Poesie e filastrocche ERBA E PRATO

Poesie e filastrocche ERBA E PRATO – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Un filo d’erba

Che cos’è un filo d’erba?
Un filo d’aria
che si sente e non si vede,
sperduto
affogato
nel mare del prato;
un filo di verde
che si perde
nell’azzurro,
tracciato da un pittore
di valore;
un filo di luce
come niente,
ma che non si pente
d’esser così poco,
quasi scintilla
di un grande fuoco,
un filo di profumo,
che in silenzio
dice: “Mi consumo
d’amore”,
un filo di voce,
che sussurra
bisbiglia
ci parla con cuore
puro.
Un filo d’erba
è una cosa da nulla
che si trastulla
col vento,
che gioca col sole
a nascondino
come un bambino
birichino;
che guarda con occhi sempre nuovi
la luna, falcata
o a frittata,
il pulviscolo d’oro e d’argento
delle stelle
ricamate nel firmamento;
che fa l’occhiolino
a un fiore
vicino;
che per nutrimento
si contenta
di un chicco di sale
e di una sola gocciolina
piovuta dal cielo
o scappata bel bello
al ruscello;
che si adorna
con una perlina
di brina
dai colori dell’arcobaleno,
tanto piccolina
e leggera
che appena si vede
e può volar via
così,
ma tanto grande
da contenere il sole,
tutto il sole
visto di qui.
Un filo d’erba
è proprio una cosa da niente:
c’è e non si scorge,
esiste e non si sente,
si sporge
dal balcone
e poi si pente,
ha la sua casa piccolina
sulla terra verdolina
accanto allo stelo
di un papavero,
ma cerca disperatamente
le vie del cielo
splendenti di luce. (M. Giusti)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

LE FORMICHE: dettati ortografici e letture

Materiale didattico sulle FORMICHE – una raccolta di dettati ortografici, letture e altro materiale didattico, di autori vari, per la scuola primaria.

Le formiche

Le formiche hanno le loro regine, i loro maschi e le loro operaie. La formica attraversa i seguenti stadi di sviluppo: uovo, larva, pupa e infine insetto perfetto.
Dalle pupe schiuse escono regine e maschi, alati gli uni e le altre, e le formiche operaie, prive di ali, destinate a provvedere alla casa e al nutrimento…
Un giorno sereno d’estate le giovani regine ed i bei maschi escono dal nido e volano per l’aria soleggiata: è il loro giorno di nozze. Scesa a terra dopo il volo nuziale, la regina si mette a lavorare di mandibole e di zampe e si strappa le ali: la natura le ha insegnato che da quel momento il suo posto è nella casa, e la regina non volerà più: per tutto il resto della vita camminerà come le altre formiche: è finita la festa per lei, comincia il lavoro! Deve fondare una nuova colonia o deporre uova nella colonia già esistente. Quanto al povero maschio, le cose vanno diversamente: il suo giorno di nozze è l’unico della sua vita all’aria aperta: la mattina è sposo e la sera è morto. Che un uccello l’afferri al volo per portarlo ai suoi piccini, che un ragno lo divori o in qualunque modo la morte lo colga, è certo che vi si rassegna e non tenta nemmeno di rientrare nel formicaio. Se le formiche operaie della sua famiglia lo vedono abbandonato sul terreno, non lo aiutano, lo considerano ormai un essere inutile, e gli passano accanto indifferenti; venuta la notte, il maschio muore: è legge di natura.

Le zampe tuttofare delle formiche

Come gli altri insetti, le formiche hanno sei zampe attaccate al torace. Il primo paio, oltre che per camminare, serve per smuovere oggetti, spazzolare e lavare se stesse (soprattutto le antenne) ed i piccoli, e per centro altri lavoretti. Insomma, assieme alle mascelle, sono l’equivalente delle nostre braccia.

Ali principesche

Non tutte le formiche hanno le ali, ma solo i principi e le principesse, che ne possiedono quattro. Dopo il matrimonio, i principi consorti muoiono e le regine si strappano le ali.

Le antenne

Le formiche, come in genere tutti gli insetti, sentono gli odori con le antenne. Possono riconoscere se la formica che si avvicina è loro amica, possono inseguire i vari insetti, ritrovare la strada per il proprio formicaio. Con le antenne inoltre sentono gli oggetti come noi con i polpastrelli delle dita. Per questo le formiche, mentre camminano, sfiorano e picchiettano leggermente i corpi che incontrano e che vogliono conoscere, così come fa il cieco con la sua canna quando va a spasso. E quando le formiche si incontrano con questo mezzo si danno segnali e comunicazioni.

Dall’uovo alla formica

Le uova deposte nei formicai, impiegano quindici giorni a schiudersi, per dar vita ad una larva, dal corpo trasparente, fornito di testa, di anelli, ma non di zampe. Le formiche operaie nutrono le piccole larve, rigurgitando nella loro bocca i succhi elaborati dal loro stomaco. Poi portano i piccini al sole, all’aria; e, come balie premurose, quando si accorgono che il sole è troppo forte, ritirano i loro protetti in un luogo più riparato.
Dopo un certo tempo, le larve si schiudono in un bozzolo di colore grigio giallastro. Le ninfe sono prima biancastre, poi diventano scure, infine nere. Hanno già tutti gli organi, ma rinchiusi nel bozzolo. Allora le formiche operaie, che hanno fatto da balia alle larve, intervengono ancora ad aiutare le ninfe a liberarsi degli involucri: e l’insetto perfetto è pronto. Le balie gli portano ancora da mangiare, lo conducono a spasso, gli insegnano a lavorare.

Di che cosa si nutrono le formiche

Le formiche si nutrono di semi di vegetali, di frutti, di sostanze zuccherine tratte da vegetali o dagli afidi, di insetti, di larve, di uova.
Alcune formiche costituiscono veri e propri allevamenti di afidi (come vacche nella stalla) da cui traggono una sostanza zuccherina, di cui sono ghiottissime. Talora scarniscono dei topi, delle lucertole che hanno trovato morte. Certe formiche tropicali danno la caccia anche ad animali vivi e possono inscheletrire un elefante se lo incontrano malato e lento nei movimenti.

Le formiche
Viste fuori, in un giardino, in un campo, le formiche sono ammirevoli per il loro affaccendarsi continuo e per il loro zelo nel portare a termine i loro compiti. Il loro nido è sotto terra, coperto da un monticello di aghi di pino sminuzzati, di erbe e di rametti. Nel monticello ci sono due o più aperture che le formiche chiudono di notte e riaprono al mattino al sorgere del sole. Ma se piove, le porte restano chiuse anche di giorno.

Le formiche nutrici
Le uova deposte nei formicai impiegano quindici giorni a schiudersi per dar vita alle larve. Le formiche operaie nutrono le piccole larve, rigurgitando nella bocca i succhi elaborati dal loro stomaco. Poi portano i piccini al sole, all’aria, e come balie premurose, quando si accorgono che il sole è troppo forte, ritirano le loro protette in un luogo più riparato. (P. Addoli)

Il lavoro delle formiche
Le formiche muratrici fortificano il formicaio con pallottoline di terra che, bagnata con la loro saliva, diventa dura come il cemento.
Chi porta i materiali, chi li dispone, chi li appiccica l’uno all’altro, le formiche lavorano tutte e l’edificio cresce a vista d’occhio, solido, forte, e pioggia o sole o vento non riescono ad abbatterlo.

Guerre di formiche
Il formicaio è una grande repubblica, anche se esiste una regina. Tutti gli individui che l’abitano, vivono in prosperità, aiutandosi fraternamente gli uni con gli altri. Ma fra un formicaio e l’altro, fra una specie di formiche e l’altra, possono scoppiare guerre feroci, zuffe sanguinose. Particolarmente accanite sono le formiche rosse. Quando scoppia un conflitto, le formiche vinte vengono scacciate dal formicaio e fatte prigioniere. Sul campo di battaglia, teste, zampe, ali provano che le cose si sono fatte sul serio.

Spesso, nelle belle giornate di primavera, si vedono formiche alate. Sono le giovani regine che vanno alla ricerca di un nido per fondare un nuovo formicaio. Finita la ricerca, poichè le ali non servono più, esse se ne sbarazzano, rodendole alla base. E noi, fino alla prossima primavera, non vedremo più formiche alate.

Fra l’erba di un prato, al riparo di grossi sassi, il formicaio apre le sue numerose entrate. La vita dei suoi abitanti si svolge alacre e misteriosa sotto terra, nell’oscurità delle celle scavate in ogni direzione; vi sono anche le corse al sole, su e giù per gli steli delle erbe e dei cespugli, alla ricerca di cibo o di altro materiale, ma il dovere presto richiama giù nei tortuosi cunicoli e nelle celle dell’intricata casa dove la formica nasce, cresce, lavora e muore. (J. Hill)

Andiamo a scuola dalle formiche. Non parlano, ma insegnano con l’esempio. Attenti! Ecco una formica che ha scoperto un vermiciattolo. Che cosa fa? Invita le sorelle a pranzo. Eccone un’altra, stanca. Poverina, morirà in mezzo alla strada? No, no! Una sorellina gentile la porterà al formicaio. Oh, nel formicaio ce n’è una ammalata! Le sorelle la assistono e la curano affettuosamente. Le formiche si aiutano fra di loro in un modo meraviglioso. Non parlano, ma con il loro esempio insegnano anche a noi ad essere buoni, a volerci bene.

Quando la formica si accorge che, nonostante i suoi sforzi, non può riuscire nel suo intento, quando è spossata per il cammino penoso, non si arrende. Si arrampica su un sassolino, che è una montagna per lei, e si guarda intorno. Vede altre compagne lì vicino, fa loro dei cenni muovendo il corpicino in mille modi, e quelle capiscono. Corrono presso la compagna che invoca aiuto, si aggiungono ad essa nel lavoro e tutte insieme riprendono a spingere, tirare, sollevare il chicco di grano, che a poco a poco va a finire nel formicaio. La formica ci insegna che non bisogna perdersi d’animo davanti alle difficoltà: ci insegna che, a stare uniti, si riesce meglio a superare tutti gli ostacoli. (L. Tolstoj)

Le formiche
Chissà quante volte hai posto un piede sul formicaio, mettendo lo spavento e il disordine nell’ordinatissima vita delle formiche! All’esterno il formicaio è soltanto un monticello di terra o un mucchio di aghi di pino tagliuzzati. Ma dentro, che meraviglia! Ampi magazzini, camere per allevare i figlioletti, strade, piazze, e persino il cimitero. Un paese molto ben organizzato.

Le formiche operaie
Vanno e vengono per portare un granellino, un semino, una briciola. Sono le operaie, gli industriosi abitanti del formicaio. Una formica può portare un carico pesante molte volte più del suo stesso peso. In proporzione, l’uomo dovrebbe poter portare per lo meno qualche quintale.

La formica regina
Mentre le operaie sono occupate a lavorare e ad accumulare provviste, la regina pensa a fare le uova. E’ la mamma di tutto il formicaio e ha il suo bel da fare a deporre migliaia e migliaia di uova. Dopo, non ci pensa più. Ci sono le nutrici che curano queste uova, le portano al sole perchè si riscaldino, le mettono al riparo quando minaccia di piovere.

Formiche forestiere
Quando le formiche s’incontrano, si toccano leggermente con le antenne. Lo fanno per riconoscersi. Se per caso una delle due è forestiera, comincia una lotta accanita che finisce con la morte o con la fuga di una delle due lottatrici. E se una schiera di formiche forestiere si avvicina al formicaio, ecco un esercito pronto a difendere la città o morire.

Il formicaio

Un formicaio significa una mirabile organizzazione di lavoratrici, di capi e dipendenti, di facchine, di scavatrici, di combattenti, di avvistatrici, di becchine, che vanno e vengono in lunghissime file tra i campi, sempre in faccende da quando spunta il sole a quando tramonta. (V. Fraschetti)

Le formiche

Le formiche hanno lasciato il loro rifugio sotterraneo. Dove la terra è più calda le vediamo passare in lunghe file nere alla ricerca di cibo, per rifornire i loro magazzini ormai vuoti. Spesso lavorano insieme: uniscono le loro forze per trasportare qualche cosa che è più grande di loro.
(G. G. Moroni)

Le formiche

Il popolo delle formiche è in faccende. Ecco le operaie, sole o in lunghe file, che attraversano in linea serpeggiante il terreno. Foglie di pino e di abete, pezzetti di legno, granelli, sono i pesi giganteschi che esse trasportano al nido con grandi stenti. Se per una sola formica il fardello è troppo greve, subito le compagne accorrono e tutte insieme, sospingendo o tirando con le robuste mandibole, adempiono al loro compito per il bene della comunità.

Le formiche
Viste fuori, in un giardino, in un campo, le formiche sono ammirevoli per il loro affaccendarsi continuo e per il loro zelo nel portare a termine i loro compiti. Il loro nido è sotto terra, coperto da un monticello di aghi di pino sminuzzati, di erbe e di rametti. Nel monticello ci sono due o più aperture che le formiche chiudono di notte e riaprono al mattino al sorgere del sole. Ma se piove, le porte restano chiuse anche di giorno.

Le formiche nutrici
Le uova deposte nei formicai impiegano quindici giorni a schiudersi per dar vita alle larve. Le formiche operaie nutrono le piccole larve, rigurgitando nella bocca i succhi elaborati dal loro stomaco. Poi portano i piccini al sole, all’aria, e come balie premurose, quando si accorgono che il sole è troppo forte, ritirano le loro protette in un luogo più riparato. (P. Addoli)

Il lavoro delle formiche
Le formiche muratrici fortificano il formicaio con pallottoline di terra che, bagnata con la loro saliva, diventa dura come il cemento.
Chi porta i materiali, chi li dispone, chi li appiccica l’uno all’altro, le formiche lavorano tutte e l’edificio cresce a vista d’occhio, solido, forte, e pioggia o sole o vento non riescono ad abbatterlo.

Guerre di formiche
Il formicaio è una grande repubblica, anche se esiste una regina. Tutti gli individui che l’abitano, vivono in prosperità, aiutandosi fraternamente gli uni con gli altri. Ma fra un formicaio e l’altro, fra una specie di formiche e l’altra, possono scoppiare guerre feroci, zuffe sanguinose. Particolarmente accanite sono le formiche rosse. Quando scoppia un conflitto, le formiche vinte vengono scacciate dal formicaio e fatte prigioniere. Sul campo di battaglia, teste, zampe, ali provano che le cose si sono fatte sul serio.

Spesso, nelle belle giornate di primavera, si vedono formiche alate. Sono le giovani regine che vanno alla ricerca di un nido per fondare un nuovo formicaio. Finita la ricerca, poichè le ali non servono più, esse se ne sbarazzano, rodendole alla base. E noi, fino alla prossima primavera, non vedremo più formiche alate.

Fra l’erba di un prato, al riparo di grossi sassi, il formicaio apre le sue numerose entrate. La vita dei suoi abitanti si svolge alacre e misteriosa sotto terra, nell’oscurità delle celle scavate in ogni direzione; vi sono anche le corse al sole, su e giù per gli steli delle erbe e dei cespugli, alla ricerca di cibo o di altro materiale, ma il dovere presto richiama giù nei tortuosi cunicoli e nelle celle dell’intricata casa dove la formica nasce, cresce, lavora e muore.
(J. Hill)

Andiamo a scuola dalle formiche
Non parlano, ma insegnano con l’esempio. Attenti! Ecco una formica che ha scoperto un vermiciattolo. Che cosa fa? Invita le sorelle a pranzo. Eccone un’altra, stanca. Poverina, morirà in mezzo alla strada? No, no! Una sorellina gentile la porterà al formicaio. Oh, nel formicaio ce n’è una ammalata! Le sorelle la assistono e la curano affettuosamente. Le formiche si aiutano fra di loro in un modo meraviglioso. Non parlano, ma con il loro esempio insegnano anche a noi ad essere buoni, a volerci bene.

Quando la formica si accorge che, nonostante i suoi sforzi, non può riuscire nel suo intento, quando è spossata per il cammino penoso, non si arrende. Si arrampica su un sassolino, che è una montagna per lei, e si guarda intorno. Vede altre compagne lì vicino, fa loro dei cenni muovendo il corpicino in mille modi, e quelle capiscono. Corrono presso la compagna che invoca aiuto, si aggiungono ad essa nel lavoro e tutte insieme riprendono a spingere, tirare, sollevare il chicco di grano, che a poco a poco va a finire nel formicaio. La formica ci insegna che non bisogna perdersi d’animo davanti alle difficoltà: ci insegna che, a stare uniti, si riesce meglio a superare tutti gli ostacoli. (L. Tolstoj)

Le formiche
Chissà quante volte hai posto un piede sul formicaio, mettendo lo spavento e il disordine nell’ordinatissima vita delle formiche! All’esterno il formicaio è soltanto un monticello di terra o un mucchio di aghi di pino tagliuzzati. Ma dentro, che meraviglia! Ampi magazzini, camere per allevare i figlioletti, strade, piazze, e persino il cimitero. Un paese molto ben organizzato.

Le formiche operaie
Vanno e vengono per portare un granellino, un semino, una briciola. Sono le operaie, gli industriosi abitanti del formicaio. Una formica può portare un carico pesante molte volte più del suo stesso peso. In proporzione, l’uomo dovrebbe poter portare per lo meno qualche quintale.

La formica regina
Mentre le operaie sono occupate a lavorare e ad accumulare provviste, la regina pensa a fare le uova. E’ la mamma di tutto il formicaio e ha il suo bel da fare a deporre migliaia e migliaia di uova. Dopo, non ci pensa più. Ci sono le nutrici che curano queste uova, le portano al sole perchè si riscaldino, le mettono al riparo quando minaccia di piovere.

Formiche forestiere
Quando le formiche s’incontrano, si toccano leggermente con le antenne. Lo fanno per riconoscersi. Se per caso una delle due è forestiera, comincia una lotta accanita che finisce con la morte o con la fuga di una delle due lottatrici. E se una schiera di formiche forestiere si avvicina al formicaio, ecco un esercito pronto a difendere la città o morire.

Il formicaio

Un formicaio significa una mirabile organizzazione di lavoratrici, di capi e dipendenti, di facchine, di scavatrici, di combattenti, di avvistatrici, di becchine, che vanno e vengono in lunghissime file tra i campi, sempre in faccende da quando spunta il sole a quando tramonta. (V. Fraschetti)

I nemici delle formiche

Molti uccelli e specialmente gli insettivori, danno una caccia accanita alle formiche. Ma non mancano tra i nemici gli insetti, in primo luogo le stesse formiche. Esiste una specie di formiche rosse che non è capace di procurarsi il cibo, nè di curare la prole. Per questo la principessa, appena diventata regina, va in cerca di un formicaio di formiche nere. Ne uccide la regina e si sostituisce ad essa. Le operaie serviranno come schiave alla nuova regina.
Ma il più accanito nemico delle formiche è il formichiere, un mammifero che vive nell’America Centro – Meridionale, il quale, riuscendo ad introdurre la sua lunga lingua nei formicai, fa una vera strage di questi insetti.
Altri temibili nemici sono: il pangolino, la talpa, e alcuni rettili.

Nel formicaio

Le formiche hanno costruito molte, moltissime stanze. La regina non aiuta le operaie, ma fa qualcosa di molto importante. Essa depone delle uova. Depone uova, uova e ancora uova. Dopo poco tempo, vi sono molte larve in più e molte formichine in più.
Questi insetti industriosi sono occupati tutto il giorno! Alcuni fanno da bambinaia: nutrono le larve e si prendono cura di loro.
Alcune formiche escono a far provviste. Esse portano il cibo alle operaie che rimangono a casa.  Il cibo è di vario genere. Talvolta portano il dolce che gli uomini hanno lasciato cadere, altre volte ancora dei minuscoli pezzi di frutta. Non mancano, però, bruchi e mosche.
Il cibo che le operaie trascinano a casa è in quantità superiore a quella che le formiche del nido possono mangiare. Allora esse ripongono il cibo che avanzano nelle dispense.
Alcune operaie tengono pulito il formicaio.
Altre operaie fanno un importantissimo lavoro: stanno di guardia tenendosi sempre pronte a fronteggiare le insidie dei nemici.

Il formicaio

La formica, si sa, è da secoli l’animale citato come esempio di operosità e di tenacia nel lavoro. E in verità, se potessimo scrutare nell’interno di un formicaio, avremmo molto da apprendere in fatto di lavoro, di metodo, di previdenza. Mentre nei corridoi che conducono alle diverse celle è sempre un viavai affaccendato di formiche operaie, nelle celle di incubazione sono raccolte le larve, che vengono trasportate da una cella all’altra, secondo il grado di sviluppo delle stesse. In basso si trova la cella – dispensa, dove riposano, sospese al soffitto, enormi formiche – otri, gonfie di liquido zuccherino che servirà, nel bisogno, a saziare l’appetito della colonia.
Nei boschi si incontrano spesso cumuli di foglie di conifere: si tratta di nidi costruiti da colonie di formiche con laboriosa pazienza e stupefacente ingegnosità.

I mestieri delle formiche

Le formiche di uno stesso formicaio non svolgono tutte lo stesso lavoro. Ci sono formiche che si occupano della salute e del benessere delle regine e dei maschi. Ci sono formiche che vanno a raccogliere semi, foglie, pagliuzze, insetti.
Ci sono formiche che si occupano di costruire il nido. Scavano la terra con le zampe davanti e la spingono dietro di loro; poi la trasportano all’aperto con la bocca. Altre scavano il nido nel legno degli alberi.
Ci sono formiche soldati, che difendono il formicaio dalle incursioni delle altre tribù di formiche. Ci sono formiche che coltivano, all’interno del formicaio, alcuni speciali tipi di funghi.
Ci sono formiche che allevano alcuni piccoli insetti verdi, gli afidi, i quali succhiano la linfa dagli alberi e producono un liquido zuccherino che piace molto alle formiche.
Le formiche spingono gli afidi sui rami delle piante, perchè possano succhiare i germogli; costruiscono col fango dei recinti, per rinchiudervi questi insetti; durante l’inverno mettono gli afidi al sicuro nel formicaio.

Di notte e d’inverno

Al sopraggiungere dell’oscurità o quando minaccia la pioggia, la formica provvede a chiudere l’imbocco delle gallerie che conducono al nido. Si protegge così dalla pioggia e dai nemici.
L’inverno interrompe il lavoro delle formiche. Esse chiudono ogni passaggio del formicaio con muschio, rivestono di bava impermeabile le pareti delle delle e, così al riparo, cadono in letargo.

Il ponte di paglia

Al centro di una pozzanghera sorgeva un piccolissimo isolotto, nel mezzo del quale vi era qualche chicco di grano. Le formiche correvano in su e in giù, intorno agli orli della pozzanghera, per tentare di giungere al grano. Però l’acqua impediva di arrivarci. Poichè le formiche, come le api, hanno la loro regina, le chiesero consiglio.
La regina, certamente, deve aver dato loro degli ordini speciali, perchè ad un tratto si videro le formiche operaie correre a raccogliere piccoli fuscelli di paglia e trasportarli sulle rive della pozzanghera. Quando parecchi fuscelli furono ammucchiati, dieci, venti, formiche spinsero nell’acqua un lungo filo di paglia. Si assicurarono che reggesse il loro peso e poi, camminando su di esso, ne trascinarono un secondo, poi un terzo, fino a che costruirono un solido ponte tra l’isolotto e la riva.
Appena l’isolotto fu raggiunto, le formiche sembravano impazzite di gioia. Si incontravano e sembrava che con le loro antenne si parlassero, poi si allontanavano per andare a muovere le antenne davanti ad altre formiche. Venne il momento di prendere il grano. Alcune formiche, giunte all’isolotto, si caricavano un chicco, che portavano a riva faticosamente attraverso il ponte di paglia. Là, un’altra schiera di formiche era pronta a dar aiuto, per portare il prezioso cibo nei vari piani del rifugio e riempire i magazzini della loro città sotterranea.

Le formiche operaie

Secondo il lavoro che le operaie compiono, possiamo suddividere le formiche in varie categorie.
Le formiche agricole sono quelle che vanno tutto il giorno a caccia di semi e di foglie. Per procurarseli spesso si allontanano parecchie centinaia di metri dal loro nido. Queste formiche hanno una forza formidabile. Pensate che possono trascinare un peso sessanta volte maggiore a quello del loro corpo! In proporzione, un uomo del peso di 70 kg dovrebbe trascinare oltre 40 quintali. Le formiche agricole dimostrano di aver capito che il lavoro in serie procura un notevole guadagno di tempo. Esse infatti adottano spesso questo sistema: mentre una taglia le foglie e le lascia cadere a terra, altre raccolgono i pezzi e li portano al nido. Alcune formiche (ad esempio le anomme dell’Africa) hanno anche trovato il modo per superare piccoli corsi d’acqua che ostacolano il loro cammino. Il sistema escogitato è davvero sorprendente. Alcune di esse dopo aver formato una lunga catena, tenendosi agganciate le une alle altre con le zampe e le mandibole, cercano di raggiungere l’altra sponda. Formano così una specie di ponte sul quale possono passare tutte le altre. La raccolta dei semi e delle foglie non è il solo lavoro delle formiche agricole. Giunte al formicaio, esse masticano le foglie fino a ridurle in poltiglia. Lasciano poi tale poltiglia in una camera speciale del formicaio fino a quando su di essa si stende una vegetazione biancastra (un fungo), di cui le formiche si nutrono con avidità.
Le formiche fornaie  sono insetti straordinari. Prima di tutto ricavano la farina dai chicchi di grano, macinandoli con le robuste mandibole. Poi, servendosi della saliva, impastano la farina e con le zampe anteriori formano delle minuscole pagnotte che servono all’alimentazione delle larve.
Ci sono poi formiche operaie dedite alla pastorizia, che cioè allevano il “bestiame”. Si tratta degli afidi o pidocchi delle piante, che le formiche ospitano nei loro nidi perchè sono ghiotte della sostanza zuccherina che questi insetti espellono dall’addome. Gli afidi sono mantenuti e nutriti da queste formiche e in compenso essi rendono loro un prezioso servizio. Basta infatti che una formica “accarezzi” con le antenne uno di tali insetti (è questo il modo con cui le formiche comunicano con gli afidi) perchè esso emetta la gustosa sostanza.
Vi sono formiche che hanno nell’addome una sacca speciale in cui possono immagazzinare una grande quantità di cibo: la sostanza zuccherina di alcune piante, di cui le formiche sono golosissime. Si tratta delle formiche magazzino. Quando la sacca è piena di tale sostanza, il loro addome si gonfia fino a raggiungere la grandezza del pollice di una mano. Ma non si creda che quelle formiche siano esageratamente golose. Una buona parte di quella dolce sostanza la distribuiscono alle loro compagne. Se ne stanno infatti a rigurgitare gocce di quella sostanza tutte le volte che una loro compagna mostra di volerne gustare. Quelle formiche posso essere considerate dei veri e propri magazzini viventi.

Un nido di formiche è una città, una fortezza e al tempo stesso un magazzino

Noi chiamiamo nido il formicaio; ma è città, fortezza e magazzino insieme. Il tutto costruito con abilità grandissima. Le nostre formiche comuni scavano una città sotterranea, molto complicata, con gallerie e sale a diversi piani; ogni parte ha la sua destinazione; l’intero edificio è fatto secondo un piano prestabilito.
Le grosse formiche dei boschi non si accontentano del terreno, come materiale da costruzione, ma raccolgono le foglie del pino e ne fanno una cupola sul formicaio con porta e finestre aperte di giorno e chiuse di notte, come quelle di una fortezza. Queste formiche hanno mandibole potenti, la cui stretta è dolorosa; tanto più che esse secernono un veleno, detto appunto, dal loro nome, acido formico. Sia detto fra noi, per inciso, che l’acido formico ora si può ottenere con varie sostanze, ma la prima volta fu estratto dalle formiche.
Ogni specie ha una propria forma di nido; nell’America meridionale vi sono certe formiche che costruiscono collinette entro cui sono disposti i granai, le stanze per le larve, i corridoi.
L’istinto meravigliosamente sviluppato delle formiche le spinge però, talvolta, a commettere quelle che noi consideriamo cattive azioni.
Alcune di esse tengono eserciti pronti per combattere guerre sanguinose, col solo scopo del furto, e fanno schiave le formiche più deboli.
Le formiche amano le loro parenti; in quanto alle estranee, le odiano tanto da ucciderle. Hanno una memoria sorprendente. Una formica tolta al proprio formicaio e tenuta prigioniera per diversi mesi, quando ritorna a casa viene riconosciuta, accolta con carezze e manifestazioni di soddisfazione. Probabilmente, oltre alla memoria, deve essere l’odorato ad aiutarle a riconoscersi. Sappiamo che l’odorato aiuta le formiche nella ricerca delle compagne e a  ritrovare la strada di casa. Se questo senso dell’odorato aiuta le formiche a riconoscere una loro compagna rimasta lungamente assente, vien fatto di pensare che ogni comunità abbia un suo speciale odore; e ciò anche per un’altra ragione: un uovo può essere tolto dal suo formicaio, trasportato in uno diverso e allevato da altre formiche; ma quando la nuova formica è nata e vien rimessa nella casa paterna, è subito riconosciuta e festeggiata dalle compagne che non l’avevano mai veduta.
Vi possono essere in una località diverse colonie di formiche della stessa specie, ma esse non si ingannano mai: conoscono assai bene le formiche nate dalle uova appartenenti al loro formicaio. Se invece vedono entrare in casa una compagna della loro specie, ma nata da un uovo di altro formicaio, la uccidono immediatamente.

Guerre di formiche

Le formiche sono gelosissime del terreno che stanno sfruttando e lo difendono in modo battagliero da ogni minima invadenza delle società vicine. Nelle loro lotte, esse dispongono di armi terribili: le mandibole, con le quali possono forare crani e tagliare zampe e teste. Le formiche doriline dispongono di un pungiglione che inietta veleno nel corpo del nemico e devono a ciò il loro nome, dal greco dory, che significa lancia.
Altre lanciano per mezzo di una vera siringa addominale dell’acido formico che asfissia l’avversario; altre ancora lo spruzzano sul nemico per mezzo dell’addome che può muoversi in tutte le direzioni. Alcune, infine, spandono un odore ripugnante, che mette in fuga tutti gli insetti che non vi sono abituati.
La tattica delle formiche è varia quanto la natura delle loro armi. La formica dei prati eccelle nella guerra di trincea e delle barricate. Si nasconde nei corridoi sotterranei del formicaio dopo aver chiuso tutte le aperture con granelli di terra o sassolini. Le assalitrici, per avanzare, devono togliere ad uno ad uno tali ostacoli e lottare contro le formiche del luogo che difendono ostinatamente il nido, galleria per galleria.
Talvolta i combattenti non fanno uso ne del veleno ne del pungiglione; si ghermiscono, si tirano, si mordono. Quando uno di essi è spossato, il più forte lo tortura con le sue mandibole; gli taglia un’antenna, poi una zampetta e così di seguito, finchè la vittima, atrocemente mutilata ma ancora viva, si trova nell’incapacità assoluta di difendersi. Allora il vincitore si decide a farla fuori, oppure la trascina in luogo deserto e l’abbandona al suo triste destino.
Si possono osservare anche delle battaglie campali. Nel caso più semplice, queste consistono in un attacco frontale in cui le schiere nemiche si disputano il terreno centimetro per centimetro. Il combattimento ha luogo, generalmente, fra due formicai vicini.  I due eserciti  occupano una larghezza di circa 70 cm, e si scontrano a metà strada dalle loro abitazioni. Gli avversari si afferrano per le mandibole o per le zampe, si stiracchiano in tutte le direzioni, si mutilano reciprocamente e si inondano di acido formico. In poco tempo i cadaveri delle formiche coperti di veleno giacciono sparsi sul terreno; un odore acre e penetrante esala dal campo di battaglia.
La formica rossa usa una tattica sapiente manda al combattimento, a ondate successive, piccoli gruppi di combattenti che cercano i punti deboli dell’avversario, per tentare un attacco di fianco o alla retroguardia. Alcune specie di formiche non sopportano queste manovre laterali e abbandonano rapidamente il campo di battaglia. Altre specie, al contrario, quella color nero-cenere e la “minatrice”, ad esempio non si lasciano intimidire da questa strategia degna dei grandi capitani, accettano la lotta e spesso fanno strage delle avanguardie troppo ardite.

Formiche “schiaviste”

Presso le amazzoni, formiche schiaviste, la guerra è una necessità assoluta. Esse hanno mandibole a forma di falcetto che servono solo alla lotta; sono incapaci di costruire il nido, di allevare la loro covata e di cercarsi il cibo. Perciò affidano tutti i lavori del formicaio a schiave che essi catturano a viva forza. In giorni determinati, si dirigono verso il nido che desiderano depredare delle larve e delle ninfe, lo circondano a poco a poco e poi passano all’attacco; abbattono le operaie che tentano di resistere e afferrano larve e ninfe portandole via. Le operazioni di cattura possono durare anche molti giorni.
Le formiche schiave, che abitano la cittadella delle amazzoni ormai da molti mesi, si impadroniscono delle larve e delle ninfe catturate, le curano, le allevano e mettono ogni cura per farne delle nuove schiave. Le une e le altre del resto sono molto attaccate alle loro padrone: riparano il nido, curano le uova, danno da mangiare agli adulti e se è necessario combattono per conto delle amazzoni, mentre queste si accontentano di sorvegliare la lotta e di intimidire l’avversario con la loro solo presenza. Si sono viste perfino delle schiave dare battaglia a formiche della loro stessa specie per difendere il nido delle padrone.

L’animale più pericoloso

La discussione favorita dai cacciatori di grossa selvaggina consiste nello stabilire qual è l’animale più pericoloso: non è il leone o la tigre, ma, come prova l’inglese John Compton senza alcun dubbio, la formica migratrice.
Fu in Africa, durante il periodo delle piogge, che Compton si imbattè in questo insetto per la prima volta. Nel corso di un’escursione incontrò una tribù di formiche migratrici in formazione di marcia. Le bestiole avanzavano a gruppi di cinque o sei mentre, ai fianchi, le più grosse facevano la guardia. Non si vedeva ne il principio ne la fine della colonna.
Compton si arrestò per osservare qualche tempo questa strana processione. Ma, all’improvviso, sentì un forte dolore alla gamba sinistra, come se gli fosse entrato profondamente nella carne un ago arroventato. Era una formica che si era conficcata nella pelle e vi si era attanagliata con le pinze.
“Quando volli strappare l’insetto” scrive Compton, “non mi rimase tra le dita che il corpo della formica, mentre la testa, armata di pinze, era rimasta conficcata sotto la pelle della gamba”.
“Fu una cosa grave” racconta Compton, “quella che capitò nel cuore della Rhodesia. Rientrato da una caccia notturna, mi installai  in una capanna abbandonata. Appesi ad un albero l’antilope che avevo uccisa, attaccai il cavallo ad un altro ramo e mi coricai nella capanna. All’improvviso, un topo, caduto dal tetto per la paura, mi capitò sul viso e sentii allora il cavallo nitrire e scalciare come un pazzo intorno a sè. La corda alla quale era legato si spezzò e prima che potessi raggiungerlo, l’animale era fuggito galoppando selvaggiamente. Fortunatamente avevo infilato le scarpe e mi misi così ad inseguire il cavallo per un momento, fino a che mi resi conto che non avrei mai potuto raggiungerlo. Ma quando ritornai, restai inchiodato al suolo, ad un centinaio di passi dalla capanna. Alla pallida luce della luna notai che l’antilope morta si muoveva sull’albero e constatai con spavento che il mio ricovero era stato attaccato da un gigantesco esercito di formiche.
Compton passò la notte su di una piccola collina un po’ distante dalla capanna e il giorno dopo, quando venne a vedere ciò che era accaduto, le formiche erano scomparse. Dell’antilope non rimanevano che le ossa, e nella capanna stessa si vedeva lo scheletro di qualche topo. Compton doveva esclusivamente al caso di esserne uscito sano e salvo: infatti, il topo caduto sulla sua faccia l’aveva svegliato in tempo. Se si fosse svegliato qualche secondo più tardi, avrebbe certamente potuto ancora correre, ma sarebbe tuttavia morto per le ferite prodottegli dalle formiche. Sembra dunque, dopo tutto ciò, che la formica sia la potenza più temuta, nelle contrade selvagge. (P. Lauret)

Le mucche delle formiche

Hai mai visto i germogli teneri delle rose o di altre piante, invasi da innumerevoli pidocchi grigioverdi? Essi si chiamano gorgoglioni o mucche delle formiche.
La pianta che ha molti di questi inquilini, in pochi giorni deperisce mentre i suoi parassiti, succhiandone gli umori, si riempiono di una sostanza dolce.
Dove vive una colonia di gorgoglioni, ben presto arrivano le coccinelle rosse dai sette punti e le formiche. Le coccinelle cercano i pidocchi per farne una strage divorandoli vivi. Le formiche, invece, li cercano continuamente per… mungerli. Sì, per mungerli, proprio come se fossero mucche, succhiandone il miele attraverso due piccoli tubi che essi hanno ai lati dell’addome. Ti viene da ridere? Ma questo non basta. I pidocchi, non solo si lasciano mungere, ma si lasciano persino trasportare dalle formiche nell’interno della terra, in una tana da queste appositamente scavata in comunicazione col formicaio. Per mantenerli grassi, cioè ben pieni di miele, che cosa fanno? Scavano dei passaggi tra una radice e l’altra, e, reggendo delicatamente con le mandibole le mucche prigioniere, le conducono a fare i loro pasti sulle parti più tenere.

Battaglia tra formiche e coccinelle

La coccinella è la grande nemica dei pidocchi delle piante e il giardiniere ha per lei molto rispetto. Una volta una coccinella, in due giorni, divorò una colonia di duecento gorgoglioni. Quattro coccinelle, in una sola settimana, liberarono interamente un alberello da frutto dai parassiti che lo coprivano tutto.
Le formiche odiano la nemica dei loro fornitori di miele e, se l’incontrano, le danno subito battaglia. Le corrono intorno intorno, la spruzzano col loro acido irritante, le montano arditamente sul dorso e tentano di staccarle le zampette con dei morsi.
Ma la coccinella si comporta come un carro armato, e la sua forma rotonda e liscia è molto adatta alla sua difesa.
Essa si ritrae tutta sotto il suo guscio lucido e duro, contro il quale le formiche non possono far nulla. Appena le sue nemiche si allontanano deluse, riprende la strage. Qualche volta le formiche ritornano ad assalirla in forte massa, e allora riescono a cacciarla.
Le formiche si comportano come pastori che difendano il loro gregge dai lupi, ma son dannose, perchè mantengono in vita un nemico delle piante.

Le formiche

Le formiche hanno lasciato il loro rifugio sotterraneo. Dove la terra è più calda le vediamo passare in lunghe file nere alla ricerca di cibo, per rifornire i loro magazzini ormai vuoti. Spesso lavorano insieme: uniscono le loro forze per trasportare qualche cosa che è più grande di loro.
(G. G. Moroni)

Le formiche

Il popolo delle formiche è in faccende. Ecco le operaie, sole o in lunghe file, che attraversano in linea serpeggiante il terreno. Foglie di pino e di abete, pezzetti di legno, granelli, sono i pesi giganteschi che esse trasportano al nido con grandi stenti. Se per una sola formica il fardello è troppo greve, subito le compagne accorrono e tutte insieme, sospingendo o tirando con le robuste mandibole, adempiono al loro compito per il bene della comunità.

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Dettati ortografici sugli ANIMALI

Dettati ortografici sugli ANIMALI – Una raccolta di dettati ortografici e letture per la scuola primaria sugli animali:  i mammiferi, i ruminanti, i mammiferi marini, ecc..

Dettati ortografici sugli ANIMALI
I mammiferi

Si chiamano mammiferi gli animali vertebrati che da piccoli si nutrono con il latte materno. Il loro corpo è generalmente ricoperto di peli, il loro sangue è rosso e caldo; respirano con i polmoni. La grande classe dei mammiferi comprende animali che vivono sulla terra, nell’aria e nell’acqua. Sono mammiferi i cani, i gatti, i topi, i cavalli, i buoi, le mucche, le pecore, le capre, i maiali, le volpi, i lupi, i leoni, le tigri, i leopardi, gli elefanti, le zebre, le giraffe, i conigli, le lepri, i canguri, gli scoiattoli, le scimmie, le balene, i delfini, i pipistrelli e tanti altri animali.

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I suini

Fra gli animali che l’uomo ha tolto dallo stato di selvatichezza per servirsene, magari trasformato in salsicce, è il maiale. Della stessa famiglia è il cinghiale, che preferisce la vita libera della macchia alle grasse brodaglie con cui l’uomo nutre il maiale. Ai suini appartiene anche l’ippopotamo, che non si trova nei nostri paesi e che noi ci accontentiamo di ammirare allo zoo.

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I ruminanti

Gli animali ruminanti hanno uno stomaco diviso in quattro sacche che si chiamano rumine, reticolo, omaso ed abomaso. L’erba, inghiottita senza essere stata masticata, va dapprima nel rumine, poi, quando l’animale è in riposo, il reticolo la rimanda in bocca; da qui, dopo che i denti l’hanno ben masticata, l’erba scende nell’omaso e nell’abomaso, dove è digerita. Oltre ai bovini, sono animali ruminanti: la pecora, la capra, il bisonte, il cammello, il dromedario, il cervo, il camoscio, lo stambecco, il caribù, la renna, l’antilope, e tanti altri.

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I roditori

E’ roditore il topo, il vispo topolino a cui piace moltissimo il formaggio chiuso nella nostra credenza; e, con lui, sono roditori i numerosi esemplari di topi che tanto danno possono recare all’agricoltura e quindi all’uomo.
Roditori sono anche il coniglio, la lepre, lo scoiattolo, l’istrice, il criceto. A tutti sarà capitato di sentire rosicchiare uno di questi animali, e se qualcuno avesse pensato che, a forza di rosicchiare, gli si sarebbero consumati i denti, ha pensato giusto. Infatti, i denti dei roditori si consumano, ma ricrescono sempre, così per questi animali rodere è anche una necessità per mantenere la dentatura in perfetta efficienza.
A causa di questi denti, i roditori non sono affatto graditi all’uomo, il quale cerca di rifarsi come può, utilizzando di alcuni la carne e la pelliccia, distruggendo gli altri.

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Gli equini

Fra i migliori amici dell’uomo, sono il cavallo, l’asino e il mulo. Essi lo aiutano nel suo lavoro e si lasciano cavalcare.
Hanno lo zoccolo formato di un solo pezzo e l’uomo vi applica un ferro per renderlo più robusto.
Agli equini appartiene anche la zebra, che vive allo stato selvaggio.
Sono tutti erbivori.

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Mammiferi in libertà

Numerosi mammiferi vivono allo stato selvatico. Tra essi sono le scimmie, animali che, più degli altri, assomigliano all’uomo; alcuni insettivori come la talpa e il riccio, che si nutrono di insetti e che, quindi, noi dovremmo tenere molto cari. Ci sono gli elefanti, gli orsi, i canguri; questi ultimi hanno sul ventre una tasca dove tengono i piccoli finché questi non sono in grado di badare a sé stessi, e ci sono perfino animali che l’uomo ha faticato a classificare, perchè volano come gli uccelli e non sono uccelli, allattano i piccoli e sono ricoperti di peli. Vogliamo alludere ai pipistrelli, anch’essi mammiferi, che, anche se poco piacevoli a vedersi, sono utili all’uomo perchè si nutrono di insetti.

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Mammiferi che non sembrano mammiferi

Sono grossi animali che vivono nell’acqua come i pesci, ma non sono pesci. Sono la balena, il delfino, il capodoglio, cioè i cetacei. Sono la foca, il tricheco e cioè i pinnipedi. Anche questi depongono piccoli vivi che allattano e hanno i polmoni per respirare. Se non potessero venire ogni tanto alla superficie per fare provvista d’aria, morirebbero asfissiati proprio in quell’acqua dove sembrano trovarsi perfettamente a loro agio.
La balena è il più grande degli esseri viventi.

Mammiferi marini

La balena è il più grosso dei mammiferi. Vive nei mari polari, ove è cacciata per la carne, il grasso e i fanoni. Il delfino è un cetaceo molto comune nei mari temperati: è mammifero e carnivoro. La foca è un mammifero marino delle zone glaciali. Si ciba di pesci.  Il tricheco è un mammifero che vive nei mari freddi.

Animali insettivori

Essi si dividono il campo di caccia; chi va nei prati, chi nei giardini, altri nei boschi e negli orti. Fanno una guerra continua ai bruchi che distruggerebbero i nostri raccolti. Essi sono più abili di noi, di vista più acuta, più pazienti e senza alta occupazione che quella. Fanno un lavoro che per noi sarebbe assolutamente impossibile.
(Fabre)

I pinnipedi

Si chiamano così certi grossi animali che passano la vita sulle spiagge e nel mare. Essendo carnivori hanno, anch’essi, una buona dentatura, ma non hanno il dente ferino come i carnivori terrestri. Il loro corpo, che ha la forma di un fuso, è ricoperto di un pelo corto, fittissimo ed è quindi adatto alla vita acquatica. Gli arti sono ridotti a guisa di pinne atte al nuoto, con le dita unite da una membrana.

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Gli animali e l’uomo

Fin dalla più remota antichità, l’uomo cercò di sottomettere gli animali per farsi aiutare nel suo lavoro ed avere carni ed abiti. Sembra che il primo animale ad essere addomesticato sia stato il cane. L’uomo viveva ancora nelle caverne, aveva intanto scoperto la maniera di procurarsi il fuoco.

Non si sa precisamente quale sia stato l’antico progenitore di questo fedele amico dell’uomo. Data la diversità di razze esistenti, così profondamente differenziate le une dalle altre, si può dedurre che il cane provenga da animali diversi. Tra questi è certamente lo sciacallo che rassomiglia al tipo più comune di cane. Lo sciacallo ulula lugubremente di notte e anche la voce primitiva del cane è l’ululato. E’ soltanto nella dimestichezza che egli ha imparato ad abbaiare, cosa che dimentica se ritorna allo stato selvatico.

Naturalmente, oggi il cane ha perso diversi caratteri della sua antica origine; i tipi da noi conosciuti sono il risultato di una lunga successione di generazioni, tutte sottomesse dall’uomo ed educate da lui.
Quando il cibo carneo cominciò a scarseggiare, sia per la mancanza di selvaggina sia per il sopravvenire dei grandi freddi, l’uomo primitivo soffrì la fame e, allora, pensò di allevare degli animali. Si ebbero così gli armenti di pecore e di capre. L’uomo ebbe la carne e il latte e in seguito imparò anche a filare e a tessere il vello di cui questi animali erano forniti. Successivamente, alcune popolazioni si dedicarono esclusivamente all’allevamento. Ed ecco l’uomo pastore. Egli è, però, ancora nomade. Spinge davanti a sé i suoi greggi alla ricerca di nuovi pascoli; conosce così nuove contrade dove porta quel poco di civiltà che è venuto conquistando, seguito da quegli animali che si sono ormai definitivamente sottomessi.

Prima di conseguire la domesticità attuale, pecore e capre erano ben diverse dal tipo che oggi conosciamo. Forse, erano anche in grado di difendersi. La pecora, oggi così mansueta paurosa e assolutamente incapace di una vita indipendente, doveva possedere mezzi di difesa, altrimenti sarebbe scomparsa dalla terra prima che l’uomo avesse potuto addomesticarla. Era, per lo meno, in grado di salvarsi con la fuga, così come facevano tutti i ruminanti e come fanno ancor oggi quelli rimasti allo stato selvatico.

L’uomo conosceva una varietà di spiga di cui mangiava i granelli che, abbrustoliti e ridotti in farina, intrideva con l’acqua e cuoceva fra due pietre arroventate. Questa focaccia gli piaceva e egli la mangiava insieme alla carne della selvaggina di cui temperava il gusto e il forte sapore. Fu così che l’uomo imparò a coltivare egli stesso questa spiga e fu lieto quando vide biondeggiare il campo di messi, seminate e coltivate da lui. Divenne agricoltore, ma rimase nomade perchè quando il campo, ormai sfruttato, non dava che un raccolto misero e scarso, egli si trovava costretto a cercare terreni più fertili e pingui.

Ma il lavoro della terra era faticoso: quella specie di aratro che egli si era fabbricato con un tronco appuntito, era duro a trascinarsi sul terreno dove a stento riusciva ad aprire un solco superficiale.
Fu così che l’uomo cercò di domare un animale forte e robusto che lo aiutasse nel lavoro dei campi.
L’animale forte e robusto fu il toro e il sottometterlo non fu facile nè privo di pericoli.

La storia non ci dice nulla dei primi domatori di tori, ma questa conquista fu così preziosa che l’Oriente ne serbò memoria per lungo tempo,  e ne fanno prova gli onori che l’antico Egitto attribuiva al bue Api, considerato un dio e al quale si offrivano sacrifici e si dedicavano templi. Anche ai nostri giorni, in India, la vacca è considerata sacra e perfino nei nostri paesi i buoni vengono ornati con fiocchi e nappe. Naturalmente, molto cammino si è fatto dal bestione furioso e ribelle dei tempi preistorici al docile e mansueto bue dei nostri giorni.

L’uomo è dunque diventato pastore ed agricoltore. Ormai sono molti gli animali che ha addomesticato e di cui si serve: il cane, che gli è diventato fedele compagno nella caccia e che custodisce il suoi armenti; la pecora, che gli fornisce cibo e vesti; il bue che lo aiuta nel lavoro dei campi.

Ma egli ha ormai bisogno di spostarsi velocemente da un luogo all’altro, le sue esigenze sono aumentate, lo spinge la curiosità invincibile che lo porta ad esplorare regioni lontane e ancora sconosciute. E’ spesso in guerra con gli altri uomini che gli insidiano il gregge e i raccolti. La guerra! Un fattore decisivo nella storia della civiltà umana. L’uomo deve utilizzare un animale veloce che gli permetta non solo di spostarsi rapidamente da una regione all’altra, ma che sia anche un animale coraggioso, capace di sostenerlo e di aiutarlo nel combattimento. E’ così che l’uomo utilizza il cavallo che poi avrebbe addomesticato ed allevato come animale da tiro e da carne. Lo chiamò pittorescamente il “figlio del vento”, e questa fu certo  la più nobile conquista che egli abbia fatto nei tempi dei tempi.

Pare che questo animale provenga dalle pianure della Mongolia, dove esistono ancora branchi di cavalli selvatici. Anche in America si trovano branchi che vivono in libertà, allo stato brado, nelle sterminate pianure erbose, ma essi sono soltanto i discendenti rinselvatichiti dei cavalli domestici.

Per catturarli, gli uomini usano il lazo, una specie di correggia terminante con palle,  la quale si attorciglia al collo e alle zampe del cavallo e lo atterra. Forse, non molto dissimile fu la cattura del cavallo nell’antichità. Non fu facile domare questo fiero animale, ma quando l’uomo vi riuscì, il cavallo gli fu prezioso in pace e in guerra.

Il mite e paziente asinello non è un cavallo degenerato come alcuni vorrebbero: anch’esso vanta le sue antiche origini e anzi, l’asino sembra aver preceduto il cavallo nella domesticità. L’uomo nomade che trasmigrava con tutti i suoi armenti, aveva bisogno di un animale da poter caricare con le masserizie e gli strumenti di lavoro. L’asino gli fu utilissimo perchè era forte, paziente, di poche esigenze e resistente ai disagi. Oggi, gli asinelli delle razze montane hanno un aspetto dimesso perchè vengono anche trattati male, ma in Oriente, dove questa cavalcatura è tenuta molto in onore, l’asino è un animale dall’aspetto robusto, che trotterella vivacemente.

Gli animali domestici crescevano di numero e l’uomo ne traeva cibo e aiuto per il suo lavoro, ma la serie non doveva finire tanto presto. Ecco il gatto, che l’uomo forse in principio tollerò, quando attratto dall’odore dei cibi e dell’abbondanza di piccoli animali, questo felino grazioso ed agile si avvicinò alla sua capanna. Pare che il gatto domestico derivi dal gatto selvatico che ancora vive in Abissinia e che gli assomiglia molto. Infatti, per quanto il nostro gatto sia pieno di smorfiette e di grazie, esso rivela la sua origine felina nelle improvvise rivalse fatte con denti e unghie. Il gatto fu ospite dell’uomo fin dalla più remota antichità. L’Oriente, dal quale l’abbiano ricevuto, lo possiede da tempo immemorabile. In Egitto, il gatto era ritenuto sacro e gli venivano attribuiti onori divini.

Fra gli animali addomesticati ed allevati soprattutto per le loro carni, vi fu il maiale, derivato certamente anche dall’irsuto e selvatico cinghiale, che ancora popola le nostre macchie. Ed ecco, infine, le numerose varietà di polli che oggi schiamazzano nei nostri cortili e che l’uomo, attraverso selezioni lunghe e pazienti, ha modificato a suo vantaggio: galline grasse e feconde, galli pettoruti e arditi, tacchini e palmipedi. Mentre il gallo e la gallina ci sono pervenuti dall’Asia, il tacchino proviene dall’America del Nord. Per tale ragione viene chiamato anche dindo, cioè proveniente dalle Indie (occidentali).
L’oca e l’anatra esistono ancora allo stato selvatico, e sono note le lunghissime migrazioni che esse compiono da un capo all’altro del mondo per andare a deporre le uova nei paesi d’origine, situati entro il Circolo Polare.
Altri pennuti preziosi sono i piccioni, allevati in domesticità anche se numerose specie vivono ancora libere nei buchi delle vecchie torri o sui tetti.
(Mimì Menicucci)

Dettati ortografici sugli ANIMALI
L’uomo e gli animali nella preistoria

I nostri lontanissimi antenati ben presto dovettero osservare tutto ciò che li circondava e in modo speciale gli altri viventi, soprattutto gli animali, alcuni dei quali rappresentavano un pericolo da evitare e altri una fonte di vita di cui occorreva impadronirsi. Il risultato di queste osservazioni è giunto fino a noi negli stupendi disegni graffiti sulle pareti delle caverne dove l’uomo, allora, abitava.

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Tanti animali, tanti record!

Lo sapevate che, in una giornata, un topolino mangia la stessa quantità di cibo che mangiate voi? Lo sapevate che se nel salto in alto fossimo bravi come la pulce, potremmo superare d’un balzo una collina? Vi diciamo quali sono gli straordinari primati sportivi di animali piccoli e grandi.

E la forza? Voi penserete subito all’elefante, immagino, che può trainare un intero treno merci. Ciò può anche non stupirci troppo, se pensiamo alle dimensioni del bestione. Assai più eccezionale è una simile forza, fatte le debite proporzioni, in una bestiolina come lo scarabeo stercorario, uno dei nostri più comuni coleotteri, che può sostenere e trainare un peso 850 volte superiore a quello del suo corpo. Ma c’è dell’altro! Una formica riesce a trascinare dietro di sé il corpo di un’ape, su una distanza che, rapportata alla misura umana, è superiore a molte decine di chilometri. Forse queste eccezionali qualità degli insetti dipendono dal fatto che essendo dotati di vita assai breve, riescono a concentrare in uno spazio di tempo ristretto tutta l’energia che un uomo sviluppa in una durata di circa settant’anni. Ci sono poi gli animali golosi, o più semplicemente mangioni. Il primatista in questo senso è senz’altro il topo, che in un giorno riesce a mandar giù tanto cibo quanto un ragazzo di dieci anni! C’è poi un caso di golosità che torna assai utile nell’agricoltura. E’ il caso della civetta che, per nutrire la sua nidiata, sacrifica fino a 6.000 topi campagnoli in un anno, salvando così i nostri raccolti.

Gli animali non finiscono mai di stupirci: incredibile è ancora la potenza dei loro sensi. Si dice occhio di lince per indicare la vista acuta per eccellenza, ma è una fama un pochino usurpata. La civetta ci vede assai meglio. Gli occhi della civetta, infatti, sono dotati di cellule che distinguono non i colori ma la luce, e contengono una sostanza che permette al rapace di percepire anche la luce più tenue, e di trasformarla in una vera e propria impressione visiva, là dove noi non scorgeremmo probabilmente un bel nulla. Così la civetta anche nella notte più fonda può andare a caccia di topolini e scorgerli tra le erbe.

Questi occhi peraltro eccezionali hanno un difetto: sono fissi come i fari di un’auto. Ma neanche a farlo apposta, questo difetto dà all’uccello la possibilità di conquistare un altro record: quello della mobilità della testa. Infatti la civetta riesce quasi a far ruotare la testa intorno al collo, senza cambiare di posizione e senza perdere di vista quel che le interessa. Non è certo un caso unico di vista eccezionale, la civetta: c’è un pesce tropicale che, navigando in superficie, riesce a vedere nello stesso tempo il pelo dell’acqua e le profondità del mare, e può captare e distinguere due immagini alla volta. Numerosi insetti, inoltre, grazie ai loro enormi globi oculari, hanno una vista che copre un’angolazione assai maggiore della nostra.

E per finire vi parleremo di una… lingua, che detiene il primato della stranezza. E’ la lingua della lumaca: una lingua con i denti. Sulla sua superficie di sono qualcosa come quattromila piccolissimi denti con cui la lumaca riesce ad attaccare le piante di ogni tipo e più tranquillamente rosicchiarle. Sulle foglie, nelle verdure degli orti avrete di certo notato il suo passaggio.

Se facciamo un confronto fra le possibilità fisiche nostre e quelle degli animali, non siamo certo noi a fare… la parte del leone. Pensate: un uomo può correre solo per alcuni secondi alla velocità di 36 chilometri all’ora, ma ci sono delle antilopi che toccano tranquillamente i cento chilometri all’ora, e il ghepardo supera addirittura i 110! C’è poi una specie di rondine asiatica che, dicono, vola addirittura a 320 km/h! La gazzella del deserto è il canguro superano con un salto addirittura i dieci metri.

Ma le vere primatiste di salto sono la rana e la pulce! Pensate: se un uomo fosse tanto bravo come la pulce, riuscirebbe a saltare trecento metri a piedi giunti, un salto pari alla torre Eiffel, insomma! Il topo del deserto, dal canto suo, che è lungo poco più di due centimetri, salta in lunghezza oltre quattro metri: in proporzione voi dovreste saltare 100 metri!

Lo sapevate che esistono alberi con più di duemila anni, che hanno visto tutta la storia dai tempi antichi ad oggi? In Francia c’è un’enorme quercia, il cui tronco a stento tre uomini potrebbero abbracciare, e che nel nel XVI secolo era il centro di riunione dei cospiratori contro gli spagnoli del Duca d’Alba.

Nel mondo degli animali non esistono casi così clamorosi di longevità. Si parlò un tempo di piovre vissute per secoli, il che spiegava la loro enorme mole dovuta a una lentissima crescita. E si è anche detto che il pappagallo e il corvo raggiungono la rispettabile età di 200 anni! La verità è però assai diversa: difficilmente un grosso corvo supera i sessanta anni. Non si sa molto sulla longevità dei pesci, ma si ricordano pesci rossi vissuti  oltre dieci anni nel loro acquario, senza peraltro aumentare molto di dimensioni. Una carpa può vivere circa 25 anni. Una grande tartaruga vive circa 200 anni. Un coccodrillo vive a lungo anche lui: la vipera invece non vive più di sette o otto anni. E direi che è anche troppo per un animale così. Vita relativamente breve hanno i nostri più cari amici, il cane e il gatto. E’ un vero peccato che queste bestiole non possano accompagnare per tutta la vita il loro

(da “Il Corriere dei Piccoli”)

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Animali che giocano

I loro giochi non sono molto complicati. Le lontre, per esempio, si divertono con una specie di toboga. Cercano la riva liscia e bene in pendio di un fiume, la puliscono dagli arbusti e dai sassi, e quando l’hanno resa sdrucciolevole si lasciano scivolare in basso, fino a piombare nell’acqua, ventre a terra e muso in alto.

Qualcosa di simile fanno i camosci sulle Alpi. Nell’estate saltano di cima in cima tra le solitudini dell’alta montagna, inseguendosi in una giostra vorticosamente pericolosa. Ma anche per i camosci il toboga è lo svago maggiore: scelgono alcuni declivi coperti di neve, si acquattano, poi agitando le zampe come se remassero, si lasciano sdrucciolare e scendono a precipizio anche per centinaia di metri. E’ uno spettacolo. Tanto che i camosci anziani fanno da spettatori.
Ed è gioco, proprio gioco.
Infatti l’esercizio si ripete continuamente, per due o tre volte, dallo stesso soggetto, escludendo così possa trattarsi di un mezzo di locomozione rapida per superare le distanze.
Anche i più grossi animali, come gli elefanti e i rinoceronti, amano, in giovinezza, i giochi.
I tassi hanno un loro gioco speciale: fanno le capriole e i salti mortali. Gli orsi, invece, ballano: e non solo gli orsacchiotti ma anche gli adulti.

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Cominciamo a distinguere

C’è differenza tra il leone e la viscida lumaca? C’è differenza tra l’uccello e il ragno? Ci sono tante differenze che, a volerle trovare tutte, si impiegherebbe moltissimo tempo.
Ma cominciamo da una differenza fondamentale: il leone ha lo scheletro, cioè una solida impalcatura che ne sostiene il corpo, la lumaca invece non lo possiede. Anche l’uccello ha lo scheletro e il ragno no.
Gli animali quindi, si possono dividere in due grandi gruppi: quelli che hanno lo scheletro e quelli che non lo hanno. E poichè lo scheletro si regge soprattutto sulla colonna vertebrale, cono stati chiamati, i primi, animali vertebrati, i secondi animali invertebrati.
(Mimì Menicucci)

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Animali vertebrati

Anche fra gli animali vertebrati ci sono grandi e profonde differenze. Ed ecco l’uomo procedere ancora nella distinzione. Volle distinguere, innanzitutto, gli animali che mettevano al mondo i figlioletti vivi e li nutrivano col loro latte. Li chiamò mammiferi. Erano animali che respiravano per mezzo di polmoni e avevano sangue sempre alla stessa temperatura, indipendente dalla temperatura esterna. Erano cani, bovini, ovini, leoni, tigri, ecc.
Chiamò uccelli quegli i cui piccoli nascevano da uova e che avevano ali fornite di penne che permettevano loro di alzarsi a volo nell’aria. Erano rondini, aquile, galline e passerotti.
Molto diversi dai mammiferi e dagli uccelli, alcuni animali non solo non volavano, ma non avevano nemmeno le zampe o, se queste c’erano, erano corte. Fra essi, i coccodrilli, i serpenti, le lucertole, le tartarughe. Il loro sangue non aveva sempre la stessa temperatura, ma assumeva quella dell’ambiente: caldo se faceva caldo, freddo se faceva freddo. Furono chiamati rettili.
Anche le rane, i rospi, le salamandre, avevano il sangue alla temperatura ambientale, ma l’uomo non potè collocare questi animali tra i rettili perchè essi potevano vivere tanto nell’aria che nell’acqua ed avevano bizzarre caratteristiche. Quando nascevano, per esempio, non rassomigliavano affatto ai loro genitori. La rana non avrebbe certo riconosciuto come suoi figlioli, i girini che sembravano pesciolini e potevano vivere solo nell’acqua. Soltanto in seguito, subita una metamorfosi completa, i girini si sarebbero trasformati in rane.
L’uomo chiamò gli animali aventi queste caratteristiche anfibi, che vuol dire aventi due vite.
Non li confuse, certo, con i pesci che, se vivevano anch’essi nell’acqua, non potevano però respirare nell’aria. Infatti, non avevano polmoni, bensì branchie. Erano tonni, sardine, merluzzi e sogliole.
Studiando la vita e le abitudini dei pesci, l’uomo si accorse che non tutti gli esseri che vivevano nell’acqua potevano essere considerati soltanto pesci. Certi bestioni giganti, balene, capodogli, delfini, foche, respiravano l’ossigeno dell’aria, avevano sangue caldo e mettevano al mondo i loro piccoli vivi. Erano mammiferi, anche se avevano abitudini differenti da quelle degli altri mammiferi. Li chiamò cetacei.
(Mimì Menicucci)

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Animali invertebrati

Anche tra gli animali invertebrati l’uomo trovò profonde differenze.
Chiamò molluschi quegli animali che avevano il corpo molle come la chiocciola, la lumaca che strisciavano sul terreno; la seppia, il calamaro, il polpo, le ostriche che vivevano nell’acqua di mare.
Classificò poi insetti tutti gli animaletti che avevano sei zampe e il corpo diviso in tre parti distinte: capo, torace, addome. Nella più parte della specie, i figli non rassomigliano, appena nati, ai genitori. In genere, si trattava di piccoli bruchi, di larve, che soltanto dopo aver subito una metamorfosi, diventavano insetti perfetti.
E i ragni? Non si potevano mettere insieme agli insetti anche se avevano, con questi, una vaga rassomiglianza. C’era una differenza importante: avevano otto zampe, non sei come gli insetti, e l’uomo classificò i ragni insieme agli scorpioni, alle tarantole e li chiamò, tutti, aracnidi. Non fu un nome dato a caso. Aracne era una bella fanciulla greca che sapeva tessere meravigliosamente. Minerva, la dea della sapienza, gelosa della sua abilità, la sfidò a fabbricare la tela più bella. Aracne vinse la gara, ma non potè rallegrarsene perchè la dea, indignatissima, la trasformò in un ragno. Anche così trasformata, la fanciulla continuò a tessere ma ahimè, la sua fu una tela che, pur tessuta mirabilmente, non serviva più a nulla: la ragnatela.
Nell’acqua, oltre i pesci, i molluschi e i cetacei, (i grossi mammiferi di cui abbiamo parlato), vivevano altri animali che non potevano essere classificati né con gli uni né con gli altri. Erano aragoste, erano gamberi, erano granchi… L’uomo li chiamò crostacei forse a motivo della loro corazza resistente che li ricopriva.
Con questo, credette di aver finito nelle sue classificazioni, ma si accorse ben presto che qualcosa, o meglio, qualcuno, era sfuggito. Si trattava di umili esseri che non camminavano, non volavano, non nuotavano. Si contentavano di strisciare, modesti, tranquilli; spesso non si riusciva a distinguere dove avessero la testa. Si trattava di lombrichi, rosei, snodati, molli, di sanguisughe, che si attaccavano voracemente alle gambe di chi si immergeva nell’acqua degli stagni e persino di alcuni disgustosi individui che l’uomo si accorse di ospitare nel suo intestino: la tenia e l’ascaride. Furono chiamati vermi.
Soltanto allora l’uomo pensò di aver finito le sue classificazioni del mondo animale, per lo meno di quelle fondamentali e si sentì soddisfatto. Non per nulla se ne considerava il re.
(Mimì Menicucci)

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Decalogo zoofilo

  1. Rispetta ogni essere vivente.
  2. Ricorda che gli animali sono esseri viventi, sensibili al piacere e al dolore. Comprendili ed evita loro, per quanto ti è possibile, fastidi e sofferenze.
  3. Non usare gli animali per il tuo diletto, non produrre strazio o danno alla loro salute, non far soffrire loro la fame o la sete.
  4. Non devastare le tane degli animali; non depredare i nidi degli uccelli, armoniose creature dell’aria.
  5. Non tormentare rospi, lucertole, insetti, talvolta utilissimi all’agricoltura.
  6. Rifuggi da spettacoli barbari e ripugnanti, vittime dei quali sono innocenti animali: impediscili, se puoi.
  7. Pensa agli svariatissimi vantaggi che l’uomo trae dagli animali e dimostra verso di essi la tua simpatia con il rispetto e la benevolenza.
  8. Ricordati che mostrarsi generoso con gli animali e rispettarli è indizio di anime nobile e gentile.
  9. Ogni animale è una creatura sensibile: non tiranneggiarla, ma accoglila sempre con tenerezza, proteggila, amala.
  10. Ricordati che dai sentimenti di giustizia e di carità scaturiscono tutte le virtù e che se le colpe talvolta vengono perdonate, la crudeltà non lo sarà mai.

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Amici e nemici

Tra tutti gli animali che popolano la terra l’uomo ha scoperto che alcuni gli sono nemici, come le bestie feroci, i serpenti e alcuni insetti; altri vivono lontano da lui  senza fargli né bene né male, come tutti gli animali selvatici in generale; altri infine, gli diventano facilmente amici, vivono volentieri nella sua casa o nel suo cortile, lo aiutano nei viaggi trasportandolo rapidamente, nella caccia, nei lavori dei campi; gli danno il latte, le uova, il pelo, la pelle, la carne; questi sono gli amici domestici i quali, fin dai tempi antichissimi hanno accettato il dominio dell’uomo.
(C. Lorett)

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Gli animali

Gli animali possono vivere senza l’uomo, mentre è difficile pensare che l’uomo avrebbe potuto sopravvivere senza gli animali. Per necessità, ma talvolta anche senza necessità, l’uomo ha turbato profondamente l’esistenza degli animali; talune specie per opera dell’uomo sono state cancellate dalla Terra, altre ridotte a pochissimi esemplari, alcune non esistono più allo stato selvatico, ma solo domestico. Soltanto in tempi recenti l’uomo saggiamente protegge quello che nei secoli passati è sfuggito alla totale distruzione.

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Guardatevi intorno

Guardatevi intorno: vedrete piccoli insetti, quali alati, quali striscianti, quali saltellanti, muoversi incessantemente in mezzo alle piante. Vedrete, nelle limpide acque del lago, guizzare rapidi pesci argentei; noterete le grosse anguille verdastre, i gamberi nei fossati. Udrete il gracidare delle rane vicino agli stagni, vedrete i granchietti, le arselle attaccate agli scogli marini e quei pesciolini minutissimi che nuotano dove l’acqua è bassa.

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Un grande albero

Il regno animale si può paragonare a un grande albero, da cui si dipartono parecchi rami. In basso, sulle radici, vi sarebbero gli animali più semplici; in alto, sulla vetta estrema, che non può essere superata da nessun altro ramo, starebbe l’uomo. In mezzo, fra le radici e il vertice dell’albero, stanno gli animali che collegano l’uomo alle forme più semplici degli esseri viventi.

Dettati ortografici sugli ANIMALI
Ricerche e relazioni sugli animali:
– Scrivi il nome di alcuni animali e distingui quelli che appartengono al tipo dei vertebrati.
– Fai lo stesso per gli invertebrati.
– Ricopia i seguenti nomi, facendo due colonnine, una per gli animali vertebrati, una per gli invertebrati: ragno, lumaca, vipera, toro, seppia, ostrica, scorpione, gatto, sogliola, cavallo, zanzara, sardina, passero, asino, lombrico, coccodrillo, leone, chiocciola, tonno, balena, tenia, foca, vitello, moscerino, cane.
– Ricopia i seguenti nomi raggruppandoli a seconda che si tratti di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci: pulcino, pipistrello, rana, salamandra, passero, gatto, coccodrillo, sogliola, triglia, rospo, canarino, cane, tigre, vipera, balena, squalo, biscia, delfino, usignolo, foca, merluzzo, lucertola, raganella, carpa, ippopotamo, rinoceronte, cavallo.
– Ricopia i seguenti nomi raggruppandoli a seconda che si tratti di crostacei, molluschi, insetti, aracnidi, vermi: gambero, chiocciola, mosca, zanzara, sanguisuga, lombrico, bruco, granchio, ascaride, seppia, ragno.
– Scrivi il nome di alcuni animali vertebrati e scrivi accanto a ciascun nome se si tratta di un mammifero, o di un uccello, di un rettile, di un anfibio, di un pesce.
– Scrivi il nome di alcuni animali invertebrati e scrivi accanto a ciascun nome se si tratta di un crostaceo o di un mollusco, di un insetto, di un aracnide o di un verme.

Amici e nemici
Tra tutti gli animali che popolano la terra l’uomo ha scoperto che alcuni gli sono nemici, come le bestie feroci, i serpenti e alcuni insetti; altri vivono lontano da lui senza fargli né bene né male, come tutti gli animali selvatici in generale; altri infine, gli diventano facilmente amici, vivono volentieri nella sua casa o nel suo cortile, lo aiutano nei viaggi trasportandolo rapidamente, nella caccia, nei lavori dei campi; gli danno il latte, le uova, il pelo, la pelle, la carne; questi sono gli amici domestici i quali, fin dai tempi antichissimi hanno accettato il dominio dell’uomo.
(C. Lorett)

Dettati ortografici sugli animali – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici sugli ANIMALI

GLI ANIMALI DEL PRATO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici PRIMAVERA – Gli animali del prato. Una collezione di dettati ortografici sul tema “gli animali del prato e la primavera”, di autori vari, per la scuola primaria.

I cantori del prato
Non sono gli uccelli che preferiscono le verdi chiome degli alberi, ma le cavallette, i grilli. Quanto alle cicale, esse vivono un po’ sull’albero, un po’… sotto. Cavallette e grilli cantano preferibilmente di notte, le cicale alla luce solare. Ma è un canto per modo di dire, perchè la loro voce non è altro che la vibrazione di un organo speciale e non ha nulla a che fare con il canto.

Le cicale

Cominciano agli ultimi di giugno, nelle splendide mattinate; cominciano ad accordare in lirica monotonia le voci argute e squillanti. Prima una, due, tre, quattro, da altrettanti alberi; poi dieci, venti, cento, mille, non si sa di dove, pazze di sole; poi tutto un gran coro che aumenta d’intonazione e di intensità col calore e col luglio, e canta, canta, canta, sui capi, d’attorno, ai piedi dei mietitori. Finisce la mietitura, ma non il coro. Nelle fiere solitudini sul solleone, pare che tutta la pianura canti, e tutti i monti cantino, e tutti i boschi cantino…
(G. Carducci)

Animali del prato
Se guardiamo fra le erbe del prato, che brulichio di insetti, che viavai d’animaletti frettolosi, affaccendati, impauriti! Formiche, vespe, calabroni, farfalle e, nei buchi del terreno, i grilli canterini che fanno compagnia ai lombrichi aratori!

Il grillo
E’ l’ora in cui stanco di vagare l’insetto nero torna dalla passeggiata e rimedia con cura al disordine della sua tana. Dapprima rastrella i suoi stretti viali di sabbia. Poi fa un po’ di segatura che sparge sulla soglia del suo rifugio. Lima la radice di quella grande erba che gli dà fastidio. Si riposa. Poi carica il suo orologino. Ha finito? O l’orologio si è rotto? Di nuovo si riposa un po’. Rientra in casa e chiude la porta. A lungo gira la chiave nella delicata serratura. Sta in ascolto. Fuori, nessun allarme. Ma lui non si sente sicuro. E come una lunga catenella, la cui carrucola stride, scende in fondo alla terra.  Non si sente più nulla. Nella campagna muta, i pioppi si drizzano come dita nell’aria e indicano la luna.
(J. Renard)

Il maggiolino
Che disastro quando un bosco è invaso da questi formidabili distruttori! Non resta nemmeno una foglia, nemmeno una gemma. Tutto è sparito dentro il vorace stomaco di questi animaletti… ma per fortuna il maggiolino ha dei nemici: se si lascia ingannare dal sole invernale, sale sulla superficie, e qui il gelo sopravvenuto lo uccide. Se il contadino ara o zappa il terreno, mette allo scoperto le grosse larve bianchicce e allora che festa per le cornacchie, gli storni, le galline e tutti i pennuti che vanno a caccia di insetti!

Libellule, cicale, cavallette
Molte specie d’insetti infestano le nostre campagne. Alcuni, come la libellula, ci sono indirettamente utili perchè si cibano delle larve degli altri insetti. Altri, come la cicala, il grillo e la cavalletta, sono i gentili cantori dei prati. La cicala produce il suo stridulo canto mediante uno speciale apparato costituito da un insieme di membrane che, contraendosi e vibrando, producono la caratteristica risonanza. La cavalletta, quando è riunita in sciami numerosi, può produrre incalcolabili danni alla vegetazione.

Il maggiolino

E’ un insetto dal formidabile apparato masticatorio e dalle ali anteriori rigide, dure, le quali coprono quelle posteriori, membranose. Sotto le ali è nascosto il corpo dell’insetto: parte del torace e l’addome.
I maggiolini adulti fanno la loro apparizione in maggio: donde il nome. Appena la femmina ha posto le uova in un buco del terreno, muore. Qualche settimana dopo, dall’uovo si schiude una larva senza ali, fornita di sei zampe, la quale comincia a scavare lunghe gallerie sotterranee, nutrendosi delle radici che incontra. Si nutre e ingrossa notevolmente, per un periodo di tre anni. Allora la larva si nasconde in fondo ad una galleria e diventa ninfa.
Nel mese di settembre, la ninfa diventa insetto adulto. Ma ormai si avvicina l’inverno, e il giovane maggiolino rimane ancora sotto terra, fino alla primavera seguente. A primavera, i maggiolini assaltano gli alberi e divorano tutte le gemme, le foglie, gli arbusti teneri. Per fortuna, questa invasione avviene solo ogni tre o quattro anni, altrimenti poveri alberi!

La cavalletta

Il prato è una festa di colori. Le farfalle si posano con grazia sui fiori. Le cavallette invece non conoscono la cortesia. Prendono le misure e poi spiccano i loro grandi salti.
Guardiamo le tre parti del corpo della cavalletta. La testa ha due lunghe e sottili antenne e due occhi che guardano con fissità.
La cavalletta mangia foglie, steli e insetti tagliandoli con organi che assomigliano a una pinza. Il torace della cavalletta è sostenuto da due zampe.
Le due ali anteriori sono abbastanza dure e resistenti. Le due ali posteriori sono sottili e trasparenti. Quando una cavalletta è in volo, tutte e quattro le sue belle ali sono spiegate come le vele di un’antica nave, ma soltanto le ali posteriori si muovono e fanno da motorino.
L’addome non ha nè ali nè zampe: è formato da tanti anelli. La cavalletta non ha uno scheletro, ma il suo corpo è ugualmente protetto dalla pelle, che lo difende come una corazza.
La cavalletta respira con l’addome, ai cui lati si aprono alcuni forellini.
Le cavallette dell’Italia del Nord sono in piccolo numero e poco adatte al volo; nell’Italia insulare e nell’Africa si formano immensi sciami, che percorrono in volo centinaia di chilometri. Dove si posa questa nuvola di cavallette, ogni raccolto è divorato, distrutto.

Il grillo campestre

Al canto delle cicale si unisce, in campagna, e continua anche nelle serene notti d’estate, il canto del grillo.
Dapprima è un grillo solo, che lancia nell’aria la sua nota vibrante: cri, cri, cri… Poi un altro lo imita, poi un altro ancora: in breve, tutta l’orchestra è in azione,e la sinfonia si alza nel cielo.
Il grillo depone le sue uova, gialle, cilindriche, in un nido che è una meraviglia di meccanica. Immaginate un piccolo astuccio, aperto in alto da un foro circolare che funziona da coperchio. Quando il grillino si è formato, dà un colpo con la testa al coperchio, che si apre di scatto, come in certe scatole dalle quali, premendo una molla, scatta fuori il diavoletto. L’uovo rimane col coperchio appeso all’imboccatura. Il grillo cerca un rifugio sotto terra, dove passa l’inverno. Sotto terra è di colore pallido; e lavora attivamente, con la mandibola e con calci, e si fa strada nel terreno. Finalmente ne esce, e allora diventa di colore scuro. Corre intorno rapidamente, in cerca di cibo. E’ piccolo come una pulce, e le formiche ne fanno grande strage. In agosto è tutto bruno, e si è fatto un po’ più grandicello. Vive al riparo di una foglia morta, si scava la tana: zappa con le zampe anteriori, e con le posteriori spinge indietro il materiale. Entra nella terra, e ogni tanto torna fuori, a buttar via i detriti. Quando è stanco, si ferma sulla soglia della sua piccola tana, tenendo fuori la testa, le cui antenne vibrano continuamente.

La musica del prato

Esseri mostruosi dotati delle armi più potenti, più strane, più complicate; armati di veleni, di gas, di radar, di antenne; esseri mostruosi per la loro forza si aggirano in una intricata foresta dove è sempre in agguato la morte: questo è il prato. Eppure, tra tante lotte, c’è chi canta: il grillo. Come suona? Le due elitre (ossia le due ali anteriori) posseggono una nervatura marginale, rafforzata e dentata che rappresenta l’archetto, seguita da un’altra parte detta cantino. L’archetto dell’ala destra sfrega contro il cantino dell’ala sinistra e viceversa. Ne risulta quel dolce cri cri metallico.
Dove c’è musica, ci sono orecchie pronte ad ascoltarla: i grilli hanno le orecchie sulle zampe anteriori, come le locuste, così come gli altri animali le hanno nei punti più alti del loro corpo.

Cantano i grilli

Cantano cantano i grilli! La loro voce si spande per la campagna come un inno di gioia e dai rami rispondono gli uccelli. Il sole benefico ha maturato le messi; i campi di grano sono biondi come l’oro. Presto le spighe verranno recise e raccolte in covoni. Un bel giorno arriverà sui campi la trebbiatrice, la macchina miracolosa che separa i chicchi dalla pula e dalla paglia. Allora al canto dei grilli si unirà l’inno gioioso degli uomini.
(A. Stalli)

L’utile coccinella

La coccinella comune, riconoscibilissima per avere il corpo di forma quasi emisferica e le elitre di un bel colore rosso vivo con sette puntini neri, è uno degli insetti più utili all’agricoltura, in quanto, allo stato di larva, distrugge enormi quantità di parassiti delle piante coltivate, specialmente di afidi, noti più comunemente col nome di pidocchi delle piante.

Lucciola

E’ sera: brillano in cielo le stelle, ma anche sulla terra brillano ad intervallo qua e là delle piccole luci tremolanti: sono le lucciole, minuscole lampade viventi. Come tali insetti producono questa luce?
Essa viene emessa da due organi luminosi piatti che si trovano nell’addome e che appaiono come macchie bianche. Le lucciole accendono e spengono a piacimento il loro lumino. Se ne stanno nascoste fra i cespugli che appaiono illuminati da una luce tenue: non appena però avvertono un pericolo smorzano il lume: ecco perchè quando qualcuno le cattura esse non emanano più luce.
Sverna riparata sotto le pietre, fra le radici degli alberi o fra foglie secche.

Il ragno
Un bimbo, mentre passava vicino a una siepe, ruppe con la sua frusta una grossa tela di ragno. “Bravo!” – disse subito il ragno con una voce stizzita – “Ti vorrei vedere, però, a rifare questa tela!”. Il ragno aveva ragione: è più facile disfare che fare.
(G. Fanciulli)

Le lucertole
Serbiamo il nostro rispetto anche alle lucertole, che, come tanti animali, sono le cacciatrici d’insetti, quindi di aiuto all’uomo. Chi non conosce la lucertola grigia, delle muraglie assolate? Spia le mosche, rovista da un buco all’altro per afferrare ogni insetto che passi. E’ la protettrice delle siepi e delle piante rampicanti. La vediamo distendersi al sole, immobile, ma al minimo rumore sparire, tornare, ripiegarsi su se stessa, infilarsi rapida in un crepaccio.
(E. Fabre)

Animali del prato

Nel prato volteggiano le farfalle: farfalle bianche, variamente colorate, leggiadre, ma tutte indistintamente dannose. Sono utili solo indirettamente per l’impollinazione dei fiori.
La cavalletta, che deve questo nome alla forma della testa che assomiglia a quella del cavallo, e forse anche alla sua abilità nel fare i salti, può distruggere i raccolti in quelle zone dove si abbatte in foltissimi sciami. Osserviamo le sue zampe posteriori e ci renderemo conto del perchè può fare dei salti così alti. Anche gli altri animali saltatori (rana, canguro, coniglio, lepre) hanno le zampe posteriori molto più lunghe delle anteriori.
Il grillo dei prati, o grillo canterino, è nero con una macchia chiara sul dorso. Un suo cugino abita anche sotto le pietre dei caminetti, nei forni, nei granai. Il suo tremulo canto si leva nelle notti serene.
Amante del sole è invece la cicala, che stordisce col suo canto nelle calde giornate di agosto. Quello che canta è soltanto il maschio, mentre la femmina si limita a deporre le uova entro un foro che ha scavato, con uno speciale succhiello, nel tronco di un albero.
Dopo qualche tempo nascono le larve che scendono dall’albero e vanno a nascondersi nel terreno dove vivono qualche anno succhiando gli umori delle radici. Infine tornano sugli alberi dove, dalla pelle che si spacca, esce l’insetto perfetto.
Le voci di questi insetti hanno diverse denominazioni: zirlare, frinire, cantare, ma è singolare che non si tratta di voce nel senso proprio della parola. Essi posseggono un organo vibratorio, una specie di cassa armonica nel torace o nell’addome, con cui riescono a produrre quelle vibrazioni che comunemente chiamiamo canto.

Gli insetti

Gli insetti sono tutti fuori. Alcuni di essi hanno compiuto le loro metamorfosi e ora volano di fiore in fiore, per succhiarne la goccia di dolcissimo nettare, nascosta in fondo ad ogni calice. Sono farfalle, vespe, api, calabroni. E dappertutto si sente un ronzio sonoro che sembra la voce stessa della primavera.

Animali del prato

Quante minuscole vite si agitano fra le erbe del prato! Intere tribù di coleotteri bruni, verdi, con le elitere screziate o cangianti; cavallette dalle lunghissime zampe, coccinelle con il grazioso vestito rosso a puntini neri, bruchi che sbucano dalla terra, lenti e molli, grossi scarabei affaccendati a far pallottole e infine, interi eserciti di insetti quasi invisibili. Più in alto, altri insetti volano instancabilmente a visitare i fiori: farfalle bianche e colorate, api frettolose, vespe ronzanti e stizzose, bombici rumorosi. E ognuna di queste piccole vite, che forse noi distruggiamo con indifferenza, racchiude un miracolo di perfezione e di amore.

Animaletti

Le api, irrequiete e vivacissime, passavano dall’uno all’altro fiore facendo bottino di polline e di nettare; le vespe andavano tagliando, coi loro strumenti da falegname, il legno per fabbricare la loro casa; i neri calabroni rodevano le corolle per cavarne fuori i pistilli. Un mondo di piccoli coleotteri mangiava allegramente i petali; e ognuno di essi aveva scelto il suo fiore prediletto. Quanto brulichio, quanto movimento, quanta attività!
(P. Mantegazza)

Il maggiolino

Uno dei flagelli più temibili dell’agricoltura è il  maggiolino, piccolo grazioso insetto, che divora le foglie di molti alberi e specialmente degli olmi.  Negli anni in cui  i maggiolini sono poco numerosi, non si scorgono quasi i loro danni; ma se appaiono in più legioni sterminate, si vedono intere parti di giardino o di bosco del tutto spoglie di verde e che, nel cuore dell’estate, offrono aspetti di un paesaggio invernale.
Di solito gli alberi così devastati non muoiono: a stento però riprendono l’antico vigore e quelli dei frutteti non danno frutti per un anno o due.
(L. Figuier)

La larva del maggiolino

E’ un grosso verme panciuto, dall’andatura pesante, di colore bianco con la testa giallastra. Le sei zampe gli servono, non già per correre alla superficie del suolo ma per strisciare sotto terra. Le forti mandibole sono adattissime a trinciare le radici delle piante. La sua testa, onde scavare con maggior vigore, ha per cranio una calotta di corno. L’alimento che appare in nero, attraverso la pelle del ventre, lo appesantisce tanto che non può stare sulle gambe e si corica indolentemente sul fianco.
(H. Fabre)

La cavalletta

Che sia il carabiniere degli insetti? Tutto il giorno salta e si accanisce sulle tracce di altri insetti che non riesce mai a prendere… Le erbe più alte non la fermano. Nulla la spaventa, perchè ha gli stivali delle sette leghe, il collo del toro, la fronte geniale, le ali di celluloide, due corna diaboliche…
Ma a sera… a sera caccia per davvero: fa il suo pasto più prelibato. Povere lucciole! Col loro lumino si tradiscono e si fanno prendere e sventrare.

La libellula

Tra canne e salici, che circondano lo specchio d’acqua scintillante al sole, s’affaccendano in agile volo grosse libellule: volteggiano al disopra dell’acqua e si posano sulle punte delle canne e dei giunchi, mettendo in mostra i loro esili capi azzurri o verdastri. Le libellule vivono esclusivamente di preda. Nel loro rapido volo, esse afferrano la vittima nell’aria, un piccolo insetto e cominciano subito ad addentarla.
(A. E. Brehm)

La mantide guerriera

Con le zampette anteriori sollevate come se stesse pregando, la bellicosa mantide resta a lungo immobile. Una cavalletta, ignara del pericolo, le si avvicina.  Fulminea, la mantide affonda i suoi pungiglioni acuminati nel corpo della vittima. La tiene stretta tra le sue zampette seghettate e la divora. Le mantidi nascono battagliere. Incominciano a bisticciare e a combattere tra di loro prima di mettere le ali.  Qualche volta esse combattono fino alla morte. Alla fine dell’estate, le femmine danzano la danza della morte davanti ai maschi. Poi piombano loro addosso e li uccidono.

La lucciola

Nella quieta oscurità della notte c’è un lumicino che s’alza, scende, vaga sul prato, scompare, riappare sulla siepe, s’allontana… Ora guizza sul ruscello, ora gira sull’aia; si direbbe una stellina vagabonda, venuta a danzare sul prato ove grilli e ranocchi hanno intonato il loro concerto notturno.
Invece non è che una luccioletta che esce a godersi il fresco della notte e si rischiara la via col suo lumicino.
(A. Buzio)

Insetti luminosi

Gli indigeni di alcune regioni dell’America tropicale hanno a loro disposizione un mezzo molto economico per illuminare la notte: si servono infatti di un insetto, il piroforo, che emette luce vivissima.
La sua luce è di due colori diversi: dal torace traspare un bel verde, mentre l’addome risplende di luce arancione.
Molto più modeste sono le lucciole europee, il cui bagliore biancastro, emesso dall’addome, serve solo a punteggiare i prati estivi come per una fantastica fiaccolata.

Lucciole

Nel nero della notte non si distingue più il campo di grano; ma, nel buio, come se caduto dal cielo rimasto deserto, ecco un vortice di piccole stelle inquiete. Le lucciole! A milioni palpitano sulla distesa delle messi addormentate. Vagano, alte e basse, si accendono  e si spingono fra i rami, piombano come gocciole d’oro tra l’erba muta. Lontano, dal bosco, i gorgheggi dell’usignolo, il canto dei ranocchi; nell’aria calda e quieta il profumo possente del fieno maggese; e giù per la strada invisibile, una voce di bimbo scoppia all’improvviso:
“Lucciole lucciole dove andate?
Tutte le porte sono serrate,
sono serrate a chiavistello
con la punta del coltello…”
Si commuove questa voce chiara della nostra infanzia, dei nostri cari giorni perduti:
“Lucciola, lucciola, vieni da me
io ti darò il pan del re,
il pan del re e della regina,
lucciola, lucciola piccolina…”.
(A. Soffici)

Libellule, cicale e cavallette

Molte specie di insetti infestano le nostre campagne. Alcuni, come la libellula, ci sono indirettamente utili perchè si cibano delle larve degli altri insetti. Altri, come la cicala, il grillo e la cavalletta, sono i cantori dei prati. La cicala produce il suo stridulo canto mediante uno speciale apparato costituito da un insieme di membrane che, contraendosi e vibrando, producono la caratteristica risonanza. La cavalletta, quando è riunita in sciami numerosi, può produrre incalcolabili danni alla vegetazione.
(M. Menicucci)

Le palline dello scarabeo

Lo scarabeo stercorario sembra che si diverta ad arrampicarsi su piccoli mucchietti di terra e poi ruzzolare giù. Questi scarabei sono anche tenaci lavoratori e hanno una gran cura delle loro uova. La madre e il padre ammucchiano dei pezzi di sterco fresco di pecora e, modellandoli con le loro zampette, ne fanno una pallottolina grassa come una pillola. Nel centro della palla la madre depone un uovo. Poi, camminando entrambi all’indietro, la fanno rotolare sul terreno, il padre spingendo e la madre tirando. Man mano che la palla rotola, la sabbia del terreno forma intorno ad essa una crosta dura. Allora la madre scava una buca, e i due scarabei vi fanno discendere la palla. Quando l’uovo si aprirà, l’insetto appena nato potrà nutrirsi con le provviste di cibo contenute nella palla. La madre e il padre possono così lasciarlo al sicuro e ricominciare a lavorare per un altro uovo.

Un nido sotterraneo

La femmina del grillotalpa si serve delle sue forti zampe anteriori per scavarsi una tana come fa la talpa. Essa depone le uova nel fondo della galleria e resta a sorvegliare finché i piccoli sono nati. Poi rimane a guardia dell’entrata del nido, pronta ad attaccare qualsiasi insetto nemico che tentasse di farvi irruzione.

Dettati ortografici PRIMAVERA – Gli animali del prato – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche IL GRILLO

Poesie e filastrocche IL GRILLO – Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il grillo vagabondo
Sono un grillo pellegrino
pazzerello e canterino
vivo libero e giocondo
saltellando per il mondo.
Salto sempre allegramente
passo a volo ogni torrente
salto un fosso, un campo, un muro
per cercar grano maturo.
Se non trovo la semente
salto i pasti indifferente
salto anche il venerdì
un po’ pazzo sono sì.
Non mi piace lavorare
preferisco saltellare
potrei fare il ballerino
ma viaggiare è il mio destino.
Mi diverte esser cantante
ma per me, da dilettante.
Canto e salto tutto il giorno
ed a casa mai ritorno
sono un grillo giramondo
un eterno vagabondo.
Così vivere mi va
per goder la libertà.

Grillo
Son piccin cornuto e bruno, me ne sto tra l’erbe e i fior
sotto un giunco o sotto un pruno, la mia casa è da signor
non è d’oro e non d’argento, ma rotonda e fonda è
terra il tetto e il pavimento, e vi albergo come un re
so che il cantico di un grillo, è una gocciola nel mar
ma son triste se non trillo, su lasciatemi cantar.

La serenata del grillo
Sotto un ciuffo di mirtillo
c’era un grillo
mezzo brillo.
C’era un grillo che trillava,
tutta l’aria ne vibrava
tutta l’aria era d’argento
e giù giù nel firmamento
la gran luna, in braccio al vento
per la notte rotolava. (A. Albieri)

Il grillo
Un musicante vestito di nero
suona, ostinato, sul verde sentiero,
senza violino, nè viola, nè archetto,
senza chitarra nè flauto o fischietto.
Sotto una zolla del fresco sentiero
sta il musicante vestito di nero. (U.B.F.)

Il grillo
Tutto arzillo, salta il grillo
e, cantando il suo cri cri,
al bambino che lo cerca
sembra dire: -Sono qui!-
Ma, arrivato al punto buono,
nulla trova il cacciator,
e lo chiama altrove il suono
del grillin canzonator:
– Cri cri cri, non mi hai veduto?
Guarda bene, sono qui!-
Salta svelto il grillo astuto,
e ripete il suo cri cri. (G. Lipparini)

Il grillo
Il grillo salta
da un’erba a uno spino.
Quando la notte sarà nel giardino
tutta la gente cantare l’udrà. (R. Pezzani)

La serenata del grillo
E’ piccole e lesto;
di bruno vestito,
e vive modesto
in buco romito;
poi, tosto che intorno
offuscasi il dì,
comincia il cri cri.
E sporge la testa
dall’umile tana,
e ascolta se, desta,
risponde la rana;
se già qualche stella
nel cielo fiorì
al primo cri cri.
Lungh’esso le sponde
di tacite strade,
e per le gioconde
campagne di biade,
sul calice molle
d’un fior che s’aprì
ei canta cri cri.
Il cielo sereno
già palpita d’astri,
il prato di fieno
odora e mentastri,
e par che la notte
ne tremi così
del lungo cri cri. (A. Grilli)

 La serenata del grillo

Tutto vestito in nero,
sì come un damerino,
esce dal suo maniero
il grillo canterino.
Il sole è ormai lontano,
il monte è viola e rosa,
non s’ode più un campano
nell’aria silenziosa.
Di sotto la zimarra
leva il suo bel violino
e suona e canta e gode
il grillo canterino.
Bello è cantar di sera
sotto la prima stella
in piena primavera.
Canta! La vita è bella. (A. P. Bonazzoli)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche sulle FORMICHE

Poesie e filastrocche sulle FORMICHE – una collezione di poesie e filastrocche sulle formiche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La formica
Oh, formica, formichetta,
quante miglia devi fare?
Dove son le tue castella
che ti dai tanto da fare?
Tu non sei davvero oziosa,
chè lavori senza posa
dal mattino alla nottata,
formichetta affaccendata.

La pazienza della formica
La stradina che porta
al formicaio è storta
e, per di più, è in salita.
Benchè mezzo sfinita,
la povera formica
non bada alla fatica.
Va su per la collina
e dietro si trascina,
a stento ed a rilento,
un chicco di frumento.
E’ giunta quasi in vetta
quando una nuvoletta
sulla terra scodella
un po’ di pioggerella.
L’acqua che cade a picco
ora travolge il chicco
e il granellino biondo
tocca ben presto il fondo.
La formica che fa?
S’abbatte e si dispera?
O imprecando va
contro la sorte nera?
Macchè! Macchè! Sa bene
che i lamenti e le scene
non risolvono niente!
Perciò tranquillamente
riscende la pendenza
afferra il chicco d’oro
e con santa pazienza
ricomincia il lavoro. (Luciano Folgore)

La formica
Oh, formica, formichetta,
quante miglia devi fare?
Dove son le tue cestella
se ti dai tanto da fare?
Tu non sei davvero oziosa,
chè lavori senza posa
dal mattino alla nottata,
formichetta disperata. (Anonimo)

Indovinello
Siamo brave e piccoline
formiam file senza fine;
gironziam d’estate intorno,
lavorando tutto il giorno
per riempire i magazzini
di preziosi granellini. (Cambo)

Formichina
Formichina s’è sposata
ed è tutta affaccendata:
spazza, lava, rifà il letto,
ripulisce fino al tetto,
sforna il pane e, senza affanni,
fa la cena, stende i panni.
Poi riposa e, canticchiando,
con un piede dondolando
nella culla il suo piccino,
gli ricama un camicino. (A. Morani Castellani)

Il formicaio
Dal formicaio uscì una formica
scalò una collina a gran fatica
dal colle giù per la valle andò
nei granaio si arrampicò.
Prese un chicco dal granaio
e lo portò al suo formicaio.
Una alla volta le formichine
viaggiarono per valli e colline
e un grano alla volta, tutto il granaio
si portarono nel formicaio.

Le provviste della formica
Formichina, formichina,
dove corri così in fretta?
Porto un poco di farina
alla povera casetta;
porto riso, porto grano,
che l’inverno non è lontano.

In punta di piedi dalle formiche
In punta di piedi
sull’erba del prato
le scarpe in mano, ho camminato.
Sono stato a trovare
le mie vispe amiche
le provvide, dolci formiche!
Nel grande silenzio
le ho udite parlare
“Bambino, dobbiam lavorare!
L’autunno è vicino
è pallido il sole
fra poco apriranno le scuole!
Ci rivedremo…
… al rispuntar delle viole!”. (L. Beretta)

Formichina
Oh formichina formichina,
orsù sveglia, è già mattina!
Un giorno nuovo ormai ti aspetta
e con gioia e senza fretta
sarà bello lavorare
tanti chicchi trasportare.

La formichina ribelle
C’era una volta una formichina
un poco pigra, un po’ birichina.
Essa pensò un dì di buon mattino:
“Lascio il formicaio
e mi metto in cammino.
Da mane a sera devo girare
di qua e di là per lavorare.
No no no, no no, no no
questa vita non la fo,
no no no, no no, no no,
molto presto me ne andrò.
Me ne andrò a girare il mondo
per potermi divertire
per giocare, per danzare
fino a che finisce il dì.”.
E fu così che un dì, di buon mattino,
con poche cose dentro un fagotto,
la formichina si incamminò.
“La la la, la la, la la,
vo a gustar la libertà”.
Dopo molto camminare
pensò ben di riposare
e all’ombra di una margherita
si gustò una merenda saporita.
Ma all’improvviso un forte rumore
le mise in cuore un grande terrore.
“Svelta, scappa!” disse la margherita,
“Arriva il formichiere, ne va della tua vita!”.
Tutta tremante, la sfortunata,
chiese riparo a una foglia di insalata,
che gentilmente le offrì ospitalità:
ma quanto costa la libertà!
Subito dopo, di nuovo terrore
alla poverina scoppiava il cuore:
due grosse mani strappano l’insalata
e la formichina sembra ormai spacciata.
Pensò alla mamma, pensò al papà:
“No, non mi piace la libertà!
Amica mia, aiutami a fuggire!”
chiese rivolta ad una farfallina.
“Sulle tue ali leggere mi nasconderò
e così via me ne andrò.
Da mamma e papà voglio tornare
sarò ubbidiente e saprò lavorare!”
La pigrizia nuoce assai,
e procura solo guai.

Le formiche

Le formiche vanno assai piano:
trasportano un seme, un fuscello,
un chicco restoso di grano,
un filo di paglia leggera.
Dal buco, scavato sotterra,
vengono e vanno lontano;
ritornano in fila, pian piano:
durando così fino a sera.
Lavorano tutte: le grosse
formiche dal capo rotondo,
e quelle piccine, piccine,
che sono un po’ brune e un po’ rosse.
Non sempre c’è aprile che brilla,
non sempre c’è maggio fiorito;
non sempre c’è giugno che stilla
dolcezza dai frutti, nè luglio
col mare di messi, nè agosto
coi gialli covoni e le trebbie,
nè ottobre col denso suo mosto.
L’inverno coi giorni più brevi,
coi geli, coi venti e le nevi,
arriva improvviso; ed allora
bisogna, nel nido profondo,
aver di che vivere in pace.
Bisogna aspettarla quell’ora:
non esser di tutto sprovvisti,
non esser rimasti nell’ozio,
non essere stati mai tristi! (A. Pesce Gorini)

La formica

“Oh piccola formica
che insegni ai fannulloni
l’onor della fatica,
ove corri, ove vai
che non ti fermi mai?”
“Vado peri fatti miei;
le chiacchiere son vane,
ciò che conta è il lavoro
fin che forza rimane.
Il tempo è un gran tesoro”. (P. Bonazzoli)

Poesie e filastrocche sulle FORMICHE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: topolini e criceti

Poesie e filastrocche: topolini e criceti – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Topino
il codino d’un topino
fuor dal buco un dì spuntò
venne il gatto quatto quatto
e coi denti l’afferrò
proprio in questa, questa è bella
un gran cane capitò
ed il gatto, quatto quatto
impaurito se ne andò
il topino il suo codino
dentro il buco ritirò.

 

Bice, il topolino
Sono Bice, un topolino
con due baffi ed un codino.
Mi piace rosicchiare
squittire e curiosare
giocare a girotondo
col gattone Edmondo
e poi correre in un buchetto
che per lui è troppo stretto
tanta voglia ho di studiare
che anche i libri so mangiare.

 

Il criceto
Caro criceto, hai calcolato bene
se aprire la casetta ti conviene?
Nel suo grembo la buona madre terra
al caldo ed al sicuro ti rinserra
mettendoti vicino nella stanza
ricche provviste e cibo in abbondanza.
Pure fatti coraggio, salta fuori,
e ricomincia ad ammucchiar tesori. (G. Grohmann)

 

Il topino
Il codino di un topino
fuor da un buco un dì spuntò.
Venne il gatto, quatto quatto,
e coi denti l’afferrò.
Proprio in quella, questa è bella,
un gran cane capitò,
ed il gatto, quatto quatto,
impaurito se ne andò.
Il topino il suo codino
dentro il buco ritirò.

 

I topini birichini
Dorme il gatto
quatto quatto
fa un topino
capolino
poi s’avanza
nella stanza.
Zitto e scaltro
n’esce un altro
poi anche un terzo
ma è uno scherzo?
Ad un tratto
miao fa il gatto
e sbadiglia
parapiglia.
In un lampo
vuoto è il campo
e i topini
birichini
han per ore
il batticuore.
Vanno avanti
or son tanti
dieci, venti,
fan commenti
giochi e sfide
burle infide
al micione
dormiglione.

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche INSETTI

Poesie  e filastrocche INSETTI – una collezione di poesie e filastrocche sugli insetti, per la scuola d’infanzia e primaria.

Insetti
… del buon Dio le mille bestioline
ivi si son raccolte: gallinette
di San Giovanni, erranti farfalline,
mantidi inginocchiate sulle erbette
quasi a pregare, magre e silenziose,
e pecchie intorno al tetto laboriose.
E vi sono pur anche le innocenti
cicale che per quanto è lungo il giorno
stridono sotto l’ali tralucenti.
(F. Mistral)

 

La cicala

Acuta tra le foglie degli alberi
la dolce cicala, di sotto le ali,
fitta vibra il suo canto, quando
il sole a picco sgretola la terra. Alceo (poeta greco)

 

Il grillo

Son piccin, cornuto e bruno;
me ne sto fra l’erbe e i fior:
sotto un giunco o sotto un pruno
la mia casa è da signor.
Non è d’oro nè d’argento,
ma rotonda e fonda ell’è:
terra è il tetto e il pavimento
e vi albergo come un re.
Canto all’alba e canto a sera
in quell’atrio o al mio covil;
monacello in veste nera
rodo l’erbe e canto april.
So che il cantico di un grillo
è una gocciola nel mar;
ma son mesto s’io non trillo:
deh, lasciatemi cantar! (G. Prati)

 

Il calabrone

Questo ispido villoso calabrone
l’ho trovato ubriaco fradicio
di polline e di rugiada,
nella campana di un fiore arancione.
Zampettava qua e là, ronzando
per uscire, ma non trovava più la strada.
Lo tirai fuori, ed ora è lì, che vola
in un raggio di sole tutto d’oro,
come un ubriacone che s’alza dal marciapiede
e s’incammina malsicuro, borbottando. (C. Govoni)

 

L’ape, la formica  e il baco

Su un gelso s’incontrò un baco da seta
intento a mangiucchiare
le ghiotte foglie, con la vecchia amica
l’ape, in cerca di miele, e la formica
affaccendata sempre ed irrequieta.
“Quanto, quanto da fare!”
diceva l’ape, “Ho tanto miele e cera
ancora da recare all’alveare
del mio vecchio padrone!
Ma godo sol pensando a quanto ghiotto
miele pei suoi piccini avrò prodotto.”
“Ed io, qui sto facendo indigestione,”
soggiunse il bravo baco,
“Per rendere più liete
le donne, con le mie lucenti sete.
Ma tu, cara formica,
che sempre intorno vai
con sì lunga fatica,
agli uomini che utile tu dai?”
E la formica: “Ciò che offro loro
vale più della sete e del miele;
é meglio di un tesoro:
l’esempio del lavoro”. (Favolello)

 

Poesie e filastrocche INSETTI – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche sulle lucertole

Poesie e filastrocche sulle lucertole – una raccolta di poesie e filastrocche sulle lucertole, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia  e primaria.

 

Lucertolina
Lucertolina
di primavera,
sei ritornata!
La testolina
hai riaffacciata
sotto la spera
del primo sole
tra le viole… (D. Valeri)

 

Lucertolina
Lucertolina, col primo caldo,
ha messo un abito verde smeraldo,
e gode il sole, lieta ed arzilla,
lì sul balcone della sua villa.
Salve, buongiorno, lucertolina!
Alfin ti vedo, questa mattina!
Si può sapere dove sei staaa
nei meri rigidi dell’invernata?
Risponde pronta Lucertolina,
muovendo rapida la sua testina:
“Appena inverno giunge dai monti
e oscura i limpidi, vasti orizzonti
appena il freddo scende sul cuore
e spoglia l’albero, e uccide il fiore,
Lucertolina, per non soffrire
si chiude in casa e va a dormire.
(D. Patrignoni)

 

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: chiocciole

Poesie e filastrocche: chiocciole. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Chiocciola, chiocciolina
Chiocciola chiocciolina,
porti in spalla la casina.
Lasci invisibile la scia
più sottile che ci sia.
Sei imbronciata e ti spaventi
hai la lingua e tanti denti
microscopici e piccini
che non vedono i bambini.
Le cornette coi tuoi occhi
fai sparire se le tocchi
Le altre antenne per sentire
se nasconderti e sparire.
Se piove attenta …meglio scappare …
perché qualcun ti vuol mangiare
dopo averti catturata
e nella rete conservata
vuole farci un bel sughetto
col prezzemolo al guazzetto.
da Filastroccola…ndo – per le mamme e per i bimbi

(in costruzione)

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