Perché i tramonti sono rosso arancio e il cielo azzurro?

Perché i tramonti sono rosso arancio e il cielo azzurro?

Scopo

Dimostrare che la luce del sole si riflette urtando le molecole sospese nell’aria, il che rende il nostro cielo blu e i nostri tramonti rossi, facendo brillare una torcia attraverso bastoncini di colla a caldo.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Una piccola torcia
bastoncini di colla a caldo
fogli di carta bianca
nastro adesivo trasparente.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la dispersione della luce nell’atmosfera

. mettiamo dei fogli di carta in fila sul tavolo

. mettiamo la torcia e un bastoncino di colla sui fogli bianchi

. teniamo la torcia vicino ad un’estremità di un bastoncino di colla a caldo, di modo che la luce risplenda attraverso la colla

. notiamo che l’estremità del bastoncino più vicina alla luce è di un colore diverso rispetto all’altra estremità: appare più bianca mentre la parte più lontana appare più gialla

. fissiamo insieme due bastoncini di colla e teniamoli insieme con del nastro adesivo trasparente

. ripetiamo la nostra indagine accendendo la torcia e notiamo le differenze di colore lungo i bastoncini

. continuiamo ad aggiungere bastoncini di colla legandoli col nastro adesivo e continuiamo ad i cambiamenti di colore e intensità lungo i bastoncini nella loro lunghezza complessiva. Noteremo che la luce diventa via via più rossa e fioca lungo i bastoncini fissati insieme, man mano che la luce si allontana dalla torcia

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La torcia emette luce bianca, che è la somma dei colori dello spettro luminoso. Il bastoncino di colla diffonde la luce blu della torcia leggermente più di quanto non diffonda la luce gialla o rossa. Questo fa sì che l’estremità del bastoncino più vicino alla torcia ci appaia di colore bluastro mentre vedremo l’altra estremità gialla-arancione.
Quando aumentiamo la lunghezza aggiungendo altri bastoncini, una maggior quantità di luce blu viene dispersa, e l’estremità lontana dalla torcia assume un colore arancione.
Abbiamo realizzato un modello del fenomeno chiamato scattering (in italiano diffusione ottica o dispersione), grazie al quale vediamo il cielo azzurro e i tramonti rosso-arancio
Il cielo è blu perché la luce blu è più facilmente dispersa nella nostra atmosfera, proprio come la luce blu della nostra torcia è stata più facilmente dispersa nei bastoncini di colla.
Al tramonto il sole è basso, vicino all’orizzonte, e la luce viaggia attraverso un maggiore spessore di atmosfera di quanto non faccia quando il sole è alto nel cielo.
La luce della torcia viaggiando nei bastoncini di colla diventava più rossa man mano si allontanava dalla torcia. Allo stesso modo il tramonto appare rosso quando il percorso della luce solare si allunga.
Il sole produce luce bianca, che è costituita dalla luce di tutti i colori: rosso, arancione, giallo, verde, blu e viola. Anche la nostra torcia produce luce bianca.
La luce è un’onda e ognuno di questi colori corrisponde a una frequenza diversa e quindi a una diversa lunghezza d’onda della luce.
I colori nello spettro luminoso sono disposti in base alle loro frequenze: la luce viola e blu hanno frequenze più alte di quella gialla, arancione e rossa.
Quando la luce bianca del sole splende attraverso l’atmosfera terrestre, si scontra con le molecole di gas. Queste molecole diffondono la luce. Più è corta la lunghezza d’onda della luce, più è dispersa dall’atmosfera. Poiché la sua lunghezza d’onda è molto più breve, la luce blu è sparsa circa dieci volte di più della luce rossa.
La frequenza della luce blu, rispetto alla luce rossa, è più vicina alla frequenza di risonanza degli atomi e delle molecole che compongono l’aria. Cioè, se gli elettroni legati alle molecole nell’aria vengono spinti, oscillano con una frequenza naturale che è persino più alta della frequenza della luce blu.
La luce blu spinge gli elettroni con una frequenza vicina alla loro frequenza di risonanza naturale, che provoca la radiazione della luce blu in tutte le direzioni in un processo chiamato scattering.
La luce rossa che non è dispersa continua nella sua direzione originale.
La luce viola ha una lunghezza d’onda ancora più corta della luce blu. Allora, perché il cielo non è viola? In base al colore che subisce di più il fenomeno dello scattering, il cielo dovrebbe essere viola. Ci appare blu perché la nostra sensibilità ai colori di fa captare il viola in modo molto debole, mentre percepiamo in modo intenso il blu, presente in grande quantità e facilmente percepibile dai nostri fotorecettori specializzati a captare il blu, il verde e il rosso.
Lord John Rayleigh, alla fine del 1800, capì che il colore blu del cielo era il risultato di un fenomeno chiamato scattering: l’atmosfera non assorbe la luce, ma le molecole in sospensione la riflettono, e questa riflessione è più pronunciata per le lunghezze d’onda più corte, cioè il blu e il viola, alla fine dello spettro visibile.
Gli esperimenti di Newton con i prismi avevano dimostrato, duecento anni prima, che la luce bianca è composta dai colori dello spettro visibile: il rosso, l’arancio, il giallo, il verde, il blu e il violetto.
Mentre la luce attraversa l’atmosfera, gli atomi assorbono e riemettono luce. Non cambia l’intensità della luce, ma la direzione: e questo cambio di direzione, che chiamiamo scattering, è 10 volte più intenso per il viola rispetto al rosso.
È quello che chiamiamo scattering selettivo o scattering di Rayleigh (dal nome di chi l’ha studiato per primo).
La luce blu ha una lunghezza d’onda breve e ad alta frequenza, così viene diffusa molto facilmente. Quando guardiamo il cielo, tutta la luce che vediamo è stata diffusa, cioè redirezionata verso i nostri occhi. Siccome vediamo solo questa, ci appare blu.

Perchè i tramonti sono rosso arancio?

Perchè i tramonti sono rosso arancio? Un esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Scopo

Dimostrare che i tramonti ci appaiono rosso-arancio a causa delle lunghezze d’onda dei colori dello spettro solare e del movimento della terra intorno al sole.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un contenitore trasparente
acqua
sostanza lattiginosa (sapone, latte, latte in polvere, yogurt, cera per pavimenti, ecc.)
una torcia elettrica che emetta luce bianca
una stanza buia.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che i tramonti ci appaiono rosso-arancio a causa delle lunghezze d’onda dei colori dello spettro solare, e del movimento della terra intorno al sole

. mettiamo il contenitore dove possa essere osservato da tutti i lati

. riempiamolo per ¾ con acqua. Mettiamo la torcia accesa contro una parete del contenitore così suo raggio passi attraverso l’acqua. Proviamo a individuare il fascio di luce nell’acqua: si potranno vedere particelle di polvere, tuttavia sarà piuttosto difficile individuare esattamente il fascio

. tenendo la torcia in posizione aggiungiamo goccia a goccia la sostanza lattiginosa finché il fascio di luce non diverrà ben visibile

. osserviamo il raggio: nella zona più vicina alla torcia apparirà azzurro, mentre nella zona più lontana apparirà rosso-arancio

. più sostanza lattiginosa aggiungiamo, più saranno visibili l’azzurro all’inizio e l’arancio alla fine. Più sostanza lattiginosa aggiungiamo all’acqua, più il fascio di luce si diffonderà nel liquido

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La luce solare ci appare bianca perché contiene tutti i colori nello stesso raggio. Ognuno di questi colori si sposta con onde più o meno ampie.

Quando la luce entra nell’atmosfera si scontra coi gas e le altre particelle contenute nell’aria.
I colori con onde più corte, cioè il violetto e l’azzurro, si scontrano con le particelle e vengono deviati e riflessi in tutte le direzioni. Per questo, ovunque si guardi, i raggi che arrivano ai nostri occhi appaiono azzurri.
I colori con onde più lunghe, cioè il rosso e l’arancio, scavalcano le particelle e continuano il loro tragitto.
Per questo, all’alba e al tramonto, quando i raggi arrivano sulla terra lunghi e obliqui, vediamo il cielo rosso-arancio.
Quando il raggio della torcia viaggia attraverso l’aria, non possiamo vedere il fascio di lato perché l’aria è uniforme, e la luce della torcia viaggia in linea retta. Lo stesso vale quando il fascio viaggia attraverso l’acqua, poiché l’acqua è uniforme, e il fascio viaggia in linea retta. Potremo intravedere il fascio di luce solo se nell’aria o nell’acqua sono presenti particelle di polvere.
Quando abbiamo versato la sostanza lattiginosa nell’acqua, abbiamo aggiunto molte piccole particelle di proteine e grassi in sospensione nell’acqua
Che cosa significa questo esperimento e cosa ha a che fare col cielo azzurro e i tramonti arancio?
L’azzurro del cielo è luce solare dispersa dalle particelle di polvere nell’atmosfera. Se non ci fosse alcuna dispersione, e tutta la luce viaggiasse direttamente dal sole alla terra, il cielo apparirebbe nero avviene di notte. La luce viene diffusa dalle particelle di polvere nello stesso modo della luce della torcia dispersa dalle particelle lattiginose in questo esperimento.

Al tramonto o all’alba, la luce del sole effettua un percorso più lungo attraverso l’atmosfera rispetto a quanto avviene durante le ore del giorno e per questo puoi vedere i colori dall’altra parte dello spettro: rossi e arancioni.

Perché l’alba sembra diversa dal tramonto? E’, simmetricamente, lo stesso fenomeno, e se le condizioni atmosferiche fossero identiche nei due passaggi avremmo albe identiche ai tramonti.
La differenza sostanziale sta nella temperatura e nella quantità di polveri sottili sospese nell’aria. All’alba l’aria è più pulita e più fresca, al tramonto invece l’aria è più calda e ricca di particelle, soprattutto a causa delle attività umane.

Esperimento scientifico: l’angolo critico

Esperimento scientifico: l’angolo critico.

Scopo

Un materiale trasparente, come il vetro o l’acqua, può effettivamente riflettere la luce meglio di uno specchio, se si guarda dalla giusta angolazione.

Età

Dai 10 anni.

Materiali

Un contenitore di vetro trasparente
latte (o del latte in polvere)
un laser è la scelta migliore, se disponibile, altrimenti una torcia.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra come il vetro o l’acqua possono effettivamente riflettere la luce meglio di qualsiasi specchio, guardando dalla giusta angolazione

. svolgiamo l’esperimento in una stanza buia

. riempiamo il contenitore trasparente con acqua

. teniamo il puntatore laser o la torcia a lato del contenitore, in modo che la luce risplenda nell’acqua

. aggiungiamo il latte una goccia alla volta, mescolando dopo ogni goccia, finché non si vede il raggio di luce che passa attraverso l’acqua

. dirigiamo il raggio di luce verso l’alto in modo che colpisca la superficie dell’acqua da sotto

. muoviamo la torcia in modo che il raggio di luce colpisca la superficie dell’acqua all’incirca ad angolo retto, poi cambiamo lentamente l’angolo in cui il raggio di luce colpisce la superficie dell’acqua

. continuiamo a sperimentare finché non troveremo l’angolo con cui il raggio trasmesso scompare completamente. A questo angolo, chiamato l’angolo critico, tutta la luce viene riflessa nell’acqua

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

In generale, quando un raggio di luce (il raggio incidente) colpisce l’interfaccia tra due materiali trasparenti, come l’aria e l’acqua, parte del raggio viene riflessa e parte di essa prosegue oltre. Il raggio di luce viene piegato, o rifratto, mentre passa da un materiale all’altro.
L’angolo critico (o angolo limite) è l’angolo oltre il quale si ottiene una riflessione interna totale.

A: normale riflessione acqua – aria
B: angolo limite o critico
C: riflessione interna totale.

La luce si sposta dall’acqua all’aria e si flette verso l’acqua. Ad un certo angolo, la flessione sarà così forte che il raggio rifratto sarà diretto proprio lungo la superficie; cioè, nessuno di questi uscirà nell’aria: questo è l’angolo critico o angolo limite.
Oltre l’angolo critico, tutta la luce viene riflessa nell’acqua, quindi il raggio riflesso è luminoso come il raggio incidente. Questo fenomeno è chiamato riflessione interna totale: viene riflesso quasi il 100 percento del raggio di luce.
L’angolo critico per l’acqua è misurato tra il raggio e una linea perpendicolare alla superficie ed è 49 gradi.

Esperimento scientifico: nelle profondità dell’oceano

Esperimento scientifico: nelle profondità dell’oceano.

Scopo

Dimostrare la legge di Pascal per i fluidi.

Materiali

Cartoni del latte vuoti o bottiglie di plastica
nastro isolante
uno spiedino o un chiodo
lavandino o bacinella
acqua
colorante (facoltativo).

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la legge di Pascal. È una legge della fisica che ci dice che la pressione esercitata su un fluido viene trasmessa inalterata in ogni punto del fluido e sulla superficie del suo contenitore

. per provarlo pratichiamo dei fori identici disposti uno sotto l’altro lungo una parete del cartone o della bottiglia e copriamo provvisoriamente i fori con del nastro isolante

. teniamo il contenitore in orizzontale, strappiamo il nastro e osserviamo gli zampilli fuoriuscire tutti con la stessa forza

. ora prendiamo un cartone del latte e pratichiamo tre fori, come abbiamo fatto prima. Copriamo provvisoriamente i tre fori con del nastro isolante

. prendiamo un terzo cartone e pratichiamo anche qui tre fori, ma questa volta disposti in diagonale. Copriamo provvisoriamente con del nastro isolante

. riempiamo entrambi i cartoni di acqua (se vogliamo aggiungiamo del colorante)

. chiediamo ai bambini di prevedere cosa accadrà quando rimuoveremo il nastro: i getti saranno tutti lunghi uguali?
. strappiamo il nastro isolante dal cartone con i fori allineati. Osserviamo

. strappiamo il nastro dal cartone coi fori in diagonale. Osserviamo

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

La legge di Pascal
Osservazioni e conclusioni

Quando abbiamo tolto il nastro isolante dal contenitore con i fori allineati in orizzontale, tutti i getti erano della stessa lunghezza perché, secondo la legge di Pascal, la pressione dell’acqua a una data profondità è la stessa in tutte le direzioni.
Cosa è successo quando il nastro è stato rimosso dal contenitore con i fori in linea verticale? Dal foro più in basso è fuoriuscito il getto più lungo, perché più profonda è l’acqua, maggiore è la pressione).


L’acqua che fuoriesce dal foro più in basso è soggetta ad una pressione maggiore (ha più acqua/peso su di sè) e viene spinta fuori con molta più forza
L’acqua che fuoriesce dal foro superiore è sottoposta a una pressione molto molto più bassa, e il getto è di conseguenza corto e debole.
Quando i fori sono disposti in linea verticale, che sia perpendicolare oppure obliqua, i fori più in basso produrranno getti più potenti e quelli più alto getti più deboli.

Esperimento scientifico: eruzione vulcanica

Esperimento scientifico: eruzione vulcanica.

Scopo

Sfruttare la reazione chimica tra bicarbonato di sodio, albume d’uovo e aceto per simulare un’eruzione vulcanica.

Età

Dai 4 anni.

Materiali

Una tortiera
una piastra per forno o una tovaglia di plastica
una bottiglietta di plastica
bicarbonato di sodio
un imbuto
un cucchiaio
aceto bianco
2 uova crude
carta stagnola
colorante alimentare o acquarello.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questa attività può essere presentata ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. versiamo nella bottiglietta un cucchiaio da tavola colmo di bicarbonato di sodio, aiutandoci con un imbuto

. rompiamo due uova crude, separiamo gli albumi dai tuorli e versiamo gli albumi nella bottiglietta

. aggiungiamo del colorante e agitiamo la bottiglietta

. mettiamo la bottiglietta al centro della tortiera. Per preservare il tavolo, mettiamo il tutto su una piastra da forno o usiamo una tovaglia cerata

. avvolgiamo bottiglietta e tortiera nella carta stagnola, quindi foriamo all’altezza della bocca della bottiglietta

. versiamo tutto in una volta mezzo bicchiere di aceto nella bottiglietta

. dopo alcuni secondi, vedremo sgorgare dalla bocca del vulcano una copiosa schiuma colorata

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

L’aceto contiene acido acetico; quando entra in contatto con il bicarbonato di sodio sviluppa una reazione chimica che porta alla formazione di anidride carbonica, un gas.
A contatto con l’albume, l’acido acetico provoca la sua coagulazione, trasformandolo in una schiuma simile a quella che si ottiene quando lo montiamo con la frusta elettrica.
Questa schiuma fuoriesce dalla bocca del vulcano spinta dall’anidride carbonica.

Un’altra eruzione vulcanica qui:

Esperimento scientifico: sai cos’è un geyser?

Esperimento scientifico: sai cos’è un geyser?

Scopo

Creare uno sbuffo di vapore che ricordi un geyser.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Una pentola d’acqua
un imbuto
carta stagnola.

Note di sicurezza

I bambini osserveranno l’esperimento alla giusta distanza di sicurezza dal vapore.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che proveremo a creare uno sbuffo di vapore che ricordi un geyser. Poi parleremo di cosa lo distingue da un geyser vero

. inseriamo l’imbuto nella pentola e copriamo la pentola con la carta stagnola lasciando un foro per il beccuccio dell’imbuto

. accendiamo il fuoco sotto alla pentola

. non appena l’acqua comincerà a bollire, il vapore uscirà dall’imbuto

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Un geyser è una sorgente d’acqua calda sotterranea dalla quale fuoriesce, in determinate condizioni, una colonna di vapore e acqua. Questa è la differenza più importante rispetto al nostro “geyser”.
La seconda grande differenza è che i geyser si caricano e scaricano ciclicamente e non eruttano in modo continuo. Ci sono tre fasi principali del ciclo di un geyser: riscaldamento, eruzione e rabbocco.
Un’emissione di solo vapore acqueo (mescolato ad acido borico, metano e altri gas) è il soffione boracifero. Larderello, in Toscana, è famosa per i suoi soffioni boraciferi.
I geyser sono rari sul nostro pianeta perché richiedono la presenza di condizioni molto particolari. Affinché un geyser possa esistere, infatti, servono:
– una camera magmatica, che irradia calore
– un ampio terreno ricco d’acqua
– un serbatoio a sifone (cioè a forma di U) nel sottosuolo
– una fessura che permetta di riempire il serbatoio con l’acqua di superficie.
La struttura sotterranea a sifone deve comunicare con l’esterno e deve essere formata da rocce permeabili, nelle quali circola l’acqua, circondate da rocce impermeabili.
I geyser si trovano in prossimità di vulcani o nei luoghi ove la crosta terrestre è meno spessa. La maggior parte dei geyser si trovano negli USA, seguiti da Islanda, Russia, Cile e Nuova Zelanda. In Italia non ci sono geyser, mentre sono presenti i soffioni boraciferi.
La parola “geyser” deriva dall’islandese geysir che significa “sgorgare”.
Per capire come funziona un geyser, è necessario comprendere la relazione tra acqua e vapore. Il vapore è uno stato gassoso dell’acqua.
Quando l’acqua si trasforma in vapore, subisce un’enorme espansione perché il vapore occupa 1600 volte più spazio di quanto non occupi il volume dell’acqua.
Quando l’acqua fredda di superficie filtra giù nella terra e si avvicina alla fonte di calore (la camera magmatica), viene riscaldata sempre più, ma quando arriva al punto di ebollizione non si converte in vapore, perché le sue molecole sono trattenute dalle rocce.
Questa acqua più che bollente continua il suo viaggio in forma liquida verso la superficie. Man mano che risale, però, la pressione intorno a lei diminuisce finché, giunta in prossimità del livello del suolo, è nuovamente libera di trasformarsi in vapore.
A quel punto, acqua e vapore si avviano velocemente verso l’uscita del geyser, da dove zampillano, con più o meno forza, creando fontane di acqua bollente e vapore.

Esperimento scientifico: un disastro petrolifero

Esperimento scientifico: un disastro petrolifero.

Scopo

Osservare cosa avviene quando il contenuto di una petroliera si riversa nell’oceano.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Olio
acqua
bottiglietta di plastica trasparente
imbuto
colorante alimentare o acquarello blu.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che il petrolio galleggia sull’acqua

. riempiamo un terzo della bottiglia con acqua e aggiungiamo il colorante. Agitiamo la bottiglia

. riempiamo i due terzi rimanenti della bottiglia con olio e avvitiamo il tappo

. teniamo la bottiglia orizzontalmente e muoviamo la bottiglia avanti e indietro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

L’olio e l’acqua sono insolubili, non possono mescolarsi tra loro perché hanno densità diverse, in particolare l’acqua pesa molto più dell’olio e per questo sta sul fondo.
Quando si muove la bottiglia, l’olio e l’acqua si muovono separatamente. Per questo si parla di “marea nera” quando il petrolio si riversa nell’oceano.
Acqua e petrolio non si mescolano come l’olio e l’acqua nella nostra bottiglia. Ma quando il petrolio si riversa in mare, uno dei tanti suoi componenti comincia ad evaporare nell’aria ed un altro comincia a dissolversi nell’acqua.
Il petrolio che fuoriesce dalle petroliere provoca gravissimi danni all’ambiente.
I componenti oleosi del petrolio, quelli che galleggiano sulla superficie dell’oceano, sono tossici perché formano una pellicola impermeabile all’ossigeno che “soffoca” le forme di vita acquatica.
Anche i componenti volatili sono pericolosi anche per l’ambiente e per l’uomo.
Il petrolio inoltre rimane intrappolato sottoterra quando le onde lo depositano a riva e la sabbia lo ricopre. Sottoterra, in mancanza di ossigeno, il petrolio può restare sepolto per anni, e spostarsi non solo nel mare ma anche nelle falde acquifere.

Esperimento scientifico: i crateri lunari

Esperimento scientifico: i crateri lunari.

Scopo

Scoprire come si formano i crateri e perché sono di dimensioni diverse.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Ciottoli e sassi di forma e dimensione varia, palline non troppo pesanti, frutti di diverse dimensioni, ecc.
una scatola o cassettina o vassoio
farina
cacao in polvere
setaccio o scolapasta
eventualmente righello, penna e quaderno.

Note di sicurezza

Scegliere un luogo aperto per non mettere in pericolo persone, animali o cose durante i lanci.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul pavimento, o all’aperto, scegliendo una superficie l’appoggio dura (non sull’erba o sul tappeto) e con un sufficiente spazio intorno
. versiamo la farina nel vassoio e livelliamola. Lo strato di farina dovrebbe avere una profondità di almeno 5 cm

. col setaccio o lo scolapasta copriamo la farina con un velo di cacao

. sediamo a terra davanti al vassoio e lasciamo cadere uno ad uno i nostri “meteoriti”, lasciandoli cadere da diverse altezze e da diverse angolazioni

. osserviamo i crateri

. utilizzando le forbici togliamo i “meteoriti” con la massima delicatezza: questo ci permetterà di osservare ancora meglio i crateri

. prestiamo attenzione ai bordi


. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

I crateri sono depressioni a forma di ciotola circondate da un anello.
Si formano quando un meteorite si scontra con un pianeta o una luna e per questo i crateri sono più correttamente “crateri da impatto”.
Spesso il meteorite che crea il cratere esplode al momento dell’impatto, quindi il cratere è un ricordo vuoto della collisione. Studiando i crateri, comunque, gli scienziati sono in grado di risalire al tipo di oggetto che l’ha prodotto.
I crateri lunari hanno diametri diversi, inoltre alcuni sono molto profondi, mentre altri sono superficiali. La dimensione e la profondità di un cratere dipendono dalla velocità con cui il meteorite colpisce la superficie, dalla grandezza del meteorite, dall’inclinazione con cui cade sulla superficie.

Esperimento scientifico: contrasti

Esperimento scientifico: contrasti.

Scopo

Scoprire che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi di colori diversi.

Età

Dai 6 anni.

Materiali

Forbici
carta colorata o da origami in giallo, viola, verde, blu (due tonalità) e arancione (due tonalità)
colla.

Note di sicurezza

Insegniamo ai bambini come utilizzare le forbici in sicurezza.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi diversi

. tagliamo un foglio di carta arancione a metà longitudinalmente e incolliamolo sul foglio blu

. tagliamo due quadrati da ciascuno dei fogli colorati e creiamo due colonne di quadrati colorati uguali, uno sullo sfondo blu e uno sullo sfondo arancione

. noteremo che due quadrati dello stesso colore appaiono come tonalità

. per ogni coppia di quadrati ritagliamo un rettangolo abbastanza grande da poter essere posizionato su entrambe le colonne per il confronto

. posizioniamo la striscia di confronto in modo che tocchi entrambi i quadrati di uno stesso colore per verificare

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La parte posteriore dell’occhio è rivestita da cellule sensibili alla luce, tra le quali i coni, sensibili al colore.
I coni si influenzano a vicenda in modi complessi. Queste connessioni ci danno una buona visione dei colori, ma possono anche ingannare il nostro sguardo.
Quando i coni in una parte dell’occhio vedono la luce blu, rendono i coni vicini meno sensibili al blu.
Per questo motivo, se mettiamo un punto viola su uno sfondo blu, il punto appare un po’ meno blu di quanto non sarebbe altrimenti.
Allo stesso modo, una macchia rossa su uno sfondo arancione sembra meno arancione di quanto sarebbe altrimenti.

Esperimento scientifico: pupille

Esperimento scientifico: pupille.

Scopo

Osservare che la pupilla cambia dimensione in base alla quantità di luce e che la luce che splende in un occhio influisce sulla dimensione della pupilla nell’altro occhio.

Materiali

Lente d’ingrandimento e specchietto (oppure specchio ingrandente)
piccola torcia elettrica.

Età

Dai 9 anni.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la pupilla cambia dimensione in base alla quantità di luce e che la luce che splende in un occhio influisce sulla dimensione della pupilla nell’altro occhio

. se usiamo specchietto e lente d’ingrandimento, mettiamo la lente sulla superficie dello specchio e guardiamo al centro della lente con un occhio

. regoliamo la distanza dallo specchio fino a quando non vediamo un’immagine nitida e ingrandita dell’occhio

. osserviamo il bianco dei nostri occhi, il disco colorato dell’iride e la nostra pupilla, il buco nero al centro dell’iride

. puntiamo la luce di una piccola torcia nella pupilla di un occhio facendola brillare attorno al bordo dello specchio

. osserviamo come la pupilla cambia dimensione

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La pupilla è un’apertura che lascia entrare la luce. Con la luce fioca, la pupilla si espande per consentire a più luce di entrare negli occhi. In piena luce, si contrae.
La dimensione delle pupille può cambiare anche a causa di stimoli emotivi (paura, rabbia, dolore, ecc.)

Esperimento scientifico: l’uccellino in gabbia

Esperimento scientifico: l’uccellino in gabbia.

Scopo

Mostrare che se l’occhio si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Cartoncino rosso, verde e blu brillante
colla per carta
quattro fogli di carta bianca
pennarello nero
forbici.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamoci in un luogo ben illuminato: l’illuminazione intensa è un fattore significativo nel far funzionare bene l’esperimento

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. Spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che se uno o più dei tre tipi di coni si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe

. ritagliamo la stessa semplice forma, ad esempio un uccello o un pesce, da ciascuno dei tre fogli colorati

. incolliamo ogni forma su un foglio di carta bianca

. disegniamo un occhio su ogni uccello o pesce col pennarello nero

. sul quarto figlio bianco disegniamo il contorno di una gabbia per uccelli (o di una boccia per pesci)

. chiediamo al bambino di fissare la figura rossa (pesce o uccello) per circa 20 secondi e poi fissare rapidamente il foglio bianco con la gabbia o la boccia. Il bambino vedrà un uccello blu-verde nella gabbia

. chiediamo al bambino di ripetere il processo, fissando la figura verde: nel foglio bianco (con gabbia o boccia) vedrà una figura rosso-blu

. infine, chiediamo di fissare la figura blu. Su foglio bianco il bambino vedrà una figura gialla.

Osservazioni e conclusioni

Le figure che appaiono sul foglio bianco (con la gabbia o la boccia) dopo aver fissato a lungo una figura, sono chiamate immagini residue.
Un’immagine residua è un’immagine che permane anche dopo aver smesso di guardare l’oggetto.
Il rivestimento dietro l’occhio, chiamato retina, è ricoperto da cellule sensibili alla luce chiamate coni e bastoncelli. I bastoncelli permettono di vedere in penombra, ma solo in sfumature di grigio. I coni invece rilevano il colore in condizioni di luce intensa. Esistono tre tipi di coni e ognuno è sensibile a un particolare intervallo di colori.
Se uno o più dei tre tipi di coni si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe.
Quando fissiamo l’uccello rosso, le cellule sensibili al rosso si adattano e riducono la loro risposta.
Il foglio bianco riflette la luce rossa, blu e verde, perché la luce bianca è composta da tutti questi colori.
Quando spostiamo lo sguardo verso il foglio bianco, dopo aver fissato a lungo l’uccello rosso, i coni sensibili al rosso non rispondono, ma i coni sensibili al blu e al verde rispondono con forza alla luce blu e verde riflessa dal bianco.
Di conseguenza, dove le cellule sensibili al rosso non rispondono, vedremo un uccello bluastro-verde. Questo colore bluastro-verde è chiamato ciano.
Quando fissiamo l’uccello verde, i tuoi coni sensibili al verde si adattano allo stimolo quindi, quando guarderemo il foglio bianco, gli occhi risponderanno solo alla luce rossa e blu riflessa dal bianco e vedremo un uccello rosso-blu. Questo colore rosso-blu è chiamato magenta.
Allo stesso modo, quando fissiamo un oggetto blu, i coni sensibili al blu si adattano e la luce rossa e verde riflessa si combinano per formare il giallo.

Esperimento scientifico: il punto cieco

esperimento scientifico: il punto cieco

Scopo

Sperimentare la presenza del “punto cieco” dell’occhio.

Materiali

Un foglietto di carta o cartoncino bianco 3 × 5 cm
pennarello nero
un bastone (opzionale).

Età

Dai 9 anni.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. Spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la presenza del “punto cieco” dell’occhio

. disegniamo sul foglietto un punto a sinistra e una croce a destra

. teniamo il foglietto a livello degli occhi, col braccio disteso. Assicuriamoci che la croce sia sulla destra

. chiudiamo l’occhio destro e guardiamo direttamente la croce con l’occhio sinistro. Noteremo che è ancora possibile vedere anche il punto

. concentriamoci sulla croce, ma restando consapevoli del punto a sinistra, mentre lentamente portiamo il foglietto verso il viso, cioè mentre lo avviciniamo: il punto a sinistra sparirà e poi riapparirà. Proviamo a spostare il foglietto più vicino e più lontano per individuare esattamente dove ciò accade


. ora distendiamo di nuovo il braccio e chiudiamo l’occhio sinistro. Guardiamo il punto a sinistra con l’occhio destro. Allontaniamo e avviciniamo il foglietto come abbiamo fatto per la croce


. infine, proviamo di nuovo l’attività, ma questa volta teniamo inclinato il foglietto, in modo che il punto e la croce non siano direttamente uno di fronte all’altro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La retina dell’occhio riceve le immagini dall’ambiente esterno e invia segnali al cervello, permettendoti di vedere. Una parte della retina, tuttavia, non dà informazioni visive: questa parte della retina è detta “punto cieco
Il punto cieco è la parte della retina in cui si trovano le cellule nervose del nervo ottico. In questo punto, la retina non ha recettori di luce, ma appunto cellule nervose.
Quando tieni il foglietto in modo che l’immagine del punto cada su questa parte della retina, non puoi vedere il punto.

Esperimento scientifico: naso e lingua

Esperimento scientifico: naso e lingua

Scopo

Scoprire la stretta relazione che esiste tra olfatto e gusto.

Età

Dai cinque anni.

Materiali

Batuffoli di cotone
estratto profumato (vaniglia, rosa, ecc.)
mela o altro frutto.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la relazione esistente tra olfatto e gusto

. diamo al bambino un pezzetto di mela e chiediamogli di notarne il sapore. Nulla di nuovo!

. mettiamo alcune gocce di estratto su un batuffolo di cotone

. chiediamo al bambino di annusare il batuffolo di cotone e mangiare un altro pezzo di mela mentre lo fa.

Osservazioni e conclusioni

Questo esperimento darà al bambino un’idea di quanto odori e sapori siano connessi.
Più di 3/4 di ciò che gustiamo è correlato alla percezione del suo odore.
Pensa a quando hai il raffreddore: il tuo cibo sembra senza sapore.
La nostra lingua può riconoscere molto facilmente solo 4 sapori fondamentali: il salato, l’amaro, il dolce e l’acido. Gli altri sapori sono collegati a ciò che odoriamo.
Prova a mettere in bocca una caramella: all’inizio potresti non essere in grado di dire il sapore specifico della caramella oltre a una sensazione generale di dolcezza o asprezza. Con il passare del tempo, potresti notare che mentre la caramella si dissolve, puoi identificare il gusto specifico. Questo perché alcune molecole di profumo volatilizzano e viaggiano fino al tuo organo olfattivo attraverso una specie di porta sul retro, cioè su un passaggio nella parte posteriore della gola e del naso.
Dal momento che possiamo sentire solo 4 diversi veri sapori, è in realtà l’odore che ci fa sperimentare i sapori complessi e appetitosi che associamo ai nostri cibi preferiti.
Ecco perché nella seconda parte dell’esperimento il gusto della mela ci è sembrato diverso.

Esperimento scientifico: onde sonore

Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che le onde sonore si propagano nell’aria.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un contenitore
un foglio di carta sottile o pellicola per alimenti
un elastico
semi di lino o di papavero o sabbia colorata o tè o farina
un mattarello e una pentola metallica.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. copriamo il contenitore col materiale scelto e fermiamolo con un elastico, di modo che rimanga ben teso

. versiamo i semi o la sabbia sulla superficie tesa

. avviciniamo la tortiera al contenitore, col fondo all’esterno, e colpiamola col mattarello

. guardiamo i semi rimbalzare e muoversi

. proviamo a girare la tortiera, col fondo verso il contenitore, e proviamo di nuovo a batterla col mattarello: non succederà nulla

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Le onde sonore emesse dalla tortiera durante l’impatto col mattarello si propagano nell’aria e mettono in moto i semi (o altro materiale scelto).

Esperimenti scientifici: un gong al cucchiaio

Esperimenti scientifici: un gong al cucchiaio .

Scopo

Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che il suono ha bisogno di qualcosa da attraversare e che l’aria non è un materiale molto efficiente a tale scopo.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un righello (di legno, plastica o metallo)
due cucchiaini di diverse dimensioni (prova con un cucchiaino e un cucchiaio da portata)
corda o filo di cotone.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. creiamo un cappio nel mezzo del filo e inseriamo il manico del cucchiaio

. stringiamo il nodo saldamente, in modo che il cucchiaio penda al centro del filo

. prendiamo le due estremità del filo e avvolgiamo ognuna di esse attorno al dito indice su ciascuna mano

. mettiamo gli indici con la cordicella avvolta intorno in ogni orecchio, come per tapparsi le orecchie

. Il cucchiaio dovrebbe pendere appena sotto la vita

. chiediamo a un bambino di colpire il cucchiaio col righello

Osservazioni e conclusioni

Con questo esperimento i bambini scoprono come viaggiano le onde sonore.
Se usiamo un cucchiaio piccolo, il bambino sentirà un suono di campanello, con un cucchiaio più grande il suono somiglierà a un gong. Possiamo provare anche diversi tipi di filo: più la corda è densa, migliore sarà il suono.
Quando il righello colpisce il cucchiaio, crea vibrazioni che generano onde sonore. Queste onde sonore viaggiano lungo il filo invece che nell’aria.
Il filo agisce come un conduttore per le onde sonore. A seconda delle dimensioni del cucchiaio e della lunghezza del filo, il suono apparirà più alto (come una campana) o più profondo (come un gong).
Poiché il filo consente alle onde sonore di continuare a viaggiare, il suono del cucchiaio risuonerà o riverbererà, cioè persisterà abbastanza a lungo dopo aver colpito il cucchiaio.
L’unico che può sentire il suono del campanello o del gong sarà la persona con il filo nelle orecchie: tutti gli altri nella stanza sentiranno solo un debole tintinnio quando il righello colpisce il cucchiaio. Ciò dimostra come la stessa vibrazione suona in modo diverso quando viaggia attraverso materiali diversi.
Quando colpiamo un cucchiaio con un righello, il suono viaggia attraverso l’aria per raggiungere il nostro orecchio, e gran parte di questo suono si perde lungo la strada.
Quando colpiamo il cucchiaio appeso al filo, le vibrazioni sonore viaggiano dal cucchiaio attraverso la corda e le dita al tuo orecchio, e in questo modo molta meno energia sonora si perde nel percorso.
Sebbene la maggior parte dei suoni che sentiamo siano trasmessi attraverso l’aria, l’aria non è l’unica portatrice di onde sonore, né la migliore. Prova a mettere un orologio sul tavolo e avvicinati: sentirai il suo ticchettio attraverso l’aria. Ma prova a mettere l’orecchio sul tavolo: il ticchettio sarà molto più forte.
In alcuni materiali le molecole sono strettamente legate tra loro, in altri materiali, le molecole sono lontane tra loro. La vicinanza delle molecole tra loro in un materiale può influenzare la facilità con cui esse possono urtarsi l’un l’altra e dare inizio ad una vibrazione.
Le molecole del metallo che forma il cucchiaio sono molto vicine tra loro. Quando colpiamo il cucchiaio le molecole del metallo iniziano a vibrare. Le vibrazioni nel metallo viaggiano attraverso la corda e le dita fino al nostro orecchio.
Questa attività rivela alcuni fatti importanti sulla natura del suono e ci dice che il suono viaggia in modo diverso attraverso solidi, liquidi e gas.
La corda è un solido, quindi il suono che sentiamo attraverso di essa è diverso dal suono che sentiamo quando le vibrazioni giungono alle nostre orecchie attraverso l’aria (un gas).

Varianti

. puoi usare un appendiabiti metallico al posto del cucchiaio.

Esperimenti scientifici per bambini – OOBLECK

Esperimenti scientifici per bambini – OOBLECK. Un esempio  di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere è l’oobleck, una sospensione di amido di mais e acqua.

Esperimenti scientifici per bambini
Oobleck

Scopo

Esplorare le proprietà di un fluido non newtoniano.

Età

Dai 4 anni.

Materiali

2 parti di amido di mais
1 parte di acqua
Colorante alimentare (se vuoi)
Una teglia di alluminio e un contenitore di plastica
Una traccia audio da 40 50 o 63 Hz (cerca su YouTube)
Il miglior altoparlante che riesci a trovare.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che con questo esperimento esploreremo le proprietà di un fluido non newtoniano

. in una contenitore di plastica uniamo una parte di acqua a due parti di amido di mais. Se lo desideriamo aggiungiamo del colorante alimentare

. mescoliamo con cura

. dopo aver preparato il composto teniamo a portata di mano dell’acqua perché l’oobleck tende ad asciugarsi assumendo l’aspetto del fango secco: per mantenerlo fluido basta aggiungere ogni tanto un po’ d’acqua

. immergiamo una mano e cerchiamo di toglierla più velocemente che possiamo: sentiremo una forte resistenza

. prendiamo in mano un po’ di fluido e schiacciamolo: sembrerà diventare solido, ma diminuita la pressione il composto tornerà fluido

. proviamo a colpire con forza il fluido: la mano rimarrà incastrata

. maneggiamo il nostro fluido liberamente per sentirlo passare da fluido a solido e viceversa

. versiamo il nostro oobleck in una teglia di alluminio

. scarichiamo tracce audio con diversi toni: quelli che funzionano meglio sono 40 HZ, 50 e 63

. mettiamo la teglia sull’altoparlante mentre trasmette la traccia scelta, ed esercitiamo con le dita una certa pressione lungo il bordo della teglia. Il nostro oobleck comincerà a danzare

Osservazioni e conclusioni

L’oobleck è un esempio di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere. È una sospensione di amido di mais e acqua.
Il nome “oobleck” deriva dal libro per bambini Bartholomew and the Oobleck del Dr Seuss (che non è stato tradotto in Italiano).

L’oobleck è davvero sorprendente: si comporta come un liquido se lasciato a riposo, come un solido non appena lo si maneggia, e colpendolo diventa tanto più duro quanta più forza si applica al colpo.
Un fluido non–newtoniano è un fluido la cui viscosità varia a seconda della velocità con cui lo si misura.
I fluidi non newtoniani si dividono in due classi:
1. fluidi pseudoplastici: la viscosità diminuisce all’aumentare della velocità
2. fluidi dilatanti: la viscosità aumenta all’aumentare della velocità. L’Oobleck fa parte di questa classe: sollecitazioni rapide lo rendono più viscoso rispetto allo stato di riposo.
I fluidi non newtoniani oppongono una resistenza maggiore all’aumentare della pressione esercitata.
Nel nostro esperimento, la maizena non si scioglie nell’acqua, ma le sue particelle rimangono in sospensione. Quando si esercita una forte pressione, le particelle si ammassano e non fanno penetrare l’oggetto. Se invece l’oggetto viene immerso lentamente, le particelle hanno il tempo di separarsi.
Anche il fango e le sabbie mobili sono fluidi non newtoniani: se vi si affonda, bisogna sollevare le gambe molto lentamente, altrimenti si resta sempre più intrappolati perché facendo movimenti veloci si esercita una pressione maggiore e le sabbie mobili si oppongono con maggior resistenza.

Esperimenti scientifici: raddoppia il capitale

Esperimenti scientifici: raddoppia il capitale.

Scopo

Osservare gli effetti della rifrazione della luce.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un bicchiere trasparente
acqua
una moneta da 2 centesimi (o qualsiasi altra moneta).

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Mettiamo la moneta nel bicchiere vuoto

. mettiamoci in modo da vedere la moneta di lato attraverso il vetro (non dall’alto)
. versiamo lentamente l’acqua nel bicchiere finché non vedremo una seconda moneta apparire sull’altro lato del bicchiere
. muoviamo la testa su e giù e osserviamo come la moneta appare due volte e quando torna ad essere una moneta sola

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La luce si piega quando passa da un mezzo (acqua) a un altro mezzo di diversa densità (aria). Questo avviene quando passa dall’acqua all’aria, o dal vetro all’acqua
Questa flessione della luce, chiamata rifrazione, fa cambiare la posizione apparente della moneta e te la fa vedere in una posizione meno profonda di quella è la posizione reale.
Quando la luce passa attraverso il vetro del bicchiere, fa apparire la moneta più vicina a chi osserva.
Di conseguenza, si vedranno due immagini della moneta.

Esperimenti scientifici: il bicchiere scomparso

Esperimenti scientifici: il bicchiere scomparso.

Scopo

Mostrare gli effetti della rifrazione

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Olio di semi
acqua
sciroppo di zucchero di canna
un contenitore in pirex piccolo
un contenitore in pirex grande
un contenitore di vetro piccolo
un contenitore di vetro grande.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. mettiamo il contenitore di pirex piccolo in quello grande

. riempiamo il contenitore piccolo con acqua: il bicchiere piccolo resterà visibile

. mettiamo acqua anche nel bicchiere grande: il bicchiere piccolo continuerà ad essere visibile

. possiamo quindi dire che il bicchiere più piccolo è visibile in acqua

. rimuoviamo l’acqua, asciughiamo i due contenitori e riproviamo l’esperimento con l’olio di semi. Prima riempiamo il bicchiere piccolo, poi quello grande (cioè lo spazio tra i due bicchieri)

. il contenitore più piccolo sarà scomparso


. riproviamo l’esperimento con due contenitori di vetro

. versando l’olio in entrambi i contenitori, il più piccolo resterà visibile

. anche versando acqua i due contenitori resteranno visibili


. aggiungiamo all’acqua sciroppo di canna da zucchero: continuiamo finché il contenitore piccolo non sarà scomparso

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.


Osservazioni e conclusioni

Riempendo i due contenitori di pirex con olio da cucina il contenitore più piccolo diventa molto difficile da vedere: ne rimarrà solo un’immagine
Questo accade perché l’indice di rifrazione del pirex e dell’olio da cucina è quasi lo stesso, cioè la velocità con cui la luce attraversa il pirex e l’olio non cambia. Per questo il contenitore di pirex diventa invisibile.
Lo stesso avviene coi contenitori di vetro, quando aggiungiamo sciroppo fino a raggiungere l’indice di rifrazione del vetro.

Mani fredde – esperimenti scientifici per bambini

Mani fredde – esperimenti scientifici per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Mani fredde
Scopo

Osservare come il senso del tatto e la capacità di presa dalle dita possono essere influenzate dalla temperatura.

Età

Dai 5 anni.

Mani fredde
Materiali

Una ciotola con acqua
cubetti di ghiaccio
un ago.

Note di sicurezza

Se durante l’esperimento il volontario prova fastidio o dolore nell’acqua, deve sapere che può ritirare la mano immediatamente.
Nel preparare la ciotola verificare con attenzione che la temperatura sia adatta all’immersione delle dita.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che il senso del tatto e la capacità di presa dalle dita possono essere influenzate dalla temperatura
. chiediamo a un bambino di prendere l’ago con la sua mano dominante

. il bambino eseguirà l’azione senza problemi

. mettiamo i cubetti di ghiaccio nella ciotola d’acqua

. chiediamo al bambino di immergere la mano dominante nella ciotola per 20-30 secondi

. chiediamo al bambino di togliere la mano e asciugarla rapidamente

. chiediamogli di riprovare a sollevare l’ago

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Noteremo che prendere l’ago non è così facile come sembrava all’inizio. Le dita si rifiutano di obbedirci! Il freddo riduce la nostra sensibilità tattile e indebolisce le capacità motorie. È difficile utilizzare le dita fredde per eseguire movimenti precisi come sollevare un ago.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Scopo

Osservare come il senso del tatto può ingannarci quando percepisce le temperature.

Materiali

Tre identici contenitori di vetro
acqua a diverse temperature (molto calda, tiepida, molto fredda)
asciugamani

Note di sicurezza

Se durante l’esperimento il volontario prova fastidio o dolore nell’acqua, deve sapere che può ritirare la mano immediatamente.
Nel preparare le tre ciotole verificare con attenzione che le tre temperature siano adatte all’immersione delle dita.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la nostra percezione della temperatura può essere ingannata

. coi bambini prendiamo la prima ciotola, versiamoci l’acqua fredda (precedentemente raffreddata con del ghiaccio) e in un punto nascosto della ciotola applichiamo un cartellino piegato a metà con la scritta “fredda”

. prepariamo allo stesso modo le altre due ciotole

. disponiamo le ciotole sul tavolo in modo che l’acqua a temperatura ambiente sia al centro e che l’acqua calda e quella fredda siano su entrambi i lati

. immergiamo le dita nell’acqua più calda e contiamo fino a 10

. poi immediatamente spostiamole nell’acqua tiepida. Chiediamo: “Com’è quest’acqua?”

. i bambini diranno che è fredda, ma aprendo il cartellino nascosto leggeranno “tiepida”: i sensi possono ingannarci!

. ora immergiamo la mano destra nell’acqua fredda e la mano sinistra nell’acqua calda

. lasciamo le mani in acqua per circa 20 secondi

. spostiamo contemporaneamente entrambe le mani nel contenitore centrale

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Osservazioni e conclusioni

I bambini sperimenteranno qualcosa di molto particolare, cioè una mancata corrispondenza tra la percezione della temperatura e la temperatura reale dell’acqua.
Si tratta di un fenomeno chiamato “adattamento sensoriale”.
Sulle nostre mani, e in particolare nei nostri polpastrelli, c’è una quantità incredibile di terminazioni nervose sensoriali, e tra questi i termocettori, che
servono a rilevare la temperatura degli oggetti. Alcuni termocettori rilevano condizioni di freddo mentre altri termocettori sono attivati dal calore.
Se la mano è esposta al calore per un lungo periodo, i recettori sensibili al calore, come i muscoli dopo un lungo allenamento, inizieranno a stancarsi e ridurranno la loro attività, cioè diventeranno meno sensibili.
La stessa cosa succede ai recettori del freddo.
Questo processo di adattamento dei termocettori e dei nervi sensoriali spiega il disallineamento di sensazione di temperatura durante l’esperimento.
È la stessa cosa che succede quando appoggiamo una mano su un tavolo: appena appoggiata notiamo la consistenza e la temperatura del tavolo, ma dopo un po’ non sentiremo più nulla. Anche questo fenomeno è dovuto all’adattamento sensoriale.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?

Che vista! Un esperimento scientifico sulla riflessione della luce

Che vista! Un esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria per spiegare la riflessione della luce.

Che vista!
Scopo

Sfruttare le proprietà di riflessione della luce per leggere attraverso una busta chiusa.

Materiali

Pennarello nero
foglio bianco
busta scura
busta bianca
un tubo fatto arrotolando carta scura largo 10 cm circa.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Che vista!
Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che non è possibile leggere la scritta all’interno di una busta a causa della luce riflessa dalla superficie bianca

. con un pennarello nero, scriviamo una parola di tre o quattro lettere su un foglio di carta bianca

. mettiamo la carta in una busta scura e inseriamo quella busta in una busta bianca. La scritta sul foglio dovrebbe ora essere impossibile da leggere

. prendiamo un pezzo di cartoncino scuro o una pagina di una rivista stampata su entrambi i lati. Arrotoliamo la carta in un tubo

 . quando teniamo il tubo contro la busta, saremo in grado di leggere la scritta all’interno

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Di solito non è possibile leggere la scritta all’interno di una busta a causa della luce riflessa dalla superficie bianca della busta. Ma le pareti del tubo riflettono la luce, quindi vedrai solo la luce che passa attraverso la busta.

Esperimento scientifico – Immagini invertite

Esperimento scientifico – Immagini invertite

Scopo

Dimostrare la rifrazione della luce.

Età

Dai 6 anni.

Materiali

Bicchiere
acqua
carta
penna o pennarello nero o matita.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento mostra gli effetti della rifrazione

. disegniamo due frecce, entrambe rivolte verso la stessa direzione

entrambe) attraverso un bicchiere

. se utilizziamo inchiostro indelebile o la matita (o plastifichiamo il foglio su cui abbiamo disegnato) possiamo inserirlo nel bicchiere, quindi aggiungere via via acqua

. altrimenti possiamo porre il foglio dietro al bicchiere

. non funziona solo con le frecce, possiamo usare la nostra creatività. Disegniamo tutto ciò che ci piace e vedere come appare attraverso il vetro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Con questo esperimento entriamo in contatto con un concetto della fisica chiamato rifrazione, o flessione della luce.
Quando la luce passa attraverso oggetti trasparenti (in questo caso, la parte anteriore del vetro, l’acqua e la parte posteriore del vetro), si rifrange o si piega.
Quando il bicchiere è pieno d’acqua, agisce come una lente cilindrica convessa e produce un’immagine invertita.
L’immagine invertita può apparire più grande, più piccola o delle stesse dimensioni, a seconda di dove posizioni il foglio di carta o il bicchiere, e dipende anche dal punto di osservazione. Un’altra variabile è il diametro del bicchiere.
Importa quanto è lontano il bicchiere d’acqua?
Cosa succede se muovi la testa da un lato all’altro? Come cambia la tua immagine?
La dimensione dell’immagine è importante?
Cosa succede se provi con un bicchiere più largo o più stretto?
Cosa succede se avvicini il bicchiere all’immagine? E se lo allontani?

Leggende del Piemonte

Leggende del Piemonte per bambini della scuola primaria.

Leggende del Piemonte – La leggenda di Maino della Spinetta
Dopo la battaglia di Marengo (1800), vinta da Napoleone, la maggior parte del Piemonte veniva annessa politicamente alla Francia. La popolazione nutriva un sordo rancore verso i Francesi, che, dopo aver promesso la libertà, si comportavano come arroganti dominatori. Nella provincia di Alessandria l’opposizione aperta si manifestò attraverso le imprese di Maino, detto Spinetta dal luogo in cui nacque. Egli fu il Fra Diavolo e il Passator cortese del Monferrino. Le sue imprese sono circonfuse da un alone di leggenda eroica e patriottica. La fantasia popolare ha trasformato in atti eroici quelli che forse furono solo azioni da brigante.  Il Maino aveva raccolto attorno a sé dei giovani che, come lui, mal volentieri accettavano di servire nell’esercito francese. Era coraggioso, astuto, crudele, deciso, audace. I gendarmi gli davano una caccia spietata ed egli reagiva uccidendo, procurandosi vitto e denaro con rapine e ricatti a danno soprattutto degli occupanti e dei ricchi della zona, donando ai poveri quando non gli serviva. L’esito fortunato delle sue imprese lo aveva reso spavaldo, tanto che spesso e volentieri si prendeva gioco dei suoi segugi. Famosa è rimasta la burla, detta “dei cavalli”.
Una sera, alcuni gendarmi si trovavano in un’osteria a bere allegramente. I loro discorsi erano caduti sul brigante Maino, che essi denigravano in ogni modo sollecitando appoggio ai loro argomenti da quanti erano presenti; tra essi uno era particolarmente aspro nelle sue invettive contro Maino e si era unito al brigadiere in un brindisi alla sua cattura e alla sua impiccagione. Questo avventore altri non era che lo stesso Maino travestito da boscaiolo. Approfittando di un momento di particolare euforia, uscì  nel cortile, si avvicinò ai cavalli dei gendarmi e tagliò le cinghie delle selle, trascurando di proposito la cavalcatura del brigadiere. Quindi rientrò e, attirata su di sé l’attenzione di tutti, gridò: “Signori, il codardo che cercate, il brigante, l’assassino Maino Spinetta, sono io!”.
I gendarmi restarono allibiti ed egli, approfittando dell’attimo di confusione seguito alla sua dichiarazione, uscì, balzò sul cavallo del brigadiere e fuggì a briglia sciolta. I gendarmi, ripresisi, uscirono correndo, montarono sui cavalli e si lanciarono all’inseguimento. Dopo pochi istanti tutti caddero rovinosamente a terra tenendosi con le mani le parti dolenti del corpo.
Secondo la leggenda, lo stesso Napoleone avrebbe ricevuto Maino a Monza per trattare la sua resa, ma il fuorilegge avrebbe interrotto le trattative perchè l’Imperatore non si impegnava a garantire la vita dei suoi compagni oltre alla sua. La sua fine, come quella di ogni masnadiero che soccombe, fu dovuta al tradimento. Mentre il Maino si trovava ospite di un parente, una spia avvertì i gendarmi che circondarono la casa e gli intimarono la resa. Maino invitò i gendarmi a catturarlo se pur ne erano capaci. Si ingaggiò una impari lotta al termine della quale egli cadde, ferito in ogni parte del corpo.

Leggende del Piemonte – La leggenda di Gagliaudo
Federico Barbarossa assediava Alessandria da parecchi giorni. I cittadini erano ridotti alla fame più nera: già circolavano voci sulla resa della città. Un giorno, ai capi dell’esercito che sedevano a consulta per prendere decisioni sulle condizioni della resa, si presentò un rozzo mandriano di nome Gagliaudo, che promise di liberare la città dall’assedio, se gli fossero stati dati un paio di sacchi di grano. Con il grano avuto egli nutrì per alcuni giorni una sua mucca e, quando gli parve ben pasciuta, uscì con essa dalla cerchia delle mura, poi cominciò a batterla selvaggiamente, tanto che questa prese a fuggire in direzione del campo nemico. I soldati si impadronirono della bestia e portarono Gagliaudo con le mani ed i piedi legati davanti all’Imperatore, che prese ad interrogarlo per conoscere e condizioni dei cittadini entro la città. Gagliaudo finse di rivelare di malavoglia all’Imperatore una notizia strabiliante: gli alessandrini avevano tanta abbondanza di cibo che nutrivano con grano perfino le loro bestie. L’Imperatore, adirato, minacciò di morte Gagliaudo se le sue parole non fossero state veritiere, e immediatamente ordinò che la sua mucca fosse squartata. Tanto fu il grano, senza alcuna traccia di biada, che trovarono nello stomaco della bestia, che l’Imperatore disperò di poter prendere Alessandria per fame e decise di togliere l’assedio.
Probabilmente il fatto narrato è leggendario e l’Imperatore fu costretto a togliere l’assedio per l’avvicinarsi di un esercito della Lega, che già aveva raggiunto Tortona; tuttavia resta il fatto della magnifica prova delle fortificazioni nella nuova città e del valore dei suoi cittadini.

Leggende del Piemonte – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Leggende del Piemonte

Il plastico delle regioni

Il plastico delle regioni. Con un semplicissimo plastico polimaterico (carta e colla vinilica dipinta, pasta di sale, ecc…) potremo vedere concretamente come è fatta la nostra regione, osservarne i confini, individuarne i rilievi, le pianure, le coste, i fiumi, ecc.

A seconda delle dimensioni del lavoro, potremo usare un supporto di cartone (per superfici piccole) o di compensato. Per un plastico di dimensione media può andare più che bene, ad esempio, un cartone da pizza. Questa soluzione, grazie al coperchio, ha il vantaggio di poter aggiungere al lavoro schede di ricerca e immagini, e diventa una sorta di libro diorama, facile da riporre, anche per creare una “biblioteca” delle regioni.

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Disegniamo sul supporto solo un semplice contorno, il profilo della regione, ricavandolo da una carta geografica fisica.

Ora segniamo la posizione dei rilievi (catene montuose e collinari) con un simbolo facilmente riconoscibile per ognuna. Fatto questo cerchiamo di individuare le montagne di maggiore importanza. Se c’è, segniamo anche la costa. Il un secondo momento penseremo ai fiumi, alle pianure, ecc.

Abbiamo finora approntato il progetto del lavoro. Ora quindi possiamo iniziare la costruzione del plastico:
– stendiamo con un pennello abbondante colla vinilica su di un foglio di carta da giornale. In alternativa possiamo utilizzare carta di giornale e colla di farina fatta in casa (qui la ricetta:

– prendiamo la carta per il margine (come se fosse un panno bagnato da mettere ad asciugare) e sistemiamola sul supporto. In quale posto? Nello spazio riservato al rilievo che abbiamo segnato
– mentre la colla è ancora fresca, cerchiamo di modellare la carta di giornale in maniera da imitare un rilievo.
– per costruire le cime più alte possiamo incollare sulla carta sottostante un altro pezzo di giornale.

se volete evitare invece carta e colla e utilizzare invece paste da modellare, in alternativa alla classica pasta di sale che spesso crea bruciore sulle mani dei bambini, potete trovare ricette utili qui:

– coi bambini più grandi i rilievi possono essere realizzati sovrapponendo strati di cartone alternati a qualcosa che faccia spessore (palline di carta, pasta piccola tipo pennette, ecc.)

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– creati i rilievi (nel modo che preferiamo) osserviamo il lavoro: ora sarà immediato riconoscere le zone destinate alle pianure. Per realizzarle stendiamo un’abbondante mano di colla sul supporto: quindi lasciamo cadere sulla colla segatura piuttosto grossa. Quella per la lettiera dei criceti, ad esempio, si trova facilmente ed  è molto economica. In alternativa possiamo usare farina da polenta, cous cous, pastina da minestrina, bulgur, crusca…

– prima che la colla asciughi completamente, togliamo la segatura (o altro materiale scelto) in eccedenza. Quindi scaviamo il letto dei fiumi, la superficie del lago o del mare, togliendo dal supporto ogni traccia di materiale e colla
– attendiamo che la colla asciughi completamente, quindi completiamo il lavoro con della pittura a tempera o acrilica. Per le pianure schiacciamo un pennello a punta rotonda su del colore verde. Poi, usando il pennello come tampone, dipingiamo la pianura e i versanti della montagna. Ben presto la segatura (o altro materiale) assorbirà il verde e con la sua superficie ruvida, imiterà l’erba dei prati
– ora schiacciamo il pennello, ancora sporco di verde, sul colore marrone e tamponiamo il lavoro partendo dalla pianura e su, su verso la sommità del rilievo.
Laviamo il pennello e tamponiamolo sulla tempera bianca e quindi sulle vette: la spruzzata di bianco abbellirà il lavoro e darà la sensazione della neve.
– attendiamo che il colore asciughi. Infine, con un pennello piuttosto piccolo, dipingiamo in azzurro il mare, il fiume e il lago stendendo il colore nelle zone concave del plastico.
– per perfezionare il lavoro potremo incollarvi sassolini, ghiaia sottile, sabbia, barchette, ecc.

Una variante
Disegnati i contorni della regione o dello stato su di un foglio, incolliamolo ad un cartone, coloriamo di verde (la pianura) e quindi applichiamo in base ad una legenda stabilita i vari elementi:
– montagne:
– colline
– pianura: verde
– deserto
– oceano
– fiumi
– laghi
associando ad ogni elemento un dato materiale.

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Il plastico delle regioni – Altri esempi nel web:

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Il plastico delle regioni

Il vassoio del sole Montessori

Il vassoio del sole Montessori per lo studio della storia, della geografia, della biologia e per festeggiare il compleanno dei bambini.

Vassoio del sole

Come primo materiale per lo studio delle stagioni, inserisco il vassoio del sole, che può essere usato in moltissime occasioni: per la celebrazione del compleanno

dei bambini, in associazione al tappeto delle stagioni, per il gioco del sole e tutte le lezioni sull’importanza del sole,  per l’avvio allo studio dei cicli del tempo e della storia, ecc… Può essere realizzato in compensato, cartone o cartoncino, carta plastificata, feltro, gomma Eva. Il sole ha 12 raggi e per ogni raggio può essere incastrato il nome di un mese dell’anno.

Ho preparato questa mia versione di vassoio del sole, che ho realizzato con pannolenci e carta colorata. Per la lanterna al centro ho utilizzato questo tutorial: lanterna a stella.

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

Realizzarlo è estremamente semplice: si possono stampare i singoli fogli su carta colorata oppure utilizzare le forme come cartamodelli. Completa il materiale il set di cartellini coi nomi dei mesi, che tornerà utile nell’allestimento del cerchio dell’anno e per la celebrazione dei compleanni.

Presentazione
Con questa presentazione introduciamo il concetto di sole come fonte di energia e mostriamo il vassoio del sole come suo simbolo.

Materiali:
– il vassoio del sole e una candela
– foglie di insalata (ad esempio valeriana)
– un cubo del 1000 e una perla
– eventualmente una lanterna a energia solare  da caricare all’aperto coi bambini qualche giorno prima della presentazione

Creiamo nella stanza una leggera penombra, mettiamo il vassoio del sole su di un tappeto, accendiamo la candela e invitiamo i bambini a partecipare alla lezione:


– diciamo: “Ho preparato per voi questo bel vassoio. Da oggi rappresenterà per noi il sole”

– “Tutti i giorni ci svegliamo ed il sole è lassù nel cielo, che brilla per noi. Anche quando le nuvole lo nascondono, il sole brilla per noi, anche se non lo vediamo. Il sole ci illumina, come questa candela”
– “Il sole è un’enorme sfera di materiali infiammati, come la piccola fiamma di questa candela”

– “Il sole è mille volte più grande del nostro pianeta Terra. Questa perla dell’unità può rappresentare la Terra, e questo cubo delle migliaia può rappresentare il sole”

– “Il sole ci dona luce, ma anche calore. Se ci avviciniamo al fuoco, infatti, sentiamo calore. Avrete anche notato che di notte, quando non di vede il sole, la temperatura è più fresca che di giorno. Anche di notte però, anche se non lo vediamo, il sole ci scalda”

– “Se abbiamo la lanterna a energia solare accendiamola e mostriamola ai bambini. Diciamo: “Ricordate quando siamo usciti in giardino e abbiamo messo questa lanterna al sole? Il pannello solare ha raccolto l’energia del sole e l’ha immagazzinata nella batteria. Ora grazie a questa energia ho potuto accendere la lanterna”

– se non abbiamo la lanterna a energia solare, saltiamo il passaggio e diciamo ai bambini: “Il sole che ci illumina e ci scalda ci dà energia. Le piante sulla terra raccolgono l’energia del sole e la usano per produrre il loro cibo. Le piante assorbono l’energia del sole con le loro foglie e assorbono acqua e minerali dal terreno. Col sole, l’acqua e i minerali producono il loro cibo

– chiediamo ai bambini: noi possiamo fare come le piante? Il nostro corpo può produrre il nostro cibo da solo? No. Gli esseri umani e gli animali non producono il loro cibo da soli. Però noi, e anche gli animali, possiamo mangiare le piante, e ricevere così l’energia del sole

– mangiamo la nostra valeriana e invitiamo i bambini a farlo.  Diciamo: “Stiamo mangiando l’energia del sole!”

– diciamo: “L’energia del sole che ci viene dalle cose che mangiamo ci serve per studiare, correre, giocare… Possiamo mangiare le piante, ma possiamo anche mangiare gli animali che hanno mangiato le piante. E’ anche questo un modo per ricevere l’energia del sole.

Esempi di vassoi del sole:

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Ne parlano:
– http://hapalab.blogspot.it/2012/02/earth-goes-around-sun.html 
– https://it.pinterest.com/pin/251075747951085274/
– https://www.mommymoment.ca/2011/04/the-earth-goes-around-the-sun.html
– https://strawberrymilk.wordpress.com/2009/10/04/3rd-birthday-part-iv/
– https://www.mamashappyhive.com/5-montessori-seasonal-activities/
– http://www.montessorifromtheheart.com/my-blog/2016/10/adrians-3rd-birthday-celebration-montessori-celebration-of-life.html
– http://montessoristory.blogspot.it/2008/09/homemade-montessori-birthday.html
Tree vector created by Lexamer – Freepik.com (alberi nelle quattro stagioni)
– http://inspirations-omnicolores.eklablog.com/la-notion-du-temps-avec-les-differentes-chaines-et-le-tapis-des-saison-a129028212

Il braccialetto del racconto di Natale

Il braccialetto del racconto di Natale rappresenta, attraverso il colore delle sue perle, la storia della natività. Realizzarlo coi bambini è un lavoro molto piacevole che rientra tra le attività di vita pratica dell’infilare perle, stimola la coordinazione occhio-mano, la capacità di memorizzare sequenze, la capacità di attenzione e concentrazione, e la sensibilità verso bellezza e gratitudine particolarmente connessi al Natale.

Oltre al braccialetto della natività, propongo per i più piccoli e per chi preferisce evitare i riferimenti ai Vangeli, il braccialetto dell’omino di panpepato.

I braccialetti natalizi sono anche una fantastica idea regalo che i bambini possono preparare facilmente per parenti ed amici, anche all’ultimo minuto.

Il braccialetto del racconto di Natale

Braccialetto della storia della natività

Materiale:
– perle assortite di vario colore, forma e dimensione
– scovolino o filo per infilare le perle
– racconto della natività da usare durante l’attività
– racconto da aggiungere al braccialetto da dare ad ogni bambino dopo l’attività, o da aggiungere alla confezione regalo.

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:


Le perle rappresentano:
– perla trasparente luccicante: l’angelo che annuncia a Maria la nascita del bambino
– perla blu: Maria
– perla verde scuro: Giuseppe
– perla rossa piccola: Erode
– perla grigia: l’asinello che porta a Betlemme Maria e Giuseppe
– perla beige: il viaggio attraverso il deserto
– perla marrone grande: la stalla di Betlemme col bue
– perla rosa: Gesù bambino
– due perle bianche (o trasparenti più piccole di quella per il primo angelo): gli angeli che appaiono ai pastori
– tre perle marroni piccole: i pastori
– due perle bianche: le pecorelle
– perla gialla: la stella cometa che guida i Re Magi
– perle viola, rossa, verde: i tre Re Magi
– perla bianca piccola: l’agnellino donato dai pastori
– perla oro: i doni dei Re Magi.

Il racconto

Molto tempo fa, in una piccola città chiamata Nazareth, vivevano Maria e Giuseppe.

Un giorno l’angelo Gabriele ( trasparente luccicante) andò da Maria (blu) e le disse che avrebbe avuto un bambino, un bambino molto speciale.
Maria si meravigliò tantissimo per questo incontro e raccontò  a Giuseppe (verde scuro) tutto ciò che l’angelo le aveva detto.  Le parole dell’angelo si avverarono, e Maria si accorse presto di aspettare un bambino.

Passarono i mesi, e proprio quando la nascita del bambino era vicina, il re Erode (rosso) ordinò a tutti i sudditi di tornare ognuno nel paese in cui era nato per fare un documento.

Maria e Giuseppe erano nati a Betlemme, e così si misero in viaggio con il loro fidato asinello (grigio). Il viaggio fu molto lungo e attraverso il deserto (beige) arrivarono a Betlemme che era notte.

Il paese  era molto affollato perché tutti,  obbedendo alla legge di Erode, si erano messi in viaggio come loro. Maria e Giuseppe cercarono un posto per dormire, ma tutte le locande erano piene di ospiti. Solo un locandiere, molto gentile, offrì loro ospitalità nella stalla del suo bue (marrone), insieme agli altri animali.

Quella notte nacque Gesù bambino (rosa), e per tenerlo al caldo i suoi genitori lo misero nella mangiatoia, accanto agli animali che lo riscaldavano col loro respiro.

I pastori ( marroni piccole) in quel momento si trovavano sulle colline a pascolare il gregge, e improvvisamente furono abbagliati da una luce bellissima. Di cosa si trattava? Era la luce degli angeli (bianche) che erano andati da loro per avvisarli che era nato il bambino, e li invitava ad andare da lui seguendo la stella cometa (gialla)

Anche i tre Re Magi (viola, rossa, verde) videro quella stella, capirono che il bambino era nato e si misero in viaggio per incontrarlo.

Quando giunsero alla capanna, i pastori donarono al bambino un agnellino (bianca) ed i Re Magi oro incenso e mirra (oro).

Tutti erano riuniti intorno al bambino circondati dalle stelle, i canti degli angeli, gli animali, e perfino le piante e i sassi, e tutti sapevano che quello era un momento davvero molto speciale.

Il braccialetto del racconto di Natale

Braccialetto dell’omino di panpepato

A dicembre l’Omino di Panpepato
esce dal forno tutto decorato:
le guance ricoperte di granella colorata
gli occhi, il naso e la bocca di cioccolata…

sul corpo un po’ di zucchero bianco
e tanti canditi in fila su un fianco:
“Così sono proprio un omino speciale
pronto per ornare l’albero di Natale!”
(Giunti scuola)

Materiale:
– perle assortite di vario colore, forma e dimensione
– scovolino o filo per infilare le perle
– racconto da usare durante l’attività
– racconto da aggiungere al braccialetto da dare ad ogni bambino dopo l’attività, o da aggiungere alla confezione regalo.

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

Il racconto

Un uomo piccino e una donna piccina vivevano insieme in una casa piccina.
Un giorno la donna piccina impastò e mise in forno un omino di panpepato ma
quando aprì lo sportello del forno, l’omino saltò fuori dalla teglia, fuori dalla porta e via
per i campi.
La donna piccina e l’uomo piccino gli corsero di dietro più in fretta che
potevano, ma l’omino rideva e gridava: “Correte, correte, ma è fiato sprecato, io sono
l’Omino di Panpepato!” E non riuscirono ad acchiapparlo.
Dopo un po’ l’omino sorpassò una mucca che gli gridò: “Fermati, fermati e fatti
mangiare!” “Corri, corri ma è fiato sprecato io sono l’Omino di Panpepato!” gridò l’omino
scappando via. E la mucca non riuscì ad acchiapparlo.
Continuò a correre e sorpassò un cavallo che gli gridò: “Fermati, fermati e fatti
mangiare!” “Corri, corri ma è fiato sprecato io sono l’Omino di Panpepato!” gridò l’omino
scappando via. E il cavallo non riuscì ad acchiapparlo.
In fondo al campo l’omino sorpassò dei contadini che gli gridarono “fermati,
fermati e fatti mangiare”. “Correte, correte ma è fiato sprecato io sono l’Omino di
Panpepato!” gridò l’omino scappando via. E i contadini non riuscirono ad acchiapparlo.
Ormai l’omino credeva di essere il più furbo biscotto mai uscito da una teglia. “Nessuno
potrà mai acchiapparmi” pensava.
Una volpe gli venne incontro correndo. L’omino corse via dicendo: “Corri, corri, ma è fiato
sprecato io sono l’Omino di Panpepato!”.
“Ma io non voglio acchiapparti!” disse la volpe, “anch’io sto fuggendo dai cacciatori, ma
se riusciamo ad attraversare il fiume saremo salvi entrambi. Salta sulla mia coda e
ti porterò dall’altra parte”.
L’omino saltò sulla coda della volpe che s’immerse nell’acqua. Allora la volpe disse:
“Sei troppo pesante per la mia coda, montami sulla schiena, così non ti bagnerai!”. “Sulla
mia schiena sei troppo vicino all’acqua, salta sulla mia spalla”.
Quando furono in mezzo al fiume, la volpe gridò: “Aiuto! Sto affogando! Salta sul mio
naso!”
L’omino saltò sul naso della volpe ed entrambi attraversarono il fiume. Ma appena toccò
terra, la volpe scosse forte la testa, scaraventò in aria l’omino di panpepato e … gnam!”
“Povero me! Un pezzetto l’ha già mangiato!” gridò l’Omino di Panpepato

I braccialetti dei racconti

I braccialetti dei racconti, come questi a tema natalizio, sono molto usati nelle scuole d’infanzia dopo la lettura degli albi illustrati o il racconto delle fiabe.

Il braccialetto del racconto di Natale – Ne parlano anche:
http://mymontessorijourney.typepad.com/my_montessori_journey/2010/12/christmas-story-bracelets.html
http://www.montessorisoul.com/nativity-story-bracelet/
http://www.catholicsupply.com/christmas/12650.html
http://sevenofusalways.blogspot.it/2013/10/christmas-story-bracelets.html?m=1
https://adventuresinmommydom.org/christmas-story-bracelet/
https://web.kidsactivitiesblog.com/30408/how-to-make-a-nativity-bracelet
https://www.artfire.com/ext/
https://firstgradealacarte.blogspot.it/2011/11/what-are-we-reading-wednesday_16.html
https://it.pinterest.com/source/sammycakesfun.com/
http://www.lindamartin.us/1927.html
. https://onesharpbunch.com/2016/11/the-gingerbread-man-retelling-bracele.html
http://www.schooltimesnippets.com/2016/05/three-little-pigs-activity-story-telling-bracelet.html

Il braccialetto del racconto di Natale

Topponcino Montessori

Il topponcino Montessori: cos’è, come e quando si usa, perché usarlo, come realizzarlo in proprio facilmente e con poca spesa.

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La parola “topponcino” deriva da “toppone”, un rivestimento protettivo di più strati di tela sovrapposti e cuciti insieme, di notevole spessore, che si metteva tra il lenzuolo e il materasso nel letto dei bambini o dei malati.

Il topponcino montessoriano, infatti, può essere realizzato alternando strati di ovatta di cotone a strati di mussola, come vedremo nel tutorial. Si tratta di un ausilio usato nel passato dalle madri di molte parti del mondo, e Maria Montessori ha probabilmente avuto modo di osservarne l’uso coi  neonati durante il suo soggiorno in India.

Consigliatissimo nei centri per l’infanzia montessoriani, il topponcino ha oggi una grande diffusione ed è particolarmente amato, ad esempio, dalle neo-mamme giapponesi.

Nei Paesi di lingua inglese è anche chiamato “security pillow” o “security wrap”, nome che enfatizza una delle tante caratteristiche del topponcino. In Italia è anche chiamato “materassino mobile”.

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Cos’è il topponcino Montessori
Il topponcino è un materassino ovale volutamente di piccole dimensioni con un’imbottitura che lo rende morbido e flessibile (non soffice) di spessore da 1 cm a 2,5 cm massimo (l’ideale è 2 cm). I topponcini in commercio misurano 67 cm x 37 cm,  ma molti testi italiani consigliano come dimensione ideale 62 x 40 cm.

Purtroppo molti dei topponcini in commercio hanno uno spessore eccessivo.

Il topponcino è rivestito da una federa in cotone o lino. Come si consiglia per tutti i materiali che entrano a diretto contatto con la pelle del bambino, se si confeziona in casa è preferibile usare, per la federa, tessuti biologici non sbiancati o tessuti “già usati” (ad esempio ricavandoli da un vecchio lenzuolo): questo assicura la massima morbidezza e l’assenza degli additivi con cui spesso sono trattati i tessuti nuovi.

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Età consigliata
Il topponcino è consigliato dalla nascita fino ai 3 mesi circa, o comunque fino a quando il neonato non acquisisce il controllo muscolare che gli permette di sostenere autonomamente la testa.

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Perché usare il topponcino

“Subito dopo la nascita il bambino deve restare il più possibile con la madre, e l’ambiente non deve presentare ostacoli al suo adattamento: tali ostacoli sono soprattutto la differenza di temperatura, in confronto a quella cui era abituato nel periodo prenatale, l’eccesso di luce e l’eccesso di rumore…
…Deve essere mosso e maneggiato con ogni cura, non abbassato di colpo per essere immerso nel bagno, né vestito con gesti rapidi e ruvidi – si ricordi che ogni gesto di chi maneggia un neonato è rozzo, data la sua estrema delicatezza, tanto fisica che psichica. La cosa migliore sarebbe non vestire il neonato, ma tenerlo in una stanza abbastanza calda e senza correnti d’aria, e trasportarlo su un materassino morbido, in modo che resti in una posizione simile a quella prenatale”.
Maria Montessori , da “Educazione per un mondo nuovo

“…un altro problema è quello di muovere e di trasportare il bambino, riducendo al minimo la necessità di toccarlo con le mani. Il bambino dovrebbe essere preso a mezzo di un sostegno leggero e cedevole, come un’amaca di rete delicatamente imbottita, la quale sostenga tutto il corpo del bambino, raccolto in una posizione simile a quella dell’attitudine prenatale. Questi sostegni vanno maneggiati con delicatezza e lentezza, da mani leggere e fatte abili per minuziosa preparazione…
…v’è una tecnica speciale per sollevare il malato e trasportarlo orizzontalmente e lentamente, ed è la tecnica più elementare dell’assistenza. Nessuno solleva 
più un malato verticalmente a braccia: ma lo muove a mezzo di un sostegno cedevole, delicatamente introdotto sotto il corpo: e con questo mezzo lo sposta in modo che la sua posizione orizzontale non venga alterata…
…Ma il neonato non si può neppure confondere con un malato adulto. La necessità sua non è quella di un infermo, ma di chi fa un inconcepibile sforzo di adattamento, accompagnato dalle prime impressioni psichiche, di un essere che viene dal nulla, ma che è sensibile. Il sentimento verso il neonato non è di compassione, ma di venerazione per il mistero della creazione, per il segreto di un infinito che si compone entro limiti a noi sensibili”.
Maria Montessori, Il segreto dell’infanzia

Durante il primo anno di vita si possono distinguere vari periodi che richiedono cure speciali. Il primo periodo, breve, è l’ingresso nel mondo con le sue drammatiche circostanze. Senza entrare in particolari possiamo enunciare alcuni principi. Il bambino dovrebbe rimanere, nei primi giorni dopo la nascita, quanto è più possibile, a contatto di sua madre e in ambiente che non contrasti per differenze troppo forti, per esempio di temperatura, con quello in cui egli si è formato prima della nascita: non troppa luce, non troppo rumore, poiché il bambino giunge da un luogo di tepore, di perfetto silenzio, di oscurità…
…Occorrono anche cure per il modo come il bambino vien maneggiato e spostato… il neonato deve essere toccato il meno possibile e nemmeno dovrebbe essere vestito, ma tenuto in una stanza dalla temperatura sufficiente a mantenere caldo il bambino e libero da correnti di aria fredda. Si è cambiato il modo di trasportare il bambino, usando ora un soffice materassino, simile a un’amaca, su cui viene adagiato; si evita di sollevare e abbassare rapidamente il neonato e si vuole sia maneggiato con le stesse precauzioni con cui vengono rimossi i feriti. 

Maria Montessori, La mente del bambino: Mente assorbente

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Contemplando la delicatezza dei neonati e le loro forti reazioni a qualsiasi movimento brusco, è nato il tapponcino. In tutta la sua semplicità, questo materassino mobile svolge diverse funzioni:

– previene il riflesso di Moro (o riflesso di trasalimento), che si manifesta nel neonato al verificarsi di stimoli come un rumore improvviso o quando si appoggia il neonato supino in modo troppo brusco o rapido. In questi casi il neonato fa un sobbalzo, estende le braccia allargando mani e dita e successivamente le piega, scoppiando in pianto. Grazie al topponcino il neonato non prova questa sensazione di vuoto intorno a sé che tanto può spaventarlo;

– offre una superficie d’appoggio più estesa al corpo del neonato rispetto a quella che possono offrire le braccia;

– rispetta il corpo del neonato come prima della nascita faceva l’utero materno, offrendo un sostegno sicuro senza impedire il movimento del corpo e soprattutto delle mani;

– permette di accogliere il neonato dolcemente cercando di ricreare nel miglior modo possibile un’atmosfera vicina a quella che ha sperimentato nel grembo materno, e così facilita l’adattamento del neonato al nuovo ambiente senza ostacolare la sua esplorazione sensoriale;

– permette all’adulto di tenere in braccio il neonato in tutta sicurezza e con maggiore facilità, soprattutto perché il topponcino offre sostegno alla testa del piccolo. Permette anche al fratellino o al nonno di tenere in braccio il bambino in sicurezza e comodamente: con l’ausilio del topponcino, il neonato è tenuto in una posizione naturale e in modo sicuro da chiunque. Chi tiene il piccolo non prova quella sgradevole sensazione che gli fa pensare di tenere male il bambino o che lui possa scivolare da un momento all’altro dalle sue braccia;

– il neonato può addormentarsi sul tapponcino, fra le nostre braccia, ed essere poi facilmente posato nella sua cesta senza risvegliarsi. Lo stesso può avvenire quando si addormenta nel letto con noi;

quando il neonato si risveglia sul suo topponcino è libero di esercitare il proprio corpo nel modo più naturale;

– il topponcino offre sostegno a tutto il corpo e in particolare alla testa, che il piccolo non è ancora in grado di controllare;

– il tapponcino acquista con l’uso un odore che il neonato riconosce come familiare, e questo odore diventa per lui un punto di riferimento sicuro nell’ambiente che lo circonda, anche quando si trova in un luogo nuovo o tra le braccia di una persona che non conosce;

– il topponcino offre al neonato una superficie a temperatura costante: sotto di lui ci sarà sempre lo stesso calore, indipendentemente da dove si trovi;

–  l’uso del tapponcino non riduce il contatto fisico con il bambino, al contrario favorisce un contatto fisico rispettoso del corpo del neonato;

– per le sue dimensioni il topponcino può essere usato per trasferire il bambino nell’ovetto, nel seggiolone dell’auto, e in tutti gli ausili che si utilizzano per portare il piccolo fuori casa;

– grazie al topponcino ci si può muovere col neonato all’interno dell’ambiente domestico garantendogli sicurezza fisica ed emotiva, ma senza interferire con la sua esplorazione sensoriale. Questo non avviene, ad esempio, utilizzando la fascia o il marsupio;

– sostiene il bambino durante l’allattamento offrendo una posizione comoda al neonato e alla mamma;

– quando si allatta in pubblico protegge mamma e bambino da sguardi indiscreti: basta sollevare un lembo del topponcino;

– quando parenti e amici vengono a far visita al neonato, è quasi inevitabile che ci venga chiesto di poterlo prendere in braccio. Il topponcino, in questi casi, offre al neonato una barriera tra lui e gli abiti degli ospiti, proteggendo in questo modo da possibili batteri e virus;

protegge il neonato non solo da ciò che gli ospiti possono portare dall’esterno, ma anche dalle loro mani fredde, da orologi anelli e bracciali, dalla loro rigidità muscolare;

– offre un supporto che ha sempre lo stesso calore, lo stesso odore, le stesse caratteristiche tattili, indipendentemente da chi lo sta tenendo tra le braccia o da dove si trovi.  Questo è estremamente rassicurante per il piccolo. Quando il bambino nasce, il suo ambiente diventa improvvisamente del tutto sconosciuto per lui,  ad eccezione del suono della voce della madre e del battito del cuore. Il topponcino assorbe il suo odore e l’odore della madre e fornisce un calore costante diventando per il piccolo un punto di riferimento nell’ambiente ed alimentando il suo delicato senso di sicurezza. Lo scopo primario del topponcino è proprio questo: assistere il bambino nella sua transizione dall’utero al suo nuovo mondo.

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Il topponcino è:

rassicurante per il neonato: sostenuto da  un materiale piacevole al tatto, senza variazioni di temperatura sotto di lui e circondato da un odore familiare, il bambino si sente al sicuro;
rispettoso del neonato: il topponcino non limita il contatto col neonato, ma favorisce un contatto rispettoso col suo corpo;
adeguato ai bisogni del neonato: il topponcino non fascia il neonato e quindi gli offre un sostegno che non è di alcun ostacolo alla sua esplorazione sensoriale e al suo movimento, così  aiuta l’adattamento del neonato al suo nuovo ambiente;
sicuro per l’adulto: grazie al topponcino gli adulti inesperti hanno meno paura di tenere male il neonato o di farlo cadere;
igienico: ovunque il neonato si trovi, il topponcino gli offre una superficie d’appoggio pulita, anche perché le federe possono essere facilmente cambiate;
pratico: il topponcino permette di spostare il bambino ovunque, che sia sveglio o addormentato, senza che egli debba soffrire di bruschi cambiamenti degli stimoli sensoriali che riceve (temperatura, odore, consistenza ecc,). Il topponcino  si adatta perfettamente al corpo del bambino sostenendo la testa, e perfettamente si adatta al suo letto, alla sua carrozzina, al suo tappeto, alle braccia di papà…

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Consigli pratici per l’uso del topponcino

– alcuni testi consigliano che la mamma dorma con topponcino accanto per qualche settimana prima del parto, di modo che il materassino possa trattenere il suo odore ed accogliere meglio il neonato

– è importante usare il topponcino regolarmente, ogni giorno, in modo che il bambino possa farne un punto di riferimento nell’ambiente, riconoscendone l’odore e la consistenza;

– anche se l’odore del tapponcino persiste anche al cambio delle federe, non bisognerebbe sostituirle più di quanto non sia realmente necessario, soprattutto nelle prime settimane di vita del bambino

– il materassino può essere in casi estremi lavato, a seconda del tipo di imbottitura, a mano o in lavatrice.  Per eliminare gli acari, eventualmente, non serve lavarlo: basta metterlo in un sacchetto e tenerlo una notte nel freezer. Naturalmente, fatto questo, bisognerà aspettare che raggiunga la temperatura ambiente prima di utilizzarlo;

– il materassino non va mai stirato, mentre possono esserlo le federe;

– si consiglia di predisporre per il bambino un topponcino ed almeno tre federe.

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Una testimonianza

Due notti fa verso mezzanotte (il piccolo aveva circa 3 settimane), dopo due ore di “latte – ruttino – addormentamento -trasferimento nella culla – sveglia – pianto a ridotto” e via così, mi sono ricordata del topponcino in fondo all’armadio e del suggerimento dei miei amici di usarlo per trasferire il bambino nel suo lettino. Ho preso il topponcino, ho posato su di esso il mio bambino disperato ed esausto e gli ho offerto il seno, guardandolo calmarsi e cedere al sonno. L’ho messo delicatamente sulla sua culla con il topponcino, molto lentamente e delicatamente ho tolto le mie mani da sotto, e ho trattenuto il respiro in previsione di una nuova esplosione di pianto. Non è successo niente. Il bambino ha continuato a dormire. Lui non aveva bisogno di sentire le mie braccia sotto di lui; aveva bisogno di sentire una superficie che non cambiava temperatura, consistenza o odore durante quei fragili momenti del primo sonno.”
Pilar di The full Montessori

Come realizzare il topponcino in proprio e con poca spesa: tutorial

Anche se non si è esperti nel cucito, confezionare un topponcino non richiede più di 3 ore.


Materiale necessario per confezionare un topponcino:
Per l’imbottitura interna possiamo alternare strati di ovatta o di mollettone  a strati di mussola di cotone (preferibilmente biologico),:
Ovatta di cotone biologica oppure mollettone di cotone
Mussola di cotone biologica naturale

Scegliendo questa soluzione si dovranno alternare 4 strati di mussola a 5 strati di mollettone (naturalmente faremo meno strati con l’ovatta, che ha uno spessore maggiore)

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Per ogni strato occorre tessuto (mussola e  ovatta o mollettone) per 70 x 40 cm. Alcuni topponcini in commercio utilizzano per l’imbottitura altri materiali, quali ad esempio tessuto di cotone trapuntato:

mentre è sconsigliato l’uso di ovatta sintetica, lattice o gommapiuma.

Per confezionare il materassino servono inoltre:
– forbici,
– ago e filo (o macchina da cucire)
– filo robusto da ricamo
– mussola morbida di cotone per il rivestimento 140 x 80 cm, possibilmente biologica e non sbiancata
– cartamodello, spilli, gessetto da sarta.

Il cartamodello:
In realtà non è necessario un cartamodello, in quanto basta realizzare una forma ovale che misuri 67 x 37 cm. Questo si può fare molto facilmente ritagliando un rettangolo 67 x 37 cm ( o se si preferisce 62 x 40) da un foglio di giornale, ed arrotondando gli angoli per dargli una forma ovale.
La soluzione più scientifica è quella di disegnare un rettangolo largo 30 cm ed alto 37 cm, quindi puntare il compasso a metà di uno dei lati e tracciare un semicerchio di raggio 18,5 cm (la metà di 37), ripetendo poi sull’altro lato:

Se può essere utile allego un cartamodello pronto (stampato misura 63 x 33) che può essere usato per il materasso, la fodera del materasso e la federa, aggiungendo lungo il bordo 2 cm per la linea di cucitura, e un altro centimetro per la linea di taglio.

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

Come confezionare il materassino
(photo credit: cliccare sull’immagine)

Utilizzando il cartamodello, ritagliamo l’imbottitura, senza lasciare margini di cucitura.

I vari strati di ovatta e mussola possono essere rifiniti lungo il bordo utilizzando il punto festone, per rendere l’imbottitura compatta e ridurne lo spessore

Riportiamo il cartamodello sul tessuto che abbiamo scelto di usare per il rivestimento fisso del materassino (due volte o una volta utilizzando tessuto doppio), e aggiungiamo almeno 1 cm di cucitura. Cuciamo lungo i margini, lasciando un’apertura di lato o sul fondo per l’inserimento dell’imbottitura.

Rivoltiamo

e inseriamo l’imbottitura.

Chiudiamo l’apertura che abbiamo usato per inserire l’imbottitura.

Per fissare l’imbottitura al rivestimento, cuciamo da 5 a 7 punti passando dall’alto verso il basso con ago e filo robusto, e prendendo insieme rivestimento superiore, imbottitura e rivestimento inferiore.

Un metodo alternativo, molto più veloce, è quello di preparare gli strati di ovatta e mussola e mettere in cima alla pila le due forme ritagliate per il rivestimento. Cucire quindi tutto insieme, ma lasciando sempre uno spazio aperto. A questo punto separare i due tessuti di rivestimento e ribaltare il lavoro.

Come realizzare la federa

Per la federa si consiglia di utilizzare un tessuto bianco di cotone o di lino. Per una federa occorrono circa 120 x 90 cm di tessuto. Anche la federa si può ricavare dal cartamodello.

Per la parte anteriore della federa usiamo il cartamodello intero; per la parte posteriore dividiamo il modello a circa 3/4 della lunghezza, aggiungendo al pezzo corto un margine per fare l’orlo, e al pezzo lungo almeno 15 centimetri, di cui qualche centimetro per l’orlo ed i restanti perché le due parti possano sormontarsi. Per ottenere una federa perfetta la cosa migliore è usare il materassino come modello. Basterà posare il topponcino sul tessuto e tracciare la forma lasciando un margine di cucitura di almeno 1 cm.

Orliamo le due parti della federa posteriore

Disponiamo sul tavolo la federa anteriore (col dritto sopra), poi copriamola col pezzo corto (col dritto sotto) e poi col pezzo lungo (sempre col dritto sotto)

e cuciamo lungo i margini.

Ribaltiamo la federa

e inseriamo il materassino.

Topponcino – ne parlano nel web:
– http://bymuforu.com/?product=housse-pour-matelas-topponcino-plumetis-blanc
– http://montessorignezdo.si/tag/topponcino/
– http://serv68.wixsite.com/labirintzivljenja/topponcino
– https://montessoriparcimontessoriparla.wordpress.com/2015/07/20/le-topponcino-un-coussin-fin-et-moelleux-imagine-par-maria-montessori/
– http://fafaillestudio.com/tuto-topponcino-matelas-montessori/
– http://bubble-belly.blogspot.it/2012/09/diy-topponcino.html
– http://rideswithchrist.blogspot.it/2012/03/topponcino-diy.html
– https://thefullmontessori.wordpress.com/2012/02/23/topponcino-tutorial/
– http://lacigalesuisse.canalblog.com/archives/2015/03/05/31650533.html
– http://www.lecoinmontessori.com/le-topponcino/
– http://lenidodemeylin.blogspot.it/2015/05/le-topponcino.html
– http://celioetcie.blogspot.it/2015/07/montessori-et-les-bebes_10.html
– http://www.centronascitamontessori.it/centro/proposte-per-i-genitori/la-cesta-montessoriana/
– https://www.eveiletcoton.com/single-post/2017/06/27/Le-matelas-de-portage-Topponcino-de-Montessori
– https://montessorimoms.wordpress.com/2013/11/05/topponcino/
– http://www.wecanmakeanything.net/2017/12/topponcino-diy.html
– http://www.howwemontessori.com/how-we-montessori/2017/06/where-can-i-find-a-montessori-topponcino.html
– https://thefullmontessori.wordpress.com/2012/02/16/topponcino/
– http://www.famille-epanouie.fr/matelas-bebe-topponcino/
– http://midwestmontessori.tumblr.com/post/133216641911/the-montessori-topponcino
– https://everydaybeginsnew.com/2016/06/04/how-we-used-a-topponcino/
– http://www.feedingthesoil.com/2014/05/montessori-topponcino.html
– http://www.queso-suizo.com/2015/11/montessori-baby-essential-topponcino.html
– http://sharmiladabare.blogspot.it/2011/04/i-heart-topponcinosecurity-pillow.html
– https://www.fuwarico.com/topponcino/
– https://www.youtube.com/watch?v=6rAVitUikYM&t=26s
– https://www.youtube.com/watch?v=flniVgaDOyM
– https://www.youtube.com/watch?v=SfEqLjAt0yY

Storia delle armi dalla clava a oggi

La storia delle armi per bambini della primaria con testi e immagini che possono essere d’aiuto per preparare carte delle nomenclature, linee del tempo ed altro materiale didattico.

Etimologia
La parola arma potrebbe derivare dal latino armus (armòs, in greco) che significa “omero” o “braccio. Per alcuni studiosi invece la parola potrebbe derivare dal celtico harn, “ferro”, o dall’antico germanico har  “esercito” o dallo svedese harnad, “guerra”.

Storia delle armi

I primi uomini avevano bisogno di proteggersi dagli animali e di cacciarli. Dalle prime armi naturali e che hanno a disposizione anche gli animali, le unghie e i denti, passarono ad utilizzare oggetti che noi oggi chiamiamo armi, cioè attrezzi da usare per difendersi e per cacciare. Sicuramente le prime armi utilizzate dall’uomo furono le pietre o i rami spezzati che venivano trovati per terra e scagliati contro il nemico o gli animali.

La più antica arma fabbricata dall’uomo fu la clava, un pesante pezzo di legno con un’estremità più grossa e pesante e un’impugnatura più sottile. Nell’estremità grossa poteva essere infilato un anello di selce o pezzi di selce, corno o osso per rendere l’arma più micidiale.

Nel Paleolitico inferiore, 250.000 anni fa, comparvero le lance che potevano avere una punta d’osso o di legno indurito al fuoco. Grazie alla scoperta del fuoco, l’uomo capì che bruciacchiando una lancia di legno verde, la sua punta si induriva e diventava quasi di pietra.  Scoprì che era meglio posizionare sulla sommità del bastone un sasso appuntito e scelse la selce, una pietra molto dura e facile da lavorare per ottenere delle punte affilate. Queste punte di pietra penetravano meglio e creavano ferite più grandi sugli animali, rispetto a quelle di legno indurito o di osso. L’uomo dell’età della pietra scoprì anche che poteva aggiungere al bastone della lancia il fuoco di sterpaglie accese.

Accanto alla lancia comparve anche la mazza, un’evoluzione della clava. Si tratta di un bastone con un’estremità appesantita da pietra. Per proteggersi da queste armi nel Paleolitico si sviluppò l’uso della corazza di pelle.

L’uomo dell’età della pietra trovò anche modi per aumentare la potenza di lancio del braccio umano, ad esempio estendendo la sua lunghezza: questo è il principio della frombola. La potenza della frombola nell’antichità è testimoniata dalla storia biblica di David e Golia. La frombola è composta da una sacca che contiene il proiettile (pietra) con due lacci. Facendo roteare velocemente la sacca, la forza centrifuga fornisce velocità al proiettile, che vola nell’aria quando si lascia il laccio.

Grazie a queste nuove armi l’uomo si trasformò da preda a cacciatore.

Nel Paleolitico superiore (circa 15.000 anni fa) vi fu la prima invenzione “meccanica”: l’arco con frecce, strumento che sfrutta l’elasticità del legno per lanciare la freccia. Il rilascio improvviso dell’energia immagazzinata dall’arco teso, quando torna alla sua forma naturale, è più rapida e più potente di qualsiasi impulso di cui i muscoli umani siano capaci. Probabilmente alla base dell’invenzione ci fu l’osservazione del trapano ad archetto, utilizzato dall’uomo preistorico per accendere il fuoco. Gli archi erano costruiti con legno di tasso o di olmo e le punte delle frecce erano di selce scheggiata, spesso con margini dentati per conficcarsi con fermezza nelle carni. L’arco segnò una vera e propria rivoluzione nella storia delle armi e da allora fu usato sia nella caccia sia nella guerra.

L’arco permise all’uomo di diventare un cacciatore più efficiente.  L’uso dell’arco è testimoniato nelle pitture rupestri di Altamira. Dalla sua invenzione, le civiltà di tutto il mondo hanno prodotto archi utilizzando il tipo di vegetazione che avevano a disposizione; gli archi cinesi erano fatti ad esempio di bambù.

Nel Neolitico si sviluppano l’agricoltura e la domesticazione degli animali. Questo creò abbondanza di cibo, e così gli uomini poterono dedicarsi alla guerra direttamente o sostenendo una classe di guerrieri professionisti. Risalgono all’8.000 aC le prime mura perimetrali di difesa.  Gerico è conosciuta come la “città più antica del mondo” (8.500-7.500 a.C.), fondata quando ancora non si praticava l’allevamento e non erano in uso recipienti di ceramica. Le esigenze difensive nei confronti di popolazioni rimaste ancora nomadi, costrinsero gli abitanti ad erigere una cinta di fortificazione in pietra, rinforzata all’esterno con un fossato.

Dopo la scoperta del rame puro in Anatolia, intorno al 6000 a C, la metallurgia del rame si diffuse in Egitto e in Mesopotamia. I Sumeri furono i primi ad usare armi di rame. A parte le mazze, che erano molto diffuse, per la maggior parte di trattava di oggetti troppo costosi e malleabili per essere armi efficaci. Anche i nativi americani usavano lame e coltelli di pietra focaia, ma usavano il rame per cerimonie e decorazioni. Il rame fu per molto tempo l’unico metallo noto agli umani.

Intorno al 4500 a C l’arte della metallurgia si diffuse in India, Cina ed Europa ed è con l’avvento del bronzo che le armi da taglio in bronzo divennero di uso comune. Il bronzo è una lega di rame e stagno ed è molto più duro del rame puro.

Fu ampiamente utilizzato in Asia: la civiltà della valle dell’Indo prosperò grazie al miglioramento della metallurgia. Il bronzo è stato prodotto su larga scala in Cina per le armi, tra cui lance, asce, archi compositi e elmi in bronzo o cuoio.

Il Khopesh era un’arma a forma di mezzaluna. Aveva un manico corto e una lama di bronzo. Venne inventato dai Sumeri nel 3000 a C per il bisogno di un’arma potente come un’ascia ma che non avesse il suo ingombro e il suo peso. Era l’arma principa bble delle tribù che vivevano vicino alla Mesopotamia e venne poi adottato dagli Egizi. Ramses II (1250 a C circa) fu il primo faraone ad usare il khopesh in guerra. Il Khopesh poteva essere usato come un’ascia, una spada o una falce, divenne l’arma più popolare in tutto l’Egitto e un simbolo del potere e della forza reale. Possiamo ritrovare il Khopesh anche nelle opere d’arte assire.

Circa nel 1500 a C compare l’arco composito, preciso fino a 300 metri. Furono gli Egizi a perfezionare quest’arma. Si chiama composito perché è costruito con strati di materiali diversi (tendini animali, strisce di corno, osso) che reagiscono in modo diverso sotto tensione o compressione. Questa tecnica di costruzione aumentò la distanza e la precisione del tiro e la capacità di penetrazione delle frecce, ora con la punta metallica. L’arco composito, così chiamato per il suo metodo di costruzione, è l’arco curvo corto, noto nell’arte come l’arco di Cupido. L’arco composito è più piccolo e potente dell’arco tradizionale, ed è quindi adatto ad essere usato da cavallo o da carro da guerra.

I Sumeri e gli Accadici vivevano nella Mesopotamia meridionale, l’attuale Iraq, una regione aperta agli attacchi nemici. Il guerriero sumero era equipaggiato con lance, mazze, spade e fionde. Sargon di Akkad, (2333-2279 a C) fu un grande capo militare e usò sia la fanteria che i carri da guerra a quattro ruote trainati da asini.

Per lungo tempo la posizione strategica dell’Egitto permise ai suoi abitanti di rimanere liberi da attacchi nemici, e in questo periodo non ebbero bisogno di addestrare un esercito per la difesa dei confini. Durante l’Antico ed il Medio Regno (2700 – 1650 aC) l’armamento egizio contava solo mazze di pietra, archi, frecce e giavellotti a punta di selce o bronzo, pugnale e scure in bronzo.

Tutto cambiò durante il Secondo Periodo Intermedio (1650 – 1550 a C) quando l’Egitto fu invaso dalla tribù degli Hyksos, proveniente dall’Asia Occidentale. Questi invasori possedevano armi più sofisticate degli Egizi e soprattutto usavano carri da guerra a due ruote tirati da cavalli. Con le loro invasioni queste tribù conquistavano territori, ma al tempo stesso diffondevano le loro conoscenze.  Gli Hyksos usavano archi compositi e archi ricurvi; a differenza dei Sumeri, avevano carri trainati da cavalli e non asini; indossavano protezioni per il corpo e elmi metallici; possedevano pugnali spade e asce migliori di quelli egizi.

Una volta cacciati dall’Egitto, ormai gli Egizi avevano appreso da loro l’uso dei cavalli in guerra, l’uso dei carri trainati da cavalli, nuove tecniche di lavorazione del bronzo e della ceramica e nuove armi.
Nel Nuovo Regno (1550 -1069 a C) il corredo militare egizio fu arricchito da daga, casco di cuoio, corazza di lino pressato, carro da guerra a due ruote raggiate. Il carro era montato da un combattente con arco, lancia e scudo.

Le armi del guerriero miceneo (2000 – 1200 a C) erano una spada in bronzo e una lancia in bronzo. Armi simili sono usate, molti secoli più tardi, dagli hopliti greci.

Dal 1100 aC i Fenici sviluppano la galera di guerra, con un ariete tagliente nella prua.

Un importante sviluppo tecnologico nella costruzione delle armi avviene quando il ferro prese il posto del bronzo (1200 a C). Lo stagno, uno dei componenti del bronzo, non è così diffuso sulla terra, mentre il ferro è il metallo più abbondante. L’uomo scoprì come indurire il ferro trasformandolo in acciaio nel 1100 a C circa e presto gli eserciti del mondo antico furono in grado di mettere in campo un numero molto maggiore di soldati, equipaggiato con armi devastanti e a costi relativamente bassi. Gli Ittiti furono probabilmente i primi a utilizzare le armi di ferro. Questo popolo si stabilì verso il 2300 a.C. in Anatolia (l’odierna Turchia). Gli Ittiti furono i primi a lavorare il ferro, di cui custodivano gelosamente il segreto. Il procedimento consisteva nel riscaldare, martellare e poi raffreddare con acqua il metallo. In questo modo ottenevano armi molto leggere e molto più resistenti di quelle in bronzo utilizzate dagli altri popoli, così sottomisero molte terre circostanti.

Gli Assiri adottarono le armi in ferro sistematicamente, così il primo esercito di ferro è quello assiro, noto dal 900 a C per i suoi brutali successi in una continua campagna di aggressione nei confronti dei suoi vicini.

Nell’800 a C i popoli della Cultura di Hallstatt dell’Europa centrale (predecessori dei Celti) forgiavano spade di ferro stupende, che portano con sé nelle loro tombe. Di lunghezza senza precedenti, queste armi venivano prodotte con una tecnologia d’avanguardia.

Il tridente era una lancia a tre punte che in origine erano di corno, e poi di metallo. Nell’antichità era usato per la pesca e la caccia soprattutto in Asia, e poi come arma. Il tridente era particolarmente popolare come arma nell’antica Grecia (800 – 338 a C). Nell’India antica è chiamato Trishula (tre lance). Successivamente il tridente è stato usato dai gladiatori romani. Anche le arti marziali orientali hanno numerose armi derivate dal tridente. Il tridente è un’arma associata a varie divinità: Poseidone, il dio indù Shiva.

I Persiani nel 600 a C, inventarono la trireme, una nave da combattimento che utilizzava come propulsione, oltre alla vela, tre file di rematori e che fu ampiamente usata dai Greci.

Gli Assiri sono noti per la loro bellicosità e la loro ferocia verso le popolazioni vinte. Il loro regno si estese in Mesopotamia dal 1770 al 612 a C. Per gli Assiri l’addestramento era importantee fondarono scuole militari. L’esercito assiro fu il primo a usare il ferro nelle sue armi e nell’ 800 a C cominciò ad utilizzare l’acciaio. Gli Assiri furono anche i primi ad utilizzare torri d’assedio, circa nell’850 a C. Prima degli Assiri l’ariete veniva portato dai soldati fino alle mura della città nemica e usato per aprire una breccia. I soldati però erano vulnerabili all’olio bollente e al lancio di pietre dei nemici. Gli Assiri perciò trasformano l’ariete e lo fissarono sul tetto di una struttura in legno con ruote. La struttura veniva spinta in posizione mentre i soldati rimanevano protetti al suo interno e potevano far oscillare l’ariete. Gli Assiri poi idearono la torre d’assedio, una struttura a ruote che aveva lo scopo di fornire ai soldati una piattaforma alta come le mura della città nemica, da cui essi potevano lanciare il loro attacco.

L’antica Grecia (800 – 338 a C) fu sempre circondata da nemici, così i Greci idearono un modello di guerra completamente diverso dagli altri popoli. La loro era una guerra di strategia: cercavano i punti di forza e di debolezza dei nemici e sceglievano le loro armi di conseguenza. I Greci usavano lunghe lance con punta di ferro, scudi, elmi e pettorali. Lo scudo dei greci era così forte da spezzare le lance. Se la loro lancia era rotta, usavano le spade per il combattimento ravvicinato.

Perfezionarono la triremi persiana e grazie a questo poterono contare su una formidabile flotta navale. A prua c’era un grande rostro di ferro (oggetto da sfondamento) mentre sul ponte operavano arcieri e frombolieri.

In guerra utilizzavano una formazione di combattimento chiamata falange greca: la fanteria pesante, armata di lance o picche (dory) e spada corta di ferro (xiphos) , rimaneva compatta e coesa e avanzava in formazione allineata, creando una foresta impenetrabile di lance e un muro di scudi (oplon). Dal nome dello scudo, questi soldati erano chiamati opliti.

I Greci perfezionarono la balista (o ballista), una potente catapulta che lanciava pietre sferiche o una grossa lancia, spesso infuocata, a lunga distanza. E’ a tutti gli effetti una versione statica della balestra.

I Macedoni governarono in Grecia dal 338 al 31 a C. Continuarono a seguire la strategia militare greca della falange, con la differenza che la fanteria macedone utilizzava la sarissa, una lancia lunga 15 piedi con una punta a forma di foglia.

L’esercito macedone aveva inoltre una cavalleria. I Macedoni utilizzavano, oltre alla balista,  armi portatili come la cheiroballistra.

I Macedoni idearono anche la catapulta a torsione. Nella catapulta a torsione l’energia viene immagazzinata in un elemento (fibre vegetali, tendini e pelli di animali) che viene fortemente avvolto su se stesso, come negli aerei ad elastico. Quando il perno viene rimosso, il braccio scatta in posizione verticale e la pietra viene scagliata. I Romani la chiamarono onagro.

A partire dal 390 a C i soldati dell’antica Roma erano divisi in due gruppi: Legionari e Ausiliari; i Legionari erano cittadini romani e gli Ausiliari provenivano da tribù alleate. I Romani usavano in guerra le armi più semplici e insolite, mentre l’esercito godeva di una organizzazione impeccabile e grande disciplina. La spada romana tradizionale era il gladio. Si trattava di una spada non più lunga di 60 centimetri, con lama di ferro e impugnatura di legno ricoperto di bronzo o altri materiali. Aveva un effetto limitato quando veniva maneggiato da cavallo.

Altra arma in dotazione ai soldati romani era il pilum, un giavellotto lungo circa 150 centimetri con una parte in legno e una lunga parte in ferro, lunga tanto da poter attraversare uno scudo e raggiungere il corpo del nemico. Di solito ogni soldato ne portava due, uno leggero ed un secondo più pesante.

Altre armi usate dai Romani erano l’arco e la frombola.  I Romani utilizzarono anche varie macchine da guerra. Tra queste c’erano: la balista, la catapulta, l’ariete, la torre mobile, la cheiroballista e la carrobalista, una balista posta su un apposito carro trainato da cavalli, che garantiva grande flessibilità perché spostabile durante la battaglia.

Altra macchina da guerra era  lo scorpio (o scorpione), arma molto precisa e potente, da cui discenderà la balestra. Gli scorpioni venivano collocati in formazione su alture dominanti distruggendo parecchi nemici.

Il corvo era un congegno che i Romani usava per abbordare le navi nemiche. Era una passarella mobile  con degli  uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica, consentendo alla fanteria di combattere col nemico quasi come sulla terraferma. Con la crescita dell’esperienza nella guerra navale, il corvo fu abbandonato.

 

Nel 299 a C La tecnica dell’assedio romano viene migliorata dalla “tartaruga” che permette di avanzare e proteggersi dal nemico creando impenetrabili muri di scudi verso tutte le direzioni.

Dopo la morte di Marco Aurelio nel 180 d C Roma divenne vulnerabile alle invasioni barbariche e Germani  (Ostrogoti, Visigoti, Vandali, Franchi) e Unni penetrarono nel territorio romano. Nel 410 avvenne il Sacco di Roma, cioè la conquista e il saccheggio della città da parte dei Visigoti guidati dal loro re Alarico. Queste tribù combattevano prevalentemente a cavallo e utilizzavano l’arco composito con frecce a punta di ferro. Altre armi erano la spada lunga a doppio taglio e l’ascia da lancio.

Durante il regno di Giustiniano (527- 565), l’impero bizantino divenne una potenza militare e si impegnò nella cacciata dei barbari. I Bizantini avevano un esercito molto disciplinato e idearono nuove e potenti armi.  Intorno al 672 inventarono una sostanza incendiaria conosciuta come fuoco greco. Attraverso dei lanciafiamme montati sulle navi, sparavano questo fuoco sui nemici. Era un’arma davvero impressionante per la sua forza distruttiva e questo fuoco riusciva a rimanere acceso anche sull’acqua. Utilizzavano dei dispositivi di loro invenzione, che funzionavano con motore a torsione, per lanciare frecce con maggiore intensità. Dal 900 in poi adottarono per la costruzione delle loro armi le tecniche usate dai musulmani.

Il mondo islamico era molto più evoluto, nella costruzione delle armi, rispetto a tutti i popoli del Mediterraneo, soprattutto grazie alle relazioni commerciali con la Cina, da cui copiarono il trabucco. Si trattava di una grande macchina da guerra in grado di lanciare grandi pietre a distanza. Alcuni trabucchi venivano usati per gettare cavalli morti per diffondere malattie nelle città assediate. Il trabucco era composto da un lungo braccio con un contrappeso ad una estremità e una sacca all’altra estremità che funzionava come una grande fionda.

Intorno al 950, durante la dinastia Song, i cinesi iniziarono a produrre polvere da sparo (o polvere nera) e la lancia da fuoco fu la prima arma a utilizzarla. Era una comune lancia alla quale veniva abbinato un tubo contenente polvere da sparo e proiettili. All’accensione i proiettili venivano espulsi insieme alla fiamma per qualche metro.   A partire dal 1100 con la polvere da sparo i Cinesi realizzarono le prime bombe, i primi razzi e i primi cannoni.

Nel Medioevo, in Europa, una delle armi innovative e più usate era la balestra. La balestra fu inventata nel 300 a C in Cina, ma non arrivò in Europa che nel 1000. La caratteristica principale di quest’arma è che può essere caricata in anticipo, prima di essere usata.  Può lanciare quadrelli, frecce, strali, bolzoni, palle o dardi. La corda viene bloccata da un meccanismo chiamato noce, e lo scatto avviene facendo pressione su una sorta di grilletto o abbassando un piolo.

All’epoca delle Crociate (1000 – 1300) gli eserciti europei usavano lance, spade e pugnali; i soldati a piedi erano equipaggiati con una straordinaria gamma di armi inastate, che spesso riflettevano il loro luogo di origine. Le armi degli eserciti islamici non erano di molto diverse da quelle dei Crociati. Nell’esercito l’obiettivo fondamentale della cavalleria era caricare le linee nemiche e creare il caos. Per la carica iniziale i cavalieri usavano le lance, che poi venivano scartate per passare a spada, ascia e martello da guerra, che venivano usati per il combattimento corpo a corpo. La francisca, arma innovativa del Medioevo, fu inventata dai Franchi; è una scure da lancio perfettamente bilanciata, a manico corto e con lama a un taglio.

Dalla francisca si sviluppano varie armi inastate (montate su un’asta), prima fra tutte l’alabarda. Era un’arma tradizionale svizzera, costituita da una lama d’ascia sormontata da una punta, con un gancio o un piccone sul retro, in cima a un lungo palo. Quest’arma veniva usata dai soldati di fanteria contro la cavalleria.

Altra arma inastata del Medioevo era  il terribile martello di Lucerna che somiglia in realtà più a un spiedo che a un martello.

E tra le armi inastate non possiamo dimenticare il roncone. Era un’arma di grande potenza perché poteva colpire, tagliare, agganciare, strappare ed era in grado di danneggiare le armature e ferire gravemente i cavalli.

L’arco era un’altra tipica arma medievale molto diffusa in tutti i paesi europei. Il successo militare dell’Inghilterra, a partire dal 1200, deve molto all’invenzione dell’arco lungo (longbow).  A quel tempo l’Inghilterra era un paese rurale, e mancavano artigiani abili e risorse per costruire le balestre. L’arco lungo era costituito da un unico listello di legno di tasso, della lunghezza di circa 185 cm, ed era quindi molto economico da costruire. Grazie a quest’arma gli Inglesi sconfissero in più occasioni i loro nemici Francesi.

L’arma più importante del cavaliere era senza dubbio la spada.

I cannoni fecero la loro comparsa nel mondo musulmano e da lì a poco in Europa, verso il 1300. Venivano chiamati bombarde. La metallurgia europea dell’epoca, per quanto sviluppata, non consentiva la costruzione di fusti di grande resistenza, cosa che limitava precisione, potenza e soprattutto sicurezza dell’arma.

Insieme alle bombarde compaiono le prime armi da fuoco portatili, come ad esempio lo schioppo. Le armi da fuoco, in questo periodo, sostituirono solo le catapulte. Il cambiamento fu molto lento, anche perché inizialmente le armi da fuoco portatili avevano un costo troppo elevato e ricaricarle dopo uno sparo richiedeva troppo tempo durante le battaglie. Lo schioppo (in Inglese hand cannon , cioè cannone a mano) consisteva in una piccola bombarda montata su un’asta di legno. Originario della Cina, ebbe larga diffusione in Europa nel a partire dal 1300 e restò in uso sino 1500, quando venne sostituito dall’archibugio.  Era ad avancarica (si caricava dal davanti) ed era costituito da un tubo (canna) chiuso ad un’estremità. Si inseriva la polvere e si pressava sul fondo, poi si inseriva la palla. Per accendere la polvere si inseriva un bastoncino accesso in un foro che si trovava nella parte posteriore (il focone).

Le armi medievali continuarono ad essere usate anche durante il Rinascimento  e la spada rimase l’arma più popolare. Intorno al 1500 subì dei cambiamenti: vennero aggiunte le protezioni per la mano.

Nel 1500 gli eserciti erano equipaggiati con spada a doppio taglio, alabarda, arco e balestra, ma con l’aggiunta dell’archibugio, un’arma da fuoco portatile derivata dallo schioppo. Come tutte le armi da fuoco, utilizzava l’energia prodotta dall’accensione della polvere pirica per lanciare a distanza corpi solidi chiamati proiettili. L’accensione avveniva grazie all’otturatore a miccia (matchlock). Il sistema a miccia richiedeva agli archibugieri di portare con sé delle micce sempre accese. Come lo schioppo, doveva essere caricato col sistema dell’avancarica.  Era un’arma pesante, lenta e poco precisa, e venne usato in battaglia per due secoli insieme ad archi e balestre.  L’archibugio trovò poi sviluppo nel moschetto, dando origine al fucile moderno.

Il moschetto  è un’arma da fuoco portatile, ad avancarica,  derivata dall’archibugio e che fu usata fino agli inizi del 1900. Venne poi sostituita dai fucili a percussione e dai fucili a retrocarica. Il nome origina da mosca, che indicava il proiettile. Mentre l’archibugio veniva mantenuto in posizione appoggiandolo al petto, il moschetto vide l’introduzione del calcio, che permetteva di appoggiare l’arma alla spalla e di ottenere più precisione.

All’inizio il moschetto utilizzò il meccanismo a miccia (matchlock), come l’archibugio. Il meccanismo era formato da uno scodellino (un piccolo imbuto collegato alla canna), e una serpentina (un’uncino che sosteneva la miccia). Il moschettiere metteva della polvere nello scodellino e lo richiudeva. Dopo infilava la polvere e la palla di piombo nella canna (anteriormente) pigiando tutto sul fondo con un calcatoio (un’asta di legno, versione rimpicciolita di quella da cannone). Al momento dello sparo, tirando il grilletto la serpentina si muoveva verso lo scodellino mettendo a contatto la miccia accesa con la polvere: questa si incendiava e trasmetteva il fuoco alla polvere nella canna; a sua volta questa polvere esplodendo proiettava la palla lungo la canna e fuori da fucile.


In seguito, a partire dal 1540, il moschetto utilizzò il meccanismo a ruota (wheellock), che era simile ad un moderno accendino: una grossa molla, caricata con un’apposita chiave, al momento dello sparo metteva in movimento una ruota dentellata che sfregando contro un pezzo di pirite generava scintille, accendendo la polvere nella canna dell’arma. Questo meccanismo era comunque delicato e molto costoso e fu utilizzato più sulle carabine che sui moschetti.

Pochi anni dopo (1550) si diffuse un nuovo tipo di acciarino, lo snaphance (gallo che becca) che produceva le scintille facendo battere violentemente la pietra focaia su una piastra zigrinata. Dal “gallo che becca” si arrivò nel 1635 all’acciarino a pietra focaia, che utilizzava lo stesso principio, con un meccanismo migliorato. I moschettieri più addestrati potevano sparare 3 o 4 colpi al minuto.

La carabina era  un’arma da fuoco simile al moschetto, ma più corta e meno potente. Il termine carabina deriva dalla parola araba karab, che significa arma da fuoco. Questo tipo di arma venne ideato intorno al 1590 per essere usata dai soldati a cavallo.

Con tutte le armi ad avancarica il grosso problema da risolvere era la lentezza tra un colpo e l’altro. Le prime armi che cercarono risolverlo furono gli organi, detti anche ribadocchini o ribauldequin, che potevano sparare colpi in successione.

A partire dal moschetto con accensione a pietra focaia (1635), per rendere più veloce il caricamento, vennero inventate le prime cartucce. Inizialmente per ogni colpo il soldato doveva caricare manualmente la polvere da sparo ed il proiettile, e quindi predisporre l’innesco. Questo richiedeva molto tempo, e per questo vennero ideate le prime cartucce, che erano tubi di carta che contenevano già pronti polvere e proiettile da inserire nella canna.

Nel 1700 comparve la prima rudimentale bomba a mano: una palla vuota di ghisa riempita di polvere nera e innescata da uno stoppino acceso.

La baionetta fu ideata nel 1600: si trattava di un’arma da taglio montata sulla canna di un fucile e consentiva alla fanteria di combattere corpo a corpo col nemico dopo aver esaurito le munizioni. La baionetta venne montata sul moschetto e rimase in uso fino alla Prima Guerra Mondiale (1915-1918).

Il cannone erano ancora la componente più lenta dell’esercito e poteva richiedeva 23 cavalli per il trasporto, che comunque procedeva a passo d’uomo. A partire dal 1600 gli eserciti puntarono sui cannoni leggeri e che potevano essere presidiati da pochi uomini. Diversi progressi tecnologici resero il cannone più mobile, soprattutto il puntamento regolabile a piolo e l’affusto mobile. L’affusto era una struttura a forma di scivolo munita di ruote che permetteva il trasporto della bocca da fuoco tenendola appoggiata su un sostegno. Il dispositivo a piolo permetteva la regolazione in altezza mediante un piolo inseribile in una serie di fessure poste in serie . 

Gli scienziati si impegnarono nella ricerca di sostanze esplosive per potenziare le armi da fuoco, e già nel 1750 scoprirono il fulminato di mercurio, sostanza che poteva prendere fuoco ricevendo un colpo secco.

Il primo uso del fulminato fu ancora con le armi ad avancarica, nel 1812, quando fu inventata la capsula detonante. Si trattava di un involucro metallico a forma di bicchiere contente il fulminato. Dopo aver inserito nella canna la polvere e il proiettile, si poneva la capsula nel dispositivo dove veniva battuta dal percussore facendo partire il colpo.

Dalla scoperta del fulminato nacquero poi le armi a percussione. La prima di queste armi fu, nel 1814, il fucile ad ago, che aveva un sistema a retrocarica per cartucce di carta. Queste cartucce erano formate da un involucro di carta che conteneva la carica della polvere, la capsula detonante (che nelle armi a retrocarica si chiama innesco) e il proiettile. Premendo il grilletto, l’ago perforava la cartuccia e colpiva il fulminato, generando l’esplosione che faceva partire il proiettile.  A questo punto le armi ad avancarica caddero in disuso, e gli inventori continuarono a cercare sistemi sempre più efficaci per caricare la canna dalla parte posteriore (retrocarica). La cartuccia del fucile ad ago era costituita da un involucro di carta che conteneva la carica della polvere, l’innesco e il proiettile.

Tutti questi progressi portarono, nel 1866, ad un nuovo sistema d’accensione: il sistema a percussione. La cartuccia è costituita da un bossolo d’ottone, con una capsula a percussione alla base e una carica di polvere e il proiettile compressi all’interno. La capsula a percussione (innesco) si trova al centro della base del bossolo. Quando il percussore colpisce la capsula, questa viene deformata e spinta in davanti, provocando l’accensione del fulminato.

Il sistema a percussione consente la produzione di armi a più canne fisse o rotanti e porta all’invenzione del revolver (rivoltella o pistola a tamburo) ad opera di Samuel Colt, nel 1835. Si tratta della prima arma prodotta in serie.

Tra gli anni 1860 e 1865 vi fu in vero fiorire di invenzioni e miglioramenti nelle armi da fuoco. Nel 1862 fu brevettata la mitragliatrice Gatling, a manovella. Richard Gatling, il suo inventore, scrisse che aveva costruito l’arma per diminuire la dimensione degli eserciti e ridurre così il numero di morti, e per dimostrare la futilità della guerra. Questa mitragliatrice era costituita da un fascio di 10 canne che venivano fatte ruotare manualmente in posizione di sparo, alimentate con cartucce metalliche a percussione centrale.

Negli stessi anni i chimici raggiunsero numerosi progressi nel campo degli esplosivi. Nel 1846 viene scoperto il fulmicotone, e solo due anni dopo la nitroglicerina. Nel 1867 Alfred Nobel trovò il modo di stabilizzare la nitroglicerina scoprendo la dinamite.

Nel campo dei fucili militari vengono studiate e realizzate armi in cui le operazioni di caricamento delle cartucce e di espulsione dei bossoli avvengono automaticamente, sfruttando o la pressione dei gas di sparo o l’energia del rinculo e già nella Prima guerra mondiale vennero impiegati fucili e pistole a raffica, tra cui l’italiana Villar Perosa.

Il principio dello sfruttamento dell’energia di rinculo per ricaricare un’arma (la stessa forza che sposta in avanti il proiettile agisce nell’opposta direzione) viene utilizzato per realizzare la pistola semiautomatica. Essa viene costruita in modo da non funzionare in modo automatico (a raffica): l’espulsione del bossolo e la successiva introduzione nella camera di una cartuccia avviene in modo automatico, ma per esplodere i colpi occorre azionare ogni volta il grilletto.

Nel 1905 i Tedeschi costruiscono il primo sottomarino allo scopo di raggiungere l’Inghilterra e la Francia.

Nel 1913 viene presentato a Londra il primo biplano da guerra Vickers Fighting Biplane n. 1, da cui discenderà il caccia Vickers FB5, armato di mitragliatrice, utilizzato dall’esercito britannico dal 1915 al 1916

Nel 1914 viene inventato il gas lacrimogeno.

Nel 1915 appare il primo carro armato su cingoli.

Nel 1936 si registra il primo volo dello Spitfire, che diventerà l’aereo simbolo della Seconda guerra mondiale. Era armato con quattro mitragliatrici dotate di 300 colpi ciascuna.

Nel 1941 entrò in servizio il Lancaster, prodotto nel Regno Unito e uno degli strumenti decisivi della vittoria alleata. Si trattava di un aereo da bombardamento e venne utilizzato principalmente come bombardiere notturno.

Il 3 ottobre 1942 la Germania nazista testò con successo il missile V2, armato di tritolo e nitrato d’ammonio.  Il missile seguì una traiettoria perfetta e si schiantò a 193 km di distanza dalla piattaforma di lancio superando gli 80 km di quota. Gli Inglesi, consapevoli della grave minaccia di questa nuova arma, lanciarono una grossa offensiva contro i complessi di costruzione. Nell’immediato dopoguerra il missile V2 ebbe una breve ma intensa storia di utilizzazione. Sia gli americani sia i russi poterono disporre di centinaia di questi missili per far partire i rispettivi programmi missilistici, programmi che porteranno i due Paesi alla corsa di conquista dello spazio.

Il 13 giugno 1944, nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale, i nazisti lanciano la prima bomba volante V1 su Londra.  Questo ordigno univa le caratteristiche di un aereo a quelle di una bomba, e fu il primo esempio di missile da crociera. Il lancio terrestre della V1, di solito, avveniva grazie a una rampa di lancio inclinata. In tutto l’Inghilterra fu raggiunta da circa 10.000 ordigni di questo tipo.

Nel 1945 l’esercito americano utilizzò ampiamente il Napalm negli attacchi incendiari alle città giapponesi.  Si tratta di un’emulsione chimica altamente infiammabile. Il Napalm era già stato usato dagli USA nel 1943 in Italia per i lanciafiamme.

Nel 1942 il fisico statunitense J. Robert Oppenheimer è nominato direttore del Progetto Manhattan per lo sviluppo di un’arma nucleare e il 2 dicembre Enrico Fermi e il suo team, a Chicaco, ottiene la prima reazione nucleare a catena.   Gli Stati Uniti, con l’assistenza militare e scientifica del Regno Unito e del Canada, erano così riusciti a costruire e provare una bomba atomica prima che gli scienziati impegnati nel Programma nucleare tedesco riuscissero a completare i propri studi per dare a Hitler un’arma di distruzione di massa. Il mattino del 6 agosto 1945 alle ore 8:15 l’aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo dal lancio dell’ordigno “Fat Man” su Nagasaki. Il numero di vittime dirette è stimato da 100 000 a 200 000, quasi esclusivamente civili. Per la gravità dei danni diretti e indiretti causati dagli ordigni e per le implicazioni etiche comportate dall’utilizzo di un’arma di distruzione di massa, si è trattato del primo e unico utilizzo in guerra di tali armi.

Conclusa la Seconda guerra mondiale si aprì il periodo della Guerra Fredda tra Usa e Unione Sovietica. In questa fase, dal 1947 al 1991, i due blocchi gareggiavano per costruire le bombe più grandi e devastanti. Questi ordigni venivano testati in regioni isolate, trasferendo nel caso la popolazione, ma portando gravissimi danni all’ambiente.

I Sovietici testarono con successo la loro prima bomba atomica nel Kazakistan. In risposta a questo, gli Americani annunciarono un programma di sviluppo della bomba a idrogeno. La prima bomba a idrogeno fu testata dagli USA nell’Atollo Enewetak (Isole Marshall), nel 1952. idrogeno La deflagrazione espresse una potenza 1000 volte superiore a quella delle bombe atomiche lanciate sul Giappone. Nel 1953 anche i Sovietici testarono la loro bomba a idrogeno.

A partire dal 1900 le conoscenze scientifiche nel campo della fisica, della chimica e della genetica hanno aperto la via allo sviluppo sistematico di armi micidiali. Per questo, dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati hanno aderito a varie convenzioni per proibire l’uso di determinate armi: le più importanti sono state la Convenzione per le armi biologiche (1972) e quella per le armi chimiche (1993). Tutte le armi che sono state vietate da queste convenzioni sono dette armi non convenzionali.

Einstein diceva “Io non so con quali armi sarà combattuta la Terza guerra mondiale, ma so che la Quarta sarà combattuta con pietre e bastoni”.

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– gas chimici della prima guerra mondiale https://twitter.com/SilverBluePanda/status/490895398089678848
– Spitfire By The original uploader was Bryan Fury75 at French Wikipedia – Transferred from fr.wikipedia to Commons by Padawane using CommonsHelper., CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5200653
– bomba volante V1 CC BY-SA 3.0, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3253619
– napalm http://thekievtimes.ua/society/514658-v-sirii-primenili-napalm.html
– test nucleari in Nevada Di Federal Government of the United States – This image is available from the National Nuclear Security Administration Nevada Site Office Photo Library under number XX-27.This tag does not indicate the copyright status of the attached work. A normal copyright tag is still required., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=162759
– Hiroshima e Nagasaki By Nagasakibomb.jpg: The picture was taken by Charles Levy from one of the B-29 Superfortresses used in the attack.Atomic_cloud_over_Hiroshima.jpg: Personel aboard Necessary Evilderivative work: Binksternet (talk) – Nagasakibomb.jpgAtomic_cloud_over_Hiroshima.jpg, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12204929
– Convenzioni internazionali http://thecommonwealth.org/media/event/fourteenth-commonwealth-foreign-affairs-ministers-meeting-cfamm
– Alber Einstein By Photograph by Orren Jack Turner, Princeton, N.J. Modified with Photoshop by PM_Poon and later by Dantadd. [Public domain], via Wikimedia Commons https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Albert_Einstein_Head.jpg

Forme contrastanti di terra e acqua Montessori – Geografia

Forme contrastanti di terra e acqua Montessori: presentazioni, esercizi, istruzioni per il modellaggio con la creta e tutto il materiale stampabile pronto per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

L’istruzione moderna richiede oggi che si dia la visione delle cose e non la loro descrizione, ma non basta vedere, anziché udire: è necessario vedere in un modo speciale. Quindi il problema consiste nell’esaminare come il bambino ha bisogno di vedere e quanto occorre per risvegliare in lui un potere di azione che, una volta avviato, apre nuove vie. Così la scuola sarebbe il luogo ove il bambino acquista qualcosa entro di sé, come un’ispirazione: il bambino vede, si ispira e l’ispirazione è tanto grande che lo porta a fare cose delle quali prima non sarebbe stato capace“. (Maria Montessori, Conferenza alla Summer School di Londra, 1939).

La geografia è parte della cultura umana ed il suo studio aiuta a formare la personalità. Per questo motivo, secondo Mario Montessori, andrebbe designata col termine di psico-geografia, così come si designa la grammatica psico-grammatica, la geometria psico-geometria, ecc.

Nella Casa dei Bambini presentiamo come primo materiale per la geografia il globo smerigliato, che permette al bambino un’esperienza sensoriale legata al ruvido delle terre emerse e al liscio dell’acqua.

Si tratta di soli due elementi: l’acqua e la terra,  ma questi due elementi, incontrandosi tra loro, producono moltissime forme diverse, che possono però essere ricondotte a poche forme di base, che una volta conosciute permetteranno al bambino di operare tutta una serie di classificazioni.
Questo riconoscimento delle forme di base, che può essere considerato una chiave di lettura per tutta la geografia, comincia con le forme contrastanti di terra e acqua.

E’ sempre importante tenere a mente che con questa presentazione non esploriamo la geografia reale, ma viviamo un’esperienza sensoriale (visiva) allo scopo di preparare il bambino allo studio futuro della Geografia fisica, in particolare alla geomorfologia e all’idrologia.

Le tre forme contrastanti di terra e acqua che presentiamo sono tre forme di terra (isola, penisola, istmo) e tre forme di acqua (lago, golfo, stretto), che sono opposte a due a due in questo modo: – isola-lago; penisola-golfo; istmo-stretto.

Esistono in commercio materiali tridimensionali già pronti, ad esempio quelli di Boboto che avevo presentato nel post Forme della terra e dell’acqua. Prima dell’acquisto, però, ci sono delle considerazioni da fare, perchè questo è uno dei pochi casi in cui il “fatto a mano” si prospetta  come migliore rispetto al materiale pronto, soprattutto perchè il materiale pronto, anche quello ben fatto, priva il bambino di un’esperienza manuale e sensoriale importante. C’è da aggiungere inoltre che nel materiale pronto in commercio di riscontrano errori quali l’aspetto tridimensionale (è importante che i contrasti siamo bidimensionali!), e il fatto che presentano più dei tre contrasti previsti da Maria Montessori in base al principio della “limitazione del materiale” (è importante che il materiale non offra più di quello che è necessario!).

Materiali stampabili

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

Forme contrastanti di terra e acqua
presentazione con creta e acqua

Materiale:
– strisce di carta e penna
– argilla in polvere
– una brocca d’acqua per impastare l’argilla
– un tagliere grande di legno per impastare
– un coltello o uno stecchino di legno (del tipo da spiedino)
– una brocca con acqua colorata di blu (preferibilmente con colorante alimentare)
– una spugna o un cucchiaio
– sei vassoi possibilmente rettangolari, di alluminio o plastica, possibilmente 30 x 20 cm, con un bordo di circa 3 cm di altezza.

Per le immagini che trovate nella presentazione io ho usato contenitori più piccoli di quelli previsti, tagliando il bordo di sei piattini di plastica. Può essere una soluzione economica e pratica per la seconda fase del lavoro, quando a modellare l’argilla saranno i bambini.

L’argilla (comunemente anche detta creta) si può acquistare nei colorifici o anche online. Non viene venduta in polvere, come richiederebbe l’esercizio, ma può essere fatta seccare e poi ridotta in polvere con un martelletto.

Maria Montessori ha espressamente indicato l’argilla in polvere per questa attività, non solo perchè è un prodotto naturale, ma soprattutto perchè è davvero terra, come quella che i bambini conoscono quando giocano all’aperto.  In alternativa potreste scegliere di preparare una pasta da modellare con farina, sale, colorante marrone ed eventualmente colla vinilica. Non avendo a disposizione la creta, e non lavorando coi bambini, per le presentazioni che seguono io ho fatto così.

Presentazione:
– portiamo il materiale su un tavolo, se è possibile all’aperto, e invitiamo un gruppo di bambini alla presentazione
– prendiamo l’argilla in polvere e impastiamola con l’acqua, come si fa con la pasta fatta in casa. Intanto raccontiamo ai bambini cos’è l’argilla: “Questa si chiama argilla. E’ una terra formata da piccolissimi granelli di roccia e da sali. Ora la sto impastando con un po’ d’acqua per formare una specie di fango duro”. Questa, naturalmente, è la presentazione del lavoro, ma è molto importante che in una seconda fase ogni bambino prepari la creta con le sue mani e modelli le forme per “le mani lavorano la creta e la creta lavora le mani del bambino
– quando abbiamo ottenuto un impasto piuttosto compatto, non troppo morbido, dividiamolo in tre parti uguali e stendiamo ogni parte in una vaschetta diversa. Ogni vaschetta deve essere riempita di creta ben livellata, perchè vogliamo rappresentare una forma bidimensionale (e non fare un plastico)
– prendiamo la brocca di acqua blu e riempiamo le rimanenti tre vaschette, ma a un livello leggermente più basso di quello della creta, per evitare che nei passaggi successivi l’acqua trabocchi o sommerga le forme di terra
– mettiamo le vaschette in riga, alternandole (una di terra, una di acqua), poi mettiamo davanti ai bambini una delle tre coppie e indicandole diciamo “Questa è la terra”; “Questa è l’acqua”


(Dal punto di vista religioso-biblico, questa immagine rimanda alla Creazione come descritta nella Genesi:E Dio separò le acque che stavano sotto il firmamento da quelle che stavano sopra il firmamento; e chiamò terra l’asciutto e mare l’ammasso delle acque“.)
– scriviamo sui cartellini di lettura le parole TERRA e ACQUA

– togliamo i cartellini di lettura
– incidiamo fino al fondo della vaschetta la superficie di argilla col coltello o lo stecchino di legno, descrivendo una forma tondeggiante dai contorni non troppo regolari

– estraiamo la forma che abbiamo ritagliato e trasferiamola in una vaschetta d’acqua, posizionandola al centro
– con il cucchiaio o imbevendo la spugna versiamo dell’acqua blu nel foro di creta. Accostiamo i due vassoi e indicandoli diciamo : “Questa è un’isola”; “Questo è un lago”

– scriviamo i due nomi su due strisce di carta (bigliettini di lettura) e mettiamole accanto ad ogni forma creata e ripetiamo: “Isola”, “Lago” come primo tempo della lezione per imparare i nomi
– chiediamo a un bambino :”Mi indichi l’isola?”, “Qual è il lago?”
– infine facciamo in modo che il bambino nomini gli oggetti, ad esempio chiedendo: “Questo cos’è?”
– ripetiamo il procedimento per le altre due coppie di opposti, cioè per la penisola e il golfo,

– e per lo stretto e l’istmo


– come già detto, dopo questa presentazione è molto importante che ogni bambino crei le sue forme della terra e dell’acqua con creta e acqua colorata. E’ molto importante che il bambino lavori con le sue mani, trattandosi di un’attività prettamente sensoriale.

Scopi:
– vivere un’esperienza sensoriale in relazione alla geomorfologia
– riconoscere le principali configurazioni orizzontali della superficie terrestre
– riconoscere che le forme sono contrasti tra loro
– obiettivi indiretti quali lo sviluppo muscolare, la coordinazione e il controllo dei movimenti e la preparazione al lavoro artistico di modellaggio della creta.

Età:
dai 3 anni

Nomenclature:
argilla, creta, acqua, brocca, spugna ecc.,  il nome delle forme contrastanti di terra e acqua.

Nota:
– le forme non vanno adornate da casine, alberelli, barchette ecc. , che finirebbero per distrarre dall’essenziale,  mentre è proprio l’isolare la qualità ad illuminare il concetto.

Forme contrastanti di terra e acqua
ricerca di definizioni

– oltre a redigere i cartellini di lettura, possiamo comporre delle carte delle definizioni con la collaborazione attiva dei bambini; per farlo mettiamo i sei vassoi delle forme contrastanti di terra e acqua davanti ai bambini e discutiamo insieme, ponendo loro varie domande e chiedendo di osservare le forme con attenzione: “Hai mai visto un’isola?”; “Hai mai visto un lago?”; “Com’era l’isola che hai visto?”; “Cosa hai fatto quando hai visto il lago?”
– ogni volta che abbiamo trovato una definizione, scriviamola su un cartoncino e mettiamola accanto alla forma, col cartellino di lettura.

Forme contrastanti di terra e acqua: collage

Materiale:
– forme contrastanti di terra e acqua realizzate con l’argilla
– fogli di carta blu e fogli di carta marrone quadrati, possibilmente nelle misure 14 x 14 cm
– fogli bianchi più grandi per incollare le forme create
– penna o pennarello
– forbici
– colla
– nomenclature in tre parti (immagine+ nome, solo immagine, solo nome), ma per questa presentazione usiamo solo le ultime due
– poster delle forme contrastanti di terra e acqua.

Presentazione:
– mettiamo le forme contrastanti di terra e acqua lungo il margine superiore del piano di lavoro
– sovrapponiamo un foglio blu e un foglio marrone e, senza disegnare e tenendo i due foglietti uniti con la mano sinistra, tagliamo con le forbici la forma dell’isola


– separiamo i due colori in modo da ottenere quattro pezzi; separiamo i due colori e scambiamo tra loro gli “incastri”. Incolliamo ogni contrasto su un foglio,

– scrivendone il nome


– abbiniamo i due collage alle rispettive forme di creta e diciamo: “Abbiamo già rappresentato l’isola e il lago con la creta e con l’acqua, ora lo abbiamo fatto anche con la carta”


– ripetiamo con le altre coppie di contrasti: penisola e golfo

– istmo e stretto:

– aggiungiamo schede con le immagini delle nomenclature delle forme contrastanti di terra e acqua
– distribuiamo i cartelli dei nomi tra i bambini, che li abbineranno alle immagini


– mostriamo il poster


– riordiniamo, mostrando ai bambini dove trovare il materiale nello scaffale della geografia.

In seguito il bambino realizzerà da solo i collage etichettandoli, e scriverà le sue definizioni. Potrà anche realizzare un libretto, o utilizzare carta vetrata al posto del cartoncino marrone per la terra.

Forme contrastanti di terra e acqua
ricerca sul globo smerigliato

Ognuna delle sei forme contrastanti di terra e acqua deve in secondo tempo essere ricercata sul globo smerigliato, identificando le forme e non il nome (penisola, e non Italia; isola, e non Irlanda).

Materiale:
– forme contrastanti di terra e acqua in argilla
– globo smerigliato.

Presentazione:
– mostriamo il globo e una forma e cerchiamola sul globo
– nominiamo la forma
– continuiamo con le altre forme.

In seguito il bambino potrà cercare le forme contrastanti della terra e dell’acqua sul globo colorato, sull’incastro del planisfero e sulle cartine geografiche.

Forme contrastanti di terra e acqua
nomenclature per la scuola d’infanzia

Nella Casa dei Bambini le forme contrastanti di terra e acqua possono rispondere alla “fame di parole nuove” tipica dei bambini a questa età, oltre che essere la risposta per l’interesse naturale per le forme. Nella fascia d’età che va dai 3 ai sei anni, i bambini hanno la capacità innata di assorbire con precisione immagini concrete e, insieme, la terminologia corrispondente, fissando entrambe nella memoria.
Tenendo presenti queste caratteristiche, proponiamo ai bambini le nomenclature composte da schede parlate e schede mute (per la lezione in tre tempi) con biglietti di lettura per l’appaiamento e un poster riassuntivo per il controllo. Questo materiale serve a dare al bambino una forma col suo nome. In seguito, per i bambini che sanno leggere, si proporranno anche le schede delle definizioni.
Le immagini contenute nelle nomenclature per le forme contrastanti di terra e acqua rappresentano per i bambini  la prima vera “carta geografica”, cioè una rappresentazione in due dimensioni della realtà tridimensionale. Per facilitare la comprensione di questo passaggio di dimensione, cioè per capire che le linee delle mappe rappresentano forme della terra e dell’acqua, è utile preparare nomenclature a tre livelli di semplificazione:
– immagini con la terra in marrone e l’acqua in blu


– immagini con la terra in marrone e l’acqua in blu, con la zona di incontro tra terra e acqua evidenziata in rosso


– immagini che presentano solo il contorno rosso delle forme.

Le immagini che inseriamo in queste nomenclature devono rappresentare il concetto, ad esempio, di isola e mostrare le caratteristiche che servono ad identificare qualsiasi isola. Non devono rappresentare un’isola in particolare (anche perchè nella realtà non esiste un dato lago di forma perfettamente corrispondente a una data isola). Bisogna inoltre precisare che le sei forme proposte sono elementi geografici “contrastanti” soltanto da un punto di vista dell’esperienza sensoriale.

Completano il materiale le definizioni, per i bambini che sanno già leggere,  e il poster murale, che appeso in classe serve per il controllo autonomo dell’errore. Allo  stesso scopo possiamo usare una copia del materiale per realizzare un libretto delle forme contrastanti di terra e acqua.

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NOMENCLATURE DELLE FORME CONTRASTANTI DI TERRA E ACQUA scuola d’infanzia 3 contrasti

Prerequisiti:
– modellaggio delle forme con argilla e acqua
– lezioni in tre tempi per il nome delle forme contrastanti di terra e acqua
– ricerca sul globo smerigliato delle forme contrastanti di terra e acqua.

Materiale:
– tavolo a tappeto
– forme contrastanti di terra e acqua in argilla
– nomenclature delle forme contrastanti di terra e acqua.

Presentazione:
– invitiamo un gruppo di bambini ad unirsi a noi nell’esercizio e portiamo il materiale sul piano di lavoro
– diciamo ai bambini che faremo un nuovo esercizio con le forme contrastanti di terra e acqua
– mettiamo le forme contrastanti di terra e acqua lungo il margine superiore del tappeto, in ordine casuale
– indichiamo la busta con le nomenclature e diciamo: “Queste sono le nostre nomenclature per le forme contrastanti di terra” e spargiamole in ordine casuale sul piano di lavoro, verso il margine inferiore del piano di lavoro
– chiediamo al bambino di trovare una carta si possa abbinare alla prima forma di argilla e darcela, quindi mettiamola sotto alla forma di argilla.
– continuiamo allo stesso modo fino a completare la prima serie, poi passiamo alla seconda e infine alla terza, formando colonne di carte sotto ogni forma di argilla
– verifichiamo gli abbinamenti con il poster, che potremo poi appendere al muro
– se i bambini sanno leggere, l’esercizio può proseguire abbinando alle forme anche le definizioni
– terminata la presentazione riordiniamo mostrando ai bambini dove potranno trovare tutto il materiale per i loro esercizi individuali o di gruppo.

Nota: per questa presentazione utilizziamo solo le schede immagine+nome di ogni set.

Per i giorni seguenti:
– lavoriamo con le carte delle nomenclature complete (immagine+nome, solo immagine, solo nome), e con i poster e i libretti (per il controllo autonomo dell’errore)
– lavoriamo solo con le carte, senza usare le forme in argilla
– aggiungiamo gradualmente nomenclature per altre forme contrastanti di terra e acqua, presentando i nomi con la lezione in tre tempi (nominare, far identificare l’oggetto, far nominare l’oggetto)
– chiediamo ai bambini di realizzare da soli delle nuove nomenclature
– chiediamo ai bambini di realizzare da soli dei libretti delle forme contrastanti di terra e acqua.

Definizioni per le forme contrastanti di terra e acqua
per la scuola d’infanzia

Il lago è una massa d’acqua completamente circondata dalla terra.
L’isola è un pezzo di terra completamente circondato dall’acqua.

La penisola è un pezzo di terra che si estende nell’acqua e che è quasi del tutto circondato dall’acqua.
Il golfo è una rientranza del mare che si addentra nella terra.

L’istmo è una sottile striscia di terra che congiunge due grandi terre.
Lo stretto è una sottile distesa d’acqua che si trova fra due terre e che congiunge due mari.

Come detto, il materiale originale comprende esclusivamente queste tre coppie contrastanti, ma siccome molto del materiale in commercio aggiunge anche le coppie arcipelago-sistema di laghi e capo-baia ho preparato anche questo materiale. Può essere comunque presentato come estensione della presentazione principale.

L’arcipelago è un gruppo di isole.
Il sistema dei laghi è un gruppo di laghi.

Il capo è una sporgenza della costa che si estende sul mare partendo con uno spazio stretto che poi si allarga sul mare.
La baia è un’insenatura che, a differenza del golfo, ha un’entrata dal mare stretta e poi si allarga via via che penetra nell’entroterra.

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Forme contrastanti di terra e acqua
collezione di cartoline dal mondo

Possiamo preparare carte illustrate con riproduzioni fotografiche delle sei forme contrastanti di terra e acqua, sia nel nostro Paese, sia a livello mondiale, da completare con nome luogo in cui si trova.
Questo materiale può essere anche preparato insieme ai bambini, chiedendo loro di portare cartoline, fotografie di vacanze, ritagli di riviste.

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Forme contrastanti di terra e acqua
Memorizzazione coi planisferi di controllo

Con i bambini da 3 a 6 anni si può iniziare a localizzare su mappe le forme di terra e acqua presentate. Oltre ad imparare a localizzarle, i bambini possono memorizzare il loro nome.
Per questa attività si predispongono sei carte geografiche parlate (planisferi di controllo) e i sei corrispondenti planisferi muti con cartellini a parte (per l’esercizio). Ogni planisfero conterrà i contorni e una forma evidenziata (planisfero delle isole, planisfero dei laghi, ecc.)
Avere una visione d’insieme rende felici, soddisfatti e non affatica perchè il desiderio di conoscere tutti i particolari viene a poco a poco“.

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Forme contrastanti di terra e acqua
Nella scuola primaria (secondo livello)

Plastici

Dopo i 6 anni i bambini, oltre a modellare con l’argilla le configurazioni orizzontali, realizzeranno plastici per le configurazioni verticali: la montagna e le sue parti, la pianura, l’altopiano, il corso del fiume e molti altri.

Ricerca etimologica

Nella scuola primaria i bambini si interessano all’origine delle parole che si usano nello studio della geografia. Per questo nelle nomenclature classificate ho aggiunto l’etimologia delle parole.

Nomenclature classificate per la Geografia

Le nomenclature classificate per la Geografia, nella scuola primaria, sono un materiale vastissimo. Ne fanno parte quelle della configurazione orizzontale delle forme della terra e dell’acqua, poi quelle per la configurazione verticale, poi quelle di tutto ciò che è oggetto di studio della geografia fisica, in particolare della geomorfologia e dell’idrografia.
La nomenclatura classificata completa per la geografia comprende tra l’altro: la struttura della terra, la struttura dell’atmosfera, la terra, la superficie terrestre, le forme della terra e dell’acqua (configurazione orizzontale), le forme della terra e dell’acqua (configurazione verticale), le isole, la costa, la montagna, la pianura, la valle, l’idrosfera, i ghiacciai, le morene, il fiume, le raccolte d’acqua, i laghi, ecc… Comprendono inoltre le forme intermedie (pseudo-penisola, capo, baia, punta…) e le parti delle forme terrestri come le parti della montagna (falde, piede, cima, cresta, valle, collina, pianura…), le parti del fiume (sorgente, rive, letto, foce, profondità, pendenza, portata…) ecc., e i tipi speciali di forme terrestri come isole oceaniche o continentali, arcipelago, vulcani, catena di montagne o massiccio, delta o estuario, ecc.

Qui propongo:
– forme della terra e dell’acqua (configurazione orizzontale)
– forme della terra e dell’acqua (configurazione verticale)
– forme della terra (litosfera)
– forme dell’acqua (idrosfera).

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Qui il post: Nomenclature per le forme della terra per la scuola primaria

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Lavorare con i dati

L’immaginazione del fanciullo è vaga, imprecisa, illimitata. Ma non appena egli entra in contatto col mondo esterno, ha bisogno di esattezza“. (Maria Montessori – Dall’infanzia all’adolescenza).
Per quanto riguarda la Geografia, dopo aver dato la nomenclatura e la localizzazione delle forme di tera e acqua, possiamo unire a queste informazioni i dati numerici (lunghezza dei fiumi, superfici di isole, penisole, ecc., altezza delle montagne…
Maria Montessori ha raccomandato, per i grandi numeri, che “la grandezza non sia solo una parola, ma abbia dimensioni e permetta confronti“.
Grazie a tavole con dati numerici possiamo accompagnare i bambini a scoprire, ad esempio, che l’area della Groenlandia, che è la più grande isola del mondo, corrisponde ad un quadrato che misura 1500 chilometri di lato e che servirebbero nove isole grandi come la Gran Bretagna per formare un’isola grande come lei.

Per lavorare con i dati, nei planisferi di controllo, che possono essere usati a partire dalla scuola d’infanzia, si trovano vari spunti:

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Forme contrastanti di terra e acqua
Ne parlano

– Il quaderno Montessori – primavera 2000. “Forme contrastanti di terra e d’acqua”, Camillo Grazzini.
– Il quaderno Montessori – estate 1997. “Alla scoperta della Terra”, appunti di Adele Costa Gnocchi sulla conferenza di Maria Montessori alla Summer School (Londra) del 1939.
– Il quaderno Montessori – autunno 1995. Armonia educativa nella scuola elementare Montessori, Grazia Honegger Fresco.
– Il quaderno Montessori – estate 2008. “La geografia come risposta alle domande dei bambini” da “Lezioni di Mario Montesano Montessori” di Flaminia Guidi.
http://worldlandforms.com/

Nomenclature delle forme dell’acqua (idrosfera)

Nomenclature delle forme dell’acqua (idrosfera) per la scuola primaria, pronte per la stampa.

Le nomenclature classificate per la Geografia, nella scuola primaria, sono un materiale vastissimo. Ne fanno parte quelle della configurazione orizzontale delle forme della terra e dell’acqua, poi quelle per la configurazione verticale, poi quelle di tutto ciò che è oggetto di studio della geografia fisica, in particolare della geomorfologia e dell’idrografia.
La nomenclatura classificata completa per la geografia comprende tra l’altro: la struttura della terra, la struttura dell’atmosfera, la terra, la superficie terrestre, le forme della terra e dell’acqua (configurazione orizzontale), le nomenclature delle forme della terra (configurazione verticale), le nomenclature delle forme dell’acqua, le isole, la costa, la montagna, la pianura, la valle, l’idrosfera, i ghiacciai, le morene, il fiume, le raccolte d’acqua, i laghi, ecc… Comprendono inoltre le forme intermedie (pseudo-penisola, capo, baia, punta…) e le parti delle forme terrestri come le parti della montagna (falde, piede, cima, cresta, valle, collina, pianura…), le parti del fiume (sorgente, rive, letto, foce, profondità, pendenza, portata…) ecc., e i tipi speciali di forme terrestri come isole oceaniche o continentali, arcipelago, vulcani, catena di montagne o massiccio, delta o estuario, ecc.

Qui propongo le nomenclature delle forme dell’acqua, con immagine, nome e definizione con etimologia.

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

Di seguito, se preferisci realizzarle in proprio, trovi i contenuti e i riferimenti per le immagini.

Il lago è una grande massa d’acqua raccolta in una concavità del terreno e completamente circondata da terra.
Etimologia: dal latino lacus (cavità del suolo).

La baia è un’insenatura poco estesa della costa, che presenta un’entrata piuttosto stretta e che poi penetra profondamente nell’entroterra.
Etimologia: dal francese bayer (avere la bocca aperta).

Lo stretto è una via d’acqua stretta che collega due grandi corpi d’acqua.
Etimologia: dal latino strictus (allacciato serrato, stretto).

Una cascata è una discesa perpendicolare o molto ripida di acqua.
Etimologia: dal latino cadescrere (venire dall’alto al basso).

Una laguna è un bacino costiero poco profondo parzialmente separato dal mare o dall’oceano da una barriera di sabbia o corallina. E’ caratterizzata da acqua salmastra e maree.
Etimologia: dal latino lacuna (spazio vuoto).

La ría è un’insenatura che si forma quando una costa alta si abbassata e il mare entra occupando una valle in cui scorre un fiume. Le rías sono tipiche della regione spagnola della Galizia, ma sono diffuse un po’ in tutto il mondo.
Etimologia: è una parola spagnola che deriva dal latino rivum (fiume).

Il fiume è un corso d’acqua perenne che scorre sulla superficie terrestre (o in alcuni casi al di sotto di essa) guidato dalla forza di gravità; può essere alimentato dalle piogge, dallo scioglimento di nevi e ghiacciai o dalle falde acquifere sotterranee.
Etimologia: dal latino flumen (che fluisce).

L’estuario è lo sbocco dei fiumi che giungendo alla foce non creano depositi di sedimenti ma sfociano in un unico canale o ramo.
Etimologia: dal latino aestuarium (bollore, agitazione del mare, marea).

Un delta è un tratto di terra che si forma alla foce per l’accumulo di sedimenti trasportanti del fiume.
Etimologia: nome della quarta lettera dell’alfabeto greco, che ha la forma di un triangolo.

Un affluente (o tributario) è un corso d’acqua che versa le sue acque in un altro corso più grande.  Il luogo dove due o più corsi d’acqua si incontrano unendo le loro acque viene detto confluenza.
Etimologia: dal latino affluere (scorrere verso).

Un ghiacciaio è una grande massa di neve ghiacciata, che si raduna negli avvallamenti delle montagne, e scorrente molto lentamente verso il basso per gravità.
Etimologia: dal latino glacies (ghiaccio).

Un iceberg è una grande massa di ghiaccio che si è staccata da un ghiacciaio o da una piattaforma di ghiacciai e galleggia alla deriva nel mare. La maggior parte di un iceberg è sott’acqua.
Etimologia: dall’olandese ijs (ghiaccio) e berg (montagna).

Gli oceani sono le più vaste distese d’acqua salata presenti sulla superficie terrestre, che separano i continenti. Si distinguono dai mari per le dimensioni molto maggiori.
Etimologia: dal latino oceanus (massa, moltitudine).

Un geyser è un’apertura nel terreno che espelle acqua calda e vapore a causa dell’attività vulcanica.
Etimologia: dall’islandese Geysir, nome di una sorgente di acqua calda.

Un mare mediterraneo è un tipo di  mare interno che bagna continenti o  subcontinenti diversi. Il termine prende origine dal Mare Mediterraneo, che ne è il prototipo ed è l’unico ad essere riportato nelle carte geografiche.
Etimologia: dal latino mediterraneus (che sta in mezzo alle terre).

Un arroyo è il letto asciutto di un ruscello che si riempie solo dopo una forte pioggia, o stagionalmente. Gli arroyo si trovano soprattutto in ambienti montani desertici.
Etimologia: è una parola spagnola.

Un blowhole è un foro di una grotta marina nella quale si crea una forte pressione. Quando questa pressione è abbastanza forte, si creano spruzzi di acqua.
Etimologia: parola inglese composta da hole (buco) e blow (spruzzo).

Il fossato faceva parte del sistema di difesa delle antiche città fortificate. Si tratta di uno scavo attorno al perimetro esterno. Spesso si scavava fino a raggiungere la falda acquifera.
Etimologia: dal latino fossus (scavato).

Una falda acquifera è una zona di rocce permeabili, cioè che assorbono acqua. Questa poi si deposita tra gli strati del terreno.
Etimologia: la parola falda, che deriva dal termine tedesco falte, che vuol dire piega o strato.

Una pseudo-dolina (in inglese kettle)  è un corpo d’acqua poco profondo che si è creato dal distacco di blocchi di ghiaccio da ghiacciaio. La ha un diametro minore di due chilometri.
Etimologia: dal greco pseydes (falso) e dallo sloveno dol (valle).

Una lanca è un meandro fluviale abbandonato dal fiume. Diversi esempi di lanca si trovano nella Pianura Padana, creati dal Po e dal Ticino.
Etimologia: parola pre-latina, simile al lituano lankà (valle).

Un crepaccio è una grande crepa in un ghiacciaio che può essere vista dalla superficie. In genere si tratta di una fenditura profonda e di grandi dimensioni.
Etimologia: accrescitivo di crepa, dal latino crepare (scricchiolare, scoppiare).

Una caverna glaciale è una cavità che si forma all’interno di un ghiacciaio.
Etimologia: dal latino cavus (incavato) e glacies (ghiaccio).

Un golfo è un tratto di mare o di oceano che penetra in modo più o meno accentuato tra la terraferma.
Etimologia: dal greco kolpos (seno).

Un meandro è un’ampia curva di un fiume con una sponda concava e una convessa. Spesso queste curve producono una forma circolare.
Etimologia: il termine proviene dal nome greco Maiandros di un  fiume della Turchia.

Una zona umida è un ambiente naturale (palude, acquitrino, torbiera  ecc.) con acque profonde non più di sei metri.
Etimologia: dal latino zona (recintato) e umidus (essere bagnato).

Un lago di cascata è una depressione profonda alla base di una cascata creata dalla forza dell’acqua.
Etimologia: dal latino lacus (cavità del suolo) e cascare (venire dall’alto in basso).

Una palude è una zona coperta d’acqua con una vegetazione e una fauna particolari, che si sono adattate all’elevata umidità. Molte paludi si formano lungo i grandi fiumi o sulle rive dei grandi laghi. Esistono paludi d’acqua dolce o salata.
Etimologia: dal latino palus (melma).

Insenatura (o seno) è il termine generico per descrivere una massa d’acqua che penetra entro terra. Le dimensioni di un’insenatura possono essere enormi, come nel caso del  golfo del Bengala, o molto piccole, come nel caso delle calette.
Etimologia: la parola è un derivato di seno, dal latino sinus, che era un lembo della toga romana con molte pieghe ondulate.

Un lago glaciale è un lago che si è formato in una cavità scavata da un ghiacciaio.
Etimologia: glacies (ghiaccio) e lacus (cavità del suolo).

La rapida è il tratto di un fiume il cui letto acquista pendenza in modo brusco, producendo onde e turbolenza. E’ una via di mezzo fra una corrente tranquilla ed una cascata.
Etimologia: dal latino rapidus (portare via).

Un lago artificiale è un bacino creato dall’uomo, con la costruzione di una diga, per raccogliere una grande massa d’acqua.
Etimologia: dal latino lacus (cavità del suolo) e artificium (artificio).

La marea è il regolare aumento (alta marea) e diminuzione (bassa marea) del livello degli oceani e delle acque connesse all’oceano.
Etimologia: dal latino mareare (navigare).

Il fiordo è un’antica valle glaciale riempita dal mare. È più stretto e più profondo all’imboccatura, poi si allarga.
Etimologia: dal norvegese fjord (approdo).

Cenote è il nome che si usa in America Centrale per grotte sotterranee parzialmente crollate, quindi aperte alla superficie, che raccolgono al loro interno bacini di acqua dolce.
Etimologia: dal maya antico tz’ono’ot.

Una dolina marina è una grande dolina subacquea che si è formata in tempi preistorici, quando il livello del mare era più basso. Quando i mari si sono innalzati, queste doline sono state invase dell’acqua marina.
Etimologia: dallo sloveno dol (valle).

Una cala è una piccola con entrata stretta che poi si allarga in forma circolare. Spesso le cale si trovano all’interno di una baia più grande. Quelle più piccole si chiamano calette.
Etimologia: dal latino cajare (chiudere, trattenere).

Un fiardo è un ingresso marino in un terreno roccioso ghiacciato a basso rilievo. I fiardi hanno un profilo più corto, più profondo e più ampio del profilo di un fiordo. Anche se i fiardi e fiordi sono simili, i fiordi hanno ripide scogliere di alto rilievo mentre i fiardi sono una depressione con coste più basse. I fiardi inoltre tendono a riempirsi materiali erosi e a trasformarsi in paludi salate.
Etimologia: è una parola norvegese.

Barachois è un termine usato in Canada per descrivere una laguna costiera separata dal mare da una barriera di sabbia o ghiaia. L’acqua salata può entrare nel barachois solo durante l’alta marea .
Etimologia: dal basco barratxoa che significa piccola barriera.

Un lago anchialino è una piccola massa d’acqua senza sbocco collegata all’oceano in maniera sotterranea.
Etimologia: dal greco ankhialos (vicino al mare).

Un bacino idrografico è l’area delle acque che scorrono sulla superficie del suolo e si uniscono a un corpo più grande (fiume, lago o mare interno). Ad esempio abbiamo il “il bacino idrografico del Rio delle Amazzoni”.
Etimologia: dal latino baccinus (recipiente di terracotta per raccogliere liquidi).

Il bayou è un ecosistema tipico della Louisiana. È un corpo di acqua in una zona pianeggiante e bassa, e può essere un fiume molto lento, o un lago paludoso o una zona umida. Molti bayou ospitano i gamberetti e altri molluschi, pesci rossi, rane, rospi, coccodrilli americani, aironi, tartarughe, vongole, serpenti.
Etimologia: dalla parola Choctaw  bayouk, che significa “tortuosità”.

Il ruscello è un piccolo corso d’acqua che origina delle acque piovane o da sorgenti, e che di solito confluisce in un corso d’acqua maggiore. Il ruscello solitamente scorre al centro di una piccola valle pianeggiante, la sua larghezza non è superiore a qualche metro ed è poco profondo.
Etimologia: dal latino rivuscellus (piccolo fiume).

 

La sorgente è un’area più o meno estesa della superficie terrestre dove viene alla luce, in modo del tutto naturale, l’acqua di una falda acquifera.
Etimologia: dal latino surgere (nascere).

Il billabong è una tipica  lanca australiana, che ha origine da un meandro fluviale abbandonato. Si tratta di una pozza d’acqua stagnante. che si riempie d’acqua stagionalmente ed è asciutta per gran parte dell’anno.
Etimologia: La parola è deriva dal Wiradjuri bilaba, che significa “acqua che corre solo dopo la pioggia”.

Un canale artificiale è un  corso d’acqua almeno in parte opera dell’uomo, creato per l’ irrigazione o come via navigabile.
Etimologia: dal latino canalis (canna).

Un canale naturale è un braccio di mare ristretto che collega due oceani o due mari. Spesso viene considerato come sinonimo di “stretto”. Se queste sono di caratteristiche simili (densità, salinità, temperatura) si parla di canale; se invece le caratteristiche sono dissimili si parla di Stretto.
Etimologia: dal latino dal latino canalis (canna) e naturalis (della natura).

Un effluente è un corso d’acqua che si allontana dal fiume principale.  Il termine non va confuso con quello di emissario, con il quale si intende in genere il corso d’acqua che esce da un lago.
Etimologia: dal latino effluere (sgorgare).

Un emissario è un corso d’acqua che esce da un lago.
Etimologia: dal latino emittere (mandar fuori).

Un immissario è un corso d’acqua che da solo o assieme ad altri fa affluire l’acqua in un lago.
Etimologia: dal latino immittere (mandare dentro).

Uno stagno è uno specchio d’acqua ferma di dimensioni ridotte e fondale poco profondo. Differisce dalla palude perché non è prodotto  dall’inondazione fluviale o marina di aree pianeggianti, e per la minor presenza di limo.
Etimologia: dal latino stagnum (stagno).

Una pozzanghera è un piccolo accumulo di acqua.  Si può formare all’interno di piccole depressioni o direttamente sulla superficie piatta, tenuta insieme dalla tensione superficiale.
Etimologia: derivato di pozza.

La rada è un’insenatura naturale o artificiale dove le imbarcazioni possono ancorare e sostare in sicurezza al riparo dai venti e dalle correnti.
Etimologia: dal francese rade (preparare per la partenza).

Il mare è una vasta distesa di acqua salata connessa con un oceano, che bagna isole e continenti.
Etimologia: dal latino mare.

Nomenclature delle forme dell’acqua
Immagini

– fiordo: https://commons.wikimedia.org/wiki/File%3ATrollfjorden_002.jpg
– cenote: By Luis Miguel Bugallo Sánchez – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– dolina marina – By U.S. Geological Survey (USGS) – Source: [1], fetched September 2006. Caption on this USGS web page was, “Blue Hole: Aerial view of the 400-ft-deep oceanic blue hole (Lighthouse Reef Atoll Blue Hole) located east of Belize.”, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1813649
– cala By Brocken Inaglory – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php
– fjard – By Mourial – Own work, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6352266
– ria – By Mess – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4327427
– insenatura https://pixabay.com/it/corsica-francia-mare-natura-738743/
– grotta sommersa By Dave Bunnell / Under Earth Images – Transferred from en.wikipedia to Commons., CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32802956
– lago anchialanoDi Forest & Kim Starr, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?
– arroyo Di Fev – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?
– lago artificiale – By Rhys Jones  to Flickr as Kariba, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia
– bacino idrografico CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19926
– baia Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=483180
– bayou Di Jay Carriker (User:JCarriker) – Author, CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/
– ruscello Di Derek Jensen – Opera propria, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?
– bight By Nachoman-au – A digital photograph myself CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org
-canale –  By Didier Descouens – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/
– effkebte Di F Ceragioli – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?
– emissario – Di Alessandro Vecchi – Opera propria CC BY-SA 3.0 https://commons.wikimedia.org/
– immissario Di F Ceragioli – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/
– delta Di NASA – from NASA World Wind., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/
– estuario By Mattole Restoration Council – Mattole, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– ghiacciaio By Guilhem Vellut from Paris – Glacier, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/
– pseudodolina Di Beeblebrox di Wikipedia in inglese, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– laguna By Makemake at the German language Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– lago Di Alessandro Vecchi – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/
– mare mediterraneo Di Jonathan Chase – Chase J (2012) CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/
– fossato By Pbrundel at Dutch Wikipedia(Original text: P. Brundel) – Transferred from nl.wikipedia to Commons. Transfer was stated to be made by User:Multichill.(Original text: Eigen werk), Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3122844
– oceano By Tiago Fioreze – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– lanca http://www.trekearth.com/gallery/Europe/Italy/Lombardia/Pavia/Zelata_di_Bereguardo/
– stagno http://www.carnetdevoyage.it/2016/03/29/
– pozzanghera CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=185765
– fiume Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3613465
– rada By Frank Vincentz – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– mare Di Joaquín Martínez Rosado – Opera propria, GFDL, https://commons.wikimedia.org/
– sorgente Di Castrocane – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– falda acquifera http://www.nove.firenze.it/prato-una-falda-acquifera-sotterranea
– zona umida Di Doronenko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– stretto Di Astronaut photograph ISS008-E-21752 – NASA Earth Observatoryhttp:// earthobservatory. nasa.gov/Newsroom/NewImages/images.php3?, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/
– iceberg Di Andreas Tille – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?
– oceano By Tiago Fioreze – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?
– geyser By Andreas Tille – Own work – see http://fam-tille.de/sparetime.htmlImage with Information in EnglishBild mit Informationen auf Deutsch, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?
– crepaccio GFDL con disclaimer, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=151673
– golfo By Jeff Schmaltz, MODIS Land Rapid Response Team, NASA GSFC – MODIS Image of the day August 1, 2008, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4519699
– meandro Di Christian Mehlführer, User:Chmehl Opera propria, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/
– lago di cascata https://www.flickr.com/photos/ivan1311/14182013118
– palude Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=295081
– lago glaciale By Miguel Barcala – Ibón de Sabocos, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/
– rapide By M. Rehemtulla – http://www.flickr.com/photos/quoimedia/5546340019/ sizes/o/ in/ photostream/, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14692899
– marea By © Samuel Wantman / Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/
– effluente By Plepo – Own work, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1480857
– pozzanghera By Ildar Sagdejev (Specious) – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/

Nomenclature delle forme della terra (litosfera)

Nomenclature delle forme della terra (litosfera) per la scuola primaria, pronte per la stampa.

Le nomenclature classificate per la Geografia, nella scuola primaria, sono un materiale vastissimo. Ne fanno parte quelle della configurazione orizzontale delle forme della terra e dell’acqua, poi quelle per la configurazione verticale, poi quelle di tutto ciò che è oggetto di studio della geografia fisica, in particolare della geomorfologia e dell’idrografia.
La nomenclatura classificata completa per la geografia comprende tra l’altro: la struttura della terra, la struttura dell’atmosfera, la terra, la superficie terrestre, le forme della terra e dell’acqua (configurazione orizzontale), le nomenclature delle forme della terra (configurazione verticale), le nomenclature delle forme dell’acqua, le isole, la costa, la montagna, la pianura, la valle, l’idrosfera, i ghiacciai, le morene, il fiume, le raccolte d’acqua, i laghi, ecc… Comprendono inoltre le forme intermedie (pseudo-penisola, capo, baia, punta…) e le parti delle forme terrestri come le parti della montagna (falde, piede, cima, cresta, valle, collina, pianura…), le parti del fiume (sorgente, rive, letto, foce, profondità, pendenza, portata…) ecc., e i tipi speciali di forme terrestri come isole oceaniche o continentali, arcipelago, vulcani, catena di montagne o massiccio, delta o estuario, ecc.

Qui propongo le nomenclature delle forme della terra, con immagine, nome e definizione con etimologia.

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

Di seguito, se preferisci realizzarle in proprio, trovi i contenuti e i riferimenti per le immagini.

L’isola è una porzione di terra completamente circondata da acqua. Etimologia: dal latino insula (nella corrente).

La penisola è una porzione di terra che si estende nell’acqua e che è quasi del tutto circondata da acqua.
Etimologia: dal latino peninsula (quasi isola).

L’istmo è una sottile striscia di terra che congiunge due grandi terre.
Etimologia: dal latino isthmos (passaggio). 

L’arcipelago è un gruppo di isole.
Etimologia: dal greco archè (principale) e lagos (mare), perché la Grecia aveva grande importanza e molte isole. 

Il capo è un tipo di penisola, in particolare è una sporgenza della costa che si estende sul mare.
Etimologia: dal latino caput (parte superiore o estremità).

Il continente è la più grande massa di terra non spezzata dall’oceano. I continenti sono sette e rappresentano la più grande suddivisione del suolo terrestre.
Etimologia: dal latino continens (continuo, non interrotto).

La Piattaforma continentale è la roccia della costa di un continente che continua sotto l’acqua.
Etimologia: dal greco platys (piatto, largo) e il latino forma (aspetto esteriore della materia).

La Montagna è un’area molto elevata della terra.  E’ composta da terra rocciosa. Di solito ha fianchi ripidi e una punta appuntita o arrotondata.
Etimologia: dal latino montania (monte).

La Valle è uno spazio di terreno più o meno vasto, poco elevato, tra le colline o le montagne.
Etimologia: dal latino vallis (luogo coperto, chiuso dai monti).

La pianura è un’ampia distesa di terreno piatta o delicatamente ondulata,  a bassa altitudine.
Etimologia: dal latino pianus (di superficie uguale).

Una grotta è uno spazio vuoto nel terreno o in una montagna o in un’altra formazione rocciosa, con un’apertura per entrare.
Etimologia: dal latino crypta (nascosto, coperto).

Il Vulcano è una spaccatura nella crosta terrestre,  dalla quale fuoriesce lava, zolfo, pomice, cenere, lapilli, gas. La lava solidificata mischiata ad altri materiali forma col tempo una montagna conica anche molto elevata, spesso con un’apertura in cima (il cratere).
Etimologia: dal nome latino del dio Vulcanus, che era il dio del fuoco terrestre.

Un cratere è una cavità con un’apertura circolare, e può essere la bocca di un vulcano o il luogo dove è caduto un grande meteorite.
Etimologia: dal latino crater, che era un vaso molto grande con una bocca molto larga.

Un passo è il punto più alto in una catena montuosa che si può percorrere a piedi.
Etimologia: dal latino passus (aprire, stendere).

L’oasi è un luogo fertile nel deserto dove c’è acqua e vegetazione.
Etimologia: dall’egiziano uahsoi (abitazione, luogo abitato).

Il deserto è una regione della superficie terrestre che riceve poca acqua piovana o non ne riceve del tutto. E’ una terra secca e sterile e senza alberi. Di solito è sabbiosa.
Etimologia: dal latino deserere (vuoto di ogni cosa).

Il reef è una cresta o una barriera di roccia, sabbia o corallo che si trova appena sotto la superficie del mare. Il reef può trovarsi fino a ottanta metri sotto la superficie dell’acqua.
Etimologia: dal norreno antico rif (scogliera).

Un monolito è una grande formazione di roccia isolata che sorge bruscamente da una pianura o da un altopiano. Le sue pareti sono quasi verticali.
Etimologia: dal latino mono (singolo) e lithos (pietra).

Il cono alluvionale è un terreno a forma di ventaglio che si forma a valle di un monte con i detriti trasportati dai torrenti.
Etimologia: dal latino conus (a punta) e alluere (allagare).

La gola è una valle profonda, con pareti ripide.  Spesso ha un fiume che scorre al suo interno. In inglese è detta canyon. La gola si forma di solito perché un fiume corrode la roccia scavando un solco sempre più profondo. La gola più famosa del mondo è il Gran Canyon negli USA.
Etimologia: dal latino gula (parte del corpo che serve a inghiottire).

I camini delle fate (o piramidi di terra) sono alte colonne di roccia morbida (tufo, limo o roccia vulcanica) sormontate da un cono di materiale più compatto, che protegge la colonna.

L’altopiano è un territorio pianeggiante, ma che si trova a un’altitudine di almeno trecento metri sul livello del mare, circondato da zone più basse almeno su un lato.
Etimologia: dal latino altus (cresciuto) e planus (schiacciato), paese piano situato in alto.

La scogliera è un pendio alto e ripido, verticale o quasi verticale, di roccia resistente. Le scogliere si trovano lungo le coste, e possono sovrastare una zona d’acqua o di ghiaccio.
Etimologia: dal latino scopulus (osservatorio, guardare intorno).

Le dune sono colline di sabbia formate dal vento. Sono tipiche dei deserti, ma si possono formare anche nelle coste sabbiose.
Etimologia: dal germanico dun (tumolo, colle).

Il mare di sabbia (in inglese Erg) è un gruppo molto numeroso di dune di sabbia che si trovano di solito in un deserto.
Etimologia: dal latino mare (mare, vastità) e sabula (sabbia).

L’atollo è un’isola di corallo formata da una barriera più o meno circolare che circonda una laguna centrale larga oltre due chilometri.
Etimologia: da una voce delle Maldive che vuol dire “isola-laguna” attraverso l’inglese.

Un arco naturale (o ponte naturale) è una roccia che ha una via di passaggio in basso. Questo foro è provocato da un lungo processo di erosione della roccia.
Etimologia: dal latino arcus (piegato, gomito) e natus (la forza che genera).

La prateria è una vasta area di terreno non coltivata e ricoperta quasi del tutto di erba. Le praterie più importanti sono quelle in America del Nord (Grandi pianure), le Pampas (Argentina, Brasile, Uruguay) e le steppe dell’Eurasia.
Etimologia: dal latino pratum (apparecchiato) nel senso che non serve coltivare per falciare il raccolto.

La spiaggia con cuspidi è formata da piccoli rilievi alternati a distanza regolare a piccole zone concave. La spiaggia con cuspidi ha una linea ondulata. Può essere ghiaiosa o sabbiosa.
Etimologia: dal latino plagia (cosa distesa) e cuspis (punta, cuneo).

La spiaggia è uno spazio più o meno esteso che scende inclinato nell’acqua e non è coperto da essa. Può essere sabbiosa, ciottolosa, argillosa, formata da materiali trasportati o altri sedimenti (ad esempio le spiagge di conchiglie).
Etimologia: dal latino plagia (cosa distesa).

Un arête è una cresta molto sottile di roccia sulla cima della montagna, quasi a lama di coltello. Di solito si forma per lo scioglimento dei ghiacciai.
Etimologia: arête è una parola francese che deriva dal latino arista (spiga).

Un calanco è un terreno sterile formato da rocce morbide e argilla erose dal vento e dall’acqua. Questi materiali formano pendii ripidi con avvallamenti stretti e profondi, con scarsissima (o assente) vegetazione. Etimologia: incerta, probabilmente deriva da una parola preromana.

Un barchan è una duna di sabbia a forma di mezzaluna. Questa forma è causata da un vento costante che soffia in una sola direzione.
Etimologia: è una parola kazaka.

Le isole-barriera sono una catena di isole, di solito nell’oceano, che proteggono la vicina costa dall’erosione. Queste isole sono piatte e sabbiose e la loro forma cambia molto nel corso del tempo. Una catena di isole-barriera può essere lunga più di centro chilometri.
Etimologia: dal latino insula (nella corrente) e dal francese barre (barra).

La costa (o litorale) è la linea di confine tra la terra e l’acqua di un oceano, mare o grande lago.
Etimologia: dal latino costa (fianco).

Una gravina è un’incisione del terreno che può essere profonda più di cento metri ed è molto simile al canyon (o gola). L’incisione è scavata dalle precipitazioni atmosferiche (pioggia, neve, grandine, rugiada, ecc.) nella roccia calcarea.
Etimologia: dal latino gravis (pesante, che va a fondo).

Una fossa tettonica è una linea più bassa del terreno, dovuta ai movimenti della superficie terrestre. Si crea perché due porzioni di crosta terrestre (piastre tettoniche) si allontanano tra di loro.
Etimologia: dal latino fossum (scavato) e tectonicus (l’arte del costruire).

Un’isola fluviale è un’isola in un fiume. Può trovarsi alla foce, nel delta, o anche nel corso intermedio, se il fiume ha una certa larghezza.
Etimologia: dal latino insula (nella corrente) e fluvius (che scorre, fiume).

I terrazzamenti (o coltivazioni a terrazza) sono un prodotto dell’uomo che serve a rendere coltivabili i terreni in pendenza. Si costruiscono rendendo piatte delle strisce di terra, e poi sostenendole con muri verticali, formando così dei gradini.
Etimologia: dal latino terracia-um (rialzo di terra).

Un banco di sabbia è una distesa di sabbia che si accumula per erosione del terreno e si distende appena al di sotto della superficie dell’acqua.
Etimologia: dal germanico bank (panca).

Una dolina è una cavità del terreno, che ha sul fondo un inghiottitoio a forma di imbuto. L’acqua piovana passa dalla dolina alle cavità sotterranee. Le doline si formano nelle regioni carsiche, dove la superficie è formata da rocce che non trattengono l’acqua. Questa si scava dei passaggi e in profondità crea gallerie, fiumi sotterranei, pozzi ecc.
Etimologia: dallo sloveno dol (valle).

La faglia è una frattura nella roccia causata dai movimenti della crosta terrestre. Le rocce vicine a una faglia sono spesso molto frantumate e si parla in questo caso di rocce di faglia. L’energia rilasciata dopo il movimento lungo il piano di faglia è la causa della maggior parte dei terremoti.
Etimologia: dal francese faillir (mancare).

Una cuesta è una collina asimmetrica con un versante che ha un pendio dolce e uno con una pendenza molto ripida.
Etimologia: cuesta è una parola spagnola che deriva dal latino costa (le ossa che formano la gabbia toracica).

Una diga è una parete costruita dall’uomo per sbarrare un flusso d’acqua. Si usa per creare un lago artificiale o per proteggere una costa o un porto.
Etimologia: dall’olandese dijg (argine).

Un vulcano di fango è una piccola collina che erutta argilla morbida insieme a sali, gas e bitume. Etimologia: dal nome latino del dio Vulcano e dal germanico fani (melma).

Un nunatak è la cima di una montagna non coperta da ghiaccio che si trova in un campo di ghiaccio. E’ una specie di isola nel ghiaccio.
Etimologia: è una parola inuit che significa “picco isolato”.

Una scarpata è una brusca rottura del profilo di un terreno. Può essere di origine naturale o artificiale.
Etimologia: parola derivata da scarpa, che proviene dal germanico skarpa (tasca di pelle).

Un tunnel di lava (o tubo di lava) è un tipo di grotta che si trova nelle rocce laviche. Il tunnel di lava è la forma fossile di ciò che fu un’eruzione vulcanica. La lava incandescente scorrendo scava nella roccia e solidificando resta lo spazio vuoto interno simile a un tubo, percorribile dagli speleologi.
Etimologia: parola inglese che deriva dal francese antico tonne (botte) e lave (liquido che scorre).

Una foresta è un grande tratto di terreno ricoperto da alberi e sottobosco che crescono e si diffondono spontaneamente. Quando  l’estensione della foresta è limitata, si parla di bosco.
Etimologia: dal latino foris (fuori), che indicava i boschi fuori dalle mura della città.

Una collina è una parte sollevata della superficie della terra con i lati inclinati, meno alta della montagna. I territori possano essere considerati collinari dai 100 ai 600 metri sul livello del mare.
Etimologia: dal latino collis (colle, tumulo).

Un duomo di lava è una struttura di lava solidificata a forma di cupola, che si crea nel cratere di un vulcano.  I duomi di lava possono essere alti centinaia di metri.
Etimologia: dal latino domus (edificio) e dal francese lave (liquido che scorre).

Un lago di lava è una grande quantità di lava fusa contenuta in un ampio foro della terra.
Etimologia: dal latino lacus (lago, incavo) e dal francese lave (liquido che scorre).

Una catena montuosa è un gruppo di montagne collegate tra loro separato da altre catene montuose o confinante con le pianure.
Etimologia: dal latino catena (uno dopo l’altro).

Una depressione è una zona di terra che si trova ad un livello più basso rispetto ad un’altra. Se ci si riferisce al livello del mare si parla di depressione assoluta, se si parla del livello di altre zone si parla di depressione relativa.
Etimologia: dal latino depressus (a un livello più basso).

Una morena è un accumulo di  detriti rocciosi (chiamati till) che sono stati trasportati da un ghiacciaio. Una morena si può formare a fianco del ghiacciaio, tra due ghiacciai o sul fondo di un ghiacciaio.
Etimologia: dal francese moraine (mucchio di sassi).

La mesa è una superficie rocciosa sopraelevata con la cima piatta e le pareti molto ripide. È tipica degli degli USA e del Messico. Altre mesa si trovano in Venezuela, Spagna, Sardegna, Sud Africa, Arabia,  India e  Australia.
Etimologia: il nome origina dalla forma simile alla superficie di un tavolo (mesa significa “tavolo” in spagnolo e portoghese).

Una spiaggia di conchiglie è una spiaggia composta da un accumulo di conchiglie sia rotte che intere.
Etimologia: dal latino plagia (cosa distesa) e conchiluim (conchiglia, conca, nicchia).

Un porto è una struttura naturale o artificiale che si trova sulla riva di un mare, un lago o un corso d’acqua, e che serve per l’approdo e l’ormeggio delle imbarcazioni. Serve anche al carico e lo scarico di merci e all’imbarco e allo sbarco dei persone.
Etimologia: dal latino portus (che serve da passaggio).

Un faraglione è uno scoglio roccioso che emerge dall’acqua nei pressi della costa in acque poco profonde.
Etimologia: parola derivata da faro, dal latino pharus (che era, appunto, il faro).

Un’isola tidale è un’isola collegata alla terraferma da una banda sabbiosa che viene ricoperta dalle acque durante l’alta marea e riappare durante la bassa marea.
Etimologia: la parola tidale deriva dall’inglese tide, che significa “marea”.

Una grotta sommersa è una grotta allagata dall’acqua, sia in parte che interamente.
Etimologia: dal latino crypta (nascosto, coperto) e submersum (tuffato sotto, cioè messo sott’acqua).

 Nomenclature delle forme della terra – Immagini

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– isola: https://www.earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=2918
– istmo: https://earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=4073
– arcipelago: https://earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=2324&eocn=image&eoci
– capo: https://earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=1037&eocn=image&eoci=related_image
– continente: https://earthobservatory.nasa.gov/GlobalMaps/view.php?d1=MOD17A2_M_PSN
– piattaforma continentale: https://earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=76318
– montagna: https://pixabay.com/it/alaska-panorama-scenico-montagne-139934/
– valle: https://pixabay.com/it/panorama-montagne-natura-1841558/
– pianura: https://pixabay.com/it/bulgaria-natura-pianura-del-danubio-987553/
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I mammiferi: dettati ortografici e letture

I mammiferi: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.

Gli animali

Nessuno può conoscere il numero esatto degli animali che vivono sulla terra: molti trovano ricovero nelle sterminate foreste equatoriali, altri popolano le acque dei fiumi, dei laghi e dei mari, altri, infine, hanno scelto a loro dimora le inospitali distese delle zone glaciali o le sabbie infuocate dei deserti.
Il cavallo, il serpente, la zanzara sono tre animali, ma a nessuno sfugge che sono totalmente diversi: per la forma e la struttura del corpo, per le abitudini di vita, per il cibo di cui si nutrono, per gli aiuti o i danni che possono recare all’uomo.
Da alcune caratteristiche fondamentali, comuni a molti animali, l’uomo ha incominciato a dividerli in vertebrati e invertebrati.
Gli animali il cui corpo prende forma e sostegno dallo scheletro si dicono vertebrati.
La parte più importante dello scheletro è la colonna vertebrale o spina dorsale; delle altre ossa, alcune hanno il compito di proteggere gli organi più delicati, quali il cervello, il cuore e i polmoni; molte altre servono al movimento.
Tutti i vertebrati hanno il corpo ricoperto dalla pelle, che può essere nuda come quella delle rane, o ricoperta di piume o penne come negli uccelli, o da peli come nella pecora, nel leone, nella giraffa.
La respirazione nei vertebrati può avvenire mediante i polmoni, come in tutti gli animali terrestri, o mediante le branchie, come nei pesci.
Il tipo dei vertebrati comprende cinque classi: i mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi e i pesci.

L’indole degli animali

Secondo l’indole o l’istinto che dimostrano verso l’uomo e verso i loro simili, gli animali possono essere: domestici, se vivono con l’uomo e sanno rendersi utili; selvatici, se vivono in libertà, ma dimostrano indole pacifica e inoffensiva; feroci, se vivono in libertà divorando gli altri animali e assalendo l’uomo.

Il cibo

Secondo il cibo di cui si nutrono, gli animali sono: erbivori, se si nutrono di erbe e di vegetali in genere; carnivori, quando la carne è il loro alimento preferito; onnivori, se, indifferentemente, si cibano di vegetali, di carne o di altri prodotti fabbricati dall’uomo.

I primi vertebrati che apparvero sulla terra furono i pesci

E’ fuor di dubbio che i primi vertebrati comparsi sulla terra furono i pesci. Voi certo pensate ad una bella trota, guizzante superba attraverso le rapide di un fiume; o a un lucido tonno, che fende le onde con i potenti colpi della grande coda falcata; o al pesce dorato, che si aggira tranquillo in un boccale.
Niente di tutto questo: i primi pesci erano tozze e goffe creature, col corpo racchiuso in una sorta di corazza, fatta di grosse placche articolate; e certo la loro locomozione doveva assomigliare ben poco al nuoto di una bella trota! Però questi animali possedevano un  organo che rappresentava un’importante innovazione, rispetto alle specie precedenti, un organo assile, costituito di molti pezzi cartilaginei e fatto per offrire una possibilità di attacco a quei muscoli robusti che permettono al pesce di guizzare nel liquido elemento. Con i pesci una nuova classe di animali, fondamentalmente diversi da quanti li hanno preceduti, fa la sua comparsa tra gli esseri viventi.
Per essere esatti, dobbiamo però dire che, se i pesci sono indiscutibilmente i primi veri vertebrati, furono preceduti da animali che, pur mancando di colonna vertebrali vere  e proprie, ne possedevano già un abbozzo.
Tornando dunque ai pesci primitivi, cerchiamo di riconoscere in essi lo schema fondamentale del vertebrato. Il vertebrato è un animale dotato di scheletro interno cartilagineo od osseo, coperto di masse muscolari, dalla pelle, e avente come parte fondamentale del suo corpo la colonna vertebrale.

Mammiferi

I mammiferi costituiscono la classe più elevata ed importante dei vertebrati. Essa comprende animali diversissimi, ad esempio un leone, una balena, un pipistrello, fra i quali però esiste sempre un filo conduttore di somiglianza. Vediamo un po’ in cosa consista. Se prendiamo in mano un pesce, ci ritraiamo subito con un senso di ribrezzo per l’impressione di freddo che ne riceviamo, mentre accarezzando un cane od un gatto pervade un piacevole senso di calore. I pesci, infatti, sono detti animali a sangue freddo, con la temperatura del corpo che risente delle influenze esterne, mentre i mammiferi sono detti “a sangue caldo”, con una propria regolazione della temperatura, indipendente da quella esterna.
Questo, è logico, mette gli ultimi in grado si spostarsi con relativa facilità da una località all’altra, ma li obbliga anche a difendersi dal freddo, provvedendosi… di una pelliccia. I mammiferi infatti hanno tutto il corpo ricoperti di peli, più o meno lunghi a seconda di dove vivono, se nelle steppe polari o nel deserto, ma sempre presenti, anche nelle foche e nelle balene.
Per animali come questi, capaci di sopportare notevoli variazioni di clima, ma bisognosi di protezione dal freddo, la prole è un bene prezioso che deve essere difeso con accanimento sia prima sia dopo la nascita.
I mammiferi non mettono al mondo le migliaia di uova dei pesci o degli insetti, ma solo un numero relativamente piccolo di figli che si sviluppano prima nel corpo della madre, che provvede poi a nutrirli col suo latte quand’essi vengono alla luce; spesso entrambi i genitori li curano e li vezzeggiano fino a che non sono in grado di affrontare il mondo con le proprie forze.
Già da questi brevi cenni è facile capire come i mammiferi siano degli animali ad organizzazione del corpo parecchio complessa, con il sistema nervoso altamente perfezionato. Possiamo paragonare il sistema nervoso ad una rete elettrica, in cui la centrale è costituita dal cervello e dal midollo spinale, una sostanza molliccia racchiusa in un sottile canaletto tra le vertebre. Da questi centri nervosi escono i nervi che portano gli ordini ai muscoli e raccolgono le sensazioni trasmesse dagli organi di senso. Un muscolo non si muove se il centro nervoso non gliene ha dato l’ordine attraverso il nervo adatto.
Particolarmente interessante presentano nei mammiferi la respirazione e la circolazione del sangue, due fenomeni strettamente legati tra loro. L’aria che questi animali respirano giunge ai polmoni, due grosse sacche di sostanza spugnosa ed elastica racchiuse nel torace. I polmoni sono tutti un intrico di canali sanguigni, attraverso le cui sottilissime pareti il sangue lascia sfuggire le sostanze gassose nocive che ha raccolto durante il viaggio per il corpo per recare ad ogni cellula la vitale scorta di ossigeno. Dove trovare però la spinta sufficiente per intraprendere un giro così lungo?
Nel cuore, il provvido muscolo che non si ferma mai durante tutta la vita dell’individuo. Il sangue quindi che proviene dai polmoni entra nel cuore, da qui viene spinto lontano nel corpo per portare l’ossigeno e raccogliere i prodotti di rifiuto. Giunge così, estenuato e sporco, di nuovo al cuore, ma alla metà destra, rigorosamente separata dalla sinistra.
Di qui, con un vigoroso moto di contrazione del muscolo, è inviato nei polmoni dove si purifica, pronto a ricominciare il circolo. Questo sistema di circolazione si chiama “circolazione doppia”, perchè il sangue passa due volte dal cuore, e “completa”, perchè le due metà del cuore, destra e sinistra, sono separate tra di loro.

Osserviamo un coniglietto

Il coniglio è un animale che certamente tutti conosciamo e che è facile osservare anche vivo in classe, perchè non cerca di far male a chi gli si avvicina per esaminarlo o per toccarlo: infatti non aggredisce, non graffia, non morde perchè è sfornito di mezzi adatti a questo scopo. Il coniglio non ha i terribili artigli del gatto, o i denti acuminati del cane e per salvarsi da chi voglia fargli del male usa un altro mezzo di difesa: la fuga, veloce e immediata.
Osserviamo il nostro coniglio, lasciato libero in un piccolo recinto. Mentre ci avviciniamo ad esso lo vedremo immediatamente in allarme, che ci osserva preoccupato, con le orecchie tese e vibranti pronte a cogliere il minimo rumore che possa meglio informarlo della natura del pericolo; con piccoli salti nervosi si sposta accostandosi alle pareti del recinto, per avere almeno un lato protetto; è come una molla pronta a scattare se gli sembra che il pericolo che egli sente stia diventando più grave. Per il coniglio, quindi, è utile essere pauroso, perchè nell’essere pauroso sta la sua salvezza.

I carnivori, gli erbivori e gli insettivori

Ragioniamo sulle osservazioni che abbiamo fatto e cerchiamo di vedere se conosciamo altri animali domestici o selvatici, che si comportino come il coniglio; ce ne sono molti senza dubbio e noi ve ne ricorderemo qualcuno: le capre, i cavalli, i topi, gli scoiattoli, le oche, le lucertole, le rane e tanti altri.
Poniamoci adesso un piccolo problema e tentiamo di risolverlo: perchè il cane e il gatto (e come loro il lupo, il leone, la tigre, ecc.) non cercano di salvarsi allo stesso modo e invece aggrediscono chi si accosta loro a distanza troppo breve? Per rispondere a questa domanda vediamo se questi animali abbiano qualche altra caratteristica in comune fra loro, che invece manchi negli animali più timorosi (conigli, topi, capre, cavalli). Infatti mentre i primi sono animali predatori, cioè assalgono una preda per cibarsene e quindi sono carnivori, gli ultimi non sono predatori e si nutrono o di erbe (erbivori) o di varie sostanze senza alcuna preferenza (onnivori).
Il predatore deve naturalmente essere un animale aggressivo se vuol procurarsi il cibo che gli è necessario ed usa appunto questo suo carattere anche per difendersi dai pericoli più immediati: ma ricordatevi che nessun carnivoro assale altri animali se non ha fame e se non si sente in pericolo. Gli erbivori e gli onnivori, invece, non avendo carattere aggressivo, sfuggono ai pericoli generalmente mediante la fuga, come abbiamo già visto.
E le rane, le lucertole? Esse si nutrono preferibilmente di insetti, che catturano abilmente con la lingua e quindi sono dei piccoli predatori che chiameremo insettivori per il loro tipo di alimentazione; essi, di fronte al pericolo, generalmente si comportano come gli erbivori, dato che sono troppo piccoli e sforniti di mezzi di difesa.

Le parti del corpo del coniglio: la testa

Fatta conoscenza con il coniglio e con il suo carattere, vediamo ora di imparare come esso e costituito, cioè di scoprire la sua anatomia, e di capire come funzioni ogni sua parte quando esso è vivo, cioè di ottenere qualche informazione sulla sua fisiologia.
Tutti riconosciamo facilmente nel coniglio  una testa o capo che, mediante il collo, è unita al tronco, il quale è provvisto di una coda.
Nella coda osserviamo la bocca fornita di denti, sopra alla quale si trova il naso che presenta le due narici; una fessura che parte dal centro del naso divide in due il labbro superiore (labbro leporino); ai lati del capo sono situati gli occhi e le orecchie, delle quali noi possiamo vedere soltanto i grandi padiglioni auricolari, molto mobili.

Il tronco

Il tronco presenta quattro arti, detti zampe, ciascuna delle quali termina con dita fornite di artigli (unghie coniche e arcuate: paragonatele con le vostre); il primo paio  di arti o zampe anteriori (situate davanti) è più breve del secondo, termina con cinque dita, ed è usato dal coniglio anche per trattenere vicino alla bocca le foglie di cui si nutre, ma soprattutto per scavare la sua tana nel terreno, mediante i robusti artigli; le zampe posteriori sono invece provviste soltanto di quattro dita, sono più lunghe e più robuste e grazie ad esse il coniglio si sposta velocemente a lunghi balzi; la loro robustezza gli consente di spingere di scatto, in avanti e in alto, tutto il peso del corpo. Il tronco termina posteriormente con una breve coda.

I peli proteggono il coniglio

Tutto il corpo del coniglio è ricoperto di morbidi e fitti peli, che servono a proteggerlo dal caldo e dal freddo. Il colore del pelame nei conigli è molto variabile e sappiamo che ve ne sono di bianchi, neri, grigi, a macchie. Ai lati della bocca ci sono alcuni peli più lunghi e rigidi, detti vibrisse (comunemente ed erroneamente indicati col nome di baffi), che servono all’animale per il tatto: essi sono quindi peli tattili.
Si conoscono diverse razze di conigli, una delle quali ha il pelo molto morbido e lungo: è il coniglio d’Angora.

La temperatura del coniglio è costante

Se teniamo il coniglio in un luogo caldo o un luogo fresco, il suo corpo non si riscalderà né si raffredderà e ciò possiamo constatarlo con le nostre mani o con un termometro. Il coniglio è quindi un animale a temperatura costante; nel linguaggio corrente si usa dire “animale a sangue caldo”, ma questa è un’espressione scorretta e deve essere evitata.

Conclusione

Ragioniamo su quanto abbiamo osservato nel coniglio e cerchiamo di vedere se conoscete altri animali che presentino le stesse caratteristiche riscontrate in questa specie e cioè:
– una testa fornita di padiglioni auricolari e di bocca con denti;
– un tronco con quattro arti;
– il corpo rivestito di peli;
– corpo a temperatura costante.
Certamente ne conoscerete tantissimi: il cane, il gatto, il cavallo, il leone, la pecora, il topo, l’elefante e tanti altri.

I mammiferi

Tutti questi animali e tutti gli altri che presentano i caratteri precedentemente indicati si chiamano mammiferi: il coniglio è quindi un mammifero, l’elefante è un mammifero, e così via. Invece il passerotto, la lucertola, lo scarabeo e infiniti altri animali non sono mammiferi, perchè non hanno il corpo rivestito di peli e non presentano padiglioni auricolari, anche se qualcuno di essi ha pure quattro zampe (lucertola). Ma i mammiferi presentano anche altre due importanti particolarità, che voi ben conoscete:
– le femmine dei mammiferi mettono alla luce i figli già ben conformati e non depongono uova (c’è una sola eccezione che impareremo in seguito); diremo perciò che i mammiferi sono animali vivipari, cioè che partoriscono un organismo già vivente;
– i piccoli appena nati sono allattati dalla madre e per un certo tempo il latte costituisce il loro unico alimento: tutti avremo avuto occasione di osservare una cagna o una gatta allattare i propri piccoli. Anche il coniglio allatta i suoi piccoli. Il latte è prodotto dalle ghiandole mammarie e per tale motivo questi animali si dicono mammiferi.

Nel mondo animale

Nel mondo animale, i deboli, gli ammalati, i fisicamente difettosi sono condannati a morire, sterminati dai più forti e arditi. I più sani e abili sopravvivono e si riproducono: i forti, gli agili sfuggono agli agguati, vincono nella caccia, trovano il cibo anche in condizioni avverse, possono trasferirsi in ambienti più favorevoli.
Perciò anche fra gli animali, i genitori proteggono la prole e la allevano con cure tenerissime, fino a quando essa non sia in grado di provvedere alla propria esistenza.

I bovini

Un gruppo di mammiferi che accompagnano l’uomo per tutto il cammino della civiltà, dai suoi inizi ad oggi è quello dei bovini. Di questi animali esistono ricordi nelle pitture primitive e su essi si esercitò l’abilità dell’uomo nel trasformarli da indomiti e selvaggi abitatori delle foreste in domestici aiuti del lavoro umano. Essi appartengono alla grande famiglia dei ruminanti, così detta per una particolare caratteristica nel modo di alimentarsi. I ruminanti infatti sono tutti vegetariani, hanno una dentatura particolare che permette loro di strappare l’erba coi denti, ed uno stomaco complesso grazie al quale possono ingurgitare rapidamente grandi quantità di foraggio e poi andarsene a mangiarlo tranquillamente al sicuro dai loro tradizionali nemici, i carnivori. Lo stomaco dei ruminanti infatti è diviso in quattro cavità e permette al cibo di rigurgitare in bocca per poi venire rimasticato di nuovo. Il contributo dato dai bovini all’economia una è immenso; basti pensare che da essi noi ricaviamo il latte e tutti i suoi derivati, la carne, la pelle ed un prezioso aiuto nel lavoro umano.

Il bisonte

Si calcola che all’inizio della colonizzazione nelle grandi pianure del Nord America vagassero allo stato libero più di sessanta milioni di bisonti. Questi animali rappresentavano per gli Indiani la più importante fonte di cibo e di pelli, ma essi si limitavamo ad uccidere solo pochi capi che servivano per le necessità immediate, per cui non c’era pericolo che la specie si estinguesse.
Poi vennero gli Europei e incominciò l’ecatombe. Negli anni in cui  si costruirono le grandi ferrovie transcontinentali, queste povere bestie vennero uccise a centinaia di migliaia, senza scopo. Di esse i coloni utilizzavano solo la lingua mentre le ossa erano vendute a tonnellate per pochi dollari alle industrie che producevano concime. Si finì col distruggere tutti i bisonti esistenti nel territorio americano, salvo pochi capi che furono salvati e protetti da leggi speciali, ed ora si sono riprodotti in misura considerevole.
I bisonti americani sono grossi bovini dalla testa massiccia sormontata da due brevi corna ricurve. Un maschio può pesare una tonnellata e raggiungere due metri di altezza all’apice della grossa gobba. Il colore del mantello è generalmente bruno , con lunghi peli in corrispondenza del capo, del collo e della gibbosità sul dorso.

La lepre

Conosci il coniglio? Ebbene la lepre è un animale poco più grosso; ha la stessa forma; il suo pelame è bruno terra e appartiene alla stessa famiglia del coniglio. L’uomo le dà la caccia per la sua carne saporita e per la pelle, con cui si fanno cappelli e pellicce.
E’ mite e paurosa. Vive nei boschi, si trova anche nei campi seminati. E’ di notte che di preferenza gira in cerca di cibo: erbe, semi, grani. Rosica pure la corteccia degli alberi. I denti, che in questa funzione si consumano, le crescono continuamente. Rodere, per tutti i roditori, è una necessità, altrimenti gli incisivi, crescendo sempre, darebbero loro fastidio.
Le zampe posteriori sono più lunghe di quelle anteriori, per questo è animale adatto al salto. Conigli e lepri fuggono infatti a saltelli buffi e rapidissimi. La lepre ha lunghe orecchie che l’avvertono anche da lontano del pericolo, al quale può sottrarsi solo con la fuga.
(M. Viareggi)

Il castoro

Roditore lungo circa un metro, con coda di 30 centimetri e peso superiore ai 30 chili. Il corpo è tozzo con testa tondeggiante, muso ottuso, collo corto; gli arti sono brevi; quelli posteriori hanno dita lunghe, riunite da una membrana interdigitale adatta al nuoto; quelli anteriori sono mobilissimi e servono come mani. La coda, cilindrica alla base, parzialmente pelosa, termina a spatola ed è coperta da squame; essa è usata come timone durante il nuoto.
La pelliccia, più chiara sulla testa e nella parte ventrale, comprende peli lunghi, tra i quali si trova una lanugine fine, serica, abbondante, di color bruno-rossiccio. La dentatura è costituita da 20 denti, di cui gli incisivi, a crescita continua, sono volti all’indietro; i denti molari hanno una superficie dotata di molte pieghe. I padiglioni  auricolari e le narici sono muniti di valvole che li otturano quando l’animale si immerge in acqua.
Il castoro è longevo: vive da 15 a 20 anni; i figli lasciano i genitori verso i due anni di vita.
Il castoro vive nei boschi, presso corsi d’acqua e stagni; esso si nutre di cortecce e di germogli di salici, pioppi, betulle e querce, mai di conifere. Per procurarsi il cibo, abbatte alberi di grandi dimensioni, scavando coi denti nel tronco, presso la base, un solco a forma di clessidra. La pianta, abbattuta e privata di corteccia, è impiegata per far dighe e tane.
I castori hanno sempre destato grande interesse nell’uomo non soltanto per la pregiata pelliccia che essi forniscono, ma anche per la straordinaria ingegnosità di cui hanno prova nella costruzione e nella protezione della loro tana.

Lo scoiattolo

In gran parte dell’Europa e in vaste regioni dell’Asia, fino alla Cina settentrionale, è diffuso lo scoiattolo comune, che annovera diverse sottospecie distinguibili per il mantello, il cui colore, nelle parti superiori, può variare dal rossastro al grigio più o meno scuro.
Questo grazioso mammifero vive nei boschi, si ciba soprattutto di frutti, semi, germogli che cerca quasi soltanto nelle ore diurne, arrampicandosi e saltando agilmente tra gli alberi; esso è lungo 40-45 centimetri,  di cui poco meno della metà riguarda la ricca coda.
Durante l’estate gli scoiattoli accumulano nelle cavità di grossi tronchi le provviste di cibo per i mesi invernali che essi trascorrono in semi-letargo.
La dentatura dello scoiattolo è quella di un roditore: i denti incisivi sono a crescita continua e incurvati ad arco; lo smalto li protegge solo esternamente per cui rosicchiando si forma un margine obliquo taglientissimo; i canini mancano e tra gli incisivi e i premolari c’è uno spazio libero.
Gli scoiattoli, oltre a nutrirsi di semi, bacche, frutti, non disdegnano neppure le uova che vanno a rubare nei nidi tra gli alberi.
Pigne rosicchiate, ghiande e nocciole sgusciate sul terreno avvertiranno facilmente della presenza, nel bosco, di questi simpatici animaletti.
(L. Ferretti)

Lo scoiattolo volante

In America vivono molte specie di scoiattoli, alcuni molti simili ai nostri, altri invece di aspetto e comportamento completamente diversi. Uno dei più curiosi e dei più belli è lo scoiattolo volante, lungo sui venticinque centimetri. La sua coda a fiocco non è morbida e folta come quella del nostro. Questo roditore però è provvisto di speciali duplicature della pelle ai lati del corpo, normalmente nascoste dal pelo. Queste, quando l’animale si lancia dall’alto di un albero, si tendono tra le zampe anteriori e quelle posteriori, formando un’ampia membrana a guisa di paracadute, per cui questo scoiattolo riesce a planare anche molto lontano dal luogo di partenza, con un lungo volo. La coda piuttosto piatta e provvista di lunghi peli sui due lati gli funge da timone.
Lo scoiattolo volante americano ha dimensioni più piccole di quelli asiatici e africani. Accanto ad esso ricordiamo gli scoiattoli a mantello dorato, che abitano  le foreste di pini degli Stati Uniti e del Canada, e i cipmunk dalle belle strisce colorate che s’allungano parallele sul dorso. Vi sono poi molti scoiattoli terragnoli, che sono abili scavatori e vivono nascosti in un complicato sistema di gallerie. Questi ultimi hanno code assai poco vistose.

Un regno sotto terra

Se abitate in campagna, può darsi che, a due passi da casa nostra, sotto terra, ci sia la dimora della talpa, un animale dalla pelliccia straordinariamente morbida, che vive sotto terra, nell’oscurità più completa. Forse vi sarà già capitato di vedere una talpa: avete notato che bella pelliccia possiede? Il belo è corto e fittissimo, simile al velluto, assolutamente inattaccabile dalla polvere e dal terriccio, perchè la talpa, malgrado viva sempre sottoterra, è una creatura incredibilmente pulita. Il suo pelo cortissimo, poi, non disturba affatto l’andirivieni della bestiola nelle gallerie.
Il corpo della talpa è allungato, per favorire appunto la bestiola quando scava le sue gallerie sotterranee; le zampine sono fatte in modo da poter funzionare come piccole spalatrici. Ecco come lavorano: l’animale punta le unghie nella terra, tenendo le palme delle zampe anteriori volte all’infuori. Poi, con un colpo delle zampine, getta all’indietro la terra che vi ha raccolto. Con le zampe posteriori, invece, si spinge in avanti, e poi subito le raccoglie per respingere con queste la terra che è stata staccata dalle zampe anteriori. Per immaginarvi bene il movimento, fate conto che la talpa nuoti sotto terra. La talpa porta la terra in sovrabbondanza alla superficie attraverso una galleria, appositamente costruita.

Non dite appetito da lupo ma appetito da talpa

Ma i compiti delle zampine della talpa non si esauriscono qui: con le zampe anteriori afferra le sue prede e le tiene strette per divorarle; la mandibola lunga, i denti aguzzi sono tipici di un animale insettivoro. Suo cibo naturale sono gli insetti, ma non disdegna le lumache, i lombrichi che le forniscono alimento anche d’inverno quando continua sotto terra la sua opera di scavo, e poi le larve, che mangia solo in mancanza d’altro. E se animaletti o topolini vengono a ficcare il naso nella sua dispensa, la talpa non esita a farli fuori.
Infatti la talpa è dotata di un appetito veramente terribile: a intervalli di se ore circa fa un pasto abbondante. E riesca a mandar giù tanto cibo quanto il doppio del suo peso. E se deve saltare  un pasto,  se sta più di sei ore senza cibo, rischia di morire di fame.
Sempre in relazione alla sua vita sotterranea, la talpa ha una vista debolissima, anzi si può dire che è del tutto cieca, perchè nel suo buio mondo a che le servirebbe vedere? Invece ha acutissimo l’udito, che le permette di percepire anche i più leggeri brusii.

La casa sotterranea della talpa

La casa della talpa è al centro di molte gallerie scavate con infinita pazienza. E’ una specie di cameretta, imbottita di foglie secche, di muschio, di erba. La presenza di queste dimore sotterranee è rivelata in superficie dallo sbocco delle gallerie di sicurezza. I piccoli della talpa nascono, tre o quattro, una volta all’anno, in una camera preparata dalla mamma in un incrocio di gallerie.
Quando per le talpe giunge il tempo di metter su casa, il maschio va alla ricerca della sua femmina, guidato nel buio delle gallerie dal suo finissimo udito, che gliene rivela la presenza. E se strada facendo incontra un rivale, allora il primo maschio chiude la femmina, che ormai considera di sua proprietà, in una galleria, al sicuro, poi non esita ad affrontare l’intruso. Nell’oscurità, ha allora luogo un duello all’ultimo sangue, una lotta di ciechi, alla fine della quale il vincitore arriverà perfino a divorare il vinto!
Con la sposa tanto ferocemente conquistata, il sopravvissuto si accingerà ad occuparsi della propria famiglia, con una tenerezza davvero contrastante con la crudeltà precedente. Padre e madre baderanno alla prole con ogni cura per provvederla di tutto quanto le necessiti.

Campione di corsa, salto e nuoto

Capita che la talpa esca alla luce del sole: trova sempre un gatto o un uccello da preda in attesa di farsi di lei un sol boccone. Ma non crediate che questa bestia abituata alla vita sotterranea, cieca e nata per vivere scavando gallerie, si trovi del tutto indifesa all’aria aperta. La talpa, velocissima nella sua tana, lo è altrettanto quando in superficie sfugge ai nemici. E’ persino difficile seguire ad occhio nudo la sua corsa. E non basta: la talpa è anche un’ottima nuotatrice, e se ha paura di essere catturata fa dei salti di venti centimetri. Sorridete? Ma venti centimetri sono una misura notevole in rapporto al suo piccolo corpo.
Ora che la conoscete meglio vorreste forse vedere una talpa. Se andata in campagna, non disperate: le talpe sono molto diffuse e potrà capitarvi di vederne una. Naturalmente non fatele alcun male: scavando e rivangando la terra per costruire le sue gallerie, e facendo scorpacciate di insetti, la talpa è utilissima ai campi.

Il tasso

Il tasso ha dimensioni modeste (una trentina di centimetri alto, un’ottantina lungo compresa la coda), tronco massiccio, zampe corte, forti, con dita fornite di unghie, atte ai lavori di scavo, testa allungata, muso appuntito. E’ coperto di pelo foltissimo. La colorazione del pelame lo fa riconoscere: è grigiastra sul dorso e ai lati del tronco, nera nelle zampe, sul ventre e sul petto, bianca e solcata da due strisce nere sulla testa.
Abita i boschi, isolato. Scava le gallerie in cui si tiene nascosto. Esce al crepuscolo in cerca di cibo, cauto. Rimuove il terreno, rompe radici, mangia insetti e larve, lombrichi e vermi, lumache e chiocciole, visita alla base dei vecchi alberi i nidi delle api per succhiarne i favi di miele.
I lunghi aculei lo difendono dai pungiglioni delle api operaie. Dà la caccia agli uccelli nel nido, beve le uova, acchiappa e divora rane, lucertole, tipi, bisce. Negli orti si pasce di frutti, uva, cereali. Al mattino presto, a pancia piena, fa ritorno alla sua tana e dorme. In autunno, tondo e grasso, si adagia sull’erba secca e sulle foglie che fanno da tappeto alla galleria-tana, con il musetto tra le zampe e si addormenta.
(G. Menicucci)

Perchè il cane ha il naso freddo

Quando Noè volle far entrare nell’arca degli animali, la maggior parte di essi si mostrò riluttante. Bisognava compatirli, poveretti! Essi non sapevano nulla dell’imminente diluvio e, abituati com’erano a una libertà sconfinata, non avevano nessuna voglia di andare a rinchiudersi in quella grande gabbia di legno. Noè dovette decidersi  a farli spingere dal cane.
Il cane, quindi, fu l’ultimo a entrare nell’arca che, piana zeppa com’era, non offriva più spazio per lui. E così la brava bestia dovette starsene presso l’ingresso.
Lì veniva un tale spiffero d’aria fredda, che il naso del cane cominciò a raffreddarsi. Ma questo poco importava al fedele animale: fiero dell’aiuto dato al gran patriarca, non si muoveva dal suo posto che nelle ore dei pasti. Fin da quei lontanissimi tempi, il cane sapeva di dover custodire la casa del padrone.
Dopo l’infreddatura presa nell’arca di Noè, dice la leggenda, il naso del cane non si scaldò più.
(R. Fumagalli)

Mammiferi che cambiano colore

Chi vive in campagna ed ha familiarità con gli animali domestici anche fra i più comuni, come cavalli, mucche, buoi, sanno che durante la stagione invernale il pelo di questi animali diventa più folto di quello estivo e leggermente diverso di colore. Si direbbe quasi che anch’essi, come gli uomini, amino cambiare guardaroba secondo le stagioni. Mucche e cavalli però devono accontentarsi di cambiamenti minimi nella loro livrea stagionale, mentre esistono animali il cui guardaroba subisce mutamenti notevoli.
Uno degli esempi più famosi in proposito è quello dell’ermellino dalla candida e preziosa pelliccia. La livrea di questo animale però non è sempre così splendida. Durante l’estate, infatti, faremmo fatica a distinguerlo dalla più modesta donnola. In questa stagione anche la pelliccia dell’ermellino, abitatore di regioni settentrionali fredde e nevose, perde il pelo scuro e gli rispunta una splendida pelliccia candida e rilucente che lo rende invisibile in mezzo alla neve.
Pure la donnola cambia colore durante l’inverno e, così protetta può continuare la sua vita indomita e battagliera di ferocissimo predone dei boschi.
La volpe polare, che vive in branchi nelle desolate regioni artiche, d’estate ha il pelo scuro con riflessi azzurri sul ventre, ma d’inverno si riveste tutta di un candido mantello. Anche la pianta dei piedi è rivestita di pelo, per proteggerla dal freddo intensissimo dell’Artico.

L’ornitorinco, un mammifero che depone le uova

L’ornitorinco è un animale ben strano. Esso depone le uova, una o due, non di più, allo stesso modo degli uccelli e dei rettili, ma poi allatta i suo i piccoli, allo stesso modo dei mammiferi.
Le uova dell’ornitorinco sono rotonde e racchiudono, sotto l’involucro esterno, un sottile strato bianco, che circonda un nucleo centrale di colore giallo.
Un altro aspetto assai strano per un mammifero è questo: l’ornitorinco possiede un largo becco simile a quello dell’anatra. Inoltre le sue  corte zampe sono palmate. Per la sua conformazione, l’ornitorinco è adatto anche alla vita acquatica, e infatti vive dentro tane profonde che scava lungo i corsi d’acqua. In una di queste tane,  imbottite di erbe secche, la femmina depone le uova. I piccoli, appena nati, allungano la testa dentro una piega della pelle della madre dove si riversa il latte, il quale sgorga in seguito alla contrazione di appositi muscoli.
Per quanto provvisto di becco, l’ornitorinco giovane possiede alcuni denti di latte che poi scompaiono con l’età.
Il maschio, un po’ più grosso della femmina, nelle zampe posteriori ha uno strano sperone mobile, bucato all’interno da un sottile canale che è in relazione con una ghiandola che secerne veleno.
Non si è ancora riusciti a comprendere bene a che cosa serva questo sperone e quale uso ne faccia esattamente l’animale.

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Viventi e non viventi col metodo Montessori

Viventi e non viventi col metodo Montessori nell’ambito dello studio della Botanica e della Zoologia, con presentazioni e materiale stampabile pronto.

Per le presentazioni e gli esercizi ho preparato il materiale stampabile, a disposizione degli abbonati:

Viventi e non viventi col metodo Montessori
I viventi
Presentazione

Materiali:
– una scatolina contente un vasetto con tappo vuoto (pieno d’aria), un vasetto con del cibo (biscotti o pane o frutta o verdura), una madre col suo piccolo e tre piattini o dischi di cartoncino con le scritte CIBO, ARIA, RIPRODUZIONE


– una striscia di carta con la scritta VIVENTI
– piantina  in vaso e altri viventi (insetti, lombrichi, lumachine, ragnetti ecc.) in vasetto o riproduzioni di viventi in miniatura
– immagini di esseri viventi in una scatolina o in un cestino
– vassoio
– tavolo o tappeto.

Presentazione
– portiamo il materiale sul tavolo o sul tappeto e invitiamo un gruppo di bambini alla presentazione  dicendo: “Oggi vorrei parlarvi di una cosa molto interessante. Parleremo degli esseri viventi. Tutti gli esseri viventi hanno almeno tre cose in comune”
– prendiamo il vasetto vuoto  e tenendolo in mano diciamo: “Tutti gli esseri viventi respirano”.  Prendiamo il piattino con la scritta ARIA, mettiamolo sul piano di lavoro e posiamoci sopra il vasetto. Diciamo: “Tutti i viventi hanno bisogno di aria”
– facciamo la stessa cosa con gli altri vasetti


– uno alla volta prendiamo i vasetti e  i piattini, nominando di nuovo aria, cibo, riproduzione e rimettiamoli sul vassoio.
– prendiamo uno degli esseri viventi che  abbiamo preparato  sul vassoio, ad esempio una piantina, e mettiamola al centro del piano di lavoro e chiediamo: “Secondo voi questa pianta è un essere vivente?”. I bambini risponderanno di sì, e noi diremo: “Siamo sicuri? Una pianta ha bisogno di aria?”,  “Ha bisogno di nutrirsi?”, “Ha bisogno di riprodursi?”. Ogni volta che i bambini rispondono si sì, mettiamo un piattino accanto alla pianta.


– “La pianta si nutre, respira, e si riproduce. La pianta fa parte dei VIVENTI”. Mettiamo la parola VIVENTI sul tappeto come titolo

– prendiamo la scatolina delle immagini e mettiamola sul tappeto e diciamo: “In questa scatola ho raccolto immagini di esseri viventi. Vediamo se è vero.”

– una alla volta prendiamo le immagini e per ognuna chiediamo se ha bisogno di aria, cibo e se si riproduce; dichiariamola dunque VIVENTE


– raccogliamo il materiale usato e riponiamolo sul vassoio, poi portiamolo allo scaffale della biologia, di modo che i bambini l’abbiano a loro disposizione.

Dopo aver dato questa prima presentazione possiamo esplorare la classe alla ricerca di viventi, e discutere insieme le caratteristiche che possiamo osservare in essi. Oltre al cibo (nutrizione), l’aria (respirazione) e la riproduzione possiamo ad esempio dire che  i viventi usano energia, crescono e si sviluppano, rispondono all’ambiente, si adattano, ecc.

Viventi e non viventi col metodo Montessori
I non viventi
Presentazione

Materiali:
– una striscia di carta con la scritta NON VIVENTI
– una raccolta di oggetti non viventi (sassi, bulloni, attrezzi ecc…) in un cesto ( o riproduzioni in miniatura di non viventi)
– immagini di non viventi in una scatolina o in un cestino
– la scatolina contente un vasetto con tappo vuoto (pieno d’aria), un vasetto con del cibo (biscotti o pane o frutta o verdura), una madre col suo piccolo e tre piattini o dischi di cartoncino con le scritte CIBO, ARIA, RIPRODUZIONE
– tavolo o tappeto.

Presentazione:
– portiamo il materiale sul tavolo o sul tappeto e invitiamo un gruppo di bambini alla presentazione  dicendo: “Oggi vorrei parlarvi di una cosa molto interessante. Parleremo dei NON VIVENTI.”
– col l’aiuto della scatolina ricapitoliamo le caratteristiche dei viventi
– mettiamo sul piano di lavoro il cesto dei non viventi e diciamo: “In questo cesto ho raccolto oggetti NON VIVENTI”. Mettiamo il cartellino NON VIVENTI al centro del piano di lavoro, e aggiungiamo: “Vediamo se è vero”


– prendiamo il primo oggetto, ad esempio il sasso, e chiediamo: “Un sasso è vivente?”. I bambini diranno di no. Chiediamo se ha bisogno di aria, di cibo e se si riproduce. I bambini diranno sempre di no. Diciamo: “Il sasso è un NON VIVENTE” e mettiamolo sotto alla scritta NON VIVENTI
– proseguiamo così con gli altri oggetti

– ora mettiamo sul piano di lavoro il contenitore con le immagini di non viventi e diciamo: “Qui ho raccolto immagini di non viventi. Vediamo se è vero”
– prendiamo la prima immagine e chiediamo ai bambini: “Cos’è?”. I bambini rispondono, ad esempio. “Una palla”. Chiediamo se una palla ha bisogno di cibo, di aria e se si riproduce. La risposta è sempre no. Indicando la scritta NON VIVENTE diciamo: “La palla fa parte dei NON VIVENTI”
– proseguiamo così con le altre immagini

– riponiamo il materiale sul vassoio e mostriamo al bambino dove potranno trovarlo, sullo scaffale della botanica
– nei giorni seguenti i bambini potranno ripetere l’esercizio da soli o in gruppo; per questo possiamo variare con una certa frequenza le immagini del vassoio.

Viventi e non viventi col metodo Montessori
Presentazione 1

Materiale:
– un cestino con oggetti in miniatura che rappresentino viventi e non viventi
– una striscia di carta con la scritta VIVENTI e una con la scritta NON VIVENTI
– la scatolina contente un vasetto vuoto con tappo (pieno d’aria), un vasetto con del cibo (biscotti o pane o frutta o verdura), una madre col suo piccolo e tre piattini o dischi di cartoncino con le scritte CIBO, ARIA, RIPRODUZIONE
– tavolo o tappeto.

Presentazione:
– portiamo il materiale sul tavolo o sul tappeto e invitiamo un gruppo di bambini alla presentazione  dicendo: “Oggi vorrei mostrarvi una nuova attività che ha a che fare coi viventi e i non viventi”
– mettiamo gli oggetti sul piano di lavoro, davanti ai bambini e chiediamo ai bambini: “Cosa sono?”. I bambini nominano o descrivono gli oggetti
– diciamo: “Si tratta di oggetti davvero molto diversi tra loro. Come potremmo raggrupparli? Ad esempio potremmo dividerli per colore, oppure per dimensione… oggi però li suddivideremo in viventi e non viventi”
– se pensiamo che i bambini ne abbiano bisogno mostriamo la scatola per ricordare le caratteristiche principali dei viventi
– scegliamo un vivente, ad esempio la tartaruga e chiediamo: “La tartaruga è un vivente?”. Sì. La tartaruga è un vivente perché si nutre, respira e si riproduce. Mettiamola la tartaruga in alto a destra
– scegliamo un oggetto non vivente, ad esempio la sedia, e diciamo: “Questa è una sedia. La sedia è non vivente perchè non si nutre, non respira, non si riproduce”, e mettiamola in alto a sinistra
– continuiamo allo stesso modo con tutti gli altri oggetti, finchè essi non saranno divisi in due gruppi: i viventi e i non viventi
– diciamo: ” Tutti i viventi si trovano in questo gruppo. Tutti i non viventi si trovano in quest’altro gruppo. “
– chiediamo ai bambini: “Abbiamo riconosciuto i viventi perchè mangiano, respirano e si riproducono. C’è qualcos’altro oltre a questo che serve a riconoscere i viventi?”. Incoraggiamo i bambini a trovare le loro risposte (crescono, bevono, si muovono da soli, muoiono, usano i sensi, ecc…)
– chiediamo: “Abbiamo riconosciuto i non viventi perchè non mangiano, non respirano e non si riproducono. C’è qualcos’altro che i non viventi non sanno fare?”. Incoraggiamo i bambini a rispondere
– poniamo come intestazione per i due gruppi le scritte VIVENTI e NON VIVENTI e leggiamole insieme
– ora raccogliamo gli oggetti e distribuiamoli tra tutti i bambini
– leggiamo nuovamente i due cartellini VIVENTI e NON VIVENTI e chiediamo ai bambini di porre il loro oggetto nel gruppo che gli appartiene
– ricapitoliamo: “Per distinguere un vivente da un non vivente sappiamo che i viventi hanno delle caratteristiche che sono il movimento, la respirazione, l’uso dei sensi, la capacità di crescere, la riproduzione e il cibo”
– per i bambini possiamo preparare vari cestini di questo tipo, di modo che essi possano esercitarsi individualmente nella classificazione di viventi e non viventi.

Viventi e non viventi col metodo Montessori
Presentazione 2

Materiale:
– un vassoio
– immagini di viventi e non viventi, che possono essere codificate sul retro per il controllo autonomo dell’errore
– una striscia di carta con la scritta VIVENTI e una con la scritta NON VIVENTI
– tavolo o tappeto.

Presentazione di gruppo:
– portiamo il materiale sul tavolo o sul tappeto e invitiamo un gruppo di bambini alla presentazione  dicendo: “Oggi vorrei mostrarvi un’altra attività che ha a che fare coi viventi e i non viventi”
– diciamo: “Come abbiamo già fatto con gli oggetti del cestino dei viventi e non viventi, divideremo queste immagini a seconda che rappresentino viventi (mettiamo sul piano di lavoro, in alto a sinistra, il cartellino VIVENTI) o non viventi (mettiamo sul piano di lavoro, in alto a destra, il cartellino NON VIVENTI)
– scegliamo un vivente, ad esempio il cavallo e diciamo: “Questa è un cavallo. Il cavallo è un essere vivente perchè mangia, respira, fa i piccoli” e mettiamo l’immagine del cavallo nella colonna dei viventi
– scegliamo un oggetto non vivente, ad esempio un paio di forbici, e diciamo: “Questo è un paio di forbici. Le forbici non sono un vivente perchè non si muovono da sole, non respirano, non fanno i piccoli”, e mettiamo l’immagine in alto a destra, tra i non viventi
– continuiamo allo stesso modo con tutte le altre illustrazioni, finchè non saranno divise in due gruppi: gli esseri viventi e gli oggetti non viventi o inanimati


– diciamo: ” Tutti i viventi si trovano in questo gruppo. Tutti i non viventi si trovano in quest’altro gruppo
– se abbiamo codificato le carte sul retro (scrivendo vivente o non vivente a seconda dei casi oppure utilizzando cerchietti di colore diverso) mostriamo ai bambini come potranno verificare il loro lavoro dopo averlo svolto da soli, se usiamo le liste mostriamo come usarle


– riponiamo il materiale sul vassoio e mostriamo al bambino dove potranno trovarlo, sullo scaffale della botanica
– nei giorni seguenti i bambini potranno ripetere l’esercizio da soli o in gruppo; per questo possiamo variare con una certa frequenza le immagini del vassoio.

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Viventi e non viventi col metodo Montessori
I non viventi che erano viventi
Presentazione

Materiali:
– una striscia di carta con la scritta ERANO VIVENTI
– una raccolta di oggetti che erano viventi (frutti, fiori secchi, frutti secchi…) in un cesto ( o riproduzioni in miniatura)
– immagini di oggetti che erano viventi in una scatolina o in un cestino
– la scatolina contente un vasetto con tappo vuoto (pieno d’aria), un vasetto con tappo con acqua, un vasetto con del cibo (biscotti o pane o frutta o verdura), una madre col suo piccolo e tre piattini o dischi di cartoncino con le scritte CIBO, ARIA, RIPRODUZIONE
– tavolo o tappeto.

Presentazione:
– portiamo il materiale sul tavolo o sul tappeto e invitiamo un gruppo di bambini alla presentazione  dicendo: “Oggi vorrei parlarvi di una cosa molto interessante. Parleremo dei NON VIVENTI CHE ERANO VIVENTI.”
– col l’aiuto della scatolina ricapitoliamo le caratteristiche dei viventi
– mettiamo sul piano di lavoro il cestino contente gli oggetti che erano viventi e diciamo: “In questo cesto ho raccolto oggetti che ERANO VIVENTI”. Mettiamo il cartellino ERANO VIVENTI al centro del piano di lavoro, e aggiungiamo: “Vediamo se è vero”


– prendiamo il primo oggetto, ad esempio un peperoncino, e chiediamo: “Un peperoncino secco è vivente?”. I bambini dovrebbero rispondere di no, ma potrebbero esserci dubbi. Chiediamo: “Questo peperoncino si nutre?”. No, ma quando era attaccato alla pianta si nutriva. “Questo peperoncino secco ha bisogno di aria?”. No, ma quando era attaccato alla pianta ne aveva bisogno. Infine chiediamo: “Questo peperoncino si può riprodurre?”… Possiamo dire di sì, coi semi che si trovano nel peperoncino secco possiamo ottenere una nuova pianta di peperoncino e quindi altri peperoncini. “Non possiamo dire che il peperoncino è un VIVENTE perchè non ha tutte le caratteristiche dei viventi, però quando era appeso alla pianta le aveva tutte, quindi il peperoncino appartiene al gruppo ERANO VIVENTI”. Mettiamo il peperoncino sotto alla scritta ERANO VIVENTI
– proseguiamo così con gli altri oggetti


– ora mettiamo sul piano di lavoro il contenitore con le immagini di oggetti che erano viventi e diciamo: “Qui ho raccolto immagini del gruppo ERANO VIVENTI. Vediamo se è vero”
– prendiamo la prima immagine e chiediamo ai bambini: “Cos’è?”. I bambini rispondono, ad esempio. “Un fossile di trilobite”. Chiediamo se un fossile ha bisogno di cibo, di aria e se si riproduce. La risposta è sempre no, ma quando il trilobite era vivo, mangiava, respirava e si riproduceva. Indicando la scritta ERANO VIVENTI diciamo: “. Il fossile di trilobite fa parte del gruppo ERANO VIVENTI”
– proseguiamo così con le altre immagini


– riponiamo il materiale sul vassoio e mostriamo al bambino dove potranno trovarlo, sullo scaffale della botanica
– nei giorni seguenti i bambini potranno ripetere l’esercizio da soli o in gruppo; per questo possiamo variare con una certa frequenza le immagini del vassoio.
– al termine raccogliamo il materiale usato e riponiamolo sul vassoio, poi portiamolo allo scaffale della biologia, di modo che i bambini l’abbiano a loro disposizione.

Viventi e non viventi col metodo Montessori
Viventi, non viventi ed erano viventi
Presentazione

Materiale:
– un vassoio
– immagini di viventi , di non viventi e di non viventi che erano viventi , che possono essere codificate sul retro per il controllo autonomo dell’errore
– una striscia di carta con la scritta VIVENTI , una con la scritta NON VIVENTI e una con la scritta ERANO VIVENTI
– tavolo o tappeto.

Presentazione di gruppo:
– portiamo il materiale sul tavolo o sul tappeto e invitiamo un gruppo di bambini alla presentazione  dicendo: “Oggi vorrei mostrarvi un’altra attività che ha a che fare coi viventi e i non viventi”
– diciamo: “Come abbiamo già fatto con gli oggetti del cestino dei viventi e non viventi, e con le immagini, divideremo queste immagini a seconda che rappresentino viventi (mettiamo sul piano di lavoro, in alto a sinistra, il cartellino VIVENTI), non viventi (mettiamo sul piano di lavoro, in alto al centro, il cartellino NON VIVENTI) o oggetti che ERANO VIVENTI (mettiamo sul piano di lavoro, in alto a destra, il cartellino NON VIVENTI)
– scegliamo un vivente, ad esempio l’albero e diciamo: “Questo è un albero. L’albero è un essere vivente perchè mangia, respira, e si riproduce” e mettiamo l’immagine dell’albero nella colonna dei viventi
– scegliamo un oggetto non vivente, ad esempio un vaso e diciamo: “Questo è un vaso. Il vaso non è un vivente perchè non si muove da solo, non respira, non si riproduce”, e mettiamo l’immagine in alto al centro, tra i non viventi
– scegliamo un oggetto che era vivente, ad esempio una foglia secca e diciamo: “Questa è una voglia secca. La foglia secca non è un essere vivente perchè non si nutre, non respira, non si riproduce. Però quando era attaccata alla pianta lo faceva. La foglia secca appartiene al gruppo ERANO VIVENTI. Mettiamo la foglia in altro a destra
– continuiamo allo stesso modo con tutte le altre illustrazioni, finchè non saranno divise in tre gruppi: i viventi, i non viventi e quelli che erano viventi


– diciamo: ” Tutti i viventi si trovano in questo gruppo. Tutti i non viventi si trovano in quest’altro gruppo. Tutti i non viventi che erano viventi si trovano in questo gruppo”


– un’idea interessante per visualizzare la classificazione tra viventi, non viventi, erano viventi è quella di utilizzare due tappetini trasparenti di colori diversi, in questo modo (l’immagine è di The learning ark):


– se abbiamo codificato le carte sul retro (scrivendo vivente o non vivente o era vivente a seconda dei casi oppure utilizzando cerchietti di colore diverso) mostriamo ai bambini come potranno verificare il loro lavoro dopo averlo svolto da soli
– riponiamo il materiale sul vassoio e mostriamo al bambino dove potranno trovarlo, sullo scaffale della botanica
– nei giorni seguenti i bambini potranno ripetere l’esercizio da soli o in gruppo; per questo possiamo variare con una certa frequenza le immagini del vassoio.

VIVENTI : elefante, ape, granchio, giunchiglie, melo, passero, corallo, medusa, pesce,  salamandra,  cane, lombrico, pappagallo, spugna di mare, stella marina,  serpente, delfino, rana, gallina, topo, coccinella, esseri umani, pinguino, quercia da sughero,  ornitorinco, cactus, fungo, albero, orso, soffione, anatra.

NON VIVENTI: mongolfiera, guanti, barca, fuoco, scarpa, spugna, costruzioni, sasso, sole, cd, sedia, pioggia, orologio, latte, violino, frullatore, stalattiti, automobile, forchetta, carrello, palla, anello, casa, ruota, ventilatore, lampadina, martello, bicicletta, nuvole, televisore, vaso, forbici, cristalli.

ERANO VIVENTI: mele disidratate, uvetta, fiori secchi, noce di cocco, fossili di trilobiti, fossile di pesce, peperoni secchi, tronco d’albero abbattuto, foglia secca, dente di squalo piselli in scatola, bracciale di corallo, lavanda secca, minestrone surgelato, tonno in scatola, pistacchi, olive conservate, tappi di sughero, sardine in scatola, prosciutto, scheletro di dinosauro, caviale, alga nori, ortaggi, pepe in grani, salmone affumicato.

Con le carte illustrate, dopo aver lavorato alla classificazione viventi/non viventi/erano viventi possiamo procedere in una prima classificazione dei viventi dividendoli in ANIMALI e PIANTE .

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Viventi e non viventi

Età: dai quattro anni.

Nomenclatura: viventi, non viventi, erano viventi; animati, inanimati; cibo, aria, riproduzione, crescita, movimento, i nomi degli oggetti in miniatura, i nomi degli oggetti rappresentati nelle immagini, ecc.

Scopi:
– riconoscere viventi e non viventi
– sviluppare la capacità di classificare oggetti in base a un criterio stabilito.

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Parlano di viventi e non viventi:
The learning ark
– Kingdom of the Pink Princesses
– Montessori at Home
Gift of curiosity
My Montessori journey
– The homeschool den
One hook wonder 

Offrono materiale su viventi e non viventi (in Inglese):
Montessori 123
Montessori service
Montessori Print Shop
Montessori for everyone
Montessori Alliance
ABCteach 

Lazio: materiale didattico, dettati e letture

Lazio: materiale didattico, dettati e letture per bambini della scuola primaria.

Il lazio: cartina fisico-politica

I confini: Mar Tirreno, Campania, Abruzzo, Molise, Marche, Umbria, Toscana.
I golfi: golfo di Gaeta.
I promontori: Capo Circeo, Punta di Gaeta.
I monti: Appennino Centrale (Umbro-Marchigiano, Abruzzese), Sub-appennino (Monti Sabini, Simbruini, Ernici), Antiappennino (Volsini, Cimini, Sabatini, Colli Albani, Lepini, Ausoni, Aurunci)
Le cime più alte dell’Appennino Centrale: Terminillo (m 2.213), nei monti Reatini; Monte Viglio (m  2156); Monte Pizzodeta (m 2.037); La Mera (m 2.241).
Le cime più alte dell’Antiappennino: Monte Cimino (m 1.053), Monte Cavo (m 949), Monte Semprevisa (m 1.536), Monte Calvilli (m 1.102), Monte Petrella (m 1.533).
I valichi: Valico di Torrita (m 1.005).
Le pianure: Maremma, Campagna Romana, Agro Pontino.
I fiumi: Tevere, Liri-Garigliano con il suo affluente Sacco; affluenti di sinistra del Tevere: Nera con il suo affluente Velino; Aniene.
I laghi: Lago di Bolsena, Lago di Vico, Lago di Bracciano, Lago d’Albano, Lago di Nemi, Lago di Fondi.
Le isole: Ponziane (Ponza, Ventotene, Palmarola, Zannone, Scoglio Santo Stefano).

Osserviamo la cartina
Il Lazio, terra degli antichi Latini, è situato al centro dell’Italia e abbraccia un territorio assai vario per aspetto fisico. Esso comprende la zona montuosa dell’Appennino, con la vetta del Terminillo, i Monti Sabini e Sambruini, ai piedi dei quali si stendono le regioni della Sabina e della Ciociaria.
Nella parte settentrionale del Lazio, lungo il corso del Tevere, sorgono i monti Volsini, Cimini e Sabatini, mentre nella parte meridionale si elevano i Colli Laziali e, lungo la valle dei fiumi Sacco e Liri, i Monti Lepini, Ausoni e Aurunci.
La Campagna Romana è l’unica zona pianeggiante del Lazio e si stende lungo il Mar Tirreno.
Fanno parte del territorio del Lazio le Isole Ponziane.
Belli sono i caratteristici laghi vulcanici di Bolsena, di Vico e di Bracciano.

Province

Il Lazio è suddiviso in cinque province.
Roma,  capitale d’Italia dal 1871, è da secoli il centro del mondo cattolico e sede del Papato. La sua gloriosa storia è narrata in innumerevoli e superbe opere antiche, medioevali e moderne, che la rendono unica al mondo. Roma è anche città modernissima, con belle vie larghe e dense di traffico, grandi alberghi, magnifici palazzi. Importante nodo stradale e ferroviario, Roma è in comunicazione con tutto il mondo, grazie agli aeroporti di Ciampino e di Fiumicino, dove fanno scalo le principali linee aeree nazionali e internazionali.
Frosinone, il capoluogo della Ciociaria, è situata sull’alto di un colle, tra vigne e oliveti.
Latina, città modernissima, è provincia dal 1934. Sorge nella zona bonificata dell’Agro Pontino ed è centro agricolo e industriale.
Rieti, capoluogo della Sabina e cioè del bacino del fiume Velino, giace in una conca dominata dal Terminillo.
Viterbo, al centro della regione vulcanica, occupa la zona tra i laghi di Bolsena e di Vico.

Per il lavoro di ricerca

Quale origine ha il territorio del Lazio?
Non molto lontano da Rieti presso il confine con l’Umbria, sorge un monte noto agli sportivi per i suoi campi da sci: qual è?
La fascia costiera della regione comprende due ampie pianure: come si chiamano?
Come erano queste zone qualche decennio fa?
Come sono oggi?
Nel Lazio si aprono parecchi laghi: di che origine sono?
Quali sono i più importanti fiumi della regione?
Quali isole appartengono al Lazio?
Quali sono i più importanti prodotti agricoli della regione?
Che cos’è la Pietra di Roma?
Dove sorgono le più importanti industrie e quali sono?
Cos’è Cinecittà?
Frosinone, la Ciociaria, Rieti, Montefiascone legano i loro nomi a prodotti particolari. Quali?
Che cos’è la Ciociaria e perchè ha questo nome?
C’è un’altra voce molto importante nell’economia del Lazio: quale?
Alcune città laziali sono antichissime, altre invece molto recenti: dove e quando sono sorte queste ultime?
Quali sono le testimonianze, in Roma, della grandezza storica della città?
Quali sono le più famose fontane di Roma?
Che cos’è il Colosseo?
Dove sono state trovate tombe etrusche di grande importanza? Che cosa ricorda il nome Nemi?
Se tu volessi raggiungere il Lazio in aereo in quali aeroporti potresti atterrare?
E se vi arrivassi in macchina da Firenze o da Livorno, quali strade o autostrade dovresti percorrere?
Quale Stato indipendente è compreso nel territorio del Lazio?

Il Lazio

Ricco di foreste, di boscaglie, di pascoli, povero di prodotti del sottosuolo, il Lazio produce frumento, granoturco, barbabietola da zucchero, foraggi, olive e uve. Pregiatissimi i vini del Velletrano e dei Castelli romani. Florida la pastorizia; scendono alla campagna, dall’Umbria, gli armenti. Cavalli e bufali per la libera distesa, sorvegliati dai butteri.

Lazio: sguardo d’insieme

Quelli del Lazio sono soltanto confini politici; non delimitano, infatti, una regione fisica particolare. Il Lazio è costituito di elementi dissimili: monti di formazione ed aspetto del tutto diversi l’uno dall’altro, pianure di diversa origine, fiumi che percorrono la regione ed hanno altrove le sorgenti, fiumi che si alimentano ai piedi dei monti laziali e scorrono per lunghi tratti nelle regioni vicine.
I rilievi che occupano largamente il Lazio si presentano senza ordine, in gruppi, più o meno estesi e appartengono, nella maggior parte, al sistema dell’Antiappennino. L’Appennino si affaccia nel tratto nord-orientale della regione con le montagne reatine culminanti nella vetta del Terminillo (m 2213): si innalza con rilievi calcarei, massicci, con aspre vette, fianchi scoscesi, pareti precipiti; i Monti Simbruini ed i Monti della Meta sono le altre cerniere appenniniche che saldano il Lazio all’Abruzzo. Dal Nord al Sud, l’Antiappennino offre uno spettacolo grandioso di rilievi vulcanici; prima i tre gruppo dei Volsini, dei Cimini, dei Sabatini; poi, oltre la piana del Tevere, il gruppo dei colli Albani o Laziali. In tutto è visibile l’origine singolare, formati come sono dai crateri ormai sfaldati ed erosi, foggiati dall’esplosione vulcanica o dal getto dei materiali dell’esplosione stessa. Il verde che oggi riveste i morbidi dossi toglie ogni drammaticità al paesaggio e lo addolcisce; lo rende anche più suggestivo la presenza di numerosi laghi imbutiformi, venuti a colmare di acque azzurre le bocche degli antichi vulcani.
Nei Volsini è il grande lago di Bolsena (secondo solo al Trasimeno, nell’Italia peninsulare); nei Cimini è il lago di Vico, nei Sabatini il lago di Bracciano; ornano i colli Albani i laghi di Albano e di Nemi.
Più a sud si innalzano, distinti nettamente l’uno dall’altro, i gruppi montuosi dei Lepini, degli Ausoni e degli Aurunci, che non sono di origine vulcanica: essi hanno una struttura calcarea, appaiono poco elevati, ma di aspetto rude, ricchi di grotte e di doline, con pareti scoscese rivolte verso il Tirreno, sulla costa del quale si erge, a formare promontorio, il rilievo solitario del Monte Circeo.
Tutto intorno ai rilievi vulcanici si estendono bassi ripiani di materiale tenero, sui quali le acque hanno lavorato in profondità, scavando valli d’ogni misura e isolando sparsamente piccoli rilievi collinari simili a quelli che videro sorgere Roma.
Appennino, Antiappennino, valli e distese collinari occupano una parte notevole della regione; la pianura vera e propria si riduce, nel tratto settentrionale, ad una fascia costiera ricca di dune; si allarga nell’avvallamento creato dal Tevere, aperto ampiamente a destra ed a sinistra del suo delta (Agro Romano); torna a restringersi a ridosso dei colli Albani; si estende di nuovo in modo notevole nell’Agro Pontino, costituito in parte da un tavolato alluvionale, in parte da territori lievemente ondulati, emersi in antico dal mare. Agro Romano e Agro Pontino recano il ricordo di paludi e di malaria; dopo opere di bonifica, offrono ora una terra fertile alle coltivazioni. A questo punto, i monti Ausoni ed Aurunci spingono gli ultimi pendii fino al mare, spegnendo del tutto la pianura.
Nel mar Tirreno, al largo del promontorio del Circeo, è l’arcipelago delle Ponziane che, amministrativamente, appartengono al Lazio. Nella regione scorre, ma non vi nasce, il Tevere, il maggior fiume dell’Italia peninsulare (Km 405), il quale, dalle pendici del monte Fumaiolo (Appennino Tosco-Emiliano), attraversa l’Umbria e si avvia al Lazio in direzione longitudinale stretto com’è  fra i rilievi dell’Appennino e dell’Antiappennino che gli impediscono di rivolgersi al mare; soltanto dopo aver superato i monti Sabatini devia verso Roma e verso il Tirreno; scendono al Tevere, dai monti Reatini, il Velino, che confluisce nel Tevere in Umbria, e, dai monti Simbruini, l’Aniene; nel Lazio ancora scorre per un tratto il Liri, il quale riceve gli affluenti Sacco e Gari e, con nome di Garigliano, porta le sue acque nel Tirreno segnando, nel suo ultimo tratto, il confine fra il Lazio e la Campania.

Il Tevere nel Lazio

Dopo circa 240 km di percorso il Tevere entra nel Lazio, tocca Orte e riceve le copiose acque della Nera, il più generoso dei suoi affluenti, senza il cui apporto non sarebbe che un longo e disordinato torrente. Dice infatti un proverbio romano: “Il Tevere non sarebbe il Tevere, se la Nera non gli desse da bevere”.
Snodandosi poi in larghi meandri, scende solenne verso Roma, alle cui porte lo raggiunge l’Aniene o, meglio, il Teverone, come familiarmente lo chiamano i Romani.
Scivolando sotto i ponti più antichi del mondo, attraversa silenzioso l’Urbe descrivendo un’ampia curva e dividendosi in due rami per lambire l’Isola Tiberina dalla caratteristica forma allungata, congiunta alle sue sponde dai vetustissimi ponti Cestio e Fabricio. Raggiunte poi le moderne installazioni portuali di San Paolo, ove risalgono dal mare battelli e rimorchiatori di notevole mole, prosegue lento, tortuoso, giallastro, nell’austera solitudine dell’Agro Romano. In località Capo li Rami si biforca a formare l’Isola Sacra: il braccio destro, canalizzato, rettilineo, fiancheggiato da rigogliosi eucalipti, va al porto di Fiumicino; quello sinistro, detto Fiumara Grande, gira intorno all’isola, lambisce le rovine di Ostia Antica e infine si insala nel Tirreno, in un paesaggio di severe solennità. Si compie così, dopo 405 km, il viaggio del fiume nel cuore antico d’Italia.

Sorgono nuove città

Le Paludi Pontine, che si stendevano dal mare al margine delle montagne, erano un grandioso deserto paludoso e malarico, in cui pascolavano le greggi e le mandrie di bufali neri che non temono il fango.
Vi abitava un piccolo numero di pastori dispersi e vi passavano le compagnie dei cacciatori attratti dagli uccelli acquatici.
Nessuna parte dell’Italia era più primitiva di questa alle soglie di Roma stessa. Si dice che nemmeno ai tempi di Roma queste terre fossero fertili; e ad ogni modo nei secoli di decadenza la palude aveva inghiottito le opere dei primi monaci e i vari tentativi di sistemazione idraulica iniziati dai papi.
La bonifica è sempre stata dalla natura. Lasciati a se stessi, questi terreni piatti tornerebbero ad impaludarsi. Anche il relativo abbandono duranti gli anni della guerra fu sufficiente a far temere che la natura prendesse una triste rivincita. Il pericolo è adesso superato, la bonifica è salva.
I dati fondamentali della bonifica variano leggermente secondo le pubblicazioni. Si può dire in maniera approssimativa, che ottantamila ettari circa furono sistemati, cinquantamila dissodati e venticinquemila resi irrigabili; e circa un milione di metri quadrati coperto di fabbricati rurali. Sorsero, tra il 1932 e il 1939, Latina, Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia.
Capoluogo e borgate, artificiali anche nei nomi dettati dal gusto del tempo, attecchirono però bene, ed infatti dal primo nucleo cominciarono a svilupparsi. Col loro aspetto di borgate rurali di diversa grandezza, che si propongono soltanto d’essere funzionali, sono oggi riuscite ad incorporarsi nell’ambiente.
Si ha perciò il caso, molto raro in Europa, ed imitato nell’Italia del Sud, di centri nati dal nulla e divenuti vitali in una ventina d’anni.
(G. Piovene)

Un paesaggio monotono

Un paesaggio che ha completamente cambiato la sua primitiva fisionomia è quello delle paludi pontine, o, come ora meglio si dice, dell’agro pontino. A percorrere la via Appia nel tratto che da Velletri porta a Terracina c’è da morir di noia. Non per nulla si chiama “la fettuccia di Latina”. E’ infatti un unico interminabile rettilineo. Ai due lati è il disegno geometrico di campi seminati per lo più a grano. Piantagioni a scacchiera di ulivi e di viti, interrotti qua e là da quei piccoli stagni tondeggianti che si chiamano “piscine”, nulla tolgono alla monotonia del paesaggio.
Siamo nel Lazio, ma potremmo essere nelle terre basse della pianura padano-veneta: gli stessi reticolati di canali e di fossi, gli stessi argini, le stesse lunghe vie, diritte, le stesse case rurali fatte in serie, di un bianco abbacinante nel sole estivo. Anche le città, in questo Lazio antico, greve di storia millenaria, sono qui nuove, come Latina, che è nata nel 1932, o Sabaudia (1934) o Pontinia (1935) o Aprilia (1937).
Nessuna attrattiva di paesaggio  dunque, per cui il viaggiatore è preso da noia e, se è un automobilista, deve lottare per vincere il sonno.

Un tratto di campagna romana

Oggi la vista è tutt’altra, e non ci non più gli splendori stupendi e maligni dei crepuscoli in palude. Il cacciatore non trova più le cospicue delizie di valle e di macchia, e nemmeno rischia più di affondare nei tradimenti del pantano. I primi canali, pigri e incerti, che nel tempo delle piogge confondevano le acque loro con quelle dilaganti, e in tempo di siccità stagnavano, non sono più spurgati e diserbati col primitivo sistema di spingerci dentro i branchi delle bufale.
Questo animale predilige acque morte e limo tiepido. Era uno spettacolo bello e selvaggio , quando i butteri, incassati nell’alta sella dalle staffe lunghe, spingevano col pungolo simile ad una lancia i bufali al canale, che vi scendevano dentro con gli zoccoli grevi e le corte gambe, che prima di vederle correre mai diresti così veloci, vi si affondavano fino al petto quadrato, fino al garrese possente.  Restavano a fior d’acqua le corna a forma di falce rovesciata, le fronti catafratte, gli occhi lenti e come smemorati; le froge, godevano e rifiatavano forte.
Sul fondo dei canali sono passate le benne delle macchine di scavo, le pale degli abili operai emiliani e lombardi, che hanno scavato e sistemato canali, fossi e scoli; poi, con le marre, sterrato, sarchiato, livellato con quella incredibile minuzia che esige l’acqua, la quale vuole essere invitata più che violentata, e indovinata non che studiata, e che occorre per la sistemazione a coltura dei terreni bonificati.
Idraulici ed agricoltori in una hanno perfezionato la rete di scolo e di irrigazione, ché la bonifica libera la terra dall’acqua per cadere nella siccità, e bisogna immettere acqua sana e tenere vivi i canali.
(R. Bacchelli)

Dalle barbabietole allo zucchero

Rieti vanta il più antico zuccherificio italiano, costruito nel 1872. Le bietole grigiastre appena raccolte vengono lavate e tagliate a listarelle, quindi introdotte in appositi recipienti cilindrici. Una corrente d’acqua calda immessa poi in questi cilindri asporta dalle bietole tutta la sostanza zuccherina. Si forma così un liquido giallognolo che viene depurato mediante complessi procedimenti e trasformato in un succo denso di colore scuro. Questo è poi filtrato attraverso sabbia e segatura di legno e infine fatto bollire ad una temperatura non superiore ai 60 gradi.
Durante questa operazione si formano i cristalli di zucchero, che si separano dallo sciroppo (la melassa) e che vengono quindi lavorati nelle raffinerie, dove assumono finalmente l’aspetto ben noto.

Le mozzarelle

Frosinone e la Ciociaria sono un po’ la patria della mozzarella, quei delicati formaggi freschi e bianchi, che si sciolgono in bocca come un burro. Per fabbricare le vere mozzarelle occorrono innanzitutto le bufale, cioè le femmine di una specie bovina asiatica, importata in Italia durante il medioevo ed allevata nel Meridione. Il latte delle bufale viene fatto cagliare lentamente in ambiente tiepido. La cagliata diviene così plastica, tanto da poter filare senza rompersi. Dopo alcune ore questa pasta bianca viene estratta dal siero (liquido lattiginoso che si separa dalla sostanza cagliata) e manipolata in acqua calda, finchè i pezzi si incollano, sovrapponendosi: provate ad affettare una mozzarella, vi accorgerete che è composta da diversi strati. Infine, le mozzarelle vengono modellate su forme apposite e poste a consolidare in acqua fredda; quindi, impacchettate nel loro siero, sono pronte per essere spedite e consumate ovunque.

La pietra di Roma: il travertino

Il travertino fece la sua comparsa a Roma solo nel II secolo avanti Cristo; fino ad allora il materiale che più si usava era il lapis albanus, cioè la pietra di Albano, pietra-tufo di origine vulcanica dai brillanti bianchi cristalli d’un minerale chiamato leucite (parola greca che vuol dire “bianco”) ben visibile lungo il lastricato del Foro Romano, ecc.
La sua fortuna il travertino la dovette soprattutto al fatto che Roma distava pochi chilometri dai giacimenti più importanti, quelli di Tivoli, da cui il nostro travertino. Le località più tipiche e storicamente più importanti per l’estrazione del travertino sono situate nella pianura percorsa dal fiume Aniene alle falde dei monti di Tivoli, per esempio alle Acque Albule, così chiamate perchè bianche di calce, presso un fiumicello dalle acque solforose e solforiche dall’odore penetrante. In questa piana i Romani scavarono una gran valle, larga ben 2500 metri, ottenendo così oltre mezzo milione di metri cubi di travertino. Del resto basta pensare alle proporzioni del Colosseo e dei vari teatri dell’antica Roma, tutti in travertino, per farsi un’idea dell’enorme quantità di materiale che i Romani asportarono da questa terra.
L’uso del travertino si andò diffondendo; e altre cave furono aperte in Toscana, in Umbria, nella Campania. Da Orvieto giù giù fino a Salerno il travertino ebbe presto il sopravvento su tutti gli altri materiali da costruzione e da rivestimento anche se di qualità meno bella della vera “Pietra di Tivoli”.
I più importanti giacimenti di travertino oggi “coltivati” (come si dice in gergo minerario) si trovano nel Lazio, e non solo a Tivoli ma anche a Viterbo, a Cerveteri, a Subiaco, per dire solo le località più tipiche. Ma se ne estrae anche dalla terra perugina e ascolitana; e in Toscana vi sono altre buone località: Montecatini, Bagni di Lucca, Rapolano, Magliano, Massa Marittima. Il travertino è un calcare (cioè carbonato di calcio) che venne abbandonato dalle acque calcarifere le quali erano divenute tali perchè avevano sciolto da altre parti più a monte il calcare delle rocce. Spesso il travertino contiene foglie e rami di piante che vennero lentamente ricoperte dalle acque calcarifere e che perciò vennero inglobate nel calcare abbandonato dalle acque.
Roma è la città più d’ogni altra ricca di monumenti che testimoniano delle qualità espressive del travertino: il colonnato di San Pietro, opera del Bernini; il pavimento della Piazza del Campidoglio; la Fontana di Trevi; e tanti altri palazzi e monumenti posteriori al periodo imperiale romano.
La richiesta del travertino continua tuttora. Le cave, le diverse cave disseminate in Italia, gettano senza sosta sul mercato questa così bella pietra, docile alla lavorazione e resistente quando il clima non sia troppo umido o gelido. Infatti l’umidità determina spesso un annerimento della superficie, e il gelo, penetrando l’umidità nei forellini della pietra, determina un rapido logorio. Nonostante questo, anche a Milano il travertino è molto in uso.
(G. Nangeroni)

Lo sai?

Secondo la tradizione Roma fu fondata da Romolo il 21 aprile del 753 aC. Ebbe sette re, ultimo dei quali Tarquinio il Superbo, venne cacciato. Durante il periodo repubblicano estese le sue conquiste e consolidò la sua potenza vincendo tra gli altri Volsci, Equi, Etruschi, Campani, Tarantini, e abbattendo con tre lunghe guerre la fortissima Cartagine.
Con Ottaviano Augusto divenne una splendida città e la capitale di un vastissimo impero che non ebbe eguali nell’antichità.
Nel I secolo vi si formò la prima comunità cristiana, che ebbe in breve numerosissimi seguaci e fu sottoposta a feroci persecuzioni.
Alla fine del IV secolo l’Impero Romano d’Occidente cessò di esistere e Roma perdette definitivamente la sua potenza militare, ma acquistò col succedersi dei Papi sempre maggior importanza come capitale del mondo cristiano e centro culturale.
Nella notte di Natale dell’anno 800, in San Pietro, papa Leone III incoronò Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero.
Nel 1527 la città venne ferocemente saccheggiata dai Lanzichenecchi, soldati mercenari tedeschi.
Il 9 febbraio 1849 fu proclamata la Repubblica Romana, di cui Giuseppe Mazzini fu l’animatore. Essa venne abbattuta, il 2 luglio dello stesso anno, dai Francesi, nonostante la resistenza opposta dai suoi eroici difensori.
Il 20 settembre 1870, truppe italiane al comando del generale Raffaele Cadorna entrarono nella città attraverso la breccia delle mura di Porta Pia e la occuparono. Pio IX si ritirò in Vaticano considerandosi prigioniero del Governo Italiano.
L’anno dopo, il primo luglio 1871, Roma fu proclamata capitale d’Italia.
L’11 febbraio 1929 si pose termine al dissidio tra il Governo Italiano e la Santa Sede con la firma dei Patti del Laterano.
Roma ha dato i natali a molti illustri personaggi, tra cui Caio Giulio Cesare, Cesare Ottaviano Augusto, Severino Boezio, Gregorio Magno, Pietro Metastasio, Gioachino Belli, Trilussa, Enrico Fermi.

Impressioni di Roma

Non sono pochi ad affermare che Roma è la più bella città del mondo. Qui la natura, la storia, la religione e l’arte si alternano e si completano nel dar vita a visioni stupende e nel ricreare suggestioni e commozioni intense. I secoli più remoti e più recenti rivivono nella pietra, nel marmo, nel cotto dei monumenti, in un accostamento che non appare mai come frutto del caso, ma che sembra il volto di un perenne presente su quello sfondo di pini bruni che fanno più risplendente e più profondo il cielo.
Ma che cosa rimane nella memoria di tutto quel continuo succedersi di contemplazioni, di stupori, di emozioni, mentre si procede di via in via, di piazza in piazza, di basilica in basilica, di colle in colle? Prima di tutto il ricordo del solenne, dell’austero, del maestoso, dello spazio che circolano per l’aria fra i ruderi, fra le colonne, nelle navate, sotto le cupole, fra i palazzi, nelle vaste strade, nelle piazze enormi. Poi San Pietro, il Colosseo, le fontane, le innumerevoli fontane che si succedono con fantasia inesauribile; e indimenticabili visioni di Roma eterna come si possono ammirare dai colli famosi.

Roma, città isolata

Per tanti secoli Roma fu come un’oasi in un deserto. Chi usciva di città passava attraverso una stretta cintura di orti e di vigne, poi si trovava all’improvviso in una landa sconfinata, lievemente ondulata. Bella e suggestiva, non c’è dubbio! Qualche capanna conica di pastore interrompeva la linea uniforme dell’orizzonte, che un gruppo di bufale nere, o la pennellata chiara di un gregge non bastavano ad animare. Era il regno della malaria e del latifondo.

I monumenti di Roma

Non è certo il caso di farne qui un elenco completo: i monumenti di Roma sono veramente innumerevoli, di tutte le epoche della sua storia meravigliosa.
I più importanti e caratteristici sono il Colosseo o Anfiteatro Flavio, il più grandioso di tutti, e le Terme di Caracalla, nella cui cornice si svolgono d’estate rappresentazioni liriche all’aperto. E accanto ad essi, per limitarci solo ai più insigni e ai meglio conservati, gli archi di Costantino, di Tito e di Settimo Severo; la basilica di Massenzio o di Costantino, (le basiliche dell’antica Roma, badate, non erano affatto chiese) ove tuttora si svolgono d’estate grandi concerti orchestrali, e tutto il superbo complesso del Foro Romano e del Palatino (il colle, questo, sul quale nacque la prima “Roma quadrata”), il Foro Traiano, il più insigne dei fori imperiali, con la Colonna Traiana e i vicini Mercati Traianei; il Pantheon (costruito da Agrippa genero di Augusto e rifatto da Adriano), tempio romano e poi chiesa cristiana; l’Ara Pacis Augustae (Altare della pace augusteo) eretta fra il 13 e il 9 aC a ricordo della pace ridata da Augusto all’impero, poi andata in frantumi e ricomposta nel 1938; il Mausoleo di Augusto e quello di Adriano (Castel Sant’Angelo), entrambi adibiti nel medioevo a fortezze; la statua in bronzo di Marco Aurelio sul Campidoglio, modello di tutte le statue equestri del Rinascimento, e la Colonna istoriata eretta in onore dello stesso imperatore, in Piazza Colonna, centro dell’Urbe; i resti colossali delle Terme di Diocleziano entro cui sorgono ora la Chiesa di Santa Maria degli Angeli costruita da Michelangelo e il Museo Nazionale Romano; i dodici obelischi egiziani elevati su altrettante piazze; la tomba di Cecila Metella e gli altri resti monumentali della via Appia Antica; e infine i grandiosi Scavi di Ostia Antica e le più modeste rovine dell’antica Veio.
La Roma cristiana ci si presenta innanzitutto con le Catacombe (principali quelle di San Callisto, del II secolo); poi con un gran numero di chiese insigni per età, pregi artistici e importanza religiosa, tra le quali emergono le quattro basiliche patriarcali di San Pietro in Vaticano, San Giovanni in Luterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo Fuori le Mura.
E che dire dei palazzi dai nomi notissimi (il Quirinale, sede del Presidente della Repubblica; i palazzi Madama e di Montecitorio sedi rispettivamente delle due Camere, il Palazzo Senatorio sede del Municipio e gli adiacenti palazzi del Museo Capitolino  e del Conservatorio, i palazzi Venezia, della Cancelleria, Farnese, il barocco Palazzo Barberini e cento altri), e delle fontane monumentali (chi non ha sentito nominare la settecentesca fontana di Trevi, la più monumentale di tutte?), e delle piazze imponenti (la michelangiolesca Piazza del Campidoglio, la bella Piazza del Quirinale dominale dalla fontana con i Dioscuri, la settecentesca piazza Navona sorta sull’area dello stadio di Domiziano, la suggestiva Piazza di Spagna con la celebre scalinata della Trinità dei Monti, l’immensa Piazza del Popolo, e via dicendo); delle vie (dall’ampia maestosa via dei Fori Imperiali all’elegantissima via Vittorio Veneto, che i romani continuano, come un tempo, a chiamare via Veneto, alla Passeggiata del Gianicolo); dei giardini e dei parchi (il Pincio, villa Borghese col giardino zoologico più importante d’Italia, il Parco di Porta Capena, ecc.)?
Che dire dei musei e delle gallerie d’arte antica e moderna? Né mancano opere grandiose e comunque degne di nota anche tra quelle più recenti.
(A. Basso)

Le quattrocento chiese di Roma

Una città sotterranea è stata la prima città della fede cristiana. Nella terra stessa dove erano le fondamenta di Roma, i primi cristiani hanno scavato le loro catacombe, i loro luoghi di ricovero e di raduno, le loro primissime chiese.
E un labirinto sottoterra, sempre più profondo, per il quale giri al lume delle candele per chilometri e chilometri. Di San Pietro sai già che è la prima chiesa del mondo. E’ sorta sul luogo dove morivano i martiri; e, accanto, sul Colle Vaticano, ha il suo piccolo libero Stato dai meravigliosi palazzi, il Papa.
Ma quante altre chiese ha Roma? Quattrocento. E fra queste la più antica, la madre delle basiliche, quella dedicata a San Giovanni, sorta sui terreni che l’imperatore Costantino donò ai Papi.

Le fontane di Roma

Roma è la regina delle acque. Per le vene di Roma scorre l’Acqua Vergine, l’Acqua Felice, l’Acqua Marcia, l’Acqua Paola: acque freschissime, pure e maestose. Nelle piazze e nei giardini si sono innalzate le più mirabili fontane, che parlano perpetuamente il loro linguaggio di gorgoglii, chioccolii, scrosci delle cascatelle, degli steli bianchi, degli sprilli altissimi, de getti violenti. Le fontane di Roma!
In Piazza Navona ce ne sono tre. E la barcaccia di Piazza di Spagna? Essa è posta davanti alla scalinata per cui si sale alla Trinità dei Monti, il punto più soavemente bello di Roma. E la fontana di Trevi? E’ un capolavoro; tra i più capricciosi e svariati giochi d’acqua, emergono cavalli marini e tritoni, irrigati da rivoletti freschi, che danno apparenza di essere vivi.
(G. Borsi)

Curiosità

Intorno alla Colonna Traiana si possono ammirare numerosissimi fregi che si snodano a spirale per tutta l’altezza della colonna: in essi sono rievocati gli episodi più significativi delle guerre compiute nella Dacia dall’Imperatore Traiano, nel periodo che va dal 101 al 106 dopo Cristo.
Sulla sommità della colonna troneggia una statua di San Pietro alla quale si può giungere per mezzo di una scala a chiocciola posta nell’interno della colonna stessa.

Il colosseo

Il Colosseo, il più importante degli edifici della Roma Imperiale, così denominato per le proporzioni gigantesche e per la vicinanza della statua colossale di Nerone, sorse nella bassa valle dell’Esquilino, del Palatino e del Celio, forse nel luogo stesso si apriva come un lago lo stagnum del sontuoso palazzo imperiale di Nerone. Esso ha resistito ad incendi, a terremoti, al logorio dei secoli ed è pertanto interessante ricordare la profezia del monaco inglese Beda: “Finchè starà il Colosseo starà Roma; ma quando Roma cadrà finirà anche il mondo”.
Iniziatane la costruzione da Vespasiano che la condusse fino al secondo ordine, venne compiuto da Tito nell’80 dC, e rifinito da Domiziano. Per gli speciali accorgimenti usati nella costruzione, tali da permettere in pochi anni l’elevazione di così immensa mole, il Colosseo costituisce uno dei grandi ardimenti dell’ingegneria romana.
La costruzione è alta come un palazzo odierno di dodici piani ed è formata da tre file sovrapposte di ottanta archi di travertino, sormontate da un quarto ordine a muro continuo, oggi quasi del tutto scomparso. Corrispondevano, all’interno un’immensa cavea, tre ordini di sedili, divisi da due recinti, e, in alto, un ultimo ordine, riservato forse alla classe più povera di spettatori.
Il Colosseo costituisce una delle più evidenti testimonianze della capacità costruttiva degli antichi Romani. Le perfette realizzazioni tecniche ancora oggi stupiscono. Esse consentivano, ad esempio, di allargare la platea per lo svolgimento delle battaglie navali (naumachie); di tendere un enorme velario per riparare dal sole gli spettatori, di disporre di ben trentadue ascensori per sollevare le belve dal sotterraneo fino al livello del suolo e di innalzare, tutto intorno all’arena, una robusta cancellata, assicurata a grosse travi, durante le cacce alle bestie feroci.
A cavea gremita si calcola che l’edificio potesse contenere cinquantamila spettatori.

Dettati e materiale didattico sulle piante

Dettati e materiale didattico sulle piante per bambini della scuola primaria.

Il soffione

Se noi soffiamo sul palloncino del soffione che cresce nei prati, ai margini delle strade o tra le pietre, lo vediamo scomporsi in tanti piccoli elementi, i quali se ne vanno lontani, veloci e leggeri. Prendiamo uno di quegli elementi. E’ formato da un corpicino sul quale è impiantato un filamento terminante in una raggiera di peluzzi.
Possiamo paragonarli all’ombrello del paracadute, e il fruttino ovale al passeggero. Il vento lo afferra, lo trascina in alto, lo sospinge in basso e va a capitare, proprio come era il desiderio della pianta madre, in un luogo umido dove può svilupparsi a meraviglia.
(G. Scortecci)

Per il lavoro di ricerca

Come è fatto un fiore?
A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline?
Che cos’è l’impollinazione?
Come avviene e per mezzo di chi?
Come si forma il frutto?
Quali frutti conosci?
Quali sono i frutti carnosi e quali i frutti secchi?

A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline?

Gli ovuli sono gli organi destinati a trasformarsi in semi. Perchè questa trasformazione avvenga occorre, però, che gli ovuli si incontrino con un granello di polline.
Il polline viene prodotto dalle antere. Esso dovrà perciò essere trasportato fin sulla punta del pistillo: da qui potrà scendere fin nell’ovario dove incontrerà gli ovuli. Allora si formeranno i semi, ed il fiore avrà adempiuto il suo compito; infatti a questo punto il fiore appassisce e cade.
Bisogna ricordare una importante legge che regola l’impollinazione dei fiori: in genere il fiore, perchè dai suoi semi possa nascere una pianta sana e vigorosa, deve essere fecondato con polline prodotto da un altro fiore.
Ma chi provvede a portare il polline dall’uno all’altro fiore?
Ogni famiglia di piante ha scelto un suo modo per provvedere a questo trasporto: c’è chi si serve del vento, chi dell’acqua e chi dell’opera di diversi animaletti, generalmente insetti, ma in qualche caso anche uccelli e molluschi.

L’impollinazione

Tutte le piante superiori si riproducono per mezzo di semi, i quali si sviluppano dal fiore solo quando questo viene fecondato. Voi sapete già come è fatto un fiore e quali sono i suoi organi principali. Conoscete quindi gli stami e le antere, che producono il polline, la minuta polverina gialla che rimane attaccata alle dita quando tocchiamo l’interno di un fiore maturo.

Quei minuscoli granuli gialli, prodotti in tanta abbondanza dai fiori, sono uno dei più preziosi elementi esistenti in natura, poichè racchiudono il segreto della vita delle piante. Sono proprio i granuli di polline che provocano la fecondazione degli ovuli, una volta giunti sul pistillo che sovrasta l’ovario.

Se esaminate il polline al microscopio noterete che i granuli hanno forme diverse, che variano da pianta a pianta. Ce ne sono di ovali, di cilindrici, di rotondi. Alcuni terminano con delle piccole punte, altri sono leggermente uncinati, altri ancora sono a forma di mezzaluna. Se provengono da piante che si fanno impollinare dal vento, sono più piccoli ed hanno forme più appiattite, per poter volare più facilmente. Se invece sono destinati ad essere trasportati lontano dagli insetti, sono di maggiori dimensioni e risultano appiccicosi.

Se un granulo di polline raggiunge il pistillo, l’ovulo viene fecondato. Ma raramente succede che il polline prodotto da un fiore vada a fecondare l’ovario dello stesso fiore.

Le piante fanno di tutto per ottenere che il polline arrivi al pistillo di un altro fiore o da un’altra pianta. Ciò permette la produzione di frutti e di semi migliori, più adatti alla germinazione; questo processo si chiama fecondazione incrociata e la sua estrema utilità fu dimostrata da Darwin già nel 1859.

Per questo motivo vi sono fiori nei quali il polline matura quando ancora il pistillo non è completamente sviluppato, e altri in cui si verifica il caso inverso. Vi sono poi fiori il cui pistillo si sviluppa molto in altezza, al di sopra delle antere, sempre per impedire che il polline sottostante possa raggiungere l’apertura (stigma). Altre piante infine producono fiori con solo stami che danno il polline (fiori maschili) e fiori col solo pistillo terminante nell’ovario (fiori femminili). Di questo gruppo sono le piante che si fanno impollinare dal vento, come le conifere. Esse non producono fiori con corolle vistose, perchè non devono attirare gli insetti. Producono invece quantità incredibile di polline, perchè dei milioni e milioni di granelli che volano nell’aria solo qualcuno giunge sul fiore adatto.

Alcune piante affidano il polline al vento, altre si servono dell’acqua, altre ancora si impollinano da sole, ma nella maggior parte questa importantissima operazione viene affidata agli animali, e in particolare agli insetti. Per essi le piante producono fiori profumati, fiori provvisti di dolce nettare, fiori dai petali vistosamente colorati.
La stessa forma delle corolle ha il preciso scopo di lasciar passare l’insetto adatto all’impollinazione e di impedire chi si entrino altri animaletti meno graditi. Basta osservare ciò che avviene in un fiore di salvia, per restare stupiti dal meraviglioso meccanismo posto in atto per favorire l’impollinazione incrociata.

Quando un’ape, attirata dal profumo o dal nettare, si appoggia sul petalo più basso per entrare nel fiore, preme su una speciale levetta che fa abbassare lo stame. Questo, che è già incurvato dal peso dell’antera matura, va a toccare il dorso peloso dell’insetto e lo cosparge di polline. L’ape poi vola su un altro fiore e l’operazione si ripete. Ma la salvia è una di quelle piante che fanno maturare prima le antere e poi il pistillo. Così quando l’insetto giunge su un fiore con le antere avvizzite vi trova un pistillo maturo, che incurvandosi con lo stesso meccanismo va a raccogliere il polline di altri fiori sul dorso dell’ape, fecondandosi.

I frutti

Quando il polline, al momento della fioritura, viene portato sulla stimma per opera, o degli insetti, o del vento, o di altri agenti, si ha la fecondazione degli ovuli. Avvenuta questa, gli ovuli  si trasformano in semi mentre le parti dell’ovario si gonfiano, si fanno carnose, tonde, colorite, oppure, a seconda dei casi, solide, fibrose: sta formandosi il frutto. Per noi i frutti sono il piacevole completamento dei pasti, ma per la pianta rappresentano un momento importantissimo e delicato della sua vita. Il frutto protegge il seme e serve a disseminarlo nel terreno.
Per il botanico i frutti si dividono in due categorie: carnosi e secchi. I primi sono pieni di polpa carnosa, turgida, ricca di succo e ci richiamano subito alla mente le ciliegie, le pesche, le mele, le pere.
I frutti secchi non hanno una parete così succosa come i loro parenti carnosi. Ne esistono molte varietà di cui le principali sono: la noce, il legume, la cariosside. Oltre a i veri frutti, esistono anche i falsi frutti alla cui formazione concorrono, oltre all’ovario, altre parti del fiore.
Per esempio il vero frutto della fragola è formato da quei granellini neri che ne costellano la polpa e che vengono generalmente ritenuti semi. Altri falsi frutti sono il fico e il pomo.

I fuoriclasse della botanica

Ecco alcuni semi, fiori, frutti, piante ed alberi che sono veri e propri campioni mondiali di  qualche specialità che ti indicherò.
Il seme più grosso: cocco.
Il fiore più grande: bolo.
Il frutto più voluminoso: turien.
L’albero più alto: sequoia.
L’albero più grosso: baobab.
Il legno più leggero: balsa.
Il legno più pregiato: ebano.
La pianta più delicata: sensitiva.
La pianta più ricca di olio: sesamo.
La pianta che piange di più: vite.
L’albero europeo più longevo: tiglio.

Le sequoie

Le sequoie sono famose per le dimensioni gigantesche e per la longevità. Gli esemplari più alti e più vecchi hanno addirittura un nome proprio e sono severamente protetti. Vi sono due specie di sequoie: la gigante e la sempreverde (ma anche la prima conserva le foglie verdi d’inverno). Attualmente la sequoia gigante di maggiori dimensioni è la General Sherman, che ha quasi 4.000 anni ed è altra 88 metri. Il suo diametro alla base è di circa nove metri. Le sequoie sempreverdi sono meno longeve, ma raggiungono le altezze maggiori. La Founder’s Tree, che si trova in California, è alta ben 110 metri. Il suo tronco però è meno massiccio ed ha alla base un diametro di quattro metri e mezzo.  Il principale carattere che distingue le due specie è dato dalla forma e dalla disposizione delle foglie Nella sequoia sempreverde sono lineari e coriacee, lunghe un centimetro, lisce e aghiformi, con l’estremità appuntita; nella sequoia gigante sono molto più piccole, a forma d brattee appuntite, e disposte sui rametti come tante embrici. Entrambe le specie producono pigne, più semplici e piccole nella sequoia sempreverde. I tronchi hanno corteccia rossastra molto screpolata e legno leggero e resistente, rossiccio, poco pregiato.

Le piante che danno le spezie

Queste piante devono la loro speciale natura ad oli essenziali che esse contengono, e mentre di alcune mangiamo il frutto, come il pepe comune, la noce moscata e la vaniglia, di altre, quali il cinnamomo e la cassia, usiamo la corteccia e, nel caso dello zenzero, la radice.
La spezia più usata è il pepe, del quale si riconoscono diverse varietà. Quella più comune, conosciuta in commercio come pepe nero, è la bacca macinata di una pianta che cresce in India e che viene coltivata anche in altri paesi, compresi Giava e Sumatra.
Si tratta di una pianta rampicante o strisciante, una liana, con lo stelo di colore scuro, i cui rami, che si curvano verso terra, portano spighe di fiori verdi, dai quali si formano poi bacche d’un rosso chiaro, della grossezza di un pisello. Queste bacche, una volta seccate, costituiscono il pepe in grani del commercio. Una buona pianta di pepe produce da due a tre chilogrammi di frutti.
Nelle piantagioni, il pepe è sempre sostenuto da pali o da alberi piantati appositamente. Anzi, questi ultimi sono preferiti perchè la pianta prospera meglio dove può godere un po’ d’ombra. Le bacche vengono raccolte quando il loro colore si tramuta dal verde al rosso, periodo nel quale sono più piccanti, e vengono poi stese su stuoie, a seccare al sole. Seccando, diventano nere e grinzose, ed in questo stato sono dette pepe nero.

Palma da cocco

La palma da cocco è definita “il re dei vegetali” per la quantità di prodotti che da essa si ricavano. E’ un bell’albero dal fusto  robusto, alto fino a trenta metri e terminante con un bel ciuffo di foglie pennate, ciascuna delle quali è lunga da quattro a cinque metri. All’ascella delle foglie si sviluppano i fiori maschili e femminili, raggruppati in piccole inflorescenze. I frutti che ne derivano sono le ben note drupe ovali, pesanti fino a due chili. Sull’albero però le noci di cocco non hanno l’aspetto bruno scuro che conoscete.  Esse sono rivestite da uno spesso strato fibroso, di colore verde, che viene asportato prima di mettere il frutto in commercio. Con quelle fibre si fabbricano stuoie e cordami. Una palma più produrre anche una decina di mazzi di noci, ciascuno composto di dieci o dodici frutti. Sotto il bruno strato legnoso, che viene a volte utilizzato per fare bottoni, la noce di cocco presenta il seme, cioè quella polpa bianca mangereccia, ricca di zuccheri grassi e proteine, che viene venduta a spicchi anche da noi. Questa polpa, disseccata, rappresenta la copra da cui si ricava l’olio di cocco, usato per la fabbricazione di cosmetici, profumi, margarina e saponi. Con i residui opportunamente triturati si ottiene un buon foraggio.

Il segreto degli alberi

Il mondo è davvero meraviglioso in tutti i suoi esseri e in tutti i suoi aspetti particolari. Prendiamo, ad esempio, gli alberi: che cosa c’è di apparentemente più semplice? Ma proviamo ad osservare e a studiare come si nutre la pianta, come respira e traspira, quali delicate e vitali funzioni assolvono le radici e le foglie. Ci troveremo davanti a segreti meravigliosi, che ci lasceranno stupiti e incantati. E’ appunto ciò che capita a Mario, il protagonista di questo racconto. Durante una passeggiata in montagna, conversando col suo papà, il bambino viene a conoscenza dei più delicati segreti degli alberi, fa perfino conoscenza con una fatina che ha nome Clorofilla. Volete conoscerla anche voi?

A mezza costa i prati cessavano, limitati da una siepe spinosa, e aveva inizio il bosco. Un bosco fitto, folto, ombroso, tutto tremolante d’occhi di sole, in una penombra azzurrina dove gli insetti ronzavano infaticabile nel misterioso silenzio del mattino.
“Com’è fresca l’aria sotto gli alberi!”, esclamò Mario respirando a pieni polmoni, appena il sentiero si fu inoltrato nel mezzo del bosco.
Il babbo si fermò, prese il fazzoletto e si asciugò il sudore sulla fronte.
“Si sta bene qui sotto”, disse. “L’aria è fresca, ma è anche pura, frizzante, sottile: sembra di sentire l’ossigeno sotto il naso…”, e respirò a sua volta a pieni polmoni.
“Sapresti dirmi”, riprese il babbo, “perchè l’ombra, sotto gli alberi, è così fresca?”
“Perchè le foglie riparano dal sole”, rispose Mario. Ma il babbo scosse la testa.
“Questo è vero solo in parte. Anche una tenda può riparare dai raggi del sole, e forse meglio delle foglie che, come vedi, lasciano giungere degli spiragli luminosi fin sul sentiero. Eppure sotto una tenda l’aria diventerà presto asciutta e calda. Mentre nel bosco questo non succede mai. Ci deve essere un’altra ragione…”
Mario rimase pensieroso. Non sapeva che dire. E certo, anche molti di voi non avrebbero saputo che cosa rispondere. Allora il babbo riprese a parlare.
“Non hai mai sentito dire che gli alberi respirano, proprio come gli uomini? Guarda questa foglia. A occhio nudo non si vede che ha una superficie ruvida, percorsa da sottili nervature. Ma osservata al microscopio essa è tutta punteggiata di minuscole boccucce, dette stomi. L’apertura di queste boccucce è sottilissima, di 0,00005 millimetri, in modo che non vi entrano né polvere né liquidi; solo i gas possono passare, ed entrano ed escono secondo un ordine meraviglioso”.
“Ma a che servono queste boccucce, se sono così piccole?”
“A che servono? Intanto, devi sapere che, se queste boccucce sono piccole, sono però numerosissime. Pensa che, per ogni millimetro quadrato ce ne sono in media 200, e che una quercia, tutto sommato, ne ha parecchi miliardi. E ora vediamo un po’ a che cosa servono. Ma permettimi prima una domanda: come si nutrono le piante?”
“Attraverso le radici!” rispose Mario, che l’aveva sentito tante volte.
Il babbo rimase un istante in silenzio, poi riprese: “In un certo modo sì, ma non è del tutto esatto. Vedi, le radici assorbono dal terreno sostanza minerali inorganiche e cioè alcuni sali che si trovano disciolti nell’acqua che imbeve la terra. Le radici li assorbono e li spingono su su lungo il tronco. Ma questi sali non sono ancora un cibo pronto per essere assimilato dalla pianta. Sono ancora, come dicono gli studiosi, linfa grezza. Questa linfa grezza deve subire una trasformazione che la muti da sostanza inorganica in sostanza organica. E’ a questo punto che entrano in funzione le foglie e quella specie di fatina verde che si chiama Clorofilla. Questa fatina, che non  è altro che una sostanza speciale, ha la proprietà di saper prendere l’anidride carbonica che è nell’atmosfera e che attraverso gli stomi, quelle famose boccucce, è entrata nella foglia. Sotto l’azione della luce, la clorofilla scinde l’anidride carbonica nei suoi elementi: carbonio e ossigeno. Trattiene il carbonio e manda fuori l’ossigeno, sempre attraverso quelle famose boccucce…”
“Ecco perchè l’aria è limpida e pura sotto gli alberi! I nostri polmoni hanno bisogno di ossigeno e queste boccucce delle foglie ce lo restituiscono puro e semplice”.
“E perchè?”
“Ricordi quella linfa grezza che, assorbita dal terreno, sta salendo lungo il fusto? E’ composta di sostanze inorganiche. Ora questa magica trasformazione avviene proprio con l’intervento del carbonio che, combinandosi con le materie prime portate su dalla linfa, le muta in amidi e in zuccheri che scorrono poi in tutta la pianta, dal più alto ramo giù giù fino alle radici, nutrendo tutte le cellule. Ora capisci perchè non è esatto dire che la pianta si nutre attraverso le radici. Le radici offrono il materiale alla nutrizione, la linfa grezza; ma è nelle foglie che la linfa grezza si trasforma in cibo, in amidi e in zuccheri… Le foglie sono dei veri e propri laboratori chimici. Con l’intervento della clorofilla, sotto l’azione della luce, scompongono l’anidride carbonica in ossigeno e carbonio. Rigettano l’ossigeno e trattengono il carbonio. E col carbonio, attraverso una serie di reazioni chimiche, trasformano i sali minerali assorbiti dalle radici in sostanze organiche, ne fanno un cibo perfetto, pronto a entrare in circolazione attraverso tutto l’albero. Questa trasformazione, che avviene nelle foglie, si chiama fotosintesi clorofilliana…”.
Mario era rimasto a bocca aperta e ora guardava le foglie con sguardo quasi religioso.
“E’ davvero una meraviglia…”, disse sottovoce.
“E ora”, riprese il babbo, “se ti domandassi perchè l’aria è così fresca e così pura sotto gli alberi, che cosa mi risponderesti?”
“Risponderei che tutti dipende dal fatto che la foglia assorbe l’anidride carbonica, la scompone, trattiene il carbonio e manda fuori l’ossigeno…”
“Giusto, ma questo spiega soltanto perchè l’aria sia pura… Non spiega ancora perchè è sempre così fresca e umida. Guarda questo muschio, è tutto bagnato, umido di rugiada… Perchè? Nella fotosintesi clorofilliana, non tutta l’acqua che trasporta su, verso le foglie, le sostanze minerali assorbite dal terreno, viene utilizzata. L’acqua superflua viene eliminata attraverso gli stomi, assieme all’ossigeno che la pianta non utilizza. E quelle famose boccucce la cacciano fuori sotto forma di vapore acqueo. Pensa che una quercia media, nei cinque mesi a cavallo tra la primavera e l’estate, traspira ben centoundici tonnellate d’acqua… Le pompa su dalle radici, se ne serve, e poi la getta fuori, come facciamo noi quando sudiamo, in un continuo ricambio”.
“Allora anche le piante, oltre a nutrirsi e a respirare, sudano…”
“Proprio così; e questo fenomeno, che si chiama traspirazione, rende l’aria attorno sempre fresca, sempre umida… Ma tu hai detto una cosa a cui io ho accennato solo di sfuggita. Hai detto che le piante respirano. Ma quando? Come?”
“Quando assimilano il carbonio e mandano fuori l’ossigeno”.
“E questo quando avviene?”.
“Di giorno”.
“E perchè proprio di giorno? Non potrebbe avvenire anche di notte?”.
“No”, rispose Mario dopo un attimo di perplessità. “Non può avvenire, perchè la clorofilla, per scindere l’anidride carbonica in carbonio e in ossigeno, ha bisogno della luce. L’hai detto tu. E di notte la luce non c’è”.
Il babbo lo guardò sorridendo. Era contento. Mario aveva proprio ragione. Ma c’erano molte cose da precisare e il babbo riprese con calma: “Vedi, quella che tu chiami respirazione, e cioè l’eliminazione dell’ossigeno, è più propriamente una operazione della fotosintesi clorofilliana. E hai ragione di dire che la luce vi è necessaria e che pertanto avviene solo di giorno. Ma la respirazione è una cosa del tutto diversa, è proprio il contrario della fotosintesi, e perciò avviene di notte, quando non c’è la luce. In questo caso, la pianta trattiene l’ossigeno e espelle l’anidride carbonica. Per questo è pericoloso dormire di notte sotto gli alberi. Quanto l’aria è ricca di ossigeno durante il giorno, altrettanto è ricca di anidride carbonica durante la notte. E quindi è dannosa per l’uomo”.
Intanto, camminando passo passo, erano giunti a una radura erbosa. Il bosco si apriva all’improvviso, lasciava irrompere la luce in tutto il suo fulgore e, oltre gli speroni del monte, apriva un vasto orizzonte con la linea azzurra del mare.
Il vento, tra le foglie, faceva un rumore alto e lontano.
Com’era bello guardare da lassù, come affacciati ad un balcone proteso sul mare, e ascoltare il bosco, coi suoi ronzii impercettibili, con la sua musica aerea di rami e di foglie.
Mario guardava meravigliato, ma pensava ancora alle piante, ai loro strani e meravigliosi segreti.
(L. Ardenzi)

Osserva un seme

Potrai facilmente procurarti fagioli, ceci, lenticchie, piselli e fave (secchi), o chicchi di grano, di orzo o di granoturco. Essi rappresentano i semi delle piante cui appartengono: da essi, in opportune condizioni ambientali, germoglieranno le nuove piante. Fagioli, ceci, fave, piselli sono semi di leguminose; i chicchi di grano, di orzo, di granoturco sono semi di graminacee.
Osserva la forma di un seme di leguminosa: esso è fornito di un tegumento esterno, facilmente asportabile; tale tegumento serve per la protezione del seme stesso. Asportando il tegumento, il seme si divide facilmente in due parti: i due cotiledoni del seme. Tra i due cotiledoni, verso uno dei due poli del seme, potrai notare l’embrione, che non sempre può essere osservato  con facilità ad occhio nudo: esso tuttavia può essere notato facilmente, perchè può essere staccato dal resto del seme.
L’embrione è la parte più importante di tutto il seme, perchè da esso inizierà lo sviluppo della nuova pianta. Nell’embrione, anche se non sempre l’osservazione è facile, esistono una radichetta, un fusticino ed una piumetta.  Dalla radichetta avrà origine la radice della nuova pianta, dal fusticino si svilupperà il nuovo fusto e dalla piumetta avranno origine le prime foglioline della nuova pianta. A queste parti bisogna aggiungere i cotiledoni, riserva di nutrimento. Altra riserva di nutrimento è l’albume che accompagna le parti del seme che abbiamo già citato.
Sia l’albume che i cotiledoni rappresentano riserve di nutrimento: in alcuni semi i cotiledoni sono molto sviluppati e l’albume è inesistente o quasi come nel caso dei semi di leguminose, mentre in altri semi i cotiledoni sono poco sviluppati e il seme è ricco di albume.
I semi di graminacee sono ricchi, ad esempio, di albume farinoso, che costituisce gran parte del seme. Osservando un seme di graminacea non riuscirai facilmente a staccare il tegumento esterno del seme stesso, che non risulta diviso in due parti: il seme di una graminacea ha un solo cotiledone, e sarà più difficile l’osservazione dell’embrione.
Se il seme di una pianta ha due cotiledoni, la pianta è detta dicotiledone; se il seme, invece, ha un solo cotiledone, la pianta è una monocotiledone.

La germinazione del seme

Il seme, se posto nelle opportune condizioni ambientali, germoglia. Il principale fattore della germinazione è l’umidità.
Poni alcuni semi di leguminose o di graminacee su uno strato di ovatta, che avrai cura di tenere sempre umido. Noterai che i semi si gonfieranno fino a rompere il loro tegumento, e che si vedrà spuntare l’estremità appuntita della radichetta. Se osservi in questo particolare momento il seme, aprendolo con attenzione, puoi facilmente notare le tre parti essenziali dell’embrione: radichetta, fusticino, piumetta.
Poni alcuni semi sul fondo di un vaso di vetro, alto e dall’imboccatura larga, e tienili umidi poggiandoli, come nella precedente esperienza, su uno strato di ovatta. Chiudi il vaso e lascia passare un po’ di tempo, tenendo il vaso al buio. Se scopri il vaso lentamente e vi introduci un fiammifero acceso, questo si spegne. I semi hanno consumato l’ossigeno presente, sviluppando anidride carbonica. Se lasci il vaso chiuso la germinazione si arresta. I semi, durante la germinazione, respirano.
Poni alcuni semi nelle stesse condizioni della precedente esperienza,  introducendo tra i semi un termometro e lasciando il vaso scoperto. Noterai che il termometro segnerà, dopo un certo tempo, una temperatura maggiore  di quella segnata all’inizio. I semi, durante la germinazione, generano calore.
Poni alcuni semi lungo le pareti di un vaso di vetro, piuttosto in alto, e poni dietro ad essi un foglio di carta assorbente o da filtro che ricopra le pareti del vaso. Nell’interno del vaso introdurrai del terriccio, che avrai cura di mantenere umido. Potrai anche riempire il bicchiere con muschio o cotone idrofilo, sempre umidi. Potrai così osservare la germinazione del seme ed il primo sviluppo della pianta. Noterai che il seme si gonfia fino a rompere il tegumento esterno; spunta poi la radice che, indipendentemente dalla posizione del seme, si rivolge verso il basso; successivamente spunterà la piumetta che si rivolgerà verso l’alto, fino a fuoriuscire dal vaso. I cotiledoni forniscono il nutrimento necessario alla pianta in questo primo stadio della loro vita. Essi possono restare sottoterra (e si diranno ipogei) o venir fuori con la pianta (e si diranno epigei). In quest’ultimo caso i cotiledoni assumono il colore verde tipico delle foglie.
Prepara più vasi con terriccio e affonda in essi alcuni semi. Poni questi vasi nelle più diverse condizioni di luce: in piena luce, in penombra, al buio completo. Ciò ci servirà per le future esperienze.
In uno dei vasi che hai posto in piena luce, potrai seguire, quando la pianta sarà germogliata, le varie fasi del suo accrescimento, accrescimento che potrai misurare ad intervalli regolari. Noterai che esso è più rapido agli inizi della vita della pianta, più lento successivamente; ma la pianta comincia a presentare gemme, da cui si svilupperanno altre foglie. Potrai anche notare che lo sviluppo della pianta in terriccio non solo è più rapido di quello della pianta su letto umido di ovatta, ma è completo. Ciò è dovuto al fatto che la pianta sul letto umido di ovatta può avere nutrimento soltanto dalle sostanze contenute nei cotiledoni, mentre la pianta in terriccio, una volta sviluppata, è in grado di assorbire sostanze nutritive dal terriccio stesso.
(U. Sardi – “Osservazioni ed elementi di Scienze”)

Dimostriamo che un seme germina solo in presenza di aria

Un seme è, come sapete, una cosa viva. Come tale dunque respira, si nutre e risente dei fattori ambientali (aria, umidità, temperatura e luce), che possono favorire o ostacolare la nascita di una pianta, cioè la germinazione del suo seme.

Materiale: 2 vasetti da fiori, terra soffice mista a sabbia, una manciata di semi (fagioli o fave o ceci o frumento), acqua naturale, acqua bollita a lungo.
Procedimento: seminare in ciascun vasetto (contrassegnandolo con un cartellino numerato) un ugual numero di semi della stessa qualità. Innaffiare il vasetto 1 con acqua naturale e quello 2 con acqua bollita a lungo e fatta raffreddare (quest’acqua, bollendo, avrà perso tutta l’aria che conteneva). Coprire i vasetti con lastre di vetro perchè l’umidità non si disperda. Disponete i due vasi in ambienti caldo (20-22 gradi). Lasciare tutto così per qualche giorno, poi, in base a quanto avete notato, scrivete le vostre osservazioni, che costituiranno il vostro “Giornale delle scienze”. I semi del vasetto 1, innaffiato con acqua naturale, sono germinati normalmente in giorni  …. ; quelli del vasetto 2, bagnati con acqua priva d’aria, non sono germinati. Dunque un seme per germinare ha bisogno di aria, cioè di ossigeno per respirare.

Materiale: 3 vasetti da fiori, semi, terra soffice.
Procedimento: mettere una stessa quantità di terra nei tre vasetti (contrassegnandoli coi numeri 1, 2 e 3). Assicuratevi che la terra del primo vasetto sia ben asciutta (potreste introdurla per qualche minuto nel forno, perchè perda tutta l’umidità). Seminate nei tre vasetti un ugual numero di semi, tutti dello stesso tipo, e innaffiate soltanto i vasi 2 e 3, lasciando asciutto il primo. Innaffiate una volta al giorno il vaso 2, due volte al giorno e abbondantemente il vaso 3; continuate a non innaffiare il vaso 1. Il foro di scollo del vasetto 3 dovrebbe essere chiuso con un tappo, perchè l’acqua non esca dal vaso. Redigete il vostro “Giornale delle scienze”. Ora sappiano che nel vasetto con terra completamente asciutta la germinazione ….; in quello bagnato normalmente ….; in quello bagnato troppo ….. Dunque un seme per poter germogliare, oltre all’…. e al …. ha bisogno anche di ….; ma questa, se in quantità eccessiva, …

Materiali: 2 vasetti da fiori, i soliti semi, terra soffice.
Procedimento: seminate in ogni vasetto uno stesso numero di semi e copriteli con due o tre centimetri di terra umida. Collocatene uno in piena luce, l’altro in un luogo buio (in cantina o coperto da un panno nero). Redigete il “Giornale delle scienze”. Ora sappiamo che la germinazione nel vasetto 1 è avvenuta … e dopo giorni … nel vasetto 2 collocato in … è avvenuta dopo … giorni. Dunque un seme per germogliare ha bisogno di …

Le foglie

Non occorre essere grandi osservatori per sapere che le foglie hanno forme svariate e diversissime. Tutti voi avete visto esemplari di foglie semplici, composte, palmate o pennate. Su un fatto però difficilmente avrete fermato l’attenzione, e cioè sulla loro continua freschezza. Pensate: se durante le ore del solleone, in piena estate, mettete dei fogli di carta o dei frammenti di qualsiasi materiale al sole, dopo qualche ora li troverete molto caldi. Se si tratterà di metallo, scotteranno addirittura. Le foglie degli alberi, invece, rimangono esposte al sole tutto il giorno, ma se le toccate sono sempre fresche come se non fossero state colpite dai suoi caldi raggi. Questa è una delle meraviglie di fronte alle quali ci troviamo, quando osserviamo quegli importantissimi organi della pianta che sono le foglie. La loro continua freschezza è dovuta al fatto che esse evaporano incessantemente una incredibile quantità di acqua, residuo delle complicate trasformazioni chimiche che avvengono nelle loro parti interne. Una pianta di granoturco durante l’estate può trasudare ben duecento litri d’acqua. Una betulla nello stesso periodo ne traspira ben settemila litri. Questo vi dice anche quanto servano le piante al ricambio dell’ossigeno nell’atmosfera.

Le foglie che si mangiano

Avete mai calcolato quanti sono i tipi di foglie che si consumano nell’alimentazione umana? Il prezzemolo, il basilico, la salvia, il rosmarino,… Se poi pensiamo a quelle che servono per l’alimentazione animale, il numero si allarga a dismisura. Si può anzi affermare che non c’è tipo di foglia che non abbia il suo amatore, sia esso bruco o roditore o erbivoro, il quale la preferisce ad altre specie.
E’ esatto quindi affermare che le foglie nutrono non solo la pianta che le ha generate, ma tutto il mondo vivente. Il loro scopo primo, però, è quello di nutrire la pianta; questo è evidente.
Utilizzando l’acqua, l’aria e qualche sostanza minerale succhiata dal suolo esse sono capaci di produrre lo zucchero e gli amidi, che sono alla base di ogni sostanza organica. A rendere possibile questa trasformazione è la clorofilla, l’elemento verde della foglia, che capta l’energia del sole e se ne serve per dissociare gli atomi di ossigeno, di idrogeno e di carbonio che compongono aria e acqua per unirli in modo diverso e produrre così la materia organica. Si tratta di un’operazione a tal punto delicata e complicata, che finora nessun laboratorio umano è riuscito a riprodurla artificialmente.

Foglie strane

Per adattarsi all’ambiente, al clima, alle particolari esigenze della pianta le foglie talora assumono forme assai strane, di cui vi diamo qualche esempio.
La foglia di Victoria regia, pur essendo molto pesante date le sue dimensioni (oltre un metro di diametro) può galleggiare sull’acqua grazie alla sua forma di vassoio a bordi rialzati e alla presenza nei suoi tessuti di numerose piccole camere d’aria.
Le foglie di Aloe spinosa, costrette a immagazzinare grandi quantità d’acqua per i periodi di siccità, diventano turgide  e carnose. In altre piante esse si trasformano in spine, in altre ancora diventano trappole per catturare gli insetti, di cui poi la pianta carnivora si nutre.
Nella vite alcune foglie si trasformano in quegli organi di attacco che si chiamano viticci. Occorre ricordare inoltre che i fiori sono particolari trasformazioni delle foglie. Come vedete, si tratta di organi complicati e mutevoli.

Dettati e materiale didattico sulle piante: Trovi altro materiale sulla pianta, il fiore e l’impollinazione qui: https://www.lapappadolce.net/materiale-didattico-sul-fiore/

Dettati e materiale didattico sulle piante. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo sito non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL POLO NORD: dettati ortografici, letture e altro materiale didattico

IL POLO NORD: dettati ortografici, letture e altro materiale didattico per bambini della scuola primaria.

IL POLO NORD: La costruzione di un igloo

Lavorando con abilità e precisione Ernenek, un eschimese, si mise a costruire un igloo. Inarcandosi contro la bufera, con la punta del coltello tracciò sulla banchisa un cerchio largo quanto egli era alto. Poi, rimanendo entro questo cerchio, con la mandibola di squalo che aveva a bordo, segò grossi cubi di ghiaccio che depose attorno a sé sulla linea tracciata. Erigendo e scavando contemporaneamente, tagliò di sotto ai propri piedi altri cubi e li sovrappose in spirali che andavano man mano restringendosi, finché un blocco solo bastò per suggellare la volta. Intanto Asiak, sua moglie, al di fuori, sferzata dal vento, riduceva il nevischio in polvere sottile con la pala di cuoio gelato e lo gettava contro la parete dell’igloo crescente, otturandone le fessure fra un blocco e l’altro.

L’igloo terminato sporgeva di un metro appena dalla superficie dell’oceano sferico e compatto per non offrire presa alla bufera; il resto era affondato nella banchisa.

Al centro del soffitto Ernenek praticò un piccolo foro per il fumo, costruì il sofà di neve, poi il tunnel sinuoso che permetteva l’accesso all’aria, ma non al vento, e capace di albergare la muta di cani. Mentre Asiak trascinava in casa provviste ed utensili domestici e ricopriva il sofà con pelli di caribù, egli uscì per seppellire la slitta. Poi rientrò, battendosi con cura la neve di dosso.
Nel buio accesero la lanterna, diedero fuoco all’esca  di funghi secchi per mezzo della selce ed accesero lo stoppino di muschio. Man mano che il grasso di balena di liquefaceva nel vaso, la fiamma cresceva, facendo luccicare la parete circolare e diffondendo calore.

Con due fiocine conficcate nella parete sopra la lucerna, improvvisarono un asciugatoio sul quale stesero i loro vestiti esterni, che erano bagnati. Si tolsero gli stivaloni maceri e spaccati, li asciugarono e li ripararono con l’ago di balena  che portavano tra i capelli e con nervo di caribù.

L’asciugatoio, la lampada, il mucchio di carne, la pietra focaia, il blocco di neve potabile e tutte le altre masserizie erano disposti secondo un ordine più antico della storia, tramandato dalla notte dei tempi di padre in figlio; ogni oggetto a portata di mano, perchè lo si potesse trovare facilmente anche al buio e perchè si potessero compiere tutte le faccende senza abbandonare il sofà. Questo igloo era identico all’igloo che avevano lasciato e al loro igloo a venire, e tutti gli arnesi erano fatti sulla sua misura. La scure di selce era corta e il coltello d’uso domestico, d’osso di caribù, era circolare, così da richiedere solo un movimento del polso anziché del gomito, che sarebbe stato imbarazzante in un ambiente tanto ristretto.

Ora c’erano cento cose da fare: la lanterna era da pulire regolarmente perchè non facesse fumo, gli indumenti sull’asciugatoio dovevano essere rivoltati di continuo, gli strappi andavano riparati e le pelli, una volta asciutte, andavano raschiate e masticate finché riacquistassero la loro morbidezza.
(Hans Ruesch)

IL POLO NORD: Viaggio sulla banchisa

Il freddo induriva lo strato di grasso sui visi e il fiato si condensava in piccoli ghiaccioli intorno alle narici e alle ciglia; quando sputavano, la saliva si congelava a mezz’aria e se ne udiva il ticchettio sulla banchisa. Appena notavano che la punta del naso o delle dita avevano perduto sensibilità, saltavano giù dalla slitta e trottavano finché si fossero riscaldati. Solo Papik, il bambino, intabarrato nella giubba della madre Asiak, solidamente legato contro il dorso di lei, godeva del tepore del corpo materno.

Sonnecchiavano a turno in piena corsa; solo quando la muta dava segni di stanchezza Ernenek ordinava al capofila di fermarsi e gettava l’ancora.

Approfittava della sosta per scaricare la slitta e per pescare. Era impossibile portare provviste sufficienti per tante bocche in un viaggio così lungo ed era necessario procacciarsi il cibo cammin facendo. Ciò non era facile d’inverno. Soltanto in vicinanza dei promontori e intorno agli iceberg la crosta gelata era meno spessa, abbastanza sottile per essere segata, poi occorreva molta pazienza e un gran chiaro di luna per riuscire a trafiggere qualche trota color sangue o qualche salmone color sole.

Intanto i cani si raggomitolavano dove si erano fermati e in breve tempo non erano che piccoli cumuli di brina. Ogni tanto al risveglio Ernenek sminuzzava loro un po’ di carne o di pesce gelato a gran colpi di scure ed essi afferravano al volo le schegge e le inghiottivano senza curarsi di masticare le ossa e le lische; ma per evitare che impigrissero non venivano mai nutriti a sazietà, e infatti tiravano sempre di gran lena, con le code in alto.

D’inverno, il cielo, spazzato dalla gelida tramontana, era quasi sempre terso, e sotto la volta scintillante di astri, fra cui la Stella Polare splendeva centrale e suprema, l’aria era fragrante di ossigeno. Il litorale, che non si doveva mai perdere di vista, era allora nettamente stagliato nel cielo sfolgorante e la terraferma e le isole gettavano ombre d’un blu intenso nel paesaggio spettrale di madreperla.

Talvolta si sentiva il ghiaccio fremere o fendersi per i moti del mare sottostante, e allora Ernenek si teneva pronto a frenare la muta. Se i crepacci, in cui si udiva gorgogliare l’acqua, erano stretti, la muta li superava d’un balzo e la slitta proseguiva senza difficoltà; ma se erano troppo larghi bisognava costeggiarli, a volte per tratti lunghissimi, prima di riprendere la rotta.
(Hans Ruesch)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Introduzione alla Botanica

Introduzione alla Botanica col metodo Montessori, per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Presentazioni e il materiale pronto per la stampa.

Il fatto più interessante ed insieme impressionante (…) è che la terra è una creazione della vita. La vita ha creato rocce e suolo, ed è la vita che sostiene l’armonia della terra (…). Gli oceani sono tenuti in equilibrio chimico costante dagli esseri viventi, e sono sempre gli viventi che conservano la purezza dell’aria. Tutte le creature che vivono sulla terra hanno un ruolo cosmico da svolgere. Il mantenimento della vita sulla terra dipende da molte specie, ognuna delle quali ha una funzione particolare e specifica. Gli animali si nutrono, vivono e si riproducono; ognuno ha un ciclo vitale che svolge un ruolo speciale in relazione alla vita di altre specie. Tutti sanno, ad esempio, che la scomparsa di una specie in un certo luogo sconvolge l’equilibrio, perché le vite di tutte le specie sono interrelate. La vita può quindi essere considerata come un’energia che mantiene la vita stessa.
(Maria Montessori – Educazione e Pace, capitolo 9)”

Introduzione alla Botanica col metodo Montessori

I bambini sono intrinsecamente connessi alla natura e affascinati dalle “cose ​​reali e viventi”, ed è meraviglioso seguire il loro interesse naturale verso lo studio delle piante e degli animali.

Il primo modo davvero montessoriano per approcciare la Botanica e la Zoologia consiste semplicemente nel favorire il più possibile la vita all’aperto dei bambini.
Molte ricerche dimostrano che i bambini che interagiscono in modo regolare con la natura ne traggono grandi benefici. Il metodo Montessori sottolinea che l’immersione nella natura è imperativa per uno sviluppo fisico e psichico adeguato.

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Grazie all’accesso regolare all’aperto con molteplici opportunità all’interno della classe per esplorare i materiali naturali, i bambini entrano in connessione con la natura. L’aumento delle interazioni tra i bambini e la natura influenza stili di vita responsabili verso l’ambiente.
I bambini che possono trascorrere del tempo nella natura svolgendo attività all’aperto, traggono innumerevoli benefici: stress ridotto, aumento della curiosità, della creatività e della capacità di risoluzione dei problemi e una migliore salute fisica ed emotiva.
Noi adulti dobbiamo sentire l’obbligo di collegare i bambini alla natura. “La terra è dove sono le nostre radici. Dobbiamo insegnare ai bambini a vivere in armonia con la terra“, dice Maria Montessori.
Per Maria Montessori la natura è fonte di ispirazione per l’apprendimento: il senso di indipendenza, la fiducia in se stessi e la creatività dei bambini può essere notevolmente migliorata semplicemente uscendo dalla classe.
Quando i bambini hanno un contatto regolare con la natura, in modo non strutturato, sono più attenti e creativi. La natura stimola la capacità di osservazione, favorisce la creatività, instilla un senso di pace e di essere uno con il mondo.

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Attraverso il gioco all’aperto, i bambini piccoli possono imparare le abilità dell’interazione sociale e dell’amicizia, la cura delle cose vive e del loro ambiente, essere curiosi e affascinati, sperimentare, meravigliarsi, “perdersi nell’esperienza”.
Gli insegnanti devono aiutare i bambini a diventare naturalisti, incoraggiarli a vedere l’ambiente esterno come luogo autentico per esplorare i viventi come esistono in natura, e a vedere la classe come un luogo dove ricreare piccole parti del mondo esterno per guardarle  più da vicino.
Gli obiettivi di questa esplorazione sono: osservare più attentamente la vita intorno a loro, costruire una comprensione di ciò che è vivente e non vivente, sviluppare le capacità di ricerca scientifica, “sviluppare dispositivi scientifici, tra cui la curiosità, la voglia di scoprire, la mente aperta, il rispetto per la vita e la gioia di essere un giovane naturalista“.

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Gli adulti devono modificare la loro mentalità: il tempo trascorso all’aria aperta non è un’interruzione dell’insegnamento.
È importante consentire ai bambini di disegnare, registrare o documentare le loro esperienze o osservazioni, e più i bambini hanno l’opportunità di uscire regolarmente nella natura, più diventano più pazienti nel fare le loro osservazioni. Spendono più tempo a disegnare e mostrano una maggiore attenzione ai dettagli nei loro disegni. L’aula deve trasmettere l’eccitazione e la meraviglia per l’osservazione e la conoscenza dei viventi. L’ambiente deve trasmettere rispetto per le cose vive, favorire l’indagine, la condivisione di osservazioni e idee, la documentazione e la registrazione, e focalizzarsi su elementi viventi reali.
È l’entusiasmo e l’interesse per la natura dell’adulto, più che le sue conoscenze scientifiche, che avranno il maggior impatto nel suscitare la curiosità e l’impegno dei bambini.

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Molti dei materiali presenti in classe sostengono le scoperte avvenute in natura e aiutano a collegare l’ambiente esterno con l’ambiente interno, soprattutto per quanto riguarda storia naturale, geografia economica, botanica e zoologia. Maria Montessori ha sottolineato che “Quando il bambino esce, è il mondo stesso che si offre a lui. Non esiste una descrizione, un’immagine in qualsiasi libro che sia in grado di sostituire la vista di alberi reali e tutta la vita che si trova intorno a loro, in una foresta vera e propria. Qualcosa emana da quegli alberi che parla all’anima, qualcosa che nessun libro, nessun museo è in grado di dare.

Introduzione alla Botanica col metodo Montessori

Nel periodo della scuola primaria i bambini approfondiscono tutti i gruppi e sottogruppi della botanica (classificazione delle piante, fisiologia, struttura, ecologia, distribuzione geografica, importanza economica ecc. ), mentre nella scuola d’infanzia lo scopo dell’insegnamento è principalmente quello di gettare le basi per lo studio successivo e di portare i bambini ad avere consapevolezza degli esseri viventi che lo circondano.

Dai tre ai sei anni i bambini si devono sempre occupare dell’oggetto reale prima di passare ai materiali (incastri, nomenclature, ecc.). La conoscenza sensoriale delle piante deve sempre precedere la conoscenza della nomenclatura. E’ molto importante fare in modo che i bambini entrino in contatto con una vasta gamma di piante vive diverse, e se non abbiamo a disposizione un giardino, dovremo impegnarci molto per portare la natura in classe.  Il principio dell’Educazione Cosmica dell’interrelazione di tutti i viventi tra loro si può portare incontro ai bambini in modo efficace solo attraverso la cura delle piante. Naturalmente poter coltivare un giardino o un orto insieme è l’ideale, ma è altrettanto importante avere in casa vari esemplari di piante da curare. Quando è il bambino a farlo, egli si sentirà non solo in armonia con la natura, ma anche di aiuto ad essa.

L’esplorazione sensoriale deve comprendere vista, tatto, olfatto, udito, e se la pianta non è velenosa anche il gusto.
Dopo l’esplorazione sensoriale il lavoro prosegue con la nomenclatura: etichettare le parti della pianta, etichettare le forme delle foglie, etichettare le diverse specie di pianta, ecc. Quindi si sperimentano le funzioni della pianta imparando a riconoscere il ruolo delle varie parti della pianta in relazione alla pianta intera, e poi in relazione all’ambiente circostante. Perchè il bambino componga il quadro completo delle informazioni sulla pianta è importante organizzare tutte le presentazioni procedendo dalla radice al seme, cominciando nella stagione invernale per poter seguire l’evoluzione della pianta in natura. Si presenteranno dunque: pianta intera, radice, stelo, foglia, fiore, frutto, seme. Se scegliamo di iniziare in autunno partiremo dal frutto e procederemo in questo modo: pianta intera, frutto, seme, radice, fusto, foglia, fiore.

Affrontando in questo modo la biologia, con la botanica e la  zoologia, i bambini vedono come ogni parte del mondo naturale è interconnesso e importante per la sopravvivenza dell’uomo, e sviluppano un grande rispetto nei confronti della natura.
Di solito cominciamo con la botanica perché è più facile per i bambini occuparsi delle piante. Parallelamente alla botanica si sviluppano poi zoologia ed ecologia, seguendo l’interesse dei bambini.

Come già detto, è importante disporre di un buon assortimento di piante all’interno della classe o in casa, per mostrare una gamma completa di strutture diverse: piante monocotiledoni e dicotiledoni, piante con foglie semplici e composte, piante con steli verticali e rampicati, fiori completi ecc.
I bambini hanno bisogno di osservare un ciclo completo di crescita, e per fare questo si utilizzano in genere piselli o fagioli.
Per gli esperimenti di solito si usano semi di rapida crescita, come piselli, fagioli, semi di senape e crescione. I semi possono essere piantati nel terriccio, nella sabbia, nell’ovatta, nella carta, su vassoi e piattini di varie forme e dimensioni.
Possiamo fornire i bambini di lenti di ingrandimento, microscopio, strumenti per la dissezione (coltelli affilati, forbici, pinzette, taglieri ecc.

Tutte le informazioni sulla biologia fornite al bambino classificano indirettamente ciò che è vivente da ciò che non lo è. L’adulto introduce gli elementi costruiti sulla realtà facendo leva sulla mente assorbente e fornisce le chiavi perchè sia poi il bambino ad esplorare indipendentemente il mondo delle piante e degli animali.

Ma la botanica nella scuola d’infanzia non si svolge solo attraverso lezioni e presentazioni:  lo studio si estende alle attività di vita pratica, agli esercizi sensoriali, alla matematica, al linguaggio, alla musica, all’arte e all’ecologia. La preparazione dei pasti, la preparazione di composizioni floreali, la semina e le altre attività di giardinaggio, la raccolta della frutta e verdura avanzati nel cestino dell’umido, sono tutte lezioni di botanica.

Maria Montessori ha osservato che “quando gli individui si sviluppano normalmente, manifestano amore per tutte le creature viventi“, e l’atmosfera di amore e rispetto per la vita che si respira in classe è la migliore base per lo studio di piante e animali.

Introduzione alla Botanica col metodo Montessori

Questa una breve rassegna di idee:
– le attività di vita pratica sono tutte quelle legate alla cura delle piante: innaffiatura, pulizia delle foglie, potatura, taglio di fiori ecc.
_ le attività d’arte possono riguardare l’uso di cortecce grattugiate, di fiori pressati,  ecc.
– per permettere al bambino di sviluppare consapevolezza verso la flora del luogo in cui vive, è importante organizzare passeggiate nella natura e gite in orti botanici e giardini
– se abbiamo la fortuna di avere un giardino, tutta l’attrezzatura per il giardinaggio dovrebbe essere a misura di bambino e a sua disposizione
– nell’ambiente interno, possiamo etichettare tutte le piante, in modo che il bambino impari a conoscerne i nomi
– un ulteriore elemento che possiamo allestire in classe o in casa è la Tavola della Natura, dove i bambini possono portare cose trovate all’esterno, per condividerle con la classe.  Il tavolo sarà allestito in un angolo pieno di sole e abbastanza basso da poter essere raggiunto anche dai bambini più piccoli. Sulla Tavola della Natura possiamo riporre anche i vassoi degli esperimenti in corso, di modo che possano essere osservati da tutti i bambini; possiamo affiancare agli esperimenti una lente d’ingrandimento per incoraggiare l’osservazione. E’ quindi utile predisporre la Tavola della Natura nell’Angolo della Scienza. Può anche trattarsi di un piccolo scaffale. È importante mantenere questa zona molto pulita, bella e in continua evoluzione. Un piccolo vassoio con una lente d’ingrandimento potrebbe essere tenuto sul tavolo da tavola per osservare più da vicino. E’ anche utile tenere accanto alla tavola della natura un secchiello con un spugna e uno straccetto: per molti bambini è piacevole curare gli oggetti della tavola e non solo guardarli.

http://hurrayic.typepad.com/hurrayic/2011/09/our-new-nature-area.html

http://mercimontessori.blogspot.it/2015/03/printemps-2015-notre-table-de-la-nature.html

– mettiamo a disposizione dei bambini libri sulla botanica. Consigliati, ad esempio:
L’albero di Shel Silverstein,
L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono,
La vita segreta dell’orto di Gerda Muller,
Ravanello cosa fai? Con tante storie per imparare la pazienza di Emanuela Bussolati,
Inventario illustrato dei frutti e degli ortaggi di Emmanuelle Tchoukriel,
Il mondo segreto delle piante di 
Jeanne Failevic,
Vagabonde! Una guida pratica per piccoli esploratori botanici di Marianna Merisi
– per quanto riguarda il linguaggio, come detto accanto alla prima esperienza sensoriale viene aggiunta una semplice spiegazione verbale. Cominciamo quindi con la lingua parlata per poi aggiungere lettura e scrittura: i bambini leggono le nomenclature, scrivono cartellini, registrano esperimenti. Sappiamo che dai tre ai sei anni i bambini si trovano nel periodo sensibile per la lingua
– presentiamo una pianta alla volta
– colleghiamo le discussioni sulle piante al clima, ai tipi di terreno, all’alimentazione e così via, fornendo il corretto vocabolario
– nella casa dei bambini il nostro obiettivo è aumentare la consapevolezza dei fenomeno fisico quotidiani, della successione giorno e notte, luce e oscurità, dei cambiamenti di temperatura, dei cambiamenti della stagione.

Esaminiamo ora in particolare l’organizzazione degli esperimenti scientifici.
Secondo Maria Montessori i bambini dovrebbero utilizzare il loro proprio ambiente per l’esplorazione scientifica e la sperimentazione.

Gli esperimenti scientifici dovrebbero prima dimostrare un dato concetto generale, e le ulteriori sperimentazioni dovrebbero poi entrare nello specifico.
La presentazione di un esperimento ha poche regole: presentare la nomenclatura corretta per attrezzi, strumenti e altri oggetti usati nell’esperimento; presentazione dell’esperimento (metodo e modo di utilizzo degli strumenti); lasciare infine che il bambino lavori in modo indipendente con i materiali.
Nella Casa dei Bambini dovrebbe esserci un Angolo della Scienza dove svolgere gli esperimenti. I vari esperimenti da svolgere possono essere organizzati su vassoi preparati, che varieremo regolarmente per mantenere acceso l’interesse dei bambini.
Per la scelta degli strumenti che mettiamo a disposizione dei bambini per i loro esperimenti, dovremmo considerare queste indicazioni:
– devono essere attraenti, puliti, completi, funzionanti, proporzionati alle mani dei bambini
– i bambini devono poter lavorare in modo sicuro ed efficace, dopo la presentazione, senza la presenza dell’adulto
– dovremmo scegliere strumenti che offrano ulteriori possibilità di esplorazione
– i vassoi dovrebbero stimolare il bambino ad esprimere le conoscenze che ha acquisito con l’esperimento in modo creativo attraverso la scrittura, il disegno, il modellaggio ecc.
– l’esperimento dovrebbe essere breve e specifico.

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Introduzione alla Botanica col metodo Montessori
Presentazione iniziale della Botanica ai bambini

Con questa presentazione introduciamo il nome della materia di studio e  riconosciamo la pianta come essere vivente. Questa presentazione può essere portata a partire dai tre anni.

Materiali:
– una pianta
– un vasetto di vetro con coperchio vuoto (pieno d’aria) su un piattino etichettato con la parola ARIA
– un vasetto di vetro con coperchio contenente della terra, su un piattino etichettato con la parola NUTRIMENTO
– un vasetto di vetro con coperchio contenente dei semi, su un piattino etichettato con la parola RIPRODUZIONE
– un vasetto di vetro con coperchio contenente dell’acqua, su un piattino etichettato con la parola ACQUA
– cartellino-titolo con la scritta ESSERE VIVENTE
– tavolo o tappeto.

Presentazione:
– portiamo il vassoio al tavolo o al tappeto e invitiamo un piccolo gruppo di bambini ad unirsi a noi perchè abbiamo qualcosa di molto speciale da mostrare loro


– mettiamo la pianta sul piano di lavoro, lungo il margine superiore e al centro e diciamo: “La pianta è un essere vivente” , quindi mettiamole accanto il cartellino-titolo


– diciamo: “Tutti gli esseri viventi hanno quattro cose in comune” e contiamo toccandoli i quattro vasetti nel vassoio


– mettiamo sul piano di lavoro  il vasetto di terra e davanti ad esso il piattino etichettato. Indichiamo l’etichetta e diciamo “Nutrimento”, poi indichiamo il vasetto e diciamo: “Nutrimento”. Prendiamo in mano il vasetto e diciamo “Le piante sono vive e tutte le cose vive hanno bisogno di nutrimento”, quindi posiamo nuovamente il vasetto sul piano di lavoro
– mettiamo sul piano di lavoro  il vasetto di acqua e davanti ad esso il piattino etichettato, , formando una riga orizzontale da sinistra a destra man mano che presentiamo gli elementi . Indichiamo l’etichetta e diciamo “Acqua”, poi indichiamo il vasetto e diciamo: “Acqua”. Prendiamo in mano il vasetto e diciamo “Le piante sono vive e tutte le cose vive hanno bisogno di acqua”, quindi posiamo nuovamente il vasetto sul piano di lavoro
– mettiamo sul piano di lavoro  il vasetto di aria e davanti ad esso il piattino etichettato. Indichiamo l’etichetta e diciamo “Aria”, poi indichiamo il vasetto e diciamo: “Aria”. Prendiamo in mano il vasetto e diciamo “Le piante sono vive e tutte le cose vive hanno bisogno di aria”, quindi posiamo nuovamente il vasetto sul piano di lavoro
– mettiamo sul piano di lavoro  il vasetto di semi e davanti ad esso il piattino etichettato. Indichiamo l’etichetta e diciamo “Riproduzione”, poi indichiamo il vasetto e diciamo: “Riproduzione”. Prendiamo in mano il vasetto e diciamo “Le piante sono vive e tutte le cose vive hanno bisogno di nutrimento”, quindi posiamo nuovamente il vasetto sul piano di lavoro


– indichiamo la pianta e diciamo “Questa pianta è un essere vivente: ha bisogno di nutrimento (rimettiamo la terra nel vassoio), di acqua (rimettiamo nel vassoio), di aria (rimettiamo nel vassoio) di riprodursi (rimettiamo nel vassoio)
– riponiamo il materiale.

Dopo aver riconosciuto la pianta come essere vivente, il giorno dopo o in un altro momento della giornata, possiamo offrire al bambino una presentazione per collegare il nome Botanica al concetto di studio della pianta. Questa presentazione può essere portata a partire dai tre anni.

Materiale:
– un cartellino-titolo con la parola BOTANICA
– una pianta e alcune parti della pianta (una foglia, una radice, uno stelo, dei semi ecc.)
– tavolo o tappeto.

Presentazione:
– portiamo il vassoio al tavolo o al tappeto e invitiamo un piccolo gruppo di bambini ad unirsi a noi perchè abbiamo qualcosa di nuovo da mostrare
– diciamo: “Oggi vorrei parlarvi della Botanica.”
– mettiamo il cartellino titolo sul piano di lavoro, al centro,  e ripetiamo “Botanica”
– diciamo: “La botanica è lo studio delle piante. Vi ricordate cosa abbiamo detto delle piante?”, “Sì, le piante sono esseri viventi. Tutti gli esseri viventi hanno in comune nutrimento, acqua, aria e riproduzione”
– prendiamo la pianta, osserviamola tenendola in mano, poi passiamola ai bambini, chiedendo di dire cosa osservano
– mettiamo la pianta nel piano di lavoro e indicando il titolo diciamo: “La botanica è lo studio delle piante”.
– prendiamo in mano la foglia e diciamo “Questa foglia fa parte della pianta”
– osserviamola con attenzione tenendola in mano, poi passiamola ai bambini, chiedendo di dire cosa osservano
– mettiamo la foglia sul piano di lavoro e indicando il titolo diciamo: “La botanica è lo studio delle piante”.
– facciamo la stessa operazione anche con altre parti della pianta

– al termine riponiamo il materiale.

Dopo aver collegato il nome Botanica al concetto di studio della pianta utilizzando materiali reali, il giorno dopo o in un altro momento della giornata, procediamo col rafforzare l’apprendimento utilizzando immagini e cartellini. Anche questa presentazione può essere portata a partire dai tre anni.

Materiali:
– una decina di immagini di piante e parti della pianta (radice, seme, fiore, frutto, stelo, foglia, ecc
– cartellino titolo “Botanica”
– una scatola o un cesto
– tavolo o tappeto.

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

Presentazione:
– portiamo il materiale al tavolo o al tappeto e invitiamo un piccolo gruppo di bambini ad unirsi a noi perchè abbiamo preparato per loro una nuova attività
– prendiamo il cartellino titolo e mettiamolo lungo il margine superiore del piano di lavoro, al centro. Leggiamo: “Botanica”
– diciamo: “La Botanica studia tutte le cose illustrate in queste immagini”
– una alla volta prendiamo un’immagine, mettiamola in ordine sotto al titolo, formando una riga orizzontale da sinistra a destra, e chiediamo ai bambini: “Cos’è?”. I bambini rispondono, ad esempio, “Fiore” e noi diciamo: “Sì, la Botanica è lo studio del fiore”
– al termine, indichiamo di nuovo il cartellino titolo  e leggiamolo: “Botanica”, quindi indichiamo le immagini e diciamo: “In queste immagini ci sono delle piante. La botanica è lo studio delle piante”
– terminata la presentazione riponiamo il materiale.

Montessori per i genitori: proposte pratiche per applicare il metodo a casa

“Montessori per i genitori: proposte pratiche per applicare il metodo a casa – Bambini da 0 a 3 anni” è un libro che fa parte della collana “Libri in tasca” di EPC Editore. In questa raccolta vengono pubblicati tascabili e ebook che trattano tematiche quali educazione,  alimentazione, valorizzazione del sé e self help con un taglio operativo, per insegnare a mettere in pratica i consigli degli esperti.

Nel caso di “Montessori per i genitori” le esperte che ci insegnano a mettere in pratica i loro consigli sono Nicoletta Cola e Antonella Di Marco. Nicoletta Cola è insegnante di nido montessoriana e formatrice nei corsi organizzati dall’Opera Nazionale Montessori e nel corso universitario Montessori 0-3 anni  attivato dall’Università LUMSA di Roma.
Antonella Di Marco, recentemente venuta a mancare,  è stata Psicologa della relazione educativa, coordinatrice didattica e docente formatrice nei Corsi per la prima infanzia dell’Opera Nazionale Montessori.

La grandezza di questo piccolo libro sta nel fatto che le due autrici riescono ad essere concise ma esaustive e precise, pratiche ma senza svilire la profondità delle motivazioni, capaci di mettere a fuoco i veri bisogni dei genitori di bambini piccoli, fornire chiavi di comprensione e suggerire veri atti pratici, ma senza pontificare.
Non posso non notare che concisione, chiarezza e precisione sono proprio la norma della “lezione” montessoriana, come l’identificazione dei veri bisogni cui l’educazione deve rispondere è la chiave di tutta la didattica montessoriana.
E’ inoltre un testo piacevole e di facile lettura, e può essere un valido aiuto nella gestione quotidiana dei propri bambini, soprattutto perchè porta a riflettere sul nostro rapporto con loro, anche senza conoscere nulla della pedagogia montessoriana.

Il testo è suddiviso in cinque capitoli:
– La felicità del bambino
– L’ambiente del bambino
– Come affrontare al meglio il periodo sensitivo legato al divezzamento
– Il bambino si muove verso il mondo
– La libertà del bambino,
ma non è necessario leggerlo tutto di seguito: i numerosi esempi pratici, accompagnati da numerose immagini di vita reale, lo rendono una valida giuda da consultare quando se ne presenta il bisogno.

Ogni capitolo è strutturato in modo da suggerirci una domanda iniziale, a cui le autrici rispondono dandoci spunti di riflessione che riguardano la loro esperienza professionale e personale, nella quale ogni genitore può immedesimarsi. Questi spunti di riflessione sono rafforzati da puntuali citazioni dai testi di Maria Montessori, e in questo modo il libro è davvero leggibile anche da chi entra in contatto la prima volta con questa pedagogia.

Nel primo capitolo, dopo aver dato spunti di riflessione su ciò che si può intendere come “felicità del bambino”, si propongono attività-esempio (mobile per i neonati, cestino dei tesori, oggetti da trasportare, gioco euristico, attività di vita pratica) e a conclusione si offrono delle schede di approfondimento sul cestino dei tesori e sul gioco euristico.

Nel secondo capitolo riflettiamo sull’influenza dell’ambiente naturale, biologico e umano: intrauterino, extrauterino e supernaturale (la casa, la cameretta, ecc.), per comprendere come preparare un ambiente adeguato ad accogliere il bambino e come rispondere al suo bisogno di ordine.

Nel terzo capitolo troviamo una guida pratica attenta e precisa per gestire il periodo del divezzamento e una chiave di comprensione che può essere sintetizzata in questa semplice frase “la bocca è un organo di confine con il mondo esterno e niente deve entrarvi senza la piena volontà del bambino”. I consigli riguardano la scelta di consumare il pasto sempre nello stesso posto; il predisporre tavolo e seggiolina adatti; la scelta migliore per tovaglia, vasellame, posate e bavaglino tenendo presente il fatto che tutto ciò che viene scelto può diventare oggetto di attività per il bambino; l’atteggiamento che l’adulto tiene verso il bambino in fase di divezzamento.

Nel quarto capitolo viene trattato lo sviluppo del movimento del bambino, innanzitutto sfatando il falso mito secondo cui il bambino comincia a camminare perchè è l’adulto, ad un certo punto, ad insegnarglielo: impariamo a riconoscere e ad ammirare il grande lavoro del bambino, che si muove da subito, anche dentro il grembo materno, e col tempo e l’esercizio spontaneo rende i suoi movimenti sempre più volontari.  L’unica cosa che può fare l’adulto quindi, è favorire il movimento che il bambino stesso ha conquistato.  Seguono attività-esempio per favorire il movimento in posizione supina,  sul fianco, prona, seduta, eretta. Allenatore o genitore? Genitore che comprende l’esigenza del bambino ad essere aiutato a fare da sé.

Il quinto capitolo tratta infine il tema che è forse il più difficile per ogni genitore: la libertà del bambino e il dare limiti. Viene citata Maria Montessori “Un vigoroso e fermo richiamo è solo è vero atto di bontà… non temete di distruggere il male: soltanto il bene dobbiamo temere di distruggere“, e posta la domanda cruciale: quanti sanno essere vigorosi e fermi, senza diventare aggressivi?
Per rispondere a questa domanda le autrici analizzano alcuni degli errori comunicativi più comuni che gli adulti commettono rivolgendosi ai bambini piccoli, accompagnandoci a porci delle domande e fornendoci preziosi consigli: sussurro o  strillo? Parlo facile o difficile? Sono sicuro di quello che sto dicendo? Uso poche ma sentite parole? Da dove ti parlo?
Infine si danno consigli e spunti di riflessione per arrivare alla giusta via di mezzo senza cadere nei due opposti che sono tirannia e lassismo. La prima è magnificamente descritta da Maria Montessori “Il peccato mortale che ci domina e ci impedisce di comprendere il bambino è l’ira… all’ira si associa l’orgoglio che presta all’ira una maschera seducente, la toga della dignità, che arriva perfino a esigere rispetto facendo assumere all’ira la forma della tirannia. Una tirannia spacciata per il bene del bambino“. Il secondo si manifesta con l’incapacità dell’adulto a dire no ed è legata ad una serie di paure (del conflitto, del giudizio, del distacco, ecc.). Tra questi due opposti si possono realizzare diversi stili educativi: qual è il tuo?
Conclude il capitolo una serie di consigli che riguardano il dare regole con successo, e il modo di affrontare il rifiuto dei limiti da parte dei bambini, quello che conosciamo come “capriccio”.

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Sono davvero felice di notare che oggi finalmente anche i genitori italiani comincino ad avere a disposizione testi divulgativi sul metodo Montessori, oltre che materiali sempre più vari, a prezzi sempre più accessibili e nella nostra lingua.
Quando le mie figlie erano piccole il panorama era totalmente diverso, e l’unica via praticabile per trovare strumenti utili per applicare la pedagogia montessoriana in casa era rivolgersi alle risorse in lingua inglese.
Penso che qualsiasi nuova iniziativa di carattere divulgativo sul metodo Montessori è da accogliere come il segno, finalmente, di un mutamento culturale nel nostro Paese, mutamento che vede rinnovata curiosità verso il lavoro di Maria Montessori per qualcuno, ma scoperta ancora per molti. E sono abbastanza certa del fatto che il web abbia avuto un ruolo non da poco in questo mutamento.
Mi sembra di poter dire che questa visione del bambino e quindi dell’uomo, che è la pedagogia montessoriana, stia uscendo dalla sua “nicchia” proprio grazie al fiorire di iniziative editoriali e imprenditoriali in cui soprattutto i genitori (come autori, blogger, imprenditori, semplici cittadini) sono i soggetti attivi.
La qualità di queste produzioni può essere notevole, oppure può trattarsi di puro interesse per “cavalcare l’onda”, ma resta il fatto che è un bene che stia succedendo anche da noi.
Si è creata un’offerta che comprende cose belle, cose pessime e cose così e così, e questo dà a noi genitori la libertà e la responsabilità di scegliere.
Detto questo, quando incontro un testo chiaro, profondo e pratico come “Montessori per i genitori: proposte pratiche per applicare il metodo a casa – Bambini da 0 a 3 anni”, sento davvero di poterlo consigliare a tutte le persone che hanno la fortuna di condividere la propria vita con dei bambini.

COCAI nomenclature pronte di qualità e oggetti di carta ispirati al metodo Montessori

COCAI nomenclature pronte di qualità e oggetti di carta ispirati al metodo Montessori. Sono molto contenta di presentarvi oggi la collaborazione tra Lapappadolce e Cocai design, una nuova realtà che offre nomenclature pronte di qualità e oggetti di carta ispirati al metodo Montessori, a prezzi trasparenti e davvero accessibili a tutti, e finalmente in italiano.
Nei prossimi giorni pubblicherò le presentazioni per il materiale sull’insetto.

Da più di dieci anni lavoro affinché la didattica montessoriana possa arrivare a tutti, lottando col fatto che nella nostra lingua le risorse pronte sono davvero pochissime e ringraziando ogni giorno il fatto che conosco l’inglese.
Per le nomenclature mi sono sempre, come tutti immagino, ingegnata a prepararne di mie, utilizzando fotografie scattate da me o immagini di pubblico dominio presenti nel web. Questo ha certo molti vantaggi: preparando le nomenclature da soli riusciamo a creare sempre materiali che rispondono agli interessi dei nostri bambini, possiamo studiare noi stessi un certo argomento più approfonditamente e quindi predisporre un’unità didattica completa, ecc.
Resta il fatto che un tale lavoro richiede molto tempo. Per alcuni genitori che seguono il mio sito, anche stampare, ritagliare e preparare le cartelline per il materiale che offro per il download può richiedere più del tempo che ha a disposizione una persona che lavora e ha bambini.

Per questo sono davvero felice che comincino a nascere realtà italiane che offrono a tutti noi materiali montessoriani pronti nella nostra lingua, ed è un vero piacere farle conoscere ai miei lettori.

Cocai è il gabbiano in dialetto veneziano.

Il progetto Cocai design è speciale, perchè i suoi prodotti sono davvero bellissimi. Visitando il sito la prima volta mi hanno colpita la cura con cui è fatto, le illustrazioni delle nomenclature che sono davvero incantevoli, le immagini dei prodotti e le descrizioni che sono puntuali e precise anche dal punto di vista montessoriano, i prezzi che sono trasparenti e davvero accessibili, l’attenzione per il prodotto che si estende al fornire tutorial d’uso. Così ho voluto saperne di più, e ho capito…

Le persone che lavorano a Cocai design sono un gruppo di professionisti affermati nel campo dell’educazione montessoriana, dell’illustrazione, dell’informatica, della grafica.

Sara Furlani è l’insegnante di scuola dell’infanzia montessoriana, la formatrice Montessori del gruppo,  e parte fondamentale dello staff anche durante i laboratori con i bambini.
Luca Baroncini è l’esperto di grafica e comunicazione.
L’illustratrice è Valentina Gottardi, laureata in Architettura e Progettazione e produzione di arti  visive. Tra le altre cose ha pubblicato “Il cielo di Mino” (tradotto in varie lingue e successivamente trasformato e trasmesso dalla RAI come cartone animato) e ha illustrato “Le fiabe nei barattoli” di Marco Aime.
Col marito Maciej Michno, laureato in Informatica, lavora anche a Crisi della Prospettiva, affiancando alle tecniche tradizionali grafica e pittura digitali, 3D e animazione. Realizzano insieme siti web, loghi, progetti di packaging e cortometraggi animati.
Tra i progetti realizzati vi consiglio “Avventure sui Monti Pallidi“, ideato per trasmettere a bambini dai 6 ai 10 anni le tematiche legate alla vivibilità del territori e alla tutela e al rispetto del paesaggio, che si compone di un libretto-gioco per bambini da 6 a 8 anni, un libretto-gioco per bambini da 9-10 anni e un gioco digitale on line.

Dietro ai materiali di Cocai design, quindi, c’è davvero tutto un mondo di passione, e sicuramente la capacità di tutti di collaborare ad un progetto mettendo in campo la propria competenza professionale e unendo comunicazione visuale, i migliori strumenti tecnici, e la forza dei principi pedagogici montessoriani.

Le illustrazioni sono straordinariamente chiare e belle, ed i materiali sono pensati per un uso didattico sia nelle scuole, sia in famiglia.
Oltre alle nomenclature Cocai design offre strumenti appositamente studiati per essere ritagliati o forati, costruiti e colorati, allo scopo di dare forma a oggetti didatticamente validi e belli da vedere.

Il set Nomenclatura (attualmente disponibili l’insetto e il fiore) è composto da:
– schede delle nomenclature parlate e schede delle nomenclature mute, con cartellini
– scheda in bianco e nero del soggetto (da fotocopiare e colorare)
– poster che riprende le schede delle nomenclature in un unico supporto
– cartellina per contenere tutti i materiali, che si può riporre come un libretto su uno scaffale.

Il set Cartamondo (attualmente disponibili l’insetto e il fiore) è composto da:
– schede delle nomenclature parlate e schede delle nomenclature mute, con cartellini
– scheda delle nomenclature in bianco e nero del soggetto (da fotocopiare e colorare)
– nomenclature pop-up, che reinterpretano in uno spazio tridimensionale le nomenclature classiche. Le parti che normalmente compongono la nomenclatura possono essere ritagliate e incollate, andando a creare un modellino tridimensionale del soggetto
– leporello da punteggiare: un libretto pieghevole che ripropone le nomenclatura e che, una volta punteggiato dal bambino, offre una visione dell’oggetto sia in prospetto sia in “esploso”
– poster delle nomenclature.

Il libretto leporello da punteggiare è anche disponibile singolarmente, sempre per insetto o fiore. Lo stesso vale per le nomenclature pop up.

Seguendo le news pubblicate sul sito o sulla pagina Facebook possiamo restare aggiornati sui laboratori per i bambini,

che possono essere realizzati su richiesta nelle librerie, nelle scuole o in occasione di eventi quali festival o fiere. Per saperne di più visitate la pagina Workshop di Cocai design.

Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE scaricabili e stampabili in formato pdf con presentazioni ed esercizi per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Le tavole della divisione servono al bambino per lavorare con le divisioni i cui dividendi danno almeno una volta quozienti senza resto.

Presentazioni per la tavola forata della divisione qui:

Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

La tavola I è quadrettata e contiene 36 dividendi dall’ 81 all’ 1 nella riga superiore. Le caselle dei numeri primi (7 5 3 2 1) sono colorate perchè si tratta di numeri primi.
I divisori da 9 a 1 si trovano disposti lungo il margine sinistro della tavola.
Nei quadretti interni si trovano i quoti.
La tavola I è essenzialmente una tavola di controllo, e può essere usata per verificare le divisioni esatte eseguite con la tavola forata, o quelle eseguite con la tavola II.

La tavola II è identica alla tavola I, ma i quadretti interni sono vuoti. I quoti infatti sono scritti su cartellini quadrati e si conservano in una scatolina separata per eseguire l’esercizio;

in un’altra scatolina ci saranno le 81 divisioni esatte o complete (cioè quelle senza resto) da eseguire.

Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

L’uso delle tavole permette ai bambini di ripetere in modo vario le divisioni, facilitando la memorizzazione delle combinazioni. Gli esercizi con le due tavole della divisione, che si propongono ai bambini attorno ai 6 anni, concludono il capitolo sulla memorizzazione delle combinazioni fondamentali.

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Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Presentazione 1 – uso della tavola I come tavola di controllo per le divisioni senza resto

Materiale:
– cartellini delle divisioni da svolgere
– tavola I della divisione.

Presentazione:
– invitiamo il bambino a lavorare con noi dicendo: “Oggi vorrei mostrarti la prima tavola della divisione”
– portiamo il materiale al tavolo
– esaminiamo la tavola I della divisione con i bambini, facendo notare i dividendi:

facciamo anche notare i numeri che si trovano nelle caselle colorate, che sono numeri primi.

I divisori scritti in diagonale sul margine sinistro:

I quozienti:

– scegliamo un cartellino di una divisione  da svolgere (senza resto) ed eseguiamola con la tavola forata


– copiamo la divisione sul quaderno, col quoziente che abbiamo trovato
– con l’indice destro troviamo il dividendo nella riga in alto


– con l’indice sinistro troviamo il divisore lungo la diagonale sinistra


– facciamo scorrere l’indice destro verso il basso e l’indice sinistro verso destra finché non si incontreranno nella casella del quoziente


– in questo modo avremo usato la tavola per verificare il risultato trovato con la tavola forata della divisione
– dopo questo primo controllo, controlliamo anche con la tavola di controllo I

– ripetiamo altre due volte, poi invitiamo il bambino a provare ad usare le sue dita per trovare i quozienti, e poi a verificare con la tavola di controllo.

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Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Presentazione 2
Uso della tavola I con la tavola II

Materiale:
– tavola della divisione I
– tavola della divisione II completa di cartellini dei quoti e cartellini delle divisioni senza resto da svolgere

Presentazione:
– invitiamo il bambino a lavorare con noi dicendo: “Oggi vorrei mostrarti la seconda tavola della divisione”
– portiamo al tavolo le due tavole, la scatola coi cartellini dei quoti (o tombolini) e la scatola con le divisioni da svolgere
– esaminiamo la tavola II che è uguale alla tavola I, ma le caselle interne sono vuote
– smistiamo i quoti e impiliamoli in 9 gruppi da 1 a 9
– il bambino prende un’operazione dal cestino e la trascrive sul quaderno
– individua sulla tavola I i termini della divisione, ricercandone il risultato
– individua i termini della divisione sulla tavola II e vi colloca il cartellino appropriato.

In un secondo tempo il bambino potrà calcolare il risultato mentalmente, senza cercarlo sulla tavola I, ed usarla invece solo come tavola di controllo.

Maria Montessori ricorda sempre di richiamare l’attenzione del bambino sui dividendi che si trovano nelle caselle colorate delle due tavole, per dare una prima intuizione del concetto di numero primo.

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Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Presentazione 3
Uso della tavola I con la tavola II

Materiale:
– tavola della divisione I
– tavola della divisione II completa di cartellini dei quoti e cartellini delle divisioni senza resto da svolgere

Presentazione:
– portiamo al tavolo le due tavole, la scatola coi cartellini dei quoti (o tombolini) e la scatola con le divisioni da svolgere
– smistiamo i quoti e impiliamoli in 9 gruppi di 9 quoti uguali ciascuno


– il bambino prende un’operazione dal cestino e la trascrive sul quaderno
– individua sulla tavola I i termini della divisione, ricercandone il risultato
– individua i termini della divisione sulla tavola II e vi colloca il cartellino appropriato.

In un secondo tempo il bambino potrà calcolare il risultato mentalmente, senza cercarlo sulla tavola I, ed usarla invece solo come tavola di controllo. Questo permetterà di passare dal concetto di divisore di un numero ai numeri primi, preparando indirettamente alla ricerca di massimo comune divisore e minimo comune multiplo.

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Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Presentazione 3
Uso della tavola I come tavola di controllo col libretto delle divisioni
(anche per divisioni con resto)

Materiale:
– tavola forata per la divisione
– libretto delle divisioni

Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Il materiale pronto per la stampa e il download è a disposizione degli abbonati:

– tavola I della divisione

Presentazione:
– esaminiamo il libretto coi bambini
– scegliamo un dividendo
– stabiliamo il dividendo contando le perle e mettendole nella ciotola

– leggiamo la prima divisione, ad esempio 5:5=. Mettiamo sulla tavola i 5 birilli che rappresentano il divisore  le perle tra i birilli
– sotto a ogni birillo c’è una perla, quindi possiamo registrare il quoziente 1 sul libretto. Nella ciotola non avanzano perle, quindi il resto è 0. Ricordiamo al bambino che sottolineiamo sempre le divisioni senza resto nel nostro libretto
– rimettiamo le perle nella ciotola

– leggiamo la divisione successiva: 5:4=
– togliamo un birillo e distribuiamo le 5 tra i 4 birilli. Ogni birillo riceve una perla e ne avanza una nella ciotola.
– registriam0: 5:4=1 resto:1

– procediamo con le restanti divisioni presenti sulla pagina


– controlliamo sulla tavola della divisione I, dove troveremo i quozienti senza resto

Con questo procedimento il bambino può trovare sulla tavola I i risultato delle divisioni senza resto.

Per le 120 divisioni con “quoziente incompleto” che si trovano nel libretto possiamo usare la tavola I per calcolare quoziente e resto.
Queste combinazioni vanno da 64:9 a 3:2

Poiché la casella che si trova nel punto di incontro del dividendo verticale col divisore orizzontale è una casella vuota, il bambino cercherà il quoziente sulla stessa riga nella prima casella successiva in cui compare un numero: quello sarà il quoziente. Facendo l’esempio della pagina del 5, per cercare il risultato di 5:2 sulla tavola avremo 5:2=2

Per calcolare il resto basterà sottrarre al dividendo della nostra divisione il dividendo che corrisponde alla prima casella occupata che abbiamo usato come quoziente. Nel nostro esempio 5:2=2; resto = (5-4) 1

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Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

Tavole della divisione

Scopo:
– memorizzare le combinazioni delle divisioni
– acquisire familiarità con i modi in cui i numeri possono essere divisi
– sperimentare a livello sensoriale la relazione inversa tra divisione e moltiplicazione
– preparare il bambino a trovare il massimo comune divisore e il minimo comune multiplo.

Controllo dell’errore:
– la tavola di controllo
– la tavola I della divisione.

Età:
– dai 6 anni.

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Matematica Montessori LE TAVOLE DELLA DIVISIONE

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