Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica

Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica, per bambini della scuola primaria. Trovi altre recite per Carnevale qui: RECITE PER CARNEVALE.

Personaggi: il primario e quattro medici.

Costumi: grembiuli bianchi e guanti di gomma.

Scenografia: in un angolo un attaccapanni o una sedia su cui sono appesi un camice bianco e un paio di guanti di gomma.

Azione: quattro personaggi sono in scena, posti uno dietro l’altro, fronte al pubblico, ma sfasati di mezza persona in diagonale, così che il pubblico possa vedere distintamente mezza persona di ognuno di loro. Entra il primario, si toglie la giacca, la appende all’attaccapanni e prende il camice. Due medici lo aiutano ad indossarlo. Va a mettersi all’inizio della fila, più vicino al pubblico: gambe leggermente divaricate, aria superiore. Si lascia infilare i guanti dagli altri, i quali lo trattano con deferenza.

Primario (voltandosi, verso quello immediatamente dietro di lui): Avanti l’ammalato.

Primo medico (voltandosi verso quello immediatamente dietro di lui, con lo stesso tono dottorale e annoiato): Avanti l’ammalato.

Secondo medico (al terzo, come sopra): Avanti l’ammalato.

Terzo medico (al quarto, come sopra): Avanti l’ammalato.

(Il quarto medico si volta, fa un passo, imita l’apertura di una porta, spinge una barella immaginaria fino davanti al primario).

Primario (considera attentamente l’ammalato sulla barella. Lo tasta. Gli sente il polso. Poi ordina): Bisturi!

Primo medico, secondo, terzo: Bisturi. Bisturi. Bisturi.

Quarto medico (raccoglie dal tavolo chirurgico il bisturi, tenendolo delicatamente come una penna, e lo fa passare a ogni compagno).

Primario (prende il bisturi, prende la mira e, calmissimo, lo affonda nel paziente. Si china a guardare dentro): Pinze.

Primo, secondo, terzo: Pinze!

Quarto (raccoglie, mimicamente, un paio di tenaglie e le passa).

Primario (continuando l’operazione, allarga i lembi della ferita, ne estrae parecchi metri di intestino che arrotola sulle braccia del secondo. Estrae il cuore, lo ascolta, lo massaggia, sorride e lo rimette dentro. Riprende la matassa degli intestini e la dispone nel paziente. Poi, soddisfatto) Ago!

Primo, secondo, terzo: Ago!

Quarto (prende l’ago e, porgendolo al secondo, lo punge inavvertitamente. Sussulto del secondo. Con precauzione, l’ago arriva al primario).

Primario: Filo!

Primo, secondo, terzo: Filo! (Il filo giunge al primario. Questi lo infila, poi, tenendo l’ago alto, si volta al primo)

Primario: Nodo!

Primo: (esegue)

Primario (incomincia a dare i primi punti. Ma il filo non scorre bene): Sapone!

Primo, secondo, terzo: Sapone!

Quarto (prende il sapone e lo passa. La saponetta sfugge di mano al terzo, il quale riesce a prenderla al volo, e la passa al secondo).

Primario (passa la saponetta sul filo, poi, imitando un enorme sforzo, punta il piede sul malato e riesce a cucire. Improvvisamente si interrompe, accorgendosi che il paziente sta male. Con voce svelta): Etere!

Primo, secondo, terzo (tutti con voce svelta guardando curiosamente oltre le spalle del primario) Etere!

Quarto (passa la bottiglietta dell’etere).

Primario (versa l’etere sul malato. Ne versa troppo. Si sente male lui. Accenna a cadere all’indietro).

Primo, secondo, terzo: Sali!

Quarto (prende i sali, li odora, li passa al terzo che li odora anche lui, così il secondo, il primo li mette sotto il naso del primario).

Primario (rinviene, si china sul paziente, mostra grande spavento. Con voce concitata): Ossigeno!

Primo, secondo, terzo: Ossigeno!

Quarto (faticosamente spinge la grossa bombola dell’ossigeno. Così gli altri).

Primario (Fa il gesto di staccare la mascherina dalla bombola e di porgerla al paziente. Si capisce che l’ossigeno non è sufficiente. Con voce agitatissima): Ossigeno! Ossigeno!

Primo, secondo, terzo (con la stessa voce agitatissima): Ossigeno! Ossigeno!

Quarto (passa altro ossigeno, asciugandosi il sudore, e si sporge ad osservare).

Primario (porge l’altro ossigeno, osserva, poi, tornando calmo, con voce normale): Acqua santa!

Primo, secondo, terzo: Acqua santa!

Quarto (raccoglie un immaginario aspersorio, che viene fatto passare).

Primario (agita l’aspersorio sul malato. Lo posa. Poi, veloce, con aria annoiata, mentre col piede spinge via la barella del morto): Avanti un altro!

Primo, secondo, terzo: Avanti un altro!

(M. L. e R. Varvelli)

Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica

Travestimenti: 80 e più idee non solo per Carnevale

Costumi e travestimenti –  maschere, parrucche, mantelli, accessori, tute, idee per il trucco, tutto “fai da te” per il gioco dei travestimenti (non sono a Carnevale)…

 Costumi e travestimenti : Pippi Calzelunghe, leone, gatto, panda, draghetto, cavaliere con l’armatura, subacqueo, ecc… Molti dei lavori proposti sono adatti ad essere realizzati dai bambini stessi.

1

1. parrucca da Pippi Calzelunghe, di http://www.flickr.com/

2

2. tutorial con modelli stampabili gratuiti per realizzare queste bellissime maschere in panno per giocare a fare il leone, il panda, la civetta, di http://www.petitpoulou.com/

3

3. Cappello da drago, a uncinetto, istruzioni stampabili gratuite qui http://www.redheart.com/

4

4. maschera di coniglietto in cartoncino, decorata con batuffoli di cotone, tutorial di http://babyccinokids.com

5

5. armatura di cartone, tutorial di http://www.freshhomeideas.com/

6

6. attezzatura da sub, tutorial di http://www.realsimple.com/

7

7. ali e aureola da angelo, tutto in materiale riciclato, tutorial di http://www.realsimple.com/

8

8. berretto da Frankenstein realizzato con un secchiello da spiaggia, tutorial di http://www.craftsandsutch.com

9

9. gattina nera, di http://www.etsy.com

10

10. costume da popcorn per bambini portati, via http://www.marthastewart.com

11

11. mantelli da drago, di http://www.etsy.com

12

12. costume da medusa, tutorial di http://family.go.com/

13

13. gattina bianca, via http://koolandkreativ.blogspot.com/

14

14. costume da stella, di http://www.orientaltrading.com

15

15. musetti e code per tutti i gusti, di http://www.oeufnyc.com/

16

16. robot di cartone, di http://www.coolest-homemade-costumes.com

17

17. costume da “ruspa”, via http://www.parenting.com/

18

18. maschera di gufo, di http://www.marthastewart.com/

19

19. semplicissimo lupo, di http://thecraftsdept.marthastewart.com/

20

20. costume da porcospino, tutorial di http://family.go.com/

21

21. ragnetto, di http://www.chasing-fireflies.com/

22

22. principessa della primavera, maschera con fiori e piume, di http://www.bhg.com

23

23. guerriero vichingo, di http://www.etsy.com/

24

24. semplice e bellissima maschera da volpe in cartoncino, tutorial e modello gratuito qui http://whipup.net/2011/03/28/

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25. maschere da stampare e ritagliare di http://www.masksz.com/

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26. maschera da lupo grigio, di http://www.etsy.com

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27. maschera da uccello, di http://www.marthastewart.com/

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28. maschera da gufo, di http://www.marthastewart.com/

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29. maschera gatto, di http://www.marthastewart.com/

30

30. maschere da dinosauro, di http://www.dinosaurcorporation.com/

31

31. maschera da maialino, di http://bkids.typepad.com/

32

32. maschera Arlecchino, di http://www.scout-holiday.com/

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33. maschere di vari animali, di http://www.etsy.com/

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34. maschera con le sagome delle mani, di http://funhandprintart.blogspot.com/

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35. camion dei pompieri, di http://reciclandoenlaescuela.blogspot.com

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36. orso polare, tutorial di http://iheartcraftythings.blogspot.com

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37. ali variopinte, tutorial di http://llevoelinvierno.blogspot.com

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38. maschere coi cartoni delle uova, di http://elhadadepapel.blogspot.com/

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39. di http://www.elsadrayfarges.com/ (non c’è tutorial)

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40. mascherine ritagliate con bastoncino, idea (non c’è tutorial) http://www.stylemepretty.com

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41. coda di pavone, tutorial di http://www.thetraintocrazy.com/

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42. ali di farfalla in cartone, tutorial di http://secret-agent-josephine.com/

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43. corona in feltro, tutorial molto dettagliato di http://www.gsheller.com

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45. bacchetta magica, di http://www.craftprojectideas.com/index.php

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46. le semplici mascherine da decorare, di http://www.classifiedmom.com/

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47. razzi, via http://www.paperblog.fr/5080246/

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49. vari elementi per travestirsi con poco, via http://www.aprilfosterevents.com/

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50. super eroine, tutorial di http://feelincrafty.wordpress.com/

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51. Nel paese delle creature selvagge, tutorial bellissimo di http://www.redtedart.com/

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52. Totoro, tutorial per esperte di cucito di http://youandmie.wordpress.com/

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53. Pimpi a uncinetto, di http://www.etsy.com/listing/

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54.  Winnie the Pooh a uncinetto, di http://www.etsy.com

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58. cappello da strega, tutorial e cartamodello gratuito di http://www.livingwithpunks.com/

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59. modelli gratis per occhiali da decorare, di http://www.firstpalette.com/

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60. vari copricapo divertenti coi piatti di carta, di http://alphamom.com/

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61. barbe e baffi di feltro, di http://mmmcrafts.blogspot.com/

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62. apicoltore, di http://www.marthastewart.com/

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63. Il Cappellaio Matto (e Alice) tutorial di http://www.danamadeit.com/

64

64. Robot, di http://www.parents.com

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65. piccolo chitarrista, via http://meggyolks.tumblr.com/

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66. maschere di feltro varie, di http://www.elsiemarley.com

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67. la treccia di Raperonzolo, di http://blog.bitsofeverything.com/

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68. corone da principessa con velo, via http://kickcanandconkers.blogspot.com/

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69. coccodrillo, via http://www.info-graz.at/spielideen/

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70. occhioni, tutorial di http://www.kidsaction.de/

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71. tutorial con cartamodello gratuito per questi berretti volpe, gufo e procione di http://mothandsparrow.blogspot.com

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72. cappello da piovra, di http://www.etsy.com

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73. cappello da pirata, cartamodello gratuito di http://www.simplesimonandco.com

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75. vestitino volpe, di http://www.etsy.com/

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76. vestitino coccinella, di http://www.etsy.com/

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77. berretto da stegosauro, tutorial e istruzioni gratis di http://www.ravelry.com/

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78. maschera da Batman a uncinetto di http://projectsbycarm.blogspot.com/ (non c’è tutorial)

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79. berretto – parrucca di http://www.etsy.com/listing/

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80. piedoni, tutorial di http://bakerswifemadeit.blogspot.com/

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81. drago di http://www.etsy.com/ (non c’è tutorial)

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82. orecchie varie, di http://hartandsew.blogspot.com

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Recita per Carnevale – CARNEVALE IN RIMA

Recita per Carnevale – CARNEVALE IN RIMA – Personaggi: Meneghino, Colombina, Arlecchino, Pinocchio, Pierrot, Brighella, Pantalone, le damine, le comari, Balanzone, le pettegole, pagliacci e Gianduia…

Meneghino
Io sono Meneghino
ed ecco la mia Cecca.
Di questa gran Milano
le maschere noi siamo.
Siamo persone serie
e sodo lavoriamo
ma quando è carnevale
saltar, ballar vogliamo!
Oh, chi ci tiene allora,
vogliamo far buon sangue
almeno per un’ora!

Colombina
Ed io son Colombina
la moglie di Arlecchino
un buon uomo, sapete,
ma il carattere, ahimè,
non c’è, non c’è, non c’è.
Cerco sotto i colori
smaglianti del vestito
ma invano: se n’è ito!
Mi infurio qualche volta
faccio baruffa, e poi
accetto il mio destino,
e pace sia con noi!

Arlecchino
Non badarci, cara mia
non crucciarti per me,
quello che oggi è stato,
domani è già passato…

Pinocchio
Fate largo, fratelli,
fate largo al mio naso,
vedete che sventura?
La fata mi ha punito
perchè senza volerlo
qualche volta ho mentito.
Il trascinarmi attorno
questa lunga appendice
è cosa ben penosa
e mi rende infelice!
Oh, la brutta bugia!
Dobbiam tutti lottare
per ricacciarla via.
Ma questo non è il giorno
di pianto e di lamento
il signor carnevale
esige cuor contento.
In me voglio fidare
per poter l’allegrezza
di nuovo ritrovare.

Pierrot
Oh, quale quale incanto
questa sera di luna!
Invita a passeggiare
a cantare, a suonare.
Mi trema qui nel cuore
la dolce serenata
che nasce dall’amore
per una bella fata.

Brighella
Non perderti nel canto
fratello tristolino
ci metti una gran voglia
di fare un sonnellino.
Andiamo, andiam, brighiamo,
che oggi è carnevale
non si deve sognare
ma saltare e ballare.

Pantalone
Oh, non corriamo troppo!
Mi voglio divertire,
ma con calma, fratelli.
Mi fareste soffrire
se dovessi affannarmi:
amo la vita quieta
senza scosse funeste,
il mio cuor non è fatto
per le grandi tempeste.
Vi seguo piano piano
fratelli burrascosi
chi sa camminare piano
va sano e va lontano.

Damina
Permetti a una damina
che composta vuol stare
di farti compagnia
nel tuo tranquillo andare?
Io pure amo le cose
gentili e misurate
mi fan rabbrividire
le genti non pacate.

Comari
Oh, dio, che schizzinosa!
Guarda, guarda, sorella,
non sembra una pavona
con quella veste bella?

Balanzone
Voi siete criticone
mie piccole comari
badate solo a voi
e non ai vostri pari.
Il dottor Balanzone
la sa lunga, sapete?
Voi criticate solo
quello che non avete.

Pettegola
Mio caro Balanzone
oggi si può parlare
non fare il dottorone
vogliamo ridacchiare.

Pagliaccio
Chi non ha voglia, cari,
di smascellarsi un poco
oggi dalle risate?
Questi istanti son rari!
Eccomi qui per questo
un salto, un bel balletto,
un capitombolino
un piccolo scherzetto,
fan ridere un pochino.
Io tutti ve li faccio
per obbedire sempre
al mio umor di pagliaccio.
Se poi divento triste
me ne vado lontano
a piangere da solo
in luogo fuori mano.
Ma ora son pagliaccio
e ridere vi faccio!

Gianduia
Sì, sì, ridiamo pure
io da Torino vengo
per ridere con voi.
Mi dicono “Bugiardo”
ma non è vero affatto
e lo prova questo oggi
il miracolo che ho fatto.
E’ l’amore che mi muove
oh miei cari fratelli
perchè lo stare insieme
è un piacere tra i più belli.
Balliamo dunque amici
e godiamoci uniti
senza turbarle mai
queste ore felici!

di E. Minoia

Commedia dell’arte – recite con le maschere tradizionali italiane

Commedia dell’arte – recite con le maschere tradizionali italiane. Questi brevi dialoghi, pensati per le recite scolastiche, sono anche degli ottimi strumenti per esercitare la lettura in modo divertente. Facendo in modo che ogni bambino legga solo la voce di un personaggio, si stimolano tutti i bambini a seguire il testo mentre legge il compagno, e si migliora nella lettura a voce alta la capacità di cogliere l’intonazione e l’espressività data dai segni di interpunzione e dal contenuto del testo stesso. E’ inoltre una bella attività per viaggiare tra le Regioni italiane attraverso le maschere della Commedia dell’Arte.

Ho raccolto tutti i copioni in formato ebook, qui:

Questi sono i dialoghi 

Commedia dell’arte – Scherzo di Carnevale

La scenetta si svolge su una piazza da fiera tra Brighella, venditore di cialde, e Arlecchino.

Brighella: (davanti al banco delle cialde) Da Brighella, orsù venite; e le cialde sue sentite, fatte al gusto bergamasco, da condir con un buon fiasco!
Arlecchino: Anche tu alla bancarella, e che vendi, buon Brighella?
Brighella: cialde, cialde ancor fumanti, ma per te saran pesanti (tra sè) Ci scommetto che Arlecchino non ha il becco di un quattrino!
Arlecchino: belle, invero!… (tra sè) Che disdetta rimaner sempre in bolletta!
Brighella: Bella gente; cialde uguali, fan passare tutti i mali; e la spesa e ben meschina: cento lire una dozzina! E, su dodici, ecco qua: una in dono se ne avrà!
Arlecchino: (tra sè) Una in dono? O intesi male? Che pensata originale!
Brighella: Arlecchino, vuoi comprare? Vieni avanti, è un buon affare!
Arlecchino: Dimmi ancor… dodici cialde…
Brighella: cento lire… calde calde!
Arlecchino: E una cialda… hai detto tu…
Brighella: La regalo in sovrappiù!
Arlecchino: (servendosi di una cialda ed allontanandosi in fretta) Allor senti, buon Brighella, per intanto prendo quella e, per le altre a pagamento, tornerò un altro momento! (mangia la cialda fra le risa del pubblico)
Brighella: il furfante m’ha giocato… Ah, il citrullo che son stato!


Bugie

Brighella: avevo lasciato sul tavolo un bel pezzo di torrone. E’ sparito! Ehi, Arlecchino. Ma che guancia gonfia! Che ti succede?
Arlecchino: un terribile mal di denti. Ahi! Ahi!
Brighella: un momento fa stavi bene, però…
Arlecchino: improvvisamente ho sentito un gran male e il dente si è gonfiato!
Brighella: il dente? Vorrai dire la guancia
Arlecchino: Sì, la guancia destra
Brighella: ma non è la sinistra? A proposito: c’era qui un pezzo di torrone avvelenato per i topi…
Arlecchino: Avvelenato? (sputa il torrone) Aiutooooo!

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Commedia dell’arte – L’imbroglione bastonato

Scena 1 Una stanza in casa di Brighella. Sulle pareti di fondo la porta d’ingresso. La stanza è arredata con poche seggiole spagliate e un tavolino zoppicante. All’aprirsi del sipario, Brighella è in scena, seduto in terra, intento a rattopparsi le scarpe. Si ode bussare all’uscio.

Colombina: E’ permesso? (entra appoggiandosi ad un grosso ombrello)
Brighella: (alzandosi) avanti, avanti. Che cosa comanda?
Colombina: sta qui di casa un certo Arlecchino?
Brighella: sì, abita qui; ma in questo momento non c’è
Colombina: va bene, l’aspetterò. (si siede)
Brighella: Madamigella, il mio amico Arlecchino è uscito per un affare di premura; non so quando tornerà. C’è il caso che rientri molto tardi
Colombina: non importa. L’aspetterò lo stesso. (Si accomoda meglio sulla seggiola che scricchiola)
Brighella: Se intanto vuole dire a me di che cosa si tratta…
Colombina: Non vi prendete pena, brav’uomo. Quello che ho da dire, lo dirò al signor Arlecchino in persona quando si degnerà di tornare. Devo dirgli due paroline… (accompagna le ultime parole con un gesto minaccioso dell’ombrello).

Scena 2
Pulcinella: si può? (entra appoggiandosi ad un grosso bastone)
Brighella: Avanti… oh, caro Pulcinella, qual buon vento ti porta?
Pulcinella: (minaccioso) vento di bufera, caro Brighella
Brighella: che dici? Non comprendo…
Pulcinella: Mi capisco da me… C’è quella buona lana di Arlecchino?
Brighella: Sì, non vedo l’ora di vederlo (alza l’ombrello in maniera minacciosa)
Pulcinella: capisco. Ed io non vedo l’ora di suonarlo! (agita il grosso bastone)

Scena 3 (si odono per le scale i passi di Arlecchino che sale cantando)
Arlecchino: Fior di mortadella! Voglio mangiare e bere un anno intero, in barba a Colombina e Pulcinella…
(Colombina e Pulcinella balzano in piedi e si mettono ai lati della porta: appena Arlecchino entra, lo prendono a ombrellate e a bastonate cantando):
Colombina e Pulcinella: Fior di imbroglione! Va’ a lavorar invece di rubare! E balla intanto al suono del bastone!

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Commedia dell’arte – Castelli in aria

Rosaura: (la padrona) Colombina! Colombina!
Colombina: (la cameriera) Eccomi, signoara, Che c’è?
Rosaura: un cliente, un cliente di riguardo!
Colombina: e com’è?
Rosaura: com’è, com’è! Vai di là! Vallo a servire e lo vedrai. Ma spicciati e trattalo bene
Colombina: volo! (esce)
Rosaura: che cliente! Che vestiti!
Colombina: (rientra esultante) Signora, signora! Mi ha ordinato anguilla al forno, vino di bottiglia…
Rosaura: dici davvero? Ma questo è un gran cliente! Servilo subito, per carità
Colombina: lasci fare a me, signora. Qui si diventa ricche! (esce di corsa)
Rosaura: uno, due, tre, mille pasti. E dopo quello…
Colombina: (rientrando) Ecco, è servito. M’ha detto grazie con un cenno del capo. Pareva un duca!
Rosaura: sai che ti dico? Che se a quel cliente piacerà la nostra tavola, ritornerà
Colombina: e porterà con sè gli amici
Rosaura: duchi e marchesi
Colombina: conti e baroni
Rosaura: principesse, dame eleganti Colombina: vedremo splendere monili e anelli
Rosaura: sarà la ricchezza. Trasformeremo la trattoria. Diventerà un albergo di prima classe
Colombina: ed io sarò la direttrice della servitù
Rosaura: le mie colleghe mi invidieranno. Ma non importa. Una splendida gondola mi porterà in sogno lungo la Riva degli Schiavoni
Colombina: (affacciandosi alla porta di fondo) Signora!
Rosaura: che c’è? Colombina: (coprendosi gli occhi con le mani) Il cliente! Ha mangiato tutto!
Rosaura: beh, che c’è di male?
Colombina: ha mangiato tutto e se n’è andato senza pagare!
(Rosaura sviene)


Commedia dell’arte –  Il grano d’oro

Atto 1 (Nella casa di Arlecchino; una stanza assai povera)
Arlecchino: signor dottore, sto molto male
Dottore: dove, figliolo mio, dove?
Arlecchino: nelle tasche
Colombina: ha il vizio di tenerle sempre vuote
Dottore: vediamo… uhm! E’ un vuoto spaventoso! (esamina una tasca…). Ma che cos’è questo seme?
Arlecchino: sarà un chicco di grano, o di miglio, avanzato da quelli che offro ai piccioni sulla piazza
Dottore: (esamina il seme) Ma no, ma no… Questo è un grano d’oro… Granum auriferum… perbacco! Vale un tesoro!
Arlecchino: Un tesoro? Davvero? Qua, qua…
Dottore: Granum auriferum… rarissimo. Preziosissimo. Avete un vasetto? Un po’ di terra?
Colombina: sì sì
Dottore: pianterete questo grano, e in capo a sei mesi la pianta vi darà tanti pomi, tutti d’oro!
Arlecchino: oh, pomidori!
Dottore: dico che saranno pomi fatti d’oro. Però perchè la pianta dia il suo frutto, bisogna annaffiarla…
Colombina: con l’acqua fresca?
Arlecchino: con la malvasia?
Dottore: no, col sudore della fronte. Tu poi, Colombina, ascoltami bene. (parla sottovoce a Colombina)

Atto 2 (la medesima stanza, che ha un aspetto meno misero. Sul davanzale della finestra c’è un vasetto con una piantina)
Brighella: (entrando) C’è Arlecchino?
Colombina: è a lavorare
Brighella: anche oggi? Povero amico mio, è ammattito. Perduto. Spacciato.
Colombina: voi siete un uomo perduto, che passate i giorni all’osteria e vorreste trascinare anche gli amici alla rovina!
Brighella: badi come parla, signora Colombina, io sono un servo onorato
Colombina: non vi dico nè sì nè no, ma sono contenta che Arlecchino non frequenti più la vostra compagnia. Ah! Eccolo che viene!
Arlecchino: (entrando in furia) Lasciatemi passare, che il sudore si raffredda!
Brighella: e per non raffreddarti vai sotto la finestra?
Arlecchino: (curvo sul vasetto del davanzale) Devo provvedere all’innaffiatura del mio grano dorifero
Brighella: grano? Dorifero? E con che cosa lo annaffi?
Arlecchino: col sudore, caro, col sudore della fronte!
Brighella: povero amico mio! E’ davvero ammattito! (esce di corsa)

Atto 3 (la stanza non ha più quell’aria di povertà che prima faceva male. Vi è qualche mobile nuovo, e le tendine candide fanno allegria)
Arlecchino: eppure, comincio a credere che Brighella abbia ragione. Per questo grano indorifero io lavoro dalla mattina alla sera. Lustro le scarpe ai forestieri, spazzo le strade, porto lettere urgenti, scarico le tartane, spolvero le insegne delle botteghe, scaccio le mosche… tutti i mestieri. E lui? (guardando il vasetto sul davanzale). Il signor grano ha messo fuori un palmo di piantina, e ancora nemmeno un pomo
Colombina: il dottore ha detto che ci vorranno sei mesi, caro Arlecchino
Arlecchino:  e proprio oggi scade il semestre
Colombina: ma davvero?
Arlecchino: verissimo, difatti ecco qui il dottore
Dottore: buongiorno, amici
Arlecchino: dottore, se è venuto per verdere il suo grano dorifero sta fresco! Per ora niente.
Dottore: comincerò col visitare le tue tasche… Ehi! Andiamo molto meglio! Qui ci sono tre monete d’argento!
Arlecchino: oh, a furia di sudare, ne è passato di denaro nelle mie mani!
Colombina: è un bel gruzzolo, eccolo qui! (va al cassetto, ne trae un rotolo di monete e lo mostra)
Arlecchino:  possibile? Tutto questo denaro è nostro?
Colombina: sicuro. Da quando non vai più all’osteria e lavori, io ho seguito con impegno i consigli del buon dottore. Cioè ho messo in serbo gran parte dei tuoi guadagni, mentre non ti ho fatto mancare nulla; e ho anche potuto pagare i debiti e abbellire un poco questa casa.
Dottore: come vedi, il granum auriferum ha mantenuto la promessa. I suoi pomi sono nati nelle tue tasche.
Arlecchino:  Ho capito! Bellissima cura…


Il naso di Cirano

Cirano: Sbrigati! O rispondi! Perchè mi guardi il naso?
seccatore: (sbigottito) io…
Cirano: (andandogli addosso) perchè ti confondi?
seccatore: (retrocedendo) vostra grazia s’inganna!
Cirano: dimmi… è molle  e cascante come la proboscide, forse, di un elefante?
seccatore: io… non…
Cirano: è adunco come il becco di una civetta?
seccatore: io…
Cirano: forse alla punta c’è qualche pustoletta?
seccatore: ma…
Cirano: qualche mosca forse vi passeggia o vi dorme? Che c’è di strano?
seccatore: oh!
Cirano: forse c’è un fenomeno straordinario?
seccatore: ma di non porvi gli occhi mi ero fatto un dovere!
Cirano: e perchè non guardarlo, se è lecito sapere?
seccatore: io…
Cirano: vi disgusta, dunque?
seccatore: signore…
Cirano: il suo colore vi fa pena?
seccatore: signore…
Cirano: vi par di forma orrenda?
seccatore: ma niente affatto!
Cirano: e allora, perchè fate quel muso? Lo trovate forse un po’ troppo diffuso?
seccatore: ma io lo trovo invece piccolo, impercettibile…
Cirano: Come! Mi accusate di una cosa così ridicola? Possibile? Piccolo il naso mio?
seccatore: cielo!
Cirano: enorme il mio naso? Vilissimo camuso, siate ben persuaso che di quest’appendice mi glorio e mi delizio; capita che un gran naso sia il vero e proprio indizio di un uomo buono, affabile, cortese, liberale, di coraggio e di spirito, quale io sono e quale non vi sarà mai lecito di credervi, marrano! Perchè l’ingloriosa faccia che la mia mano si degna di cercare sul vostro collo è priva… (lo schiaffeggia)
seccatore: ahi! ahimè!
Cirano: … di fierezza, di slancio, d’inventiva, di lirismo, di genio, di grandezza morale, di naso insomma. Come quella… (lo rivolge per le spalle, aggiungendo il gesto alla parola) … che il mio stivale viene a cercarvi sotto le terga!
seccatore: (fuggendo) aiuto!
Cirano: avverto, a chi trovi faceto il centro del mio viso! E se il burlone è nobile, a punirlo provvede, davanti, e un più in alto, la spada  e non il piede!

(E. Rostand-Cirano di Bergerac)

Il seccatore

Pantalone sta leggendo un libro. Bussano alla porta d’ingresso e Arlecchino va ad aprire; poi, con sgambetti e piroette, farà da spola tra il visitatore e il padrone.
Cavaliere di Ripafratta: vorrei parlare col tuo padrone, è in casa?
Arlecchino: non lo so Cavaliere di Ripafratta: e allora fammi il favore di andare a vedere
Arlecchino: non occorre, adesso glielo domando. (A Pantalone) Padrone, c’è di là un tale che vorrebbe parlare con lei, che cosa gli dico?
Pantalone: Auff! Non si può stare un momento tranquilli. Digli che non ci sono.
Arlecchino: Sta bene. (al cavaliere)Il mio illustrissimo signor padrone, Pantalone dei Bisognosi, in casa non c’è.
Cavaliere di Ripafratta: ne sei certo?
Arlecchino: Certissimo. Me l’ha detto lui.
Cavaliere di Ripafratta: ebbene, io sono il Cavaliere di Ripafratta. Digli che devo assolutamente parlargli. Si tratta di un affare che urge e che non può essere rimandato.
Arlecchino: glielo dico subito! (A Pantalone) Quel tale dice di essere il Cavaliere di Ripafritta e che si tratta di un affare che urge
Pantalone: quel tale è un seccatore! Gliel’hai detto che non sono in casa?
Arlecchino: gliel’ho detto, ma vuol parlare lo stesso
Pantalone: digli che non posso riceverlo, che sto poco bene, che sono a letto ammalato.
Arlecchino: Signorsì. (al cavaliere) Eccellenza, il mio padrone non può riceverla perchè sta poco bene. E’ a letto ammalato.
Cavaliere di Ripafratta:  oh, mi dispiace. Ma sono capitato a proposito. Ho studiato medicina e mi basterebbe tastargli un momentino il polso, per sapere di che malattia è affetto. Va’ a dirglielo.
Arlecchino: Vado. (a Pantalone) Il Cavaliere ha fatto un grande discorso.
Pantalone: insomma, non vuol andarsene?
Arlecchino: no, non vuol andarsene. Ma gli basterebbe tastarle il polso.
Pantalone: vorrebbe tastarmi il polso? Digli che ho una malattia contagiosa. Digli che ho gli orecchioni e se mi viene vicino se li prende anche lui. Vai, corri.
Arlecchino: corro con tutte le mie gambe. (al cavaliere) Il mio padrone ha le orecchie asinine e se uno lo tocca diventa un asino anche lui
Cavaliere di Ripafratta: niente paura! E’ una malattia che ho avuto anch’io da bambino e chi l’ha avuta una volta non la prende più. Ma digli che, per fortuna, ho con me una pomata prodigiosa e se mi permette di spalmargliela, guarisce all’istante.
Arlecchino: E’ una vera fortuna! (a Pantalone) Dice che ha una marmellata speciale da mettere sulle orecchie Pantalone: questa è una vera persecuzione! Io voglio essere lasciato in pace. Digli che sono moribondo e sto dettando il testamento
Arlecchino: è una buona idea. (al cavaliere) Il mio padrone è occupatissimo a fare il testamento e deve farlo in fretta perchè sta per morire
Cavaliere di Ripafratta: il questo caso potrei essergli utile come testimone e metter la firma sul documento. Va’ subito a dirglielo
Arlecchino: (a Pantalone) dice che potrebbe far da compare
Pantalone: digli che sono morto Arlecchino: (al cavaliere) il mio padrone è morto
Cavaliere di Ripafratta: sono veramente addolorato. Vengo a recitare una preghiera per lui. (Passa imperterrito davanti all’esterrefatto Arlecchino)


Commedia dell’arte – Fabrizio e Succianespole (Arlecchino)

Fabrizio:Ehi Succianespole!
Succianespole: Signore…
Fabrizio: E’ acceso il fuoco?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: come stiamo in cucina?
Succianespole: Bene
Fabrizio: perchè non è ancora acceso il fuoco?
Succianespole: perchè non c’è legna
Fabrizio: non mi star a far lo scimunito, chè oggi ho da dar pranzo a un’eccellenza
Succianespole: ci ho gusto
Fabrizio: Succianespole, che cosa daremo a pranzo a sua eccellenza?
Succianespole: tutto quello che comanda vostra eccellenza
Fabrizio: quante volte mi faresti arrabbiare con questa tua flemmaccia maledetta!
Succianespole: io sono lesto
Fabrizio: lo sai fare il pasticcio di maccheroni?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: un fricandò alla francese?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: una zuppa con l’erbucce?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: con le polpettine?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: e coi fegatelli arrostiti?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: hai denari da spendere?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: ti ho pur dato uno zecchino!
Succianespole: quanti giorni or sono?
Fabrizio: lo hai già speso?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: e il tuo salario che ti ho dato, l’hai speso?
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: e non hai più un quattrino?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: maledetto sia il gnor sì e il gnor no. Si sente altro da te che gnor sì e gnor no?
Succianespole: insegnatemi che cosa ho da dire
Fabrizio: bisogna pensare a trovar denari
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: quante posate ci sono?
Succianespole: sei, mi pare
Fabrizio: sì, erano dodici, se le ho impegnate restano sei. Siamo in quattro, impegniamone due.
Succianespole:  gnor sì
Fabrizio: vai al Monte e spicciati
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: non mi fare aspettare due ore
Succianespole:gnor no
Fabrizio: andremo a spendere quando torni
Succianespole: gnor sì
Fabrizio: c’è vino?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: c’è pane?
Succianespole: gnor no
Fabrizio: gnor sì, che tu sia bastonato
Succianespole: gnor no…

(Carlo Goldoni)

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A Carnevale ogni scherzo vale

Brighella: (solo, parla fra sè) Non so che cosa darei per potermi pappare una di quelle scatole di cioccolatini che al solo vederle in vetrina ti fan scendere giù per la gola una certa acquolina…
Arlecchino: (che giunge in quel momento) Ciao, Brighella. Ho piacere di incontrarti. Può darsi che tu mi possa aiutare. Senti, ho assoluto bisogno di duecento lire che mi servono subito. So che tu sai trovare il modo di farle saltare fuori. E non lo farai gratuitamente, s’intende. Guarda qui: una scatola di cioccolatini che mi è stata regalata due giorni fa per il mio compleanno. E’ tua, se mi dai duecento lire. Eh, che ne dici?
Brighella: (che fa gli occhi lucidi nel vedere l’oggetto dei suoi sogni) Perdinci, Arlecchino, che bella scatola! Cioè, no, non è poi tanto bella… e duecento lire sono duecento lire…
Arlecchino: ehi, ma dico? Non lo sai che una scatola simile la pagheresti duemila lire in un negozio come si deve? E tu fai il tirchio per duecento… bene… bene… o prendere o lasciare. Decidi.
Brighella: per avere duecento lire, io le avrei. Me le ha regalate mio zio proprio ieri per un servizio che gli ho reso. Ma dartele proprio tutte… non potresti accontentarti di 150?
Arlecchino: sei matto? O 200 o non se ne fa niente. Per l’ultima volta: accetti o non accetti?
Brighella: (che non resiste alla dolce tentazione) E va bene, eccoti le 200 lire.
Arlecchino: ed eccoti la scatola. (consegna la scatola e poi se ne va di gran corsa)
Brighella: (senza metter troppo tempo in mezzo rompe la carta che avvolge la scatola, rompe la scatola stessa, e ahimè! Che cosa trova? Gusci di castagne, di noci e di nocciole) Aiuto! Al ladro! Gente, venite! Mi hanno rubato 200 lire! E’ stato Arlecchino! Pigliatelo!
Un ragazzo: (fra il gruppo di alcuni che si sono avvicinati alle sue grida) Ehi, Brighella! Cosa dici? Come è andata? Come ha fatto Arlecchino a rubarti 200 lire?
Brighella: Non è in verità che me le abbia proprio rubate. Ma io gliele ho date in cambio di una scatola di cioccolatini. Ed ecco invece che cosa ho trovato! (mostra le bucce)
Ragazzo: Ah, ah, furbo Arlecchino! Più furbo di te che credi di esserlo tanto. Non sai che siamo a Carnevale? E che a Carnevale ogni scherzo vale? Smettila di fare quella faccia e fatti furbo, un’altra volta!


Commedia dell’arte –  Arlecchino e l’oste

Arlecchino, a cavallo del suo asino, viaggia da qualche ora lungo una strada di campagna. Ha in tasca soltanto dieci soldi ed è affamato. Trova finalmente un’osteria e vi entra…
Oste: cosa volete?
Arlecchino: Tre soldi di minestra, tre di pane, tre di salame e tre di vino (L’oste gli mette in tavola quanto ha ordinato)
Arlecchino: (dopo aver mangiato) se ho più fame di prima, devo pagare lo stesso il conto?
Oste: ciò che si mangia si paga, poco o tanto che sia
Arlecchino: giusto. Quanto devo pagare?
Oste: dodici soldi in tutto
Arlecchino: Ohibò, qui c’è un imbroglio.
Oste: come sarebbe a dire?
Arlecchino: il conto è presto fatto: tre di minestra, tre di pane e tre di salamino. Nove in tutto.
Oste: e il vino?
Arlecchino: ah, dico bene. Tre di pane, tre di minestra e tre di vino.
(L’oste comincia a perdere la pazienza e.. continuando a tenere alzate tre dita della mano destra, ripete sottovoce: “Tre di minestra, tre di pane…”.
Arlecchino posa sul tavolo nove soldi e si allontana col ciuco, lasciando l’oste immerso nei suoi calcoli
Arlecchino: (parlando all’asino) Vecchio mio, allegria! M’è rimasto un soldo per comprarti un po’ di biada!
Oste: (nella bettola, facendosi portavoce con la mano) E il salamino?
Arlecchino: (gridando da lontano) Se lo incontra me lo saluti tanto!


Commedia dell’arte – Dialogo di Arlecchino e Pantalone

Arlecchino: oh, come sono stanco! Non ho proprio voglia di far nulla!
Pantalone: Arlecchino!
Arlecchino: Uh, è già qui! Un’idea! Mi fingerò sordo e così non lavorerò
Pantalone: Arlecchino Arlecchino, va’ subito a prendermi la medicina!
Arlecchino: Come? Devo andare in cucina? Pantalone: Ma che cucina! La medicina ho detto. Corri a prenderla in farmacia!
Arlecchino: quale Lucia? Non ne conosco io di Lucia!
Pantalone: ma cosa dici, Lucia! Sei diventato matto?
Arlecchino: il gatto? Queste è bella!
Pantalone: Mattooo!
Arlecchino: No, mi son venuti gli orecchioni e sono diventato sordo…
Pantalone: che cosa?
Arlecchino: no, non la rosa! Sordo!
Pantalone: sei diventato sordo? Ora prenderò il bastone e ti farò guarire!
Arlecchino: no, no! Aiuto! Vado subito in farmacia!

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Commedia dell’arte –  Pulcinella e le frittelle

Rosaura: Pulcinella!
Pulcinella: ai suoi ordini, signora
Rosaura: ascoltami bene. Ora verrà Colombina. Mentre io parlerò con lei, tu sorveglierai le frittelle perchè non brucino
Pulcinella: (facendo un inchino) Ma con piacere, signora. (Suona il campanello)
Rosaura: Ecco la mia cara Colombina! Va’ va’ Pulcinella! (Questi fa un altro inchino ed esce. Entra Colombina)
Colombina: Rosaura mia, come sei bella! Che abiti splendidi!
Rosaura: anche tu Colombina sembri una regina
Colombina: non facciamoci troppi complimenti, amica mia. Andiamo piuttosto sul balcone per vedere le mascherine… (si ode un urlo di Pulcinella che arriva in scena tenendosi una mano sulla bocca)
Colombina e Rosaura: Che cosa hai fatto,  Pulcinella?
Pulcinella: (continua a tenersi una mano sulla bocca e gira intorno, mugolando)
Rosaura: vuoi dire che cosa hai fatto? Pulcinella: (parlando male) Sorvegliavo le frittelle e mi… mi… mi sono scottato la lingua
Colombina: Come?
Pulcinella: mi sono scottato la lingua.
Rosaura: Ah, briccone! Tu mangiavi le frittelle, altro che storie! Via di qua, prima che ti bastoni! (Pulcinella scappa gesticolando)
Colombina: Perdonalo, Rosaura
Rosaura: sì, lo perdonerò, tanto si è già punito da solo.


Il bugiardo sbugiardato

Arlecchino: ciao Brighella Brighella: ciao Arlecchino, che fai da queste parti? E come sei vestito bene!
Arlecchino: la fortuna, caro mio, sono un signore
Brighella: vedo… che ti è capitato?
Arlecchino: viaggio in incognito Brighella: che nome ti sei preso?
Arlecchino:  Conte dei Talleri
Brighella: Uhm… bello. E che fai?
Arlecchino: nulla. Sono ricco.
Brighella: beato te…ora vado, ho fretta.
Arlecchino: sempre a piedi, eh Brighella? Io invece, carrozze e cavalli.
Brighella: come mai sei solo e a piedi?
Arlecchino: ehm… aspetto. Così, per mio piacere e diletto
Brighella: Arlecchino, oh, mi scusi. Signor Conte dei Talleri…si ricordi di me, del povero Brighella
Arlecchino:  non dubitare
Pantalone: (di dentro) Arlecchino! Arlecchino! Ma dove si è cacciato quel servitore fannullone?
Arlecchino: Santo cielo, il mio padrone…
Brighella: ma come? Non sei qui per piacere?
Arlecchino: povero me. Bisogna che vada subito. Per forza! Addio, Brighella…
Brighella: addio signor bugiardo,conte dei Talleri!

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Commedia dell’arte – I due fannulloni

Narratore: Arlecchino e Pulcinella sono a letto. Fa molto freddo e un colpo di vento a un tratto spalanca la porta…
Arlecchino: per favore, chiudi la porta
Pulcinella: Già… è un favore che volevo chiederti io
Arlecchino: ma io mi sento male. Devo avere la polmonite
Pulcinella: mi alzerei subito, ma ho un gran mal di testa, quattordici geloni e l’appendicite
Narratore: il vento soffia alla porta: uh! Uh! Arlecchino e Pulcinella ficcano il capo sotto le coperte. Intanto entra il Dottor Balanzone
Balanzone: perbacco! Mai visto gente che dorme con la porta aperta con questo freddo. Ma i padroni dove sono?
Arlecchino e Pulcinella: siamo qui sotto.
Balanzone: perchè non avete chiuso la porta?
Arlecchino: io ho la polmonite
Pulcinella: e io l’appendicite
Balanzone: bene bene, sono arrivato al momento buono… Prendo i ferri e in quattro e quattr’otto…
Arlecchino: i ferri? Aiuto!
Pulcinella: i ferri? Aiuto!
Narratore: e i due fannulloni saltano dal letto e scappano a gambe levate…


Discussione aritmetica

Arlecchino: prima di tutto pensiamo a mangiare, sacco vuoto non sta ritto
Pulcinella: pensiamo a mangiare e a bere, a bere e a mangiare
Colombina: mettetevi a sedere e vi servo subito: quanti siete?
Gianduia: io uno, Arlecchino due, Pulcinella tre, Pantalone quattro, Stenterello cinque, Meo Patacca sei, e io sette. Siamo sette, sette precisi.
Meo Patacca: e invece siamo cinque: Stenterello, Pantalone, Pulcinella, Arlecchino e tu. Dico cinque, e se non ci credi ho qui il mio bastone che conta meglio di tutti
Gianduia: e allora se siamo cinque due di noi restano senza mangiare
Stenterello: io sarò uno dei due, perchè non ho quattrini
Pantalone: che importa se non hai quattrini? Non sai che pago sempre io? Ma Colombina, com’è questa faccenda? Hai portato cinque porzioni e io sono rimasto senza… eppure mi avevano contato!
Meo Patacca: Vuol dire che a tavola c’è qualcuno che prima non c’era
Gianduia: dicevo bene! Eravamo sette, e pagherei per sapere chi è lo stupido che se ne è andato.


Commedia dell’arte – Meglio tardi

(una camera da letto) Scena I
Silvestro: chi bussa?
Dottore: sono io, il dottore
Silvestro: entrate
Dottore: m’hanno detto che state male e son venuto a trovarvi
Silvestro: roba da poco, dottore, un po’ di tosse
Dottore: vediamo… (gli poggia l’orecchio sul petto) …sè, tosse e un po’ di bronchite. Un male di stagione
Silvestro: di stagione o no, se non c’era stavo meglio e potevo curare i miei affari
Dottore: oh, quelli possono anche aspettare
Silvestro: lo dite voi! Con l’aria che tira in paese. Questi assassini non si decidono mai a rendermi i miei soldi.  A farseli prestare sono tutti buoni. Ma a renderli, ti voglio!
Dottore: pagheranno, pagheranno, state sicuro. Intanto prendete queste goccioline prima dei pasti. Faranno miracoli, vedrete. Ora debbo andare.
Silvestro: speriamo bene. Arrivederci,  dottore.

Scena II
Silvestro: chi bussa?
Fedele: Sono Fedele, il vostro amico fedele
Silvestro: vieni, vieni
Fedele: ho qui con me i soldi che vi devo. Ma vorrei riavere quella ricevuta che vi firmai.
Silvestro: non ti fidi? Amico fedele davvero!
Fedele: già… insomma, sapete, da un momento all’altro potreste morire e io non voglio pagare due volte
Silvestro:cosa, cosa, cosa? Io, morire? Ti piacerebbe, eh… Piacerebbe a tutti voi!
Fedele: ma che dite? Io voglio solo la mia ricevuta
Silvestro: (tira fuori da sotto il materasso una borsetta di pelle e con fare misterioso tira fuori un fogliettino) Tieni, Fedele amico fedele. Tieni, ma non farti più vedere, fila

Scena III
Silvestro: chi bussa?
Michele: sono Michele
Silvestro: non conosco Micheli, io
Michele: come? Sono Michele, il becchino
Silvestro: cosa?
Michele: ho saputo che stai male e allora sono venuto a prendere certe misure…
Silvestro: rendimi i miei soldi piuttosto
Michele: e se poi morite?
Silvestro:via di qua. Cani, cani. (grida, ma la tosse lo interrompe)

Scena IV
Silvestro: il dottore, o il becchino… anche l’amico non si fida più. Ma perchè? Cos’ho fatto, che mi lasciano qui solo, come un povero lebbroso. Eppure sono nato anch’io in questo paese. E li conosco tutti meglio di chiunque altro. Se mi volessero un po’ di bene, chi sa quanti sarebbero venuti a tenermi compagnia. Si giocherebbe un po’ a carte… Non si parlerebbe d’affari… Povero Silvestro!
(Mentre sta con la borsetta delle ricevute fra le mani, bussano alla porta)

Scena V
Silvestro: chi bussa?
Don Luigi: Sono don Luigi, il parroco
Silvestro: venite proprio a proposito. Prima il dottore, poi il becchino e ora il prete.
Don Luigi: Perchè dite così, signor Silvestro? Io non sapevo che eravate malato. Son passato di qui e mi son ricordato che non ci vediamo da un pezzo, noi due, e intanto in paese la gente mormora sempre di più contro di voi
Silvestro: ma cosa vogliono, infine!
Don Luigi: Vogliono che vi comportiate più da cristiano! Ecco cosa vogliono. E poi, detto fra noi, cosa volete farne dei vostri soldi? Prima o poi dovrete lasciarli. Se sapeste quanti poveri vi bacerebbero le mani se… Non avreste più paura del dottore, del becchino e del prete. Pensateci signor Silvestro, non è ma tardi per cominciare a fare il bene
Silvestro: ma non vedete che nessuno si cura di me. Mi lasciano solo qui, come un cane arrabbiato
Don Luigi: Volete scommettere che domani avrete la casa piena di gente? Datemi le vostre ricevutine…
Silvestro: (con voce commossa) Tenete, tenete, e pigliate anche quei soldi là nel cassetto del tavolo. Dateli a chi vi pare. Voi sapete più di me e farete meglio. Ma vi prego, non mi abbandonate più. E ditelo, ditelo ai miei compaesani. Silvestro vuol bene a tutti, capito? Anche ai debitori che non pagheranno più!

(U. Grimani)

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Commedia dell’arte – Le lettere per la mamma

Pantalone: (solo) Arlecchino! Arlecchinooo!
Arlecchino: (entra) Eccomi, illustrissimo signor padrone
Pantalone: me lo sai dire perchè quando ti si chiama non rispondi subito? Me lo sai dire?
Arlecchino: signornò, illustrissimo padrone, non lo so
Pantalone: non ho mai visto un servitore infingardo come te. Ora ascoltami bene. Mi ascolti?
Arlecchino: Signorsì, illustrissimo signor padrone.
Pantalone: ho fatto un po’ di ordine nei cassetti della mia scrivania. Tu adesso prendi quella cartaccia e la butti nelle immondizie. Hai capito?
Arlecchino: signorsì, ho capito. Devo buttare via tutta quella cartaccia. Ma proprio tutta?
Pantalone: Sì, tutta. E’ roba che non serve più: vecchi giornali, vecchi conti del lattaio, vecchie lettere
Arlecchino: anche le lettere devo buttar via?
Pantalone: certamente, anche le lettere Arlecchino: signor padrone, queste lettere…
Pantalone: ebbene?
Arlecchino: potrei…
Pantalone: che cosa?
Arlecchino: queste lettere potrei tenermele io?
Pantalone: vuoi tenerle tu? E cosa vuoi farne?
Arlecchino:  è una storia un po’ lunga. Quando io partii da Bergamo… Lei sa che io sono di Bergamo?
Pantalone: Lo so, continua
Arlecchino: dunque, quando io partii da Bergamo, la mamma era molto triste. Mi disse: “Arlecchino mi raccomando, mandami ogni tanto una lettera”…
Pantalone: e tu gliel’hai mandata?
Arlecchino: No
Pantalone: e perchè?
Arlecchino: perchè io non so scrivere e penso che adesso potrei forse mandarle una di queste, ogni tanto…


Commedia dell’arte –  In piazza

Pulcinella: Dove vai, amico Arlecchino?
Arlecchino: Il mio padrone mi ha detto di comperargli due chili di orecchiandoli ben tirati
Pulcinella: Quand’è così, eccoti servito! (gli tira più volte le orecchie)
Arlecchino: Ahi! Ahi! Mi hai fatto male!
Pulcinella: (ridendo) Sono questi gli orecchiandoli ben tirati!
Arlecchino: (piagnucolando) Un’altra volta ci faccio andare il padrone a comprarli.
Pulcinella: Bravo. Ora sentiamo Brighella, che intenzione ha. Ehi, Brighella, non saluti neppure?
Brighella: (capo chino, come se cercasse qualcosa per terra) Mi è accaduta una grave disgrazia. Ho perduto  una moneta d’oro.

Dettati ortografici CARNEVALE

Dettati ortografici CARNEVALE – Una collezione di dettati ortografici sul Carnevale, di autori vari, per la scuola primaria.

Benvenute, mascherine di Carnevale! Quando arrivate voi, mettete il sorriso sulle labbra di tutti. Siete allegre nei vostri costumi variopinti e scherzate sempre. Ecco Pulcinella col suo camiciotto bianco e il grosso naso nero, ecco Arlecchino col suo vestito multicolore, ecco Rosaura e Colombina, graziose e smorfiose. Ogni paese ha la sua maschera, tutte allegre, con una gran voglia di fare scherzi e di divertirsi.

Quando le mascherine, una volta all’anno, vengono fuori, ne combinano di tutti i colori. Ecco Pantalone, veneziano, con la sua barbetta a punta. Arlecchino nel suo vestito a toppe di tutti i colori, minaccia, col suo bastone, di dar botte a tutti. Balanzone, dottore di Bologna, di dà molta importanza, ma nessuno si cura di lui e dei suoi purganti. Tutte le maschere sono allegre, festose, e la gente le vede volentieri.

Quando Carnevale dà la libertà alle maschere, è una festa dappertutto. La gente si diverte a tirare coriandoli e stelle filanti che si attaccano ai rami degli alberi e vanno da un balcone all’altro. I passeri si fermano a guardare, incuriositi, e non sanno che cosa accade. E’ Carnevale, passerotti, l’epoca in cui gli uomini fanno festa, mentre per voi, uccellini spensierati, è Carnevale tutto l’anno!

Il Carnevale è un periodo di allegria tra il Natale e la Quaresima; praticamente ha inizio il giorno di Sant’Antonio abate, il 17 gennaio, ma generalmente la festa si limita agli ultimi tre giorni e in particolare al cosiddetto “martedì grasso”. Nelle chiese di rito ambrosiano il Carnevale termina con la prima domenica di quaresima.

Tutti si riversano nelle strade e nelle piazze ad ammirare le maschere. Durante gli ultimi due giorni si vedono le strade affollate di maschere vestite nelle fogge più strane. Per le maschere tutto serve; si vuotano i canterani e si sciorinano gli indumenti delle bisnonne, le divise militari. E poi barbe, nasi, pance e gobbe fuor di squadra. (U. Vaglia)

Ecco i grandi carri mascherati! Ecco i pupazzi giganteschi che tentennano la testa e spalancano la bocca enorme! E’ carnevale che passa per le strade. Guardatelo: è vestito di cento colori, ha manciate di coriandoli sui capelli, ride come un matto e si diverte a prendere in giro la gente. Ma non è cattivo: non vuole che si facciano scherzi pericolosi. (M. Mortillaro)

Sin dall’antichità, i popoli istituivano varie feste di tripudio con riti festosi e travestimenti. Nel Medioevo risorsero le antiche tradizioni e in Italia fu famoso il carnevale di Venezia a cui partecipavano il doge, la Signoria, il Senato e gli Ambasciatori. L’antica usanza delle maschere, che ha origine antichissima, raggiunse il massimo splendore in Italia, nelle principali città. Infatti quasi tutte le regioni hanno la loro maschera caratteristica.

In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua.

Per Carnevale si usano alcuni dolci caratteristici: le castagnole, gli struffoli, le ciambelle, la cicerchiata, le chiacchiere e i crostoli: nomi particolari di ogni regione che ha i suoi usi e le sue ghiottonerie.

Non tutti sono d’accordo sull’origine del nome “Carnevale”. Secondo alcuni esso deriva dal primo giorno di quaresima in cui s’inizia il digiuno e l’astinenza e significherebbe “togliere la carne”. Secondo altri, siccome in latino “vale” significa “addio”, Carnevale significherebbe “addio alla carne”. Il periodo carnevalesco era, in origine, compreso tra il Natale e la Quaresima. In seguito si iniziò il giorno seguente l’Epifania per terminare il giorno delle Ceneri. Oggi il Carnevale ha inizio comunemente il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio abate, e finisce il giorno che precede le Ceneri.

Il carnevale le chiamò e le maschere accorsero. Uscivano una volta all’anno, ma quando uscivano, che baldoria! Il più allegro era Arlecchino, col suo vestito di tanti colori e la sua mascherina nera. Aveva sempre voglia di bisticciarsi, ma allegramente, s’intende. Il suo fido amico era Pulcinella, vestito di bianco, con un nasone che faceva venire allegria.

Dopo trentun giorni di cammino, anche gennaio, sentendosi morire, chiamò forte: “Febbraio! Febbraio! Piccolo fratello, tocca a te!”. Ed ecco che, con tintinnii di sonaglietti, colpi di grancassa e scrosci di risa, spuntò febbraio, il più sbarazzino e il più piccolo dei dodici fratelli. Si trascinò dietro il Carnevale con cortei di maschere e mascherine. Intanto la coltre di neve che copriva la terra aveva di già qualche strappo, perchè febbraio, capriccioso, lasciava che il sole giocasse a rimpiattino con le nubi. La terra si vestiva di puntine verdi e offriva i primi fiori di mandorlo e le prime viole. (G. Nuccio)

Febbraio è anche il mese delle allegre gazzarre, delle maschere, delle frittelle. Che bel tripudio di carri mascherati per le strade e per le piazze! Arlecchino, Pulcinella, fanno a gara a chi grida di più. Dalle finestre piovono i coriandoli: verdi, gialli, rossi, violetti e le stelle filanti corrono da balcone a balcone, girano attorno ai fili elettrici, si aggrovigliavano in matasse e ricadono in bizzarri festoni. (Palazzi)

I ragazzi si misero i nasi finti, maschere di cartone da pochi soldi, e cominciarono ad andare su e giù facendo schiamazzo con i dischi di terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come maschere. La brigata infastidì parenti e amici, con i suoi coriandoli. Alla fine, dopo essere saliti nelle proprie case, i bimbi gettarono un ponte di stelle filanti da finestra a finestra, attraverso la strada. Ma la notte piovve, e il ponte crollò. (V. Pratolini)

Pulcinella giaceva sul letto. Era malato. Da una parte stava il notaio, che scriveva il testamento; dall’altra i parenti, che piangevano in silenzio. Pulcinella diceva: “A Carminella lascio la roba della casa e gli oggetti d’oro…”. Carminella, a quelle parole, rispondeva con un singhiozzo. “A Gennaro, a Mariuzza lascio…”. “Dov’è tutta questa roba che tu lasci, o Pulcinella?”. “Dov’è?” rispose il malato, “io la lascio, sta a loro cercarsela!” (I. Drago)

Una delle stelle filanti che dondola dalla ringhiera di un balcone, un pugno di coriandoli che il vento ha spinto nel rigagnolo, l’eco degli schiamazzi di un’allegra brigata che poco fa è scomparsa dietro l’angolo di una casa… e nella livida alba di febbraio, in questo scenario di “festa finita” ecco presentarsi, quasi irreale, la figura dello spazzino. Intanto, una finestra illuminata all’ultimo piano del caseggiato, si spegne, mentre un’altra, al primo piano, si accende. C’è chi si corica dopo una nottata di baldoria, chi si alza per mettersi a lavorare. (B. Mercatali)

Carnevale è passato. E dei giochi buffi, delle burle, dei carri mascherati, degli sberleffi e delle matte risate di questa favola che si ripete ogni anno, non rimane che poca carta colorata sospinta dalla scopa dello spazzino. Una trombetta di cartapesta, infiocchettata di striscioline di carta rossa, prende a rotolare adagio verso una pozzanghera. Lo spazzino la raggiunge e la prende. Poi, sorridendo, se la porta alle labbra. Ma il suono che ne esce è breve e stonato, sgradevole; e allora l’ometto scaraventa il giocattolo nel resto della spazzatura. (B. Mercatali)

Giorno di carnevale
In piazza San Carlo, tutta decorata di festoni gialli, rossi e bianchi, s’accavallava una grande moltitudine; giravan maschere d’ogni colore; passavano carri dorati e imbandierati, della forma di padiglioni, di teatrini e di barche, pieni d’Arlecchini e di guerrieri, di cuochi, di marinai e di pastorelle; era una confusione da non saper dove guardare; un frastuono di trombette, di corni e di piatti turchi che laceravano le orecchie; e le maschere dei carri trincavano e cantavano, apostrofando la gente a piedi e la gente alle finestre, che rispondevano a squarciagola, e si tiravano a furia arance e confetti: e al di sopra delle carrozze e della calca, fin dove arrivava l’occhio, si vedevano sventolare bandierine, scintillar caschi, tremolare pennacchi, agitarsi festoni di cartapesta, gigantesche cuffie, tube enormi, armi stravaganti, tamburelli, crotali, berrettini rossi e bottiglie: pareva tutti pazzi. (De Amicis, Cuore)

Il carro
Andava dinanzi a noi un carro magnifico, tirato da quattro cavalli coperti di gualdrappe ricamate d’oro, e tutto inghirlandato di rose finte, sul quale c’erano quattordici o quindici signori, mascherati da gentiluomini della corte di Francia, tutti luccicanti di seta, col parruccone bianco, un cappello piumato sotto il braccio e lo spadino, e un arruffo di nastri e di trine sul petto; bellissimi. Cantavano tutti insieme una canzonetta francese, e gettavan dolci alla gente, e la gente batteva le mani e gridava. (De Amicis, Cuore)

Platero e il carnevale.
Com’è bello, oggi Platero! E’ il lunedì grasso, e i bambini che si sono vestiti chiassosamente da pagliacci e da guappi, gli han messo la bordatura moresca, tutta ricamata di rosso, verde, bianco e giallo in ricercati e complessi arabeschi. Acqua, sole e freddo. I coriandoli di carta vanno rotolando parallelamente sul marciapiede sotto la sferza del vento… Quando siamo arrivati in piazza han preso in mezzo Platero in un cerchio tumultuante, e poi, tenendosi per mano, hanno cominciato a girare allegramente intorno a lui. Tutta la piazza non è più che un concerto allusivo di ottone giallo, di ragli, di risate, di canzoni, di tamburelli e di mortai. (J. R. Jimenez, da Platero y yo)

Il giorno delle frittelle
Quando le donne fanno le frittelle, non è detto che stiano sempre in cucina. Qualche volta escono di casa, corrono a più non posso, e sempre correndo, girano le frittelle nella padella. Questo succede ogni anno, il martedì grasso, a Olney in Inghilterra. Le donne si allineano nella piazza del paese, tutte hanno con sè una padella con dentro una frittella calda, e devono voltare la frittella almeno tre volte prima di giungere alla porta della chiesa, all’altra estremità della piazza. Pronte…via! Le frittelle saltano, i piedi volano. Una donna vestita di blu è quasi arrivata alla chiesa, sta per voltare la frittella per la terza volta e… sì! Ce l’ha fatta! Ha vinto! Ora riceve il premio: un bacio dal campanaro. E la frittella? La mangia il campanaro, ma se glielo chiedi, può darsi che te ne dia un pezzetto.

L’aria si rincrudì e comiciò a venir giù un brutto piovigginio con qualche farfalluccia di neve. Ma erano gli ultimi giorni di carnevale, e al brutto tempo chi ci badava? In quasi tutte le osterie si ballava a più non posso. Non passava notte, senza che fossimo destati da baccani, cantate, liti giù in strada. Qualche mascheraccia bislacca compariva di tanto in tanto, con un codazzo di marmocchi dietro. Si sentiva, attraverso l’aria fosca, un odore di gran baldoria, che dava alla testa. (F. Chiesa)

Sera di carnevale
Certe sere di carnevale vi accorgete che è Carnevale perchè, nel rincasare, pensando ai casi vostri incontrate a ogni passo sparati bianchi, code di vestiti dorati su scarpini metallici…
…che gesta, ora, che allegria e che splendore nella casa, poc’anzi silenziosa e triste!
Una piccola regina sta nascendo a poco a poco dall’ammasso dei veli e dei nastri, mentre un principe un po’ scapestrato lotta col bottoncino del colletto che non vuole entrare nell’asola.
Chi pensa più alla miseria di tutti i giorni? Chi ha voglia di cenare? Le patate, abbandonate e neglette, giacciono in fondo a un oscuro tegame, in cucina. (A. Campanile)

Il carnevale
Non c’è ormai alcun dubbio, in base agli studi di eminenti glottologi, che Carnevale deriva da carnem levare, e prove sicure di questa etimologia ci vengono anche dal termine siciliano carnilivari e da quello spagnolo carnestoltes. Carnevale, all’origine, indicava il giorno da cui sarebbe coniciato il periodo della quaresima, durante la quale non si sarebbe più mangiata carne, perchè dedicato a penitenza e digiuni. Prima che tale periodo di privazioni incominciasse bisognava approfittarne per fare baldoria.
La vita moderna, offrendo ormai durante il corso dell’anno divertimenti e spettacoli, ha attenuato di molto i motivi di interesse per il carnevale che un tempo si presentava come l’unica, intensa stagione di godimento. Tuttavia, questo periodo di baldorie non è scomparso del tutto. Anzi, per particolari condizioni psicologiche e sociali, in alcuni luoghi si è conservato e talvolta con una reviviscenza alimentata anche da ragioni turistiche.

Carnevale nella via
Quest’anno il carnevale sarebbe passato lontano dalla nostra strada se non ci fossero stati i ragazzi a ricordarne l’esistenza e a mettersi nasi e baffi finti e maschere di cartone da pochi soldi, ad andare su e giù facendo il più possibile schiamazzo con i fischi di terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come nacchere. In questo, Giordano è un maestro. Egli stringe i due legnetti della stessa misura fra indice e medio e fra medio e anulare della destra ed è capace perfino di eseguire il Rataplan verdiano… Giordano aveva quest’anno una maschera di cinese, e Gigi quella di un vecchio con la barba bianca. Musetta si era accontentata di un apparato naso-baffi-occhiali, più adatto ad un avvocato che a una bambina. A Piccarda, suo fratello aveva comperato un cono stellato con sul dietro dei riccioli di stoppa, per cui ella era il Mago Merlino. (V. Pratolini)

Carnevale a Nuoro
Le vie erano affollate; mascherate barocche e variopinte andavano su e giù, tra un nugolo rumoroso di monelli che urlavano improperi e parole scherzose. Maschere sole, vestite a vivi colori, passavano, seguite dallo sguardo indagatore e beffardo degli operai e dei borghesi: passavano signore, bimbe, serve dai corsetti scarlatti; gruppi di paesani un po’ brilli si pigiavano in certi tratti del Corso; e musiche malinconiche di chitarra e fisarmonica salivano e vibravano in quell’aria tiepida e velata che rendeva i suoni più distinti come in un crepuscolo d’autunno. (G. Deledda)

Il carnevale di Viareggio
Il carnevale è sempre un periodo di gaia baldoria e di spensieratezza, ma in nessun luogo come a Viareggio la gioia di questa festa invernale prorompe in modo così clamoroso. Nella bella cittadina balneare toscana si svolgono sfilate di carri, che restano indimenticabili per chi le ha viste. Il martedì, ultimo giorno di carnevale, e le tre domeniche precedenti, il meraviglioso viale che si snoda lungo il mare, fra la pineta foltissima e la sabbia dorata della riva, si anima come per incanto. Folla e folla accorre dalle città vicine e lontane per godersi questo spettacolo.
Come si affaticano per mesi e mesi, i Viareggini, a fabbricare giganteschi pupazzi, uno più buffo dell’altro; a costruire carri grandiosi che rappresentano navicelle, castelli o aeroplani; a guarnirli in modo originale così che la gente, vedendoli sfilare lungo i corsi, non può trattenere le grida di meraviglia.
Ci sono le maschere isolate che sfilano a piedi, portando in capo buffi testoni enormi, fra un lancio continuo e instancabile di coriandoli, di stelle filanti, di caramelle. E intanto le bande suonano, la gente grida, canta, ride… (L. Bindi Senesi)

Carnevale per le strade
La città si animava; si animava il vento, la neve per le strade. E, all’improvviso, pur dentro il buio, il colore dei costumi, dei coriandoli.
Fummo in mezzo alla piazza con attorno bambini dai cappelli a cono con la mezzaluna d’argento. Le mascherine ci sfioravano, scherzavano, ridevano. Pareva che non importassero il freddo, la neve, il vento: senza rumori che non fossero musica o viva voce o risa.

Un carnevale in piena estate
Il carnevale di Rio è una festa di Piedigrotta moltiplicata per cento: eso esprime la gioia di vivere, la volontà di dimenticare almeno per quattro giorni tutti i guai di questo mondo…
La città assume l’aspetto di un immenso palcoscenico durante l’allestimento di un grande spettacolo. E quando l’ora scocca, la Fiesta esplode. Donne e uomini, brasiliani e stranieri, tutti sono spettatori e attori della sagra sfrenata. Per quattro giorni ogni altra attività è sospesa, ogni strada e ogni piazza sono teatro di uno spettacolo disordinato e pittoresco che si rinnova continuamente. E’ quasi un punto d’onore non ritornare a casa durante le notti carnevalesche. Il cielo di Rio si trasforma in una crepitante fornace da cui piovono in continuazione scintille multicolori, e la città in un’enorme cassa armonica risuonante… di motivi che poi prenderanno le vie del mondo…(M. Procopio)

Maschere tradizionali

Quando le mascherine, una volta all’anno, affollano le strade, sono allegre  e ne fanno di tutti i colori. Ecco Pantalone, veneziano, con la sua barbetta a punta; Arlecchino, col suo vestito a toppe, minaccia, col suo bastone, di dar botte a tutti.
Balanzone, dottore di Bologna, si dà molta importanza, ma nessuno si cura di lui e dei suoi purganti. Preferiscono Gianduia, che è di Torino, patria dei cioccolatini e delle caramelle. Gianduia ha un viso festoso e un codino ridicolo legato con un fiocchetto. Ma il più buffo è Pulcinella, napoletano, vestito di un camiciotto bianco; ha un gran naso nero e scherza su tutto.

Carnevale in Calabria
Carnevale è il re dei ghiottoni, e ricompare tutti gli anni, in febbraio, a morire d’indigestione nelle piazze dei paesi tra lo scherno del popolo. E’ proprio il mese in cui si ammazza il maiale. L’aria è piena di grugniti e di fumo grasso delle caldaie spalmate di sugna. Per le strade, ad ogni imbocco, è drizzato su due forche il maiale, fra i curiosi che notano quanto pesa, e guardano le lunghe strisce di grasso incise sulla cotenna senza una goccia di sangue, bianche. Intanto i cani si danno attorno a fiutare il sanguinaccio cremisi.
Poi arriva Carnevale, con delle strabilianti decorazioni di salsicciotti, e catene e cordoni di salsicce. E’ destinato a morire di indigestione e di ridicolo, ma fino all’ultimo crederà di guarire mangiando fette di grasso.
Il popolo intanto balla per le piazze e per le strade: il contadino si è messo un abito a falde da avvocato, e il signore si veste da contadino.
Tutto il paese, una volta tanto, si scambia la parte e il vestito, e fa un gran ridere di ritrovarsi così, come se davvero avesse mutato fortuna. Poi, Carnevale, in groppa a un asino, ben imbottito di paglia, è buttato in mezzo alla piazza e dato alle fiamme. La massaia copre i vasi di sugna e appende i rocchi di salsicce che consoleranno le lunghe stagioni di lavoro.
(C. Alvaro)

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Poesie e filastrocche Carnevale

Poesie e filastrocche Carnevale – una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria

Pranzo e cena
Pulcinella ed Arlecchino
cenavano insieme in un piattino:
e se nel piatto c’era qualcosa
chissà che cena appetitosa.
Arlecchino e Pulcinella
bevevano insieme in una scodella,
e se la scodella vuota non era
chissà che sbornia, quella sera. (G. Rodari)

Il vestito di Arlecchino
Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino:
ne mise un’altra Pulcinella,
una Gianduia, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano,
qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso,
ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
“Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene il mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l’altro bolletta.” (G. Rodari)

La maschera
Vent’anni fa mi mascherai pur io!
E ancora tengo il muso di cartone
che servì per nasconder quello mio.
Sta da vent’anni sopra un credenzone
quella maschera buffa, ch’è restata
sempre con la medesima espressione,
sempre con la medesima risata. (Trilussa)

Pagliaccio
Ed ecco un flauto si mette a suonare.
Allora un pagliaccio rosso
coperto di campanellini
esce a ballare con lazzi ed inchini!
E tenta una capriola…
fa finta di farsi male…
ride…
Si rizza con un salto mortale!
Poi s’arrampica, come fa il gatto
per acchiappare i pipistrelli!
E poi fa finta di ruzzolare,
perchè ridano tutti quanti. (U. Betti)

L’allegra mascherata
Che risate che allegria
per la via!
Con tamburi di cartone,
con lustrini di… stagnola,
i monelli
van cantando a squarciagola.
Son vispi come uccelli
che han trovato
l’usciolino spalancato
dell’aerea prigione.
Chi s’è tinto di carbone,
chi s’è tutto infarinato,
chi strombetta per la via…
che allegria! (M. Castoldi)

Burattini
Son di legno, son piccini,
sono svegli e birichini,
semre buoni ed ubbidienti,
sempre allegri e sorridenti,
son delizia dei bambini:
viva, viva i burattini.
Pulcinella ed Arlecchino,
Stenterello e Meneghino,
e Brighella e Pantalone,
Facanappa e Balanzone,
fanno ridere i bambini:
viva, viva i burattini.
Quando alcun non li molesta,
dormon tutti nella cesta,
se ne stanno in compagnia,
sempre in pace ed armonia,
come tanti fratellini,
viva, viva i burattini. (E. Berni)

Il gioco dei “se”
Se comandasse Arlecchino
il cielo sai come lo vuole?
A toppe di cento colori
cucite con un raggio di sole.
Se Gianduia diventasse
ministro dello Stato
farebbe le case di zucchero
con le porte di cioccolato.
Se comandasse Pulcinella
la legge sarebbe questa:
a chi ha brutti pensieri
sia data una nuova testa. (G. Rodari)

Maschere
Sono una maschera dotta e sapiente
chiacchiero molto, concludo niente!
Son di Bologna un gran dottore,
mi sottopongono ogni malore,
ed io con l’abile mia parlantina
sputo sentenze di medicina.
Curo il malato col latinorum
per omnia saecula saeculorum!
Sono una maschera multicolore
di professione fo il servitore.
Mia prima origine fu bergamasca,
ma non avendo mai un soldo in tasca
vissi a Venezia come emigrante.
Son litigioso, furbo, intrigante,
ma sono il principe dei birichini!
Sono una maschera sempre affamata
biancovestita e mascherata.
Mia patria è Napoli, dove perfetti
nascono i piatti degli spaghetti.
Son della terra delle canzoni,
son del paese dei maccheroni,
son specialista in bastonate:
quante ne ho prese tante ne ho date! (D. Volpi)

La trombettina
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde
che suona una bambina…
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c’è la banda d’oro rumoroso,
la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini.
Come, nel gocciolare della gronda,
c’è tutto lo spavento della bufera,
la bellezza dei lampi e dell’arcobaleno;
nell’umido cerino d’una lucciola
che si sfa su una foglia di brughiera,
tutta la meraviglia della primavera. (C. Govoni)

Armi dell’allegria
Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo “pum”
(o “bang”, se ha letto
qualche fumetto)
ma buchi non ne fa…
Il cannoncino che spara
senza fare tremare
nemmeno il tavolino…
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio
ma non farebbe male
nè a una mosca nè a un caporale…
Armi dell’allegria!
Le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via! (G. Rodari)

Le maschere
Io sono fiorentino
vivace e birichino;
mi chiamo Stenterello
l’allegro menestrello.
Cantando stornellate
fo far mille risate.
Ed ecco qua Brighella,
la più brillante stella
del gaio carnevale
quando ogni scherzo vale…
Arrivo io ballando,
scherzando e poi saltando.
Mi chiamano Arlecchino
e sono il più carino.
Mi chiamo Pantalone:
il vecchio brontolone;
ma in tutto onor vi dico:
“Io sono vostro amico”.
Ed io son Pulcinella!
La maschera più bella.
Oh oh, che ballerino,
somiglio ad un frullino… (S. Antonelli)

Carnevale
E’ arrivato carnevale
con coriandoli e stelline
e graziose mascherine.
Van cantando per la via
in allegra compagnia
Arlecchino e Pulcinella
Balanzone con Brighella,
e Rosaura e Colombina.
Con le maschere la gente
se la spassa assai beata:
è stagione spensierata
va passata allegramente. (L. Borselli)

Che allegria!
Guarda, mamma, nella via
quanta gente e che allegria!
Che bizzarre mascherate,
dalla banda rallegrate!
Quante voci, quanti fiori
quanta gioia inonda i cuori!
Vedo Cecca e Meneghino,
Scaramuccia ed Arlecchino,
e quell’altro? Ah, è Trivella,
che dà il braccio a Pulcinella!
E quel goffo Pantalone
con i baffi… di cartone?
Or s’avanzano bel bello
e Pagliaccio e Stenterello…
Senti, senti, mia mammina,
che gazzarra! Una ventina
di giocondi fanciulletti
mascherati da folletti. (G. Pisani)

Viva le maschere
Viva le maschere! Evviva! Evviva!
Io ti conosco, maschera bella:
tu sei Gianduia, tu sei Brighella,
qui Colombina con Pantalone,
quindi Arlecchino con Pulcinella.
O mascherine, chi ve l’ha fatto
quell’abituccio tutto a colori
quell’abituccio che ci ricorda
la primavera coi mille fiori?
Chi ve l’ha messa nel fondo del cuore
quell’allegrezza che a tutti date?
O mascherine, grazie di cuore
per tanta gioia che ci portate. (A. Caramellino)

Volta la carta di carnevale
Volta la carta di carnevaletto
quattro salti e uno sgambetto.
C’è Arlecchino “venessiano”
Pulcinella “nabbolidano”
c’è Gianduia piemontese
Pantalone bolognese.
C’è Rosaura e Colombina
cameriera sopraffina,
Meneghin vien da Milano
Sor Tartaglia gli è toscano.
L’uno mangia maccheroni
l’altro grossi panettoni,
uno suona il mandolino
l’altro al fianco ha lo spadino,
ma son tutta una brigata
bella, allegra, indiavolata,
che si bacia, che s’azzuffa,
che combina una baruffa,
ma che alfin allegramente,
ricomincia come niente
il più gaio girotondo
che rallegra tutto il mondo. (C. Gasparini)

A carnevale
Pensato han tutti e due che in carnevale
ogni burletta vale.
E per fare un bella mascherata,
la camera dei nonni han saccheggiata.
Lui s’è pigliato il panama, il bastone,
un solenne giubbone;
ed una grossa pipa con la canna,
certamente più lunga di una spanna.
Lei s’è messa una gran cuffia trinata,
la vestaglia fiorata,
ha preso un ombrellino del Giappone
e con gli occhiali legge un giornalone.
Così a braccetto, come due sposini,
vanno a far chiasso in casa dei cugini,
perchè ogni burla vale
nella lieta stagion di carnebale

Mascherata
Carnevale pazzerello,
sei davvero tanto bello!
Tu porti sulla via
un pochino d’allegria.
Coi coriandoli e le stelle,
mascherine gaie e belle
fanno smorfie e sorrisini,
fan balletti e fanno inchini.
C’è Pierrot e Pierottina,
Arlecchino e Colombina,
Rugantino e Pantalone
con Tartaglia e Balanzone;
Stenterello e Meneghino
vanno a spasso con Gioppino;
e si vede Pulcinella
fare chiasso con Brighella.
Carnevale pazzerello,
sei davvero tanto bello. (T. Romei Correggi)

Carnevale
Il febbraio pazzerello
ci ha portato Carnevale
a caval di un asinello
e con seguito regale:
Pantalone e Pulcinella
e Rosaura e Colombina,
Balanzone con Brighella
e Pieretta piccolina.
A braccetto con Gioppino,
che dimena un gran bastone,
van Gianduia e Meneghino
sempre pronti a far questione.
Arlecchin chiude la schiera,
che, fra canti e balli e lazzi
lieta va, da mane a sera,
con gran coda di ragazzi.
Va, tra salti e piroette,
seminando per la via,
di coriandoli una scia,
tra un frastuono di trombette. (L. Re)

Teste fiorite
Se invece dei capelli sulla testa
ci spuntassero i fiori, sai che festa?
Si potrebbe capire a prima vista
chi ha il cuore buono, chi la mette trista.
Il tale ha in fronte un bel ciuffo di rose:
non può certo pensare a brutte cose.
Quest’altro, poveraccio, è d’umor nero:
gli crescono le rose del pensiero.
E quello con le ortiche spettinate?
Deve aver le idee disordinate,
e invano ogni mattina
spreca un vasetto o due di brillantina. (G. Rodari)

Canzoncina
Danza lieta, mascherina,
danza fino a domattina!
Son coriandoli le stelle!
E i panini son frittelle.
Sono tutti sorridenti,
sono tutti assai contenti.
Lo sapete che Arlecchino
fu vestito, poverino,
con cenci regalati
dai bambini fortunati?
Arlecchino sorridente
è l’immagine vivente
dell’aiuto che può dare
chi anche agli altri sa pensare.
Danza lieta, mascherina,
danza fino a domattina!

Il girotondo delle maschere
E’ Gianduia torinese
Meneghino milanese.
Vien da Bergamo Arlecchino
Stenterello è fiorentino
veneziano è Pantalone
con l’allegra Colombina.
Di Bologna Balanzone
con il furbo Fagiolino.
Vien da Roma Rugantino,
pur romano è Meo Patacca,
siciliano il buon Pasquino
di Verona Fracanapa. (G. Gaida)

La giostra
Eccola nella piazza della chiesa,
eccola sorta come per incanto!
Chi non l’avea desiderata tanto?
Chi non l’avea tanto sognata e attesa?
Bella la giostra! E’ tutta luce e argento,
tutta specchi, bagliori, oro, turchesi,
così come quei fantastici paesi
ch’io vedo solo quando mi addormento. (M. Moretti)

Carnevale
Carnevale vecchio e pazzo
s’è venduto il materasso
per comprare pane e vino
tarallucci e cotechino.
E mangiando a crepapelle
la montagna di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia ad un pallone.
Beve e beve e all’improvviso
gli diventa rosso il viso
poi gli scoppia anche la pancia
mentre ancora mangia, mangia…
Così muore carnevale
e gli fanno il funerale
dalla polvere era nato
ed in polvere è tornato. (G. D’Annunzio – Filastrocche del mio paese)

Maschere
Rosaura geme
Florindo freme,
Lelio domanda, Pantalon nega;
Brighella stringe
solida lega
con Arlecchino;
chè, se Cavicchio
trova Batocchio
presso un crocicchio,
gli strizza l’occhio
e stretto il patto,
saldo il contratto.
Pierrot non vede…
egli strimpella
la serenata…
e Colombina
che l’ha sentito
fruscia in sordina
nel vano scuro
della vetrata…
E là, premendosi
la man sul cuore,
trepida ascolta… (G. Adami)

La mascherina povera
Lazzi
e schiamazzi
fanno i ragazzi
tutti un po’ pazzi.
E il bimbo va
col cappello del nonno,
la giacca del papà,
stanco, pieno di sonno,
per la grande città.
Lazzi e schiamazzi
fanno i ragazzi.
e il bimbo è lì
aria di funerale
a godersi così
il suo “bel” carnevale. (A. Novi)

Mascherine
Bentornate, mascherine,
nell’allegro girotondo!
Arlecchini e Colombine
in un palpito giocondo.
Trallalera, trallalà.
Ogni lieto scherzo vale:
benvenuto carnevale
che vi porta tutte qua.
C’è bisogno d’un sorriso
dopo tante tante pene,
che c’illumini un po’ il viso.
Vi vogliamo tanto bene. (Zietta Liù)

Carnevale
Che fracasso!
Che sconquasso!
Che schiamazzo!
E’ arrivato carnevale
buffo e pazzo,
con le belle mascherine,
che con fischi, frizzi e lazzi,
con schiamazzi,
con sollazzi,
con svolazzi di sottane
e di vecchie palandrane,
fanno tutti divertire.
Viva viva carnevale,
che fischiando,
saltellando,
tintinnando,
viene innanzi e non fa male,
con i sacchi pieni zeppi
di coriandoli e confetti,
di burlette e di sberleffi,
di dispetti,
di vestiti a fogge strane,
di lucenti durlindane,
di suonate,
di ballate,
di graziose cavatine,
di trovate birichine!
Viva viva carnevale,
con le belle mascherine! (M. Giusti)

Stornellate di carnevale
Fior di melone!
Giochiamo e divertiamoci ben bene:
è carnevale! Evviva Pantalone!
Fior di mortella!
A carnevale tutto il mondo balla;
la maschera più gaia è Pulcinella!
Fior di cedrina!
Anche Rosaura danza la furlana,
con Florindo e la vispa Colombina!
Fiore di grano!
Arrivano Tartaglia e Rugantino;
facciamo girotondo: qua la mano!
Fiore di spino!
Ogni viso sia lieto e il cor sereno.
Viva, viva, Brighella ed Arlecchino! (V. Masselli)

Carnevale
E’ tornato carnevale.
Quante belle mascherine
per per strade e per le sale!
Son tesori di damine
in merletti e crinoline,
con la cipria sui musetti.
Castellane e gnomettini,
pellirosse e gnomettini,
che si scambiano gli inchini:
“Colombina, i miei rispetti”
“Un saluto ad Arlecchino!”
“Ciao, Brighella!”
“Pierottino, vuoi confetti?”
“Mi regali una ciambella?”
Ora fanno un girettino
per le strade, per le sale
per mostrare il costumino,
dell’allegro carnevale.
Poi la sera stanche, alfine,
delle chicche e dei balletti,
tutte a nanna, mascherine,
a sognare gli angioletti. (V. S. Pagani)

Carnevale
Mascherine, mascherine,
per i bimbi e le bambine
son venute da lontano,
nel costume antico e strano
Pulcinella ed Arlecchino,
Pantalone e Colombina
facce buffe, occhio ridente,
saltan tutte lietamente
tra i bambini e le bambine,
benvenute mascherine! (G. Vaj Pedotti)

Carnevale
Chiuso nel suo cappottino,
sta nella terra il semino
sogna le cose più belle:
sono dei fiori o son stelle?
Fuori c’è un mare di gelo,
vento tra i rami del melo
cime coperte di neve,
che scende placida e lieve
ad un tratto il silenzio si rompe:
tra rumori e squilli di trombe
mille canti si sentono fuori,
nelle strade frastuoni e colori
mascherine allegre cantate,
che l’inverno ha le ore contate
ricordate voi tutte al semino,
che il suo sogno è davvero vicino.

La canzone delle mascherine
Un saluto a tutti voi:
dite un po’: chi siamo noi?
ci guardate e poi ridete?
Oh, mai più ci conoscete!
Noi scherziam senza far male.
Viva, viva il Carnevale!
Siamo vispe mascherine,
Arlecchini e Colombine,
diavolini,
follettini,
marinari,
bei ciociari,
comarelle,
vecchiarelle:
noi scherziam senza far male.
Viva, viva il Carnevale!
Vi doniamo un bel confetto,
uno scherzo, un sorrisetto:
poi balliamo,
poi scappiamo.
Voi chiedete:
“Ma chi siete?”
Su, pensate,
indovinate.
Siamo vispe mascherine,
Arlecchini e Colombine,
diavolini,
follettini,
marinari,
bei ciociari,
comarelle,
vecchiarelle:
noi scherziam senza far male.
Viva, viva il Carnevale! (A. Cuman Pertile)

Viva carnevale
La stagion di carnovale
tutto il mondo fa cambiar.
Chi sta bene e chi sta male
carneval fa rallegrar.
Chi ha denari, se li spende;
chi non ne ha, ne vuol trovar;
e s’impegna, e poi si vende
per andarsi a sollazzar.
Qua la moglie e là il marito,
ognun va dove gli par;
ognun corre a qualche invito
chi, a giocar e chi a ballar.
Par che ognun di carnovale,
a suo modo possa far,
par che ora non sia male
anche pazzo diventar.
Viva dunque il carnovale,
che diletti ci suol dar.
Carneval che tanto vale,
che fa i cuori giubilar. (C. Goldoni)

Mascherine
Ecco qui le mascherine
tutte vispe tutte belle
mascherine pazzerelle
che vorrebbero danzar.
Io vo’ fare un bell’inchino
un bacetto io vo’ mandar.
Una gaia piroetta
con bel garbo io voglio far.
Ecco qui un girotondo
pieno di grazia e di allegria
che saluta tutto il mondo
prima ancor di andare via.
L’allegria non fa mai male,
viva viva il carnevale!

 Pulcinella

Sono una maschera sempre affamata,
biancovestita e mascherata.
Mia patria è Napoli, dove perfetti
nascono i piatti degli spaghetti.
Son della terra delle canzoni;
son del paese dei maccheroni.
Son specialista in bastonate:
quante ne ho prese, tante ne ho date.

Rugantino

Sono la maschera più brontolona,
anche se arguta, semplice e buona.
Se ti facessero ‘na prepotenza,
chiamami subito: corro d’urgenza!
Faccio una strage, faccio macelli,
specie col vino de li Castelli!
Se dopo tutto vengo alle mani
c’è poco da rugà, semo romani.

Meneghino

Sono una maschera innamorata
della città che m’ha creata.
Porto nel cuore la Madunina
e canto sempre ogni mattina,
col panettone in una man,
ch’ el me’ Milan, l’è un gran Milan.
Contro i ribaldi e gli oppressori
in ogni tempo feci fuori.

Balanzone

Sono una maschera dotta e sapiente:
chiacchiero molto, concludo niente.
Son di Bologna un gran dottore:
mi sottopongono ogni malore
ed io con l’abile mia parlantina
sputo sentenze di medicina.
Curo il malato col latinorum
per omnia saecula saeculorum.

Carnevale viene

Viva viva Carnevale
che fischiando
saltellando
tintinnando
viene avanti e non fa male,
con i sacchi pien di zeppi
di coriandoli e confetti,
di burlette e di sberleffi,
di dispetti,
di vestiti a fogge strane,
di lucenti durlindane,
di suonate,
di ballate;
di graziose cavatine,
di trovate birichine.
Viva viva Carnevale
con le belle mascherine. (M. Giusti)

A carnevale ogni scherzo vale

Pensato han tutti e due che in Carnevale
ogni burletta vale.
E per fare una bella mascherata,
la camera dei nonni han saccheggiata.
Lui s’è pigliato il panama, il bastone,
un solenne giubbone;
ed una grossa pipa con la canna,
certamente più lunga di una spanna.
Lei s’è messa una gran cuffia trinata,
la vestaglia fiorata.
Ha preso un ombrellino del Giappone
e con gli occhiali legge un giornalone.
Così a braccetto, come due sposini,
vanno a far chiasso in casa dei cugini,
perchè ogni burla vale
nella lieta stagion del Carnevale.

Il gioco dei se

Se comandasse Arlecchino
il cielo sai come lo vuole?
A toppe di cento colori
cucite con un raggio di sole.
Se Gianduia diventasse
ministro dello stato
farebbe le case di zucchero
con le porte di cioccolato.
Se comandasse Pulcinella
la legge sarebbe questa:
a chi ha brutti pensieri
sia data una nuova testa. (G. Rodari)

Ecco le maschere

Io sono fiorentino
vivace e birichino;
mi chiamo Stenterello
l’allegro menestrello.
Cantando stornellate,
fo’ far mille risate.
Ed ecco qua Brighella,
la più brillante stella
del gaio Carnevale,
quando ogni scherzo vale…
Arrivo io ballando,
scherzando e poi saltando.
Mi chiamo Arlecchino
e sono il più carino.
Mi chiamo Pantalone,
il vecchio brontolone;
ma in tutto onor vi dico:
“Io sono vostro amico”.
Ed io son Pulcinella
la maschera più bella.
Oh oh, che ballerino
somiglio ad un frullino. (S. Antonelli)

 Burattinaio al lavoro

Da paese a paese egli cammina
portando la baracca sulle spalle
da paese a paese, dalla valle alla collina.
E quando incontra un piccolo villaggio
egli si ferma per quei tre marmocchi
chiama Arlecchino che straluni gli occhi per suo vantaggio
chiama la reginetta e il suo bel paggio
che si facciano ancor qualche moina
e Brighella cuor d’oro e Colombina rosa di maggio;
e raccattato qualche buon soldino
dal capannel che un poco si dirada,
egli continua sull’aperta strada il suo cammino. (M. Moretti)

Il vestito di Arlecchino

Stan le allegre mascherine
strette intorno alla lor mamma
ch’è davvero molto stanca:
da più giorni taglia e cuce
cuce e taglia senza posa
variopinti costumini
per Gianduia e Meneghino
Pulcinella e Pantalone
Stenterello e Rugantino
ma pel povero Arlecchino
nulla ancora ha preparato…
E’ domani Carnevale
tutte insiem le mascherine
dovran vispe folleggiare;
e lei, povera mammina,
cerca e fruga dappertutto
fruga e cerca sempre invano.
Cassettoni ha ribaltato
armadietti e cassapanche,
neppur l’ombra di una pezza
per il povero Arlecchino
le riesce di trovare…
Ma un’idea meravigliosa
le balena all’improvviso:
coi ritagli avanzati
degli altri vestitini
tutto a scacchi un abituccio
potrà ancora preparare.
Mezzanotte è già suonata,
ma felice veglia ancora
quella mamma industriosa,
chè il più allegro dei vestiti
Arlecchin potrà indossare! (G. Martinelli)

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Ebook CARNEVALE – Materiale didattico per il Carnevale

Free ebook CARNEVALE – Spunti e materiale didattico vario (letture, dettati, schede da colorare, poesie e filastrocche, recite, cenni storici sul Carnevale e sulle maschere, le maschere tradizionali italiane e la commedia dell’arte, e altro ancora) per il periodo di Carnevale. Il materiale è particolarmente adatto alla scuola primaria; qui in formato ebook da scaricare, stampare, condividere.
Trovi tutto il materiale pubblicato sul Carnevale anche  qui.

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CANTO PER CARNEVALE – Il ballo dei burattini

CANTO PER CARNEVALE – Il ballo dei burattini con testo, spartito stampabile gratuitamente e file mp3

CANTO PER CARNEVALE – Il ballo dei burattini  – Testo:
Nella cesta dormono i vecchi burattini
ma un bel dì si svegliano più vispi e birichini
Su, coraggio, miei signor, non si deve più dormir
ci vogliamo divertir, la la la la la la la.
Tutto il giorno ballano Brighella ed Arlecchino
con Gioppino cantano Gianduia e Meneghino
Su, coraggio, miei signor, non si deve più dormir
ci vogliamo divertir, la la la la la la la.
Quando già si spengono le luci della festa
molti ancor non vogliono tornare nella cesta
Su, coraggio, miei signor, non si deve più dormir
ci vogliamo divertir, la la la la la la la.

CANTO PER CARNEVALE – Il ballo dei burattini  – Spartito stampabile e file mp3

Maschere da colorare di Carnevale – schede e free ebook

Maschere da colorare di Carnevale – schede e free ebook – schede delle principali maschere tradizionali italiane, con descrizione e disegno da colorare, in formato ebook e in formato pdf, pronte per il download gratuito e la stampa.

 Questo è il contenuto delle schede:

qui le schede in formato ebook:

Altro materiale sulle maschere tradizionali italiane

IL CARNEVALE materiale didattico
In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua…

Il Piemonte ha Gianduia, montanaro dalle scarpe grosse e dal cervello fino.
Meneghino, milanese, è un golosone impertinente, ma anche cordiale, sincero, generoso.
A Bergamo c’è Gioppino, sornione e trasognato, almeno in apparenza, perchè, se qualcosa non gli va, eccolo a roteare il suo bastone e a distribuire sonanti cariche di legnate.
Arlecchino ha un abito fatto di pezze di tutti i colori, cento ritagli di stoffa offertigli dagli amici per potersi confezionare un indumento che non possedeva.
Pantalone è di Venezia. Vestito di rosso, col mantello nero, secondo la tradizione è piuttosto avaro ma, come capita spesso agli avari, è a lui che si estorcono i denari per pagare i debiti agli altri.
Talvolta gli si accompagna Colombina, maliziosa e pettegola, che fa il paio con la sua amica
Rasaura, anch’essa di lingua lesta e di movenze aggraziate e civettuole.
Compagno inseparabile di Rosaura è Florindo, azzimato e lezioso.
Bologna la dotta ha per esponente Balanzone, sputasentenze, spaccone e bonario, sempre pronto a distribuire purganti e pillole.
Stenterello è fiorentino: arguto e di lingua appuntita, non risparmia motti da levare il pelo, così come è in uso tra gli abitanti della sua città.
Roma ha Rugantino, anche lui spaccone, ma di cuor d’oro.
Pulcinella è la maschera tipica di Napoli; vestito di un bianco camicione, ha una maschera nera con un grosso naso caratteristico. E’ buffo, sornione, arguto e… scroccone.
Reggio ha Fagiolino, Modena Sandron, Verona Facanapa …
… e si può dire che ogni regione ha la sua maschera, sempre allegra, ridaciana e arguta. Ogni maschera usa il dialetto caratteristico della città in cui vive e rappresenta un personaggio che riassume in sè i vizi e le virtù dei suoi cittadini.
… continua qui:

Il Carnevale: materiale didattico

Il Carnevale: materiale didattico – In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua… 

Il Piemonte ha Gianduia, montanaro dalle scarpe grosse e dal cervello fino.
Meneghino, milanese, è un golosone impertinente, ma anche cordiale, sincero, generoso.
A Bergamo c’è Gioppino, sornione e trasognato, almeno in apparenza, perchè, se qualcosa non gli va, eccolo a roteare il suo bastone e a distribuire sonanti cariche di legnate.
Arlecchino ha un abito fatto di pezze di tutti i colori, cento ritagli di stoffa offertigli dagli amici per potersi confezionare un indumento che non possedeva.
Pantalone è di Venezia. Vestito di rosso, col mantello nero, secondo la tradizione è piuttosto avaro ma, come capita spesso agli avari, è a lui che si estorcono i denari per pagare i debiti agli altri.
Talvolta gli si accompagna Colombina, maliziosa e pettegola, che fa il paio con la sua amica Rasaura, anch’essa di lingua lesta e di movenze aggraziate e civettuole.
Compagno inseparabile di Rosaura è Florindo, assimato e lezioso.
Bologna la dotta ha per esponente Balanzone, sputasentenze, spaccone e bonario, sempre pronto a distribuire purganti e pillole.
Stenterello è fiorentino: arguto e di lingua appuntita, non risparmia motti da levare il pelo, così come è in uso tra gli abitanti della sua città.
Roma ha Rugantino, anche lui spaccone, ma di cuor d’oro.
Pulcinella è la maschera tipica di Napoli; vestito di un bianco camicione, ha una  maschera nera con un grosso naso caratteristico. E’ buffo, sornione, arguto e… scroccone.
Reggio ha Fagiolino, Modena Sandron, Verona Facanapa …

… e si può dire che ogni regione ha la sua maschera, sempre allegra, ridaciana e arguta. Ogni maschera usa il dialetto caratteristico della città in cui vive e rappresenta un personaggio che riassume in sè i vizi e le virtù dei suoi cittadini.

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Questo è il contenuto

Piccola storia delle maschere

Furono i Greci a introdurre nel teatro il modo di camuffarsi e l’uso delle maschere così uno stesso attore poteva sostenere più ruoli, ampliare per mezzo della maschera stessa la propria voce, sottolinare i lineamenti del volto che dovevano esprimere o ira, o gioia… Giunsero in Italia attraverso i teatri della Magna Grecia e poi per tutta la penisola. Lorenzo il Magnifico, nella seconda metà del 400, incoraggiò le pompe carnevalesche e le sere meravigliose e  importanti. Verso la fine del XVI secolo nasce la Commedia dell’Arte e le maschere italiane diventano popolari in tutta Europa.

Arlecchino

Arlecchino è una maschera dal costume fatto di stracci di tutti i colori. Sua città d’origine è Bergamo. Arlecchino rappresentò i bergamaschi in un primo momento, poi divenne una maschera popolare e anche il suo costume cambiò. Prima era servo, poi  diventò un poltrone e un imbroglione, desideroso solo di mangiare. Il più importante autore di commedie che hanno per protagonista questa maschera fu Goldoni.

Arlecchino si presenta
Vi saluto, piccoli amici. Allegria! E’ Carnevale! Come, non mi riconoscete? Non vedete il mio vestito di pezze multicolori, la mia barbetta nera, la spada di legno, la scarsella sempre vuota appesa alla cintura?
Sono Arlecchino Batocio, nato a Bergamo più di quattrocento anni fa: la più bizzarra, la più originale di tutte le maschere del mondo! Sono agile come una cavalletta, coraggioso come un coniglio grigio, goloso come quel biondino seduto nell’ultimo banco. Se qualcuno mi dà noia, guai a lui! Mi accendo di rabbia come un fiammifero svedese e lo bastono di santa ragione. Non importa se poi, le prendo sonore anch’io: il mio destino è questo ormai: bastonare e essere bastonato. Tanto c’è chi mi consola: la mia dolce e buona Colombina.
(G. Kierek e D. Duranti)

Arlecchino
Da dove viene? Da Bergamo. Intendiamoci bene: non è che a Bergamo sia nato un omettino come lui, con quel testone fuligginoso e tondo e quelle setole di sopracciglia sopra due buchetti lucidi e neri, che gli fan da occhi; nè a Bergamo usarono mai vestiti come quello che egli indossa, tutto quadrettini rossi, bianchi, gialli, turchini. Ma dal buonumore bergamasco fu donato al teatro questo buffissimo tipo di servo, di facchino, di vagabondo che tutti i paesi del mondo hanno amato e festeggiato. In fondo è un gran bonaccione, anche quando vuole imbrogliare, l’imbrogliato è sempre lui. Colpa della sua ignoranza non dovuta, ohimè, a negligenza personale, ma al fatto che, mentre andava a scuola, una vacca gli ha mangiato i libri. (R. Simoni)

Pulcinella
Figura goffa e buffa; gran nasone, mascherina nera, una bobba, un cappello a punta, un camiciotto bianco, oppure un grembiule giallo e rosso stretto alla vita, un par di braconi pure gialli, un mantelletto sulle spalle, giallo orlato di verde, collaretto e calze bianche, scarpe gialle con nastri rossi: un pappagallo tale e quale! Ma quante risate matte ha fatto fare questa maschera partenopea nota in tutto il mondo. (A. Gabrielli)

Arlecchino
Arlecchino è bergamasco; viene dalle vallate che circondano Bergamo. Magro, con una curiosa pancetta sporgente, lesto di gambe e pronto di lingua, è chiacchierone, mettimale e mettibene, a seconda delle circostanze, e, quando fiuta odor di vivanda nessuno lo tiene più: Arlecchino ha sempre una fame da lupo.

Il dottor Balanzone
E’ una maschera che parla molto; è la maschera che parla più di tutte. Bolognese, il Dottor Balanzone espone con sussiego le sue idee e i suoi consigli, ricorrendo a un diluvio di parole, infarcite di sentenze latine, di detti sgangherati nella grammatica e nella sintassi, ma risonanti, pomposi, imponenti, tali da far restare a bocca aperta. Procede imperterrito nei suoi discorsi senza spaventarsi delle colossali buaggini che gli escono dalle labbra. Veste una casacca nera e lucida, guarnita di un bianco collare. In testa un feltro a larghe tese, nero. Alla cintura un pugnale o un fazzoletto, e sottobraccio un librone. Calzoni corti, calze nere, scarpette con fibbia e gli occhi inquadrati in una mascherina nera.

Pantalone
Veste rossa come il fuoco, ornata di una cintura che regge la borsa dei quattrini, (magari vuota) calzoni dello stesso colore, calze nere, scarpette dalla punta all’insù; naso lungo e adunco, baffi a mezzaluna, con le punte diritte fino agli occhi: ecco Pantalone, la più assennata delle maschere. Il mantello nero, che si mette sulle spalle, aggiunge dignità alla sua gobba figura. La maschera di Pantalone fa ridere proprio per la sua serietà, con la sua imponenza.

Pulcinella
Cappello a cono, come il latte, casacca, calzoni che pendono molli e flosci, muso nero e, nel mezzo, un naso adunco: ecco Pulcinella, buffonesco e allegro, affamato e mangiatore come Arlecchino, agile nei salti e nelle capriole. (E. Possenti)

Le maschere
Siamo in Carnevale. Per le strade si vedono girare le maschere. Come sono buffe! Chi le riconosce sotto quel pezzetto di stoffa che nasconde il viso facendo brillare solo gli occhi? Nessuno. Se parlassero senza cambiare voce, allora sì che verrebbero riconosciute! (G. Bitelli)

Pantalone
Celebre maschera veneta. Il suo vestito è ben conosciuto: giubbetto rosso stretto alla cintura, calzoni e calze attillate, uno zimarrone nero sulle spalle, scarpettine gialle con la punta all’insù. In capo uno zucchetto a corno, come quello dei dogi, e sul viso una mascherina nera che lascia ben esposto il nasone adunco. Ricco mercante e avaro. Ma quante volte le vicende della vita lo costringono al allentare le corde della borsa, dalla quale cadono sonanti monete d’oro! Mai più numerose, tuttavia, delle lacrime e dei lamenti che le accompagnano. Arlecchino, trapiantato a Venezia, è suo non sempre fedelissimo servitore. (A. Gabrielli)

Arlecchino

E’ la più famosa ed internazionale delle maschere. Pare che Arlecchino sia nato nel 1572 e che il creatore di questa maschera sia stato un certo Alberto Ganassa da Bergamo, il quale si attribuì il nome di Arlechin Ganassa. La sua patria è dunque Bergamo, anche se generalmente, lo si sente parlare il dialetto veneziano; ma questo si spiega col fatto che Bergamo, a quel tempo, era un dominio veneto.

Fu chiamato anche Arlechin Batocio, dal bastone (batocchio) che porta alla cintola e che usa spesso per far intendere le proprie ragioni a quanti vengono in baruffa con lui.

Arlecchino interpreta la parte del servitore astuto, ficcanaso e attaccabrighe; passa in un momento dal pianto al riso, per tutte le occasioni ha pronta una battuta burlesca; è scansafatiche, ingordo e goloso. Nelle varie città e regioni d’Italia Arlecchino mutò d’abito e di nome. Ed ecco così apparire la pittoresca schiera formata da Truffaldino, Mezzettino, Tortellino, Fagottino, ecc…

Pulcinella
E’ l’Arlecchino di Napoli ed è ancor oggi una maschera “viva” per opera di alcuni autori contemporanei di commedie in dialetto napoletano. Ha un carattere più bonario, rassegnato e meditabondo dell’Arlecchino bergamasco.

Storia di Gianduia
Gianduia doveva personificare il Piemontese furbo, coraggioso, pratico, disposto magari a fare il “finto tonto” per raggiungere i propri fini.
In quegli anni, in cui incominciavano le prime idee di Unità e di risorgimento, Gianduia venne a simboleggiare, in un certo modo, il Piemonte, che si era messo coraggiosamente alla testa della rinascita nazionale. “E’ una maschera libera, democratica”, scrive un suo biografo dell’Ottocento. “Non conosce padroni, parla francamente e schietto anche al suo Re. E’ la sola maschera italiana ad avere un carattere politico, e la rappresentazione di un popolo.”
Il popolo infatti lo aveva soprannominato ” ‘l citt ciaciarett” (il piccolo pettegolo), perchè Gianduia si era improvvisato, sul palcoscenico, il temerario portavoce delle sue proteste e delle sue lagnanze: era l’avvocato volontario del popolo piemontese.

Passa Gianduia
Il corteo delle maschere passa allegramente con un frastuono assordante tra una ressa soffocante di uomini, donne, bambini. Tutti corrono a gara a vedere; s’alzano sulla punta dei piedi o s’aggrappano ai pilastri e i bimbi strillano, perchè vogliono essere sollevati in braccio. Il cocchio di Gianduia scompare a poco a poco tra le case… (L. Aimonetto)

Meneghino
Come tutte le maschere, Meneghino è un “carattere” nato per simboleggiare i vizi e le virtù dell’umanità. Nelle intenzioni di Carlo Maria Maggi, che ben a ragione si può considerare il padre della popolare maschera, Meneghino doveva rispecchiare le qualità dell’infaticabile e generoso popolo milanese, e mostrarsi furbo e galantuomo insieme, talvolta padrone, talvolta umile servo che non mancava di levare la sua critica mordace contro l’egoismo e la vanità di certa aristocrazia.
E proprio per ricordargli questo suo compito di “strigliatore”, il Maggi volle dare a Meneghino il cognome di Pecenna (parrucchiere).
Sul perchè poi del nome Meneghino i pareri sono discordi. Potrebbe infatti il nome significare “piccolo uomo” (omeneghino), o più propriamente “piccolo Domenico”, riferendosi all’antica consuetudine secondo la quale, in ogni giorno di domenica, alcuni uomini del popolo erano chiamati a prestare servizio di tuttofare nelle case dei ricchi signori.
Il nostro Meneghino, nato sulla fine del Seicento, calcò le scene per circa due secoli acquistando, or nelle vesti di servo, or in quelle di padrone, ora col sussiego del diplomatico, ora con la rudezza del contadino, una sempre maggior fortuna, dovuta in gran parte alla bravura degli attori che lo seppero interpretare.
Celebri fra questi furono, nella prima metà dell’Ottocento, Gaetano Piomarta e Giuseppe Monclavo. Con quest’ultimo divenne decisamente spregiatore degli Austriaci che ancora dominavano in Lombardia.
Sulla fine dell’Ottocento la fortuna di Meneghino cominciò a declinare, vuoi perchè mancarono altri ottimi interpreti, vuoi perchè i tempi ormai andavano relegando le maschere nel teatro delle marionette.
Anche il costume di Meneghino subì variazioni: in origine era simplicemente vestito d’una veste bianca, lunga fino al ginocchio, trattenuta in vita da una cintura, ed era calzato di calze verdi e di ruvidi zoccoli; in seguito acquistò un aspetto settecentesco, con parrucca e tricorno marrone, con veste pure marrone, con codino fasciato di rosso, con calzoni corti e calze a righe.
Così lo si può vedere ancora sui carri carnevaleschi.
E’ una maschera muta ormai, perchè le folle ora non hanno più tempo di ascoltare le maschere; ma il suo sorriso sembra ancora ammonirci:
“Tegni sempre st’usanza: fè ‘l fatt vost con crianza”.

Storia della maschere dall’antico Egitto alla Commedia dell’Arte

Il nome di Carnevale è stato dato al periodo che va dal 26 dicembre al giorno precedente le Ceneri in tempi abbastanza recenti: forse soltanto nei secoli XV e XVi, quando divennero celebri i Carnasciali,  fiorentini, organizzati dagli stessi Medici, e specialmente da Lorenzo il Magnifico.
Da Carnasciale, appunto, venne il nome di Carnevale, che indicò non soltanto un periodo dell’anno, ma anche tutte le manifestazioni festose e mascherate che avevano luogo in quel periodo particolare.
Ma in ogni tempo, e presso tutti i popoli, si sono avuti periodi di feste alle quali prendevano parte principi e popolo e che possiamo considerare come il moderno Carnevale.

Nell’antico Egitto
Gli antichi Egizi adoravano molti dei, ma la sola dea adorata in tutto il Paese era Iside, invocata come maga nelle malattie e considerata la benefattrice dell’Egitto, perchè le sue lacrime producevano le benefiche inondazioni del Nilo.
Ebbene, in suo onore, una volta all’anno, si faceva una grande processione, alla quale partecipava tutta la popolazione.
La dea si presentava travestita da orsa, per simboleggiare la costellazione dell’Orsa Maggiore. Era seguita da un corteo di sacerdoti, tutti mascherati, i quali simboleggiavano fatti notevoli e, specialmente, le quattro stagioni. Un sacerdote mascherato da sparviero rappresentava l’inverno, un altro mascherato da leone raffigurava l’estate, un terzo mascherato da toro simboleggiava la primavera, mentre il sacerdote mascherato da lupo era l’autunno. Seguivano popolani e popolane mascherati a piacimento, danzanti e cantanti.
Si tratta, insomma, del primo corteo mascherato del quale si hanno notizie storiche abbastanza precise.

Nell’antica Grecia
I Greci ebbero un loro particolare periodo che possiamo dire carnevalesco: quello delle feste in onore di Dioniso e di Bacco, dette “Feste dionisiache” e “Baccanali”.
Si trattava addirittura di quattro feste, celebrate in marzo-aprile; le più celebri e le più lunghe erano le “Grandi feste dionisiache”:  si facevano solenni sacrifici al dio, vi erano processioni, gare, rappresentazioni, drammi in cui apparivano personaggi mascherati. E naturalmente, poichè Bacco è il dio del vino, si beveva molto…

Nell’antica Roma
In Roma il periodo che possiamo dire carnevalesco era quello dedicato alle feste in onore di Saturno, perciò dette “Saturnali”: avevano luogo dal 17 al 23 dicembre.
Saturno era considerato il dio dell’oro e del benessere agricolo e in onore suo era proibito lavorare durante i Saturnali; si facevano banchetti ai quali erano ammessi anche gli schiavi e ci si scambiavano doni, come facciamo noi nel periodo natalizio. Infine, erano ammessi anche i giochi d’azzardo, proibitissimi durante gli altri periodi dell’anno.
Erano giorni di baldoria, di scherzi, e spesso, poichè non mancava chi alzava troppo il gomito, finivano con risse e feriti.
Durante le feste dei Saturnali in Roma vi era l’abitudine anche di pagare gli avvocati. Gli avvocati meno celebri avevano la loro clientela di poveracci: gente disgraziata e biliosa i cui mezzi non corrispondevano al piacere di litigare. Era gente che pagava male l’avvocato, anzi spesso non lo pagava affatto, e si ricordava di lui soltanto durante i Saturnali. E l’avvocato che riceveva più doni si riteneva più grande e andava enumerando i doni ai conoscenti come prova della sua fama e dei suoi successi.
“I Saturnali hanno fatto ricco Sabello: con ragione egli va tronfio e pettoruto, e pensa e dice che tra gli avvocati non ce n’è uno cui le cose vadano bene come a lui…” dice Marziale, un poeta romano, e aggiunge anche la lista dei regali: mezzo moggio di farro e mezzo di fave, una libbra e mezzo di pepe e di incenso, una salsiccia e un  tocco di carne secca, una bottiglia di mosto cotto, un vaso di fichi in conserva, e bulbi, e chiocciole, e cacio; poi una cestella piena di olive…
Evidentemente, benchè tronfio e pettoruto, Sabello non era un avvocato pagato troppo bene.

I principi e il Carnevale
E’ noto che, specialmente durante il periodo medioevale e delle Signorie, anche i personaggi d’alto rango (re, principi e nobili) prendevano parte gioiosamente alle mascherate carnevalesche.
A Torino, dove si svolgevano tornei e cavalcate che riproducevano fatti storici, i principi di Savoia partecipavano al Carnevale seguiti da tutta la corte, con carri colmi di fiori.
A Venezia, dove il Carnevale era un richiamo per gli stranieri e si svolgeva principalmente lungo il Canal Grande, con gondole mascherate e illuminate, i Dogi, gli altri membri del Gran Consiglio e della Signoria e gli Ambasciatori, si univano al popolo festosamente.
A Firenze poi, esisteva l’antica usanza di far girare per la città, durante il Carnevale, dei carri decorati e scortati da uomini in maschera, che cantavano canzoni composte per la circostanza. Lorenzo il Magnifico seppe vedere in questo genere di spettacolo un mezzo straordinario per divertire i fiorentini e attirarne le simpatie, e lo circondò abilmente di pompa inusitata. Così, attraverso la città, passavano carri con strane mascherate di una variopinta folla di fornai, di mercanti, di spazzacamini, e d’ogni categoria d’artigiani, ma anche carri in cui si rappresentavano le virtù, i diavoli, gli angeli, i trionfi della dea Minerva, della Gloria, della Fama, della Frode, della Calunnia, ecc…
Alcune canzoni carnescialesche, le più belle, furono proprio composte dallo stesso Lorenzo e dai poeti della sua corte.
Anche all’estero il Carnevale era divertimento tanto del popolo quanto dei regnanti. E’ infatti rimasta celebre una mascherata di stregoni diretta personalmente da Enrico IV re di Francia. A un re, Carlo IV, in uno dei tanti balli mascherati venuti di moda alla sua corte, capitò quasi di bruciare vivo. Si era camuffato da satiro, imbrattandosi tutto il corpo di pece e rotolandosi poi fra piume di uccelli; non si sa bene come la pece però prese fuoco e il re fu salvato appena appena…

La Commedia dell’Arte
Pantalone, Arlecchino, Balanzone, il Capitano e così via furono in origine i personaggi della Commedia dell’Arte, nata in Italia nel ‘500 e diffusa poi trionfalmente in tutta Europa nei due secoli che seguirono. Commedia dell’Arte significa in sostanza “commedia dell’abilità” o “di mestiere” in quanto si affdava non ai testi, sommari o inesistenti, ma per l’appunto all’abilità degli attori, che sulla scena improvvisavano situazioni e battute.
Tale abilità era a volte straordinaria: quando agivano le migliori compagnie, la Commedia dell’Arte diventava un’entusiasmante girandola di gag, una sorta di “fumetto animato” pieno di meraviglia e di sorprese, in cui la splendida libertà delle improvvisazioni si univa ad un meccanismo infallibile e preciso.
La “maschera” è una “faccia tinta”, tragica o buffa, che indossata da una persona in aggiunta di solito a un particolare costume, vale a creare un “tipo”: il servitore furbo e famelico, il dottore pedante, il soldataccio spaccone, e così via; così che la parola “maschera” non indica più soltanto la testa o la faccia di cartapesta, ma proprio quel tipo che è identificato da “quella” maschera, e che presto assume un nome (Arlecchino, Pantalone, e così via), nome che gli resterà anche se, per caso, trascuri di mettersi sulla faccia la faccia finta, e la sostituisca per esempio col trucco, o anche soltanto col costume.
Molte maschere che conosciamo nacquero come personaggi della Commedia dell’Arte. I primi, i più antichi di questi personaggi, furono il Padrone e il Servo.
Tra i vari tipi di Padroni delle antiche farse, si affermò quello di un anziano e ricco cittadino di Venezia, avaro e burbero: prima si chiamava Magnifico, con allusione all’altezza della sua condizione sociale, e poi Pantalone.
C’è anche un altro tipo di Padrone, il Dottore pedante e sputansentenze, che prende prima il nome di Graziano, e poi di Balanzone: è di Bologna, laureato alla famosa università.
Il Servo proviene invece dalle valli bergamasche; veste un camiciotto bianco di fatica e si chiama dapprima Zanni (Giovanni), finchè un ignoto comico non ha l’idea di rappezzarne l’abito con toppe variopinte, e nasce Arlecchino.
Un altro Zanni si chiamerà Brighella, che è, almeno all’inizio, un tipo da prendersi davvero con le molle.
Un altro “tipo” antichissimo è il soldato spaccone, che rinasce anche lui come “maschera” e si chiamerà Capitan Fracassa, o Matamoro, o Rodomonte, o Sbranaleoni, o così via spaventando.
Vi sono poi gli Innamorati, di cui gli ultimi e più noti sono Rosaura e Florindo, e le Servette come Corallina e Colombina.
Tante altre maschere agiscono in quelle farse, come il gran Pulcinella, nato a Napoli tra il popolo, o il suo compatriota Coviello, o Scaramuccia, a volte capitano a volte servo, o Scapino, parente stretto di Brighella, o Giangurgolo calabrese.
Conclusa la Commedia dell’Arte, nelle varie regioni d’Italia si affermarono altri tipi e caratteri, che divennero maschere anch’essi; come Gianduia in Piemonte, Meneghino a Milano, Stenterello in Toscana, Gioppino a Bergamo e Sandrone a Modena, e a Roma Meo Patacca e Rugantino… non si finirebbe più.

Portavano la maschera ma non era Carnevale
Immaginiamoci di trovarci nella Venezia del ‘700. Che curiosa e bella città! Ecco le sue tortuose viuzze (le calli), e le piazzetti (i campi) ornate al centro da un pozzo di pietra. Percorriamo una fondamenta, lo stretto marciapiede che costeggia i canali che attraversano in ogni senso la città; ci viene incontro un vecchietto ricurvo; passandoci accanto solleva il capo per salutarci, secondo la consueta cortesia dei veneziani; lo guardiamo e la nostra risposta ci muore sulle labbra… il volto di quel vecchietto è mascherato!
Affrettiamo il passo e andiamo oltre. Ecco uscire da un uscio una giovane servetta, che va a fare la spesa; canta nel suo bel dialetto… ed è mascherata.
Ecco un mercante; è mascherato anche lui; ecco una mamma col bambino in braccio: anch’essa porta una mascherina nera. Ora incrociamo un gruppo di giovanotti che parlano e ridono fra loro: portano tutti la maschera. Ah, ma allora abbiamo capito! Però, persino questo mendicante che tende la mano, porta la maschera! Incontriamo una lettiga, portata a braccia da due servitori: il viaggiatore scosta la tendina e sporge il viso che (ormai non ci stupisce più) è mascherato. Passa una gondola: la dama che la occupa porta anch’ella la sua brava mascherina.
Non c’è dubbio: è tutta questione di calendario. Ci avviciniamo a un popolano: “Scusi…”
“Comandi, paron” ci risponde, guardandoci, naturalmente, attraverso le fessure di una maschera.
“Scusi, siamo di Carnevale?”
Nossignori: non eravamo affatto di Carnevale. A Venezia in quel tempo la maschera la portavano tutti, e tutti i giorni dell’anno. Inutile domandarsi perchè: era la moda.
Oggi la parola maschera ci richiama alla mente soltanto la festa di carnevale. In altri tempi, e ancora oggi presso altri popoli, le maschere hanno invece avuto un’importanza e un significato ben diversi; ne abbiamo visto un esempio.

Il carnevale

Scommettiamo… scommettiamo che non sapete che, secondo una certa tradizione, Carnevale comincia subito dopo le feste natalizie, e che la parola cernevale significa “carnem levare”, ossia togliere la carne? No? Allora due paroline di spiegazione me le permettete, vero? L’espressione letterale della parola si riferisce più esattamente al giorno delle Ceneri (cioè al primo giorno di quaresima) e all’intero periodo quaresimale. Per lungo tempo, nell’era cristiana, da questo giorno in poi ci si doveva astenere dal mangiare carne. Ma i bravi cittadini, per rifarsi della lunga astinenza che li aspettava, prima di togliere la carne dalla tavola, pensarono bene di abbandonarsi ai più pazzi divertimenti.
Oggi come oggi il carnevale nelle sue più evidenti manifestazioni corrisponde, pressapoco, a quella settimana che precede la quaresima. In teoria dovrebbe iniziare dopo Natale e terminare il primo giorno di quaresima. Vi piacerebbe, eh?
Allora dovreste riferirvi a Venezia… o meglio alla Venezia di alcuni secoli fa, dove il carnevale durava sei mesi e il giovedì grasso veniva solennizzato in gran pompa alla presenza del Doge con l’accensione dei fuochi artificiali in pieno giorno.
E già che ci siamo vogliamo vedere come era ed è festeggiato il carnevale in Italia e nel mondo?
Nei secoli passati il carnevale assunse al massimo splendore in parecchi luoghi, specialmente a Venezia, a Ivrea, a Nizza. In Firenze, col favore dei Medici, signori della città, i festeggiamenti si svolgevano in forma grandiosa, in mascherate su carri allegorici (i “trionfi”), accompagnate dai canti carnescialeschi. L’uso dei carri allegorici è rimasto poi in molte città italiane e straniere.
Nella Roma papale, i giorni destinati alle mascherate erano otto e il permesso di uscire per il corso era dato alle 13.00 dalle campane del Campidoglio. Nell’ultima notte di carnevale tutti i romani, principi e popolani, giocavano per la strada a “moccoletti”. Ciascuno aveva una candelina accesa, e tutti facevano a gara nel rubarsela di mano o nello spegnersela scambievolmente, motivo di riso e simbolo di uguaglianza, perchè la candelina (“moccoletto”) del principe, valeva quanto quella del popolano.
Com’è lontano da noi il magnifico carnevale di Velletri del 1546! Per festeggiarlo, ai rami di centinaia di alberi di un bosco furono appesi, alla portata di mano di chi voleva mangiarli, capponi, torte, focacce, galline, mentre quattro cannoni sparavano quattro diverse qualità di vino!
Ma se a Velletri si regalavano polli e capponi, a Venezia si scialava nello zucchero. Infatti, per mostrare al mondo stupito la sua potenza economica e la sua ricchezza, Venezia allestiva dei banchetti colossali con grande spreco di zucchero, prodotto allora rarissimo perchè importato dall’oriente. Per onorare Enrico III di Polonia, in un pranzo furono fatti di zucchero persino le tovaglie e i tovaglioli; l’ospite, che non ne sapeva nulla, rimase di stucco quando, prendendo il tovagliolo e spiegandolo sul petto, se lo trovò sbriciolato tra le mani.
E nelle altre nazioni?
Ovunque si trovano carri, danze, e pantagruelici pasti. A carnevale, nessuna distinzione di nazionalità. Anche oggi, più o meno, il carnevale viene festeggiato dappertutto con una sfilata di carri e qualche mascherata. Solo però in poche città, come Viareggio, Torino, Ivrea, rivive il vecchio carnevale. Sfilano carri tra musiche, canti e getti di coriandoli e fiori.
Getti di fiori! Ma se andate in Perù, in Bolivia, in Venezuela o in uno qualsiasi degli altri paesi sudamericani, attenti! Non di gettano fiori nè coriandoli, nè stelle filanti, ma palloncini di gomma pieni d’acqua, che vi colpiscono all’improvviso bagnandovi tutto! E non basta: lucido da scarpe, vernici, tinte, tutto è buono per quei pazzerelloni per cambiarvi il colore della pelle… e degli abiti.
Il carnevale ci mostra, mettendolo in caricatura, come sarebbe disordinato il mondo se ciascuno potesse fare ciò che gli passa per la mente senza pensare agli altri. Invece anche nel divertimento è importante la buona educazione.
In Calabria vi è l’uso di portare in giro, sulla groppa di un asino, chiunque nel giorno si carnevale venga sorpreso al lavoro. Ben venga, dunque, il carnevale: e impazziscano gli uomini per un giorno, purchè si ricordino di non esserlo troppo per gli altri 364!
(da “Il Vittorioso”)

Le origini del Carnevale

Il carnevale deriva, secondo alcuni studiosi, da antiche feste latine in cui, dopo un certo periodo di dissipatezze e di piaceri, veniva nesso a morte un fantoccio travestito da re, cosa che ancor oggi si fa in alcune città, specialmente in quel giorno di metà quaresima che è detto per lo più “Carnevalino” e che è come un ritorno di fiamma dell’autentico Carnevale.
Questo rito burlesco sta forse a significare la morte dell’inverno: di qui il tripudio di tutti e l’attesa della primavera, della sua gioia, dei suoi frutti. Il carnevale ha dunque un’origine agricola, contadina.

Sembra certo che nelle costumanze carnevalesche debbano riconoscersi quelle feste religiose da tutti i popoli celebrate nell’antichità con gran pompa al principio del nuovo anno per propiziarselo, o all’inizio della primavera per simboleggiare la rinascita della natura.

Ricordiamo le feste degli Egizi e dei Babilonesi, che nell’equinozio d’autunno onoravano i cherubs, buoi importati dai primi sacerdoti etiopi. Venuto il giorno stabilito, il bue, dipinto a festa, con le corna dorate e ricoperto di un ricco manto, era tratto dal sacro recinto e lo si conduceva per tutte le vie di Menfi. Un ragazzo gli stava sul dorso. Uomini e donne, vecchi, adulti, giovani, bambini, travestiti e mascherati, a piedi, a cavallo, lo seguivano canticchiando inni in sua lode; venivano poi le ragazze che lo avevano servito… insieme ai sacerdoti. Soldati e ufficiali facevano ala nelle vie, al suo passaggio. Dal momento in cui il bue usciva, incominciavano per tutto l’Egitto e l’Etiopia le feste, i godimenti pubblici, le mascherate. Queste duravano sette giorni, fino al sacrificio dell’animale…

Il Carnevale degli antichi Romani
Il giorno decimoquarto avanti le calende di gennaio o, per dirlo più alla buona, il 19 dicembre, era giorno di festa e di gazzarra per i discendenti di Romolo… Le vie erano affollate di gente ilare e gaudente, che riempiva il foro, i templi, le basiliche, le vie principali, i termopolii, le popine (taverne) e le più infime bettole, in preda alla più sfrenata allegria.
E questa bella allegria, che doveva durare per tre giorni, era fatta in onore del dio Saturno. La particolarità che distingueva questa festa dalle altre, quanto al rito, consisteva in questo: che i sacerdoti sacrificavano le vittime a capo scoperto, mentre per le altre divinità sacrificavano con la testa coperta.
Le feste di Saturno, o Saturnalia, erano aspettate con impazienza da tutti, ma specialmente dagli schiavi, che per tre giorni erano liberi dalle loro penose fatiche, e potevano fare quello che volevano…

Nasce la maschera
Il comico dell’arte (salvo rarissime eccezioni), per raggiungere l’eccellenza, rinunzia all’illusione di potersi rinnovare sera per sera; e decide una volta per sempre di limitarsi, in perpetuo, a una sola parte. Per tutta la vita e in tutte le commedie che reciterà, il comico dell’arte sarà un solo personaggio: sarà unicamente o Pantalone, o Arlecchino, Rosaura o Colombina. Persino il suo nome si confonderà con quello della sua maschera, sicchè a un certo punto non si saprà più quale sia il vero e quale il fittizio. Alle volte come nel caso della Andreini, il personaggio che ella incarna, la maschera che ella crea, prende il nome di battesimo dell’attrice, della donna, Isabella. Molto più spesso sarà il nome della maschera che farà sparire quella dell’attore: sicchè, all’arrivo di Francesco Andreini a Parigi si dirà: “E’ arrivato Capitan Spaventa!”; alla morte di Domenico Biancolelli, correrà la notizia: “E’ morto Arlecchino.”.
Carnevale qui e lì per il mondo

Maschere per i vivi e per i morti (Messico)
La fabbricazione delle maschere rappresenta per i Messicani uno dei più curiosi aspetti del loro artigianato. Le maschere vengono fabbricate con vari materiali: legno, stoffa, carta, cuoio, stagno e vengono dipinte o laccate nelle maniere più strane e divertenti che denotano una grande originalità di gusto e di talento. Le maschere, oltre che per i giorni di carnevale, servono anche per il giorno dei morti. In questo caso, sono di carattere macabro e, per mezzo di esse, gli abitanti sono convinti di poter comunicare con le anime dei defunti.

Si balla dappertutto (Guadalupa)
In occasione del carnevale, si balla ovunque: nelle campagne, si balla al suono di strumenti primitivi come scatole o bidoni pieni di sassi che vengono freneticamente agitati dai suonatori, mentre nelle città si balla il doudou al quale gli invitati intervengono mascherati o vestiti con le acconciature più strane. Un’altra danza caratteristica delle città e anche delle campagne, è quella dei tagliatori della canna da zucchero, durante la quale uomini e donne si muovono agli ordini di un comandante: gli uomini devono presentarsi armati di coltelli, mentre le donne tengono in mano una canna da zucchero verde.

Costenos, tigri, coccodrilli (Colombia)
Per i Colombiani, il carnevale è la più importante delle feste. Per tre giorni nessuno lavora, ma i preparativi hanno inizio già tre settimane prima. Tali preparativi occupano migliaia di persone addette alla fabbricazione delle maschere più curiose. La maschera è quasi d’obbligo durante i tre giorni che precedono la quaresima. Oltre alle maschere, molte sono le usanze del carnevale colombiano. Una è quella dei costenos, che sono giovani mascherati i quali girano facendo la questua e lanciando frizzi, insulti, o cospargendo di nerofumo coloro che osano negare un’offerta. C’è poi l’uso di molti carri allegorici, come quello di Barranquilla che è superato in splendore solo da quello del gran carnevale di Rio de Janeiro. Altre manifestazioni sono la caccia alla tigre. C’è poi il ballo del caimano che si svolge il 20 gennaio con la fabbricazione di un enorme coccodrillo nel quale si nasconde un uomo che lo fa muovere in una frenetica danza avanti e indietro, davanti ad ogni negozio o bar: per liberarsi dal mostro i proprietari devono offrire al grosso animale un dono in liquore o in altri generi.

La festa delle lanterne (Cina)
Dopo la grande festa del primo dell’anno, la vita in Cina si fa più vivace e festosa per un periodo che corrisponde su per giù al nostro carnevale. Molte sono le feste, ma la più caratteristica è senza dubbio quella delle lanterne. Essa ha inizio al rombo del cannone, delle campane e di tutti gli strumenti musicali disponibili. Per tre giorni consecutivi milioni di fuochi brillano sui fiumi, sul mare, sui monti, nelle strade, nelle campagne, nelle città, alle finestre dei poveri e a quelle dei ricchi. I più ricchi, sfoggiano naturalmente lanterne magnificamente decorate, mentre i meno ricchi si accontentano di lanterne più modeste. Nessuno comunque vuole esserne privo. Sono lanterne quadrate, triangolari, cilindriche, a globo, a piramide. Ce ne sono di carta, di seta, di corno, di vetro, di madreperla. Per tutta la durata della festa i negozi restano chiusi e la gente circola per le vie vestita con fogge strane e insolite. Anche per i Cinesi, come per qualsiasi altro popolo del mondo, questa specie di carnevale rappresenta uno sfogo alla vita di tutti i giorni con i suoi pesi, le sue fatiche, le sue quotidiane preoccupazioni.

Halloween
Halloween è il carnevale dei ragazzi che si travestono nelle fogge più spaventose raffiguranti scheletri, streghe, diavoli, spettri. Così camuffati, essi, di notte, girano di casa in casa e chiedono ragalucci o dolci pronunciando la formula: “Treat or trick” che significa “o mi regali qualcosa oppure la vedrai brutta”. Se qualcuno infatti osa negare il dono, la vendetta non si fa attendere: i colpevoli si vedranno in un batter d’occhio imbrattati i vetri delle finestre, delle vetrine, delle macchine.

La festa degli insulti (Ghana)
Ogni tanto gli uomini sentono la necessità di rompere la monotonia della vita quotidiana facendo qualche cosa di strano e di diverso. Così nel Ghana, in Africa, nacque la festa degli insulti. Per qualche giorno, tutte le abitudini vengono sconvolte. Gli Akan, abitanti del Ghana, affermano chelo spirito Sunsum, legato ad ogni singola persona, in quei giorni si ribella e vuol sfogarsi fadendo fare a tutti una specie di grande vacanza. Si mangia, si beve, si danza, e soprattutto si dicono tutti gli insulti che vengono in mente. Gli Akan, nascosti sotto maschere, ombrelli, baldacchini, si lanciano a vicenda ogni sorta di parolacce, scherzi, insulti. E questo dura per ben otto giorni. Passato questo periodo, i sacerdoti, sotto la maschera di leopardi, leoni, iene o sciacalli, sacrificano una capra con il sangue della quale purificano i loro vasi sacri. Fatto questo, gli spiriti Sunsum tornano nell’ordine abituale e ognuno riprende la vita di ogni giorno

Il Coon Carnival (Città del Capo)
Durante gli ultimi tre giorni dell’anno, a Città del Capo, in Africa, succede un fatto straordinario: ogni sera un gran numero di persone scompare dalla città. Dove vanno? Nessuno lo sa. Tutti però conoscono il motivo della loro scomparsa. Si sa, cioè, che sono scomparsi per andarsi a nascondere nella foresta, dove preparano, sotto la guida di un capo, costumi, maschere, carri carnevaleschi, danze e canti che dovranno essere una grande sorpresa per la città. Guai se qualcuno osasse tradire il segreto del Coon Carnival, cioè prima di capodanno qualdo il carnevale avrà inizio nella città che in un batter d’occhio si trasformerà in un fantastico carosello di musiche, di costumi, di carri meravigliosamente addobbati e carichi delle maschere più strane e varie.

Il carnevale brasiliano
Il carnevale brasiliano non è solo quello famoso che si celebra a Rio de Janeiro, ma è il carnevale di tutto il Brasile. Fu introdotto dall’Europa e, se in parte conserva ancora le caratteristiche del continente d’origine, esso ha d’altra parte assimilato molti elementi pagani del popolo brasiliano. I preparativi del carnevale brasiliano richiedono mesi di lavoro; si può affermare che, appena terminato il carnevale di un anno, già si comincia a pensare a come preparare quello successivo. Costumi europei, fogge russe e tirolesi, si mescolano a quelli hawaiani in una splendida fantasiosa fantasmagoria di colori. I festeggiamenti durano quattro giorni: cominciano il sabato a mezzogiorno quando, ad un dato segnale, si chiude ogni negozio, laboratorio, fabbrica; per terminare a mezzogiorno del mercoledì delle Ceneri. Per quattro giorni, su Rio e su ogni centro piccolo e grande, sembra passare un vero ciclone: maschere, danze, carri, musica, frastuono, sfilate. Ogni sfilata è un fantastico carosello di maschere svariate che passano tra la folla a ritmo di samba e di marcia, invitando la folla stessa ad entrare nel corteo.

Carnevale qui e lì per l’Italia

Il carnevale di Viareggio
Il carnevale di Viareggio è vecchio. Ma il carnevale è un mattacchione che più invecchia e più diventa allegro. Figurarsi che gli storici gli attribuiscono cinquemila anni di vita. Invecchiare per lui è niente, morire ancor meno di niente. Ringiovanisce e resuscita sempre più ingegnoso di trovate, sempre più colorato e sempre più vivace.
In Toscana il carnevale sembra sia nato per opera di Lorenzo il Magnifico.
A Viareggio poi, il carnevale sembra una festa di uomini e di cose, una fantasia bellissima dove collaborano il cielo, il mare, le pinete incantevoli, la parlata sonora e abbondante, e gli uomini con colori, canti, scenari. Il carnevale a Viareggio è uno spettacolo di cui cercheresti invano lo scenografo, il macchinista, il pittore, il cantore, l’inventore, perchè non sapresti se andarlo a trovare fra gli uomini o fra la natura.
Per preparare il carnevale ogni anno, centinaia e centinaia di operai per parecchie settimane non conoscono riposo, nè di notte nè di giorno. Dormono qualche ora e sognano il carro mascherato con cui hanno deciso di partecipare alla gara.
Questo corteo fantasioso di carri oscillanti sotto le manovre delle maschere che cantano nel sole, questi giganti che sembrano usciti dalla fantasia di poeti, questi mostri dalla corteccia di carta, che, tagliando la folla, passano suscitando risa fragorose, non solo costano fior di soldi, ma costano fatiche e sacrifici.
Ogni anno ognuno dei più famosi costruttori di carri ha un’idea, cerca degli aiutanti, si chiude nel proprio laboratorio e fabbrica. Cosa fabbrica? Quello che l’estro gli ha suggerito. Un carro.
Cosa metterà su questo carro? Chi lo può sapere, prima del giorno fissato?
I fabbricanti di carri sono gelosissimi l’uno dell’altro. Inventano tutti i sotterfugi per sapere cosa fanno gli altri, e per mascherare ciò che faranno loro.
Talvolta assoldano i ragazzetti per far loro da spie, per introdursi nel laboratorio di un concorrente temuto. Il ragazzetto, quando non è scoperto (e allora sono guai!) riferisce quel che ha visto, facendo nascere preoccupazioni e timori.
(G. Cenzato)

Il carnevale torinese
Il carnevale torinese, negli anni passati, ormai lontani, era ritenuto uno dei più fastosi che si celebrassero in Italia.
Anche la corte interveniva in equipaggi alla postigiona, con cocchieri, staffieri, valletti in parrucca bianca, incipriati, in costume scarlatto argento; e la Regina Maria Teresa, consorte di Carlo Alberto, vi compariva festosa, sopra un cocchio tirato da otto cavalli bianchi.
Le vie erano adorne di festoni, i balconi gremiti di gente, e sotto i portici giravano le maschere a piedi: Gianduia, Giacometta, Gipin, mentre nella strada circolavano le cavalcate e i carri allegorici.
I torototela, poeti da strapazzo, cantastorie, rimavano la canzoncina:
“Cerea bela fia
cerea bel gasson
ch’a stago an alegria
ch’a beivo del vin bon”
mentre ferveva, tra i balconi, la vivace battaglia delle caramelle e dei mazzolini di fiori.
L’ultima notte di carnevale, il martedì grasso, si bruciava in piazza Castello il bogo, un enorme fantoccio pieno di fuochi d’artificio.
A mezzanotte in punto la fiamma provocava lo scoppio, salivano fischiando numerosi razzi al cielo; e così fra lingue di fuoco rossiccio, grida, urla, canti, moriva il carnevale.

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