Scioglilingua

Scioglilingua per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Utili per giocare con le parole, ma anche per la dettatura, in relazione all’esercizio con le difficoltà ortografiche.

Se scopo la casa la scopa si sciupa: ma se non scopo sciupando la scopa, la mia casetta con cosa la scopo?

Pesca fresca chiusa in tasca di chi pesca con la fiasca. Dalla tasca di chi pesca scappa e casca fresca pesca.

Tre fanti duranti scarabernanti entrarono in un fosso durosso scarosso trovarono un’anguilla durilla scarilla scarabernilla la portarono da una vecchia durecchia scarecchia scarabernecchia le dissero: vecchia durecchia scarecchia scarabernecchia ci cuoci questa anguilla dulilla scarilla scarabernilla?

Avevo un quattrino da squattrire, da squattrare, da squattrovolibucare e lo portai al maestro squattrì squattrò squattrovolibucherò de’ quattrini il maestro squattrì squattrò squattrovolibucherò de’ quattrini non c’era.  E mi misi a squattrirlo a quattrarlo a squattrovolibucarlo da solo E lo squattrii, e lo squattrai e lo squattrovolibucai meglio del maestro squattrì squattrò squattrovolibucherò de’ quattrini.

Filo fine dentro il foro, se l’arruffi non lavoro. Non lavoro e il filo fine, fora il foro come un crine.

C’era una volta una ciribiciacola e questa ciribiciacola aveva centocinquanta ciribiciacolini e questi centocinquanta ciribiciacolini ciribiciacolavano salta fuori la ciribiriciacola: taceve voi ciribiciacolini che quando sarete grandi come noi ciribiciacolerete anche voi .

La bella e birbante bambina, ballava bene e con bravura ventisei cavalieri che vivevano a Vivaro vennero vogando velocemente.

Sei seghe segano sei sedie, se siedi su sei sedie segate, caschi.

Tre tozzi di pan secco in tre strette tasche stanno.

Sotto un uscio tutto liscio cadde a striscio un grosso guscio.

In una conca nuotano a rilento tre trote, cinque triglie e tinche cento.

Da te di lor un dar ben s’impone.

Scuro rumor, d’un fuor d’un lor, sol pur or, su vol più su, punto d’orror, giù por non più.

Nasce, cresce, riesce, pasce, sciupa, scialba, lascia, ambascia, poscia, suscita, angoscia.

O scegli o sciogli o folle.

 Il reo ha rubato la porpora al re.

Sopra ogni cima è pace, in ogni vetta, spira appena un soffio, gli uccelli tacciono nel bosco, attendi… in breve, riposo… pur avrai. (Goethe)

Un cavaliere spagnolo superbo e largo: ABRACADABRA un cavaliere scozzese aggressivo: RABADACABRA un uomo viscido cordiale e invitante:  RADACARRABA un uomo che lotta con la massima aggressività: CADARABRABA

Odo fioco in fondo loco, brividi nividi sibili lividi, tumulo tumulo cumulo. La calda fiamma vampa, alta divampa! Brucia distrugge e … muore. Fuochino e fiammella, fratelli fedeli, in fumo e faville, dal bel focolare, su pel fumaiolo, finirono al fin (Giosuè Carducci)

Essenze leggere, di ben messaggere, scendete accorrete, rendete oh celesti, lo spirito immortal. (dal Faust di Goethe)

Acciuffa quel buffo camuffo, di piffero gneffo e sberleffo.

Soffia afferra e sferza, furore di fiamma e fuoco, forte fiero furfante, funesto funebre, fiacco finito, ei fu.

Avvolgi svelto la vela che sventola, se la vela sventola avvolgila svelto, non lasciare che la vela sventoli, ma avvolgila svelto, se avvolgi svelto la vela non sventola, la vela avvolta non può sventolare, non sventola la vela avvolta.

Tremula brina su fronda, fragile trina fiorita, brivido breve di brezza, fresca graffia, brilla vibra, trilla grida, stride strepida stronca.

Nevvero evvero, s’avverte s’avvolge, s’avvalla, ravvolta in ovvia nuvola.

Eva ave, leva avel, lella allel.

Questa pesta cesta cresta, lesta festa scorza scherza, questa tresca pesta cesta cresta, lesta sferza festa scorza scherza.

Se svelto svolta svigna, svolazza sventola svuota svia sviene.

Da dove vuoi va via.

Vede la luce, splende rifulge rischiara, sublime magnifica. Offrile rifugio, affinchè giunga al tuo cuore.

Sai che la bianca biacca, la bianca biacca che tu sai, la bionda biada in fiore sfiocca, sfiocca un fiore di biada bionda, pioggia non piovi più ormai, ormai piove la pioggia non più.

Pave preme pugna, bada brave bando, pena punta, bivio biasimo, nebbia greppia, stoppia sdoppia.

Lene lieve lento, leggero alato.

Folle lepido lercio lurido.

Lancia lanciere il lapillo lontano, lotta ladrone leccardo lacchè.

Lalla linfa lirica libera lippa.

Rapido reca, ruvido rovo, rivo ridente, ramo rovente, roco rumor.

Sguiscia la biscia e sparisce, ravvolta nel fosso scivola via, ravvolta nel fosso sparisce, sguisce la biscia e scivola via.

Lancia ciancia smancia, laccio riccio spiccio, anzi innanzi ronza, danza avanza, razzo rezzo mezzo, lazzi sfrizzi sprizzi.

Sgrida lo scricciolo che, indiscreto e sgraziato, scruta sgretola scrosta e screzia, lo scrigno sullo scranno.

Canta il cuculo, con così scorati accordi, che questi stessi studi, desti costi.

Accoccolato e fiacco raccoglie fieno secco.

Cialda ciambella, ciarla ciociara cionca, ciotolo ciuco ciuffo, ciurma ceffo celia, cella cicala cicogna, cicerchia, credo che cruccio ti crucci.

In cuccagna stanno i cucchi, e scuccagnan tutto il dì, schiccolando chicchie cocchi, cantan contan tutto il dì.

Scorre rapido torrente, di rupe in rupe, scroscia travolge, s’infrange in mille rivi, spargendo intorno, freschi profumati pruzzi.

Clip plap plic glic.

Guglielmo coglie ghiaia dagli scogli scagliandola, fa in mar mille gorgogli.

Sul tagliere gli agli taglia non tagliare la tovaglia la tovaglia non è aglio se la tagli fai uno sbaglio.

Tre bruni bruchi, tre bruchi bruni.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Indovinelli

Indovinelli – una collezione di indovinelli per la scuola d’infanzia e primaria. Leggete ai bambini lentamente, una frase alla volta, fermandovi dopo ogni frase per consentire ai bambini di tentare la risposta. A descrizione ultimata, più di uno sicuramente dovrebbe avere scoperto di cosa si tratta…

Son quadrupede fedele
della casa buon guardiano.
Vado a caccia al monte a l piano
ed allora son crudele:
non ho un briciolo di pietà…
indovini chi lo sa. (cane)

Trova un nome nella lingua italiana che comincia per “h”. (accademia)

Scende dalla nave prima di ogni marinaio e di ogni passeggero. (ancora)

Siamo tante e laboriose:
amorose
domandiamo un dolce dono,
con la madre ch’è regina,
al gentil piccolo cuore
d’ogni fiore.
Ed il nettare squisito, saporito,
ben più dolce a voi rendiamo.
Sai chi siamo? (api)

Volano, ma non sono aerei.
Hanno le ali, ma non sono uccelli.
Pungono, ma non sono spilli.
Hanno la regina, ma non il re.
Fanno colazione in un fiore.
Sono molto utili, ma non conviene stuzzicarle. (api)

Non son mela, non son pera, ho la forma di una sfera
il mio succo è nutriente, è una bibita eccellente
non procuro il mal di pancia, ho la buccia e son … l’arancia

Son modesto e laborioso,
son paziente ed operoso.
Ho gli orecchi lunghi assai.
Indovina dunque tu:
chi son io? Dimmelo, tu. (L’asino)

Nella foglia un filo d’oro
so trovar per mio lavoro
e mi tesso una casina
tutta seta, bianca e gialla,
senza porta o finestrina.
N’esco fuori poi farfalla
e deposito gli ovini.
Sei dottor se m’indovini. (baco da seta)

Sono duro, sono stretto,
o mio caro scolaretto,
ti fo fare penitenza.
Ma che vuoi? Con la pazienza
tante cose imparerai
qui seduto: non lo sai? (banco)

Sono grasso e paziente
non mi curo mai di niente
con l’aratro rompo il solco
son l’aiuto del bifolco (bue)

Se sai l’indovinello indovinare,
cervello hai fino e te ne puoi vantare.
Orologio ti sembro a prima vista,
chè di sfera e quadrante son provvista;
eppur l’ore che passano non segno,
nè pulsa un cuore dentro il mio congegno.
Ad alte imprese, a portentose gare,
io guido l’uomo per l’immenso mare;
con arcana virtù che in seno io porto,
la via gli addito e lo conduco in porto. (La bussola, di T. Gallori)

Se c’è non si vede e se si vede non c’è (il buio)

Tutti e due stanno sul capo
e son due originali:
sembran proprio tali e quali.
Ma se un p aggiungi a uno
ch’è di sotto, tosto all’opra
lo vedrai passar di sopra. (Capello e cappello)

Siamo lisci oppur ricciuti,
siamo d’oro, rossi o neri;
ci leviam sopra i pensieri
e col tempo siam canuti. (I capelli)

C’è un bosco d’alberelli che è tutto da tagliar
nè scure nè coltelli si posso adoprar (i capelli)

Qual è quell’animale che vorrebbe fare il postino?
(Il canguro con la sua borsa.)

Sono il ritratto del mondo;
tuttavia il mio  mare
non ebbe mai acqua
e i miei campi
non hanno messi;
non ho casa e ho grandi città.
Io riduco ad un punto
mille opere diverse:
non ho quasi nulla
e sono l’universo. (cartina geografica)

Viene già dalla montagna
questa buona morettina:
la sua bella testolina
era come un riccio d’oro.
Ma discesa dai suoi monti
fra di noi, quell’imprudente,
fu veduta dalla gente
che la volle cucinar… castagna

Alto il padre, aspra la madre,
nero il figlio, bianco il nipote.
Il padre di legno, la madre di spina…
ma la nipote, che dolce farina!  (la castagna)

Son piccina, rotondetta,
son dolcina, son moretta,
son di razza montanina,
dell’autunno sono regina,
son dei bimbi la cuccagna,
e mi chiamano castagna

I miei frutti il riccio chiude,
il mio tronco ha scorza rude,
i miei rami son possenti,
le mie foglie son lucenti… castagno

La mia casa sta riposta,
del gran fiume sulla riva,
e l’entrata è ben nascosta,
sotto l’acqua di una diga,
che da solo ho costruito
con sapiente e buon lavoro.
Bimbo penso avrai capito,
che si parla del … castoro.

Casina stretta casina storta,
non ha finestre ma solo una porta
casina storta casina stretta,
ha tanti piani e nessuna scaletta (chiocciola)

Qual è quella cosa che ha la testa sotto le scarpe? (il chiodo)

Rossa rossetta
in tavola fu messa
in tavola fu mangiata
e la coda le fu strappata.
(ciliegia)

Tutti mi prendono per il collo,
ma non sono ne una gallina ne una bottiglia. (cravatta)

L’orologio che ho più caro viene sempre insieme a me
è un oggetto molto caro e si carica da sè (il cuore)

 

Sta nel mare, ma la gente lo ritiene intelligente.
Non è uomo, non è pesce, ma saltar ben gli riesce.
Sulla groppa con gran lena, spesso porta una sirena.
Questo dicon le leggende, quando narran sue vicende.
Alle navi sta vicino, è il simpatico … delfino.

Una fila di fratini tutti bianchi e piccolini
stanno sempre a chiacchierare ed a ridere e mangiare (i denti)

Stanno in compagnia nella rossa scuderia
tanti bianchi cavallini, sull’attenti che carini
trenta e tutti d’un colore, li indovina il buon dottore (i denti)

Quali sono quelle cose di cui,
in una  famiglia di quattro persone,
ce ne sono ottanta? Le dita.

Fresca, verde e ben fiorita
o seccata o inaridita
sono igienico alimento
per il gregge e per l’armento. (erba)

Or sull’erba ed or su un fiore
mi rincorri e non mi cogli.
Sono un libro di due fogli
del più splendido colore. (farfalla)

Qual è quella cosa che ci tiene in vita,
che non si vede d’estate
e si vede solo d’inverno? Il fiato.

Fuori verde, dentro rosso,
come frutto non son grosso,
ma nemmen tanto piccino,
sono un frutto settembrino.
Dolce, buono, saporito,
anche scuro son gradito.
Ma chi son non te lo dico.
Indovina, sono il … fico.

Curiosa come l’occhio di un bambino
se la spalanchi di primo mattino
il sol che nasce vi fa capolino.
(la finestra)

Son piccin, piccin, piccina,
ho nel bosco la casina
del lavoro sono amica
e mi chiamano … formica

Mi metton sotto terra
ed io rispunto su,
mi battono, mi pestano,
da non poterne più.
Mi mettono nel forno,
ed io me n’esco fuor
fragrante e saporoso,
bel premio del lavor. (Il chicco di frumento)

Io sono l’oscuro figlio
di un padre luminoso;
disprezzo la terra
e mi innalzo verso il cielo.
Se mio padre è amato,
nessuno sopporta me,
perchè io faccio piangere
anche le persone più felici. (fumo)

Un cappello, un gambo lungo,
pare un ombrello, si chiama … fungo.

Nasco all’ombra in mezzo al bosco,
e talvolta so di tosco.
Son grassoccio, son carnoso,
profumato e saporoso.
Col mio gambo ed il cappello,
rassomiglio ad un ombrello. (fungo)

E’ piumata, è discreta
vive in pace, buona e cheta
la massaia la tien cara
perchè sa che le prepara
un bel dono prezioso
nutriente, assai gustoso:
indovina indovinare
chi il suo nome sa trovare? (gallina)

Sono pigro e ghiotto un poco:
amo il sole, l’ozio e il fuoco.
Mi ravvolgo agile e bello
nel mio morbido mantello.
Piglio i sorci, sai chi sono?
Dillo, dunque, bimbo buono (Gatto)

Ha un bel nome.
E’ un fiore alto e robusto.
Si trova in campagna e raramente in qualche giardino di città.
Di esso, non si mangiano che i semi.
I suoi petali sono simili a quelli di una grossa margherita.
La su “testa” si muove e il nome descrive proprio tale movimento.
E’ il (girasole)

Indovina indovinare,
io non fo che saltellare,
giù fra l’erba, e quando è sera
a mia musica leggera
spando intorno: son tranquillo,
buono e lieto. Sono il (grillo)

Vivo nei campi, sono un insetto
di giorno taccio, di notte trillo, mi chiamo … grillo

Una pera che ogni giorno
puoi vederti in casa, attorno,
ha la pelle molto dura
anche se è vecchia, matura.
Ha dei semi luminosi,
e mangiarla tu non osi
perchè polpa non ne ha.
Bimbo mio, che mai sara? (Lampadina)

Nera e dritta sta sul muro, il suo corpo è freddo e duro
ma assai spesso viene usata, ed allora trasformata
che disegni colorati di caratteri cifrati
divien bella e interessante, per i bimbi assai importante
cancellata non si lagna, l’utilissima… lavagna

Se lo mangi strizzi gli occhi, non così quando li tocchi
aspro ha il succo e profumato, vien da tutti spesso usato
puoi trovarlo a ogni stagione, giallo ovale il buon … limone

Tiro, tiro, tiro,
eppur braccia non ho.
Sibilo oppur sospiro,
eppur bocca non ho.
E giro, giro, giro,
eppur piedi non ho. (locomativa)

 

Alta alta, fine fine,
io somiglio ad un paletto
e non ho rami nè spine;
solo il corpo stretto stretto.
Questo corpo, son sincera,
non è poi di molto tristo;
ma ho l’anima sì nera
che di pari non ne ho visto.
L’uom lo sa, e mi taglia il collo
con l’intento dichiarato
di rapire il mio midollo
sin che tutto è consumato.
Me lo toglie, e quanti segni
eleganti ne sa fare!
Ma anche tu, per i tuoi disegni,
bimbo, me lo vuoi rubare! (matita)

Son graziosa son piccina,
son dei prati la regina
la mia veste è tanto bella,
ch’io somiglio ad una stella
son dai bimbi preferita
e mi chiamo … margherita

Qual è il mare più dolce? (marmellata)
E il mare più duro? (marmo)
E il mare più sicuro? (marciapiedi)

Tonda, liscia e profumata;
rossa, gialla oppur rosata;
ne daremo una fettina,
a chi bene la indovina mela

Ho uno scrigno di rubini,
sono grossi e sono fini,
sono tutti d’un colore,
chi indovina è un gran dottore. (la melagrana)

Sono dodici fratelli,
certi brutti certi belli;
il secondo è piccolino,
chi lo sa è un indovino… mesi

Per Capodanno sono arrivati:
erano dodici, li ho contati.
Sono sicuro che viaggeranno
uno alla volta, per tutto l’anno.
Era il secondo più piccolino:
dimmelo, dunque, bravo indovino.(mesi)

C’è una cosa bianca
come un’oca;
oca non è.
Sparge le foglie,
albero non è. Neve

Sono bella e immacolata
come il velo di una fata,
scendo bianca, lieve e molle
sulle vette e sulle zolle.
Scendo lenta giù dal cielo:
tutto avvolgo nel mio velo… neve

Al riparo d’un cappotto verde e amaro,
d’un vestito di buon legno,
sotto lieve camicina,
sta la polpa bianca e fina,
buona fresca e buona secca.
Te lo dico sottovoce,
ho parlato della….. noce.

Scorro il cielo lieve lieve.
Sono bianca o grigia o greve;
l’aria fredda, che dispetto,
mi trasforma in rubinetto.
Allor acqua mando giù
finchè in ciel non ci son più. (nuvola)

Nasco dal mare, nasco dal fiume,
volo nel cielo ma non ho piume
dal sol che nasce, dal sol che muore,
libera ed alta prendo colore
quando son stanca di camminare,
piango un pochino e ritorno al mare. (la nuvola)

 

Ho due tonde finestrelle, sempre aperte sopra il mondo
se le chiudo è buio fondo, se le riapro vedo te
vedo i fiori, il ciel, le stelle, vedo il monti, vedo il mare
si fa presto a indovinare (gli occhi)

Ho due perle belle assai, che tu prender non puoi mai
son lo specchio in mezzo al viso, del celeste Paradiso. (gli occhi)

Cupolina nera e tonda,
giostra mia, tu sei gioconda
col tuo manico di legno
che ti serve da sostegno.
Ma se piove tanto tanto,
giostra mia, sei tutta un pianto… ombrello

Cammino, cammino
in ogni momento,
e il tempo che passa
a tutti rammento.
Se stanco alla fine
un poco ristò
un giro di chiave
e… ancora me ne vò.
(orologio)

Qual è quella cosa per la quale
mezzogiorno e mezzanotte
sono la stessa cosa? Orologio

Qual è quella cosa che per essere fresca deve essere calda? Il pane.

Pesca e ripesca,
qual è la cosa che più è calda,
più è fresca? (il pane)

Indovina indovinare
io non faccio che ciarlare
dalla gruccia a destra e a manca
ed ognun di me si stanca:
sono rosso, verde e giallo,
e mi chiamo (pappagallo)

Ho la coda maestosa
ricca di riflessi a iosa
ho la coda bella e occhiuta
chi di voi non l’ha veduta? (pavone)

Io rimbalzo giù dai tetti
coi miei mille martelletti.
Batto ai vetri, son noiosa,
ma pur servo a qualche cosa.
Chè ristoro piante e fiori
e più belli fo i colori.
Sciolgo in ciel la nube scura
e fo l’aria bella e pura. (pioggia)

Dita non ho, ma batto
ai vetri della finestra;
scopa non ho, ma lavo
bene la via maestra.
Son lieta, eppur di me
tremano fiori e fronde.
Uccellino non sono
ma canto nelle gronde,
e per andar sui tetti
metto gli zoccoletti. (pioggia)

Al principio della notte,
esco coi fratelli a frotte.
Io non son topo nè uccello,
sono poco o punto bello.
Ho due ali in pelle schietta,
e svolazzo in fretta in fretta.
Util son per la campagna,
pur qualcun di me si lagna.
Hanno torto, non è bello,
ma vi serve il … pipistrello.

siam verdi e piccini, siam fatti a pallini
stiam dentro a una cuccia verdina verduccia
siam tutti fratelli, ci chiaman … piselli

Quattro gambe e non cammina:
ci riposa la nonnina.
(la poltrona)

Ho la veste verdolina
dello stagno son regina
è noioso  il mio cantare
indovina indovinare. (Rana)

Mi somiglia nel viso e nell’aspetto
ma non ha voce e il mio color non ha,
vediamo un po’ se qualche scolaretto
indovinare in mio nome saprà.
(ritratto)

All’inverno vado via
ma poi torno a casa mia,
mangio mosche ed altri insetti:
chi mai sono o bambinetti? (rondine)

Va per l’aria a primavera, è veloce, bianca e nera
la sua coda è biforcuta, dimmi bimbo l’hai veduta?
Va per l’aria lieve e snella, è la prima … rondinella

O in due o in quattro o in otto
lungo le strade andiamo:
sempre ci rincorriamo
e mai ci raggiungiamo! (ruote)

Si trova in casucce modeste
e dentro ai palazzi si trova;
di pietra o di marmo ha la veste.
“La salgo o la discendo?” Sì, prova! (scala)

Hanno gambe, ma non camminano.
Hanno schiena, ma non hanno testa.
Qualche volta zoppicano.
Non si mangiano.
Possono essere di legno di plastica o di metallo.
Possono essere rozze o di lusso.
Piacciono ai gatti e ai cani, ma gli altri animali non sanno cosa farsene.
Ce ne sono in ogni casa.
Quando è l’ora di pranzo stanno intorno alla tavola, ma non mangiano. (sedie)

Indovina bambinello:
io ti faccio brutto o bello,
sorridente oppur piangente,
come sei o come vuoi.
Indovinami, se puoi.
(specchio)

Io, sebben non sia pittore,
fo ritratti a tutte l’ore.
Ne fo al brutto, ne fo al bello:
indovina indovinello. Lo specchio

Chi sono le quattro sorelle
che si vogliono bene,
ma quando l’una viene
quell’altra se ne va? Le stagioni

Qual è quella cosa che vive
passando da un buco all’altro?
(Non è il topo, non è la chiave… è la stringa delle scarpe)

Ho una veste assai pesante, molto dura ed ingombrante
sembra quasi una corazza, ce l’ha tutta la mia razza
il mio andare è calmo e lento, goffo tutto il movimento
vivo spesso nei giardini, faccio d’erba i miei spuntini
volentier mangio lattuga, il mio nome è … tartaruga

Sotto il sole, sotto le stelle
stan come rosse pecorelle
quando son giornate brutte
se una piange, piangon tutte. (tegole)

Tonda tonda è la casetta…
Che ci fate, dolce mammetta?
Scaldo e imbecco i miei piccini,
or sentiamo se indovini. (uccelli nel nido)

Io conosco  un botticino
tutto pieno d’un buon vino;
questo vino, dico franco,
non è nero e non è bianco.
Chi sa dir che vino è?
Co co, co co, coccode! (uovo)

Vengo cotto in più di un modo,
se son duro sono sodo
tu mi mangi solo rotto,
che sia crudo oppure cotto
di star dritto non mi provo,
nè seduto, sono … l’uovo

A Natale son più corte, ma dai bimbi molto amate
e la loro gioia è forte, in sì splendide giornate
poi si fanno brevi e rare, sempre accolte in esultanze
ma in estate, ai monti e al mare, si fan lunghe le … vacanze

Mi piace far dispetti, piegare gli alberetti
far volare i cappelli, rovesciare gli ombrelli
sollevo polveroni, ma scaccio i nuvoloni
i panni al sole stesi e alle finestre appesi
asciugo in un momento
sono il monello …vento

E’ noioso e fastidioso
quando fischia impertinente
nelle orecchie della gente,
quando passa da padrone
sollevando il polverone,
quando ruba a questo e a quello
il cappello. (vento)

Urla, soffia, fischia e geme
e non ha bocca;
investe, scuote, urta e preme
e non si tocca;
spazza i piani, spazza i cieli
e non è scola (vento)

E’ uno strumento delicato
ed è un fiore profumato.
Indovina che cos’è. La viola

Qual è il fiume che non scherza mai? Il Serio

Qual è il fiume che può essere letto indifferentemente dalla prima o dall’ultima lettera? L’Adda

Qual è il monte a cui tutti aspirano? Il Gran Paradiso

Qual è il Colle sotto cui ci si può riposare? Il Colle di Tenda

Qual è il fiume d’Italia che se facesse il barbiere non avrebbe clienti? Il Tagliamento

Qual è il fiume più sonoro? Il Don

Qual è la linea ferroviaria più dolce? Lecco – Crema

Sono monte ardito e fiore gentile. Rosa

 Bella donna d’alto palazzo,
bianca son, nera mi faccio,
casco in terra e non mi sfaccio;
vado in chiesa e lume faccio. (la candela)

C’è una vecchiaccia
su una finestraccia;
le ciondola un dente,
e chiama tutta la gente. (la campana)

C’è un botticino
che mesce due sorte di vino. (l’uovo)

Uccellin che passa il mare
tiene strette le sue ali
tiene stretti l’ali e il becco
parla italiano, francese, tedesco. (la lettera)

Cosa fa una gallina quando va da un marciapiede all’altro?
Attraversa la strada.

Qual è quell’animale che cammina con i piedi sul capo?
Il pidocchio.

Come si deve prendere un pollo per ucciderlo?
Vivo.

Che fanno tre polli su di un muro?
Un numero dispari.

Perchè le oche attraversano la strada camminando una dietro all’altra?
Per andare dall’altra parte.

Chi abbaia più forte di un cane?
Due cani.

Che cos’è un asino?
Un cavallo che non ha terminato gli studi

Qual è quell’animale che vivo ha le budella in corpo e morto il corpo nelle budella?
Il maiale.

Un elefante cade in un lago. Come lo tiri fuori?
Bagnato.

A che famiglia appartiene l’oca?
A quella che la compera.

Qual è l’animale più veloce?
Il pidocchio perchè è sempre in testa.

Perchè il baco da seta è furbo?
Perchè mangia la foglia.

Una scimmia si arrampica su di un albero e si siede su una foglia. Cosa fa?
Cade.

Cosa fa una gallina quando va da un marciapiede all’altro?
Attraversa la strada.

Cosa fa un asino cieco al sole?
Ombra.

Perchè le cicale non dormono d’estate?
Perchè sono destate.

Cosa fa una gallina quando va da un marciapiede all’altro?
Attraversa la strada.

Qual è l’animale che ha il pelo di gatto, gli occhi di gatto, i baffi di gatto, la coda di gatto, la voce di gatto… ma non è un gatto?
La gatta.

Più piccola sono e più si ha paura di incontarmi
La passerella sul burrone.

Durante la vita bevo acqua salata, dopo la morte acqua dolce. Chi sono?
La spugna.

Tutti mi prendono per il collo, ma non sono una bottiglia.
La cravatta.

Lo si può battere, ma non picchiare.
Il tempo musicale.

Vola e non è un uccello, vola velocissimo e non è un aeroplano, può rodere e non è un tarlo.
Il pensiero.

Sono inseparabili, ma il secondo che è innocuo spaventa molto più del primo che è più pericoloso.
Il lampo e il tuono.

Se c’è non si vede e se si vede non c’è. Cos’è?
Il buio.

Che cos’è che attraversa il prato senza muoversi?
Il sentiero

Qual è la città più pericolosa ed esplosiva?
Granata

Qual è la città che detta la maniera di vestire?
Foggia

Qual è la città più profumata?
Colonia

Qual è la città che ha sei occhi?
Treviso

Qual è la città dove le persone stanno sempre sedute^
Assisi

Qual è la città la città più mattiniera?
Alba

Qual è la città più luminosa?
Lucerna

Qual è la città più religiosa?
Monaco

Qual è la città preferita dagli animali?
Prato

Qual è la città più perseverante?
Costanza

Qual è la città che senza il cuore diventa triste?
Tri – e- ste

Qual è la città italiana che proibisce l’oro?
Or – vieto

Qual è la città  più ghiotta?
Lecco

Indovinelli – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche: La grammatica

Poesie e filastrocche: La grammatica. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Verbi ausiliari
Il verbo avere andò pavoneggiandosi:
“Io ho, ho avuto ed ebbi e avrò
e nulla al mio confronto è il verbo essere…”
Questi tacque e più saldo in sè poggiò.
Quando saliron dell’Eterno al trono
“E’ il nome mio” disse il Signore “Io sono”. (L: Schwarz)

 

Le qualità
Verde verde, l’erba lungo il ruscello
folto folto, il salice nel giardino
liscia liscia, la canna del bambù
bianca bianca, la colomba sul davanzale
snella snella, la biscia sul prato
nera nera, la notte che viene
tutto tutto, ha la sua qualità.

 

Filastrocca corta e matta
Filastrocca corta corta,
il porto vuole sposare la porta,
la viola studia il violino,
il mulo dice: “Mio figlio è il mulino;
la mela dice: “Mio nonno è il melone;
il matto vuole essere un mattone;
e  sapete cosa vuole il più matto della terra?
Vuole fare la guerra. (G. Rodari)

 

(in costruzione)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Recite per bambini – Grammatica in rima

Recite per bambini – Grammatica in rima. Vengono presentati, in rima, nome, articolo, aggettivo, verbo, avverbio, pronome, congiunzione, preposizione, interiezione, per l’analisi grammaticale; proposizione, soggetto, predicato verbale, complemento oggetto, per l’analisi logica. Il testo si presta ad essere drammatizzato, o anche possono essere usate come filastrocche le varie parti, per rendere più divertente l’approccio all’analisi grammaticale.

Nel teatrino illuminato, il sipario già s’è alzato.
Or vedrai venire fuori, sulla scena nove attori.
Del Discorso son le Parti, che mi piace di mostrarti.
Ecco il NOME, il buon curato, che battezza ogni neonato.
Gli è accanto un chirichetto, che l’ARTICOLO vien detto.
Gli si pone ora vicino l’AGGETTIVO, un arlecchino.
Entra un paggio vellutato, che PRONOME è nominato.
Ecco il VERBO, il gran regnante, del discorso il più importante.
Queste parti presentate, son VARIABILI chiamate.
Altre quatto ora verranno, e INVARIABILI saranno.
Entra prima quel donnone di comar PREPOSIZIONE.
Poi l’AVVERBIO, passo a passo, sempre uguale, grasso e basso.
CONGIUNZIONE è una damina seria e niente chiacchierina.
Viene infin col suo bastone quella vecchia INTERIEZIONE.
Nove parti e non di più e il sipario scende giù.
“Bello, bello! Bene, bene!” gridan tutti a voci piene.
“Bravo, bravo! Per piacere, ce li fate rivedere?

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Il nome

Ogni cosa che vediamo, con un NOME la chiamiamo.
Le persone, gli animali, e le piante e i minerali.

Città, fiumi, monti, stati, son dai nomi nominati.
Molti nomi conosciamo, or tanti altri ne impariamo.
E nei lor significati, ti saranno ben spiegati.
Chè conoscere per bene, ogni cosa ti conviene.
E’ pertanto necessario, proprio un buon vocabolario.
Dove i nomi son segnati, con i lor significati.

Con la nascita si pone, NOME PROPRIO alle persone
e di nomi ne son tanti, quanti son le sante e i santi
Carlo, Marta, Anna, Maria, Pietro, Alberto, Ida, Lucia
le città e i monti e i mari, nomi propri son del pari
se tu guardi la cartina, già ne trovi una ventina
Roma, Napoli, Torino, Alpi, Tevere, Appennino
nome proprio è Italia mia, il più bello che ci sia!

Gabbia, uccello, sedia, pruni, questi NOMI son COMUNI
sono i nomi delle cose quasi sempre numerose
sono nomi di animali, fiori, piante, minerali
chè le cose, belle o brutte, certo un nome l’hanno tutte
ecco i nomi tra i più belli, mamma, babbo, zio, fratelli
sono brutti per davvero fame, guerra, cimitero
“Io fra i brutti” dice Lola “metto libro, studio, scuola
e tra i belli passeggiata, giochi, feste e cioccolata!”

Ora I GENERI ti canto, che son due e due soltanto
Uno è il genere maschile, l’altro è quello femminile
son maschili i nomi Gino, babbo, figlio, soldo, lino
femminili son Teresa, mamma, scuola, nonna, chiesa
faccio un gioco, dal maschile volgo i nomi al femminile
da cavallo, zio, padre, vien cavalla, zia e madre
e dall’oste vien l’ostessa, da dottore dottoressa
vien dal re la sua regina e dal gallo la gallina
ecco l’albero è maschile, ma il suo frutto è femminile
melo e pero se piantiamo, mela e pera poi mangiamo
ed il pesco dà la pesca vettutata buona e fresca.

Anche i NUMERI son due, come i corni d’un bel bue
il plurale e il singolare che dovrai ora imparare
ma se un poco stai attento, tu li impari in un momento
sono nomi al singolare in soldato, un libro, um mare
ma due libri, tre soldati, al plurale son passati
singolare sono orgoglio, ago, pesca, amico, foglio
al plurale fanno orgogli, aghi, pesche, amici, fogli
“Ecco qui” dice Giorgetto “singolare è un solo oggetto
se gli oggetti sono in più, il plurale spunta su!
Una pera, quattro pere, la bandiera, le bandiere
L’ho capito e con giudizio, ora faccio l’esercizio.

Pur essendo al singolare, qualche nome può indicare
molti oggetti, la riunione di animali o di persone
come popolo, pollaio, gregge, classe, formicaio
come folla, battaglione, schiera, esercito, legione
ora i nomi qui segnati, COLLETTIVI son chiamati
“Collettivi” dice Andrea “Son comizio ed assemblea
dove sono radunati furbi, sciocchi e sfaccendati”.

Bue, aratro, casa, abeti, questi nomi son CONCRETI
di materia son formati, son veduti, son toccati
é concreto il nome giglio, come stella, come figlio
se le cose le vedere, dite pur che son concrete
ma l’onore è nome ASTRATTO, di materia non è fatto
che esso esista ci si crede, ma con l’occhio non si vede
così pure la costanza non ha forma nè sostanza
nomi astratti son pietà, gloria, astuzia ed onestà
or distinguere saprete, cose astratte da concrete
Carlo, tu, sempre distratto, l’hai capito il nome astratto?
Dice Carlo un poco offeso “Credo sì di aver compreso
ciarle e sogni sono astratti e concreti sono i fatti
chè le chiacchiere col vento se ne vanno in un momento
solo i fatti, brutti o lieti, solo i fatti son concreti
sicchè dicono anche  i matti ‘Meno chiacchiere e più fatti’ “

Vanno i nomi ora spiegati, PRIMITIVI e DERIVATI
ecco, prendo il nome ulivo, questo nome è primitivo
ma uliveto è derivato, dall’ulivo è generato
e da giorno vien giornale, e da tempo temporale
da campana campanile, e da cane vien canile
“L’ho capito, l’ho capito!” tutto allegro esclama Tito
“Primitivo rassomiglia proprio a un padre di famiglia
sono i figli derivati, che han del padre i connotati
ecco il nome legno io piglio, questo padre ha più di un figlio
ha legnaia ed ha legname, legnaiolo e falegname
questi quattro detivati son dal legno ricavati”
“Ma non va dimenticata” dice Carlo “la legnata!”

Per far crescere gli animali, come pure i vegetali
certo occorrono degli anni, se non giungono malanni
ora qui, col mio talento, cresceranno in un momento
siano cose che persone, con l’aggiunta sol di un ONE
non ci credi? Vieni qua, or la prova ti si dà
prendi un gatto, aggiungi un ONE, ed ottieni un bel gattone
e da un libro hai un librone e da zucca uno zuccone
ora alcuni sentirai che son falsi e riderai
da una botte hai un bottone, poi da un monte un bel montone
dice Giorgio, quel ghiottone, “Da una torre avrò un torrone?”

No, non piace il mio arrivo, perchè son DISPREGIATIVO
sì, mi piace disprezzare, ho il poter di peggiorare
vuoi sapere come faccio? ecco, aggiungo ai nomi un accio
quando l’ho così conciato, vien da tutti disprezzato
di una carta fo cartaccia, di una casa fo casaccia
ma non credo ti dispiaccia, se di foca fai focaccia
“Certamente non dispiace” dice Anna “anzi mi piace
ma vorrei che fosse vera la focaccia e bella intera
mentre questa qui segnata sol di chiacchiera è impastata
che volete che io ne faccia, d’una simile focaccia?”

Ecco un altro gran portento! Io ti posso in un momento
ogni cosa impicciolire, ogni oggetto ingentilire
non con l’ascia o lo scalpello, ma con ino, un etto, un ello
quando al gatto attacco un ino, lo riduco a un bel gattino
se al mio libro aggiungo un etto, io ne faccio un bel libretto
a campana metto un ello, e poi suono il campanello
ci son poi diminuitivi che son falsi, son cattivi
senti questi e non m’inganno, il tuo riso desteranno
ho una pulce aggiungo un  ino, cosa ottengo? Un bel pulcino
E da un tacco? Un buon tacchino. E da un mulo? Hai un mulino.
“Matto” infine dice Nello “Matto è un nome pazzerello.
Se l’accresci con un one, hai che cosa? Un buon mattone.
Lo riduci con un ino e ne ottieni un bel mattino!”

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Gli articoli

Oh, gli ARTICOLI, le belle, operose particelle
quando ai nomi le premetti sono come i chirichetti
ed i nomi accompagnati meglio son determinati
Vuoi vederli? Eccoli qua: singolare il lo e la
ve ne sono poi altri tre, pel plurale: i, gli e le
scrivi qunque il professore, la fontana, lo scultore
e al plurale i professori, le fontane, gli scultori
ecco qua sei scolaretti pronti a fare i chirichetti
per poter un po’ giocare e gli articoli imparare
or cantate intorno a me: il, lo, la, i, gli, le.

La è articolo gentile, per il nome femminile
e non sbagliare non puoi mai, altro articolo non hai
che a tal genere conviene, perciò LA va sempre bene
metti LE poi al plurale, la cicala le cicale
per maschili hai IL e LO, ora di essi ti dirò
qual dovrai adoperare, senza tema di sbagliare
quando il nome ha l’iniziale ESSE impura o una vocale
o se ZETA ci vedrai, sempre LO tu metterai
per esempio lo zampino, l’orologio, lo stanzino
al plurale gli zampini, gli orologi, gli stanzini
se poi vedi l’iniziale consonante e non vocale
metti un IL bello e pulito, ed il nome è ben servito
così scrivi il canarino, il pavone ed il tacchino
al plurale i canarini, i pavoni ed i tacchini
se lo zero non dirai, certamente zero avrai
dice Andrea: “Voglio provare che li so adoperare
l’ortolano, lo studente, lo scolaro ed il serpente
poi lo zucchero e lo spillo, il leone e il coccodrillo
poi lo zio ed ho finito, vedi ben che l’ho capito”.

Altri articoli son questi, ma più semplici e modesti
UN ed UNO son maschili, UNA è sol pel femminile
tre soltanto, meno male, e neppure hanno il plurale
or li adopero: uno sciocco, una stella ed un balocco
“Un balocco!” esclama Puccio “Quale quale, un cavalluccio?
Uno schioppo? Un organino? Un pallone? Un bel teatrino?
Preferisco una trombetta e una bella bicicletta”
“Io vorrei, dice Giancarla “una bambola che parla”

L’aggettivo

L’AGGETTIVO è un arlecchino rosso, verde, blu, turchino
esso al nome sempre dà una qualche qualità
certo il nome non modifica, sol gli dona una qualifica
se ti dicono educato, sei così qualificato
babbo è serio ed operoso, bello è il giglio ed odoroso
quei monelli son cattivi, guarda un po’ quanti aggettivi
se per poco ti ci provi, Piero quanti tu ne trovi
del maestro quali sono gli aggettivi? Bravo, buono
della scuola di’ qualcosa, ora allegra ora noiosa.

L’aggettivo che qualifica, può subir qualche modifica
che di GRADO può passare come fosse un militare
primo grado è il positivo: buono, bello, aspro, cattivo
questi esprimon solamente qualità semplicemente
senza forme accrescitive e neppur diminuitive
dice Arturo: “Ecco aggettivi tra i migliori positivi
forte, svelto, laborioso, giusto, onesto, generoso”
“Ed aggiungo” dice Ornella “buona, brava, saggia e bella”.

Altro grado d’aggettivo detto è poi COMPARATIVO
perchè fa comparazione sia tra cose che persone
primo è quel di MAGGIORANZA: sei più brava di Costanza
poi c’è quel di MINORANZA: sei meno altra di Speranza
d’UGUAGLIANZA infin ti dico: sei alto tanto quanto Enrico
così buona come Gemma, tanto vispa quanto Emma
Se hai capito ora mi scrivi questi tre comparativi?
ed io scrivo: “Io sì, di Checco son più alto, son più secco
ma in compenso son di Rocco meno grullo e meno sciocco
poi son tanto birichino, quanto Mario e quanto Gino
così ho fatto maggioranza, minoranza ed uguaglianza”.

Or passiamo al grado altissimo, come dir generalissimo
ecco qui il SUPERLATIVO, che è assoluto e relativo
l’ASSOLUTO è facilissimo, basta aggiunger solo un issimo
da una cara vien carissima, da una bella vien bellissima
l’altro poi superlativo, quello detto relativo
io lo formo in un baleno, premettendo il più o il meno
così dico il più curioso, il meno alto, il più noioso
dice Mimmo, un frugolino, della classe il più piccino
“Sulla sedia faccio un salto, e di tutti son più alto
ora tutti vi sorpasso e vi guardo d’alto in basso!”
Quanti grandi che tu vedi, han la sedia sotto i piedi.

POSSESSIVI, da possesso, son di corsa giunti adesso
stai attento, io te li mostro: mio tuo suo e nostro e vostro
poi c’è loro e niente più, su ripetili ora tu
tutti questi son maschili, ci son poi i femminili
e ciascuno, è naturale, è fornito di plurale
nello scritto che farai,  tutti tu li segnerai
ma un esempio è ben ch’io dica, per ridurti la fatica
il mio libro, i miei strumenti, la mia zia, le mie parenti
la nostra arte, i nostri cuori, le nostre ansie, i vostri errori
poi c’è loro, ch’è invariabile, così dico il loro stabile
come dico i loro figli, le loro armi, i loro artigli.
Dice Luca assai mordace: “Possessivo, sì mi piace!
La mia casa che non ho, i tuoi campi non li so
i miei libri li ho prestati e nessun me li ha ridati
e così da possessivi, son passati donativi.

Salutiamo i nuovi arrivi, gli aggettivi INDICATIVI
Ora di essi io fo appello: questo c’è, codesto e quello
ci son pure stesso e tale, e medesimo, altro, quale
questa è cosa accanto a me, e codesta accanto a te
quella cosa in verità, da noi due lontana sta.

Ora giungono graditi gli aggettivi INDEFINITI
essi esprimono si sa, una incerta qualità
e per questo son chiamati altresì indeterminati
poco, tanto, altro, ciascuno, molto troppo ogni nessuno
qualche alcuno tutto alquanto, e parecchio ed altettanto
ce ne son degli altri ancora, ma fermiamoci per ora.

Nella scuola quanti siamo? Per saperlo ci contiamo
un due tre… sei sette otto…, diciassette poi diciotto
due alunni sono assenti, in totale siamo venti
ecco i numeri segnati, aggettivi son chiamati
AGGETTIVI NUMERALI ed aggiungi CARDINALI.

Ordinato è il buon Lindoro, nelle cose e nel lavoro
un alunno sì ordinato, studia meglio ed è lodato
la sorella sua Simona, è il disordine in persona
e il disordine bel bello, passa pure al suo cervello
le famiglie e scuole e stati, voglion essere ordinati
or per l’ordine io prescrivo l’AGGETTIVO ORDINATIVO
Claudio è il primo della fila, tiene in mano lui la pila
il secondo è poi Pierino, Carlo il terzo, quarto Gino
Leo il quinto e poi Ernesto, se non sbaglio, è proprio sesto
ma chi è l’ultimo lo so, quel simpatico Totò
ora i bimbi qui chiamati, sono tutti già ordinati
ecco dunque gli aggettivi numerali ordinativi
scatta e dice ora Totò “Che son ultimo lo so
tu però nell’ordinare, puoi dall’ultimo iniziare
ecco allora in un momento, io primissimo divento”

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La preposizione

Viene adesso quel donnone, di comar PREPOSIZIONE
è una brava mercantessa, invariabile pur essa
quando è semplice ci porta, regalucci nella sporta
sono nove parolin: di a da con su per in
fra e tra e nulla più, contentarsi è gran virtù
or vogliamo adoperare, i regali di comare
cuor di mamma, per la via, vien da casa, con la zia
in silenzio, ho da parlare, vado a letto a riposare
ma quest’A, stai ben attento, non ha l’ACCA nè l’accento.

Ma purtroppo quando ha voglia, la comare poi ci imbroglia
non per niente ho detto ch’essa, è una brava mercantessa
le sue piccole parole, han paura a stare sole
così spesso le trovate, agli articoli abbinate
di con la ci danno della, in e la producon nella
a con lo compongon allo, da con lo ci forma dallo
comprendete come questi, son dei veri e propri innesti
matrimoni belli e buoni, che ci dan preposizioni
quelle dette ARTICOLATE, che van tutte ben studiate.

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L’interiezione

Son la vecchia col bastone e mi chiamo INTERIEZIONE
io pel mondo giro e giro, or sorridi ed or sospiro
tra le gioie e il pianto io vivo, porto il punto esclamativo!
con un’ACCA sempre addosso grido, esclamo più che posso
oh che perdita! ah che gioia! ahi mi dolgo! uffa che noia!
deh mi salvi! ahimè mi pento! Ih che fetta! Ohibò che sento!

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La congiunzione

Ma chi batte al mio portone? Ecco vien la CONGIUNZIONE
favorisci, signorina, ti aspettavo stamattina
entra, mettiti a sedere, cosa porti, fai vedere
già, tu porti quegli anelli, per congiunger questi con quelli
son carini, belli assai, signorina me ne dai?
t’assicuro, non abuso, piglio quelli più nell’uso
scelgo un’ E, poi scelgo un O, un eppure ed un perciò
prendo un quindi ed un perchè, ed infine un dunque e un che
grazie grazie, starò attento, che quest’E non porta accento
e che un O se congiunzione, non ha l’ACCA sul groppone
ora un’E mettiamo in prova: pane e burro, frutta e uova
oh che buona colazione, per la bella congiunzione.

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Il pronome

Se il maestro è un giorno assente, vi fa scuola il buon supplente
nel discorso pure il nome, ha il supplente ed è il PRONOME
quando il nome scomparisce, il pronome lo supplisce
e si dice che il pronome, fa le veci ognor del nome
come un paggio, in tutte l’ore, è al servizio del signore
ore del nome, state attenti, vi dirò tutti i supplenti
vi dirò tutti i pronomi, che le veci fan dei nomi.

I PRONOMI PERSONALI certo sono i principali
hanno infatti la missione di supplire le persone
essi vengono studiati in tre gruppi separati
son divisi in tre persone per non fare confusione
son di prima l’io e il noi, di seconda il tu e il voi
son di terza gli e coloro, lui e lei, ed essi e loro
e si aggiungono altresì lo, la, le e gli li
che pronomi sono anch’essi, quando a un verbo sono premessi
per esempio io lo richiamo, tu le scrivi, noi gli diamo.

Ci son certe PARTICELLE che ci paiono gemelle
piccoline, quasi uguali, dette son PRONOMINALI
te le mosto, eccole qui, sono mi ti si ci vi
e poi me te se ce ve, con l’aggiunta pur di un ne
or le adopero: mi piace, ti saluto, mi dispiace
vieni a me, io corro a te, tu ne parli, pensa a sè.

Or vedete qui riuniti i PRONOMI INDEFINITI
hanno questi la missione d’indicar cose e persone
in maniera imprecisata, vaga ed indeterminata
essi sono: altri ciascuno, niente chiunque qualcheduno
chicchessia e nulla e tanto, e nessuno e tutti e alquanto
bada, veh, che son pronomi, se non hanno accanto i nomi
altrimenti tu li scrivi, come sai , tra gli aggettivi
“Il pronome” dice Arturo, ” è un supplente un poco oscuro
par che faccia il doppio gioco, che agli onesti piace poco
ci vorrebbe un distintivo, pel pronome e l’aggettivo.

Senti un po’, senti una cosa, veramente assai curiosa
tu ricordi gli aggettivi, quelli detti INDICATIVI?
essi possono mutare, e PRONOMI diventare
a spiegarlo si fa presto, ecco qua prendiamo questo
se c’è un nome a lui vicino, per esempio questo tino
questo allora è un aggettivo, propriamente indicativo
Ma se dico solamente “questo è cotto” e poi più niente
senza dir che cosa è cotto, se l’arrosto o se il risotto
questo allora tu lo scrivi, tra i pronomi indicativi
perchè qui fa da supplente, ad un qualche nome assente
altri esempi vorrei quelli, questa è buona, quei son belli
anche ciò va poi aggiunto, e con ciò io faccio il punto.

Dei pronomi pel finale, or presento che e il quale
posso aggiungere altresì, anche cui ed anche chi
questi quattro ultimi arrivi, sono detti RELATIVI
che pronome sempre vale, come se dicessi il quale
negli esempi qui segnati, or li vedi adoperati
questo è un libro che diletta, c’è lo zio il quale aspetta
dico solo a chi è segreto, la ragion per cui son lieto
attenzione poi perchè, questo chi e quale e che
tu li puoi adoperare, quando devi interrogare
ecco allor da relativi, passan a INTERROGATIVI
per esempio: che succede? Quale scegli? Chi mi vede?
E così, Dio sia lodato, il pronome è terminato.

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Il verbo

Le bandiere tutte al vento per il grande  avvenimento
viene il VERBO quel regnante nel discorso il più importante
a regione va superbo, è un monarca il grande verbo
cos’è il verbo? E’ un’azione sia di cose o di persone
per esempio io posso amare, posso scrivere e giocare
e tu puoi sentire e bere, puoi studiare, poui cadere
e la rosa può fiorire, può odorare, può appassire
queste azioni che ho segnate tutte verbi son chiamate
altri verbi vorrei dire, ma ho gran voglia di finire.

Guarda un verbo può finire solo in are ere o ire
son le tre terminazioni dette tre coniugazioni
è la prima quella in are, come andare, stare, entrare
la seconda è quella in ere, come credere e vedere
poi la terza è quella in ire, come offrire uscire e dire.

Pur nel verbo puoi notare il plurale e il singolare
quando è fatta qualche azione da più cose o più persone
certo allora è naturale che quel verbo sia plurale
per esempio gli astri brillano, noi cantiamo, i bimbi strillano
ma se invece è sola sola, quel che canta, brilla, vola
una ed una solamente, quel che sboccia, strilla, sente
ecco allor non puoi sbagliare, cono verbi al singolare
perchè il verbo, insomma è detto, che si accorda col soggetto.

Giunto è il tempo di imparare tutti i verbi a coniugare
prima l’essere e l’avere a puntin dovrai sapere
quindi i verbi regolari, e poi quelli irregolari
un po’ strano questo verbo, è davvero un re superbo
or si mostra transitivo, or lo vedi intransitivo
or lo trovi regolare, ora invece è irregolare
ora è attivo, ora è passivo, spesso spesso è riflessivo
e talvolta è impersonale, che regnante originale
ed aggiungo che ha tre trono per le tre coniugazioni
cinque modi ha per mangiare, molti tempi per ballare
tre persone per suonare e due numeri a cantare
tutta questa gran famiglia il cervello mi scompiglia.

Che vuol dire transitare? Transitar vuol dir passare
ci son verbi transitivi, ci son verbi intransitivi
riconoscerli dobbiamo, e dai primi cominciamo
transitivo un vetro pare, che la luce fa passare
fa passare ogni azione, quelle tristi e quelle buone
e l’azione dal soggetto, passa al complemento oggetto
transitivi son mangiare, bere, cogliere, aspettare
bevo l’acqua, mangio un panino, colgo un giore, aspetto Gino
qui la cosa è un po’ curiosa, se domando chi? Che cosa?
e risposta mi darà, transitivo allor sarà
oh, che modo sbrigativo, per trovare il transitivo.

Meglio il verbo INTRANSITIVO, ciò che fa, buono o cattivo
sol per lui se lo mantiene, di passarlo se ne astiene
non è vetro, nè cristallo, ma una lastra di metallo
che non fa giammai passare, ogni luce che vi appare
senza il complemento oggetto, qui l’azione resta al soggetto
sono verbi intransitivi essi andarono, tu arrivi
io cammino, noi entriamo, ci fermiamo e riposiamo.

Ecco il verbo ha forma attiva, e può aver forma passiva
per spiegarlo stamattina, entro un po’ nella cucina
mamma cuoce un buon cappone, chi la fa la bella azione?
la fa mamma, che è il soggetto, la riceve poveretto
quel cappone non più vivo. Ecco cuoce è un verbo attivo.
Ma se dico, un po’ mutato, il cappone è cucinato
qui il soggetto è quel cappone, che riceve lui l’azione
ed il verbo è cucinato, in passivo s’è mutato.

All’attivo ed al passivo segue il verbo riflessivo
questo verbo è un po’ burlone: il soggetto fa l’azione
ed il verbo per diletto, la riflette sul soggetto
e l’azione, in verità, così torna a chi la fa
riflessivi sono coprirsi, annoiarsi, divertirsi
nota bene, i verbi qui, voglion mi, ti, ci, vi, si
l’ausiliare poi deve essere, sempre sempre sempre l’essere
per esempio io mi diverto, ti sei alzato, si è coperto
noi ci amiamo, voi vi alzate, esse si erano stancate
ecco prendo uno specchietto, contro il sole poi lo metto
lo specchietto cosa fa? lo riflette or qua or là
guarda il sol come riluce, dove il gioco lo conduce
spesso il verbo è uno  specchietto, che riflette sul soggetto.

Allegria! Ora si pranza, ogni MODO una pietanza
cinque i modi e cinque piatti, ben sarete soddisfatti
se con calma mangerete, meglio i modi gusterete
primo piatto INDICATIVO, segue poi l’IMPERATIVO
è pesante il primo, è vero, ma il secondo è assai leggero
CONGIUNTIVO è una portata, un po’ dura un po’ salata
ma è seguita, meno male, da quel buon CONDIZIONALE
e poi ecco l’INFINITO, che è quel dolce ben guarnito
con GERUNDIO al cioccolato, PARTICIPIO zuccherato
così il pranzo è terminato, ed i modi tu hai imparato.

Or del verbo senti quali, sono i modi principali
quando dico “Mangio adesso”, il presente viene espresso
ma se dico io ho mangiato, questo è un tempo già passato
per futuro poi dirò, che domani mangerò.

Ora spiego e metto a posto, tempo semplice e composto
quando è semplice ha una sola, voce, unica parola
come: andavo, leggerò, studierebbe, lavorò
questi tempi ora li detto: il presente e l’imperfetto
il futuro e quel passato, che remoto è nominato
pei composti è necessario, che intervenga l’ausiliario
due parole allora avrai, e un composto formerai
per esempio sono uscito, ero entrato, avrei gradito
ai composti van segnati, e passati e i trapassati.

Ecco in essere e in avere, gli ausiliari puoi vedere
essi debbono aiutare, gli altri verbi a coniugare
questo ausilio è a loro imposto, quando un tempo vien composto
qualche verbo ora ti dico, che dell’essere è un amico
stare andare entrare uscire, cader scendere salire
così scrivi essere andato, ero sceso, sarei stato
altri verbi invece e tanti, sempre avere hanno davanti
dici quindi io ho bevuto, hai pranzato, avrà creduto
aver detto, avere udito, hanno scritto, avrei capito.

Claudio s’alza, fa un inchino, e poi dice pian pianino
“L’uno e l’altro non dispiace, ma più l’essere mi piace
sol per l’essere qui sono, e son vivo e sono buono
scherzo sì ma in verità, chiudo in cuor tanta bontà
or credete son fanciullo, gioco rido mi trastullo
ma nell’anima io sento, un profondo sentimento
per le cose vere e belle, per i fiori per le stelle
per la mamma che consola, per gli amici per la scuola”.

Dell’avere ora ci parla, quella birba di Giancarla
e Giancarla, con bell’arte, così recita la parte
“Dell’avere che dirò? Le ricchezze io no, non ho
non ho gemme perle ed ori, ma posseggo altri tesori
altri beni ancor più rari, ho l’affetto dei miei cari
ho la buona mia mammina, come un angelo vicina
chi mi cura e che mi guida, che mi loda che mi sgrida
poi un un cuor che non oscilla, ho una mente che scintilla
ho una grande volontà, che un bel giorno fiorirà.”

Ecco qui le tre persone, che del verbo fan l’azione
tante sono proprio come, le persone del pronome
con cui vivono a braccetto, nell’accordo più perfetto
e la prima vuoi trovarla? E’ colei la quale parla
son di prima: io dico io chiamo noi verremo noi scriviamo
la seconda per trovarla, guarda a quello a cui si parla
di seconda son voi siete tu comprendi voi saprete
e la terza puoi trovarla, in colei di cui si parla
son di terza egli obbedì essi vanno il babbo uscì
negli esempi son ben chiari, i plurali e i singolari.

Questo verbo impersonale, proprio agli altri non è uguale
è un gran povero padrone, se gli mancan due persone
e lo puoi sol coniugare con la terza singolare
questi verbi son tuonare, grandinare, nevicare
e poi piovere albeggiare e fioccare e balenare
così dici pioverà, albeggiava, fioccherà
ed aggiungi pur tuonò grandinava nevicò
questi verbi poverelli, a me sembrano pur belli
non ci trovi confusione, quell’imbroglio di persone
così  semplici e modesti, non son mai troppo molesti
mentre invece ogni altro verbo, mette innanzi l’io superbo
l’io gerarca l’io borioso, sempre l’io più pretenzioso
verbi verbi, per pietà, un pochino d’umiltà
e cercate essere uguali, ai colleghi impersonali.

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L’avverbio

Or l’AVVERBIO viene a te, invariabile com’è
lui s’avanza passo a passo, sempre uguale grasso e basso
salutiamo, giù il cappello, salve a te, sei sempre quello
volentieri si saluta, chi non cambia, chi non  muta
stai attento questi avvervi, or modificano i verbi
ora invece gli aggettivi per esempio poco scrivi
sempre bello, non mi sente, scrivi troppo lentamente
non so dirti proprio quanti, ma di avverbi ne son tanti
son però ben ordinati, nelle specie separati
ecco qui le principali, con gli avverbi più usuali
son di tempo poi adesso, ora e sempre quando e spesso
son di luogo dove e qua, sopra e sotto dentro e là
quantità sono più e tanto, poco assai e molto e quanto
certo e sì di affermazione, mai non nè di negazione
son di modo dolcemente, così come lentamente
poi di dubbio forse e ma, basta basta per pietà
tutti gli altri se vorrò, nel mio libro troverò.

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Analisi logica

Le proposizioni

Guarda il ciel, lo vedo scuro, dico allora il cielo è oscuro
vedo mamma che sorride, dico allor la mamma ride
queste semplici espressioni, sono due PROPOSIZIONI
che son poi dei pensierini, assai facili e piccini
mamma e ciel di cui parliamo, qui SOGGETTI li chiamiano
ride è oscuro son chiamati, propriamente PREDICATI
ecco il babbo lavorava, la farfalla svolazzava
i bambini sono buoni, sono tre proposizioni
che son semplici chiamate, perchè solo son formate
dal soggetto e il predicato, come bene avrai notato.

Se un pochino state attenti, io vi spiego i complementi
son gli amici più fidati, di soggetti e predicati
sono i buoni messaggeri, che completano i pensieri
ecco il COMPLEMENTO OGGETTO, che chiamato è pur diretto
chi? Che cosa? chiederai, se conoscerlo vorrai
noi amiamo (chi?) il nonnino, Lea comprò (cosa?) un gattino
io ascolto la maestra, tu chiudesti la finestra
ecco qui ben chiari e netti, quattro complementi oggetti
che son poi tra tutti quanti, certamente i più importanti
tutti gli altri complementi, hanno nomi differenti
per adesso li riuniamo, e indiretti li chiamiamo
or qualcuno ve ne dico, Gianni scrive oggi all’amico
Nina torna dalla scuola, sento un buon odor di viola.

(Autore ignoto)

Recite per bambini – Grammatica in rima. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche: difficoltà ortografiche

Poesie e filastrocche: difficoltà ortografiche per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste: ca cu co, che chi,  ci ce, cqu, gl, gn, mp mb, qui quo qua que, sc, ha a, c’è c’era, consonanti doppie, apostrofo, accento, divisione in sillabe, segni di interpunzione.

CA CU CO

Cuoco cuoco, cuoci un poco
nel tuo forno grande e fondo
la focaccia dall’odore
che rallegra il nostro cuore.
Scuote mamma i panni al sole
spuntan già le prime viole
Batte il cuoio il ciabattino
nel suo buio sgabuzzino
Zappa il babbo la sua aiuola
mentre il bimbo corre a scuola.

 

Chi e Che

Tre vecchiette stanche
su tre panchine bianche.
Tre tacchini neri
con tre becchi fieri.
Tre pesche per tre bambini
tre lische per tre gattini.

 

Che chi, ce ci

La Checca aveva un gallo
rosso verde e giallo
che allo spuntar del dì
facea Chicchirichì.
La Cecca sua sorella
aveva un bel fringuello
che allo spuntar del dì
facea cicciricì.

Un dì era freddo atroce, e l’acca senza voce
rifugio domandò al ca, al cu, al co
tutti risposero. NO.
Pietosa una vocina, allora di sentì
vieni da noi piccina, vieni tra il ce e il ci
rispose l’acca. SI’.

Cade cheta
come stanca
l’aria chiara
che su cose
case e chiese
batte e canta.
Nella cesta
sta l’arancia
le ciliegie
nella pancia
se sei un ciuco
tiri calci
se sei un sorcio
stai nel cacio
se sei un bimbo
mandi un bacio.

CI e CE

Ci e Ce erano amici: a Ci piaceva Ce
a Ce piaceva Ci. Erano due piccoli
cinesini di marzapane, alti così
tanto ma tanto carini
“Sei dolce Ci” diceva Ce
“Sei dolce Ce” diceva Ci.
Passavano i giorni a darsi bacetti
erano esposti nella vetrina
della più bella pasticceria
della citta di Cincillà.
Diceva la gente passando di là:
“Si amano proprio alla follia
quei due graziosi pupazzetti
poco più alti di due confetti”.
Venne il giorno che si sposarono
il piccolo Ci e la piccola Ce.
Da quel giorno oltre che amici
furono anche sposi felici

Se accanto a me si trova l’E
o giù di lì capita l’I
ho il suono dolce, leggi con me
CI CE, CI CE
ma se vien qua madama A
o il signor O con tanti ohibò
che insieme ad U sbuffa di più
allora il suono si fa più duro
come in CANGURO
sentilo qua: CU CO CA
ripeti su: CA CO CU
ancora un po’: CA CU CO

Cade cheta come stanca l’acqua chiara
che su cose case e chiese batta e canta
nella cesta sta l’arancia
le ciliegie nella pancia
se sei un ciuco tiri calci
se sei un sorcio stai nel cacio
se sei un bimbo mandi un bacio.


Lucciola, lucciola, vieni da me
ti darò un pan da re
ti darò un pan da regina.
Lucciola lucciola lucciolina.

Cincirinella aveva un bel gallo
tutto il giorno ci andava a cavallo
ricco di briglia, di sproni, di sella,
evviva il gallo di Cincirinella!

cqu

Piove piove
l’acqua vien giù.
Bel bello
mi riparo
con l’ombrello.
Ma quant’acqua
viene giù
è già piena
la c e la q.

 

GL

Passa il vento, muore la foglia
zio Guglielmo fa la sfoglia
a pezzetti poi la taglia
zia Teresa lavora a maglia
frigge la sogliola nella teglia
il bambino ecco si sveglia
apre la bocca poi sbadiglia
con il sonno fra le ciglia
dice la mamma: “Figlio mio,
se sbadigli, sbadiglio anch’io”.

Fogliolina di trifoglio
io cerco l’erba voglio.
Erba voglio qui non c’è
ne pei bimbi, ne pei re.

Figlio mio, metti la maglia:
se non la metti la piglia il coniglio.
Il coniglio la indosserà
e mio figlio si raffredderà.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Metodo Montessori: metodologia di insegnamento, dal capitolo IV – Il metodo Montessori

Metodo Montessori: metodologia di insegnamento, dal capitolo IV – Il metodo Montessori. Considerato il fatto che, grazie al clima di libertà nel quale sono immersi a scuola, i bambini possono manifestare le loro tendenze naturali, e che a tal fine abbiamo preparato l’ambiente ed i materiali (gli oggetti con cui il bambino lavora), l’insegnante non deve limitare la sua azione all’osservazione, ma deve continuare a sperimentare.

In questo metodo la lezione corrisponde ad un esperimento continuo.

Nei primi giorni di scuola l’insegnante non può dare lezioni collettive. Tali lezioni saranno comunque sempre molto rare anche in seguito, dal momento che i bambini non sono liberi nel loro apprendere se hanno l’obbligo di rimanere al loro posto tranquilli e pronti ad ascoltare l’insegnante, e di vedere cosa sta facendo. Le lezioni collettive sono di importanza molto secondaria, e sono state quasi del tutto abolite nelle scuole Montessori.

CARATTERISTICHE DELLE LEZIONI INDIVIDUALI: Concisione, semplicità ed oggettività.

La lezione, quindi, è individuale, e la brevità deve essere una delle sue principali caratteristiche.  Più saremo stati capaci di eliminare da essa tutte le parole inutili, più perfetta sarà la lezione. E nel preparare le lezioni l’insegnante deve prestare particolare attenzione a questo punto, e contare e pesare il valore delle parole che sta per utilizzare col bambino.

Un’altra qualità caratteristica della lezione è la sua semplicità. Essa deve essere spogliata di tutto ciò che non è verità assoluta: le parole dovrebbero essere attentamente scelte ed essere le più semplici che è possibile trovare, e naturalmente devono fare riferimento alla verità.

La terza qualità della lezione è la sua oggettività. La lezione deve essere presentata in modo tale che la personalità dell’insegnante deve scomparire. Deve rimanere in piena evidenza solo l’oggetto a cui si vuole richiamare l’attenzione del bambino. Questa lezione, breve e semplice, deve essere considerata dall’insegnante come una spiegazione dell’oggetto e dell’uso che il bambino può fare di esso.

Durante la lezione,  la guida fondamentale deve essere il metodo di osservazione, metodo che include la piena comprensione della libertà del bambino. L’insegnante deve osservare se il bambino si interessa all’oggetto, come è questo interesse, per quanto tempo si protrae, ecc.., anche notando l’espressione del suo viso.

Ma deve sempre fare molta attenzione a non offendere il principio di libertà.

Infatti, se si porta il bambino a compiere uno sforzo innaturale, tale situazione impedirà l’osservazione scientifica dell’attività spontanea del bambino.

Se dunque la lezione, per quanto preparata secondo le regole di   semplicità, brevità e verità non è compresa dal bambino, cioè non è da lui accettata come una spiegazione dell’oggetto, il maestro dovrà:

– in primo luogo,  non insistere ripetendo la lezione;

– in secondo luogo, non fare sentire il bambino come se avesse commesso un errore, o come se non fosse capace di comprendere, perché così facendo lo spingerebbe a fare uno sforzo per capire, e quindi a modificare quello stato naturale che dovrebbe essere l’oggetto dell’osservazione psicologica del maestro.

Un piccolo esempio può illustrare meglio questo punto

Supponiamo che l’insegnante voglia insegnare ad un bambino i due colori rosso e blu, e che quindi voglia attirare l’attenzione del bambino verso tale oggetto. Dice, dunque: -Guarda questo-. Poi, mostrandogli il rosso: -Questo è il rosso.-, alzando leggermente il tono di voce e pronunciando la parola “rosso” lentamente e chiaramente. Poi mostrerà il secondo colore dicendo: -Questo è il blu-. Infine, per assicurarsi che il bambino abbia capito, gli dice: -Dammi il rosso…- , -Dammi il blu…-. Supponiamo che il bambino in questa ultima fase della lezione faccia un errore. L’insegnante non ripete e non insiste, sorride, dà al bambino una carezza amichevole e porta via i colori.

Gli insegnanti di solito sono molto sorpresi da tanta semplicità. Spesso dicono: “Ma tutti sanno fare una lezione così!”  E in  effetti è un po come l’uovo di Colombo… ma la verità è che non è affatto vero che tutti sanno come fare le cose in modo semplice, che tutti siano in grado di creare una lezione con tanta semplicità.

Misurare la propria attività, rendere il proprio insegnamento conforme ai principi di chiarezza, brevità e verità, è nella pratica una questione molto difficile.

Spesso, senza renderci conto, investiamo i bambini con parole inutili e addirittura false. Poniamo l’esempio di un insegnante che sceglie di utilizzare il metodo della lezione collettiva, e che inizia la sua lezione in questo modo per presentare i colori rosso e blu: -Bambini, riuscite a indovinare quello che ho in mano?-. Questo insegnante naturalmente sa bene che i bambini non possono indovinare, e quindi attira la loro attenzione per mezzo di una menzogna. Poi dice: -Guardare il cielo… Guardate il mio grembiule… Sapete di che colore è? Non vi sembra dello stesso colore del cielo? Molto bene allora, guardare questo colore che ho in mano. E’ dello stesso colore del cielo e del mio grembiule. E’ blu. Ora guardatevi intorno e vedete se è possibile trovare qualcosa di blu anche nella nostra stanza…  E sapete di che colore sono le ciliegie?  E la brace nel camino?-. Ecc…

Ora, nella mente del bambino, dopo aver fatto lo sforzo inutile di cercare di indovinare l’oggetto nelle mani dell’insegnante, dopo che intorno a tale oggetto è ruotata una confusione di idee varie (il cielo, il grembiule, le ciliegie, ecc…), sarà difficile estrarre da tutta questa confusione il riconoscimento dei due colori blu e rosso. Tale lavoro di selezione è quasi impossibile per la mente di un bambino che non è ancora in grado di seguire un lungo discorso.

Ricordo di essere stata presente ad una lezione di aritmetica, dove ai bambini veniva insegnato che due e tre fanno cinque. A tal fine, l’insegnante aveva fatto uso di perline colorate. Aveva preparato due perline sulla riga superiore, poi su una linea inferiore  tre perline, e infine ancora più in basso cinque perline. Non ricordo molto chiaramente lo sviluppo di questa lezione, ma ricordo che l’insegnante aveva ritenuto necessario porre accanto alla fila di due perline una piccola ballerina di cartone con una gonna blu, che aveva battezzato col nome di uno dei bambini della classe, dicendo: -Questa è Mariettina-. E poi, accanto alle altre tre perle una ballerina vestita di un colore diverso, “Gigina”. Non so esattamente come l’insegnante sia poi arrivata alla dimostrazione della somma, ma di certo ha parlato a lungo con questi piccoli danzatori, spostandoli su, giù, ecc…  Se ora io ricordo i ballerini più chiaramente del processo di aritmetica, come deve essere stato con i bambini? Se da un tale metodo sono stati in grado di apprendere che due più tre fa cinque, devono aver fatto un enorme sforzo mentale!

In un’altra lezione un’insegnante voleva dimostrare ai bambini la differenza tra rumore e suono. Ha iniziato raccontando una lunga storia. Poi, all’improvviso, qualcuno in combutta con lei ha bussato rumorosamente alla porta. L’insegnante si è fermata e si è messa a gridare: -Che cosa è successo! Che problema! Bambini, sapete cosa ha fatto questa persona alla porta? Non posso più andare avanti con la mia storia, non la ricordo più. Dovrò lasciarla incompiuta. Sapete cosa è successo? Avete sentito? Avete capito? Quello era un rumore, un rumore. Oh! Avrei preferito giocare con questo piccolo bambino ( riprendendo un mandolino che aveva vestito in una copertina). Sì, caro bambino, avrei proprio preferito giocare con te. Vedete questo bambino che ho in mano fra le mie braccia?-  Diversi bambini hanno risposto: -Non è un bambino-. Altri dicevano: -E’ un mandolino-. Ma l’insegnante ha continuato: -”No, no, è un bambino. Volete che ve lo dimostri? Mi sembra che il bambino stia piangendo. O, forse sta parlando, forse sta per dire papà o mamma.- Quindi ha messo la mano sotto la coperta e ha toccato le corde del mandolino. -Ecco! Avete sentito il bambino piangere? Avete sentito bussare alla porta? -Poi ha scoperto il mandolino e ha cominciato a suonarlo dicendo: -Questo è il suono-.

Supporre che il bambino da una  lezione come questa possa arrivare a capire la differenza tra rumore e suono, è ridicolo.

Il bambino avrà probabilmente l’impressione che o la maestra ha voluto giocare uno scherzo alla classe, oppure che è una persona un po’ matta, perché ha perso il filo del suo discorso quando  interrotta dal rumore, e perché ha scambiato un mandolino per un bambino.

Certamente, è la figura della maestra che si è impressa nella mente del bambino attraverso una tale lezione, e non l’oggetto della lezione stessa.

Questi esempi dimostrano che per un maestro preparato secondo i metodi tradizionali, è molto difficile arrivare a tenere lezioni semplici.

Ricordo che, dopo aver spiegato il materiale in modo dettagliato, ho chiamato uno dei miei maestri per insegnare, per mezzo degli incastri geometrici, la differenza tra un quadrato e un triangolo. Il compito del docente era semplicemente quello di inserire un quadrato e un triangolo di legno negli spazi vuoti fatti per riceverli, e mostrare al bambino come  seguire con il dito i contorni dei pezzi di legno e delle cornici in cui si inseriscono, dicendo: -Questo è un quadrato… questo è un triangolo-.

L’insegnante che avevo chiamato ha iniziato facendo toccare al bambino il quadrato e dicendo: -Questa è una linea, questa un’altra…, un’altra…, e un’altra.  Vi sono quattro linee. Contale con l’indice e dimmi quante sono. E gli angoli, conta gli angoli, sentili col tuo indice. Vedi, ci sono anche quattro angoli. Guarda bene questo pezzo. Si tratta di un quadrato. ”

Ho corretto l’insegnante, dicendogli che in questo modo non stava insegnando al bambino a riconoscere una forma, ma gli stava dando un’idea di lati, di angoli, di numero, e che questa era una cosa molto diversa da quella che doveva insegnare al bambino attraverso questa lezione. Non è la stessa cosa.

E’ infatti possibile per il bambino avere un’idea della forma del quadrato senza saper contare fino a quattro. I lati e gli angoli sono astrazioni che di per sé non esistono; ciò che esiste è questo pezzo di legno di una determinata forma. Le spiegazioni elaborate del maestro non solo confondono la mente del bambino, ma creano ancora maggior distanza tra il concreto e l’astratto, tra la forma di un oggetto e la matematica.

Non crediamo che il bambino sia troppo immaturo per apprezzare la forma nella sua semplicità; non è affatto uno  sforzo per lui guardare una finestra quadrata o una tavola, o riconoscere le forme negli oggetti nella sua vita quotidiana. Per richiamare la sua attenzione su una determinata forma basta tenere presente che il bambino ha già ricevuto un’impressione di quella forma nel suo quotidiano, ed ora si tratta soltanto di fissarne l’idea. E’ come se, mentre stiamo guardando distrattamente la riva di un lago, un artista improvvisamente ci dice: -Com’è bella la curva che prende la costa, là, sotto l’ombra di quella rupe.-

Ed a queste parole, ciò che stavamo guardando distrattamente, si imprime nella nostra mente come se fosse stata illuminata da un improvviso raggio di sole, e noi sperimentiamo la gioia di questa consapevolezza. Il nostro dovere nei confronti del bambino è proprio questo: gettare raggi di luce sul suo cammino.

Per quanto riguarda la psicologia infantile, c’è ancor oggi una grandissima quantità di pregiudizi che allontanano da una conoscenza reale dell’argomento.  Abbiamo, fino ad oggi,  voluto dominare il bambino con la forza, con l’imposizione di leggi esterne.

E così i bambini hanno vissuto accanto a noi senza che noi potessimo conoscerli. Ma se riusciamo ad eliminare totalmente  l’artificialità nella quale li abbiamo avvolti, e la violenza attraverso cui abbiamo scioccamente pensato di educarli, allora essi ci riveleranno tutta la verità della natura infantile.

Maria Montessori

Poesie e filastrocche PAESE QUARTIERE CITTA’

Poesie e filastrocche PAESE QUARTIERE CITTA’ – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Dalla mia finestra 

M’affaccio alla finestra,
e vedo un mondo intero.
C’è una casetta bianca
e c’è un camino nero…
C’è un pezzetto di prato
e un alberello verde,
c’è, in alto, in alto, il cielo
e l’occhio ci si perde;
vi passano le nuvole,
la luna, il sol, le stelle…
nel mio piccolo mondo,
oh, quante cose belle!  (L. Schwarz)

Il mercato
Quanta gente c’è al mercato
c’è chi va per curiosare,
ma finisce per comprare.
C’è chi invece ha il tornaconto
d’ottenere un po’ di sconto
e combina pure lui
un acquisto non previsto.
Al mercato puoi trovare:
camiciole, pentolini,
scarpe, fiori, calzettini,
melanzane, cipolline
e insalate riccioline…
Quanti suoni, che colori!
Che gazzarra mamma mia;
ho la testa frastornata,
io ritorno a casa mia.
(Elpidio)

Paese 

Tre case di mattoni;
una chiesa per le orazioni;
una torre con due campane,
un forno per il pane;
la gallina che canta l’uovo
una scuola col tetto nuovo;
un vasetto con un fiore,
un giardino per chi vuole…
è un paese, ve l’ho detto,
che starebbe in un fazzoletto. ( R. Pezzani )

 

 Villaggio di montagna 

Sulla cima d’un monte verde
c’è un villaggio di poche case
che dipinto sembra nel cielo.
E’ un paese sospeso in aria
or si vede, or non si vede:
tra le nuvole si disperde.
Ma la sera, che luminaria!
C’è la luna che si dondola
sulla punta del campanile
ed è là: sembra una gondola,
a far lume a quel villaggio (G. Noventa)

 

Paesino

Paesino chiomato di vento,
fra i castagni che fan girotondo,
gaio squittire, l’estate, ti sento
col bel cuore pulito e giocondo.
La chiesina sul fianco ti sta
con tre campane rotonde e piccine
che han la dolcezza della bontà,
dentro le gole turchine, turchine. (I. Dell’Era)

 

Notte in paese

Sul paesino bianco bianco
scende la notte scura scura;
ma il cuor piccino non ha paura,
anzi è preso da un dolce incanto.
Cosa c’è che lenta si leva
per il cielo vasto e d’oro?
C’è una luna di rosa e d’oro,
che sembra un fiore di primavera.
Cosa c’è nell’aria quieta,
come un pianto grave e soave?
C’è la campana che prega l’Ave
e accarezza ogni pena segreta.
Che cos’ha per compagnia
la piazzetta solitaria?
Ha la fontana che sempre varia
la sua canzone di fantasia. (D. Valeri)

 

Paese
Tu, per me, sei tanto bello
paesello di campagna
stretto attorno al campanile:
hai due file di cipressi
tre campane
vive come melegrane,
tante azzurre campanelle
e di notte mille stelle.
Verso sera sul sagrato
porti bimbi in girotondo,
sei piccino,
ma per me sei come il mondo.
Sei piccino:
basta un lampo
perchè il campo tremi d’oro;
basta un soffio di levante
perchè il pioppo tocchi il moro.
Così bello, così bianco
non mi stanco di guardarti,
mi vien voglia di baciarti,
paesello,
paesello! (L. Davanzo)

 

Rio Bo

Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde ponticello,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla… ma però…
c’è sempre sopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso…
occhieggia con la punta del cipresso
di Rio Bo.
Una stella innamorata!
Chi sa
se nemmeno ce l’ha
una grande città. (A. Palazzeschi)

 

Alba in un paese di montagna

Rintocchi assonnati
dell’Ave Maria
nell’aria pungente.
Attorno
l’antico silenzio
e odore di pane
appena sfornato.
Seduto sul muro
del piccol sagrato
un candido vecchio
immerso nel ciel mattinale
attende paziente
che suoni la messa. (C. Gaioni)

 

Villaggio cinese

Tre capannucce formano
l’estatico villaggio;
s’incrocian tre straducole
sul ponticel di faggio;
si cela lo scoiattolo
ch’ode un bambu frusciar,
ruba oro e incenso agli alberi
l’onda e li reca al mar. (Yu – Tsuen)

 

Paese

Noi percorremmo tutto il paese nell’ora
che tornano gli asini col carico di legna
dalle cime profumate della Serra.
Raspavano le orecchie pelose contro le grezze
muraglie delle case, e tinniva, attaccata al collo,
la campanella della capretta che il vecchio
trascina al buio come un cane. Qualcuno
ci disse buona notte seduto davanti alla porta.
Le strade sono così strette e gli arredi
stanno così addossati alle soglie che noi
sentimmo friggere, al nascere della luna,
i peperoni calati nell’olio. (L. Sinisgalli)

 

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

L’uso delle schede

L’uso delle schede secondo il metodo globale e della scuola attiva: schede di ricerca, schede di esercizio e schede di recupero.

 

La scheda è un cartoncino formato cartolina sul quale è incollata un’illustrazione o enunciato un esercizio, ad esempio.

La scheda non va assegnata come compito da svolgere in un momento prestabilito. Il lavoro sulle schede segue sempre l’attività quotidiana, la affianca, secondo il principio di insegnamento individualizzato a cui la scuola si ispira.

Possiamo fare una sommaria distinzione fra:
schede di ricerca
schede di esercizio
schede di recupero.

La scheda di ricerca, viene compilata in seguito a ricerche personali del bambino o a ricerche di gruppo. Col sistema delle schede, i bambini non non personaggi passivi, seduti ordinatamente sui banchi, in supino ascolto di ciò che l’insegnante dice.

Non sono il “vaso da riempire”. Sono individui operanti che si avviano a quel lavoro di ricerca personale che darà ottimi frutti non soltanto nel lavoro scolastico, ma nella formazione spirituale e intellettuale del bambino.

Facciamo un esempio.
Un argomento di ricerca potrà scaturire da un avvenimento o dall’esplorazione dell’ambiente. Posto l’argomento, gli alunni sono invitati a fare ricerche personali, le quali però, saranno predisposte nel senso che ogni bambino o ogni gruppo ha un lavoro specifico da compiere.

Prendiamo ad esempio che l’argomento scelto sia “il bue”. Un gruppo sarà incaricato di riferirne osservando l’animale: il bue è un quadrupede, erbivoro, ruminante, ha uno zoccolo fatto così e così, ecc… Un altro gruppo può avere l’incarico di trovare tutti i nomi che possono riferirsi al bue: mucca, vitello, manzo, toro, bove, giovenca, vacca…stalla, stalliere, fieno, paglia, pungolo, giogo,…aratro, erpice, carro,… Altri bambini dovranno riferire le qualità del bue: placido, mansueto, lavoratore, erbivoro,… Altri ancora rispondere alla domanda: “cosa fa il bue?” (ara, mugge, trascina l’aratro, rumina,…)

Naturalmente i bambini, specie quelli di prima classe, dovranno essere seguiti e sostenuti in questo lavoro, per sviluppare in loro la capacità di dedicarsi alla ricerca autonoma che darà i suoi frutti negli anni successivi. Mettiamo che un bambino abbia fatto questa osservazione: “il bue mangia l’erba”. L’insegnante lo avvierà alla ricerca di altri animali erbivori, consiglierà di osservare bene il bue quando mangia, ed ecco che salterà fuori l’espressione: “il bue è ruminante”. E quindi la ricerca di altri ruminanti.

Quello che importa non è soltanto il risultato pratico del lavoro, ma quell’abitudine all’osservazione e alla ricerca personale che è il fondamento stesso dell’acquisizione intelligente del sapere.

Ma perchè questo lavoro non si può fare meglio sul quaderno, specie se l’esercizio è lungo e in una scheda non ci può entrare? Perchè la scheda invita all’ordine nella ricerca, per prima cosa; poi, trovando posto in uno schedario, permette non soltanto la consultazione, ma soprattutto l’arricchimento delle notizie in seguito ad ulteriori ricerche.

L’esercizio compiuto sul quaderno, vi resta così come è stato fatto in principio, ormai definito, completato (anche se incompleto), e soprattutto superato. Le ulteriori ricerche potranno costituire materia di un’altra esercitazione, staccata, avulsa dalla prima, e mancheranno così quel coordinamento, quell’ordine, quella sistematicità che soltanto la scheda, in quanto parte di uno schedario, potrà avere.

Schede di esercizio

Le schede di esercizio sono schede su cui è indicato un esercizio di applicazione sulle conoscenze già acquisite o da acquisire. Questo esercizio, soprattutto per quel che riguarda la prima classe, sarà corredato da illustrazioni.

L’efficacia delle schede di esercizio è anche nel fatto che ogni bambino ha un esercizio diverso dagli altri o lo può eseguire nei momenti di lavoro libero, in quanto non si tratta di un’occupazione collettiva.

Questo lo sprona, lo sollecita a compilare la scheda nel miglior modo possibile.

Per il bambino non esiste il facile e il difficile. Esiste quello che può fare e quello che non può fare; ma oltretutto, preferisce ciò che lo interessa.

Schede di recupero.

Differiscono dalle schede di esercizio soltanto perchè sono schede impiantate appositamente dall’insegnante allo scopo di farle compilare da quel dato bambino.

Non sarà il bambino a doversi adattare a un esercizio che potrebbe essere inadeguato alle sue possibilità, ma sarà l’esercizio che si adatterà a lui.

Non tutti i bambini sono allo stesso livello.

Mettiamo che ce ne sia uno che abbia difficoltà ad usare il chi e che. Se questa difficoltà non si riscontra più nel resto della classe, sarà inutile fare tutta una serie di esercitazioni collettive che finirebbe per annoiare ed ottenere scarsi risultati.

Vi sono però delle schede di esercizio appositamente preparate dall’insegnante per quel singolo bambino, ed ecco che, piano piano, questi potrà superare la difficoltà che lo inceppa. Il bambino sarà “recuperato” e potrà essere in breve alla pari con gli altri.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie per la buonanotte

Poesie per la buonanotte – una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Ninna nanna
Dormi, bimbo mio;
dal ciel ti veglia Iddio.
Un bel raggio di luna
carezza la tua cuna.
Ti circondano alati,
i bei sogni dorati.
Che pace nel tuo cuore!
Felice notte, amore!
G. Vai Pedotti

 

Ninna nanna
Si muove lenta, oscilla
la campana della sera:
din don… din don…
una nenia, una preghiera.
Anche un nido piccolino
si dondola nel vento,
anche la culla d’un bambino
ha un moto dolce e lento.
Tutto oscilla piano piano:
din don… chiudi gli occhi!
Vien la notte da lontano,
culla il mondo sui ginocchi. G. Ajmone

 

Ninna nanna
Dormi dormi, mio piccino,
van pel ciel le pecorelle
e le stelle sono agnelle,
fa la luna da pastora…
tu, piccin, non dormi ancora.
Dormi, piccolo angioletto,
dormi fino al nuovo dì,
fin che all’alba il tuo galletto
canti un bel chicchirichì. D. Gnoli

 

Ninna nanna
Ninna nanna, cocco santo
che il tuo babbo è ritornato,
t’ha portato un bel cestino
pien di rose e gelsomino;
pien di rose del buon odore,
il bambino è il nostro amore;
il bambino fa la nanna,
è il cocco santo della sua mamma. D. Valeri

 

La luna
Chiara la luna
in mezzo al cielo
corre veloce
tutta in un velo
corre veloce
perchè ha fretta
nell’altro mondo
la gente aspetta
sopra la torre
vista da qui
la luna sembra
un punto sull’i.

 

Ninna nanna
Dolce sonno, vieni a cavallo!
Fino al canto, resta, del gallo… Ninna oh!
Treppe, treppe, viene, lo sento,
soffia e sbuffa come il vento.
Scuote i fiori per le strade,
non è quella, neve che cade… Ninna oh!
Il cavallo scrolla la testa…
i sonagli suonano a festa… Ninna oh!
Il bambino s’addormentò. G. Pascoli

 

Ninna nanna al bambino malato
Che ti senti, caro figlio?
Poverino, non puoi dirlo!
L’uccellino, quando imbruna.
mette il capo sotto l’ala,
fa un batuffolo di piuma,
dorme dorme sopra la rama.
Esso ha il vento che lo picchia,
tu la mamma che ti ninna;
esso ha il vento che lo urta,
tu la mamma che ti culla;
esso ha il vento che lo schianta
tu la mamma che ti canta.
Dormi amore, dormi o fiore. G. Latronico

 

Stelline
Quattro stelline ho visto passare,
quattro stelline sull’onda del mare
Una per me, una per te,
una la vuole la figlia del re
la quarta stellina, il reuccio cattivo,
grida e comanda “La voglio per me!”
Ma la stellina si ferma a guardare,
poi sorridendo si spegne nel mare.

 

I bimbi vanno a nanna
I bimbi vanno a nanna,
col bacio della mamma.
Dentro nel nido morbido e fido,
dopo un istante dormono.
Discendon sui dormienti,
i sogni più ridenti,
veglian su di loro le stelle d’oro,
e li proteggon gli angeli.

 

Sogni d’oro
Quando brillava il vespero vermiglio
e il cipresso pareva oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
“Così è fatto lassù tutto un giardino!”.
Il bimbo dorme e sogna i rami d’oro,
gli alberi d’oro, le foreste d’oro;
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera. G. Pascoli

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie per i pasti

Poesie per i pasti – una collezione di pensieri, poesie e filastrocche per i pasti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Terra, tu il cibo ci hai dato,
sole tu l’hai maturato.
Cara terra, sole amato
il nostro cuor vi è tanto grato.

 

Come va (L. Schwarz)
Del cibo che mi mettono nel piatto
sempre ne do una parte al mio gattino
e come va che in lui diventa gatto
mentre dentro di me divien bambino?

 

Chiccolino
Un giorno chiccolino,
giocava a nascondino
nessuno lo cercò,
e allor s’addormentò.
Dormì sotto la neve,
un sonno lungo e greve
infine si svegliò
e pianta diventò.
La pianta era sottile,
flessibile e gentile
la spiga mise fuor,
di un esile color.
Il sole la baciava,
il vento la cullava
di chicchi allor si empì,
per il pane d’ogni dì.

 

 La polenta

Borbotta l’acqua, per due brocche al fuoco.
E il fuoco ride e la sua vampa cresce.
L’acqua borbotta, ma lo fa per gioco.
E ne paiolo ora la mamma mesce
farina d’oro, e i bimbi son d’attorno…
sembra che cuocia il sol di mezzogiorno!
E quando è cotta e messa sul tagliere
la mamma dice: “A tavola, ch’è pronta!”
E prende il filo, e mentre taglia conta
quanti ne vede a tavola sedere.
Nè il cuor guidò giammai mano più attenta
di questa che spartisce una polenta. (R. Pezzani)

 

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: gnomi e nanetti

Poesie e filastrocche: gnomi e nanetti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

 

Otto nanetti si tengon per mano
saltano, giocano, fanno baccano
corrono in fila ben stretti in catena
volano insieme sull’altalena
nessuno la mano dell’altro molla
appiccicati son ben con la colla
se uno salta saltano tutti
se uno cade cadono tutti
ma sempre ognuno rimane sano
porta fortuna tenersi per mano.

 

Con i rossi cappuccetti, se ne vanno giù i nanetti
presto presto la mattina, con piccozza e lanternina
viva viva il sole splende, e il nanetto giallo scende
ben felice nel profondo, bei tesori dona al mondo
verde veste barba bianca, grossa pancia mano stanca
pure noi nanetti siamo, ma dormire preferiamo
la miniera buia e scura, sempre mette a noi paura
com’è triste scender giù, torna indietro nano blu
su prendiamoci per mano, e al lavoro insieme andiamo
rossi gialli verdi e blu, bimbo vieni pure tu
oro avrai dalla miniera, pietre rare ed ogni sera
quando ti addormenterai alle stelle le darai.

 

Le stelline ci han chiamato
e dal sonno ci han destato
un gran compito ci aspetta
su al lavoro in fretta in fretta.
I tesori della terra
noi dobbiamo custodire
la natura piano piano
voi vedrete impallidire.
Raccogliamo con gran cura
le preziose polverine
che abbellito hanno le ali
delle lievi farfalline.
Poi dei lor fratelli fiori
serberemo i bei colori
e il profumo inebriante
delle più svariate piante.
Gli uccellini affideranno
a noi il loro cinguettio
e le api e gli altri insetti
di daranno il lor ronzio.
Così in grembo a Madre Terra
noi faremo tanti viaggi
finchè al sole chiederemo
il calore dei suoi raggi.
La sua calda luce d’oro
giù nelle profondità
dove non si può vedere
in segreto splenderà.

 

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Poesie e filastrocche: destra e sinistra

Poesie e filastrocche: destra e sinistra, per bambini della scuola d’infanzia e primaria, di autori vari.

 

Destra e sinistra
Con la sinistra prendo le stelle
con la destra tocco le onde belle
con la sinistra mi tocco il cuore
vedo ai miei piedi un rosso fiore
lesto lo colgo e sai perchè
con la mia destra per darlo a te

 

Destra e sinistra

Questa è la mia destra
la voglio in alto alzare
questa è la mia sinistra
che vuole il cuor toccare
la destra e la sinistra
poi fanno un girotondo
sinistra con la destra
che vanno per il mondo.

 

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Poesie e filastrocche: i numeri e le quattro operazioni

Poesie e filastrocche: i numeri e le quattro operazioni, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. E’ un materiale molto utilizzato nella scuolas steineriana o Waldorf.

Da uno a dieci
Uno due, la mucca e il bue
due tre, andarono dal re
tre quattro, leccarono il suo piatto
quattro cinque, il re prese le stringhe
cinque sei, olà soldati miei
sei sette, legatele ben strette
sette otto, e fatene un fagotto
otto nove, finchè la mucca e il bove
nove e dieci, diventino due ceci.

 

Numeri
Quando il numero uno vuoi cercare
lo trovi sopra di te, nello splendor solare.
Per me e per te, per la mucca e per il bue
noi contiamo: uno e due.
Mamma papà e bambino, vedi da te
devi contare: uno due e tre.
Quattro stagioni ci sono nell’anno
e i quattro elementi l’universo fanno;
quattro regni ci sono in natura:
l’uomo, l’animale, la pianta e la pietra dura.
In ogni mano cinque dita abbiamo
1, 2, 3, 4 e 5, è con loro che contiamo.
E cinque dita le ha anche il piede, in basso,
danno loro equilibrio e solidità al mio passo.
Se le dita delle due mani contiamo
1 2 3 4 5 6 7 8 9 e al dieci arriviamo.
I diversi numeri del mondo
si stanno intorno da quando siamo nati
ma mai potremo contare, a dire il vero,
tutte le stelle che ci sono in cielo.

 

Numero tre
Io, tu e lui
noi siamo il tre.
Sole, luna e terra
sono il tre.
Mamma papà e bimbo
sono il tre;
terra acqua ed aria
sono il tre.
Testa, cuore ed arti
poi nominare in te
volere sentire e pensare
sono il tre.
Ed ecco perchè
del numero tre
la forma possiamo dare
a tutto il nostro fare.

 

Numerazione del 3
1 2 3 se tu vuoi saper perchè
4 5 6 ti dirò che è stata lei
7 8 9 ti darò tutte le prove
10 11 12 eravamo bagnati fradici
13 14 15 punzecchiati dalle cimici
16 17 18 abbiamo deciso di far fagotto
19 20 21 non è rimasto più nessuno
22 23 24 per la strada incontrammo un matto
25 26 27 che voleva tagliarci a fette
28 29 30 che giornata, santa polenta!

 

Numerazione del 4
1 2 3 4 abbiamo comprato un gatto matto
5 6 7 8 ed insieme anche un leprotto
9 10 11 12 siamo stati a vedere i comici
13 14 15 16 sono venuti pure i medici
17 18 19 20 che per il freddo battevano i denti
21 22 23 24 anche il leprotto diventò matto
25 26 27 28 e decise di far fagotto
29 30 31 32 andò a chiamare l’asino e il bue
33 34 35 36 ma erano partiti già per Canazei
37 38 39 40 quanta paura, tanta tanta!

 

Pinocchietto
Pinocchietto va a palazzo
con i libri sotto il braccio
la lezione non la sa
certo un 4 piglierà
con il 5 non si passa
con il 6 così così
con il 7 ben benino
con un 8 ben benotto
con il 9 professore
con il 10 direttore.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Filastrocche per esercizi ritmici in cerchio

Filastrocche per esercizi ritmici in cerchio, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Sono molto utilizzate nella scuola steineriana.

 

Le lavandaie

In cerchio, a tre voci, parte il gruppo delle lavandaie
Noi siamo lavandaie
qui pronte per lavar
senza sapone ed acqua
belli non si può stare
ciac… ciac…ciac…ciac…
le lavandaie continuano con l’ostinato, (ciac ciac) senza perdere il ritmo, ed entrano i falegnami
Noi siamo falegnani
qui pronti per segar
tavole panche armadi
vogliamo preparar
frr… frr… frr… frr…
lavandaie e falegnami continuano coi loro ostinati (ciac ciac, frr frr, ed entrano i falegnami
Noi siamo spaccalegna
qui pronti per spaccar
i ciocchi prepariamo
per chi si vuol scaldar
zac… zac… zac… zac…
l’insegnante fa entrare i vari gruppi mentre chi non è chiamato tiene il suo ostinato.
Anche con gesti.

 

Il ciabattino

 

Ripasuole ciabattino
fa le scarpe per benino
punteruolo pece ed ago
son gli attrezzi di quel mago
punta punta, tondo tondo,
noi giriamo tutto il mondo
La filastrocca, ben ritmata, si abbina ad esercizi di abilità: toccarsi il tallone destro con la mano sinistra davanti o dietro, saltare, …

 

Co co co

 

Co co co, che c’è di nuovo?
La gallina ha fatto l’uovo.
Co co co, finchè potrà
la gallina coverà.
Co co co, che cosa è stato?
La gallina ha già covato.
Tic tic tic, che c’è di nuovo?
Il pulcino è dentro l’uovo.
Tic tic tic, un colpo secco
e lo rompe col suo becco.
Ecco aperto l’usciolino
Oh, buondì, signor pulcino.
co co co, tre battute con le mani. Verso successivo coi piedi, alternando.

 

Il mio piede

 

Il mio piede ancora striscia,
è parente della biscia.
Il mio piede sa sognare
e si lascia sollevare.
Il mio piede, non par vero,
or sa muoversi leggero.

 

 

Il rinoceronte (L. Schwarz)
Il rinoceronte, che passa sul ponte
che salta che balla, che gioca alla palla
che sta sull’attenti, che fa i complimenti
che dice buongiorno, girandosi intorno
e gira e rigira, la testa gli gira
che non ne può più, e pum casca giù.

 

Lia e Leo

Lia correva, Leo leggeva, quando udirono un rumor
e una mela da una pianta, cadde a un tratto in mezzo a lor
Leo la vide, Lia la prese, lesta lesta e via scappò
Corse Leo, ma sulla scala, già la Lia s’arrampicò
Leo guardava, Lia rideva, Leo frignava: “Dalla a me!
Io per primo l’ho veduta, dunque proprio tocca a me!”
“Tu l’hai vista, io l’ho pigliata!” Lia mangiando ribattè
“Dunque a te guardarla tocca, e mangiarla tocca a me”

 

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Canzoncina: Questo è il pollice

Canzoncina: Questo è il pollice. Una canzoncina tradizionale, per i più piccoli, per imparare il nome delle dita della mano. Con testo, istruzioni di gioco, traccia mp3 e spartito stampabile.

Canzoncina: Questo è il pollice
Testo

Questo è il pollice, eccolo qua.
Ciao come stai? Tanto bene grazie,
vado via, scappo via.

Questo è l’indice, eccolo qua.
Ciao come stai? Tanto bene grazie,
vado via, scappo via.

Questo è il medio, eccolo qua.
Ciao come stai? Tanto bene grazie,
vado via, scappo via.

Questo è l’anulare, eccolo qua.
Ciao come stai? Tanto bene grazie,
vado via, scappo via.

Questo è il mignolo, eccolo qua.
Ciao come stai? Tanto bene grazie,
vado via, scappo via.

Questa è la mano, eccola qua.
Ciao come stai? Tanto bene grazie,
vado via, scappo via.

Canzoncina: Questo è il pollice
Come si mima

Si inizia tenendo le mani chiuse a pugno dietro la schiena.

Quando la canzone nomina un dito, si porta la mano destra davanti con il dito ben teso verso l’alto.

Poi si fa lo stesso con la mano sinistra ponendola di fronte alla destra.

Tra le dita della mano si svolge un dialogo come nella canzone, facendo muovere alternativamente il dito della mano destra e quello della sinistra.

Alle parole “Scappo via”, si riportano entrambe le mani dietro la schiena.

Canzoncina: Questo è il pollice
Spartito e file mp3 qui:

Poesie e filastrocche per i più piccini: le dita della mano

Poesie e filastrocche per i più piccini: le dita della mano. Una collezione di poesie, filastrocche e giochini, di autori vari, per imparare i nomi delle dita della mano nella scuola d’infanzia.

Questo è il tozzo e buon fornaio, con la pancia tonda tonda
questi corrono in suo aiuto, senti allor cos’è accaduto
questo deve fare il pane, ma gioca sempre col cane
questo i biscotti in forno mette, ma poi dorme fino alle sette
Questo deve ornar la torta, ma è la faccia che si sporca
questo porta i bei panini, ma poi cade dai gradini
ecco arriva il buon fornaio e per voi sarà un bel guaio
sgrida forte gli aiutanti, e li scaccia tutti quanti.

Disse il pollice: che fame
disse l’indice: non c’è pane
disse il medio: che faremo?
l’anular: lo ruberemo
disse il mignolo: ma no, a rubar io non ci sto.

Pollice un giorno cadde nel pozzo
indice corse a tirarlo su
medio lo asciugò ben bene
anulare gli preparò una zuppa col formaggio
e mignolino se la mangiò tutta adagio adagio.

Il piccolo mignolo, così per giocare
montò sulla groppa del buon anulare
e questi dal medio, pian piano, bel bello
si fece portare con l’altro fratello
il medio ch’è forte, ma un po’ fannullone
del povero indice montò sul groppone
ma il pollice furbo si mise a fuggire
e l’indice lesto lo volle insegnuire
e ancora lo insegnue coi tre sulla groppa
e intanto la mano galoppa galoppa

(si accavallano le dita una sull’altra a partire del mignolo, poi la mano galoppa)

La mia mano ha cinque dita, e racconta la sua vita.
Dice il pollice, dito ciccione: “Io sono il padrone!
Senza di me non infila l’ago nemmeno il Re.
E dai piccini sono succhiato come un gelato.”
Subito l’indice si alza e dice:
“Io insegno la strada al turista e al ciclista,
e suono il campanello alla porta del castello.”
Il medio allora dice: “Io tengo il ditale
alla sartina che fa la vestina,
ticchete tacchete tà, ago che viene, ago che va”.
Zitti zitti, l’anulare sta per parlare:
“Io ho poca voglia di lavorare,
ma sono il più bello perchè ho l’anello.
Così adornato sono da tutti molto ammirato.”
Alla fine parla il piccino, che si chiama mignolino:
“Nessuno è più piccolo di me, ma se suono il violino
scivolo sulle corde come un ballerino.
Perciò voglio dire la verità:
la sinfonia da solo suonar non potrei, senza tutti i fratelli miei.”

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Bambole e giochi Waldorf

Bambole e giochi Waldorf. La domanda su cosa sia veramente il gioco e quale significato sia da attribuire al giocattolo, sembra diventare sempre più difficile.
Troppo facilmente il giocare viene scambiato con il puro e semplice essere occupato.
Si è contenti, quando i bambini fanno qualche cosa e ci si chiede troppo poco sulle forze che vengono di volta in volta suscitate e chiamate ad agire sul bambino.
Vogliamo abbozzare qualche pensiero e dare alcuni esempi pe stimolare le possibilità di osservazione e una comprensione più profonda.

Sempre, quando incontriamo dei bambini in attività, da soli o in piccoli gruppi, possiamo vedere  che, se giocano veramente, rappresentano scene di vita quotidiana. La persona adulta ha per loro una grande importanza.
All’adulto essi alzano gli occhi con ammirazione. In sua presenza sperimentano con lui imposta la sua vita in casa, sulla strada, nei negozi, nel rapporto con le altre persone, ecc…, come si preoccupa per la famiglia, per la casa, come domina la tecnica.
Tutte queste esperienze danno degli impulsi per diventare attivi per ciò che noi chiamiamo giocare. La più grande soddisfazione dei bambini nasce come conseguenza di processi molto faticosi.

 

Ad esempio, se dei bambini di 5 o 6 anni vogliono avere un tipo particolare di automobile, per esempio un’ambulanza, in cui poter anche salire, avranno bisogno non solo di molta fantasia, ma anche di molta abilità, pazienza e forza di volontà.
Eccoli allora mettersi all’opera coi mezzi più semplici: tavolo, cavalletti, sedie, sgabelli, eventualmente delle tavole ben piallate, vengono avvicinate o poste una sopra l’altra in modo adeguato.
Il tutto viene ricoperto e chiuso con dei teli. Le mollette da biancheria offrono in questo caso un prezioso aiuto. Dei legni con la corteccia diventano il paraurti, i fari, il tubo di scappamento, il cambio e il freno; un disco di legno diventa il volante, un pezzo di corteccia sistemato artisticamente lo specchietto retrovisore. Dei cordoncini di lana legati uno all’altro, dei nastri per corone arrotolati saranno le luci di posizione e dei freni. Il lampeggiatore sul tetto viene fatto funzionare da un bambino che siede sopra il veicolo e gira la sua mano.

All’inizio di un tale gioco c’è per lo più l’idea dell’auto speciale e l’impulso a costruirla.
Durante la costruzione, in rapporto ai diversi materiali e ai compagni di gioco, arrivano le singole idee per l’elaborazione, l’allestimento e i miglioramenti. E ogni volta che un’idea ha preso forma, subentra la più grande soddisfazione.
A questo punto ci imbattiamo in una domanda: che cos’è che fa diventare un pezzo di corteccia uno specchietto retrovisore?
Niente altro che la fantasia infantile.
E questa corteccia sarà lo specchietto retrovisore finchè la fantasia dei bambini in questione lo vorrà. Un pezzetto di corteccia analogo può servire allo stesso tempo ad un altro gruppo di bambini come cornetta del telefono, pattino o barchetta.

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Osservatori inesperti possono chiedersi quand’è che i bambini arrivano al gioco vero e proprio, se ogni volta devono impiegare così tanto tempo per fabbricarsi i propri giocattoli.
Poi vedono con sorpresa, che dopo averlo usato per poco tempo o addirittura poco prima della sua conclusione, il tutto viene smontato, trasformato e ricostruito in un altro posto.
Giocare significa dunque essere nel processo, non servirsi di un prodotto finito.

L’uomo, e in modo particolare il bambino piccolo, è un essere in divenire. Anche nell’ambiente che lo circonda, ha bisogno di trovare la possibilità di trasformare, di creare qualcosa di nuovo. Non sono le cose perfette e compiute che rinfrancano, soddisfano e danno forza al bambino. Questo vale in modo particolare per i giocattoli.

I giocattoli dovrebbero avere la caratteristica di sollecitare la fantasia del bambino, in modo tale che egli possa scoprirvi ogni volta qualcosa di diverso.

Un ramo piegato e con più diramazioni, ricoperto completamente con un telo può essere una montagna in un paesaggio; ricoperto solo a metà una grotta per i nani, una stanza delle bambole, una stalla. Un bambino, tenendolo sulla testa, può andarsene in giro a passi maestosi facendo il cervo, un altro può usarlo come falce per tagliare l’erba, un altro come strumento musicale.

Un pezzo di legno tondo spaccato a metà e con un breve ramo laterale, si trasforma in locomotiva, distributore, radio, ferro da stiro o scivolo per il parco giochi della bambola.

 

Non ogni giocattolo si lascia trasformare in questo meraviglioso modo. Certamente diamo ai bambini anche degli oggetti, che sono più formati e che lasciano intravedere una tipica figura umana o di animale, un ponte o una macchina.
Ma non è necessario che essi rappresentino la maggioranza di tutti gli oggetti presenti nella stanza del bambino.

Se poi rivolgiamo attenzione particolare a quei materiali che sostengono e favoriscono un tipo di gioco come quello di cui abbiamo parlato sopra, allora noi diamo nutrimento a quelle forze infantili che premono per essere messe in attività, rafforzarsi ed essere poi a disposizione come potenzialità per altri compiti, durante il periodo della scuola e più tardi nella vita.

In questo tipo di gioco il bambino può sperimentare in modo libero, e nell’essere attivo può conoscere il mondo.

Il collegamento con il mondo può avvenire non solo con la mente, ma andando molto più in profondità, fino nelle funzioni vitali. Questo dà al bambino fiducia e sicurezza interiore.

Per l’adulto è difficile immedesimarsi nel mondo di fantasia del bambino e nell’operare delle sue forze. Troppo facilmente vorrebbe condividere con i bambini il fascino, la gioia, il piacere di guardare oggetti in miniatura, perfette imitazioni o perfino figure umane e animali deformate in caricature.

Ma i “godimenti” non danno ai bambini alcun paradiso, al contrario aiutano a perderlo.
I giochi, cioè l’essere attivi, li mantengono sereni.

 

Un giocattolo offre un godimento solo attraverso il suo aspetto esteriore, serenità solo attraverso il suo uso.
Ciò che rende e mantiene sereno e felice è proprio l’attività, e i giochi dei bambini non sono altro che l’espressione di un’attività seria, rivestita di leggerezza.
Il gioco del bambino non è mai un’attività fatta superficialmente, ma un agire pervaso di profonda serietà.

Se oggi questo non avviene, con alcuni bambini, la causa è da ricercare raramente in loro stessi, bensì nell’ambiente che li circonda: il comportamento degli adulti o il tipo di giocattoli messi a loro disposizione, ha fatto sì che andasse persa la capacità di un gioco pieno di dedizione.
Se si è consapevoli delle necessità pedagogiche, si può rimediare.
Chi ha bambini piccoli attorno a sè, non dovrebbe mai dimenticare di avere una profonda influenza sulle forze di volontà dei bambini attraverso tutte le sue attività e soprattutto attraverso il modo in cui lui è attivo.

Il bambino accoglie in sè tutti gli avvenimenti e le esperienze provenienti dall’ambiente dell’adulto che è attivo intorno a lui, le afferra con la sua volontà, le porta dentro di sè con l’imitazione e dà forma al suo modo di giocare.
E’ importante perciò che l’adulto, in presenza del bambino, sia attivo.
Una mamma quando per esempio lava la verdura, scopa la stanza o stira, agisce in modo molto più stimolante che se scrivesse una lettera; e così il papà che lava l’automobile è più stimolante che se legge il giornale.

Il fatto che il bambino impara attraverso l’imitazione porta con sè la conseguenza che l’adulto, in presenza del bambino, dovrebbe comportarsi in maniera degna di essere imitata.
L’adulto può arrivare a interiorizzare questo fatto a tal punto da diventare capace, col tempo, di guidare il bambino molto più attraverso l’imitazione che attraverso spiegazioni e proibizioni.

Gioco e lavoro, un’apparente contraddizione dal punto di vista dell’adulto.

Ma la differenza tra il gioco del bambino e il lavoro dell’adulto sta solo nel fatto che il lavoro deve adeguarsi ad una meta esteriore, l’attività del bambino invece origina da impulsi che nascono dalla sua stessa interiorità, dalla sua fantasia, senza una precisa responsabilità di fronte ad altri uomini o verso la cosa stessa.

Si può dire che il lavoro è determinato dal di fuori, il gioco dal di dentro.

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Il giocattolo da uno a tre anni

Da uno a tre anni i bambini stanno soprattutto con la mamma, e il loro più grande piacere è trafficare con mestoli, pentole, ecc…

Per questo sono sufficienti solo poche cose nell’angolo dei giochi:

. una grande bambola coi nodi (telo quadrato con il lato di circa 70cm, testa dimetro 12cm)

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continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie e filastrocche: I gatti

Poesie e filastrocche: I gatti. Una raccolta di poesie e filastrocche sui gatti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il giornale dei gatti
I gatti hanno un giornale
con tutte le novità
e sull’ultima pagina
la “Piccola Pubblicità”.
“Cercasi casa comoda
con poltrone fuori moda:
non si accettano bambini
perchè tirano la coda”.
“Cerco vecchia signora
a scopo compagnia.
Precisare referenze
e conto in macelleria.”
“Premiato cacciatore
cerca impiego in granaio”.
“Vegetariano scapolo,
cerca ricco lattaio.”
I gatti senza casa
la domenica dopopranzo
leggono questi avvisi
più belli di un romanzo:
per un’oretta o due
sognano ad occhi aperti,
poi vanno  a prepararsi
per i loro concerti. (G. Rodari)

Il mio gattino
Com’è bello il mio gattino,
tutto nero e vellutato,
bianco solo ha il bel nasino
come fosse incipriato.
Ha due baffi… oh che baffoni!
E gli occhietti? …che bricconi!
Lo vedeste! M’è d’attorno
a scherzare tutto il giorno;
e se, stanca, m’allontano,
torna presto, piano piano.
Quando, attenta, fo il dovere,
mi disturba… ch’è un piacere:
e la penna, che va in fretta
vuol fermar con la zampetta. (P. Marcati)

Ninna nanna
Sui tetti è il gatto nero,
che sta sopra pensiero.
Dall’alto del camino
si affaccia un topolino,
ma vede il gatto e scappa,
va giù dentro la cappa.
Si salva il topolino
e dorme il mio bambino. (C. Del Soldato)

Il codino traditore
Il codino
di un topino
fuor da un buco un dì spuntò.
Venne il gatto
quatto quatto,
e coi denti l’afferrò.
Il topino,
poverino,
pianse forte e si lagnò.
Proprio in quella,
questa è bella,
un gran cane capitò.
Ed il gatto,
quatto quatto,
impaurito se ne andò.
Il topino
il suo codino
dentro il buco ritirò. (A. Cuman Pertile)

 

Il gatto
Sulla sedia accoccolato
fa l’ipocrita, il ghiottone,
tu lo credi addormentato
ma non dorme, quel sornione!
Tutto vede, a tutto è attento,
e prepara il tradimento. (E. Berni)

 

Musotondo
Il mio gatto Musotondo
verdi ha gli occhi e il pelo biondo.
Col nasetto impertinente
canzonar sembra la gente.
E’ una birba a tutta prova
che ogni dì ne fa una nuova:
proprio adesso il bricconcello
s’è cacciato in un cappello.
Vi si affaccia da padrone
quasi fosse il suo balcone.
E da lì contempla il mondo
il mio gatto Musotondo. (L. Schwarz)

 

Il mio gattino
Fufi, ha nome il mio micetto;
è carino e assai furbetto,
il suo pelo è bianco e nero,
un musin poco sincero.
Con lui gioco di sovente,
mi diverto lungamente;
lui si lascia, poverino,
prender anche pel codino.
La pazienza perde presto
sol se troppo son molesto;
ed allor che fa il micino?
Sa allungare lo zampino.
Quando dormo nel lettino
mi si accosta pian pianino;
s’accovaccia, poi m’annusa,
poi si mette a far le fusa.
Quando mamma via lo caccia,
perchè ha fatto il malandrino,
egli corre fra le braccia
del suo caro  padroncino. (D. Vignali)

Preghiera del gatto
Signore,
sono il gatto.
Non che abbia qualcosa da chiederti!
No…
Non chiedo nulla a nessuno;
ma,
se per caso, in qualche granaio del cielo,
tu avessi un topolino bianco,
o un piattino di latte,
conosco qualcuno che lo gradirebbe.
Non maledirai un giorno
tutta la razza canina?
Se così fosse direi:
così sia.
(C. Bernos de Gasztold)

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie e filastrocche sul fuoco

Poesie e filastrocche sul fuoco – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La fiamma
Io sono la fiamma,
di rosso vestita
che fischia e scoppietta,
che sibila ardita
che lesta serpeggia,
che alzandosi fugge
io sono la fiamma,
che tutto distrugge.
Io sono la fiamma,
che sprizza faville
che aspira, s’innalza,
che schizza scintille
che scalda, che cuoce,
che splende, che fuma
io sono la fiamma,
che tutto consuma.
G. Noseda

 

Fiamma
… e la fiamma guizza e brilla
e sfavilla
e rosseggia balda audace,
e poi sibila e poi rugge
e poi fugge
scoppiettando da la brace…
da Congedo di G. Carducci

 

Il fuoco
Con la tua viva fiamma
con le tue rosse braci,
fuoco della mia caa
tanto tanto mi piaci.
La tua voce piccina
mi tiene compagnia:
rallegra, la tua luce,
la casettina mia.
Mi racconta del bosco
le serene storielle,
quando i rami sognavano
col sole e con le stelle.
Tu mi scaldi le mani
i piedi infreddoliti,
mi cuoci i cibi buoni
asciughi i miei vestiti.
Ti voglio bene, fuoco,
della casetta mia
che mi doni tepore
dolcezza ed allegria.
T. Romei Correggi

 

Cantilena
Un legno non fa fuoco
e due ne fanno poco;
con tre fai un fuocherell,
con quattro l’hai più bello.
Che se poi tu ci metti
del bosco due ciocchetti,
che vivida fiammata,
che bella la vampata!
Che soave colore
che ti consola il cuore!
E salgono le faville
al cielo a mille a mille
a cercare le stelline,
lontane sorelline.
E. Camillucci

 

Il fuoco
Com’è gaio, com’è bello
nel camino il fuocherello!
Giallo, rosso, a lingue, a sprazzi,
tutto fiamme, tutto razzi!
Par che dica: “Su, piccino,
vieni, vieni qui vicino!”.
“No no no, non ci verrò:
che tu bruci io ben lo so!
Perciò caro focherello,
che scoppietti allegro e bello,
ti saluto con la mano
ma da te sto ben lontano!”
Hedda

 

Dinanzi al caminetto

Io la sera intera
spendo con gran diletto
dinanzi al caminetto.
Danzan le fiamme sugli enormi alari
volubili e scherzose e suonan liete
la stanza empiendo di giocondi e vari
riflessi, mentre sopra la parete
si muovono inquiete
l’ombre e i profili neri
dei mobili severi. (V. Bettelloni)

 

Caminetto

Ancora non accesa è la lucerna
ma la stanzetta è tutta chiara, e brilla
a tratti con la fiamma che sfavilla
come un’occhiata lucida materna.
E mentre il vento strepita di fuori
e batte alle finestre con dispetto,
noi c’indugiamo presso il caminetto
che allegramente scalda i nostri cuori.
I cuori scalda e illumina la faccia
china nell’ombra sugli antichi alari,
ed incoraggia i lieti conversari
ed i pensieri lugubri discaccia. (M. Moretti)

 

Le monachine

Siedono i bimbi intorno al focolare,
e pigliano diletto
coi visi rubicondi a riguardare
le monachine, mentre vanno a letto.
“Oh monachine scintillanti e belle
che il camin nero inghiotte,
volate forse a riveder le stelle?
Buona notte, faville, buonanotte.
Mandano i tizzi un vago scoppiettio
mentre che voi partite:
forse è una voce di gentil desio
che vi prega a restare, ma voi salite,
ma voi salite frettolose a schiere,
però che è giunta l’ora
e ritarda le stelle a rivedere
e a sè vi chiama una miglior dimora.
“Dove li avete i candidi lettini
a cui volate a frotte?
Forse tra i coppi, accanto agli uccellini?
Buona notte, faville, buonanotte.
Siedono i bimbi intorno al focolare,
assorti in tal pensiero:
le monachine seguono a volare
su per la cappa del camino nero. (E. Panzacchi)

 

Poesie e filastrocche sul fuoco – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche ACQUA

Poesie e filastrocche ACQUA – una raccolta di poesie e filastrocche sull’acqua, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La goccia (G. Noseda)

Io sono la piccola
garrula goccia
che sgorga timida
fuor dalla roccia
sono la gocciola
fresca e lucente
che scende querula
lungo il torrente
sono la tremula
splendente stilla
che mite e placida
nel lago brilla
e con innumeri
gocce sorelle
nell’ampio oceano
specchio le stelle.

 

Acqua (E. Minoia)
Acqua fresca che saltelli,
canticchiando sopra i massi
ti salutan gli alberelli,
ristorati quando passi.
E son liete l’erbe e i fiori,
di specchiarsi nel tuo seno
mentre in altro ti sorride,
il bel ciel terso e sereno.

 

Amo (G. Noseda)
Amo il bel fuoco ardente,
e rosso, che scintilla
che s’alza arditamente,
che scalda, guizza e brilla.
La luce amo, splendente,
di qua, di là, d’intorno
che chiara e trasparente,
mi rende bello il giorno.
Amo l’acqua fluente,
azzurra tersa e viva
distesa dolcemente
tra l’una e l’altra riva.
Amo la terra bruna che,
madre di noi tutti
nel grembo suo ci aduna,
e nutre dei suoi frutti.

 

La canzone dell’acqua
Sotto il ponte, l’acqua chiara
fa una conca, tutta cielo;
vi si specchiano, ridendo,
due casette e un pino nero.
Ma, correndo, l’acqua canta
le novelle ai pesciolini,
quelli verdi e quei d’argento,
che s’inseguon più piccini:
“Nasco, su, da una sorgente
fra due sassi di montagna;
son ruscello e poi torrente,
son cascata e poi fiumana;
ma di correre ho gran fretta,
perchè il mar, laggiù, m’aspetta.
Il gran mar con le tempeste,
le balene e i pescicani
e le navi che van leste
ai paesi più lontani. (M. Mazza)

 

L’acqua
Ora sonante e torbiba
precipito dal monte,
or limpida e freschissima
zampillo dalla fonte.
Nel basso piano immobile,
talora imputridita,
coi miasmi pestiferi
insidio la tua vita.
Ed or con veste candida,
bella figlia del cielo,
il suol ricopro e gli alberi
del soffice mio velo.
Così, irrequieta, instabile,
muto forma e colore;
son limpida, son solida,
sono tenue vapore. (E. Berni)

 

L’acqua
Acqua pura di sorgiva
chi ti tocca ti sente viva,
chi ti porta via col secchio
porta il cielo in uno specchio.
Beve luce chi ti beve,
eri nuvola, eri neve,
eri canto di fontana
eri squillo di campana.
Sei la gioia del giardino
sei la forza del mulino.
Pellegrina affaccendata
tornerai dove sei nata. (R. Pezzani)

 

Acqua
Sempre indocile, trepida, infantile,
con che dolcezza timida ti lagni
nella discreta pace di un cortile!
Ma lietamente garrula, tra spini
d’agreste fosso, il misero accompagni
per ombre solitarie di cammini. (F. Pastonchi)

 

Fontanella
Perchè stasera la fontanella
piange con tanta malinconia?
Eppure è nata di già una stella
e farle un poco di compagnia.
E non è molto che la comare
venne ad attingere l’ultima secchia,
non fece quindi che chiacchierare
allegramente con ogni vecchia.
La luna, invece, tanto curiosa,
nella sua lunga pallida via,
di sopra i tetti vide, ogni cosa,
sa d’ogni pena, lieve che sia.
E sa che, quando l’aria dorata
a poco a poco si fa più scura,
forse sentendosi abbandonata,
la fontanella quasi ha paura. (Guazzoni)

 

La fontanina
Sola, ai piedi del monte
tutto verde di aberi,
sta una piccola fonte
che sa molti segreti.
Sa i segreti dei grilli
e i sospiri dei fiori,
d’ogni uccello sa i trilli
e d’ogni alba i colori.
Nelle notti d’argento
mormora una canzone
e ridice col vento
le novelle più buone.
Sembra, il suo mormorio
gentile, una preghiera
che salga verso Dio
da un’anima sincera. (T. Stagni)

 

Filastrocca della fontana
Fontanella d’acqua ricciuta,
dico a tutti che t’ho bevuta:
ho bevuta quest’acqua matta,
cielo caduto, neve disfatta,
questa luce limpida e pronta
che un po’ canta e un po’ racconta. (R. Pezzani)

 

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Canto: Maggiolata

Canto: Maggiolata (dalla poesia di Giosuè Carducci), con spartito  stampabile, traccia mp3  e testo. Per bambini della scuola primaria.

Maggiolata

Maggio risveglia i nidi
maggio risveglia i cuori
porta le ortiche e i fiori
i serpi e l’usignol.

Schiamazzano i fanciulli
in terra e ciel augelli
le donne han nei capelli
rose e negli occhi il sol.

Tra colli prati e monti
di fior tutto è una trama
canta germoglia ed ama
l’acqua la terra il ciel.

Versione cantata della poesia di Giosuè Carducci

Spartito stampabile e file mp3 qui:

 

Canto: La rondinella

Canto: La rondinella. Con testo, spartito stampabile (per flauto dolce e canto) e traccia mp3. Per bambini della scuola primaria.

Testo

Son qui sulla gronda,
che canto gioconda,
gli occasi e i mattini,
di porpora e d’or,
che tesso ai piccini,
la casa superba,
con muschi con erba,
con larve di fior.

Su prore ed antenne,
posando le penne,
fra il marzo ed il maggio,
mi reco dal mar,
e scordo il viaggio,
pensando al mio nido,
se un portico fido,
se un embrice appar.

Gran Dio se ti piacque,
recarmi sull’acque,
se l’esca segreta,
trovar mi fai tu,
deh rendimi lieta,
d’un raggio di sole,
pel nido e la prole,
non cerco di più.

Spartito stampabile e file mp3 qui:

Canto: Primavera

Canto: Primavera. Con testo, traccia mp3 e spartito stampabile, per bambini della scuola di infanzia e primaria.

Testo

Un ramo di pesco
vestito di rosa
un cantico fresco
nell’aria odorosa
un nido, un grido,
il sole, tre viole,
un soffio di vento,
un rosso di sera…
e il cuore è contento
perchè è primavera.

Spartito stampabile e file mp3 qui:

Canto: Primavera sta per tornar

Canto: Primavera sta per tornar. Con testo, spartito stampabile (per flauto dolce e canto) e traccia mp3; per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Testo:
Cucu cucu sento cantare,

cucu cucu sento cantar

trillan gli uccelli,

fremono i fiori,

primavera sta per tornar.
Cip cip cip cip sento trillare,

fru fru fru fru sento stormir.

Trillan gli uccelli,

fremono i fiori,

primavera sta per tornar.
La la la la, noi pur cantiamo,

hop hop hop hop, noi pur saltiam.

Lieti cantiamo, lieti saltiamo,

primavera sta per tornar.

Spartito stampabile e file mp3 qui:

Poesie e filastrocche: Le quattro stagioni

Poesie e filastrocche: Le quattro stagioni. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

I doni
Primavera vien danzando,
vien danzando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
ghirlandette di farfalle
campanelle di villucchi,
quali azzurre quali gialle
e poi rose a fasci e a mucchi.
E l’estate vien cantando,
vien cantando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
un cestel di bionde pesche
vellutate, appena tocche,
e ciliegie lustre e fresche
ben divise a mazzi e a ciocche.
Vien l’autunno sospirando,
sospirando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
qualche bacca porporina
nidi vuoti rame spoglie,
e tre gocciole di brina
e un pugnel di morte foglie.
E l’inverno vien tremando,
vien tremando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
un fastel d’aridi ciocchi
un fringuello irrigidito,
e poi neve neve a fiocchi
e ghiaccioli grossi un dito.
La tua mamma vien ridendo
vien ridendo alla tua porta;
sai tu dirmi che ti porta?
Il suo vivo e rosso cuore,
e lo colloca ai tuoi piedi,
con in mezzo, ritto, un fiore;
ma tu dormi e non lo vedi. (A. S. Novaro)

Le stagioni

Diceva primavera: “Io porto amore
e ghirlande di fiori e di speranza”.
Diceva estate: “Ed io, col mio tepore,
scaldo il seno fecondo all’abbondanza”.
Diceva autunno: “Io spando a larga mano
frutti dorati alla collina e al piano”.
Sonnecchiando diceva inverno annoso:
“Penso al tanto affannarvi e mi riposo”.

Le quattro stagioni
Di fior si smaltano prati e giardini
attorno un’aura spira leggera;
gioite: arriva per voi, bambini, la primavera.
Ma già nel campo matura il grano,
dal sol le viottole sono infocate;
cantan cicale… suda il villano:
ecco l’estate.
Cade il settembre: le viti spoglie
furon dell’uve di licor piene,
l’aria rinfresca, cadon le foglie:
l’autunno viene.
Le notti allungano, s’infosca il cielo;
dal freddo il fiore spira consunto;
sulla campagna domina il gelo:
l’inverno è giunto. (E. Panzacchi)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche – Il giorno e la notte

Poesie e filastrocche – Il giorno e la notte: una raccolta di poesie e filastrocche sul tema “il giorno e la notte”: le ore del giorno, la sera, l’alba, la luna, le stelle, il sole, ecc…

Le ore del giorno
Quando l’alba si avvicina
canta il gallo alla gallina
chicchirichiiiii!
Or che il sole s’è levato
ronza l’ape sopra il prato
zzzzzz!
e c’è pure l’agnellino
bruca e bela, poverino
beeeh!
Ecco l’ora meridiana
canta allegra la campana
din don!
Sulla strada l’asinello
sta incontrando suo fratello
ih oh!
Quando il sole si allontana
gracidando va la rana
cra cra!
Or la luna sale in cielo
trilla il grillo sullo stelo
cri cri!
Brilla solo un lumicino,
dorme quieto ogni bambino.

La sera
Tutt’intorno alla casa,
c’è un giardino di ciliegi.
Tutt’intorno ai ciliegi,
ronzano i calabroni.
Tornano gli aratori con l’aratro.
Le fanciulle camminano cantando.
Aspettano, le madri, con la cena.
Sotto i ciliegi,
la famiglia siede a mensa.
S’accende
la stella del vespro. La figlia
porta la cena in tavola. La madre
le vorrebbe insegnare… Ma non può.
L’usignolo le tronca la parola.
La madre dispone,
vicino alla casa,
i più piccoli figli.
Li fa addormentare.
Si addormenta con loro. Tutto tace.
Soltanto le fanciulle
non tacciono. E l’usignolo. (T. Scevcenko)

Canto d’uccellino
In cima a un’antica pianta,
nel roseo del ciel del mattino,
un uccelletto piccino
(oh, come piccino!) canta.
Canta? Non canta, cinguetta;
povera piccola gola,
ha in tutto una nota sola
e quella ancora imperfetta.
Perchè cinguetta? Che cosa
lo fa parer sì giulivo?
S’allegra d’essere vivo
in quella luce di rosa. (A. Graf)

L’alba sale
L’alba sale. Batte
qualche porta, qualche imposta;
i primi carri del latte
traballano, fanno sosta.
L’alba sale…
… e in alto, ancor più in alto, come un fiore
sullo stelo
tra le aiuole
delle nuvole, il sole, il sole, il sole! (N. Oxilia)

L’alba
Tutta dolce, tutta bianca,
l’alba sale il cielo azzurro…
Corre un fremito, un sussurro
sulla terra non più stanca;
ogni fiore si ridesta,
gli uccellini fanno festa…
Sorge a un tratto il sole d’oro;
bimbi ed uomini, al lavoro! (E. Bossi)

 

Le stelle
“Mammina, contiamo le stelle?”
“Oh, bimbo! E come vuoi fare?”
“Io scelgo lassù le più belle,
vedrai che son bravo a contare.
Ne ho scelte già dieci, già venti…
il cielo ne è tutto fiorito…
Le colgo… e in pochi momenti
le perdo… non ho mai finito!” (G. Fanciulli)

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie e filastrocche LE ORE E L’OROLOGIO

Poesie e filastrocche LE ORE E L’OROLOGIO – una collezione di poesie e filastrocche per la scuola d’infanzia e primaria.

Il cucù malato
C’è un gran pendolo lassù,
dove vive quel cucù
che ogni giorno col suo verso
dà la sveglia all’universo.
Ma stamane ha il mal di gola,
ha perduto la parola,
e non può cantar l’ora
a chi dorme, a chi lavora;
sorge il sole rosso e giallo,
ma beato dorme il gallo;
con la sua mandolinata
apre il grillo la giornata;
come scocca mezzogiorno,
nonno gufo imbocca il corno;
quando poi la notte cala,
stride allegra la cicala,
e la luna sonnolenta,
chiude gli occhi e si addormenta. (M. Punter)

Senza orologio
Senza orologio s’indovinan l’ore
da certi segni messi dal Signore.
Se cala il sole, si capisce bene
che tra pochi minuti il babbo viene.
Al primo canto ch’esce dal pollaio
si svegliano il pastore e l’operaio.
Quand’entra il sole dalla mia finestra
m’alzo perchè m’aspetta la maestra.
Quando con la cartella a casa torno
è da poco suonato mezzogiorno;
mangio e, quand’ho finito di studiare
scocca l’ora precisa di giocare.
Sempre così: l’ora che fa piacere
suona quand’uno ha fatto il suo dovere.
(F. Socciarelli)

 

 

L’orologio
Trotto sempre: uguale il passo,
e non porto cavaliere.
Ho due lance a bilanciere:
l’una innalzo, l’altra abbasso,
l’una e l’altra incrocio spesso,
l’una corre e l’altra appresso.
E ne roteo un’altra ancora,
che non sa cos’è dimora.
Tondo è il campo della lotta,
bianco e liscio a perfezione,
neri i segni alla mia botta;
trotto e picchio, e non mi scotta
polso e cuor nella tenzone:
chè non ho lancia di cerro,
e nel petto ho un cuor di ferro.
Trotto e picchio: non ho scorte,
ma al mio passo guardan tutti:
ch’io segno, nel cammino
fatto a regola di danza,
per ognuno il suo destino,
per ognuno la speranza. (V. Bosari)

 

 

Il vecchio pendolo
Vecchio pendolo tarlato
è già un secolo che batti
e conosci tanti fatti
del romantico passato;
la tua nenia che non varia
questa notte s’è arrestata,
e l’ho invan ricaricata;
la tua nenia che non varia
s’è spezzata! Ahimè, si sa
ogni cosa quaggiù muore;
del metallico tuo cuore
il tic tac più non s’udrà. (U. Magnani)

L’orologio
Montavo sopra una sedia, poggiavo il mento sul davanzale della finestra, e guardavo l’orologio. Grande, bianco. Un fantasma in forma di disco. Tutt’in giro strani segni, che cominciavano da una semplice asta, poi raddoppiavano, si moltiplicavano, si complicavano… Due lance, una più corta e tocca, l’altra più lunga sottile e ardita, veramente la lancia di un cavaliere paladino, infisse al centro del disco, si spostavano lungo la periferia tra quei segni. La minore… si spostava con molta lentezza; svogliata, riluttante a seguire lo slancio dell’altra, l’arma bellissima del guerriero, che a scatti e salti inseguiva quei segni e a uno a uno li superava, senza mai inciampare.
(M. Saponaro)

 

Poesie e filastrocche LE ORE E L’OROLOGIO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici: L’acqua

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Dettati ortografici sull’acqua – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

L’acqua di trova nelle sorgenti, nei ruscelli, nei torrenti, nei fiumi, nei laghi, negli stagni, nel mare. Può essere salata, dolce, limpida, pura, fangosa, torbida. L’acqua disseta e ristora le piante, rende fertili i terreni, serve ai bisogni vitali degli uomini e degli animali. Senza l’acqua, la terra diverrebbe un deserto roccioso.

L’acqua
La vedi sotto diversi aspetti: pioggia, neve, grandine, nebbia, rugiada, brina, ghiaccio. Ma è sempre acqua: fresca e garrula nelle sorgenti, impetuosa nel torrente, calma e possente nel fiume, furibonda o tranquilla nell’immensità dell’oceano. L’acqua pura è inodore, insapore, incolore. Solo nel mare e nei grandi laghi assume un colore azzurro o verdastro o grigio a seconda del cielo che vi si rispecchia.

L’acqua
L’acqua la troviamo nei laghi, nei fiumi, nelle sorgenti, nel mare. Ma se spremi una susina matura, ne vedrai uscire il dolce succo; anche questo è, in gran parte, acqua. E così nelle foglie, nel tronco. L’acqua si trova anche nel nostro corpo come nel corpo di tutti gli esseri animati. L’acqua è un elemento essenziale alla vita.

L’acqua
Ama l’acqua. Essa ti disseta quando sei accaldato e assetato, tiene lindi i tuoi vestiti e la tua biancheria, libera il corpo da tutte le impurità, ti rinfresca e ti ristora. Ama l’acqua che è amica dell’uomo.

L’acqua
L’acqua è amica quando disseta e libera il corpo dalle impurità, quando ristora le piante, quando, nei laghi, nei fiumi e nel mare, serve per potersi recare da una riva all’altra. Ma può essere anche nemica, quando cade rovinosa dal cielo, tutto travolgendo al suo passaggio, quando è impura e può trasmettere malattie, quando, trasformata in grandine, distrugge in un attimo il raccolto di un anno.

L’acqua
La vediamo sotto tante forme e sotto tanti aspetti: pioggia, grandine, neve, rugiada, brina. Gentile e chiacchierina nella fontana, fresca e chiara nella sorgente, impetuosa nel torrente, tumultuosa nel fiume, furibonda o tranquilla nell’ampio mare. L’acqua può fare tanto male e tanto bene: fa bene quando disseta e ristora, fa male quando inonda, travolge e distrugge.

La sorgente
Era un incantevole sito appartato. L’acqua gorgogliava limpida, sprizzando non si sa da dove, e pareva che le piante intorno tendessero verdi mani frondose per raccoglierla nelle loro palme. In fondo al gorgo ribollivano granelli di sabbia. Sgorgando, l’acqua si apriva un canale nel candido calcare e correva via rapida, trasformandosi in ruscello. (Rawlings)

La famiglia Acqua
Mamma Acqua ha diversi figli.
Il più monello è Acquazzone: quando arriva lui fanno tutti la doccia, anche senza averne voglia.
Una persona seria è Acquedotto, che pensa a distribuire acqua alle case dei paesi e delle città.
Acquario, invece, gioca volentieri coi pesci, mentre Acquaio fa la pulizia in cucina.
In famiglia c’è anche un pittore: Acquarello, che usa i pennelli dal mattino alla sera.
La più piccina di tutti è Acquolina, che sta sempre con il naso incollato alle vetrine delle pasticcerie.
Naturalmente la famiglia Acqua è una famiglia fortunata, perchè anche d’estate non soffre mai la sete.

Dettati ortografici sull’acqua – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL GATTO: dettati ortografici e letture

IL GATTO: dettati ortografici e letture – una raccolta di dettati ortografici a tema, per la scuola primaria, di autori vari. Difficoltà ortografiche varie.

Accovacciato con la lunga coda tra le zampe, il gatto sembra dormire. A un tratto un topolino sbuca dalla fessura di una porta. Dapprima il gatto finge di non vederlo, ma lo osserva a occhi socchiusi. Poi si anima, muove il capo con rapidi scatti, si avvicina alla preda con passo silenzioso, quasi camminasse sul velluto. Infine compie un balzo, piomba addosso al topolino e lo afferra con gli unghioni che nel frattempo ha sfoderato.

Il gatto è furbo, malizioso, pigro ed egoista. Tutti i difetti! Ma si fa perdonare volentieri per le sue moine, le sue smorfiette gentili; per la voglia di giocare che lo fa ruzzolare per ore e ore con una palla, con un gomitolo, con un pezzetto di qualcosa legato ad un filo. Ha il pelo morbido ed è un piacere accarezzarlo. Allora fa le fusa e chiude gli occhi e par che dica: “Che piacere mi fai, padroncino!” (G. Reichelt)

Il gatto ha il pelo morbido e fa piacere accarezzarlo. Allora fa le fusa e sembra molto soddisfatto. Ma ecco che si stanca, e allora tira fuori le unghie e giù un bel graffio sulla mano!
Micia, micia, dove sono i tuoi micini? Eccoli qua, morbidi e tiepidi nel cesto dove sono nati. La micia non li lascia mai e li lambisce amorosamente.

Miao miao fa il gattino affamato. Qualcuno gli dà un piattino di latte tiepido. Il gattino lecca il latte con la linguetta ruvida e rosa.

Il gattino ha preso un gomitolo e ora ci gioca, arruffandolo tutto. Povero gomitolo e povera nonna! Lo fa ruzzolare da tutte le parti.

Il balzo rapido che il gatto compie e che gli permette di piombare dritto alla preda senza che questa abbia il tempo di sottrarsi con la fuga, è consentito dalle agili zampe posteriori, molto più sviluppate delle zampe anteriori, mosse da robusti muscoli che consentono di compiere salti anche di due o tre metri. Inoltre, mentre la spinta delle zampe proietta il corpo in avanti, l’elastica colonna vertebrale consente al corpo di allungarsi, mentre la coda, funzionando da timone, rende preciso e infallibile il salto. (Palombi)

Forse mai altro animale al mondo, ha avuto, nel corso dei secoli, tanti sostenitori e tanti nemici come il gatto. Forse mai altro animale è stato oggetto di amore sviscerato e di onori al pari di una divinità, oppure odiato, incolpato dei peggiori misfatti come il gatto. La fierezza del suo carattere gli impedisce di rendersi utile al suo padrone assoggettandosi a un qualsiasi lavoro. Il gatto è utile per la caccia ai topi, ma non bisogna dimenticare che esso compie questo lavoro seguendo il proprio istinto di predatore.

In Egitto, i gatti erano certamente allevati in gran numero e tenuti nel massimo conto. Antichi monumenti raffigurano i più famosi rappresentanti delle dinastie egizie in compagnia del fedele gatto che, a quel che pare, godeva considerazione al pari di un essere divino. Con i più terribili supplizi erano puniti coloro che si rendevano colpevoli della morte di un gatto.

Un caldo e morbido cuscino, la carezza ripetuta del padrone, il piacere di sentirsi delicatamente grattare fra le orecchie, provocano il caratteristico ron ron. Il gatto si abbandona anche a far le fusa e giunge ad accarezzare il suo padrone ritirando le unghiette entro le zampine di velluto.

Il gatto è un dormiglione e per lunghe ore sta accoccolato, placidamente immerso in un sonno in apparenza profondo, ma in realtà assai leggero. Anzi, molto spesso, a un’osservazione più attenta, il gatto che crediamo addormentato, ci sta scrutando attraverso una fessura delle sue palpebre, osservando i nostri movimenti.

Si dice che il gatto preferisca la casa al padrone. Infatti, si è constatato in moltissimi casi che i gatti, portati dal padrone in una nuova abitazione, hanno saputo, con mirabile senso dell’orientamento, ritrovare l’antica dimora, preferendo questa, magari a costo di abitarne solamente la cantina o la soffitta, all’accogliente appartamento del padrone.

E’ notorio che il gatto ha la zampa lunga. Punito severamente per le sue imprese ladresche, il gatto persevera nelle sue abitudini e approfitta di qualsiasi occasione. Ruba anche quando è ben pasciuto, spinto dalla gola o semplicemente dal suo istinto di predatore che, in mancanza di prede vive, si rivolge a qualsiasi leccornia venga imprudentemente lasciata alla sua portata.

La straordinaria potenza visiva del gatto si spiega con la grande capacità di adattamento della sua pupilla alle diverse intensità luminose. Ridotta a una strettissima fessura, quando la luce è intensa, la pupilla si dilata enormemente nella penombra, sì da percepire anche il più debole raggio luminoso.

Il gatto tigrato, detto anche soriano, è uno dei gatti più comuni di tutto il mondo. Di mole piuttosto massiccia, ha la testa grossa e il muso corto. La pelliccia è morbida, vellutata, composta di peli corti e fitti variamente colorati. I colori più comuni sono il grigio e il giallastro, a righe alterne. La coda è relativamente corta.

Il gatto ha una vista acutissima; da ciò deriva la credenza popolare che esso vede anche al buio. Si tratta di un’esagerazione, perchè se è vero che il gatto è in grado di distinguere gli oggetti e di orientarsi anche quando la luce è scarsissima, è tuttavia incapace di vedere al buio assoluto.

Quando il gatto ha sentito la preda, i suoi istinti selvaggi si accendono e si sfrenano nella caccia. Non si accontenta di tenere a lungo la preda sotto l’incubo dell’agguato, ma una volta afferratala con gli uncinati artigli, non la sopprime immediatamente, ma si diverte a farle provare, minuto per minuto, il tormento della morte che si avvicina.

Il gatto, di fronte al nemico, generalmente scappa, ma se non trova via di scampo, non esita a combattere con coraggio e slancio. Il pelo irto sul dorso arcuato, gli occhi lampeggianti, gli artigli interamente sfoderati, la schiuma alla bocca, richiamano alla mente che questo piccolo, leggiadro felino altro non è che un parente assai prossimo del leone, della tigre e di altri ferocissimi felini selvaggi.

La gatta mette al mondo i suoi piccoli in un giaciglio preparato con cura in un angolo tranquillo, dal quale trasloca in gran fretta, trasportando i suoi piccoli ad uno ad uno, quando l’istinto le faccia temere qualche minaccia. La gatta è ottima paziente nutrice che non si accontenta soltanto di nutrire i suoi piccoli, ma si preoccupa di tenerli sempre puliti e ravviati, lisciandoli di continuo con la sua ruvida lingua.

La famiglia dei felini è la più grande e la più importante nell’ordine dei carnivori e comprende animali di dimensione molto varia, dal gatto alla tigre, dal leone al leopardo, al giaguaro. Tutti sono formidabili mangiatori di carne. Di forme flessuose ed eleganti, queste fiere hanno una pupilla che si restringe alla luce fino a diventare una sottile fessura e le unghie retrattili che possono, cioè, rinfoderarsi entro apposite guaine.

Agili, scattanti, fulminei nel salto, i felini sanno arrampicarsi e nuotare, sono veloci nella corsa anche se non resistenti. Hanno per lo più abitudini notturne e cacciano all’agguato: poichè devono seguire prede che non vedono e di cui talora non sentono l’odore, imparano a giovarsi delle minime indicazioni come le impronte. Controllano i loro movimenti istintivi e si spostano con leggerezza senza fare il minimo rumore.

Quanto è morbido il pelo del gatto! La testa rotonda, le orecchie appuntite, i begli occhi dalla pupilla cangiante e i lunghi baffi lo rendono assai grazioso. E’ un quadrupede, e le sue zampe, terminanti con cinque dita per ogni piede, poggiano su speciali cuscinetti elastici con cui tocca il suolo quando cammina, per modo che i suoi passi non producono rumore. Le unghie sono di solito nascoste e sollevate da terra quando non sono usate. Ma, al momento del bisogno, il gatto è in grado di spingerle all’esterno e, acutissime come sono, diventano un’arma formidabile per catturare la preda. Se poi deve difendersi da un animale più forte di lui, esse gli servono per mettersi in salvo arrampicandosi sugli alberi. I denti aguzzi gli consentono di strappare e sminuzzare la carne di cui si nutre. Il gatto è un mammifero carnivoro. Appartiene alla famiglia dei felini, di cui fanno parte altri animali grossi e feroci: il leone, la tigre, il leopardo, la pantera, la lince.

Il gatto

Forse nessun altro animale è stato nel corso dei secoli oggetto di amore sviscerato e di onori al pari di una divinità, oppure odiato , incolpato dei peggiori delitti e messo al bando dalla società umana, come il gatto. Ma forse ciò dipende dalla sua natura, perchè il gatto, pur in tanti e tanti anni di vita domestica, non è ancora riuscito a vincere la sua diffidenza per l’uomo. Ciò, forse, dipende dalla sua appartenenza alla famiglia dei felini, che annovera gli animali più feroci della terra.

Dettati ortografici sui gatti – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici IL GIORNO E LA NOTTE

Dettati ortografici IL GIORNO E LA NOTTE  – Una collezione di dettati ortografici sul giorno e la notte: il mattino, il sorgere del sole, l’alba, l’aurora, il crepuscolo, ecc…

Sorge il sole
Verso oriente appare un’aureola di un colore rosso sanguigno. Poi ad un tratto una scintilla luminosa guizza in mezzo a quel rosso sfolgorante, cresce, si innalza, si ingrossa, prende la forma di un disco, che ad ogni punto manda sprazzi luminosi. Il sole spande la sua luce sulla terra e nel cielo. G. Mercanti

Il mattino
Le stelle si spengono ad una ad una, mentre il cielo si rischiara. E’ l’alba. Poi il cielo si tinge di rosa. E’ l’aurora. Cantano i galli, pigolano gli uccelli, squillano le campane. Il sole appare all’orizzonte. Nelle case la gente si alza e si prepara per il lavoro. Fischiano le sirene degli stabilimenti. SI aprono i negozi, le botteghe, e i bambini si avviano verso la scuola.

La sera
Il sole tramonta e l’aria si fa scura: è il crepuscolo, poi viene la sera. Nelle vie si accendono i lampioni e le insegne pubblicitarie. E’ tutto uno sfavillare di luci. Chi lavora nei campi torna a casa. Si chiudono i negozi, i laboratori, gli stabilimenti. In cielo brillano le stelle. Nelle case, dopo la giornata di lavoro, le famiglie si riuniscono, cenano, chiacchierano, riposano, ascoltano la radio, assistono agli spettacoli televisivi.

Mezzanotte
Tutto è silenzio e tenebra. Gli uomini dormono. Le officine sono chiuse, i campi sono abbandonati. Le strade sono deserte, le porte chiuse, le finestre serrate. Non si sente alcun rumore. Nelle notti serene, la luna brilla nel cielo e illumina i tetti, le case, le strade. Le finestre sono buie: ogni luce è spenta. L’orologio suona dodici colpi: è mezzanotte.

Il sole

Il sole era l’orologio degli antichi: un orologio luminoso che non si fermava mai, che non si guastava mai, ma che solo una nuvola, una piccola nuvola rosea, bastava a celare agli occhi degli uomini.

Il sole
Sia benedetto il sole che ci illumina, ci riscalda, fa nascere i fiori e le piante, dona a tutta la natura i più bei colori. Esso è sempre benefico e meraviglioso, sia che indori le messi, sia che risplenda sulle montagne coperte di neve!

Il sole
Il sole, che ci appare come un bel disco bianco e luminoso verso mezzogiorno, rosso sanguigno verso il tramonto, è un globo immenso, molto più grande della nostra minuscola terra. Se rappresentassimo il sole come una grossa arancia, la terra sarebbe come la testa di uno spillo. La terra, con tutte le sue magnificenze, con i suoi monti altissimi, i suoi oceani immensi, diverrebbe, paragonata al sole, solo un insignificante puntolino.

La luna
E’ l’astro pallido delle notti. Viaggia solitaria nel cielo e passa sopra il mondo addormentato. La sua luce fa la terra tutta d’argento e i grilli cantano e le fanno la serenata.

L’alba
L’alba si veste di rosa e corre a spalancare le porte al sole! Avanti oh re sole, tu sei benvenuto fra noi! Tu fai prosperare le piante, fai sbocciare i fiori, riscaldi e illumini la terra, dai salute e forza all’uomo.

Il sole
Prima di levarsi, il sole mandò un saluto al cielo e diede una pennellata di rosa alle nuvolette bianche. L’allodola, allora, partì dalla zolla dove aveva dormito e gli venne incontro nel cielo per fargli il suo bel canto mattutino. (G. E. Nuccio)

Mattino
Il sole s’affacciò sul mare, indorò le cime dei monti e dei campanili, i tetti delle case, le cime delle piante, poi gettò un tappeto d’oro sulla campagna e mille specchietti sulle onde del mare e sulle acque dei fiumi e dei laghi. Allora i galli cantarono la sveglia, le campane gridarono: din don, din don, e gli uccelli, dagli alberi, si scambiarono i saluti del buon giorno. (G. E. Nuccio)

Il sole
Noi non lo pensiamo, ma tutto ciò che si muove, circola, vive, sul nostro pianeta, è figlio del sole. Le messi che ci daranno il pane quotidiano maturano per opera del sole. E così la frutta, così gli ortaggi. Il legno che ci scalda l’inverno racchiude il calore che il sole donò all’albero. Tutto il mangiare, la vita stessa, ci viene dal meraviglioso astro del giorno.

Il mattino
L’ora in cui si sveglia la natura è un’ora di pace ed insieme di attività. Tutti gli esseri riprendono il loro lavoro. Gli uccelli cantano, rivolti all’astro raggiante. Intorno alle case campestri, gli animali domestici riprendono la loro attività. Quale spettacolo più bello che quello di vedere sputare il sole? Esso si leva nel cielo cacciando le ombre, illuminando gli angoli più nascosti, mettendo dappertutto gioia, calore, luce.

Le stelle
Tutto il cielo è popolato di stelle. Sembrano piccolissime e sono immense. Sembrano lucciole in un prato infinitamente vasto. Oppure innumerevoli fanalini di una stupenda illuminazione. ALcune ardono solitarie, altre si raggruppano formando immagini di animali, di fiori, fontane di luce, carri luminosi. Sembrano occhi aperti sulla terra; occhi degli angeli che guardano gli uomini dal cielo.

Le stelle
Le stelle hanno i più diversi colori. Ve ne sono di quelle rosse come la lanterna di un vascello all’ancora, di notte; come i tizzoni che vegliano nei caminetti deserti, o come occhi di fantastici animali. Altre hanno il pallore della perla o della della goccia d’acqua che racchiude un riflesso di luna. Altre sono azzurrine come fossero tanti fiorellini sbocciati lungo le rive di un ruscello.

Risveglio mattinale
Dal monte e dalla pianura, dai fiumi e dai prati, si alza un’armonia infinita, in cui si confondono le mille voci della natura. E’ canto degli uccelli pei campi; è suono di campane pei borghi; è frequente svolazzare di insetti; è raro camminare di uomini. Più tardi il canto dei contadini copre quello dei fringuelli, nelle selve l’eco porta dai casolari il greve rumore dell’incudine. Il rumore cresce, cresce, a poco a poco e, dalle officine stridenti, dai campi vaganti, si alza solenne la voce del lavoro umano. (F. M. Martini)

Il mattino
Al mattino gli uomini sono più buoni. E’ l’ora che gli angeli entrano nelle case per esaudire le preghiere e mettono il pane nelle madie, il latte nelle scodelle, l’acqua nei catini, ravvivano il fuoco sulla cenere, aprono le finestre alla luce. E il cuore vola via come l’allodola ad incontrare il giorno. (R. Pezzani)

A sera
Il sole è spento, la terra ravvolta nel suo mantello notturno nasconde le sue membra agli occhi di tutti: le creature dormono quasi tutte e non si parlano che all’orecchio. Perfino il mare si raccoglie e nasconde le sue tinte smaglianti. E’ allora che il cielo ci parla col silenzio dei suoi spazi infiniti, con lo scintillio dei suoi milioni di stelle e con la luce malinconica e fredda della luna. (P. Mantegazza)

Mezzanotte
Tutto è silenzio e tenebra. Gli uomini dormono. Le officine sono chiuse, i campi sono abbandonati. Le strade sono deserte, le porte chiuse, le finestre serrate. Non si sente alcun rumore. Nelle notti serene, la luna brilla nel cielo e illumina i tetti, le case, le strade. Le finestre sono buie: ogni luce è spenta. L’orologio suona dodici colpi: è mezzanotte.

Il giorno
Il cielo schiarisce all’alba; il sole sorge all’aurora. Quando il sole è arrivato in alto, nel cielo, è mezzogiorno. Quando declina è pomeriggio; quando si nasconde dietro l’orizzonte si dice che tramonta. Ed ecco la sera e infine la notte, quando tutti riposano.

Il sole sulla casa
La casa è soleggiata. I vetri scintillano alla luce del sole, la facciata bianca splende. Chiudiamo le persiane, abbassiamo le tende, faremo un po’ d’ombra. Un raggio passa fra le stecche delle persiane e traccia righe di luce sul pavimento. Ma si sta bene nella stanza fresca, semioscura.

Mezzogiorno
E’ l’ora della luce e del rumore. Le strade si animano, i bambini escono dalla scuola, corrono, si spingono, vociano. Gli uomini tornano al lavoro: i contadini dai campi, gli operai dalle officine. Le campane suonano, i tram corrono sulle rotaie, le automobili si incrociano e rombano. Tutti vanno verso la propria casa dove li aspetta la tavola apparecchiata.

Il tramonto in campagna

Era il tramonto; ma il chiarore del giorno non voleva cedere alla notte, e s’indugiava tremando su tutte le cose, sui comignoli delle cascine, sui filari dei meli in fiore, sui pini, sulle cime ondeggianti dei cipressi. Da tutte le parti gli uccelletti salutavano chiassosi e cinguettanti il giorno che moriva lento e restio; avevano ancora qualche cosa da fare, non fuggisse via; c’era ancora qua e là da raccogliere per i nidi l’ultima pagliuzza e poi sciogliere dall’albero l’ultimo canto. (G. Pascoli)

Il sorgere del sole

Ormai le stelle sono impallidite e ad una ad una scomparse. La campagna si ridesta col cinguettio degli uccelli che aspettano il primo raggio di sole. Ed il sole ritorna. Dapprima è un crescendo di luce in un punto, sulla cresta della collina, dove i veli e le nuvolette si fanno d’oro splendente, poi la luce trabocca in un getto di raggi che si slanciano su nel cielo e inondano la terra, finchè il disco ardente si affaccia e sale con lentezza maestosa e riprende il suo cammino nel cielo. (M. Maggini)

Dettati ortografici IL GIORNO E LA NOTTE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Gioco cantato: Girotondo italiano

Gioco cantato: Girotondo italiano per bambini della scuola d’infanzia. Con testo, spartito stampabile,  traccia mp3 e istruzioni di gioco.

Tutti i giocatori in cerchio si tengono per mano e girano. All’ultima frase si fermano e si accoccolano.

Versione uno:
Giro giro tondo
il pane è cotto in forno.
Un mazzo di viole,
per darle a chi le vuole.
(parlato): Le vuole la Sandrina, s’inginocchi la più piccina.
Giro giro tondo
casca il mondo
casca la terra
e tutti giù per terra.

Versione due:
Giro giro tondo
il pane è cotto in forno
la ciccia è nel tagliere
il vino nel bicchiere
corri corri Italia
la mamma s’è tagliata
s’è fatta un bello buco
vestito di velluto
(parlato): Le scarpe alla romana, viva viva la cappellana.

Spartito stampabile e traccia mp3 qui:

Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera)

Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera), per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo, istruzioni di gioco, spartito stampabile e traccia mp3.

Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera)
istruzioni di gioco

I giocatori formano due cerchi concentrici.

I bambini di ciascun cerchio si tengono per mano.

I cerchi girano in direzioni opposte, durante tutta prima frase: “Il tuo mulin va troppo in fretta, il tuo mulin va troppo fort“.

A “Mugnaio tu dormi” i bambini del cerchio interno alzano le braccia e le mettono dietro al collo di quelli del cerchio esterno

formando un solo cerchio incatenato a ghirlanda.

Due “poli” (cioè due bambini che stanno di fronte) del nuovo cerchio si avvicinano al centro e tornano indietro, poi altri due poli fanno lo stesso durante tutta la seconda frase.

Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera)
Spartito sonoro stampabile e traccia mp3
qui:

Giochi di gruppo divertenti

Giochi di gruppo divertenti, per bambini della scuola d’infanzia e primaria, adatti al gioco a scuola ma anche ad animare i pomeriggi in compagnia, le festine di compleanno, ecc…

Il combattimento dei galli
Dividere i bambini in due squadre uguali. Tracciare sul terreno due righe distanti 5 metri circa tra loro. Disporre le due squadre sulle due righe e numerare i giocatori a coppie cioè un numero uno in entrambe le squadre, poi un numero due, ecc. Quindi l’insegnante chiamerà un numero. I due bambini chiamati, assumendo la posizione di gambe piegate e busto eretto, bracci flesse e mani all’altezza delle spalle verso l’avversario, si avvicinano al centro del campo a piccoli saltelli; giunti di fronte cercheranno di squilibrarsi a vicenda dandosi piccole spinte con mani contro mani.
Vincerà chi riuscirà a far sedere il compagno. Il punto andrà alla squadra del vincitore. Poi l’insegnante chiamerà un altro numero e così via fino all’esaurimento delle coppie. Vincerà la squadra che al termine del gioco avrà totalizzato un maggior numero di punti.

La rivincita dei topi
Si dividono i bambini in due squadre, e il campo in tre zone:
– la prima zona, da una parte, è la casa dei topi
– la seconda zona, nel mezzo, è il territorio di caccia
la terza zona, dalla parte opposta alla prima, è la casa dei gatti.
Nel mezzo del territorio di caccia si mettono una decina di sassi, o di birilli, o di palle, insomma oggetti facilmente afferrabili: sono le esche.
Si estrae a sorte chi deve cominciare per primo: ammettiamo che vengano estratti i topi.
Primo tempo:
Al via i topi escono dalla casa e vanno alla conquista delle esche, ma i gatti si precipitano per impedirlo. Se un gatto tocca un topo senza esca lo cattura. Se il topo ha già l’esca in mano, con il topo viene catturata anche la sua esca. I prigionieri devono rimanere nella casa dell’avversario finchè un compagno non li venga a liberare, toccandoli. Il prigioniero preso con l’esca, può scappare riportandosi via l’esca stessa. Ognuno è in salvo quando rientra nella propria casa. Il cacciatore di turno non può liberare i compagni prigionieri presi nel turno precedente.
Secondo tempo:
Mentre il gioco è in corso di svolgimento, dopo due minuti, il capogioco grida: “Cambio!” e i topi si rivoltano. Da cacciati diventano cacciatori. Però adesso i gatti possono prendere direttamente le esche che i topi non sono riusciti a prendere. Il topo che tocca il gatto lo cattura con le stesse modalità di cui sopra.
Terzo tempo (e successivi):
Dopo due minuti, nuovo cambio e così via.
Vince la squadra che riesce, alla fine del gioco, ad avere in casa il maggior numero di esche.

La corsa dei cavalli zoppi
Tutti i giocatori si dispongono a quattro zampe, dietro una linea di partenza. Procedono, quindi, avendo l’obbligo di correre, mantenendo sollevata la gamba destra. Chi non riesce, è temporaneamente squalificato. Il cavallo claudicante che riesce a portare a termine la corsa, raggiungendo la linea del traguardo, è proclamato vincitore e riceve il gran premio… una zolletta di zucchero!

Le streghe in corsa
I giocatori ricevono in consegna una bacchetta; un piccolo attrezzo di uso individuale, che si realizza adoperando un manico di scopa, opportunamente levigato. Quindi, si dispongono allineati alla partenza. Al via, si muovono tutti insieme per compiere il tratto che di divide dal traguardo, stando a cavalcioni della bacchetta, sostenuta con una mano davanti, e l’altra dietro; proprio come si legge nelle fiabe per bambini.
Se uno dei giocatori assume una posizione diversa da quella descritta, ha l’obbligo di uscire dal gioco.
Giunti al traguardo, i bambini-streghe, invertiranno la corsa, tornando verso la linea di partenza.
Chi arriverà per primo, sarà proclamato strega-campione, o campione delle streghe.

Corsa mista
Si tratta di un percorso diviso in cinque tratti, segnati con paletti, sassi, teli o sedie. Si può giocare solo per divertirsi, o trasformarlo in una gara a squadre, tracciando due percorsi identici uno accanto all’altro.
1. il primo tratto è corsa libera
2. il secondo tratto, un po’ più breve, è da percorrere su un piede solo
3. il terzo tratto va percorso a salti di rana
4. quarto tratto a salti a piedi uniti
5 l’ultimo tratto è di nuovo a corsa libera.

La volpe
Alle due estremità del terreno dove si gioca, ma a una certa distanza dal muro, viene tracciata una linea col gesso.
Lo spazio tra la riga e il muro si chiama casa. Nelle due case la volpe non può entrare; il resto del terreno èaperta campagna, e qui sta la volpe, che cerca di acchiappare tutti i polli che passano, correndo da una casa all’altra.
Quando la volpe acchiappa un pollo, deve tenerlo stretto il tempo di contare fino a dieci; se ci riesce il prigioniero diventa un’altra volpe e così sono in due a rincorrere i polli, che passano correndo da una casa all’altra. Naturalmente più volpi ci sono e più è difficile passare, ma una volta partiti da una casa, i polli non possono tornare indietro.

Arancia o limone
Due bambini si mettono di fronte, si prendono per le mani ed alzano le braccia ad arco: uno è l’arancia e l’altro è il limone (decidono segretamente prima e non lo dicono agli altri giocatori).
Gli altri bambini, in fila per mano, passano sotto l’arco mentre i due recitano la filastrocca: Noi siamo i fruttaioli, vendiamo i frutti buoni, ognun dica che vuole, l’arancia o il limone?
Alla parola limone l’arco si abbassa è un bambino rimane prigioniero, allora gli viene chiesto sottovoce se vuole essere arancia o limone, lui risponde sottovoce e va a mettersi dietro a quello dei due che ha preferito.
Il giro continua, finchè ad uno ad uno i bambini sono tutti prigionieri.
Allora col gesso si traccia una linea sul terreno; i limoni si mettono da una parte, le arance dall’altra, schiena a schiena.
I limoni tenendosi uniti l’uno all’altro, cercano di spingere le arance, che a loro volta spingono i limoni. Vince la squadra che riesce a passare la linea di confine.

Fuoco nel bosco (per giocatori dispari)
I bambini formano due cerchi, con un ugual numero di giocatori. Un altro bambino sta in mezzo ai due cerchi concentrici. Quelli che formano il cerchio interno stanno seduti (o inginocchiati); gli altri, che formano il cerchio esterno, stanno in piedi.
Il bambino  in mezzo al cerchio interno, grida: Il bosco brucia, correte! e tutti i bambini del cerchio esterno corrono più veloci che possono, finché il bambino in mezzo dice: Fermi!
Allora quelli che corrono e quello che ha gridato cercano di trovarsi un posto dietro a un bambino seduto. Chi non arriva in tempo resta fuori, ed è obbligato a dare il cambio al bambino in mezzo al cerchio.

I nemici
Per questo gioco occorre un certo numero di oggetti che costituiscano il bottino: oggetti che saranno divisi in parti uguali tra i due partiti.
La squadra è divisa appunto in due parti uguali ed il campo disponibile viene diviso in due territori da una linea mediana, mentre due linee di fondo, parallele alla linea mediana ed alla medesima distanza, sono tracciate ai lati estremi del campo; oltre queste linee di fondo sono sistemati gli oggetti di cui sopra, mentre i giocatori delle due squadre si trovano ciascuno sul proprio campo.
Al via i giocatori tentano di attraversare il territorio nemico per raggiungere il bottino e riportarne una parte (un oggetto a testa per ogni viaggio) nel proprio territorio.
Un giocatore che viene toccato in territorio nemico, diviene prigioniero e deve essere accompagnato da chi lo ha catturato oltre la linea di fondo, dove rimane fino a quando un compagno non lo liberi, attraversando indenne la line di fondo stessa.
Il giocatore che arriva indenne oltre il fondo del campo nemico, ha il diritto di riportare con sé o parte del bottino o un prigioniero ed il gioco resta sospeso per il tempo necessario a questa operazione, riprendendo non appena questi e l’eventuale compagno liberato hanno raggiunto il proprio territorio.
Vince la squadra che per prima riesce a catturare l’intero bottino. Il gioco può anche essere svolto a punti, assegnando due punti  per ogni frazione del bottino ed un punto per ogni prigioniero e quindi giocato a tempo.

La gimcana
Questo gioco richiede alternativamente spettatori e giocatori. Stabiliamo 4 o 5 identici percorsi con i seguenti punti obbligati:
1. girare due volte intorno a un sasso
2. scavalcare una sedia
3. colpire un birillo con una palla
4. passare sotto un bastone di scopa in bilico su due supporti, a circa 50 cm da terra
5. dare un calcio a  una palla
6. correre al traguardo.
Ogni errore comporta la ripetizione.

Gatto e topo
I bambini formano un cerchio ben serrato,  chinati a terra (non inginocchiati), meno uno che è il gatto. La palla è il topo.
Al comando “Gioco!”, i bambini si passano la palla facendola rotolare a terra e se la rimandano l’uno con l’altro, cercando sempre di mandarla a un compagno lontano dal gatto. La palla, prima di essere rimandata, deve sempre essere fermata con ambo le mani.
Il gatto intanto correrà nel cerchio cercando di toccare la palla con le mani, e quando ci sarà riuscito prenderà posto nel cerchio, sostituito come gatto dall’ultimo che l’ha lanciata.

Il combattimento dei galli

Dividere la scolaresca in due squadre uguali. Tracciare sul terreno due righe distanti 5 metri circa tra loro. Disporre le due squadre sulle due righe e numerare gli alunni a coppie, cioè un numero uno in entrambe le squadre, poi un numero due, ecc… L’insegnante chiamerà un numero. I due alunni chiamati, assumendo la posizione di gambe piegate e busto eretto, braccia flesse e mani all’altezza delle spalle verso l’avversario, si avvicinano al centro del campo a piccoli saltelli; giunti di fronte cercheranno di squilibrarsi a vicenda dandosi piccole spinte con mani contro mani. Vincerà chi riuscirà a far sedere il compagno. Il punto andrà alla squadra del vincitore. Poi l’insegnante chiamerà un altro numero e così via fino all’esaurimento delle coppie. Vincerà la squadra che al termine del gioco avrà totalizzato un maggior numero di punti.

Il lupo e la pecora

Fra i bimbi si sceglie un lupo. Gli altri vengono suddivisi in pecore e cani, ma il lupo ignora la parte rappresentata dai compagni. Il lupo sta in agguato. I cani fanno la guardia alle pecore, pronti a difenderle. E’ naturalmente vietato belare o abbaiare, e il lupo dovrà distinguere gli animali dal loro atteggiamento. D’improvviso il lupo aggredisce il gregge e tenta di catturare una pecora. Se riesce, la fa prigioniera, ma se invece afferra un cane, il cane vince. In questo caso il cane che ha vinto diventa lupo, le pecore eventualmente prigioniere tornano in libertà e il gioco ricomincia, dopo aver cambiato però le parti ai partecipanti al gioco, all’insaputa del nuovo lupo. Se un lupo non sbagliasse mai, sarebbe dichiarato vincitore assoluto.

Al soccorso

E’ il gioco comune di rincorrersi in un campo determinato del quale non si possono oltrepassare i confini, con la variante che il cacciatore non può prendere il compagno quando questo si sarà legato per mano con un altro. Quando la brigata è molto numerosa, sarà meglio disporre i giocatori in coppie, legati mano in mano, e si designerà una coppia come cacciatrice. Quando i cacciatori corrono il pericolo di essere raggiunti, gridano al soccorso: allora la coppia che è a loro più vicina cerca di riunirsi ad essa e salvarla. Il gioco riesce molto più interessante quanto più breve è il turno di gioco, e questo si otterrà quanto più velocemente i giocatori toccati daranno la caccia agli altri.

Bandiera

Si divide la classe in due squadre numerate progressivamente; sul campo si segnano tre linee parallele ed equidistanti. Sulle due linee esterne si dispongono in riga le due squadre. Sulla linea centrale si pone l’insegnante che, con una bandiera o un fazzoletto in mano, chiama un numero: esempio il numero 3. I numeri 3 delle due squadre si muovono di corsa e devono cercare di prendere il fazzoletto. Chi lo prende cerca di raggiungere il suo posto evitando di farsi prendere dal numero 3 dell’altra squadra. Se raggiungerà il suo posto, la sua squadra guadagnerà un punto. Se verrà toccato, il punto passerà all’altra squadra.

Lancio della palla

Quando i bambini giocano alla palla, posso farlo designando il nome di chi deve, volta per volta, raccoglierla. Il primo getta la palla e grida, ad esempio: “Marco!”. Soltanto il compagno che si chiama Maro prenderà la palla, e la lancerà a sua volta, gridando il nome di un altro, il quale, quando sia riuscito ad afferrarla, continuerà allo stesso modo. La palla però non va lanciata verso il bambino chiamato, ma verso l’alto, quanto più alto è possibile. Tanto meglio se al gioco assiste anche un arbitro che possa decidere la validità del lancio, se la palla è lanciata male. Quando il bambino nominato lascia cadere la palla, è escluso dal gioco. Viene escluso anche il giocatore che tocca la palla quando non è stato chiamato il suo nome. Infine sono dichiarati vincitori i due che rimangono ultimi nel campo.

Tempesta! Tempesta!

I giocatori sono seduti su delle sedie e formano un grande cerchio. Essi scelgono ciascuno il nome di un pesce o di un altro abitante del mare. Un giocatore, che rappresenta Nettuno, è seduto per terra in mezzo al cerchio;  quando decide di farlo grida, ad esempio: “Sardina e Tonno, cambiate!”. Immediatamente i due giocatori chiamati dovranno cambiare sedia, mentre Nettuno si alza e tenta di raggiungere una delle sedie. Se ci riesce, prende il nome del pesce e l’altro diventa Nettuno. Ma se non raggiunge nessun posto, torna al centro e chiama altri due pesci.  Si tanto in tanto Nettuno esclamerà: “Tempesta! Tempesta!”. Allora tutti i pesci si devono alzare insieme e cercare di cambiare sedia, e Nettuno ne approfitterà per tentare di trovarne una da occupare.

Chi tardi arriva, male alloggia

Tutti i giocatori tranne uno si dispongono in cerchio, con la fronte al centro. Quello rimasto fuori cammina all’esterno del cerchio e, quando lo crede opportuno, tocca sul dorso un giocatore, dicendo: “Vieni con me”, e continua il giro nella stessa direzione, ma di corsa, tentando di raggiungere il posto del giocatore toccato, prima che questi, proveniente anche lui di corsa, ma dalla direzione opposta, vi giunga. Quello dei due che rimane senza posto riprende il gioco.
Variante:
– al comando del capogioco “Cambio!” i due giocatori fanno dietro-front, correndo nella nuova direzione.

La quercia e il castoro

Immaginiamo un vecchio albero che abbia nel suo tronco un grosso buco, nel quale sia facile nascondersi.
Dividiamo i bambini in due gruppi, di cui uno costituisce il bosco di querce, e l’altro i castori; i castori devono essere di un’unità superiore rispetto alle querce.
Il gruppo delle querce si dispone in ordine sparso, ed ognuno  forma unendo le braccia un cerchio orizzontale davanti a sè (il buco nel tronco della quercia).
I castori, nel frattempo, si riuniscono in gruppo, ed al “Via!” dato dall’arbitro corrono per riuscire ad entrare in un buco di una quercia. Uno di loro resterà fuori.
L’arbitro ordinerà ogni tanto: “Cambio!”, e tutti i castori dovranno scambiarsi di quercia, mentre il castoro rimasto fuori tenterà di appropriarsi anche lui di una quercia lasciata libera, infilandosi tra le braccia messe a cerchio di un compagno.

Corri e passa

I bambini si dispongono in due file, una di fianco all’altra, e a una certa distanza si mettono due paletti (sedie, cestini o bandierine) che fungono da boa.
Al “Via!” il primo bambino di ciascuna fila, che ha nelle mani una piccola palla, parte di corsa, gira attorno alla bandierina, passa la palla al proprio compagno, prosegue la corsa e va a porsi in coda alla fila. Il gioco termina qualdo la palla ritorna nelle mani del bambino che ha iniziato il gioco, e vince la squadra che impiega il minor tempo a terminare il gioco.

Ai cantoni

Si faceva ordinariamente fra cinque giocatori, e si chiamava “ai quattro cantoni”. Quattro giocatori si collocavano ai quattro angoli della palestra o del campo da gioco, e si cambiavano il posto, mentre il quinto cercava di occupare uno qualunque dei posi lasciati vuoti.
Potendosi fare anche con un numero maggiore di giocatori, il gioco si dice “ai cantoni”. Qualora non si abbiano degli ostacoli precisi da indicare, i quali del resto in molti casi sono piuttosto pericolosi, si tracciano sul terreno, a distanze il più possibili uguali fra loro, tanti piccoli cerchi quanti sono i giocatori, meno uno.
I giocatori che sono in marcia, oppure liberi per il piazzale o per la palestra, al comando: “Gioco!” vanno di corsa ad occupare un posto: uno rimarrà fuori e dovrà poi procurarsi un posto, intanto che gli altri cercheranno di scambiarselo tra loro nel momento in cui presumono di poterlo fare senza perderlo.
Il gioco è interessante solo se chi lo dirige saprà renderlo molto movimentato, richiamando i partecipanti ora in marcia libera, ora in fila, per dare di sorpresa il comando “Ai cantoni… via!”

La Befana

Si traccia un rettangolo sul terreno. Con altre due linee parallele ai lati minori,  si formano tre rettangoli, due più piccoli alle estremità e uno maggiore al centro. In uno dei rettangoli minori si collocano i giocatori, e nell’altro la Befana.
Al comando: “Gioco!” la Befana esce di corsa dalla sua casa, cercando di toccare qualcuno dei suoi compagni, i quali pure di corsa, attraversano il campo per mettersi in salvo nella casa lasciata libera dalla Befana.
Se la Befana non riesce a toccare nessuno, va a mettersi nella casa opposta alla prima e si rifà il gioco. Se invece riesce, il compagno toccato diventa esso pure Befana, si lega mano in mano col primo, e il gioco continua.
A ogni ripresa di gioco, il numero delle Befane cresce, e si forma così una catena che non deve rompersi.
Solo le Befane che sono agli estremi della catena possono far prigionieri i compagni, i quali, non riuscendo più a  fuggire di lato, possono tentare di passare sotto le braccia delle Befane.
Il gioco finisce quando rimangono liberi uno o due giocatori, che saranno i vincitori.

Rosso e nero

Due squadre, “rossa” e “nera”, con ugual numero di componenti, si piazzano, schiena contro schiena, da una parte e dall’altra di una riga. Di fronte a ciascuna squadra, a 10 metri, una linea indica il limite del campo.
Al grido di “Rossa!” i componenti della squadra che porta questo nome, corrono verso la loro linea, inseguiti dagli avversari che cercano di prenderli.
La denominazione “rossa” e “nera” può essere sostituita con due nomi di animali, piante, ecc…

Il pallone nelle file

Si dispongono i bambini su quattro file uguali. Ogni capofila tiene con le due mani un pallone.  Al comando “Gioco!” ciascun capofila, volgendosi a sinistra, porge con le due mani la palla al compagno che gli sta dietro, e così di seguito fino all’ultimo. Dall’ultimo bambino il pallone deve ritornare al primo nella stessa maniera, ma dal lato opposto. Vince la squadra (o fila) che fa viaggiare il pallone con maggior rapidità.

La corsa con tre gambe

Ciascun giocatore, servendosi di un fazzoletto, lega una delle proprie gambe a quella del compagno che gli sta vicino. Si formeranno così le coppie.
Sarà bene segnare subito, sul terreno, una linea di partenza, e ad una certa distanza, quella di arrivo.
Si inizia la corsa.
La coppia che toccherà la meta senza fare ruzzoloni sarà dichiarata vincitrice.

Cacciatore  e lepre

Fissati i limiti oltre i quali nessuno dei giocatori può andare, il capo dice che il ragazzo Tizio è il cacciatore, mentre tutti gli altri sono le lepri.
Al comando “Caccia!” il cacciatore cerca di prendere uno dei compagni e, riuscendovi, egli diventa lepre, mentre l’altro entra nella sua funzione di cacciatore.
Coloro che fanno da lepre, quando si vedono in pericolo, possono difendersi dal cacciatore assumendo una data posizione, che le prime volte sarà fissata da chi dirige, ma in seguito potrà essere lasciata alla libera scelta dei ragazzi fra una serie di posizioni ginniche imparate. Condizione essenziale della validità della difesa è la correttezza delle posizioni assunte.
Questo gioco riesce utilissimo perchè oltre a far correre tutta la brigata, fa ripetere ai ragazzi alcune posizioni che al momento opportuno, per salvarsi, essi cercheranno di assumere nella forma più perfetta.
Se il capo si accorge che le lepri, per non essere prese, si muovono poco, può dividere il campo in due parti, avvertendo che al suo comando “Cambia!” le lepri devono passare da una parte all’altra.

Fuori e dentro

Dispongo gli alunni in due gruppi su due righe distanti 5 metri l’una dall’altra. Ogni bambino ha un numero. Ed ora braccia in fuori a doppio intervallo, fronte al centro.
I numeri 1 di ogni gruppo vanno a disporsi a 5 metri della propria riga, pronti per la partenza.
Al via partiranno veloci, entrando e uscendo a zig-zag nel proprio gruppo, passando sotto gli archi formati dalle braccia unite dei compagni.
Il primo arrivato in questa posizione porta un punto al proprio gruppo.
I numeri successivi fanno la stessa cosa. Risulta, alla fine, vincitore il gruppo che ha totalizzato più punti.

L’uovo nel cappello
I berretti o i cappelli dei giocatori sono posti tutti in fila in terra ai piedi di un muro. Vanno un tantino puntellati e messi in modo da potervi gettare bene la palla dentro. I giocatori si mettono in fila a distanza di otto passi dal muro e uno di loro lancia la palla in un cappello. Allora scappano tutti, meno quello a cui appartiene il cappello in cui la palla è caduta.
Egli deve prendere la palla più velocemente che può, e tirarla ad uno dei fuggiaschi.
Se lo colpisce, cede il turno, ma se invece non riesce a colpire nessuno, un sassolino viene messo nel suo cappello, a titolo di cattivo punto. Chi raccoglie il maggior numero di sassolini paga pegno.

Pronti per andare
All’ordine per due, per tre, per quattro, i bambini sono impegnati a sistemarsi immediatamente dietro o davanti al maestro a seconda dell’ordine stabilito.
Si deve evitare che ci siano rigide posizioni per cui si senta dire “questo è il mio posto!…”, “Il tuo è più dietro!…” ecc. Ogni alunno deve trovare immediatamente posto anche rispetto alla posizione che occupa quando riceve l’ordine.

Caccia a cavallo

Disporre i bambini in coppia, sul cerchio, in modo che uno funga da cavallo e l’altro da cavaliere. I cavalieri sono seduti a cavalcioni sopra il bacino (non all’altezza delle reni) dei cavalli che si pongono in ginocchio, a quattro zampe (mani in completo appoggio sul suolo, braccia distese, ginocchia in appoggio e gambe leggermente divaricate). I cavalieri sono in possesso di un pallone e si fanno dei passaggi. Se il pallone cade a terra, i cavalieri fuggono velocemente verso il rifugio, mentre gli allievi che fungono da cavalli si rialzano rapidamente e cercano di colpire con la palla un cavaliere che non sia ancora entrato nel rifugio. In caso di riuscita, il gioco riprende a ruoli invertiti, altrimenti si ricomincia  con i medesimi incarichi assegnati all’inizio.

Corsa dei cavalieri appiedati
Gli allievi sono disposti come nel gioco precedente. Ad un segnale dell’insegnante i cavalieri scendono da cavallo e compiono un giro completo di corsa, nel senso indicato, cercando di raggiungere il più rapidamente possibile i loro cavalli, montandovi sopra. L’alunno che per ultimo raggiunge la sua cavalcatura viene eliminato dal gioco, insieme con il cavallo.

Salto dei grilli
Tracciare due righe parallele distanti 5 metri. Le due squadre si dispongono in fila indiana sulle due righe. Il capofila, capitano del suo gruppo, al “via!” darà l’estremità di un bastone lungo 1,50 al secondo della propria fila, ed insieme, tenendolo orizzontale, lo faranno saltare ai restanti del loro gruppo. Nel saltare il bastone ognuno deve rimanere al proprio posto.
Arrivati all’ultimo il capitano si ferma in coda, mentre il socio, tornato all’inizio della fila porgerà il bastone a colui che si trova al primo posto; farà saltare con lui i compagni  e quindi si fermerà in cosa. E così via.
Il gioco termina allorchè il capitano verrà a ritrovarsi come capofila. La vittoria al gruppo che per primo termina l’operazione.

La capra
Una corda è attaccata ad un albero o a un palo. All’altro capo è allacciato, con giro alla cintura, un bambino. Tutti gli altri giocatori cercano di raggiungere l’albero o il palo senza essere toccati ca colui che è legato, il quale gira attento intorno al perno. Il primo che viene preso va a sostituire il compagno allacciato e il gioco riprende.

Corsa cronometrata
La funzione di cronometrare il tempo è assegnata, in questo gioco, ad un pallone.
Si divide la classe in due squadre, formate ognuna da un ugual numero di giocatori.
Una squadra viene disposta su di un cerchio (di ampiezza variabile a seconda dell’età dei giocatori) ed è quella dei lanciatori; l’altra viene disposta in fila (squadra dei corridori), dietro una linea di partenza ed alla distanza di circa 3 metri dal cerchio.

Il capitano della squadra dei lanciatori ha a sua disposizione una palla, ed ognuno dei componenti di detta formazione deve trovarsi in un cerchio piccolo (pedana dei lanciatori).

Al via, parte il numero uno dei corridori, mentre il capitano dei lanciatori inizia il gioco passando la palla al compagno vicino che, a sua volta, la trasmette al successivo. Il corridore, nel frattempo, compie l’intero giro del cerchio e consegna il fazzoletto al numero 2, che inizia la sua corsa.

Quando la palla è ritornata, dopo una serie di passaggi, nelle mani del capitano, si conta “un’ora”.
Il gioco prosegue finchè l’ultimo corridore ha compiuto il suo giro riconsegnando il fazzoletto al numero 1. In quel momento si arresta anche la palla e si calcolerà quanti passaggi sono stati effettuati (minuti) dopo l’ultima ora completa.

Per esempio, potremo avere 7 ore e 6 minuti, cioè sette giri completi della palla più sei passaggi.
Si invertono i compiti delle due squadre e al termine del gioco si raffrontano i due tempi ottenuti. Vince la squadra che ha impiegato il minor tempo. Qualora nel corso dei passaggi la palla cadesse a terra, il giocatore, dopo averla raccolta, non potrà passarla al compagno prima di essere ritornato nel suo cerchio (pedana dei lanciatori).

Colin Maillard
E’ pressappoco l’equivalente del gioco italiano chiamato “mosca cieca”. Il suo curioso nome deriva dal Colin, un valoroso  muratore che nel Medioevo era un prode cittadino di Liegi. In guerra, alla difesa della sua città, usava come unica arma il suo grande mazzuolo, col quale vibrava grandi colpi.
Un giorno, in battaglia, una freccia lo colpì togliendogli la vista. Il bravo Colin non si ritirò dal combattimento ma a tentoni continuò a cercare i nemici, cercando di individuare i bersagli prima di tirar giù grandi colpi di maglio. Da “maglio”, ecco il nome di Maillard, cioè “Colin che batte la mazza”.
Si gioca, naturalmente con Colin, bendato, fra un gruppo di giocatori che cerca di evitarlo (il campo di gioco deve però essere circoscritto, non deve cioè permettere di allontanarsi troppo). Invece del pericoloso maglio, Colin ha in mano un tubo o un rotolo di cartoncino. Può colpire con esso chi gli è attorno, ma se tocca con la mazza qualcuno, deve anche dirne il nome. In genere, cercherà di toccarli invece con le mani: chi è preso deve fermarsi, immobile, e Colin deve cercare di sapere chi è prima di ricorrere al maglio!

Il fuggitivo
Si gioca su un percorso rettilineo. Un giocatore è il fuggiasco della steppa, e dietro a lui corre la muta dei lupi (gli altri giocatori), con solo 20 metri di distacco. Gli inseguitori devono riuscire a toccare il fuggitivo, ma questo ha il mezzo di salvarsi prima; porta in mano alcune pallottole di carta o sassolini o palline da ping pong e può lanciarle quando sta per essere raggiunto. In questo caso, l’inseguitore che è in testa è obbligato a fermarsi e può proseguire la corsa solo  quando ha raccolto quanto è stato gettato.
Il numero delle palline da gettare deve essere proporzionato alla lunghezza del percorso e al numero degli inseguitori, in modo tale che vi siano uguali possibilità per l’uno o per gli altri di vincere.

La quintana
Questo tipico gioco italiano, ricordo delle tradizioni cavalleresche del Medioevo, può essere imitato coi bambini, coi mezzi a nostra disposizione. Non ardenti destrieri, quindi, né lance o armature… ma una buona imitazione.
La quintana prevedeva che, nell’arena, un cavaliere al galoppo riuscisse ad infilare un anello cogliendolo con la punta della lancia.
Ci occorre un anello del diametro di 10-15 centimetri; se ne potrà trovare una dai vari giochi di plastica; la materia di cui è composto non importa e, con due colpi di compasso e un’accurata opera di  ritaglio, se ne può produrre uno anche da un pezzo di cartone robusto o compensato.
Come lancia useremo un lungo bastone, magari un manico di scopa.
Appendiamo l’anello a mezz’aria. Si può giocare sia in palestra sia fuori, ma attenzione che dietro l’anello e vicino ad esso non ci sia nulla di fragile!
A gruppi di due, i giocatori impersonano per ciascuna coppia un cavaliere e… un cavallo, scambiandosi magari di ruoto a turno. Il cavallo fa salire il cavaliere a cavalcioni, il cavaliere impugna la “lancia” e, quando è il suo turno, caracolla sulla linea di partenza e si dirige verso l’anello cercando di infilarlo in corsa. E’ assolutamente proibito fermarsi, neppure per un istante. Vince chi infila l’anello al passaggio.
Al termine, vince la coppia che nei turni disputati ha infilato l’anello più volte.

Terra-Mare
I partecipanti al gioco si dividono in due gruppi equilibrati disposti su due file parallele faccia a faccia, distanti fra loro tre metri.
Dietro a ciascuna squadra a 10-15 metri si traccia una linea sul terreno; da una parte sarà terra, dall’altra sarà mare.
Il capo gioco si pone tra i due gruppi. Quando pronuncia “terra”, i fanti cercheranno di raggiungere la “terra” inseguiti dai marinai. Se la squadra che li insegue riesce a toccare almeno un avversario segna un punto; al contrario il vantaggio sarà assegnato alla squadra segnalata dall’arbitro.
Il capo gioco nomina ora l’uno ora l’altro gruppo, senza tuttavia seguire un ordine fisso. Vince la squadra che totalizza un punteggio determinato, o un maggior numero di punti in un tempo fissato.
Variante:
durante l’azione, convenzionalmente, un fischio dell’arbitro potrà invertire la direzione dell’inseguimento. Se la quadra A insegue B, al segnale il gruppo B cercherà di raggiungere il gruppo A.

L’assalto
A 50 metri circa dalla linea dove si sono schierati i giocatori si mette una bandiera o un oggetto qualsiasi; dietro a questo un ragazzo: la sentinella, con le spalle rivolte verso i compagni.
Al via tutti cercheranno di avvicinarsi alla bandiera velocemente, ma con cautela, perchè ad un fischio improvviso dell’arbitro, a sentinella si gira di scatto e cerca di sorprendere qualcuno in movimento: se ci riesce lo rimanda alla linea di partenza a iniziare l’assalto.
Ad un nuovo fischio la sentinella si gira ed ognuno riprende l’attacco, ma sempre con cautela. perchè il cenno può giungere da un momento all’altro.
Vince chi tocca per primo la bandiera senza lasciarsi sorprendere in movimento.
Il tragitto può essere reso difficile con alcuni ostacoli: passaggi obbligati, corde tese da saltare, ecc.
E’ ovvio che i giocatori potrann avanzare anche quando la sentinella sta osservando: basta non farsi notare.

Recite per bambini – Qua qua, attaccati là

Recite per bambini – Qua qua, attaccati là. Qualche anno fa, per la mia prima prima classe,  avevo messo in rima questa fiaba, che fa parte delle Fiabe italiane raccolte da Italo Calvino. Mi sono presa qualche licenza, ad esempio per me il papà del Tignoso non fa il ciabattino, ma lavora nella vigna (che fa rima con tigna… )…

Qua qua, attaccati là (la fiaba originale)

Un Re aveva una figlia, bella come la luce del sole, che tutti i principi e i gran signori l’avrebbero voluta in sposa, se non fosse per via del patto che aveva stabilito con suo padre.
Bisogna sapere che una volta questo Re aveva offerto un gran pranzo, e mentre tutti gli invitati ridevano e stavano in allegria, solo sua figlia rimaneva seria  e scura in volto. “Perchè sei così triste?” le domandarono i commensali. E lei: zitta. Tutti si provarono a farla ridere, ma nessuno ci riusciva.
“Figlia mia, sei arrabbiata?” le chiese il padre.

“No, no, padre mio.”
“E allora, perchè non ridi?”
“Non riderei nemmeno se ne andasse della mia vita.”
Al Re allora venne quest’idea: “Brava! Visto che ti sei così intestata a non ridere, facciamo una prova, anzi un patto. Chi ti vorrà sposare, dovrà riuscire a farti ridere.”
“Va bene, padre” disse la principessa, “Ma ci aggiungo questa condizione: che chi cercherà di farmi ridere e non ci riuscirà, gli sarà tagliata la testa”.
E così fu stabilito, tutti i commensali erano testimoni e ormai la parola data non si poteva più ritirarla.
La voce si sparse per il mondo, e tutti i principi e i gran signori volevano provare a conquistare la mano di quella Principessa così bella. Ma quanti ci provavano, tutti ci rimettevano la testa. Ogni mattina di buonora la Principessa si metteva sul poggiolo ad aspettare che arrivasse un pretendente. Così passavano gli anni, e il Re aveva paura di vedersi questa figlia andarsene in spiga come un vecchio cespo di insalata.
Ora accadde che la notizia capitò anche in un paesotto. Si sa che a veglia si vengono a sapere storie di tutti i generi, e così si parlò di quel patto della Principessa. Un ragazzo con la tigna in testa, figlio di un povero ciabattino, era stato a sentire a bocca aperta. E disse: “Ci voglio andare io!”
“Ma va’ là, tu! Non dire sciocchezze, figlio mio.” fece suo padre.
“Sì, padre, voglio andare a vedere. Domani mi metto in viaggio.”

“T’ammazzeranno, quelli non scherzano”
“Padre, io voglio diventare Re!”
“Sì, sì” risero tutti “un Re con la tigna in testa!”
L’indomani mattina, il padre non pensava nemmeno più a quell’idea del figlio, quando se lo vide comparire davanti e dire: “Allora, padre, io vado; qui tutti mi guardano brutto per via della tigna. Datemi tre pani, tre carantani (moneta di rame) e una boccia di vino.”
“Ma pensa…”
“Ho già pensato a tutto”, e partì.
Cammina cammina, incontra una povera donna che si trascinava appoggiandosi a un bastone. “Avete fame, padrona?”, le chiese il tignoso.
“Sì, figlio, e tanta. Avresti qualcosa da darmi da mangiare?”
Il tignoso le diede uno dei suoi tre pani, e la donna lo mangiò. Ma visto che aveva ancora fame, le diede anche il secondo, e poichè gli faceva proprio pietà, finì col darle anche il terzo.
E cammina cammina. Trova un’altra donna, tutta in stracci: “Figliolo, mi daresti qualche soldo per comprarmi un vestituccio?”

Il tignoso le diede un carantano; poi pensò che forse un carantano solo non bastava, gliene diede un altro; ma la donna gli faceva tanta pietà che le diede anche il terzo.
E cammina cammina. Incontra un’altra donna, vecchia, grinzosa, che se ne stava a lingua fuori dalla sete che aveva: “Figliolo, se mi dai un po’ d’acqua da bagnarmi la lingua, salvi un’anima del Purgatorio”.
Il tignoso le porse la sua boccia di vino; la vecchia ne bevve un po’ e lui la invitò a berne ancora, finchè non gliel’ebbe scolata tutta. Rialzò il viso, e non era più una vecchia, ma una bella fanciulla bionda, con una stella tra i capelli: “Io so dove vai, e ho conosciuto il tuo buon cuore perchè le tre donne che hai incontrato ero sempre io. Voglio aiutarti. Prendi questa bella oca, e portala sempre con te. E’ un’oca che quando qualcuno la tocca, stilla “Quaquà” e tu devi dire subito: ‘Attaccati là’.” E la bella fanciulla sparì.
Il tignoso continuò la strada portandosi dietro l’oca. A sera arrivò a un’osteria e, senza soldi com’era, si sedette fuori, su una panca. Uscì l’oste e voleva cacciarlo via, ma in quella capitarono le due figlie dell’oste e, vista l’oca, dissero al padre: “Ti prego, non mandar via questo forestiero. Fallo entrare e dagli da mangiare e da dormire”.
L’oste guardò l’oca, capì cosa avevano in testa le figlie e disse: “Bene, il giovane dormirà in una bella camera, e l’oca la porteremo nella stalla”.

“Questo poi no” disse il tignoso “l’oca la tengo con me; è un’oca troppo bella per stare in una stalla”.
Dopo mangiato, il tignoso andò a dormire e l’oca la mise sotto il letto. Mentre dormiva, gli parve di sentire un tramestio; e tutt’a un tratto l’oca fece “Quaquà”. “Attaccati là” gridò lui, e s’alzò per vedere.
Era la figlia dell’oste, che s’era avvicinata carponi, in camicia, aveva abbrancato l’oca per portarle via le piume e ora era rimasta appiccicata in quella posizione.
“Aiuto sorella! Vienimi a staccare!” gridò. Venne la sorella, in camicia anche lei, abbraccia la sorella alla vita per staccarla dall’oca, ma l’oca grida: “Quaquà”. E il tignoso: “Attaccati là!”, e anche la sorella resta lì attaccata.
Il giovane s’affacciò alla finestra: era quasi giorno. Si vestì e uscì dall’osteria, con l’oca dietro e le due figlie dell’oste attaccate. Per strada incontrò un prete. Vedendo le figlie dell’oste in camicia, il prete cominciò a dire: “Ah, svergognate! E’ così che si va in giro a quest’ora? Ora vi faccio vedere io!”. E giù una sculacciata.
“Quaquà!” fa l’oca.
“Attaccati là!” dice il tignoso, e il prete resta attaccato anche lui.

Continuano la strada, con tre persone attaccate all’oca. Incontrano un calderaio carico di casseruole, pentole e tegami. “Ah, cosa mi tocca di vedere! Un prete in quella posizione! Aspetta me!” E giù una bastonata.
“Quaquà!” fa l’oca.
“Attaccati là!” fa il tignoso, e ci resta attaccato anche il calderaio, con tutte le sue pentole.
La figlia del Re quella mattina era come al solito sul poggiolo, quando vide arrivare quella compagnia: il tignoso, l’oca, la prima figlia dell’oste attaccata all’oca, la seconda figlia dell’oste attaccata alla prima, il prete attaccato alla seconda, il calderaio con casseruole, pentole e tegami attaccato al prete. A quella vista la Principessa scoppiò a ridere come una matta, poi chiamò il padre, e anche lui si mise a ridere: tutta la Corte s’affacciò alle finestre e tutti ridevano a crepapancia.
Sul più bello della risata generale, l’oca e tutti quelli che c’erano attaccati sparirono.
Restò il tignoso. Salì le scale e si presentò al Re. Il Re gli diede un’occhiata, lo vide lì con la tigna in testa, vestito di mezzalana, tutto rattoppato, e non sapeva come fare. “Bravo, giovane” gli disse ” ti prendo per servitore. Ti va?”. Ma il tignoso non volle accettare: voleva sposare la Principessa.

Il Re, per prendere tempo, cominciò a farlo lavare bene, e vestire da signore. Quando si ripresentò, il giovane non si riconosceva più: era tanto bello che la Principessa se ne innamorò e non vide più che per gli occhi suoi.
Per prima cosa, il giovane volle andare a prendere suo padre. Arrivò in carrozza, e il povero ciabattino si stava lamentando sulla soglia della porta, perchè quell’unico figlio lo aveva abbondonato.

Lo portò alla Reggia, lo presentò al Re suo suocero e alla Principessa sua sposa e si fecero le nozze.

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Recite per bambini – Qua qua, attaccati là

In rima per una recita

Narratore:
Un Re aveva una figlia più bella di una rosa,
tutti i principi e i gran signori
l’avrebbero voluta in sposa
ma tanto tempo fa ad una festa
di non ridere si era messa in testa

Re:
Tutti ci provano a farti divertire
ma nessuno ci sembra riuscire
ordino che il primo che ce la farà
come premio in sposa ti avrà!

Principessa:
Va bene padre, ma aggiungo una richiesta
a chi fallirà taglierai la testa.

Narratore:
La notizia circolò rapidamente
e ogni giorno arrivava un pretendente.
Niente.
Il tempo passava
e il Re si disperava
neanche un piccolo sorriso
si affacciava su quel viso
e temeva che la figlia tanto bella
sarebbe rimasta per sempre zitella.
Ora accadde che passando di bocca in bocca
la notizia arrivò ad una bicocca
di un contadino che lavorava la sua vigna
col suo ragazzo che in testa avea la tigna.

Tignoso:
Dalla Principessa ci voglio andare io!

Contadino:
Va’ là, non dir sciocchezze, figlio mio!
Tignoso:
Sì, padre, domani partirò!

Contadino:
T’ammazzeranno, mai più ti rivedrò.
Tignoso:
Padre, io sarà Re, e tu verrai alla festa…

Contadino:
Sì, un Re con la tigna in testa!

Narratore:
La mattina seguente il contadino
non ricordava più l’idea del ragazzino
quando gli comparì davanti e prese a dire:

Tignoso:
Padre, io ti saluto, ho da partire
Dammi tre pani, vino e tre denari.

Contadino:
Pensaci figlio, ti uccideran domani!
Tignoso:
Ho già pensato, padre tanto amato,
ma mentre tu lavori nella vigna
tutti mi guardan storto per la tigna…

Narratore:
Il ragazzo comincia il suo cammino
e una povera donna gli si fa vicino
il viaggio della vecchia è assai penoso
e compassione muove nel tignoso

Tignoso:
Avete fame, povera comare?

Vecchia uno:
Sì caro, e tanta. Hai da mangiare?

Narratore:
Il tignoso le porse uno dei pani
la donna se lo prese tra le mani
lo mangiò, ma ancor non era sazia
seppur felice di cotanta grazia:
voi penserete forse ad uno scherzo,
finì col darle anche il secondo e il terzo.
E cammina, cammina, cammina
un’altra donna al tignoso s’avvicina
mal vestita, di stracci ricoperta
dice al tignoso con voce sofferta:

Vecchia due:
Figliolo, qualche soldo mi puoi dare
chè un vestituccio mi possa comprare?

Narratore:
il tignoso le diede un carantano
poi le allungò il secondo nella mano
e vide così povera e indifesa
che anche il terzo le donò con sua sorpresa.
E cammina cammina cammina
ora un vecchia al tignoso di avvicina
dalla gran sete con la lingua fuori.

Tignoso:
Povera vecchia, se tu non bevi muori!

Narratore:
il tignoso le porge la sua brocca
il vino già le scorre nella bocca
la la invita a berne un altro sorso
lei gliela vuota senza alcun rimorso
ma quando poi finito ebbe di bere
il tignoso un gran prodigio ebbe a vedere:
era una fanciulla bionda e bella
e tra i capelli d’oro avea una stella!

Fata:
So dove vai e vincerai sicuro
so di certo che il tuo cuore è puro
io ero le tre donne che hai aiutato
e ho deciso che vai ricompensato.
Prendi quest’oca dal bianco piumaggio
e portala con te lungo il tuo viaggio
e se qualcuno te la toccherà
la sentirai stillare “Quaquaquà”

Tignoso:
E se strilla che cosa devo fare?

Fata
“Attaccati là” presto dovrei gridare.

Narratore:
Il tignoso riprese il suo cammino
tenendo sempre l’oca a lui vicino.
A sera arrivò ad un’osteria
ma senza soldi, ne ne restò per via.
Uscì l’oste a cacciare il forestiero
ma alle sue figlie balenò un pensiero

Figlie:
Diamogli da mangiare e da dormire
mentre lui dorme l’oca può sparire…

Narratore:
Dopo aver mangiato e senza alcun sospetto
il tignoso prese sonno con l’oca sotto il letto.
Mentre dormiva ebbe un balzo al cuore:
nella sua stanza c’era un gran rumore

Oca: Quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore
La figlia dell’oste in camicione
voleva compier la cattiva azione
carponi sotto il letto s’era intrufolata
ed ora all’oca era rimasta appiccicata

Figlia uno: Aiuto sorella, vienimi a salvare!
Figlia due: Arrivo, arrivo, smetti di strillare!

Oca: Quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore:
E per voler salvare la sorella
rimase appiccicata pure quella.
Il tignoso si vestì e uscì dall’osteria
davanti a quella strana compagnia
di due ragazze ancora in camicione
appiccicate all’oca in quella posizione.
E cammina cammina cammina
a loro un sacerdote si avvicina…

Prete: Ah, svergognate, in camicia da notte!

Narratore:
E si avvicina per dar loro le botte

Oca: Quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore:
la mano che stava per dar la sculacciata
al sedere della ragazza rimase appiccicata.
E cammina cammina cammina
un pentolaio adesso si avvicina
e vedendo un prete in quella situazione
si arrabbia e vuole dargli una lezione

Pentolaio:
Ma guarda che mi tocca di vedere
un prete tocca una donna sul sedere!

Narratore:
E giù un bel colpo di bastone

Oca: quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore:
Il pentolaio con tutta la mercanzia
si aggiunge a quella strana compagnia.
La Principessa affacciata tristemente
al suo poggiolo, attendeva un pretendente
quando vide arrivare in fila indiana
quella strana sgangherata carovana:
un povero tignoso davanti a un’oca bella
una ragazza in camicione e dietro sua sorella
un prete che la toccava sul sedere
e il pentolaio con i suoi attrezzi del mestiere.
A quella vista la Principessa scontrosa
scoppiò in una risata fragorosa
chiamò suo padre, e anche lui non si trattenne
tutta la corte rideva a crepapelle.
E sul più bello del riso generale
sparì l’oca col suo corteo da carnevale.
La Principessa vide il tignoso avanti a sè
salir le scale e presentarsi al Re.
Egli lo vide così brutto e rattoppato

Re:
Quel che è giusto ti verrà dato
a mia figlia hai ridato il buon umore
per premio diverrai mio servitore

Narratore:
Ma il tignoso non volle accettare
la Principessa voleva sposare
E per prendersi il tempo di pensare
il Re gli ordinò intanto di andarsi a imbellettare.
Quando davanti a loro si ripresentò
la Principessa se ne innamorò
così bello era diventato quel tignoso
che ora lo amava e lo voleva in sposo.

Favole racconti e leggende sugli animali

[wpmoneyclick id=87865 /]Favole e leggende sugli animali – una raccolta di favole e leggende, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

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 Come nacquero il gatto e il topo

 Un giorno il leone incontrò un cinghiale. Il leone aveva una bella pelliccia rossastra e un paio di baffi che erano il suo orgoglio. Il cinghiale, invece, era scuro, di pelo corto; aveva il muso appuntito e due zanne bianche di cui andava molto fiero.

“Io sono molto più bello e più forte di te!” si vantò subito il leone, scuotendo la sua criniera.

Il cinghiale rise mostrando le sue zanne affilate. “Non ti consiglio di mettermi alla prova” disse, “ho la pelle dura io  e non temo i tuoi artigli.”

“Dunque non mi temi?” chiese sorpreso il leone abituato ad essere rispettato da tutti gli animali.

“Perchè dovrei temerti?” rispose il cinghiale, “Se starnutissi, dalle mie narici uscirebbe un animale che ti farebbe fuggire”.

“E allora starnutisci,” disse il leone, “e dopo starnutirò io”.

Il cinghiale puntò le zampette, inarcò la groppa, fece vibrare il suo codino, e finalmente starnutì. Dalle sue narici uscì un animaletto nericcio, col musino a punta e una codina fina fina. Era il topo, che gli somigliava.

Ed ecco il leone scuotere la criniera e starnutire impetuosamente. Dalle sue narici uscì fuori un animale peloso, ornato di artigli. Era il gatto, che gli somigliava.

Il topo a quella vista fuggì via, ma il gatto lo inseguì, fino a che il topo non sparì dentro un buco.

“Hai visto, presuntuoso?” disse il leone al cinghiale, “Il tuo starnuto si è dovuto nascondere per non essere divorato dal mio”. (Leggenda berbera)

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L’asino spaccone

Il leone volendo andare a caccia, chiamò l’asino, lo coprì di frasche e lo istruì perchè spaventasse, a forza di ragli, gli animali della foresta non abituati alla sua voce. Gli animali si sarebbero dati alla fuga, ed il leone li avrebbe aspettati al varco.
L’orecchiuto eseguì la consegna. Sotto la maschera verde, si mise a ragliare con quanto fiato aveva, spaventando con quell’insolito clamore gli animali rintanati nel folto. Trepidando, se la davano tutti a gambe verso il varco ove il leone in agguato balzava loro addosso e li atterrava a uno a uno.
Stanco alla fine, della carneficina, il leone chiamò l’asino e gli ordinò di tacere. Quegli, allora, con aria di gradasso: “Che potenza ha la mia voce!” disse “guarda quanti morti!”
“Straordinario!” rispose il leone “Anch’io sono stato lì lì per battermela, tanto la tua voce è terribile; ma per fortuna ti conoscevo bene e sapevo che tu, in fondo, non sei altro che un coniglio diventato grande:”

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La ranocchia e il bue

Una volta alcune rane stavano giocando sulla riva di un fosso; si gettavano nell’acqua, uscivano fuori, saltavano qua e là, piene d’allegria. Ma ecco un grosso bue che pascolava lì presso, si avvicina e scende alla riva per bere. Alcune delle rane impaurite si tuffano nell’acqua, le altre coraggiose stanno a guardare il pacifico animale. “Com’è bello! Com’è grosso!” dice una ranocchia giovinetta che non ha mai visto un bue. “Sarei proprio felice se potessi diventare come lui… sono così piccina…” E tutta presa da questa idea, la ranocchia comincia a gonfiarsi… Eh, ci vuole altro! Le altre rane la stanno a guardare con tanto d’occhi. “Cresco?” chiede sbuffando la ranocchia. “Un po’, un po’!”. E quella si gonfia ancora. “Cresco?”. Ma ad un tratto… altro che crescere! La povera ranocchia scoppia per lo sforzo e muore; e così non c’è più, nè piccola nè grossa. E’ ridicolo ed inutile l’affaticarsi a parere ciò che non si è. (M. Bersani)

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L’orsacchiotto troppo piccolo

L’orsacchiotto era il più piccolo di tutti.
Era più piccolo delle sue sorelle, molto più piccolo di suo fratello, molto molto più piccolo del suo babbo.
Molto spesso, perchè era troppo piccolo, era lasciato al di fuori di tutto quello che si faceva in casa.
Un giorno, il povero orsacchiotto si sentiva del tutto abbandonato.
Sua sorella era andata a raccogliere verdure nell’orto, e quando egli aveva chiesto di accompagnarla, aveva detto: “No, io sarò occupata e non potrò sorvegliarti; tu sei troppo piccolo e puoi perderti”.
Suo fratello stava andando a pescare. L’orsacchiotto gli domandò se poteva andare con lui, ma egli rispose: “No, io sarò occupato a pescare e non potrò sorvegliarti; tu sei troppo piccolo e potresti cadere nel lago”.
“Oh,” si lamentò l’orsacchiotto, triste e abbandonato sulla soglia di casa come un piccolo mucchietto di peli, “sono troppo piccolo per tutto…”
Proprio in quel momento, stava uscendo il suo grosso babbo, che udì il suo lamento. “Non direi, orsacchiotto” disse il babbo, “io sto andando a fare la spesa e tu sei della misura giusta per venire con me, seduto sulle mie spalle”.
L’orsacchiotto si asciugò le lacrime, e andò con il babbo.
Comprarono pane, burro, limoni, pesce, maionese, ed un grosso vaso di miele. Quando tornarono a casa il babbo disse: “Non avrei mai potuto portare a casa tutta questa roba senza l’aiuto del piccolo orsacchiotto”.
A queste parole, l’orsacchiotto si sentì forte, grande, allegro, orgoglioso di poter aiutare il babbo, come deve fare ogni bravo orsacchiotto.
(K. Jackson)

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La chiocciola, la formica e il gambero

Molto tempo fa, quando il mondo era giovane, una Chiocciola, una Formica e un Gambero decisero di coltivare insieme una risaia.

Bisogna però tenere presente che in quei giorni lontani questi tre animali erano molto diversi da come appaiono ora: la Chiocciola era completamente nascosta nel suo guscio, dal quale non usciva mai; il Gambero era incolore; e la Formica aveva il corpo grassoccio e a forma di salsiccia.

I tre amici discussero sulla distribuzione dei compiti.

“Dobbiamo dividere il lavoro in parti uguali” disse la Chiocciola.

“Nessuno deve faticare più degli altri” convenne la Formica.

“Penso che sarebbe meglio se voi due lavoraste nel campo ed io badassi alle faccende domestiche” disse il Gambero.

Così decisero. Il Gambero sarebbe rimasto in casa, mentre la Chiocciola e la Formica si sarebbero recate in risaia.

Il giorno dopo all’alba la Chiocciola e la Formica uscirono di casa portando con sé un po’ di cibo preparato dal Gambero. Era così presto che gli uccelli non erano ancora volati via dagli alberi. La Chiocciola e la formica lavorarono sodo per tutto il giorno, mondando il riso nel campo. Quando il sole cominciò a calare, si accorsero di avere una gran fame.

Nel frattempo, a casa, il Gambero era affaccendatissimo a preparare una bella cenetta. Dopo essere andato nella foresta a raccogliere la legna e un mazzo di barbabietole novelle, stava mescolando sul fuoco una bella zuppa. Ne assaggiò una cucchiaiata: deliziosa!

In quel momento sentì i suoi amici tornare dalla risaia. Si affrettò a togliere dal fuoco la pentola con la zuppa. Ma ahimè, nella fretta capitombolò nel liquido bollente.

“Aiuto, aiuto!” gridò il povero Gambero, “Ti prego, aiutami, Chiocciola!”

“Un attimo!” rispose la Chiocciola “lascia che mi soffi il naso!”.

Ma ahimè! La Chiocciola si soffiò il naso così forte che schizzò mezza fuori dal guscio.

“Un attimo” rispose la Formica “lasciami prima stringere la cintura attorno ai fianchi.”

Ma ahimè, la Formica tirò la cintura così forte che il suo corpo si divise quasi in due.

Così i tre amici incorsero tutti in un terribile destino: da quel giorno il Gambero, con la bollitura, diventò rosso vivo; la Chiocciola visse per metà fuori dal guscio e il corpo della Formica rimase pressoché diviso in due.

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Il topo, l’uccello e la salsiccia

Questa è la storia di un topo, un uccello e una salsiccia che decisero di vivere assieme. La loro casetta sorgeva, bianca, con un bel tetto di paglia, in una radura in mezzo alla foresta: tutt’intorno crescevano alti alberi e nel profondo della foresta tenebrosa si aggiravano orsi e lupi.
I tre amici si erano divisi i compiti: l’uccello doveva provvedere alla legna da ardere, il topo accendeva il fuoco, portava l’acqua dal pozzo e apparecchiava la tavola, e la salsiccia cucinava.
Tutto andò bene per un po’ e i tre vivevano felici e contenti. Ma un bel giorno, l’uccello, volando nella foresta in cerca di legna, incontrò un corvo e chiacchierando con lui cominciò a vantarsi della sua buona sorte e dell’eccellente accordo che aveva stretto col topo e con la salsiccia.
“Craa!” gracchiò il corvo. “E la chiami fortuna questa? Dammi retta, il grosso del lavoro lo hanno scaricato su di te: eccoti qua a faticare per raccogliere la legna, mentre il topo e la salsiccia se ne stanno tranquillamente a casa. Immagino che il topo possa concedersi un bel pisolino dopo aver acceso il fuoco, portato l’acqua e preparata la tavola. Quanto alla salsiccia, quella sì che può prendersela comoda! Non deve far altro che sorvegliare la pentola, e quando è ora di pranzo rotolarsi una o due volte nella verdura, ed ecco fatto: la verdura è condita, salata e pronta da mangiare! Ti sembra faticoso?”
L’uccello ascoltò attentamente il discorso del corvo, e cominciò a pensare che quel che aveva detto doveva essere vero. Così il giorno dopo, quando fu il momento di andare a raccogliere la legna, dichiarò al topo e alla salsiccia: “Ne ho abbastanza di fare i lavori più pesanti in questa casa! So benissimo come ve la prendete comoda mentre io volo nella foresta. Bisogna che stabiliamo un altro accordo: mi rifiuto di andare ancora a raccogliere la legna.”
Il topo e la salsiccia ci rimasero male. Era andato tutto così bene fino a quel momento: ognuno aveva fatto il suo dovere senza lamentarsi. Comunque, decisero di sorteggiare i compiti. L’uccello prese tre rametti: chi avesse estratto il più lungo avrebbe raccolto la legna, chi il più corto avrebbe cucinato, e chi quello di mezzo, avrebbe acceso il fuoco, preparato la tavola e preso l’acqua.
Fu così che alla salsiccia toccò raccogliere la legna, all’uccello accendere il fuoco, preparare la tavola e prendere l’acqua, e al topo cucinare.
La salsiccia andò dunque nella foresta: ahimè, non aveva fatto molta strada quando si imbattè in un lupo affamato, che la divorò in men che non si dica. Questa fu la fine della salsiccia.
L’uccello, nell frattempo, dopo aver acceso il fuoco, si era recato al pozzo per prendere l’acqua.
“Il topo non se la prendeva tanto comoda, dopotutto!” pensava affaticandosi a tirar su il pesante secchio. Ma ahimè, nel momento in cui il secchio stava per raggiungere l’orlo del pozzo, l’uccello perse la presa, e nel tentativo di riafferrarlo, cadde nell’acqua e affogò. Questa fu la fine dell’uccello.
E il topo? Ignaro della sorte toccata ai suoi amici, sorvegliava la pentola, mescolando la verdura. Quando fu ora di pranzo si ricordò che la salsiccia era solita rotolarsi nella verdura per condirla e salarla, e volle fare lo stesso. Ma ahimè! Buttarsi nella pentola e finire arrostito fu tutt’uno. Questa fu la fine del topo.
Così la casetta nella radura rimase vuota e abbandonata, ed è un peccato, perchè se l’uccello non avesse dato ascolto ai cattivi consigli del corvo, i tre amici sarebbero ancora là e vivrebbero felici e contenti.

Come l’anatra imparò a nuotare

Nel buon tempo antico, quando Adamo non aveva ancora la barba lunga,  e anche il cuculo non deponeva ancora le sue uova nel nido altrui, l’anatra non sapeva ancora nuotare. Però amava l’acqua e stava volentieri sulle sponde dei laghi e degli stagni. Lì incontrava talvolta l’airone.

Un giorno, mentre chiacchieravano, ebbero l’idea che avrebbero pur dovuto imparare a nuotare.

“Chissà se il creatore lo permette?”

“Si può chiedere”.

Dunque ci pensarono su.

“Certo” disse benevolo creatore “quello di voi che domattina salterà per primo fuori dal nido potrà nuotare.”

Alla sera andarono entrambi a dormire presto. L’anatra infilò come al solito il becco sotto le penne e si addormentò. Ma l’airone no. Si propose di star sveglio tutta la notte. Per tutto il tempo stette lì a pensare che cosa avrebbe gridato all’anatra quando al mattino avesse nuotato superbo nell’acqua. Finalmente, e già il sole appariva sui monti, l’aveva trovato: “Tutto il dì sullo stagno scintillante, l’airone nuota calmo ed elegante”. Ma quando scorse il giorno i suoi occhi si chiusero per la stanchezza. L’anitra invece aveva riposato bene, uscì lesta dal nido e si tuffò nelle onde. Era capace di nuotare! L’acqua fresca lambiva il suo petto.

“Tutto il dì nuoto sul lago e dico

addio, airone, mio caro amico”.

Il povero airone si destò, ma troppo tardi. Era capace soltanto di sguazzare un pochino nell’acqua. Lì si fermò, sulle sue lunghe gambe a trampolo e allungò il collo verso l’anatra. Lo si può vedere fermo così anche al giorno d’oggi.

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Il povero caprone

Era un caldo giorno d’estate. Il sole splendeva alto nel cielo azzurro, spandendo i suoi raggi sulla terra. Una volpe, attraversando di corsa un campo di grano, giunse presso una cisterna all’ombra di una siepe verdeggiante. Aveva sete, e decise di bere alla cisterna: ma quando dall’orlo si chinò per bere, scivolò sulla terra viscida e, perduto l’equilibrio… pluff! Cadde nell’acqua. Cominciò a sguazzare, agitando le zampe in tutti i versi, ma senza risultato: non riusciva a venir fuori. Era intrappolata nella cisterna! E sapeva benissimo che il contadino cui apparteneva il campo, se l’avesse trovata, non avrebbe avuto pietà di lei: non più tardi del giorno innanzi era entrata in mezzo al gregge e aveva ucciso un agnellino; e la settimana prima aveva rubato un bel pollastro. Ahimè! Se non riusciva a venir fuori da lì, le sue ore erano contate!
Poco dopo, giunse al campo di grano un caprone bianco, con la fronte ornata di credi corna e una serica barbetta sotto il mento. Anche lui moriva di sete, e decise di abbeverarsi alla cisterna. Quale fu la sua sorpresa quando, affacciatosi, vide la volpe che nuotava nell’acqua!
“Buongiorno amica volpe” disse il caprone “dì un po’, è buona da bere quest’acqua?”
La volpe sogghignò vedendo l’espressione ingenua del caprone. “Ottima, fratel caprone: anzi, la migliore che abbia mai bevuto. Infatti, come vedi, sono entrata addirittura nella cisterna per poterne gustare a mio piacimento; ma se vuoi venire anche tu, ce n’è per tutti e due.”

Senza starci a pensare su troppo, il caprone saltò dentro la cisterna, e cominciò a lambire l’acqua con gusto, senza sollevare la testa finchè non si fu dissetato.
“Avevi proprio ragione, amica volpe” belò, con la testa gocciolante, “non ho mai assaggiato un’acqua migliore!”
La volpe sorrise. “Ora, fratel caprone, dobbiamo trovare il modo di uscire da questa cisterna”.
“E’ vero!” esclamò il caprone, guardando preoccupato le alte, lisce pareti della cisterna.
“Ho un piano” disse la volpe “ma dobbiamo unire i nostri sforzi per portarlo a compimento.”
“Farò tutto ciò che posso” belò il caprone prontamente.
“In tal caso” disse la volpe “fammi il piacere di appoggiare le zampe davanti alla parete della cisterna e di tenere ben in alto le corna: io mi arrampicherò sopra di te, e quando sarò fuori tirerò su anche te.”
Il caprone, volenteroso, seguì le istruzioni e la volpe, arrampicandosi su pre i fianchi, le spalle e le corna del caprone, raggiunse l’orlo della cisterna e si trovò finalmente sana e salva all’asciutto. Si scosse via l’acqua in attimo.
Il caprone la chiamò dalla cisterna: ” E io, amica? Non dimenticare il patto: ti ho aiutata a uscire, ora devi tirarmi su!”
La volpe si affacciò alla cisterna lanciando uno sguardo di scherno al caprone. “Tu, fratel caprone, hai più peli nella barba che cervello in testa. E’ colpa tua se ora resti prigioniero nella cisterna: avresti dovuto fermarti a pensare come saresti uscito, prima di saltar dentro. Non ho alcuna intenzione di aiutarti!”
E mentre il caprone cominciava a belare piagnucoloso, la volpe trotterellò via attraverso il campo e fu presto lontana.

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Il leone e il cinghiale

In un caldissimo giorno d’estate, un leone e un cinghiale giunsero nella stessa pozza di acqua. Sul terreno intorno erano impresse le tracce di molti animali, cervi e capre, volpi e sciacalli, elefanti e rinoceronti, nessuno dei quali avrebbe mai osato abbeverarsi insieme al leone perché ne avevano troppa paura. Ma il feroce cinghiale con le sue zanne affilate era forte quanto il leone con i suoi crudeli artigli.

Il cinghiale si avvicinò alla pozza, ma prima che potesse bere, il leone, nell’impazienza di raggiungere l’acqua, lo spinse da parte.

“Sono arrivato prima di te” grugnì furiosamente il cinghiale “quindi ho diritto di bere per primo”

“Fuori dai piedi” ruggì il leone “berrai quando mi sarò dissetato io”

“Se non aspetti il tuo turno ti farò a pezzi con le mie zanne affilate” lo minacciò il cinghiale.

“Ti ridurrò a brandelli con gli artigli, se non ti levi di torno” replicò il leone.

E di colpo si lanciarono uno contro l’altro, decisi a battersi all’ultimo sangue. Il cinghiale assalì il leone lacerandogli i fianchi fino a farne sgorgare abbondantemente il sangue. Il leone balzò sul cinghiale e lo colpì con gli artigli al punto che il poveraccio si reggeva a malapena in piedi.

D’un tratto udirono un fruscio tra gli alberi, e guardando scorsero in su un gruppo di neri avvoltoi appollaiati sui rami sopra di loro, in attesa di divorare quello dei due che sarebbe morto.

Non ci volle altro per porre fine alla lite!

Il leone disse: “Veniamo ad una tregua: è meglio per noi essere amici, piuttosto che finire in pasto a quegli uccelli del malaugurio”

Il cinghiale accettò di cuore: così, leccandosi le ferite, bevvero a turno e si lasciarono da buoni amici.

Gallo, maiale e pecorone in alto mare
Una volta gallo, maiale e pecorone veleggiavano in alto mare. Il tempo era brutto e la barca piccola.
Già temevano di non giungere più a riva.
Il maiale reggeva il timone, il pecorone buttava fuori l’acqua, mentre il gallo stava sull’albero  di vedetta contro i cavalloni.
“Remi sottovento, remi sottovento!” cantava il gallo.
“Salveremo la beeh, beehlle? Salveremo la beeh, beehlle?” belava il pecorone.
“Luff, luff! Luff, luff!” grugniva il maiale, e il viaggio non gli sembrava più così eccitante.
Finalmente giunsero a terra sani e salvi. Il pecorone se ne andò subito nel prato, il gallo trovò le sue galline, ma al maiale tremava ancora il lardo per il freddo.
“Luff, luff! Meglio tra erbe amare, che stare in alto mare!”

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La volpe vedova

C’era una volta una volpe vedova. Viveva in un’ampia tana e si era presa come serva una gattina. Per un po’ di tempo la volpe pianse il marito morto, ma quando le settimane di lutto furono passate e venne il sabato sera, essa si ripulì il pelo, sedette per benino su di uno sgabello e aspettò che qualcuno apparisse alla porta. Poco dopo si udì bussare.

“Corri e guarda chi bussa” disse la volpe vedova alla serva. La gatta corse e sbirciò fuori. Vide un grosso orso. Tornò lesta indietro.

“Com’è il suo pelo?” chiese la volpe vedova.

“Bruno come la scorza del pinastro” disse la gatta.

“E le gambe?”

“Larghe come foglie di farfaro”

“E la coda?”

“Corta come le pigne”

“Questo non lo faccio entrare” disse la volpe vedova e saltò giù dal suo sgabello.

Dopo una settimana fu di nuovo sabato. La volpe vedova si pulì il pelo, sedette sullo sgabello e aspettò. Dopo un po’ si udì bussare alla porta.

“Corri lesta a guardare chi bussa” disse la volpe vedova alla serva. Questa volta alla  porta c’era un lupo.

“Com’è il suo pelo?” volle sapere la volpe.

“Grigio come corteccia di abete”

“E le sue gambe?”

“Lunghe come sbarre di recinto”

“E la sua coda?”

“Pendente come rami di abete” disse la gatta.

“A questo non apriamo la porta” disse la volpe vedova. Di nuovo passò una settimana, finchè venne il sabato sera. La volpe vedova si pulì la pelliccia, sedette e attese. Presto si udì battere all’uscio, questa volta leggermente.

“Corri e guarda” disse le volpe vedova alla serva. La gatta corse. Davanti all’uscio c’era un ermellino. Lesta tornò indietro a dare informazioni.

“Com’è il suo pelo?”

“Bianco come corteccia di betulla” rispose la gatta.

“E le sue gambe?”

“Sottili come steli d’erba”

“E la coda?”

“Ha la punta nera”

“Questo non lo facciamo entrare” disse la volpe vedova. Dopo una settimana fu di nuovo sabato sera. La volpe vedova si pulì la pelliccia e sedette a modino sullo sgabello ad aspettare. Anche questa volta qualcuno bussò. La serva corse a sbirciare, mentre la volpe vedova stava accovacciata sullo sgabello. Quando la gatta tornò, la volpe vedova chiese:

“Com’è il suo pelo?”

“Rosso e fine come quello della mia riverita padrona” disse la gatta.

“E le sue gambe?”

“Non più lunghe e non più corte di quelle della mia riverita padrona” disse la gatta.

“E la coda?”

“Ha la punta bianca come quella della mia riverita padrona”.

“Questo lo facciamo entrare!” gridò contenta la volpe vedova e saltò giù dal suo sedile, perché adesso davanti alla porta c’era il vero innamorato. Allora l’uscio venne aperto. Quella stessa sera si celebrarono le nozze nella tana della volpe.

Il pollo che voleva andare sul monte Dovrefjell perchè non finisse il mondo intero

Una sera un pollo si era accomodato su di una grande quercia. Durante la notte sognò che il mondo intero doveva finire se lui non arrivava sul monte Dovrefjell. Allora saltò lesto giù dalla quercia e si mise in cammino.
Aveva camminato un po’ quando incontrò un gallo.

“Buongiorno Gallo Ballo” disse il pollo.
“Buongiorno Pollo Bollo, dove vuoi andare così di buon mattino?” chiese il gallo.
“Ah, devo andare sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.”
“Chi te l’ha detto, Pollo Bollo?”
“Questa notte ero sulla quercia e l’ho sognato.”
“Ma io vengo con te” disse il gallo.
Proseguirono un po’ e incontrarono un’anatra.
“Buongiorno Anatra Banatra”, salutò il gallo
“Buongiorno Gallo Ballo. Dove ti porta la strada così di buon mattino?” chiese l’anatra.
“Sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.”
“Chi te l’ha detto, Gallo ballo?”
“Il pollo bollo”
“come fai a saperlo, pollo bollo?”
“Questa notte ero sulla quercia e l’ho sognato.”
“Vengo con voi” disse l’anatra.
Avevano camminato ancora un po’ quando incontrarono un’oca.
“Buongiorno oca poca” salutò l’anatra.
“Buongiorno anatra banatra” disse l’oca “Dove andate così di buon mattino?”
“Sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.”
“Chi te l’ha detto, anatra banatra?”
“Il gallo ballo”
“E tu da chi lo sai, gallo ballo?”
“dal pollo bollo”
“E tu, pollo bollo?”
“Questa notte ero sulla quercia e l’ho sognato.”
“Allora devo venire con voi” disse oca poca.
Quando ebbero camminato per un bel po’, incontrarono una volpe.
“Buongiorno volpe golpe” salutò l’oca poca.
“Buongiorno cari amici, dove volete andare?” chiese la volpe.
“Sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.” dissero i suoi cari amici.
“Da dove lo sapete?”
“Il gallo ballo”
“Il pollo bollo questa notte era sulla quercia e l’ha sognato.”
“Che discorsi!” disse la volpe. “Il mondo non finisce così presto! Venite con me nella mia tana, dove si sta caldi e comodi. E’ molto che siete per la via, penso. E voi lo sapete: il riposo alleggerisce il peso.”
Sì, a tutti quanti la proposta sembrò buona.

Arrivati alla tana della volpe, il padrone di casa incominciò ad accendere un bel fuoco, im modo che i suoi compagni furono presi dal sonno.

Anatra banatra e oca poca sedettero in un angolo, gallo ballo e pollo bollo volarono su una trave.
Non avevano dormito molto, che la volpe mise l’anatra banatra sulle braci per arrostirla. Pollo bollo però, nel dormiveglia, sentì l’odore e gridò: “Beh, qui c’è puzza!”
“Che discorsi!” disse la volpe “è soltanto il fumo che torna indietro dalla cappa. Va’ avanti a dormire.”
Quando ebbe mangiato l’anatra banatra, la volpe fece la stessa cosa con l’oca poca, e la mise sulla brace ad arrostire.

Di nuovo pollo bollo sentì l’odore, volò su una trave più alta e gridò: “Beh, qui c’è puzza!”
Anche gallo ballo aprì gli occhi , e videro rquello che era successo all’anatra banatra e all’oca poca. Allora entrambi volarono in alto, dove potevano sbirciare dal fumaiolo, e pollo bollo gridò: “Guarda che splendide oche laggiù!”.

La volpe non se lo fece ripetere due volte. Corse lesta fuori per acchiapparne un’altra.
E con questo gallo ballo e pollo bollo se ne uscirono entrambi per il fumaiolo.
E se non fossero finalmente arrivati al monte Dovrefjell, il mondo non ci sarebbe più.

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Tiro alla fune

La tartaruga era un piccolo animale che aveva una grande opinione di sè. Si trascinava lentamente attraverso la giungla vantandosi: “Guardatemi! Sono potente come l’elefante! Sono forte come l’ippopotamo!”.
Nella giungla le notizie si diffondono rapidamente: non ci sono giornali, ma gli animali sono molto chiacchieroni e in poco tempo ognuno sa tutto quello che c’è da sapere. Ben presto quindi l’elefante e l’ippopotamo vennero a conoscenza delle vanterie della tartaruga. Il grande elefante grigio sollevò la proboscide e barrì: “Quella stupida insulsa tartaruga! Chi le dà retta?”. L’ippopotamo spalancò le grandi mascelle e sghignazzò: “Già, chi dà retta  a quella stupida insignificante creatura?”.

Rapidamente questi commenti giunsero alla tartaruga che, indignata verso l’ippopotamo e l’elefante, disse: “Dunque sarei un’insulsa insignificante creatura! Glielo faccio vedere io che cosa sono!”.
E si mise in cammino finchè non giunse nel luogo dove l’elefante stava sdraiato all’ombra di un banano. Che potente animale, con la lunga proboscide, le forti zanne, i piedi enormi! La piccola tartaruga gli si piazzò davanti e gridò: “Ehi, elefante, eccomi qua! Alzati e salutami, amico!”.
L’elefante girò la testa per vedere chi lo aveva apostrofato così familiarmente, e con somma meraviglia scoprì la piccola tartaruga.

“Come osi chiamarmi amico, bruscolino?”, s’indignò.
“Ti chiamo amico perchè siamo pari di forza e potenza” rispose la tartaruga “tu credi che non sia possibile perchè tu sei grande e io sono piccola, ma hai torto, e te lo proverò! Ti sfido a una gara di tiro alla fune!”
“Che idea balorda, piccola tartaruga!” disse l’elefante.

“Io sono pronta a gareggiare, se lo sei anche tu.” disse la tartaruga “Chi dei due riuscirà a trascinare l’altro, si dimostrerà il più forte; ma se nessuno dei due vince, saremo pari e ci chiameremo amici.”
L’elefante sospirò con aria di condiscendenza. “E va bene, piccola tartaruga, gareggerò con te.”
Allora la tartaruga prese una lunga lunga liana e ne diede un’estremità all’elefante.
“Tieni questa” disse “io mi allontano finchè la liana non sia tesa; poi tireremo finchè uno dei due riuscirà a trascinare l’altro, o la liana si spezzerà.”

E lentamente si allontanò tenendo nel becco l’altro estremo della liana. Camminò fino al fiume melmoso dove trovò l’ippopotamo che sguazzava nel fango.
“Ehi, ippopotamo, eccomi qua!” gridò. “Alzati e salutami, amico!”
L’ippopotamo guardò in su per vedere chi lo aveva apostrofato così insolentemente, e con somma meraviglia vide la piccola tartaruga.

“Come osi chiamarmi amico, piccolo bruscolino?”, s’indignò.
“Ti chiamo amico perchè siamo pari di forza e di potenza” rispose la tartaruga “tu credi che non sia possibile, perchè tu sei grande e io sono piccola, ma hai torto e te lo dimostrerò! Ti sfido a una gara di tiro alla fune!”
“Che idea balorda, piccola tartaruga!” disse l’ippopotamo.
“Io sono pronta a gareggiare, se lo sei anche tu” disse la tartaruga.

E l’ippopotamo finì per accettare la sfida, proprio come l’elefante. Allora la tartaruga gli diede il capo della liana che teneva in bocca. “Prendi questo” gli disse “io vado a prendere l’altro estremo, poi tireremo finchè uno dei due trascinerà l’altro, o la liana si spezzerà.
Adesso è chiaro il piano della piccola tartaruga! A un estremo c’era l’elefante e all’altro l’ippopotamo! La tartaruga si portò a metà della liana e, senza lasciarsi scorgere, diede uno strattone.
Appena l’elefante e l’ippopotamo sentirono muoversi la liana, cominciarono a tirare con tutte le loro forze. Come tirava e grugniva l’elefante! Come sbuffava e tirava l’ippopotamo! La liana era tesa al massimo, ma nessuno riusciva ad avere la meglio.

“Oh, potentissima piccola tartaruga!” gemette l’elefante.
“Oh, fortissima piccola tartaruga!” esclamò l’ippopotamo.
La tartaruga diede uno sguardo alla liana che tremava, poi, lasciando i due tirare, andò tranquillamente a  fare un ottimo spuntino di funghi; schiacciò un pisolino, e quando si destò era ormai il tramonto.
“Farei bene ad andare a vedere come si sono messe le cose”, pensò.
Tornò al mezzo della liana: era ancora tesa al massimo. L’elefante e l’ippopotamo avevano continuato a tirare tutto il giorno, ma nessuno dei due aveva sopraffatto l’altro.

“Credo proprio che basti” pensò la tartaruga, e con un colpo di becco spezzò in due la liana.
Che poteva mai accadere? Allentatasi la liana, l’elefante e l’ippopotamo caddero all’indietro, uno di qua e l’altro di là, percuotendo il suolo con due colpi tremendi, che rimbombarono per tutta la giungla.
Allora la tartaruga si recò dall’elefante.

“Oh, tartaruga!” disse l’elefante “Non credevo che tu fossi così forte! Ora la liana si è spezzata, perciò siamo uguali. Avevi ragione, la taglia non conta. Ora ci chiameremo amici.”

La tartaruga era giubilante: aveva trionfato sul grande elefante grigio! Poi si recò dall’ippopotamo.
“Oh, tartaruga!” disse l’ippopotamo “Non pensavo che tu fossi così forte! La liana si è spezzata, perciò siamo uguali. Avevi ragione, la taglia non conta: ora ci chiameremo amici.”

La tartaruga era veramente al colmo della felicità: aveva trionfato anche sull’ippopotamo!
E da quel giorno in poi ogni volta che il potente elefante o il forte ippopotamo incontravano la tartaruga nella giungla, la chiamavano amica.

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La storia della banderuola

Nella soleggiata terra di Spagna, dove le arance crescono in abbondanza sugli alberi, una chioccia nera covava l’uovo che aveva deposto, aspettando che il guscio si schiudesse. Ed ecco che udì un pic-piccare, e il pulcino uscì dal guscio.

Ma che pulcino buffo! La chioccia, nel vederlo, gorgogliò di stupore: era come un mezzo pulcino, un pulcino tagliato in due per il lungo. Mezzopulcino saltò fuori dal guscio rotto sulla sua unica zampa, agitò la sua unica aluccia gialla e guardò la madre con il suo unico vispo occhietto.

Tuttavia la chioccia nera amava il suo Mezzopulcino nè più nè meno che i suoi fratelli e le sue sorelle, che erano tutti pulcini regolari.
Ma quando Mezzopulcino  crebbe e diventò Mezzogalletto, mostrò di essere un dispettoso guastafeste della forza di due galletti interi.
Si cacciava sempre nei guai per qualche marachella. Infastidiva il grande cane che faceva la guardia all’aia, era arrogante con quel bell’imbusto del gallo, e correva schiamazzando dietro alle altezzose oche grigie quando scendevano dondolandosi verso il ruscello.

Poi, un bel giorno, Mezzogalletto si presentò saltellando alla chioccia nera e disse: “Sono stufo di vivere qui, in questa stupida aia. Me ne vado a Madrid in cerca di fortuna.”
Come si agittò la chioccia nera nell’udire questa notizia! Madrid, la capitale di Spagna, distava molte e molte miglia!

“Perchè vuoi andare a Madrid?” chiese.
“Voglio vedere il re di Spagna” disse Mezzogalletto “e sono sicuro che il re di Spagna sarà lieto di vedere me”, soggiunse impudente.
“Madrid è molto lontana” lo ammonì la chioccia nera “è meglio che tu resti a casa tua, nella fattoria.”
“Vedrai che ci arriverò” la rassicurò Mezzogalletto.
E partì op-op-op, per la grande città.
Ben presto giunse ad un ruscelletto. Il ruscello era nei guai, perchè le erbacce avevano invaso le sue acque.
“Aiutami, Mezzogalletto!” gorgogliò il ruscello “Fai pulizia di queste erbacce, in modo che io possa tornare a scorrere libero!”

Ma Mezzogalletto non volle aiutare il ruscello.
“Non posso fermarmi ora!” gridò “Sto andando a Madrid per vedere il re di Spagna”.
E continuò per la sua strada.
Dopo un po’ giunse ad un bosco tenebroso e una radura vide un fuoco acceso dai taglialegna. Il fuoco era nei guai perchè, per mancanza di combustibile, si stava spegnendo.
“Aiutami, Mezzogalletto!”, crepitò il fuoco “Raccogli qualche ramoscello e gettalo su di me, in modo che io possa tornare a bruciare allegramente”.
Ma Mezzogalletto non volle aiutare il fuoco.

“Ho fretta” gridò “Sto andando a Madrid per vedere il re di Spagna”.
E continuò per la sua strada.
Dopo aver percorso molte miglia saltellando su di piede solo giunse finalmente alla grande città di Madrid. Alti edifici sorgevano ai lati delle strade affollate e caotiche. Mezzogalletto continuò a saltellare fino al palazzo reale. Vicino al cancello che dava accesso al palazzo cresceva un ippocastano in fiore. Mezzogalletto vide le sue foglie a cinque dita e le sue candele di fiori rosa oscillare su e giù e udì la voce del vento chiamarlo dall’intrico dei rami.
“Aiutami, Mezzogalletto!” gemeva il vento “Mi sono impigliato in quest’albero. Liberami, ti prego!”
Ma Mezzogalletto non volle aiutare il vento.

“Non ho tempo di ascoltarti!” gridò “Sono venuto per vedere il re!”.
Attraversò il cortile del palazzo, dove montavano la guardia dei soldati in lucenti armature d’argento; spiò per una porta aperta, e un attimo dopo era dentro. Si trovò in uno stanzone dove bruciava un gran fuoco, sul quale uno spiedo con della carne girava lentamente, manovrato da due sguatteri. Al centro della stanza c’era un tavolo carico di pentole, padelle e piatti. Era la cucina reale.

Mezzogalletto, naturalmente, non lo sapeva. “Che reggia!” pensò “Questa dev’essere la sala del trono!”.
Proprio in quel momento entrò un uomo che indossava un grembiule bianco e un alto cappello pieghettato. Era il cuoco reale. Mezzogalletto, naturalmente, non lo sapeva. “E questo deve essere il re di Spagna in persona” pensò “ecco com’è la corona reale!”.
Irrigiditosi sulla sua unica zampa, fece il saluto con la sua unica ala gialla.

Il cuoco diede uno sguardo a Mezzogalletto e disse allegramente: “Stasera brodo di pollo! Era proprio te che aspettavo!”.
E afferrato il misero tra pollice e indice, lo tuffò, piume e tutto, in un pentolone che gorgogliava sul fuoco.
“Oh, acqua! Come mi scotti!” strillò Mezzogalletto.
“Hai dunque dimenticato il ruscello invaso dalle erbacce e il tuo rifiuto di aiutarlo?”, chiese l’acqua, e continuò a bollire.
Allora Mezzogalletto invocò il fuoco: “Oh, fuoco! Come mi bruciano le tue fiamme!”
“Hai dunque dimenticato il nostro incontro nel bosco e il tuo rifiuto di gettarmi sopra una manciata di ramoscelli?” chiese il fuoco, e continuò ad ardere.

In quel momento Mezzogalletto udì un sibilo su per la cappa del camino e supplicò disperato: “Oh, vento! Spegni il fuoco e rovescia la pentola con l’acqua in modo che io possa sfuggire a questo terribile destino!”
“Tu non hai voluto aiutarmi quando io ero imbrigliato nell’ippocastano” sibilò il vento. “Ma non importa. Ho pietà di te.”
E il vento soffiò facendo schizzare Mezzogalletto fuori dal pentolone, e lo trascinò in alto sopra i tetti di Madrid.
“Fermati! Fermati!” gridava Mezzogalletto.
Ma il vento non si fermò finchè non ebbe trasportato mezzogalletto proprio in cima alla guglia della chiesa più alta di Madrid, così alta da toccare le nuvole del cielo.
“Eccoti arrivato”, disse il vento beffardo.
E da quel giorno Mezzogalletto è rimasto lassù. Ora è ricoperto di una vernice d’oro che il sole fa scintillare. Spesso i cittadini odono dal basso un cigolio. Allora guardano verso la guglia e dicono:
“Che rumore fa la banderuola oggi!”
Non sanno che il cigolio è il lamento di Mezzogalletto, che ripete instancabilmente: “Oh, se avessi dato retta a mia madre, e fossi rimasto nella fattoria con lei!”

Il gatto, il topo e il vaso di strutto

C’erano una volta un gatto e un topo che diventarono amici. Il topo viveva in una chiesa, e s’era fatto il nido nel cuscino di un inginocchiatoio. Senonchè il gatto lo convinse ad andare ad abitare con lui.

“Ti sono così affezionato, che non sopporto di starti lontano” disse al topo.

“D’accordo, amico”. Il topo accettò, e così i due misero su casa assieme. Sebbene fosse estate, il gatto, da previdente massaio che era, disse: “E’ bene che facciamo provviste per l’inverno,se non vogliamo soffrire la fame”.

Il topo fu d’accordo, perciò comprarono un vaso di strutto.

“Dove lo possiamo tenere?” chiese il topo “Non abbiamo dispensa”.

“Ho un’idea” rispose il gatto “teniamolo in un angolino fresco e buio della chiesa: sarà al sicuro, e quando verrà l’inverno andremo a riprenderlo.”

Così fecero. Passarono i giorni, ma, chissà come, il gatto non poteva fare a meno di pensare con desiderio al vaso di strutto. Oh, poterne leccare anche soltanto lo strato superiore!

Una mattina il gatto disse al suo caro amico topo: “Mio cugino mi ha chiesto di fare da padrino al battesimo del suo ultimo nato, perciò oggi devo andare in chiesa: starai tu a sorvegliare la casa.”

Il topo non ebbe alcun sospetto: “Ma certo, vai tranquillo, e auguri per il battesimo.”

Il gatto andò in chiesa. Naturalmente non c’erano nè cugini nè battesimi. Si avvicinò furtivamente all’angolo dove era nascosto il vaso dello strutto e cominciò a leccarne lo strato superiore. Delizioso! Il gatto faceva le fusa dal piacere.

Quando tornò a casa, il topo gli chiese: “Com’è andato il battesimo? Spero che tu abbia passato una buona giornata”.

“Tutto bene” rispose il gatto.

“Che nome hanno dato al piccolo?” s’informò il topo.

“Viasopra” rispose con freddezza il gatto. “E’ bianco come la neve, davvero carino.”

“Viasopra!” esclamò il topo “Che strano nome!”

“Non certo più strano di Magnabriciole, com’è stato chiamato, se ben ricordo, uno dei tuoi figliocci” replicò il gatto.

Poco tempo dopo il gatto fu di nuovo preso da una gran voglia di assaggiare lo strutto, così disse al topo: “Sono stato pregato di fare da padrino a un altro battesimo: devo di nuovo lasciarti a sorvegliare la casa”

“Non preoccuparti, farò da me” rispose il topo “spero che tutto vada bene come l’ultima volta.”

Il gatto tornò in chiesa e sgattaiolò nell’angolo buio. Si diede molto da fare attorno al vaso: lo strutto sembrava ancora più delizioso! Il gatto si leccò i baffi dalla soddisfazione.

Quando tornò a casa, il topo lo salutò: “Spero che tutto sia andato bene. E che nome hanno dato al piccolo?”

“Viamezzo”, rispose il gatto in tono indifferente “E’ color guscio di tartaruga, un bel piccino!”

“Viamezzo? E’ ancora più strano di Viasopra!”

“Non peggio di Magnacacio, come, se non sbaglio, hanno chiamato un altro tuo figlioccio” rispose il gatto.

Passato ancora un po’ di tempo il gatto si sentì l’acquolina in bocca al pensiero di quel delizioso strutto.

“Pensa un po’!” disse al topo “Mi hanno chiesto una terza volta di fare da padrino. Devo andare di nuovo in chiesa, tu resta qui a badare alla casa”.

Stavolta il topo sembrava pensieroso.

“Mi chiedo che razza di nome daranno a questo figlio!” disse “Viasopra, Viamezzo… qualche altra scemenza del genere, scommetto! Ma non ti trattengo, amico, e spero che tutto vada bene come le altre volte”.

Il gatto andò in chiesa… e questa volta leccò tutto lo strutto rimasto. Che buono! Passò bene la lingua attorno alle pareti, per essere sicuro che non ne restasse nemmeno un’ombra.

“Allora, come l’hanno chiamato?” chiese incuriosito il topo quando il gatto tornò a casa.

“Temo che ti sembrerà ancora più strano” rispose il gatto “Si chiama Viatutto. E’ proprio notevole, nero con le zampe bianche.”

“Viatutto…” ripetè il topo “Questo nome è molto sospetto”.

E aveva un’aria ancora più pensierosa di prima.

Comunque il resto dell’estate e l’autunno trascorsero serenamente. Strano a dirsi, il gatto non fu più invitato ad alcun battesimo.

Venne l’inverno. La neve copriva il terreno, il ghiaccio incrostava i vetri delle finestre ed era difficile trovare da mangiare. I due amici avevano fame. Allora il topo pensò alle provviste saggiamente messe da parte per i tempi duri, cioè al vaso di strutto nascosto in chiesa.

“Andiamo a prendere il vaso di strutto che avevamo messo da parte” disse al gatto.

Il gatto gli diede un’occhiata obliqua e rispose: “D’accordo, amico”.

Appena giunti in chiesa, il topo si affrettò verso l’angolo dov’era il vaso. Quale fu il suo disappunto quando trovò il vaso ripulito fino in fondo!

“Ahimè!” squittì “Ora so che i miei sospetti erano fondati: tu non sei mai stato ad alcun battesimo! Tu sei venuto tre volte in chiesa per mangiarti tutto lo strutto. La prima volta hai leccato via lo strato superiore, la seconda volta hai leccato via la metà, e la terza volta hai leccato…”

“Sta zitto!” gridò il gatto affamato “Se dici un’altra parola ti mangio!”

Ma ormai il topo l’aveva sulla punta della lingua, e così quel “Viatutto” venne fuori…

Con un balzo il gatto fu sul topo e lo divorò.

E così è finita anche la storia.

La divisione del formaggio
C’erano una volta due ladruncoli di gatti, che avevano rubato un grande formaggio giallo.
“Dividiamolo” disse il primo gatto, una bella bestia dal pelo tigrato e dai lunghi baffi, “Farò io le parti.”
“Andiamoci piano, amico.” disse il secondo gatto, che aveva il pelo nero lucido, tranne una zampa candida e un orecchio accartocciato come un cavolfiore.
“Mbeh?” chiese il primo gatto.
“Come posso esssere sicuro che tu lo divida equamente?” disse il secondo. “Potresti approfittarne per prenderti la fetta più grossa. Penso che dovremo trovare una terza persona che faccia le parti per noi.
“D’accordo”, acconsentì il primo gatto, “ma mi dispiace vedere che non ti fidi di me, amico.”
Così il gatto nero e il gatto tigrato si misero in cerca di una terza persona che dividesse il grande formaggio giallo, e subito trovarono una scimmia dagli occhi vivaci, che aveva ascoltato tutta la conversazione stando seduta su un banano proprio sopra di loro.
“Per piacere, scimmia, potresti essere così gentile da dividere questo formaggio in due parti uguali?” dissero i gatti.
La scimmia rise sotto i baffi, pensando che quella richiesta poteva volgersi a suo favore.
“Aspettate, vado a prendere un filo per tagliare il formaggio e una bilancia” disse “peserò i due pezzi per essere sicura che siano uguali.”
Poco dopo fu di ritorno col filo e con la bilancia e tagliò il formaggio in due pezzi, mentre il gatto nero e il gatto tigrato aspettavano ansiosi. Ma l’astuta scimmia tagliò un pezzo più grande dell’altro, sicchè quando li pose sui due piatti della bilancia, uno pendeva di più.
“Povera me!” disse la scimmia “Non sono stata molto abile, vero? Bisogna eguagliare.” E con ciò si mise a mangiare il pezzo più grosso.
“Ehi, scimmia! Che storie sono queste?” s’indignarono i gatti.
La scimmia li guardò con falsa meraviglia.
“Ma come?” disse “Sto alleggerendo questo pezzo di formaggio, così bilancerà quell’altro. Non volete che io sia rigorosamente giusta?”
“Ma sì, ma sì” risposero esitanti i gatti, e stettero a guardare ancor più ansiosi mentre la scimmia prsava di nuovo i due pezzi di formaggio.
Ma ahimè! La scimmia aveva dato un morso di troppo al pezzo più grosso, che ora pesava un po’ meno dell’altro.
La scimmia scosse la testa: “Povera me!” disse “Ne ho mangiato un po’ troppo, vero? Ma niente paura, correggo subito l’errore!” e cominciò a mangiare l’altro pezzo.
“Ma cosa ti salta in mente?” protestarono i gatti “Non penserai che ti abbiamo invitata a un banchetto!”
Il muso della scimmia si atteggiò alla più completa innocenza.
“Sto solo cercando di essere rigorosamente giusta.” rispose in tono risentito, “Mi avete chiesto di dividere equamente il formaggio, e io faccio del mio meglio!”
Pesò di nuovo i due pezzi, che a questo punto erano diventati molto piccoli, ma ancora non si equilibravano: stava quindi per mettersi di nuovo a mangiar via un pezzo da quello più pesante, quando i gatti, non resistendo più a vederla divorare il loro delizioso formaggio, gridarono: “Basta, basta! Lasciaci quel che è rimasto!”
L’astuta scimmia capì che la festa era finita.
“Come volete” disse “credo  che dopotutto non ci teniate veramente ad avere parti uguali: siete solo una coppia di vecchi ladruncoli ingordi!”.
Risalì con un salto sul suo banano e cominciò a tempestare i due gatti con una pioggia di piccole banane verdi.
Ma il gatto nero e il gatto tigrato pensavano solo al loro formaggio. Non si curavano più di sapre se un pezzo era più grande dell’altro! Senonchè, dopo tutta quella commedia, i due pessi erano diventati così piccoli, che ai gatti, temo, non resto granchè da gustare: l’astuta scimmia aveva finito col mangiarne la maggior parte!

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Il cavallo e la volpe

Il cavallo era invecchiato al servizio del suo padrone, e ormai non era più in grado di compiere una giornata intera di lavoro. Non ce la faceva più a stare tutto il giorno nei campi, aggiogato all’aratro, nè a tirare ogni settimana il carico fino al mercato. Ma il suo padrone era un uomo senza cuore e, visto che il fedele cavallo non poteva più fare il suo lavoro, gli negò cibo e tetto. Lo scacciò dalla stalla dicendo: “Qui non c’è posto per chi non si guadagna da vivere. Perciò fuori dai piedi, e che non ti  veda mai più!”
Poi aggiunse: “Potrai tornare a vivere nella mia stalla e a mangiare il mio fieno quando mi dimostrerai di essere forte come il leone!”, e proruppe in uno scoppio di risa beffarde.
Il povero vecchio cavallo si mise a vagare per la campagna. Teneva la testa bassa e si sentiva molto infelice. Infine giunse nella grande foresta dove vivavano le bestrie selvatiche. Qui si imbattè nella volpe dal pelo fulvo.
“Perchè te ne stai così triste a testa bass?” chiese la volpe al cavallo.
Il cavallo sospirò: “Non posso più lavorare per il mio padrone, così questi mi ha scacciato e non vuole più vedermi. Ha dimenticato quanti anni di fedele lavoro ho fatto per lui”.
“Ahimè!” disse la volpe “Gli uomini sono creature crudeli. Ma dimmi, non ti ha per caso offerto una possibilità di rimanere con lui?”
Il cavallo si ricordò allora della condizione postagli dal padrone nel mandarlo via: “Mi ha detto che potrò tornare alla stalla se dimostrerò di essere forte come il leone. Dunque mi ha chiesto l’impossibile, perchè sono debole e vecchio.”
La volpe, inclinando la testa da un lato, si mise a studiare il problema, poi disse: “Fai come ti dico, e finirà tutto bene. Devi solo stenderti per terra come se fossi morto e non muoverti. Io torno subito.”
Il cavallo obbedì e si stese a terra. Intanto la volpe trotterellò dino alla tana del leone nella foresta.
“Maestà” disse inchinandosi profondamente “C’è un cavallo morto poco lontano da qui. Seguimi, e avrai un lauto pranzetto.”
Il leone si alzò sollecito e speranzoso e seguì la volpe, la quale lo condusse nel luogo dove si trovava il cavallo. Come tremò il cavallo dentro di sè quando udì il leone che gli si aggirava intorno! Tuttavia non fece alcun movimento, anzi se ne stette immobile il più possibile, fidandosi della volpe.
Allora la volpe disse: “Non è degno di te banchettare in pubblico, maestà. Lascia che ti attacchi il cavallo alla coda, così potrai trascinarlo nella tua tana e lì divorarlo in pace.”
Il leone accettò di buon grado il suggerimento della volpe, e si distese a terra in modo che questa potesse attaccargli il cavallo alla coda. Fu allora che la volpe mise in opera la sua furberia: girò la coda del cavallo così saldamente intorno alle zampe del leone che nessuno avrebbe potuto staccarla.
“Adesso tira, vecchio cavallo, tira più che puoi!” grigò.
Il cavallo si rizzò sulle zampe e cominciò a tirare, e così si trascinò dietro il potente ma inerme leone. Il leone ruggiva e si divincolava, ma non riusciva a spezzare il nodo fatto dalla volpe. In tal modo il cavallo trascinò il leone fuori dalla foresta fino alla fattoria del suo padrone.
Potete immaginare quale fu lo stupore del padrone nel vedere il vecchio cavallo comparire alla porta della stalla trascinandosi dietro un leone!
“Dunque, vecchio mio, hai dimostrato di essere più forte di un leone!” gridò, “E’ più di quanto ti avevo messo come condizione. Benissimo! Torna pure alla tua stalla, ed io ti nutrirò e ti curerò, anche se ormai non puoi più lavorare.”
Mantenne la parola, e il cavallo trascorse il resto della sua vita in piacevole ozio.

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La volpe e l’uva

Un giorno una volpe affamata venne a passare accanto a una vigna e scorse alcuni bellissimi grappoli d’uva che pendevano da un pergolato. I dolci acini le fecero venire l’acquolina in bocca, ma non poteva arrivarci, perchè erano posti troppo in alto. La volpe allora se ne andò con aria dignitosa, dicendo: “Sono troppo verdi: la frutta acerba fa male…”

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Favole e altre storie di animali

Favole e altre storie di animali – una raccolta di favole adatte alla lettura e il riassunto per le classi prima e seconda della scuola primaria, disponibili anche in  scheda e stampabili gratuitamente in formato pdf.

Il picnic degli animali

Le orchidee erano in fiore nella giungla.
Per festeggiare la primavera gli animali avevano fatto un picnic. Alla fine…
“Brrr!” barrì l’elefante sollevando la proboscide. “Non si può lasciare così la radura: con tutti questi piatti e questi bicchieri di plastica sparsi, con le bottiglie vuote e le cartacce e gli avanzi di cibo… Qualcuno deve far pulizia!”
“Io non posso” disse l’ippopotamo. “Devo tornare subito al fiume.”
“Neppure io” disse l’airone rosa “ho paura di sporcarmi le piume.”
“Rrrr!” ruggì il leone “Neppure le grandi piogge potranno distruggere questi orribili rifiuti: la foresta intristirà con tanti pezzi di vetro, di plastica e di latta. Non ci sarà dunque nessuno che farà pulizia?”
“Lo farò io!” disse allora lo scimpanzé “ho le mani!”

Bra, il diverso
Bra il bradipo viveva nella giungla, sull’alto albero della gomma, penzoloni a trenta metri da terra.
Gli altri animali lo prendevano in giro: “Guarda quello: sta sempre aggrappato ad un ramo! Sta sempre capovolto! E’ diverso da noi!”
Ma un giorno le grandi ali spiegate dell’aquila rapace disegnarono nel cielo un’ombra scura.
Il tapiro dalla paura infilò il muso nell’ortica. Il formichiere dallo spavento si coprì la testa con la coda.
L’armadillo dal terrore cominciò a tremare.
Tutti gli animali tacquero agghiacciati. E Bra?
“Bra è stato l’unico a non aver avuto paura” dissero gli animali non appena l’aquila se ne fu andata.
“Nessun animale della foresta riesce a nascondersi meglio di lui. Chi volete che lo veda? Appeso a un ramo anche quando dorme, sembra una palla di muschio. E pensare che noi lo prendevamo in giro!”

L’uccellin del freddo
Viene l’inverno: e con gelide tramontane spazza ogni cosa e copre di neve e di silenzio la terra. L’inverno è lì che mette bianco sui campi, quando vede un uccellino che va volan-do da una siepe all’altra.
“O tu che fai?” domanda. “Da dove scappi?”
“Stavo su, nella boscaglia; e sono venuto al basso a far due chiacchiere col mio amico pettirosso”.
“Ah sì? E il tuo amico dov’è? Partito? E tu che fai qui? Perché non sei andato con lui?”
“Io non ho paura del freddo. Dopo di te tornerà la prima-vera; e sto ad aspettarla.  Trre trre terit!”
“Ora comando io; e non voglio che voli e canti, ma riposo e silenzio”: Ciò dicendo, l’inverno copre di neve anche le siepi degli orti e dei giardini. L’uccellino, che si era nascosto in una catasta di legna, si trova al mattino in mezzo alla neve, ma non si perde d’animo e ricomincia a cantare “Trre trre terit!” L’inverno apre il sacco dei venti e da uscire una tramontana così arrabbiata da far scappare anche i lupi.
L’uccellino, che si era nascosto in un tronco d’albero, trova al mattino tutto gelato, ma non si perde d’animo e ricomincia a cantare: “Trre trre terit!”
“Ma insomma, tu chi sei?”
“Io sono il Re di macchia, sono lo scricciolo, il reattino.”
“Ah! E ancora non senti freddo?”
“Lo sopporto. Sono abituato ai venti delle montagne.”
L’inverno rimane sopra pensiero; dice:
“Sei piccolo ma ardito. Mi piaci. Resta pure con me. Sarai il mio uccellino: l’uccellin del freddo.”

Il topino sapientone
C’era un bambino che non  studiava; il suo libro sempre lasciava di qua, di là.
Un topolino, per imparare, le lunghe pagine a rosicchiare incominciò. E rodi e rodi coi forti denti, lettere e sillabe, virgole e accenti, tutto mangiò. Credette allora d’esser sapiente; agli altri topi diceva: “Oh gente, v’insegnerò. “
Tutti li accolse nella sua scuola, ma aperto un libro… una parola non rivelò. Risero tanto tutti i topini e poi scapparono, quei birichini, gridando: “Oh! Oh! Rodere i libri non vuol dir niente, bisogna leggerli, signor sapiente!”

Chi troppo vuole…
C’era una volta una gallinella nera che faceva un uovo tutti i giorni. Figuratevi la contentezza della sua padrona! Appena sentiva il coccodè, correva al pollaio e beveva l’uovo fresco.
Ma quella donna, avendo osservato che la gallina era molto magra, pensò: “Se diventasse grassa, mi farebbe almeno due uova al giorno!”
E per questa speranza, incominciò a nutrire la gallina con bocconi ghiotti e abbondantissimi. La gallina cresceva a vista d’occhio. Ma quando davvero fu bella grassa, smise di fare le uova.

La rosa e il bruco
Un bruco verde disse a una rosa: “Tu sei bella e odorosa; ma che peccato! Il tuo gambo è pieno di spine!”
E la rosa rispose: “Caro mio, se non avessi le spine, a quest’ora tu saresti arrivato fin quassù e avresti mangiato il bocciolo mio fratello”.

Piccioncini
Nel nido nacquero due piccioncini. Non avevano penne, tenevano sempre gli occhi chiusi. Il babbo e la mamma li vegliavano continuamente. Li imbeccavano; li coprivano col loro corpo per tenerli caldi. E i piccioncini facevano:”Pio pio!”. Come per dire che erano contenti di essere nati, come per ringraziare il babbo e la mamma delle premure che avevano per loro.

La tartaruga
Una mattina la tartaruga si mise in cammino per sbrigare certi suoi affari piuttosto urgenti.
Doveva recarsi da un coniglio banchiere, che aveva il suo ufficio a due miglia di distanza. Cammina cammina, una fermatina qui, e una chiacchierata più là, in dieci ore e più fece appena cinquanta passi.
E allora dovette accorgersi che già faceva buio. Si guardò intorno, e disse con un sospiro: “Ah, come sono corte le giornate!”

La mosca e il moscerino
Due bovi aravano faticosamente il campo, spinti dal contadino. Una mosca volava intorno ai bovi e poi andava a posarsi sull’aratro, con un’aria di grande importanza; poi tornava a volare, a ronzare, a fermarsi sull’aratro: insomma, quanto daffare!
Un moscerino, intanto, passava di lì e le chiese: “Perché ti affatichi così? E che cosa fai?”
La mosca arrogante rispose: “Non lo vedi? E’ proprio necessario spiegarlo? Solamente tu non capisci; noi ariamo la terra.”
A questa risposta perfino il moscerino si mise a ridere.

Il gallo e il sole
Un gallo faceva chicchirichì tutte le mattine, prima che il sole si levasse. E ripeteva spesso con grande vanità: “Sono io che faccio levare il sole!”. Tutti i polli avevano un gran rispetto per il gallo perchè credevano che fosse davvero il padrone del sole.
Una mattina il gallo dormì più del solito, e quando si svegliò, si accorse che il sole era già alto.
Povero gallo, come rimase confuso e avvilito! Perfino le galline risero di lui.

Il corvo e la volpe
“Quanto sei bello!” diceva la volpe a un corvo, che se ne stava appollaiato sul ramo di un albero, e teneva nel becco un pezzo di cacio.
“Che belle piume nere! Se tu avessi una voce melodiosa, ognuno ti chiamerebbe il re degli uccelli!”.
Queste lodi fecero girar la testa al povero corvo, che aprì il becco per cantare.
Ma il cacio cadde in terra e fu subito addentato dalla volpe.

Il ghiro e il mastino
Dopo aver dormito cinque mesi interi, un ghiro usciva per la prima volta dalla sua tana, ancora tutto intorpidito. Ed ecco, appena arrivato all’orlo del bosco, vide passare un cerbiatto che correva come il vento. Il ghiro rimase sbalordito, impaurito, e subito tornò nella sua tana. Stando sull’uscio diceva: “Ma che stranezza! Che sciocchezza! La gente assennata non corre mai in quel modo!” Un vecchio mastino, che era lì fermo a godersi il sole, udì quelle parole e osservò: “Caro mio perché vuoi misurare gli altri, confrontandoli con te? Se la natura ha fatto tanto diversi il ghiro e il cervo, non devi meravigliarti se tu sei tanto lento e il cervo è tanto rapido.”

Tra i due litiganti il terzo gode
Un orso e un leone si litigavano tra di loro per un pezzo di carne.
“L’ho visto prima io!” esclamava l’orso.
“Ma io l’ho preso!”, ribatteva il leone.
“Dunque dividiamolo a metà!”
“No, perché è tutto mio!”
Dalle parole passarono ai fatti, e cominciarono a picchiarsi come disperati. Picchia picchia, si stancarono, e alla fine dovettero distendersi per riposare un poco. Così distesi, si addormentarono.
Intanto il pezzo di carne era rimasto in terra e ci camminavano sopra le formiche.
Una volpe sbucò dalla macchia, prese il pezzo di carne,  e se ne fece una bella scorpacciata con tutto il suo comodo.

La parola data
Un lupo affamato uscì dal bosco e arrivò fino alle case degli uomini. Dalla finestrina di una casuccia uscivano le grida di un bimbo imbizzito, e il lupo disse fra sé: “Come mi piacerebbe non far gridare più quel bambino!” e si leccava le labbra. Giusto in quel momento una vecchia, dentro la casuccia, diceva: “Bada, bambino, se non smetti di piangere ti darò al lupo!”.
“Benissimo” pensò il lupo “è proprio quello che cerco io”. E si mise a sedere, perché era inutile andare a cercare più lontano quello che orai era tanto vicino. Bastava solo aspettare.
Aspetta, aspetta, si fece notte e nessuno gli portava il bambino. Forse si erano tutti addormentati. Ma verso la metà della notte, si udì il bimbo piagnucolare, e la vecchia gli diceva: “Non piangere, bambino mio, tesorino mio. Non ti darò al lupo; anzi,  se viene lo ammazzeremo col fucile di tuo padre.” Il lupo brontolò:
“Che gente! Si vede che qui non usa mantenere la parola data.”

Il rondinino pigro
Le rondini insegnavano a volare ai rondinini, che lesti lesti facevano un giro in aria, e poi tornavano a riposarsi nel nido. Però un rondinino pigro e pauroso non voleva muoversi mai dal nido. Il suo babbo e la sua mamma non riuscivano a persuaderlo con il loro cinguettio. Il rondinino nascondeva perfino la testa dentro al nido. Finalmente il babbo e la mamma si stizzirono. E afferrato per le ali il rondinino pigro, lo trasportarono insieme con loro. Poi lo lasciarono andare nell’aria.
Il rondinino traballò, come se dovesse cadere; ma dopo un istante volò allegramente insieme con tutti gli altri.

Il topo e il leone
Un topo, senza volere, passò una volta sul corpo di un leone addormentato. Il leone si destò di soprassalto, e con una delle sue zampone afferrò il topo. “Per carità non mi ammazzi!” esclamò il povero animalino “Non volevo disturbarla e le prometto che ad ogni occasione l’aiuterò volentieri”…Il leone cominciò a ridere, nel sentir dire che un topo gli prometteva di aiutarlo. E tanto rise, che allargò la zampa, e il topolino potè fuggire tutto contento.
Passò del tempo, e una volta il leone restò impigliato in un laccio teso dai cacciatori. Si dibatteva furiosamente, ruggiva in modo da far tremare gli alberi, ma la fune non si spezzava perché era molto grossa e resistente. In quel momento arrivò di corsa il topolino. “Aspetti un poco” disse quando ebbe visto di che cosa si trattava, “Per me il rodere è un divertimento!”. In verità dovette rodere con molta fatica per più di un’ora. Ma alla fine la  corda si spezzò e il leone fu libero. “Vede?” disse il topo “Ora lei non ride più; e ha capito che anche un poveraccio come me può essere utile davvero al re degli animali.”

Il gatto e i topi
In una casa vivevano moltissimi topi. Un gatto riuscì ad entrare nella casa e cominciò a catturarli. Questi si accorsero che la faccenda si metteva male, e dissero: “Sapete che facciamo? Non scendiamo più dal soffitto, fin quassù il gatto non potrà certamente raggiungerci.
I topi smisero così di scendere in basso, ma il gatto cercò il modo di essere più furbo di loro. Si aggrappò con una zampa al soffitto e si lasciò penzolare, fingendo di essere morto. Uno dei topi lo vide in quella posizione, ma gli disse: “No, amico mio. Neppure se ti riducessi a sembrare un sacchetto, io ti avvicinerei!”

Gli uccelli nella rete
Un cacciatore tese la rete sulla riva di un lago. Vi rimasero prigionieri molti uccelli. Ma erano grossi: sollevarono la rete da terra e volarono via con essa. Il cacciatore si mise a rincorrerli.
Un contadino lo vide e gli disse: “Dove corri? Credi di poter raggiungere un uccello che vola?
Il cacciatore rispose: “Se fosse un uccello solo, non lo raggiungerei. Ma questi non mi sfuggiranno.”
E così avvenne. Al calar della sera, gli uccelli volevano ritornare al loro nido ciascuno in luoghi diversi: uno verso il bosco, un altro verso la palude, un terzo verso i campi. E finirono per cadere a terra insieme alla rete.
Così il cacciatore li catturò.

La coda della volpe
Un uomo aveva catturato una volpe e le domandò: “Chi ha in-segnato alle volpi ad ingannare i cani con le loro code?”
La volpe ribattè: “Ingannare i cani? Noi non li inganniamo; fuggiamo dinanzi a loro più in fretta che possiamo.”
L’uomo insistette: “No, voi li ingannate con la coda. Quando i cani stanno per raggiungervi e cercano di catturarvi, voi scuotete la coda da un lato; il cane si slancia sulla coda, e voi fuggite dal lato opposto.”
“Non lo facciamo per ingannarli,” spiegò la volpe sorridendo “ma per cambiare direzione. Quando il cane sta per raggiungerci e noi vediamo che non possiamo sfuggirgli, cerchiamo di cambiare direzione; ma per girarci in fretta, dobbiamo spingere la coda dal lato opposto, come fate voi uomini con le braccia, quando correte e fate una curva. Non è un inganno; ce lo ha insegnato la natura stessa quando ci ha create per impedire che i cani acchiappassero tutte le volpi, dalla prima all’ultima.”

Il cervo e la vigna
Un cervo, inseguito dai cacciatori, si nascose in una vigna. Appena i cacciatori si allontanarono, il cervo cominciò a brucare le foglie larghe della vite.
I cacciatori notarono le foglie muoversi, e pensarono: “Forse, laggiù si nasconde qualche animale selvaggio.”
Spararono e ferirono il cervo. E questi, già vicino alla morte, disse: “Me lo sono proprio meritato: ho voluto mangiare proprio ciò che mi aveva nascosto e salvato la vita.”

L’asino e il cavallo
Un uomo possedeva  un asino e un cavallo. Mentre percorrevano la stessa strada con il loro carico, l’asino disse al cavallo: “Che fatica! Non ho più le forze per portare tutto questo peso. Prendi tu qualcosa.”
Il cavallo rifiutò e l’asino, privo di forze, cadde a terra e morì.
Il padrone, allora, caricò tutta la roba sul dorso del cavallo, e per giunta, anche la pelle dell’asino. E il cavallo si lamentò: “Ahimè, come sono sfortunato! Poco fa non ho voluto dare un piccolo aiuto al mio compagno, ed ora devo portare tutto il suo carico e per di più anche la sua pelle.

La testa e la coda del serpente
Un giorno la coda del serpente attaccò lite con la  testa: si doveva stabilire quale delle due dovesse andare avanti per prima.
La testa diceva: “Tu non puoi andare avanti per prima; non hai occhi e non hai orecchi!”.
La coda rispondeva: “In compenso però, io ho la forza. Sono io che ti faccio muovere. Se per capriccio mi arrotolo intorno ad un albero, tu non ti puoi spostare più.
Propose la testa: “Allora, separiamoci.”
La coda si staccò dalla testa e cominciò a strisciare da sola. Ma poco dopo non vide un crepaccio e vi precipitò dentro.

La gru e la cicogna
Un contadino tese le reti e riuscì a catturare alcune gru che gli danneggiavano il raccolto. Fra di esse vi era anche una cicogna. Per salvarsi, disse al contadino: “Lasciami andare, io non sono una gru, ma una cicogna. Fra tutti gli uccelli, noi siamo la specie più rispettabile: io abito infatti sul tetto della casa di tuo padre. Se guardi le mie piume, ti accorgi che non sono una gru”.
Il contadino rispose: “In compagnia di gru ti ho acciuffato, in compagnia di gru ti mangerò”.

La formica e la colomba
Una formica era assetata e si avvicinò alla riva di un ruscello. Un’onda la investì e la fece cadere nell’acqua. Una colom-ba, che passava portando un ramoscello nel becco, vide la formica in pericolo e le lanciò il ramoscello. La formica vi si aggrappò e fu salva. Qualche tempo dopo, un cacciatore stava per catturare la colomba nella sua rete. La formica gli si accostò e gli morse una gamba. Il cacciatore sussultò e si lasciò sfuggire la rete dalle mani. La colomba aprì le ali e volò via.

La mucca da latte
Un uomo possedeva una mucca, che gli dava ogni giorno un secchio di latte. L’uomo invitò alcuni amici a casa sua e, per avere più latte da offrire loro, per dieci giorni non munse la mucca. Pensava che  il decimo giorno avrebbe potuto avere dieci secchi di latte. Invece, il latte si era fatto denso e acido; così quando il padrone munse la mucca, questa gli diede meno latte che le altre volte.

Il lupo nella polvere
Un lupo voleva catturare una pecora del gregge e si accostò sotto vento, in modo da restare nascosto nel polverone che il gregge si lasciava dietro.
Il cane del pastore lo vide e gli disse: “Sbagli, lupo mio, a camminare nella polvere: gli occhi ti si ammaleranno.”

I cani e il cuoco
Un cuoco preparava il pranzo e i cani stavano sdraiati davanti alla porta della cucina. Il cuoco uccise un vitello e gettò gli intestini in cortile. I cani mangiarono tutto allegramente e dissero: “Che bravo cuoco! Cucina benissimo!”
Poco dopo il cuoco cominciò a ripulire piselli, rape, cipolle, e gettò fuori ciò che scartava. I cani annusarono e dissero: “Come ha peggiorato il nostro cuoco! Prima faceva da mangiare così bene, ma ora non vale più nulla.
Il cuoco, però, non si curò dei cani e continuò a preparare il pranzo, che fu consumato e lodato dai clienti del ristorante.

Il lupo e i cacciatori
Un lupo aveva catturato una pecora e se l’era mangiata. Sopraggiunsero alcuni cacciatori, riuscirono a prenderlo e deci-sero di ucciderlo. Il lupo disse loro: “Voi volete uccidermi, ma non è giusto. Se io sono povero, non è colpa mia: la natura mi ha fatto così”.
I cacciatori risposero: “Noi ti uccidiamo, non perché sei povero, ma perché ti mangi tutte le pecore che ti capitano a tiro”.

Il cavallo e lo stalliere
Uno stalliere rubava l’avena al suo cavallo e la rivendeva. In compenso, ogni giorno lo strigliava ben bene per farlo apparire bello. Il cavallo gli disse: “Se vuoi davvero che  io sia bello, non rivendere la mia avena!”.

La chioccia e i suoi pulcini
Una chioccia aveva appena finito di covare: i pulcini erano usciti dalle uova, ma lei non sapeva come proteggerli dai pe-ricoli. Perciò disse loro: “Rientrate nei vostri gusci. Io mi accovaccerò sopra di voi come quando vi covavo, e così sarete al sicuro.”
I pulcini obbedirono, tentarono di rimettersi nei loro gusci, ma inutilmente. Allora il più piccolo disse alla madre: “Se pretendevi di farci stare sempre dentro il nostro guscio, avresti fatto meglio a non farci uscire.

Il leone, l’orso e la volpe
Un leone ed un orso trovarono un pezzo di carne e si misero a litigare. L’orso non voleva cedere  e il leone altrettanto. Lottarono a lungo e alla fine caddero a terra privi di forze. Una volpe, nascosta lì vicino, vide il pezzo di carne, lo addentò e fuggì via.

Il bugiardo
Un giovane pastore stava vigilando le sue pecore e, come se avesse visto il lupo, cominciò a gridare: “Al lupo! Al lupo!”.
I contadini accorsero per aiutarlo, ma il lupo non c’era e capirono che erano stati ingannati.
Il ragazzo ripetè lo scherzo una seconda e una terza volta, ma un giorno il lupo sbucò fuori per davvero. ll ragazzo si mise a gridare: “Presto, correte! C’è il lupo! C’è il lupo!”
I contadini pensarono che egli, ancora una volta, volesse far loro uno scherzo, e non gli diedero retta. Il lupo si accorse che non c’era nessun pericolo e, comodo comodo, si mangiò tutto il gregge.

L’anitra e la luna
Un’anitra andava a nuoto per il fiume in cerca di pesci: in tutta la giornata non ne aveva cattu-rato uno. Appena fece notte, l’anitra vide la luna riflessa nell’acqua, credette fosse un pesce e si immerse per acchiapparla. Le altre anitre la videro e si burlarono di lei.
Da quel giorno divenne tanto vergognosa e impacciata che, anche quando vedeva un pesce sott’acqua, aveva timore ad immergersi e non l’acchiapava. E così morì di fame.

L’asino selvatico e l’asino domestico
Un asino selvatico vide un asino domestico; gli si avvicinò e si complimentò della sua sorte felice: era ben nutrito e dall’aspetto pareva essere trattato assai bene dai padroni.
Ma poi, quando l’asino domestico fu caricato col basto e il conduttore lo faceva trottare a tutta forza, l’asino selvatico disse: “Ora, fratello, non ti invidio più: vedo che ti guadagni la vita col sudore e con le più dolorose umiliazioni.

Il topo sotto il granaio
Un topo viveva sotto un granaio. Nel pavimento vi era un piccolo foro che lasciava cadere il grano, chicco per chicco. Col cibo sempre a disposizione, il topo viveva tranquillo, ma non era soddisfatto e volle vantarsi delle sue comodità. Rosicchiò il pavimento, allargò il foro, e invitò altri topi a fargli visita.
“Venite a far festa a casa mia” disse “Ci sarà da mangiare per tutti”.
Ma quando condusse gli amici sul posto, si avvide che il foro non c’era più. Evidentemente il padrone di casa lo aveva notato e aveva provveduto a chiuderlo.

La rana e il leone
Un leone udì una rana gracidare a gran voce e si spaventò: pensò che fosse un animale molto grosso ad emettere quel grido così forte.
Si avvicinò pian piano per vedere di che si trattasse e vide una piccola rana uscire dal pantano.
Allora disse fra sé: “D’ora in poi, se prima non avrò visto coi miei occhi di che si tratta, non mi spaventerò più.”

La cornacchia e i piccioni
Una cornacchia osservò che i piccioni vivono comodamente e sono ben nutriti, perché l’uomo pensa a loro. Si tinse le penne di bianco e volò nella piccionaia. Dapprima i piccioni pensarono che fosse dei loro, e la lasciarono entrare. Ma la cornacchia si dimenticò per un attimo del suo travestimento e si mise a gracchiare come tutte le cornacchie. Allora i piccioni presero a canzonarla e la cacciarono fuori a beccate. La cornacchia ritornò fra le compagne, ma queste, spaventate dalle sue penne bianche, la cacciarono via come avevano fatto i piccioni.

Il gallo e le lavoranti
Una padrona svegliava di notte le donne al suo servizio e al primo canto del gallo le metteva al lavoro.
A queste la vita parve molto dura; tanto che decisero di uccidere il gallo perché non svegliasse più la padrona. Gli torsero il collo, ma la loro vita peggiorò.
La padrona, infatti, per timore di non svegliarsi a tempo, da quel giorno fece alzare le lavoranti ancora prima.

La cicala e le formiche
In autunno, nel formicaio, il grano si era un po’ inumidito; le formiche lo portarono fuori ad asciugare. Una cicala affamata chiese loro qualche cosa da mangiare. Le formiche dissero: “Perché, quando era estate, non hai provveduto a farti le provviste?”
Quella rispose: “Mi mancava il tempo, avevo le mie canzoni da cantare!”.
Le formiche risero e dissero: “Se in estate hai fatto musica, in inverno ballerai”.

La volpe dallo stomaco gonfio
Una volpe affamata riuscì a scovare nella cavità di una quercia pezzi di pane e di carne lasciati là dai pastori. Vinta dalla fame vi entrò e mangiò tutto. Ma il suo stomaco si gonfiò tanto che non poteva più uscire dall’albero. Prese allora a gemere. Di lì passò, per caso, un’altra volpe; udì i suoi lamenti, si avvicinò e gliene domandò la causa. Venuta a conoscenza dell’accaduto, “Ebbene” disse “resta lì fino a quando non ritorni ad essere magra, come quando sei entrata. Allora uscirai senza alcuna difficoltà.”

Il leone vecchio e la volpe
Un leone, ormai vecchio, era incapace di procurarsi il cibo con le proprie forze. Per poter sopravvivere, pensò di ricorrere all’astuzia. Si ritirò in una caverna e, sdraiatosi, finse di essere infermo. Così poteva assalire e divorare tutti  gli animali che andavano a fargli visita. Ne aveva già mangiato un buon numero, quando gli si presentò la volpe, che si fermò a distanza dalla caverna e prese a domandargli come stava di salute.
“Male!” rispose il leone e le chiese per quale motivo non entrava.
“Io entrerei” rispose la volpe “se non vedessi tante orme di animali che entrano e nessuna di animali che escono.”.

Il toro e la zanzara
Una zanzara andò a posarsi sul corno di un toro.
Vi rimase per lungo tempo e, quando fu per andarsene, chiese al forte animale se era soddisfatto di liberarsi del peso.
Il toro le rispose: “Ma io non mi sono accorto quando ti sei posata su di me, né mi accorgerò quando te ne andrai.”

La vipera e la lima
Una vipera si introdusse nell’officina di un fabbro e chiese ai diversi utensili di farle l’elemosina.
Dopo averla ricevuta dagli altri, si avvicinò alla lima e la pregò di darle anche lei qualche cosa.
La lima rispose: “Tu sei molto sciocca, se credi di ottenere anche una piccola cosa da me, che ho l’abitudine, non di dare, ma di prendere a chiunque mi capiti vicino.”.

Il lupo e la capra
Un lupo vide una capra che stava pascolando sulle rupi scoscese di un’alta montagna. Non poteva raggiungerla per catturarla; perciò la esortò a scendere, altrimenti, per inavvertenza, poteva cadere.
“Il prato” le diceva “dove io mi trovo, è meno pericoloso e l’erba è molto più alta.”
Ma la capra rispose: “Non è per me e per la mia salvezza che tu mi chiami al pascolo, ma per te, per procurarti da mangiare.”

Il leone chiuso a chiave e l’agricoltore
Un leone si introdusse nella fattoria di un agricoltore. Questi voleva catturarlo e chiuse a chiave il cancello del cortile. La belva, che non trovava via d’uscita, prese a sbranare le pecore e poi assalì persone e buoi. L’agricoltore, temendo anche per la sua vita, aprì il cancello. Dopo che il leone si era allontanato, il contadino prese a lamentarsi di quella disgrazia. E la moglie, vedendolo in lacrime: “Ben ti sta” gli disse “hai voluto rinchiudere in casa tua un animale, che persino da lontano devi fuggire!”.

La volpe e il cane
Una volpe si introdusse in un gregge di pecore, prese un agnello e finse di baciarselo. Il cane, custode delle pecore, le chiese per quale motivo si comportasse in quel modo.
“Lo accarezzo” rispose la volpe “e gioco con lui”.
“Se non lo lascia” ribattè ringhioso il cane “vengo io a farti carezze di cane.”

Il leone, il cinghiale e gli avvoltoi
Nella stagione estiva, quando l’afa ed il caldo opprimente generano la sete, un leone ed un cinghiale si trovarono con-temporaneamente vicino ad una piccola sorgente.
Presero subito a litigare, poiché entrambi volevano bere per primi. Dalle parole passarono ai fatti: iniziarono una lotta morta-le. I due contendenti erano già feriti e sanguinanti, quando, sollevando lo sguardo al cielo, scorsero uno stormo di avvoltoi, gli uccelli che si nutrono dei cadaveri. Questi volteggiavano sopra di loro, in attesa di divorare il primo che fosse caduto morto. Così interruppero la lotta e dissero: “Meglio essere amici fra di noi, che pasto per gli altri.”

L’orso e i pesci
Se talvolta nei boschi l’orso non riesce a procurarsi il cibo, corre alle scogliose rive del mare, si afferra ad una roccia e, lasciandosi penzolare, immerge pian piano le zampe pelose nell’acqua. Così, tra i ciuffi del pelo, i granchi e i pesci restano presi. Il furbo poi si arrampica, si scrolla di dosso le sue prede e, passo passo, se le mangia comodamente.
La fame aguzza l’ingegno.

Le lepri e le rane
Nel bosco un giorno le lepri presero a protestare con grande strepito: non volevano rassegnarsi a vivere nella continua paura. Così si diressero ad uno stagno, col proposito di buttarsi dentro e di morire. Al loro accorrere le rane, spaventate, balzarono in fuga e si acquattarono sotto le verdi alghe.
“Caspita!” disse una lepre “Ci sono altri presi dal panico e sempre timorosi del male. Fermiamoci e sopportiamo la vita come tanti.

La rana gonfiata e il bue
Una volta una rana vide un bue in un prato. Presa dall’invidia per quell’imponenza, prese a gonfiare la sua pelle rugosa. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue. Essi risposero di no.
Subito riprese a gonfiarsi con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande.
Quelli risposero: “Il bue”.
Sdegnata, volendo gonfiarsi sempre più, scoppiò e morì.

La volpe e l’uva
Spinta dalla fame sotto un alto pergolato, una volpe cercava di afferrare l’uva, saltando con tutte le sue forze.
Visto che non riusciva neppure a toccarla, allontanandosi disse: “Non è ancora matura. Non voglio mangiarla acerba.”

Il lupo e la gru
Un lupo aveva inghiottito un osso che gli era rimasto in gola. Disperato, prese a vagare in cerca di qualcuno che lo liberasse dal male.
Incontrò una gru e la pregò di estrarglielo, dietro compenso. L’ingenua gru introdusse il capo nella gola del lupo, la liberò dell’osso e chiese il premio, secondo il patto. Ma il lupo rispose: “Non ti basta di aver ritirato sana e salva la testa dalla mia bocca? Chiedi anche una ricompensa?”

La mucca, la capra, la pecora e…
Una mucca, una capra e una debole pecora, rassegnata a tutte le ingiurie, fecero alleanza con un leone per andare a caccia. Riuscirono a catturare un magnifico cervo, ed il leone, fatte le parti, così ruggì: “Io mi prendo la prima poiché il mio nome è leone; la seconda dovete darla a me, perché sono socio; la terza mi spetta perché valgo di più; e se qualcuno osa toccare la quarta, finirà male”.
E così la prepotenza, da sola, si portò via tutta la preda.

La volpe e la maschera
Un giorno una volpe trovò una maschera, di quelle che si usano in teatro.
“Quant’è bella!” disse “Ma non ha cervello”

Il cane e il pezzo di carne
Un cane nuotava per il fiume, portando in bocca un pezzo di carne. Ad un tratto vide la sua immagine nello specchio delle acque e, credendo che un altro cane portasse una seconda preda, volle strappargliela.
Ma la sua avidità fu punita: lasciò cadere il cibo che teneva in bocca e non riuscì neppure a toccare quello che desiderava.

L’assemblea dei topi
Un gatto, chiamato Rodilardus, faceva un tale sfacelo di topi che non se ne vedevano quasi più, in giro, tanti ne aveva messi dentro… la sepoltura.
Ora, un giorno che il birbaccione era lontano, i topi sopravvissuti tennero assemblea. Un topo molto prudente sostenne che sarebbe stato necessario attaccare un bubbolo al collo di Rodilardus; così appena il gatto si metteva in caccia, tutti, avvertiti dei suoi movimenti, si sarebbero rifugiati sottoterra.
Tutti furono d’accordo con lui. La difficoltà fu di attaccare il sonaglio. Uno disse: “Io non ci vado, non sono mica così scemo!”
Un altro disse: “Io non sarei capace”.
Così, senza far niente, si lasciarono.

Il lupo e l’agnello
Un agnello si dissetava alla corrente di un ruscello purissimo. Sopraggiunse un lupo in caccia: era digiuno e la fame lo aveva attirato in quei luoghi. “Chi ti dà tanto coraggio da intorbidare l’acqua che bevo?” disse questi furioso.
“Sire…” rispose l’agnello “io sto dissetandomi nella corrente sotto di lei, perciò non posso intorbidare la sua acqua!”
“La sporchi” insistè la bestia crudele “E poi so che l’anno scorso hai detto male di me”.
“Io? Ma se non ero nato”, rispose l’agnello.“Se non sei stato tu, è stato tuo fratello”. “Non ho fratelli”. “Allora qualcuno dei tuoi; perché voi, i vostri pastori e i vostri cani ce l’avete con me. Me l’hanno detto: devo vendicarmi. Detto questo il lupo trascinò l’agnello nel fitto della foresta e se lo mangiò.

Pdf delle favole in formato scheda e in formato testo qui:

DIVISIONE IN SILLABE – schede

DIVISIONE IN SILLABE – schede: i bambini hanno a disposizione in classe una scatola-schedario di esercizi vari per ogni materia, da scegliere liberamente, che è uno per tutti: abbiamo per cominciare uno schedario per la Matematica, uno per l’Italiano, uno per la Musica e uno per l’Inglese.

Ogni bambino ha poi una scatola-schedario individuale, col suo nome, dove conserva i cartellini che ha usato per i suoi esercizi. E’ assurdo incollare fotocopie su fotocopie sui quaderni! Questa modalità favorisce il lavoro individuale e individualizzato, ma anche l’aiuto reciproco e la collaborazione: se un bambino ha già provato un dato esercizio, può dare una mano al compagno che lo sta facendo; poi ci sono anche schede per lavorare in coppia, ad esempio quelle dei dettati che prevedono che un bambino legga al bambino che scrive.

E’ naturalmente sempre il bambino a scegliere; se lo desidera può portare anche il lavoro a casa: vi sembrerà assurdo, ma a me che non uso dare compiti, i bambini li chiedono…

A differenza degli eserciziari “a libro”, lo schedario mi permette di aggiornare l’offerta di esercizi in base agli interessi dei bambini, o alle difficoltà che mostrano, e inoltre si integra benissimo coi materiali montessoriani già a disposizione.

Cominciamo con le schede per esercitare la divisione in sillabe.

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DIVISIONE IN SILLABE – REGOLE

Le regole della nostra lingua non sono affatto semplici, ricordiamole:

– una vocale a inizio parola, seguita da una sola consonante, fa sillaba a sè: a-nima, i-sola, o-livo

– le consonanti semplici fanno sillaba con la vocale che segue: li-mo-na-ta, se-re-ni-tà

– le consonanti doppie di dividono in due sillabe: pez-zet-ti-no, am-mat-ti-re; rientrano tra le doppie le parole con cqu: ac-qua, ac-quisto, nac-que

– due o tre consonanti diverse tra loro (non doppie) fanno sillaba con la vocale seguente, se esistono come gruppo anche all’inizio delle parole: a-bra-sivo ( perchè br esiste come inizio di parole, ad esempio in brina), ca-tra-me (treno), pu- le -dro (dritto),

– la esse impura (s seguita da consonanti) si attacca alla sillaba: e-scludo, ma-stino

– quando il gruppo di consonanti non esiste come inizio di parole, la prima consonante si stacca dalla sillaba: arit- metica (tme), pal-ma (lm), bam-bino (mbi),

– dittonghi e trittonghi non si possono dividere (au, ia, …), a meno che non si tratti di uno iato (ma meglio prendere la regola come generale, per non sbagliare, perchè ad esempio pi-o-lo è giusto, ma non si può fare pi-o-ve; allora meglio pio-lo pio-ve)

– digrammi e trigrammi non di dividono mai (sc, gl, gn,…)

– l’apostrofo in fin di riga è ammesso.

I bambini piccoli naturalmente imparano molto meglio a ricoscere la sillaba e quindi a dividere correttamente, seguendo la musicalità dei suoni e facendo esercizio. Ad esempio quando devono andare a capo insegniamo loro a dire la parola a voce alta battendo forte le mani ad ogni interruzione di sillaba: non sbagliano quasi mai!

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DIVISIONE IN SILLABE – Ecco le schede, se possono esservi utili:

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Questo è il contenuto delle schede:

Dividi in sillabe: 

rosa vaso rame casa nove mare lama tino pipa rana rapa seme
Ro-sa Va-so Ra-me Ca-sa No-ve Ma-re La-ma Ti-no Pi-pa Ra-na Ra-pa Se-me

pino tara caro sodo pila meno tana rupe palo pera sale luna vino
Pi-no Ta-ra Ca-ro So-do Pi-la Me-no Ta-na Ru-pe Pa-lo Pe-ra Sa-le Lu-na Vi–no

naso zero foglia vite libro uva pietra pane treno mosto campo orto fiori
Na–so Ze–ro Fo–glia vi-te li-bro u–va pie–tra pa–ne tre–no mo–sto cam–po or–to fio–ri

mamma palla masso tazza asse mazza pollo prezzo pazzo nonno pezza colla razzo
Mam–ma pal–la mas–so taz–za as–se maz–za pol–lo prez–zo paz–zo non–no pez–za col–la raz-zo

pozzo carro nonna cavallo carrozza fazzoletto mezza notte pallottola gallina mazzetto collina caramella
Poz-zo Car-ro Non-na Ca–val-lo Car–roz-za Faz–zo–let-to Mez-za Not-te Pal–lot–to-la Gal–li-na Maz–zet-to Col-li-na Ca–ra–mel-la

ciclismo cieco ladro mascella mondo ospedale orso placca prosciutto qualcuno romanzo simpatia spingere
Ci–cli-smo cie-co la-dro ma–scel- la mon-do o-spe-da-le or-so plac-ca pro-sciut-to qual–cu-no ro-man-zo sim-pa-ti-a spin–ge-re

idea adagio bordo balbettare badia balestra balsamo bambola balneare batticuore bavaglino beato biglia biforcuto biliardo bimbo bilancia
i–de-a a–da-gio bor-do bal-bet-ta-re ba-di-a ba-le-stra bal–sa-mo bam- bo-la bal–ne–a-re bat–ti–cuo-re ba–va–gli-no be–a-to bi–glia bi-for-cu-to bi-liar-do bim-bo bi-lan-cia

idrante archetto arachide arbitrio aprile arte attraente attrezzo avaro avverbio avventura avvoltoio azione azzuffarsi bagaglio bagnare baia
i–dran-te ar–chet-to a-ra-chi-de ar–bi-trio a-pri-le ar-te at–tra–en-te at–trez-zo a–va-ro av–ver-bio av–ven-tu-ra av–vol–to-io a–zio–ne az–zuf–far-si ba–ga-glio ba–gna-re ba-ia

appunto bitorzolo bisonte birichino blindato bivio boato boccaglio bomba bolgia borghese borsa bottiglia branzino briciola briglia brodo
ap–pun-to bi–tor–zo-lo bi–son-te bi-ri-ch-no blin-da-to bi-vio bo–a-to boc–ca-glio bom-ba bol-gia bor-ghe-se bor-sa bot-ti–glia bran–zi-no bri-cio-la bri-glia bro-do

bisbetica buono buongustaio buonora buonsenso burla calcagno calce calendario calligrafia calzamaglia
bi-sbe-ti-ca buo-no buon-gu–sta-io buo–no-ra buon-sen-so bur-la cal–ca-gno cal-ce ca–len–da-rio cal–li–gra-fia cal-za–ma-glia

cambio calzetta camoscio camicia campanel la campagna candeggi na canguro canto canzone bacio
cam-bio cal–zet-ta ca–mo-scio ca–mi-cia cam–pa-nel-la cam–pa-gna can-deg-gi-na can-gu-ro can-to can–zo-ne ba-cio

capretto capsula carbone carnivoro cartella casalinga catechismo catasto catrame cattedra brutto
ca–pret-to cap–su-la car-bo-ne car-ni-vo-ro car–tel-la ca-sa–lin-ga ca–te-chi-smo ca–ta-sto ca-tra-me cat–te-dra brut-to

cattiveria cattedrale catenaccio causa cauzione cavalcare cavalletto caviglia cavia cavolfiore celeste celebre cencio cemento
Cat-ti-ve-ria cat-te–dra-le ca–te–nac-cio cau-sa cau–zio-ne ca-val–ca-re ca–val–let-to ca–vi-glia ca-via ca–vol–fio-re ce–le-ste ce–le-bre cen-cio ce–men-to

centro centesimo cento cerimonia ceramista cervello certificato chiara chiamare cestino chiave chicco chiedere chiesa
Cen-tro Cen–te–si-mo Cen-to Ce-ri–mo-nia Ce–ra–mi- sta Cer–vel-lo Cer–ti–fi–ca-to Chia-ra Chia–ma-re Ce-sti-no Chia-ve chic-co chie-de-re chie-sa

chilometro chissà chiocciola chiosco chirurgo chitarra chiuso ciao cialda ciambella cigno ciclismo cicogna ciecamente
Chi-lo–me-tro chis-sà chioc-cio-la chio-sco chi–rur-go chi-tar-ra chiu-so cia-o cial-da ciam-bel-la ci-gno ci–cli-smo ci–co-gna cie–ca–men te

cicogna cifra cielo ciclone cilindro ciliegia ciminie ra cinghia cinquanta cipresso cintura circolare civiltà cisterna classe clessidra cliente
ci-co-gna ci-fra cie-lo ci–clo-ne ci–lin-dro ci–lie-gia ci–mi–nie-ra cin-ghia cin–quan-ta ci–pres-so cin-tu-ra   cir–co–la-re   ci–vil-tà ci-ster-na clas-se cles–si-dra cli–en-te

cobra coccinella cognome colbacco collaudo collegio colmo coltivare combattimento commedia commessa compagnia compagno compatto compito composto condividere
co-bra coc-ci-nel-la co–gno-me col–bac-co col–lau-do col–le-gio col-mo col-ti–va-re com–bat–ti–men-to com–me-dia com–mes-sa com-pa-gnia com-pa-gno com-pat-to com-pi-to com–po-sto con-di-vi-de-re

confettura confine congelare coniglio conoscenza consiglio conquista consegna consenso conserva contato contento conto convento coppa coprire cooperativa
Con–fet–tu-ra Con–fi-ne Con–ge–la-re Co–ni-glio co–no–scen-za con-si-glio con-qui-sta con-se-gna con–sen-so con–ser-va con–ta-to con-ten-to con-to con-ven-to cop-pa co-pri-re co–o–pe-ra-ti-va

coordinarecoperta copia coprifuoco copriletto coraggio corda cordialità coriandolo cornacchia cornetto cornuto corpo correggere corrente corridoio cortesia
Co – or – di – na – reCo – per – taco – pia co – pri – fuo – co co – pri – let  – to co – rag – gio cor- da cor – dia – li- tà co – rian – do – lo cor- nac  – chia cor – net – to cor – nu –  to cor – po cor – reg – ge – re cor – ren – te cor – ri – do – io cor –te – sia

coscienza coscia costo cosmetico costare crampo costume cratere crauti cranio creato creare creatività crescita cristallo crimine critica
Co–scien-za co-scia co-sto cos–me-ti-co co–sta-re cram-po co–stu-me cra-te-re crau-ti cra-nio cre-a-to cre-a-re crea-ti-vi-tà cre–sci-ta cri–stal-lo cri-mi-ne cri–ti-ca

criticone crostata crudo culmine culto cuore acquarello curiosità dalmata cuscinetto dentista danzare dardo dattero davanti degradabile decenza
cri-ti–co-ne cro–sta-ta cru-do cul-mi-ne cul-to cuo-re ac–qua–rel-lo cu-rio-si-tà dal–ma-ta cu–sci–net-to den–ti-sta dan-za-re dar-do dat-te-ro da–van-ti de–gra–da-bi-le de-cen-za

dente deserto desiderio diabolico deviazione diamante dicembre dettaglio diabete dialogare diplomazia discesa discorso distanza domanda
Den-te de–ser-to de-si-de-rio dia–bo–li-co de-via–zio-ne dia–man-te di-cem-bre det-ta-glio dia-be-te dia–lo–ga-re di–plo–ma-zia di-sce-sa di-scor-so di-stan-za do–man-da

fango fauna febbraio fat toria ferragosto fiamma fiaba filastrocca firmamento fiocco finta fosforescente foschia fraterno francobollo
fan-go fau-na feb–bra-io fat-to-ri-a fer–ra–go-sto fiam-ma fia-ba fi-la–stroc-ca fir–ma–men-to fioc-co fin-ta fo-sfo-re-scen-te fo–schi-a fra-ter-no fran-co–bol-lo

frangia frullino frusta fronte frutta galassia gaiezza geranio genio gente gioire gioioso gioco giocattolo gonnellina
Fran-gia Frul-li-no Fru-sta Fron-te  frut-ta ga–las-sia ga–iez-za ge–ra-nio ge-nio gen-te gio-i-re gio-io-so gio-co gio–cat–to-lo gon–nel-li-na

grattugia granello guardaroba guscio guida guinzaglio illustrazione imballa re imburrato i mitare impegno incantesimo infarinare insetto insegnare
grat-tu-gia gra–nel-lo guar–da–ro-ba gu-scio gui-da guin–za-glio il–lu–stra–zio-ne im–bal–la-re im-bur-ra-to i-mi-ta-re im–pe-gno in-can-te–si-mo in–fa-ri–na-re in-set-to in–se–gna-re

lastra levante lezione lineamenti lingua lungo maestra maestà magnetico magro maiuscolo maltempo marea margine marmellata
la-stra le–van-te le–zio-ne li–nea–men-ti lin-gua lun-go ma–e-stra mae-stà ma-gne-ti-co ma-gro ma–iu–sco-lo mal–tem-po ma–re-a mar-gi-ne mar–mel–la-ta

marinaio maschera mastello materia meglio metropolitana microfono migliaio miscela miseria moderno molla monte montante movimento mungere
Ma-ri–na-io Ma–sche-ra ma–stel-lo ma–te-ria me-glio me–tro-po-li-ta-na mi–cro–fo-no mi–glia-io mi-sce-la mi-se-ria mo-der-no mol-la mon-te mon-tan-te mo-vi–men-to mun-ge-re

nascere nastrino nascondino neolitico neonato nervoso nucleo obliquo oculista olivo ombelico ombrellone opposto opuscolo oriente organo
na-sce-re na-stri-no na–scon-di-no neo-li-ti-co neo-na-to ner-vo-so nu-cleo o-bli-quo o–cu-li-sta o-li-vo om–be-li-co om-brel-lo-ne op-po-sto o-pu-sco-lo o-rien-te or-ga-no

pannocchia pappagallo parte percussione pestifero piano placca polmonite portafortuna pozzanghera prefisso privato proibito promessa proprio
Pan-noc-chia pap-pa–gal-lo par-te per–cus-sio-ne pe-sti-fe-ro pia-no plac-ca pol-mo-ni-te por-ta-for-tu-na poz-zan–ghe-ra pre-fis-so pri–va-to proi-bi-to pro-mes-sa pro-prio

pugno pulpito pulizia qualifica quantità questione quiete raccolta raddoppiare rampicante reagire realista richiamo rischio risposta ruota
pu-gno pul-pi-to pu-li-zia qua-li-fi-ca quan-ti-tà que–stio-ne qui–e-te rac–col-ta rad-dop-pia-re ram-pi–can-te rea-gi-re rea-li-sta ri-chia-mo ri-schio ri-spo-sta ruo-ta

saldare scegliere scarto sciacquare segmento società sospirare stringa tecnologia terzo tombino trofeo ultimo unghia urlo utile
sal–da-re sce-glie-re scar-to sciac-qua-re seg–men-to so-cie-tà so–spi-ra-re strin-ga tec-no-lo-gia ter-zo tom–bi-no tro-fe-o ul-ti-mo un-ghia ur-lo u-ti-le

vario verso vetro vigneto volante zaino zucchero zoppicare zenzero zampone zafferano vuoto vulcano vostro versare vaglia
va-rio ver-so ve-tro  vi-gne-to vo–lan-te zai-no zuc-che-ro  zop-pi-ca-re zen-ze-ro zam-po-ne zaf–fe-ra-no vuo-to vul-ca-no vo-stro ver-sa-re va-glia

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Sul retro, dove ci sono le soluzioni per la correzione e l’autocorrezione, pinzo un foglietto, così prima di riporre la scheda il bambino può mettere la sua firma. E poi fa un po’ da “tenda del mistero”…

Il passaggio dal maiuscolo al minuscolo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare.

Il passaggio dal maiuscolo al minuscolo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare, in uso nelle scuole Waldorf, per presentare lo stampato minuscolo.

Il passaggio dal maiuscolo al minuscolo

Dopo essere state maltrattate per un anno intero, chiuse nei quaderni dei bambini della prima classe, le povere letterine tornarono a casa lamentandosi: la povera A aveva le gambe tutte larghe, la S non ne parliamo visto che ogni tanto i bambini la mettevano addirittura a testa in giù, poi c’era la D con la gobba, la T col tetto cadente, la R con una gamba rotta, la H zoppa, la P con la pancia che pendeva, la I col mal di schiena, la O piena di bitorzoli, la V che prendeva il volo… insomma non vedevano proprio l’ora di tornare a casa a riposare.

Ma non appena varcarono la soglia, quale sorpresa trovarono! Mentre loro erano state coi bambini di prima, le loro sorelline ne avevano approfittato per mettere tutta la casa sottosopra.
Le sorelle maiuscole, stanche e tutte ammaccate, non riuscivano proprio a riposare con tutta quella confusione, e per di più le minuscole facevano un sacco di capricci, e dicevano che anche loro volevano andare a scuola e conoscere i bambini della classe.

Dopo aver passato la notte in bianco, il mattino seguente le poverette stavano peggio di prima, e così decisero di andare tutte dal dottore. Visto che erano gravi, il dottore decise di ricoverarle tutte in ospedale. Ognuna venne curata, medicata, incerottata, ingessata e massaggiata, e dopo due settimane poterono tutte insieme lasciare l’ospedale. Erano tornate come nuove e si sentivano davvero bene, ma il dottore si raccomandò di non interrompere le cure, e consigliò loro di trascorrere un periodo di convalescenza in montagna. Nonostante le cure, infatti, erano ancora piuttosto deboli, e c’era il pericolo di ricadute. Così il dottore si fece promettere che sarebbero andate in montagna da sole, senza le sorelline minuscole.

E le maiuscole uscirono dall’ospedale in fila indiana, ed erano proprio belle: A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z.

Andarono a casa per preparare le valige e salutare le sorelline minuscole, ma quelle cominciarono a strillare e a far dispetti, e testarde e capricciose com’erano, non volevano sentir ragioni. Anche loro volevano andare in vacanza in montagna! Le povere sorelle maiuscole cercarono in ogni modo di convincerle, si spiegar loro che era stato il dottore a prescrivere il riposo assoluto, e che finchè non fossero completamente guarite, non avevano proprio le forze per occuparsi di loro in vacanza.

Ma non c’era niente da fare… Promisero allora che, non appena si fossero sentite un po’ meglio, le avrebbero chiamate, e così anche loro avrebbero fatto un po’ di vacanze in montagna, ma anche questa promessa non servì a nulla, se non a far aumentare le lagne e i capricci.

Allora si accordarono in segreto di far finta davanti alle piccole di aver cambiato idea e di aver rinunciato a partire, e si diedero appuntamento a mezzanotte nella stanza di A. Cenarono come se niente fosse, si lavarono, diedero il bacio della buonanotte alle sorelline e andarono a letto facendo finta di dormire. A mezzanotte, sicure che le piccole monelle fossero cadute nel tranello, si radunarono senza far nessun rumore e si prepararono alla fuga. Ma non si accorsero che due occhietti brillavano sotto il letto, e che una delle sorelline le aveva spiate ed era pronta a spifferare tutto alle altre.

Così, mentre le sorelle maiuscole preparavano i bagagli nella camera di A ed aspettavano l’alba per iniziare il loro viaggio, la sorellina piccola aveva già dato l’allarme alle altre, ed un’altra riunione segreta si stava tenendo al piano di sotto, in cucina…

Alle prime luci del mattino, le maiuscole uscirono in punta di piedi, coi loro zaini e le loro valige, e intrapresero il cammino verso la montagna… pensavano proprio di essere riuscite a farla franca. E non sospettarono mai di nulla, finchè non giunsero ad un’altura che dominava tutto il paesaggio sottostante: l’ampia vallata era disseminata di piccoli e graziosi paesini, ciascuno con la sua chiesetta e il suo alto campanile, c’era un magnifico laghetto che specchiava l’azzurro del cielo e il verde delle montagne, c’erano prati e covoni di fieno… e un po’ più in basso, dietro di loro, c’erano ahimè le sorelline minuscole…

-Aspettateci!-, gridavano quelle sciocchine, troppo piccole per avventurarsi da sole per quei ripidi sentieri -Vogliamo venire con voi!-

Le sorelle maiuscole erano più spaventate che meravigliate, e temendo ormai il peggio gridarono: -Tornate indietro! Potreste cadere da un momento all’altro! Non vedete? Per voi è troppo pericoloso salire fin quassù!-
E mentre le maggiori pensavano di averle finalmente convinte a si fermarono a fare un picnic prima di proseguire per la ripida salita, le piccole fecero finta di tornare indietro, ma approfittando della distrazione delle sorelle, si nascosero dietro ai sassi, agli alberi ed ai cespugli, e ripresero l’inseguimento.

Quando le grandi ripresero il cammino, le piccole fecero altrettanto… arrancavano a gran fatica, cercando di non farsi scoprire, in fila indiana, per mano una dietro l’altra, ma quella salita era davvero troppo per le loro piccole gambette. E successe l’irreparabile: la prima della fila perse l’equilibrio e gridando: -Aiutooooo!- cominciò a rotolare a valle lungo il pendio della montagna, trascinando con sè nella rovinosa caduta tutte le altre.

Di scatto le sorelle maggiori, giunte quasi in vetta, si voltarono e videro le piccole monelle rotolare come una valanga verso il basso, e sparire nell’ampia vallata sottostante. Non restava altro da fare che dire addio alla vacanza, e scendere a cercarle a valle, sperando per il meglio.

Con le orecchie ben aperte ridiscesero il sentiero, e stavano ormai disperando dopo ore ed ore di inutili ricerche.
Giunte a valle, sempre più preoccupate, decisero di dividersi per cercare meglio, ed ognuna prese una direzione diversa.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Una storia per presentare le vocali in prima classe

Una storia per presentare le vocali in prima classe – un racconto in uso nella scuola Waldorf per presentare ai bambini vocali dell’alfabeto maiuscolo.

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Una storia per presentare le vocali in prima classe

“La storia di Lauretta”

 

Molto, molto tempo fa, in un paese ai confini del mondo,viveva una bambina che si chiamava Lauretta. Quel paese era come un giardino, era un mare d’erba senza confini, i fiori erano i pesci, di mille colori e di mille specie. Se ne occupava un giardiniere, che conosceva tutti i segreti della vita, così quei fiori non appassivano mai, anzi diventavano sempre più belli, luminosi, profumati. Lauretta viveva proprio in quel giardino come un fiore tra i fiori. Ma proprio davanti alla sua casetta di fiori non ce n’erano. Anche lì l’erba era tenera e delicata, l’aria luminosa e tiepida come una carezza, ma non un fiore. E questa sua aiuola davanti casa le metteva malinconia.

Un giorno arrivarono nel paese un uomo e una donna: camminavano lentamente, con la schiena curva, sembravano molto stanchi. Andarono dal giardiniere e gli consegnarono due sacchettini. Poi si stesero sull’erba a riposare, e mentre dormivano il giardiniere aprì i due sacchetti e sparse i semi che contenevano nel prato. Magicamente apparvero nuovi meravigliosi fiori. Lauretta, che aveva osservato la scena da lontano, corse allora dal giardiniere per chiedergli una manciata di quei semi da spargere sulla sua aiuola senza fiori. Ma il giardiniere le disse che lui altri semi non li aveva, e che non ne esistevano nemmeno altri in tutto il loro paese: per procurarseli bisognava essere disposti a partire per un lungo viaggio.

 

Lauretta provava un desiderio fortissimo, che la spinse ai margini del giardino e senza che quasi se ne rendesse conto, si trovò a percorrere il sentiero del bosco, un sentiero che diventava sempre più ripido, stretto e buio. Lauretta aveva paura, ma proprio quando pensò di tornare indietro ricordò il giardiniere e il suo volto rassicurante e sereno, e si fece coraggio. Rialzando lo sguardo, vide sorgere davanti a sè, in fondo al sentiero, un grande arco luminoso. Lo oltrepassò, e si trovò in un’ampia sala circolare, al centro della quale splendeva una creatura incantevole. La sua veste era candida come neve, i suoi capelli una cascata d’argento fine, il suo volto pallido e luminoso come luna d’estate. La splendida creatura sedeva su un cuscino di seta finissima, e teneva fra le dita delicate un sottilissimo filo di luce, che avvolgeva lentamente, in silenzio, formando un gomitolo sempre più grande. Non guardò Lauretta, sembrò proprio non accorgersi nemmeno di lei, continuando ad avvolgere il gomitolo. Lauretta la guardava trasognata e col cuore in attesa.

 

La creatura finalmente si alzò, e fissandola negli occhi, le porse il gomitolo di luce. Lauretta se lo portò al cuore, chiuse gli occhi per un istante poi, raccogliendo tutto il suo coraggio, lo lanciò dietro di sè. Subito si sentì venir meno le forze, e cadde addormentata, mentre il filo magico, srotolandosi, disegnò un sentiero tortuoso, che si perdeva in lontananza, tra il verde. Lauretta si svegliò nell’ora magica dell’aurora, quando tutto è avvolto da pallida luce azzurra. Tutto era silenzio. La natura era immersa nel sonno. Dormivano gli uccelli nel nido con la testina sotto l’ala, dormivano gli scoiattoli raggomitolati nelle loro tane, dormivano le api nelle loro cellette, dormiva la coccinella dentro il calice del fiore bianco, dormiva la lucertola sotto il sasso, dormiva la lumaca sotto la foglia, perfino le mosche dormivano, e le zanzare, e le libellule e le farfalle. I fiori non mostravano i petali, perchè dormivano anche loro. Lauretta si sentiva smarrita, non ricordava nulla di ciò che le era accaduto fino a quel momento, ma lo spettacolo che le si presentò era così straordinario che la fece commuovere: il sole stava sorgendo lentamente all’orizzonte, e intorno a lui si spandeva una calda luce rosata. Le labbra di Lauretta si schiusero senza che se ne rendesse conto, e tutta la sua ammirazione e la sua devozione risuonarono come una lunga A. Dopo qualche istante il sole comparve rosso in tutta la sua maestosità, ed Lauretta fu quasi accecata da tanto splendore.

 

Così cominciò a percorrere il lungo sentiero che il gomitolo di luce aveva tracciato per lei. Il mondo era magnifico, Lauretta non sapeva da che parte voltarsi per ammirare tutto quello che aveva intorno. Era un mondo da scoprire e gustare: colori, suoni, e profumi ovunque. I fiori si erano svegliati e stiracchiavano al primo sole i loro petali, mentre l’erba sembrava un tappeto tessuto con tutte le sfumature di verde. L’aria vibrava del canto degli uccelli. Lauretta corse sui prati, si rotolò tra l’erba, ammirò i cespugli fioriti, vide alberi di ogni forma e grandezza e tra le frode vide fervere la vita: uccelli che costruivano il nido, scoiattoli che si rincorrevano saltando da un ramo all’altro, insetti che ronzavano leggeri nell’aria.”Chi sei?” chiese Lauretta a una creaturina col vestito giallo e nero, che volava di fiore in fiore. “Sono l’ape operosa, faccio visita agli amici fiori che mi danno il dolce nettare da portare nella mia casetta. Con quel succo farò il miele, che piace tanto agli uomini”. Ma ora cosa stava succendendo? Un fiorellino bianco si era messo a volare? Ma no, era una farfalla. “Non devi toccarmi, sulle mie ali c’è la polverina magica che mi fa volare, e se me la sciupi non potrò più visitare i fiori, che mi sono fratelli. Sai, loro hanno le radici e non possono volare, sono io che racconto loro i segreti del cielo, dell’aria e della luce.” La farfalla si posò tra i capelli di Lauretta, e subito altre se ne aggiunsero, a formare una corona. “Ma guardate, farfalline! Lì la terra si sta muovendo, chesuccede?” Un buffo musetto comparve davanti a lei, appuntito, con gli occhi chiusi. “E tu chi sei?”

“Sono la talpa, scavo gallerie sotterranee. Le mie zampette sono anche meglio delle pale che usano gli uomini nel loro lavoro. Piacere di averti conosciuta Lauretta, ma ora è meglio tornare a casa per me, questa luce mi dà fastidio e ho molto lavoro da sbrigare”.

Mentre la talpa ne ne andava, Lauretta sentì solletico a un piede e vide un cosino piccolo e nero camminare veloce veloce “Sono la formica, non farmi perdere tempo bimba. Devo raccogliere il chicco che ho perduto e correre dalle mie sorelle che mi stanno aspettando.””Posso vedere la tua casa?””Sì, ma promettimi di non toccarla, potresti rovinare il lavoro di ore solo muovendo un dito. Se hai pazienza e mi aspetti, ti indicherò la strada.”

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Presentazione dello stampato maiuscolo e dei numeri in prima classe

Presentazione dello stampato maiuscolo e dei numeri in prima classe – un racconto in uso nella scuola Waldorf per presentare ai bambini le lettere dell’alfabeto ed i numeri.

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Presentazione dello stampato maiuscolo e dei numeri in prima classe

Tonino il pastorello

In un paese lontano lontano, ai piedi dei monti, c’era una volta un pastorello di nome Tonino. Viveva da solo in una casetta ai margini del bosco con il suo piccolo gregge di pecorelle. Era molto povero e possedeva soltanto un carrettino che gli serviva per raccogliere la legna per il fuoco e un flauto dal quale sapeva tirar fuori splendide melodie. Non sapeva leggere nè scrivere perchè non mai potuto frequentare la scuola, ma era molto saggio e aveva imparato a leggere nel grande libro della natura, che gli aveva rivelato molti segreti; conosceva i tesori racchiusi in ogni fronda, sapeva distinguere le varietà di minerali nascosti nella roccia, sapeva interpretare il linguaggio del vento, il formarsi delle nuvole, il suono della pioggia. Nel vicino villaggio tutti gli volevano bene perchè era buono e generoso e pur amando la vita solitaria era sempre pronto a rendersi utile, e quando c’era bisogno di lui non negava mai il suo aiuto a nessuno.

Durante l’estate lo si vedeva poco al villaggio, perchè portava le pecore al pascolo sugli alti monti e non tornava che di tanto in tanto. Trascorreva in quei luoghi dei lunghi periodi vivendo sempre all’aperto, parlando solo con le sue pecorelle a cui era molto affezionato, e che conosceva tutte per nome: Bianchina, Batuffolo, Berta, Gippetta… Loro amavano il loro padroncino e mentre brucavano ascoltavano liete il suono del flauto di Tonino che si diffondeva tra i monti, i boschi e le ampie vallate.Di notte il pastorello dormiva sotto le stelle accoccolato accanto al gregge, il buio non gli faceva paura: si sentiva protetto dalla volta stellata che lo avvolgeva come un magico manto.

 

Al sopraggiungere dell’inverno teneva le pecorelle al riparo nell’ovile, e trascorreva le sue giornate occupato in mille lavori che sapeva svolgere con bravura e precisione. Con le sue mani costruiva gli oggetti più svariati: dai cestini di vimini intrecciati che regalava al fornaio in cambio di qualche pagnotta, ai giocattoli per i bambini del villaggio che sapeva intagliare nel legno, dagli arnesi da lavoro per il contadino Virgilio, agli utensili più svariati che gli venivano richiesti. Era davvero bravo e pensava a tutti.

Un giorno, sul finire dell’estate, accadde un fatto molto strano. Il pastorello aveva portato le sue pecorelle a pascolare su un’altura dove l’erba era tenera e fresca. Stava ammirando lo splendido panorama quando, guardando verso il basso, vide un bambino e una bambina che giocavano. Come si divertivano! Il pastorello, dall’alto, poteva sentire le loro grida festose e dalle loro voci li riconobbe: erano Bianca e Berto, i figli del taglialegna; vide che Bianca teneva in braccio proprio quella bambolina che teneva tra le mani anche quando, tempo prima, era andata da lui per chiedergli se poteva farle una culletta di legno. Ma ecco, i bimbi prima gioiosi e tranquilli, cominciarono improvvisamente a litigare.

Tonino cercò di chiamarli, ma erano troppo lontani e non lo potevano sentire, impegnati com’erano a scambiarsi parole cattive. Il litigio si fece sempre più acceso, e i due bimbi finirono per picchiarsi. La bambolina era abbandonata lì, sull’erba. Mentre Tonino pensava al da farsi, vide spuntare dal folto del bosco un esserino con un buffo cappuccetto e un sacchettino sulle spalle. Si guardò intorno con aria furtiva, afferrò la bambolina dimenticata, e quella si rimpicciolì, tanto da poter entrare nel suo minuscolo sacchettino. Poi con la rapidità di un fulmine, sparì tra i cespugli. Per la prima volta il pastorello lasciò incustodite le sue pecorelle, e si precipitò lungo il pendio per inseguire il ladro. Ma le sue ricerche furono vane, sembrava proprio che fosse sparito nel nulla. Sconcertato di fronte a questo mistero, non riusciva a darsi pace, e il giorno dopo si recò a casa di Bianca per capirne qualcosa di più. La trovò molto triste. “Sai cos’è successo? Ho perduto la mia bambolina, proprio quella che mi aveva fatto la mamma. Adesso la cullina che mi avevi fatto per lei è vuota”. Tonino cercò di consolarla, poi la salutò senza dire nulla di ciò che aveva visto, convinto che nessuno gli avrebbe creduto.

Si incamminò verso casa, immerso nei suoi pensieri, quando passando accanto all’abitazione del contadino Virgilio, udì una gran confusione: tutta la famiglia era in agitazione e ognuno si affannava alla ricerca di qualcosa che era misteriosamente scomparso. Il pastorello si avvicinò a Virgilio, e gli chiese cosa stesse succedendo. “Stavo falciando l’erba del campo, quando ho sentito un caldo afoso e insopportabile, così sono entrato un momento in casa a bere e quando sono ritornato fuori la falce era sparita. Mentre andavano insieme a cercarla, in cuor suo Tonino temeva che la falce avesse fatto la stessa fine della bambola di Bianca. Iniziarono a cercare, e mentre Virgilio ispezionava una siepe, sentì dietro di sé una risatina. Si girò con aria minacciosa verso il povero Tonino “Cos’hai da ridere? Mi stai prendendo in giro? Tira subito fuori la mia falce. Adesso sono sicuro che me l’hai presa tu!”. Il pastorello cercò di spiegargli che non era colpevole e che anche lui aveva sentito quella risatina, ma siccome Virgilio invece di credergli si arrabbiava sempre più, non gli restò che andarsene via dispiaciuto, senza dir niente.

Arrivò a casa avvilito e sconsolato, e come se ancora non bastasse lo aspettava un’altra brutta sorpresa: era sparito il suo tavolino nuovo. L’aveva da poco finito di costruire e quella mattina, prima di andare da Bianca, gli aveva dato gli ultimi ritocchi, l’aveva levigato e, dopo averlo verniciato, l’aveva messo fuori perchè si asciugasse. E ora era sparito. Ma cosa stava succedendo? Per non farsi prendere dallo scoramento, decise di impegnare il tempo in qualcosa di utile. Aveva promesso a Bianca un lettino per la nuova bambola che la nonna le stava preparando. Così prese un pezzo di legno di abete e si mise all’opera. Ci mise tanta passione che dimenticò perfino di mangiare. Ma quale soddisfazione a lavoro finito… chissà come sarebbe stata contenta Bianca.

Proprio in quel momento bussarono alla porta, era Bianca che in lacrime diceva “Sei stato cattivo, perchè mi hai portato via la culla? Ho cercato dappertutto in casa, l’hai presa tu. E anche il nonno è arrabbiato e dice che gli ho nascosto la sua pipa, ma io non sono stata”.

Tonino cercò di calmare Bianca come poteva. “Non piangere, lo so che non hai nascosto tu la pipa. Succedono fatti inspiegabili in questi giorni, c’è sotto un mistero, credimi. Anche il mio tavolino è scomparso nel nulla. Ma guarda, ho un regalo per te…” e le mostrò il lettino per la bambola nuova. Bianca tornò a casa col lettino, e fece anche pace col nonno, ma non sapeva che presto anche il lettino sarebbe scomparso.

Nei giorni seguenti nel villaggio continuarono a verificarsi strane sparizioni, che provocarono litigi tra gli abitanti: mogli e mariti si incolpavano a vicenda di trascuratezza e distrazione, i genitori sgridavano i bambini pensando che si divertissero in brutti scherzi, i bimbi litigavano tra loro perchè perdevano i giocattoli… insomma in breve tempo quel paese era diventato il regno del discordia. Una sera gli abitanti decisero di riunirsi nella piazza per cercare insieme una spiegazione. Discussero animatamente per ore. Erano forse tutti vittime di qualche sconosciuta malattia che li aveva colpiti rendendoli disordinati e maldestri? C’era forse tra di loro un ladruncolo, che si divertiva alle loro spalle? Ma chi poteva essere, se tutti si conoscevano così bene e ciascuno godeva della piena fiducia di tutti?Il problema sembrava non aver soluzione, e alla fine ognuno tornò alla propria casa più triste e preoccupato di prima.

Anche Tonino non si dava pace, e una sera, all’imbrunire, mentre come al solito si trovava nel bosco col suo carrettino per raccogliere la legna per il fuoco, accadde un fatto nuovo e inaspettato. Il carrettino procedeva lungo il sentiero sassoso e accidentato, quando all’improvviso una ruota si staccò e cominciò a rotolare lungo il pendio, sempre più veloce. Tonino si mise a correre per cercare di recuperarla, mentre quella si allontanava sempre più lungo i sentieri scoscesi, passando tra cespugli e anfratti di rocce, inoltrandosi nel folto del bosco. Esausto per la lunga corsa, la vide infine fermarsi davanti a una grotta, e quando si avvicinò rimase sbalordito: chi l’aveva fermata? La ruota non poggiava su nessun ostacolo e appariva come trattenuta da una forza invisibile. Con molta cautela, e mantenendosi prudentemente a una certa distanza, scrutò all’interno della grotta e gli parve di distinguere, al debole chiarore di una lanterna, le sagome di alcuni degli oggetti che erano scomparsi nel villaggio. Si fece coraggio e si apprestò ad entrare nella grotta, ma una forza misteriosa lo respingeva, impedendogli di procedere.

Cercò allora di riprendersi almeno la ruota, ma fu inutile. Sembrava incollata al suolo. Tonino era molto spaventato, ma alla fine la curiosità vinse sulla paura e si avvicinò all’ingresso della grotta per cercare nuovamente di entrare. In quel momento sentì dal suo interno un rumore sordo e tonante che lo spaventò come non mai: qualcuno stava russando lì dentro. Terrorizzato Tonino fuggì via correndo come un matto. Percorse di volata la difficile salita e giunse in un’ampia radura erbosa. Si fermò a riprendere fiato, ma le ore erano passate, il sole stava tramontando e c’era solo la luce pallida della luna a illuminare il sentiero. Come trovare la via del ritorno?

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

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