Montessori da 0 a 3 anni – lo sviluppo del linguaggio

Montessori da 0 a 3 anni – lo sviluppo del linguaggio.

I suoni prodotti dal nostro apparato fonatorio non sono molti, ma con essi possono essere create infinite combinazioni. Dal lontano passato fino al presente attuale, è straordinaria la creatività della mente umana nel cercare e trovare possibilità di comunicare e di conservare la comunicazione, per superare le barriere del tempo e dello spazio.

Da un punto di vista generale si può dire che gli esseri umani hanno meccanismi per l’acquisizione del linguaggio già presenti nella mente dei bambini molto prima che essi imparino a parlare. Questi meccanismi sono definiti da Noam Chomsky come una perfetta conoscenza della grammatica universale già programmata nel cervello dei bambini alla nascita, ma poi ogni individuo userà il linguaggio in un modo che sarà solo suo, partecipando alla creatività della lingua con l’unicità del suo modo personale di comunicare.

Il linguaggio non è ripetizione di parole: le parole sono sostenute dal pensiero e l’uso delle parole sostiene e aumenta il pensiero.

Il linguaggio è lo strumento per comunicare all’esterno e allo stesso tempo consente il dialogo con noi stessi, ci permette di focalizzare i nostri pensieri, esaminarli, di porci domande e darci risposte. Per comunicare veramente con gli altri è molto importante saper parlare a noi stessi.

Purtroppo linguaggio parlato e linguaggio interiore possono dissociarsi: anche i bambini possono imparare a separare i loro pensieri dalle loro parole se fanno l’esperienza che ciò che hanno in mente non è accettato dall’ambiente. A questo punto le parole non servono più a manifestare i propri pensieri, ma piuttosto a coprirli.

Nell’acquisizione della lingua si osservano sempre due periodi principali:
– pre-linguistico: dalla vita prenatale fino ai 12 mesi;
– linguistico: dai 12 mesi ai 3 anni.

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Il periodo pre-linguistico

Nel periodo pre-linguistico tutto il lavoro che i bambini compiono con la lingua è nascosto, e le tracce osservabili dall’esterno sono molto poche. Si tratta di un processo silenzioso che va tenuto in serissima considerazione.

neonati, grazie alle memorie accumulate durante la loro vita prenatale, possono riconoscere fin dal primo momento la voce della madre e si girano verso di lei mentre parla, come riconoscono e reagiscono anche alla voce del padre. Queste voci conosciute hanno il potere di calmarlo.
I neonati mostrano poi uno speciale interesse per la voce umana in generale, perchè si trovano nel periodo sensitivo del linguaggio ed essa è il suono preferito dell’ambiente.

Dal punto di vista della produzione del linguaggio da parte dei neonati, dobbiamo riconoscere che il loro pianto varia a seconda delle situazioni e che vi è una grande varietà nella qualità e nella quantità. Se siamo attenti scopriamo in questo modo di comunicare un vero e proprio linguaggio. Inoltre essi accompagnano questo pianto con molti movimenti delle varie parti del corpo che aggiungono la forza e la chiarezza del linguaggio non-verbale alla loro espressione vocale.

Nei primi due mesi di vita una cosa molto interessante del loro pianto è che piangendo mutano il ritmo respiratorio: queste alterazioni possono darci indicazioni su ciò che i bambini desiderano comunicare all’ambiente.

A partire dal terzo mese compare la possibilità di modulare la voce, perchè la laringe comincia a lavorare in modo diverso e raggiunge la normale posizione e la completa mielinizzazione. Si crea un tipo di linguaggio che il bambino utilizza principalmente con la madre nei momenti di intimità e durante le cure materne, quando la relazione è diretta e c’è la possibilità di guardarsi negli occhi.

Verso i tre-quattro mesi i bambini cominciano a riprodurre le vocali in modo chiaro, quasi cantando e con una chiara intenzione di gioco. Se l’ambiente si mostra interessato e risponde, i bambini si impegnano in un dialogo pieno di gioia.

cinque mesi compaiono alcune consonanti, quali M, N, D, che vengono unite alle vocali già usate e che, con la ripetizione, formano parole come MA-MA, DA-DA, NA-NA. Naturalmente i bambini si accorgono subito che MA-MA suscita una grande reazione da parte della madre, e sono incoraggiati a ripetere i suoni e a continuare i loro esercizi vocali con grande passione. Spesso cominciano a farlo da appena svegli, ed è esattamente quello che avviene anche a noi adulti, quando ci svegliamo senza fretta e cominciamo a parlare a noi stessi, anche se noi non lo facciamo ad alta voce.

Esercitandosi continuamente con la voce, i bambini prendono coscienza di avere a loro disposizione gli strumenti preziosi della bocca e della laringe.

sette-otto mesi i bambini sono in grado di rispondere in modo appropriato ad inviti verbali fatti dagli adulti con i quali vivono, quali  “batti le mani”, “fai ciao”, o anche “dammi la mano”, “dammi il piede” quando li vestiamo, e comprendono bene anche il “no”.

Intorno ai dodici mesi se l’ambiente è stimolante e di aiuto, cominciano a pronunciare le prime parole che riguardano di solito le persone della famiglia, il cibo, i saluti. Queste parole sono dette olofrasi perchè ognuna esprime tutta una situazione ed è perciò come un’intera frase. A un anno i bambini usano circa 3 o 4 olofrasi.

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Il periodo linguistico

Il periodo linguistico, che va dai 12 mesi ai 3 anni, si divide in due fasi:
– fase locutoria: dai 12 ai 20 mesi,
– fase delocutoria: dai 20 ai 36 mesi.

Nella fase locutoria, dai 12 ai 20 mesi, i bambini usano la stessa parola per molte situazioni diverse, o anche parole diverse per la stessa situazione.

Aumentano le parole e le consonanti usate, ma alcune di esse quali R, S, Z sono per loro difficili da riprodurre.
Le frasi si compongono ora di due parole, ad esempio “Mamma qui”; questo genere di frase è detta frase nucleare. Nella frase nucleare la prima parola è il soggetto e la seconda serve a descrivere tutta la situazione. Quando arriva ad usare tre parole si parlerà di frase nucleare espansa.

Quando il bambino arriva a parlare di situazioni o persone che non sono presenti, siamo di fronte a un grande progresso.
Un progresso ulteriore avviene quando il bambino risponde a parole quando gli viene chiesto qualcosa, mentre prima la risposta era solo motoria, cioè consisteva in un’azione.    ,.A questo punto comincia un vero dialogo, e i bambini mostrano un grande interesse per tutti i nomi, in particolare per quelli difficili.

I bambini dai 20 ai 24 mesi possono imparare facilmente, in due o tre giorni, 15 nomi difficili (razze di gatti, nomi di uccelli, di fiori, di mezzi di trasporto, ecc.) presentati loro attraverso illustrazioni (si consiglia una dimensione 20×20) e provando in questo apprendimento una gioia incredibile.
Siamo nel periodo sensitivo per la nomenclatura, ed è importante che gli adulti ne siano consapevoli e che rispondano adeguatamente alla fame di parole che i bambini hanno in questo periodo. Facendolo doneranno loro un’incredibile ricchezza e precisione di linguaggio.
Conoscere la parola veramente adatta ad una situazione dà una grande sicurezza interiore e consente un giusto controllo sull’ambiente.
Siamo giunti in una fase che Maria Montessori chiamò dell’esplosione del linguaggio.

24 mesi i bambini possono usare circa 200 parole, pronunciate più o meno chiaramente, ma parlano di se stessi utilizzando la terza persona, e non il pronome io.

Nella fase delocutoria, dai 20 ai 36 mesi, i bambini acquisiscono l’uso delle nove parti del discorso e le frasi diventano più lunghe e articolate.
Grazie all’uso e alla comprensione del linguaggio dimostrano un impressionante livello di consapevolezza del mondo esterno e di se stessi: sono in grado di descrivere le emozioni personali e ciò che avviene nell’ambiente, di giudicare correttamente le diverse situazioni, di opporsi ad esse usando con frequenza il “no”.

Fra i 32 e i 36 mesi il bambino dice finalmente “Io”, ed è questo un momento di grande importanza per lo sviluppo umano. Si tratta della nascita di una persona che ha una chiara coscienza del suo posto e del suo ruolo nell’ambiente, e con l’uso del pronome io afferma la propria identità e chiede di essere riconosciuta come l’essere unico e irripetibile che è.
E’ un evento che merita di essere celebrato solennemente, come abbiamo celebrato il suo primo muoversi su due gambe.  Iniziando a camminare il bambino ha affermato la sua identità fisica, che ora completa con l’affermazione della sua identità psicologica, dicendo “io”.

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La parte emozionale del linguaggio

Le tre necessità di base per apprendere ed usare la lingua materna sono:
– poter udire bene;
– avere un apparato fonatorio funzionante;
– avere il desiderio di comunicare.

Il desiderio di comunicare è la parte emozionale del linguaggio. I bambini possono aver assorbito il linguaggio ed essere in grado di parlare, ma possono decidere di non usarlo a causa di fattori di disturbo emotivo. Un buon clima emotivo è la condizione indispensabile per un migliore sviluppo ed uso del linguaggio.

Imparando a dare un nome a ogni oggetto ed ogni informazione i bambini possono fare il passaggio dal concreto all’astratto. Col linguaggio parlato, e poi con quello scritto, i bambini avranno a disposizione lo strumento per ricevere e produrre una conoscenza sempre più grande.

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Consigli pratici per aiutare lo sviluppo del linguaggio

– udito: per apprendere il linguaggio è essenziale che il bambino possa udire bene, per questo è molto importante controllare l’udito dei neonati nei primi tempi dopo la nascita. Una prima ricerca si può fare semplicemente battendo le mani o suonando un campanello o chiamando il bambino per nome mentre si sta dietro di lui. Quando abbiamo dei dubbi, informiamone al più presto il pediatra;

– curiamo il modo in cui parliamo: fin dall’inizio dobbiamo parlare al bambino in modo corretto e chiaro, ma lentamente e con voce non troppo forte. Stiamo attenti alle espressioni che usiamo, perchè i bambini capiscono sempre molto più di quello che riescono ad esprimere;

– descriviamogli le nostre azioni: durante il tempo delle cure materne e in qualsiasi altra occasione, descriviamo le azioni che compiamo con lui;

– curiamo il tono: il tono del nostro discorso deve essere serio, come lo è quando parliamo ad una persona in grado di comprendere, per trasmettere al bambino l’importanza che diamo alla comunicazione con lui;

– coltiviamo il linguaggio speciale dell’amore: usiamo naturalmente con lui il linguaggio speciale dell’amore, che ha toni e maniere diverse di usare le parole, e facciamo che i due modelli siano sempre presenti contemporaneamente, perchè i bambini hanno bisogno di impararli tutti e due;

 rispondiamo sempre: appena i bambini cominciano a riprodurre i suoni e noi siamo presenti, dobbiamo rispondere ai loro vocalizzi per stabilire il modello che il linguaggio serve a comunicare con gli altri;

– i nomi delle cose: i bambini devono imparare le parole udite nel contesto della vita reale. Possiamo dire vocaboli mentre tocchiamo le varie parti del loro corpo durante le cure materne, possiamo dire il nome degli oggetti che usiamo mentre prepariamo il cibo per lui, mentre glielo diamo, mentre li vestiamo e li spogliamo. La cosa importante è dire solo il nome, senza ulteriori spiegazioni e aggettivi. Se ad esempio presentiamo il cucchiaio, ripetiamo la parola “cucchiaio” due o tre volte, mostrando l’oggetto. Questo aiuta i bambini a fare ordine ed arrivare presto a comprendere che tutto e tutti hanno un nome;

– non ripetiamo i loro errori: evitiamo di imitare i loro errori nel parlare pensando di poter essere  così meglio compresi dal bambino. In realtà lui ha nella mente il suono corretto della parola che vuole usare, ma lo strumento non è ancora in grado di riprodurlo. Per aiutarli ha più senso ripetere la parola corretta per dire al bambino che abbiamo compreso quello che voleva dire e per rafforzare il modello corretto della parola nella sua mente;

– rispetto: guardiamo con rispetto i risultati raggiunti invece di ridere per gli errori;

 offriamo libri adatti: i libri possono essere un grande aiuto al linguaggio, ma devono essere scelti bene. I bambini credono in tutto ciò che diciamo e noi dobbiamo essere onesti. Perchè, ad esempio, presentare animali che vivono e si comportano come esseri umani? La vita vera degli animali è molto più straordinaria ed interessate per il bambino. I libri giusti possono chiarire e verificare tutto quello che il bambino  ha già imparato nel suo ambiente, e possono aggiungere molte informazioni e preparare i bambini a nuove esperienze. La fantasia arriva più tardi, quando hanno già sperimentato la realtà e l’hanno assorbita, divenendo capaci di distinguere tra ciò che si vede all’esterno e ciò che si pensa all’interno;

– ripetizione: quando leggiamo un libro ai bambini piccoli, essi ci chiedono sempre di leggerlo molte volte. Questa richiesta va esaudita perchè i bambini hanno bisogno di conoscere il libro a memoria per essere in grado di ripeterlo a se stessi. Recitiamo poesie, filastrocche, canzoncine e non stanchiamoci mai di esaudire il desiderio del bambino di riascoltarle, tutte le volte che ce lo chiedono.

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L’apprendimento di più lingue

I periodi sensitivi del cervello umano seguono un orologio biologico interno che deve essere rispettato per aiutare i bambini ad utilizzare il loro potenziale.

Una migliore comprensione tra gli esseri umani per mezzo della conoscenza di più lingue può favorire le relazioni tra paesi e popoli e contribuire alla pace nel mondo.

La seconda (terza, quarta,…) lingua deve essere presente nell’ambiente del bambino nei primissimi anni di vita, cioè una o due persone devono parlare questa lingua ai bambini  ed in presenza dei bambini.
Se in questo periodo potessimo avere due, tre, quattro, cinque persone diverse che parlano ognuna la propria lingua, il bambino potrebbe arrivare ad assorbirle tutte facilmente, senza alcuno sforzo.
L’unica condizione da rispettare è che ciascuna persona parli con lui soltanto in una lingua. Con i bambini dei primi tre anni è assolutamente necessario: le diverse lingue devono provenire sempre dalla stessa persona, perchè per loro il linguaggio è parte della persona, come il suo viso, e non può essere cambiata se non a rischio di creare insicurezza.

Nell’apprendimento di ogni lingua bisogna distinguere tra:
– acquisizione del modello del linguaggio: pronuncia, forma del discorso;
– ricchezza e precisione del vocabolario.
Mentre l’acquisizione del modello avviene in modo perfetto solo nei primi anni di vita, il perfezionamento del vocabolario può continuare per tutta la vita, utilizzando il modello di base.

Una soluzione immediata può essere quella di riunire più volte a settimana alcuni bambini dei primi tre anni un gruppo gioco nel quale si trova una persona che parla con loro la lingua straniera. Con questa soluzione si riduce lo sforzo economico e i bambini arrivano alla scuola d’infanzia conoscendo almeno una seconda lingua.

Altra soluzione è quella di creare occasioni che permettano a bambini di diversa origine geografica di incontrarsi tra loro, per conoscersi, giocare insieme, prevenire diffidenze reciproche, e cominciare a scoprire la straordinaria ricchezza di linguaggi di cui è fornito il genere umano.

Tenendo conto della straordinaria plasticità del cervello dei bambini nei confronti del linguaggio umano, che tende a diminuire progressivamente dopo i 4 -5 anni, se non abbiamo la possibilità di far trascorrere del tempo al bambino piccolo con persone che parlano lingue diverse dalla lingua madre, possiamo svolgere con lui alcune interessanti attività, a partire da 2 – 3 anni. Queste attività possono essere della durata di circa mezz’ora al giorno, ma devono essere praticate con costanza e regolarità.

Esempi:

cd con canzoncine nella lingua straniera: se non conosciamo bene la lingua, possiamo limitarci ad ascoltare le canzoni con lui e memorizzarle insieme, in casa o sfruttando gli spostamenti in auto;

libri con immagini, brevi storielle divertenti, filastrocche nella lingua straniera per arricchire il vocabolario.

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Il linguaggio orale nella scuola primaria

Il linguaggio orale nella scuola primaria costituisce gran parte del lavoro. Come nella scuola d’infanzia, l’ambiente deve consentire ai bambini di condividere i propri pensieri e le proprie idee. Il linguaggio orale, a questo livello, svolge un grande compito: libera l’intelletto e consente la condivisione dei pensieri.

Sappiamo che, nella scuola d’infanzia, il bambino fa un grande lavoro sul linguaggio orale, per perfezionarlo sempre più come strumento dell’espressione di sé. Fatto questo, porterà questa esperienza nella scuola primaria.

Nella scuola primaria ci sono molte aree in cui il linguaggio orale, e non il linguaggio scritto, ha un ruolo fondamentale.

Quello che contraddistingue il linguaggio orale è che richiede la capacità di esprimersi chiaramente in tempo reale, sul momento, senza lunghi tempi di riflessioni, come avviene invece col linguaggio scritto. Prima di scrivere qualcosa, possiamo prenderci molto tempo per pensare alle parole che intendiamo usare, o dopo aver fatto la prima stesura, possiamo tornare indietro, rileggere, correggere, se ci accorgiamo che quello che abbiamo scritto non esprime esattamente ciò che volevamo dire. Col linguaggio orale questo non è possibile, e per questo possono insorgere malintesi, incomprensioni, confusione.

Secondo Maria Montessori l’aula scolastica deve somigliare più a un salotto che non agli ambienti scolastici cui siamo abituati, con file di banchi e sedie tutte uguali. L’aula non deve essere un ambiente di silenzio rotto soltanto dalla voce dell’adulto.

Non dobbiamo imporre un livello di silenzio che fa comodo solo a noi, ma dovremmo farci guidare dal buonsenso. I bambini imparano ad essere consapevoli del proprio tono di voce, e sapranno modularlo in modo che sia adeguato al lavoro in classe. Quando siamo riusciti a creare questo equilibrio, il parlare diventa parte integrante della vita di classe, e non un qualcosa che deve essere fermato.

Maria Montessori dice che il suono della classe dovrebbe essere simile al ronzio di un alveare.

L’aula è un luogo di relazioni, dove i bambini comunicano e interagiscono tra loro. I bambini non se ne stanno seduti in silenzio a ricevere piccole dosi di informazioni dall’adulto, non parlano solo col suo permesso o per rispondere ad una sua domanda.

La conversazione tra di loro e con l’insegnante è parte integrante del lavoro dei bambini. Se i bambini vogliono condividere qualcosa, devono avere sempre la possibilità di farlo, ma senza sentirsi costretto a farlo.

Il tono e il volume della voce devono essere controllati, ed a volte ci sarà bisogno di intervenire per portare consapevolezza. I bambini devono essere liberi di parlare in classe, ma ci devono essere dei limiti.  Uno dei compiti dell’insegnante è quello di garantire che il livello di rumore non diventi troppo forte, ad esempio suonando un campanellino, perché se vogliamo attirare l’attenzione dei bambini sul suono, dobbiamo usare un suono.

La conversazione amplia il vocabolario dei bambini, e migliora la loro capacità di esprimersi. Nella scuola primaria puntiamo ad un linguaggio che si basi sul mettere a fuoco le capacità di ragionamento logico, e che sia lo strumento per sviluppare un argomento in modo razionale, non colorato dall’emotività. Vogliamo aiutare i bambini nella loro capacità di esprimere un parere motivato. Naturalmente esprimere le proprie emozioni è importante, ma non a scapito della ragione: ci deve essere equilibrio tra questi due aspetti. I bambini devono sviluppare una modalità di comunicazione orale che permetta loro di comunicare con la società che li circonda, perché essi ne fanno parte, e ne faranno parte sempre di più man mano che crescono.

Oltre che del proprio lavoro, i bambini possono parlare anche di altre cose: hanno bisogno di lavorare, ma anche di riposare. Un momento particolarmente adatto alla conversazione libera è quello durante i pasti. I bambini dovrebbero apparecchiare, portare a tavola il loro cibo e scegliere di mangiare quando vogliono e con chi, quindi riordinare tutto per renderlo disponibile per un altro gruppo. Si tratta di una responsabilità che i bambini sono in grado di assumersi. L’ideale sarebbe che il pranzo fosse libero e gestito dai bambini stessi, senza l’intervento degli adulti. Basta dedicare un angolo della classe a questa funzione.

Durante la giornata, i bambini sono liberi di discutere il lavoro che stanno facendo, e guardare quello che stanno facendo gli altri: questo promuove l’apprendimento tra bambini.

Il linguaggio orale nella scuola primaria

Oltre alla pratica di parlare del proprio lavoro, in classe si tengono anche:

– DISCUSSIONI: le discussioni tra i bambini sono molto importanti, in tutte le aree di studio. Mentre si lavora in gruppo coi bambini, dobbiamo sempre incoraggiare la discussione, tenendo in considerazione le loro opinioni ed ascoltando ciò che ogni bambino ha da dire. Quando ascoltiamo con attenzione un bambino, lo stiamo incoraggiando. Quando abbiamo attenzione e rispetto nei confronti di chi sta parlando, insegniamo ai bambini a fare lo stesso. Ascoltiamo tutti i bambini che desiderano condividere il proprio punto di vista, e questo ascolto rispettoso incoraggerà la discussione.

Una discussione può nascere, ad esempio, dopo una presentazione. In questo caso i bambini esprimono i propri pensieri di ciò che stanno imparando, sviluppano idee, fanno collegamenti. Le discussioni stimolano i bambini ad esplorare nuovi aspetti dell’argomento. Facciamo in modo che i bambini imparino ad esprimere i motivi che li hanno portati ad una certa conclusione.

Discutere in gruppo insegna ai bambini ad esprimere se stessi senza sminuire il parere degli altri, a riconoscere opinioni diverse dalle loro, ad ascoltare con rispetto.

Anche la discussione con gli adulti è importante, ma dobbiamo fare in modo che non viga mai la regola che l’adulto ha sempre ragione: il nostro compito è quello di fungere da catalizzatori per tenere la mente del bambino sempre in movimento. Dobbiamo tenere accesa in lui la fiamma dell’interesse.

– ESPOSIZIONI orali di relazioni, che offrono una grande opportunità di confronto e condivisione delle idee. Un bambino può esporre un lavoro a nome proprio, o di un gruppo di lavoro cui ha partecipato. In questo caso possono avvicendarsi più bambini, ognuno dei quali può riferirne una parte: ad esempio un bambino spiega le illustrazioni, un altro parla dei libri consultati, ecc… In questo modo i bambini si preparano a parlare in pubblico. Le relazioni non dovrebbero avere solo forma scritta. Quando sono scritti possono essere scritti, illustrati, decorati, accompagnati da mappe o tabelle.

Se si tratta di un lavoro di gruppo, una volta ultimato, i bambini devono decidere come condividerlo con gli altri, e per far questo tengono una riunione per dividersi i compiti. A volte possono fare una presentazione a tutta la classe, altre volte possono invitare all’ascolto i bambini che lo desiderano.  Le relazioni possono essere scritti e poi lette a voce alta, mentre a volte le informazioni possono essere condivise solo oralmente. Queste esposizioni permettono ai bambini di ispirarsi a vicenda.

Questo lavoro, inoltre, è un processo complesso che richiede pensieri, discussioni, capacità di collaborare, esercizio pratico. Questo processo aiuta i bambini a cogliere la responsabilità che hanno nei confronti della società, responsabilità della quale il linguaggio fa parte. Quando aiutiamo i bambini a valutare se quello che hanno prodotto è degno di essere condiviso con gli altri o meno, li aiutiamo ad essere sempre più responsabili.

– DISCORSI: soprattutto tra i 9 ed i 12 anni, i bambini tengono discorsi. Questi discorsi vengono preparati molto bene, studiati, scritti, arricchiti da riflessioni personali. Il bambino sceglie un argomento di suo interesse e pertinente col lavoro che si sta svolgendo in classe. L’insegnante può fornire ai bambini copie di discorsi famosi. Mentre le relazioni sono frutto, in genere, di lavori di gruppo, i discorsi sono sempre lavori individuali. L’insegnante può dare indicazioni sulla postura corretta, il contatto visivo col pubblico altri elementi della retorica.

DIBATTITI: i dibattiti piacciono molto ai bambini. Spesso nascono dopo il discorso tenuto da un bambino, quando qualcuno ha una visione completamente diversa dell’argomento e vuole confrontarsi con l’oratore. Prima del dibattito è importante la ricerca delle informazioni di base: per essere un oratore efficace, bisogna conoscere vari punti di vista sull’argomento, e costruire un impianto logico solido. Bisogna essere chiari e convincenti. I dibattiti dovrebbero seguire regole precise, come la parità di tempo a disposizione di ognuno per l’esposizione, la confutazione e la chiusura.

LETTURE DI POESIE interpretate: è un’attività che non dovrebbe essere praticata prima dei 9 anni. A partire da questa età i bambini leggono, scrivono e memorizzano molte poesie. Se hanno fatto negli anni precedenti pratica con la forma poetica, anche i più piccoli possono partecipare come ascoltatori alle letture, e ne potranno godere. Le poesie, oltre che lette, possono essere recitate a memoria. Maria Montessori consiglia di non far leggere i bambini a voce alta troppo precocemente, perché è un’attività che richiede abilità complesse: coinvolge il movimento degli occhi, la comprensione attraverso la mente di ciò che l’occhio percepisce, la voce che deve riprodurre le parole mentre l’occhio deve muoversi in avanti. La lettura ad alta voce dovrebbe essere il punto di arrivo di un lungo processo di preparazione.

– DIALOGHI PARLATI, soprattutto dai 9 ai 12 anni. I bambini possono preparare dialoghi tra personaggi storici o letterari.  (Per la preparazione di questi dialoghi consulta le idee presentate nell’articolo sugli esercizi di scrittura in prosa). Possono assumere anche la forma di intervista.

– RECITE. I bambini si preparano alle loro recite a partire dalla lettura interpretativa di testi. Possono essere monologhi o lavori di gruppo. Da questi lavori interpretativi, scaturisce spontaneamente la scrittura di testi teatrali per i compagni. Se i bambini si riuniscono per allestire un testo teatrale che hanno scritto, hanno bisogno di discutere di molte cose: come si comportano i personaggi, come dovrebbe essere la loro voce, ecc… L’allestimento di una recita da parte dei bambini dovrebbe comprendere la scrittura e l’esecuzione; possono anche preparare da sé i costumi e la scenografia.

Il linguaggio orale nella scuola primaria

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

Lo studio della lingua nella scuola primaria Montessori comprende:
1. Storia della scrittura e del linguaggio orale (quarta grande lezione)
2. Grammatica e sintassi
3. Composizione scritta
4. Linguaggio parlato
5. Letteratura
6. Attività di ricerca

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

1. Storia della scrittura e del linguaggio orale (quarta grande lezione)

Nella scuola d’infanzia, il bambino è stato coinvolto nei fatti della lingua, che ha potuto esplorare sensorialmente. Ma poiché adesso le caratteristiche psicologiche sono cambiate, non possiamo mantenere lo stesso approccio. Il nostro compito, ora, è quello di aiutare il bambino ad esplorare le cause che stanno dietro ai fatti.
Nello studio della lingua, cominciamo con le grandi storie cosmiche, per fare appello alla fantasia del bambino. Egli è già in grado di leggere e scrivere, e noi possiamo usare il linguaggio per l’esplorazione delle origini e dello sviluppo del linguaggio, nonché della vita dell’uomo nel nostro universo.
L’arricchimento del vocabolario, la scrittura, la lettura, l’analisi grammaticale e l’analisi logica sono già state presentate, in germe, nel periodo della scuola d’infanzia, ma nella scuola primaria verranno trattate in modo diverso, diventando elementi inseriti nella storia dell’uomo.
Quando il bambino entra nella scuola primaria, psicologicamente si distacca dai suoi primi ambienti (casa, scuola d’infanzia) e si rivolge alla società al fuori di essi. E’ lo sviluppo di questa società che ha reso possibile lo sviluppo della lingua.
La quarta grande lezione ha per oggetto le origini della scrittura (pitture rupestri, scritture prealfabetiche, alfabetiche, sviluppo dei simboli scritti, calligrafia), le origini del linguaggio, e le origini della lingua italiana, con particolare attenzione all’etimologia delle parole.
Grazie alla sua fantasia, il bambino segue con interesse la storia delle origini della lingua, in particolare della sua. Apprezzerà molto anche la storia della scrittura, dei supporti usati nel corso del tempo dai vari popoli, l’evoluzione della scrittura dai pittogrammi al computer, l’invenzione della carta e della stampa.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

2. Grammatica e sintassi
Per parlare e scrivere in modo chiaro, il bambino deve capire le regole della grammatica e della sintassi, ma queste regole non devono essere fornite come un esercizio noioso. Dovrebbero essere date come arte della storia che si è sviluppata nel tempo. In questo modo, le ragioni storiche diventano una risposta alle difficoltà di ortografia, alle parole irregolari, e alle eccezioni alle regole. Il bambino, guidato in questo percorso, si renderà conto di quanto il linguaggio sia interessante, perché noi la applichiamo alla vita e non agli esercizi che stanno in un libro di grammatica.

Gli argomenti di grammatica e sintassi trattati nella scuola primaria sono:

  • Studio della parola
  • Studio delle parti del discorso
  • Analisi logica e del periodo.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

Nello studio della grammatica nella scuola primaria riconosciamo tre stadi o livelli:

  • 1° stadio: esercizi con i simboli grammaticali;
  • 2° stadio 2: esercizi con i cartellini dei comandi;
  • 3° stadio: esercizi con le scatole grammaticali

Lo studio della lingua è anche esercizio di lettura. Se il bambino desidera analizzare le parti del discorso, infatti, avrà bisogno di leggere. Questo è ciò che Maria Montessori chiama lettura totale.
Per tutti i materiali strutturati per lo studio della lingua, facciamo leva sul senso sociale del bambino, stimolando il lavoro in coppie o gruppi, soprattutto con le scatole grammaticali e i cartellini dei comandi. La lingua deve essere presentata con fantasia, se vogliamo interessare il bambino. Egli non deve subire regole di grammatica, sintassi e ortografia, ma piuttosto deve comprendere le ragioni di queste regole particolari, ed acquisire, applicando queste regole, le abilità di scrittura indispensabili a registrare e notificare. Il bambino deve scoprire tutto ciò che si può fare con linguaggio.
La proposta di Maria Montessori riconosce al bambino la capacità di cogliere visioni di insieme, sia pure non troppo vaste. Nella Psicogrammatica (grammatica come aiuto allo sviluppo psichico) si comincia con la famiglia del nome (articolo, nome, aggettivo: sintagma nominale), per passare poi alla famiglia del verbo (sintagma verbale) composta da verbo, avverbio, pronome. I legami dinamici tra le due famiglie avvengono grazie ai tre aiutanti (preposizione, congiunzione, interiezione).
È evidente in Maria Montessori la scelta consapevole di termini come famiglia o aiutante, direttamente comprensibili al bambino, termini vicini al suo mondo affettivo e tuttavia aderenti alla funzione linguistica esatta.
Nella scuola d’infanzia presentiamo i simboli per mostrare che le parole hanno delle funzioni diverse all’interno della frase, mostriamo cioè che le parole cambiano, ma i modelli di funzionamento rimangono gli stessi.
Nella scuola primaria, i simboli grammaticali servono a rendere concreto ciò che è astratto, aiutano i bambini a scoprire la funzione delle parole e a classificarle. La scoperta della funzione avviene in modo spontaneo, e questa preparazione indiretta all’analisi grammaticale è una base forte, a cui aggiungiamo gradualmente nuove scoperte, arrivando a gradi superiori di conoscenza della grammatica.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

3. Composizione scritta
Dal momento che una gran parte del lavoro nella scuola primaria consiste nel notificare e registrare, abbiamo bisogno di aiutare il bambino a scrivere in modo chiaro e preciso.
Dobbiamo aiutarlo a prendere appunti e a scrivere queste note in modo immaginativo. Se il bambino non è abituato a illustrare il suo lavoro con immagini o disegni, o non è abituato alla decorazione, dovremo mostrargli come svolgere il suo lavoro in modo che sia piacevole dal punto di vista artistico, per far sì che ne sia soddisfatto. In questo modo il lavoro scritto non diventa solo un compito, ma un’opera d’arte.

La composizione scritta riguarda:
– libera espressione: immaginativa e fattuale
– esercitazioni pratiche: forma e contenuto, segni di interpunzione, divisione in sillabe, scrittura a mano, illustrazione e decorazione
– relazioni scritte
– scrittura di lettere
– poesia
– teatro
– dialoghi
– studio ed esercizi di stile.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

4, Linguaggio parlato
I bambini dovrebbero essere incoraggiati a parlare e conversare tra loro. Bisogna inoltre coltivare l’abilità di parlare in pubblico, riportare le proprie osservazioni, presentare il proprio lavoro agli altri.  Le abilità linguistiche si esercitano con:
– discorsi
– discussioni e dibattiti
– rapporti
– recitazione
– dialoghi
– teatro.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

5. Letteratura
Nella scuola d’infanzia i racconti letti ai bambini vertono preferibilmente su storie relative alla vita quotidiana. Nella scuola primaria bisogna invece offrire una grande varietà di racconti, e non soltanto storie vere. I bambini, a questa età, cominciano ad apprezzare miti e storie d’avventura.
La biblioteca di classe non deve però essere troppo ricca, perché i bambini deve essere stimolato a ricercare al di fuori della scuola il materiale di lettura. E’ importante che i libri siano letti per il piacere di leggere, e non per essere analizzati.
Gli studenti dovrebbero avere la possibilità di leggere molto e di discutere delle loro letture, esprimendo piacere o antipatia. Gli scrittori possono essere inseriti nel loro contesto storico e sociale.

Le attività di lettura riguardano:
– libri letti dai bambini (libreria di classe e biblioteca pubblica)
– storie e poesie lette dall’insegnante
– lettura interpretata
– biografie di scrittori
– linee del tempo della letteratura
– storia della letteratura italiana.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

6. Attività di ricerca
Le attività di ricerca sono una costante nella scuola primaria, e si intensificano verso la fine, dai 9 ai 12 anni.

In questa presentazione schematica del lavoro sulla lingua nella scuola elementare, consideriamo che tutti gli argomenti elencati si sviluppano non uno dopo l’altro, ma in parallelo.
Non ci sono età fisse per ogni lavoro.
Quando si presenta un argomento nuovo ad un bambino, egli può andare avanti, se vuole, ma non è tenuto a farlo.
L’insegnante deve assicurarsi di presentare alcuni argomenti chiave relativi allo studio della lingua, argomenti che forniscono la base per il progredire delle conoscenze. Fatto questo, un gruppo di bambini può seguirne un aspetto, un altro gruppo un altro. L’insegnante deve osservare questo lavoro, ed inserire le presentazioni dei materiali ai quali la classe non sta lavorando.  Dopo le presentazioni, dovrebbe dare suggerimenti per sostenere il lavoro dei bambini, fino a quando essi non avranno le idee chiare su cosa fare.

Nella scuola d’infanzia i bambini raggiungono un grado di sviluppo in cui scrivono parole e frasi, e leggono cartellini dove sono descritte azioni che essi interpretano praticamente, mostrando così di averle comprese.
Il materiale per l’apprendimento della scrittura e della lettura consiste in due alfabeti mobili: uno più grande, con le vocali e le consonanti di due colori diversi, ed uno più piccolo in un colore unico.
Tuttavia il grado di sviluppo non è ancora ben determinato: si potrebbe dire che i bambini hanno fissato i meccanismi della scrittura e della lettura, e si avviano verso uno sviluppo intellettuale di queste conquiste. E’ una via aperta al progresso che si realizzerà nella scuola primaria, quando la mente può servirsi dei meccanismi della lettura e della scrittura.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

Nella scuola primaria cominciamo col presentare un terzo alfabeto mobile, con le lettere molto più piccole, e in corsivo. In questo alfabeto ci sono 20 esemplari di ogni lettera, mentre prima ce ne erano 4; inoltre ci sono tre alfabeti completi: uno bianco (gesso), uno nero(inchiostro nero), uno rosso(inchiostro rosso). Quindi abbiamo 60 esemplari per ogni lettera dell’alfabeto. Sono inclusi anche tutti i segni di interpunzione: punto, punto e virgola, virgola, accento, apostrofo, punto esclamativo e punto interrogativo. Le lettere sono fatte di cartoncino rigido.

Altri esemplari portano invece lettere dell’alfabeto secondo la forma dello stampato, e sono disposte nel casellario secondo l’ordine in cui sono le lettere dell’alfabeto nelle macchine da scrivere.

Gli usi di questo alfabeto sono molteplici. L’esercizio è noto, perché gli alfabeti mobili sono già stati usati nella Casa dei Bambini. In relazione all’apprendimento dei nomi, usiamo quindi un metodo già usato, il metodo oggettivo, con esercizi pratici. Ma perché dovremmo limitarci al nome? Il nome non è che una delle parti del discorso, come l’aggettivo, il verbo, ecc. Se c’è un metodo che ci permette di imparare in modo semplice cos’è un nome, possiamo utilizzarlo anche per le altre parti del discorso.

Quando poniamo un cartellino con una parola su un oggetto corrispondente, il bambino sa già distinguere il nome da ogni altra parte del discorso.  Ha imparato a farlo in modo intuitivo. Il primo passo verso la grammatica è stato fatto.

Il bambino ha costruito tutte le sue parole con l’alfabeto mobile, ed ha inoltre scritto queste parole. Si è così esercitato in due attività preparatore: si è preparato all’analisi dei suoni, e si è preparato all’analisi delle parole nel loro significato  (il processo di apprendimento della lettura è spiegato in dettaglio nel libro “Il Metodo Montessori”).

Procedendo alla classificazione delle parole distinguendo il nome da tutte le altre parole, faremo un grande passo verso la comprensione dell’analisi grammaticale, come l’alfabeto tattile è stato il primo passo verso l’analisi della parola. Dobbiamo solo portare il processo un passo avanti, e forse arriveremo al “discorso analizzato per intero”.

E’ una semplice questione di continuità all’interno di un processo unitario. L’impresa può sembrare azzardata. Non importa. Quell’orribile grammatica, quell’orribile spauracchio, non è così terribile se diventa un appassionante esercizio, e se è accompagnata da una guida amorevole che porta il bambino lungo piacevoli sentieri alla scoperta di cose che ha effettivamente svolto.

Quanto diversa sembrerà la grammatica ai nostri piccoli studenti, se invece di essere un crudele assassino che spezza la frase in pezzetti, diventa un’amorevole ed indispensabile aiuto nella costruzione e nel collegamento delle parole tra loro nel discorso.

L’analisi dei suoni, che nel nostro metodo porta alla scrittura spontanea, non è adatto per tutte le età. Si applica quando il bambino ha quattro anni, quattro anni e mezzo. Allo stesso modo lo studio analitico delle parti del discorso, non è adatto a bambini di qualsiasi età. E’ il bambino tra i cinque ed i sette anni che è un amante delle parole, ed a questa età mostra una predisposizione per questo studio.

L’idea che l’analisi deve essere preceduta dalla composizione è un pregiudizio. Solo le cose prodotte dalla natura devono essere analizzate prima di poter essere comprese.
La violetta, ad esempio. Si trova perfetta in natura. Noi per studiarla dobbiamo strappare i petali, sezionare il fiore, osservare la sua crescita. Ma volendo creare una violetta artificiale, dobbiamo fare l’opposto. Dobbiamo preparare gli steli uno ad uno, quindi lavorare ai petali, ritagliarli, colorarli e stirarli uno ad uno. E si prova un grande piacere in ognuna di queste singole operazioni, che convergono infine nella creazione di un grazioso fiorellino artificiale.
La costruzione di una casa è un processo analitico. La persona che costruisce la casa la conosce nei più piccoli dettagli ed ha un’idea precisa della sua costruzione, idea che non ha chi la demolisce. Questo perchè, prima di tutto, il processo di costruzione richiede molto più tempo della demolizione. Ma, oltre a questo, il costruttore ha un punto di vista diverso del demolitore.

Il periodo sensibile per la lingua si presenta tra i 6 e gli 8 anni di età. In questa fase il bambino è interessato a capire il linguaggio e le sue componenti: le parole, il loro significato, la loro funzione, e le loro relazioni reciproche.

I materiali montessoriani applicano il principio dell’isolare le difficoltà, per esplorare singolarmente gli elementi del linguaggio.

Il programma di insegnamento della lingua nella scuola primaria

Osservazioni sul linguaggio nella scuola d’infanzia

Osservazioni sul linguaggio nella scuola d’infanzia

Nella scuola d’infanzia, che in ambito montessoriano è detta “Casa dei bambini”, i bambini si costruiscono un vocabolario piuttosto ricco; compongono in forma scritta, con le lettere smerigliate e con gli alfabeti mobili,  i loro pensieri, sentimenti, idee, rendendoli visibili agli altri; scoprono cosa pensano gli altri leggendo le composizioni dei compagni; scrivono sui cartellini le loro prime frasi, imparano a leggere frasi.

Nella scuola primaria, la conoscenza innata del linguaggio diventa consapevole, e gradualmente il bambino impara come funziona la lingua. Un modo concreto per esplorare la lingua è l’analisi grammaticale; questa attività mostra al bambino che la lingua segue delle leggi, è un qualcosa di internamente strutturato ed ordinato.

Il bambino arriva nella Casa di bambini con un linguaggio formato, ed è compito dell’insegnante dargli le chiavi che gli permetteranno di usare questo linguaggio per esplorare il mondo da un punto di vista sensoriale. Basandosi su ciò che il bambino ha acquisito inconsciamente negli anni precedenti, l’insegnante focalizza la sua attenzione su alcuni punti particolari. Fatto questo, il linguaggio del bambino continua a svilupparsi da sé, e diventa sempre più funzionale.

Prima dell’ingresso nella scuola d’infanzia, il linguaggio del bambino si è sviluppato nel periodo della mente assorbente, durante il periodo sensibile per la lingua, in risposta al bisogno di comunicare, esplorare, far parte del gruppo. Questo apprendimento è derivato direttamente dagli stimoli che ha ricevuto dall’ambiente. Il bambino ha la capacità innata di acquisire il linguaggio a cui è esposto, e lo fa coinvolgendo gli organi di senso, il sistema nervoso centrale, la laringe, il diaframma ed i muscoli intercostali, i muscoli della bocca e del viso; tutti questi elementi ha un proprio ruolo, infatti, nella produzione del linguaggio.

Nei destrimani l’emisfero destro governa l’attenzione al linguaggio umano, la pronuncia, la ricerca di associazioni e significati del lessico e della sintassi, mentre l’emisfero sinistro si occupa dell’intonazione e del ritmo. Le aree cerebrali deputate alla produzione linguaggio coordinano il tutto. Ma mentre queste aree esistono fin dalla nascita, i bambini hanno bisogno di essere stimolati dall’ambiente per imparare a renderle funzionali.

Osservazioni sul linguaggio nella scuola d’infanzia

Il bambino molto piccolo acquisisce una grande quantità di elementi linguistici passivamente, attraverso la mente assorbente. Inconsciamente si sforza di imitare il comportamento delle persone che lo circondano. Per questo ha bisogno di sentire attorno a sé un linguaggio ricco e chiaro. Rinforza i muscoli della fonazione producendo i primi suoni.

Le basi dell’acquisizione del linguaggio sono universali e si possono sintetizzare in due fasi:

  • Fase prelinguistica (da 20 settimane a un anno di età)
  • Fase linguistica (da 1 a 3 anni di età).

Nella comunicazione orale, il bambino non riceve singole parole, ma parole in relazione tra loro. L’attività del bambino nei primi due anni e mezzo di vita è orientata a formare la lingua orale. Il suo orecchio è attratto dai suoni prodotti dagli esseri umani, che egli è in grado di distinguere da tutti gli altri suoni dell’ambiente. A tre mesi i bambini girano la testa verso le voci che sentono, mentre a sei mesi comincia la produzione di suoni sillabici che preparano i muscoli a parlare la lingua madre. Questa capacità permette al bambino di prendere ciò che gli è necessario per fissare la propria lingua.

In classe si dovrebbe incoraggiare l’espressione spontanea. Si devono creare opportunità per i bambini di parlare con gli altri e portare avanti conversazioni. Ciò non deve avvenire con lezioni di gruppo o presentazioni. Dovrebbe avvenire naturalmente.

Ciò che il bambino dice deve essere ascoltato con attenzione, questo lo incoraggia a parlare e ad esprimersi ed alimenta la sua fiducia nelle proprie capacità. L’adulto è il suo interprete, e gli fornisce le parole che cerca.

I bambini devono essere esposti a un linguaggio chiaro, ricco e preciso. Bisogna rivolgersi ai bambini come ci si rivolge agli adulti, trattandoli come membri paritari del gruppo. Questo stimola la loro tendenza alla comunicazione ed alla socialità.

Per potersi esprimere, il bambino deve sentirsi al sicuro, rispettato e valorizzato.

Nello sviluppo del linguaggio del bambino, l’adulto è uno “strumento di sviluppo”. Il bambino deve sentirsi libero di parlare, e l’adulto deve rispondere adeguatamente alle sue domande e stimolare la comunicazione con i suoi coetanei. Altro compito dell’adulto è collegare il bambino all’ambiente che lo circonda, nominandoli anche durante gli esercizi di vita pratica e l’uso del materiale sensoriale. Questo linguaggio verrà poi utilizzato per le attività di lettura e scrittura.

Gli esercizi sensoriali costituiscono una sorta di autoeducazione che, se ripetuti, portano a un perfezionamento dei processi psicosensoriali del bambino. L’insegnante interviene per portare il bambino dalla sensazione all’idea, dal concreto all’astratto, e all’associazione di idee. Per fare questo userà un metodo che tende ad isolare l’attenzione interiore del bambino e a fissarla sulle percezioni, come nelle prime lezioni la sua attenzione era fissata, attraverso l’isolamento, su singoli stimoli.

L’insegnante, in altre parole, quando dà una lezione deve cercare di limitare la gamma di conoscenze del bambino all’oggetto della lezione, come ad esempio, durante la lezioni di educazione sensoriale isolava il senso che voleva far esercitare al bambino.

Per questo, deve conoscere una speciale tecnica. L’educatore deve, per quanto possibile, limitare il suo intervento, ma non deve per questo permettere al bambino di sottoporsi ad uno sforzo eccessivo di autoeducazione.

Una parte fondamentale del lavoro del maestro è quello di insegnare una nomenclatura esatta. Egli deve pronunciare i nomi e gli aggettivi necessari senza aggiungere altro. Queste parole si dovrebbero pronunciare distintamente, con voce forte e chiara, in modo che i vari suoni che compongono la parola possano essere distinti e chiaramente percepiti dal bambino.

Così, ad esempio, toccando le carte del liscio-ruvido dovrebbe dire: “Questo è liscio. Questo è ruvido.”, ripetendo le parole con diverse modulazioni di voce, sempre lasciando che il tono sia chiaro e l’enunciazione distinta: “Liscio, liscio, ruvido, ruvido”.

Allo stesso modo, quando si trattano le sensazioni di calore-freddo con le scaldine, dirà: “Questo è freddo. Questo è caldo. Questo è ghiacciato. Questo è tiepido.”. Può quindi usare i termini generici ‘caldo’, più caldo, meno caldo, ecc…

La lezione di nomenclatura deve consistere semplicemente nel provocare l’associazione del nome con l’oggetto, o con l’idea astratta che il nome rappresenta. Così l’oggetto e il nome si uniscono e vengono ricevuti insieme dalla mente del bambino, e questo non rende necessario l’aggiunta di altre parole. L’insegnante deve sempre verificare se la sua lezione ha raggiunto il fine che si proponeva nel campo della nomenclatura. La prima prova è quella di verificare che il nome è associato all’oggetto nella mente del bambino. Dopo un certo tempo di silenzio quindi si può chiedere al bambino, pronunciando lentamente e in modo molto chiaro il nome o l’aggettivo insegnato: “Qual è liscio? Qual è ruvido?”. Il bambino indicherà l’oggetto col dito, e l’insegnante saprà se ha fatto l’associazione corretta. Se non l’ha fatta, non lo deve correggere, ma deve sospendere la sua lezione, per riprenderla un altro giorno. Infatti, perché correggerlo? Se il bambino non è riuscito ad associare il nome con l’oggetto, l’unico modo per riuscirci è ripetere un altro giorno l’azione degli stimoli sensoriali associati al nome.

Se il bambino non è riuscito, sappiamo che in quel momento non era pronto per farlo. Se lo correggessimo dicendo “no, hai fatto un errore” tutte queste parole avrebbero più forza delle parole da imparare, ritardando l’apprendimento.

Al contrario, il silenzio che segue l’errore lascia il campo libero per una lezione successiva nella quale egli potrà eseguire correttamente il suo compito. Correggendolo si porterebbe il bambino a fare uno sforzo innaturale di memoria non dovuto, e lo si potrebbe scoraggiare.

Infine, se il bambino non ha commesso alcun errore, l’insegnante come terza parte della lezione provocherà l’attività motoria corrispondente all’idea dell’oggetto, cioè in questo caso la pronuncia del nome. Chiederà: com’è questo? E il bambino risponderà: ruvido. Se la pronuncia presenta difetti, l’insegnante potrà ripetere senza aggiungere nulla, dopo un respiro profondo, la parola, scandendola molto bene.

Per quanto riguarda la generalizzazione delle idee ricevute, cioè l’applicare l’idea all’ambiente, questa non deve avvenire in tempi brevi, e dovrebbe avvenire in modo spontaneo, non attraverso lezioni. Ci saranno bambini che, dopo aver toccato un paio di volte le stoffe o le carte del liscio-ruvido, cominceranno a toccare spontaneamente le varie superfici ripetendo: “liscio… ruvido… questo è velluto…”. Dobbiamo attendere questa indagine spontanea nei bambini, questa esplosione volontaria di attività. Così i bambini sperimentano la gioia della scoperta, e si faranno spontanei esploratori.

L’insegnante deve avere grande cura e capire quando e come il bambino arriva a queste generalizzazioni di idee. Il più grande trionfo del nostro metodo educativo dovrebbe sempre essere questo: osservare lo stato di avanzamento spontaneo del bambino.

Così abbiamo la prova del progresso intellettuale del bambino. Non possiamo creare osservatori dicendo “osserva”, ma dando loro i poteri ed i mezzi per questa osservazione, e questi mezzi provengono dall’educazione dei sensi. Una volta che abbiamo suscitato tale attività, l’autoeducazione è assicurata.

Il nostro scopo educativo coi bambini molto piccoli deve essere quello di favorire lo sviluppo spontaneo della personalità mentale, spirituale e fisica, e non di farne un individuo colto nel senso comune della parola.

Così, dopo aver offerto al bambino un materiale didattico che ha provocato lo sviluppo dei sensi, dobbiamo aspettare che questa attività spontanea di osservazione si sviluppi. Qui sta l’arte dell’educatore: saper misurare i suoi eventuali interventi, limitandoli il più possibile.

Alcuni giochi possono aiutare a rispettare questo principio.

Uno dei giochi di maggior successo è “il gioco del cieco”, che consiste nel manipolare il materiale sensoriale, dopo che è ben noto al bambino, con gli occhi bendati. Ad esempio, una volta che il bambino ha imparato la nomenclatura (velluto, cotone, lino, ecc…), bendiamo il bambino e gli offriamo le storie una ad una.

Si richiama l’attenzione del bambino su tutti gli oggetti, in aula, in giardino, durante le passeggiate. Gli aggettivi arricchiscono il vocabolario del bambino e lo aiutano a fare classificazioni nell’ambiente che lo circonda. Un altro importante lavoro è quello che si svolge con le lezioni di buone maniere e gentilezza, che offrono il codice che si usa nella vita sociale con espressioni come per favore, mi dispiace, scusi, posso, le espressioni di saluto, ecc…

Gli esercizi di nomenclatura sono fondamentali. Possono riguardare:

Dimensioni: la maestra, dopo che il bambino ha giocato a lungo con gli incastri solidi, estrae tutti i cilindri di uguale altezza e li pone in una posizione orizzontale sul tavolo, uno accanto all’altro. Poi seleziona i due estremi, dicendo : questo è il più grosso, questo è il più sottile.  Mette fianco a fianco in modo che il confronto sia più marcato, e poi li confronta richiamando l’attenzione sulla grande differenza che hanno. Poi li pone di nuovo uno accanto all’altro in un ordine di posizionamento verticale per mostrare che sono uguali in altezza, e ripete più volte grosso, sottile. Dopo aver fatto questo chiederà: dammi il più grosso, dammi il più sottile, e alla fine chiederà com’è questo? Le due qualità possono anche essere graduate, ad esempio prendendo un elemento e chiedendo: mi porteresti un pezzo un po’ più sottile di questo, il più grosso di tutti, il più piccolo di tutti, ecc… insegnamenti simili possono essere dati con la scala marrone, la torre rosa e le aste delle lunghezze e numeriche. I prismi marroni sono spessi e sottili e di pari lunghezza. Le aste sono lunghe o corte a parità di spessore, i cubi sono grandi o piccoli…

forma: si comincia con due forme contrastanti, ad esempio quadrato e cerchio. Non insegniamo tutti i nomi relativi alle figure geometriche, ma solo le forme più familiari. Richiamiamo l’attenzione sul fatto che ci sono rettangoli stretti e lunghi, altri larghi e corti, mentre i quadrati sono uguali da tutti i lati e possono essere grandi o piccoli, come i cerchi. Non facciamo geometria, ma diamo al bambino gli strumenti per riconoscere le forme nell’ambiente, in porte e finestre, e molti oggetti di uso comune. Questo meglio con le figure piane che non con i solidi.

Uno strumento fondamentale per la costruzione del lessico sono poi le carte delle nomenclature classificate. Si mostrano al bambino immagini di oggetti e si abbinano al loro nome. Poi queste carte vengono classificate: ad esempio la casa, il bagno, la camera da letto, le piante, gli animali, gli artisti, i climi, le regioni, ecc…

Tenendo sempre in considerazione l’età e gli interessi del bambino, si leggono ai bambini racconti e poesie.

Si insegnano anche canzoni semplici, con testi che si riferiscono preferibilmente alla vita reale.

Lo sviluppo di buone competenze verbali rende più semplice l’apprendimento della lettura e della scrittura, ma tale sviluppo deve progredire di pari passo con quello delle abilità motorie e di coordinazione.

Questo sviluppo viene coltivato attraverso gli esercizi di vita pratica e l’uso del materiale sensoriale, che insegnano a coordinare i movimenti, discriminare le forme, controllare la leggerezza del tocco, e stimolano la forza di volontà, la capacità di concentrazione, di lavorare in modo indipendente, di prendere decisioni.

L’apprendimento della scrittura comincia con le lettere smerigliate, che gli forniscono la chiave di questo linguaggio: l’alfabeto. Il lavoro con le lettere smerigliate non è né un lavoro di lettura né di scrittura: semplicemente aiuta il bambino a comprendere che il linguaggio che si parla e si ascolta, può anche essere visto. Le lettere smerigliate hanno una duplice funzione: aiutano il bambino a sviluppare la capacità mentale di usare il linguaggio, e aiutano l’abilità manuale richiesta per poterlo scrivere.

La scrittura è il mezzo che consente di registrare i pensieri e di trasmetterli nel tempo e nello spazio. Come il linguaggio verbale, anche la scrittura è un’espressione di sé, e richiede fiducia, desiderio di comunicare, conoscenza dei contenuti.

La lettura si sviluppa contemporaneamente alla scrittura. Quando presentiamo una lettera, il bambino fissa l’immagine della lettera col senso visivo e tattile-muscolare. Ad essa però si associa anche il suono relativo, quindi il bambino quando vede e riconosce sta leggendo, e quando traccia sta scrivendo.

La sua mente riceve gli strumenti necessari per i processi di lettura e scrittura. Insegnando questi due atti fusi tra loro, mettiamo il bambino di fronte ad una nuova forma di linguaggio. Non importa che il bambino impari prima a leggere o prima a scrivere. Le differenze individuali in questo campo sono notevoli.

Quando il bambino arriva alla fase di composizione delle parole, lo fa con i primi alfabeti mobili, dai caratteri grandi, con le vocali rosse e le consonanti blu.

Non appena il bambino conosce alcune vocali e delle consonanti gli mettiamo davanti l’alfabetario e pronunciamo molto chiaramente una parola, ad esempio ‘mamma’ scandendo bene più volte. Il bambino compone la parola prendendo le lettere in base ai suoni che sente.

Ma la lettura della parola che ha composto non è così facile. Anzi, di solito riesce a leggerla solo dopo un certo sforzo. In questo caso aiutiamo il bambino leggendo la parola con lui un paio di volte, pronunciando sempre molto distintamente “mamma”.

Ma una volta che ha compreso il meccanismo del gioco, egli va avanti da solo, e si interessa intensamente a questa attività. Possiamo pronunciare qualsiasi parola, facendo attenzione solo a che il bambino capisca separatamente le lettere di cui si compone. Compone la nuova parola ponendo uno dopo l’altro i segni corrispondenti ai suoni.

Anche se il bambino è in grado di comporre qualsiasi parola, se pronunciata chiaramente, generalmente è meglio dettare solo parole che siano a lui ben note, dato che vogliamo che la sua composizione sia legata ad un’idea. Quando usiamo parole familiari, egli rilegge spontaneamente la parola che ha composto, ripetendo i suoni.

La parola pronunciata è un problema da risolvere, ed egli lo affronterà ricordando i segni, selezionandoli tra gli altri, e disponendoli nell’ordine corretto. Avrà poi la prova della soluzione esatta al problema quando rilegge la parola che ha composto, e che rappresenta per tutti quelli che sanno leggerla, un’idea. Quando il bambino sente un altro che legge la parola che ha composto, è soddisfatto e orgoglioso. È colpito da questa corrispondenza: la lingua scritta rappresenta per lui la massima realizzazione raggiunta dalla sua intelligenza, ed è allo stesso tempo un premio.

Infine, terminato l’esercizio, il bambino rimette ogni lettera al suo posto nella scatola dell’alfabeto, cercando il vano di ognuna.

Presto il bambino sentendo la parola o pensando a una parola che già conosce, la vedrà con gli occhi della mente e riprodurrà questa visione.

Gli atti psicofisici che si uniscono per creare la lettura e la scrittura vengono elaborati separatamente e con attenzione. I movimenti muscolari necessari alla scrittura sono preparati a parte, e lo stesso vale per la manipolazione dello strumento di scrittura. La composizione delle parole, anche, è ridotto ad un meccanismo psichico di associazione tra le immagini sentite e viste. Prima o poi queste abilità meccaniche porteranno ad un’esplosione spontanea della scrittura.

Quando il bambino sta scrivendo, sta lavorando con la propria lingua, la sta rendendo visibile. Quando legge sta lavorando ad una lingua nuova e sconosciuta.

Il bambino scoprirà la lettura solo nel periodo sensibile, che va tra i 3 e i 4 anni e mezzo o 5, se preparato a farlo. Se questo periodo è passato, bisogna invece insegnargli il meccanismo partendo dalla lettura per arrivare alla scrittura.

Insieme al lavoro con le lettere, i bambini utilizzano gli incastri metallici, come ultima preparazione alla scrittura.

Per quanto riguarda la lettura, i bambini possono fare due scoperte. Prima di tutto, scoprono che alcune parole sono semplici da leggere, perché ogni singola lettera rappresenta un suono. In secondo luogo scoprono che altri suoni, invece, hanno bisogno di più due o tre lettere, e non di una sola.

In questa fase di sviluppo della lettura, il bambino ritorna al materiale delle nomenclature che abbiamo usato per l’arricchimento del vocabolario, e questo lo aiuta a leggere intuitivamente il materiale.

Il materiale didattico per le lezioni di lettura consiste in fogli di carta in cui sono scritte in modo chiaro, con caratteri grandi, parole e frasi. In aggiunta abbiamo una grande varietà di oggetti.

Distinguiamo chiaramente tra scrittura e lettura: non sono affatto processi contemporanei. Generalmente si pensa che la scrittura preceda la lettura, ma non possiamo considerare lettura l’operazione che il bambino fa quando verifica la parola che ha scritto, che è solo la traduzione dei segni in suoni, dopo aver tradotto in suoni i segni.

Per lettura invece si intende l’interpretazione di un’idea a partire dai segni scritti.

Il bambino che non ha sentito la parola pronunciata e che riconosce l’idea quando la vede composta in segni sul tavolo: qui il bambino legge. La parola che legge ha lo stesso rapporto con la lingua scritta, che la parola che sente ha col linguaggio verbale. Entrambi servono per ricevere il linguaggio trasmesso a noi dagli altri. Quindi, fino a quando egli non legge una trasmissione di idee attraverso lo scritto, non legge.

Possiamo dire che la scrittura è un fatto in cui prevale il meccanismo psico-motorio, mentre la lettura è un lavoro puramente intellettuale, ma è evidente che il nostro metodo per la scrittura prepara alla lettura.

Il senso della parola diventa evidente solo quando il bambino pronuncia la parola chiaramente e con l’accento fonetico giusto. Per mettere l’accento fonetico giusto è chiaro che il bambino deve aver riconosciuto la parola, cioè l’idea che la parola rappresenta.

Per leggere è necessario un lavoro superiore dell’intelletto.

Maria Montessori ha osservato che i bambini cominciano ad interessarsi alla lettura non in contemporanea con l’esplosione in scrittura, ma qualche tempo dopo. Questo perché il bambino è portato prima ad esprimere i propri pensieri, e solo dopo è interessato anche a decifrare il pensiero degli altri.

La lettura chiede un più alto livello di sviluppo intellettuale.

Per i primi esercizi di lettura prepariamo un certo numero di cartellini. Su ognuno scriviamo in maniera chiara e caratteri grandi una parola che rappresenti un oggetto realmente presente o ben noto. Mettiamo l’oggetto davanti al bambino, in modo da facilitare la sua interpretazione della parola scritta. Per questo gioco possiamo usare gli elementi della casa delle bambole e altri giocattoli e miniature.

Se la scrittura serve a dirigere e perfezionare il meccanismo del linguaggio verbale, la lettura aiuta lo sviluppo delle idee, e aiuta il linguaggio sociale, la comunicazione.

Scegliamo oggetti noti, non per dividere le parole in facili e difficili, ma per creare forti legami tra parola scritta e idea.

Quando il bambino ha letto la parola, pone l’oggetto accanto al cartellino.

Un gioco utile è quello di disporre su un tavolo o su un tappeto una grande varietà di giocattoli. I bambini vengono chiamati in gruppo. Prepariamo cartellini coi nomi di ogni giocattolo, li pieghiamo e li mettiamo in un cestino. Ogni bambino pesca una carta, va al suo banco a leggerla mentalmente, senza dire o mostrare agli altri la sua carta. Uno ad uno pronunciano chiaramente il nome e presentano la carta alla maestra, e la carta diventa la moneta corrente per acquistare il giocattolo chiamato: il bambino riceverà il giocattolo e ci potrà giocare tutto il tempo che vuole.

La sicurezza nella lettura arriva piuttosto lentamente. Nella maggior parte dei casi, il bambino scrive splendidamente mentre legge ancora piuttosto male.

Il libro fa riferimento al linguaggio logico, non al meccanismo della lingua. Prima che il bambino possa capire e godere di un libro, occorre tempo. Tra il saper leggere le parole, e il cogliere il senso di un libro, c’è la stessa differenza che c’è tra il saper pronunciare una parola e fare un discorso.

La lingua scritta non ha bisogno di parole parlate. Può essere compresa in tutta la sua grandezza solo quando è isolata completamente dalla lingua parlata. Il gioco dei comandi è il miglior esercizio di lettura che si possa predisporre per i bambini in questa fase.

Scriviamo su cartellini frasi che descrivano azioni che i bambini devono eseguire, ad esempio:

  • Chiudere le persiane, poi aprirle a metà, quindi attendere un attimo e rimettere le cose come erano all’inizio.
  • Chiedi molto gentilmente a otto compagni di lasciare le loro sedie, formare una fila a coppie al centro della stanza, poi marciare in avanti, poi tornare indietro in punta di piedi senza far rumore.
  • Scegli tre dei tuoi compagni che cantano bene e chiedi di aspettarti al centro della stanza, disponili in una bella fila e canta con loro una canzone che hai scelto.

Distribuiamo i cartellini ai bambini, che li leggono ed eseguono i comandi.

Questo gioco dimostra che la composizione precede la lettura logica, e la scrittura precede la lettura della parola. Dimostra inoltre che la lettura, per coglierne l’idea, deve essere mentale e non ad alta voce.

La lettura ad alta voce implica l’esercizio di due forme di linguaggio diverse: la forma grafica e la forma vocale.

Il bambino che inizia a leggere dovrebbe leggere mentalmente.

La lingua scritta deve isolarsi dal linguaggio verbale.

Osservazioni sul linguaggio nella scuola d’infanzia

LA STORIA DEL LINGUAGGIO VERBALE

LA STORIA DEL LINGUAGGIO VERBALE fa parte del quadro della QUARTA GRANDE LEZIONE Montessori. Per approfondire e accedere a tutto il materiale relativo vai qui: 

Per la storia del linguaggio orale prepariamo racconto  semplice ma appassionante, sul modello di quello presentato di seguito. Le diverse teorie sull’origine del linguaggio attireranno di certo l’attenzione dei bambini, se sono offerte in forma di racconto, con esempi accattivanti, cercando di mostrare ciò che deve essere successo quando i primi esseri umani hanno cercato di comunicare tra di loro per esprimere i propri bisogni, sentimenti, le proprie idee e preoccupazioni.

La tendenza umana verso la comunicazione ha spinto le persone a creare il linguaggio, poi, nel corso del tempo, questi linguaggi si sono evoluti, riflettendo le idee delle persone ed il loro ambiente.  e questi cambiato nel corso del tempo per riflettere le persone e il loro ambiente. Mostrando il bambino il loro posto nella loro cultura è parte di metterli in contatto con la loro cultura e aiutarli ad adattarsi. Maria Montessori sostiene che per educare il potenziale umano è necessario che gli individui, nei primi anni di vita, vengano messi in relazione con gli esseri umani, e che provino gratitudine per tutti gli uomini e le donne che giorno dopo giorno hanno lavorato affinché noi potessimo vivere una vita più ricca e piena.

QUARTA GRANDE LEZIONE MONTESSORI
La storia del linguaggio verbale

Racconto:

Chissà com’era la vita dei primi uomini apparsi sulla Terra. Perché cominciarono a parlare tra loro? Come parlavano? Cosa dicevano?

Nessuno lo sa con certezza, ma potrebbe essere successo così: i primi uomini erano sempre alla ricerca di cibo, di piante commestibili, o animali da cacciare. Quando faceva freddo, cercavano materiali utili per coprirsi, o luoghi adatti a diventare rifugi. E cosa fecero secondo te?

Chi vuole far finta di essere un uomo primitivo? Vediamo, fate finta di essere molto affamati. Avete trovato delle mele da mangiare e volete dirlo alla vostra famiglia, ma non sapete nessuna parola. Come potete fare? (Proporre varie scenette del genere, poi introdurre le teorie sulla nascita del linguaggio).

Gli studiosi hanno proposto varie teorie sulla nascita del linguaggio, e siccome non è possibile sapere come siano andate realmente le cose, tutte queste teorie sono realistiche.

Secondo la teoria del bow wow (o teoria onomatopeica) la lingua è nata come imitazione dei suoni della natura e dei versi degli animali.

Secondo la teoria del poo poo il linguaggio è nato con le interiezioni, grida istintive utilizzate per esprimere sensazioni ed emozioni.

Secondo la teoria yo he ho gli esseri umani, per lavorare insieme, avevano bisogno di sincronizzare i loro movimenti.

Secondo la teoria del gesto: gli uomini hanno cominciato a comunicare coi gesti e poi si è sviluppato il linguaggio.

Secondo la teoria del Ding-Dong la lingua parlata è nata a seguito di espressioni vocali emesse quando qualcuno veniva, ed esempio, colpito alla testa da un frutto, o si faceva male in altro modo.

Secondo la teoria Bocca-Gesto i gesti fatti con la bocca e con le mani hanno portato naturalmente al movimento delle labbra e della lingua, e così si iniziò a vocalizzare.

Secondo la teoria musicale (o del sing song) le prime parole erano lunghe e musicali, scaturite dal gioco, dal corteggiamento e da elementi emozionali.

Secondo la teoria del contatto, siccome gli animali chiamano gli altri emettendo suoni, gli umani li hanno imitati, ad esempio per salutarsi.

Secondo la teoria del comando le prime parole erano comandi del tipo corriamo, cacciamo, saltiamo, fermiamoci.

Così, come non sappiamo come sia nata la lingua scritta, allo stesso modo non sappiamo come e quando sia nata la lingua parlata. I primi uomini devono aver prodotto suoni, e questi devono aver avuto un significato per le altre persone.

Senza lo sviluppo del linguaggio parlato, gli esseri umani non avrebbero potuto fare tutte le cose di cui sono stati capaci.

Tutte le teorie e le congetture sulla nascita del linguaggio sono basate sull’idea che i primi esseri umani avevano assoluta necessità di comunicare tra loro.

LA STORIA DEL LINGUAGGIO VERBALE

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