Poesie e filastrocche LA SCUOLA – una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Il libro
Prese il libro il bambino: l’aprì, lesse, pensò. Egli era in un giardino di quanti fior non so. Guardò intorno. Nel sole splendevan cento colori, ma disse: “Le parole son più belle dei fiori”. (Renzo Pezzani)
Bambini a scuola
Oh, l’ala del tempo ben rapida vola!… finita è l’estate, si torna alla scuola. Bisogna lasciare i laghi tranquilli, le verdi vallate dai freschi zampilli, le morbide rene, i tuffi nell’onde che il vento ricama di trine gioconde, i colli beati smaltati di fiori, le vigne fragranti, i boschi canori, le corse frementi per prati ed aiuole! Bambini, bambine: si apron le scuole! Su via, non torcete le bocche soavi; non fate le bizze: vi voglio più savi. Se dopo il lavoro più lieto è il piacere, è giusto che a questo poi segua il dovere. Or dunque togliete dai vostri cassetti i bianchi quaderni, i libri, i righetti, le penne, i compassi, ed ilari e franchi, correte a sedervi sui soliti banchi. La scuola, materna, le braccia vi schiude e al dolce suo seno felice vi chiude. E voi salutatela col cuore canoro: è bello in letizia tornare al lavoro. Io, giunto alla fine di questo preludio, depongo la penna… Bambini, buon studio. (Gino Striuli)
La maestra ha sorriso
La maestra è accigliata, è triste, stamattina; trepida la nidiata per la cara maestrina. Lettura. Sono intenti i bimbi; ella tace, severa. Maestra, ma non senti che fuori è primavera? Occhieggiano i bambini dal libro, un po’ spauriti, anche i più birichini non osano farsi arditi. Storia. “Perchè il ministro Cavour…”. La mano bianca si posa sul registro come farfalla stanca. Franco aveva pur detto di saper la lezione… Ma ora un sospirone gli sale su dal petto. Una lacrima scende lenta, sul ciglio chiaro: trema il labbro innocente. “Che c’è, piccolo caro?” Lo guarda, ella, gli prende il mento: oh, il dolce viso che di nuovo risplende! La maestra ha sorriso. (M. Tomaseri Tamagnini)
Il vecchio quaderno
Le sere d’inverno, posato in un canto, il vecchio quaderno ha un triste rimpianto:: “Il bimbo che lieto, con trepida mano, tracciò l’alfabeto, riposa lontano!: Lasciò la sua mamma ancor giovinetto; ardeva la fiamma nel bel caminetto. Ed or si consola narrando alle stelle, dei giorni di scuola, le favole belle. Son favole pure di nuvole azzurre, d’un mondo piccino, d’un grigio topino. Chissà se la sera, in tutto segreto, dirà la preghiera oppur l’alfabeto? (A. Libertini)
Scuola elementare
Con l’autunno precoce e capriccioso, tu lasci la tua casa e la tua mamma. E te ne vai, felice e baldanzoso, verso la nuova scuola. Già una fiamma d’amore nuovo ti risplende in viso. Io ti porgo il cappotto e la cartella e mi trema nel cuore il tuo sorriso. “Sarà piena di lode la pagella!” Pieno di fede e di speranze, ardito mi prometti sereno di studiare. Ma il mio cuore è un po’ triste e un po’ smarrito: “Resta ancora con me, bimbo a giocare!” Dal berretto calato sulla fronte sbuca un ciuffo ribelle di capelli. “La penna e la matita sono pronte?” Sì, ma i tuoi ricci come sono belli! E te ne vai felice nella via salutandomi ancora con la mano. Io provo una sottile nostalgia mentre tu mi sorridi da lontano. (M. Luisa Cortese)
Scuola elementare
Ricordo della scuola elementare: colletto bianco col nastrino blu, un desiderio intenso di imparare le prima cose a, e, i, o, u. Aste tracciate a segni colorati, con la matita nuova rossa e blu, quaderni rilegati ed ordinati con l’esercizio: ma, me, mi, mo, mu. Il sillabario ancora misterioso, rivelava col segno la parola, qualche visetto attento e giudizioso sgranava assorto gli occhi di viola. Ma una bambina spesso si incantava a guardar fuori un po’ di cielo blu, cullata dalla voce che spiegava dolce e paziente: ma, me, mi, mo, mu. O signorina, così buona e attenta, quanta pena non dette al suo lavoro la capricciosa bimba disattenta, che già viveva in un suo mondo d’oro, di smagliante ed ignara fantasia, girando attorno quei suoi occhioni blu, già viveva di sogni e di poesia sul ritmo lento: ma, me, mi, mo, mu. (M. Luisa Cortese)
Primo giorno di scuola
E’ pronta la cartella, il grembiulino, il colletto stirato come va. Dunque, va proprio a scuola, il birichino! Stamani in casa si respirerà! Giornale e pipa, aah! beatamente il nonno potrà starsene sdraiato, una mattina intera. Strilli, niente. Un bacio a tutti… Ecco. Se n’è andato. Ma dopo un’ora… “Forse piangerà” (pensa la mamma) E corre alla finestra. “Sarà buona e paziente, la maestra?” (sospira nonna). E il nonno: “Chi lo sa…” Un’aria così greve intorno pesa! Son tristi l’orsacchiotto, il pulcinella, traditi da un’ignobile cartella. Si parla a bassa voce, come in chiesa. Nonno aggiusta le ruote di un trenino perchè il bimbo sorrida, al suo ritorno… Oh, com’è lungo questo primo giorno che del pupo d’ieri fa un omino! (Zietta Liù)
Scuola di campagna
Solitaria scuoletta di campagna, che sorridi tra il verde al primo sole, grato un profumo sento di viole intorno a te, che zeffiro accompagna. Vedo di fiori ornata la finestra dell’aula ancora nel silenzio assorta, vedo i bimbi schierati sulla porta in attesa che arrivi la maestra. Son lì composti; han fatto molta strada per giungere alla scuola; ma quegli occhi da cui la gioia lor part che trabocchi, brillano come stille di rugiada. Io so che vi rallegra: è la parola, bimbi, di chi v’insegna tante cose, di chi circonda di cure amorose il dolce tempo che passate a scuola. (Ascenso Montebovi)
Scuola di campagna
E’ fuor del borgo, due passi di là dal più fresco ruscello, recinta di muro e cancello, la piccola scuola di sassi. Agnella staccata dal branco col suono che al collo le han messo richiama ogni bimbo al suo banco, nell’aula che odora di gesso. C’è ancora la vecchia lavagna, con su l’alfabeto mal fatto; lo scrisse un bambino, distratto dal verde di quella campagna. E lei che mi vide a sei anni, c’è ancora, la voce un po’ fioca, vestita d’identici panni, la vecchia signora che gioca. Il tempo passò senza lima, su queste memorie. Ritorno lo stesso bambino di un giorno sereno, nell’aula di prima. E in punta di piedi, discreto, nell’ultimo banco mi metto e canto, nel dolce coretto dei bimbi, l’antico alfabeto. (Renzo Pezzani)
Compagni di banco
Che cosa vuoi? Son pronto a darti tutto: una penna, un quaderno, un taccuino, purchè tu venga per un po’ vicino… …Noi sederemo ad uno stesso banco riordineremo i libri a quando a quando, e rileggendo un compito e guardando sul tavolino un grande foglio bianco… (Marino Moretti)
Ritorno a scuola
Oh, sì! prendiamo la cartella scura, il calamaio in forma di barchetta, i pennini, la gomma e la cannetta, la storia sacra e il libro di lettura… Andiamo, andiamo! Il tema è messo in bella! Andiamo, andiamo! Il tema è messo in buona! Dio, com’è tardi! La campana suona… Fra poco suonerà la campanella… Ma che dico? E’ domenica, è vacanza! non c’è scuola, quest’oggi: solamente c’è da imparare un po’ di storia a mente, soli, annoiati, nella propria stanza… (Marino Moretti)
La scuola
Ha riaperto la scuola i suoi battenti; l’insegnante sorride con amore: ben sa che degli alunni c’è nel cuore il rimpianto pei bei divertimenti. Monti, campagna, mare… che concerti d’urla felici! Che giocondo ardore! In piena libertà correvan l’ore; e adesso invece tutti fermi e attenti! “Consolatevi” ei dice, “il tempo vola: verranno un’altra vola le vacanze; ma ora, ricordate, siete a scuola. E nello studio certo troverete la gioia che ha dolcissime fragranze, se trarre buon profitto voi saprete!” (Livio Ruber)
La scuola
Chi mai l’ha costruita, un po’ appartata all’altre case, come una chiesuola, e poi che l’ebbe tutta intonacata le ha scritto in fronte la parola “Scuola”? E chi le ha messo al collo per monile una campana senza campanile? Chi disegnò per lei quei due giardini con pochi fiori e giovani alberelli difesi dall’insulto dei monelli da fascetti di brocche, irti di spini? Chi seminò con tanto amor le zolle? Perchè, bambino, costruir la volle? Non per un bimbo, ma per quanti sono nel mondo, suona quella campana; e la scuola ti sembra così bella, e quell’aiuola un rifiorente dono, perchè col giardiniere e il muratore, vi mise mano, ogni dì, anche l’amore. (Renzo Pezzani)
A scuola
Come il mulino odora di farina, e la chiesa d’incenso e cera fina, sa di gesso la scuola. E’ il buon odor che lascia ogni parola scritta sulla lavagna, come un fioretto in mezzo alla campagna. Tutto qui dentro è bello e sa di buono. La campanella manda un dolce suono, e a una parete c’è una croce appesa… pare d’essere in chiesa: s’entra senza cappello, si parla a voce bassa, si risponde all’appello… Oh, nella scuola il tempo come passa! S’apre il libro, si legge e la signora spiega, per chi non sa, or questo or quello come in un gioco: un gioco così bello che quando di fa l’ora d’uscir, vorremmo che durasse ancora. Come il mulino odora di farina e la chiesa d’incenso e cera fina, la casa prende odor dal pane nostro e la scuola dal gesso e dall’inchiostro. (Renzo Pezzani)
La scuola La scuola è proprio come una chiesetta che i suoi fedeli aspetta: aspetta i suoi fedeli ogni mattina questa allegra chiesina. Talora nelle nobili città, ha lustro e maestà; talor, purtroppo, è misero abituro, il luogo angusto e oscuro. Eppure anche se povera e modesta prende un’aria di festa quando è piena di voi, bimbi, la scuola, quando non è più sola. Di fianco non le sorge col gentile richiamo il campanile; eppure anch’essa snocciola bel bello un suon di campanello. Ed entrano i fedeli a mano a mano, con un libretto in mano, per andarsi a seder tutti, o sorpresa! sui banchi come in chiesa. Lo studio, bimbi, in certa qual maniera, è anch’esso una preghiera. (L. Ambrosini)
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Dettati ortografici – LA SCUOLA – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Una scuola di città La ghiaia del cortile, le pozzanghere, i muri alti, con tante finestre tutte uguali, ogni finestra una classe, tanti maestri, tante maestre, tanti ragazzi tutti vestiti con lo stesso grembiule, e le stesse parole, gli stessi rimproveri, gli stessi problemi, da anni… Non c’è proprio niente di nuovo… Uno sguardo nel corridoio: come sempre un attaccapanni lunghissimo, tanti cappotti, tante mantelline, sciarpe rosse, duo o tre pelliccette e dentro le tasche, che cosa? Fischietti, bottoni, viti, il coperchio di una scatola di lucido, briciole di dolci mangiati chi sa quanto tempo fa, briciole che diminuiscono perchè ogni tanto, a ricordo di quel sapore, anche una briciola è buona. (G. Mosca)
Una vecchia scuola di villaggio Il locale aveva tre pareti su quattro, dimezzate dal tetto a punta e due aperture per la luce simili più a feritoie che a finestre. L’una infatti spiava su un vicolo angusto e l’altra guardava le montagne che chiudevano l’orizzonte dalla parte di tramontana. I banchi erano lunghi e di quercia stagionata e portavano i segni ingloriosi delle offese ricevute da cinque generazioni di scolari. Al momento dell’entrata i primi arrivati si annunciavano con il battere dei loro zoccoli sui gradini della ripida scala di legno. (M. Menicucci)
Scuola Tutti, tutti studiano ora. Pensa agli operai che vanno a scuola la sera, dopo aver faticato tutta la giornata; alle donne, alle ragazze che vanno a scuola la domenica, dopo aver lavorato tutta la settimana. Pensa agli innumerevoli ragazzi che, press’a poco a quell’ora, vanno a scuola in tutti i paesi. Vedili con l’immaginazione, che vanno, vanno per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi, dove sotto un sole ardente, dove tra le nebbie, tutti con i libri sotto il braccio. E pensa: se tutto questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie. (A. De Amicis)
Animo, al lavoro! Animo, al lavoro! Al lavoro con tutta l’anima e con tutti i nervi! Al lavoro che mi renderà il riposo dolce, i giochi piacevoli, il mangiare allegro; al lavoro che mi renderà il buon sorriso del maestro e quello benedetto di mio padre. A. De Amicis
La cartella Stamattina ho ripreso in mano la mia cartella per tornare a scuola. E’ la mia cartella dell’anno passato che la mamma ha ben spolverata e lucidata. Mi seguirà ancora per un intero anno scolastico e sarà partecipe delle mie gioie e dei miei dolori. Come l’anno passato conterrà libri, quaderni, astuccio. Cercherò di conservarla bene.
Ritorno L’estate è finita. I felici giorni trascorsi sulle spiagge, in campagna, sui monti, rimangono vivi soltanto nel nostro ricordo: si torna al lavoro, le vacanze sono finite. Anche i bambini, a cui il riposo ha ritemprato le forze, tornano volentieri a scuola. Cominciano serenamente il nuovo anno scolastico: è bello lavorare, è bello imparare! (Teresa Stagni)
La scuola Anche la scuola ha le sue lotte, le sue battaglie; ma lotte pacifiche, battaglie amichevoli, dove la vittoria è comune, comune il premio. Vittoria è sentirsi dopo la battaglia più ricchi di virtù e di sapere; premio è il sentire cresciuta l’amicizia e la stima. Lontano dalla scuola i rancori e le insidie; oh, non arrivino mai questi a turbare l’aria pura e serena della scuola! (F. De Sanctis)
Ritorno Bentornati, bambini, a scuola. Il tempo del riposo e dello svago è finito ed ora dobbiamo dedicarci allo studio. C’è in noi un certo rincrescimento per aver lasciato il mare, i monti e la campagna, ma c’è anche la gioia di esserci incontrati ancora tutti, per riprendere insieme il nostro lavoro. La scuola non vi toglierà tutto il vostro tempo, di cui avete bisogno per giocare, ma vi ricorda che prima del gioco avete un dovere da compiere: studiare. Amate la scuola, accorrete alle vostre aule puntuali, volenterosi e soprattutto sereni. Ricordatevi che le vacanze estive vengono tutti gli anni e saranno sempre più belle per chi durante l’anno scolastico avrà ben meritato. Buon lavoro e siate buoni! (G. Spanu)
A scuola Eccoci di nuovo a scuola. Tu non sei più uno scolaretto timido come nelle classi precedenti, quando eri più piccino. Sai che il tuo dovere è quello di studiare e di imparare tante cose che ti faranno diventare onesto, forte, buono.
I migliori amici I libri sono nostri amici. Essi ci fanno compagnia nella quiete del nostro studio, ci seguono nella campagna, rallegrano la nostra solitudine, riempiono le ore placide della vita. Ci parlano se interrogati; se li lasciamo non si lamentano; divertono nei tempi quieti e sereni, danno forza e coraggio nelle terribili circostanze, aprono le pagine della storia, ci fanno vivere coi grandi uomini che già furono. (F. Pananti)
Compagni di scuola Tu vuoi bene, vero, ai tuoi compagni di scuola? Potrai avere una predilezione per il tuo vicino di banco, per il più bravo della classe, per quello che è stato colpito dalla sventura, ma a tutti, vero? A tutti vuoi bene. Al più ricco come al più povero tu doneresti, se venisse a casa tua, un fiore del giardino e tua madre gli chiederebbe della sua mamma, e gli aprirebbe il suo cuore chiamandolo “Figlio mio”. (M. Moretti)
Il maestro
Ogni maestro è come il comandante di una nave pronta a salpare. La scuola è la tua nave e tu sei scolaro e marinaio. A ogni lezione si parte e si arriva. Ed è sempre il maestro che ti dà il segnale, indica i punti da vedere e insegna le cose da imparare. Spesso scrive sulla lavagna lettere e vocali, numeri e parole. E sempre guarda negli occhi e guarda nel cuore di ciascuno come un buon comandante fa coi suoi marinai. Ogni mattina si parte per una tappa nuova. E la nave scuola solca il grande mare del sapere. (N. Salvaneschi)
A scuola
La scuola vi accoglie con un sorriso e vi dice: “Siete ritornati a scuola, come a una festa. Sono passate le vacanze, e ne avete abbastanza di giochi, di corse, di libertà. I vostri occhi brillano di gioia, della gioia di ritrovare i vostri compagni, le vostre compagne, la vostra maestra. Vi ritrovo cresciuti, con un bel colorito: quasi non vi riconosco più. Il vostro viso è sorridente, nei vostri occhi c’è il desiderio di imparare. Al lavoro, bambini, con serenità!” (A. R. Piccinini)
Parla il libro
Io sono soltanto un libro, una cosa che tu potresti strappare con tue mani impazienti, che tu potresti sgorbiare con la tua penna, che tu potresti gualcire in un momento di stizza. Ma ricordati che sono il frutto del lavoro di tanti uomini. Per farmi così, come mi vedi, una fabbrica ha lavorato per produrre la carta. Su questa carta gli stampatori hanno impresso i caratteri e le illustrazioni. Ma, prima di questo, lo scrittore ha dovuto scrivere i racconti e il pittore ha disegnato e colorato le figure. Ora sono nella tua cartella e tu puoi leggere su di me tante belle e nuove cose. Se tu vuoi ti insegnerò a diventare più buono e più bravo. In cambio ti chiedo di non sciuparmi e di leggermi, di studiarmi. Non è molto in confronto a tutto quello che ti dono. (M. Menicucci)
I miei compagni 22, sabato. Ieri, mentre il maestro ci dava notizie del povero Robetti, che dovrà camminare un pezzo con le stampelle, entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte; tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttore, dopo aver parlato all’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito. Allora il maestro gli prese una mano, e disse: “Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia da qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra Patria, dove son grandi montagne, abitate da un popolo pieno di ingegno e di coraggio. Vogliategli bene in maniera che non si accorga di essere lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta piede, ci trova dei fratelli”. Detto questo si alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte: “Ernesto De Rossi!”, quello che ha sempre il primo premio. De Rossi si alzò. “Vieni qua” disse il maestro. De Rossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese. “Come primo della scuola” gli disse, “da’ l’abbraccio del benvenuto in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio del figliolo del Piemonte al figliolo della Calabria”. De Rossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: “Benvenuto!”, e questi baciò lui sulle due guance, con impeto. Tutti batterono le mani. “Silenzio!” gridò il maestro, “Non si battono le mani a scuola!”. Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento. Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: “Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perchè questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa sua a Reggio Calabria, il nostro Paese lottò per cinquant’anni, e tremila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti tra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno, perchè non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore”. Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa e un altro ragazzo, dall’ultimo banco gli mandò un francobollo di Svezia.
Martedì, 25 Il ragazzo che mandò il francobollo al calabrese è quello che mi piace più di tutti, si chiama Garrone, è il più grande della classe, ha quasi quattordici anni, la testa grossa, le spalle larghe; è buono, si vede quando sorride; ma pare che pensi sempre, come un uomo. Ora conosco già molti dei miei compagni. Un altro mi piace pure, che ha nome Coretti e porta una maglia color cioccolata e un berretto di pelo di gatto; sempre allegro, figliolo di un rivenditore di legna, che è stato soldato nella guerra del ’66, nel quadrato del Principe Umberto, e dicono che ha tre medaglie. C’è il piccolo Nelli, un povero gobbino, gracile e col viso smunto. C’è uno molto ben vestito che sempre si leva i peluzzi dai panini e si chiama Votini. Nel banco davanti al mio c’è un ragazzo che chiamano il muratorino, perchè suo padre è un muratore; una faccia tonda come una mela, con un naso a pallottola; egli ha un’abilità particolare, sa fare il muso di lepre, e tutti gli fanno fare il muso di lepre, e ridono; porta un piccolo cappello a cencio che tiene appallottolato in una tasca come un fazzoletto. Accanto al muratorino c’è Garoffi, un coso lungo e magro, col naso a becco di civetta e gli occhi piccoli piccoli, che traffica sempre con pennini, immagini e scatole di fiammiferi, e si scrive la lezione sulle unghie per leggerla di nascosto. C’è poi un signorino, Carlo Nobis, che sembra molto superbo ed è in mezzo a due ragazzi che mi sono simpatici: il figlio di un fabbro ferraio, insaccato in una giacchetta che gli arriva al ginocchio, pallidino che par malato e ha sempre l’aria spaventata e non ride mai; e uno coi capelli rossi che ha un braccio morto, e lo porta appeso al collo: suo padre è andato in America e sua madre va attorno a vendere erbaggi. E’ anche un tipo curioso il mio vicino di sinistra, Stardi, piccolo e tozzo, senza collo, un grugnone che non parla con nessuno e pare che capisca poco, ma sta attento al maestro senza batter palpebra, con la fronte corrugata e coi denti stretti; e se lo interrogano quando il maestro parla, la prima e la seconda volta non risponde, la terza volta tira un calcio. E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un’altra sezione. Ci sono anche due fratelli, vestiti uguali, che somigliano a pennello, e portano tutti e due un cappello alla calabrese, con una penna di fagiano. Ma il più bello di tutti, quello che ha più ingegno, che sarà il primo di sicuro anche quest’anno, è De Rossi, e il maestro, che l’ha capito, lo interroga sempre. Io però voglio bene a Precossi, il figlio del fabbro ferraio, quello dalla giacchetta lunga, che pare un malatino; dicono che suo padre lo batte; è molto timido e ogni volta che interroga o tocca qualcuno, dice “Scusami”, e guarda con gli occhi buoni e tristi. Ma Garrone è il più grande e il più buono. (E. De Amicis)
Dettati ortografici – LA SCUOLA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Organizzazione dell’ambiente nella scuola primaria secondo il metodo globale. “Disciplina” significa per noi muoversi silenziosamente, ordinatamente e senza far confusione.
Poichè l’attivismo impone il movimento dei bambini all’interno della classe, è importante che questo movimento sia rispettoso del lavoro dei compagni. E’ molto importante innanzitutto abituare i bambini a muoversi senza disturbare il lavoro degli altri.
Solitamente l’arredamento delle classi non è fatto per favorire i movimenti dei bambini. Un primo suggerimento di disposizione potrebbe essere questo:
oppure questo:
La cattedra starà benissimo in un angolo.
L’insegnante attivo, in una scuola attiva, si muove tra i bambini per consigliare e osservare il lavoro libero che è la caratteristica della classe, e che si svolge in modo quanto più possibile armonioso.
I bambini imparano a muoversi senza far troppo rumore, a scegliere i cartoncini aspettando il loro turno, a tornare al posto senza disturbare gli altri.
Si possono organizzare dei giochi del silenzio, nei quali dato un comando “uscite di classe e rientrate”, “andate a prendere un cartoncino” ecc…, i bambini si divertono a muoversi facendo meno rumore possibile. Non serve che ci sia un vincitore, ma possono essere “squalificati” per un turno i bambini che hanno fatto rumore.
Il fondatore della libertaria Sands school racconta la sua formazione di insegnante. Un approccio pragmatico e ragionevole per realizzare un’educazione capace di valorizzare appieno le potenzialità dei piccoli. Con una saggezza semplice, quanto profonda: i bambini imparano a usare la libertà se sono messi in condizione di essere liberi. Questo è il filo conduttore del colloquio di David Gribble, uno dei più originali pedagogisti contemporanei, con Francesco Codello, studioso di problemi dell’educazione.
Incontro David Gribble in una stanza della Sands school, l’istituto da lui fondato nel 1987. Gribble è poco conosciuto in Italia al di fuori della stretta cerchia di persone interessate alle scuole libertarie. Ma è sicuramente uno dei più importanti personaggi del piccolo (ma poi non tanto) mondo delle scuole «alternative».
Alla luce della tua esperienza, quali sono i valori e le idee che caratterizzano la pedagogia libertaria?
Non potrei dare alcuna definizione di «teoria pedagogica libertaria» e trovo alquanto difficile definire il tipo di educazione che più ammiro. I principi di base? Innanzitutto le persone di qualsiasi età devono essere trattate con rispetto. Inoltre, se le persone (di qualsiasi età) sono incoraggiate a prendere decisioni durante la loro vita, ascolteranno i consigli con attenzione, rifletteranno su di essi con senso di responsabilità e giungeranno a conclusioni sensate. Ma se non viene riposta fiducia nella loro capacità di scegliere, respingeranno i consigli e si comporteranno in modo molto meno razionale. Tutti desiderano imparare, ma qualsiasi forma di costrizione inibisce questo desiderio: troppa coercizione lo può addirittura distruggere del tutto. L’onestà è più importante della paura: esigere l’obbedienza rischia di far anteporre la paura all’onestà. Nessuno compie errori di proposito. I bambini quando sbagliano hanno bisogno di aiuto piuttosto che di punizioni. Poi, considero molto più importante il preoccuparsi degli altri dell’obbedienza alle regole. Dove i bambini vedono, a ragione, problemi morali, gli adulti spesso vedono solo questioni di convenienza. I bambini amati sono per natura altruisti. La maggior parte delle scuole tradizionali reprime questo altruismo naturale, valutandolo come un problema di condotta. I bambini che hanno sofferto e perso questa qualità possono spesso ritrovarla di nuovo se a loro viene offerto l’amore incondizionato che è venuto a mancare. Un requisito fondamentale per un efficace apprendimento è la felicità. Questi principi non fanno parte di un sistema consolidato. Ci sono sempre eccezioni. Ciò che interessa è lo sviluppo personale di ciascun bambino come individuo, senza tenere conto di sistemi pedagogici. Questi principi, nella loro apparente semplicità, rivelano una profonda saggezza. Sono concetti capaci di mettere in discussione gran parte delle teorie pedagogiche correnti. Inoltre, proprio perché così chiari e immediati, sono in grado di cambiare radicalmente i rapporti sociali e relazionali.
Rispetto al contesto culturale attuale, quale può essere il significato più autentico della pedagogia libertaria? Vale a dire, quale può essere il valore che, rispetto al mondo occidentale e consumistico, possono ancora esercitare principi e metodi propri di una prassi educativa che rinnega dominio e coercizione, collocando su di un piano di rispetto e uguaglianza il rapporto tra adulti e bambini?
In realtà non capisco questa domanda, così userò la tecnica dei politici e risponderò a un’altra domanda che non mi è stata rivolta. In Scandinavia l’educazione è un processo molto più rispettato di quanto avviene in Gran Bretagna o nel resto del mondo. In Occidente i diritti delle donne sono largamente riconosciuti ma i diritti dei bambini sono ancora ignorati. I bambini non hanno voce. I politici dovrebbero smettere di interferire nel lavoro degli insegnanti; insegnanti giovani ed entusiasti dovrebbero essere incoraggiati a mettere in pratica metodi che si sono dimostrati efficaci, esperienze didattiche e pedagogiche che hanno profondamente innovato i metodi educativi. Il rigido controllo del sistema scolastico statale ha spinto i genitori che si possono permettere modeste rette a rivolgersi in numero sempre più crescente al nostro genere di scuole. Summerhill ha più studenti adesso che in passato, e così è per la Sands. Negli Stati Uniti, Sudbury Valley (www.sudval.org) è ampiamente imitata e pubblica una guida che aiuta chi vuole iniziare una scuola sul genere di Sudbury. Se sopravvive all’attuale situazione politica, il Centro per l’educazione democratica di Hadera continuerà ad aiutare più di un centinaio di scuole in Israele per un cambiamento radicale, passando da uno stile autoritario a uno democratico. Ora Idec e Wren (rete di scuole e individualità che si occupa dell’educazione alternativa nel mondo) e Aero (organizzazione sulle risorse dell’educazione alternativa) stanno riunendo in una «listserver» gli istituti di questo tipo. (www.worldwiderealeducation.net
aerolist@edrev.org).
Puoi descrivere qual è la condizione dell’infanzia e degli adolescenti nelle società occidentali?
La loro posizione è più fluida rispetto al passato. Non c’è più un sentiero prestabilito da seguire. I ragazzi sono esposti a molte più pressioni contrastanti. Sono corteggiati come consumatori e angosciati da problemi ecologici, sono protetti da genitori ansiosi per quanto più tempo possibile e poi fuggono in un mondo dove hanno a disposizione droga e alcol, sono, come sempre, criticati dai più anziani e come sempre godono di queste disapprovazioni sapendole ampiamente ingiustificate.
Sono continuamente esortati ad astenersi dai rapporti sessuali, ma vedono molti film e spettacoli televisivi dove invece il sesso è considerato parte naturale della vita sociale. I ragazzi, a cui non è stato permesso di fare le proprie scelte fin da piccoli, trovano difficoltà nel tenere testa a tutta questa incertezza e manipolazione. Per i bambini abituati a prendere le proprie decisioni la gamma delle scelte possibili diviene invece una grande opportunità.
continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):
È la più vecchia e conosciuta scuola impostata su criteri pedagogici libertari. Pubblichiamo una biografia di Alexander Neill, il suo fondatore, e un capitolo della tesi di laurea dell’autrice sull’influenza del pensiero ibertario di Wilhelm Reich. Intanto l’esperienza di Summerhill, in Inghilterra, continua.
Alexander Sutherland Neill nasce in Scozia nel 1883 da una famiglia di maestri elementari. L’atmosfera familiare è autoritaria e severa. Alexander non è molto portato per gli studi infatti passa molto tempo nei campi a fantasticare e giocare. Visti gli scarsi risultati, il padre lo indirizza versa la carriera di maestro elementare. “«Il ragazzo è un disastro» disse tristemente mio padre. «Potrebbe fare il maestro» arrischiò mia madre” .
Dopo essersi laureato in Letteratura inglese all’Università di Edimburgo, insegna per diversi anni nelle scuole statali. Nel 1921 insieme alla maestra di danza Christine Baër, dà vita a Dresda in Germania alla scuola internazionale, nel 1923 la scuola si sposta a Sonntagberg in Austria, ma viene chiusa quasi subito per i suoi metodi non convenzionali, opposti a quelli delle autorità locali.
Nel 1924 Neill e Lilian Neustatter, la sua prima moglie, spostano la scuola in Inghilterra, fondando a Lyme Regis, sulla Manica, la scuola-comunità di Summerhill (collina d’estate proprio perché la casa è posta su una collina), trasferita poi presso Leiston nel Suffolk. Alla morte di Lilian, si risposa con Ena Wooff, dalla cui unione nasce Zoe, che attualmente dirige la Scuola.
Summerhill spicca tra le esperienze educative libertarie per la sua durata; anche se non si ispira direttamente ai principi anarchici, ne cattura implicitamente tutti i presupposti teorici alla luce degli studi psico-pedagogici. Infatti l’opera di Alexander Neill è ispirata dai “padri” della pedagogia e della psicologia moderna. Freud, Adler, Lane e Reich condizionano gli studi di Neill, arricchendo la sua analisi con teorie rivoluzionarie, che si contrappongono ai canoni tradizionali e autoritari.
Ricerca della felicità e della libertà. “Summerhill” aspira alla formazione di un nuovo tipo di pedagogia, vuole essere sintesi tra le prime forme di sperimentazioni libertarie e le nuove forme di pedagogia, approfondendo la ricerca della libertà e della felicità. Si accede alla scuola all’età di cinque anni, ma non sono rari i casi di bambini e bambine che arrivano dopo periodi in istituti statali o religiosi. Di solito la permanenza a Summerhill si protrae fino ai sedici anni. Vengono ospitati sia ragazze che ragazzi, fino a un massimo di quarantacinque, di cui una parte proviene da paesi stranieri. Vengono divisi in tre gruppi a seconda dell’età: dai cinque ai sette anni, dai sette agli undici, dagli undici ai sedici. Gli alloggi vengono organizzati tenendo conto dell’età e del sesso, ad ogni gruppo è assegnato una o un assistente. Per il gruppo “intermedio” vi è una costruzione di pietra, invece i ragazzi e le ragazze più grandi risiedono in casette di legno, solo alcuni hanno stanzette private, infatti generalmente si vive in tre o quattro per stanza. Non ci sono ispezioni delle camere e vi è completa libertà. L’idea su cui si fonda la scuola è quella di “adattare la scuola al bambino” , invece di adattare il bambino alla scuola, si aspira alla creazione di un istituto dove bambine e bambini siano liberi di essere se stessi, proprio per questo è necessario rinunciare a qualsiasi tipo di disciplina, di educazione morale e di istruzione religiosa. Neill ha fiducia nella bontà innata dell’infanzia, un’idea che non è mai venuta meno, anzi è diventata quasi una forma di fede.
Le lezioni a Summerhill sono facoltative, esiste l’orario solo per gli insegnanti, tutto si svolge in un ambiente libero dove nulla è autoritario, infatti si notano con molta facilità le differenze: chi ha sempre vissuto a Summerhill dimostra interesse verso l’apprendimento perché è una scelta volontaria, chi arriva dopo un’esperienza più o meno lunga in scuole statali o religiose, dove la frequenza costituisce un obbligo, sviluppa un senso di avversione verso lo studio e la scuola, tant’è che raramente all’inizio frequenta le lezioni. Gli esami non esistono, ma se un ragazzo o una ragazza decide di voler studiare per i test di ammissione all’università, il corpo docente lo preparerà senza problemi, non solo perché è altamente qualificato ma anche perché chi studia per proprio volere lo fa in modo più veloce e interessato, in quanto è una sua decisione. In un’assemblea generale, che si tiene il sabato, si stabiliscono regole da abolire o istituire, le scelte sono effettuate attraverso il voto democratico, tutti e tutte dispongono di un voto di uguale valore. Gli studenti di Summerhill provengono da famiglie agiate, non è possibile tenere aperta la scuola anche ai ceti bassi o medio-bassi, proprio perché le difficoltà economiche lo impediscono. Questo è sicuramente un problema da non sottovalutare: è difficile valutare la “vera” natura di un essere umano se questa si nasconde dietro il denaro e l’ambiente borghese. Insomma Summerhiil è scuola di libertà, dove il “buon senso” non manca, infatti per proteggere l’incolumità di ragazzi e ragazze esistono leggi base, scelte e votate da loro. Il fine della scuola è quello di renderli felici e non quello di riformare la società, non sarebbe possibile, è inevitabile accettare i compromessi proprio perché la società li impone. Neill scrive “non sono una persona che cerca attivamente proseliti per cambiare la società: posso solo cercare di convincere la società che è necessario per essa sbarazzarsi dell’odio, dei metodi punitivi, del misticismo.”
Se si desidera avere maggiori informazioni sulla scuola di Summerhill si può consultare il sito internet: http://www.summerhillschool.co.uk/
Liberi per essere felici
di Francesco Codello
L’esperienza della scuola libertaria di Summerhill. Essere dalla parte del bambino, è la norma alla quale gli educatori e i genitori, secondo Neill, devono attenersi – Educare nella libertà è la premessa per formare una società di eguali.
I recenti avvenimenti della politica scolastica italiana, ci obbligano a porre in maniera “nuova” e sempre più attenta questo problema fondamentale dell’educazione. La progressiva crisi della famiglia, patriarcale prima, mononucleare ora, causata da un trapasso violento da una civiltà contadina a una industriale, dall’inurbamento e dalle migrazioni interne di milioni di contadini dalle campagne alle metropoli industriali, ha accentuato il ruolo svolto dalla scuola in una società di massa. Ecco alcuni elementi per giustificare e per impostare un discorso alternativo sull’educazione nella sua accezione anarchica e quindi antiautoritaria, totalmente liberatrice e anti-dogmatica.
“Cosa farebbe a un ragazzo che marina la scuola?” – A Pretoria Neill ho risposto: “Ucciderei il suo direttore”. Questa risposta, ad una domanda così comune, farebbe impallidire il più “moderno” pedagogista. Forse proprio perché Neill non è un pedagogista (perlomeno non lo è nel senso ricorrente del termine), può rispondere in questo modo a una domanda del genere.
Analizzare oggi la sua esperienza assume un profondo significato per chi, come noi, è alla ricerca continua di nuovi mezzi educativi da contrapporre a quelli autoritari dominanti il nostro panorama pedagogico. È importante anche perché ci permette di puntualizzare un discorso educativo in generale, e sulla scuola in particolare, dato il continuo estendersi della scolarizzazione di massa e l’importanza che assume la scuola nell’opera di indottrinamento di milioni di individui, vista la progressiva crisi della famiglia come unico veicolo di condizionamento socio-politico, caratteriale e psicologico.
“Il fine della vita è la felicità. Il male della vita è tutto ciò che limita o distrugge la felicità. Felicità significa sempre bontà: l’infelicità portata agli estremi limiti significa persecuzione contro gli ebrei, torture, o guerra nazionalistica”. Scopo della vita è dunque per Neill, la felicità che esiste solo dove opera l’amore, dove amare significa la capacità di approvare, non di punire o di inveire. A Summerhill “… i ragazzi hanno il senso di essere amati e approvati. È anche una riprova che il bambino nasce buono… e rimane buono quando ogni occasione di odiare e di temere è abolita”. Neill è convinto quindi della naturale bontà del bambino, il quale è provvisto di un atteggiamento potenzialmente ricco di amore e di interesse per la vita. Questa fiducia nella bontà della natura umana si concretizza in Neill in un impegno preciso: l’abolizione di ogni forma di oppressione che possa snaturare o reprimere la sua essenza. Il suo impegno si tradusse quindi in una scuola “… nella quale fosse concessa ai bambini la libertà di essere loro stessi. Per questo dovevamo rinunziare a qualsiasi disciplina, indirizzo, consiglio, ammaestramento morale, istruzione religiosa. Siamo stati chiamati coraggiosi, ma questo non richiede coraggio: richiede quello che noi avevamo: una completa fiducia nel bambino come creatura buona, non cattiva”. La sua fiducia nella naturale bontà e libertà del bambino non resta, come ad esempio in Rousseau, una enunciazione teorica da “scommessa”, ma diventa pratica della bontà e della libertà. In altri termini, la sua esperienza pratica (Summerhill) diventa la dimostrazione scientifica della sua intuizione filosofica. Teoria e prassi in Neill si fondono armonicamente ricomponendo quindi la personalità umana e liberandola dalla schizofrenia sociale che la avvolge.
La creazione di personalità autenticamente libere, che gestiscono direttamente la loro esistenza è il compito cui si dedica il nostro autore. Nella sua opera di educazione integrale egli non si dedica esclusivamente allo sviluppo delle qualità intellettive, ma ricompone la personalità dell’educando stimolando anche la sua sfera emotiva. “Nella società moderna riscontriamo una sempre maggior distanza tra intelletto e sentimento. Le esperienze dell’uomo moderno sono in gran parte mediate dal pensiero e non riflettono una percezione di ciò che il cuore sente, l’occhio vede, l’orecchio ascolta. In effetti questa separazione tra intelletto e sentimenti ha condotto l’uomo di oggi ad uno stato mentale pressoché schizoide che lo ha reso quasi incapace di percepire alcunché in maniera autentica, immediata”.
Questa istruzione integrale è la garante di una società di liberi ed uguali in cui non esista nessuna forma di autorità. Per dirla con Bakunin: “I fanciulli, come gli uomini maturi, diventano saggi per le esperienze che fanno da sé, mai per quelle fatte dagli altri” quindi “… da un punto di vista positivo intendiamo per libertà il pieno sviluppo di tutte le facoltà che si trovano nell’uomo e, da un punto di vista negativo, l’assoluta indipendenza della volontà di ognuno di fronte a quella degli altri”.
“Il bambino plasmato, condizionato, represso, disciplinato – il suo nome è Legione – vive in ogni angolo del mondo. Vive nella nostra città dalla parte opposta della strada. Siede nel banco noioso di una scuola noiosa; più tardi sarà seduto davanti alla scrivania ancor più noiosa di un ufficio, o starà al banco di una officina. È docile, fedele all’autorità, timoroso delle critiche e fanatico nel desiderio di essere normale, convenzionale e corretto. Accetta senza porsi domande quel che gli viene insegnato e trasmetterà tutti i suoi complessi, le sue paure e le sue frustrazioni ai figli”. L’esplicazione di un metodo nuovo e progressivo passa in Neill attraverso una critica radicale al metodo scolastico tradizionale perché esso è “… basato su quel che l’adulto crede che il bambino dovrebbe essere e dovrebbe imparare…. È ovvio che una scuola che costringe i bambini, per natura attivi, a stare seduti sui banchi a studiare una quantità di materie per la maggior parte inutili, è una cattiva scuola, quando si tenga in considerazione la psicologia del bambino”. Si tratta quindi di capovolgere i termini classici del rapporto tra il bambino e la scuola, cioè di “… adattare la scuola al bambino invece di adattare il bambino alla scuola”.
“Il primo comandamento al quale deve ubbidire ogni genitore e ogni maestro è questo: Tu devi essere dalla parte del bambino”. Più avanti Neill con un esempio ci chiarisce praticamente che cosa ciò significhi: “Se mentre sto verniciando una porta Robert passa e getta della mota sulla vernice fresca io lo strapazzo senza complimenti perché egli è uno dei nostri e quel che io dico non ha molta importanza. Ma se Robert fosse uno arrivato da poco da una scuola che egli odia e il suo buttar mota fosse un tentativo di rivolta contro l’autorità, mi metterei con lui a gettar mota perché la sua salvezza è assai più importante della mia porta”. In altri termini la libertà presuppone l’uguaglianza e viceversa. Non vi può essere nessuna libertà dove non esiste l’uguaglianza, non vi può essere nessuna uguaglianza senza la libertà. Questo concetto costituisce uno dei presupposti fondamentali del metodo di Neill.
Un altro dei problemi fondamentali che ogni educatore (come qualsiasi individuo) deve affrontare è il rapporto mezzi-fini. L’uso di mezzi diversi o contrapposti al fine perseguito conduce inevitabilmente o a una sostituzione dei fini o a una scomparsa dell’obiettivo finale che viene risucchiato nella pratica continua e progressiva di nuovi mezzi.
A Summerhill i ragazzi svolgono anche un lavoro manuale che è (secondo Neill), un momento fondamentale per lo sviluppo armonico ed integrale del bambino in quanto, ricompone una personalità che la divisione sociale e gerarchica del lavoro ha spezzato a vantaggio di una divisione classista degli individui. In questo quadro va visto anche l’enorme interesse che a Summerhill viene dedicato al teatro. Le commedie, i drammi, le scenette vengono scritte, interpretate dai ragazzi e dalle ragazze e solo raramente gli insegnanti consegnano qualche trama ai bambini. Il teatro per Neill ricopre una notevole importanza in quanto sviluppa un senso di padronanza di sé ed evita poi che si reciti nella vita.
Lo studio non è qualche cosa che viene imposto dall’alto, ma è sempre in rapporto alle facoltà e ai gusti individuali. Logicamente quindi “I libri sono il materiale meno importante in una scuola. Tutto quello di cui un bambino ha bisogno è leggere, scrivere e far di conto; il resto consisterà di arnesi, argilla, sport, teatro, pittura, e… libertà”.
Tutto il metodo di Neill, oltre che sulla libertà, si basa sull’autogoverno. “Quando c’è un capo non c’è libertà e questo è ancor più vero per il capo benevolo che per quello autoritario. Il ragazzo che abbia spirito critico si ribellerà a un capo autoritario, ma un capo benevolo lo ridurrà semplicemente ad essere lui stesso molle ed impotente”.
Su Neill potremmo discutere all’infinito: sulla validità del suo esperimento come azione politica, sulle condizioni particolari in cui la sua esperienza si è concretizzata, sui limiti imposti dalla “situazione reale”. Resta il fatto che il suo lavoro è un’accusa spietata alla scuola, alla famiglia, allo stato, alla chiesa, affinché trionfino la libertà e l’uguaglianza.
Non è nichilismo. È soprattutto un’accusa alla scuola come istituzione, più o meno progressista, perché essa è il luogo in cui si pratica e si teorizza la divisione gerarchica del lavoro, in pratica dove si perpetua e si invoca la disuguaglianza. I suoi libri sono una poesia continua che deve continuare.
Bakunin amava ripetere di esser un amante fanatico della libertà. Anche noi.
La biodanza è un sistema esperienziale che combina musica, movimento ed esercizi di incontro per sviluppare i potenziali umani di vitalità, creatività, affettività, sessualità e trascendenza.
Il potenziale della vitalità è la sensazione dell’energia vitale, del dinamismo, della motivazione a vivere e dello slancio vitale. Comprende anche l’autoregolazione organica.
Il potenziale della creatività è la capacità di espressione verbale e non verbale. E’ la capacità di esplorare il mondo con fiducia, di scegliere e di innovare. E’ la funzione che ci rende capaci di rinnovare e rigenerare la nostra vita.
Il potenziale dell’affettività è la capacità di provare amore, solidarietà, generosità, senso di appartenenza e di fratellanza. E’ la capacità di creare unione, vincolo, legame e relazione con la vita. Per Rolando Toro, creatore della Biodanza, l’affettività rappresenta “l’intelligenza della specie”.
Il potenziale della sessualità implica in Biodanza innanzitutto la riconciliazione con il piacere. Il piacere di sentire se stessi, di viversi nel proprio corpo, di ritrovare e riscoprire intimità, abbandono, contatto, sensualità.
Il potenziale della trascendenza è la funzione umana legata a tutte le sensazioni interiori di pienezza, di espansione, di percezione e di intima comunione con tutte le manifestazioni della vita. E’ la capacità di sentirsi parte dell’umanità, della natura, dell’universo.
La Biodanza nasce ispirandosi alle più recenti scoperte delle neuroscienze e delle scienze umane e offre uno stimolo continuo a muoversi con gioia, a entrare in relazione con gli altri, ad avere il coraggio di esprimersi, a percepire i propri ritmi naturali, a sentire la vita piuttosto che pensarla, ad avere stima di sè e coscienza della propria identità.
Attraverso l’esperienza del corpo, dell’emozione e dell’incontro con gli altri, viene facilitata una sensibilizzazione profonda verso se stessi, verso l’umanità e verso il mondo che ci comprende.
E’ nata a partire dalla ricerca e dall’esperienza personale di Rolando Toro Araneda, psicologo e antropologo cileno.
Le più recenti scoperte delle neuroscienze e le più innovative teorie della psicologia evolutiva hanno ormai definitivamente stabilito che l’intelligenza umana non è soltanto quella logico-razionale, ma un insieme strutturato di più intelligenze in profonda relazione tra loro che richiedono tutte di essere opportunamente stimolate per arrivare a uno sviluppo armonico e completo della personalità.
Parliamo oggi di intelligenza affettiva, intelligenza interpersonale, intelligenza intrapersonale, intelligenza cinestetica, intelligenza musicale, intelligenza ecologica ed intelligenza esistenziale.
In biodanza inoltre si ritiene che l’intelligenza affettiva sia il nucleo fondante dell’identità umana, nucleo a partire dal quale si possono poi sviluppare nel modo più sano tutte le altre intelligenze e potenzialità.
La biodanza coi bambini
L’applicazione della biodanza nelle istituzioni educative ha lo scopo di migliorare la qualità della vita all’interno del sistema scolastico attraverso una metodologia esperienziale che favorisce l’integrazione e lo sviluppo dei potenziali sani di ciascuno, con particolare riferimento all’espressione affettiva, creativa e alla comunicazione interpersonale.
La biodanza si propone come educazione biocentrica con lo scopo di integrare l’apprendimento e la conoscenza cognitiva con i linguaggi del corpo e dell’emozione, al fine di facilitare uno sviluppo globale ed armonico del bambino e dell’adolescente.
continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):
La “pedagogia” steineriana e una doverosa premessa. A tutte le indicazioni date nel sito relative alla Pedagogia steineriana, devo fare una doverosa premessa.
Questa pedagogia, infatti, rientra in un sistema organizzato, messo a punto (i sostenitori preferiscono usare i termini “fondato” o “donato”) da Rudolf Steiner, e che abbraccia praticamente ogni possibile aspetto dell’umano, compresi esoterismo, religione, misticismo, spiritualismo, occultismo, e che passa per abbigliamento e acconciatura, alimentazione, sessualità, economia, e insomma abbiamo capito…
Le persone che abbracciano questo sistema si definiscono “antroposofi” da “antroposofia”, appunto (o “Scienza dello Spirito”). La definizione di “movimento religioso” non viene però assolutamente accettata dagli antroposofi.
La pedagogia steineriana, si tiene a precisare con estrema fermezza e a garanzia di una certa ortodossia negli ambienti steineriani, non è un metodo, ma si fonda imprescindibilmente sull’Antroposofia.
Per chi volesse approfondire la questione, esiste una quantità di materiale praticamente sterminato: ci si può fare una piccola idea semplicemente scorrendo il catalogo delle Edizioni Antroposofiche, dove abbondano le parole occulto, cristico, iniziazione, spirituale, karmico ecc…
Io personalmente, e nel rispetto del credo e del pensiero di tutti, amo della pedagogia e della didattica, indipendentemente dalla matrice ideologica o religiosa di riferimento, tutto quello che porta al bambino magia, bellezza, gioia di apprendere. E tutto ciò che è utile a “tirar fuori” il meglio da ognuno, e a rimuovere ostacoli nell’apprendere. E’ l’unico aspetto che mi interessa. Cerco di scegliere con buonsenso, con senso critico sempre vigile, e liberamente.
Se il tale approccio rappresenta una risposta per i bambini reali che seguo, lo scelgo.
Altrimenti no.
I tratti più illuminati di questa pratica pedagogica, a mio parere, si trovano nel piacere-diritto alla lentezza, nella capacità di attingere alla tradizione popolare europea per riscoprire i ritmi della natura, nel contrastare con la bellezza le tendenze materialistiche e consumistiche che troppo attaccano il mondo dell’infanzia, nella possibilità di valorizzazione all’interno della scuola non solo i bambini “brillanti” da un punto di vista intellettivo.
E poi ad ognuno le proprie considerazioni…
Del resto non si può nemmeno negare che le Scuole Steineriane, almeno in Italia, svolgono anche un nobilissimo ruolo di “rifugio” (e senza nemmeno la preoccupazione dell’esame di passaggio come avviene nell’homeschooling) per tutti quei bambini che non sono in grado di frequentare con successo o per lo meno senza sofferenza, classi di 30 alunni in questa “nuova” scuola pubblica.
Io credo che, volendo portare ai bambini elementi della pratica steineriana, al di fuori della scuola steineriana, si possa decidere con le famiglie dei bambini se festeggiare San Martino, il Natale, ecc… e se la cosa non offende in alcun modo il pensiero o il credo religioso di nessuno, si festeggia. E’ un bel modo per sentire i ritmi delle stagioni, (tutte le festività cristiane affondano le loro radici nella tradizione contadina precristiana-pagana) e soprattutto per scandire l’anno con giorni speciali e più gioiosi degli altri. Ma la stessa cosa si può fare anche in tantissimi altri modi.
Che poi San Michele sia un essere spirituale ecc… o meno, non è cosa della quale si occupa la scuola. Posso non crederlo, ma anche rispettare chi lo crede, se ha altrettanto rispetto.
E’ l’atteggiamento che ho tenuto anche all’interno della scuola steineriana, per un po’ con successo. Poi la convivenza è diventata impossibile, per me e soprattutto per “loro” 😉
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Cenni sulla pedagogia Steiner-Waldorf
(testi ad uso “esterno”, privi dei tipici termini steineriani che invece abbonderebbero in una versione per “uso interno”)
La pedagogia Steiner-Waldorf si fonda su un’attenta osservazione delle tappe evolutive del bambino.
Lo sviluppo armonico del bambino come centro di ogni attività didattica è l’obiettivo che viene perseguito, tenendo conto dell’integrità della persona nei suoi aspetti corporei, emozionali ed intellettivi. Le attività proposte vengono quindi indirizzate alle aree motoria, affettiva e cognitiva in modo ritmico ed equilibrato.
L’insegnante ha il compito di aiutare il bambino nell’armonioso sviluppo di tutti i suoi elementi costitutivi, di favorirne la crescita, di aiutarlo ad affrontare e superare gli ostacoli che via via si possono presentare.
Il bambino in età prescolare è un essere che assorbe tutto ciò che gli proviene dall’ambiente e dalle persone che lo circondano: sensazioni, stimoli di varia natura, parole.
In questa età ciò che educa è il modo in cui l’adulto che gli sta vicino, pensa, sente, parla ed agisce. Il gesto esteriore come l’atteggiamento interiore ci chi lo circonda raggiunge il bambino, lasciando una profonda traccia nel suo linguaggio, nei suoi sentimenti e nel suo modo di pensare e di agire.
All’età di sei sette anni il legame immediato ed imitativo del bambino col mondo gradualmente recede e lascia spazio ad una nuova forma di rapporto con la realtà sempre più cosciente.
Al bambino tra i 7 ed i 14 anni le conoscenze devono essere trasmesse attraverso il sentimento e l’esperienza, e per questo nelle scuole Waldorf viene attribuita grande importanza all’attività artistica e manuale.
L’arte nella scuola Waldorf non è intesa come un’aggiunta di attività didattiche al piano di studi (musica, recitazione, pittura, modellaggio, scultura, ecc…), ma è insita nel modo stesso di presentare tutte le materie di studio. Lavorare per immagini, rintracciare i fili che collegano le cose tra di loro e all’uomo, significa ritrovare ciò che le cose e gli esseri sono ed esprimono prima di venire catalogati, definiti, analizzati. Come la lingua madre si impara ben prima di studiare la grammatica, così tutte le discipline vengono proposte in modo creativo e ricco di immagini per giungere in un secondo tempo alla loro sistematizzazione scientifica.
Le caratteristiche didattiche che contraddinguono la scuola Waldorf sono:
. il maestro unico, che resta l’insegnante di riferimento della classe per tutti gli otto anni del primo ciclo di istruzione (elementari e medie). Il maestro di classe è dunque colui che assiste a tutte le fasi di crescita di ogni bambino per un lungo arco di tempo, e diventa la guida e il sostegno cui rivolgersi con fiducia, conoscendo il bambino nel suo contesto biografico e la sua famiglia. Suo compito è anche quello di confrontarsi con gli altri docenti nel Consiglio di Classe e coordinare le attività didattico-educative;
. il Collegio Docenti, che si riunisce settimanalmente per valutare i processi di apprendimento dei bambini, il raggiungimento degli obiettivi, e per delineare le strategie e gli interventi pedagogici. Il medico scolastico, oltre alla normale attività sanitaria, affianca gli insegnanti del Collegio nella valutazione del processo evolutivo dei bambini;
. insegnamento ad epoche. L’insegnamento delle discipline viene condotto all’interno di una ripartizione a periodi, chiamati “epoche”. Le discipline non si susseguono giornalmente secondo un orario spezzato, ma vengono proposte dall’insegnante una per volta, nella prima parte della mattinata, per un periodo di tempo continuativo che va dalle tre alle quattro settimane (epoca di Storia, epoca di Matematica, epoca di Grammatica, ecc…). Senza la frammentazione si favorisce lo sviluppo della capacità di concentrazione, la comprensione, l’acquisizione e la padronanza da parte del bambino dei contenuti proposti. Dopo le ore di “epoca”, nella seconda parte della giornata si alternano tutti gli altri insegnamenti, comprese alcune ore di esercitazione di Italiano e Matematica, che vanno ad integrare l’insegnamento ad epoche.
. assenza di libri di testo. I bambini producono essi stessi i libri di studio, dedicandosi alla costruzione di quaderni dove, sotto la guida del maestro, confluiscono in forma artistica i contenuti salienti di ogni materia.
. ricchezza della proposta didattica. Nella scuola Waldorf viene proposta ai bambini una molteplicità di attività didattico-educative, per permettere uno sviluppo equilibrato di tutte le loro potenzialità: musica strumentale, canto, danza, recitazione, pittura, disegno, modellaggio, lavori manuali, artigianato, agricoltura, ecc… In tal modo l’abituale differenza che si crea nella scuola tra allievi intellettualmente dotati e meno dotati perde molta della sua importanza: ogni bambino, in qualche elemento della sua personalità, possiede delle doti ed è compito dell’insegnante scoprire e valorizzare qualità e capacità di ognuno.
. due lingue straniere. Sin dal primo anno di scuola primaria si inizia a far vivere ai bambini l’esperienza di due lingue straniere attraverso un approccio inizialmente solo orale, con canti, giochi, filastrocche e girotondi che avvicinano con naturalezza e gioia ai modi, alle espressioni, ai fonemi, che vengono assorbiti ed imitati come avviene con la lingua madre. Negli anni successivi vengono introdotte gradualmente la scrittura, la lettura e l’analisi della lingua;
. la comunità-scuola. Nella pedagogia Waldorf viene data grande importanza allo sviluppo del senso comunitario, per esempio con le feste stagionali. Inoltre ci sono le “feste del mese”, dove tutte le classi della scuola, dalla prima all’ottava, propongono agli altri alunni della scuola, ai maestri ed ai genitori, rappresentazioni artistiche di vario genere, rendendoli partecipi del lavoro da ognuno svolto nelle lezioni. Questi incontri sviluppano un sano senso sociale e creano interesse per gli altri. I più piccoli, di fronte all’esibizione dei più grandi, sono pieni di ammirazione e sentonon che anche loro, un giorno, saranno in grado di fare altrettanto; i più grandi possono rivivere esperienze significative del loro passato;
. valutazione. I genitori ricevono periodicamente dagli insegnanti una relazione che riguarda il comportamento ed i progressi del bambino in ogni ambito, inserendo non solo gli aspetti non solo prettamente legati al raggiungimento di obiettivi didattici. Al bambino invece viene consegnata una breve storia o una poesia che, con un linguaggio artistico, rispecchia il suo carattere, i talenti, le qualità, e fornisce una qualche chiave che in prospettiva può aiutarlo a progredire. Il documento di valutazione ufficiale, invece, è destinato solo ai genitori.
(per farsi un’idea di quanto espresso nella premessa)
Classe prima: la fase di passaggio fra scuola d’infanzia e scuola primaria
Il bambino nel primo anno di scuola viene accompagnato nell’esperienza delle forme e dei suoni delle lettere dell’alfabeto e dei simboli numerici e nell’acquisire il giusto atteggiamento nei confronti della scuola, adeguandosi alle sane abitudini ed al ritmico lavoro della classe.
I maestri lavorano affinchè i bambini formino un gruppo coeso, che mostra interesse per gli altri e sa ascoltare.
Il primo biennio (classi seconda e terza)
I primi tre anni di scuola hanno un’impronta unitaria. Tutto ciò che è stato avviato in prima classe, viene portato avanti in modo che il bambino si trovi inserito con vivacità e naturalezza negli elementi plastico-pittorici e musicali-linguistici presenti nelle varie materie di insegnamento.
Il secondo biennio (classi quarta e quinta)
Il nono anno rappresenta una cesura importante e richiede da parte degli insegnanti e degli educatori la massima attenzione. E’ l’età in cui per il bambino si compie il vero distacco dall’ambiente, fino ad ora ha vissuto con naturalezza. La coscienza di sè aumenta. Questa fase richiede molto tatto e molta saggezza da parte dell’educatore, che deve cercare di salvaguardare i bambini dalle delusioni a cui a quest’età vanno facilmente incontro, soprattutto nei confronti degli adulti.
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Italiano scrittura
In PRIMA CLASSE la scrittura si sviluppa a partire dal disegno pittorico. Dapprima il bambino non ha un rapporto col disegno astratto dei caratteri grafici delle lettere (anche nella storia si può notare come l’umanità abbia sviluppato l’alfabeto da una scrittura ideografica).
Se si mette il bambino a contatto direttamente con la scrittura convenzionale, si provoca in lui un precoce invecchiamento.
La natura umana in divenire richiede che si progredisca dalla forma artistica a quella intellettuale, che l’attività della testa scaturisca dall’attività manuale, vale a dire dalla pittura e dal disegno, alla scrittura e alla lettura. Tramite racconti si caratterizzano da un lato i sentimenti che si esprimono nelle vocali (nella A la meraviglia, nella U la paura, …), dall’altro le consonanti come immagini degli oggetti del mondo esterno (M di monte, V da valle, S da serpente…).
Dal disegno di tali immagini viene poi ricavata la relativa lettera.
Se per esempio per scrivere la F facciamo imitare al bambino la forma di una falce, gli avremo dato una lettera in forma di immagine. Si procede con un ritmo di tre giorni: primo giorno racconto, secondo giorno disegno guidato, terzo giorno lettera.
La mano, scrivendo, deve eseguire qualcosa che l’occhio ha prima guardato con compiacimento, e l’occhio deve guidare la penna con amore. Allora la scrittura sarà bella e caratteristica. Vengono utilizzati quaderni bianchi e senza righe. Prima di impegnare il bambino nell’ortografia, si cura la sensibilità del bambino per la lingua e per le diverse lunghezze dei suoni attraverso il canto e la recitazione.
E’ estremamente importante che le discipline apparentemente più lontane, confluiscano l’una nell’altra in modo unitario.
In SECONDA CLASSE si passa allo stampato minuscolo ed al corsivo. Gradualmente il bambino deve imparare a riassumere ciò che gli è stato raccontato e poi a descrivere brevemente ciò che ha appreso.
Per la scrittura si fa ancora uso delle cerette e delle matite colorate. Si dedica particolare cura alla struttura ed articolazione del linguaggio. La sensibilità per i suoni brevi lunghi accentati deve arrivare ad una certa consapevolezza. L’ortografia si perfeziona soprattutto attraverso l’ascolto.
In TERZA CLASSE si cerca di ampliare la capacità di riferire per iscritto quando è stato visto o letto. L’ortografia viene esercitata attraverso l’articolazione del linguaggio, l’ascolto e il parlare.
In QUARTA CLASSE la capacità acquisita di riferire e riassumere per iscritto deve essere applicata nella composizione di lettere di ogni genere, anche commerciali.
In QUINTA CLASSE il bambino non deve più limitarsi a riferire liberamente ciò che ha sentito o letto, ma deve cominciare a servirsi del discorso diretto.
E’ importante che a quest’età si sviluppi la capacità di distinguere la propria opinione da quella altrui; il bambino deve essere in grado di riferire cose che lui stesso ha pensato, visto e udito o di riportare il parere di altri.
In tutto ciò che scrive ed espone deve imparare a tener conto di questa differenza, deve approfondire l’uso dei segni di interpunzione, delle virgolette, …
Il materiale narrativo per la PRIMA CLASSE verrà scelto tra le fiabe classiche con le loro immagini così vivide, stimolanti per le forze rappresentative e ricche di profondi misteri, o tratto da aspetti evidenti della realtà esteriore. Tutto acquista efficacia se è espresso con un linguaggio chiaro, distinto, pittoresco, colorito. Nella scelta delle poesie si tiene conto della melodia, della rima, del ritmo e della metrica.
In SECONDA CLASSE dalla fiaba si passa alla favola e alle leggende, soprattutto sulla vita e le imprese dei santi cristiani, uomini alla ricerca della perfezione.
In TERZA CLASSE Nella scelta delle poesie oltre al ritmo ed alla melodia, si cerca la bellezza espressiva, Il racconto in questa classe viene attinto dalle storie dell’Antico Testamento, che rappresentano per la pedagogia steineriana l’inizio della storia culturale del mondo.
In QUARTA CLASSE il materiale di lettura e narrativa viene attinto dalla mitologia nordica e germanica e dalle imprese degli eroi antichi.
In QUINTA CLASSE la lettura e la narrazione vertono sulla mitologia classica greca.
In SECONDA CLASSE i primi elementi di Grammatica devono essere integrati in modo piacevole nel racconto, senza far mai mancare una certa nota umoristica.
Si inizia col verbo, che per il bambino è l’elemento più vivo. Se pensa un’azione, il bambino prova subito il desiderio di muoversi; se pensa al verbo “martellare” ad esempio, è portato a compiere il gesto con le braccia. L’aggettivo qualificativo lo lascia più indifferente: le qualità degli oggetti le sperimenta con il sentimento e non col fare (volontà).
I sostantivi poi sono ancora più estranei alla sua natura: freddi, astratti, oggetti del puro pensare. Così la grammatica viene sperimentata umanamente. Si introduce la costruzione della frase, in modo semplice ed evidente, tenendo presente che la grammatica a quest’età deve rappresentare una tacita presa di coscienza di un qualcosa che già è usato istintivamente.
Addentrandosi nelle leggi del linguaggio si tocca la grandezza dell’Io umano che evolve lentamente nella vita.
In TERZA CLASSE il bambino deve avere una visione dell’analisi grammaticale e della costruzione della frase, e imparare l’uso dei segni di interpunzione.
In QUARTA CLASSE deve venir spiegato con chiarezza il significato dei tempi dei verbi e delle coniugazioni e si deve fare in modo che i bambini imparino a sentire istintivamente il rapporto che lega la proposizione alla parola. La lezione di italiano tra i nove e i dieci anni deve soprattutto accentuare l’aspetto plastico e strutturale del linguaggio.
In QUINTA CLASSE il bambino deve imparare a sentire la differenza tra la forma attiva e la forma passiva del verbo.
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Lezioni di vita pratica (o scienze umane integrate)
in TERZA CLASSE con questi argomenti si cerca di favorire un inserimento cosciente nella realtà circostante. Si può spiegare come avviene la preparazione della calce e il suo uso nelle costruzioni, la coltivazione dei campi, l’aratura e la semina, inoltre si fanno conoscere i vari cereali.
Si fa sentire che l’animale ha bisogno della pianta per nutrirsi, e che la pianta richiede l’apporto dell’animale per la concimazione e del minerale come nutrimento e sostegno.
Si suscita così la sensazione che tutto quanto esiste al mondo è legato da una connessione meravigliosa e si risveglia un senso di riconoscenza verso ciò che sta sopra l’uomo. Da questo aspetto di sentimento si torna però sempre al campo pratico, predisponendo attività pratiche di agricoltura.
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Lingue straniere
in PRIMA CLASSE si sperimenta la lingua parlata, attraverso esercizi di conversazione e servendosi di canzoni, filastrocche e poesie, per formare l’orecchio per il ritmo, la melodia ed il suono della lingua straniera.La grammatica non viene studiata.
La tendenza all’imitazione, ancora molto marcata a quest’età, e la grande plasmabilità degli organi vocali che hanno permesso al bambino l’apprendimento della lingua madre, non devono restare inattive e possono venire impiegate per un primo approccio con le lingue straniere.
Nel secondo biennio l’insegnamento prosegue in forma orale, mirando però sempre più alla conversazione, in particolare costruite sulle professioni dell’uomo e sull’ambito familiare. Si imparano inoltre i giorni della settimana, i mesi e le stagioni. In terza classe si introduce la scrittura delle lettere dell’alfabeto e dei primi vocaboli.
In QUARTA CLASSE si inizia la grammatica delle lingue straniere in rapporto al grado di coscienza raggiunto dai bambini. Dalla poesia, che nei primi tre anni era stata il tema quasi esclusivo delle lezioni di lingua, si passa alla prosa. La grammatica viene esercitata in modo induttivo, sevendosi di esempi liberamente scelti e facendo studiare a memoria non gli esempi, ma le regole. Si inizia la coniugazione del verbi. Si inizia anche a scrivere e a tradurre, non però letteralmente ma a senso.
In QUINTA CLASSE si prosegue con l’analisi grammaticale e si danno i primi elementi di sintassi.
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Latino e greco
in QUINTA CLASSE si avvia lo studio delle lingue antiche, allo scopo di rendere viva e sensibile la lingua e la cultura greca e latina.
Fino alla nona classe questa materia è obbligatoria e fondamentale per tutti i ragazzi. In quinta classe si tratta più che altro di una preparazione: i bambini sono introdotti alla lingua antica senza costrizione e senza uno studio sistematico della grammatica.
Devono sentire l’essenzialità del suono, ripetere ed imparare a memoria brevi testi. Prima di capire devono imparare a parlare, ed è sufficiente che sappiano il contenuto di ciò che dicono.
Possibilmente si trattano insieme il latino e il greco, si scelgono frasi brevi riguardanti l’ambiente, oppure motti e proverbi in prosa e in poesia, favolette e brani conosciuti dei Vangeli.
In seguito si introducono poesie assecondando il senso del ritmo che vive nel bambino. Non si usano libri di testo.
in PRIMA e SECONDA CLASSE, attraverso racconti e fiabe, vengono messi in risalto i rapporti di successione tra i vari eventi. Vengono proposte esperienze collegate ai ritmi del mondo naturale e in particolare alle stagioni.
In TERZA CLASSE si comincerà lo studio vero e proprio della Storia, dai racconti dell’Antico Testamento (non dalla preistoria).
In QUARTA CLASSE l’apprendimento della storia dovrebbe sfociare dall’osservazione dell’ambiente circostante. Le caratteristiche del luogo vengono descritte nel loro sviluppo storico.
In QUINTA CLASSE viene data la prima vera visione storica, attraverso lo studio della storia e della cultura dei popoli orientali e dei greci.
Prima d’ora si era trattato più di singole storie, di biografie di personaggi importanti e così via. Adesso di cerca di rendere evidente e comprensibile l’essenza particolare delle singole epoche di cultura indivando sintomi storici caratteristici.
L’esposizione deve avere un’accentuazione artistico-immaginativa e rivolgersi sempre alla sensibilità del ragazzo. La storia, descrivendo le gesta e le sofferenze dell’uomo, tende nel bambino a farlo rivolgere verso il suo mondo interiore.
Geografia
in PRIMA CLASSE si portano al bambino conoscenze del proprio paese; questo ha il compito di risvegliare nel bambino ancora sognante l’interesse per l’ambiente con cui deve legarsi in maniera più cosciente. Il maestro deve presentare alla sua coscienza ed alla sua capacità di immaginazione cose già note, come piante animali pietre monti fiumi prati, non con descrizioni astratte, ma secondo un criterio in cui viva la fantasia morale. Cielo nuvole stelle fiori animali pietre e via dicendo, devono esprimere e far sentire vivacemente, come in un dialogo, la loro grandezza, la loro devozione, la dolcezza e la fierezza.
In TERZA CLASSE comincia lo studio della Geografia, partendo dall’ambiente più vicino per ampliare ed approfondire le conoscenze del territorio e delle attività umane come parte integrante dell’ambiente.
In QUARTA CLASSE la geografia scaturisce ancora dall’osservazione dell’ambiente circostante.
In QUINTA CLASSE la conoscenza del proprio paese diviene vera e propria geografia. Si tratta della configurazione del terreno e delle condizioni economiche delle zone più prossime. La geografia fa spaziare per il mondo e risveglia nei bambini un senso di fraternità per tutte le regioni della terra.
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Scienze
nelle prime classi elementi noti quali animali, piante, pietre, vengono presentate ai bambini in forma artistico-immaginativa come preparazione ad un approccio scientifico.
In QUARTA CLASSE i regni della natura vengono osservati e studiati più oggettivamente. La scienza naturale può aver inizio allorchè il bambino ha acquisito di per sè maggiore oggettività. L’essere umano viene presentato per primo, in maniera elementare, ma allo stesso tempo artistica e riverente. Il regno animale viene descritto nel suo rapporto con l’uomo, osservando singoli animali e confrontando il loro organismo con quello umano. Il bambino dovrà sentire che la molteplicità delle forme animali è riunita nell’essere umano con ordine ed armonia.
In QUINTA CLASSE si parla di forme animali meno note. Dall’essere umano e dall’animale si passa alla pianta. La botanica viene svolta in rapporto alla vita della terra, considerata come un organismo vivente unitario. A quest’età il bambino sente fortemente il bisogno di cercare i rapporti di causalità.
E’ un’esigenza che può venire soddisfatta nel modo migliore se potrà osservare le varie forme vegetali e studiare le loro trasformazioni a seconda delle condizioni del terreno, del clima,…
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Aritmetica
in PRIMA CLASSE si inizia con le quattro operazioni entro il venti per arrivare se possibile al cento seguendo un criterio artistico: passare dall’intero alle parti (nell’addizione si parte dalla somma, nella moltiplicazione dal prodotto,…). Nella vita infatti l’uomo, prima di notare i particolari, coglie l’intero.
Il modo in cui il bambino apprende il calcolo è formativo per si cervello e i primi elementi del calcolo influiscono sul futuro modo di pensare dell’adulto, che può diventare incline alla sintesi o tendere ad atomizzare. Vi è poi un aspetto morale nel fatto che il bambino cominci con la distribuzione, per esempio di mele, oppure che accumuli per sè quelle stesse mele.
Il movimento ritmico, la corsa, il salto, il battito delle mani faciliteranno la presa di contatto con il calcolo. Vengono utilizzati quaderni bianchi senza righe, per favorire l’organizzazione spaziale, e viene praticato intensivamente il calcolo orale.
In SECONDA CLASSE le quattro operazioni vengono estese a numeri più elevati e si insiste molto sul calcolo orale. Non si tema di far lavorare la memoria, perchè il calcolo è fondamentale per la sua sana formazione. Quando il bambino ha quasi completato la seconda dentizione, gli si fanno studiare a memoria le tabelline, aiutandolo con movimenti ritmici, battito delle mani, salti,…
Nel periodo che va dalla seconda dentizione alla pubertà la memoria si sviluppa e si rafforza ed è giusto che venga debitamente curata e formata.
In TERZA CLASSE le quattro operazioni vengono esercitate sulla base di numeri più complessi e applicate ai piccoli casi della vita pratica.
In QUARTA CLASSE si passa allo studio delle frazioni ordinarie e decimali.
In QUINTA CLASSE si prosegue con le frazioni e con le frazioni decimali. Il calcolo comprenderà tutti i numeri interi e decimali.
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Geometria
dal disegno di forme, che è stato coltivato fin dall’inizio della scuola, emerge in QUINTA CLASSE la geometria.
Le forme che finora sono state disegnate in modo artistico, come il triangolo, il quadrato, il cerchio,… devono venir comprese secondo concetti geometrici.
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Pittura
pittura e disegno introducono il bambino nel mondo delle forze plastico-formative. Il senso del colore si sviluppa sperimentando il colore puro nei suoi accordi e contrasti e considerando la forma come opera del colore stesso (approccio goetheanistico). All’inizio le linee vengono sperimentate come incontro di superfici di colore.
Nei primi anni i bambini hanno imitato per lo più ciò che il maestro proponeva o mostrava loro.
A partire dalla QUARTA CLASSE lavorano servendosi della loro fantasia creativa. Usando il colore fluido il loro senso del colore si è destato ed ora possono usarlo come mezzo espressivo.
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Disegno di forme
in PRIMA CLASSE il disegno evolve da un lato dalla pittura, dall’altro dall’esperienza stessa del movimento. La linea retta e la linea curva vengono sperimentate camminando o tracciandone plasticamente la forma nell’aria. Deve essere coltivato un senso interiore della forma.
Se il bambino percorre dei cerchi, delle ellissi, delle lemniscate seguendo la curva che si forma, quando poi disegna queste linee sente vivere un altro se stesso nelle linee che traccia, ed impara a comprendere il linguaggio delle forme. La copiatura degli oggetti viene inizialmente evitata.
In QUARTA CLASSE, dopo aver sperimentato negli anni precedenti le forme pure ed aver acquisito il senso della forma curva, semicurva, acuta, ellittica, retta,… arriva il momento di far ritrovare loro tutte queste forme negli oggetti esteriori, di farli copiare dal vero.
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Modellaggio
attraverso il modellaggio della cera vergine d’api viene curata ulteriormente l’abilità plastica del bambino. In QUARTA CLASSE comincia la copia dal vero.
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Lavoro Manuale
in PRIMA CLASSE i bambini di entrambi i sessi imparano a lavorare a maglia con i due ferri e ad eseguire semplici lavori di cucito, ricamo e tessitura a telaio. Il lavoro a maglia da un lato favorisce la consapevolezza e l’abilità manuale, dall’altro è un’attività che risveglia e stimola le disposizioni spirituali del bambino. Per suscitare il senso del colore e della forma, si fanno eseguire alla lavagna diversi esercizi coi gessetti colorati.
In SECONDA CLASSE si proseguono i lavori iniziati in prima, poi si passa all’uncinetto. Nella seconda parte della lezione di fanno eseguire oggetti dove i bambini possono manifestare liberamente il loro gusto sia nella preparazione del disegno, che nel ricamo e nella decorazione.
In TERZA CLASSE sia i maschi che le femmine eseguono all’uncinetto lavori più impegnativi come berretti e simili, oltre a confezionare lavoretti collaterali come in seconda.
In QUARTA CLASSE i bambini imparano a cucire con precisione e a conoscere i vari punti eseguendo, per esempio, una borsa da lavoro ricamata in modo da permettere l’esplicarsi delle qualità artistiche oltre che tecniche. La decorazione dell’oggetto dovrà infatti essere in accordo col suo uso.
In QUINTA CLASSE si confezionano calze e guanti in maglia, animali di stoffa e bambole di ogni tipo.
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Musica
in PRIMA CLASSE per prima cosa i bambini devono avvicinarsi all’esperienza della quinta (scala pentatonica). Si esercita l’orecchio mediante semplici melodie e ritmi, coltivando il sentimento per ciò che è bello e per ciò che non lo è.
Alternando l’ascolto attivo all’interpretazione canora e strumentale, il bambino riesce ad apprendere i brani musicali proposti.
Si cantano canzoncine comprese nelle cinque note e tutti i bambini in gruppo suonano il flauto dolce. Alcuni potranno poi passare al violino e si potranno aggiungere anche gli strumenti a percussione. Grande importanza viene data al canto con accompagnamento di strumenti.
In SECONDA CLASSE alle canzoni comprese nell’intervallo di quinta si aggiugono quelle comprese nell’ottava.
In TERZA CLASSE si inizia la scrittura delle note nella tonalità di do maggiore. Il canto acquista maggiore espansione.
In QUARTA CLASSE si fa sperimentare l’intervallo di terza maggiore e minore. Negli anni precedenti la musica era servita per il canto e per coltivare l’orecchio, ora va elaborata in modo che il bambino impari ad assecondare le esigenze della musica come arte.
Si cerca di far comprendere semplici concetti teorici mediante esercizi di ritmo, melodia ed armonia. Si fanno conoscere attraverso l’ascolto pezzi musicali di pregio particolare. Si prosegue con la lettura delle note e si fanno eseguire canti a due voci e canoni.
In QUINTA CLASSE vengono insegnate le tonalità. Si eseguono canti a due e tre voci e canoni.
l’euritmia è una nuova arte nata nel 1912 dalle indicazioni di Rudolf Steiner. Si può definire poesia e canto resi visibili attraverso il gesto ed il movimento corporeo. Si basa sulla recitazione e sulla musica.
Quando pronunciamo un suono, dentro di noi si crea una sorta di atteggiamento volitivo ed è questo che viene tradotto e reso visibile mediante il movimento euritmico.
Ogni vocale e consonante ha il suo specifico gesto. Anche nel canto si estrinsecano quegli atteggiamenti interiori in corrispondenza delle singole note ed intervalli che a loro volta vengono rappresentati con i movimenti del corpo.
Quando ci di immedesima nella poesia e nella musica e si cerca di seguirne le leggi col movimento, si svolge un’attività che coinvolge l’essere nella sua interezza.
In PRIMA CLASSE il bambino percorre delle forme geometriche o libere seguendo i motivi musicali. Si iniziano i movimenti euritmici relativi alle vocali ed alle consonanti attraverso l’imitazione e servendosi di poesie, filastrocche o brevi fiabe nelle quali sia presente l’elemento ritmico, che si evidenzia alternando passi lunghi e brevi e si cerca di sviluppare la capacità di ascolto facendo battere il tempo con le mani e con il passo secondo la metrica.
In SECONDA CLASSE si eseguono esercizi del tipo “io-tu” o “noi ci cerchiamo” che hanno la funzione di armonizzare i temperamenti, coltivare l’intelligenza, la vivacità dell’animo, ed un sano senso sociale. Nell’eseguire queste forme ogni bambino deve conoscere esattamente il cammino che deve percorrere e al tempo stesso muoversi in gruppo con gli altri.
In TERZA CLASSE i movimenti corrispondenti ai suoni sono divenuti così sicuri da permettere la rappresentazione di parole e di frasi.
L’euritmia, per il fatto che ogni suono viene espresso con il movimento di tutto il corpo, rappresenta un mezzo efficace per correggere la trascuratezza nello scrivere. Per favorire un rapporto più consapevole con quanto li circonda, rapporto che si risveglia intorno ai nove-dieci anni, si esercita il passo, che li fa sentire saldamente posati a terra.
In QUARTA CLASSE si inizia la rappresentazione degli elementi grammaticali attraverso forme spaziali (verbi e sostantivi).
In QUINTA CLASSE si favorisce il controllo degli arti mediante esercizi con le verghe e l’accentuazione del passo.
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Ginnastica
l’insegnamento della ginnastica inizia in TERZA CLASSE, intesa come proseguimento dell’euritmia. La ginnastica si può definire linguaggio visibile, cioè manifestazione visibile del processo respiratorio che vive in ciò che si esplica quando la respirazione influisce sul sistema sanguigno.
Nel movimento ginnico si ha una irrorazione della muscolatura da parte del sangue con il conseguente irrobustimento e l’acquisto di elasticità di tutto il sistema muscolare.
Eseguendo la ginnastica si sperimentano la statica e la dinamica, si acquista il senso dello spazio dominato da forze. La volontà si manifesta in modo diretto, mentre nei movimenti euritmici abbiamo piuttosto l’espressione volitiva del sentimento e della vita dell’anima.
Fino ai dieci anni la base fisiologica della ginnastica va vista soprattutto nell’attività del sangue e dei muscoli, e solo dopo i dodici ani si dovrà tenere conto maggiormente della base organica e meccanica del sistema osseo.
La caratteristica degli esercizi adatti ai bambini di terza, quarta e quinta classe sarà dunque la vivacità: si dovrà rcreare un rapporto emotivo e fantasioso tra il bambino e l’esercizio da eseguire.
In QUARTA CLASSE nella ginnastica con attrezzi sono particolarmente indicati la spalliera, la corda, la scala a corda, gli anelli, il cavallo e il salto. Nella ginnastica a corpo libero si prediligono i giochi in cerchio.
In quinta classe cominciano i movimenti indipendenti, fuori dal cerchio, su parole scandite ritmicamente.
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Collegio insegnanti: il colloquio pedagogico
Il modello tradizionale del colloquio pedagogico qui presentato è nato nei Camphill ed è stato creato da un team di medici. Questo modello invece è stato messo a punto da insegnanti.
Il medico agisce attraverso medicamenti, il pegagogo e il terapista agiscono attraverso l’autoeducazione, devono in un certo senso diventare loro stessi medicamento. Il medico si chiede: “Che cosa posso fare per in bambino?”, il maestro si chiede: “Cosa posso fare per me, per aiutare il bambino?”.
Il colloquio termina nel momento in cui ogni partecipante ha trovato un’immagine interiore del bambino (non una terapia); un’immagine archetipica, e questo archetipo ha la caratteristica di essere creativo e vuole manifestarsi. Dalla creazione di questa immagine archetipica ogni partecipante troverà la sua azione terapeutica per il bambino.
Il colloquio pedagogico si differenzia per età; questo modello si può adottare con bambini in età scolare. L’immagine è quella del labirinto, come cammino di conoscenza, e quindi come percorso figurato del colloquio pedagogico.
Esterno (davanti al labirinto)
Immagine esteriore, descrizione del corpo fisico
. atteggiamento del bambino, postura
. movimento: mimica, sguardo, gestualità, controllo del movimento, forza
. figura del movimento: si muove nell’aria, nell’acqua, nella terra
. come manifesta il rifiuto, la dedizione (ridere, piangere)
. come avviene il contatto col mondo esterno
. come si sente nel proprio corpo (senso della vita)
. destrezza
. pesantezza/leggerezza Linguaggio
. tono
. volume
. articolazione
. espressione
. respiro Alimentazione
. comportamento prima e dopo il pasto
. sue sensazioni rispetto a gusto, odorato, vista, calore
Elemento animico
(dentro il labirinto, tra le strade, a volte vicino a volte lontano, perchè non c’è una visione oggettiva, si entra nel soggettivo e ogni maestro del Collegio ha un soggettivo diverso)
Comportamento
. attenzione nell’ascoltare, nel capire, nel parlare, incontro con l’io altrui
. pensare: orientamento spazio-temporale, orientamento dei pensieri, saper fare sintesi, memoria, fantasia, intelligenza, intelligenza pratica, capacità di rappresentazione
. sentire: sentire e adattarsi alla realtà, affettività intesa come tono dell’umore o fondamento base del sentimento, entusiasmo, aspetti sociali ( autostima, comportamento sociale, reazione allo stress, paure)
. volontà: istinto, brame, desideri, motivazione (quattro aspetti della volontà); determinazione (portare avanti l’iniziativa), costanza, volontà di apprendere e di vivere.
Insegnante
(è il punto in cui si deve essere arrivati al centro, stare al centro del labirinto col bambino, vedere coi suoi occhi, sentire con la sua anima
. come deve essere il maestro perchè il bambino si possa sentire capito
. come incoraggiare le sue potenzialità
. qual è l’ambiente adatto al bambino
. quali regole lo fanno star bene
. qual è il quadro più adatto per la sua stanza
. che ruolo proporgli nelle recite e perchè.
[wpmoneyclick id=88443 /]La psicomotricità è una scienza che studia l’attività motoria dal punto di vista psicologico. Obiettivo della psicomotricità è approfondire, esaminare e teorizzare l’interazione tra il corpo, inteso dal punto di vista di movimento biologico e l’atto psichico che da individuale diventa sociale.
Il termine “psicomotorio” fu usato per la prima volta intorno al 1870, per indicare le regioni della corteccia cerebrale vicine alle aree propriamente definite motorie, dove si ipotizzava avvenisse l’unione tra movimento e immagine mentale.
In Francia, dove ha preso il via l’applicazione di questo concetto nei primi anni del ‘900, si è provato che aspetti corporei legati al movimento possono colmare e risolvere determinati blocchi cognitivi o relazionali, connessi magari a handicap particolari.
Da questo punto ha preso il via un nuovo modo di concepire il corpo e i suoi movimenti: da una ginnastica “militare” eseguita solo per far irrobustire il corpo, si è passati a una ginnastica che potremmo definire “ armonica”, in grado cioè di tenere conto dei bisogni sia fisici sia anche alle necessità mentali e interiori.
Nella Psicomotricità si trova la confluenza armonica, la sintesi equilibrata di diverse discipline (psichiatria, psicoanalisi, sociologia, pedagogia, etologia, arti teatrali..) tale da permettere una nuova lettura, unificata e globale della persona, nel suo essere e nel suo agire.
La Psicomotricità è l’interdipendenza e la reciprocità costante, all’interno della relazione individuo-ambiente, fra motricità, intelligenza e vita emotivo-affettiva alla cui base sta primariamente il corpo.
La Psicomotricità è centrata sul corpo, sul movimento in quanto esso esprime se stesso ma nel contempo esprime le emozioni e precede e traduce l’intelligenza.
Psicomotricità, ancora, è l’acquisizione della presa di coscienza da parte del bambino delle proprie sensazioni, del proprio movimento, delle varie funzioni psicomotorie come dei comportamenti ed emozioni corrispondenti cosicchè il bambino possa controllare il tutto in quanto attore delle proprie azioni e delle proprie difficoltà senza subirle.
Ciò che è essenziale per la psicomotricità è la costituzione dell’atto psicomotorio, che possiamo definire come la sintesi di più livelli di espressione dell’azione:
• desiderio di agire, che deve essere proprio del bambino
• possibilità di agire, che fa riferimento tanto all’aspetto strumentale e funzionale quanto alla possibilità di agire, permessa e riconosciuta dall’altro
• saper fare, che è dato dalle proprie capacità cognitive e dagli apprendimenti
• voler fare come espressione dell’Io, dell’autonomia, dell’integrazione delle regole
sociali, e ciò permette, attraverso l’esercizio, l’acquisizione di competenze e capacità tali da potersi adattare alla realtà.
L’obiettivo della Psicomotricità è favorire in un bambino l’integrazione e l’armonizzazione di questi differenti aspetti.
La Psicomotricità parte dal presupposto che favorire un reinvestimento del corpo e migliori realizzazioni motorie determina sicuramente una maggiore attenzione, una migliore espressione delle emozioni, una migliore organizzazione del pensiero e delle relazioni interpersonali.
L’attività psicomotoria è un’occasione all’interno della relazione psicomotricista-bambino per ripercorrere lo sviluppo psicomotorio integrando aspetti organizzanti e meno organizzanti a qualsiasi livello e funzione essi si esprimano, al fine di “agire sull’origine neuro-motoria o psichica delle difficoltà” ricostruendo le tappe in modo simbolico o reale.
In questa evoluzione lo psicomotricista deve saper considerare i ritmi del bambino secondo una progressione ben definita:
• fare
• fare facilmente
• fare bene
• fare meglio.
Una motricità libera e nello stesso tempo controllata è espressione di un pensiero libero, creativo e ben partecipato emozionalmente.
E infine la Psicomotricità sviluppa la volontà o perlomeno ne facilita l’esercizio mediante un controllo preciso dell’impulso e della inibizione. Ciò, così, rende più agevole e dunque più piacevole il passaggio all’atto; rende possibile la ripetizione di atti semplici, complessi, alternativi e simultanei.
LA PSICOMOTRICITÀ
Origini L’educazione psicomotoria nasce nei primi anni del novecento come terapia per il trattamento di problemi ” mentali” attraverso l’uso del corpo.
Nasce quindi nei centri di neuropsichiatria infantile, ma da quelli presto fuoriesce per diventare strumento di stimolo e crescita per tutti i bambini.
Laddove prima lo scopo era rieducativo adesso diventa educativo, teso a sostenere e stimolare il bambino in quel lavoro che porta dal fantastico al reale, dall’affettivo al razionale, dall’egocentrismo alla socializzazione in un’ottica non di contrapposizione ostile, ma di differenziazione che permette quindi il riconoscimento e di conseguenza la possibilità di “uso”.
L’educazione psicomotoria nella scuola dell’infanzia deve essere innanzitutto un’esperienza di piacere, non indotta quindi attraverso un atteggiamento autoritario o affettivamente ricattatorio, ma attraverso la proposta e l’ascolto, l’osservazione di ciò che accade, non come asettico “scienziato”, ma come parte attiva della situazione e del gruppo che comprende quindi ora non solo i bambini , ma anche l’insegnante, che calibra e valuta , e varia le sue proposte/risposte in base alle proposte/risposte dei bambini.
In secondo luogo deve trattarsi di un’esperienza attiva di confronto con l’ambiente.
Non si tratta quindi di dare del materiale ai bambini, immaginiamo corde, e di chiedergli di fare, per esempio, dei cerchi che più tardi gli chiederemo di nominare e quindi di disegnare, quanto piuttosto di proporre le nostre immaginarie corde ai bambini che attraverso un gioco libero arriveranno a fare delle scoperte, tra le quali probabilmente anche la possibilità di formare con queste un cerchio, che non è necessariamente cerchio, ma magari è casa, e noi saremo pronti a cogliere ciò che sta accadendo per parlare prima di casa e quindi di cerchio (passaggio dall’affettivo al razionale), per fare giochi dentro le case dove si dorme, si cucina e altro, e fuori dalle case per andare al mercato, e poi, perché no, disegnare la nostra bella casa o la strada che da questa ci ha portati al mercato.”In questo stadio l’attività motoria, in relazione con l’adulto o con altri fanciulli, traduce l’espressione di un bisogno fondamentale di movimento, d’investigazione e di espressione che deve essere soddisfatto. Questa esperienza espressiva del corpo vissuto, carica di tutto un contenuto emozionale, si organizza ad un livello di comportamento sensorio-motorio globale favorevole all’emergenza della funzione di aggiustamento.”
Naturalmente l’insegnante non diventa una sorta di vaso vuoto che i bambini riempiono come meglio credono, lasciati a una libertà che non può fare altro che renderli insicuri, è giusto e necessario invece che l’insegnante abbia dei programmi di proposta a breve e lungo termine, che partono da osservazioni per tendere verso degli obiettivi, ma questi programmi non devono diventare una gabbia per sè e per i bambini, devono essere al contrario il reticolato che ci sorregge ma che muta la sua forma nello spazio a seconda che ci si poggi da una parte , dall’altra, in tanti, in pochi, se c’è vento , se piove o c’è il sole.
Per potersi porre in questa situazione di ascolto e reattività è necessario che l’educatore abbia un bagaglio di informazioni e di possibilità alle quali attingere, più ampio è il bagaglio, più sono i colori che ci portiamo appresso più variopinto è il quadro che potremo dipingere.
continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):
Poesie per salutarsi prima della campanella in uso nella scuola steineriana, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Di lavorare ho terminato
riposi adesso quel che ho imparato
e viva nel profondo del mio cuore
per darmi luce, saggezza e amore
perch’io sia buono nel profondo
per tutti gli uomini e per il mondo.
Chiocciola
Chiocciolina chiocciolina
vieni dentro alla casina
che se dentro tu verrai
bello il mondo sognerai. si parte in cerchio per mano, l’insegnante lascia la mano di un bambino e guida la fila a formare una spirale verso l’interno Chiocciolina chiocciolina
vieni fuor dalla casina
che se fuori tu verrai
bello il mondo tu vedrai. il bambino più esterno, il “capofila” guida tutti a sciogliere la spirale e si riforma il cerchio.
Chi entra in questa casa porti amore
chi vi sta dentro cerchi conoscenza
chi ne esce porti pace nel suo cuore
Perchè siamo scesi dal cielo?
Non era più bello restare
tra nuvole d’oro, fra stelle,
fra gli angeli in coro a cantare? spirale verso l’interno, per mano Sì, certo, ma è solo qui in terra
che io posso imparare
a voler diventare
un libero uomo
capace di fare. spirale verso l’esterno, per mano, poi cerchio
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
[wpmoneyclick id=88399 /]Francesco Codello, dirigente scolastico di Treviso, da anni impegnato nella ricerca storico-educativa, è autore di numerosi articoli e saggi apparsi su diverse riviste, animatore dell’I.D.E.N. (International Democratic Education Network) in Italia e redattore della rivista «Libertaria». http://www.educazionelibertaria.org/
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Arriva il bambino a una dimensione
di Francesco Codello
I sistemi educativi nelle società del primo mondo stanno formando nuovi soggetti. Adatti alle esigenze della New-economy e alla divisione internazionale del lavoro. L’apprendimento deve quindi essere necessariamente e utilmente parcellizzato. Un processo che determina la formazione di una mente duttile, elastica, flessibile, assoggettata a una funzione di dominio e potere che si regge sull’assenza di principi come la libertà e la diversità. Questa è la riflessione che propone Francesco Codello, dirigente scolastico a Treviso e studioso dei problemi dell’educazione.
Chiunque si accinga a riflettere sulla personalità infantile non può che constatare come progressivamente, ma decisamente, i ragazzi abbiano ormai uno sviluppo precoce di tutte le abilità cognitive.
Bambini e ragazzi di entrambi i sessi, infatti, presentano una spiccata maturazione della sfera razionale e logica della loro personalità, che interessa soprattutto l’ambito cognitivo e intellettuale.
Questo fatto incontrovertibile emerge chiaramente da tutte le analisi, le osservazioni e gli studi psicologici, pedagogici, sociali che sono stati pubblicati in questi ultimi anni, ma anche dall’osservazione sistematica che genitori e insegnanti fanno quotidianamente nei vari contesti educativi.
L’intellettualizzazione dello sviluppo della personalità è ormai un dato incontrovertibile che evidenzia un abbassamento precoce e un anticipo dell’età nella quale ogni bambino sviluppa performance intellettive.
Tutta l’organizzazione sociale dell’infanzia ruota attorno a questa impostazione:
– anticipo dell’età della scolarizzazione ai tre anni;
– organizzazione del tempo libero improntata a un «arricchimento delle opportunità formative»;
– invasione pressante della tecnologia audio-visiva tanto da provocare una diffusa intossicazione tecnologica;
– decisa impostazione pedagogica dei programmi e dei curricoli scolastici in senso cognitivo-efficentista;
– frammentazione sistematica delle modalità di insegnamento e ricerca di modelli organizzativi della didattica che rispondano a criteri di produttività;
– intera organizzazione del sapere scolastico improntata a una logica economicistico-industriale;
– filosofia del tempo come opportunità di accumulazione di nozioni ed esperienze intellettive;
– assenza di spazi e tempi nei quali non vi sia presenza organizzata di adulti;
– radicale espulsione di fatto da ogni esperienza formativa di attività pratiche, manuali e corporee;
– progressiva trasformazione della famiglia da luogo deputato all’educazione (autoritaria) a nucleo di assimilazione e consumo.
Questo quadro produce inevitabilmente la nascita del bambino a una dimensione, quella cognitivo-intellettiva appunto, contribuendo in maniera decisiva alla formazione di personalità assolutamente disarmoniche.
Bambini e ragazzi si distanziano sempre più da una propria autonoma personalità, da un individuale stare al mondo, da un distacco esistenziale e conscio dalla massificazione. Ciò si manifesta in vari modi: prolungamento della permanenza in casa fino a età più avanzate, perdita di abilità e competenze elementari, dipendenza da modelli determinati non più dalla famiglia ma dal «branco», …
Questa anticipazione dello sviluppo cognitivo, unitamente alla progressiva esclusione degli altri aspetti della personalità, forma individui monodimensionali che ben si inseriscono però nel contesto socio economico e culturale dei Paesi post-industriali del nord del mondo e nell’occidente capitalista.
Il processo di globalizzazione, che altro non è se non un nuovo feudalesimo culturale, si fonda proprio sui presupposti della divisione internazionale del lavoro conseguenza logica del primato della conoscenza intellettiva su quella operativa.
Lo stesso ruolo dell’insegnante viene modificato da questo processo producendo uno spostamento radicale delle sue funzioni sociali. La scuola, in virtù della precoce scolarizzazione, diventa sempre più l’istituzione totale per eccellenza, contenitore esclusivo del processo istruttivo.
L’esperienza dominante e tipica si risolve nella scuola in apprendimento intellettivo e astratto, in spazio di consumo e fruizione di conoscenze e nozioni, in unicità e settorialità di sviluppo della personalità. L’insegnante, l’educatore, diventa pertanto sempre più tecnico specifico di una disciplina. Ha perso completamente la sua funzione sociale di coscienza critica, di intellettuale disorganico della società.
La scuola deve formare la «risorsa umana», che in quanto riconosciuta e definita come tale, viene assimilata alle altre «risorse» e acquisisce lo stesso valore. L’economia è economia della conoscenza, risorsa principale della New-economy.
Il sapere esclusivo diventa il veicolo e lo strumento per la formazione del privilegio: padroneggiare e commercializzare il «saper sapere», una struttura metodologica che consenta di imparare ad imparare. Soltanto chi possiede una capacità meta-cognitiva è in grado di pensarsi o come dominatore o come contestatore.
Insomma un nuovo dominio viene formandosi basato sulla centralità e sull’importanza della formazione strutturale dell’uomo a una dimensione.
Vale la pena sottolineare come questo impianto sociale produca l’affermarsi del valore della tolleranza (vale a dire l’accettazione passiva dell’altro.) e non della solidarietà, che implica esattamente il contrario della passività.
Qual è l’origine di questa corrente delle scuole democratiche, dov’è nata e per iniziativa di chi? Nella sua origine storica, si può dire che la prima scuola democratica mai istituita sia quella di Summerhill, creata nel 1921 da Alexander Neill in Inghilterra.
All’origine c’è Summerhill? Sì, e dopo Summerhill, sempre in Inghilterra, c’è stata un’altra esperienza importante, una scuola che si chiamava Dartington Hall School.
Questa corrente delle scuole democratiche inglesi si è affermata abbastanza nel mondo, ci sono altri paesi che la seguono in quel metodo pedagogico? Sì, penso che sia così; certo ogni paese ha caratteristiche proprie, tradizioni specifiche. Si può dire che quelle scuole si sono sviluppate in base alle caratteristiche dei paesi d’origine.
E oggi quali sono i paesi più rappresentativi, i più impegnati in questo movimento delle scuole democratiche? Attualmente mi pare che sia Israele il paese dove il movimento è più importante. Lì ci sono ventisei scuole già attive, oggi, ma se ne trovano anche in Inghilterra e negli Stati Uniti e in Canada. Ce ne sono pure nella Corea del Sud e in Giappone, in Tailandia e in Indonesia, in Nuova Zelanda e in Australia, in India, in Nepal, in Costa Rica, in Equador, in Brasile e in Guatemala, in Cile e in Colombia, e, ovviamente, in Europa: in Spagna e in tutta l’Europa dell’Est, a Budapest, in Polonia, in Ucraina, a Mosca…
E in Francia e in Italia? Be’, in Italia no, non c’è nemmeno un’esperienza di scuola democratica. In Francia io credo che l’esperienza più significativa sia stata quella di Bonnaventure, ma Bonnaventure è una scuola libertaria. Per l’Italia e per una parte della Francia, ciò che spiega la scarsezza di esperimenti del genere è il posto che occupa la scuola laica di Stato, che in effetti ha svolto un ruolo importante nella lotta contro l’ingerenza della Chiesa e della religione cattolica, e per questo molti progressisti l’hanno appoggiata, senza preoccuparsi di sviluppare un modello alternativo, purtroppo confondendo il pubblico con lo statale.
Anche le pratiche delle scuole Freinet sono forse abbastanza vicine a quelle esperienze? Mi pare di sì, ma non del tutto, perché le scuole Freinet non hanno sviluppato la democratizzazione e la partecipazione diretta degli studenti alla vita scolastica, nel senso della formulazione delle decisioni. Nella maggior parte dei casi, la cooperazione si ferma davanti alla porta dell’aula e investe la sfera della didattica ma non va ad intaccare la gestione della vita scolastica.
Quanti studenti coinvolge il movimento in tutto il mondo? Nel mondo non saprei, ma posso dire che le dimensioni di ogni scuola non sono molto grandi e mi pare che questo sia un bene, perché permette una relazione diretta e di qualità tra le persone, cosa che non è possibile se hai troppi allievi.
Per questo c’è un rapporto tra la «democrazia diretta» nella scuola e le dimensioni della popolazione scolastica? Sì, sì. C’è senz’altro un rapporto importantissimo, perché la partecipazione diretta è possibile solo in una dimensione limitata.
Quali sono i principi pedagogici di queste scuole democratiche? Non mi pare che abbiano una teoria pedagogica di riferimento, ma s’ispirano a varie concezioni, come quella di Janusz Korczack e anche a quella dell’anarchico Francisco Ferrer, di Carl Rogers come di Alexander Neill. Negli USA esiste ancora un movimento della scuola ispirato a Ferrer. Si può dire che le modalità caratteristiche di queste scuole siano quelle che riassumerò brevemente così: tutte le decisioni sono prese con la partecipazione di tutti coloro che vivono nella scuola.
Tutti quelli che ci vivono, vale a dire i non docenti, gli insegnanti, gli studenti e i genitori? Sì, tutti quelli che ci lavorano e ci studiano, i genitori non sempre, ma solo in certi casi. Riguardo a questo primo principio ci sono differenze tra le scuole: in alcune si decide tutto a maggioranza qualificata e in altre si decide all’unanimità. Una scuola dove ogni decisione è presa all’unanimità, per esempio, è la Carl Rogers di Budapest; una dove si decide a maggioranza è quella di Summerhill. Ma io penso che il concetto che si svilupperà di più è quello dell’unanimità, che è applicabile dovunque: se si trova una minoranza che non sia d’accordo con una certa decisione, non fanno propria la decisione che si sta per prendere, se è fondamentale lasciano perdere. Questo modo di procedere è indubbiamente libertario, perché rimanda a un contesto più ampio e più ricco una questione che non può limitarsi a decisioni puramente formali. Si tratta in sostanza di fare delle scelte, ma anche di rispettare le ragioni di una minoranza.
Deve essere un’azione volontaria e libera, che non può mai essere imposta. L’insegnamento non è obbligatorio? No, non lo è. Ma anche di questo principio ci sono differenti applicazioni a seconda del luogo. Sono stato in visita al liceo autogestito di Oslo, che è stato fondato negli anni sessanta da un gruppo di studenti indipendenti. In quella scuola, per esempio, una parte dei corsi, del programma, è destinata a tutti ed è obbligatoria, ma la parte prevalente è facoltativa e libera. Ogni studente si fa un programma di studi personalizzato. C’è un modello di scuole democratiche molto radicale, che si ispira all’esperienza di Sudbury Valley (www.sudval.org) nel Massachusetts: lo si ritrova applicato in Germania e in molti altri paesi: non esiste la frequenza obbligatoria, non c’è un orario delle lezioni, tutto si svolge in base alle decisioni prese ogni mattina, secondo le esigenze che emergono dalla discussione collettiva. Questo è il modello radicale. Mi pare che il congresso di Berlino nel 2005 abbia votato questa mozione: «Gli studenti apprendono quando vogliono, dove vogliono, con chi vogliono.» È il principio che riassume un po’ lo spirito delle scuole democratiche. Gli studenti hanno il diritto di scegliere in totale libertà con chi, che cosa, quando e come studiare.
Nella costruzione del curriculum, del programma, c’è sempre un consiglio di insegnanti o di animatori che dica agli studenti perché sia meglio cominciare con questo o con quello? Anche in questo caso ci sono metodi diversi. Devi sapere che la maggioranza di queste scuole non è statale: sono istituti privati che funzionano secondo regole proprie. Chi, però, vuole avere alla fine un riconoscimento o un diploma, deve sostenere un esame, non nella scuola ma con l’amministrazione statale, per attestare il livello raggiunto. In genere i risultati degli allievi delle scuole democratiche sono altrettanto buoni, sono migliori? Io credo che siano come nelle altre scuole, da questo punto di vista. Ci sono risultati eccellenti, altri meno buoni, ma non sta qui la differenza. Alla fine, quello che distingue gli allievi delle scuole democratiche è il fatto che chi ha vissuto la loro esperienza è senza dubbio più sorridente, più aperto, più abituato a confrontarsi con gli altri, a partecipare alle decisioni.
Il che significa che le scuole democratiche non sono solo democrazia pedagogica, ma anche scuole di democrazia sociale. Si, è questo uno degli aspetti. Io la penso così: ritengo che quella pratica sociale sia importante per sviluppare una certa sensibilità; ma poi la si deve consolidare anche con altri principi, con altri valori che sono importantissimi, perché, come sappiamo bene, la democrazia non è tutto. L’obiettivo chiaramente espresso di queste scuole, mi pare, e tu l’hai detto in un’altra occasione, è che esse fanno la differenza tra «essere» e «dover essere». Io lo interpreto così: è la mia lettura di queste esperienze in Europa, ma non è sempre così esplicito.
Ovvero? Credo che sarebbe meglio costruirsi una teoria basata sull’esperienza diretta di queste scuole, e la teoria che io propongo dice che l’educazione libera, come la intendo io, ma io sono un anarchico, deve educare «a essere» e non a «dover essere». Nel senso in cui tutte le filosofie dell’educazione hanno lo stesso principio di fondo, l’idea preconfezionata, di conformare l’uomo e la donna. L’uomo e la donna devono essere come li vuole lo Stato, come li vuole la Chiesa, o il comunismo, il fondamentalismo, il capitalismo…
Vogliono un « uomo nuovo» pre-pensato e non un individuo libero e autonomo? In quei sistemi la scuola conforma l’individuo a un progetto costruito autoritariamente. Sì, a un progetto di società autoritaria. Io credo che l’importanza dell’esperienza di queste scuole democratiche stia nello sviluppare le potenzialità di ogni studente, di ogni persona. Ma anche degli insegnanti, dei genitori, che la vivono, che si confrontano, che imparano a comunicare. Ognuno può decidere che cosa vuol diventare e soprattutto può sviluppare quanto ha di sensibilità, come attitudine, come progetto di vita.. Perché io credo che tutti, anche i bambini più piccoli, abbiano un progetto di vita.
Qual è la differenza con le scuole libertarie?Anche queste esprimono l’idea di permettere a ciascuno di costruirsi, di fabbricarsi per diventare «un uomo fiero e libero». Sì, certo, ma la differenza sta nel fatto che le scuole libertarie hanno un progetto più ampio, che comprende anche l’uguaglianza economica, sociale, culturale, mentre le scuole democratiche tutto questo non lo esplicitano. Si può dire allora che in queste scuole la sensibilità sociale si coltiva o si acquisisce soltanto con l’esperienza diretta, ma non nel contesto di una riflessione più ampia sulla società. La differenza fondamentale è questa. Questo non significa anche che le scuole libertarie devono fare molta attenzione in modo da permettere ai bambini di «essere» e non riprodurre modelli di normalizzazione, in altre parole, «costringerli» a diventare libertari. Se vogliamo che i giovani si realizzino secondo le proprie potenzialità, non si può dare un giudizio a priori sul loro divenire ideologico.
È una scommessa molto difficile per noi, questa. Sì, è vero.
Si scommette sulla libertà prodotta dalla libertà? Sì. Si può dire così, è quello che penso. Lavorare con la corrente delle scuole democratiche è importantissimo per gli anarchici che hanno una sensibilità pedagogica, che s’interessano a questi problemi, perché si può avere un ruolo importante. Si può fare in modo che queste esperienze si trasformino e si evolvano, da un’assimilazione di tecniche pedagogiche democratiche verso tecniche e riflessioni che producano e moltiplichino valori sociali di libertà, di uguaglianza, di fraternità, di aiuto reciproco…
Quando si lavora con la rete delle scuole democratiche si ha probabilmente una funzione che è di contributo d’informazione ideologica e teorica, da trasmettere a questa corrente democratica che è di fatto assai poco ideologizzata. Sì, è vero. Ma anche di critica. Serve a mettere sempre un punto interrogativo, a sollevare dubbi, in modo che chi vi agisce non accetti mai di vivere in una ambiente definito, chiuso, in uno spazio che non sia aperto al mondo.
Il rischio, in queste scuole democratiche, è che il capitalismo si accorga della loro efficacia, che ne applichi i principi pedagogici per formare dirigenti, politici, generali… Certo, certo. Sono uno strumento, un mezzo che va mantenuto sempre con caratteristiche il più possibile libertarie, per non permettere allo Stato e ai padroni d’impadronirsene. È questa la posta in gioco.
Ci sono altre differenze importanti tra scuole libertarie e scuole democratiche? Io penso che la scuola democratica sia una approssimazione che progredisce per gradi, un’evoluzione verso un modello libertario. È come l’anarcosindacalismo, che si impiega con l’azione diretta a formare persone che pretendono di diventare e di essere libere. Per gli anarchici è un mezzo per essere nella storia, come dico, ma anche contro la storia che altro non è che una costruzione sociale del pensiero borghese.
È un momento di transizione? Sì, per non rinchiuderci nell’ideologia e per confrontarci sempre con gli altri, stando però sempre attenti a non finire ingabbiati nelle logiche del mondo autoritario. Un’altra cosa interessante nelle scuole democratiche, per quanto riesco a capire, è che ci sono sì principi generali, ma non si dice mai che la scuola deve funzionare in questo o in quel modo, ogni scuola democratica ha un suo modo di funzionare: in un certo senso il movimento delle scuole democratiche accetta il principio del federalismo.
Nello stesso tempo ha principi generali, valori che si applicano diversamente in ogni luogo, da qualsiasi parte. Sì, sì.
Come sono organizzati gli incontri tra queste scuole? Quando si riuniscono non c’è un programma precostituito, ma è deciso dai partecipanti, le decisioni sono prese all’unanimità. Nella pratica è un movimento molto libertario, che non ha la consapevolezza di esserlo, mi pare.
I partecipanti fanno pratica anarchica senza saperlo? Sì, in qualche modo penso che sia così.
Intervista realizzata da Hugues Lenoir il 23 settembre 2007
Dalla scuola obbligatoria all’apprendimento
Nel corso della storia gli esseri umani hanno generalmente appreso dall’esperienza pratica, vale a dire attraverso:
– l’osservazione e l’imitazione di comportamenti utili, convenienti o accettabili;
– la sperimentazione e l’invenzione, ad esempio procedendo per tentativi e arrivando alla scoperta di nuove forme di comportamento.
Una volta non esisteva la distinzione tra vivere e apprendere e non vi era nemmeno l’idea che questi due aspetti potessero essere tenuti separati.
Per la grande maggioranza delle persone questo è stato il caso per parecchi secoli, anche quando le prime scuole sono state fondate in Egitto e a Babilonia.
E anche quando l’immagine delle scuole come centri privilegiati di apprendimento si è installata nelle menti di quasi tutti, l’apprendere dalla pratica di vita e l’apprendimento come un processo che dura tutta una vita sono concetti che non sono mai venuti meno. L’apprendimento attraverso la scuola, pur sorgendo in epoca posteriore rispetto all’apprendimento dalla pratica di vita, è nondimeno un fenomeno abbastanza antico.
L’invenzione e la diffusione della scrittura unitamente alle altre capacità connesse quali il leggere e il calcolare, favorirono la fondazione di scuole, prima in Egitto e a Babilonia e poi in Grecia. In Grecia, Socrate divenne l’esponente famoso di un modo di educare, chiamato maieutica, in cui colui che è disposto ad apprendere viene aiutato, attraverso una serie di domande e risposte appropriate, a portare alla luce consapevolmente quello che si riteneva fosse già presente, in una forma latente e poco sviluppata, nella sua mente e nei suoi sensi.
E questo è ciò che la parola stessa “educazione” significa dal punto di vista etimologico e cioè e-ducere (portare fuori) vale a dire stimolare e agevolare la piena espressione delle energie e delle qualità dell’individuo. In contrasto con questa concezione e pratica educativa, una nuova schiera di istruttori emerse nell’antica Grecia che avrebbe rappresentato un modello per la maggior parte dei futuri insegnanti: i sofisti.
Il metodo adottato dai sofisti consisteva nell’insegnare elementi collaudati dell’arte della persuasione (dialettica) e dell’espressione (retorica) di modo che i figli dei ricchi Ateniesi potessero prevalere nelle contese oratorie contro i loro avversari politici.
Il metodo sofistico assegna una importanza enorme alla capacità di servirsi delle parole e alla loro disposizione formale, aspetti che influenzeranno la maggior parte dell’insegnamento scolastico nel corso dei secoli. La separazione tra scuola e vita che questo modo di insegnare e di apprendere non poteva non favorire, emerse anche a Roma.
Ed è proprio contro questo aspetto negativo dell’educazione Romana che si levò il famoso monito di Seneca: “non scholae sed vitae discimus” [impariamo non per la scuola ma per la vita].
Dopo la caduta dell’Impero Romano e la decadenza delle città, le scuole diminuirono di numero e quasi scomparvero e l’educazione ritornò a svolgersi soprattutto in famiglia e attraverso le attività quotidiane. Con la ripresa urbana (intorno all’anno 1000) e con lo sviluppo delle produzioni e dei commerci, riapparvero insegnanti ed istituzioni educative per soddisfare le esigenze dei figli delle nuove famiglie aristocratiche e dei ricchi artigiani e mercanti.
Nel corso del Medio Evo, la Chiesa si assunse il compito di preservare le opere di autori greci e romani, salvandole dalla scomparsa e dall’abbandono. Gli ecclesiastici divennero quindi gli elementi della società più dotati di istruzione, praticamente i soli in grado di leggere e scrivere e in possesso di conoscenze provenienti da età passate.
I limiti all’apprendimento consistevano negli stessi che avevano riguardato la pratica dei sofisti: la separazione tra le materie e i modi dell’insegnamento da una parte e le attività e i problemi della vita degli individui dall’altra.
Aspetti formali, apprendimento a memoria, studio pedantesco delle lingue greca e latina, divennero i pilastri fondanti di gran parte delle scuole medioevali. Lo studente era tenuto a familiarizzarsi in maniera pedissequa con i testi degli autori classici come se essi fossero le vette insuperate e insuperabili della cultura.
L’educazione classica basata sullo studio del latino era allora ritenuta essenziale per entrare a far parte delle più alte professioni quali l’avvocato, il medico, il teologo. Però, contemporaneamente, data la richiesta dei tempi, cominciarono ad apparire scuole di tipo professionale, indirizzate ai figli della classe commerciale in ascesa, nelle quali erano insegnate materie più attinenti alla vita pratica quali la matematica applicata al commercio e il leggere e scrivere in volgare.
Viene così a crearsi una varietà di esperienze educative da parte di una serie di promotori educativi. Questo sarà ancor più evidente con la Rivoluzione Industriale, quando i miglioramenti generali nelle condizioni di vita permisero di dedicare una sempre più ampia quota di tempo e di energie all’educazione formale dei bambini.
Durante la prima metà del secolo XIX, una incredibile serie di iniziative di istruzione scolastica si sviluppò in Inghilterra che stava diventando il paese più avanzato d’Europa. Il numero delle cosiddette scuole private vide una crescita del 545% in dieci anni.
Ma in altre parti d’Europa ci si stava già muovendo in una direzione diversa, con lo stato che assumeva sempre più il controllo dell’educazione.
In Prussia, che va considerata assieme alla Francia come la culla della scuola di stato, i “Regolamenti generali delle scuole” emessi nel 1763 sotto Federico II decretarono l’obbligo scolastico per tutti i ragazzi dai cinque ai tredici anni di età e in seguito tutti gli istituti educativi furono posti sotto la supervisione dello stato.
Nel frattempo in Francia, B. G. Rolland, presidente del Parlamento di Parigi, produceva un rapporto sull’educazione nazionale (1768) in cui invocava l’intervento dello stato attraverso un sistema nazionale gerarchico, centralizzato nella capitale, che controllasse tutte le scuole locali.
Le fondamenta teoriche e pratiche della scuola di stato furono dunque poste nella seconda metà del secolo XVIII.
In Francia la Rivoluzione, con la sua mitizzazione dello stato presentato come il protettore dei cittadini, preparò la strada al dispotismo imperiale di Napoleone.
Napoleone vedeva nell’educazione di stato un mezzo per produrre amministratori preparati e ufficiali dell’esercito a lui obbedienti.
A tal fine istituì i Licei statali, lo stato si arrogò il diritto di nominare gli insegnanti, e venne costituita l’ Università Imperiale, una sorta di Ministero dell’Educazione preposto al controllo di tutto il sistema scolastico e dell’apparato di insegnamento della Francia.
Dopo la caduta di Napoleone, la legge obbligò ogni comune in Francia a istituire una scuola elementare statale. Una serie di leggi ridussero notevolmente e in alcuni casi eliminarono la presenza delle scuole cattoliche, introducendo la proibizione di insegnamento da parte del clero. Il curriculum delle scuole di ogni ordine e grado fu elaborato centralmente e espurgato a fondo di ogni riferimento o tema religioso. Venne deciso di finanziare le scuole di stato attraverso il prelievo fiscale e quindi la loro frequenza divenne apparentemente gratuita.
Seguendo l’esempio della Francia e della Prussia, molti stati Europei assunsero il controllo dell’educazione.
Da quei primi inizi nella seconda metà del secolo XVIII, la scuola di stato si è diffusa dappertutto e ha assunto il controllo dell’educazione a tal punto che l’educazione stessa ha finito per essere identificata con la scuola e per scuola si intende quasi implicitamente la scuola di stato.
Occorre quindi focalizzare l’attenzione un po’ più a fondo sulla scuola di stato, presentando brevemente le giustificazioni offerte per la sua introduzione e le funzioni, le caratteristiche, i protagonisti e gli effetti che caratterizzano la sua esistenza.
La ragione principale a sostegno dell’introduzione della scuola di stato è consistita in considerazioni di tipo egalitario e umanitario: migliorare la condizione dei diseredati e abolire le disparità culturali e gli scompensi sociali, al fine di formare cittadini liberi dall’ignoranza e una società libera dalle disuguaglianze. In realtà, in molti paesi, l’alfabetizzazione delle masse veniva considerata come una possibile causa di ribellioni e di disordini.
Dobbiamo inoltre correggere l’opinione diffusa che lo stato sia stato il vero promotore dell’alfabetizzazione di massa.
In realtà, dalla fine del secolo XVIII, la diffusione dell’alfabetismo stava già avvenendo nonostante e contro l’opposizione dello stato, se si tiene conto che il governo liberale Inglese aveva introdotto tasse sulla carta per scoraggiare la diffusione della lettura e della scrittura tra i meno abbienti.
Nonostante ciò, l’ampia circolazione di documenti rivoluzionari rappresentavano un segno che la capacità di leggere si stava diffondendo anche senza l’intervento dello stato e nonostante gli ostacoli posti dallo stato. E non appena la tassa sulla stampa venne abolita nel 1855, diciassette nuovi giornali di provincia vennero fondati, una indicazione ulteriore della presenza consolidata di capacità di lettura tra la popolazione inglese in generale, molto prima di qualsiasi scolarizzazione di stato in Inghilterra.
Una ulteriore giustificazione per l’intervento dello stato sotto forma di frequenza scolastica obbligatoria per tutti i ragazzi fino ad una certa età, si basava sulla volontà di porre fine al loro sfruttamento nelle miniere e nelle fabbriche. Ma mentre è vero che un numero ristretto di genitori non si comportavano in maniera umana nei confronti della loro prole, la maggior parte di essi compiva ogni sforzo per assicurare ai loro figli un futuro migliore. E a scuola o a frequentare corsi vari di istruzione essi andarono in numero crescente, con un incremento annuo del numero degli alunni doppio rispetto all’incremento della popolazione. Al tempo stesso la grande maggioranza dei lavoratori si era già alfabetizzata o attraverso un impegno personale o tramite l’assistenza di altre persone.
Anche se accettiamo che queste siano ragioni valide per sostenere la promozione dell’educazione da parte dello stato (ad esempio finanziando e facilitando in molti modi ogni tipo di attività educativa), queste stesse ragioni non portano necessariamente a diventare fautori della scuola di stato e del controllo generale dell’educazione da parte dello stato. Altri motivi sostanziali hanno condotto alla scolarizzazione obbligatoria in scuole di stato.
Essere in favore dell’educazione delle classi meno abbienti, in vista della loro emancipazione, non si identifica con la frequenza obbligatoria della scuola di stato, se si considera quanti altri modi esistono per promuovere e accedere all’educazione.
Il sistema di educazione statale sia in Francia sia in Prussia fu perfezionato su basi nazionaliste e le scuole divennero uno degli strumenti più efficaci dell’arsenale politico dello stato.
L’esperienza Prussiano-Tedesca mostrò che “le scuole sono strumenti di politica statale, come l’esercito, la polizia e gli esattori delle imposte”. E praticamente tutti i governanti statali, a tempo debito, appresero la lezione. Lezione che assorbirono creando un sistema scolastico statale rigidamente controllato dal centro, ed emarginando o eliminando ogni influsso esterno allo stato (Chiesa, comunità, genitori, ecc…). Questo è il sistema che sarà adottato in molti paesi, ad esempio l’Italia e che sopravviverà durante quasi tutto il corso del secolo XX.
Una conferma riguardo alle funzioni effettive della scuola di stato, si ha osservando i tratti che ancor oggi, in molti casi, la caratterizzano fondamentalmente, e cioè:
– Finanziamento obbligatorio generalizzato (imposte). La scuola di stato è un servizio fornito in regime praticamente monopolistico considerato che è finanziato obbligatoriamente da tutti, non solo senza distinzione tra coloro che hanno o non hanno figli ma soprattutto, non tenendo conto se il contribuente tassato è a favore della scuola di stato o si rifiuta di utilizzarla, investendo tempo e risorse in esperienze educative alternative per i suoi figli (insegnamento a casa, scuole di comunità, utilizzo di esperti, corsi particolari, acquisto di materiali educativi, ecc.).
– Frequenza obbligatoria generalizzata (fino ad una certa età). La frequenza scolastica è imperativamente prescritta per legge (l’insegnamento in famiglia è permesso solo in alcuni paesi) e i ragazzi sono obbligati ad andare a scuola altrimenti lo stato interviene con la polizia e la magistratura.
– Irreggimentazione degli insegnanti (formazione degli insegnanti e pratiche di insegnamento). Gli insegnanti sono addestrati sotto la supervisione dello stato e devono trasmettere nozioni che sono previste in un curriculum approntato dallo stato, utilizzando manuali approvati dallo stato, seguendo per lo più tecniche convenzionali di insegnamento approvate dallo Irreggimentazione degli studenti. Gli studenti sono suddivisi in base alla loro età cronologica (le loro capacità mentali o gli interessi personali non vengono minimamente presi in considerazione), e sono collocati in gruppi di dimensioni variabili (secondo l’ammontare delle risorse disponibili) sotto il controllo e le direttive di uno o più insegnanti. Tutti gli studenti sono tenuti a seguire con attenzione, memorizzare e ripetere le nozioni trasmesse loro dagli insegnanti, senza mettere in discussione né la forma né il contenuto del processo di istruzione.
– Apprendimento a base nazionale. Le nozioni trasmesse fanno riferimento principalmente, in particolare nel caso delle scienze umane, alla cultura dell’élite nazionale dominante e a ciò che tale élite considera degno di essere assorbito e tramandato. La creatività e il cosmopolitismo non sono, in linea generale, nell’agenda educativa della scuola di stato.
– Certificazione legale dei titoli di studio. Se gli studenti si sono mostrati sufficientemente capaci nel loro sforzo di attenzione, memorizzazione e ripetizione di quanto è stato loro presentato, possono attendersi di ricevere un documento avente valore legale, un diploma. Quel pezzo di carta è una chiave magica che, purtroppo, non sempre riflette ciò che le persone sono davvero capaci di fare. Quando l’educazione era un portato delle esperienze di vita, tutti coloro che, all’interno o all’esterno della famiglia, erano dotati di particolari capacità diventavano insegnanti (diffusori di conoscenze) in maniera informale.
Successivamente, individui letterati, appartenenti soprattutto a congregazioni religiose, dedicarono i loro sforzi all’insegnamento in maniera strutturata, mettendosi al servizio dei poveri o diventano precettori di ricche famiglie. Con la nascita dell’idea della scuola moderna, signore appartenenti a famiglie aristocratiche si impegnarono in istituzioni educative caritatevoli. Contemporaneamente, individui, spesso di umili origini, che avevano appreso a leggere e scrivere, iniziarono ad offrire i loro servizi educativi, diventando il primo nucleo di quella che sarà la schiera degli insegnanti; essi erano pagati dai genitori ed erano sotto l’occhio vigile della comunità locale o del clero da cui venivano impiegati.
Le incertezze finanziarie della professione alla mercé di genitori e gruppi locali, e la dipendenza dalla Chiesa che controllava la maggior parte delle istituzioni educative, rappresentarono le ragioni principali per cui, nel corso del tempo un numero sempre più numeroso di insegnanti favorirono e accettarono di buon grado l’intervento dello stato nel campo educativo. Altre categorie di persone che hanno accettato volentieri il sorgere e il diffondersi della scuola di stato, sono stati tutti coloro che hanno trovato una occupazione in ruoli burocratici all’interno di un gigantesco apparato che, dal centro, guida e modella la macchina educativa.
La scuola di stato obbligatoria ha conseguito non meno di tre risultati negativi, che non erano stati previsti da molti di coloro che erano favorevoli all’intervento dello stato nel campo dell’educazione:
– Ha svalutato i genitori, in base alla premessa che la frequenza scolastica deve essere imposta ai genitori, altrimenti essi non mostrerebbero alcun interesse nell’educazione dei loro figli. Questa generalizzazione è stata applicata nei confronti di tutti i genitori, con il risultato di eliminare il loro essere attivamente responsabili dell’educazione ed attribuendo questo compito a un gruppo di figure professionali e di burocrati che prendono quasi tutte le decisioni al riguardo.
– Ha svalutato l’apprendimento. Un’altra premessa della scuola statale obbligatoria consiste nel ritenere che l’apprendimento debba essere imposto ai ragazzi, altrimenti essi non mostrerebbero alcun interesse e curiosità e rimarrebbero per sempre pigri e ignoranti. Questa è, ancora una volta, una generalizzazione priva di fondamenta, non presa nemmeno in considerazione dalla quasi totalità dei pedagogisti; in maniera paradossale, essa è valida solo laddove la motivazione personale ad apprendere è stata eliminata e rimpiazzata dalla costrizione.
– Ha svalutato l’attività. L’approccio di base della scuola di stato consiste nel radunare i ragazzi in un luogo specifico (l’aula scolastica all’interno dell’edificio scolastico) dove a qualcuno è stato affidato il compito di presentare talune nozioni. In questo modo, l’unione tra apprendere e fare è spezzata del tutto. L’apprendimento appare come un lungo intervallo trascorso al di fuori della vita reale. Questo modello deriva anche da una visione della società divisa tra attività manuali e attività intellettuali.
In generale, la scuola di stato fallisce nella sua funzione essenziale, e cioè nell’elaborare e promuovere un sapere che permetta di affrontare nuove realtà.
E questo non è possibile in quanto privilegia la ripetizione del passato rispetto alla costruzione del futuro, la trasmissione di nozioni a base nazionale rispetto all’esplorazione di una scienza universale, lo studio di teorie convenzionali rispetto alla sperimentazione di ipotesi originali.
Uno dei casi più famosi di rifiuto della scuola è quello che riguardò nel 1854 un bambino di sette anni di nome Thomas Alva Edison. Dopo una animata discussione con il direttore della scuola, disapprovando i rigidi metodi di insegnamento, la madre giudicò opportuno educare il figlio a casa.
Non così fortunato, per quanto riguarda la frequenza scolastica, fu un altro genio come Albert Einstein, il quale, riandando con la memoria ai suoi trascorsi scolastici, scrisse le seguenti parole: “Uno doveva immagazzinare tutte quelle nozioni nel proprio cervello, che lo volesse o no. Questa costrizione ebbe un tale effetto deterrente che, dopo aver superato l’esame finale, per un anno intero provai un rigetto nell’affrontare qualsiasi problema di natura scientifica.”
Purtroppo vi sono molti ragazzi incapaci di mettere in pratica la risoluzione di Mark Twain che dichiarò “Non ho mai permesso che la scuola interferisse con la mia educazione“.
Per molti critici del sistema scolastico i risultati educativi sono apparsi sempre più scoraggianti a tal punto che, a partire dagli anni 1960, una serie di libri sono stati pubblicati con titoli molto illuminanti quali:
– La diseducazione obbligatoria (Compulsory Miseducation) e “Individuo e comunità“-1962 – Paul Goodman
– Come fallire l’educazione dei bambini(How Children Fail) – 1964 – John Holt
– La scuola è morta(School is dead) – 1971 – Everett Reimer
– Descolarizzare la società(Deschooling society) – 1971 – Ivan Illich.
Le analisi e le diagnosi erano tutte molto simili: l’apprendimento non può essere basato sulla costrizione e sull’acquisizione e ripetizione mnemonica, ma si sviluppa attraverso la libertà dell’individuo e la curiosità naturalmente insita in lui che lo porta ad osservare e scoprire, e quindi a imparare. Sulla base di queste idee, e come reazione al fallimento del sistema scolare, nuove esperienze sono apparse soprattutto nel corso degli anni 1980 e 1990 e si stanno moltiplicando.
Mentre la scuola di stato era/è incentrata sull’insegnante, basata su sussidiari e lezioni cattedratiche, obbligatoria e irregimentata, l’educazione progressista era/è incentrata sul discente (Maria Montessori), focalizzata sull’apprendimento attraverso le attività (John Dewey), libera dall’obbligo e dall’irreggimentazione (A. S. Neill e l’esperienza di Summerhill).
Ma queste esperienze sono state o isole in un mare di conformismo o una spruzzata di novità nell’ambito di un approccio formulato in termini generalmente burocratici. Le inadeguatezze del sistema scolastico statale sono rimaste e sono state aggravate da una dinamica sociale e tecnologica che sta facendo apparire la scuola ancor più insignificante e lontana dai veri bisogni di chi vuole apprendere.
Vi sono tre idee che, al tempo stesso, iniziano ad essere accettate da un numero crescente di individui e spingono verso la messa in atto di alternative alla situazione presente:
– la fine della identificazione della scuola con la scuola di stato. Negli Stati Uniti la fine della criminalizzazione nei confronti dell’homeschooling ha consentito il fiorire di molte esperienze nelle quali i genitori hanno assunto la responsabilità diretta nell’educazione dei loro figli.
Il numero di studenti che imparano a casa è passato negli Stati uniti da 350.000 nel 1990 a 1 milione e 300 mila nel 1998. Un altro campo di scuole non statali in crescita è rappresentata da scuole promosse da istituzioni religiose, che mirano a trasmettere anche un forte insegnamento morale.
Questo tipo di scuole sono scelte da coloro che attribuiscono una importanza speciale all’educazione etica e alla trasmissione di alcuni valori basilari. Abbiamo quindi scuole Protestanti, Cattoliche, Ebree, Islamiche, Quacchere, Mennonite e Amish, per citare le più note.
Accanto alle scuole di impronta religiosa, in molti paesi sono sempre esistite scuole non statali (chiamate in Inghilterra “public schools” e altrove “scuole private”) promosse da individui e gruppi e finanziate attraverso le rette pagate dai genitori e contributi volontari. Per citare solo un caso, in Polonia dopo la caduta del comunismo di stato sono state aperte quasi 300 nuove università non statali, frequentate da metà della attuale popolazione di studenti universitari.
Tutti questi sono solo esempi che mostrano che l’associazione mentale che si opera convenzionalmente tra stato e scuola come binomio indispensabile e necessario sta diventando sempre meno valida.
– la fine dell’identificazione dell’apprendimento con la scolarità. Oltre a nuove scuole, vi sono anche esperienze educative progettate a misura dell’individuo e strumenti di apprendimento che l’individuo può utilizzare per un processo di auto-insegnamento.
In generale, l’elevata circolazione di informazioni e la quantità rilevante di risorse e di opportunità educative disponibili, al di là della scuola, rendono l’ambiente stesso nella sua totalità un luogo di apprendimento, e le scuole diventano solo uno tra i tanti centri.
– la fine della identificazione dell’apprendimento con uno specifico periodo della vita (gli anni di scuola) o con uno specifico luogo (l’edificio scolastico). L’apprendimento è, ed è sempre stato, un processo che dura tutta la vita. La più errata delle idee, è che l’apprendimento è una pena inevitabile che deve essere imposta come un obbligo, mentre è, in realtà, un’esperienza naturale e piacevole.
Quello che è davvero una pena è l’essere confinati in un’aula. durante quello che è il periodo più attivo della vita di un essere umano, per ascoltare ed assorbire esperienze di seconda mano e nozioni che devono essere memorizzate e ripetute e pappagallo in modo da superare un esame che permette di iniziare ad ascendere la scala sociale.
L’apprendimento è qualcosa di completamente diverso dalla scuola attuale, anzi i suoi tratti sono antitetici ad essa:
– il processo di apprendimento è caratterizzato dall’essere: libero non forzato, piacevole non penoso, creativo non ripetitivo, motivato dagli interessi dell’individuo non diretto dall’esterno, spontaneo non irregimentato, personalizzato non massificato, che dura tutta la vita non limitato nel tempo, diffuso nello spazio non ristretto in un unico luogo. Per questi motivi, invece di destinare ancora energie e risorse al vecchio sistema scolastico, dovremmo favorire progetti e attività che promuovono: l’apprendimento autogestito (apprendimento come esplorazione personale) e gli ambienti di apprendimento (apprendimento come esperienza sociale).
– L’aspetto centrale dell’apprendimento risiede nel fatto che esso è una esplorazione personale che porta ad uno sviluppo personale. L’apprendimento è iniziato dall’individuo che trova in esso il modo di soddisfare alcune inclinazioni naturali.
– La curiosità e un desiderio attivo di scoperta rappresentano tratti basilari di tutti gli esseri umani. La curiosità e il desiderio di scoperte portano necessariamente l’individuo a impegnarsi personalmente in attività ricche di soddisfazioni e di significati che diventano esperienze di apprendimento.
Vivere e apprendere rappresentano quindi una realtà unica. Ciò che emerge dalla motivazione e dall’impegno è, con tutta probabilità, lo sviluppo di nuove qualità personali. Questo motiva l’individuo a impegnarsi in ulteriori esperienze di apprendimento, in un processo infinito in cui la persona trova sempre più soddisfazioni e appagamento quanto più procede nella sua esplorazione del mondo.
Il processo educativo dovrebbe basarsi su:
– Individualizzazione: l’apprendimento è in stretta relazione con i bisogni, gli interessi e le motivazioni della persona;
– Personalizzazione: colui che apprende seleziona il percorso esplorativo, l’ambiente e il ritmo che più gli si adattano;
– Integrazione: i materiali oggetto di esplorazione non solo si legano l’uno all’altro ma anche si integrano con la precedente base conoscitiva dell’individuo e la allargano/approfondiscono.
Dovremmo sostituire le scuole con un insieme scintillante di esperimenti e di esperienze. Non vi sono limiti all’apprendimento e non vi dovrebbero essere limiti a ciò che può essere fatto nel campo dell’apprendimento.
… non mi aggiungerò al coro di tutte le persone che lamentano quanto in Italia siamo ignoranti musicalmente, noi proprio noi, la patria del bel canto ecc…, non mi aggiungerò nemmeno al coro di quanti sono scandalizzati da quello che i tagli alla scuola hanno prodotto nei Conservatori e i tagli alla Cultura alla possibilità di esprimersi dei musicisti.
Volevo solo dire qui, che da insegnanti e genitori, possiamo considerare la musica come qualcosa non di distante, per pochi, da ricchi ecc…, ma come qualcosa di assolutamente accessibile a tutti e importante quanto la matematica e lo studio delle lingue.
Diamo qualche numero (che con la musica la matematica va molto d’accordo)
– un violino di produzione cinese nuovo costa non più di 100 euro, ma è sciocco comprarlo nuovo: i maestri di musica hanno di solito un “giro” di violini usati e a metà prezzo. Diciamo che un violino costa come una barbie.
– il pianoforte se abiti in città lo puoi noleggiare, è vero, ma se abiti in un condominio ti trovi in casa un oggetto che spesso occupa una stanza (considerando le dimensioni delle stanze dei condomini di oggi parlo di un pianoforte verticale, non a mezza coda) e in più non lo puoi nemmeno suonare perchè appunto è pianoforte, e i vicini difficilmente apprezzano. Però è decisamente una suppellettile chic… La soluzione per studenti è una bella pianola elettrica, molto meno chic, ma coi tasti pesati (non giocattolo…), che permette di regolare il volume (o anche di usare le cuffie) e per il costo vale quanto detto per il violino: il mercato dell’usato è vivacissimo.
Infine le lezioni: poichè un diploma in violino o pianoforte comporta un curriculum di studi che impegna per 10-15 anni, è molto facile trovare studenti che danno lezioni a prezzi assolutamente competitivi rispetto alle federazioni giovanili di calcio e danza e pallavolo. Senza nulla togliere alla pratica degli sport, anzi, solo per dire che se consideriamo accessibile la pallavolo, possiamo considerare ancor più accessibile la musica.
Inoltre ovunque è facile assistere a concerti gratuiti di musica classica, soprattutto in primavera-estate, e molte sono le orchestre giovanili e le “scuole di musica”, che permettono ai bambini di suonare insieme. Si parla tanto di socializzazione… c’è qualcosa di più socializzante dell’intonarsi agli altri e produrre una cosa bella insieme?
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