Racconti per la primavera

Racconti per la primavera – una collezione di racconti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria…

Racconti per la primavera – Storia del bruco Morbidone
C’era una volta una farfallina azzurra, molto graziosa nel suo vestito di seta celeste. Volava insieme a tante altre farfalline azzurre. Disse: “Conosco un magnifico posto per deporre le uova. I nostri piccini avranno una culla da re”.
Questo magnifico posto era un melo in fiore e le farfalline deposero un piccolo uovo in ogni fiore, poi morirono, perchè le farfalle, quando hanno pensato ai piccolini che debbono nascere, non hanno più nulla da fare.
I fiori del melo perdettero i petali e pian piano si trasformarono in frutti. Ma in ognuna di quelle piccole mele che il sole coloriva e faceva diventare sempre più grosse, c’era un bacolino appena nato dall’uovo deposto dalle farfalline azzurre, un bacolino che aveva trovato la casa e insieme la polpa saporita da mangiare.

Il bruco Morbidone era uno di questi bacolini, e poichè era dotato di grandissimo appetito, in breve era diventato grasso e ben pasciuto. Anche la mela diventava grossa e si coloriva al sole, ma non era allegra perchè non aveva nessun piacere di sentirsi divorare tutta la polpa da quel ghiottone di bruco.
Morbidone si era aperta una finestrina nella buccia della mela e ogni mattina vi si affacciava per prendere il fresco e per scambiare qualche chiacchiera con i suoi compagni. Ma un giorno sentì uno strattone che lo mandò a ruzzolare in fondo alla casetta.
“Che maniera!” strillò. Ma non aveva finito di gridare che sentì dei denti entrare profondamente nella mela e mancò poco che venisse schiacciato.
“Puah, c’è il verme!” disse una voce e la mela venne scagliata lontano.
Il bruco Morbidone, non appena si fu riavuto dal colpo, si affacciò alla finestrina e con voce soffocata dall’indignazione, si mise a strillare: “Chi è questo ignorante che mi chiama verme? Verme sarà lui e tutti i suoi discendenti! Non lo sa che io appartengo alla specie dei bruchi e con i vermi non ho proprio nulla in comune?”.
“Ah, non sei un verme?” disse una coccinella che si lustrava la corazza. “Ma gli somigli!”.
“Non gli somiglio nient’affatto!” gridò il bruco Morbidone, che aveva un carattere piuttosto irascibile. “Il verme ha forse le zampe? Non hai mai visto un lombrico? Quello sì che è il campione di tutti i vermi! E ti pare che abbia le zampe? Io, invece, ne ho ben cinque paia, anche se due paia le perderò strada facendo”.

“Uh, perdi le zampe!” sghignazzò la coccinella, “E quando succederà?”
Ma il bruco Morbidone, indignato, aveva sbattuto la finestrina borbottando: “Che razza d’ignorante!”.
Si guardò intorno e si sentì improvvisamente molto triste e malinconico. Neppure la polpa della mela gli piaceva più.
“Forse ho fatto indigestione”, pensò. “E’ meglio che vada a fare una passeggiata”.
Si attaccò a un filo di seta, finissima produzione propria, e si calò dalla finestrina. Un soffio d’aria lo fece dondolare dolcemente, e i fiori gli mandarono un’ondata di profumo.
“Come è bello il mondo!”, mormorò il bruco Morbidone, e si addormentò.
Quando si destò, era primavera. Le violette odoravano dolcemente fra l’erba novella.
“Buongiorno, farfallina azzurra!” disse una lumachina che si arrampicava sullo stelo di un rosaio.
“Dici a me? Ma io sono il bruco Morbidone!”
“Forse lo eri”, disse la lumachina ritirando maliziosamente un cornino. “Ma ora sei una bella farfallina vestita di velo celeste. Puoi specchiarti in una goccia di rugiada”.
“E’ vero, è vero!” esclamò il bruco Morbidone diventato farfallina, dopo esseri specchiato. “Questa è una bellissima sorpresa”.
Pazza di gioia, la farfallina si mise a volare nell’aria tranquilla e si mescolò a uno sciame di farfalline simili a lei, che svolazzavano sopra i fiori. E allora, un ricordo lontano affiorò nella sua piccola mente, il ricordo di un buon sapore di mela…
“Conosco un posto” disse alle compagne, “un magnifico posto per deporre le uova…”
E la storia ricominciò.
(Mimì Menicucci)

Racconti per la primavera – La rosa più bella del mondo

Quando la Rosa Bella aprì gli occhi alla luce del mattino, fu molto contenta di essere sbocciata.
“Buongiorno!” le disse un petulante Garofano Rosso. “Sei la Rosa Bella?”
“Sì, ma non mi basta. Voglio essere la rosa più bella del mondo.”.
Il Garofano la guardò stupefatto.
“Accipicchia!” esclamò “Accipicchia!” e non seppe aggiungere altro.
Lo Gnomo Puc, che si era svegliato di ottimo umore perchè aveva dormito sotto una pianta di papavero che gli aveva conciliato il sonno, finì di pettinarsi la barba, poi disse: “E’ facile. E’ una cosa facilissima”.
Subito la rosa diventò tutta d’oro, petali, foglie, tutto, e si ritrovò fra le mani del re, perchè soltanto i re posso avere delle rose d’oro.

“E’ una rosa bellissima” disse il re contemplandola “un vero capolavoro. Ma io, oltre a essere re sono anche poeta e preferisco le rose dai petali di velluto”.
“Gnomo Puc!” chiamò la Rosa Bella, e lo gnomo Puc venne subito, a cavalcioni della sua pipa.
“Che c’è?”
“Credevo che la rosa d’oro fosse la rosa più bella del mondo. Invece non è vero. Voglio essere una rosa di velluto”.
Lo gnomo Puc la toccò con la cannuccia della sua pipa e subito la Rosa d’oro divenne di velluto e si trovò appuntata sulla pelliccia di una signora.
“Bellissima questa rosa di velluto!” disse qualcuno toccandola con un dito.
“Sì” rispose la signora “ma, come tutte le rose di velluto, non ha odore. Il più umile fiorellino di campo odora più di questa rosa artificiale. E perciò non ha nessun valore.”
“Gnomo Puc!” gridò la rosa di velluto.
“Che cosa succede?” chiese questi, accorrendo.

“Mi hanno chiamato una rosa artificiale e hanno detto che non ho nessun valore. Che cos’è che ha più valore di tutto, per gli uomini?”
“Lasciami pensare cinque minuti” disse lo gnomo Puc. Si mise a pensare con la testa tra le mani, poi guardò l’orologio e disse: “Ecco fatto. Più valore di tutto, per gli uomini, ce l’ha il diamante.”.
“Bene!” esclamò la Rosa “Fammi diventare una rosa di diamanti”.
Lo gnomo Puc la contentò. La Rosa sfolgorò e mandò sprazzi di luce dalle gemme di cui era composta. Un uomo la guardava attentamente con la lente nell’occhio.
“Perfetta…” mormorò “un valore inestimabile.”
Poi la mise in un astuccio di raso e la ripose nella cassaforte.
La Rosa si trovò al buio.
“Dove sono?” gridò.
Le rispose un tintinnio che sembrò una risata beffarda.
“Sei nella cassaforte di un avaro” disse una voce sottile.
“Chi ha parlato?”
“Siamo delle monete d’oro, condannate, come te, a un brutto destino: non vedere mai il sole”.
“Gnomo Puc!” gridò la Rosa “Vieni subito d’urgenza!”.
“Eccomi!” disse lo gnomo Puc, che poteva entrare anche nelle casseforti. “Com’è, non sei contenta?”
“Nient’affatto!” disse la Rosa “Voglio ritornare dov’ero quando sono nata”.
E subito tornò ad essere la Rosa Bella del giardino.

Tutti le fecero festa e la riempirono di complimenti.
Poi scesero in giardino due bambine e si misero a cogliere i fiori. Colsero molti fiori, anche il Garofano Rosso e la Rosa Bella che misero proprio al centro del mazzo. Poi andarono dalla mamma e glielo regalarono.
“Oh, come sono brave le mie bambine!” esclamò la mamma” Mi hanno regalato un mazzolino stupendo. Questa rosa, poi, è certo la più bella rosa del mondo”.
Lo gnomo Puc, che ascoltava dietro la porta, si stropicciò le mani, soddisfatto.
Mimì Menicucci

Racconti per la primavera – Il pettirosso di mamma Orsa

Un giorno di primavera, quando mamma Orsa era piccola, trovò un piccolo pettirosso in giardino, troppo piccolo per volare.
“Oh, come sei carino” disse, “Da dove vieni?”
“Dal mio nido” rispose il pettirosso.
“E dov’è il tuo nido, piccolo pettirosso?”, domandò mamma Orsa.
“Credo che sia lassù” rispose il pettirosso.
“No, quello era il nido del passerotto”
“Forse è più in là” disse il pettirosso.
“No, quello era il nido del merlo”.
Mamma Orsa guardò da tutte le parti, ma non riuscì a trovare il nido del pettirosso.
“Puoi vivere con me” disse, “sarai il mio pettirosso”.
Portò il pettirosso a casa e gli preparò un nido.
“Mettimi vicino alla finestra, per favore” disse il pettirosso. “Mi piace guardar fuori e vedere gli alberi e il cielo”
Mamma Orsa lo mise vicino alla finestra.

“Oh” disse il pettirosso “dev’essere divertente volare lì fuori”
“Sarà divertente anche volare qui dentro” rispose mamma Orsa.
Il pettirosso mangiava, cresceva, cantava. Presto imparò a volare. Volava in giro per la casa e si divertiva, proprio come mamma Orsa aveva detto.
Ma un giorno che era triste, mamma Orsa gli domandò: “Perchè sei triste, piccolo pettirosso?”
“Non lo so” rispose il pettirosso, “il mio cuore è triste”.
“Prova a cantare una canzone” disse mamma Orsa.
“Non posso” rispose il pettirosso.
Gli occhi di mamma Orsa si riempirono di lacrime. Portò il pettirosso in giardino.
“Ti voglio bene, piccolo pettirosso” disse “e voglio che tu sia felice. Vola via, se vuoi. Sei libero”.
Il pettirosso si alzò alto in volo nel cielo azzurro.
Cantò una canzone dolce e acuta.
Poi tornò giù, dritto verso mamma Orsa.
“Non essere triste” disse il pettirosso, “anch’io ti voglio bene. Devo volare per il mondo, ma ritornerò. Ogni anno, ritornerò”.
Allora mamma Orsa gli dette un bacio, e il pettirosso volò via.
(Else Holmelund Binarik)

Racconti per la primavera – La rondine
Il primo stormo di rondinelle arriva fra le vecchie case del borgo. Ciascuna cerca il suo nido, e se lo trova sciupato dal vento, dalla pioggia, dalla neve, la rondine va in cerca di fuscelli, di bioccoli sulla siepe, per ripararlo.
C’è una rondinella che arriva un po’ in ritardo.
Alcune compagne curiose e pettegole le volano incontro, la circondano:
“Sai, il tuo nido è occupato”
“C’è dentro una pesseretta”
“Quando ci ha viste s’è avventata col becco spalancato”
“Non vuole uscire”
“Dobbiamo scacciarla”
“E’ una prepotente”
“E’ un’intrusa”
“Andiamo a vedere” fa la rondine, già sdegnata, perchè è stato occupato il suo nido.”Vedrete, ci penso io!”
E vola verso il campanile.

Eccolo il suo nido, sotto l’arcata.
La rondinella si lancia a volo presa dall’ira… ed ecco, trova tre testoline ancora implumi, tre beccucci spalancati, tre passerini affamati.
“Andiamo” dice la rondine alle compagne “Mi aiuterete a costruirmi un nido nuovo”
“Come? Come? Vorresti…”
“Poveri passerotti, sono tanto piccini…” dice la rondine con un cinguettio commosso.
(Eugenia Graziani Camillucci)

Racconti per la primavera – Marzo e il pastore
Una mattina, sul cominciare della primavera, un pastore uscì con le pecore e incontrò Marzo per la via. Disse Marzo: “Buongiorno, pastore, dove le porti oggi le pecore?”
“Eh, Marzo, oggi vado al monte!”
“Bravo pastore, fai bene, buon viaggio!” E fra sè disse “Lascia fare a me; oggi i innaffio io per bene!”
Il pastore, però, che l’aveva squadrato ben bene in viso, aveva fatto tutto il contrario. La sera, nel tornare a casa, incontrò di nuovo Marzo.

“Ehi, pastore, com’è andata oggi?”
“E’ andata benone. Sono stato al piano: una bellissima giornata, un sole che scottava.”
“Ah, sì? Ci ho gusto!” (e intanto si morse un labbro) “E domani dove andrai?”
“Domani tornerò al piano. Con questo bel tempo…”
“Bravo, addio!”
E partirono. Ma il pastore, invece di andare al piano, andò al monte; e Marzo giù acqua e vento e grandine al piano. La sera trovò il pastore.
“Oh pastore, buonasera! E oggi com’è andata?”
“Benone! Sai, sono andato al monte. E’ stata una giornata d’incanto. Che cielo! Che sole!”
“Bravo pastore… e domani dove andrai?”
“Eh, domani andrò al piano!”
Insomma, per farla corta, il pastore gli disse sempre il contrario, e Marzo non ce lo potè mai beccare. Si arrivò così alla fine del mese.

L’ultimo giorno Marzo disse al pastore: “Eh beh pastore, come va?”
“Va bene,ormai è finito Marzo e sono a cavallo. Non c’è più paura e posso star tranquillo…”
“Dici bene,e domani dove andrai?”
“Domani vado al piano, faccio più presto”
“Bravo, addio!”
Allora Marzo in fretta e furia andò da Aprile, gli raccontò la cosa e, infine, gli disse: “Ora avrei bisogno che tu mi prestassi un giorno”.
Aprile, senza farsi pregare, gli prestò un giorno.
La mattina dopo, il pastore fece uscire le pecore e andò al piano come aveva detto. Ma, quando fu una certa ora e il gregge era sparso per i prati, cominciò una ventipiova da fare spavento; acqua a ciel rotto, vento e neve e grandine. Il pastore ebbe da fare e da dire a riportare le pecore all’ovile.
La sera Marzo andò a trovare il pastore, che era là nel canto del fuoco, senza parole, tutto malconcio, e gli chiese ironico: “Oh pastore, buona serata! Oggi com’è andata?”
“Ah, Marzo mio, sta’ zitto, sta’ zitto, per carità! Oggi è stata proprio nera. Peggio di così neanche a mezzo gennaio; si sono scatenati per aria tutti i diavoli dell’inferno.”
E’ per questo che marzo ha trentun giorni; perchè ne ha preso in prestito uno da aprile.
(I. Neri)

Racconti per la primavera – La leggenda del tuono
Una mattina, Nube Bianca, una graziosa bimba pellirossa, mentre si chinava al allacciare un sandalo, notò ai suoi piedi una lumaca.
Infastidita, con un calcio la buttò lontano e riprese il suo cammino. Passarono molte ore e Nube Bianca non fece ritorno a casa.
I fratelli l’attesero a lungo; poi, preoccupati, incominciarono a chiamarla: “Nube Bianca, dove sei? Nube Bianca, rispondi!”
Corsero a destra e a sinistra, e finalmente la videro. Stava immobile sulla cima di una rupe.
“Scendi, Nube Bianca! Cosa fai lassù?”
“Non posso muovermi” rispose tristemente la sorellina “sono stata punita per aver maltrattato una lumaca. Potrò scendere solo se venite a prendermi”.

“Proviamo a salire” propose il maggiore dei fratelli “dobbiamo salvarla”.
Purtroppo la roccia era troppo ripida e i quattro ragazzi, ad ogni tentativo di arrampicarsi non facevano che scivolare indietro.
“E se ci costruissimo delle ali con il legno di quel cedro laggiù?” propose il fratello maggiore.
Corsero a staccare i rami, li intrecciarono, e se li legarono sulle spalle. Ma fecero solo qualche metro e ripiombarono a terra.
“Proviamo a costruirle più leggere” disse uno dei fratelli.
Tornarono tutti e quattro di corsa al villaggio, raccolsero le lische dei salmoni lasciate sulla riva da alcuni pescatori e le legarono con striscioline di pelle.

“Facciamo presto! Tu lega le ali alle mie spalle. Io aiuto Freccia Rossa, che è troppo piccolo per arrangiarsi da solo. Siamo pronti? Alziamoci in volo insieme!”
Il vento che vide i loro sforzi, si commosse e soffiò forte. I ragazzi non fecero che un lieve movimento. Esso li sollevò e li accompagnò fino alla capanna.
Ma appena i quattro fratelli ebbero deposto Nube Bianca a terra, un nuovo colpo di vento li alzò e li portò lontano nel cielo.
“Addio… addio…” ripeterono a lungo, finché svanirono per sempre. Ammirato dal loro coraggio, il vento li aveva trasformati in tuoni.
Da allora i pellirosse della costa del Pacifico, quando si scatenano grossi temporali, riconoscono nei tuoni i quattro fratelli coraggiosi.

Racconti per la primavera – Marzo irrequieto
Tre erano i figlioli della Primavera: Marzo, Aprile e Maggio. A questi tre ragazzi la Primavera delegava, per un mese ciascuno, il governo dei venti e, quando le cose erano nella mani di Marzo, la prima a tremare era la madre.
Delle cose del cielo in quel mese non se ne capiva nulla: ora il cielo scottava come in giugno, ora una tramontana gelata scendeva dai monti e faceva rabbrividire i germogli; ora il cielo si copriva di nubi come in gennaio e quel pazzo monello, dopo aver raccolto sulle montagne burrasche di neve e di tempesta, le scagliava per la campagna, facendo strage di fiori e di gemme.

Un giorno sua madre gli disse: “Senti, Marzolino mio, tu sai: in tutto l’inverno ho accumulato un subisso di nuvole sporche che ora vorrei lavare. Ti prego di farmi qualche giorno di bel tempo, con un bel sole forte, perchè voglio fare il bucato di tutto ed asciugarlo il più rapidamente possibile”.
Marzo, naturalmente, si diede a rassicurare compiutamente la madre e l’indomani la Primavera, in gran faccende, a mezzogiorno aveva già steso al sole, che splendeva magnifico in cielo, una gran quantità di panni candidi.

Tutto andava per il meglio, quando Marzo, affacciatosi da un angolo dell’orizzonte, vedendo quel candido bucato disteso sui monti e la mamma tutta intenta a sciabordare nelle acque profonde, fu preso da uno di quegli irresistibili impeti di monelleria che sono il meglio e il peggio del suo carattere.
“Che bella cosa” disse tra sè “portare un po’ in giro tutto quel bucato! Mia madre è tanto, tanto carina quando corre qua e là, coi capelli in aria, a raccattare i suoi panni!”

Detto fatto, apre l’otre dei venti ed ecco un furioso maestrale mettersi a correre come un matto verso la pianura. Solleva nuvole di polvere, scavezza ramoscelli, sbatacchia rabbiosamente le chiome degli alberi e finalmente si precipita sul bucato: lenzuoli, tovaglie, camicie, tutto all’aria! Qualche lenzuolo si straccia sui cespugli della montagna, altri vengono sollevati e trasportati a precipizio nell’azzurro e sul mare: il cielo è tutto pieno di stracci variopinti, sbattuti qua e là dalla furia del vento.

La povera Primavera, disperata, coi capelli all’aria, corre per i campi cercando di agguantare a volo quei panni volanti, e grida e chiama e si aggrappa agli alberi per non essere sbattuta via anche lei dalla tempesta.
E intanto uno squillo di risa argentine risuona per le campagne: ridono rombando gli alberi dei boschi, ridono le fontane, e ride pazzamente Marzo, con i grandi occhi azzurri spalancati dietro le cime dei monti.
(M. Spano)

Racconti per la primavera – Gli uomini di burro

Giovannino Perdigiorno, gran viaggiatore e famoso esploratore, capitò una volta nel paese degli uomini di burro. A stare al sole si squagliavano, dovevano vivere sempre al fresco, e abitavano in una città dove al posto delle case c’erano tanti frigoriferi. Giovannino passava per le strade e li vedeva affacciati ai finestrini dei loro frigoriferi, con una borsa del ghiaccio in testa. Sullo sportello di ogni frigorifero c’era un telefono per parlare con l’inquilino.
“Pronto”
“Pronto”
“Chi parla?”
“Sono il re degli uomini di burro. Tutta panna di prima qualità. Latte di mucca svizzera. Ha guardato bene il mio frigorifero?”
“Perbacco è d’oro massiccio. Ma non esce mai di lì?”
“D’inverno, se fa abbastanza freddo, in un’automobile di ghiaccio.”
“E se per caso il sole sbuca d’improvviso dalle nuvole mentre la vostra maestà fa la sua passeggiatina?”
“Non può, non è permesso. Lo farei mettere in prigione dai miei soldati”.
“Bum” disse Giovannino. E se ne andò in un altro paese.
(G. Rodari)

Racconti per la primavera – Il fiore
C’era un bocciolo che faticava ad aprirsi. Era duro, piccolo, verde e pareva che non dovesse sbocciare mai. Allora disse alla pianta: “Succhia forte il buon nutrimento dalla terra, così io potrò diventare più grosso”.
La pianta succhiò con tutte le sue radici e il bocciolo ingrossò, ma rimaneva verde e duro. Allora disse alle nuvole:”Mandate giù una pioggerella, ma non tanto forte, altrimenti mi sciupate”.
E le nuvole mandarono giù una spruzzatina sulla terra, ma con molta educazione.

Poi il bocciolo disse al sole: “Per piacere, riscaldami coi tuoi raggi, ma non mi bruciare, sarebbe un peccato”. E il sole lo accarezzò col suo tepore.
Finalmente in una bella mattina di primavera, il bocciolo si aprì e ne venne fuori un magnifico fiore rosso che pareva di seta.
Una farfalla disse: “Che bellezza! Un fiore così bello non si è mai visto in questo giardino!”. E vi si posò sopra con delicatezza.

La terra, le nuvole, il sole ne furono molto orgogliosi. Le campanelle bianche, screziate di rosa, si misero a suonare a festa.
Verso sera arrivò un bambino. Vide il bellissimo fiore rosso e lo colse. Poi lo strappò.
Le campanelle smisero di dondolarsi e chinarono le corolle con molta malinconia.
Il giardino pianse per tutta la notte.
(Mimì Menicucci)

Racconti per la primavera – La cameriera della Primavera
C’era una donnina che si chiamava Sigismonda e stava al servizio della Primavera. Qualche giorno prima che questa scendesse sulla terra per il solito viaggio, Sigismonda si metteva a cavalcioni della scopa e si calava giù per le azzurre vie del cielo. Veniva a vedere se, sulla terra, tutto era in ordine.
“Benvenuta, Sigismonda!” gridavano i merli che la vedevano per primi dall’alto degli alberi.
“Come va, come va?” chiedeva Sigismonda, soddisfatta di quella festosa accoglienza, “Avete preparato la nuova canzone?”
“Si capisce”, dicevano i merli, “La vuoi sentire?”
“Grazie, no, io non me ne intendo!” rispondeva Sigismonda. Era un po’ sorda e si vergognava a dirlo. Ma i merli erano così impazienti di cantare la loro nuova canzone che chiudevano gli occhi e si mettevano a fischiettare. Sigismonda approfittava della loro distrazione e scendeva sui teti a salutare i passeri.

“Sigismonda, abbiamo già fatto i nidi!” gridavano quelli, tutti insieme, con gran baccano.
“Mi compiaccio! Primavera sarà molto contenta!”
“Quando arriverà, troverà già i piccini”.
E i passeri, dalla gioia, si buttavano giù a precipizio, poi tornavano su velocissimi e Sigismonda doveva andarsene perchè le veniva il capogiro.
Le campanelle azzurre cominciavano a suonare dolcemente non appena la vedevano. Gli uomini non sentivano nulla, ma i grilli e gli insetti del prato godevano molto di quella musica e la stavano ad ascoltare estasiati.

“Sigismonda, un concerto così, Primavera non l’ha mai sentito!”
“Oh, che piacere sarà per lei! Ha sempre tanta voglia di ballare!”
“Io le ho preparato una serenata coi fiocchi. La vuoi sentire, Sigismonda?”
E il grillo cominciava a suonare e Sigismonda si addormentava e faceva dei bellissimi sogni. Quando la serenata era finita, il grillo la pizzicava dolcemente sotto la pianta dei piedi e Sigismonda si svegliava.

“E’ bellissima questa serenata! Beata Primavera che potrà sentirla tutte le sere!”
E poichè si faceva tardi, la donnina si affrettava a guardare se tutto era in ordine. Ma tutto era in ordine, sempre. Nessuno mancava mai all’appello della Primavera e tutti erano puntuali come orologi di precisione. I bocciolini si tenevano pronti ad aprirsi tutti insieme non appena Primavera li avessi sfiorati col piede, le erbette erano nuove e lustre, i ruscelletti ridevano sommessamente, correndo tra i sassi puliti.
“Mi pare che tutto sia pronto!” diceva finalmente Sigismonda, e rideva anche lei, giocondamente, perchè era sempre allegra come si conviene alla cameriera della stagione più bella dell’anno.

Poi diceva agli scoiattoli che si spazzolassero bene la coda, cosa che questi facevano con grande piacere, dava un ultimo colpo di scopa ai mucchi di neve rimasti nei crepacci, pettinava i prati che il vento si era divertito a scapigliare e infine, guardandosi intorno diceva:”Che bellezza!”.

Si metteva di nuovo a cavalcioni della scopa e, dopo aver salutati tutti festosamente, tornava per le azzurre vie del cielo e le stelle le facevano l’occhiolino, molto contente di rivederla.
Mimì Menicucci

Racconti per la primavera – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici LA PRIMAVERA

Dettati ortografici LA PRIMAVERA – Una collezione di dettati ortografici sulla primavera, di autori vari, per la scuola primaria.

Dettati ortografici LA PRIMAVERA

Da qualche giorno c’è qualcosa di nuovo nell’aria. Si diffonde un lieve tepore, il sole è più limpido. La primavera è arrivata. Anche sotto terra la buona notizia deve essere arrivata, perchè già alcune foglioline spuntano piano piano come sentinelle per informarsi di come vanno le cose; e subito dopo alcuni fiorellini curiosi tirano fuori il capino per vedere. Pochi giorni ancora, e i fiori saranno tanti, tanti; i ruscelli, ingrossati per lo sciogliersi delle nevi, cominceranno a correre allegramente. (O. Giacobbe)

Ed ora è primavera, ancora una volta primavera. Invano l’inverno ha scatenato le sue ultime raffiche di neve, di grandine, di tramontana; già grandi lenzuoli azzurri ondeggiano bruscamente tra la nuvolaglia oscura. La campagna, il giardino erompono dappertutto in boschi di serenelle, in gemme di alberi da frutto; le giunchiglie spuntano nell’erba diritte come pugnali, e nei boschi i rami ancora nudi si popolano di battiti d’ali e di gridi leggeri. (M. Roland)

Venne la primavera. Sul cielo ancora freddo, ma alto e nitidissimo, riapparve qualche rapido volo di rondine e il sole scese sul cortiletto, indugiandosi negli angoli umidi e verdognoli di muschio, ove restava qualche rimasuglio di neve ghiacciata. Sulle creste dei muri luccicavano, verdi e lavati, i frantumi di vetro; i davanzali di granito, resi bruni dall’umido, riprendevano la prima tinta chiara, e sulle grigie cime del noce dell’orto attiguo, gli estremi rami sottili  si squarciavano per lasciare uscire le gemme di un bel giallo verdognolo e delicato. (G. Deledda)

E’ primavera: tutta la natura si risveglia e mentre il suolo si libera dal gelo invernale, le erbe si affrettano a fiorire prima che la cupola del verde degli alberi si chiuda sul bosco e le privi di luce. Così dal suolo cosparso di foglie spuntano i primi colori dei mughetti, delle viole. Nell’interno degli alberi la linfa sale fino ai germogli che spingono le sottili squame chi li hanno finora protetti e sbocciano. Sembra che la fretta abbia invaso il bosco. Tutto si spinge verso la luce, quella luce che è vita: a metà aprile il ciliegio è ricoperto da grappoli di fiori bianchi, l’acero è pieno di boccioli vermigli. A maggio la febbre della primavera tocca il suo culmine. Il suolo è tappezzato da campanule gialle, gerani selvatici, da margherite. Gli alberi si ricoprono rapidamente di foglie. Anche gli animali iniziano una nuova vita. Chi durante l’inverno era rimasto in letargo come l’orso, si desta dalla tana: è magro, irritabile, sente prepotente il bisogno del cibo. A frotte ritornano gli uccelli migratori, i rettili riprendono a strisciare in cerca di preda, e gli insetti, nella maggioranza dei casi, completano la loro formazione.

Primavera in città.
Com’è stato lungo l’inverno! Pareva non dovesse avere mai fine! Furono giorni e giorni senza nemmeno un’occhiata di sole. Nella luce malinconica e scialba, sotto una coltre di nebbia e di nuvole che gravava sulla città, tutto era ottenebrato, in una specie di eterno crepuscolo. Ora, fugata la nebbia, fugate le nuvole, il sole trionfa nel cielo. Si respira di gioia. D’un tratto la città ha preso un aspetto di festa. Bambini e ragazzi sciamano per i viali e per le piazze alberate. Nei rioni popolari finestre e terrazzi si spalancano al sole; la gente si affaccia per godersi l’animazione della strada, per respirare e tuffare gli occhi nel cielo di una bellezza che rapisce. (A. Fabietti)

Il ventuno del mese di marzo la primavera entra puntualmente, portando la luce, il calore, la vita. I contadini hanno ormai un gran da fare: seminano la canapa, il riso, i fagioli, il granoturco, i foraggi. Poi rincalzano la terra, sarchiano, concimano, hanno mille faccende da portare a termine negli orti. Ed ecco che la mattina al mercato si cominciano a vedere già le primizie: i primi piselli, i carciofi, le insalatine. Vediamo anche le ricotte e i formaggi freschi. Nei campi ogni albero è carico di gemme… e nei prati sbocciano le violette, le primule. (A. Palazzi)

Primavera in montagna.
In questa stagione gli uomini, per consuetudine antica, salgono le pendici e cercano le vette. Primi sono i pastori. Hanno passato lunghi mesi tra le case del villaggio chiusi talvolta per settimane tra quattro pareti, di contro al biancore compatto d’intorno. Belavano le bestie affamate, piangevano i bimbi infastiditi. Ora son tutti fuori nel sole: spingono innanzi le bestie, mai sazie di erba tenera, verso i pascoli alti. La baita sull’orlo del prato, a sera fuma, e l’occhio del bimbo fissa la stella piccolina, che è spuntata laggiù. (G. Fanciulli)

Primavera alpina.
Neve e fiori… ecco la pompa della primavera delle Alpi. Il fiorellino appena sbocciato, tentennando il capo mollemente sulla neve, che ha appena abbandonato sull’esile gambo l’ultima stilla, sembra ringraziarla con un sorriso di avergli custodito nella lunga stagione dei geli il germe della vita. Superba sopra tutti sorride la rosa delle Alpi che in solitari cespugli orna la cima di una rupe o in larghe e folte macchie si distende tutta porporina tra neve e neve. Essa è la gloria della flora alpina.

Apri la finestra. E’ la primavera che ti chiama: ogni cosa intorno a te parla di vita. Alza gli occhi al cielo, dove, scompigliata la corte delle nubi, torna alfine il sole, a cucire con fili di luce gli abiti nuovi degli alberi e dei campi. Un anno nuovo comincia nel grande tempo della terra. (R. Rubatto)

Primavera.
Non è più tanto freddo e, sui prati, sbocciano, a cento a cento, i fiorellini bianchi. Anche le violette sbocciano sul margine dei fossi e profumano l’aria.

Primavera.
Il cielo è quasi sempre sereno e soltanto qualche nuvoletta vaga qua e là. Il vento la trasporta e la nuvoletta è molto lieta di  vagare per il cielo e guardare la terra tutta verde.

La bella stagione.
Un giorno il cielo diventa tutto azzurro, di un azzurro gentile e delicato con qualche nuvoletta bianca che vaga qua e là. E gli alberi, che sembravano secchi, improvvisamente si mettono a fiorire.

Primavera.
E’ primavera. I campi sono tutti verdi; è l’erbetta nuova che cresce. Fra l’erba sbocciano le pratoline. Si aprono al primo raggio di sole e se il sole scompare, chiudono i petali e si addormentano.

Primavera.
I bambini sono contenti che sia tornata primavera. Ora possono andare a giocare per i prati e godere il tepore del sole d’oro.

Colori della primavera.
Al cielo terso e luminoso di un azzurro che l’inverno non conosce e l’estate non ha più, ai colori dei torrenti e dei ruscelli, alle mille sfumature di verde della nuova vegetazione, la primavera aggiunge la tavolozza ricchissima dei suoi fiori. Ha cominciato il mandorlo con i suoi candidi fiori, poi i meli, i peri, i ciliegi, ma prevalgono i fiori dei peschi con il loro rosa che sfuma nel carminio. (F. Monelli)

Primavera, tempo degli arrivi
La primavera è il tempo degli arrivi. I meli, i peri hanno già ricevuto la fioritura rosea e bianca,e tramando la innalzano nell’azzurro. Sotto ogni mazzetto di fiori fa capolino il cartoccetto delle foglie; fra poco la buccia si romperà e le foglie si apriranno, piccine, tenere e lustre. Sui solchi, il grano verdazzurro vibre, lancia per lancia, rimescolato dal tepore del sole. (G. Fanciulli)

Primavera
La primavera è qui, è arrivata. La senti nell’aria, la vedi nel cielo, nel prato e persino nel viso delle persone che è più aperto, più ridente, non più nascosto da sciarpe e pellicce, ma esposto al dolce venticello che purifica l’aria e la rende più dolce. Guardati intorno, ma il tuo sguardo non sia distratto e superficiale. La primavera va scoperta con attenzione, con amore e soltanto allora potrai godere del lieto miracolo che ogni anno si rinnova.

Primavera
Ogni pezzo di terra era coperto d’erba; gli steli crescevano folti, stretti l’uno contro l’altro, in uno splendido rigoglio. Si scostavano ad ogni passo dolcemente e subito si raddrizzavano. L’ampia, verde pianura era costellata di margherite bianche, di fiori di trifoglio dalle grosse teste violette sfumate di rosso, di gialli bottoni dorati e splendenti, di denti di leone. (F. Salten)

Annuncio di primavera
Da qualche giorno c’è qualcosa nell’aria. Si diffonde un lieve tepore, il sole è più limpido, la primavera è arrivata.
Anche sottoterra la buona notizia deve essere arrivata, perchè già alcune foglioline spuntano piano piano come sentinelle per informarsi come vanno le cose; e subito dopo alcuni fiorellini curiosi tirano fuori il capino per vedere.
Pochi giorni ancora e i fiorellini saranno tanti; i ruscelli, ingrossati per lo sciogliersi delle nevi, cominceranno a correre allegramente. (O. Giacobbe)

Preannuncio di primavera
Anche i vecchi alberi di copriranno presto di verde. Ecco che le gemme si ingrossano; lì dentro stanno chiuse le foglie. Ma il sole vuole che vengano fuori, e scalda le gemme e l’albero tutto: e le foglie scappan fuori belle lucide e pare che ridano; e anche l’albero ride, si fa tutto verde e torna giovane ancora. (A. Colombo)

Primavera
La primavera è una stagione meravigliosa, coi suoi bei fiori, i prati smeraldini, le rondini che tornano ai nidi, e i pulcini pigolanti intorno alle chiocce. Tutto sulla terra germoglia, le giornate si fanno più lunghe, e i ragazzi passano quasi tutto il tempo che rimane loro libero, fuori di casa a giocare alle biglie, alle guardie e ai ladri, e a qualunque altro gioco che venga loro in mente. (Jerome S. Meyer)

La primavera
L’inverno aveva rinfrescato anche il colore delle rocce. Dai monti scendevano, vene d’argento, mille rivoletti silenziosi, scintillanti tra il verde vivido dell’erba. Il torrente sussultava in fondo alla valle tra i peschi e i mandorli fioriti. E tutto era puro, giovane, fresco, sotto la luce argentea del cielo. (Grazia Deledda)

Il risveglio della terra
La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva, dietro le palpebre chiuse, a sentirsi frugare fra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le lunghe dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva piano piano: “Svegliati!”. (Achille Campanile)

Primavera
Alla grondaia sono arrivate le rondini e rattoppano i buchi dei vecchi nidi; volano, volano ancora portandosi intorno un riflesso del gran mare che hanno attraversato. Sui ramicelli più nuovi della macchia si posano i pettirossi, attillati e svelti, l’occhio attento ad esplorare l’orto. Anche i bruchi li hanno visti e si rannicchiano dentro i gonfi cavoli; sarebbe triste davvero farsi sciupare la farfalla! Per tutta la valle scende un vento fresco, non freddo, e spazza, spolvera, scioglie gli ultimi nodi dell’inverno, porta al sole il fumo dei camini, il suono delle campane, le prime libere canzoni. (G. Fanciulli)

Primavera nei campi
Dopo il letargo invernale, la campagna sembra sorridere al contadino, ravvivargli nel cuore la santa speranza dei racconti e invitarlo al lavoro. Nel cielo ci sono nuvoloni chiari che si accavallano; un’acquata breve e improvvisa fa trotterellare gli agnellini verso le loro mamme, e sembra rendere più acuto l’odore delle erbe. Sboccia un garofano sul davanzale della massaia; appare timidamente il biancore del biancospino e si avverte veramente il profumo delle viole mammole. (L. Rinaldi)

Rifluisce la vita
Il giovane bosco era ancora quasi spoglio, come d’inverno. Solo nei cerei germogli, di cui era fittamente costellato, c’era qualcosa di superfluo, di insolito, una gromma o un gonfiore: questo superfluo, questa novità, questa gromma erano la vita che abbracciava già alcuni alberi con la verde fiamma del fogliame.
(B. Pasternak, da “Il dottor Zivago”)

La primavera
La primavera toccò i rami dei peschi e dei mandorli e disse lietamente; “Su, svegliatevi! Che cosa fate? E’ ora!”. E quelli, obbedienti, schiusero le gemme, si coprirono di fiori, e furono molto belli. Anche le violette si destarono, sbocciando al tocco leggero della primavera e così le pratoline fra l’erba dei prati e il biancospino sulla siepe.

Le violette
Per i campi si sparse un odore soave e leggero. Erano sbocciate le violette e tutti furono contenti. Gli uccelli, vedendole, cinguettarono festosi e le nuvolette bianche chiesero al vento che non le portasse via subito. Volevano sentire anch’esse quel gentile profumo.

La bella stagione
Un bel giorno il cielo diventa azzurro, di un azzurro delicato con qualche nuvoletta bianca vagante qua e là. E gli alberi, che sembravano tutti secchi, stecchiti, improvvisamente si mettono a fiorire. E pare impossibile che da quei rami, duri e ruvidi, siano potuti venire certi fiori così lievi.

Le lucertole
Le lucertole, riscaldate dal sole tiepido, escono dai buchi dove sono state in letargo per tutto l’inverno e si fermano al calduccio, guardando qua e là con gli occhietti vispi. Sono alla caccia di un insetto. Hanno tanto dormito che ora vorrebbero proprio saziarsi di qualche insettuccio incauto, che arrivi alla portata della loro lingua.

Le pratoline
E’ primavera: i campi sono tutti verdi; è l’erbetta nuova che cresce. Fra l’erba sbocciano le pratoline. Si aprono al primo raggio di sole, ma se il sole scompare, velato da una nuvola, o se scende dietro l’orizzonte, le pratoline chiudono i petali e si addormentano. Si schiuderanno al nuovo sole.

Primavera
Quando viene primavera, tutta la terra si schiude al dolce calore.Gli alberi mettono le gemme; fra l’erba sbocciano le pratoline, il cielo si fa chiaro e l’aria mite. I giorni sono più lunghi e tutto è allegria.

Primavera
Il torrente sussultava in fondo alla valle, fra i peschi e i mandorli fioriti. E tutto era puro, giovane, fresco, sotto la luce argentea di quel gran cielo mite, sul cui orizzonte i profili morbidi dei monti, ancora coperti di neve, si stendevano come file di colombi addormentati. (G. Deledda)

Primavera
Al torrente è arrivata tanta acqua dai nevai che si sfanno, e la sua voce canta più alta fra i ciottoli, parla più tenera fra i salici… Per tutta la valle scende un vento fresco, non freddo; scioglie gli ultimi nodi dell’inverno, porta il fumo dei camini, il suono delle campane e le prime libere canzoni. (G. Fanciulli)

Primavera
Le mammole riaprono, dal lungo sonno, i begli occhi azzurri, il pesco si è tutto magnificamente coperto di fiori che brillano al nuovo sole come gemme cristalline. Le margherite, silenziose e tranquille, tremolano al tiepido sole. (E. Nencioni)

Primavera
L’aria si è addolcita. La pioggia non è più gelida. S’è fatta quasi tiepida. All’alito della primavera, le piante, che hanno dormito per tutto l’inverno, si ridestano. Le loro radici si allungano nella terra umida. Succhiano e fanno salire nuovi umori lungo i fusti e i tronchi. (P. Bargellini)

Il vento
Il vento di primavera è capriccioso: ora è uno zeffiro leggero che fa dondolare i fiori e frusciare dolcemente gli alberi. Talvolta invece, è un vento strapazzone, che sbatacchia porte e finestre, strappa i petali dei fiori e trascina le nuvole in un pazzo galoppo.

Il vento
Il vento tira violento, ulula fra i monti, fischia tra i rami degli alberi, strappa i fiori, urla, penetrando nelle case e porta le nuvole qua e là in un pazzo galoppo. Ma se diventa gentile, fa frusciare i rami degli alberi, accarezza i fiori e porta, con grazia, le nuvolette qua e là nel cielo.

I neri e grossi alberi dalle braccia minuscole e rudi, paiono spruzzati da una brina di smeraldi e di perle. Sotto l’arido muschio delle vecchie pietre grige, nel bosco, le mammole riaprono, dal lungo sonno, i begli occhi azzurri. Il mandorlo si è tutto magnificamente coperto di fiori biancorosei che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. (E. Nencioni)

Il pesco si è tutto magnificamente coperto di fiori biancorosei, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. Le margherite, silenziose e tranquille, tremolano al tiepido vento, La giunchiglia piega sul gracile stelo il velato suo calice. Persino sulle lande più petrose e deserte, qualche fiore solitario apre le sue tre o quattro foglioline soffuse di un pallido rosa, o venate di tenui righe violacee. (E. Nencioni)

Addio, giorni brevi e tristi, cieli grigi, pesanti. Addio fredde e tenebrose piogge monotone, nebbie e ghiacci crudeli… Il fremito giovanile della vita è corso su tutta la terra… Un alito spira lieto dalle umide colline, velate dai vapori argentei e leggeri. Bianche e soffici nuvole aleggiano per l’immacolato turchino del cielo. (E. Nencioni)

Mentre le gemme si fanno turgide e i fiori sbocciano, gli insetti, come avvertiti da questo mirabile risveglio della terra, escono dalle loro uova, dai bozzoli, dalla terra e si spandono per i campi, per i prati e per i boschi. Gli uccelli si riuniscono a coppie e preparano il nido. Molti ritornano dalle zone più calde. Le vacche e le pecore escono dalle stalle e tornano sui prati coperti di tenera erbetta. (L. Vaccari)

Ieri gli alberi erano nudi, neri, rigidi: d’un tratto in vetta, al ramo più alto brillò una fogliolina ancora accartocciata, colore di chiaro bronzo, e un poco si aprì all’aria solatia che si addolciva nel presentimento delle viole. Subito su ogni ramo s’inturgidirono mille e mille gemme, si schiusero e vestirono platani e ippocastani di una peluria di un verde roseo che inteneriva a guardarla. (V. Brocchi)

Nell’inverno, il sole è in basso, i suoi raggi obliqui non penetrano nella terra, nulla si muove allora. Ma appena comincia ad elevarsi al di sopra di noi e con le sue frecce riscalda la terra, tutto nel mondo si riscalda e si mette in movimento. La neve scompare, il ghiaccio si scioglie nei ruscelli, le acque precipitano dalle montagne e con l’elevarsi dei vapori dall’acqua, in forma di nubi, comincerò a piovere. (L. Tolstoj)

C’è uno stepito gioioso intorno all’albero d’aranci mentre le api abbracciano i fiori e s’inebriano di dolcezza. Ognuna ha da portare all’alveare, prima dell’imbrunire, un carico di nettare che è forse dieci volte il proprio peso. E’ stato calcolato che mezzo chilo di miele richiede trentasette mila viaggi di andata e ritorno dall’alveare ai fiori. (D. Culross Peattie)

Basta un fiore sbocciato sul davanzale della finestra, il volo di una rondine nel breve spazio del cielo verso cui alziamo gli occhi, un raggio lucente e caldo che ci raggiunga al nostro tavolo di lavoro, per dirci che è primavera. Ma forse non c’è bisogno di nulla se ascoltiamo dentro di noi il desiderio di essere buoni e gentili con tutti, la voglia improvvisa di ridere e di cantare. Il piacere di rimanere con gli occhi rivolti verso il cielo inseguendo con il pensiero un sogno. Allora la primavera è in noi. (G. G. Moroni)

Le sementi, disgelandosi, manderanno fuori i loro germogli; questi ingrosseranno nella terra; dalle vecchie radici verranno fuori germogli nuovi, e gli alberi e le erbe cominceranno a crescere. Gli orsi, le talpe usciranno dal loro torpore; le mosche e le api si sveglieranno; le zanzare nasceranno e le uova dei pesci si schiuderanno. L’aria scadandosi, si innalzerà, al suo posto verrà l’aria fredda e il vento soffierà. Le nubi saliranno… Chi farà tutto questo? Il sole. (L. Tolstoj)

La siepe era tutti spini, sembrava imbronciata. Non sta bene avere il broncio, quando tutti sono contenti. Ieri il vento deve averglielo detto: le è passato vicino dicendo: sss… sss… sss… Penso che le abbia detto: “Su, ridi, e vestiti a festa anche tu”. E questa mattina è vestita di bianco e di verde, che è una bellezza. Le spine non si vedono più; sono tutte ricoperte dai fiori bianchi. (Colombo)

Ritorno all’aperto
Eravamo usciti di febbraio due o tre giorni appena, quando il tempo, fino allora grigio e sudicio, si schiarì per un bel vento tiepido, che sembrava sopravvenuta la primavera. Ed io ottenni, se Dio vuole, di precipitarmi fuori di casa.
Che felicità quei primi giorni!
Respiravo l’aria libera come si beve sopo una gran sete; ritrovavo, come scoperte allora allora, le strade, le case, le campagne, la gente: cose tutte piene d’un valore fantastico; somiglianti, sì, ad una vaga immagine che ne avevo in mente, ma mille volte più belle e felici. I butti d’acqua che venivan giù dalle rocce delle fontane, bisognava per forza che li toccassi, tanto mi sembravano incredibili.
E il sole! Quel bel sole d’oro, biondo, morbido, buono come se mi conoscesse personalmente, non mi bastava vederlo luccicare sulle cortecce violette degli alberi, nè pure di sentirmelo sul dorso delle mani, che gli stendevo.
Bisognava guazzare in quel sole.
(F. Chiesa, da “Tempo di marzo”)

Giorni di fine inverno
Finisce l’inverno, lungo le rive dei fossi si aprono i primi fiori e sui pendii dei colli altri, di colori più intensi, azzurri o gialli. Sulle cime dei monti gli ultimi filoni di neve sfumano in nere nubi. Il verde del frumento si accresce, ed altri campi si fanno gialli di ravizzone. Biancheggiano i susini, i peri, alterni al rosa dei peschi. Le galline hanno un canto diverso, appare la prima farfalla, e gli uccelli cantano fra gli alberi che ancora non danno ombre. Finisce l’inverno, si entra in primavera, certi anni il trapasso viene come velato da un lungo periodo di piogge, si aprono le foglie, fioriscono i frutteti e la terra sotto la pioggia, ritorna il sole e sui rami si scopre la frutta già segnata senza esserci accorti dei fiori.
(G. Comisso, da “La favorita”)

Presagi di primavera sui monti
A volte pare impossibile che la montagna si liberi ancora dell’inverno, eppure sta scritto che se ne libererà. Non grazie alle deboli forze umane, costrette, qui, come altrove, ad assistere, ad accettare; ma grazie ad una forza divina, che scende fino a noi con le fiamme del sole.
Non si libererà come la pianura, ma in tutt’altro modo. In pianura la neve se ne va un poco ogni giorno, come è venuta, silenziosamente. Anche qui molte cose accadono senza rumore: sopra e sotto la terra, nei pianori più riposati, nei grembi concavi, negli angoli riparati e inclinati leggermente. Ma altre si svolgono addirittura con fragore. Non sempre la montagna è il regno del silenzio. Già ben sonoro è il primo risvegliarsi della meravigliosa forza celeste. Un bel mattino, e pare ancora pienissimo inverno, il rivestimento di ghiaccio su per le pareti e le cime non tiene, non aderisce più: tende all’infuori, scricchiola, si stacca, piomba giù per cinquanta, per cento metri, con rombi e rimbombi di tuono.
Ora gli uomini hanno capito. La primavera tornerà, spunteranno presto i bucaneve, i suoi crochi bianchi e turchini, innumerevoli, nei prati.
(G. Zoppi, da “Dove nascono i fiumi”)

Illusione di primavera
Già nell’aria correva un respiro di primavera, sebbene alberi e siepi non dessero ancora segno di vita: la terra nera del giardinetto si rivestiva soltanto sulle cornici delle aiuole d’una lanuggine verde; ma il sole pareva più nitido e, non disturbato da nessuna frasca, proiettava più nere e precise le ombre dei pali, dei pergolati e delle persone.
(E. De Marchi, da “Ragazzi”)

Tramonto di marzo
Il sole, sembrava, scendendo fra le nebbie, una palla di rame che scomparisse in mezzo alla cenere. Ma eccolo che ritorna.
E’ un intenso color di rosa, che dal lontano occidente sale e si dilata sino a impregnare di sè gran parte del cielo. Le masse degli alberi, rese spaziate e leggere dalla nudità dei rami, si disegnano in trine leggere e trafori, delicatissime, sugli accesi riflessi degli sfondi. Il ghiaccio delle lance s’imporpora, rifrange splendori di rubini. I tronchi dei pioppi e dei salici si animano di una profonda tinta violastra. Salici di fiume, dal ceppo basso, nocchieruto, dalle grosse teste scarmigliate e irte; pioppi alti e sottili, incorporei come ombre; terra d’inverno, più vasta, perchè più spoglia, più libera perchè placata.
Ma già l’aria s’è fatta d’un grigio azzurrognolo d’ortensia; il rosso è tutto nell’acqua. Si spostano i riflessi, si spezzano le armonie: qualcosa ha da morire, e si dibatte contro la fine, pur sapendo che ha da rinascere. Qualcosa di infinitamente piccolo, d’infinitamente grande: il giorno.
(A. Negri, da “Di giorno in giorno”)

Primavera
Appena un lontano mandorlo caccia la sua fioritura, la timida nota diventa gorgheggio ed il volo saltellante di siepe in siepe di fa volo lungo e disteso di giardino in giardino. Giunge, intanto, la capinera. Seguono i richiami squillanti del merlo e del fringuello in armonia con lo squillare dappertutto dei colori.

La primavera va dal 21 marzo al 22 giugno, data da cui avrà inizio una nuova stagione, l’estate. L’arrivo della primavera si rivela, innanzi tutto, nelle mutate condizioni del clima, del cielo, della vegetazione. Il clima è più tiepido; perchè? La terra gira intorno al sole, impiegando in questo giro poco più di 365 giorni. Poichè durante questo movimento di rivoluzione la terra cambia la sua posizione rispetto al sole, ecco che cambiano anche le condizioni di riscaldamento e di illuminazione nelle varie zone della superficie terrestre.

La primavera attraverso il tatto
Sulla nostra pelle sentiamo il tepore dei raggi di sole, il vento non più gelato, ma prevalentemente tiepido, anche se qualche volta diventa violento e furioso. Sentiamo il velluto della gemma, la morbidezza dei petali del fiore, la scabrosità del tronco dell’albero che lascia cadere la vecchia corteccia, la flessuosità morbida dell’erba dei prati.

La primavera attraverso l’udito
La pioggia non è più la pioggia gelida e sferzante dell’inverno. E’ una pioggerella leggera che fruscia, che mormora. Nel suo rumore leggero sentiamo poi il canto degli uccelli: sono i primi ad annunciare l’arrivo della bella stagione. Oltre al canto degli uccelli, ecco il ronzio degli insetti che si sono svegliati dal loro sonno invernale durante il quale, spesso, hanno compiuto una metamorfosi che li ha resi perfetti, forniti di ali che, talvolta, come nel caso delle farfalle, hanno smaglianti colori.
Ascoltiamo anche il fruscio delle chiome degli alberi dove il vento di primavera suscita mille suoni. Il vento è un po’ la voce di marzo. Infine, a causa dello scioglimento delle nevi, i ruscelli fanno sentire il loro mormorio, i torrenti scrosciano, le fontane hanno una voce più sonora.

La primavera attraverso la vista
Prima di tutto osserviamo il cielo nei vari momenti della giornata: il chiarore madreperlaceo della prima luce, il roseo dell’aurora, il celeste delicato delle ore di sole, il rosso del tramonto. Notiamo poi le forme, i colori dei fiori, scopriamone le gradazioni; ammiriamo le variopinte ali delle farfalle, il verde smaltato della nuova erbetta, le sfumature delle chiome degli alberi.

La primavera attraverso il gusto
Si può assaggiare la primavera? Certo! E’ vero che in estate avremo il sapore dei frutti, ma in questa stagione possiamo sperimentare il sapore acidulo dell’erba nuova, e il dolce di un fiore. Soprattutto nei fiori degli alberi da frutto, c’è una gocciolina di nettare e ben lo sanno gli insetti che non se la lasciano sfuggire.

La primavera attraverso l’odorato
Possiamo percepire il profumo delicato della violetta, ma più in generale quello prepotente della primavera con la sua vastissima gamma di odori.

Il freddo era finito, soffiavano venti gagliardi, ma l’erba non cresceva sulle prode, nè i fiori, nè le viole. Nulla cambiava nel paesaggio: le argille si stendevano grigie tutto attorno, come sempre; qualcosa mancava, la vita stessa dell’anno e il senso di questa mancanza riempiva il cuore di tristezza. Col tempo migliore, le vie del paese erano tornate deserte: gli uomini erano tutto il giorno lontani, nei campi invisibili. I ragazzi sguazzavano, con le capre, nelle pozzanghere e dalle case giungevano alterne le voci delle donne.
Carlo Levi

La primavera comincia il 21 marzo e termina il 20 giugno. La giornate si allungano sempre di più e un tiepido sole riscalda la terra. Non c’è bisogno di indossare i pesanti abiti invernali, di tenere ben chiuse porte e finestre, di riscaldare la nostra casa: non fa più freddo…
E’ come aprire gli occhi dopo un lungo sonno e, come per incanto, come per incanto, vedere una natura nuova: sui monti la neve ha cominciato a sciogliersi e i torrenti sono gonfi e luccicanti; prati, boschi e giardini ricominciano a verdeggiare e alcuni fiori fanno capolino tra le vecchie foglie.
Gli alberi si rivestono di bottoncini verdi. Osserva questi bottoncini: essi danno piccole foglie di un verde intenso, le prime foglie nuove della primavera.
Nei giardini e nei frutteti i peschi e i ciliegi si coprono di fiori rosati e bianchi che il miracolo della natura trasforma in saporiti frutti. Di tanto in tanto una fitta pioggerellina va a ristorare le nuove pianticelle, assetate di vita. E’ una pioggerellina fine fine, lieve lievi, e le sue goccioline cadendo, rimbalzano qua e là, sugli esili fili d’erba, sulle tenere foglioline e le timide corolle dei fiori, diffondendo tutto intorno la musica della primavera.
A volte scoppiano gravi temporali che incupiscono per un attimo il limpido azzurro del cielo; ma non fanno paura e i tuoni sembrano brontolii di un gigante buono. Ritornano le rondini: dopo lunghi, estenuanti voli, riprendono possesso dei vecchi nidi. E se il nido è rotto o se le intemperie l’hanno rovinato o distrutto, le rondini non si perdono di animo: puoi vederle allora volare instancabili in cerca di terra fine, di pagliuzze, di lanuggine e lavorare con impegno alla ricostruzione del nido.
La primavera è una stagione tutta piena di voci, di movimenti, di risvegli.
Il cuculo lancia le sue sillabe gioiose sempre uguale, le galline chiocciano, gli uccelli cantano lieti sui rami; le farfalle, le formiche, i calabroni, i grilli, le api, ad innumerevoli altri insetti animano con i loro voli, i loro colori, i loro canti, il loro industrioso lavoro prati e giardini, mentre la lucertola, il riccio, la marmotta, il ghiro, escono dalle tane dove hanno trascorso, in letargo, il lungo e freddo inverno, per godersi il nuovo sole.
Nei campi un lavoro intenso attende il contadino: le tenere pianticelle di frumento devono essere liberate dalle erbacce che ruberebbero loro il nutrimento e le viti devono essere riassestate e irrorate. E’ tempo di concimazione e di semina; si seminano barbabietole, piselli, lino e canapa; si piantano gli alberelli degli olivi, dei gelsi e le pianticelle di alberi da frutta.

Perchè i fiumi si gonfiano in primavera

Col sopraggiungere della bella stagione, le acque dei fiumi diventano di giorno in giorno più abbondanti. Questo fenomeno è causato dallo scioglimento delle nevi: i vari torrenti che alimentano il fiume si arricchiscono dell’acqua che proviene da ghiacciai e nevai di alta montagna.

I lavori del contadino

Il contadino ritorna sempre più frequentemente nei suoi campi. Il lavoro da fare è tanto. Le tenere pianticelle di frumento devono essere liberate dalle erbe infestanti che ruberebbero loro il nutrimento: è il momento della sarchiatura. Vengono arati i campi che erano stati coltivati a foraggio in inverno e si preparano con concimazioni per la semina di fave, avena o granoturco. E’ tempo di sistemare i tralci delle viti sui fili zincati o su altri sostegni e di provvedere alle prime irrorazioni di sostanze antiparassitarie contro le più comuni malattie della vite (peronospora e oidio).
In primavera si provvede inoltre alla semina delle barbabietole da zucchero e da foraggio,dei piselli, del lino e della canapa.
Nei terreni preparati con scasso durante l’inverno, si piantano gli alberelli degli olivi, dei gelsi e le pianticelle degli alberi da frutta.

Il risveglio

In collina la fioritura è un mare di fragranti ondicelle rosee spumeggianti. I poggi verzicanti sono tondi e morbidi e sui vecchi tralci contorti i primi teneri viticci mettono un manto delicato.
E in pianura negli orti germogliano a perdita d’occhio in filari simmetrici le pallide lattughe e gli ispidi cavolfiori nani e i carciofini d’un verde bigio.
E gli alberi si vestono di gemme e da quelli fruttiferi i petali si staccano per posare in terra un tappeto bianco e rosa. I nuclei dei frutti gonfiano e si colorano: ciliegie e mele, pesche e pere, fichi gelosi che si tengono racchiuso il fiore nel cuore.
Tra i filari l’ortolano rovescia le zolle d’erba primaverile perchè l’erba interrata ingrassi la terra, scava solchi per far affiorare l’acqua e argina i solchetti perchè la trattengano, e dagli argini estirpa le erbacce che potrebbero rubarla alle piante.
Sulla vite i fiori minuti sbocciano il lunghi penduli corimbi. E man mano che la stagione si inoltra, il caldo aumenta e le foglie assumono una tinta più cupa.
Le susine si allungano in forma di uovo, i peruzzi in forma di perla, le pesche mettono la peluria. I fiori della vite schiudono i minuscoli petali e i duri pallini diventano bottoni verdi e i bottoni si fanno pesanti. (J. Steinbeck)

I giardini e i frutteti

Nei giardini e nei frutteti i peschi ed i ciliegi, prima ancora di rivestirsi di foglie o contemporaneamente al formarsi di queste, sbocciano in migliaia di fiori, rosati e bianchi: offrono per primi il nettare dello loro corolle alle api.

Le gemme

Gli alberi a primavera si svegliano e si preparano alla nuova fioritura. Le radici si allungano nella terra in cerca di nutrimento. L’acqua sale su per gli steli, i tronchi, i rami, ed ecco le gemme poste sui rami diventare più grosse.
Esse hanno incominciato a godere i primi tiepidi raggi di sole ed ora le loro piccole squame vischiose si aprono, lasciando intravvedere delle punte grigiastre: sono i sepali che,  come mani amorose, proteggono i bocci fiorali. In seguito le squame si curveranno all’esterno, per lasciare liberi i fiori di crescere, distendersi e ricevere tutta la luce. Intanto, da altre gemme, si libereranno le nuove foglie, dapprima delicate, poi robuste e vivaci.
Dalle gemme apicali, quelle poste sulle punte, usciranno i nuovi rami che daranno all’albero una chioma più abbondante.

Nelle gemme

E’ incredibile quanta roba sia rinchiusa nelle gemme. In quest’astuccio di squame, in uno spazio talora così piccolo, dove noi non sapremmo farci entrare neppure un seme di canapa, si trovano foglie a dozzine e interi grappoli di fiori. Il grappolo nascosto dentro una gemma di lillà possiede più di cento fiori. E tutto trova posto nella stretta valigia, senza che nulla sia lacerato od ucciso. Se si togliessero ad una ad una dal loro posto le diverse parti di una gemma, se si disfacesse la valigia, chi avrebbe l’abilità di rifarla?
Le foglie sono speciali per collocarsi nel minor posto possibile: assumono la forma di cornetti, si arrotolano, si piegano in due per lungo e per largo, si raggomitolano, si pieghettano o si chiudono a ventaglio. Osservate in primavera le gemme prossime a schiudersi: vi potranno insegnare a fare un giorno la vostra valigia!

Sveglia nel bosco

Il tepore di primavera e l’odore dell’erbetta nuova sono giunti fin nelle tane profonde, dove gli animaletti del bosco dormivano il lungo sonno. E i ricci, i tassi, i ghiri, gli scoiattoli si sono risvegliati. Sono usciti magri e affamati, hanno cercato subito il buon cibo fresco e si sono messi a mangiare avidamente.
Lassù tra il verde, seduto sul ramo d’un grosso faggio, un ghiro sta divorando alcune gemme appena schiuse.
Uno scoiattolo sgranocchia una pigna trovata per terra. La tiene agilmente con le zampine anteriori, mentre i denti aguzzi lavorano senza posa.

Nei pascoli alpini

Sui monti non sono ancora giunte le mandrie di mucche e le greggi belanti, eppure i pascoli solitari son già pieni di vita. Dalle tane profonde e foderate di fieno sono uscite le marmotte, dopo il letargo invernale. Il loro mantello bruno – grigio è un po’ sciupato, e lascia vedere il corpo molto dimagrito per il lungo digiuno. Ora corrono a frotte nelle vallette tranquille, mangiando a sazietà, mentre una di loro sta di guardia sopra un sasso. Se appena scorge qualche pericolo, lancia un fischio e tutte spariscono nelle tane.
La pernice, il gallo cedrone, le cornacchie riempiono l’aria di fruscii d’ali. Anche per gli uccelli di montagna è giunto il momento di preparare il nido e di covare.
Di notte, poi, escono numerose le arvicole, i piccoli topi della montagna, e la lepre alpina si aggira timorosa tra i cespugli, alla fioca luce lunare. Rizza le orecchie e annusa spesso l’aria con sospetto. Potrebbe giungere improvvisamente l’ermellino brigante, che azzanna e uccide senza pietà. Potrebbe piombare dal cielo qualche rapace notturno, e chi si salverebbe più dai forti artigli? Per questo occorre essere pronti a fuggire veloci, in ogni istante.
Nella montagna alta, intanto, camosci e stambecchi riposano sicuri negli anfratti, in attesa delle prime luci dell’alba, quando usciranno a brucare l’erba fresca di rugiada.

Tornano gli uccelli migratori

Nelle terre calde dell’Africa settentrionale le rondinelle, tutte chiuse nel loro bell’abito nero e bianco, si preparano a partire per il viaggio di ritorno, ora che è tornata la primavera.
Le rondini voleranno sopra deserti, mari, pianure, montagne. Un istinto meraviglioso le guiderà per migliaia di chilometri, e farà sì che esse riconoscano i nidi che ogni anno le aspettano.
Anche le gru, le anatre e le oche selvatiche, gli stornelli, i chiurli, le cicogne, le allodole, i vanelli e i falchi sono uccelli migratori.
Le gru cinerine, cioè di color cenere, volano formando nel cielo una grande V. Il loro volo è lento e maestoso. Lo sai che possono raggiungere perfino i 9.000 metri di altezza? Potrebbero cioè da sole, con il solo battito delle forti ali, posarsi sulla più alta montagna della Terra.
Le anatre selvatiche invece hanno un volo rapidissimo. Possono compiere in un’ora anche centoventi chilometri, quanti cioè ne fa un’automobile.
Gli storni invece formano in cielo delle grosse nubi nere, poichè volano in gruppi foltissimi e molto serrati.
Mettendo attorno alle zampe di alcuni uccelli migratori degli anellini di alluminio, con le indicazioni del luogo da cui ebbe inizio il volo, si è saputo, per esempio, che le cicogne dei paesi del nord Europa passano l’inverno nell’Africa del sud, dopo aver compiuto un viaggio di ben diecimila chilometri, senza neppure l’aiuto dei punti cardinali.

Come fanno ad orientarsi gli uccelli migratori?

Cose veramente straordinarie sanno fare gli uccelli migratori: si è notato per esempio che la rondine torna non solo nello stesso luogo, ma persino nello stesso nido che ha abbandonato l’anno precedente.
Come fa ad orientarsi in un percorso che è spesso di migliaia di chilometri?
Purtroppo non si è ancora in grado di rispondere con esattezza, e il problema dell’orientamento degli uccelli migratori rimane tuttora uno dei più appassionanti per la scienza moderna.
Si è supposto che gli uccelli sappiano calcolare per istinto l’angolo che la  loro strada deve avere in ogni istante rispetto alla direzione della luce solare.

Proserpina e la primavera

Proserpina era la figlia di Cerere, la buona dea che insegnava agli uomini come si fa a crescere il frumento. Ella aveva il capo coronato di spighe di frumento e portava con sè l’abbondanza e la gioia. Proserpina, sua figlia, era leggiadra e fresca come un fiore.
Un giorno Proserpina si trastullava in un prato con le compagne. Verde era l’erba e quieta l’aria, imbalsamata di profumi. Ad un tratto la terra si aprì accanto a Proserpina. Ne uscì un magnifico carro tirato da neri cavalli, e sul carro sedeva Plutone, che afferrò Proserpina, la rapì e la portò nel suo regno buio e tetro. Egli voleva che Proserpina, gentile e mite, diventasse la regina dell’inferno.
Invano Cerere cercò la sua cara figliola. Come pazza girò tutta la terra. Intanto non aiutava il lavoro degli uomini e trascurava i campi, che attendevano la sua benedizione.
Così i campi inaridivano e non davano più una spiga di frumento. Mancava il pane e la fame rattristava gli uomini.
Quando Cerere seppe che Proserpina era stata rapita da Plutone, supplicò che le fosse resa.
Plutone, allora, raccolse a consiglio tutti gli spiriti dell’inferno. Fu deciso che Proserpina potesse sì ritornare da sua madre, purchè non avesse assaggiato nulla dei cibi dell’inferno.
Per fortuna Proserpina, che era desolata di essere lontana da Cerere e di non rivedere la dolce terra bella di fiori, non aveva voluto mai toccar cibo. Solo, avendo visto delle bellissime melegrane rosse, ne aveva colto una.
“Allora” disse Plutone, “Proserpina deve rimanere qui!”
“No” dissero gli spiriti dell’inferno, “Proserpina dovrà stare quaggiù per tre mesi all’anno: e ne trascorrerà nove con la madre”.
E così fu fatto.
Ed ogni primavera, Proserpina, fresca e gentile, ricompare sulla terra; e il suo ritorno segna il primo germogliare del tenero frumento, il primo sbocciare dei fiorellini profumati. (E. G. Camillucci)

La primavera

Spunta da ogni dove, tra il verde del prato bucato dalle primule e dalle margheritine, all’angolo delle case dove sta il vecchio fico, nei bottoni dei cespugli, sui pennacchi nudi delle piante che si punteggiano di gonfie protuberanze, sotto i nostri stessi piedi, nell’aria che accarezza i nostri volti e rinfresca i nostri pensieri. Tutto intorno a noi pare voglia innalzarsi e volare: tutto tende all’alto,  e gli stessi uccelli sfrecciano più rapidi, e le prime rondini scivolano a larghe volate, che pare non abbiano mai a finire. Un profumo sottile e grato è nell’aria; un colore nuovo, che rinnova perfino le facciate delle case, i boschi e le valli.

Incanto della primavera

La primavera apre le grandi porte del cielo al sole, alla gioia, a tutte le cose belle. Le porte spalancate sono le nubi, che vanno sempre più lontane, diventano più lievi. Sulla terra, tutto si risveglia, tutto sorride, tutto canta, tutto si tinge di meravigliosi colori. Anche nel cuore delle persone più infelici rinasce la gioia, la letizia. Nel cuore dei bambini, nei loro volti, nei loro giochi sono già comparsi allegria ed esultanza.

Primavera nella valle

Il sole brillava, ma più ancora brillava il verde della vallata perchè ogni filo d’erba rifletteva la luce, e tutti i prati erano pieni d’oro e di verde, e macchie gialle, rosse e azzurre facevano capolino dalle siepi, dove i fiori si davano un gran daffare per le api. I mandorli e i biancospini erano fioriti, e più in basso i meli primaticci venivano su splendidi, in quattro file ben ordinate dietro la fattoria.
La mandria di mucche nere era tutta nel fiume immersa fino al ventre nell’acqua fresca e tranquilla; e le code mandavano spruzzi bianchi, ricadendo nell’acqua dopo aver scacciato le mosche; e più in su, le pecore non alzavano un momento il muso dall’erba tenera. Quando il vento riprendeva fiato, si sentivano brucare. (R. Llewellyn)

Nel mondo degli animali
Riprende la piena attività di molti animali in terra, nel mare, nei fiumi e nei laghi. Degli animali terrestri, il cervo perde le corna e si isola, le talpe sono in attività febbrili, le volpi cominciano ad uscire dalla tana.
Fra gli uccelli tornano le beccacce, gli storni e i colombi selvatici; le pernici volano a coppie; il merlo gira intorno alle macchie; l’allodola comincia a far udire il suo canto. Si possono vedere in volo anitre, cicogne, corvi e cornacchie. (D. Forina)

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Poesie e filastrocche sulla PRIMAVERA

Poesie e filastrocche sulla PRIMAVERA – una raccolta di poesie e filastrocche sulla primavera, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Coniglietti a primavera
Tre coniglietti
in fila breve
nasini al sole,
code di neve.
Tre coniglietti
fanno tre salti
e poi rosicchiano
foglie giganti.
Tre coniglietti
in lieta schiera
danzano in tondo:
è primavera!
(K. Jackson)

Bosco di primavera
Vola un profumo lieve
dal biancospin di neve;
splendon rugiade d’oro
sul mirto e sull’alloro.
Canta la cinciallegra
e il bosco si rallegra.
Fa uno starnuto il riccio
e la gazza il suo bisticcio,
ma c’è un garofanino
che sboccia lì vicino
e cinguetta capinera:
per dir che è primavera. (M. L. Magni)

Le foglioline
Dicon le foglioline appena nate,
al vecchio tronco: “Nonno, l’hai sentite
le rondini? Che splendide giornate!
Vedi? Non siam più tutte aggrinzite!
Ci siamo tese come le manine
carezzose dei bimbi; e i freschi venti
ci fanno vispe come farfalline,
e il sole ci fa tutte rilucenti. (C. Del Soldato)

Primavera
Nell’aria gli uccellini
nell’acqua i pesciolini
in terra i frutti e i fiori
di splendidi colori.
In cielo tante stelle,
ah, quante cose belle!

Le foglioline
Dicon le foglioline appena nate,
al vecchio tronco: “Nonno l’hai sentite
le rondini? CHe splendide giornate!
Vedi? Non siamo più tutte aggrinzite!
Ci siam tese come le manine
carezzanti dei bimbi: e i freschi venti
ci fanno vispe come farfalline,
e il sole ci fa tutte rilucenti”. (C. Del Soldato)

Primavera
Ecco ecco che è arrivata
primavera scapigliata,
primavera bella bella,
primavera pazzerella.
Son fioriti i biancospini,
nasceranno i rondinini
dentro i nidi verdi e gialli;
danzaranno i loro balli
le farfalle
bianche e gialle. (L. Galli)

Primavera
La nube rosata
che vaga nel cielo
ravviva l’aurora
del tiepido aprile.
Nei campi odorosi
di tenera erbetta
macchie di fiori
multicolori.
Le rondini sono
tornate ai nidii,
rifatti e puliti,
dell’altro autunno.
Incanto di mille
ridenti colori:
incanto
di primavera. (A. Russo)

Si sveglia la primavera
Quando il cielo ritorna sereno
come l’occhio di una bambina,
la primavera si sveglia. E cammina
per le mormoranti foreste,
sfiorando appena
con la sua veste
color del sole
i bei tappeti di borraccina.
Ogni filo d’erba reca un diadema,
ogni stilla trema.
Qualche gemma sboccia
un po’ timorosa,
e porge la boccuccia color di rosa
per bere una goccia
di rugiada… (U. Betti)

Primavera
Tre coniglietti
in fila breve
nasini al sole,
code di neve.
Tre coniglietti
fanno tre salti
e poi rosicchiano
foglie giganti.
Tre coniglietti
in lieta schiera
danzano in tondo:
è primavera! (K. Jackson)

Primavera
Primavera, primavera,
dolcemente scendi giù;
ben ti avverte in sulla sera
il cucù col suo cù, cù!
Ben ti avvertono nei prati,
dove l’erba rifiorì,
tanti grilli indaffarati
notte e giorno a far crì, crì!
A tal musica le piante,
metton fiori tutte quante. (Yambo)

Primavera
Lucciole belle venite da me,
son principessa, son figlia di re
ho trecce d’oro filato fino fino
ho un usignolo che canta sul pino
una corona di nidi alle gronde
una cascata di glicini bionde
un rivo garrulo limpido fresco
fiori di mandorlo, fiori di pesco
ho veste verde di vento cucita
tutta di piccoli fiori fiorita
occhi di stelle nel viso sereno
dolce profumo di viole e di fieno
e per il sonno dei bimbi tranquilli
la ninna nanna felice dei grilli (R. Pezzani)

San Benedetto
Ecco le rondini,
San Benedetto!
Rondini e rondini
che cercano i nidi
per ogni tetto
con striduli
gridi.
Cantano: “E’ primavera!”
E sfrecciano nei cieli
dalla mattina a sera.
Cantano: “E’ primavera!
E spuntano steli
su dalla terra nera.
Cantano : “E’ primavera;
è rinata
la vita,
è ritornata
la gioia ch’era
solo smarrita!”

Primavera
Primavera vien danzando,
vien danzando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Ghirlandette di farfalle
campanelle di vilucchi,
quali azzurre, quali gialle;
e poi rose, a fasci, a mucchi. Angiolo Silvio Novaro

Primavera
Quando tornan le rondini alle gronde
e di voli e di nidi empion la sera,
arriva la festosa primavera. (E. Pesce Gorini)

La Primavera
Di nuovo è tornata la Primavera.
C’è luce di giorno e di sera.
I giardini si riempiono di fiori.
Tornano i bambini a giocare fuori.
Di nuovo la verde raganella
canta la sua storiella.
Ma chi abita in città
non la sa
sa solo che fa cra-cra. (A. Grossi)

Primavera
Primavera… tutta gridi
d’uccellini dentro i nidi,
tutta fiori nel vestito
nuovo nuovo, fresco fresco,
rosa e lieve come il pesco,
per miracolo fiorito.
Primavera, ridi, ridi,
ridi al sole, ai fiori, ai nidi. (Giardina)

La buona novella
Il vento l’ha contata a un fil d’erbetta,
e l’erba la contò alla farfalletta.
La farfalla la disse ad un bambino:
“Non lo sai dunque? Ciccicì, ciccì!
La buona e bella primavera è qui! (R. Fumagalli)

Primavera
Le campanelle
raccontano alle stelle
che il sole, che il sole
fa nascere le viole…
A nuovo vestite
spuntano le margherite,
primule e mughetti,
cespugli e cespuglietti,
piante e piantine,
erbette fine fine…
E il sole ad ogni fiore
dà il suo colore.
Rosse le rose,
gialle le mimose,
candidi i gigli,
e tutti son suoi figli. (Lina Schwarz)

Primavera
Ecco ecco ch’è arrivata
primavera scapigliata,
primavera bella bella,
primavera pazzerella,
con il sole,
con le viole,
con i gridi,
con gli stridi
dentro i nidi.
Son fioriti i biancospini,
cresceranno i rondinini
dentro i nidi verdi e gialli;
danzeranno i loro balli
le farfalle
bianche e gialle. (L. Galli)

Primavera
Ed ecco che un susino
bianco sbocciò sul verzicar del grano.
Come un sol fiore gli sbocciò vicino
un pesco, e un altro. I peschi del filare
parvero cirri d’umido mattino.
Uscìano le api. Ed or s’udiva un coro
basso, un brusìo degli alberi fioriti,
un gran sussurro, un favellar sonoro.
Dicean del verno, si facean gl’inviti
di primavera. Per le viti sole
era ancor presto, e ne piangean, le viti,
a grandi stille, in cui fioriva il sole. (G. Pascoli)

Filastrocca di primavera
Filastrocca di primavera
più lungo è il giorno,
più dolce la sera.
Domani forse tra l’erbetta
spunterà la prima violetta.
O prima viola fresca e nuova
beato il primo che ti trova,
il tuo profumo gli dirà,
la primavera è giunta, è qua.
Gli altri signori non lo sanno
E ancora in inverno si crederanno:
magari persone di riguardo,
ma il loro calendario va in ritardo. (Gianni Rodari)

Note di primavera
La capinera prova una canzone
ricamata di trilli e poi cinguetta
come una scolaretta.
I grilli bisbigliano graziose parole
alle margherite, vestite di bianco.
Spuntano le viole…
A notte le raganelle
cantano la serenata per le piccole stelle. (Ugo Betti)

Primavera
“Primavera tutta bella,
che cos’hai nella cestella?”
“Io vi porto biancospini,
nidi nuovi d’uccellini,
erbe e fiori lungo i fossi,
alberelli bianchi e rossi,
cori di ranocchi e rane,
dolci suoni di campane. (Romana Rompato)

Risveglio
La primavera
si desta, si veste,
corre leggera
per prati e foreste.
Guarda un giardino,
ci nasce un fioretto,
guarda un boschetto,
c’è già un uccellino.
Guarda la neve,
già scorre il ruscello;
viene l’agnello,
si china e ne beve.
Guarda il campetto,
già il grano germoglia.
Tocca un rametto,
ci spunta una foglia.
Canta l’uccello
nel folto del rovo:
“Il mondo è bello
vestito di nuovo!”. (Renzo Pezzani)

Primavera in città
Primavera è venuta in città
e nessuno ancora lo sa.
Lo sa solo quel bambino
che laggiù in periferia
ha trovato un fiorellino
nel bel mezzo della via.
Ma anche gli altri la vedranno
e nel cuor la sentiranno
e perfin la grossa gru
resterà col naso in su
per veder la primavera
che nel ciel passa leggera.

La prima viola
E’ nata la prima violetta
tra la fresca erbetta
del prato
e ha detto, facendo l’inchino:
“Cantate!
Il bel tempo è vicino!”. (B. Marini)

La prima margherita
Si risvegliò la prima margherita
su l’erbe nuove, sopra il verde stelo.
Ancora tutta chiara e infreddolita
levò la testa per guardare il cielo:
vide venir la primavera e allora
gridò: “Fiorite, o sorelline, è l’ora!”. (Hedda)

Primavera
Viene la primavera
da una terra lontana.
Mette nell’aria un trillo.
Per la valle e la piana
tornata è primavera. (Renzo Pezzani)

Pioggia primaverile
La pioggia imminente
la sente
la rondine bassa
che passa.
Gocciò la campana:
la rana
di fuor dal paese
l’intese.
Nel cielo già lieve
vien greve
la nube e sul concio
fa il broncio.
Poi tac; picchietta
con fretta
sul fieno, sul grano
del piano.
Or ecco, d’un fiato
il prato
di gocciole intride,
sorride. (L. Carpanini)

Piccola nuvola di primavera
Dopo l’acquata le nuvole, pronte,
pigliano il volo, scavalcano il monte.
Or con la gonna di velo sottile,
la più pigra s’impiglia al campanile.
“Lasciami con codesta banderuola;
mi strappi tutta! Son rimasta sola!”.
Ma il campanaro senza discrezione
le risponde col campanone!
Che sobbalzo, che sgomento!
Per fortuna c’era il vento
che con tutta galanteria
la piglia e se la porta via.
La porta a spasso lieve lieve
sul torrente, sulla pieve;
tutto il mondo le fa vedere,
tetti rossi, maggesi nere…
Quanti bimbi lungo il rio!
E che brillio di vetri e foglie.
Quante vecchie sulle soglie!
Che festa, che chiacchierio!
Bimbi e rondini a strillare
e bucati a salutare. (Ugo Betti)

Goal
Giocano a calcio i grilli
e non lasciano tranquilli
i fiori circostanti.
Han scelto come palla una mimosa gialla.
Il grillo centravanti
la passa ad un terzino
che, con uno zampino,
le fa fare un bel volo
ad un palmo dal suolo.
Vicino a un paracarro
ci sta compar ramarro
che segue la tavolata
a bocca spalancata.
Compiuto il suo tragitto,
la palla poco esperta
finisce a capofitto
dentro la bocca aperta
del ramarro che dice:
-“Goal”- e tutto felice
per l’improvvisa pappa
ingoia il fiore e scappa. (L. Folgore)

Primavera
Se vien primavera,
con danza leggera
tesori disserra,
dal sen della terra
ed ecco la viola,
profuma l’aiuola
l’anemone bianco,
si culla al suo fianco
a crescer s’affretta,
la tenera erbetta
e lieve si china,
la margheritina.

Canti di primavera
Se vuoi sentir cantare la primavera,
fanciullo, va’ nel prato, chiudi gli occhi.
Verranno i grilli al calar della sera:
terran concerto insieme coi ranocchi.
Tra i fili d’erba terran concerto
in mezzo al prato, sotto il cielo aperto.
Se primavera vuoi sentir cantare,
ad occhi chiusi resta ad ascoltare. (M. Castoldi)

Primavera
Primavera è ritornata,
col vestito a più colori
ha la testa inghirlandata,
e un gran cesto di bei fiori
nidi e trilli lieta porta,
e un festoso cinguettare
la natura ch’era morta,
si ridesta al suo passare
con la voce più sincera,
ogni cuore ti saluta
chiara e dolce primavera, benvenuta!

Gioia
Mi svegliano al mattino
canti d’uccelli e mormorii di fronde.
Spalanco i vetri al sole: ed ecco il vento
entra col sole e intorno mi diffonde
il profumo dell’orto e del giardino.
O buon sole, o buon vento,
alberi, uccelli e fiori, vi saluto!
Ringrazio Dio del bene che mi date,
ringrazio Dio che il bel tempo è venuto
e grido con gli uccelli e son contento! (Milly Dandolo)

Primavera
Quando tornan le rondini alle gronde
e di voli e di gridi empion la sera,
arriva la festosa primavera. (E. Pesce Gorini)

Primavera
La primavera mi piace davvero
perché mi vesto più leggero
gioco fuori, mangio gelati
faccio le corse in mezzo ai prati.
Vado a passeggio con mamma e papà
questa è la vera felicità! (E.Severini)

Il vestitino bianco
Ben tornata, primavera,
che vesti di bianco i bambini
e fai cantare le capinere
nei giardini!
Anche la mamma povera, pel suo bambino,
vuol cucire un vestitino.
E cuce cuce, tutta la sera. U. Betti

Primavera
L’albero che sta innanzi alla marina
a primavera di fiori s’indora;
ci vien la lodoletta ogni mattina,
e si mette a cantar la bella aurora. (Canto popolare)

La filastrocca della primavera
Ecco ecco ch’è arrivata
primavera scapigliata,
primavera bella bella,
primavera pazzerella,
con il sole,
con le viole,
con i gridi,
con gli stridi
dentro i nidi.
Son fioriti i biancospini,
nasceranno i rondinini
dentro i nidi verdi e gialli;
danzeranno i loro balli
le farfalle
bianche e gialle. (L. Galli)

La buona novella
Il vento l’ha contata a un fil d’erbetta,
e l’erba la contò alla farfalletta.
La farfalla la disse a un passerino
e il passero la disse a un bambino:
“Non lo sai dunque? Ciccicì, cicì!
La buona e bella primavera è qui!” (Rosa Fumagalli)

Primavera
Viene la primavera
da una terra lontana.
Mette nell’aria un trillo.
Per la valle e la piana
tornata è primavera. (R. Pezzani)

Il risveglio dei fiori
Un bel mattino, ai primi dell’aprile,
un leprottino trepido e gentile
perlustrò la campagna, zolla a zolla
per ridestar dal sonno ogni corolla.
La pratolina, tutta bianca e rosa,
sollevò la faccina sonnacchiosa
e borbottò tra il sonno: “Chi mi desta?
Chi mi ha dato un colpetto sulla testa?”
Ma poi, vedendo splendere il bel sole,
si mise a dar la sveglia anche alle viole.
I giacinti, ricciuti e sbarazzini,
tornarono a fiorire nei giardini.
Gli anemoni leggiadri e gli asfodeli
fecero un bell’inchino sugli steli,
e in disparte, il vanesio tulipano,
si lustrò la corolla piano piano.
E tutti insieme, fiori e fiori e fiori
sciorinarono al sole i bei colori
era a vedersi una leggiadra schiera
simbolo eterno della primavera. (M. Dandolo)

La primavera si desta
La primavera
si desta, si veste
corre leggera
per prati e foreste.
Guarda un giardino
ci nasce un fioretto.
Guarda un boschetto
c’è già un uccellino.
Guarda la neve
già scorre un ruscello,
viene l’agnello
si china e ne beve.
Guarda il campetto
già il grano germoglia.
Tocca un rametto
ci spunta una foglia.
Canta l’uccello
nel folto del rovo:
“Il mondo è bello
vestito di nuovo!”

Primavera
Un ramo di pesco
vestito di rosa
un cantico fresco
nell’aria odorosa
un nido, un grido
il sole, tre viole
un soffio di vento
un rosso di sera
e il cuore è contento
perchè è primavera. (L. Caramellino)

Primavera
Se vien primavera
con danza leggera
tesori disserra
dal sen della terra.
Ed ecco la viola
profuma l’aiuola,
l’anemone bianco
si culla al suo fianco;
a crescer s’affretta
la tenera erbetta
e lieve si china
la margheritina.
Fra peschi rosati
che ornano i prati
trascorre giulivo
il garrulo rivo.
Nel cielo d’opale
è un fremito d’ale.
Ovunque si svela
la primavera
che vita ne adduce
su raggi di luce.

Primavera

Ed ecco che un susino
bianco sbocciò sul verzicar del grano.
Come un sol fiore gli sbocciò vicino
un pesco, e un altro. I peschi del filare
parvero cirri d’umido mattino.
Usciano le api. Ed or s’udiva un coro
basso, un brusio degli alberi fioriti,
un gran sussurro, un favellar sonoro.
Dicean del verno, si facean gl’inviti
di primavera. Per le viti sole
era ancor presto, e ne piangean, le viti,
a grandi stille, di cui fioriva il sole. (G. Pascoli)

La prima

Venne col vento, si posò, la prima,
sul comignolo antico e salutò.
Era già l’ombra della sera; in cima
ai greppi s’accendevano i falò.
Festeggiavano ai monti il santo buono
che ha un nome di bel tempo e di ventura,
e la campana gli sgranò col suono
tre corone di lodi, alla pianura.
Niuno seppe che dolcezza s’era
raccolta sulla casa quella sera,
sulla casetta placida dell’ava
dove la prima rondine posava. (Teresah)

San Benedetto

San Benedetto!
San Benedetto!
Fiori nei prati,
rondini al tetto!
Ecco s’avanza
il fraticello
agile e lieve
come un uccello.
Tiene celati
tutti i suoi doni:
rondini brune,
nidi, farfalle,
margheritine
candide e gialle.
Passa, lasciando
lungo la via
un’olazzante
tiepida scia:
note festose
di lieti canti,
tutti i sorrisi,
tutti gli incanti.
Ridono i bimbi.
Saltan giocondi,
li bacia il sole
coi raggi biondi.
San Benedetto!
San Benedetto!
Fiori nei prati,
rondini al tetto! (L. M. Martorana)

Giorno d’arrivo

Giorno d’arrivo il tuo, San Benedetto,
ecco una prima rondine che svola.
E trova i pioppi nella valle sola,
la grande pieve, il nido piccoletto. (G. Pascoli)

La primavera

Quando il cielo ritorna sereno
come l’occhio di una bambina,
la primavera si sveglia. E cammina,
per le mormoranti foreste,
sfiorando appena
con la sua veste
color del sole
i bei tappeti di borraccina.
Ogni filo d’erba reca un diadema,
ogni stilla trema.
Qualche gemma sboccia
un po’ timorosa,
e porge la boccuccia color di rosa
per bere una goccia
di rugiada.
Nei casolari solitari,
i vecchi si fanno sulla soglia
e guardano la terra
che germoglia.
A notte le raganelle
cantano la serenata per le piccole stelle.
I balconi si schiudono
perchè la notte è mite,
e qualcuno s’oblia
ad ascoltar quel che voi dite
alle piccole stelle,
o raganelle
malate di malinconia. (U. Betti)

Gemme
Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul declivo.
E tutto mi sa di miracolo:
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era. (S. Quasimodo)

Albero in fiore
E dove li tenevi,
alberino lucente,
i fiori che ora levi
e non pesano niente?
Eri, a gennaio, brullo:
la neve ti vestì.
Stamane, al primo frullo,
il corpo ti fiorì.
Ora, il cielo sereno
guardi, tutto un chiarore…
Di gioia vieni meno?
Ringrazi Iddio Signore?
Passa la brezza e coglie
petali e poi li sperde
per zolle ancora spoglie,
sul primo fiato verde.
Un attimo… e non sei.
Ma la tua luce dura
in fondo agli occhi miei,
candida fioritura. (M. Castoldi)

Il ciliegio
Ho un ciliegio nell’orto
(proprio sotto il murello)
vecchio rugoso e storto
che rinnova il mantello
a ogni primavera;
e tra le nuove foglie
quando viene la sera,
i passeri raccoglie.
Nel sussurrar del vento
tra il cinguettar vivace,
parla sereno e lento:
“Son vecchio ma mi piace
allargare i miei rami
nell’aria cilestrina
udir questi richiami
di sera e di mattina…” (G.  Fanciulli)

Nell’orto
Questa notte, un miracolo pare,
è passato qualcuno nell’orto:
stavan mute le stelle a guardare.
Non sembrava il bel mandorlo morto?
Non sembrava il bel mandorlo secco?
Ma qualcuno con mano leggera
ha posato farfalle a ogni stecco
per poi ratto fuggire. Chi era?
E stamane, ne chiaro mattino,
un bambino riguarda stupito,
e gli pare un sorriso divino
il bel mandorlo nuovo e fiorito. (T. Stagni)

Tempi belli
…Ora comincia
il tempo bello. Udite un campanello
che in mezzo al cielo dondola? E’ la cincia.
Comincia il tempo bello.
Udite lo squillar d’una fanfara
che corre il cielo rapida? E’ il fringuello.
Fringuello e cincia ognuno già prepara
per il suo nido il mustio e il ragnatelo;
e d’ora in ora primavera a gara
cantano uno sul pero, uno sul melo. (G. Pascoli)

Maltempo
Sono stanco.
Stanco di questa pioggia
che viene giù minuta
insistente
noiosa.
Stanco del fango
di queste sporche gore.
Stanco del vento
che fischia tra le imposte
ed urla minaccioso
tra gli alberi del bosco.
Stanco del rombo
del torrente
che croscia
lontano nella valle
con lavorio di massi.
Stanco del freddo
che mi raggela il sangue
e mi perfora l’ossa.
Stanco di questa nebbia
che occlude gli orizzonti
ed imprigiona il sole.
Stanco forse perchè
ho tanta
voglia di sole!  (M. Macchione)

Nuovo tempo
Stamane per le strade di campagna
il cielo è dentro le pozzanghere.
La pioggia di tre giorni ristagna,
un biondo vento soffia in su le nuvole.
Mussole e lini bianchi
palpitano sulle siepi.
I rametti già così stanchi,
in vetta d’improvviso gemmano.
Le passere lascian la pigrizia,
sbucano dal loro ciuffo di piume,
nuove alla nuova delizia
saltellando il capo scuotendo.
Dalla terra odore di essenze.
Tra il verde, rado stupore di case. (M. Dazzi)

Primavera è nell’aria
Stanotte s’è messa in cammino
la primavera nell’aria.
D’intorno, sul capo, la svaria
un velo di stelle turchino.
Il suo profumo è un sospiro
diffuso sui freschi giardini.
La terra non ha più confini,
il mare non ha più respiro.
L’alba sorride cogli occhi
dalle lunghe ciglia di cielo.
Vibra negli orti ogni stelo
come se una mano lo tocchi.
Le strade hanno tenui tremori
di verde lungo i fossati.
Gli alberi si sono svegliati
con bianche ghirlande di fiori. (G. Villaroel)

Primavera
C’è tra i sassi, ieri non c’era,
l’erba, che trema come un verde fuoco:
l’ha perduta nel gioco
la giovane primavera.
La pecorella, vestita di lana,
ora strappa le tenere foglie,
e, per ogni ciuffo che coglie,
batte un tocco di campana.
A quel suono fiorisce il pesco;
si schiudono le finestrelle
e le rondini dal cuore fresco
giungono dalle stelle.
Ogni cosa ha la sua festa
(poichè brilla come bandiera
il bucato alla ringhiera)
e le ragazze un fiore in testa.
L’acqua chiocca nella peschiera
rotonda come una secchia
e l’allodola dentro vi specchia
il suo canto di primavera. (R. Pezzani)

Primavera
Quando il cielo ritorna sereno
come l’occhio d’una bambina
la primavera si sveglia. E cammina
per le mormoranti foreste,
sfiorando appena
con la sua veste
color del sole
i bei tappeti di borraccina.
Ogni filo d’erba porta un diadema,
ogni stilla trema.
Qualche gemma sboccia
un po’ timorosa,
e porge la boccuccia color di rosa
per bere una goccia
di rugiada…
Nei casolari solitari
i vecchi si fanno sulla soglia
e guardano la terra
che germoglia.
A notte le raganelle
cantano la serenata per e piccole stelle.
I balconi si schiudono
perchè la notte è mite,
qualcuno s’oblia
al ascoltare quel che voi dite
alle piccole stelle,
o raganelle
malate di malinconia. (U. Betti)

Pioggia primaverile
La pioggia imminente
la sente
la rondine bassa
che passa.
Gocciò la campana:
la rana
di fuor del paese
l’intese.
Nel cielo già lieve
vien grave
la nube e sul concio
fa il broncio.
Poi tac; picchietta
con fretta
sul fieno, sul grano
del piano.
Or ecco, d’un fiato
il prato
di gocciole intride,
sorride. (L. Carpanini)

Anche il mare
Anche il mare ha la sua primavera:
rondini all’alba, lucciole la sera.
Ha i suoi meravigliosi prati
di rosa e di viola,
che qualcuno invisibile, là, falcia,
e ammucchia il fieno
in cumulo di fresche nuvole. (C. Govoni)

E’ primavera
Il sole batte, con le dita d’oro,
alle finestre. Uno squittio sottile
è sui tetti. Nell’orto la fontana
ricomincia a cantare. E’ primavera.
Le chiese, in alto, con le croci accese,
i monti immensi con le cime rosa,
le strade bianche con gli sfondi blu.
E’ primavera. E’ primavera. Il cielo
spiega gli arazzi delle nubi al vento.
L’albero gemma. Verzica la terra.
Nel cortile la pergola è fiorita.
Ai balconi: le donne in vesti chiare.
E’ primavera. E’ primavera. E il mare
ha un riso azzurro e un brivido di seta. (G. Villaroel)

Dove vai San Benedetto
Stamattina a casa mia
si fermò San Benedetto;
mi svegliò con la poesia
delle rondini sul tetto,
del colore d’un suo fiore,
delle gocce di rugiada
sull’erbetta della strada.
Dove vai, San Benedetto?
Sopra i rami nudi e brulli,
dolci frutti
d’ali al vento.
Lungo i cigli fior vermigli.
Tra le pietre del muretto
son sbocciati a cento, a mille,
campanelle,
fiori bianchi, fiori a stelle…
Dove vai, San Benedetto?
Se n’è andato il buon vecchietto
con il sacco ed il bastone.
Mi ha lasciato una canzone:
la dolcissima poesia,
fresca, fresca, come un fiore,
delle rondini sul tetto,
delle gocce di rugiada
sull’erbetta della strada. (C. Ronchi)

Attesa
Son disseccate ancor tutte le aiuole;
nervosa ancor la terra, umida e ghiaccia,
ma il vento le nuvole discaccia
e riappare sfolgorante il sole,
che col fecondo palpito l’abbraccia;
già nei cespugli mammole, viole
spuntan, timide di sentirsi sole;
qualche gemma sui rami irti s’affaccia.
(D. Garoglio)

Disgelo
Case nel sole: una striscia di giallo,
di scialbo giallo, su prati nevati.
(Alberi, dietro: alti pioppi sfumati
dentro un sottile pulviscolo d’oro).
Lucide chiazze di cupo viola
sui tetti bianchi; la neve si sfa.
Finestre aperte; bucato a festoni;
donne affaccendate… E’ l’inverno che va…
(D. Valeri)

Stagione incerta
E’ presto ancora: v’è del gelo ai fossi,
della brina sugli embrici del tetto,
quasi inverno… ma già si allunga il giorno
e là dietro la siepe
s’alza un palpito bianco di farfalle;
poi verranno le rondini dal mare;
e al tempo benedetto delle messi
(rosso il trifoglio, bionde, alte le spighe)
l’allodoletta trillerà sul grano.
Oh, come corre rapido il pensiero!
Già coglie il fiore non ancora nato,
affretta arrivi e voli.
Ma per ora non v’è che questo incerto,
liquido cielo, questa terra spoglia,
quest’odor d’erba nuova e di bucati.
(A. Brondi)

Bel mare
Un bel mare, così, tutto nuovo,
verdino come il grano dei campi,
con bianchi sbuffi di spume e lampi
di diamanti sulla sabbia d’oro,
un bel mare così, sotto un cielo
grigio lanoso, gonfio di sole
che sta per rompere come un fiore
di giaggiolo dal suo nodo di velo,
un mare così basta a far primavera;
e subito par che la gioia ritorni…
Il rombo delle onde è come un cuore
che batta ovunque, che batta forte.
Morto ogni ricordo di morte;
perchè c’è il mare, perchè c’è il sole.
(D. Valeri)

Primavera vicina
Più morbida, più lieve
l’aiuola, ecco, s’inturgida;
candide come neve
ondeggian le campanule,
un vivo odor di fuoco
va dispiegando il croco;
il suol di sangue stilla,
lo smeraldo sfavilla.
Le primule si gonfiano
con borioso piglio;
mentre l’astuta mammola
s’asconde ad ogni ciglio,
un alito possente
scuote la vita intera.
E’ viva, è qui presente
ormai la primavera.
(J. W. Goethe)

Primavera imminente
Nel bianco cespuglio chi canta?
Il rossignolo.
Ingannato dal suo desiderio di primavera
ha scambiato gli ultimi fiocchi di neve
per i fiori di pruno.
(Sosei – celebre bonzo del secolo IX)

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Recite per bambini – La bella Primavera e Primosole

Recite per bambini – La bella Primavera e Primosole. La recita è scritta in rima da Lina Schwarz e racconta lo scorrere delle stagioni; anche il libro illustrato di Sibylle v.Olfers  racconta di Madre Terra, delle stagioni, e dei piccoli semi…

Wurzelkinder, i bimbi radice è diventato un classico della letteratura per l’infanzia in lingua tedesca. Scritto e illustrato da Sibylle von Olfers all’inizio del secolo scorso, non ha mai perso la sua attualità. Con delicatezza e poesia le illustrazioni e il testo ci narrano dei bimbi radice che, come i fiori e le piante del bosco, si svegliano a primavera per sbocciare in estate e tornare a riposare alla fine dell’autunno. Età di lettura: da 3 anni. Io ce l’ho in tedesco, dono di una cara amica, ma ne è uscita l’edizione italiana:

Wurzelkinder, i bimbi radice

Madre Terra
(vecchia, veste un immenso mantello bruno, che copre tutto intorno a lei. Accovacciata in mezzo alla scena. Davanti a lei dorme distesa la bella Primavera)
Di notte e di giorno, di mattina e sera, sempre tu dormi, oh figlia Primavera! La Madre Terra che non si conforta che tu sia morta, ti canta la nanna, come dormissi in braccio alla tua mamma. Di notte e giorno, di mattina e sera, sempre tu dormi, oh figlia Primavera!

Il ricordo dei giorni belli
(vestito d’azzurro con una stella in fronte; entra in punta di piedi e parla sommesso…)
Ti ricordi com’era bella la figlia tua, quando rideva d’aprile, e tutto il mondo brillava di luce e i fiori sbocciavano a gara, e tutta l’aria trillava di canti d’uccelli?

Madre Terra
(singhiozza col capo tra le mani)
Oh, se era bella la figlia mia! Più bella dei fiori e più soave del canto degli uccelli! Più bella della luce stessa. Ed ora è morta, Ohimè! Ohimè!

Ricordo dei giorni belli
Ti ricordi i crepuscoli sereni, quando il cielo era tutt’una fioritura di giacinti, che la piccola falce della luna andava mietendo a poco a poco, affinchè potessero brillare le sue figlie, le stelle?

Madre Terra
(Sollevando il capo)
Ma la figlia mia era più fulgida di tutte le stelle! Ed ora è morta! Ohimè! Ohimè!
(si rimette a singhiozzare)

Ricordo dei giorni belli
Ti ricordi quando Primosole l’amò e la volle sua sposa? Andavano insieme per la foresta e sotto i loro piedi tutto rinverdiva. E la bellezza dell’una faceva sfolgorare lo splendore dell’altro; nel vederli tutto il mondo gridava: “Com’è bella la vita!”. Una cosa più meravigliosa non s’era vista mai.

Madre Terra
Ed ora è morta! Morta!

Ricordo dei giorni tristi
(vestito di grigio, con un velo nero intorno al capo)
Ti ricordi quando giunse l’estate crudele a rapir Primosole alla sua sposa? Severa, imperiosa, gridò: “Perchè indugi così tra i fiori e i sorrisi? Il mondo ha bisogno di te! Vogliono spighe i miei campi! Vogliono frutti i miei alberi! Vogliono grappoli maturi le mie vigne! Al lavoro! Al lavoro!”

Madre Terra
E Primosole partì, fedele al suo dovere

Ricordo dei giorni tristi
E partendo cantò un canto meaviglioso.

Coro
(da dietro le quinte come un eco)
Primavera, dolce amore, da te parte il tuo signore. Primosol dai raggi d’oro ha un divino suo lavoro, che gli toglie amor giocondo per amor di tutto il mondo, tutto il mondo che lo vuole: “Dammi vita, oh sole, oh sole!”

Madre Terra
Ed essa, dolcemente, soavemente, lo lasciò partire. “Va, splendi e matura!” gli disse. Gli mandò il più luminoso dei suoi sorrisi, lo seguì con lo sguardo. E poi… quand’egli dileguò nella lontananza, mi cadde tra le braccia addormentata per sempre

Tempo
(vecchio, curvo, con una lunghissima barba bianca ed una falce in mano)
Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa, chi dorme si sveglierà.

Vento di tramontana
(prorompe sulla scena con violenza, urlando e sibilando, scompigliando col suo grande mantello svolazzante tutti i fiori e le foglie sparsi per terra. Davanti a lui fuggendo entrano le foglie secche e i semini)
La fine! La fine! Ecco la mia gloria, il mio trionfo! Ecco le mie ultime vittime! Oh morte! Oh gioia! Tutto è devastato! Tutto è distrutto! Non più una foglia sugli alberi. Io solo regno ormai! Io solo padrone del mondo!

Tempo
(in disparte)
Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: il male si annienterà.

Le foglie secche
Brillava magnifica la nostra foresta, trillava di giubilo ogni albero in festa. Quand’ecco il gran brivido di morte ci assale, col vento fatale. Quel soffio malefico che tutto distrugge, c’investe strappandoci all’albero e fugge. Rapite dal turbine, lontane dal ramo, disperse moriamo.

Tempo
Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: che piange sorriderà.

Madre Terra
(raccogliendo dolcemente le foglie le compone a dormire intorno al giaciglio di bella Primavera)
La madre che piange la figlia sua morta, pietosa le lacrime degli altri conforta; nel seno amorevole qui tutte raccoglie le povere foglie.

I semini
Siamo semini piccini piccini, nati e cresciuti dentro scatolini: bei scatolini fatti dai fiori…oh, come ci si stava da signori! Ed ora? Ohimè, per la ribalderia di quel ventaccio che ci spazza via, eccoci sparsi, poveri semini! Che sarà mai di noi così piccini?

Tempo
Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: chi è piccolo crescerà.

Madre Terra
(li raccoglie e li mette a dormire intorno a bella Primavera, poi li copre tutti col suo grande mantello, si accoccola e s’addormenta anche lei)
La madre che piange la figlia sua morta, pietosa le lacrime degli altri conforta; nel seno amorevole raccoglie qui insieme fin l’ultimo seme.

Ricordi tristi e ricordi belli
(insieme)
Morte, morte! Dura sorte! Ogni vita ha l’ore corte. Vien la morte e picchia forte, perchè le aprano le porte. Morte morte, dura sorte!

Tempo
Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: chi è morto rinascerà.
(esce con passo lento e misurato)

Neve
(dopo un intervallo di silenzio, entra in punta di piedi, con passo leggero e saltellante, vestita di bianco e scuotendo candidi fiocchi dalle braccia levate)
Lieve lieve, nel sonno greve, cade la neve. Fior senza stelo, bacio di gelo, scende dal cielo. Segnano l’orme sull’uniforme terra che dorme, soavi e buoni sogni e visioni, benedizioni.
(cala il sipario; si riapre con uno squillo di tromba)

Tempo
(entrando)
Il tempo ve l’ha detto, il tempo che tutto sa: chi è morto rinascerà.

Madre Terra
(altro squillo di tromba, Madre Terra comincia a muoversi, agita le braccia con movimenti lenti e misurati, sollevando come a ondate il grande mantello)
Semi! Piccoli semi! Svegliatevi dal sonno! Su, su, piccoli dormiglioni! Il tempo torna, è l’ora, è l’ora!
(Li tocca uno ad uno carezzandoli)

Tempo
Il tempo ve l’ha detto, il tempo che tutto sa: chi dorme si sveglierà.

Semini
(Si sfregano gli occhi e si stiracchiano)
Dal sonno ci svegliamo, semini più non siamo. Guardate, ormai si mette germogli e radichette. Miracolo stupendo! Mentre stavam dormendo, ognun di noi s’apriva; or siamo piante, evviva!
(ora sono adorni di foglie sul capo e di radici ai piedi; agitano le fronde con le mani e si contemplano con meraviglia)

Madre Terra
(Da sotto il mantello escono fiori, altri entrano da fuori scena e insieme formano un semicerchio intorno a bella Primavera)
Bravi! Bravi! Come siete germogliati bene! Bravi semini, ed ora a voi foglioline! A voi fiori! Su tutti, da bravi! Margheritine, violette, primule, campanelline. E voi miosotodi, crochi, ranuncoli, reseda, anemoni, lillà, amorini… Lesti, piccini, pronti a fiorire! Il tempo torna, e Primosole già sento venire!

Primosole
(Inizia a parlare da fuori, finchè arriva dalla bella Primavera e la bacia… lei comincia a muoversi)
Primavera, dolce amore, fa ritorno il tuo signore! Primosole dai raggi d’oro ha compiuto il suo lavoro, e ritorna a lei che l’ama, che nel sonno ancor lo chiama, che da lui baciata vuole ridestarsi al mondo, al sole.

I fiori e i semi
(in girotondo)
Margheritini, violette, primule, campanelline, e voi miosotidi, crochi, ranuncoli, reseda, anemoni, pronti alla festa! Vien Primosole, e bella Primavera si ridesta!

Bella Primavera
(si alza)
Son desta o sogno ancor? Non ero morta! Dolce era il sogno. Accanto ognor gli fui nel lungo viaggio; sempre fui sua scorta, la fida scorta che vegliò su lui.

Primosole
Io ti sentii, soave compagnia, mentre seguivo la mia lunga via. Sentivo il tuo pensiero, o dolce sposa, che mi spronava all’opera gloriosa.

Bella Primavera
Ed io sentivo nel sonno profondo l’anima mia più forte e più sicura, e ti dicevo: aiuta, aiuta il mondo! Dà luce e vita, vai, splendi e matura!

Primosole
Fu la potenza del tuo santo amore, che luce e vita diede al mio calore, fu la dolcezza del tuo cuor profondo, che mi diede la forza di illuminare il mondo.

Primavera e Primosole
(insieme)
Come una madre mi ha di te nutrito, t’ho di me nutrito, sia benedetto il dì che ci ha riunito.

Tempo
(si inginocchia guardandoli con reverenza)
Il tempo che tutto ha visto, il tempo che tutto sa, dinanzi a tal miracolo sente l’eternità.

Fiori e semi
(si inginocchiano in semicerchio guardandoli)
Come risplendono, come sono belli! Spiri di zefiri, voli d’uccelli, sorrisi d’angeli, passano su loro.

Madre Terra
(getta il mantello e appare ringiovanita)
E contemplandovi forme leggiadre, v’intona un cantico la Terra Madre: “Al mondo, amandovi, donate amore!”

Rugiada
(dopo un silenzio, entra con passo leggero)
Su voi la rada gocciola cada della rugiada. E’ il ciel che manda questa sua blanda sacra bevanda. Ogni creatura goda la pura rinfrescatura, che il mondo invita a nuova vita.
(cala il sipario)

Testo: Lina Schwarz
Illustrazioni: Sibylle v.Olfers (Etwas von den Wurzelkindern, edizioni Esslinger)

Della stessa autrice (solo in lingua inglese):

THE STORY OF THE WIND CHILDREN 

MOTHER EARTH AND HER CHILDREN 

THE STORY OF LITTLE BILLY BLUESOCKS

THE STORY OF THE SNOW CHILDREN 

 

THE PRINCESS IN THE FOREST

THE STORY OF THE BUTTERFLY CHILDREN

Poesie e filastrocche: Le quattro stagioni

Poesie e filastrocche: Le quattro stagioni. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

I doni
Primavera vien danzando,
vien danzando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
ghirlandette di farfalle
campanelle di villucchi,
quali azzurre quali gialle
e poi rose a fasci e a mucchi.
E l’estate vien cantando,
vien cantando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
un cestel di bionde pesche
vellutate, appena tocche,
e ciliegie lustre e fresche
ben divise a mazzi e a ciocche.
Vien l’autunno sospirando,
sospirando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
qualche bacca porporina
nidi vuoti rame spoglie,
e tre gocciole di brina
e un pugnel di morte foglie.
E l’inverno vien tremando,
vien tremando alla tua porta
sai tu dirmi che ti porta?
un fastel d’aridi ciocchi
un fringuello irrigidito,
e poi neve neve a fiocchi
e ghiaccioli grossi un dito.
La tua mamma vien ridendo
vien ridendo alla tua porta;
sai tu dirmi che ti porta?
Il suo vivo e rosso cuore,
e lo colloca ai tuoi piedi,
con in mezzo, ritto, un fiore;
ma tu dormi e non lo vedi. (A. S. Novaro)

Le stagioni

Diceva primavera: “Io porto amore
e ghirlande di fiori e di speranza”.
Diceva estate: “Ed io, col mio tepore,
scaldo il seno fecondo all’abbondanza”.
Diceva autunno: “Io spando a larga mano
frutti dorati alla collina e al piano”.
Sonnecchiando diceva inverno annoso:
“Penso al tanto affannarvi e mi riposo”.

Le quattro stagioni
Di fior si smaltano prati e giardini
attorno un’aura spira leggera;
gioite: arriva per voi, bambini, la primavera.
Ma già nel campo matura il grano,
dal sol le viottole sono infocate;
cantan cicale… suda il villano:
ecco l’estate.
Cade il settembre: le viti spoglie
furon dell’uve di licor piene,
l’aria rinfresca, cadon le foglie:
l’autunno viene.
Le notti allungano, s’infosca il cielo;
dal freddo il fiore spira consunto;
sulla campagna domina il gelo:
l’inverno è giunto. (E. Panzacchi)

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