Esperimento scientifico: l’angolo critico

Esperimento scientifico: l’angolo critico.

Scopo

Un materiale trasparente, come il vetro o l’acqua, può effettivamente riflettere la luce meglio di uno specchio, se si guarda dalla giusta angolazione.

Età

Dai 10 anni.

Materiali

Un contenitore di vetro trasparente
latte (o del latte in polvere)
un laser è la scelta migliore, se disponibile, altrimenti una torcia.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra come il vetro o l’acqua possono effettivamente riflettere la luce meglio di qualsiasi specchio, guardando dalla giusta angolazione

. svolgiamo l’esperimento in una stanza buia

. riempiamo il contenitore trasparente con acqua

. teniamo il puntatore laser o la torcia a lato del contenitore, in modo che la luce risplenda nell’acqua

. aggiungiamo il latte una goccia alla volta, mescolando dopo ogni goccia, finché non si vede il raggio di luce che passa attraverso l’acqua

. dirigiamo il raggio di luce verso l’alto in modo che colpisca la superficie dell’acqua da sotto

. muoviamo la torcia in modo che il raggio di luce colpisca la superficie dell’acqua all’incirca ad angolo retto, poi cambiamo lentamente l’angolo in cui il raggio di luce colpisce la superficie dell’acqua

. continuiamo a sperimentare finché non troveremo l’angolo con cui il raggio trasmesso scompare completamente. A questo angolo, chiamato l’angolo critico, tutta la luce viene riflessa nell’acqua

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

In generale, quando un raggio di luce (il raggio incidente) colpisce l’interfaccia tra due materiali trasparenti, come l’aria e l’acqua, parte del raggio viene riflessa e parte di essa prosegue oltre. Il raggio di luce viene piegato, o rifratto, mentre passa da un materiale all’altro.
L’angolo critico (o angolo limite) è l’angolo oltre il quale si ottiene una riflessione interna totale.

A: normale riflessione acqua – aria
B: angolo limite o critico
C: riflessione interna totale.

La luce si sposta dall’acqua all’aria e si flette verso l’acqua. Ad un certo angolo, la flessione sarà così forte che il raggio rifratto sarà diretto proprio lungo la superficie; cioè, nessuno di questi uscirà nell’aria: questo è l’angolo critico o angolo limite.
Oltre l’angolo critico, tutta la luce viene riflessa nell’acqua, quindi il raggio riflesso è luminoso come il raggio incidente. Questo fenomeno è chiamato riflessione interna totale: viene riflesso quasi il 100 percento del raggio di luce.
L’angolo critico per l’acqua è misurato tra il raggio e una linea perpendicolare alla superficie ed è 49 gradi.

Esperimento scientifico: nelle profondità dell’oceano

Esperimento scientifico: nelle profondità dell’oceano.

Scopo

Dimostrare la legge di Pascal per i fluidi.

Materiali

Cartoni del latte vuoti o bottiglie di plastica
nastro isolante
uno spiedino o un chiodo
lavandino o bacinella
acqua
colorante (facoltativo).

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la legge di Pascal. È una legge della fisica che ci dice che la pressione esercitata su un fluido viene trasmessa inalterata in ogni punto del fluido e sulla superficie del suo contenitore

. per provarlo pratichiamo dei fori identici disposti uno sotto l’altro lungo una parete del cartone o della bottiglia e copriamo provvisoriamente i fori con del nastro isolante

. teniamo il contenitore in orizzontale, strappiamo il nastro e osserviamo gli zampilli fuoriuscire tutti con la stessa forza

. ora prendiamo un cartone del latte e pratichiamo tre fori, come abbiamo fatto prima. Copriamo provvisoriamente i tre fori con del nastro isolante

. prendiamo un terzo cartone e pratichiamo anche qui tre fori, ma questa volta disposti in diagonale. Copriamo provvisoriamente con del nastro isolante

. riempiamo entrambi i cartoni di acqua (se vogliamo aggiungiamo del colorante)

. chiediamo ai bambini di prevedere cosa accadrà quando rimuoveremo il nastro: i getti saranno tutti lunghi uguali?
. strappiamo il nastro isolante dal cartone con i fori allineati. Osserviamo

. strappiamo il nastro dal cartone coi fori in diagonale. Osserviamo

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

La legge di Pascal
Osservazioni e conclusioni

Quando abbiamo tolto il nastro isolante dal contenitore con i fori allineati in orizzontale, tutti i getti erano della stessa lunghezza perché, secondo la legge di Pascal, la pressione dell’acqua a una data profondità è la stessa in tutte le direzioni.
Cosa è successo quando il nastro è stato rimosso dal contenitore con i fori in linea verticale? Dal foro più in basso è fuoriuscito il getto più lungo, perché più profonda è l’acqua, maggiore è la pressione).


L’acqua che fuoriesce dal foro più in basso è soggetta ad una pressione maggiore (ha più acqua/peso su di sè) e viene spinta fuori con molta più forza
L’acqua che fuoriesce dal foro superiore è sottoposta a una pressione molto molto più bassa, e il getto è di conseguenza corto e debole.
Quando i fori sono disposti in linea verticale, che sia perpendicolare oppure obliqua, i fori più in basso produrranno getti più potenti e quelli più alto getti più deboli.

Esperimento scientifico: eruzione vulcanica

Esperimento scientifico: eruzione vulcanica.

Scopo

Sfruttare la reazione chimica tra bicarbonato di sodio, albume d’uovo e aceto per simulare un’eruzione vulcanica.

Età

Dai 4 anni.

Materiali

Una tortiera
una piastra per forno o una tovaglia di plastica
una bottiglietta di plastica
bicarbonato di sodio
un imbuto
un cucchiaio
aceto bianco
2 uova crude
carta stagnola
colorante alimentare o acquarello.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questa attività può essere presentata ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. versiamo nella bottiglietta un cucchiaio da tavola colmo di bicarbonato di sodio, aiutandoci con un imbuto

. rompiamo due uova crude, separiamo gli albumi dai tuorli e versiamo gli albumi nella bottiglietta

. aggiungiamo del colorante e agitiamo la bottiglietta

. mettiamo la bottiglietta al centro della tortiera. Per preservare il tavolo, mettiamo il tutto su una piastra da forno o usiamo una tovaglia cerata

. avvolgiamo bottiglietta e tortiera nella carta stagnola, quindi foriamo all’altezza della bocca della bottiglietta

. versiamo tutto in una volta mezzo bicchiere di aceto nella bottiglietta

. dopo alcuni secondi, vedremo sgorgare dalla bocca del vulcano una copiosa schiuma colorata

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

L’aceto contiene acido acetico; quando entra in contatto con il bicarbonato di sodio sviluppa una reazione chimica che porta alla formazione di anidride carbonica, un gas.
A contatto con l’albume, l’acido acetico provoca la sua coagulazione, trasformandolo in una schiuma simile a quella che si ottiene quando lo montiamo con la frusta elettrica.
Questa schiuma fuoriesce dalla bocca del vulcano spinta dall’anidride carbonica.

Un’altra eruzione vulcanica qui:

Esperimento scientifico: sai cos’è un geyser?

Esperimento scientifico: sai cos’è un geyser?

Scopo

Creare uno sbuffo di vapore che ricordi un geyser.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Una pentola d’acqua
un imbuto
carta stagnola.

Note di sicurezza

I bambini osserveranno l’esperimento alla giusta distanza di sicurezza dal vapore.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che proveremo a creare uno sbuffo di vapore che ricordi un geyser. Poi parleremo di cosa lo distingue da un geyser vero

. inseriamo l’imbuto nella pentola e copriamo la pentola con la carta stagnola lasciando un foro per il beccuccio dell’imbuto

. accendiamo il fuoco sotto alla pentola

. non appena l’acqua comincerà a bollire, il vapore uscirà dall’imbuto

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Un geyser è una sorgente d’acqua calda sotterranea dalla quale fuoriesce, in determinate condizioni, una colonna di vapore e acqua. Questa è la differenza più importante rispetto al nostro “geyser”.
La seconda grande differenza è che i geyser si caricano e scaricano ciclicamente e non eruttano in modo continuo. Ci sono tre fasi principali del ciclo di un geyser: riscaldamento, eruzione e rabbocco.
Un’emissione di solo vapore acqueo (mescolato ad acido borico, metano e altri gas) è il soffione boracifero. Larderello, in Toscana, è famosa per i suoi soffioni boraciferi.
I geyser sono rari sul nostro pianeta perché richiedono la presenza di condizioni molto particolari. Affinché un geyser possa esistere, infatti, servono:
– una camera magmatica, che irradia calore
– un ampio terreno ricco d’acqua
– un serbatoio a sifone (cioè a forma di U) nel sottosuolo
– una fessura che permetta di riempire il serbatoio con l’acqua di superficie.
La struttura sotterranea a sifone deve comunicare con l’esterno e deve essere formata da rocce permeabili, nelle quali circola l’acqua, circondate da rocce impermeabili.
I geyser si trovano in prossimità di vulcani o nei luoghi ove la crosta terrestre è meno spessa. La maggior parte dei geyser si trovano negli USA, seguiti da Islanda, Russia, Cile e Nuova Zelanda. In Italia non ci sono geyser, mentre sono presenti i soffioni boraciferi.
La parola “geyser” deriva dall’islandese geysir che significa “sgorgare”.
Per capire come funziona un geyser, è necessario comprendere la relazione tra acqua e vapore. Il vapore è uno stato gassoso dell’acqua.
Quando l’acqua si trasforma in vapore, subisce un’enorme espansione perché il vapore occupa 1600 volte più spazio di quanto non occupi il volume dell’acqua.
Quando l’acqua fredda di superficie filtra giù nella terra e si avvicina alla fonte di calore (la camera magmatica), viene riscaldata sempre più, ma quando arriva al punto di ebollizione non si converte in vapore, perché le sue molecole sono trattenute dalle rocce.
Questa acqua più che bollente continua il suo viaggio in forma liquida verso la superficie. Man mano che risale, però, la pressione intorno a lei diminuisce finché, giunta in prossimità del livello del suolo, è nuovamente libera di trasformarsi in vapore.
A quel punto, acqua e vapore si avviano velocemente verso l’uscita del geyser, da dove zampillano, con più o meno forza, creando fontane di acqua bollente e vapore.

Esperimento scientifico: i crateri lunari

Esperimento scientifico: i crateri lunari.

Scopo

Scoprire come si formano i crateri e perché sono di dimensioni diverse.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Ciottoli e sassi di forma e dimensione varia, palline non troppo pesanti, frutti di diverse dimensioni, ecc.
una scatola o cassettina o vassoio
farina
cacao in polvere
setaccio o scolapasta
eventualmente righello, penna e quaderno.

Note di sicurezza

Scegliere un luogo aperto per non mettere in pericolo persone, animali o cose durante i lanci.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul pavimento, o all’aperto, scegliendo una superficie l’appoggio dura (non sull’erba o sul tappeto) e con un sufficiente spazio intorno
. versiamo la farina nel vassoio e livelliamola. Lo strato di farina dovrebbe avere una profondità di almeno 5 cm

. col setaccio o lo scolapasta copriamo la farina con un velo di cacao

. sediamo a terra davanti al vassoio e lasciamo cadere uno ad uno i nostri “meteoriti”, lasciandoli cadere da diverse altezze e da diverse angolazioni

. osserviamo i crateri

. utilizzando le forbici togliamo i “meteoriti” con la massima delicatezza: questo ci permetterà di osservare ancora meglio i crateri

. prestiamo attenzione ai bordi


. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

I crateri sono depressioni a forma di ciotola circondate da un anello.
Si formano quando un meteorite si scontra con un pianeta o una luna e per questo i crateri sono più correttamente “crateri da impatto”.
Spesso il meteorite che crea il cratere esplode al momento dell’impatto, quindi il cratere è un ricordo vuoto della collisione. Studiando i crateri, comunque, gli scienziati sono in grado di risalire al tipo di oggetto che l’ha prodotto.
I crateri lunari hanno diametri diversi, inoltre alcuni sono molto profondi, mentre altri sono superficiali. La dimensione e la profondità di un cratere dipendono dalla velocità con cui il meteorite colpisce la superficie, dalla grandezza del meteorite, dall’inclinazione con cui cade sulla superficie.

Esperimento scientifico: contrasti

Esperimento scientifico: contrasti.

Scopo

Scoprire che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi di colori diversi.

Età

Dai 6 anni.

Materiali

Forbici
carta colorata o da origami in giallo, viola, verde, blu (due tonalità) e arancione (due tonalità)
colla.

Note di sicurezza

Insegniamo ai bambini come utilizzare le forbici in sicurezza.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi diversi

. tagliamo un foglio di carta arancione a metà longitudinalmente e incolliamolo sul foglio blu

. tagliamo due quadrati da ciascuno dei fogli colorati e creiamo due colonne di quadrati colorati uguali, uno sullo sfondo blu e uno sullo sfondo arancione

. noteremo che due quadrati dello stesso colore appaiono come tonalità

. per ogni coppia di quadrati ritagliamo un rettangolo abbastanza grande da poter essere posizionato su entrambe le colonne per il confronto

. posizioniamo la striscia di confronto in modo che tocchi entrambi i quadrati di uno stesso colore per verificare

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La parte posteriore dell’occhio è rivestita da cellule sensibili alla luce, tra le quali i coni, sensibili al colore.
I coni si influenzano a vicenda in modi complessi. Queste connessioni ci danno una buona visione dei colori, ma possono anche ingannare il nostro sguardo.
Quando i coni in una parte dell’occhio vedono la luce blu, rendono i coni vicini meno sensibili al blu.
Per questo motivo, se mettiamo un punto viola su uno sfondo blu, il punto appare un po’ meno blu di quanto non sarebbe altrimenti.
Allo stesso modo, una macchia rossa su uno sfondo arancione sembra meno arancione di quanto sarebbe altrimenti.

Esperimento scientifico: pupille

Esperimento scientifico: pupille.

Scopo

Osservare che la pupilla cambia dimensione in base alla quantità di luce e che la luce che splende in un occhio influisce sulla dimensione della pupilla nell’altro occhio.

Materiali

Lente d’ingrandimento e specchietto (oppure specchio ingrandente)
piccola torcia elettrica.

Età

Dai 9 anni.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la pupilla cambia dimensione in base alla quantità di luce e che la luce che splende in un occhio influisce sulla dimensione della pupilla nell’altro occhio

. se usiamo specchietto e lente d’ingrandimento, mettiamo la lente sulla superficie dello specchio e guardiamo al centro della lente con un occhio

. regoliamo la distanza dallo specchio fino a quando non vediamo un’immagine nitida e ingrandita dell’occhio

. osserviamo il bianco dei nostri occhi, il disco colorato dell’iride e la nostra pupilla, il buco nero al centro dell’iride

. puntiamo la luce di una piccola torcia nella pupilla di un occhio facendola brillare attorno al bordo dello specchio

. osserviamo come la pupilla cambia dimensione

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La pupilla è un’apertura che lascia entrare la luce. Con la luce fioca, la pupilla si espande per consentire a più luce di entrare negli occhi. In piena luce, si contrae.
La dimensione delle pupille può cambiare anche a causa di stimoli emotivi (paura, rabbia, dolore, ecc.)

Esperimento scientifico: l’uccellino in gabbia

Esperimento scientifico: l’uccellino in gabbia.

Scopo

Mostrare che se l’occhio si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Cartoncino rosso, verde e blu brillante
colla per carta
quattro fogli di carta bianca
pennarello nero
forbici.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamoci in un luogo ben illuminato: l’illuminazione intensa è un fattore significativo nel far funzionare bene l’esperimento

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. Spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che se uno o più dei tre tipi di coni si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe

. ritagliamo la stessa semplice forma, ad esempio un uccello o un pesce, da ciascuno dei tre fogli colorati

. incolliamo ogni forma su un foglio di carta bianca

. disegniamo un occhio su ogni uccello o pesce col pennarello nero

. sul quarto figlio bianco disegniamo il contorno di una gabbia per uccelli (o di una boccia per pesci)

. chiediamo al bambino di fissare la figura rossa (pesce o uccello) per circa 20 secondi e poi fissare rapidamente il foglio bianco con la gabbia o la boccia. Il bambino vedrà un uccello blu-verde nella gabbia

. chiediamo al bambino di ripetere il processo, fissando la figura verde: nel foglio bianco (con gabbia o boccia) vedrà una figura rosso-blu

. infine, chiediamo di fissare la figura blu. Su foglio bianco il bambino vedrà una figura gialla.

Osservazioni e conclusioni

Le figure che appaiono sul foglio bianco (con la gabbia o la boccia) dopo aver fissato a lungo una figura, sono chiamate immagini residue.
Un’immagine residua è un’immagine che permane anche dopo aver smesso di guardare l’oggetto.
Il rivestimento dietro l’occhio, chiamato retina, è ricoperto da cellule sensibili alla luce chiamate coni e bastoncelli. I bastoncelli permettono di vedere in penombra, ma solo in sfumature di grigio. I coni invece rilevano il colore in condizioni di luce intensa. Esistono tre tipi di coni e ognuno è sensibile a un particolare intervallo di colori.
Se uno o più dei tre tipi di coni si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe.
Quando fissiamo l’uccello rosso, le cellule sensibili al rosso si adattano e riducono la loro risposta.
Il foglio bianco riflette la luce rossa, blu e verde, perché la luce bianca è composta da tutti questi colori.
Quando spostiamo lo sguardo verso il foglio bianco, dopo aver fissato a lungo l’uccello rosso, i coni sensibili al rosso non rispondono, ma i coni sensibili al blu e al verde rispondono con forza alla luce blu e verde riflessa dal bianco.
Di conseguenza, dove le cellule sensibili al rosso non rispondono, vedremo un uccello bluastro-verde. Questo colore bluastro-verde è chiamato ciano.
Quando fissiamo l’uccello verde, i tuoi coni sensibili al verde si adattano allo stimolo quindi, quando guarderemo il foglio bianco, gli occhi risponderanno solo alla luce rossa e blu riflessa dal bianco e vedremo un uccello rosso-blu. Questo colore rosso-blu è chiamato magenta.
Allo stesso modo, quando fissiamo un oggetto blu, i coni sensibili al blu si adattano e la luce rossa e verde riflessa si combinano per formare il giallo.

Esperimento scientifico: il punto cieco

esperimento scientifico: il punto cieco

Scopo

Sperimentare la presenza del “punto cieco” dell’occhio.

Materiali

Un foglietto di carta o cartoncino bianco 3 × 5 cm
pennarello nero
un bastone (opzionale).

Età

Dai 9 anni.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. Spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la presenza del “punto cieco” dell’occhio

. disegniamo sul foglietto un punto a sinistra e una croce a destra

. teniamo il foglietto a livello degli occhi, col braccio disteso. Assicuriamoci che la croce sia sulla destra

. chiudiamo l’occhio destro e guardiamo direttamente la croce con l’occhio sinistro. Noteremo che è ancora possibile vedere anche il punto

. concentriamoci sulla croce, ma restando consapevoli del punto a sinistra, mentre lentamente portiamo il foglietto verso il viso, cioè mentre lo avviciniamo: il punto a sinistra sparirà e poi riapparirà. Proviamo a spostare il foglietto più vicino e più lontano per individuare esattamente dove ciò accade


. ora distendiamo di nuovo il braccio e chiudiamo l’occhio sinistro. Guardiamo il punto a sinistra con l’occhio destro. Allontaniamo e avviciniamo il foglietto come abbiamo fatto per la croce


. infine, proviamo di nuovo l’attività, ma questa volta teniamo inclinato il foglietto, in modo che il punto e la croce non siano direttamente uno di fronte all’altro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La retina dell’occhio riceve le immagini dall’ambiente esterno e invia segnali al cervello, permettendoti di vedere. Una parte della retina, tuttavia, non dà informazioni visive: questa parte della retina è detta “punto cieco
Il punto cieco è la parte della retina in cui si trovano le cellule nervose del nervo ottico. In questo punto, la retina non ha recettori di luce, ma appunto cellule nervose.
Quando tieni il foglietto in modo che l’immagine del punto cada su questa parte della retina, non puoi vedere il punto.

Esperimento scientifico: naso e lingua

Esperimento scientifico: naso e lingua

Scopo

Scoprire la stretta relazione che esiste tra olfatto e gusto.

Età

Dai cinque anni.

Materiali

Batuffoli di cotone
estratto profumato (vaniglia, rosa, ecc.)
mela o altro frutto.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la relazione esistente tra olfatto e gusto

. diamo al bambino un pezzetto di mela e chiediamogli di notarne il sapore. Nulla di nuovo!

. mettiamo alcune gocce di estratto su un batuffolo di cotone

. chiediamo al bambino di annusare il batuffolo di cotone e mangiare un altro pezzo di mela mentre lo fa.

Osservazioni e conclusioni

Questo esperimento darà al bambino un’idea di quanto odori e sapori siano connessi.
Più di 3/4 di ciò che gustiamo è correlato alla percezione del suo odore.
Pensa a quando hai il raffreddore: il tuo cibo sembra senza sapore.
La nostra lingua può riconoscere molto facilmente solo 4 sapori fondamentali: il salato, l’amaro, il dolce e l’acido. Gli altri sapori sono collegati a ciò che odoriamo.
Prova a mettere in bocca una caramella: all’inizio potresti non essere in grado di dire il sapore specifico della caramella oltre a una sensazione generale di dolcezza o asprezza. Con il passare del tempo, potresti notare che mentre la caramella si dissolve, puoi identificare il gusto specifico. Questo perché alcune molecole di profumo volatilizzano e viaggiano fino al tuo organo olfattivo attraverso una specie di porta sul retro, cioè su un passaggio nella parte posteriore della gola e del naso.
Dal momento che possiamo sentire solo 4 diversi veri sapori, è in realtà l’odore che ci fa sperimentare i sapori complessi e appetitosi che associamo ai nostri cibi preferiti.
Ecco perché nella seconda parte dell’esperimento il gusto della mela ci è sembrato diverso.

Esperimento scientifico: onde sonore

Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che le onde sonore si propagano nell’aria.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un contenitore
un foglio di carta sottile o pellicola per alimenti
un elastico
semi di lino o di papavero o sabbia colorata o tè o farina
un mattarello e una pentola metallica.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. copriamo il contenitore col materiale scelto e fermiamolo con un elastico, di modo che rimanga ben teso

. versiamo i semi o la sabbia sulla superficie tesa

. avviciniamo la tortiera al contenitore, col fondo all’esterno, e colpiamola col mattarello

. guardiamo i semi rimbalzare e muoversi

. proviamo a girare la tortiera, col fondo verso il contenitore, e proviamo di nuovo a batterla col mattarello: non succederà nulla

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Le onde sonore emesse dalla tortiera durante l’impatto col mattarello si propagano nell’aria e mettono in moto i semi (o altro materiale scelto).

Esperimenti scientifici: un gong al cucchiaio

Esperimenti scientifici: un gong al cucchiaio .

Scopo

Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che il suono ha bisogno di qualcosa da attraversare e che l’aria non è un materiale molto efficiente a tale scopo.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un righello (di legno, plastica o metallo)
due cucchiaini di diverse dimensioni (prova con un cucchiaino e un cucchiaio da portata)
corda o filo di cotone.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. creiamo un cappio nel mezzo del filo e inseriamo il manico del cucchiaio

. stringiamo il nodo saldamente, in modo che il cucchiaio penda al centro del filo

. prendiamo le due estremità del filo e avvolgiamo ognuna di esse attorno al dito indice su ciascuna mano

. mettiamo gli indici con la cordicella avvolta intorno in ogni orecchio, come per tapparsi le orecchie

. Il cucchiaio dovrebbe pendere appena sotto la vita

. chiediamo a un bambino di colpire il cucchiaio col righello

Osservazioni e conclusioni

Con questo esperimento i bambini scoprono come viaggiano le onde sonore.
Se usiamo un cucchiaio piccolo, il bambino sentirà un suono di campanello, con un cucchiaio più grande il suono somiglierà a un gong. Possiamo provare anche diversi tipi di filo: più la corda è densa, migliore sarà il suono.
Quando il righello colpisce il cucchiaio, crea vibrazioni che generano onde sonore. Queste onde sonore viaggiano lungo il filo invece che nell’aria.
Il filo agisce come un conduttore per le onde sonore. A seconda delle dimensioni del cucchiaio e della lunghezza del filo, il suono apparirà più alto (come una campana) o più profondo (come un gong).
Poiché il filo consente alle onde sonore di continuare a viaggiare, il suono del cucchiaio risuonerà o riverbererà, cioè persisterà abbastanza a lungo dopo aver colpito il cucchiaio.
L’unico che può sentire il suono del campanello o del gong sarà la persona con il filo nelle orecchie: tutti gli altri nella stanza sentiranno solo un debole tintinnio quando il righello colpisce il cucchiaio. Ciò dimostra come la stessa vibrazione suona in modo diverso quando viaggia attraverso materiali diversi.
Quando colpiamo un cucchiaio con un righello, il suono viaggia attraverso l’aria per raggiungere il nostro orecchio, e gran parte di questo suono si perde lungo la strada.
Quando colpiamo il cucchiaio appeso al filo, le vibrazioni sonore viaggiano dal cucchiaio attraverso la corda e le dita al tuo orecchio, e in questo modo molta meno energia sonora si perde nel percorso.
Sebbene la maggior parte dei suoni che sentiamo siano trasmessi attraverso l’aria, l’aria non è l’unica portatrice di onde sonore, né la migliore. Prova a mettere un orologio sul tavolo e avvicinati: sentirai il suo ticchettio attraverso l’aria. Ma prova a mettere l’orecchio sul tavolo: il ticchettio sarà molto più forte.
In alcuni materiali le molecole sono strettamente legate tra loro, in altri materiali, le molecole sono lontane tra loro. La vicinanza delle molecole tra loro in un materiale può influenzare la facilità con cui esse possono urtarsi l’un l’altra e dare inizio ad una vibrazione.
Le molecole del metallo che forma il cucchiaio sono molto vicine tra loro. Quando colpiamo il cucchiaio le molecole del metallo iniziano a vibrare. Le vibrazioni nel metallo viaggiano attraverso la corda e le dita fino al nostro orecchio.
Questa attività rivela alcuni fatti importanti sulla natura del suono e ci dice che il suono viaggia in modo diverso attraverso solidi, liquidi e gas.
La corda è un solido, quindi il suono che sentiamo attraverso di essa è diverso dal suono che sentiamo quando le vibrazioni giungono alle nostre orecchie attraverso l’aria (un gas).

Varianti

. puoi usare un appendiabiti metallico al posto del cucchiaio.

Esperimenti scientifici per bambini – OOBLECK

Esperimenti scientifici per bambini – OOBLECK. Un esempio  di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere è l’oobleck, una sospensione di amido di mais e acqua.

Esperimenti scientifici per bambini
Oobleck

Scopo

Esplorare le proprietà di un fluido non newtoniano.

Età

Dai 4 anni.

Materiali

2 parti di amido di mais
1 parte di acqua
Colorante alimentare (se vuoi)
Una teglia di alluminio e un contenitore di plastica
Una traccia audio da 40 50 o 63 Hz (cerca su YouTube)
Il miglior altoparlante che riesci a trovare.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che con questo esperimento esploreremo le proprietà di un fluido non newtoniano

. in una contenitore di plastica uniamo una parte di acqua a due parti di amido di mais. Se lo desideriamo aggiungiamo del colorante alimentare

. mescoliamo con cura

. dopo aver preparato il composto teniamo a portata di mano dell’acqua perché l’oobleck tende ad asciugarsi assumendo l’aspetto del fango secco: per mantenerlo fluido basta aggiungere ogni tanto un po’ d’acqua

. immergiamo una mano e cerchiamo di toglierla più velocemente che possiamo: sentiremo una forte resistenza

. prendiamo in mano un po’ di fluido e schiacciamolo: sembrerà diventare solido, ma diminuita la pressione il composto tornerà fluido

. proviamo a colpire con forza il fluido: la mano rimarrà incastrata

. maneggiamo il nostro fluido liberamente per sentirlo passare da fluido a solido e viceversa

. versiamo il nostro oobleck in una teglia di alluminio

. scarichiamo tracce audio con diversi toni: quelli che funzionano meglio sono 40 HZ, 50 e 63

. mettiamo la teglia sull’altoparlante mentre trasmette la traccia scelta, ed esercitiamo con le dita una certa pressione lungo il bordo della teglia. Il nostro oobleck comincerà a danzare

Osservazioni e conclusioni

L’oobleck è un esempio di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere. È una sospensione di amido di mais e acqua.
Il nome “oobleck” deriva dal libro per bambini Bartholomew and the Oobleck del Dr Seuss (che non è stato tradotto in Italiano).

L’oobleck è davvero sorprendente: si comporta come un liquido se lasciato a riposo, come un solido non appena lo si maneggia, e colpendolo diventa tanto più duro quanta più forza si applica al colpo.
Un fluido non–newtoniano è un fluido la cui viscosità varia a seconda della velocità con cui lo si misura.
I fluidi non newtoniani si dividono in due classi:
1. fluidi pseudoplastici: la viscosità diminuisce all’aumentare della velocità
2. fluidi dilatanti: la viscosità aumenta all’aumentare della velocità. L’Oobleck fa parte di questa classe: sollecitazioni rapide lo rendono più viscoso rispetto allo stato di riposo.
I fluidi non newtoniani oppongono una resistenza maggiore all’aumentare della pressione esercitata.
Nel nostro esperimento, la maizena non si scioglie nell’acqua, ma le sue particelle rimangono in sospensione. Quando si esercita una forte pressione, le particelle si ammassano e non fanno penetrare l’oggetto. Se invece l’oggetto viene immerso lentamente, le particelle hanno il tempo di separarsi.
Anche il fango e le sabbie mobili sono fluidi non newtoniani: se vi si affonda, bisogna sollevare le gambe molto lentamente, altrimenti si resta sempre più intrappolati perché facendo movimenti veloci si esercita una pressione maggiore e le sabbie mobili si oppongono con maggior resistenza.

Esperimenti scientifici: raddoppia il capitale

Esperimenti scientifici: raddoppia il capitale.

Scopo

Osservare gli effetti della rifrazione della luce.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un bicchiere trasparente
acqua
una moneta da 2 centesimi (o qualsiasi altra moneta).

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Mettiamo la moneta nel bicchiere vuoto

. mettiamoci in modo da vedere la moneta di lato attraverso il vetro (non dall’alto)
. versiamo lentamente l’acqua nel bicchiere finché non vedremo una seconda moneta apparire sull’altro lato del bicchiere
. muoviamo la testa su e giù e osserviamo come la moneta appare due volte e quando torna ad essere una moneta sola

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La luce si piega quando passa da un mezzo (acqua) a un altro mezzo di diversa densità (aria). Questo avviene quando passa dall’acqua all’aria, o dal vetro all’acqua
Questa flessione della luce, chiamata rifrazione, fa cambiare la posizione apparente della moneta e te la fa vedere in una posizione meno profonda di quella è la posizione reale.
Quando la luce passa attraverso il vetro del bicchiere, fa apparire la moneta più vicina a chi osserva.
Di conseguenza, si vedranno due immagini della moneta.

Mani fredde – esperimenti scientifici per bambini

Mani fredde – esperimenti scientifici per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Mani fredde
Scopo

Osservare come il senso del tatto e la capacità di presa dalle dita possono essere influenzate dalla temperatura.

Età

Dai 5 anni.

Mani fredde
Materiali

Una ciotola con acqua
cubetti di ghiaccio
un ago.

Note di sicurezza

Se durante l’esperimento il volontario prova fastidio o dolore nell’acqua, deve sapere che può ritirare la mano immediatamente.
Nel preparare la ciotola verificare con attenzione che la temperatura sia adatta all’immersione delle dita.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che il senso del tatto e la capacità di presa dalle dita possono essere influenzate dalla temperatura
. chiediamo a un bambino di prendere l’ago con la sua mano dominante

. il bambino eseguirà l’azione senza problemi

. mettiamo i cubetti di ghiaccio nella ciotola d’acqua

. chiediamo al bambino di immergere la mano dominante nella ciotola per 20-30 secondi

. chiediamo al bambino di togliere la mano e asciugarla rapidamente

. chiediamogli di riprovare a sollevare l’ago

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Noteremo che prendere l’ago non è così facile come sembrava all’inizio. Le dita si rifiutano di obbedirci! Il freddo riduce la nostra sensibilità tattile e indebolisce le capacità motorie. È difficile utilizzare le dita fredde per eseguire movimenti precisi come sollevare un ago.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Scopo

Osservare come il senso del tatto può ingannarci quando percepisce le temperature.

Materiali

Tre identici contenitori di vetro
acqua a diverse temperature (molto calda, tiepida, molto fredda)
asciugamani

Note di sicurezza

Se durante l’esperimento il volontario prova fastidio o dolore nell’acqua, deve sapere che può ritirare la mano immediatamente.
Nel preparare le tre ciotole verificare con attenzione che le tre temperature siano adatte all’immersione delle dita.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la nostra percezione della temperatura può essere ingannata

. coi bambini prendiamo la prima ciotola, versiamoci l’acqua fredda (precedentemente raffreddata con del ghiaccio) e in un punto nascosto della ciotola applichiamo un cartellino piegato a metà con la scritta “fredda”

. prepariamo allo stesso modo le altre due ciotole

. disponiamo le ciotole sul tavolo in modo che l’acqua a temperatura ambiente sia al centro e che l’acqua calda e quella fredda siano su entrambi i lati

. immergiamo le dita nell’acqua più calda e contiamo fino a 10

. poi immediatamente spostiamole nell’acqua tiepida. Chiediamo: “Com’è quest’acqua?”

. i bambini diranno che è fredda, ma aprendo il cartellino nascosto leggeranno “tiepida”: i sensi possono ingannarci!

. ora immergiamo la mano destra nell’acqua fredda e la mano sinistra nell’acqua calda

. lasciamo le mani in acqua per circa 20 secondi

. spostiamo contemporaneamente entrambe le mani nel contenitore centrale

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Osservazioni e conclusioni

I bambini sperimenteranno qualcosa di molto particolare, cioè una mancata corrispondenza tra la percezione della temperatura e la temperatura reale dell’acqua.
Si tratta di un fenomeno chiamato “adattamento sensoriale”.
Sulle nostre mani, e in particolare nei nostri polpastrelli, c’è una quantità incredibile di terminazioni nervose sensoriali, e tra questi i termocettori, che
servono a rilevare la temperatura degli oggetti. Alcuni termocettori rilevano condizioni di freddo mentre altri termocettori sono attivati dal calore.
Se la mano è esposta al calore per un lungo periodo, i recettori sensibili al calore, come i muscoli dopo un lungo allenamento, inizieranno a stancarsi e ridurranno la loro attività, cioè diventeranno meno sensibili.
La stessa cosa succede ai recettori del freddo.
Questo processo di adattamento dei termocettori e dei nervi sensoriali spiega il disallineamento di sensazione di temperatura durante l’esperimento.
È la stessa cosa che succede quando appoggiamo una mano su un tavolo: appena appoggiata notiamo la consistenza e la temperatura del tavolo, ma dopo un po’ non sentiremo più nulla. Anche questo fenomeno è dovuto all’adattamento sensoriale.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?

Che vista! Un esperimento scientifico sulla riflessione della luce

Che vista! Un esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria per spiegare la riflessione della luce.

Che vista!
Scopo

Sfruttare le proprietà di riflessione della luce per leggere attraverso una busta chiusa.

Materiali

Pennarello nero
foglio bianco
busta scura
busta bianca
un tubo fatto arrotolando carta scura largo 10 cm circa.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Che vista!
Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che non è possibile leggere la scritta all’interno di una busta a causa della luce riflessa dalla superficie bianca

. con un pennarello nero, scriviamo una parola di tre o quattro lettere su un foglio di carta bianca

. mettiamo la carta in una busta scura e inseriamo quella busta in una busta bianca. La scritta sul foglio dovrebbe ora essere impossibile da leggere

. prendiamo un pezzo di cartoncino scuro o una pagina di una rivista stampata su entrambi i lati. Arrotoliamo la carta in un tubo

 . quando teniamo il tubo contro la busta, saremo in grado di leggere la scritta all’interno

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Di solito non è possibile leggere la scritta all’interno di una busta a causa della luce riflessa dalla superficie bianca della busta. Ma le pareti del tubo riflettono la luce, quindi vedrai solo la luce che passa attraverso la busta.

Esperimento scientifico – Immagini invertite

Esperimento scientifico – Immagini invertite

Scopo

Dimostrare la rifrazione della luce.

Età

Dai 6 anni.

Materiali

Bicchiere
acqua
carta
penna o pennarello nero o matita.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento mostra gli effetti della rifrazione

. disegniamo due frecce, entrambe rivolte verso la stessa direzione

entrambe) attraverso un bicchiere

. se utilizziamo inchiostro indelebile o la matita (o plastifichiamo il foglio su cui abbiamo disegnato) possiamo inserirlo nel bicchiere, quindi aggiungere via via acqua

. altrimenti possiamo porre il foglio dietro al bicchiere

. non funziona solo con le frecce, possiamo usare la nostra creatività. Disegniamo tutto ciò che ci piace e vedere come appare attraverso il vetro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Con questo esperimento entriamo in contatto con un concetto della fisica chiamato rifrazione, o flessione della luce.
Quando la luce passa attraverso oggetti trasparenti (in questo caso, la parte anteriore del vetro, l’acqua e la parte posteriore del vetro), si rifrange o si piega.
Quando il bicchiere è pieno d’acqua, agisce come una lente cilindrica convessa e produce un’immagine invertita.
L’immagine invertita può apparire più grande, più piccola o delle stesse dimensioni, a seconda di dove posizioni il foglio di carta o il bicchiere, e dipende anche dal punto di osservazione. Un’altra variabile è il diametro del bicchiere.
Importa quanto è lontano il bicchiere d’acqua?
Cosa succede se muovi la testa da un lato all’altro? Come cambia la tua immagine?
La dimensione dell’immagine è importante?
Cosa succede se provi con un bicchiere più largo o più stretto?
Cosa succede se avvicini il bicchiere all’immagine? E se lo allontani?

Perchè il cielo è azzurro

Perchè il cielo è azzurro: un semplice esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Scopo dell’esperimento

Dimostrare che il cielo è azzurro perché il colore blu all’interno della luce solare è il più disperso dalle molecole d’aria e viene percepito meglio dai nostri occhi.

Materiali

– un contenitore trasparente (provare vari contenitori)
– acqua
– sostanza lattiginosa (sapone, latte, latte in polvere, yogurt, cera per pavimenti, ecc.)
– una torcia elettrica che emetta luce bianca
– una stanza buia.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Età consigliata

A partire dei 5 anni.

Perchè il cielo è azzurro?

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. scegliamo una stanza facilmente oscurabile

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento ci spiega come mai vediamo il cielo azzurro, anche se la luce del sole è incolore ai nostri occhi.

. riempiamo il contenitore trasparente con acqua.

. oscuriamo la stanza

. sciogliamo un po’ di sostanza lattiginosa nell’acqua, per ottenere una soluzione torbida

. puntiamo la torcia verso la soluzione torbida, colpendola di lato

. giochiamo con l’angolazione della torcia fino a veder apparire l’azzurro

. se abbiamo difficoltà, proviamo a guardare il contenitore dall’alto

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Perchè il cielo è azzurro? Osservazioni e conclusioni

La luce “incolore” del sole è in realtà luce bianca: è composta infatti da tutti i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola) mescolati insieme.

La luce si piega quando passa attraverso mezzi diversi, in questo caso acqua e aria. Questa flessione della luce è chiamata rifrazione.

I diversi colori della luce solare vengono rifratti da diversi angoli perché hanno lunghezze d’onda diverse.

L’atmosfera della Terra contiene polvere, gocce d’acqua e altre minuscole molecole che non possiamo normalmente vederle a occhio nudo. In una giornata limpida, dunque. la luce del sole che filtra attraverso l’atmosfera si disperde in contrando le particelle contenute nell’aria.

Questa dispersione non è uguale per tutti i colori dello spettro: è molto più forte per i colori che hanno frequenze più alte e lunghezze d’onda più corte: il blu-viola. Quindi i colori violetto e blu si diffondono nell’aria più dei colori giallo rosso verde. Tra il viola e il blu, però, gli occhi umani sono più sensibili al blu.

Possiamo dire, dunque, che il cielo è blu perché il colore blu all’interno della luce solare è quello che si diffonde meglio nell’aria e che viene percepito meglio dai nostri occhi.

In questa dimostrazione la sostanza lattiginosa imita le particelle presenti nell’aria e, come queste, piega la luce (non del sole, ma della torcia).

LE PIANTE CARNIVORE dettati ortografici e letture

LE PIANTE CARNIVORE dettati ortografici e letture per la scuola primaria.

Le piante carnivore

Le piante carnivore, o insettivore, costituiscono una delle parti più interessanti e più strane dell’immensa flora terrestre. Si tratta, come il nome stesso indica, di piante che si nutrono di piccoli animali, per lo più insetti o minuscoli crostacei, dai quali utilizzano le sostanze loro necessarie, ad esempio l’azoto, che non possono trovare nell’ambiente in cui vivono.
Infatti crescono generalmente in luoghi umidi, acquitrinosi o sono piante acquatiche: solo alcune abitano terreni sabbiosi o rocciosi.

Dato il singolare modo di nutrizione, esse sono fornite di speciali dispositivi per imprigionare la preda e producono sostanze dette enzimi che permettono la digestione e quindi l’assimilazione dell’animale catturato.
Gli apparati per la cattura non sono altro che foglie trasformate in organi cavi (ascidi) di vario aspetto, simili ad urne o a vescicole, così da essere perfettamente adatte alla nuova funzione. La parte più interessante dunque di questi vegetali sono le foglie, dall’apparenza innocua, che si tendono simili a tentacoli, per catturare l’incauto insetto.
Queste piante carnivore prosperano nei nostri paesi come in quelli tropicali, e ve ne sono di moltissime specie, circa cinquecento; ma qui parleremo delle più interessanti.

Bellissima è la Nepente, pianta rampicante delle foreste indonesiane; la parte terminale delle sue foglie costituisce un ascidio a forma di urna ricoperta di piccoli peli, munita di coperchietto e colorata vivacemente. La natura, così saggia e giusta nel disporre l’ordine delle cose, ha donato a queste foglie, nell’orlo dell’ulna, sostanze zuccherine che attirano gli insetti verso quell’irresistibile dolcissimo cibo. Essi si posano, ignari della fine crudele che li attende, e succhiano avidi lo zucchero, ma la foglia muove i peli come minuscoli tentacoli e l’insetto vi resta inesorabilmente impigliato, scivola nel fondo dell’ulna, dove il liquido secreto della pianta stessa prepara il processo di digestione.

photo credit: Di Jan Wieneke, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=673060

L’Erba vescica, invece, che è una pianta acquatica priva di radici,  ha foglie trasformate in piccole vesciche, vere e proprie trappole per gli incauti animaletti che vi penetrano.

photo credit: CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4547229

E stranamente belle, ma piene di insidie, sono le foglie della Drosera, le cui tre specie Drosera rotundifolia, intermedia e longifolia sono molto diffuse anche da noi, specialmente nelle torbiere di montagna. Le foglie,rotonde od allungate, di un bel verde, sono ricoperte da numerosi e lunghi tentacoli rossi, le cui estremità secernono una sostanza vischiosa, rifrangente la luce, che appare come una gocciolina di rugiada. L’insetto, richiamato da quella multicolore trasparenza, vi si posa e subito rimane invischiato, mentre i tentacoli, lasciato ormai il loro aspetto innocuo e bellissimo, si curvano su di lui e lo soffocano.

photo credit: CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=195090

Terminato il processo di digestione, i tentacoli ritornano nella posizione primitiva, pronti ad attirare altri animaletti, con spietata ed incosciente crudeltà.
Un’altra interessantissima pianta carnivora è la Dionaea muscipola, comunemente detta “piglia – mosche”. E’ un’erba alta circa 20 centimetri, che cresce nell’America settentrionale e le cui foglie sono dotate di una sensibilità notevolissima. La lamina fogliare, sostenuta da un picciolo spatolato, ha i margini provvisti di denti lunghi e acuminati: essa è divisa dalla nervatura principale che funziona da cerniera, in due tempi mobili. Su ciascuno di essi si trovano, oltre a numerose ghiandole, tre setole, che stimolate dal contatto di piccoli animali, fanno avvicinare i due lembi con movimento brusco e rapido, cosicchè i denti marginali si incastrano uno all’altro e la preda resta prigioniera.

photo credit: Di H. Zell – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9796192

E cento e cento altre piante, di apparenza strana e diversa, che qui sarebbe impresa ardua elencare, vivono sui monti, negli acquitrini, tra le misteriose folte vegetazioni tropicali. Ma ognuna ha in comune l’istinto crudele di catturare le piccole prede, ragione del loro nutrimento e della loro perpetuazione.

Il carnivoro verde
Io non sapevo che al mondo vi fossero piante che mangiano animali. Un giorno, durante un viaggio nell’America Centrale, la guida mi fece vedere un albero e mi disse: “Ora vedremo come mangia”.
A un cenno, mi fermai sulla sponda dello stagno presso il quale eravamo, e rimasi in attesa.
Poco dopo, un leggero fruscio mi fece volgere il capo. Trotterellando sulle corte zampette, un topolino avanzava guardingo. Quando l’animaletto si avvicinò ai rami dell’albero “cacciatore” la guida, con un gesto, mi invitò a fare attenzione.
Ciò che vidi mi lasciò tristemente stupito.
Non appena il porcellino toccò uno di quei rami, questo, con una mossa fulminea. lo strinse a sé, mentre altri rami si volsero verso la presa, serrandola nelle loro spire.
Il topolino gridava e si dibatteva con tutte le sue forze.
Balzai avanti, sfoderando il coltello. Ma la guida mi fermò.
“Troppo tardi” disse e, comprendendo il mio disappunto, mormorò: “E’ la legge della foresta”.
Egli aveva ragione. La morte del topolino dava vita alla pianta. Non trovando in quel terreno le sostanza azotate di cui aveva bisogno per vivere, la pianta se la procurava succhiando la carne animale attraverso le ventose di cui sono muniti i suoi rami.
Ero scosso. La guida se ne accorse e mi portò via da quel luogo. Ma non ho più dimenticato il carnivoro verde, il terribile laudocapto.

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie

IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie per la scuola primaria.

Un marsupiale è un mammifero provvisto di una vasca ventrale nella quale possono essere sistemati uno o più piccoli. I marsupiali, che oggi vivono solamente in Australia e in America, sono tra i primi mammiferi che hanno fatto la loro apparizione sulla terra. Sono stati trovati fossili di marsupiali che provano come già cento milioni di anni or sono vivevano animali a sangue caldo, capaci di allattare i loro piccoli. Probabilmente questi animali di piccola taglia furono preda dei grandi rettili carnivori, ma sono sopravvissuti agli attacchi di questi mostri e ai cataclismi terrestri, così che ancor oggi, vivono allo stato selvaggio, senza che la loro costituzione si sia troppo trasformata; si trovano, come dicevamo, solo in America (opossum) e in Australia (canguro, koala, il lupo della Tasmania oggi estinto, ecc.)

Quando deve lottare il canguro si appoggia sulla sua robusta coda, e si mette in posizione di attacco. Poi improvvisamente molla una terribile pedata con le zampe posteriori, oltretutto armata di unghie che lasciano segni profondi sull’avversario.
Il canguro adirato riesce a tener testa brillantemente sia all’uomo sia ai cani: lo si è visto più volte abbattere robusti cani da caccia, senza subire alcun danno.

I grandi branchi di canguri vagano per le distese del continente australiano. Al centro del branco stanno i “grandi rossi”, circa due metri di altezza, a destra e a sinistra”i grigi” più piccoli. I canguri vanno così brucando nei pascoli dei bovini e delle greggi. E questo spiega anche perché vengano perseguitati da una caccia spietata. Per sfuggire all’uomo il canguro si lancia in una velocissima fuga. Le sue lunghe zampe posteriori, come quelle di una rana, gli permettono di fare dei salti in lungo anche di dieci metri. Se non deve sfuggire alcun pericolo, il canguro più che camminare si trascina sul suolo. S’appoggia sulla coda e sulle zampe anteriori, per poter sollevare e spingere avanti il suo corpo pesante: mentre quando scappa si appoggia solamente sulle zampe posteriori. Se si riposa, ma non è tranquillo, il canguro si corica sul ventre, con le zampe divaricate di qua e di là dal suo corpo, pronto a scappar via al primo segno d’allarme. Ma quando è sicuro che nessun pericolo è in vista, si corica su di un fianco, come noi.

La parola “canguro” ha un’origine curiosa: i marinai del capitano Cook, quando sbarcarono in Australia per le prima volta videro queste bestie saltellare e chiesero agli aborigeni: “Potete dirci che cosa siano?”, frase che in inglese suona “Can you…”. Gli aborigeni ripeterono: “Can you… can you”, e la parola canguro era bell’e inventata, o almeno così dice la leggenda.
(da “Il corriere dei piccoli”)

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(IN COSTRUZIONE)

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie per bambini della scuola primaria.

Il cammello è il primo animale di cui ci parla la Bibbia; con il cavallo i il bue, fu uno dei primi animali che l’uomo abbia assoggettato al proprio diretto servizio.  Il cammello è detto “la nave del deserto”, perché è l’unico animale che possa attraversare gli immensi deserti sabbiosi dove manca l’acqua. Un cavallo con un carico sulle spalle affonderebbe nella mobile sabbia e presto, stanco e spossato, non potrebbe più proseguire. Quando il vento soffia ed infuriano i turbini di sabbia, qualunque animale morirebbe soffocato, ma il cammello no. Esso ha delle narici che può chiudere, in modo da impedire alla sabbia di penetrare nei polmoni. I piedi del cammello sono forniti di grandi, larghe callosità a guisa di cuscino; allorché esso cammina, il suo piede grosso e soffice, fornito di due sole dita, sparpaglia intorno la sabbia più mobile e si posa saldamente sul terreno.

Uno dei fenomeni più interessanti che riguarda il cammello è il modo con cui può resistere a lungo senza bere. Lo stomaco di questo animale infatti non solo è molto ampio, ma è composto di tre sacche, due delle quali hanno le pareti rivestite di piccole cellette le quali possono essere riempite d’acqua che rimane “di riserva”.

Quando ha la fortuna di bere, il cammello inghiotte tanta acqua quanta ne può contenere. Dopo di che si accingerà coraggiosamente ad attraversare il più infuocato deserto, senza bere un sol sorso per cinque o sei giorni, sopportando sul suo dorso un peso di 150 chilogrammi, e non mangiando altro che le dure e spinose erbe che crescono qua e là anche nel deserto. Molto affine al cammello è il dromedario che si usa come cavalcatura; il dromedario è proprio dell’Arabia e dell’Africa ed ha una sola gobba. Il cammello, che ha due gobbe, è proprio dell’Asia meridionale. Queste gobbe sono formate da ammassi di grasso e, quando i cammelli fanno un viaggio lungo e faticoso, le gobbe si rendono a mano a mano più piccole, tanto che qualche volta quasi scompaiono addirittura, perché il grasso si consuma, servendo esso a nutrire l’animale.

A memoria d’uomo, i cammelli sono vissuti sempre allo stato domestico; tuttavia esistono ancora cammelli selvatici in alcune parti dell’Asia centrale. Si crede che molti secoli fa uno spaventoso turbine di sabbia spazzasse via ogni cosa in un fertile paese. Il turbine distrusse i villaggi e uccise tutti gli abitanti. Solo i cammelli resistettero: ed ora si ritiene che i cammelli servaggi e liberi di quelle regioni discendano direttamente da quelli che scomparirono allora.

Il dromedario
E’ uno dei mammiferi di maggiore statura: la sua altezza supera qualche volte anche i tre metri. Per poter camminare sulla sabbia del deserto, questo animale ha la pianta del piede conformata in maniera particolare. Essa è infatti formata da quattro cuscinetti di tessuto elastico. Quando l’animale appoggia il piede, i cuscinetti si appiattiscono, la suola si allarga, ed il piede non affonda nella sabbia.

Tra gli animali da soma il dromedario è il più resistente. Esso può camminare anche per dodici ore al giorno e per molte settimane di seguito con carichi superiori al quintale senza risentirne minimamente. Inoltre può rimanere senza bere per sette, otto giorni.
Il latte della femmina è molto sostanzioso e viene usato anche per preparare burro e formaggi. La carne è commestibile. Il pelo viene tessuto in stoffe pregiate. La pelle, morbidissima, viene utilizzata anche per confezionare indumenti.

Il lama
Strettamente imparentato con il cammello, il lama è il tipico animale da soma della Cordigliera delle Ande. E’ assai sobrio e resistente, per cui viene destinato al trasporto di merci lungo i ripidi sentieri della montagna, dove non esistono strade. La sua andatura è lenta ma sicura anche tra i passaggi più dirupati e pericolosi. Può portare anche mezzo quintale di merci e camminare per cinque giorni di seguito senza riposare, percorrendo notevoli distanze. Solitamente sono solo i maschi che vengono destinati alle carovane di trasporto. Le femmine sono tenute al pascolo.

Danno una scarsa quantità di latte, che gli Indios utilizzano in vario modo, ma sono abbastanza prolifiche e questo è molto importante perché i lama sono allevati anche come animali da macello; la loro carne è saporita come quella dei nostri maiali. Il lama è un animale assai mite, e certamente meno scontroso del mulo, al quale può essere avvicinato per la resistenza fisica e per l’adattamento alla vita in montagna.

L’unica maniera per cui reagisce alle offese è quella di lanciare un getto di salive contro l’avversario.
Il colore del suo mantello è variabile. La lana che lo ricopre è lunga e robusta, ma piuttosto grossolana, adatta per far tappeti.

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie. – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

Le volpi
Parla un volpone: “Osservate tutto e notate ogni minima cosa. Non date mai a vedere d’essere delle volpi; se volete manifestarvi ad alta voce, fingetevi cuccioli di cane: abbaiate. A caccia, ricordatevi di essere una selvaggina anche voi, guardatevi d’attorno, accosciatevi spesso, ascoltate ciò che dice la terra. Se ferite, non urlate, mettetevi sottovento dei cani e medicatevi con le radici di rafano. Non temete mai gli scoppi, temete i fruscii, e rifugiatevi di preferenza nel grano. Guardatevi dai funghi velenosi e purgatevi spesso col ricino”-
(F. Tombari)

La volpe
Il suo mantello di peli folti è un’arma di difesa: esso  assume i colori della terra, degli alberi, delle rocce, delle nevi. La volpe è un animale quasi invisibile.
Va a caccia di notte. Assale e divora lepri, conigli, topi e lucertole.  Inoltre dà la caccia agli uccelli, anche a quelli acquatici (oche, anatre, cigni) e devasta i pollai. E’ golosa di pere, susine, uva.
Corre rapida; resiste alla fatica; passa tra le fessure più strette; sa camminare leggera, senza rumore, come se scivolasse; si nasconde nei cespugli.  Nuota bene e si arrampica sugli alberi.
I boscaioli e i contadini le fanno una guerra spietata.
(H. Hvass; da “Mammiferi nel mondo”; ed. Colderini)

(IN COSTRUZIONE)

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture.  Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

Stambecchi e camosci
Si videro scendere a valle quaranta o cinquanta stambecchi e un centinaio di camosci come una frana, ma più potenti gli stambecchi, capaci di daltare rocce che i camosci girano, e di valicare d’un salto fino a sei o sette metri di terreno impervio, fermandosi di netto su una piccola punta aguzza. Sanno anche risalire pareti a picco, incastrandosi tra due piani ad angolo, facendo gioco con gli zoccoli tra l’uno e l’altro.
(G. Piovene)

Il camoscio
Un vecchio cacciatore raccontava questo episodio, occorsogli al ritorno da una infruttuosa battuta di caccia. Ritornava dunque il nostro uomo, stanco e affaticato, attraverso un sentiero impervio e sconosciuto, quando si trovò a viso a viso con un camoscio, morto. La bestia evidentemente era precipitata dalla montagna, e niente aveva potuto trattenerla nella sua caduta: solo alla fine le corna, impigliandosi fra i rami di un cespuglio, avevano tenuto sospeso l’animale nella posizione in cui appunto il cacciatore l’aveva trovato. Forse alla fine della rovinosa caduta il camoscio non era ancora morto, ma poi la fame, le ferite avevano avuto la meglio e la povera bestiola era morta, così, sospesa fra i rami, sola… La montagna, con i suoi pericoli, come si vede, sottopone il camoscio a durissime prove, se l’animale vuole sopravvivere nell’ambiente naturale tutt’altro che facile.
D’estate,  i branchi di camosci, da dieci a cinquanta, dimostrano la loro eccezionale abilità di scalatori vivendo a grandi altitudini, anche oltre i 2300 metri.
D’autunno, da ottobre fino all’inizio dell’inverno, i camosci combattono i loro mortali duelli per il predominio sul branco; poi, con la caduta delle prime nevi, scendono in basso, verso i boschi di conifere. In questo periodo il camoscio diminuisce la sua dieta fino a nutrirsi solamente di scorze d’albero, di muschi, di rovi; un nutrimento molto diverso dai ricchi pascoli estivi. In primavera, invece, nel mese di maggio, nascono i piccoli: uno o due, nel folto del bosco, lontano da tutti,  in un luogo riparato e segreto. Ben presto i piccoli saranno in grado di seguire la madre verso le vette, insieme con il branco fatto più numeroso dai nuovi nati.

Il camoscio: carta d’identità
Lunghezza: circa un metro e venti.
Altezza: 75 centimetri.
Peso: il maschio 45 chili, la femmina 35.
Il colore varia: d’estate è grigio chiaro, scuro d’inverno. Una striscia di peli più lunghi e scuri segna la pelliccia del camoscio dalla punta della coda alla testa. Con questo pelo i tirolesi fanno le nappine, che ornano i loro famosi cappelli.
Il camoscio vive in gruppo; solo i vecchi maschi hanno abitudini solitarie così come le femmine quando stanno per mettere al mondo i piccoli.
L’aquila, i cacciatori, le valanghe, le impervie cime delle montagne su cui hanno la loro residenza, rendono assai pericolosa la vita del camoscio.
L’udito e l’odorato del camoscio sono eccellenti. Non così la vista. Femmine e maschi recano sulla fronte le corna con cui affrontano i loro nemici. Il camoscio si trova sulle Alpi, e sull’Appennino, nel Parco Nazionale d’Abruzzo.

Il capriolo
Vive un po’ dappertutto in Europa. Ha forme snelle, corna ramificate. Si nutre di foglioline e di giovani germogli. Di giorno si tiene nascosto, di notte vaga per campi e prati. Se non fosse protetto da leggi speciali sarebbe già scomparso, preda ambita dei cacciatori.
Può raggiungere settantacinque centimetri di altezza, un metro e trenta di lunghezza, venticinque o trenta chili, al massimo, di peso. Ha gambe sottili, alte, nervose, forti. Il suo mantello varia con le stagioni. In inverno la lanetta, fittissima e morbida, è color bruno-ruggine.
La sua testa è corta, animata da grandi occhi vivaci, le orecchie hanno media lunghezza, le corna, proprie dei maschi, non hanno lo sviluppo e la bellezza di quelle dei cervi.
(G. Menicucci)

L’alce
Nelle regioni paludose e nelle foreste della Siberia si incontrano ancora numerose mandrie di alci, grossi animali strettamente imparentati con i cervi. Un alce adulto è alto oltre due metri al garrese e può pesare 700 chilogrammi. Le enormi corna, che cadono ogni anno in autunno per rispuntare in primavera, sono palmate e largamente spiegate a ventaglio. La femmina ne è priva ed è anche di dimensione più piccola. Il pelame, abbastanza folto, è di colore bruno scuro e nel maschio presenta una criniera assai sviluppata. Gli zoccoli molto larghi e disgiunti permettono a questi animali di camminare nella neve senza sprofondare eccessivamente. Le abitudini dell’alce sono simili a quelle del cervo. Esso preferisce però i luoghi aperti e acquitrinosi del nord dove vaga pascolando. Si nutre di foglie, di cortecce e di piante acquatiche. Per strappare queste ultime, però, deve inginocchiarsi, perché il collo è molto corto rispetto alla lunghezza delle gambe. Un tempo gli alci erano molto diffusi anche in Europa. Secondo antiche credenze, nello zoccolo del piede sinistro dell’alce risiedevano poteri magici, per cui questa parte veniva venduta a caro prezzo, ed era consigliata in numerosissime ricette dell’antica farmacopea.

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

I mammiferi: dettati ortografici e letture

I mammiferi: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.

Gli animali

Nessuno può conoscere il numero esatto degli animali che vivono sulla terra: molti trovano ricovero nelle sterminate foreste equatoriali, altri popolano le acque dei fiumi, dei laghi e dei mari, altri, infine, hanno scelto a loro dimora le inospitali distese delle zone glaciali o le sabbie infuocate dei deserti.
Il cavallo, il serpente, la zanzara sono tre animali, ma a nessuno sfugge che sono totalmente diversi: per la forma e la struttura del corpo, per le abitudini di vita, per il cibo di cui si nutrono, per gli aiuti o i danni che possono recare all’uomo.
Da alcune caratteristiche fondamentali, comuni a molti animali, l’uomo ha incominciato a dividerli in vertebrati e invertebrati.
Gli animali il cui corpo prende forma e sostegno dallo scheletro si dicono vertebrati.
La parte più importante dello scheletro è la colonna vertebrale o spina dorsale; delle altre ossa, alcune hanno il compito di proteggere gli organi più delicati, quali il cervello, il cuore e i polmoni; molte altre servono al movimento.
Tutti i vertebrati hanno il corpo ricoperto dalla pelle, che può essere nuda come quella delle rane, o ricoperta di piume o penne come negli uccelli, o da peli come nella pecora, nel leone, nella giraffa.
La respirazione nei vertebrati può avvenire mediante i polmoni, come in tutti gli animali terrestri, o mediante le branchie, come nei pesci.
Il tipo dei vertebrati comprende cinque classi: i mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi e i pesci.

L’indole degli animali

Secondo l’indole o l’istinto che dimostrano verso l’uomo e verso i loro simili, gli animali possono essere: domestici, se vivono con l’uomo e sanno rendersi utili; selvatici, se vivono in libertà, ma dimostrano indole pacifica e inoffensiva; feroci, se vivono in libertà divorando gli altri animali e assalendo l’uomo.

Il cibo

Secondo il cibo di cui si nutrono, gli animali sono: erbivori, se si nutrono di erbe e di vegetali in genere; carnivori, quando la carne è il loro alimento preferito; onnivori, se, indifferentemente, si cibano di vegetali, di carne o di altri prodotti fabbricati dall’uomo.

I primi vertebrati che apparvero sulla terra furono i pesci

E’ fuor di dubbio che i primi vertebrati comparsi sulla terra furono i pesci. Voi certo pensate ad una bella trota, guizzante superba attraverso le rapide di un fiume; o a un lucido tonno, che fende le onde con i potenti colpi della grande coda falcata; o al pesce dorato, che si aggira tranquillo in un boccale.
Niente di tutto questo: i primi pesci erano tozze e goffe creature, col corpo racchiuso in una sorta di corazza, fatta di grosse placche articolate; e certo la loro locomozione doveva assomigliare ben poco al nuoto di una bella trota! Però questi animali possedevano un  organo che rappresentava un’importante innovazione, rispetto alle specie precedenti, un organo assile, costituito di molti pezzi cartilaginei e fatto per offrire una possibilità di attacco a quei muscoli robusti che permettono al pesce di guizzare nel liquido elemento. Con i pesci una nuova classe di animali, fondamentalmente diversi da quanti li hanno preceduti, fa la sua comparsa tra gli esseri viventi.
Per essere esatti, dobbiamo però dire che, se i pesci sono indiscutibilmente i primi veri vertebrati, furono preceduti da animali che, pur mancando di colonna vertebrali vere  e proprie, ne possedevano già un abbozzo.
Tornando dunque ai pesci primitivi, cerchiamo di riconoscere in essi lo schema fondamentale del vertebrato. Il vertebrato è un animale dotato di scheletro interno cartilagineo od osseo, coperto di masse muscolari, dalla pelle, e avente come parte fondamentale del suo corpo la colonna vertebrale.

Mammiferi

I mammiferi costituiscono la classe più elevata ed importante dei vertebrati. Essa comprende animali diversissimi, ad esempio un leone, una balena, un pipistrello, fra i quali però esiste sempre un filo conduttore di somiglianza. Vediamo un po’ in cosa consista. Se prendiamo in mano un pesce, ci ritraiamo subito con un senso di ribrezzo per l’impressione di freddo che ne riceviamo, mentre accarezzando un cane od un gatto pervade un piacevole senso di calore. I pesci, infatti, sono detti animali a sangue freddo, con la temperatura del corpo che risente delle influenze esterne, mentre i mammiferi sono detti “a sangue caldo”, con una propria regolazione della temperatura, indipendente da quella esterna.
Questo, è logico, mette gli ultimi in grado si spostarsi con relativa facilità da una località all’altra, ma li obbliga anche a difendersi dal freddo, provvedendosi… di una pelliccia. I mammiferi infatti hanno tutto il corpo ricoperti di peli, più o meno lunghi a seconda di dove vivono, se nelle steppe polari o nel deserto, ma sempre presenti, anche nelle foche e nelle balene.
Per animali come questi, capaci di sopportare notevoli variazioni di clima, ma bisognosi di protezione dal freddo, la prole è un bene prezioso che deve essere difeso con accanimento sia prima sia dopo la nascita.
I mammiferi non mettono al mondo le migliaia di uova dei pesci o degli insetti, ma solo un numero relativamente piccolo di figli che si sviluppano prima nel corpo della madre, che provvede poi a nutrirli col suo latte quand’essi vengono alla luce; spesso entrambi i genitori li curano e li vezzeggiano fino a che non sono in grado di affrontare il mondo con le proprie forze.
Già da questi brevi cenni è facile capire come i mammiferi siano degli animali ad organizzazione del corpo parecchio complessa, con il sistema nervoso altamente perfezionato. Possiamo paragonare il sistema nervoso ad una rete elettrica, in cui la centrale è costituita dal cervello e dal midollo spinale, una sostanza molliccia racchiusa in un sottile canaletto tra le vertebre. Da questi centri nervosi escono i nervi che portano gli ordini ai muscoli e raccolgono le sensazioni trasmesse dagli organi di senso. Un muscolo non si muove se il centro nervoso non gliene ha dato l’ordine attraverso il nervo adatto.
Particolarmente interessante presentano nei mammiferi la respirazione e la circolazione del sangue, due fenomeni strettamente legati tra loro. L’aria che questi animali respirano giunge ai polmoni, due grosse sacche di sostanza spugnosa ed elastica racchiuse nel torace. I polmoni sono tutti un intrico di canali sanguigni, attraverso le cui sottilissime pareti il sangue lascia sfuggire le sostanze gassose nocive che ha raccolto durante il viaggio per il corpo per recare ad ogni cellula la vitale scorta di ossigeno. Dove trovare però la spinta sufficiente per intraprendere un giro così lungo?
Nel cuore, il provvido muscolo che non si ferma mai durante tutta la vita dell’individuo. Il sangue quindi che proviene dai polmoni entra nel cuore, da qui viene spinto lontano nel corpo per portare l’ossigeno e raccogliere i prodotti di rifiuto. Giunge così, estenuato e sporco, di nuovo al cuore, ma alla metà destra, rigorosamente separata dalla sinistra.
Di qui, con un vigoroso moto di contrazione del muscolo, è inviato nei polmoni dove si purifica, pronto a ricominciare il circolo. Questo sistema di circolazione si chiama “circolazione doppia”, perchè il sangue passa due volte dal cuore, e “completa”, perchè le due metà del cuore, destra e sinistra, sono separate tra di loro.

Osserviamo un coniglietto

Il coniglio è un animale che certamente tutti conosciamo e che è facile osservare anche vivo in classe, perchè non cerca di far male a chi gli si avvicina per esaminarlo o per toccarlo: infatti non aggredisce, non graffia, non morde perchè è sfornito di mezzi adatti a questo scopo. Il coniglio non ha i terribili artigli del gatto, o i denti acuminati del cane e per salvarsi da chi voglia fargli del male usa un altro mezzo di difesa: la fuga, veloce e immediata.
Osserviamo il nostro coniglio, lasciato libero in un piccolo recinto. Mentre ci avviciniamo ad esso lo vedremo immediatamente in allarme, che ci osserva preoccupato, con le orecchie tese e vibranti pronte a cogliere il minimo rumore che possa meglio informarlo della natura del pericolo; con piccoli salti nervosi si sposta accostandosi alle pareti del recinto, per avere almeno un lato protetto; è come una molla pronta a scattare se gli sembra che il pericolo che egli sente stia diventando più grave. Per il coniglio, quindi, è utile essere pauroso, perchè nell’essere pauroso sta la sua salvezza.

I carnivori, gli erbivori e gli insettivori

Ragioniamo sulle osservazioni che abbiamo fatto e cerchiamo di vedere se conosciamo altri animali domestici o selvatici, che si comportino come il coniglio; ce ne sono molti senza dubbio e noi ve ne ricorderemo qualcuno: le capre, i cavalli, i topi, gli scoiattoli, le oche, le lucertole, le rane e tanti altri.
Poniamoci adesso un piccolo problema e tentiamo di risolverlo: perchè il cane e il gatto (e come loro il lupo, il leone, la tigre, ecc.) non cercano di salvarsi allo stesso modo e invece aggrediscono chi si accosta loro a distanza troppo breve? Per rispondere a questa domanda vediamo se questi animali abbiano qualche altra caratteristica in comune fra loro, che invece manchi negli animali più timorosi (conigli, topi, capre, cavalli). Infatti mentre i primi sono animali predatori, cioè assalgono una preda per cibarsene e quindi sono carnivori, gli ultimi non sono predatori e si nutrono o di erbe (erbivori) o di varie sostanze senza alcuna preferenza (onnivori).
Il predatore deve naturalmente essere un animale aggressivo se vuol procurarsi il cibo che gli è necessario ed usa appunto questo suo carattere anche per difendersi dai pericoli più immediati: ma ricordatevi che nessun carnivoro assale altri animali se non ha fame e se non si sente in pericolo. Gli erbivori e gli onnivori, invece, non avendo carattere aggressivo, sfuggono ai pericoli generalmente mediante la fuga, come abbiamo già visto.
E le rane, le lucertole? Esse si nutrono preferibilmente di insetti, che catturano abilmente con la lingua e quindi sono dei piccoli predatori che chiameremo insettivori per il loro tipo di alimentazione; essi, di fronte al pericolo, generalmente si comportano come gli erbivori, dato che sono troppo piccoli e sforniti di mezzi di difesa.

Le parti del corpo del coniglio: la testa

Fatta conoscenza con il coniglio e con il suo carattere, vediamo ora di imparare come esso e costituito, cioè di scoprire la sua anatomia, e di capire come funzioni ogni sua parte quando esso è vivo, cioè di ottenere qualche informazione sulla sua fisiologia.
Tutti riconosciamo facilmente nel coniglio  una testa o capo che, mediante il collo, è unita al tronco, il quale è provvisto di una coda.
Nella coda osserviamo la bocca fornita di denti, sopra alla quale si trova il naso che presenta le due narici; una fessura che parte dal centro del naso divide in due il labbro superiore (labbro leporino); ai lati del capo sono situati gli occhi e le orecchie, delle quali noi possiamo vedere soltanto i grandi padiglioni auricolari, molto mobili.

Il tronco

Il tronco presenta quattro arti, detti zampe, ciascuna delle quali termina con dita fornite di artigli (unghie coniche e arcuate: paragonatele con le vostre); il primo paio  di arti o zampe anteriori (situate davanti) è più breve del secondo, termina con cinque dita, ed è usato dal coniglio anche per trattenere vicino alla bocca le foglie di cui si nutre, ma soprattutto per scavare la sua tana nel terreno, mediante i robusti artigli; le zampe posteriori sono invece provviste soltanto di quattro dita, sono più lunghe e più robuste e grazie ad esse il coniglio si sposta velocemente a lunghi balzi; la loro robustezza gli consente di spingere di scatto, in avanti e in alto, tutto il peso del corpo. Il tronco termina posteriormente con una breve coda.

I peli proteggono il coniglio

Tutto il corpo del coniglio è ricoperto di morbidi e fitti peli, che servono a proteggerlo dal caldo e dal freddo. Il colore del pelame nei conigli è molto variabile e sappiamo che ve ne sono di bianchi, neri, grigi, a macchie. Ai lati della bocca ci sono alcuni peli più lunghi e rigidi, detti vibrisse (comunemente ed erroneamente indicati col nome di baffi), che servono all’animale per il tatto: essi sono quindi peli tattili.
Si conoscono diverse razze di conigli, una delle quali ha il pelo molto morbido e lungo: è il coniglio d’Angora.

La temperatura del coniglio è costante

Se teniamo il coniglio in un luogo caldo o un luogo fresco, il suo corpo non si riscalderà né si raffredderà e ciò possiamo constatarlo con le nostre mani o con un termometro. Il coniglio è quindi un animale a temperatura costante; nel linguaggio corrente si usa dire “animale a sangue caldo”, ma questa è un’espressione scorretta e deve essere evitata.

Conclusione

Ragioniamo su quanto abbiamo osservato nel coniglio e cerchiamo di vedere se conoscete altri animali che presentino le stesse caratteristiche riscontrate in questa specie e cioè:
– una testa fornita di padiglioni auricolari e di bocca con denti;
– un tronco con quattro arti;
– il corpo rivestito di peli;
– corpo a temperatura costante.
Certamente ne conoscerete tantissimi: il cane, il gatto, il cavallo, il leone, la pecora, il topo, l’elefante e tanti altri.

I mammiferi

Tutti questi animali e tutti gli altri che presentano i caratteri precedentemente indicati si chiamano mammiferi: il coniglio è quindi un mammifero, l’elefante è un mammifero, e così via. Invece il passerotto, la lucertola, lo scarabeo e infiniti altri animali non sono mammiferi, perchè non hanno il corpo rivestito di peli e non presentano padiglioni auricolari, anche se qualcuno di essi ha pure quattro zampe (lucertola). Ma i mammiferi presentano anche altre due importanti particolarità, che voi ben conoscete:
– le femmine dei mammiferi mettono alla luce i figli già ben conformati e non depongono uova (c’è una sola eccezione che impareremo in seguito); diremo perciò che i mammiferi sono animali vivipari, cioè che partoriscono un organismo già vivente;
– i piccoli appena nati sono allattati dalla madre e per un certo tempo il latte costituisce il loro unico alimento: tutti avremo avuto occasione di osservare una cagna o una gatta allattare i propri piccoli. Anche il coniglio allatta i suoi piccoli. Il latte è prodotto dalle ghiandole mammarie e per tale motivo questi animali si dicono mammiferi.

Nel mondo animale

Nel mondo animale, i deboli, gli ammalati, i fisicamente difettosi sono condannati a morire, sterminati dai più forti e arditi. I più sani e abili sopravvivono e si riproducono: i forti, gli agili sfuggono agli agguati, vincono nella caccia, trovano il cibo anche in condizioni avverse, possono trasferirsi in ambienti più favorevoli.
Perciò anche fra gli animali, i genitori proteggono la prole e la allevano con cure tenerissime, fino a quando essa non sia in grado di provvedere alla propria esistenza.

I bovini

Un gruppo di mammiferi che accompagnano l’uomo per tutto il cammino della civiltà, dai suoi inizi ad oggi è quello dei bovini. Di questi animali esistono ricordi nelle pitture primitive e su essi si esercitò l’abilità dell’uomo nel trasformarli da indomiti e selvaggi abitatori delle foreste in domestici aiuti del lavoro umano. Essi appartengono alla grande famiglia dei ruminanti, così detta per una particolare caratteristica nel modo di alimentarsi. I ruminanti infatti sono tutti vegetariani, hanno una dentatura particolare che permette loro di strappare l’erba coi denti, ed uno stomaco complesso grazie al quale possono ingurgitare rapidamente grandi quantità di foraggio e poi andarsene a mangiarlo tranquillamente al sicuro dai loro tradizionali nemici, i carnivori. Lo stomaco dei ruminanti infatti è diviso in quattro cavità e permette al cibo di rigurgitare in bocca per poi venire rimasticato di nuovo. Il contributo dato dai bovini all’economia una è immenso; basti pensare che da essi noi ricaviamo il latte e tutti i suoi derivati, la carne, la pelle ed un prezioso aiuto nel lavoro umano.

Il bisonte

Si calcola che all’inizio della colonizzazione nelle grandi pianure del Nord America vagassero allo stato libero più di sessanta milioni di bisonti. Questi animali rappresentavano per gli Indiani la più importante fonte di cibo e di pelli, ma essi si limitavamo ad uccidere solo pochi capi che servivano per le necessità immediate, per cui non c’era pericolo che la specie si estinguesse.
Poi vennero gli Europei e incominciò l’ecatombe. Negli anni in cui  si costruirono le grandi ferrovie transcontinentali, queste povere bestie vennero uccise a centinaia di migliaia, senza scopo. Di esse i coloni utilizzavano solo la lingua mentre le ossa erano vendute a tonnellate per pochi dollari alle industrie che producevano concime. Si finì col distruggere tutti i bisonti esistenti nel territorio americano, salvo pochi capi che furono salvati e protetti da leggi speciali, ed ora si sono riprodotti in misura considerevole.
I bisonti americani sono grossi bovini dalla testa massiccia sormontata da due brevi corna ricurve. Un maschio può pesare una tonnellata e raggiungere due metri di altezza all’apice della grossa gobba. Il colore del mantello è generalmente bruno , con lunghi peli in corrispondenza del capo, del collo e della gibbosità sul dorso.

La lepre

Conosci il coniglio? Ebbene la lepre è un animale poco più grosso; ha la stessa forma; il suo pelame è bruno terra e appartiene alla stessa famiglia del coniglio. L’uomo le dà la caccia per la sua carne saporita e per la pelle, con cui si fanno cappelli e pellicce.
E’ mite e paurosa. Vive nei boschi, si trova anche nei campi seminati. E’ di notte che di preferenza gira in cerca di cibo: erbe, semi, grani. Rosica pure la corteccia degli alberi. I denti, che in questa funzione si consumano, le crescono continuamente. Rodere, per tutti i roditori, è una necessità, altrimenti gli incisivi, crescendo sempre, darebbero loro fastidio.
Le zampe posteriori sono più lunghe di quelle anteriori, per questo è animale adatto al salto. Conigli e lepri fuggono infatti a saltelli buffi e rapidissimi. La lepre ha lunghe orecchie che l’avvertono anche da lontano del pericolo, al quale può sottrarsi solo con la fuga.
(M. Viareggi)

Il castoro

Roditore lungo circa un metro, con coda di 30 centimetri e peso superiore ai 30 chili. Il corpo è tozzo con testa tondeggiante, muso ottuso, collo corto; gli arti sono brevi; quelli posteriori hanno dita lunghe, riunite da una membrana interdigitale adatta al nuoto; quelli anteriori sono mobilissimi e servono come mani. La coda, cilindrica alla base, parzialmente pelosa, termina a spatola ed è coperta da squame; essa è usata come timone durante il nuoto.
La pelliccia, più chiara sulla testa e nella parte ventrale, comprende peli lunghi, tra i quali si trova una lanugine fine, serica, abbondante, di color bruno-rossiccio. La dentatura è costituita da 20 denti, di cui gli incisivi, a crescita continua, sono volti all’indietro; i denti molari hanno una superficie dotata di molte pieghe. I padiglioni  auricolari e le narici sono muniti di valvole che li otturano quando l’animale si immerge in acqua.
Il castoro è longevo: vive da 15 a 20 anni; i figli lasciano i genitori verso i due anni di vita.
Il castoro vive nei boschi, presso corsi d’acqua e stagni; esso si nutre di cortecce e di germogli di salici, pioppi, betulle e querce, mai di conifere. Per procurarsi il cibo, abbatte alberi di grandi dimensioni, scavando coi denti nel tronco, presso la base, un solco a forma di clessidra. La pianta, abbattuta e privata di corteccia, è impiegata per far dighe e tane.
I castori hanno sempre destato grande interesse nell’uomo non soltanto per la pregiata pelliccia che essi forniscono, ma anche per la straordinaria ingegnosità di cui hanno prova nella costruzione e nella protezione della loro tana.

Lo scoiattolo

In gran parte dell’Europa e in vaste regioni dell’Asia, fino alla Cina settentrionale, è diffuso lo scoiattolo comune, che annovera diverse sottospecie distinguibili per il mantello, il cui colore, nelle parti superiori, può variare dal rossastro al grigio più o meno scuro.
Questo grazioso mammifero vive nei boschi, si ciba soprattutto di frutti, semi, germogli che cerca quasi soltanto nelle ore diurne, arrampicandosi e saltando agilmente tra gli alberi; esso è lungo 40-45 centimetri,  di cui poco meno della metà riguarda la ricca coda.
Durante l’estate gli scoiattoli accumulano nelle cavità di grossi tronchi le provviste di cibo per i mesi invernali che essi trascorrono in semi-letargo.
La dentatura dello scoiattolo è quella di un roditore: i denti incisivi sono a crescita continua e incurvati ad arco; lo smalto li protegge solo esternamente per cui rosicchiando si forma un margine obliquo taglientissimo; i canini mancano e tra gli incisivi e i premolari c’è uno spazio libero.
Gli scoiattoli, oltre a nutrirsi di semi, bacche, frutti, non disdegnano neppure le uova che vanno a rubare nei nidi tra gli alberi.
Pigne rosicchiate, ghiande e nocciole sgusciate sul terreno avvertiranno facilmente della presenza, nel bosco, di questi simpatici animaletti.
(L. Ferretti)

Lo scoiattolo volante

In America vivono molte specie di scoiattoli, alcuni molti simili ai nostri, altri invece di aspetto e comportamento completamente diversi. Uno dei più curiosi e dei più belli è lo scoiattolo volante, lungo sui venticinque centimetri. La sua coda a fiocco non è morbida e folta come quella del nostro. Questo roditore però è provvisto di speciali duplicature della pelle ai lati del corpo, normalmente nascoste dal pelo. Queste, quando l’animale si lancia dall’alto di un albero, si tendono tra le zampe anteriori e quelle posteriori, formando un’ampia membrana a guisa di paracadute, per cui questo scoiattolo riesce a planare anche molto lontano dal luogo di partenza, con un lungo volo. La coda piuttosto piatta e provvista di lunghi peli sui due lati gli funge da timone.
Lo scoiattolo volante americano ha dimensioni più piccole di quelli asiatici e africani. Accanto ad esso ricordiamo gli scoiattoli a mantello dorato, che abitano  le foreste di pini degli Stati Uniti e del Canada, e i cipmunk dalle belle strisce colorate che s’allungano parallele sul dorso. Vi sono poi molti scoiattoli terragnoli, che sono abili scavatori e vivono nascosti in un complicato sistema di gallerie. Questi ultimi hanno code assai poco vistose.

Un regno sotto terra

Se abitate in campagna, può darsi che, a due passi da casa nostra, sotto terra, ci sia la dimora della talpa, un animale dalla pelliccia straordinariamente morbida, che vive sotto terra, nell’oscurità più completa. Forse vi sarà già capitato di vedere una talpa: avete notato che bella pelliccia possiede? Il belo è corto e fittissimo, simile al velluto, assolutamente inattaccabile dalla polvere e dal terriccio, perchè la talpa, malgrado viva sempre sottoterra, è una creatura incredibilmente pulita. Il suo pelo cortissimo, poi, non disturba affatto l’andirivieni della bestiola nelle gallerie.
Il corpo della talpa è allungato, per favorire appunto la bestiola quando scava le sue gallerie sotterranee; le zampine sono fatte in modo da poter funzionare come piccole spalatrici. Ecco come lavorano: l’animale punta le unghie nella terra, tenendo le palme delle zampe anteriori volte all’infuori. Poi, con un colpo delle zampine, getta all’indietro la terra che vi ha raccolto. Con le zampe posteriori, invece, si spinge in avanti, e poi subito le raccoglie per respingere con queste la terra che è stata staccata dalle zampe anteriori. Per immaginarvi bene il movimento, fate conto che la talpa nuoti sotto terra. La talpa porta la terra in sovrabbondanza alla superficie attraverso una galleria, appositamente costruita.

Non dite appetito da lupo ma appetito da talpa

Ma i compiti delle zampine della talpa non si esauriscono qui: con le zampe anteriori afferra le sue prede e le tiene strette per divorarle; la mandibola lunga, i denti aguzzi sono tipici di un animale insettivoro. Suo cibo naturale sono gli insetti, ma non disdegna le lumache, i lombrichi che le forniscono alimento anche d’inverno quando continua sotto terra la sua opera di scavo, e poi le larve, che mangia solo in mancanza d’altro. E se animaletti o topolini vengono a ficcare il naso nella sua dispensa, la talpa non esita a farli fuori.
Infatti la talpa è dotata di un appetito veramente terribile: a intervalli di se ore circa fa un pasto abbondante. E riesca a mandar giù tanto cibo quanto il doppio del suo peso. E se deve saltare  un pasto,  se sta più di sei ore senza cibo, rischia di morire di fame.
Sempre in relazione alla sua vita sotterranea, la talpa ha una vista debolissima, anzi si può dire che è del tutto cieca, perchè nel suo buio mondo a che le servirebbe vedere? Invece ha acutissimo l’udito, che le permette di percepire anche i più leggeri brusii.

La casa sotterranea della talpa

La casa della talpa è al centro di molte gallerie scavate con infinita pazienza. E’ una specie di cameretta, imbottita di foglie secche, di muschio, di erba. La presenza di queste dimore sotterranee è rivelata in superficie dallo sbocco delle gallerie di sicurezza. I piccoli della talpa nascono, tre o quattro, una volta all’anno, in una camera preparata dalla mamma in un incrocio di gallerie.
Quando per le talpe giunge il tempo di metter su casa, il maschio va alla ricerca della sua femmina, guidato nel buio delle gallerie dal suo finissimo udito, che gliene rivela la presenza. E se strada facendo incontra un rivale, allora il primo maschio chiude la femmina, che ormai considera di sua proprietà, in una galleria, al sicuro, poi non esita ad affrontare l’intruso. Nell’oscurità, ha allora luogo un duello all’ultimo sangue, una lotta di ciechi, alla fine della quale il vincitore arriverà perfino a divorare il vinto!
Con la sposa tanto ferocemente conquistata, il sopravvissuto si accingerà ad occuparsi della propria famiglia, con una tenerezza davvero contrastante con la crudeltà precedente. Padre e madre baderanno alla prole con ogni cura per provvederla di tutto quanto le necessiti.

Campione di corsa, salto e nuoto

Capita che la talpa esca alla luce del sole: trova sempre un gatto o un uccello da preda in attesa di farsi di lei un sol boccone. Ma non crediate che questa bestia abituata alla vita sotterranea, cieca e nata per vivere scavando gallerie, si trovi del tutto indifesa all’aria aperta. La talpa, velocissima nella sua tana, lo è altrettanto quando in superficie sfugge ai nemici. E’ persino difficile seguire ad occhio nudo la sua corsa. E non basta: la talpa è anche un’ottima nuotatrice, e se ha paura di essere catturata fa dei salti di venti centimetri. Sorridete? Ma venti centimetri sono una misura notevole in rapporto al suo piccolo corpo.
Ora che la conoscete meglio vorreste forse vedere una talpa. Se andata in campagna, non disperate: le talpe sono molto diffuse e potrà capitarvi di vederne una. Naturalmente non fatele alcun male: scavando e rivangando la terra per costruire le sue gallerie, e facendo scorpacciate di insetti, la talpa è utilissima ai campi.

Il tasso

Il tasso ha dimensioni modeste (una trentina di centimetri alto, un’ottantina lungo compresa la coda), tronco massiccio, zampe corte, forti, con dita fornite di unghie, atte ai lavori di scavo, testa allungata, muso appuntito. E’ coperto di pelo foltissimo. La colorazione del pelame lo fa riconoscere: è grigiastra sul dorso e ai lati del tronco, nera nelle zampe, sul ventre e sul petto, bianca e solcata da due strisce nere sulla testa.
Abita i boschi, isolato. Scava le gallerie in cui si tiene nascosto. Esce al crepuscolo in cerca di cibo, cauto. Rimuove il terreno, rompe radici, mangia insetti e larve, lombrichi e vermi, lumache e chiocciole, visita alla base dei vecchi alberi i nidi delle api per succhiarne i favi di miele.
I lunghi aculei lo difendono dai pungiglioni delle api operaie. Dà la caccia agli uccelli nel nido, beve le uova, acchiappa e divora rane, lucertole, tipi, bisce. Negli orti si pasce di frutti, uva, cereali. Al mattino presto, a pancia piena, fa ritorno alla sua tana e dorme. In autunno, tondo e grasso, si adagia sull’erba secca e sulle foglie che fanno da tappeto alla galleria-tana, con il musetto tra le zampe e si addormenta.
(G. Menicucci)

Perchè il cane ha il naso freddo

Quando Noè volle far entrare nell’arca degli animali, la maggior parte di essi si mostrò riluttante. Bisognava compatirli, poveretti! Essi non sapevano nulla dell’imminente diluvio e, abituati com’erano a una libertà sconfinata, non avevano nessuna voglia di andare a rinchiudersi in quella grande gabbia di legno. Noè dovette decidersi  a farli spingere dal cane.
Il cane, quindi, fu l’ultimo a entrare nell’arca che, piana zeppa com’era, non offriva più spazio per lui. E così la brava bestia dovette starsene presso l’ingresso.
Lì veniva un tale spiffero d’aria fredda, che il naso del cane cominciò a raffreddarsi. Ma questo poco importava al fedele animale: fiero dell’aiuto dato al gran patriarca, non si muoveva dal suo posto che nelle ore dei pasti. Fin da quei lontanissimi tempi, il cane sapeva di dover custodire la casa del padrone.
Dopo l’infreddatura presa nell’arca di Noè, dice la leggenda, il naso del cane non si scaldò più.
(R. Fumagalli)

Mammiferi che cambiano colore

Chi vive in campagna ed ha familiarità con gli animali domestici anche fra i più comuni, come cavalli, mucche, buoi, sanno che durante la stagione invernale il pelo di questi animali diventa più folto di quello estivo e leggermente diverso di colore. Si direbbe quasi che anch’essi, come gli uomini, amino cambiare guardaroba secondo le stagioni. Mucche e cavalli però devono accontentarsi di cambiamenti minimi nella loro livrea stagionale, mentre esistono animali il cui guardaroba subisce mutamenti notevoli.
Uno degli esempi più famosi in proposito è quello dell’ermellino dalla candida e preziosa pelliccia. La livrea di questo animale però non è sempre così splendida. Durante l’estate, infatti, faremmo fatica a distinguerlo dalla più modesta donnola. In questa stagione anche la pelliccia dell’ermellino, abitatore di regioni settentrionali fredde e nevose, perde il pelo scuro e gli rispunta una splendida pelliccia candida e rilucente che lo rende invisibile in mezzo alla neve.
Pure la donnola cambia colore durante l’inverno e, così protetta può continuare la sua vita indomita e battagliera di ferocissimo predone dei boschi.
La volpe polare, che vive in branchi nelle desolate regioni artiche, d’estate ha il pelo scuro con riflessi azzurri sul ventre, ma d’inverno si riveste tutta di un candido mantello. Anche la pianta dei piedi è rivestita di pelo, per proteggerla dal freddo intensissimo dell’Artico.

L’ornitorinco, un mammifero che depone le uova

L’ornitorinco è un animale ben strano. Esso depone le uova, una o due, non di più, allo stesso modo degli uccelli e dei rettili, ma poi allatta i suo i piccoli, allo stesso modo dei mammiferi.
Le uova dell’ornitorinco sono rotonde e racchiudono, sotto l’involucro esterno, un sottile strato bianco, che circonda un nucleo centrale di colore giallo.
Un altro aspetto assai strano per un mammifero è questo: l’ornitorinco possiede un largo becco simile a quello dell’anatra. Inoltre le sue  corte zampe sono palmate. Per la sua conformazione, l’ornitorinco è adatto anche alla vita acquatica, e infatti vive dentro tane profonde che scava lungo i corsi d’acqua. In una di queste tane,  imbottite di erbe secche, la femmina depone le uova. I piccoli, appena nati, allungano la testa dentro una piega della pelle della madre dove si riversa il latte, il quale sgorga in seguito alla contrazione di appositi muscoli.
Per quanto provvisto di becco, l’ornitorinco giovane possiede alcuni denti di latte che poi scompaiono con l’età.
Il maschio, un po’ più grosso della femmina, nelle zampe posteriori ha uno strano sperone mobile, bucato all’interno da un sottile canale che è in relazione con una ghiandola che secerne veleno.
Non si è ancora riusciti a comprendere bene a che cosa serva questo sperone e quale uso ne faccia esattamente l’animale.

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Dettati e materiale didattico sulle piante

Dettati e materiale didattico sulle piante per bambini della scuola primaria.

Il soffione

Se noi soffiamo sul palloncino del soffione che cresce nei prati, ai margini delle strade o tra le pietre, lo vediamo scomporsi in tanti piccoli elementi, i quali se ne vanno lontani, veloci e leggeri. Prendiamo uno di quegli elementi. E’ formato da un corpicino sul quale è impiantato un filamento terminante in una raggiera di peluzzi.
Possiamo paragonarli all’ombrello del paracadute, e il fruttino ovale al passeggero. Il vento lo afferra, lo trascina in alto, lo sospinge in basso e va a capitare, proprio come era il desiderio della pianta madre, in un luogo umido dove può svilupparsi a meraviglia.
(G. Scortecci)

Per il lavoro di ricerca

Come è fatto un fiore?
A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline?
Che cos’è l’impollinazione?
Come avviene e per mezzo di chi?
Come si forma il frutto?
Quali frutti conosci?
Quali sono i frutti carnosi e quali i frutti secchi?

A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline?

Gli ovuli sono gli organi destinati a trasformarsi in semi. Perchè questa trasformazione avvenga occorre, però, che gli ovuli si incontrino con un granello di polline.
Il polline viene prodotto dalle antere. Esso dovrà perciò essere trasportato fin sulla punta del pistillo: da qui potrà scendere fin nell’ovario dove incontrerà gli ovuli. Allora si formeranno i semi, ed il fiore avrà adempiuto il suo compito; infatti a questo punto il fiore appassisce e cade.
Bisogna ricordare una importante legge che regola l’impollinazione dei fiori: in genere il fiore, perchè dai suoi semi possa nascere una pianta sana e vigorosa, deve essere fecondato con polline prodotto da un altro fiore.
Ma chi provvede a portare il polline dall’uno all’altro fiore?
Ogni famiglia di piante ha scelto un suo modo per provvedere a questo trasporto: c’è chi si serve del vento, chi dell’acqua e chi dell’opera di diversi animaletti, generalmente insetti, ma in qualche caso anche uccelli e molluschi.

L’impollinazione

Tutte le piante superiori si riproducono per mezzo di semi, i quali si sviluppano dal fiore solo quando questo viene fecondato. Voi sapete già come è fatto un fiore e quali sono i suoi organi principali. Conoscete quindi gli stami e le antere, che producono il polline, la minuta polverina gialla che rimane attaccata alle dita quando tocchiamo l’interno di un fiore maturo.

Quei minuscoli granuli gialli, prodotti in tanta abbondanza dai fiori, sono uno dei più preziosi elementi esistenti in natura, poichè racchiudono il segreto della vita delle piante. Sono proprio i granuli di polline che provocano la fecondazione degli ovuli, una volta giunti sul pistillo che sovrasta l’ovario.

Se esaminate il polline al microscopio noterete che i granuli hanno forme diverse, che variano da pianta a pianta. Ce ne sono di ovali, di cilindrici, di rotondi. Alcuni terminano con delle piccole punte, altri sono leggermente uncinati, altri ancora sono a forma di mezzaluna. Se provengono da piante che si fanno impollinare dal vento, sono più piccoli ed hanno forme più appiattite, per poter volare più facilmente. Se invece sono destinati ad essere trasportati lontano dagli insetti, sono di maggiori dimensioni e risultano appiccicosi.

Se un granulo di polline raggiunge il pistillo, l’ovulo viene fecondato. Ma raramente succede che il polline prodotto da un fiore vada a fecondare l’ovario dello stesso fiore.

Le piante fanno di tutto per ottenere che il polline arrivi al pistillo di un altro fiore o da un’altra pianta. Ciò permette la produzione di frutti e di semi migliori, più adatti alla germinazione; questo processo si chiama fecondazione incrociata e la sua estrema utilità fu dimostrata da Darwin già nel 1859.

Per questo motivo vi sono fiori nei quali il polline matura quando ancora il pistillo non è completamente sviluppato, e altri in cui si verifica il caso inverso. Vi sono poi fiori il cui pistillo si sviluppa molto in altezza, al di sopra delle antere, sempre per impedire che il polline sottostante possa raggiungere l’apertura (stigma). Altre piante infine producono fiori con solo stami che danno il polline (fiori maschili) e fiori col solo pistillo terminante nell’ovario (fiori femminili). Di questo gruppo sono le piante che si fanno impollinare dal vento, come le conifere. Esse non producono fiori con corolle vistose, perchè non devono attirare gli insetti. Producono invece quantità incredibile di polline, perchè dei milioni e milioni di granelli che volano nell’aria solo qualcuno giunge sul fiore adatto.

Alcune piante affidano il polline al vento, altre si servono dell’acqua, altre ancora si impollinano da sole, ma nella maggior parte questa importantissima operazione viene affidata agli animali, e in particolare agli insetti. Per essi le piante producono fiori profumati, fiori provvisti di dolce nettare, fiori dai petali vistosamente colorati.
La stessa forma delle corolle ha il preciso scopo di lasciar passare l’insetto adatto all’impollinazione e di impedire chi si entrino altri animaletti meno graditi. Basta osservare ciò che avviene in un fiore di salvia, per restare stupiti dal meraviglioso meccanismo posto in atto per favorire l’impollinazione incrociata.

Quando un’ape, attirata dal profumo o dal nettare, si appoggia sul petalo più basso per entrare nel fiore, preme su una speciale levetta che fa abbassare lo stame. Questo, che è già incurvato dal peso dell’antera matura, va a toccare il dorso peloso dell’insetto e lo cosparge di polline. L’ape poi vola su un altro fiore e l’operazione si ripete. Ma la salvia è una di quelle piante che fanno maturare prima le antere e poi il pistillo. Così quando l’insetto giunge su un fiore con le antere avvizzite vi trova un pistillo maturo, che incurvandosi con lo stesso meccanismo va a raccogliere il polline di altri fiori sul dorso dell’ape, fecondandosi.

I frutti

Quando il polline, al momento della fioritura, viene portato sulla stimma per opera, o degli insetti, o del vento, o di altri agenti, si ha la fecondazione degli ovuli. Avvenuta questa, gli ovuli  si trasformano in semi mentre le parti dell’ovario si gonfiano, si fanno carnose, tonde, colorite, oppure, a seconda dei casi, solide, fibrose: sta formandosi il frutto. Per noi i frutti sono il piacevole completamento dei pasti, ma per la pianta rappresentano un momento importantissimo e delicato della sua vita. Il frutto protegge il seme e serve a disseminarlo nel terreno.
Per il botanico i frutti si dividono in due categorie: carnosi e secchi. I primi sono pieni di polpa carnosa, turgida, ricca di succo e ci richiamano subito alla mente le ciliegie, le pesche, le mele, le pere.
I frutti secchi non hanno una parete così succosa come i loro parenti carnosi. Ne esistono molte varietà di cui le principali sono: la noce, il legume, la cariosside. Oltre a i veri frutti, esistono anche i falsi frutti alla cui formazione concorrono, oltre all’ovario, altre parti del fiore.
Per esempio il vero frutto della fragola è formato da quei granellini neri che ne costellano la polpa e che vengono generalmente ritenuti semi. Altri falsi frutti sono il fico e il pomo.

I fuoriclasse della botanica

Ecco alcuni semi, fiori, frutti, piante ed alberi che sono veri e propri campioni mondiali di  qualche specialità che ti indicherò.
Il seme più grosso: cocco.
Il fiore più grande: bolo.
Il frutto più voluminoso: turien.
L’albero più alto: sequoia.
L’albero più grosso: baobab.
Il legno più leggero: balsa.
Il legno più pregiato: ebano.
La pianta più delicata: sensitiva.
La pianta più ricca di olio: sesamo.
La pianta che piange di più: vite.
L’albero europeo più longevo: tiglio.

Le sequoie

Le sequoie sono famose per le dimensioni gigantesche e per la longevità. Gli esemplari più alti e più vecchi hanno addirittura un nome proprio e sono severamente protetti. Vi sono due specie di sequoie: la gigante e la sempreverde (ma anche la prima conserva le foglie verdi d’inverno). Attualmente la sequoia gigante di maggiori dimensioni è la General Sherman, che ha quasi 4.000 anni ed è altra 88 metri. Il suo diametro alla base è di circa nove metri. Le sequoie sempreverdi sono meno longeve, ma raggiungono le altezze maggiori. La Founder’s Tree, che si trova in California, è alta ben 110 metri. Il suo tronco però è meno massiccio ed ha alla base un diametro di quattro metri e mezzo.  Il principale carattere che distingue le due specie è dato dalla forma e dalla disposizione delle foglie Nella sequoia sempreverde sono lineari e coriacee, lunghe un centimetro, lisce e aghiformi, con l’estremità appuntita; nella sequoia gigante sono molto più piccole, a forma d brattee appuntite, e disposte sui rametti come tante embrici. Entrambe le specie producono pigne, più semplici e piccole nella sequoia sempreverde. I tronchi hanno corteccia rossastra molto screpolata e legno leggero e resistente, rossiccio, poco pregiato.

Le piante che danno le spezie

Queste piante devono la loro speciale natura ad oli essenziali che esse contengono, e mentre di alcune mangiamo il frutto, come il pepe comune, la noce moscata e la vaniglia, di altre, quali il cinnamomo e la cassia, usiamo la corteccia e, nel caso dello zenzero, la radice.
La spezia più usata è il pepe, del quale si riconoscono diverse varietà. Quella più comune, conosciuta in commercio come pepe nero, è la bacca macinata di una pianta che cresce in India e che viene coltivata anche in altri paesi, compresi Giava e Sumatra.
Si tratta di una pianta rampicante o strisciante, una liana, con lo stelo di colore scuro, i cui rami, che si curvano verso terra, portano spighe di fiori verdi, dai quali si formano poi bacche d’un rosso chiaro, della grossezza di un pisello. Queste bacche, una volta seccate, costituiscono il pepe in grani del commercio. Una buona pianta di pepe produce da due a tre chilogrammi di frutti.
Nelle piantagioni, il pepe è sempre sostenuto da pali o da alberi piantati appositamente. Anzi, questi ultimi sono preferiti perchè la pianta prospera meglio dove può godere un po’ d’ombra. Le bacche vengono raccolte quando il loro colore si tramuta dal verde al rosso, periodo nel quale sono più piccanti, e vengono poi stese su stuoie, a seccare al sole. Seccando, diventano nere e grinzose, ed in questo stato sono dette pepe nero.

Palma da cocco

La palma da cocco è definita “il re dei vegetali” per la quantità di prodotti che da essa si ricavano. E’ un bell’albero dal fusto  robusto, alto fino a trenta metri e terminante con un bel ciuffo di foglie pennate, ciascuna delle quali è lunga da quattro a cinque metri. All’ascella delle foglie si sviluppano i fiori maschili e femminili, raggruppati in piccole inflorescenze. I frutti che ne derivano sono le ben note drupe ovali, pesanti fino a due chili. Sull’albero però le noci di cocco non hanno l’aspetto bruno scuro che conoscete.  Esse sono rivestite da uno spesso strato fibroso, di colore verde, che viene asportato prima di mettere il frutto in commercio. Con quelle fibre si fabbricano stuoie e cordami. Una palma più produrre anche una decina di mazzi di noci, ciascuno composto di dieci o dodici frutti. Sotto il bruno strato legnoso, che viene a volte utilizzato per fare bottoni, la noce di cocco presenta il seme, cioè quella polpa bianca mangereccia, ricca di zuccheri grassi e proteine, che viene venduta a spicchi anche da noi. Questa polpa, disseccata, rappresenta la copra da cui si ricava l’olio di cocco, usato per la fabbricazione di cosmetici, profumi, margarina e saponi. Con i residui opportunamente triturati si ottiene un buon foraggio.

Il segreto degli alberi

Il mondo è davvero meraviglioso in tutti i suoi esseri e in tutti i suoi aspetti particolari. Prendiamo, ad esempio, gli alberi: che cosa c’è di apparentemente più semplice? Ma proviamo ad osservare e a studiare come si nutre la pianta, come respira e traspira, quali delicate e vitali funzioni assolvono le radici e le foglie. Ci troveremo davanti a segreti meravigliosi, che ci lasceranno stupiti e incantati. E’ appunto ciò che capita a Mario, il protagonista di questo racconto. Durante una passeggiata in montagna, conversando col suo papà, il bambino viene a conoscenza dei più delicati segreti degli alberi, fa perfino conoscenza con una fatina che ha nome Clorofilla. Volete conoscerla anche voi?

A mezza costa i prati cessavano, limitati da una siepe spinosa, e aveva inizio il bosco. Un bosco fitto, folto, ombroso, tutto tremolante d’occhi di sole, in una penombra azzurrina dove gli insetti ronzavano infaticabile nel misterioso silenzio del mattino.
“Com’è fresca l’aria sotto gli alberi!”, esclamò Mario respirando a pieni polmoni, appena il sentiero si fu inoltrato nel mezzo del bosco.
Il babbo si fermò, prese il fazzoletto e si asciugò il sudore sulla fronte.
“Si sta bene qui sotto”, disse. “L’aria è fresca, ma è anche pura, frizzante, sottile: sembra di sentire l’ossigeno sotto il naso…”, e respirò a sua volta a pieni polmoni.
“Sapresti dirmi”, riprese il babbo, “perchè l’ombra, sotto gli alberi, è così fresca?”
“Perchè le foglie riparano dal sole”, rispose Mario. Ma il babbo scosse la testa.
“Questo è vero solo in parte. Anche una tenda può riparare dai raggi del sole, e forse meglio delle foglie che, come vedi, lasciano giungere degli spiragli luminosi fin sul sentiero. Eppure sotto una tenda l’aria diventerà presto asciutta e calda. Mentre nel bosco questo non succede mai. Ci deve essere un’altra ragione…”
Mario rimase pensieroso. Non sapeva che dire. E certo, anche molti di voi non avrebbero saputo che cosa rispondere. Allora il babbo riprese a parlare.
“Non hai mai sentito dire che gli alberi respirano, proprio come gli uomini? Guarda questa foglia. A occhio nudo non si vede che ha una superficie ruvida, percorsa da sottili nervature. Ma osservata al microscopio essa è tutta punteggiata di minuscole boccucce, dette stomi. L’apertura di queste boccucce è sottilissima, di 0,00005 millimetri, in modo che non vi entrano né polvere né liquidi; solo i gas possono passare, ed entrano ed escono secondo un ordine meraviglioso”.
“Ma a che servono queste boccucce, se sono così piccole?”
“A che servono? Intanto, devi sapere che, se queste boccucce sono piccole, sono però numerosissime. Pensa che, per ogni millimetro quadrato ce ne sono in media 200, e che una quercia, tutto sommato, ne ha parecchi miliardi. E ora vediamo un po’ a che cosa servono. Ma permettimi prima una domanda: come si nutrono le piante?”
“Attraverso le radici!” rispose Mario, che l’aveva sentito tante volte.
Il babbo rimase un istante in silenzio, poi riprese: “In un certo modo sì, ma non è del tutto esatto. Vedi, le radici assorbono dal terreno sostanza minerali inorganiche e cioè alcuni sali che si trovano disciolti nell’acqua che imbeve la terra. Le radici li assorbono e li spingono su su lungo il tronco. Ma questi sali non sono ancora un cibo pronto per essere assimilato dalla pianta. Sono ancora, come dicono gli studiosi, linfa grezza. Questa linfa grezza deve subire una trasformazione che la muti da sostanza inorganica in sostanza organica. E’ a questo punto che entrano in funzione le foglie e quella specie di fatina verde che si chiama Clorofilla. Questa fatina, che non  è altro che una sostanza speciale, ha la proprietà di saper prendere l’anidride carbonica che è nell’atmosfera e che attraverso gli stomi, quelle famose boccucce, è entrata nella foglia. Sotto l’azione della luce, la clorofilla scinde l’anidride carbonica nei suoi elementi: carbonio e ossigeno. Trattiene il carbonio e manda fuori l’ossigeno, sempre attraverso quelle famose boccucce…”
“Ecco perchè l’aria è limpida e pura sotto gli alberi! I nostri polmoni hanno bisogno di ossigeno e queste boccucce delle foglie ce lo restituiscono puro e semplice”.
“E perchè?”
“Ricordi quella linfa grezza che, assorbita dal terreno, sta salendo lungo il fusto? E’ composta di sostanze inorganiche. Ora questa magica trasformazione avviene proprio con l’intervento del carbonio che, combinandosi con le materie prime portate su dalla linfa, le muta in amidi e in zuccheri che scorrono poi in tutta la pianta, dal più alto ramo giù giù fino alle radici, nutrendo tutte le cellule. Ora capisci perchè non è esatto dire che la pianta si nutre attraverso le radici. Le radici offrono il materiale alla nutrizione, la linfa grezza; ma è nelle foglie che la linfa grezza si trasforma in cibo, in amidi e in zuccheri… Le foglie sono dei veri e propri laboratori chimici. Con l’intervento della clorofilla, sotto l’azione della luce, scompongono l’anidride carbonica in ossigeno e carbonio. Rigettano l’ossigeno e trattengono il carbonio. E col carbonio, attraverso una serie di reazioni chimiche, trasformano i sali minerali assorbiti dalle radici in sostanze organiche, ne fanno un cibo perfetto, pronto a entrare in circolazione attraverso tutto l’albero. Questa trasformazione, che avviene nelle foglie, si chiama fotosintesi clorofilliana…”.
Mario era rimasto a bocca aperta e ora guardava le foglie con sguardo quasi religioso.
“E’ davvero una meraviglia…”, disse sottovoce.
“E ora”, riprese il babbo, “se ti domandassi perchè l’aria è così fresca e così pura sotto gli alberi, che cosa mi risponderesti?”
“Risponderei che tutti dipende dal fatto che la foglia assorbe l’anidride carbonica, la scompone, trattiene il carbonio e manda fuori l’ossigeno…”
“Giusto, ma questo spiega soltanto perchè l’aria sia pura… Non spiega ancora perchè è sempre così fresca e umida. Guarda questo muschio, è tutto bagnato, umido di rugiada… Perchè? Nella fotosintesi clorofilliana, non tutta l’acqua che trasporta su, verso le foglie, le sostanze minerali assorbite dal terreno, viene utilizzata. L’acqua superflua viene eliminata attraverso gli stomi, assieme all’ossigeno che la pianta non utilizza. E quelle famose boccucce la cacciano fuori sotto forma di vapore acqueo. Pensa che una quercia media, nei cinque mesi a cavallo tra la primavera e l’estate, traspira ben centoundici tonnellate d’acqua… Le pompa su dalle radici, se ne serve, e poi la getta fuori, come facciamo noi quando sudiamo, in un continuo ricambio”.
“Allora anche le piante, oltre a nutrirsi e a respirare, sudano…”
“Proprio così; e questo fenomeno, che si chiama traspirazione, rende l’aria attorno sempre fresca, sempre umida… Ma tu hai detto una cosa a cui io ho accennato solo di sfuggita. Hai detto che le piante respirano. Ma quando? Come?”
“Quando assimilano il carbonio e mandano fuori l’ossigeno”.
“E questo quando avviene?”.
“Di giorno”.
“E perchè proprio di giorno? Non potrebbe avvenire anche di notte?”.
“No”, rispose Mario dopo un attimo di perplessità. “Non può avvenire, perchè la clorofilla, per scindere l’anidride carbonica in carbonio e in ossigeno, ha bisogno della luce. L’hai detto tu. E di notte la luce non c’è”.
Il babbo lo guardò sorridendo. Era contento. Mario aveva proprio ragione. Ma c’erano molte cose da precisare e il babbo riprese con calma: “Vedi, quella che tu chiami respirazione, e cioè l’eliminazione dell’ossigeno, è più propriamente una operazione della fotosintesi clorofilliana. E hai ragione di dire che la luce vi è necessaria e che pertanto avviene solo di giorno. Ma la respirazione è una cosa del tutto diversa, è proprio il contrario della fotosintesi, e perciò avviene di notte, quando non c’è la luce. In questo caso, la pianta trattiene l’ossigeno e espelle l’anidride carbonica. Per questo è pericoloso dormire di notte sotto gli alberi. Quanto l’aria è ricca di ossigeno durante il giorno, altrettanto è ricca di anidride carbonica durante la notte. E quindi è dannosa per l’uomo”.
Intanto, camminando passo passo, erano giunti a una radura erbosa. Il bosco si apriva all’improvviso, lasciava irrompere la luce in tutto il suo fulgore e, oltre gli speroni del monte, apriva un vasto orizzonte con la linea azzurra del mare.
Il vento, tra le foglie, faceva un rumore alto e lontano.
Com’era bello guardare da lassù, come affacciati ad un balcone proteso sul mare, e ascoltare il bosco, coi suoi ronzii impercettibili, con la sua musica aerea di rami e di foglie.
Mario guardava meravigliato, ma pensava ancora alle piante, ai loro strani e meravigliosi segreti.
(L. Ardenzi)

Osserva un seme

Potrai facilmente procurarti fagioli, ceci, lenticchie, piselli e fave (secchi), o chicchi di grano, di orzo o di granoturco. Essi rappresentano i semi delle piante cui appartengono: da essi, in opportune condizioni ambientali, germoglieranno le nuove piante. Fagioli, ceci, fave, piselli sono semi di leguminose; i chicchi di grano, di orzo, di granoturco sono semi di graminacee.
Osserva la forma di un seme di leguminosa: esso è fornito di un tegumento esterno, facilmente asportabile; tale tegumento serve per la protezione del seme stesso. Asportando il tegumento, il seme si divide facilmente in due parti: i due cotiledoni del seme. Tra i due cotiledoni, verso uno dei due poli del seme, potrai notare l’embrione, che non sempre può essere osservato  con facilità ad occhio nudo: esso tuttavia può essere notato facilmente, perchè può essere staccato dal resto del seme.
L’embrione è la parte più importante di tutto il seme, perchè da esso inizierà lo sviluppo della nuova pianta. Nell’embrione, anche se non sempre l’osservazione è facile, esistono una radichetta, un fusticino ed una piumetta.  Dalla radichetta avrà origine la radice della nuova pianta, dal fusticino si svilupperà il nuovo fusto e dalla piumetta avranno origine le prime foglioline della nuova pianta. A queste parti bisogna aggiungere i cotiledoni, riserva di nutrimento. Altra riserva di nutrimento è l’albume che accompagna le parti del seme che abbiamo già citato.
Sia l’albume che i cotiledoni rappresentano riserve di nutrimento: in alcuni semi i cotiledoni sono molto sviluppati e l’albume è inesistente o quasi come nel caso dei semi di leguminose, mentre in altri semi i cotiledoni sono poco sviluppati e il seme è ricco di albume.
I semi di graminacee sono ricchi, ad esempio, di albume farinoso, che costituisce gran parte del seme. Osservando un seme di graminacea non riuscirai facilmente a staccare il tegumento esterno del seme stesso, che non risulta diviso in due parti: il seme di una graminacea ha un solo cotiledone, e sarà più difficile l’osservazione dell’embrione.
Se il seme di una pianta ha due cotiledoni, la pianta è detta dicotiledone; se il seme, invece, ha un solo cotiledone, la pianta è una monocotiledone.

La germinazione del seme

Il seme, se posto nelle opportune condizioni ambientali, germoglia. Il principale fattore della germinazione è l’umidità.
Poni alcuni semi di leguminose o di graminacee su uno strato di ovatta, che avrai cura di tenere sempre umido. Noterai che i semi si gonfieranno fino a rompere il loro tegumento, e che si vedrà spuntare l’estremità appuntita della radichetta. Se osservi in questo particolare momento il seme, aprendolo con attenzione, puoi facilmente notare le tre parti essenziali dell’embrione: radichetta, fusticino, piumetta.
Poni alcuni semi sul fondo di un vaso di vetro, alto e dall’imboccatura larga, e tienili umidi poggiandoli, come nella precedente esperienza, su uno strato di ovatta. Chiudi il vaso e lascia passare un po’ di tempo, tenendo il vaso al buio. Se scopri il vaso lentamente e vi introduci un fiammifero acceso, questo si spegne. I semi hanno consumato l’ossigeno presente, sviluppando anidride carbonica. Se lasci il vaso chiuso la germinazione si arresta. I semi, durante la germinazione, respirano.
Poni alcuni semi nelle stesse condizioni della precedente esperienza,  introducendo tra i semi un termometro e lasciando il vaso scoperto. Noterai che il termometro segnerà, dopo un certo tempo, una temperatura maggiore  di quella segnata all’inizio. I semi, durante la germinazione, generano calore.
Poni alcuni semi lungo le pareti di un vaso di vetro, piuttosto in alto, e poni dietro ad essi un foglio di carta assorbente o da filtro che ricopra le pareti del vaso. Nell’interno del vaso introdurrai del terriccio, che avrai cura di mantenere umido. Potrai anche riempire il bicchiere con muschio o cotone idrofilo, sempre umidi. Potrai così osservare la germinazione del seme ed il primo sviluppo della pianta. Noterai che il seme si gonfia fino a rompere il tegumento esterno; spunta poi la radice che, indipendentemente dalla posizione del seme, si rivolge verso il basso; successivamente spunterà la piumetta che si rivolgerà verso l’alto, fino a fuoriuscire dal vaso. I cotiledoni forniscono il nutrimento necessario alla pianta in questo primo stadio della loro vita. Essi possono restare sottoterra (e si diranno ipogei) o venir fuori con la pianta (e si diranno epigei). In quest’ultimo caso i cotiledoni assumono il colore verde tipico delle foglie.
Prepara più vasi con terriccio e affonda in essi alcuni semi. Poni questi vasi nelle più diverse condizioni di luce: in piena luce, in penombra, al buio completo. Ciò ci servirà per le future esperienze.
In uno dei vasi che hai posto in piena luce, potrai seguire, quando la pianta sarà germogliata, le varie fasi del suo accrescimento, accrescimento che potrai misurare ad intervalli regolari. Noterai che esso è più rapido agli inizi della vita della pianta, più lento successivamente; ma la pianta comincia a presentare gemme, da cui si svilupperanno altre foglie. Potrai anche notare che lo sviluppo della pianta in terriccio non solo è più rapido di quello della pianta su letto umido di ovatta, ma è completo. Ciò è dovuto al fatto che la pianta sul letto umido di ovatta può avere nutrimento soltanto dalle sostanze contenute nei cotiledoni, mentre la pianta in terriccio, una volta sviluppata, è in grado di assorbire sostanze nutritive dal terriccio stesso.
(U. Sardi – “Osservazioni ed elementi di Scienze”)

Dimostriamo che un seme germina solo in presenza di aria

Un seme è, come sapete, una cosa viva. Come tale dunque respira, si nutre e risente dei fattori ambientali (aria, umidità, temperatura e luce), che possono favorire o ostacolare la nascita di una pianta, cioè la germinazione del suo seme.

Materiale: 2 vasetti da fiori, terra soffice mista a sabbia, una manciata di semi (fagioli o fave o ceci o frumento), acqua naturale, acqua bollita a lungo.
Procedimento: seminare in ciascun vasetto (contrassegnandolo con un cartellino numerato) un ugual numero di semi della stessa qualità. Innaffiare il vasetto 1 con acqua naturale e quello 2 con acqua bollita a lungo e fatta raffreddare (quest’acqua, bollendo, avrà perso tutta l’aria che conteneva). Coprire i vasetti con lastre di vetro perchè l’umidità non si disperda. Disponete i due vasi in ambienti caldo (20-22 gradi). Lasciare tutto così per qualche giorno, poi, in base a quanto avete notato, scrivete le vostre osservazioni, che costituiranno il vostro “Giornale delle scienze”. I semi del vasetto 1, innaffiato con acqua naturale, sono germinati normalmente in giorni  …. ; quelli del vasetto 2, bagnati con acqua priva d’aria, non sono germinati. Dunque un seme per germinare ha bisogno di aria, cioè di ossigeno per respirare.

Materiale: 3 vasetti da fiori, semi, terra soffice.
Procedimento: mettere una stessa quantità di terra nei tre vasetti (contrassegnandoli coi numeri 1, 2 e 3). Assicuratevi che la terra del primo vasetto sia ben asciutta (potreste introdurla per qualche minuto nel forno, perchè perda tutta l’umidità). Seminate nei tre vasetti un ugual numero di semi, tutti dello stesso tipo, e innaffiate soltanto i vasi 2 e 3, lasciando asciutto il primo. Innaffiate una volta al giorno il vaso 2, due volte al giorno e abbondantemente il vaso 3; continuate a non innaffiare il vaso 1. Il foro di scollo del vasetto 3 dovrebbe essere chiuso con un tappo, perchè l’acqua non esca dal vaso. Redigete il vostro “Giornale delle scienze”. Ora sappiano che nel vasetto con terra completamente asciutta la germinazione ….; in quello bagnato normalmente ….; in quello bagnato troppo ….. Dunque un seme per poter germogliare, oltre all’…. e al …. ha bisogno anche di ….; ma questa, se in quantità eccessiva, …

Materiali: 2 vasetti da fiori, i soliti semi, terra soffice.
Procedimento: seminate in ogni vasetto uno stesso numero di semi e copriteli con due o tre centimetri di terra umida. Collocatene uno in piena luce, l’altro in un luogo buio (in cantina o coperto da un panno nero). Redigete il “Giornale delle scienze”. Ora sappiamo che la germinazione nel vasetto 1 è avvenuta … e dopo giorni … nel vasetto 2 collocato in … è avvenuta dopo … giorni. Dunque un seme per germogliare ha bisogno di …

Le foglie

Non occorre essere grandi osservatori per sapere che le foglie hanno forme svariate e diversissime. Tutti voi avete visto esemplari di foglie semplici, composte, palmate o pennate. Su un fatto però difficilmente avrete fermato l’attenzione, e cioè sulla loro continua freschezza. Pensate: se durante le ore del solleone, in piena estate, mettete dei fogli di carta o dei frammenti di qualsiasi materiale al sole, dopo qualche ora li troverete molto caldi. Se si tratterà di metallo, scotteranno addirittura. Le foglie degli alberi, invece, rimangono esposte al sole tutto il giorno, ma se le toccate sono sempre fresche come se non fossero state colpite dai suoi caldi raggi. Questa è una delle meraviglie di fronte alle quali ci troviamo, quando osserviamo quegli importantissimi organi della pianta che sono le foglie. La loro continua freschezza è dovuta al fatto che esse evaporano incessantemente una incredibile quantità di acqua, residuo delle complicate trasformazioni chimiche che avvengono nelle loro parti interne. Una pianta di granoturco durante l’estate può trasudare ben duecento litri d’acqua. Una betulla nello stesso periodo ne traspira ben settemila litri. Questo vi dice anche quanto servano le piante al ricambio dell’ossigeno nell’atmosfera.

Le foglie che si mangiano

Avete mai calcolato quanti sono i tipi di foglie che si consumano nell’alimentazione umana? Il prezzemolo, il basilico, la salvia, il rosmarino,… Se poi pensiamo a quelle che servono per l’alimentazione animale, il numero si allarga a dismisura. Si può anzi affermare che non c’è tipo di foglia che non abbia il suo amatore, sia esso bruco o roditore o erbivoro, il quale la preferisce ad altre specie.
E’ esatto quindi affermare che le foglie nutrono non solo la pianta che le ha generate, ma tutto il mondo vivente. Il loro scopo primo, però, è quello di nutrire la pianta; questo è evidente.
Utilizzando l’acqua, l’aria e qualche sostanza minerale succhiata dal suolo esse sono capaci di produrre lo zucchero e gli amidi, che sono alla base di ogni sostanza organica. A rendere possibile questa trasformazione è la clorofilla, l’elemento verde della foglia, che capta l’energia del sole e se ne serve per dissociare gli atomi di ossigeno, di idrogeno e di carbonio che compongono aria e acqua per unirli in modo diverso e produrre così la materia organica. Si tratta di un’operazione a tal punto delicata e complicata, che finora nessun laboratorio umano è riuscito a riprodurla artificialmente.

Foglie strane

Per adattarsi all’ambiente, al clima, alle particolari esigenze della pianta le foglie talora assumono forme assai strane, di cui vi diamo qualche esempio.
La foglia di Victoria regia, pur essendo molto pesante date le sue dimensioni (oltre un metro di diametro) può galleggiare sull’acqua grazie alla sua forma di vassoio a bordi rialzati e alla presenza nei suoi tessuti di numerose piccole camere d’aria.
Le foglie di Aloe spinosa, costrette a immagazzinare grandi quantità d’acqua per i periodi di siccità, diventano turgide  e carnose. In altre piante esse si trasformano in spine, in altre ancora diventano trappole per catturare gli insetti, di cui poi la pianta carnivora si nutre.
Nella vite alcune foglie si trasformano in quegli organi di attacco che si chiamano viticci. Occorre ricordare inoltre che i fiori sono particolari trasformazioni delle foglie. Come vedete, si tratta di organi complicati e mutevoli.

Dettati e materiale didattico sulle piante: Trovi altro materiale sulla pianta, il fiore e l’impollinazione qui: https://www.lapappadolce.net/materiale-didattico-sul-fiore/

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Nomenclature Montessori per le parti dell’uccello

Nomenclature Montessori per le parti dell’uccello per bambini della scuola d’infanzia (immagine, nome, immagine e nome) e per la scuola primaria (immagine, nome, definizione) pronte per il download e la stampa in formato pdf.

Per realizzare l’incastro dell’uccello in proprio trovi il tutorial qui:

Presentazioni ed esercizi qui: 

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Nomenclature Montessori per le parti dell’uccello
Set per attività con l’incastro dell’uccello

pdf qui:

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Nomenclature Montessori per le parti dell’uccello
Nomenclature 3-6 anni 

PDF qui:

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Nomenclature Montessori per le parti dell’uccello
Nomenclature 6-9 anni 

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Nomenclature Montessori per le parti dell’uccello

Se preferite realizzare il materiale in proprio, questi sono i testi utilizzati:

Gli uccelli sono una classe di vertebrati caratterizzati da becchi sdentati, corpi ricoperti di piumaggio e ripieni di sacchi d’aria, ali, uova dai gusci duri e ossa cave ma robuste. Ne esistono circa 10.000 specie. Le uova sono solitamente covate e incubate nei nidi. Gli uccelli hanno ali più o meno sviluppate.  I corvidi e i pappagalli sono tra gli animali più intelligenti, capaci d’utilizzare attrezzi e di lasciare in eredità comportamenti non congeniti. Molte specie sono migratorie, traversando distanze notevoli ogni anno. Sono animali socievoli che spesso vivono in colonie, comunicando grazie a segnali di tipo visivo o di tipo uditivo. Spesso partecipano a comportamenti sociali quali caccia e difesa.  Vivono in quasi tutto il mondo, variando in grandezza da 5 cm per il colibrì fino a tre metri per l’uccello elefante.

Le ali consistono di braccia specializzate, e la maggior parte degli uccelli è in grado di volare. Tra gli uccelli non volatori ci sono i pinguini che  sono nuotatori specializzati.  Alcune specie possiedono, sulle ali, particolari penne strutturate in modo tale da permette la produzione di suoni.

Il becco è una speciale struttura cornea che riveste i margini della bocca degli uccelli, è priva di denti ed è usata, oltre che per mangiare, per pulire le penne e le piume, per manipolare oggetti, per uccidere le prede, per ricercare il cibo, per nutrire i piccoli. Ci sono varie tipologie di becco in base alle diverse abitudini alimentari. Sulla superficie del becco si trovano due forellini, le narici, che servono a respirare. Il becco di molti pulcini possiede anche un piccolo osso, detto dente d’uovo, che facilita la rottura dell’uovo durante la schiusa. Il becco cresce costantemente per tutto l’arco della vita dell’animale.

La coda degli uccelli è rivestita da piume e penne che servono a dare stabilità, a regolare il volo e fungono da timone. Per questo le penne della coda degli uccelli hanno precise caratteristiche e sono disposte in punti ben precisi. Il ricambio delle penne di un uccello viene attuato in maniera da non lasciare nuda nessuna parte del corpo e in modo tale da non compromettere il volo. Le penne della coda vengono cambiate a coppie simmetriche proprio per questo motivo.

Il corpo degli uccelli è ricoperto di piume e penne. Le piume fungono da isolante termico come i peli per i mammiferi. In alcune specie (cigni, anatre, oche, etc.) servono anche per rendere impermeabile all’acqua il piumaggio sottostante. La presenza di penne sopra le piume permette un miglior controllo del volo. Le penne, tipiche degli uccelli, si sviluppano solamente in alcuni tratti ben definiti, e servono nel volo, nell’isolamento termico, nell’impermeabilità e nella colorazione, aspetto di grande importanza nella comunicazione dei volatili. Una penna  è composta dal calamo, la parte che permette l’attacco all’epidermide, e dal rachide, la continuazione del calamo. Al rachide sono attaccate le barbe che, a loro volta, presentano ai lati le barbule. Nonostante le piume siano leggere, l’intero piumaggio di un uccello pesa circa tre volte di più del suo scheletro.

L’occhio. Gli uccelli sono dotati di una vista molto sviluppata, la migliore nel mondo animale: la poiana,  ad esempio, ha una visione a distanza 6-8 volte migliore di quella umana, mentre un gufo riesce a vedere perfettamente nel buio più assoluto. Molti uccelli possono anche captare i raggi ultravioletti, che sono invisibili all’occhio umano. Gli occhi occupano una parte del cranio considerevole e sono circondati da un anello osseo, hanno inoltre una palpebra accessoria, la membrana nittitante, per ulteriore protezione.

Il petto  degli uccelli è molto muscoloso. Gli arti anteriori, che negli uccelli si sono trasformati in ali, hanno bisogno di voluminosi e potenti muscoli pettorali per muoversi. Questo permette agli uccelli di librarsi nell’aria o compiere le infinite acrobazie proprie della loro vita di relazione.

La testa manca di un vero e proprio naso (le narici si aprono direttamente sul becco) e di un vero e proprio orecchio (ci sono aperture ai lati del capo adatte a captare i suoni). La zona tra gli occhi ed il becco viene detta lore, ed in qualche caso è senza piume e colorata. Il cervello ha un peso molto elevato rispetto alla massa totale dell’animale e confrontato con quello di tutti gli altri animali. Tutti gli uccelli, ed in particolare quelli migratori, possiedono in alcuni nuclei del cervello sottilissimi aghi di magnetite che permettono l’orientamento col campo magnetico terrestre.  E’ uno strumento così perfetto da funzionare anche per migliaia di chilometri in mare aperto,  luogo privo di punti di riferimento.

Lartiglio è un elemento che si trova all’estremità delle zampe ed è a forma di uncino. Gli artigli possono essere utilizzati per catturare e tener salda una preda, scavare o arrampicarsi. Esistono appendici simili che però non essendo uncinate e taglienti prendono il nome di unghie. Gli uccelli di solito hanno degli artigli alle zampe. Nei rapaci sono gli strumenti di caccia, altri uccelli li utilizzano come difesa.

Gli uccelli sono animali bipedi e le loro zampe poggiano sul suolo con le dita. A seconda dei casi possono essere idonee a camminare, a mantenersi in equilibrio, a nuotare, a prendere il cibo e così via. Ad esempio, lo struzzo, che conduce vita terrestre, ha solo due grandi dita rivolte in avanti che conferiscono all’arto notevole presa e stabilità durante la corsa. Il pappagallo può salire con estrema facilità sugli alberi perché le sue zampe sono dotate di ottima presa in quanto due dita sono volte in avanti e due all’indietro. Il fenicottero ha zampe lunghe e dita palmate, cioè con una membrana di pelle tra le dita, che gli consentono di muoversi agevolmente nell’ambiente di palude in cui vive, senza pericolo di affondare.

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Nomenclature Montessori per le parti dell’uccello

Nomenclature Montessori per le parti del cavallo

Nomenclature Montessori per le parti del cavallo per bambini della scuola d’infanzia (immagine, nome, immagine e nome) e per la scuola primaria (immagine, nome, definizione) pronte per il download e la stampa in formato pdf.

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Set per attività con l’incastro del cavallo

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Nomenclature 3-6 anni

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Nomenclature Montessori per le parti del cavallo
Nomenclature 6-9 anni 

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Nomenclature Montessori per le parti del cavallo

Se preferite realizzare il materiale in proprio, questi sono i testi utilizzati:

Il cavallo è un mammifero di medio-grossa taglia, erbivoro, quadrupede che si muove sulla punta dell’unghia. Il cavallo ha accompagnato e accompagna l’uomo per scopi ricreativi, sportivi, di lavoro e di polizia, bellici, agricoli, ludici e terapeutici. La femmina del cavallo, chiamata giumenta, ha un periodo di gestazione dei puledri di circa undici mesi, al termine dei quali il piccolo, una volta partorito, riesce a stare in piedi e a correre da solo dopo pochissimo tempo. Le oltre trecento razze di cavalli si dividono in base alla corporatura e al temperamento.  Non avendo particolari organi di difesa verso i predatori il suo unico mezzo di difesa è la corsa. Perciò tutta la sua evoluzione è stata orientata verso una specializzazione nella corsa. Tanto è vero che un tempo pentadattile, a seguito dell’evoluzione della specie, ora rimane un unico dito sulla punta del quale il cavallo si sposta.

La groppa è la parte del corpo tra le reni anteriormente e la coda posteriormente.

Le zampe posteriori sono formate dalla coscia, la natica (parte posteriore muscolosa e prominente), la grassella (corrispondente alla rotula), la gamba e il garretto (tra la gamba e lo stinco).  Le ossa degli arti si articolano tra di loro consentendo il movimento dell’animale.

Le zampe anteriori sono formate dalla spalla, il braccio, il cubito (tra il braccio e l’avambraccio), l’avambraccio, il ginocchio (tra l’avambraccio e lo stinco), lo stinco, il nodello (articolazione), il pastorale (fra il nodello e il piede), la corona (tra pastorale e zoccolo), il piede. Il piede è protetto esternamente dallo zoccolo.

Lo zoccolo è una scatola cornea che protegge il piede. E’ formato da una parete laterale (muraglia) e una base (suola e fettone). Il pareggio e la ferratura sono le due pratiche di cura tradizionale dello zoccolo del cavallo, svolte dal maniscalco ad intervalli regolari per riprodurre artificialmente, nel cavallo domestico, il naturale consumo e indurimento dello zoccolo, che nel cavallo selvaggio o nel cavallo in libertà è assicurato dal contatto diretto e continuo fra zoccolo e suolo.

La coda del cavallo, oltre alla sua funzione estetica, ha il compito fondamentale di scacciare gli insetti e soprattutto le mosche, e di proteggere i genitali dalla sporcizia proveniente dall’esterno. Per questo motivo, la coda del cavallo deve sempre essere pulita e pettinata.

La criniera è un ammasso di pelo lungo e folto che serve a proteggere la testa e il muso del cavallo dagli agenti atmosferici e dal freddo, mantiene il collo caldo, fa defluire l’acqua quando l’animale non ha riparo dalla pioggia, protegge il cavallo dagli insetti.

La bocca del cavallo è munita di denti, che sono 40 nel maschio e 36 nella femmina. Sulla lingua i cavalli hanno particolari papille gustative che consentono loro di esaminare e discernere i cibi buoni da quelli nocivi alla loro salute; sono inoltre in grado di riconoscere gli alimenti più ricchi di sale, che è particolarmente importante per il loro benessere.

Le orecchie: L’udito del cavallo è piuttosto sviluppato. L’apparato uditivo è simile a quello umano, ma più sensibile ai suoni di frequenza alta, non percepibili dall’uomo. Oltre che con le orecchie il cavallo percepisce le vibrazioni anche con le vibrisse e con gli zoccoli.

Il ciuffo è un ammasso di crini che scende sulla fronte del cavallo e che serve, con il suo movimento, a proteggere gli occhi dagli insetti.

La fronte del cavallo può essere di colore uniforme o con chiazze di pelo bianco che possono essere classificabili a seconda della forma in stella, fiore, palla di neve, lista, striscia. La fronte si trova tra naso, orecchie e tempie, è lunga, larga, liscia e piana.

Testa accoglie nel suo interno gli organi del sistema nervoso centrale, che rappresentano la stazione di partenza di ogni impulso vitale. Inoltre nella testa hanno sede i principali organi di senso. Da un punto di vista estetico la forma della testa del cavallo è molto importante, perchè serve a caratterizzare la razza.

Gli occhi del cavallo sono tra i più grandi fra i mammiferi della terra. Il cavallo ha una capacità visiva notturna molto sviluppata, come il cane e il gatto. Questo permette al cavallo di sfuggire prontamente ai pericolosi attacchi dei predatori della notte; di giorno, questo animale riesce a vedere, oltre il suo campo visivo, il movimento rapido di un oggetto alle sue spalle, ma ha una limitata percezione dei colori, che si limitano soltanto al blu ed al rosso.

Il collo del cavallo riveste una grande importanza nel movimento perché, agendo da bilanciere, assicura stabilità ed equilibrio al cavallo nelle sue diverse andature.

Le narici del cavallo sono molto sensibili. L’olfatto equino è più sviluppato di quello dell’uomo. I cavalli, all’interno del branco, usano il senso dell’olfatto per corteggiare i loro simili; infatti, tramite l’odore emanato dalla giumenta, lo stallone ne riesce a comprendere la sua disponibilità all’accoppiamento; quando viene al mondo un puledro, la mamma annusa attentamente il corpo del suo piccolo per riconoscerlo al momento dell’allattamento e per educarlo. Infine, tramite l’olfatto, il cavallo percepisce il pericolo di un attacco dei predatori carnivori, a causa dell’odore che essi emanano, permettendogli così di sfuggire alla morte.

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Nomenclature Montessori per le parti del cavallo

Nomenclature Montessori per le parti del pesce

Nomenclature Montessori per le parti del pesce per bambini della scuola d’infanzia (immagine, nome, immagine e nome) e per la scuola primaria (immagine, nome, definizione) pronte per il download e la stampa in formato pdf.

Per realizzare l’incastro della rana in proprio trovi il tutorial qui:

Presentazioni ed esercizi qui: 

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Nomenclature Montessori per le parti del pesce
Set per attività con l’incastro del pesce

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Nomenclature Montessori per le parti del pesce
Nomenclature 3-6 anni 

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Nomenclature Montessori per le parti del pesce
Nomenclature 6-9 anni 

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Nomenclature Montessori per le parti del pesce

Se preferite realizzare il materiale in proprio, questi sono i testi utilizzati:

I pesci sono animali acquatici a sangue freddo. Vivono in tutto il pianeta negli oceani, nei mari, nei fiumi, nei laghi e negli abissi. Ne esistono più di 30.000 specie. Il loro corpo è idrodinamico, cioè adatto a muoversi in acqua. I pesci sono vertebrati coperti di squame e dotati di pinne, che respirano attraverso le branchie. Le pinne sono gli organi di locomozione dei pesci, cioè gli organi che permettono il movimento. Si tratta di strutture formate da raggi ossei o cartilaginei collegati da una membrana di pelle.

Le pinne dorsali possono essere da 1 a 3 e a volte possono fondersi con l’anale e la caudale, formando un’unica grande pinna. La pinna dorsale si trova lungo la parte superiore del corpo  del pesce e serve a dare stabilità. Può essere dotata di spine, che servono da difesa contro i predatori.

La pinna pelvica, situata sul ventre del pesce, serve da timone quando il pesce vuole cambiare la direzione del suo movimento.

La pinna caudale è responsabile della principale spinta propulsiva del pesce, è disposta verticalmente rispetto al piano del pesce e si muove da destra verso sinistra e viceversa. Questa caratteristica permette di distinguere a prima vista un pesce da un cetaceo, in cui la pinna caudale è disposta orizzontalmente e si muove dal basso verso l’alto. A seconda della sua forma può essere adatta al nuoto per lunghe distanze oppure alla velocità.

La pinna pettorale si trova sotto all’apertura delle branchie, da entrambi i lati, e funziona da timone per accompagnare il movimento e aumentare la stabilità del corpo del pesce in acqua.

La pinna anale si trova non lontano dall’ano e viene usata per stabilizzare il pesce quando nuota. Non tutti i pesci ne sono dotati, ma in pesci particolari la pinna anale riveste una particolare importanza ai fini del movimento sostituendo la pinna caudale: nel pesce luna, ad esempio, la pinna anale accoppiata alla pinna dorsale consente al pesce di muoversi lentamente ondeggiando.

Il corpo dei pesci è idrodinamico, cioè adatto a muoversi in acqua. Le dimensioni dei pesci variano dai 16 m dello squalo balena ai circa 8 mm della Schindleria brevipinguis, considerato il vertebrato più piccolo del mondo.

Le scaglie. Come tutti i vertebrati, i pesci presentano una pelle composta da due strati: l’epidermide (la parte esterna) e il derma (la parte interna), ma sopra l’epidermide i pesci hanno uno strato in più formato da scaglie. Le scaglie sono formate da un materiale simile alla dentina e sono incastrate una con l’altra come le tegole di un tetto; crescono come crescono unghie e peli. La loro funzione è quella di coprire il corpo del pesce rendendolo liscio e idrodinamico.

La maggior parte dei pesci presenta gli occhi ciascuno su un lato: ciò consente loro di avere un campo visivo di quasi 360° e una visione monoculare (ognuno dei due occhi mette a fuoco indipendentemente dall’altro) e grandangolare, non ad alta definizione ma che permette di controllare l’eventuale avvicinarsi di un pericolo. Gli occhi dei pesci non hanno palpebre, sono mobili e piuttosto grandi.

La testa dei pesci è direttamente attaccata al corpo, senza collo. Contiene la bocca, gli occhi e le narici.

La bocca serve ad assumere il cibo e può avere forme diverse: i pesci che vivono in superficie hanno la bocca rivolta verso l’alto, i pesci che vivono a mezza altezza hanno la bocca parallela al corpo e pesci di fondo hanno la bocca orientata verso il basso. I pesci carnivori hanno i denti.

Le narici nei pesci non hanno funzione respiratoria, ma sono un organo dell’olfatto.  Sono delle rientranze ricoperte di rosette olfattive che percepiscono le particelle odorose. L’acqua è convogliata all’interno e poi estromessa.

La branchia è un organo di respirazione: nei pesci l’acqua ricca di ossigeno entra dalla bocca ed esce dalle branchie carica di anidride carbonica.

I pesci presentano un organo di senso non presente in altri vertebrati: la linea laterale. Essa è costituita da una serie di canalicoli che corrono lateralmente nella testa e nel corpo dell’animale, collegati con l’esterno tramite piccoli pori, e ha la funzione di percepire variazioni di bassissima frequenza, flebili campi elettrici, variazioni di pressione e vibrazioni. Dalla linea laterale queste informazioni raggiungono il cervello.

Nomenclature Montessori per le parti del pesce

Esperimenti scientifici per bambini: il palloncino-razzo

Esperimenti scientifici per bambini: il palloncino-razzo.

Costruire un palloncino-razzo è molto semplice. Con questo esperimento metteremo a confronto un razzo ad aria con un razzo ad elio.

Materiale:
– 2 palloncini
– bombola di elio
– spago
– nastro adesivo
– 2 cannucce.

Procedimento:
– tagliamo due fili lunghi almeno 5 metri, infiliamo in ognuno una cannuccia e fissiamoli paralleli tra due pareti della stanza, volendo in salita
– gonfiamo un palloncino con aria e tenendolo chiuso con le dita (senza fare il nodo) attacchiamolo ad una delle cannucce


– gonfiamo un palloncino con l’elio

– e sempre tenendolo chiuso con le dita (senza fare il nodo) attacchiamolo all’altra cannuccia


– chiediamo: “Quale dei due razzi sarà il più potente?”

– lasciamo andare i due palloncini e osserviamo. Questi sono i nostri palloncini a termine corsa (quello verde era gonfiato con elio, quello arancio con aria):

Esperimenti scientifici per bambini: perchè dopo un po’ i palloncini a elio si sgonfiano?

Esperimenti scientifici per bambini: perchè dopo un po’ i palloncini a elio si sgonfiano? Probabilmente avrete notato che nel corso di un breve periodo di tempo, i palloncini gonfiati con elio cominciano a perdere la loro capacità di sollevarsi in aria e si sgonfiano.

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Esperimenti scientifici per bambini: perchè dopo un po’ i palloncini a elio si sgonfiano?
Primo esperimento

Con questo esperimento vogliamo misurare quanto i palloncini a elio cambiano nel corso del tempo.

Introduzione
Sappiamo che i palloncini contenenti elio volano perché l’elio è più leggero dell’aria circostante. In altre parole, il peso dell’aria spostata dal pallone è maggiore del peso del palloncino e il gas all’interno, quindi il palloncino sale verso l’alto.
Questa forza, detta forza di Archimede o forza idrostatica, è esattamente data dalla differenza di peso del pallone e del suo contenuto (più eventualmente il peso dello spago legato ad esso), rispetto al peso del volume dell’aria spostata.
Il lattice di cui sono fatti i palloncini è una membrana permeabile, cioè ha molto piccoli fori che permettono gli atomi di elio di sfuggire. L’elio fuoriesce dai palloncini in lattice più velocemente di quanto non avvenga con i palloncini gonfiati con aria, a causa delle piccole dimensioni degli atomi di elio.
Poiché l’elio intrappolato all’interno di un palloncino in lattice sfugge lentamente, il palloncino inizia a scendere. Arriverà poi ad un punto in cui la forza di gravità e la forza idrostatica saranno uguali, ed a questo punto il palloncino si fermerà a mezz’aria, senza salire né scendere: questa situazione è detta “assetto neutro”.

Materiali:
– cucchiaio di metallo
– bilancia digitale con una precisione di almeno 1 g
– metro da sarto
– 1 palloncino in lattice
– bombola di elio
– spago e forbici
– quaderno.

Esecuzione dell’esperimento
– pesiamo il cucchiaio e registriamo i valori sul quaderno


– gonfiamo il palloncino utilizzando la bombola di elio


– fissiamo il palloncino al cucchiaio per mezzo dello spago, per zavorrarlo
– pesiamo ora il cucchiaio con il palloncino attaccato ad esso e registriamo i valori sul quaderno


– col metro misuriamo il diametro del palloncino
– ripetiamo le misurazioni ogni 2 ore, registrando i dati
– analizziamo i dati
– possiamo anche realizzare un grafico mettendo in relazione tempo e peso e tempo e diametro per vedere se il tasso è costante oppure no.

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Esperimenti scientifici per bambini: perchè dopo un po’ i palloncini a elio si sgonfiano?
Secondo esperimento

Ipotesi
Abbassare la pressione dell’aria circostante causerà una fuoriuscita di elio dal palloncino a maggiore velocità.

Introduzione
La diffusione è il passaggio di molecole da una zona ad alta densità verso un’area a densità minore.
In questo esperimento le molecole di elio all’interno del palloncino (che sono ad alta densità molecolare) si spostano all’esterno nello spazio aereo intorno al palloncino.
La pressione dell’aria della stanza in cui è condotto l’esperimento, può essere variata ripetendo l’esperimento in stanze che si trovano a piani diversi in un edificio alto.

Materiale:
– 60 palloncini
– bombola di elio
– metro da sarto
– 60 chiodi per tenere abbassati i palloni
– spago per legare i palloncini
– un edificio alto (almeno 60 piani) possibilmente con stanze climatizzate.

Esperimenti scientifici per bambini: perchè dopo un po’ i palloncini a elio si sgonfiano?

Procedura
Per questo esperimento, la variabile indipendente è la pressione dell’aria ambientale.
Per misurare il diametro esterno del palloncino si utilizzano un righello e due tavole di legno.
Le costanti (variabili di controllo) possono essere la temperatura nella stanza, il livello di umidità e il tipo di gas utilizzato per gonfiare i palloncini.
L’esperimento viene condotto in una stanza climatizzata per mantenere una temperatura e umidità costanti. Essa viene eseguita al piano terra, al 30° e al 60° piano di un edificio, al fine di fornire dati provenienti da ambienti con diversa pressione dell’aria in cui sono immersi i palloncini gonfiati con elio.
L’esperimento inizia al piano terra. Si gonfiano con l’elio 20 palloncini. Tutti i palloncini devono avere lo stesso diametro (ad esempio 300 mm). Si legano a un pezzo di spago e si zavorrano con un chiodo.
Il diametro dei palloncini viene misurato una volta ogni 2 ore ed i risultati sono riportati in una tabella.
Lo stesso procedimento viene ripetuto in una stanza al 30° piano ed in una al 60° piano.

Osservazione
Si osserverà che i palloncini al 60 ° piano si riducono in termini di dimensioni e diametro ad un ritmo più veloce rispetto ai palloncini al piano terra. In altre parole, l’elio fuoriesce più rapidamente dai palloncini situati al piano più alto.

Esperimenti scientifici per bambini: perchè dopo un po’ i palloncini a elio si sgonfiano?

Conclusione
L’ipotesi si dimostra vera. I piani più alti di un edificio hanno una pressione atmosferica inferiore rispetto a quelli più bassi e quindi una minore densità dell’aria. Questo fa sì che l’elio, che all’interno del palloncino ha una densità maggiore, fugga più rapidamente a causa della diffusione, perchè l’elio è in grado di uscire attraverso i fori microscopici che esistono naturalmente nelle pareti dei palloncini di lattice. Questi piccoli fori sono più grandi degli atomi di elio. È a causa di diffusione che i palloncini si riducono di dimensione nel tempo.

Esperimenti scientifici per bambini: palloncini a confronto

Esperimenti scientifici per bambini: palloncini a confronto.

Materiali
– bombola di elio
– 4 palloncini
– una bottiglia di plastica vuota senza tappo
– un sacchetto di plastica e un elastico (o un sacchetto con chiusura zip)
– una bottiglia di plastica vuota col tappo
– bicarbonato
– aceto
– spago
– forbici
– graffette metalliche
– una bacinella d’acqua (o la vasca da bagno)
– una bilancia.

Perchè alcuni palloncini possono restare sospesi in aria e altri no? Cos’è che li fa sollevare da terra?

Esperimenti scientifici per bambini: palloncini a confronto

Esperimento
– prendiamo il sacchetto di plastica, immergiamolo nell’acqua in modo che si riempia almeno per metà, quindi spremiamo fuori l’aria e chiudiamolo
– chiediamo a un bambino di sollevare il sacchetto fuori dall’acqua e chiediamo: “Come lo senti? Pesante?”

– chiediamo di immergere di nuovo il sacchetto tenendolo immerso ma senza che tocchi il fondo e chiediamo “Adesso come lo senti? Più pesante o più leggero?”


– sentiamo il sacchetto più leggero quando è immerso in acqua perchè l’acqua della bacinella che si trova sotto al sacchetto sostiene un po’ del suo peso
– se lasciamo andare il sacchetto, l’acqua della bacinella non basta a tenerlo sollevato, ed esso affonda per la forza di gravità che attira gli oggetti verso il basso. L’acqua della bacinella non sostiene l’acqua del sacchetto.

– prendiamo un palloncino e gonfiamolo d’aria. Il palloncino gonfiato d’aria è circondato da aria, come il sacchetto pieno d’acqua è circondato d’acqua. Anche il palloncino non può essere sostenuto e quindi non può restare sollevato

– l’acqua però, come abbiamo visto sentendo il sacchetto più leggero quando immerso, può esercitare una forza dal basso verso l’alto che può portare il peso degli oggetti, e può anche tenerli sollevati. Anche l’aria può farlo, come l’acqua.
– facciamo un’altra prova. Prendiamo la bottiglia vuota chiusa col tappo. E’ molto leggera perchè contiene soltanto aria, ma naturalmente l’aria non tiene sospesa la bottiglia
– mettiamo la bottiglia nella bacinella. Cosa succede? Galleggia sulla superficie, perchè l’acqua da sola è in grado di sostenere il suo peso, con la sua forza dal basso verso l’alto che vince sulla forza di gravità. L’aria contenuta nella bottiglia è più leggera dell’acqua della bacinella, quindi l’acqua può sostenerla
– per sentire questa forza proviamo a tenere immersa la bottiglia con le mani: è molto difficile! La forza dell’acqua spinge la bottiglia verso l’alto e noi dobbiamo spingere un bel po’ verso il basso per vincerla


– prendiamo un palloncino, gonfiamolo con l’elio, chiudiamolo con un nodo e lasciamolo andare
– al palloncino succede la stessa cosa che succede alla bottiglia piena d’aria immersa nell’acqua. L’aria è più pesante e l’elio è più leggero, quindi l’aria solleva l’elio, come l’acqua sostiene l’aria

– se liberassimo il palloncino con elio, il gas al suo interno è così leggero che salirebbe fino a sparire dalla nostra vista. Fin quando salirebbe? Fino ad allontanarsi tanto dalla terra da incontrare dell’aria leggera  quanto lui. A questo punto si fermerebbe, senza salire né scendere. Si troverebbe in una condizione di equilibrio
– possiamo provare a trovare anche noi questo punto di equilibrio aggiungendo dei pesi al nostro palloncino, fino a trovare il punto in cui non sale né scende
– aggiungiamo al palloncino un pezzetto di spago, che avremo prima pesato, poi fissiamo allo spago una graffetta alla volta
– ad un certo punto o saremo così fortunati da trovare il punto di equilibrio, o dovremo togliere del peso accorciando lo spago

– ora proviamo a trovare altri modi per rendere un palloncino più leggero dell’aria, e cerchiamo il loro punto di equilibrio
– prendiamo una bottiglia vuota e versiamo in essa del bicarbonato


– aggiungiamo molto velocemente dell’aceto e fissiamo al collo della bottiglia un palloncino
– il palloncino si riempie di gas e si gonfia sotto i nostri occhi. Di quale gas si tratta? Di anidride carbonica.

Facciamolo gonfiare finché non raggiunge le stesse dimensioni del palloncino gonfiato con l’elio, quindi chiudiamolo con un nodo e aggiungiamo un pezzo di spago
– vedremo che anche questo palloncino si solleverà in aria, e potremo confrontare la velocità in cui lo fa con quella del palloncino pieno di elio. Inoltre potremo trovare il suo punto di equilibrio, come abbiamo fatto col primo palloncino
– possiamo dire che l’anidride carbonica è più leggera dell’aria, ma è più pesante dell’elio.

Esperimenti scientifici per bambini – effetti della temperatura sui gas

Esperimenti scientifici per bambini – effetti della temperatura sui gas. Con questo esperimento vogliamo dimostrare che la temperatura influisce sulla densità, e che questo può influenzare il comportamento dei gas.

Domande:
– Cos’è la densità?
– Cosa dice il principio di Archimede?
– Come la temperatura influenza la densità di un gas?
– Come la densità di un gas influenza il suo comportamento?

Materiali:
– bombola di elio
– due palloncini
– frigorifero o congelatore

Esperimenti scientifici per bambini – effetti della temperatura sui gas

Concetti base:
– l’elio è meno denso dell’aria. La densità di una sostanza è la sua massa per il suo volume e si misura in chili per metri quadri.
Quando diciamo che l’elio è meno denso dell’aria, intendiamo dire che un certo volume di elio pesa meno dello stesso volume di aria.
– la forza di Archimede (o forza idrostatica) che spinge un pallone gonfiato con elio verso l’alto può essere influenzata dalla temperatura, perchè la temperatura di un gas ne modifica la densità.

Procedimento:
– gonfiamo i due palloncini con l’elio, cercando di farli il più possibile della stessa grandezza e fermiamoli con un nodo

– mettiamo uno dei due palloncini in frigorifero o nel congelatore, e lasciamo l’altro a temperatura ambiente


– dopo 20 minuti prendiamo il pallone dal frigorifero, fotografiamo velocemente i due palloni, e liberiamoli possibilmente all’aperto
– osserviamo attentamente: quale dei due palloncini si alza più velocemente?
– Perchè c’è una differenza nel comportamento dei due palloncini?

Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede

Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede.

Il principio di Archimede afferma che “ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido (liquido o gas) riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato”.

L’esclamazione “Eureka!” che usiamo per dire che abbiamo avuto una buona idea, è tradizionalmente attribuita ad Archimede. Si narra infatti che egli abbia proprio gridato “Eureka!” quando, entrando in una vasca da bagno e notando che il livello dell’acqua era salito, capì che il volume di acqua spostata doveva essere uguale al volume della parte del suo corpo immersa. Con questo “Eureka!” che in greco antico significa “Ho trovato!”, Archimede intendeva dire che aveva trovato la soluzione al problema che gli aveva posto il principe di Siracusa Gerone II.

Gerone aveva commissionato a un orefice una corona, e gli aveva consegnato l’oro necessario per realizzarla. Ricevuta la corona finita, però, gli venne il sospetto che l’orefice lo avesse imbrogliato: la corona pesava esattamente quanto l’oro fornito, è vero, ma Gerone pensava che l’artigiano avesse sostituito parte dell’oro con un uguale peso di un metallo meno prezioso. Chiese così ad Archimede se esistesse un metodo per valutare la purezza di un oggetto d’oro.

Basandosi sull’intuizione avuta nella vasca da bagno, Archimede cominciò a ragionare: due materiali diversi, ad esempio un chilo di ferro e un chilo di legno, hanno lo stesso peso ma occupano volumi diversi. Se hanno volumi diversi, questo significa che ricevono spinte diverse se immersi nell’acqua, e queste spinte dipenderanno esclusivamente dal volume del materiale e non dal suo peso. In particolare, siccome l’oro è molto più pesante dei metalli meno nobili, una corona d’oro puro avrà un volume minore di una che contiene anche altri metalli.

Cosa fece dunque Archimede? Appese la corona ad un braccio della bilancia, e all’altro un lingotto d’oro puro con peso pari a quello della corona, e la bilancia risultò ovviamente in equilibrio. La bilancia venne poi immersa in acqua. La corona, che in effetti era in parte composta da metallo più vile (di uguale peso ma maggior volume) aveva un volume maggiore del lingotto d’oro puro,  per questo riceveva una spinta verso l’alto maggiore e la bilancia si spostò dalla parte dell’oro denunciando la frode.

La legge di Archimede non riguarda solo il caso di un corpo immerso in un liquido (oro e acqua), ma anche il caso di un corpo immerso in un gas.

Come sappiamo il metodo scientifico richiede:
– osservazione
– ipotesi
– sperimentazione e raccolta dei dati
– conclusione.

Useremo il metodo scientifico per una serie di casi che riguardano il principio di Archimede applicato ai gas.

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Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Primo esperimento

Materiali:
– bombola di elio
– due palloncini della stessa dimensione
– due pezzi di filo

Esperimento:
– gonfiamo un palloncino con elio e uno con aria

– chiudiamo entrambi con un nodo e leghiamo ad ognuno un filo
– lasciamo i palloncini contemporaneamente, tenendo il filo per l’estremità.

Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Osservazioni
:
– il palloncino gonfiato con elio si solleva verso l’alto, e deve essere tenuto per il filo se non si vuole vederlo continuare a salire
– il palloncino gonfiato con sola aria rimane a terra.

Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Conclusioni
:
– il palloncino gonfiato con aria sposta l’aria circostante senza che si crei nessuna forza di spinta verso l’alto, perchè l’aria interna e la massa del palloncino hanno una forza verso il basso che è maggiore della forza di Archimede;
– il movimento verso l’alto del palloncino gonfiato ad aria continuerà per lungo tempo. Fino a quando? Comincerà a rallentare soltanto al altezze notevoli, quando cioè incontrerà strati d’aria più leggera. Quando lasciamo un palloncino gonfiato con elio libero di volare, lo vediamo salire e salire, finché diventa un piccolo punto colorato e poi sparisce alla nostra vista. Sale così in alto nell’atmosfera da diventare non visibile.
Man mano che il palloncino sale incontra aria sempre meno densa. Anche se non possiamo vedere quello che succede, sulla base della fisica sappiamo che il pallone ad un certo punto comincerà a rallentare la velocità della sua salita e poi smetterà di salire. A questo punto le forze discendenti saranno uguali alle forze ascendenti e il palloncino non salirà né cadrà verso il basso. Se potessimo registrare l’altitudine e la velocità di salita del palloncino gonfiato con elio, potremmo calcolare, tenendo conto del volume del palloncino, la densità dell’aria e la quantità di aria spostata.
Possiamo quindi dire che:
– il palloncino riempito con elio continuerà a salire finché la forza dell’aria spostata dal palloncino verso l’alto è superiore alla massa totale del palloncino
– il palloncino cessa di salire quando raggiunge un’altezza in cui la forza di spinta verso l’alto (cioè lo spostamento d’aria causato dal palloncino) è pari alle forze discendenti del palloncino (massa x gravità = peso).

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Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Secondo esperimento

Materiali:
– bombola di elio
– due palloncini della stessa dimensione
– due pezzi di filo
– un phon.

Osservazione:
– se c’è un colpo di vento, l’energia cinetica fa sollevare il palloncino gonfiato con aria, ma quando il vento cessa il palloncino torna a scendere.

Conclusioni:
– il palloncino riempito con aria si solleva perchè la forza del vento preme contro il palloncino e supera la forza del suo peso.

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Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Terzo esperimento

Materiali:
– bombola di elio
– due palloncini della stessa dimensione
– due pezzi di filo
– un phon.

Se un palloncino viene riempito con aria calda, salirà verso l’alto.

Il palloncino riempito con aria riscaldata sale perchè l’aria calda ha un volume maggiore dell’aria fredda, quindi il palloncino risulterà essere più leggero dell’aria più fredda circostante. Questo è il principio che fa volare le mongolfiere.

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Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Quarto esperimento

Materiali:
– bombola di elio
– un palloncino
– una bacinella colma d’acqua fino all’orlo inserita in una bacinella vuota più grande
– una bilancia.

Con questo esperimento vogliamo misurare il volume del palloncino gonfiato con elio.

Procedimento:
– spingiamo delicatamente il palloncino fino ad immergerlo completamente nell’acqua


– l’acqua che traboccherà si verserà nella seconda bacinella: si tratta dell’acqua che è stata sostituita dal palloncino
– prendiamo l’acqua che si è raccolta nella seconda bacinella e pesiamola


– sapendo che 1 litro d’acqua pesa 1 chilo, possiamo sapere il volume occupato dal palloncino in litri.

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Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Quinto esperimento

Con questo esperimento possiamo determinare la potenza di sollevamento di un palloncino gonfiato con elio e dimostrare il principio di Archimede.

Materiali:
– bombola di elio
– un palloncino
– spago e forbici
– carta e penna per registrare i dati
– bilancia
– graffette metalliche

 Esperimento:
– tagliamo un pezzo di spago e pesiamolo: ricordiamo ai bambini che anche lo spago ha un peso e che questo peso lo tira verso il basso a causa della forza di gravità


– pesiamo una graffetta metallica


– leghiamo lo spago al palloncino e lasciamolo andare fino al soffitto

– fissiamo allo spago una graffetta e osserviamo se il pallone comincia a scendere. Registriamo le nostre osservazioni
– continuiamo ad aggiungere una graffetta alla volta finché il palloncino non comincerà a scendere o non avrà toccato terra. Continuiamo a registrare


– cominciamo a tagliare, se occorre, piccoli pezzi di spago finché non avremo trovato il punto di equilibrio, cioè il punto in cui il palloncino non potrà salire né scendere.

Conclusioni:
– un palloncino gonfiato con elio si solleva perchè sposta l’aria
– il peso del palloncino e di tutti gli elementi che abbiamo attaccato ad esso (spago e graffette) esercitano una forza verso il basso, ma questa forza può essere superata dall’elio, che è più leggero dell’aria; in questa condizione il palloncino continua a salire
– il palloncino comincia a scendere quando il suo peso con le aggiunte supera la forza di sollevamento

Esperimenti scientifici per bambini – palloncini a elio e legge di Archimede
Curiosità
:
– ci sono atleti che praticano una particolare attività che consiste nel sollevarsi in aria legati a dei palloni gonfiati con elio, come possiamo vedere qui: http://www.clusterballoon.org/
– mentre la mongolfiera si solleva da terra per riscaldamento dell’aria all’interno del pallone, il dirigibile si solleva proprio come i nostri palloncini perchè contiene gas più leggeri dell’aria, tra i quali proprio l’elio

Per il principio di Archimede, ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del volume di fluido spostato. Il dirigibile, volando immerso nell’aria che avvolge la Terra, ha una spinta ascensionale (P) pari al peso dell’aria che occupa il suo volume (V) meno il peso della sua struttura (Q) e del gas che lo riempie. Siccome l’aria al livello del mare pesa poco più di 1 kg per metro cubo, occorrono grandi volumi di gas leggeri per sollevare anche solo pesi modesti.

Chiamando A il peso specifico del gas interno e B il peso specifico dell’aria, avremo:

P = V (B – A) – Q

Incastro della rana Montessori

Incastro della rana Montessori con presentazioni ed esercizi per bambini della scuola d’infanzia.

E’ possibile realizzare l’incastro in proprio con feltro, cartoncino o gomma eva. Questo è il mio tutorial con cartamodelli pronti:

Il materiale degli incastri degli animali è composto da 5 incastri principali:
– un pesce
– una tartaruga (per la classe dei rettili)
– una rana (per la classe degli anfibi)
– un cavallo (per la classe dei mammiferi)
– un uccello.
Si tratta quindi degli animali tipici di una determinata classe di vertebrati.

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Incastro della rana Montessori
Presentazione 1
(presentazione del materiale)

Scopo:
– introdurre i nomi delle parti del corpo caratteristiche degli animali (uno per ogni classe di vertebrati)
– dare informazioni particolari sulle diverse parti del corpo degli animali
– consentire al bambino di confrontare la morfologia degli animali con quella degli esseri umani

Presentazione
– invitiamo un bambino a lavorare con noi all’esercizio
– andiamo allo scaffale della zoologia e, se lo abbiamo a disposizione,  indichiamo il cofanetto per gli incastri degli animali:

MATERIALIMONTESSORI.IT

– diciamo: “Questo è il cofanetto degli incastri degli animali, e questi sono gli incastri degli animali”
– mostriamo al bambino come prendere dal cofanetto l’incastro della rana e tenerlo correttamente per portarlo al tavolo o al tappeto
– arrivati al posto diciamo: “Questo è l’incastro della rana. Su questo incastro noi possiamo vedere le parti del corpo della rana”
–  attiriamo l’attenzione del bambino sugli incastri, e diciamo che si tratta di un materiale molto utile a tutti e che lo maneggeremo  con delicatezza e cura
– mostriamo al bambino come prendere i pezzi in modo corretto utilizzando i pomoli, per rimuoverli dalla tavola


– prendiamo il primo incastro e posiamolo sul tappeto


– chiediamo al bambino di rimuovere i rimanenti incastri e metterli sul tappeto


– dopo aver rimosso tutti i pezzi, prendiamone uno per i pomoli e mostriamo al bambino come riposizionarlo correttamente nell’incastro
– invitiamo il bambino a proseguire l’attività con gli altri incastri
– quando il lavoro è concluso, riponiamo l’incastro della rana nel cofanetto degli incastri degli animali, se lo abbiamo a disposizione, oppure sullo scaffale della zoologia
– incoraggiamo il bambino a prendere dal cofanetto gli incastri degli animali e lavorare con essi ogni volta che lo desidera.

Età: a partire dai 4 anni.

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Incastro della rana Montessori
Presentazione 2
(nominare le parti del corpo della rana)

Materiale
– incastro della rana
– cartellini della parte della rana pronti (oppure cartellini in bianco e penna nera).

Nomenclatura usata: testa, tronco, zampe anteriori, zampe posteriori. In seguito si aggiungono: occhi, narici, orecchie, bocca, collo, dita.

Presentazione:
– invitiamo un bambino che ha già lavorato cofanetto degli animali e chiediamogli di aiutarci a stendere il tappeto e a portare l’incastro della rana sul piano di lavoro
– togliamo i primi tre incastri nominandoli, cioè dicendo ad esempio: “testa, tronco, zampe posteriori”


– ripetere i nomi: “testa, tronco, zampe posteriori”
– chiediamo ai bambini di rimetterli al loro posto, nominandoli, cioè dicendo: “Per favore, rimetteresti a posto il tronco?”
– quando tutti gli incastri sono di nuovo al loro posto, chiediamo a un bambino di prendere gli stessi tre pezzi, uno per uno, nominandoli, ad esempio dicendo: “Per favore, toglieresti l’incastro della testa?”
– fatto questo chiediamo: “Quale parte del corpo della rana vorresti rimettere al suo posto?”. Il bambino risponderà col nome di una parte e rimetterà l’incastro corrispondente al suo posto
– ripetiamo questa lezione in tre tempi con le altre parti del corpo della rana, finché il bambino conoscerà i nomi di tutti e sei gli incastri
– se lo riteniamo efficace, mentre introduciamo i nomi delle parti del corpo possiamo darne una breve descrizione, ad esempio dicendo: ” Queste sono le zampe posteriori. Le zampe posteriori sono molto più grandi e più forti di quelle anteriori. Servono alla rana per fare grandi salti, e in questo modo le rane possono spostarsi per lunghe distanze.”
– oppure: “Questa è la testa della rana. Ha due grandi occhi, un naso e una bocca. All’interno della bocca la rana ha una grande lingua appiccicosa. Per nutrirsi la rana lancia la sua lingua fuori dalla bocca e cattura gli insetti.”
– oppure: “Questo è il tronco o corpo della rana. Nel tronco ci sono organi importanti come come lo stomaco,  il cuore, il fegato.”
– se il bambino mostra vivo interesse per questo genere di presentazioni, continuiamo nei giorni seguenti, finché non avrà acquisito familiarità con i nomi delle parti del corpo della rana
– per l’esercizio della lettura e della scrittura togliamo un incastro alla volta dalla tavola e componiamo la parola corrispondente con l’alfabeto mobile


– se il bambino è in grado di leggere, scriviamo sui cartellini in bianco i nomi delle parti del corpo ed abbiniamoli agli incastri, oppure introduciamo i cartellini pronti e i fogli di controllo

Età: a partire dai 4 anni

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Incastro della rana Montessori
Attività che possiamo proporre con l’incastro della rana

Le attività legate all’utilizzo dell’incastro della rana possono essere di discriminazione visiva, di discriminazione tattile,  di nomenclatura, di preparazione alla scrittura, di lettura; possono coprire varie fasce d’età:
– discriminazione visiva: lavorare con gli incastri; assemblare il corpo della rana su un foglio di controllo; gioco del “Cosa manca”
– discriminazione tattile: gioco del “Cosa manca”, borse del mistero, assemblaggio alla cieca
– preparazione alla scrittura: ricreare l’incastro col ritaglio
– sviluppo del linguaggio: gioco del detective, fogli di controllo e cartelli, nomenclature, definizioni.

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Incastro della rana Montessori
Lavorare con gli incastri

E’ l’attività più ovvia. Il bambino più piccolo può avere bisogno di procedere per più tentativi ed errori, mentre i più grandi sono in grado di mettere facilmente i pezzi negli incastri.

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Incastro della rana Montessori
Assemblare il corpo della rana su un foglio di controllo

Una volta che un bambino sa maneggiare gli incastri con facilità nella cornice, può provare a costruire il corpo della rana utilizzando un foglio di controllo.
I fogli di controllo in commercio prevedono un foglio muto con cartellini mobili e un foglio parlato: 

naturalmente questo è un materiale che si può realizzare facilmente in proprio, riportando i contorni degli incastri e preparando i cartellini necessari.

I fogli di controllo che ho preparato io, pronti per il download e la stampa, sono qui:

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Incastro della rana Montessori
Gioco: “Cosa manca?”

– mettiamo l’incastro della rana completo davanti al bambino
– chiediamo al bambino di voltarsi o di chiudere gli occhi (oppure bendiamolo), togliamo un pezzo dalla tavola e nascondiamolo
– chiediamo al bambino di guardare e di dirci il nome della parte mancante
– il gioco può essere reso più difficile, togliendo due pezzi invece di uno; oppure chiedendo di rispondere non a voce, ma scrivendo o disegnando la parte mancante
– si potrebbe anche chiedere di riconoscere al tatto la parte mancante (cioè tenendo gli occhi chiusi o con la benda sugli occhi).

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Incastro della rana Montessori
Incastro alla cieca

Il bambino può ricomporre l’incastro della rana con gli occhi bendati. Ricordate che è più semplice, all’inizio, se tutti gli incastri sono posizionati ordinatamente a lato della tavola, prima di bendare il bambino.

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Incastro della rana Montessori
Borsa del mistero

– scegliamo un pezzo dell’incastro della rana e mettiamolo in una piccola borsa del mistero
– il bambino tastando la borsa (oppure bendato) identifica la parte del corpo della rana
– si possono anche inserire nella borsa più pezzi alla volta, o anche tutti.

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Incastro della rana Montessori
Ricreare l’incastro col ritaglio

Tracciare il contorno degli incastri è una valida attività di pre-scrittura, e si può rendere più interessante tracciando con la matita i pezzi e poi ritagliandoli, oppure tracciando i pezzi direttamente col punteruolo.

Materiale:
– incastro della rana
– fogli di carta colorata (verdi oppure in vari colori)
– foglio di carta bianca
– matita
– punteruolo o forbici
– colla da carta

Scopo:
– approfondire la conoscenza delle parti del corpo della rana
– esercitare l’occhio e la mano in preparazione alla scrittura.

Presentazione:
– chiediamo ai bambini di portare al tavolo il materiale
– chiediamo a un bambino di scegliere un incastro e di darcelo
– mettiamo l’incastro scelto dal bambino sul foglio di carta colorato e mostriamo come tracciarne il contorno con il punteruolo. Possiamo scegliere di punteggiare interamente il contorno:

oppure di fare fori distanti tra loro di circa mezzo centimetro, che serviranno come guida per le forbici:

– con l’aiuto dei bambini ritagliamo tutte le parti della rana nello stesso modo
– al termine componiamo la rana sul foglio di carta
– incoraggiamo il bambino a ripetere l’esercizio da solo
– se il bambino sa già scrivere, può aggiungere al disegno la nomenclatura.

Nomenclatura usata: testa, tronco, zampe anteriori, zampe posteriori.

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Incastro della rana Montessori
Ricreare l’incastro col disegno e preparare fogli di controllo da soli

Tracciare il contorno degli incastri è una valida attività di pre-scrittura.  Creare il disegno completo dell’incastro è più impegnativo rispetto al collage, perché richiede che il bambino posizioni correttamente i pezzi sul foglio bianco prima di tracciarli.

Materiale:
– incastro della rana
– foglio di carta
– matita e matite colorate.

Scopo:
– approfondire la conoscenza delle parti del corpo della rana
– esercitare l’occhio e la mano in preparazione alla scrittura.

Presentazione:
– chiediamo ai bambini di portare al tavolo il materiale
– chiediamo a un bambino di scegliere un incastro e di darcelo
– mettiamo l’incastro scelto dal bambino sul foglio di carte e mostriamo come tracciarne il contorno con la matita


– togliamo l’incastro e coloriamo usando lo stesso colore dell’incastro originale
– prendiamo un altro incastro e posiamolo sul foglio nella stessa posizione in cui si trova nella tavola originale. Tracciamone i contorni e coloriamolo
– continuiamo allo stesso modo finché non avremo disegnato tutta la rana
– incoraggiamo il bambino a ripetere l’esercizio da solo
– se il bambino sa già scrivere, può aggiungere al disegno la nomenclatura.

Nomenclatura usata: testa, tronco, zampe anteriori, zampe posteriori.

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Incastro della rana Montessori
Caccia al tesoro (o gioco del detective)

Una volta che il bambino conosce il nome di ogni parte del corpo della rana, è possibile utilizzare i pezzi per giocare al detective:
– togliamo tutti i pezzi dall’incastro e mettiamoli a lato della tavola
– diciamo: “Sto cercando… sto cercando… un pezzo che inizia con la lettera C”
– se i bambini non indovinano aggiungiamo un suono
– quando hanno indovinato mettiamo il pezzo nell’incastro
– possiamo giocare anche con le lettere finali o centrali.

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Incastro della rana Montessori
Nomenclature in tre parti immagine, titolo 

– i bambini abbinano la scheda immagine+titolo all’immagine singola e al nome singolo
– identificano la parte corrispondente sull’incastro, prendono il pezzo e lo pongono sulle carte corrispondenti.

Le carte delle nomenclature sono disponibili qui:

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Incastro della rana Montessori
Scrivere i cartellini appropriati

Se il bambino sa scrivere le prime parole, può esercitarsi a scrivere dei propri cartellini per l’incastro della rana. In questa fase, naturalmente, non importa se qualche parola non è scritta correttamente.
Se il bambino è nella fase in cui riconosce i suoni, ma non sa gestire praticamente gli strumenti di scrittura, può utilizzare gli alfabeti mobili.

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Incastro della rana Montessori
Nomenclature in tre parti immagine, titolo, definizione

Materiale
– carte delle nomenclature delle parti della rana (titolo, immagine, definizione)
– incastro della rana.

Presentazione:
– mettiamo sul piano di lavoro tutte le carte delle immagini
– distribuiamo tra i bambini (o mettiamo in ordine sparso sul piano di lavoro) i titoli
– chiediamo a un bambino quale parte del corpo della rana è evidenziato nella prima immagine. Il bambino abbina all’immagine il titolo, quindi pone su di esso l’incastro corrispondente
– proseguiamo allo stesso modo per tutte le parti del corpo della rana
– se i bambini sanno già leggere bene, distribuiamo le carte delle definizioni e chiediamo loro di abbinarle a titoli e immagini


– se i bambini non sanno leggere bene, leggiamo noi una ad una le definizioni e discutiamo coi bambini dove è corretto metterle.

Scopo:
– introdurre il nome e le definizioni delle parti del corpo della rana
– aggiungere informazioni particolari relative all’anatomia della rana.

Le carte delle nomenclature sono disponibili qui:

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Incastro della rana Montessori

 

Nomenclature Montessori per le parti della rana

Nomenclature Montessori per le parti della rana per bambini della scuola d’infanzia (immagine, nome, immagine e nome) e per la scuola primaria (immagine, nome, definizione) pronte per il download e la stampa in formato pdf.

Per realizzare l’incastro della rana in proprio trovi il tutorial qui:

Per le presentazioni dell’incastro ai bambini:

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Nomenclature Montessori per le parti della rana
Set per attività con l’incastro della rana

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Nomenclature Montessori per le parti della rana
Nomenclature 3-6 anni 

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Nomenclature Montessori per le parti della rana
Nomenclature 6-9 anni 


Nomenclature Montessori per le parti della rana

Se preferite realizzare il materiale in proprio, questi sono i testi utilizzati:

La rana è un anfibio. Gli anfibi trascorrono metà della loro vita in acqua come i pesci, e metà sulla terra.
Il suo nome scientifico, usato per rane, rospi e raganelle, è anuria, che significa “senza coda”.
La rana è un carnivoro e si nutre di prede vive: insetti e piccoli invertebrati acquatici o terrestri.
Non sanno masticare, quindi ingoiano le prede intere. I maschi della rana per attirare la femmina gracidano: per emettere questo verso gonfiano dei sacchetti d’aria che si trovano nelle loro guance.

La rana ha grandi occhi sporgenti. Nella rana la palpebra inferiore è più lunga e si alza davanti all’occhio come un velo, mentre la palpebra superiore è sempre immobile. La rana può anche ritirare gli occhi all’interno della testa.
La vista della rana è sensibile al movimento, e si nutrono di prede vive perché non vedono bene le cose che non si muovono.
Gli occhi della rana possono muoversi in tutte le direzioni, anche quando l’animale è sott’acqua.

La rana ha lunghe zampe posteriori molto muscolose che permettono all’animale di spiccare grandi salti e nuotare con agilità.
Le zampe posteriori della rana hanno tre articolazioni, e per questo hanno la forma di una lettera zeta.

Le estremità delle zampe posteriori hanno cinque dita palmate che aiutano nel nuoto e non hanno unghie.
Le specie che si arrampicano sugli alberi, come le raganelle, sotto alle dita hanno dei dischetti adesivi.
Le estremità delle zampe anteriori hanno invece quattro dita soltanto, non palmate.

Il collo della rana è brevissimo e rigido, consentendo movimenti della testa molto limitati.

Le orecchie della rana sono prive di padiglione.
Le due macchie rotonde che si trovano sopra gli angoli della bocca sono le membrane timpaniche. Queste membrane si trovano a fior di pelle.
Attraverso le membrane timpaniche i messaggi uditivi raggiungono il cervello.
La rana può riconoscere il verso delle sue simili.

La bocca della rana è ampia e si estende da un lato all’altro della testa.
La lingua è molto lunga, piuttosto sottile ed appiccicosa e la rana può lanciarla velocemente fuori dalla bocca per catturare le prede vive.
La rana non mastica, ma ingoia le prede intere.

Le zampe anteriori della rana sono piccole e corte e servono principalmente per mantenere il corpo in equilibrio.
L’animale se ne può servire anche per spingere il cibo nella bocca.

La testa della rana è collegata al corpo attraverso un collo molto corto e piuttosto rigido. Presenta una bocca molto larga, due narici, le membrane timpaniche e occhi molto sporgenti.
Contiene il cervello della rana.

Le rane hanno un tronco tozzo e tarchiato.
Tutti gli organi interni della rana si trovano nel tronco: cuore, polmoni, apparato digerente.
La pelle è fine, umida e nuda, cioè senza squame.
Finché l’animale rimane nell’acqua non subisce danni, ma sulla terraferma può disidratarsi. Per questo le rane e tutti gli anfibi in genere si ricoprono di un sottile strato di muco, prodotto da apposite ghiandole della pelle, ed appaiono viscidi.

Le narici della rana si aprono nella cavità orale rendendo possibile all’animale di respirare senza aprire la bocca.
Le narici della rana, inoltre, le permettono di respirare anche sott’acqua.

 Nomenclature Montessori per le parti della rana

 

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA

L’INCASTRO DELLA PIANTA. Presentazione ed esercizi per bambini a partire dai 3 ai 5 anni.

L’incastro della pianta utilizzato per la presentazioni è offerto da :

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA

Materiale:
– incastro della pianta

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Presentazione 1
(presentazione del materiale)

Presentazione
– invitiamo un bambino a lavorare con noi all’esercizio
– andiamo allo scaffale della botanica e, se lo abbiamo a disposizione,  indichiamo il cofanetto per gli incastri della botanica
– diciamo: “Questo è il cofanetto degli incastri della botanica, e questi sono gli incastri della botanica”
– mostriamo al bambino come prendere dal cofanetto l’incastro della pianta e tenerlo correttamente per portarlo al tavolo o al tappeto
– arrivati al posto diciamo: “Questo è l’incastro della pianta. Su questo incastro noi possiamo vedere le parti della pianta”
–  attiriamo l’attenzione del bambino sugli incastri, e diciamo che si tratta di un materiale molto utile a tutti e che lo maneggeremo  con delicatezza e cura


– mostriamo al bambino come prendere i pezzi in modo corretto utilizzando i pomoli, per rimuoverli dalla tavola
– prendiamo il primo incastro e posiamolo sul tappeto
– chiediamo al bambino di rimuovere i rimanenti incastri e metterli sul tappeto

– dopo aver rimosso tutti i pezzi, prendiamone uno per i pomoli e mostriamo al bambino come riposizionarlo correttamente nell’incastro

– invitiamo il bambino a proseguire l’attività con gli altri incastri
– quando il lavoro è concluso, riponiamo l’incastro della pianta nel cofanetto degli incastri della botanica, se lo abbiamo a disposizione, oppure sullo scaffale della botanica
– incoraggiamo il bambino a prendere dal cofanetto gli incastri dei vegetali e lavorare con essi ogni volta che lo desidera.

Scopo:
– introdurre i nomi delle parti dell’albero
– dare informazioni particolari sulle diverse parti della pianta
– consentire al bambino di confrontare la morfologia della pianta con quella degli esseri umani.
– sviluppare interesse e rispetto verso le piante.

Controllo dell’errore:
– visivo e tattile
– interconnessione degli incastri tra loro

Età consigliata: dai 4 anni

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Presentazione 2
(nominare le parti della pianta)

Materiali:
– incastro della pianta
– alfabeto mobile (facoltativo)
– cartellini della parte della pianta pronti (oppure cartellini in bianco e penna nera).

Nomenclatura utilizzata:  tronco, fogliame, radice principale, radici laterali, radichette, ramo primario, ramo secondario, sistema delle radici.

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA – Presentazione:
– invitiamo un bambino che ha già lavorato col cofanetto della botanica e chiediamogli di aiutarci a stendere il tappeto e a portare l’incastro della pianta sul piano di lavoro
– togliamo i primi tre incastri nominandoli, cioè dicendo ad esempio: “fogliame, tronco, radici”
– ripetere i nomi: “fogliame, tronco, radici”
– chiediamo ai bambini di rimetterli al loro posto, nominandoli, cioè dicendo: “Per favore, rimetteresti a posto il tronco?”
– quando tutti gli incastri sono di nuovo al loro posto, chiediamo a un bambino di prendere gli stessi tre pezzi, uno per uno, nominandoli, ad esempio dicendo: “Per favore, toglieresti l’incastro del fogliame?”
– fatto questo chiediamo: “Quale parte della pianta vorresti rimettere al suo posto?”. Il bambino risponderà col nome di una parte e rimetterà l’incastro corrispondente al suo posto
– ripetiamo questa lezione in tre tempi con le altre parti della pianta, finché il bambino conoscerà i nomi di tutti gli incastri
– se lo riteniamo efficace, mentre introduciamo i nomi delle parti possiamo darne una breve descrizione
– se il bambino mostra vivo interesse per questo genere di presentazioni, continuiamo nei giorni seguenti, finché non avrà acquisito familiarità con i nomi delle parti della pianta
– per l’esercizio della lettura e della scrittura togliamo un incastro alla volta dalla tavola e componiamo la parola corrispondente con l’alfabeto mobile

(vedi anche la presentazione seguente).

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Presentazione 3
(scrivere i nomi delle parti della pianta)

Materiali:
– incastro della pianta
– alfabeto mobile.

Nomenclatura utilizzata:  tronco, fogliame, radice principale, radici laterali, radichette, ramo primario, ramo secondario, sistema delle radici.

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA – Presentazione:
– invitiamo un bambino a lavorare con noi all’esercizio
– andiamo allo scaffale della botanica e, se lo abbiamo a disposizione,  indichiamo il cofanetto per gli incastri della botanica
– mostriamo al bambino come prendere dal cofanetto l’incastro della pianta e tenerlo correttamente per portarlo al tavolo o al tappeto, quindi chiediamogli di portarci anche l’alfabeto mobile
– mettiamo l’alfabeto mobile lungo il margine superiore del tappeto
– mettiamo l’incastro della pianta accanto all’alfabeto mobile
– rimuoviamo il primo pezzo e mettiamolo sul tappeto
– nominiamo la parte della pianta corrispondente
– con l’alfabeto mobile componiamo la parola a destra del pezzo


– continuiamo così con ogni altro pezzo dell’incastro della pianta


– rimettiamo le parti nell’incastro
– rimettiamo le lettere nella scatola dell’alfabeto mobile
– riponiamo il materiale nello scaffale.

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA

Scopo:
– nominare le parti della pianta
– scrivere il nome delle parti della pianta.

Controllo dell’errore:
– interconnessione degli incastri tra loro.

Età consigliata: dai 4 anni.

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Presentazione 4

Materiale:
– una pianta
– incastro della pianta
– set per le attività con gli incastri della pianta.

Se il bambino è in grado di leggere, scriviamo sui cartellini in bianco i nomi delle parti della pianta ed abbiniamoli agli incastri, oppure introduciamo i cartellini pronti e i fogli di controllo.

I set per le attività con gli incastri della botanica sono molto interessanti perché isolano le singole parti dell’albero, della foglia e del fiore riportando il nome di ogni parte.

Si possono realizzare facilmente anche in proprio riportando i margini dell’incastro in nero su foglio bianco e preparando i cartellini da abbinare. Fogli e cartellini possono essere plastificati.

Per l’incastro della pianta ho preparato:
– foglio di lavoro senza nomi
– foglio di lavoro con nomi
– cartellini dei nomi.

PDF qui:


Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Presentazione a (foglio di lavoro con nomi)

– mostriamo una pianta in vaso o andiamo in giardino a guardare un albero
– chiediamo ai bambini di toccarlo, seguirne i margini, annusarlo, guardarlo
– mettiamo sul piano di lavoro l’incastro della pianta
– toccando le parti nominate, ricordiamo insieme i nomi delle parti della pianta che conosciamo e indichiamole sugli incastri
– mettiamo accanto all’incastro della pianta il foglio di lavoro con i nomi

– togliamo un pezzo dell’incastro e poniamolo sul foglio di lavoro
– chiediamo a un bambino di leggere il nome corrispondente sul foglio di lavoro

– procediamo allo stesso modo con tutti i pezzi dell’incastro

– dopo la presentazione i bambini potranno svolgere l’attività in modo indipendente.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA

Presentazione b (foglio di lavoro senza nomi)
– mettiamo sul piano di lavoro l’incastro della pianta
– mettiamo accanto all’incastro della pianta il foglio di lavoro senza nomi

– distribuiamo i cartellini tra i bambini (oppure mettiamoli in ordine sparso sul piano di lavoro)
– togliamo un pezzo dell’incastro e poniamolo sul foglio di lavoro
– chiediamo ai bambini chi pensa di avere il cartellino da abbinare (oppure chiediamo a un bambino di cercarlo tra quelli sul piano di lavoro)

– posizioniamo il cartellino sul foglio di lavoro
– procediamo allo stesso modo con tutti i pezzi dell’incastro

– dopo la presentazione i bambini potranno svolgere l’attività in modo indipendente.

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Attività che possiamo proporre con l’incastro della pianta

Le attività legate all’utilizzo dell’incastro della pianta possono essere di discriminazione visiva, di discriminazione tattile,  di nomenclatura, di preparazione alla scrittura, di lettura; possono coprire varie fasce d’età:
– discriminazione visiva: lavorare con gli incastri; assemblare le parti della pianta su un foglio di controllo; gioco del “Cosa manca”
– discriminazione tattile: gioco del “Cosa manca”, borse del mistero, assemblaggio alla cieca
– preparazione alla scrittura: ricreare l’incastro col ritaglio
– sviluppo del linguaggio: gioco del detective, fogli di controllo e cartelli, nomenclature, definizioni.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Lavorare con gli incastri

E’ l’attività più ovvia. Il bambino più piccolo può avere bisogno di procedere per più tentativi ed errori, mentre i più grandi sono in grado di mettere facilmente i pezzi negli incastri.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Assemblare la pianta su un foglio di controllo

Una volta che un bambino sa maneggiare gli incastri con facilità nella cornice, può provare a costruire la pianta utilizzando un foglio di controllo.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Gioco: “Cosa manca?”

– mettiamo l’incastro  completo davanti al bambino
– chiediamo al bambino di voltarsi o di chiudere gli occhi (oppure bendiamolo), togliamo un pezzo dalla tavola e nascondiamolo
– chiediamo al bambino di guardare e di dirci il nome della parte mancante
– il gioco può essere reso più difficile, togliendo due pezzi invece di uno; oppure chiedendo di rispondere non a voce, ma scrivendo o disegnando la parte mancante
– si potrebbe anche chiedere di riconoscere al tatto la parte mancante (cioè tenendo gli occhi chiusi o con la benda sugli occhi).

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Incastro alla cieca

Il bambino può ricomporre l’incastro  con gli occhi bendati. Ricordate che è più semplice, all’inizio, se tutti gli incastri sono posizionati ordinatamente a lato della tavola, prima di bendare il bambino.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Borsa del mistero

– scegliamo un pezzo dell’incastro e mettiamolo in una piccola borsa del mistero
– il bambino tastando la borsa (oppure bendato) identifica la parte
– si possono anche inserire nella borsa più pezzi alla volta, o anche tutti.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Ricreare l’incastro col ritaglio

Tracciare il contorno degli incastri è una valida attività di pre-scrittura, e si può rendere più interessante tracciando con la matita i pezzi e poi ritagliandoli, oppure tracciando i pezzi direttamente col punteruolo.

Materiale:
– incastro della pianta
– fogli di carta colorata
– foglio di carta bianca
– matita
– punteruolo o forbici
– colla da carta

Presentazione:
– chiediamo ai bambini di portare al tavolo il materiale
– chiediamo a un bambino di scegliere un incastro e di darcelo
– mettiamo l’incastro scelto dal bambino sul foglio di carta colorato e mostriamo come tracciarne il contorno con il punteruolo. Possiamo scegliere di punteggiare interamente il contorno, oppure di fare fori distanti tra loro di circa mezzo centimetro, che serviranno come guida per le forbici
– con l’aiuto dei bambini ritagliamo tutte le parti della pianta nello stesso modo
– al termine componiamo la pianta sul foglio di carta
– incoraggiamo il bambino a ripetere l’esercizio da solo
– se il bambino sa già scrivere, può aggiungere al disegno la nomenclatura.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Ricreare l’incastro col disegno e preparare fogli di controllo da soli

Tracciare il contorno degli incastri è una valida attività di pre-scrittura.  Creare il disegno completo dell’incastro è più impegnativo rispetto al collage, perché richiede che il bambino posizioni correttamente i pezzi sul foglio bianco prima di tracciarli.

Materiale:
– incastro della pianta
– foglio di carta
– matita e matite colorate.

Presentazione:
– chiediamo ai bambini di portare al tavolo il materiale
– chiediamo a un bambino di scegliere un incastro e di darcelo
– mettiamo l’incastro scelto dal bambino sul foglio di carta e mostriamo come tracciarne il contorno con la matita
– togliamo l’incastro e coloriamo usando lo stesso colore dell’incastro originale
– prendiamo un altro incastro e posiamolo sul foglio nella stessa posizione in cui si trova nella tavola originale. Tracciamone i contorni e coloriamolo
– continuiamo allo stesso modo finché non avremo disegnato tutta la pianta
– incoraggiamo il bambino a ripetere l’esercizio da solo
– se il bambino sa già scrivere, può aggiungere al disegno la nomenclatura.

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Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA
Caccia al tesoro (o gioco del detective)

Una volta che il bambino conosce il nome di ogni parte del corpo della pianta, è possibile utilizzare i pezzi per giocare al detective:
– togliamo tutti i pezzi dall’incastro e mettiamoli a lato della tavola
– diciamo: “Sto cercando… sto cercando… un pezzo che inizia con la lettera R”
– se i bambini non indovinano aggiungiamo un suono
– quando hanno indovinato mettiamo il pezzo nell’incastro
– possiamo giocare anche con le lettere finali o centrali.

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Nomenclature in tre parti immagine, titolo 

– i bambini abbinano la scheda immagine+titolo all’immagine singola e al nome singolo
– identificano la parte corrispondente sull’incastro, prendono il pezzo e lo pongono sulle carte corrispondenti.

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Scrivere i cartellini appropriati

Se il bambino sa scrivere le prime parole, può esercitarsi a scrivere dei propri cartellini per l’incastro. In questa fase, naturalmente, non importa se qualche parola non è scritta correttamente.
Se il bambino è nella fase in cui riconosce i suoni, ma non sa gestire praticamente gli strumenti di scrittura, può utilizzare gli alfabeti mobili.

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Nomenclature in tre parti immagine, titolo, definizione

Materiale
– carte delle nomenclature delle parti della pianta (titolo, immagine, definizione)
– incastro della pianta.

Presentazione:
– mettiamo sul piano di lavoro tutte le carte delle immagini
– distribuiamo tra i bambini (o mettiamo in ordine sparso sul piano di lavoro) i titoli
– chiediamo a un bambino quale parte della pianta è evidenziato nella prima immagine. Il bambino abbina all’immagine il titolo, quindi pone su di esso l’incastro corrispondente
– proseguiamo allo stesso modo per tutte le parti della pianta
– se i bambini sanno già leggere bene, distribuiamo le carte delle definizioni e chiediamo loro di abbinarle a titoli e immagini
– se i bambini non sanno leggere bene, leggiamo noi una ad una le definizioni e discutiamo coi bambini dove è corretto metterle.

Botanica Montessori L’INCASTRO DELLA PIANTA

 

Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO SENSORIALE NELLA VITA PRENATALE

Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO SENSORIALE NELLA VITA PRENATALE, la relazione madre-bambino e il ritmo sonno/veglia.

Nella vita prenatale il feto prepara gli organi di senso che consentono di conoscere l’ambiente e interagire con esso:
– la pelle è il primo e più importante organo di senso ed è già completa a 8 settimane di gravidanza. Il tatto è quindi il primo e fondamentale organo di informazione  su noi stessi e sull’ambiente che ci circonda;
– l’olfatto è pronto già al secondo mese di gravidanza: molte sostanze contenute in ciò che mangia la madre possono passare nel liquido amniotico e produrre memorie olfattive;
– il gusto è pronto verso il terzo mese di gravidanza: nel liquido amniotico passano anche i sapori dei cibi che mangia la madre;
– la vista: è pronta verso il quarto mese. Alla nascita sono presenti tutti i fotorecettori, perchè l’utero materno non è oscuro come si immagina. Il feto può sperimentare la differenza tra buio completo e una certa luminosità, e ricerca attivamente gli stimoli luminosi;
– l’udito completa la costruzione dei suoi organi tra il secondo e il quinto mese di gravidanza. Nella vita prenatale questo senso è molto stimolato: alcune stimolazioni sono interne (battito cardiaco, respirazione), altre esterne (voce materna, voci e suoni dell’ambiente esterno).
La voce materna è il suono più importante, è già al sesto mese il feto produce i movimenti muscolari necessari per articolare i fonemi delle parole pronunciate dalla madre (sincronia muscolare fonemica). Possiamo quindi vedere come già nella vita prenatale il bambino lavora all’apprendimento del linguaggio.
La voce della madre è anche il vettore principale della sua carica affettiva verso il bambino: cantare e parlare al bambino durante la gravidanza è di grandissima importanza. Queste azioni creano una memoria nel feto, e dopo la nascita daranno alla voce materna l’effetto di rassicurare e calmare il bambino.
Il cantare, inoltre, è come un massaggio per il cervello e il corpo del feto, e ha effetti positivi anche sul corpo della madre: stimola e tonifica il diaframma e i muscoli del torace e del bacino, che sono proprio quelli coinvolti nel parto.

Il bambino, dunque, riceve molte informazioni durante la vita prenatale, e queste informazioni lo aiutano anche ad una prima costruzione dello schema corporeo, che serve a percepire i confini del proprio corpo.

Le esperienze fornite dall’ambiente modellano le vie nervose e creano le strutture associative di base, e la capacità di ricordare risulta più facile quando i canali sensoriali (visivo, uditivo, olfattivo, tattile) hanno ricevuto maggiori esperienze iniziali.

In fase di sviluppo può avvenire (anche in relazione all’ambiente culturale in cui il bambino vive) che alcuni sensi siano stimolati più di altri.
Questo è particolarmente importante se pensiamo all’apprendimento: per le persone che hanno sviluppato di più il canale sensoriale uditivo, ogni spiegazione entra meglio se viene fatta con molte parole; per quelle che hanno sviluppato di più il canale visivo, un disegno; per quelle che hanno sviluppato di più il canale tattile, la possibilità di toccare degli oggetti.

A scuola, in ogni età, i migliori risultati nel campo dell’apprendimento si ottengono se l‘insegnamento coinvolge tutti i canali sensoriali, perchè in questo modo aumenta la possibilità di riuscire ad interessare ed utilizzare le strutture di base di tutti gli studenti.

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Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO SENSORIALE NELLA VITA PRENATALE
La relazione madre-bambino nella vita prenatale

La gravidanza è una situazione nella quale un essere vivente è contenuto in un altro essere vivente, ed entrambi sono contenuti in un ambiente più grande, il mondo.

Le emozioni materne in gravidanza hanno conseguenze immediate e conseguenze a lungo termine. Queste emozioni modificano la biochimica dell’ambiente in cui vive il feto, e la mente del feto è attiva e in grado di registrare e conservare esperienze.

Il dialogo che la madre instaura con il bambino può essere facilmente condiviso dal padre. Il feto può udirne la voce, che arriva insieme agli altri suoni del mondo esterno, impara a riconoscerla e comincia un rapporto con lui prima di nascere.
Il padre può contribuire a rendere più favorevole l’ambiente dove vive il bambino grazie alle emozioni positive che il suo amore produce nella madre, e che determinano cambiamenti chimici (produzione di endorfine).

Durante la gravidanza il padre e la madre possono seguire insieme corsi di preparazione, e informarsi insieme sull’alimentazione del neonato, sulle caratteristiche del suo sonno e sulle sue capacità mentali e motorie.
Insieme possono scegliere arredamento e vestiario adatto al neonato e pianificare insieme il tempo e lo spazio, prima di trovarsi troppo occupati dalla presenza reale del bambino.

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Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO SENSORIALE NELLA VITA PRENATALE
Il sonno e la veglia nella vita prenatale

Gli esseri umani sperimentano nella loro vita almeno due tipi di stato di coscienza: il sonno e la veglia. Durante il sonno, poi, esistono i periodi REM (rapid eye movements), nei quali si sogna. I periodi REM si ripetono ogni circa 90 minuti, ed occupano circa il 25% del sonno. Durante il sonno il nostro cervello consuma più ossigeno che non durante la veglia.

Verso la fine del settimo mese di gravidanza (28-30 settimane) nel feto cominciano a manifestarsi i periodi REM del sonno. Già a 32 settimane i periodi REM occupano il 70% del sonno del feto. Avvicinandosi poi al termine della gravidanza, i periodi REM diminuiscono arrivando ad occupare il 50% del sonno. Il resto del tempo è diviso in parti uguali tra sonno e veglia.

Come mai il feto sogna così tanto?

I periodi REM del sonno sono periodi in cui il corpo riceve stimoli interni, che provengono dal sistema nervoso. Durante i periodi REM si hanno nel feto, grazie a questa stimolazione, attività dei muscoli degli occhi e delle orecchie, alterazioni del battito cardiaco e alterazioni della pressione arteriosa e si verificano movimenti della trachea e dei bronchi che preparano la funzione respiratoria.

Tutta questa attività interna è maggiore di quella della veglia: il feto non perde tempo e lavora con impegno per la vita che verrà.

Non siamo in grado di dire cosa sogni il feto, ma è straordinario che passi così tanto tempo a farlo.

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Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO SENSORIALE NELLA VITA PRENATALE

Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO

Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO e il cervello. Riporto qui le informazioni scientifiche di base che possono aiutare a comprendere meglio il concetto montessoriano di mente assorbente. L’anatomia e la fisiologia devono essere messe in rapporto con l’educazione perchè ciò che permette di sviluppare bene il cervello è l’ambiente. Poiché viviamo molto al di sotto del nostro potenziale cerebrale, l’educazione ha il compito di procurare, fin dall’inizio, il miglior ambiente possibile.

“Il concetto fondamentale per l’educatore è non farsi ostacolo allo sviluppo del bambino”.

Il concepimento e la gravidanza sono il primo grande capitolo della storia personale di ogni uomo, e ogni uomo è fin dall’inizio ricco, attivo, interessato all’ambiente e a tutto ciò che gli offre per il suo sviluppo fisico e psichico.

E’ ampiamente dimostrato che le emozioni e le esperienze della vita prenatale e dei primi tre anni influiscono sulla costruzione delle strutture cerebrali, e dobbiamo cancellare il pregiudizio che la gravidanza sia un periodo nel quale il bambino è totalmente protetto. L’impressionante sviluppo fisico che avviene a partire dal concepimento è accompagnato da uno sviluppo psichico altrettanto impressionante.

Non deve sembrare strano parlare di attività psichica prenatale, se intendiamo per attività psichica la capacità di ricevere informazioni, dare ad esse un significato, rispondere in modo appropriato e memorizzare l’esperienza fatta. L’unico sforzo che dobbiamo fare per comprendere questo concetto, è separare il concetto di “attività psichica” da quello di “attività cosciente”.

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Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO
Il sistema nervoso

Le cellule cerebrali sono dette neuroni. Come tutte le cellule, i neuroni presentano:
– una membrana esterna che li delimita;
– una parte chiara interna, il citoplasma;
– il nucleo.
Ogni neurone ha inoltre prolungamenti di due tipi:
– i dendriti (dal greco dendron=albero): prolungamenti corti che si intrecciano tra loro come i rami di un albero. I dendriti provvedono a creare una rete di scambio dei neuroni tra di loro, formando reti di informazione che consentono un lavoro sempre più rapido ed accurato;
– un assone: prolungamento più lungo. Gli assoni creano una continua e fitta rete di scambio tra i neuroni e tutte le parti del corpo, portando informazioni dalla periferia al centro (cioè al cervello) e dal centro alla periferia.

Le connessioni anatomiche (dendriti e assoni) cominciano a svilupparsi durante la gravidanza, ma soprattutto durante i primi tre anni dopo la nascita.
Il sistema nervoso umano è costituito da circa 100 miliardi di neuroni e ogni singolo neurone può produrre da 1.000 a 10.000 connessioni con gli altri neuroni.

“Ogni cervello umano è una galassia di intelligenze dove brilla la luce di un miliardo di stelle”
 (Timothy Ferris – The mind’s sky).

La maggior parte di noi non si rende conto di possedere una tale ricchezza, così non può riconoscerla nei bambini.
Pensiamo che ognuno dei 100 miliardi di neuroni ha, fin dalla vita prenatale, alcuni dendriti: essi continuano ad aumentare in rapporto alle esperienze che i bambini vivono nell’ambiente.
La via migliore per arrivare ad un miglior uso del nostro cervello, è dare una buona quantità e qualità di informazioni nei primi anni di vita, perchè proprio in questo periodo il cervello dimostra la maggior capacità di sviluppare circuiti funzionali specializzati.
Purtroppo gli educatori non sono consapevoli dei 100 miliardi di neuroni presenti nel cervello dei neonati, e dell’urgenza di farli lavorare immediatamente.
E’ nostra responsabilità fornire ogni giorno un buon cibo per lo sviluppo del cervello dei nostri bambini, e questo cibo consiste in informazione di base che devono essere di buona qualità e offerte al momento giusto: per l’essere umano il momento giusto comincia nella vita prenatale e continua nei primi mesi ed anni della vita del bambino.
Queste informazioni di base, che il bambino riceve attraverso il contatto corporeo, l’odore, la voce, la musica, sono i materiali con i quali vengono costruite le strutture percettive da usare per tutta la vita.

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Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO
Il cervello

Il cervello è composto da due metà: gli emisferi cerebrali, uniti tra loro dal corpo calloso, formato da fibre nervose che permettono ai due emisferi di comunicare continuamente tra loro. La parte esterna del cervello è costituita dalla corteccia cerebrale.

Secondo il neuroscienziato Paul McLean lo sviluppo del cervello avviene attraverso tappe di accrescimento e specializzazione che portano alla formazione di tre strutture nervose distinte, tanto da poter parlare di “tre cervelli”:
– cervello senso-motorio: rende possibile la conservazione della vita, la difesa del territorio, il senso dell’individualità e gli istinti sessuali; è presente nei rettili;
– cervello emozionale-cognitivo: rende possibile la coscienza sociale, le relazioni, il senso di appartenenza, la cura della prole, il sacrificio proprio per il bene del gruppo; è presente nei mammiferi più antichi;
– corteccia cerebrale: rende possibile l’essere orientati verso l’ambiente esterno, l’attenzione a ciò che avviene intorno a sé, un raffinato uso dei sensi; crea la necessità di una lunga infanzia e l’educazione della prole; comincia ad essere presente nei mammiferi superiori, i primati.
Queste tre strutture, nel feto, cominciano a funzionare nel primo, nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza.

Passando dal cervello dei primati a quello degli esseri umani, la corteccia cerebrale aumenta talmente tanto che ha bisogno di molte ondulazioni su se stessa per poter essere contenuta tutta nel cranio. La più grande corteccia cerebrale dell’essere umano permette il pensiero razionale, la conoscenza del tempo e dello spazio, la possibilità di ricordare il passato e fare previsioni per il futuro. Tra tutte, la parte di corteccia che più aumenta nell’uomo è quella anteriore (lobi frontali): è la parte che rende possibile la civiltà, prendere decisioni personali e sociali, attuare i comportamenti più elevati.
La corteccia cerebrale inizia a funzionare durante il primo anno di vita, e ha un secondo importante periodo di accrescimento nel periodo tra i 15-21 anni, con un picco intorno ai 18 anni.

Per quanto riguarda gli emisferi cerebrali, in ognuno vi sono:
– aree che svolgono funzioni uguali che riguardano le due metà del corpo (ad esempio il movimento);
– aree presenti o in un emisfero o nell’altro (ad esempio il linguaggio).
Tra le aree presenti o in un emisfero o nell’altro, ricordiamo:
emisfero sinistro: pensiero razionale analitico, cioè la capacità di creare sequenze logiche. All’emisfero sinistro appartengono quindi linguaggio verbale, matematica, filosofia, tecnologia…
emisfero destro: pensiero intuitivo,  cioè la capacità di processare rapidamente moltissimi dati per ottenere una risposta immediata. All’emisfero destro appartengono quindi il linguaggio delle immagini, il linguaggio non verbale, la musica, la danza, lo sport…
Questa specializzazione è già presente nei neonati, e deve essere ben compresa dagli educatori per offrire fin dall’inizio adeguate esperienze ad entrambi gli emisferi: le due metà del nostro cervello sono capaci di una meravigliosa collaborazione, e quanto più grande è la collaborazione tra di esse, tanto più il lavoro da essi prodotto nei vari campi sarà ricco.

I due emisferi cerebrali sono specializzati in lavori diversi, ma ugualmente preziosi per la nostra vita, e dalle loro diverse funzioni derivano:
– due tipi di coscienza
– due tipi di memoria.

Tipi di coscienza:
– durante la veglia è più usato l’emisfero sinistro, quello verbale;
– durante il sonno è più usato l’emisfero destro, quello delle immagini.

Tipi di memoria:
– memoria verbale;
– memoria visiva.

Nell’essere umano ben integrato i due emisferi lavorano sempre insieme, anche se vi è la prevalenza dell’uno o dell’altro. Sapere quanto diversamente lavorino i due emisferi è di estrema importanza per l’educazione: bisogna prendere in seria considerazione il fatto che gli esseri umani hanno una “mente doppia“.
Ad ogni età dobbiamo offrire ai bambini esperienze che riguardano il pensiero intuitivo, ed esperienze che riguardano il pensiero logico. In questo modo avremo non solo un funzionamento migliore della mente, ma anche una vita più felice dal punto di vista personale e sociale.

La nostra educazione tende a separare i due emisferi, perchè molti dei lavori che appartengono all’emisfero destro non sono apprezzati dalla nostra cultura, e le diverse espressioni dei due emisferi sono sempre state messe in opposizione l’una all’altra. E’ il momento di attuare un’educazione che valorizzi il lavoro di entrambi.

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Montessori da 0 a 3 anni – LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO

Botanica Montessori: incastro della foglia

Botanica Montessori: l’incastro della foglia. Presentazione ed esercizi per bambini a partire dai 3 ai 5 anni.

 

Botanica Montessori: incastro della foglia
Presentazione 1
(presentazione del materiale)

Materiali:
– incastro della foglia

L’incastro utilizzato per la presentazioni è offerto da Boboto

Presentazione
– invitiamo un bambino a lavorare con noi all’esercizio
– andiamo allo scaffale della botanica e, se lo abbiamo a disposizione,  indichiamo il cofanetto per gli incastri della botanica
– diciamo: “Questo è il cofanetto degli incastri della botanica, e questi sono gli incastri della botanica”
– mostriamo al bambino come prendere dal cofanetto l’incastro della foglia e tenerlo correttamente per portarlo al tavolo o al tappeto
– arrivati al posto diciamo: “Questo è l’incastro della foglia. Su questo incastro noi possiamo vedere le parti della foglia.”
–  attiriamo l’attenzione del bambino sugli incastri, e diciamo che si tratta di un materiale molto utile a tutti e che lo maneggeremo  con delicatezza e cura
– mostriamo al bambino come prendere i pezzi in modo corretto utilizzando i pomoli, per rimuoverli dalla tavola
– prendiamo il primo incastro e posiamolo sul tappeto
– chiediamo al bambino di rimuovere i rimanenti incastri e metterli sul tappeto

– dopo aver rimosso tutti i pezzi, prendiamone uno per i pomoli e mostriamo al bambino come riposizionarlo correttamente nell’incastro

– invitiamo il bambino a proseguire l’attività con gli altri incastri
– quando il lavoro è concluso, riponiamo l’incastro della foglia nel cofanetto degli incastri della botanica, se lo abbiamo a disposizione, oppure sullo scaffale della botanica
– incoraggiamo il bambino a prendere dal cofanetto gli incastri dei vegetali e lavorare con essi ogni volta che lo desidera.

Nomenclatura utilizzata: foglia, stipola, picciolo, lamina, base, margine, apice, nervatura

Scopo:
– sviluppare interesse e rispetto verso le piante
– conoscere le parti della foglia.

Controllo dell’errore:
– interconnessione degli incastri tra loro

Età consigliata: dai 4 anni

Botanica Montessori: incastro della foglia
Presentazione 2
(nominare le parti della foglia)

Materiali:
– incastro della foglia
– alfabeto mobile (facoltativo)
– cartellini della parte della foglia pronti (oppure cartellini in bianco e penna nera).

Nomenclatura utilizzata: foglia, stipola, picciolo, lamina, base, margine, apice, nervatura.

Presentazione:
– invitiamo un bambino che ha già lavorato col cofanetto della botanica e chiediamogli di aiutarci a stendere il tappeto e a portare l’incastro della foglia sul piano di lavoro
– togliamo i primi tre incastri nominandoli, cioè dicendo ad esempio: “picciolo, margine, base”
– ripetere i nomi: “picciolo, margine, base”
– chiediamo ai bambini di rimetterli al loro posto, nominandoli, cioè dicendo: “Per favore, rimetteresti a posto il picciolo?”
– quando tutti gli incastri sono di nuovo al loro posto, chiediamo a un bambino di prendere gli stessi tre pezzi, uno per uno, nominandoli, ad esempio dicendo: “Per favore, toglieresti l’incastro del margine?”
– fatto questo chiediamo: “Quale parte della foglia vorresti rimettere al suo posto?”. Il bambino risponderà col nome di una parte e rimetterà l’incastro corrispondente al suo posto
– ripetiamo questa lezione in tre tempi con le altre parti della foglia, finché il bambino conoscerà i nomi di tutti gli incastri
– se lo riteniamo efficace, mentre introduciamo i nomi delle parti possiamo darne una breve descrizione
– se il bambino mostra vivo interesse per questo genere di presentazioni, continuiamo nei giorni seguenti, finché non avrà acquisito familiarità con i nomi delle parti della foglia
– per l’esercizio della lettura e della scrittura togliamo un incastro alla volta dalla tavola e componiamo la parola corrispondente con l’alfabeto mobile

(vedi anche la presentazione seguente).

Botanica Montessori: incastro della foglia
Presentazione 3
(scrivere i nomi delle parti della foglia)

Materiali:
– incastro della foglia
– alfabeto mobile.

Nomenclatura utilizzata: foglia, stipola, picciolo, lamina, base, margine, apice, nervatura.

Presentazione:
– invitiamo un bambino a lavorare con noi all’esercizio
– andiamo allo scaffale della botanica e, se lo abbiamo a disposizione,  indichiamo il cofanetto per gli incastri della botanica
– mostriamo al bambino come prendere dal cofanetto l’incastro della foglia e tenerlo correttamente per portarlo al tavolo o al tappeto, quindi chiediamogli di portarci anche l’alfabeto mobile
– mettiamo l’alfabeto mobile lungo il margine superiore del tappeto
– mettiamo l’incastro della foglia accanto all’alfabeto mobile
– rimuoviamo il primo pezzo e mettiamolo sul tappeto
– nominiamo la parte della foglia corrispondente
– con l’alfabeto mobile componiamo la parola a destra del pezzo
– continuiamo così con ogni altro pezzo dell’incastro della pianta

– rimettiamo le parti nell’incastro
– rimettiamo le lettere nella scatola dell’alfabeto mobile
– riponiamo il materiale nello scaffale.

Scopo:
– nominare le parti della foglia
– scrivere il nome delle parti della foglia.

Controllo dell’errore:
– interconnessione degli incastri tra loro

Età consigliata: dai 4 anni


Botanica Montessori: incastro della foglia
Presentazione 4

Materiale:
– foglie vere
– incastro della foglia
– set per le attività con gli incastri della foglia.

I set per le attività con gli incastri della botanica sono molto interessanti perché isolano le singole parti dell’albero, della foglia e del fiore riportando il nome di ogni parte.

Si possono realizzare facilmente anche in proprio riportando i margini dell’incastro in nero su foglio bianco e preparando i cartellini da abbinare. Fogli e cartellini possono essere plastificati.

Per l’incastro della foglia ho preparato:
– foglio di lavoro senza nomi
– foglio di lavoro con nomi
– cartellini dei nomi.

Presentazione a (foglio di lavoro con nomi):
– distribuiamo una foglia per ogni bambino e teniamone una per noi
– chiediamo ai bambini di toccarla, seguirne i margini, annusarla, guardarla
– mettiamo sul piano di lavoro l’incastro della foglia
– toccando le parti nominate, ricordiamo insieme i nomi delle parti della foglia che conosciamo e indichiamola sugli incastri
– mettiamo accanto all’incastro della foglia il foglio di lavoro con i nomi

– togliamo un pezzo dell’incastro e poniamolo sul foglio di lavoro
– chiediamo a un bambino di leggere il nome corrispondente sul foglio di lavoro

– procediamo allo stesso modo con tutti i pezzi dell’incastro

– dopo la presentazione i bambini potranno svolgere l’attività in modo indipendente

Botanica Montessori: incastro della foglia – Presentazione b (foglio di lavoro senza nomi)
– mettiamo sul piano di lavoro l’incastro della foglia
– mettiamo accanto all’incastro della foglia il foglio di lavoro senza nomi

– distribuiamo i cartellini tra i bambini (oppure mettiamoli in ordine sparso sul piano di lavoro)

– togliamo un pezzo dell’incastro e poniamolo sul foglio di lavoro
– chiediamo ai bambini chi pensa di avere il cartellino da abbinare (oppure chiediamo a un bambino di cercarlo tra quelli sul piano di lavoro)

– posizioniamo il cartellino sul foglio di lavoro
– procediamo allo stesso modo con tutti i pezzi del puzzle

– dopo la presentazione i bambini potranno svolgere l’attività in modo indipendente.


Botanica Montessori: incastro della foglia

Botanica Montessori: incastro della foglia
Attività che possiamo proporre con l’incastro della foglia

Le attività legate all’utilizzo dell’incastro della foglia possono essere di discriminazione visiva, di discriminazione tattile,  di nomenclatura, di preparazione alla scrittura, di lettura; possono coprire varie fasce d’età:
– discriminazione visiva: lavorare con gli incastri; assemblare le parti della foglia su un foglio di controllo; gioco del “Cosa manca”
– discriminazione tattile: gioco del “Cosa manca”, borse del mistero, assemblaggio alla cieca
– preparazione alla scrittura: ricreare l’incastro col ritaglio
– sviluppo del linguaggio: gioco del detective, fogli di controllo e cartelli, nomenclature, definizioni.


Lavorare con gli incastri

E’ l’attività più ovvia. Il bambino più piccolo può avere bisogno di procedere per più tentativi ed errori, mentre i più grandi sono in grado di mettere facilmente i pezzi negli incastri.


Assemblare la pianta su un foglio di controllo

Una volta che un bambino sa maneggiare gli incastri con facilità nella cornice, può provare a costruire la foglia utilizzando un foglio di controllo.


Gioco: “Cosa manca?”

– mettiamo l’incastro  completo davanti al bambino
– chiediamo al bambino di voltarsi o di chiudere gli occhi (oppure bendiamolo), togliamo un pezzo dalla tavola e nascondiamolo
– chiediamo al bambino di guardare e di dirci il nome della parte mancante
– il gioco può essere reso più difficile, togliendo due pezzi invece di uno; oppure chiedendo di rispondere non a voce, ma scrivendo o disegnando la parte mancante
– si potrebbe anche chiedere di riconoscere al tatto la parte mancante (cioè tenendo gli occhi chiusi o con la benda sugli occhi).


Incastro alla cieca

Il bambino può ricomporre l’incastro  con gli occhi bendati. Ricordate che è più semplice, all’inizio, se tutti gli incastri sono posizionati ordinatamente a lato della tavola, prima di bendare il bambino.


Borsa del mistero

– scegliamo un pezzo dell’incastro e mettiamolo in una piccola borsa del mistero
– il bambino tastando la borsa (oppure bendato) identifica la parte
– si possono anche inserire nella borsa più pezzi alla volta, o anche tutti.


Ricreare l’incastro col ritaglio

Tracciare il contorno degli incastri è una valida attività di pre-scrittura, e si può rendere più interessante tracciando con la matita i pezzi e poi ritagliandoli, oppure tracciando i pezzi direttamente col punteruolo.

Materiale:
– incastro della foglia
– fogli di carta colorata
– foglio di carta bianca
– matita
– punteruolo o forbici
– colla da carta

Presentazione:
– chiediamo ai bambini di portare al tavolo il materiale
– chiediamo a un bambino di scegliere un incastro e di darcelo
– mettiamo l’incastro scelto dal bambino sul foglio di carta colorato e mostriamo come tracciarne il contorno con il punteruolo. Possiamo scegliere di punteggiare interamente il contorno, oppure di fare fori distanti tra loro di circa mezzo centimetro, che serviranno come guida per le forbici
– con l’aiuto dei bambini ritagliamo tutte le parti della foglia nello stesso modo
– al termine componiamo la foglia sul foglio di carta
– incoraggiamo il bambino a ripetere l’esercizio da solo
– se il bambino sa già scrivere, può aggiungere al disegno la nomenclatura.


Ricreare l’incastro col disegno e preparare fogli di controllo da soli

Tracciare il contorno degli incastri è una valida attività di pre-scrittura.  Creare il disegno completo dell’incastro è più impegnativo rispetto al collage, perché richiede che il bambino posizioni correttamente i pezzi sul foglio bianco prima di tracciarli.

Materiale:
– incastro della foglia
– foglio di carta
– matita e matite colorate.

Presentazione:
– chiediamo ai bambini di portare al tavolo il materiale
– chiediamo a un bambino di scegliere un incastro e di darcelo
– mettiamo l’incastro scelto dal bambino sul foglio di carta e mostriamo come tracciarne il contorno con la matita
– togliamo l’incastro e coloriamo usando lo stesso colore dell’incastro originale
– prendiamo un altro incastro e posiamolo sul foglio nella stessa posizione in cui si trova nella tavola originale. Tracciamone i contorni e coloriamolo
– continuiamo allo stesso modo finché non avremo disegnato tutta la foglia
– incoraggiamo il bambino a ripetere l’esercizio da solo
– se il bambino sa già scrivere, può aggiungere al disegno la nomenclatura.


Caccia al tesoro (o gioco del detective)

Una volta che il bambino conosce il nome di ogni parte del corpo della pianta, è possibile utilizzare i pezzi per giocare al detective:
– togliamo tutti i pezzi dall’incastro e mettiamoli a lato della tavola
– diciamo: “Sto cercando… sto cercando… un pezzo che inizia con la lettera M”
– se i bambini non indovinano aggiungiamo un suono
– quando hanno indovinato mettiamo il pezzo nell’incastro
– possiamo giocare anche con le lettere finali o centrali.


Nomenclature in tre parti immagine, titolo 

– i bambini abbinano la scheda immagine+titolo all’immagine singola e al nome singolo
– identificano la parte corrispondente sull’incastro, prendono il pezzo e lo pongono sulle carte corrispondenti.


Scrivere i cartellini appropriati

Se il bambino sa scrivere le prime parole, può esercitarsi a scrivere dei propri cartellini per l’incastro. In questa fase, naturalmente, non importa se qualche parola non è scritta correttamente.
Se il bambino è nella fase in cui riconosce i suoni, ma non sa gestire praticamente gli strumenti di scrittura, può utilizzare gli alfabeti mobili.


Nomenclature in tre parti immagine, titolo, definizione

Botanica Montessori: incastro della foglia – Materiale
– carte delle nomenclature delle parti della foglia (titolo, immagine, definizione)
– incastro della foglia .

Botanica Montessori: incastro della foglia – Presentazione:
– mettiamo sul piano di lavoro tutte le carte delle immagini
– distribuiamo tra i bambini (o mettiamo in ordine sparso sul piano di lavoro) i titoli
– chiediamo a un bambino quale parte della pianta è evidenziato nella prima immagine. Il bambino abbina all’immagine il titolo, quindi pone su di esso l’incastro corrispondente
– proseguiamo allo stesso modo per tutte le parti della foglia
– se i bambini sanno già leggere bene, distribuiamo le carte delle definizioni e chiediamo loro di abbinarle a titoli e immagini
– se i bambini non sanno leggere bene, leggiamo noi una ad una le definizioni e discutiamo coi bambini dove è corretto metterle.


Botanica Montessori: incastro della foglia

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