Racconto di Natale IL PANE

Racconto di Natale IL PANE

In un castello situato su un’altura abitava un re. Da lassù egli poteva rivolgere lo sguardo lontano e vedere tutta la terra. Il re aveva un figlio, che ogni giorno se ne stava per lunghissimo tempo alla finestre del castello. Che cosa poteva cercare il suo sguardo nelle lontananze del mondo? Cercava gli uomini, e osservava come vivevano, come operavano e come si trovavano nel bisogno.
Un giorno disse a suo padre: “Gli uomini soffrono la miseria e la fame, lasciami andare da loro a portare del pane”.

Il re, che amava molto il proprio figlio, gli diede la sua benedizione per il lungo viaggio. Il figlio si spogliò dei suoi abiti regali, indossò tunica e scarpe da viaggio, prese con sè la bisaccia con il pane e si pose il cappello sul capo. Poi si mise in viaggio.
Il cammino era arduo, ma il figlio del re non si concesse riposo: pensava solo alla miseria degli uomini e voleva giungere da loro il più presto possibile.

Finalmente arrivò alle case dove abitavano gli uomini. Bussò subito alla prima casa, ma la porta era chiusa a chiave. Guardò attraverso la finestra. Dentro sedeva un uomo, il capo tra le mani, e si poteva udire come si lamentava della sua triste povertà.
Il figlio del re diede qualche colpetto al vetro della finestra e gridò: “Aprimi, io voglio aiutarti!”.
Ma l’uomo non sollevò nemmeno lo sguardo e continuò a lamentarsi dicendo: “Nessuno mi potrà aiutare…”
La porta rimase chiusa e il figlio del re dovette proseguire.

Anche alla casa seguente la porta era chiusa a chiave. Attraverso la finestra potè vedere una donna che con zelo stirava la sua biancheria. “Aprimi!”, gridò il figlio del re “C’è un ospite qui fuori che vuole farti visita…”
Ma la donna aumentò ancora di più il suo zelo e gridò: “Non mi serve alcun ospite, io devo sempre e solo lavorare per poter nutrire i miei bambini!”. E la porta rimase chiusa.

Il figlio del re andò così bussando di casa in casa, ma ovunque trovò porte chiuse.
Alla fine giunse ad una casupola, che era la più povera di tutte.
Gli abitava Gianni, lo spaccalegna, con sua moglie. Aveva già visto il viandante che scendeva lungo la via e disse a sua moglie: “Si sta facendo notte, vogliamo dargli rifugio?”.
La donna era d’accordo, ed entrambi si affacciarono sulla porta. Salutarono il viandante e lo invitarono a passare la notte con loro.

Il viandante entrò volentieri nella casupola. La donna gli offrì il posto a tavola, lo spaccalegna gli si sedette accanto, mentre la moglie preparava la cena.
“Per fortuna abbiamo ancora una piccola crosta di pane”, mormorò tra sè la donna “e la nostra cara capra che ci dà il latte, così posso cuocere una zuppa…”
Spezzettò il pane nella pentola, vi mise un pizzico di sale, vi versò un po’ di acqua bollente e poi il  latte.
“Ecco” disse all’ospite, mentre posava la pentola da cui usciva un caldo vapore “questa zuppa calda vi farà bene, dopo il lungo viaggio”.

Si sedettero insieme e gustarono con gioia la calda zuppa.
Lo spaccalegna era così povero che nella sua casupola aveva solo un letto per sua moglie. Per se stesso aveva un pagliericcio. Durante la cena la donna pensò tra sè: “Il viandante sarà stanco, gli voglio offrire il mio letto, così che possa stare al caldo e riposarsi…”.
“Qui” disse all’ospite, dopo che ebbero terminato di mangiare, e mostrò l’angolo dove era situato il letto “è il vostro giaciglio per la notte”.

Allo spaccalegna piacque che la moglie offrisse il suo letto al viandante. Prese dallo stanzino ancora della paglia per un altro letto, augurarono insieme al viandante la buonanotte e anche loro si coricarono.
Al mattino la donna si alzò di buonora. Voleva mungere la sua capra prima che l’ospite si svegliasse, poichè quel latte era l’unica cosa che poteva offrirgli per colazione. L’ultimo tozzo di pane l’aveva già usato per la zuppa la sera prima.

Presto l’intera capanna fu desta. La moglie dello spaccalegna posò la brocca del latte sulla tavola e disse un po’ rattristata: “Purtroppo questo è tutto quanto vi posso offrire per colazione: non abbiamo nemmeno più un pezzettino di pane per voi”.
Allora il viandante aprì la sua bisaccia e posò sulla tavola un intero pane. Fu una gioia, e per lo spaccalegna e sua moglie fu come se non avessero mai mangiato un pane così buono.
Il viandante ringraziò per l’ospitalità e proseguì il suo cammino.

Il pane però lo lasciò sulla tavola, per lo spaccalegna e sua moglie. Così lo spaccalegna potè prenderne con sè un grosso pezzo quando andò nel bosco a lavorare.
Anche la donna se ne tagliò un altro pezzettino e fece ancora un piccolo spuntino prima di riporlo nella madia. Quel pane era proprio una bontà.
Ad un tratto sentì un bambino piangere là fuori. Il bambino aveva fame e non aveva niente da mangiare. Allora la moglie dello spaccalegna gli portò un pezzo del suo buon pane. Il bambino tornò presto felice e ne avanzò un pezzetto per il suo fratellino, che era con lui.
Sulla via c’erano altri bambini e tutti vollero un po’ di quel pane che la moglie dello spaccalegna aveva dato al primo bambino, poichè affamati lo erano tutti quanti.

La moglie dello spaccalegna vide dalla finestra ciò che stava accadendo là fuori. Chiamò i bambini e con il suo grosso coltello tagliò una fetta di pane dopo l’altra e le distribuì. E sempre più bambini entravano nella casetta, e ognuno ne voleva un pezzetto.
La moglie dello spaccalegna sorrise e disse: “Vedo già che mi toccherà affettare tutto il pane!”
Ma che meraviglia fu quando si accorse che, nonostante continuasse ad affettare il pane, questo tornava intero!
Presto tutti i bambini corsero fuori, gustandosi il loro pezzo di pane. La gente chiese loro da chi lo avessero avuto.

“Cosa? Dalla moglie dello spaccalegna? Ma non è possibile! Non hanno da mangiare neppure per loro stessi!”.
Erano tutti curiosi, molto curiosi, e corsero dalla donna per farsi raccontare da chi avesse avuto tutto quel pane. La donna raccontò del viandante che avevano ospitato e che prima di partire aveva donato loro il pane.
Nella casa dello spaccalegna, da allora in poi, non ci fu più miseria.
C’era sempre pane a sufficienza; così anche la gente del paese poteva averne, quando rimaneva senza.

Adattamento da un racconto natalizio in uso nella scuola Waldorf, autore ignoto.

IL PANE materiale didattico

IL PANE materiale didattico vario: dettati ortografici, letture, ecc…, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

Il pane

L’uomo preistorico abbrustoliva i semi del grano per mangiarli e imparò soltanto più tardi a triturarli e ad impastare e cuocere la farina che ne ricavava. Questo sistema è usato ancor oggi da alcuni popoli che ottengono in questo modo una galletta dura e compatta di difficile digestione. Soltanto in un secondo tempo l’uomo imparò ad usare il lievito. Di questo si conoscono due specie: il lievito di birra e il lievito di pasta. Entrambi sono prodotti da speciali fermenti. Il lievito di pasta, usato per la confezione del pane casalingo, si ottiene facendo fermentare per alcune ore all’aria un pezzo di pasta.
La fermentazione, cioè la lievitazione, avviene per opera di un fungo che si sviluppa nella pasta e che scompone l’amido della farina in alcool e anidride carbonica. La pasta lievitata rigonfia appunto, per opera dell’anidride carbonica, ed emana un odore di vino per opera dell’alcool che si è formato.
I principali componenti della farina sono il glutine e l’amido. Quest’ultimo è formato da tanti minutissimi granelli compatti, di un colore bianco candido. Il glutine è grigiastro, vischioso ed elastico.
Quando si aggiunge acqua alla farina preparata per fare il pane, i granellini di amido di rammolliscono e si gonfiano, aumentando di volume, e il glutine si riunisce a formare una massa molle e compatta, pronta a ricever l’azione del lievito.
Con la lievitazione, la pasta si solleva, si gonfia, in una parola fermenta. Durante la fermentazione, l’amido si trasforma in destrina e quindi in zucchero o glucosio. E’ appunto quest’ultima sostanza che produce, oltre all’alcool, l’anidride carbonica per opera della quale il pane diventa spugnoso, ricco di piccole cavità. Quando il pane cuoce nel forno, il gas, dilatandosi, allarga ancora queste cavità e la massa cresce ulteriormente di volume.
Il pane si può fare anche con altri tipi di farina: con le segale, meno ricca di glutine, con l’avena, con l’orzo, col granoturco, ecc…
Nei paesi caldi, come in Africa, il raccolto del grano si fa due volte l’anno. Nei paesi freddi dove il grano non potrebbe arrivare a maturazione, si coltiva l’orzo primaverile che matura in soli tre o quattro mesi. L’avena, che ama l’umidità e il clima piuttosto fresco, viene di preferenza coltivata nei paesi nordici dove si usa,  infatti, pane di avena.
Il pane può essere confezionato in diverse forme: pagnotte, sfilatini, panini, filoni, grissini, ciambelle. Il pane integrale, fatto con farina meno setacciata e quindi più scura, è più nutriente del pane bianco anche perchè utilizza l’embrione, elemento prezioso, che è fissato alla crusca e che assurdamente viene eliminato con questa, togliendo al pane gran parte delle sue qualità nutritive.
Con la farina di grano si fanno le paste alimentari di cui in Italia esiste una vasta e ottima produzione, oggetto di esportazione in tutto il mondo. La pasta è fabbricata prevalentemente a macchina e assume le più svariate forme.

Non sciupare il pane

Non sciupare il pane! Pensa che è costato tanta fatica e che il  contadino ha seminato in autunno per raccogliere soltanto in estate. Per tutto l’anno egli ha trepidato per le gelate, per i temporali, la siccità, la malattia. E soltanto quando ha potuto mettere il suo grano al sicuro egli ha tratto un sospiro di sollievo.

Il pane

Mi chiamano ciambella, sfilatino, panino, cornetto, ma sono sempre il pane. La mia crosta è dorata. La mollica è soffice, bianca, morbida. L’anno scorso ero ancora erba verde nei solchi dove le allodole facevano il loro nido. Sono stato poi spiga matura che l’uomo ha mietuto, trebbiato, macinato. Divenni bianca farina che il fornaio ha impastato con l’acqua, il sale,  il lievito, e poi ha cotto al forno.
Quando tu mangi un pezzo di pane, ricordati di quanto ti ho detto.

Il grano

Gli uomini trovarono un’erba dal lungo stelo, che da un seme solo fa tante spighe ed ogni spiga tanti chicchi, i quali macinati, danno una polvere così bianca, così molle e queste, intrisa e rimenata e cotta, dà un cibo così soave, così forte! Quell’erba è la divina vivanda che di fa vivere: il pane! (G. Pascoli)

Il pane

Quante fatiche, quante ansietà, quante pene sono contenute in un pezzo di pane! I grandi bovini che erpicano la terra, il contadino che lo buttò a manciate nel maggese invernale, i primi fili che vincono, teneramente, la scura umidità della terra, e i mietitori che piegano i colli anneriti, l’intera giornata  e c’è da legar le manne, da portarle sull’aia. (G. Papini)

I lavori per il pane

Dopo trebbiato bisogna aspettare un po’ di vento che non sia troppo fiacco, ma neanche forte per dividere, col vaglio, i chicchi buoni dalla pula e poi c’è da macinare e da toglier la crusca con lo staccio, e da sfiorar la farina e da scaldar l’acqua per impastarla, e da scaldare il forno con l’erba secca e le fascine; tutto questo c’è da fare, con amore  e pazienza prima di avere questo pane. (G. Papini)

L’arte di fare il pane

Gli uomini primitivi cuocevano il pane su pietre roventi. Essi facevano focacce non lievitate e non pagnotte e panetti, come noi. I primi forni pubblici, dove si cuoceva il pane e dove tutti potevano comperarlo, sorsero nell’antica Roma.
Nel passato i forni erano a legna, ora sono a legna; in essi non si depositano sul pane ne cenere ne polvere e il pane è più bello. (G. Ugolini)

Non sciupare il pane

Non sciupare il pane. Pensa che esso è costato tanta fatica.  Il contadino ha lavorato la terra, l’ha seminata. Quando le piantine sono spuntate, le ha mondate dalle cattive erbe. Venuto il caldo, egli ha mietuto le spighe mature. Le ha trebbiate, ha macinato il grano, ha impastato la farina per farne dei pani. I pani sono stati cotti al forno ed ora sono sulla tua tavola. Pensa a tutto questo quando stai per sciupare anche un sol pezzo di pane.

Esercizi di vocabolario
Pane: pagnotta, panificare, panificazione, pancotto, pangrattato, panettone, pandoro, panino, panetto, panone…
Pezzo, morso, tozzo, mollica o midolla, crosta, cantuccio, fetta.
Il pane può essere: fresco, duro, rifatto, raffermo, caldo, odoroso, croccante, stantio, ammuffito, ben cotto, crudo, lievitato, mal lievitato, bianco, grigio, integrale, azzimo, soffice, leggero, bruciato, tostato, abbrustolito, biscotto, biscottato, midolloso, mollicoso, affettato, asciutto, bagnato, inzuppato,…
Il pane si impasta, lievita, cuoce, brucia, si abbrustolisce, si mangia, si spezza, si gratta, si indurisce, si affetta, …
Modi di dire: essere pane e cacio; se non è zuppa è pan bagnato; mangiare il pane a ufo; magiare pan pentito; non è pane per i suoi denti; vender per un pezzo di pane; rendere pan per focaccia; spezza il pane della scienza.

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CHICCOLINO recita per bambini

CHICCOLINO recita per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Narratore: C’era una volta un chicco di grano, lo chiameremo Chiccolino, per distinguerlo dai mille e mille altri chicchi che gli stavano accanto, sopra e sotto, tutti raccolti insieme in un granaio. Un giorno il nostro Chiccolino trasse un lungo sospiro e disse…

Chiccolino: Ah, che triste è questo luogo, scuro… silenzioso… e come si sta male così pigiati, uno sull’altro.

Narratore: Gli rispose un altro chicco di grano, lì vicino

Secondo chicco: Hai ragione, fratellino, dobbiamo starcene qui stretti, noi che eravamo abituati all’aria aperta, laggiù nel campo dorato.

Chiccolino: Ricordi come si stava bene nel grembo della spiga? Il sole intorno sorrideva…

Secondo chicco: … e il vento sussurrava le sue dolci canzoni…

Chiccolino: … e le messi ondeggiavano.

Secondo chicco: E il canto degli uccelli… Te lo ricordi il canto degli uccelli, fratellino?

Chiccolino: Altro che… E i papaveri con i loro vestitini rossi che mettevano l’allegria…

Secondo chicco: Sembrava on dovesse finire mai quella bella vita. Invece un giorno vennero gli uomini, avanzarono con le loro macchine nel campo…

Chiccolino: Recisero le spighe, a cento a cento.

Secondo chicco:  E noi sgusciammo fuori e fummo raccolti nei sacchi, poi scaricati qua, nel granaio.

Chiccolino: Una vera prigione.

Secondo chicco: Triste destino davvero… la vita era cominciata tanto bene, ed è finita così male.

Narratore: I due chicchi di grano sospirarono. Per un momento regnò un gran silenzio nel granaio, poi si udì una nuova vocina…

Terzo chicco: Non scoraggiatevi, amici miei… Io vi dico che non è finita così.

Chiccolino: Chi sei, tu?

Secondo chicco: E che ne vuoi sapere?

Terzo chicco: Sono un chicco di grano come voi, come tutti gli altri, soltanto sono più anziano di voi e conosco un po’ il mondo.

Secondo chicco: Ma come puoi dire che la nostra vita non è finita qui?

Terzo chicco: So quel che dico: ne ho visti tanti e tanti di chicchi di grano… Ne ho visti arrivare e li ho sentiti lamentarsi proprio come fate voi…

Chiccolino: E poi?

Terzo chicco: E poi, un bel giorno, li ho visti partire per un nuovo destino.

Secondo chicco: E tu?

Terzo chicco: Il mio destino è stato diverso da tutti gli altri: quando fui versato nel sacco del granaio, sono quattro anni ormai, andai a finire in una fessura del tramezzo di legno, e così sono rimasto nascosto in un cantuccio ad osservare…

Chiccolino: racconta, racconta per favore…

Secondo chicco: Su, da bravo, non farti pregare.

Terzo chicco: Con piacere, amici miei. Dovete dunque sapere che…

Narratore: Il vecchio chicco di grano non ebbe tempo di cominciare il suo racconto perchè le porte del granaio furono spalancate, e risuonarono le voci degli uomini

Primo uomo: Su, svelti, riempite quaranta sacchi.

Secondo uomo: Avanti, voi, con i sacchi. Qui a me.

Primo uomo: Poi li caricherete sull’autocarro e li porterete al mulino.

Narratore: Per tutta la mattina gli uomini affondarono le pale nel grano. Che tramestio, che confusione in quel mare di  chicchi… Alfine le voci tacquero, le porte furono chiuse e nel granaio tornarono il silenzio e l’oscurità.

Terzo chicco: Chiccolino, Chiccolino! Dove sei?

Chiccolino: Eccomi, sono qui, vecchio chicco.

Terzo chicco: Oh, meno male! Ho tremato per te…

Chiccolino: L’ho scampata bella. Per due volte la pala mi ha sfiorato… Brrr, non mi sarebbe piaciuto finire un’altra volta in un sacco.

Terzo chicco: Ci saresti rimasto per poco. Ti avrebbero portato al mulino con tutti gli altri.

Chiccolino: Al mulino? Cos’è il mulino?

Terzo chicco: Il mulino è lo stabilimento dove si macina il grano: ogni granello viene stritolato fra due ruote di pietra, ridotto in polvere bianca, in farina.

Chiccolino: Questo non può essere, non è possibile che la mia veste dorata si riduca in polverina bianca.

Terzo chicco: La veste, o involucro, è color d’oro, ma dentro sei tutto bianco. Chiccolino, come me e come tutti gli altri; dopo che la macina del mulino ci ha stritolati, la farina viene passata allo staccio.

Chiccolino: E cosa accade allora?

Terzo chicco: Lasciami dire: passata allo staccio, il candido fior di farina sarà liberato dal cruschello; da una parte il cruschello dorato, dall’altra la candida farina.

Chiccolino: E poi?

Terzo chicco: E poi gli uomini lavorano la farina nei pastifici e nei forni, fanno il pane e la pasta, due dei loro alimenti principali.

Chiccolino: Se questo sarà il mio destino, sono già rassegnato…

Terzo chicco: C’è di meglio, Chiccolino, c’è di meglio. Può darsi che ti attenda un destino migliore.

Chiccolino: Che cosa c’è ancora?

Terzo chicco: Devi sapere che ogni anno una parte del grano che gli uomini raccolgono dai campi…

Narratore: Neanche questa volta il vecchio chicco potè continuare il suo racconto: le porte del granaio si spalancarono, risuonarono ancora le voci degli uomini.

Primo uomo: Sarà cosa da poco questa volta: basteranno cinque sacchi.

Secondo uomo: La provvista per la semina.

Narratore: Ancora un gran tramestio nel granaio, le pale si immersero nel mare di grano… Ad un tratto Chiccolino si sentì sollevare, ebbe appena il tempo di gridare…

Chiccolino: Addio, vecchio chicco di grano e grazie per la buona compagnia!

Terzo chicco: Addio, Chiccolino, addio, e buona fortuna!

Narratore: Come si stava male dentro il sacco… stretti stretti, sembrava di soffocare. Ma non durò a lungo. Il mattino seguente Chiccolino sentì che qualcuno sollevava il sacco, lo portava via, lo posava sul terreno. Chiccolino si chiese…

Chiccolino: Quale sarà il mio destino?

Narratore: L’imboccatura del sacco fu sciolta, una mano si immerse nel grano… Chiccolino fu trasportato in un sacchetto appeso alla cintura di un seminatore.

Chiccolino: Ah, finalmente! Un po’ di aria fresca e la gran luce del sole! E com’è bello andarsene per i campi…

Narratore: Ma ecco nuovamente una mano si immerge nel sacchetto: Chiccolino si ritrae, ma la mano si serra, lo prende con tanti altri granelli…

Chiccolino: Ah… che gran volo!

Narratore: Era stato lanciato nella terra smossa.

Chiccolino: Ben trovata, madre terra. Con te starò benissimo.

Narratore: Chiccolino si guardava intorno, non c’erano ne erbe ne i papaveri vestiti di rosso, ma soltanto terra umida e scura. Si stava domandando che cosa gli sarebbe accaduto, quando si sentì rotolare in mezzo alle zolle di terra, e fu sepolto.

Chiccolino: Nuovamente al buio, e solo, questa volta. Questa è proprio la fine…

Narratore: Non era la fine, anzi era il principio di una nuova storia che ogni anno, da migliaia e migliaia di anni, si ripete al sopraggiungere della stagione piovosa. Racchiuso nel seno della madre terra, Chiccolino dormì tranquillo per qualche tempo. Poi, un giorno…

Chiccolino: Che succede? Mi spunta come una bianca codina…

Narratore: Sì, qualcosa di nuovo avveniva nel corpo di Chiccolino: si rigonfiava, allungava dei piccoli tentacoli. Poi un piccolo stelo si allungava su su verso l’alto, in cerca d’aria e di luce.

Chiccolino: Che bello! Che bello! Aveva ragione il vecchio chicco, una nuova vita mi attende. Evviva il sole!

Narratore: Pian piano la nuova pianticella ruppe la crosta della terra, si innalzò verso il cielo. E Chiccolino? Chiccolino non c’era più, si era trasformato in una nuova pianta di grano e quando ritornò il sole dell’estate una bella spiga dorata ondeggiava al vento, sussurrava le sue canzoni in risposta al canto degli uccelli, scherzava con i rossi papaveri che mettono allegria.

G. Valle

Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane

Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane

Poesie e filastrocche sulla semina il grano e il pane: una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per la scuola d’infanzia e primaria.

Stornello
Fior di frumento!
Sussurrano le spighe sotto il vento:
“Un chiccolin di grano ne dà cento!”

Semina
Getta i semi nella terra il contadino,
poi si riposa e guarda tutto intorno;
guarda il campo, la casa e il mulino,
pensa che i semi saran pane un giorno. (C. Del Soldato)

Le stelline del bosco
C’era nel bosco un seme piccolino
come nera capocchia di spillino.
A poco a poco ne sbocciò una pianta
che nel maggio si ornava tutta quanta
di vaghi fiori bianchi come stelle,
con corolle delicate e belle.
Ogni fiore più tardi fece frutto
che si riempì di semi tutto tutto.
Poi venne frate vento e li strappò,
tutt’intorno li sparse e sotterrò.
E’, frate vento, un buon seminatore
che i semi porta via d’ogni colore;
li sparpaglia peri campi e le colline,
perfin sopra le mura e le rovine.
Indovinate quel che avvenne poi?
Ditelo, bimbi, indovinate voi! (A. Cuman Pertile)

Al campo
Su, coi fecondi raggi novelli,
al campo, al campo, cari fratelli!
Al campo, al campo. Dio benedica
del campagnolo l’umile fatica.
Dolce il lavoro, quando in bel giorno
tutto il creato ci arride intorno;
e sotto il piede ci odora il fiore
che ignoto vive, che ignoto muore. (G. Carducci)

La semina
Semina un uomo ove passò il bifolco
con la forza dei tori: il seme splende
e in pioggia d’oro scende
fra l’ombra delle bianche nubi e i voli.
Tempo verrà che i dolci rosignoli
canteranno fra i verdi lauri e i mirti,
e nei solchi, sugli irti
steli, la spuga granirà feconda. (G. Pascoli)

La semina
Cadon le foglie;
e tristi i grilli piangono l’estate.
L’altra notte non chiusi occhio tanto era
quel grido! “Seminate! Seminate!”
credei sentire…
O Dio, fa che non invano
nei rudi solchi quella gente in riga
semini il pane suo quotidiano. (G. Pascoli)

Seminagione
Chi ha seminato, in pace
riposa. Anche il solco, col seme
che nel grembo si preme,
in grande quiete ora giace.
Ora Dio radunerà i venti
dalle grotte lontane
per spingere nubi sul pane
ch’è dentro le sementi.
Così dall’umano lavoro,
con la pioggia del cielo e la luce
del sole, Iddio produce
il sano pane d’oro. (Giuseppe Porto)

L’aratro
Io solco la terra che dorme;
la desto dal greve riposo,
e suscito i succhi e gli umori
che danno, alle zolle, i colori
rossicci e ferrigni del saio.
E va la mia punta lucente
fra steli e germogli appassiti,
tra larve minute ed insetti,
tra foglie marcite e bruchetti. (Edvige Pesce Gorini)

La semenza
Nella terra il bove traccia
con l’aratro il dritto solco;
con la forza delle braccia
sparge il seme il buon bifolco. (V. Brocchi)

La novellina del grano
Un giorno un chiccolino
giocava a nascondino;
nessuno lo cercò
ed ei s’addormentò.
Dormì sotto la neve
un sonno lugno e greve;
alfine si destò
e pianta diventò,
La pianta era sottile,
flessibile, gentile,
la spiga mise fuor
d’un esile color.
Il sole la baciava,
il vento la cullava:
di chicchi allor s’empì
pel pane di ogni dì. (A. Cuman Pertile)

Il grano
Suda suda il contadino:
il frumento è già grandino.
Viene maggio:
è verdolino;
viene giugno:
è giallo giallo.
Ecco il vento: si diverte
con le spighe un poco aperte. (L. Galli)

Grano

Sepolto da provvida mano
dormivi nel solco celato,
oh piccolo chicco di grano,
nel sen della terra adagiato:
la culla era calda, sicura,
vegliava su te la natura.
Sui campi deserti, silenti,
un umido velo discese,
poi freddi soffiarono i venti;
ma i solchi dal gelo difese
la neve, e coi bianchi mantelli
te, chicco, protesse, e i fratelli.
Ma giunse coi dolci tepori
di marzo il benefico sgelo.
Dal molle terriccio uscì fuori
un verde, esilissimo stelo:
al sole di marzo così
il piccolo chicco fiorì.
E crebbe, e la fragile spiga
fu colma del nuovo tesoro
che premia l’umana fatica:
i solchi rifulsero d’oro.
Al sole, cantando, i coloni
raccolsero i biondi covoni. (I. Alliaud)

Chiccolino
Chiccolino, dove stai?
Sotto terra, non lo sai?
E là sotto non fai nulla?
Dormo dentro la mia culla.
Dormi sempre? Ma perchè?
Voglio crescer come te.
E se tanto crescerai
Chiccolino, che farai?
Una spiga metterò,
tanti chicchi ti darò. (A. Cuman Pertile)

La spiga
Eri un chicco di frumento
chiuso in grembo alla campagna.
Ora al vento,
ora all’acqua che ti bagna
pieghi umile
il tuo lungo stel sottile,
le tue reste delicate.
Brillerai d’oro vestita,
bionda figlia dell’estate,
quando al cielo il canto sale
delle tremule cicale. (M. Castoldi)

Il pane
S’io facessi il fornaio
vorrei cuocere un pane
così grande da sfamare
tutta, tutta la gente
che non ha da mangiare.
Un pane più grande del sole,
dorato, profumato
come le viole.
Un pane così
verrebbero a mangiarlo…
…i poveri, i bambini,
i vecchietti e gli uccellini.
Sarà una data
da studiare a memoria:
un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia. (G. Rodari)

Il pane
Il pane ha un sapore
che il sole ricorda, e la spica
dal biondo colore.
Conosce l’umana fatica
quel pane dorato
che trovi sul desco ogni giorno,
che a volte hai spezzato
ancora fragrante di forno.
E’ sempre gustoso,
condito di gioia e di pene.
E’ un dono prezioso,
la prova che ci si vuol bene. (M. Castoldi)

Il nostro pane
Ricordi quel grano nel solco,
quel grano piccino così,
caduto di mano al bifolco
(che inverno!) e di gel non morì?
Ricordi quel piccolo stelo
d’un verde lucente, che in campo
tremava d’un tuono, d’un lampo,
fidando soltanto nel cielo?
Ricordi la spiga ancor molle
piegata sul gambo cresciuto?
Il giorno, bambino, è venuto
che l’uomo la tolga alle zolle.
Di giugno si miete. Ciascuno
raccolga nel campo perchè,
un poco più bianco o più bruno,
ciascuno abbia un pane per sè. (R. Pezzani)

Il pane
Pane, panetto mio,
così buono ti volle Iddio.
Così dorato, così croccatne,
sei uscito da mani sante.
Sei sbocciato come un fiore
dalla gioia e dal dolore,
dalla terra lavorata,
dal sudore che l’ha bagnata.
Pane, panetto mio,
così buono ti volle Iddio. (R. Pezzani)

Il pane
Un pane grande, caldo, rotondo,
luminoso come il sole
da spartire a chi ne vuole,
un pane grande, più grande del mondo.
Che ce ne sia per vecchi e bambini
e per i poveri nostri vicini. (R. Pezzani)

Il pane

Nella terra il bove traccia
con l’aratro il dritto solco;
con la forza delle braccia
sparge il seme il pio bifolco.
Spiga già la messe al vento
ondeggiando tutta d’oro;
ogni chicco di frumento
si trasforma in un tesoro.
Il mulin, rombando, il grano
frange in candida farina;
il fornaio la raffina,
staccia, intride a mano a mano;
cuoce poi nel forno ardente
gli odorosi bianchi pani
e li porge alle tue mani,
o mio piccolo ridente.
Bambini, per noi
l’aratro, il molino
il buon contadino
lavorano, e i buoi.  (V. Brocchi)

Il pane
Laggiù in mezzo al campo bruno,
sotto un cielo basso, aggrondato,
un piccolo uomo inginocchiato
si curva tutto sul solco oscuro,
a guardare, ad ascoltare,
a parlare a qualcosa, che non si sa.
Pare un prete sull’altare
quando comunica col Signore;
ed p un poveretto seminatore
che si gode d’accarezzare
la sua terra di pena e d’amore
e tra le zolle dure spiare
il suo grano che cosa fa. (D. Valeri)

Il forno
Il forno è aperto: dalla nera volta
e dai larghi mattoni dello spiazzo,
un odore di cenere si spande.
S’accende il fuoco e dai sarmenti secchi
e dai fasci di lucida ginestra
creste di fiamme salgono cricchiando.
Oscillano a raggiera bianche e rosse,
come gigli infiammati. Poi di giallo
si colorano tutte e d’arancione.
Un luccichio rosato
invade la fuliggine indurita;
una vampa di porpora colora
i mattoni porosi; un’ampia brace
fa corona alle fiamme che, guizzando,
lambiscono la volta, diventata
bianca, d’un bianco di calcina secca.
Qualche fuscello si contorce ancora
Tra la brace ammucchiata e spinta in giro
da verdi fascinelle di sambuco.
Il forno è pronto: candido, infuocato;
entrano in fila, le pagnotte bianche
segnate dalla croce ad una ad una. (Edvige Pesce Gorini)

Il pane
Il pane ha un sapore
che il sole ricorda, e la spiga
dal biondo colore.
Conosce l’umana fatica
quel pane dorato
che trovi sul desco ogni giorno,
che a volte hai spezzato
ancora fragrante di forno.
E’ sempre gustoso,
condito di gioie e di pene.
E’ un dono prezioso,
la prova che Dio ci vuol bene. (Maggiorina Castoldi)

Il forno abbandonato
C’è una cupola maliziosa
in disparte presso la casa,
che alla porta guarda curiosa.
L’apertura è una bocca nera
che al mattino s’empie d’aurora
che al tramonto beve la sera.
Sempre aperto rimane il forno:
entrano polvere, acqua ed aria;
tutto quanto capita il giorno.
S’entra il vento diventa fioco,
s’entra un seme germoglia bianco;
ed il forno sospira: “Fuoco!”
E vorrebbe tante fiammelle
rosse, gialle, multicolori,
di crepitanti fascinelle!
Ma è sempre vuoto, sempre spento;
il buon pane non entra mai;
entrano l’aria, l’acqua e il vento! (Edvige Pesce Gorini)

L’ora del pane
Sorprendono le campane
l’ultima stella accesa.
Sa d’incenso la chiesa
l’alba è l’ora del pane.
Chi comincia il suo giorno
e nel ciel non dispera
sente nella preghiera
l’odor buono del forno.
Sente che la promessa
chiusa nell’orazione
si farà nella Messa
pane di comunione:
pan di lievito, fresco
nella madia e sul desco. (R. Pezzani)

Terra e pane
Appoggiato al suo aratro
in mezzo al solco bruno
della terra rimossa,
il vecchio contadino
mangia un pezzo di pane.
Pane solo, raffermo
che lentamente affetta
e mastica pacato.
Intorno è il vasto campo
che il vomero ha segnato
di ferite profonde…
e l’uomo antico è solo;
mangia e guarda la terra,
e assapora il pane
il gusto misterioso
del suo grembo infinito. (G. Di Leo Catalano)

 Mietitura

O San Giovanni della mietitura,
apri le porte d’oro; è tempo ormai.
La falce è in filo e la messe è matura;
apri le porte d’oro ai  tuoi granai,
o San Giovanni della mietitura.
Eccoli i mietitori. Hanno percorso
le vie bianche di sole a schiere a schiere.
A ognun la falce rilucea sul dorso
come un tempo la daga al cavaliere.
Domani questa messe ampia cadrà. (P. Mastri)

Si miete

Ricordi quel grano nel solco,
quel giorno, piccino così,
caduto di mano al bifolco
(che inverno!) e di gel non mori?
Ricordi quel piccolo stelo
d’un verde lucente, che in campo
tremava d’un tuono, d’un lampo,
fidando soltanto nel cielo?
Ricordi la spiga ancor molle,
piegata sul campo cresciuto?
Il giorno, bambino, è venuto
che l’uomo la tolga alle zolle.
Di giugno si miete. Ciascuno
raccolga nel campo, perchè
un poco più bianco o più bruno,
ciascuno abbia un pane per sè. (R. Pezzani)

La mietitura

Già si mieteva, e già la trebbiatrice,
appiattatta tra i meli alla pianura,
martellava con l’eco la pendice,
ed era il polso della mietitura.
Gianni sognava l’aia, i miti buoi,
l’aspro tribbio che stritola i mannelli
e scivola e trabalza; e a sera, poi,
la loppa al vento e in cumulo i granelli. (N. Venieri)

Trebbiatura

Meriggio. La macchina trebbia
ansando con rombo profondo.
Il grano, rigagnolo biondo,
giù scorre. Nell’aria è una nebbia
sottile. Sogguarda per l’aia
il nonno, con faccia rubizza.
Nell’aria una rondine guizza
radendo la bassa grondaia.
E intanto, che ressa sul ponte
tra i mucchi di spighe e di paglia,
col sole negli occhi che abbaglia,
col sole che infuoca ogni fronte!
Le donne di rosse pezzuole
avvolgono le trecce sudanti.
Non s’odon nè risa nè canti.
Ma il nonno: “Su, allegre, figliole!” (E. Panzacchi)

I covoni

Sui campi disteso
al sole ed al vento
non ondula più
il biondo frumento.
Or tacite stanno
qua e là grandi spighe;
ai piedi vi accorrono
le industri formiche.
Che ricca cuccagna!
Si carican, vanno.
Che importa se pesa,
se grave è l’affanno?
Il lungo corteo
così laborioso
c’insegna che il grano
è un dono prezioso. (G. Consolaro)

La falce

Falce, sei bella,
quando, nell’ore
calde di giugno
splendi nel pugno
del mietitore.
Prona la terra
ride col sole
in un sonoro
fremito d’oro.
L’uomo l’afferra,
per sè la vuole:
e con la manca
gli steli abbranca
d’oro, siccome
ciuffi di chiome;
con l’altra mano
te vibra. E’ un lampo
che fende il grano
da campo a campo
che guizza e va. (P. Mastri)

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