Poesie e filastrocche ESTATE

Poesie e filastrocche ESTATE – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Primavera è passata

Caldo briccone! Senza ragnatele
è il cielo; puro, limpido, celeste,
come un immenso mare senza vele,
una canzone senza note meste.
Viene l’estate quasi inaspettata!
Fa già calduccio a maggio, e tra i frutteti
ridono le ciliegie, e sul sagrato
gorgheggia l’usignol cento segreti. (L. Nason)

Estate

I merli, i capineri, gli usignoli
empion l’aria di gridi, e canti, e voli.
Che piacere a sentirli ed a vederli,
i capineri, gli usignoli, i merli!
Maggiolini, libellule, api d’oro
ondeggiano, più lievi, in mezzo a loro.
Uccelli grandi, insetti piccolini:
libellule, api d’oro, maggiolini.
Ma una bambina canta in mezzo ai pini,
e l’ascoltano l’api e i maggiolini.
Si ferman tra le foglie sciami e stuoli,
e taccion anche i merli e gli usignoli. (M. Dandolo)

Vien l’estate

Vien l’estate, scrive parole,
sulle corolle di tutti i roseti.
Stelle di lucciole sotto gli abeti,
grilli che cantano, falci nel sole.
Nel solco tiepido, tra balza e ciglio,
le spighe ondeggiano di fiordalisi;
i rosolacci dal cuore vermiglio
sembrano fiamme di tutti i sorrisi.
Odor di fieni, frinir di cicale,
sereni vesperi, cieli d’opale. (C. Ronchi)

I mesi dell’estate

Giugno, luglio, agosto.
Sono nudi come l’aria
ma ciascuno porta un suo fregio,
l’uno un ramo di ciliegio
che di frutti ondeggia e svaria;
il secondo ghirlandette
di papaveri fiammanti,
spighe il terzo barbaglianti,
in manipolo costrette.
Bravi e validi figlioli,
rosolati al solleone;
saltan come in un trescone
di gagliardi compagnoni. (D. Valeri)

Il primo giorno d’estate

Il camioncino dei gelati
(la campanella allegra)
passa tra gli alberati
viali residenziali.
I bambini,
che giocano nel prato a perdifiato,
smettono e gli vanno incontro:
i nichelini in mano.
I cani, risvegliati,
abbaiano per chiasso
e gli uccelli cinguettano tra i rami.
Si dondolano, frullano
in alto e in basso.
Una cicala urla
nell’ora meridiana:
è la prima di un’estate
di tenere piogge,
che pareva una burla.
E’ scoppiata e si sente
l’avvenuto momento
da come il cielo vibra
sull’erba radente.
Ogni cosa, nella luce,
ha la trasparenza dell’aria.
C’è un paese al mondo,
dove non sia questa festa? (A. Barolini)

Serenata estiva

Nella notte prodigiosa
tutta polline di stelle,
grilli, assioli e raganelle
van tessendo senza posa
una dolce serenata
alla luna innamorata.
E la luna guarda e ride
da un guancial di puro argento,
mentre il pettine del vento
sui maggesi passa e stride
deponendo ad ogni fiore
una lucciola sul cuore. (G. Striuli)

Canicola

Oggi la mia felicità è l’allodola
che nell’incendio del mattino estivo
dagli abissi del cielo verso il rivo
fresco e giulivo del suo canto,
mentre la terra par che dorma, e intanto
tutto matura, ed io riposo accanto
alla schiera che miete
grave le spighe d’oro vivo
e le vespe irrequiete
ingannano la sete
con il sangue degli ultimi papaveri. (O. Ferrari)

Mi cuocio al sole

Fra un leccio un pino un ulivo
è un tondo d’erba al sole
con rossi cardi timi sfioriti
acerbe spighe d’avena che dondolano sul mare.
Altro non vedo
che questo tondo d’erba alto sul mare.
E mi cuocio al sole
fra voli di farfalle
sparsi canti di uccelli
ansia di mare. (M. Novaro)

Sera estiva

E’ l’ora in cui gli uccelli accovacciati
la testolina metton sotto l’ala;
le lucciolette ricamano i prati,
e canta a vespro la fulva cicala.
Traversa il cielo un vento accidioso,
della sua meta incerto e senza lena;
al suo passaggio il bosco pensieroso
saluta sì, ma rispettoso appena. (E. Praga)

Meriggio

Silenzio! Hanno chiuso le verdi
persiane e gli usci le case.
Non vogliono essere invase
dalla tua gloria, o sole!
Non vogliono! Troppo le fiamme
che versi nella contrada,
dove qua e là dalla strada
ferrata d’acciaio sfavilla
rovente. Pispigliano appena
gli uccelli, poi tacciono, vinti
dal sonno. Sembrano estinti
gli uomini, tanta è, ora, pace, silenzio. (U. Saba)

Momento estivo

Un bimbo, un usignolo, due farfalle
ed un ruscello che gorgoglia lieve:
sul ponte un uomo con la falce a spalle,
sotto, a basso, una rondine che beve.
Nella grande distesa messi gialle,
lontano, al monte, un bioccolo di neve;
e passa e muore per la queta valle
un suono di campana arguto, breve.
Tutto vive la piccola sua vita
nella lentezza di quell’ora afosa,
nel silenzio dell’aria intorpidita.
Con mossa uguale il ruscelletto scende:
e domina dal cielo, gloriosa,
l’ampia vita del sole che risplende. (D. Borra)

Il colombo Davide

Una sera entrò un colombo.
Era estate ero stanco
la finestra era aperta
il colombo grigio bianco.
Entrò mi guardò fece segno:
aveva un’ala rotta.
Gli detti casa e casato.
Lo chiamai Davide
e molto invidiai
la sua allegria.
Per lunghi giorni
mi tenne compagnia.
Una sera se ne andò:
era infermo era allegro
lo trovai morto nel giardino. (R. Carrieri)

Il libro vi saluta

Se pur costa dolore,
dobbiamo dirci addio.
Io conosco il tuo cuore,
tu hai scoperto il mio.
Insieme abbiam vissuto
ore calde e serene.
Ci siam voluti bene.
Tu intanto sei cresciuto,
tu sei fatto un ometto;
tu bimba, una donnina.
Io, vecchio che cammina,
quel che sapevo ho detto. (R. Pezzani)

Giocare, giocare

Andiamo alle falde del colle oggi
a giocare, giocare,
giocare.
Sul colle ove sbocciano le margherite
come neve, neve,
neve.
Intrecceremo una ghirlanda di margherite,
una domani e domani ancora,
là dove le margherite sbocciano come neve,
é laggiù che vogliamo andare.
Giù nella baia ove i bimbi nuotano
come pesci, pesci,
pesci.
Giù nella baia ove i bimbi nuotano,
giù nella baia macchiata di bianche vele,
o sul colle ove sbocciano le margherite.
E’ laggiù che vogliamo andare. (P. Kumalo)

Scuola vuota

La scuola è vuota, i bimbi andati via,
i finestroni chiusi, i banchi all’aria.
In un canto una scopa solitaria
riposa dopo fatta pulizia.
Solo un sommesso pigolio d’uccello
rompe il silenzio dei deserti androni;
e nel cortile, liberi e padroni,
fanno vacanza i gatti del bidello. (L. Schwarz)

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Guest post: La festa di Tanabata e l’albero dei desideri

Ho letto della festa di Tanabata e mi ha molto colpita, così ho chiesto a Junko di raccontarcela…

 … anche se il 7 luglio è già passato, come leggerete poi in alcune regioni del Giappone Tanabata si festeggia anche durante il mese di agosto, e così spero che molti bambini possano realizzare coi loro genitori un “albero dei desideri”, magari ascoltando la leggenda e avendo un’occasione in più per ammirare il cielo stellato dell’estate…

La leggenda di Orihime e Hikoboshi

Ogni anno, la notte del 7 luglio, si scrivono i propri desideri su delle strisce di carta di vari colori (tanzaku), che si appendono a un ramoscello di bambù (L’albero dei desideri). Poi si pregano le stelle affinchè questi desideri possano realizzarsi.

Ci sono diverse teorie sull’origine di questa tradizione, ma una delle teorie popolari e’ quella che la lega alla leggenda cinese delle due stelle Orihime (Vega) e  Hikoboshi (Altair).

Grazie a questa leggenda ogni anno molti giapponesi alzano gli occhi al cielo nella speranza di poter vedere Altair e Vega abbracciarsi ancora una volta. La leggenda del loro amore eterno narra così:

Prima versione:

“Un tempo il dio dell’universo scelse Hikoboshi (la stella dell’agricoltura) come marito di sua figlia Orihime (la stella del cucito). Hikoboshi ed Orihime si sposarono e insieme furono molto felici. Giocavano sempre tra loro, ma purtroppo così facendo dimenticarono il loro lavoro…

Il dio dell’universo si arrabbiò e decise di separarli ponendoli uno ad est e l’altra ad ovest della galassia. Ora Orihime si trovava ad ovest e Hikoboshi si trovava a est. Non potevano incontrarsi e neanche vedersi perche’ la galassia vastissima esisteva tra loro.

Questo li rese tristissimi, e di nuovo non furono in grado di svolgere il loro lavoro, perchè non potevano far altro che piangere e piangere.

Vedendo questa situazione, il dio dell’universo permise loro di incontrarsi di nuovo, ma soltanto una volta all’anno e soltanto a condizione che ogni giorno lavorassero seriamente.

Orihime e Hikoboshi obbedirono. Da allora tutti i giorni svolgono i loro compiti nell’attesa del loro incontro, il 7 di luglio.

E la notte di Tanabata, notte del 7 luglio (Tanabata Matsuri o Festa delle stelle innamorate), queste due stelle brillano di piu’ perche’ sorridono di gioia e felicita”

In  forma estesa:

“Anticamente, sulle sponde del Fiume Celeste (la Via Lattea) viveva Tentei, l’imperatore del Cielo. Tentei aveva  una figlia, Orihime (Vega). 

Orihime era un’abile sarta e tessitrice, e lavorava senza sosta per confezionare stoffe e vestiti per le divinità, realizzando abiti sempre più splendidi. Lavorava talmente tanto che non aveva neppure il tempo di pensare a sè stessa e ai propri interessi.

Così, giunta all’età adulta, il padre le scelse un marito: un giovane mandriano di nome Hikoboshi (Altair). L’occupazione di Hikoboshi era quella di far pascolare i buoi e far attraversare loro le sponde del Fiume Celeste. Era un grande lavoratore e anche lui non pensava ad altro che a svolgere il suo lavoro.

Trattandosi di un matrimonio combinato, i due si conobbero solo il giorno delle nozze, ma questo non fu un male   perchè non appena si incontrarono si innamorarono follemente l’uno dell’altro.

Furono talmente presi dal profondo sentimento che provavano, che dimenticarono completamente i loro doveri, il loro lavoro e gli altri Dei. La loro unica ragione di vita era il loro amore e la loro passione. Così la mandria di buoi finì per essere abbandonata a se stessa e agli dei cominciarono a mancare gli abiti fino ad ora confezionati da Orihime.

A questo punto il sovrano degli dei non potè trattenere la rabbia e li punì severamente: i due innamorati, che fino a quel momento erano inseparabili, avrebbero dovuto vivere le loro vite separatamente. Per evitare che i due potessero incontrarsi, rischiando così di abbandonare nuovamente i loro doveri, l’Imperatore del Cielo creò due sponde separate dal fiume Ama no Gawa (la Via Lattea), e rendendolo impetuoso e privo di ponti, fece si che i due non potessero mai più incontrarsi.

Il risultato non fu però quello sperato: il pastore sognando e pensando sempre alla sua innamorata non accudiva ugualmente le bestie e neppure la dolce fanciulla, pensando continuamente al suo amore cuciva più i vestiti agli dei.

Il sovrano allora, disperato e mosso da pietà e commozione, con il consenso anche degli altri dei altrettanto commossi, emise questa sentenza: “Se deciderete di ritornare ad occuparvi delle vostre attività come un tempo rispettando i vostri doveri, rimarrete divisi dalle sponde del Fiume Celeste per un anno intero però, vi sarà consentito di potervi incontrare una volta soltanto nella notte del settimo giorno del settimo mese dell’anno.”

A queste parole, i due giovani innamorati, pensando all’idea di potersi incontrare di nuovo ripresero di buona lena a lavorare sodo con la speranza di potersi presto riabbracciare. Da quel momento in poi infatti, dopo un anno di lavoro e fatica i due ogni 7 luglio attraversano il Fiume Celeste e nel cielo stellato si incontrano.”

Seconda versione:

“Un tempo nel cielo vivevano a Ovest gli uomini, e a Est le divinità.

Il pastore Hikoboshi (la stella Altair) e la dea Orihime (la stella Vega) si innamorarono e si sposarono in gran segreto, contro la volontà del padre della dea. Andarono a vivere ad Ovest, ed ebbero anche due figli, un maschio e una femmina.

Quando il padre lo venne a sapere, però, saparò i due sposi, riconducendo la figlia nella terra degli dei, e per evitare il  suo ricongiungimento con Hikoboshi, mise tra loro un fiume, la Via Lattea.

I due ne soffrirono moltissimo e alla fine il padre di Orihime finì col commuoversi per le tante lacrime versate dai due sposi; così acconsentì a che potessero incontrarsi di  nuovo, ma solamente una volta l’anno: la settima notte del settimo mese.”

Terza versione:

“C’era una volta in Cina, una bella tessitrice di nome Shokujo. La ragazza era la figlia di un re, e suo padre era molto orgoglioso di lei.

Giunta ad una certa età, il padre cominciò a pensare che per lei fosse giunto il momento di sposarsi, e scelse per lei un giovane agricoltore di nome Kengyu. Dopo essersi sposata, però,  Shokujo cominciò a trascurare il suo lavoro di tessitura.

Suo padre reagì cacciando il marito e decise che d’ora in avanti le sarebbe stato consentito incontrarlo soltanto una volta l’anno,  il 7 luglio. 
Quando il tempo per incontrare Shokujo si avvicina, gli uccelli vanno da Kengyu e costruiscono un  ponte, in modo che lui possa andare da sua moglie.”

Quarta versione

“C’era una volta una stella eccezionalmente bella e saggia, la Principessa Shokujo (Vega) , che oltre ad essere  la figlia del re, era anche un’abilissima tessitrice, ed era responsabile di tutti i tessuti reali. Un giorno Kengyu (Altair), il pastore celeste, si trovò a passare col suo gregge sulla collina vicina al palazzo, proprio mentre Shokujo era affacciata alla finestra.  I loro sguardi si incrociarono e fu amore a prima vista. Si corsero incontro e, dopo un breve fidanzamento, Shokujo e Kengyu chiesero al re la sua benedizione, che lui concesse senza problemi.

Sfortunatamente, però,  i problemi arrivarono presto. I due erano così follemente innamorati che lei trascurò la tessitura, e lui il gregge. Il re intervenne e ordinò che i due sposi fossero separati per sempre da un fiume di stelle (la Via Lattea), fatta eccezione per un solo giorno all’anno,  in cui possono ancor oggi far visita l’uno all’altro.

Quel giorno è il giorno di Tanabata, il giorno in cui Shokujo la principessa e Kengyu il pastore si incontrano, attraversando la Via Lattea con l’aiuto di un ponte formato da uno stormo di passeri, loro fedeli amici.”

Non dimenticarti della leggenda che potra’ darti un grande sogno. (Questa foto e ‘ stata fatta la notte del 7 luglio all’asilo di Ginga).

Questa è la foto di una via del centro di Marugame. Come vi ho detto, per la festa di Tanabata si appendono tante strisce di carta che portano scritte i desideri di ognuno. In questa foto, le decorazioni di bambu che vedete sono state realizzate da una ventina di scuole materne di Marugame.

Quando ero piccola, il giorno seguente , cioe’ l’8 luglio, di mattina molto presto, noi bambini andavamo al fiume con i nostri genitori facendo strisciare per terra i grandi rami di bambu decorati. Al fiume li mettevamo sulla corrente e loro scorrevano fino al mare, con i nostri desideri.
Adesso non si puo’ più fare perche’ si teme che sporchino i fiumi e il mare. Quindi, i rami di bambù decorati ora rimangono appesi per tutto il mese di luglio.

In Giappone, in quasi tutti gli ospedali, si festeggiano tutte le feste annuali per consolare i pazienti. All’ingresso dell’ospedale dove vado, c’è in questi giorni un ramo di  bambu di Tanabata. Un giorno ho letto quello che c’e’ scritto sulle strisce di carta. Tante frasi mi hanno commossa. Ricordo la frase che ha scritto una donna:  ” Spero di poter scrivere per Tanabata anche l’anno prossimo”… 

Nell’epoca Heian (dal 794 AD~al 1192 AD) solo le persone nella corte imperiale festeggiavano Tanabata. Facevano offerte di frutta, verdure e pesci alle stelle e le guardavano, bruciando incenso, e suonando il Koto (la  lira orizzontale giapponese con 13 corde) o il Biwa (il liuto giapponese) e componendo delle poesie. Consideravano la rugiada della notte precedente una goccia di Amanogawa ( il fiume del cielo, la Via Lattea) e la mattina del 7 luglio raccoglievano la rugiada sulle foglie del taro d’Egitto, ci preparavano l’inchiostro e scrivevano i  loro desideri sulle foglie di un albero speciale che si chiama Kaji, un albero sacro usato nei templi.

Dopo l’epoca Heian, questa festa si diffuse tra il popolo e si iniziarono ad usare le strisce di carta al posto delle foglie di Kaji, e i rami di bambù per appenderle.

Fortunatamente ho avuto un’occasione di festeggiare Tanabata come se fossi una persona nell’epoca di Heian, quando ho ballato la danza classica giapponese in un parco a Takamatsu ( la capitale della provincia di Kagawa). Era uno spettacolo molto elegante, che si è tenuto la mattina del 7 luglio nel 2007. Questa foto e’ stata fatta in quel momento.

Junko  N.

 

Tanabata (Settima notte) è una tradizionale festa giapponese, che cade il 7 luglio di ogni anno, quando le stelle Vega e Altair si incrociano nel cielo. In qualche località si festeggia invece il 7 agosto.

La più famosa festa di Tanabata del Giappone si tiene a Sendai dal 6 all’8 agosto. Nel Kanto, la più grande festa di Tanabata si tiene a Hiratsuka, Kanagawa, il 7 luglio. Un’importante festa di Tanabata si svolge anche a São Paulo, in Brasile, alla fine della prima settimana di luglio.

La data originale di Tanabata si basa sul calendario lunisolare giapponese, che è circa un mese indietro rispetto al calendario gregoriano. Come risultato di ciò, la maggior parte delle feste di Tanabata si svolgono il 7 luglio, mentre in alcune località si tengono il 7 agosto, e in alcune altre vengono invece organizzate ancora  il settimo giorno del settimo mese lunare del calendario giapponese tradizionale lunisolare, che di solito cade nel mese di agosto del Calendario Gregoriano.
Le date del calendario gregoriano corrispondenti al settimo giorno del settimo mese lunare del calendario lunisolare giapponese per i prossimi anni sono:
6 agosto 2011
24 agosto 2012
13 agosto 2013
2 agosto 2014
20 agosto 2015
9 agosto 2016
28 agosto 2017
17 agosto 2018
7 agosto 2019
25 agosto 2020

La fanciulla tessitrice della leggenda viene identificata con Vega perchè secondo i popoli orientali Vega, appartenente per noi alla costellazione della Lira, è, secondo gli orientali appartenente alla costellazione della Tessitrice. Allo stesso modo il giovane mandriano viene identificato con Altair della costellazione dell’Aquila, perchè per gli orientali la costellazione di Altair equivale a quella del Mandriano.

La scelta del settimo giorno del settimo mese dell’anno, oltre ad avere una valenza sacra in quanto è un ripetersi del numero 7, dipende dal fatto che, secondo gli studiosi, è questo il periodo di massima luminosità delle stelle e soprattutto nei primi giorni del mese di luglio si nota anche una grande vicinanza tra Altair e Vega rispetto a tutti gli altri giorni.

Sebbene le feste di Tanabata varino da regione a regione, l’usanza è quella di rivolgere preghiere ai due astri, e soprattutto i giovani chiedono protezione per i loro sentimenti e aiuto per poter migliorare le loro abilità e lo studio. Tanabata oggi è una grande festa popolare caratterizzata da vistose e colorate decorazioni, foglietti di carta con preghiere e desideri appesi ai rami degli alberi, sfilate, parate e cibi tipici.

Tanabata è anche un’importante festa per i bambini, e gli alberi dei desideri vengono preparati in tutte le scuole giapponesi, decorati dai bambini con poesie, preghiere e desideri che si vogliono vedere avverati e che possono andare dal miglioramento negli studi a desideri più frivoli…  In ogni caso, desideri e poesie sono ancora oggi le offerte chiave per questa festa, e le famiglie  si riuniscono per scriverle su strisce di carta colorata e per legarle ai rami di bambù. Oltre che in famiglia, alberi dei desideri “pubblici” con pennarelli e strisce di carta pronte si trovano ovunque, anche nelle stazioni ferroviarie, ed ognuno è libero di esprimere i propri desideri e legarli all’albero.

Tradizionalmente sono previsti sette diversi tipi di decorazioni per l’albero dei desideri, ognuna delle quali ha significati diversi:

photo credit: http://en.wikipedia.org

Tanzaku: sono le strisce di carta colorata delle quali abbiamo già parlato,  dove scrivere poesie e desideri da appendere sugli alberi.

fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Kamigoromo.jpg

Kamigoromo: in passato servivano per chiedere di migliorare nell’arte del cucito, ora hanno il significato di scongiurare incidenti e malattie.

fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:TanabataOrizuru.jpg

 Senbazuru: file di origami (soprattutto gru), per chiedere salute alla famiglia e lunga vita. Per ogni persona anziana della famiglia si piega una gru da appendere all’albero dei desideri.  

fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Kinchaku.jpg

Kinchaku: borsettine di carta, per chiedere lavoro, prosperità, e per mettere in guardia contro lo spreco di denaro .

fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Toami.jpg

Toami: reti da pesca per varie decorazioni, per chiedere buona pesca e buoni raccolti.

 http://en.wikipedia.org/wiki/File:Kuzukago.jpg

Kuzukago: la carta avanzata dalla preparazione delle altre decorazioni viene raccolta e messa in un “sacco della spazzatura” di carta, a simboleggiare il risparmio e  l’importanza di risparmiare.

fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:TanabataStreamer.jpg

Fukinagashi: strisce decorative di carta colorata, che simboleggiano le fibre che Orihime  utilizza per tessere.

Altre fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Tanabata

http://en.wikipedia.org/wiki/Tanabata

http://sakuramagazine.com/tanabata-matsuri-festa-delle-stelle-innamorate/

http://www.psychicsophia.com/aion/chap7.html

http://gojapan.about.com/cs/japanesefestivals/a/tanabata.htm

http://web.mit.edu/jpnet/holidays/Jul/song-tanabata.shtml

http://web-jpn.org/kidsweb/explore/calendar/july/tanabata.html

http://www.astroarts.co.jp/special/2012tanabata/legend-j.shtml

http://www.sendaitanabata.com/en/rekisi.html

Dettati ortografici ESTATE

Dettati ortografici sull’estate: una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per la scuola primaria.

L’estate è la stagione più calda dell’anno. Il sole ardente fa maturare nei campi il grano; le spighe piene e mature sembrano d’oro. Il contadino le guarda e, vicino al raccolto, dimentica le fatiche passate. E’ la stagione dei temporali,degli acquazzoni, delle grandinate. Spesso le grandinate distruggono in pochi minuti, coi raccolti, le fatiche di molti mesi. Il contadino le teme come il peggiore flagello. (Bianchi e Giaroli)

Di giorno le cicale cantano sugli alberi, e i grilli, a sera, cantano fra l’erba del prato. I contadini mietono il buon grano, che darà il pane per tutta l’annata. Le rondini stridono nel cielo e, quando scendono le prime ombre della sera, rientrano nei nidi, sotto le gronde. I pastori lasciano la pianura e salgono col gregge ai pascoli montani. I giorni sono lunghi, le notti sono corte. S’incomincia a pensare alla villeggiatura. Giunge l’estate, la bella stagione della quiete e del riposo.

D’estate le giornate sono lunghe e abbaglianti di sole, il cielo è di un colore azzurro intenso, le notti sono brevi, luminose, stellate. Corrono le lucertole lungo i muri, nei prati cantano i grilli, sulle siepi stridono le cicale, le rane e le raganelle gracidano nei fossati: volano le farfalle, le lucciole. Mille insetti palpitano fra la vegetazione rigogliosa della terra.

E’ estate. Sui monti le ultime nevi si sciolgono. Nel piano gli alberi sono in pieno rigoglio. La campagna è tutta verde. Sciami d’api ronzano tra le corolle dei fiori, gli uccelli scendono sui campi a beccare i chicchi, a scegliere insetto da insetto; risalgono nel più alto dei cieli con magnifico volo. Lo stagno rispecchia le nubi e l’azzurro del cielo; il ruscello gorgoglia e bagna le sponde fiorite.

D’estate certe notti di luna sono così chiare che le farfalle, ingannate da quest’ambiguo albore di eclissi, continuano a volare come se fosse ancora giorno; e il palpito dei loro voli insonni, che si intravede nella perlacea nebbiolina notturna, dà l’impressione che i prati siano popolati di fantasmi d’ali, evocati dal plenilunio. (P. Calamandrei)

Attorno a me il sole occhieggiava sull’erba, e faceva brillare qualche filo di ragno ancora coperto di rugiada. Un venticello tenerissimo piegava con grazia i sottili arbusti del boschetto di nocciole, e qualche foglia giungeva ad accarezzarmi la fronte. (G. Titta Rosa)

Com’è bella nella sua vestina bianca con sfrangiature verdi e marroni sulle punte, con il corpicino elegante. Ma il povero cavolo come la teme! Questa farfalla, la pieride cavolaia maggiore, si posa sulla pagina inferiore delle sue grandi foglie. Qui depone tante uova ben nascoste. Dopo pochi giorni, dalle uova nascono i bruchi. E che cosa fanno? Brucano la foglia, passano sulla pagina superiore e si mettono a divorare. In breve della bella foglia non restano che le nervature.

Cre… cre… cre… cre… Come sono noiose queste raganelle! Non tacciono un minuto. Sono là sulle rive del fosso. Saltano dall’acqua all’erba della riva, e dall’erba ai cespugli… E tutto il giorno si sente la loro voce. Gri… gri… gri… gri… Appena l’aria si fa bruna, ecco il sottile canto dei grilli. Di giorno sono nascosti nei buchetti sotto terra; di sera, escono, stanno tra l’erba fresca, trillano. Cantano alle stelle, alla luna, alla notte serena e silenziosa. (E. Graziani Camillucci)

I raggi del sole non hanno la stessa efficacia secondo che ci giungono a piombo o in modo obliquo. Essi riscaldano fortemente le regioni che li ricevono a piombo, e poco quelle che li ricevono obliquamente. Per capirlo basta aver osservato che, per godere in pieno il calore di un focolare, bisogna collocarvisi in faccia e che, tenendosi in disparte, si riceve assai meno calore. Nel primo caso, il calore cade dritto su di noi e produce più effetto; nel secondo ci arriva di traverso e rimane indebolito. Così, posta innanzi al focolare del sole, la terra non riceve in tutta la sua superficie la stessa quantità di calore, perchè per certe regioni i raggi dell’astro arrivano a piombo, e per altre in modo più o meno obliquo. Inoltre, al guadagno in calore durante il giorno sotto l’irradiazione solare succede la dispersione della notte, il raffreddamento notturno. Più la giornata sarà lunga e corta la notte, più elevata sarà la temperatura, perchè il guadagno eccederà di molto la perdita. Per queste due cause riunite in una stessa epoca dell’anno la temperatura è lungi dall’essere la stessa dappertutto. Fa caldo in certi punti, più o meno verticalmente assolati con giorni lunghi e notti brevi; fa freddo in altri a insolazione obliqua, dalle giornate corte e notti lunghe. Qua è l’inverno, là è l’estate. (J. H. Fabre)

Tutto brilla nella natura all’istante del meriggio. L’agricoltore che prende cibo e riposo; i buoi sdraiati e coperti di insetti volanti, che, flagellandosi con le code per cacciarli, chinano di tratto in tratto il muso, sopra cui risplendono spesse stille di sudore, e abboccano negligentemente e con pausa il cibo sparso innanzi ad essi; il gregge assetato che col capo basso si affolla e si rannicchia sotto l’ombra; la lucertola che corre timida  a rimbucarsi, strisciando rapidamente e per intervalli lungo la siepe; la cicala che riempie l’aria di uno stridore continuo e monotono; la zanzara che passa ronzando vicino all’orecchio; l’ape che vola incerta, e si ferma su di un fiore, e parte, e torna al luogo donde è partita: tutto è bello, tutto è delicato e toccante. (G. Leopardi)

Era l’ora del caldo e del riposo. La terra si ampliava nella distesa del sole. Il cielo era chiuso e grave. Neanche una vela sul mare. Tacevano le vespe e i  bombi. Un frutto tonfava giù da un ramo. Era il grande silenzio infuocato, quando gli occhi dei colombi stanno chiusi sotto l’ala e il bue rumina accosciato corpulento sulla paglia fresca. (D. Slataper)

Passeggiammo per le vie desolate tagliando qua e là alla ricerca dell’avara ombra lungo i muri… Decidemmo di sederci a un caffè vicino a una fontana, lo scroscio dell’acqua violento e monotono. A un tavolo poco lontano ragazzi strepitavano a gran gesti in un’accanita discussione di calcio. Nomi di giocatori e insulti giostravano pesanti nel vuoto per liquefarsi in pausa di greve silenzio. Le forme delle motociclette appostate lungo il marciapiede scintillavano. Dagli ombrelloni cadevano magri cerchi d’ombra. Sentivo il piano del tavolo caldissimo sotto le dita. Intorno botteghe chiuse, targhe stinte sui muri. Qualcuno  spiava dalla fessura d’una persiana. (G. Arpino)

E’ l’ora in cui la luce si smorza, in cui mi rimane qualche minuto per andare un po’ in giardino. Si apre la porta, ed ecco la cavità del giardino, con l’ampio cielo al di sopra. Una sottile mezzaluna nel verde della distesa, pere che pendono, afferrando un raggio col ventre rotondo e riflettendolo come una lampada. I grappoli d’uva bianca si dorano sulla spalliera. Un uccello saltella ancora nel cespuglio di noccioli. Il mio giardino si addormenta su cuscini di fiori e di verdure; ecco le rudbekie gialle, gli astri color d’ametista, le dalie a rosoni di carta pieghettata, gli ultimi fagioli che intrecciano i loro pendagli, i porri dalle larghe chiome aperte come quelle dei palmizi, i cavoli azzurrastri e rotondi. Il mio giardino si addormenta coi piedi al fresco nel rivoletto di metallo bianco che brilla, allungandosi tra le sue rive e va, verso il gran fiume, laggiù… Ecco che a poco a poco tutto si immerge nell’ombra e tace. Non distinguo più il volto dei pomodori impolverati di solfato di rame, nè la sfinge alla ricerca di nettare sulle ultime bocche di leone, nè i pipistrelli che scrivono non so cosa nell’aria oscura. (M. Roland)

Fra i piccoli trifogli l’ape ebbra e rumorosa svolazza e raccoglie l’impercettibile nettare. Il merlo sommessamente modula una sua frase che sembra significare assentimento alla pace che qui regna uguale anche tra gli spini dalle punte violette dei cardi o per le caselle delle stipule percorse da piccolissime farfalle color lillà. La bianca cavolaia barcolla ebbra fra i cespugli delle felci. E quale immagine più cara di quella del fragile rosolaccio rosso scarlatto: come un tenero fuoco che ravviva le blandizie d’una breve radura? (L. Bartolini)

Cominciava il caldo, un duro caldo che pesava nell’aria e continuava a pesare imperturbato sino alla sino alla fine di settembre. Come i pesci di un’acqua, sotto il cui recipiente sia stato acceso il fuoco, e che mandi già le prime bollicine, gli uomini rallentavano ancor più la loro andatura, mentre sugli occhi portavano, come una palpebra sottile e perennemente abbassata, la stanchezza e il desiderio di non veder nulla. Altri, che passeggiavano verso le sei di pomeriggio, non richiamavano i pesci alla memoria, ma le beccacce, allorchè, morte, vanno penzolando dal pugno del cacciatore. (V. Brancati)

L’estate è la stagione più calda dell’anno. Comincia il 21 giugno e termina il 23 settembre. Il sole spunta molto presto (prima delle cinque) e tramonta molto tardi (verso le venti). Le giornate sono lunghissime e il caldo diventa insopportabile ogni giorno di più. Di tanto in tanto improvvisi temporali rinfrescano l’atmosfera. Non è raro il caso che campi e frutteti vengano devastati dalla grandine, molto temuta dai contadini. Per fuggire il caldo soffocante, la gente va al mare o in montagna. Ma non tutti si possono concedere un meritato riposo in vacanza. Per gli agricoltori, l’estate è una stagione di intensa attività. Infatti ci sono molti lavori da compiere e non bisogna perdere tempo. Il grano deve essere mietuto.

Un tempo si mieteva a mano, oggi invece ci sono macchine meravigliose che avanzano nei campi di grano, lasciando dietro di sè i sacchi pieni di chicchi puliti, la pula e le balle di paglia. Poi c’è il granoturco da sarchiare; l’erba da falciare; le viti e gli alberi da frutta da irrorare con le sostanze antiparassitarie che disinfestano cioè liberano le piante dai parassiti.

D’estate i giardini sono un incanto. Fioriscono i gerani, i gigli, le rose variopinte, i garofani, le dalie. Maturano i cocomeri, i meloni, le albicocche, le prugne, le ciliegie e le pesche. Un’infinità di insetti e di animaletti vari animano come in primavera i prati, i giardini e i boschi: api, farfalle, formiche, grilli, cicale, zanzare, libellule, calabroni… Però i loro canti, i loro voli,  i loro bisbigli e ronzii sono diventati più intensi, chiassosi: sembra che vogliano rendere omaggio alla più bella stagione dell’anno.

Sul calar della sera compaiono i pipistrelli, che svolazzano qua e là a caccia di insetti. Questi animaletti non sono uccelli, ma mammiferi: gli unici che sanno volare. Nel cuore della notte si odono i gorgheggi dell’usignolo, il verso del gufo e il grido della civetta.

Arriva l’estate. E’ incoronata di spighe mature e tutta vestita d’oro; i suoi grandi occhi color del fiordaliso sfavillano. Diffonde intorno a sè lo splendore e l’allegria del sole. Davanti a lei tutti si presentano con fiducia, e i poveri specialmente la tengono per loro grande amica: il buon caldo allora non costa nulla! Quando arriva nell’aia, l’estate si siede su un mucchio di grano falciato e canta. Gli uomini la guardano e le dicono: “Benedetta, tu ci porti il pane!” (G. Fanciulli)

In questi giorni il sole la fa da padrone. E le notti sono calde. Alla mutevolezza della stagione sopravviene l’estate vampante. Anche l’usignolo, che ha i piccoli, ha smesso di verseggiare alle stelle. Rimane vicino al nido, svolazzando nei boschetti. Sotto la mia finestra c’è un ranocchione vecchio. Il suo gracidare sembra un ammonimento. Vive presso una pozza d’acqua che una polla mantiene viva tutta l’estate, nascosto tra un ciuffo di selci. Sta di casa sotto un embrice che le donne hanno appoggiato alla sponda per lavare i panni. Se si muove l’embrice, poi riaffiorano i suoi occhioni, come bolle nel mezzo della pozza, e spariscono di nuovo risucchiati. (B. Samminiatelli)

E’ l’estate. Il sole arroventa l’aria , ci fa sudare e ci abbrunisce la pelle. E’ in questa stagione che si falcia il fieno, si miete il grano e matura la frutta. In questi giorni, il mietitore, curvo sul mareggiare d’oro delle spighe, lavora e suda; è felice perchè raccoglie il frumento, che è il frutto del suo lavoro. Anche tu, ragazzo, se hai studiato con amore, riceverai il premio delle tue fatiche, sarai promosso e potrai godere le vacanze. (G. Fanelli)

Il campo ondeggia come un mare, il grano verde si fa biondo. Sulla proda sono cresciuti alcuni steli di grano meno alti di quelli del campo. In mezzo ad essi un papavero spiega la sua larga corolla che pare di seta rossa; due fiordalisi, accanto ad esso, sono come due occhi azzurri che lo guardano stupiti. Una farfalla, con le ali color arancione, vola dallo stelo di grano al papavero e da questo ai fiordalisi e sembra un bellissimo fiore vivo.

Nei campi fino a qualche mese fa era quasi impossibile distinguere un prato da un campo di grano. Ora quelle piante sono cresciute ed hanno generato una spiga che il sole ha indorato. L’erba è diventata molto alta, in alcuni punti è stata già falciata e si essicca al sole. E’ proprio tra l’erba alta che si aggira una moltitudine di insetti e di piccoli animali tutti intenti nel loro lavoro. Alcuni, come le api e i calabroni, si inebriano di nettare, altri tagliano e incidono ogni filo d’erba come le cavallette. (G. Piovene)

Il grano è maturo. Le bionde distese di pianticelle ondeggiano ancora per pochi giorni. Già si sente nei campi lo scoppiettio sonoro delle mietitrebbie, le moderne macchine capaci di tagliare il frumento e di liberarlo contemporaneamente dalla paglia e dalla pula. Sui campi d’oro e sulle verdi distese coltivate si leva intanto il monotono frinire delle cicale. E’ il canto dell’estate, un inno al sole intenso di questi giorni, che dà luce, vita, gioia. Ridono, rosse e fresche nel banco del fruttivendolo, le prime fette di popone. Le fontane invitano a dissetarsi. I giardini sono tutti una festa di fiori e di colori.

Le giornate sono lunghe e i bambini possono stare tante ore a giocare nel cortile e nei prati. Il caldo piace, e con i vestiti leggeri si muovono meglio. Ma non devono andare scalzi. Per terra ci possono essere vetri, cocci, spini, chiodi. Se entrano nel piede fanno tanto male. (P. Boranga)

Alcuni pipistrelli svolazzano attorno alla casa con un piccolo grido lieve. Dal seno delle erbe in fiore si alza il monotono concerto dei grilli; un rospo solitario, collocato al fresco sotto una pietre, emette di tanto in tanto la sua nota flautata, mentre le rane riempiono i fossati delle praterie vicine dei loro rauchi gracidamenti. Le civette alternano le loro dolci voci di richiamo; la capinera, infine, dà l’addio della sera alla chioccia, già sonnecchiante sulle sue uova.  (E. Fabre)

M’ero fermato su un ponticello in pineta a guardare la fretta dei contadini che raccoglievano il fieno falciato e seccato. Nel pomeriggio sciroccale l’afoso vento nero adunava nuvole di pioggia, e le rondini volavano basse. Tre erano armati di forcone: uno, uomo; l’altro, ragazzotto; il terzo, poco più che bambino. Levavano i fastelli di legno sulle lucide e temibili branche, e facevano il cumulo. Finchè restava basso ed informe, concorrevano promiscui al mucchio, ma quando saliva a spalla d’uomo ed era quindi al punto di ricevere sesto e misura e garbo a spiovente di cupola appuntita, allora il minore dei tre si faceva da parte a cominciarne un altro. Il maggiore sul suo forcone non si trovava mai nè più nè meno di quel che gli occorresse a riempire un vuoto, a rincalzare uno sdrucio nella compagine, a rialzare una curva. Pettinava, toglieva, rimetteva e aggiungeva: in poco d’ora il cumulo era fatto e assettato. R. Bacchelli

Partite, ragazzi, senza libri, e portate con voi solo reticelle per farfalle, palle di gomma, bambole, secchielli, palette per scavare la sabbia e innalzare castelli sulla riva del mare. E per un  mese almeno non pensate ad altro che a giocare, e la sera, poichè le sere del mese di giugno sono piene di lucciole, raccoglietene molte in scatoline trasparenti, e andate con esse in giro per i prati come portaste una lampada, la lampada più bella che si possa immaginare, una lampada viva. Finiti i vostri giochi, prima di andare a letto, aprite la scatolina e liberate le piccole stelle che vi sono dentro. La sera dopo, ritorneranno spontaneamente nella scatola e torneranno a formare la lampada che illumina i vostri giochi. Dopo un mese di vita senza pensieri, fatta di castelli di sabbia, di aquiloni e di lampade vive, pregate il vostro papà di regalarvi qualche libro. Ma non libri di scuola. Libri di racconti e di favole. E ogni tanto leggetene qualche pagina. Ma, sempre, il maggior tempo passatelo a giocare. E, di tanto in tanto, sapete, per non perder l’esercizio dello scrivere, che cosa dovete fare? Mettete sulla carta il racconto di una bella giornata trascorsa, d’una gita, di un gioco, di un’avventura. G. Mosca

Dopo un intero anno di lavoro la scuola si chiude. I nostri cuori già pregustano i lieti ozi delle giornate estive, in cui sola cura sarà il trovare nuovi giochi e nuovi svaghi. Pure qualche volta il nostro pensiero tornerà alla scuola: rivedremo il nostro maestro alla cattedra, i compagni nei banchi, le pareti ornate dei nostri disegni. Forse sentiremo un po’ di nostalgia e vedremo con gioia avvicinarsi il giorno in cui torneremo tutti insieme qui.

In una settimana il fieno fu tutto falciato; e allora con le forche andavano a rivoltarlo, prima di fare i mucchi, perchè si seccasse bene di sotto e il sole entrasse anche dentro. La caldura aveva bruciato ogni cosa, e anche il grano  pigliava un colore bianco che diventava più giallo o anche di notte si vedeva bene. Il terreno era così arroventato che senza gli zoccoli bruciava i piedi, e le passere che varcavano le vallate da poggio a poggio, pareva che cadessero giù a strapiombo. F. Tozzi

L’abbeveratoio era in fondo al gran prato. La fila delle bestie sciolte si avviava lentamente,a testa bassa; e il sole sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche, per la più parte. Immergevano nell’acqua il muso fino alle froge e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie. Il cane di casa, abbaiando, fingeva per gioco di assalire questa o quella. Rientrarono ad una ad una nella stalla le bestie. Era il tramonto del sole. R. Bacchelli

Era mezzogiorno e splendeva un sole ardentissimo. Non stridore di cicala, non canto d’uccello, non volo di farfalle, non voce, non moto nè vicino nè lontano; ogni cosa quieta, pareva che la natura dormisse. Allora la campagna s’anima di una vita fantastica, come di notte. Si sentono suoni indefiniti, come di lunghe grida lontane.; soffi, fruscii, ora a molta distanza, ora all’orecchio, qui, là, non si sa dove, da ogni parte; pare che nell’aria ci sia qualcuno o qualcosa che fluttua e che si agita; s’avvicina, si scosta, ritorna, ci rasenta, s’allontana; si direbbe ch e vi sono degli esseri invisibili che stanno macchinando qualcosa.  A un tratto si sente un acuto ronzio di insetto; passa e silenzio. S’ha una scossa, ci si volta: è caduta una foglia. Sbuca una lucertola, si ferma, par che stia a sentire, e, come impaurita da quel silenzio, via. La campagna ha qualcosa di solenne e di triste come un mare solitario; la testa si abbassa come per forza e l’occhio socchiuso vaga per le valli oscure e per i cupi recessi che la fantasia languida finge tra i fili d’erba e i granelli della terra. E. De Amicis

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici: temporali estivi e grandine

Dettati ortografici sul tema temporali estivi e grandine e l’arcobaleno.

Il lampo che illumina il cielo finisce in uno schianto sul tronco di un cipresso, e fortissimo rintrona. La grandine precipita fitta: sui tetti e sulle piazze danzano granelli e perle gelate. E il vento volteggia e rigira nell’aria bruna e fosca le povere foglie strappate dai rami. Quando la bufera si quieta le anatre corrono sull’aia e guazzano nelle pozze d’acqua, ove si mescolano granelli pallidi e foglie tritate. La pace ritorna: gli usci e le finestre si schiudono e la lucertolina si stende sulla pietra a prendere il sole che, rosso di vergogna, volge al tramonto. (A. Paluschi)

Nell’aria pende la tempesta; osservate il paesaggio vegetale in quei momenti di calma minacciosa che ne precedono lo scoppio. Dalle zolle erbose su per i cespugli degli alberi, in largo giro, sta come se fosse scolpito: ciascuna forma vegetale nell’imminenza della lotta, si fa quasi pensosa restando protesa verso la luce residua. Il vento irrompe: le erbe hanno un largo brivido, gli steli si piegano in moto ondoso, i cespugli si convellono, le foglie tremano, svolazzano, frullano sui piccioli tesi, volgendosi di tratto in tratto in un unico verso che ci dà l’immagine della superficie vibrante dell’acqua al colpo del maestrale; i rami bassi degli alberi si piegano verso terra, i sovrapposti sussultano, ed il fusto solenne oscilla. Il vento ha una pausa: dalle erbe ai culmi, ai fusti è una pronta riconquista degli atteggiamenti di quiete… Se sopraggiunge un imperversare di pioggia, l’urto delle gocce crea per ciascuna apparenza vegetale nuovi rapidi moti di difesa. Al cessare della tempesta si scoprono qua e là, per terra, sparse foglie strappate dal vento, battute dalla pioggia e qualche divelto fusticino di pianta erbacea; ma il paesaggio vegetale appare ricomposto nelle sue linee e con una rinnovata, gemmante veste di bellezza. (A. Anile)

Subito dopo la grandine biancheggiò saltellante per terra, risuonando come sassi sulle tegole, tambureggiando le foglie, formando strati sull’erba, sul cortile. Tutti gli alberi, le viti,  le piante dell’orto, le acacie della strada si tenevano fermi, spauriti, oppressi dalla martellante caduta. I contadini guardavano e non fiatavano, gli occhi dilatati, inebetiti, stringendosi le braccia con le mani, guardavano e sembrava non volessero credere. Le viti si scarnivano di foglie sotto i loro occhi, lo strato bianco cresceva; passò una decina di minuti e poi la pioggia prese a mischiarsi alla grandine e questa a scemare. Più tardi, quando fu possibile uscire a camminare verso i campi, subito si intese un odore di foglie cadute come per un prematuro autunno. (G. Comisso)

Le nuvole grige e nere si urtano, si pigiano spinte del vento, nascondono il sole, oscurano il cielo. Ci son ancora, qua e là, lembi d’azzurro, ma vanno facendosi sempre più piccoli, sempre più radi. Ecco un lampo: guizza, abbaglia, sembra incendi il cielo. Poi scoppia il tuono. Un tonfo forte, un brontolio lungo. I passeri si rifugiano sotto i tegoli, le rondini volano basse, senza stridi. Cadono le prime gocce d’acqua, si fanno fitte, sembrano grossi aghi lucenti. Poi la pioggia scroscia impetuosa.

Poco dopo mezzogiorno il sole cominciò ad essere meno limpido. Non c’erano nuvole ancora; ma proprio nel mezzo del cielo, il turchino cominciò a diventare sempre più smorto; fin che all’improvviso vi nacque una nuvola grigia che si faceva sempre più scura. Poi altre nuvole, dello stesso colore e più bianche, si accostarono, insieme. Quando tutte furono chiuse l’una con l’altra, un lampo abbagliò gli occhi e fece luccicare le ruote del carro, gli aratri e tutti gli strumenti di ferro sull’aia. Allora i tuoni cominciarono, come se avessero dovuto schiantare anche le case, e le prime gocciole, quasi bollenti, si sentirono picchiettare sulle tegole e sui mattoni. Dopo un poco l’acqua venne giù sempre più grossa, e il temporale durò quasi tre ore. (F. Tozzi)

Dopo il temporale il sole era tornato, e i pioppi parevano più verdi: avevano sentito quella rinfrescata e ne godevano. Lungo qualche filare erano nati i girasoli, grandi e gialli, che tentennavano  un poco quando passava il vento. Tra i grani, dove era più umido, erano nati il ciano coi fiori azzurri; le campanelle bianche, venate di rosso chiaro, che s’attorcigliavano fin sulle spighe, e la borrana con le stelline celesti. I ragni avevano teso tanti fili, che quando brillavano parevano un’altra messe. (F. Tozzi)

Dopo la grandinata, quando fu possibile riuscire a camminare verso i campi, subito si intese un odor di foglie cadute come per un prematuro autunno. I contadini prima ancora di vedere realmente i danni causati ripetevano sommessi: “Siamo rovinati”. E veramente la campagna aveva un aspetto lugubre: il verde prima traboccante non esisteva più. Il granoturco abbattuto, stracciato nelle sue larghe foglie, i campi di foraggio calpestati, come da una torma di cavalli, le pesche rosee mordicchiate, l’uva scoppiata nei suoi grani, e foglie e piante, per terra, mischiate al fango. (G. Comisso)

Venne un temporale che flagellò la campagna e rose le strade, per fortuna senza grandine. Lo passammo in casa, da una finestra all’altra, fra donne e bambine che correvano e gemevano sotto i lampi. Il crepitio dei sarmenti nel camino  sbatteva in cucina una luce rossastra, che dava riflessi fantastici ai festoni di carta colorata, sulla batteria di rame, alle stampe della Madonna, e al ramulivo appeso al muro. Tremavano i vetri. Qualcuno, di sopra, urlava di fermare le finestre… Venne un momento di strana solitudine, quasi di pace e di silenzio, nel diluvio. Mi fermai sotto la scala dove dal lucernario accecato volavano gocciole e odor d’acqua. Si sentiva la massa dell’acqua, quasi solida, cadere e muggire… Finì com’era cominciato, d’un tratto. Quando uscimmo sul terrazzo, dappertutto in paese si sentiva vociare, il cemento seminato di foglie aveva già chiazze d’asciutto. Tirava un vento di vallata, schiumoso, e le nuvole galoppavano… M’investì un sentore folle di fradicio, di frasche, di fiori schiacciati, un odore acre, quasi salso, di fulmine e di radici. (C. Pavese)

A nord i cavalloni del cielo, avanzando a ondate, già chiudevano la valle. Quando qualche raro soffio giungeva, le bocche aperte a respirarlo bevevano dell’aria calda e soffocante che faceva desiderare l’acquazzone vicino. Sulle fronde immote gli uccelli tacevano, ed un volo di colombi che passò in alto e si disperse nel grigio diffuso, sembrava aprirsi a fatica la via con i colpi rari dell’ale nell’aria densa. Poi, sotto il nembo nero e compatto, altre nubi leggere corsero, spinte da un vento che non toccava terra. Adesso tutta la valle era chiusa in alto dalla nuvolaglia come da un gigantesco coperchio, e un breve chiarore, che brillava oltre la montagna, si spense sotto l’incalzante minaccia. (A. Bonsanti)

Il tempo accennava a rimettersi. In alto, un vento fortissimo assaliva le nubi, le divideva, apriva vasti spiragli attraverso i quali si vedeva un cielo incredibilmente tranquillo. Il sole inondava i poggi e le colline su cui apparivano come di notte sotto i raggi di un riflettore ville e case di contadini. Le finestre luccicavano come specchi. Soltanto lungo il fiume, la bruma pareva stagnare fra gli alti pioppi; ma finalmente anche questa zona di campagna fu illuminata. S’era aperta definitivamente la matassa delle nebbie: apparì un ponte che luccicava d’umidità; anche gli steli delle erbe e la terra, dov’era ferma l’acqua delle piogge recenti, rilucevano. (A. Benedetti)

Il temporale rovesciava ancora brevi scariche di acqua ma fulmini e tuoni andavano allontanandosi. Dalla finestra dell’albergo vidi un guardamacchine attraversare di corsa, curvo nella sua improvvisata mantella di cellophane. S’acquattò in un portone di dove già apparivano gambe e scarpe di gente assiepata al riparo. Ogni tanto un volto di ragazza si sporgeva a spiare, a ridere. I muri gialli mostravano larghe chiazze di pioggia; il selciato e un’asimmetrica fila di tetti erano percorsi da brividi di serpentino argento, gore vive di viola. Un ombrellone colorato dondolò lentamente su una terrazza, un’ultima ventata lo capovolse. (G. Arpino)

All’improvviso il cielo diventò scuro, si levò un vento fortissimo, lampeggiò, tuonò, poi cominciarono a cadere grossi goccioloni. La terra secca, bruciata dal sole, bevve a larghi sorsi l’acqua ristoratrice. Caddero alcuni chicchi di grandine. Con colpi secchi batterono sui tetti e sui davanzali delle finestre, ma non fecero danni.
L’aria divenne fredda. Piovve a lungo, prima a dirotto, poi piano piano. I lampi e i brontolii del tuono si fecero radi radi.
La pioggia cessò. Le nubi scomparvero.
Il cielo tornò sereno e splendette l’arcobaleno. (Scotti – Davanzo)

Il temporale

Guizzi di lampi serpentini serpeggiano nell’oceano oscuro delle nuvole, come saette di fuoco. Gocciole rade e grosse di pioggia cadono col rumore delle pietre sulla terra assetata, che la beve avidamente. E poi le gocciole si addensano in pioggia rumorosa, che martella foglie, pietre e animali e case.
Fuggono le rondini turbinando per l’aria; geme il vento per le case e per gli alberi; le strade diventano fiumi di fango, le piazze laghi di fango, e poi fango e fiumi scompaiono bevuti dalla terra e dalle cloache e la faccia del pianeta si lava in un lavacro universale.
Lampi e tuoni  si vanno allontanando, come se l’esercito vittorioso inseguisse il nemico in fuga, e anche le nubi corrono, corrono verso regioni ignote, aprendo qua e là oasi di azzurro. (P. Mantegazza)

Temporale

A ogni attimo un lampo violetto o verdastro palpita; è seguito immediatamente da un tuono formidabile che fa rintonare i vetri della mia finestra. L’acqua cade rabbiosamente, fa le funi; il vento la spinge di traverso e i suoi fili sono come frecce di vetro. Gli alberi si divincolano sotto il turbine; le frasche paiono povere bestie legate a catena o mezzo sepolte nella terra e che si sforzino di liberarsi e fuggire. La pioggia intanto le percuote, le lava e ne fa lustrare le foglie. L’orizzonte dei campi si perde in una nebbia folta, cieca. (A. Soffici)

Si avvicina il temporale

La nebbia s’era a poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbuiandosi sempre più, davano l’idea di un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la sfera del sole, pallida, che spargeva intorno a sè un barlume fioco  e sfumato, e pioveva un colore smorto e pesante. (A. Manzoni)

Il temporale
Il cielo p diventato nero nero. E’ tutto carico di nuvole. Il vento soffia impetuoso e porta innanzi polvere e foglie secche. Poi un lampo passa tra le nuvole e il tuono brontola in lontananza. Ecco, cadono le prime gocce di pioggia: sono grosse e pesanti. Le gocce si fanno sempre più fitte; piove a scroscio. (G. Fanciulli)

L’acquazzone
Da oriente vennero galoppando grandi nuvole bianche che poi si fecero bigie e pesanti. L’azzurro sparì, ingoiato da quella nuvolaglia spessa. Scoccò un lampo abbagliante, seguito, da lontano, da un tuono profondo. Qualche goccia cominciò a cadere, rada.
Poi, la pioggia si infittì, precipitò, scrosciò violenta. Le strade subito ruscellarono, le foglie degli alberi stormirono sotto la sferza, la terra giacque ristorata sotto l’acqua dirotta. (F. Herczeg)

Tempesta nel bosco
Tutta la notte il vento soffiò. Andava e veniva. Era una ninna nanna. Si udiva lo sgocciolio dei rami. Poi, di lontano, attraverso gli alberi, giungeva la nuova raffica e sembra di vedere gli animali della foresta anch’essi in attesa e in ascolto nelle loro tane. Quando la raffica si abbatteva vicino, si udivano i grossi tronchi curvarsi come canne e i rami stroncarsi, con un colpo secco come una fucilata. Il vento passava sulle cime degli alberi, sui rami, poi scendeva fino a terra, frusciando tra le foglie. (Richter)

L’arcobaleno
Il cielo si schiariva. Sull’ampio scenario turchino come un mare sconvolto, si illuminava un arcobaleno vivissimo, iridescente, che ne accendeva subito un altro di fuori, più grande, ma incompleto. Dall’altra parte il sole riappariva tra gli strappi delle nuvole e tagliava nettamente in due l’orizzonte, dividendo luce e ombra, come per un invisibile immenso diaframma. (J. S. Meyer)

L’arcobaleno

Talvolta, dopo un violento temporale, il sole fa capolino tra le nuvole che si allontanano mentre la pioggia continua ancora a cadere, e allora, dalla parte del cielo opposta al sole, si ammira uno degli spettacoli più belli della natura: l’arcobaleno. E’ come se un grande arco fosse stato dipinto attraverso il cielo coi più vivi e luminosi colori della tavolozza di un pittore. C’è il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, il celeste, l’indaco e il violetto, tutti armoniosamente fusi. (J. S. Meyer)

La grandine
Il caldo era soffocante, ma il cielo era tutto azzurro. Solo una nuvola nera era ferma all’orizzonte. In breve, la nuvola divenne un nuvolone e non fu più ferma all’orizzonte, ma coprì tutto il cielo. Gli uccellini tacquero, tutto sembrò immobile e silenzioso sotto la minaccia di quella nuvola. Ad un tratto, un tuono rimbombò cupo; nel cielo si susseguirono i lampi, fitti ed abbaglianti. Ad un tuono più forte sembrò quasi che il cielo si aprisse. Venne giù prima un acquazzone dirotto, e poi la grandine. Una grandine fitta, scrosciante, martellante, che batteva forte sui tegoli, sulla strada; bianca, gelida, rovinosa.

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Poesie e filastrocche: Le quattro stagioni

Poesie e filastrocche: Le quattro stagioni. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

I doni
Primavera vien danzando,
vien danzando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
ghirlandette di farfalle
campanelle di villucchi,
quali azzurre quali gialle
e poi rose a fasci e a mucchi.
E l’estate vien cantando,
vien cantando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
un cestel di bionde pesche
vellutate, appena tocche,
e ciliegie lustre e fresche
ben divise a mazzi e a ciocche.
Vien l’autunno sospirando,
sospirando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
qualche bacca porporina
nidi vuoti rame spoglie,
e tre gocciole di brina
e un pugnel di morte foglie.
E l’inverno vien tremando,
vien tremando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
un fastel d’aridi ciocchi
un fringuello irrigidito,
e poi neve neve a fiocchi
e ghiaccioli grossi un dito.
La tua mamma vien ridendo
vien ridendo alla tua porta;
sai tu dirmi che ti porta?
Il suo vivo e rosso cuore,
e lo colloca ai tuoi piedi,
con in mezzo, ritto, un fiore;
ma tu dormi e non lo vedi. (A. S. Novaro)

Le stagioni

Diceva primavera: “Io porto amore
e ghirlande di fiori e di speranza”.
Diceva estate: “Ed io, col mio tepore,
scaldo il seno fecondo all’abbondanza”.
Diceva autunno: “Io spando a larga mano
frutti dorati alla collina e al piano”.
Sonnecchiando diceva inverno annoso:
“Penso al tanto affannarvi e mi riposo”.

Le quattro stagioni
Di fior si smaltano prati e giardini
attorno un’aura spira leggera;
gioite: arriva per voi, bambini, la primavera.
Ma già nel campo matura il grano,
dal sol le viottole sono infocate;
cantan cicale… suda il villano:
ecco l’estate.
Cade il settembre: le viti spoglie
furon dell’uve di licor piene,
l’aria rinfresca, cadon le foglie:
l’autunno viene.
Le notti allungano, s’infosca il cielo;
dal freddo il fiore spira consunto;
sulla campagna domina il gelo:
l’inverno è giunto. (E. Panzacchi)

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