Corda del tempo per la comparsa dei viventi

Corda del tempo per la comparsa dei viventi lunga 4,6 metri: tutorial. Una linea del tempo della vita, molto economica, può essere facilmente realizzata con una corda (acquistabile in tutti i negozi di ferramenta e di fai da te a meno di 50 centesimi al metro). Prese le dovute misurazioni, la corda viene separata da mollette da bucato per distinguere le ere geologiche. La corda avrà così funzione di guida nello svolgersi del racconto della seconda fiaba cosmica Montessori,

e potrà essere usata dai bambini per lo studio nei giorni successivi, nell’ambito della seconda grande lezione:

Materiali utili per accompagnare le linee del tempo:

– modelli di pianeti del sistema solare: il tutorial per realizzare i modelli dei pianeti in scala, con la pasta di sale, è qui:

– cartellini coi nomi delle ere geologiche: puoi scaricarli e stamparli in formato pdf qui:

– carte illustrate delle nomenclature per le ere geologiche ed i viventi apparsi in ognuna: 

(trovi altre carte illustrate, meno dettagliate, anche nel post sulla seconda grande lezione cosmica Montessori).

Corda del tempo per la comparsa dei viventi

Corda del tempo per la comparsa dei viventi – Materiale occorrente:
– una corda lunga circa 5 m (le ere geologiche occupano in tutto 4,6 m)
– mollette da bucato
– righello e metro da sarto
– tabella con le indicazioni dei nomi delle ere geologiche e dei centimetri che ogni era occupa lungo la corda:

Corda del tempo per la comparsa dei viventi – Come si fa:

Semplicemente mettere una molletta ad un capo della corda (inizio del Precambriano), e da lì, seguendo la tabella e misurando col metro o col righello, procedere a posizionare la seconda molletta a 4.057 cm dalla prima per l’inizio del Paleozoico, da questa molletta la prossima a 296 cm, e via così fino al Cenozoico.

Stesa la corda sul pavimento, o meglio su di un tappeto, posizionare i cartellini:

e tutto il materiale didattico scelto.

Corda del tempo per la comparsa dei viventi

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi, impressionante per la sua lunghezza, ma estremamente economica e semplice da realizzare, anche coi bambini. Può stimolare il lavoro di approfondimento e ricerca dopo la seconda grande lezione Montessori.

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Scopo del lavoro :
dare una dimostrazione grafica dell’enorme estensione del tempo geologico rispetto ai tempi recenti.

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Materiale occorrente:
– un rotolo di carta igienica (231 strappi o più)
– penne a gel (a differenza dei pennarelli non spandono e restano leggibili)
– nastro adesivo trasparente per le eventuali riparazioni riparazioni
– un righello (solo per tracciare le linee, non per misurare)
– tabelle 1 e 2. Le tabelle stampabili in formato pdf sono qui:

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – TABELLE

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Direttive generali

Prima di iniziare, fare delle prove sul primo strappo del rotolo con la penna gel, per assicurarsi che il tratto risulti ben leggibile.
Il lavoro consisterà nell’utilizzare le perforazioni tra gli strappi come un righello, segnando le date e i nomi  elencati nelle tabelle che seguono.
Se la carta si strappa, riparare con nastro adesivo.

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi – Come si fa
Mettere il rotolo a destra e iniziare a srotolarlo. Segnare il primo strappo (OGGI) e consultando la tabella 1 proseguire contando gli strappi e segnando le informazioni presenti nella tabella (da oggi all’Adeano). Numerare gli strappi, per facilitare la seconda fase del lavoro.

Arrivati all’Adeano, riavvolgere la carta dal Neogene (oggi) all’Adeano e posizionare il rotolo alla nostra sinistra.

Utilizzando la TABELLA ” segnare all’interno delle varie ere geologiche le informazioni richieste:

Se volete potete via via riavvolgere la carta attorno a un secondo rotolo, da tenere alla vostra destra:

Srotolando sul pavimento di un lungo corridoio la nostra linea del tempo, l’impressione è davvero notevole:

E’ un lavoro davvero economico e semplice, e mi permetto di consigliarlo, sia nell’ambito della seconda lezione cosmica, sia per stimolare lo studio della Preistoria e della Storia della Terra e dell’uomo…

Linea del tempo di carta igienica per la comparsa dei viventi

NOMENCLATURE MONTESSORI Ere geologiche e comparsa dei viventi

NOMENCLATURE MONTESSORI Ere geologiche e comparsa dei viventi. Questo materiale è molto utile per memorizzare i concetti presentati nella seconda grande lezione Montessori, e per stimolare lo studio e la ricerca, anche utilizzando le linee del tempo.

Queste nomenclature sono composte da:
– una carta con immagine e titolo insieme
– una carta con la sola immagine
– un cartellino con il solo titolo
– una carta con descrizione scritta e titolo insieme
– una carta con la sola descrizione
– un cartellino con il solo titolo.

NOMENCLATURE MONTESSORI Ere geologiche e comparsa dei viventi

Sono nomenclature adatte ai bambini a partire dalla scuola primaria, e differiscono da quelle usate nella Casa dei bambini, che non hanno descrizioni scritte, ma solo immagini e titoli. Per saperne di più puoi leggere qui:

e qui:

Trovi i disegni da riprodurre o da colorare qui: 

NOMENCLATURE MONTESSORI Ere geologiche e comparsa dei viventi

PRECAMBRIANO

_____________________

PALEOZOICO

_________________________

MESOZOICO

____________________________

CENOZOICO

NOMENCLATURE MONTESSORI Ere geologiche e comparsa dei viventi

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra – Una breve didascalia dell’Era geologica e dei viventi apparsi nel periodo, e l’immagine (cliccare sulle miniature per aprire il file). Questa attività può essere proposta dopo il racconto della seconda grande lezione Montessori.

Trovi qui le schede delle nomenclature in tre parti preparate con questo materiale:

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  ADEANO4.600.000.000 – 3.800.000.000 di anni fa 

La terra è nata in questa Era, circa 4 miliardi e 600 milioni di anni fa. All’inizio era solo una massa vorticosa di polvere, elementi e particelle, ma ben presto si è creata la forza di gravità e si è formata la crosta terrestre. Le eruzioni vulcaniche hanno immesso nell’atmosfera gas velenosi.

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  ARCHEANO: 3.800.000.000 – 2.500.000.000 di  anni fa 

Risalgono a questo periodo le più antiche rocce terrestri databili. Gli organismi appartenenti ai Procarioti (o Monere) sono stati i primi ad apparire sulla Terra. Il regno dei Procarioti ha più organismi di qualsiasi altro. I Procarioti sono così piccoli, eppure siamo a conoscenza della loro esistenza grazie alle impronte fossili. Per poterli vedere occorre il microscopio. I procarioti hanno un’enorme importanza per la Terra e per la sua storia.

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  STROMATOLITI:

Una nuova forma di vita apparve alla fine di questa era: i Protisti. Erano organismi unicellulari, ma avevano la clorofilla. Si nutrivano con la luce solare, l’acqua e l’anidride carbonica emessa dei procarioti, e come prodotto di scarto rilasciavano ossigeno. I Protisti a volte vivevano in colonie. Abbiamo evidenze fossili di CIANOBATTERI, anche chiamati alghe blu-verdi, che vivevano in grandi formazioni chiamate STROMATOLITI. Gli stromatoliti hanno dominato il mondo per i successivi 2 miliardi e mezzo di anni.

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  BATTERI:

I batteri sono organismi molto resistenti. Ancora oggi sopravvivono al congelamento, a temperature medie e all’ebollizione. I batteri si nutrivano dei sali minerali e dei rifiuti organici disciolti nell’acqua dell’Oceano. Sono gli organismi che vivono da più tempo sulla Terra.

PROTEROZOICO: 2.500.000.000 542.000.000 di anni fa

Ultima era del Precambriano. La parola deriva del greco ‘protero’ che significa precoce, e ‘zoico’ che significa vita. La crosta terrestre si era formata. C’erano ancora molti vulcani in eruzione e terremoti. Entro la fine di questa era, la crosta terrestre era fresca e ci fu la prima glaciazione. Si è sviluppata la vita.

EUCARIOTI:

1.750.000.000 di anni fa. La più antica evidenza fossile di microorganismi dotati di nucleo (eucarioti).

ALGHE:

I più antichi organismi pluricellulari di cui abbiamo evidenze fossili furono le alghe. Queste alghe a volte vengono classificate tra i Protisti ed a volte tra le Piante. Le alghe sono molto importanti anche oggi, perché da sole svolgono circa la metà di tutta la fotosintesi. Esse quindi forniscono alla Terra la maggior parte del suo ossigeno. Sono anche una parte importante della catena alimentare acquatica.

FOSSILI DI EDIACARA:

670.000.000 di anni fa I fossili trovati in questa località australiana sono molto importanti per studiare questa era geologica. Nelle sue rocce tenere si sono impresse le testimonianze fossili di invertebrati marini preistorici, tra cui i più antichi VERMI e le più antiche MEDUSE.

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  DICKINSONIA:

Dominio: Eucariota
Regno: Animalia.
Organismo marino estinto grande dai 4 mm a 1,4 metri. Era formato da segmenti che emergevano da una fossa centrale. I segmenti erano separati da una membrana a formare una simmetria a scorrimento. I segmenti erano camere riempite di liquido a pressione più alta di quella circostante.

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  CICLOMEDUSA:

Dominio: Eucariota
Regno: Animalia
Organismo marino estinto. I fossili sono strutture circolari del diametro che va da pochi cm a circa 20. Al centro di questa forma vi era un bozzo circolare, attorno al quale erano presenti fino a cinque anelli di crescita. I suoi fossili sono numerosi in Australia, Norvegia, Inghilterra, Russia, Cina, Canada e Messico.

TRIBRACHIDIO

Dominio: Eucariota
Regno: Animalia
E’ un organismo marino estinto che aveva la forma di un disco piatto del diametro di circa 5 cm. All’interno del disco aveva tre braccia ricurve che si dipartivano dal centro e si allungavano fino al bordo del corpo. Questa simmetria tripartita è quasi unica tra gli animali, che di solito hanno una simmetria bilaterale o radiale. Filamenti sparsi si estendevano al limite delle braccia.

DINOFLAGELLATE

Regno: Protisti
Phylum: Dinofita
Sono alghe microscopiche: la più grande ha un diametro di 2 mm. Sono uno dei più importanti gruppi del fitoplancton. Hanno varie forme e presentano due flagelli con peli laterali. Furono le prime ad essere protette da una sostanza legnosa simile alla cellulosa. Di colore bruno rossastro, vivono nelle acque costiere, più calde, e sono la causa delle maree rosse.

HYDRA

Regno: Animalia
Phylum: Cnidaria
E’ l’organismo più evoluto di questo periodo. E’ un carnivoro che usa i propri tentacoli per catturare la preda, e poi la spinge nella bocca. La sua bocca è anche il suo ano. Si riproduce per gemmazione: sul corpo si formano delle piccole gemme che poi si staccano per formare nuovi individui.

EUGLENA

Regno: Protista
Phylum: Euglenozoa
Organismo unicellulare dal corpo molle. Gli scienziati sono certi che visse in questo periodo, anche se non ci sono fossili. Ha un organo simile ad un occhio che serve a rilevare la luce. Essendo sia animale sia pianta, appartiene ai Protisti. Può nutrirsi della luce (fotosintesi), o mangiare particelle di cibo che trova disciolte nell’acqua. Vive ancora oggi nelle acque torbide e stagnanti.

PARAMECIUM

Regno: Protista
Phylum: Ciliophora o Ciliati
E’ un organismo microscopico unicellulare che gli scienziati ritengono vivesse sulla Terra anche in quest’epoca. Ha migliaia di piccoli peli sul suo corpo, che utilizza per muoversi. Si nutre di batteri, ma anche attraverso la fotosintesi, e per questo è un Protista. Può muoversi molto rapidamente. Vive ancora oggi, nelle acque dolci e stagnanti.

RADIOLARI
Regno: Protista
Classe: Rhizopoda
Sappiamo che vissero nei primi mari della Terra, perché hanno bellissimi scheletri silicei, coperti da proiezioni aghiformi, che sono arrivati a noi in forma fossile. Non superano il millimetro e oggi fanno parte del plancton marino di tutti gli oceani.

FORAMINIFERI

Regno: Protista
Classe: conchiglie porose
Sono organismi microscopici. La loro cellula è protetta e rivestita esternamente da un guscio, che può raggiungere i 14 cm di diametro. Abitano tutti gli ambienti marini e si sono adattati a molti modi di vita. Sono una parte importante dell’ecosistema marino perché sono fonte di cibo per molti altri organismi. I loro numerosi fossili sono molto importanti per i geologi.

DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  AMEBA

Regno: Protista
Classe: Sarcodini
Si tratta di un organismo unicellulare caratterizzati dal fatto che cambia forma.  Si muove utilizzando gli pseudopodi (falsi piedi). Il suo movimento è molto lento. Per nutrirsi circonda il cibo fino ad inglobarlo all’interno del suo corpo. Vive ancora oggi fondo di raccolte d’acqua ricche di sostanze nutritive. Non ha lasciato alcun fossile in quanto è un organismo dal corpo molle.

CIANOBATTERI

Dominio: Procarioti
Regno: Batteri
Sono organismi unicellulari che si riproducono dividendosi in due e che si nutrono attraverso la fotosintesi.  I batteri sono stati i precursori di tutte le forme di vita terrestri. Questi organismi, chiamati anche alghe azzurre, producono ossigeno che immettono nell’atmosfera. Sono sempre unicellulari e possono vivere come cellule singole o riuniti in colonie di forme diverse.

CLOROFITE

Regno: Plantae
Sono un gruppo di alghe unicellulari, che vivono in colonie anche molto grandi, e sono dette alghe verdi. Si pensa che da esse si siano evolute le piante superiori perché possiedono clorofilla e accumulano amido. Nella parete cellulare ci può essere cellulosa.

ALGHE ROSSE

Regno: Plantae
Phylum: Rhodophyta
Si tratta di organismi eucarioti tra i più antichi della Terra. Poiché costruivano strutture calcaree, possiamo studiarne i fossili. Avevano un fusto, una sorta di radici e molti rami. Vivono ancora oggi nei mari caldi.

 ALGHE BRUNE

Regno: Chromista
Classe: Phaeophyta
Sono alghe che esistono ancora oggi e che hanno varie forme e dimensioni. Possiamo studiarle perché hanno lasciato tracce fossili. Sono organismi complessi che preferiscono acque fredde e ben ossigenate. I Sargassi appartengono a questo gruppo.

PALEOZOICO: 542.000.000 – 245.000.000 di anni fa  La parola viene dal greco che significa vecchio e ‘zoico’ che significa vita. Questa Era si compone di sei periodi ed è la più lunga nella linea del tempo. Tutti i viventi si trovavano nell’oceano che copriva la maggior parte della superficie terrestre. Non c’era ozono nell’atmosfera ed i raggi ultravioletti del Sole raggiungevano la Terra.

CAMBRIANO: 542.000.000 –  488 .000.000 di anni fa

Il nome deriva dal nome latino del Galles (Cambria), dove furono trovati i primi fossili  di questo periodo. Cominciato alla fine di una grande glaciazione , in questo periodo il clima era mite e tutta la vita si svolgeva nell’Oceano. Ci fu una grande esplosione di vita in questo periodo, e molti dei microrganismi presenti sulla Terra oggi, comparvero allora. Erano presenti alche esseri più grandi, anche se si trattava soltanto di semplici invertebrati.

BRACHIOPODI

Regno: Animalia
Phylum: Brachiopoda
Sono invertebrati marini dotati di conchiglia a due valve. Oggi sono poco diffusi in quanto vivono nelle zone rifugio, cioè in ambienti a scarsa popolazione e competizione.

FLAGELLATI

Regno: Protista
Phylum: Ciliophora
Sono organismi microscopici, molto vari per forma e dimensioni. Hanno tutti uno o più prolungamenti, simili a lunghi peli, chiamati flagelli, che utilizzano per muoversi.

VOLVOX

Regno: Plantae
Phylum: Chlorophyta
Si tratta di alghe verdi unicellulari sferiche e munite di due flagelli, che formano colonie, anch’esse sferiche. Le cellule si muovono in modo coordinato grazie al movimento coordinato dei flagelli. Le cellule sono dotate di fotorecettori che consentono alla colonia di nuotare verso la luce. Vivono in una varietà di habitat di acqua dolce.

VAUXIA

Regno: Animalia
Phylum: Porifera
E’ un genere estinto di spugna munito di uno scheletro fatto di silice, una sostanza che si trova nella sabbia. Erano animali unicellulari che vivevano in colonie e si nutrivano estraendo i nutrienti dall’acqua.

KUTORGINA

Regno: Animalia
Phylum: Brachiopodi
Questo brachiopode estinto non poteva muoversi e la sua conchiglia restava ancorata a superfici dure, come le rocce dei fondali marini.

TETRACORALLI

Regno: Animalia
Phylum: Cnidaria o Celenterati
Furono tra i primi coralli ad apparire sulla Terra. Si sono poi estinti al termine del Paleozoico.  Vivevano in acqua calda e poco profonda, solitari o in colonie. Avevano tentacoli per catturare il cibo. Secernevano gusci di calcio, di cui sono rimasti numerosi fossili.

ANEMONI

Regno: Animalia
Phylum: Cnidaria o celenterati
Sono celenterati, una parola che significa ‘intestino vuoto’. Hanno la bocca al di sotto dei loro corpi e si riproducono sessualmente. Pungono le loro prede con i tentacoli.

BRIOZOI

Regno: Animalia
Phylum: Briozoi
Si tratta di invertebrati acquatici che vivono in colonie a forma di tubi, ancorate al fondale, che somigliano al muschio. Un piccolo animale, grande al massimo mezzo millimetro e munito di tentacoli, vive in ogni tubo. Questo animale è più evoluto del corallo, in quanto ha la bocca separata dall’ano. Si ciba di plancton e di particelle organiche che cattura filtrando l’acqua.

CRINOIDI

Regno: Animalia
Phylum: Echinodermata
Assomigliavano agli odierni gigli di mare, avevano un peduncolo formato da segmenti e una corona formata da cinque braccia flessibili, di solito ramificate. Bocca ed ano si trovavano rivolti verso l’alto. Erano filtratori passivi che si nutrivano di Protisti, larve di invertebrati, piccoli crostacei e detriti organici, che catturavano con le braccia e spingevano verso la bocca.

AYSHEAIA PEDUNCULATA

Regno: Animalia
Phylum: Lobopodia
Animale marino estinto simile al lombrico, col corpo composto da anelli, ma con 20 piccole zampe rivolte verso il basso. Era lungo circa 8 cm. Sulla testa aveva due corna, che probabilmente servivano a spruzzare un liquido puzzolente per allontanare i predatori. Si nutriva di spugne.

CISTOIDI

Regno: Animalia
Phylum: Echinodermata
Echinodermi estinti che vivevano ancorati ai fondali marini.  Avevano braccia che facevano ondeggiare avanti e indietro per raccogliere il cibo dall’acqua.

OLOTURIA (cetriolo di mare)

Regno: Animalia
Phylum: Echinodermata
Diffusi sui fondali marini di tutto il mondo, nel corso di questi 600 milioni di anni ad oggi sono cambiati pochissimo. Hanno un corpo cilindrico allungato con bocca e ano situati alle estremità opposte. L’endoscheletro è ridotto a spicole calcaree immerse nel derma, e di conseguenza il corpo è elastico.

SCENELLA

Regno: Animalia
Phylum: Molluschi
Animale estinto dotato di conchiglia bivalve con pochi ornamenti concentrici. Era delle dimensioni di circa 5 millimetri e se ne sono trovati numerosissimi fossili.

ALGHE BRUNE

Regno: Protista
Phylum: Phaeophyta
In questo periodo queste alghe unicellulari si sono evolute in grandi colonie di organismi pluricellulari, tanto da poter raggiungere la lunghezza di 180 metri. Vivono nelle acque costiere. I Sargassi appartengono a questo gruppo.

TRILOBITI

Regno: Animalia
Phylum: Artropodi
Questi artropodi rappresentavano i due terzi di tutta gli esseri viventi acquatici del periodo. Erano artropodi, perché avevano zampe snodate. Il loro nome significa ‘tre lobi’, perché avevano il corpo diviso in tre segmenti che correvano longitudinalmente lungo il corpo. Ne esistevano di vario tipo.

MARRELLA

Regno: Animalia
Phylum: Artropodi
Era un animale piccolo e dalle forme eleganti: non superava i 2 centimetri di lunghezza. E’ anche detto “granchio dai merletti”. Aveva due paia di antenne mobili e grandi spine sul corpo. I suoi fossili sono molto numerosi.

MYLLOKUNMINGIA

Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Si tratta del più antico fossile di vertebrato, che è anche il più antico fossile di pesce. E’ stato trovato in Cina. Era un piccolo pesce, lungo 28 millimetri e alto 6. Aveva una pinna dorsale e un paio di pinne ventrali. La testa aveva cinque o sei branchie. Non aveva mascella.

LANCELET

Regno: Animalia
Phylum: Cordata
Si tratta di piccoli cordati simili ai pesci che vivono nei mari di tutto il mondo, nella fascia temperata e nei mari tropicali. Sono molto utili per lo studio dell’evoluzione dei vertebrati.

CONODONTI

Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Sono un misterioso gruppo di animali vissuti nel Paleozoico ed estinti nel Giurassico. Erano lunghi dai 4 ai 40 cm, avevano un corpo vermiforme allungato e una testa bulbosa. Si tratta di vertebrati molto primitivi.

SPUGNE

Regno: Animalia
Phylum: Porifera
Si tratta di organismi pluricellulari, con corpi ricchi di pori e canali che permettono all’acqua di circolare attraverso di essi. Hanno uno scheletro calcareo o siliceo. Attraverso il costante flusso di acqua attraverso i loro corpi ottengono cibo e ossigeno. In questo periodo comparvero le silicee o cornee.

ANOMALOCARIDE

Regno: Animalia
Phylum: Lobopodia
Animale estinto. Lungo circa 60 cm, era uno dei più grandi animali del periodo. Era un predatore: le due grandi spine ai lati della bocca servivano a catturare le prede, che poi venivano inghiottite. Probabilmente si nutriva di trilobiti.

ORDOVICIANO 488.000.000 – 443.000.000 di anni fa 

I primi fossili di questo periodo sono stati trovati in Galles, a Ordovices. Vissero molti tipi di alghe  e Protisti, che hanno lasciato enormi giacimenti di conchiglie e materia organica che si è trasformata in giacimenti di petrolio. I fossili di invertebrati marini di questo periodo sono molto comuni, e si trovano in tutti i continenti. Erano ancora molto numerosi TRILOBITI e BRACHIOPODI. Ci fu anche una grande diffusione di CEFALOPODI, calamari che vivevano in lunghe conchiglie.

RECEPTACULITES
Regno: Piante
Divisione: Clorofita
Erano probabilmente alghe calcaree, e per il loro aspetto sono anche dette “corallo girasole”. Sono un genere estinto.

SCORPIONE DI MARE


Regno: Animalia
Phylum: Arthropoda
Gruppo estinto di artropodi tipici dei mari e delle acque dolci del Paleozoico. I più grandi superavano i due metri di lunghezza. Erano predatori di pesci primitivi. Avevano un carapace piatto e un corpo diviso in dodici segmenti. La coda era lunga e sottile e terminava con un aculeo. Sono anche chiamati Euripteridi.

ENDOCERAS


Regno: Animalia
Phylum: Molluschi
Si tratta di un mollusco cefalopode estinto apparso in questo periodo. Aveva un rivestimento esterno a forma di corno ed era gigantesco: lungo anche 13 metri, aveva tentacoli lunghi più di 4 metri. Durante la riproduzione deponeva circa 200 uova. I suoi fossili sono stati trovati in Inghilterra.

MACLURITOIDEA


Regno: Animalia
Phylum: Molluschi
Classe: Gastropoda
Si tratta di una lumaca, ora estinta, che esisteva in diverse varietà. Aveva il guscio a spirale, ed era quasi certamente sedentaria: viveva sui fondali e si nutriva filtrando l’acqua.

STELLE MARINE


Regno: Animalia
Phylum: Echinodermata
Classe: Asteroidea
Presenti in tutti i mari del mondo, hanno una simmetria raggiante su cinque braccia. Le sue prede preferite sono piccoli crostacei e molluschi, tra cui ricci e cozze. Con le sue forti zampe, riesce ad aprire il guscio anche delle conchiglie più resistenti.

CALIMENE


Regno: Animali
Classe: Trilobiti
Era un trilobite che viveva sui fondali marini e si cibava di piccoli organismi presenti nel fango. Per difendersi dai predatori, poteva appallottolarsi su se stesso: alcuni fossili, infatti, mostrano questo animale avvolto a palla. In questo periodo, comunque, i trilobiti stavano lentamente diminuendo.

GRAPTOLITE


Regno: Animalia
Phylum: Hemichordata
Sono fossili molti comuni. Il loro nome “scrittura di pietra” deriva dalla loro forma, simile alla scrittura cuneiforme. Estinti nel Carbonifero, vivevano in colonie. Avevano un corpo molle, vermiforme, e vivevano in teche disposte su uno o due file lungo i rami della colonia. Dalle teche partiva un filamento col quale l’animale si fissava a un galleggiante.

MUSCHI E LICHENI


Durante questo periodo troviamo numerose spore, prima evidenza fossile di vita vegetale terrestre. Queste prime piante erano molto piccole, erano legate alla vicinanza all’acqua, e potevano crescere solo in ambienti molto umidi.

OSTRACODERMI


Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Il loro nome significa “con pelle a conchiglie”. Sono pesci estinti, primitivi e senza mascella, che erano ricoperti da un’armatura di piastre ossee. Erano lunghi meno di 30 cm, erano molto lenti e probabilmente vivevano sui fondali. Usavano le branchie unicamente per la respirazione, e non per l’alimentazione.

SILURIANO

443.000.000 – 416.000.000 anni fa Il nome di questo periodo deriva da quello di un antico popolo, i Siluriani, che viveva nel Galles. Le eruzioni vulcaniche ed i terremoti l’hanno reso un periodo molto violento ed ostile alle forme di vita. Il livello delle acque mutò e si crearono mari poco profondi. Il clima era molto umido e le piante si diffusero in numero massiccio, liberando tantissimo ossigeno nell’atmosfera, ed intorno alla Terra si creò lo strato di ozono che la protegge dai raggi più nocivi del Sole.

PSILOFITO


Regno: Plantae
Phylum: Psilophyta
È stata una delle prime piante a vivere sulla terraferma, così destinata a cambiare la faccia della Terra. Non aveva foglie o radici, e per questo si parla di pianta nuda. Non avendo un sistema circolatorio, dipendeva dall’acqua. Era alta poche decine di centimetri.

POLMONATI
Regno: Animalia
Phylum: Molluschi
Classe: Gastropoda
Si tratta di molluschi che avevano gusci a spirale e che potevano vivere sulla terraferma. Presentano un piede forgiato a suola che secerne un muco che determina il movimento del mollusco.

PTERIGOTO


Regno: Animalia
Phylum: artropodi
Il più grande artropode di tutto il Paleozoico. Era un gigantesco scorpione di mare, che raggiungeva i 3 metri di lunghezza, e che mangiava tutto quello che incontrava, soprattutto era ghiotto di trilobiti. Mangiava però anche i pesci corazzati. Le sue mascelle erano in grado di sgretolare anche le corazze più dure. Si crede che sia l’antenato dello scorpione odierno.

DALMANITE


Regno: Animalia
Phylum: Artropode
Era il trilobite più comune di questo periodo, prima della estinzione di tutti i trilobiti, causata forse dai pesci carnivori o forse dalla comparsa di artropodi più grandi. Era lunga circa 5 cm.

MIRIAPODI


Regno: Animalia
Phylum: Artropode
Sono una specie di artropodi dall’elevato numero di zampe, suddivisi in millepiedi e centopiedi. Hanno una capsula cefalica e un tronco allungato con numerosi segmenti, ciascuno recante un paio di zampe. Furono i primi animali terrestri.

PNEUMODESMUS


Regno: Animalia
Phylum: Arthropoda
Subphylum: Myriapoda
E’ una specie di millepiede che comparve sulla Terra nel primo Siluriano. Rinvenuto in Scozia, è il più antico fossile di animale terrestre.

OSTEOSTRACI


Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Sono un grande gruppo di vertebrati fossili simili a pesci, vissuti dal Siluriano al Denoviano. I loro fossili si rinvengono in tutto il mondo, e ne esistono più di 200 specie diverse. Sono anche detti “pesci corazzati” perché posseggono rivestimenti ossei. Si nutrivano dei molluschi che vivevano nei fondali fangosi delle coste marine, dei laghi e dei fiumi.

COOKSONIA


Regno: Plantae
La più antica pianta terrestre vascolare conosciuta, visse tra il Siluriano e il Devoniano. Le piante vascolari hanno tessuti interni per lo scambio di liquidi e gas. I tessuti vascolari forniscono anche un supporto interno, così le piante possono innalzarsi dal suolo. Queste piante primordiali non avevano foglie, e non erano più alte di un paio di centimetri. Avevano uno stelo a forma di Y e capsule per le spore.

DEVONIANO

416.000.000 – 359.000.000 di anni fa E’ anche chiamato “Età dei pesci”.  Il nome deriva da Devon, dove sono stati trovati i primi fossili. Le piante hanno continuato a prosperare e alla fine di questo periodo esistevano enormi foreste di felci. Ci furono grandi eruzioni vulcaniche. L’acqua si riscaldò e ridusse la sua quantità di ossigeno. I mari si ritirarono, e i pesci sopravvissuti si adattarono in modo straordinario: iniziarono ad usare le loro corte pinne per muoversi sulla terraferma alla ricerca di acqua, e svilupparono dei polmoni primitivi. Questo li ha portati lentamente a diventare animali terrestri.

CORALLI


Regno: Animalia
Phylum: Cnidari o Celenterati
I coralli amavano molto i mari poco profondi di questo periodo e formarono grandi isole coralline, tanto che alcuni scienziati chiamano questo periodo anche Età dei coralli. Tra le tante varietà c’era il Caninia.

LICOFITE
Regno: Plantae
Phylum: Lycophyta
Le piante hanno avuto un periodo difficile prima di adattarsi alla vita sulla terraferma. Le paludi, prosciugandosi, diventavano deserti; poi venivano di nuovo inondate e le piante acquatiche tornavano. Le nuove piante terrestri avevano spore e non avevano radici, ma erano dotate di foglie primitive attaccate ad un gambo.

ASTEROXYLON


Regno: Plantae
Divisione: Sporophyta
Pianta licofita estinta. I suoi resti fossili sono stati ritrovati nel famoso giacimento di Rhynie Chert. Cresceva nei pressi di una sorgente termale ricca di silice. Aveva spore e non aveva radici, ma era dotata di foglie primitive attaccate ad un gambo.

ARCHEOPTERIDE


Regno: Plantae
Divisione: Progimnosperme
Pianta estinta. Fu uno dei primi alberi comparsi sulla Terra. Poteva superare i 10 metri. Le foglie erano cuneiformi e aveva capsule che racchiudevano le spore.

OFIURIDEI


Regno: Animalia
Phylum: Echinodermata
Anche detti “stelle serpentine” somigliano alle stelle marine, ma hanno un disco centrale più sviluppato e utilizzano le punte per il movimento. Hanno braccia molto lunghe e fragili, ma che possono ricrescere in qualsiasi momento, nel caso in cui si rompano.

TRILOBITI


Regno: Animalia
Phylum: trilobiti
Questi animali continuarono a prosperare, in questo Periodo, in numerose varietà diverse, con dimensioni che variavano dai venti ai cinque centimetri. Accanto a loro prosperavano anche molti artropodi.

RAPIDISTI


Regno: Animalia
Phylum: Cordati
In questo periodo alcuni pesci avevano sviluppato polmoni e scheletri ossei che permettevano loro di muoversi sulla terraferma quando gli stagni si prosciugavano. Questi pesci avevano pinne carnose, muscolari, e sono anche chiamati “pesci pinnati”. Alcuni potevano raggiungere i 2 metri di lunghezza. Questi pesci vivevano per lo più in ambiente marino e presto avrebbero dominato le acque.

EUSTENOTTERO


Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Grosso pesce d’acqua dolce, estinto. Lungo fino a 1,2 m, è il più famoso dei rapidisti. Infatti aveva pinne carnose e si ritiene che sia il precursore degli anfibi e di tutti gli altri tetrapodi. Doveva essere uno dei massimi predatori del suo habitat.

NAUTILUS


Regno: Animalia
Phylum: Molluschi
Ha un guscio molto pesante, a spirale logaritmica, che ha al suo interno delle camere d’aria usate per salire o scendere nell’acqua. E’ molto forte: ha lunghi tentacoli che usa per catturare le sue prede, e un becco simile a quello del pappagallo. Creduto estinto fino al 1829, è ora considerato un fossile vivente. Vive nell’Oceano Pacifico e nell’Oceano Indiano.

SQUALI


Regno: Animalia
Phylum Chordata
I pesci corazzati avevano sviluppato un’armatura per proteggersi dai predatori.  Anche se dotati di pinne, l’armatura era troppo pesante, e vivevano nascosti tra le alghe aspettando le prede. Poi i pesci ebbero la necessità di diventare più veloci, e comparvero questi nuovi pesci, come il Cladoselache, che non avevano armatura, ma una cartilagine interna e grandi pinne. Il Cladoselache raggiungeva i 4 metri ed è stato il nuotatore più veloce del Periodo.

RHYNIOGNATHA


Regno: Animalia
Classe: Insecta
E’ il più antico insetto fossile conosciuto. L’unico reperto è conservato al Museo di Storia Naturale di Londra. Aveva mandibole tipiche degli insetti alati, quindi forse le ali si erano già sviluppate in questo periodo, ma non ne abbiamo tracce fossili. Somigliava a un collembolo.

TRIGONOTARBITA


Regno: Plantae
E’ uno degli alberi più antichi, ora estinto. Le più antiche foreste erano costituite da piante di questo genere.  Aveva l’aspetto di una gigantesca palma alta circa 10 m, dalle fronde simili a quelle delle felci.  Non aveva vere e proprie foglie, e si riproduceva per spore. Le radici profonde degli alberi mutarono il paesaggio, stabilizzando il suolo e formando terriccio. L’aumento della fotosintesi modificò il ciclo del carbonio terrestre.

WATTIEZA


Regno: Plantae
E’ uno degli alberi più antichi, ora estinto. Le più antiche foreste erano costituite da piante di questo genere.  Aveva l’aspetto di una gigantesca palma alta circa 10 m, dalle fronde simili a quelle delle felci.  Non aveva vere e proprie foglie, e si riproduceva per spore. Le radici profonde degli alberi mutarono il paesaggio, stabilizzando il suolo e formando terriccio. L’aumento della fotosintesi modificò il ciclo del carbonio terrestre.

GIMNOSPERME
Regno: Plantae
Il nome significa “seme nudo”. E’ un gruppo di piante vascolari (tracheobionta) che producono semi non protetti da un ovario, e sono tutte piante legnose. Comprende le Pinofite, le Ginkofite, le Cicadofite e le Gnetofite. Apparvero al termine di questo periodo e si svilupparono in tutti i periodi successivi.

ACANTOSTEGA


Regno: Animalia
Superclasse: Tetrapoda
E’ uno dei primi vertebrati terrestri con zampe riconoscibili. Anatomicamente era intermedio tra i pesci dalle pinne lobate e i primi tetrapodi pienamente capaci di camminare sulla terra. E’ il progenitore degli anfibi.

CARBONIFERO

359.000.000 – 299.000.000 di anni fa Il termine è usato in Europa, mentre negli Stati Uniti il periodo si divide in ‘Periodo del Mississipi’ e ‘Periodo della Pensylvania’ . Prende il nome da ‘carbonio’, che è l’elemento principale del carbone. I mari avanzavano e si ritiravano a fasi alterne. Si formavano grandi foreste e immense paludi. Alla fine del periodo enormi foreste si estinsero e iniziò una nuova era glaciale. Il carbone si formò ovunque. In questo periodo apparvero nuovi insetti, i primi anfibi, e in seguito i primi rettili.

CONIFERE


Regno: Plantae
Divisione: Pinophyta
Tra i primi alberi di questo gruppo ci fu la Lebachia, ora estinta. Era alta più di 10 metri e simile al cipresso. Aveva foglie aghiformi, però i semi non erano ancora coni. Erano le piante che meglio potevano resistere ai climi asciutti. Le conifere fossili includono molte forme differenti.

ANNULARIA
Regno: Plantae
Classe: Equisetopsida
Questi vegetali estinti, di cui abbiamo molti fossili, avevano strutture radianti ed erano molto simili agli odierni equiseti.

LEPIDODENDRON


Regno: Plantae
Phylum: Lycophyta
Il nome deriva dal greco e significa “albero a scaglie”. Erano piante primitive, vascolari, arboree, che superarono i 30 m di altezza con tronchi di diametro superiore al metro. Avevano tronchi alti e spessi, e alla sommità una corona di rami che si biforcavano e portavano grappoli di foglie simili a fili d’erba, disposti a spirale. I Licopodi moderni sono i muschi.

ILONOMO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Noto come il più antico rettile mai scoperto, era simile ad una lucertola. Era lungo circa 20 cm, corpo allungato e lunghe zampe da corridore ai lati del corpo. Probabilmente cacciava insetti e altri piccoli animali.

ARTHROPLEURA


Regno: Animalia
Phylum: Arthropoda
E’ un genere di millepiedi che superava i 2 m di lunghezza. E’ uno dei più grandi invertebrati comparsi sulla terraferma. I suoi predatori dovevano essere pochi, fino alla comparsa degli anfibi di grossa taglia. Si estinse nel Permiano.

MEGANEURA


Regno: Animalia
Classe: Insecta
Ora estinta, ricordava moltissimo una libellula, ma di dimensioni gigantesche: aveva un’apertura alare superiore ai 75 cm. Era un predatore che si cibava di piccoli anfibi e altri insetti.

PALEODITTIOTTERI


Regno: Animalia
Classe: Insecta
Apparvero in questo periodo migliaia di tipi di insetti, che sciamarono attraverso le foreste. I primi insetti erano minuscoli e privi di ali. Gli insetti più evoluti avevano piccole ali sulla schiena, e furono i precursori degli insetti alati. Apparvero poi insetti, ora estinti, che avevano grandi dimensioni e un paio di ali aggiuntive.

SCARAFAGGI


Regno: Animalia
Classe: Insecta
Oggi ne esistono più di 4.000 specie diverse e apparvero in questo periodo. Avevano ali che potevano essere ripiegate, per potersi nascondere a terra. Alcuni raggiungevano i 10 centimetri.

GLOSSOPTERIDE


Regno: Plantae
I resti di queste piante sono stati fondamentali come prova per la teoria della deriva dei continenti.  Era una pianta che poteva raggiungere i 6 metri di altezza. Le sue foglie avevano una forma simile ad una lingua, e deve il suo nome a questo.

ITTIOSTEGA


Regno: Animalia
Phylum Chordata
E’ considerato il primo passo dei vertebrati verso la vita terrestre, ed aveva caratteri intermedi tra pesci ed anfibi. Possedeva zampe che non usava tanto per camminare quanto per farsi strada tra le piante palustri, e aveva sette dita per zampa.

DIPLOVERTEBRONTE


Regno: Animalia
Phylum Chordata
Anfibio estinto della lunghezza di circa 60 cm. Viveva sulle rive di fiumi e laghi. La coda e il corpo non erano molto allungati. Ne esistevano varie specie. Era un predatore e si nutriva di piccoli pesci e invertebrati. E’ vicino all’origine dei rettili.

MOSTRO DI TULLY

Regno: Animalia
Phylum: incerto
Misterioso animale invertebrate a corpo molle. Aveva un corpo allungato, lungo circa 5 cm, e n paio di pinne nella parte posteriore del corpo. La parte anteriore terminava con una proboscide dotata di otto piccoli denti aguzzi. Aveva un paio di peduncoli nella parte inferiore, che forse sostenevano due occhi (o altri organi di senso).

PERMIANO

299.00.000 251.000.000 anni fa Vi furono grandi eruzioni vulcaniche, le paludi si prosciugarono e si elevarono le catene montuose. Vi fu una nuova era glaciale. Molti animali e piante si estinsero. Le grandi felci scomparvero. Si avviavano all’estinzione anche i trilobiti ed i pesci corazzati. Il clima globale si fece più secco e si svilupparono i rettili, che divennero i grandi animali terrestri dominanti. Caratteristici di questo periodo erano i sinapsidi col dorso a vela. I primi fossili sono stati trovati nel Perm, una provincia russa vicina ai monti Urali. Il clima del Permiano era più favorevole alle forme di vita terrestri, e per questo i rettili ebbero il sopravvento.

MESOSAURO


Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Genere estinto, era ungo circa un metro. Fu uno dei primi rettili che ritornarono a vivere in acqua da quando gli anfibi fecero la loro comparsa. Si era adattato alla vita subacquea sviluppando zampe palmate e un corpo idrodinamico e flessibile. Aveva una lunga fila di denti molto fini, per cui probabilmente si nutriva di plancton, e i denti avevano funzione di filtro.

DICINODONTI


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Grande gruppo vissuto in questo periodo. I fossili si trovano in tutti i continenti. La maggior parte aveva un grande becco leggermente ricurvo, come quello di una tartaruga. Il nome significa “due denti da cane”, perché avevano due zanne superiori. Al contrario dei CINODONTI, erano erbivori. Avevano un corpo a botte e zampe corte e forti.

INSETTI


Regno: Animalia
Phylum: Arthropoda
Questi animali svilupparono in questo periodo la crescita con metamorfosi, che poteva essere incompleta (uovo, ninfa e stadio adulto) o completa (uovo, larva, pupa, stadio adulto). Mentre la ninfa ha una vita molto simile a quella dell’adulto, la vita della larva è completamente diversa da essa. Oggi il novanta per cento di questi animali segue la metamorfosi completa.

ERIOPE


Regno: Animalia
Classe: Amphibia
Era un anfibio gigante che si aggirava tra paludi e laghi e che passava la maggior parte del suo tempo sulla terraferma, come oggi le rane. Superava i 2 m di lunghezza, aveva zampe corte e forti, un corpo massiccio e la coda corta. La testa era larga e piatta. Aveva una dentatura formidabile ed era un feroce predatore. Si nutriva di pesci e di piccoli anfibi.

MYOBATRACHUS


Regno: Animalia
Classe: Amphibia
Erano minuscoli anfibi non più grandi di 3 centimetri. Avevano la testa larga, con grandi occhi. Il corpo era molto tozzo. Le zampe posteriori erano più lunghe di quelle anteriori.

CICLOTOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Amphibia
E’ stato il più grande anfibio mai vissuto: poteva raggiungere i tre metri di lunghezza. Era un grande predatore semiacquatico. Aveva una testa vagamente triangolare e denti fitti e aguzzi. Passava la maggior parte del tempo immerso appena sotto la superficie dell’acqua, praticamente invisibile. Si nutriva di pesci e di altre prede più grandi, tendendo loro agguati, come gli odierni coccodrilli.

LABIDOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Rettile estinto, simile alle iguane odierne. Misurava circa 75 centimetri ed aveva un capo grosso, una coda piuttosto corta e un corpo massiccio. Probabilmente si nutriva di vegetali coriacei o di insetti coriacei, avendo una forte dentatura adatta a triturare.

DIMETRODONTE


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
spesso confuso con i dinosauri, ma in realtà appartiene ai rettili che ha dato origine ai mammiferi. Era un feroce carnivoro che superava i 3 m di lunghezza. Aveva una vela dorsale formata da espansioni delle vertebre unite da una membrana di pelle. La vela serviva per regolare la temperatura corporea. Aveva denti di due misure: simili agli incisivi e ai canini. Questa differenziazione è tipica dei mammiferi e non è presente nei rettili.

CYNOGNATHUS


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Il suo nome significa ‘mascella di cane’. Era un rettile carnivoro lungo fino a 2 metri, mentre in altezza non superava i 70 centimetri. Forse era provvisto di baffi, come il cane e il gatto. Mentre i rettili respirano tra un boccone e l’altro, questo animale aveva due canali di respirazione separati, uno che partiva dal naso e uno che partiva dalla bocca. In questo modo poteva mangiare e respirare contemporaneamente, come i mammiferi.

CICADOFITE
Regno: Plantae
Phylum: Cycadophyta
Il Permiano fu un periodo molto secco, e le grandi foreste che dipendevano dall’acqua per la loro sopravvivenza, si estinsero. Presero così il sopravvento le Conifere e le Cicadofite, piante che assomigliano alle palme, ma non producono fiori. I semi sono contenuti in coni, come per le conifere.

EDAFOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Tetrapode fossile vissuto nel Permiano. Era un grosso erbivoro. Somiglia al Dimetrodonte, ma è molto diverso dal suo “cugino” carnivoro. Il cranio era più piccolo, e aveva piccoli denti a scalpello davanti, e smussati sul palato, per triturare il fogliame. Le sue vele erano poi più basse e robuste. Le sue dimensioni andavano dal metro ai 3,2 m.

LICHENOPE


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Era un rettile-mammifero. Il suo nome significa “aspetto di lupo”. Era lungo circa 1 m, aveva zampe lunghe e snelle con forti artigli, testa grossa armata di denti aguzzi, alcuni dei quali erano vere e proprie zanne. Le zanne servivano a pugnalare le prede e strapparne le carni. Poteva aggredire animali molto più grandi di lui: piccoli dicinodonti e rettili.

MESOZOICO: 251.000.000 – 65.500.000 di anni fa. Il termine deriva dal greco ‘meso’ che significa media e ‘zoico’ che significa vita. La vita in questo periodo si spostò decisamente sulla terraferma, seguendo gli insetti e le piante, gli anfibi ed i rettili che avevano preparato l’ambiente adatto e fornito il cibo. Si era anche creata un’atmosfera ricca di ossigeno. Questa è l’epoca dei dinosauri e si divide in Triassico, Giurassico e Cretaceo. E’ detta anche età dei rettili.

TRIASSICO 251.00.000 – 199.000.000 di anni fa. Questo periodo ha segnato l’inizio dell’era Mesozoica. Prende il nome dal fatto che da questo momento in poi troviamo rocce formate da tre strati. In questo periodo il supercontinente Pangea si divise in tre continenti. Molti vulcani erano in piena attività, e molti anfibi morirono a causa del clima caldo e secco, che era invece molto favorevole ai rettili.

LISTROSAURO


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Dopo la grande estinzione di massa l’animale più comune era un sinapside (anche detti rettili-mammiferi) appartenente ai Dicinodonti: il LISTROSAURO. Trovato in continenti diversi, fornisce la prova che essi sono stati collegati tra loro. Lungo circa 1 m, somigliava un po’ ad un maiale. Fu l’erbivoro più diffuso sul pianeta.

DINOSAURI
Regno: Animalia
Classe: Reptilia
La parola deriva dal greco e significa ‘lucertola terribile’. Sono un gruppo di rettili molto diversificato che comparve nel Triassico e si estinse alla fine del Mesozoico (estinzione K-T) con l’eccezione del ramo dei TEROPODI che, evolvendosi, avevano già portato alla comparsa degli UCCELLI, considerati perciò dinosauri viventi. I dinosauri si separarono dal ramo degli ARCOSAURI duranti il Triassico.

EORAPTOR


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
E’ il più antico dinosauro fossile, trovato in Argentina. Era lungo circa 1 m. Il suo nome significa ‘cacciatore dell’alba’. Era un carnivoro bipede: le zampe anteriori erano più corte (circa metà delle posteriori). Probabilmente si nutriva di piccoli rettili e insetti, ma anche di vegetali. Era un veloce corridore.

FABROSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Piccoli erbivori bipedi. Erano veloci corridori. Avevano zampe posteriori estremamente allungate e una coda rigida e lunga.

ITTIOSAURI


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Nei mari apparvero rettili marini simili al delfino per le pinne, la coda e la pinna dorsale. Superavano i 7 m di lunghezza, non avevano branchie e respiravano l’aria attraverso le narici. Non andavano mai sulla terraferma e davano alla luce piccoli vivi in acqua. Il più grande, lo SHONISAURUS, era lungo 55 m.

MAMMIFERI
Regno: Animalia
Superclasse: Tetrapoda
Classe: Mammalia
Classe di vertebrati a diffusione cosmopolita. Conta più di 5.400 specie viventi, di forma variabile e dimensioni dai pochi cm agli oltre 30 m. Di questa classe fa parte l’essere umano. Le caratteristiche di questa classe sono: presenza di pelo e allattamento della prole.

MEGAZOSTRODO


Classe: Synapsida
Infraclasse: Mammaliaformes
E’ considerato il più antico mammifero. Ricordava vagamente il toporagno In tutto il Mesozoico i mammiferi rimasero piuttosto piccoli. E’ un anello di collegamento tra i CINODONTI e i mammiferi propriamente detti. Era lungo circa 12 cm e si nutriva di piccoli rettili e insetti. Aveva i sensi dell’olfatto e dell’udito molto sviluppati e probabilmente era un animale notturno.

CINODONTI


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Ordine: Therapsida
Avevano quasi tutte le caratteristiche dei mammiferi, ma deponevano ancora le uova. E’ probabile che fossero a sangue caldo, e che fossero coperti di pelo.

POSTOSUCO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Infraclasse: Archosauria
Era uno dei più grossi predatori vissuti duranti il Triassico e riusciva a intimorire senza troppe difficoltà i piccoli dinosauri come il Celofisio. Era lungo 5 – 6 metri. Era quadrupede e riusciva difficilmente ad alzarsi sulle zampe  posteriori. Usava così la tecnica dell’agguato.

FITOSAURI


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Infraclasse: Archosauria
Rettili estinti simili ai coccodrilli, ma non strettamente imparentati con essi. Avevano la gola e la schiena protette da pesanti placche ossee. Non trascinavano la coda, come invece fanno i coccodrilli. Avevano le narici poste in alto, davanti agli occhi. Potevano stare immersi in agguato lasciando emergere solo le narici.

CELOFISIO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Piccolo dinosauro carnivoro. Il nome significa “forma cava”, perché aveva ossa cave. Era lungo fino a 3 m e alto poco più di 1 m. Aveva una struttura leggera ed agile, fatta per la velocità. Si nutriva di lucertole, anfibi e insetti.

PLATEOSAURUS


Regno: Animalia
Classe: Archosauria
Superordine: Dinosauria
Era un erbivoro precursore dei sauropodi (collo lungo). Era lungo fino a 9 m. Solitamente procedeva a quattro zampe nutrendosi dei vegetali che crescevano a terra, ma a volte si ergeva sulle zampe posteriori per raggiungere i rami alti.

PROGANOCHELIDE


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Ordine: Testudines
È una delle più antiche tartarughe marine scoperte. Era lunga circa un metro. Aveva un becco corneo privo di denti, e siccome non poteva ritirare la testa e la coda nel carapace, queste erano rivestite di spine.

CYMBOSPONDYLUS


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Ordine: Ichthyosauria
Rettile marino estinto dell’ordine degli Ittiosauri, lungo fino a 9 m. E’ anche chiamato” lucertola di mare”: aveva un corpo snello e lungo con pinne e coda. Poteva emergere dall’acqua per respirare ossigeno attraverso i polmoni. Nuotava dimenando il corpo da destra a sinistra, come le anguille e i serpenti marini, suoi diretti discendenti.

AMMONITE


Regno: Animalia
Phylum: Mollusca
Gruppo di cefalopodi estinti. Sono animali di ambiente marino che avevano una conchiglia esterna formata di carbonato di calcio. La conchiglia era divisa in camere, di cui il mollusco abitava solo l’ultima. Le altre erano camere d’aria riempite di gas, per controllare il galleggiamento. Era simile quindi ai nautiloidi tuttora viventi. Erano carnivori.

BELEMNITI


Regno: Animalia
Phylum: Mollusca
Cefalopodi marini estinti, lontani parenti di polpi, seppie e calamari. Avevano una conchiglia interna di forma conica o cilindrica. Non avendo pesanti gusci esterni erano veloci nuotatori. Erano carnivore e si nutrivano di crostacei e pesci.

GINKGO


Regno: Plantae
Phylum: Ginkgophyta
In questo periodo conifere e cicadofite erano abbondanti sugli altipiani, mentre felci ed equiseti vivevano nelle pianure, nelle vicinanze dei laghi e dei fiumi. L’albero del Ginkgo, che esiste ancora oggi ed è considerato un fossile vivente, apparve in questo periodo. Si tratta di una conifera, che ha foglie che in inverno ingialliscono e cadono. E’ un albero molto resistente.

GIURASSICO
199.000.000 – 145.500.000 di anni fa. Dopo la grande estinzione della fine del Triassico, i dinosauri diventano gli animali terrestri dominanti. Il clima lentamente tornò ad essere tropicale ed umido. Apparvero paludi, laghi e corsi d’acqua, e crebbero fitti boschi. I rettili, in questa grande abbondanza alimentare, raggiunsero dimensioni incredibili. Il periodo è, infatti, famoso per la grande varietà di dinosauri che ha invaso tutti gli ambienti disponibili.

DILOFOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Superordine: Dinosauria
E’ un buon esempio di primo dinosauro giurassico. Era un carnivoro lungo fino a 7 m e alto 4 m. Aveva creste ossee doppie alla sommità della testa. Era molto agile e si spostava correndo sulle zampe posteriori.

ARCHAEOPTERIX


Regno: Animalia
Classe: Aves
Il suo nome significa ‘ala antica’. E’ il più antico uccello. Era carnivoro. Poteva arrivare ad una lunghezza massima di 0,5 m, ma aveva un’apertura alare di circa 2 m. Le penne erano già molto evolute. Possedeva molti tratti dei dinosauri carnivori, come i denti nel becco e la lunga coda. Non era un buon volatore: forse planava semplicemente tra i rami degli alberi.

SEISMOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Superordine: Dinosauria
E’ stato uno dei più grandi dinosauri sauropodi, forse il più grande animale terrestre di tutti i tempi. Aveva una lunghezza di circa 38 metri e un peso di 80 tonnellate. Viste le enormi dimensioni si decise di chiamarlo “rettile terremoto”, perché sicuramente, camminando, faceva tremare la terra.

CENTROSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Grossi dinosauri carnivori comparsi alla fine del Giurassico. Assomigliavano al rinoceronte unicorno.

ALLOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Era lungo fino a 12 m e alto circa 4 m. Nonostante la mole era molto agile e veloce, e riusciva a cacciare anche i sauropodi. Per questo motivo è chiamato il “leone dei Giurassico”. Era un classico teropode, con caratteristiche simili a quelle degli uccelli: sterno e vertebre del collo spugnose e cave, zampe artigliate.

STEGOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Dinosauri erbivori con tipiche piastre ossee distribuite lungo il dorso fino alla coda. Anche se il dorso era ben protetto, i fianchi erano vulnerabili. Era lungo circa 20 metri, aveva una testa piccola e mascelle deboli. Nella coda aveva un secondo cervello, che governava le zampe posteriori, e che era 20 volte più grande di quello che aveva nel cranio.

LIOPLEURODONTE

Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Rettile marino estinto e ottimo nuotatore. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza. Aveva una grande testa, collo corto, corpo cilindrico e zampe a forma di pagaia. Era un predatore carnivoro che si nutriva di ittiosauri, cefalopodi e grossi pesci.

AEGER
Regno: Animalia
Phylum: Arthropoda
Subphylum: Crustacea
Crostaceo fossile molto simile a un gamberetto, ora estinto. Non superava gli 8 cm di lunghezza e si nutriva di piccoli animali delle acque costiere.

PTEROSAURI


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Uno dei più importanti ordini estinti di rettili, e i primi vertebrati in grado di volare. Il nome significa “lucertole alate”. Le ali erano molto diverse da quelle degli uccelli: avevano il quarto dito della mano allungato in modo sproporzionato e una membrana di pelle che univa questo dito con i piedi. Probabilmente vivevano sulle alte scogliere e piombavano sull’acqua per cacciare pesci e piccoli animali marini, che afferravano coi denti lunghi e affilati.

PTERODATTILO
Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Ordine: Pterosauria
Il suo nome significa “dito alato” ed è un genere di rettili volanti (pterosauri). Aveva un’apertura alare di 2,5 m. Come tutti gli pterosauri aveva ali formati da una membrana e ossa cave. Era molto leggero e poteva planare con facilità, anche se non poteva volare a lungo.

PLESIOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Gruppo di rettili acquatici estinti. Avevano un corpo largo, coda corta, collo lungo e zampe trasformate in pinne. Raggiungevano i 15 m di lunghezza e si nutrivano di pesci ed altre creature marine. Forse deponeva le uova sulla terraferma.

BRACHIOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Enorme erbivoro lungo 24 metri. Poteva allungare il collo ad un’altezza di 12 metri da terra. Poteva pesare più di 85 tonnellate, ma il suo cervello pesava soltanto 200 grammi. Per mantenere la sua mole trascorreva la sua esistenza mangiando.

MORGANUCODONTE


Regno: Animalia
Superclasse: Tetrapoda
Classe: Synapsida
Piccolo tetrapode, spesso classificato tra i mammiferi primitivi, è uno dei più conosciuti tra i mammaliformi. Della taglia di un topo, era rivestito di pelo, era a sangue caldo, ed era un animale notturno che si cibava di uova, insetti e altri invertebrati.

CRETACEO 145.500.000 – 65.500.000. In questo periodo ci furono grandi eruzioni vulcaniche e si formarono le Montagne Rocciose, le Ande, le montagne dell’Antartide e del Nord-Est Asiatico. Entro la fine di questo periodo, i Continenti avevano ormai assunto un aspetto simile a quello odierno, il clima però continuava ad essere mite e caldo, e piante ed animali continuarono a moltiplicarsi. Questo periodo è anche chiamato Età dei Dinosauri, perché fu il periodo in cui questi animali dominavano la Terra.

ANGIOSPERME


Regno: Plantae
Superdivisione: Spermatophyta
Apparvero in questo periodo alberi simili al noce, al rovere, all’olmo, all’acero e alla magnolia. Quando le prime piante da fiore comparvero, ci fu un’esplosione di vita vegetale. Cespugli ed arbusti fornirono una migliore protezione per gli animali che vivevano sulla terraferma. I viburni, ad esempio, erano piante che somigliano all’odierno caprifoglio. La superficie della Terra si era finalmente rivestita di colori.

ARCHAEFRUCTUS
Regno: Plantae
Divisione: Angiospermae
E’ un genere estinto di erbacee acquatiche da seme, ed è una delle prime piante da fiore (angiosperme). Non aveva sepali e petali, ma possedeva carpelli e stami.

TENONTOSAURUS


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Era un grande dinosauro erbivoro. Di forma pesante, aveva un’andatura quadrupede. Il collo era piuttosto lungo e aveva una coda muscolosa e lunghissima, che sfiorava i 4,5 m, mentre in totale l’animale era lungo circa 8 m. Forse la usava come strumento di difesa.

SAUROPOSEIDON


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
E’ stato forse l’animale più alto di tutti i tempi, raggiungendo i 18 m. Era simile al Brachiosauro, ma meno robusto: lungo circa 30 metri, pesava al massimo 70 tonnellate. E’ stato uno degli ultimi sauropodi. Era erbivoro.

CARNOTAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Era un grosso dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “toro mangia carne”, perché era provvisto di corna. Misurava circa 9 m di lunghezza, era alto circa 3 m e pesava circa 3 tonnellate. Aveva un’andatura bipede.

SPINOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Superordine: Dinosauria
Dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “rettile spinoso”. Poteva raggiungere i 18 m di lunghezza. Forse utilizzava la sua vela (alta circa 2 m) nel corteggiamento, oppure per regolare la temperatura corporea. Non era un grande predatore, ed era più adatto alla pesca e alla necrofagia (cioè si nutriva di resti di animali morti).

LAMBEOSAURO


Regno: Animalia
Superordine: Dinosauria
Famiglia: Hadrosauridae
Era un dinosauro erbivoro della famiglia degli Adrosauridi (dinosauri a becco d’anatra). Questo animale aveva una strana cresta ossea sulla testa. Aveva centinaia di piccoli denti aguzzi per frantumare aghi di pino, ramoscelli legnosi e semi. Quando si usuravano, venivano sostituiti.

MAIASAURA


Regno: Animalia
Superordine: Dinosauria
Famiglia: Hadrosauridae
Era un dinosauro erbivoro. Il suo nome significa “buona madre lucertola” perché con esso sono stati trovati nidi fossili con uova e cuccioli di varie età. Aveva il becco degli adrosauridi e una piccola cresta sopra gli occhi. Era lungo circa 9 m, mentre le uova erano grandi come quelle di struzzo. Dovevano quindi crescere molto in fretta. Viveva in branchi.

PROTOCERATOPS


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Il suo nome significa “primo muso fornito di corno”. Era un dinosauro erbivoro di piccole dimensioni (Lungo meno di 2 m e alto 1 m). Aveva una testa imponente, corazzata, con un becco a pappagallo. Era un quadrupede discretamente veloce. E’ l’antenato di tutti i Ceratopsidi. Forse vivevano in branchi o gruppi familiari.

VELOCIRAPTOR


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Era un carnivoro bipede piumato con una lunga coda e un artiglio ricurvo su ogni zampa posteriore, che usava nella caccia. Misurava circa 3 m di altezza ed era lungo 6 m. Il fossile più famoso è stato trovato in Mongolia: si tratta di uno scheletro fissato mentre sta combattendo con un PROTOCERATOPS.

STIRACOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Dinosauro erbivoro, il suo nome significa “lucertola fornita di punte”. Misurava 5,5 m di lunghezza ed era alto circa 2,5 m. Fa parte dei Ceratopi (famiglia di dinosauri con la testa corazzata). La sua vistosa testa serviva come deterrente contro potenziali predatori. Viveva in branchi.

TYRANNOSAURUS REX


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
E’ stato il più grande carnivoro mai esistito: era lungo fino a 13 m e pesava fino a 7 tonnellate.  Camminava su due enormi zampe, ed utilizzava la coda lunga e possente per aiutarsi a bilanciare il peso. Non era molto veloce. Era un carnivoro opportunista, cioè mangiava sia prede vive, sia resti di animali morti.

ANCHILOSAURI


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Furono gli animali terrestri più corazzati di tutti i tempi. Questi erbivori raggiungevano i 7 metri di lunghezza, e per una protezione ottimale stavano accucciati a terra. Avevano spine taglienti ed appuntite ai lati dal corpo, e una coda che terminava con un osso, per difendersi. I denti non erano forti e potevano nutrirsi solo di piante. Avevano zampe ungulate.

QUETZALCOATLO

Regno: Animalia
Classe: Reptilia
E’ uno dei più grandi rettili volanti scoperti. Il nome deriva da una divinità Maia, Quetzalcóatl, che aveva l’aspetto di un serpente piumato. Aveva un’apertura alare di 18 metri, pari cioè a quella di un aeroplano. Aveva il collo molto lungo. Probabilmente poteva alzarsi in volo e planare, ma cacciava a terra, forse poggiando su tutte e quattro le zampe.

ARGYROLAGUS


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Era un piccolo mammifero marsupiale. Aveva una tasca dove teneva i piccoli per allattarli durante la crescita. Aveva grandi zampe per saltare, orecchie grandi e una coda molto lunga. Era lungo circa 40 cm.

GRIFEA


Regno: Animalia
Phylum: Mollusca
Classe: Bivalvia
Mollusco estinto, imparentato con l’attuale ostrica. Viveva distesa sul lato per poter aprire e chiudere il guscio.

TRICERATOPO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Erano dinosauri molto ben attrezzati per la battaglia: avevano due corna, lunghe un metro, sopra ciascuno degli occhi, e se attaccati erano molto aggressivi. Avevano un becco corneo ed erano erbivori. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza.

TILOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Famiglia: Mosasauridae
Rettile marino estinto. Aveva corpo allungato, coda potente e grandi piedi palmati. I suoi denti potevano ricrescere, come quelli degli squali odierni. Aveva la mascella simile a quella dei serpenti di oggi, che poteva spalancare enormemente per ingoiare le prede.

CENOZOICO 65.500.000 anni fa – oggi E’ anche detto Età dei Mammiferi.  Il nome deriva dal greco ‘ceno’ che significa recente, e zoico che si significa ‘vita’. I dinosauri si erano estinti e la superficie terrestre era coperta di piante da fiore. Era il momento più propizio per lo sviluppo dei mammiferi, che presero così in consegna la Terra. I primi erano molto piccoli, ma ben presto le loro dimensioni aumentarono. In Europa si divide in PALEOGENE (65,5 – 23,030 milioni di anni fa) e NEOGENE (23,030 milioni di anni fa – oggi).

PALEOGENE 65.500.000 – 23.030.000 di anni fa L’Europa e l’Asia erano in questo periodo separati dall’America come lo sono ora, ma continuava ad esistere un ponte di terra, probabilmente dove ora si trova lo Stretto di Bering. Si formarono l’Himalaya e le Alpi. L’Antartide scivolò dove si trova oggi e cominciò a ricoprirsi di ghiacci.  In tutti gli altri continenti il clima era ancora caldo e tropicale, e la successiva era glaciale cominciò a preannunciarsi solo alla fine di questo periodo. I mammiferi presero possesso della Terra.

CONDILARTRI


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine di mammiferi placentati primitivi, poco specializzati, con dieta mista o erbivora, e dita provvista di piccoli zoccoli (anche nelle forme carnivore). Le nuove teorie però dimostrano che questo ordine è un raggruppamento improprio, molte delle famiglie che ne facevano parte sono state elevate al rango di Ordini a sé stanti.

PANTODONTI


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Gruppo di mammiferi arcaici, tra i più antichi erbivori, che si svilupparono dopo l’estinzione dei dinosauri. In principio di piccola taglia, e forse onnivori, divennero grandi animali completamente erbivori.

 TEILHARDINA


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Primates
Primate estinto appartenente simile al tarso. E’ tra i più antichi primati. Era molto piccola e pesava circa 100 g.

EOIPPO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Perissodattili
Famiglia: Equidae
Mammifero erbivoro estinto appartenente ai perissodattili. E’ uno degli equidi più antichi. Era alto meno di mezzo metro e non somigliava molto a un cavallo. Aveva il dorso arcuato, il muso corto e la coda lunga.

DIATRYMA


Regno: Animalia
Classe: Aves
Genere di uccelli preistorici carnivori alti circa 2 m. Vivevano nelle pianure e dal momento che non esisteva nessun altro grande predatore, non aveva rivali e si nutriva prevalentemente di piccoli mammiferi. Erano incapaci di volare. Poteva correre molto velocemente su due zampe, e utilizzava i piedi, dotati di artigli, per colpire la preda.

INDRICOTHERIUM


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Perissodattili
Superfamiglia: Rhinocerotoidea
Genere estinto di mammiferi che comprendeva giganteschi rinoceronti privi di corno. Più grande mammifero terrestre conosciuto: era alto 5,5 m e lungo 8 m. Era erbivoro. Dopo l’estinzione non ha lasciato discendenti.

ESPEROCIONE


Regno: Animalia
Ordine: Mammalia
Famiglia: Canidae
Mammifero carnivoro (o forse onnivoro) estinto, appartenente alla famiglia dei canidi. Era lungo 80 cm, aveva un corpo basso e allungato e zampe esili e corte. La coda era molto lunga e flessibile. Ricordava più una donnola che un cane.

BRONTOTERIO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Perissodactyla
Genere estinto di mammifero perissodattilo. Era erbivoro.  Raggiungeva i 2,5 m di altezza. Sul muso aveva un corno a forma di V, simile a una fionda. Si estinse quando si diffusero le praterie, perché questa nuova vegetazione era dura e poco digeribile per lui.

PROAILURO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Famiglia: Felidae
Mammifero carnivoro estinto appartenente ai felidi. Aveva un corpo allungato molto simile a quello di un gatto odierno.

MAGNOLIE


Regno: Plantae
Famiglia: Magnoliaceae
Genere di piante che comprende oltre 80 specie arboree e arbustive. Sono state tra le prime angiosperme comparse sulla Terra. Il Paleogene è stato un periodo caldo e umido, con climi tropicali e subtropicali anche nelle regioni più settentrionali. Le magnolie erano molto comuni.

BASILOSAURUS


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Cetacea
Il suo nome significa “sauro imperatore”- E’ un genere estinto di cetaceo, lungo come una balena odierna (circa 18 m). Aveva un corpo serpentiforme e una testa relativamente piccola.  Si nutriva di pesci, granchi e calamari.

MEGATERIO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Pilosa
Genere estinto di mammiferi che comprendeva varie specie di bradipi terricoli giganti. Il suo nome significa “grande bestia”: era lungo fino a 6 m e pesava 4 tonnellate. Aveva un manto lanoso a pelo lungo. Era erbivoro e si nutriva delle foglie degli alberi.

EPICAMELO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Famiglia: Camelidae
E’ un parente estinto del cammello. Aveva zampe molto lunghe e un lungo collo che forse veniva ripiegato a S come quello dei cigni. Raggiungeva i 3 m. Era molto veloce. Era un erbivoro che brucava le foglie più alte degli alberi.

LITOPTERNA


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Gruppo di Mammiferi estinti.  Si sono evoluti in modo indipendente e si sono trovati soltanto in Sud America ed erano una via intermedia tra i cammelli ed i cavalli.

UINTATERIO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Dinocerata
Mammifero erbivoro estinto lungo 4 m e alto 2 m. Ricordava vagamente un rinoceronte, anche se non era strettamente imparentato con esso. Aveva due grandi canini superiori, vagamente simili a quelli della tigre dai denti a sciabola.

CORIFODONTE


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Sottordine: Pantodonta
Era molto simile all’ippopotamo odierno. Raggiungeva gli otto metri di lunghezza, e aveva zampe simili a quelle degli elefanti. I maschi avevano zanne che usavano nei combattimenti e per abbassare i rami delle piante. Vivevano vicino ai corsi d’acqua.

MOERITERIO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Proboscidea
Era simile a un tapiro, lungo 3 m., e non può essere considerato un antenato vero e proprio dell’elefante. Aveva una corta proboscide e brevi zanne, ma i denti fanno pensare che si nutrisse di piante acquatiche.

NOTARCTO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Primates
Primate preistorico molto simile a un lemure attuale. Era lungo circa 40 cm (esclusa la coda) e pesava circa 4 kg. Aveva incisivi, canini e molari. Mani e piedi erano dotati di pollici grandi e opponibili. Gli occhi erano nella parte anteriore della testa. Doveva essere un ottimo arrampicatore. Si nutriva delle foglie degli alberi. La lunga coda era prensile.

PALEOMASTODONTE

Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Proboscidea
Tra i più antichi animali con proboscide e antenato degli elefanti. Aveva il corpo tozzo e zanne sulla mascella superiore ed inferiore; quelle inferiori servivano probabilmente per scavare nel fango alla ricerca di cibo. Raggiungeva i 2 metri di altezza e poteva pesare fino a 2 tonnellate.

CREODONTI


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine estinto di mammiferi carnivori. Furono i carnivori terrestri dominanti per 20 milioni di anni. Somigliavano ai carnivori odierni: alcuni assomigliavano a gatti, altri a cani, a donnole, a orsi, e altro ancora.

ARTIODATTILI


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine di animali imparentati con ippopotamidi, suini, ruminanti, bovini e cetacei. Sono erbivori. La loro caratteristica è di avere un numero pari di dita. La zampa è retta dal terzo e quarto dito (mentre nei perissodattili il peso è sostenuto solo dal terzo dito). Le specie di questo ordine presenti in Italia oggi sono : camoscio, capra, muflone, stambecco, cinghiale, daino, capriolo e cervo.

IRACOTERIO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Perissodactyla
Era lungo circa 60 cm e alto 20 cm. Aveva quattro dita munite di zoccolo nelle zampe anteriori, mentre le posteriori avevano tre dita. Aveva una spina dorsale arcuata e le zampe posteriori simili a quelle del coniglio. Era un erbivoro brucatore, che si nutriva di foglie soffici, frutti e noci.

NEOGENE 23.030.000 di anni fa – oggi. E’ la seconda parte del Cenozoico. All’inizio di questa Era il clima è tra i più caldi ed asciutti di sempre, e si sviluppano grandi praterie. E’ difficile da immaginare, ma prima di questo periodo la superficie terrestre non era coperta da ERBE, ma da piccole felci e altre piante.  Si sono verificate in questo periodo quattro ere glaciali, separate da periodi interglaciali con temperature più calde. Oggi La Terra ora si trova in un periodo interglaciale.

PRATERIA: E’ un’area di terra con vegetazione composta da piante basse (soprattutto graminacee) ed erbe più o meno alte a seconda delle precipitazioni. Generalmente ci sono pochi alberi. Possono essere tropicali, temperate, umide, montane, polari, xeriche, naturali, seminaturali o coltivate.

ERBA: Con questo termine si indicano piante basse con fusto verde e non legnoso. Solitamente sono piante annuali, ma ne esistono anche di biennali e di perenni, che dopo l’appassimento della parte aerea, rinascono l’anno dopo grazie alla sopravvivenza della radice. Le più conosciute sono: ambrosia, cicoria, gramigna, trifoglio, verbena. Ci sono poi quelle aromatiche.

SMILODONTE


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Carnivora
Famiglia: Felidae
E’ il membro più noto delle tigri dai denti a sciabola, grandi felini dai lunghissimi canini superiori. Era lungo 2 m e alto 1,2 m. Si alimentavano di prede cacciate e carcasse. Cacciava tutti i grandi animali dell’epoca, compresi i mammut. Si nascondeva da pozze d’acqua, dove le sue prede erbivore andavano a bere.

UOMO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Primates
Famiglia: Hominidae
Nel Neogene apparvero sulla Terra i primi ominidi progenitori dell’Homo Sapiens, che è il nome scientifico della specie umana. Gli umani hanno un cervello molto strutturato, capace di un pensiero sviluppato sotto forma di creatività, ragionamento astratto, linguaggio e introspezione. Ha la postura eretta che rende liberi gli arti superiori.

MAMMUT LANOSO


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Proboscidea
Specie estinta di elefante, che viveva nei freddi climi del nord.  I maschi avevano lunghe zanne ricurve verso l’alto e all’indietro. Avevano una pelliccia lunga e folta, e al contrario degli elefanti odierni, orecchie e coda molto piccole. Non erano giganteschi, solo poco più grandi degli elefanti africani di oggi: circa 5 metri di lunghezza e 6 tonnellate di peso.

PERISSODATTILI


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Superordine: Ungulata
Sono un ordine di mammiferi al quale appartengono il cavallo (e le forme affini), i rinoceronti e i tapiri. La caratteristica distintiva di questo gruppo di ungulati è la presenza di arti con dita dispari (il nome significa, infatti, “dita dispari”). Dovuta alla scomparsa di alcune di esse, che ha prodotto arti con asse portante sul terzo dito.

ELEFANTE


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine: Proiboscidea
I progenitori di questo animale comparvero nel Paleogene ed erano il Moeriterio e il Deinoterio. Sono animali grigi di grande mole, con orecchie grande e mobili, due zanne prominenti e una proboscide, derivata dalla fusione di naso e labbro superiore. Sono erbivori.

PRIMATI


Regno: Animalia
Classe: Mammalia
Ordine di mammiferi placentati che comprende tarsi, lemuri, scimmie e l’uomo moderno.  Tutti i primati hanno 5 dita su ogni zampa con un pollice opponibile, una dentatura non specializzata, visione a colori e binoculare (cioè occhi rivolti in avanti). Tra i più antichi primati c’erano la TEILHARDINA e il NOTARCTO.

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DISEGNI DA COLORARE La comparsa dei viventi sulla Terra  

NOMENCLATURE MONTESSORI DINOSAURI per la scuola primaria

NOMENCLATURE MONTESSORI DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI  per la scuola primaria. Ho preparato le nomenclature sui dinosauri, e un set di carte dei comandi, cioè un piccolo questionario a schede per il lavoro individuale, l’approfondimento e la ricerca. Il materiale fa parte del lavoro sulla seconda grande lezione Montessori.

Qui trovi i disegni da colorare: 

Qui invece un set di nomenclature sui dinosauri preparate per la fascia d’età 3-6 anni: 

NOMENCLATURE MONTESSORI DINOSAURI

NOMENCLATURE MONTESSORI DINOSAURI

NOMENCLATURE MONTESSORI DINOSAURI
Carte dei comandi sui dinosauri (questionario)

NOMENCLATURE MONTESSORI DINOSAURI

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI: una breve didascalia e l’immagine (cliccare sulle miniature per aprire il file). L’attività fa parte del lavoro successivo al racconto della seconda grande lezione Montessori.

Trovi qui le schede delle nomenclature in tre parti preparate con questo materiale, e le carte dei comandi (questionario) sull’argomento: 

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI LABIDOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Comparsa: Permiano
Rettile estinto, simile alle iguane odierne. Misurava circa 75 centimetri ed aveva un capo grosso, una coda piuttosto corta e un corpo massiccio. Probabilmente si nutriva di vegetali coriacei o di insetti coriacei, avendo una forte dentatura adatta a triturare.

DIMETRODONTE


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Comparsa: Permiano
spesso confuso con i dinosauri, ma in realtà appartiene ai rettili che ha dato origine ai mammiferi. Era un feroce carnivoro che superava i 3 m di lunghezza. Aveva una vela dorsale formata da espansioni delle vertebre unite da una membrana di pelle. La vela serviva per regolare la temperatura corporea. Aveva denti di due misure: simili agli incisivi e ai canini. Questa differenziazione è tipica dei mammiferi e non è presente nei rettili.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI CYNOGNATHUS


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Comparsa: Permiano
Il suo nome significa ‘mascella di cane’. Era un rettile carnivoro lungo fino a 2 metri, mentre in altezza non superava i 70 centimetri. Forse era provvisto di baffi, come il cane e il gatto. Mentre i rettili respirano tra un boccone e l’altro, questo animale aveva due canali di respirazione separati, uno che partiva dal naso e uno che partiva dalla bocca. In questo modo poteva mangiare e respirare contemporaneamente, come i mammiferi.

EDAFOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Comparsa: Permiano
Tetrapode fossile vissuto nel Permiano. Era un grosso erbivoro. Somiglia al Dimetrodonte, ma è molto diverso dal suo “cugino” carnivoro. Il cranio era più piccolo, e aveva piccoli denti a scalpello davanti, e smussati sul palato, per triturare il fogliame. Le sue vele erano poi più basse e robuste. Le sue dimensioni andavano dal metro ai 3,2 m.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI LISTROSAURO


Regno: Animalia
Classe: Synapsida
Comparsa: Triassico
Dopo la grande estinzione di massa l’animale più comune era questo sinapside (anche detti rettili-mammiferi) appartenente ai Dicinodonti. Trovato in continenti diversi, fornisce la prova che essi sono stati collegati tra loro. Lungo circa 1 m, somigliava un po’ ad un maiale. Fu l’erbivoro più diffuso sul pianeta.

DINOSAURI
Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Comparsa: Mesozoico
La parola deriva dal greco e significa ‘lucertola terribile’. Sono un gruppo di rettili molto diversificato che comparve nel Triassico e si estinse alla fine del Mesozoico (estinzione K-T) con l’eccezione del ramo dei TEROPODI che, evolvendosi, avevano già portato alla comparsa degli UCCELLI, considerati perciò dinosauri viventi. I dinosauri si separarono dal ramo degli ARCOSAURI duranti il Triassico.

EORAPTOR


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Triassico
E’ il più antico dinosauro fossile, trovato in Argentina. Era lungo circa 1 m. Il suo nome significa ‘cacciatore dell’alba’. Era un carnivoro bipede: le zampe anteriori erano più corte (circa metà delle posteriori). Probabilmente si nutriva di piccoli rettili e insetti, ma anche di vegetali. Era un veloce corridore.

FABROSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Triassico
Piccoli erbivori bipedi. Erano veloci corridori. Avevano zampe posteriori estremamente allungate e una coda rigida e lunga.

ITTIOSAURI


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Comparsa: Triassico
Nei mari apparvero rettili marini simili al delfino per le pinne, la coda e la pinna dorsale. Superavano i 7 m di lunghezza, non avevano branchie e respiravano l’aria attraverso le narici. Non andavano mai sulla terraferma e davano alla luce piccoli vivi in acqua. Il più grande, lo SHONISAURUS, era lungo 55 m.

POSTOSUCO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Infraclasse: Archosauria
Comparsa: Triassico
Era uno dei più grossi predatori vissuti duranti il Triassico e riusciva a intimorire senza troppe difficoltà i piccoli dinosauri come il Celofisio. Era lungo 5 – 6 metri. Era quadrupede e riusciva difficilmente ad alzarsi sulle zampe  posteriori. Usava così la tecnica dell’agguato.

FITOSAURI


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Infraclasse: Archosauria
Comparsa: Triassico
Rettili estinti simili ai coccodrilli, ma non strettamente imparentati con essi. Avevano la gola e la schiena protette da pesanti placche ossee. Non trascinavano la coda, come invece fanno i coccodrilli. Avevano le narici poste in alto, davanti agli occhi. Potevano stare immersi in agguato lasciando emergere solo le narici.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI CELOFISIO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Triassico
Piccolo dinosauro carnivoro. Il nome significa “forma cava”, perché aveva ossa cave. Era lungo fino a 3 m e alto poco più di 1 m. Aveva una struttura leggera ed agile, fatta per la velocità. Si nutriva di lucertole, anfibi e insetti.

PLATEOSAURUS


Regno: Animalia
Classe: Archosauria
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Triassico
Era un erbivoro precursore dei sauropodi (collo lungo). Era lungo fino a 9 m. Solitamente procedeva a quattro zampe nutrendosi dei vegetali che crescevano a terra, ma a volte si ergeva sulle zampe posteriori per raggiungere i rami alti.

CYMBOSPONDYLUS


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Ordine: Ichthyosauria
Comparsa: Triassico
Rettile marino estinto dell’ordine degli Ittiosauri, lungo fino a 9 m. E’ anche chiamato” lucertola di mare”: aveva un corpo snello e lungo con pinne e coda. Poteva emergere dall’acqua per respirare ossigeno attraverso i polmoni. Nuotava dimenando il corpo da destra a sinistra, come le anguille e i serpenti marini, suoi diretti discendenti.

DILOFOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Giurassico
E’ un buon esempio di primo dinosauro giurassico. Era un carnivoro lungo fino a 7 m e alto 4 m. Aveva creste ossee doppie alla sommità della testa. Era molto agile e si spostava correndo sulle zampe posteriori.

SEISMOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Giurassico
E’ stato uno dei più grandi dinosauri sauropodi, forse il più grande animale terrestre di tutti i tempi. Aveva una lunghezza di circa 38 metri e un peso di 80 tonnellate. Viste le enormi dimensioni si decise di chiamarlo “rettile terremoto”, perché sicuramente, camminando, faceva tremare la terra.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI CENTROSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Giurassico
Grossi dinosauri carnivori comparsi alla fine del Giurassico. Assomigliavano al rinoceronte unicorno.

ALLOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Giurassico
Era lungo fino a 12 m e alto circa 4 m. Nonostante la mole era molto agile e veloce, e riusciva a cacciare anche i sauropodi. Per questo motivo è chiamato il “leone dei Giurassico”. Era un classico teropode, con caratteristiche simili a quelle degli uccelli: sterno e vertebre del collo spugnose e cave, zampe artigliate.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI STEGOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Giurassico
Dinosauri erbivori con tipiche piastre ossee distribuite lungo il dorso fino alla coda. Anche se il dorso era ben protetto, i fianchi erano vulnerabili. Era lungo circa 20 metri, aveva una testa piccola e mascelle deboli. Nella coda aveva un secondo cervello, che governava le zampe posteriori, e che era 20 volte più grande di quello che aveva nel cranio.

LIOPLEURODONTE

Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Comparsa: Triassico
Rettile marino estinto e ottimo nuotatore. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza. Aveva una grande testa, collo corto, corpo cilindrico e zampe a forma di pagaia. Era un predatore carnivoro che si nutriva di ittiosauri, cefalopodi e grossi pesci.

PTEROSAURI


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Comparsa: Giurassico
Uno dei più importanti ordini estinti di rettili, e i primi vertebrati in grado di volare. Il nome significa “lucertole alate”. Le ali erano molto diverse da quelle degli uccelli: avevano il quarto dito della mano allungato in modo sproporzionato e una membrana di pelle che univa questo dito con i piedi. Probabilmente vivevano sulle alte scogliere e piombavano sull’acqua per cacciare pesci e piccoli animali marini, che afferravano coi denti lunghi e affilati.

PTERODATTILO
Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Ordine: Pterosauria
Comparsa: Giurassico
Il suo nome significa “dito alato” ed è un genere di rettili volanti (pterosauri). Aveva un’apertura alare di 2,5 m. Come tutti gli pterosauri aveva ali formati da una membrana e ossa cave. Era molto leggero e poteva planare con facilità, anche se non poteva volare a lungo.

PLESIOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Comparsa: Giurassico
Gruppo di rettili acquatici estinti. Avevano un corpo largo, coda corta, collo lungo e zampe trasformate in pinne. Raggiungevano i 15 m di lunghezza e si nutrivano di pesci ed altre creature marine. Forse deponeva le uova sulla terraferma.

BRACHIOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Giurassico
Enorme erbivoro lungo 24 metri. Poteva allungare il collo ad un’altezza di 12 metri da terra. Poteva pesare più di 85 tonnellate, ma il suo cervello pesava soltanto 200 grammi. Per mantenere la sua mole trascorreva la sua esistenza mangiando.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI TENONTOSAURUS


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Era un grande dinosauro erbivoro. Di forma pesante, aveva un’andatura quadrupede. Il collo era piuttosto lungo e aveva una coda muscolosa e lunghissima, che sfiorava i 4,5 m, mentre in totale l’animale era lungo circa 8 m. Forse la usava come strumento di difesa.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI SAUROPOSEIDON


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
E’ stato forse l’animale più alto di tutti i tempi, raggiungendo i 18 m. Era simile al Brachiosauro, ma meno robusto: lungo circa 30 metri, pesava al massimo 70 tonnellate. E’ stato uno degli ultimi sauropodi. Era erbivoro.

CARNOTAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Era un grosso dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “toro mangia carne”, perché era provvisto di corna. Misurava circa 9 m di lunghezza, era alto circa 3 m e pesava circa 3 tonnellate. Aveva un’andatura bipede.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI SPINOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Dinosauro carnivoro. Il suo nome significa “rettile spinoso”. Poteva raggiungere i 18 m di lunghezza. Forse utilizzava la sua vela (alta circa 2 m) nel corteggiamento, oppure per regolare la temperatura corporea. Non era un grande predatore, ed era più adatto alla pesca e alla necrofagia (cioè si nutriva di resti di animali morti).

LAMBEOSAURO


Regno: Animalia
Superordine: Dinosauria
Famiglia: Hadrosauridae
Comparsa: Cretaceo
Era un dinosauro erbivoro della famiglia degli Adrosauridi (dinosauri a becco d’anatra). Questo animale aveva una strana cresta ossea sulla testa. Aveva centinaia di piccoli denti aguzzi per frantumare aghi di pino, ramoscelli legnosi e semi. Quando si usuravano, venivano sostituiti.

MAIASAURA


Regno: Animalia
Superordine: Dinosauria
Famiglia: Hadrosauridae
Comparsa: Cretaceo
Era un dinosauro erbivoro. Il suo nome significa “buona madre lucertola” perché con esso sono stati trovati nidi fossili con uova e cuccioli di varie età. Aveva il becco degli adrosauridi e una piccola cresta sopra gli occhi. Era lungo circa 9 m, mentre le uova erano grandi come quelle di struzzo. Dovevano quindi crescere molto in fretta. Viveva in branchi.

PROTOCERATOPS


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Il suo nome significa “primo muso fornito di corno”. Era un dinosauro erbivoro di piccole dimensioni (Lungo meno di 2 m e alto 1 m). Aveva una testa imponente, corazzata, con un becco a pappagallo. Era un quadrupede discretamente veloce. E’ l’antenato di tutti i Ceratopsidi. Forse vivevano in branchi o gruppi familiari.

VELOCIRAPTOR


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Era un carnivoro bipede piumato con una lunga coda e un artiglio ricurvo su ogni zampa posteriore, che usava nella caccia. Misurava circa 3 m di altezza ed era lungo 6 m. Il fossile più famoso è stato trovato in Mongolia: si tratta di uno scheletro fissato mentre sta combattendo con un PROTOCERATOPS.

STIRACOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Dinosauro erbivoro, il suo nome significa “lucertola fornita di punte”. Misurava 5,5 m di lunghezza ed era alto circa 2,5 m. Fa parte dei Ceratopi (famiglia di dinosauri con la testa corazzata). La sua vistosa testa serviva come deterrente contro potenziali predatori. Viveva in branchi.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI TYRANNOSAURUS REX


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
E’ stato il più grande carnivoro mai esistito: era lungo fino a 13 m e pesava fino a 7 tonnellate.  Camminava su due enormi zampe, ed utilizzava la coda lunga e possente per aiutarsi a bilanciare il peso. Non era molto veloce. Era un carnivoro opportunista, cioè mangiava sia prede vive, sia resti di animali morti.

ANCHILOSAURI


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Furono gli animali terrestri più corazzati di tutti i tempi. Questi erbivori raggiungevano i 7 metri di lunghezza, e per una protezione ottimale stavano accucciati a terra. Avevano spine taglienti ed appuntite ai lati dal corpo, e una coda che terminava con un osso, per difendersi. I denti non erano forti e potevano nutrirsi solo di piante. Avevano zampe ungulate.

QUETZALCOATLO

Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Comparsa: Cretaceo
E’ uno dei più grandi rettili volanti scoperti. Il nome deriva da una divinità Maia, Quetzalcóatl, che aveva l’aspetto di un serpente piumato. Aveva un’apertura alare di 18 metri, pari cioè a quella di un aeroplano. Aveva il collo molto lungo. Probabilmente poteva alzarsi in volo e planare, ma cacciava a terra, forse poggiando su tutte e quattro le zampe.

TRICERATOPO


Regno: Animalia
Classe: Reptilia
Superordine: Dinosauria
Comparsa: Cretaceo
Erano dinosauri molto ben attrezzati per la battaglia: avevano due corna, lunghe un metro, sopra ciascuno degli occhi, e se attaccati erano molto aggressivi. Avevano un becco corneo ed erano erbivori. Raggiungeva i 9 metri di lunghezza.

TILOSAURO


Regno: Animalia
Classe: Sauropsida
Comparsa: Cretaceo
Famiglia: Mosasauridae
Rettile marino estinto. Aveva corpo allungato, coda potente e grandi piedi palmati. I suoi denti potevano ricrescere, come quelli degli squali odierni. Aveva la mascella simile a quella dei serpenti di oggi, che poteva spalancare enormemente per ingoiare le prede.

DISEGNI DA COLORARE DINOSAURI E ALTRI RETTILI PREISTORICI

Linee del tempo di carta per la comparsa dei viventi

Linee del tempo per la comparsa dei viventi tutorial: con strisce di carta colorata. Le linee del tempo possono  essere usate durante la narrazione della seconda fiaba cosmica, o per lo studio. I tutorial e le tabelle che seguono servono a realizzare linee del tempo per la comparsa dei viventi sulla Terra (dall’Adeano al Cenozoico) lunghe 1,8 metri, 4,6 metri, 9,24 metri o 60 metri. Possono essere preparate dai bambini.

Materiali utili per accompagnare le linee del tempo:

– modelli di pianeti del sistema solare: il tutorial per realizzare i modelli dei pianeti in scala, con la pasta di sale, è qui:

– cartellini coi nomi delle ere geologiche: puoi scaricarli e stamparli in formato pdf qui:

Linee del tempo di carta per la comparsa dei viventi
Linea del tempo lunga 60 metri

Un esercizio montessoriano classico è quello dell’Orologio delle Ere,

ma soprattutto i bambini più piccoli possono trovare difficile fare il collegamento tra durata delle ere e quadrante. Un sistema di visualizzazione più efficace è quello di costuire un nastro (o una corda) del tempo utilizzando le proporzioni ere/ore per dividerlo. Ne ricaveremo una striscia lunga 60 metri.

             

Questo grafico mostra la stessa scala presentata nell’orologio delle ere:

Potete realizzare questa linea del tempo utilizzando del nastro, oppure incollando tra loro strisce di carta colorata, come ho fatto io:

Linee del tempo di carta per la comparsa dei viventi
Corda del tempo lunga 9,24 metri

La scala è 1 cm = 5 milioni di anni. La linea del tempo comincia 4.600.000.000 di anni fa.

In questa tabella trovate le indicazioni di lunghezza e colore per ogni era geologica:

Linee del tempo di carta per la comparsa dei viventi
Linea del tempo lunga 4,6 metri 

Scala: 1 cm = 10 milioni anni.

In questa tabella trovate le indicazioni di lunghezza e colore per ogni era geologica:

Linee del tempo di carta per la comparsa dei viventi
Corda del tempo lunga 4,6 metri

Questa linea del tempo è simile alla precedente, ma più dettagliata. Questa è la tabella con le indicazioni di lunghezza e colore per ogni era geologica:

Linee del tempo di carta per la comparsa dei viventi
Corda del tempo lunga 1,771 m + 14 m facoltativi per il Precambriano

Scala:
1 miliardo di anni = 3 m
100 milioni di anni = 30 cm
10 milioni di anni = 3 cm
1 milione di anni = 3 mm

Seguire la seguente tabella:

Linee del tempo di carta per la comparsa dei viventi

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

MODELLI DI SISTEMA SOLARE possono essere realizzati dai bambini in modo semplice e abbastanza preciso. L’attività può essere proposta dopo la prima fiaba cosmica montessoriana,

o per avviare lo studio dell’Astonomia. Possiamo considerare separatamente:
– la dimensione dei pianeti
– la distanza tra i pianeti.

In seguito possiamo unire in un unico modello la corretta dimensione di ogni pianeta e la corretta distanza tra ognuno di essi, sperimentando che questo lavoro richiede davvero grandi spazi, anche riducendo al minimo possibile la grandezza dei corpi celesti.

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

Dimensione dei pianeti

Per prima cosa stabiliamo la scala. Io, considerando che non desideravo il pianeta più piccolo (Plutone) di misure inferiori ai  millimetri, ho scelto questa:

Per il Sole, che ha un diametro di 140 cm, ho ritagliato e appeso alla parete un cerchio giallo. Per i pianeti ho preparato la pasta di sale, miscelando due parti di farina bianca con una parte di sale fino, ed aggiungendo all’impasto colla vinilica e acqua:

Per i pianeti più grandi ho preparato una pallina di carta:

rivestita poi di carta stagnola:

controlliamo che il diametro della palla sia inferiore di qualche centimetro rispetto alla misura che vogliamo ottenere:

e rivestiamo con la pasta di sale:

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

Nota: utilizzando questa scala i bambini sperimentano praticamente le relazioni di grandezza che intercorrono tra i pianeti del sistema solare ed il sole, ma se poi volessimo posizionare correttamente nello spazio i nostri pianeti, ci occorrerà organizzare una passeggiata di circa 6 km (perchè dopo aver posizionato il sole come punto di partenza, il pianeta più distante da esso, Plutone, si troverà a 5900 metri. Se vogliamo considerare anche Eris, arriviamo invece a 10 km):

Io trovo che una passeggiata di 6 km sia del tutto fattibile coi bambini più grandi, e che possa lasciare una forte impressione in loro sulle grandezze dell’Universo, e su quanto sia piccola la Terra. Troverete in seguito, comunque, un progetto che prevede un percorso dal Sole a Plutone della lunghezza di poco meno di un chilometro, utilizzando “pianeti” più piccoli.

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

Distanza tra i pianeti

Consideriamo di voler sperimentare con i bambini le distanze che intercorrono tra i pianeti del sistema solare, senza riprodurre in scala le rispettive dimensioni, ma rappresentandoli come punti.

Per farlo ci servirà:
– righello e metro
– una striscia di carta lunga 4 metri formata incollando tra loro vari fogli A4 tagliati a metà nel senso della lunghezza
– pennarello nero e rosso.

Utilizziamo questa scala, ottenuta moltiplicando per 10 le unità astronomiche:

E procediamo indicando per prima cosa il Sole, disegnando un punto rosso. Indichiamo poi il punto con una freccia verticale e scriviamo il nome del pianeta, e proseguiamo così fino a Plutone.

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

Dimensione e distanza tra i pianeti

Come i bambini avranno appurato con gli esercizi precedenti, è molto difficile creare un modello di piccole dimensioni che rappresenti tutti i pianeti, anche i più lontani, rispettando sia le dimensioni di ogni pianeta, sia la loro distanza dal Sole. Il modo migliore di farlo è quello di uscire all’aperto per un esercizio – passeggiata.
Per i pianeti in scala possiamo usare:
SOLE: una palla (diametro 22 cm)
MERCURIO: una capocchia di spillo (diametro o,8 mm)
VENERE: un granello di pepe (diametro 1,9 mm)
TERRA: un granello di pepe (diametro 2 mm)
MARTE: una capocchia di spillo (diametro 1,1 mm)
GIOVE: una castagna o una noce (diametro 2,3 cm)
SATURNO: una nocciola o una ghianda (diametro 1,9 cm)
URANO: un chicco di caffè (diametro 8,1 mm)
NETTUNO: un chicco di caffè (diametro 7,8 mm)
PLUTONE una capocchia di spillo (diametro 0,4 mm o meno, perchè è il pianeta più piccolo).

Mettendo ogni oggetto su un pezzo di carta colorata, sarà più semplice visualizzarli e non perderli. Si può anche pensare di etichettare ognuno col nome del pianeta corrispondente.

Mettiamo tutti i “Pianeti” su di un tavolo, e ricordiamo coi bambini i loro nomi nell’ordine: Mercurio,  Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone. Spesso le immagini del Sistema Solare mostrano i pianeti più o meno equidistanti tra loro, come sono ora sul tavolo, ma in realtà gli intervalli sono molto diseguali. Possiamo osservare che le distanze aumentano sempre di più, ma non seguendo una progressione aritmetica. I primi tre pianeti non sono abbastanza vicini tra loro, poi le distanze si fanno sempre più importanti.

Dopo aver definito gli oggetti chiediamo ai bambini: “Secondo voi quanto spazio ci serve per posizionare i pianeti rispettando le giuste distanze dal Sole?”. I più piccoli potranno pensare che sia sufficiente il tavolo, i più grandi forse diranno che occorrerà occupare tutta la stanza, oppure il corridoio.  Per arrivare alla risposta, dobbiamo introdurre il concetto di scala. Indichiamo la Terra: “Questo granello di pepe è il pianeta su cui viviamo, che misura in realtà quasi 13.000 chilometri, mentre il granello di pepe misura soltanto 2 millimetri. Nel nostro modello un cm rappresenta circa 6.000 chilometri. Questo significa che un metro equivale a 6 milioni di chilometri.

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

Consideriamo di camminare, e di fare un passo: ogni passo è un lunghissimo viaggio spaziale. Ogni metro contiene tre passi, ed è uguale a un viaggio spaziale di 6 milioni di chilometri. La distanza dal Sole alla Terra è di circa 1.400.000 chilometri, che nel modello significa 24 metri, cioè 72 passi. Proviamo.

In questo modo i bambini si renderanno conto che la stanza non è sufficiente, e che occorre uscire all’aperto.

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

Distribuiamo i pianeti tra i bambini, ed affidiamo ad ognuno una tabella dei passi da percorrere tra un pianeta e l’altro, e usciamo. Anche se la cosa migliore sarebbe poter seguire un percorso rettilineo, non è indispensabile, e per facilitare il rientro possiamo anche pensare di riavvicinarci alla partenza, magari non proprio ritornando sui nostri passi, invertendo la direzione a circa metà percorso (dopo essere arrivati ad Urano).

Dopo aver contato insieme i passi che separano i primi pianeti, possiamo nominare degli “astronauti” incaricati a rotazione di contare i passi, così gli altri sono liberi di chiacchierare tra loro durante la passeggiata e di osservare ciò che si incontra (alberi, paesaggio, oppure strade, palazzi, ecc…). I bambini più grandi possono anche prendere appunti per realizzare poi una mappa, oppure disegnarla al momento.

Arrivati a Plutone, se abbiamo seguito un percorso più o meno rettilineo,  possiamo pensare di ricontare alla rovescia per tornare al punto di partenza, e avviare una piccola “caccia al tesoro” per ritrovare uno ad uno i nostri pianeti. Se vogliamo farlo, consideriamo che sarà necessario mettere dei segnali sui piccoli oggetti, altrimenti sarà molto difficile ritrovare gli spilli! C’è poi la possibilità che tornando alla palla, qualche passante se ne sia già appropriato prima di noi…

La nostra passeggiata scientifica, di circa un chilometro, darà ai bambini l’idea di vuoto, perchè i pianeti sono molto distanti tra loro, e stimolerà lo studio dell’Astronomia per tutto il periodo successivo.

MODELLI DI SISTEMA SOLARE

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI L’orologio delle ere geologiche si inserisce nel contesto della seconda grande lezione.

Il bordo nero dell’orologio rappresenta la linea del tempo, che l’orologio mostra semplicemente in un modo diverso.

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI Descrizione del materiale
Si tratta di un quadrante d’orologio diviso in dodici. Ogni frazione è di un colore particolare. I colori classici sono:
– Nero: assenza di vita (Adeano)
– Giallo: comparsa della vita (Archeano)
– Blu: la vita negli oceani (Proterozoico)
– Marrone: la terra e i rettili (Paleozoico)
– Verde: la vegetazione e la vita (Mesozoico)
– Rosso: il giungere di qualcosa di nuovo (Cenozoico)

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI

Orologi delle ere pronti

Ho preparato due versioni leggermente diverse tra loro:

Orologio delle ere classico, dove si considera l’età della Terra di 3.000 milioni di anni. Un’ora equivale a 250 milioni di anni, un minuto equivale a circa 4 milioni di anni e un secondo a circa 70.000 anni. Non è il più accurato, ma è quello che permette ai bambini di calcolare facilmente la durata delle ere sull’orologio:

anche considerando, più correttamente, che l’età della Terra è di circa 4.600 milioni di anni, otteniamo lo stesso identico orologio. In questo caso un’ora equivale a 375 milioni di anni. E’ l’orologio che ho preparato, pronto per il download e la stampa:

Orologio delle ere doppio: è composto da due quadranti (0-12 e 12-24). Il primo è per il Precambriano (dalle 0 alle 12), il secondo per tutte le ere successive (dalle 12 alle 24). Troverete anche questo materiale, pronto per il download e la stampa, dopo le indicazioni per la presentazione:

Può essere molto utile aggiungere al materiale degli OROLOGI DELLE ERE GEOLOGICHE le TABELLE DELLE ERE GEOLOGICHE. Queste tabelle stimolano la ricerca e spesso i bambini desiderano usarle per creare dei propri orologi delle ere, facendo calcoli e utilizzando compasso e goniometro. Potete scaricarle qui: 

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI

Presentazione dell’OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE ai bambini:

Quando presentiamo l’orologio delle ere geologiche per la prima volta, possiamo metterlo su un cavalletto, in modo che sia all’altezza degli occhi dei bambini. Le proporzioni presenti sulla linea del tempo sono le stesse presenti sull’orologio.

Ti ricordi quanti anni ha la Terra? Circa 4 miliardi e 600 milioni di anni. Lo abbiamo visto sulla nostra linea del tempo. Ora vogliamo rappresentare di nuovo tutto questo tempo, ma utilizzando questo orologio speciale. Prima di tutto vediamo se questo è davvero come il quadrante di un orologio. (Mostrare un orologio)

Sul quadrante dell’orologio si vedono dodici ore. Però questo è un orologio molto speciale, perché rappresenta l’età della Terra, e la Terra non ha dodici ore di vita, ma 4.600.000.000 anni.

Con l’orologio normale contiamo le ore del giorno, con questo orologio contiamo tutta la vita della Terra divisa in dodici  (come le ore) e in sessanta (come i minuti). Così nell’orologio speciale un’ora è lunga 375 milioni di anni, e  un minuto è lungo 6.250.000 di anni.  Per  facilitare i conti, siccome 375 è quasi 400, possiamo contiamo le ore della Terra, ma invece di contare 1, 2, 3 ecc… contiamo 400 milioni, 800 milioni, 1 miliardo e 200 milioni…

Questo orologio rappresenta l’età della Terra. È la durata della Terra. Il nostro pianeta ha vissuto varie fasi. Torniamo a quando nacque (indichiamo l’Adeano sull’orologio). Qui è quando la Terra era un piccolo globo di luce e calore che girava nello spazio e lentamente si raffreddava (tracciare col dito l’arco nero).

Quando si è raffreddata abbastanza, si è formata la crosta terrestre: la Terra aveva allora già un miliardo di anni, e si preparava ad entrare in una nuova fase. Ti ricordi? Ci furono grandi piogge, e si formarono gli oceani, le rocce e i vulcani. Si formarono i fiumi e i mari. Via via si accumularono strati di materiali rocciosi, e questo è durato per lunghissimo tempo. Poi, a un certo punto, apparve la vita. Non sappiamo dove esattamente, ma sappiamo che in questo grande arco di tempo giallo (l’Adeano) apparve la vita. I fiumi e i vulcani continuarono a trasportare strati su strati di roccia, e si formarono anche le montagne. (tracciare col dito tutto l’arco giallo). Quando le prime forme di vita si manifestarono, la Terra aveva già più di 3 miliardi di anni: comparvero i cianobatteri, che riempirono di ossigeno l’aria e l’acqua (tracciare col dito l’arco giallo).

Nel periodo che segue, questo spicchio azzurro, appaiono tantissime forme di vita nuove: alghe e molti invertebrati marini, tra cui vermi e meduse. Siamo arrivati a 300 milioni di anni fa, e sull’orologio siamo già oltre le 10.00 (tracciare col dito l’arco azzurro).

Arrivati qui siamo nel Paleozoico, e appaiono nei mari brachiopodi, coralli, spugne, molti artropodi tra cui i trilobiti, e molti cefalopodi con conchiglia; in seguito arrivano i pesci. Sulla terraferma appaiono le prime piante simili a licheni, poi le prime piante vascolari e infine i grandi alberi. Arrivano gli insetti, poi gli anfibi e infine i primi rettili. L’orologio ha superato le 11.00

Arrivati qui siamo nel Mesozoico, quando i dinosauri dominavano la Terra, c’era una vegetazione ricchissima con pini e cipressi, ma compaiono anche le piante da fiore. A questo punto siamo arrivati a 65 milioni di anni fa, e quando il Mesozoico termina il nostro orologio segna già le 11.45.

Entriamo nel Cenozoico, dove a dominare non sono più i rettili, ma i mammiferi. Abbondano uccelli e piante da fiore, ed ora l’orologio indica le 11.59 e 45 secondi. Mancano solo 15 secondi per arrivare ad oggi! Si tratta di un periodo piccolissimo, che non possiamo indicare precisamente sull’orologio, (contiamo i 15 secondi a voce alta) ma è qui che troviamo una nuova creatura: l’essere umano. Si formano ripetutamente enormi lastre di ghiaccio che coprono la Terra, si sciolgono, coprono di nuovo la Terra, e di nuovo si sciolgono. Ma in quanto tempo? Tutto in questi 15 secondi!

E nell’ultimo decimo di secondo dell’orologio della Terra, c’è tutto il progresso fatto dagli esseri umani, che hanno iniziato a studiare la Terra, l’Universo, se stessi; che attraversano oceani e continenti; che volano nei cieli con gli aeroplani.

L’orologio segna le 12 e non conosciamo il resto, perché il resto è il futuro.

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI

Note sulla lezione

I bambini non devono obbligatoriamente conoscere tutti i nomi delle ere geologiche, possono anche soltanto farsi l’immagine di periodi in cui non c’era vita, e periodi in cui la vita è comparsa sulla Terra, però noi non ignoriamo che questi nomi esistano, e li usiamo nel modo più naturale possibile.

Infine mostriamo ai bambini il materiale che accompagna l’orologio delle ere geologiche:

  • le tabelle, che mostrano le ere geologiche in ore e le ere geologiche in minuti e secondi.
  • l’orologio mobile, composto da un quadrante vuoto, gli spicchi (da comporre al suo interno), e le relative etichette.
  • i bambini, poi, possono confrontare l’orologio delle ere con la linea del tempo della comparsa dei viventi.

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE – prima versione

Per la presentazione e la consultazione:
– orologio delle ere geologiche
– legenda
– cartellini delle ere


– frecce descrittive con triangoli colorati

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI
Materiale per l’esercizio individuale (orologio delle ere mobile):
– orologio bianco su cui comporre gli elementi
– spicchi colorati da ritagliare

– (i cartellini sono gli stessi)
– frecce descrittive con triangoli bianchi
– triangoli colorati da aggiungere alle frecce descrittive.

puoi scaricare tutto questo materiale qui:

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE – seconda versione

Primo quadrante:
– orologio delle ere
– legenda
– cartellini
– frecce descrittive con triangoli colorati

Secondo quadrante:
– orologio delle ere
– legenda
– cartellini
– frecce descrittive con triangoli colorati

Primo quadrante, materiale per l’esercizio individuale (orologio delle ere mobile):
– orologio bianco su cui comporre gli elementi
– spicchi colorati da ritagliare
– (i cartellini sono gli stessi)
– frecce descrittive con triangoli bianchi
– triangoli colorati da aggiungere alle frecce descrittive.

Secondo quadrante, materiale per l’esercizio individuale (orologio delle ere mobile):
– orologio bianco su cui comporre gli elementi
– spicchi colorati da ritagliare
– (i cartellini sono gli stessi)
– frecce descrittive con triangoli bianchi
– triangoli colorati da aggiungere alle frecce descrittive.

puoi scaricare tutto questo materiale qui:

OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE MONTESSORI

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA utili per la preparazione della seconda grande lezione Montessori:

– la TABELLA 1 è abbastanza dettagliata, contiene l’indicazione di Eone, Era, Periodo, tempo espresso in milioni di anni fa, e gli eventi biologici più importanti. L’ordine seguito è dal più recente al più antico. E’ scaricabile in bianco e nero, e a colori;

– la TABELLA 2  mostra eoni, ere e periodi dai più recenti ai più antichi. Ogni rettangolo, numero o lettera rappresenta 1 milione di anni;

– la TABELLA 3 mostra le ere geologiche, il tempo espresso in milioni di anni fa, gli eventi più significativi, e il tempo espresso su scala del calendario e delle ore del giorno. E’ una tabella utile sia per preparare carte in tre parti, sia per preparare linee del tempo e orologi delle ere geologiche;

– la TABELLA 4 mostra alcuni degli eventi più significati della comparsa della vita sulla Terra, e il tempo espresso su scala delle ore del giorno (con quadranti);

– la TABELLA 5  mostra alcuni degli eventi più significativi della storia della comparsa dei viventi sulla Terra, e il tempo espresso su scala dei giorni dell’anno (con fogli di calendario);

– la TABELLA 6 è la tabella più dettagliata, ed è molto utile per preparare le carte in tre parti per la linea del tempo e altri cartelloni murali.

– la TABELLA 7 è un riassunto della tabella 6.

Tutte le tabelle sono preparate nei colori usati per l’OROLOGIO DELLE ERE GEOLOGICHE, e cioè:
– Nero: assenza di vita (Archeano)
– Giallo: comparsa della vita (Adeano)
– Blu: l’acqua (Proterozoico)
– Marrone: la terra (Proteozoico)
– Verde: la vegetazione e la vita (Mesozoico)
– Rosso: il giungere di qualcosa di nuovo (Cenozoico).

Puoi scaricarle qui:

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLA 1

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TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLA 2

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLA 3

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLA 4

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLA 5

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLA 6

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

TABELLA 7

TABELLE DELLA COMPARSA DEI VIVENTI SULLA TERRA

Le nomenclature Montessori per bambini dopo i sei anni

Le nomenclature Montessori per bambini dopo i sei anni hanno caratteristiche e funzioni diverse da quelle usate nella scuola d’infanzia.

Le carte delle nomenclature Montessori in tre parti, per i bambini dai 3 ai 6 anni, sono costituite da:

  • Una carta che contiene l’immagine e la parola che la nomina
  • Una carta muta (solo immagine)
  • Il cartellino della parola

Avevo già parlato delle carte delle nomenclature per la scuola d’infanzia qui:

Il bambino deve quindi semplicemente abbinare l’immagine alla parola ed utilizzare le carte complete come guida, e per controllare il proprio lavoro.

Le carte in tre parti, o carte delle nomenclature, si utilizzano per imparare i nomi di oggetti o di parti di oggetti.

Questo è un esempio di carte delle nomenclature usate coi bambini da 3 a  6 anni.

Le carte delle nomenclature, dunque, servono ad assegnare i nomi alle cose, e sono spesso utilizzate per la costruzione del vocabolario comune e del vocabolario tecnico relativo alle varie aree disciplinari. La semplicità di questo materiale è evidente; resta da sottolineare che contengono la possibilità di autocontrollo dell’errore, che permette al bambino di lavorare senza interferenze da parte dell’insegnante.

Le nomenclature Montessori per bambini dopo i sei anni

Tradizionalmente, per creare le schede delle nomenclature si utilizzavano esclusivamente disegni fatti a mano. Oggi invece, si preferisce usare disegni semplici e stilizzati nelle carte che servono a nominare le parti di un oggetto (ad esempio le parti del vulcano), mentre si utilizzano sempre più fotografie a colori o in bianco e nero per altri tipi di nomenclature, ad esempio per classificare i tipi di piante da fiore. Le fotografie aiutano i bambini a riconoscere gli oggetti studiati nell’ambiente circostante, mentre le immagini stilizzate rendono più facile ai bambini isolare le parti importanti dell’immagine, senza essere distratti da sfondi e altri particolari.

Ci sono poi le carte dei comandi, che sono carte che servono a dar seguito e ad approfondire i contenuti presentati durante le lezioni. I bambini lavorano con questo tipo di carte per mettere in pratica ciò che hanno imparato: come suggerisce il nome stesso, le carte dei comandi invitano i bambini a fare qualcosa usando quello che hanno imparato, dimostrando così di avere padronanza di determinati concetti. Le carte dei comandi, per i bambini fino ai 6 anni, vengono usate come esercizi di lettura: il bambino legge una carta che gli indica di fare una certa cosa, ed il fatto che la faccia ci mostra che ha compreso ciò che ha letto. Esempi di carte dei comandi per la scuola d’infanzia possono essere di questo tipo:

  • portami una matita rossa
  • soffiati il naso
  • stendi un tappeto
  • toccati il gomito destro con il pollice sinistro.

Le carte Montessori in tre parti per i bambini dopo i 6 anni, sono invece composte da:

  • Una carta che contiene un’immagine
  • Un cartellino che contiene la parola o le parole che nominano l’immagine
  • Una carta che contiene la definizione di ciò che è mostrato nell’immagine

Per il controllo dell’errore e la guida, si possono utilizzare o una carta che contiene immagine, nome e definizione, oppure un libretto che raccoglie nomi, immagini e definizioni di tutto il set di carte con cui si lavora.

Il lavoro con questo tipo di carte non è quello di abbinare semplicemente le parole alle immagini, ma è di imparare e cercare le informazioni, padroneggiarle, e trarne stimolo per approfondimenti e ricerche.

Quello dell’abbinare le carte tra loro è solo un obiettivo intermedio.

Con queste carte si possono organizzare anche giochi tipo memory, dove lo scopo però non sarà quello di ricordare la posizione delle carte voltate, ma quello di stimolare l’interesse dei bambini verso il materiale.

Quando si preparano le carte delle nomenclature, si lavora per set, cioè attorno ad argomenti specifici, preparando le carte in tre parti ed il libretto guida. Questo libretto è anche il modello che il bambino userà per creare il proprio quaderno delle definizioni.

Alle elementari, le carte delle nomenclature vengono usate dopo che il bambino ha seguito una lezione su un concetto particolare. Ad esempio, dopo la prima grande lezione, il bambino vorrà saperne di più sui vulcani; quindi metteremo, tra i materiali per la geografia, le carte delle nomenclature sulle parti del vulcano.

Le carte in tre parti sono uno tra i materiali di lavoro che più caratterizzano una scuola elementare montessoriana, e che più la differenziano dalle altre scuole. Invece di utilizzare libri di testo e schede fisse da compilare, i bambini che utilizzano le carte in tre parti devono impegnarsi attivamente nel materiale. Sono esteticamente belle, ed incoraggiano l’apprendimento dei concetti, piuttosto che dirigere le energie verso il correre dietro ad un risultato, come avviene con l’uso delle schede.

Le carte dei comandi dopo i sei anni servono a promuovere le capacità di pensiero e di applicazione dei contenuti appresi.

Ad esempio, le carte dei comandi per la zoologia possono contenere comandi di questo genere:

  • Confronta un animale col cuore con tre camere con uno col cuore con quattro camere
  • Etichetta i diversi tipi di sistemi digestivi.

Oppure, per la geografia:

  • Prevedi cosa accadrebbe se la calotta polare si sciogliesse.

Le carte dei comandi, dunque, offrono ai bambini un modo di applicare e ampliare le loro conoscenze in modi sempre nuovi ed interessanti, che consente loro di interiorizzare le conoscenze e memorizzarle nella memoria a lungo termine. Le proposte possono essere varie e individualizzate in base agli interessi dei bambini, e questo rende l’apprendimento più significativo per ogni bambino.

Nel preparare queste carte, tenete a mente tutta la gamma di argomenti che è possibile includere. Le carte dei comandi incoraggiano i bambini ad esplorare liberamente il piano di studi ed il mondo circostante.

Trovi tutte le carte Montessori delle nomenclature e dei comandi pubblicate, e pronte per il download e la stampa qui.

Tutti i materiali Montessori stampabili qui.


Le nomenclature Montessori per bambini dopo i sei anni

La prima grande lezione Montessori

La prima grande lezione Montessori

Il primo giorno di scuola, i bambini ascoltano la fiaba cosmica che è la base della grande lezione sulle origini dell’Universo. Come già anticipato qui, 

il complesso svolgersi della grande lezione prosegue con dimostrazioni, ricerche, esperimenti, attività artistiche e manuali, toccando nel corso degli anni varie materie ed argomenti di studio: Astronomia, Meteorologia, Chimica, Fisica, Geologia, Geografia. Tutto il piano è inquadrato nella grande cornice dell’Educazione Cosmica.

Questo articolo contiene:

narrazione breve della prima fiaba cosmica;
prima versione della grande lezione Montessori: questa versione si basa sul testo originale rielaborato in chiave laica, con l’aggiunta di indicazioni per la presentazione, le carte delle immagini (scaricabili in pdf) e le indicazioni per le dimostrazioni scientifiche che accompagnano la narrazione;
Il Dio senza mani: testo della fiaba cosmica originale di Maria Montessori;
terza versione della grande lezione Montessori: questa versione è più estesa e contiene dimostrazioni, esperimenti scientifici e riferimenti alla chimica ed alla fisica. Include la tavola periodica degli elementi (in versione illustrata e semplificata) e numerose immagini dell’Universo;
testo per recita sulla nascita dell’Universo, con indicazioni per vari lavori artistici e manuali di accompagnamento;

La prima grande lezione Montessori – Spunti di lavoro per i giorni seguenti:
ricerca: lezione esempio per avviare il lavoro di ricerca e set di carte questionario per le ricerche;
lezioni chiave: materiali pronti e links per ogni argomento (20 argomenti)
– carte tematiche:
11 set di carte tematiche in tre parti per il linguaggio;
– vari set di carte guida per esperimenti scientifici legati alla prima grande lezione;
– vari set di carte guida per lavori artistici e manuali legati alla prima grande lezione;

LA PRIMA GRANDE LEZIONE MONTESSORI

La nascita dell’Universo

NARRAZIONE BREVE DELLA PRIMA FIABA COSMICA

All’inizio della storia dell’Universo, nella notte dei secoli, c’era solo il nulla, il buio cosmico totale. Un buio immenso e assoluto, senza possibilità di luce. In questo immenso buio apparve un puntino. Era un puntino di luce, pieno di energia e di calore. Il calore si manifestò così potente, che le sostanze che noi ora conosciamo come oro, ferro, roccia, acqua, ecc… erano inconsistenti come l’aria, erano gas.

In questo calore, in questa luce, c’era tutto e c’era niente: era una nube di luce e calore e intorno c’era lo spazio vuoto e freddo, il freddo cosmico inconcepibile. Questa nube di luce  e calore cominciò a muoversi nello spazio, espandendosi, e nell’espandersi lasciava cadere piccole gocce di luce. Quelle gocce formarono le stelle. Le gocce, vagando nello spazio in forma ordinata e compatta, crearono una spirale che era in movimento perpetuo e in espansione. C’era, e c’è ancora, la lotta tra la forza d’attrazione e la forza d’espansione, che ha creato l’equilibrio perfetto. Una delle tante gocce di luce sparse nell’Universo è il nostro sole. I corpi celesti che ruotano incessantemente intorno al sole, sono tenuti insieme dalla forza di attrazione gravitazionale. La Terra, il nostro pianeta, fa parte del sistema solare, ed era anch’essa una goccia di luce piccolissima, migliaia di volte più piccola del sole. La Terra ruota intorno al sole e muovendosi gira su se stessa ad una velocità sempre uguale.

LA PRIMA GRANDE LEZIONE MONTESSORI

La nascita dell’Universo

Prima versione

Questa è una versione modificata della fiaba originale di Maria Montessori “Il Dio senza mani”, la prima grande storia raccontata ai bambini della sua scuola elementare. Conserva il linguaggio originale, ma adattando i termini ed i riferimenti alla religione cattolica con altre di respiro più ampio, dando al racconto un tono laico.

La prima grande lezione Montessori – Materiale:

– Disponete su un tappeto i seguenti oggetti, in questo ordine:

  1. un vassoio per la DIMOSTRAZIONE 1 (forza di attrazione) contenente: una ciotolina di pezzetti di carta o coriandoli, una brocca piena d’acqua e una ciotola che presenti una superficie ampia
  2. un vassoio per la DIMOSTRAZIONE 2 (modello di liquidi) contenente: un vaso trasparente e una ciotola di perle o biglie
  3. un vassoio per la DIMOSTRAZIONE 3 (stati della materia e calore) contenente: 3 piatti di metallo, una fonte di calore, ghiaccio, filo di stagno per saldature, un oggetto di ferro (ad esempio un chiodo)
  4. un vassoio per la DIMOSTRAZIONE 4 (il peso dei liquidi) contenente: un bicchiere trasparente riempito con acqua colorata di blu, una ciotola di miele e una d’olio e una brocca o un bicchiere più grande per mescolarli
  5. un vulcano, coperto molto bene con un panno nero, già riempito con bicarbonato di sodio e colorante in polvere rosso, e una brocca piena di aceto mescolato ad un po’ di sapone per piatti. (vedi tutorial qui: vulcano in eruzione)

– Carte illustrate da tenere a portata di mano su di un vassoio, o da inserire secondo lo schema della narrazione tra gli oggetti messi sul tappeto, voltate, da mostrare durante la narrazione.

  1. Immagine che mostra la differenza di dimensioni tra Sole e Terra
  2. Immagine della danza degli elementi
  3. Immagine della Terra formata da vulcani e nubi
  4. Immagine della Terra formata da vulcani ed acqua

 La prima grande lezione Montessori – il set completo qui:

La prima grande lezione Montessori – Istruzioni per le dimostrazioni

  • DIMOSTRAZIONE 1 (forza di attrazione): riempire la ciotola con l’acqua, attendere che si fermi, quindi sparpagliare i pezzetti di carta sulla superficie dell’acqua ed osservare
  • DIMOSTRAZIONE 2 (Modello di liquido): versare le biglie nel vaso e scuoterlo per far scivolare le sfere le une sulle altre e osservare
  • DIMOSTRAZIONE 3 (Stati della materia e calore): 3 piatti di metallo, una fonte di calore, ghiaccio, filo di stagno per saldature, un oggetto di ferro (ad esempio un chiodo)
  • DIMOSTRAZIONE 4 (il peso dei liquidi): ho qui 3 liquidi di peso diverso. Verso l’acqua colorata, poi il miele e vedo come scende sul fondo. Verso l’olio e lo vedo galleggiare. Questa è la forza fisica che esercita il peso. Posso agitare questa miscela, e prima della fine della giornata si sarà sistemata di nuovo con la più pesante in basso e il più leggero in alto. I liquidi si distribuiscono a strati in base al loro peso.

La prima grande lezione Montessori
La nascita dell’Universo

Molto prima che i nostri antenati abbiano potuto guardare il cielo per la prima volta, prima che l’uomo stesso sia esistito sulla terra, prima che sia esistita la terra, prima che sia esistito il sole, prima che sia esistita la luna, e molto prima che tutte le stelle luminose siano arrivate a brillare nel cielo, ci fu un grande nulla, il vuoto.  C’era solo il caos, e le tenebre coprivano questo abisso: un’immensità di spazio, senza inizio e senza fine, indescrivibilmente buio e freddo. Chi può immaginare tutta questa immensità, tutta questa oscurità, tutto questo freddo? Quando noi pensiamo al buio, pensiamo alla notte, ma la nostra notte è luminosa come il sole di mezzogiorno, confrontata a quella prima oscurità. Quando pensiamo al freddo, pensiamo al ghiaccio. Ma il ghiaccio è caldo, se lo confrontiamo col freddo dello spazio che ci separa dalle stelle…

All’improvviso, in questo vuoto incommensurabile di freddo e oscurità, apparve per la prima volta la luce: fu qualcosa di simile a una grandissima nube di fuoco, che comprendeva in sé tutte le stelle che sono in cielo. L’intero universo era in quella nuvola, e tra le stelle più piccole, c’era anche il nostro mondo.  A dire la verità non si trattava ancora di stelle: nel tempo di cui stiamo parlando esistevano soltanto la luce e il calore.  E questo calore era così intenso, che tutte le sostanze che conosciamo – il ferro, l’oro, la terra, le pietre, l’acqua – esistevano come gas ed erano inconsistenti come l’aria. Tutte queste sostanze, tutti i materiali di cui sono composti la terra, e le stelle, e perfino voi ed io, erano fusi insieme in un vasto e fiammeggiante ammasso che aveva una luce ed un calore così intensi, che al confronto il nostro sole sembra un pezzo di ghiaccio.

Questa nube gassosa ardeva nel gelido nulla, troppo grande da immaginare, ma infinitamente più vasto della nube. La massa di fuoco era poco più grande di una goccia d’acqua nell’oceano dello spazio, ma questa goccia conteneva in sé la terra e tutte le stelle. Poiché la nube ardente si muoveva nello spazio, piccole gocce cominciarono a staccarsi da essa, come quando teniamo in mano un bicchiere d’acqua e lo facciamo oscillare, e vediamo che dall’acqua si staccano delle gocce e volano via.

Le innumerevoli schiere di stelle che vediamo brillare nel cielo notturno, sono come queste piccole gocce, ma mentre le gocce d’acqua che si staccano dal bicchiere cadono, le stelle sono in continuo movimento nello spazio e non si incontrano mai. Esse sono a milioni di chilometri l’una dall’altra. Alcune stelle sono così lontane da noi, che la loro luce impiega milioni di anni per raggiungerci.

Sapete quanto velocemente viaggia la luce? (Dare ai bambini il tempo di fare le loro ipotesi.) 100 chilometri all’ora? 200? 1000? No, è molto più veloce. La luce viaggia alla velocità di 300.000 chilometri, ma non all’ora… al secondo! Immaginate quanto è veloce! Viaggiare a 300.000 chilometri al secondo, significa che in un secondo potremmo fare sette volte il giro intorno al mondo. E sapete quanto è grande il mondo? 40.000 chilometri. Se dovessimo guidare a 100 chilometri all’ora, tutto il giorno e tutta la notte, senza mai fermarci, impiegheremmo più di dieci giorni per coprire quella distanza. Eppure la luce la copre sette volte in un secondo. Schiocchi le dita, e la luce ha già fatto sette volte il giro del mondo.

Ora, riuscite ad immaginare quanto lontane possono essere le stelle, se la loro luce impiega un milione di anni per raggiungerci? E pensate che ci sono così tante stelle in cielo, che gli scienziati hanno calcolato che se ognuna fosse un granello di sabbia, e se le mettessimo tutte insieme, il loro numero sarebbe superiore al numero di granelli di sabbia di tutte le spiagge del nostro pianeta messe insieme.

Una di queste stelle, uno di questi granelli di sabbia tra quelle migliaia di miliardi di granelli di sabbia, è il nostro Sole, e una milionesima parte di questo granello è la nostra Terra. Un granello invisibile del nulla.

Ora voi potreste pensare che il sole non è poi così grande, ma considerate che è lontanissimo da noi. La luce del sole impiega circa 8 minuti per raggiungere la terra, e se dovessimo percorrere la distanza dalla terra al sole a 100 chilometri all’ora impiegheremmo circa 106 anni. Così il sole, essendo tanto lontano da noi può apparirci piccolo, mentre in realtà è un milione di volte più grande della terra: è così grande che una delle sue fiamme potrebbe contenere 22 volte la terra. (Mostrare ai bambini la carta 1:  differenza di dimensioni tra Sole e Terra).

Quando quella prima forza di calore e di luce si è manifestata, ogni particella contenuta nella nube era troppo piccola per poter diventare materia. Queste piccole particelle erano come il fumo, come il vapore, così l’universo cominciò a dettare le sue leggi. Per la prima legge quando le particelle si raffreddano si devono avvicinare le une alle altre, così da occupare meno spazio.

Le particelle, allora come oggi, obbediscono alle leggi dell’universo, così molto lentamente, un pezzetto alla volta, la nube ardente cominciò a raffreddarsi ed a muoversi più lentamente nello spazio. Le particelle continuarono ad avvicinarsi e ad aggregarsi tra di loro, occupando sempre meno spazio, e pian piano assunsero diversi stati, che l’uomo ha chiamato gassoso, liquido e solido. Tutti sappiamo cosa vuol dire solido, o liquido, o gas: questa differenza dipendeva da quanto le particelle erano riuscite a raffreddarsi e ad avvicinarsi tra loro.

Ma c’erano altre leggi alle quali le particelle obbedivano, e così anche oggi: ognuna di loro provava un amore particolare per alcune particelle, e una fortissima antipatia per alcune altre. Così capitò che alcune si attraevano ed altre si respingevano, proprio come avviene agli esseri umani. Fu così che le particelle formarono gruppi diversi. (DIMOSTRAZIONE 1 sulla forza di attrazione).

Osservate come alcuni pezzi di carta si attraggono, mentre altri si allontanano l’uno dall’altro. E’ proprio in questo modo che le particelle si combinarono tra loro in modo diverso, formando elementi diversi.

Allo stato solido, le particelle si aggrappano così strettamente le une alle altre, che separarle è quasi impossibile. Esse formano un corpo che non modifica la sua forma, a meno che non applichiamo una forza su di esso. Se rompiamo una sostanza solida, i vari pezzi che otteniamo contengono le particelle aggrappate tra loro allo stesso modo in cui lo erano prima. Se ad esempio stacchiamo un frammento da una roccia, sia la roccia sia il frammento saranno di roccia. E questa è la legge che vale per i solidi.

Per i liquidi, l’universo stabilì leggi diverse, che dicono alle loro particelle: “Nei liquidi dovete stare unite, ma non troppo vicine le une alle altre, così sarete libere di muovervi e scorrere, e insieme non avrete una forma fissa. Insieme fluirete e vi diffonderete, riempiendo ogni vuoto, ogni fessura che incontrate nel vostro percorso. E avrete la forza di spingere verso il basso e verso i lati, ma non verso l’alto”.   Ecco perché ancora oggi noi possiamo mettere le mani nell’acqua, ma non possiamo metterle nella roccia. (DIMOSTRAZIONE 2: modello di un liquido).

E per i gas, la legge fu questa: “Le vostre particelle non saranno del tutto aggrappate tra loro e potranno sempre muoversi liberamente in tutte le direzioni”.

Le particelle non diventarono sostanze solide liquide o gassose tutte nello stesso momento. A seconda della temperatura, alcuni gruppi di particelle si aggregavano, mentre altre stavano ad aspettare una temperatura più bassa per farlo. (DIMOSTRAZIONE 3: stati della materia e calore)

 “Vieni è meraviglioso!” dicevano le particelle le une alle altre. “Se diventiamo calde ci allarghiamo, e ci allarghiamo ancora, diventiamo leggere e voliamo verso l’alto. Se ci raffreddiamo, diventiamo compatte e ci tuffiamo di nuovo giù!” E così facevano: quando si scaldavano salivano verso l’alto come le bollicine nell’acqua minerale, e quando si raffreddavano cadevano come granelli di sabbia che affondano nello stagno, rispondendo alle leggi dell’universo. (Mostrare ai bambini la carta 2:  la danza degli elementi)

E grazie alla loro obbedienza, la Terra gradualmente si trasformò da una palla di fuoco, al pianeta che abitiamo. Queste particelle, che sono così piccole che è impossibile vederle o anche solo immaginarle, erano così numerose ed hanno lavorato così bene insieme, che hanno prodotto il mondo.  La loro danza è proseguita per centinaia, migliaia, milioni di anni. Infine, le particelle si stabilizzarono, e una dopo l’altra presero riposo. Alcuni gruppi di fermarono allo stato liquido, altri allo stato solido. Quelli che provavano attrazione reciproca si univano a formare nuove sostanze. Le sostanze più pesanti si andarono a depositare vicino al cuore della Terra, e quelle più leggere si misero a galleggiare sopra di esse, come l’olio che galleggia sull’acqua. (DIMOSTRAZIONE 4: il peso dei liquidi)

Sulla loro superficie si formò una sottile pellicola, simile a quella che si forma facendo bollire il latte e lasciandolo poi raffreddare. La Terra, con questa nuova pelle, aveva assunto una forma, però gli elementi che si trovavano al di sotto di essa erano ancora molto caldi, e si sentivano intrappolati. Volevano Uscire. E d’altra parte, cosa altro potevano desiderare? In fondo stavano solo obbedendo, come sempre, alla legge dell’Universo, che aveva stabilito per loro: “Quando vi scalderete, vi espanderete”. Ma sotto la pelle che avvolgeva la Terra, mancava lo spazio per espandersi, e cominciarono a premere e premere, finchè si fecero varco tra eslosioni di immensa potenza, bucando la pellicola esterna. (Vulcano)

L’acqua che si era formata sulla superficie della Terra si trasformò in vapore e cominciò a salire verso l’alto. La massa incandescente che premeva sotto la pellicola superficiale esplose dal centro della terra, trasportando con sé immense nuvole di cenere. Un velo di gas, cenere e minerali avvolse completamente la Terra. Sembrava quasi che il nostro pianeta volesse impedire al Sole di vedere quello che stava combinando. (Mostrare ai bambini la carta 3:  vulcani e nubi)

Quando le esplosioni cessarono, tutti gli elementi ripresero pian piano a raffreddarsi. Così i gas divennero liquidi, e i liquidi divennero solidi. La Terra, nel raffreddarsi, era diventata molto più piccola e si era fatta rugosa come una vecchia mela lasciata nella credenza: le pieghe erano le montagne, e i solchi gli oceani.  Infatti le rocce, raffreddandosi, precipitarono per prime dalla nube che avvolgeva la terra, mentre l’acqua arrivò dopo, cadendo e riempiendo ogni spazio vuoto che trovava sul suo cammino. Piovve e piovve per lunghissimo tempo, ed è così che si formarono gli Oceani. Sopra all’acqua ed alle rocce rimase sospesa l’aria. La nube scura era scomparsa. (Mostrare ai bambini la carta 4:  vulcani e acqua).

Quando la nube scura si dileguò, il sole fu di nuovo in gradi di sorridere alla sua bella figlia, la Terra, e vide rocce, acqua ed aria.

I solidi, i liquidi ed i gas, oggi, come ieri, come milioni di anni fa, obbediscono alle leggi dell’Universo, nello stesso modo. La Terra gira intorno su se stessa e danza intorno al Sole. E oggi, come milioni di anni fa, la Terra e tutti gli elementi ed i composti che la formano, assolvono i loro compiti. Anche se ogni elemento è unico e diverso dall’altro, sono tutti collegati l’uno all’altro, e noi siamo collegati a loro.

Gli elementi, le rocce, gli alberi, l’acqua, l’aria e noi, esseri umani, siamo tutti fatti di stelle, costruiti con quel materiale che si staccò dalla prima grande nube di luce e calore che cominciò a vagare nel gelido vuoto.

Il cosmo è dentro di noi, di noi che eravamo Uno all’alba dell’Universo. E anche noi, come tutto, obbediamo alle sue leggi e svolgiamo in nostro compito, che è quello di essere il mezzo che l’Universo ha di conoscere se stesso.

Guardiamo con umiltà al fiume ed alle nuvole, alle montagne e agli alberi. Guardiamo con gratitudine al cielo, e diciamo: “Grazie. Siamo tutti unici e tutti figli allo stesso modo della terra e del cielo. Siamo tutti simili, tutti rari e preziosi. Grazie”.

LA PRIMA GRANDE LEZIONE MONTESSORI

La nascita dell’Universo

Il Dio senza mani – Versione originale

Così come è scritta, la versione originale presenta una netta prospettiva giudaico-cristiana. Se non è la vostra prospettiva, come già detto, o se nel vostro gruppo di bambini convivono studenti provenienti da famiglie atee o Hindu, Shinto, Testimoni di Geova, Musulmane, o di qualsiasi altra fede, a mio parere, si può utilizzare la versione data sopra, o sostituire la parola ‘Dio’ con la parola ‘vita’ o ‘ forza della Vita’, o ‘Legge dell’Universo’, senza nulla togliere alla lezione. Ribadito questo, per noi adulti, può valere la pena  conoscere anche questa versione per il suo valore di documento storico.  Mario Montessori ha condiviso questa storia, pubblicata nella rivista dell’AMI del dicembre 1958, presentandola come racconto da fare ai bambini, in una sola seduta, entro la prima settimana di arrivo degli studenti nelle classi elementari.

Fin dall’inizio, gli esseri umani erano a conoscenza del’esistenza di Dio. Potevano sentirlo, ma non potevano vederlo, e da sempre si sono chiesti, nelle loro diverse lingue, chi fosse e dove si trovava. Domandavano ai loro saggi: “Chi è Dio?”. E i saggi rispondevano: “E’ il più perfetto degli esseri”.
“Ma che aspetto ha? Ha un corpo come noi?”.
“No, non ha un corpo. Non ha occhi per vedere, non ha mani per lavorare, non ha piedi per camminare, ma vede e sa tutto, anche i nostri pensieri più segreti”.
“E dove sta?”
“Sta in cielo e sulla Terra. Egli è ovunque”.
“E cosa può fare?”
“Ciò che vuole”
“Ma cosa ha fatto, effettivamente?”

“Ciò che ha fatto, è tutto ciò che è accaduto. Egli è il Creatore e il Maestro che ha fatto tutto, e tutto ciò che ha fatto obbedisce alla sua volontà. Egli si prende cura di tutti e a tutti provvede, e mantiene la sua creazione in ordine ed armonia. In principio c’era solo Dio. E dal momento che completamente perfetto e completamente felice, non c’era nulla di cui avesse bisogno. Eppure, per sua bontà, decise di creare e di porre in essere tutto ciò che è visibile e tutto ciò che è invisibile. Uno dopo l’altro fece la luce, le stelle, il cielo e la terra, con le sue piante ed i suoi animali. Per ultimo fece l’uomo. L’uomo, come gli animali, è stato fatto con sostanze della terra, ma Dio lo ha reso diverso dagli animali e simile a se stesso, perché gli respirò dentro un’anima immortale”.

A questa risposta, molti pensarono che questo racconto fosse solo una fantasia dei saggi. “Come potrebbe, qualcuno che non ha occhi e non ha mani, fare le cose? Se è uno spiroto che non può essere visto, o toccato, o sentito, come può aver fatto le stelle che brillano in cielo, il mare che è sempre in moto, il sole, le montagne e il vento? Come può uno spirito creare gli uccelli e i pesci e gli alberi, i fiori e il profumo che diffondono intorno a loro? Forse sarebbe stato in grado di fare le cose invisibili, questo si, ma come può aver creato il mondo visibile? Certo, è una bella storia, ma come fanno i saggi a dire che è ovunque e vede dentro di noi? Dicono che è il Maestro a cui tutto e tutti obbediscono, ma perché dovremmo crederci? Se noi che abbiamo le mani non siamo in grado di fare queste cose, come potrebbe esserci riuscito qualcuno che non le ha? E come possiamo credere che gli animali, le piante o i sassi obbediscono a Dio? Gli animali selvatici non fanno quello che si chiede loro, come possono essere obbedienti a Dio? E come possono i venti, il mare, le montagne? Possiamo gridare e urlare e agitare le braccia verso di loro, ma loro non ci possono sentire, non sono vivi e non possono obbedirgli. Dio c’è e basta.”
Sembra davvero che Dio ci sia e basta. A noi che abbiamo le mani, ma non possiamo fare le cose che fa lui, può sembrare che ci sia e basta. Ma come vedrete, tutte le cose che esistono, che abbiano vita o meno, e anche se non fanno nulla a parte esserci, obbediscono alla volontà di Dio. Le Creature di Dio non sanno che stanno obbedendo. Alle cose inanimate basta esistere. Ai viventi basta sopravvivere. Eppure ogni volta che un venticello fresco vi accarezza la guancia, se potessimo sentire, sentiremmo la sua voce dire: “Obbedisco al Signore”. Quando il sole sorge al mattino e sparge i suoi colori sul mare cristallino, il sole ed i suoi raggi stanno sussurrando: “Mio Signore, obbedisco”. E quando vediamo un uccello in volo, o la frutta che cade da un albero, o una farfalla in equilibrio su un fiore, gli uccelli e il loro volo, l’albero e il frutto e il suo cadere a terra, la farfalla e il fiore e il suo profumo, tutti ripetono le stesse parole: “Ti sento, mio Signore, e ti obbedisco”.

All’inizio c’era il caos e l’oscurità regnava sull’abisso. Dio disse: “Sia la luce”, e la luce fu. Prima di allora c’era solo uno spazio immenso e profondo, senza inizio e senza fine, indescrivibilmente buio e freddo. Chi può immaginare tutta questa immensità, tutta questa oscurità, tutto questo freddo? Quando noi pensiamo al buio, pensiamo alla notte, ma la nostra notte è luminosa come il sole di mezzogiorno, confrontata a quella prima oscurità. Quando pensiamo al freddo, pensiamo al ghiaccio. Ma il ghiaccio è caldo, se lo confrontiamo col freddo dello spazio che ci separa dalle stelle…

In questo vuoto incommensurabile e oscuro è stata creata la luce. Era qualcosa di simile a una grandissima nube di fuoco, che comprendeva in sé tutte le stelle che sono in cielo.

L’intero universo era in quella nuvola, e tra le stelle più piccole, c’era anche il nostro mondo.  A dire la verità non si trattava ancora di stelle: nel tempo di cui stiamo parlando esistevano soltanto la luce e il calore.  E questo calore era così intenso, che tutte le sostanze che conosciamo – il ferro, l’oro, la terra, le pietre, l’acqua – esistevano come gas ed erano inconsistenti come l’aria. Tutte queste sostanze, tutti i materiali di cui sono composti la terra, e le stelle, e perfino voi ed io, erano fusi insieme in un vasto e fiammeggiante ammasso che aveva una luce ed un calore così intensi, che al confronto il nostro sole sembra un pezzo di ghiaccio.

Questa nube gassosa ardeva nel gelido nulla, troppo grande da immaginare, ma infinitamente più vasto della nube. La massa di fuoco era poco più grande di una goccia d’acqua nell’oceano dello spazio, ma questa goccia conteneva in sé la terra e tutte le stelle. Poiché la nube ardente si muoveva nello spazio, piccole gocce cominciarono a staccarsi da essa, come quando teniamo in mano un bicchiere d’acqua e lo facciamo oscillare, e vediamo che dall’acqua si staccano delle gocce e volano via.

Le innumerevoli schiere di stelle che vediamo brillare nel cielo notturno, sono come queste piccole gocce, ma mentre le gocce d’acqua che si staccano dal bicchiere cadono, le stelle sono in continuo movimento nello spazio e non si incontrano mai. Esse sono a milioni di chilometri l’una dall’altra.  Solo. Alcune stelle sono così lontane da noi, che la loro luce impiega milioni di anni per raggiungerci.

Sapete quanto velocemente viaggia la luce? (dare ai bambini il tempo di fare le loro ipotesi.) 100 chilometri all’ora? 200? 1000? No, molto più veloce. La luce viaggia alla velocità di 300.000 chilometri, ma non all’ora… al secondo! Immaginate quanto è veloce! Viaggiare a 300.000 chilometri al secondo, significa che in un secondo potremmo fare sette volte il giro intorno al mondo. E sapete quanto è grande il mondo? 40.000 chilometri. Se dovessimo guidare a 100 chilometri all’ora, tutto il giorno e tutta la notte, senza mai fermarci, impiegheremmo più di dieci giorni per coprire quella distanza. Eppure la luce la copre sette volte in un secondo. Schiocchi le dita, e la luce ha già fatto sette volte il giro del mondo.

Ora, riuscite ad immaginare quanto lontane possono essere le stelle, se la loro luce impiega un milione di anni per raggiungerci? E pensate che ci sono così tante stelle in cielo, che gli scienziati hanno calcolato che se ognuna fosse un granello di sabbia, e se le mettessimo tutte insieme, il loro numero sarebbe superiore al numero di granelli di sabbia di tutte le spiagge del nostro pianeta messe insieme.

Una di queste stelle, uno di questi granelli di sabbia tra quelle migliaia di miliardi di granelli di sabbia, è il nostro sole, e una milionesima parte di questo granello è la nostra terra. Un granello invisibile del nulla.

Ora voi potreste pensare che il sole non è poi così grande, ma considerate che è lontanissimo da noi. La luce del sole impiega circa 8 minuti per raggiungere la terra, e se dovessimo percorrere la distanza dalla terra al sole a 100 chilometri all’ora impiegheremmo circa 106 anni. Così il sole, essendo tanto lontano da noi può apparirci piccolo, mentre in realtà è un milione di volte più grande della terra: è così grande che una delle sue fiamme potrebbe contenere 22 volte la terra.

Quando la volontà di Dio mise in essere le stelle, non c’era nessun particolare che non avesse già previsto. Ad ogni pezzo di universo, ad ogni  granello che potremmo credere troppo piccolo per la materia, è stata data una serie di regole da seguire.  Alle piccole particelle che erano come il fumo, come il vapore, che possono essere distinte solo come luce e calore e si muovono a una velocità fantastica, ha detto: “Quando sarete fredde vi avvicinerete tra di voi diventando più piccole”. E così esse, mentre si raffreddavano, si spostavano sempre più lentamente, aggrappandosi le une alle altre in modo sempre più ravvicinato e occupando meno spazio. Le particelle hanno assunto diversi stati che l’uomo ha chiamato stato solido, stato liquido e stato gassoso. Se una cosa fosse un gas o un liquido o un solido, in quel momento dipendeva  da quanto caldo o freddo esso fosse.

Poi Dio diede altre istruzioni. Ogni particella provava un amore particolare per alcune particelle, e una fortissima antipatia per alcune altre. Così capitò che alcune si attraevano ed altre si respingevano, proprio come avviene agli esseri umani. Fu così che le particelle formarono gruppi diversi.

In questo modo, dunque, le particelle si combinarono tra loro e si formarono diverse sostanze.  Allo stato solido, Dio ha previsto che le particelle si aggrappino così strettamente le une alle altre, che separarle è quasi impossibile. Esse formano un corpo che non modifica la sua forma, a meno che non applichiamo una forza su di esso. Se rompiamo una sostanza solida, i vari pezzi che otteniamo contengono le particelle aggrappate tra loro allo stesso modo in cui lo erano prima. Se ad esempio stacchiamo un frammento da una roccia, sia la roccia sia il frammento saranno di roccia.  Invece, ai liquidi Dio disse: “ Voi dovrete stare uniti, ma non troppo vicini, in modo tale che non avrete una forma vostra, ma potrete rotolare una particella sull’altra”.

Per i liquidi, l’universo stabilì leggi diverse, che dicono alle loro particelle: “Nei liquidi dovete stare unite, ma non troppo vicine le une alle altre, così sarete libere di muovervi e scorrere, e insieme non avrete una forma fissa. Insieme fluirete e vi diffonderete, riempiendo ogni vuoto, ogni fessura che incontrate nel vostro percorso. E avrete la forza di spingere verso il basso e verso i lati, ma non verso l’alto”.   Ecco perché ancora oggi noi possiamo mettere le mani nell’acqua, ma non possiamo metterle nella roccia.  E ai gas Egli disse: “Le vostre particelle non saranno del tutto aggrappate tra loro e potranno sempre muoversi liberamente in tutte le direzioni”.

Ma poiché le particelle erano individui molto diversi tra loro, non diventarono sostanze solide liquide o gassose tutte nello stesso momento. A seconda della temperatura, alcuni gruppi di particelle si aggregavano, mentre altre stavano ad aspettare una temperatura più bassa per farlo.

Mentre le particelle si aggregavano obbedendo alle leggi di Dio, una di quelle gocce che si era staccata dalla nube ardente, e che sarebbe diventata il nostro mondo, cominciò a girare su se stessa e intorno al Sole, nel gelido spazio. Col passare del tempo, sulla superficie esterna di questa massa iniziò una danza, che chiameremo la danza degli elementi: le particelle dello strato più esterno si raffreddavano per prime e diventavano più piccole.  Stringendosi insieme si schiacciavano contro lo strato inferiore, che era rimasto molto più caldo, si scaldavano di nuovo, e tornavano ad espandersi verso l’esterno. Come angioletti, portavano fuori dalla terra un secchio di caldo, e tornavano alla terra con un secchio di freddo.

“Vieni è meraviglioso!” dicevano le particelle le une alle altre. “Se diventiamo calde ci allarghiamo, e ci allarghiamo ancora, diventiamo leggere e voliamo verso l’alto. Se ci raffreddiamo, diventiamo compatte e ci tuffiamo di nuovo giù!” E così facevano: quando si scaldavano salivano verso l’alto come le bollicine nell’acqua minerale, e quando si raffreddavano cadevano come granelli di sabbia che affondano nello stagno, rispondendo alle leggi di Dio. E grazie alla loro obbedienza, la Terra gradualmente si trasformò da una palla di fuoco, al pianeta che abitiamo. Queste particelle, che sono così piccole che è impossibile vederle o anche solo immaginarle, erano così numerose ed hanno lavorato così bene insieme, che hanno prodotto il mondo.  La loro danza è proseguita per centinaia, migliaia, milioni di anni. Infine, le particelle si stabilizzarono, e una dopo l’altra presero riposo. Alcuni gruppi si fermarono allo stato liquido, altri allo stato solido. Quelli che provavano attrazione reciproca si univano a formare nuove sostanze. Le sostanze più pesanti si andarono a depositare vicino al cuore della Terra, e quelle più leggere si misero a galleggiare sopra di esse, come l’olio che galleggia sull’acqua.

Sulla loro superficie si formò una sottile pellicola, simile a quella che si forma facendo bollire il latte e lasciandolo poi raffreddare. La Terra, con questa nuova pelle, aveva assunto una forma, però gli elementi che si trovavano al di sotto di essa erano ancora molto caldi, e si sentivano intrappolati. Volevano Uscire. E d’altra parte, cosa altro potevano desiderare? In fondo stavano solo obbedendo, come sempre, alla legge divina, che aveva stabilito per loro: “Quando vi scalderete, vi espanderete”. Ma sotto la pelle che avvolgeva la Terra, mancava lo spazio per espandersi, e cominciarono a premere e premere, finchè si fecero varco tra esplosioni di immensa potenza e grandi combattimenti e lotte, bucando la pellicola.

L’acqua che si era formata sulla superficie della Terra si trasformò in vapore e cominciò a salire verso l’alto. La massa incandescente che premeva sotto la pellicola superficiale esplose dal centro della terra, trasportando con sé immense nuvole di cenere.

Un velo di gas, ceneri e minerali avvolse completamente la Terra, in modo che nessuno potesse vedere quali tremende lotte stessero avvenendo al suo interno. Il sole si vergognava di loro!

Alla fine, i combattimenti cessarono. Appena si furono tutti raffreddati, sempre più gas diventarono liquidi e sempre più liquidi diventarono solidi. La Terra, nel raffreddarsi, era diventata molto più piccola e si era fatta rugosa come una vecchia mela lasciata nella credenza: le pieghe erano le montagne, e i solchi gli oceani.  Infatti le rocce, raffreddandosi, precipitarono per prime dalla nube che avvolgeva la terra, mentre l’acqua arrivò dopo, cadendo e riempiendo ogni spazio vuoto che trovava sul suo cammino. Piovve e piovve per lunghissimo tempo, ed è così che si formarono gli Oceani. Sopra all’acqua ed alle rocce rimase sospesa l’aria. La nube scura era scomparsa.

Quando la nube scura si dileguò, il sole fu di nuovo in grado di sorridere alla sua bella figlia, la Terra, e vide rocce, acqua ed aria.

I solidi, i liquidi ed i gas, oggi, come ieri, come milioni di anni fa, obbediscono alle leggi di Dio, nello stesso modo. La Terra gira intorno su se stessa e intorno al Sole. E oggi, come milioni di anni fa, la Terra e tutti gli elementi ed i composti che la formano, assolvono i loro compiti e sussurrano con una sola voce: ‘Signore, sia fatta la tua volontà; noi ti obbediamo”.

LA PRIMA GRANDE LEZIONE MONTESSORI

La nascita dell’Universo

terza versione

La prima grande lezione Montessori
Materiale:

– Disponete su un lungo tappeto i seguenti oggetti, in questo ordine:

un palloncino nero gonfiato e riempito con brillantini o coriandoli, e uno spillo

del ghiaccio su un vassoio

una bella grande candela, e i fiammiferi

un vassoio per la DIMOSTRAZIONE 1 contenente: pezzi di carta in un contenitore (si possono anche raccogliere i coriandoli del palloncino, dopo che è stato scoppiato, come alternativa), una brocca piena d’acqua e una ciotola possibilmente lunga e rettangolare

una ciotola con della sabbia

un mappamondo

un metro

un vassoio per la DIMOSTRAZIONE 2 contenente: un bicchere trasparente riempito con acqua colorata di blu, una ciotola di miele e una d’olio e una brocca o un bicchiere più grande per mescolarli

un vassoio contenente i frammenti grandi e piccoli di un sasso rotto

un vassoio per la DIMOSTRAZIONE 3 contenente: una brocca d’acqua e una ciotola di perle o biglie

uno spray (profumo o deodorante)

un vulcano, coperto molto bene con un panno nero, già riempito con bicarbonato di sodio e colorante in polvere rosso, e una brocca piena di aceto mescolato ad un po’ di sapone per piatti:

La prima grande lezione Montessori – Carte illustrate
da tenere a portata di mano su di un vassoio, o da inserire secondo lo schema della narrazione tra gli oggetti messi sul tappeto, voltate, da mostrare durante la narrazione.

  1. Immagine di un Universo Primordiale 1
  2. Immagine di un Universo Primordiale 2
  3. Immagine di galassie con stelle scintillanti
  4. Tavola periodica degli elementi
  5. Immagine di una Supernova
  6. Immagine della materia che fuoriesce da una Supernova
  7. Immagine del Sole
  8. Immagine che mostra la differenza di dimensioni tra Sole e Terra
  9. Immagine di Protopianeti
  10. Immagine di Pianeti
  11. Immagine del Sole
  12. Immagine del Sistema Solare
  13. Immagine di un vulcano
  14. Immagine della Terra formata da vulcani ed acqua
  15. Una bella immagine della Terra.

La prima grande lezione Montessori
il set completo qui:

La prima grande lezione Montessori – Istruzioni per le dimostrazioni

La prima grande lezione Montessori – DIMOSTRAZIONE 1 (forza di attrazione): riempire la ciotola con l’acqua, attendere che si fermi, quindi sparpagliare i pezzetti di carta sulla superficie dell’acqua ed osservare.

La prima grande lezione Montessori – DIMOSTRAZIONE 2 (il peso dei liquidi): ho qui 3 liquidi di peso diverso. Verso l’acqua colorata, poi il miele e vedo come scende sul fondo. Verso l’olio e lo vedo galleggiare. Questa è la forza fisica che esercita il peso. Posso agitare questa miscela, e prima della fine della giornata si sarà sistemata di nuovo con la più pesante in basso e il più leggero in alto. I liquidi si distribuiscono a strati in base al loro peso.

altra versione dell’esperimento qui:

  • DIMOSTRAZIONE 3 (Modello di liquido): versare le biglie nel vaso e scuoterlo per far scivolare le sfere le une sulle altre e osservare

La prima grande lezione Montessori – Preparazione della stanza

Se ne avete la possibilità, chiedete un aiuto per portare i bambini a fare una passeggiata di una ventina di minuti all’aperto (non gioco libero in giardino), mentre voi vi dedicate alla preparazione del materiale sul tappeto. Potete, per aumentare il senso di stupore e mistero, tenere la stanza in leggera penombra e scegliere una musica di sottofondo (ad esempio concerti per arpa). Per facilitare l’esperienza del buio, quando serve, potete chiudere le tapparelle della stanza e tenere accesa una lampada, da spegnere e riaccendere con comodità.

La prima grande lezione Montessori – La nascita dell’Universo

C’era solo grande spazio che non ha avuto inizio e senza fine. Tutto era buio; così buio che la nostra notte più buia sembrerebbe come il sole brillante. Era così freddo che il ghiaccio sembra calda.

Che cosa avete visto durante la vostra passeggiata? (I bambini risponderanno: alberi, la luce del sole, l’erba, gli uccelli, ecc… lasciate che partecipino il più possibile). E di notte invece cosa si vede? (le stelle, la luna, il buio, ecc…)

Questa è la storia di come tutto è venuto ad essere. (Prendo tra le mani il palloncino nero e lo muovo lentamente avanti e indietro mentre parlo).  Ebbene, in principio non c’era nulla. Non c’erano persone, non c’erano città, né animali, né uccelli, né insetti; la Terra stessa non esisteva.  Non c’era niente. Non c’erano le acque a riempire i mari, gli alberi a riempire le foreste, l’aria a riempire il cielo. Non c’era la Terra, non c’era il Sole, non c’erano le stelle e non c’era la Via Lattea. (poso il palloncino). C’era solo un grande spazio che non aveva inizio né fine. Tutto era buio, così buio che la nostra notte più buia apparirebbe al confronto un sole brillante. Ed era freddo, così freddo che al confronto il ghiaccio sembrava il fuoco di un caminetto. (Per dar vita a questa immagine di buio e freddo assoluti  possiamo far buio nella stanza, e far toccare in silenzio un pezzo di ghiaccio). (Senza riaccendere la luce)Pensate che gran freddo doveva esserci, in questo buio nulla, se il ghiaccio misura – 40°m mentre quel freddo si aggirava sui -273°… Ma forse qualcosa c’era: un respiro sospeso di attesa, come quando aspettiamo che un racconto cominci, o come quando prepariamo una sorpresa per qualcuno, e non vediamo l’ora di farla. C’era la sensazione che qualcosa stesse per accadere… questa era la cosa singolare.  (Accendere la candela) Aprite gli occhi… così è nato il nostro Universo. Prima non c’era niente ed era molto freddo, poi c’era tutto ed era molto caldo. C’era la luce, per la prima volta.

Improvvisamente, in un attimo di grande energia, una forza ha portato in essere l’intero Universo. In questo momento sono apparse le particelle di luce e materia. (prendere tra le mani il palloncino e forarlo con un gesto improvviso con lo spillo).

Infatti questa candela rappresenta la prima luce che proveniva da particelle di materia (protoni, neutroni, elettroni e antiparticelle) che scontrandosi tra loro generavano particelle di luce (fotoni).(accendere la luce)

La nostra storia iniziò proprio allora. Con questo Universo molto piccolo e molto caldo. (mostrare ai bambini la carta 1- universo primordiale 1)

In questo universo primordiale le particelle si muovevano nel caos all’impazzata, urtandosi l’una con l’altra. Erano libere e selvagge e non obbedivano ad alcuna legge. Quando si scontravano, si annientavano a vicenda con uno scoppio di energia chiamato luce. Questa l’immagine di ciò che probabilmente doveva essere l’Universo primordiale: nuvole di materia, attraversata da lampi di luce. (mostrare ai bambini la carta 2- universo primordiale 2)

Il nostro Universo rischiava di sparire più rapidamente di come era apparso, se nel frattempo non si fosse raffreddato a contatto col gelido vuoto. Appena cominciò a raffreddarsi, le particelle iniziarono a rispondere alle leggi della materia. Una forza cominciò ad unire le particelle tra loro, e protoni, neutroni ed elettroni , unendosi , formarono atomi di idrogeno e di elio. Questi elementi avrebbero presto trasformato il primo caotico universo. Infatti, le particelle unite in atomi smisero di scontrarsi tra di loro e non generarono più i fotoni. L’Universo divenne buio e calmo. Erano passati cinque miliardi di anni. (spegnere la candela)

Nei 5 miliardi di anni successivi, alcune particelle hanno continuato a unirsi, mentre altre hanno sviluppato la capacità di resistere alla forza. (Esperimento della carta nell’acqua: versare l’acqua nella ciotola rettangolare, aggiungere i pezzi tagliati di carta lentamente e guardare come, senza muovere la ciotola o soffiare,  alcuni pezzetti si incontrano rispondendo alla forza di attrazione, mentre altri si respingono per forza contraria).

Tutto si rimise in movimento. Quando l’Universo si generò, non era un qualcosa di liscio come un pallone; era piuttosto simile ad come la coperta o ad un lenzuolo sul letto spiegazzato. Le particelle di materia cominciarono a farsi attirare da queste varie rughe, e in corrispondenza di esse di formarono delle nubi, da cui si sono generate le prime galassie. Nelle galassie, c’erano zone che catturavano tantissime particelle, e queste particelle, una volta catturate, cominciavano a girare una intorno all’altra. Così la temperatura tornò a salire, finchè non ci fu una nuova grandissima esplosione di luce, proprio come avvenne la prima volta, e così nacquero le prime stelle. (Riaccendere la candela). L’Universo ha cominciato a brillare in tutto se stesso, e cento miliardi di galassie hanno riempito il suo spazio. Erano trascorsi un miliardo di anni. (Mostrare ai bambini la carta 3: galassie con stelle scintillanti)

Le prime galassie, le galassie ellittiche, sono la più antiche dell’Universo. Vennero poi le galassie a spirale. Queste nubi di gas hanno stelle che continuano a nascere anche oggi, e sono molto speciali. Ci sono oltre un miliardo di galassie nell’universo, e solo un centinaio di milioni di queste sono a spirale.

Una galassia molto particolare è poi la Via Lattea. Quando guardiamo il cielo vediamo milioni di stelle, ma tutte appartengono soltanto alla nosta galassia, la Via Lattea appunto. Però anche le stelle della nostra Galassia non sono vicine, anzi, sono così distanti che la luce di alcune di esse impiega milioni di anni per raggiungerci. E ci sono così tante stelle nella nostra galassia che gli scienziati hanno calcolato che se ogni stella fosse un granello di sabbia, e se le mettessimo tutte insieme, il loro numero sarebbe superiore al numero di granelli di sabbia di tutte le spiagge del nostro pianeta messe insieme. (mettiamo un po ‘di sabbia su un dito e cerchiamo di contare quante stelle sarebbero).

Quando la nostra galassia si formò, conteneva una stella molto speciale. Era un’enorme stella che si preparava a trasformarsi.

Una stella è come una fabbrica che lavora per trasformare tutto l’idrogeno che contiene in elio:  la luce che vediamo è formata dai fotoni di luce che si sprigionano all’interno della stella a causa di questo lavoro. Quando tutto l’idrogeno è trasformato in elio, la stella si espande verso l’esterno. Questa espansione produce molto calore e dà alla stella l’energia che serve per trasformare l’elio in carbonio, e durante questo lavoro la stella brilla di una luce ancora più intensa. Quando poi tutto l’elio si è trasformato in carbonio, la stella si espande un’altra volta, e acquista l’energia che le serve per permettere al carbonio di formare l’ossigeno.  E così via, seguendo lo stesso processo si formeranno tutti gli altri elementi, fino al neon, al sodio, al magnesio, all’alluminio, al silicio e al ferro. (mostrare ai bambini la carta 4: Tavola periodica degli elementi).

Questo è un grafico che mostra tutti gli elementi presenti ora sulla Terra. Ogni elemento ha avuto origine nelle stelle, ed per questo che gli scienziati dicono che tutto è fatto di polvere di stelle.

Quando, al termine di questo lavoro di costruzione degli elementi, una stella ha consumato tutta la sua energia, si espande per un’ultima volta diventando una Gigante Rossa, e poi esplode: la stella diventa una Supernova.  (mostrare ai bambini la carta 5: una Supernova)

Questa è una foto di una supernova. Tutti gli elementi all’interno della stella vengono sparati nello spazio insieme a grandi quantità di polveri e gas. (mostrare ai bambini la carta 6:  La materia che fuoriesce da una supernova).

Tutti questi materiali che provengono da una supernova prendono il nome di materia interstellare. In seguito la galassia raccoglie di nuovo questa materia interstellare che si unisce fino a far nascere una nuova stella. Ed è proprio così che, quattro miliardi di anni fa, si è formato il nostro Sole. (mostrare ai bambini la carta 7:  il Sole).

Il Sole è solo una stella di media grandezza, eppure è un milione di volte più grande della Terra. (Mostrare ai bambini il mappamondo).

 Ma se è così grande, come mai a noi che lo guardiamo sembra piccolo? (Attendere le risposte dei bambini) Perché è lontanissimo da noi, così lontano che la sua luce impiega 8 minuti per raggiungerci sulla Terra. E pensate che la luce viaggia velocissima: 300.000 chilometri al secondo. Immaginate di che velocità parliamo! La luce viaggia così veloce che può fare 7 volte il giro del mondo in un secondo. Se noi potessimo fare tutto il giro del mondo in automobile, viaggiando a 100 chilometri all’ora, senza mai fermarci a riposare, impiegheremmo 11 giorni e 11 notti per compiere il giro sette volte. E la luce può fare tutto questo in un secondo! (Cerco di muovere la mano in tutto il mondo come gli studenti scattano un secondo.) Potete schioccare le dita e la luce ha già fatto il giro della terra sette volte. (mostro ai bambini il metro).

Ecco perché il sole non ci appare poi così grande: è così lontano che la sua luce impiega 8 minuti per raggiungere noi, e se noi volessimo raggiungere lui, viaggiando al 100 chilometri all’ora, impiegheremmo circa 106 anni. Così il sole, che essendo tanto lontano da noi può apparirci piccolo, in realtà è un milione di volte più grande della Terra: è così grande che una fiamma proveniente dal sole potrebbe contenere 22 Terre. (mostrare ai bambini la carta 8: immagine che mostra la differenza di dimensioni tra Sole e Terra).

Inoltre pensate: se la luce impiega 8 minuti per raggiungerci, questo significa che ogni volta che guardiamo il Sole, stiamo guardando 8 minuti indietro nel passato.

Questo è il motivo per cui il telescopio Hubble può vedere il passato: perché è così potente che le immagini che riceve provengono da un passato lontanissimo. E così possiamo vedere le immagini dei proto pianeti e dei pianeti si sono generati da essi. (mostrare ai bambini la carta 9:  protopianeti e la carta 10: pianeti).

Il nostro sole si è generato 5 miliardi di anni fa, e continuerà a brillare per almeno altri 5 miliardi di anni prima che la sua energia si esaurisca.

Cinquanta milioni di anni fa, come abbiamo visto, a seguito dell’esplosione di una Supernova, nella nostra galassia si è dispersa un’enorme quantità di materiale interstellare, che poi si è concentrato in grumi che si sono via via ingigantiti. Uno di questi grumi sarebbe diventato il nostro Sole. (mostrare ai bambini la carta 11: il Sole).

Quando nacque, questa nube di fuoco era un milione di volte più grande di quello che è oggi, ma non così grande da diventare una Gigante Blu ed esplodere. La sua dimensione era abbastanza grande da garantirgli energia a disposizione per lunghissimo tempo. Intorno al sole, altri grumi più piccoli si erano formati, ed il sole cominciò ad esercitare su di loro la sua forza di attrazione. Tutti questi grumi formati da particelle di materia hanno cominciato a seguire le leggi dello spazio, e hanno cominciato a girare ed a muoversi lungo un percorso fisso. Così sono nati i pianeti del nostro sistema solare, e così anche la perla blu, che doveva diventare la Terra, iniziò il suo viaggio. (mostrare ai bambini la carta 12: il Sistema Solare).

In principio, tutti i pianeti erano gassosi. Gli elementi prima si stringevano l’uno all’altro, raggiungevano temperature elevatissime, e poi si espandevano nello spazio per raffreddarsi. Una volta raffreddati tornavano a contrarsi strigendosi di nuovo verso il centro. E tutto ricominciava daccapo. Questo processio di espansione e contrazione continuò per milioni di anni, fino alla nascita dei pianeti. (mostrare nuovamente ai bambini la carta 9:  protopianeti e la carta 10: pianeti).

Mano a mano, gli elementi più freddi e pesanti affondavano verso il centro, mentre gli elementi più caldi e leggeri vi galleggiavano sopra.

Ma guardiamo un po’ più da vicino la nostra Terra. Quando ha iniziato a formarsi, non si trattava che di gas vorticosi. Appena cominciò il suo moto su se stessa e intorno al Sole, nel gelido spazio, cominciò a raffreddarsi e a diventare più piccola. Le particelle del bordo esterno si freddavano e occupavano meno spazio, e stringendosi si avvicinavano al centro incandescente della Tera.  In questo modo tornavano a scaldarsi, a diventare più leggere e ad occupare più spazio, dirigendosi di nuovo verso il bordo esterno, a contatto con lo spazio gelido. Questa danza è continuata per centinaia di milioni di anni. Infine, le particelle furono abbastanza fredde da stabilizzarsi. Quelle più pesanti affondarono e formarono il nucleo, quelle un po’ più leggere formarono il mantello, e quelle più leggere di tutte rimasero all’esterno, e lentamente formano una crosta.

La prima grande lezione Montessori – DIMOSTRAZIONE 2:

Le leggi fisiche sono molto potenti e tutte le particelle vi obbediscono. Le particelle che formavano la Terra nel corso del suo processo di formazione, avevano assunto tre diversi stati: solido, liquido e gassoso. Così è anche oggi: ogni particella che esiste sulla Terra o è un solido, o un liquido o un gas. Allo stato solido, le particelle si aggrappano così strettamente le une alle altre, che separarle è quasi impossibile. Esse formano un corpo che non modifica la sua forma, a meno che non applichiamo una forza su di esso. Se rompiamo una sostanza solida, i vari pezzi che otteniamo contengono le particelle aggrappate tra loro allo stesso modo in cui lo erano prima. Se ad esempio stacchiamo un frammento da una roccia, sia la roccia sia il frammento saranno di roccia. (Mostrare ai bambini il sasso  spaccato). E questa è la legge che vale per i solidi.

Nello stato liquido, le particelle si tengono insieme, ma non così strettamente. Non hanno forma propria, ma riempiono ogni vuoto che trovano. Esse spingono lateralmente, e verso il basso, ma non verso l’alto. Questo è il motivo per cui siamo in grado di mettere la nostra mano nell’acqua, ma non all’interno di una roccia. (DIMOSTRAZIONE: modello di un liquido con biglie o perle)

Le particelle dei gas non sono del tutto aggrappate le une alle altre e possono sempre muoversi liberamente in tutte le direzioni. (spruzzare il deodorante). Tutte le particelle nello spazio obbediscono a queste leggi. (Aspettiamo che tutti gli odori del gas svaniscano).

La Terra, ora composta da nucleo, mantello e crosta, aveva assunto una forma propria, però i metalli liquidi e incandescenti che si trovavano nel nucleo erano sottoposti a una pressione fortissima.  Questa roccia fusa voleva espandersi, ma la crosta bloccava la sua strada. Così scoppiò! (Versare l’aceto nel vulcano)

Vulcani esplosero su tutta la Terra, e una grande nuvola avvolse tutto il pianeta. (Mostrare ai bambini la carta 13:  vulcano).

Questa nube nascose il Sole, e così la Terra potè di nuovo raffreddarsi. Man mano che questo avveniva, dalla nube gli elementi presero a scendere in forma di pioggia. Quando l’acqua cadeva sulla terra assumeva la forma di vapore, formando sulla Terra le nuvole. Intanto nel pianeta sempre più gas diventavano liquidi, e sempre più liquidi diventavano solidi, così si riformò una crosta rocciosa, che la pioggia incessante potè raggiungere. La Terra, nel raffreddarsi, era diventata molto più piccola e si era fatta rugosa come una vecchia mela lasciata nella credenza: le pieghe erano le montagne, e i solchi gli oceani. Si formarono piscine di acqua, poi stagni, poi laghi, poi immensi oceani. Pioveva e pioveva e pioveva: tempeste immense infuriavano sulla terra, e l’acqua riempì tutte le cavità che incontrava. A volte, però, gli elementi fusi presenti nel nucleo, sotto la crosta terrestre, continuavano a esplodere in superficie. (mostrare ai bambini la carta 14: la Terra formata da vulcani ed acqua). 

Quando la nube scura si dileguò, il Sole fu di nuovo in grado di irraggiare la Terra, e vide rocce, acqua ed aria. Tutto era bello e il pianeta era pronto ad accogliere la vita, ma di questo parleremo un altro giorno. (mostrare ai bambini la carta 15: una bella immagine della Terra).

(Lasciare i vassoi per gli esperimenti a disposizione dei bambini, per tutto il tempo in cui vediamo che suscitano il loro interesse).

LA PRIMA GRANDE LEZIONE MONTESSORI

La nascita dell’Universo: testo per recita

(adattamento dalla poesia “La storia della Terra” di Vera Edelstadl)

Costumi e oggetti di scena:

– sfere di gas: piatti di carta con le fiamme di carta crespa arricciata o nastri. Su questi piatti scriviamo in alto in alcuni “granito” e in alcuni “ferro”, in modo che quando i bambini si inginocchiano le parole siano visibili.
– Vulcani: si possono fare con coni dai quali spuntano le stelle filanti sollevando una bacchetta.
– Sole: una torcia inserita in un sole di cartoncino.
– Vapore: ghiaccio secco o una pentolino termico di acqua bollente. (Il bambino prima si siede e poi lo apre).
– Meteore: palline di carta stropicciata.
– Luna: un’immagine della luna.
– Pioggia: un foglio di carta trasparente o una tovaglia di carta tagliata a listarelle, tenuta da un bambino, o da due bambini che prima entrano e poi la dispiegano insieme dai due lati.
– Nube scura: i bambini si coprono con dei teli scuri, tenendoli davanti a sé con le mani in alto.
– Fulmini: fulmini di cartone.
– Tuono: si può fare coi piatti.
– Primo sfondo: la Terra allo stadio di pianeta gassoso.
– Secondo sfondo: la Terra prima della comparsa della vita.
– Per il finale serve inoltre la linea del tempo della vita o un poster.

Scena 1

Primo bambino: Circa cinque miliardi di anni fa, la Terra e tutti i gli altri pianeti si sono formati. Vorticose sfere di gas incandescente
(entrano i bambini muovendosi e girando sul palco)
iniziarono a girare follemente nello spazio
(entrano le sfere di gas muovendosi vorticosamente tutto intorno).

Secondo bambino: Vortici di metallo e roccia fusa formarono una palla incandescente
(le sfere di gas  girando si portano al centro della scena e formano una sfera)
Che prese a girare insieme ai gas
(le sfere di gas girano in cerchio)
poi si stabilono nella loro forma definitiva
(le sfere di gas si inginocchiano formando una linea e tenendo la testa bassa)

Terzo bambino: Il granito galleggiò in lato, il ferro sprofondò nel nucleo
(i bambini granito si alzano, i bambini ferro rimangono inginocchiati)
Infine, il granito si raffreddò fino a formare una solida crosta di pietra.

Scena 2

Primo bambino (entrano i vulcani): I vulcani eruttaroro, lanciando pugnali fiammeggianti;
(i vulcani zampillano)
Il Sole gettò i suoi raggi cocenti
(entra il sole)
La Terra bruciava con ardente calore; l’acqua evaporò tornando ad essere un gas
(entra il vapore)

Secondo bambino: Le meteore cominciarono a piovere dal cielo; privo di atmosfera
(le meteore vengono gettate contro lo sfondo)
Una delle più grandi può aver contribuito a formare la Luna che circonda la Terra oggi
(entra un bambino con l’immagine della Luna)

Scena 3

Primo bambino: La Terra si era raffreddata abbastanza da permettere alla pioggia di cadere.
(entra la pioggia)
Nubi nere avvolsero la Terra, che sprofondò nelle tenebre
(entrano i bambini coi panni scuri e coprono lo sfondo)
I fulmini aprivano fessure frastagliate squarciando la nube
(si lanciano i fulmini e si fa il rumore dei  tuoni)
(si fa calare il secondo sfondo)
Non c’era nessuna vita sulla Terra: solo  acqua e nuda crosta, e nient’altro.
(i bambini indicano lo sfondo)
Poi un giorno le piogge si fermarono
(i bambini nube escono)
La nube scura scomparve e la luce potè di nuovo splendere.
(entra il Sole, brilla, poi se ne va)

Scena 4

Primo bambino: Ancora non c’era vita sulla Terra; solo la crosta rocciosa e oceani inquieti
Ma negli oceani, le condizioni per accoglierla era pronte, e l’Adeano stava per finire.
Ma questa è un’altra storia…
(due bambini distendono il poster della comparsa della vita)

Secondo bambino: Grazie per essere venuti. Speriamo che il nostro spettacolo vi sia piaciuto.

La prima grande lezione Montessori

SPUNTI DI LAVORO PER I GIORNI SEGUENTI

Con brevi lezioni chiave, aperte, diamo una certa quantità di informazioni sugli argomenti toccati e su altri ad essi connessi. Per acquisire il vocabolario tecnico specifico e sperimentare i concetti presentiamo i materiali e i set di carte tematiche.

Quando i bambini hanno acquisito le conoscenze di base, possiamo chiamarli in cerchio, mettere sul tappeto davanti a loro una grande quantità di libri e materiali, e parlare loro della ricerca. Spieghiamo che una delle attività più emozionanti della scuola elementare è la ricerca. “Ricerca” significa che un bambino sceglie un argomento, legge un libro o due su di esso, e prende appunti su quello che secondo lui è importante. Dopo che il bambino ha scoperto tutto quello che può me lo dice.  Anche le ricerche al computer sono un ottimo lavoro.

Prendiamo poi un libro e ne leggiamo un paragrafo. Lo chiudiamo e chiediamo ai bambini cos’era importante in quello che abbiamo letto. Il libro non dovrebbe essere ne troppo semplice ne troppo difficile da riassumere. Scriviamo un semplice riassunto insieme, quindi chiediamo ai bambini più grandi di scegliere un argomento per il giorno, mentre per i più piccoli predisponiamo noi un argomento, che i bambini svolgeranno in gruppo col nostro aiuto.

Il primo argomento di ricerca per i più grandi può ad esempio essere il Sistema Solare, che è abbastanza ampio da risultare vario e stimolante per tutti.  Le ricerche possono comprendere anche materiale stampato dal web, che spesso i bambini portano da casa. In queste occasioni, soprattutto se le pagine sono molte, diciamo ai bambini di sottolineare le parti più interessanti con un evidenziatore, invece di prendere appunti. Possiamo anche fornire ai bambini una scheda o un piccolo libretto che contiene delle domande guida.

Al termine di ogni ricerca, quando tutti hanno più o meno finito di copiare o riassumere le informazioni trovate, ci sediamo in cerchio. Leggiamo le domande ad alta voce, e chiediamo se ci sono dei volontari, così i bambini leggono quello che hanno scritto. Poi parliamo di ciò che ognuno di loro ha trovato. Possiamo chiedere se qualcuno ha trovato qualcosa di particolarmente eccitante (di solito i bambini hanno con sé i libri scelti). Questa è un’occasione per parlare di quello che hanno scoperto, di ciò che attira il loro interesse, e ci aiuta ad espandere il loro studio in quella direzione.

LA PRIMA GRANDE LEZIONE MONTESSORI

La nascita dell’Universo

Lezioni chiave, da presentare per avviare i lavori di ricerca

  1. Le rocce (possiamo anche scegliere di parlare solo delle rocce ignee, rimandando la trattazione delle rocce sedimentarie alla seconda grande lezione, aggiungendo le roccia metamorfiche e il ciclo delle rocce)
  2. La composizione della Terra
  3. Formazione degli Oceani
  4. Formazione delle montagne
  5. La luna
  6. La composizione degli altri pianeti
  7. Linea del tempo della nascita dell’Universo
  8. Mitologie della creazione, letture e riassunti in classe
  9. I viaggi spaziali
  10. Mappe dei vulcani esistenti (anello di fuoco)
  11. Come i continenti si sono spostati nel tempo
  12. Lettura di racconti su Pompei (o altre storie di eruzioni), che porti alla composizione di racconti da leggere alla classe
  13. Mitologia relativa ai vulcani da leggere in classe (Pele, i miti delle Hawaii, ecc…)
  14. Corda del sistema solare
  15. Le orbite
  16. Dimensioni dei Pianeti e distanza dal Sole
  17. Preparare un grafico per ogni pianeta e uno complessivo: rotazione del pianeta su se stesso, dimensioni, numero di lune, tempo di rotazione intorno al sole, distanza dal sole, peso
  18. La terra e il cielo
  19. Il ciclo vitale delle stelle
  20. Racconti sui nomi delle stelle

LA PRIMA GRANDE LEZIONE MONTESSORI

La nascita dell’Universo

CARTE TEMATICHE, di prossima pubblicazione

Set di carte tematiche per il linguaggio

  1. Set sui vulcani
  2. Set sulle rocce (il ciclo delle rocce e classificazione)
  3. Set sull’acqua
  4. Set sulla Luna
  5. Set sulla Terra
  6. Set sul Sole e le stelle
  7. Set sugli elementi chimici
    Set sulla tettonica a placche
    Set sulle esplorazioni spaziali
    Set sull’Universo
    Set sui pianeti

Set di carte per esperimenti scientifici

1. Esperimenti su attrazione e gravità

2. Esperimenti sui tre stati della materia

Set di carte per lavori artistici e manuali

Set di carte questionario per le ricerche

La prima grande lezione Montessori

Educazione cosmica Montessori

Educazione cosmica Montessori – Le cinque grandi lezioni che stanno alla base dell’educazione cosmica montessoriana vengono tradizionalmente presentate nella scuola primaria, dalla prima alla terza classe.

Diversamente da quanto avveniva nella scuola materna, quando si presentava al bambino una piccola idea che gradualmente evolveva nella costruzione di un grande concetto, ora partiamo dal più grande dei concetti per mostrare come tutte le idee si inseriscono in un gigantesco disegno.

Queste cinque lezioni sono:

  • Prima grande lezione: nascita dell’Universo e della Terra
  • Seconda grande lezione: la comparsa degli esseri viventi
  • Terza grande lezione: la comparsa degli esseri umani
  • Quarta grande lezione: la storia della scrittura
  • Quinta grande lezione: la storia dei numeri

Educazione cosmica Montessori
Prima grande lezione: nascita dell’Universo e della Terra

Il primo giorno di scuola i bambini ascoltano la prima fiaba cosmica sulle origini dell’Universo. Poi il complesso svolgersi della grande lezione prosegue con dimostrazioni, ricerche, esperienti, attività artistiche e manuali, toccando nel corso dell’anno varie materie ed argomenti:

  • Astronomia: sistema solare, stelle, galassie, comete, costellazioni
  • Metereologia: vento, correnti, tempo atmosferico, erosione, ciclo dell’acqua,
  • Chimica: stati della materia, miscele e composti, reazioni, elementi, atomi, tavola periodica, molecole, formule chimiche, equazioni, laboratori,
  • Fisica: magnetismo, elettricità, gravità, energia, luce, suono, calore, attrito, moto, esperimenti
  • Geologia: tipi di roccia, minerali, ambienti terrestri, vulcani, terremoti, placche tettoniche, ere glaciali, ere geologiche
  • Geografia:mappe, globo terrestre, latitudine e longitudine, clima, terre emerse e oceani, continenti e Paesi.

La fiaba cosmica originale di Maria Montessori includeva elementi religiosi, e per questo oggi se ne elaborano delle varianti più adatte ai gruppi multiculturali che vivono la scuola.

Educazione cosmica Montessori
Seconda grande lezione: comparsa della vita

La seconda grande lezione tratta dell’origine della vita. La lezione porta alla costruzione della Linea del tempo della vita:

un lungo cartellone con immagini e didascalie su microorganismi, piante ed animali che sono vissuti e vivono sulla terra. Si enfatizza la grande diversità delle forme viventi, e l’importanza del contributo di ognuna per il mantenimento della vita del pianeta. Questa lezione coinvolge nel tempo queste materie:

  • Biologia: cellule, organismi pluricellulari, regni della natura, campioni, dissezioni, osservazioni, uso del microscopio
  • Botanica: studio delle piante, classificazioni, funzione, parti delle piante (seme, fiore, frutto, foglie, tronco, radice), tipi di piante
  • Ambienti naturali: localizzazione, caratteristiche, catena alimentare, simbiosi, adattamento all’ambiente, ecosistemi, conservazione
  • Vita antica: ere geologiche, evoluzione della specie, estinzione, fossili, scavi archeologici
  • Animali: classificazioni, bisogni, similitudini e differenze, nutrizione, igiene,
  • Regni delle monere, dei protisti e dei funghi: cosa sono, classificazione, osservazione

Educazione cosmica Montessori
Terza grande lezione: la comparsa dell’uomo

Questa lezione porta alla costruzione di una linea del tempo che evidenzia le tre grandi caratteristiche che rendono la nostra specie così importante: una mente immaginativa, una mano che sa compiere un lavoro, un cuore che sa amare.

Questa lezione evolve nello studio di queste materie:

  • Storia: linee del tempo, preistoria, civiltà antiche, storia mondiale, storia di Continenti e Paesi specifici
  • Cultura: arte, artisti, musica, compositori, danza, teatro, architettura, design, filosofia, religioni, buone maniere e gentilezza.
  • Studi sociali: attualità, politica, economia, commercio, volontariato
  • Invenzioni e scoperte scientifiche: scienziati, inventori, metodo scientifico, invenzioni, macchine semplici.

Educazione cosmica Montessori
Quarta grande lezione: la storia della scrittura

E’ anche chiamata la storia della comunicazione attraverso i segni. La lezione tratta dello sviluppo delle scritture nel mondo: pittogrammi, simboli, geroglifici, alfabeti antichi, invenzione della stampa, ecc…

La lezione porta allo studio di queste materie:

  • Lettura: letteratura, poesia, saggistica, mitologia e fiabe popolari, autori, comprensione dei testi, analisi logica e del periodo, analisi del testo letterario
  • Scrittura: stile, funzione, voce, composizione, scrivere lettere, scrivere ricerche, abilità di studio
  • Linguaggio: origine delle lingue, lingue straniere, storia delle lingue, conferenze, recite
  • Strutture linguistiche: alfabeti, costruzione di libri, grammatica, punteggiatura, analisi della frase semplice e complessa, studio della parola, figure retoriche.

Educazione cosmica Montessori
Quinta grande lezione: la storia dei numeri

E’ anche chiamata storia della matematica. La lezione comincia con le civiltà antiche, che spesso avevano solo uno, due, e più di due e questo rappresentava tutto il loro sistema numerico. Si prosegue con una visione dei diversi sistemi di numerazione attraverso i secoli, che culminarono nello sviluppo del sistema decimale che usiamo anche oggi.

Questa lezione porta allo studio di queste materie

  • Matematica: operazioni, frazioni, decimali, multipli, quadrati, cubi, percentuali, calcolo delle probabilità, introduzione all’algebra
  • Numberi: origine dei numeri e dei sistemi nmerici, basi, tipi di numeri, notazione scientifica, biografie di grandi matematici
  • Geometria: congruenza, similitudini, nomenclature di linee, angoli, forme piane, figure geometriche, misurazioni, teoremi
  • Applicazioni: problemi, misurazioni, stime, grafici, schemi, concetti monetari.

Queste cinque storie introducono una quantità enorme di informazioni. Dopo ogni storia si aprono gli studi di molte materie ed argomenti. Le storie possono essere ricordate più volte durante l’anno, quando si introduce un nuovo argomento, per dare unità e coesione alla grande varietà di argomenti trattati.

L’educazione cosmica Montessori rappresenta la risposta al “periodo sensitivo della cultura” proprio del bambino della scuola elementare e gli permette di assistere al grandioso spettacolo dell’evoluzione naturale e umana.

Questo insegnamento sviluppa nei bambini il sentimento cosmico di unità e interdipendenza, e struttura il carattere di una personalità allargata, decentrata, responsabile, pacifica, morale.

Con l’educazione cosmica i saperi e le discipline sono al servizio della conoscenza del tutto e la scuola diventa officina di conoscenza cosmica.

Educazione cosmica Montessori

Nella visione di Maria Montessori ogni essere umano attraversa varie fasi di sviluppo (piani di crescita) dalla nascita all’età adulta.  I piani di crescita sono così suddivisi:

1°piano di crescita:
fase I: o – 2 anni
fase II: 3 – 5 anni
fase III: 6 -7 anni

2° piano di crescita: 8 – 12 anni

3° piano di crescita: 13 – 18 anni.

Maria Montessori elaborò la sua Teoria Cosmica come risposta agli interessi dei bambini che entrano nella scuola elementare (secondo piano di crescita). In questo periodo, infatti, il bambino sente il bisogno di allargare il proprio campo d’azione, diventa via via insofferente verso l’ambiente chiuso della famiglia e ha bisogno di rapporti sociali più ampi. Ha costruito il linguaggio ed esaurito il tempo della scoperta sensoriale e motoria, anche se l’azione inconscia domina ancora fino ai 7 anni. Esprime curiosità e domande del tutto nuove: “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”. Entrato lentamente nella realtà, ha acquisito una maggiore capacità di astrazione ed è in grado di mettere in relazione cause ed effetti. Si pone problemi etici e morali, esige giustizia nei rapporti con gli altri, vuole capire i fenomeni naturali: i perché del sole e della luna, dei terremoti e dei vulcani, delle piante e degli animali, del mare e dei fiumi…

Poiché Maria Montessori aveva una solida preparazione matematica e biologica, questo le permise di trovare modi di aprire ai bambini entrambi questi settori della conoscenza umana, non in modo nozionistico mnemonico, ma proponendo “astrazioni materializzate” in una cornice di ampio respiro, più tardi definita come Teoria Cosmica.

Via via mise a fuoco la complessa visione dei rapporti tra sole, viventi e atmosfera, tra clima e eventi terrestri, tra correnti marine e vulcani attivi e molto altro ancora, tutti fenomeni che mantengono sul pianeta un’armonica rete di equilibri in cui ogni specie svolge, attraverso ogni suo individuo, un proprio “compito”.

È questa la prospettiva che volle offrire ai bambini: tradurre in termini per loro leggibili le meraviglie dell’universo e del nostro pianeta, per aiutarli ad immaginare perché è qui che si svolge la loro vita ed è l’universo che può fornire risposte alle loro domande più profonde.

Educazione cosmica Montessori

L’educazione cosmica Montessori non è una disciplina o un insieme di nozioni, ma rappresenta il filo teorico e operativo che attraversa e coordina i vari materiali in una struttura unitaria. Non è un nuovo approccio alle materie scolastiche, ma un piano di sviluppo per ogni fase di crescita. È un modo di rapportarsi del bambino verso l’universo e verso l’umanità che gli permetterà di fatto di creare connessioni e sviluppare le sue potenzialità. Creare connessioni significa utilizzare più di un canale sensoriale. Non bisogna dare solo il concetto astratto, ma farlo arrivare attraverso le mani, i colori, l’ambiente, le emozioni. Queste vie creeranno agganci sensoriali ed emotivi che aiuteranno ad apprendere nuove idee, nuovi concetti… Connettere non vuol dire uniformare: ogni disciplina ha il suo linguaggio e i suoi modi di procedere, nelle scuole Montessori i materiali messi a disposizione dei bambini li unificano sia perché costituiscono un sistema coerente con precisi richiami sensoriali, sia perché organizzati entro la cornice concettuale del Piano Cosmico.

Maria Montessori parla di questi temi principalmente in due testi: Dall’Infanzia all’Adolescenza e Come educare il potenziale umano. Già nel primo aveva preso in esame, oltre ai nuovi comportamenti che emergono a questa età, il suo strumento più potente: l’immaginazione.  Base stessa dello spirito, ha però bisogno di essere costruita e organizzata. Nel secondo testo riparte dalla metamorfosi dell’essere umano dalla prima alla seconda infanzia e torna sul tema dell’immaginazione. Prospetta di dare ai bambini una descrizione della Terra con i suoi tre involucri solido, liquido e gassoso e il suo quarto involucro , cioè la vita che occupa tutta l’atmosfera esterna e penetra i tre involucri stessi. Qualche volta viene chiamata “biosfera” o sfera della vita, ed è  parte integrante della Terra come la pelliccia lo è  di un animale.

Il termine biosfera (sfera dei viventi che avvolge la “geosfera) fu coniato nel 1885 dal geologo austriaco Eduard Suess. Quella che Maria Montessori chiamò educazione cosmica è, nella sua proposta concreta, l’incontro tra realtà della biosfera e le osservazioni di Darwin sull’evoluzione delle specie. È questo che propone ai bambini dopo i sette anni tramite i tanti fenomeni evolutivi che, a partire dal cosmo (formazione del sistema solare), arrivano alla storia dei viventi.

In concreto c’è un doppio binario: il bambino parte dalla storia personale o dalla vicenda di una pianta o di un piccolo animale realizzate su una striscia che indica il trascorrere dei mesi o degli anni, secondo una data unità di misura e riporta con scritti e disegni eventi di quella stessa vita. In parallelo, facendo leva sull’immaginazione, esplora la “striscia della vita”. Questa tocca, in senso darwiniano, le specie esistite dai trilobiti ai dinosauri fino alla specie umana. In tempi a seguire ci sono altre strisce che mettono in luce gli eventi della preistoria e successivamente la storia vera e propria dall’Homo abilis all’epoca presente, con scoperte e invenzioni, adattamenti ambientali della casa, degli abiti, dei mezzi di trasporto, fino al desiderio di ornare e ornarsi, i tentativi di comprendere il vivere e il morire, ma anche la lotta per il potere sempre presente nei secoli contro la libertà di pensiero e regole giuste  e condivise.

Dunque ampie conoscenze da un lato e dall’altro indipendenza di pensiero e di azione in un clima di buone relazioni tra adulti e ragazzi, capacità critica e allenamento a dire sempre che cosa si pensa, non avendo sviluppato il timore del giudizio altrui. Potremmo definirla una via laica di pace.

La biosfera offre un panorama straordinario con la varietà degli habitat e delle specie. Un miracolo la vita, potente e fragile al tempo stesso, che va offerto ai bambini come un libro aperto, da esplorare e da rispettare in tutte le sue relazioni. Partiamo dall’osservazione diretta dei fenomeni naturali, del clima come dello sviluppo di germogli; andare in esterno a scoprire come ovunque ci siano tracce di viventi. I ragazzini dovrebbero il più possibile uscire dalla scuola e andare alla scoperta della vita verde che hanno intorno a loro e che non vedono. Così possiamo dire che l’educazione cosmica comincia dalla prima infanzia.  Nella seconda infanzia l’interesse per catalogare può portare alla classificazione dei viventi e insieme alla individuazione delle singole piante. La diversità delle specie non è tanto espressione di folgorante bellezza, di cui peraltro usufruiscono solo gli umani grazie al loro prodigioso sistema nervoso, quanto strumento di salute globale del pianeta.

Educazione cosmica Montessori

Gli esperimenti possono riguardare anche fenomeni più ampi: constatare che l’acqua scende sempre dall’alto verso il basso, che il ghiaccio galleggia sciogliendosi più velocemente se fa caldo e che può anche diventare vapore; il miracolo dei cristalli di neve di cui è impossibile trovare due identici, esattamente come non si trovano due foglie uguali in uno stesso albero… in molti modi, semplici e a costo zero, si possono sperimentare la forza di gravità, i movimenti di Terra, Sole e Luna, la formazione dei cristalli, il depositarsi del carbonato di calcio, la funzione della clorofilla e così la salita di un liquido in una sottilissima provetta/capillare per immaginare come possa nutrirsi anche l’ultima fogliolina in cima a una quercia o a una sequoia. È fantastico osservare come l’immaginazione dei bambini si metta in azione e li spinga in connessioni molto personali tra un fatto visto e un fenomeno avvenuto anche a migliaia di chilometri di distanza.

Quanto agli animali, sempre mal tollerati all’interno delle scuole, possiamo dire che suscitano invece il massimo degli interessi. Possiamo avere in classe una gabbia sempre aperta  da cui una coppia di canarini possa uscire ed entrare, una vaschetta per accogliere una coppia di tartarughine d’acqua che i ragazzini a turno porteranno a casa nei giorni di vacanza. In esterno si può avere un piccolo pollaio per il piacere di nutrire e di raccogliere le uova  o una conigliera se ci sono nelle vicinanze campi per raccogliere erba fresca. Occuparsi di un animale o di una pianta alimenta la vita interiore e insegna molte cose in fatto di attenzione.

Contro lo studio separato delle varie scienze, presentiamo ai bambini il piano cosmico non in modo ideologico salvifico e ancor meno in stile new age, ma con tutta l’apertura mentale che la biologia stessa esige. Un altro errore è quello di intenderla come una sorta di colpevolizzante ecologia: non è sul senso di morte che può crescere l’amore alla vita. Il bambino ha bisogno di cose vere, non virtuali , ricche di fascino e soprattutto positive. Più riusciamo a focalizzare la nostra attenzione sulle meraviglie e sulla realtà dell’universo, tanto  meno avremo gusto nel distruggerle.

Noi non possiamo comprendere un sasso senza capire almeno qualcosa del grande sole, perciò facciamo vedere al bambino come tutto è interconnesso nell’Universo e sulla nostra Terra: storia, evoluzione e cultura. Gli insegniamo che c’è un’interdipendenza fra noi e il mondo naturale che ci circonda, e a guardarsi attorno con un senso di meraviglia.

Si può anche dire che il Piano Cosmico riflette la struttura e il funzionamento della nostra mente. È per questo motivo che Maria Montessori insiste nel ricordarci come la conoscenza sia soprattutto relazione. Non si può dare tutto il sapere all’allievo, perchè la conoscenza umana è sterminata. Bisogna dare al bambino il massimo dei germi d’interesse, l’amore per la conoscenza e la curiosità. Poi, sarà lui che saprà cercare i fatti e i dettagli al momento opportuno.

La cornice concettuale offerta dall’educazione cosmica Montessori rende possibile un apprendimento non lineare, che si muove per piani, in cui il bambino allarga la sua conoscenza attorno a un tema o a un argomento che ha stimolato il suo interesse. Il bambino impara a porsi domande e a fare ricerca ed a creare connessioni.  I collegamenti non solo intellettuali, ma innanzitutto umani, che nascono dal collaborare sullo stesso lavoro, per esempio.

Una nozione, un avvenimento, un’idea devono essere ancorati, cioè collegati e connessi, all’ambiente che sta loro attorno affinché acquisiscano consistenza. Il contesto può addirittura cambiare quello che percepisco e apprendo di un fatto. E poi c’è il contesto creato dall’ambiente preparato delle scuole Montessori. Per esempio, vi siete mai chiesti perché i lavori vengono svolti su di un tappetino? Non solo per comodità e cura dei materiali, ma soprattutto perché lo spazio limitato fornisce un contesto ben preciso in cui utilizzare il materiale scelto. E c’è il contesto dell’attenzione: pensate a quanto costa cambiare contesto mentale a un bambino quando a scuola “finisce l’ora” e ne inizia un’altra.

L’interdipendenza è oggi universalmente riconosciuta come la legge fondamentale che regola l’universo e la vita sulla terra. Occorre offrire al bambino le chiavi di lettura per interpretare le interdipendenze tra gli esseri della natura, per soddisfare la sua naturale sete di conoscenza. Il bambino è il “costruttore dell’uomo” e l’uomo è il costruttore della Supernatura, intesa come protezione e sviluppo della natura. Quindi il bambino costruttore dell’uomo è anche il bambino costruttore del cosmo, perché il cosmo è l’ambiente nel quale l’uomo assolve la sua missione.

Educazione cosmica Montessori

Il rapporto cosmo-bambino comincia dalla nascita. Il bambino piccolo che lancia gli oggetti per terra e si diverte perché fanno rumore, è il bambino che si sta mettendo in contatto con le leggi cosmiche. Giocando con la palla, ad esempio, egli realizza, come li definisce Maria Montessori, piccoli «punti di coscienza»: scopre che rotola, che rimbalza, che cade, che vola e poi cade. Questi punti di coscienza rendono il bambino consapevole che intorno a lui ci sono delle leggi. Il bambino si trova, giorno dopo giorno, di fronte a numerose difficoltà che deve superare. Anche l’uomo ha dovuto vincere queste difficoltà. Infatti, quando l’uomo ha conquistato la stazione eretta si sono liberate le sue mani ed egli ha potuto lavorare. Il bambino realizza questo stesso processo in pochissimo tempo. Questo è il bambino cosmico, perché è il bambino che nasce dalla natura biologica, ma che è al servizio di una natura superiore.

Maria Montessori afferma che il lavoro è la vocazione dell’uomo e questo l’aveva scoperto osservando i bambini. Nel lavoro, invece di trovare la stanchezza, essi trovano riposo e gioia. Il bambino lavora alla costruzione dell’uomo e l’uomo deve aiutare la costruzione del bambino. Maria Maria Montessori afferma che il bambino e l’uomo sono due esseri diversi: il bambino non è ancora l’uomo, l’uomo non è più il bambino, ma l’uno è il costruttore dell’altro. Sono due esseri diversi che hanno funzioni diverse, ma entrambe cosmiche.

L’educazione cosmica Montessori non consiste nel trasmettere la cultura al bambino. E’ molto di più: è far sentire il bambino inserito nel cosmo come essere umano, creatore della Supernatura, cosciente, libero. Tutte le altre creature, al contrario, non sono libere perché vivono seguendo leggi cosmiche, alle quali non possono disobbedire. L’uomo è libero, anche di sbagliare. L’errore è espressione di libero arbitrio, perciò la Dottoressa Montessori ha inserito nella sua metodologia l’errore come uno strumento di progresso. Il bambino può sbagliare, ma l’importante è che si autocorregga.

Maria Montessori afferma che, offrendo al bambino la storia dell’universo, egli può ricostruire con la fantasia qualcosa che è mille volte più stimolante e misterioso di qualsiasi fiaba. Due sono gli elementi sicuramente in grado di affascinarlo: uno è la grandiosità, l’altro è il mistero. Il bambino di questa età è attratto dalle dimensioni e Maria Montessori suggerisce di dare al bambino la grandiosità della vita sul globo, utilizzando i numeri.

Per quanto riguarda il mistero, sarà di aiuto la narrazione dei miti e delle favole cosmiche. Esse servono al bambino, perfettamente cosciente che quello che gli viene narrato non è realtà, per visualizzare e precisare alcuni fenomeni. Nelle favole cosmiche sull’origine dell’universo, del sole e della terra (Il dio senza mani, La danza cosmica, La storia della goccia d’acqua), uno dei primi accorgimenti è quello di far visualizzare, attraverso l’immaginazione, la primordiale assenza di luce. Per dar vita a questo buio assoluto si chiudono le finestre, rimanendo al buio in silenzio. In questo modo il bambino si sente il protagonista della situazione. Poi si fa luce e trova espressione il concetto di principio vitale. In questo buio, ad un certo punto, si percepisce un’incandescente fiammella, capace di contenere il sistema solare (sole, terra, pianeti) e l’universo intero. È necessario, inoltre, che i bambini avvertano un’altra sensazione: il grande freddo, la primordiale glacialità dalla quale era avvolto il globo terrestre. Pertanto, si fa toccare un pezzo di ghiaccio (-40°), e si dice: «Pensate che gran freddo doveva esserci, se la temperatura di allora si aggirava sui –273°!»

Fare educazione cosmica vuol dire mettere in comunicazione i bambini in un contesto di solidarietà spaziale e temporale, che non li farà sentire soli nell’universo, ma parte di un tutto che procede verso un fine, che collabora ad una missione comune.

Ogni forma di vita assolve inconsciamente alla sua funzione e obbedisce alle precise leggi della natura. L’uomo, invece, affida la sua obbedienza alla sua libertà, è cosciente di ciò che fa e pertanto può anche non farlo, perché in lui è presente una natura superiore, lo Spirito. Egli non è legato ad istinti fissi, ma a bisogni di vita spirituale, che lo guidano verso l’elevazione di se stesso, nella e con la natura. Questo progresso si concretizza nella Supernatura. Nel momento in cui essa si costruisce, si compie anche l’evoluzione dell’umanità. Per cui: l’educazione è uno scambio tra la natura umana e la Supernatura. In questo scambio il bambino incontra natura e supernatura, scienze e storia e si rende conto che questo interscambio è il segreto dell’evoluzione cosmica.

Maria Montessori afferma che anche se gli uomini lottano tra di loro, o hanno lottato; anche se hanno fatto delle guerre e si sono schierati in parti opposte le une alle altre, hanno pur sempre tutti lavorato a costruire un mondo che sarà quello della pace. Gli uomini sono migliori di quello che appaiono. Chi lavora non lo fa in rapporto ai propri bisogni, ma in rapporto ai bisogni degli altri. Questa carità cosmica è universale. Essa richiede la dedizione della vita di ciascuno per l’umanità intera; eleva il mondo verso la civiltà, mentre provvede all’esistenza di tutti indistintamente. Qualcuno potrebbe pensare che gli uomini facciano tutto ciò solo per guadagnarsi la vita, ma inconsciamente obbediscono ad un comando inconscio che guida gli avvenimenti e conserva l’esistenza universale.  Se l’uomo elevasse a più alto livello la propria coscienza, potrebbe sentire la bontà e il sacrificio dei propri simili. Questa è la parte emotiva dell’«educazione cosmica».

Occorre rivolgersi al bambino per realizzare la pace. Il bambino è un essere umano nel quale la pace vive in potenza. Maria Montessori afferma che la pace non è un’opera razionale degli uomini, ma un’opera della creazione: le forze che creano il mondo sono le stesse che devono creare la pace. Quando una nuova morale ispirerà alle generazioni future il sentimento dell’amore non più soltanto per la patria, ma per l’umanità intera, la base della fratellanza e della pace sarà costruita.

Quando si coglie l’unità sostanziale del genere umano, al di là delle apparenti diversità, e si comprende il significato del compito cosmico che lega ogni essere vivente a ogni altro, non si può non sentirsi membri di una stessa grande famiglia e cittadini del mondo.

Educazione cosmica Montessori

IL PAESE DI GRAMMATICA racconto e schede didattiche

IL PAESE DI GRAMMATICA racconto e schede didattiche sulle nove parti  del discorso, per bambini della scuola primaria, con simboli grammaticali Montessori.

Ho elaborato questo materiale prendendo spunto da un classico della letteratura americana per l’infanzia usato per presentare le nove parti del discorso: “Grammar Land” di M. L. Nesbitt 1878, adattandolo alla grammatica italiana e modificando gli elementi un po’ troppo datati per i bambini di oggi.

La storia si svolge nell’aula di tribunale del Paese di Grammatica, davanti al Giudice di Grammatica e ai suoi due assistenti, l’avvocato Analisi e il dottor Sintassi. In caso di necessità interviene la Critica, che è la polizia del luogo.  Poiché gli abitanti del paese non riescono a vivere in armonia, vengono convocati uno ad uno, e alle riunioni partecipano anche i bambini della Contea degli Studenti, che offrono quando occorre il loro aiuto.

Ho scelto di completare il racconto inserendo i simboli grammaticali montessoriani, che avevo già presentato qui La psicogrammatica Montessori,

ma il racconto si presta anche ad essere usato in chiave steineriana, presentandone una puntata alla volta ed accompagnando il racconto a disegni alla lavagna, e disegni riassunti ed esercizi sui quaderni. Avevo già preparato racconti di questo genere, ad esempio la Storia di Misbrigo, Preciso e Giulivo.

In questo blog trovate un esempio di lavoro svolto in questo modo (in inglese) Homeschooling Waldorf.

Per quanto riguarda i simboli grammaticali montessoriani, la psicogrammatica Montessori, o filosofia della grammatica, rappresenta un notevole aiuto che possiamo offrire ai bambini per orientarsi nei vari ambiti del linguaggio.
Nella lingua italiana ci sono nove parti del discorso, e nella didattica montessoriana ognuna è rappresentata da un suo simbolo.

I simboli per le nove parti del discorso non sono certo stati scelti a caso. Maria Montessori associò al nome la forma della piramide. Il simbolo grammaticale per il nome è quindi il triangolo nero. La piramide è solida e stabile ed è una costruzione molto antica. Anche i nomi sono solidi e stabili e molto antichi: probabilmente furono le prime parole usate dagli esseri umani, per capirsi fra loro. Il nero rappresenta la materia e il carbone, altro elemento antichissimo.
Al verbo associò l’immagine di una sfera rossa. Il simbolo grammaticale per il verbo è dunque un cerchio rosso. Il rosso simboleggia l’energia, e la sfera e movimento e dinamicità.
Tra nome e verbo inserì le altre sette parti del discorso, i cui simboli dovevano rendere chiara una data relazione o con il verbo, o con il sostantivo.
L’intera parentela tra le parti del discorso nella psicogrammatica montessoriana è legata alla coppia nome/verbo. Il significato psicologico e filosofico di questo approccio alla grammatica è particolarmente chiaro nel racconto inventato da Maria Montessori e raccontato dal figlio Mario durante un convegno a Francoforte nel 1954, per spiegare ai bambini la funzione delle parole (puoi leggere il racconto qui: )


Tornando a considerare le nove parti del discorso nel loro insieme avremo:
famiglia del nome: articolo, aggettivo, nome e pronome. Per il nome si usa una grande piramide nera, per l’aggettivo una piramide media blu, per l’articolo una piccola piramide azzurra e per il pronome una piramide allungata viola. I simboli relativi sono un grande triangolo equilatero nero, un triangolo equilatero medio blu, un triangolo equilatero piccolo azzurro e un triangolo isoscele viola;
famiglia del verbo: avverbio, verbo. La sfera rossa rappresenta il sole, che dà vita, luce e calore. I verbi danno energia alla frase e animano la famiglia del nome. L’avverbio è una sfera arancione più piccola.
I simboli relativi sono un cerchio rosso grande e un cerchio arancione medio.
particelle: preposizioni, congiunzioni, interiezioni. La congiunzione è un piccolo parallelepipedo rosa, che unisce come un trattino due parole o due parti di una frase. Il simbolo relativo è un rettangolo rosa.
La preposizione è un arco verde, che collega come un ponte due oggetti tra di loro. Il simbolo relativo è una mezzaluna verde. L’interiezione è una piramide dorata con una sfera posta sull’apice; somiglia ad una serratura, e ricorda la forma del punto esclamativo.
Nella Casa dei bambini i simboli grammaticali vengono utilizzati per rendere concreto ciò che è astratto, al fine di aiutare il bambino a scoprire la funzione delle parole e classificarle. Questa preparazione indiretta fornisce una base forte, a cui si aggiungono ulteriori scoperte, finché poi, nella scuola primaria, queste conoscenze sfociano nell’analisi grammaticale vera a propria.
Sappiamo tutti quanto sia importante fare una prima buona impressione, e nella didattica Montessori ci sono presentazioni che hanno lo scopo di lasciare nei bambini un’impressione profonda e duratura, accendendo la loro immaginazione.

Le storie per presentare le funzioni delle parole possono essere varie; l’importante è che siano brevi, semplici e memorabili. La Fiaba per le parti del discorso di Maria Montessori, già citata, è particolarmente indicata per i bambini più piccoli, ma si può considerare tranquillamente di proporla anche nella scuola primaria. Si può anche scegliere un racconto più complesso, che si deve svolgere nell’arco di più giorni: Il Paese di Grammatica.
Sia nella scuola d’infanzia, sia nella scuola primaria, l’atmosfera che si crea durante il racconto è importantissima, indipendentemente dal racconto che scegliamo: bisognerebbe parlare ai bambini come se si stesse svelando loro un grande segreto.

Normalmente le parti del discorso vengono presentate, nella scuola primaria, in questo ordine: nome, articolo, aggettivo, congiunzione, preposizione, verbo, e l’avverbio. Nella Casa dei bambini il bambino svolge un lavoro di preparazione allo studio della grammatica vero e proprio, che avverrà nella scuola primaria. Generalmente in prima classe (6 – 7 anni) si studiano approfonditamente:
– nome
– articolo
– aggettivo
– pronome
– verbo
e si prosegue in seconda classe (7 – 8 anni) con:
– modi, tempi e forme verbali
– preposizioni
– avverbi
– congiunzioni
– interiezioni.
Facendo molti esercizi sulla funzione delle parole, già nella scuola d’infanzia il bambino vedrà crescere il proprio interesse per la lingua che parla, e si renderà conto che le parole hanno funzioni speciali e che possono essere classificate in base a queste loro funzioni. Il requisito per la presentazione di questi esercizi, è che il bambino sappia leggere la maggior parte delle parole con facilità. D’altra parte questi esercizi rappresenteranno per lui anche un buon esercizio di lettura.
Poiché il bambino si trova nel periodo sensibile del linguaggio, ogni nuova funzione delle parole che gli viene presentata rappresenta per lui un’interessante nuova scoperta. La maggior parte di questi esercizi non sono individuali, ma prevedono il lavoro in piccoli gruppi. Le attività, oltre ad essere interessanti, sono molto divertenti.

Il racconto presentato di seguito è diviso in un’Introduzione e 15 capitoli. Al termine di ogni capitolo troverete una scheda didattica che contiene i compiti che via via vengono assegnati ai bambini della Contea degli Studenti dal Giudice di Grammatica. Potete scaricare tutte le schede didattiche pronte qui:

UMBRIA dettati ortografici e letture

UMBRIA  dettati ortografici e letture – una raccolta di dettati ortografici e letture sull’Umbria, di autori vari, per la scuola primaria.

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L’Umbria

Questa regione non si affaccia sul mare, ma è attraversata dal Tevere e dai suoi affluenti che la rendono fertile, ricca di pascoli e di boschi. Per questo meritò d’essere chiamata la “verde Umbria”. Essa offre paesaggi dolci e sereni, che ispirarono a San Francesco d’Assisi le belle lodi che egli cantò al creato. Il capoluogo della regione è Perugia, che domina dall’alto di un colle un vasto e pittoresco paesaggio. Vicino al capoluogo sorge Assisi, una cittadina antica e suggestiva, patria di San Francesco.

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Umbria: cartina fisico – politica

I confini: Marche, Toscana, Lazio.

I monti: Appennino Centrale (Umbro – marchigiano).
Le cime più alte: Monte Vettore (m 2478), nei Monti Sibillini; Monte Pennino (m 1570); Monte Subasio (m 1290)
I valichi: Bocca Taabaria (m 1044); Bocca Serriola (m 730); Passo di Scheggia (m 575): Colle di Fossato (m 740)

Le pianure: Valle Tiberina; Conca di Gubbio; Conca di Norcia; Conca di Terni; Valle Umbra.

I fiumi: Tevere. Affluenti di destra: Nestore, Paglia. Affluenti di sinistra: Chiasco con l’affluente Topino e il subaffluente Clitunno; Nera con il suo affluente Velino, che forma la Cascata delle Marmore.

I laghi: Trasimeno (kmq 128, profondità m 6,6); lago di Piediluco.

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Osserviamo la cartina

Lontana dal mare, nel cuore della Penisola, l’Umbria sembra tutta raccogliersi attorno ai suoi verdi colli. Gli Umbri, che la abitarono nell’antichità, le diedero il nome.
Il suo paesaggio dolce e sereno è un alternarsi di campi e di prati che si distendono in brevi pianure; di colline verdi, di oliveti e vigneti, di giogaie appenniniche rivestite di boschi.
Le sue valli sono bagnate dal Tevere e dal Nera; il Lago Trasimeno si stende azzurro nella pianura a ovest di Perugia.
Pellegrini di tutto il mondo giungono ogni giorno ad Assisi, la bianca città di San Francesco, dalle cui torri e dalle cui chiese corre da secoli un messaggio d’amore, un invito alla pace.

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Vita economica

L’agricoltura è l’attività principale della popolazione. Cereali e viti sono coltivati sulle colline e nelle conche pianeggianti; gli olivi allignano nella zona del Lago Trasimeno.
L’allevamento, sui monti ricchi di pascoli, è rivolto in modo particolare agli ovini. Sulle colline sono allevati buoi e suini.

Sono sviluppate le industrie idroelettriche, che utilizzano le abbondanti acque del Tevere e dei suoi affluenti. Si hanno inoltre industrie metallurgiche e siderurgiche a Terni, dolciarie a Perugia. Sono famose le ceramiche di Gubbio.

Le città, ricche di fascino per le loro costruzioni antiche e medioevali, sono meta di numerosi turisti italiani e stranieri.

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Province

Le province dell’Umbria sono due: Perugia e Terni.
Perugia, il capoluogo, è città etrusca che domina da un poggio la Val Tiberina. E’ celebre per i suoi monumenti antichi e medioevali, per l’Università e per le fabbriche di dolciumi e paste alimentari.
Terni, sorge sul fiume Nera, dove questo riceve le acque del Velino, formando la Cascata delle Marmore. Dalla caduta di questa acqua traggono l’energia le importanti industrie siderurgiche della città.

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Per il lavoro di ricerca

L’Umbria è una delle poche regioni d’Italia che non si affacci sul mare; quali sono le altre che hai finora studiato?
Osservando la cartina fisica, come ti appare il territorio dell’Umbria?
Quali sono le più notevoli cime dell’Appennino Umbro?
Le zone pianeggianti dell’Umbria, sono quelle che si estendono lungo il corso di un grande fiume e dei suoi affluenti. Come si chiama questo fiume? Dove nasce e dove sfocia?
Da chi sono formate le cascate delle Marmore?
Come sono le comunicazioni?
La regione è percorsa dall’autostrada del Sole?
Perche sono famose le Fonti del Clitunno?
Che origini ha il lago Trasimeno?
Quali colture sono particolarmente sviluppate in Umbria?
Che cosa sono i tartufi?
L’attività industriale è importante?
Perchè Terni è detta la “città del ferro e del fuoco”?
Quali sono i prodotti dell’artigianato umbro?
Perchè è famosa Sangemini?
Ricerca notizie sulle più importanti località dell’Umbria.
Perchè l’Umbria è detta “Santa”?
Qual è la “città della carta”?
Conosci la leggenda della Verna e la leggenda di Todi?
Dove si gioca la “Giostra della Quintana”?
Ricerca notizie sulle altre manifestazioni folcloristiche e religiose della regione.

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L’Umbria

Quante sono le regioni d’Italia senza neppure un po’ di mare? Una è l’Umbria. In compenso il lago Trasimeno era un lago rispettabile; ma ora è in crisi. Che resta, allora, a questa regione così “sfortunata” per le acque? Una delle più belle cascate, quella delle Marmore. Essa ha pagato il suo tributo al progresso e si è sacrificata per dar luce a chi sa quante case. Ma nei giorni festivi si riposa e il formarsi dell’immensa massa precipite è uno spettacolo emozionante. L’ultima domenica di giugno essa costituisce l’attrazione principale della “Festa delle acque”, ormai caratteristica in Umbria, dove anche le sorgenti minerali sono abbastanza numerose  e rinomate.
E poi che cosa c’è in Umbria? Le tradizioni popolari e religiose: Gubbio con i ceri e gli arceri; Assisi con le memorie e le celebrazioni francescane; Foligno (il “centro d’Italia” come lo chiamano i suoi abitanti) con la giostra della Quintana. E poi le memorie storiche dei più antichi popoli (ad Amelia, mura ciclopiche); degli Umbri (che sul Monteluce di Spoleto avevano la sede di una lega sacra). degli Etruschi, dei Romani, dei Longobardi.
L’Umbria ha, nel capoluogo Perugia, una delle città più armoniose.

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Paesaggi Umbri

L’Umbria è l’unica regione dell’Italia peninsulare che non si affacci, neppure per un breve tratto, sul mare. Si estende nel cuore dell’Appennino, dove la catena devia verso sud e comincia a smagliarsi, dividendosi in una serie di catene interrotte da avvallamenti longitudinali. Accade così che l’Umbria, invasa in pieno dal sistema appenninico, quasi non appaia regione montuosa: le catene sono sottili, intervallate da zone piane, ora ampie ora strette e profonde, mosse da rilievi collinari.

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Umbria verde

La regione è detta “Umbria verde” e il verde che spicca è quello appunto delle valli e delle colline, mentre le linee montuose, di mediocre altezza (generalmente non superano i mille metri), sono rocciose, aride, accidentate, hanno versanti ripidi, opposti per durezza, di muraglie al mareggiare delle colline. Per questi motivi la vita delle popolazioni umbre è concentrata negli avvallamenti e sui lenti dossi collinari.
La montagna umbra torna ad assumere l’aspetto comune al sistema appenninico nella zona sud-orientale della regione, dove hanno radici i rilievi caratteristici del vicino Abruzzo. Qui, la montagna umbra è nuovamente accessibile, più boscosa ed abitabile.
Una delle lunghe conche umbre, la Val Tiberina, è percorsa dall’unico grande fiume della regione (tutti gli altri sono affluenti): il Tevere. Esso ha le sue sorgenti nell’Appennino romagnolo e non è contenuto entro i confini dell’Umbria: ne esce infatti all’estremità meridionale entrando nel Lazio. Per un buon tratto (oltre 200 chilometri) il fiume scorre serpeggiando nella valle, con un regime di acque alquanto irregolare: vi affluiscono numerosi torrenti e fiumiciattoli, i cui apporti variano molto durante l’anno; il Tevere diventa un vero fiume dopo aver ricevuto le acque del Nera, quasi sul confine  laziale. Il Nera, ricco di acque, le cede in parte ad un canale di deviazione che le scarica nel lago di Piediluco. Tali acque ritornano poi al Nera attraverso il Velino che, nel punto di confluenza, genera le cascate delle Marmore, non lontane dalla città di Terni.
un altro avvallamento della regione è attualmente invaso dal lago Trasimeno, uno specchio d’acqua appena increspato dai venti, di minima profondità, circondato da sponde ondulate e  verdissime, punteggiate di casolari e paesi.

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Le comunicazioni

L’Umbria, per la sua posizione e la struttura del suo suolo, ha notevoli difficoltà di comunicazione stradale e ferroviaria. Le barriere appenniniche, non elevate ma povere di valichi accessibili, la isolano dalle regioni circostanti; ugualmente in difficoltà è il tracciato delle strade interne tra l’uno e l’altro avvallamento.
L’arteria più importante è la Flaminia, che unisce la valle del Tevere con la conca di Terni, proseguendo verso Spoleto. Nella parte occidentale la regione è percorsa dall’Autostrada del Sole. Tronchi ferroviari notevoli sono quelli della Roma-Ancona e della Roma-Firenze.

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La cascata delle Marmore

Quando la Nera, divisa in cento rapidi e spumeggianti canali, è vigilata all’intorno dal sorriso dei colli sui quali i Celti e gli antenati di Roma cercarono scampo dalle alluvioni preistoriche, entra nella sonante vallata di Terni, ha già ricevuto il tributo delle acque di un altro fiume: il Velino. E’ questo un tributo non volontario che dura da secoli. Trecento anni a. C. il Velino, prigioniero delle sue stesse incrostazioni calcaree, adagiava le acque in vastissimi e pestiferi stagni che, per successivi balzi, dal ciglione orientale delle Marmore scendevano ad infestare la valle sottostante… Il console Marco Curio Dentato, risalendo da Roma con le sue gloriose legioni le antiche valli del Tevere, fece scavare dai soldati un profondo canale il quale, raccogliendo le acque limacciose delle paludi, costrinse il Velino a cadere speditamente nella Nera attraverso il grande salto delle Marmore.
Da quel giorno remotissimo, la massa imponente delle acque veline con moto incessante si precipita bianca e spumeggiante nel baratro e, a spire, a vortici, mugghiando e rimbalzando sulle rocce calcaree che formano la pittoresca stretta e il profilo del salto, raggiunge le onde calme della Nera, formando la cascata delle Marmore, una delle più belle non solo d’Italia, ma d’Europa. (G. Fravolini)

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L’agricoltura

Soltanto metà del territorio umbro può essere sfruttato dall’agricoltura, e non sempre con risultati brillanti. Molto importante è l’olivo, le cui piantagioni sono largamente sparse nelle campagne e danno una produzione di olio assai pregiato. Anche la vite è coltivata, in lunghi filari tra i campi: è noto il vino di Orvieto. E’ diffusa la coltivazione del grano, il quale non consente però una produzione abbondante.
Nella regione sono frequenti i boschi di querce, da cui si ricavano le ghiande che permettono un ricco allevamento di maiali. Sulle aridi pendici appenniniche è diffuso l’allevamento degli ovini. Caratteristico dell’Umbria (Norcia) è il tartufo nero.

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L’industria

L’Umbria è regione di scarsa attività industriale. La buona produzione di energia elettrica ha concentrato nella zona di Terni alcuni impianti siderurgici, metallurgici e chimici.
A Perugia sono attive le industrie alimentari e dolciarie (Buitoni, Perugina).
Gli artigiani umbri sono celebrati per le ceramiche, i ferri battuti, i merletti.
La regione serba numerosi ricordi del periodo medioevale. Molti centri, abbarbicati sui rilievi collinari, offrono monumenti stupendi di quel periodo: oltre a Perugia, Spoleto, Gubbio, Todi, Orvieto, Assisi unisce alle opere d’arte la fama di città francescana, con le memorie della vita del grande santo, che rivivono negli affreschi giotteschi noti in tutto il mondo.

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L’artigianato

L’artigianato sembra corrispondere al genio di un popolo che ama il lavoro preciso, minuto, gentile. Le ceramiche si producono un po’ dappertutto, specialmente a Deruta, ma anche a Gualdo Tadino, Orvieto, Gubbio, Piediluco, Perugia.
Si aggiungano le tipografie di Foligno, Città di Castello, Perugia, Todi; i ferri battuti di Perugia, i ricami in bianco ad Assisi, ed ancora a Perugia i lavori in legno ed in cuoio. Proprio l’artigianato riempie Perugia di botteghe-quadro che incantano gli stranieri: alcune in sotterranei gotici ove si scende dalla strada per una scaletta sghemba, e i lavoranti si scorgono, passando, di scorcio; altre in un antro nero e fuligginoso, in fondo a cui rosseggia il fuoco. (G. Piovene)

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Le sorgenti di acque terapeutiche e altre cose

L’Umbria è particolarmente ricca di sorgenti minerali. Ma le più importanti si trovano proprio nella zona che va da Narni a Todi. Le acque di Sangemini sgorgano a due chilometri circa al di là dell’abitato. L’eccezionale purezza e leggerezza le fa consigliare a convalescenti e bambini, e son una deliziosa acqua da tavola. Andando per la strada verso Todi si vede, tra il verde del parco, il modernissimo stabilimento albergo dove si fanno le cure, da maggio a settembre, e l’imbottigliamento.
I clienti delle acque, e non solo essi  naturalmente, hanno una meta eccezionale alle loro gite. A qualche chilometro a nord, su un pianoro erboso che si addossa a calve alture, si trovano i resti della romana Carsulae. Oggi vi si va con una bella strada tutta asfaltata, che insieme agli scavi e alla sistemazione delle rovine, ha valorizzato notevolmente la zona archeologica, la quale senza dubbio è tra le più importanti, se non addirittura la più importante dell’Umbria. Fino a pochi anni fa gli unici segni della città, che sorta sulla via Flaminia acquistò nei secoli dell’Impero importanza e floridezza, erano alcuni tratti di strada selciata a grossi blocchi di travertino incisi dai solchi scavati dalle ruote, lo scheletro di un arco-porta monumentale e il materiale di spoglio che si vede immurato nella umile chiesetta di San Damiano. Gli scavi hanno riportato ora alla luce il teatro e l’anfiteatro, il tempio capitolino e altri edifici del Foro e tutto il percorso urbano della via Flaminia. Sparse sul solitario pianoro erboso, ove tra radi alberi pascolano cavalli e greggi, le bianche rovine suggestionano più che per se stesse, per l’incanto del luogo, la sua solitudine, lo struggente orizzonte e la morbida luce che scende dalle vicine alture.
Si diceva delle acque minerali che abbondano nella zona: ed ecco che, procedendo verso Todi, un cartello indica sulla sinistra la sorgente Furapane, che insieme con quella dell’Amerino costituisce il patrimonio terapeutico di un’altra stazione idrotermale, Acquasparta, la quale appare poco dopo la cima a un colle ai margini della strada. Acquasparta non ha la stessa fama di Sangemini, pur possedendo acque di identico tipo. Ma forse la batte in quantità se non in qualità di clientela, di provenienza soprattutto regionale. La batte anche in amenità del sito, aperto e ventilato. Le attività operaie (buona parte della popolazione lavora nelle industrie ternane) più che contadine, dei suoi abitanti le danno un tono vivace e spigliato.

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Le fonti del Clitunno

Il Clitunno è un breve fiume che nasce nei pressi di Spoleto e scorre nella conca di Foligno, portando poi le sue acque al fiume Topino. Pur modesto come tanti altri che scorrono nelle valli e nelle conche della regione, è tuttavia famoso per le sue sorgenti, che sgorgano in un luogo fra i più singolari e i più incantevoli dell’Umbria. Le fonti erano molto note anche nell’antichità: gli antichi pagani portavano di preferenza a quelle fonti i buoi destinati ai sacrifici, perchè di purificassero nelle sue acque. Poeti, tra cui Virgilio, ne cantarono la suggestiva bellezza. Le limpide polle di acqua sorgiva, che esce abbondante dalle falde del monte, incominciano a scorrere in molti rivi e laghetti tra le fresche sponde erbose, all’ombra di pioppi e di salici piangenti. Non sfuggì alla suggestione del luogo nemmeno il poeta Giosuè Carducci, che alle fonti del Clitunno dedicò una delle sue odi più ispirate. (F. Botto)

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Il romano Tevere è… umbro

Il Tevere non nasce in Umbria, ma vi entra dopo soli 40 km dalla sua origine e vi compie poi circa metà del suo corso. Ma non solo per questo il Tevere può dirsi umbro. Esso è veramente il centro idrografico di tutta la regione,Il lago Trasimeno
Il lago Trasimeno, attorno al quale fioriscono numerose leggende, è il più vasto lago dell’Italia peninsulare ed ha sorgenti interne, non riceve acqua da fiumi. Nel lago Trasimeno vi sono varie isole; la più grande non è, come il nome farebbe sembrare, quella chiamata Maggiore, ma l’isola Polvese. Sull’isola Maggiore San Francesco d’Assisi trascorse tutta una quaresima solo, digiunando e facendo penitenza.

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Le province

Capoluogo della regione è Perugia, splendida città in posizione elevata, da dove si domina la valle del Tevere. Di grandissimo interesse storico ed artistico sono i suoi monumenti; tra essi l’Arco Etrusco o di Augusto, la Porta Marzia, il Palazzo dei Priori, la Fontana Maggiore, la Chiesa di San Pietro, l’Oratorio di San Bernardino. Vi hanno sede un’antichissima Università e la moderna Università per stranieri. Nelle immediate vicinanze della città sorgono varie industrie alimentari, dolciarie, ecc…
Terni è situata sulla Nera, in una verde pianura, circondata da amene colline. E’ una città moderna, con poderose industrie. Fra i suoi monumenti più pregevoli sono il Duomo e le chiese di San Salvatore e di San Francesco. Località notevoli della regione sono Città di Castello (nota per le sue industrie della ceramica e tipografiche), Foligno (centro commerciale e industriale), Spoleto (nota per i suoi insigni monumenti), Gualdo Tadino, Gubbio (dalla schietta impronta medioevale), Assisi, Norcia, Todi, Orvieto (celebre per il suo Duomo meraviglioso e nota per i suoi vini) e Narni.

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Lo sai?

Perugia è città di origine etrusca. Fu colonia romana (Augusta Perusia); libero comune nel secolo XI; signoria dei Baglioni; dominio papale dal 1534. Le truppe italiane vi entrarono nel 1860. Diede i natali ad Andrea Fortebraccio, detto Braccio da Montone (1368-1424) e a Nicolò Piccinino (1386-1444) entrambi capitani di ventura; e al Pinturicchio (1454-1513), pittore.
Città di Pieve (provincia di Perugia): vi nacque Pietro Vannucci, detto il Perugino (1445-1523) sommo pittore, maestro di Raffaello.
Lago Trasimeno (provincia di Perugia): sulla sua sponda settentrionale, nei pressi di Tuoro, l’esercito romano guidato dal console Caio Flaminio, nel 217 aC venne assalito da Annibale e subì una disastrosa sconfitta.
Assisi (provincia di Perugia): situata sulle pendici del monte Subasio, è una delle località più suggestive, meta di continui pellegrinaggi, legata com’è al santo cui diede i natali: San Francesco (1182-1226), patrono d’Italia. Dei suoi monumenti, particolarmente degna di nota è la splendida basilica a due chiese sovrapposte, con la tomba del santo e magnifici affreschi di sommi pittori quali Cimabue, Giotto, Simone Martini. A poca distanza sorge la basilica di Santa Maria degli Angeli, con la cappella del Transito, dove san Francesco morì. Ad Assisi è nata anche Santa Chiara (1194-1253) fondatrice dell’ordine delle Clarisse.
Gubbio (provincia di Perugia): Il suo nome è legato all’episodio del lupo ammansito da San Francesco. Vi si tengono ogni anno due feste caratteristiche: la corsa dei ceri e il palio dei balestrieri.
Norcia (provincia di Perugia): è la città di San Benedetto (480-547), fondatore dell’ordine dei Benedettini, patrono d’Europa.
Cascia (provincia di Perugia): nei suoi pressi, a Roccaporena, nacque santa Caterina da Cascia (1381-1457), monaca agostiniana.
Todi (provincia di Perugia): Diede i natali a Jacopo Benedetti, detto Jacopone da Todi (1230-1306), poeta religioso autore delle famose Laudi.
Foligno (provincia di Perugia): vi si svolge ogni anno, nella piazza principale, la Giostra della Quintana, la cui origine risale al 1600.
Narni (provincia di Terni): è la città natale di Erasmo da Narni, detto il Gattamelata (1370-1443), uno dei più valorosi condottieri di ventura.
Terni: vi nacque Publio Cornelio Tacito (54-120 aC), uno dei maggiori storici latini.
Orvieto (provincia di Terni): Nel suo Duomo si conserva il Corporale del Miracolo, cioè il panno di lino che a Bolsena, nel 1263, si macchiò di alcune gocce di sangue sgorgate da un’ostia consacrata.

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Assisi

Assisi è un paese di pace e di soave contemplazione: silenzio nella bella campagna, solitudine nelle ripide stradette. Lo spirito di San Francesco, la mansueta bontà di Santa Chiara pare che nel passato abbiano sopito ogni ira, mitigata ogni truculenza. Non tetri ricordi dunque, e del Palazzo dei Priori, del bellissimo Tempio di Minerva in fuori, nulla che non parli del poverello di Cristo e della sua fedele compagna.
Cara Assisi col suo magnifico San Francesco, le antiche chiese, il bel Duomo vetusto, il conventino di San Damiano, dove si dice che San Francesco abbia composto il Cantico del Sole, la Porziuncola laggiù ove egli morì, la Cripta ove riposa e, infine, più bella di ogni cosa, l’Eremo delle Carceri, dove usava ritirarsi a penitenza.
Il monte Subasio prende tutto da un lato. Viene giù da mille e duecento metri con una costa facile e dolce e va a finire nella tranquilla pianura umbra. A circa 800 metri c’era, al tempo dei tempi, un oratorio, la chiesuola della Grazia, e intorno un fitto bosco di lecci, dove il sole non trapassa,  e dentro il bosco buche e grotte. In una di esse si ritrasse San Francesco a quaresimare, nelle altre lo seguivano i compagni, Leone, Matteo, Elia. Andateci. La mattina è fresca, la montagna odora, il cielo ride sereno sul nostro capo come ai giorni del Santo.
Si suona tirando una funicella ed appare un fratino che fa da guida col suo bel sorriso. Mi mostra i cimeli del Santo, veri, autentici. Poi mi conduce in un borro nel bosco. “Questo affossamento” mi dice “è asciutto dal giorno in cui San Francesco, che era nella selva a pregare, si volse all’acqua che scorreva per dirle che gli dava molestia; e la sorella acqua torcè il muso per altro cammino”.
Da allora il borro è secco, salvo che in caso di calamità, guerre, pestilenze, terremoti, che sovrastino il paese. Ho veduto anche un crocifisso che il santo portava con sè quando viaggiava, e che morto lui, un Cardinale, contro il volere dei frati, volle a Roma: ma il crocifisso una notte da Roma tornò tutto solo ad Assisi, anzi nell’eremo delle Carceri, e lì si mise e lì rimase.
In una cappelletta c’è un dipinto, bello del resto, di un Cristo con le braccia quasi allargate. Uno di questi bracci ha una storia. Si narra che un fraticello dell’eremo, alcuni secoli or sono, venisse a pregare su questi gradini: era sera, era stanco, la preghiera gli morì sulle labbra, lasciò cadere le mani, chiuse gli occhi e si addormentò. Il Cristo dipinto alzò allora un braccio e con la mano aperta percosse la gota del frate dicendo: “Nella casa del Signore si viene a pregare, non a dormire!”. Il fraticello rimase male. (R. Balsamo Crivelli)

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La cascata delle Marmore

L’enorme massa ha dapprima un unico salto di quasi cento metri; è una colonna liquida e spumeggiante che si inabissa in una fossa profonda, che con rabbia si è scavata essa stessa, e da cui con furore riesce tosto, e tra un fracasso irato si riversa tra le rocce lucide e splendenti, muggendo, sprizzando, saltando, effondendo un pulviscolo denso come una nube di polvere e che ricade in piccole gocce di rugiada. Le onde, i bollori, i gorghi si insinuano per il letto tempestoso in un biancore smagliante, dove il sole vi riflette tutti i colori dell’iride. A poco a poco le industrie hanno preso parte delle acque del Velino e la cascata si è molto assottigliata. (O. Guerrieri)

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Chi dice Umbria

…dice monti e colline con centri abitati che si aggrappano ai loro fianchi o si posano sulle loro cime come cappelli. L’Umbria non è come la Lombardia, e le sue città non possono permettersi il  lusso di offrire agli abitanti di andar comodi senza discese nè salite. I suoi abitati, sottratti alle nebbie della bassura, si incidono come scalinate su coste inverdite dei lecci e argentate dagli ulivi, o coronano le alture spingendo verso il cielo torri e campanili.
Trevi parte a mezza costa di un’altura e ne guadagna la cima mettendo file di edifici uno sull’altro, così da dare l’idea di un grattacielo medioevale che, a differenza di quelli d’oggi, i quali aggiungono piano su piano, aggiunge case su case creando una serie di salite senza riposi.
Spello è fatta a scivolo: così dolce che ti tira su senza fartene accorgere, e poi te la senti nelle gambe. Una volta entrati in paese, ecco chiese dopo chiese, torri dopo torri, pitture dopo pitture da far di Spello tutta una galleria , finchè arrivi al Belvedere e di lì ti godi una veduta stupenda sulla piana del Topino, con le grandi strade una volta bianche e adesso nere d’asfalto gettate attraverso il verde della pianura.
Foligno invece non ha panorama e si fa guardare sulla testa dai paesi che lo circondano. E’ la sorte delle persone basse di statura… Foligno è la soglia di Assisi, centro di una conca con attorno paesi che la guardano dalle loro posizioni arroccate: si distende sulla soglia di quella conca come un grosso cane al sole, in un atteggiamento che non si adatta a una città la quale voglia essere veramente umbra. (A. Fratelli)

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Il pozzo di san Patrizio, a Orvieto

A Orvieto, in tempi lontani, c’era scarsità d’acqua, il che indusse il papa, Clemente VII, ad intervenire.
Egli ordinò ad un famoso architetto, Antonio da San Gallo, di scavare un profondo pozzo: ciò avveniva intorno all’anno 1527. Egli lavorò per circa dieci anni e costruì il pozzo che esiste tuttora e che è largo 13 metri  e profondo 63. Vi si può scendere con due scale (248 scalini ognuna) che si sviluppano a spirale e corrono in una intercapedine situata tra il muro interno del pozzo e il terreno circostante. Per fare un poco di luce a chi scende nel profondo baratro, furono aperte nel muro 72 finestre… A 60 metri di profondità si trova l’acqua.
Un’opera ingegnosa ed ardua per quei tempi, dettata dal bisogno di un elemento prezioso quale è l’acqua; un’opera che merita di essere visitata e ammirata.
Ora però Orvieto, più che per l’acqua è celebre per il suo vino.

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Terni, la città del ferro e del fuoco

Le acciaierie occupano l’area di un mezzo paese. Fantastico paese del fuoco e del ferro, che ha capannoni grandi come chiese, ciminiere alte come campanili; sempre in movimento, attraverso un velo di fumo e di polvere, tra stridere di macchine e rimbombare di magli.
I forni offrono uno spettacolo dei più belli. Lungo l’intera parete di un capannone sono allineate le bocche di quei grandi forni mai spenti, ed il loro altissimo calore si irradia ben lontano. Di tanto in tanto bisogna dar da mangiare ai forni, cioè versare in quel gran fuoco del nuovo minerale, per aumentare la pasta incandescente…
Ma vediamo qualcosa di straordinario, una colata.
Si chiama colata l’operazione per la quale il metallo incandescente e liquido viene versato negli stampi. Un immenso secchio, sorretto da alte catene, ed un dato comando si muove e va a mettersi sotto la bocca del forno; il coperchio si alza, ed ecco uscir fuori dalla larga apertura un’ondata, un rivo di metallo liquefatto, che ha il color rosso e dorato del fuoco.
La terribile ondata (è acciaio) si versa nel secchio, schizzando da ogni parte scintille vive, abbaglianti. Fra quei fulgori, gli operai sembrano uomini miracolosi.
Poi il secchio, colmo fino all’orlo, si muove lentamente e va a collocarsi sopra la lunga fila degli stampi. Con una delicatezza di movimenti che non si immaginerebbe in quel colosso, il secchio si alza da un lato, si piega in avanti e versa dal beccuccio il suo tremendo liquido nella forma di terra refrattaria. Così di passo in passo, di secchio in secchio, con estrema esattezza, fino al termine della fila. Il minerale si raffredda, si solidifica, e dalla forma aperta esce un bel pane di metallo.
Nelle acciaierie di Terni si fabbricano corazze per le navi da guerra, ruote per le locomotive, verghe per la ferrovia, fili di ferro e di acciaio di vari spessori, prodotti che fanno onore alla metallurgia nazionale.

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Umbria

Fior d’amaranto,
all’Umbria diede il cielo l’ornamento
di ricche messi e d’un bel verde ammanto.
Qui nacque il Santo Abate che il lavoro
prescrisse unito con le preci in coro
e nacque inoltre il Santo dell’amore,
che dell’Italia nostra è protettore.

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Viti e uva ad Orvieto

La fama di Orvieto poggia du due solidi pilastri: il suo Duomo, che è un miracolo dell’arte; e il suo vino che è un miracolo di natura… Del paesaggio agricolo, la vite è elemento essenziale, ma non esclusivo. Qui, secondo un sistema che rispecchia ancora un’economia patriarcale, e sembra tuttora il più redditizio, vige la coltura promiscua. La vite si alterna all’olivo e fra alberata e alberata, opportunamente spaziate, rosseggia il maggese ed esplode, d’estate, il biondo del grano.
Le uve che qui si producono sono di specie diversa e si alternano una all’altra nello stesso vigneto. Rare sono le nere, perchè di resa mediocre. La gamma delle bianche è la più differenziata; ognuna ha la sua grana, il suo colore e sapore. C’è il ‘verdello’ dolcissimo di chicco piccolo e duro, con la buccia verdognola, che si macula a maturazione, di tenera ruggine; c’è il ‘procanico’ liquoroso, dal grappolo lungo; il ‘rupeccio’ con grani grossi compatti, di sapore asprigno; la pendula ‘malvasia’, il ‘grechetto’, che dona il più ricercato vin santo; c’è, sebbene meno pregiata, al pari del  ‘montonico’, la grassa ‘vernaccia’ acquosa e caramellosa, ma di straordinaria resa.
La sapiente mescolanza di queste uve nella vinificazione, gioca sul grado di alcolicità del vino e sulla forza e delicatezza del suo profumo e sapore. Sta nella qualità delle uve, che il terreno e il sole insaporiscono di specifiche, irripetibili sapidezze, il segreto primo dello squisito ‘Orvieto’.
(A. Sestini)

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La leggenda della Verna

La Verna è il monte sacro dei francescano. Qui san Francesco ricevette le stimmate, il 14 settembre 1224. Oggi vi si ammira un grande monastero. Questo è unito alla chiesa da un corridoio. Ogni notte i frati lo percorrono per riunirsi in chiesa a pregare, nella cappella delle Stimmate. Una notte, mentre fuori fischiava il vento e turbinava la neve, il corridoio pareva più freddo del solito e i frati non lasciarono la cella e non si recarono a pregare. Allora gli animali del bosco lasciarono la loro tana, percorsero il corridoio e rimasero in chiesa al posto dei religiosi.
Essi, il giorno dopo, si accorsero del fatto, osservando le impronte lasciate dagli animali sulla neve. E neve nel corridoio e ancora neve in chiesa. Neve abbandonata dagli zoccoli e dalle zampe degli animali.
Da allora i frati, per quanto il freddo incrudelisse, non hanno mai tralasciato di raggiungere la cappella nel cuore della notte.
(A. Santi)

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La leggenda di Todi

L’origine della città di Todi risale ai tempi in cui una tribù di Umbri si accampò presso il Tevere.
Narra la leggenda che la principessa di questa tribù stava un giorno bagnandosi nel fiume quando, improvvisamente, vide calare dal cielo un’aquila, ghermire una parte delle vesti della fanciulla, alzarsi in volo verso il vicino colle e scomparire fra gli alberi che ne coprivano la cima.
La principessa non esitò. Uscì dal Tevere, si avviò su per il colle e, raggiuntane faticosamente la vetta, ebbe la lieta sorpresa di trovarvi le sue vesti. Guardandosi attorno non poca fu la sua meraviglia, stupita dalla bellezza del panorama che le si apriva davanti: laggiù la valle del Tevere appariva rigata dalle argentee acque del fiume e dei suoi affluenti; e la cingevano, tutt’intorno, boscose schiere di colli simili a onde di smeraldo coronate a loro volta da un’austera chiostra di montagne.
Che spettacolo incantevole! La principessa ne era commossa e pensava: “Dirò al re, mio padre, che ci porti ad abitare qui, sulla cima di questo colle”.
E difatti così avvenne. La tribù si trasferì sul colle, vi costruì le prime casupole e la vita di Todi ebbe inizio.

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L’Umbria e il suo santo

Siamo in Umbria, nella terra dei Santi e dei pittori, breve regione senza mare, raccolta fra le sue colline come un nido tra i rami di un albero, con le valli dove cresce il cipresso e dove si apre qualche sereno occhio di lago.
Il paesaggio umbro, come quello toscano, è intimamente italiano: non ha forse lo splendore del paesaggio napoletano, né le vastissime luci distese che fanno così belli i nostri cieli settentrionali, ma è quieto, sognante, raccolto.
Quando i nostri pittori del Quattrocento, dipingendo i quadri della vita di Gesù, dovettero raffigurare i colli, i fiumi di Palestina, non andarono laggiù, ma trovarono che la terra umbra, con le sue verdi colline, i suoi ruscelli e i suoi cieli al tramonto e all’alba, entro i quale era così bello immaginare voli di angeli e corone di cherubini, era ben degna di incorniciare la figura del figlio di Dio.
Assisi è nel cuore di questa terra. Il più grande dei santi, san Francesco, è nato, ha predicato ed è morto qui. Una grande chiesa, una chiesa a tre piani, l’unica al mondo costruita così, è dedicata alla sua memoria, eretta nel campo dove un tempo si seppellivano i giustiziati e dove, nella sua umiltà, il santo volle essere oscuramente sepolto.
(O. Vergani)

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Antichi usi e costumi

I sentimento religioso, profondamente radicato in un popolo come questo, attaccato alle tradizioni, si manifesta tra l’altro con ingenui racconti intorno alla vita di alcuni santi (Alessio, Antonio, Caterina, ecc.) oppure intorno alla Passione. Tali racconti, che vanno sotto il nome di ‘orazioni’, e sono considerati vere e proprie preghiere, sono cantati dai contadini nelle stalle durante le serate invernali.
Ogni paesino ha la sua Confraternita intitolata al santo del luogo: le entrate (elemosine, offerte) sono amministrate dai ‘santesi’ che preparano e organizzano le feste patronali.
Non mancano residui di superstizioni antiche come quelle ispirate dal terrore della morte; il sacerdote che porta il viatico a un morente non deve lasciar appoggiare la croce al muro della casa per evitare che vi resti appesa la morte e se una persona presenzia al decesso, deve fermarsi nella casa del morto per nove giorni affinché non porti in giro i germi della morte.
Nelle campagne si usa raschiare un po’ di intonaco dalle pareti di una ‘maestà’ (così sono chiamate le piccole cappelle sparse un po’ ovunque), racchiuderlo in sacchetto di tela e porlo al capezzale dell’ammalato; se questo muore, il sacchetto viene collocato nella bara; se guarisce, viene appeso come ex-voto in quella maestà.
I frati di alcuni conventi praticano ancora l’esorcismo, cioè la cacciata del diavolo da persone che ne sono credute invase: ma usano delle precauzioni per evitare che i diavoli, usciti dall’indemoniato, provochino temporali o grandinate.
La mattina del matrimonio, lo sposo, a cavallo con un certo numero di amici, si presenta alla casa della sposa e provoca la finta scena del suo rapimento. Segue la cavalcata nuziale fino alla chiesa.
La cucina umbra è tanto appetitosa quanto semplice e, come condimento, vi predomina lo squisito olio delle sue colline, accompagnato dai celebri tartufi neri e dal non meno famoso vino di Orvieto.
La più antica e caratteristica minestra è quella di farro che si ottiene facendo lentamente cuocere questo cereale, in un brodo di cosciotto di maiale.
(A. Basetti Sani – 1967)

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Feste tradizionali ad Assisi

Le principali feste tradizionali in Assisi sono: la festa del Perdono, la festa di San Francesco, la festa del Voto.
La festa del Perdono dal punto di vista religioso è la più famosa e richiama alla città un numero talvolta eccezionale di pellegrini. Essa ebbe origine, nel 1223, dalla concessione che papa Onorio III fece personalmente a San Francesco di un’indulgenza plenaria: peccati e pene a quelli annesse ottengono il perdono totale dopo la confessione, la comunione e la visita alla Porziuncola in Santa Maria degli Angeli. Dal 31 luglio al 2 agosto immense folle di fedeli, tra cui moltissimi vestiti nei caratteristici costumi regionali, sciamano per le vie della città, salgono all’eremo delle Carceri e scendono in pianura a Santa Maria degli Angeli, per pregare alla Porziuncola, alla cappella del Transito e a quella del Roseto. Nella grande Basilica, dal vespro del 31 luglio ha inizio la commovente veglia notturna che si protrae con solenni funzioni fino al mattino del 1 agosto.
La festa di San Francesco viene celebrata tra il 3 ed il 4 ottobre. La mattina del 3, nella Chiesa Inferiore dedicata al Santo, del quale in quel giorno si commemora la morte, dai vari comuni d’Italia viene effettuata la simbolica offerta dell’olio per la lampada votiva che sempre arde davanti alla tomba di San Francesco. Al tramonto dello stesso giorno è rievocato, in modo emozionante, il Transito, cioè la morte del Poverello di Assisi, e tale rievocazione, viene ripetuta poi, a tarda sera, anche nella basilica di Santa Maria degli Angeli.
La festa del Voto si svolge tra il 21 e il 22 giugno a ricordo della vittoria del 1241 sui Saraceni per opera ed intercessione di Santa Chiara. La sera del 21 giugno e mura, le torri, i campanili, le case si illuminano con migliaia di fiaccole. Tutto il popolo di Assisi rievoca la veglia d’armi, durante la quale Santa Chiara con le compagne pregò in San Damiano per ottenere che la città restasse libera e fosse così salva dai Saraceni.  E’ uno spettacolo veramente fantastico!
(A. Basetti Sani – 1967)

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Giostra della Quintana

Questa rievocazione storico-cavalleresca, che si tiene a Foligno, risale al 1613. La Quintana è un fantoccio di legno, infisso in un perno girevole, che sorregge col braccio sinistro uno scudo e impugna con la mano destra un bastone munito di un anello. La Giostra, che si corre in settembre nel Campo dei Giochi, è una gara di destrezza fra dieci cavalieri che rappresentano altrettante contrade storiche della città: Ammanniti, Badia, Cassero, Contrastanga, Croce Bianca, Giotti, La Mora, Spada, Morlupo, Pugilli. Il cavaliere, compiendo il percorso al galoppo nel più breve tempo possibile, deve infilare con la lancia l’anello della Quintana ed evitare di perdere il cappello, in mantello, la staffa o altro.
La manifestazione si apre con la lettura del bando fatta dal balcone del Municipio ed è preceduta, la vigilia, da uno sfarzoso corteo di circa 500 persone in costume del 600: dame e cavalieri, valletti e palafrenieri, alabardieri, trombettieri e tamburini, che sfilano di sera attraverso la città alla luce di fiaccole e bengala. L’attrattiva della Giostra è costituita oltre che dalle prove di destrezza dei cavalieri, dallo scenografico spettacolo di questa massa in costume nella quale ai colori delle sete e dei broccati e allo splendore delle bellezze muliebri fanno riscontro lo sfolgorio delle corazze e delle armi e l’austerità dei magistrati.
(F. Monaco)

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La festa dei ceri a Gubbio

Come si fa a farla capire a chi non l’ha mai vista?
Tutta la città brucia e risplende in una specie di gioioso delirio.
Non c’è una posta, non c’è competizione sportiva, non c’è un palio da vincere e da conservare per un anno nella contrada, come in altre mirabili feste italiane. Nella forsennata corsa sul Monte con le tre pesanti macchine, fino al convento di sant’Ubaldo, con cui si conclude al crepuscolo la grande giornata, non c’è un primo e un ultimo arrivato.
I Ceri non devono sorpassarsi, né d’altronde lo potrebbero per quell’aspro viottolo; essi giungono lassù nell’ordine stabilito da sempre: Sant’Ubaldo, San Giorgio, Sant’Antonio. Soltanto se un schiera rallenta per un attimo la massacrante andatura, viene sbeffeggiata da quella che incalza. Si deve arrivare tutti insieme, ma nel minor tempo possibile.
I Ceri non dividono ma uniscono  l’anima di Gubbio. E i ceraioli sono ricchi e operai, professionisti e commercianti, possidenti e contadini.
Lo spettacolo vero, il fatto straordinario e forse unico, quello che ti attira e trascina, ti fa fermare, lacrimare, urlare, è nello spontaneo entusiasmo di tutto il popolo, nella passione che prorompe irrefrenabile diresti non solo fagli uomini, ma anche dal cielo e dalle pietre…
Questo, nessuna parola lo potrà mai dire.
(M. Carafoli)

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Umbria

Situata proprio nel cuore della penisola, tutta a monti e a colline, essa si apre in conche e pianure lungo il Tevere che la attraversa, e lungo i suoi affluenti, che la rendono verde di muschi, di viti, di ulivi, di gelsi. Regione dunque essenzialmente agricola, in cui però non mancano le industrie (acciaierie, industrie delle ceramiche e delle maioliche artistiche, industrie dolciarie ed alimentari). Il capoluogo è Perugia, alta sopra il suo colle, con monumenti importanti, come il palazzo del Comune, la Cattedrale, l’arco Etrusco.
Ricordiamo il pittoresco lago Trasimeno, le sorgenti del Clitunno che scorrono limpide tra i salici; Spoleto, cinta di mura e dominata dalla rocca, Orvieto con il meraviglioso Duomo, Assisi dove visse San Francesco.

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Dolcezza umbra

Penso che l’Umbria è proprio questo: città e uomini con radici nel passato così profonde da essere ancora visibilmente vicini ad esse. Perciò i suoi artisti e i suoi santi poterono fondere nell’arte e nella religione l’amore della natura e delle cose della natura con l’amore degli uomini, in un dialogo che ha creato quella dolcezza che è il dono dell’Umbria e che è così raro, nei nostri tempi, trovare. Qui si riconquista quella dolcezza, anche se il destino moderno dell’Umbria sembra ripetere quello dell’Etruria sua madre. Tanta incantevole pace si paga dagli Umbri con un sentimento di abbandono, di segregazione. Nei loro discorsi, un po’ amari, ho scoperto un rammaricato rimprovero a tutti gli italiani. Molti mi hanno detto che l’Umbria è stata dimenticata o, come approfittando della sua dolcezza, la si lascia languire e intristire economicamente.
(G. Russo)

Umbria verde

In realtà l’Umbria, se se ne toglie qualche angoletto come le fonti del Clitunno o il Monteluco, non è più verde del Canavese o della Brianza; anzi il verde vi è meno deciso per lo spesseggiare delle pallide macchie degli uliveti e l’affiorare della roccia non appena i bordi dei pianori cominciano a guadagnare l’altezza e le colline a diventare montagne. Allora la civilissima campagna, cosparsa di fattorie, di ville, di borghi, e paesi compatti nella loro cinta di mura medioevali, si inselvatichisce e si spacca in burroni dove il verde si aggrappa a rupi che scoprono l’ossatura calcarea dell’Appennino umbro. E la stessa vegetazione dei fertili pianori non è tutta dolce di pioppi dalle foglioline tremolanti, ma vigilata qua e là da severi cipressi e da querce vigorose che vi stanno come le torri e le rocche degli abitanti.
(A. Fratelli)

Gubbio silenziosa

Sotto la montagna di Gubbio la campagna verde tagliata in rettangoli geometrici come pezze di diversi colori, fa posto a un paesaggio brullo, con boschi dal verde cupo dei lecci e sassi bianchi la dove la montagna fu spogliata. Nella città del lupo si entra per un vecchio arco e subito vi sorprende il silenzio straordinario che vi accoglie. a città pare deserta, abbandonata, e neanche la domenica vi sono automobili fastidiose. Dalla vasta piazza che è ai piedi delle mura si resta ad ammirare i palazzi e le case che si alzano sulle collina. Se si vuole ritrovare la nobile pace della provincia italiana, si deve venire a Gubbio, a riscoprire l’Umbria rimasta silenziosa e vergine, schiva e gentile.
(G. Russo)

L’albero dell’Umbria

L’ulivo è l’albero dell’Umbria. Collane di ulivi cingono i poggi con il loro grigio- verde, discendono sul lago, si arrampicano sui monti, fin dove il freddo non li respinge, contenti di poca terra, avviticchiando le radici alla roccia. Sono, massime in alto, piccoli ulivi fenduti, squartati, smidollati per resistere alle malattie di un clima troppo rigido, non più tronchi, ma cortecce bucate, nodose, contorte, che di notte sembrano anime in pena protendenti le braccia alle stelle. Essi stendono sul paesaggio una velatura di malinconia, e danno la ricchezza di un olio saporito come il burro, e biondo come il sole. Se la nota dominante dell’Umbria è la pace, questa pace nasce dal martirio. Come l’ulivo.
(M. Sticco)

Il Trasimeno

Il Trasimeno… un lago del silenzio e della solitudine. Tolti i battelli del servizio di circumnavigazione e qualche motoscafo, non vi sono che le barche dei pescatori che si costruiscono ancora come tanti secoli fa, con il ventre piatto per il basso fondo e con la prua sopravanzata per varcare i canneti. A ritrovarsi nel mezzo del lago si ha la sensazione di un vastissimo spazio, una sensazione che può dare solo il Trasimeno perchè non lo circondano montagne elevate né scogliere a picco, ma colline dolcemente sfumate e digradanti. Sulle colline biancheggiano vecchi castelli e le antiche abbazie. Le tre isole, la Polvese, la Maggiore e la Minore, sonnecchiano immerse in una luce celeste.
(O. Guerrieri)

Assisi

Quando si sale verso di essa dalla pianura di Santa Maria degli Angeli, la città si presenta chiara e luminosa, tutta distesa a scaglioni sovrapposti lunghi e sottili, da San Francesco, con le enormi costruzioni del sacro Convento, al campanile alto e snello di Santa Chiara e , più in su, alla torre poderosa e scura del Duomo.
Tutta in pietra di Subasio, rossa e grigio chiara, la città manda agli occhi un fulgore di luce quasi orientale. Più di accresce l’effetto in certi tramonti accesi, quando il largo dorso del Subasio, sovrastante alla città, assume un rosso di fiamma, quale massa di metallo incandescente. La vista di Assisi sfolgorante suscita allora l’impressione di un paradiso lontano, misterioso e inaccessibile. Colore e linee si fondono senza scomparire, in una lenta continua oscillazione di luce e d’ombra; e tutte le cose comunicano fra loro e con lo spirito di che guarda, in una mistica unità.
Accade talvolta che su questa assorta contemplazione arrivi il rintocco lento, solenne, oscillante della campana di San Francesco; vicinissima, e che pur sembra risonare da una misteriosa lontananza, direttamente dal cielo. Suono e visione, l’uno nell’altra, rapiscono lo spirito: non si guarda più e non si ascolta: il tempo si annulla e un attimo vale un secolo. Per quell’attimo, Assisi è il vestibolo dell’eternità-
(L. Salvatorelli)

ADDOBBI NATALIZI palline ricamate per l’albero

ADDOBBI NATALIZI palline ricamate per l’albero, molto belle, e realizzate interamente dai bambini. L’attività di ricamo del cartoncino è una classica attività di pre-scrittura e favorisce la coordinazione occhio-mano e l’orientamento spaziale. Rientra tra i più classici esercizi di vita pratica nella didattica Montessori.

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Ritagliate nel cartoncino varie forme, disegnate all’interno a matite leggera delle figure geometriche oppure lasciate che il bambino ricami a suo gusto facendo semplicemente dei fori sul cartoncino lungo il perimetro; per forare il cartoncino io ho usato prima n punteruolo da carta:

poi ho allargato i fori ruotando al loro interno uno stecco da spiedini:

Il bambino può ricamare con un ago da lana senza punta:

oppure possiamo indurire l’estremità del filo di lana immergendola nella cera fusa:

e facendo raffreddare:

ADDOBBI NATALIZI palline ricamate per l’albero

Qui trovate un po’ di addobbi, se può essere utile:

ADDOBBI NATALIZI palline ricamate per l’albero

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Fiocchi di neve

Fiocchi di neve presentati in chiave montessoriana, per bambini a partire dai quattro anni d’età. Il risultato finale è molto bello, e si ottiene attraverso un esercizio guidato di ritaglio della carta che ne fa un’interessante attività di preparazione alla scrittura.

Secondo il metodo Montessori “Il vero scopo degli esercizi di vita pratica è aiutare i bambini a sviluppare le loro abilità motorie e la coordinazione occhio-mano: abilità fondamentali per lo sviluppo cognitivo”. Rientrano tra queste attività i travasi, le pulizie domestiche, l’igiene personale,  l’uso delle forbici, la piegatura della carta, ecc…

Per quanto riguarda in particolare l’uso delle forbici, per insegnare ai bambini ad usarle nel modo più semplice e naturale, la cosa migliore è preparare un vassoio per la libera attività, contenente un paio di forbici e della carta colorata da tagliare, dei fogli bianchi e colla da carta. Non occorre presentare un progetto, anzi, lasciando l’attività libera il bambino utilizza tutta la sua immaginazione e la sua capacità di concentrazione. E’ un’attività divertente e al tempo stesso rilassante per il bambino, e gli consente di affinare la motilità fine e la coordinazione occhio-mano.
Quando il bambino sa usare le forbici con destrezza, nel vassoio possono essere aggiunti altri materiali da tagliare quali fili, nastri, carta velina, carta di giornale, plastica a bolle, tessuti, ecc…
Successivamente nel vassoio vengono inseriti fogli con tracce da ritagliare, prima senza margini, poi inserendo un’ulteriore difficoltà, che consiste nel fermarsi con le forbici prima di arrivare al margine del foglio:

Fiocchi di neve – presentazioni

Materiale occorrente:

fogli quadrati di carta colorata, preferibilmente da origami
forbici
matita (se si desidera)
colla (se si desidera)

Realizzare questi fiocchi di neve è un’attività che permette ai bambini di sperimentare il concetto di simmetria.

Fiocchi di neve – simmetrie a due

Mostrare ai bambini come piegare a metà il foglio quadrato di carta. Si può scegliere di piegarlo lungo l’altezza:

o lungo la diagonale:

I bambini possono iniziare a ritagliare a mano libera, oppure possono prima disegnare il motivo a matita. E’ importante spiegare in modo chiaro che alcune delle parti di carta, ritagliando, si staccano dal foglio, mentre altre no.

Terminato il lavoro di ritaglio, mostrare bene come aprire il lavoro e distendere la carta. Se lo si desidera, i lavori possono essere applicati su fogli di carta dai colori contrastanti.

Fiocchi di neve – simmetrie a quattro

Mostrare ai bambini come piegare il foglio di carta quadrato in quattro parti, piegando prima lungo una delle diagonali e poi lungo l’altezza del triangolo ottenuto, per ottenere 4 spicchi:


I bambini possono iniziare a ritagliare a mano libera, o preparando prima il disegno con la matita. E’ importante ricordare di lasciare degli spazi non tagliati lungo le piegature.

Quando il ritaglio della carta piegata è terminato,

mostrare ai bambini con chiarezza come aprire i vari “sportellini”, stirando bene con le mani le pieghe.

Fiocchi di neve – simmetrie a sei

Mostrare ai bambini come piegare il foglio quadrato di carta in modo da ottenere 6 spicchi. Con questa piegatura si ottengono bellissimi fiocchi di neve, ne avevo pubblicati una serie qui:

Per la piegatura a sei spicchi, procedere così; pieghiamo il quadrato lungo una delle diagonali, poi pieghiamo in modo da sovrapporre l’angolo A sull’angolo B:

Pieghiamo il triangolo ottenuto in tre, così:

Teniamo presente qual è la piega principale, cioè quella non sfogliabile:

Come sempre, il bambino può scegliere di eseguire dei tagli a mano libera, oppure disegnare delle tracce da seguire:

Fiocchi di neve – simmetrie a otto

Piegare il foglietto quadrato lungo una delle due diagonali:

poi piegare lungo l’altezza del triangolo ottenuto:

ripetere, piegando lungo l’altezza del nuovo triangolo ottenuto:

praticare i tagli a mano libera, o disegnando prima delle tracce da seguire:

aprire:

Fiocchi di neve – simmetrie a dodici

Si ottengo aggiungendo alla piegatura della simmetria a sei, questa ulteriore piegatura:

e procedere come spiegato per gli altri fiocchi di neve:

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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IDEA REGALO NATALIZIA Segnalibro di carta

IDEA REGALO NATALIZIA – Segnalibro di carta che può essere realizzato dai bambini a partire dai 4 anni d’età. Il risultato finale è molto bello, e si ottiene attraverso un esercizio guidato di ritaglio della carta che ne fa un’interessante attività di preparazione alla scrittura.

Secondo il metodo Montessori “Il vero scopo degli esercizi di vita pratica è aiutare i bambini a sviluppare le loro abilità motorie e la coordinazione occhio-mano: abilità fondamentali per lo sviluppo cognitivo”. Rientrano tra queste attività i travasi, le pulizie domestiche, l’igiene personale,  l’uso delle forbici, la piegatura della carta, ecc…

Per quanto riguarda in particolare l’uso delle forbici, per insegnare ai bambini ad usarle nel modo più semplice e naturale, la cosa migliore è preparare un vassoio per la libera attività, contenente un paio di forbici e della carta colorata da tagliare, dei fogli bianchi e colla da carta. Non occorre presentare un progetto, anzi, lasciando l’attività libera il bambino utilizza tutta la sua immaginazione e la sua capacità di concentrazione. E’ un’attività divertente e al tempo stesso rilassante per il bambino, e gli consente di affinare la motilità fine e la coordinazione occhio-mano.
Quando il bambino sa usare le forbici con destrezza, nel vassoio possono essere aggiunti altri materiali da tagliare quali fili, nastri, carta velina, carta di giornale, plastica a bolle, tessuti, ecc…
Successivamente nel vassoio vengono inseriti fogli con tracce da ritagliare, prima senza margini, poi inserendo un’ulteriore difficoltà, che consiste nel fermarsi con le forbici prima di arrivare al margine del foglio:

IDEA REGALO NATALIZIA – Segnalibro di carta

Materiale occorrente:

strisce di carta (circa 5cm x 10cm, o più)
forbici
colla.

Come si fa:

Dopo aver mostrato al bambino come piegare la striscia di carta (a metà nel senso della lunghezza),

disegnare a matita leggera delle tracce oblique a distanza regolare, partendo dal lato piegato e fermandosi prima dei margini esterni.

Tagliare lungo le tracce disegnate, tenendo la striscia piegata e partendo dal lato piegato.

Aprire la striscia e piegare uno sull’altro le parti ritagliate:

in questo modo si creano vari motivi geometrici molto interessanti. Le varianti sono infinite, di seguito qualche esempio…

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Segnalibro uno

Per questo segnalibro ho usato la carta marmorizzata fatta in casa

Scelti due tipi di carta contrastanti per colori, ho preparato una striscia bicolore incollando rovescio contro rovescio un foglio sull’altro:

ho piegato la striscia a metà nel senso della lunghezza:

ho disegnato delle tracce oblique regolari a partire dalla piegatura verso il margine:

e ho tagliato:

Ho aperto la striscia:

e ho iniziato a piegare il primo taglio:

e poi via via gli altri:

ho poi incollato il tutto su un terzo foglio di carta, così:

con questo risultato:

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Secondo segnalibro

Dopo aver preparato la striscia bicolore, come spiegato per il primo segnalibro:

ho tracciato linee oblique curve:

che poi ho tagliato:

ho quindi aperto la striscia:

e piegato uno ad uno i tagli:

poi ho voltato il segnalibro:

e l’ho incollato su una terza striscia di carta:

con questo risultato:

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Terzo segnalibro

Dopo aver preparato la striscia a doppio, ho disegnato linee oblique regolari abbastanza larghe e molto inclinate:

le ho tagliate:

ho aperto la striscia:

ho piegato lungo il primo taglio:

poi ho continuato, ma saltando sempre un taglio, così:

ho poi incollato la striscia su un terzo foglio di carta:

con questo risultato:

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Variante al segnalibro: l’alberello di Natale

Con la stessa tecnica si possono realizzare semplici alberi di Natale, che possono poi essere incollati su un biglietto d’auguri o su un foglio di carta per realizzare un quadretto. L’albero naturalmente può essere arricchito con la tecnica del collage aggiungendo tronco e decorazioni, e diventare così un bel regalino fatto a mano per una persona cara.

Piegate a metà un foglio di carta verde, e tagliate i margini esterni a forma di abete. Quindi tracciate le linee oblique, come per il segnalibro, così:

Tagliate lungo le tracce, quindi aprite:

Piegate verso il basso le strisce, una sì e una no, così:

Incollate su un foglio rosso, tagliando le parti eccedenti in basso, con questo risultato:

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Le pianure italiane

Le pianure italiane materiale didattico vario per la scuola primaria.

Le pianure italiane
La Penisola Italiana, circondata a Nord dalle Alpi e percorsa in tutta la sua lunghezza dagli Appennini, presenta poche e non vaste pianure. L’unica che meriti tale nome è la pianura padano-veneta. Le altre o sono ristrette e limitate fasce costiere oppure sono conche interne, chiuse tra le catene dell’Appennino.

La Pianura Padana
Con i suoi 46.000 kmq di superficie, la Pianura Padana è la più vasta delle pianure italiane ed occupa da sola circa 1/7 della superficie totale del territorio italiano. E’ situata in quella zona che alla fine dell’era terziaria non era che un vasto golfo del Mare Adriatico. I detriti trasportati dal Po e dagli altri fiumi provenienti dalle Alpi e dall’Appennino Settentrionale respinsero gradatamente l’acqua marina, colmarono il golfo, trasformandolo prima in laguna, poi in palude ed infine in terreno compatto e fertile.
Dall’estremità meridionale dei laghi è breve il passo alla pianura. Già i fiumi che ne escono nel loro andare calmo e largo lo preannunciano. A destra e a sinistra delle loro rive i colli man mano si abbassano e si discostano; le ultime ondulazioni si vanno spianando come gli orli di un manto regale che si adagino al suolo. Comincia la grande pianura padana che insensibilmente degrada dalle Prealpi verso la lunghissima ruga trasversale in cui scorre il Po e poi insensibilmente risale verso le prime pendici dell’Appennino. L’orizzonte si fa sterminato, il cielo si distende a perdita d’occhio, sparso di nuvole bianche, sopra la terra di un verde uguale e intenso, rigata da strade dritte, fitta di città popolose e operose. Eppure anche questa grande e bella e ricca Valle Padana è il risultato di una millenaria e dura e oscura fatica. Nell’età in cui la valle del Po giaceva ancora fuori d’Italia, di là dal civile dominio di Roma, i rudi coloni cominciarono con infaticabile pazienza a costruir difese contro le acque rapinose, a colmare gli stagni, a spianare i campi, a dissodare le macchie, a mondare la terra, a coltivarla, e così di generazione in generazione, di secolo in secolo, finchè questa terra è diventata una delle più produttive regioni agricole d’Europa.
Oggi, soltanto qualche meandro dei maggiori fiumi, là dove essi si svolgono lontani dagli abitati entro più folte cortine di boschi, può ancora evocare la solitudine del paesaggio primordiale. Per tutta la restante ampiezza della sua superficie, la valle del Po è una maglia fittissima e interrotta di canali, di argini, di filari, d’alberi rettilinei, di strade, di rotaie, di fasci di fili elettrici, di città e di villaggi posti ai punti di incrocio dei traffici secondo un piano che, osservato dall’alto, dà l’impressione di un disegno eseguito dall’ingegnere di una gigantesca bonifica.

Le pianure minori italiane
Le altre pianure italiane sono piuttosto piccole e quasi tutte situate in vicinanza del mare. Sono per lo più dovute al lento e progressivo depositarsi dei detriti che i fiumi erodono dai monti e spingono verso il mare.
Le principali sono:
– il Valdarno inferiore, la Versilia e la Maremma Toscana in Toscana;
– la Campagna Romana e l’Agro Pontino nel Lazio;
– la Pianura Campana, formata dai depositi alluvionali del Volturno e dall’abbondante materiale vulcanico eruttato dai vicini crateri di Roccamonfina, dei Campi Flegrei e del Vesuvio, e la Piana di Pesto, in Campania;
– la Terra d’Otranto e il Tavoliere in Puglia;
– la Piana di Catania, formata dai depositi alluvionali del Simeto, in Sicilia;
– il Campidano, tra i golfi di Cagliari e di Oristano, in Sardegna.
Fra le pianure interne ricordiamo:
– la Pianura di Pistoia e di Firenze e la Val di Chiana in Toscana;
– la Conca di Spoleto, la Conca di Foligno e la Conca di Terni in Umbria;
– la Conca dell’Aquila, la Piana di Sulmona e la Conca del Fucino, in Abruzzo.

Come nacque la Pianura Padana
La pianura del Po è filiazione diretta dei due sistemi montani delle Alpi e dell’Appennino, nel senso che è nata effettivamente per l’accumulo di materiali rocciosi derivati dalla loro graduale demolizione ad opera dell’aria e dell’acqua, erosi e trasportati in basso da ghiacciai, da torrenti e da fiumi, e da questi ridotti in ciottoli, in ghiaia, in sabbia, in melma. E’ certo che se la montagna ha fornito i materiali, il maggior lavoro nella gigantesca impresa l’hanno compiuto i fiumi.
All’uscita delle valli, che avevano percorso ripidi e impetuosi, essi venivano perdendo velocità e capacità di trasporto. Avveniva quello che anche oggi possiamo vedere allo sbocco di valli secondarie nella principale e cioè la formazione di cumuli appiattiti costituiti di massi e ciottoloni, primi depositi perchè più voluminosi e più pesanti. Tanti erano i maggiori fiumi alpini e appenninici sboccanti al piano, altrettanti furono questi cumuli. E per il loro sviluppo in estensione, vennero stabilendosi dei contatti fra l’uno e l’altro, così da dare in complesso origine a un piano inclinato, a partire dalle falde alpine e appenniniche.

Pianura Padana
Nel paese di mia madre v’è un campo quadrato, cinto di gelsi.
Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi.
Rogge scorrenti vi sono, tra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
La terra s’allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire.
Nel paese di mia madre v’han ponti di nebbia, che il vespro solleva da placidi fiumi;
varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi.
Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan dell’acque il fluire;
quando nei rami s’impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.
Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia
e ronzano mosche lucenti, ghiotte intorno ad un ammasso di concio.
Possanza di morte, possanza di vita, nell’odore del concio; ne gode
la terra dall’humus profondo, sotto la vampa d’agosto che immobile sta.
Nel paese di mia madre quando il tramonto s’insanguina obliquo sui prati,
vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via;
la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all’aie fiorite di lucciole,
vecchia canzone di gente lombarda: “La violetta la vaa la vaaa…”. (A. Negri)

Origine delle pianure
Le varie pianure, pur conservando sotto certi aspetti qualche tratto comune, si differenziano molto l’una dall’altra. Anche tra le pianure fertili e coltivate, comprese nelle zone temperate (come ad esempio tutte le pianure italiane), si manifestano notevoli differenze, a seconda della relativa estensione, della rete idrografica sufficiente o no all’irrigazione, ma, soprattutto, in relazione alla loro origine.
Infatti on tutte le pianure si sono formate nello stesso modo.
Pianure alluvionali sono quelle che si sono venute formando, nel lungo corso di secoli e millenni, per l’erosione dei fiumi che scendendo a valle, portarono con sè ogni sorta di detriti e colmarono in tal modo laghi, golfi, insenature.
Tipico esempio di pianura alluvionale è la Pianura Padana, costituitasi per l’apporto di limo e di detriti del Po, là dove un tempo esisteva soltanto un golfo marino. I depositi alluvionali hanno, come conseguenza, il continuo avanzamento della foce dei fiumi, e l’arretramento di città che da costiere diventano sempre più di terraferma (vedi ad esempio Adria, un tempo celebrato porto sull’Adriatico ed ora distante circa venti chilometri dalla costa).
Le pianure alluvionali in genere sono costituite da ottimo terreno dalla composizione assai minuta, detto “terreno di medio impasto” perchè contenente in giuste proporzioni silice, argilla, calcare e humus, complesso di sostanze organiche putrescenti, cariche di batteri, indispensabile al processo vegetativo: così che il terreno alluvionale permette una ricca e varia vegetazione, anche di quelle colture che trovano l’optimum in altri tipi di terreno (come certo terreno vulcanico per gli ortaggi, il terreno di collina per vini scelti e frutta, certo terreno di costa per agrumi e fiori).
Alcune pianure, dette strutturali, sono dovute a sollevamenti dei fondali marini a piattaforma; altre sono costituite da ceneri e da frammenti di lava eruttati dai vulcani: sono le pianure vulcaniche; vi sono poi le pianure di bacino lacustre, così chiamate perchè si sono formate da riempimento alluvionale entro conche lacustri (e perciò alla testata dei laghi subalpini). E’ facile trovare, in tali piane, delle miniere di lignite, dovute all’accumulo di alberi trascinati nella conca dai fiumi o cresciuti sul fondo della conca stessa prima del riempimento alluvionale.
Abbiamo dunque, secondo l’origine, quattro tipi di pianure, che in Italia sono così distribuite:
– alluvionali: Pianura Padano-Veneta 46.000 kmq di superficie, di fronte ai 15.000 di tutte le altre pianure assommate); il Campidano in Sardegna; le piane dell’Arno in Toscana e del Crati in Calabria; la piana di Catania in Sicilia; l’Agro Pontino,
– strutturali: Tavoliere di Puglia e altre minori,
– vulcaniche: la Campagna di Roma e quella Campana,
– di bacino lacustre: Piane della Val Tiberina, d’Assisi, di Terni, di Spoleto, di Gubbio, del Mugello, del Casentino, ecc…

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I laghi italiani materiale didattico

I laghi italiani materiale didattico vario per la scuola primaria: dettati, letture, materiale per ricerche, mappe e cartine. In fondo alla pagina trovi altri articoli sull’argomento: i laghi in generale, leggende sui laghi italiani, ecc…

I laghi alpini
Frequentissimi in tutta la cerchia alpina, sembrano gemme strappate al nostro bel cielo per ricreare lo spirito di chi sa raggiungerli. Se ne scoprono a tutte le altitudini, anche sopra i 3000 metri, come è il caso del bellissimo Lago Azzurro di Cima Tessa, nelle Alpi Venoste (m 3045).
Ognuno ha un nome spesso suggerito dal colore delle acque (Lago Verde nel gruppo del Monte Rosa; Lago Blu in cui si specchia il Cervino, ecc…) o dalla località in cui si trova (Laghetti di Resia presso il passo omonimo; Lago di Carezza nelle Dolomiti, ecc…); ognuno ha una sua particolare bellezza che non si dimentica.
Sono quasi sempre dovuti all’opera di escavazione dei ghiacciai ed hanno generalmente dimensioni modestissime. L’uomo però ha imparato ad ampliarli, ad arricchirli di acque con dighe e sbarramenti, allo scopo di trasformarli in preziosi serbatoi per le centrali idroelettriche.
Altri laghi, prodotti dalla glaciazione quaternaria, sono quelli racchiusi entro anfiteatri morenici: nell’anfiteatro di Rivoli Torinese i due laghi di Avigliana (Grande e Piccolo); nell’anfiteatro di Ivrea il lago di Candia e il lago di Viverone; tra le morene frontali del Varesotto e della Brianza, i laghi di Monate e di Comabbio; il lago di Varese di Biandronno;  il lago di Montorfano; i laghi di Alserio, di Pusiano, di Segrino, di Annone. Nel Friuli, intermorenico è il lago di San Daniele.

I laghi prealpini
Passando in rassegna i nostri laghi prealpini cominciando da occidente, troviamo il lago d’Orta, tutto in territorio piemontese (lunghezza sulla mediana km 13,4; perimetro km 33,5; area kmq 18; altezza allo specchio m 290 s.m.; profondità massima m 143; media m 71); è un lago a deflusso invertito cioè con lo scarico delle acque non verso sud, ma verso nord.
Con la sponda occidentale in Piemonte e quella orientale in Lombardia e l’estremità a nord nel Canton Ticino è il Lago Maggiore o Verbano, il secondo d’Italia per vastità (lunghezza sulla mediana km 13,4; perimetro km 33,5; area kmq 18; altezza allo specchio m 290 s.m.; profondità massima m 143; media m 71);(lunghezza km 65; larghezza da km 2 a km 4,5 secondi i luoghi; perimetro km 166; area kmq 216; profondità massima m 372). Suo immissario, con  altri corsi minori, è il Ticino, che ne esce unico emissario a Sesto Calende. Ha un golfo importante, il Golfo Borromeo o di Pallanza. Di fronte alla riva tra Baveno e Stresa sorgono le Isole Borromee. Alle alluvioni del fiume Toce è dovuto il distacco, dal bacino maggiore, dell’attuale Lago di Mergozzo.  Il Verbano ha un bacino l’impluvio vastissimo: il livello del lago è quindi assai variabile. Molto pescoso, ha importanti centri turistici: Stresa, Baveno, Verbania, Cannero, Luino, Laveno.
Tributario del lago Maggiore per messo del fiume Tresa è il Lago di Lugano o Ceresio, in buona parte in territorio svizzero (lunghezza massima km 12; area 49 kmq; larghezza massima 3 km; profondità massima 388 m).
Fra monti elevati si stende coi suoi rami il suggestivo Lago di Como o Lario. Da nord, dove l’Adda sbocca dalla Valtellina, si spinge fino al promontorio di Bellagio col nome di Lago o Ramo di Colico; poi si biforca nei due rami di Como e di Lecco (lunghezza fra Como e Gera 50 km; lunghezza del ramo di Lecco 19 km; area 146 kmq; larghezza minima 650 m; larghezza massima 4,4 km). Due i principiali tributari: l’Adda e la Mera; unico emissario l’Adda che, lasciato il ramo di Lecco, si allarga poi a formare i due laghi di Garlate e di Olginate.
Sempre procedendo verso oriente, le Prealpi racchiudono i più modesti laghi di Endine o di Spinone nella bergamasca Val Cavallina; di Idro o Eridio nella bresciana valle delle Chiese (oggi trasformato in bacino idrico artificiale); di Ledro nella trentina valle omonima.
Ben più importante il lago di Iseo o Sebino, per metà bergamasco e per metà bresciano, che occupa il fondo di sovrescavazione glaciale della Valcamonica (altezza m 185; lunghezza 25 km; larghezza massima 4,7 km; area 62 kmq; profondità massima 251 m). Immissario è il fiume Oglio. Dalle azzurre acque del Sebino emerge Montisola, la maggiore isola lacustre italiana (4,5 kmq; altezza m 600).
Ed eccoci al Lago di Garda o Benaco, il maggiore dei laghi italiani, “vastissima conca dall’empito marino” come la definisce il Morandini, che da Desenzano si protende per quasi 52 chilometri sino a Riva, quasi congiungendo la pianura lombarda, attraverso dolci colline moreniche, alle giogaie alpine (profondità massima 346 m; area 370 kmq; perimetro 155 km; larghezza massima 17,5 km; larghezza minima 2,4 km). Fra i due grandi golfi di Desenzano e Peschiera si protende nel lago la catulliana “perla delle penisole” Sirmione, nota anche per la fonte termale subacquea della Boiola.
Modesto è il bacino d’impluvio del Garda, per cui poco rilevanti sono le variazioni di livello. L’immissario più importante è il Sarca, ma piccoli torrenti scendono nel lago da tutti i versanti. Emissario è il Mincio, a Peschiera. Unica isola notevole è quella di Garda, a est di Salò. Data la vastità, nel Garda, più che in altri laghi, sono accentuate le sesse; vi è anche una forte corrente profonda, il corrivo.

Come sono nati i laghi prealpini

E’ ormai accertato che con l’erosione glaciale è connessa l’origine dei laghi prealpini. Dall’esame della posizione del materiale che costituisce l’alta pianura lombarda si può lecitamente dedurre che, quando sono scesi la prima volta i ghiacciai dalle Alpi (e sono scesi almeno quattro volte, con discese alternate  a fortissimi ritiri) le valli erano già formate, erano già state in precedenza scavate dai fiumi. Il ghiacciaio non ha fatto altro (fenomeno grandioso, tuttavia!) che “ultrascavare” queste valli, trasformando un buon tratto del loro sbocco nelle Prealpi in lunghe conche in contropendenza, cioè in navicelli, perciò il laghi; le valli furono allargate con l’erosione dei versanti in modo che questi vennero resi più ripidi (le famose valli a U).
E le isole? E le biforcazioni dei laghi? Le isole rappresenterebbero dei resti di diaframmi che un tempo separavano due valli; queste vengono occupate dalla colata glaciale che s’affonda nelle due vallate, allarga i versanti e riduce quindi il vecchio diaframma a semplici isolotti.
Quanto alle biforcazioni, di cui l’esempio classico è quello dei due rami del Lago di Como, è accettabile l’ipotesi che si tratti di due antiche valli che scendevano da un gruppo di basse montagne del centro lago; l’avanzata glaciale ha torto di mezzo le due basse testate delle due valli, è penetrata in esse e, ulteriormente scavandole, le ha trasformate in conche, cioè in laghi. (G. Nangeroni)

Laghi costieri e lagune
Effetto dell’alluvionamento marino sono anche i laghi costieri, assai frequenti in Italia; antiche insenature più o meno ampie, sbarrate da cordoni litoranei accumulati dalle onde. Tali i due maggiori laghi costieri italiani, quello di Varano (60 kmq) e di Lesina (51 kmq) e altri minori del Gargano, i laghi di Burano nella maremma toscana, e il Sorso in Sardegna, gli stagni della costa siciliana presso Capo Faro e del retroterra del golfo di Cagliari, i laghetti di Tindari in Sicilia, i laghi pontini e di Fondi, di Sabaudia, ecc…
Di lagune vere e proprie, prosciugate alla fine del Medioevo e all’inizio dell’Età Moderna quelle che anticamente circondavano Ravenna, oggi in Italia rimangono soltanto quelle venete, tra la foce dell’Isonzo e il delta del Po.
Lagune vive sono gli specchi d’acqua prossimi al mare, da cui sono separate da cordoni litoranei interrotti in più punti, e quindi direttamente soggette all’azione delle maree e delle relative correnti; lagune morte sono quelle più interne, ove l’azione delle maree arriva indirettamente e debolmente.
La laguna Veneta comprende la Laguna di Chioggia, di Malamocco e di Venezia; quella Friulana comprende la Laguna di Marano e di Grado.
Durante l’alta marea le acque marine penetrano nelle aperture dei cordoni litoranei, dette porti, e scavano i canali che percorrono in ogni senso la laguna viva e che, per la loro profondità, sono i soli navigabili. Nella laguna morta, le correnti di marea arrivano troppo attenuate per scavare e tenere sgombri i canali, quasi sempre tortuosi e poco profondi. Tuttavia anche nelle lagune vive è l’opera umana che deve intervenire per tener sgombri i canali dai depositi alluvionali.
Nel Veneto gli spazi lagunari adattati dall’uomo per la pesca e la pescicoltura sono chiamati valli. Le valli più estese sono quelle di Comacchio, originariamente ad acque dolci, dall’uomo trasformate in specchi salati per ospitare e conservare il pesce di mare.

I laghi vulcanici
i laghi vulcanici sono caratteristici dell’Antiappennino laziale. Di forma press’a poco circolare e generalmente profondi, occupano i crateri di vulcani spenti. Ricordiamo il Lago di Bolsena, il Lago di Vico, il Lago di Bracciano, il Lago di Albano e il Lago di  Nemi.
Il Lago di Bolsena o Vulsino ha una superficie di 115 kmq e una profondità di 146 m. Abbraccia numerosi antichi crateri dei Monti Vulsini ed accoglie alcune isolette.
Il Lago di Vico o Cimino ha una superficie di 12 kmq e una profondità di 50 m. Riempie le cavità crateriche dei Monti Cimini.
Il lago di Bracciano o Sabatino ha una superficie di 57 kmq e una profondità di 160 m. Ha forma quasi circolare e si trova sui Monti Sabatini.
Il Lago di Albano ha una superficie di 6 kmq e una profondità di 179 m. Occupa uno dei crateri di quello che fu un tempo l’antico Vulcano Laziale.
Il Lago di Nemi ha una superficie di 1,5 kmq ed una profondità di 34 m. Anch’esso occupa un cratere dell’antico Vulcano Laziale.
Fra i laghi dell’Italia centrale solo il Trasimeno non ha origine vulcanica, ma è un lago relitto. E’ cioè un lago formatosi in epoche remote quando, in seguito ad alcuni sconvolgimenti della crosta terrestre, uno specchio di mare rimase isolato e circondato da terre. Ha una superficie di 138 kmq e una profondità media di circa sette metri.
Un tempo il più grande lago dell’Italia centrale era il Fucino, chiuso fra il Monte Velino e i Monti Simbruni, nella Marsica, con un’estensione di 165 kmq. Tentativi per prosciugarlo vennero compiuti fin dall’epoca romana. Ripresi nel Medioevo, furono coronati da successo soltanto nel secolo scorso ed ora l’alveo del Fucino è diventato una delle zone agricole più produttive dell’Italia centrale.

I laghi artificiali
Dagli ultimi anni del 1800 ad oggi si sono costruiti in Italia, per mezzo di dighe di sbarramento, numerosi bacini o laghi artificiali, che hanno cambiato sensibilmente il paesaggio alpino e appenninico. Queste riserve d’acqua sono state rese indispensabili dal bisogno di produrre energia idroelettrica e da quello di irrigare, anche nei periodi di siccità, vaste zone agricole per una maggiore produttività. Questi laghi artificiali sono ormai molto numerosi nel nostro paese.

Il lago malato
L’Umbria ospita nel suo territorio il maggior lago dell’Italia peninsulare, il Trasimeno. Esteso su una superficie di 128 kmq, inferiore di poco a quella del Lago di Como, il lago ha una forma grossolanamente circolare; il suo perimetro misura circa 54 km e la massima profondità raggiunge circa sei metri.
Questo grande specchio lacustre offre un paesaggio tra i più dolci e riposanti: le sue basse rive, coperte di vegetazione, si protendono nell’acqua e in alcuni tratti quasi vi si confondono; tutt’intorno è un susseguirsi di colli ondulati, coperti di olivi e disseminati di casolari e di piccoli centri abitati; la superficie del lago, che si estende uniforme a perdita d’occhio, è interrotta dolo da tre piccole isole, emergenti dalle acque con i loro dossi verdeggianti: a sud l’isola Polvese, che è la più vasta; presso la costa settentrionale la piccola isola Minore e, vicina ad essa, la Maggiore, la sola che abbia oggi un notevole nucleo di popolazione. Ma fino a quando questo paesaggio potrà conservare le sue suggestive caratteristiche? Da tempo ormai il Trasimeno è noto come il “lago malato”, che vede ridurre ogni anno la sua superficie e profondità, mentre la vegetazione palustre che ha invaso le rive si spinge sempre più avanti guadagnando terreno sullo specchio d’acqua e ne ha ormai raggiunto anche il centro, dove il livello delle acque non supera oggi i tre metri; il lago, che si va trasformando a poco a poco in una grande palude è destinato ad estinguersi e a scomparire entro breve periodo, se non interverrà un cambiamento delle condizioni attuali.
Le condizioni in cui si trova il lago hanno fatto ritornare di attualità l’idea del completo prosciugamento, idea che già si era fatta strada nei secoli scorsi per porre un definitivo rimedio alle inondazioni delle campagne circostanti; ora si riaffaccia con un altro scopo, quello di evitare che una ulteriore riduzione del livello dell’acqua finisca col trasformare tutto il lago in una malsana palude, come sta ormai verificandosi nei larghi tratti di esso. Questa soluzione, che risolverebbe per sempre il problema idrologico del Trasimeno, non trova però tutti d’accordo: si pensa che l’estinzione di un così vasto specchio lacustre potrebbe forse portare sensibili modificazioni del clima di tutto il bacino che secondo alcuni sarebbe mitigato, nell’inverno, dalla massa d’acqua del lago (ma la scarsa profondità delle acque sembra escludere che esse possano esercitare un’azione mitigatrice sulla temperatura delle aree circostanti); e che si verrebbe ad eliminare l’attività di pesca, la quale, sia pure ridotta, costituisce ancora una risorsa per una parte della popolazione rivierasca.
Perciò, contro all’idea di accelerare il processo naturale già in atto, si avanzano progetti per arrestarlo, anzi per ripristinare lo specchio lacustre nella sua integrità, convogliandovi acqua anche da zone esterne al suo troppo ristretto bacino imbrifero, in modo da compensare le perdite per evaporazione e riattivare e regolarizzare in pari tempo il corso dell’emissario.
Di recente sono già stati restituiti al lago i due immissari Tresa e Rio Maggiore, le cui acque vengono immesse nel bacino attraverso il fosso dell’Anguillara. Di vorrebbero inoltre far giungere al Trasimeno, mediante un canale, le piene dell’alto Tevere che si verificano nella Val Tiberina; si eviterebbero così i danni causati dalle inondazioni in quella conca dell’Umbria settentrionale, si innalzerebbe il livello del lago arrestandone l’impaludamento, e infine le acque deviate ritornerebbero al Tevere più a valle, attraverso l’emissario ed il corso del Nestore, attenuandone l’irregolarità del regime. (M. R. Prete Pedrini)

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I fiumi italiani

I fiumi italiani materiale didattico vario per la scuola primaria: dettati, letture, tabelle, mappe e cartine… Per il materiale sul fiume in generale vai qui 

I fiumi italiani

Le abbondanti piogge delle Alpi, le nevi e i ghiacciai, alimentano numerosi corsi d’acqua che per la maggior parte finiscono nel più grande fiume d’Italia: il Po.
Il Po attraversa tutta la Pianura Padana e sbocca nell’Adriatico con un largo delta, cioè si divide come le dita della mano. Il Po nasce dal Monviso e prima di arrivare al mare compie  un viaggio lungo ben 652 chilometri. Lungo il suo percorso riceve le acque di numerosi fiumi che prendono il nome di affluenti. I principali sono il Ticino, l’Adda, l’Oglio e il Mincio.
Tutti questi fiumi scendono dalle Alpi, così come l’Adige e il Piave. Anche dall’Appennino scendono numerosi fiumi, ma non molto lunghi e di solito poveri d’acqua.
Due soltanto sono importanti: l’Arno, che attraversa Firenze, e il Tevere, che attraversa Roma. Entrambi finiscono nel mar Tirreno.
Nell’Italia meridionale sono da segnalare il Volturno e il Garigliano.
Tra i fiumi che scendono dall’Appennino sono da segnalare anche il Liri e il Volturno.

Principali fiumi italiani

Po (652 km), Adige (410 km), Tevere (405 km), Adda (313 km), Oglio (280 km), Tanaro (276 km), Ticino (248 km), Arno (241 km), Piave (220 km), Reno (211 km), Volturno (175 km), Tagliamento (170 km), Ombrone (161 km), Dora Baltea (160 km), Brenta (160 km), Liri – Garigliano (158 km), Tirso (150 km), Basento (149 km), Aterno – Pescara (145 km), Imera – Salso (144 km), Isonzo (136 km), Ofanto (134 km), Flumendosa (127 km), Mannu – Coghinas (123 km), Bacchiglione (118 km), Bradano (116 km), Sangro (115 km), Simeto (113 km), Livenza (112 km), Metauro (111 km).

Caratteristiche dei fiumi italiani
Che differenza c’è tra i fiumi alpini, quelli appenninici e quelli calabresi e insulari?
Quelli che scendono dalle Alpi provengono quasi tutti dai ghiacciai e dai nevai; sono perciò in piena nei sei mesi di primavera e estate; ma non sono piene rovinose, perchè alcuni, prima di giungere al piano, attraversano estesi laghi in cui smorzano il loro impeto e chiarificano le loro acque torbide.
Invece quelli che scendono dall’Appennino, alimentati quasi esclusivamente dalle piogge, sono in generale poveri di acque ed irregolari, passando dalle piene improvvise, talora rovinose della primavera e dell’autunno, alle magre eccessive d’estate.
Quelli, poi, calabresi e delle isole, hanno piene solo invernali, perchè è d’inverno che qui piove, salvo rimanere completamente asciutti d’estate, quando la vegetazione più ne avrebbe bisogno. Questi fiumi sono chiamati fiumare.

Fiumi tributari dell’Adriatico
I fiumi alpini che sfociano nell’Adriatico in territorio italiano sono i fiumi veneti e il Po, che raccoglie le acque degli affluenti di sinistra, provenienti dalle Alpi, e di quelli di destra provenienti dagli Appennini. Tutti questi fiumi costituiscono, presi insieme, il sistema idrografico padano-veneto, che è il maggiore d’Italia. Dagli Appennini scendono all’Adriatico tutti i fiumi del versante esterno della catena, dalla Romagna alla Puglia.
Dei fiumi veneti il più importante è l’Adige, il secondo fiume italiano per lunghezza (km 410) e il terzo per ampiezza di bacino.
L’Adige, che ha le sue sorgenti sotto il Passo di Resia, forma la Val Venosta e la Val Lagarina, ricevendo l’Isarco e l’Avisio da sinistra, il Noce da destra, finchè, sbicato in pianura, bagna Verona e si dirige verso l’Adriatico.
Il più lungo fiume italiano è il Po, lungo 652 km e con un bacino fluviale che ha un’estensione di 75.000 kmq. Nasce da un laghetto nel Pian del Re a 2000 metri di altitudine sul Monviso, nella Alpi Cozie, e dopo aver percorso i primi 30 km in una valle angusta a forte pendenza, giunge al piano presso Saluzzo, ove si allarga e diventa meno impetuoso. Bagna poi Torino, Casale Monferrato, Piacenza, Guastalla  ove raggiunge la sua massima larghezza (m 1500) e diviene accessibile ai natanti piuttosto grossi. Da Cremona in poi procede lento con ampie curve (meandri) e sul suo letto si accumulano tanta sabbia e melma che, in regime di acque alte, il Po scorre prevalentemente sopra il livello della pianura. Per questo, onde evitare dannosi straripamenti, esso è stato fiancheggiato da potenti arginature fino all’Adriatico. Qui il Po si getta attraverso un delta costituito da sette rami principali e da altrettante bocche secondarie sparse su una costa paludosa di 50 km.
I sette rami principali della foce del Po sono: il Po di Levante, il Po di Maestra, il Po di Tolle, il Po di Gnocca, il Po di Goro, il Po di Volano, il Po di Pila.
Le sue acque trasportano ancora abbondanti detriti e il delta avanza nel mare con una media di sette metri all’anno.
Nel suo lungo corso il Po riceve numerosi affluenti da sinistra (Alpi) e da destra (Appennini).
Tutti questi fiumi che, insieme con il Po, solcano la pianura padana, sono i costruttori della pianura stessa. Infatti, nel corso di millenni e millenni, essi hanno trasportato una quantità immensa di detriti, che lentamente hanno colmato l’ampio golfo del Mare Adriatico che, in epoca lontanissima, occupava il posto della pianura padana.
Gli affluenti di sinistra sono i più importanti perchè provengono dalle Alpi e sono  quindi più ricchi di acque. I principali sono:
– la Dora Riparia, che nasce dal Monginevro, percorre la Val di Susa e confluisce nel Po nelle vicinanze di Torino. Presso la sorgente riceve l’affluente Ripa, da cui prende il nome;
– la Dora Baltea, che sgorga dal Monte Bianco, raccoglie le acque provenienti dal Gran Paradiso, dal Cervino e dal Monte Rosa, percorre la Val d’Aosta, e bagna Aosta e Ivrea. Ad Aosta riceve il fiume Balteo, da cui trae il nome;
– la Sesia, che nasce dal Monte Rosa, attraversa la Valsesia, bagna Varallo e Vercelli;
– il Ticino, che ha le sue sorgenti sulle pendici del San Gottardo, in Svizzera, percorre la Valle Levantina in territorio elvetico, attraversa il Lago Maggiore, poi bagna Pavia. Tra i fiumi italiani viene subito dopo il Po per la portata d’acqua;
– l’Adda, che nasce presso il passo dello Stelvio, percorre la Valtellina, entra nel lago di Como, ne esce presso Lecco, e attraversa fertili campagne, bagnando Lodi. L’Adda è il quarto fiume italiano per la lunghezza di corso (313 km) e per portata d’acqua;
– l’Oglio, che sgorga dalle propaggini dell’Ortles, percorre la Val Camonica, attraversa il lago d’Iseo e, prima di sfociare nel Po, riceve le acque del Mella e del Chiese;
– il Mincio, che ha le sorgenti nel gruppo dell’Adamello, col nome di Sarca entra nel lago di Garda, ne esce con il nome di Mincio e poi bagna Mantova, intorno alla quale forma tre piccoli laghi.
Gli affluenti di destra del Po, ad eccezione del Tanaro che nasce dalle Alpi Marittime, provengono tutti dall’Appennino Settentrionale. I principali sono:
– il Tanaro, che sgorga dal Saccarello, riceve la Stura di Demonte e la Bormida con l’Orba, e scorre tra le Langhe e il Monferrato con un corso totale di 276 km;
– la Scrivia, la Trebbia, il Taro, la Secchia, il Panaro, che hanno origine dall’Appennino Ligure e dall’Appennino Tosco-Emiliano, e percorrono valli trasversali e quasi parallele tra loro. Hanno regime torrentizio; quasi asciutti in estate, si gonfiano e spesso straripano durante le piogge primaverili ed autunnali.
I fiumi appenninici che si versano direttamente nell’Adriatico si susseguono l’uno dopo l’altro dall’Emilia Romagna alla Puglia; essi sono numerosi, ma nel complesso poveri d’acqua, perchè hanno corsi brevi, carattere torrentizio e vanno soggetti a lunghi periodi di magra.
Quelli di maggiore portata sono i fiumi abruzzesi e molisani, aumentati dalle acque, relativamente copiose, del Gran Sasso e della Maiella. Il principale è l’Aterno, che raggiunge l’Adriatico con il nome di Pescara. Poverissimi d’acqua sono, normalmente, i fiumi pugliesi.

I fiumi del versante ligure-tirrenico
I fiumi più importanti della Penisola mandano le loro acque nel Mar Tirreno perchè, in corrispondenza di questo mare, gli Appennini si allontanano dalla costa e lasciano ai corsi d’acqua agio di distendersi.
Dei fiumi che interessano la Liguria meritano di essere ricordati la Roia (km 59) che nasce presso il Passo di Tenda, e la Magra (km 62) che scende dal Passo della Cisa.
La bella serie di fiumi del versante ligure-tirrenico ha inizio con il Serchio, al quale seguono l’Arno, la Cecina, l’Ombrone, il Tevere, il Liri-Garigliano, il Volturno e il Sele.
Il Serchio (km 89) percorre la Garfagnana, tra l’Appennino e le Alpi Apuane, bagna Lucca, entra in pianura e sfocia in mare poco a Nord dell’Arno.
L’Arno (km 241) è il maggiore dei fiumi toscani e uno dei più importanti d’Italia per ricchezza d’acqua. Nasce dal Monte Falterona, scende ripiido per la Valle del Casentino e riceve le acque della Chiana. Lambisce, quindi, il gruppo montuoso del Pratomagno, riceve le acque del Sieve, e puntando decisamente a Ovest, si dirige verso il mare che raggiunge dopo aver bagnato Firenze, Empoli e Pisa.
A Sud dell’Arno, troviamo la Cecina (km 74) che scende dai Monti Metalliferi, e l’Ombrone Grossetano (km 161) che attraversa la Maremma Toscana.
Il Tevere (km 405) è il più importante fiume dell’Italia Peninsulare. Nasce dal Monte Fumaiolo, a breve distanza dalle sorgenti dell’Arno, e nel primo tratto corre nella stretta Val Tiberina. Lambita l’altura di Perugia, riceve da destra il Nestore, che gli porta le acque del Lago Trasimeno. Prima di raggiungere Roma riceve la Nera e l’Aniene. Sbocca nel Tirreno con due rami che racchiudono l’Isola Sacra.
A monte della sua confluenza con il Tevere, la Nera riceve le acque del Velino, che vi si precipitano con un triplice salto dando luogo alla suggestiva Cascata delle Marmore.
Il Liri-Garigliano (lm 168) nasce in Abruzzo col nome di Liri e scorre nel Lazio dove riceve il Gari, da cui il nome Garigliano.
Il Volturno (km 175) è il maggior fiume della Campania. Nasce nel Gruppo della Meta (Molise) e, in Campania, si arricchisce delle acque del Calore. Sfocia nel Golfo di Gaeta, a Sud del Garigliano.
Il Sele (Km 64) ha corso breve ma è ricchissimo di acque, tanto che una delle sue copiose sorgenti alimenta l’Acquedotto Pugliese. Sbocca nel Golfo di Salerno dopo aver attraversato la Piana di Pesto.

I fiumi del versante ionico
Al Golfo di Taranto scendono dall’Appennino Lucano il Bradano (km 167), il Basento (km 149), l’Agri (km 136) e il  Sinni (km 100), tutti fiumi della Basilicata.
Veramente più che fiumi dovrebbero chiamarsi torrenti, perchè in estate sono poverissimi d’acqua (il Basento, anzi, nei mesi di agosto e di settembre è quasi sempre asciutto). In inverno, invece, sono soggetti a piene impetuosissime e trasportano a valle grandi quantità di detriti che poi depositano lungo la pianura costiera.
Le stesse caratteristiche dei fiumi lucani ha il Crati (km 81), il più lungo fiume della Calabria; scende dalla Sila e giunge al mare dopo aver attraversato la Piana di Sibari. Degno di note è il Neto che ha le sorgenti poco a nord di quelle del Crati. Le sue acque e quelle dei suoi affluenti hanno consentito la costruzione di grandi serbatoi artificiali sulla Sila.

I fiumi delle isole
Anche i fiumi delle Isole della regione italiana sono brevi e poveri di acque come gran parte dei fiumi dell’Italia Peninsulare.
In Sicilia il fiume di maggior bacino è il Simeto, che sgorga dai Monti Nebrodi, lambisce le falde dell’Etna, raccoglie le acque provenienti dai Monti Erei e raggiunge il Mar Ionio nel golfo di Catania, dopo un percorso di 113 km. Il più lungo fiume siciliano è invece il Salso o Imera Meridionale, detto così perchè, come altri fiumi dell’isola, ha acque salmastre. Esso nasce dalle Madonie e dopo un percorso di 144 km raggiunge il Mar di Sicilia nel golfo di Gela. Anche il Platani sfocia nel versante meridionale dell’isola, come il Belice, che scorre presso le rovine dell’antica colonia greca di Selinunte.
In Sardegna il fiume più importante è il Tirso. Nasce sull’altopiano di Buddusò, accoglie le acque del Taloro e del Flumineddu e dopo un percorso di 150 km si getta nel Mar di Sardegna all’altezza del golfo di Oristano. Il Flumendosa nasce nel Gennargentu e dopo un percorso di 127 km sfocia nel Mar Tirreno. Il Coghinas, il terzo fiume sardo, è formato dal Rio Mannu di Ozieri, proveniente dall’altopiano di Campo Giavesu e dal Rio Mannu di Berchidda, proveniente dal Massiccio del Limbara. Dopo un percorso di 123 km il Coghinas sfocia nel golfo dell’Asinara. Tutti e tre questi fiumi sono stati sbarrati con potenti dighe, onde fosse possibile raccogliere in grandi bacini artificiali le acque necessarie all’irrigazione e alla produzione di energia idroelettrica.

I fiumi italiani
Osservate l’imponente sistema del Po con i suoi piccoli affluenti di destra e i grandi affluenti di sinistra (con i laghi prealpini); i fiumi adriatici disposti come i denti di un pettine; i complicati fiumi del Tirreno (con tre laghi vulcanici e col Trasimeno, che non è vulcanico). Le lineette indicano le principali cascate.

Il delta del Po con i suoi sette bracci principali
Ogni anno qualche braccio si prolunga sempre più per centinaia di metri nel mare in conseguenza delle fanghiglie e sabbie trasportate e abbandonate dal Po nel mare. Duemila anni fa questo delta non esisteva, era tutto mare.

I fiumi delle tenebre
Grazie alla permeabilità dei terreni (terreni a struttura granulosa, sabbie, terreni coltivati) e grazie anche alle fessure e ai crepacci, l’acqua penetra fino a grande profondità, si raccoglie nelle cavità sotterranee, forma laghi e canali; e scorrendo sull’argilla e sulle rocce, passando da cavità a cavità del sottoterra, dà luogo ad un grande sistema di circolazione sotterranea, che può essere paragonata a quello della superficie terrestre.
Anche in Italia possiamo trovare fiumi e laghi sotterranei.
Un fiume, la Pinca, percorre le famose grotte di Postumia. Un altro fiume, il Recca Timavo, scorre per trentacinque chilometri nella grotta di San Canziano, dove spumeggia anche per una trentina di cascate prima di uscire “a riveder le stelle” a circa tre chilometri da Monfalcone.
Nel Buco dell’Orso, presso Como, nasce e scompare sottoterra un piccolo torrente. Così il Sagittario (che nasce negli Abruzzi sotto il paese di Villago) riceve acqua, per via sotterranea, dal lago di Scanno.

Crepuscolo di sabbiatori del Po
I barconi risalgono adagio, sospinti e pesanti;
quasi immobili, fanno schiumare la viva corrente.
E’ già quasi notte. Isolati, si fermano:
si dibatte e sussulta la vanga sott’acqua.
D’ora in ora, altre barche sono state fin qui.
I barconi nel buio discendono grevi di sabbia,
senza dare una scossa, radenti: ogni uomo è seduto
a una punta e un granello di fuoco gli brucia alla bocca.
Ogni paio di bracca strascina il suo remo,
un tepore discende alle gambe fiaccate
e lontano s’accendono i lumi.
… In distanza, sul fiume, scintillano i lumi
di Torino. Due o tre sabbiatori hanno acceso
sulla prua il fanale, ma il fiume è deserto. (C. Pavese) (rid.)

I pioppi sulla riva del fiume
Ora, nella brumale tristezza novembrina,
nell’aria senza raggio nè respiro nè moto,
voi vi drizzate fermi al cielo grave e vuoto,
ombre vane, confuse nell’ombra vespertina.
Non più ansia di volo, nè canto, nè tremore.
Le rade ultime foglie si levano dal ramo,
silenziose, quasi a un tacito richiamo.
Ora, nell’infinito silenzio, più non sento
che lo striscio tranquillo del gran fiume che va,
che va per la sua lenta strada d’eternità,
senza mai posa, sena mai posa o mutamento. (D. Valeri)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche CUO QUO

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche CUO QUO. Come già detto per le schede delle nomenclature per parole di tre lettere 

e per le schede delle nomenclature per parole di quattro lettere, 

una volta che il bambino ha fatto molti esercizi di composizione di parole per dettatura con l’alfabeto mobile, è pronto per gli esercizi di autodettatura, cioè per comporre autonomamente parole che egli stesso ha pensato, senza averle sentite dalla voce di altri.

Nomenclature per le difficoltà ortografiche CUO QUO

Esistono molte possibilità per favorire questo genere di esercizio, una può essere quella di preparare delle schede illustrate, che possono anche fornire un aiuto all’arricchimento del lessico.

Classicamente le schede delle nomenclature, a questo secondo scopo, sono organizzate per aree tematiche (animali domestici, casa, abbigliamento, mezzi di trasporto, ecc…).

Qui propongo una classificazione diversa, in funzione dell’apprendimento delle varie difficoltà ortografiche presenti nella nostra lingua occupandoci ora del suono CUO QUO.

Questa è una selezione di parole italiane che presentano appunto il suono CUO QUO, con diversi gradi di difficoltà; non tutte si prestano ad essere illustrate e le parole presenti nelle schede delle nomenclature sono in grassetto.

parole contenenti   CUO QUO di 4 lettere cuor – equo

parole contenenti   CUO QUO di 5 lettere  cuoco cuoia cuoio cuore vacuo – aequo quota quoto

parole contenenti CUO QUO di 6 lettere   cuoche cuocia cuocio scuoce scuolainiquo liquor quorum

parole contenenti CUO QUO di 7 lettere   cuocere cuoiaio cuoiame innocuo vacuolo – antiquo liquore obliquo quotare quotato sequoia

parole contenenti  CUO QUO di 8 lettere  cospicuo cuocendo cuocersi cuociano cuociono proficuo scuocere scuoceva scuoiare scuoiato scuotere – aliquota quotando quotista

Parole contenenti CUO QUO di 9 lettere  capocuoco cuoricino incuocere perspicuo promiscuo ricuocere rubacuori scuocersi scuociono scuoiando scuolabus scuotendo scuotersi semicuoio telecuore vacuolare –  inquotata inquotato liquorale liquorino liquoroso propinquo quotatura quoziente

Parole contenenti CUO QUO di 10 lettere  autoscuola batticuore capiscuola caposcuola crepacuore cuoriforme doposcuola incuocendo malincuore percuotere rincuorare rincuorato ricuocendo ricuociono rincuorare rincuorato riscuotere riscuotuto scuocevano scuoiatore scuoiatura scuotitoio scuotitore sottocuoco stracuocia telescuola tremacuore vacuometro vacuostato – liquoreria liquoriero liquorista pedissequo quotazione quotidiani quotizzare quotizzato squarquoio

Parole contenenti CUO QUO di 11 lettere  giustacuore inconspicuo interscuola percuotendo percuotersi rincuorando riscuotendo riscuotersi scuocendosi scuoiatrice scuoiazione scuotimento stracuocere vacuoscopio – quotizzando ventriloquo

Parole contenenti CUO QUO di 12 lettere  cuorcontento ripercuotere riscuotibile riscuotitore scuotipaglia stracuocendo stracuociono strappacuore struggicuore vacuolizzato – biquotidiano liquoristico quotidianità

Parole contenenti CUO QUO di 13 lettere  rincuorerammo ripercuotendo ripercuotersi riscuotitrice

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche QQU CQU

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche QQU CQU. Come già detto per le schede delle nomenclature per parole di tre lettere

 e per le schede delle nomeclature per parole di quattro lettere, 

una volta che il bambino ha fatto molti esercizi di composizione di parole per dettatura con l’alfabeto mobile, è pronto per gli esercizi di autodettatura, cioè per comporre autonomamente parole che egli stesso ha pensato, senza averle sentite dalla voce di altri.

Esistono molte possibilità per favorire questo genere di esercizio, una può essere quella di preparare delle schede illustrate, che possono anche fornire un aiuto all’arricchimento del lessico.

Classicamente le schede delle nomenclature, a questo secondo scopo, sono organizzate per aree tematiche (animali domestici, casa, abbigliamento, mezzi di trasporto, ecc…).

Qui propongo una classificazione diversa, in funzione dell’apprendimento delle varie difficoltà ortografiche presenti nella nostra lingua occupandoci ora del suono QQU CQU.

Questa è una selezione di parole italiane che presentano appunto il suono QQU CQU, con diversi gradi di difficoltà; non tutte si prestano ad essere illustrate e le parole presenti nelle schede delle nomenclature sono in grassetto:

Mentre l’unica parola italiana con  QQU è soqquadro, con soqquadrato e soqquadrare, le parole con cqu sono:

parole contenenti  CQU di 5 lettere acqua

parole contenenti CQU di 6 lettere acquea acqueo nacque nocque tacque

parole contenenti CQU di 7 lettere  acquaio acquata acquosa acquoso bacquie giacque piacque

parole contenenti CQUdi 8 lettere  acquario nacquero nocquero paracqua rinacque spiacque tacquero acquisti

Parole contenenti CQU di 9 lettere  acquaiola acquaiolo acquatica acquatico acquavite acquifera acquifero acquisire acquisito acquolina acquosità giacquero introcque piacquero sciacquii sciacquio subacqueo

Parole contenenti CQU di 10 lettere  acquaforte acquanauta acquaplano acquaragia acquarello acquasanta acquatinta acquattare acquattato acquazzone acquedotto acqueforti acquietare acquietato acquigiana acquigiano acquirente acquisendo acquisente acquisirsi acquisisca acquisisce acquisisco acquistare acquistato acquitrino annacquare annacquato compiacque dispiacque portaacqua rinacquero scaldacqua sciacquare sciacquato sciacquone soggiacque sopracqueo tagliacque terracqueo

Parole contenenti CQU di 11 lettere  acquamarina acquattando acquattante acquidoccio acquietando acquietante acquisibili acquisitiva acquisitivo acquisitore acquistando acquistante annacquando annacquante scaldaacqua sciacquando scialacquio spartiacque tocqueville

Parole contenenti CQU di 12 lettere  acquacoltura acquerellare acquerellato acquerugiola acquiescente acquiescenza acquisiscano acquisiscono acquisitrice acquisizione acquistabile acquitrinosa acquitrinoso riacquistare riacquistato risciacquare risciacquato sciacquadità sciacquatura scialacquare scialacquato scialacquona soggiacquero squacquerare squacquerato

Parole contenenti CQU di 13 lettere acquafortista acquartierare acquartierato acquasantiera acquerellando acquerellante acquerellista acquietamento annacquamento riacquistando risciacquando sciacquamento scialacquando squacquerando

Parole contenenti CQU di 14 lettere  acquartierando riacquistabile risciacquatura scialacquatora

Parole contenenti CQU di 15 lettere  risciacquamento sciacquabudella scialacquamento scialacquatrice

Parole contenenti CQU di 16 lettere acquartieramento

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche QQU CQU

il materiale comprende tutte le seguenti schede, pronte per il download e la stampa:

Qui alcuni dettati ortografici: 

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche CUA QUA

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche CUA QUA.  Come già detto per le schede delle parole di tre lettere

e per le schede delle nomeclature per parole di quattro lettere, 

una volta che il bambino ha fatto molti esercizi di composizione di parole per dettatura con l’alfabeto mobile, è pronto per gli esercizi di autodettatura, cioè per comporre autonomamente parole che egli stesso ha pensato, senza averle sentite dalla voce di altri.

Esistono molte possibilità per favorire questo genere di esercizio, una può essere quella di preparare delle schede illustrate, che possono anche fornire un aiuto all’arricchimento del lessico.

Classicamente le schede delle nomenclature, a questo secondo scopo, sono organizzate per aree tematiche (animali domestici, casa, abbigliamento, mezzi di trasporto, ecc…).

Qui propongo una classificazione diversa, in funzione dell’apprendimento delle varie difficoltà ortografiche presenti nella nostra lingua occupandoci ora del suono CUA QUA.

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche CUA QUA

Questa è una selezione di parole italiane che presentano appunto il suono CUA QUA, con diversi gradi di difficoltà; non tutte si prestano ad essere illustrate e le parole presenti nelle schede delle nomenclature sono in grassetto.

parole contenenti   CUA QUA di 4 lettere  equa equo quai qual

parole contenenti   CUA QUA di 5 lettere  arquà quale quare quark squaw

parole contenenti CUA QUA di 6 lettere iniqua Pasqua quadre quadro quando quanto quarto quarzo quasar quassù quatto serqua squalo squame squash

parole contenenti CUA QUA di 7 lettere arcuare arcuato Ecuador innocua lacuale – liquame loquace obliqua quadrio quaggiù quaglia qualche qualcun qualità qualora qualsia quantum quarrie quassio quattro siliqua squadra

parole contenenti  CUA QUA di 8 lettere  arcuando arcuante evacuare evacuato – alquanta alquanto aquatile bequadro biquadro equanime equatore Pasquale pisquano quaderno quadrare quadrato quadrica quadriga quadrone qualcosa qualcuna qualcuno quantico quantile quantità quaranta quarnale quarneri quartana quartica quartier quartile quartino quarzite quarzoso quaterna squamare squamato squamoso Torquato

Parole contenenti CUA QUA di 9 lettere  arcuatura evacuando evacuante – antiquark antiquata antiquato cinquanta equazione exequatur loquacità perequare perequato quacchero quadrando quadrella quadreria quadrista quadrivio quadrotta quadruplo quagliare quagliato quagliere qualsiasi qualsisia qualunque qualvolta quantomai quaresima quarteria quartetto quartiere quattrini reliquato squadrare squadrato squadrone squallido squallore squamando squarcina squartare squartato squassare squassato trequarti

Parole contenenti CUA QUA di 10 lettere  evacuativa evacuativo ipecacuana – antiquaria antiquario desquamare desquamato equanimità inquadrare inquadrato inquartare inquartato liquazione Pasqualina Pasqualino perequando quadernino quadrabile quadratico quadratino quadratoni quadratura quadrifora quadriglia quadriglio quadrilobo quadripala quadripolo quadrireme quadruccio quadrumane quadrupede quadrupolo quagliando qualcosina qualifiche quantomeno quantunque quarantana quarantena quarantina quarantino quarantore quarchioni quartararo quartarolo quartavolo quartirolo quarzifero reliquario riquadrare riquadrato sperequare sperequato squadrando squadrismo squadrista squagliare squagliato squarciare squarciato squarquoio squartando squassando

Parole contenenti CUO QUO di 11 lettere  ecuadoriana ecuadoriano evacuamento evacuazione inconspicua -acquattando allorquando capisquadra caposquadra cinquantina desquamando equalizzare equalizzato equatoriale inquadrando inquadrante inquartando inquartante perequativo quadernetto quadrangole quadrangolo quadrantale quadrellare quadrellato quadrettare quadrettato quadriciclo quadriennio quadrifonia quadrifonte quadriforme quadrigetto quadrilione quadrilungo quadrinomio quadriposto quadrumviro quadrunviro quadruplice qualcheduna qualcheduno qualificare qualificato qualitativo quantistico quantizzare quantizzato quantometro quaquaraqua quarantenne quaresimale quartanello quartazione quartierato quartierino quartultimo quaternario quattordici quattrinaio quattrocchi quattromila rinquartare rinquartato riquadrando risquadrare risquadrato siliquastro sperequando squadernare squadernato squadraccia squadratura squadriglia squagliando squalifiche squamiforme squarciando squartatore squasimodeo

Parole contenenti CUA QUA di 12 lettere  antiquariato biquadratico cinquantatré cinquantenne decimoquarto desquamativo disequazione equalizzando inquadrabile inquadratura perequazione quaccherismo quadragesimo quadrellando quadricipite quadricromia quadriennale quadrifoglio quadrifonico quadrigemino quadrigliati quadrilatero quadrilustre quadrimestre quadrimotore quadrimpulso quadripetalo quadriplegia quadripolare quadrittongo quagliodromo qualificando qualsivoglia qualunquismo qualunquista quantificare quantificato quantitativo quantizzando quarantamila quarantennio quarantesimo quartettista quartigliere quattrinello quattrocento rinquartando riquadratore riquadratura sconquassare sconquassato soqquadrando s squadernando squadristico squalificare squalificato squallidezza squarciagola squartamento squartatrice squassamento squattrinato trequartista

Parole contenenti CUA QUA di 13 lettere   appropinquare appropinquato centoquaranta cinquantamila cinquantennio cinquantesimo dequalificare dequalificato desquamazione equalizzatore equanimemente inquadramento inquartazione neosquadrismo neosquadrista ogniqualvolta protoquamquam quadragenario quadrangolare quadraturismo quadraturista quadrellatura quadrettatura quadrifarmaci quadrifarmaco quadripartito quadriplegico quadrisillabo quadrivettore quadrumvirato quadrunvirato quadruplicare quadruplicato quadruplicità qualificabile qualificativo qualificatore quantificando quarantennale quarantottata quarantottore quarantunenne quattrofoglie quinquagesimo riquadramento riqualificare riqualificato sconquassando sperequazione squagliamento squalificando squarciamento

Parole contenenti CUA QUA di 14 lettere appropinquando appropinquante centocinquanta cinquantenario cinquantunenne dequalificando equalizzazione mezzaquaresima quadragesimale quadrimestrale quadrireattore quadruplicando qualificatrice qualificazione qualsivogliano qualunquistico quantificabile quantificatore quantizzazione quarantaduenne quarantottenne quarantottesco quaresimalista quartiermastro quattordicenne quinquagenario riqualificando subequatoriale sudequatoriale ventiquattrore

Parole contenenti CUA QUA di 15 lettere  capisquadriglia caposquadriglia cinquantaduenne cinquantottenne inqualificabile quadrigemellare quadripartitico quantificazione quantomeccanica quarantanovenne quarantaseienne quarantatreenne quarantottesimo quattordicesimo quattordicimila quattrocentesco quattrocentista sconquassamento squalificazione ventiquattrenne

Parole contenenti CUA QUA di 16 lettere cinquantanovenne cinquantaseienne cinquantatreenne dequalificazione duecentoquaranta quadrimensionale quadrisdrucciolo quadruplicazione quarantasettenne quattrocentomila riqualificazione trentaquattrenne ventiquattresima ventiquattresimo

Parole contenenti CUA QUA di 17 lettere  cinquantasettenne duecentocinquanta millequattrocento novantaquattrenne ottantaquattrenne quantificazionale quarantacinquenne quattrocentistico trentaquattresima

Parole contenenti CUA QUA di 18 lettere  centocinquantamila cinquantacinquenne ottocentocinquanta quadridimensionale quadrimensionalità quarantaquattrenne sessantaquattrenne settantaquattrenne

Parole contenenti CUA QUA di 19 lettere  cinquantaquattrenne sessantaquattresimo

Parole contenenti CUA QUA di 20 lettere quadridimensionalità

Parole contenenti CUA QUA di 21 lettere duecentocinquantamila seicentocinquantamila trecentocinquantamila

Parole contenenti CUA QUA di 22 lettere novecentocinquantamila ottocentocinquantamila

Parole contenenti CUA QUA di 23 ettere settecentocinquantamila

Parole contenenti CUA QUA di 24 lettere  cinquecentocinquantamila

Parole contenenti CUA QUA di 25  lettere quattrocentocinquantamila

Qui alcuni dettati ortografici: 

 

Mele caramellate Spiderman


Mele caramellate Spiderman per la festa di Halloween 
– la ricetta classica per caramellare le mele, e le istruzioni per decorarle come la maschera dell’Uomo Ragno. I bambini le apprezzeranno moltissimo, e possono collaborare partecipare alla preparazione del dolce.

Ingredienti e materiale occorrente:

– mele: di forma simmetrica e regolare, meglio piccole e rosse (soprattutto se si vuole evitare l’uso del colorante alimentare)

– bastoncini di legno: potete usare per ogni mela una bacchetta cinese, oppure un mazzetto di almeno quattro stecchini per spiedini

una tavoletta di cioccolata da sciogliere a bagnomaria in una siringa per dolci

 – per il caramello:  500 g di zucchero, un cucchiaino di miele, 100 ml di acqua tiepida, 1 bustina di vanillina, colorante alimentare rosso,  una piccola stecca di cannella e 4 chiodi di garofano. Può essere molto utile un termometro da cucina, ma non è indispensabile.

Come si fa
Per prima cosa laviamo e asciughiamo le mele scelte, togliamo il picciolo e inseriamo in ognuna il bastoncino di legno.
Mettiamo in una pentola dai bordi alti lo zucchero e il miele. Aggiungiamo l’acqua tiepida, mescolando con cura. Aggiungiamo il colorante rosso (se vogliamo), e le spezie.


Mettiamo la pentola sul fuoco e continuiamo a cuocere, sempre mescolando. Se avete a disposizione un termometro, la ricetta classica indica di far raggiungere al caramello una temperatura di 150 gradi. Se non avete il termometro, continuate a cuocere fino ad ottenere un composto molto denso, lucido e trasparente.
Quando vi sembra di aver ottenuto una buona consistenza, togliete il pentolino dal fuoco, eliminate cannella e chiodi di garofano, e immergete le mele nel caramello, una alla volta, facendole sgocciolare con movimenti rotatori.

Lo strato del caramello non dovrebbe essere troppo spesso. Se presenta imperfezioni o vi sembra troppo sottile, potete ripetere l’operazione una seconda volta.

Mentre le mele raffreddano e il caramello solidifica, sminuzzate la tavoletta di cioccolata, riempite una siringa da dolci e immergetela a bagnomaria per sciogliere la cioccolata.

Quando il caramello si è ben rappreso, ritagliate da una mela avanzata gli occhi dell’Uomo Ragno e posizionateli in questo modo, fissandoli con una goccia di cioccolata fusa:

E procedete con la decorazione, fino a completare la maschera:

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI.  Come già detto per le schede delle nomenclature per parole di tre lettere 

e per le schede delle nomeclature per parole di quattro lettere, 

una volta che il bambino ha fatto molti esercizi di composizione di parole per dettatura con l’alfabeto mobile, è pronto per gli esercizi di autodettatura, cioè per comporre autonomamente parole che egli stesso ha pensato, senza averle sentite dalla voce di altri.

Esistono molte possibilità per favorire questo genere di esercizio, una può essere quella di preparare delle schede illustrate, che possono anche fornire un aiuto all’arricchimento del lessico.

Classicamente le schede delle nomenclature, a questo secondo scopo, sono organizzate per aree tematiche (animali domestici, casa, abbigliamento, mezzi di trasporto, ecc…).

Qui propongo una classificazione diversa, in funzione dell’apprendimento delle varie difficoltà ortografiche presenti nella nostra lingua occupandoci ora del suono GI.

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI

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Il materiale comprende tutti i seguenti file:

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI
Carte mute (solo immagini)

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI
Cartellini in stampato maiuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI
Cartellini in stampato minuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI
Cartellini in corsivo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI
Nomenclature in stampato maiuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI
Nomenclature in stampato minuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI
Nomenclature in corsivo

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Qui alcuni dettati ortografici: 

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI

Questa è una selezione di parole italiane che presentano appunto il suono GI, con diversi gradi di difficoltà; non tutte si prestano ad essere illustrate e le parole presenti nelle schede delle nomenclature sono in grassetto:

parole contenenti GI di 3 lettere già gin gip giù

parole di 4 lettere agio dogi Gian giga gilè Gina Gino gita oggi

parole contenenti GI di 5 lettere aggio  agile agire Angiò bigie brugi bugia bugie egida egira giada Giano  giara  Giava gibbo  Gilda  Gildo gilio giogo gioia Giona Giove gipso girio girlo giuba Giuda giure giurì giuso Igino ingiù leggi Liegi ligio logia login  Luigi lungi magia mingi mogio mugic ogiva orgia ragie regio tiggi uggia

parole contenenti GI di 6 lettere acagiù afagia agiata agiato agisca agisce agisco algida algido angina argine argirò argiva argivo augite bagigi bangio Belgio Biagio bigini bolgia bragia cengia cugino Egidio egioca egioco Egisto Egitto egizia egizio elegia Eligio faggio figini Fiuggi frigio frogia gaggia giacca giachi Giaffa giaina gialda giallo giambo giampa Gianna Gianni giarra Gibuti gigaro giglio gigolò ginkgo Giobbe Gioele gioggi gioire gioito giorno Giosuè Giotto Giovan girare girato girino girone Gisela gitano giubba giudeo giugno Giulia Giulio giunco giunse giunte giuria giusto gorgia grigio igiene laggiù leggii leggio loggia logico Luigia maggio magico moggio muggia oggidì paggio pagina Parigi peggio plegia pugile ragion reggia reggio regime regina regino rigido roggia rogito saragi seggio Sergio smungi stigio sugita tagico tagiko Tamigi vagile vagina vagire vagito vigile virgie

parole contenenti GI di 7 lettere
agibile  agilità agitare agitato agogica alaggio albagia angioma argilla argiope argiria balogio barbigi bigiare bigiato biturgi Brigida cagione cinigia Digione digiune Dionigi effigie egregia egregio energia epigino  esigila esigilo esigine esigito esofago faggina fagiano fagioli figiano frangia fragile frigido fuegino fuggire fuggito fulgido fungino gengiva Georgia giacché giaccia giaccio giacere Giacomo giacose giacque giammai giapeto Giasone giaurro gibbone gibboso giberna gigante gigiona Giliola gimcana gimnoto gincana gineceo ginepro Ginevra ginnare  ginnato ginnico ginseng giocare giocato giocoso gioendo giogaia gioioso gioirne gioisca gioisce gioisco Giorgia Giorgio giornea giostra giovane giovare giovato giovedì giovine gipaeto gippone giraffa Giraldo girando girardi girelle giretto gironda girossi girotta Gisella gitante gittare gittato giudice giugolo giugulo giulivo giungla Giunone giurare giurato giurese grangia greggia greggio iapigia iapigio ipogino jogging leggina legione legista limongi litigio liturgi Luigina Luigino maggior magiaro magione mangime margine mialgia minugia muggine muggire ogivale oologia orgiaca orgiaco origine otalgia patagio peggior Perugia pigiama pigiare pigiato pigione pioggia presagi profagi quaggiù ragione reagire reagito reggino regione regista Remigio ruggine ruggire rugiada saggina segugio sizigia sorgivo spongia stagira sugiura tagicco teurgia tragico treggia turgido uggiosa uggioso uligine uvaggio vagisca vagisce vagisco valigia vangile vergine vigilia

parole contenenti GI di 8 lettere adagiare adagiato Adalgisa Adalgiso aggeggio aggirare aggirato aggiunse aggiunta agiologa agiologo agiscano agiscono agitando agitante albugine alleggio allergia Ambrogio anagogia analogia anginosa anginoso angioina angioino apologia arginale arginare arginato argirite argirosi arrogino autogiro baggiano baggiolo bambagia baraggia barbogio bastagio battigia  bigiando biologia buaggine bugiardo caggiano caligine calugine Cambogia cangiare cangiato capogiro Chioggia ciliegio cogitare cogitato collegio congiure coniugio coraggio demiurgi digitale digitare digitato Dimaggio diplegia disaggio disergia disfagia dosaggio ecologia egiziana egiziano elargire elegiaca elegiaco elogiare elogiato elogista energica energico enologia erbaggio etologia faggiola fastigio fiuggino Flogisto foggiani foggiare foggiato forgiare forgiato fregiare fregiato fuggirsi gargiulo geofagia geologia georgico giacchio giaccone giacendo giacenza Giacinta giacinto giaciuto Giacobbe giaguaro giaietto gialappa giallino giallore giallume Giamaica giambico giananti giandana Gianduia gianella gianetti Gianluca Giannina giannini Giannino giannosa Giappone giardina giardino giargone giavelli gigliato Gilberto ginandro ginestra ginnando ginnasio ginnasta ginnetto Gioberti giocando Giocasta giochini giocondo giogione gioiello Giolitti Giordana Giordano Giorgina giornale giornata giovando Giovanna giovenco gioventù giovesco gioviale gioviano girabile giracapo giradito girasole giratina giratubi giravite girellio girevole Girgento Girolamo girovita gittando gittansi giubbone giubetto giubileo giudaico Giudecca giudicio Giuditta giudizio giugurta giulebbe Giuliana Giuliano giullare giumella giumento giuncata giungere giunsero giuntare giuntato giuntomi giuntura giurando giurista Giuseppa Giuseppe Giustino gonalgia gorgiera grigiore igienica igienico illogica illogico immagine indagine ingiunse ingiunto ingiurie ingiusta ingiusto innologi ipoergia lanugine lavaggio leggiamo leggiate letargia levogiro liturgia loggiato loggione loggista logicità maggiore malvagio managing mangiare mangiato mangiona mialgico mingiamo  mingiate miologia miraggio misogino neologia Norvegia nuragico ocaggine odologia oligisto omofagia omologia orgiasmo orologio ortaggio ostaggio otalgica otalgico paginone paraggio parigino pedaggio peggiore pelagico pertugio Perugino pigiando plagiare plagiato poggiare poggiato poggiolo pregiare pregiato preleggi presagio prigione prodigio pterigio pubalgia pugilato puleggia raggiare raggiato raggiera randagia randagio reagisca reagisce reagisco reggiano regicida regimare  regimato  retaggio  rigaggio  rigidità  rigirare  rigirato rinalgia  rodaggio  rodiggio  rodigino  rogitare  rogitato  ruggirsi  saggiare  saggiato  saggista  seggiola  servigio  sfuggire  sfuggio  showgirl  silaggio  silofagi  sinergia  sparagio  spinaggi  spongina  stagione  sugimoto  tabagico  talalgia  taleggio  teggiano  telaggio  tenalgia  teofagia  teologia  tesaggio teurgico tiraggio  trigilio trilogia  trisagio  tubaggio  turingia  ufologia  uggiolii  uggiolio  ungitura  unigiana  urologia  uropigio  vaginale  vaginite  vagivade  valgismo vergineo  vestigia  vestigio  vigilare  vigilato  vigilaza  viraggio  viragine Virgilia Virgilio virgineo Virginia Virginio  voragine zoofagia zoologia

Parole contenenti GI di 9 lettere adagiando adagiante aduggiare aduggiato aerofagia aerologia aggiogare aggiogato aggirando aggirante agiatezza agibilità agiografa agiografo agiologia agitabile agitatore agrologia aleggiare aleggiato alesaggio algologia allergica allergico alpigiana alpigiano alterigia Ambrogino anagogica anagogico analogica analogico androgina androgino Angiolina Angiolino angiologa  angiologo angiporto antalgica antalgico antologia aplologia aquilegia argillosa argilloso arginando arginante arginnide argiopidi argiriasi argirismo artigiana artigiano artralgia asburgica asburgico asparagio astigiana astigiano astrologi atabagica atabagico autofagia bacologia baliaggio baluginii baluginio bambagino bancogiro bandeggio bargiglio barraggia bendaggio bevigione biologica biologico biscugino bombaggio borragine bottaggio bridgista Brigidino briologia brogiotto brumeggio cablaggio cacologia cagionare cagionato Carolingi carruggio Cartagine cecaggine cetologia chirurgia ciliegina citologia clivaggio cogitando colangite compagine congiunse congiunto contagiri correggia criologia cuginanza cuginetto cupidigia damigiana debugging demagogia demologia diallagio dialogico digitando digiunare digiunato dirigismo dirigista disagiare disagiato disgiunse disgiunsi disgiunto dragaggio drenaggio drogaggio ecologica ecologico effigiare effigiato elargirsi elogiando elogiante emangioma emiplegia emorragia energismo enologica enologico epagogico epatalgia ergologia erigibile esagitata esagitato esigibile esofagite etiologia etnologia etologica etologico eucologia eucologio Eustorgio eziologia fagianaia fagiolaro fagiolata fagiolini fagiolone falangina faringite farragine fenologia ferrugine fetologia filiologi filologia fingitore fissaggio fitologia foggiando fonologia forgiando formaggio fragilità frangiare frangiato fregiando frenaggio frigidità frugifero frugivoro fuggiasco fuggitivo fuliggine fungibile fungicida fusaggine gangitano garagista gengivale gengivite geologico georgiano geragogia giacciamo giacciano giacciono giaciglio giacitura giacobino giacoboni giacolone Giacomina Giacomino giacquero giaggiolo giainismo gialletto giallista gialloblu gialluria Giampaolo Giampiero Giancarla Giancarlo Gianicolo Gianluigi Gianmarco Gianmaria Gianmario Giannetta Gianpaolo Gianpiero Giansalvo giapetici giapetico giarrusso giavanese giazzista gibbosità gibigiana gibutiano gigliaceo gigolette ginepraio ginevrino ginnatura ginocchia ginocchio  ginolatra  Gioachino giocabile giocatore giochetto giochismi giocolare giocosità giocoteca giogatici giogatico giogatura gioiosità gioiscano gioiscono Giordania giornante giostraio giostrare giostrato giottesco giovanile giovanneo Giovenale giovevole gipsoteca giramento giramondo giratario giratorio giravolta girazione girellare girellato girellona girifalco girocollo giroconto Girometta girondino girotondo girovaghe giubbetto giubbotto giubilare giubilari giubilato giubiloso giudaismo giudicare giudicato giuggiolo giugulare Giulietta giuncacea giuncheto giungendo giungersi giunonico giuntando giunzione giuridico giustezza giustiano giustizie grandigia grattugia gufaggine ideologia idnologia idrologia ierologia igienista inagibile indologia indugiare indugiato ingrigire innologia iperergia ipnologia ipofrigia ipofrigio ippologia isagogica isagogico istologia laringite leggiadro leggibile legittime legnaggio letargico libagione lignaggio lisergico litigioso litologia liturgico lodigiano logicismo logicista logistico lombalgia longitipo loraringi lunigiano macrofagi magistero malagiato malvagità mangiando mangianza mangiaufo marginare marginato mastalgia mellifagi meningite mesologia messaggio metraggio metralgia micologia microfagi misoginia misologia missaggio mitologia monofagia monoginia montaggio morfologi mungitoio mungitore mungitura naufragio nefralgia neologico nevralgia nibelungi ninfaggio nosologia nostalgia oclologia ofiologia omaggiare omaggiato omologica omologico oncologia ontologia originale originare originato orologino orsaggine otorragia paesaggio paginetta palilogia pangiallo panlogici panlogico paralogia passaggio patologia pedagogia pedologia pelagiana pelasgico pescaggio pestaggio Pierluigi pigiatoio pigiatore pigiatura  pigionale piumaggio plagiando plagiario podologia poggiando polifagia poliginia pomologia pompaggio pontaggio ponteggio porgitore posologia postagiro pregiando prelogico presagire prestigio prigionia protogino prurigine pungitoio pungitopo raggiando raggirare raggirato raggiunse raggiunto ragionare ragionato reagibile reggibile reggipalo reggiseno reggitore regicidio regimando reginense reginetta regionale registico religione religioso rifuggire rifuggito rifugiare rifugiato rigidezza rigiocare rigiocato rigirando rimuggire rimuggito rinologia risorgivo rocaggine rogitando rugginoso rugiadoso rullaggio runologia sacralgia saggiando sagginale sagittale sagittato salagione sarcofagi scaggiale scoreggia seaborgio seggiovia seigiorni selvaggia selvaggio senologia serologia serpigine serraggio servaggio settaggio sfoggiare sfoggiato sfregiare sfregiato sfuggirsi sgoggiolo sigillare sigillato silologia sinergico sinologia sitologia sizigiale sloggiare sloggiato smangiare smangiato smungiamo smungiate soggiunse soggiunto sondaggio sorgitore spaginare spaginato spagirico spergiure sporangio spregiare spregiato staggiare staggiato stagirita stalloggi stambugio stiraggio stivaggio stragismo stragista strategia suffragio tabagismo tabagista tangibile tarsalgia tatuaggio tendaggio teologico tibialgia timologia tingitura tipologia tocologia topologia tragicità tramoggia treggiata trenaggio triagista triggiani turgidità ufologica ufologico uggiolare uggiolato uggiolina uggiosità urologico vagiscano vagiscono valigiaio vantaggio venagione verginale verginità vertigine viaggiare viaggiato Viareggio vigilando vigilanza villaggio virginale virologia visagismo visagista voltaggio xilologia zimologia zoologico

Parole contenenti GI di 10 lettere acirologia acquaragia acquigiana acquigiano aduggiando aduggiante aggiogando aggiogante aggiornare aggiornato aggirabile aggiratore aggiungasi aggiungere aggiunsero aggiuntare aggiuntato aggiuntevi aggiuntisi aggiuntiva aggiuntivo aggiuntovi aggiustare aggiustato agiografia agiologica agiologico agitamento agitatorio agitatrice agitazione albeggiare albeggiato aleggiando aleggiante alloggiare alloggiato allunaggio alpeggiare alpeggiato ammaraggio amperaggio ancoraggio andrologia angiocarpo angioedema angioletta angioletto angiologia antologica antologico aplologica aplologico apologista appoggiala appoggiare appoggiato archibugio areligiosa areligioso areopagita argillacea argillaceo arginatura argironeta arieggiare arieggiato armeggiare armeggiato armeggiona arpeggiare arpeggiato arpeggione arrangiare arrangiato artrologia asinaggine asparagina aspergillo assaggiala assaggiare assaggiato assiologia asteggiare asteggiato astrologia atteggiare atteggiato audiologia bacologico baggianata baluginare baluginato bambagiato bambagiona bambagioso baronaggio betonaggio beveraggio bigiarella bigiognolo bioenergia blindaggio bloccaggio bolsaggine bugiardino bugiardona buongiorno cabotaggio cagionando caliginoso cambogiano candeggina cangiabile capeggiare capeggiato capipagina capopagina caprimulgi capruggine Caravaggio cardialgia carenaggio carnagione carolingia carolingio carotaggio carpigiano carpologia carriaggio caseggiato centraggio chirologia chirurgico ciliegiona citologico cogitativo collegiale collegiato colligiano congiurare congiurato contagiare contagiato contagioso coprofagia coraggioso coreggiato cortigiano cosmologia crocifiggi crogiolare crogiolato cronologia decapaggio demagogico demiurgico destrogiro dialogismo dialogista dietologia digitalina digiunando dileggiare dileggiato dirigibile dirugginio diteggiare diteggiato doppiaggio ebetaggine echeggiare echeggiato ecologismo ecologista effigiando egittologa egittologo elargitore eleggibile elogiabile elogiativa elogiativo elogiatore emarginare emarginato ematologia emiplegica emiplegico emorragica emorragico enteralgia entomofagi eortologia epatologia eridologia escogitare escogitato esofagismo etimologia etiologico etnologica etnologico eucologico eziologica eziologico fagianella falangismo falangista faringismo fenologico fessaggine fienagione fileggiare fileggiato filmologia filologico filtraggio fingimento fiocaggine fisiologia flogistico florilegio flottaggio foggiatura fonologico foraggiare foraggiato foraggiero forgiabile forgiatore forgiatura formaggino franchigia frangiando frangibile frangiluce frangimare frangionde frangipani frangisole frangitore frangitura fregagione frenologia frettaggio friggibile friggitore frigidaire frigidario frigidezza fuggifuggi fulgidezza fungiforme fuorigioco gametangio gareggiare gareggiato gastralgia gemmologia genealogia gengivario georgianne giacchetto giacimento giaconetta giacopuzzi giaggiuolo giallastro gialliccia gialliccio giallorosa giamaicano giambelego Giampietro Gianandrea Gianfelice Gianfranca Gianfranco Gianluigia Gianpietro giapponese giardinaio giarratano Gibilterra gigantesco gigantessa gigantismo gigantista gigionesco gigionismo gigliuccio gincanista ginecologa ginecologo gingillare gingillato ginnasiale ginnastico ginnatrice Gioacchino giocatrice giocattolo giocoforza giocoliere giocondità giogionata giornalaio giornalino giornalume giostrando giovamento giovanetto giovanezza Giovannino giovannita giovanotto giovialità giovialone giovinazzo giovinetto giovinezza giovinotto giradischi giraffista giranastri girarrosto girellando girellismo girellotto girgentino girigogolo girigolare girolamino  giromanica giropilota giroscopio girovagare girovagato giubilando giudicando giudicessa giudiziale giudizioso giulebbare giulebbato giuramento giurassico giuristico Giuseppina Giuseppino giusquiamo gnomologia gnomologio goffaggine goffraggio grafologia grassaggio grigiastro grippaggio guarigione iconologia ideologica ideologico idrargirio idrologica idrologico illogicità immaginare immaginato immaginosa immaginoso impaginare impaginato impetigine impilaggio indugiando indugiante ingaggiare ingaggiato ingiallire ingiuncare ingiuncato ingiungere ingiunsero ingiuntiva ingiuntivo ingiuriare ingiuriato ingiuriosa ingiurioso ingordigia inneggiare inneggiato innologici innologico insilaggio interagire interagito invaginare invaginato invigilare invigilato ipnagogica ipnagogico irraggiare irraggiato irrigidire ischialgia istologica istologico ittiofagia ittiologia lanuginoso leggiadria legiferare legiferato legionario lentiggine leveraggio limnologia linciaggio linfangite linfologia linguaggio litargirio litologico liturgista logoplegia lombaggine longilineo lotaringia lotaringio lumeggiare lumeggiato lungaggine maggiolino maggiorana maggiorare maggiorato maggiorità magistrale magistrato maneggiare maneggiato maneggiona mangiabile mangiafumo mangiapane mangiarino mangiasego mangiatina mangiatoia mangiatore manutergio mareggiare mareggiato marginalia marginando mariologia meningioma meningismo meriggiare meriggiato merovingio messaggino metalogico metrologia micologico minutaggio mitologico monetaggio monoginico monoplegia morfologia mungitrice museologia necrofagia necrologio nefrologia neologismo nereggiare nereggiato neurologia nevralgico nipiologia nodeggiare nodeggiato noleggiare noleggiato nosologico nostalgico nubifragio nullaggine odinofagia odontalgia oggigiorno oleaginosa oleaginoso omaggiando omaggiante oncologica oncologico ondeggiare ondeggiato onicofagia onirologia ontologica ontologico opitergina opitergino oppiofagia orchialgia orgiastica orgiastico originando originante originaria originario ormeggiare ormeggiato orologiaia orologiaio orologiere orologiero osteggiare osteggiato osteologia osteriggio ovarialgia paginatura paleggiare paleggiato panegirici panegirico panlogismo paraplegia pareggiare pareggiato parmigiano partigiano passeggino patologico patrologia pedagogico pedologico peggiorare peggiorato pescagione Piergiulio pigiatrice pigionante pilotaggio pioviggine placcaggio plagiatore podologico poggiacapo poggiamano poliginico pomeriggio pomologico porcaggine porgitrice portagioie pregiabile prelogismo proctalgia prodigioso propaggine prueggiare prueggiato psicologia pugilatore rachialgia radiologia raggirando ragionando ragioneria ragioniera randagismo raveggiolo reagiscano reagiscono reggicalze reggilibro reggimento reggipetto reggitesta reggitrice regimental registrare registrato remeggiare remeggiato retroagire riadagiare riadagiato ridigitare ridigitato rieleggimo rifuggirsi rifulgiamo rifulgiate rigiocando rigiuocare rigiuocato rimangiare rimangiato rimuginare rimuginato rinorragia risommergi ritmologia romitaggio sabotaggio sacrilegio saggiatore saggiatura saggistico sagittaria sagittario salpingite sangiovese scagionare scagionato scatologia scheggiare scheggiato sciatalgia seggiolaio seggiolata seggiolino seggiolone selvaggina semiologia senologico sfagiolare sfagiolato sfoggiando sfrangiare sfrangiato sfregiando sgargiante siderurgia sierologia sigillando sigillaria Sigismondo sillogismo silologico simbologia sinergismo sinergista sinologico sismologia sloggiando smangiando smargiasso smarginare smarginato smontaggio sociologia soggiaccia soggiaccio soggiacere soggiacque soggiogare soggiogato soleggiare soleggiato someggiare someggiato sordaggine sortilegio spaginando spargipepe spargisale spargitore spiaggiare spiaggiato spicilegio spigionare spigionato spingitubo spionaggio sporologia spregiando sragionare sragionato srugginire srugginito staggiando stagionare stagionato stallaggio stampaggio stellaggio stoccaggio strategico subregione suffumigio svaligiare svaligiato svantaggio sverginare sverginato svolgitore tachifagia Tagikistan taumaturgi tautologia tecnologia teggianese teleologia teologismo termologia testologia testuggine tetraggine tetraginia tetralogia tiflologia tipologico tiptologia tisiologia topologico trafuggire tragittare tragittato  trevigiano tribologia tricologia trivigiana trivigiano trofologia tropologia turcologia turgidezza turingiano tuttologia uggiolando uggiolante vagheggini vaginalite valligiano vaneggiare vaneggiato veleggiare veleggiato verginella vestigiale viaggiando viareggino viceregina videogioco vigilantes vigilatore virgiliano virologico vitiligine voraginoso vuotaggine xilologico zoologista zoppaggine

Parole contenenti GI di 11 lettere  abbordaggio adrenergica adrenergico aggiornando aggiornante aggiotaggio aggiotatore aggiramento aggiratrice aggiudicare aggiudicato aggiungendo aggiungente aggiungersi aggiuntando aggiunzione aggiustando aggiustante agiografica agiografico albeggiando albeggiante alchechengi alloggiando alloggiante alpeggiando alpeggiante amareggiare amareggiato amoreggiare amoreggiato anallergica anallergico ancheggiare ancheggiato anfibologia angiocolite angiografia angiogramma antigienica antigienico  antiruggine antivigilia appannaggio appigionare appigionato appoggiando appoggiante appontaggio arbitraggio archeggiare archeggiato archeologia arginamento arieggiando arieggiante armeggiando armeggiante arpeggiando arrangiando arrangiante arrembaggio arrugginire arrugginito artigianale artigianato asineggiare asineggiato asparagiaia assaggiando assaggiante assiologica assiologico asteggiando asteggiante astrologica astrologico atteggiando atteggiante atterraggio attingibile attingitoio attinologia audiologica audiologico avvolgibile avvolgitore Azerbaigian azzurraggio baluginando barbagianni bargigliato bargiglione bargigliuto baronaggine beffeggiare beffeggiato beghinaggio berteggiare berteggiato bibliologia bigiotteria biseggiovia blenorragia bordeggiare bordeggiato borseggiare borseggiato brachialgia brachilogia braveggiare braveggiato brokeraggio bromatologi broncologia bugiarderia bugigattolo cacciagione cafonaggine cagionevole caldeggiare caldeggiato campeggiare campeggiato campeggista candeggiare candeggiato candelaggio cangiamento canottaggio capeggiando caponaggine cardiologia carreggiare carreggiato cartaginese carteggiare carteggiato cartilagine cartonaggio casermaggio climatologi cogitabondo cogitazione colinergico comparaggio congiungere congiuntivo congiuntura congiurando contagiando conteggiare conteggiato contrargine coprigiunto correggiato corseggiare corseggiato corteggiare corteggiato cortinaggio cosmologico costeggiare costeggiato craniologia cristologia crogiolando cronologico crumiraggio danneggiare danneggiato decollaggio demonologia dendrologia deontologia depistaggio dietrologia digitazione digitigrado digitossina digiunatore dileggiando dirigistico disgiungere disgiunsero disgiuntivo dispregiare dispregiato diteggiando docimologia dongiovanni echeggiando echeggiante egittologia elargitrice elargizione elogiatrice emarginando ematologico embriologia energizzare energizzato engineering entomologia enzimologia epatorragia eremitaggio eresiologia Ermenegildo erpetologia escatologia escogitando escogitante esigibilità esobiologia estetologia etimologica etimologico farraginoso ferruginoso festeggiare festeggiato fileggiando filmologico filologismo finissaggio fisiologico folleggiare folleggiato fonovaligia foraggiando forgiatrice formaggiaio formaggiera frangiatura frangivento frangizolle fraseggiare fraseggiato fraseologia frenologico friggitoria friggitrice fuligginoso fungibilità galleggiare galleggiato gareggiando gastralgici gastralgico gastrologia gatteggiare gatteggiato gemellaggio genealogico geobiologia giallognolo giallorosso Giangaspero Giangiacomo giannizzero giansenismo giansenista giardinetto giavellotto giazzistico gimnosperma ginecologia gingillando ginocchiato ginocchiera ginocchione gioachimita giogionesco giogionismo gioielleria gioielliera giolittismo giornaletto giornaliero giornalismo giornalista giornatante giostratore giovannetto giovinastro giovincello girafiliera giramaschio girandolare girandolato girandolina girandolona girobussola gironzolare gironzolato giroscopico girostatico girovagando giudaizzare giudaizzato giudicabile giudicativa giudicatore giudicatura giudiziario giuggiolona giulebbando giullaresco giunchiglia giuntatrice giunzionale giuridicità giustacuore giustappone giustifiche Giustiniano giustiziare giustiziato giustiziere glaciologia glottologia gnoseologia gonfiaggine gonfiagione grafologico grangiporro grattugiare grattugiato grigioverde grullaggine guarentigia guarnigione guidrigildo iamatologia ibridologia iconologica iconologico ideologismo ideologista  idoleggiare idoleggiato idrargirosi illeggibile illegittima illegittimo imballaggio immaginando immaginante immaginaria immaginario immaginetta immergibile immunologia impaccaggio impaginando impaginante impennaggio inagibilità incannaggio incollaggio inesigibile infrigidire infungibile ingaggiando ingaggiante ingiallente ingiallirsi ingigantire ingiovanire ingiudicata ingiudicato ingiuncando ingiungendo ingiungente ingiunzione ingiuriando ingiuriante ingiustizia ingranaggio ingurgitare ingurgitato inneggiando inneggiante insellaggio intangibile interagisca interagisce interagisco inturgidire invaginando invaginante invigilando ipofalangia ironeggiare ironeggiato irraggiando irraggiante irreligione irreligiosa irreligioso irrigidendo irrigidente irrigidirsi irrugginire ischialgica ischialgico isterologia ittiologica ittiologico lampeggiare lampeggiato lattiginoso leggibilità legiferando legislativo legislatore legislatura legittimara legittimare legittimato legittimità linfangioma linforragia litigiosità loggionista longitudine lumeggiando maggiorando maggioranza maggiorasco maggiordomo maggiorenne maggiorente magiostrina malacologia maneggiando mangiagatti mangiamento mangiapelli mangiapreti mangiaragni mangiasoldi mangiatoria mangiatrice mangiatutto marchigiano mareggiando marginalità marginatore marginatura mariologico massaggiare massaggiato meningitico merceologia meriggiando metallurgia metodologia metrologico metrorragia mezzogiorno micetologia micrologico mineralogia mirmecofagi misoginismo missiologia mitologista molleggiare molleggiato monadologia morfologica morfologico motteggiare motteggiato mucillagine musicologia necrologico nefrologico nefrorragia neoecologia nereggiando neurologico nibelungico nipiologico nodeggiando noleggiando nostalgismo numerologia odontalgica odontalgico odontologia oltraggiare oltraggiato oltraggiosa oltraggioso ombreggiare ombreggiato ondeggiando ondeggiante onomaturgia ontologismo ontologista organologia originalità ormeggiando ormeggiante ornitologia osteggiando osteggiante ostellaggio oziosaggine padrinaggio paesaggista paleggiando palinologia palleggiare palleggiato palpeggiare palpeggiato panegirista panneggiare panneggiato pantragismo papirologia pappagorgia paralogismo parapioggia paraplegico pareggiando parteggiare parteggiato passeggiare passeggiato pasteggiare pasteggiato patteggiare patteggiato pattinaggio peciloginia pecoraggine pedagogismo pedagogista peggiorando perdigiorno personaggio piaggiatore pianeggiare pianeggiato piantaggine piantagione piergiorgio Piergiuglio pirargirite plagiatrice platinaggio pneumologia poggiaferro poggiapiedi poggiatesta polemologia politologia pompeggiare pompeggiato portapagine posteggiare posteggiato potamologia prealpeggio pregiudizio prelavaggio prestigioso prigioniero primeggiare primeggiato proctologia proterogino provvigione prueggiando pruriginoso psicagogico psicoigiene psicologico psicoplegia pugilistico pungiglione punteggiare punteggiato radiologico raggiratore raggiungere raggiunsero raggiuntare raggiuntato raggiustare raggiustato ragionativo ragionatore ragionevole randeggiare randeggiato reagibilità reggipancia reggiposata reggispinta reggistaffe reggistanga regimazione registrando religiosità remeggiando retrologico rettorragia riadagiando riciclaggio ricongiunse ridigitando rigiuocando rigurgitare rigurgitato rimangiando rimarginare rimarginato rimessaggio rimettaggio rimontaggio rimpaginare rimpaginato rimuginando ringiallire ripescaggio rocchigiano rosseggiare rosseggiato rottamaggio saggiamente saggiatrice salmeggiare salmeggiato salvataggio sangiaccato santoreggia sbugiardare sbugiardato scagionando scarafaggio scatologico scaturigine sceneggiare sceneggiato scheggiando schermaggio scongiurare scongiurato scoraggiare scoraggiato selenologia selgiuchidi seminagione semiologico serpeggiare serpeggiato serpiginoso sessuologia sfagiolando sfragistica sfrangiando sfregiatore siderurgico sierologico sigillatura sinteraggio sismologico smarginando sociologico soggiacendo soggiacenza soggiaciono soggiaciuto soggiogando soggiornare soggiornato soggiungere soggiunsero soggiuntivo soleggiando solfeggiare solfeggiato somaraggine somatologia someggiando sommergiamo sorseggiare sorseggiato sorteggiare sorteggiato sotterfugio sovvaggiolo spareggiare spareggiato spargimento spargitrice speleologia spergiurare spergiurato spiaggiando spingidisco spongiforme spregiativo spregiatore sprigionare sprigionato spumeggiare spumeggiato sragionando srugginendo srugginisce staggiatura stagionando steatopigia stringitore stringitura suffragismo suffragista sumerologia sunteggiare sunteggiato svaligiando sverginando svolgimento svolgitrice talassologi tallonaggio tanatologia tangibilità tassinaggio tasteggiare tasteggiato taumaturgia tautologico tecnologico teleologico telferaggio teratologia termologico testuggineo tetraplegia tiflologico tinteggiare tinteggiato tondeggiare tondeggiato tonneggiare tonneggiato torneggiare torneggiato torreggiare torreggiato traccheggii tragicomico tragittando tramoggiaio trangugiare trangugiato treggiatore tricologico trismegisto troneggiare troneggiato tropologico turbinaggio turcologico vagheggiare vagheggiato vaneggiando vantaggioso veleggiando verdeggiare verdeggiato verdegiallo verseggiare verseggiato vertiginoso vezzeggiare vezzeggiato viaggiatore vigilatrice villeggiare villeggiato volteggiare volteggiato zoticaggine

Parole contenenti GI di 12 lettere abbeveraggio accorgimento acquerugiola aggiogamento aggiornabile aggiotatrice aggiudicando aggiudicante aggiuntatore aggiuntatura aggiustabile aggiustaggio aggiustatina aggiustatore aggiustatura agrobiologia allergologia allobiologia alloccaggine amareggiando amareggiante amoreggiando amoreggiante ancheggiando ancheggiante anfibologica anfibologico angiografica angiografico angiosarcoma antropofagia antropologia apologistica apologistico apologizzare apologizzato appigionando appigionante appoggiacapo appoggiamano appoggiatela appoggiatoio appoggiatura archeggiando archeggiante archeologica archeologico archibugiera areopagitica areopagitico armeggiatore arrangiatore arrugginendo arrugginente arrugginirsi arrugginisca arrugginisce arrugginisco arteriologia artigianello asineggiando asineggiante aspergillosi assaggiamola assaggiatela assaggiatore assaggiatura assemblaggio assiriologia asteggiatura astrusaggine attingimento attraccaggio attrezzaggio autolavaggio autonoleggio avvolgimento avvolgitrice azerbaigiana azerbaigiano baccheggiare baccheggiato bagarinaggio ballottaggio balordaggine bambinaggine banchinaggio barcheggiare barcheggiato bastingaggio batipelagico batteriefagi batteriofagi beccheggiare beccheggiato beffeggiando berteggiando bietolaggine biondeggiare biondeggiato biotipologia birbonaggine blenorragico boccheggiare boccheggiato boicottaggio bordeggiando borraginacea borseggiando bracconaggio brachilogico brandeggiare brandeggiato braveggiando brigantaggio bromatologia broncorragia buffonaggine calafataggio caldeggiando campeggiando cancerologia candeggiando capeggiatore cardiologica carreggiando carteggiando cartilagineo chiantigiano cinegiornale Cisgiordania climatologia collegialità congiungendo congiungersi congiunzione contagiosità conteggiando correggibile corregionale corseggiando corteggiando cosmetologia costeggiando criminologia criobiologia cronologista curiosaggine dabbenaggine danneggiando dappocaggine degrassaggio deontologico dermatologia destreggiare destreggiato dietrologico digiunatrice dileggiatore disgiungendo disgiungersi disgiunzione dissigillare dissigillato diteggiatura drammaturgia drappeggiare drappeggiato ecologistica ecologistico eleggibilità elettrologia elmintologia embriologica embriologico emopatologia energizzando enterorragia entomologica entomologico epiontologia equipaggiare equipaggiato esagitazione escatologica escatologico estesiologia etimologista etruscologia extravergine facchinaggio farmacologia favoleggiare favoleggiato favoreggiare favoreggiato festeggiando fiammeggiare fiammeggiato fitobiologia fitogeologia folleggiando foraggiatore forgiabilità fotoallergia fotobiologia fotogeologia fotogiornale frangibilità frangiflutti fraseggiando fraseologico fronteggiare fronteggiato fungicoltore fungicoltura furoreggiare furoreggiato galleggiando gangheggiare gastrorragia gatteggiando genealogista gerontologia giacchettone giacobinismo giaculatoria gialleggiare gialleggiato Giambattista giamburrasca Gianbattista Giandomenico Giannantonio giardinaggio giarrettiera ginecologico ginocchiello ginocchietto gioachimismo gioachiniani giocacchiare giocacchiato giocattolaio giovanilismo giovanottata giovenalesco girabacchino girandolando gironzolando giubilazione giudaizzando giudicatorio giudicatrice giugulazione giurisperito giustapporre giustapposto giustificare giustificato giustinianea giustinianeo giustiziando glossoplegia gnoseologico gorgheggiare gorgheggiato grandeggiare grandeggiato grattugiando guerreggiare guerreggiato ibridologica ibridologico iconologismo iconologista idealeggiare idealeggiato idoleggiando idoleggiante idrargirismo   idrobiologia idrogeologia imbandigione imbiellaggio immaginabile immaginativa immaginativo immaginatore immaginifica immaginifico immangiabile immunologica immunologico impaginatore impaginatura impetiginosa impetiginoso impiccagione imprigionare imprigionato incantagione incoraggiare incoraggiato ineleggibile infrangibile infrigidendo ingaggiatore ingigantendo ingigantente ingigantirsi ingioiellare ingioiellato ingiovanendo ingiuriatore ingrassaggio ingurgitando ingurgitante insulsaggine intertrigine inturgidendo inturgidente invaginabile iperdosaggio iperfalangia ironeggiando ironeggiante irrugginendo irrugginente lampeggiante largheggiare largheggiato laringologia latineggiare latineggiato leggicchiare leggicchiato legislatrice legislazione legittimando legittimaria legittimario legittimismo legittimista lentigginoso lessicologia leziosaggine lichenologia lungimirante lungimiranza magistralità magistratura malariologia malgiudicare malgiudicato maneggiabile maneggiatore mangiadischi mangianastri mangiapatate mangimificio mangimistico marginalista martirologio massaggiando melensaggine merceologico metallofagia metallurgico meteorologia metodologica metodologico metricologia mineralogico minialloggio mirmecologia molleggiando monitoraggio moraleggiare moraleggiato morfologista morfonologia motteggiando musicologico necrologista neoecologico neonatologia neuroplegico nictaginacea noleggiatore occhieggiare occhieggiato odontologica odontologico oftalmologia oltraggiando oltraggiante ombreggiando ombreggiante onfalorragia organologica organologico originarietà ormeggiatore ornitologica ornitologico otomeningite paleocologia paletnologia palleggiando palpeggiando panneggiando papirologico parallogismo parcheggiare parcheggiato pareggiabile pareggiatore paremiologia paridigitato parteggiando passeggiando pasteggiando patteggiando pavoneggiare pavoneggiato peggiorativo pelagianismo perissologia piaggiatrice pianeggiando Piergiuseppe pignolaggine piovigginare piovigginato piovigginoso pirateggiare pirateggiato plagioclasio planetologia pleurorragia pneumorragia polemologico politologico pompeggiando posteggiando  pregiudicare pregiudicato primatologia primeggiando privilegiare privilegiato proctologico proctorragia propagginare propagginato proteroginia psicologismo psicologista psicoplegico punteggiando quadriplegia raggiramento raggiratrice raggiungendo raggiungersi raggiuntando raggiustando ragionamento ragionatrice randeggiando reggimentale regionalismo regionalista registrabile registratore reingaggiare reingaggiato religioseria reumatologia riaggiustare riaggiustato  riecheggiare riecheggiato rieleggibile rifrangibile rifugiandosi rigurgitando rimaneggiare rimaneggiato rimarginando rimpaginando ringiallendo ringiovanire ringiovanito rinverginare rinverginato risorgimento rivaleggiare rivaleggiato rivolgimento rosseggiando rumoreggiare rumoreggiato saccheggiare saccheggiato salmeggiando satireggiare satireggiato sbadataggine sbeffeggiare sbeffeggiato sbugiardando scapataggine scarseggiare scarseggiato scempiaggine sceneggiando scheggiabile scheggiatura scipitaggine scompaginare scompaginato scongiurando scoraggiando seigiornista selenologico semasiologia serpeggiando sessuologico sfregiatrice sillogistico sillogizzare sillogizzato simoneggiare simoneggiato sinergistico sinistrogiro smargiassata sociologismo soggiacciamo soggiacciano soggiacciono soggiacquero soggiornando soggiungendo soggiungersi solfeggiando somatologico someggiabile sommergibile sopraggiunse sopraggiunsi sopraggiunto sorseggiando sorteggiando soteriologia sovietologia spalleggiare spalleggiato spareggiando spargifiamma spazieggiare spazieggiato speakeraggio speleologico spergiurando spregiatrice sprigionando spumeggiando stagionalità stagionatore stagionatura stolidaggine stomatologia strafilaggio strapoggiare strapoggiato stringimento stronzaggine struggicuore struggigrano struggilegno struggimento stupidaggine sunteggiando supergigante svaligiatore svantaggiare svantaggiato svantaggioso taccheggiare taccheggiato tagliapoggio taglieggiare taglieggiato talassologia tanatologico tappetologia tasteggiando taumaturgico telegiornale teleologismo tenoreggiare tenoreggiato teologizzare teologizzato teratologico tergilunotto tergiversare tergiversato terminologia tesoreggiare tesoreggiato tetraplegico  tinteggiando tonneggiando tonnellaggio torneggiando torreggiando tossicologia trangugiando transigibile tratteggiare tratteggiato troneggiando turcheggiare turcheggiato uccellagione vagheggiando vassallaggio veleggiatore venereologia verdeggiando verseggiando vezzeggiando viaggiatrice vigilantismo villeggiando virginalista volteggiando vulcanologia zuccheraggio zucconaggine

Parole contenenti GI di 13 lettere accattonaggio aggiornamento aggiudicativa aggiudicativo aggiungiamovi aggiuntatrice aggiustamento aggiustatrice allobiologica allobiologico alloggiamento angioplastica antiallergica antiallergico antigiuridica antigiuridico antireligiosa antireligioso antropologica antropologico apologizzando apologizzante appoggiatesta archeggiatura archiginnasio argilloscisto arieggiamento armeggiamento arpeggiamento arpeggiatrice arrangiamento arrangiatrice artigianalità assaggiatrice astrobiologia atteggiamento attinopterigi attinotterigi autocampeggio avvantaggiare avvantaggiato baccheggiando baluginamento bambineggiare bambineggiato bamboleggiare bamboleggiato barbareggiare barbareggiato barcheggiando bastardaggine batteriologia battispiaggia beccheggiando beffeggiatore biancheggiare biancheggiato bigiornaliero biondeggiando biosociologia biotecnologia birbantaggine birboneggiare birboneggiato boccheggiando borseggiatore braccheggiare braccheggiato brandeggiando bricconaggine bromatologico buffoneggiare buffoneggiato bugiardaggine calendimaggio campeggiatore cannoneggiare cannoneggiato capeggiatrice capovolgibile carreggiabile cartilaginoso castronaggine cavalleggiero citrullaggine climatologico cocciutaggine concubinaggio congiungibile congiuntivite congiunturale conteggiabile controgirello corteggiatore cortigianelli cortigianeria cortigianesco cosmetologico crocifiggiamo crocifiggiate cronobiologia danneggiabile danneggiatore decatissaggio delegittimare delegittimato dermatologico destreggiando dialettologia digitalizzare digitalizzato dileggiatrice dirigibilista dispregiativo dispregiatore dissigillando distruggibile dottoreggiare dottoreggiato drappeggiando ecclesiologia emarginazione epidemiologia episillogismo epistemologia equipaggiando equipaggiante escatologismo escogitazione eudemonologia fannullaggine farmacologico farraginosità favoleggiando fenomenologia fiammeggiando fiancheggiare fiancheggiato fitopatologia fonomontaggio foraggiamento foraggiatrice fosforeggiare fosforeggiato fotobiologico fotomontaggio frascheggiare frascheggiato fraseggiatore frivoleggiare frivoleggiato fronteggiando fungicoltrice furoreggiando galanteggiare galanteggiato galleggiabile galvanostegia gareggiamento garzoneggiare geocronologia geomorfologia gerontologico Gianfrancesco giansenistico giapponeseria gibilterriano giganteggiare giganteggiato gigantografia gigantomachia gigantopiteco gioachimitico giocacchiando giocherellare giocherellato giocherellona giochicchiare giochicchiato giornalistese giornalistico giornalmastro giratutensili giromagnetica giureconsulto giurisdizione giuseppinismo giustificando gorgheggiando grammatologia grandeggiando guardasigilli guerreggiando idealeggiando ideologizzare ideologizzato idrobiologica idrobiologico idrogeologica idrogeologico idromassaggio illeggiadrire illeggibilità illegittimità immaginatrice immaginazione immaginereste impaginatrice impaginazione implantologia imprigionando imprigionante incoraggiando incoraggiante inesigibilità infungibilità ingaggiamento ingaggiatrice ingiallimento inginocchiare inginocchiato ingioiellando ingioiellante ingiunzionale ingiuriatrice ingiustissima intangibilità intellegibile intelligibile interagiscano interagiscono interdigitale invaginazione irraggiamento irraggieranno irragionevole irreligiosità irrigidimento istopatologia lampeggiatore largheggiando latineggiando leggicchiando leggiucchiare leggiucchiato legittimabile lessicologico libertinaggio logismografia longitudinale lussureggiare lussureggiato magazzinaggio maggiorascato maggiorazione maggioritario magistratuale malagiustizia malgiudicando maneggiamento maneggiatrice mangiabambini mangiafagioli mangiaformica mangiapolenta mangiucchiare mangiucchiato marginalmente massaggiatore messaggistica metagiuridico metallurgista metatarsalgia meteoecologia meteorologico microbiologia mineralogista moraleggiando motteggiatore mucillaginoso nettarostegio neurobiologia noleggiatrice occhieggiando occhieggiante oftalmoplegia oltraggiabile oltraggiatore ombreggiatura ondeggiamento onomasiologia ormeggiatrice ortopedagogia osteggiamento padroneggiare padroneggiato paesaggistico paganeggiante paleocologico paleontologia paleozoologia paletnologico palleggiatore panegiristico papirologista paraliturgico paralogistico parapsicologi parcheggiando pareggiamento pareggiatrice paremiologico paretimologia parteggiatore partigianeria partigianesco pasteggiabile pavoneggiando pedagogizzare pedagogizzato pedanteggiare pedanteggiato peggioramento perinatologia picchettaggio piovigginando pirateggiando plagiocefalia planetologico pneumatologia politologismo poltronaggine ponteggiatore portagioielli portaimmagini posteggiatore pregiudicando pregiudiziale prestigiatore primatologico privilegiando promagistrato propagginando prosillogismo protistologia psicobiologia punteggiatura quadriplegico radiobiologia radioecologia raggiungibile ravvolgimento reggipiccozza reggisfestone registratrice registrazione reingaggiando respingimento reumatologico riaggiustando riappigionare riappigionato ricompaginare ricompaginato ricongiungere ricongiunsero ridicolaggine riecheggiando rigalleggiare rigalleggiato rimaneggiando rimpaginatura rincoraggiare rincoraggiato ringiovanendo ringiovanirsi ringiovanisca ringiovanisce ringiovanisco rinofaringite rinolaringite rinverginando ripatteggiare ripatteggiato risommergiate ristringitura rivaleggiando rumoreggiando saccheggiando salsomaggiore satireggiando sbeffeggiando scarseggiamdo scarseggiando sceneggiatore sceneggiatura schifosaggine sciacallaggio scompaginando scoraggimento semasiologico sgarbataggine sguaiataggine signoreggiare signoreggiato sillogizzando simboleggiare simboleggiato simoneggiando sociobiologia soggiogamento soleggiamento sopraggittare sopraggittato sorteggiabile soteriologico spalleggiando spazieggiando spigionandosi splancnologia spregiudicato srugginiscono stacchinaggio stagionatrice  stoccheggiare stoccheggiato stomatologico storditaggine strapoggiando strillonaggio strozzinaggio svaligiamento svaligiatrice svantaggiando sverginamento taccheggiando taglieggiando tambureggiare tambureggiato telemessaggio telemetraggio temporeggiare temporeggiato tenoreggiando teologizzando tergiversando terminologico tesoreggiando testardaggine tinteggiatura tiranneggiare tiranneggiato tortoreggiare tortoreggiato toscaneggiare toscaneggiato tossicologico traccheggiare traccheggiato tragicommedia trangugiatore trascuraggine trascutaggine tratteggiando traumatologia travolgimento turcheggiando uniformologia vagabondaggio vagheggiatore vampireggiare vampireggiato vaneggiamento vanvereggiare vanvereggiato vaporissaggio veleggiamento veleggiatrice verseggiatore verseggiatura vessillologia vezzeggiativo videogiornale villeggiatura vitaminalogia vitaminologia volantinaggio volteggiatore vulcanologico vulvovaginale vulvovaginite

Parole contenenti GI di 14 lettere aggiudicataria aggiudicatario aggiudicazione amareggiamento amoreggiamento ancheggiamento anestesiologia angioneurotico antibloccaggio antiemorragica antiemorragico antiflogistica antiflogistico antinevralgica antinevralgico antropologismo appigionamento archeggiamento arrugginiscano arrugginiscono aspargicoltura astrobiologica astrobiologico autoparcheggio avvantaggiando avvantaggiante bambineggiando bamboleggiando barbareggiando baritoneggiare baritoneggiato batteriologico beffeggiamento beffeggiatorio beffeggiatrice biancheggiando biotecnologico birboneggiando bordeggiamento borseggiatrice braccheggiando brandeggiabile briganteggiare briganteggiato buffoneggiando campeggiatrice cannoneggiando capovolgimento caratterologia carreggiamento chilometraggio coinvolgimento conchiliologia congiungimento controimmagine corteggiamento corteggiatrice cortometraggio cronometraggio danneggiamento danneggiatrice delegittimando demodossologia demopsicologia digitalizzando disgiungimento dispregiatrice dongiovannesco dottoreggiando endocrinologia epidemiologica epidemiologico epistemologico etimologizzare etimologizzato eudemonologico fanciullaggine favoleggiatore favoreggiatore fenomenologico festeggiamento fiancheggiando filosofeggiare filosofeggiato fiosopatologia fisiopatologia fosforeggiando frangivalanghe frascheggiando fraseggiamento fraseggiatrice frivoleggiando gaglioffaggine galanteggiando galleggiamento gatteggiamento geoglaciologia geomorfologico Giambartolomei Giancristofaro giavellottista giganteggiando gigantografico giocherellando giochicchiando Giovanbattista giovanilistico giurisprudenza giustapponendo giustappongono giustificabile giustificativo giustificatore giustizialismo giustizialista gorgheggiatore grammatologico ideologizzando ideologizzante ignorantaggine illeggiadrisce imbecillaggine impareggiabile imparidigitata imparidigitato impregiudicata impregiudicato incappellaggio incoraggiatore incorreggibile indietreggiare indietreggiato ineleggibilità inginocchiando inginocchiante ingiustificata ingiustificato inimmaginabile insensataggine insommergibile interregionale inturgidimento iperboleggiare iperboleggiato irreggimentare irreggimentato irruggineranno italianeggiare italianeggiato lampeggiamento leggiucchiando legittimamente legittimazione legittimistico lungisaettante lungometraggio lussureggiando macrosporangio maggiociondolo malandrinaggio maneggiabilità mangiacassette mangiucchiando marginalizzare marginalizzato massaggiatrice mercanteggiare mercanteggiato metaforeggiare metaforeggiato metalinguaggio microbiologico microchirurgia microsporangio mielomeningite minchionaggine molleggiamento mostreggiatura motteggiamento motteggiatrice nanotecnologia neurobiologico neurochirurgia neuropatologia oltraggiatrice ombreggiamento onomasiologica onomasiologico originalissima ortopedagogica ortopedagogico padroneggiando paleoetnologia paleontologico paleopatologia paleozoologico palleggiamento palleggiatrice palpeggiamento panneggiamento panreligiosità paraetimologia parallogistico parallogizzare parallogizzato parapsicologia parassitologia parcheggiatore paretimologico parodontologia parteggiamento passeggiatrice patteggiamento pedagogizzando pedanteggiando pellegrinaggio pennelleggiare pennelleggiato plagiotropismo polisillogismo poltroneggiare poltroneggiato ponteggiatrice posteggiatrice pregiudicabile pressaforaggio prestigiatrice pretecnologico psicochirurgia psicopatologia psicopedagogia punteggiamento radicaleggiare radicaleggiato radiochirurgia radioecologico radiomessaggio radiomontaggio radiosondaggio raggiungimento raggiuntamento raggiustamento ragionevolezza regionalistico regionalizzare regionalizzato restringimento retropassaggio riappigionando riavvolgimento ricompaginando ricongiungendo ricongiungersi ricongiunzione ridicoleggiare ridicoleggiato rieleggibilità rifrangibilità rigalleggiando rimpaginazione rincoraggiando ripatteggiando risorgimentale rotondeggiante saccheggiatore sbeffeggiatore sbruffonaggine scaldaseggiole sceneggiatrice schiaffeggiare schiaffeggiato scimunitaggine scompaginatore scompaginatura scontrosaggine sconvolgimento scoraggiamento sdottoreggiare sdottoreggiato sedimentologia serpeggiamento sfacciataggine sgraziataggine simboleggiando sintomatologia smangiucchiare smangiucchiato smemorataggine sociobiologico sopraggittando sopraggiungere sopraggiunsero sopraggiuntane sopraggiuntone sottopassaggio spadroneggiare spadroneggiato spazieggiatura speleobiologia speleozoologia spiritosaggine sprigionamento stagionalmente stoccheggiando stragiudiziale stravolgimento svillaneggiare svillaneggiato svogliataggine taccheggiatore taglieggiatore tambureggiando tecnologizzare tecnologizzato tedescheggiare tedescheggiato teleologistica telepilotaggio temporeggiando tergicristallo tergiversatore termofissaggio termogiunzione terotecnologia tiranneggiando tortoreggiando toscaneggiando traccheggiando trangugiamento trangugiatrice trapiantologia tratteggiabile tratteggiatura traumatologico trinciaforaggi tromboangioite vagabondaggine vagheggiamento vagheggiatrice vampireggiando vanvereggiando verseggiatrice vetrioleggiare vetrioleggiato vezzeggiamento vibromassaggio videogiocatore volteggiatrice

Parole contenenti GI di 15 lettere anestesiologica anestesiologico antigiuridicità approvvigionare approvvigionato asparagicoltore autolegittimare autolegittimato baritoneggiando bioclimatologia biometeorologia bizantineggiare bizantineggiato boccheggiamento braccheggiatora briganteggiando caporalmaggiore caratterologico cardiochirurgia correligionario doppiogiochista elettrobiologia equipaggiamento etimologizzando etnomusicologia extragiudiziale fantasticaggine favoleggiatrice favoreggiamento favoreggiatrice fiancheggiatore filosofeggiando fisiopatologico galleggiabilità galvanostegista  giogioneggiando girodirezionale giudeocristiano giurisdizionale giuscibernetica giusnaturalismo giustificatorio giustificatrice giustificazione gorgheggiatrice guardareggitori idrometallurgia immagazzinaggio imprigionamento impuntigileremo incoraggiamento incoraggiatrice indietreggiando indietreggiante infingardaggine inginocchiatoio inginocchiatura inginocchimento inintelligibile intelligibilità interpsicologia iperboleggiando iperboleggiante irraggiungibile irreggimentando irreggimentante irrestringibile italianeggiando italianeggiante liberaleggiante macrolinguaggio macrosociologia madrigaleggiare madrigaleggiato marginalizzando mercanteggiando metaforeggiando meteorobiologia meticolosaggine microfisiologia microsociologia misticheggiante nanotecnologico neurochirurgico neurofisiologia neuropsicologia ortopedagogista paraetimologico parallogizzando parapsicologico parassitologico parodontologico pennelleggiando petrarcheggiare petrarcheggiato poltroneggiando popolareggiante pregiudizialità pregiudizievole preistoriologia promagistratura propagginazione psicofisiologia psicopatologico psicopedagogico psicosociologia radicaleggiando radiocronologia raggiungibilità ragionieristico regionalizzando ridicoleggiando riecheggiamento rimaneggiamento ringiovanimento ringiovaniscano ringiovaniscono rinverginamento risorgimentista rumoreggiamento saccheggiatrice sbalorditaggine sbeffeggiamento sbeffeggiatrice scellerataggine schiaffeggiando sciagurataggine scioperataggine scompaginatrice scompaginazione sdottoreggiando sedimentologico simboleggiabile sintomatologico smangiucchiando sommergibilista sopraggiungendo sopraggiungerne sottolinguaggio sottotitolaggio sovrappassaggio spadroneggiando spalleggiamento sregionalizzare sregionalizzato supermaggiorata svillaneggiando taccheggiatrice taglieggiamento taglieggiatrice talassobiologia tecnologizzando tedescheggiando telegiornalismo telegiornalista temporeggiatore tergiversatrice tergiversazione terotecnologico tesoreggiamento torremaggiorese trascurataggine tritaimballaggi videogiocatrice videotecnologia

Parole contenenti GI di 16 lettere antisommergibile approvvigionando approvvigionante asparagicoltrice autolegittimando autonoleggiatore autoregistratore avvantaggiamento bamboleggiamento bizantineggiando braccheggiatrice cannoneggiamento carbosiderurgico classicheggiante controspionaggio delegittimazione dendrocronologia dermatopatologia digitalizzazione farmacovigilanza fiancheggiamento fiancheggiatrice fibrocartilagine fonoregistratore ghibellineggiare ghibellineggiato giustapposizione glottocronologia ideologizzazione illeggiadriscono impareggiabilità impregiudicabile incorreggibilità ingiustificabile inimmaginabilità insommergibilità intransigibilità irragionevolezza madrigaleggiando massaggiagengive meteoropatologia michelangiolesco neurofisiologico neuropsicologico neuroradiologico orientaleggiante petrarcheggiando prestidigitatore psicofisiologico psicopedagogista psicosessuologia psicosociologico ricongiungimento ripatteggiamento scapestrataggine spensierataggine spregiudicatezza sregionalizzando tambureggiamento temporeggiamento temporeggiatrice tergilavalunotto tortoreggiamento

Parole contenenti GI di 17 lettere anticongiunturale antroposociologia approvvigionatore autonoleggiatrice elettrofisiologia fibrocartilagineo fitopaleontologia fonoregistrazione gastroenterologia ghibellineggiando giurisprudenziale giusnaturalistica glottocronologico idrometeorologica idrometeorologico inintelligibilità irraggiungibilità irreggimentazione marginalizzazione microclimatologia micrometeorologia microregistratore neurofarmacologia paleoantropologia particolareggiare particolareggiato pigiadiraspatrice prestidigitatrice prestidigitazione pseudoetimologico psicofarmacologia radarmeteorologia radioimmunologico radiometeorologia radioregistratore regionalizzazione svillaneggiamento teleregistrazione videoditeggiatura videoimpaginatore videonoleggiatore videoregistratore

Parole contenenti GI di 18 lettere  approvvigionamento approvvigionatrice cacciasommergibili dendroclimatologia elettrometallurgia girostabilizzatore giurisdizionalismo giurisdizionalista giustificazionismo giustificazionista grattugiaformaggio micropaleontologia neurofarmacologico odontostomatologia particolareggiando postrisorgimentale psicofarmacologico radarmeteorologico speleopaletnologia tergilavacristallo vibromassaggiatore videoimpaginazione videonoleggiatrice videoregistrazione

Parole contenenti GI di 19 lettere gastrodigiunostomia neuroendocrinologia speleopaleontologia tergilavaproiettore

Parole contenenti GI di 20 lettere giurisdizionalistico

Parole contenenti GI  di 24 lettere psiconeuroendocrinologia

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GI

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI. Come già detto per le schede delle nomenclature per parole di tre lettere

 e per le schede delle nomeclature per parole di quattro lettere, 

una volta che il bambino ha fatto molti esercizi di composizione di parole per dettatura con l’alfabeto mobile, è pronto per gli esercizi di autodettatura, cioè per comporre autonomamente parole che egli stesso ha pensato, senza averle sentite dalla voce di altri. 

Esistono molte possibilità per favorire questo genere di esercizio, una può essere quella di preparare delle schede illustrate, che possono anche fornire un aiuto all’arricchimento del lessico.

Classicamente le schede delle nomenclature, a questo secondo scopo, sono organizzate per aree tematiche (animali domestici, casa, abbigliamento, mezzi di trasporto, ecc…).

Qui propongo una classificazione diversa, in funzione dell’apprendimento delle varie difficoltà ortografiche presenti nella nostra lingua occupandoci ora del suono GHI.

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI

Questa è una selezione di parole italiane che presentano appunto il suono “ghi”, con diversi gradi di difficoltà; non tutte si prestano ad essere illustrate e le parole presenti nelle schede delle nomenclature sono in grassetto:

Parole di 5 lettere: ghiro, ghisa.

Parole di 6 lettere: draghi, fanghi, funghi, ghiado, ghiaia, ghibli, ghiera, ghigne, ghinea, ghirba, sorghi, terghi, unghia, volghi.

Parole di 7 lettere: aurighi, beghino, cinghia, cinghio, ghiacce, ghianda, ghiotto, ghiozzo, righine, rugghio .

Parole di 8 lettere: barzaghi, braghini, fanghino, ghiaccio, ghiaiare, ghiaiato, ghiaieto, ghiaione, ghiaioso, ghierato, ghignare, ghignata, ghignato, ghindare, ghindato, ghiretto, ghironda, inghippo, kirghiso, larghino, leghista, liturghi,  Respighi, unghiata, unghiato, unghiolo, unghione, unghiuto.

Parole di 9 lettere: aghiforme, Alighieri, braghiere, brughiera, cinghiale, cinghiata, draghista, droghiere, ganghista, ghiandaia, ghiandola, ghiandona, ghignando, ghimbarda, ghimberga, ghindando, ghingheri, ghiottone, ghirigoro, ghirlanda, inghiramo,  invaghire, Meneghino, mugghiare, mugghiato, pomologhi, portaaghi, preghiera, ringhiare, ringhiato, ringhiera, ringhioso, stregghia, unghiella, unghiello.

Parole di 10 lettere: acciughina, adunghiare, adunghiato, agghiaiare, agghiaiato, agghindare, agghindato, aghifoglia, alberghino, botteghino, fanghiccio, fanghiglia, funghicolo, ghiacciaia, ghiacciaio, ghiacciare, ghiacciato, ghiacciolo, ghibellino,  ghiribizzo, inghiaiare, inghiaiato, invaghirsi, mugghiando, neghittoso, ringhiando, singhiozzo, transfughi, unghiatura, vaghissimo.

Parole di 11 lettere: adunghiando, adunghiante, agghiaiando, agghiaiante, agghindando, agghindante, alberghiera, alberghiero, avvinghiare, avvinghiato, beghinaggio, cinghiatura, disimpieghi, ghiacciando, ghianchetto, ghiandatico, ghiandolare, ghiandoloso, ghirlandaio, ghirlandare, ghirlandato, inghiaiando, inghiaiare, Inghilterra, inghiottire, inghiottito, lettighiere lusinghiero, rimugghiare, rimugghiato, sghiacciare, schiacciato, sghimbescio, sghiribizzo, singhiozzii, singhiozzio, sogghignare, sogghignato.

Parole di 12 lettere: agghiacciare, agghiacciato, antighiaccio, avvinghiando, avvinghiante, cataloghista, ghigliottina, ghiottoneria, ghiribizzoso, ghirlandetta, inghiaiatura, inghiottendo, inghiottente, inghiottirsi, inghiottisca, inghiottisce, inghiottisco, invaghimento, Kirghizistan, monologhista, neghittosità, ranghinatore, rimugghiando, ringhiottire, ringhiottito, sghiacciando, sghignazzare, sghignazzato, singhiozzare, singhiozzato, sogghignando, tagliaunghie, tendicinghia.

Parole di 13 lettere: agghiacciando, agghiacciante, agghindamento, funghicoltore, funghicoltura, funghicultore, funghicultura, ghiacciamento, ghiandatifero, ghibellinismo, inghiottitoio, inghiottitore, inghiottonire, inghiottonito, inghirlandare, inghirlandato, invaghitosene, menefreghismo, neoghibellino, ringhiottendo, rompighiaccio, sghignazzando, singhiozzando, tranghiottire, tritaghiaccio.

Parole di 14 lettere: funghicoltrice, funghicultrice, ghigliottinare, ghigliottinato, inghiottimento, inghiottiscano, inghiottiscici, inghiottiscilo, inghiottiscimi, inghiottiscine, inghiottisciti, inghiottiscono, inghiottitrice, inghiottonendo, inghiottonirsi, inghiottonisce, inghirlandando, inghirlandante, linfoghiandola, sbattighiaccio.

Parole di 15 lettere: agghiacciamento, ghigliottinando, inghiottiscili, sghignazzamento.

Parole di 16 lettere: ghibelineggiare, ghibellineggiato, inghiottiscicelo, inghiottiscimelo, inghiottiscitelo, inghiottiscitene, inghiottiscono, linfoghiandolare, neoghibellinismo.

Parole di 17 lettere: ghibellineggiando.

Parole di 18 lettere: inghiottisciglielo, inghiottiscigliene.

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI

E queste sono le schede a colori, pronte per il download e la stampa:

Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI
Carte mute (solo immagini)

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI
Cartellini in stampato maiuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI
Cartellini in stampato minuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI
Cartellini in corsivo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI
Nomenclature in stampato maiuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI
Nomenclature in stampato minuscolo

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI
Nomenclature in corsivo

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Qui alcuni dettati ortografici: 

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Metodo Montessori schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche GHI

Il sistema metrico decimale secondo il metodo Montessori

Il sistema metrico decimale secondo il metodo Montessori

– il sistema metrico decimale come disciplina pratica
– cenni storici
– le grandezze e la loro misura: misura delle lunghezze e delle superfici; misura dei volumi; misura delle capacità; misura di peso e peso specifico (relazione tra volume, capacità e peso; calcolo del peso specifico).

Quando si affronta un argomento pratico, cioè un tema che ha attinenza alla realtà, occorre far convergere in esso diverse discipline . Il considerare separatamente le discipline come, per esempio, l’aritmetica, la geometria, l’algebra è determinato dal fatto che esse vengono intese come discipline astratte. Tuttavia, un qualsiasi oggetto reale risulta tale in quanto composto, o meglio qualificato, da molti attributi come il colore, il peso, la forma, ecc… che in esso tutti convergono e che possono venir studiati separatamente e in forma astratta come colore, peso, forma, ecc…

Allo stesso modo, in una disciplina attinente alla realtà, devono convergere varie discipline astratte o elementi da esse derivati.

Se sono necessari elementi che appartengono ad altre discipline per la formazione di una scienza pratica, la sua possibilità di sviluppo è dipendente e tale sviluppo può aver luogo soltanto quando si siano approntati i necessari contributi collaterali.

Mentre nella disciplina astratta l’approfondimento dei dettagli porta chiarezza, in una disciplina pratica, la chiarezza è raggiunta dalla totale convergenza dei suoi elementi formativi.

Nello studio del sistema metrico decimale, ossia nello studio delle misure, occorre perciò utilizzare molti elementi propri dell’aritmetica, della geometria, della fisica e perfino di materie estranee all’argomento, come geografia e storia, dirigendole tutte verso applicazioni pratiche; su oggetti della realtà suscettibili di misurazione. Le misure oggetto di studio nel nostro sistema metrico non sono soltanto quelle che vengono applicate alle ricerche scientifiche, per determinare le qualità intrinseche della materia o alle dimensioni microscopiche, ma più spesso sono grossolane valutazioni quantitative di oggetti connessi con le necessità sociali della vita dell’uomo.

Il sistema metrico decimale, rispetto a tutti gli altri sistemi di misure, ha due vantaggi che gli danno una indiscutibile superiorità. Il primo è dato dal fatto di fondarsi su di un accordo internazionale di unificazione, che rende uniformi le valutazioni delle quantità e perciò facilita la conoscenza e gli accordi commerciali tra i paesi che l’adottano. L’altro vantaggio è quello di aver applicato ai calcoli di misure quantitative il sistema a base dieci.

Prima che il sistema metrico decimale fosse stabilito e accettato da molte nazioni, ogni popolo aveva la sua particolare maniera di misurare, ereditata dalla tradizione. Possiamo dire che ogni paese avesse, come una propria lingua, così anche la sua propria maniera di misurare: alcuni usavano come riferimento di misura la lunghezza del piede o del braccio o della mano con pollice e mignolo stesi (palmo); altri la lunghezza di una certa pertica, ecc…

Per giungere a un criterio uniforme e universale, si stabilì di basare le misure su di un dato naturale che fosse comune a tutti i paesi, e di fondarsi su di una misura che proprio allora il progresso delle scienze e della matematica rendeva possibile: quella del meridiano terrestre. Di comune accordo, si scelse il meridiano che, passando per Parigi, va dal polo all’equatore. A Parigi, il 20 marzo 1791, l’Assemblea Costituente invitava Luigi XVI ad accordarsi con Giorgio III d’Inghilterra per l’adozione di un sistema metrico universale, la cui unità fondamentale fosse qualche cosa di indipendente dall’uomo, che appartenesse alla Terra, che non si riferisse a una particolare nazione, uguale per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Il progetto venne rimandato per le vicende politiche dovute alla Rivoluzione; nel 1798 gli scienziati Delambre e Méchain, ai quali era stato affidato l’incarico di misurare l’arco di meridiano (quello a 2°20′ di longitudine est) compreso fra Dunkerque (Francia) e Barcellona (Spagna) conclusero i loro studi, deducendo, dalla misura di quell’arco di meridiano, la lunghezza dell’intero meridiano terrestre. Lo scienziato italiano Borda costruì il metro-campione, e nel 1799, con gli scienziati Laplace, Monge e Lagrange ideò le altre unità di misura (per i pesi, le capacità, ecc…) coordinandole con il metro. Questa lunghezza che (quasi) con esattezza potè essere misurata soltanto quando civiltà e cultura erano ad un livello avanzato, fu poi divisa e suddivisa di dieci in dieci, secondo il sistema di numerazione a base decimale, fino a che si giunse ad ottenere una lunghezza facilmente maneggevole che venne chiamata metro. Così la parola originaria metro, che in greco significa misura, divenne il nome proprio di tale grandezza. Su questi calcoli si costruì un regolo di platino-iridio, ossia un oggetto di metallo prezioso e inalterabile che rappresenta la misura effettiva base del sistema metrico decimale. Si conserva in Francia, negli archivi di stato, nel Pavillon de Breteuil, presso il Bureau International des Poids et des Misures, a Sèvres, un sobborgo di Parigi. La quarta parte del meridiano terrestre misura dieci milioni di metri, e perciò l’intero meridiano raggiunge quaranta milioni di metri. Il metro equivale quindi al decimilionesimo della quarta parte del meridiano terrestre.

Nel sistema metrico decimale bisogna considerare due elementi: il primo è l’unità di misura che si deve determinare, in relazione a tutto quanto è suscettibile di misurazione. Possono essere misure di linee e o di lunghezze (linea), misure di piani o di  superficie (quadrato), e misure di solidi o di volume (cubo). Il secondo elemento consiste nel procedere a riunire le unità in gruppi, secondo il sistema di misurazione a base 10, al fine di eseguire il calcolo delle misure.

Premesso questo, nel nostro sistema metrico, ai diversi gruppi decimali si assegnano nomi speciali derivanti dalla lingua greca:
10 – deca
100 – etto
1000 – chilo
10.000 – miria

(l’elemento miria, che indicava il valore 10.000, e il corrispondente simbolo M sono stati aboliti e ora M indica Mega ed indica un valore di 1.000.000).

Così non si dirà cento metri, ma un ettometro; non mille metri, ma un chilometro. Allo stesso modo dei multipli, anche i sottomultipli decimali, ossia la decima, centesima, millesima parte dell’unità, hanno un loro nome, questa volta derivante dal latino.
Le varie denominazioni sono:
1/10 – 0,1 – deci
1/100 – 0,01 – centi
1/1000 – 0,001 – milli

Ugualmente non si dirà la decima parte di un metro, ma un decimetro; non la centesima o millesima parte del metro, ma un centimetro o un millimetro. Il modo più comune per rappresentare il metro coi suoi multipli e sottomultipli consiste nell’usare i simboli dei prefissi, ai quali si unisce quello dell’unità principale di misura delle lunghezze:
km – chilometro – 1.000
hm – ettometro – 100
dam – decametro – 10
m – metro – 1
dm – decimetro – 0,1
cm – centimetro – 0,01
mm – millimetro – 0,001

Se si tratta di misure di superficie o di solidi, le denominazioni non cambiano; soltanto si aggiungono le relative indicazioni, mediante le parole quadrato e cubo. Diremo quindi metro quadrato, metro cubo, ettometro quadrato, ettometro cubo, ecc… Le indicazioni simboliche portano il segno numerico usato per i quadrati e i cubi dei numeri, per esempio hm² m³.

Quando si tratta di misure di superficie la relazione  fra esse è di 100 in 100, mentre per le misure dei solidi le unità procedono di 1000 in 1000, come già vedemmo nel sistema decimale.

Misure delle superfici:
km² – 1.000.000 m² – (1000 x 1000)
hm² – 10.000 m² – (100 x 100)
dam² – 100 m² – (10 x 10)
m² – 1 m²
dm² – 0,01 m²
cm² – 0,0001 m²
mm² – 0,000001 m²

Misura dei volumi:
km³ – 1.000.000.000 m³ – (1000 x 1000)
hm³ – 1.000.000 m³ – (100 x 100)
dam³ – 1.000 m³ – (10 x 10)
m³ – 1 m³
dm³ – 0,001 m³
cm³ – 0,000001 m³
mm³ – 0,000000001 m³

Bisogna sempre tener presente tale ordine di successione dei valori per eseguire i calcoli o per effettuare la riduzione, cioè per passare da un’unità all’altra.

Dalle tabelle presentate risulta chiaro che i sottomultipli dell’unità principale di misura numericamente sono frazioni decimali. Sono anche espresse da uno zero indicante l’unità principale, seguito dalla virgola che ci mostra che scendiamo ad una parte più piccola dell’unità.

L’unità principale è una quantità realmente determinata e costituisce, perciò, il punto di partenza della valutazione. Essa può effettuarsi nei due sensi opposti, percorrendo i gradi precisi e rigorosamente ordinati del sistema decimale. Per questo, le unità che vanno verso la direzione della diminuzione sono realmente frazioni dell’unità principale, matematicamente considerate.

Non possiamo ottenere un più o un meno, se non riferendoci a una misura convenzionale, stabilita in relazione alle differenti possibilità di misurazione.

Il decimetro, tuttavia, è una lunghezza e non è veramente frazione di alcuna cosa. Il metro corrisponde a 10 decimetri e alla decima parte del decametro. Quindi il decametro corrisponde a 100 decimetri.

Invece il decimetro cubo è la millesima parte dell’unità principale di misura dei volumi, che è il metro cubo. Nelle misure dei pesi, d’altra parte, che hanno come unità principale di misura il centimetro cubo, il decimetro cubo è mille volte maggiore dell’unità principale.

Le misure sono correlazioni decimali crescenti e decrescenti rispetto all’unità prestabilita. Ciascuna misura rappresenta un particolare aspetto: è un’unità in se stessa che serve per misurare. Opera infatti misurazioni tanto il centigrammo del farmacista quanto l’ettogrammo del fruttivendolo; il rapporto di queste misure con l’unità principale è una convenzione necessaria per orientarci sull’ammasso della materia. Non si può quindi parlare di calcoli sulle frazioni. La stessa virgola, poi, è una convenzione che ci mette in relazione col sistema di numerazione a base decimale. Le riduzioni in frazioni ecc… indicano semplicemente che si prendono in considerazione, per necessità pratiche, misure di varia grandezza, adeguate cioè a ciò che si deve misurare.

Se talvolta risulta necessario rappresentarle mediante frazioni (decimali) è perchè ogni altra misura è orientata verso un centro, l’unità fondamentale di misura. Il calcolo tuttavia si esegue come se non ci fosse discontinuità.

Nei numeri 1.000.000 100.000 10.000 1.000 100 10 1, l’uno è l’unità matematica. Nelle misure, invece, c’è un orientamento verso il centro: 1.000 100 10 1 0,1 0,01 0,001 e l’1 è l’unità di misura.

Non bisogna perciò considerare la frazione decimale come una difficoltà di calcolo.

Se torniamo alle aste numeriche che nella Casa dei Bambini costituiscono il primo materiale per contare, nell’asta più lunga troviamo rappresentata la lunghezza di un metro (asta del 10), mentre nella più corta la lunghezza di un decimetro (asta dell’1). Quelle intermedie corrispondono rispettivamente alle lunghezze di 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 decimetri:

Nel materiale che ci era servito per contare, l’asta più corta rappresentava l’unità numerica che si ripeteva, nella successione, una volta di più, raggruppando nelle aste successive quantità e numeri crescenti fino al 10. Qui, invece, si rappresentano unità di misura determinate.

L’unità principale di misura delle lunghezze, cioè l’unità di misura delle linee, è il metro, l’asta lunga: quella del 10. Il metro si moltiplica e si divide determinando altre unità di misura, che procedono di 10 in 10 dando luogo tanto ai multipli del metro quanto alle suddivisioni decimali o sottomultipli. Nel sistema di numerazione, l’unità potrebbe venir rappresentata da un oggetto qualsiasi; una perla, una bambola, ecc… ma alla fine è pur sempre il numero uno. Invece le unità principali di misura risultano rappresentate da oggetti, soprattutto di dimensioni prestabilite. Tali unità sono il centro dal quale si parte: da un lato verso i multipli e dall’altro verso i suoi sottomultipli.

1000 m – chilometro – km – 1000
100 m – ettometro – hm – 100
10 m – decametro – dam – 10
1 m – metro UNITA’ PRINCIPALE DI MISURA – 1
10a parte del metro – decimetro – dm – 1/10 – 0,1
100a parte del metro – centimetro – cm – 1/100 – 0,01
1000a parte del metro – millimetro – mm – 1/1000 – 0,001

Ognuna di queste misure vale 10 volte quella immediatamente inferiore. Per esempio:
1 km = 10 hm
1 hm = 10 dam
proprio come accade nelle gerarchie della serie naturale dei numeri.

Ridurre una misura superiore in una inferiore equivale a scrivere un numero seguito da zeri a seconda  del suo posto nella gerarchia decimale.

Riferendoci alle misure, invece di quattro chilometri si dirà quattromila metri; oppure invece di due metri si dirà duecento centimetri. Si potrebbero anche ridurre i chilometri in millimetri, sebbene questa pratica non avvenga di solito. In tal caso avremo 3 km = 3.000.000 mm. Praticamente, l’unità di misura delle lunghezze usata per le grandi distanze (per misurare, ad esempio, la lunghezza di una strada che congiunge le città, ecc…) è il chilometro. Se invece si tratta di misurare lunghezze o altezze poco rilevanti, come possono essere quelle che si riferiscono a una casa, a un appartamento, a un mobile o alla misurazione di tessuti, l’unità di misura è il metro. Per misurazioni piccole (come quelle per un disegno) si usa sempre il decimetro o il doppio decimetro, che porta le graduazioni indicanti centimetri e millimetri.

Generalmente, in pratica, le altre misure non si usano. Così, ad esempio, dovendo misurare la distanza fra due punti di una strada, se resta una frazione di chilometro essa si esprime in metri. Allora si dirà, ad esempio, dodici chilometri e settecento metri, invece di dodici chilometri e sette ettometri. Quando, al contrario, si usa il metro, le sue frazioni si indicano in centimetri e non in decimetri. Per esempio si dirà quattro metri e sessanta centimetri, e non quattro metri e sei decimetri.

Quando si tratta poi di misurare una lunghezza piccola, per cui è indispensabile utilizzare i millimetri, tutte le unità di misura si esprimono in millimetri. Così, per esempio, si dirà quarantasei millimetri e non quattro centimetri e sei millimetri.

C’è ancora la presenza del metro, poichè in pratica si usa nella misurazione delle superfici. Ciò che in una superficie si può realmente misurare sono i suoi lati: il contorno, i limiti fatti di linee che la comprendono. Per il loro studio, si può ricorrere alla geometria, all’equivalenza tra figure piane e al modo di calcolare l’area della loro superficie. Per esempio, si voglia calcolare l’area di una terrazza di forma rettangolare, i cui lati misurano rispettivamente m 6 e m 4.

Il lavoro consiste nel misurare esattamente, mediante un metro a nastro o rigido, lunghezza e larghezza della terrazza. La sua area sarà espressa dal prodotto delle sue misure lineari, il prodotto 6×4. I lati quanto l’area della superficie vengono sempre calcolati come unità uguali, ossia come perle 6×4=24 perle. Questo perchè esse rappresentano un’astrazione numerica dell’unità ed esprimono, ma in forma geometrica, una semplice moltiplicazione di numeri.

Quando si deve misurare realmente una superficie, bisogna distinguere fra la misurazione reale che è misurazione di linee, e il calcolo che, mediante una moltiplicazione di numeri, rappresenta un prodotto in metri quadrati.

Il calcolo si indica con il simbolo m (metro) in questo modo: 6m x 4m ) 24m²

Le misure di superficie di indicano con misure quadrate, perchè l’area si ottiene sempre per mezzo di una moltiplicazione. Come nella scala delle unità delle misure di linee le unità procedevano di 10 in 10, così in quella delle misure di superficie bisogna considerare i quadrati corrispondenti, in quanto le misure di superficie procedono di 10² in 10².
Le misure sono:
km² – (1000m x 1000m) – 1.000.000 m²
hm² – (100m x 100m) – 10.000 m²
dam² – (10m x 10m) – 100 m²
m² – (1m x 1m) – 1 m²
dm² – (1/10m x 1/10m) – 0,01 m²
cm² – (1/100m x 1/100m) – 0,0001 m²
mm² – (1/1000m x 1/1000m) – 0,000001 m²

Le misure agrarie

Nella pratica le grandi estensioni di terreno si valutano in ettometri quadrati, ossia 100m x 100m = 10.000m². Questa misura-calcolo si chiama ettaro (simbolo ha). Parlando perciò dell’estensione di un terreno, si dirà che misura duecento ettari: vuol dire che è costituita di 200 quadrati, il lato di ciascuno dei quali misura 100 metri di lunghezza:

10.000 m² x 200 = 2.000.000 m²

Nella pratica si usa anche il decametro quadrato, che corrisponde ad un quadrato il cui lato misura 10m, e che si chiama ara (simbolo a) ed è l’unità di misura principale delle superfici agrarie.

Invece, per misurare grandi estensioni di terreno si impiega il chilometro quadrato.

Se consideriamo poi la serie dei valori relativi  alle misure quadrate o delle superfici, osserveremo che nel passaggio da un grado decimale all’altro, riferendoci al lato del quadrato, le misure non procedono di 10 in 10, ma di 100 in 100, proprio perchè se il lato procede di 10 in 10, le misure di superficie procedono di 10×10 in 10×10, cioè di 100 in 100. Se perciò, attraverso il calcolo scritto, si vuole ridurre una misura ad un’altra immediatamente inferiore, indicante la medesima superficie, bisogna moltiplicarla per 100.  Per esempio 25 ettari corrispondono a 2500 are che, a loro volta, corrispondono a 250.000  metri quadrati (o centiare; simbolo ca):
hm² = ha = 25
dam² = a = 2500
m² = ca = 250.000

Volendo misurare un terreno rettangolare molto grande, i cui lati misurano rispettivamente 10.ooo metri e 1000 metri, ossia 10 km per 1 km,  si effettuerà prima il calcolo in metri quadrati, così:

10.000m x 1.000m = 10.000.000m²

per esprimere poi il totale in ettari così:

10.000.000m² :  10.000 = 1.000 ha

Invece, se si trattasse di calcolare l’estensione di un paese o di una regione o di una provincia, ci si esprimerebbe in chilometri quadrati. L’ara, l’ettaro e il chilometro quadrato sono misure convenzionali che servono per esprimere, mediante numeri piccoli, una grande quantità di metri quadrati ottenuti col calcolo; non sono misure effettive, ossia oggetti che servono per effettuare misurazioni. Tali grandi misure si ottengono quindi unicamente mediante il calcolo.

Le carte topografiche si rilevano per mezzo di apparecchi speciali usati dagli ingegneri, i quali effettuano i calcoli con l’aiuto di linee e di angoli determinati mediante quegli strumenti.

Chiunque poi è in grado di calcolare l’area della superficie di un terreno, quando gli si diano le linee necessarie. A tale proposito, conviene ricordare le riduzioni di figure geometriche in rettangoli equivalenti, che vuol dire ridurre tutto il calcolo ad una moltiplicazione di due numeri.

Si abbia, ad esempio, un campo di forma triangolare la cui base misura 500m e l’altezza 405m. L’area della sua superficie sarà:

(500 x 405) : 2 = 202.500 : 2 = 101.250m²

il che equivale a 10 ettari e 1250m² (o ca).

Invece, se si tratta di un terreno trapezoidale, che ha i due lati di base rispettivamente di 300 e 200 metri e l’altezza che misura 160 metri, l’area della sua superficie sarà uguale a:

(300 + 200) x 80 = 500 x 80 = 40.000 m²

che corrispondono a 4 ettari.

Per il calcolo dei volumi, si usa come unità principale di misura il metro cubo (m³); non lo si usa però in modo effettivo, cioè non si trasporta materialmente nessun metro cubo, perchè anche i volumi si calcolano per mezzo delle linee. Per esempio, se si vuole conoscere la cubatura di una sala rettangolare, bisogna misurarne in metri lineari la lunghezza dei lati di base e poi l’altezza, fino al soffitto.

Prendiamo ad esempio un salone lungo 9m, largo 7m e alto 5m. Anzitutto bisogna considerare l’area della superficie del pavimento, che è 9m x 7m = 63m²; poi moltiplicare l’area del pavimento per l’altezza del salone: 63m² x 5m = 315m³.

Se invece si volesse calcolare il volume di una delle piramidi d’Egitto, basterebbe conoscere, in metri lineari, la misura del lato della base quadrata e la sua altezza. Calcolando l’area della superficie di base (quadrato del lato), avremo un numero in metri quadrati, che poi si moltiplica per la terza parte dell’altezza: otterremo, in metri cubi, il volume della piramide monumentale.

Possiamo preparare modelli di cartoncino e vari disegni con le piante dei principali monumenti corredate dalle relative misure. Tali modelli possono essere utilizzati tanto per uno studio di carattere storico ed artistico, quanto, attraverso il calcolo approssimativo delle loro dimensioni, per offrire ai bambini cognizioni tangibili sull’imponenza di alcune costruzioni edificate dall’uomo.

Nella vita di ogni giorno, le misure comunemente più usate sono quelle che si riferiscono al modo di determinare quantità si sostanze che, in se stesse, non hanno forma propria, come i liquidi: acqua, olio, vino, ecc… o anche si elementi secchi come grano, riso, farina, o anche sabbia, ghiaia da spargere in un giardino,  legna, ecc… Occorre quindi un’unità di misura delle capacità che sia basata sul metro, perchè anch’essa formi parte del sistema metrico, e le cui unità di misura procedano di 10 in 10 per poter essere comprese in quello decimale. L’unità principale di misura delle capacità è il decimetro cubo (dm³).

Fra il materiale usato nella Casa dei Bambini la torre rosa ha nel suo cubo maggiore, quello con lo spigolo di 10cm, il volume indicato come unità principale di misura delle capacità.

Attorno a questo cubo immaginiamo di costruire un rivestimento metallico a forma di scatola che lo contenga esattamente. Poi sostituiamo il cubo di legno con una quantità di acqua tale da riempire la scatola proprio fino al bordo: questa quantità rappresenta un litro, l’unità fondamentale di misura dei liquidi.

Una volta determinata tale quantità, nella pratica delle misurazioni il decimetro cubo non è più necessario. Un cilindro nel quale si sia versato un litro di acqua può, contrassegnando il livello raggiunto dalla superficie del liquido, servire poi come misura di un qualsiasi liquido. Si può anche usare una comune bottiglia che porti un segno nel punto in cui giunge il livello corrispondente ad un litro.

I liquidi si misurano con recipienti di forma diversa come barili, damigiane, ecc…

Il calcolo però si rapporta sempre, per la sua qualità di punto di riferimento e unità principale di misura, alla capacità di 1dm³, ossia ad un recipiente di forma cubica con lo spigolo di 1dm.

Per i liquidi, le misure di uso più corrente sono:
hl – ettolitro – 100 litri
dal – decalitro – 10 litri
l – litro – 1 litro = 1dm³
dl – decilitro – 1/10 di litro = 0,1 litri
cl – centilitro – 1/100 di litro = 0,01 litri.

Le misure stesse di capacità sono anche misure di volume, poichè esse rappresentano:
1 litro – 1dm³
1 decalitro – una fila di 10 cubi
1 ettolitro – un quadrato di 100 cubi
1 chilolitro – la sovrapposizione di 10 ettolitri, corrispondente alla capacità di 1m³.

Le misure che si usano in pratica sono di vetro e poichè si presentano segnate nel punto raggiunto dal liquido, funzionano da misura. Per misure maggiori, si usano recipienti di metallo o di legno a forma di otre o barile. Le misure per l’olio generalmente sono di metallo e di forma cilindrica, munite di manico e beccuccio, e portano un segno nel punto in cui deve giungere la misura precisa.

Il procedimento più interessante per la determinazione pratica dell’unità di misura è quello che riguarda il peso dei corpi. La misura da cui si parte è il piccolo cubo che troviamo alla sommità della torre rosa e che misura 1cm di spigolo.

Per calcolare un peso con scrupolosa esattezza occorre  una bilancia di precisione. Bisogna quindi determinare un volume e la qualità della materia, dal momento che uguali volumi di sostanze diverse hanno peso diverso. Anche qui abbiamo due criteri distinti, due elementi differenti ed entrambi importanti.

Il volume scelto come unità è quello corrispondente alle capacità di un cubo con lo spigolo di 1cm.

Immaginiamo una scatolina di metallo che contenga esattamente un piccolo cubo, come il primo della torre rosa, però costituito in metallo, con la massima precisione, in modo da rappresentare esattamente 1cm³. Togliendo poi il piccolo cubo, rimane la scatolina metallica della capacità esatta di 1cm³. Tale minuscola scatola deve essere riempita con una sostanza che sceglieremo, perchè essa influisce sul peso più di quanto non operi il volume. Infatti 1cm³ di olio e 1cm³ di mercurio peseranno senza dubbio in modo assai diverso.

Per rendere più comprensibile questo fatto, potremo ricordare le esperienze condotte nella Casa dei Bambini, quando in modo empirico cercavano di riconoscere il differente peso di tavolette uguali per forma e dimensioni, ma diverse nella materia: dall’ebano all’abete.

Potremo ricordare anche le altre esperienze fatte nella scuola elementare studiando in grammatica gli aggettivi di grado comparativo e superlativo.

Diamo qui un esercizio nel quale i bambini confrontano sostanze liquide diverse come acqua, olio, alcol, e insieme sostanze solide come sughero e piombo. Indipendentemente dalla quantità usata per ciascuna delle sostanze elencate, esse si dispongono l’una sotto l’altra, senza mescolarsi: acqua, olio ed alcol rimangono separate e sovrapposte tra le due sostanze solide collocate agli estremi: il piombo affonda e il sughero galleggia.

Il peso in relazione con la natura della sostanza piuttosto che con il volume è un fatto già noto ai bambini, da quando è stato loro spiegato il valore dell’aggettivo “specifico”. Sarà perciò chiaro che, oltre al volume, si rende necessario riferirsi a una sostanza, rapportandosi al suo peso specifico. La materia scelta è l’acqua.

L’unità fondamentale di misura dei pesi è rappresentata dal peso di 1 cm³ di acqua. Si sa che l’acqua può essere pura e impura. Si studiarono già molti aggettivi che si riferiscono all’acqua: deve essere inodore, incolore, insapore, ecc… Venne pure filtrata mediante corpi permeabili. Si concluse che, per ottenere acqua pure, bisogna distillarla, poichè quando si converte in vapore, essa non trasporta con sè nessuno dei sali che contiene disciolti, ma si converte in acqua chimicamente pure (H2O). Il vapore acqueo, condensandosi, si raccoglie a goccia a goccia trasformato nuovamente nello stato liquido.

Il grammo, unità principale di misura dei pesi, corrisponde al peso di 1 centimetro cubo di acqua distillata alla temperatura di 4° centigradi.

Come si sa, l’acqua  è la sostanza usata anche per definire la scala per la misura delle temperature. Infatti se un tubo capillare contenente mercurio ed ermeticamente chiudo si introduce nel ghiaccio, il mercurio si contrae; nel punto corrispondente al livello minimo si segna lo zero (zero gradi di temperatura). Se poi introduciamo il tubo nell’acqua che bolle (oppure lo esponiamo al vapore acqueo che si forma sulla superficie dell’acqua che bolle, a una normale pressione atmosferica, che è 1-, il mercurio si dilata e nel punto del tubo in cui esso raggiunge il livello massimo si segna 100 (cento gradi di temperatura). Lo spazio tra 0 e 100 si suddivide in 100 parti uguali chiamate gradi.

Abbiamo così stabilito che l’unità principale di misura dei pesi corrisponde al peso di 1 cm³ di acqua distillata alla temperatura di 4°C: tale peso, messo in rapporto con il sistema metrico, si chiama grammo (g). L’unità di peso è assai piccola, proprio perchè talvolta serve come punto di partenza per la misurazione di quantità minime, come avviene in medicina o quando si determina il peso di sostanze utilizzate per analisi chimiche.

Il grammo che si usa praticamente per pesare non è certo quell’acqua contenuta nel piccolo cubo, ma un piccolo cilindro di ottone munito di un bottoncino di presa, e si determina mediante una bilancia di precisione, comparandolo in modo che corrisponda perfettamente al peso dell’acqua del piccolo cubo che, perciò, ha ruolo di peso-campione.

Nella pratica si usano pesi anche minori del grammo; nella loro successione decimale sono:
1/10 di grammo – decigrammo – 0,1 grammi (dg)
1/100 di grammo – centigrammo – 0,01 grammi (cg)
1/1000 di grammo – milligrammo – 0,001 grammi (mg)

Invece, per i pesi adoperati comunemente nella vita di ogni giorno, si usano i multipli del grammo e uno di essi, il chilogrammo, serve da punto di riferimento:
1 grammo – grammo – g
10 grammi – decagrammo – dag
100 grammi – ettogrammo – hg
1000 grammi – chilogrammo – kg

Il chilogrammo corrisponde al peso dell’acqua distillata contenuta in un decimetro cubo, grande come il cubo maggiore della torre rosa, e corrisponde al peso di 1 litro di acqua distillata.

In pratica si usa anche l’ettogrammo quando si comprano generi alimentari. Quando invece si tratta di misurare pesi più grandi, si ricorre a due pesi estremi, rappresentati dal peso citato, il chilogrammo in relazione al decimetro cubo, e da quello corrispondente al peso dell’acqua distillata che riempirebbe esattamente la capacità di 1 metro cubo.

Un metro cubo contiene 1000 decimetri cubi e pertanto corrisponde al peso di 1000 chilogrammi di acqua distillata. Questa enorme unità di misura dei pesi si chiama tonnellata (t).

Un peso corrispondente a 100 chilogrammi si chiama quintale (q) e si usa per pesare legna, carbone e cose simili. Ecco l’elenco delle unità di misura dei pesi:
1.000.000 g – tonnellata – t – metro cubo di acqua – 1000 kg
100.000 g – quintale – q – 100 kg
10.000 g – miriagrammo – Mg – 10 kg
1.000 g – chilogrammo – kg – decimetro cubo di acqua – 1000 g
100 g – ettogrammo – hg
10 g – decagrammo – dag
1 g – grammo – g – unità principale di misura -centimetro cubo di acqua – 1g
1/10 g – decigrammo – dg
1/100 g – centigrammo – cg
1/1000 g – milligrammo – mg – millimetro cubo di acqua

Le misure dei pesi sono sempre indirette e occorre uno strumento meccanico per valutarle: la bilancia.

Le misure dei volumi comprendono tanto unità di misura di volume quanto di capacità e di peso. L’unità principale di misura dei volumi è il metro cubo (m³); esso corrisponde alla capacità di 1 chilolitro (kl) di acqua pura, cioè di 1000 litri; e 1 kl di acqua pura pesa 1 tonnellata (t), cioè 1000 chilogrammi.

L’unità principale di misura delle capacità è il litro (l); esso corrisponde alla capacità di 1 decimetro cubo di acqua pura; e 1 dm³ di acqua pura pesa 1 chilogrammo (kg).

L’unità principale di misura dei pesi è il grammo (g); esso corrisponde al peso di 1 centimetro cubo (cm³) di acqua pure che, d’altra parte, ha la capacità di 1 millilitro (ml), cioè di litri 0,001.

Se abbiamo due quantità di uguale volume ma aventi differente peso, vuol dire che hanno diverso peso specifico relativo, cioè diversa densità relativa. Per esempio: ferro, ebano, sughero; oppure mercurio, olio d’oliva, vino, alcool presi nella stessa quantità hanno pesi diversi.

Prepariamo cubetti tutti uguali e con lo spigolo di 1cm delle seguenti sostanze: ferro, alluminio, marmo, cristallo, ebano, sughero. Confrontiamo, poi, il peso di ciascuno di questi piccoli cubi uguali con quello di 1 grammo, che è il peso di un ugual volume di acqua distillata. In conseguenza diremo che:
il ferro pesa 7,85 grammi
l’alluminio pesa  2,56 grammi
il marmo pesa  2,75 grammi
il cristallo pesa  2,60 grammi
l’ebano pesa  1,17 grammi
il sughero pesa  0,24 grammi

Per le sostanze liquide poste in provette graduate della capacità di 1 cm³ riscontreremo che:
il mercurio pesa  13,59 grammi
l’olio pesa  0,92 grammi
il vino pesa  0,96 grammi
l’alcol pesa  0,79 grammi

Così i vari pesi specifici dei quali avevamo già rivelato la differenza mediante una valutazione empirica secondo che galleggiassero o precipitassero, si possono ora identificare con numeri, i quali ci permettono di eseguire calcoli comparativi.

E’ così possibile calcolare il peso (P) di un corpo del quale si conosce il volume (V) e il peso specifico (ps).

Il grande cubo del trinomio Montessori

Il grande cubo del trinomio Montessori  è un cubo costituito da 27 singole parti, della grandezza complessiva di cm 31x31x31.
Il cubo originale Montessori ha una grandezza di 9x9x9. Di seguito le misure e l’elenco dei colori da utilizzare per costruirlo in proprio.

Per costruirlo servono tavolette di compensato di 1cm di spessore con le seguenti misure:
4   tavolette cm 9×8
14 tavolette cm 10×10
4   tavolette cm 14×13
14 tavolette cm 15×15
4   tavolette cm 24×23
14  tavolette cm 25×25
12  tavolette cm 13×24
12 tavolette cm 8×24
24 tavolette cm 14×23
12 tavolette cm 8×14
24 tavolette cm 9×23
12 tavolette cm 9×13
12 tavolette cm 10×15

Con queste tavolette si costruiscono le 27 parti del cubo del trinomio come segue:
1 CUBO GIALLO: 4 tavolette 9×8 e 2 tavolette 10×10
1 CUBO BLU: 4 tavolette 14×13 e due tavolette 15×15
1 CUBO ROSSO: 4 tavolette 24×23 e 2 tavolette 25×25
3 PARALLELEPIPEDI (FACCE LUNGHE ROSSE, FACCE CORTE BLU): 6 tavolette 25×25 e 12 tavolette 13×24
3 PARALLELEPIPEDI (FACCE LUNGHE ROSSE, FACCE CORTE GIALLE): 6 tavolette 25×25 e 12 tavolette 8×24
3 PARALLELEPIPEDI (FACCE LUNGHE ROSSE, FACCE CORTE BLU): 6 tavolette 15×15 e 12 tavolette 14×23
3 PARALLELEPIPEDI (FACCE LUNGHE BLU, FACCE CORTE GIALLE): 6 tavolette 15×15 e 12 tavolette 8×14
3 PARALLELEPIPEDI (FACCE LUNGHE ROSSE, FACCE CORTE GIALLE): 6 tavolette 10×10 e 12 tavolette 9×23
3 PARALLELEPIPEDI (FACCE LUNGHE GIALLE, FACCE CORTE BLU): 6 tavolette 10×10 e 12 tavolette 9×13
6 PARALLELEPIPEDI (in cui i lati corti corrispondenti ai lati del cubo piccolo e di quello medio, verranno verniciati in giallo e in blu, sul coperchio e sul fondo, e i lati lunghi, corrispondenti ai lati del cubo grande, in rosso): 12 tavolette 10×15, 12 tavolette 14×23 e dodici tavolette 9×23.

Cubi:

4x4x4
3x3x3
2x2x2

Parallelepipedi:
(3) 4x4x3
(3) 4x3x3
(6) 4x3x2
(3) 3x3x2
(3) 4x2x2
(3) 3x2x2

tutte le facce 4×4 sono rosse
tutte le facce 3×3 sono blu
tutte le facce 2×2 sono rosse
tutte le facce non quadrate sono nere.

Questo materiale offre ai bambini un’ ampia gamma di sperimentazioni possibili: si può costruire un’alta torre grazie al particolare rapporto di grandezza tra loro; le singole parti possono essere ordinate secondo grandezza e colore, su di una base, e formare alla fine un cubo; alle varie parti possono venir associati cartoncini fino ad arrivare a sperimentare la formula del trinomio (a+b+c) x (a+b+c) x (a+b+c); le singole parti possono formare una strada o un cerchio su cui i bambini possono camminare, tenendosi in equilibrio.

Noi adulti abbiamo molte idee astratte su ciò che il bambino può o non può imparare e questo avviene anche con il grande cubo del trinomio.
E’ essenziale piuttosto prenderci sufficiente tempo per osservarli giocare e imparare da loro, invece di pretendere sempre che raggiungano i nostri obiettivi e soddisfino le nostre aspettative.
Ciò significa che dovremmo vedere i bambini come sono e non come vorremmo che fossero. La capacità di osservare diventa un’arte vera e propria. Dovremmo riuscire a reprimere l’impulso di intrometterci nei processi infantili o addirittura cercare di accelerarli. La Montessori chiama tutto ciò “Attendere osservando”. I bambini imparano attraverso attività spontanee, durante le quali sviluppano un’enorme energia.
“Lo studio dello sviluppo del bambino è intimamente connesso con lo studio dello sviluppo del movimento della mano. Ci si dimostra chiaramente che lo sviluppo del bambino è legato alla mano, la quale ne rivela lo stimolo psichico.
Possiamo esprimerci in questo modo: l’intelligenza del bambino raggiunge un certo livello, senza far uso della mano; con l’attività manuale egli raggiunge un livello più alto, ed il bimbo che si è servito delle proprie mani ha un carattere più forte.” (Maria Montessori, La mente del bambino).

GLI APPENNINI materiale didattico vario

GLI APPENNINI materiale didattico vario per la scuola primaria.

Gli Appennini
Chi risale la strada che da Savona (Liguria) inerpicandosi conduce in Piemonte, giunto alla sommità dell’erta, nel momento in cui inizia la discesa, può scorgere alla sua destra la prima falda dell’Appennino.
Questo sistema montuoso, colonna vertebrale della penisola italiana, appare saldamente radicato al continente: si aggancia infatti al primo pendio alpino  che lo fronteggia al passo di Cadibona, e in Piemonte distende lunghe propaggini collinari verso la nascente pianura padana.

L’Appennino, esteso dalla Liguria alla Sicilia, supera di circa 200 chilometri la lunghezza del sistema alpino e, in alcuni tratti, ne uguaglia lo spessore.  Sistema notevole, quindi, ma non paragonabile di certo a quello alpino per imponenza di forme (il profilo tondeggiante prevale su quello aguzzo), per compattezza di roccia (alle salde pareti alpine contrasta lo sfasciume delle dorsali appenniniche), per altezza di vette (poche superano i 2000 metri), per ricchezza di ghiacci e di nevi (nessun ghiacciaio scintilla nelle alte conche; pochi nevai ricoprono i dossi).

Nel suo insieme, il sistema appenninico non ripete la disposizione ad arco delle catene alpine; esso è costituito da tre segmenti rettilinei successivi, i quali, se non spezzano la continuità del sistema, ne mutano tuttavia la direzione; ad un primo segmento da nord-ovest a sud-est segue un secondo segmento appoggiato alla costa adriatica, quasi in direzione nord-sud, e a questo un terzo segmento riportato al centro della penisola.
L’Appennino non procede, solo e massiccio, attraverso tutta la penisola; a tratti, lo fiancheggiano altri rilievi: nasce l’immagine di una schiera lunga e compatta che, ad un certo momento, cammini fra due ali di folla allineata ora a sinistra ora a destra. Sono rilievi ordinati in brevi catene, in massicci di estensione limitata, in ampi altipiani; si innalzano di fronte alle catene appenniniche, ora vicini ora discosti, sul lato del Tirreno e su quello dell’Adriatico, in Toscana, nel Lazio, nella Campania, nella Puglia, in quei luoghi, cioè, dove l’Appennino sembra ritrarsi in se stesso per lasciare spazio alle pianure, alle colline, ai rilievi di cui s’è fatto cenno, indicati da alcuni geografi con la denominazione comune di antiappennino.

L’Appennino è formato da rocce tenere, incapaci di resistere validamene all’azione delle acque; sono ora ammassi di rocce impermeabili sulle quali le piogge scorrono rapidamente, dilavando, limando, scavando solchi sempre più profondi (calanchi), determinando cedimenti e frane; ora sono formazioni di rocce permeabili che bevono come spugne le acque, le assorbono in profondità, lasciando arida la montagna e scaricandole in potenti risorgive ai piedi dell’Appennino.

In questo ambiente è facile immaginare come la vegetazione di media ed alta quota incontri gravi ostacoli allo sviluppo ed alla diffusione; l’uomo, da parte sua, ha contribuito in vaste plaghe a peggiorare la situazione con un diboscamento eccessivo, disordinato. I fianchi di intere montagne, ormai tutto  uno sfasciume, rendono pressocchè impossibile l’opera di rimboschimento; del resto complessa è tale opera anche nelle zone appenniniche più aride. Dove la vegetazione riesce ad imporsi crescono il castagno, il faggio e l’abete (nell’Appennino Centrale e Meridionale verdeggiano fino oltre i 2000 metri); l’olivo mette radici nelle fasce appenniniche della Liguria e della Calabria. Gli stessi pascoli, per l’aridità del suolo, sono meno estesi e meno ricchi; più che alle mandrie dei bovini offrono cibo alle greggi che, numerose, migrano nella buona stagione verso di essi, ritornando a valle alle prime avvisaglie del freddo.

Suddivisione degli Appennini
L’Appennino si divide in Settentrionale, Centrale e Meridionale.
L’Appennino Settentrionale si estende dal Colle di Cadibona alla Bocca Serriola. Le vette più alte sono quelle del Maggiorasca, del Falterona, del Monte Cimone. L’Appennino prende il nome di Ligure e Tosco-Emiliano. In questo tratto esso è superato da molte strade di valico. I valichi più importanti sono il Passo dei Giovi e il Passo del Turchino, che uniscono la Liguria al Piemonte; il Passo della Cisa, il Passo dell’Abetone, il Passo della Porretta e il Passo della Futa, che uniscono l’Emilia alla Toscana.
L’Appennino Centrale si estende dalla Bocca Serriola alla Sella di Rionero. Le vette più alte sono nel massiccio del Gran Sanno (Monte Corno), della Maiella (Monte Amaro) e del Monte Velino. L’Appennino prende il nome di di Umbro-Marchigiano e Abruzzese. Il valico più importante è quello di Sella di Corno, che unisce l’Umbria al Lazio.
L’Appennino Meridionale si estende dalla Sella di Rionero allo Stretto di Messina. Le vette più elevate sono nel massiccio del Pollino e nell’Aspromonte. Notevole è l’altipiano della Sila. L’Appennino Meridionale prende il nome di Campano, Lucano e Calabrese.

Valichi e trafori appenninici
Nella barriera appenninica si aprono valichi che permettono il passaggio di vie di comunicazione tra le regioni italiane. I principali sono:
– Passo dei Giovi, tra Liguria e Piemonte
– Passo della Scoffera, in Liguria per l’Emilia
– Passo di Cento Croci, tra Liguria e Emilia
– Passo della Cisa, Passo del Cerreto, Passo dell’Abetone e Passo dei Mandrioli, tra Emilia e Toscana
– Passo della Porretta, della Futa, della Raticosa e del Muraglione, in Toscana per l’Emilia Romagna
– Passo di Bocca Trabaria e di Bocca Serriola, tra Marche ed Umbria
– Passo di sella di Corno, tra Abruzzo e Lazio.
Numerosi trafori ferroviari ed autostradali si addentrano per brevi tratti nelle catene appenniniche, collegando fra loro le regioni italiane. Di notevole importanza è la galleria ferroviaria sulla direttissima Firenze-Bologna.

Vette più importanti della catena appenninica
Gli Appennini si innalzano alle quote più alte nella sezione centrale; vanno decrescendo nella sezione meridionale, sono poco elevati in quella settentrionale.
Etna (3263) m Appennino siciliano
Gran Sasso d’Italia (2914 m) Appennino abruzzese
Maiella (2795 m) Appennino abruzzese
Monte Velino (2487 m) Appennino abruzzese
Monte Vettore  (2478 m) Appennino umbro-marchigiano
Monte Sirente  (2349 m) Appennino abruzzese
Monte Pollino  (2271 m) Appennino lucano
Monte Terminillo   (2213 m) Appennino umbro-marchigiano
Monte Cimone   (2165 m) Appennino tosco-emiliano
Monte Cusna   (2165 m) Appennino tosco-emiliano
Monte Miletto   (2050 m) Appennino campano
Monte Sirino   (2005 m) Appennino lucano
Monte Giovo   (1991 m) Appennino tosco-emiliano
Pizzo Carbonara   (1979 m) Appennino siciliano
Aspromonte   (1956 m) Appennino  calabrese
Corno delle Scale   (1945 m) Appennino tosco-emiliano
Monte Calvo   (1901 m) Appennino abruzzese
Gennargentu   (1834 m) Appennino sardo
Monte Mutria   (1823 m) Appennino campano
Monte Maggiorasca   (1803 m) Appennino ligure

Animali e piante degli Appennini
Poichè gli Appennini si estendono da Nord a Sud, dovrebbe esistere una grande varietà tra le piante che li ricoprono. Invece è curioso notare che sull’Appennino meridionale troviamo la stessa vegetazione di quello settentrionale.

Sia nell’Appennino settentrionale, sia in quello calabrese, predomina l’abete bianco, albero tipico delle Alpi. Nel resto degli Appennini prosperano alberi caratteristici della zona mediterranea, che forniscono legname da lavoro o da ardere; i più rappresentativi sono:
– il faggio, che vegeta fin oltre i 1500 metri d’altezza e offre ottimo legname per fabbricare mobili
– il castagno, che si trova in zone più basse ed offre, oltre ai buoni marroni, legname per infissi e per tutto ciò che è esposto alle intemperie, essendo resistentissimo all’acqua
– il rovere e la quercia, il cui legno è usato per ricavarne carbone dolce e per lavori artigianali
– il frassino, diventato un albero comune degli  Appennini; il suo legno bianco è usato per costruire mobili.

Sugli alti pascoli degli Appennini, crescono gli stessi fiori che si trovano sulle Alpi. Assai comune è la genziana, dalle cui radici si estrae un succo amarognolo usato in medicina e per la fabbricazione di liquori e bibite. Più rara è la stella alpina, che si trova oltre i 2200 metri di altezza nell’Appennino centrale; è più piccola di quella che cresce sulle Alpi, ma ugualmente graziosa e delicata. Il crocus e la viola tappezzano i prati degli altopiani; comune in tutte le altezze è il dente di leone o soffione.

I foraggi che crescono spontanei sulle alture sono poveri di sale; i mandriani somministrano questa sostanza agli animali ponendola negli scifi.

Gli Appennini ospitano sui loro pascoli numerosi greggi di pecore che salgono lassù a primavera, dopo aver svernato nella pianura.

I cavalli dono diminuiti di numero, come gli asini ed i muli, in conseguenza del progredire della motorizzazione, ma rappresentano ancora un valido aiuto per gli abitanti dei monti. Tra gli animali selvatici che vivono sugli Appennini ricordiamo il cinghiale e il lupo, che nei tempi passati rendevano malsicuri i sentieri montani e delle selve. Oggi il loro numero è molto diminuito. In Sardegna esiste il muflone, una pecora selvatica.
Sempre in Sardegna pascolano il cervo e il daino, ridotti a rari esemplari. Molto comuni in tutto l’Appennino sono lo scoiattolo, che saltella fra gli alberi in cerca di semi e di frutta; la lepre ed il coniglio selvatico, che recano danni alle colture agricole; il tasso, l’istrice e il riccio, spietato nemico dei serpenti e degli insetti. Tra gli altri animali che vivono nelle foreste dell’Appennino ci sono: l’orso bruno, quasi scomparso in Italia; la volpe, che ama vivere tra burroni e grotte dove tiene la propria tana e da dove parte per le sue scorrerie; il gatto selvatico, che ama vivere nel folto della macchia; la donnola, la faina, la puzzola, capaci di sterminare pollai interi.
Fra gli uccelli, i più comuni sono il passero, il pettirosso, lo storno, il falco e il corvo, mentre l’aquila va facendosi sempre più rara.

Diverse sono le specie di serpenti che strisciano sui pascoli o si nascondono tra i cespugli e i sassi, ma il più temibile è la vipera, che col suo morso velenoso è capace di uccidere in breve tempo un uomo.

Gli abitanti dell’Appennino
Sin dai tempi preistorici abitarono l’Appennino le fiere stirpi italiche degli Umbri, dei Sabini, dei Peligni, dei Marsi, dei Sanniti, dei Lucani, dei Bruzi, chiuse tra i loro monti, mentre le genti del piano, i Campani e i Latini, poterono più rapidamente evolversi per i più facili contatti con la civiltà mediterranea. La regione appenninica fu poi tutta unificata dai Latini sotto il dominio di Roma.

Oggi sono più densamente popolate le zone pianeggianti; sul versante tirrenico, la Lunigiana, la Garfagnana, il Casentino, ecc…; nell’Appennino centrale le già ricordate conche di Foligno, Terni, L’Aquila, Sulmona; nell’Appennino meridionale le valli dei maggiori fiumi (Volturno, Garigliano, ecc…).
La presenza, ad alti livelli, di piani carsici consente, sull’Appennino, la possibilità di abitanti permanenti a grandi altezze (1200 – 1400 metri).

L’economia
Nelle conche pianeggianti, nelle grandi valle e nelle zone di collina l’attività economica prevalente è l’agricoltura (ma nel dopoguerra molti aridi poderi collinosi hanno visto la fuga dei contadini verso le città, attratti dalla possibilità di un lavoro meno ingrato e più remunerativo); sulle montagne prevale la pastorizia, soprattutto ovina a causa della magrezza dei pascoli. Le greggi svernano nella Maremma, nella Campagna romana, nel Tavoliere delle Puglie; in estate, i pastori le guidano in alto sulla montagna. Questa migrazione dal piano al monte e dal monte al piano è detta transumanza.

La distribuzione delle valli, sia longitudinali che trasversali, determina la rete stradale che risulta, più che in ogni altra ragione della Penisola, legata alle forme del terreno. Si aggiunga da ultimo che la presenza di gole anguste e incassate ha favorito la creazione, mediante dighe di sbarramento, di grandi serbatoi, come quelli sul Tronto, sul Salto, sul Turano, sul Vomano e sull’alto Sangro.
(R. Almagià)

Il subappennino
Il sistema appenninico, nel versante rivolto alla pianura padana ed al mare Adriatico, presenta un orlo continuo di colline, indicate generalmente con il nome di subappennino.
L’Appennino è affiancato a tratti, lungo il Tirreno e lungo l’Adriatico, da rilievi non molto elevati, disposti a gruppi e catene, i quali formano l’anti-appennino tirrenico e adriatico.

Versante tirrenico:
– anti-appennino toscano: colline Metallifere, monte Amiata
– anti-appennino laziale-campano: monti Volsini, Cimini, Sabatini, Albani, Lepini, Ausoni, Aurunci.
Versante adriatico:
– anti-appennino adriatico: Gargano, Murge.

Le grotte
Entro le viscere dei monti del Carso, di tutte le Prealpi e di parte dell’Appennino si allungano numerose grotte e si sprofondano numerosi pozzi naturali. E poichè la roccia è tutta fessurata e bucherellata in superficie, le acque piovane vengono assorbite e così il terreno rimane sterile.

Nelle grotte le acque abbandonano spesso la sostanza calcarea che avevano asportato dalla roccia e che tenevano disciolta; così si formano stalattiti che pendono dalla volta, e le stalagmiti che sorgono dal suolo delle grotte. In profondità si formano dei fiumi sotterranei che spesso sgorgano poi all’esterno sotto forma di poderose sorgenti. Questi fenomeni si chiamano fenomeni carsici perchè si presentano grandiosi nel Carso (alle spalle di Trieste, ecc…)

I turbolenti fiumi
I fiumi che scendono dal sistema appenninico sfociano nel mar Ligure, nel mar Tirreno, nel mare Adriatico, nel mar Ionio. Quelli dell’Appennino Ligure sono di corso breve e precipitoso; impoveriscono fin quasi all’esaurimento nei mesi estivi. I fiumi che si avviano alla pianura emiliana, pur avendo un corso abbastanza lungo, rivelano la loro origine appenninica per la povertà di acque, in contrasto con la ricchezza dei fiumi alpini. Di corso breve e ripido sono tutti i fiumi che, procedendo su linee parallele, scendono dalle sorgenti appenniniche verso l’Adriatico e il mar Ionio. Del tutto caratteristici sono i corsi d’acqua della Calabria e della Sicilia (fiumare), anch’essi brevi e rapidi, in cui l’abbondanza o la povertà di acque dipende in modo decisivo dalla caduta delle piogge, cosicchè a periodi di magra e di siccità completa si alternano periodi di piena rovinosa.
Le lunghe ed ampie valli longitudinali che l’Appennino apre sul versante tirrenico permettono lo scorrimento di fiumi di maggiore sviluppo, i quali attingono da sorgenti più ricche. Essi con un lavoro millenario hanno disteso largamente i loro depositi alluvionali, formando pianure di ampiezza mediocre (tutte assieme non raggiungono un terzo della pianura padana) che si affacciano appunto sul mar Tirreno. E ancora il paesaggio si ravviva per gli occhi azzurri dei laghi di cui è punteggiata qua e là la penisola. Non è soltanto immagine elegante quella degli occhi azzurri; in realtà, oltre il tondeggiante lago Trasimeno esteso in un ampio avvallamento dell’Umbria, vi sono, nell’Appennino Laziale, rotondissimi laghi nati nel cratere di antichi vulcani spenti; e ricordiamo quelli di Bolsena, di Vico, di Bracciano, di Nemi.

Anche le montagne muoiono
Non tutte le montagne si sono formate nella stessa epoca. Alcune sono sorte nell’era primaria e secondaria, e cioè da migliaia e migliaia di secoli; molte nella terziaria. Vi sono dunque montagne vecchie e montagne giovani. Appena una montagna sta formandosi, gli agenti atmosferici ne cominciano la distruzione. Il calore, il freddo, la pioggia, le acque correnti, i ghiacciai ne corrodono la vetta e i fianchi, trascinano in basso una enorme quantità di detriti e tendono a livellare il terreno. Così le montagne più vecchie sono le più deteriorate. Invece, le montagne giovani, sulle quali gli agenti atmosferici da minor tempo esercitano la loro azione distruttiva, sono ancora molto elevate e le loro vette ardite portano i nomi significativi di dente, picco, corno, ago.
(P. Gribaudi)

Valli appenniniche
Molte e diverse sono le valli appenniniche, e fra l’una e le altre passano alte foci. Foce, per dir passo di monte come si dice bocca di fiume, è un termine che ho trovato sulle Alpi Apuane, e mi pare di una singolare felicità. E’ come dire che i venti, impetuosi e ardenti a ridosso del monte, sboccano in cielo sul passo del colle. E’ come dire che l’occhio, lungamente chino sui sassi della salita, e i passa e la fatica sfociano sulla discesa e nell’aperto, come l’acqua del fiume nella pace del mare.
Sulle foci dei fiumi il traffico e l’assemblea dei popoli diversi sono numerosi e frequenti; viaggiatori solitari e scarsi valicano coi venti le deserte foci montanine; ma chi passa i monti reca notizie e pensieri minori di numeri, ma più certi e sicuri di quelli che porta il mare, pieno di novità, di stranezze e di bugie. (R. Bacchelli)

Gli Appennini
Il corpo svelto ed elegante della nostra penisola ha la sua colonna vertebrale nell’Appennino. Seguendo i fiumi tortuosi e i torrenti, i primi abitatori dell’Italia, dalle dorsali appenniniche sono scesi per conquistare e fecondare le poche pianure costiere: il mare li chiamava, il loro bel mare. L’Appennino, pur dando unità alle aggraziate forme della penisola, non ha tolto loro quella varietà di aspetti che moltiplica le attrattive del paesaggio. Vario il paese, varie le genti, varie le loro vicende storiche. (Gribaudi)

Per il lavoro di ricerca
Presso quale passo ha inizio la catena degli Appennini? E quanto è lunga?
Che aspetto hanno gli Appennini?
In quante parti si divide la catena degli Appennini?
Vi sono ghiacciai sugli Appennini?
E’ diversa la vegetazione dell’Appennino meridionale da quella dell’Appennino settentrionale? Perchè?
Quali sono gli alberi comuni degli Appennini? E i fiori?
Quali sono gli animali selvatici che vivono sugli Appennini? E gli uccelli più comuni?
Lo Stretto di Messina interrompe la catena appenninica?
Quali sono le vette più importanti della catena appenninica?
Conosci il nome di alcuni passi e valichi appenninici? Quali regioni uniscono fra di loro?
Perchè è frequente il pericolo di frane nell’Appennino?
Hanno grande abbondanza d’acqua i fiumi appenninici? Qual è la loro caratteristica?

Il paesaggio appenninico
La montagna appenninica, anche quando si solleva fin sopra i 2000 metri e di costituzione calcarea (come in Abruzzo) presenta nell’insieme più d’una diversità rispetto a quella alpina e prealpina, se non altro per un rivestimento boscoso di regola più magro e per i compatti borghi e villaggi che s’inerpicano sui fianchi, annidandosi su sproni e su cocuzzoli secondari. Gli orizzonti sono spesso molto vasti, in conseguenza del frazionamento del rilievo appenninico. Dove la montagna raggiunge direttamente il mare, ne derivano scenari anche più impressionanti ed ammirabili di quelli liguri, almeno per quanto riguarda gli aspetti naturali; e l’acme si raggiunge nella costa amalfitana e nella vicina Capri.
Gran diffusione assumono i paesaggi collinosi, ai due lati dell’Appennino e talora anche nel suo interno. Tra le regioni maggiormente interessate a questi tipi di paesaggio sono la Toscana, le Marche, la Basilicata. Un minuto intarsio di valli e di vallecole, di dolci dorsali e di morbide cime. Gli abitanti, tranne lungo certe valli maggiori, coronano i luoghi culminanti e sembrano voler dare risalto alle sommità, altrimenti poco distinte, specie quando dalla strettoia delle case svettano le vecchie torri medioevali.
E’ però agevole riconoscere due tipi di questi paesaggi, in relazione alla natura del suolo; le colline costituite in prevalenza da materiali sabbiosi (o conglomerati ghiaiosi) e quelle argillose. Le prime mostrano forme più energiche e più regolari, con un mantello vegetale ricco e vario: olivo e vite presenti dovunque, popolamento piuttosto denso, come svela la presenza dei villaggi e delle case sparse, anche quest’ultime site in posizioni apriche e dominanti per godere l’aria e il sole. Le colline d’argilla si stemperano in forme più blande e flessuose, a meno che, verso la testata delle vallette, non le squarci il calanco, mostrando nelle ferite la terra grigia o biancastra, sterile.
Un’impronta caratteristica conferiscono al paesaggio appenninico i vulcani attivi, con l’aspra nudità delle lave e delle ceneri; non così i vulcani spenti, o almeno non sempre: se infatti sono caratteristici i coni delle isole Eolie o certi crateri dei Flegrei e del Lazio, molti apparati eruttivi, ora spenti, sono talmente erosi, ormai, o coperti di vegetazione, che risulta difficile distinguerli da altri paesaggi montani.
Paesaggi tipici offre la Puglia, dove altipiani e terrazze calcaree rendono dominanti linee orizzontali lievemente ondulate, ora poveri di cespugli ed arbusti, ora esuberanti di colture arboree: l’olivo, il mandorlo, il fico, la vite, il tabacco, gli ortaggi.
Nella Calabria meridionale, tipici paesaggi sono offerti dalle selvagge fiumare, torrenti sovraccarichi di sfaciume detritico, sassi e fanghiglie che scorrono in fondo a valli profondamente incise, dai pendii squarciati e rovinosi, e dalle ampie terrazze (pianalti) che, ad esempio nell’Aspromonte discendono di gradino in gradino sui fianchi dei monti.
Il Sicilia, sotto un medesimo cielo d’intensa luminosità, vivo è il contrasto tra la fascia costiera tirrenica e ionica da un lato, la costa meridionale, l’interno e specialmente il cuore dell’isola, dall’altro. Il paesaggio interno presenta spesse volte una sua solenne e desolata grandiosità, che si accentua là dove, nel silenzio della campagna, si ergono le rovine delle città morte, come a Segesta o Selinunte, ammonitrici della transitorietà di tutte le cose umane.
Il paesaggio della Sardegna, se per certi aspetti ricorda quello della Sicilia interna, d’altro lato se ne differenzia per il predominio delle linee orizzontali e del terreno incolto, coperto dalla tipica macchia sempreverde, da radi cespugli o da prati ad asfodeli e privo, per vasti tratti, di abitazioni umane.
In parecchie zone il paesaggio sardo è caratterizzato dai celebri nuraghi, antiche costruzioni a tronco di cono poste a dominare un’altura, un cocuzzolo, comunque un luogo elevato.
Nella Penisola e nelle grandi isole non mancano i paesaggi di pianura, a volte simili a quelli della Padania (conche toscane ed umbre) per l’intensità e il genere delle colture, a volte assai diversi, come nel caso degli oliveti, dei mandorleti, degli agrumeti, ecc…
In tanta diversità, c’è però un carattere comune alle pianure peninsulari ed insulari, ed è la costante prossimità dei rilievi montuosi o collinosi che delimitano l’orizzonte e racchiudono il paesaggio in una cornice che la grande pianura padana ha soltanto nelle sue estreme zone periferiche. (A. Sestini)

La maggiore galleria ferroviaria dell’Appennino
Si apre sulla linea che unisce Firenze a Bologna la linea “direttissima” per eccellenza, che costituisce in tutto il suo insieme una delle opere più sorprendenti della moderna tecnica ferroviaria. Ben trenta gallerie si susseguono sui 97 chilometri del suo percorso, per consentire ai treni di evitare i forti dislivelli della catena appenninica, la quale si eleva qui fin oltre i 1100 metri a dividere l’Emilia dalla Toscana. Un totale di 37 chilometri nelle viscere della terra, sottopassando le cime montuose. Quando, nell’aprile del 1934, il primo treno percorse i 18 chilometri e mezzo della più lunga fra quelle gallerie, non vi fu chi non guardasse stupito il lavoro compiuto, che, superando difficoltà immense, aveva potuto giungere a tanto: a perforare cioè l’intero crinale appenninico tra la valle del toscano Bisenzio (a 21 km da Prato) e quella del Setta sul versante emiliano, dove l’audace traforo sbocca ad appena 41 chilometri da Bologna.
Prima di allora, il viaggio di chi avesse voluto da Firenze raggiungere per ferrovia la capitale emiliana, non poteva certo dirsi ne breve ne comodo. Non meno di tre ore, su vagoni anneriti dal fumo che una locomotiva sbuffante spingeva faticosamente su per la ripida montagna alle spalle di Pistoia: curve strette e frequenti, gallerie brevi e basse, e fumo, fumo denso e nero dappertutto che entrava nelle vetture e negli scompartimenti. Attraverso i finestrini, il paesaggio appariva e spariva rapidamente.
Chi avrebbe pensato che un giorno sarebbero bastati 52 minuti per raggiungere dalle rive dell’Arno la città della Garisenda? La grande galleria dell’Appennino ha consentito infatti alla nuova linea non solo di abbreviare di 36 km il tragitto, ma pure di evitare altitudini superiori ai 320 metri.

GLI APPENNINI materiale didattico vario. Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

LE ALPI materiale didattico vario

LE ALPI materiale didattico vario per la scuola primaria.

Le Alpi
Le Alpi rappresentano il più importante sistema montuoso d’Europa sia per l’altezza delle loro cime (molte superano i 4000 metri, e il Monte Bianco, la più alta, raggiunge i 4810) sia per la frequenza delle nevi permanenti e dei ghiacciai (da cui scaturiscono i maggiori fiumi alpini), sia per la loro posizione nel cuore dell’Europa, in mezzo alle regioni più popolate e civili.
Per la loro altezza e per il loro sviluppo da ovest ad est, le Alpi costituiscono tra l’Europa centrale e l’Europa mediterranea una vera barriera che influisce grandemente sul clima e sulla vegetazione delle due regioni: temperatura mite, cielo sereno, sole caldo, fanno dell’Italia il “paese dove fiorisce il cedro” (Goethe) e dove prosperano, con gli agrumi, la vite e l’ulivo; al di là delle Alpi, il clima continentale e il freddo impediscono lo sviluppo di una vegetazione mediterranea.
Barriera di separazione per il clima e la vegetazione, ma non per gli uomini; nonostante la loro altezza, infatti, le Alpi sono ricche di valichi che mettono in comunicazione le opposte valli; e strade rotabili e ferrate, attraverso lunghe gallerie, superano i valichi e le catene montuose più importanti.
Le Alpi cominciano, a ovest, dal Col di Cadibona e attraverso una grande curva, lunga 1200 chilometri, terminano divergendo a Vienna sul Danubio e a Fiume sul Quarnaro.
Esse non formano un sistema compatto e continuo di montagne, ma sono costituite da catene, massicci, altipiani, diversi e irregolari, separati da numerose valli. Nelle Alpi occidentali si hanno soprattutto catene arcuate intaccate da valli che si estendono nel senso della latitudine; nelle Alpi orientali invece si hanno soprattutto catene affiancate, separate da valli longitudinali. Anche i due versanti sono diversi: il versante esterno, nord-occidentale, degrada lentamente verso gli altipiani danubiani, e i fiumi divergono in varie direzioni; il versante interno o meridionale scende rapido verso il bassopiano padano, facendovi convergere i fiumi in un unico grande sistema fluviale.
Nel senso della latitudine si distinguono nelle Alpi tre fasce, in cui le montagne sono diverse e per altezza e per l’aspetto, dovuti alla diversità delle rocce da cui sono formate.
Mentre la fascia mediana è di rocce cristalline (graniti ecc…), e comprende le catene e le cime più elevate, i picchi più arditi, le valli più strette e incassate, le fasce esterna settentrionale e interna meridionale, formate da rocce calcaree, presentano montagne meno elevate, più tondeggianti, pendii più dolci, valli più ampie e meno incassate. La zona esterna meridionale non si stende lungo tutta la cerchia alpina: manca nelle Alpi occidentali, mentre è ben presente nelle Alpi centrali e orientali, con le catene delle Prealpi lombarde e venete, a loro volta precedute, verso la pianura, da modesti rilievi collinosi: le Colline subalpine.
Nel senso trasversale, le Alpi si distinguono in Alpi Occidentali, Centrali, Orientali.

Così nacquero le Alpi
Il possente baluardo non è, in realtà, che una sola rovina di un immane edificio di pietra, spinto in alto da grandiose forze interne, e poi attaccato dal lavoro di inesorabili forze esterne, aiutato dal lentissimo scorrere dei tempi geologici. Difficile è quindi farsi un’idea sicura della struttura primitiva dell’edificio delle nostre Alpi e delle sue successive trasformazioni. Ma più difficile ancora è rifarsi alle cause prime del suo sorgere.
Che in età remota (circa 50 milioni di anni fa), dove ora si innalzano superbe le Alpi si stendesse il mare è un fatto incontestabile. Ma è in discussione il modo in cui i sedimenti di quel mare si siano inarcati e corrugati a formare le pieghe alpine, mentre enormi ammassi di rocce eruttive si aprivano essi pure la strada verso l’alto.
All’inizio prevaleva decisamente l’opinione che l’ingobbarsi e il sollevarsi del fondo del mare fino ad emergere fosse dovuto al fatto che l’Africa derivando, cioè spostandosi, come una gigantesca zattera, verso l’Europa, stringeva come in una morsa gli strati del fondo marino, li strizzava fino a farli fuoriuscire dalle acque, e li rovesciava sul margine meridionale dell’Europa, consolidato da altre, più antiche catene di montagne. Coricandosi, rovesciandosi e addirittura ribaltandosi, le pieghe si rompevano in falde capaci di percorrere, scivolando sugli strati sottostanti, decine e anche centinaia di chilometri.
Oggi si pensa come più probabile che non spinte tangenziali, ma verticali abbiano determinato il rigonfiamento della crosta sottomarina. E le pieghe e le grandi dislocazioni delle falde, enormi blocchi separati dall’area di origine, si spiegano con lo scorrimento e il distacco per gravità degli strati dai fianchi del rigonfiamento spiegato sopra.
Ma quando sono avvenuti questi grandiosi fenomeni? Quando si dice che le Alpi sono montagne giovani, perchè si sono formate in tempi geologicamente recenti, non si ricorda abbastanza che, proprio in corrispondenza delle montagne piemontesi, la cerchia alpina ingloba lembi di un sistema montano che si è formato sul finire dell’era paleozoica e cioè 250 milioni di anni fa.
Già durante l’era secondaria si sollevò dalla superficie del mare qualche rilievo, precursore e testimone del misterioso travaglio che si preparava nelle viscere della terra. Ma non si trattava che di un timido abbozzo di catena. Lo sforzo generatore delle Alpi toccò il suo massimo nell’era successiva, la terziaria, e a metà di quell’era le spinte alpine coinvolsero nel movimento di ascesa delle più recenti anche i massicci antichi.
Verso la fine dell’era terziaria (è passato da allora più di un milione di anni) il mirabile edificio era completo, almeno nelle sue fattezze generali, ma era ancora soggetto a dei sussulti, uno dei quali, verificatosi agli inizi dell’era in cui viviamo, lo ha sollevato di centinaia di metri, contribuendo largamente alla plastica attuale della montagna. (D. Gribaudi)

Acque e ghiacci modellarono le Alpi
Nell’epoca glaciale le Alpi erano ricoperte da un mantello di ghiaccio che in taluni punti raggiungeva lo spessore di due chilometri: poderose lingue ghiacciate occupavano le vallate e nelle epoche di maggiore espansione ne fuoriuscivano formando alla periferia occidentale e settentrionale una crosta unica. Sul versante italiano le maggiori lingue, per quanto poderose, rimasero isolate, ma si allungarono fin dove si trovano oggi i grandi laghi lombardi, che sono laghi di escavazione glaciale molto profondi.
Sappiamo che durante la lunga epoca glaciale vi furono fasi di espansione e fasi di ritiro: le tracce ne restano evidenti sia nella forma delle valli, escavate a più riprese alternativamente da ghiacciai e da fiumi, sia nei grandiosi apparati morenici frontali, che ora rinserrano i maggiori laghi, sia in alto, nei bacini di raccoglimento. Si può dire che le forme attuali delle Alpi sono ancora in buona parte eredità del modellamento glaciale quaternario. E l’opera dei ghiacciai quaternari ha avuto anche grande influenza su fatti che interessano l’uomo e le attività umane: le grandi valli a fondo piatto, pianeggiante, preferite dall’uomo per l’insediamento, le coltivazioni e la viabilità, sono valli modellate dai ghiacciai; le intaccature più profonde delle aree culminali, che corrispondono ai passi più facili e più accessibili, fra gli opposti versanti, sono state incise dai ghiacciai; gli apparati morenici frontali sono sedi di elezione di talune colture, come il gelso, ecc… (R. Almagià)

Per il lavoro di ricerca

Come è stato suddiviso dai geografi l’arco alpino?
Per quanti chilometri si distendono le Alpi?
Quali sono le massime altitudini raggiunte dalle Alpi?
Quali sono i principali valichi e trafori delle Alpi e dove conducono?
Qual è la lunghezza dei principali trafori?
Raccogli notizie sul traforo del Monte Bianco.
Quali sono le colture e le attività principali degli abitanti della cerchia alpina?
Quali piante e animali vivono sulle Alpi?
Che cosa sono le Prealpi?

Suddivisione delle Alpi
Le Alpi italiane iniziano dal colle di Cadibona (m 459, Liguria) e si distendono ad arco da occidente ad oriente per circa 1300 km, fino al golfo di Fiume.
I geografi dividono l’Arco Alpino in 3 sezioni:
– Alpi Occidentali
– Alpi Centrali
– Alpi Orientali.
Le Alpi Occidentali si estendono dal Colle di Cadibona al  Col Ferret. Esse prendono il nome di Liguiri, Marittime, Cozie, Graie. Segnano il confine tra l’Italia e la Francia. Le cime più elevate sono il Monte Bianco, il più alto d’Europa, il Gran Paradiso, il Monviso.
Le Alpi Centrali si estendono dal Col Ferret al Passo del Brennero. Esse prendono il nome di Pennine, Lepontine, Retiche. Segnano il confine tra l’Italia, la Svizzera e l’Austria. Le cime più elevate sono il Cervino, il Monte Rosa, il Bernina, il Disgrazia, l’Ortles.
Le Alpi Orientali si estendono dal Passo del Brennero al golfo del Quarnaro. Esse prendono il nome di Tridentine, Carniche  e Giulie. Segnano il confine tra l’Italia, l’Austria e la Slovenia. Le cime più elevate sono la Marmolada, il Monte Tricorno e la Vetta d’Italia, che segna il punto più settentrionale del confine italiano. Presso le Alpi Tridentine si innalza l’incantevole gruppo delle Dolomiti.

Massime altitudini delle Alpi
Le Alpi si innalzano alle quote più alte nella sezione occidentale e vanno decrescendo nella sezione orientale. Da occidente ad oriente, le cime più altre sono:
monte Argentera ……………  3297 m ………….. Alpi Marittime
Monviso……………………….. 3841 m ………….. Alpi Cozie
Gran Paradiso……………….. 4061 m ………….. Alpi Graie
Monte Bianco………………… 4810 m ………….. Alpi Graie
monte Cervino……………….. 4478 m ………….. Alpi Pennine
Monte Rosa …………………… 4633 m ………….. Alpi Pennine
monte Leone ………………….. 3552 m ………….. Alpi Lepontine
monte Bernina ………………..  4050 m …………. Alpi Retiche.

Le valli
Le Alpi e gli Appennini sono solcati da valli. Si chiama testata della valle la parte più alta, cioè dove ha origine la valle. Si chiamano versanti i due fianchi laterali che si innalzano verso le montagne; più precisamente, voltando le spalle alla testata, si dice versante destro quello che è alla nostra destra, e versante sinistro quello che è alla nostra sinistra. Altrettanto si dica per le sponde di un fiume: destra o sinistra sempre rispetto a chi volta le spalle alla sorgente da cui il fiume proviene.
Giogo significa “Passo”, cioè una depressione fra due montagne. Pensate all’importanza dei gioghi per passare da una valle all’altra.
Quando si è in una località valliva, si dice che un’altra località è a valle di quella se è più verso il basso, cioè verso lo sbocco; si dice invece che è a monte, se è più in alto, cioè verso la testata. I montanari delle Alpi usano invece dire “in fuori” (verso la valle, verso l’esterno) e “in dentro” (verso monte, verso l’interno).
Gli ostacoli che le Alpi e l’Appennino frappongono all’uomo per comunicare tra i popoli delle parti opposte, vennero vinti dall’ingegno e dalla volontà dell’uomo, non solo con strade ma anche con ferrovie, molte delle quali devono passare in gallerie la cui costruzione è costata molti capitali e purtroppo anche molte vittime. In seguito vennero scavate e si stanno tuttora scavando numerose gallerie stradali, che servono per vetture e autocarri.
La galleria o traforo del Gran San Bernardo, sopra Aosta, è funzionante dal 1964; nell’estate del 1965 si è aperto al traffico il traforo del Monte Bianco.

Valichi e trafori delle Alpi
Nell’alta barriera alpina si aprono valichi che permettono il passaggio di vie di comunicazione. I principali sono quelli di Cadibona (tra Piemonte e Liguria); di Tenda, della Maddalena, del Monginevro, del Moncenisio, del Piccolo San Bernardo (tra Piemonte e Franca); del Gran San Bernardo , dello Spluga (tra Lombardia  e Svizzera); dello Stelvio (tra Lombardia e Alto Adige); del Resia, del Brennero, di Dobbiaco (tra Trentino Alto Adige e Austria); di monte Croce  Carnico, di Camporosso (tra Friuli e Austria); del Predil (tra Friuli e Slovenia).
Alcuni trafori ferroviari e autostradali si addentrano nei massicci alpini, collegando l’Italia con gli Stati confinanti.

Il passo del Sempione
Il Sempione (2005 m) fu considerato, fin dai primi secoli del Medioevo, un tipico itinerario di viaggiatori; tuttavia questo storico valico non ha mai goduto di particolare fama militare, e inoltre fino al XIX secolo non acquistò quell’importanza commerciale che era comune ad altri passi alpini occidentali. Fra il XII e il XV secolo,  con la costruzione dell Rifugio a 1997 metri di altitudine e in seguito all’intensificarsi degli scambi tra Briga e Milano, il valico cominciò ad essere assai frequentato.
Il passaggio del Sempione era piuttosto rischioso specie d’inverno, lungo gli stretti sentieri a strapiombo; non potendosi in molti tratti procedere a cavallo, occorrevano due giornate di viaggio per andare da Briga a Domodossola.
Anche i servizi di assistenza non erano tali da rassicurare i viaggiatori; sappiamo che, specialmente nei mesi invernali, i viaggiatori usavano radunarsi in folte comitive prima di valicare il colle, promettendosi reciproco aiuto nei passaggi più difficili.
La fortuna di questa via coincise con la costruzione della strada voluta da Napoleone. Durante i lavori, iniziati nel 1801, egli, a quanto si narra, frequentemente si informava: “Quando i cannoni passeranno per il Sempione?”. Nel 1806, dopo aver superato enormi difficoltà tecniche, gli imprenditori consegnavano ultimata la grande strada, e già due anni dopo un regolare servizio di diligenza a cinque cavalli collegava Milano con Briga. La nuova arteria montana conquistò rapidamente una straordinaria importanza commerciale e si può dire che per un cinquantennio svolse il ruolo di primaria via di comunicazione delle Alpi Centrali.
Questo primato venne poi gradualmente scalzato dalla costruzione di altre strade alpine, e in particolare dall’apertura della linea ferroviaria del Gottardo, l’anno 1882. Ventiquattro anni dopo, nel 1906, il traforo del Sempione era ultimato e la ferrovia rapidamente prese a percorrerlo; la diligenza però continuò a scampanellare lungo i romantici tornanti del colle per molti anni ancora, fino al 1919. (L. Carandini)

Gli abitanti e l’economia
In tutta la cerchia alpina non rare sono le tracce dell’uomo preistorico. In età storica, i primi abitanti furono, nella parte occidentale e centrale, i Celti; nella parte centrale i Reti, forse affini agli Etruschi; nella parte orientale gli Illiri, gli Euganei e i Veneti.
Nel I secolo aC ebbe inizio la lenta ma durevole civilizzazione romana. Oggi i popoli neolatini predominano in tutte le Alpi Occidentali e nel versante interno delle Alpi Centrali e Orientali; in alcune isolate valli sono qui sopravvissute parlate che conservano tracce chiarissime del latino (dialetti ladini).
Le Alpi, con la media di 40 – 50 abitanti per chilometro quadrato, sono le regioni montuose più densamente popolate del mondo. Naturalmente la popolazione si addensa soprattutto nelle grandi valli e ovunque sia possibile l’agricoltura. Il villaggio alpino più elevato, con popolazione permanente, è Trepalle (frazione di Livigno, Sondrio) a 2.070 metri.
L’agricoltura produce grano e mais nelle zone meno elevate; più in alto orzo, segale, patate e anche vino e frutta; più in alto ancora, i pingui prati e i pascoli consentono l’allevamento dei bovini. All’inizio dell’estate si fa l’alpeggio ossia si trasportano le greggi dalle zone basse agli alti pascoli estivi, dove, nelle malghe, nelle casere, nelle alpi, si producono latticini.

Nell’economia alpina una funzione di rilievo, sebbene in misura inferiore che per il passato, hanno le industrie forestali (legna e carbone); grande importanza ha l’utilizzazione dell’energia elettrica offerta dai laghi alpini e dai fiumi, frequentemente interrotti da salti naturali o creati dall’uomo con condotte forzate e bacini artificiali sbarrati da dighe.

Piante e animali delle Alpi
Sulle Alpi, dove le altezze variano da poche centinaia di metri fino ad oltre i quattromila, c’è una grande varietà di vegetazione spontanea.
Accenniamo soltanto alle piante più comuni che puoi trovare sulle Alpi: querce e castagni fino a circa 1000 metri (ma qua e là l’uomo ha diboscato per coltivare i cereali, la patata e il fieno).
Il faggio, associato al frassino, arriva a 1500 metri, altitudine in cui si incontrano villaggi e prati; qui staziona il bestiame  a primavera, quando sale all’alpe, e in autunno, quando ne discende.
Ai faggi succedono i pini, i cembri, i larici e gli abeti, che si spingono fino a quota 2200. Fra questi, purtroppo, l’uomo ha lavorato di scure distruggendo (diboscamento nocivo) per estendervi il pascolo (pascoli bassi).
A 2700 metri gli alberi mancano del tutto.
Poi vengono i pascoli naturali, i quali si trovano fino a 2800 metri (pascoli alti).
Infine, abbarbicati alle rocce, che emergono tra le nevi persistenti e i ghiacciai, vivono soltanto muschi e licheni.

La vegetazione varia con l’altitudine e con la natura del terreno: la zona delle colture arriva fino a 800 metri; fino a 1200 metri abbiamo la zona dei boschi a foglie larghe (castagno, quercia, faggio); a 2000 – 2300 metri si spinge la zona delle conifere; infine abbiamo la zona dei pascoli alpini, che generalmente non supera i 2500 metri.

Gli animali delle Alpi vivono in un ambiente particolare: il clima è rigido; la neve rimane a lungo sul suolo, i venti spesso sono violenti, il terreno e le acque sono freddi e offrono scarso nutrimento. In conseguenza di questo, gli animali alpini hanno caratteristiche particolari:
– molti animali, durante l’inverno, cadono in letargo, oppure in un sonno più o meno prolungato e profondo;
– molti insetti alpini hanno perduto le ali, allo scopo di non consumare energia con il volo.
Tra i mammiferi ricordiamo:
lo stambecco (sul Gran Paradiso)
il camoscio (sulle Alpi in genere)
il capriolo (sulle Alpi Carniche)
l’orso bruno (sull’Adamello e sulle Dolomiti).
Questi animali sono protetti da leggi che ne vietano la caccia, perchè stanno scomparendo. Ancora numerosi sono l’ermellino, la lepre, la marmotta, il ghiro e lo scoiattolo.
Tra gli uccelli troviamo la dominatrice del cielo, l’aquila, il gallo cedrone e il fagiano di monte.
I fiumi, i torrenti e i freschi laghi alpini ospitano la trota e il salmerino, gioia dei pescatori.
Nelle Alpi occorre guardarsi da animali pericolosi, quali lo scorpione germano che vive fin oltre i 2000 metri, e la vipera aspis.

Monte Bianco
Il Monte Bianco è il colosso fra le montagne d’Europa. Il vanto dei suoi quattromilaottocento e più metri nno è raggiunto da nessuno dei suoi rivali.
E, al contrario dei giganti dell’Himalaya e delle Ande, i cui sentieri sono noti soltanto a un pugno di intrepidi e che per la maggior parte di noi non sono che nomi, il mostro delle Alpi italiane è come un amico familiare.
I fiumi di ghiaccio, che viaggiano lentamente e tortuosamente lungo i fianchi profondamente incisi della montagna, sono particolarmente interessanti. Di questi il Glacier des Bossons e il Glacier des Bois, più conosciuto col nome di Mer de Glace, sono  i più grandi e i più accessibili. Il Col du Geant è un magnifico passo che attraversa il cuore di questa catena e sotto di essa serpeggia il gran fiume di ghiaccio, le cui fessure risplendono come zaffiri e la cui superficie liscia rifulge come uno scudo d’argento nel sole. Sotto le sue caverne di ghiaccio il fiume Arve si apre a forza un passaggio e scorre giù nella valle di Chamonix. E’ da questa piccola città sul pendio settentrionale della catena, che si compie l’ascensione delle alte vette. (D. Sladen)

Il traforo del Monte Bianco
(Corrispondenza giornalistica)
“Stasera verso le 21 un’esplosione ha fatto tremare i vetri di Courmayeur e poco dopo sulla cima del Bianco si sono accesi i fuochi d’artificio bianchi rossi e verdi che assicurano gli alpinisti Gigi Panei e Ruggero Pelli, partiti stamattina per la vetta con due zaini di razzi pirotecnici, devo essere stati ammirati anche da Ginevra.
Nello stesso istante crollavano anche gli ultimi 19 metri e 10 centimetri dei 5800 di galleria che, nella grande operazione “traforo del Bianco” erano stati assegnati agli italiani.
I minatori francesi, a una sessantina di metri di distanza, avranno indubbiamente avvertito il sordo fremito dell’ultima esplosione e, pur rallegrandosi del successo dei colleghi italiani, si saranno forse rammaricati di essere mancati all’appuntamento della quota 5800, al quale giungeranno (con l’ampia attenuante di aver cominciato i lavori dopo di noi) fra una settimana circa.
Il completamento del tronco italiano del traforo del Bianco, il quale misurerà complessivamente 11.600 metri, si è svolto con un cerimoniale suggestivo.
Alle 18 è stato dato l’ultimo “colpo di piccone”, un moderno e complicatissimo colpo di piccone che è durato due ore e mezzo. L’ultimo “ciclo” è infatti cominciato con l’entrata in funzione simultanea di diciotto perforatrici che hanno forato altrettanti fornelli depositandovi 600 kg di esplosivo; poco dopo venivano accese le micce e un sordo boato si ripercuoteva nel cuore del Bianco. Contemporaneamente, all’esterno della galleria un’esplosione simbolica ha dato l’annuncio alle valli del grande momento e un operaio si è avvicinato alla lavagna su cui,  per tutta la durata dei lavori, erano state segnate e aggiornate, in un lento conto alla rovescia, due cifre: una grande, relativa ai metri percorsi, e una piccola con quelli da compiere. Fra la commozione dei presenti l’uomo ha cancellato la cifra piccola degli ultimi diciannove metri e dieci centimetri e ha vergato un grande 5800 equivalente all’intero tronco italiano.
Poco dopo è uscito dalla galleria il camion con i minatori dell’ultima squadra, che sono stati festeggiati da tutti i circa cinquecento operai del cantiere e dai giornalisti.
La piccola folla del Bianco si è quindi recata al Santuario di Notre-Dame de la Guerison portando un sacco della galleria, una pergamena con i nomi degli otto operai caduti sul lavoro e un elmetto da minatore.
Dopo il raccoglimento e la commozione, i festeggiamenti di pretta marca montanara. Fino a tarda notte si è brindato, mangiato e cantato all’imboccatura del nero tunnel lungo il quale, a metà del 1964, sfrecceranno le automobili “bevendosi” in cinque minuti l’intero massiccio del Bianco”.
(da La Stampa)

Le ridenti Prealpi
Le Prealpi, più esposte a sud e più basse delle Alpi, raggiungono di rado i limiti delle nevi perpetue.
Non sono di conseguenza caratterizzate nemmeno dalla vegetazione alpina che dà quell’aspetto loro particolare di durezza e di severità. Mancano perciò alle Prealpi i due tratti principali che improntano il paesaggio alpino così sublime e pittoresco.
Per compenso sono ricche di altre bellezze tutte particolari. Si nota anzitutto in esse il contrasto di effetto meraviglioso davvero, fra quelle creste dentate, nude e bianche come scheletri che si tingono d’azzurro sovente nelle giornate serene e di giallo e di rosso al sorgere e al tramontare del sole; e il verde perenne, di cui la perenne ubertà copre i fianchi e i piedi delle montagne, tutte rivestendo fino alla cima le colline, sicchè le aride vette paiono spiccarsi come da una ghirlanda di erbe e di fiori.
Chi vuole il ridente, il molle, il tranquillo, il temperato, insomma delizie e amenità, non va sicuramente a cercarle nelle Alpi, ma nelle Prealpi, specialmente nella zona inferiore, dove regnano primavere ed estati che non trovano molto da invidiare a quelle dei paesi più meridionali.
E’ questa la regione dei laghi azzurri, dei limpidi torrenti, dei boschi ombrosi, dei prati fioriti, dei  pingui orti, dei giardini incantati, delle viti, degli ulivi, e più in alto, dei castagni e dei faggi. (A. Stoppani)

Il Resegone
La Grigna è una cima delle Prealpi Lombarde. E’ alta quasi 2500 metri; lì salgono i montanari d’estate con le loro mucche che si cibano delle sostanziose e profumate erbe degli alti pascoli.

Paesaggio alpino
Lontane, alte distese bianchissime: più le guardava, più sentiva crescere in sè uno stupore, mai fino allora provato. Provò ad immaginarsi come fossero da vicino, e standovi sopra, terribili e meravigliose: le fissò in silenzio, un lungo momento, sognando. Anche lassù, pensò, era vita, forse la vita più bella di tutte: la più libera, la più assoluta. Col sole, il cielo, il ghiaccio, e nient’altro.
Lo riscosse il suono, dolce sebbene improvviso, e quasi sparso nell’aria, di un campanaccio. Seguendo quel suono, volse lo guardo ai prati intorno: immensi declivi verdi  e fioriti, che scendevano fino al colle, e dove, immobili o quasi, forse non lontane ma irreali come in un miraggio, alcune mucche bianche e nere, bianche e marroni, erano alla pastura. (M. Soldati)

Dimore pastorali nelle Alpi: le malghe
Nella zona dei prati e dei pascoli di alta montagna sono comuni le malghe, dimore temporanee che servono quando il bestiame sale ai pascoli   d’alta montagna dove resterà tutta l’estate. Le malghe sono formate, di solito, da due fabbricati costruiti in muratura e coperti con tetti di scandole, ossia di assicelle di legno. Il fabbricato maggiore è la stalla, ove si tengono chiusi gli animali durante la notte. L’altro, più solidamente costruito e meglio riparato è la malga propriamente detta dove vivono e dormono il malgaro con la sua famiglia, e spesso anche i pastori.
Oltre a quelli per dormire, i locali essenziali sono tre: la cucina, il locale dove si conserva il formaggio e quello dove si mette il latte.
Nella cucina c’è un primitivo focolare dove i pastori ed il malgaro si preparano i semplici pasti: immancabile la polenta di granoturco che si mangia col formaggio o con il latte o con la ricotta.
Di fronte al focolare c’è la caldaia di rame dove si riscalda il latte spannato e si prepara il formaggio. Vicino c’è anche la zangola, nella quale si sbatte la panna per ottenere il burro. (L. Bartagnoli)

Le baite
Nelle alte valli alpine, le abitazioni possono essere costruite interamente in legno, o con parti in muratura. Generalmente sono in muratura gli ambienti in cui viene acceso il fuoco. Il tetto è formato di lastre di pietra. Le pareti esterne ed interne ed i piancinati sono realizzati con assiti doppi, con interposto materiale isolante, quale segatura o pula di grano, per aumentare il riparo dal freddo. Nella parte alta, vengono sovente ricavate delle logge, che servono per l’essiccamento del fieno, del granoturco e del frumento, oltre che per stendervi i panni. Sepolte dalla neve del lungo inverno, tali abitazioni custodiscono, mercè l’isolamento dato dal legno, dal fieno e dalla stessa coltre di neve che copre il tetto, il calore che il piccolo focolare riesce a creare.

Gli attuali ghiacciai italiani
Nelle Alpi Marittime e nelle Cozie incontriamo ghiacciai di modeste dimensioni. Cominciamo ad entrare veramente nel regno dei ghiacciai in Val d’Aosta. Al badino della Dora Baltea e appartengono circa duecento, per una superficie di quasi 200 kmq.
Il gruppo del Gran Paradiso conta parecchi importanti ghiacciai, che però non scendono sino alle valli; il maggiore è il ghiacciaio della Tribolazione. Analogamente avviene per il gruppo della Grande Sassiere, che presenta due ghiacciai di prim’ordine (ghiacciaio di Soches-Tsantellina e ghiacciaio della Gliaretta-Vaudet). Nel gruppo del Rutor, il ghiacciaio omonimo giace su un ampio, dolce pendio.
Nel gruppo del Monte Bianco numerosi ghiacciai ripidi e crepacciati scendono dai valloni del versante italiano spingendo la loro fronte più o meno in basso. Il maggiore è il ghiacciaio del Miage, la cui lingua scende fino a 1775 d’altitudine sbarrando, con le sue morene, la Val Veni. Altri ghiacciai di prim’ordine in questo gruppo sono il ghiacciaio della Brevna che arriva nel fondovalle fino a poca distanza da Entreves; quello di Prede-Bar, quello di Triolet e quello dell’Allee Blanche.
Anche le Alpi Pennine contano una maestosa serie di ghiacciai; ricordiamo quelli di Tsa de Tsan e delle Grandes Murailles, che occupano la testata delle Valpelline. Nel versante italiano del gruppo del Monte Rosa si incontrano alcuni grandi ghiacciai: il ghiacciaio di Ventina, il ghiacciaio Grande di Verra, l’imponente ghiacciaio del Lys, i ghiacciai delle Piode e delle Vigne, quello di Macugnaga.
In val Formazza troviamo il ghiacciaio del Sabbione; nell’alta val Maggia il ghiacciaio di Basodino.
Le Alpi Lepontine sono povere di ghiacciai sul versante meridionale; solo il gruppo dell’Adula racchiude ghiacciai di qualche importanza.
Anche le Retiche, nel primo tratto, hanno ghiacciai piuttosto esigui; poi i monti della val Masino racchiudono piccoli ma numerosi ghiacciai di corco e lunghe colate, tra cui i ghiacciai dell’Albigna e del Forno. Nel gruppo del Disgrazia importanti sono il ghiacciaio di Predarossa, quello vallivo della Ventina e quello del Disgrazia.
Il gruppo del Bernina ospita ghiacciai di grande estensione: quello grandiosamente seraccato di Scerscen superiore, e quello dolcemente ondulato di Scerscen inferiore, i due ghiacciai di Fellaria.
Le Alpi Orobie offrono una serie di vedrette: del Trobio, di Scais, di Porola, del Lupo.
Oltre cento sono i ghiacciai del gruppo dell’Ortles: una serie di vedrette, quelle di Madaccio, di Trafoi, l’Alta e la Bassa Ortles, la Vedretta di Solda, la Vedretta di Lunga, la Vedretta del Cevedale, la Vedretta di Lamare; e una delle maggiori masse glaciali italiane, cioè il ghiacciaio dei Forni (17 kmq). Il gruppo Adamello – Presanella ospita, sui 3000 metri, un gruppo di ghiacciai di tipo piuttosto raro nel sistema delle Alpi, e cioè il tipo ad altipiano o pianalto, da cui scendono verso le valli colate o lingue vere e proprie. Dalla distesa centrale, il Pian di Neve, originano le vedrette del Mandrone, della Lobbia, di Fumo (da cui nasce il fiume Chiese).
Il versante italiano delle Alpi Atesine, per la sua prevalente esposizione a sud, analogamente a quanto accade nell’alta Valtournanche in Val d’Aosta, ha ghiacciai piuttosto modesti; solo dalla Palla Bianca scende un ghiacciaio importante, la Vedretta di Vallelunga.
Proseguendo verso nordest, incontriamo il vasto ghiacciaio di Malavalle che protende la sua lingua verso la Val Ridanna; a oriente del Brennero, il ghiacciaio del Gran Pilastro, di prim’ordine, e il ghiacciaio di Neves. Poi le formazioni glaciali, sul versante italiano, si fanno meno importanti, con l’eccezione dei ghiacciai di Predoi, e di Lana, alla testata della valle Aurina, e del gruppo delle vedrette di Ries.
Nelle Dolomiti soltanto il ghiacciaio della Marmolada si fa notare per la sua ampiezza ( 3,4 km); gli altri sono tutti di modeste dimensioni; lo stesso dicasi per i piccoli ghiacciai del gruppo di Brenta.
Sulle Alpi Giulie sono situati alcuni minuscoli ghiacciai (del Canin e del Montasio) notevoli per la bassa altitudine (2000 2500 m) giustificata dalla posizione riparata e dalla frequenza delle nevicate.
L’Appennino possiede un unico piccolo ghiacciaio e precisamente il ghiacciaio del Calderone, sotto il Corno Grande del Gran Sasso d’Italia.

Immense Alpi

Sopra di me stanno le Alpi,
i palazzi della natura, le cui immense pareti
lanciano tra le nubi pinnacoli coperti di neve,
e l’eternità troneggia nelle caverne gelate
di fredda sublimità, dove si forma e cade
la valanga, la saetta di neve!
E tutto ciò che lo spirito emana
si raccoglie intorno a quelle sommità,
per mostrare come la terra
possa toccare il cielo
lasciando in basso l’uomo
con la sua meschina superbia. (Byron)

Le Alpi
I verdi balzi e i pascoli ridenti,
reduce pellegrino, ho riveduto;
ai ghiacci eterni, ai fiumi ed ai torrenti
ho ridato dal cuore il mio saluto.
Qui dov’io seggo schiudesi agli intenti
sguardi il riso del ciel limpido e muto;
qui dov’io seggo il mio pensiero in lenti
desideri di pace erra perduto.
La catena dell’Alpi in ampio giro
variata di nevi e di pinete
in vallate profonde, ecco, s’adima.
E vagabonda d’una ad altra cima,
solca una nube l’immortal quiete
della nitida volta di zeffiro. (G. Bertacchi)

LE ALPI materiale didattico vario. Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

LA MONTAGNA materiale didattico vario

LA MONTAGNA materiale didattico vario: dettati ortografici, racconti, testi brevi, di autori vari, per la scuola primaria.

La montagna è un rilievo roccioso elevato oltre i mille metri.  Le montagne sono come le grandi rughe della Terra e si sono formate in tempi antichissimi, quando la Terra era ancora fiammeggiante e sconvolta da terremoti e da eruzioni vulcaniche.

Il luogo dove la montagna sorge dal piano è detto piede; salendo lungo il pendio o fianco o versante della montagna si raggiunge la cima o vetta. Una montagna può elevarsi isolata, oppure può raggrupparsi con altre in un massiccio. Sovente le montagne sono affiancate ed allineate in una lunga catena.

Un insieme di numerose catene costituisce il sistema montuoso.

Con il passare dei millenni, i fianchi delle montagne si sono trasformati e coperti di terra; soltanto gli alti pendii e le vette mostrano la roccia nuda.

Il piede della montagna è verdeggiante di noccioli e di castagni; sui fianchi si estendono i boschi di abeti e di larici; poi questi si diradano e iniziano i pascoli, ombreggiati da qualche betulla, fioriti di arniche e di genziane; infine ecco la roccia, irta di punte, incisa di burroni, tormentata da frane, dritta di pareti che danno il capogiro.

L’alta montagna ha cime e conche coperte di spessi strati di neve e di ghiaccio che neppure il sole estivo scioglie completamente: lassù si estendono i nevai ed i ghiacciai.

La montagna è un ambiente difficile per la vita dell’uomo. Egli però, l’ha domata, ed ha saputo costruire strade audaci che la superano ai valichi; gallerie che la perforano e che facilitano le comunicazioni stradali e ferroviarie; funivie e seggiovie che permettono a tutti di raggiungere comodamente le cime più elevate.

Villaggio alpino

Poche rustiche casette: le basi di pietra, le pareti di legno, i tetti di ardesia; piccole le finestre, fiorite di rossi gerani. Una chiesetta, un campanile. Null’altro. Sulle vie deserte qualche vecchia dalla gonna rossa e nera che fila o ricava, due o tre caprette, e nidiate di bimbi rosei e biondi che guardano curiosi, ma coi piedini nudi fuggono pieni di vergogna. (R. Bacchelli)

In montagna

Le casette del paesello montano si raggruppano attorno alla chiesa, sul pendio, come un piccolo gregge raccolto attorno al pastore. Dal paese si giunge subito ai prati che spesso lasciano scorgere, tra l’erba, spuntoni di roccia; si giunge in breve ai boschi dove l’ombra è fitta e l’aria è carica del profumo delle resine e dei fiori. Attorno, i monti levano le cime, alcune ancora del tutto coperte di verde, altre, più alte ancora, bianche di neve. Sul fondo della valle scorre il torrente: balza tra i massi e li circonda di spruzzi e di spuma; va gorgogliando, mormorando, portando al piano la voce della montagna.

Le montagne

Le montagne sono tra le cose più belle che esistono. Che cosa sarebbe la terra senza le montagne? Senza le montagne, non si avrebbero nè fiumi, nè torrenti, nè le cascate che ci danno l’energia elettrica, quella formidabile energia apportatrice di luce, di calore, di vita.

La vita sul monte

Quanta vita sul monte! Dalla grossa felce che cresce ai suoi piedi, al ginepro, dal saporoso mirtillo all’ontano, dai fiori delicati e stupendamente colorati all’imponente abete. E poi, la lepre di monte, il capriolo che fugge di balza in balza, il cervo dominatore delle vette, e ancora, su su, fino alla roccia nuda, fino alla neve eterna. Ma anche lì, abbarbicato alla roccia, mezzo sepolto dal ghiaccio, vive l’ultimo amico della montagna: il lichene dai colori vivissimi; si trova lassù, sul punto più alto della terra. (A. Manzi)

Villaggio alpino

Poche, rustiche casette: le basi di pietra, le pareti di legno, i tetti di ardesia; brevi le finestre, fiorite di rossi gerani… Una chiesetta,  un campanile. Null’altro. Sulle vie deserte qualche vecchia che fila e ricama; due o tre caprette e nidiate di bambini rosei e biondi. Chioccolio di fontane; qualche ragazza che lava. E un silenzio, una pace tale sotto quel sole diffuso, in quella pura aria frizzante, che tutto lo spirito ne gioisce. (R. Bacchelli)

Alpinisti e sciatori

Tra gli ospiti dell’albergo ci sono degli alpinisti. Essi cercano una buona guida, pratica di questi monti, che li accompagni. Partendo da un rifugio, vogliono arrampicarsi  in cordata per la parete più difficile del monte, fino alle guglie che sovrastano il ghiacciaio. L’abisso non fa loro paura. Non temono i precipizi e i crepacci. Dall’albergo parte una seggiovia che durante la stagione invernale porta gli sciatori ai più vicini campi di sci.

La stella alpina

Molto e molto tempo fa, nel cielo brillava una stellina solitaria e di lassù pensava che doveva essere pur bella la vita sulla terra, fra le alte vette nevose. Per questo pregò di poter scendere in terra. Il Signore acconsentì e, in una notte serena, la stellina attraversò il cielo e andò a posarsi fra le ripide pareti di ghiaccio di un monte altissimo. Che freddo! La stellina sarebbe certamente morta assiderata se un Angelo non l’avesse avvolta di una morbida veste di velluto bianco. Da allora, tra i ghiacci, sulle alte cime dei monti, crescono le stelle alpine, i fiori che hanno la forma di stella e che sono morbidi come velluto.

Perchè si viaggia in quel modo, sospesi in aria?

Le teleferiche, le funivie e le seggiovie hanno bisogno di impianti costosi, ma sono mezzi di trasporto molto utili in montagna, perchè abbreviano i percorsi. Con esse è possibile superare, senza marce faticose, grandi dislivelli, viaggiando in linea retta e passando al di sopra dei burroni, dei torrenti, dei boschi, dei ghiacciai.

Le possiamo trovare in luoghi di villeggiatura dove d’estate o d’inverno, arrivano molte persone che vogliono raggiungere la cima delle montagne senza far fatica. Oppure le possiamo trovare dove i  boscaioli hanno bisogno di far scendere a valle i tronchi tagliati.

Come si formano le montagne

Le montagne vengono prodotte o da vulcani o da sedimenti marini.

Montagne vulcaniche. Alcune montagne sono senza dubbio dovute al sovrapporsi di lave che vennero espulse dalle viscere della Terra. Ma non sono molte le montagne che hanno questa origine. E solo una piccola parte delle montagne che hanno forma conica vennero costruite dai vulcani.

Montagne costruite dai fondi marini. La maggior parte invece delle montagne si è formata nelle profondità marine. Vediamo in che modo.

Prima vi è un fondo marino. Su questo fondo ogni anno si depositano millimetri su millimetri di fanghiglie: terriccio che il vento ha portato nel mare e che le acque di questo lasciano precipitare lentissimamente fin nelle profondità; terra e sabbia che i fiumi hanno trascinato giù dai monti e che le onde marine hanno portato al largo; gusci di animaletti e scheletri di grossi animali che, alla morte dei loro proprietari, scendono ad adagiarsi sulle fanghiglie; coralli della scheletro calcare che si vanno sviluppando sempre più. E così di anno in anno il fondo aumenta di spessore.

Intanto grandiosi fenomeni si vanno manifestando nelle profondità; fenomeni tali che obbligano il vecchio fondo marino a sollevarsi, a piegarsi in pieghe talora complicatissime, ad emergere dalle acque del mare e a formare così le montagne, cioè l’ossatura di isole e di futuri continenti.

Ma appena le montagne si sono un po’ alzate, vengono subito prese di mira dalle piogge, dai torrenti, dal  caldo – freddo, dal gelo, e così comincia il cesellamento, lo scolpimento del primitivo uniforme blocco; e l’uniforme catena viene smembrata da valli in cime sempre più numerose; ogni cima, sotto il cesello del tempo, acquista forme sue proprie. Poi vengono i ghiacciai ad alternare ancor più le forme. E con l’alterazione continua lo sgretolamento, l’abbassamento dei monti e, da ultimo, la loro vecchiaia e la loro morte, cioè il loro spianamento.

E nel frattempo tutto il materiale che prima costituiva quelle montagne, trasportato al mare dai fiumi, ha servito a riempire il mare e a costruire delle pianure. La nostra bella pianura Padana un tempo era un enorme golfo marino che lambiva tutte le Alpi ben addentro fino a Cuneo e a Mondovì. Il Po e i suoi affluenti hanno con le loro ghiaie colmato questi abissi fino a creare la piatta superficie su cui si stendono oggi grandiose e coltivate campagne, s’innalzano case e palazzi, e fioriscono industrie e commerci.

Voi mi domanderete: sono proprio sicuri gli scienziati che le cose siano accadute proprio in questo modo? E come hanno fatto essi a conoscere tutte queste cose? Osservando come sono fatte le Alpi e come è fatta la pianura. Infatti tante rocce che costituiscono molte montagne sono piene zeppe di conchiglie e di altri animali fossili: dunque sono antichi fondi marini, in seguito emersi e sollevatisi a tre – quattromila metri. Le stesse rocce non sono però sempre piatte e orizzontali come si vennero formando nei mari, ma piegate, intensamente piegate come rughe; dunque è avvenuto un piegamento e un sollevamento. Il resto, cioè come sia avvenuto in seguito il cesellamento, lo scolpimento e la demolizione parziale, è cosa ovvia e semplice.

Quanto tempo è occorso perchè tutto ciò avvenisse? Tempi enormemente lunghi, senza dubbio, ma finora nessuno ha saputo dare nè con precisione, nè lontanamente, dei valori anche solo approssimativi. Certo milioni e centinaia di milioni di anni, certissimamente le nostre Alpi e l’Appennino si sono formati moltissimo tempo prima che l’uomo apparisse sulla Terra.

(G. Nangeroni)

Il volto delle montagne cambia

 Le montagne sono trasformate dall’azione dell’acqua, del clima, del vento. Il primo demolitore delle montagne è il gelo. Quando negli alti picchi il calore del sole scioglie la neve, l’acqua che si forma penetra nelle fessure delle rocce. Al sopraggiungere del freddo della notte, quest’acqua gela, trasformandosi in ghiaccio. Poichè l’acqua solidificando aumenta il suo volume di circa il 10%, il ghiaccio che si è formato produce una tal pressione nella spaccatura, da dilatarla e staccare pezzi di roccia.

Nelle regioni aride, come avviene nei monti del deserto, lo sgretolamento delle rocce è causato dal brusco cambiamento di temperatura fra il giorno caldissimo e la notte fredda. Di giorno, la parte superficiale della roccia si dilata rompendosi in tante squame che, al sopraggiungere del freddo notturno, si contraggono e si staccano. Il vento rode le rocce contro cui batte. La sua azione diventa più demolitrice se trascina sabbie e detriti che, gettati contro la parete rocciosa, agiscono come una lima. Tutti questi detriti che si staccano dalle montagne vengono trascinati e portati verso verso la pianura o nel mare dalle acque correnti e dai ghiacciai.

Altri agenti demolitori delle montagne sono i gas che si trovano nell’aria, cioè l’ossigeno e l’anidride carbonica.

Perchè salendo verso l’alto la temperatura diminuisce

La superficie della Terra assorbe il calore del Sole e poi lo diffonde nell’aria. Quando questa è molto densa ed umida, come avviene nelle pianure, il calore si conserva a lungo. Man mano che si sale, l’aria diventa meno densa e meno umida: è meno capace di conservare il calore, perciò la temperatura si abbassa. Inoltre, in vetta alle alte montagne, non esiste una vasta superficie di terreno che possa assorbire e poi restituire il calore del Sole. Questo fenomeno ci spiega l’esistenza di ghiacciai anche nelle regioni tropicali che superino i 4000 metri di altitudine.

Come possiamo calcolare l’altitudine delle montagne

Per calcolare l’altitudine delle montagne, cioè la loro altezza sul livello del mare,  si usano il teodolite, l’altimetro e il barometro – altimetro. Il teodolite è un delicatissimo strumento ottico che permette di misurare, dal luogo ove viene collocato, distanze ed altezze di punti inaccessibili. L’altimetro è uno strumento di precisione che indica l’altitudine del luogo ove viene collocato. Il barometro – altimetro oltre ad indicare l’altitudine di un luogo, ne segna anche la pressione atmosferica corrispondente; infatti la pressione atmosferica varia col variare dell’altitudine.

Vette più importanti della catena alpina

Monte Bianco (m 4810), Monte Rosa (m 4633), Monte Cervino (m 4478), Gran Paradiso (m 4061), Pizzo Bernina (m 4049), Grivola (m 3969), Ortles (m 3899), Monviso (m 3481), Monte Cevedale (m 3778), Palla Bianca (m  3736), Monte Disgrazia (m 3678), Adamello (m 3554), Pizzo dei Tre Signori (m 3499), Marmolada (m 3342).

Vette più importanti della catena appenninica

Etna (m 3263, Appennino Siciliano), Gran Sasso d’Italia (m. 2914, Appennino Abruzzese), Maiella (m 2795, Appennino Abruzzese), Monte Velino (m 2487, Appennino Abruzzese), Monte Vettore (m 2478, Appennino Umbro – Marchigiano), Monte Sirente (m 2349, Appennino Abruzzese), Monte Pollino (m 2271, Appennino Lucano), Monte Terminillo (m 2213, Appennino Umbro Marchigiano), Monte Cimone (m 2165, Appennino Tosco Emiliano), Monte Cusna (m 2120, Appennino Tosco Emiliano), Monte Miletto (m 205o, Appennino Campano), Monte Sirino (m 2005, Appennino Lucano), Monte Giovo (m 1191, Appennino Tosco Emiliano), Pizzo Carbonara (m 1979, Appennino Siciliano), Aspromonte (m 1956, Appennino Calabrese), Corno alle Scale (m 1945, Appennino Tosco Emiliano), Monte Calvo (m 1901, Appennino Abruzzese), Gennargentu (m 1834, Appennino Sardo), Monte Mutria (m 1823, Appennino Campano), Monte Maggiorasca (m 1803, Appennino Ligure).

L’uomo e la montagna

Avete mai veduto costruire una casa? Io, tante… E ho pensato: “Ma guarda un po’ l’uomo, che è capace di fare! Mutila la montagna, ne cava pietre, le squadra, le dispone le une sulle altre e, che è che non è, quello che era un pezzo di montagna è diventato una casa”.

“Io” dice la montagna, ” sono montagna e non mi muovo”.

“Non ti muovi, cara? E guarda là quei carri tirati dai  buoi. Sono carichi di te, di pietre tue. TI portano in carretto, cara mia! Credi di startene così? E già mezza sei, due miglia lontano, nella pianura”.

“Dove?”

“Ma in quella casa là, non vedi? Una gialla, una rossa, una bianca: a due, a tre, a quattro piani. E i tuoi faggi, i tuoi noci, i tuoi abeti? Eccoli qua, a casa mia. Vedi come li abbiamo lavorati bene? Chi li riconoscerebbe più in queste sedie, in questi armadi, in questi scaffali? Tu, montagna, sei più grande dell’uomo: anche tu faggio, e tu noce, e tu abete; ma l’uomo ha in sè qualcosa che voi non avete.

(Luigi Pirandello)

La vegetazione spontanea della montagna

Al piede della montagna crescono i lecci, dalle dense fronde scure, e gli alberi da frutta. Le querce e i castagni possono giungere più in alto, fino ai mille metri. I faggi prosperano fino ai millecinquecento metri e più. I larici e gli abeti dalle foglie sottili e aguzze come aghi giungono fino a duemila metri. Ancora più su, a duemilacinquecento metri, si stendono i vasti pascoli punteggiati di arbusti, di rododendri e di pini mughi. Oltre questa zona, riescono a vivere soltanto pianticelle alte meno di un palmo, e poi muschi e licheni. Essi traggono il nutrimento dalla poca terra che il vento ha depositato  nelle fessure delle rocce. Infine, ecco la zona delle nevi perenni. Qui nessuna pianta può vivere: è il regno del ghiaccio.

Gli animali che vivono in libertà sui monti

Nella zona dei pini vivono il gallo cedrone, la pernice bianca e numerosi uccelli rapaci, come la poiana, il falco, il gufo e la civetta. E’ facile trovare l’ermellino, prezioso per la sua pelliccia, che è bruna d’estate e diventa candida durante l’inverno; dove i boschi sono più fitti, si trovano scoiattoli, caprioli e cervi. Ma l’animale più caratteristico di queste zone è l’orso; e il più pericoloso è il lupo, che durante l’inverno, spinto dalla fame, si avvicina ai centri abitati. Oltre i duemila metri troviamo gli animali tipici dell’alta montagna: l’aquila, lo stambecco, il camoscio e la marmotta. Sopra si stendono soltanto ghiacciai. Sembra che la vita sia impossibile qui, ma c’è un minuscolo animale che riesce a vivere anche in mezzo ai ghiacci: è la pulce dei ghiacciai. Essa si nutre dei grani di polline che il vento trasporta, dalla zona dei larici e degli abeti, fino a un’altitudine di quattromila metri!

Utilità dei monti

Le pendici dei monti sono coperte da fitti  boschi di castagni e, più in alto, da foreste di conifere: pini, larici e abeti che forniscono buon legname. I boscaioli, per il trasporto dei tronchi, si servono delle teleferiche che, lungo un cavo d’acciaio, trasportano a valle pesanti tronchi. D’estate, sui pascoli alpini, i pastori e i mandriani conducono a pascolare le loro greggi e le mandrie fino all’autunno. Dal latte delle mucche e delle pecore si ricavano burro e squisiti formaggi. Per l’aria pura e salubre che vi regna, i monti sono mete ideali per i soggiorni estivi e per gli sport invernali. Sui pendii soleggiati sorgono i grandi edifici dei sanatori, dove si curano le persone malate che hanno bisogno di sole e di aria purissima. Un altro dono prezioso ci viene dalle montagne: il carbone bianco. L’acqua dei fiumi che scende a valle, per mezzo di un potente sbarramento detto diga, viene raccolta in un bacino e convogliata attraverso grosse tubature, dette condotte forzate, alle centrali idroelettriche. Nelle centrali, con la sua caduta, l’acqua muove le pale delle turbine, che producono l’energia elettrica.

 I minerali

Il Duomo di Milano pesa 184.000 tonnellate; ebbene, sono 184.000 tonnellate di montagna trasferite nel centro d Milano. Infatti, il Duomo è costruito in marmo, una delle rocce che ci fornisce la montagna. Le rocce delle montagne, fin da quando, milioni di anni or sono, si formarono, contengono minerali di ogni genere: ferro, piombo, rame, zinco, zolfo, salgemma, manganese, e via dicendo; tutte sostanze assolutamente indispensabili per le industrie. Perciò l’uomo da secoli scava le montagne, con la tenacia di una formica; e dove le montagne sono formate completamente da minerali utili, allora addirittura la demolisce, le asporta pezzo per pezzo, le spiana a poco a poco. Ci basterebbe fare una visitina alle più grandi cave italiane di marmo, quelle di Carrara, per accorgerci di questo: vedremo allora che intere parti di montagna non esistono più. I loro milioni e milioni di tonnellate di marmo sono distribuiti ormai in tutto il mondo, sotto forma di scalinate, colonne, statue, lastre di copertura, pavimenti, eccetera.

Il lavoro in montagna

Anche la montagna è fonte di vita per la sua gente, ma lassù, dove soltanto il salire e lo scendere è fatica, il lavoro è assai duro. Tra le rocce cristalline, che scintillano al sole, gli scalpellini lavorano nella cava di marmo. Potenti teleferiche trasportano i blocchi già tagliati verso il fondo valle. Molti montanari sono pastori; essi conducono il gregge al pascolo, tosano le pecore e con il latte fanno i caratteristici formaggi pecorini; altri fanno gli agricoltori, coltivando lo scarso terreno che si apre tra i boschi, sulle pendici dei monti e nelle vallate; altri ancora fanno i boscaioli, abbattendo gli alberi che fornivano legname per la costruzione di navi, di ponti, di mobili. Durante l’interminabile inverno di montagna, quando non è possibile uscire di casa, uomini, donne e spesso anche i ragazzi divengono artigiani; intagliano nel legno graziosi oggetti che venderanno poi ai turisti. Un rumore assordante rompe il silenzio dei monti: è l’acqua dei torrenti che scendono impetuosi a valle.  La forza delle loro acque viene spesso sfruttata per azionare i motori delle segherie. Molte volte questi torrenti si vedono sbarrato il passo da potenti dighe: le loro acque si espandono allora in un calmo lago e alimentano, più a valle, la centrale idroelettrica che produce luce ed energia per le città lontane.

Le frane

Boschi e foreste, che un tempo coprivano quasi tutta la terra, a poco a poco vennero distrutti dall’uomo, per dar luogo a coltivazioni di piante utili e per costruirvi case, paesi, città. Talvolta però l’uomo, spinto dal bisogno o dalla volontà di guadagno, ha tagliato troppo i boschi, lasciando interi pendii, dalle falde alla vetta, senza alberi. Allora si sono verificati guai seri, perchè la terra non era più tenuta salda dalle radici delle piante, durante le stagioni piovose, ha cominciato a precipitare a valle formando enormi frane che hanno travolto paesi e interrotto strade, con grande danno per il traffico e per gli abitanti.

Villaggio di montagna

Aggrappato al monte, ecco un villaggio composto di poche casette rustiche. I muri, in basso, sono fatti di pietra; in alto sono di legno; i tetti sono coperti di lastre di ardesia. Alle strette finestre spiccano i gerani; i palchi sotto i tetti sono pieni di legna per l’inverno e di fieno per il bestiame. Una chiesetta e un campanile vigilano sulle poche case e sulle vie deserte. Gli uomini e le donne sono al lavoro nei prati, nei boschi e nelle malghe. A sera, pochi montanari tornano al villaggio: la maggior parte rimane nelle baite. Solo la domenica i montanari discendono per la messa, e la chiesetta si riempie di canti e di preghiere. Il giorno dopo tutti ritornano al lavoro e il silenzio scende sul villaggio.

La malga

Tra i verdi pascoli d’alta montagna sorge un casolare lungo e basso, costruito in modo rudimentale con tronchi e pietre. E’ la malga, in cui trovano rifugio i mandriani. Vicino, una larga conca scavata nel terreno raccoglie l’acqua piovana per l’abbeveraggio delle mucche. Si ode lontano il tintinnio dei campanacci. La mandria è al pascolo e ritornerà solo verso l’imbrunire, per la mungitura. La malga è lontano da ogni centro abitato. Il latte, perciò, non può essere venduto. Dev’essere utilizzato subito. E i mandriani hanno il loro bel da fare. La panna abbondante e densa, scremata giorno per giorno, viene sbattuta a lungo nella zangola di legno, per produrre il burro. Il latte rimanente, con uno speciale procedimento, è fatto cagliare o coagulare. Separato dal siero, darà la caseina, dalla quale si ricava il formaggio. Come ultimo prodotto resterà la ricotta, che sarà messa a stagionare sul camino.

Gli innamorati della montagna

Le montagne, con la varietà dei loro paesaggi, offrono uno degli spettacoli più mirabili del creato. Il sole, specie all’alba e al tramonto, dipinge rocce e boschi, prati e picchi nevosi di splendidi colori. Molti, per questo, amano la montagna. Ricorda, tra gli altri, gli escursionisti che, zaino in spalla, affrontano lunghe marce per sentieri e tratturi; gli scalatori, che cercano pericolose vie tra le rocce; gli sciatori che, in inverno, volano sulla neve con gli sci.

I rifugi alpini

In molte zone di alta montagna sorgono i rifugi alpini, costruzioni adibite per il ricovero degli alpinisti che vogliono avventurarsi sulle cime più elevate. Un tempo, questi rifugi si raggiungevano con marce faticose di molte ore; oggi invece, molti di essi sono collegati ai paesi della valle con ardite e veloci funivie. Gli appassionati di sport invernali possono inoltre servirsi di seggiovie, che in pochi minuti portano ai campi di neve più alti.

I mezzi di trasporto

Sulle belle strade alpine e appenniniche corrono veloci corriere, automobili e motociclette. Quando la salita è troppo ripida per le ferrovie normali, si usano i treni a cremagliera, la cui locomotiva è munita di una ruota dentata che si ingrana in una rotaia supplementare. Spesso, per necessità di lavoro o per esigenze turistiche, si collega il fondo valle con località elevate per mezzo di teleferiche o di funivie: su grosse funi metalliche, tese tra un pilone e l’altro, scorrono carrelli per il trasporto di materiali o cabine per passeggeri. Tutte le principali località di montagna e i centri di villeggiatura estiva e invernale hanno inoltre seggiovie, slittovie, sciovie. Le seggiovie sono costituite essenzialmente di due funi metalliche a cui sono appesi seggiolini scorrevoli; nelle slittovie, un cavo tirante trascina le slitte che trasportano gli sciatori. Nelle sciovie, invece, ogni sciatore è collegato, per mezzo di un braccio metallico, a un rullo che scorre su una fune d’acciaio e lo trascina in salita.

La seggiovia

Un particolare tipo di funivia leggera è la seggiovia, chiamata così perchè appesi alla fune viaggiano seggiolini metallici, su cui siedono i viaggiatori. Le seggiovie sono molto diffuse nelle zone turistiche montane perchè risparmiano a sciatori, gitanti e alpinisti la fatica delle salite a piedi.

Le Alpi e gli Appennini

Le Alpi, che cingono l’Italia, formano un arco meraviglioso per la varietà delle sue forme. Ora elevano al cielo guglie acute, ora torreggiano con immense piramidi di ghiaccio, ora si presentano come un susseguirsi di creste capricciose. Pare quasi che siano state create apposta per stabilire i confini italiani e ripararci dai venti freddi del nord. Le acque e le foreste costituiscono le loro ricchezze principali. La loro bellezza richiama ogni anno milioni di turisti che cercano nella salubrità del loro clima il ristoro alle loro fatiche. Un’altra catena attraversa l’Italia in tutta la sua lunghezza e ne costituisce, per così dire, la spina dorsale. Meno elevati delle Alpi, gli Appennini non hanno ghiacciai, ed i fiumi che da essi discendono sono più brevi e meno ricchi di acque. Coperti un tempo da fitte foreste, sono oggi in gran parte brulli perchè l’uomo li ha purtroppo privati del loro verde mantello. Oggi si cerca di rimediare favorendo il rimboschimento, ma dovranno passare molti e molti anni prima che l’Appennino ritorni ad essere com’era un tempo.

Il ghiacciaio

Lassù, presso le alte cime dei monti, pendii rocciosi ricoperti di neve circondano la valle. Sul fondo, un fiume solido e bianco luccica come un grande specchio. E’ il ghiacciaio formato dalle nevi permanenti, quelle che neppure il sole d’agosto riesce a sciogliere completamente. Sembra fermo, invece scorre lentamente. La sua candida superficie è tutta increspata da onde ghiacciate. Ma il sole scotta, e il ghiacciaio, lungo i bordi e sulla superficie si liquefa, lentamente. L’acqua cola, scorre, penetra nella massa screpolata, si raccoglie sul fondo, o meglio sul letto del ghiacciaio. Qui continua il cammino nella sua galleria di cristallo, finchè non sbuca all’aperto. Così nascono i corsi d’acqua. Anche i fiumi più grandi hanno un’origine umilissima, una piccola sorgente sulla fronte di un ghiacciaio.

Il ghiacciaio

La neve cade abbondantissima sulle alte montagne, si raccoglie e si ammucchia in vaste conche di roccia; qui uno strato di neve comprime l’altro e tutta la massa gela e si trasforma in ghiaccio. Vi sono ghiacciai che si estendono per chilometri e chilometri. I ghiacciai terminano in un luogo detto bocca, dove il ghiaccio si scioglie e dà origine a cento, mille vene d’acqua, che precipitano verso la valle.

Il ghiacciaio

Immaginate un’ampia valle, cui fanno parete, dall’uno all’altro lato, rupi ignude, scoscese, talora a picco. Un maestoso fiume ne occupa tutto il fondo. E’ infatti un fiume di ghiaccio che scaturisce dagli immensi campi di neve eterna, le quali rivestono le eccelse vette e colmano i vasti altipiani delle Alpi. E sembra anche al vederle, che quelle nevi eterne, con perpetua onda, si riversano in quel fiume di ghiaccio e quel fiume scorre e solleva le sue onde simile a un torrente, quasi ad un mare in burrasca. Ma quel fiume sembra immobile; quelle onde sembrano sospese, cristallizzate: quel fiume è tutto di ghiaccio. (A. Stoppani)

La leggenda della neve rossa (leggenda valdostana)

Se andate un giorno sul monte Rosa, il vostro sguardo rimarrà abbagliato dall’immensa distesa candida e scintillante del ghiacciaio.

La leggenda racconta che, nel tempo dei tempi, a quelle altitudini eccelse, il clima era molto più mite e là dove ora si distendono i gelidi ghiacciai erano verdi praterie e folte foreste di abeti. E in mezzo vi sorgeva una città prosperosa e popolosa.

Purtroppo, però, i denari accumulati a poco a poco avevano reso cattivi e avari gli abitanti di questa città, i quali vivevano nel loro egoismo senza alcun timore di Dio. Ma Dio, che tutto vede e tutto sa, non tardò a punirli.

Una sera d’ottobre giunse in questa città un vecchio viandante. Appariva esausto per la fatica e la fame. Ma invano egli bussò a una porta dopo l’altra, chiedendo cibo e ricovero: tutti lo respinsero con male parole.

Allora, a un tratto, il vecchio si drizzò minaccioso e apparve gigantesco e terribile, eretto, sull’alta persona. Protese il braccio e gridò: – Stanotte  nevicherà, domani nevicherà, per giorni e giorni nevicherà: la città maledetta perirà. –

Gli abitanti, chiusi nelle loro case, udirono quella voce rimbombare nella tenebra e furono scossi da un brivido, ma poi alzarono le spalle e cercarono di dimenticare il funesto presagio bevendo, tra risa di scherno.

Intanto il vecchio era scomparso. Ed era cominciato a nevicare. Ma non neve bianca, bensì neve rossa, d’un cupo vermiglio, come il sangue. Essa cadde tutta la notte e tutto il giorno seguente, e per molti molti giorni ancora, fitta, lenta, inesorabile. Nessuno osava uscire dalle case e la neve saliva, saliva, saliva, sommergendo le dimore e gli uomini, i campi e i boschi, implacabilmente, come implacabili erano stati quei malvagi verso il vecchio viandante.

Quando la rossa nevicata cessò, della città non v’era più traccia: al suo posto, da allora, si estende un immenso ghiacciaio.

E talvolta, al tramonto, sul ghiacciaio, si scorgono ancora sinistri bagliori, come di sangue… (M. Tebaldi Chiesa)

Una gita in montagna

Gabriella e il babbo salirono su una corriera. Dapprima percorsero un breve tratto a fondo valle, poi infilarono una strada che con forte pendenza saliva verso l’alto fra boschi di castagni. Qui la vegetazione cambiò: la strada si inerpicava fra selve di abeti e di larici e l’aria era profumata di resina.

– Siamo a mille metri! – esclamò il babbo, quando apparvero le casette del villaggio dove avrebbero trascorso le loro vacanze. L’indomani Gabriella fece col babbo la sua prima escursione. Una funivia li portò rapidamente in alto. Gli abeti a poco a poco andarono diradandosi e facendosi sempre più piccini, poi apparvero in tutta la loro bellezza i prati verdeggianti su cui pascolavano mandrie di mucche. Giungevano fino a loro i  muggiti delle pacifiche bestie intente a brucare l’erba profumata della montagna. Qua e là, disseminate sui pendii, si scorgevano le baite che ospitano pastori e bestiame durante la stagione dell’alpeggio. Infine anche i pascoli scomparvero. La funivia sorvolava ora una zona di alte rocce, le cui sommità, simili a guglie, si stagliavano solenni nell’azzurro del cielo. Un ultimo balzo, ed eccoli alla stazione d’arrivo. Di lassù appariva in tutta la sua bellezza la cerchia delle Alpi, le cui candide vette erano coperte di neve. Davanti a loro, tra rocce enormi, si stendeva un ghiacciaio.

– Sembra un fiume di ghiaccio – osservò Gabriella.

– Ed è proprio un fiume che scende lento lento verso il fondovalle – le rispose il babbo.

– Un fiume di ghiaccio? E’ mai possibile? – osservò Gabriella, la quale aveva ancora negli occhi la visione del fiume le cui acque correvano impetuose verso la pianura.

– Sì, proprio un fiume, – ripetè il babbo. – Quel ghiaccio, che ti appare fermo ed immobile, in realtà scende verso la valle assai lentamente, ma scende. E quando è giunto in basso il ghiaccio si scioglie e diventa acqua, che alimenta le sorgenti dei fiumi –

– Sicchè tutto questo ghiaccio…-

– E’ destinato a tramutarsi nell’acqua dei fiumi che porteranno alla lontana pianura i benefici dell’irrigazione. Ma prima che avvenga ciò, questi ghiacciai, che tu vedi scintillare al sole, alimenteranno con l’acqua da essi prodotta le numerose centrali elettriche che l’uomo ha costruito sulle montagne –

– E in che modo? –

– Più in basso gli uomini hanno creato dei laghi artificiali chiudendo con una diga una valle nel punto in cui questa si presentava più stretta. L’acqua così raccolta viene incanalata in giganteschi tubi che la portano alle turbine, destinate ad azionare le dinamo, che sono macchine capaci di produrre l’energia elettrica. Tutta l’elettricità, che mette in moto i treni e le macchine degli opifici, che illumina le vie e dà luce alle nostre case nasce qui, su questi monti, per merito dell’acqua che giustamente è stata chiamata “carbone bianco”. –

Come si forma un ghiacciaio

Il ghiacciaio si forma nel “bacino collettore”; si chiama in questo modo la zona alta di una montagna dove si raccoglie ogni anno una enorme massa di neve, più di quanta se ne scioglie durante l’estate. Perciò un bacino collettore si trova sempre sopra il limite delle nevi perenni. Generalmente esso ha proprio la forma di un bacino, cioè è circondato da alte e ripide pareti rocciose; la neve che si deposita su queste e che poi, sotto forma di valanghe e slavine, precipita nel bacino, contribuisce anch’essa ad aumentare la ricchezza del deposito che alimenta il ghiacciaio. Qualche volta il bacino ha invece la forma di una grande cupola; questo è il caso del Monte Bianco. E’ nel bacino che la neve, man mano che viene sottoposta alla pressione degli strati più recenti, si trasforma prima in ghiaccio granuloso, poi in ghiaccio compatto, di colore quasi azzurro.

Il bacino collettore, quindi, non è che il grande magazzino di raccolta che continuamente rifornisce il ghiacciaio di nuovo materiale. Un bacino, infatti, presenta sempre uno o più sbocchi aperti verso il basso; da questi defluirà la bianca massa ghiacciata come una pasta che si versi dal bordo di una marmitta inclinata. Colerà per primo, dallo sbocco, il ghiaccio degli strati più profondi, spinto dall’enorme perso degli strati superiori; e via via, uno sull’altro, lentamente ma ininterrottamente, tutti gli strati di neve depositatisi di anno in anno nel bacino e trasformatisi in ghiaccio scenderanno verso il basso: così si forma il ghiacciaio.

I ghiacciai si muovono

Il ghiacciaio è dunque un gran fiume solido, di ghiaccio, che scende verso il basso. Man mano che scende incontra una temperatura più mite e si scioglie formando torrentelli e cascatelle. Ad un certo punto, bruscamente, il ghiacciaio termina, dando origine ad un impetuoso torrente. Costantemente i ghiacciai depositano alla loro estremità, oltre ai corpi di vittime di sciagure alpinistiche, oggetti come piccozze, zaini, corde, smarriti da alpinisti, e un’enorme quantità di massi e detriti rocciosi.

Tutto questo materiale era rimasto sul ghiacciaio o caduto in un suo crepaccio, in un punto qualsiasi del suo corso, anche molto vicino all’origine; ma, lentamente, la massa gelata è scesa verso il basso trasportando a valle il materiale incluso. Giunto al punto del disgelo, il ghiaccio restituisce alla luce quanto teneva racchiuso.

Possiamo così constatare che il ghiacciaio cammina costantemente verso il basso e che la maggiore velocità di discesa si ha nella zona centrale. Ai margini il movimento è più lento a causa dell’attrito delle pareti rocciose.

La velocità di discesa non è la stessa per tutti i ghiacciai. Quelli alpini hanno, in media, la velocità di 35 metri l’anno, cioè circa 10 centimetri il giorno; ma il ghiacciaio svizzero dell’Alètsch, che coi suoi 26 chilometri è il più lungo ghiacciaio delle Alpi, scende alla velocità di circa mezzo metro il giorno. Il ghiacciaio Baltoro, nel Karakorum, in Asia, si muove alla velocità di 600 – 700 metri annui e alcuni ghiacciai della Groenlandia scendono di 4 – 5 chilometri l’anno, cioè più di dieci metri il giorno.

Vocabolario

Circo: è una cavità circolare, un enorme catino scavato nella roccia della montagna da un ghiacciaio, che poi è scomparso.

Conca: è una grande cavità nel terreno a forma circolare oppure di ellissi, con i pendii poco inclinati.

Dosso: è una montagna o una parte di una montagna fatta a cupolone. Non è mai molto alta e può essere anche erbosa.

Forra: è una gola profonda fra pareti rocciose. Di solito è stata scavata da un torrente.

Ghiacciaio: è un’enorme massa di ghiaccio che si forma al di sopra del limite delle nevi persistenti in una conca dove si raccolgono le nevi (bacino collettore di raccolta); scende con una lingua fino al punto in cui si arresta (fronte del ghiacciaio) perchè il ghiaccio fonde e forma un torrente.

Gola: è una valle stretta e profonda, con le pareti ripide.

Gradino: è il salto formato da una ripida parete che interrompe una estensione di terreno piano o in lieve declivio: è proprio, insomma, come un grande gradino.

Morena: è un ammasso di ciottoli, detriti, massi, terra che il ghiacciaio raccoglie lungo il suo corso, trasporta a valle e ammucchia. Vi sono morene enormi, come la Serra, vicino a Ivrea, lunga più di 25 chilometri!

Nevaio: è un ammasso di neve che si accumula, spesso spinta dal vento, in luoghi riparati. Non si scioglie completamente nemmeno in estate. Invecchiando, la neve diventa granulosa e tende a trasformarsi in ghiaccio.

Valico: E’ un passaggio abbastanza basso che permette di attraversare una barriera montuosa. Un valico o passo, di solito, si chiama colle quando è a grande altezza; sella quando ha la forma di una piccola valle.

Monti d’Italia
Monti giganteschi, nevosi e scintillanti al sole, con le cime avvolte da nubi, dirupi solcati da ghiacciai e flagellati dalla tempesta, balze scoscese, cupi burroni precipitosi, massi, sassi e ciottoli, e ghiaieti alle falde. Foreste di castagni e di faggi, di larici e di pini, vestono questi monti, poi cespi di rododendri ed erbe dal cortissimo stelo, e muschi e licheni che di varie tinte, brune, argentine, dorate, coronano le rocce. Urla il lupo fra quelle foreste, s’appiatta l’orso e corre, presso la neve, nel suo manto invernale, il candidissimo ermellino, e ronzano insetti. (M. Lessona)

LA MONTAGNA materiale didattico vario. Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL MARE poesie e filastrocche

IL MARE poesie e filastrocche di autori vari per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

L’onda
Scherzosa, spumosa, gioconda,
tu mormori e corri, lieve onda,
con mille e poi mille sorelle,
che danzano e ridon fra loro
nel bacio del bel sole d’oro
e sotto la luna e le stelle.
Tu fai dondolare la candida
e fragile vela per gioco,
la culli col canto tuo fioco,
pian piano,
e intanto la porti lontano,
lontano.
Eppoi ti trastulli felice
coi bimbi: li spruzzi, li arruffi
se fra le tue braccia si tuffano;
con loro discorri. Che dice
la voce tua blanda e ridente
in note sì chiare?
I bimbi l’intendono:
la viva lor gioia lo sente
che sei come loro gioconda,
scherzosa, serena, live onda
del mare. (Gentucca)

I giardini del mare
Chi li ha visti i giardini del mare
dove ogni cosa un gioiello pare?
In una luce di seta verdina
un popolo cammina
assorto, silenzioso,
ospite d’un mondo prezioso.
C’è un prato d’alghe: lentamente oscilla;
rupe muscosa scintilla:
fra i rami di corolla
guizzano pesci vestiti di giallo,
sogliole d’argento…
E le seppie dal passo sonnolento
vanno con le lamprede
in cerca di facili prede;
dagli antri dove dormon le sirene
escon le murene
e la medusa che danzando sciacqua
la veste color d’acqua…
Nella luce di seta verdina
così un popolo vive e cammina:
assorto, silenzioso,
ospite d’un mondo prezioso.
Più in fondo è il regno del nero
e vi alberga il mistero. (Mario Pucci)

IL MARE poesie e filastrocche Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

LA COLLINA materiale didattico vario

LA COLLINA materiale didattico vario – dettati ortografici, racconti, testi brevi, di autori vari, per la scuola primaria.

La collina

Le montagne, di solito, non si elevano a picco dalla pianura, ma sono precedute da modeste alture, le colline, dalle cime tondeggianti e dai dolci declivi. Esse non superano i 600 metri sopra il livello del mare; quando si elevano oltre i 600 e gli 800 metri si chiamano colli.

La strada che porta in collina sale con larghi tornanti tra ulivi e vigneti; lungo le strisce di terra pianeggiante che i contadini hanno ricavato dopo lungo e faticoso lavoro, e sui fianchi soleggiati e asciutti, sono coltivati gli ortaggi, gli alberi da frutta, il granoturco.

Fitti boschi di castagni e di noci coprono generalmente il versante non soleggiato, umido e ombroso, rotto qua e là da profondi burroni scavati dall’acqua piovana.

Le piogge che scorrono sui fianchi delle colline smuovono il terreno causando frane e burroni. L’uomo per impedire ciò costruisce muretti ed opere di sostegno.

E’ difficile irrigare le coltivazioni in collina perchè l’acqua scorre nel piano o  in profondità. L’uomo perciò costruisce serbatoi e condotti.

Sulle colline, oggi, si fabbricano di preferenza case e villette nelle quali l’uomo ritrova la quiete e l’aria pura, ormai scomparse nelle grandi città.

Quadretto

Sulla cima del colle, tra boschetti di lauri, la casa sorge splendente nel rosso tramonto. Dietro ha il monte ripido; e sul monte una fila di cipressi gracili e austeri dentellano del loro verde cupo l’orizzonte. Più dietro è una torre o un castello. Il sole calante batte nelle vetrate del piano superiore della casa che paiono incendiarsi come il riflesso di uno scudo incantato. (G. Carducci)

Origine delle colline

Ci sono colline nate dall’accumularsi di materiale strappato alle montagne, ma ve ne sono anche di sorte come per incanto dalla terra, sotto forma di vulcani.

Naturalmente Questo è accaduto molti millenni or sono. I vulcani poi si sono spenti, e il loro cratere si è adagio adagio riempito di terra.

Oggi è difficile distinguere le une dalle altre.

 I doni delle colline

Le colline sono generose nel ripagare le fatiche degli agricoltori. I pendii esposti al sole producono, come in pianura, cereali di ottima qualità, e poi ortaggi, agrumi, fiori.

A primavera la collina sembra un paesaggio di sogno, avvolta com’è dalla fioritura rosea e bianca dei suoi frutteti, che daranno poi ciliegie dal delizioso sapore, pesche vellutate, pere, mele, albicocche, e tanti altri frutti. Molti sono anche i vigneti, dalle basse viti a spalliera, che donano uva dolce, e gli oliveti dagli alberi centenari.

Sui pendii poco soleggiati crescono boschi di querce, di castagni e di noccioli. In questi boschi si raccolgono fragole dolcissime e funghi mangerecci, mughetti e narcisi dall’acuto profumo.

L’oliveto

Anche l’oliveto ha bisogno di sole. La terra, intorno agli olivi, è piuttosto arida. Il raccolto delle olive si fa ogni anno, ma è abbondante solo ogni due anni. In autunno, in alcuni paesi, si  lascia che le olive, nere e mature, cadano a terra da sè e poi si raccolgono dal suolo. In altri paesi, invece, si fanno cadere dai rami scuotendoli con lunghe pertiche.

Il castagneto

Ogni anno, in autunno, il castagneto viene invaso dai bacchiatori che portano scale e lunghe pertiche. I castagni, che sono vecchi anche di centinaia di anni, sopportano tutto con la pazienza dei nonni. Forse sanno di far felici soprattutto i bambini allorchè le castagne, tolte dai ricci spinosi, saranno lessate o arrostite.

La cisterna

L’acqua piovana in collina è preziosa e viene conservata. Dalla grondaia è avviata, per mezzo di docce, nella cisterna. Naturalmente l’acqua della cisterna non è potabile. Serve per abbeverare gli animali, oppure, dopo un’accurata bollitura, per le necessità di cucina. L’acqua potabile invece si ricava dai pozzi.

Il terrazzamento

Una volta i colli che oggi vediamo ricchi di ville e di paesi, di campi e di vigne, erano incolti. Le acque piovane corrodevano il terreno, che in molte zone diveniva brullo e coperto di pietrame.

Per coltivare in collina, l’uomo dovette diboscare o levare a una a una le pietre che coprivano il terreno. Con queste costruì dei muri a secco, cioè senza cementare le pietre con la malta, per permettere alla pioggia di scorrere via tra una pietra e l’altra. Poi riempì lo spazio tra il muro e la china del colle con terra buona, che portò su dal piano con gerle, cesti e canestri. Alla fine il contadino seminò erbe e piantò viti ed olivi; così le piante, con le loro radici, trattennero la terra.

Ancora oggi i muretti devono essere sorvegliati, perchè possono cedere in qualche punto sotto l’azione di una pioggia a dirotto o per un’improvvisa frana del terreno sottostante. In questi casi il contadino, con paziente lavoro, deve rafforzare e riassettare i muretti nei punti pericolanti.

Sistemazione dei pendii collinari

Il terrazzamento consente di coltivare anche i  pendii molto ripidi. Consiste nel trasformare il pendio collinare in ripiani orizzontali, sostenuti da muretti.

Il girapoggio è una sistemazione del terreno adatta alle colline pendenti uniformemente. Consiste nello scavo di fosse orizzontali intorno alla collina per impedire alle acque di scorrere da cima a fondo.

La spina è una sistemazione del terreno che consente di ottenere apprezzamenti di una certa regolarità. Consiste nello scavare sul pendio collinare dei canaletti disposti a spina di pesce.

Colline italiane

In Italia, vi sono territori assai estesi occupati completamente da colline. E su queste colline prosperano vigneti e oliveti. Le colline italiane più note sono quelle del Monferrato e delle Langhe, in Piemonte, le colline della Toscana, del Veneto e del Lazio.

Su alcune colline si vedono i resti dei castelli medioevali e, qua e là, borgate e paesini, tutti stretti attorno alla lor chiesa. Ci sono anche delle città che si stendono sulla collina, occupando la sommità e buona parte dei declivi.

La casa in collina

Non sempre si vive bene in pianura. Anzi, specie nei tempi antichi, quando i fiumi, non ben arginati, allagavano spesso il piano trasformandolo in palude, gli uomini preferivano costruire le loro abitazioni sulle alture. Quando poi si voleva erigere un castello, si sceglieva la cima di un colle; in tal modo era possibile vigilare per un buon tratto i dintorni, evitando così le sgradevoli sorprese di un attacco nemico. Attorno al castello, in seguito, sorgevano le case dei contadini, la chiesa e il piccolo cimitero. Così son nati quasi tutti i paesi collinari d’Italia.

Altre ragioni hanno spinto l’uomo a costruire la propria casa in collina: ad esempio, la vicinanza dei terreni da coltivare permette all’agricoltore un notevole risparmio di tempo e di fatica. In mezzo agli uliveti ed ai vigneti, alla sommità di una serie di terrazze, c’è la fattoria, non molto dissimile da quella di pianura: spesso ha il frantoio per l’olio; sempre le capaci cantine odoranti di mosto. Presso ogni cascinale c’è un profondo pozzo dal quale si estrae l’acqua necessaria ad irrigare i campi e ad abbeverare il bestiame.

Il turismo

Molti sono i villeggianti che vanno a trascorrere l’estate sulle colline fresche di ombre, e molti soggiornano, in tutte le stagioni, nei pressi delle zone collinose presso il mare o i laghi, perchè il clima è costantemente mite. Assai sviluppata è quindi l’industria alberghiera, che dà lavoro a molti abitanti del luogo.

La collina

Sui campi bassi del frumento si allineano i gelsi e innalzano vaghe cupole verdi; pinete pervase dal sole qua e là segnano la linea dei colli; gli oliveti salgono le pendici col fluttuare del loro bigio argenteo. Ma su tutto dominano le vigne, tappeti alti, chiari a primavera e cupi nell’estate, tesi giù per il dorso delle colline, a coprire la dura, smorta argilla, e a preparare la festa del vino. Bianchi e lieti fra tanta ricchezza, si scoprono i paesi… (G. Fanciulli)

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ABRUZZO materiale didattico vario

ABRUZZO materiale didattico vario – una raccolta di dettati ortografici e letture sull’Abruzzo, di autori vari, per la scuola primaria.

L’Abruzzo

Quando, in inverno, nevica sugli alti monti dell’Abruzzo, il viaggiatore, l’alpinista che li osservi, ha la netta impressione di trovarsi fra le Alpi: le catene sono imponenti, le cime aspre, rocciose, aguzze come quelle alpine. Ma se si guada attorno si vede vicino gli alberi di olivo. Così è fatto l’Abruzzo: una delle regioni più elevate  e montuose del nostro paese, con le cime che si avvicinano ai tremila metri, aspre, tormentate; ma ai piedi delle pareti rocciose cresce l’ulivo e si estendono pascoli verdissimi.

Abruzzo: sguardo d’insieme
E’ la regione nella quale l’Appennino si impone con le cime più elevate e solenni; esso occupa la maggior parte del territorio fino alla riva adriatica, ma ha caratteristiche nettamente diverse nell’interno e nel settore costiero.
E’ proprio nella parte più interna, sino ai confini con il Lazio, che l’Appennino ha il suo sviluppo più notevole: non presenta catene ordinate, ma piuttosto rilievi raggruppati attorno alle vette più alte, separati da larghi avvallamenti nei quali si raccoglie fitta la popolazione.
Questi gruppi montuosi appaiono solitamente brulli, battuti nell’inverno da violente bufere di neve, poveri di acque, che filtrano in profondità negli  strati calcarei e zampillano in ricche sorgenti al piede delle montagne; gole profonde e anguste, talora intransitabili, rompono l’uniformità dei dossi.
I gruppi montuosi si dispongono, grosso modo, su tre linee successive: ai confini settentrionali con il Lazio si individuano i monti della Laga; ad ovest i monti Simbruini e i  monti della Meta stanno a cavallo tra Lazio e Abruzzo.
In tutta evidenza, nel cuore della regione, sono i massicci del Gran Sasso (con l’alta vetta del Monte Corno) e della Maiella, che raggiunge il culmine nel Monte Amaro, i monti del Morrone e le alte cime del Velino e del Sirente. Il Gran Sasso, guardato nel suo profilo solenne, appare come una cresta i cui denti hanno nome di Corno Grande, Corno Piccolo, Monte Camicia, Monte Prena, e superano tutti i 2500 metri. Ha pareti scoscese, di tono bianco – grigio, ai piedi delle quali si estendono cumuli di detriti franati dall’alto. La valle in cui si insinua il fiume Pescara separa il Gran Sasso dalla Maiella; questo massiccio cede di poco, con le sue vette più alte, al contrapposto Gran Sasso. E’ un rilievo tormentato: nei punti più alti, oltre i 2500 metri, si trovano improvvisi pianori dolcemente ondulati e, d’un tratto, profonde spaccature, valli di aspetto selvaggio.
Tra il gruppo dei Simbruini e le vette dei ricordati Velino e Sirente si estende la Conca del Fucino, un antico lago più vasto di quello di Como, del tutto prosciugato, razionalmente irrigato e destinato a ricche coltivazioni. Ancora tra il Velino, il Sirente e i massicci del Gran Sasso e della Maiella è la lunga conca dell’Aquila che, per la strozzatura della valle di San Venazio, comunica con la conca di Sulmona; ambedue sono bene irrigate e molto produttive.
L’Abruzzo esterno, quello affacciato al mare, è ancora montuoso, ma l’Appennino dà segni di stanchezza e ripete il disegno proprio dell’Appennino Emiliano e Marchigiano: basse catene, pressochè perpendicolari alla costa, orlate all’estremità di colline; negli avvallamenti corrono i fiumi (i principali sono il Tronto, il Pescara e il Sangro); la maggior parte di essi ha un corso longitudinale attraverso gli alti rilievi dell’interno, in valli anguste e scoscese, e prende poi la direzione trasversale tra le catene costiere; sono fiumi abbastanza ricchi, alimentati dalle sorgenti dell’Appennino; alcuni di essi hanno notevoli magre estive che riducono il loro corso ad esili fili d’acqua.
La costa, incalzata da presso dai rilievi montuosi e collinari, presenta una breve striscia uniforme e sabbiosa, priva di insenature e di porti; così esile da permettere appena, in alcuni tratti, il passaggio della strada e della ferrovia.

I monti
La regione è occupata in gran parte dalla montagna; appare evidente la distinzione in un Abruzzo interno, il più montuoso, e in un Abruzzo esterno in cui l’Appennino si abbassa, declina in colline, si dispone in brevi catene perpendicolari alla costa. Nell’Abruzzo interno, intervallati da ampie conche, si individuano grossi gruppi montuosi: i monti della Laga, i Simbruini, i monti della Meta; più ad est sono i massicci del Gran Sasso l’Italia (Monte Corno, m 2914) e della Maiella (monte Amaro, m 2795), i monti del Morrone, le cime del Velino (m 2487) e del Sirente (m 2349).
Vasta conca verde fra gli alti monti è quella del Fucino.
Estese sono le valli dell’Aquila e di Sulmona.

I fiumi
I fiumi dell’Abruzzo attingono a generose sorgenti appenniniche, tuttavia hanno notevoli variazioni di portata nei diversi mesi dell’anno.
Il Tronto nasce sui monti della Laga, attraversa un tratto del Lazio, un tratto delle Marche e segna il confine tra questa regione e l’Abruzzo: è lungo 93 chilometri.
Dai monti della Laga nasce anche l’Aterno, il quale è arricchito nel suo alto corso da numerosi affluenti. Nel tratto inferiore assume il nome di Pescara, riceve altri affluenti e sbocca nell’Adriatico dopo 145 chilometri; la sua foce è stata trasformata in portocanale.
Il Sangro nasce nei monti che si affacciano alla conca del Fucino, attraversa la regione e sfocia nell’Adriatico dopo 117 chilometri.

Lungo il litorale
Il breve tratto della provincia di Pescara affacciato all’Adriatico non è più l’arenile selvatico dove si arenavano le paranze e dove l’Adriatico restituiva gli avanzi dei naufragi: oggi è almeno per metà trasformato in spiaggia per famiglie, lungo la quale gli stabilimenti si succedono agli stabilimenti, i ristoranti ai ristoranti: sa essi esce l’odore del fritto, misto al fracasso della televisione, all’urlio della radio…
Ma appena fuori dalla zona balneare, al di là delle incastellature del porto, che non è più soltanto un porto peschereccio, ma un porto industriale, le greggi pascolano ancora presso la battigia dove alla sabbia si mischiano certe magre erbette di sapore salmastro; ed è un pezzo d’Abruzzo antico che si innesta su un Abruzzo rinnovato ed operoso che, senza nemmeno saperlo, ritrova nelle sue antiche virtù la forza e il vigore per la rinascita. (A. Zorzi)

Il gruppo del Gran Sasso
Da Teramo, raccolta in una conca verde, il Gran Sasso si vede più vicino che da ogni altra città abruzzese. Nelle giornate limpide è lì, quasi a ridosso; brullo, ferrigno, corso da rughe di canaloni. Ma l’inverno è un’enorme, altissima, bianca muraglia; con le teste coronate di nuvole. Da ragazzo io lo vedevo andando all’Aquila. S’arrivava all’Aquila verso mezzogiorno, le campane delle molte chiese suonavano a gloria. E pareva che quel suono di gloria, navigante nel libero spazio, spingesse le nuvole che scendevano aeree mongolfiere bianche e oro, dal Gran Sasso verso i monti della Sabina. E il Gran Sasso, come si saliva verso la città, si mostrava lassù lontanissimo, con la sua ardita punta stagliata verso il cielo; il Corno Grande, ferrigno d’estate, candido d’inverno. E io guardavo se il Gran Sasso avesse le brache o il cappello, se cioè la neve fosse alle falde o sulla cima e indicasse perciò un lungo o corto inverno. Ma si era di primo autunno, e il Monte Corno aveva un colore bronzeo che la distanza velava d’una lieve tinta violetta. Dall’altra parte si scorgeva il Sirente proteso come un’enorme selce aguzza sul nero delle boscaglie, coi canaloni biancheggianti come quelli del Gran Sasso. E laggiù alle nostre spalle tra le lievitanti brume violacee, il massiccio lontano della Maiella, la montagna madre della gente d’Abruzzo . (G. Titta Rosa)

Il Parco Nazionale d’Abruzzo
Amato poco dai pastori, che vedono ridursi i pascoli, contenente ancora fino a poco tempo fa alcuni carbonai sperduti in condizioni quasi primitive, il Parco Nazionale è una delle grandi speranze turistiche del centro Italia. Nato, come anche quello del Gran Paradiso, sul luogo di una riserva reale di caccia per iniziativa privata, questo meraviglioso parco si allunga ai confini del Lazio, e infatti travalica sia nel Lazio sia nel Molise, coprendo un territorio di 300 chilometri quadrati appartenente a diciassette comuni.
Quasi interamente posto sopra i mille metri di altezza, è rinchiuso tra catene impervie che sorgono dai faggeti. Il viaggiatore pigro può farsene una mezza idea percorrendone il fondo valle, lungo il corso del Sangro. Ma i parchi nazionali, per il loro stesso proposito di conservare aspetti di natura selvaggia, sottraggono allo sguardo dei pigri i loro segreti. La mancanza di strade fino ad epoche recenti e la scarsa popolazione hanno salvato i boschi e gli animali altrove distrutti. Risalire le valli secondarie vuol dire dunque ritrovarsi in un’Italia più che antica, remota. Nel nostro Mezzogiorno la natura alpina prede un rigoglio che non può avere a nord; gli stessi alberi delle Alpi diventano qui più  fitti ed intricati così da sbarrare il passo; tali questi immensi faggeti, dove il verde si alterna al rosso, e che conservano sotto le foglie vive una coltre perenne di foglie morte di colore purpureo. I faggeti si arrestano contro le pareti di roccia, e non appena ci si libera dalla foresta ci si trova a ridosso delle cime, tra cui spiccano le catene del Marsicano e del Meta… Nel Parco è Pescasseroli, oggi centro alberghiero come altri borghi della zona, e destinato a diventare un centro alberghiero più grande…
Un piacere di Pescasseroli, che è sede della Direzione del Parco, è discorrere con le guardie… Questi uomini che fanno a piedi una ventina di chilometri al giorno sono i depositari dei segreti del Parco, il quale, oltre agli animali dei quali diremo tra poco, contiene martore, faine, volpi, gatti selvatici, tassi, aquile reali, gufi e forse galli di montagna. Qui si sono raccolti gli ultimi discendenti dell’orso marsicano, diverso da tutti gli orsi del mondo… Si è ritirato in questa cittadella, e la difesa della legge gli consente di conservare la propria rarità di esemplare unico… Secondo i calcoli prudenti vi erano negli anni ’70 del novecento una settantina di orsi rintanati nelle alte forre; animali pacifici, carnivori per eccezione, e così moderati che non spingano mai le loro orge sanguinarie più in là di una sola pecora. Pressapoco dello stesso numero erano anche i camosci, anch’essi diversi da tutti gli altri camosci della terra, esemplari appenninici dissimili da quelli alpini, dai quali si distinguono anche per le corna più lunghe. Pochi invece i caprioli…
Nocivi, e perciò da uccidere, sono considerati da sempre i lupi, animali nomadi, insieme con le volpi, e tutti nemici dei giovani orsi e camosci, delle pecore e delle capre. E’ difficile che i viaggiatori, come me, di passaggio, che non si internano tra foreste e spelonche, vedano in libertà orsi, lupi e camosci; essi devono accontentarsi di accostarne qualcuno cresciuto in cattività presso la Direzione, o gli esemplari imbalsamati nel museo.
La vita delle guardie non è drammatica come quella del Gran Paradiso, dove si svolge una battaglia perpetua tra la legge e i contrabbandieri; si passerebbero però giornate intere ad udirne i racconti. Quello ad esempio della lotta tra l’orso e il lupo, testimoniata dalle tracce rimaste sulla neve, ciuffi di peli di orso misti alla bava. Ma non peli di lupo: segno che, benchè più forte, l’orso non poteva azzannare il suo più agile avversario. Si impara qui che la faina, esile come un verme, ed appuntita come un trapano, uccide la volpe afferrandola al capo coi dentini aguzzi; e che la martora, presa nella tagliola sulla neve, se ne libera spesso recidendo la zampa con i suoi stessi denti, forse senza soffrire, perchè la zampa è anestetizzata dalla stretta e dal freddo. Perciò nel museo si vedono esemplari di martore con la zampina monca… (G. Piovene)

La conca del Fucino
Proprio nel cuore della regione montuosa dell’Italia Centrale si stende una ampia, fertile pianura. All’intorno essa è chiusa da alti monti calcarei di color grigio chiaro, culminanti a quasi 2500 metri nel Velino. In contrasto con queste alture inospitali, che fino a primavera inoltrata portano un bianco mantello di neve, sta la ridente pianura, alla quale danno un’impronta di fertilità campi, prati, gruppi d’alberi e lunghe file di alti pioppi.
Ma fino ad un secolo fa il bacino offriva tutt’altro aspetto, poichè esso era occupato da uno specchio d’acqua, il lago Fucino, che per grandezza appariva il terzo lago d’Italia.
Esso non era alimentato da corsi d’acqua importanti, nè da sorgenti, ma invece soprattutto dalle acque di pioggia, per cui, essendo queste irregolarmente distribuite nel corso dell’anno, il livello risultava variabile. E’ facile comprendere come questi dislivelli fossero dannosi per gli abitanti e per le colture, tanto più che nelle zone abbandonate temporaneamente dalle acque si spigionavano delle pericolose febbri.
In antico già l’imperatore Claudio si era interessato del prosciugamento del lago. Egli ordinò lo scavo di una galleria sotterranea, che avrebbe portato le acque nel Liri, non lontano dal luogo dove si trova ora il villaggio di Capistrello. E nell’anno 52 dC la galleria, che è uno dei maggiori lavori dell’antichità, risultando lunga quasi sei chilometri, venne ultimata. Sopravvenute le invasioni barbariche, il lago prese di nuovo possesso del suo antico fondo e i tentativi di rimettere in efficienza il canale sotterraneo rimasero senza esito.
Nel 1800, poichè lo Stato, a quel tempo il Regno di Napoli, non era in grado di disporre delle somme necessarie a lavori di prosciugamento, un audace milionario romano, il banchiere Alessandro Torlonia, si fece iniziatore del progetto a spese proprie, a condizione che il fondo del lago, una volta liberato dalle acque, diventasse di sua proprietà. Sa allora il suo motto divenne: “O io asciugo il Fucino, o il Fucino asciuga me”.
I lavori ebbero inizio nel 1854 sotto la direzione di un ingegnere svizzero. Le difficoltà da superare erano molteplici, anche perchè allora le condizioni della viabilità erano tutt’altro che buone. Nel 1862 la costruzione del nuovo canale veniva ultimata, ma solo nel 1875 si ebbe, dopo ottenuti due nuovi abbassamenti del livello, il prosciugamento totale, che causò la morte di migliaia di pesci. Oltre ad un canale centrale rettilineo, per evitare la sommersione della parte più depressa, vennero scavati circa 300 chilometri di canali secondari, uno dei quali cinge il bacino alla sua periferia, raccogliendo le acque dei torrenti che scendono dai monti vicini. L’audace banchiere riuscì così a trionfare d’ogni difficoltà e come riconoscimento venne nominato Principe del Fucino.
Oggi, quello che era un tempo il fondo pianeggiante del lago costituisce col suo fertile terreno la più vasta zona coltivata dell’Abruzzo. Dove un tempo gettavano le reti duecento pescatori, arano alcune migliaia di agricoltori. In mezzo ai frutteti si estendono campi di cereali, di patate, di ortaggi. Vaste zone sono piantate a vite e un quinto della superficie è coltivata a barbabietole. (K. Hassert)

Flora e fauna
I tiepidi venti dell’Ovest non riescono a passare l’Appennino e a portare il loro benefico influsso nell’altro versante; per questo, nelle montagne abruzzesi, fa freddo e le precipitazioni sono abbondanti; nella zona costiera, invece, il clima è migliore: il mare mitiga i calori estivi e il freddo invernale.
La flora delle alte montagne ricorda quella delle Alpi. Sopra i duemila metri vi sono prati, spesso con erbe medicinali ed aromatiche. Subito sotto incominciano i boschi: pini, faggi e, più basso, le querce. Nella zona adriatica vengono coltivati l’olivo e la vite; fino ai mille metri vive il castagno. Peschi e mandorli abbondano nelle conche interne.
La fauna era molto ricca e varia fino a qualche secolo fa. (M. Menicucci)

La produzione agricola
La produzione agricola dell’Abruzzo deve fare i conti con le difficoltà di un suolo in parte montuoso, in parte accidentato per frane e calanchi, colpito da alluvioni. La montagna è generalmente brulla; soltanto nel Parco Nazionale, esteso nell’alta valle del Sangro presso i monti della Meta, sono ricche foreste. Il diboscamento è stato causato anche dalla pastorizia, che tendeva, in passato, ad eliminare i boschi per estendere le terre adatte al pascolo: la pastorizia abruzzese è attiva ancora oggi ed è caratteristica per le sue transumanze (spostamento invernale di migliaia di capi dall’Abruzzo alle piane laziali e pugliesi); tale transumanza, che un tempo avveniva lungo i tratturi (piste segnate dal passaggio delle greggi), si svolge oggi più rapidamente su autocarri e  treni.
L’agricoltura è attiva, pur senza offrire mai un reddito elevato, nelle zone costiere, collinari e nelle vaste conche tra i monti; fatta eccezione per la valle del Fucino, il resto della campagna è spezzettato in piccole e minime proprietà.
Prodotti importanti sono la frutta, gli ortaggi (pomodori e primizie); caratteristica nella piana dell’Aquila è la coltivazione dello zafferano.

L’attività industriale
L’industria abruzzese ha uno sviluppo modesto, anche se si è recentemente indirizzata verso attività nuove: quelle della produzione idroelettrica (centrali del Sangro e del Pescara), dell’estrazione di petrolio (pozzi di Alanno) e di metano (zona di Vasto); si estrae anche bauxite dai monti della Marsica e dal monte Velino, e si usa il minerale in stabilimenti per la produzione di alluminio.
Sono presenti stabilimenti chimici per la produzione di esplosivi e concimi. La vecchia industria è rappresentata da zuccherifici.

Lo zafferano
Nell’Aquilano è molto estesa la coltivazione di questa pianta, specialmente a Prata d’Ansidonia. E’ un’erba perenne dai grandi fiori violacei e dagli stimmi di odore forte e di sapore aromatico. Il fiore viene raccolto in ottobre, prima del levar del sole. Gli stimmi, separati dalle rimanenti parti del fiore, vengono riposti in panierini aperti per facilitarne l’essiccazione; quindi, macinati, danno lo zafferano, polvere usata in cucina come aroma, in medicina nella preparazione del laudano, nell’industria come colorante di sostanze alimentari. (M. Menicucci)

La fiera di San Quintino
I mercanti di zafferano giungevano la mattina alla fiera. Ad essi era riservato lo spazio davanti alle vetrine della farmacia e alla porta del circolo, che era il posto dei signori.
Le bilance luccicavano come quelle del farmacista.
Seduti, o in piedi davanti alla bilancia, i mercanti di zafferano non battevano ciglio, non rivolgevano la parola a nessuno.
I contadini passavano e ripassavano davanti a quei tavolini allineati, s’informavano sui prezzi e si decidevano a tirar di sotto il cappotto il loro sacchetto di zafferano solo quando si erano persuasi che sarebbe stato impossibile vendere a un prezzo maggiore.
Allora, cautamente, mostravano il frutto prezioso delle loro cure e fatiche.
Perchè lo zafferano è una pianta che richiede cure infinite, va allevata come un bambino; vuole terreno leggero come la seta, lavorato più di un orto, non si finisce mai di stargli intorno.
I vecchi, rievocando le fiere di San Quintino dei loro tempi, ripetono ancora il proverbio: “A San Quintino anche il povero becca un quattrino”.
Finchè sulla piazza non si sente più uggiolare qualche cane sparso, che abbaia al vento e alla luna. (G. Titta Rosa)

Pastori abruzzesi
Nel novembre con i primi freddi e le prime grigie caligini crepuscolari, passano lungo il tratturo, una speciale strada erbosa che va, lungo il mare, alle Puglie, dai ricchi pascoli e dalla mite temperatura invernale, grandi greggi, agili capre davanti, pecore obbedienti dietro, formidabili cani ai lati, i pastori dall’alta mazza, memore del lituo etrusco, intagliata di pazienti disegni, di figure e di nomi, vegliano alla compattezza del branco. Alle soste, un gran cerchio di rete chiude il gregge, e lo spettacolo di quella pace di animali mansueti, che brucano l’erba rada e di uomini semplici, che attendono con gesti lenti, silenziosamente, alle monotone cure della pastorizia è d’una grandezza e d’una dolcezza infinita; intorno, io ne ho vedute di queste soste, sulle rive del Pescara, è la magnifica scena della vallata, il cui silenzio nel cadere dell’ombra, è accresciuto dal mormorio del fiume lungo i greti; da presso, le cime dei pioppi palpitano nella chiarita tenue del cielo  e lontano, ad occidente, i monti neri hanno un profilo formidabile di titano gigante. Verso la fine di giugno le greggi passano, dirette ai pascoli montani, e a distanza di mezzo anno, quel fluttuare uniforme di dorsi lanosi, quel rado abbaiare di cani e incitare di voci dai monosillabi gutturali, e il tono digradante dei campani in lontananza, e le forme nere degli uomini, eretti sulla linea dell’orizzonte nella lucentezza palpitante delle pure sere estive piene di stelle, sembrano la grande giornata che segue alla grande giornata, senza interruzione, nella vita dei pastori, che vivono con i bruti, con la terra e con Dio, pensosi di chi sa quali oscuri abissali misteri dell’essere. (E. Janni)

I tratturi
In settembre, i pastori d’Abruzzo lasciano i pascoli alpestri e si recano verso le pianure della Puglia o verso quelle dell’Agro Romano attraverso i tratturi, strade d’erba la cui origine si perde nella lontananza dei tempi. E’ certo che esistettero già prima che sorgesse Roma e che rimasero immutabili nel tempo. Oggi i tratturi  sono diminuiti di numero anche perchè i pastori preferiscono trasportare il gregge con appositi, razionali e rapidi mezzi. E’ ancora lunghissima la processione che si snoda attraverso “l’erbal fiume silente” dove sono già passate migliaia e migliaia di pecore come quelle di oggi, migliaia di pastori, come quelli di oggi. Anche il paesaggio è ancora quello di una volta e il pastore moderno rinnova sempre la propria meraviglia quando, alla sera, sull’ora del tramonto, gli appare in lontananza il mare Adriatico che verde è come i pascoli dei monti.
Forse, chi preferisce abbandonare l’usanza antica e trasportare il gregge con autocarri, non ha tempo di ammirare i colori del mare, la bellezza dei colli che si rincorrono come onde digradanti verso la marina, le belle vallate ornate di colori variopinti, i dolci fiumi che, silenziosi, si avvicinano all’Adriatico.
Il pastore che segue gli antichi tratturi impiega ancora due o tre settimane per raggiungere i pascoli di pianura; egli, come il suo gregge, non ha fretta di arrivare; per lui , il tempo non ha importanza. Ciò che importa è sapere che la strada che percorre è la stessa seguita dai suoi padri, fin dalla più remota antichità. Attraverso i tratturi, il cammino delle greggi è facile e sicuro; non c’è il pericolo di sbagliare strada e le pecore trovano facilmente di che nutrirsi lungo il viaggio. Poi scende la sera: il pastore si sdraia all’aperto sotto le stelle e può così contemplare il cielo e ripensare, già con nostalgia, alla montagna che, lassù, aspetta il suo ritorno a primavera.

Artigianato
In Pescara e provincia è localizzata l’industria abruzzese: fonderie, impastatrici, macine, torchi, frantoi, motori a scoppio, alluminio, concimi, asfalti e bitumi, acido solforico, solfato di rame…
Nelle altre parti della regione prevale l’artigianato che ha sempre sopperito alla richiesta locale e, in più di un caso, ha aperto la via all’esportazione.
A l’Aquila, Gessopalena, Isernia si fanno trine, merletti, ricami; a Giulianova ferve la lavorazione dei coralli; a Guardiagrele quella dei ferri battuti; a Sulmona l’industria dolciaria (confetti); a Chieti e Salle si fabbricano le corde armoniche; nel lancianese e ortonese ci sono lanifici e tintorie; sono rinomati i pastifici del chietino e del Molise; famosi i caciocavalli, i provoloni e le scarmorze della Marsica e del molisano; parecchie le distillerie e i liquori fatti con le erbe aromatiche della Maiella. Dalle argille e calcari locali traggono vita numerose fornaci di laterizi e di calce, terrecotte e ceramiche. Stimate le coltellerie di Campobasso e di Frosolone, la fonderia di campane di Agnone. Fiorente la lavorazione del rame a sbalzo.

I ceramisti di Castelli
Alle falde del monte Camicia, sedici chilometri a sud di Teramo, Castelli sorge da un tumulto di torrenti e di rocce che si rincorrono, si sorpassano, si confondono.
Il paese è sostenuto contro la rupe e difeso dalle frane, da grandissime arcate a tre ordini. Il terreno umido e argilloso, infatti, lo minava alla base e lo minacciava dall’alto; ma proprio in questo, Castelli trovò la sua fortuna, perchè l’acqua, l’argilla ed il bosco crearono le maioliche ormai famose nel mondo.
La ceramica di Castelli ebbe origine al tempo degli Etruschi.
Si conserva lo stesso sistema di lavoro da millenni; e quel lavoro paziente si svolge nello stesso ritmo di una vita semplice, con la medesima ruota, tra pani di creta e cataste di legna, in antri antichi ed umidi.
Quelle stesse fornaci produssero i tondini smaltati di vivaci colori che dal decimo secolo ornano i campanili e le chiese dell’Abruzzo.
La casa dei Pompei segna una data certa nella storia della ceramica castellana; infatti sulla facciata della sua abitazione Orazio Pompei murò una pietra con una scritta in latino che significava: “Questa è la casa del vasaio Orazio”, e sopra la porta mise una mattonella in cui aveva dipinto una Madonna, con la firma e la data: 1551.

Le province
L’Aquila sorge a 720 metri d’altezza, sopra una collina che domina la ben irrigata conca dell’Aterno, allungata tra la catena del Gran Sasso e l’altopiano del Monte Velino.
A Sulmona, notevole centro ferroviario alle falde della Maiella, nacque Ovidio, poeta latino; ed è famosa per le fabbriche di confetti. Sopra Sulmona, da una parte, Scanno sul lago omonimo, villaggio famoso per i costumi, i ricami e i merletti; e dall’altra, il grande Piano delle Cinquemiglia, oggi meta di turismo invernale.
Avezzano sorge presso l’antica conca lacustre del Fucino, ora trasformata in fertilissima campagna tutta coltivata a bietole, grano e pioppi: bietole per un importante zuccherificio, pioppi per una cartiera di prim’ordine. Un canale in galleria scavato sotto le montagne conduce l’eccesso di acqua della conca nel fiume Liri e quindi nel Tirreno.
Dalle montagne attorno, cioè dalla regione chiamata Marsica, si ricava buona bauxite (una terra rossa e bruna da cui si estrae alluminio). Qui si ha il villaggio più elevato dell’Appennino, cioè Rocca di Cambio, su un bell’altopiano della rispettabile altezza di 1434 metri. E nel Parco Nazionale d’Abruzzo, il villaggio di Roccaraso offre un bell’esempio di attrezzatura alberghiera per villeggiatura e turismo montano; come anche Pescasseroli, la patria del grande filosofo, storico e letterato Benedetto Croce.
Chieti si stende su un colle a 15 chilometri dal mare, dominante la valle del Pescara. Numerose industrie sono sorte sulla sottostante piana: zuccherificio, cartiera, manifattura tabacchi, fonderie, officine di macchine agricole ecc…
Cittadina di una certa importanza è Lanciano, nell’interno collinoso. Sulla costa: Francavilla, centro balneare; Ortona, centro di pesca; Vasto.
Pescara è invece presso l’Adriatico alla foce del fiume omonimo; distrutta durante la guerra, è ora in forte sviluppo sia per il turismo sia soprattutto per le industrie (cantieri navali ecc…). Il fiume Pescara venne canalizzato fino al mare tanto che oggi è diventato un ottimo porto – canale. Pescara è la patria del poeta Gabriele D’Annunzio.
Nell’interno della valle della Pescara, Bussi è notevole per una grossa industria chimica e per giacimenti di alluminio. Non lontano vi sono anche notevoli pozzi di petrolio. Dal piano di una grande conca sopra Bussi sgorgano grandiose sorgenti: è una parte delle acque assorbite dalle spaccature delle rocce calcari del Gran Sasso che, dopo un percorso sotterraneo tra le viscere dei monti, riemergono limpide alla superficie per alimentare le campagne e per essere utilizzate dalla Centrale idroelettrica di Bussi.
Teramo è situata su un poggio sporgente a dominare la confluenza del Tordino col Vezzola, da cui il nome latino di  Interamna (tra i fiumi) da cui poi Teramo. La zona collinosa circostante è alquanto franosa e solcata a calanchi.
Giulianova e Roseto degli Abruzzi sono buone stazioni balneari e pescherecce. (G. Nangerone)

L’Aquila
Le sue origini sono confuse: si parla di 99 castelli che contribuirono alla sua fondazione, per cui sono rimasti i 99 tocchi della campana della Torre del Palazzo di Giustizia e le 99 cannelle della Fontana della Riviera. Si ricorda come una volta la città avesse 99 chiese: ora non sono più tante, ma quelle che rimangono sono belle e ammirate. La città è dominata dall’imponente castello, isolato e protetto da un fosso profondo. La città, su una collina con scoscendimenti ai lati, è adagiata intorno a due grandi arterie tagliate a croce: il corso Federico II, dagli Alberelli alla piazza Margherita, e la via Roma, dalla porta omonima a San Bernardino. Ha per stemma l’aquila imperiale di Federico II Svevo. Nel Medioevo fu fiera delle sue libertà e le difese con le armi, sempre. I sentimenti di fierezza e di amore per la libertà si mantennero attraverso le secolari vicende e nel periodo del Risorgimento L’Aquila fu rappresentata, nelle lotte contro la tirannide, dai suoi migliori cittadini. (U. Postiglione)

A Pescara: il porto – canale
Fino a qualche anno fa, all’ora del tramonto, quando il mare assume il colore dell’ametista e si stacca per una sola linea dal rosseggiare del cielo, scorgevi la distesa popolata di vele, l’una gialla, l’una rossa, l’altra arancione, tutte con un simbolo, quale di Sant’Andrea, quale il calice dell’ostia, quale la mezzaluna, quale il mondo sovrastato dalla croce luminosa; e tutte queste vele si incrociavano, perdendosi nella distanza la misura di quella che fosse più innanzi a quella che fosse più indietro, gareggiando nell’ingresso al porto canale.
Ora non è più così. I nuovi pescherecci sono tutti motobarche. Cosicchè la sera, quando i pescatori rientrano, il porto canale è tutto un rumorio di motori, un tun tun tun continuo, incessante che si ripete da barca a barca, via via che entrano nel porto, e al sorgere del nuovo rumore le donne sollevano il capo, per vedere se con esso rientra il loro uomo. Infatti è inutile che esse si spingano sul molo, come una volta, a indovinare, tra le tante barche, per un segno inconfondibile, quella che sta loro a cuore, e se ne stanno sedute, lungo i moli, dove sanno che la loro barca attraccherà, cianciando tra loro, con tra i piedi il cesto del pesce che sta per giungere, ad attendere che un nuovo rullio gli faccia sollevare il capo. Ma frattanto tutto è animato, tutto è  concitato, e mentre sempre nuovi uomini si avvicendano attorno alle barche già attraccate, un calafato continua imperterrito il suo lavoro. (G. Vittorini)

Un grosso centro
Pescara nuova è uno dei prodigi del dopoguerra. Dopo la guerra, infatti, questo grosso centro si è raddoppiato. La città nuova sulla costa a settentrione della vecchia, oltre il ponte sul Pescara, sorse da una colonia di ferrovieri quando nacque la ferrovia.
I vecchi pescaresi sono sommersi dalla folla degli immigrati: gente di tutto l’Abruzzo scende a Pescara. La città attrae perchè è nella zona di gran lunga più ricca di prodotti agricoli. Nella vallata del Pescara sono poi sorte le vere industrie dell’Abruzzo. Così com’è Pescara ha una sua bellezza, diversa dalla consueta delle città italiane.
Una gran festa a cui ho assistito faceva veramente ricordare i Far West: bande e cori sembravano galleggiare sopra un mare di folla che riempiva le piazze e il lungomare, tutta macchiata di colori vivaci, tra cui predominava il rosso. Cori e bande nei chioschi si esibivano a gara. Le bande, con i loro maestri, per lo più musicisti o cantanti in ritiro che educavano i suonatori, appassionavano l’Abruzzo.
Erano le bande migliori d’Italia che giravano trionfalmente di centro in centro.
Ora le bande hanno perso un po’ di importanza, non perchè la passione sia estinta, ma perchè troppo alto è il prezzo degli strumenti, degli spartiti e dei variopinti costumi. (G. Piovene)

Chieti: una provincia pittoresca
Si estende a oriente del fiume Pescara fino a toccare col Trigno il contiguo Molise, e va dalla montagna al mare, avendo per sfondo il massiccio della Maiella e per termine a nord l’Adriatico, attraverso un’ondulata distesa di colli folti di olivi e di vigneti e popolati di borghi e di ville.
E se in alto, specie laddove balza il Sangro col suo corso aspro e tortuoso, il paesaggio è severo, presto, scendendo dai precipiti fianchi della Maiella, esso diventa blando e festoso. La natura vi manifesta una sua bellezza riposante, dalla quale è esclusa ogni nota violenta di linee e di colori, e tutto è condotto col disegno leggero e i toni attenuati propri di un pastello.
L’agricoltura è redditizia per cereali, vigneti, uliveti e frutteti. L’economia agricola è integrata solo dall’artigianato e da qualche piccola industria locale (pasta alimentare a Fara di San Martino e a Villa Santa Maria; tessili a Lanciano; piccolo armamento per la pesca e per il traffico con l’altra sponda ad Ortona). (Panfilo Gentile)

Folclore
Gli abitanti della montagna abruzzese hanno conservato riti, tradizioni ed usanze antichissime. Vivissimo è il culto dei morti: in ogni paese resistono al riguardo tracce di costumi curiosi, come quelli delle nenie, cantate da donne pagate allo scopo. Anche la nascita, il matrimonio e tutti i momenti più importanti della vita umana sono accompagnati da cerimonie che testimoniano un profondo senso religioso ed un sacro rispetto per la famiglia. Silenziosa e seria, la gente abruzzese sa diventare, in occasione di feste e ricorrenze, chiassosa e vivace. Ne fanno fede le sontuose feste patronali, le processioni e le sagre di paese, allietate da esibizioni bandistiche e canore, da affollatissime fiere, da fuochi di artificio e da scoppi di mortaretti.
Tipiche di certi luoghi sono usanze legate al remoto mondo pagano, come la sagra dei serpari di Cocullo e il bove portato in processione a Loreto Aprutino il lunedì dopo la Pentecoste. Notissimi i ricchi costumi femminili e le zampogne che, con la fisarmonica, accompagnano gli stupendi canti locali. Non meno ricco di folclore è il Molise, che vanta Sacre Rappresentazioni a Termoli e processioni (i Misteri di Campobasso) la cui origine si può far risalire al Medioevo.

La festa dei serpenti in Abruzzo
E’ una festa singolare che si svolge a Cucullo, in Abruzzo.
Il primo maggio si porta in processione la statua del patrono San Domenico. Avanzano gli uomini e i ragazzi con serpi arrotolate al collo, alle braccia e al petto. Seguono le donne, in costume locale con grossi ceri in mano, i musicanti, i sacerdoti. Il parroco, in un cofanetto d’argento, porta un dente del Santo.
Durante il lento cammino i serpari e altri popolani lanciano contro la statua del Santo lucertole e serpi, che l’avvolgono sulla testa, al collo, alle braccia, alla vita. Si vedono penzolare con le bocche aperte; se alcune cadono a terra, sono raccolte e rigettate sulla statua, dove si urtano, guizzano, strisciano, si avvolgono in atteggiamenti minacciosi, percuotono con le code il Santo, che avanza tra chiassose invocazioni, canti e suoni di bande, in un frastuono indescrivibile.

La festa del solco
La festa del solco si tiene ogni anno, in ottobre, a Rocca si Mezzo quando le piogge dell’autunno hanno ammorbidito la terra e già son tutti terminati i lavori dei campi.
Il clima e le intemperie non contano per i bravi rocchigiani la notte della gara dei solchi. Vento, pioggia o neve, le squadre dei concorrenti escono al tramonto dall’abitato e risalgono, ciascuna dietro il proprio aratro, la montagna che li vedrà impegnati nella gara fino alle luci dell’alba.
Lentamente, tra gli auguri delle donne che li accompagnano per un tratto, i gruppi vocianti (ciascun gruppo conta una quindicina di uomini con due mucche e un aratro), traversano le stoppie, superano siepi e ruscelli, rimontano costoni e burrati finchè non li inghiotte il buio della notte.
Alla vigilia è un affannoso andirivieni per le case in cerca di lumi, di torce, di lanterne, di paletti e di altri arnesi adatti; uomini e ragazzi vivono in un’atmosfera febbrile; si scommette, si fanno previsioni su chi alla mattina avrà tirato il solco più dritto. All’Ave Maria, sul piazzale della chiesa, in cima al paese, viene acceso il faro che guiderà gli aratori nelle tenebre. A quel faro si indirizzeranno tutte le file dei lumi, tante quante sono le squadre concorrenti, che faranno la strada all’aratro nel profondo della notte.
E’ uno spettacolo che non si dimentica. Nel silenzio e nel buio si odono richiami lontani e incitamenti e comandi: e a quelle voci si muovono i lumicini come gigantesche lucciole che vadano al allinearsi per una parata di fiaba.
Vediamo le tracce luminose formate dalle torce e dalle lanterne spostarsi lentamente dalla sommità della montagna verso la pendice ed immaginiamo lo sforzo degli uomini e delle bestie attorno all’aratro, la difficoltà di superare botri e torrenti e scoscendimenti e di riprendere il solco in perfetto allineamento con il tronco già tracciato; ammiriamo la bravura del capo squadra nel guidare i portatori di lumi in modo che sappiano disporli in corrispondenza col faro della chiesa e con le lanterne – guida piantate lungo il cammino. E ancor più restiamo stupiti al mattino quando, come per incanto, vediamo i fianchi del monte Rotondo squarciati da sette, dieci lunghi solchi, tutti sufficientemente diritti da richiedere un severo vaglio da parte della giuria.
Poi vincitori e vinti, con gli aratri adorni di festoni e con le bandiere conquistate nella gara si incolonnano dietro la processione della Madonna in onore della quale per dieci lunghe ore hanno gareggiato nell’oscurità e nel freddo. (M. Arpea)

Il pastore abruzzese
Prima “che in ciel la stella ultima cada” il pastore è in piedi, conduce il suo gregge impaziente al pascolo, e quando il sole  dardeggia riposa, nella capanna, o in qualche ombrata radura si dedica a facili e utili lavori: rammenda le calze, intesse le fiscelle dove sarà colato e posto ad essiccare il formaggio, concia le pelli, in cui egli pure durante l’inverno troverà riparo dal freddo. La munta del latte e la fabbricazione del formaggio sono le faccende che più richiedono, giornalmente, tempo e cura.
La prima stella che si accende nei cieli, trova i pastori già avvolti nelle coperte di lana, che si  riposano dopo la fatica.
In ottobre, quando alle prime scrollate della tramontana succedono le piogge, ed il Gran Sasso rimette il suo berrettone bianco, i pastori raccolgono le mandrie e le guidano sulla via del ritorno… (R. Biordi)

La più bella ora dell’Aquila
Non ho mai visto l’Aquila dall’alto: ma se dovessi darne un’immagine dall’alto, l’assomiglierei a una grande croce bianca adagiata su un colle: le braccia rivolte a ponente e a levente, fra Porta Romana e San Bernardino, i piedi e la testa distesi fra sud e nord, da Porta Napoli al Castello. La lunga strada che sale dal declivio nel cui fondo scorre l’Aterno e con lieve ascesa giunge alla mole fosca e potente del Castello, per ridiscendere rapidamente dalla parte opposta del colle, taglia la città in due parti. Oppure l’assomiglierei, con immagine storica e simbolica a un tempo, a un’aquila dalle grandi ali distese, gli artigli e il becco tesi da sud a nord,  le ali aperte e adagiate da levante a ponente.
La più bella ora dell’Aquila è quando suona mezzogiorno.
Ad un tratto dalle sue chiese il rombo delle campane esplode nell’aria luminosa, corre sui tetti come un fiume sonoro, dilaga per le vie, per le piazze, verso la campagna. La chiesa di San Bernardino, alta sulle altre, intensifica quel rombo che giunge dalle campane della Piazza Grande, dalle chiese di San Marciano, di San Domenico, di Santa Giusta, lo ridiffonde fino a confonderlo al suono disteso e trionfale delle campane di Collemaggio; gli echi dei monti circostanti lo riecheggiano moltiplicandolo e tutta l’aria è come un mare di suono. (G. Titta Rosa)

Il numero dell’Aquila
Un’antica e popolare tradizione dice che l’Aquila è la città del numero 99. Novantanove chiese, novantanove piazze, novantanove fontane. Il numero si riferisce a 99 villaggi che si dice partecipassero all’edificazione della città, fondata com’è noto da Federico II. Chiese, piazze, fontane, se una volta furono davvero novantanove, con l’andar del tempo sono diminuite di molto; ma è restata la fontana di novantanove cannelle, in uno dei borghi bassi della città, e sono novantanove i colpi che batte alle dieci di sera la campana della torre Palazzo.
La fontana versa l’acqua dalla bocca di novantanove mascheroni, l’uno diverso dall’altro, entro una lunga vasca, dove tuffano, sbattono e torcono i panni le lavandaie cittadine. (G. Titta Rosa)

Nel Parco Nazionale
A Pescasseroli sembrerebbe già di essere al centro del Parco. Ma essa in realtà ne è ancora ai limiti: per ora il Parco è solo questo verde che mi si versa negli occhi e mi riempie di stupore. E’ cominciato dopo Gioia Vecchia, perchè prima la montagna era tutta aspra, a tinte grigie a strappi marroni, con qualche macchia di bosco più fitto. Poi a un tratto, il verde ha prevalso, il verde tenero dei prati e l’altro cupo tendente al nero delle montagne. I monti mi si stringono addosso e non hanno cime, ma solo fogliame: un fogliame così denso da far pensare al muschio, a toppe e strati di muschio umido e fitto, di quello che invoglia a ficcarci dentro la mano. E’ il loro colore a farmeli apparire favolosi, a darmi a tratti l’impressione di muovermi ai bordi di un presepe. La strada taglia dritto fra i boschi e i boschi si impennano in su, fanno parete da ambedue i lati. Non c’è sole: si ferma più in alto, a formare una striscia d’un verde nitido e asciutto. Qui, al contrario, il verde è bruno, l’ombra compatta, pare quella di un acquario.
Sono giunto ormai nel cuore del Parco. La strada, tutta svolte, s’addentra per la gola e va a morire alla fine proprio ai piedi di questa mitica montagna, la Camosciara, la più nota del Parco. Solo allora mi viene addosso, svela un’ampiezza che mi lascia smarrito. (M. Pompilio)

Pescara, città americana
Quello che mi stava davanti non quadrava con i ricordi: mi pareva non tanto di confrontare una città con i ricordi personali di una prima visita, ma con una serie di stampe vecchie almeno un secolo. La Pescara di prima così per me divenne quasi una fantasia. Era una cittadina d’aspetto più vecchio che antico, col suo piccolo centro provinciale, traversata anche allora dalla ferrovia costiera. La casa di D’Annunzio, che non è grande, poteva ancora prendere qualche spicco; e quei dintorni pastorali, coi loro alberi fioriti, tendevano nel ricordo a sopraffare l’abitato. La Pescara che ritrovavo era una città moderna, senza più vero centro, ne quello provinciale di una volta ne un altro. Si espandeva e allungava indefinitamente lungo la riva, simile, per certi aspetti, a qualche città americana; moderna, ribollente, formicolante d’una folla composta soprattutto dagli immigrati. I residui della città che conoscevo vi si erano smarriti dentro o erano come inserti che bisognava cercare nella confusione. (G. Piovene)

Dal Gran Sasso
Sono intorno tutte le cime del gruppo: il Corno Piccolo, il Pizzo Cefalone,  il Pizzo d’Intermesele, il monte dell Portella e altre e altre… E giù per le valli, ad oriente, l’Abruzzo verde e ridente, l’Adriatico, con lontano  l’arancifero promontorio del Gargano e le isole Tremiti.
Se la mattina è pura, sgombra di caligine, si profila all’orizzonte l’altra riva dell’Adriatico, la Dalmazia, morbido segno come d’una nuvola uguale a fiore di mare. E già dall’altra parte l’altipiano aquilano, e l’Aquila e la valle dell’Aterno, e più a mezzogiorno la florida conca di Sulmona e, lontano, sull’orizzonte, la riga azzurra del Tirreno. (E. Janni)

Abruzzo

Fior d’ananasso,
nel popolo d’Abruzzo c’è il riflesso
della potenza austera del Gran Sasso.
Qui trovi ricche greggi e vino e grano
e trovi liquirizia e zafferano.
Ma ciò che a questa terra dà risalto
è la sua ricca produzion d’asfalto,
che viene atteso in tutte le contrade,
dove c’è amor d’aver belle strade.

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MARI ITALIANI materiale didattico

MARI ITALIANI materiale didattico di autori vari per la scuola primaria.

Facciamo un viaggio per mare, imbarcandoci con la fantasia, su uno di quei pescherecci che vanno al lago a pescare sogliole e muggini, oppure su una nave da diporto che ci porterà in crociera toccando i porti più notevoli dei nostri mari, costeggiando le rive, godendo dei pittoreschi paesaggi delle nostre coste.
Il mare dove l’Italia si stende è uno solo, il mar Mediterraneo, che i Romani chiamavano orgogliosamente Mare nostro. Ora non è più tutto nostro; nostri, cioè italiani, sono  i mari che il Mediterraneo forma quando arriva a bagnare le coste della  penisola. Si chiamano Mar Ligure, Mar Tirreno, Mar Ionio, Mare Adriatico.
Il mar Ionio è il più profondo, il mar Adriatico il meno profondo ma in compenso il più pescoso. I pesci amano i fondali relativamente bassi dove trovano in abbondanza di che soddisfare il loro appetito. Se è vero che il pesce grosso mangia il piccolo, come dice il proverbio, è anche vero che tutti i pesci si nutrono del plancton che è composto da minutissime alghe e microscopici animaletti che vi dimorano. Quindi se vogliamo fare una partita di pesca sceglieremo l’Adriatico

Il Mar Ligure e il Mar Terreno
Il Mar Ligure non è molto esteso. Prende questo nome dalla bellissima regione che esso bagna, una delle più pittoresche d’Italia. Palme, aranci, olivi, un cielo quasi sempre azzurro, un clima mite, un mare stupendo; ecco ciò che si presenta gli occhi di coloro che visitano questa meravigliosa regione. Nel cuore di tutta questa bellezza c’è Genova, la superba, coi suoi cantieri sonanti, i suoi traffici intensi, aerei oltre che marittimi, il suo popolo fiero, laborioso, generoso.
Genova sorge in fondo a un grande golfo che ne prende il nome.
Appena usciti dal golfo di Genova, ecco, in una profonda insenatura, una città che sembra fatta di ferro, un porto popolato anch’esso di navi di ferro, su cui il profilo dei cannoni mette un’ombra minacciosa. E’ La Spezia, uno dei maggiori porti militari d’Italia, una città forte, severa, risonante di lavoro e di fabbriche di armi.
Dopo La Spezia, la costa si fa bassa, sabbiosa. E’ l’incantevole spiaggia toscana dove sorgono graziosissime cittadine balneari. Non vi si trovano grandi porti, eccettuato quello di Livorno, anch’esso risonante di lavoro perchè nel suo cantiere si costruiscono belle navi da carico e da trasporto. I costruttori livornesi sono conosciuti anche all’estero.
Ed ecco in lontananza elevate ciminiere da cui escono nuvole di fumo denso e nero. Sono gli altiforni di Piombino, dove si lavora il ferro ricavato dalla vicina Isola d’Elba, il cui profilo si scorge all’orizzonte.
Proseguendo nel nostro viaggio, dopo la costa toscana, superato appena il pittoresco promontorio dell’Argentario, ecco la costa laziale, un tempo brulla, malsana e infestata dalla malaria. E’ l’Agro romano, che oggi, per opera dell’uomo, è diventato una terra fertile, verdeggiante, salubre… Qui sfocia lento, torbido, solenne, il Tevere, il fiume di Roma, spettatore di tanta storia.
Il fantasioso viaggio continua e ben presto lo sguardo si rallegra soffermandosi su una costa verde, coperta di una lussureggiante vegetazione fatta di olivi, viti, aranci. E’ la costa campana. Incontriamo prima Gaeta col suo piccolo ma delizioso golfo, e infine l’ampia insenatura in fondo alla quale sorge Napoli, dove cielo e mare sono inverosimilmente azzurri, dove la gente lavora lieta nel dolcissimo clima che dà ricchi prodotti e una terra fertile, ai piedi del Vesuvio.

Le isole del Mar Tirreno
Le isole maggiori sono la Sicilia, isola ricca di agrumi, sulla quale si leva il vulcano più alto d’Europa, l’Etna; la Sardegna, bellissima nel suo paesaggio rude e roccioso dove esistono ancora i nuraghi, le antiche, misteriose costruzioni di un popolo la cui storia si perde nella notte dei tempi; la Corsica, che appartiene politicamente alla Francia.
Non dimenticheremo le isole minori: l’Arcipelago Toscano con l’Isola d’Elba; l’Arcipelago Campano di cui fanno parte le gemme del Tirreno Ischia, Capri, Procida; l’Arcipelago Ponziano di cui l’isola di Ponza è la principale; il gruppo delle isole Eolie o Lipari, in una delle quali sorge lo Stromboli, il terzo vulcano attivo d’Italia. Più a ovest, ecco Ustica e infine il gruppo delle Egadi a ponente della Sicilia. Tra Sicilia ed Africa si trovano le vulcaniche isole Pelagie e l’isola di Pantelleria.
Siamo così giunti allo stretto di Messina, un tempo terrore dei naviganti: chi passava lo stretto, correva il rischio, secondo la favola antica, di morire. Due terribili mostri, Scilla e Cariddi, vi facevano la guardia e chi sfuggiva alle insidie di Scilla, cadeva nell’inganno di Cariddi, e chi si salvava da Cariddi, non poteva evitare il tranello di Scilla. Favole. Che però avevano un fondo di verità. Le correnti dello stretto sono così impetuose che le antiche imbarcazioni, poco sicure, naufragavano facilmente; ciò giustificava la mitologica presenza dei due terribili mostri. Oggi lo stretto si attraversa agevolmente con le navi – traghetto, che trasportano treni ed automobili, e con i veloci aliscafi. Ottimi porti si aprono sulla costa tirrenica della Sicilia: Palermo e Trapani.

Il mar Ionio
Siamo così giunti al mar Ionio, il più profondo d’Italia. Ampi porti si aprono in questo mare: Messina, Siracusa, Augusta, in Sicilia. Lasciandoci alle spalle l’isola maggiore d’Italia, bordeggeremo lungo il tacco dello stivale, dopo essere entrati nell’ampio golfo di Taranto, dove sorge il più grande porto militare in cui stanno alla fonda le navi da guerra. Al largo incontriamo le imbarcazioni che vanno alla pesca del pesce spada. Queste barche inalberano un lungo palo in cima al quale si aggrappa un uomo salito fin lassù per avvistare, nell’immensità del mare, il guizzare pesante dello squalo che poi sarà trafitto con la fiocina.

Il mar Adriatico
Dopo aver superato il tacco dello stivale, e cioè la Penisola Salentina, eccoci nel Mar Adriatico, azzurro, pescoso e amarissimo. E’ infatti il più salato. Sono coste quasi rettilinee, uniformi, dove si trovano i porti di Brindisi, scalo per le navi che vanno in Oriente, Bari, Barletta, tutti ai limiti della fertilissima terra pugliese e il Tavoliere delle Puglie, dove si produce in quantità grano e vino.
Lungo la costa ora non si trovano più insenature importanti e quindi non vi sono porti di rilievo, eccettuato quello di Ancona, situato in un gomito della costa stessa (il so nome in greco significa appunto gomito). Incontriamo però buoni porti pescherecci, situati negli estuari dei fiumi. Il principale di questi è San Benedetto del Tronto.
Proseguendo oltre Ancona troviamo piccoli porti – canali sui ridenti lidi romagnoli dove si stendono ampie spiagge dalla sabbia dorata, popolate di bagnanti e di turisti; infine Ravenna e la Laguna di Comacchio che si chiama anche valle, ma soltanto in gergo peschereccio, perchè in queste valli non si raccoglie il grano bensì il pesce, di cui si fanno importanti allevamenti. E’ nelle valli di Comacchio che si pescano le saporitissime anguille.
Eccoci poi nell’ampio golfo di Venezia. E’ questo un nome che fa sognare italiani e stranieri. E’ una città unica al mondo, costruita su numerose isolette dove, per recarsi da un luogo all’altro, ci si serve di strette vie (le famose calli) o dei numerosi canali solcati da gondole e vaporetti. Una città dove i palazzi di marmo sembrano sorgere dall’acqua, una città che nel passato estendeva i suoi domini fino ai paesi del Mediterraneo orientale.
Non immaginavano certo questo splendido destino quei profughi che, per sfuggire all’invasione dei Barbari, andarono a rifugiarsi sulle deserte isole della laguna. Forse, queste popolazioni, in tempi diventati più sicuri, avrebbero abbandonato le loro provvisorie abitazioni, se non avessero trovato, in queste isolette, un tesoro: il sale. Il sale fu la prima moneta di Venezia, e se è vero come si dice che dove si semina sale non nasce più nulla, Venezia smentì clamorosamente questo detto perchè seminò sale e raccolse oro. Il sale, a quei tempi, era molto richiesto, e Venezia lo estrasse dal mare e lo esportò nei paesi dove le sue navi approdavano. Era una ricchezza che costava poco o nulla, e Venezia ne approfittò per aumentare la sua potenza.
Siamo quasi alla fine del nostro viaggio. Non mancheremo di fare una visita a Trieste, la città italianissima, sul confine, col suo cantiere fervente di lavoro e col suo porto dove si svolgono traffici intensi.

Mari d’Italia
La penisola italiana si spinge nel Mar Mediterraneo dividendolo in due grandi parti: l’orientale e l’occidentale, ed è bagnata da ben sei dei mari minori in cui il Mediterraneo si divide, e cioè: il Mare Ligure, il Mare Tirreno, il Mare di Sardegna, il Mare di Sicilia, il Mare Ionio ed il Mare Adriatico.
Il Mediterraneo gode di una temperatura media superficiale di 23° – 24° nel periodo estivo, e di circa 12° nel periodo invernale. Una temperatura davvero mite.
Le maree, ovvero il periodico innalzarsi e successivo abbassarsi delle acque, dovuto all’influsso della luna, provocano nel Mediterraneo differenze fra massimo e minimo soltanto di pochi decimetri: ad esempio 36 cm a Napoli e 27 cm a Genova; più accentuata la differenza a Venezia, circa un metro
Il Mar Ligure si estende tra le zone settentrionali della Corsica e le coste liguri; è poco pescoso e piuttosto profondo (massima profondità 2800 m).
Il Mar Tirreno è compreso fra le tre isole Sicilia, Sardegna e Corsica e la costa occidentale dell’Itala; è abbastanza pescoso e profondo (massima profondità 3700 m); numerose le isole.
Il Mar di Sicilia è situato tra le coste africane e quelle meridionali siciliane; è  ricco di pesci ma poco profondo (profondità massima 1600 m, in qualche punto).
Il Mar di Sardegna è compreso fra la Corsica (Francia), le Baleari (Spagna) e le coste occidentali della Sardegna; è pescoso e profondo (profondità massima 3100 m).
Il Mar Ionio si stende tra l’Italia, l’Africa e le coste occidentali della Grecia; è molto profondo ed anche caldo (profondità massima 4400 m).
Il Mar Adriatico si allunga fra la Dalmazia e le nostre coste; non è molto profondo e appunto per questo è molto pescoso (massima profondità 1250 m, ma nel Golfo di Venezia non supera i 25 m). E’ il mare più salato.

L’Italia nel Mediterraneo
Il Mediterraneo, chiuso fra le terre d’Africa, d’Asia e d’Europa, è ben riparato dai venti freddi del settentrione ed è favorito da un clima, assai dolce in inverno, che fa fiorire sulle sue sponde una ricca vegetazione, varia e sempreverde, d’agrumi e d’olivi, di palme e di cipressi, di lecci e di pini, e di altre piante che nel loro complesso costituiscono insieme la macchia mediterranea.
Attratte dal clima e dalla ricchezza della vegetazione, fin dalle epoche più remote, molte genti si stabilirono sulle rive di questo mare il quale, col passare dei secoli, divenne il crocevia e il centro di fusione di molte antiche civiltà.
In mezzo al Mar Mediterraneo, sì da dividerlo in due parti quasi uguali, si protende, snella e slanciata, la Penisola Italiana.

Le coste italiane
Le coste italiane hanno uno sviluppo complessivo, comprese le isole (ma senza la Corsica) di circa 8000 km.
Le coste del Mar Ligure disegnano un grande arco tra Capo Ferrat e Capo Corvo; alte e rocciose, con frequenti scoscesi promontori e minuscole insenature, offrono scorci panoramici vari e pittoreschi.
Sulla Riviera di Ponente stanno Savona, Ventimiglia, Varazze, Bordighera, Sanremo, Imperia, Albenga; sulla Riviera di Levante stanno Genova, il nostro maggior porto mercantile; La Spezia, porto militare, il cui golfo è chiuso dalla penisoletta di Porto Venere; Rapallo, Chiavari e Sestri.
Le coste del Mar Tirreno si sviluppano da Capo Corvo alla punta del Pezzo, sullo stretto di Messina. Lungo la Toscana, il Lazio e parte della Campania, le coste sono basse, scarse di porti e un tempo orlate di terreni palustri come nelle Maremme e nelle Paludi Pontine, ora quasi completamente bonificate. La maggiore insenatura è il golfo di Gaeta; i promontori più accentuati sono quelli di Piombino, dell’Argentario e del Circeo; Livorno e Civitavecchia i porti più attivi. Nella sua sezione meridionale, lungo la Campania e la Calabria, la costa tirrenica presenta sporgenze e coste alte e rocciose e insenature a fondo piatto. Le sporgenze più pronunciate sono la penisola Sorrentina, il Cilento, la penisoletta del Poro; le maggiori insenature sono i golfi di Napoli, di Salerno, di Policastro, di Santa Eufemia, di Gioia; il porto più attivo è Napoli, seguito a grande distanza dai porti di Torre Annunziata, Castellammare, Salerno. Le coste calabresi non hanno porti.
Il Tirreno è il mare italiano più ricco di isole: arcipelago Toscano, isole Pontine, Partenopee, oltre a quelle contermini alla Sicilia e alla Sardegna.
Le coste del Mar Ionio, generalmente basse e lisce, si sviluppano dalla punta del Pezzo al Capo di Santa Maria di Leuca; alle foci dei fiumi si hanno tratti di pianure alluvionali. Alcuni erti promontori, tuttavia, si spingono a punta nel mare: Capo delle  Armi, Capo Spartivento, la penisoletta di Crotone. Tra le penisole calabrese e salentina si stende il golfo di Taranto; assai più piccolo, a sud, il golfo di Squillace. Rari i porti: Reggio Calabria, Taranto (militare), Crotone e Gallipoli.
Le coste italiane del Mar Adriatico si sviluppano dal Capo di Leuca a Trieste. Mentre la costa dalmata è alta e rocciosa, spaccata da profonde insenature, frastagliata da lunghe isole parallele, la costa italiana è unita, bassa (tranne alla Testa del Gargano e al promontorio del Conero). A sud e a nord del Gargano ricorrono tratti paludosi e lagune (laghi di Lesina, di Varano, di Salpi); ma le lagune più importanti sono, come abbiamo detto, quelle della costa veneta.
A nord l’Adriatico forma i golfi di Venezia e di Trieste.
I porti più importanti, lungo la costa italiana, sono quelli di Brindisi e di Bari in Puglia, di Ancona nelle Marche, di Venezia e di Trieste in Veneto e Friuli.

Dettati ortografici

La vita dell’Italia è sul mare
L’Italia deve ricorrere essenzialmente alle vie marittime per assicurare la vita materiale ed economica del suo popolo. L’Italia ha il suo territorio racchiuso nel Mediterraneo. Tutte le sue comunicazioni terrestri debbono attraversare la barriera delle Alpi, come tutte le sue comunicazioni marittime devono passare attraverso gli stretti situati a mille miglia dai nostri porti. Perciò possiamo dire che il mare è la linfa vitale, il sangue dell’Italia.

La pesca dell’Adriatico
L’Adriatico, specialmente nella parte superiore, è più pescoso del resto del Mediterraneo. Lo percorrono in buona parte i bragozzi chioggiotti che si tengono, per la pesca, discosti dalle rive. Le barche di altre località, invece, si allontanano poco dalla costa, limitandosi alla pesca con reti fisse, collocate in luoghi adatti e con reti  a strascico. D’estate e di primavera, però, si spingono al largo alla pesca delle sardine le quali attraversano date zone in sciami o branchi. (Mottini)

Mari d’Italia
Il mar Ionio è il più profondo, il mar Adriatico il più pescoso. I pesci amano i fondali bassi dove trovano in abbondanza di che soddisfare il loro appetito perchè, se è vero che il pesce grosso mangia il piccolo, come dice il proverbio, è anche vero che tutti i pesci si nutrono del plancton, che è composto di minutissime alghe e di microscopici animaletti che fra esse dimorano. E il plancton si trova generalmente nei bassi fondali.

Le coste del Mar Ligure
Sulla costa ligure vanno  a veleggiare italiani e stranieri, famosa com’è in tutto il mondo, per la bellezza dei paesaggi e la dolcezza del clima. Palme, aranci, olivi, un cielo quasi sempre azzurro, un mare stupendo, delle coste pittoresche, ecco ciò che si presenta all’occhio di chi ha la fortuna di visitare questo bellissimo paese. Nel cuore di tutta questa bellezza sorge Genova, la Superba, coi suoi cantieri sonanti, i suoi traffici intensi, il suo popolo fiero e generoso.

La costa campana
Costeggiando l’Italia verso sud, il nostro sguardo si potrà rallegrare soffermandosi su rive verdi, coperte di una lussureggiante vegetazione di olivi, di viti, di aranci. Incontriamo prima Gaeta, nel suo piccolo ma delizioso golfo e infine Napoli, il secondo porto d’Italia, dove il cielo e il mare sono inverosimilmente azzurri, il clima è dolcissimo e la terra fertilissima.

Lo stretto di Messina
Una volta la traversata di questo stretto spaventava i navigatori, ma oggi non spaventa più nessuno. Basti dire che si può attraversare senza neppure scendere dal treno. Infatti questo viene istradato su una nave traghetto che compie la traversata, dopo di che il treno riprende la sua strada sull’altra riva. Messina fu distrutta da un tremendo terremoto, ma oggi è risorta più bella e attiva di prima.

I mostri dello stretto
Un tempo chi attraversava lo stretto di Messina correva il rischio di sprofondare nel mare, almeno a quanto raccontava la leggenda. Due terribili mostri, Scilla e Cariddi, vi facevano la guardia e chi sfuggiva a Cariddi non poteva evitare Scilla. Leggende, naturalmente, ma che avevano un fondo di verità. Infatti, le correnti dello stretto sono così impetuose e le navi dell’epoca così fragili e malsicure, che i naufragi erano frequentissimi e tali da giustificare la fiabesca esistenza dei due terribili mostri.

Venezia
E’ un nome che fa sognare italiani e stranieri. E’ una città unica al mondo, costruita su isolette dove, fatta eccezione per strettissime calli, non ci sono strade per recarsi da un luogo all’altro, bensì canali che bisogna percorrere in gondola o in vaporetto. Una città dove si costruivano stupendi palazzi di marmo quando ancora molte altre avevano capanne di fango; una città che divenne ricca e potente, riuscendo ad estendere il suo dominio fino al lontano oriente.

La cattura del pesce spada
Sul mar Ionio si pratica la pesca del pesce spada. Sull’imbarcazione attrezzata per tale impresa, si leva un albero altissimo e un uomo sta lassù, aggrappato in cima all’asta dondolante, per tentare di scorgere, nell’immensità del mare, il guizzare del grosso pesce. Quando viene avvistato, l’imbarcazione tenta di avvicinarsi senza provocarne la fuga. Ed ecco un altro uomo all’opera. Armato di una lunga fiocina, cerca di colpire lo squalo, lanciando l’arma con mano abile e potente. La fiocina è assicurata da una corda e quando il pesce è colpito, non c’è che da tirarlo a bordo, sia pure con grande fatica e talvolta, date le dimensioni, anche con pericolo.

Parla il mare d’Italia
Bella Italia, mia regina! Tirreno, Ionio, Adriatico, io non sono che un mare, il tuo mare! Vi fu un tempo che ti custodivo tutta in me: tu sei emersa, ma ancor oggi, nelle pieghe delle tue montagne, custodisci le sabbie e le argille che io vi ho deposto, serbi nelle tue pietre le conchiglie e le alghe di cui ti adornavo. Sei sinuosa di rive, facile agli approdi, dolce di lagune, traboccante di garofani e di rose, bianca di marmi, dorata di biade, fiammeggiante di vulcani, profumata di agrumi! Tutta io t’investo a temperare i freddi venti del settentrione e i brucianti fiati del sud.

Venezia
Per sfuggire alle invasioni dei barbari, molti profughi andarono a stabilirsi su alcune isolette che sorgevano sulla laguna. Forse, in seguito, questi profughi avrebbero abbandonato le provvidenziali isolette se non si fossero accorte di avere, a portata di mano, un grande tesoro: il sale. Il sale fu la prima moneta di Venezia e se è vero quanto si dice, che dove si semina sale non nasce più nulla, per Venezia fu tutto il contrario: seminò sale e raccolse oro.

Il mare d’Italia
Marinaro è il tuo popolo, Italia, e marinare sono le tue sorti! Sul mare vennero al lido tirreno le navi di Enea, nel mare crollò il potere di Cartagine e sorse l’impero mediterraneo di Roma; sul mare spiegarono le vele e gli stendardi, al traffico e alla guerra, i galeoni di Amalfi, di Gaeta, di Pisa, di Genova e di Venezia che fermarono le flotte turche e barbaresche, e Genova andò superba della propria ricchezza, e Venezia levò palazzi di trine marmoree e chiese dalle cupole d’oro. Sul mare, su tutti i mari, tentando nuovi passaggi, scoprendo isole e continenti, donando terre e imperi a sovrani, navigarono gli arditi marinai del Medioevo, navigarono Cristoforo Colombo, genovese, Giovanni Caboto, veneziano, Amerigo Vespucci, fiorentino, e Antonio Pigafetta che, al servizio del portoghese Magellano, fu il primo italiano a compiere il giro del mondo.

Le coste d’Italia
Cinta per gran parte dal mare, l’Italia si allunga in una distesa di svariatissime coste, qua lentamente digradanti con dolce pendio, là scoscese e percosse dalle onde: ora selvose, ora nude, ora coronate di ridenti colline che si protendono in lunghi promontori e capi e file di scogli, o scavate in vasti golfi o porti amplissimi e sicuri contro ogni insidia del mare. Isole e isolette qua e là, in faccia alle spiagge, accrescono varietà e bellezza delle coste italiane.

Il mare
Il mare è un immenso serbatoio di vita. Le sue acque contengono il sale, i pesci più svariati, le alghe da cui si ricavano sostanze medicinali e soprattutto assorbono lentamente il calore del sole e lo restituiscono lentamente alla terra. Quindi, mentre la terra rapidamente si riscalda e altrettanto rapidamente si raffredda, il mare ha una temperatura più costante e rende più mite, cioè più dolce, il clima, non solo delle spiagge, ma anche di un largo tratto dell’interno. (P. De Martino)

Mari, coste, pini e sole
Tu credi che i mari si assomiglino tutti? Sono tutti fatti d’acqua, con tanta acqua salata… Ma è la luce che li fa diversi. Ci sono i mari del sole e quelli della nebbia, quelli azzurri e quelli grigi. Se tu hai visto qualche volta i mari dell’Europa settentrionale vedrai che il nostro è tanto più azzurro di quelli. Quasi verde l’Adriatico, cerulo lo Ionio, azzurro di cobalto il Mediterraneo, celeste chiarissimo il Tirreno. Attorno a Napoli, a Sorrento, a Procida, a Capri, l’azzurro è luminoso come uno smalto.
E, come il colore del mare, varia all’infinito la bellezza delle coste. Siamo sulle rive di una stessa terra, ma la costa della Liguria come fai a confrontarla con quella veneta? E quella toscana con quella di Puglia?
Due cose le ritrovi ovunque: i pini e il sole. (O. Vergani)

Mari colorati
Talvolta, in prossimità delle coste, la superficie assume un colore giallo sporco per i materiali portati dai grandi fiumi; nelle calde notti estive, i mari tropicali hanno curiosi fenomeni di fosforescenza per l’azione di miliardi di microrganismi che emettono una luce simile a quella delle lucciole.
Alcuni mari debbono il loro nome proprio al colore predominante delle acque: come il Mar Rosso, i cui riflessi rossastri sembra siano da attribuire a una grande quantità di alghe di quel colore; o come il Mar Giallo, così chiamato per il limo portato dal fiume Hoang-ho; il Mar Bianco, ovviamente, trae il suo nome dalla presenza dei ghiacci galleggianti sulle sue acque.

La sinfonia marina
Arrivava l’onda con una veemenza d’amore o di collera sui massi incrollabili; vi si precipitava rimbombando, vi si dilatava gorgogliando, ne occupava, con la sua liquidità, tutti i meati più segreti. E quasi pareva che un’anima naturale oltresovrana empisse della sua agitazione frenetica uno strumento vasto e molteplice come un organo, passando per tutte le discordanze, toccando tutte le note della gioia e del dolore.
Rideva, gemeva,  pregava, cantava, accarezzava, singhiozzava, minacciava: ilare, flebile, umile, ironica, lusinghevole, disperata, crudele. Balzava a colmare sulla cima del più alto scoglio una piccola cavità rotonda come una coppa votiva; s’insinuava nella fenditura obliqua dove i molluschi prolificavano; piombava sui folti e molli tappeti di coralline lacerandoli o vi strisciava leggera come una serpe sul musco. (G. D’Annunzio)

A pesca nell’Adriatico
Le principali barche da pesca dell’Adriatico sono le paranze e le lancette. Le prime sono di maggior grandezza, pescano sempre accoppiate e non rimangono in mare più di quindici giorni, provvedendo al trasporto del pesce a terra con battelli a vela o a remi. Le lancette sono barche di più piccola dimensione che navigano non discostandosi molto da terra. Lasciano la spiaggia la mattina prima dell’alba e, dopo una giornata di pesca, ritornano a terra, sì che la sera, verso il tramonto, empiono il mare di uno sbandieramento vivace, pittoresco, con la gaiezza delle loro vele scarlatte. (V. Guizzardi)

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FENOMENI METEOROLOGICI materiale didattico

FENOMENI METEOROLOGICI materiale didattico di autori vari, per bambini della scuola primaria.

L’aria

L’aria è un miscuglio di gas costituenti l’atmosfera e in cui vivono, nella parte inferiore, gli animali e le piante. I gas si presetnano più rarefatti e mutano di proporzione man mano che si sale in altezza.
L’aria è trasparente, inodore e incolore se in masse limitate; azzurra se in grandi masse. I suoi costituenti principali sono l’azoto e l’ossigeno. Contenuti in piccole quantità, l’argo, l’elio, il cripto, lo xeno, l’idrogeno, con quantità variabili di vapore acqueo, anidride carbonica, ammoniaca, ozono, ecc… Particelle solide, spore, microorganismi formano il pulviscolo atmosferico.
A causa della funzione clorofilliana per cui le piante, di giorno, assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno, l’aria dei boschi è più salubre.
La troposfera è lo strato più basso dell’atmosfera la quale raggiunge l’altezza di circa 1000 chilometri e circonda il nostro globo seguendolo nei  suoi movimenti.

La pressione atmosferica

L’atmosfera preme enormemente sulla superficie del globo e noi non ne rimaniamo miseramente schiacciati soltanto perchè la pressione si esercita sul nostro corpo non solo esternamente da tutte le parti, ma anche internamente, ciò che produce equilibrio. Quando questo equilibrio dovesse mancare, si avrebbero gravi disturbi e la morte.
Possiamo considerare che noi portiamo sulle nostre spalle il peso di tre elefanti ci circa cinque tonnellate ciascuno e ciò senza sentire il minimo inconveniente.
Un litro d’aria pesa poco più di un grammo, ma se si pensa all’enorme spessore dell’atmosfera, il paragone degli elefanti non può sorprendere.
La pressione non è uguale dappertutto. Sulle montagne, per esempio, è molto minore che al livello del mare. Inoltre dato che l’aria fredda è più pesante di quella calda, nello stesso luogo la pressione sarà anche in base alla temperatura.
Lo strumento per misurare la pressione atmosferica è il barometro che fu inventato da Evangelista Torricelli. Questi riempì di mercurio un tubo di vetro e ne immerse l’estremità aperta in una vaschetta, anch’essa piena di mercurio. Poté constatare che la colonnina di mercurio non andava al disotto dei 76 centimetri. Era chiaro, quindi, che la pressione di una colonna di mercurio alta 76 cm e dalla sezione di un centimetro quadrato veniva equilibrata da una pressione analoga che non poteva essere che quella dell’atmosfera.
Vi sono anche altri piccoli esperimenti che  possiamo fare per constatare l’esistenza della pressione atmosferica. Eccone di seguito alcuni.

Succhiamo una bibita con una cannuccia, poi quando il liquido è giunto alla nostra bocca, appoggiamo rapidamente un dito all’estremità superiore della cannuccia e teniamolo fermo. Il liquido non uscirà, e ciò perchè il suo peso esercita una pressione minore di quella atmosferica. Non appena si toglierà il dito, il liquido uscirà dalla cannuccia.

Prendiamo un comune bicchiere e riempiamolo d’acqua fino all’orlo. Poi appoggiamo sul bicchiere un pezzo di cartone o di carta, in modo che ricopra completamente l’orlo. Capovolgiamo rapidamente il bicchiere e togliamo la mano dal cartone. Questo non cadrà e l’acqua rimarrà nel bicchiere. Perchè? Perchè nel bicchiere non c’è aria, ma soltanto acqua, e questa ha un peso inferiore a quello esercitato dalla pressione dell’aria che spinge dal basso il cartone.

Il vento

L’aria è sempre in movimento. Lo si può constatare considerandone gli effetti. Osserviamo le foglie muoversi nella brezza, il bucato sventolare,  le nuvole correre nel cielo. Questo movimento si chiama vento.
Da che cosa dipende il vento? Per poter spiegare questo fenomeno bisogna dire qualcosa sulla temperatura dell’aria. L’aria ha una sua temperatura, più calda o più fredda, secondo la stagione, l’altitudine, l’azione del sole, ecc… Ebbene: l’aria calda è più leggera dell’aria fredda e tende a salire. L’aria fredda è più pesante e tende a discendere e ad occupare quindi il posto dell’aria calda.
Possiamo procedere ad alcuni piccoli esperimenti.

Proviamo a fare sul termosifone qualche bolla di sapone. Queste saliranno verso l’alto, ciò non accadrà o accadrà con minor effetto, per le bolle di sapone che faremo in un punto lontano dalla sorgente di calore.

Se potessimo misurare, a vari livelli, la temperatura di una stanza riscaldata, potremmo constatare che, verso il soffitto, l’aria è molto più calda che nei pressi del pavimento. Ebbene, è questa differenza di temperatura che produce il vento. Quando, fuori, l’aria calda sale, l’aria fredda si precipita ad occuparne il posto e forma, così, una corrente – vento che poi noi chiamiamo con diversi nomi a seconda del punto cardinale da cui proviene.
Pensiamo adesso a tutta l’aria che avvolge il nostro globo. Sappiamo che essa è freddissima nelle regioni nordiche e caldissima nelle regioni equatoriali. Ecco perchè l’atmosfera è sempre in movimento: l’aria fredda tende ad occupare il posto di quella calda che sale e quindi si formano venti che possono essere deboli, oppure violenti e disastrosi. Abbiamo detto che essi prendono il nome del punto cardinale da cui provengono. Abbiamo così Ponente, Levante, Ostro, Tramontana, rispettivametne provenienti da ovest, est, sud e nord. E poi venti intermedi: sud-ovest Garbino o Libeccio; sud-est Scirocco; nord-est Greco; nord-ovest Maestrale. Per stabilire la direzione del vento,  si usa la rosa dei venti.

Le nuvole

Nell’atmosfera ci sono le nuvole. Ci sarà facile invitare i bambini ad osservare il cielo e quindi le nuvole. Come sono le nuvole che si presume portino la pioggia? Quali nuvole si vedono nel cielo di primavera? In quello dell’estate? Nuvole grigie, pesanti, oscure; nuvole leggere e delicate; nuvoloni bianchi e bambagiosi. Se uno di noi capitasse in una nuvola si troverebbe in breve bagnato. Infatti tutte le nuvole sono formate da vapor acqueo parzialmente condensato in minutissime gocce e, negli strati superiori dell’atmosfera, in cristallini di ghiaccio.
Ma da dove provengono queste goccioline e questi cristallini di ghiaccio? Ammassi di vapore acqueo si elevano nell’atmosfera., resi leggeri dal calore del sole. Quando il vapore acqueo si condensa diviene visibile ai nostri occhi appunto sotto forma di nubi.

Esperimento scientifico per creare nuvole in vaso qui: 

Osservazione e classificazione delle nuvole qui: 

Il ciclo dell’acqua, dettati e letture, qui: 

La pioggia

Vediamo come accade il fenomeno per cui l’acqua cade sulla superficie terrestre. Le nuvole sono sospese in una massa d’aria, che, essendosi riscaldata, sta innalzandosi. Le gocce di cui le nuvole sono formate, divenute più pesanti per la ulteriore condensazione dovuta al contatto con strati di aria fredda cominciano effettivamente a cadere, ma l’aria calda che tende ancora a salire, le risospinge verso l’alto. Facciamo l’esempio di una pallina da ping pong che venga sollevata al disopra di un ventilatore. La pallina resterà sollevata in aria, sospinta dall’aria che sale dall’apparecchio. Lo stesso avviene per le goccioline d’acqua che formano le nuvole. Ma ecco che esse ingrossano anche perchè urtandosi, si fondono tra loro e diventano quindi più pesanti. E così le gocce cominciano a cadere sulla terra. E’ la pioggia.

Esperimento scientifico per creare la pioggia in un vaso qui: 

La nebbia

L’aria è piena di vapore acqueo che proviene dalla superficie del mare o dei laghi o del suolo, potendo con sè un po’ del calore degli oggetti che ha abbandonato. Per constatare questo fenomeno basta bagnare un dito con l’alcool ed esporlo all’aria. Si avvertirà subito una sensazione di freddo e ciò perchè l’alcool, evaporando, porta con sè un po’ del calore del dito. Se il vapore acqueo che si trova nell’aria è abbondante, si dice che l’aria è umida. Quando l’aria è molto umida, l’evaporazione diminuisce ed è allora che, nelle giornate estive molto umide e afose, il sudore ci si appiccica addosso.
Abbiamo avuto occasione di vedere, specie in un raggio di sole, il pulviscolo atmosferico, cioè minutissime particelle che danzano nell’aria. Questo pulviscolo è formato dalla polvere che si leva dal suolo, da piccolissime spore, da impurità di ogni genere. Quando il vapore acqueo che proviene dal suolo ancora caldo si raffredda a contatto dell’aria fresca notturna, esso si condensa attorno ad un minuscolo granello di polvere. Queste goccioline formano una specie di nuvola bassa sul suolo, che si chiama nebbia.
Quindi, la nebbia è una specie di nuvola bassa sulla terra, formata da vapore acqueo condensato e pulviscolo atmosferico. Essa si forma anche sul mare e sui laghi e non appena il sole la riscalda a sufficienza, sparisce perchè le goccioline d’acqua evaporano e salgono nell’aria.

Esperimento scientifico per creare la nebbia in vaso qui: 

La neve

Quando l’aria è molto fredda, il vapore si condensa in tanti piccoli cristalli di ghiaccio che riunendosi formano quelli che chiamiamo i fiocchi di neve. Questi sono leggeri e morbidi perchè inglobano grandi quantità di aria. Se si osservano con una forte lente di ingrandimento, si potrà vedere che sono di  forma diversa, ma tutti fatti a stellina con sei punte.

Qui un tutorial per realizzare bellissimi fiocchi di neve di carta: 

La grandine

Il fenomeno della grandine avviene prevalentemente in estate e c’è la sua ragione. In questa stagione, l’aria è talvolta molto calda e, come abbiamo visto, tende a salire. Nelle altissime regioni atmosferiche, l’aria calda incontra generalmente  correnti assai fredde, anzi, gelate. Allora, le goccioline d’acqua che l’aria contiene, cominciano a turbinare non solo, ma gelano e si trasformano in cristalli di ghiaccio. Anche qui avviene lo stesso fenomeno della pioggia; cioè i cristalli di ghiaccio cadono e incontrano,  nella loro caduta, altre gocce d’acqua a cui si uniscono. Le correnti d’aria calda li sospingono incessantemente verso l’alto finchè i ghiaccioli, divenuti ormai grossi e pesanti, precipitano sulla terra con gli effetti disastrosi che tutti conosciamo. Nel fiocco di neve è contenuta molta aria, nel chicco di grandine no. Ecco perchè questo è più pesante e compatto.

La rugiada

Abbiamo occasione di vedere la rugiada sulle piante e sulla terra, di mattina presto, quando il calore del sole non l’ha ancora fatta evaporare.
Come si è formata? La spiegazione è semplice. Durante la giornata, i caldi raggi del sole hanno riscaldato la terra, le erbe, i fiori. Durante la notte, invece, questi si raffreddano e il vapore acqueo vi si condensa in brillanti goccioline. In autunno o in inverno, quando le notti sono molto fredde, si forma invece la brina. Mentre la rugiada è benefica, la brina, come è noto, danneggia le piante e talvolta quella che si chiama una brinata o una gelata può distruggere un intero raccolto.

Lampi e fulmini

E’ facile, durante un temporale scorgere nel cielo i lampi e vedere cadere un fulmine. La spiegazione di questo fenomeno risale a quanto abbiamo detto a proposito della pioggia. Le goccioline di acqua che, sospinte dalle correnti calde si aggirano vorticosamente nell’aria, si caricano ad opera di questo movimento di elettricità. Questa elettricità si manifesta, appunto, nel lampo che è un’enorme scintilla elettrica che scocca fra due nubi cariche di elettricità (positiva e negativa).
Se la scarica colpisce il suolo, abbiamo il fulmine di cui conosciamo gli effetti talvolta drammatici.
Il tuono è il rimbombo dell’aria quando viene squarciata dal lampo e dal fulmine, ma non deve incutere paura perchè, quando il tuono si sente, il pericolo è già passato.

L’arcobaleno

Portiamo a scuola un prisma e con esso facciamo osservare ai bambini che un raggio di sole, apparentemente fatto di luce bianca, passando attraverso il prisma si scompone di sette bellissimi colori. Ciò avviene perchè i diversi colori di cui è composta la luce bianca sono dal prisma deviati in modo diverso. La stessa cosa avviene con l’arcobaleno. Le gocce di pioggia ancora sospese nell’aria vengono attraversate dalla luce del sole i cui raggi si piegano come nel prisma di cristallo. I colori dell’arcobaleno sono sette: rosso, giallo, celeste, verde, arancione, indaco e violetto.

Un arcobaleno nella noce qui: 

L’arcobaleno nella leggenda del Lago di Carezza qui: 

Girandole e trottole per studiare lo spettro luminoso qui 

Dettati ortografici

L’aria atmosferica
La parte inferiore dell’atmosfera è costituita dallo strato gassoso che circonda il nostro globo e che lo segue nel suo movimento di rotazione. L’atmosfera è una massa gassosa alta mille chilometri.

La pressione atmosferica
L’atmosfera preme enormemente sulla superficie del nostro globo e noi non ne rimaniamo schiacciati perchè la pressione si esercita sul nostro corpo internamente ed esternamente, ciò che produce equilibrio. Quando questo equilibrio viene a mancare, come nel caso in cui l’uomo salga a grandi altezze senza essere munito di speciali apparecchi per respirare e per sostenere la mancanza di pressione, si rilevano gravi disturbi e quasi sempre la morte.

Tre elefanti sulle spalle
Chi porta elefanti sulle spalle? Chi è quest’uomo così robusto da non rimanere schiacciato non solo sotto il peso di tre elefanti, ma di uno soltanto? Siamo tutti noi, che sopportando il peso dell’aria, è come se portassimo un peso uguale a quello di tre grossi elefanti.

La pressione atmosferica
L’atmosfera pesa enormemente sopra di noi. E perchè non ne rimaniamo schiacciati? Perchè l’aria esercita questa pressione su tutte le parti del nostro corpo, non solo, ma anche nell’interno, e il risultato è che queste enormi pressioni, enormi ma uguali, si equilibrano e l’uomo può muoversi benissimo senza alcun disturbo.

La stratosfera
La stratosfera è chiamata la regione del buon tempo permanente. Il cielo è di una bellezza commovente: scuro, turchino, cupo o viola, quasi nero.
La terra, lontana, è invisibile: non si vede che nebbia. Soltanto le montagne emergono. Dapprima avvolte nelle nubi, si rivelano a poco a poco.  Una cima poi un’altra. Lo spettacolo è magnifico. (A. Piccard)

Le conquiste degli spazi
La conquista degli spazi è agli inizi. Chissà quanti palpiti, chissà quanta ammirazione, quanti evviva dovremo spendere per le sempre più meravigliose imprese future! Se siamo diversi dalle bestie, è proprio per questo insaziabile, anche se folle bisogno di andare sempre più in là, di svelare uno ad uno i misteri del creato. (D. Buzzati)

L’atmosfera
Noi siamo immersi completamente nell’aria, anzi, nella sfera d’aria che circonda la terra; meglio sarà se diremo atmosfera, che significa, appunto, sfera d’aria. La terra gira, gira vorticosamente, es e noi non ce ne accorgiamo dipende dal fatto che tutto gira con la terra, comprese le nuvole che fanno parte dell’atmosfera.

La conquista dello spazio
A ogni passo di là dalle conosciute frontiere, volere o no, il nostro cuore palpita. Al pensiero che un uomo come noi sta bivaccando lassù, nella vertiginosa e gelida parete trapunta di stelle, vien fatto di correre su per le scale, di affacciarsi sull’ultima terrazza e di agitare un lumino. Chi lo sa, se ci vede: si sentirà meno solo. (D. Buzzati)

Il lancio del missile
Il razzo, avvolto alla base da un bagliore di fiamma e da una nuvola di vapori, si stacca dalla piattaforma e sale sempre più velocemente verso l’alto. L’astronauta comincia con voce pacata a trasmettere a terra tutte le informazioni richieste dal suo eccezionale servizio e contemporaneamente esegue tutte le operazioni assegnategli come se fosse seduto davanti a una scrivania. Solo una volta, mentre la capsula ha raggiunto l’altezza di 185 chilometri, si lascia sfuggire un’esclamazione: “Che vista meravigliosa!”

Aria calda e aria fredda
Mutamenti improvvisi di temperatura molto spesso portano pioggia o tempo burrascoso. E’ per questo motivo che, alla fine di una calda giornata estiva, quando comincia a levarsi il vento e l’aria rinfresca e il cielo si copre di nuvole, si può essere quasi sicuri che ci sarà un temporale. L’aria, così calda per tutta la giornata, comincerà a salire, e quella fredda scende rapidamente a prendere il suo posto, portando con sè vento e pioggia. (J. S. Meyer)

Un oceano d’aria
Noi viviamo sul fondo di un oceano d’aria, che si innalza per chilometri e chilometri sopra le nostre teste ed è molto pesante. Se non ne sentiamo il peso è solo perchè la sua pressione si esercita sul nostro corpo dall’alto, dal basso e dai lati, in ogni direzione contemporaneamente. Inoltre c’è sempre aria nei nostri polmoni e in tutto il nostro corpo, e quest’aria che è dentro di noi e quella che è intorno a noi si bilanciano così che non di accorgiamo di quanto l’aria pesi. (J. S. Meyer)

L’atmosfera
La quasi totalità degli esseri viventi ha bisogno di aria per respirare. Anche gli alberi, le erbe, i fiori, hanno bisogno di aria; ma se potessero esistere senza di essa, sarebbero immobili come cose dipinte. Non una sola tra le innumerevoli foglie degli alberi si muoverebbe; non un solo filo d’erba si piegherebbe, e ramoscello o fronda stormirebbero ondeggiando alla brezza. E non potrebbero esserci ne api ne farfalle ne uccelli di alcuna specie, poichè come potrebbero volare se non di fosse aria a sostenerne il volo? Ogni cosa al mondo sarebbe silenziosa e muta, poichè il suono non può propagarsi se non attraverso l’aria. (J. S. Meyer)

L’aria
Senza aria o atmosfera non si avrebbe ne tempo bello ne tempo brutto, ne pioggia ne neve; e non si saprebbe che cosa sono il sereno, le nuvole, i temporali. Senz’aria non potrebbero vivere ne uomini ne animali, la quasi totalità degli esseri viventi ha bisogno di aria perchè questa necessita per respirare. ( J. S. Meyer)

Un oceano d’aria
Immaginate che cosa significherebbe vivere sul fondo dell’oceano. Supponete per un momento di poter camminare sul fondo oceanico, con tante migliaia di tonnellate d’acqua che premono su di voi e pesano come montagne. Naturalmente, non si potrebbe resistere poichè il nostro corpo non è fatto per sopportare un peso così enorme: si resterebbe schiacciati in meno di un minuto. Eppure tutti noi viviamo sul fondo di un oceano d’aria che si innalza per chilometri e chilometri sopra la nostra testa ed è molto pesante. (J. S. Meyer)

Salire nell’atmosfera
Quanto più saliamo nell’atmosfera, tanto minore è la quantità di aria sopra di  noi e minore sarà la pressione. Se potessimo salire per sessanta o settanta chilometri, difficilmente troveremmo ancora un po’ d’aria, e sarebbe la morte per noi. Il nostro corpo, infatti, è costituito per poter vivere sulla terra, nel fondo dell’oceano d’aria, e proprio dove l’aria è più pesante. (J. S. Meyer)

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Il vento

Venti e piogge
I venti non solo servono a ventilare decentemente questo nostro quartiere di residenza che è la terra, ma compiono inoltre l’alta funzione di distribuire la pioggia, senza la quale sarebbe impossibile lo sviluppo normale della vita animale e vegetale. La pioggia non è altro che acqua evaporata dagli oceani, dai mari chiusi, dalla terra arida e dalle foglie delle piante e dai nevai continentali e trasportata dall’aria sotto forma di vapore.  Quando i venti, che trasportano questo vapore, incontrano aria fredda si ha la pioggia. (Van Loon)

Il vento
Il vento è una corrente. Ma, cos’è che produce una corrente? Cos’è che la mette in moto? Le differenze di temperatura dell’aria. Di solito una parte dell’aria è più calda dell’aria circostante e quindi più leggera, e perciò tende a levarsi in alto. Levandosi, crea il vuoto. L’aria fredda delle regioni superiori, essendo più pesante, precipita turbinando nel vuoto. (Van Loon)

Vento e pioggia
Quando un vento, carico di vapore acqueo, incontra una catena di montagne, possono accadere due cose. O la sua violenza deve spezzarsi contro questo ostacolo, oppure, per poterlo oltrepassare, la corrente aerea deve innalzarsi a grande altezza. Trovando, così, una zona più fredda, il vapore acqueo si condensa, si trasforma in pioggia, e il vento, ormai diventato asciutto, passa oltre. Quindi la zona che è situata al di qua della catena di monti, avrà frequenti piogge e clima umido, la zona situata al di là avrà clima asciutto e cielo sereno. (Van Loon)

Altri dettati ortografici sul vento qui: 

Poesie e filastrocche sul vento qui: 

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Le nuvole

Le nubi che corrono all’impazzata per il cielo sono leggere, soffici e, spinte dal vento, sembrano bianchi agnelli in corsa. Si divertono qualche volta ad oscurare il sole, a cingere di un pallido alone la luna lucente, a coprire e a scoprire le cime lontane dei monti. Qualche volta si appesantiscono, si fanno nere e minacciose: sono allora foriere di temporale. Si scaricano in furiosi acquazzoni e non di rado in dannose grandinate. (R. Mari)

Le nuvole
Che cosa sono quelle nuvole soffici che vediamo pigramente e oziosamente fluttuare nel cielo azzurro? La maggior parte di esse hanno l’aspetto di fiocchi bambagiosi, delicati e soffici: sembrerebbe bello poter andar vagando qua e là per cielo, adagiati su di esse, spinti da un gentile venticello! Ma sappiamo che in realtà non si tratta di bambagia e tanto meno di fiocchi morbidi e leggeri.

Le nubi
Le nubi sono costituite da miliardi e miliardi di minutissime goccioline di acqua, ciascuna delle quali è così piccola che non si vede a occhio nudo. Di tali goccioline ce ne sono miliardi in una goccia di pioggia: di qui si potrà comprendere la piccolezza di ognuna e come possa essere invisibile a occhio nudo. (J. S. Meyer)

Forma delle nuvole
Quelle nuvole d’aspetto soffice e bambagioso sono chiamate cumuli. I cumuli spesso sono considerati come nuvole del bel tempo. Talvolta i cumuli si avvicinano e si uniscono sì che tutto il cielo ne è presto ricoperto. Non si tratta più di cumuli, ma di strati. Essi formano una specie di coltre e ci avverte che la pioggia può non essere lontana. Alte nel cielo, talvolta a quindici chilometri dalla terra, viaggiano quelle nuvole fini e delicate che sono dette cirri, che vuol dire riccioli. Sono freddissime  e invece che da goccioline d’acqua, sono costituite da minuti cristalli di ghiaccio. (J. S. Meyer)

Nuvole
La mattina, al primo chiarore, sorgono dai prati umidi. La sera sbucano in un batter d’occhio da qualche gola più oscura, si assottigliano, innalzandosi velocissime per le coste, si librano per le cime dei monti, poi, in un batter d’occhio, come scaturiscono, svaniscono. Il vento le incalza, le sbaraglia, le sgretola e le disperde dopo una lotta silenziosa di giganti. (G. Giacosa)

Le nuvole
Quando, levandosi dal suolo, l’aria calda le incontra, intorno ai mille o ai duemila metri, correnti o strati d’aria più fredda, il vapor acqueo in essa contenuto si raffredda e le minute goccioline di cui è composta si raggruppano insieme e formano gocce più grosse. Miliardi di gocce si ammassano e si condensano sempre più, formano cioè delle nuvole. A poco a poco si riuniscono tutte e in breve il cielo ne è completamente ricoperto. (J. S. Meyer)

Le nuvole
E’ appena giorno e io che mi sono svegliato presto ne approfitto per continuare a registrare le mie memorie nel mio caro giornalino, mentre i miei cinque compagni dormono della grossa.
Ieri l’altro dunque, cioè il 30 gennaio, dopo colazione, mentre stavo chiacchierando con Tino Barozzo, un altro collegiale grande, un certo Carlo Pezzi gli si accostò e gli disse sottovoce: “Nello stanzino ci sono le nuvole”.
“Ho capito!” rispose il Barozzo strizzando un occhio.
E poco dopo mi disse: “Addio Stoppani, vado a studiare” e se ne andò dalla parte dove era andato il Pezzi.
Io che avevo capito che quell’andare a studiare era una scusa bella e buona e che invece il Barozzo era andato nello stanzino accennato prima dal Pezzi, fui preso da una grande curiosità, e senza parere, lo seguii pensando “Voglio vedere le nuvole anch’io”.
E arrivato a una porticina dove avevo visto sparire il mio compagno di tavola, la spinsi e… capii ogni cosa.
In una piccola stanzetta che serviva per pulire e assettare i lumi a petrolio (ce n’erano due file da una parte, e in un angolo una gran cassetta di zinco piena di petrolio e cenci e spazzolini su una panca) stavano quattro collegiali grandi, che nel vedermi, si rimescolarono tutti, e vidi che uno, un certo Mario Michelozzi, cercava di nascondere qualcosa.
Ma c’era poco da nascondere, perchè le nuvole dicevano tutto: la stanza era piena di fumo e il fumo si sentiva subito che era di sigaro toscano.
“Perchè sei venuto?” disse il Pezzi con aria minacciosa.
“Oh bella, sono venuto a fumare anch’io”
“No, no!” saltò a dire il Barozzo “Lui non è abituato… gli farebbe male, e così tutto sarebbe scoperto”.
“Va bene, allora starò a veder fumare”
“Bada bene” disse un certo Maurizio Del Ponte, “Guai se…”
“Io, per regola” lo interruppi con grande dignità, avendo capito quel che voleva dire, “la spia non l’ho mai fatta, e spero bene!”
Allora il Michelozzi, che era rimasto sempre prudentemente con le mani di dietro, tirò fuori un sigaro toscano ancora acceso, se lo cacciò avidamente tra le labbra, tirò due o tre boccate e lo passò al Pezzi che fece lo stesso, passandolo poi al Barozzo che ripetè la medesima funzione passandolo a Del Ponte che, dopo le tre boccate di regola, lo rese al Michelozzi… e così si ripetè il passaggio parecchie volte, finchè il sigaro fu ridotto ad una misera cicca e la stanza era così piena di fumo che ci si asfissiava…
“Apri il finestrino!” disse il Pezzi al Michelozzi. E questi si era mosso per eseguire il saggio consiglio quando il Del Ponte esclamò:
“Calpurnio!”
E si precipitò fuori della stanza seguito dagli altri tre.
Io, sorpreso da quella parola ignorata, indugiai un po’ nell’istintiva ricerca del suo misterioso significato, pur comprendendo che era un segnale di pericolo; e quando a brevissima distanza dagli altri feci per uscire dalla porticina, mi trovai faccia a faccia con il signor Stanislao in persona che mi afferrò per il petto con la destra e mi ricacciò indietro esclamando: “Che cosa succede qua?”
Ma non ebbe bisogno di nessuna risposta; appena dentro la stanza comprese perfettamente  quel che era successo e con due occhi da spiritato, mentre gli tremavano i baffi scompigliati dall’ira, tuonò: “Ah, si fuma! Si fuma, e dove si fuma? Nella stanza del petrolio, a rischio di far saltare l’istituto! Sangue d’un drago! E chi ha fumato? Hai fumato tu? Fa’ sentire il fiato… march!”
E si chinò già mettendomi il viso contro il viso in modo che i suoi baffoni grigi mi facevano il pizzicorino sulle gote. Io eseguii l’ordine facendogli un gran sospiro sul naso ed egli si rialzò dicendo: “Tu no… difatti sei troppo piccolo. Hanno fumato i grandi… quelli che sono scappati di qui quando io imboccavo il corridoio. E chi erano? Svelto… march!”
“Io non lo so!”
“Non lo sai? Come! Ma se erano qui con te!”
A queste parole i baffi del signor Stanislao incominciarono a ballare con una ridda infernale.
“Ah, sangue d’un drago! Tu ardisci rispondere così al direttore? In prigione! In prigione! March!”
E afferratomi per un braccio mi portò via, chiamò il bidello e gli disse: “In prigione fino a nuovo ordine!”
(Vamba)

Poesie e filastrocche sulle nuvole qui: 

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La pioggia

Quando l’ammasso delle nuvole che si condensano con il freddo, si raffredda maggiormente, allora tutti i miliardi di goccioline che lo formano e che hanno già un discreto volume, diventano sempre più grosse e più pesanti e a un bel momento, cominceranno a staccarsi dalle nubi ed a precipitare sulla terra in forma di pioggia. La pioggia cade e le nuvole a poco a poco si dissolvono. (J. S. Meyer)

La pioggia
La pioggia non è altro che acqua evaporata dagli oceani, dai mari chiusi e dai nevai continentali e trasportata nell’aria sotto forma di vapore. Poichè l’aria calda può contenere molto maggior vapore che la fredda, il vapore acqueo viene trasportato senza molta difficoltà finchè i venti non incontrino aria fredda; quando ciò avviene, il vapore si condensa e precipita nuovamente alla superficie della terra in forma di pioggia o grandine o neve. (Van Loon)

Altri dettati ortografici sulla pioggia qui: 

Poesie e filastrocche sulla pioggia qui: 

Dettati ortografici sul temporale qui: 

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La nebbia

La nebbia è una nuvola bassa sulla terra formata da vapore acqueo e pulviscolo atmosferico. Essa si forma prevalentemente sul mare e sui laghi e non appena il sole la riscalda a sufficienza sparisce perchè le goccioline d’acqua evaporano e salgono nell’aria.

Altri dettati ortografici sulla nebbia qui: 

Poesie e filastrocche sulla nebbia qui: 

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La neve

La neve è una precipitazione atmosferica che avviene quando la temperatura dell’aria in cui il vapore acqueo si va condensando, diventa molto bassa. Per questo fatto, il vapore acqueo si condensa in minutissimi cristalli di ghiaccio disposti a forma di stella, i quali, cadendo, si raggruppano fra loro formando i fiocchi di neve.

Fiocchi di neve
Andate al’aperto con una tavola scura mentre nevica e studiate, mediante una lente di ingrandimento, le stelline graziose che vi cadono a miliardi dal cielo. Osserverete la mirabile costruzione di queste foglioline di cristallo, di questi grappoli di stelline, ognuno delle quali è un capolavoro che nessun gioielliere saprebbe mai imitare. (B. H. Burgel)

Altri dettati ortografici sulla neve qui:

Poesie e filastrocche sulla neve qui:

Un libretto fatto a mano sulla neve qui: 

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La brina

Dettati ortografici su brina,  gelo, ghiaccio, qui: 

Poesie e filastrocche su brina, gelo e ghiaccio qui: 

50 e più giochi da fare col ghiaccio qui:

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La rugiada

La rugiada compare sempre la mattina presto, di primavera, d’estate, e anche al principio dell’autunno. Se di giorno ha fatto molto caldo e la notte è fresca, è certo che al mattino seguente ci sarà molta rugiada sui prati. Sull’erba, sulle foglie, sui fiori ci saranno tante goccioline d’acqua che brillano come diamanti alla luce dell’alba. (J. S. Meyer)

Altri dettati e poesie sulla rugiada qui: 

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L’arcobaleno

Dettati ortografici sull’arcobaleno qui: 

Poesie e filastrocche sull’arcobaleno qui: 

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La grandine

La grandine è formata di granellini gelati che cadono da nuvole cineree. E’ preceduta spesso da un uragano nel quale si percepisce un rullio caratteristico causato, pare, dallo sfregamento dei granellini di ghiaccio che si muovono in moto vorticoso, rapidissimo. La grandine è sempre apportatrice di rovine; i granelli possono raggiungere anche la grandezza di un uovo e un peso notevole.

La grandine
D’estate, quando da noi fa un caldo insopportabile, a diverse migliaia di metri dal suolo la temperatura può essere bassissima; e allora succedono strane cose. L’aria calda che si solleva dalla terra comincia, a un certo punto, a turbinare e a trasportare con sè goccioline di acqua. Su, sempre più su le sospinge l’aria calda, finchè esse raggiungono gli strati d’aria dove la temperatura è molto bassa. Allora gelano, si trasformano in minuti ghiaccioli e cominciano a cadere. Così turbinando e cadendo, si uniscono fra loro e formano chicchi di ghiaccio che, per l’aumentato peso, precipitano sulla terra in forma di grandine. (J. S. Meyer)

Altri dettati sulla grandine qui: 

Poesie e filastrocche sulla grandine qui: 

La bufera

La natura è bella anche nei suoi furori: una bufera è tanto più bella, quanto più è terribile e intensa. Ecco che il cielo si oscura e il sole si nasconde fra le nuvole scure, coi contorni neri, che si rincorrono, si inseguono come eserciti in battaglia. Guizzano i lampi e le nubi vibrano e si scuotono come invase da una corrente elettrica che le illumina, ora di una luce azzurra, ora dorata, ora argentea. Di quando in quando guizzi di lampi serpeggiano nell’oscuro esercito delle nuvole.
(P. Mantegazza)

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VULCANI materiale didattico vario

VULCANI materiale didattico vario

Sul Vesuvio

Salgo per un sentiero, il quale, serpeggiante ed angusto, in tutto rassomiglia ai sentieri di alta montagna: soltanto qui non vi sono cigli erbosi e neppure quei rari fiorellini dalle tinte intense che si trovano fino alle più grandi altezze, qui vi à la lava arida e granulosa nella quale il piede affonda come nella sabbia; qui non vi sono alberi od arbusti. Tutto è arido, tetro, arso… Arrivo sull’orlo del cratere. Larghissimo e concentrico è il cratere e le ripe, incurvandosi tutto intorno, danno l’idea di quello che doveva essere il monte prima dell’eruzione di Pompei, che ne sventrò la cima e ne fece un vulcano. (A. Moravia)

I vulcani attivi in Italia

Quattro sono i vulcani attivi in Italia: Vesuvio, Etna, Stromboli e Vulcano.

Il Vesuvio è un tipico vulcano a cono; il cratere attuale è il prodotto di un’antica eruzione che ha sventrato il cratere precedente. La più spaventosa eruzione storica del Vesuvio è stata quella dell’anno 79 dopo Cristo: le città di Ercolano, Pompei e Stabia furono annientate con tutti gli abitanti, e rimasero seppellite dalle ceneri eruttate dal vulcano.

I lavori di disseppellimento, che durano ormai da due secoli, hanno permesso di riconoscere in ogni particolare la vita degli antichi Romani, le loro abitazioni, i costumi, le suppellettili.

In attività eruttiva sono Vulcano e Stromboli, quest’ultimo in attività continua da più di 3000 anni. Passando con il piroscafo presso l’isola di Stromboli durante la notte, si vede il vulcano risplendere come un faro.

Il maggior vulcano italiano, l’Etna, è anche uno dei massimi coni eruttivi della Terra. Per altezza è il maggior monte dell’Italia peninsulare e insulare, poichè supera i 33oo metri, mentre il Gran Sasso non raggiunge i 3000 metri.

E’ un enorme cono costituito da colate laviche sovrapposte e da strati di tufo. Da millenni questo vulcano è in continua attività; attualmente si verifica un’eruzione ogni dieci anni circa.

Disastrosa fu l’eruzione del 1669: le lave sgorgate da una spaccatura lunga 18 chilometri formarono i Monti Rossi e coprirono una superficie di 50 chilometri quadrati. Vennero totalmente o parzialmente distrutti dodici centri abitati, tra cui buona parte della città di Catania, ove le colate di lava si spensero al mare. Si contarono 90.000 vittime.

La distruzione di Pompei

Dopo lunghi secoli di silenzio, nell’agosto del 79, il Vesuvio si risvegliò improvvisamente: tra boati e scuotimenti spaventosi, la sommità del monte si aprì, e dalla voragine si levò un fittissimo nembo di cenere e lapilli che oscurò il sole, e ricadendo sulla terra, coprì i campi e le case, seppellendo tutto sotto una coltre di morte. Le popolazioni, sbalordite per lo spettacolo mai visto, pazze di terrore, fuggirono incalzandosi per le vie, spargendosi per i campi, avventurandosi sul mare irato, inseguite sempre dalla pioggia implacabile di cenere e di sassi. I deboli cadevano e morivano, calpestati dai fuggitivi o soffocati dalle emanazioni micidiali del suolo; i più forti correvano senza meta, a tentoni nel buio fitto, urlando. Nè mancarono gli illusi che, sperando nella pronta fine del cataclisma, si serrarono nelle case, si stiparono nei sotterranei e morirono o schiacciati sotto le macerie o esausti dalla fame o asfissiati. (A. Manaresi)

I vulcani

Al centro della Terra si trova una enorme massa di materiale incandescente avvolto tra fiamme e gas, i quali di tanto in tanto provocano spaventose esplosioni. Quando avvengono queste esplosioni il materiale incandescente viene lanciato con tale forza che riesce a rompere anche la crosta terrestre e forma una larga spaccatura attraverso la quale giunge alla luce. Qui, a mano a mano che esce, si solidifica e dà origine ad un monte a forma di cono, che si chiama vulcano. Alla sommità del cono vi è il cratere, una grande apertura circolare, sempre pronta ad emettere da un momento all’altra lava, lapilli e cenere infuocata. In Italia vi sono tre vulcani ancora attivi, pronti cioè a mettersi in eruzione. Essi sono il Vesuvio, l’Etna e lo Stromboli.

Le formiche e il gigante

Un gruppo di uomini irsuti e vestiti di pelli si inoltra, a passo cauto, tra la vegetazione che ammanta la falda del monte. Sono armati di grossi randelli in cima ai quali hanno legato una pietra scheggiata a forma di lancia. Hanno avvistato un cerbiatto e poichè sono affamati, vogliono ucciderlo. Ma il cerbiatto è scomparso.
Ora gli uomini lo cercano fra gli alberi che coprono i fianchi della montagna. Sono alberi così fitti e così alti che il sole vi penetra a stento. Se gli uomini salissero su su, fino a raggiungere la vetta, vedrebbero gli alberi cambiare aspetto. Prima castagni fronzuti, poi querce possenti, infine abeti, pini e faggi, sempre più alti, sempre più oscuri.
Il paesaggio è selvaggio, come è selvaggio l’aspetto di quegli uomini che rassomigliano agli animali di cui vanno a caccia. Irsuti, muscolosi, fronte bassa e occhi infossati, braccia lunghe e aspetto selvatico, essi non conoscono che una legge: uccidere per mangiare.
Il monte è alto e scosceso, così alto che la sua cima, spesso, è avvolta dalle nubi. Gli uomini non sono mai saliti fin lassù: hanno paura di questo gigante. Quando le nubi si diradano e la vetta appare nitida nel cielo, essi la guardano con timore, così aguzza, spoglia e rocciosa, spesso coperta di bianco. Certo, quel monte è un nume potente che, dall’alto, guarda con disprezzo i piccoli uomini, simili a formiche, che si arrampicano per i suoi pendii. Se appena lasciasse cadere un masso su di loro, ne schiaccerebbe un bel mucchio. Se scatenasse le acque, che sgorgano fra le sue rocce, li spazzerebbe tutti, proprio come si spazza uno stuolo di formiche affaccendate. Se scuotesse appena le sue membra di pietra, li travolgerebbe in un diluvio di sassi, tra rombi spaventosi.
Gli uomini sanno tutto questo, perchè l’hanno provato. E perciò temono la montagna. La temono e l’amano. Quando le furie non la squassano, la montagna apre, benevola, le sue caverne a ripararli dalle intemperie; fornisce loro i nodosi randelli e le pietre con cui atterrare la preda; i suoi alberi maturano abbondanti frutti squisiti. Gli uomini amano la montagna nonostante le sue ire, purchè però non sputi fuoco. Anche questo, infatti, talvolta accade. Essi hanno visto con sbigottimento scaturire talvolta dalla cima di un monte un’immensa fiumana liquida che bruciava tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino. Soltanto dopo che il gigante si era calmato, il fiume di fuoco diventava di nuovo pietra nera, consolidata lungo i fianchi. In seguito, l’avrebbero chiamata lava.
Ecco perchè le formiche hanno paura del gigante.
Eppure, il gigante sarebbe stato domato dalle formiche.
Siamo nello stesso luogo, ma mille e mille anni dopo. La montagna ha cambiato aspetto. I suoi versanti non sono più ricoperti da quella fitta vegetazione che impediva al sole di penetrare. Nelle zone più basse i campi coltivati si estendono a perdita d’occhio, solcati da strade su cui passano macchine velocissime. Graziose casette sorgono qua e là, fitte fitte, una vicina all’altra, e formano un paese da cui emerge la punta di uno svelto campanile.
Gli alberi non ammantano più i fianchi di questa montagna domata: sono stati abbattuti per fabbricare le case, le navi, per essere trasformati in tanti oggetti di cui l’uomo si serve perchè la sua vita sia sempre più comoda e facile. Forse ne ha abbattuti un po’ troppi. Soltanto in alto, la foresta è rimasta intatta, ma i fianchi della montagna sono ormai spogli. E la montagna si è vendicata lasciando precipitare le sue acque che, non più trattenute dai grossi tronchi, hanno portato devastazioni e rovine. L’uomo è corso ai ripari e ha imparato a rispettare gli alberi.
Ora la montagna è sua amica ed egli è salito sulla sua vetta e vi ha piantato la bandiera.
E’ vero che la vetta non è più così rocciosa e aguzza come al tempo degli uomini irsuti e coperti di pelli. Per troppi secoli si è eretta verso il cielo: le sue piogge l’hanno flagellata, le nevi che l’hanno ricoperta, ghiacciandosi, l’hanno spaccata in tutti i sensi; i torrenti, che per tanto tempo sono precipitati lungo i suoi fianchi, hanno trascinato pietre, terra, scavando profonde e ampie vallate dove si sono gettate le acque dei fiumi.
L’uomo è ormai amico della montagna. Le catene dei monti, che si stendono per migliaia e migliaia di chilometri, gli hanno permesso di difendersi dagli invasori meglio di una fortezza. Ed entro quelle catene egli ha stabilito i limiti della sua patria.
In tempo di pace, vi ha tracciato ampie strade su cui ha fatto passare le sue macchine rombanti e i suoi treni fragorosi. E per far questo, si è giovato dei valichi che si aprivano tra una vetta e l’altra. Talvolta, dove non era possibile servirsi dei valichi, ha scavato lunghe gallerie che hanno traforato addirittura la montagna da una parte all’altra.
Ecco perchè la montagna ha cambiato aspetto: quegli uomini che si arrampicavano lungo i suoi fianchi simili a formiche, così deboli in confronto della sua potenza, l’hanno dominata. Hanno imbrigliato le sue acque perchè non portassero devastazioni, ma fertilità; hanno sostituito la selvaggia vegetazione con campi e pascoli; hanno costruito comode abitazioni lungo i suoi fianchi, servendosi dei tronchi e delle pietre che la stessa montagna forniva; persino le lave, che essa aveva fatto scaturire fra un diluvio di fiamme, si sono trasformate, per opera degli uomini, in terreni fertili.
Le formiche hanno vinto il gigante.
(Mimì Menicucci)

La distruzione di Pompei

Da parecchi giorni la terra era scossa da un lieve terremoto; a un tratto le scosse divennero più violente. Una grossa nuvola nera di cenere, interrotta da lingue di fuoco, usciva dal cratere del Vesuvio e si ingrandiva sempre più: discese dal monte, coprì i campi e giunse fino al mare.
La terra sprofondò. Donne, uomini, bambini, fuggirono terrorizzati dalle loro case, urlando, piangendo, invocando gli dei. Non si vedeva nulla: i fanciulli chiamavano la mamma,  le mamme i figli, i mariti le spose. Sembrava giunta la fine del mondo.
Anche a Pompei si udì un terribile boato e sulla città sembrò scendere la notte. Moltissimi si trovavano nell’anfiteatro ad assistere ad uno spettacolo di gladiatori. I cittadini, impazziti di terrore, si riversarono sulla strada che conduceva al mare. Alcuni riuscirono a salvarsi, altri si attardarono nelle loro case per prendere i gioielli e i denaro. Di questi ultimi nessuno si salvò: morirono asfissiati dalle ceneri e dai vapori ardenti. Pompei fu sepolta e così Ercolano e Stabia.

La famosa eruzione del Vesuvio del 79

Lo scrittore romano Plinio il Giovane ci ha lasciato in una sua lettera questa viva e impressionante descrizione dell’eruzione del Vesuvio che nel 79 seppellì le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Lo zio dello scrittore, Plinio il Vecchio, considerato il più grande naturalista romano e autore di una Storia Naturale, spinto dall’amore della scienza, accorse, incurante del pericolo, per osservare da vicino il fenomeno, ma trovò la morte.
“La nube, che da lontano era difficile capire da qual monte sorgesse (solo più tardi si seppe che proveniva dal Vesuvio), somigliava per la sua forma ad un albero, più precisamente ad un pino, poichè, dopo essersi levata assai in alto, come un tronco altissimo, si ramificava intorno e appariva ora bianca, ora nerastra, secondo che era più carica di terra o di cenere.
Come era naturale, dato il suo amore alla scienza, mio zio credette che quel grandioso fenomeno fosse degno di essere esaminato più da vicino.
Ordinò dunque che gli si apparecchiasse la sua lancia (egli si trovava a Miseno, al comando della flotta romana) e stava già per uscire di casa, quando ricevette un biglietto di Rectina, moglie di Casco, atterrita dall’imminente pericolo, poichè la sua villa stava ai piedi del Vesuvio, nè altro scampo vi era se non per mare, e pregava affinchè egli volesse salvarsi da sì grande catastrofe.
Allora mio zio mutò consiglio e si accinse ad affrontare col più grande coraggio ciò che prima pensava di osservare con interesse di studioso.
Fece venire delle quadriremi, vi montò sopra egli stesso e partì per portare soccorso, non solo a Rectina, ma a molti altri, poichè la spiaggia bellissima assai era popolata.
A mano a mano che le navi si avvicinavano, una cenere più spessa e più calda pioveva su di esse; già cadevano tutt’intorno lapilli e scorie ardenti, già si era formata una improvvisa laguna, profotta dal sollevamento del fondo del mare, e il lido era reso inaccessibile peri cumuli di lapilli.
Allora, dopo essersi fermato, alquanto incerto se tornare indietro o procedere oltre, mio zio disse al pilota, che gli consigliava appunto di guadagnare l’alto mare: “La fortuna aiuta i forti: drizza la prua verso la villa di Pomponiano”.
Pomponiano si trovava a Stabia… Mio zio, portato là dal vento assai favorevole alla sua navigazione, abbraccia il suo amico tutto tremante, lo rincuora, lo esorta a farsi coraggio…
Frattanto dal Vesuvio, in più punti, si vedevano rilucere vasti incendi, il cui fulgore era accresciuto e fatto più palese dalle tenebre della notte…
Si consultarono fra loro se chiudersi dentro o se fuggire per l’aperta campagna; poichè, da un lato, le case ondeggiavano per i frequenti terremoti e sembrava che, schiantate dalle fondamenta, fossero gettate ora su un fianco ora su un altro e poi rimesse a posto; dall’altro lato, all’aperto, la pioggia delle pomici, sebbene leggere e porose, non incuteva minor paura. Tuttavia il confronto fra i due pericoli fece scegliere quest’ultimo partito: si scelse dunque l’aperta campagna…
Essi escono e si proteggono il capo, coprendosi con dei guanciali, che legano mediante lenzuoli, precauzione necessaria contro la tremenda pioggia che veniva dall’alto.
Altrove era giorno, ma là dove essi erano perdurava la notte, la più nera ed orribile fra tutte le notti, squarciata solo da un gran numero di fiaccole e da lumi d’altro genere.
Si credette bene accostarsi alla riva e vedere da vicino quello che il mare permettesse di tentare. Ma le onde erano sempre grosse e agitate da un vento contrario.
Qui, sdraiato sopra un lenzuolo che aveva fatto distendere per terra, mio zio chiede e bevve due volte dell’acqua fresca. Poi le fiamme e l’odor di zolfo, che le preannunciava, fecero fuggire tutti gli altri e costrinsero mio zio a levarsi in piedi. Si rizzò, appoggiandosi  a due schiavi, ma cadde immediatamente, come fulminato.” (Plinio il Giovane)

Storia di Roma IMPERIALE – Gli scavi di Pompei

Dopo diciassette secoli, furono iniziati gli scavi per riportare alla luce Pompei. Chi si reca oggi a visitarla, vede com’era una città al tempo di Roma antica: lunghe vie lastricate, il Foro, le terme, i templi, le case adorne di statue e affreschi, i colonnati, i giardini.
La vita a Pompei si è fermata, ma le rovine della città ci parlano ancora di quel tempo antico.

Storia di Roma IMPERIALE – La morte di Plinio

Plinio il Vecchio era un illustre scienziato. Durante l’eruzione del Vesuvio volle studiare da vicino il fenomeno e nello stesso tempo portare aiuto all’amico Pompeiano che si trovava a Stabia. Fece allestire alcune navi e partì.
Nonostante la pioggia di pietre e di ceneri ardenti, egli riuscì a giungere a Stabia.
L’indomani Plinio, Pompeiano e altri tentarono di avviarsi a piedi verso la spiaggia, ma lungo la strada l’aria, mista a vapori di zolfo, si faceva sempre più irrespirabile e Plinio morì soffocato, vittima della sua generosità.

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ITALIA materiale didattico

ITALIA materiale didattico – una raccolta di materiale didattico vario per iniziare lo studio della geografia italiana nella scuola primaria.

Come l’Italia sorse dal mare
Durante una gita in montagna, Roberto scoprì con sorpresa, nella parete rocciosa, l’impronta di una piccola conchiglia, e chiede al babbo come potesse quella conchiglia trovarsi lassù, a duemila metri sopra il livello del mare. Il babbo sorrise.
“La cosa è semplice” spiegò. “Milioni di anni fa, tutte queste montagne erano sepolte sotto il mare. Poi emersero, portando in alto dei fossili, cioè i resti pietrificati di pesci e di molluschi. Dove ora sorge la nostra bella penisola,una volta si stendevano e acque del Mediterraneo”.
“Ma come fece l’Italia a emergere dal mare?”
“Guarda” fece il babbo.
Prese il giornale, lo distese per terra, poi appoggiò le mani sui due lati e incominciò a premere verso il centro. Il foglio si accartocciò, si sollevò in tante pieghe.
“Vedi?” riprese il babbo, “Ecco come si sollevarono i monti. Fa’ conto  che la mano destra sia il continente africano e la mano sinistra sia il continente europeo. Ora devi sapere che  i continenti si muovono, come se fossero degli immensi zatteroni. I due continenti, accostandosi lentamente, fecero sollevare in tante pieghe il fondo del Mediterraneo, appunto come mi hai visto fare con il giornale. Così nacque la catena delle Alpi e la lunga, frastagliata catena degli Appennini…”.
Roberto ascoltava stupefatto.

“Hai presente la cartina geografica dell’Italia fisica? Sembra uno stivale proteso verso il mare. Ma guarda  bene: c’è tutta una struttura montagnosa che ne costituisce l’ossatura. A nord, come un grande arco, si stende la catena delle Alpi. Dalle Alpi Occidentali si dipartono gli Appennini che percorrono in lungo tutta l’Italia. Le stesse montagne della Sicilia sono un prolungamento degli Appennini, e perciò si chiamano Appennini Siculi”.
“E le pianure, come sono nate?”
“Dai depositi dei fiumi. Guarda la Pianura Padana. Dalle Alpi scendono molti fiumi che trasportano detriti e terriccio. Col passare dei secoli questi detriti hanno colmato il mare e così si sono formate le pianure. Non è chiaro?”
Roberto si fermò un attimo a guardare. All’orizzonte si estendeva la pianura sconfinata, velata da una leggera nebbiolina. Sembrava appena uscita dal mare, proprio come aveva detto il babbo.

Come si è formata l’Italia
Siamo nell’era terziaria (l’uomo apparirà soltanto nell’era successiva, la quaternaria). Le precedenti ere: primigenia, primaria e secondaria, avevano già visto alcune terre sprofondare lentamente nel mare ed altre emergere; ora un’altra grande vicenda, detta “corrugamento alpino” sta per cambiare volto all’Europa.
Una parte dell’Europa meridionale sprofonda nel mare, e nel Mediterraneo soltanto il massiccio Sardo-Corso continua a spuntare dalle acque, mentre comincia ad emergere, ciò che sarà il nostro suolo, una leggera falce di terra, costituita dalle maggiori creste alpine. Lentamente ecco affiorare poi, fra le spume del mare, il bruno dorso dell’Appennino nelle sue cime più alte, cosicchè l’Italia appare come una serie di isole. Continuando i movimenti corruganti per effetto delle immani forze endogene della terra, ecco man mano delinearsi l’alto e potente arco alpino e ad esso, e tra di loro, saldarsi le isole, che si spingono nel mare verso sud a formare un’unica lunga catena: l’Appennino.

Nel Pliocene, ultimo periodo dell’era terziaria, la cui durata si calcola dai sei ai dieci milioni di anni, l’Italia comincia a delinearsi nella sua struttura essenziale, caratteristica: c’è quantomeno lo scheletro, cui i successivi innalzamenti e  i depositi alluvionali dei fiumi aggiungeranno, poco per volta, la polpa delle pianure.
Nel passaggio dal Pliocene al Quaternario si ebbe un forte abbassamento della temperatura con relativo imponente sviluppo dei ghiacciai, e con un’intensa attività vulcanica.
Dell’epoca glaciale si calcola la durata in 600.000 anni. Tutti i più alti rilievi alpini erano coperti di ghiaccio; solo le cime più ripide e scoscese emergevano nude. I sistemi glaciali più estesi delle Alpi erano quelli della Dora Riparia, della Dora Baltea, del Ticino, dell’Adda, dell’Oglio, dell’Adige, del Piave e del Tagliamento.
I ghiacciai depositavano, ai margini e soprattutto alla fronte, i detriti di cui erano carichi: i depositi frontali si presentano tuttora come archi di colline disposte ad anfiteatro. Al ritirarsi dei ghiacciai, le conche situate a monte di tali sbarramenti morenici si colmarono d’acqua, a costituire gli odierni laghi d’Iseo, di Garda, Maggiore, di Como.

I ghiacciai hanno modellato anche le vallate sulle quali scorrevano, arrotondandone e lisciandone il fondo ed i fianchi (sezione a U), cosicchè la forma di queste valli si presenta oggi ben diversa da quella delle valli erose unicamente dai fiumi (che hanno una sezione a V).
Dai ghiacciai scendevano enormi fiumane, che divagavano capricciosamente, su letti larghissimi, per l’intera Pianura Padana, in più punti acquitrinosa e intransitabile.
Sull’Appennino, data la minore altezza dei rilievi e la diversa latitudine, non si ebbe un’espansione glaciale imponente come sulle Alpi; ma ghiacciai locali ebbero tutti i massicci più elevati, dal monte Antola nell’Appennino ligure, al monte Pollino in Calabria. I ghiacciai più estesi furono quelli del Cimone e della Cusna nell’Appennino toscano; nell’Appennino centrale quelli dei monti Sibillini, del Gran Sasso, del Velino-Sirente, della Maiella, del monte Marsicano, del monte Greco; nell’Appennino meridionale quelli dell’Alburno, del Matese, del Pollino e della Serra Dolcedorme; qualche ghiacciaio ebbe anche l’Etna.
Estesi invece furono i bacini lacustri appenninici, prosciugati poi in varie epoche, e di cui restano, comunque, cospicui residui.

Alla fine del Terziario l’Etna aveva iniziato la sua attività; attività endogena si era avuta nei monti Berici, nei Lessini, nei colli Euganei, nei monti Iblei in Sicilia, nel monte Ferru in Sardegna, e nell’interno di Alghero e di Bosa (dove si trovano colate laviche caratteristiche: le giare).
Il Pleistocene vide imponenti attività vulcaniche sul versante tirrenico: centri eruttivi si ebbero nella Toscana meridionale (Orciatico, Montecatini, Roccastrada, ecc…), nel monte Amiata, nel gruppo della Tolfa, dei monti Volsini, Cimini, Sabatini, dei Colli Laziali; più a sud furono attivi il vulcano di Roccamonfina, i Campi Flegrei, il Vesuvio, i vulcani delle isole Ponziane, di Ischia, il Vulture, e quelli delle Eolie e di Linosa.
Estintasi l’attività eruttiva, i crateri, in molti casi si trasformarono in laghi. Le ceneri e i lapilli eruttati si consolidarono in estesi depositi di tufo; Roma stessa è in parte costruita su rilievi tufacei provenienti dal Vulcano Laziale.

Il periodo che segue il ritiro dei ghiacciai è detto Olocene e risale al 20-25.000 anni fa.
E’ difficile farci un’idea dell’aspetto che presentava la nostra Italia. Sulle Alpi i ghiacciai si andavano ritirando verso le loro posizioni attuali: la montagna si copriva di boschi fittissimi, popolati da fiere, da mammiferi giganteschi, da uccelli.
Al ritiro  dei ghiacciai corrispondeva un maggior deflusso di acque che andavano ad innalzare il livello dei mari; l’Adriatico avanzava verso nord a sommergere lo spazio tra la Penisola Italiana e la Balcanica.
I grandi laghi si venivano colmando e al posto di essi subentravano pianure interne, spesso cosparse di bacini residui o di acquitrini. Frequente anche la formazione di torbiere. L’attività vulcanica si veniva a poco a poco spegnendo o attenuando. La rete idrografica si veniva stabilizzando con fenomeni di cattura, erosione regressiva, ecc…
L’Italia andava assumendo a poco a poco quella che è la sua attuale fisionomia; l’uomo vi si diffondeva, e con l’uomo iniziava anche l’intelligente opera trasformatrice del paesaggio naturale.

Come è nata l’Italia

L’Italia è una terra di incomparabile bellezza per i suoi stupendi paesaggi che vanno dalle alte vette nevose delle Alpi alle splendide coste, dai boschi alle fertili pianure.
E’ una penisola e cioè una terra circondata dal mare da tutte le parti meno una. Si stende nel Mar Mediterraneo ed è simile, per la sua forma, a uno stivale.
Ma un tempo non aveva questa forma, anzi, in tempi assai più remoti non esisteva affatto, come qualsiasi altra terra: è noto infatti che i continenti sono terre emerse.
Da un potente sconvolgimento della crosta terrestre era sorto dal mare un immenso fascio di catene che attraversava quasi tutto il globo. In questo fascio, c’erano anche le Alpi. E alla base delle Alpi, di frangevano, spumeggiando,  le onde.

In seguito, lentissimamente, il suolo cominciò a sollevarsi, a emergere dall’acqua ed ecco il dorso dell’Appennino nereggiare fra le spume del mare. A grado a grado, la catena appenninica si unisce a quella delle Alpi. Altre terre emergono qua e là come tante isole, e dopo milioni di anni, queste isole affioranti dal mare si saldano insieme. E’ lo scheletro montuoso dell’Italia. Intorno a questo scheletro, lentamente si vengono formando le pianure. Fra queste, la più vasta, la pianura del Po. Dove ora sono le fertili terre coltivate, una volta c’era il mare, e pertanto vi si rinvengono numerose conchiglie fossili, testimoni di un tempo in cui le acque si spingevano nelle gole alpine che allora erano insenature costiere, profonde e strette. Una parte delle Alpi, quella che si chiama Dolomiti, sorge addirittura su banchi di corallo.

A quest’epoca il globo era ricoperto, quasi interamente, dai ghiacci e, nella loro corsa al piano, le acque provenienti dai ghiacciai trasportavano ammassi di pietre, rocce e detriti di ogni genere, strappati ai versanti lungo i quali precipitavano.
I ghiacciai delle Alpi, nonostante la loro apparente immobilità, avevano invece un moto lento ma continuo, e per l’azione di questo movimento, nel corso dei secoli  il dorso dei monti si levigò, si abbassò, i crepacci si colmarono trasformandosi in ampie valli in fondo alle quali scorreva un fiume. I sassi e le rocce, trasportati dalle acque e trascinati dal movimento dei ghiacciai, formarono degli ammassi che oggi si chiamano morene.
Le morene, sempre nel corso dei secoli, si alzarono come barriere e le acque, arrestate da questi ostacoli, formarono i bellissimi laghi subalpini, gemme dell’Italia settentrionale.

Nel frattempo, il fondo del mare si andava sollevando e al posto delle acque si formava un’ampia e bassa pianura, attraverso la quale si convogliavano le acque provenienti da una parte dalle Alpi e dall’altra dagli Appennini. Queste acque infine si raccolsero in un ampio e maestoso fiume che un giorno si sarebbe chiamato Po.
Nel corso dei millenni l’Italia prese la forma attuale. Ma questa non sarà certo la sua forma definitiva. Se, fra migliaia e migliaia di anni gli uomini saranno ancora su questa terra, essi vedranno un’Italia ben diversa dall’Italia di oggi. Quelli che attualmente sono picchi altissimi, si saranno trasformati in vette arrotondate e in dolci pendii; le valli si saranno colmate e i fiumi avranno cambiato il loro corso. Dove oggi c’è una verde pianura, ci sarà forse una montagna di detriti rocciosi; nuove spaccature si saranno aperte e in fondo ad esse scorreranno le acque tumultuose di nuovi fiumi; dove oggi c’è un ghiacciaio forse ci sarà un lago azzurro, qualche isola sarà scomparsa nel mare e altre ne saranno emerse. Il delta del Po si sarà saldato all’opposta sponda adriatica, e Venezia, se ancora esisterà, sorgerà sulle rive di un lago…

Come potranno avvenire questi cambiamenti? Forse la nostra patria è davvero destinata ad essere vittima di paurosi sconvolgimenti e convulsioni della terra? Si tratterà sì anche di sconvolgimenti e convulsioni, ma soprattutto dell’azione secolare degli elementi. L’aria, l’acqua, il fioco sono le forze naturali che modificano incessantemente la forma della terra. Il vento che spazza, per migliaia e migliaia di anni, il crinale di una montagna, finisce con l’appiattirlo, col levigarlo; la pioggia che flagella il monte per secoli, scalza i massi di pietra e li fa rotolare lungo i pendii, approfondisce i crepacci, corrode le vette, trascina a valle i detriti. Il ghiaccio che si forma nelle fenditure, spacca le pietre più dure, le disgrega, le riduce in frammenti…

Nell’interno della terra il fuoco ancora rugge e divampa. Talvolta, questo fuoco trova una via d’uscita in una frattura della crosta terrestre e allora erompe all’esterno in un getto violento di fiamme, di cenere, di lave liquefatte.

E il fuoco? Con l’andar del tempo, dove prima c’era soltanto una spaccatura della roccia, eruttante fuoco, si forma un vulcano. In Italia abbiamo  ancora alcuni vulcani attivi: l’Etna, il Vesuvio, lo Stromboli. Ma un tempo i vulcani di questa nostra terra erano molto più numerosi e con le loro eruzioni coprirono intere regioni di alti strati di tufo, di cenere, di lava che si andarono solidificando. I sette colli su cui venne fondata Roma sono fatti di tufo, cioè di cenere vulcanica solidificata.

Passano mille e mille anni e il vulcano si esaurisce, si quieta, si spegne. Nel suo cratere, ormai inattivo, si raccolgono le acque formando un lago pittoresco. Tale è l’origine di alcuni laghi dell’Italia centrale, il lago di Vico, di Nemi, di Albano, ecc…

Ma il fuoco non scaturisce soltanto dalla terra, bensì anche dal fondo del mare. E col tempo si formano delle isole tutte di origine vulcanica, come Ischia, Procida, Capraia, Ponza, le Eolie, ecc… E, nell’andare dei secoli, così si formeranno anche isole che forse gli uomini un giorno abiteranno. Nel 1931 sorse, dal fondo del Mar Ionio, un’isola vulcanica che fu chiamata Fernandea e che dopo qualche settimana fu di nuovo inghiottita dalle acque.

Ecco come il paesaggio cambia, ecco come nel corso dei millenni cambia l’aspetto dei monti, delle pianure, dei mari, della costa.

Ma il paesaggio non cambia soltanto per opera degli elementi o degli sconvolgimenti o dei cataclismi. Cambia anche per l’opera dell’uomo che assoggetta la terra alla sua volontà, ai suoi bisogni, alle esigenze della sua vita. Prendiamo, come esempio, ancora una volta, la Pianura Padana. Oggi, questa terra è una delle più fertili d’Italia, ma un tempo, mille e mille anni fa, era una distesa arida e sassosa dalla parte dei monti, paludosa, cespugliosa e fangosa lungo il fiume. I fiumi che l ‘attraversavano spostavano continuamente il loro corso, lasciando ammassi di ghiaia e invadendo terre fino allora asciutte.

Com’è avvenuta la trasformazione che ha fatto, di questa regione ingrata e malsana, una delle più ricche e fertili terre d’Italia? E’ avvenuta per opera dell’uomo. L’uomo ha sistemato le acque costringendole entro il loro letto mediante l’erezione di argini e di muraglioni; le ha convogliate in canali, formando così un sistema di irrigazione che ha reso fertili le zone prima di allora malsane e paludose; ha costruito potenti dighe per costringere le acque a mettere in moto macchinari, opifici e, soprattutto, ha impiantato centrali elettriche per dare la forza motrice e la luce a città e paesi anche molto lontani.

Non contento di questo, l’uomo ha scavato il sottosuolo e ne ha tratto il gas metano che va ad alimentare impianti casalinghi, portando fiamma e calore da per tutto. Con il sorgere delle industrie, con l’incremento dell’agricoltura, con l’avanzare della civiltà, la regione si è popolata di grandi e attive città che l’uomo ha collegato fra loro con chilometri e chilometri di strade, creando una fitta rete di comunicazioni che ha favorito rapidi spostamenti da un paese all’altro. Ecco che cosa può mutare profondamente l’aspetto di un luogo.

(Mimì Menicucci)

era secondaria
era terziaria
era quaternaria
oggi

Il nome “Italia”

Molti furono i nomi usati nell’antichità per designare la nostra penisola. I Greci la chiamarono Esperia o “Terra del tramonto” per indicarne la posizione rispetto alla loro patria (l’Italia è a occidente della Grecia); altri la dissero Enotria o “Terra del  vino”; altri ancora Saturnia o “Terra di Saturno”, dio delle messi.
Prevalse infine il nome Italia, usato in un primo tempo per designare l’estrema punta della Calabria e poi dai Romani esteso a tutta la penisola.

E’ un nome bellissimo, ma purtroppo non se ne conosce l’esatta etimologia. Un tempo lo si faceva derivare da quello di un leggendario re Italo, più tardi lo si ritenne una derivazione dal termine osco Viteliu (o dalla voce latina vitulus) a indicare che l’Italia era una terra ricca di bovini. Oggi si è propensi a credere che esso derivi da Italoi che significa abitanti dei monti, quali infatti sarebbero stati i primi abitanti della montuosa Calabria.

Nel IV secolo aC il nome Italia era già esteso a tutto il territorio a sud dell’Arno; durante l’impero di Augusto comprendeva anche la Pianura Padana. Le tre grandi isole Sicilia, Sardegna e Corsica furono denominate Italia soltanto durante il regno di Diocleziano (IV secolo dC).

Dove l’Italia cresce di sette millimetri all’ora

Alle foci del Po la terra d’Italia avanza in mare di sessanta metri all’anno, che, se non sbaglio i conti, sono circa diciassette centimetri al giorno: qualcosa come sette millimetri all’ora. Possono sembrare pochi, perchè il mondo, in fatto di rapidità, si è fatto esigente; ma se si pensa che la marcia continua da decine di migliaia di anni e che a forza di millimetri l’instancabile fiume ha riempito tutto quello che era, un tempo, il golfo padano e che oggi è la Pianura Padana, il pensiero di questo lavoro, che si  svolge dalla preistoria e continuerà quando di noi non sarà più nemmeno un pizzico di polvere, fa venir voglia di levarsi il cappello. (O. Vergani)

L’azione modellatrice del mare
L’azione morfologica del mare, rispetto alle coste, si esercita attraverso le due forme fondamentali dell’abrasione e dell’alluvionamento, ciascuna della quali assume però diversi aspetti. Ci limiteremo a quelli che interessano le coste italiane.
Quando si affacciano sul mare rocce argillose o argillosabbiose di consistenza omogenea, l’abrasione genera delle ripe a picco (analoghe alle falaises francesi), di cui si hanno esempi sulle coste delle Marche; quando le rocce piombano a picco sul mare, l’abrasione crea, a livello del mare, una piattaforma costiera sulla quale poi si smorza il moto ondoso. Quando invece si affacciano al mare rocce con strati di diversa consistenza, si generano piccole insenature dove l’abrasione è più forte, alternate a piccoli promontori in corrispondenza degli strati più resistenti.
Il mare scava poi solchi di battente e grotte, frequentissime sulle coste alte italiane. La più celebre delle grotte erose dal mare è certamente la Grotta Azzurra di Capri, ma numerose altre ve ne sono nelle isole dell’Arcipelago napoletano, nella Penisola Sorrentina (Grotta Verde), al Capo Palinuro, sulla costa della Calabria tirrenica, lungo il Promontorio Circeo, nell’Argentario, nel Promontorio di Portovenere, sulla costa ligure di ponente e in Sardegna. Parecchie grotte si trovano a diverse altezze rispetto all’attuale livello marino: esse testimoniano antiche linee di spiaggia e spesso, come la grotta delle Arene Candide nella Riviera di Ponente, danno reperti preistorici.
Altra azione dell’abrasione marina è il distacco dalla terraferma di scogli, faraglioni, isolotti: ne sono esempi l’isola Palmaria (il cui distacco dalla costa di Portovenere fu però dovuto anche ad altre cause); l’isola di Dino presso la costa calabra; alcune isolette davanti alla costa occidentale e l’isolotto di Capo Passero all’estremità sud-est della Sicilia; l’isola Monica davanti alla costa di Santa Teresa di Gallura in Sardegna, ecc…
In senso opposto all’abrasione, e con effetti molto più rilevanti, agisce l’alluvionamento. I materiali erosi e quelli riversati dai fiumi, talora, dopo un più o meno lungo trasporto ad opera delle correnti e una elaborazione meccanica e chimica, vengono dal mare depositati a formare coste alluvionali piatte, sabbiose, normalmente strette (ad esempio in molte piccole insenature liguri, sulle coste calabresi, marchigiane, abruzzesi ecc…) accompagnate spesso, in quelle di maggior ampiezza, da dune accumulate dal vento in cordoni litorali, quali si trovano sulle coste toscane (dove vengono chiamati tomboli), laziali (dove vengono chiamati tumuleti), della Sicilia e della Sardegna.
I più vistosi effetti dell’alluvionamento si hanno alle foci dei fiumi, nei delta. Nei mari più riparati, come nell’Adriatico centrale e in fondo al golfo di Taranto, i materiali riversati dai fiumi formano cimose litoranee regolari; altrimenti si ha la formazione di veri e propri delta dalle complicate e irregolari ramificazioni, che in epoca storica, per effetto dell’azione abrasiva e delle correnti litoranee del mare, hanno subito alterne vicende di avanzamento, di stasi, di spostamenti che, complicati dall’intervento dell’uomo, ne hanno più volte mutato la configurazione: tali l’apparato deltizio Po – Adige, i delta della Magra, dell’Ombrone, del Garigliano, del Tagliamento, del Serchio – Arno, del Volturno, del Crati, del Simeto ecc…
Complessivamente la costa avanza a spese del mare: Adria e Ravenna, che nell’antichità erano città marine, ora distano dal mare rispettivamente 14 e 8 chilometri; Luni, da cui prende nome la Lunigiana, ora nell’interno, era anticamente un porto etrusco.

Il nostro paese

Vi sono paesi nel mondo, i quali, per la loro posizione geografica e configurazione, sono destinati a rappresentare sempre una delle prime parti della storia mondiale: fra questi vi è l’Italia. Pochi paesi nel mondo hanno confini così ben delimitati, come il nostro; pochi paesi hanno una posizione geografica così privilegiata come quella dell’Italia. Situata nel centro del più bel mare del mondo, esso riassunse in sè quella civiltà mediterranea, romana e cristiana, che oggi è la civiltà del mondo intero. (Gribaudi)

La forma dell’Italia

L’Italia è una penisola circondata da tre parti dal mare e a nord incoronata dalla fulgida catena delle Alpi. Ma un tempo non aveva questa forma. Una serie di paurosi e violenti sconvolgimenti fecero affiorare alcune terre e sprofondarne altre; il mare invase immensi territori e da altri si ritirò ruggendo. Il risultato di queste convulsioni di acqua e di terra fu la forma caratteristica di acqua e di terra fu la forma caratteristica delle Alpi, alle splendide marine, dai boschi selvosi alle fertili pianure.

La pianura Padana

Dove ora sono le fertili terre coltivate della pianura padana, una volta c’era il mare che si spingeva nelle gole alpine che allora erano insenature costiere. I ghiacciai che ammantavano le alte cime delle Alpi e che, apparentemente erano immobili, si muovevano, invece, con un moto lentissimo, ma continuo, trascinando ammassi di pietre, rocce e detriti di ogni genere, strappati dai versanti lungo i quali scendevano. Nel frattempo, il fondo del mare si andava sollevando e si formò così una vasta pianura attraverso la quale si convogliavano le acque irruenti dei fiumi. Fra questi, il più grande, il più ricco d’acqua, il Po.

L’azione degli elementi

Il vento che spazza, per migliaia e migliaia di anni, il crinale di una montagna, finisce per appiattirlo, per levigarlo. La pioggia che flagella il monte per secoli, scalza i massi pietrosi e li fa rotolare lungo i pendii, approfondisce i crepacci, corrode le vette, trascina a valle i detriti. E il fuoco? Nell’interno della terra il fuoco ancora rugge e divampa. Talvolta, questo fuoco trova una via di uscita in una frattura della crosta terrestre e allora erompe all’esterno in un getto violento di fiamme, di cenere, di lave liquefatte. Con l’andar del tempo, dove prima c’era soltanto una spaccatura della roccia eruttante fuoco, si forma un vulcano. La terra, insensibilmente, cambia forma e dimensione.

L’opera dell’uomo

Il paesaggio non cambia soltanto per opera degli elementi e dei cataclismi. Cambia anche per l’opera dell’uomo che assoggetta la terra alla sua volontà, ai suoi bisogni, alle esigenze della sua vita. Egli sistema le acque costringendole entro il loro letto, costruisce dighe e centrali elettriche che daranno vita ai suoi opifici ed energia elettrica alle sue città. Traccia chilometri e chilometri di strade, rende fertili zone un tempo paludose e malsane, costruisce case che formano paesi e città. Ecco che cosa può mutare profondamente l’aspetto di un luogo.

Come si è formata l’Italia

La penisola italiana è emersa dal mare. Per secoli e secoli dalle azzurre onde di un mare sconvolto, affiorano punte, scogli, terre che a settentrione si disposero a semicerchio, le Alpi. E si formarono montagne, colline, pianure; i fiumi precipitarono nelle valli e dove le acque passavano crescevano le erbe e le piante, sbocciavano i fiori. Presto la terra fu tutta un verdeggiare di floridi campi. Nelle selve cinguettarono gli uccelli, per le pianure corsero, code e criniere al vento, torme di cavalli selvaggi; dalle macchie folte uscirono grandi buoi che giravano intorno i grandi occhi stupiti. Poi nei campi, presso i fiumi, apparvero uomini alti e forti, dallo sguardo fiero, che impugnavano rami nodosi e schegge di selce.

I primi abitatori dell’Italia

Chi furono i primi abitatori dell’Italia? Oggi ci soni i Veneti, i Liguri, i Romani, i Piemontesi, tutti Italiani dalle Alpi alla Sicilia, ma migliaia e migliaia di anni fa gli abitanti erano ben diversi e anche l’Italia presentava un aspetto del tutto differente da quello di oggi. Una regione coperta di fittissime foreste, senza abitazioni, senza coltivazioni, senza alcun segno di civiltà. E su questa terra, lussureggiante di boschi, ancora scossa dalle convulsioni di decine e decine di vulcani, gruppi di uomini irsuti, dalle grosse teste e dalle lunghe braccia, vagavano fra gli alberi in cerca di cibo.

I primi abitatori dell’Italia

Nelle grotte del monte Circeo si sono trovati resti di uomini vissuti in Italia migliaia e migliaia di anni fa, razze del tutto scomparse. Ma la civiltà non è avanzata con lo stesso passo in tutte le regioni del mondo. Le migrazioni portarono ondate di popoli più civili di quelli che abitavano la penisola.

Popoli d’Italia

 Col passare del tempo, ondate di uomini migrarono nella penisola; erano popoli provenienti dalle città del Mediterraneo, che avevano imparato a costruire le navi, che conoscevano il commercio e sapevano fare i calcoli; erano Etruschi, che sapevano fabbricare bellissimi vasi di terracotta e avevano una forma di avanzata civiltà, erano i Galli che provenivano dal nord, erano i Cartaginesi che venivano dall’Africa. Tanti popoli, tante razze, che si mescolarono fra loro, costruirono le abitazioni, diffusero le loro scoperte. Uomini dai capelli biondi o bruni, ma tutti di carnagione chiara, forti, intelligenti, industriosi: gli antenati dei futuri Italiani.

Le morene

Nell’antichità tutta la pianura dell’Italia settentrionale formava un vasto golfo. Le pittoresche gole alpine erano, allora, altrettante anguste insenature costiere che servivano di afflusso alle acque scendenti dai ghiacciai che in quel tempo coprivano la maggior parte dell’Europa. Nella loro corsa al piano, i ghiacciai convogliavano macigni rocce detriti che strappavano ai versanti tra i quali precipitavano: a questo materiale si dava il nome di morena. Le morene ostruivano così le vallate e all’atto dello scioglimento dei ghiacciai trattenevano l’acqua formando così un lago.

Regioni d’Italia

Vorrei cantarvi tante canzoni,
o dell’Italia dolci regioni:
Piemonte, Veneto e Lombardia,
Liguria, Emilia, Toscana mia!
Le Marche e l’Umbria vorrei vedere,
l’Abruzzo, il Lazio e le costiere
della Campania, tutto un giardino,
ricche di frutta, di grano e vino.
Puglia, Calabria, Basilicata,
Sicilia bella, terra incantata,
Sardegna bruna di là dal mare,
oh, vi potessi tutte ammirare! (A. Cuman Pertile)

Lo stivale

Io non son della solita vacchetta
nè sono uno stival da contadino,
e se paio tagliato con l’accetta
chi lavorò non era un ciabattino;
mi fece a doppia suola e alla scudiera
e per servir da bosco e da riviera.
Dalla coscia in giù fino al tallone
sempre all’umido sto senza marcire,
son buon da caccia e per menar di sprone.
I molti ciuchi ve lo posson dire:
tacconato di solida impuntura
ho l’orlo in cima e in mezzo la costura. (G. Giusti)

Italia
Quando nomino “Italia” voglio dire
questa terra divina
su cui si corica e cammina
il mio povero corpo
e mi fa piangere e soffrire:
questo azzurro che riempie le pupille
dei miei bambini,
quest’aria che respiriamo;
questi campi, questi giardini
pieni di fiori
così belli e perfetti
che sembrano fatti con gli stampi.
Quando nomino “Italia” voglio dire
questa pianura, questi monti,
che sono solo italiani
perchè non sono così belli in nessun altro luogo;
questo mare ch’è tutto mio
perchè l’ho accarezzato con le mani,
queste città serene e soleggiate. (C. Govoni)

Italia
Italia:
parola azzurra
bisbigliata sull’infinito
da questa razza adolescente
ch’ha sempre
una poesia nuova da costruire
una gloria nuova da conquistare.
Italia:
primavera di sillabe
fiorite come le rose dei giardini
peninsulari,
stellata come i firmamenti del Sud
fatti con immense arcate blu.
Italia:
nome nostro e dei nostri figli,
via maestra del nostro amore,
rifugio odoroso dei nostri pensieri,
ultimo bacio sulle nostre palpebre
nel giorno che la morte
serenamente verrà.

Osservando la carta geografica troveremo la spiegazione dei versi “Dalla coscia in giù fino al tallone sempre all’umido sto senza marcire”. L’Italia, infatti, è circondata per tre parti dal Mar Mediterraneo che, in vicinanza delle coste, prende diversi nomi: Mar Ligure, Mar Tirreno, Mar Ionio, Mare Adriatico, facilmente rilevabili sempre dall’osservazione della carta.  E ci sarà facile anche spiegare il significato dell’ “orlo in cima e in mezzo la costura“, osservando la catena delle Alpi che a nord costituisce una potente frontiera naturale, e quella degli Appennini che si stende per tutta la lunghezza della penisola.

La felice posizione che l’Italia occupa nel Mediterraneo, ne fa il centro delle comunicazioni fra l’Europa, l’Asia e l’Africa. Anche per tale motivo, nel passato Roma potè divenire caput mundi, il centro del mondo conosciuto allora. La scoperta dell’America, spostando questo centro dal Mediterraneo all’Atlantico, dette un duro colpo alla supremazia commerciale dell’Italia; tuttavia, la sua posizione geografica continua ancor oggi ad essere molto importante, in quanto la nostra penisola fa da tramite tra l’Europa centrale, l’Africa ed i paesi del Medio Oriente.

L’Italia
Quando gli antichi Greci sbarcarono in quella regione dell’Italia che oggi chiamiamo Calabria, vi trovarono un popolo che portava il nome di Vituli. Quel nome significava “popolo di vitello” perchè era, per quella gente, un animale sacro.
La pronuncia greca cambiò in Itali la parola Vituli, perciò quella reglione fu chiamata Italia.
Più tardi, con la venuta dei Romani e con l’espansione del loro dominio, il nome venne a designare tutta la Penisola, oltre il Po fino ai piedi delle Alpi.
La nostra Penisola, che si protende per più di mille chilometri al centro del Mar Mediterraneo, ha la forma di un ampio stivale, con un tacco un po’ alto, sormontato da un robusto sperone.
Essa è come un gigantesco ponte gettato a congiungere l’Europa con l’Africa.
Per questa sua particolare posizione l’Italia subì dapprima l’influenza di alcune civiltà sorte lungo le coste del Mediterraneo, e divenne poi essa stessa sede si una grande civiltà, quella di Roma, che si diffuse in tutto il mondo antico.

La natura ha dato all’Italia confini ben definiti. A nord la grande cerchia delle Alpi la separa dall’Europa. Attraverso facili valichi e numerose gallerie, sono possibili le comunicazioni con la Francia, la Svizzera, l’Austria, la Slovenia.
Scendendo verso sud, l’Italia è lambita dal Mar Mediterraneo, che ad est prende in nome di Mare Adriatico, a sud di Ionio, ad ovest di Tirreno e Ligure.
Dai mari italiani emergono numerose isole, spesso raggruppate in arcipelaghi. Le più vaste sono la Sicilia e la Sardegna.
Le isole minori, sparse un po’ in tutti i mari, sono raggruppate in arcipelaghi. L’arcipelago Toscano comprende la ferrigna isola d’Elba, attorno alla quale sono disseminate Gorgona, Capraia, Pianosa e l’isola del Giglio. Dell’Arcipelago delle Ponziane fanno parte le isole di Ponza, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano. L’Arcipelago Campano è costituito dalle isole napoletane di Ischia, Procida, Capri e Nisida. L’Arcipelago delle Eolie o Lipari, di fronte alle coste settentrionali della Sicilia, comprende Salina, Filicudi, Alicudi e i grandi crateri attivi di Vulcano e Stromboli. Al largo di Palermo emerge, solitaria, Ustica. L’Arcipelago delle Egadi, ad ovest della Sicilia, comprende le isole di Favignana, di Marettino e di Levanzo. Pantelleria, famosa per i suoi vini, fa parte della provincia di Trapani. Le Pelagie sono situate presso le coste dell’Africa. Fra esse abbiamo Lampedusa, Linosa e Lampione. Le Tremiti emergono nell’Adriatico, a nord del Gargano, con le isolette di Caprara e San Domino. Altre isole, sparse attorno alle coste della Sardegna, sono San Pietro, Sant’Antioco, Asinara, Caprera, La Maddalena.

Per il lavoro di ricerca
Come è nato il nome della nostra Patria?
Che forma ha l’Italia?
Ha sempre avuto la forma attuale, l’Italia, oppure, come tutte le terre emerse, ha subito numerose trasformazioni?
I confini dello Stato Italiano, retto oggi a Repubblica, coincidono sempre con i confini naturali della regione?
Quali territori restano esclusi?
Quanti abitanti conta l’Italia? Che cos’è il censimento?
Da quali mari è bagnata la penisola italiana?
Dove sono situati tali mari?
Qual è la massima profondità del mar Ligure? E del mar Tirreno? Del mar Ionio? Del mar Adriatico? Del mare di Sicilia? Del mare di Sardegna?
Quali tipi di coste conosci?
Com’è il clima d’Italia?
Quali sono i principali golfi della costa ligure, tirrenica, ionica e adriatica?
Quali sono le principali penisole italiane?
Quali sono le due maggiori isole?
Quali altre isole conosci?
Sai dire il nome dello stretto che separa le coste calabresi dalla Sicilia?
Come si chiamano i punti estremi dell’Italia?

Osserviamo la carta geografica (località marine)
Qual è il mare che bagna la spiaggia di Ancona?
E la spiaggia di Napoli?
Pensate che i mari siano tutti uguali? Chissà quale sarà il più profondo… il più salato… il più pescoso…
Sapete nominare ed indicare sulla carta il nome dei mari italiani e distinguere, dall’intensità del colore blu, il più profondo?

Lo Stato italiano
Perchè una nazione diventi Stato occorre che vi sia un ben determinato confine (detto confine politico) il quale può identificarsi con quello naturale, che segna i limiti della regione; e poi occorre anche che entro questo territorio circoscritto vi sia un governo, con proprie leggi, con un proprio esercito, una propria bandiera, insomma che la nazione costituisca un’entità politica differenziata dalle altre.
Nella nostra regione fisica si è formato lo Stato Italiano, retto oggi a Repubblica, i cui confini però, per quanto ottimi, non coincidono sempre con i confini naturali della regione. Restano infatti esclusi circa 21.000 km2 corrispondenti al 7% del territorio totale della regione fisica. E precisamente:
– l’isola di Corsica (Francia)
– il Nizzardo
– il monte Chaberton, la valle stretta di Bardonecchia, il Passo del Moncenisio, tre piccoli lembi sulle Alpi Occidentali (alla Francia)
– il Canton Ticino (alla Svizzera)
– la Venezia Giulia e l’Istria (all’ex Jugoslavia)
– l’isola di Malta e Gozo (Stato indipendente)
– il Principato di Monaco (Stato indipendente)
– la Repubblica di San Marino (Stato indipendente)
– la Città del Vaticano (Stato indipendente).
Solo modestissimi lembi di terre al di là dello spartiacque alpino sono stati incorporati nello Stato Italiano:
– la valle del Reno di Lei
– la valle di Livigno
– il passo di Dobbiaco
– il passo di Tarvisio
Pure le Isole Pelagie, nel mar Ionio, fanno parte dello Stato Italiano (Lampedusa, Lampione, Linosa). Esse fisicamente sono isole africane.
Questi lembi, sommati assieme, danno una superficie di appena 684 km2.

Il clima d’Italia
Possiamo suddividere il territorio italiano, per caratteri climatici, in sei regioni:
1. regione alpina. Temperatura decrescente con l’altitudine; inverni lunghi e nevosi, estati brevi e fresche. Piogge abbondanti soprattutto verso est. Clima mite nella zona dei laghi e delle valli ben riparate.
2. regione padano-veneta. Clima continentale. Minime invernali che scendono a  15° – 17° sotto zero; massime estive fino a 36° – 38° sopra lo zero.
3. regione ligure-tirrenica. Clima mite, piogge autunnali, cielo prevalentemente sereno; neve rara.
4. regione adriatica. Maggiori contrasti fra estate e inverno quanto a temperatura, e minore piovosità rispetto alla regione ligure-tirrenica.
5. regione peninsulare interna. Formata dagli altipiani e dalle conche dell’Umbria e dell’Abruzzo, dalle alte terre del Sannio, dell’Irpinia, della Basilicata e della Calabria. Temperatura decrescente con l’altitudine; inverni rigidissimi, neve copiosa; estati molto calde. Piovosità variabile da zona a zona.
6. regione insulare. Clima mite ed uniforme; inverni temperati, estati lunghe e calde. Piogge scarse, soprattutto invernali; neve soltanto sulle cime più alte.

Le isole
La Sicilia è la più grande isola italiana e di tutto il Mediterraneo; dagli antichi era detta Trinacria per la sua forma a tre punte. Misura 25.000 km2 di superficie; i vertici del triangolo sono costituiti da Capo Faro, da Capo Passero e da Capo Boeo. Il lato maggiore, verso il Tirreno, ha coste alte e rocciose; notevoli la  penisoletta di Milazzo, i golfi di Termini, di Palermo e di Trapani.
Fronteggiano questa cosa le isole di Lipari o Eolie (tra le quali la maggiore è appunto Lipari; tuttavia molto note sono anche Stromboli, per il suo vulcano, e Ustica) e il gruppo delle Egadi.
Il lato medio, verso il canale di Sicilia, ha coste prevalentemente basse e unite; sporge appena Capo Granatola e molto falcata è l’insenatura di Terranova; porti artificiali sono Marsala e Porto Empedocle. Fronteggiano queste coste, a notevole distanza, l’isola di Pantelleria e il gruppo delle Pelagie (Linosa e Lampedusa). Il lato più breve, rivolto verso il mar Ionio, ha coste frastagliate e basse nel tratto meridionale, unite a quelle settentrionali. Molto ampia e aperta è l’insenatura del golfo di Catania; dei tre porti (Messina, Siracusa e Augusta) il più importante è certamente il primo, per le comunicazioni col continente.
I monti della Sicilia sono una continuazione dell’Appennino. A nord, lungo la costa, si elevano i monti Peloritani, i Nebrodi, le Madonie, a sudest si stendono gli altipiani collinosi, come i monti Erei e i monti Iblei. Isolato sorge l’Etna o Mongibello (m 3279), il più imponente vulcano attivo d’Europa. Ai piedi dell’Etna si stende la piana di Catania. Ad ovest l’isola è occupata da una serie di altipiani, da groppe collinose e da piccoli massicci.

La Sardegna è la seconda isola dell’Italia e del Mediterraneo, coi suoi 24.000 km2 di superficie. Sulla costa settentrionale notevoli sono il golfo dell’Asinara, delimitato a ovest dall’isola omonima, e le Bocche di Bonifacio, che dividono la Sardegna dalla Corsica; Porto Torres è lo scalo di Sassari.
La costa verso il Tirreno, nel tratto rivolto a nordest, è incisa da rias e forma i golfi degli Aranci, o di Terranova, e di Orosei; è fronteggiata da numerose isolette tra cui Caprera, Tavolara e La Maddalena. La costa meridionale, verso il canale di Sardegna, sporge coi capi di Carbonara e di Spartivento, che racchiudono il golfo di Cagliari. La costa che guarda il mar Esperico si sviluppa sinuosa, coi golfi di Alghero a nord e di Oristano al centro, e a sud con le isole di San Pietro e di Sant’Antioco, la quale ultima forma il golfo di Palmas.
In Sardegna, più che vere e proprie catene montuose, vi sono altipiani e massicci separati da pianure o da larghi avvallamenti.
Il massiccio più aspro è il Gennargentu, che tocca i 1834 metri; da ricordare per la loro ricchezza di minerali, nell’angolo sudovest dell’isola, i monti di Iglesias.
L’unica pianura di una certa estensione è quella del Campidano, tra i golfi di Oristano e di Cagliari.

Delle isole minori italiane meritano di essere ricordate, nel Tirreno, l’arcipelago toscano formato dall’Isola d’Elba e dalle più piccole Gorgona, Capraia, Pianosa, Montecristo, Giglio, Giannutri; le Pontine, di fronte al golfo di Gaeta, formate dalle isole di Ponza, Zannone, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano; le Napoletane, cioè Ischia, Procida, Vivara e Capri. Nell’Adriatico ricordiamo le Tremiti e Pelagosa.

Principali isole italiane (superficie in km2)
Sicilia…………….. 25.426,2
Sardegna………… 23.812,6
Elba…………………….223,5
Sant’Antioco…………108,9
Pantelleria……………..82,9
San Pietro………………51,3
Asinara………………….50,9
Ischia…………………….46,4
Lipari…………………….37,3
Salina…………………….26,4
Giglio…………………….21,2
Vulcano…………………20.9
Lampedusa…………….20,2
La Maddalena…………20,1
Favignana………………19,8
Capraia………………….19,5
Caprera………………….15,8
Marettimo………………12,3
Stromboli……………….12,2
Capri……………………..10,4
Montecristo……………10,4
Pianosa………………….10,3
Filicudi…………………….9,5
Ustica………………………8,3
Ponza………………………7,5
Tavolara………………….5,9
Levanzo…………………..5,6
Linosa……………………..5,4
Stagnone………………….5,4
Alicudi……………………..5,1
Spargi………………………4,2
Procida…………………….3,9
Molara……………………..3,4
Panaria…………………….3,3
Santo Stefano…………….3,1
Giannutri…………………..2,3
Gorgona……………………2,0
San Domino……………….2,0

I fiumi

Per l’abbondanza delle piogge e per la presenza delle due catene montuose delle Alpi e degli Appennini, i fiumi che scorrono in Italia sono numerosi. Essi, però, a causa della forma stretta e allungata della Penisola, hanno in gran parte corso breve.
Per le loro particolari caratteristiche possiamo distinguerli in fiumi alpini e fiumi appenninici.
I fiumi alpini sono di origine glaciale, hanno cioè origine dai ghiacciai, nascono dalle Alpi e sono soggetti a piene primaverili ed estive, causate dallo scioglimento delle nevi. I principali hanno corso lungo e sono ricchi di acque.
I fiumi appenninici, mancando sull’Appennino i nevai e i ghiacciai, sono alimentati quasi esclusivamente dall’acqua piovana. Essi hanno corso breve, e sono soggetti a improvvise e talvolta rovinose piene primaverili ed autunnali, e a secche estive quasi assolute. Sono quindi fiumi a carattere torrentizio.

Il Po è il più grande fiume d’Italia. Nasce dal Monviso, nelle Alpi occidentali, e percorre tutta la Pianura Padana fino all’Adriatico, nel quale si getta con foce a delta.
Durante il suo corso di 652 chilometri, riceve e numerosi affluenti che discendono in parte dal versante meridionale della catena alpina (affluenti di sinistra) e in parte dal versante settentrionale della catena appenninica (affluenti di destra). Bagna le città di Saluzzo, Torino, Casale Monferrato, Piacenza, Cremona.
Gli affluenti di sinistra del Po sono la Dora Riparia e la Dora Baltea, la Sesia, il Ticino, l’Adda, l’Oglio e il Mincio.
Gli affluenti di destra sono il Tanaro (l’unico che nasce dalle Alpi Marittime, presso il Col di Tenda), la Scrivia, la Trebbia, la Secchia, il Panaro.

Gettano le loro acque nell’Adriatico, oltre il Po, i seguenti fiumi alpini: l’Adige, il Brenta, il Piave, la Livenza, il Tagliamento e l’Isonzo.
Dagli Appennini scendono il Reno, la Marecchia, il Foglia, il Metauro, l’Esino, il Tronto, la Pescara, il Sangro, il Biferno, il Fortone e l’Ofanto.
Nel mar Ionio sfociano, con abbondanza di acque in primavera ed in autunno, il Bradano, il Basento, l’Agri, il Sinni e il Crati.
Nel Tirreno si gettano la Roia, la Polcevera, la Lavagna, l’Arno, l’Ombrone, il Tevere, il Garigliano, il Volturno e il Sele.
I fiumi delle isole sono di scarsa importanza ed hanno un regime di acque incostante; assomigliano più a grossi torrenti che a veri e propri fiumi. In Sicilia scorrono l’Alcantara, il Simeto, il Salso, il Belice e il Platani. In Sardegna i fiumi più importanti sono il Coghinas, il Triso, il Flumini Mannu e il Flumendosa.

I laghi

L’Italia è, tra i paesi dell’Europa, uno dei più ricchi di laghi. Sparsi un po’ in tutte le regioni della Penisola, se ne contano 4100. Essi danno una nota di bellezza a molti paesaggi.
Possiamo distinguerli in laghi alpini, laghi prealpini, laghi vulcanici, laghi appenninici e laghi costieri.
I laghi alpini, piccoli e sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio d’alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli alberi e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono i laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.
Allo sbocco delle valli prealpine si stendono i laghi più importanti della Penisola. Solitamente sono di forma irregolare, e le loro acque riempiono il fondo di lunghe valli scavate dai ghiacciai, che un tempo scendevano fino ai margini della Pianura Padana. Sono tutti alimentati da un fiume e circondati da monti che si specchiano a picco nelle acque azzurre, o discendono con dolci declivi e a balze verdeggianti verso le rive popolate di ville e di giardini.

I laghi prealpini esercitano una benefica influenza sul clima e sulla vegetazione. Infatti sulle loro sponde prosperano piante proprie dei paesi caldi, quali il limone, il cedro, l’ulivo. La suggestiva bellezza del paesaggio, inoltre, è motivo di richiamo per numerosi turisti italiani e stranieri.
I principali laghi prealpini sono:
– il Lago Maggiore o Verbano, che ha per immissario e per emissario il fiume Ticino. La parte settentrionale del bacino appartiene alla Svizzera. Dallo specchio delle sue acque emergono le meravigliose Isole Borromee: Isola Madre, Isola Bella, Isola dei Pescatori.
– il Lago di Como o Lario, che è formato dall’Adda e si biforca in due rami: di Como e di Lecco. E’ il più profondo fra i laghi prealpini (m 410).
– il Lago d’Iseo o Sebino, che riceve le acque del fiume Oglio. In esso sorge l’isola più vasta dei laghi prealpini: Montisola.

– il lago di  Garda o Benaco, che è il più esteso d’Italia. Per la sua posizione, che è la più meridionale tra quelle dei laghi prealpini, gode di un clima particolarmente mite, che favorisce una vegetazione di tipo mediterraneo: ulivi, viti, agrumi. E’ formato dal fiume Sarca il quale, uscendone, prende il nome di Mincio.
I laghi vulcanici sono situati nella fascia antiappenninica del Lazio, della Campania e della Basilicata, e riempiono con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. Perciò la loro forma è generalmente circolare.
I principali sono i laghi di Bolsena, di Bracciano, di Albano e di Nemi, nel Lazio; il lago d’Averno, nei Campi Flegrei, in Campania; i laghi di Monticcchio, in Basilicata.
Anticamente molti laghi, ora prosciugati e scomparsi, occupavano vaste conche dell’Appennino. Fra quelli rimasti i più notevoli sono il lago Trasimeno, in Umbria; il lago di Scanno, nell’Abruzzo; il lago del Matese, in Campania.
Lungo le coste della penisola vi sono dei laghi che si sono formati a causa del moto ondoso del mare, il quale ha accumulato cordoni sabbiosi dinanzi alle insenature chiudendole. Tali laghi sono i laghi di Lesina, di Varano, di Salpi, in Puglia; il lago di Fusaro in Campania; i laghi di Fondi, di Fogliano, di Sabaudia, nel Lazio; i laghi di Massaciuccoli, di Burano, di Orbetello in Toscana; i laghi di Elmas, di Cabras, di Sassu in Sardegna.

Il suolo d’Italia
Veramente meravigliosa è la varietà delle terre e delle coste d’Italia. Qui sono monti giganteschi, avvolte da nubi le cime nevose e scintillanti al sole, dirupi solcati da ghiacciai e flagellati dalla tempesta, balze scoscese, cupi burroni precipitosi, massi erranti per la pianura, e sassi e ciottoli e ghiaie alle falde. Foreste di castagni, di faggi, di larici e di pini fanno veste  a quei monti, poi cespiti di rododendri ed erbe dal cortissimo stelo, e muschi e licheni, che di varie tinte, brue, argentine, dorate, coronano le rocce. Urla il lupo fra quelle foreste, e balza la lince, s’appiatta l’orso e corre presso la neve, nel suo manto invernale, il candidissimo ermellino, e ronzano insetti. E alle cime, ai pendii, alle nevi, alle foreste, ai vaganti nuvoloni, fanno specchio nella valli romite le onde limpidissime degli incantevoli laghi. Costà son valli di soavissime chine, sparse d’ulivi, echeggianti, d’autunno, delle grida festose delle vendemmiatrici, e fertili piani sparsi e biondeggianti messi, solcati da fiumi maestosi o da fecondi canali; e colà vaste, malinconiche pianure, e terre scaldate da un ardentissimo sole, dove allignano piante e volano e corrono e strisciano animali dell’Africa vicina.

Cinta dal mare per sì gran parte, s’allunga l’Italia in una distesa di svariatissime coste; qua con dolce pendio lentamente digradanti, là scosse e  percosse dalle onde; ora  selvose, ora nude, ora coronate da ridenti colline, che si protendono in lunghi promontori e capi, e file di scogli, o scavate in vasti golfi, o seni o porti amplissimi e contro ogni mare sicuri.
Invero, se la varietà e la bellezza della terra opera in bene sull’uomo, gli Italiani dovrebbero essere i primi del mondo. (M. Lessona)

Grotte d’Italia
Nel Carso Triestino abbiamo le grotte di Trebiciano, dei Serpenti, dei Morti e le cavità di San Canziano, percorse dal Timavo nella parte sotterranea del suo corso; in quello della Cicceria, l’Abisso Bertarelli, profondo 450 metri; in quello carniolino le Grotte di Postumia col Piuca sotterraneo; presso la Selva di Tarnova l’Abisso Montenero di 480 metri; sulla Bainsizza quello di Verco di 518 metri.
Ma la massima profondità, d’Italia e del mondo, è data alla Pluga della Preta nei Lessini con 637 metri; sul monte Campo dei Fiori presso Varese abbiamo la Grotta abisso Guglielmo di 350 metri; nelle Alpi Apuane la Tana dell’uomo selvatico di 318 metri.
Migliaia sono le grotte italiane che sono state regolarmente esplorate con successo, molte infatti hanno permesso di ritrovare e riportare alla luce manufatti appartenenti alle diverse epoche preistoriche. Numerose sono quelle situate in terreno calcareo, come quelle dei già nominati altipiani carsici: del Cansiglio, di Asiago, dei Tredici Comuni, di Serle nel bresciano, oppure quelle dei diversi tratti dei monti lombardi, laziali, campani, e delle Murge pugliesi.
Fra le grotte più famose citiamo quelle di Castellana; le più vaste quelle di Postumia e San Canziano; quelle di Grimaldi (Liguria); delle Scalucce di Breonio nel veronese; del Diavolo e ROmanelli nella Terra d’Otranto; di Pertosa nel salernitano; di Pastena (Frosinone); di Capri; di Sant’Angelo nel ternano. Quelle dell’isola di Levanzo, nelle Egadi, hanno rivelato graffiti che si avvicinano alla famosa arte paleolitica delle caverne franco-cantabriche, e figure dipinte.

Il clima italiano

La temperatura
La nostra penisola è tanto allungata che necessariamente i paesi del nord hanno temperature più basse dei paesi del sud. Infatti i paesi del sud sono più vicini all’Equatore, mentre quelli del nord sono  più vicini al Polo Nord.
Per l’influenza benefica, poi, dell’ampio Tirreno, le spiagge tirreniche sono più calde di quelle adriatiche, essendo queste bagnate da un mare più ristretto, quasi interno e poco profondo.
Inoltre le zone montane hanno temperature più basse delle zone di pianura.
E questo perchè l’umidità della pianura conserva meglio il calore, e perchè le parti più basse sono più estese e perciò rimandano all’aria molti più raggi caldi ricevuti dal sole.
Questo valga per la temperatura media dell’anno.

Inoltre, mentre nelle zone marittime non vi è molta differenza tra estate e inverno, nelle zone di pianura non marine, come la Pianura Padana, la differenza è enorme.
Infatti il calore viene conservato meglio dalle acque che non dalle terre, le quali rapidamente lo rimbalzano e lo disperdono.
Invece nelle zone di montagna, come ad esempio sulle Alpi, vi è enorme differenza tra le calde giornate (calde anche d’inverno, quando c’è il sole e non c’è troppo vento) e le rigide nottate (rigide anche d’estate, specialmente nelle notti serene).

La piovosità
Le regioni più piovose in Italia sono quelle montuose. Questo perchè i monti, essendo più freddi, condensano l’umidità più delle pianure; si producono così le nubi e dalle nubi le piogge.
Sui monti del Lago Maggiore, sui monti della Carnia e dell’Istria, sull’Appennino Ligure alle spalle di Genova, si possono avere anche tre metri d’altezza  di acqua all’anno; cioè se avessimo un recipiente aperto alto tre metri, all’aria libera, in un anno si riempirebbe totalmente (purchè naturalmente impedissimo l’evaporazione).
Le zone meno piovose sono le pianure molto basse, come il Ferrarese e il Tavoliere della Puglia, in cui a mala pena si raggiunge il mezzo metro.

Ed è poco perchè la vegetazione possa crescere bene, a meno che come a Ferrara non vi passino molti fiumi o, come nelle Puglie, non siano stati costruiti molti canali di irrigazione.
Ma che importa se in posto piove anche molto, ma solo nel periodo in cui le piante non ne hanno bisogno? Le zone più fertili sono quelle in cui piove tra la primavera e l’autunno, cioè quando la vegetazione vive attivamente o sta per mettersi a riposo.
In Italia si hanno a questo riguardo tre caratteristici regimi.

Sulle coste della Sicilia, della Sardegna e di altre terre meridionali, piove specialmente d’inverno. Il perchè è semplice. D’inverno il mare è più caldo della terraferma, quindi si formano dei venti che dalle fredde terre circostanti vanno verso il più tiepido mare sulle cui isole convergeranno i venti umidi, saliranno e determineranno perciò le piogge. D’estate, siccità quasi assoluta. E’ il clima chiamato mediterraneo. Peccato che piova solo d’inverno, perchè è d’estate che le piante volentieri si inebrierebbero di acqua! Però debbo dirvi che in queste regioni, sempre tiepide e calde, anche d’inverno, vi sono piante caratteristiche che possono sopportare la siccità estiva: pini mediterranei dalla chioma a ombrello, olivi, querce da sughero, fichi d’india, agavi, ginepri, mirti, lauri, ginestre, eriche, pistacchi, capperi e altro ancora.

Sulle Alpi e sui monti in generale piove o nevica specialmente d’estate. Infatti è d’estate che i monti, ben riscaldati dal sole, richiamano i venti dai mari attorno; e i venti umidi incontrandosi o condensando l’umidità a contatto dei monti, producono nubi e poi piogge. E’ il clima chiamato continentale. I pini e gli abeti d’alta montagna molto opportunamente non perdono le foglie, perchè non potrebbero nei tiepidi ma brevi tre mesi estivi rifarsele e lavorare per fabbricarsi il cibo. Fanno eccezione i larici, che perdono le foglie anche se sono conifere come i pini e gli abeti e anche se, come questi, crescono sulle montagne.
Duvunque altrove piove di primavera e d’autunno con grande vantaggio della vegetazione.
In conclusione in Italia vi sono quattro tipi di clima:
– il clima alpino, con molto basse temperature notturne e invernali, e con piovosità abbondante estiva: le Alpi e parte dell’Appennino settentrionale e centrale;
– quello mediterraneo, con temperature miti  per tutto l’anno e con piovosità invernale e non troppo abbondante, anzi talora scarsa: le isole e la penisola a sud di Salerno;
-quello peninsulare con temperature miti lungo la costa, mediocri nell’interno e con piovosità primaverile e autunnale: tutta la parte rimanente della Penisola;
– quello della Pianura Padana, con temperature elevate d’estate e basse d’inverno, piovosità primaverile e autunnale.

Elementi del clima
Il clima è composto di più elementi e le sue caratteristiche sono influenzate in modo determinante da numerosi fattori.
Per stabilire lo stato del tempo si prendono in considerazione la temperatura dell’aria (misurata con il termometro), la pressione atmosferica (misurata con il barometro) ed i venti (la cui velocità è misurata con l’anemometro), la nebulosità del cielo (stimata in decimi), l’umidità dell’aria (misurata con l’igrometro) e le precipitazioni (misurate col pluviometro).

L’osservazione metodica, giorno per giorno, delle condizioni meteorologiche nel loro diverso combinarsi e manifestarsi e la registrazione dei relativi dati, condotta per più anni di seguito, permettono non solo di seguire il loro andamento nel corso delle quattro stagioni, ma anche di identificarne le caratteristiche medie e di stabilire così il tipo di clima di una certa regione, vasta o ristretta che sia.

La previsione del tempo in montagna
Sono i grandi moti atmosferici che determinano le condizioni meteorologiche generali; e sono le diverse condizioni meteorologiche generali; e sono le diverse condizioni della superficie terrestre che reagiscono diversamente, a seconda della reazione particolare che le terre, le acque, le foreste, le paludi, i deserti, e soprattutto le montagne, esercitando sui venti, la temperatura e l’umidità delle correnti aeree.

Specialmente e in maniera rilevantissima sono le catene montuose, e fra queste naturalmente le Alpi, che modificano potentemente l’andamento generale del tempo, determinando così fenomeni locali, i quali sono spesso in aperta contraddizione con le previsioni fatte dai centri meteorologici, che occorre ripeterlo, si limitano a riferire sulle condizioni generali generali del tempo, dipendenti nell’immediato futuro dalle leggi generali di successione dei grandi fenomeni atmosferici.

Per il tempo locale occorre possedere quella lunga precisa conoscenza della regione per cui si può tentare di prevedere il tempo che farà, cercando di concordare le segnalazioni dei bollettini meteorologici con i pronostici eminentemente locali, ma fidandosi soprattutto di questi ultimi.
E’ indubbio che la meteorologia ha fatto grandissimi progressi, ma è altrettanto vero che nulla di assolutamente definitivo è stato raggiunto. Meno che meno, in materia di previsioni in montagna, problema questo quanto mai arduo e forse insolubile per la scienza stessa.

In montagna si possono ascoltare tutti i bollettini di questo mondo; si possono avere a disposizione barometri e termometri e fare le più accurate osservazioni, e confrontarle e studiarle: tutto ciò, diciamolo francamente, servirà certamente, ma non c’è da fidarsi troppo.
Questo ben tenga presente chi frequenta la montagna e soprattutto chi fa dell’alpinismo: nulla trascurino di quanto può insegnar loro la scienza, anzi ne facciano pure tesoro; ma si valgano soprattutto dell’esperienza dei montanari e della loro personale esperienza. E più di tutto, gli alpinisti, quando si mettono sull’alta montagna, siano ben certi della loro robustezza, del loro allenamento e della loro capacità, e si affidano fiduciosi alla buona fortuna. (A. Sanmarchi)

Un lembo d’Italia in territorio straniero
Sulla sponda orientale del Lago di Lugano sorge Campione d’Italia, piccolo Comune che occupa un’area di soli 2,6 kmq, ed è abitato da poco più di mille persone. E’ grazioso, ma non varrebbe la pena di segnalarlo se non rappresentasse una vera e propria curiosità storica. Esso, infatti, pur essendo in territorio svizzero, appartiene all’Italia e precisamente alla provincia di Como, città dalla quale dista solo 25 km. La sua posizione, unica al mondo, trova origine nel lontano secolo VIII, quando l’allora signore di Campione fece dono dei propri beni agli Abati di Sant’Ambrogio. Alla fine del secolo XVIII fu assegnato alla Lombardia e, con la Lombardia, passò poi all’Italia.

Il posto di frontiera più alto d’Italia
Da Courmayeur, nelle notti serene, guardando verso il Monte Bianco, sulla sinistra del Dente del Gigante, si scorge un lumicino che sembra sospeso nel vuoto. E’ la casermetta di Punta Helbronnen, situata a quota  3462, sede del più alto presidio di frontiera d’Italia, anzi d’Europa. Cinque carabinieri italiani e altrettanti gendarmi francesi controllano qui i passaporti dei passeggeri della Funivia dei Ghiacciai, che dal dicembre del 1957 unisce l’Italia alla Francia sorvolando il massiccio del Bianco.

La traversata, lunga 15 km, ha inizio a La Palud, piccola frazione di Courmayeur, in territorio italiano, e termina a Chamonix, capitale dell’alpinismo francese, dopo aver raggiunto la massima altitudine di  3842 m a l’Auguille du Midi. E’ un volo entusiasmante durante il quale si può ammirare ciò che di più sublime hanno le Alpi. Da Punta Helbronner all’Aiguille du Midi, per un tratto di cinque chilometri, si sorvola uno dei massimi ghiacciai alpini e la formidabile cupola del Bianco sembra così vicina che si è tentati di allungare la mano per accarezzarla.

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Il fuoco agli uomini – LEGGENDA SARDA

Il fuoco agli uomini – LEGGENDA SARDA per bambini della scuola primaria

LEGGENDE ITALIANE

Il fuoco agli uomini – LEGGENDA SARDA

 In Sardegna, nel Logudoro, si racconta questa bella leggenda:

Una volta, al mondo, non c’era il fuoco. Gli uomini avevano freddo ed andarono da Sant’Antonio, che stava nel deserto, a pregarlo che facesse qualcosa per loro. Sant’Antonio ebbe compassione e siccome il fuoco era all’inferno, decise di andare a prenderlo.

Col suo porchetto e col suo bastone di ferula, Sant’Antonio si presentò, dunque, alla porta dell’inferno e bussò:
“Apritemi! Ho freddo e mi voglio riscaldare!”

I diavoli alla porta videro subito che quello non era un peccatore, ma un Santo, e dissero:
“No! No! Ti abbiamo riconosciuto! Non ti apriamo. Se vuoi lasciamo entrare il porchetto, ma te no!”

E così il porchetto entrò. Cari miei, appena dentro si mise a scorrazzare con una tale furia da mettere lo scompiglio ovunque, tanto che i diavoli, ad un certo punto, non ne poterono proprio più.
Finirono perciò per rivolgersi al Santo, che era rimasto fuori dalla porta.

“Quel tuo porco maledetto ci mette tutto in disordine! Vientelo a riprendere!”
Sant’Antonio entrò nell’inferno, toccò il porchetto col suo bastone e quello se ne stette subito quieto.
“Visto che ci sono” disse Sant’Antonio, “mi siedo un momento per scaldarmi”.

E si sedette su un sacco di sughero, proprio sul passaggio dei diavoli.
Infatti, ogni tanto, davanti a lui passava un diavolo di corsa. E Sant’Antonio, col suo bastone di ferula, giù una legnata sulla schiena.

Ad un certo punto i diavoli, arrabbiati, esclamarono:
“Questi scherzi non ci piacciono. Adesso ti bruciamo il bastone.”
Infatti lo presero e ne ficcarono la punta tra le fiamme.

Il porco, in quel momento, ricominciò a buttare all’aria tutto: cataste di legna, uncini, torce e tridenti. E i diavoli avevano un bel da fare a mettere a posto. Non ci riuscivano e non riuscivano neppure ad acchiappare quel… diavolo di porchetto.

“Se volete che lo faccia star buono” disse Sant’Antonio, “dovete ridarmi il mio bastone”.
Glielo diedero ed il porchetto stette subito buono.
Ma il bastone era di ferula ed il legno di ferula ha il midollo spugnoso. Se una scintilla entra nel midollo continua a bruciare di nascosto, senza che di fuori si veda.

Così i diavoli non si accorsero che Sant’Antonio aveva il fuoco nel bastone. Il Santo col suo bastone se ne uscì ed i diavoli tirarono un sospiro di sollievo.

Appena fu fuori, Sant’Antonio alzò il bastone con la punta infuocata e la girò intorno, facendo volare le scintille, come dando la benedizione, e cantò:
“Fuoco, fuoco,
per ogni loco;
per tutto il mondo
fuoco giocondo!”

Da quel momento, con grande contentezza degli uomini, ci fu il fuoco sulla terra. E Sant’Antonio tornò nel deserto a pregare.

Italo Calvino

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