindrico, fragile. Contrariamente alla piantaggine, si spezza con facilità, ma ha la proprietà di rimarginare prontamente le sue ferite. Sottoposta, com’è, ad ogni sorta di ingiurie, usa questa sua proprietà per resistere e vivere.

Noto a tutti i bambini è il soffione, il quale da quel piccolo globo di pelo che vediamo volar via ad ogni lieve soffio di vento. I piccoli fiocchi che lo compongono sono chiamati pappi e in fondo a ciascuno di essi c’è il semino. Trasportato dal vento, il seme del soffione può così andare anche molto lontano dalla pianta madre.

L’erba del prato costituisce un ottimo pascolo per le pecore. I prati sono talvolta seminati appositamente perchè l’erba dovrà servire da mangime al bestiame. Il contadino vi semina allora il trifoglio, la lupinella e l’erba medica, che andranno poi a costituire il profumato fieno, il foraggio, così necessario all’allevamento del bestiame.

Anche molte erbe medicinali crescono spontaneamente fra l’erba del prato: camomilla, arnica, malva, ecc…

Fiori del prato
Qui, lungo il rivo, a specchio dell’acqua bruna, fioriscono i miosotis. Dalle umili foglioline sugli steli emergono i fiori; sono frammenti di cielo azzurro, e in mezzo ad ognuno splende un grano d’oro, come il riflesso di un sottile raggio di sole. Sulla riva ancora fioriscono le primule. Dal cesto verde, rotondo, aderente alla terra, s’alzano le delicate corolle gialle, pallide e trasparenti, come se dentro brillasse un tenue lume. (G. Fanciulli)

Fiori del prato
Si stendono in file bianche e rosate le pratoline, modeste come bimbe. Le guardano, appena reclinandosi, le nobili genziane, dalla veste mirabilmente turchina. Azzurri sono anche i fiori della borrana, e più teneri sembrano, affacciandosi dal viluppo delle foglie villose e pungenti. Larghe macchie d’un rosso cremisino, o d’un bianco giallognolo, stendono sul verde i trifogli. Dove l’erba è più alta, emergono i giallo-lucidi bottoni d’oro, penduli ad ogni soffio d’aria; e le più gravi margherite, dal tondo occhio stupito in mezzo alla candida raggera. (G. Fanciulli)

Le erbe del prato
A primavera, dopo che le ultime nevi sono scomparse, le erbe germinano in fretta e si fanno alte. Sembrano tutte uguali al piede che le calpesta; ma non agli occhi che le guardano con amore, nè alle mani che a dita aperte vi affondano per una carezza. Quale innumerevole famiglia! Steli, foglie, fiori, sembrano messi lì a far folla, hanno ciascuno un disegno, un’armonia di colore, un carattere individuale rivelato in minutissimi particolari. (G. Fanciulli)

Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo: l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il nettare, gli insetti gli ronzano intorno. La sua vita è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina. Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace tra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore del fieno fresco. (M. Cera)

I campi ormai sono un trionfo di colori:  il frumento cresce a vista d’occhio  e comincia a spigare; i prati di ravizzone e di trifoglio sono fatti di porpora e d’oro; le rive dei fossati e dei fiumi si sono ricoperte di fiori dai colori tenui e soavi; le piante da frutto tendono al cielo i rami carichi di fiori, tra i quali, con un ronzio monotono ma vivo, volano leggere le api dall’alba al tramonto. (G. G. Moroni)

Era un breve spazio rettangolare che una cancellatina separava dal giardino più vero. In due lati del rettangolo una strisciolina aveva la bellezza di un nespolo, di un rosaio che distendeva la sua capigliatura per tutta l’estensione della cancellata… Odorosa fioritura di ciocchette bianche, bocche di lupo, bocche di leone, vilucchi, convolvoli; stupori dei bocci, dei semi, delle bacche che schioccavano e lanciavano il seme. Vita dei bruchi, delle larve, amori e nozze dei minuscoli esseri: un mondo di stupori quella strisciolina di terra. (B. Cicognani)

I vecchi muri hanno una particolare poesia: dalle screpolature, dai piccoli antri bui escono le erbe, quali piccole e timorose della luce, quali vigorose e ricche di foglie e di fiori. Alcune ricoprono il muro con una leggiadra cortina di un verde tenero sulla quale scherza il vento, che la agita vivacemente suscitando fruscii sommessi e improvvisi, mentre il sole vi accende luci ed ombre, bagliori di perle e riflessi di seta. (P. Boranga)

Le viole sono state le prime a sbocciare sulle rive dei fossi e vicino ai cespugli, pronte a rispondere al richiamo del sole. Le hanno seguite poi le pervinche, le primule, le pratoline: ora, bottoncini di luce, rallegrano le zolle. Ci annunciano la primavera che sta arrivando e noi accogliamo nel cuore la dolce promessa.

Le primule sono fiori da nulla, piccoli, gialli come lo zolfo. Tutti gli anni, appena marzo ride un pochino, si mettono di impegno. Spuntano a ciuffi da una modesta rosetta di foglie ruvide e si accontentano di un pugnetto di terra, di una goccia d’acqua, di un raggio di sole. Vogliono essere tra le prime ad annunciare il ritorno della bella stagione. Chi le vede pensa: “La primavera è qui” e si rallegra. Le primule lo sanno bene ed hanno fretta.  Non importa se, poi,  la neve le farà morire. Non importa. Hanno annunciato la fine dell’inverno, il ritorno della primavera e… sono contente. (L. Davanzo e D. Scotti)

La campagna conserva ancora l’aspetto invernale. I rami degli alberi cominciano appena a mostrare le prime gemme e l’aria è ancora umida e fresca. La primavera è vicina. Ecco i primi fiori: le viole mammole. Sbocciano ai margini delle strade di campagna, lungo i viottoli e lungo i fossi, nei prati, là dove comincia il bosco, ai piedi delle vecchie querce, tra le foglie secche dell’autunno.

La prima viola è spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura e profumata! E’ venuta a dire che è primavera, che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido. E’ venuta a dire al contadino che i lavori del campo lo aspettano. E’ venuta a dire ai poverelli, che questo inverno soffrivano tanto, che non farà più freddo. (L. Steiner)

Fienagione

L’erba ben presto diverrà fieno odoroso. Poi verrà il gran carro e il fieno vi sarà  ammonticchiato; e il carro se ne andrà traballando col suo carico profumato.
Il prato resterà silenzioso e spoglio del suo bel manto. E le cavallette, le formiche, le coccinelle, le chioccioline, tutte le creature minuscole che vivono sotto le erbe folte, vedranno distrutta la grande boscaglia.
Addio ombra, addio frescura, addio protezione.
Ma gli steli corti corti assicurano: “La falce taglia? E noi cresceremo di nuovo”.
(E. G. Camillucci)

I fiori di campo

I fiori di campo fanno una figura molto semplice e modesta, ma sono anch’essi graziosi, freschi, odorosi e coloriti con una delicatezza e una varietà di tinte meravigliose. I fiori di campo sbocciano, in pienissima libertà, all’aria aperta della campagna. fuori del muro dei giardini e senza bisogno delle cure del giardiniere. Passeggiando per la campagna si trovano questi fiorellini da per tutto: lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, lungo le prode, su per i greppi. Si direbbe che questi piccolissimi e graziosi amici siano lì per sorriderci e augurarci buona fortuna.

Fiore di prato

Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo; l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il nettare, è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina.
Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace tra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore fresco del fieno. (M. Cera)

Fiori modesti

A tutti i fiori splendidi e superbi preferisco quelli modesti: la selvaggia rosa di macchia, che un raggio di sole appassisce; il caprifoglio, che si arrampica sulle querce o stende sui cespugli le sue braccia aulenti; la  viola del pensiero dagli occhi vellutati e pensosi; la viola mammola timida; la margheritina dei campi; il ranuncolo d’oro; l’erica rosa; il mughetto d’argento; la viola di Pasqua, che nasce, vive e muore negli orti; il biancospino intorno a cui ronzano le api. (F. Dumonteil)

Fiori

Qua e là, cespugli di fiamme vermiglie dei rosolacci; e macchie giallastre e celestognole di tulipani selvaggi, di papaveri e di anemoni; eserciti di spighe e di grappoli tra il bianco della brina e il rosso del sangue; moltitudini di pratoline con gli orli venati e l’occhio d’oro; e qua e là pezzetti di cielo più celeste del vero, caduti tra l’erba: i fiordalisi. Agli orli del prato, cespi alti e squillanti di ginestre. (G. Papini)

Poesie e filastrocche sui FIORI

Poesie e filastrocche sui fiori: una collezione di poesie e filastrocche sui fiori, di autori vari, per bambini della scuola materna e primaria.

Fiore

Portatemi pure l’anello del re
ma questo fioretto lo tengo per me.
C’è forse nel mondo qualcuno che vide
un fior di geranio che scotta, che ride,
macchiare d’un sangue più rosso e cocente
di questo, una casa di povera gente?
C’è forse più fresco, più vago giardino
di questo vasetto che vale un soldino;
che guarda la nuvola, aspetta l’uccello,
nè siepe ha di spino, nè chiuso cancello?
In quale camino c’è dunque una brace
più viva, più pronta a scaldare la pace?
C’è forse nel mondo, più ricco uno scrigno
di questo vasetto di coccio rossigno;
un salvadanaio di tanti tesori
che dà, come questo, a chi vuole, i suoi ori?
C’é forse altra grazia più vera e segreta
che accenda pensieri, che ispiri il poeta?
Se spicco quel fuoco e lo metto all’occhiello,
il mondo mi guarda, diventa il più bello.
Portatemi pure lo scettro del re
ma questo fioretto lo tengo per me. (R. Pezzani)

Fiori
Sono i fiori
una sublime lezione
d’altruismo:
a tutti, per niente,
dispensan profumi e colori:
sanno
di render meno triste la terra.
Degli uomini nessuno può guardarli
senza diletto,
a meno che in suo petto
dell’egoismo non racchiuda i tarli. (R. Penaglia)

Primule
Sbocciano al tenue sole
di marzo ed al tepor de’ primi venti,
folte, a mazzi, più larghe e più ridenti
de le viole.
Pei campi e su le rive,
a piè de’ tronchi, ovunque, aprono a bere
aria e luce anelando di piacere,
le bocche vive.
E son tutti esultanza
per esse i colli; ed io le colgo a piene
mani, mentre mi cantan per le vene
sangue e speranza. (Ada Negri)

Il biancospino
Di marzo, per la via delle fontane,
la siepe s’è svegliata tutta bianca:
ma non è neve, quella: è biancospino
tremulo ai primi soffi del mattino.
Si destano lontano le campane
e l’acqua di cantar non è mai stanca. (Angelo Orvieto)

Camomilla
Oh Camomilla, tenero fiore
togli la bua, togli il dolore,
alla mia bimba disperata,
che piange tutta sconsolata.
Con la corona dai raggi bianchi,
fai ristorar gli occhietti stanchi.
Con il giallo del capolino,
togli la bua dal suo pancino.
Con il profumo dolce e grazioso
concedi a lungo un buon riposo.
(di C. Folcando – Edita)

Margherite
Sopra l’erba novella
fiorite a cento a cento,
fremon le margherite
nel brivido del vento.
Testolina dorata,
collaretto d’argento,
stelo breve e diritto
grazioso portamento.
Coglierla? Ma vi pare?
Pel gusto di un momento
stroncar tanta esistenza?
Triste divertimento.
Vedete come godono
la carezza del vento?
E come si compiacciono
d’essere a cento a cento? (C Del Soldato)

La pratolina
“Oh, graziosa pratolina
che sorridi fra l’erbetta
tinta ancor di bianca brina,
perchè mai cotanta fretta?
Bigio e tetro è ancora il cielo,
fredda è l’aria e gelo in terra;
stende ancor la neve un velo,
sono i vasi ancora in serra.”
“Non m’importa della brina
non m’arresta un po’ di neve;
primavera è qua vicina
col suo passo lieve lieve.
Fra non molto spunteranno
sulle prode le viole;
dalle nubi eromperanno
caldi i raggi del bel sole. (Domizio Vignali)

Fiorita
Ecco i peri, i peschi, il melo
in fiorita prodigiosa;
ci fu mai più bella cosa
di quei ciuffi bianchi e rosa
contro il cielo? (Puch)

Il biancospino
Il biancospino è in fiore.
Della neve ha il colore.
Le brocche son gremite
di corolle infinite,
leggiadra nevicata
che non dilegua al sole,
ma cede a una ventata…
Per te ridon le aiuole
più chiare nel mattino
lucente biancospino. (M. Castoldi)

Bucaneve
Scricchiolando lieve lieve
l’ultima crosta di neve
s’è infranta. Chi la rompeva?
E dalla neve il bucaneve è nato.
Così, di dentro al suo guscio,
anche il pulcino apre un uscio
per farsi avanti nel mondo… (F. M. Bongioanni)

La canzone delle viole
Piccine, azzurrine,
baciate dal sole
noi siamo le dolci,
le prime viole.
Superbe non siamo,
non siamo curiose
le foglie tenere
ci tengono ascose.
Col mite profumo,
con voce sommessa,
cantiamo del marzo
la dolce promessa. (Ida Alliaud)

La prima margherita
Si risvegliò la prima margherita
tra l’erbe nuove sopra il breve stelo;
ancora tutta chiusa e infreddolita
levò la testa per guardare il cielo.
Vide venir la primavera e allora
gridò: “Fiorite, o sorelline, è l’ora!”
(Lina Schwarz)

La pratolina
Sulle rive del ruscello
tinte ancor di bianca brina,
è sbocciata, timidetta,
una bella pratolina.
Allo zefiro si culla
e sorride al sol, felice;
al bambin che la saluta
in segreto parla e dice:
“La stagione fredda e tetra
finalmente è per finire,
guarda il mandorlo ed il pesco,
sono lì per rifiorire! (Domiziano Vignali)

Il fiore
Ferma sopra la zolla
guardava con stupore
una bambina un fiore
dalla strana corolla.
“Oh corolla stupenda
che tremi in mezzo al prato,
per lo stelo dorato
aspetta che ti prenda!”
E corsero i piedini
sul prato di rugiada
trapunta di rubini.
Tese la mano. E la gialla
corolla stese al vento
l’ala di un volo lento.
Era un gran farfalla. (Giuseppe Porto)

Frutto e fiore
Non lo toccare il fiorellin del melo:
esso ci annuncia ch’è passato il gelo.
Rispetta il fiore se del frutto hai voglia;
rispetta il fiore e non toccar la foglia. (F. Dall’Ongaro)

Prato
Guarda giù nell’erba folta:
forse un angelo è passato;
mai si videro nel prato
tanti fiori in una volta.
Tanti e tutti così belli
che farfalle e farfallini
stupefatti fanno inchini
ora a questi ed ora a quelli.
E se poi deve passare
svolazzando qua e là,
sai la brezza cosa fa?
Chiude l’ali e sta a guardare. (D. Rebucci)

Pratolina
Pratolina appena nata,
chi di frangia ti ha vestita
chi ti ha d’oro incoronata?
Ti dischiudi sul mattino
e saluti di lontano
le farfalle e l’uccellino.
Ti raccogli verso sera
come un cuor che si prepara
al silenzio e alla preghiera. (D. Rebucci)

A nascondino
C’era una piccola
margheritina
nata da poco,
vispa e carina.
Diceva: “Mamma,
voglio giocare,
ma sono sola,
che posso fare?”
“Gioca col sole,
piccina mia,
fa’ a nascondino
con allegria!”.
La piccolina
col sole giocò:
ed lui, sì grande,
non rifiutò.
Sotto una foglia
lei si celava,
chiamava: “Cu cu!”
Lui la cercava.
Ed anche l’aria
si divertiva,
passava cauta
e il fiore scopriva. (A. Cuman Pertile)

 La violetta e la pervinca

La violetta mammola è sbocciata
in mezzo all’erba tenerella e bassa;
ma subito in gran fretta s’è chinata
per potersi nascondere a chi passa.
Ma l’azzurra pervinca a lei vicina
guarda in alto col grande occhio contento
tutta si mostra e dice: “O sorellina,
esci tu pure, e godi il sole e il vento.”
La violetta mammola risponde:
“Dio concesse una grazia ad ogni fiore:
da me un profumo lieve si diffonde,
a te fu dato invece un bel colore”. (M. Dandolo)

La violetta

Troppo presto sei nata,
mite viola del pensiero!
Forse il cielo ti ha ingannata,
ieri azzurro ed oggi nero?
Fredda e cupa vien la sera
con la notte torna il gelo.
Trema e muore sullo stelo
la gentile mammoletta
che voleva, troppo in fretta,
annunciar la primavera. (E. Ottaviani)

La prima viola
La neve è stata tanta e sulla via
anche quel cespo triste di viole
sembrò morir, ma guarda che magia!
da quanto è ritornato il biondo sole
apparve qualche foglia e, meraviglia!
un profumo mi tocca, mi commuove
come una voce che nel cuor consiglia
e sveglia in fondo al cuore voci nuove.
Quel profumo mi fece un po’ curiosa
e, cercando, una timida viola
scopersi come fata misteriosa
tra l’erba verde così sola sola… (L. Nason)

Nel prato

Nel mare verde del prato
tutto fili d’erba novella,
il bimbo si tuffa beato
e grida, ride, saltella
come uccello spensierato.
Meraviglie di coccinelle.
di farfalle, di bruchi, insetti,
variopinte campanelle,
scarabei in corsaletti;
e poi gocciole di brillanti,
gocciole di rugiada,
sui fili d’erba tremanti
verdi come la giada.
Papaveri tinti di rosso,
lucertole nel canneto,
raganelle lungo il fosso,
scopre il bimbo ogni segreto,
nel mare verde del prato.
Come lieve passan l’ore,
che meraviglia il creato
e le opere del Signore! (V. Seganti Pagani)

Il fiore di prato

Guarda com’è vestito,
neppur l’imperatore
ebbe un simile manto.
Che seta! Che splendore!
Lo lava la rugiada,
lo distende l’aurora,
col suo pennello vivo
il sole lo colora.
Che mirabile cosa
ogni fiore di prato!
La margherita ha un nitido
colletto inamidato:
il ranuncolo giallo
un abito tessuto
con i raggi del sole:
la viola è di velluto,
la mammola nei petali
ha il velo della sera,
e il miosotide è cielo,
cielo di primavera.
Che seta, che spendore
ogni fiore di prato.
Nessuno l’ha vestito,
nessun l’ha seminato.
Soltanto tu, Signore. (L. Nason)

Il gelsomino notturno

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle…

Il fiore azzurro (il lino)

Disse un bel fiore azzurro:
“Il vento mi carezza
con un lieve sussurro;
l’aurora mi regala
brillanti di rugiada,
che il calore del sole poi dirada.
Non profumo gli altari
né mi recano in dono,
in giorni lieti e cari,
i bimbi e le fanciulle;
sullo stelo fiorisco,
specchio l’azzurro cielo e poi finisco.
E mi tramuto in tela
candidissima e molle,
per l’altare e la vela,
per bendare le ferite
e fasciare il bambino
nudo, nella sua culla:
io sono il lino!” (E. Pesce Gorini)

Alla primula 
Nel nome hai la modesta
tua grazia e col timido colore,
o primula, sei lesta
più di qual si sia fiore
ad inseguir la neve spaventata.
Tu credi a primavera dubitosa. (R. Bacchieri)

La violetta mammola 
La violetta mammola è sbocciata
in mezzo all’erba tenerella e bassa;
ma subito in gran fretta s’è chinata
per potersi nascondere a chi passa.
(M. Dandolo)

Le violette
Le violette? Le scorsi a piè d’un muro:
facevano una chiazza di viola,
come di sangue, sul tappeto scuro
dell’ortica e dell’erba vetriola.
Erano lì: fiorivano ignorate
in quel luogo selvaggio, tra un sentiero
perduto e un muro cieco; inebriate
d’ombra e silenzio; dietro al cimitero.
(D. Valeri)

Il pesco e la viola
Ancora è freddo, ancora
luccica sulle vette
la neve, e il pesco mette
le sue gemme e s’infiora.
E’ tutto brullo intorno
l’orto, ma il pesco pare
voglia un po’ consolare
questo pallido giorno.
E dice a una viola,
che ora gli è sorta ai piedi:
-Primavera, non vedi?
torna, ma è troppo sola.
(M. Moretti)

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Dettati ortografici FIORI

Dettati ortografici FIORI Una collezione di dettati ortografici sui fiori, di autori vari,  per la scuola primaria: fiori di campo, violette, primule, margherite, rose, ecc…

Fiori di campo

Sbocciano in piena libertà, all’aria aperta della campagna. Danno un aspetto vago all’erba, inghirlandano a festa le colline, riempiono di profumo le gole dei burroni e il silenzio delle ombrose valli. Li trovate dappertutto, lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, le prode, su per i greppi, nelle aiuole degli orti e dei giardini.  Si direbbe che questi piccoli e graziosi amici stanno a far capolino tra l’erba per sorridervi mentre passate e per rallegrarvi la strada. Entrate nel bosco ed ecco venirvi incontro il mughetto con le sue campanelline d’argento e la violetta dal profumo delicato; fra quel ciuffo d’erba verde biancheggia l’elegante margheritina, e in mezzo a campi di grano spicca il rosso fiammante del rosolaccio e la tinta azzurra del fiordaliso. (Collodi)

Fiori 
Quanti fiori, nei giardini, a primavera! Nell’erba, nascoste, sono le violette profumate; sulla siepe fiorisce il biancospino. Ogni pianta ha il suo fiore. Anche le piantine che nessuno sa come si chiamano, hanno messo il loro bocciolino.

La pratolina
La pratolina è composta da molti fiori piccoli: tanti fiori gialli al centro, tanti fiori bianchi alla corona, riuniti in un solo capolino, così da sembrare un unico fiore che spicca sul verde del prato.
Perchè?
In questo modo gli insetti possono vederla anche da lontano; vi accorrono in volo; vi si posano a succhiare il nettare e trasportano il buon polline ad altre pratoline.
Solo così potranno nascere nuove piantine.

Dettati ortografici FIORI
Le primule

Sono sbocciate le primule. Sono a mucchietti, piccole e gialle. Ciascun cespo sembra una famiglia con tante sorelline.
Sbocciano di qua e di là, da tutte le parti. Si chiamano a fiorire insieme.
Le foglie escono, dal cespo, ruvide e rugose.
Questa pianta non ha rami, ma soltanto le foglie che rimangono rasente terra. I suoi fiori si alzano un poco sopra il cespo con i loro piccoli gambi sottili e con il calice verde che mette meglio in risalto il giallo della corolla.
Gli insetti si posano sui fiori, li fanno un po’ dondolare, ma il loro gambo non si spezza.
“Io so perchè gli insetti volanti si posano su questi fiori; perchè in fondo al calice trovano una gocciolina dolce come il miele, che si chiama nettare, e se lo succhiano”.
“Anch’io ho succhiato questi fiori e mi hanno lasciato in bocca un buon sapore dolce e profumato”, dice Giovanni alla sorellina.
(Pierina Boranga)

Fiori 
Perchè alcune piante fanno dei fiori così belli, variopinti, profumati? Forse per far piacere agli uomini? No, la pianta non si cura degli uomini, ma mette in opera tutta la sua bellezza, tutto il suo profumo, tutto il suo colore e soprattutto nasconde nel suo calice una gocciolina di dolcissimo nettare, per attirare gli insetti. E perchè questo sviscerato amore per le alate creature? Perchè saranno proprio gli insetti, almeno per numerosissime specie, a favorire la trasformazione del fiore in frutto nell’interno del quale, poi, matureranno i semi. Per ottenere questo, le piante mettono in opera infiniti accorgimenti. Qualcuna schiude i suoi fiori di notte, perchè sa che soltanto insetti notturni andranno a trovarla; altre fabbricano trappole astutissime per trattenerli il tempo necessario all’impresa; altre ancora foggiano petali e calice in modo da costruire passaggi obbligati, affinchè gli insetti arrivino al polline fecondatore. Tutto per il fine ultimo che la pianta si propone, quello di produrre il seme che darà vita ad altre piante.

Fiori 
Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo; l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il  nettare, gli insetti ronzano introno. La sua vita è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina. Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace fra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore fresco del fieno. (M. Cera)

Fiori 
Nel prato fioriscono i miosotis. Dalle umili foglioline emergono i fiori: sono frammenti di cielo azzurro ed in mezzo ad ognuno splende un grano d’oro, come il riflesso d’un sottile raggio solare. Vi fioriscono le primule. Dal cesto verde, tondo, aderente alla terra, si alzano le delicate corolle gialle, pallide e trasparenti, come se dentro brillasse un tenue lume. Si stendono in file bianche e rosate le pratoline. Le guardano, appena reclinandosi, le nobili genziane dalla veste mirabilmente turchina. Dove l’erba è più alta emergono i giallo-lucidi bottoni d’oro, penduli in ogni soffio d’aria, e le più gravi margherite, dal tondo occhio stupito in mezzo alla candida raggera. Al vento, le mente, dai fiorucci azzurro-bigi, affidano il  loro profumo. Per quel vento si aprono talvolta dei solchi e si scoprono laggiù erbe minute che pure hanno i loro fiori, spruzzi gialli, rossi, turchini. (G. Fanciulli)

Fiori 
Le siepi di pruni aprivano tra le spine miriadi di occhietti bianchi per guardare il frumento tenero che brillava rabbrividendo allo scherzo gentile del vento; e gli alberi gemmavano: le foglioline lucide accendevano a mille a mille le loro fiammette verdi lungo i rami, intorno ai fremiti dei nidi; tremolavano attraverso i campi i filari argentei dei pioppi e dei salici. Qualche nuvoletta bianca era nel cielo: nei prati brillavano i bottoni d’oro dei ranuncoli; intorno ad essi gli ombrellini lievi delle pastinache vi facevano una nebbiolina rosea e bianca, e tra il verde si fondevano i mille azzurri, i viola, i gialli, i rossi di tutti i fiori campestri. (Virgilio Brocchi)

Fiori 
A primavera, dopo che le ultime nevi sono scomparse, le erbe germinano in fretta e si fanno alte. Tutte eguali sembrano le erbe al piede che le calpesta, ma non agli occhi che le guardano con amore, nè alle mani che a dita aperte vi affondano una carezza. Quale innumerevole famiglia! Steli, foglie, fiori, che sembrano messi lì a far folla, hanno ciascuno un disegno, un’armonia di colore, un carattere individuale rivelato in minutissimi particolari. (G. Fanciulli)

Fiori 
Tutto il mio affetto va ai poveri fiori di campo e di monte, che pochi guardano e nessuno coltiva. Alle pratoline dai petali macchiati di vino, al papavero che insanguina i grani, al fiore azzurro del radicchio, al fragile ed effimero farfallio del biancospino, al cardo selvatico che mostra al primo sole le sue corolle crudeli e pungenti, fra il celeste e il turchino, al ciclamino che timido si affaccia tra l’erba tenera e commovente. Sono i fiori dei bambini e dei poeti; di coloro cioè che sono al tempo stesso più poveri dei mendicanti e più ricchi dei re. (G. Papini)

Fiori 
Uscite dai dedali della città e inoltratevi per i campi. Quale sia il fiore che per primo vi si mostrerà, voi, nel vederlo non divelto dalla pianta e vibrante con le cose circostanti, risentirete pieno il suo fascino. Riempitevi di questa armonia. Alla svolta di quel sentiero, all’ombra di un masso, una pianticina erbacea fa sforzi per offrire alla luce il suo fiorire di corolle fitte e azzurre, così grandi a paragone dell’umiltà della pianta che noi non possiamo trattenerci dal domandarci come abbia fatto ad effondere tanta ricchezza. (A. Anile)

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Fiori 

Non v’è lembo di prato spontaneamente formatosi che non ci si riveli una gara di richiami, che è gara di colori: dal bianco niveo al roseo, dal giallo al purpureo, dall’azzurro al violetto cupo. Se una specie ha fiori bianchi, il colore cioè che agisce a maggiore distanza ed un’altra ha fiori gialli, questa cerca di vincere il vantaggio di quella sollevandosi alquanto più da terra. Colori vari e gradazioni indefinibili di colori, che restano tuttavia insufficienti al numero delle specie dei fiori, che vogliono un loro segno. Da ciò la necessità del comporsi di varie tinte sopra il medesimo fiore, quante combinazioni di turchino e di giallo su fondo grigio, di violetto e di lilla su bianco, di rosso trapassante in purpureo ed in amaranto; e quante sfumature e screziature che non si possono esprimere con le parole. Una struttura particolare delle cellule di rivestimento del petalo ed una speciale incidenza di luce possono dare nuovi riflessi a un medesimo colore: paragonate il viola della mammola a quello di una corolla di petunia. Vi sono corolle dove ciascun petalo cambia colore in gradazioni non determinabili. (A. Anile)

Fiori 
Alla svolta di un sentiero, all’ombra di un masso, una pianticina erbacea fa sforzi per offrire alla luce il suo fiorire in corimbi fitti e azzurri, e così grandi in paragone all’umiltà della pianta, che noi non possiamo trattenerci dal domandarci come abbia fatto ad effondere tanta ricchezza; un poco più oltre, lungo il margine di un ruscello, un ciuffo fiorito si piega nel vento a riflettersi nell’acqua: se indugiate ad osservare il colore di questi fiori, vi accorgerete che è anch’esso sfuggente. Strisce d’asfodeli, che si dilungano sul fosso aspro di quel colle, sembra che traccino sentieri per il passaggio degli angeli. Dove si formano promontori in un tumulto di rocce, la più strapiombante sul mare si colora di una ghirlanda di fiori, la cui pensosa bellezza muore immediatamente se tolta da lassù. Allo stesso modo da fianchi rupestri di montagne emergono piante che amano rendere ondeggianti sull’abisso grappoli floreali che nessuna mano toccherà. (A. Anile)

Il fiore
Non c’è cosa più bella del fiore: piace all’occhio e anche all’odorato. Noi ci fermiamo talvolta a osservarlo e ci domandiamo da quale mano può essere fabbricata tanta beltà e tanta gentilezza. I fiori si donano alle persone che si amano. Si danno proprio perchè sono cosa bella e gentile. (F. Socciarelli)

I fiori

I fiori vivono e parlano. Il profumo è il loro respiro e il colore la loro voce. I fiori somigliano ai bambini. Quando la rugiada del mattino li bacia, tutti sollevano la corolla come tante testoline bianche e brune di bimbi appena nati. E come alle prime ombre della sera i fiori chiudono le loro corolle, così i bimbi piegano le testoline allorchè cadono dal sonno. (N. Salvaneschi)

Fiori 
Mille gentilissime forme, infinite sfumature di colori, un variare delizioso di profumi, e l’acuto piacere che danno al tatto i petali vellutati; ecco in folla venire a noi i fiori d’ogni stagione, a stimolare i nostri sensi, perchè facciano giungere all’anima l’immagine di tanta bellezza. (F. Monelli)

Fiori 
Le mammole riaprono dal lungo sonno i begli occhi azzurri. Il pesco si è tutto magnificamente coperto di fiori, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. Le margherite silenziose e tranquille, tremolano al tiepido vento. Persino nelle lande più pietrose e deserte qualche fiore solitario apre all’aura nuova le sue tre o quattro foglioline soffuse di un pallido rosa, o venate di tenere righe violacee. In ogni albero canta un nido, in ogni cuore rinasce la speranza. (E. Nencioni)

Fiori 
La primavera tornò, la campagna si coprì del verde vellutato dei frumenti, interrotto a quando a quando dai gialli tappeti delle rape in fiore; i mandorli esalavano amare fragranze dalle loro bianche ghirlande; la viola mammola, ametista odorosa, fiorì celatamente fra l’erba. Sulle vette dei freschi platani e delle querce severe, tra i longevi cipressi e le gracili acacie, i fringuelli cantarono; da ogni lato si alzavano al cielo profumi e armonie; profumi e armonie primaverili. (F. Martini)

Fiori 
Le primule sono dappertutto: ho visto sulla collina un gran pendio tutto biondo che pareva l’immagine della via lattea. I cornioli in fiore sembravano sciami di api d’oro sospesi qua e là sullo smeraldo e sull’ametista delle campagne. Nel mio orto, giacinti e narcisi sono balzati su col vigore delle giovani punte, senza aspettare che io rimuovessi loro  la coperta invernale di letame e di fogliame. Laggiù nell’angolo, la vecchia mimosa, ridotta a quei due o tre rami inaccessibili, si è accesa del suo giallo fuoco di gioia. Rami inaccessibili, perduti in alto, che ogni primavera io guardo con un’ammirazione mista di dispetto. (F. Chiesa)

Fiori 
Appena la natura ripalpita ai primi soffi della primavera, ecco i fiori. Fiori dappertutto: nei campi e nei prati, sulle rive dei ruscelli, nelle siepi, nei boschi, nei giardini, nei negozi e nelle piazze. Ovunque è una profusione di piccole rose, dal profumo appena sensibile, ma vivide e fresche; di lillà bianchi e celesti, di violette sorgenti nel folto delle siepi: odorano con uguale grazia i vasi di cristallo e i pentolini sbocconcellati, i salotti dei ricchi e le modeste case  degli operai. Ed ecco nei prati le vivaci margherite dal cuore d’oro e dai petali sfumati in rosso. Fiori, fiori dappertutto. La natura che si risveglia dopo il riposo invernale è ricca di promesse. (M. Savini)

Fiori 
A tutti i fiori splendenti e superbi preferisco quelli modesti: la selvaggia rosa di macchia che un raggio di sole appassisce, il caprifoglio che si arrampica sulle querce, la viola del pensiero dagli occhi vellutati, la margheritina dei campi, il ranuncolo d’oro, l’erica rosa, il mughetto d’argento, il biancospino intorno a cui ronzano le api. (F. Dumonteil)

Fiori 
I fiori sono il più bel dono che sia stato fatto agli uomini. Osservate un giardino in fiore, una terrazza, un balcone, adorni di fiori  dai colori vivaci, dai profumi inebrianti e soavi. Osservate la vetrina di un fioraio: quale festa di colori, di forme armoniose! I fiori hanno una sola colpa: quella di durare troppo poco. Anche circondato dalle maggiori cure, il fiore finisce sempre per appassire, perdendo profumo, colore, freschezza e morbidezza. Ma questo danno è solo apparente; in sostanza, il fiore appassisce, ma in esso si forma il germe di una nuova pianta. (P. Addoli)

Fiori 
Al mattino, appena il cielo biancheggia ad oriente e spegne a uno a uno i suoi lumi, appena le nuvole cominciano a colorarsi di tinte d’argento, d’oro, di porpora, i colori dei fiori cominciano a distinguersi fra le erbe sempre meno scure, e prima i bianchi e i gialli, più tardi i rosei, i celesti, i blu. Presto presto, se il cielo non è nuvoloso o piovoso, le pratoline sciolgono le cuffiette, i vilucchi calano i cappucci, si aprono le campanelle e i gialli soffioni e le cicorie somiglianti a fiordalisi. (P. Lioy)

Fiori 
Addio, giorni brevi e tristi; cieli grigi, fredde e tenebrose piogge monotone, nebbie e ghiaccio crudele… Un alito nuovo spira tiepido dalle umide colline, velate di vapori argentei e leggeri. Bianche e soffici nuvole aleggiano per l’immacolato turchino del cielo. I neri e grossi alberi, dalle braccia muscolose e rudi, paiono spruzzati da una brina di smeraldi e di perle. Sotto il muschio delle vecchie pietre grigie, nel bosco, le mammole riaprono dal lungo sonno i begli occhi azzurri. (E. Nencioni)

Fiori 
La primavera è proprio dappertutto, anche dove non c’è bisogno. Anche tra i sassi del muro franato l’erba è voluta crescere; per i sentieri più scoscesi, tra i tronchi degli alberi che furono abbattuti con l’ascia. Le margheritine bianche, quelle dei prati, fanno di tutto per dare nell’occhio; e gli stessi prati si sono lisciati con la rugiada e il fresco che pare perfino bizzarria e voglia di divertirsi. Anche l’azzurro rimane lì per lì un poco rintontito, quasi non sapesse che fare e forse, vergognoso di odorare nemmeno quanto una violetta. (F. Tozzi)

Fiori 
La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva, dietro le palpebre chiuse, a sentire frugare fra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le minute dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva pian piano: svegliati; e mormorava: svegliati; e poi: su, su, è l’ora, vestiti. E la terra fingeva ancora di dormire, perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia. Alla fine ha aperto gli occhi delle margheritine ed è rimasto un odore di terra bagnata nei giardini. (A. Campanile)

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Fiori 

Noi chiamiamo frutti solo la pesca, la ciliegia, la pera, la noce, l’arancia e l’uva. Ma tutte le piante producono frutti, dalla rosa alla fava, dalla violetta alla quercia, perchè il frutto non è altro che l’ovario trasformato dopo la fecondazione degli ovuli. Per effetto di questo prodigioso fenomeno, il magico fiore della rosa è trasformato in una piccola sfera rossa che pochi conoscono, perchè le rose sono colte e appassiscono prima del tempo. Il fiore alato della fava e dei fagioli diventa un grosso legume e l’amabile fiore del ciliegio, la rossa bacca carnosa. (E. Baldacci)

Fiori 
A primavera, quando i fiori si schiudono ai primi tepori, quando i petali variopinti mostrano i loro splendidi colori ed esalano i profumi più soavi, una moltitudine di insetti vola freneticamente dall’uno all’altro fiore per succhiare quella gocciolina di nettare che ognuno di essi nasconde in fondo al suo calice. E, così facendo, aiutano la natura nel miracolo della fecondazione. Per opera degli insetti, il polline di un fiore viene trasportato su un fiore della stessa specie, ed ecco che il miracolo si compie: il fiore si trasforma in frutto.

Fiori 
Le piante che ricorrono all’opera degli insetti per trasformare i loro fiori in frutti, prendono gli aspetti più appariscenti per attirarli. Innanzitutto il colore, così gli insetti possono subito avvistarli fra il verde e visitarli. Poi, il profumo. Non è necessario che siano odori soavi e delicati. Qualche fiore emana perfino un odore nauseabondo che attira gli insetti che lo preferiscono, ma tutti hanno, in fondo al calice, una gocciolina di dolcissimo nettare. Per succhiare questo cibo squisito, gli insetti visitano diligentemente tutti i fiori, impolverandosi così di polline che trasportano da un fiore all’altro.

Fiori 
I leggeri venti mattutini che soffiano per la valle appena il sole si alza, le calde correnti che salgono nell’aria, verso il mezzogiorno, le brezze marino che spirano sulle coste, raccolgono il polline dalle capsule floreali mature e lo portano in volo con movimenti ondeggianti, diluendolo nell’aria. I filamenti piumosi, viscidi, pelosi dell’ovario si sporgono dai calici, e come ragnatele pronte a far prigioniero ogni minuscolo insetto che incautamente vi cada, raccolgono quanto il vento ha portato. Dagli abeti e dai pini, dai ginepri e dai cipressi, si libera una nuvola gialla al primo alitare di vento: una pioggia di zolfo, come la chiamano i contadini. Il polline scorre sulle correnti atmosferiche e si deposita sui fiori femminili. sbocciati all’estremità dei rami. (E. Baldacci)

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Fiori 

Il mandorlo, il pesco, l’oleandro, il lampone e la fragola producono nettare prelibato attorno al loro ovario. Il nettare non è che un impasto di amido, di zuccheri, di grassi e di altre sostanze, ma il suo sapore è dolcissimo come quello del miele delle api. I fiori producono il nettare sulle loro foglie colorate o in ricettacoli e ciascuno non può cederlo che a insetti particolarmente confermati. I coleotteri muniti di brevi succhiatoi lo raccolgono dai tessuti carnosi del calice, su cui il nettare si spande come una densa pennellata di vernice lucente. Le farfalle, munite di lunghe proboscidi, visitano i fiori che nascondano il loro nettare in recipienti profondi. Così che i visitatori di questi fiori non possono raggiungere fiori diversi da quelli su cui questo nettare è stato prodotto. (E. Baldacci)

Fiori 
Gli insetti aiutano il fiore: mosche, vespe, calabroni, api, scarabei, farfalle, tutti fanno a gara in suo aiuto per trasportare il polline dagli stami sui pistilli. S’immergono nel fiore ingolositi da una goccia di miele espressamente preparata in fondo alla corolla e nei loro sforzi per raggiungerla, scuotono gli stami e s’impasticciano di polline che trasportano da un fiore all’altro. Chi non ha visto le api e i calabroni  uscire infarinati dal seno dei fiori? Il loro corpo villoso, polveroso di polline, non ha che da toccare, passando, un pistillo per comunicargli la vita. (J. H. Fabre)

La prima viola
E’ spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata. E’ venuta a dire che è primavera, che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si ricopriranno di fiori, di foglie, di frutti. E’ venuto a dire al contadino che i lavori dei campi l’aspettano. E’ venuta a promettere ai poveri che non farà più freddo. Tra poco il sole tiepido scalderà la terra coi suoi raggi e la terra tornerà rigogliosa, con l’aiuto di Dio e col lavoro dell’uomo. (L. Steiner)

E’ spuntata sul bordo della strada. Manda un delizioso profumo. E’ venuta a dire che la primavera è finalmente arrivata.

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La pratolina

La pratolina cresceva a vista d’occhio, finchè una mattina si trovò in piena fioritura, con tutte le foglioline bianche e lucenti spiegate come raggi intorno al piccolo sole giallo del centro. A lei nemmeno passava per la mente di essere un povero fiorellino disprezzato che nessuno avrebbe degnato di uno sguardo, là, in mezzo all’erba; oh, no:  era tutta contenta, si volgeva dalla parte del sole, guardava su ed ascoltava l’allodola che cantava, nell’alto. Se ne stava composta, sul suo piccolo stelo verde e imparava dal sole caldo e da tutto quanto la circondava quanto è bello il mondo; e godeva che l’allodoletta cantasse così bene e così chiaro. (H. C. Andersen)

Gli anemoni
Intorno a certe rocce, si alzano, in belle famigliole, gli anemoni. Tutti hanno simili foglie, a ventaglietto, minutamente tagliuzzate come per gioco, e grossi gambi rosso-bruni, un po’ contorti per lo sforzo del trovare la via tra la terra secca e i sassi. Ma le corolle dei petali riuniti, soffuse di opaca lanuggine, mostrano i colori più diversi: alcune rosse di fiamma, altre violacee, e altre quasi bianche. Nei fiori, che aprono i petali a stella di sei punte, si scorge il nero cercine dei piccoli stami affollati. (G. Fanciulli)

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La mammola

Erba, cara erba, sempre vista e sempre nuova, quando mai mi era apparsa così verde? E dove mai se ne stavano nascoste tutte queste mammole? Proprio come le stelle che, fino a una certa ora della sera, non ci si pensa: poi ad un tratto, se levi lo sguardo, il cielo ti trafigge gli occhi con miriadi di spilli. Dappertutto mammole: nella prateria dietro la casa, lungo i cigli dei viali, formando siepe, sulle rive del laghetto, all’ombra dei pini e dei pioppi. Non c’è tronco che non abbia alla radice, tra i fili d’erba e i ciuffi dell’edera, la sua corona di mammole. Brune, di un bruno intenso, di ciglia abbassate, timide e pur d’un rilievo schietto tra le foglioline a cuore; e d’una fragranza così penetrante nella sua leggerezza, che le narici le sentono prima che l’occhio le scopra. (A. Negri)

Ciliegio in fiore
L’albero era fino a ieri nudo; nudo nel tronco, nei rami qua e là contorti dall’aspro battere del vento. Cosa sia accaduto perchè stamattina ricalcando il sentiero solitario, io abbia visto, invece dell’albero, una nube bianca tutta di fiori stretti così fittamente gli uni agli altri da formare una cosa sola, impalpabile, quasi aerea attraverso la quale non mi riesce più di distinguere nè rami nè tronco… L’aria attorno alla nube non è più chiara e vibra come uno strumento musicale con melodie di suoni che son diventate melodie di profumi e di cui la mia anima si riempie. Guardo in alto, e mi sembra che il cielo si sia più incurvato per richiamare a sè questa nube venuta da sottoterra. (A. Anile)

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Glicine

Si arrampica sui muri, ammantandoli con la sua veste violacea fatta di grappoli fitti fitti visitati golosamente dagli insetti. Il glicine è il trionfatore dell’aprile. Si arrampica su su, e ogni vecchio muro diventa leggiadro, ogni cancello ha una veste fiorita, ogni inferriata sembra piena di primavera.

I grappoli del glicine coprono tutto il muro come un manto violaceo, senza neppure un filo di verde perchè le foglie non sono ancora spuntate. Pare che abbia fretta, il glicine, e sboccia subito ai primi tepori, e sale su, impetuoso, fino alla sommità del muro, e tabocca ancora di là, come se non gli bastasse mai.

Dopo l’impeto della prima fioritura, i grappoli del glicine impallidiscono piano piano, i calici cadono come una pioggia di viole e, allora, sono le foglie che crescono, si arrampicano, ricoprono il muro di verde, e lo fanno tutto bello, fresco, nuovo, mentre ancora qualche grappolino fiorisce qua e là, ma di malavoglia, come se gli dispiacesse di finire troppo presto, quando la stagione è ancora tanto tiepida e dolce.

Durante la notte cadde una pioggerella benefica e il mattino si alzò limpido e luminoso. Gli steli acuminati del grano giovane erano cresciuti di un dito e nell’orto i piselli avevano germogliato. La canna da zucchero era tutta aghi del colore del pistacchio contro la terra color cioccolata. I gelsi erano carichi di more verdi; la spalliera del glicine era tutta in fiore: una trama delicata come un merletto. Le api ne avevano scoperto la fragranza e in ogni corolla ce n’era una, a capofitto intenta a succhiare. (M. Rawlings)

I papaveri
I papaveri hanno invaso il campo di grano. Sono un esercito. I soldatini indossano la camicia rossa e non fanno male a nessuno: la loro spada è la spiga. Il vento li agita.I soldatini sembrano correre per il campo conquistato. Quando poi il vento tace, ogni papavero si attarda col fiordaliso, suo compaesano, che indossa la tuta azzurra dell’operaio. (Renard)

Ninfee
Le rive dello stagno erano ricoperte di ninfee. La barca ne fendeva la superficie spessa con un secco fruscio. Tra le foglie, l’acqua traspariva come la polpa di un’anguria nel triangolo dell’incisione. Le piante s’intrecciavano fra loro accorciandosi, i fiori bianchi con lo stelo chiaro, scomparivano sott’acqua e riemergevano grondanti. (B. Pasternak)

Il giglio
Osservate il giglio: lascia a terra la rosetta delle sue foglie e si eleva tutto in uno stelo che porta al sommo le candide corolle. Non sembra un fiore: è piuttosto una purezza di offerta all’alto, sì che non c’è stato pittore che non l’abbia fatto portare dalla mano di un angelo.  (A. Anile)

I fiori

I fiori sono sempre belli: belli quando timidi ed umili ornano le zolle dei campi e occhieggiano dal fitto delle siepi; belli quando sbocciano sul ramo quasi nudo degli alberi da frutto cui donano un vestito nuovo e vaporoso; belli nelle aiuole curate dei giardini quando vengono a premiare la fatica del giardiniere. Ma diventano belli soprattutto quando, raccolti in un mazzolino, diventano un omaggio ed un dono.

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I fiori e le stelle

Quanti fiori rallegrano la terra! Papaveri rossi, fiordalisi azzurri, margheritine bianche e ranuncoli d’oro spiccano in mezzo al giallo dei campi e al verde dei prati, mentre garofani screziati e rose di ogni colore ornano le aiuole dei giardini.
Quando, poi, i fiori si piegano sullo stelo per dormire, e i loro colori scompaiono nell’oscurità della notte, in cielo, ad una ad una, si accendono le stelle.
E anche le stelle sembrano fiori.

La natura e i fiori

Di fiori è piena la natura: prati, campi, siepi, declivi, monti, boschi, selve, tutto è un immenso, molteplice, perenne rifiorire.
I fiori sono la poesia del mondo. Dove si trova mai un tessuto che possa eguagliare il petalo di un fiore? I fiori sono per noi simbolo di gentilezza, di purezza, di grazia, di bellezza, di amore, di gioia, di speranza, di augurio, di ricordo.
Chi ama i fiori non può essere un’anima volgare: coltivare un fiore significa ingentilirsi, pensare al bello, al buono. (O. Stampatti)

Il fiore

Il fiore ha allungato il gambo. Nel bocciolo, piccolo laboratorio, è ormai tutto pronto: il polline, le antere, gli stami, il pistillo, i petali tutti uguali. Si aspetta il segnale perchè l’apertura si compia.
Ma nessuno deve vedere questo miracolo, e perciò i boccioli si schiudono sempre di notte. Al mattino il fiore è aperto; e il sole gli dà gli ultimi ritocchi di colore… Le farfalle, appena si svegliano, corrono tutte a vedere, e, al suono del campanellino dei grilli, danzano sui petali immacolati la lieta danza della primavera. (C. Pretelli)

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Quanti bei fiori

Quanti bei fiori rallegrano il nostro paese! Tutti i colori: il rosso dei papaveri, l’azzurro dei fiordalisi, il bianco delle margherite, spiccano in mezzo al verde dei campi dei prati. Nei giardini si aprono i fiori d’arancio, le rose, i garofani, le dalie, i crisantemi.
Quando viene la sera, quando l’ombra copre la campagna ed i giardini, i vivi colori dei fiori svaniscono nell’oscurità. Molti fiori piegano sugli steli le corolle stanche, come se volessero dormire. Allora appaiono ad una ad una le stelle, che sembrano fiori luminosi nel limpido cielo. (M. Savi Lopez)

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Un fiore che ha fretta

Il ranuncolo è una pianta frettolosa; appena finito il vero freddo, allarga le sue foglie lucenti spesso macchiettate di rosso bruno o di bianco. Dal centro di questa rosetta di foglie si alza il fiore giallo dorato che invita i primi insetti della stagione a fargli visita.
Ha da tre a cinque sepali e i petali variano da cinque a dodici. Se staccate un petalo vedete, alla sua base, una piccola squama che sporge come l’apertura di una tasca. Per gli insetti è davvero una tasca piena di leccornie: è il serbatoio del nettare. E’ una pianta così rasente alla terra che bisogna s’affretti a far provvista di luce e d’aria prima che le altre piante più alte le si affollino intorno. Infatti, quando ha fiorito allarga più che può le foglie, per assorbire dall’aria il maggior nutrimento possibile, e mandarlo alle radici che ingrossano; poi le foglie appassiscono e spariscono. Ma il tesoro è già messo in serbo per la primavera ventura, quando, allo sciogliersi delle nevi, sul terreno ancor tutto spoglio, appariranno le foglie verdi del ranuncolo.

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Il fiore sconosciuto

Quando giunge la fine di febbraio, esco tutti i giorni per frugare con lo sguardo nei campi e lungo i margini delle strade; cerco i primi fiori che annunciano la primavera. Il primo che vedo è sempre un fiore giallo, dai petali che luccicano al sole come tanti specchietti, che dove nasce spande attorno un senso di gioia e di festosità.
Prima di coglierlo, mi fermo a guardarlo, e mi viene voglia di inginocchiarmi tanto mi sembra bello.
Tutti i fiori che porta la primavera non hanno la bellezza e lo splendore di questo umile fiore giallo, di cui non conosco neppure il nome.
E non cerco di saperlo, perchè mi pare che non ci possa essere nome tanto bello, per un fiore così grazioso.
(C. Pretelli)

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Acquarello steineriano – L’albero in primavera

Acquarello steineriano – L’albero in primavera: una proposta di lavoro sul tema “l’albero in primavera”. L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a riflettere sulla condizione dell’albero in questa stagione.

Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due alberi uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
Materiale occorrente:

acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori:

giallo limone,

giallo oro,

blu di Prussia

I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.

Un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)

una bacinella e un vasetto d’acqua

una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)

un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
preparazione

Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna. Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.

poi si dispone il materiale, se volete così è il modo migliore per evitare incidenti:

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
Lezione

Al bambino possiamo dire che stiamo dipingendo un albero in primavera prima di iniziare, oppure possiamo semplicemente dire che faremo una “pittura” e sarà lui a scoprirlo facendo.

Per prima cosa realizziamo portiamo su tutto il foglio una bella luce leggera, tiepida e allegra, col giallo limone. La luce scende dall’alto verso il basso, ma gioca sul foglio saltellando qua e là.

intensifichiamo il giallo in basso, di modo che poi con poco blu di prussia otterremo un bel verde giovane, nel quale piantare il seme del nostro albero (rosso carminio)

A partire da questo seme, senza lavare il pennello o prendere altro colore, far scendere le radici verso il basso e il primo abbozzo di tronco verso l’alto.

E’ molto importante non lavare mai il pennello, e non prendere altro rosso: si usa solo il rosso del seme, che si mescola agli altri colori sul foglio.

Il seme nella terra incontra calore, luce e acqua, e così si apre: una parte va verso il basso (le radici), quindi si mette il pennello sul seme e si scende, sempre staccando e senza mai tornare indietro; una parte comincia ad andare verso l’alto (sempre dal seme in su, senza tornare indietro). Naturalmente mescolandosi rosso blu e giallo si forma il marrone, e non ci saranno due marroni uguali…

Ora possiamo sviluppare l’albero, utilizzando alternativamente rosso carminio, giallo oro e limone e blu di prussia, prendendoli dalle ciotoline quando serve.

Infine lavare benissimo il pennello e con giallo e blu di Prussia molto diluito, creare una bellissima chioma

Acquarello steineriano – L’albero in primavera

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Acquarello steineriano – l’albero in inverno

Acquarello steineriano – L’albero in inverno . In inverno la luce e il calore non appaiono come elementi esteriori, soprattutto se osserviamo un albero spoglio. Eppure sappiamo che sono contenuti nella terra.

Colori utilizzati:
blu oltremare,
blu di Prussia,
giallo oro
rosso carminio.

Per questo prepariamo l’ambiente lavorando col blu oltremare e il blu di prussia, così:

facendo giungere il colore sul foglio dall’esterno verso l’interno, a ricordare sia la luce fredda, sia la nebbia e l’umidità della terra.

Poi concentriamo il blu di prussia in un punto in basso, da lì diamo un abbozzo di radici e poi spingiamo il colore verso l’alto, a formare il tronco e poi i rami. Il tronco si sviluppa sempre prendendo colore dalla radice, i rami prendendo colore dal tronco e dai rami più grandi.

In nessun caso, possiamo dire ai bambini, i rami piovono dal cielo già fatti e si appiccicano a un albero. Nascono sempre dall’albero stesso e si dirigono  verso l’esterno.

ora abbiamo un’immagine di un albero completamente privo di vita, un albero di ghiaccio, ma non è così.

Dalla terra su verso l’alto facciamo scorrere nell’albero la sua vita nascosta, il giallo oro e il rosso carminio.

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Waldorf watercolor tutorial: tree in winter. In winter, the light and the heat does not appear as external elements, especially if we see a bare tree. Yet we know that are contained in the ground.

Waldorf watercolor tutorial: tree in winter

Colours used

ultramarine blue,
Prussian blue,
golden yellow
carmine red.

The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but it is not essential:

Waldorf watercolor tutorial: tree in winter

Procedure

Prepare the environment by working with ultramarine and Prussian blue, like this:

by getting the color on the sheet from the outside   towards the inside, remembering the cold light, mist and moisture of the earth.

Then concentrate the Prussian blue, in a point at the bottom, from there to make a sketch of roots and then push the color upwards, to form the trunk and then the branches.
The trunk grows increasingly taking color from the root, the branches taking color from the trunk and larger branches.

In any case, we can say to the children, the branches fall from the sky already made and cling to a tree. Always come from the tree itself and go towards the outside .

Now we have a picture of a tree completely devoid of life, a tree of ice, but it is not.

From the land upward flow in the tree his hidden life, the golden yellow and the carmine red.

Bulbi di giacinto – fioritura invernale

Bulbi di giacinto – fioritura invernale – I giacinti si possono piantare verso ottobre – novembre, quando comincia a fare freddo. All’aperto fioriscono da fine inverno ad inizio primavera.

Occuparsi dei bulbi è una bellissima attività per la seconda settimana dell’avvento, dedicata alle piante.

Possono essere piantati sia in vaso sia in idrocoltura, che sono due modi efficaci per ottenere fioriture precoci dei bulbi.

 In vaso

Per interrare i bulbi occorrono vasetti di terracotta bassi, da riempire con circa 4 cm di terriccio.  I bulbi non devono essere completamente interrati, ed è meglio evitare di pressare il terriccio. Annaffiare e aspettare…dopo qualche settimana spuntano i germogli.

Per aiutare la pianta nel suo sviluppo, il giacinto ha bisogno di un luogo fresco (intorno ai 6 -10 gradi), e di penombra. I vasetti possono essere messi quindi in un ripostiglio non riscaldato o una cantina, mantenendo il terriccio umido.

Quando i germogli avranno raggiunto un’altezza di circa 10 cm, i vasetti possono essere trasferiti in casa, al caldo e alla luce. Dopo qualche settimana fioriranno.

Altro modo per ottenere la fioritura invernale del giacinto è l’idrocoltura. Occorrono delle brocche con una strozzatura che permetta al bulbo di restare sollevato dal pelo dell’acqua. Non avendo brocche, sono andata in cerca di vasetti…

E’ importante che il bulbo non entri mai in contatto diretto con l’acqua, perchè rischierebbe di marcire, però deve essergli molto vicino, perchè questa vicinanza stimola il processo di sviluppo delle radici.

In idrocoltura

Si consiglia di usare acqua piovana o demineralizzata, ma io mi sono avventurata (piena di speranza) con quella di rubinetto.

I vasetti vanno poi portati in un luogo fresco e in penombra (si torna alla cantina o al ripostiglio di cui sopra)… e si aspetta.

Quando il vaso si sarà riempito di radici, e tra le foglie che saranno spuntate  sarà possibile vedere il colore del fiore che deve nascere, si può trasferire il vaso in casa, al caldo e alla luce, e in poco tempo avremo una bella fioritura.

 

Acquarello steineriano – l’abete

Acquarello steineriano – l’abete. Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro e blu di prussia.

Acquarello steineriano – l’abete
Come si fa

Riempire tutto il foglio di tante stelline giallo oro e giallo limone:

continuare a fare stelline col blu di prussia. Poi col blu di prussia creare una base in basso, dalla quale far emergere un bel tronco dritto:

cercare nelle stelline la chioma dell’abete, lavorando coi gialli e col blu:

Se volete farne un  albero di Natale, aspettate che il foglio sia ben asciutto, poi lo potrete decorare applicando palline e stelline di carta, oppure disegnandole con le matite colorate…

Acquarello steineriano – l’abete

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Waldorf watercolor tutorial- the fir tree. Colors that are used: lemon yellow, golden yellow and Prussian blue.

The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but not essential:

Waldorf watercolor tutorial- the fir tree
How is it done?

Fill the entire sheet of many starlets with golden yellow gold and lemon yellow:

continue making starlets with Prussian blue. Then with Prussian blue to create a base at the bottom, from which bring out a nice straight trunk:

Search in little stars on the sheet the foliage of the fir tree, working with the yellows, and the blue:

If you want make a Christmas tree, wait until the sheet is dry, then you can decorate applying balls and stars of paper, or by drawing them with colored pencils …

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – 21 novembre

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – 21 novembre. Una raccolta di dettati ortografici di autori vari per la scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

In molte parti del mondo, sia i grandi che i bambini, piantano gli alberi in un giorno speciale chiamato “Festa degli alberi”. Essa cade in giorni diversi nei vari paesi del mondo. Se tu fossi un bambino indiano o una bambina messicana, avresti un albero tutto tuo! In quei paesi ogni volta che nasce un bimbo, i genitori piantano un albero dandogli il nome del bambino. In Israele, gli scolari piantano gli alberi in un giorno chiamato Tu B’ Shebat. Molto tempo fa infatti, in quel giardino, gli Ebrei piantavano un albero per ciascun bimbo nato in quell’anno, un cedro per i maschi e un cipresso per le bambine.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Il 21 novembre si celebra la festa degli alberi. Perchè amiamo gli alberi? Perchè la loro funzione è benefica. Gli alberi purificano l’aria; sentite che buon odore quando attraversiamo un bosco? Gli alberi trattengono le acque che altrimenti irromperebbero a valle, trascinando terra, piante, e purtroppo anche case. Gli alberi fanno da riparo ai venti. Danno bellezza al paesaggio: osservate la diversità fra una zona alberata e una zona brulla. Gli alberi ci danno il legno, materiale prezioso per costruire… che cosa? Guardiamoci intorno e cerchiamo tutto quello che è fatto di legno. Legno di quali alberi? Abete, castagno, pino, noce. E ancora, gli alberi ci danno la frutta. Ricordiamo gli alberi più noti: il castagno, l’olivo, il pero, il melo, il susino, il noce…

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI

Se l’albero è così utile e benefico, cosa possiamo fare noi per lui? Innanzitutto piantarli: sui margini dei fiumi, sulle pendici scoscese, nelle zone brulle, nei luoghi frequentati dai bambini. Un albero viene danneggiato se lo si lega stretto, se vi si piantano chiodi, se si strappa la corteccia, se si spezzano i rami, se il tronco viene ferito. Cerchiamo di proteggere questi giganti buoni. Sembrano potenti, ma anche un bambino può far loro del male.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Il 21 novembre è la festa degli alberi. In questa data si vogliono ricordare a tutti, ma soprattutto ai bambini, le grandi virtù di questi giganti della foresta, e insieme richiamare l’attenzione sull’importanza che essi hanno per tutti noi. Vuol far presente anche i gravi danni arrecati dal disboscamento, dovuti ad incuria e speculazioni disoneste. In questi casi è necessario il rimboschimento. E a questo rimboschimento partecipano i bambini con la festa degli alberi.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Un albero è tutto un vario, singolare, molteplice mondo. Eccone uno, tacito, solitario, immobile, gigantesco, sul ciglio dell’aspra strada di campagna. Sembra un essere dormiente, sembra serrato in non si sa quale suo cruccio, ed allarga, sul terreno diseguale, la sua ombra fresca e ferma. Si passa, di solit, vicino ad un albero, lo si sfiora, ci si appoggia a lui, si gode della sua ombra, quasi sempre senza pensare che vive come noi. (C. Allori)

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – Rispettate gli alberi
Rispettate gli alberi per il verde delle loro foglie, per il profumo dei loro fiori, per la bontà della loro frutta, per la delizia della loro ombra. Rispettateli perchè sono amici dell’uomo, perchè rendono più bella la campagna, perchè proteggono gli uccellini.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – L’albero
Quando in un lontano giorno il seme cadde in terra e germogliò, la radice era soltanto un filo che succhiava; guarda che cosa è diventato quel filo: braccia nerborute di gigante che non mollano la presa. Guarda il tronco: era uno stelo sottile, verde, debole. Si piegava ad ogni soffio di vento. Ora è diventato una colonna, bella, diritta, solida.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI 

Gli alberi, oltre ad essere belli e a rendere suggestivo il paesaggio, sono utili all’uomo. Tutti conoscono i prodotti degli alberi da frutto, necessari alla nostra alimetazione, tutti sanno che dall’albero si ricava il legname così utilizzato dalle industrie, ma bisogna anche sapere che l’albero ci è utile con la sua sola presenza perchè difende il terreno dalle alluvioni, perchè modifica il clima rendendolo più fresco e più salubre, perchè bonifica l’aria.

L’albero nella storia
Gli antichi amavano molto gli alberi. I Greci adoravano il dio Pan, nume dei boschi; i Romani il dio Silvano, simile, nell’aspetto, al dio dei Greci. Tutti i popoli germanici ritenevano sacri gli alberi e compivano i loro sacrifici e i riti religiosi nelle foreste, presso una quercia.

L’albero
L’albero si incontra in ogni regione del mondo nelle sue diverse specie e varietà, ed è prezioso per i suoi prodotti e per l’influenza che esso ha sulla temperatura dell’ambiente e sulla vita stessa dell’uomo. Vi sono alberi da frutto, peschi, peri, meli, susini, ciliegi; alberi che danno ottimo legname utilizzato nelle industrie, alberi che, come l’olivo, ci forniscono un ottimo condimento per i nostri cibi.

Parla l’albero
Sono nato da un piccolo seme, che un vecchio piantò nella terra; l’uomo sapeva che non mi avrebbe visto crescere, ma pensò ai figli dei suoi figli. Crebbi esile pianticella prima, poi tronco robusto e vigoroso. Invano il vento si accanì contro di me. Opposi alla sua forza la mia chioma rigogliosa e, con i miei fratelli, difesi dal turbine il paesello che stava sotto la mia protezione.

I boschi
I boschi abbelliscono il paesaggio e lo rendono più suggestivo. Ma soprattutto, influiscono sul clima mitigandone il calore. Inoltre, gli alberi si oppongono efficacemente alla violenza dei venti e, trattenendo le acque, alimentano le sorgenti. Le radici impediscono lo scoscendamento del terreno ed evitano le frane. Gli alberi sono altresì di ostacolo alle valanghe a cui oppongono la resistenza dei loro tronchi proteggendo la zona anche dalle inondazioni.

Il culto degli alberi
Fin dalla più remota antichità, gli alberi sono sempre stati sacri all’uomo e i grandi poemi, testimonianze delle prime civiltà, lo provano. Gli antichi Romani avevano il fico ruminale, perchè la leggenda diceva che sotto ad esso erano stati trovati Romolo e Remo. La pianta più cara ai Latini era la quercia, anche perchè si cibavano delle sue ghiande. La palma era l’albero sacro dei Fenici e dei Cartaginesi, l’olivo dei Greci, il tiglio dei popoli germanici, la vite degli Indo-Persiani. (A. Beltramelli)

I nemici dell’albero
L’albero va curato come tutti gli esseri viventi. Le intemperie, gli insetti ed altri animali possono essere i suoi nemici. Gli insetti ne bucherellano la corteccia, vi scavano delle lunghe gallerie e ne divorano le foglie, i frutti e anche l’interno dei tronchi. Le intemperie possono spezzare rami, strappare foglie, schiantare tronchi. Anche le capre possono essere dannose agli alberi. Esse possono arrampicarsi sui dirupi arrivando così a brucare i giovanissimi arbusti di cui divorano le gemme.

L’albero
L’albero giovane è come un bambino. Quando il sole lo riscalda, nella tiepida primavera, apre le gemme, mette le prime foglie e diffonde intorno a sè la stessa dolcezza che viene dagli occhi dei bambini. In seguito, l’albero acquista vigore, e spande i suoi rami, si riveste di foglie e mormora e freme, e canta quando il vento soffia. (F. Ciarlantini)

Gli alberi
Come sono belli, alti e fronzuti, diritti contro il vento che li scuote! Gli alberi danno la bellezza ai luoghi dove crescono, danno la salute perchè purificano l’aria, proteggono il paese perchè trattengono le acque dirompenti che porterebbero la rovina. Rispettiamo gli alberi, i giganti della montagna, che ci danno soltanto bene.

Rispetta l’albero
L’albero si può danneggiare incidendo la sua corteccia, troncando i rami, legandolo troppo stretto e piantando chiodi nel suo tronco. Si difende curando le sue ferite, e cioè otturando le cavità con gesso o altro, sostenendolo con pali durante la crescita, proteggendolo dall’opera nefasta degli insetti. Proteggi l’albero e l’albero ricambierà le tue cure dandoti ombra, i suoi frutti e il suo legno.

Il bosco
Le piante crescono invadendo il regno dell’aria coi robusti polloni e penetrando la terra con le grosse radici: i rami si dividono, si moltiplicano, scendono, fanno capolino dappertutto: sono brune in cima, pallide in basso, e offrono tutte le più delicate tinte al verde da quello opalino, trasparente, pallido, sino al vigoroso e forte che quasi sembra nero. Il sole manda negli interstizi certi raggi sottili che paiono capelli biondi luminosi, getta in terra tanti cerchietti lucidi che sono la sua piccola e ridente immagine; la luce è buona e dolce nel bosco. (M. Serao)

Rispetta gli alberi
Gli alberi rendono l’aria pura e balsamica; le radici, affondando nel terreno, impediscono che l’acqua trascini con sè la terra fertile. Se tu trovi una fresca sorgente nel bosco, lo devi in parte, anche agli alberi che con le loro radici trattengono il terreno e con questo l’acqua. Invece del torrente rovinoso, hai lo zampillo che dà origine al limpido ruscello.

L’albero e gli uccelli
All’uscita del campo e della foresta, che era autunnalmente spoglia e aperta alla vista, come se fosse stato spalancato un portone per dare accesso alla sua vacuità, cresceva bella e solitaria, unica, fra gli alberi, ad aver conservato il fogliame intatto, una rugginosa, fulva pianta di sorbe. Cresceva su un rialzo fangoso del terreno e protendeva verso l’alto, fino al cielo, nella plumbea oscurità delle intemperie che precedono l’inverno, i piatti corimbi delle bacche indurite. Gli uccelli invernali dalle penne chiare come le aurore del gelo, fringuelli e cinciarelle, venivano a posarsi sul sorbo, beccavano lentamente , scegliendole, le bacche più grosse e, sollevando i capini, allungando il collo, le inghiottivano faticosamente. Fra gli uccelli e l’albero s’era stabilita una sorta di viva intimità. Come se il sorbo capisse e , dopo aver resistito a lungo, si arrendesse, cedendo impietosito: “Che posso fare per voi! Ma sì, mangiatemi, mangiatemi pure. Nutritevi.”. E sorrideva. (B. L. Pasternak)

Conoscere le piante
Avete mai pensato solo per un momento a quello che gli alberi rappresentano ancora oggi per noi?
Guardate, ecco, ho una matita in mano: la grafite è chiusa nel legno. Di quale legno? Si sa tutti che il legno è fornito dagli alberi, ma qual è l’albero che ha fornito questo particolare legno di grana fine, senza fibre, facile da essere tagliato, adatto, insomma, a fare matite? Forse nessuno di voi immagina che sia un ginepro della Virginia, il Red Cedar degli Americani, importato in Inghilterra nel 1600 e oggi coltivato proprio per questo uso industriale.
Per matite meno costose si adoperano anche il legno di ontano e di tiglio, che sono alberi caratteristici del nostro paese.
Scrivo su della carta, naturalmente, come su della carta fate ogni giorno i compiti di scuola. La carta di che cosa è fatta? Di stracci. Sì, anche, ma soprattutto di legno, preparati convenientemente, ridotto in pasta e poi steso. I migliori legni per fare ciò sono quelli di abete e di pioppo.
Un albero così simpatico, dalle foglie che si agitano al vento sui lunghi peduncoli, dai tronchi chiari e di così rapida crescita.
Oltre alla cellulosa per la carta, il legno per i fiammiferi, quante ne sono le utilizzazioni: pali, imballaggi, tutto ciò che richiede un legno leggero, unito, facile da lavorare e, naturalmente, anche i mobili. Tutti sappiamo che tavoli, armadi, sedie, poltrone sono di legno di vari tipi, lucidati o verniciati, oltre che di pioppo sono fatti di abete, di quercia, di noce, di castagno. Il mio tavolo, per esempio, ha il piano in compensato di quercia.
Che cos’è il compensato? E’ un procedimento moderno per cui si ottengono fogli di vari spessori di sottilissimi strati di legno pressati e incollati insieme, e che offrono il vantaggio di essere leggeri, resistenti, e possono essere utilizzati nei modi più vari.
Mentre il grande scrittoio giù a casa di mio nonno è un solido pesante tavolo di noce massiccio, ben levigato e costruito a regola d’arte, come si faceva cento anni fa, e che ha la durata di parecchie generazioni. Un mobile signore, dunque, benchè di forma che noi può non piacere più.
E la seggiola su cui siedo? E’ di acero chiaro, fresco, leggero, piacevole alla vista e al tatto.
Sicuramente sarete stati a sentire un concerto. Ebbene, davanti a quella massa di lucenti violini, vi siete domandati qual è il legno sonoro, meraviglioso, che diede la possibilità ai liutai di Cremona di costruire i loro famosi strumenti ricercati in tutto il mondo? Anch’esso è l’acero.
Ogni giorno si adoperano tanti oggetti e utensili comuni, anche esteticamente così poco interessanti, ma così utili, ormai fissati nelle loro semplici forme, perchè le migliori, da generazione a generazione, e tutti di legno o in parte di legno. Mestoli per esempio, e ciotole per la cucina, e s manici di martelli o di cacciavite, e casse nelle quali vengono spedite le merci, dalla frutta alle conserve. Oggetti rozzi, eppure son fatti di faggio, uno degli alberi più belli delle nostre montagne, che da tempo immemorabile vive sul nostro suolo.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI

Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche GLI ALBERI

Poesie e filastrocche GLI ALBERI – una raccolta di poesie e filastrocche sugli alberi, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Nel bosco
Nel bosco ogni vecchio gigante
sia abete, sia quercia, sia pino,
ha intorno, ai suoi piedi, un giardino
di piccole piante.
Son muschi, son felci, son fiori,
e fragole rosse e lichene
cui l’albero antico vuol bene
suoi teneri amori.
E mentre le fronde superbe
protende più su verso i cieli
ai pensa a quegli umili steli
nell’ombra, fra l’erbe. (L. Schwarz)

Albero secco
Un albero secco
fuori della mia finestra
solitaria
leva nel cielo freddo
i suoi rami bruni.
Il vento rabbioso la neve il gelo
non possono ferirlo.
Ogni giorno quell’albero
mi dà pensieri di gioia:
da quei rami secchi
indovino il verde a venire. (Wang Ya-Ping)

Pioppi al tramonto
Io so chi colora
di rosso, nell’ora
già prossima a sera,
il cielo, soffuso di un pallido blu:
i giovani pioppi
a specchio nell’acqua laggiù.
Li ho visti piegare il pennello
dell’agile chioma
e intingerlo dentro il ruscello
di limpida porpora, sempre, a quell’ora.
Poi, subito ritti, con zelo
svettando; striare di rosso
la pagina chiara del cielo.
So ancora
nel suo folleggiare nel fosso
nel suo folleggiare monello
si lascia sfuggire talora
qua e là qualche macchia vermiglia
che a nube sospesa somiglia. (G. Vaj Pedotti)

Pini in cortile
Crescono i pini
di fronte alla scala.
Toccano coi rami il muro
della casa dai tegoli bruni;
e di mattina e di sera
li visita il vento e la luna.
Nelle tempeste d’autunno
sussurrano un verso vago;
contro il sole d’estate
ci prestano un’ombra fresca.
Nel colmo della primavera
una pioggia sottile, a sera,
riempie le loro foglie
d’un carico di perle pendule;
e alla fine dell’anno,
il tempo della gran neve
stampa sui loro rami
una trina lucente. (liriche cinesi)

Alberi
Alberi!
Frecce voi siete
dall’azzurro cadute?
Quali tremendi guerrieri
vi scagliarono?
Sono state le stelle?
Vengon le vostre musiche
dall’anima degli uccelli,
dagli occhi di dio. (F. Garcia Lorca)

Il pioppo
Il pioppo nell’azzurro
è un vivo tremolio di grigio e argento;
fa in mezzo ai rami il vento
lento sussurro. (G. Camerano)

Festa a scuola
Mamma, lo sai che abbiamo fatto festa
a scuola, stamattina? Allineati
dapprima; e poi, con il maestro, in testa
a piantar gli alberelli siamo andati.
E ne abbiamo piantati un per ciascuno,
ma bello come il mio non è nessuno:
svelto, diritto, a cuspide perfetta,
verde cupo nel folto e chiaro in vetta.
Un per ciascuno, eravamo in cento:
Ora cento alberelli al sole, al vento,
come fiere sentinelle se ne stanno…
e pensa che bel bosco diverranno! (L. Salvatore)

Castagni
Nulla è più bello dei frondosi e ampi
castagni a selve sterminate in mezzo
a questi monti…
Nulla è più dolce. Cascano con tonfi
leggeri le castagne, e a quando a quando
ne sguscia fresca sotto il piede una.
Casca in gran copia e tutte l’erbe imbruna
di bei cardi spinosi il frutto buono. (G. Marradi)

Speranza
C’è un grande albero spoglio
in mezzo all’orto: pare
che soffra e non si possa
coprire e riscaldare.
Vola sui nudi rami
un passero sperduto,
e cinguetta più forte
in segno di saluto.
Geme l’albero: “Un tempo
fui giovane e fui bello:
candidi fiorellini
erano il mio mantello.”
Il passero cinguetta:
“Oh vecchio albero, spera!
Si scioglieran le nevi:
verrà la primavera. (M. Dandolo)

L’alberetto
Sul principio del boschetto
l’alberetto
guarda intorno, aspetta e spera
primavera.
Non ha foglie, non ha fiori,
non ha umori;
non ha nidi, nè richiami
sopra i rami.
AL suo piede una viola
sola sola,
stenta a fare capolino
tra uno spino.
Fischia il vento, scuro è il cielo:
ahi, che gelo!
Com’è triste, nell’aspetto,
l’alberetto. (F. Socciarelli)

 

Il bosco
Specie per voi bambini il bosco è bello,
ospita tanti uccelli e tanti nidi:
c’è talvolta un ruscello
e l’eco che risponde ai vostri gridi.
D’estate che bell’ombra! Che frescura!
Quante frutta selvatiche e gustose
in mezzo alla verdura!
E di notte, quante voci misteriose!
Anche d’autunno, quando s’è spogliato
e di frutta e di nidi, è bello ancora,
ma i colpi del pennato
vi si fanno sentir fino all’aurora.
Or più non vi canta l’assiolo
con la sua voce dolorosa: “Chiù!”
E’ l’inverno, e il boscaiolo
picchia di scure e molto butta giù.
E taglia tanta legna, chè i bambini
quando sentono il freddo stanno male.
Avran tutti i camini
un ceppo per la notte di Natale. (F. Socciarelli)

Due palme
Due palme son nel giardino;
al mattino
che allegro cinguettio
le anima al sole.
E se talvolta il fragore
di motorini, camion o altro motore
lo sovrasta per poco,
ben presto passa il rumore,
ma il cinguettio rimane
come limpida acqua
da cui traspare
incantato fondo di mare. (F. Gisondi)

Alberi
Sempre fermi, sempre ritti,
sempre zitti,
come impavidi soldati,
stanno i buoni alberi, armati
sol di foglie e fiori e frutti,
di cui fanno dono a tutti.
Tutto danno quel che hanno
e per sè tengono solo
un gorgheggio d’usignolo
un fischietto di fringuello
un sussurro di ruscello. (D. Valeri)

Il ciliegio
Ho un ciliegio nell’orto
(proprio sotto al murello)
vecchio, rugoso e storto,
che rinnova il mantello
ad ogni primavera;
e tra le nuove foglie,
quando viene la sera,
i passeri raccoglie.
Nel sussurrar del vento,
tra il cinguettar vivace,
parla, sereno e lento:
“Son vecchio, ma mi piace
allargare i miei rami
nell’aria cilestrina,
udir questi richiami
di sera e di mattina…”.
“Se poi i dolci frutti”
un passero gli dice
“te li mangiamo tutti,
ancora sei felice?”
“Ma sì!” lieto risponde
il ciliegio. “La vira
di queste annose fronde
se non dona… è finita”. (G. Fanciulli)

Boschetto
In questo boschetto di poche gaggie
ricanta un uccello le sue poesie.
Se un cuore vi passa, si ferma e ristà,
riparte provvisto di felicità.
E’ un bosco d’un’ombra armoniosa e leggera
e un angelo viene a dormirvi la sera.
Per farsi un lettuccio men duro raccoglie,
dai ceppi muschiosi, bracciate di foglie.
E vede, addondando nell’umida cuna
passare tra i rami più alti la luna;
e sente tra fronde dal vento toccate
tremore e bisbigli di calde nidiate;
e trova la pace d’un sonno tranquillo
tra un canto d’uccello e il canto d’un grillo. (R. Pezzani)

Il testamento dell’albero
Un albero d’un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
“Lascio i miei fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semetti a voi,
a voi, poveri uccelli,
perchè mi cantavate la canzone
della bella stagione…
E voglio che gli stecchi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli. (Trilussa)

L’abete
Nel nord sull’altura nuda
un abete sorge solo,
ha sonno, e di ghiacci e di neve
lo cinge un bianco lenzuolo.
Sognando va d’una palma,
che nel remoto levante,
solinga e muta s’attrista
sopra il dirupo bruciante. (E. Heine)

L’arbusto
Un arbusto si protende
dalla roccia alta sul mare;
vede un solco che risplende,
ode l’onda sussurrare…
E vorrebbe volar via
per svanire nell’azzurro,
dietro la fiammante scia,
dietro il magico sussurro.

Il pioppo
Conosci il riso del pioppo
al margine del ruscello?
E’ come un allegro monello
che sia cresciuto troppo.
Ride alla melodia
dell’ospite usignolo,
ride alla luna e al volo
d’un’ala che sfiora e va via.
Quando scherzoso arriva
tra le fogliette il vento,
ride e fruscia contento
d’una risata viva.
E guarda piegando piano
la cima di qua e di là,
l’acqua passata che va
lontano lontano lontano. (L. P. Mazzolai)

 

La foresta
Pare un gran tempio ad agili colonne,
un tempio antico, scuro, con tappeti
di muschio e con festoni verdi e lieti.
Un tempio antico che ha per finestra il cielo;
di canzoni n’ha tante e la preghiera
la dicono gli uccelli mane e sera. (M. Bertolini)

Nel libro della natura
Vanta una storia la quercia superba,
ma l’ha forse men grande un filo d’erba? (M. Spiritini)

Se odorano le felci
Se odorano le felci
e il sole entra discreto tra le foglie
e l’aria sfiora tra i castagni
il sonno degli uccelli
prendi la tua sorella per mano
falle un cuscino di muschio
e nel silenzio
ascolta l’ora più bella del bosco.
Domani la pioggia ed il vento
avranno disperso l’incanto. (L. Deli Gazo)

Pini
All’estremo orizzonte i grandi pini
se n’andavano curvi in lunga traccia,
a uno a uno come pellegrini:
e ciascuno recava per bisaccia,
alto sopra la livida brughiera,
una nuvola d’oro della sera. (D. Valeri)

L’olivo
Argento placcato di verde
mi sembra la foglia
che il verno giammai non dispoglia
nè il vento disperde.
Egli offre la drupa sua nera
in tempo d’avvento,
al tordo che vola contento,
all’uomo che spera.
E quando il freddo è più vivo,
con funi, con scale,
con cesti e panieri si sale
la pianta d’olivo.
Usando un arnese ad uncino
s’incurvan le vette,
si strusciano e s’empion sacchette
chè aspetta il mulino. (F. Socciarelli)

La canzone dell’ulivo
Non vuole
per crescere, che aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d’argento!
Tra i massi s’avvinghia, e non cede
se i massi non cedono, al vento. (G. Pascoli)

Il canto del ciliegio

Sorrise con l’aprile
la gioia in ogni cuore
e zefiro gentile
vide i ciliegi in fiore.
I bianchi fiorellini
zefiro si portò
e in frutti corallini
il maggio li cambiò.
Su verde ramo appese
con le ciliegie rosse
dai bimbi sempre attese
e piccoline e grosse.
Al vivido richiamo
venite coi cestelli
ma resti sopra il ramo
la parte degli uccelli!
“Uccelli e bimbi avanti!”
canta il ciliegio, “I frutti
che porto sono tanti!
Venite! Ne ho per tutti!”

I doni dell’albero

L’albero è tanto bello,
l’albero è tanto buono,
ha sempre pronto un dono
per te e per l’uccello.
A te regala l’ombra,
la frutta nutriente
e la provvida legna
per la stagione algente.
E ti dà il legno, utile
per i mobili tuoi,
chiedendoti bonario:
“Che cosa ancora vuoi?”
“Io voglio che tu arrsti
i venti e le bufere,
le frane, le alluvioni
di morte messaggere…”
“Lasciatemi dunque vivere
sulla natia pendice;
non venirmi a tagliare!
Ti aiuterò felice.” (T. Romei Correggi)

Alberi

Gli alberi tengono il cielo
azzurro prigioniero dei rami,
si vestono di silenzi
e di abbandoni
e tremano di voli e di canzoni.
Spandono un lume di fiori
ai mesi chiari
e camminano col vento
per ignoti reami.
La notte li ritrova incappucciati
monaci solitari nel convento:
ma, dove cantò l’usignolo,
resta, nel fiato dell’alba,
l’eco di un singhiozzo d’oro. (I. Dell’Era)

L’albero taciturno

L’albero aveva un cartello
che solo gli uccelli potevan decifrare:
“S’affittano rami per nidificare”
dicea la scritta
che un uomo non avrebbe potuto capire.
Pur malgrado l’annuncio
non venne alcun uccello,
nè picchio, nè fringuello,
e, deserto di nidi, a capo chino
muor di tristezza l’albero,
lungo il cammino. (A. M. Ferreiro)

L’albero

Vennero da vie lontane
le rondini rapide e snelle
a bere presso le fontane
ancora fresche di stelle.
Il sole apparve dal tetto
effondendo oasi d’oro
e l’albero del giardinetto
sfavillò come un tesoro.
S’accese di mille collane
e stette estatico a udire
le voci delle campane.
Dalla dolce terra veniva
musica d’onde lontane
e verso il suo cuore saliva. (G. Titta Rosa)

Il cipresso

Al margine di un breve praticello
sta un cipressetto solo e sembra triste
tutto ravvolto nel verde mantello.
Scherza, invece, col vento; a nascondino
fa con la luna, o pure, in cima ai rami
svelto l’appende come un lampioncino.
Più spesso a sera, quando tutto imbruna,
chiama le stelle a inghirlandargli il capo,
fino all’alba le conta ad una ad una!
E se piove, se rugge la tempesta,
si piega, grida, stringe le sue braccia,
ma non si spezza e fermo al suolo resta.
Chè un bel nido protegge: un nidietto
fragile e lieto, colmo di gorgheggi,
tesoro grande per il cipressetto. (T. Stagni)

La quercia caduta

Dov’era l’ombra, ora sè la quercia spande
morta, nè più coi turbini tenzona.
La gente dice: “Or vedo: era pur grande!”.
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: “Or vedo: era pur buona!”.
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto… d’una capinera
che cerca il nido che non troverà. (G. Pascoli)

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La spremitura a freddo delle olive e il frantoio

La spremitura a freddo delle olive e il  frantoio – La raccolta delle olive può avvenire manualmente, staccando le olive dai rami con l’aiuto di particolari “pettini”, oppure meccanicamente, provocando cioè la caduta delle olive con l’utilizzo di macchine “scuotitrici”.

Le olive raccolte si portano al frantoio, dove per prima cosa vengono passate nella defogliatrice, che toglie tutte le impurità come terra, foglie e ramoscelli rimasti dalla raccolta.

La macinazione consiste nella frantumazione tramite grosse ruote di granito meglio conosciute come “molazze”.

La pressione morbida delle macine, che ruotano molto lentamente, consentono di ottenere una pasta di olive frantumate fra i 13 e 18 gradi di temperatura (temperatura ambiente). Questo processo di circa 20 minuti fa sì che l’olio assuma un gusto più dolce e delicato.

Le olive vengono macinate fino a quando si ottiene un impasto omogeneo dato dalla macinazione di buccia, polpa e nocciolo.

La gramolatura consiste in un delicato rimescolamento della pasta appena ottenuta dalla macinazione. La gramola è una vasca lunga e stretta con un asse centrale munito di lame impastatrici in rotazione continua.

Il movimento delle lame favorisce lo scioglimento delle molecole dell’olio ossia la rottura delle microscopiche sacchette che nella pasta delle olive, trattengono ancora l’olio.

La pasta così ottenuta viene poi posta su dei dischi di corda chiamati diaframmi o fiscoli,  a comporre una sorta di torre che viene in seguito messa sotto la pressa.

La pressa, tramite pressione, separa la parte liquida (il mosto) da quella solida (sansa). Mentre la sansa viene scartata, il mosto viene trasferito nel separatore.

E’ questo, l’ultimo processo della spremitura a freddo. La separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione avviene attraverso il “separatore” che, sfruttando la forza centrifuga, separa le particelle dei due componenti i quali, com’è noto, hanno peso specifico diverso.

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Dettati ortografici sugli ALBERI

Dettati ortografici sugli ALBERI – Una collezione di dettati ortografici sugli alberi per la scuola primaria, di autori vari.

La quercia
La quercia è un albero rude e forte, che si innalza lento, vestito di una scorza ruvida, ma che custodisce un legno che dura in eterno e resiste alle insidie del tempo. Quando la quercia è ancora giovane, è un albero come un altro. Non diventa bella che quando ha mezzo secolo, e con gli anni va sempre crescendo la maestosità del portamento, la frondosità dei rami, la densità delle sue fresche ombre. La quercia è nel fiore della sua bellezza quando conta almeno un secolo di vita, ed è bellissima quando è tre, quattro volte centenaria. (P. Mantegazza)

Alberi di montagna in primavera
Anche gli alberi si vestono a festa! In basso, sulle prime pendici, ecco gli alberi da frutta, spogli da alcune settimane della neve invernale, rivestirsi d’un’altra neve, quella dei loro fiori. Più su, i castagni, i faggi, i diversi arbusti, si ricoprono delle loro foglie dal verde tenero e da un giorno all’altro par che la montagna si sia rivestita con un meraviglioso drappo, in cui il velluto si mescola con la seta. (G. Reclus)

Il mandorlo fiorito
Quale miracolo è mai avvenuto questa mattina? E’ caduta una neve odorosa oppure miriadi di farfalle si sono posate sui rami del mandorlo?
Pur ieri l’alberello era nudo e freddo. Ma stanotte, all’alito dei venti, esso è sbocciato, è fiorito; s’è ricoperto di candide ali, di mille stelline.
Sembra cosparso di fior di farina soffice e fragile con lievi riflessi di rosa.
Gli occhi restano beati a mirarlo; ed intanto, nel cuore, passa nascosto il primo soffio della primavera. (F. Lanza)

Una gemma si apre
Osserviamo le gemme del castagno: al centro, la bambagia avvolge le sue tenere foglioline; all’esterno una solida corazza di scaglie disposte come le tegole d’un tetto, le chiude strettamente. Le parti dell’armatura scagliosa sono incatramate con un mastice che, simile a vernice disseccata, diventa molle, in primavera, per permettere alla gemma di schiudersi. Le scaglie, non più incollate fra loro, si allargano vischiose, e le prime foglie si spiegano al centro della loro culla socchiusa. (H. Fabre)

Ciliegio in fiore
L’albero era sino a ieri nudo; nudo nel tronco, nei rami qua e là contorti dall’aspro battere del vento. Cosa sarà accaduto perchè, stamane, io abbia visto invece dell’albero, una nube bianca fatta tutta di fiori stretti così fittamente gli uni agli altri da formare una cosa sola, impalpabile, quasi aerea, attraverso la quale non mi riesce più di distinguere nè rami, nè tronco? (A. Anile)

La prima fogliolina
Nessuno s’è trovato mai davanti a un albero nel momento preciso in cui spunta la prima fogliolina. Tutti abbiamo questo desiderio perchè ci piacerebbe tanto poter dire: “Sono io che quest’anno ho visto per primo la primavera”. Ma, dopo aver tanto atteso, una mattina ci alziamo, scendiamo giù in cortile, e vediamo che le foglie sono già tutte spuntate. (Giovanni Mosca)

Il mandorlo frettoloso
Un mandorlo frettoloso ha già spiegato al solicello la sua bianca fioritura; non gli importa se una brinata farà cadere troppo presto quella bella veste; come sempre, vuole essere il primo ad annunciare la primavera!
I meli, i peri, i peschi, più prudenti, rimangono indietro. (G. Fanciulli)

Gli aranci
In primavera, la Sicilia odora di zagare dalla Punta del Faro alla Conca d’Oro, dall’Agro trapanese a quello di Catania. Nei mattini tersi, nelle serene notti di luna, la soavissima fragranza dei sui venti, si diffonde sin nei più interni quartieri delle popolose città dell’isola e pare che ogni casa abbia un arancio fiorito davanti alla porta. Migliaia di aranci intanto costellano le distese degli aranceti siciliani. Quelle migliaia di piccole sfere, nelle cupole dei fitti e slanciati alberi, sembrano granelli di sole splendenti. (G. Patanè)

Il castagno

Il castagno, per l’alto valore nutritivo dei suoi frutti, è considerato l’albero del pane delle nostre montagne. Esso alligna tra i 400 e i 1000 metri d’altitudine. Il castagno giovane ha un tronco diritto e liscio, color bruno chiaro; il castagno vecchio è ricoperto di una corteccia bruna e screpolata. Di solito questa pianta raggiunge i dieci metri d’altezza, ma qualche castagno gigante può raggiungere anche i trenta metri. Le foglie, a punta di lancia e con il margine seghettato, sono lunghe quindici, venti centimetri. Il castagno fiorisce in maggio – giugno. I suoi fiori sono di due specie. Alcuni sono ricchi di  polline giallo; quando questo viene portato via dal vento i fiori seccano e cadono. Altri fiori invece ricevono il polline trasportato dal vento e dagli insetti, si ingrossano e diventano castagne. Il frutto matura da settembre a novembre. Il riccio è la buccia verde e spinosa in cui sono racchiude una, due o tre castagne.

La palma

La palma esiste fin dai tempi preistorici in alcune zone dell’Africa e dell’Asia. Fuori da queste regioni o non fiorisce o non fruttifica, è unicamente ornamentale.
Si trova infatti anche in Italia, ove fu importata dagli Arabi.
La foglia della palma fu simbolo di vittoria: i trionfatori romani usavano fare il loro ingresso solenne in Roma con un ramo di palma in mano. Essa è pure simbolo di fede.

L’olivo

L’albero dell’olivo è sempre stato considerato con grande rispetto: esso è infatti simbolo di pace, di bellezza, di sapienza. Due colombe che tenevano nel becco un ramoscello di olivo annunciarono a Noè la fine del diluvio. Nelle religioni greca e romana l’olivo era sacro ad Atena e a Minerva. In Grecia i vincitori dei giochi olimpici venivano incoronati con rami di olivo e di palma. E ancora oggi l’olivo è simbolo di pace.

 

Fioritura

Il mandorlo si è tutto magnificamente coperto di fiori biancorosei, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti.
Le margheritine silenziose e tranquille tremolano in bianca folla al tiepido vento. La giunchiglia piega sul gracile stelo il velato suo calice. Persino nelle lande più pietrose e deserte, qualche fiore solitario apre all’aria nuova le sue tre o quattro foglioline, soffuse di un pallido rosa, o venate di tenui righe violacee.
In ogni albero canta un nido e in ogni cuore resuscita una speranza. (E. Nencioni)

Un piccolo vandalo

Luigi non ama gli alberi. Uno dei suoi passatempi preferiti, quando va a giocare nel prato, è quello di incidere nel tronco delle sue vittime arboree disegni e messaggi che salutano la sua squadra di calcio preferita. Le piante non sopportano scherzi del genere; la corteccia salta via a pezzi strappata dal temperino di Luigi. Il povero albero soffre, proprio come soffriremmo noi se ci strappassero la pelle a pezzetti per incidere dentro un bel disegno. (M. Bettini)

Il bosco

Qui la vegetazione è libera; le piante crescono invadendo tutto e penetrano la terra con robuste radici. Le fronde salgono, scendono, si dividono, si moltiplicano liberamente; offrono le più delicate tinte del verde; da quello opalino trasparente, pallido, sino al vigoroso e forte che sembra quasi nero. Giungono odori forti e sani: i profumi che esalano quegli alberi meravigliosi, i rigogli della loro gioventù, i succhi di vita che salgono in essi e rompono la corteccia.
Quiete stupenda in tanta vitalità, sicurezza profonda in tanta libertà. (M. Serao)

L’albero di sera

C’è un pino in cui di notte si raccolgono a dormire i passeri. Ma ci sono tanti alberi che servono da albergo agli uccellini! Vi è mai capitato di osservare a sera, quando essi giungono da tutte le parti e pare che affondino nell’albero ospitale? Un gran frastuono, pigolii, cinguettii… al più piccolo rumore silenzio improvviso.
Poi di nuovo il frastuono dell’albero immobile, sì che pare da sè cinguetti. (G. Pascoli)

Il platano

Era mezzogiorno d’estate. Due viaggiatori camminavano sotto il sole ardente. Erano stanchi, accaldati. Scorsero un platano e con un sospiro di sollievo si rifugiarono e si sdraiarono alla sua fresca ombra. Riposavano e intanto guardavano su trai rami frondosi. Disse uno dei due al compagno: “Ecco un albero sterile e inutile all’uomo”. L’altro approvò. L’albero prese la parola e li rimproverò: “Come? Proprio mentre godete dei miei benefici mi trattate da sterile e da inutile?”. (Esopo)

Il pioppo

Il pioppo è uno degli alberi più belli della nostra zona temperata. Alto, snello, robusto, si lancia in alto, diritto come un cipresso, ma non mai triste e severo come lui. I suoi filari non guidano al cimitero, ma fanno da lieti colonnati ai fiumi ed ai canali, diritti come sentinelle. (P. Mantegazza)

Il ciliegio

La frutta saporitissima che viene raccolta a ciocche, a mazzolini caratteristici anche per il vivo colore, è la ciliegia.
L’albero, il ciliegio, fu importato in Europa dall’Asia Minore. Spesso arriva fino a venti metri di altezza. Il tronco del ciliegio è robusto e coperto di corteccia bruno – rossastra. La chioma è tondeggiante. Le foglie sono ovali, larghe, lucide, doppiamente seghettate, tinte di un verde assai scuro.
I fiori, a mazzetti bianchi, profumati, si sviluppano numerosissimi in primavera: l’albero, a distanza, tutto bianco, sembra quasi coperto di neve.

Alberi da frutto
I prodotti degli alberi sono noti. Innanzitutto la frutta. E’ la cosa più evidente. Vediamoli un po’ da vicino questi alberi da frutto: sono meli, peri, ciliegi, susini, peschi,… Facendo ricerche nell’ambiente, i bambini saranno in grado di descrivere questi alberi e i loro prodotti. In autunno sarà facile osservare il castagno e l’olivo che ci danno i loro prodotti. L’albero si incontra pressochè in ogni regione del mondo, nelle sue diverse specie e varietà, ed è prezioso per i suoi prodotti e per l’influenza che esso ha sulla temperatura dell’ambiente e sulla vita stessa dell’uomo.
Affonda nel terreno le sue robuste radici, eleva il suo tronco rivestito di una corteccia rugosa, e si espande in alto con i rami rivestiti di foglie le quali formano la chioma.

Gli alberi nella storia
Gli antichi amavano molto gli alberi. Nei tempi più remoti, si usava seppellire i defunti alla radice dell’albero, con la convinzione che essi sarebbero risorti nel tronco e nelle foglie. Questa pratica era in uso fino a poco tempo fa in Giappone dove si credeva che in alcuni alberi fossero rinchiusi gli spiriti degli eroi nazionali sepolti al loro piede. Usanze simili si riscontrano tuttora presso alcuni popoli primitivi d’Africa e d’Asia.
I Greci adoravano il dio Pan, nume dei boschi. Essi lo raffiguravano incoronato di rami di pino, con le orecchie dritte, in mano un bastone da pastore e il fianco sinistro coperto da una pelle di daino.
I Romani adoravano il dio Silvano dall’apparenza simile a quella di Pan. Essi credevano che negli alberi fossero ospitate le Ninfe, divinità considerate come forme ed energie della natura.
Tutti i popoli germanici ritenevano sacri gli alberi e compivano i loro sacrifici e i riti religiosi nelle foreste, presso una quercia, ritenuta simbolo della divinità.

Boschi e macchie
Gli alberi possono ergersi isolati oppure riuniti in gran numero in un’estensione che generalmente si chiama bosco. Più precisamente prende il nome di foresta quando è formata da alberi di alto fusto, selva quando ha un’estensione minore della foresta, macchia quando è una radura disseminata di alberi. I boschi possono essere costituiti da piante a foglie larghe o a foglie minute, o come si dice aghiformi. Molti dei primi si spogliano della loro vegetazione in autunno; gli altri sono nella maggior parte delle specie sempreverdi.
A seconda degli alberi che lo compongono, il bosco può assumere diverse denominazioni: querceto, faggeto, pineta, abetaia. Si chiama ceduo il bosco sottoposto a taglio periodico.

 

Utilità degli alberi
I boschi non soltanto abbelliscono il paesaggio, elemento questo niente affatto da trascurare, ma influiscono sul clima mitigando il calore. Inoltre, gli alberi si oppongono efficacemente alla violenza dei venti e alimentano le sorgenti. Le radici impediscono il franamento del terreno ed evitano le frane. Gli alberi sono di freno alle valanghe a cui oppongono la resistenza dei loro tronchi e proteggono dalle inondazioni in quanto, con le loro radici, consolidano il terreno e impediscono l’infiltrazione rapida delle acque nel sottosuolo. Inoltre, com’è funzione di tutte le piante, durante il giorno esse assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno e quindi rendono l’aria più salubre.

Gli alberi non crescono ugualmente in tutte le zone. A seconda degli alberi che vi prosperano si possono distinguere quattro zone in Italia.

Vi è la zona calda, denominata anche zona dell’ulivo dove, oltre all’ulivo crescono la quercia da sughero, il leccio, il carrubo, il pistacchio, il pino da pinoli, il pino marittimo, il cipresso e l’eucalipto.

Nella zona temperata, o zona del castagno, abbiamo oltre al castagno due specie di quercia, il cerro e il rovere.
Nella zona fredda o zona del faggio (fino a 1200 metri) crescono la betulla, l’ontano e il tiglio.

Nella zona rigida o zona delle conifere, troviamo l’abete rosso e il larice.
Le conifere hanno, in particolare, la proprietà di rendere l’aria balsamica e pura. Sono alberi che hanno il frutto a cono (pino, abete, …) comunemente detto pigna. Il pino, nelle sue diverse specie, si può trovare tanto in montagna che in riva al mare. In quest’ultimo caso si tratta del pino marittimo; l’altro è il pino a ombrello. Facendo un’incisione nel tronco di quest’albero, si vedrà gocciolare una sostanza attaccaticcia e profumata, la resina, che è utilizzata in varie industrie. Mescolata a nero fumo forma la pece dei calzolai; la si usa nei fuochi d’artificio e per rendere più vibranti le corde del violino; e nella fabbricazione dei balsami.

Il tronco del pino, così alto e diritto, viene utilizzato per fare gli alberi delle navi.
L’olmo, l’ontano e il pioppo ci danno la cellulosa, ampiamente usata nelle più svariate  industrie, come la fabbricazione della carta, della stoffa e perfino degli esplosivi.

Il legno dell’ontano che, crescendo vicino all’acqua è molto resistente all’umidità, viene utilizzato per i pali delle palafitte. Dalla corteccia di quest’albero si ricava il tannino, sostanza colorante usata in tintoria.

L’età degli alberi
Gli alberi possono raggiungere anche migliaia e migliaia di anni di vita. In Sicilia esiste ancora il castagno dei cento cavalli, chiamato così perchè, secondo la tradizione, Giovanna d’Aragona, sorpresa dalla tempesta, si rifugiò sotto la sua chioma con cento cavalieri del seguito. Pare che questo immenso albero abbia almeno quattromila anni!
A Somma Lombardo esiste un cipresso che si dice abbia duemila anni.
L’età di un albero si può constatare soltanto quando l’albero è abbattuto. Infatti, poichè il tronco aumenta di solito di uno strato all’anno, contando in un tronco tagliato questi strati, che sono disposti in cerchi concentrici, si può sapere approssimativamente quanti anni è vissuto l’albero.

Il papiro
L’albero che permise agli uomini di scrivere è il papiro. Il papiro è una grande erba perenne acquatica, con radice sotterranea strisciante, dura e carnosa. Il fusto esterno, triangolare, si erge diritto da due fino a cinque metri, e termina con chioma a ombrello: una specie di piumino.
Oggi il papiro si trova con maggiore facilità e diffusione, ma è meno cercato. Lo si trova in Palestina, in Africa, a Malta, ed anche in Sicilia presso Siracusa, dove lo trapiantarono gli Arabi.
Gli antichi trassero dalla corteccia del papiro un foglio largo, lungo e sottile, molto pieghevole, su cui poterono scrivere. Il papiro deve considerarsi quindi come una specie di “albero della scienza” poichè alla sua corteccia furono affidati, fino dall’alba della civiltà, i pensieri dell’uomo, le sue idee storiche, letterarie, artistiche, scientifiche. (G. Bitelli)

Sugli alberi
Il nostro giardino era pieno d’alberi. C’era un ippocastano rosso con due rami a forca che per salire bisognava metterci dentro il piede, e poi non potendolo più levare ci lasciavo la scarpa. Dalle ultime vette vedevo i coppi rossi della nostra casa, pieni di sole e di passeri. C’era una specie d abete, vecchissimo, su cui si arrampicava un glicine grosso come un serpente boa, rugoso, scannellato, storto, che serviva magnificamente per le salite precipitose quando si giocava a nascondersi. Io mi nascondevo spesso su quel vecchio cipresso ricco di cantucci folti e di cespugli, e in primavera, mentre spiavo di lassù il passo cauto dello stanatore, mi divertivo a ciucciare la ciocca di glicine che mi batteva fresca sugli occhi come un grappolo d’uva. (S. Slataper)

Il re delle Alpi
Il larice viene definito il re delle Alpi. E’ un albero maestoso che può raggiungere i 50 metri di altezza; il suo legno duro e resistentissimo viene usato soprattutto per le costruzioni navali. E’ una delle poche conifere che perdono le foglie durante l’inverno. E’ l’albero più tipico delle nostre Alpi, dove forma grandi boschi e si trova fino a 2200 metri di altezza. Altri alberi che popolano le nostre montagne sono il pino, l’abete e il faggio.

 

Proteggiamo l’albero
I boschi sono affidati alla protezione dello Stato il quale soltanto ne può consentire l’abbattimento. Per questo, esiste uno speciale corpo di Guardie Forestali che hanno l’incarico non soltanto di difendere gli alberi dal vandalismo degli uomini, ma di curarli perchè non deperiscano e di ripopolare, mediante appositi vivai, le zone che ne sono sprovviste.

Ma la difesa dell’albero è affidata soprattutto al senso civico di ogni cittadino che deve apprezzare gli alberi non soltanto per il guadagno che ne può ricavare, ma anche perchè proteggono la salute, rendono bello il paesaggio, oppongono una valida difesa contro i pericoli delle alluvioni e delle valanghe.
Come si può danneggiare un albero? Non soltanto con l’abbattimento, il che produce un danno definitivo ed irraparabile, ma anche strappando i rami senza discriminazione, scortecciando i tronchi, piantando chiodi sul tronco o stringendolo con fili di ferro. Tutti questi traumi possono danneggiare la salute dell’albero e causare anche la sua morte.

L’albero va curato come tutti gli esseri vivi. Gli insetti, le intemperie, alcuni animali possono essere i nemici dell’albero. Gli insetti ne bucherellano la corteccia, scavano sotto di essa lunghe gallerie e pur così piccoli come sono, possono provocare la morte dell’albero in brevissimo tempo. Anche le capre sono nemiche dell’albero. Infatti esse brucano anche i teneri germogli dei rami. Animali del bosco, come scoiattoli, ghiri ed altri, rodono talvolta anche la corteccia, causando danni rilevanti a questi giganti che non possono opporre nessuna valida difesa contro i loro dentini implacabili.

Il sottobosco
Non dimentichiamo il sottobosco e quello che esso ci fornisce: funghi, fragole, lamponi, mirtilli. Anche questi prodotti minori della foresta hanno il loro valore tanto più che non implicano spese di sorta.

Guarda da vicino un albero
Guarda da vicino un albero: vedrai tante cose che neppure immaginavi e rimarrai stupito. Guarda le sue radici, o almeno quello che affiora di esse. Sono grosse, nodose, capaci di sollevare la durissima crosta della terra. Se il vento tira forte e vuol sradicare l’albero, non può; ci sono le radici che tengono il tronco saldamente piantato sul terreno e il vento si sforza e ulula in una vana rabbia.

Quando il seme cadde in terra e germogliò, la radice era soltanto un filo che succhiava; guarda che cosa è diventato quel filo: braccia nerborute di gigante che non lasciano la presa.
Guarda il tronco. Era uno stelo sottile, verde, debole. Si piegava a ogni soffio di vento. Ora è diventato una colonna, bella, diritta, solida. Colui che per primo fabbricò una chiesa coi suoi colonnati e i suoi pilastri e le sue volte profonde, si ispirò agli alberi di un bosco.

Una corteccia dura, legnosa, ruvida, copre questo tronco diritto. La pioggia l’ha gonfiata, il vento l’ha screpolata, gli insetti l’hanno percossa, sforacchiandola da tutte le parti; sembra una cosa insensibile, tanto è ruvida, rozza, eppure, se la ferisci col tuo coltellino, se ne stacchi un pezzo, da quella ferita gemerà il sangue dell’albero, e l’albero, indifeso, in quel punto sarà alla mercè della tempesta e del freddo e se non correrà ai ripari potrà anche morire per quella ferita che tu hai inferto alla corteccia che lo proteggeva.

La ferita si rimarginerà, ma rimarrà un gonfiore scabro che non se ne andrà più. Quel gonfiore scabro è la cicatrice, il ricordo del dolore che egli ha sofferto.
Guarda i rami. Sono come grandi braccia che si tendono per proteggere. Proteggono tutto ciò che si rifugia sotto di essi: il coniglio pauroso che si nasconde nell’ombra, l’uccellino che vuol dormire. Proteggono anche te che cerchi ristoro al solleone. E il vento va ad infrangere la sua violenza contro la chioma ampia del bell’albero grande.

Guarda la foglia. E’ così delicata nella sua nervatura che sembra un ricamo. Guardala contro luce; nessuno saprebbe fare una cosa delicata e perfetta come la gemma, che meraviglia! La gemma, dentro, è un astuccio di velluto, e fuori è impellicciata come una bambina freddolosa. L’acqua e il freddo non riescono a penetrare nell’interno e, se è necessario, la gemma si riveste di resine e di cera o, magari, di una crosta dura come il metallo. A lei è affidato il tesoro dell’albero che è anche il suo avvenire: la foglia, il fiore, il frutto.

Il fiore si apre, così rosato e lieve che sembra quasi impossibile sia potuto sbocciare da un ramo tanto duro e ruvido. Fa la stessa impressione della mano morbida di un bambino posata sulla guancia rugosa del nonno. Ma i fiori degli alberi durano poco: oggi li vedi, domani non li vedi più. C’è solo una sfiorita di petali per terra. L’albero ha fretta: deve preparare i suoi frutti, prima verdi, duri, informi, poi grossi, rotondi, morbidi e coloriti che sembrano messi lì apposta per bellezza, come si mettono le palline lucide e sono felice.

Ecco, tutto questo è l’albero; basta che lo guardi da vicino, tanto da vicino per sentire il suo grande cuore battere nel tronco ruvido, da sentire la sua linfa vitale frusciare lungo le sue vene generose.
(M. Menicucci)

La storia dell’uomo e del bosco
C’era un uomo che possedeva un bosco. Questo bosco era fatto di alberi alti e fronzuti, castagni, pini, lecci  e querce. A primavera pareva vivo: gli uccellini facevano il nido sui rami e svolazzavano di qua e di là, cinguettando. Fra le erbe ronzavano gli insetti e volavano le farfalle. C’era un bel fresco sotto gli alberi del bosco e in mezzo a quegli alberi l’uomo aveva la sua casa.

In autunno la famiglia andava a raccogliere le castagne e i bambini più piccoli cercavano i pinoli. Durante l’inverno, nel camino della casa, ardeva  un bellissimo fuoco che illuminava e scaldava. La famiglia mangiava la polenta e anche i funghi quando ne trovava. Qualche volta mangiava anche le salsicce perchè con le ghiande si poteva allevare un maiale grasso e bello.

Un giorno salì, fino al bosco, un tale che non si era mai visto. Disse all’uomo: “Volete vendere il bosco?”
L’uomo stette un pezzo a pensare, poi disse: “E io come camperò? Il bosco mi dà tutto: pane, companatico e la legna per l’inverno”.

L’altro si mise a ridere.
“Siete un uomo semplice che non farà mai fortuna. Quando mi avrete venduto il bosco, io farò tagliare gli alberi e li porterò con via. Voi sul terreno rimasto libero, potete seminare il grano e piantare le patate. Senza pensare che io vi darò molti milioni e con questi potrete spassarvela un bel po’.
L’uomo si mise a pensare ancora, poi disse: “Va bene, accetto. La cosa mi conviene”.

Dopo alcuni giorni vennero i boscaioli e cominciarono ad abbattere gli alberi. I grossi tronchi cadevano giù di schianto, con un gran frastuono di rami fruscianti; poi, con le mine, gli uomini fecero saltare le radici. Gli uccelletti fuggivano spaventati abbandonando i nidi. Anche le lepri scappavano e i conigli selvatici, le martore, le donnole e le faine.

“Non credevo che nel bosco ci fossero tanti animali!” diceva l’uomo meravigliato, e guardava i carri che portavano via, albero per albero, tutto il suo bosco. C’era rimasto solo un pino verde che pareva triste in tanta solitudine.

Il terreno restò sgombero e il sole, che ora spadroneggiava, seccò ben presto le erbe e i cespugli.
L’uomo si mise a vangare la terra e da boscaiolo si fece contadino. Seminò il grano e piantò le patate. Diceva: “Avremo un bel raccolto!”, ma la moglie non era contenta.

“Senza il bosco mi sento sperduta” diceva, “C’era una bell’ombra e un bel fresco. Ora la casa mi sembra senza difesa”.
I ragazzi, che non potevano più andare in cerca di castagne e di pinoli, furono mandati con un branco di tacchini e un piccolo gregge di pecore, in giro per la montagna.
Il raccolto fu buono. La terra grassa produsse molto grano e molte patate e nella casa del contadino sembrò entrare l’agiatezza.

Poi venne l’autunno e con l’autunno le piogge.
“Piove molto quest’anno” disse un giorno la moglie: “Piove più degli altri anni. Forse è perchè non ci sono più gli alberi”
“Stupidaggini” rispose il marito; “la pioggia viene dal cielo e gli alberi non c’entrano per niente”.
“Ma la pioggia viene giù a precipizio per il monte e si porta via la terra.”
Il contadino dovette convenire che era vero. L’acqua, non più trattenuta dalle grosse radici, lavava il terreno e se lo portava a valle.

“E’ una brutta storia” disse la moglie “Qualche anno così e non ci resterà più terra, soltanto roccia.
Intanto, a valle, il torrente gonfio rumoreggiava e il contadino seppe che gli abitanti del villaggio cercavano di rinforzare gli argini per paura delle piene.

L’inverno passò e fu  un inverno molto più freddo del solito. C’era poca legna e nella casa, non più riparata, il vento entrava da padrone. Finalmente venne la primavera e tutta la famiglia respirò di sollievo. Senza la protezione del bosco aveva passato delle brutte giornate.

Il contadino aveva seminato anche stavolta grano e patate, ma il terreno, lavato dalle piogge, non era più fertile e ricco come prima. Il raccolto fu scarso. Il sole che batteva a piombo seccava anche le erbe e il gregge trovò poco da pascolare.
“Non so com’è” diceva la donna, “Ma quando c’erano gli alberi si stava meglio. L’aria era più fresca e più buona e i ragazzi erano pieni di salute. Ora sono pallidi e meno forti. E poi, tutto era più bello. Se ne sono andai anche gli uccelli.

Infatti, nelle ore calde, non si sentiva nemmeno un cinguettio, solo il falco roteava in alto silenziosamente.
Tornò l’inverno e con l’inverno la neve. La famiglia si chiuse in casa per non soffrire il freddo.
Quell’anno la neve fu molta. C’erano dei mucchi alti che il vento spostava e faceva turbinare.
“Non mi piace questa neve” diceva la donna “Non ne ho mai vista tanta.”

L’inverno fu lungo e cattivo, ma finalmente si aprì, nel cielo, uno spiraglio d’azzurro. La donna respirò di sollievo. Arrivava la primavera.
Il contadino era pensieroso; le cose non andavano bene. Sotto la neve che si scioglieva non si vedeva la terra, ma la roccia. La terra se ne era andata a valle con la furia dell’acqua.
Una mattina, tutta la famiglia uscì dalla casa a prendere il primo raggio di sole. C’era ancora tanta neve che scintillava intatta.

Ad un tratto si sentì un rumore lontano. Pareva un muggito. La donna ebbe paura.
“Che cos’è?”
Il contadino tendeva l’orecchio. Anche le pecore erano inquiete e si accalcavano le une accosto alle altre, come se volessero sfuggire un pericolo.
L’uomo andò sopra un’altura e guardò lontano.
“Si vede un polverio bianco…”
Il rombo si faceva più forte; veniva dall’alto del monte.
“Andiamo via” disse l’uomo, “Andiamo a metterci al riparo di quei massi. Fuggiamo di qui, è troppo scoperto…”
Scapparono tutti meno le pecore chè non c’era tempo di radunarle.

Ora il rombo era forte e cupo e si avvicinava.
“La valanga!” gridò l’uomo diventando bianco di paura. E si prese i figlioli tra le braccia e si nascose con loro dentro una grotta.
Il turbine di neve si avvicinava con un rombo come il tuono. Ma non era tuono, il cielo restava sereno. Era una gran massa di neve che rotolava per il fianco della montagna, s’ingrossava lungo il cammino, schiantava, rovinava, travolgeva tutto al suo passaggio, non più arrestata dagli alberi che per tanto tempo le avevano sbarrato il passo.

Passò come un turbine, si scontrò con la casetta, la seppellì, la travolse, si perdette a valle con un muggito lungo e pauroso…
E la famiglia uscita salva dalla grotta, stava a vedere, piangendo, la rovina che la valanga si era lasciata dietro e pensava che se ci fossero stati gli alberi, quella rovina non sarebbe avvenuta…
(M. Menicucci)

 

Morte di un albero
La donna lavava i piatti con un gran ciabattare e scrosciare d’acqua. Il marito fumava, leggendo il giornale.
Era sera e faceva molto freddo. Brutta annata: gelate, tramontana, ventaccio e poca legna.
La donna era di malumore e brontolava.

“Con tanti alberi, qui nel viale, non si può avere un ciocco di legna da buttare sul fuoco. Qui signori del Municipio! Tutto per la bellezza del paese! Come se la bellezza si potesse mangiare!”
Il marito non diceva niente. Sapeva che la moglie bisognava lasciarla sfogare.

“Vorrei sapere che cosa ci stanno a fare quegli alberi sulla strada! Per dar fastidio! D’inverno ti levano la luce e d’estate ti coprono la finestra che non si può vedere neanche chi passa. C’è questo qui davanti poi, che è un castigo. Sembra che per i passeri non ci sia che quell’albero. Tutti lì, tutti lì, e la sera ti stordiscono per il chiasso che fanno e la mattina ti svegliano all’alba. E se per caso ti vien voglia di sederti all’aria fresca… sudicioni! L’altr’anno mi rovinarono il vestito nuovo!”

L’uomo fumava e taceva, ma gli si vedeva un risolino sotto i baffi.
“Tu ridi, eh, ridi! E non vedi che siamo senza fuoco? Lo sai che la legna è quasi finita e l’inverno è appena cominciato? Ridi, invece di procurarti un po’ di fascine e di ciocchi!”.

La donna tacque per riprendere fiato.
“Dimmi un po’” disse dopo un momento di silenzio “Non potresti tagliare qualche ramo?”
“Sì, per andare in prigione!” rispose, flemmatico, l’uomo.

“In prigione! In prigione ci manderei quei signori del Municipio che non sanno far altro che piantare alberi! E perchè, poi? Per scimmiottare la città. Sicuro! E intanto, la povera gente non ha nemmeno il sole, chè se lo ruban tutto loro, foglie e rami!”.

La donna gettò uno sguardo iroso fuori della finestra dove s’intravedeva la sagoma scura e stecchita del grande albero spoglio.
L’albero dormiva. Aveva perduto da un pezzo le foglie e ora si era chiuso tutto nella scorza dura per impedire che il gelo frugasse nelle fibre tenere e bianche.

Un sonno lungo, il suo, che cominciava ai primi freddi e finiva in primavera. Ma quanti sogni! Che cosa può sognare un albero? L’inverno che finisce e tutto e ancor freddo, immobile ma i rami cominciano a rabbrividire e, dentro, la linfa preme, gonfia la corteccia fin che la spacca e la gemma verde si affaccia per godersi il primo tepore dell’aria. Allora l’albero riviveva ed era una vita magnifica e possente. La linfa gagliarda andava su e giù finchè prorompeva in migliaia di germogli che scoppiavano da tutte le parti, si aprivano e mettevano le foglie, belle, grandi, lucide.

Passato quel primo tripudio di giovinezza in cui l’albero si sentiva un po’ pazzo, cominciava il lavoro calmo dell’estate.
Diventava bello. Chi si ricordava più di quello scheletro magro ed asciutto? Il vento giocava coi rami, li strapazzava un po’, ma rifaceva subito pace portando profumi e tepori. Il sole si divertiva a trapelare tra le foglie e a ricamarle d’oro fino.

E poi, i passeri. Pettegoli, prepotenti, che allegria mettevano nel vecchio tronco! Non ci facevano il nido, preferivano il tetto, più sicuro, ma il primo volo, ai piccini, glielo facevan fare lì, dal tetto all’albero, che li accoglieva tutto intenerito, poveri piccoli piumaccioli, morbidi, tondi e tanto felici!

Poi la sera, a nanna, fra i suoi rami. Che chiasso! La gente alzava la testa, sorridendo e qualcuno si divertiva a fare un colpo con le mani, forte. E allora tutto lo stormo scappava, spaventato e nell’albero si faceva un gran silenzio. Ma non avevano paura, fingevano soltanto; tornavano alla spicciolata perchè sapevano che era un gioco e ci si divertivano anche loro. E, dopo un momento, riecco il cicaleccio fitto fitto. Avevano tante cose da dirsi, la sera! Infine, pian piano, qualcuno, stanco, taceva. Stava un po’ zitto e raggomitolato, con gli occhietti semichiusi, poi, tutt’a un tratto, ficcava la testina sotto l’ala e buonanotte a tutti!

Questo sognava il grande albero, ma nessuno lo immaginava, vedendolo così cupo e immobile. Di che cosa si accorgono gli uomini, egoisti e meschini? Ma l’avrebbero lasciato vivere se non fosse stato per l’odio di una donna.

“Un mezzo ci sarebbe per far seccare l’albero!” disse l’uomo levandosi la pipa dai denti e sputando lontano.
La donna si fermò davanti a lui con le mani sui fianchi.

“Forse” riprese il marito “se l’albero seccasse, ci toccherebbe parecchia legna. Non per questa stagione, naturalmente, ma si potrebbe far provvista per l’inverno che viene. Non la porterebbero via tutta”.
“Parla dunque”
“In una sera di gelo, basta rovesciare, sulle radici dell’albero, un paiolo di acqua calda. Non so com’è, ma l’albero secca”.
Una luce cattiva passò negli occhi della donna.
“Ma io direi di farlo vivere” si affrettò a dire l’uomo, pentito di quanto si era lasciato scappare. “In fondo è un bell’albero e ha faticato per crescere”.

La donna non  lo  degnò di una risposta: prese il paiolo e andò a metterlo sul fuoco.
“Non ci pensi molto, tu” disse l’uomo andandosi a mettere davanti alla finestra. Gli dispiaceva d’aver parlato, ma non credeva che la moglie mettesse subito in atto il suo progetto. L’albero si levava nella notte come un fantasma nero. Un soffio di tramontana fece vibrare i vetri.
“Dove la trovi una notte più fredda di questa?” disse la donna “Vogliono gelare persino  i sassi della strada”. E alimentò il fuoco sotto il paiolo.
Il marito tacque. S’era pentito delle sue parole, ma ormai sapeva che c’era più nulla da fare. Aveva rimorso di veder uccidere deliberatamente l’albero che, infine, era una creatura viva. Poi pensò che, forse, quella poca acqua non sarebbe stata sufficiente ad uccidere un colosso così. La donna prese il paiolo, si ravvolse in uno scialle e scese nella strada.

Il cielo, scintillante di stelle, prometteva una gelata bianca come un sudario di morte.
L’albero si destò. Un’onda di tepore saliva lungo le sue fibre con una dolcezza primaverile. Stupì. Ad ogni suo risveglio era abituato a vedersi attorno una fioritura leggera e il cielo azzurro, tenero e soave. Invece era notte e tutto era nudo, scheletrito e deserto.

Ma il tepore persisteva e l’albero si rallegrò. Dilatò le sue fibre e lo accolse trepidante. Le radici, anch’esse improvvisamente rideste, si abbeverarono a quel calore dolce, fremendo.
Il tronco si scosse e aprì i suoi pori già serrati contro il gelo e il tiepido succo salì, ricercò la sua vita più profonda, la rianimò, diffondendo sotto la corteccia un benessere gaudioso. E per l’albero fu primavera.
Ecco, la sua rinascita cominciava. Il gelo delle sue membra si scioglieva, le ombre dei sogni fuggivano di fronte a questa magnifica realtà; l’albero si preparò a ricevere il nuovo, benefico afflusso di vita…
Una raffica violenta lo investì; rigida come una lama si infiltrò nelle fibre dilatate e indifese; lo frustò fino al midollo tenero e bianco, serrò in una morsa gelida le radici deste e vive, scosse i rami vibranti e li fermò in un abbraccio mortale…
Poi passò come un impeto di furia vittoriosa, oltre l’albero, che restò immerso in uno stupore desolato…
Il vecchio cuore, colpito dall’inganno, impietrì senza più vita.
Sopra un ramo, un passero pigolò piano, e nel sonno si scosse tutto rabbrividendo.
(M. Menicucci)

Le piante si difendono dalla siccità e dal freddo eccessivi, liberandosi delle foglie

La caduta delle foglie è un fenomeno che avrai osservato tante volte: è lo spettacolo suggestivo e poetico che l’autunno ogni anno ci offre.
Gli alberi restituiscono alla terra le loro verdi spoglie.
Nelle regioni a clima temperato, come l’Italia, la caduta delle foglie avviene ai primi freddi autunnali. In altri paesi delle regioni tropicali la caduta delle foglie coincide con l’inizio dell’estate.
Come mai le piante si comportano in così diversa maniera?
Non è il caldo o il freddo che direttamente fanno cadere le foglie. E’ un’altra la ragione. Tu sai che le piante traspirano attraverso le foglie, cioè eliminano vapore acqueo.
Nelle regioni tropicali il periodo estivo è caratterizzato dalla mancanza di piogge: le piante seccherebbero tutte se continuassero a traspirare regolarmente attraverso le foglie. Invece le lasciano cadere e passano il periodo di siccità in una specie di sonno estivo.
Nelle regioni temperate accade che all’inizio dell’autunno il freddo fa abbassare la temperatura del terreno: le radici delle piante, allora, non riescono più a trarre da esso quella quantità d’acqua di cui ha bisogno. Se la traspirazione delle piante continuasse normalmente, le piante seccherebbero completamente. E così, più o meno rapidamente, le piante si liberano dalle foglie.
In certe piante (faggio, nocciolo) la caduta delle foglie ha inizio dalla cima dei rami e va verso la base. In altri invece (tiglio, salice, pioppo) avviene il contrario: cadono prima quelle più in basso e poi quelle dei rami superiori.
La caduta delle foglie è certo una  perdita di sostanze per le piante: è un danno ma presenta anche dei notevoli vantaggi. D’altra parte la pianta, prima di perdere il suo verde manto, ha compiuto una… operazione di recupero delle cellule delle foglie: ha portato via amidi, zuccheri, grassi, li ha messi da parte nel tronco per utilizzarli poi in primavera per creare nuove e più giovani foglie. Ecco perchè le foglie, prima di cadere, cambiano colore e diventano gialle, o arancione o brune in infinite sfumature, creando con i loro colori il meraviglioso paesaggio autunnale. La pianta dunque cede alla terra solo gli scheletri delle foglie, ricche soprattutto di una sostanza, che si è accumulata durante l’estate, l’ossalato di calcio. Questa sostanza non solo non è più utile alla pianta, ma ne riuscirebbe dannosa, se la conservasse ancora.
La caduta delle foglie ha un po’ anche il compito di purificare la pianta e liberarla dalle sostanze inutili e dannosi: un’operazione simile  all’escrezione degli animali.
Le foglie cadute al suolo lentamente si decompongono e contribuiscono alla formazione dell’humus, che è un elemento fondamentale per la fertilità del terreno.
Come si staccano le foglie?
E’ forse il vento che le porta via con il suo gelido soffio?
Certo le foglie cadono più facilmente e rapidamente per lo stimolo di cause esterne; ma è la pianta stessa, che lavora per liberarsi delle foglie.
Essa forma sul picciolo delle foglie una specie di anello di cellule, che ha il compito di operare la separazione delle foglie dalla pianta.
Basta allora un alito di vento o il peso stesso delle foglie a determinarne la caduta.

Alberi nani

I giardinieri giapponesi sanno ottenere incantati giardini in miniatura, allevando gli alberi in piccoli vasi, ove vegetano lentissimamente per decine e decine di anni, assumendo l’aspetto di vecchie piante, pur essendo alte pochi centimetri. Per ottenere questo nanismo, si seminano in piccoli vasi i semi più piccoli delle piante in terriccio povero: le piantine vanno poco innaffiate e abbondantemente potate. La radice principale viene tagliata, le radici laterali vengono in parte scoperte. Si cerca di dare alla pianta la forma di un vecchio albero con tronco e rami tortuosi. Un tale ricorda di aver osservato in Giappone una pianta di ciliegio, che aveva l’età di centocinquanta anni. A questo tipo di allevamento si presta bene l’albero della canfora, con foglie alterne sempreverdi, picciolate ovali, a fiori piccoli e biancastri; così pure il cedro, resinoso, dal caratteristico odore aromatico, la quercia e l’albero del pane, dai cui frutti si ricava un lattice, che col calore si rapprende formando una specie di pane, commestibile.

Albero tuttofare

Un europeo viaggiava per i paesi dell’India meridionale sotto un sole implacabile, quando, stanco e spossato per il lungo cammino, decise di bussare ad una solitaria capanna circondata da altissime palme di cocco. L’ospitalità dell’indiano fu veramente squisita: per prima cosa gli offrì una bibita dissetante affinché si ristorasse, poi gli servì un pranzo così vario e nutriente che il viaggiatore, meravigliato, domandò al suo ospite chi in quel luogo così solitario lo provvedesse di tutte quelle cose.
“Le mie palme!” gli rispose l’ospite. “La bibita dissetante che vi ho offerto è ricavata dal frutto prima che sia maturo. Questo latte, che voi trovate così gradevole, è contenuto nell’interno della mandorla. Questa verdura così delicata è il tenero germoglio dell’albero di cocco. Il vino, di cui voi siete così contento, è anch’esso fornito dal cocco, durante tutto l’anno. E infine, tutto questo vasellame e questi utensili di cui ci siamo serviti a tavola, sono stati fatti con il guscio del cocco.

Vita dell’albero

Vive col tempo, con le stagioni, progredisce, si protende, si innalza. Nei suoi anelli concentrici sono impresse le vicende di tutte le annate trascorse, sì che leggendo in un tronco tagliato, puoi avere notizia non solo della sua età, ma della siccità o meno di tutte le annate da lui vissute. Combatte con le intemperie, con gli animali, coi parassiti, coi venti, coi fulmini; si difende, si cura, si guarisce da solo. Guardalo. Pesa quintali e quintali e non ne vedi il peso; vedi la forza semmai, lo slancio, la leggerezza, la freschezza, la grazia. (F. Tombari)

Alberi in fiore
Sull’alto della collina, il contadino ripartisce lo stabbio col tridente e attorno a lui è già una vasta punteggiatura sulla terra grigia.
Col solito anticipo sugli altri alberi da frutta i mandorli sono già fioriti; tutta la collina ne è bianca e rosa. Da quando Maria posò tra i suoi rami Gesù neonato, per nasconderlo agli sbirri di Erode, secondo quello che narrano i vecchi, il mandorlo si affretta ogni anno a fiorire, anche a costo, come spesso capita,  di perdere fiori e frutti alla prima gelata.
In fondo alla valle si estende il mosaico verdegrigio dei campicelli. Sui rettangoli e quadrati verdi, frotte di ragazzi e donne già zappettano per dare aria alla terra incrostata e liberare il grano tenero dalle erbe selvatiche; sulle parti grigie, uomini con zappa, aratri e bestie lavorano alle semine di granoturco, di piselli, di fave, di ceci, di lenticchie, mondano i fossi, rafforzano i cigli, le fratte.
(I. Silone)

Dettati ortografici sugli ALBERI – Vedi anche:

Dettati ortografici sugli ALBERI – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici: L’olivo

Dettati ortografici sull’olivo – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Le olive sono ormai tutte nere e grasse e a spremerle emanano il loro denso liquore; gli olivi, poveretti, implorano di essere alleggeriti da tanto peso. Non ne possono più. E le raccoglitrici cercano in terra e non lasciano che una sola bacca sfugga ai loro sguardi. Cantano, intrecciano stornelli. Una canta e le altre rispondono. Così per tutto il giorno. Verso il tramonto le lavoratrici si radunano e partono intonando ancora una canzone. (A. Palazzeschi)

L’olivo Con la vite e col grano, l’olivo è la terza pianta propria del nostro suolo. Pianta povera, modesta nell’aspetto, mite nei frutti, cresce sui colli, esposta al sole e ai danni degli insetti, che ne rovinano il tronco. Per crescere e fruttificare bene, impiega circa trent’anni: però chi la pianta non la pianta mai per sè, ma per i figli e i nipoti e per amore verso la terra. (F. Tombari)

L’olivo Veste di grigio-verde le nostre colline, e di notte s’inargenta ai raggi della luna. I suoi rami sono contorti, ma le foglioline robuste sono dritte e lucide come piccole lame. Si afferra con le radici al terreno, si nutre d’aria, di sole, di salmastro. I suoi frutti non sono dorati, profumati, grossi, ma sono quei piccoli tesori bruni nei quali si nasconde tanto oro: l’olio che cola dal frantoio e va ad allietare la nostra tavola. (G. Vaj Pedotti)

Il dolce olivo
Dovunque l’aria sia mite e il clima non troppo mutevole, ne umido, ne secco, l’olivo resiste: all’opera attenta dell’uomo è legata la sua lunga vita. Beato chi ha piantato l’albero d’olivo, nella propria terra, a difesa del grano che non ama essere investito dal vento invernale; beato chi può raccoglierne le bacche, appena macchiate di violetto o biancastre, o screziate, o verdoline, in questo mese dolce, dopo il primo temporale d’autunno, sulla terra ancora dura che odora di vendemmia! Dalle vigne ove rare piante segnano i confini, alle coste ondulate delle colline, alla pianura gialla e nera di ristoppie arse dal fuoco, il paesaggio di questa terra agli olivi affida la sua decorazione: quel distacco ricco di ombre ferme che variano dal grigio all’argenteo, dal verde al cupreo, a seconda dei riflessi della luce, dello splendore del giorno, della trasparenza della sera. Tra gli spazi di questo paesaggio, ecco donne ricurve: soltanto le mani si muovono, e il grembiule si gonfia di olive. Qualcuna è salita sull’albero e scrolla con grazia esitante i rami più alti. (R. M. De Angelis Beltempo)

La raccolta delle olive

Alla metà di novembre i contadini raccolgono le olive. Quanti mesi sono passati da quando gli olivi, nelle chiare giornate di aprile, si coprirono di fiorellini gialli!

Ora i campi sono squallidi. Viti, pioppi, gelsi sono tutti senza foglie. L’aria è bigia e fredda, senza voli e senza canti. I contadini escono di casa ben coperti, camminano per la viottola fino agli ulivi che occupano la parte più alta della collina, dove la terra è più asciutta e sassosa, poi si accingono al lavoro pazienti. L’aria è fredda e le mani presto si intorpidiscono. Ma i contadini resistono alle fatiche e al disagio per ore  e ore; sanno che le olive costituiscono il raccolto più ricco dell’anno; sono il loro tesoro, e non vogliono perderne nemmeno una. (G. Fanciulli)

L’olivo è un albero sempreverde, dalle foglie coriacee, verdi di sopra, biancastre di sotto, fortemente cutinizzate, rivestite cioè di cutina, una sostanza dura e impermeabile che permette al fogliame di difendersi dal freddo e dall’umidità. Il frutto dell’olivo è l’oliva, una drupa con polpa oleosa e nocciolo duro nell’interno. Dell’olivo esistono due sottospecie: l’olivo coltivato (olivo gentile) e l’olivo selvatico detto anche oleastro.

Questo non è da confondersi con l’olivastro, chiamato anche erroneamente olivo selvatico e che invece proviene da seme di olivi coltivati e cresce nelle siepi e nei boschi senza coltura. Produce frutti più piccoli, meno carnosi che danno generalmente un prodotto più scarso, ma superiore per qualità a quello dell’olivo coltivato. Le olive sono ricoperte da una pellicola verde che con la maturazione diventa, man mano, più scura, fino a raggiungere una tinta bruno – violacea o nerastra. Le olive, a seconda della qualità, vengono utilizzate in vari modi, conciate, salate, seccate, ma l’utilizzazione più importante è quella dell’estrazione dell’olio.

L’olivo cresce in regioni che hanno un clima dolce e uniforme. Non prospera dove è troppo freddo, ma nemmeno dove è troppo caldo. Qualunque terreno, purchè non sia paludoso, conviene all’olivo. Nei terreni fertili esso è più produttivo, ma la qualità del suo frutto è inferiore a quello che può dare in un terreno sassoso sito in posizione alquanto elevata e che costituisce l’ambiente ideale.

Il legno dell’olivo, che si presenta compatto ed elegantemente variato per l’andamento delle sue fibre, è molto usato nell’industria per la fabbricazione di mobili e per lavori di tarsia. L’olivo cresce con lentezza e può vivere anche più di quattro o cinque secoli. Si dice che lo pianta il nonno per il nipote. In alcune regioni, si usa raccogliere le olive percuotendo l’albero con un lungo bastone, ma questo sistema è dannoso. Il miglior modo di procedere alla raccolta è quello di cogliere l’oliva a mano.

L’olivo fu conosciuto fin dalla più remota antichità. I Greci premiavano i vincitori dei giochi con corone di olivo e fecero di questa pianta il simbolo della saggezza, dell’abbondanza, della pace. Quest’albero fu tenuto in considerazione anche dai Romani; spesso, i popoli vinti chiedevano la pace a Roma portando rami di olivo. Secondo la Bibbia la colomba del diluvio tornò nell’Arca con un ramoscello di olivo nel becco, simbolo della pace tra Dio e gli uomini.

L’olivo viene distribuito insieme alle palme, nelle chiese la domenica prima di Pasqua, chiamata perciò domenica delle palme o degli ulivi, in ricordo del giorno in cui Gesù entrò in Gerusalemme, festeggiato dalla folla che agitava rami di palma e di ulivo in segno di giubilo.

Dettati ortografici sull’olivo – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Acquarello steineriano L’ ALBERO IN AUTUNNO

Acquarello steineriano L’ ALBERO IN AUTUNNO: una proposta di lavoro. L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a riflettere sulla condizione dell’albero in questa stagione.

Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due alberi uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…

Acquarello steineriano – Materiale occorrente

acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori:
giallo limone,
giallo oro,
blu oltremare,
blu di prussia
rosso vermiglio
(nelle foto c’è anche il rosso carminio, ma non è stato usato). I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.

Un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)

una bacinella e un vasetto d’acqua

una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)

un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)

Acquarello steineriano – Come si fa

Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna. 

Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.

Poi si dispone il materiale, se volete così:

E’ il modo migliore per evitare incidenti.

Al bambino possiamo dire che stiamo dipingendo un albero in autunno prima, oppure possiamo semplicemente dire che faremo una “pittura” e sarà lui a scoprirlo facendo.

Col blu oltremare si comincia a far scendere la luce dall’alto verso il basso (essere buoni mimi in questi casi aiuta); si può dire che la luce viene sempre dall’alto, e che questa è una luce un po’ mescolata al freddo e all’umidità. 

Siccome i bambini non hanno visto la pittura già fatta, ognuno troverà il suo gesto, (breve, lungo, irregolare, verticale o tondeggiante ecc…) l’importante è che ogni pennellata vada dall’alto al basso, senza tornare indietro ma staccando… Si prende dal vasetto il colore in più riprese. Alla fine il blu oltremare è su tutto il foglio.

Ora, senza lavare il pennello, aggiungiamo all’elemento aria l’elemento terra, utilizzando il blu di prussia. Possiamo dire che un appoggio duro sta sotto l’aria, mimando un percorso orizzontale con la mano.

E quando il bambino ha fatto la sua “striscia” blu, gli diciamo che i due si parlano sempre tra loro, e che il blu non se ne sta sdraiato, ma comincia ad andare un po’ incontro alla luce. 

Allora possiamo dire che sono cielo e terra, ma che così sembra un paesaggio polare, invece noi vogliamo un paesaggio che si ricorda il sole dell’estate. Infatti in autunno e in inverno la terra è calda anche se l’aria è fredda, ed è per questo che il contadino semina il grano e molti animali si scavano tane per il letargo… così possiamo dire ai bambini di lavare benissimo il pennello, asciugarlo sulla spugna e poi prendere il giallo oro (una volta) e farlo giocare sul foglio col blu di prussia, poi si può rilavare il pennello e far giocare un po’ anche il giallo limone.

Ora è chiaro che siamo in un prato.

E possiamo dire ai bambini di prendere una punta di rosso vermiglio, sempre senza lavare il pennello. Perchè il seme è il ricordo dell’estate e del suo calore, per la pianta. E chiediamo ai bambini di piantare questo seme.

Ora è molto importante non lavare mai il pennello, e non prendere altro rosso: si usa solo il rosso del seme, che si mescola agli altri colori sul foglio.

Il seme nella terra incontra calore, luce e acqua, e così si apre: una parte va verso il basso (le radici), quindi si mette il pennello sul seme e si scende, sempre staccando e senza mai tornare indietro:

e una parte comincia ad andare verso l’alto (sempre dal seme in su, senza tornare indietro). Naturalmente mescolandosi rosso blu e giallo si forma il marrone, e non ci saranno due marroni uguali…

e il tronco cosa fa? Prende dalle radici il nutrimento e lo porta su, verso i rami…

se si usano solo i colori che ci sono sul foglio, naturalmente i rami diventano sempre più sottili e chiari, e non serve dire ai bambini di disegnarli così.

Ora diciamo che questo è un albero che ha già perso tutte le sue foglie, ma invece noi vogliamo ricordarci di quando, prima di cadere, c’erano ancora ,anche se non erano verdi verdi come in primavera.

Sempre senza lavare il pennello chiediamo di prendere una puntina di giallo oro e di ricordarci insieme all’albero di quando il sole era ancora un po’ luminoso, e di fare la chioma…Le foglie naturalmente spuntano dai rami, non arrivano sull’albero volando o rimbalzando da terra…

… poi ci si può ricordare anche del tepore, prendendo una puntina di rosso, e poi si lavora la chioma senza prendere altri colori…

Questo è quello che succede all’albero in autunno: anche se c’è ancora un po’ di luce e di calore, smette di portare nutrimento alle foglie (blu), e così queste perdono il loro verde (giallo+blu), e mentre si decompongono prendono colorazioni rossastre, gialle e marroni, e anche la decomposizione produce calore…

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Dettati ortografici per i frutti dell’autunno

Dettati ortografici per i frutti dell’autunno. Una collezione di dettati ortografici per la scuola primaria sui frutti dell’autunno: funghi, uva, castagne, frutta secca, ecc…

Funghi

Il bosco si è ripopolato di funghi. Curvi sotto un gran cappellone, i porcini; altri grassocci, tondi come osti, altri ancora più piccini, col cappuccio, un po’ storti, riuniti a famigliole simili a funghi bambini, bruni, giallicci e bianchi, sporchi di fango, fanno capolino qua e là, nascosti sotto il cumulo delle foglie, sul terriccio molle, su muschio, dietro gli alberi. (F. Tombari)

Il grappolo d’uva

Il grappolo d’uva occhieggia fra i pampini con i suoi chicchi maturati al sole. Chicchi d’oro, chicchi bruni, così belli e dolci che il bimbo, al solo vederli, tende le mani, pieno di desiderio. Chicco dopo chicco, ben presto del bel grappolo non resta che il raspo.

L’offerta

Il sole pallido batte sulla siepe e sul bosco. Disegna con le ombre degli stecchi e dei rami strane figure sulla terra imbiancata dal freddo. Ma su quella ragnatela di scarabocchi oscuri si accendono i colori delle bacche, risaltano le sagome della frutta secca. Pare che il mondo delle piante si sia spogliato per rendere più visibile l’offerta dei suoi dono agli uccelli che si preparano al lungo volo, agli animali che si preparano al grande digiuno e al lungo sonno.

La vendemmia

Gli allegri vendemmiatori si spargono nella vigna, armati di cesoie e di panieri. Ad uno ad uno, i bei grappoli vengono staccati dal tralcio e cadono nelle ceste. Le ceste ricolme sono rovesciate nei tini dove un uomo, a piedi nudi, pigia l’uva. Ecco il mosto dolce e profumato. E’ una fatica allegra. Tutti sono nelle vigne, perfini i bambini più piccini; ognuno ha il suo grappolo da portare nel tino.

I semi del pino

E’ venuto il vento e ha seccato l’aria. Le pigne si aprono crepitando. Poi, nel chiarore del nuovo mattino, si vedono volteggiare piccole eliche. Sono i semi del pino: quasi puntini neri, tanto sono piccoli. Da questi “puntini” nasceranno i pini marittimi: i giganti che combattono contro il vento, per donare all’uomo terra buona ed aria purissima.

Nella vigna

L’uva è stata vendemmiata. Fra i tralci c’è rimasto solo qualche grappolino dimenticato dal vendemmiatore, ma non dimenticato dalle vespe che vi ronzano attorno, ansiose di succhiare la bella polpa zuccherina.

La castagna

La castagna è un frutto prezioso. L’albero delle castagne è il castagno. E’ un albero alto e ricco di rami. Il bosco di castagni si chiama castagneto. La castagna è protetta dal riccio spinoso. Dalla castagna si ottiene una farina dolciastra che serve per preparare i dolci. Io mangio volentieri le castagne arrosto e lessate. Al mattino incontro il venditore di caldarroste. Conosco un indovinello che dice: “Il riccio pungente, la buccia lucente, si mangiano cotte, arroste o ballotte”.

Il mosto bolle

Il mosto bolle nelle buie cantine. Un odore acuto si sprigiona dai tini. E’ pericoloso entrare nelle cantine quando il mosto bolle. Ma il contadino prudente lo sa; e, quando vi scende, accende una candela. Se la candela si spegne, egli sa che c’è pericolo e si affretta a risalire.

Caldarroste

Sull’angolo della strada è già comparso il solito carretto che si annuncia da lontano con l’odore delle castagne arrostite. Il fornello ha la bocca rossa; la grande padella forata, messa lì sopra, viene scoperta di tanto in tanto per rimestare le castagne, e manda una fumata.

L’uva è matura

L’uva è matura e fra i pampini s’intravedono i grappoli grossi e lucenti. Tac tac, si sente il rumore delle cesoie che recidono i tralci e i grappoli che vanno a cadere nelle ceste. Le ceste colme sono poi rovesciate nei tini, dove l’uomo è già pronto per pigiare i grappoli e spremerne il buon mosto profumato.

Le castagne

Gli alberi del bosco dicevano al castagno: “Tu non dai che spine e foglie”. Venne l’autunno, e gli alberi tristi e soli si lamentavano ancora: “Non abbiamo più frutta. Non abbiamo più bacche. Sono fuggiti gli uccelli, sono fuggiti i bambini. E tu, vecchio castagno, ancora non dai che spine”. Il castagno taceva e soffriva. E soffrì tanto che i suoi frutti spinosi si ruppero e… tac tac tac, caddero le castagne scure sulle foglie morte. Le vide un bambino. Chiamò i compagni. E, nel bosco, pieno di canti e di voci, tornò per alcuni giorni la gioia, come a primavera. (Comassi – Monchieri)

La vite

La vite, in primavera, ha fiorito, ma non ha fatto fiori vistosi, bensì dei fiorellini minuti e modesti. Questi, dopo essere stati visitati dagli insetti, ghiotti del dolce nettare che essi contengono, si sono poi trasformati in chicchi dolcissimi. E ora, dalla vite, pendono grossi grappoli color d’oro e di rubino che sono un frutto squisito e sano.

La raccolta delle castagne

Uomini, donne, ragazzi, raccolgono le castagne su per il bosco. Dai ricci secchi e spaccati, le castagne sono ruzzolate in terra tra l’erba e i ciuffi delle felci. Le castagne vengono gettate nel paniere, che ciascuno di quei montanari porta al braccio. Come son belle, gonfie, lustre! I ragazzi vuotano i panieri colmi nei sacchi, giù presso la viottola grande. Poi passerà il carro per portare i sacchi a casa. (G. Fanciulli)

La pigiatura

Quando il tino è pieno di grappoli, vi entra un baldo giovanotto, a piedi nudi, che comincia un allegro ballo. Dall’uva schiacciata esce il succo, il mosto dolcissimo e profumato. Esso viene messo in tini capaci e, nella profondità della cantina, bolle e, come meglio si dice, fermenta. Dopo qualche tempo, non è più mosto: è vino.

La stagione delle castagne

La stagione delle castagne è anche quella del vino e le due opere si incrociano. Grandi faccende da per tutto. Mentre in paese gli uomini provvedono ai tini, le donne e i ragazzi s’inerpicano su su nei boschi a raccogliere le prime castagne. Sotto le grandi chiome dei castagni, i richiami, le voci, i canti hanno un tremolio, un calore come di eco. Tratto tratto le sassate improvvise dei ragazzi saettano le chiome. Con un tonfo pieno, qua e là i ricci cadono da sè sulla terra morbida; ne sgusceranno castagne tutte nuove, umide e ammiccanti come occhi. E questa è vendemmia dei ricchi e dei poveri; il castagno è una buona pianta che qualcosa dà a tutti. “La castagna ha la coda: chi l’acchiappa è la sua!”. Questo vuol dire che le castagne che cadono nei viottoli del castagneto sono di chi le prende. (P. Pancrazi)

La vendemmia

L’epoca della vendemmia è la più lieta di tutto l’anno. Nessun altro prodotto della campagna, neppure le spighe d’oro, è portato a casa in mezzo a tanta festa. Nei lavori della vendemmia tutti possono essere utili. Curve sui filari le fanciulle e le donne, avvolti intorno al capo i loro bei fazzoletti colorati, muovono rapidamente le forbici tra i pampini e staccano i grappoli che pongono con cura dentro i canestri posti ai loro piedi. Gli uomini con le bigonce si avvicinano e versano in esse l’uva dei cesti, piano, sospingendola con le mani. (R. Lombardini)

La castagna 

Il castagno fiorisce in maggio – giugno. I suoi fiori sono di due specie. Alcuni sono ricchi di polline giallo; quando questo viene portato via dal vento i fiori seccano e cadono. Alcuni fiori invece ricevono il polline trasportato dal vento e dagli insetti, si ingrossano e diventano castagne. Il frutto matura da settembre a novembre. Il riccio è la buccia verde e spinosa in cui sono racchiuse una, due o tre castagne.  La polpa bianca, molto nutriente, della castagna è protetta da due bucce: quella esterna è bruna, lucida e dura, più chiara alla base perchè unita al riccio; quella interna è bionda, sottile e pelosa. Ci sono molte varietà di castagne: la più grossa e saporita si chiama marrone. Il frutto dell’ippocastano, o castagno d’India, è simile alla castagna, ma non si può mangiare perchè è di cattivo sapore. La raccolta delle castagne avviene in autunno con la bacchiatura, così chiamata perchè i contadini fanno cadere le castagne percuotendo i rami della pianta con un bastone grosso e lungo detto appunto bacchio. Le castagne si mangiano lessate, arrostite (caldarroste), o condite (fatte bollire in uno sciroppo di zucchero). Per conservarle i montanari usano ammucchiare le castagne sotto ricci vuoti, foglie e terriccio. Un altro metodo per la conservazione delle castagne è quello di affumicarle, bagnarle e farle seccare più volte: preparate così, vengono vendute sciolte o infilate a treccia. Le castagne possono anche essere seccate a fuoco in appositi recipienti; poi si sbucciano e si hanno così le castagne pelate o peste, che si mangiano cotte in acqua con un po’ di vino, o nel latte. Con la farina di castagne si fa il castagnaccio, una torta casalinga con l’aggiunta di noci e pinoli.

La vite

Il contadino coltiva la vite in filari, a festoni,  a pergolato. La vite ha un fusto contorto e i rami (tralci) che si afferrano con facilità ai sostegni per mezzo dei viticci. Le foglie (pampini) sono larghe, a forma di cuore, con contorno dentellato. La vite produce grappoli d’uva scura o bionda. Ogni grappolo è composto di un raspo e di acini tondi o allungati. La polpa dell’acino è rivestita da una buccia resistente e contiene alcuni semi, detti vinaccioli. La vite viene attaccata da un piccolo insetto, la fillossera, che punge le radici e provoca la morte della pianta. Un altro parassita della vite è la peronospora che il contadino combatte con lo zolfo. La vite preferisce colline piene di sole, ma prospera bene anche in pianura ed in montagna, non oltre i mille metri. In Italia, perciò ci sono tante varietà d’uva. L’uva dell’Italia meridionale è zuccherina; quella dell’Italia settentrionale è più acida. La vendemmia avviene a settembre ed il raccolto dell’uva in Italia è uno dei più ricchi. Noti in tutto il mondo sono i vini italiani.

La vite e l’uva

Nelle antiche mitologie esiste la leggenda del primo che piantò la vite. Per gli Egiziani fu Osiride, per i Greci Dioniso che, allevato dalle Ninfe, era nutrito da queste con grappoli d’uva. Gli Indiani, che facevano col succo d’uva sacrifici agli dei, chiamarono questo succo vinas, cioè amato. E quando gli Arabi penetrarono in Europa, vi portarono questa parola: “vino”.
La coltivazione della vite è antichissima e se ne sono trovate tracce anche nei villaggi di palafitte.
Le foglie della vite si chiamano pampini, i rami tralci e i loro filamenti attorcigliati, che si avvinghiano ai sostegni, viticci. Il grappolo è composto di acini (o chicchi) che sono bacche contenenti i semi o vinaccioli. L’acino è costituito dalla buccia e dalla polpa. La buccia può essere di colore verde che assume varie gradazioni, quando non di tratti della cosiddetta uva nera che assume invece una tinta violacea più o meno scura.
La buccia è ricoperta di uno strato di cera che ha il compito di difendere l’acino dalla pioggia e dalla puntura degli insetti. Questo strato cereo si chiama pruina.
L’Italia fu chiamata anticamente Enotria, dalla voce greca oinòs che vuol dire vino, quindi, terra del vino.
La vite prospera in regioni temperate e anche in quelle calde purchè abbia un sufficiente grado di umidità. Si conoscono numerosissime varietà di uva non soltanto in relazione al colore, ma anche al sapore, alla consistenza della polpa, all’uso, ecc… Si hanno quindi uve da tavola e uve da vino.
Nemici della vite sono la filossera, un insetto dannosissimo che può distruggere interi vigneti e la peronospera, malattia causata da un fungo.

Il vino

L’uva viene pigiata in capaci tini e se nei tempi passati questa operazione si faceva coi piedi, oggi generalmente viene fatta con apposite macchine pigiatrici.
Dall’uva schiacciata si ricava il mosto, un liquido dolce, dal caratteristico profumo.
Dopo qualche giorno, il mosto fermenta. Anticamente si davano le versioni più disparate di questo fenomeno che non si sapeva spiegare. Fu Pasteur che, per primo, scoprì come la fermentazione fosse dovuta a speciali microorganismi esistenti sulle bucce e che, trasportati dall’aria sulle sostanze zuccherine dell’uva, si sviluppano e sono la causa della trasformazione dello zucchero in alcool e anidride carbonica. Il liquido perde così il suo sapore dolce; l’alcool resta nel vino, mentre l’anidride carbonica si disperde nell’aria dopo essere salita alla superficie del liquido smuovendo la massa.
L’anidride carbonica è un gas irrespirabile. Ecco perchè la permanenza nelle cantine durante la fermentazione costituisce un pericolo che può essere anche mortale. E’ prudente, quindi, scendere in cantina con una candela accesa. Se la candela si spegne vuol dire che esiste anidride carbonica in eccesso.
Quando la fermentazione è compiuta, si tolgono le bucce ed i semi. Il vino è composto di una gran quantità di acqua, una piccola quantità di alcool, vitamine, sostanze varie ed enocianina, che è la sostanza colorante contenuta nelle bucce.
Se si espone il vino all’aria, dopo un po’ esso diventa aceto per opera anche questa volta di microorganismi vegetali che formano, alla superficie del liquido, un velo detto appunto madre dell’aceto. Questi microorganismi trasformano l’alcool in acido.

Vendemmia

Nelle ultime settimane di agosto il paese mutava, si agitava, pareva ammalarsi d’ansia. Cantine, che per noi non aerano mai state porte chiuse, con un buco sulla soglia per i gatti, si aprivano, rivelandoci androni bui in cui troneggiavano cupamente tini, botti e qualche misteriosa macchina, simile a un gigante che avesse per petto un’enorme vite di legno e per testa una trave di traverso. (E. Cozzani)

Vendemmia

Tutto il paese fa la veglia, tra le vasche e le botti, e mangia sorbe bagnate nel mosto e tracanna bicchieri di vino fermentato, che sprizza vivido e vermiglio dai tini coperti di graspi. Solo all’alba, quando la stella del giorno è lassù a sfiammare nello spazio e annuncia il primo chiarore, il paese va a riposare.
La vendemmia durava due settimane, tra la raccolta delle noci e le prime semine. Così la stagione, dopo tanto pacato indugiare, cadeva spossata: si alzavano le prime nebbie, partivano gli uccelli, e la campagna si spogliava al vento d’autunno. (G. Titta Rosa)

Vendemmia

L’afa era ancora pesante, il cielo velato di vapori. La pioggia doveva essere assai lontana, e si cominciò la vendemmia. Nelle vigne popolate di vespe e di calabroni i grappoli appena punti si disfacevano. Un odore denso era dappertutto. Le donne si sparsero per il campo con le loro ceste sul capo, e si adagiavano sotto le viti. Le dita si appiccicavano legate dai succhi e dalle ragnatele. Nell’aria si intonavano canzoni cui si rispondeva da vite a vite, e i peri e i peschi buttavano giù con un tonfo qualche frutto troppo maturo.
Verso mezzogiorno il palmento si riempì d’uva e fu il primo convegno delle vespe che salivano stordite alla superficie dei grappoli. L’aria era divenuta di miele, e l’aroma delle piante bruciate dal sole si mescolava a quello dolce e inebriante delle uve che non riuscivano più a contenere i succhi e che si disfacevano, un grappolo sull’altro, nel reciproco peso. (C. Alvaro)

Si vendemmia

In ogni vigna si vendemmia: l’uva bianca e l’uva nera passa dalle mani invischiate delle ragazze che la mondano degli acini secchi o guasti e ne riempiono ceste e bigonce. Ronzano vespe e mosche ubriache. Il sole scotta ancora: le ombre del pomeriggio sono brevi, raccolte ai piedi dei tronchi, nascoste nelle siepi. Frullano per ogni dove, passi di gioia, schiere di uccelli; anche per essi si vendemmia. Da una vigna all’altra i canti si chiamano, si rispondono, tacciono; e s’ode un’accetta, in quel silenzio a un tratto slargato, battere nel bosco vicino. Poi il rumore d’un carro, le voci del paese dalle aie, un fischio lontano. Il giorno pare che riposi su se stesso, adagiato in un calmo dorato sopore, in un tempo che sembra fermo, come in uno specchio.
Le poche, scarse nebbioline azzurre della mattina se l’era assorbite il cielo, bevute il sole. Saluto dal monte cinto di nuvole arrossate, il sole s’era avviato a varcare la curva dello spazio con vittoriosa lentezza. Ora comincia a discendere, e pare che i colli si alzino con le lunghe loro ombre per seguirlo. Poi, poco prima che giunga la sera, un grillo si mette a cantare tutto solo. Chiama la notte, la luna. (G. Titta Rosa)

La sfogliatura

Pochi uomini intorno alla macchina. Le grosse pannocchie incartocciate venivano immesse in una specie di imbuto e da una bocca situata in basso, simile a una pioggia d’oro, usciva una cascata di chicchi che rimbalzavano a terra dove il mucchio si elevava.
Dall’altro lato i tutoli, e le foglie che prima avvolgevano le pannocchie, venivano rigettati al di fuori da due diverse aperture.
Un uomo spalava i chicchi che più tardi sarebbero stati distesi sull’aia e rivoltati accuratamente per la completa asciugatura; intanto una ragazza ammucchiava con un rastrello i tutoli che sarebbero serviti per avviare il fuoco. Un’altra ragazza affastellava le foglie crocchianti dentro le quali, con alti strilli di gioia che superavano il ronzio della macchina, i bambini facevano le capriole. (Q. P. Fontanelli)

La sfogliatura del granoturco

Un canto di più voci, lento e dolcissimo, che scende da una casa buia, mi conduce su per una scala di pietra di un granaio dove in dieci o dodici stanno sfogliando il granoturco. Seduti in cerchio, uomini, donne, fanciulli, fra i cartocci già alti sull’impiantito; in mezzo al cerchio pende una lacrimosa lanterna da stalla. L’ombra di questa lanterna si distende su ogni cosa; la sua fioca luce sembra il riflesso di un lontano lume.
I cartocci si aprono come strani fiori, i loro gambi si spezzano crocchiando e le pannocchie stupendamente lucide e compatte vanno a cadere nel mucchio. (U. Fracchia)

La bacchiatura delle noci

Sotto la pertica lunga sbattuta con forza addosso ai rami, le belle noci cascano con tonfi umidi e sordi sul muschio del piede dell’albero, e i loro malli, spaccandosi, cacciano odore di verde e di radici. I bambini, che naturalmente alla festa non mancano, è il loro mestiere raccogliere nel sacco e portarle fino a casa; dove, riposte in solaio o in dispensa, saranno ambito companatico alla lieta merenda. Tanto che un proverbio dialettale lombardo, con una rima che in lingua non torna, dice che pane e noci è mangiare da sposi, volendo dire che è molto gustoso. (C. Angelini)

La vite

La vite è una pianta sarmentosa, provvista di radici molto sviluppate e minutamente ramificate (radici capillari o barboline).
La radice continua nel fusto o ceppo, che si eleva più o meno da terra e si dirama nelle branche sulle quali sono inseriti i rami di uno o due anni, detti tralci.
Questi sono lunghi, esili, cilindrici e ingrossati ai nodi.
I tralci, quando sono ancora allo stato erbaceo, si chiamano cacciate e terminano col germoglio. Il tratto che corre tra un nodo e l’altro è detto internodo; esso contiene un midollo molto sviluppato, interrotto da un diaframma legnoso in corrispondenza dei nodi.
Sui nodi dei tralci si trovano le gemme dormienti, che si formano d’estate e danno in primavera i tralci fruttiferi. Invece le gemme che si sviluppano subito dopo formate si chiamano gemme pronte e danno rami inutili, che si chiamano femminelle.
Sul legno vecchio talora spuntano, da gemme latenti, tralci detti succhioni, che non portano frutto.
Le foglie sono palmate, dentate, lobate (divise in tre o cinque lobi divisi a loro volta dalle rispettive insenature). La pagina inferiore è spesso pelosa o feltrata. I viticci o cirri sono organi filiformi, coi quali la vite si attacca a sostegni durante il suo sviluppo.
I grappolini dei fiori in boccio si chiamano lame fiorifere.
I fiori sono minuti ed odorosi.
Il grappolo è formato dal graspo, nel quale si distinguono: la raffide, cioè l’asse principale; i racemi, ossia le diramazioni secondarie ed i pedicelli, ai quali sono attaccati gli acini.
La buccia è ricoperta da una sostanza biancastra, di natura cerosa, detta pruina.
Gli acini contengono da uno a quattro vinaccioli.

Perchè il vino, che deriva dall’uva, ha un sapore così diverso?

Quando l’uva viene pigiata nei tini o nella pigiatrice, il suo succo si trasforma in mosto. Questo sembra bollire e gorgoglia continuamente. Che cosa succede? Nel mosto si trovano certi funghi piccolissimi chiamati saccaromiceti (funghi mangiatori di zucchero). Questi funghi si raccolgono sugli acini sin da quando l’uva, ancora sulla pianta, comincia a maturare e con essa passano nei tini. Appena l’uva viene pigiata, si mettono in alacre attività: cominciano a nutrirsi e a produrre, in conseguenza, un gas, l’anidride carbonica; è questa che, salendo attraverso il liquido, per uscire all’aria fra gli altri gas, fa gorgogliare. Attenzione! E’ un gas venefico: gli ambienti dove il vino fermenta devono avere tanti finestroni; guai a lasciarli chiusi, anche se solo per poco si può anche morire, uccisi dall’anidride carbonica, che gli operai degli stabilimenti vinicoli chiamano lupo. Ma, mangiando lo zucchero, i saccaromiceti, e questo è il buon servizio che ci rendono, lo trasformano in alcool, che dà la gradazione e il sapore al vino. Il vino viene lasciato nelle botti, sul fondo delle quali si sedimentano le impurità. Dopo un po’, perciò, il vino va travasato in altri recipienti puliti

Gli agrumi, riserva di sole e di vitamine

Pochi frutti riscuotono in tutto il mondo tanto successo quanto gli agrumi. Aranci, mandarini, limoni, cedri, pompelmi sono divenuti oggetto di un commercio attivissimo e redditizio che non si limita a rifornire le nostre tavole di frutti gustosi e decorativi, ma costituisce la materia prima per molti impieghi industriali. Gli agrumi trovano infatti largo impiego in profumeria, farmacia e nella fabbricazione delle bevande dissetanti. Con aranci e mandarini sono stati ottenuti incroci interessantissimi, come i mandaranci e le clementine.
(P. Tombari)

Dettati ortografici – I frutti dell’autunno. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche – I frutti dell’autunno

Poesie e filastrocche – Una raccolta di poesie e filastrocche per bambini del nido, della scuola d’infanzia e della scuola primaria sul tema “I frutti dell’autunno”, di autori vari.

La filastrocca delle frutta
Gira, gira, s’arrivasse
nel paese delle frutta
che, si dice, ha una stagione!
E ci fosse proprio tutta,
pera, fragola, popone,
quella bella frutta sana,
melarancia, melagrana,
quella bella frutta fina,
l’albicocca, la susina,
quella bella frutta aspretta,
uva spina, nespoletta,
giuggioletta di montagna;
e il marrone, e la castagna;
e, tra i pampini a corona,
l’uva buona!
E ci fosser le nocciole
e le mele lazzerole
con le noci tutte quante
tutte insieme sulle piante,
tutte insieme nel corbello;
ce ne fossero mai tante
da giocarci a rimbalzello,
da poterne regalare,
da poterne dare a tutti
da poterne (che allegria!)
far razzia!                                      (Térésah)

 

Filastrocca
Il castagno ha lavorato:
tanti frutti ci ha donato
or col canto più giocondo
intrecciamo il girotondo.
Il castagno s’addormenta
e la luna lo inargenta,
si addormenta a poco a poco
mentre stiamo accanto al fuoco.
C’è un paiolo che borbotta:
“Non è cotta, non è cotta!”
mentre stiamo ad aspettare,
su corriamo a lavorare!
Ravviviamo un po’ la fiamma
aiutiamo un po’ la mamma
riordiniamo la cucina:
verrà poi la merendina.
Merendina di castagne;
dolci, piccole compagne
il castagno ce le ha date
non le abbiamo guadagnate! (L. Nason)

 

Vendemmia
Con un secchio ed un cestello,
con le forbici o il coltello,
donne ed uomini, da ieri,
tutti allegri e faccendieri
colgon l’uva zuccherina
e la portano in cantina.
La vendemmia è un gran lavoro!
Nella vigna era un tesoro
di bei grappoli dorati.
Or li han colti e li han pigiati;
ed il mosto, in un gran tino,
già fermenta e si fa vino.         (F. Socciarelli)

 

Il castagno
Sotto il castagno, durante l’estate,
fu una festa di bimbi e d’allegria;
che dolci ombre egli diede alle chiassate
della garrula e vispa compagnia!
Or solitario, al gran cielo velato,
nel deserto squallor delle campagne
s’alza quel nudo tronco desolato.
E i bimbi? … I bimbi mangian le castagne. (L. Schwarz)

 

Si vendemmia
Lieta festa di bei colori:
pampini, grappoli maturi,
grappoli biondi, grappoli scuri…
Su cantate, vendemmiatori.
Colmo il canestro, colma la gerla
e il tralcio è ricco di frutti ancora:
brilla ogni chicco che il sole sfiora
come il rubino, come la perla.
Bigoncia colma, colmo il cestello:
vendemmiatrici, uno stornello. (D. Rebucci)

 

Il pesco e la vite
Diceva un pesco altero
all’uva: “Oh, sciagurata,
tu finirai calcata!”
Gli fu risposto: “E’ vero;
ma, all’uom che mi calpesta,
fo’ poi girar la testa. (Luigi Carrer)

 

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Dettati ortografici – la semina

Dettati ortografici – Una collezione di dettati ortografici sul tema “l’autunno e la semina” per la scuola primaria.

La semina
Il campo è stato arato. I buoi hanno tracciato i lunghi solchi diritti e il contadino si prepara a gettarvi il seme. Poi il seme sarà ricoperto di terra, la pioggia lo gonfierà, il tepore della terra lo riscalderà e, un bel giorno, tante piantine verdi ricopriranno la superficie del campo.

La semina
I buoi hanno tracciato i lunghi solchi diritti nel bruno campo. Il contadino vi getterà il seme e, ai primi tepori, vedremo tante piantine verdi che un giorno diverranno le preziose spighe del grano. Quanta fatica e quanto tempo perchè il seme del frumento possa trasformarsi nel buon pane profumato!

Il seme
Il seme è stato gettato nel solco. L’acqua lo gonfierà, la neve lo coprirà col suo candido mantello, la terra lo nutrirà e finalmente, da quel semino, nascerà la bella pianta del grano che un giorno diverrà pane.

Sotto terra
I campi, in inverno, sono brulli, spogli, deserti. Sembra che non debbano produrre nulla e invece, sotto terra, i piccoli semi del grano germogliano: fra poco spunteranno all’aperto tante piantine verdi che un giorno ci daranno il cibo più prezioso: il pane.

Le speranze del contadino
Il contadino spera quando semina il grano, spera quando vede il primo biondeggiar delle spighe, spera quando i primi fiori della vite spandono il loro profumo e, attraverso una bella fiorita di speranze, porta al granaio le messi, alla botte il mosto, alla cucina i legumi dell’orto. (P. Mantegazza)

Il seme
E’ caduto nel solco e fra poco germoglierà. Da quel piccolo seme nascerà una piantina prima debole, sottile, poi, man mano, più robusta e forte. Infine la vedremo mettere, in cima, una bella spiga che col calore del sole diverrà dorata e maturerà. E in quella pianta, nata da un semino solo, ci saranno migliaia e migliaia di semi come quelli gettati nel solco in un giorno lontano.

La semina

I buoi abbassano la testa soffiando, il gioco cigola, l’aratro scricchiola. Il vomero affonda nella terra, apre il solco, e lascia indietro, ai lati, le grosse zolle. A poco a poco tutto il campo è segnato da lunghi solchi scuri. Poi il contadino cammina nel solco, portando un paniere al braccio. Tuffa la mano nel paniere, prende un pugnetto di grano e, via via, con un gesto largo lo sparge nel solco. Dietro a lui, donne ed uomini rompono le zolle con la zappa e ricoprono di terra i semi. (G. Fanciulli)

Il seminatore

“Guarda che figura!” esclamò Federico, soffermandosi ed indicando il seminatore: “Ha l’altezza di un uomo, eppure sembra un gigante”.  Egli avanzava per il  campo in linea dritta con una lentezza misurata. Con la sinistra teneva il saccolo; con la destra prendeva la semenza e la spargeva. Il suo gesto era largo, gagliardo e sapiente e il grano, involtandosi dal pugno, brillava talvolta nell’aria come faville d’oro e cadeva sulle zolle umide ugualmente ripartito. (G. D’Annunzio)

L’aratro

In principio l’aratro fu soltanto un ramo ricurvo da cui ebbe origine il cosiddetto aratro a uncino, grosso ramo biforcuto di cui la parte più corta penetrava nella terra scavandovi un solco e quella più lunga serviva da traino. Più tardi, alla parte più corta di questo aratro fu applicata una selce appuntita per facilitare la sua penetrazione nel terreno; la selce, in seguito, fu sostituita da una punta di rame, di bronzo e infine di ferro: fu l’aratro a chiodo, usato dai nostri bisnonni, e ancor oggi nei paesi meno progrediti.
L’invenzione del giogo permise all’uomo di attaccare all’aratro gli animali a coppia, in genere buoi.
Attualmente l’aratro, nelle sue parti principali, si compone del coltello, una lama che taglia la terra verticalmente; del vomere, che è una lama che taglia la terra orizzontalmente al di sotto della sua superficie; dell’orecchio, così chiamato per la sua forma e che ha il compito di far ruotare la terra tagliata dall’azione combinata del coltello e del vomere e di rovesciarla nel solco.

Il lavoro della terra

Dal materno grembo della terra viene tutto ciò che è necessario all’uomo. Egli ne ricava le piante che gli servono per sfamarsi e poichè si nutre anche di carne, ecco la terra nutrire gli animali che egli alleva a tale scopo. Tutto gli viene dalla terra purchè l’uomo  le dia il suo lavoro di ogni giorno, quel lavoro che cominciò in un giorno lontano, quando un essere irsuto, selvaggio, vestito di pelli e di corteccia d’albero gettò nel terreno alcuni granelli di una spiga e stette a vedere cosa sarebbe successo.

L’aratro

L’uomo preistorico si servì del ramo di un albero biforcuto per tracciare il primo solco nel terreno. Era il primo aratro. Poi, a questo ramo fu applicata una punta, prima fatta di pietra, poi di metallo. Oggi l’aratro si è perfezionato, compie il suo lavoro in modo razionale, risparmiando all’uomo fatica e tempo. L’intelligenza dell’uomo e la sua industriosità non conoscono limiti.

Il seminatore

Avanzava per il campo direttamente e con una lentezza misurata. Un saccolo bianco gli perdeva dal collo per una striscia di cuoio, scendendogli davanti, alla cintura, pieno di grano. Con la manca teneva aperto il sacco, con la destra prendeva la semenza e la spargeva. Il suo gesto era largo e sapiente, moderato da un ritmo uguale. (G. D’Annunzio)

Sulla tomba di un mietitore romano

Sono nato da povera famiglia e da poveri genitori. Vissi coltivando il campo nel quale nacqui e che non cessai mai di coltivare. Quando le messi erano mature,  io fui il primo a mietere, e allorchè la schiera dei mietitori si recava ai campi, io precedevo tutti lasciandomi dietro la lunga fila di essi. Dopo aver mietuto  dodici volte sotto il sole torrido, in premio al lavoro compiuto, fui eletto capo dei mietitori. Gli anni della mia vita furono belli, senza offese o accuse. Così meritò di morire chi visse senza commettere cattive azioni.

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