Dettati ortografici sull’educazione stradale

Dettati ortografici sull’educazione stradale – una collezione di dettati ortografici per la scuola primaria, di autori vari, sul tema dell’educazione stradale. Difficoltà ortografiche varie.

Dettati ortografici sull’educazione stradale
La strada
La strada principale e le strade che ti portano ad essa, nel giorno di mercato non si riconoscono più. Le auto non possono circolare, il traffico è sostituito dalla confusione; le bancarelle sono vicine le une alle altre e su esse sono esposte merci si ogni genere. I venditori urlano; ognuno ha un tono di voce e un modo particolare per attrarre la gente e convincerla ad acquistare: sono tutti bravissimi attori.
La gente si avvicina alle bancarelle, osserva, ascolta, discute e, a volte, compera.

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Impara a camminare

Tieni la destra, cammina sul marciapiede e fila dritto; non bordeggiare come una barca, e il naso tienilo davanti a te e non in aria.
Se attraversi ad un incrocio, stai attento ai semafori ed ai segnali stradali; cammina sulle strisce pedonali e procedi sicuro, ma non ti incantare!
Se attraversi dove non ci sono segnali, guarda bene a sinistra e a destra e, soltanto quando sei ben sicuro del fatto tuo, taglia la strada ad angolo retto speditamente, senza correre e senza esitare.

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Impara ad andare in bicicletta

Tieni la destra e sorpassa a sinistra.
Non fermarti di colpo senza guardarti indietro. Il veicolo che ti segue può precipitarti addosso. Se cambi direzione, fai prima segno stendendo il braccio a sinistra o a destra; ma dai tempo a quelli che ti seguono di capire le tue intenzioni e dai un’occhiata indietro.
Attento ai segnali. Ve ne sono due che particolarmente ti riguardono: quelli di divieto di transito e quelli di senso vietato. Li conosci?

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Storia dei segnali stradali

Non solo nel nostro tempo l’uomo ha sentito il bisogno di agevolare il traffico collocando sulle strade segnali utili ai viaggiatori. Già i Romani infatti, lungo le arterie che coprivano con una fitta rete tutto il loro vasto Impero, avevano collocato cippi miliari con l’indicazione delle distanze.
Ma solo ai nostri giorni la segnaletica è divenuta tanto indispensabile, e la sua mancanza renderebbe la circolazione quasi impossibile.
Il primo segnale comparso sulle strade moderne è la croce di sant’Andrea che, con la diffusione delle ferrovie, fu collocata nei pressi dei passaggi a livello per indicare il pericolo dei treni in transito.
In seguito, con l’accrescersi del numero dei veicoli stradali a motore, furono adottati altri segnali per indicare pericoli quali curve ed incroci.
Nel 1918, a New York, furono sperimentati sulla Quinta Strada i primi semafori.
La segnaletica adottata nei vari paesi, però, era molto varia; accadeva, così, che l’automobilista che si recava all’estero non si raccapezzasse più di fronte a segnali per lui spesso incomprensibili, con grave danno per la sicurezza e la regolarità della circolazione.
Ed ecco, allora, che nel 1931 i rappresentanti di molti paesi si riunirono a Ginevra per studiare una segnaletica unica per tutte le strade del mondo.
Fu raggiunto fin d’allora un primo accordo e successivamente, di fronte a nuovi problemi creati dal traffico sempre più intenso, si aggiunsero altri segnali fino a giungere alla segnaletica attualmente collocata sulle nostre strade; essa regola minuziosamente, e con un linguaggio simbolico comprensibile agli utenti di qualsiasi lingua, tutte le possibili situazioni di traffico.

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Per strada

Come è bello poter passeggiare senza preoccupazioni per i viottoli di campagna! Ma non è sempre possibile evitare le grandi strade di comunicazione e i conseguenti pericoli. Bisognerà allora che ognuno di noi, quando si muove di casa, pensi prima bene all’itinerario che deve percorrere per andare in un dato posto. La prima norma è quella di scegliere le strade meno battute, ma insieme regolate da semafori o dalla presenza di un vigile. E’ facile infatti constatare che certe piccole vie, apparentemente deserte, sono i luoghi più frequenti di incidenti perchè chi le percorre, non temendo alcun pericolo, facilmente si distrae o aumenta la propria velocità e non osserva le norme della circolazione.
Una volta scelto il percorso da compiere, chi procede a piedi, starà attento di camminare sempre sui marciapiedi o, nei casi in cui questi non esistessero, ai margini della strada. E’ vero che è frequente la tentazione di scendere dal marciapiedi o, magari per superare un gruppo di persone che procede lentamente, ma questa manovra va compiuta con molta attenzione. Chi vive in città, infatti, sa troppo bene come le macchine si dispongano le une accanto alle altre occupando tutta la strada e talvolta giungano a sfiorare i passanti che procedono sul marciapiede. Scendere sulla strada all’improvviso può costituire pericolo di morte.
Quando poi si deve effettuare un attraversamento sarà bene attendere un incrocio, dove si sia un semaforo, un segno obbligatorio di stop, o l’indicazione di passaggio pedonale sull’asfalto.
Solo in questo modo si avranno assicurate le condizioni necessarie per non correre pericoli e si avrà eventualmente diritto di protestare di fronte a casi di disobbedienza da parte dei guidatori di veicoli.

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La strada

La strada, che è sempre esistita da quando l’uomo ha sentito il bisogno di spostarsi da un luogo all’altro (celebri erano e sono ancora le grandi vie costruite dai Romani), è divenuta oggi, per l’enorme traffico che la percorre, un argomento di vivaci dibattiti, di leggi, nonché, noi diremmo, motivo di educazione e di sano vivere civile. Riteniamo pertanto che anche un breve esame della più comune e fondamentale terminologia stradale, possa contribuire a far sì che della strada si faccia un uso corretto, che è auspicato non solo dalle autorità, ma anche da quanti sono gelosi del bene pubblico e dell’incolumità dei cittadini.

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La strada

La strada è la via per la quale si snoda il traffico. E’ così detta perchè è massicciata, ha cioè una base di massi, resistente alla pressione di quanti, uomini, animali e veicoli, vi transitano sopra. La massicciata nelle strade antiche era visibile, come del resto lo è ancora oggi in alcune vie dei centri urbani; invece nelle strade moderne di solito è ricoperta da uno strato di catrame, prodotto oleoso ottenuto dalla distillazione dei carboni fossili o del legno. La strada si dice allora asfaltata (dal greco “asphaltos” che significa “bitume della Giudea”).
La strada può essere di specie e dimensioni diverse ed assumere allora denominazioni varie: sentiero, viottolo, strada secondaria, strada maestra, strada comunale, provinciale, autostrada, superstrada, ecc… a cui si devono aggiungere le varietà delle vie cittadine quali la piazza, il piazzale, il foro, il largo, il corso, il vicolo, il calle (celebri quelli di Venezia), ecc…
La strada che collega le varie città, paesi e borgate, deve adattarsi alle cosiddette situazioni locali, cioè alla particolare configurazione geografica. Se essa scorre in pianura di solito è dritta; se scorre in montagna è piena di curve, di difficoltà e di pericoli.
In ogni caso il traffico che si snoda in esso è regolato da precise indicazioni contenute nei segnali, che sono di pericolo, di prescrizione, di indicazione e orizzontali.
Lungo le strade di comunicazione il traffico è sorvegliato dalla Polizia Stradale, un corpo militare che controlla che nella strada tutto avvenga nel pieno rispetto delle norme stradali. E’ un corpo preziosissimo, che ha salvato e salva numerose vite umane, e molte più ne salverebbe, se tutti gli utenti della strada fossero giudiziosi e prudenti.
Nelle città e nei centri abitati, data la congestione del traffico e la necessità maggiore di tutelare l’incolumità dei cittadini, bisogna tener conto di altre norme e quindi di altri termini.
Qui infatti troviamo i semafori, apparecchi con segnali gialli, rossi e verdi, i quali negli incrodi indicano ai pedoni ed ai veicoli il momento preciso del passaggio nelle varie direzioni. In certi momenti di diminuito traffico, i semafori fungono da lampeggiatori, lampeggiano cioè ad intermittenza regolari la luce gialla, per indicare la presenza di un incrocio pericoloso.
Là dove non esistono semafori e un po’ ovunque per la città, troviamo i vigili urbani, che sono i tutori e i regolatori del traffico entro il perimetro urbano. Quando essi si collocano negli incroci, con le mani e con le braccia ricoperte da guanti o bracciali bianchi, danno ai passanti segnalazioni varie.
Obbedire ai vigili e rispettarli è un dovere fondamentale degli utenti della strada; disobbedire loro, oltre che dimostrazione di scarso civismo, è anche pericoloso… per il portafoglio, perchè essi hanno la facoltà come del resto la polizia stradale, di elevare delle multe o contravvenzioni (dal latino medioevale “contraventio” che significa “andare contro la legge”), e nei casi più gravi di arrestare.

Dettati ortografici sull’educazione stradale – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL RISPARMIO materiale didattico

IL RISPARMIO materiale didattico vario per bambini della scuola primaria: spunti didattici, dettati ortografici, letture, poesie e filastrocche sul tema del risparmio.

La giornata del risparmio
Il 31 ottobre in tutto il mondo si celebra la Giornata del Risparmio, si esalta una delle più nobili, delle più alte virtù umane.
Pensa: questa festa interessa tutti, piccoli e grandi, umili lavoratori e ricchi proprietari di campi o di industrie, uomini che vivono presso il gelido polo o che lottano contro le insopportabili calure dei tropici. Tutti sono accomunati dallo stesso pensiero: per nessuno il domani è certo; ognuno deve sapere che la vita non termina oggi e che quindi è necessario fondare fin d’ora con la previdenza e il risparmio un avvenire più lieto. (M. Missiroli)

Che cos’è il risparmio (conversazione)

Che cosa significa risparmiare? Spendere un po’ meno di quello che abbiamo a disposizione.
Potremo raccontare ai bambini la favola della cicale e della formica. Per cominciare dal significato morale, attireremo l’attenzione sulla spensieratezza della cicala che vive alla giornata, mentre la formica pensa al suo futuro. A chi si può paragonare la cicala? A colui che spende tutto quello che guadagna destinandolo non soltanto al necessario, il che sarebbe ovvio, ma anche al superfluo, acquistando cioè abiti troppo eleganti o ricchi per la sua condizione, dimorando in case troppo lussuose, divertendosi spensieratamente in costosi passatempi. Naturalmente, con questo regime di vita, se ne va tutto quello che l’imprevidente potrà guadagnare, anche se è molto. Ma ecco i tempi tristi più o meno inevitabili nella vita di un uomo, ecco le malattie, la mancanza di lavoro, ecco un qualsiasi guaio a cui si potrebbe mettere rimedio con una certa somma, ma lo spensierato non la possiede: ha soltanto quello che guadagna, ma, in questi casi, quello che guadagna non basta più. Se quel tale avesse risparmiato…
L’esempio della formica. A chi si può paragonare questo previdente insetto? A chi spende soltanto quello che gli è necessario, conducendo un regime di vita consono alle sue possibilità, mettendo a risparmio quel piccolo margine che resta.

Risparmio ed economia si possono considerare fratelli e buone abitudini, relative ad essi, hanno grande valore morale perchè implicano una capacità di dominio su se stessi, di vittoria su tentazioni e lusinghe, di adattamento a una vita semplice e ordinata.
Inoltre, possedere queste virtù significa discernere il limite delle proprie possibilità e non fare, come si dice con un adatto proverbio, il passo più lungo della gamba.
Il risparmio del singolo ha una grande importanza non solo nella vita di ogni individuo, ma anche nella vita di un intero Paese.

Potremo far notare che risparmiare significa anche non consumare, o, per lo meno, consumare entro i limiti del giusto. Infatti un bambino che non sciupa i vestiti fa risparmiare alla sua famiglia, mentre il bambino che rovina gli indumenti prima del tempo consentito, fa spendere alla sua famiglia più di quello che sarebbe lecito e giusto.
Sarà opportuno anche far notare che non solo non si deve sciupare la roba nostra, ma neanche quella che, comunemente, è considerata di tutti, e cioè il bene comune: strade, piante, arredi scolastici, materiale d’uso, ecc…  Spesso nei ragazzi, e non solo nei ragazzi, c’è la cattiva abitudine di considerare la roba del Comune e degli Enti pubblici come non appartenente a nessuno. E’, ovviamente, un grossolano e controproducente errore, perchè ciò che appartiene allo Stato e ai vari Enti è roba pagata con le nostre tasse.

Dal punto di vista dei bambini, il risparmio non ha che un significato: raggranellare una certa somma da adibire a un certo uso o per l’acquisto di un oggetto per cui non sono sufficienti le piccole somme che egli, saltuariamente, ha a disposizione. Ma non pretenderemo che il bambino pensi all’avvenire. Se egli acquista, sia pure in questo modo, l’abitudine al risparmio, sarà già un bel risultato.
Gli adulti, invece, risparmiano in funzione dei bisogni dell’avvenire. Lo Stato incentiva il cittadino a risparmiare attraverso i vari Istituti di previdenza e le varie forme assicurative che gli permettono di avere sussidi e pensioni in caso di malattie, di disoccupazione e di invalidità. Questa è una forma di risparmio, diciamo così, obbligatoria.

Ma vogliamo parlare anche del risparmio volontario. Quali sono gli Istituti di credito dove il risparmio può essere affidato? Le banche e le poste. E poi le industrie, sotto forma di prestiti (obbligazioni) e di partecipazione al capitale e quindi agli utili (azioni).
Se sarà possibile, potremo organizzare lavori di gruppo per fare delle piccole inchieste, interpellare impiegati di banca per sapere come si svolgono le operazioni a risparmio, quali sono le varie forme per conservare o per investire il denaro, come viene utilizzato questo danaro dalle banche o dalle industrie.  Ci potremo far dare dei moduli che poi osserveremo con calma in classe, che impareremo a riempire e che, magari, impareremo ad usare.  Ed ecco le distinte di versamento, ecco la conoscenza dei moduli di conto corrente, dei libretti a risparmio, delle azioni e delle obbligazioni. Impareremo, così, a fare come la formica e non come la spensierata cicala.

A proposito di questa favola, vogliamo correggere l’errore di storia naturale, in quanto la cicala, alla fine della sua stagione canora, finisce il suo ciclo vitale. D’altro canto, la formica, durante l’inverno, cade in letargo e non ha bisogno delle sue provviste in quanto non si nutre o si nutre molto poco.
Ed ora, una considerazione d’ordine morale. La cicala è spensierata e imprevidente, è vero, ma la formica è proprio un modello tutto da imitare? La previdenza non deve sconfinare nell’egoismo, nella mancanza di carità e soprattutto nell’avarizia. Impariamo il significato dei due termini: prodigalità e avarizia. Sono entrambi difetti, e specie l’ultimo, per nulla simpatico. Non ci si può chiudere nell’egoismo e non si possono inaridire il nostro cuore, il nostro spirito, nella grettezza. Quando è necessario, aiutiamo chi ha bisogno anche se è stato imprevidente.
(M. Menicucci)

Risparmio

Il risparmio è forza come è forza il sapersi difendere da sè. Ma, come per diventare forti fisicamente è necessario fare, fin da ragazzi, una buona ginnastica, così per poter essere forti moralmente, bisogna abituarsi per tempo all’economia, al risparmio. Anche questa è una ginnastica che tutti i ragazzi devono fare: inoltre è salutare abituarsi ai piccoli sacrifici, alle piccole rinunce, per saper sopportare i grandi sacrifici, le grandi rinunce. Essere ragazzi sobri, virtuosi e forti vuol dire essere, domani, uomini virtuosi e forti. (C. L. Guelfi)

Saper risparmiare

Il risparmio è una solida virtù che mette al sicuro l’uomo dal bisogno. Bisogna risparmiare quando si ha, pensando che potrebbe arrivare un momento in cui non si ha più. Tutto, nella natura, ti insegna il risparmio, l’ape che succhia il nettare oggi per avere il miele domani, il seminatore che per un chicco che semina, domani ne avrà mille, la formica che riempie i suoi magazzini durante la buona stagione, per stare al sicuro durante la stagione fredda, e infine l’uomo saggio che vuole assicurarsi serenità e fortuna per la sua vita a venire.

Risparmia

Se ti viene regalato del danaro, voltalo e rivoltalo prima di spenderlo. Spesso ti struggi dal desiderio di possedere una cosa: quando poi sei riuscito ad ottenerla, non sei contento e ne vuoi un’altra ancora. In questo modo, vedi, si arriva al punto di spendere senza riflessione, e di trovarsi poi in bruttissimi impicci. Tutti abbiamo il dovere di badare all’economia, e di saper moderare i desideri e le spese. (M. D’Azeglio)

Il risparmio

Risparmio ed economia si possono considerare fratelli e le buone abitudini relative ad essi hanno un grande valore morale. Chi risparmia ha il dominio su se stesso, riporta una vittoria sulle tentazioni e le lusinghe che cercano di attirarlo ad ogni passo, si adatta volentieri a una vita semplice e ordinata. Impara a risparmiare da ragazzo e il tuo futuro sarà, in gran parte, nelle tue mani.

Il risparmio

Il risparmio dell’uomo singolo ha una grande importanza non soltanto nella vita di ogni individuo, ma anche nella vita di un intero paese. Popolo risparmiatore, nazione ricca. Abituati a risparmiare fin da ragazzo: diventerai un uomo sobrio che sa dominare i suoi desideri.

Pensa al domani
“Pensa al domani” è uno dei saggi consigli che l’esperienza d’ogni giorno raccomanda alla gente. La lotta per la vita è sempre incerta: oggi sorride l’abbondanza, domani può venire la carestia, se non per noi, per tanti altri che, per solidarietà umana, dobbiamo aiutare.
Il senso del risparmio, come previdenza, si manifesta anche negli animali e nelle cose, come equilibrio di leggi naturali fissate dal Creatore per la conservazione degli esseri, in cui è sempre presente una riserva di materiale energetico per il superamento di eventuali avversità ambientali.
L’organismo umano può sopportare anche un periodo lungo di digiuno.
Il cammello può attraversare il deserto senza alcun rifornimento.
Certi animali vanno in letargo e passano l’inverno senza bisogno di mangiare.
Il chicco di grano è ripieno di riserve di glutine che garantisce la vita del germe vegetale fino al tempo della semina.
Animali e piante sono provvisti di dispositivi particolari per regolare il consumo delle energie a seconda delle necessità.
Tra i vari animali, la formica e l’ape sono certamente le più previdenti creature che pensano al domani accantonando preziose riserve durante la bella stagione.
Queste considerazioni servono per provare che il risparmio non è un’invenzione dell’uomo, un ritrovato della scienza e del progresso, ma una cosa naturale cui è legata la conservazione della vita.
L’uomo nella sua storia plurimillenaria ha dovuto ricorrere a un previdente risparmio per passare dalla grotta alla capanna, dalla solitudine della foresta alla tribù, dalla caccia alla pastorizia, dalle greggi agli armenti, dall’agricoltura all’industria e al commercio.
Questi sono i frutti di un lavoro e di una saggia previdenza che, attraverso i secoli, hanno condotto l’uomo al benessere, al progresso e alla civiltà dei nostri giorni.

Antenati del salvadanaio
Il salvadanaio, che ora si presenta sotto forma di un umile panciuto recipiente di coccio, ora di un elegante oggetto di terracotta, ora di una lucente cassettina di sicurezza, ha degli antenati fin da tempi remotissimi.
Nell’antica Cina si usavano salvadanai a forma di maialini. Il maiale per gli antichi era il simbolo della prosperità: tale forma quindi doveva essere di incitamento e augurio.
I bimbi indiani avevano, come custode dei loro risparmi, un salvadanaio a forma di elefante, simbolo della forza e del lavoro.
In Egitto il salvadanaio era fatto a forma di serpente o di dragone; i terribili guardiani dei preziosissimi tesori dei Faraoni dovevano difendere anche i risparmi dei piccoli egiziani.
Presso i Romani invece, il salvadanaio aveva la forma di una cassettina, ed era di terracotta.
In Estremo Oriente si usavano belle cassettine in legno durissimo, a volte laccato o intarsiato con avorio o pietre preziose, molto simili ai portagioie delle signore.

Come nacque la moneta
Nacque un poco per volta. La strada seguita dall’umanità per arrivare alla moneta si perde nella notte dei tempi. All’inizio della convivenza è presumibile pensare che fosse in uso soltanto lo scambio degli oggetti o delle derrate. Più tardi l’uomo deve essersi accorto che il moltiplicarsi delle necessità di scambio rendeva troppo complicato il commercio. Si procedette allora per tentativi nella scelta delle cose più comode: qualche tribù ricorse alle conchiglie, qualche altra al sale (da cui la parola salario).
Sviluppandosi il commercio, i mercanti accettavano, come prezzo della loro merce, oggetti di metallo. Questi potevano essere facilmente conservati e trasportati; potevano eventualmente anche essere trasformati in armi o in oggetti di ornamento.
Più tardi, per evitare di pesare continuamente tali pezzi di metallo, si pensò di prepararli appositamente, in forma di piccoli dischi, con l’indicazione del peso reale. E siccome poi l’avidità di certi commercianti portava all’inganno, si ricorse all’autorità dello Stato per ovviare al pericolo delle falsificazioni. Sulle monete infatti oltre i simboli di varia natura che si riferiscono al tempo e al paese in cui sono state coniate, c’è spesso l’effige dell’autorità che le ha emanate.

La carta moneta
L’uso della carta monetata ha inizio con Giovanni Law, un finanziere scozzese del XVII secolo. Egli cominciò giovanissimo ad interessarsi di questioni bancarie e nel 1716 fondò in Francia una banca che emetteva biglietti convertibili con l’oro che la stessa banca custodiva in cassa a garanzia dei biglietti emessi.
La cosa andò bene per un po’, ma ben presto si trovò che, per l’inflazione dei biglietti emessi, l’oro della cassa non corrispondeva più. Subentrò la sfiducia dei cittadini che si precipitarono in banca per cambiare la carta in oro, ma l’oro non c’era. Si dichiarò il fallimento e Law fuggì a Venezia dove morì il 1729.
Ma l’importantissima invenzione non doveva morire. Nell’era moderna la moneta di carta ha sostituito quasi completamente quella metallica (salvo per i valori più piccoli).
Di solito la moneta di carta ha il suo corrispondente valore metallico (oro e argento) in deposito nelle casse delle banche emittenti, la cui garanzia si fonda sul credito dello Stato. E’ infatti cura di tutti i governi di regolare le spese dello Stato in modo da conservare alla moneta tutto il suo valore, e ciò per chiare ragioni di ordine sociale, per non creare la sfiducia nei cittadini e per stimolare il risparmio.

Il frustino e il risparmio
Ero un bimbo di cinque o sei anni. Un giorno di festa i miei parenti mi riempirono la taschina di soldi. Mi diressi subito verso una bottega dove si vendevano balocchi. Ma, cammin facendo, fui attratto dal suono di un frustino che un altro ragazzo scuoteva.
Supplicai allora il ragazzo di cedermelo e gli diedi in cambio tutto il mio denaro.
Tornai a casa felice e mi misi a scuotere il frustino in ogni canto.
I fratelli e le sorelle quando sentirono che avevo dato tutto ciò che possedevo per quel brutto arnese, mi canzonarono. Quante cose avrei potuto comperare al suo posto!
Mi misero talmente in ridicolo,  che io piansi di dispetto.
Ebbene, il ricordo del cattivo acquisto non uscì mai dalla mia mente.
Da quel giorno, quando provavo il desiderio di comprare cose non necessarie, dicevo: “Attento a non spendere troppo per un frustino!”.
E risparmiavo il mio denaro.
(B. Franklin)

La natura insegnò il risparmio
Il cane che seppelliva l’osso che neppure un appetito canino poteva finire, lo scoiattolo che raccoglieva noci per un ulteriore festino, le api che riempivano il favo di miele, le formiche che accumulavano provviste per un giorno di pioggia furono tra i primi ispiratori della civiltà…
Così l’uomo incominciò ad essere umano quando dall’incertezza della caccia passò alla maggior sicurezza e continuità della vita pastorale.
La natura ancora insegnò all’uomo l’arte di accantonare provviste, la virtù della prudenza, il concetto di tempo. Osservando ancora i picchi che ammassavano ghiande negli alberi, e le api che accumulavano provviste negli alveari, l’uomo concepì, forse dopo millenni di stato selvaggio imprevidente, l’idea di costruire una riserva di viveri per il futuro. Trovò modi per conservare la carne; ancor meglio costruì granai protetti dalla pioggia, dall’umidità, dai parassiti, dai ladri e vi ammassò i viveri per i mesi più improduttivi. A poco a poco comprese che l’agricoltura poteva offrire una riserva di cibo migliore e più sicuro della caccia. (W. Durant)

Il risparmio dei bambini
La virtù del risparmio è cosa da adulti, ma fin da bambini occorre prenderne l’abitudine e capirne il valore.
Perchè gli uomini risparmiano? Per preparare ai loro discendenti migliori condizioni di vita; per poter sopperire ai casi di bisogno; per poter disporre di una somma maggiore accantonando somme minori, e perchè, come nel caso del risparmio assicurativo, i contributi di tutti possano servire alle necessità di ciascuno.
Il primo caso non interessa i bambini se non indirettamente. E anche per quel che riguarda il secondo, i bambini non potranno risparmiare tanto da influire vantaggiosamente nell’economia della famiglia. Essi generalmente risparmiano per poter comprare, con la sommetta accantonata, qualche cosa di cui hanno desiderio. Ma cerchiamo di sollevarci un po’ dalla funzione utilitaristica del risparmio. Chi risparmia, chi non spende subito la piccola somma che ha a disposizione, esercita una capacità di dominio e una vittoria su se stesso, controlla i suoi desideri, si adatta a una vita semplice e ordinata. Queste sono le virtù implicite del risparmio.
La giornata del risparmio si celebra in tutto il mondo, in quanto questa virtù è anche una virtù sociale. Una nazione risparmiatrice è una nazione ricca. Non si risparmia soltanto accantonando una data somma; si risparmia anche spendendo, per esempio, cinquanta invece di cento. Riferiamoci ai nostri bambini. Una bambina desidera una bella bambola; costa, mettiamo, venti euro. Se ne compera una da quindici, sarà come se avesse risparmiato cinque euro. Avrà limitato i suoi desideri, si sarà accontentata di una bambola più modesta, avrà vinto la tentazione di ottenere un dono più ricco.
Il risparmio è fratello dell’economia. Un bambino ha un bel paio di scarpe il cui acquisto è costato un notevole sacrificio ai genitori.

 

Proverbi

Il lavoro procura il denaro, il buon senso lo conserva.

Le piccole spese, se fatte senza necessità, possono a lungo consumare un grande patrimonio.

Ogni uomo che risparmia è un pubblico benefattore e ogni scialacquatore un pubblico nemico.

Popolo risparmiatore, nazione ricca.

Risparmio più nobile è quello di chi meno guadagna. (G. Carducci)

Risparmia chi è saggio, chi sa amministrare bene le sue possibilità.

Virtù conservi quello che il lavoro procura.

Il risparmio è l’amico che non rifiuta mai un prestito.

Il risparmio è espressione di rinunce, di sacrifici, di amore per l’avvenire proprio e dei figli.

Risparmiare vuol dire dominare se stessi. Chi non tien conto del poco non diventerà padrone del molto.

La capacità di risparmio di ogni generazione concorre a determinare il rendimento del lavoro di quelle che ad essa succederanno.

Il valore del risparmio si apprezza nel giorno del bisogno.

Risparmiare significa compiere un atto di solidarietà fra la nostra generazione e quella futura.

Le piccole spese moltiplicate consumano i più grandi patrimoni.

Il risparmio è indipendenza per l’uomo e sicurezza per la famiglia.

Il risparmio si forma soltanto se viene praticato con amore  e continuità.

Avere o non avere è una questione di risparmio.

Il risparmio assicura una vecchiaia serena.

Il risparmio è l’atto volitivo di chi decide di non impiegare il frutto del suo lavoro in consumi immediati, ma in beni futuri.

Il risparmio è sinonimo di civiltà: dovere di tutti è quello di sollecitarne la formazione.

Compra soltanto ciò che è necessario; il superfluo è caro anche se non costa molto.

Spendi sempre qualcosa di meno di quanto hai guadagnato.

Il risparmio crea lavoro: risparmiare è la più bella forma di altruismo.

La proprietà comincia dal primo euro risparmiato.

Chi sa privarsi a tempo, a bene riesce. (G. Carducci)

Nella famiglia la maggior sorgente di ricchezze è l’economia.

Il risparmio e l’economia sono le più sicure forme di rendita.

Poesie e filastrocche

Alla formica

Chiedo scusa alla favola antica,
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala. (Gianni Rodari)

Non per oggi
Ronza l’ape: “Non per oggi a questo fiore
volo intorno!
Io ne succhio il dolce umore
per avere tanto miele un altro giorno!”.
E chi semina, con lieto animo spera
che l’arato
campo splenda
tutto verde a primavera.
Egli dice: “Non per oggi ho seminato”.
Solo un chicco verso l’umile casina
la formica
lentamente,
affannandosi trascina.
Ma non oggi il premio avrà la sua fatica!
L’uomo saggio, con fidente animo spera
fortunato
l’avvenire,
e serena la sua sera.
Egli dice: “Non per oggi ho risparmiato!” (Milly Dandolo)

Il testamento della cicala

Cara formica,
ho trovato un fuscello,
mi servirà da pennino o pennello:
ecco, lo intingo nell’acqua infangata,
prendo per foglio una foglia gelata;
dal mio giaciglio di livido strame,
mi levo appena, morente di fame;
con la zampina tremante nel vento
ti scrivo il povero mio testamento.
In gola è spenta la gaia canzone;
me sciagurata, tu avevi ragione!
Così t’avessi ascoltato, o formica,
che m’insegnavi la santa fatica,
che promettevi un sereno avvenire
a chi sa in tempo lottare e soffrire!
Pazzo, dicevo, chi pensa a lottare
quando l’estate c’invita a cantare.
Tu m’indicavi la frutta matura
e mi dicevi: “L’estate non dura!”
Poi, nel tuo chiuso granaio, o formica,
portavi i chicchi con grande fatica.
Lieta irridevo il tuo saggio sermone,
me sciagurata, tu avevi ragione!
Così ti avessi ascoltata e imitata…
Or che mi resta? Una foglia gelata.
Sibila il vento ed oscilla la foglia,
piango, e di scrivere non ho più voglia.
Più non ci vedo nell’ombra che cala…
Addio. Firmato: la pazza cicala. (Milly Dandolo)

Il bimbo e la formica

“O formicola contadinella,
con il mazzo di chiavi al fianco,
lo sai fare il pane bianco?
Devi avere una casa bella
e così piena di ben di dio
che verrei a starci anch’io.
O formicola, perchè
non ti fermi un po’ con me?”
“Chi perde tempo non trova fortuna,
fa così presto a salire la luna.
D’un chicco mi cibo, ma un chicco nascondo.
Le cose del mondo
nessuno le sa.
Se oggi fa bello
domani, bambino,
che tempo farà?
Il mio formicaio
è un salvadanaio.” (Renzo Pezzani)

Lo scoiattolo e il boscaiolo

Nell’ora calda dormono tra i fiori
libellule e farfalle: tutto tace.
Ma nel bosco, tra i mille abitatori,
sol due ne trovi insonni e senza pace.
Nel grosso tronco d’una quercia antica
lo scoiattolo insonne s’è cercata
una casina; e dentro, con fatica,
la provvista invernale ha trasportata.
Manca una noce, qualche nocciolina,
mancano poche bacche; e, finalmente,
lieta sull’uscio della sua casina
si fermerà la bestia previdente.
Tra gli alberi e i cespugli il boscaiolo
cammina raccogliendo i rami secchi.
Un fascio? No, non basta un fascio solo:
ci vuole almeno un mese a far provvista
di legna per l’inverno; e ben lo sa
il boscaiolo, ma non si rattrista
pensando al brutto tempo che verrà.
Quando  la neve cadrà lentamente
la saggia bestia dormirà beata.
Nella casa dell’uomo previdente
s’accenderà la splendida fiammata. (Milly Dandolo)

Il risparmio

Un poco oggi ed un poco domani
spiga con spiga si fa un fascetto,
con un fascetto si fan tre pani
e ci campa un poveretto.
Perchè il molto ci vien dal poco;
la goccia d’olio tien vivo il lume;
da un filo d’acqua comincia il fiume;
da una favilla ci nasce il fuoco;
e dal soldino che sai serbare
ci può nascere un libretto,
e verrà giorno, ci scommetto,
che tutto il mondo potrai comprare. (Renzo Pezzani)

Perchè?

Oh, come somiglia
a un salvadanaio
il nido grondaio
che vedi lassù.
L’ha fatto con gioia,
volando, un uccello;
un’erba, un granello,
un poco ogni dì.
Il tenero fango
s’è fatto cemento
e nulla può il vento
che passa di qui.
L’alato operaio
vi trova la pace.
Lo scalda la brace
del piccolo cuor.
Perchè mai somiglia
a un salvadanaio
il nido grondaio
che vedi lassù? (Renzo Pezzani)

Il salvadanaio

Un soldo nel salvadanaio
da solo non canta, sbadiglia;
è povero come gennaio,
è nato per stare in famiglia.
E’ come un bambino
che vuole qualcuno vicino.
Se invece un compagno gli dai
e scuoti la palla di argilla,
udrai quel soldino che trilla
il canto dei salvadanai.
Che vivere è bello,
se trovi nel mondo un fratello.
E cento soldini riuniti
già fanno un allegro coretto.
Ti costano sforzi infiniti,
ma tu ti sei fatto un ometto,
un uomo piccino
che tiene già in pugno il destino. (Renzo Pezzani)

La cicala e la formica
La cicala, ch’ha pieno il corpicello
d’una rauca perpetua canzone
cantò tutta l’estate al tempo bello
e non si ricordò d’altra stagione.
Intanto inverno vien rigido e fello,
ed ella per mangiar non ha un boccone.
Ricorre alla formica, e le domanda
qualche soccorso, e a lei si raccomanda
dicendo: “Io dalla fame morrò tosto
prestami, amica, qualche granellino,
ch’io te ne pagherò poi quest’agosto
od il mese di luglio più vicino:
e non sol ti prometto dare il costo
ma di guadagno ancor qualche quattrino”.
Ma della formichetta, che non presta
e sol risparmia, la risposta è questa:
“E che facesti tu mentre co’ rai
scaldava il sol la terra al tempo buono?”.
Rispose l’altra: “Al passeggier cantai
la notte e il dì con ammirabil suono”.
“Oh, tu cantasti? Io l’ho ben caro assai;
ma nota e intendi ben quel ch’io ragiono:
tu vi dovevi a quel tempo pensare,
tu che cantasti allora, or puoi ballare. (G. Gozzi)

Scherzi dell’avarizia
Ho conosciuto un vecchio
ricco, ma avaro: avaro a un punto tale
che guarda li quattrini nello specchio
pe’ vede raddoppiato er capitale.
Allora dice: “Quelli li do via
perchè ce faccio la beneficenza:
ma questi me li tengo pe’ prudenza…”
E li ripone ne la scrivania.

Avarizia
Ci sono tanti modi
per fare economia
ma più di questo
non credo che ci sia.
Un vecchio Mandarino
che il caldo via cacciava
invece del ventaglio
la testa dondolava.
Un altro Mandarino
era più tirchio ancora…
Per fare economia,
il riso della gente
a volo intercettava
e, non lo crederete,
con quello si sfamava.

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche LA SCUOLA

Poesie e filastrocche LA SCUOLA – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il libro

Prese il libro il bambino:
l’aprì, lesse,  pensò.
Egli era in un giardino
di quanti fior non so.
Guardò intorno. Nel sole
splendevan cento colori,
ma disse: “Le parole
son più belle dei fiori”. (Renzo Pezzani)

Bambini a scuola

Oh, l’ala del tempo
ben rapida vola!…
finita è l’estate,
si torna alla scuola.
Bisogna lasciare
i laghi tranquilli,
le verdi vallate
dai freschi zampilli,
le morbide rene,
i tuffi nell’onde
che il vento ricama
di trine gioconde,
i colli beati
smaltati di fiori,
le vigne fragranti,
i boschi canori,
le corse frementi
per prati ed aiuole!
Bambini, bambine:
si apron le scuole!
Su via, non torcete
le bocche soavi;
non fate le bizze:
vi voglio più savi.
Se dopo il lavoro
più lieto è il piacere,
è giusto che a questo
poi segua il dovere.
Or dunque togliete
dai vostri cassetti
i bianchi quaderni,
i libri, i righetti,
le penne, i compassi,
ed ilari e franchi,
correte a sedervi
sui soliti banchi.
La scuola, materna,
le braccia vi schiude
e al dolce suo seno
felice vi chiude.
E voi salutatela
col cuore canoro:
è bello in letizia
tornare al lavoro.
Io, giunto alla fine
di questo preludio,
depongo la penna…
Bambini, buon studio. (Gino Striuli)

La maestra ha sorriso

La maestra è accigliata,
è triste, stamattina;
trepida la nidiata
per la cara maestrina.
Lettura. Sono intenti
i bimbi; ella tace, severa.
Maestra, ma non senti
che fuori è primavera?
Occhieggiano i bambini
dal libro, un po’ spauriti,
anche i più birichini
non osano farsi arditi.
Storia. “Perchè il ministro
Cavour…”. La mano bianca
si posa sul registro
come farfalla stanca.
Franco aveva pur detto
di saper la lezione…
Ma ora un sospirone
gli sale su dal petto.
Una lacrima scende
lenta, sul ciglio chiaro:
trema il labbro innocente.
“Che c’è, piccolo caro?”
Lo guarda, ella, gli prende
il mento: oh, il dolce viso
che di nuovo risplende!
La maestra ha sorriso. (M. Tomaseri Tamagnini)

Il vecchio quaderno

Le sere d’inverno,
posato in un canto,
il vecchio quaderno
ha un triste rimpianto::
“Il bimbo che lieto,
con trepida mano,
tracciò l’alfabeto,
riposa lontano!:
Lasciò la sua mamma
ancor giovinetto;
ardeva la fiamma
nel bel caminetto.
Ed or si consola
narrando alle stelle,
dei giorni di scuola,
le favole belle.
Son favole pure
di nuvole azzurre,
d’un mondo piccino,
d’un grigio topino.
Chissà se la sera,
in tutto segreto,
dirà la preghiera
oppur l’alfabeto? (A. Libertini)

Scuola elementare

Con l’autunno precoce e capriccioso,
tu lasci la tua casa e la tua mamma.
E te ne vai, felice e baldanzoso,
verso la nuova scuola. Già una fiamma
d’amore nuovo ti risplende in viso.
Io ti porgo il cappotto e la cartella
e mi trema nel cuore il tuo sorriso.
“Sarà piena di lode la pagella!”
Pieno di fede e di speranze, ardito
mi prometti sereno di studiare.
Ma il mio cuore è un po’ triste e un po’ smarrito:
“Resta ancora con me, bimbo a giocare!”
Dal berretto calato sulla fronte
sbuca un ciuffo ribelle di capelli.
“La penna e la matita sono pronte?”
Sì, ma i tuoi ricci come sono belli!
E te ne vai felice nella via
salutandomi ancora con la mano.
Io provo una sottile nostalgia
mentre tu mi sorridi da lontano. (M. Luisa Cortese)

Scuola elementare

Ricordo della scuola elementare:
colletto bianco col nastrino blu,
un desiderio intenso di imparare
le prima cose a, e, i, o, u.
Aste tracciate a segni colorati,
con la matita nuova rossa e blu,
quaderni rilegati ed ordinati
con l’esercizio: ma, me, mi, mo, mu.
Il sillabario ancora misterioso,
rivelava col segno la parola,
qualche visetto attento e giudizioso
sgranava assorto gli occhi di viola.
Ma una bambina spesso si incantava
a guardar fuori un po’ di cielo blu,
cullata dalla voce che spiegava
dolce e paziente: ma, me, mi, mo, mu.
O signorina, così buona e attenta,
quanta pena non dette al suo lavoro
la capricciosa bimba disattenta,
che già viveva in un suo mondo d’oro,
di smagliante ed ignara fantasia,
girando attorno quei suoi occhioni blu,
già viveva di sogni e di poesia
sul ritmo lento: ma, me, mi, mo, mu. (M. Luisa Cortese)

Primo giorno di scuola

E’ pronta la cartella, il grembiulino,
il colletto stirato come va.
Dunque, va proprio a scuola, il birichino!
Stamani in casa si respirerà!
Giornale e pipa, aah! beatamente
il nonno potrà starsene sdraiato,
una mattina intera. Strilli, niente.
Un bacio a tutti… Ecco. Se n’è andato.
Ma dopo un’ora… “Forse piangerà”
(pensa la mamma) E corre alla finestra.
“Sarà buona e paziente, la maestra?”
(sospira nonna). E il nonno: “Chi lo sa…”
Un’aria così greve intorno pesa!
Son tristi l’orsacchiotto, il pulcinella,
traditi da un’ignobile cartella.
Si parla a bassa voce, come in chiesa.
Nonno aggiusta le ruote di un trenino
perchè il bimbo sorrida, al suo ritorno…
Oh, com’è lungo questo primo giorno
che del pupo d’ieri fa un omino! (Zietta Liù)

Scuola di campagna

Solitaria scuoletta di campagna,
che sorridi tra il verde al primo sole,
grato un profumo sento di viole
intorno a te, che zeffiro accompagna.
Vedo di fiori ornata la finestra
dell’aula ancora nel silenzio assorta,
vedo i bimbi schierati sulla porta
in attesa che arrivi la maestra.
Son lì composti; han fatto molta strada
per giungere alla scuola; ma quegli occhi
da cui la gioia lor part che trabocchi,
brillano come stille di rugiada.
Io so che vi rallegra: è la parola,
bimbi, di chi v’insegna tante cose,
di chi circonda di cure amorose
il dolce tempo che passate a scuola. (Ascenso Montebovi)

Scuola di campagna

E’ fuor del borgo, due passi
di là dal più fresco ruscello,
recinta di muro e cancello,
la piccola scuola di sassi.
Agnella staccata dal branco
col suono che al collo le han messo
richiama ogni bimbo al suo banco,
nell’aula che odora di gesso.
C’è ancora la vecchia lavagna,
con su l’alfabeto mal fatto;
lo scrisse un bambino, distratto
dal verde di quella campagna.
E lei che mi vide a sei anni,
c’è ancora, la voce un po’ fioca,
vestita d’identici panni,
la vecchia signora che gioca.
Il tempo passò senza lima,
su queste memorie. Ritorno
lo stesso bambino di un giorno
sereno, nell’aula di prima.
E in punta di piedi, discreto,
nell’ultimo banco mi metto
e canto, nel dolce coretto
dei bimbi, l’antico alfabeto. (Renzo Pezzani)

Compagni di banco

Che cosa vuoi? Son pronto a darti tutto:
una penna, un quaderno, un taccuino,
purchè tu venga per un po’ vicino…
…Noi sederemo ad uno stesso banco
riordineremo i libri a quando a quando,
e rileggendo un compito e guardando
sul tavolino un grande foglio bianco… (Marino Moretti)

Ritorno a scuola

Oh, sì! prendiamo la cartella scura,
il calamaio in forma di barchetta,
i pennini, la gomma e la cannetta,
la storia sacra e il libro di lettura…
Andiamo, andiamo! Il tema è messo in bella!
Andiamo, andiamo! Il tema è messo in buona!
Dio, com’è tardi! La campana suona…
Fra poco suonerà la campanella…
Ma che dico? E’ domenica, è vacanza!
non c’è scuola, quest’oggi: solamente
c’è da imparare un po’ di storia a mente,
soli, annoiati, nella propria stanza… (Marino Moretti)

La scuola

Ha riaperto la scuola i suoi battenti;
l’insegnante sorride con amore:
ben sa che degli alunni c’è nel cuore
il rimpianto pei bei divertimenti.
Monti, campagna, mare… che concerti
d’urla felici! Che giocondo ardore!
In piena libertà correvan l’ore;
e adesso invece tutti fermi e attenti!
“Consolatevi” ei dice, “il tempo vola:
verranno un’altra vola le vacanze;
ma ora, ricordate, siete a scuola.
E nello studio certo troverete
la gioia che ha dolcissime fragranze,
se trarre buon profitto voi saprete!” (Livio Ruber)

La scuola

Chi mai l’ha costruita, un po’ appartata
all’altre case, come una chiesuola,
e poi che l’ebbe tutta intonacata
le ha scritto in fronte la parola “Scuola”?
E chi le ha messo al collo per monile
una campana senza campanile?
Chi disegnò per lei quei due giardini
con pochi fiori e giovani alberelli
difesi dall’insulto dei monelli
da fascetti di brocche, irti di spini?
Chi seminò con tanto amor le zolle?
Perchè, bambino, costruir la volle?
Non per un bimbo, ma per quanti sono
nel mondo, suona quella campana;
e la scuola ti sembra così bella,
e quell’aiuola un rifiorente dono,
perchè col giardiniere e il muratore,
vi mise mano, ogni dì, anche l’amore. (Renzo Pezzani)

A scuola

Come il mulino odora di farina,
e la chiesa d’incenso e cera fina,
sa di gesso la scuola.
E’ il buon odor che lascia ogni parola
scritta sulla lavagna,
come un fioretto in mezzo alla campagna.
Tutto qui dentro è bello e sa di buono.
La campanella manda un dolce suono,
e a una parete c’è una croce appesa…
pare d’essere in chiesa:
s’entra senza cappello,
si parla a voce bassa,
si risponde all’appello…
Oh, nella scuola il tempo come passa!
S’apre il libro, si legge e la signora
spiega, per chi non sa, or questo or quello
come in un gioco: un gioco così bello
che quando di fa l’ora
d’uscir, vorremmo che durasse ancora.
Come il mulino odora di farina
e la chiesa d’incenso e cera fina,
la casa prende odor dal pane nostro
e la scuola dal gesso e dall’inchiostro. (Renzo Pezzani)

 La scuola
La scuola è proprio come una chiesetta
che i suoi fedeli aspetta:
aspetta i suoi fedeli ogni mattina
questa allegra chiesina.
Talora nelle nobili città,
ha lustro e maestà;
talor, purtroppo, è misero abituro,
il luogo angusto e oscuro.
Eppure anche se povera e modesta
prende un’aria di festa
quando è piena di voi, bimbi, la scuola,
quando non è più sola.
Di fianco non le sorge col gentile
richiamo il campanile;
eppure anch’essa snocciola bel bello
un suon di campanello.
Ed entrano i fedeli a mano a mano,
con un libretto in  mano,
per andarsi a seder tutti, o sorpresa!
sui banchi come in chiesa.
Lo studio, bimbi, in certa qual maniera,
è anch’esso una preghiera. (L. Ambrosini)

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LA BAMBINA TROPPO PIGRA racconto

LA BAMBINA TROPPO PIGRA racconto sulla pigrizia e  il lavoro per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La bambina troppo pigra

C’era una volta una bambina tanto pigra che la pigrizia si sarebbe vergognata di essere sua sorella. Quella bambina non si scomodava nemmeno per portarsi il cibo alla bocca.
Un giorno, mentre sedeva in rima al fiume, si udì chiamare da un palmizio. Il palmizio cresceva sull’altra sponda.
“Ehi! Ehi!” le diceva, agitando i rami alla sua volta.

La bambina era troppo pigra per rispondere, e tanto più per attraversare il fiume e chiedere alla palma che volesse.
Infine la palma, stizzita, gridò: “Possibile che tu non sia nemmeno curiosa di sapere che cosa io desidero offrirti? Guarda, al tuo fianco c’è una barca. Montaci su, rema fin qui, e cogli i miei germogli”.
La bambina pigra a malincuore si alzò, entrò nella barca, remò fino all’altra sponda, e: “Eccomi!” disse alla palma.

La palma la picchiò lievemente con i suoi rami.
“Questo” le disse, “per punirti della tua pigrizia. Ora cogli i miei germogli, portali con te, lasciali asciugare un poco al sole, e poi con essi fabbricati una cesta. Guai a te se non mi obbedirai. Allora sì che te ne pentiresti!”
La bambina quasi piangeva a dover lavorare, ma non potè fare a meno di obbedire.
Colse i germogli, se li portò a casa, li mise ad essiccare al sole e cominciò ad intrecciare una cesta di modeste dimensioni.

Quando fu pronta, la cesta disse: “Brava, ragazzina! Ora portami sulla strada che va al mercato; deponimi là dove passa la gente, poi torna a casa”.
La ragazzina obbedì. Tornò a casa. La cesta rimase dov’essa l’aveva deposta.
Passò molta gente e non fece attenzione alla cesta.

Giunse un ricco signore, la scorse e si domandò: “Chissà chi l’ha perduta? La prenderò e la porterò con me al mercato. Se troverò il suo proprietario, gliela restituirò; se non lo troverò, me la terrò per metterci gli acquisti”.
La raccolse e andò al mercato. Lì domandò se qualcuno avesse perduto la cesta. Nessuno disse di averla perduta. Allora egli fece le sue provviste e la riempì di ghiottonerie. La riempì di noci, banane, torte, datteri, pesci, riso cotto, poi la depose accanto a un pozzo, e si intrattenne a conversare con alcuni amici.
Ma quando si voltò per riprenderla, la cesta non c’era più.

Aveva messo le gambe e correva a rotta di collo verso la casa della ragazzina pigra.
Correva e gridava: “Presto, presto, vienimi incontro; da sola non riesco a trascinare questo peso”.
La bambina, sia pure di malavoglia, uscì per aiutarla. E l’aiutò.
Poi, viste le buone cose che la cesta conteneva, si disse che metteva di conto di andare tutte le mattine a porla sulla via del mercato.
Così fece. Ogni volta, la cesta ritornava a casa da sola, colma di ghiottonerie.
Poi, all’improvviso, cessò di funzionare.
La bambina, però, intanto, era guarita dalla sua pigrizia.

Ogni giorno saliva sulla barca, remava fino all’altra sponda, coglieva i germogli di palma, intrecciava ceste e andava a venderle al mercato.

Con i denari guadagnati comprava noci, banane, torte, pesci, riso cotto e datteri. E tutto le pareva più buono, perchè se lo procurava col suo lavoro.

(P. Ballario)

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I DUE CAMPETTI racconto

I DUE CAMPETTI racconto per bambini della scuola d’infanzia e primaria, sul tema della pigrizia e del lavoro.

Uno di qua, uno di là dal fiume si stendevano due piccoli campi. Due fratelli li coltivavano, uno sollecito e l’altro pigro.
Il fratello sollecito si alzava all’alba e si metteva subito a lavorare il suo campetto. Vangava, concimava, seminava. Poi, a suo tempo, ripuliva i solchi, annaffiava, rincalzava le piante, le curava.
L’altro fratello si levava sul mezzogiorno. Dava alla peggio poche zappate. Gli faceva fatica star curvo sui solchi, annaffiare, potare. Lasciava crescere le erbe selvatiche.

Di quando in quando, sbadigliando, dava un’occhiata al campetto del fratello e diceva: “Quella è terra migliore. Deve essere esposta meglio al sole, più umida e più grassa”.
Tanto fece e tanto disse che convinse il fratello a fare il cambio.

Il fratello sollecito ripulì il campo mezzo selvatico. Lo lavorò di lena. Piantò, sarchiò, potò.
Il pigro invece, sicuro di avere ora il campo migliore, dormì anche di più e lavorò di meno.

Non passò molto tempo e il campo peggiore diventò il migliore, mentre il migliore diventò uno sterpaio.
“Come sono sfortunato!” disse il fratello pigro, vedendo che le coltivazioni del suo campo andavano in rovina. “Proprio ora che il mio campo migliorava, l’ho ceduto…”.

Tanto fece e tanto disse che lo rivolle per sè.
Ma dopo poco tempo si fu alle solite.

Il campetto del fratello sollecito prosperava. Quello del fratello pigro invece inaridiva.

“Colpa del seme! Colpa del sole! Colpa della pioggia! Colpa dell’erbaccia! Colpa dei bruchi! Colpa di tutti e di tutto!” pensava il fratello pigro.

E non si avvedeva che la colpa era tutta e soltanto sua.

P. Bargellini

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RACCONTO La vera ricchezza

RACCONTO La vera ricchezza

Un giovane si lagnava perchè era povero.

“Iddio non mi ha dato nulla!” diceva, “Non oro, non terre, non palazzi. Si è dimenticato di me. E’ stato avaro”.

L’udì un vecchio saggio.

“Sei proprio sicuro che Iddio non ti abbia donato nessuna ricchezza?”

“Come no!” rispose sicuro il giovane, “Vedi? Io non ho nulla!”

Il vecchio sorrise:

“Tu hai due splendidi occhi” disse al giovane, “li cederesti per avere un palazzo?”

“No davvero”, rispose il giovane.

“E una mano la daresti per un pugno d’oro?”

“No”

“E una gamba per un campo?”

“No”

“E l’udito per un mobile?”

“No”

“E il tuo stomaco per un gioiello?”

“No”

“E il tuo fegato per un podere?”

“No”

“E il tuo cuore per una carrozza?”

“No, e poi no!”

“E allora non ti lagnare. Vedi che Iddio ti ha fatto più ricco di quel che credi. Tu hai tanti tesori e non te ne accorgi. Se però venissero a mancare, ti accorgeresti a un tratto quale sia la vera ricchezza. “

L. Tolstoj

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Dettati ortografici – LA SCUOLA

Dettati ortografici – LA SCUOLA

Dettati ortografici – LA SCUOLA – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Una scuola di città
La ghiaia del cortile, le pozzanghere, i muri alti, con tante finestre tutte uguali, ogni finestra una classe, tanti maestri, tante maestre, tanti ragazzi tutti vestiti con lo stesso grembiule, e le stesse parole, gli stessi rimproveri, gli stessi problemi, da anni… Non c’è proprio niente di nuovo… Uno sguardo nel corridoio: come sempre un attaccapanni lunghissimo, tanti cappotti, tante mantelline, sciarpe rosse, duo o tre pelliccette e dentro le tasche, che cosa? Fischietti, bottoni, viti, il coperchio di una scatola di lucido, briciole di dolci mangiati chi sa quanto tempo fa, briciole che diminuiscono perchè ogni tanto, a ricordo di quel sapore, anche una briciola è buona. (G. Mosca)

Una vecchia scuola di villaggio
Il locale aveva tre pareti su quattro, dimezzate dal tetto a punta e due aperture per la luce simili più a feritoie che a finestre. L’una infatti spiava su un vicolo angusto e l’altra guardava le montagne che chiudevano l’orizzonte dalla parte di tramontana. I banchi erano lunghi e di quercia stagionata e portavano i segni ingloriosi delle offese ricevute da cinque generazioni di scolari. Al momento dell’entrata i primi arrivati si annunciavano con il battere dei loro zoccoli sui gradini della ripida scala di legno. (M. Menicucci)

Scuola
Tutti, tutti studiano ora. Pensa agli operai che vanno a scuola la sera, dopo aver faticato tutta la giornata; alle donne, alle ragazze che vanno a scuola la domenica, dopo aver lavorato tutta la settimana. Pensa agli innumerevoli ragazzi che, press’a poco a quell’ora, vanno a scuola in tutti i paesi. Vedili con l’immaginazione, che vanno, vanno per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi, dove sotto un sole ardente, dove tra le nebbie, tutti con i libri sotto il braccio. E pensa: se tutto questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie. (A. De Amicis)

Animo, al lavoro!
Animo, al lavoro! Al lavoro con tutta l’anima e con tutti i nervi! Al lavoro che mi renderà il riposo dolce, i giochi piacevoli, il mangiare allegro; al lavoro che mi renderà il buon sorriso del maestro e quello benedetto di mio padre. A. De Amicis

La cartella
Stamattina ho ripreso in mano la mia cartella per tornare a scuola. E’ la mia cartella dell’anno passato che la mamma ha ben spolverata e lucidata. Mi seguirà ancora per un intero anno scolastico  e sarà partecipe delle mie gioie e dei miei dolori. Come l’anno passato conterrà libri, quaderni, astuccio. Cercherò di conservarla bene.

Ritorno
L’estate è finita. I felici giorni trascorsi sulle spiagge, in campagna, sui monti, rimangono vivi soltanto nel nostro ricordo: si torna al lavoro, le vacanze sono finite. Anche i bambini, a cui il riposo ha ritemprato le forze, tornano volentieri a scuola. Cominciano serenamente il nuovo anno scolastico: è bello lavorare, è bello imparare! (Teresa Stagni)

La scuola
Anche la scuola ha le sue lotte, le sue battaglie; ma lotte pacifiche, battaglie amichevoli, dove la vittoria è comune, comune il premio. Vittoria è sentirsi dopo la battaglia più ricchi di virtù e di sapere; premio è il sentire cresciuta l’amicizia e la stima. Lontano dalla scuola i rancori e le insidie; oh, non arrivino mai questi a turbare l’aria pura e serena della scuola! (F. De Sanctis)

Ritorno
Bentornati, bambini, a scuola. Il tempo del riposo e dello svago è finito ed ora dobbiamo dedicarci allo studio. C’è in noi un certo rincrescimento per aver lasciato il mare, i monti e la campagna, ma c’è anche la gioia di esserci incontrati ancora tutti, per riprendere insieme il nostro lavoro.
La scuola non vi toglierà tutto il vostro tempo, di cui avete bisogno per giocare, ma vi ricorda che prima del gioco  avete un dovere da compiere: studiare.
Amate la scuola, accorrete alle vostre aule puntuali, volenterosi e soprattutto sereni. Ricordatevi che le vacanze estive vengono tutti gli anni e saranno sempre più belle per chi durante l’anno scolastico avrà ben meritato.
Buon lavoro e siate buoni! (G. Spanu)

A scuola
Eccoci di nuovo a scuola. Tu non sei più uno scolaretto timido come nelle classi precedenti, quando eri più piccino. Sai che il tuo dovere è quello di studiare e di imparare tante cose che ti faranno diventare onesto, forte, buono.

I migliori amici
I libri sono nostri amici. Essi ci fanno compagnia nella quiete del nostro studio, ci seguono nella campagna, rallegrano la nostra solitudine, riempiono le ore placide della vita. Ci parlano se interrogati; se li lasciamo non si lamentano; divertono nei tempi quieti e sereni, danno forza e coraggio nelle terribili circostanze, aprono le pagine della storia, ci fanno vivere coi grandi uomini che già furono. (F. Pananti)

Compagni di scuola
Tu vuoi bene, vero, ai tuoi compagni di scuola? Potrai avere una predilezione per il tuo vicino di banco, per il più bravo della classe, per quello che è stato colpito dalla sventura, ma a tutti, vero? A tutti vuoi bene. Al più ricco come al più povero tu doneresti, se venisse a casa tua, un fiore del giardino e tua madre gli chiederebbe della sua mamma, e gli aprirebbe il suo cuore chiamandolo “Figlio mio”. (M. Moretti)

Il maestro

Ogni maestro è come il comandante di una nave pronta a salpare. La scuola è la tua nave e tu sei scolaro e marinaio. A ogni lezione si parte e si arriva. Ed è sempre il maestro che ti dà il segnale, indica i punti da vedere e insegna le cose da imparare. Spesso scrive sulla lavagna lettere e vocali, numeri e parole. E sempre guarda negli occhi e guarda nel cuore di ciascuno come un buon comandante fa coi suoi marinai. Ogni mattina si parte per una tappa nuova. E la nave scuola solca il grande mare del sapere. (N. Salvaneschi)

A scuola

La scuola vi accoglie con un sorriso e vi dice: “Siete ritornati a scuola, come a una festa. Sono passate le vacanze, e ne avete abbastanza di giochi, di corse, di libertà. I vostri occhi brillano di gioia, della gioia di ritrovare i vostri compagni, le vostre compagne, la vostra maestra. Vi ritrovo cresciuti, con un bel colorito: quasi non vi riconosco più. Il vostro viso è sorridente, nei vostri occhi c’è il desiderio di imparare. Al lavoro, bambini, con serenità!” (A. R. Piccinini)

Parla il libro

Io sono soltanto un libro, una cosa che tu potresti strappare con tue mani impazienti, che tu potresti sgorbiare con la tua penna, che tu potresti gualcire in un momento di stizza. Ma ricordati che sono il frutto del lavoro di tanti uomini.
Per farmi così, come mi vedi, una fabbrica ha lavorato per produrre la carta.  Su questa carta gli stampatori hanno impresso i caratteri e le illustrazioni. Ma, prima di questo, lo scrittore ha dovuto scrivere i racconti e il pittore ha disegnato e colorato le figure. Ora sono nella tua cartella e tu puoi leggere su di me tante belle e nuove cose. Se tu vuoi ti insegnerò a diventare più buono e più bravo. In cambio ti chiedo di non sciuparmi e di leggermi, di studiarmi. Non è molto in confronto a tutto quello che ti dono. (M. Menicucci)

I miei compagni
22, sabato.
Ieri, mentre il maestro ci dava notizie del povero Robetti, che dovrà camminare un pezzo con le stampelle, entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte; tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttore, dopo aver parlato all’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito.
Allora il maestro gli prese una mano, e disse: “Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia da qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra Patria, dove son grandi montagne, abitate da un popolo pieno di ingegno e di coraggio. Vogliategli bene in maniera che non si accorga di essere lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta piede, ci trova dei fratelli”.
Detto questo si alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria.
Poi chiamò forte: “Ernesto De Rossi!”, quello che ha sempre il primo premio. De Rossi si alzò.
“Vieni qua” disse il maestro.
De Rossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese.
“Come primo della scuola” gli disse, “da’ l’abbraccio del benvenuto in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio del figliolo del Piemonte al figliolo della Calabria”.
De Rossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: “Benvenuto!”, e questi baciò lui sulle due guance, con impeto. Tutti batterono le mani.
“Silenzio!” gridò il maestro, “Non si battono le mani a scuola!”.
Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento.
Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: “Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perchè questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa sua a Reggio Calabria, il nostro Paese lottò per cinquant’anni, e tremila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti tra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno, perchè non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore”.
Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa e un altro ragazzo, dall’ultimo banco gli mandò un francobollo di Svezia.

Martedì, 25
Il ragazzo che mandò il francobollo al calabrese è quello che mi piace più di tutti, si chiama Garrone, è il più grande della classe, ha quasi quattordici anni, la testa grossa, le spalle larghe; è buono, si vede quando sorride; ma pare che pensi sempre, come un uomo. Ora conosco già molti dei miei compagni. Un altro mi piace pure, che ha nome Coretti e porta una maglia color cioccolata e un berretto di pelo di gatto; sempre allegro, figliolo di un rivenditore di legna, che è stato soldato nella guerra del ’66, nel quadrato del Principe Umberto, e dicono che ha tre medaglie. C’è il piccolo Nelli, un povero gobbino, gracile e col viso smunto. C’è uno molto ben vestito che sempre si leva i peluzzi dai panini e si chiama Votini.
Nel banco davanti al mio c’è un ragazzo che chiamano il muratorino, perchè suo padre è un muratore; una faccia tonda come una mela, con un naso a pallottola; egli ha un’abilità particolare, sa fare il muso di lepre, e tutti gli fanno fare il muso di lepre, e ridono; porta un piccolo cappello a cencio che tiene appallottolato in una tasca come un fazzoletto. Accanto al muratorino c’è Garoffi, un coso lungo e magro, col naso a becco di civetta e gli occhi piccoli piccoli, che traffica sempre con pennini, immagini e scatole di fiammiferi, e si scrive la lezione sulle unghie per leggerla di nascosto.
C’è poi un signorino, Carlo Nobis, che sembra molto superbo ed è in mezzo a due ragazzi che mi sono simpatici: il figlio di un fabbro ferraio, insaccato in una giacchetta che gli arriva al ginocchio, pallidino che par malato e ha sempre l’aria spaventata e non ride mai; e uno coi capelli rossi che ha un braccio morto, e lo porta appeso al collo: suo padre è andato in America e sua madre va attorno a vendere erbaggi.
E’ anche un tipo curioso il mio vicino di sinistra, Stardi, piccolo e tozzo, senza collo, un grugnone che non parla con nessuno e pare che capisca poco, ma sta attento al maestro senza batter palpebra, con la fronte corrugata e coi denti stretti; e se lo interrogano quando il maestro parla, la prima e la seconda volta non risponde, la terza volta tira un calcio. E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un’altra sezione.
Ci sono anche due fratelli, vestiti uguali, che somigliano a pennello, e portano tutti e due un cappello alla calabrese, con una penna di fagiano.
Ma il più bello di tutti, quello che ha più ingegno, che sarà il primo di sicuro anche quest’anno, è De Rossi, e il maestro, che l’ha capito, lo interroga sempre. Io però voglio bene a Precossi, il figlio del fabbro ferraio, quello dalla giacchetta lunga, che pare un malatino; dicono che suo padre lo batte; è molto timido e ogni volta che interroga o tocca qualcuno, dice “Scusami”, e guarda con gli occhi buoni e tristi. Ma Garrone è il più grande e il più buono.
(E. De Amicis)

Dettati ortografici – LA SCUOLA – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici BUONE MANIERE E GENTILEZZA

Dettati ortografici BUONE MANIERE E GENTILEZZA

Dettati ortografici BUONE MANIERE E GENTILEZZA – Una collezione di dettati ortografici su argomenti vari:  gentilezza, buone maniere, amicizia, famiglia, ecc…, per la scuola primaria

La nostra piccola società: siamo veramente uguali?
Scegliamo tre bambini di uguale statura, ad esempio Massimo, Antonio e Carlo, e facciamo loro eseguire una semplice gara di corsa, dal fondo dell’aula alla cattedra. Vince Carlo. E’ giusto che riceva un premio o una lode? Sì, perchè i tre concorrenti erano uguali per capacità,  e uguale era la distanza da percorrere.
Ripetiamo la gara, ma ora disponiamo Carlo in fondo all’aula, Antonio a quattro metri e Massimo a due metri dalla cattedra. Naturalmente vince Massimo. Ma è giusta la sua vittoria?
Disponiamo ancora i tre bambini: uno libero e sciolto, uno con una gamba legata, il terzo con un grosso peso sulle spalle. Chi vincerà? Sarà giusta la sua vittoria?
Chiamiamo ora i bambini a riflettere: anche nella vita accade come in queste gare. Non siamo tutti uguali: ogni uomo è diverso dall’altro per le sue capacità fisiche e intellettuali, per l’educazione che ha ricevuto, per l’ambiente sociale in cui vive, per i mezzi di cui può disporre.
Pensiamo alla piccola società della nostra classe, anche se siete tutti bambini della stessa età alcuni di voi sono alti e robusti, altri piccoli e mingherlini; ci sono tra voi bambini che riescono facilmente nello studio, altri che riescono meno ma volenterosi; ci sono bambini attivi e bambini facili alla pigrizia; bambini loquaci e bambini taciturni.
L’insegnante a volte, nel giudicare uno stesso compito, ad uno stesso risultato assegna voti diversi. Perchè? E’ forse ingiusto il suo comportamento? No, se ha considerato le difficoltà che ogni bambino ha dovuto superare, lo sforzo che ha saputo compiere, e se ha giudicato ciascuno in modo imparziale.
Educhiamo i bambini a giudicare con serenità i successi o gli insuccessi dei compagni; ad essere imparziali nel valutare il proprio lavoro e quello degli altri; esortiamoli ad aiutarsi a vicenda.

Le tre cose difficili 

Ad un sapiente dell’antica Roma fu chiesto quali fossero per un uomo le cose più difficili. Il sapiente pensò un poco, poi disse: “Le cose più difficili sono: tenere un segreto, dimenticare un’offesa, spendere bene il proprio tempo”.

Fratelli

Se vuoi  essere un buon fratello, guardati dall’egoismo; proponiti ogni giorno di mostrarti generoso. Rallegrati delle virtù delle sorelle e dei fratelli tuoi e imitale; rallegrati delle gioie loro, condividi i loro piccoli crucci e fa che essi abbiano a benedire la sorte di averti fratello. (S. Pellico)

Il prossimo

 Vecchi e giovani, ricchi e poveri, disgraziati e felici, tutti sono il nostro prossimo. Noi abbiamo tanti bisogni che non sappiamo soddisfare da soli: ecco che ci aiuta il prossimo nostro. Ama il tuo prossimo: soccorri il bisognoso, sii pietoso con chi soffre, sappi difendere il debole, pratica il bene, proteggi il derelitto, consola chi piange. Queste sono tutte opere d’amore per il prossimo. G. Mazzini

Roba d’altri

Che quiete si godrebbe nel mondo se tutti rispettassero la roba altrui! Non più ladri, non più vandali. L’uomo che non offende nessuno e non teme vendette, starebbe tranquillo; le mura di cinta, i muretti, gli steccati, i cancelli, le siepi vi sarebbero solo per ornamento. I giardini, gli orti, i viali sarebbero aperti al pubblico sempre e senza bisogno di sorveglianza. Verrà quest’ora felice? Speriamolo. P. Pasquali

Attenti ai fiammiferi

In tutte le case esistono dei piccoli oggetti molto pericolosi che si chiamano fiammiferi. Il loro compito è di accendere i fornelli, le candele, i caminetti… Ma quei personaggi, in apparenza così innocenti, sono pronti a dar fuoco a intere case! Essi sono vere armi da fuoco!   A. Rubino

Quel che è di tutti

Dire che una cosa è di tutti, non vuol dire certo  che è di chi se la prende, nè che tutti possono farne quello che vogliono. Vuol dire che tutti possono goderne senza danneggiarla. Così sono di tutti i fiori dei giardini pubblici, ma devono restare di tutti. Nessuno ha diritto di portarsene a casa un mazzo, ma tutti di goderne la bellezza, il profumo. Sono di tutti le panchine dei viali, dei giardini. Chi si siede ha diritto di trovarle pulite; quando se ne va, ha il dovere di lasciarle in modo che altri si possano sedere, senza trovarvi terra, sassolini o sudicerie. Sono di tutti gli alberi che danno ombra e frescura lungo le vie, le siepi, i cespugli, le fontanelle. E’ di tutti la strada. Tutti vi devono poter camminare sicuri. Nessuno ha diritto di disturbare gli altri, di ingombrare il marciapiede, di farvi delle file per traverso, di passarvi a corsa sfrenata. Hanno diritto di camminarvi anche i vecchi, i bambini, i deboli. E per rispetto degli altri non si devono gettare per la strada rifiuti, cartacce, scatolette o peggio; e tanto meno, si deve far piovere questa roba dalle finestre. Dove tutti capiscono queste cose si vive meglio.

Vivere insieme.

Nella città dove migliaia di persone vivono senza mai conoscersi, si sfiorano senza incontrarsi, il quartiere è luogo dove la gente si conosce, si capisce, si riunisce negli stessi luoghi, si  ritrova nei medesimi negozi. E’ il luogo dove i ragazzi frequentano la stessa scuola, i genitori stringono amicizie, e tutti si aiutano scambievolmente. Ma, vivere vicini, specialmente dove lo spazio è limitato, dove i servizi spesso sono in comune e talvolta insufficienti, significa imporre a se stessi delle limitazioni e dei sacrifici, per rispettare il riposo, le attività, lo spazio, le esigenze degli altri; significa sapersi scusare con  garbo, trattare con cortesia, offrire aiuto, giocare senza far chiasso, con moderazione, non insudiciare scale, soglie, marciapiedi, ecc…

Rispettiamo chi soffre.

Se misuri i tuoi passi ed i tuoi gesti in una casa privata, perchè non dovresti fare lo stesso nella strada che è la casa di tutti? Tutte le volte che incontri un vecchio, un povero, un malato, un uomo che sta lavorando, una famiglia vestita a lutto, cedi il passo con rispetto. Noi dobbiamo rispettare la vecchiaia, la miseria, l’infermità, la fatica, il dolore e la morte. (E. De Amicis)

Il prossimo

Vecchi e giovani, ricchi e poveri, disgraziati e felici, tutti sono il nostro prossimo. Noi abbiamo tanti bisogni che non sappiamo soddisfare da soli: ecco che ci aiuta il nostro prossimo.
Il medico, l’operaio, l’insegnante, l’agricoltore, tutti sono il nostro prossimo.
Ama il tuo prossimo: soccorri il bisognoso, dà un pane all’affamato, sii pietoso con chi soffre. (G. Mazzini)

La sincerità

Non vi è miglior dote in un bambino della sincerità.
Hai commesso un fallo? Non nasconderlo, abbi il coraggio di confessarlo, ti sarà perdonato facilmente e la coscienza non ti rimprovererà.
E’ tanto bello lo sguardo franco e sereno del bambino che non conosce la menzogna!
Il bambino che ha il coraggio di confessare le sue mancanze è un bimbo coraggioso che non indietreggia davanti al pericolo. E’ leale e merita per questo di essere perdonato e stimato.

La giornata

Ogni ora è come una moneta da spendere. C’è chi la spende bene, sempre pensando a ciò che fa, sempre pensando, che passata, quell’ora non torna più.
C’è chi butta via le sue monete e alla sera sente di essere povero povero. Poi il sole tramonta, l’aria si fa scura, il mondo silenzioso. E nel silenzio si sente una voce che domanda: “Come hai speso la tua giornata?” (G. Vaj Pedotti)

La verità

La verità è come una scintilla di fuoco nascosta in un cumulo di paglia. Voi credete che sia spenta ed essa brucia. Voi la coprite di bugie. Sperate così di nasconderla e soffocarla. Ma la verità non si spegne. Cova lentamente. Si fa strada a poco a poco. E a un tratto, ecco spunta una linguetta di fuoco. E’ la sorpresa. E’ la verità che si fa luce. Allora il mucchio di bugie messo sopra la verità arde e si consuma. E la bella fiammata della verità crepita e sorride. (G. Capo)

 I giochi

Anche nel gioco si distingue il bambino gentile e bene educato. Il bambino d’animo buono si preoccupa che anche gli altri si divertano come si diverte lui. Non impone la sua volontà, non è arrogante. Non bisticcia per piccole sciocchezze. Si diverte con misura. Non è egoista fino al punto di negare che un compagno più povero giochi con la sua palla. Gioisce anzi della sua gioia. Chiamato dalla mamma, lascia prontamente  il gioco, senza rimpianti.

Comportiamoci bene

Gli uomini non sono amati per la loro ricchezza; non sono amati per la loro sapienza; ma sono amati per la loro bontà. Dobbiamo essere gentili coi nostri superiori, con i genitori, con gli amici, ma anche con quelli più umili di noi. La scuola è una grande famiglia; sii studioso, attento, generoso verso i compagni, per esserne degno.

Dare

Tutti siamo  nati uguali , tutti dobbiamo morire, nulla resta delle ricchezze, della gloria, del potere: tutto è transitorio. Perchè allora la gente si aggrappa tanto disperatamente a questi beni terreni? E perchè coloro che hanno molto di più di quello che ad essi abbisogna, non danno il superfluo ai loro fratelli? Perchè per qualcuno la vita deve essere così dura?
Che soddisfazione pensare che non abbiamo alcun bisogno di aspettare, che tutti possiamo subito cominciare a cercare di cambiare il mondo, un pochino per volta!… che ciascuno di noi, grande o piccolo, può contribuire immediatamente a diffondere un po’ di giustizia.
Date e riceverete: molto di più di quello che possiate immaginare. Nessuno è mai diventato povero per aver dato. Se lo farete, fra qualche generazione nessuno dovrà provar compassione per i bimbi poveri, perchè di gente povera non ce ne sarà più. C’è posto per tutti a questo mondo, c’è denaro per tutti, ricchezza per tutti, cose belle per tutti. Siamo noi che dobbiamo cominciare a dividercelo con giustizia. (Anna Frank)

Dettati ortografici  BUONE MANIERE E GENTILEZZA – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Racconti – Le buone maniere…

Una raccolta di racconti per bambini sul tema buone maniere e gentilezza, di autori vari, per la scuola d’infanzia e primaria.

La strada della cortesia
C’era una volta un principino superbo e maleducato. Non chiedeva ma le cose per piacere.
Un giorno si perse in un bosco. Incontrò una vecchina curva sotto il peso di un sacco e le gridò sgarbatamente: “Vecchia, qual è la strada della reggia?”
La vecchina si strinse nelle spalle, allungò il mento, socchiuse gli occhi e rispose: “Non saprei. Chiedilo al gatto, che sa tutto”.

“Gatto” disse il principino “Voglio tornare alla reggia. Insegnami la strada!”
“Domandalo al cane, che ha girato tanto.”
“Cane, qual è la strada della reggia?”
“Domandalo allo scoiattolo, ce vede tutto”
“Scoiattolo, voglio sapere la strada della reggia”
“Chiedilo allo scricciolo, che ode tutto”
“Scricciolo, insegnami la strada della reggia”
Lo scricciolo volò sulla spalla del principe e gli sussurrò all’orecchio: “Principe, se vuoi ritrovare la reggia, prendi la strada della cortesia e comincia col domandare le cose -per piacere-“.

Il principe capì la lezione e subito disse: “Per piacere, mi potresti insegnare la via?”
Lo scoiattolo scese dall’albero e lo accompagnò fino a una radura dov’era il cane.
“Cane, per piacere mi accompagni verso la reggia?”
Il cane lo guidò fino al bivio dov’era il gatto.

“Gatto, per favore, mi dici dov’è la reggia?”
Il gatto, scodinzolando, lo condusse fino la limite del bosco. Qui era ad aspettarlo la vecchina.
“Nonnina, per gentilezza, mi dite dov’è la reggia?”
La vecchina lo prese per mano e lo condusse fino alla porta del palazzo reale.

“Entrate, per favore” disse il principino cortesemente.
“Grazie, caro. Sono contenta, perchè vedo che hai imparato la strada della gentilezza. D’ora in poi non ti perderai più”.
(P. Bargellini)

La camicia dell’uomo felice
Un re non era affatto contento e un giorno andò da un Mago.
“Io non sono felice” disse. “Sono ricco, potente, ho un regno grande pieno di belle cose. Ma non sono contento. Dimmi cosa devo fare per avere la felicità.”
Il mago guardò dentro una caldaia dove bolliva un liquido nero come la pece, v’introdusse la sua bacchetta magica, l’annusò e disse: “Ho trovato. Ti occorre la camicia dell’uomo felice. Quando la indosserai sarai finalmente contento”.

Il re, allora, mandò i suoi soldati alla ricerca dell’uomo felice, con l’ordine di levargli subito la camicia e portarla a lui. I soldati si misero a girare per città e campagne e quando vedevano un uomo dalla faccia contenta, gli chiedevano: “Sei felice?”
“Niente affatto!” rispondeva quell’uomo. “Mi manca questo, mi manca quest’altro”. E i soldati riprendevano le ricerche.

Dopo un anno, un mese, un giorno, non avevano trovato ancora quello che cercavano e tornarono al castello a mani vuote. Il re si infuriò moltissimo e disse: “Verrò con voi e vedremo se riuscirò a trovare l’uomo felice”. Con i suoi soldati percorse mezzo regno, ma non trovava ciò che voleva, tanto che si era deciso a tornare a casa, sempre più malinconico e adirato. Una mattina sentì il suono di uno zufolo di canna. Era un’arietta allegra che metteva la gioia nel cuore soltanto a sentirla. “Andiamo a vedere chi suona” disse il re.

Trovarono un pastorello che suonava in mezzo alle sue pecorelle.
“Chi sei?” gli chiese il re.
Il pastorello lo guardò, poi si mise a ridere e disse: “Che vi importa il mio nome? Sono un pastorello felice…”
Allora il re dette ordine ai suoi soldati che levassero la camicia all’uomo felice. Ma il pastorello era così povero che non aveva neppure la camicia.
Mimì Menicucci

L’anello incantato
In una piccola casa sperduta nel bosco, vivevano un vecchietto e una vecchietta. Lui era ancor buono a intrecciare panieri, lei raccoglieva, nella buona stagione, bacche e frutti e così vivevano alla meglio, in pace e in tranquillità. E se il lavoro, talvolta, mancava, se la prendevano con pazienza e non si lagnavano mai.
Un giorno, il vecchietto dovette andare a far legna nel bosco. L’inverno era duro e la provvista era finita. Non c’era nemmeno un fuscello per scaldare la minestra. Fuori c’era la neve alta e faceva freddo. “Copriti bene” disse la vecchietta. “Prendi la sciarpa di lana e non ti scordare il fazzoletto da naso”.

Il vecchietto prese l’accetta, si mise il cappelluccio e andò nel bosco. La neve cedeva sotto i suoi piedi ed egli faticava molto a fare il suo fastello. Quando l’ebbe finito tirò un sospiro di soddisfazione. Mentre stava per caricarsi sulle spalle il fascio di legna, vide qualcosa luccicare in mezzo alla neve. Era un anellino di ferro senza nessun valore. “Lo porterò alla mia vecchia” disse. “Gli anelli fanno sempre piacere alle donne”. Se lo infilò al dito per non perderlo ma, appena ebbe fatto questo gesto, sentì una vocina che diceva: “Esprimi il tuo desiderio e qualunque esso sia sarà soddisfatto”.
“Corbezzoli!” esclamò il vecchietto. “E’ un anello incantato”.

Lo guardò, poi lo levò dal dito e lo mise in tasca. “Meglio sentire il consiglio della mia vecchietta”. E si diresse verso casa.
“Vecchietta mia, ho trovato un anello fatato. Sta a sentire”. Lo infilò al dito e subito si sentì la vocina. La vecchietta fece un fischio per la sorpresa. “Questo vuol dire che se chiedessimo un sacco d’oro, potremmo averlo?”
“Certo, ma in fondo, che cosa ne faremmo di un sacco d’oro? Abbiamo così poche necessità”.
“Certo, certo!” Si affrettò a dire la vecchietta. “Dicevo così per dire. Quattrini sono pensieri”.
“Forse, potremmo chiedere un palazzo”.
“Un palazzo?” La vecchietta si guardò attorno sbigottita. “Ho vissuto quarant’anni in questa capanna. In un palazzo non mi ci troverei bene”.

“Senti” disse allora il vecchietto con voce decisa “chiediamogli che non ci manchi mai il lavoro. E’ l’unica cosa che ci porterebbe vantaggio.
“Bravo vecchietto! Hai avuto proprio una bella idea”.
E così chiesero all’anello che non mancasse mai il lavoro.
Da quel giorno una quantità di gente ebbe bisogno di panieri e tutti li volevano dal vecchietto, il quale, tutto allegro, intrecciava vimini dalla mattina alla sera e diceva: “Ma che bel paniere, vecchietta mia, e che anello benedetto!”
Così, non mancando mai il lavoro, in quella capanna entrò una discreta agiatezza e ai due vecchietti non mancò mai nulla.

Un giorno che erano in vena di chiacchierare, raccontarono la storia dell’anello incantato a un vicino che era andato a trovarli.
“Come? Avete un anello così e non ve ne servite per chiedere ricchezze su ricchezze?”
“Noi siamo due vecchietti che hanno bisogno di poco, ma poichè voi, vicino, avete dei desideri, prendetevi pure l’anello e buona fortuna”.
Il vicino quasi non credeva a tanta generosità. Prese l’anello e scappò via per paura che quelli si pentissero.
Arrivato a casa, , salì nel granaio e infilò l’anello al dito. Subito, la solita vocina disse: “Che cosa vuoi?”.
“Monete d’oro. Ma tante come se piovesse”.
E allora, dal soffitto, cominciarono a cadere monete d’oro come se davvero piovesse a dirotto. L’uomo, che le riceveva tutte in testa, cominciò a gridare: “Basta! Basta!”. Ma la pioggia non smise finchè quello non cadde giù tramortito.

Mentre stava lì a smaltire la batosta, senza vedere nè sentire niente, arrivò una gazza. attratta dal luccichio dell’oro. Prese una moneta nel becco e volò via dall’abbaino, e poco dopo, tornò con uno stormo di compagne. Tutte presero una moneta e se ne volarono via. L’ultima, che era arrivata in ritardo, non trovò più monete, ma vide l’anellino e prese quello, tanto per non tornare a becco vuoto.
Così l’uomo che non aveva saputo mettere un limite ai suoi desideri, ebbe soltanto la testa piena di bernoccoli e una gran rabbia in corpo.
Mimì Menicucci

Chi è il più forte?
Il re è forte e potente: nessuno sfugge al suo potere. Forse il ladro? No, perché il re lo fa acchiappare e mettere in prigione. Il ladro però è forte da parte sua: se ruba un pollo, con due sole dita gli torce il collo. Il pollo è abbastanza forte anche lui: se vede un tarlo con un solo colpo di becco ne fa un boccone. Ma il tarlo, il piccolo tarlo, si insinua nel trono del re e comincia a rosicchiare il legno: rosicchia, rosicchia, il trono vacilla, va in polvere e il re si ritrova seduto per terra. Chi è il più forte di tutti?
Il re, il ladro, il pollo o il tarlo?
(Fiaba vietnamita)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche LE BUONE MANIERE

Poesie e filastrocche LE BUONE MANIERE – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Il silenzio non è d’oro
Tre bambini stanno zitti,
zitti come i coscritti
davanti al caporale.
E la mamma li guarda sospettosa,
gli dice: “Vi sentite male
o state macchinando qualche cosa?”
Come vedete è falso l’oro.
Il silenzi non è d’oro
se volete nascondere qualcosa
io vi consiglio di cantare in coro.
Intonate una piccola fanfara
di piatti e di trombe, la furiosa
ragazzata vi salva, si rischiara
la mamma e vi sorride. (A. Gatto)

La cuoca della bambola
Biancolina è una cuoca famosa;
tutto il giorno sfaccenda in cucina:
sbuccia, taglia, pulisce, infarina,
ogni piatto ella sa preparare.
Fortunata la sua bambolina
che sì buoni pranzetti può far!
Pasticcini stupendi di sabbia
erba trita, insalata di fiori,
sassolini di tutti i colori
le cucina e per pranzo le dà.
Fortunata la sua bambolina
che non certo di fame morrà.
Ma se un giorno la Bianca ha dei dolci,
se li mangia, e alla bambola… niente!
Ah, la bambola è stata imprudente;
ha una gastrica proprio in quel dì:
e la Bianca, mangiando le predica:
“Ai ghiottoni succede così”. (C. Del Soldato)

La signorina Vanità
Un dì, la signorina Vanità,
più del solito volle farsi bella:
mise una trina in fondo alla gonnella,
si strinse il busto senza carità.
Si profumò i capelli, li arricciò,
di un gioiello si ornò non mai veduto,
altera tra la gente se ne andò.
Ma la gente, a vederla scoppiò in riso:
s’era scordata di lavarsi il viso!
L. Schwarz

Marchino
Marchino piange a lavargli la faccia
perchè dice che l’acqua è troppo ghiaccia.
Se gli vien detto: “Lavati le mani”
risponde sempre: “Aspettiamo domani”.
A parlargli soltanto di sapone,
scappa più che a parlargli di veleno.
La sua nonna lo chiama un capo ameno,
e noi lo chiameremo… un sudicione.
R. Fucini

La protesta del maialino
Giovannino fa ritorno
dopo il chiasso d’ogni giorno,
da cambiare, da lavare…
oh, che sudicio bambino!
La sua mamma, che daffare!
“Tu mi sembri un maialino!”
Ma nell’aia spaziosa
tutto lindo, tutto rosa,
con la coda a riccioletto
ha sentito il maialetto.
E protesta: “Io non somiglio
a quel sudicio tuo figlio!”
G. Vai Pedotti

La bimba e l’acqua
C’era una bimba che aveva paura
dell’acqua pura.
Quando la mamma sua la lavava
sempre strillava.
Un giorno l’acqua la rispecchiò
e le parlò:
“Vedi sei brutta, sporca così,
lavati qui”.
La bimba allora si vergognò
e si lavò.
A. Cuman Pertile

Le prime tristezze
Ero un fanciullo, andavo a scuola e un giorno
dissi a me stesso: “Non ci voglio andare”.
E non ci andai. Mi misi a passeggiare
tutto soletto, fino a mezzogiorno.
E così spesso. A scuola non andai
che qualche volta, da quel triste giorno.
Io passeggiavo fino a mezzogiorno,
e l’ore… l’ore non passavan mai!
Il rimorso tenea tutto il mio cuore
in quella triste libertà perduto;
e l’ansia mi prendea d’esser veduto
dal signor Monti, dal signor dottore!
Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,
al registro, all’appello (oh! il nome, il nome
mio nel silenzio!) e mi sentivo come
proteso nell’abisso dell’ignoto…
E quante, quante volte domandai
l’ora a un passante frettoloso, ed era
nella richiesta mia tanta preghiera!…
Ma l’ore… l’ore non passavan mai! (M. Moretti)

Siate buoni
Oh, che gorgheggi teneri
nell’aria profumata!
Che canzoni, che giubilo,
per tutta la vallata!
Sui prati verdi e roridi
sbucano le viole,
qualche mite lucertola
striscia sull’erba, al sole.
Tutto fiorito è il mandorlo,
tutt’azzurra è la valle.
A frotte i bimbi corrono
inseguendo farfalle.
E ridono e schiamazzano
come tanti folletti.
Oh, ma perchè tormentano
quei poveri uccelletti?
D’un tratto, dai freschi alberi,
da tutti i fiorellini,
par che una voce palpiti:
siate buoni, bambini!
(M. Matropaolo)

Valentino
Oh! Valentino vestito di nuovo,
come le brocche dei biancospini!
Solo, ai piedini provati dal rovo
porti la pelle de’ tuoi piedini;
porti le scarpe che mamma ti fece,
che non mutasti mai da quel dì,
che non costarono un picciolo: incece
costa il vestito che ti cucì.
Costa; chè mamma già tutto ci spese
quel tintinnante salvadanaio:
ora esso è vuoto; e cantò più d’un mese,
per riempirlo, tutto il pollaio.
Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi, ahimè!
e le galline cantavano: “Un cocco!
ecco ecco un cocco un cocco per te!”.
Poi, le galline chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magro contadinello,
restasti a mezzo, così con le penne,
ma nudi i piedi, come un uccello:
come l’uccello venuto dal mare,
che tra il ciliegio salta, e non sa
ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare
ci sia qualch’altra felicità.
(G. Pascoli)

Un bimbo e un poeta
Mondo, mondo d’oro
io sono il tuo piccolo re.
Quanto è bello e buono,
tutto fu fatto per me.
Pur ch’io muova un passo
fiorisce ai miei piedi il terreno.
Prendo in mano un sasso,
ed ecco una gemma diviene.
Mondo, dolce mondo,
io sono il tuo piccolo re.
Giro, giro tondo:
tutta la gioia per me.
Bimbo, bimbo bello,
sono il tuo fratello.
Fammi entrare un poco
nel tuo caro gioco.
So la tua magia:
è la poesia.
(D. Valeri)

Libero
Prima di coricarsi, il bimbo levandosi il kimono
manifesta la sua gioia di essere libero e nudo.
E corre per la casa con rapidità incredibile,
come un uccellino scappato dalla sua gabbia,
o un piccolo re che scatta da una scatola magica.
(M. Senke)

Nasce un mondo nuovo
Non più sguardi d’angoscia
noi saremo fratelli;
non più sguardi d’odio.
E se nel cielo
c’è una luce,
sarà per rischiarare il nostro amore.
E se nelle fronde
c’è una melodia,
sarà per cullare il nostro sonno.
Noi saremo fratelli:
noi saremo uniti.
E gli astri a profusione
puri,
come gli occhi dei sapienti,
saranno tanto brillanti
quanto il nostro destino.
(B. Dadiè – Costa d’Avorio)

L’inno dell’amicizia mondiale
Salutiamo con gioia
tutti i ragazzi che vivono
nel vasto mondo.
A tutti diciamo
di porgerci la mano
per formare insieme
un cerchio completo
che abbracci il mondo intero.
Sia che viviamo in terre vicine
oppure in terre da noi lontane
una sola è la nostra famiglia.
La voce dell’amicizia,
che ora facciamo sentire,
attraversa i continenti
e congiunge tutti i mari.
(Studente anonimo – USA)

Solo
La gioia si è fermata
stamani nella mia casa.
Prima di stringerla al cuore
ho girato tutte le stanze
sempre gridando: -La gioia,
è venuta la gioia a trovarmi!-
Son corso alla finestra
sono uscito fuor della porta
ho cominciato a chiamare:
-Venite tutti, correte:
in casa mia c’è la gioia!-
Nessuno io sentivo arrivare.
Ho detto allora alla gioia:
-Non ho nessuno in casa mia,
ripassa un’altra volta.
(G. Bizzarri)

Obbedienza
Quando passeranno gli elefanti
dentro le crune degli aghi
quando le formiche giganti
accenderanno i lampadari,
quando usciranno dagli armadi
odoranti di pomi cotogni
le principesse dei sogni…
quando i pulcini faranno l’uovo
e le lucertole il nido
sopra la frasca,
e le rondini faranno il covo
sotto la vasca…
allora, gonfio d’orgoglio,
potrai dire: “Io voglio”.
A tutto, nel mondo, che voli,
a tutto, nel mondo, che strisci,
a tutto fu detto: “Obbedisci!”
(F. Pastonchi)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.

Poesie per salutarsi prima della campanella

Poesie per salutarsi prima della campanella in uso nella scuola steineriana, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Di lavorare ho terminato
riposi adesso quel che ho imparato
e viva nel profondo del mio cuore
per darmi luce, saggezza e amore
perch’io sia buono nel profondo
per tutti gli uomini e per il mondo.

 

Chiocciola
Chiocciolina chiocciolina
vieni dentro alla casina
che se dentro tu verrai
bello il mondo sognerai.
si parte in cerchio per mano, l’insegnante lascia la mano di un bambino e guida la fila a formare una spirale verso l’interno
Chiocciolina chiocciolina
vieni fuor dalla casina
che se fuori tu verrai
bello il mondo tu vedrai.
il bambino più esterno, il “capofila” guida tutti a sciogliere la spirale e si riforma il cerchio.

 

Chi entra in questa casa porti amore
chi vi sta dentro cerchi conoscenza
chi ne esce porti pace nel suo cuore

 

Perchè siamo scesi dal cielo?
Non era più bello restare
tra nuvole d’oro, fra stelle,
fra gli angeli in coro a cantare?
spirale verso l’interno, per mano
Sì, certo, ma è solo qui in terra
che io posso imparare
a voler diventare
un libero uomo
capace di fare.
spirale verso l’esterno, per mano, poi cerchio

 

 

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