Dettati ortografici – Giugno

Dettati ortografici sul mese d giugno

Il sole si affaccia all’orizzonte e spande la sua luce sulla terra e nel cielo. Illumina le cime dei monti, le punte dei campanili, i tetti delle case. Getta un tappeto d’oro sui campi e mille scintille sulle acque del mare, dei laghi, dei fiumi. I galli annunciano il nuovo giorno e le campane squillano. Il contadino, di buon’ora, si avvia nel campo, ove l’attende il suo lavoro. L’aria, già calda al mattino, annuncia una giornata afosa.  Le cicale iniziano presto il loro grido insistente e, quando i bambini si svegliano, il sole, già alto nel cielo, entra nelle case a portare luce, salute, allegria. (M. Menicucci)

Carlo è felce quando può correre per i prati col suo cane. Mentre Bobi scappa avanti, Carlo si butta a terra, fra l’erba alta. Il cane si ferma e si gira di scatto: alza il muso, drizza le orecchie e poi, via! Con un balzo è sopra al suo padroncino e tutti e due rotolano insieme. Il bambino strilla e ride: il cane uggiola di gioia.

I contadini sotto il sole di giugno raccolgono i covoni di grano. Il loro viso scuro riluce di gocce di sudore, ma instancabili continuano il lavoro.  Un uccellino, in un prato accanto, si ferma un momento a guardare, poi continua, in un lieto cinguettio, a insegnare ai suoi piccoli a volare.

E’ arrivato giugno col sole caldo, con i temporali estivi e con i primi frutti succosi. Nelle belle giornate il sole si leva prestissimo e risplende per ore ed ore. Ai bambini piace attardarsi all’aperto fino al suo tramonto e salutare l’arrivo della sera con giochi e grida festose.

I prati sono verdi e nei campi biondeggia il grano. Di sera si vedono piccoli lumini vagare piano piano qua e là: sono le lucciole, che i bimbi talvolta rincorrono, felici di potere stringere un po’ di luce. Gli alberi sono folti di foglie e donano la loro ombra benefica. In campagna c’è molto lavoro ed i contadini si preparano per la fatica della mietitura. Anche i bimbi si preparano per la loro ultima fatica dell’anno scolastico e sperano di potere portare a casa una bella promozione.

Giugno, mese di spighe, ricco di sole e di feste, apre con chiavi d’oro le porte dell’estate. Il sole avvampa; le spighe diventano d’oro; i fiori hanno i colori più belli; alcuni petali ricordano lo splendore delle pietre preziose. Stridono le cicale; erra laboriosa l’ape; lampeggiano le falci; suda sui libri lo scolaro. Per chi ha ben lavorato, è l’ora del raccolto. (L. Rini Lombardini)

Giugno è il mese dei prati erbosi e delle rose; il mese dei giorni lunghi e delle notti chiare. Le rose fioriscono nei giardini, si arrampicano sui muri delle case. Nei campi, tra il grano, fioriscono gli azzurri fiordalisi e i papaveri fiammanti e la sera mille e mille lucciole scintillano fra le spighe. Il campo di grano ondeggia al passare del vento: sembra un mare d’oro. Il contadino guarda le messi e sorride. Ancora pochi giorni e raccoglierà il frutto delle sue fatiche. (G. Carducci)

Sera di giugno. La luna doveva già essere alta dietro il monte. Tutta la pianura, allo sbocco della valle, era illuminata da un chiarore d’alba. A poco a poco al dilagare di quel chiarore, anche nella costa cominciarono a spuntare i covoni raccolti in mucchi, come tanti sassi posti in fila. Degli altri punti neri si muovevano per la china, e a seconda del vento giungeva il suono grave e lontano dei campanacci che portava il bestiame grosso, mentre scendeva passo passo verso il torrente. Si tratto in tratto soffiava pure qualche folata di venticello più fresco dalla parte di ponente e per tutta la lunghezza della valle udivasi lo stormire delle messi ancora in piedi (G. Verga)

Giugno. I giorni succedevano ai giorni. Il sole descriveva un arco sempre più vasto nel cielo, il pomeriggio  si faceva di giorno in giorno più ardente, il fogliame si addensava sulle piante, il grano ingialliva nei campi, la vite e l’ulivo fiorivano profumando l’aria, e al loro odore si mescolava quello delle cantaridi verdi e dorate; gli uccelli tacevano, acquattati sulle uova dei nidi; la notte le lucciole uscivano di tra le spighe ancora acerbe, imitando nel buio lo stellato del firmamento. L’ultimo spicchio ranciato della luna calante si dondolava riflesso nell’acqua nera e cheta, simile a una barchetta di foglio dorato dimenticata lì da qualche bambino. Un coro di ranocchi al quale si mescolava la voce più chioccia di qualche rospo malinconico, si alzava ogni tanto con impeto lirico su dal pacciame, subitamente interrotto dal più leggero rumore che facesse il vento tra i giunchi e i salici della proda, o qualcuno che passasse nelle vicinanze. (A. Soffici)

Ai ultimi di maggio il cielo impallidì e perdette le nuvole che aveva ospitate per così lungo tempo al principio della primavera. Il sole prese a picchiare e continuò di giorno in giorno a picchiar sempre più sodo sul giovane granoturco finchè vide ingiallire gli orli d’ogni singola baionetta verde. Le nuvole tornarono, ma se ne andarono subito, e dopo qualche giorno non tentarono nemmeno più di tornare. Le erbacce si vestirono di un verde più scuro per mescolarsi alla vista, e smisero di moltiplicarsi. La terra si coprì di una sottile crosta dura che impallidiva man mano che il cielo impallidiva… Nei solchetti scavati dall’acqua la terra si sgretolò in rigagnoli di polvere minuta, tosto percorsi da innumerevoli processioni di formiche e  di formiconi. E sotto le sferzate ogni giorno più crudeli del sole le foglie del giovane granoturco perdevano la loro baldanza e la loro durezza; s’inchinavano, dapprima, e poi man mano che s’infiacchiva la loro colonna vertebrale, si prostravano. E venne il giugno, e il sole diventò selvaggio; le strisce brune sulle foglie del granoturco si estesero dagli orli fino a toccare le colonne vertebrali. Le ortiche si sfrangiarono, si raggrinzirono, invecchiarono. L’aria era afosa e il cielo sempre più pallido e di giorno in giorno la terra incanutiva. (J. Steinbeck, da “Furore”)

Le api irrequiete e vivacissime passavano dall’uno all’altro fiore, facendo bottino di polline e di nettare; le vespe andavano tagliando coi loro strumenti da falegname il legno per fabbricare la loro carta; i neri calabroni rodevano le corolle per cavarne fuori stami e pistilli. Un mondo di piccoli coleotteri mangiava allegramente i petali e ognuno di essi aveva scelto il suo fiore prediletto. Mi fermai dinanzi a un cespuglio di rose, mi fermai a lungo: molti bruchi verdi e gentili rodevano il margine delle foglie, mentre le tenere gemmette erano tutte quante coperte da afidi che ne cavavano il succo. Intanto una formica correva frettolosa dall’uno all’altro di quei piccoli animalucci, eccitandoli a secernere quell’umore di cui le formiche sono tanto ghiotte. In una aiuola di narcisi fioriti era un andare e un venire di farfalle di ogni colore che leggere leggere passavano d’una in altra corolla, succhiandone il miele. Quanto brulichio, quanto movimento, quanta attività!

Giugno è il mese che sta nel mezzo dell’anno come un trionfatore. Ora grano ora frutta, ora splendidi fiori e piante aromatiche, ora canto di uccelli e di insetti notte e giorno. Nei buchi delle mura le rondini hanno posato il nido, e da quello l’uccello implume si affaccia tentando il volo. Una vita immensa e tenace si è sparsa su tutta la terra. Tra le fratte di lentisco e di mirto scivolano le lucertole e i ramarri, saltano i grilli e volano come frecce gli uccelli. Su tutto le cicale cantano battendo il tempo minuto per minuto, e il loro canto dura fino a notte, quando nei campi l’opera del contadino non  è ancora terminata. (C. Alvaro)

Al principio di giugno, una sera, improvvisamente, scorgo una lucciola, poi altre due o tre, stelle avventurose e solitarie che fluttuano nell’aria chiara, come se navigassero sulla cresta di un’onda, o facessero la riverenza. Le loro minuscole luci s’accendono e si spengono secondo il ritmo del volo. A prenderne una sul palmo della mano sprigiona un bagliore strano, un messaggio misterioso, un piccolo alone verde pallido. La sera dopo, nei boschi, se ne trovano a centinaia. Per un motivo a noi ignoto restano sempre circa un metro da terra. Vien fatto di immaginare che un branco di ragazzi sui sei o sette anni, stia correndo per la foresta buia con candele o bacchette accese ad un fuoco magico, saltando allegramente, inseguendosi a balzelloni, roteando in segno di festa le piccole torce chiare. I boschi si riempiono di vita sfrenata e gioconda, mentre tutto è silenzio perfetto. (K. Blixen)

Era il colmo di giugno. In quei giorni le cicale emerse dalla terra salivano sugli ulivi a togliersi gli scafandri, ad asciugare le ali. I sole alto, quasi a piombo, cuoceva la terra. Ed ecco da un orifizio sotto un pino uscir fuori a uno a uno tanti piccoli caratteri simili a minuscoli 8, a impercettibili 3: erano le formiche brune. S’affaccendavano in piena luce a spiare indecise, quasi cieche, agitando i fili delle antenne. Subito, da un’aiuola spuntavano altre piccole formiche,  si incontravano, si annusavano; riprendevano di corsa verso una sola direzione, aggiravano un ciottolo, il pino, scansavano la ronda, s’introducevano nell’orifizio. Allora cominciarono a venir fuori tutte: a una, a due, a dieci, venti scaturivano fuori pigiandosi, accavallandosi l’una sull’altra; tutte, i maschi, i vecchi, le grosse regine, le ancelle: non finivano più, s’addensavano in masse, facevano circolo, si disponevano in file… (F. Tombari)

Giorgio ha un cartoccio di ciliege: sono rosse, lucide e succose. E’ proprio vero                                                                                                      che una tira l’altra: basta infatti che ne afferri una, perchè si formi dietro a quella tutta una fila. “E’ il frutto che mi piace di più”, dice Giorgio convinto. Ma ripeterà così anche quando assaporerà le prime albicocche della stagione nuova, le prime pesche, le prime prugne, le prime pere.

I papaveri hanno invaso il campo di grano. Sono un esercito. I soldatini indossano la camicia rossa e non fanno male a nessuno: la loro spada è una spiga. Il vento li agita: i soldatini sembrano correre nel campo conquistato. Quando poi il vento tace, ogni papavero si attarda al margine del solco col fiordaliso, suo compaesano, che indossa la tuta azzurra dell’operaio. (N. Salvaneschi)

“Buongiorno!” frinisce la cicala, appena il sole fa capolino dietro la foglia che le fa da cassa. “Buongiorno!”. Anche le formiche salutano la luce che filtra fra le erbe del prato; ma hanno una vocina sottile e nessuno le ode. “Buongiorno!”. Api, farfalle, calabroni, coccinelle, salutano il sole nascente con i loro ronzii, col battito delle loro ali, col fremito delle piccole elitre. In breve, da tutta la campagna, si leva un coro: “Buongiorno, oh sole!” (N. Oddi Ozzanesi)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

 

Proverbi sui mesi dell’anno

Proverbi sui mesi dell’anno – una raccolta di proverbi e detti popolari sui mesi dell’anno, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Gennaio
Non c’è gallina nè gallinaccia che di gennaio l’uovo non faccia.
Epifania tutte le feste si porta via.
Gennaio asciutto, grano dappertutto.
Gennaio ortolano tutta paglia e niente grano.

Febbraio
Febbraio asciutto, erba da per tutto.
Pioggia di febbraio empie il granaio.
Chi vuol di avena un granaio, la semini in febbraio.
A Carnevale ogni scherzo vale.
A Carnevale, si conosce chi ha la gallina grassa.

Marzo
Marzo asciutto e april bagnato, beato il villan che ha seminato.
La nebbia di marzo non fa male, quella di aprile toglie il vino e il pane.
Di marzo chi non ha scarpe vada scalzo, e chi le ha le porti un po’ più in là.
Per l’Annunziata è finita l’invernata.
Se marzo non marzeggia, aprile non verdeggia.
Se marzo non marzeggia, april mal pensa.

Aprile
Aprile, dolce dormire.
Aprile freddo: molto pane e poco vino.
Aprile temperato non è mai ingrato.
Se tagli un cardo in aprile, ne nascon mille.
Aprile e maggio son la chiave di tutto l’anno.
D’aprile piove per gli uomini e di maggio per le bestie.
D’aprile non ti scoprire, di maggio vai adagio.
Aprile fa il fiore e maggio gli dà il colore.
Aprile dolce dormire, gli uccelli a cantare, gli alberi a fiorire.

Maggio
Maggio asciutto e soleggiato, molto grano a buon mercato.
Se di maggio rasserena ogni spiga sarà piena, ma se invece tira vento nell’estate avrai tormento.

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre

Ottobre
Tuono dell’ottobrata, bella e calma l’invernata.
Uomo di vino non vale un quattrino.
Ottobre piovoso, campo prosperoso.
A santa Riparata ogni oliva olivata.

Novembre
A novembre si lasciano campi e orti per dedicarsi più ai nostri morti.
Di novembre quando tuona è segnal d’annata buona.
Novembre bagnato, in aprile fieno al prato.
Per santa Caterina, o acqua o neve o brina.

Dicembre
Dicembre gelato non va dispezzato.
Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia.
Fino a Natale, il freddo non fa male, da Natale il là, il freddo se ne va.
Dolce invernata, poca derrata.

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Poesie e filastrocche I MESI DELL’ANNO

Poesie e filastrocche I MESI DELL’ANNO – una raccolta di poesie e filastrocche a tema, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Mesi
Gennaio porta il ghiaccio sul mantello
febbraio è corto e porta freddo e neve
marzo ha con sè il tempo poco bello
aprile vien con fiori ed aria leve
maggio ha i fiori e il tempo mite
giugno fa biondeggiar le messi d’oro
luglio porta i bagni e lunghe gite
agosto al contadin porta lavoro
settembre mette il vino nelle botti
ottobre getta il seme nella terra
novembre porta le lunghe notti
dicembre abbraccia l’anno e lo sotterra.

L’anno, i mesi e i giorni
Io so, bimbo, d’un albero
che cresce in tutti i siti,
i sami suoi son dodici,
di foglie rivestiti.
Ad ogni ramo pendule
stan trenta foglioline,
addentellate al margine
da ventiquattro spine.
Trapunte d’or, di porpora,
sa un verso scintillanti,
son nell’opposta pagina
oscure e scoloranti.
Ed ogni notte staccasi
dall’albero una foglia
infin ch’ei nudo all’aria
rimane di sua spoglia.
Ma in quell’istante spuntano
le gemme a cento a cento
e i rami si ricoprono
di nuovo vestimento.
Così per anni e secoli
quella vicenda dura;
e l’albero fatidico
del tempo è la misura. (E. Berni)

I dodici fratelli
Gennaio vien tremando
col cappotto e lo scaldino
vien febbraio schiamazzando
in costume d’Arlecchino
marzo porta vento a iosa,
una rondine e due viole
porta aprile un pesco rosa
che ti desta al nuovo sole
maggio canta e da lontano,
tre usignoli fanno coro
giugno tiene nella mano
una spiga tutta d’oro
luglio porta ceste piene
di susine e pesche bionde
porta agosto due sirene
che si specchiano nell’onde
se settembre si fa bello
con tre pampini di vite
reca ottobre un gran fardello
di castagne abbrustolite
poi novembre viene stanco
per la nebbia che l’assale
vien dicembre tutto bianco
con l’abete di Natale.
Sono dodici fratelli
che si tengono per mano
tutti buoni tutti belli,
anno nuovo ti aspettiamo. (G. Noseda)

I mesi dell’anno
Gennaio porta pasqua epifania,
febbraio sciala in maschera per via,
marzo per mano tien la primavera,
aprile d’ogni verde s’imbandiera.
Maggio i giardini sogna delle fate,
giugno dispensa l’oro dell’estate,
luglio ed agosto nella gran calura
godon beati la villeggiatura.
Settembre s’affaccenda per il vino,
ottobre rompe ricci di castagne,
novembre fa canute le montagne,
dicembre esulta davanti al Bambino. (I. Drago)

I mesi dell’anno
Gennaio mette ai monti la parrucca,
febbraio grandi e piccoli imbacucca;
marzo libera il sol di prigionia.
April di bei color gli orna la via;
maggio vive tra musiche d’uccelli,
giugno ama i frutti appesi ai ramoscelli;
luglio falcia le messi al solleone,
agosto, avaro, ansando le ripone;
settembre i dolci grappoli arrubina,
ottobre di vendemmia empie la tina;
novembre ammucchia aride foglie in terra,
dicembre ammazza l’anno e lo sotterra. (A. S. Novaro)

I mesi dell’anno
Gennaio porta gelo e nevicate,
febbraio grandi balli e mascherate,
marzo arriva col vento e le viole,
aprile ha l’erba per le capriole.
Maggio ci dà le rose profumate,
giugno le spighe dal bel sol dorate,
luglio ha le trebbie e sempre gran lavoro,
agosto buone frutta rosse e d’oro.
Settembre mette l’uva giù nel tino,
ottobre cambia il mosto in un buon vino,
novembre butta giù tutte le foglie,
dicembre per il fuoco le raccoglie. (O. Turchetti)

I mesi
Aprendo la sua porta
gennaio tira tira.
Febbraio gamba corta,
lo segue e gira gira.
Va marzo pazzerello
col vento nel cestello.
E sparge i fiori aprile,
sì gaio e sì gentile.
Il maggio par che voli
fra rondin e usignoli.
Poi giugno va beato
di spighe inghirlandato.
E luglio porta il sacco
di candida farina.
Agosto ha la sua sporta
di frutta sopraffina.
S’aggirano settembre
e ottobre dentro il tino.
E mesto va novembre
coi fiori e il lumicino.
Dicembre chiude l’anno
in una stanza oscura.
Ma, furbo, capodanno,
vi scopre una fessura.
Gennaio fa passare
per poi ricominciare
il giro giro tondo
che dura quanto il mondo. (F. Manisco)

Girotondo di dodici fratelli
Girotondo, girotondo!
Quanti sono? Una dozzina.
La farandola mulina
senza posa intorno al mondo.
Quello lì che a stento arranca,
tetro, livido, ingrugnato,
striminzito, infagottato
nella sua mantella bianca,
è gennaio, il primogenito
della bella fratellanza;
a ogni passo della danza,
batte i denti e manda un gemito.
Tien per mano il più piccino
della schiera e il più furbetto;
febbrarin carnevaletto,
detto pure il ventottino.
Lo vedete quant’è buffo
nel vestito d’Arlecchino,
lo vedete il birichino
come ride sotto il ciuffo?
Un sentore di viole…
ecco marzo pazzerello,
piedi nudi e giubberello
ricci al vento e viso al sole.
E’ una gioia rivederlo;
e, se a tratti si fa mesto,
pur si rasserena presto,
e fischietta come un merlo.
Si trascina appresso un bimbo
dolce, pallido, gentile.
Pratolino, ovvero aprile,
che di foglie al capo ha un nimbo.
Bello e caro quel biondino.
Ma più bello e più lucente,
ma più caro e più ridente,
questo qui che gli è vicino.
Maggio, eterno amor del mondo,
per guardarti, per goderti,
si vorrebbe trattenerti
arrestando il girotondo.
Lascia almeno che odoriamo
le tue rose inebrianti;
benedici tutti quanti
con quel tuo fiorito ramo!
Sei già andato! Ecco al tuo posto
sopraggiungere i fratelli
tuoi più simili, i gemelli
buoni: giugno, luglio, agosto.
Nudi sono come l’aria,
ma ciascun porta un suo fregio:
l’uno un ramo di ciliegio
che di frutti ondeggia e svaria,
il secondo ghirlandette
di papaveri fiammanti;
spighe, il terzo, barbaglianti,
in manipolo costrette.
Bravi e validi figlioli,
rosolati al solleone;
saltan come in un trescone
di gagliardi campagnoli.
Ma quest’altro, avviluppato
dentro un nuvolo di veli
azzurrini come i cieli,
è un fanciullo delicato.
E’ settembre, occhi di sogno,
cuore di malinconia:
spande intorno una malia,
ch’ha il profumo del cotogno…
Malinconica non pare
quella faccia rubiconda
che vien dopo, ed è gioconda
la canzon ch’odo cantare:
“Sangue chiaro e sangue fosco
dà la vigna, e noi beviamo
l’uno e l’altro, e salvi siamo!”
Matto ottobre, ti conosco.
Ahi, quei due che vengon ora,
musi lunghi, brutta cera
da ammalati, veste nera
ci predicon la malora!
Tien novembre un ramo secco
all’occhiello del gabbano,
e dicembre nella mano
più non porta che uno stecco.
Nei tasconi del loro saio
racan freddo e amare pene…
Ma vedete, ora chi viene?
Di bel nuovo è qui gennaio…
Girotondo, girotondo,
sono dodici ragazzi,
buoni e tristi, savi e pazzi:
e nel mezzo è il vecchio mondo. (D. Valeri)

I mesi dell’anno
Gennaio porta il ceppo e la Befana
febbraio carnevale e tramontana;
marzo le pratoline e le viole;
le rondinelle aprile e il dolce sole;
salutan maggio gli uccellini in coro;
giugno ha tra il fieno lucciolette d’oro;
luglio è biondo di grano al solleone;
agosto porta frutte dolci e buone;
settembre ha l’uva d’oro e di rubino,
ottobre poi la pigia dentro il tino;
novembre porta i fiori al camposanto,
dicembre culla i semi sotto il manto. (E. Bossi)

I mesi dell’anno
Vien gennaio freddoloso
con la barba di ghiaccioli
sotto il ciel cupo e nevoso.
I suoi undici fratelli
son febbraio, marzo, aprile,
maggio, giugno, luglio, agosto,
poi settembre il più gentile
ed ottobre col suo mosto
ed infin novembre brullo
e dicembre ultimo nato
che riporta nel cuore di ognuno
il bambino tanto sognato.
Che simpatica famiglia
reca sotto il suo mantello!
Nessun mese si somiglia
e a suo modo ognuno è bello.

I mesi dell’anno
Gennaio infreddolito
chiamò febbraio intirizzito
marzo, il burlone
svegliò aprile dormiglione.
Maggio aprì i suoi fiori
giugno uscì coi suoi colori,
luglio portò calura,
agosto recò l’arsura,
settembre andò al mare
e non aiutò ottobre a vendemmiare.
Vicino al camino novembre
aspettava l’ultimo, dicembre.

I mesi dell’anno
Va a sciare il buon gennaio
veste in maschera febbraio
marzo ha tante rondinelle
d’april piove a catinelle
con le rose giunge maggio
con le spighe giugno il saggio
ci fa luglio soffocare
si riposa agosto al mare
a settembre piace il mosto
ha già ottobre a scuola un posto
con le nebbie vien novembre
gioia e feste canta dicembre.

I mesi dell’anno
Dice gennaio: chiudete l’uscio
dice febbraio: io sto nel mio guscio
marzo apre gli occhi e inventa i colori
aprile copre ogni prato di fiori
maggio ti porge la rosa più bella
giugno ha nel pugno una spiga e una stella
luglio si beve il ruscello d’un fiato
sonnecchia agosto all’ombra sdraiato
settembre morde le uve violette
più saggio ottobre nel tino le mette
novembre fa di ogni sterpo fascina
verso il presepe dicembre cammina.

I mesi dell’anno
I bimbi lo sanno
che i mesi dell’anno
tra grandi e piccini
son dodici in tutto.
Se ognuno ha il suo fiore
se ognuno ha il suo frutto
nessuno è tra loro
più bello o più brutto.
Son tutti fratelli
ognuno ha un mestiere
chi cura i piselli
chi porta un paniere
chi pota, chi innesta,
chi ara, chi miete,
chi porta una brocca
di acqua a chi ha sete;
chi versa uno scroscio
di pioggia lucente.
Nessuno sta in ozio
guardando la gente.
Più bella famiglia
nessun vedrà mai.
Son dodici mesi,
e tutti operai. (R. Pezzani)

Girotondo dei dodici mesi
Girotondo sul nevaio
con gennaio e con febbraio
e per marzo pazzerello
girotondo con l’ombrello.
Girotondo al campanile
con la Pasqua dell’aprile
e per maggio ciliegino
girotondo col cestino.
Giugno ai campi, luglio al mare
girotondo da sudare.
Fugge ai monti agosto in fretta
girotondo sulla vetta.
Con settembre ottobre vola
girotondo per la scuola
e novembre, ecco, è già qui
girotondo con gli sci.
Poi, vestito di Natale,
fa dicembre il gran finale
e saluta capodanno
girotondo tutto l’anno.

I mesi
Cari amici il tempo vola
vanno i mesi a malincuore
presto giugno mietitore
verrà a chiudere la scuola
a trovare sotto il sole
fra boschetti, prati, aiuole,
ecco luglio un po’ monello
con agosto suo fratello.
Porteranno tanti doni
profumati, freschi, buoni!
Poi settembre canterino
farà festa nel vigneto
ed ottobre ancor più lieto
pigerà l’uva nel tino.
Oh, davvero il tempo vola
bimbi miei, si torna a scuola!
Di novembre poverello
parleranno le castagne
poi dicembre vecchiarello
stenderà sulle montagne
un gran manto di candore
darà gioia ad ogni cuore
e in un canto di bontà
anche l’anno finirà.

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Poesie e filastrocche: san Giovanni – 24 giugno

Poesie e filastrocche: san Giovanni – 24 giugno. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

San Giovanni va nei campi nell’ardor del mezzogiorno
quiete immensa tutt’intorno, sopra il cielo tutto blu
il sorriso suo giocondo, benedice la natura
e ogni specie che matura. (L.Schwarz)

(in costruzione)

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Poesie e filastrocche GIUGNO

Poesie e filastrocche GIUGNO – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

 Giugno

Sul bosco già placida cala
la sera,
ma un’invisibil cicala
persiste a sgranare tenace,
nella dolcissima pace,
la sua tiritera.
E, mentre l’ombra s’estende
e qualche stella compare,
s’ostina a voler prolungare
quel ritornello di roche
parole
che mettono ancora nella notte
un poco di sole. (L. Spina)

 

Canzone di giugno

Stormiscono le fronde
nell’aria greve e il sole
ride alle prataiole
ed alle biche bionde,
e rende tutto l’oro
il campo donde arriva
la canzone giuliva
dell’agreste lavoro.
Ecco, è piena la spiga
e la falce è nel pugno;
il buon sole di giugno
rallegra la fatica.
E la canzone sale
dal campo del lavoro
e s’accompagna a un coro
stridulo di cicale;
e sale il canto anelo
da bocche più lontane
lodando in terra il pane
ed il buon padre in cielo. (M. Moretti)

 

Giugno

Vieni giugno tutto d’oro! Che cos’hai nel tuo tesoro?
Pesche, fragole, susine, spighe spighe senza fine
prati verdi, biondi fieni, lampi tuoni arcobaleni
giorni lunghi, notti belle, con le lucciole e le stelle.

 

La canzoncina del mulino

Quando, a giugno, biondeggiare
per i bei campi fiorenti
vedo il gran che lieto ai venti
freme e ondeggia come un mare,
nella mia felicità
dico in cuor: “Se non mi inganno,
grazie al cielo, anche quest’anno
il lavor non mancherà”.
Un timor solo mi punge:
il timor della tempesta.
Ma che gioia, ma che festa
quando il gran vedo che giunge!
Me lo portan di lontano,
dicon tutti: “Buon mulino,
trita, trita, il nostro grano!”
Ed io macino contento,
e la ruota gira e canta:
dalle pale l’acqua infranta
spuma e brilla come argento. (U. Ghiron)

 

La canzone delle ciliegie

Il buon giugno ha maturato,
coi suoi raggi d’oro puro,
tutte rosse le ciliegie
tra il fogliame verde scuro.
Ora occhieggiano invitanti
ragazzini e ragazzine.
Rosse, nere, morettine,
ciliegione e ciliegine.
Con un paio di bei frutti
io vi faccio gli orecchini,
scintillanti, rossi e belli,
come fossero rubini.
Bimbi belli, bimbe care,
dai capelli bruni e biondi:
tutti ornati di ciliegie
siete ancora più giocondi.
Rosse, nere, morettine,
ciliegione, ciliegine. (R. Paccarie)

 

Sole di giugno

Giugno! Un bel sole rotondo
promessa del pane d’oro
splende sul nostro lavoro,
la festa alla gente del mondo.
Colma la casa di tutti,
carità buona e fiorita,
porta sapore ai frutti,
l’ombra di là dalla vita.
Porta letizia ai bambini,
provvidenza alle bicocche,
calabroni ai biancospini,
canti alle cune e alle rocce.
Porta miele agli alveari
incendia l’aureola dei santi,
beve nei fiumi e nei mari
con avide lingue fiammanti.
E muore ogni sera tra i monti,
felice del bene compiuto.
La terra gli scaglia un saluto
dall’arco degli orizzonti. (R. Pezzani)

 

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