Acquarello steineriano: La leggenda del lago di Carezza

Acquarello steineriano: il racconto della leggenda del Lago di Carezza e i tutorial per fare delle esperienze di pittura ad acquarello su foglio bagnato coi bambini, elaborate prendendo libera ispirazione dalla tecnica usata nelle scuole steineriane (o Waldorf)…

La leggenda può essere raccontata in terza classe, quando si parla degli ambienti naturali (montagna, collina, pianura, laghi, fiumi, ecc…) o in quinta parlando del Trentino Alto Adige; per questo ho inserito progetti più complessi per i più grandi, e più semplici per i piccoli…

(Per avere maggiori informazioni sulla tecnica, la preparazione dell’ambiente e dei materiali, ecc…puoi leggere qui)

La leggenda del lago di Carezza

Il lago di Carezza è anche detto “Lago dell’Arcobaleno”. Infatti nelle sue acque si vedono riflessi iridescenti, con tutti i colori dell’arcobaleno.

La leggenda racconta che molti e moli anni or sono nel Lago di Carezza viveva una bellissina ondina. Sovente saliva a fior d’acqua, si sedeva sulla sponda e cantava dolcemente. Ma se udiva avvicinarsi qualcuno, si rituffava immediatamente  nelle onde.

Presso il lago c’è un grande bosco, che giunge fino in vetta al monte Latemar. Nella foresta abitava uno stregone. Egli un giorno vide la bellissima ondina e ne ne invaghì.

Andò sulla sponda del lago e la chiamò, chiedendole di mostrarsi e dicendole che ne avrebbe fatto la sua sposa.  Ma l’ondina non gli diede ascolto e rimase in fondo al lago.

Allora lo stregone ricorse all’astuzia: si trasformò in una lontra, si acquattò tra le pietre, vicino alla riva, e attese che l’ondina uscisse dall’acqua e si mettesse a cantare al sole.

Gli uccellini del bosco solevano radunarsi sugli alberi vicino alla riva per ascoltare il canto dell’ondina e imparare da lei le più dolci modulazioni. Quando videro la perfida lontra avvicinarsi a tradimento, si misero a svolazzare di qua e di là inquieti, con brevi gridi di angoscia. E l’ondina, che stava appunto affiorando, comprese che un pericolo la minacciava e tornò in fondo al lago.

Furibondo lo stregone andò sul monte Vajolon a consultare una vecchia strega che abitava lassù in una caverna. La vecchia si fece beffe di lui, ridendo del fatto che lui, mago potente, si era fatto canzonare dal una piccola ondina.

Poi gli  disse: “Ascolta, l’ondina non ha mai visto un arcobaleno… fabbricane uno bellissimo, che col suo arco vada dalla vetta del Latemar al lago. L’ondina certo verrà fuori ad ammirarlo. Tu intanto trasformati in un vecchio mercante e avvicinati alla riva come se nulla fosse. Poi tocca l’arcobaleno dicendo: <<Oh, questo è il tessuto con cui si fanno il vestito le figlie dell’aria!>>. Certo l’ondina incuriosita, verrà a parlare con te. Tu allora invitala a casa tua a vedere le vesti delle figlie dell’aria e gli altri tesori. Ti seguirà senza dubbio…”.

Lo stregone, entusiasta del consiglio della vecchia maga, fabbricò l’arcobaleno, e l’ondina salì a fior d’acqua per ammirarne l’iridescente splendore. Ma era furba, e anche sotto il travestimento da mercante riconobbe l’odiato stregone: con un fulmineo guizzo si rituffò nell’acqua.

Il mago fu invaso da un terribile furore: afferrò l’arcobaleno, lo schiantò con selvaggia violenza e lo buttò nel lago. Poi fuggì nella foresta imprecando.

Tutorial: Il mago cattivo e l’ondina – per i più grandi

Colori usati: giallo limone, blu oltremare, blu di Prussia, rosso carminio, rosso vermiglio

Iniziamo facendo una piccola macchia gialla sul foglio (la luce dell’ondina) ed intorno giochiamo col blu oltremare con movimenti acquosi che avvolgono l’ondina dolcemente, fino a formare il lago:

Tutto intorno al lago illuminiamo il foglio con il giallo limone, che brilla come la luce dei diamanti (il mondo minerale):

Portiamo nel mondo minerale acqua (blu di Prussia) e creiamo il mondo vegetale, assecondando il movimento del giallo(la foresta):

e per creare le montagne rinforziamo l’elemento minerale (ancora blu di prussia), in alto:

Le montagne sono forti e maestose, aggiungiamo questa forza (rosso carminio):

Individuiamo tra il verde della foresta le macchiette di verde più scuro e doniamo ad ogni albero il suo tronco:

quindi con altro blu di Prussia ed altro giallo limone giochiamo a definire gli alberi più grandi della foresta:

Nella foresta si nasconde il mago cattivo, inseriamo la luce rossa della sua presenza:

Con del giallo limone facciamo cantare l’ondina, in modo che la sua luce si propaghi un po’ intorno a lei a semicerchi di luce:

Se i bambini se la sentono, si possono definire le due figure all’interno della loro luce utilizzando un pennellino più sottile:

Il mago cattivo e l’ondina – per i più piccoli

Colori utilizzati: giallo limone, blu oltremare, blu di Prussia, rosso vermiglio.

Creiamo sul foglio una bella luce gialla accogliente, che lascia vicino al suo cuore lo spazio per l’amico che deve arrivare:

L’amico atteso è la luce dell’acqua del lago (blu oltremare), ma anche questa luce lascia vicino al suo cuore lo spazio per una terza amica:

Mentre aspettiamo questa amica del giallo e del blu, un’altra luce entra a disturbare l’armonia: la luce rossa del mago cattivo…

Ed ecco che la bella luce dell’ondina si tuffa nel blu:

Il lago è felice e si espande sempre più, facendo nascere attorno a sé tanto verde (blu di Prussia molto diluito sul giallo limone), formando foreste e montagne:

L’esperienza di può concludere così oppure, se i bambini se la sentono, possono definire meglio le figure dell’ondina e del mago all’interno delle loro luci, con un pennellino più piccolo:

Il mago stende l’arcobaleno tra il monte e il lago – Per i più piccoli

Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro, blu oltremare, blu di Prussia, rosso vermiglio, rosso carminio.

Cominciamo col blu oltremare, creando in basso il lago, quindi facciamo scendere partendo dall’alto una bella luce gialla che va ad accarezzarlo:

Creiamo la montagna verde col blu di Prussia sul giallo limone, aspettando l’arcobaleno. Per l’arcobaleno usare intorno alla montagna:

– rosso vermiglio

– giallo oro  su parte del rosso(arancione)

– giallo limone

– blu di Prussia su parte del giallo (verde)

– blu oltremare

– rosso carminio sul blu oltremare (viola)

L’arcobaleno rimane per sempre nel lago con l’ondina – Per i più piccoli

Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro, blu oltremare, blu di Prussia, rosso vermiglio, rosso carminio.

Una bella luce gialla accogliente sulla parte più esterna del foglio guarda l’ondina, che sta al centro:

Tutte le luci dell’arcobaleno, una alla volta, la abbracciano. Prima il rosso proprio attorno a lei, poi tutte le altre, fino a riempire tutto il lago:

Infine la luce dell’acqua del lago crea montagne e foreste intorno – pittura (quasi) asciutta:

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Dettati ortografici letture e poesie su Venezia

Dettati ortografici letture e poesie su Venezia – un raccolta di dettati ortografici, letture e poesie, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche varie.

Festa notturna a Venezia

Fantasmagoria di luci, di moltitudine, di architetture, d’acqua in subbuglio a specchio di luminarie  erranti e di stelle; di addobbi versicolori e di navigli fermi o in movimento; del lungo ponte di barche steso dalla riva alla Salute, gremito di fedeli nereggianti contro lo splendore della stupenda chiesa, grandeggiante a guisa di un picco diafano nel cielo cupo; delle barche coperte di verdi pergole con grappoli di lampioncini trasparenti di ogni tinta, cariche di comitive spillanti vino in botticelle inghirlandate, uomini e donne beventi, cantanti e tripudianti al suono di mandolini, chitarre, fisarmoniche, ed altri strumenti. (A. Soffici)

Viene l’autunno a Venezia

L’estate se ne va bruscamente, senza lasciare strascichi di sorta. Cola a picco nei canali come una vecchia gondola logora.
E ci si accorge del suo passaggio dal diradarsi dei forestieri che, in numero sempre più esiguo, occupano i tavoli dei caffè di Piazza San Marco.
In quelle file gloriose riempite fino a ieri da un pubblico dorato e fittizio, si sono fatti a un tratto dei vuoti melanconicissimi.
Ormai le poche persone che vi si attardano verso sera non sono più neppure forestieri smarriti,  ma clienti abituali, tipi del luogo, che si confusero nei mesi estivi, con la grossa ondata turistica, per poi rimanere scoperti sulla gran piazza come gusci di riccio e ossa di seppia sulla spiaggia…
Intanto l’autunno veneziano si accompagna a questo vasto senso di esodo e di solitudine inattesa.
I crepuscoli scendono rapidi, soverchiamente bruni… (V. Cardarelli)

Artigianato veneziano
Passare alla gentile fragilità delle creazioni di artigianato dopo la visione, magari notturna, illuminata dai fari e dai rigurgiti di fiamma di Porto Marghera, comporta un cambiamento acrobatico: ma se esiste un’attività completamente, compiutamente veneziana, questa è l’artigianato elevato, non raramente, alla dignità di arte.
Non solo, ma le formelle in ceramica di Altino, i gioielli di Altino, ci spiegano perchè il gusto dell’oggetto raffinato, della cosa bella, è innato in questa città in cui ogni particolare ha contribuito a realizzare compiutamente l’ideale della bellezza.
L’arte del vetro, del merletto, del mobile, l’arte del tessere e di tingere stoffe preziose (ricordiamo i velluti e i broccati ‘a pastiglia’ dei Vivarini o dei Crivelli), l’arte di creare e decorare ceramiche, sono squisitamente veneziane; e non meno abili, orafi e argentieri, battirame e fonditori creavano, con il metallo, ori per le dame, oggetti sacri e oggetti di lusso per il culto e per i fasti di famiglia, oggetti d’argento e d’oro, a quintali,  perchè ogni chiesa, ogni ‘scuola’, ogni ‘casata’ voleva essere la più ricca, e farlo vedere. E c’erano poi le armature, le vere da pozzo, le inferriate, le lanterne, i picchiotti dei portoni, e la serie interminabili dei peltri, in cui la pesante mano del maestro ferraio realizzava ombre, luci, arabeschi degni di un orafo.

Vetrai di Murano
Ferveva il lavoro intorno alla fornace. In cima ai ferri da soffio il vetro fuso si gonfiava, serpeggiava, diventava argentino come una nuvoletta, splendeva come la luna, scoppiava, si divideva in mille frammenti sottilissimi, crepitanti, rutilanti, più esigui dei fili che si vedono al mattino nei boschi tra ramo e ramo. I garzoni ponevano una piccola pera di pasta ardente nei punti indicati dai maestri, e la pera si allungava, si torceva, si mutava in un’ansa, in un labbro, in un becco, in uno stelo, in una base. Sotto gli strumenti il rossore a poco a poco si spegneva, e il calice nascente era esposto di nuovo alla fiamma, infisso nell’asta; poi ne veniva estratto, docile, duttile, sensibile ai più tenui tocchi che lo ornavano, che lo affilavano, che lo rendevano conforme al modello trasmesso dagli avi o all’invenzione libera del nuovo creatore. Straordinariamente agili e leggeri erano i gesti umani intorno a quelle eleganti creature del fuoco, dell’alito e del ferro, come i gesti di una danza silenziosa.
“Appena formato, si mette il vaso nella camera della fornace per dargli la temperatura” rispondeva uno dei maestri vetrai a Stelio che lo interrogava, “Si spezzerebbe in mille frantumi se fosse esposto all’aria esterna d’un tratto”.
Si scorgevano infatti per un’apertura, adunati in un ricettacolo, che era il prolungamento del forno fusorio, i vasi brillanti, ancora schiavi del fuoco, ancora nel suo dominio.
“Sono già là da dieci ore” diceva il vetraio indicando la leggiadra famiglia. Poi le belle creature esigue abbandonavano il padre, si distaccavano da lui per sempre, si raffreddavano, diventavano gelide gemme, vivevano della loro vita nuova nel mondo, si assoggettavano agli uomini, andavano incontro ai pericoli, seguivano le variazioni della luce, ricevevano il fiore reciso o la bevanda inebriante.
(G. D’Annunzio)

Le origini di Venezia
Gli Unni avevano distrutti nel loro passaggio Aquileia, ed entrati nel Veneto avevano sparso il terrore tra le popolazioni che si rifugiarono nelle isole e nelle isolette delle vicine lagune, dove si fermarono attendendo alle industrie del mare e del commercio. In seguito, le umili case di questi fuggiaschi, a poco a poco, si trasformarono nella sontuosa città di Venezia.
(G. Zanetti)

Venezia
Venezia sorge a quattro chilometri dalla terraferma nella laguna adriatica e la singolarità del suo aspetto, unita alla ricchezza dei suoi tesori d’arte, ne fanno una delle più caratteristiche città del mondo. Attraversata da più di centocinquanta canali, si serve per le comunicazioni interne di vaporetti che sono i tram delle città di terraferma e di gondole e di motoscafi, che ne rappresentano le automobili ed i taxi. Quattrocento ponti collegano le sponde dei canali e centinaia di piazzette dette campi e campielli, si aprono all’occhio del visitatore per mostrare qualche gioiello d’arte o qualche caratteristica.
La singolare città è divisa in due parti dal Canal Grande, che si snoda tranquillo e maestoso. Questa regale via acquea è fiancheggiata da ricchi palazzi marmorei, costruiti dal XII al XVIII secolo, per la fastosa dimora delle più nobili famiglie veneziane, ed è solcata da vaporetti, gondole, motoscafi e barche di ogni tipo.
Alle vie d’acqua detti rii si accompagnano e si alternano le vie di pietra, le calli, formando una doppia fittissima rete a linee brevi e spezzate. Sull’angusto suolo conteso dalle acque, le case sorgono strette una all’altra, e pure non mancano ariose piazzette e verdi giardini tra le mura.
Il campanile di San Marco rappresenta, in certo modo, un simbolo di Venezia. Quando crollò, nel 1908, venne ricostruito ‘com’era e dov’era’ per unanime decisione dei veneziani.
La città è sorta su di una miriade di isole, nella grande laguna, divise tra di loro da innumerevoli canali: il loro numero si è venuto riducendo con l’andar del tempo perchè molti canali furono interrati naturalmente e artificialmente: oggi ci sono circa 160 isole. Tra le più notevoli vi è l’isola di San Giorgio, già Isola dei Cipressi.
Tra i problemi da risolvere, data la struttura geologica del territorio, vi era la necessità di rassodare il terreno e di ampliare in parte i confini delle piccole isole per costruire anche sul mare: venne risolto mirabilmente con la messa in opera di palafitte (serie di grossi pali conficcati nel terreno sotto il mare ai margini delle isole, generalmente) che servirono come piattaforme, sulle quali vennero elevate le costruzioni in muratura.

Tradizioni
A Venezia, città il cui vescovo assume il nome di Patriarca, sopravvivono alcune delle molte feste religiose che ai tempi dei dogi venivano celebrate con grande sfarzo e con riti pittoreschi. La più nota è la festa del Redentore che cade la terza domenica di luglio. La notte che la precede è tutto un susseguirsi di fuochi d’artificio: si canta, si banchetta, si passeggia in gondola al lume dei lampioncini. La veglia si conclude al Lido dove molti si recano ad assistere alla levata del sole.
La festa del Redentore alla Giudecca, è una tipica festa votiva: ricorda la liberazione della città dalla peste nel 1630.
Un’altra festa veneziana votiva è quella del 21 novembre che si intitola alla Madonna della Salute e che ricorda la fine della pestilenza del 1576.
La festa della Sensa o festa dell’Ascensione è caratterizzata dalla comparsa, sulla torre dell’Orologio in piazza San Marco, dei tre Re Magi i quali avanzano da una porticina a sinistra, si inchinano davanti alla Madonna  e scompaiono da quella di destra. Un tempo la festa era ricca di spunti pittoreschi: vi si teneva una fiera e il doge compiva la cerimonia dello Sposalizio del Mare, gettando in acqua, dall’alto di una grande imbarcazione (bucintoro) un anello.

Nascita di Venezia
Rialto, piccolo ammasso di isolotti, era sto fino ad allora scarsamente abitato, ma l’inviolabile asilo che aveva offerto ai profughi di Eraclea lo designava per la scelta quale sede preferibile e permanente dello Stato.
Prese singolarmente, le isolette di Rialto erano certo meno estese di Torcello, di Burano o di Eraclea, ma il gruppo ne annoverava ben sessanta, separate da stretti canali sui quali sarebbe stato agevole gettare ponti, in modo da rendere disponibile per la capitale una superficie considerevole e di molto superiore ad ogni altra.
La via d’acqua larga e profonda che spartiva in due gruppi l’arcipelago era il corso del fiume Prealto, ramo staccato del Brenta; se ne fece il Canal Grande. Le sue dimensioni avrebbero consentito il passaggio delle maggiori imbarcazioni e sulle sue rive si sarebbero create banchine e depositi, nei luoghi più adatti.
Al limite degli isolotti periferici si sarebbero potuti costruire una cinta muraria e un riparo in pietra, a circondare e proteggere la nuova città.
Come se presentisse quale splendido destino lo attendeva, tutto il popolo di pose all’opera con incrollabile entusiasmo.
Da ogni parte si innalzarono costruzioni, dapprima di legno, poi di mattoni e di pietra.
Per il palazzo del doge si scelse la posizione che sarebbe rimasta immutata per sempre.
Quanto al nome della città gloriosa i Veneti le diedero il proprio, quella che in origine si era chiamata Rialto, civitas Rivoalti, divenne Venetia, ossia Venezia.
Questo avveniva nell’anno 810 dC.
(A. Bailly)

San Marco, patrono di Venezia
L’evangelista Marco ha come simbolo un leone , e coi caratteri del Leone appare Gesù nel vangelo di San Marco, cioè con le qualità del forte, che scaccia i demoni, che guarisce gli ammalati e che vince la morte.
Questo perchè san Marco rivolgeva il suo vangelo ai Romani, che non avrebbero dato nessun valore alle lunghe genealogie ebraiche o alle profezie. I Romani non conoscevano che il diritto e la forza. Perciò, nel vangelo di Marco, il Redentore rappresenta sempre il diritto e la forza a cui nulla può resistere.
Si sa che la sua tomba di marmo, ad Alessandria, era venerata anche durante la dominazione dei Maomettani. Nell’828, due mercanti veneziani vollero togliere le reliquie di san Marco dalla terra dominata dagli infedeli. Si disse che di nascosto i due veneziani togliessero dalla tomba le ossa del santo e le nascondessero in fondo a un paniere, riempito poi di vettovaglie. Altre leggende fiorirono intorno alla venuta di san Marco sul suolo veneziano. Fra queste la più poetica ebbe credito nella città lagunare.
San Marco sarebbe giunto a Venezia non dopo morto, ma ancora vivo, a causa di una grande tempesta che avrebbe spinto la sua nave, da Alessandria d’Egitto verso la laguna veneta. Sulla spiaggia, appena sbarcato, egli sarebbe stato accolto da un angelo, che gli avrebbe detto: “Pace a te, Marco evangelista mio”.
Sono le parole che si leggono ancora sulle pagine del libro, tenuto dagli artigli di un leone alato, che forma lo stemma di Venezia, chiamata perciò la ‘città di San Marco’.

Una nuova basilica custodirà il corpo di san Marco
Un incendio ha distrutto la Cattedrale. Ma subito si pensa a costruirne una più grande e più bella.
L’incarico di progettare e di innalzare la nuova chiesa è stato dato ad architetti bizantini, essendo Venezia assai legata all’Oriente, ed essendo i Veneziani molto sensibili al gusto che viene di là.
Anche la nuova chiesa sarà dedicata a san Marco e ne custodirà le reliquie, come la vecchia chiesa.
San Marco evangelista è infatti, da 150 anni circa, il protettore di Venezia. Precisamente da quando due mercanti veneziani, che a causa dei loro traffici si trovavano ad Alessandria d’Egitto, vennero a sapere dai cristiani di quella città,  dove si trovavano nascoste le reliquie di san Marco. Ottenute quelle reliquie, essi le portarono a Venezia, facendola in barba al controllo degli Arabi. E sapete come?
Al di sopra della cassa contenente il corpo del santo, misero uno strato di carni suine; gli Arabi, ai quali è vietato mangiare carne di maiale, fecero subito passare quella merce, che era bene lasciasse l’Egitto; e con la carne suina passò quel corpo, venerato ora in Venezia.

Cartolina illustrata da Venezia
Una laguna pallida. Un palazzo in riva al mare, con una facciata color di rosa. Una piazza piena di sole con due colonne come un proscenio, e, su una colonna un leone ruggente, con una zampa fiera appoggiata ad un Vangelo. E un gruppo di cupole dorate; un campanile altissimo. Una gondola nera, lunga, sottile, che accarezza mollemente le acque. Un grande silenzio…
(O. Vergani)

Venezia
La prima volta che si vede Venezia si ha l’impressione di trovarsi in una città di retroterra che abbia sofferto un’inondazione. I pali del telegrafo, che corrono bellamente sulla laguna, le isole che ne emergono qua e là, con gli alberi e i caseggiati, come da una pianura allagata, quella barca comune su cui arranca un vigile urbano in tenuta estiva, lungo il Canal Grande, la quale par proprio una barca di salvataggio, tutto concorre a favorire l’inganno. Illusi dalle apparenze ci perdiamo a seguire con gli occhi e con la fantasia, in tutta la sua estensione, il flagello, che ha colpito questa città, seppellendola per metà nelle acque, invadendo tutte le sue vie e viuzze, i suoi negozi e le sue cantine. Ma una gondola che spunta a un tratto, sull’angolo di un palazzo del Canal Grande, ci ricorda che siamo a Venezia. Quello che ammiriamo non è il prodotto di un cataclisma, bensì opera dell’uomo, capolavoro di una razza ingegnosa e paziente, che costruì una città in mezzo all’acqua, per ragioni difensive, beninteso, ma soprattutto, io credo, per essersi innamorata di quest’idea, per fare una cosa inaudita e mai vista: Venezia.
(V. Cardarelli)

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