CANTI DI NATALE The first nowell

CANTI DI NATALE The first nowell con spartito, file mp3 e testo italiano e inglese, stampabili e scaricabili gratuitamente.

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CANTI DI NATALE The first nowell
TESTO

The first Nowell
the angel did say
was to certain poor shepherds
in fields as they lay;
in fields where they lay
keeping their sheep
in a cold winter’s night
that wa so deep.
Nowell, nowell, nowell, nowell,
born is the King oh Israel!

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CANTI DI NATALE The first nowell
SPARTITO e mp3 qui;

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CANTO DI NATALE Donde vieni, pastorella?

CANTO DI NATALE Donde vieni, pastorella? Canto natalizio francese. Con spartito stampabile e testo, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

CANTO DI NATALE Donde vieni, pastorella?
TESTO

coro: Donde vieni, pastorella? Donde vieni?
pastorella: Vengo dal Presepio, dal Bambin Gesù.
coro: Dimmi, è bello, pastorella? Dimmi è bello?
pastorella: Bello più del cielo, bello più del sol.
coro: Dimmi, è solo, pastorella? Dimmi è solo?
pastorella: È con lui Maria, che lo tiene al sen.

coro: Chi c’è ancora, pastorella? Chi c’è ancora?
pastorella: C’è anche S. Giuseppe, padre di Gesù.
coro: Chi c’è ancora, pastorella? Chi c’è ancora?
pastorella: Stanno a riscaldarlo bue ed asinel.
coro: Più nessuno, pastorella? Più nessuno?
pastorella: Cantan l’alleluia Angeli del Ciel.

CANTO DI NATALE Donde vieni, pastorella?
SPARTITO e mp3 qui:

 

Canto di Natale (Germania)

  • Canto di Natale (Germania) per bambini della scuola d’infanzia e primaria, per flauto dolce e canto, con spartito stampabile, file mp3 e testo gratuiti.

Canto di Natale (Germania)
TESTO

Dall’alto dei cieli discende il Signor,

ei porta alle genti un messaggio d’amor.

E gli angeli cantano: “Gloria in ciel,

e pace in terra; sia lieto ogni cuor!”.

Canto di Natale (Germania)
SPARTITO e mp3 qui:

Chi è nato in gennaio? (Germania) Gioco cantato

Chi è nato in gennaio? (Germania) Gioco cantato per bambini della scuola primaria e d’infanzia, con istruzioni di gioco, testo italiano e tedesco, spartito.

Chi è nato in gennaio? (Germania) Gioco cantato
Istruzioni di gioco

Un cerchio e un giocatore all’esterno. Tutti cantano.

Al “vieni, vieni, gira anche tu” i giocatori il cui mese di nascita corrisponde a quello cantato, escono dal cerchio e vanno a formarne un altro col giocatore esterno.

Chi è nato in gennaio? (Germania) Gioco cantato
Spartito stampabile e mp3 qui:

Chi è nato in gennaio? (Germania) Gioco cantato
Testo tedesco

Und wer im Januar geboren ist,
tritt ein, tritt ein, tritt ein!
Er macht im Kreis einen tiefen Knix,
einen tiefen, tiefen Knix.
Heidi, heidi, hopsassasa!
Heidi, heidi, hopsassasa!
Und wer im Februar goboren ist, …

Il musicista di Forlì

Il musicista di Forlì canzoncina per bambini della scuola d’infanzia e primaria, con testo, spartito stampabile e traccia mp3.

Il canto è ad eco. Tutta la canzone è un’alternanza tra il solista e il coro. Quando vengono nominati i diversi strumenti, i bambini imitano i gesti del musicista corrispondente. La canzone può essere accompagnata con le percussioni, come da istruzioni inserite nello spartito sonoro (tamburo, piatti, battimano, mani battute sulle cosce, piedi battuti a terra).

Spartito e file mp3 qui:

Rolly Polly gioco con le dita per l’Inglese

[wpmoneyclick id=88190 /]Rolly Polly Rolly Polly gioco con le dita per l’Inglese per bambini della scuola d’infanzia e primaria, con breve racconto introduttivo.

Rolly Polly, rolly Polly

Up up up.

Rolly Polly, rolly Polly

Down down down.

Rolly Polly, rolly Polly

Clap clap clap.

Rolly Polly, rolly Polly

Hands behind your back.

C’era una volta la principessa Polly, che non aveva mai voglia di fare niente. Tutto il giorno si aggirava per il castello a dare ordini a  tutti, perchè lei non faceva proprio niente.

“Alzami la coperta”

“Mettimi il pigiama”

“versami l’acqua”

“portami a passeggio il cane”

E via così. Nel regno tutti erano ormai stanchi di Polly che non faceva mai niente, così un giorno la cuoca pensò di canticchiarle una filastrocca, la filastrocca di Polly che si gira i pollici. Pensava così di darle una lezione, ma invece a Polly la filastrocca piacque così tanto, che la imparò subito e non smise più di cantarla.

Adesso bisognava anche sopportare la filastrocca di Polly, e lei non la smetteva mai, così finì che tutti caddero addormentati: i servi e le serve, le cameriere, il giardiniere e lo stalliere, la cuoca e il maggiordomo…

Povera Polly! Cominciò a volersi alzare dal letto, ma nessuno le alzava la coperta. Poi nessuno le lavava i denti, e se aveva sete nessuno le versava l’acqua, e se aveva fame nessuno cucinava per lei.

E fu così che, prima facendo dei gran pasticci, ma poi diventando sempre più brava, Polly imparò a fare tutte le cose nel castello, perfino il caffè.

E quando finalmente, dopo giorni e giorno di sonno, tutti si risvegliarono, Polly preparò ad ognuno una buonissima colazione …

Rolly Polly, rolly Polly (i bambini si girano i pollici)

Up up up. (indici verso l’alto)

Rolly Polly, rolly Polly (i bambini si girano i pollici)

Down down down. (indici verso il basso)

Rolly Polly, rolly Polly (i bambini si girano i pollici)

Clap clap clap. (i bambini battono le mani)

Rolly Polly, rolly Polly (i bambini si girano i pollici)

Hands behind your back. (mani dietro la schiena)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

La lezione di silenzio di Maria Montessori

La lezione di silenzio di Maria Montessori – Maria Montessori ha raccontato come ha “scoperto” la lezione di silenzio, e come ha pututo osservare non solo la capacità del bambino di produrre silenzio, ma anche la grande gioia che ne prova.

Un giorno, in classe, aveva tra le braccia un bambino di quattro mesi, che dormiva placidamente. Allora ha chiesto ai bambini di osservare il suo sonno, e come fosse bello, rilassato, felice. Dopo poco i  bambini potevano persino sentire il suo respiro delicato. Così li ha invitati ad imitare il suo silenzio, ed i bambini hanno accolto curiosi questo gioco. Così, dopo poco, i bambini cominciarono ad accorgersi  delle gocce di pioggia che cadevano in cortile, e del canto di un uccello posato su un albero lontano.

I bambini avevano cessato ogni movimento e prodotto un silenzio collettivo, che è stato per loro una profonda esperienza artistica. E una liberazione.

Maria Montessori consiglia la lezione di silenzio come mezzo per portare i bambini ad un maggior livello di consapevolezza di sé. E’ un’esperienza che, una volta fatta, lascia al gruppo classe una coscienza nuova delle proprie capacità.

La lezione del silenzio è una lezione di gruppo, e si fonda sul rispetto degli altri.

Attraverso questo insegnamento i bambini arrivano alla comprensione del fatto che il silenzio è anche cessazione del movimento.

Per raggiungere il silenzio si richiede un grande sforzo di attenzione e una grande forza di volontà, ma si pone il bambino ad un livello superiore nella conquista di sé.

http://www.montessoripublications.com/silence.html

La lezione del silenzio non deve mai essere utilizzata per calmare il caos, per fare ciò è molto più corretto portare i bambini in giardino o in un altro ambiente, per fare qualcosa di speciale.

Ci sono molti modi per invitare i bambini al silenzio.

L’insegnante può sussurrare la parola “silenzio” molto dolcemente, o compiere un certo gesto preparato con cura e senso estetico.

photo credit: My Montessori Journey

In un primo momento, solo pochi dei bambini presenti in classe vi si immergeranno, ma ben presto tutti ne saranno contagiati.

Dopo due o tre minuti, quando tutti sono in silenzio, l’insegnante può cominciare a sussurrare il nome dei bambini dal fondo della stanza, da dietro la porta, dal giardino.

L’insegnante avrà cura di chiamare per primi i nomi dei bambini che fanno più fatica a stare in silenzio.

 

Tutti i bambini della classe devono essere chiamati.

Una volta che i bambini hanno esplorato il silenzio in gruppo, ne hanno conosciuto attraverso molte lezioni le qualità musicali, si può insegnare il gioco individuale del silenzio.

Allora, quando ne sente il bisogno, il bambino può di sua iniziativa prepararsi il materiale: un materassino, il cartellino “Silenzio” o altri simboli e strumenti utilizzati dall’insegnante durante la lezione collettiva, una clessidra e uno stumento sonoro che utilizzerà l’insegnante al termine dell’attività, e un piccolo cuscinetto di fiori di lavanda per gli occhi.

Dispone il materiale, si sdraia in posizione comoda e si sistema il cuscino sugli occhi.

photo credit: http://ateachertransformed.blogspot.com/2009/09/montessori-time-out.html

I simboli che indicano la lezione di silenzio, servono agli altri bambini a chiarire che si tratta di un lavoro che il compagno di classe sta eseguendo e che non può essere osservato e disturbato.

Esistono molte varianti della lezione di silenzio. Le prime volte è consigliabile chiedere ai bambini di chiudere gli occhi.

Chiamare i bambini ad uno ad uno può essere un modo di terminare le lezioni di silenzio collettive, altri modi possono essere predisporre una clessidra e un piccolo campanellino dal suono lievissimo, che deve essere usato esclusivamente per la lezione di silenzio, e in nessuna altra occasione scolastica.

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Disclaimer: “Per redigere questa mia presentazione ho utilizzato i miei album e appunti personali e consultato vari album di altri autori e articoli nel web. Per leggere online o acquistare le copie legali di tali opere consultate segui i link:
– The silence game di Infomontessori.com
– The silence game  di montessoriteacherscollective (Moteaco)
– The silence game di wikisori.org
– The silence activity di montessoricommons.cc
– The silence lesson
 di montessoriworld.org
– Introduction to the exercises of practical life di montessoricommons
– The joyfull child di Susan Mayclin Stephenson
– The importance of the silence game di montessoriservice.com
– Montessori foundation activities – The silence game di montessoritraining.blogspot.it
MANUAL 2: MONTESSORI EXERCISES OF PRACTICAL LIFE di Montitute.com
PRACTICAL LIFE teacher manual di khtmontessori
MONTESSORI PRACTICAL LIFE MANUAL di montessoritraining.net
PRACTICAL LIFE MANUAL EARLY CHILDHOOD.PDC di themontessoriparent.com, che ha suggerito l’aggiunta di questo disclaimer in accordo con la sua politica di copyright.
Ho inoltre consultato i testi di riferimento di Maria Montessori per le attività di vita pratica:
Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini
La scoperta del bambino.
Per una bibliografia completa delle opere di Maria Montessori vai qui.

 

ebook Favole e altre storie di animali, per la lettura e il riassunto

ebook Favole e altre storie di animali, per la lettura e il riassunto in scheda – Racconti brevi adatti ad una seconda classe per esercitare la lettura e il riassunto, da far illustrare ai bambini…  altro materiale qui: https://www.lapappadolce.net/ scaricabili e stampabili gratuitamente in scheda, ebook o testo, in formato pdf.

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ebook Favole e altre storie di animali, per la lettura e il riassunto

Per scaricare il materiale clicca sul link di seguito:

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Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Gioco cantato: Io sono una lumaca

Gioco cantato: Io sono una lumaca, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo, spartito stampabile, traccia mp3 e istruzioni di gioco.

Gioco cantato: Io sono una lumaca
Testo

Io sono una lumaca
e non un topolino.

Non lascio mai la casa,
ma resto a te vicino.

E se mi sento sola, oilà,
qualcuno mi consolerà.

E uno, e due,
il terzo vien con me.

Nella mia casa
staremo come un Re.

Gioco cantato: Io sono una lumaca
Spartito stampabile e file mp3 qui:

Gioco cantato: Io sono una lumaca
Istruzioni di gioco

1. I giocatori sono in cerchio e si tengono per mano. Uno è all’esterno e gira nel senso contrario al cerchio.

2. Il cerchio si ferma alla parola “Consolerà”. Chi si trova all’esterno canta i versi che seguono toccando con la mano tre giocatori del cerchio.

3. Il terzo esce dal cerchio e si aggiunge al giocatore esterno dandogli la mano.

4. Il gioco continua finchè nel cerchio non resterà che un giocatore, il quale ricomincerà il gioco.

Gioco cantato: Passez, pompon

Gioco cantato: Passez, pompon. Per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo italiano e francese, spartito stampabile, traccia mp3 e istruzioni di gioco.

Gioco cantato: Passez, pompon
Testo italiano

Passate, pompon,
i carillons,
le porte sono aperte.
Passate, pompon,
i carillons,
le porte sono chiuse.
A chiave!

Gioco cantato: Passez, pompon
Testo francese

Passez, pompon,
les carillons,
les portes sont ouvertes.
Passez, pompon,
les carillons,
les portes sont fermées.
(Gridato) A clef!

Gioco cantato: Passez, pompon
Spartito stampabile e file mp3 qui:

Gioco cantato: Passez, pompon
Istruzioni di  gioco

Due bambini formano un arco. Sotto di esso passa la fila degli altri giocatori che si tengono per mano, in fila per uno.

Alle parole “A clef”  i giocatori che fanno l’arco abbassano le braccia facendo prigioniero il bambino che sta passando

mentre gli altri giocatori riagganciano la fila e continuano il canto e la marcia.

Il prigioniero deve scegliere tra due oggetti della stessa natura (es. rosa o giglio) che i due bambini che fanno l’arco hanno in precedenza convenuto tra loro.

A seconda della risposta si mette dietro ad uno o all’altro dei giocatori.

Il gioco finisce quando tutti i giocatori sono disposti in due file.

Gioco cantato: Giro giro rosa

Gioco cantato: Giro giro rosa, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo italiano e tedesco, spartito stampabile, traccia mp3 e istruzioni di gioco.

Gioco cantato: Giro giro rosa
Testo italiano

Giro giro rosa,
gialla la mimosa,
prato verde,
cielo blu,
tutti cascan giù!

Gioco cantato: Giro giro rosa
Testo tedesco

Ringel, Rangel, Rosen,
gelbe Aprikosen,
Veilchen blau,
Vergissmeinnicht,
alle Kinder
setzen sich!

Gioco cantato: Giro giro rosa
spartito stampabile e file mp3 qui:

Gioco cantato: La gallina bella bianca

Gioco cantato: La gallina bella bianca, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo, spartito stampabile, traccia mp3 e istruzioni di gioco.

Gioco cantato: La gallina bella bianca
Testo

A. La gallina bella bianca,
se ne andava per l’alto mare,
se ne andava per l’alto mare.

B. I cancelli sono chiusi,
non si può passare,
non si può passare.

C. Figli siam della gallina,
apriteci le porte,
apriteci le porte.

D. Passa via, passa via,
chi è l’ultima sarà mia,
chi è l’ultima sarà mia.

Gioco cantato: La gallina bella bianca
Spartito stampabile

Gioco cantato: La gallina bella bianca
Istruzioni di gioco

Due giocatori formano un arco, tutti gli altri sono fermi davanti all’arco in fila per uno.

La fila canta la STROFA A, i due giocatori rispondono con la STROFA B.

La fila inizia a camminare cantando la STROFA C, i due giocatori cantano la successiva e alzano le braccia, per far passare la fila sotto l’arco.

Quando l’ultimo giocatore della fila passa sotto l’arco, questo si abbassa e lo prende prigioniero.

I due giocatori gli chiedono di scegliere tra due nomi opposti (si sono accordati in precedenza e hanno assunto segratamente due nomi diversi), e a seconda della scelta il prigioniero si dovrà mettere dietro a uno dei due bambini che formano l’arco, ponendogli le mani sui fianchi.

Il gioco continua finchè tutti non saranno sistemati dietro ai giocatori che formano l’arco.

Al termine le due file inizieranno a tirare fino a spezzare la fila.

Gioco cantato: Ponticello d’oro

Gioco cantato: Ponticello d’oro, con testo, spartito stampabile, istruzioni di gioco e traccia mp3. Per bambini della scuola d’infanzia.

Gioco cantato: Ponticello d’oro
Testo

Ponticello d’oro,
chi ha rotto il ponticello?

L’han rotto,
l’han rotto,
l’orafo e la figlia.

Aprite la porta,
se l’ultimo vien preso,
rimane incatenato.

Gioco cantato: Ponticello d’oro
Spartito stampabile e file mp3 qui:

Gioco cantato: Ponticello d’oro
Istruzioni di gioco

Due bambini, uno di fronte all’altro, formano una porta tenendosi per mani a braccia in alto: essi hanno concordato tra loro chi sarà oro e chi argento.

I bambini in fila indiana vi passano sotto uno ad uno cantando.

L’ultimo viene fermato, tra le braccia dei bambini che formano la porta, si stacca dalla fila e gli viene chiesto: Che cosa vuoi, oro o argento? Secondo la risposta, si mette dietro a uno dei due portieri.

Quando tutti si sono messi così in fila,

i bambini delle due file formano due catene tenendosi per i fianchi (il primo bambini si tiene al suo portiere, il secondo al primo ecc…). Al via dato dai portieri tutti tirano: vince la fila che rimane unita.

I vincitori diventano angeli, gli altri diavoletti.

I due bambini che hanno fatto la porta formano un seggiolino con le mani, vi fanno sedere gli angeli uno ad uno e li fanno dondolare.

Nel dondolare dicono: “Portiamo gli angeli in cielo”.

I diavoletti, invece di essere dondolati, vengono scossi dai due che contemporaneamente dicono: “Scuotiamo  fuori il diavolo dall’inferno”.

Gioco cantato: Passatelo il ponte

Gioco cantato: Passatelo il ponte per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo, spartito stampabile, traccia mp3 ed istruzioni di gioco.

Gioco cantato: Passatelo il ponte
Testo

Passatelo il ponte,
passate il porton.
Ma gli ultimi due
fermare dovrò.

Il ponte è finito,
vi passi chi vuol.
Cavallo e carrozza
saliamo, si va.

Gioco cantato: Passatelo il ponte
Spartito e traccia mp3 qui:

Gioco cantato: Passatelo il ponte
istruzioni di gioco

Due bambini, i guardiani, si tengono per entrambe le mani uno di fronte all’altro e formano una porta. Uno raccoglie l’oro, l’altro l’argento per costruire il ponte.

Gli altri bambini si preparano in fila per due, (a due a due per mano) davanti alla porta, dicendo: “Vogliamo passare il ponte”.
guardiani: il ponte è rotto
bambini: lo costruiamo noi
guardiani: con che cosa?
bambini: con oro e argento.

A questo punto tutte le coppie, cantando la prima strofa, passano sotto la porta. Gli ultimi due bambini vengono fermati nella porta

e scelgono se vogliono essere oro o argento. Secondo la scelta si mettono, sempre in coppia, dietro al bambino che raccoglie oro o argento.

Il gioco continua fino a che l’ultima coppia ha fatto la sua scelta.

Poi i bambini della fila più lunga, insieme ai guardiani, si dispongono a coppie formando un ponte lungo.

I bambini dell’altra fila formano a due a due le carrozze (i due bambini si mettono uno dietro l’altro, il bambino davanti porta le mani indietro e il bambino dietro gliele tiene) e passano sotto al ponte mentre tutti cantano la seconda strofa.

Poesie e filastrocche: difficoltà ortografiche

Poesie e filastrocche: difficoltà ortografiche per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste: ca cu co, che chi,  ci ce, cqu, gl, gn, mp mb, qui quo qua que, sc, ha a, c’è c’era, consonanti doppie, apostrofo, accento, divisione in sillabe, segni di interpunzione.

CA CU CO

Cuoco cuoco, cuoci un poco
nel tuo forno grande e fondo
la focaccia dall’odore
che rallegra il nostro cuore.
Scuote mamma i panni al sole
spuntan già le prime viole
Batte il cuoio il ciabattino
nel suo buio sgabuzzino
Zappa il babbo la sua aiuola
mentre il bimbo corre a scuola.

 

Chi e Che

Tre vecchiette stanche
su tre panchine bianche.
Tre tacchini neri
con tre becchi fieri.
Tre pesche per tre bambini
tre lische per tre gattini.

 

Che chi, ce ci

La Checca aveva un gallo
rosso verde e giallo
che allo spuntar del dì
facea Chicchirichì.
La Cecca sua sorella
aveva un bel fringuello
che allo spuntar del dì
facea cicciricì.

Un dì era freddo atroce, e l’acca senza voce
rifugio domandò al ca, al cu, al co
tutti risposero. NO.
Pietosa una vocina, allora di sentì
vieni da noi piccina, vieni tra il ce e il ci
rispose l’acca. SI’.

Cade cheta
come stanca
l’aria chiara
che su cose
case e chiese
batte e canta.
Nella cesta
sta l’arancia
le ciliegie
nella pancia
se sei un ciuco
tiri calci
se sei un sorcio
stai nel cacio
se sei un bimbo
mandi un bacio.

CI e CE

Ci e Ce erano amici: a Ci piaceva Ce
a Ce piaceva Ci. Erano due piccoli
cinesini di marzapane, alti così
tanto ma tanto carini
“Sei dolce Ci” diceva Ce
“Sei dolce Ce” diceva Ci.
Passavano i giorni a darsi bacetti
erano esposti nella vetrina
della più bella pasticceria
della citta di Cincillà.
Diceva la gente passando di là:
“Si amano proprio alla follia
quei due graziosi pupazzetti
poco più alti di due confetti”.
Venne il giorno che si sposarono
il piccolo Ci e la piccola Ce.
Da quel giorno oltre che amici
furono anche sposi felici

Se accanto a me si trova l’E
o giù di lì capita l’I
ho il suono dolce, leggi con me
CI CE, CI CE
ma se vien qua madama A
o il signor O con tanti ohibò
che insieme ad U sbuffa di più
allora il suono si fa più duro
come in CANGURO
sentilo qua: CU CO CA
ripeti su: CA CO CU
ancora un po’: CA CU CO

Cade cheta come stanca l’acqua chiara
che su cose case e chiese batta e canta
nella cesta sta l’arancia
le ciliegie nella pancia
se sei un ciuco tiri calci
se sei un sorcio stai nel cacio
se sei un bimbo mandi un bacio.


Lucciola, lucciola, vieni da me
ti darò un pan da re
ti darò un pan da regina.
Lucciola lucciola lucciolina.

Cincirinella aveva un bel gallo
tutto il giorno ci andava a cavallo
ricco di briglia, di sproni, di sella,
evviva il gallo di Cincirinella!

cqu

Piove piove
l’acqua vien giù.
Bel bello
mi riparo
con l’ombrello.
Ma quant’acqua
viene giù
è già piena
la c e la q.

 

GL

Passa il vento, muore la foglia
zio Guglielmo fa la sfoglia
a pezzetti poi la taglia
zia Teresa lavora a maglia
frigge la sogliola nella teglia
il bambino ecco si sveglia
apre la bocca poi sbadiglia
con il sonno fra le ciglia
dice la mamma: “Figlio mio,
se sbadigli, sbadiglio anch’io”.

Fogliolina di trifoglio
io cerco l’erba voglio.
Erba voglio qui non c’è
ne pei bimbi, ne pei re.

Figlio mio, metti la maglia:
se non la metti la piglia il coniglio.
Il coniglio la indosserà
e mio figlio si raffredderà.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

L’uso delle schede

L’uso delle schede secondo il metodo globale e della scuola attiva: schede di ricerca, schede di esercizio e schede di recupero.

 

La scheda è un cartoncino formato cartolina sul quale è incollata un’illustrazione o enunciato un esercizio, ad esempio.

La scheda non va assegnata come compito da svolgere in un momento prestabilito. Il lavoro sulle schede segue sempre l’attività quotidiana, la affianca, secondo il principio di insegnamento individualizzato a cui la scuola si ispira.

Possiamo fare una sommaria distinzione fra:
schede di ricerca
schede di esercizio
schede di recupero.

La scheda di ricerca, viene compilata in seguito a ricerche personali del bambino o a ricerche di gruppo. Col sistema delle schede, i bambini non non personaggi passivi, seduti ordinatamente sui banchi, in supino ascolto di ciò che l’insegnante dice.

Non sono il “vaso da riempire”. Sono individui operanti che si avviano a quel lavoro di ricerca personale che darà ottimi frutti non soltanto nel lavoro scolastico, ma nella formazione spirituale e intellettuale del bambino.

Facciamo un esempio.
Un argomento di ricerca potrà scaturire da un avvenimento o dall’esplorazione dell’ambiente. Posto l’argomento, gli alunni sono invitati a fare ricerche personali, le quali però, saranno predisposte nel senso che ogni bambino o ogni gruppo ha un lavoro specifico da compiere.

Prendiamo ad esempio che l’argomento scelto sia “il bue”. Un gruppo sarà incaricato di riferirne osservando l’animale: il bue è un quadrupede, erbivoro, ruminante, ha uno zoccolo fatto così e così, ecc… Un altro gruppo può avere l’incarico di trovare tutti i nomi che possono riferirsi al bue: mucca, vitello, manzo, toro, bove, giovenca, vacca…stalla, stalliere, fieno, paglia, pungolo, giogo,…aratro, erpice, carro,… Altri bambini dovranno riferire le qualità del bue: placido, mansueto, lavoratore, erbivoro,… Altri ancora rispondere alla domanda: “cosa fa il bue?” (ara, mugge, trascina l’aratro, rumina,…)

Naturalmente i bambini, specie quelli di prima classe, dovranno essere seguiti e sostenuti in questo lavoro, per sviluppare in loro la capacità di dedicarsi alla ricerca autonoma che darà i suoi frutti negli anni successivi. Mettiamo che un bambino abbia fatto questa osservazione: “il bue mangia l’erba”. L’insegnante lo avvierà alla ricerca di altri animali erbivori, consiglierà di osservare bene il bue quando mangia, ed ecco che salterà fuori l’espressione: “il bue è ruminante”. E quindi la ricerca di altri ruminanti.

Quello che importa non è soltanto il risultato pratico del lavoro, ma quell’abitudine all’osservazione e alla ricerca personale che è il fondamento stesso dell’acquisizione intelligente del sapere.

Ma perchè questo lavoro non si può fare meglio sul quaderno, specie se l’esercizio è lungo e in una scheda non ci può entrare? Perchè la scheda invita all’ordine nella ricerca, per prima cosa; poi, trovando posto in uno schedario, permette non soltanto la consultazione, ma soprattutto l’arricchimento delle notizie in seguito ad ulteriori ricerche.

L’esercizio compiuto sul quaderno, vi resta così come è stato fatto in principio, ormai definito, completato (anche se incompleto), e soprattutto superato. Le ulteriori ricerche potranno costituire materia di un’altra esercitazione, staccata, avulsa dalla prima, e mancheranno così quel coordinamento, quell’ordine, quella sistematicità che soltanto la scheda, in quanto parte di uno schedario, potrà avere.

Schede di esercizio

Le schede di esercizio sono schede su cui è indicato un esercizio di applicazione sulle conoscenze già acquisite o da acquisire. Questo esercizio, soprattutto per quel che riguarda la prima classe, sarà corredato da illustrazioni.

L’efficacia delle schede di esercizio è anche nel fatto che ogni bambino ha un esercizio diverso dagli altri o lo può eseguire nei momenti di lavoro libero, in quanto non si tratta di un’occupazione collettiva.

Questo lo sprona, lo sollecita a compilare la scheda nel miglior modo possibile.

Per il bambino non esiste il facile e il difficile. Esiste quello che può fare e quello che non può fare; ma oltretutto, preferisce ciò che lo interessa.

Schede di recupero.

Differiscono dalle schede di esercizio soltanto perchè sono schede impiantate appositamente dall’insegnante allo scopo di farle compilare da quel dato bambino.

Non sarà il bambino a doversi adattare a un esercizio che potrebbe essere inadeguato alle sue possibilità, ma sarà l’esercizio che si adatterà a lui.

Non tutti i bambini sono allo stesso livello.

Mettiamo che ce ne sia uno che abbia difficoltà ad usare il chi e che. Se questa difficoltà non si riscontra più nel resto della classe, sarà inutile fare tutta una serie di esercitazioni collettive che finirebbe per annoiare ed ottenere scarsi risultati.

Vi sono però delle schede di esercizio appositamente preparate dall’insegnante per quel singolo bambino, ed ecco che, piano piano, questi potrà superare la difficoltà che lo inceppa. Il bambino sarà “recuperato” e potrà essere in breve alla pari con gli altri.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie per la buonanotte

Poesie per la buonanotte – una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Ninna nanna
Dormi, bimbo mio;
dal ciel ti veglia Iddio.
Un bel raggio di luna
carezza la tua cuna.
Ti circondano alati,
i bei sogni dorati.
Che pace nel tuo cuore!
Felice notte, amore!
G. Vai Pedotti

 

Ninna nanna
Si muove lenta, oscilla
la campana della sera:
din don… din don…
una nenia, una preghiera.
Anche un nido piccolino
si dondola nel vento,
anche la culla d’un bambino
ha un moto dolce e lento.
Tutto oscilla piano piano:
din don… chiudi gli occhi!
Vien la notte da lontano,
culla il mondo sui ginocchi. G. Ajmone

 

Ninna nanna
Dormi dormi, mio piccino,
van pel ciel le pecorelle
e le stelle sono agnelle,
fa la luna da pastora…
tu, piccin, non dormi ancora.
Dormi, piccolo angioletto,
dormi fino al nuovo dì,
fin che all’alba il tuo galletto
canti un bel chicchirichì. D. Gnoli

 

Ninna nanna
Ninna nanna, cocco santo
che il tuo babbo è ritornato,
t’ha portato un bel cestino
pien di rose e gelsomino;
pien di rose del buon odore,
il bambino è il nostro amore;
il bambino fa la nanna,
è il cocco santo della sua mamma. D. Valeri

 

La luna
Chiara la luna
in mezzo al cielo
corre veloce
tutta in un velo
corre veloce
perchè ha fretta
nell’altro mondo
la gente aspetta
sopra la torre
vista da qui
la luna sembra
un punto sull’i.

 

Ninna nanna
Dolce sonno, vieni a cavallo!
Fino al canto, resta, del gallo… Ninna oh!
Treppe, treppe, viene, lo sento,
soffia e sbuffa come il vento.
Scuote i fiori per le strade,
non è quella, neve che cade… Ninna oh!
Il cavallo scrolla la testa…
i sonagli suonano a festa… Ninna oh!
Il bambino s’addormentò. G. Pascoli

 

Ninna nanna al bambino malato
Che ti senti, caro figlio?
Poverino, non puoi dirlo!
L’uccellino, quando imbruna.
mette il capo sotto l’ala,
fa un batuffolo di piuma,
dorme dorme sopra la rama.
Esso ha il vento che lo picchia,
tu la mamma che ti ninna;
esso ha il vento che lo urta,
tu la mamma che ti culla;
esso ha il vento che lo schianta
tu la mamma che ti canta.
Dormi amore, dormi o fiore. G. Latronico

 

Stelline
Quattro stelline ho visto passare,
quattro stelline sull’onda del mare
Una per me, una per te,
una la vuole la figlia del re
la quarta stellina, il reuccio cattivo,
grida e comanda “La voglio per me!”
Ma la stellina si ferma a guardare,
poi sorridendo si spegne nel mare.

 

I bimbi vanno a nanna
I bimbi vanno a nanna,
col bacio della mamma.
Dentro nel nido morbido e fido,
dopo un istante dormono.
Discendon sui dormienti,
i sogni più ridenti,
veglian su di loro le stelle d’oro,
e li proteggon gli angeli.

 

Sogni d’oro
Quando brillava il vespero vermiglio
e il cipresso pareva oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
“Così è fatto lassù tutto un giardino!”.
Il bimbo dorme e sogna i rami d’oro,
gli alberi d’oro, le foreste d’oro;
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera. G. Pascoli

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Poesie per i pasti

Poesie per i pasti – una collezione di pensieri, poesie e filastrocche per i pasti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Terra, tu il cibo ci hai dato,
sole tu l’hai maturato.
Cara terra, sole amato
il nostro cuor vi è tanto grato.

 

Come va (L. Schwarz)
Del cibo che mi mettono nel piatto
sempre ne do una parte al mio gattino
e come va che in lui diventa gatto
mentre dentro di me divien bambino?

 

Chiccolino
Un giorno chiccolino,
giocava a nascondino
nessuno lo cercò,
e allor s’addormentò.
Dormì sotto la neve,
un sonno lungo e greve
infine si svegliò
e pianta diventò.
La pianta era sottile,
flessibile e gentile
la spiga mise fuor,
di un esile color.
Il sole la baciava,
il vento la cullava
di chicchi allor si empì,
per il pane d’ogni dì.

 

 La polenta

Borbotta l’acqua, per due brocche al fuoco.
E il fuoco ride e la sua vampa cresce.
L’acqua borbotta, ma lo fa per gioco.
E ne paiolo ora la mamma mesce
farina d’oro, e i bimbi son d’attorno…
sembra che cuocia il sol di mezzogiorno!
E quando è cotta e messa sul tagliere
la mamma dice: “A tavola, ch’è pronta!”
E prende il filo, e mentre taglia conta
quanti ne vede a tavola sedere.
Nè il cuor guidò giammai mano più attenta
di questa che spartisce una polenta. (R. Pezzani)

 

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche: gnomi e nanetti

Poesie e filastrocche: gnomi e nanetti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

 

Otto nanetti si tengon per mano
saltano, giocano, fanno baccano
corrono in fila ben stretti in catena
volano insieme sull’altalena
nessuno la mano dell’altro molla
appiccicati son ben con la colla
se uno salta saltano tutti
se uno cade cadono tutti
ma sempre ognuno rimane sano
porta fortuna tenersi per mano.

 

Con i rossi cappuccetti, se ne vanno giù i nanetti
presto presto la mattina, con piccozza e lanternina
viva viva il sole splende, e il nanetto giallo scende
ben felice nel profondo, bei tesori dona al mondo
verde veste barba bianca, grossa pancia mano stanca
pure noi nanetti siamo, ma dormire preferiamo
la miniera buia e scura, sempre mette a noi paura
com’è triste scender giù, torna indietro nano blu
su prendiamoci per mano, e al lavoro insieme andiamo
rossi gialli verdi e blu, bimbo vieni pure tu
oro avrai dalla miniera, pietre rare ed ogni sera
quando ti addormenterai alle stelle le darai.

 

Le stelline ci han chiamato
e dal sonno ci han destato
un gran compito ci aspetta
su al lavoro in fretta in fretta.
I tesori della terra
noi dobbiamo custodire
la natura piano piano
voi vedrete impallidire.
Raccogliamo con gran cura
le preziose polverine
che abbellito hanno le ali
delle lievi farfalline.
Poi dei lor fratelli fiori
serberemo i bei colori
e il profumo inebriante
delle più svariate piante.
Gli uccellini affideranno
a noi il loro cinguettio
e le api e gli altri insetti
di daranno il lor ronzio.
Così in grembo a Madre Terra
noi faremo tanti viaggi
finchè al sole chiederemo
il calore dei suoi raggi.
La sua calda luce d’oro
giù nelle profondità
dove non si può vedere
in segreto splenderà.

 

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Poesie e filastrocche: destra e sinistra

Poesie e filastrocche: destra e sinistra, per bambini della scuola d’infanzia e primaria, di autori vari.

 

Destra e sinistra
Con la sinistra prendo le stelle
con la destra tocco le onde belle
con la sinistra mi tocco il cuore
vedo ai miei piedi un rosso fiore
lesto lo colgo e sai perchè
con la mia destra per darlo a te

 

Destra e sinistra

Questa è la mia destra
la voglio in alto alzare
questa è la mia sinistra
che vuole il cuor toccare
la destra e la sinistra
poi fanno un girotondo
sinistra con la destra
che vanno per il mondo.

 

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Poesie e filastrocche: i numeri e le quattro operazioni

Poesie e filastrocche: i numeri e le quattro operazioni, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. E’ un materiale molto utilizzato nella scuolas steineriana o Waldorf.

Da uno a dieci
Uno due, la mucca e il bue
due tre, andarono dal re
tre quattro, leccarono il suo piatto
quattro cinque, il re prese le stringhe
cinque sei, olà soldati miei
sei sette, legatele ben strette
sette otto, e fatene un fagotto
otto nove, finchè la mucca e il bove
nove e dieci, diventino due ceci.

 

Numeri
Quando il numero uno vuoi cercare
lo trovi sopra di te, nello splendor solare.
Per me e per te, per la mucca e per il bue
noi contiamo: uno e due.
Mamma papà e bambino, vedi da te
devi contare: uno due e tre.
Quattro stagioni ci sono nell’anno
e i quattro elementi l’universo fanno;
quattro regni ci sono in natura:
l’uomo, l’animale, la pianta e la pietra dura.
In ogni mano cinque dita abbiamo
1, 2, 3, 4 e 5, è con loro che contiamo.
E cinque dita le ha anche il piede, in basso,
danno loro equilibrio e solidità al mio passo.
Se le dita delle due mani contiamo
1 2 3 4 5 6 7 8 9 e al dieci arriviamo.
I diversi numeri del mondo
si stanno intorno da quando siamo nati
ma mai potremo contare, a dire il vero,
tutte le stelle che ci sono in cielo.

 

Numero tre
Io, tu e lui
noi siamo il tre.
Sole, luna e terra
sono il tre.
Mamma papà e bimbo
sono il tre;
terra acqua ed aria
sono il tre.
Testa, cuore ed arti
poi nominare in te
volere sentire e pensare
sono il tre.
Ed ecco perchè
del numero tre
la forma possiamo dare
a tutto il nostro fare.

 

Numerazione del 3
1 2 3 se tu vuoi saper perchè
4 5 6 ti dirò che è stata lei
7 8 9 ti darò tutte le prove
10 11 12 eravamo bagnati fradici
13 14 15 punzecchiati dalle cimici
16 17 18 abbiamo deciso di far fagotto
19 20 21 non è rimasto più nessuno
22 23 24 per la strada incontrammo un matto
25 26 27 che voleva tagliarci a fette
28 29 30 che giornata, santa polenta!

 

Numerazione del 4
1 2 3 4 abbiamo comprato un gatto matto
5 6 7 8 ed insieme anche un leprotto
9 10 11 12 siamo stati a vedere i comici
13 14 15 16 sono venuti pure i medici
17 18 19 20 che per il freddo battevano i denti
21 22 23 24 anche il leprotto diventò matto
25 26 27 28 e decise di far fagotto
29 30 31 32 andò a chiamare l’asino e il bue
33 34 35 36 ma erano partiti già per Canazei
37 38 39 40 quanta paura, tanta tanta!

 

Pinocchietto
Pinocchietto va a palazzo
con i libri sotto il braccio
la lezione non la sa
certo un 4 piglierà
con il 5 non si passa
con il 6 così così
con il 7 ben benino
con un 8 ben benotto
con il 9 professore
con il 10 direttore.

continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):

Filastrocche per esercizi ritmici in cerchio

Filastrocche per esercizi ritmici in cerchio, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Sono molto utilizzate nella scuola steineriana.

 

Le lavandaie

In cerchio, a tre voci, parte il gruppo delle lavandaie
Noi siamo lavandaie
qui pronte per lavar
senza sapone ed acqua
belli non si può stare
ciac… ciac…ciac…ciac…
le lavandaie continuano con l’ostinato, (ciac ciac) senza perdere il ritmo, ed entrano i falegnami
Noi siamo falegnani
qui pronti per segar
tavole panche armadi
vogliamo preparar
frr… frr… frr… frr…
lavandaie e falegnami continuano coi loro ostinati (ciac ciac, frr frr, ed entrano i falegnami
Noi siamo spaccalegna
qui pronti per spaccar
i ciocchi prepariamo
per chi si vuol scaldar
zac… zac… zac… zac…
l’insegnante fa entrare i vari gruppi mentre chi non è chiamato tiene il suo ostinato.
Anche con gesti.

 

Il ciabattino

 

Ripasuole ciabattino
fa le scarpe per benino
punteruolo pece ed ago
son gli attrezzi di quel mago
punta punta, tondo tondo,
noi giriamo tutto il mondo
La filastrocca, ben ritmata, si abbina ad esercizi di abilità: toccarsi il tallone destro con la mano sinistra davanti o dietro, saltare, …

 

Co co co

 

Co co co, che c’è di nuovo?
La gallina ha fatto l’uovo.
Co co co, finchè potrà
la gallina coverà.
Co co co, che cosa è stato?
La gallina ha già covato.
Tic tic tic, che c’è di nuovo?
Il pulcino è dentro l’uovo.
Tic tic tic, un colpo secco
e lo rompe col suo becco.
Ecco aperto l’usciolino
Oh, buondì, signor pulcino.
co co co, tre battute con le mani. Verso successivo coi piedi, alternando.

 

Il mio piede

 

Il mio piede ancora striscia,
è parente della biscia.
Il mio piede sa sognare
e si lascia sollevare.
Il mio piede, non par vero,
or sa muoversi leggero.

 

 

Il rinoceronte (L. Schwarz)
Il rinoceronte, che passa sul ponte
che salta che balla, che gioca alla palla
che sta sull’attenti, che fa i complimenti
che dice buongiorno, girandosi intorno
e gira e rigira, la testa gli gira
che non ne può più, e pum casca giù.

 

Lia e Leo

Lia correva, Leo leggeva, quando udirono un rumor
e una mela da una pianta, cadde a un tratto in mezzo a lor
Leo la vide, Lia la prese, lesta lesta e via scappò
Corse Leo, ma sulla scala, già la Lia s’arrampicò
Leo guardava, Lia rideva, Leo frignava: “Dalla a me!
Io per primo l’ho veduta, dunque proprio tocca a me!”
“Tu l’hai vista, io l’ho pigliata!” Lia mangiando ribattè
“Dunque a te guardarla tocca, e mangiarla tocca a me”

 

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Poesie e filastrocche per i più piccini: le dita della mano

Poesie e filastrocche per i più piccini: le dita della mano. Una collezione di poesie, filastrocche e giochini, di autori vari, per imparare i nomi delle dita della mano nella scuola d’infanzia.

Questo è il tozzo e buon fornaio, con la pancia tonda tonda
questi corrono in suo aiuto, senti allor cos’è accaduto
questo deve fare il pane, ma gioca sempre col cane
questo i biscotti in forno mette, ma poi dorme fino alle sette
Questo deve ornar la torta, ma è la faccia che si sporca
questo porta i bei panini, ma poi cade dai gradini
ecco arriva il buon fornaio e per voi sarà un bel guaio
sgrida forte gli aiutanti, e li scaccia tutti quanti.

Disse il pollice: che fame
disse l’indice: non c’è pane
disse il medio: che faremo?
l’anular: lo ruberemo
disse il mignolo: ma no, a rubar io non ci sto.

Pollice un giorno cadde nel pozzo
indice corse a tirarlo su
medio lo asciugò ben bene
anulare gli preparò una zuppa col formaggio
e mignolino se la mangiò tutta adagio adagio.

Il piccolo mignolo, così per giocare
montò sulla groppa del buon anulare
e questi dal medio, pian piano, bel bello
si fece portare con l’altro fratello
il medio ch’è forte, ma un po’ fannullone
del povero indice montò sul groppone
ma il pollice furbo si mise a fuggire
e l’indice lesto lo volle insegnuire
e ancora lo insegnue coi tre sulla groppa
e intanto la mano galoppa galoppa

(si accavallano le dita una sull’altra a partire del mignolo, poi la mano galoppa)

La mia mano ha cinque dita, e racconta la sua vita.
Dice il pollice, dito ciccione: “Io sono il padrone!
Senza di me non infila l’ago nemmeno il Re.
E dai piccini sono succhiato come un gelato.”
Subito l’indice si alza e dice:
“Io insegno la strada al turista e al ciclista,
e suono il campanello alla porta del castello.”
Il medio allora dice: “Io tengo il ditale
alla sartina che fa la vestina,
ticchete tacchete tà, ago che viene, ago che va”.
Zitti zitti, l’anulare sta per parlare:
“Io ho poca voglia di lavorare,
ma sono il più bello perchè ho l’anello.
Così adornato sono da tutti molto ammirato.”
Alla fine parla il piccino, che si chiama mignolino:
“Nessuno è più piccolo di me, ma se suono il violino
scivolo sulle corde come un ballerino.
Perciò voglio dire la verità:
la sinfonia da solo suonar non potrei, senza tutti i fratelli miei.”

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Canto: Maggiolata

Canto: Maggiolata (dalla poesia di Giosuè Carducci), con spartito  stampabile, traccia mp3  e testo. Per bambini della scuola primaria.

Maggiolata

Maggio risveglia i nidi
maggio risveglia i cuori
porta le ortiche e i fiori
i serpi e l’usignol.

Schiamazzano i fanciulli
in terra e ciel augelli
le donne han nei capelli
rose e negli occhi il sol.

Tra colli prati e monti
di fior tutto è una trama
canta germoglia ed ama
l’acqua la terra il ciel.

Versione cantata della poesia di Giosuè Carducci

Spartito stampabile e file mp3 qui:

 

Canto: Primavera

Canto: Primavera. Con testo, traccia mp3 e spartito stampabile, per bambini della scuola di infanzia e primaria.

Testo

Un ramo di pesco
vestito di rosa
un cantico fresco
nell’aria odorosa
un nido, un grido,
il sole, tre viole,
un soffio di vento,
un rosso di sera…
e il cuore è contento
perchè è primavera.

Spartito stampabile e file mp3 qui:

Canto: Primavera sta per tornar

Canto: Primavera sta per tornar. Con testo, spartito stampabile (per flauto dolce e canto) e traccia mp3; per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Testo:
Cucu cucu sento cantare,

cucu cucu sento cantar

trillan gli uccelli,

fremono i fiori,

primavera sta per tornar.
Cip cip cip cip sento trillare,

fru fru fru fru sento stormir.

Trillan gli uccelli,

fremono i fiori,

primavera sta per tornar.
La la la la, noi pur cantiamo,

hop hop hop hop, noi pur saltiam.

Lieti cantiamo, lieti saltiamo,

primavera sta per tornar.

Spartito stampabile e file mp3 qui:

Poesie e filastrocche LE ORE E L’OROLOGIO

Poesie e filastrocche LE ORE E L’OROLOGIO – una collezione di poesie e filastrocche per la scuola d’infanzia e primaria.

Il cucù malato
C’è un gran pendolo lassù,
dove vive quel cucù
che ogni giorno col suo verso
dà la sveglia all’universo.
Ma stamane ha il mal di gola,
ha perduto la parola,
e non può cantar l’ora
a chi dorme, a chi lavora;
sorge il sole rosso e giallo,
ma beato dorme il gallo;
con la sua mandolinata
apre il grillo la giornata;
come scocca mezzogiorno,
nonno gufo imbocca il corno;
quando poi la notte cala,
stride allegra la cicala,
e la luna sonnolenta,
chiude gli occhi e si addormenta. (M. Punter)

Senza orologio
Senza orologio s’indovinan l’ore
da certi segni messi dal Signore.
Se cala il sole, si capisce bene
che tra pochi minuti il babbo viene.
Al primo canto ch’esce dal pollaio
si svegliano il pastore e l’operaio.
Quand’entra il sole dalla mia finestra
m’alzo perchè m’aspetta la maestra.
Quando con la cartella a casa torno
è da poco suonato mezzogiorno;
mangio e, quand’ho finito di studiare
scocca l’ora precisa di giocare.
Sempre così: l’ora che fa piacere
suona quand’uno ha fatto il suo dovere.
(F. Socciarelli)

 

 

L’orologio
Trotto sempre: uguale il passo,
e non porto cavaliere.
Ho due lance a bilanciere:
l’una innalzo, l’altra abbasso,
l’una e l’altra incrocio spesso,
l’una corre e l’altra appresso.
E ne roteo un’altra ancora,
che non sa cos’è dimora.
Tondo è il campo della lotta,
bianco e liscio a perfezione,
neri i segni alla mia botta;
trotto e picchio, e non mi scotta
polso e cuor nella tenzone:
chè non ho lancia di cerro,
e nel petto ho un cuor di ferro.
Trotto e picchio: non ho scorte,
ma al mio passo guardan tutti:
ch’io segno, nel cammino
fatto a regola di danza,
per ognuno il suo destino,
per ognuno la speranza. (V. Bosari)

 

 

Il vecchio pendolo
Vecchio pendolo tarlato
è già un secolo che batti
e conosci tanti fatti
del romantico passato;
la tua nenia che non varia
questa notte s’è arrestata,
e l’ho invan ricaricata;
la tua nenia che non varia
s’è spezzata! Ahimè, si sa
ogni cosa quaggiù muore;
del metallico tuo cuore
il tic tac più non s’udrà. (U. Magnani)

L’orologio
Montavo sopra una sedia, poggiavo il mento sul davanzale della finestra, e guardavo l’orologio. Grande, bianco. Un fantasma in forma di disco. Tutt’in giro strani segni, che cominciavano da una semplice asta, poi raddoppiavano, si moltiplicavano, si complicavano… Due lance, una più corta e tocca, l’altra più lunga sottile e ardita, veramente la lancia di un cavaliere paladino, infisse al centro del disco, si spostavano lungo la periferia tra quei segni. La minore… si spostava con molta lentezza; svogliata, riluttante a seguire lo slancio dell’altra, l’arma bellissima del guerriero, che a scatti e salti inseguiva quei segni e a uno a uno li superava, senza mai inciampare.
(M. Saponaro)

 

Poesie e filastrocche LE ORE E L’OROLOGIO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici: L’acqua

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Dettati ortografici sull’acqua – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

L’acqua di trova nelle sorgenti, nei ruscelli, nei torrenti, nei fiumi, nei laghi, negli stagni, nel mare. Può essere salata, dolce, limpida, pura, fangosa, torbida. L’acqua disseta e ristora le piante, rende fertili i terreni, serve ai bisogni vitali degli uomini e degli animali. Senza l’acqua, la terra diverrebbe un deserto roccioso.

L’acqua
La vedi sotto diversi aspetti: pioggia, neve, grandine, nebbia, rugiada, brina, ghiaccio. Ma è sempre acqua: fresca e garrula nelle sorgenti, impetuosa nel torrente, calma e possente nel fiume, furibonda o tranquilla nell’immensità dell’oceano. L’acqua pura è inodore, insapore, incolore. Solo nel mare e nei grandi laghi assume un colore azzurro o verdastro o grigio a seconda del cielo che vi si rispecchia.

L’acqua
L’acqua la troviamo nei laghi, nei fiumi, nelle sorgenti, nel mare. Ma se spremi una susina matura, ne vedrai uscire il dolce succo; anche questo è, in gran parte, acqua. E così nelle foglie, nel tronco. L’acqua si trova anche nel nostro corpo come nel corpo di tutti gli esseri animati. L’acqua è un elemento essenziale alla vita.

L’acqua
Ama l’acqua. Essa ti disseta quando sei accaldato e assetato, tiene lindi i tuoi vestiti e la tua biancheria, libera il corpo da tutte le impurità, ti rinfresca e ti ristora. Ama l’acqua che è amica dell’uomo.

L’acqua
L’acqua è amica quando disseta e libera il corpo dalle impurità, quando ristora le piante, quando, nei laghi, nei fiumi e nel mare, serve per potersi recare da una riva all’altra. Ma può essere anche nemica, quando cade rovinosa dal cielo, tutto travolgendo al suo passaggio, quando è impura e può trasmettere malattie, quando, trasformata in grandine, distrugge in un attimo il raccolto di un anno.

L’acqua
La vediamo sotto tante forme e sotto tanti aspetti: pioggia, grandine, neve, rugiada, brina. Gentile e chiacchierina nella fontana, fresca e chiara nella sorgente, impetuosa nel torrente, tumultuosa nel fiume, furibonda o tranquilla nell’ampio mare. L’acqua può fare tanto male e tanto bene: fa bene quando disseta e ristora, fa male quando inonda, travolge e distrugge.

La sorgente
Era un incantevole sito appartato. L’acqua gorgogliava limpida, sprizzando non si sa da dove, e pareva che le piante intorno tendessero verdi mani frondose per raccoglierla nelle loro palme. In fondo al gorgo ribollivano granelli di sabbia. Sgorgando, l’acqua si apriva un canale nel candido calcare e correva via rapida, trasformandosi in ruscello. (Rawlings)

La famiglia Acqua
Mamma Acqua ha diversi figli.
Il più monello è Acquazzone: quando arriva lui fanno tutti la doccia, anche senza averne voglia.
Una persona seria è Acquedotto, che pensa a distribuire acqua alle case dei paesi e delle città.
Acquario, invece, gioca volentieri coi pesci, mentre Acquaio fa la pulizia in cucina.
In famiglia c’è anche un pittore: Acquarello, che usa i pennelli dal mattino alla sera.
La più piccina di tutti è Acquolina, che sta sempre con il naso incollato alle vetrine delle pasticcerie.
Naturalmente la famiglia Acqua è una famiglia fortunata, perchè anche d’estate non soffre mai la sete.

Dettati ortografici sull’acqua – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL GATTO: dettati ortografici e letture

IL GATTO: dettati ortografici e letture – una raccolta di dettati ortografici a tema, per la scuola primaria, di autori vari. Difficoltà ortografiche varie.

Accovacciato con la lunga coda tra le zampe, il gatto sembra dormire. A un tratto un topolino sbuca dalla fessura di una porta. Dapprima il gatto finge di non vederlo, ma lo osserva a occhi socchiusi. Poi si anima, muove il capo con rapidi scatti, si avvicina alla preda con passo silenzioso, quasi camminasse sul velluto. Infine compie un balzo, piomba addosso al topolino e lo afferra con gli unghioni che nel frattempo ha sfoderato.

Il gatto è furbo, malizioso, pigro ed egoista. Tutti i difetti! Ma si fa perdonare volentieri per le sue moine, le sue smorfiette gentili; per la voglia di giocare che lo fa ruzzolare per ore e ore con una palla, con un gomitolo, con un pezzetto di qualcosa legato ad un filo. Ha il pelo morbido ed è un piacere accarezzarlo. Allora fa le fusa e chiude gli occhi e par che dica: “Che piacere mi fai, padroncino!” (G. Reichelt)

Il gatto ha il pelo morbido e fa piacere accarezzarlo. Allora fa le fusa e sembra molto soddisfatto. Ma ecco che si stanca, e allora tira fuori le unghie e giù un bel graffio sulla mano!
Micia, micia, dove sono i tuoi micini? Eccoli qua, morbidi e tiepidi nel cesto dove sono nati. La micia non li lascia mai e li lambisce amorosamente.

Miao miao fa il gattino affamato. Qualcuno gli dà un piattino di latte tiepido. Il gattino lecca il latte con la linguetta ruvida e rosa.

Il gattino ha preso un gomitolo e ora ci gioca, arruffandolo tutto. Povero gomitolo e povera nonna! Lo fa ruzzolare da tutte le parti.

Il balzo rapido che il gatto compie e che gli permette di piombare dritto alla preda senza che questa abbia il tempo di sottrarsi con la fuga, è consentito dalle agili zampe posteriori, molto più sviluppate delle zampe anteriori, mosse da robusti muscoli che consentono di compiere salti anche di due o tre metri. Inoltre, mentre la spinta delle zampe proietta il corpo in avanti, l’elastica colonna vertebrale consente al corpo di allungarsi, mentre la coda, funzionando da timone, rende preciso e infallibile il salto. (Palombi)

Forse mai altro animale al mondo, ha avuto, nel corso dei secoli, tanti sostenitori e tanti nemici come il gatto. Forse mai altro animale è stato oggetto di amore sviscerato e di onori al pari di una divinità, oppure odiato, incolpato dei peggiori misfatti come il gatto. La fierezza del suo carattere gli impedisce di rendersi utile al suo padrone assoggettandosi a un qualsiasi lavoro. Il gatto è utile per la caccia ai topi, ma non bisogna dimenticare che esso compie questo lavoro seguendo il proprio istinto di predatore.

In Egitto, i gatti erano certamente allevati in gran numero e tenuti nel massimo conto. Antichi monumenti raffigurano i più famosi rappresentanti delle dinastie egizie in compagnia del fedele gatto che, a quel che pare, godeva considerazione al pari di un essere divino. Con i più terribili supplizi erano puniti coloro che si rendevano colpevoli della morte di un gatto.

Un caldo e morbido cuscino, la carezza ripetuta del padrone, il piacere di sentirsi delicatamente grattare fra le orecchie, provocano il caratteristico ron ron. Il gatto si abbandona anche a far le fusa e giunge ad accarezzare il suo padrone ritirando le unghiette entro le zampine di velluto.

Il gatto è un dormiglione e per lunghe ore sta accoccolato, placidamente immerso in un sonno in apparenza profondo, ma in realtà assai leggero. Anzi, molto spesso, a un’osservazione più attenta, il gatto che crediamo addormentato, ci sta scrutando attraverso una fessura delle sue palpebre, osservando i nostri movimenti.

Si dice che il gatto preferisca la casa al padrone. Infatti, si è constatato in moltissimi casi che i gatti, portati dal padrone in una nuova abitazione, hanno saputo, con mirabile senso dell’orientamento, ritrovare l’antica dimora, preferendo questa, magari a costo di abitarne solamente la cantina o la soffitta, all’accogliente appartamento del padrone.

E’ notorio che il gatto ha la zampa lunga. Punito severamente per le sue imprese ladresche, il gatto persevera nelle sue abitudini e approfitta di qualsiasi occasione. Ruba anche quando è ben pasciuto, spinto dalla gola o semplicemente dal suo istinto di predatore che, in mancanza di prede vive, si rivolge a qualsiasi leccornia venga imprudentemente lasciata alla sua portata.

La straordinaria potenza visiva del gatto si spiega con la grande capacità di adattamento della sua pupilla alle diverse intensità luminose. Ridotta a una strettissima fessura, quando la luce è intensa, la pupilla si dilata enormemente nella penombra, sì da percepire anche il più debole raggio luminoso.

Il gatto tigrato, detto anche soriano, è uno dei gatti più comuni di tutto il mondo. Di mole piuttosto massiccia, ha la testa grossa e il muso corto. La pelliccia è morbida, vellutata, composta di peli corti e fitti variamente colorati. I colori più comuni sono il grigio e il giallastro, a righe alterne. La coda è relativamente corta.

Il gatto ha una vista acutissima; da ciò deriva la credenza popolare che esso vede anche al buio. Si tratta di un’esagerazione, perchè se è vero che il gatto è in grado di distinguere gli oggetti e di orientarsi anche quando la luce è scarsissima, è tuttavia incapace di vedere al buio assoluto.

Quando il gatto ha sentito la preda, i suoi istinti selvaggi si accendono e si sfrenano nella caccia. Non si accontenta di tenere a lungo la preda sotto l’incubo dell’agguato, ma una volta afferratala con gli uncinati artigli, non la sopprime immediatamente, ma si diverte a farle provare, minuto per minuto, il tormento della morte che si avvicina.

Il gatto, di fronte al nemico, generalmente scappa, ma se non trova via di scampo, non esita a combattere con coraggio e slancio. Il pelo irto sul dorso arcuato, gli occhi lampeggianti, gli artigli interamente sfoderati, la schiuma alla bocca, richiamano alla mente che questo piccolo, leggiadro felino altro non è che un parente assai prossimo del leone, della tigre e di altri ferocissimi felini selvaggi.

La gatta mette al mondo i suoi piccoli in un giaciglio preparato con cura in un angolo tranquillo, dal quale trasloca in gran fretta, trasportando i suoi piccoli ad uno ad uno, quando l’istinto le faccia temere qualche minaccia. La gatta è ottima paziente nutrice che non si accontenta soltanto di nutrire i suoi piccoli, ma si preoccupa di tenerli sempre puliti e ravviati, lisciandoli di continuo con la sua ruvida lingua.

La famiglia dei felini è la più grande e la più importante nell’ordine dei carnivori e comprende animali di dimensione molto varia, dal gatto alla tigre, dal leone al leopardo, al giaguaro. Tutti sono formidabili mangiatori di carne. Di forme flessuose ed eleganti, queste fiere hanno una pupilla che si restringe alla luce fino a diventare una sottile fessura e le unghie retrattili che possono, cioè, rinfoderarsi entro apposite guaine.

Agili, scattanti, fulminei nel salto, i felini sanno arrampicarsi e nuotare, sono veloci nella corsa anche se non resistenti. Hanno per lo più abitudini notturne e cacciano all’agguato: poichè devono seguire prede che non vedono e di cui talora non sentono l’odore, imparano a giovarsi delle minime indicazioni come le impronte. Controllano i loro movimenti istintivi e si spostano con leggerezza senza fare il minimo rumore.

Quanto è morbido il pelo del gatto! La testa rotonda, le orecchie appuntite, i begli occhi dalla pupilla cangiante e i lunghi baffi lo rendono assai grazioso. E’ un quadrupede, e le sue zampe, terminanti con cinque dita per ogni piede, poggiano su speciali cuscinetti elastici con cui tocca il suolo quando cammina, per modo che i suoi passi non producono rumore. Le unghie sono di solito nascoste e sollevate da terra quando non sono usate. Ma, al momento del bisogno, il gatto è in grado di spingerle all’esterno e, acutissime come sono, diventano un’arma formidabile per catturare la preda. Se poi deve difendersi da un animale più forte di lui, esse gli servono per mettersi in salvo arrampicandosi sugli alberi. I denti aguzzi gli consentono di strappare e sminuzzare la carne di cui si nutre. Il gatto è un mammifero carnivoro. Appartiene alla famiglia dei felini, di cui fanno parte altri animali grossi e feroci: il leone, la tigre, il leopardo, la pantera, la lince.

Il gatto

Forse nessun altro animale è stato nel corso dei secoli oggetto di amore sviscerato e di onori al pari di una divinità, oppure odiato , incolpato dei peggiori delitti e messo al bando dalla società umana, come il gatto. Ma forse ciò dipende dalla sua natura, perchè il gatto, pur in tanti e tanti anni di vita domestica, non è ancora riuscito a vincere la sua diffidenza per l’uomo. Ciò, forse, dipende dalla sua appartenenza alla famiglia dei felini, che annovera gli animali più feroci della terra.

Dettati ortografici sui gatti – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici IL GIORNO E LA NOTTE

Dettati ortografici IL GIORNO E LA NOTTE  – Una collezione di dettati ortografici sul giorno e la notte: il mattino, il sorgere del sole, l’alba, l’aurora, il crepuscolo, ecc…

Sorge il sole
Verso oriente appare un’aureola di un colore rosso sanguigno. Poi ad un tratto una scintilla luminosa guizza in mezzo a quel rosso sfolgorante, cresce, si innalza, si ingrossa, prende la forma di un disco, che ad ogni punto manda sprazzi luminosi. Il sole spande la sua luce sulla terra e nel cielo. G. Mercanti

Il mattino
Le stelle si spengono ad una ad una, mentre il cielo si rischiara. E’ l’alba. Poi il cielo si tinge di rosa. E’ l’aurora. Cantano i galli, pigolano gli uccelli, squillano le campane. Il sole appare all’orizzonte. Nelle case la gente si alza e si prepara per il lavoro. Fischiano le sirene degli stabilimenti. SI aprono i negozi, le botteghe, e i bambini si avviano verso la scuola.

La sera
Il sole tramonta e l’aria si fa scura: è il crepuscolo, poi viene la sera. Nelle vie si accendono i lampioni e le insegne pubblicitarie. E’ tutto uno sfavillare di luci. Chi lavora nei campi torna a casa. Si chiudono i negozi, i laboratori, gli stabilimenti. In cielo brillano le stelle. Nelle case, dopo la giornata di lavoro, le famiglie si riuniscono, cenano, chiacchierano, riposano, ascoltano la radio, assistono agli spettacoli televisivi.

Mezzanotte
Tutto è silenzio e tenebra. Gli uomini dormono. Le officine sono chiuse, i campi sono abbandonati. Le strade sono deserte, le porte chiuse, le finestre serrate. Non si sente alcun rumore. Nelle notti serene, la luna brilla nel cielo e illumina i tetti, le case, le strade. Le finestre sono buie: ogni luce è spenta. L’orologio suona dodici colpi: è mezzanotte.

Il sole

Il sole era l’orologio degli antichi: un orologio luminoso che non si fermava mai, che non si guastava mai, ma che solo una nuvola, una piccola nuvola rosea, bastava a celare agli occhi degli uomini.

Il sole
Sia benedetto il sole che ci illumina, ci riscalda, fa nascere i fiori e le piante, dona a tutta la natura i più bei colori. Esso è sempre benefico e meraviglioso, sia che indori le messi, sia che risplenda sulle montagne coperte di neve!

Il sole
Il sole, che ci appare come un bel disco bianco e luminoso verso mezzogiorno, rosso sanguigno verso il tramonto, è un globo immenso, molto più grande della nostra minuscola terra. Se rappresentassimo il sole come una grossa arancia, la terra sarebbe come la testa di uno spillo. La terra, con tutte le sue magnificenze, con i suoi monti altissimi, i suoi oceani immensi, diverrebbe, paragonata al sole, solo un insignificante puntolino.

La luna
E’ l’astro pallido delle notti. Viaggia solitaria nel cielo e passa sopra il mondo addormentato. La sua luce fa la terra tutta d’argento e i grilli cantano e le fanno la serenata.

L’alba
L’alba si veste di rosa e corre a spalancare le porte al sole! Avanti oh re sole, tu sei benvenuto fra noi! Tu fai prosperare le piante, fai sbocciare i fiori, riscaldi e illumini la terra, dai salute e forza all’uomo.

Il sole
Prima di levarsi, il sole mandò un saluto al cielo e diede una pennellata di rosa alle nuvolette bianche. L’allodola, allora, partì dalla zolla dove aveva dormito e gli venne incontro nel cielo per fargli il suo bel canto mattutino. (G. E. Nuccio)

Mattino
Il sole s’affacciò sul mare, indorò le cime dei monti e dei campanili, i tetti delle case, le cime delle piante, poi gettò un tappeto d’oro sulla campagna e mille specchietti sulle onde del mare e sulle acque dei fiumi e dei laghi. Allora i galli cantarono la sveglia, le campane gridarono: din don, din don, e gli uccelli, dagli alberi, si scambiarono i saluti del buon giorno. (G. E. Nuccio)

Il sole
Noi non lo pensiamo, ma tutto ciò che si muove, circola, vive, sul nostro pianeta, è figlio del sole. Le messi che ci daranno il pane quotidiano maturano per opera del sole. E così la frutta, così gli ortaggi. Il legno che ci scalda l’inverno racchiude il calore che il sole donò all’albero. Tutto il mangiare, la vita stessa, ci viene dal meraviglioso astro del giorno.

Il mattino
L’ora in cui si sveglia la natura è un’ora di pace ed insieme di attività. Tutti gli esseri riprendono il loro lavoro. Gli uccelli cantano, rivolti all’astro raggiante. Intorno alle case campestri, gli animali domestici riprendono la loro attività. Quale spettacolo più bello che quello di vedere sputare il sole? Esso si leva nel cielo cacciando le ombre, illuminando gli angoli più nascosti, mettendo dappertutto gioia, calore, luce.

Le stelle
Tutto il cielo è popolato di stelle. Sembrano piccolissime e sono immense. Sembrano lucciole in un prato infinitamente vasto. Oppure innumerevoli fanalini di una stupenda illuminazione. ALcune ardono solitarie, altre si raggruppano formando immagini di animali, di fiori, fontane di luce, carri luminosi. Sembrano occhi aperti sulla terra; occhi degli angeli che guardano gli uomini dal cielo.

Le stelle
Le stelle hanno i più diversi colori. Ve ne sono di quelle rosse come la lanterna di un vascello all’ancora, di notte; come i tizzoni che vegliano nei caminetti deserti, o come occhi di fantastici animali. Altre hanno il pallore della perla o della della goccia d’acqua che racchiude un riflesso di luna. Altre sono azzurrine come fossero tanti fiorellini sbocciati lungo le rive di un ruscello.

Risveglio mattinale
Dal monte e dalla pianura, dai fiumi e dai prati, si alza un’armonia infinita, in cui si confondono le mille voci della natura. E’ canto degli uccelli pei campi; è suono di campane pei borghi; è frequente svolazzare di insetti; è raro camminare di uomini. Più tardi il canto dei contadini copre quello dei fringuelli, nelle selve l’eco porta dai casolari il greve rumore dell’incudine. Il rumore cresce, cresce, a poco a poco e, dalle officine stridenti, dai campi vaganti, si alza solenne la voce del lavoro umano. (F. M. Martini)

Il mattino
Al mattino gli uomini sono più buoni. E’ l’ora che gli angeli entrano nelle case per esaudire le preghiere e mettono il pane nelle madie, il latte nelle scodelle, l’acqua nei catini, ravvivano il fuoco sulla cenere, aprono le finestre alla luce. E il cuore vola via come l’allodola ad incontrare il giorno. (R. Pezzani)

A sera
Il sole è spento, la terra ravvolta nel suo mantello notturno nasconde le sue membra agli occhi di tutti: le creature dormono quasi tutte e non si parlano che all’orecchio. Perfino il mare si raccoglie e nasconde le sue tinte smaglianti. E’ allora che il cielo ci parla col silenzio dei suoi spazi infiniti, con lo scintillio dei suoi milioni di stelle e con la luce malinconica e fredda della luna. (P. Mantegazza)

Mezzanotte
Tutto è silenzio e tenebra. Gli uomini dormono. Le officine sono chiuse, i campi sono abbandonati. Le strade sono deserte, le porte chiuse, le finestre serrate. Non si sente alcun rumore. Nelle notti serene, la luna brilla nel cielo e illumina i tetti, le case, le strade. Le finestre sono buie: ogni luce è spenta. L’orologio suona dodici colpi: è mezzanotte.

Il giorno
Il cielo schiarisce all’alba; il sole sorge all’aurora. Quando il sole è arrivato in alto, nel cielo, è mezzogiorno. Quando declina è pomeriggio; quando si nasconde dietro l’orizzonte si dice che tramonta. Ed ecco la sera e infine la notte, quando tutti riposano.

Il sole sulla casa
La casa è soleggiata. I vetri scintillano alla luce del sole, la facciata bianca splende. Chiudiamo le persiane, abbassiamo le tende, faremo un po’ d’ombra. Un raggio passa fra le stecche delle persiane e traccia righe di luce sul pavimento. Ma si sta bene nella stanza fresca, semioscura.

Mezzogiorno
E’ l’ora della luce e del rumore. Le strade si animano, i bambini escono dalla scuola, corrono, si spingono, vociano. Gli uomini tornano al lavoro: i contadini dai campi, gli operai dalle officine. Le campane suonano, i tram corrono sulle rotaie, le automobili si incrociano e rombano. Tutti vanno verso la propria casa dove li aspetta la tavola apparecchiata.

Il tramonto in campagna

Era il tramonto; ma il chiarore del giorno non voleva cedere alla notte, e s’indugiava tremando su tutte le cose, sui comignoli delle cascine, sui filari dei meli in fiore, sui pini, sulle cime ondeggianti dei cipressi. Da tutte le parti gli uccelletti salutavano chiassosi e cinguettanti il giorno che moriva lento e restio; avevano ancora qualche cosa da fare, non fuggisse via; c’era ancora qua e là da raccogliere per i nidi l’ultima pagliuzza e poi sciogliere dall’albero l’ultimo canto. (G. Pascoli)

Il sorgere del sole

Ormai le stelle sono impallidite e ad una ad una scomparse. La campagna si ridesta col cinguettio degli uccelli che aspettano il primo raggio di sole. Ed il sole ritorna. Dapprima è un crescendo di luce in un punto, sulla cresta della collina, dove i veli e le nuvolette si fanno d’oro splendente, poi la luce trabocca in un getto di raggi che si slanciano su nel cielo e inondano la terra, finchè il disco ardente si affaccia e sale con lentezza maestosa e riprende il suo cammino nel cielo. (M. Maggini)

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Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera)

Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera), per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo, istruzioni di gioco, spartito stampabile e traccia mp3.

Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera)
istruzioni di gioco

I giocatori formano due cerchi concentrici.

I bambini di ciascun cerchio si tengono per mano.

I cerchi girano in direzioni opposte, durante tutta prima frase: “Il tuo mulin va troppo in fretta, il tuo mulin va troppo fort“.

A “Mugnaio tu dormi” i bambini del cerchio interno alzano le braccia e le mettono dietro al collo di quelli del cerchio esterno

formando un solo cerchio incatenato a ghirlanda.

Due “poli” (cioè due bambini che stanno di fronte) del nuovo cerchio si avvicinano al centro e tornano indietro, poi altri due poli fanno lo stesso durante tutta la seconda frase.

Gioco cantato: Il tuo mulin (Svizzera)
Spartito sonoro stampabile e traccia mp3
qui:

Recite per bambini – Qua qua, attaccati là

Recite per bambini – Qua qua, attaccati là. Qualche anno fa, per la mia prima prima classe,  avevo messo in rima questa fiaba, che fa parte delle Fiabe italiane raccolte da Italo Calvino. Mi sono presa qualche licenza, ad esempio per me il papà del Tignoso non fa il ciabattino, ma lavora nella vigna (che fa rima con tigna… )…

Qua qua, attaccati là (la fiaba originale)

Un Re aveva una figlia, bella come la luce del sole, che tutti i principi e i gran signori l’avrebbero voluta in sposa, se non fosse per via del patto che aveva stabilito con suo padre.
Bisogna sapere che una volta questo Re aveva offerto un gran pranzo, e mentre tutti gli invitati ridevano e stavano in allegria, solo sua figlia rimaneva seria  e scura in volto. “Perchè sei così triste?” le domandarono i commensali. E lei: zitta. Tutti si provarono a farla ridere, ma nessuno ci riusciva.
“Figlia mia, sei arrabbiata?” le chiese il padre.

“No, no, padre mio.”
“E allora, perchè non ridi?”
“Non riderei nemmeno se ne andasse della mia vita.”
Al Re allora venne quest’idea: “Brava! Visto che ti sei così intestata a non ridere, facciamo una prova, anzi un patto. Chi ti vorrà sposare, dovrà riuscire a farti ridere.”
“Va bene, padre” disse la principessa, “Ma ci aggiungo questa condizione: che chi cercherà di farmi ridere e non ci riuscirà, gli sarà tagliata la testa”.
E così fu stabilito, tutti i commensali erano testimoni e ormai la parola data non si poteva più ritirarla.
La voce si sparse per il mondo, e tutti i principi e i gran signori volevano provare a conquistare la mano di quella Principessa così bella. Ma quanti ci provavano, tutti ci rimettevano la testa. Ogni mattina di buonora la Principessa si metteva sul poggiolo ad aspettare che arrivasse un pretendente. Così passavano gli anni, e il Re aveva paura di vedersi questa figlia andarsene in spiga come un vecchio cespo di insalata.
Ora accadde che la notizia capitò anche in un paesotto. Si sa che a veglia si vengono a sapere storie di tutti i generi, e così si parlò di quel patto della Principessa. Un ragazzo con la tigna in testa, figlio di un povero ciabattino, era stato a sentire a bocca aperta. E disse: “Ci voglio andare io!”
“Ma va’ là, tu! Non dire sciocchezze, figlio mio.” fece suo padre.
“Sì, padre, voglio andare a vedere. Domani mi metto in viaggio.”

“T’ammazzeranno, quelli non scherzano”
“Padre, io voglio diventare Re!”
“Sì, sì” risero tutti “un Re con la tigna in testa!”
L’indomani mattina, il padre non pensava nemmeno più a quell’idea del figlio, quando se lo vide comparire davanti e dire: “Allora, padre, io vado; qui tutti mi guardano brutto per via della tigna. Datemi tre pani, tre carantani (moneta di rame) e una boccia di vino.”
“Ma pensa…”
“Ho già pensato a tutto”, e partì.
Cammina cammina, incontra una povera donna che si trascinava appoggiandosi a un bastone. “Avete fame, padrona?”, le chiese il tignoso.
“Sì, figlio, e tanta. Avresti qualcosa da darmi da mangiare?”
Il tignoso le diede uno dei suoi tre pani, e la donna lo mangiò. Ma visto che aveva ancora fame, le diede anche il secondo, e poichè gli faceva proprio pietà, finì col darle anche il terzo.
E cammina cammina. Trova un’altra donna, tutta in stracci: “Figliolo, mi daresti qualche soldo per comprarmi un vestituccio?”

Il tignoso le diede un carantano; poi pensò che forse un carantano solo non bastava, gliene diede un altro; ma la donna gli faceva tanta pietà che le diede anche il terzo.
E cammina cammina. Incontra un’altra donna, vecchia, grinzosa, che se ne stava a lingua fuori dalla sete che aveva: “Figliolo, se mi dai un po’ d’acqua da bagnarmi la lingua, salvi un’anima del Purgatorio”.
Il tignoso le porse la sua boccia di vino; la vecchia ne bevve un po’ e lui la invitò a berne ancora, finchè non gliel’ebbe scolata tutta. Rialzò il viso, e non era più una vecchia, ma una bella fanciulla bionda, con una stella tra i capelli: “Io so dove vai, e ho conosciuto il tuo buon cuore perchè le tre donne che hai incontrato ero sempre io. Voglio aiutarti. Prendi questa bella oca, e portala sempre con te. E’ un’oca che quando qualcuno la tocca, stilla “Quaquà” e tu devi dire subito: ‘Attaccati là’.” E la bella fanciulla sparì.
Il tignoso continuò la strada portandosi dietro l’oca. A sera arrivò a un’osteria e, senza soldi com’era, si sedette fuori, su una panca. Uscì l’oste e voleva cacciarlo via, ma in quella capitarono le due figlie dell’oste e, vista l’oca, dissero al padre: “Ti prego, non mandar via questo forestiero. Fallo entrare e dagli da mangiare e da dormire”.
L’oste guardò l’oca, capì cosa avevano in testa le figlie e disse: “Bene, il giovane dormirà in una bella camera, e l’oca la porteremo nella stalla”.

“Questo poi no” disse il tignoso “l’oca la tengo con me; è un’oca troppo bella per stare in una stalla”.
Dopo mangiato, il tignoso andò a dormire e l’oca la mise sotto il letto. Mentre dormiva, gli parve di sentire un tramestio; e tutt’a un tratto l’oca fece “Quaquà”. “Attaccati là” gridò lui, e s’alzò per vedere.
Era la figlia dell’oste, che s’era avvicinata carponi, in camicia, aveva abbrancato l’oca per portarle via le piume e ora era rimasta appiccicata in quella posizione.
“Aiuto sorella! Vienimi a staccare!” gridò. Venne la sorella, in camicia anche lei, abbraccia la sorella alla vita per staccarla dall’oca, ma l’oca grida: “Quaquà”. E il tignoso: “Attaccati là!”, e anche la sorella resta lì attaccata.
Il giovane s’affacciò alla finestra: era quasi giorno. Si vestì e uscì dall’osteria, con l’oca dietro e le due figlie dell’oste attaccate. Per strada incontrò un prete. Vedendo le figlie dell’oste in camicia, il prete cominciò a dire: “Ah, svergognate! E’ così che si va in giro a quest’ora? Ora vi faccio vedere io!”. E giù una sculacciata.
“Quaquà!” fa l’oca.
“Attaccati là!” dice il tignoso, e il prete resta attaccato anche lui.

Continuano la strada, con tre persone attaccate all’oca. Incontrano un calderaio carico di casseruole, pentole e tegami. “Ah, cosa mi tocca di vedere! Un prete in quella posizione! Aspetta me!” E giù una bastonata.
“Quaquà!” fa l’oca.
“Attaccati là!” fa il tignoso, e ci resta attaccato anche il calderaio, con tutte le sue pentole.
La figlia del Re quella mattina era come al solito sul poggiolo, quando vide arrivare quella compagnia: il tignoso, l’oca, la prima figlia dell’oste attaccata all’oca, la seconda figlia dell’oste attaccata alla prima, il prete attaccato alla seconda, il calderaio con casseruole, pentole e tegami attaccato al prete. A quella vista la Principessa scoppiò a ridere come una matta, poi chiamò il padre, e anche lui si mise a ridere: tutta la Corte s’affacciò alle finestre e tutti ridevano a crepapancia.
Sul più bello della risata generale, l’oca e tutti quelli che c’erano attaccati sparirono.
Restò il tignoso. Salì le scale e si presentò al Re. Il Re gli diede un’occhiata, lo vide lì con la tigna in testa, vestito di mezzalana, tutto rattoppato, e non sapeva come fare. “Bravo, giovane” gli disse ” ti prendo per servitore. Ti va?”. Ma il tignoso non volle accettare: voleva sposare la Principessa.

Il Re, per prendere tempo, cominciò a farlo lavare bene, e vestire da signore. Quando si ripresentò, il giovane non si riconosceva più: era tanto bello che la Principessa se ne innamorò e non vide più che per gli occhi suoi.
Per prima cosa, il giovane volle andare a prendere suo padre. Arrivò in carrozza, e il povero ciabattino si stava lamentando sulla soglia della porta, perchè quell’unico figlio lo aveva abbondonato.

Lo portò alla Reggia, lo presentò al Re suo suocero e alla Principessa sua sposa e si fecero le nozze.

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Recite per bambini – Qua qua, attaccati là

In rima per una recita

Narratore:
Un Re aveva una figlia più bella di una rosa,
tutti i principi e i gran signori
l’avrebbero voluta in sposa
ma tanto tempo fa ad una festa
di non ridere si era messa in testa

Re:
Tutti ci provano a farti divertire
ma nessuno ci sembra riuscire
ordino che il primo che ce la farà
come premio in sposa ti avrà!

Principessa:
Va bene padre, ma aggiungo una richiesta
a chi fallirà taglierai la testa.

Narratore:
La notizia circolò rapidamente
e ogni giorno arrivava un pretendente.
Niente.
Il tempo passava
e il Re si disperava
neanche un piccolo sorriso
si affacciava su quel viso
e temeva che la figlia tanto bella
sarebbe rimasta per sempre zitella.
Ora accadde che passando di bocca in bocca
la notizia arrivò ad una bicocca
di un contadino che lavorava la sua vigna
col suo ragazzo che in testa avea la tigna.

Tignoso:
Dalla Principessa ci voglio andare io!

Contadino:
Va’ là, non dir sciocchezze, figlio mio!
Tignoso:
Sì, padre, domani partirò!

Contadino:
T’ammazzeranno, mai più ti rivedrò.
Tignoso:
Padre, io sarà Re, e tu verrai alla festa…

Contadino:
Sì, un Re con la tigna in testa!

Narratore:
La mattina seguente il contadino
non ricordava più l’idea del ragazzino
quando gli comparì davanti e prese a dire:

Tignoso:
Padre, io ti saluto, ho da partire
Dammi tre pani, vino e tre denari.

Contadino:
Pensaci figlio, ti uccideran domani!
Tignoso:
Ho già pensato, padre tanto amato,
ma mentre tu lavori nella vigna
tutti mi guardan storto per la tigna…

Narratore:
Il ragazzo comincia il suo cammino
e una povera donna gli si fa vicino
il viaggio della vecchia è assai penoso
e compassione muove nel tignoso

Tignoso:
Avete fame, povera comare?

Vecchia uno:
Sì caro, e tanta. Hai da mangiare?

Narratore:
Il tignoso le porse uno dei pani
la donna se lo prese tra le mani
lo mangiò, ma ancor non era sazia
seppur felice di cotanta grazia:
voi penserete forse ad uno scherzo,
finì col darle anche il secondo e il terzo.
E cammina, cammina, cammina
un’altra donna al tignoso s’avvicina
mal vestita, di stracci ricoperta
dice al tignoso con voce sofferta:

Vecchia due:
Figliolo, qualche soldo mi puoi dare
chè un vestituccio mi possa comprare?

Narratore:
il tignoso le diede un carantano
poi le allungò il secondo nella mano
e vide così povera e indifesa
che anche il terzo le donò con sua sorpresa.
E cammina cammina cammina
ora un vecchia al tignoso di avvicina
dalla gran sete con la lingua fuori.

Tignoso:
Povera vecchia, se tu non bevi muori!

Narratore:
il tignoso le porge la sua brocca
il vino già le scorre nella bocca
la la invita a berne un altro sorso
lei gliela vuota senza alcun rimorso
ma quando poi finito ebbe di bere
il tignoso un gran prodigio ebbe a vedere:
era una fanciulla bionda e bella
e tra i capelli d’oro avea una stella!

Fata:
So dove vai e vincerai sicuro
so di certo che il tuo cuore è puro
io ero le tre donne che hai aiutato
e ho deciso che vai ricompensato.
Prendi quest’oca dal bianco piumaggio
e portala con te lungo il tuo viaggio
e se qualcuno te la toccherà
la sentirai stillare “Quaquaquà”

Tignoso:
E se strilla che cosa devo fare?

Fata
“Attaccati là” presto dovrei gridare.

Narratore:
Il tignoso riprese il suo cammino
tenendo sempre l’oca a lui vicino.
A sera arrivò ad un’osteria
ma senza soldi, ne ne restò per via.
Uscì l’oste a cacciare il forestiero
ma alle sue figlie balenò un pensiero

Figlie:
Diamogli da mangiare e da dormire
mentre lui dorme l’oca può sparire…

Narratore:
Dopo aver mangiato e senza alcun sospetto
il tignoso prese sonno con l’oca sotto il letto.
Mentre dormiva ebbe un balzo al cuore:
nella sua stanza c’era un gran rumore

Oca: Quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore
La figlia dell’oste in camicione
voleva compier la cattiva azione
carponi sotto il letto s’era intrufolata
ed ora all’oca era rimasta appiccicata

Figlia uno: Aiuto sorella, vienimi a salvare!
Figlia due: Arrivo, arrivo, smetti di strillare!

Oca: Quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore:
E per voler salvare la sorella
rimase appiccicata pure quella.
Il tignoso si vestì e uscì dall’osteria
davanti a quella strana compagnia
di due ragazze ancora in camicione
appiccicate all’oca in quella posizione.
E cammina cammina cammina
a loro un sacerdote si avvicina…

Prete: Ah, svergognate, in camicia da notte!

Narratore:
E si avvicina per dar loro le botte

Oca: Quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore:
la mano che stava per dar la sculacciata
al sedere della ragazza rimase appiccicata.
E cammina cammina cammina
un pentolaio adesso si avvicina
e vedendo un prete in quella situazione
si arrabbia e vuole dargli una lezione

Pentolaio:
Ma guarda che mi tocca di vedere
un prete tocca una donna sul sedere!

Narratore:
E giù un bel colpo di bastone

Oca: quaquaquà
Tignoso: Attaccati là!

Narratore:
Il pentolaio con tutta la mercanzia
si aggiunge a quella strana compagnia.
La Principessa affacciata tristemente
al suo poggiolo, attendeva un pretendente
quando vide arrivare in fila indiana
quella strana sgangherata carovana:
un povero tignoso davanti a un’oca bella
una ragazza in camicione e dietro sua sorella
un prete che la toccava sul sedere
e il pentolaio con i suoi attrezzi del mestiere.
A quella vista la Principessa scontrosa
scoppiò in una risata fragorosa
chiamò suo padre, e anche lui non si trattenne
tutta la corte rideva a crepapelle.
E sul più bello del riso generale
sparì l’oca col suo corteo da carnevale.
La Principessa vide il tignoso avanti a sè
salir le scale e presentarsi al Re.
Egli lo vide così brutto e rattoppato

Re:
Quel che è giusto ti verrà dato
a mia figlia hai ridato il buon umore
per premio diverrai mio servitore

Narratore:
Ma il tignoso non volle accettare
la Principessa voleva sposare
E per prendersi il tempo di pensare
il Re gli ordinò intanto di andarsi a imbellettare.
Quando davanti a loro si ripresentò
la Principessa se ne innamorò
così bello era diventato quel tignoso
che ora lo amava e lo voleva in sposo.

Favole racconti e leggende sugli animali

[wpmoneyclick id=87865 /]Favole e leggende sugli animali – una raccolta di favole e leggende, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

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 Come nacquero il gatto e il topo

 Un giorno il leone incontrò un cinghiale. Il leone aveva una bella pelliccia rossastra e un paio di baffi che erano il suo orgoglio. Il cinghiale, invece, era scuro, di pelo corto; aveva il muso appuntito e due zanne bianche di cui andava molto fiero.

“Io sono molto più bello e più forte di te!” si vantò subito il leone, scuotendo la sua criniera.

Il cinghiale rise mostrando le sue zanne affilate. “Non ti consiglio di mettermi alla prova” disse, “ho la pelle dura io  e non temo i tuoi artigli.”

“Dunque non mi temi?” chiese sorpreso il leone abituato ad essere rispettato da tutti gli animali.

“Perchè dovrei temerti?” rispose il cinghiale, “Se starnutissi, dalle mie narici uscirebbe un animale che ti farebbe fuggire”.

“E allora starnutisci,” disse il leone, “e dopo starnutirò io”.

Il cinghiale puntò le zampette, inarcò la groppa, fece vibrare il suo codino, e finalmente starnutì. Dalle sue narici uscì un animaletto nericcio, col musino a punta e una codina fina fina. Era il topo, che gli somigliava.

Ed ecco il leone scuotere la criniera e starnutire impetuosamente. Dalle sue narici uscì fuori un animale peloso, ornato di artigli. Era il gatto, che gli somigliava.

Il topo a quella vista fuggì via, ma il gatto lo inseguì, fino a che il topo non sparì dentro un buco.

“Hai visto, presuntuoso?” disse il leone al cinghiale, “Il tuo starnuto si è dovuto nascondere per non essere divorato dal mio”. (Leggenda berbera)

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L’asino spaccone

Il leone volendo andare a caccia, chiamò l’asino, lo coprì di frasche e lo istruì perchè spaventasse, a forza di ragli, gli animali della foresta non abituati alla sua voce. Gli animali si sarebbero dati alla fuga, ed il leone li avrebbe aspettati al varco.
L’orecchiuto eseguì la consegna. Sotto la maschera verde, si mise a ragliare con quanto fiato aveva, spaventando con quell’insolito clamore gli animali rintanati nel folto. Trepidando, se la davano tutti a gambe verso il varco ove il leone in agguato balzava loro addosso e li atterrava a uno a uno.
Stanco alla fine, della carneficina, il leone chiamò l’asino e gli ordinò di tacere. Quegli, allora, con aria di gradasso: “Che potenza ha la mia voce!” disse “guarda quanti morti!”
“Straordinario!” rispose il leone “Anch’io sono stato lì lì per battermela, tanto la tua voce è terribile; ma per fortuna ti conoscevo bene e sapevo che tu, in fondo, non sei altro che un coniglio diventato grande:”

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La ranocchia e il bue

Una volta alcune rane stavano giocando sulla riva di un fosso; si gettavano nell’acqua, uscivano fuori, saltavano qua e là, piene d’allegria. Ma ecco un grosso bue che pascolava lì presso, si avvicina e scende alla riva per bere. Alcune delle rane impaurite si tuffano nell’acqua, le altre coraggiose stanno a guardare il pacifico animale. “Com’è bello! Com’è grosso!” dice una ranocchia giovinetta che non ha mai visto un bue. “Sarei proprio felice se potessi diventare come lui… sono così piccina…” E tutta presa da questa idea, la ranocchia comincia a gonfiarsi… Eh, ci vuole altro! Le altre rane la stanno a guardare con tanto d’occhi. “Cresco?” chiede sbuffando la ranocchia. “Un po’, un po’!”. E quella si gonfia ancora. “Cresco?”. Ma ad un tratto… altro che crescere! La povera ranocchia scoppia per lo sforzo e muore; e così non c’è più, nè piccola nè grossa. E’ ridicolo ed inutile l’affaticarsi a parere ciò che non si è. (M. Bersani)

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L’orsacchiotto troppo piccolo

L’orsacchiotto era il più piccolo di tutti.
Era più piccolo delle sue sorelle, molto più piccolo di suo fratello, molto molto più piccolo del suo babbo.
Molto spesso, perchè era troppo piccolo, era lasciato al di fuori di tutto quello che si faceva in casa.
Un giorno, il povero orsacchiotto si sentiva del tutto abbandonato.
Sua sorella era andata a raccogliere verdure nell’orto, e quando egli aveva chiesto di accompagnarla, aveva detto: “No, io sarò occupata e non potrò sorvegliarti; tu sei troppo piccolo e puoi perderti”.
Suo fratello stava andando a pescare. L’orsacchiotto gli domandò se poteva andare con lui, ma egli rispose: “No, io sarò occupato a pescare e non potrò sorvegliarti; tu sei troppo piccolo e potresti cadere nel lago”.
“Oh,” si lamentò l’orsacchiotto, triste e abbandonato sulla soglia di casa come un piccolo mucchietto di peli, “sono troppo piccolo per tutto…”
Proprio in quel momento, stava uscendo il suo grosso babbo, che udì il suo lamento. “Non direi, orsacchiotto” disse il babbo, “io sto andando a fare la spesa e tu sei della misura giusta per venire con me, seduto sulle mie spalle”.
L’orsacchiotto si asciugò le lacrime, e andò con il babbo.
Comprarono pane, burro, limoni, pesce, maionese, ed un grosso vaso di miele. Quando tornarono a casa il babbo disse: “Non avrei mai potuto portare a casa tutta questa roba senza l’aiuto del piccolo orsacchiotto”.
A queste parole, l’orsacchiotto si sentì forte, grande, allegro, orgoglioso di poter aiutare il babbo, come deve fare ogni bravo orsacchiotto.
(K. Jackson)

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La chiocciola, la formica e il gambero

Molto tempo fa, quando il mondo era giovane, una Chiocciola, una Formica e un Gambero decisero di coltivare insieme una risaia.

Bisogna però tenere presente che in quei giorni lontani questi tre animali erano molto diversi da come appaiono ora: la Chiocciola era completamente nascosta nel suo guscio, dal quale non usciva mai; il Gambero era incolore; e la Formica aveva il corpo grassoccio e a forma di salsiccia.

I tre amici discussero sulla distribuzione dei compiti.

“Dobbiamo dividere il lavoro in parti uguali” disse la Chiocciola.

“Nessuno deve faticare più degli altri” convenne la Formica.

“Penso che sarebbe meglio se voi due lavoraste nel campo ed io badassi alle faccende domestiche” disse il Gambero.

Così decisero. Il Gambero sarebbe rimasto in casa, mentre la Chiocciola e la Formica si sarebbero recate in risaia.

Il giorno dopo all’alba la Chiocciola e la Formica uscirono di casa portando con sé un po’ di cibo preparato dal Gambero. Era così presto che gli uccelli non erano ancora volati via dagli alberi. La Chiocciola e la formica lavorarono sodo per tutto il giorno, mondando il riso nel campo. Quando il sole cominciò a calare, si accorsero di avere una gran fame.

Nel frattempo, a casa, il Gambero era affaccendatissimo a preparare una bella cenetta. Dopo essere andato nella foresta a raccogliere la legna e un mazzo di barbabietole novelle, stava mescolando sul fuoco una bella zuppa. Ne assaggiò una cucchiaiata: deliziosa!

In quel momento sentì i suoi amici tornare dalla risaia. Si affrettò a togliere dal fuoco la pentola con la zuppa. Ma ahimè, nella fretta capitombolò nel liquido bollente.

“Aiuto, aiuto!” gridò il povero Gambero, “Ti prego, aiutami, Chiocciola!”

“Un attimo!” rispose la Chiocciola “lascia che mi soffi il naso!”.

Ma ahimè! La Chiocciola si soffiò il naso così forte che schizzò mezza fuori dal guscio.

“Un attimo” rispose la Formica “lasciami prima stringere la cintura attorno ai fianchi.”

Ma ahimè, la Formica tirò la cintura così forte che il suo corpo si divise quasi in due.

Così i tre amici incorsero tutti in un terribile destino: da quel giorno il Gambero, con la bollitura, diventò rosso vivo; la Chiocciola visse per metà fuori dal guscio e il corpo della Formica rimase pressoché diviso in due.

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Il topo, l’uccello e la salsiccia

Questa è la storia di un topo, un uccello e una salsiccia che decisero di vivere assieme. La loro casetta sorgeva, bianca, con un bel tetto di paglia, in una radura in mezzo alla foresta: tutt’intorno crescevano alti alberi e nel profondo della foresta tenebrosa si aggiravano orsi e lupi.
I tre amici si erano divisi i compiti: l’uccello doveva provvedere alla legna da ardere, il topo accendeva il fuoco, portava l’acqua dal pozzo e apparecchiava la tavola, e la salsiccia cucinava.
Tutto andò bene per un po’ e i tre vivevano felici e contenti. Ma un bel giorno, l’uccello, volando nella foresta in cerca di legna, incontrò un corvo e chiacchierando con lui cominciò a vantarsi della sua buona sorte e dell’eccellente accordo che aveva stretto col topo e con la salsiccia.
“Craa!” gracchiò il corvo. “E la chiami fortuna questa? Dammi retta, il grosso del lavoro lo hanno scaricato su di te: eccoti qua a faticare per raccogliere la legna, mentre il topo e la salsiccia se ne stanno tranquillamente a casa. Immagino che il topo possa concedersi un bel pisolino dopo aver acceso il fuoco, portato l’acqua e preparata la tavola. Quanto alla salsiccia, quella sì che può prendersela comoda! Non deve far altro che sorvegliare la pentola, e quando è ora di pranzo rotolarsi una o due volte nella verdura, ed ecco fatto: la verdura è condita, salata e pronta da mangiare! Ti sembra faticoso?”
L’uccello ascoltò attentamente il discorso del corvo, e cominciò a pensare che quel che aveva detto doveva essere vero. Così il giorno dopo, quando fu il momento di andare a raccogliere la legna, dichiarò al topo e alla salsiccia: “Ne ho abbastanza di fare i lavori più pesanti in questa casa! So benissimo come ve la prendete comoda mentre io volo nella foresta. Bisogna che stabiliamo un altro accordo: mi rifiuto di andare ancora a raccogliere la legna.”
Il topo e la salsiccia ci rimasero male. Era andato tutto così bene fino a quel momento: ognuno aveva fatto il suo dovere senza lamentarsi. Comunque, decisero di sorteggiare i compiti. L’uccello prese tre rametti: chi avesse estratto il più lungo avrebbe raccolto la legna, chi il più corto avrebbe cucinato, e chi quello di mezzo, avrebbe acceso il fuoco, preparato la tavola e preso l’acqua.
Fu così che alla salsiccia toccò raccogliere la legna, all’uccello accendere il fuoco, preparare la tavola e prendere l’acqua, e al topo cucinare.
La salsiccia andò dunque nella foresta: ahimè, non aveva fatto molta strada quando si imbattè in un lupo affamato, che la divorò in men che non si dica. Questa fu la fine della salsiccia.
L’uccello, nell frattempo, dopo aver acceso il fuoco, si era recato al pozzo per prendere l’acqua.
“Il topo non se la prendeva tanto comoda, dopotutto!” pensava affaticandosi a tirar su il pesante secchio. Ma ahimè, nel momento in cui il secchio stava per raggiungere l’orlo del pozzo, l’uccello perse la presa, e nel tentativo di riafferrarlo, cadde nell’acqua e affogò. Questa fu la fine dell’uccello.
E il topo? Ignaro della sorte toccata ai suoi amici, sorvegliava la pentola, mescolando la verdura. Quando fu ora di pranzo si ricordò che la salsiccia era solita rotolarsi nella verdura per condirla e salarla, e volle fare lo stesso. Ma ahimè! Buttarsi nella pentola e finire arrostito fu tutt’uno. Questa fu la fine del topo.
Così la casetta nella radura rimase vuota e abbandonata, ed è un peccato, perchè se l’uccello non avesse dato ascolto ai cattivi consigli del corvo, i tre amici sarebbero ancora là e vivrebbero felici e contenti.

Come l’anatra imparò a nuotare

Nel buon tempo antico, quando Adamo non aveva ancora la barba lunga,  e anche il cuculo non deponeva ancora le sue uova nel nido altrui, l’anatra non sapeva ancora nuotare. Però amava l’acqua e stava volentieri sulle sponde dei laghi e degli stagni. Lì incontrava talvolta l’airone.

Un giorno, mentre chiacchieravano, ebbero l’idea che avrebbero pur dovuto imparare a nuotare.

“Chissà se il creatore lo permette?”

“Si può chiedere”.

Dunque ci pensarono su.

“Certo” disse benevolo creatore “quello di voi che domattina salterà per primo fuori dal nido potrà nuotare.”

Alla sera andarono entrambi a dormire presto. L’anatra infilò come al solito il becco sotto le penne e si addormentò. Ma l’airone no. Si propose di star sveglio tutta la notte. Per tutto il tempo stette lì a pensare che cosa avrebbe gridato all’anatra quando al mattino avesse nuotato superbo nell’acqua. Finalmente, e già il sole appariva sui monti, l’aveva trovato: “Tutto il dì sullo stagno scintillante, l’airone nuota calmo ed elegante”. Ma quando scorse il giorno i suoi occhi si chiusero per la stanchezza. L’anitra invece aveva riposato bene, uscì lesta dal nido e si tuffò nelle onde. Era capace di nuotare! L’acqua fresca lambiva il suo petto.

“Tutto il dì nuoto sul lago e dico

addio, airone, mio caro amico”.

Il povero airone si destò, ma troppo tardi. Era capace soltanto di sguazzare un pochino nell’acqua. Lì si fermò, sulle sue lunghe gambe a trampolo e allungò il collo verso l’anatra. Lo si può vedere fermo così anche al giorno d’oggi.

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Il povero caprone

Era un caldo giorno d’estate. Il sole splendeva alto nel cielo azzurro, spandendo i suoi raggi sulla terra. Una volpe, attraversando di corsa un campo di grano, giunse presso una cisterna all’ombra di una siepe verdeggiante. Aveva sete, e decise di bere alla cisterna: ma quando dall’orlo si chinò per bere, scivolò sulla terra viscida e, perduto l’equilibrio… pluff! Cadde nell’acqua. Cominciò a sguazzare, agitando le zampe in tutti i versi, ma senza risultato: non riusciva a venir fuori. Era intrappolata nella cisterna! E sapeva benissimo che il contadino cui apparteneva il campo, se l’avesse trovata, non avrebbe avuto pietà di lei: non più tardi del giorno innanzi era entrata in mezzo al gregge e aveva ucciso un agnellino; e la settimana prima aveva rubato un bel pollastro. Ahimè! Se non riusciva a venir fuori da lì, le sue ore erano contate!
Poco dopo, giunse al campo di grano un caprone bianco, con la fronte ornata di credi corna e una serica barbetta sotto il mento. Anche lui moriva di sete, e decise di abbeverarsi alla cisterna. Quale fu la sua sorpresa quando, affacciatosi, vide la volpe che nuotava nell’acqua!
“Buongiorno amica volpe” disse il caprone “dì un po’, è buona da bere quest’acqua?”
La volpe sogghignò vedendo l’espressione ingenua del caprone. “Ottima, fratel caprone: anzi, la migliore che abbia mai bevuto. Infatti, come vedi, sono entrata addirittura nella cisterna per poterne gustare a mio piacimento; ma se vuoi venire anche tu, ce n’è per tutti e due.”

Senza starci a pensare su troppo, il caprone saltò dentro la cisterna, e cominciò a lambire l’acqua con gusto, senza sollevare la testa finchè non si fu dissetato.
“Avevi proprio ragione, amica volpe” belò, con la testa gocciolante, “non ho mai assaggiato un’acqua migliore!”
La volpe sorrise. “Ora, fratel caprone, dobbiamo trovare il modo di uscire da questa cisterna”.
“E’ vero!” esclamò il caprone, guardando preoccupato le alte, lisce pareti della cisterna.
“Ho un piano” disse la volpe “ma dobbiamo unire i nostri sforzi per portarlo a compimento.”
“Farò tutto ciò che posso” belò il caprone prontamente.
“In tal caso” disse la volpe “fammi il piacere di appoggiare le zampe davanti alla parete della cisterna e di tenere ben in alto le corna: io mi arrampicherò sopra di te, e quando sarò fuori tirerò su anche te.”
Il caprone, volenteroso, seguì le istruzioni e la volpe, arrampicandosi su pre i fianchi, le spalle e le corna del caprone, raggiunse l’orlo della cisterna e si trovò finalmente sana e salva all’asciutto. Si scosse via l’acqua in attimo.
Il caprone la chiamò dalla cisterna: ” E io, amica? Non dimenticare il patto: ti ho aiutata a uscire, ora devi tirarmi su!”
La volpe si affacciò alla cisterna lanciando uno sguardo di scherno al caprone. “Tu, fratel caprone, hai più peli nella barba che cervello in testa. E’ colpa tua se ora resti prigioniero nella cisterna: avresti dovuto fermarti a pensare come saresti uscito, prima di saltar dentro. Non ho alcuna intenzione di aiutarti!”
E mentre il caprone cominciava a belare piagnucoloso, la volpe trotterellò via attraverso il campo e fu presto lontana.

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Il leone e il cinghiale

In un caldissimo giorno d’estate, un leone e un cinghiale giunsero nella stessa pozza di acqua. Sul terreno intorno erano impresse le tracce di molti animali, cervi e capre, volpi e sciacalli, elefanti e rinoceronti, nessuno dei quali avrebbe mai osato abbeverarsi insieme al leone perché ne avevano troppa paura. Ma il feroce cinghiale con le sue zanne affilate era forte quanto il leone con i suoi crudeli artigli.

Il cinghiale si avvicinò alla pozza, ma prima che potesse bere, il leone, nell’impazienza di raggiungere l’acqua, lo spinse da parte.

“Sono arrivato prima di te” grugnì furiosamente il cinghiale “quindi ho diritto di bere per primo”

“Fuori dai piedi” ruggì il leone “berrai quando mi sarò dissetato io”

“Se non aspetti il tuo turno ti farò a pezzi con le mie zanne affilate” lo minacciò il cinghiale.

“Ti ridurrò a brandelli con gli artigli, se non ti levi di torno” replicò il leone.

E di colpo si lanciarono uno contro l’altro, decisi a battersi all’ultimo sangue. Il cinghiale assalì il leone lacerandogli i fianchi fino a farne sgorgare abbondantemente il sangue. Il leone balzò sul cinghiale e lo colpì con gli artigli al punto che il poveraccio si reggeva a malapena in piedi.

D’un tratto udirono un fruscio tra gli alberi, e guardando scorsero in su un gruppo di neri avvoltoi appollaiati sui rami sopra di loro, in attesa di divorare quello dei due che sarebbe morto.

Non ci volle altro per porre fine alla lite!

Il leone disse: “Veniamo ad una tregua: è meglio per noi essere amici, piuttosto che finire in pasto a quegli uccelli del malaugurio”

Il cinghiale accettò di cuore: così, leccandosi le ferite, bevvero a turno e si lasciarono da buoni amici.

Gallo, maiale e pecorone in alto mare
Una volta gallo, maiale e pecorone veleggiavano in alto mare. Il tempo era brutto e la barca piccola.
Già temevano di non giungere più a riva.
Il maiale reggeva il timone, il pecorone buttava fuori l’acqua, mentre il gallo stava sull’albero  di vedetta contro i cavalloni.
“Remi sottovento, remi sottovento!” cantava il gallo.
“Salveremo la beeh, beehlle? Salveremo la beeh, beehlle?” belava il pecorone.
“Luff, luff! Luff, luff!” grugniva il maiale, e il viaggio non gli sembrava più così eccitante.
Finalmente giunsero a terra sani e salvi. Il pecorone se ne andò subito nel prato, il gallo trovò le sue galline, ma al maiale tremava ancora il lardo per il freddo.
“Luff, luff! Meglio tra erbe amare, che stare in alto mare!”

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La volpe vedova

C’era una volta una volpe vedova. Viveva in un’ampia tana e si era presa come serva una gattina. Per un po’ di tempo la volpe pianse il marito morto, ma quando le settimane di lutto furono passate e venne il sabato sera, essa si ripulì il pelo, sedette per benino su di uno sgabello e aspettò che qualcuno apparisse alla porta. Poco dopo si udì bussare.

“Corri e guarda chi bussa” disse la volpe vedova alla serva. La gatta corse e sbirciò fuori. Vide un grosso orso. Tornò lesta indietro.

“Com’è il suo pelo?” chiese la volpe vedova.

“Bruno come la scorza del pinastro” disse la gatta.

“E le gambe?”

“Larghe come foglie di farfaro”

“E la coda?”

“Corta come le pigne”

“Questo non lo faccio entrare” disse la volpe vedova e saltò giù dal suo sgabello.

Dopo una settimana fu di nuovo sabato. La volpe vedova si pulì il pelo, sedette sullo sgabello e aspettò. Dopo un po’ si udì bussare alla porta.

“Corri lesta a guardare chi bussa” disse la volpe vedova alla serva. Questa volta alla  porta c’era un lupo.

“Com’è il suo pelo?” volle sapere la volpe.

“Grigio come corteccia di abete”

“E le sue gambe?”

“Lunghe come sbarre di recinto”

“E la sua coda?”

“Pendente come rami di abete” disse la gatta.

“A questo non apriamo la porta” disse la volpe vedova. Di nuovo passò una settimana, finchè venne il sabato sera. La volpe vedova si pulì la pelliccia, sedette e attese. Presto si udì battere all’uscio, questa volta leggermente.

“Corri e guarda” disse le volpe vedova alla serva. La gatta corse. Davanti all’uscio c’era un ermellino. Lesta tornò indietro a dare informazioni.

“Com’è il suo pelo?”

“Bianco come corteccia di betulla” rispose la gatta.

“E le sue gambe?”

“Sottili come steli d’erba”

“E la coda?”

“Ha la punta nera”

“Questo non lo facciamo entrare” disse la volpe vedova. Dopo una settimana fu di nuovo sabato sera. La volpe vedova si pulì la pelliccia e sedette a modino sullo sgabello ad aspettare. Anche questa volta qualcuno bussò. La serva corse a sbirciare, mentre la volpe vedova stava accovacciata sullo sgabello. Quando la gatta tornò, la volpe vedova chiese:

“Com’è il suo pelo?”

“Rosso e fine come quello della mia riverita padrona” disse la gatta.

“E le sue gambe?”

“Non più lunghe e non più corte di quelle della mia riverita padrona” disse la gatta.

“E la coda?”

“Ha la punta bianca come quella della mia riverita padrona”.

“Questo lo facciamo entrare!” gridò contenta la volpe vedova e saltò giù dal suo sedile, perché adesso davanti alla porta c’era il vero innamorato. Allora l’uscio venne aperto. Quella stessa sera si celebrarono le nozze nella tana della volpe.

Il pollo che voleva andare sul monte Dovrefjell perchè non finisse il mondo intero

Una sera un pollo si era accomodato su di una grande quercia. Durante la notte sognò che il mondo intero doveva finire se lui non arrivava sul monte Dovrefjell. Allora saltò lesto giù dalla quercia e si mise in cammino.
Aveva camminato un po’ quando incontrò un gallo.

“Buongiorno Gallo Ballo” disse il pollo.
“Buongiorno Pollo Bollo, dove vuoi andare così di buon mattino?” chiese il gallo.
“Ah, devo andare sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.”
“Chi te l’ha detto, Pollo Bollo?”
“Questa notte ero sulla quercia e l’ho sognato.”
“Ma io vengo con te” disse il gallo.
Proseguirono un po’ e incontrarono un’anatra.
“Buongiorno Anatra Banatra”, salutò il gallo
“Buongiorno Gallo Ballo. Dove ti porta la strada così di buon mattino?” chiese l’anatra.
“Sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.”
“Chi te l’ha detto, Gallo ballo?”
“Il pollo bollo”
“come fai a saperlo, pollo bollo?”
“Questa notte ero sulla quercia e l’ho sognato.”
“Vengo con voi” disse l’anatra.
Avevano camminato ancora un po’ quando incontrarono un’oca.
“Buongiorno oca poca” salutò l’anatra.
“Buongiorno anatra banatra” disse l’oca “Dove andate così di buon mattino?”
“Sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.”
“Chi te l’ha detto, anatra banatra?”
“Il gallo ballo”
“E tu da chi lo sai, gallo ballo?”
“dal pollo bollo”
“E tu, pollo bollo?”
“Questa notte ero sulla quercia e l’ho sognato.”
“Allora devo venire con voi” disse oca poca.
Quando ebbero camminato per un bel po’, incontrarono una volpe.
“Buongiorno volpe golpe” salutò l’oca poca.
“Buongiorno cari amici, dove volete andare?” chiese la volpe.
“Sul monte Dovrefjell, perchè non finisca il mondo intero.” dissero i suoi cari amici.
“Da dove lo sapete?”
“Il gallo ballo”
“Il pollo bollo questa notte era sulla quercia e l’ha sognato.”
“Che discorsi!” disse la volpe. “Il mondo non finisce così presto! Venite con me nella mia tana, dove si sta caldi e comodi. E’ molto che siete per la via, penso. E voi lo sapete: il riposo alleggerisce il peso.”
Sì, a tutti quanti la proposta sembrò buona.

Arrivati alla tana della volpe, il padrone di casa incominciò ad accendere un bel fuoco, im modo che i suoi compagni furono presi dal sonno.

Anatra banatra e oca poca sedettero in un angolo, gallo ballo e pollo bollo volarono su una trave.
Non avevano dormito molto, che la volpe mise l’anatra banatra sulle braci per arrostirla. Pollo bollo però, nel dormiveglia, sentì l’odore e gridò: “Beh, qui c’è puzza!”
“Che discorsi!” disse la volpe “è soltanto il fumo che torna indietro dalla cappa. Va’ avanti a dormire.”
Quando ebbe mangiato l’anatra banatra, la volpe fece la stessa cosa con l’oca poca, e la mise sulla brace ad arrostire.

Di nuovo pollo bollo sentì l’odore, volò su una trave più alta e gridò: “Beh, qui c’è puzza!”
Anche gallo ballo aprì gli occhi , e videro rquello che era successo all’anatra banatra e all’oca poca. Allora entrambi volarono in alto, dove potevano sbirciare dal fumaiolo, e pollo bollo gridò: “Guarda che splendide oche laggiù!”.

La volpe non se lo fece ripetere due volte. Corse lesta fuori per acchiapparne un’altra.
E con questo gallo ballo e pollo bollo se ne uscirono entrambi per il fumaiolo.
E se non fossero finalmente arrivati al monte Dovrefjell, il mondo non ci sarebbe più.

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Tiro alla fune

La tartaruga era un piccolo animale che aveva una grande opinione di sè. Si trascinava lentamente attraverso la giungla vantandosi: “Guardatemi! Sono potente come l’elefante! Sono forte come l’ippopotamo!”.
Nella giungla le notizie si diffondono rapidamente: non ci sono giornali, ma gli animali sono molto chiacchieroni e in poco tempo ognuno sa tutto quello che c’è da sapere. Ben presto quindi l’elefante e l’ippopotamo vennero a conoscenza delle vanterie della tartaruga. Il grande elefante grigio sollevò la proboscide e barrì: “Quella stupida insulsa tartaruga! Chi le dà retta?”. L’ippopotamo spalancò le grandi mascelle e sghignazzò: “Già, chi dà retta  a quella stupida insignificante creatura?”.

Rapidamente questi commenti giunsero alla tartaruga che, indignata verso l’ippopotamo e l’elefante, disse: “Dunque sarei un’insulsa insignificante creatura! Glielo faccio vedere io che cosa sono!”.
E si mise in cammino finchè non giunse nel luogo dove l’elefante stava sdraiato all’ombra di un banano. Che potente animale, con la lunga proboscide, le forti zanne, i piedi enormi! La piccola tartaruga gli si piazzò davanti e gridò: “Ehi, elefante, eccomi qua! Alzati e salutami, amico!”.
L’elefante girò la testa per vedere chi lo aveva apostrofato così familiarmente, e con somma meraviglia scoprì la piccola tartaruga.

“Come osi chiamarmi amico, bruscolino?”, s’indignò.
“Ti chiamo amico perchè siamo pari di forza e potenza” rispose la tartaruga “tu credi che non sia possibile perchè tu sei grande e io sono piccola, ma hai torto, e te lo proverò! Ti sfido a una gara di tiro alla fune!”
“Che idea balorda, piccola tartaruga!” disse l’elefante.

“Io sono pronta a gareggiare, se lo sei anche tu.” disse la tartaruga “Chi dei due riuscirà a trascinare l’altro, si dimostrerà il più forte; ma se nessuno dei due vince, saremo pari e ci chiameremo amici.”
L’elefante sospirò con aria di condiscendenza. “E va bene, piccola tartaruga, gareggerò con te.”
Allora la tartaruga prese una lunga lunga liana e ne diede un’estremità all’elefante.
“Tieni questa” disse “io mi allontano finchè la liana non sia tesa; poi tireremo finchè uno dei due riuscirà a trascinare l’altro, o la liana si spezzerà.”

E lentamente si allontanò tenendo nel becco l’altro estremo della liana. Camminò fino al fiume melmoso dove trovò l’ippopotamo che sguazzava nel fango.
“Ehi, ippopotamo, eccomi qua!” gridò. “Alzati e salutami, amico!”
L’ippopotamo guardò in su per vedere chi lo aveva apostrofato così insolentemente, e con somma meraviglia vide la piccola tartaruga.

“Come osi chiamarmi amico, piccolo bruscolino?”, s’indignò.
“Ti chiamo amico perchè siamo pari di forza e di potenza” rispose la tartaruga “tu credi che non sia possibile, perchè tu sei grande e io sono piccola, ma hai torto e te lo dimostrerò! Ti sfido a una gara di tiro alla fune!”
“Che idea balorda, piccola tartaruga!” disse l’ippopotamo.
“Io sono pronta a gareggiare, se lo sei anche tu” disse la tartaruga.

E l’ippopotamo finì per accettare la sfida, proprio come l’elefante. Allora la tartaruga gli diede il capo della liana che teneva in bocca. “Prendi questo” gli disse “io vado a prendere l’altro estremo, poi tireremo finchè uno dei due trascinerà l’altro, o la liana si spezzerà.
Adesso è chiaro il piano della piccola tartaruga! A un estremo c’era l’elefante e all’altro l’ippopotamo! La tartaruga si portò a metà della liana e, senza lasciarsi scorgere, diede uno strattone.
Appena l’elefante e l’ippopotamo sentirono muoversi la liana, cominciarono a tirare con tutte le loro forze. Come tirava e grugniva l’elefante! Come sbuffava e tirava l’ippopotamo! La liana era tesa al massimo, ma nessuno riusciva ad avere la meglio.

“Oh, potentissima piccola tartaruga!” gemette l’elefante.
“Oh, fortissima piccola tartaruga!” esclamò l’ippopotamo.
La tartaruga diede uno sguardo alla liana che tremava, poi, lasciando i due tirare, andò tranquillamente a  fare un ottimo spuntino di funghi; schiacciò un pisolino, e quando si destò era ormai il tramonto.
“Farei bene ad andare a vedere come si sono messe le cose”, pensò.
Tornò al mezzo della liana: era ancora tesa al massimo. L’elefante e l’ippopotamo avevano continuato a tirare tutto il giorno, ma nessuno dei due aveva sopraffatto l’altro.

“Credo proprio che basti” pensò la tartaruga, e con un colpo di becco spezzò in due la liana.
Che poteva mai accadere? Allentatasi la liana, l’elefante e l’ippopotamo caddero all’indietro, uno di qua e l’altro di là, percuotendo il suolo con due colpi tremendi, che rimbombarono per tutta la giungla.
Allora la tartaruga si recò dall’elefante.

“Oh, tartaruga!” disse l’elefante “Non credevo che tu fossi così forte! Ora la liana si è spezzata, perciò siamo uguali. Avevi ragione, la taglia non conta. Ora ci chiameremo amici.”

La tartaruga era giubilante: aveva trionfato sul grande elefante grigio! Poi si recò dall’ippopotamo.
“Oh, tartaruga!” disse l’ippopotamo “Non pensavo che tu fossi così forte! La liana si è spezzata, perciò siamo uguali. Avevi ragione, la taglia non conta: ora ci chiameremo amici.”

La tartaruga era veramente al colmo della felicità: aveva trionfato anche sull’ippopotamo!
E da quel giorno in poi ogni volta che il potente elefante o il forte ippopotamo incontravano la tartaruga nella giungla, la chiamavano amica.

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La storia della banderuola

Nella soleggiata terra di Spagna, dove le arance crescono in abbondanza sugli alberi, una chioccia nera covava l’uovo che aveva deposto, aspettando che il guscio si schiudesse. Ed ecco che udì un pic-piccare, e il pulcino uscì dal guscio.

Ma che pulcino buffo! La chioccia, nel vederlo, gorgogliò di stupore: era come un mezzo pulcino, un pulcino tagliato in due per il lungo. Mezzopulcino saltò fuori dal guscio rotto sulla sua unica zampa, agitò la sua unica aluccia gialla e guardò la madre con il suo unico vispo occhietto.

Tuttavia la chioccia nera amava il suo Mezzopulcino nè più nè meno che i suoi fratelli e le sue sorelle, che erano tutti pulcini regolari.
Ma quando Mezzopulcino  crebbe e diventò Mezzogalletto, mostrò di essere un dispettoso guastafeste della forza di due galletti interi.
Si cacciava sempre nei guai per qualche marachella. Infastidiva il grande cane che faceva la guardia all’aia, era arrogante con quel bell’imbusto del gallo, e correva schiamazzando dietro alle altezzose oche grigie quando scendevano dondolandosi verso il ruscello.

Poi, un bel giorno, Mezzogalletto si presentò saltellando alla chioccia nera e disse: “Sono stufo di vivere qui, in questa stupida aia. Me ne vado a Madrid in cerca di fortuna.”
Come si agittò la chioccia nera nell’udire questa notizia! Madrid, la capitale di Spagna, distava molte e molte miglia!

“Perchè vuoi andare a Madrid?” chiese.
“Voglio vedere il re di Spagna” disse Mezzogalletto “e sono sicuro che il re di Spagna sarà lieto di vedere me”, soggiunse impudente.
“Madrid è molto lontana” lo ammonì la chioccia nera “è meglio che tu resti a casa tua, nella fattoria.”
“Vedrai che ci arriverò” la rassicurò Mezzogalletto.
E partì op-op-op, per la grande città.
Ben presto giunse ad un ruscelletto. Il ruscello era nei guai, perchè le erbacce avevano invaso le sue acque.
“Aiutami, Mezzogalletto!” gorgogliò il ruscello “Fai pulizia di queste erbacce, in modo che io possa tornare a scorrere libero!”

Ma Mezzogalletto non volle aiutare il ruscello.
“Non posso fermarmi ora!” gridò “Sto andando a Madrid per vedere il re di Spagna”.
E continuò per la sua strada.
Dopo un po’ giunse ad un bosco tenebroso e una radura vide un fuoco acceso dai taglialegna. Il fuoco era nei guai perchè, per mancanza di combustibile, si stava spegnendo.
“Aiutami, Mezzogalletto!”, crepitò il fuoco “Raccogli qualche ramoscello e gettalo su di me, in modo che io possa tornare a bruciare allegramente”.
Ma Mezzogalletto non volle aiutare il fuoco.

“Ho fretta” gridò “Sto andando a Madrid per vedere il re di Spagna”.
E continuò per la sua strada.
Dopo aver percorso molte miglia saltellando su di piede solo giunse finalmente alla grande città di Madrid. Alti edifici sorgevano ai lati delle strade affollate e caotiche. Mezzogalletto continuò a saltellare fino al palazzo reale. Vicino al cancello che dava accesso al palazzo cresceva un ippocastano in fiore. Mezzogalletto vide le sue foglie a cinque dita e le sue candele di fiori rosa oscillare su e giù e udì la voce del vento chiamarlo dall’intrico dei rami.
“Aiutami, Mezzogalletto!” gemeva il vento “Mi sono impigliato in quest’albero. Liberami, ti prego!”
Ma Mezzogalletto non volle aiutare il vento.

“Non ho tempo di ascoltarti!” gridò “Sono venuto per vedere il re!”.
Attraversò il cortile del palazzo, dove montavano la guardia dei soldati in lucenti armature d’argento; spiò per una porta aperta, e un attimo dopo era dentro. Si trovò in uno stanzone dove bruciava un gran fuoco, sul quale uno spiedo con della carne girava lentamente, manovrato da due sguatteri. Al centro della stanza c’era un tavolo carico di pentole, padelle e piatti. Era la cucina reale.

Mezzogalletto, naturalmente, non lo sapeva. “Che reggia!” pensò “Questa dev’essere la sala del trono!”.
Proprio in quel momento entrò un uomo che indossava un grembiule bianco e un alto cappello pieghettato. Era il cuoco reale. Mezzogalletto, naturalmente, non lo sapeva. “E questo deve essere il re di Spagna in persona” pensò “ecco com’è la corona reale!”.
Irrigiditosi sulla sua unica zampa, fece il saluto con la sua unica ala gialla.

Il cuoco diede uno sguardo a Mezzogalletto e disse allegramente: “Stasera brodo di pollo! Era proprio te che aspettavo!”.
E afferrato il misero tra pollice e indice, lo tuffò, piume e tutto, in un pentolone che gorgogliava sul fuoco.
“Oh, acqua! Come mi scotti!” strillò Mezzogalletto.
“Hai dunque dimenticato il ruscello invaso dalle erbacce e il tuo rifiuto di aiutarlo?”, chiese l’acqua, e continuò a bollire.
Allora Mezzogalletto invocò il fuoco: “Oh, fuoco! Come mi bruciano le tue fiamme!”
“Hai dunque dimenticato il nostro incontro nel bosco e il tuo rifiuto di gettarmi sopra una manciata di ramoscelli?” chiese il fuoco, e continuò ad ardere.

In quel momento Mezzogalletto udì un sibilo su per la cappa del camino e supplicò disperato: “Oh, vento! Spegni il fuoco e rovescia la pentola con l’acqua in modo che io possa sfuggire a questo terribile destino!”
“Tu non hai voluto aiutarmi quando io ero imbrigliato nell’ippocastano” sibilò il vento. “Ma non importa. Ho pietà di te.”
E il vento soffiò facendo schizzare Mezzogalletto fuori dal pentolone, e lo trascinò in alto sopra i tetti di Madrid.
“Fermati! Fermati!” gridava Mezzogalletto.
Ma il vento non si fermò finchè non ebbe trasportato mezzogalletto proprio in cima alla guglia della chiesa più alta di Madrid, così alta da toccare le nuvole del cielo.
“Eccoti arrivato”, disse il vento beffardo.
E da quel giorno Mezzogalletto è rimasto lassù. Ora è ricoperto di una vernice d’oro che il sole fa scintillare. Spesso i cittadini odono dal basso un cigolio. Allora guardano verso la guglia e dicono:
“Che rumore fa la banderuola oggi!”
Non sanno che il cigolio è il lamento di Mezzogalletto, che ripete instancabilmente: “Oh, se avessi dato retta a mia madre, e fossi rimasto nella fattoria con lei!”

Il gatto, il topo e il vaso di strutto

C’erano una volta un gatto e un topo che diventarono amici. Il topo viveva in una chiesa, e s’era fatto il nido nel cuscino di un inginocchiatoio. Senonchè il gatto lo convinse ad andare ad abitare con lui.

“Ti sono così affezionato, che non sopporto di starti lontano” disse al topo.

“D’accordo, amico”. Il topo accettò, e così i due misero su casa assieme. Sebbene fosse estate, il gatto, da previdente massaio che era, disse: “E’ bene che facciamo provviste per l’inverno,se non vogliamo soffrire la fame”.

Il topo fu d’accordo, perciò comprarono un vaso di strutto.

“Dove lo possiamo tenere?” chiese il topo “Non abbiamo dispensa”.

“Ho un’idea” rispose il gatto “teniamolo in un angolino fresco e buio della chiesa: sarà al sicuro, e quando verrà l’inverno andremo a riprenderlo.”

Così fecero. Passarono i giorni, ma, chissà come, il gatto non poteva fare a meno di pensare con desiderio al vaso di strutto. Oh, poterne leccare anche soltanto lo strato superiore!

Una mattina il gatto disse al suo caro amico topo: “Mio cugino mi ha chiesto di fare da padrino al battesimo del suo ultimo nato, perciò oggi devo andare in chiesa: starai tu a sorvegliare la casa.”

Il topo non ebbe alcun sospetto: “Ma certo, vai tranquillo, e auguri per il battesimo.”

Il gatto andò in chiesa. Naturalmente non c’erano nè cugini nè battesimi. Si avvicinò furtivamente all’angolo dove era nascosto il vaso dello strutto e cominciò a leccarne lo strato superiore. Delizioso! Il gatto faceva le fusa dal piacere.

Quando tornò a casa, il topo gli chiese: “Com’è andato il battesimo? Spero che tu abbia passato una buona giornata”.

“Tutto bene” rispose il gatto.

“Che nome hanno dato al piccolo?” s’informò il topo.

“Viasopra” rispose con freddezza il gatto. “E’ bianco come la neve, davvero carino.”

“Viasopra!” esclamò il topo “Che strano nome!”

“Non certo più strano di Magnabriciole, com’è stato chiamato, se ben ricordo, uno dei tuoi figliocci” replicò il gatto.

Poco tempo dopo il gatto fu di nuovo preso da una gran voglia di assaggiare lo strutto, così disse al topo: “Sono stato pregato di fare da padrino a un altro battesimo: devo di nuovo lasciarti a sorvegliare la casa”

“Non preoccuparti, farò da me” rispose il topo “spero che tutto vada bene come l’ultima volta.”

Il gatto tornò in chiesa e sgattaiolò nell’angolo buio. Si diede molto da fare attorno al vaso: lo strutto sembrava ancora più delizioso! Il gatto si leccò i baffi dalla soddisfazione.

Quando tornò a casa, il topo lo salutò: “Spero che tutto sia andato bene. E che nome hanno dato al piccolo?”

“Viamezzo”, rispose il gatto in tono indifferente “E’ color guscio di tartaruga, un bel piccino!”

“Viamezzo? E’ ancora più strano di Viasopra!”

“Non peggio di Magnacacio, come, se non sbaglio, hanno chiamato un altro tuo figlioccio” rispose il gatto.

Passato ancora un po’ di tempo il gatto si sentì l’acquolina in bocca al pensiero di quel delizioso strutto.

“Pensa un po’!” disse al topo “Mi hanno chiesto una terza volta di fare da padrino. Devo andare di nuovo in chiesa, tu resta qui a badare alla casa”.

Stavolta il topo sembrava pensieroso.

“Mi chiedo che razza di nome daranno a questo figlio!” disse “Viasopra, Viamezzo… qualche altra scemenza del genere, scommetto! Ma non ti trattengo, amico, e spero che tutto vada bene come le altre volte”.

Il gatto andò in chiesa… e questa volta leccò tutto lo strutto rimasto. Che buono! Passò bene la lingua attorno alle pareti, per essere sicuro che non ne restasse nemmeno un’ombra.

“Allora, come l’hanno chiamato?” chiese incuriosito il topo quando il gatto tornò a casa.

“Temo che ti sembrerà ancora più strano” rispose il gatto “Si chiama Viatutto. E’ proprio notevole, nero con le zampe bianche.”

“Viatutto…” ripetè il topo “Questo nome è molto sospetto”.

E aveva un’aria ancora più pensierosa di prima.

Comunque il resto dell’estate e l’autunno trascorsero serenamente. Strano a dirsi, il gatto non fu più invitato ad alcun battesimo.

Venne l’inverno. La neve copriva il terreno, il ghiaccio incrostava i vetri delle finestre ed era difficile trovare da mangiare. I due amici avevano fame. Allora il topo pensò alle provviste saggiamente messe da parte per i tempi duri, cioè al vaso di strutto nascosto in chiesa.

“Andiamo a prendere il vaso di strutto che avevamo messo da parte” disse al gatto.

Il gatto gli diede un’occhiata obliqua e rispose: “D’accordo, amico”.

Appena giunti in chiesa, il topo si affrettò verso l’angolo dov’era il vaso. Quale fu il suo disappunto quando trovò il vaso ripulito fino in fondo!

“Ahimè!” squittì “Ora so che i miei sospetti erano fondati: tu non sei mai stato ad alcun battesimo! Tu sei venuto tre volte in chiesa per mangiarti tutto lo strutto. La prima volta hai leccato via lo strato superiore, la seconda volta hai leccato via la metà, e la terza volta hai leccato…”

“Sta zitto!” gridò il gatto affamato “Se dici un’altra parola ti mangio!”

Ma ormai il topo l’aveva sulla punta della lingua, e così quel “Viatutto” venne fuori…

Con un balzo il gatto fu sul topo e lo divorò.

E così è finita anche la storia.

La divisione del formaggio
C’erano una volta due ladruncoli di gatti, che avevano rubato un grande formaggio giallo.
“Dividiamolo” disse il primo gatto, una bella bestia dal pelo tigrato e dai lunghi baffi, “Farò io le parti.”
“Andiamoci piano, amico.” disse il secondo gatto, che aveva il pelo nero lucido, tranne una zampa candida e un orecchio accartocciato come un cavolfiore.
“Mbeh?” chiese il primo gatto.
“Come posso esssere sicuro che tu lo divida equamente?” disse il secondo. “Potresti approfittarne per prenderti la fetta più grossa. Penso che dovremo trovare una terza persona che faccia le parti per noi.
“D’accordo”, acconsentì il primo gatto, “ma mi dispiace vedere che non ti fidi di me, amico.”
Così il gatto nero e il gatto tigrato si misero in cerca di una terza persona che dividesse il grande formaggio giallo, e subito trovarono una scimmia dagli occhi vivaci, che aveva ascoltato tutta la conversazione stando seduta su un banano proprio sopra di loro.
“Per piacere, scimmia, potresti essere così gentile da dividere questo formaggio in due parti uguali?” dissero i gatti.
La scimmia rise sotto i baffi, pensando che quella richiesta poteva volgersi a suo favore.
“Aspettate, vado a prendere un filo per tagliare il formaggio e una bilancia” disse “peserò i due pezzi per essere sicura che siano uguali.”
Poco dopo fu di ritorno col filo e con la bilancia e tagliò il formaggio in due pezzi, mentre il gatto nero e il gatto tigrato aspettavano ansiosi. Ma l’astuta scimmia tagliò un pezzo più grande dell’altro, sicchè quando li pose sui due piatti della bilancia, uno pendeva di più.
“Povera me!” disse la scimmia “Non sono stata molto abile, vero? Bisogna eguagliare.” E con ciò si mise a mangiare il pezzo più grosso.
“Ehi, scimmia! Che storie sono queste?” s’indignarono i gatti.
La scimmia li guardò con falsa meraviglia.
“Ma come?” disse “Sto alleggerendo questo pezzo di formaggio, così bilancerà quell’altro. Non volete che io sia rigorosamente giusta?”
“Ma sì, ma sì” risposero esitanti i gatti, e stettero a guardare ancor più ansiosi mentre la scimmia prsava di nuovo i due pezzi di formaggio.
Ma ahimè! La scimmia aveva dato un morso di troppo al pezzo più grosso, che ora pesava un po’ meno dell’altro.
La scimmia scosse la testa: “Povera me!” disse “Ne ho mangiato un po’ troppo, vero? Ma niente paura, correggo subito l’errore!” e cominciò a mangiare l’altro pezzo.
“Ma cosa ti salta in mente?” protestarono i gatti “Non penserai che ti abbiamo invitata a un banchetto!”
Il muso della scimmia si atteggiò alla più completa innocenza.
“Sto solo cercando di essere rigorosamente giusta.” rispose in tono risentito, “Mi avete chiesto di dividere equamente il formaggio, e io faccio del mio meglio!”
Pesò di nuovo i due pezzi, che a questo punto erano diventati molto piccoli, ma ancora non si equilibravano: stava quindi per mettersi di nuovo a mangiar via un pezzo da quello più pesante, quando i gatti, non resistendo più a vederla divorare il loro delizioso formaggio, gridarono: “Basta, basta! Lasciaci quel che è rimasto!”
L’astuta scimmia capì che la festa era finita.
“Come volete” disse “credo  che dopotutto non ci teniate veramente ad avere parti uguali: siete solo una coppia di vecchi ladruncoli ingordi!”.
Risalì con un salto sul suo banano e cominciò a tempestare i due gatti con una pioggia di piccole banane verdi.
Ma il gatto nero e il gatto tigrato pensavano solo al loro formaggio. Non si curavano più di sapre se un pezzo era più grande dell’altro! Senonchè, dopo tutta quella commedia, i due pessi erano diventati così piccoli, che ai gatti, temo, non resto granchè da gustare: l’astuta scimmia aveva finito col mangiarne la maggior parte!

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Il cavallo e la volpe

Il cavallo era invecchiato al servizio del suo padrone, e ormai non era più in grado di compiere una giornata intera di lavoro. Non ce la faceva più a stare tutto il giorno nei campi, aggiogato all’aratro, nè a tirare ogni settimana il carico fino al mercato. Ma il suo padrone era un uomo senza cuore e, visto che il fedele cavallo non poteva più fare il suo lavoro, gli negò cibo e tetto. Lo scacciò dalla stalla dicendo: “Qui non c’è posto per chi non si guadagna da vivere. Perciò fuori dai piedi, e che non ti  veda mai più!”
Poi aggiunse: “Potrai tornare a vivere nella mia stalla e a mangiare il mio fieno quando mi dimostrerai di essere forte come il leone!”, e proruppe in uno scoppio di risa beffarde.
Il povero vecchio cavallo si mise a vagare per la campagna. Teneva la testa bassa e si sentiva molto infelice. Infine giunse nella grande foresta dove vivavano le bestrie selvatiche. Qui si imbattè nella volpe dal pelo fulvo.
“Perchè te ne stai così triste a testa bass?” chiese la volpe al cavallo.
Il cavallo sospirò: “Non posso più lavorare per il mio padrone, così questi mi ha scacciato e non vuole più vedermi. Ha dimenticato quanti anni di fedele lavoro ho fatto per lui”.
“Ahimè!” disse la volpe “Gli uomini sono creature crudeli. Ma dimmi, non ti ha per caso offerto una possibilità di rimanere con lui?”
Il cavallo si ricordò allora della condizione postagli dal padrone nel mandarlo via: “Mi ha detto che potrò tornare alla stalla se dimostrerò di essere forte come il leone. Dunque mi ha chiesto l’impossibile, perchè sono debole e vecchio.”
La volpe, inclinando la testa da un lato, si mise a studiare il problema, poi disse: “Fai come ti dico, e finirà tutto bene. Devi solo stenderti per terra come se fossi morto e non muoverti. Io torno subito.”
Il cavallo obbedì e si stese a terra. Intanto la volpe trotterellò dino alla tana del leone nella foresta.
“Maestà” disse inchinandosi profondamente “C’è un cavallo morto poco lontano da qui. Seguimi, e avrai un lauto pranzetto.”
Il leone si alzò sollecito e speranzoso e seguì la volpe, la quale lo condusse nel luogo dove si trovava il cavallo. Come tremò il cavallo dentro di sè quando udì il leone che gli si aggirava intorno! Tuttavia non fece alcun movimento, anzi se ne stette immobile il più possibile, fidandosi della volpe.
Allora la volpe disse: “Non è degno di te banchettare in pubblico, maestà. Lascia che ti attacchi il cavallo alla coda, così potrai trascinarlo nella tua tana e lì divorarlo in pace.”
Il leone accettò di buon grado il suggerimento della volpe, e si distese a terra in modo che questa potesse attaccargli il cavallo alla coda. Fu allora che la volpe mise in opera la sua furberia: girò la coda del cavallo così saldamente intorno alle zampe del leone che nessuno avrebbe potuto staccarla.
“Adesso tira, vecchio cavallo, tira più che puoi!” grigò.
Il cavallo si rizzò sulle zampe e cominciò a tirare, e così si trascinò dietro il potente ma inerme leone. Il leone ruggiva e si divincolava, ma non riusciva a spezzare il nodo fatto dalla volpe. In tal modo il cavallo trascinò il leone fuori dalla foresta fino alla fattoria del suo padrone.
Potete immaginare quale fu lo stupore del padrone nel vedere il vecchio cavallo comparire alla porta della stalla trascinandosi dietro un leone!
“Dunque, vecchio mio, hai dimostrato di essere più forte di un leone!” gridò, “E’ più di quanto ti avevo messo come condizione. Benissimo! Torna pure alla tua stalla, ed io ti nutrirò e ti curerò, anche se ormai non puoi più lavorare.”
Mantenne la parola, e il cavallo trascorse il resto della sua vita in piacevole ozio.

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La volpe e l’uva

Un giorno una volpe affamata venne a passare accanto a una vigna e scorse alcuni bellissimi grappoli d’uva che pendevano da un pergolato. I dolci acini le fecero venire l’acquolina in bocca, ma non poteva arrivarci, perchè erano posti troppo in alto. La volpe allora se ne andò con aria dignitosa, dicendo: “Sono troppo verdi: la frutta acerba fa male…”

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Favole e altre storie di animali

Favole e altre storie di animali – una raccolta di favole adatte alla lettura e il riassunto per le classi prima e seconda della scuola primaria, disponibili anche in  scheda e stampabili gratuitamente in formato pdf.

Il picnic degli animali

Le orchidee erano in fiore nella giungla.
Per festeggiare la primavera gli animali avevano fatto un picnic. Alla fine…
“Brrr!” barrì l’elefante sollevando la proboscide. “Non si può lasciare così la radura: con tutti questi piatti e questi bicchieri di plastica sparsi, con le bottiglie vuote e le cartacce e gli avanzi di cibo… Qualcuno deve far pulizia!”
“Io non posso” disse l’ippopotamo. “Devo tornare subito al fiume.”
“Neppure io” disse l’airone rosa “ho paura di sporcarmi le piume.”
“Rrrr!” ruggì il leone “Neppure le grandi piogge potranno distruggere questi orribili rifiuti: la foresta intristirà con tanti pezzi di vetro, di plastica e di latta. Non ci sarà dunque nessuno che farà pulizia?”
“Lo farò io!” disse allora lo scimpanzé “ho le mani!”

Bra, il diverso
Bra il bradipo viveva nella giungla, sull’alto albero della gomma, penzoloni a trenta metri da terra.
Gli altri animali lo prendevano in giro: “Guarda quello: sta sempre aggrappato ad un ramo! Sta sempre capovolto! E’ diverso da noi!”
Ma un giorno le grandi ali spiegate dell’aquila rapace disegnarono nel cielo un’ombra scura.
Il tapiro dalla paura infilò il muso nell’ortica. Il formichiere dallo spavento si coprì la testa con la coda.
L’armadillo dal terrore cominciò a tremare.
Tutti gli animali tacquero agghiacciati. E Bra?
“Bra è stato l’unico a non aver avuto paura” dissero gli animali non appena l’aquila se ne fu andata.
“Nessun animale della foresta riesce a nascondersi meglio di lui. Chi volete che lo veda? Appeso a un ramo anche quando dorme, sembra una palla di muschio. E pensare che noi lo prendevamo in giro!”

L’uccellin del freddo
Viene l’inverno: e con gelide tramontane spazza ogni cosa e copre di neve e di silenzio la terra. L’inverno è lì che mette bianco sui campi, quando vede un uccellino che va volan-do da una siepe all’altra.
“O tu che fai?” domanda. “Da dove scappi?”
“Stavo su, nella boscaglia; e sono venuto al basso a far due chiacchiere col mio amico pettirosso”.
“Ah sì? E il tuo amico dov’è? Partito? E tu che fai qui? Perché non sei andato con lui?”
“Io non ho paura del freddo. Dopo di te tornerà la prima-vera; e sto ad aspettarla.  Trre trre terit!”
“Ora comando io; e non voglio che voli e canti, ma riposo e silenzio”: Ciò dicendo, l’inverno copre di neve anche le siepi degli orti e dei giardini. L’uccellino, che si era nascosto in una catasta di legna, si trova al mattino in mezzo alla neve, ma non si perde d’animo e ricomincia a cantare “Trre trre terit!” L’inverno apre il sacco dei venti e da uscire una tramontana così arrabbiata da far scappare anche i lupi.
L’uccellino, che si era nascosto in un tronco d’albero, trova al mattino tutto gelato, ma non si perde d’animo e ricomincia a cantare: “Trre trre terit!”
“Ma insomma, tu chi sei?”
“Io sono il Re di macchia, sono lo scricciolo, il reattino.”
“Ah! E ancora non senti freddo?”
“Lo sopporto. Sono abituato ai venti delle montagne.”
L’inverno rimane sopra pensiero; dice:
“Sei piccolo ma ardito. Mi piaci. Resta pure con me. Sarai il mio uccellino: l’uccellin del freddo.”

Il topino sapientone
C’era un bambino che non  studiava; il suo libro sempre lasciava di qua, di là.
Un topolino, per imparare, le lunghe pagine a rosicchiare incominciò. E rodi e rodi coi forti denti, lettere e sillabe, virgole e accenti, tutto mangiò. Credette allora d’esser sapiente; agli altri topi diceva: “Oh gente, v’insegnerò. “
Tutti li accolse nella sua scuola, ma aperto un libro… una parola non rivelò. Risero tanto tutti i topini e poi scapparono, quei birichini, gridando: “Oh! Oh! Rodere i libri non vuol dir niente, bisogna leggerli, signor sapiente!”

Chi troppo vuole…
C’era una volta una gallinella nera che faceva un uovo tutti i giorni. Figuratevi la contentezza della sua padrona! Appena sentiva il coccodè, correva al pollaio e beveva l’uovo fresco.
Ma quella donna, avendo osservato che la gallina era molto magra, pensò: “Se diventasse grassa, mi farebbe almeno due uova al giorno!”
E per questa speranza, incominciò a nutrire la gallina con bocconi ghiotti e abbondantissimi. La gallina cresceva a vista d’occhio. Ma quando davvero fu bella grassa, smise di fare le uova.

La rosa e il bruco
Un bruco verde disse a una rosa: “Tu sei bella e odorosa; ma che peccato! Il tuo gambo è pieno di spine!”
E la rosa rispose: “Caro mio, se non avessi le spine, a quest’ora tu saresti arrivato fin quassù e avresti mangiato il bocciolo mio fratello”.

Piccioncini
Nel nido nacquero due piccioncini. Non avevano penne, tenevano sempre gli occhi chiusi. Il babbo e la mamma li vegliavano continuamente. Li imbeccavano; li coprivano col loro corpo per tenerli caldi. E i piccioncini facevano:”Pio pio!”. Come per dire che erano contenti di essere nati, come per ringraziare il babbo e la mamma delle premure che avevano per loro.

La tartaruga
Una mattina la tartaruga si mise in cammino per sbrigare certi suoi affari piuttosto urgenti.
Doveva recarsi da un coniglio banchiere, che aveva il suo ufficio a due miglia di distanza. Cammina cammina, una fermatina qui, e una chiacchierata più là, in dieci ore e più fece appena cinquanta passi.
E allora dovette accorgersi che già faceva buio. Si guardò intorno, e disse con un sospiro: “Ah, come sono corte le giornate!”

La mosca e il moscerino
Due bovi aravano faticosamente il campo, spinti dal contadino. Una mosca volava intorno ai bovi e poi andava a posarsi sull’aratro, con un’aria di grande importanza; poi tornava a volare, a ronzare, a fermarsi sull’aratro: insomma, quanto daffare!
Un moscerino, intanto, passava di lì e le chiese: “Perché ti affatichi così? E che cosa fai?”
La mosca arrogante rispose: “Non lo vedi? E’ proprio necessario spiegarlo? Solamente tu non capisci; noi ariamo la terra.”
A questa risposta perfino il moscerino si mise a ridere.

Il gallo e il sole
Un gallo faceva chicchirichì tutte le mattine, prima che il sole si levasse. E ripeteva spesso con grande vanità: “Sono io che faccio levare il sole!”. Tutti i polli avevano un gran rispetto per il gallo perchè credevano che fosse davvero il padrone del sole.
Una mattina il gallo dormì più del solito, e quando si svegliò, si accorse che il sole era già alto.
Povero gallo, come rimase confuso e avvilito! Perfino le galline risero di lui.

Il corvo e la volpe
“Quanto sei bello!” diceva la volpe a un corvo, che se ne stava appollaiato sul ramo di un albero, e teneva nel becco un pezzo di cacio.
“Che belle piume nere! Se tu avessi una voce melodiosa, ognuno ti chiamerebbe il re degli uccelli!”.
Queste lodi fecero girar la testa al povero corvo, che aprì il becco per cantare.
Ma il cacio cadde in terra e fu subito addentato dalla volpe.

Il ghiro e il mastino
Dopo aver dormito cinque mesi interi, un ghiro usciva per la prima volta dalla sua tana, ancora tutto intorpidito. Ed ecco, appena arrivato all’orlo del bosco, vide passare un cerbiatto che correva come il vento. Il ghiro rimase sbalordito, impaurito, e subito tornò nella sua tana. Stando sull’uscio diceva: “Ma che stranezza! Che sciocchezza! La gente assennata non corre mai in quel modo!” Un vecchio mastino, che era lì fermo a godersi il sole, udì quelle parole e osservò: “Caro mio perché vuoi misurare gli altri, confrontandoli con te? Se la natura ha fatto tanto diversi il ghiro e il cervo, non devi meravigliarti se tu sei tanto lento e il cervo è tanto rapido.”

Tra i due litiganti il terzo gode
Un orso e un leone si litigavano tra di loro per un pezzo di carne.
“L’ho visto prima io!” esclamava l’orso.
“Ma io l’ho preso!”, ribatteva il leone.
“Dunque dividiamolo a metà!”
“No, perché è tutto mio!”
Dalle parole passarono ai fatti, e cominciarono a picchiarsi come disperati. Picchia picchia, si stancarono, e alla fine dovettero distendersi per riposare un poco. Così distesi, si addormentarono.
Intanto il pezzo di carne era rimasto in terra e ci camminavano sopra le formiche.
Una volpe sbucò dalla macchia, prese il pezzo di carne,  e se ne fece una bella scorpacciata con tutto il suo comodo.

La parola data
Un lupo affamato uscì dal bosco e arrivò fino alle case degli uomini. Dalla finestrina di una casuccia uscivano le grida di un bimbo imbizzito, e il lupo disse fra sé: “Come mi piacerebbe non far gridare più quel bambino!” e si leccava le labbra. Giusto in quel momento una vecchia, dentro la casuccia, diceva: “Bada, bambino, se non smetti di piangere ti darò al lupo!”.
“Benissimo” pensò il lupo “è proprio quello che cerco io”. E si mise a sedere, perché era inutile andare a cercare più lontano quello che orai era tanto vicino. Bastava solo aspettare.
Aspetta, aspetta, si fece notte e nessuno gli portava il bambino. Forse si erano tutti addormentati. Ma verso la metà della notte, si udì il bimbo piagnucolare, e la vecchia gli diceva: “Non piangere, bambino mio, tesorino mio. Non ti darò al lupo; anzi,  se viene lo ammazzeremo col fucile di tuo padre.” Il lupo brontolò:
“Che gente! Si vede che qui non usa mantenere la parola data.”

Il rondinino pigro
Le rondini insegnavano a volare ai rondinini, che lesti lesti facevano un giro in aria, e poi tornavano a riposarsi nel nido. Però un rondinino pigro e pauroso non voleva muoversi mai dal nido. Il suo babbo e la sua mamma non riuscivano a persuaderlo con il loro cinguettio. Il rondinino nascondeva perfino la testa dentro al nido. Finalmente il babbo e la mamma si stizzirono. E afferrato per le ali il rondinino pigro, lo trasportarono insieme con loro. Poi lo lasciarono andare nell’aria.
Il rondinino traballò, come se dovesse cadere; ma dopo un istante volò allegramente insieme con tutti gli altri.

Il topo e il leone
Un topo, senza volere, passò una volta sul corpo di un leone addormentato. Il leone si destò di soprassalto, e con una delle sue zampone afferrò il topo. “Per carità non mi ammazzi!” esclamò il povero animalino “Non volevo disturbarla e le prometto che ad ogni occasione l’aiuterò volentieri”…Il leone cominciò a ridere, nel sentir dire che un topo gli prometteva di aiutarlo. E tanto rise, che allargò la zampa, e il topolino potè fuggire tutto contento.
Passò del tempo, e una volta il leone restò impigliato in un laccio teso dai cacciatori. Si dibatteva furiosamente, ruggiva in modo da far tremare gli alberi, ma la fune non si spezzava perché era molto grossa e resistente. In quel momento arrivò di corsa il topolino. “Aspetti un poco” disse quando ebbe visto di che cosa si trattava, “Per me il rodere è un divertimento!”. In verità dovette rodere con molta fatica per più di un’ora. Ma alla fine la  corda si spezzò e il leone fu libero. “Vede?” disse il topo “Ora lei non ride più; e ha capito che anche un poveraccio come me può essere utile davvero al re degli animali.”

Il gatto e i topi
In una casa vivevano moltissimi topi. Un gatto riuscì ad entrare nella casa e cominciò a catturarli. Questi si accorsero che la faccenda si metteva male, e dissero: “Sapete che facciamo? Non scendiamo più dal soffitto, fin quassù il gatto non potrà certamente raggiungerci.
I topi smisero così di scendere in basso, ma il gatto cercò il modo di essere più furbo di loro. Si aggrappò con una zampa al soffitto e si lasciò penzolare, fingendo di essere morto. Uno dei topi lo vide in quella posizione, ma gli disse: “No, amico mio. Neppure se ti riducessi a sembrare un sacchetto, io ti avvicinerei!”

Gli uccelli nella rete
Un cacciatore tese la rete sulla riva di un lago. Vi rimasero prigionieri molti uccelli. Ma erano grossi: sollevarono la rete da terra e volarono via con essa. Il cacciatore si mise a rincorrerli.
Un contadino lo vide e gli disse: “Dove corri? Credi di poter raggiungere un uccello che vola?
Il cacciatore rispose: “Se fosse un uccello solo, non lo raggiungerei. Ma questi non mi sfuggiranno.”
E così avvenne. Al calar della sera, gli uccelli volevano ritornare al loro nido ciascuno in luoghi diversi: uno verso il bosco, un altro verso la palude, un terzo verso i campi. E finirono per cadere a terra insieme alla rete.
Così il cacciatore li catturò.

La coda della volpe
Un uomo aveva catturato una volpe e le domandò: “Chi ha in-segnato alle volpi ad ingannare i cani con le loro code?”
La volpe ribattè: “Ingannare i cani? Noi non li inganniamo; fuggiamo dinanzi a loro più in fretta che possiamo.”
L’uomo insistette: “No, voi li ingannate con la coda. Quando i cani stanno per raggiungervi e cercano di catturarvi, voi scuotete la coda da un lato; il cane si slancia sulla coda, e voi fuggite dal lato opposto.”
“Non lo facciamo per ingannarli,” spiegò la volpe sorridendo “ma per cambiare direzione. Quando il cane sta per raggiungerci e noi vediamo che non possiamo sfuggirgli, cerchiamo di cambiare direzione; ma per girarci in fretta, dobbiamo spingere la coda dal lato opposto, come fate voi uomini con le braccia, quando correte e fate una curva. Non è un inganno; ce lo ha insegnato la natura stessa quando ci ha create per impedire che i cani acchiappassero tutte le volpi, dalla prima all’ultima.”

Il cervo e la vigna
Un cervo, inseguito dai cacciatori, si nascose in una vigna. Appena i cacciatori si allontanarono, il cervo cominciò a brucare le foglie larghe della vite.
I cacciatori notarono le foglie muoversi, e pensarono: “Forse, laggiù si nasconde qualche animale selvaggio.”
Spararono e ferirono il cervo. E questi, già vicino alla morte, disse: “Me lo sono proprio meritato: ho voluto mangiare proprio ciò che mi aveva nascosto e salvato la vita.”

L’asino e il cavallo
Un uomo possedeva  un asino e un cavallo. Mentre percorrevano la stessa strada con il loro carico, l’asino disse al cavallo: “Che fatica! Non ho più le forze per portare tutto questo peso. Prendi tu qualcosa.”
Il cavallo rifiutò e l’asino, privo di forze, cadde a terra e morì.
Il padrone, allora, caricò tutta la roba sul dorso del cavallo, e per giunta, anche la pelle dell’asino. E il cavallo si lamentò: “Ahimè, come sono sfortunato! Poco fa non ho voluto dare un piccolo aiuto al mio compagno, ed ora devo portare tutto il suo carico e per di più anche la sua pelle.

La testa e la coda del serpente
Un giorno la coda del serpente attaccò lite con la  testa: si doveva stabilire quale delle due dovesse andare avanti per prima.
La testa diceva: “Tu non puoi andare avanti per prima; non hai occhi e non hai orecchi!”.
La coda rispondeva: “In compenso però, io ho la forza. Sono io che ti faccio muovere. Se per capriccio mi arrotolo intorno ad un albero, tu non ti puoi spostare più.
Propose la testa: “Allora, separiamoci.”
La coda si staccò dalla testa e cominciò a strisciare da sola. Ma poco dopo non vide un crepaccio e vi precipitò dentro.

La gru e la cicogna
Un contadino tese le reti e riuscì a catturare alcune gru che gli danneggiavano il raccolto. Fra di esse vi era anche una cicogna. Per salvarsi, disse al contadino: “Lasciami andare, io non sono una gru, ma una cicogna. Fra tutti gli uccelli, noi siamo la specie più rispettabile: io abito infatti sul tetto della casa di tuo padre. Se guardi le mie piume, ti accorgi che non sono una gru”.
Il contadino rispose: “In compagnia di gru ti ho acciuffato, in compagnia di gru ti mangerò”.

La formica e la colomba
Una formica era assetata e si avvicinò alla riva di un ruscello. Un’onda la investì e la fece cadere nell’acqua. Una colom-ba, che passava portando un ramoscello nel becco, vide la formica in pericolo e le lanciò il ramoscello. La formica vi si aggrappò e fu salva. Qualche tempo dopo, un cacciatore stava per catturare la colomba nella sua rete. La formica gli si accostò e gli morse una gamba. Il cacciatore sussultò e si lasciò sfuggire la rete dalle mani. La colomba aprì le ali e volò via.

La mucca da latte
Un uomo possedeva una mucca, che gli dava ogni giorno un secchio di latte. L’uomo invitò alcuni amici a casa sua e, per avere più latte da offrire loro, per dieci giorni non munse la mucca. Pensava che  il decimo giorno avrebbe potuto avere dieci secchi di latte. Invece, il latte si era fatto denso e acido; così quando il padrone munse la mucca, questa gli diede meno latte che le altre volte.

Il lupo nella polvere
Un lupo voleva catturare una pecora del gregge e si accostò sotto vento, in modo da restare nascosto nel polverone che il gregge si lasciava dietro.
Il cane del pastore lo vide e gli disse: “Sbagli, lupo mio, a camminare nella polvere: gli occhi ti si ammaleranno.”

I cani e il cuoco
Un cuoco preparava il pranzo e i cani stavano sdraiati davanti alla porta della cucina. Il cuoco uccise un vitello e gettò gli intestini in cortile. I cani mangiarono tutto allegramente e dissero: “Che bravo cuoco! Cucina benissimo!”
Poco dopo il cuoco cominciò a ripulire piselli, rape, cipolle, e gettò fuori ciò che scartava. I cani annusarono e dissero: “Come ha peggiorato il nostro cuoco! Prima faceva da mangiare così bene, ma ora non vale più nulla.
Il cuoco, però, non si curò dei cani e continuò a preparare il pranzo, che fu consumato e lodato dai clienti del ristorante.

Il lupo e i cacciatori
Un lupo aveva catturato una pecora e se l’era mangiata. Sopraggiunsero alcuni cacciatori, riuscirono a prenderlo e deci-sero di ucciderlo. Il lupo disse loro: “Voi volete uccidermi, ma non è giusto. Se io sono povero, non è colpa mia: la natura mi ha fatto così”.
I cacciatori risposero: “Noi ti uccidiamo, non perché sei povero, ma perché ti mangi tutte le pecore che ti capitano a tiro”.

Il cavallo e lo stalliere
Uno stalliere rubava l’avena al suo cavallo e la rivendeva. In compenso, ogni giorno lo strigliava ben bene per farlo apparire bello. Il cavallo gli disse: “Se vuoi davvero che  io sia bello, non rivendere la mia avena!”.

La chioccia e i suoi pulcini
Una chioccia aveva appena finito di covare: i pulcini erano usciti dalle uova, ma lei non sapeva come proteggerli dai pe-ricoli. Perciò disse loro: “Rientrate nei vostri gusci. Io mi accovaccerò sopra di voi come quando vi covavo, e così sarete al sicuro.”
I pulcini obbedirono, tentarono di rimettersi nei loro gusci, ma inutilmente. Allora il più piccolo disse alla madre: “Se pretendevi di farci stare sempre dentro il nostro guscio, avresti fatto meglio a non farci uscire.

Il leone, l’orso e la volpe
Un leone ed un orso trovarono un pezzo di carne e si misero a litigare. L’orso non voleva cedere  e il leone altrettanto. Lottarono a lungo e alla fine caddero a terra privi di forze. Una volpe, nascosta lì vicino, vide il pezzo di carne, lo addentò e fuggì via.

Il bugiardo
Un giovane pastore stava vigilando le sue pecore e, come se avesse visto il lupo, cominciò a gridare: “Al lupo! Al lupo!”.
I contadini accorsero per aiutarlo, ma il lupo non c’era e capirono che erano stati ingannati.
Il ragazzo ripetè lo scherzo una seconda e una terza volta, ma un giorno il lupo sbucò fuori per davvero. ll ragazzo si mise a gridare: “Presto, correte! C’è il lupo! C’è il lupo!”
I contadini pensarono che egli, ancora una volta, volesse far loro uno scherzo, e non gli diedero retta. Il lupo si accorse che non c’era nessun pericolo e, comodo comodo, si mangiò tutto il gregge.

L’anitra e la luna
Un’anitra andava a nuoto per il fiume in cerca di pesci: in tutta la giornata non ne aveva cattu-rato uno. Appena fece notte, l’anitra vide la luna riflessa nell’acqua, credette fosse un pesce e si immerse per acchiapparla. Le altre anitre la videro e si burlarono di lei.
Da quel giorno divenne tanto vergognosa e impacciata che, anche quando vedeva un pesce sott’acqua, aveva timore ad immergersi e non l’acchiapava. E così morì di fame.

L’asino selvatico e l’asino domestico
Un asino selvatico vide un asino domestico; gli si avvicinò e si complimentò della sua sorte felice: era ben nutrito e dall’aspetto pareva essere trattato assai bene dai padroni.
Ma poi, quando l’asino domestico fu caricato col basto e il conduttore lo faceva trottare a tutta forza, l’asino selvatico disse: “Ora, fratello, non ti invidio più: vedo che ti guadagni la vita col sudore e con le più dolorose umiliazioni.

Il topo sotto il granaio
Un topo viveva sotto un granaio. Nel pavimento vi era un piccolo foro che lasciava cadere il grano, chicco per chicco. Col cibo sempre a disposizione, il topo viveva tranquillo, ma non era soddisfatto e volle vantarsi delle sue comodità. Rosicchiò il pavimento, allargò il foro, e invitò altri topi a fargli visita.
“Venite a far festa a casa mia” disse “Ci sarà da mangiare per tutti”.
Ma quando condusse gli amici sul posto, si avvide che il foro non c’era più. Evidentemente il padrone di casa lo aveva notato e aveva provveduto a chiuderlo.

La rana e il leone
Un leone udì una rana gracidare a gran voce e si spaventò: pensò che fosse un animale molto grosso ad emettere quel grido così forte.
Si avvicinò pian piano per vedere di che si trattasse e vide una piccola rana uscire dal pantano.
Allora disse fra sé: “D’ora in poi, se prima non avrò visto coi miei occhi di che si tratta, non mi spaventerò più.”

La cornacchia e i piccioni
Una cornacchia osservò che i piccioni vivono comodamente e sono ben nutriti, perché l’uomo pensa a loro. Si tinse le penne di bianco e volò nella piccionaia. Dapprima i piccioni pensarono che fosse dei loro, e la lasciarono entrare. Ma la cornacchia si dimenticò per un attimo del suo travestimento e si mise a gracchiare come tutte le cornacchie. Allora i piccioni presero a canzonarla e la cacciarono fuori a beccate. La cornacchia ritornò fra le compagne, ma queste, spaventate dalle sue penne bianche, la cacciarono via come avevano fatto i piccioni.

Il gallo e le lavoranti
Una padrona svegliava di notte le donne al suo servizio e al primo canto del gallo le metteva al lavoro.
A queste la vita parve molto dura; tanto che decisero di uccidere il gallo perché non svegliasse più la padrona. Gli torsero il collo, ma la loro vita peggiorò.
La padrona, infatti, per timore di non svegliarsi a tempo, da quel giorno fece alzare le lavoranti ancora prima.

La cicala e le formiche
In autunno, nel formicaio, il grano si era un po’ inumidito; le formiche lo portarono fuori ad asciugare. Una cicala affamata chiese loro qualche cosa da mangiare. Le formiche dissero: “Perché, quando era estate, non hai provveduto a farti le provviste?”
Quella rispose: “Mi mancava il tempo, avevo le mie canzoni da cantare!”.
Le formiche risero e dissero: “Se in estate hai fatto musica, in inverno ballerai”.

La volpe dallo stomaco gonfio
Una volpe affamata riuscì a scovare nella cavità di una quercia pezzi di pane e di carne lasciati là dai pastori. Vinta dalla fame vi entrò e mangiò tutto. Ma il suo stomaco si gonfiò tanto che non poteva più uscire dall’albero. Prese allora a gemere. Di lì passò, per caso, un’altra volpe; udì i suoi lamenti, si avvicinò e gliene domandò la causa. Venuta a conoscenza dell’accaduto, “Ebbene” disse “resta lì fino a quando non ritorni ad essere magra, come quando sei entrata. Allora uscirai senza alcuna difficoltà.”

Il leone vecchio e la volpe
Un leone, ormai vecchio, era incapace di procurarsi il cibo con le proprie forze. Per poter sopravvivere, pensò di ricorrere all’astuzia. Si ritirò in una caverna e, sdraiatosi, finse di essere infermo. Così poteva assalire e divorare tutti  gli animali che andavano a fargli visita. Ne aveva già mangiato un buon numero, quando gli si presentò la volpe, che si fermò a distanza dalla caverna e prese a domandargli come stava di salute.
“Male!” rispose il leone e le chiese per quale motivo non entrava.
“Io entrerei” rispose la volpe “se non vedessi tante orme di animali che entrano e nessuna di animali che escono.”.

Il toro e la zanzara
Una zanzara andò a posarsi sul corno di un toro.
Vi rimase per lungo tempo e, quando fu per andarsene, chiese al forte animale se era soddisfatto di liberarsi del peso.
Il toro le rispose: “Ma io non mi sono accorto quando ti sei posata su di me, né mi accorgerò quando te ne andrai.”

La vipera e la lima
Una vipera si introdusse nell’officina di un fabbro e chiese ai diversi utensili di farle l’elemosina.
Dopo averla ricevuta dagli altri, si avvicinò alla lima e la pregò di darle anche lei qualche cosa.
La lima rispose: “Tu sei molto sciocca, se credi di ottenere anche una piccola cosa da me, che ho l’abitudine, non di dare, ma di prendere a chiunque mi capiti vicino.”.

Il lupo e la capra
Un lupo vide una capra che stava pascolando sulle rupi scoscese di un’alta montagna. Non poteva raggiungerla per catturarla; perciò la esortò a scendere, altrimenti, per inavvertenza, poteva cadere.
“Il prato” le diceva “dove io mi trovo, è meno pericoloso e l’erba è molto più alta.”
Ma la capra rispose: “Non è per me e per la mia salvezza che tu mi chiami al pascolo, ma per te, per procurarti da mangiare.”

Il leone chiuso a chiave e l’agricoltore
Un leone si introdusse nella fattoria di un agricoltore. Questi voleva catturarlo e chiuse a chiave il cancello del cortile. La belva, che non trovava via d’uscita, prese a sbranare le pecore e poi assalì persone e buoi. L’agricoltore, temendo anche per la sua vita, aprì il cancello. Dopo che il leone si era allontanato, il contadino prese a lamentarsi di quella disgrazia. E la moglie, vedendolo in lacrime: “Ben ti sta” gli disse “hai voluto rinchiudere in casa tua un animale, che persino da lontano devi fuggire!”.

La volpe e il cane
Una volpe si introdusse in un gregge di pecore, prese un agnello e finse di baciarselo. Il cane, custode delle pecore, le chiese per quale motivo si comportasse in quel modo.
“Lo accarezzo” rispose la volpe “e gioco con lui”.
“Se non lo lascia” ribattè ringhioso il cane “vengo io a farti carezze di cane.”

Il leone, il cinghiale e gli avvoltoi
Nella stagione estiva, quando l’afa ed il caldo opprimente generano la sete, un leone ed un cinghiale si trovarono con-temporaneamente vicino ad una piccola sorgente.
Presero subito a litigare, poiché entrambi volevano bere per primi. Dalle parole passarono ai fatti: iniziarono una lotta morta-le. I due contendenti erano già feriti e sanguinanti, quando, sollevando lo sguardo al cielo, scorsero uno stormo di avvoltoi, gli uccelli che si nutrono dei cadaveri. Questi volteggiavano sopra di loro, in attesa di divorare il primo che fosse caduto morto. Così interruppero la lotta e dissero: “Meglio essere amici fra di noi, che pasto per gli altri.”

L’orso e i pesci
Se talvolta nei boschi l’orso non riesce a procurarsi il cibo, corre alle scogliose rive del mare, si afferra ad una roccia e, lasciandosi penzolare, immerge pian piano le zampe pelose nell’acqua. Così, tra i ciuffi del pelo, i granchi e i pesci restano presi. Il furbo poi si arrampica, si scrolla di dosso le sue prede e, passo passo, se le mangia comodamente.
La fame aguzza l’ingegno.

Le lepri e le rane
Nel bosco un giorno le lepri presero a protestare con grande strepito: non volevano rassegnarsi a vivere nella continua paura. Così si diressero ad uno stagno, col proposito di buttarsi dentro e di morire. Al loro accorrere le rane, spaventate, balzarono in fuga e si acquattarono sotto le verdi alghe.
“Caspita!” disse una lepre “Ci sono altri presi dal panico e sempre timorosi del male. Fermiamoci e sopportiamo la vita come tanti.

La rana gonfiata e il bue
Una volta una rana vide un bue in un prato. Presa dall’invidia per quell’imponenza, prese a gonfiare la sua pelle rugosa. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue. Essi risposero di no.
Subito riprese a gonfiarsi con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande.
Quelli risposero: “Il bue”.
Sdegnata, volendo gonfiarsi sempre più, scoppiò e morì.

La volpe e l’uva
Spinta dalla fame sotto un alto pergolato, una volpe cercava di afferrare l’uva, saltando con tutte le sue forze.
Visto che non riusciva neppure a toccarla, allontanandosi disse: “Non è ancora matura. Non voglio mangiarla acerba.”

Il lupo e la gru
Un lupo aveva inghiottito un osso che gli era rimasto in gola. Disperato, prese a vagare in cerca di qualcuno che lo liberasse dal male.
Incontrò una gru e la pregò di estrarglielo, dietro compenso. L’ingenua gru introdusse il capo nella gola del lupo, la liberò dell’osso e chiese il premio, secondo il patto. Ma il lupo rispose: “Non ti basta di aver ritirato sana e salva la testa dalla mia bocca? Chiedi anche una ricompensa?”

La mucca, la capra, la pecora e…
Una mucca, una capra e una debole pecora, rassegnata a tutte le ingiurie, fecero alleanza con un leone per andare a caccia. Riuscirono a catturare un magnifico cervo, ed il leone, fatte le parti, così ruggì: “Io mi prendo la prima poiché il mio nome è leone; la seconda dovete darla a me, perché sono socio; la terza mi spetta perché valgo di più; e se qualcuno osa toccare la quarta, finirà male”.
E così la prepotenza, da sola, si portò via tutta la preda.

La volpe e la maschera
Un giorno una volpe trovò una maschera, di quelle che si usano in teatro.
“Quant’è bella!” disse “Ma non ha cervello”

Il cane e il pezzo di carne
Un cane nuotava per il fiume, portando in bocca un pezzo di carne. Ad un tratto vide la sua immagine nello specchio delle acque e, credendo che un altro cane portasse una seconda preda, volle strappargliela.
Ma la sua avidità fu punita: lasciò cadere il cibo che teneva in bocca e non riuscì neppure a toccare quello che desiderava.

L’assemblea dei topi
Un gatto, chiamato Rodilardus, faceva un tale sfacelo di topi che non se ne vedevano quasi più, in giro, tanti ne aveva messi dentro… la sepoltura.
Ora, un giorno che il birbaccione era lontano, i topi sopravvissuti tennero assemblea. Un topo molto prudente sostenne che sarebbe stato necessario attaccare un bubbolo al collo di Rodilardus; così appena il gatto si metteva in caccia, tutti, avvertiti dei suoi movimenti, si sarebbero rifugiati sottoterra.
Tutti furono d’accordo con lui. La difficoltà fu di attaccare il sonaglio. Uno disse: “Io non ci vado, non sono mica così scemo!”
Un altro disse: “Io non sarei capace”.
Così, senza far niente, si lasciarono.

Il lupo e l’agnello
Un agnello si dissetava alla corrente di un ruscello purissimo. Sopraggiunse un lupo in caccia: era digiuno e la fame lo aveva attirato in quei luoghi. “Chi ti dà tanto coraggio da intorbidare l’acqua che bevo?” disse questi furioso.
“Sire…” rispose l’agnello “io sto dissetandomi nella corrente sotto di lei, perciò non posso intorbidare la sua acqua!”
“La sporchi” insistè la bestia crudele “E poi so che l’anno scorso hai detto male di me”.
“Io? Ma se non ero nato”, rispose l’agnello.“Se non sei stato tu, è stato tuo fratello”. “Non ho fratelli”. “Allora qualcuno dei tuoi; perché voi, i vostri pastori e i vostri cani ce l’avete con me. Me l’hanno detto: devo vendicarmi. Detto questo il lupo trascinò l’agnello nel fitto della foresta e se lo mangiò.

Pdf delle favole in formato scheda e in formato testo qui:

DIVISIONE IN SILLABE – schede

DIVISIONE IN SILLABE – schede: i bambini hanno a disposizione in classe una scatola-schedario di esercizi vari per ogni materia, da scegliere liberamente, che è uno per tutti: abbiamo per cominciare uno schedario per la Matematica, uno per l’Italiano, uno per la Musica e uno per l’Inglese.

Ogni bambino ha poi una scatola-schedario individuale, col suo nome, dove conserva i cartellini che ha usato per i suoi esercizi. E’ assurdo incollare fotocopie su fotocopie sui quaderni! Questa modalità favorisce il lavoro individuale e individualizzato, ma anche l’aiuto reciproco e la collaborazione: se un bambino ha già provato un dato esercizio, può dare una mano al compagno che lo sta facendo; poi ci sono anche schede per lavorare in coppia, ad esempio quelle dei dettati che prevedono che un bambino legga al bambino che scrive.

E’ naturalmente sempre il bambino a scegliere; se lo desidera può portare anche il lavoro a casa: vi sembrerà assurdo, ma a me che non uso dare compiti, i bambini li chiedono…

A differenza degli eserciziari “a libro”, lo schedario mi permette di aggiornare l’offerta di esercizi in base agli interessi dei bambini, o alle difficoltà che mostrano, e inoltre si integra benissimo coi materiali montessoriani già a disposizione.

Cominciamo con le schede per esercitare la divisione in sillabe.

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DIVISIONE IN SILLABE – REGOLE

Le regole della nostra lingua non sono affatto semplici, ricordiamole:

– una vocale a inizio parola, seguita da una sola consonante, fa sillaba a sè: a-nima, i-sola, o-livo

– le consonanti semplici fanno sillaba con la vocale che segue: li-mo-na-ta, se-re-ni-tà

– le consonanti doppie di dividono in due sillabe: pez-zet-ti-no, am-mat-ti-re; rientrano tra le doppie le parole con cqu: ac-qua, ac-quisto, nac-que

– due o tre consonanti diverse tra loro (non doppie) fanno sillaba con la vocale seguente, se esistono come gruppo anche all’inizio delle parole: a-bra-sivo ( perchè br esiste come inizio di parole, ad esempio in brina), ca-tra-me (treno), pu- le -dro (dritto),

– la esse impura (s seguita da consonanti) si attacca alla sillaba: e-scludo, ma-stino

– quando il gruppo di consonanti non esiste come inizio di parole, la prima consonante si stacca dalla sillaba: arit- metica (tme), pal-ma (lm), bam-bino (mbi),

– dittonghi e trittonghi non si possono dividere (au, ia, …), a meno che non si tratti di uno iato (ma meglio prendere la regola come generale, per non sbagliare, perchè ad esempio pi-o-lo è giusto, ma non si può fare pi-o-ve; allora meglio pio-lo pio-ve)

– digrammi e trigrammi non di dividono mai (sc, gl, gn,…)

– l’apostrofo in fin di riga è ammesso.

I bambini piccoli naturalmente imparano molto meglio a ricoscere la sillaba e quindi a dividere correttamente, seguendo la musicalità dei suoni e facendo esercizio. Ad esempio quando devono andare a capo insegniamo loro a dire la parola a voce alta battendo forte le mani ad ogni interruzione di sillaba: non sbagliano quasi mai!

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DIVISIONE IN SILLABE – Ecco le schede, se possono esservi utili:

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Questo è il contenuto delle schede:

Dividi in sillabe: 

rosa vaso rame casa nove mare lama tino pipa rana rapa seme
Ro-sa Va-so Ra-me Ca-sa No-ve Ma-re La-ma Ti-no Pi-pa Ra-na Ra-pa Se-me

pino tara caro sodo pila meno tana rupe palo pera sale luna vino
Pi-no Ta-ra Ca-ro So-do Pi-la Me-no Ta-na Ru-pe Pa-lo Pe-ra Sa-le Lu-na Vi–no

naso zero foglia vite libro uva pietra pane treno mosto campo orto fiori
Na–so Ze–ro Fo–glia vi-te li-bro u–va pie–tra pa–ne tre–no mo–sto cam–po or–to fio–ri

mamma palla masso tazza asse mazza pollo prezzo pazzo nonno pezza colla razzo
Mam–ma pal–la mas–so taz–za as–se maz–za pol–lo prez–zo paz–zo non–no pez–za col–la raz-zo

pozzo carro nonna cavallo carrozza fazzoletto mezza notte pallottola gallina mazzetto collina caramella
Poz-zo Car-ro Non-na Ca–val-lo Car–roz-za Faz–zo–let-to Mez-za Not-te Pal–lot–to-la Gal–li-na Maz–zet-to Col-li-na Ca–ra–mel-la

ciclismo cieco ladro mascella mondo ospedale orso placca prosciutto qualcuno romanzo simpatia spingere
Ci–cli-smo cie-co la-dro ma–scel- la mon-do o-spe-da-le or-so plac-ca pro-sciut-to qual–cu-no ro-man-zo sim-pa-ti-a spin–ge-re

idea adagio bordo balbettare badia balestra balsamo bambola balneare batticuore bavaglino beato biglia biforcuto biliardo bimbo bilancia
i–de-a a–da-gio bor-do bal-bet-ta-re ba-di-a ba-le-stra bal–sa-mo bam- bo-la bal–ne–a-re bat–ti–cuo-re ba–va–gli-no be–a-to bi–glia bi-for-cu-to bi-liar-do bim-bo bi-lan-cia

idrante archetto arachide arbitrio aprile arte attraente attrezzo avaro avverbio avventura avvoltoio azione azzuffarsi bagaglio bagnare baia
i–dran-te ar–chet-to a-ra-chi-de ar–bi-trio a-pri-le ar-te at–tra–en-te at–trez-zo a–va-ro av–ver-bio av–ven-tu-ra av–vol–to-io a–zio–ne az–zuf–far-si ba–ga-glio ba–gna-re ba-ia

appunto bitorzolo bisonte birichino blindato bivio boato boccaglio bomba bolgia borghese borsa bottiglia branzino briciola briglia brodo
ap–pun-to bi–tor–zo-lo bi–son-te bi-ri-ch-no blin-da-to bi-vio bo–a-to boc–ca-glio bom-ba bol-gia bor-ghe-se bor-sa bot-ti–glia bran–zi-no bri-cio-la bri-glia bro-do

bisbetica buono buongustaio buonora buonsenso burla calcagno calce calendario calligrafia calzamaglia
bi-sbe-ti-ca buo-no buon-gu–sta-io buo–no-ra buon-sen-so bur-la cal–ca-gno cal-ce ca–len–da-rio cal–li–gra-fia cal-za–ma-glia

cambio calzetta camoscio camicia campanel la campagna candeggi na canguro canto canzone bacio
cam-bio cal–zet-ta ca–mo-scio ca–mi-cia cam–pa-nel-la cam–pa-gna can-deg-gi-na can-gu-ro can-to can–zo-ne ba-cio

capretto capsula carbone carnivoro cartella casalinga catechismo catasto catrame cattedra brutto
ca–pret-to cap–su-la car-bo-ne car-ni-vo-ro car–tel-la ca-sa–lin-ga ca–te-chi-smo ca–ta-sto ca-tra-me cat–te-dra brut-to

cattiveria cattedrale catenaccio causa cauzione cavalcare cavalletto caviglia cavia cavolfiore celeste celebre cencio cemento
Cat-ti-ve-ria cat-te–dra-le ca–te–nac-cio cau-sa cau–zio-ne ca-val–ca-re ca–val–let-to ca–vi-glia ca-via ca–vol–fio-re ce–le-ste ce–le-bre cen-cio ce–men-to

centro centesimo cento cerimonia ceramista cervello certificato chiara chiamare cestino chiave chicco chiedere chiesa
Cen-tro Cen–te–si-mo Cen-to Ce-ri–mo-nia Ce–ra–mi- sta Cer–vel-lo Cer–ti–fi–ca-to Chia-ra Chia–ma-re Ce-sti-no Chia-ve chic-co chie-de-re chie-sa

chilometro chissà chiocciola chiosco chirurgo chitarra chiuso ciao cialda ciambella cigno ciclismo cicogna ciecamente
Chi-lo–me-tro chis-sà chioc-cio-la chio-sco chi–rur-go chi-tar-ra chiu-so cia-o cial-da ciam-bel-la ci-gno ci–cli-smo ci–co-gna cie–ca–men te

cicogna cifra cielo ciclone cilindro ciliegia ciminie ra cinghia cinquanta cipresso cintura circolare civiltà cisterna classe clessidra cliente
ci-co-gna ci-fra cie-lo ci–clo-ne ci–lin-dro ci–lie-gia ci–mi–nie-ra cin-ghia cin–quan-ta ci–pres-so cin-tu-ra   cir–co–la-re   ci–vil-tà ci-ster-na clas-se cles–si-dra cli–en-te

cobra coccinella cognome colbacco collaudo collegio colmo coltivare combattimento commedia commessa compagnia compagno compatto compito composto condividere
co-bra coc-ci-nel-la co–gno-me col–bac-co col–lau-do col–le-gio col-mo col-ti–va-re com–bat–ti–men-to com–me-dia com–mes-sa com-pa-gnia com-pa-gno com-pat-to com-pi-to com–po-sto con-di-vi-de-re

confettura confine congelare coniglio conoscenza consiglio conquista consegna consenso conserva contato contento conto convento coppa coprire cooperativa
Con–fet–tu-ra Con–fi-ne Con–ge–la-re Co–ni-glio co–no–scen-za con-si-glio con-qui-sta con-se-gna con–sen-so con–ser-va con–ta-to con-ten-to con-to con-ven-to cop-pa co-pri-re co–o–pe-ra-ti-va

coordinarecoperta copia coprifuoco copriletto coraggio corda cordialità coriandolo cornacchia cornetto cornuto corpo correggere corrente corridoio cortesia
Co – or – di – na – reCo – per – taco – pia co – pri – fuo – co co – pri – let  – to co – rag – gio cor- da cor – dia – li- tà co – rian – do – lo cor- nac  – chia cor – net – to cor – nu –  to cor – po cor – reg – ge – re cor – ren – te cor – ri – do – io cor –te – sia

coscienza coscia costo cosmetico costare crampo costume cratere crauti cranio creato creare creatività crescita cristallo crimine critica
Co–scien-za co-scia co-sto cos–me-ti-co co–sta-re cram-po co–stu-me cra-te-re crau-ti cra-nio cre-a-to cre-a-re crea-ti-vi-tà cre–sci-ta cri–stal-lo cri-mi-ne cri–ti-ca

criticone crostata crudo culmine culto cuore acquarello curiosità dalmata cuscinetto dentista danzare dardo dattero davanti degradabile decenza
cri-ti–co-ne cro–sta-ta cru-do cul-mi-ne cul-to cuo-re ac–qua–rel-lo cu-rio-si-tà dal–ma-ta cu–sci–net-to den–ti-sta dan-za-re dar-do dat-te-ro da–van-ti de–gra–da-bi-le de-cen-za

dente deserto desiderio diabolico deviazione diamante dicembre dettaglio diabete dialogare diplomazia discesa discorso distanza domanda
Den-te de–ser-to de-si-de-rio dia–bo–li-co de-via–zio-ne dia–man-te di-cem-bre det-ta-glio dia-be-te dia–lo–ga-re di–plo–ma-zia di-sce-sa di-scor-so di-stan-za do–man-da

fango fauna febbraio fat toria ferragosto fiamma fiaba filastrocca firmamento fiocco finta fosforescente foschia fraterno francobollo
fan-go fau-na feb–bra-io fat-to-ri-a fer–ra–go-sto fiam-ma fia-ba fi-la–stroc-ca fir–ma–men-to fioc-co fin-ta fo-sfo-re-scen-te fo–schi-a fra-ter-no fran-co–bol-lo

frangia frullino frusta fronte frutta galassia gaiezza geranio genio gente gioire gioioso gioco giocattolo gonnellina
Fran-gia Frul-li-no Fru-sta Fron-te  frut-ta ga–las-sia ga–iez-za ge–ra-nio ge-nio gen-te gio-i-re gio-io-so gio-co gio–cat–to-lo gon–nel-li-na

grattugia granello guardaroba guscio guida guinzaglio illustrazione imballa re imburrato i mitare impegno incantesimo infarinare insetto insegnare
grat-tu-gia gra–nel-lo guar–da–ro-ba gu-scio gui-da guin–za-glio il–lu–stra–zio-ne im–bal–la-re im-bur-ra-to i-mi-ta-re im–pe-gno in-can-te–si-mo in–fa-ri–na-re in-set-to in–se–gna-re

lastra levante lezione lineamenti lingua lungo maestra maestà magnetico magro maiuscolo maltempo marea margine marmellata
la-stra le–van-te le–zio-ne li–nea–men-ti lin-gua lun-go ma–e-stra mae-stà ma-gne-ti-co ma-gro ma–iu–sco-lo mal–tem-po ma–re-a mar-gi-ne mar–mel–la-ta

marinaio maschera mastello materia meglio metropolitana microfono migliaio miscela miseria moderno molla monte montante movimento mungere
Ma-ri–na-io Ma–sche-ra ma–stel-lo ma–te-ria me-glio me–tro-po-li-ta-na mi–cro–fo-no mi–glia-io mi-sce-la mi-se-ria mo-der-no mol-la mon-te mon-tan-te mo-vi–men-to mun-ge-re

nascere nastrino nascondino neolitico neonato nervoso nucleo obliquo oculista olivo ombelico ombrellone opposto opuscolo oriente organo
na-sce-re na-stri-no na–scon-di-no neo-li-ti-co neo-na-to ner-vo-so nu-cleo o-bli-quo o–cu-li-sta o-li-vo om–be-li-co om-brel-lo-ne op-po-sto o-pu-sco-lo o-rien-te or-ga-no

pannocchia pappagallo parte percussione pestifero piano placca polmonite portafortuna pozzanghera prefisso privato proibito promessa proprio
Pan-noc-chia pap-pa–gal-lo par-te per–cus-sio-ne pe-sti-fe-ro pia-no plac-ca pol-mo-ni-te por-ta-for-tu-na poz-zan–ghe-ra pre-fis-so pri–va-to proi-bi-to pro-mes-sa pro-prio

pugno pulpito pulizia qualifica quantità questione quiete raccolta raddoppiare rampicante reagire realista richiamo rischio risposta ruota
pu-gno pul-pi-to pu-li-zia qua-li-fi-ca quan-ti-tà que–stio-ne qui–e-te rac–col-ta rad-dop-pia-re ram-pi–can-te rea-gi-re rea-li-sta ri-chia-mo ri-schio ri-spo-sta ruo-ta

saldare scegliere scarto sciacquare segmento società sospirare stringa tecnologia terzo tombino trofeo ultimo unghia urlo utile
sal–da-re sce-glie-re scar-to sciac-qua-re seg–men-to so-cie-tà so–spi-ra-re strin-ga tec-no-lo-gia ter-zo tom–bi-no tro-fe-o ul-ti-mo un-ghia ur-lo u-ti-le

vario verso vetro vigneto volante zaino zucchero zoppicare zenzero zampone zafferano vuoto vulcano vostro versare vaglia
va-rio ver-so ve-tro  vi-gne-to vo–lan-te zai-no zuc-che-ro  zop-pi-ca-re zen-ze-ro zam-po-ne zaf–fe-ra-no vuo-to vul-ca-no vo-stro ver-sa-re va-glia

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Sul retro, dove ci sono le soluzioni per la correzione e l’autocorrezione, pinzo un foglietto, così prima di riporre la scheda il bambino può mettere la sua firma. E poi fa un po’ da “tenda del mistero”…

Una canzoncina per sillabare

Una canzoncina per sillabare e una filastrocca, per bambini della scuola primaria, con testo, spartito stampabile e traccia mp3.

Sillabare

Sillabare è un giocherello, che non stanca il tuo cervello
quando ad ERRE aggiungo un’A, fo una sillaba che è RA;
a GI ed ELLE aggiungo un’I, ho una sillaba che è GLI;
or se RA e GLI riuniamo, la parola RAGLI abbiamo
Dunque RAGLI è risultato da due sillabe formato
con due sillabe bel bello, RAGLIA RAGLIA l’asinello
son tre sillabe in BEL LEZ ZA
e son quatto in GEN TI LEZ ZA
or da solo puoi spezzare le parole e sillabare.
Pensa Mila fra di sè: “No, difficile non è
ora provo a frazionare le parole e sillabare
questo è proprio un giocherello
che non stanca il mio cervello”.

Una canzoncina per sillabare – testo

T A: ta

T E: te, ta te

T I: ti, ta te ti

T O: to, ta te ti to

T U: tu, ta te ti to tu

Una canzoncina per sillabare – spartito e file mp3 qui:

Poesie per salutarsi prima della campanella

Poesie per salutarsi prima della campanella in uso nella scuola steineriana, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Di lavorare ho terminato
riposi adesso quel che ho imparato
e viva nel profondo del mio cuore
per darmi luce, saggezza e amore
perch’io sia buono nel profondo
per tutti gli uomini e per il mondo.

 

Chiocciola
Chiocciolina chiocciolina
vieni dentro alla casina
che se dentro tu verrai
bello il mondo sognerai.
si parte in cerchio per mano, l’insegnante lascia la mano di un bambino e guida la fila a formare una spirale verso l’interno
Chiocciolina chiocciolina
vieni fuor dalla casina
che se fuori tu verrai
bello il mondo tu vedrai.
il bambino più esterno, il “capofila” guida tutti a sciogliere la spirale e si riforma il cerchio.

 

Chi entra in questa casa porti amore
chi vi sta dentro cerchi conoscenza
chi ne esce porti pace nel suo cuore

 

Perchè siamo scesi dal cielo?
Non era più bello restare
tra nuvole d’oro, fra stelle,
fra gli angeli in coro a cantare?
spirale verso l’interno, per mano
Sì, certo, ma è solo qui in terra
che io posso imparare
a voler diventare
un libero uomo
capace di fare.
spirale verso l’esterno, per mano, poi cerchio

 

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Poesie e filastrocche del mattino

Poesie e filastrocche del mattino, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Alba nel mio giardino
O l’alba luminosa del mio giardino…
il sole brilla, gli uccelli cantano…
io scendo in giardino, e sono felice e contento
quanti fiori odorosi… quanta freschezza!
Che bellezza nel mio giardino…
i meli hanno già le foglie verdi
con dei piccoli fiori bianchi che si aprono.
Il fico alza le foglie larghe nell’aria.
Le acque zampillano da ogni parte.
Le farfalle si posano leggere sui fiori.
Ah! che gioia entrare in quel giardino! (Agur)

Io sono
Io sono
cammino
più forte che posso
io salto, io salto, io salto
e m’arresto.

Io salto sul muro
raggiungo la torre
e suono le campane
che suonano a stormo.
Lontano ed ampio
ampio e alto
ancora più ampio
io sono.

Scuoletta
La scuoletta tutta bella
del paese piccolino
fa suonar la campanella
ch’è al muretto del giardino.
Chiama, squilla, canta, invita!
Non lo vedi che, a star cheta,
la catena è arruginita?
Hedda

Campanella
Cara voce, campanellina
che dormivi dimenticata
finalmente ti sei svegliata
e rallegri la mattina.
Pallido il sole; giù dai rami
qualche foglia lenta vola;
campanellina della scuola
ma tu canti, ma tu chiami.
Scolarine, scolaretti,
già si affrettano ai cancelli
così lieti, così belli:
uno stuolo d’uccelletti.
D. Rebucci

Io vengo dalle stelle
Io vengo dalle stelle
che proteggono i miei pensieri
io vengo dalla terra
che sostiene i miei passi
io offro il mio cuore
al mondo intero.

Cose belle
Nell’aria gli uccellini,
nell’acqua i pesciolini
in terra i frutti e i fiori,
di splendidi colori
in cielo tante stelle,
ah, quante cose belle.

C’è gioia
C’è gioia nell’acqua che scorre
nel vento che corre
nel fuoco che brilla
nel canto che trilla
c’è gioia nel fiore che sboccia
in tutto è la gioia, la vita
che freme infinita
che ride, che chiama
che palpita ed ama.

Nel cielo stellato
Nel cielo stellato,
che guardo ammirato
nel sasso nel fiore,
ti vedo o Signore
nell’essere mio,
ti sento buon Dio
mi accendi nel cuore,
per tutto l’amore.

Ammirare il bello
Ammirare il bello,
difendere la verità
venerare ciò che è nobile,
decidere il bene
ciò conduce l’uomo,
alle mete nella vita
al giusto nelle sue azioni,
alla pace nel suo sentire
alla luce nel suo pensare,
e gli insegna a confidare
nel governo divino
in tutto ciò che è
nell’universo
in fondo all’anima.
(Rudolf Steiner)

Le montagne
Le montagne sono silenziose e immobili.
Nel loro silenzio, nella loro quiete
parlano della tua grandezza
aiutami ad essere quieto e silenzioso
come una montagna
seduto in silenzio
per ascoltare la tua voce.

Il sole
“Dimmi bel sole”
chiede il bambino
“Che fai levandoti presto al mattino?”
Risponde il sole: “Spengo le stelle
che della notte sono fiammelle.
Fasci di rose spargo sul mare
tutta la terra vado a destare.
Bacio coi raggi fiori e uccellini
batto ai balconi
sveglio i bambini”

Del sol l’amata luce
Del sol l’amata luce,
il giorno a me rischiara
dell’anima la forza,
agli arti dà vigore
nello splendor solare,
onoro o Dio la forza
che tu benevolmente,
nell’anima ponesti
che io sia laborioso,
di apprendere desioso
nascon così da te,
la luce ed il vigore
fluisca ognor a te,
riconoscenza e amore.
(Rudolf Steiner)

Sole che porti la notte e il giorno
Sole che porti la notte e il giorno
lieto saluto il tuo ritorno
sotto il tuo raggio crescon le piante
sotto il tuo raggio sbocciano i fiori
tutti vestiti di bei colori
nella tua luce vola l’uccello
pascon sui monti pecora e agnello
l’ape ronzando raccoglie i succhi
per dare il miele a tutti, a tutti
ed io bambino, t’apro il mio cuore
perchè v’accenda luce e calore
come te sole, forte e giocondo
vorrei irradiarli in questo mondo.

Pura
Pura come l’oro più fino
forte come la roccia
limpida come il cristallo
sia l’anima mia.
(Silesio)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Uso delle lettere smerigliate Montessori (o alfabeto tattile)

Uso delle lettere smerigliate Montessori (o alfabeto tattile). La presentazione ai bambini dell’alfabeto tattile, nel metodo Montessori, rappresenta la prima tappa dell’apprendimento della scrittura e della lettura.

Capita a volte che bambini anche molto piccoli (due o tre anni) comincino a chiedere agli adulti cosa significa una certa scritta, oppure che desiderino scrivere una certa parola e chiedano aiuto, ma sarebbe bene non spingere i bambini alla scrittura così presto. Al di sotto dei tre anni essi stanno ancora lavorando allo sviluppo delle loro capacità di linguaggio, sensoriali e motorie, stanno cioè costruendo le solide basi per tutti gli apprendimenti successivi.
Dall’altro versante, se a qualunque età il bambino si mostra più interessato a mordicchiare le lettere o a vedere quanto sono belle mentre le lancia in aria, è chiaro che vi state muovendo in anticipo rispetto al suo stadio di sviluppo, ed è quindi consigliato, con tutta la dovuta delicatezza, riporre il materiale e attendere del tempo prima di riproporlo.

photocredit: http://www.alisonsmontessori.com/

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Se possibile il consiglio è di cominciare con lo stampato minuscolo, iniziando a lavorare al solo riconoscimento delle singole lettere, abbinando correttamente fonema e grafema. In un secondo momento, quando il bambino sarà davvero pronto, potrà dedicarsi a collegare le lettere fra loro per formare le parole, utilizzando l’alfabeto mobile.

Nell’approccio montessoriano i suoni delle lettere vengono insegnati prima dei nomi delle lettere. Le ricerche hanno dimostrato che è meglio imparare una cosa alla volta.

Se si insegna al bambino parola e suono delle lettere, il bambino è confuso e fatica a riconoscere il suono delle singole lettere, dovendole trovare all’interno di una parola, e per lui è difficile ricordare la lettera che rappresenta un dato suono nella parola stessa.

Perciò per prima cosa si insegna il suono di ogni lettera, mentre la formazione delle parole e i nomi delle lettere stesse vengono insegnati più tardi. E siccome alcune lettere possono rappresentare più di un suono, si comincia con l’attribuire alla lettera il suono che si incontra più di frequente, e solo più tardi si aggiungono gli altri. Il bambino all’inizio deve imparare così: un suono per ogni lettera.

E’ un errore pensare che per i bambini sia più facile identificare la lettera iniziale delle parole. Ma è un errore ancor più grave confondere i bambini pensando che essi debbano ascoltare solo il primo suono di una parola. I bambini hanno bisogno di sentire i suoni in tutte le parti della parola. Secondo l’approccio montessoriano, i bambini vengono perciò guidati a sentire come i suoni che loro stanno imparando si trovano in parti diverse delle parole. Con questo esercizio cominciano presto a rendersi conto della sequenza di suoni nelle parole.

L’apprendimento dei suoni e delle lettere avviene attraverso un lavoro multisensoriale.
Il bambino sente il suono, ne vede la sua rappresentazione nella forma della lettera, sente il modo in cui è scritta attraverso il tatto, con le sue dita.

Siccome ogni schema motorio deve essere imparato correttamente da subito, è molto importante che il bambino sia seguito con grande attenzione mentre traccia le lettere con le dita. Questo lo aiuterà a sviluppare una calligrafia chiara e pulita.

Il primo alfabeto proposto al bambino, dunque, dovrebbe essere lo stampato minuscolo, che è una forma base del corsivo.

Questo perchè, quando il bambino passerà dallo scrivere le lettere staccate ad uno stile corsivo e collegato, non dovrà cambiare il suo schema motorio, ma soltanto estendere il modello connettendo tra loro le lettere. Questo non avverrebbe cominciando l’apprendimento dell’alfabeto con lo stampato maiuscolo.

L’unica differenza per il bambino tra la lettera stampata e la sua scrittura corsiva, sarà dunque la connessione, il non staccare la penna dal foglio. La tracciatura delle lettere sulle schede tattili seguirà dunque questo modello di movimento:

La scelta di cominciare con lo stampato minuscolo, però, non è condivisa da tutti gli insegnanti che usano questo metodo, e in molte scuole Montessori si sceglie di cominciare da subito con il corsivo, proponendo l’alfabeto tattile in corsivo, gli alfabeti mobili, le schede delle nomenclature e tutto il materiale di lettura e scrittura, tutto in corsivo.

Questa scelta è sostenuta dal fatto che la scrittura del corsivo, col suo scorrere continuo, è più dolce per il bambino e rappresenta un esercizio motorio migliore rispetto allo stampato che prevede continue interruzioni del tratto. Inoltre si sostiene che il corsivo permette meglio di visualizzare le singole parole, che risultano staccate in modo più netto le une dalle altre.

Tuttavia va considerato che i bambini con problemi di dislessia e disgrafia incontrano maggiori problemi nella lettura e nella scrittura del corsivo: infatti nella scrittura del corsivo il bambino, mentre scrive una lettera è costretto a pensare a quale lettera sarà la successiva che deve essere connessa a quella che sta scrivendo.

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Uso delle lettere smerigliate Montessori (o alfabeto tattile) – Presentazione ai bambini: panoramica generale

Lo scopo della presentazione dell’alfabeto tattile  è  imparare il suono e la forma delle lettere dell’alfabeto ed acquisire una memoria corporea manuale della forma delle lettere come preparazione alla scrittura.

Prima di iniziare a lavorare con l’alfabeto si può raccontare una breve storia della scrittura su questa traccia: “Quando l’uomo scoprì la possibilità di rappresentare ognuno dei suoni di una lingua con un simbolo, fu una grande scoperta, perchè significò che tutte le parole potevano essere scritte usando pochi simboli. Prima di ciò ogni parola aveva un simbolo suo proprio, e imparare a scrivere richiedeva uno sforzo mnemonico monumentale. E poi era un problema trovare simboli per le parole nuove. Oggi invece chiunque può scrivere il suono  di qualsiasi parola.”

Si consiglia di cominciare offrendo al bambino una selezione di tre lettere, pronunciando il suono di ogni lettera mentre se ne segue il percorso con indice e medio uniti.

E ‘importante pronunciare il suono e non il nome della lettera (“P” e non “PI”).

Lasciare poi che il bambino tracci la lettera più volte, sempre pronunciandone il suono. Solo dopo molte ripetizioni offrire la seconda lettera, e quindi la terza. Al termine presentare le tre lettere insieme davanti al bambino per verificare se è in grado di abbinare correttamente grafema e fonema.

Naturalmente è consigliabile che tra le prime lettere presentate ci siano delle vocali, perchè questo aiuta tantissimo il bambino a intuire la formazione delle sillabe e delle parole.

Durante il periodo in cui si presenta l’alfabeto tattile, è importante che il bambino abbia a disposizione vari materiali coi quali esercitarsi a riprodurre le lettere: la lavagna di sabbia, naturalmente,

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ma anche pasta da modellare, chicchi e semi, pennelli e colori, ecc…

Osservando con attenzione le attività che svolge il bambino, possiamo accorgerci che è molto sicuro nel riconoscimento di alcune lettere, mentre non lo è per altre: in questi casi è importante riproporre la presentazione.

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Uso delle lettere smerigliate Montessori (o alfabeto tattile) – Lezione in tre tempi per presentare l’alfabeto tattile: prima versione

Primo tempo
1. Il bambino si lava le mani con l’acqua calda, così che esse siano calde e sensibili. L’insegnante prende due lettere che si contrappongono per suono e forma, ad esempio t ed a, poi siede accanto al bambino.
2. Mette una lettera di fronte al bambino, gli chiede di guardare e traccia leggermente molte volte la lettera, nella direzione corretta, con indice  e medio uniti della mano dominante, ripetendo il suono della lettera mentre la traccia
3. Affida la lettera al bambino e gli chiede di tracciarla con le sue dita, e mentre lo fa l’insegnante continua a ripeterne il suono; non chiede al bambino pronunciarlo già da solo,  ma se il bambino la copia, è positivo.
4. Si ripete lo stesso processo anche per la seconda lettera.

Secondo tempo
L’insegnante controlla che il bambino abbia associato correttamente ogni suono alla lettera corrispondente ponendo entrambe le lettere di fronte al bambino e chiedendogli: “Indicami t e tracciala con le dita”. Se il bambino sceglie la lettera giusta, l’insegnate lo invita a tracciarla di nuovo più volte, mentre lei ripete il suono. Questo esercizio viene ripetuto per ogni lettera molte volte.

Terzo tempo
L’insegnante ora verifica che il bambino sia capace di pronunciare correttamente i suoni proponendogli una lettere alla volta e chiedendogli di tracciarla e di pronunciare lui stesso il suono. Anche questo esercizio va ripetuto più volte.

Ricapitolazione

L’insegnante propone al bambino di ascoltare delle parole che contengono i suoni imparati. Ad esempio gli mostra la lettera t e gli dice: “Ascolta. Senti se ci sono delle t mentre dico queste parole: tavolo, vite, gatto, caduto?”. E’ importante scegliere parole nelle quali il bambino possa sentire il suono della lettera in esame  in posizioni diverse, e non solo all’inizio.
Poi si può chiedere al bambino di pensare a parole che contengano i suoni che ha imparato nella lezione, ad esempio dicendo: “Se ti vengono in mente parole con t o con a, vieni a dirmele”.

Uso delle lettere smerigliate Montessori (o alfabeto tattile) – Variante di presentazione

Parte uno: scegliete tre lettere, ad esempio a, t, s. Usando indice e medio insieme, seguite il contorno della prima lettera rispettando la direzione nella quale viene normalmente scritta, e pronunciandone il suono mentre lo fate. Mettete poi la lettera davanti al bambino e invitatelo a seguirne il contorno come avete fatto voi pronunciando anche lui il suono corrispondente. Presentate allo stesso modo anche le altre due lettere,  ma senza formare sillabe o parole, per il momento.

Parte due: chiedete al bambino di mostrarvi la t (pronunciando il suono e non il nome della lettera, cioè dicendo t, e non “ti”). Ripetere per le altre due lettere scelte. Se il bambino indica le lettere corrispondenti ai suoni in modo corretto, rinforzarlo dicendo ad esempio “Sì, questa è la t”.

Parte tre: indicate una lettera e chiedete al bambino: “Questa che è lettera è?”. Se il bambino pronuncia il suono corretto, ripetere “Sì, questa è la t”, quindi passare allo stesso modo alle altre lettere presentate.

Potete interrompere la lezione in qualsiasi momento, se vedete che il bambino è stanco. La cosa più importante è che il bambino ascolti bene i suoni, guardi con attenzione, e tracci le lettere pronunciando correttamente i suoni corrispondenti. Tracciare le lettere è parte integrante dell’esercizio, per questo le lettere smerigliate non sono sostituibili con lettere stampate che non permettono la stessa esperienza tattile.

Può succedere che un bambino abbia già imparato i nomi delle lettere prima che voi gli proponiate questo metodo; in questo caso sarà importante spiegargli che ogni lettera ha un nome ma ha anche un suono, e che siccome lui conosce già i nomi, ora ne conoscerà i suoni. Si dovrà durante la lezione fare attenzione a che il bambino usi sempre il suono della lettera presentata e non il nome…

Uso delle lettere smerigliate Montessori (o alfabeto tattile) – Qualche video:




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