John Cage

John Cage studia pianoforte da maestri privati da ragazzino. Studia la musica dell’800 e si interessa alla tecnica del virtuosismo pianistico.
Con il passare del tempo diventa sempre più sperimentale, usa la tecnica seriale, sia di tipo dodecafonico, sia con delle serie da lui stabilite, ad esempio con una serie basata su 25 note.
Nel 1940 gli viene commissionata una musica per il balletto Bacchanale. Qui per la prima volta sperimenta la tecnica del “piano preparato”, piazzando una piastra di metallo sulle corde, così da modificare il timbro dello strumento e produrre suoni percussivi.

Nei pezzi per piano preparato si inseriscono tra le corde del pianoforte svariati oggetti, di modo che l’esecutore produca suoni che non sono del tutto volontari.

È uno studio sulla casualità del timbro: il compositore indica la preparazione dello strumento ma non decide completamente il risultato sonoro della sua opera. Si generano suoni che suggeriscono il suono prodotto da un’orchestra di percussioni. È una provocazione nei riguardi dell’inviolabilità degli strumenti classici. Il pianoforte, strumento romantico per eccellenza, viene violentato con oggetti di uso quotidiano, la tradizione europea sbeffeggiata.

Please Play or The Mother, the Father or the Family, 1989 Installazione: pianoforte e tessuti. Fondazione Mudima, Milano.

Cage basa la costruzione musicale sulla struttura ritmica, sulla successione delle durate. Esplora anche il campo dei rumori. Prova nuovi tipi di strumenti, soprattutto percussioni. Conduce esperimenti con la musica elettronica. Utilizza formule matematiche per strutturare la composizione, ad esempio i rapporti basati sulla “sezione aurea” (1 : 1,618).
Tra il 1946 e il 1948 scrive il suo lavoro per piano preparato più acclamato: Sonatas and interludes. Sono venti pezzi, sedici sonate e quattro interludi, in cui Cage porta ad un livello di maggiore complessità la sua tecnica basata sulle proporzioni ritmiche: la struttura di ogni pezzo è definita da una serie di numeri, e allo stesso modo anche le parti di ogni pezzo sono definite matematicamente.

Il processo compositivo è basato largamente sull’improvvisazione e sull’esplorazione delle varie possibilità: Cage ha scritto di averlo composto suonando il piano, sentendo le differenze e facendo una scelta. È il pezzo per piano preparato in cui la preparazione dello strumento è più complessa: ci sono 45 note preparate attraverso l’inserimento di bulloni, pezzi di gomma, pezzi di plastica e noci.
Nella seconda metà degli anni ’40 si interessa alle culture orientali: alla musica e alla filosofia indiana e al Buddhismo Zen.
Lo Zen diventa un’ impostazione filosofica con cui ridiscutere il concetto di musica. La musica viene considerata affermazione della vita, un modo per vivere veramente la nostra vita. Il concetto fondamentale è la mancanza di fini, di scopi, di intenzioni: bisogna meditare sul vuoto.

In questo periodo visita la camera anecoica dell’università di Harvard, una stanza insonorizzata in cui poter “ascoltare il silenzio”. Cage invece riesce a sentire dei suoni, i suoni del suo corpo: il battito del cuore, il sangue in circolazione. Ciò che ne ricava è la consapevolezza dell’impossibilità del silenzio assoluto.
Il silenzio è una condizione del suono, è materia sonora: sottolinea e amplifica i suoni, li rende più vibranti, ne preannuncia  l’entrata, crea suggestivi effetti di attesa e sospensione. Il silenzio è un mezzo espressivo, è pieno di potenziale significato.
Nel 1952, anche in seguito all’esperienza nella camera anecoica, compone 4’33”, per qualsiasi strumento.

L’opera consiste nel non suonare lo strumento. La sostanza esecutiva dell’opera è un’operazione teatrale più che musicale.Il titolo dell’opera (4 minuti e 33 secondi: vale a dire 273 secondi) è forse un richiamo alla temperatura dello zero assoluto (–273,15 °C).

 

Il significato del silenzio è la rinuncia a qualsiasi intenzione. La rinuncia alla centralità dell’uomo. Il silenzio non esiste, c’è sempre il suono. Il suono del proprio corpo, i suoni dell’ambiente circostante, i rumori interni ed esterni alla sala da concerto, il mormorio del pubblico se ci si trova in un teatro, il fruscio degli alberi se si è in aperta campagna, il rumore delle auto in mezzo al traffico.

Cage vuole condurre all’ascolto dell’ambiente in cui si vive, all’ascolto del mondo. È un’apertura totale nei confronti del sonoro. Una rivoluzione estetica: è la dimostrazione che ogni suono può essere musica. Io decido che ciò che ascolto è musica. È l’intenzione di ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera. Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha cambiato l’atteggiamento nei confronti del sonoro, ha messo in discussione i fondamenti della percezione.
Cage ha detto: “Cerco di pensare a tutta la mia musica posteriore a 4’33” come a qualcosa che fondamentalmente non interrompa quel pezzo”.

Uno dei modelli di 4’33” è Robert Rauschenberg, il pittore amico di Cage che nel 1951 produsse una serie di quadri bianchi, che  cambiano a seconda delle condizioni di luce dell’ambiente di esposizione.

La musica aleatoria crea un problema a livello critico. Come si può criticare un’opera che non è il frutto del lavoro intenzionale di un autore? Si conclude che il lavoro di Cage è un lavoro filosofico, che la sua importanza sta nelle idee, non nel risultato musicale di queste idee. Si pensa che i risultati di queste idee siano uguali l’uno all’altro dal punto di vista stilistico, come delle serie di numeri presi a caso. Ma Cage è un compositore e ha una sensibilità, uno stile musicale, che cambia con gli anni.
Cage si pone delle domande quando decide di comporre con tecniche casuali e se il risultato, la risposta che riceve da queste domande non lo soddisfa, cambia le domande.
Il silenzio è una condizione del suono, anzi, è il più sublime dei suoni. E’ materia sonora a tutti gli effetti, sottolinea e amplifica i suoni, li rende più vibranti, ne preannuncia l’entrata, crea suggestivi effetti di attesa e sospensione, può addirittura invadere il linguaggio.

In una lettera datata 2 ottobre 1893, Claude Debussy scriveva un po’ timidamente: “Mi sono servito di un mezzo che mi sembra assai raro, del tutto spontaneamente; cioè del silenzio, come mezzo espressivo e forse come modo per fare risultare l’espressione di una frase”.
Il silenzio, il non detto, sono dunque pieni di potenziale significato, e non soltanto in musica. Purtroppo però, almeno nella maggior parte del mondo occidentale, il silenzio viene utilizzato assai raramente, perché ha un valore negativo e viene generalmente associato alla morte. I suoni, i rumori, ci ricordano invece di non essere soli, di essere vivi: rimuoviamo la morte facendoci sommergere dal rumore. Abbiamo paura della mancanza di suoni così come abbiamo paura della mancanza di vita.
Per fortuna però, periodicamente, nel corso del Novecento da Claude Debussy arrivando fino a Salvatore Sciarrino (Cantare in silenzio), e senza dimenticare naturalmente Gian Francesco Malipiero (Le pause del silenzio del 1917), Helmut Oehring (figlio di genitori sordomuti, che, con la sua Dokume ntation I, ha scelto di rappresentate musicalmente la dimensione comunicativa del mondo silenzioso dei sordomuti), Arvo Paert (la sua poetica del Tintinnabulum: attesa solitaria di fronte al silenzio), la musica si è spinta, con motivazioni estetiche spesso diverse, fino ai limiti del silenzio.
Mai prima di John Cage però la “musica silenziosa” aveva osato tanto. 4′.33″ racchiude in sé molti aspetti dell’estetica cageana, ed egli stesso lo definì il suo pezzo migliore. Chiunque di noi, compresi tutti coloro che non hanno mai preso uno strumento in mano, lo può eseguire magistralmente. Perché? La domanda è più che legittima.

Basta indossare un abito da concerto (giusto per entrare meglio nella parte dell’esecutore) e accomodarsi al pianoforte per quattro minuti e trentatré secondi, senza suonare alcunché. Durante il primo movimento della leggendaria prima esecuzione assoluta di 4.33 si sentiva il vento che spirava, nel secondo la pioggia, e nel terzo il pubblico che parlottava o si alzava indignato per andarsene. “Sentivo e speravo diceva Cage “di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più  interessante rispetto a quella che potrebbero  ascoltare a un concerto”. Nessuno, o quasi, colse il significato allora. Eppure, con 4.33 Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha rovesciato le cose, ha cambiato, è il caso di dirlo, radicalmente l’atteggiamento nei confronti del sonoro: è l’intenzione di ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera. Ciò implica di conseguenza un’altra definizione di musica. Cage voleva semplicemente dimostrare “che fare qualcosa che non sia musica è musica”. Un virtuoso “rumoroso” come Yehudi Menuhin, quando era presidente dell’International Music Council dell’Unesco, propose addirittura che la giornata Mondiale della Musica fosse celebrata in futuro con un minuto di silenzio.
Una rivoluzione estetica, quella cageana, che è andata oltre, e che ha messo in discussione gli stessi fondamenti della percezione, nel porre la musica anche in intimo contatto con tutte le arti, senza che ciò venisse motivato da alcun genere di idealismo. La poetica di Cage si può inserire in quel filone dell’arte figurativa dell’astrattismo gestuale di Pollock, Kline, De Kooning.

Tutto ciò, da diversi punti di vista dunque, ci riporta alla concezione del silenzio di Cage:
“Per me il significato essenziale del silenzio è la rinuncia a qualsiasi intenzione”, una rinuncia alla centralità dell’Uomo, il che implica l’eliminazione totale del gusto, del ricordo, e del desiderio, una regressione e una rinascita all’innocenza.
Il silenzio (“i suoni se ne stanno nella musica per rendersi conto del silenzio che li separa”),
la filosofia zen,
l’identificazione dell’arte con la vita (“la mia opera è intesa come dimostrazione della vita”),
il ricorso alle tecniche aleatorie e casuali (con l’antico metodo cinese dell’I-Ching) volte a eliminare l’aspetto soggettivo del processo compositivo,
l’apertura totale nei confronti del sonoro (“ora non ho più bisogno di un pianoforte: ho la 6 Avenue con tutti i suoi suoni”),
la passione per Marcel Duchamp (“gli scacchi non erano altro che un pretesto per stare con lui”),
per i funghi (partecipò anche a un quiz di Mike Bongiorno),
per l’astronomia (per la stesura della partitura di Atlas Eclipticalis, ha usato un atlante astronomico, traducendo la posizione delle stelle in note),
per la Finnegan’s Wake di James Joyce,
ne fanno una delle figure creative più originali ed aperte, ancora da scoprire sotto certi aspetti, del secolo appena trascorso.

Nel 1958 John Cage compone “Aria”, per una voce di qualsiasi estensione. La dedica di copertina è per Cathy Berberian, forse la più dotata delle cantanti del ventesimo secolo. Di fatto questo brano è divenuto una tappa obbligata per qualsiasi cantante che si interessi di musica contemporanea. Ciò che subito coglie l’attenzione di un osservatore è la particolare e al contempo semplice notazione musicale rintracciabile in partitura: essa consiste essenzialmente in una sequenza di linee curve che descrivono, approssimativamente, l’andamento di pitch richiesto per l’emissione del performer.

Trattiamo, si badi, di un’altezza relativa: la posizione della curva sul foglio non sottolinea una relazione frequenziale con le curve precedenti o successive ma indica semplicemente un “cambio di stato” ed un tempo (il tempo scorre idealmente da sinistra verso destra).
A questo si aggiunga che attraverso l’utilizzo di differenti colori posti sulle curve si prescrive all’interprete un cambio di timbro. I diversi timbri non vengono predeterminati da Cage in partitura ma decisi dal performer durante la preparazione del pezzo.
Negli ultimi anni, tra il 1987 e il 1992, Cage compone le sue opere più astratte, intitolate semplicemente con dei numeri che rappresentano il numero degli esecutori. Seventy-Four per orchestra, del 1992, è composta per i 74 musicisti della American Composers Orchestra. La parte di ogni esecutore è composta di quattordici suoni isolati.
Cage indica un lasso di tempo in cui il musicista ha la libertà di decidere quando fare iniziare il suo suono e un lasso di tempo in cui concluderlo. Poiché le due misure temporali si intersecano, il musicista può decidere di fare durare il suono un certo tempo, oppure può decidere di dare una durata nulla a quel suono. Il volume e gli effetti sugli strumenti sono lasciati alla scelta degli esecutori. Anche qui il direttore è sostituito da un orologio.

In Italia Cage fu vicino al movimento artistico Gruppo 63, nato con l’idea di entrare nelle strutture della cultura italiana per metterle in mano di gente disposta a portare fino in fondo un movimento intimamente legato all’Europa. Voleva promuovere in modo policentrico l’emergenza del nuovo. Così Umberto Eco parla di John Cage (in Il gruppo 63 quarant’anni dopo”):
C’era alla Rai di Milano lo Studio di Fonologia musicale, diretto da Luciano Berio e Bruno Maderna, dove era arrivato anche John Cage. Le sue partiture (a metà tra arte visiva e insulto alla musica) erano state pubblicate sull'”Almanacco Bompiani 1962″ dedicato alle applicazioni dei calcolatori elettronici alle arti, e vi appariva la prima poesia composta da un computer, il Tape Mark I di Nanni Balestrini. (per leggere Tape Mark I puoi seguire il link, che ti porta a orbitfiles, sotto alla pubblicità clicca download e si apre l’ebook  gratuito: http://www.orbitfiles.com/download/id833537457.html ).
Cage aveva composto a Milano il suo Fontana Mix, ma nessuno ricorda perchè si chiamasse così. Cage era stato messo a pensione presso una signora Fontana, era un bellissimo uomo, la signora Fontana era molto più matura di lui e cercava dei pretesti per possederlo in fondo al corridoio.

Cage, che notoriamente aveva tutt’altre tendenze, resisteva stoicamente. Alla fine aveva intitolato la sua composizione alla signora Fontana. Poi, rimasto senza un soldo, grazie a Berio era approdato a Lascia e raddoppia come esperto sui funghi, eseguendo sul palcoscenco improbabili concerti per frullino, radio e altri elettrodomestici, mentre Mike Bongiorno domandava se quello era futurismo. Si stavano creando misteriose connessioni tra avanguardia e comunicazioni di massa, e molto prima della Pop art.”

Purtroppo il video di Cage con Mike Bongiorno è introvabile, (in rete ci sono parecchi forum impegnati nella ricerca), però si trova un “surrogato”: il video di una sua partecipazione due anni dopo  (1960) al  quiz televisivo americano “I’ve got a secret”, dove Cage esegue il pezzo Water walk.

Cage, in qualità di esperto di funghi, vinse la puntata di Lascia o raddoppia portando a casa 5 milioni di lire. Durante lo spettacolo si esibì in un concerto per caffettiere, sotto gli occhi sbigottiti del presentatore e del pubblico italiano. Memorabile il dialogo che ci fu tra Mike Bongiorno e Cage quando questi si congedò, vittorioso. Le parole di Bongiorno ci restituiscono la difficoltà nell’approcciare la musica contemporanea.
M.B.: “Bravissimo, bravo bravo bravo bravo. Bravo bravissimo, bravo Cage. Beh, il signor Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se ne intendeva di funghi… quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato. Lo sapevo perché mi ricordo che ci aveva detto che abitava nei boschetti nelle vicinanze di New York e che tutti i giorni andava a fare passeggiate e raccogliere funghi”.
J.C.: “Un ringraziamento a… funghi, e alla RAI e a tutti genti d’Italia”.
M.B.: “A tutta la gente d’Italia. Bravo signor Cage arrivederci e buon viaggio, torna in America o resta qui?”.
J.C.: “Mia musica resta”.
M.B.: “Ah, lei va via e la sua musica resta qui, ma era meglio il contrario: che la sua musica andasse via e lei restasse qui”. (fonte wikipedia).

Bruno Munari

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Bruno Munari è nato a Milano nel 1907.
I suoi genitori si trasferiscono prestissimo a Badia Polesine e Munari cresce nell’affascinante campagna veneta lungo l’Adige fino a diciotto anni, quando decide di trasferirsi da solo a Milano, spinto dal desiderio di fare l’artista.

SEMPLIFICARE E’ PIÙ DIFFICILE

Complicare è facile,
semplificare è difficile.
Per complicare basta aggiungere,
tutto quello che si vuole:
colori, forme, azioni, decorazioni,
personaggi, ambienti pieni di cose.
Tutti sono capaci di complicare.
Pochi sono capaci di semplificare.
Per semplificare bisogna togliere,
e per togliere bisogna sapere che cosa togliere,
come fa lo scultore quando a colpi di scalpello
toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più.
Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno
una scultura bellissima, come si fa a sapere
dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere
vuol dire riconoscere l’essenza delle cose
e comunicarle nella loro essenzialità.
Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode….
La semplificazione è il segno dell’intelligenza,
un antico detto cinese dice:
quello che non si può dire in poche parole
non si può dirlo neanche in molte.

Bruno Munari

Conservare l’infanzia dentro di sé per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere il piacere di capire la voglia di comunicare.

Bruno Munari

 

da “Pensare confonde le idee

…Faremo come gli insetti
che si sono rafforzati grazie all’insetticida?
I bambini abituati al passeggino non sanno
più camminare, abituati alla televisione
non sanno più pensare
i giovani sono già stanchi
e si siedono sempre sui gradini o per terra
tra i panettoni di cemento e gli archetti
di ferro giallo.
Nel caos della circolazione cittadina
l’enorme quantità di divieti
panettoni di cemento e archetti ovunque
è direttamente proporzionale
all’inciviltà dei cittadini.
Ma come sarà la casa del futuro?
In Liguria ci sono case vere
con alcune finestre finte
dipinte ad arte sulla facciata.
Suonai il campanello
(volevo vedere se dall’interno
della finestra finta
c’era dipinto sul muro
un paesaggio
in esatta corrispondenza
con la finta finestra).
Mi venne ad aprire una gentile signora
in parte vera
in parte dipinta….

…Avevo un amico a New York
che abitava nel più alto grattacielo
al primo piano
era molto triste
quando gli chiedevano
a che piano abitava
una domenica prese l’ascensore
con tutta la famiglia
salirono sul terrazzo più alto
c’era la nebbia…

Bruno Munari

 

Bruno Munari è nato a Milano nel 1907.
I suoi genitori si trasferiscono prestissimo a Badia Polesine e Munari cresce nell’affascinante campagna veneta lungo l’Adige fino a diciotto anni, quando decide di trasferirsi da solo a Milano, spinto dal desiderio di fare l’artista.

Qui con l’aiuto di uno zio ingegnere, comincia ad interessarsi di progettazione ed a lavorare presso studi di grafica. Contemporaneamente collabora con numerosissime riviste e illustra libri futuristi tra cui “Il poema vestito di latte” di Marinetti.

Con il maturare del proprio lavoro artistico e grafico, si distacca dal gruppo futurista, per porsi in una posizione autonoma rispetto a tutti i movimenti artistici italiani. Pubblica il fortunato libro “Le macchine di Munari“, e le “Fotocronache“.

Stimolato dal rapporto con il figlio Alberto, (nato nel 1940), pubblica una serie di libri per bambini altamente innovativi che verranno ristampati in diverse lingue e avranno grande successo.

A Milano è  tra i fondatori del Movimento Arte Concreta (MAC), che contribuisce al rinnovamento dell’arte italiana proponendo l’astrattismo geometrico e la “sintesi delle arti”, posizione interdisciplinare tra pittura, scultura, architettura.

Con il Movimento Munari progetta alcuni bollettini informativi secondo le sue idee trasgressive sull’oggetto-libro, ed espone in numerose occasioni, presentando tra le altre opere anche i suoi Libri illeggibili e i Negativi-positivi.

photo credit: http://escuelayarte.blogspot.com/2008/09/libro-iegible-bruno-munari.html

Iniziano le prime produzioni di oggetti su scala industriale: due giocattoli in gommapiuma e il Secchiello portaghiaccio.
Con l’inizio della collaborazione con la ditta Danese di Milano, la progettazione di oggetti di design diviene costante e ricca di successi: tra gli altri quello del diffusissimo Portacenere cubico.

La sua fama comincia a diffondersi anche all’estero: negli anni Cinquanta espone in Europa e negli USA, e inizia i viaggi in Giappone, che diverranno frequenti a riprova delle affinità che lo legano a quella cultura, imperniata su una filosofia che cerca il giusto equilibrio tra rispetto dei valori umani e produzione.

Pur continuando incessantemente l’attività artistica, quella di grafico editoriale e quella di designer; si dedica con sempre maggiore attenzione al mondo dell’infanzia, pensando ad oggetti che lascino un particolare spazio alla fantasia infantile: oggetti d’arredo, giochi, libri e collane di libri per insegnanti e per bambini anche in età prescolare (i celebri Prelibri della Danese).

La produzione di Bruno è sterminata, ferma sulle proprie posizioni, ma continuamente messa in gioco.

Munari è stato un artista designer che per tutta la sua vita ha compiuto ricerche in zone non convenzionali, esplorando le possibilità materiche strutturali e formali di nuovi mezzi, per produrre oggetti a comunicazione visiva e plurisensoriale.

Architetto-poeta attento ai codici e ai linguaggi dell’arte, lucido nell’analisi e curioso del mondo, generoso ed essenziale, lontano dalle più tradizionali e scontate regole del gioco.

Saper vedere per saper progettare, ricordava. E applicava questa regola, vero e proprio “metodo” , tanto alla struttura produttiva (dove l’oggetto è oggetto prima di essere merce) quanto alla didattica. La regola e il caso: l’unica costante della realtà è la mutazione, diceva parafrasando un detto cinese. Solo se sei in continua evoluzione, insomma, sei nella realtà.

Nella realtà, tutti quelli che hanno la stessa apertura visiva e vedono il mondo nello stesso modo, non hanno osservazioni diverse da comunicarsi.

Solo chi ha un’apertura visiva diversa vede il mondo in un altro modo e può dare al prossimo un’ informazione tale da allargargli il suo campo visivo. Bruno Munari è stato un grande maestro del vedere, per maestria del suo fare, ma anche per il suo insegnare a scoprire le infinite dimensioni della visualità. Se tutti iniziassero a guardarsi intorno potrebbe scattare una rivoluzione, perché saper vedere significa saper pensare con elasticità e libertà.  La fantasia l’invenzione la creatività pensano, l’immaginazione vede.

Sullo sfondo di una profonda conoscenza della cultura e della disciplina Zen, Munari manifesta con chiarezza una vocazione a far entrare l’arte nella vita, partendo dalla ridefinizione di ogni gesto quotidiano in funzione di un percorso di conoscenza del sé che passa attraverso la conoscenza dell’altro.

L’artista può preparare gli individui (a cominciare dai bambini) a difendersi dallo sfruttamento, a smascherare i furbi, ad esprimersi con la massima libertà e creatività. Può continuare la tradizione invece che ripeterla stancamente.

La rivoluzione va fatta senza che nessuno se ne accorga.

La leggerezza è stata per Munari un modo di pensare, una forma mentis , in momenti storici in cui la pesantezza intellettuale sembrava quasi un obbligo di casta.  Come non ripensare, a questo proposito, a Calvino, autore poliedrico, innamorato dell’infanzia, e per tanti altri versi così simile a lui (Lezioni Americane – Sei proposte per il prossimo millennio).

Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. La semplificazione è il segno dell’intelligenza.

Un antico detto cinese dice: quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte. Due degli artisti italiani più celebri ed amati a livello internazionale hanno lasciato, l’uno indipendentemente dall’altro, un’eredità così precisa: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità. La passione di Bruno Munari per il mondo dell’infanzia è l’emblema della sua fiducia nel futuro:

“I bambini di oggi sono gli adulti di domani

aiutiamoli a crescere liberi da stereotipi

aiutiamoli a sviluppare tutti i sensi

aiutiamoli a diventare più sensibili

un bambino creativo è un bambino più felice. “

Grazie alla divulgazione ed all’attenzione che ha ricevuto tra gli insegnanti, in particolar modo di scuole materne ed elementari, l’attività di Munari in quest’ambito è probabilmente quella più nota.

Con i giochi e libri per bambini – il Gatto Meo in gommapiuma, i Prelibri di Danese, i Libri illeggibili di fogli variopinti e senza testo, i libri con i buchi, le pagine trasparenti, tattili, componibili, le fiabe riscritte visivamente, i libri oggetto, l’Alfabetiere, il letto Abitacolo e le molte altre invenzioni che hanno letteralmente fatto scuola, Munari è entrato nelle camerette e nelle aule di molti paesi del mondo.

E di frequente, in particolar modo in relazione all’esperienza dei laboratori, vi è entrato proprio di persona, per sperimentare ogni volta in modo diverso il principio di Lao Tse (azione senza imposizione di sé), su cui si fonda la sua didattica.

Partendo dalla consapevolezza che la sperimentazione diretta facilita la comprensione e la trasmissione delle conoscenze, l’artista ha messo a disposizione la propria capacità di scegliere e fornire materiali e suggestioni visive, perché il bambino potesse egli stesso agire, liberando la propria curiosità in un gioco solo minimamente guidato, suggerito soprattutto attraverso le immagini e le dimostrazioni pratiche.

Più che un metodo quello proposto da Munari è un modo di proporsi nei confronti dei bambini: l’assenza di una strutturazione rigida.

Assolutamente sconosciuta fino al giorno in cui è andato in stampa questo libro, era la storia di Cappuccetto Bianco. Ora è qui in queste pagine ma non si vede.
Si sa che c’è questa bambina tutta vestita di bianco, sperduta nella neve. Si sa che c’è una nonna, una mamma, un lupo. Si sa che c’è una panchina di pietra nel piccolo  giardino coperto dalla neve, ma non si vede niente, non si vede la cuccia del cane, non si vedono le aiuole, non si vede niente, proprio niente, tutto è coperto dalla neve. Mai vista tanta neve…”  (Le pagine del libro sono tutte candide, tranne l’ultima facciata dove compaiono un paio di occhioni azzurri).

Bruno Munari può essere considerato una delle personalità, non appartenenti alla scuola, che ha saputo offrire stimoli eccezionali al mondo dell’educazione, che la scuola ha poi saputo fare propri.

E’ stato un artista che ha rivolto all’infanzia uno sguardo particolare, riuscendo a comprenderne ed interpretarne i bisogni profondi. La sua attenzione non era volta ad un bambino immaginario, ma al bambino reale, che ha necessità di conoscere e di comprendere il mondo intorno a sè.

Un mondo fatto di sensazioni tattili che vanno riscoperte e conservate, di capacità di osservare con curiosità e stupore la natura, di voglia di esplorare tutte le possibilità che ci offrono gli strumenti grafici prima ancora di disegnare, di allegria nello scoprire tutti i suoni che produce un pezzetto di carta, di voglia di collezionare quanti rossi ci sono…

A questo bambino Munari ha offerto libri pensati appositamente per lui (in un periodo in cui i libri erano oggetti quasi intoccabili relegati nella biblioteca del salotto buono) e che ancora oggi sanno incantare; giochi “aperti” che allenano la capacità di immaginare e progettare; mondi che stupiscono racchiusi nel telaietto di una diapositiva, giocattoli divertenti da poter muovere come si vuole (quando si era abituati alla grande bambola da mettere al centro del letto), “abitacoli” dove poter dormire e ricevere gli amici, e – soprattutto – i laboratori di educazione visiva e di stimolazione del pensiero progettuale creativo che hanno fatto, realmente, il giro del mondo.

Munari, dicono i critici, è più conosciuto ed apprezzato all’estero (prima di tutto in Giappone) che in Italia, forse perché una personalità così poliedrica, che ha sviluppato interessi in tante direzioni, non è facilmente “catalogabile”.

L’artista giapponese Katsumi Komagata è considerato il prosecutore dell’attività artistica di Bruno Munari, grazie al cui incontro ha maturato la sua passione per i libri per l’infanzia.

Nei suoi libri i colori e la qualità tattile della superficie (texture) hanno un valore narrativo oltre che strutturale e funzionale. Komagata comunica attraverso un alfabeto cromatico accostando giochi di ombre e di luce, accennando forme appena riconoscibili o celando velatamente le piccole meraviglie del mondo animale e vegetale che si rivelano allo sguardo meravigliato di ogni bambino.

Bruno Munari ha descritto il Giappone come  un paradiso per i bambini: ha studiato e osservato gli spazi e i giochi offerti ai bambini giapponesi, cogliendone la creatività.

Paradossalmente, per quando riguarda il suo lavoro per l’infanzia, è più noto in Giappone  che non in Italia: nel nostro paese ha grande notorietà come artista e designer, ma è quasi ignorato come autore di libri per bambini.
Ciò avviene, probabilmente, a causa del pregiudizio che avvolge le opere per l’infanzia, considerate appunto infantili e perciò inferiori.

A ciò si aggiunge un altro pregiudizio, ossia che i libri per bambini siano soltanto per bambini.
In Giappone, e in generale in Oriente, il bambino è concepito come divina scintilla, colui che è più vicino alla spontaneità e quindi al divino. L’influsso teorico proviene dalla filosofia orientale che ritiene ciò che è istintivo come buono, mentre la filosofia occidentale condanna l’irrazionalità.

La pedagogia giapponese ha radici nelle sue due principali tradizioni di pensiero: lo shintoismo e il buddhismo. Secondo lo shintoismo la via degli antichi (kodou) si ritrova nel magokoro, il vero cuore, che è lo spirito innato e spontaneo. Concezione espressa anche dal termine “umaretsukitaru mama no kokoro” (candido cuore innato). Questo significa essere come gli dei (kannagara no michi), nell’originale condizione di innocenza dell’uomo.

Secondo il buddhismo zen, l’insegnamento non è un insieme di nozioni che si passano dal maestro all’allievo. Il maestro ha solo lo scopo di risvegliare la capacità critica dell’allievo, abbattendo i pregiudizi che impediscono la retta visione del mondo.
Quindi il processo interiore di risveglio non può essere operato da un soggetto esterno, che ha solo lo scopo di stimolo.

I laboratori Giocare con l’Arte

L’AMBIENTE come laboratorio.
Il MATERIALE come offerta di conoscenza.
L’ADULTO come guida e indicatore di metodi di lavoro.

Questi sono tre punti cardine del pensiero pedagogico su cui si fonda il laboratorio Bruno Munari.
Il laboratorio, secondo il Metodo Munari, rappresenta un luogo di creatività, libertà, sperimentazione, scoperta ed apprendimento attraverso il gioco ed osservazione della realtà che ci circonda con tutti i sensi, come premessa al conseguimento di una personalità originale ed autonoma attraverso lo sviluppo della creatività.

I bambini sono liberi di scegliere la tecnica e  di sperimentarne anche più di una, uscire dalle regole apprese ed essere capaci di mescolare il tutto, per poi scegliere il comportamento più rispondente alla propria personalità (diversa da quella degli altri).
Il laboratorio di Bruno Munari non ha banchi, ma tavoli da lavoro, perciò permette totale libertà di gesti, di movimenti e, diversamente dalla scuola, possibilità di cambiare posto in funzione delle esigenze di lavoro.

Nel laboratorio non si trovano verità precostituite o modelli da trasmettere, ma la possibilità di ricercare più verità e più modelli.

Nel laboratorio non riveste primaria importanza il prodotto finale, quanto piuttosto il modo con cui si perviene al risultato, risultato che potrà essere l’inizio di una nuova sperimentazione.

Con i suoi Laboratori Munari propone di insegnare ai bambini come si guarda un’opera: l’arte visiva non va raccontata a parole, va sperimentata: le parole si dimenticano, l’esperienza no. Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco, soleva ripetere l’artista, citando un antico proverbio cinese.

Nel Laboratorio “si gioca all’arte visiva” affinché si possa fruirne con maggiore consapevolezza e spirito critico.

Il metodo si basa sul fare affinché i bambini possano esprimersi liberamente senza l’interferenza degli adulti, diventando indipendenti e imparando a risolvere i problemi da soli.
Aiutami a fare da me” è anche il motto di Maria Montessori.

I Laboratori Bruno Munari®

“Ciò che distingue questo laboratorio da tutti gli altri laboratori esistenti è il metodo” scrive Bruno Munari nella presentazione del primo laboratorio per bambini alla Pinacoteca di Brera, Milano, 1977. Non un semplice “parcheggio”, dove i bambini possono giocare con pennelli e tempere, “liberi di fare quello che vogliono avendo davanti agli occhi le riproduzioni esposte nel museo… (libertà che è un abbandonarli all’imitazione) e nemmeno soltanto un “raccontare” le opere d’arte …”

Munari propone di insegnare ai bambini come si guarda un’opera piuttosto che leggerne solo il contenuto o il messaggio. L’arte visiva non va raccontata a parole, va sperimentata: le parole si dimenticano, l’esperienza no. Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco, soleva ripetere l’artista, citando un antico proverbio cinese.

Nel Laboratorio “si gioca all’arte visiva”, si sperimentano tecniche e regole ricavate dalle opere d’arte di ogni epoca e di ogni luogo, trasformate in giochi: è facendo che si scoprono le qualità diverse dei materiali e le caratteristiche degli strumenti. I bambini imparano giocando.

Nei laboratori Munari pertanto si intende promuovere la conoscenza e la comprensione delle tecniche dell’espressione e della comunicazione artistica, affinché si possa fruirne con maggiore consapevolezza e spirito critico.

“Capire che cos’è l’arte è una preoccupazione (inutile) dell’adulto.
Capire come si fa a farla è invece un interesse autentico del bambino”.
In questa riflessione Alberto Munari, docente di psicologia dell’educazione all’Università di Ginevra, indica il principio essenziale del metodo.
Le idee non vengono proposte dagli adulti, nascono dalla sperimentazione, secondo il principio didattico: “Non dire cosa fare ma come”.
Il metodo si basa sul fare affinché i bambini possano esprimersi liberamente senza l’interferenza degli adulti, diventando indipendenti e imparando a risolvere i problemi da soli. “Aiutami a fare da me” è anche il motto di Maria Montessori.

Il laboratorio è dunque un luogo di creatività e conoscenza, di sperimentazione, scoperta e autoapprendimento attraverso il gioco: è il luogo privilegiato del fare per capire, dove si fa “ginnastica mentale” e si costruisce il sapere. E´ anche un luogo di incontro educativo, formazione e collaborazione. Uno spazio dove sviluppare la capacità di osservare con gli occhi e con le mani per imparare a guardare la realtà
con tutti i sensi e conoscere di più, dove stimolare la creatività e il “pensiero progettuale creativo” fin dall’infanzia.
Le attività proposte nel laboratorio di Brera erano dedicate ai bambini delle scuole elementari; in seguito vennero estese ai bambini delle materne, ai ragazzi delle medie e talvolta anche a quelli delle superiori.
Oggi i laboratori si rivolgono a piccoli e grandi, dai due ai novant’anni!

Le tecniche e le regole sperimentate nel laboratorio di Brera furono:
il Divisionismo, i Segni, le Texture, Lontano e Vicino, ovvero la prospettiva cromatica, Formati Diversi, il Collage, Forme Componibili, il Colore, le Gabbie e le Proiezioni Dirette.
Seguono i Laboratori Tattili realizzati in occasione della mostra Le mani guardano (Milano, Palazzo Reale,1979), Giocare con l’Arte a Palazzo Reale all’interno della mostra antologica dell’artista (Milano 1986/87) Giocare con la natura, al Museo di Storia Naturale (Milano, 1988) e al Museo Pecci di Prato nel 1992 il Lab-Lib ovvero il laboratorio liberatorio per le combinazioni di materiali, per citare solo quei laboratori realizzati nei musei e progettati dallo stesso Munari con i suoi collaboratori.

Elencarli tutti sarebbe lungo.

Nel corso degli anni vari temi sono stati sviluppati e approfonditi nel rispetto delle indicazioni metodologiche dell’artista, fino ai recenti progetti speciali.

Il secondo Laboratorio creato da Munari in una struttura museale nel 1979 è quello nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, per volere del direttore, Gian Carlo Bojani con l’intento di avvicinare i bambini all’arte in modo concreto per favorire la comprensione delle opere esposte nel museo, non certo per avviarli alla professione del ceramista né per farne futuri artisti.

Nel laboratorio i bambini sperimentano la manipolazione della materia e le tecniche della ceramica: possono giocare con argille e colori, liberi di fare quello che creativamente sentono e visualmente vedono.

Attraverso la sperimentazione di una serie di tecniche in successione, si intende promuovere le capacità di codificazione e di rielaborazione: pertanto la conoscenza dei codici elementari non è finalizzata a una ripetizione meccanica condizionante, ma alla possibilità e alla necessità, in termini formativi e creativi, di una “loro manipolazione”, sviluppando così le capacità soggettive.

Le tecniche e le regole che si continuano a sperimentare nel laboratorio di Faenza sono: Manipolazione guidata, Texture, Calco in gesso, Lucignolo, Palline, Sfoglia, Trafila, Terre colorate, Decalcomania, Ingobbio e Perle.

Non può esservi manipolazione, rielaborazione e creatività se non vi è conoscenza” osserva Bruno Munari e aggiunge: “Non è importante l’oggetto finito, ma il percorso che il bambino fa per arrivare allo stesso“.

Il metodo “Giocare con l’arte”, come viene inizialmente chiamato, suscita un enorme interesse, sia in Italia sia all’estero.   Bruno Munari, artista e designer, ma anche pedagogo intuitivo, lo definiva un metodo attivo-scientifico, affermando di sentirsi vicino a quello della Montessori.

Applica i principi fondamentali della “pedagogia attiva”, come sostiene il figlio Alberto Munari nell’illuminante saggio Munari, Piaget e Munari, dove descrive le numerose convergenze di pensiero tra suo padre e Piaget, di cui Alberto fu collaboratore diretto.

Entrambi sono contrari all’imposizione, entrambi propongono il fare: sperimentare, cercare e scoprire da soli, in modo autonomo. Un metodo fatto soprattutto di azioni didattiche ispirate a principi per lo più di origine orientale. Principi espressi con frasi semplici, essenziali, per essere capite bene da tutti.

Ma spesso fraintesi. “E’ tutto qui? Facile, troppo facile….”Semplificare è più difficile che complicare…” soleva ripetere l’artista. Un metodo “in progress”, perchè intende lasciare ampio spazio di azione creativa a chi ad esso si ispira.

Il Laboratorio può essere costituito in qualunque museo e in qualunque scuola” disse Munari dopo l’esperienza di Brera, “e chi continuerà questo esperimento potrà fornire dei dati utili al suo perfezionamento“.

Da allora sono sorti numerosi altri Laboratori e molti, tra insegnanti, operatori culturali, animatori in Scuole, Biblioteche, Ludoteche, ecc., si sono ispirati a questo metodo.

Più recentemente, proprio per cogliere quel suggerimento di Bruno Munari, è stato istituito il Master in Metodologia Bruno Munari®, per l’educazione artistica e lo sviluppo del pensiero progettuale creativo, nella prospettiva di un’educazione utile alla formazione integrale dell’individuo.

In questo percorso formativo viene proposta una rifondazione del Metodo, integrando ai principi originali gli apporti teorici e metodologici dell’Epistemologia Operativa elaborata sin dall’inizio degli anni ’80 da Donata Fabbri e Alberto Munari.

Links per chi è interessato a conoscere più da vicino l’attività dei laboratori creativi per bambini ispirati a Bruno Munari:

www.corraini.com/laboratori.php 

Biblioteca Civica di Merano, Laboratori Ópla Incontri è la formula scelta per avvicinare chi legge agli artisti e agli operatori del settore (designers, editori, bibliotecari, librai, insegnanti).
Questi laboratori con gli artisti, che vengono organizzati a Merano mediamente 3 o 4 volte all’ anno ed ai quali partecipano ragazzi di varie fasce di etá, hanno lo scopo di coinvolgere la realtà locale in un progetto che a prima vista potrebbe sembrare rivolto esclusivamente ad un pubblico di specialisti.
L’ obiettivo non è ambizioso in quanto il desiderio da parte della scuola e dei bambini di relazionarsi con il mondo dell’arte e dell’illustrazione è reale, e Ópla ha fornito gli strumenti affinché questo avvenisse.
Un Due Tre… Ópla! Annualmente viene organizzata a Merano una rassegna dal titolo Un, Due, Tre…Ópla!”, una tre giorni di workshop, spettacoli, mostre e incontri che coinvolge artisti di fama internazionale e classi di ogni ordine e grado, oltre al pubblico spontaneo che si raccoglie intorno a questa manifestazione.

I giochi di Bruno

Quando ero bambino avevo tanti giocattoli, proprio tanti, così tanti che non sapevo neanche quanti. Avevo dei giocattoli piccolissimi da tenere in tasca, dei giocattoli grandi nei quali potevo anche entrare. Dei giocattoli per giocare da solo e degli altri per giocare con gli amici.

Avevo giocattoli per ogni stagione: per giocare con l’acqua d’estate; per giocare con la neve d’inverno. Ne avevo anche alcuni per giocare con la pioggia, altri per giocare con i raggi di sole.

Non ho mai avuto un giocattolo per la nebbia.Come dicevo all’inizio, da bambino avevo tanti giocattoli, ma proprio tantissimi. Il primo fu un gattino vero, vivo, miagolante, trovato nel giardino. Al primo incontro ci guardammo a lungo negli occhi stando fermi a poca distanza uno dall’altro.

Poi il gattino venne verso di me e si strofinò a un mio piede.Scesi subito in cucina a prendere qualcosa da mangiare per il micio e glielo portai di corsa. Lui si avvicinò lentamente al piattino, lo annusò tutto e poi, con calma, cominciò a mangiare. Ogni tanto interrompeva il pasto, alzava il musino e mi guardava; poi riprendeva.Da quel giorno diventammo molto amici, lui sentiva quando io salivo le scale e mi veniva incontro. Era caldo e morbido e aveva un buon odorino di nido. Tutti i miei amici lo conoscevano.

Questo forse fu il giocattolo più completo che abbia mai avuto, così pensavo allora, oggi invece mi viene il sospetto che anche io bambino ero il giocattolo del gatto.Eravamo contenti tutti e due.Vicino a casa mia c’era una casa signorile con finiture di lusso.

Vi abitava una famiglia che commerciava in articoli superflui e guadagnava molto denaro. C’era anche un bambino della mia età, il quale appena saputa la storia del mio gattino, ne volle uno anche lui, e allora il suo papà che poteva spendere molto, gliene comprò uno.

Ma non uno vero e vivo, perché, si sa, gli animali sporcano e poi bisogna curarli, mentre un bel giocattolo costoso era più adatto a mostrare che quella famiglia poteva spendere e che aveva molti soldi. A questo bambino, dunque, arrivò un giorno una scatola molto elegante con nastro dorato, portata da un fattorino in divisa del più grande magazzino di lusso della città vicina. Il bambino aprì la scatola e trovò, in mezzo all’imballaggio, un gattino di latta dipinta, un gattino meccanico, molto bene imitato a prima vista, con una molla da caricare. Si girava una chiavetta sotto la pancia e il gattino muoveva la coda e correva dritto, avendo delle rotelle sotto le zampe. Correva dritto miagolando mao mao mao mao mao mao mao…Bang! e andava a sbattere contro il muro rovesciandosi con le zampette all’aria.

Aveva sempre lo stesso sguardo come se fosse cieco, era freddo e senza pelo, non mangiava, non si nascondeva, per farlo muovere bisognava caricare la molla. Dopo qualche giorno questo freddo e stupido giocattolo venne abbandonato.Il mio gattino invece era diventato indipendente, qualche giorno spariva e poi ritornava facendo finta di niente. Io non gli ho mai chiesto dove fosse andato. Nessuno lo aveva comperato, era libero, ma aveva simpatia per me e io per lui.

Ognuno faceva quello che voleva senza imporre niente all’altro. Mangiava le zucchine bollite, gli piaceva molto il gelato, si arrampicava di corsa sugli alberi, si nascondeva e poi saltava fuori all’improvviso pungendomi un poco con le sue unghiette nascoste. Io avevo ormai imparato il suo linguaggio e avevo capito che quando diceva miaoooo voleva giocare, quando diceva brevemente mao voleva dire ciao, quando diceva mooooo con voce bassa voleva dire lasciami stare adesso. Anche lui capiva le mie parole, andavamo d’accordo insomma. Dalla mia finestra vedevo il gattino meccanico buttato in un angolo del cortile, non faceva nemmeno paura ai topi perché aveva odore di ferro e non di gatto. Forse non è mai piaciuto nemmeno al bambino ricco.Poi avevo un altro giocattolo: un bastoncino di bambù.

Bellissimo e flessibile, lungo circa un metro, sembrava verniciato di verde (era appena stato colto), e si teneva bene in mano; ogni dieci centimetri circa aveva un nodo e all’ultimo nodo in alto avevo legato una cordicella. Era una frusta e mi divertivo a farla schioccare come facevano i carrettieri, dopo un poco l’estremità della cordicella si era consumata ed era diventata come un fiocco.

Se legavo questa estremità della cordicella alla estremità in basso del bastoncino di bambù, questo diventava un buon arco sufficientemente flessibile per lanciare le frecce, che erano di un altro tipo di canna con un piccolo peso direzionale in cima.

Potevo slegare di nuovo la cordicella e attaccarle un amo per andare a pescare. Potevo togliere la funicella e avevo così un bastoncino da passeggio che mi serviva per toccare o muovere qualcosa per terra, come una prolunga di un mio dito.

Se agitavo velocemente il bastoncino in aria, ne usciva un suono. La sua flessibilità mi suggeriva di farne tanti usi diversi: una fionda, una catapulta, una molla. Dopo un po’ di giorni il verde del bambù era diventato giallo ma non aveva perso il lucido.

Un giorno frugando tra le foglie col mio bastoncino di bambù, trovai una piuma d’oca bianca. Una piccola piuma d’oca. Guardandola controluce vedevo i colori dell’iride.

E poi avevo un rametto di sambuco, il sambuco è una pianta che ha, dentro ai rami, un grande midollo elastico. Il ramo è come un tubetto pieno di questo midollo. Si prende un rametto di diametro più piccolo e, spingendolo dentro il ramo più grosso, ne fa uscire il midollo.

Il rametto grande diventa così una cerbottana e col midollo di sambuco si possono fare molti giochi.E poi avevo dei semi di acero, secchi. Questi semi sono fatti come un’ala di insetto, guardandoli contro luce si vedono tutte le nervature, e dalla parte più piccola dell’ala c’è una ingrossatura.”

“Quando cadono dall’alto non cadono dritti come un sasso ma fanno dei giri, cadono girando come un’elica. Si raccolgono tanti semi e si possono lanciare dalla finestra ed è molto bello vedere come cadono, uno alla volta.

In seguito a questa esperienza provai a ritagliare dei piccoli pezzettini di carta con forme diverse per vedere come cadevano e trovai che un rettangolino di carta di circa cinque millimetri per cinque centimetri, leggermente incurvato, se lasciato andare nell’aria comincia a girare e fa una forma illusoria come di caramella e gira e gira e non cade subito ma qualche volta sale più in alto di chi lo ha lanciato e così si possono vedere le correnti di aria calda o il vento che altrimenti non si vedrebbe. Tutti i miei amici avevano anche loro questi ritagli di carta leggera e andavano assieme in posti larghi dove si potevano lanciare da qualche altura, o dal ponte sul fiume.

E poi avevo, in cortile, un rubinetto che gocciolava. Si vede che la guarnizione era consumata e non chiudeva più bene. Ma il rumore delle gocce era molto interessante, perché non era monotono. Non so perché ma ad ascoltare bene si sentiva che gli intervalli tra una gioccia e l’altra non erano uguali, e anche i suoni della caduta delle gocce non erano sempre gli stessi. Un giorno ho provato a mettere sotto alla goccia un secchio vuoto: toc toc toc toc toc toc toc, poi un foglio di giornale spiegazzato cià cià cià cià cià , poi una padella rovesciata: ten ten ten ten ten ten ten ten, poi feci cadere le gocce in un barattolo di marmellata vuoto: tic tic tic tec tec tec toc toc tuc tuc boc buc tum.

Con alcuni amici cercavamo di cantare delle canzoni inventate sul ritmo delle gocce. Una canzone diceva: pic pac pac pic patapic patapac pitopec pataluc, e si ripeteva con varianti personali. Un’altra canzone inventata da un mio amico che si chiamava Bernardone sporcaccione diceva: pic pic pistolic pistolac pistolec cac pis merdolic. E tutti ridevano. Un giorno attaccai sotto il rubinetto, con una cordicella, una lunga canna, alla quale avevo bucato tutti i diaframmi con un ferro.

L’estremità dela canna che stava sotto il rubinetto era allargata in modo da raccogliere le gocce. La canna sarà stata lunga circa due metri, dopo un po’ di tempo le gocce cominciarono ad uscire dall’altra estremità, il legaccio di corda permetteva di orientare la canna come una lancetta di orologio e così potevo segnare con l’acqua, dei semicerchi sulla terra. In un secondo tempo aggiunsi una seconda canna come prolunga della prima, poi una terza, poi passò un cane di corsa e buttò all’aria tutti i miei progetti. E poi avevo una cordicella lunga lunga, fatta di tanti pezzi di corde annodati tra loro uno dopo l’altro.

La corda aveva una molletta da biancheria attaccata a una estremità, l’altra estremità era attaccata a un chiodo vicino alla finestra del solaio. La molletta pendeva a circa cinquanta centimetri dal piano del cortile. Alla estremità in alto, della corda, era annodato un campanellino. Se qualche amico passava dal mio cortile, che era sempre aperto, poteva tirare la cordina per chiamarmi; oppure se aveva qualcosa da darmi o da farmi vedere lo poteva attaccare alla moletta che pendeva in basso.

Il mio cortile era grande e aperto da un lato, molta gente lo attraversava come scorciatoia per andare da una stradina che stava da una parte del cortile e la strada principale che stava dall’altra parte dell’albergo. Dopo un po’ di tempo i miei amici sapevano della cordicella e della molletta e allora ogni tanto mi trovavo appeso delle cose strane, dei biglietti con scritto dei gentili insulti, una buccia d’arancia, alcune foglie secche (molto belle e diverse: alcune un poco accartocciate come una mano, altre strette e lunghe un poco pelose) una volta trovai appeso una piuma di gallina, un’altra volta una di faraona, grigia a pallini bianchi.

Un giorno trovai una ghianda, un giorno una vecchia scarpa tutta coperta di fango secco, raccolta probabilmente nel fiume. Tenni questa scarpa secca per molto tempo, come un relitto venuto da chissà dove. E poi avevo un piccolo specchietto rotondo che mi aveva regalato la nonna. Questo specchietto mi serviva molto bene per giocare da solo. Andavo fuori casa al sole, e mettevo lo specchietto in modo che mandasse un raggio nel buio di una stanza attraverso la finestra aperta.

Potevo vedere benissimo tutto quello che illuminava. Muovendo questo punto luminoso nella stanza lo feci cadere sopra uno specchio: immediatamente un altro raggio di sole rimbalzò nella stanza e andò a posarsi sul muro di fronte. Questo mi fece molto pensare. Un altro giorno, prendendo un raggio di sole che era entrato nella stanza, col mio specchietto, lo mandai nella credenza: il punto luminoso colpì un bicchiere di cristallo e vidi tutti i colori dell’arcobaleno.

E poi avevo dei gusci di noce. Chi non ha avuto dei gusci di noce interi, per giocare? Questo guscio è durissimo, tutto di legno di noce come se fosse intagliato. Quando si apre una noce con attenzione senza rompere i due gusci, si scopre che lungo la linea dove combaciano sono finiti proprio bene: tutto il bassorilievo della decorazione del guscio si raccorda con questa linea di contatto e qui il legno diventa liscio per potere combaciare bene.

Da una parte ha una punta dall’altra parte una piccola rientranza (dico questo per spiegare a quei bambini di città che non hanno mai visto una noce intera perché la mamma le comperà già sbucciate), (sono gli stessi bambini che, poveretti, non hanno mai visto una mucca e credono che il latte sia un prodotto industriale come la coca cola), (mah!).

Ecco perché si costruiva con i gusci di noce, due tipi principali di giocattoli: uno era la barca e l’altro la tartaruga. Ci sono infatti delle barche che si chiamano “guscio di noce”; non ci sono però delle tartarughe che appartengano alla categoria delle noci, c’è il pettine di tartaruga e c’è il vitello scamosciato, non c’è il camoscio vitellato e nemmeno le scarpe di vitel tonné.

Per fare le barchette si riempiva il guscio di noce con mollica di pane e si infilava uno stecchino verticale come albero sulla barca. Sullo stecchino si infilava un fogliettino di carta curvato come se già ci fosse il vento e poi si andava ai giardini pubblici a varare la barchetta.

Per fare la tartaruga invece si appoggiava il guscio dalla parte piatta su di un cartoncino leggero, poi si disegnava il contorno del guscio sul foglio, si aggiungeva la testa e le zampette e la coda e poi si ritagliava e si incollava la carta sul lato liscio del guscio. Da ragazzo, una influenza mi costrinse a letto per qualche giorno.

Era d’estate la mamma aveva socchiuso le persiane per non fare entrare troppa luce. Un sottile raggio di sole entrava da un forellino della persiana, e io, dal mio letto, potevo seguirlo per tutto il giorno nel suo percorso sui muri e sui mobili.

Il movimento del punto luminoso era impercettibile ma osservandolo continuamente potevo vedere i suoi spostamenti, come il disco di luce si trasformava, si allungava o si restringeva secondo l’angolo di incidenza. Venne a trovarmi un amico e lo pregai di portarmi degli oggettini riflettenti come specchietti, carte stagnole, palline dell’albero di natale. Intanto cercai di individuare bene il percorso del punto luminoso e quando l’amico tornò gli feci disporre questi oggettini riflettenti lungo il percorso del sole a distanze diverse e mi addormentai un poco stanco per lo sforzo.

La mattina dopo il sottile raggio di sole entrò nella stanza e cominciò il suo giro sulle pareti. Io lo aspettavo al varco: ecco che si avvicinava a un frammento di stagnola, la tocca, il disco luminoso si disfa in tanti raggi, alcuni colorati, lentamente si trasforma, si allarga poi lentamente si ricompone, torna ad essere il piccolo disco di prima, sta per uscire dalla stagnola, ancora qualche sprazzo di luce, è uscito.

Adesso si sposta impercettibilmente e va verso lo specchietto. Lo tocca, rimbalza sulla parete opposta, è più debole, sparisce, esce dallo specchietto e continua il suo giro dove incontrerà altri oggetti che mi fanno vedere altri effetti.
Il giorno dopo ero guarito.”

“E poi avevo un piccolo elastico di para, molto elastico. A tirarlo e a farlo vibrare emetteva suoni diversi secondo la tensione. Con una piccola scatoletta di fiammiferi svedesi e un rametto secco, costruii uno strumento musicale molto semplice. La scatoletta di legno di pioppo sottile faceva da cassa armonica. Il rametto teneva l’elastico il quale, passando sopra la scatola, appoggiava sopra un ponticello.

Avevo osservato molto mio zio Vittorio quando costruiva i suoi violini, e questo era uno strumento a corda elastica che poteva produrre alcune note. Quando ero bambino non c’erano tutte le colle e i nastri adesivi che ci sono adesso, per cui dovevo arrangiarmi con quello che trovavo. Per fortuna che lo zio aveva una buona colla che faceva lui stesso con delle cartilagini animali e non so con cosa d’altro. Quando lo strumento fu pronto, l’elastico si ruppe.

E poi avevo un giocattolo enorme, grandissimo, così grande che cominciai a camminargli sopra per vedere dove finiva, ma dovetti tornare a casa perché veniva sera. In questo enorme giocattolo vidi tantissime cose: insetti e animaletti che andavano affaccendati per i loro affari e nemmeno mi vedevano. Alcuni sparivano in piccoli buchi, altri andavano a finire sotto delle pietre…

Trovai tanti fili verdi di erbe, rametti secchi spezzati, foglie dappertutto, fiorellini sparsi. Su questo enorme giocattolo potevo correre e saltare, sdraiarmi o camminare in punta di piedi.

Potevo scavare buche o piantare degli stecchi. Finiti i giochi non dovevo metterlo a posto, lui era sempre là che mi aspettava e poi, anche se qualche volta non andavo a trovarlo, lui non si offendeva.”
Bruno Munari

 

Di Bruno Munari:

CAPPUCCETTO VERDE Tutti conoscono Cappuccetto Rosso, ma forse non tutti sanno la storia di Cappuccetto Verde, Cappuccetto Giallo e Cappuccetto Bianco, mandati dalla mamma a portare alla nonna un cestino pieno di cose verdi, gialle, bianche. Il lupo nero li aspetta nel folto del bosco, nel traffico, nella neve… riuscirà a prenderli? Con queste favole, pubblicate per la prima volta nella storica collana Einaudi “Tantibambini”, un colore diventa protagonista nei disegni, nel testo e nei personaggi. Bruno Munari ha giocato con la fiaba tradizionale e ne ha allargato gli orizzonti, creando personaggi e storie nuove. I Cappuccetti di Munari ritornano ora come libri singoli, secondo il progetto originale. Età di lettura: da 5 anni.

CAPPUCCETTO GIALLO 

CAPPUCCETTO BIANCO 

I PRELIBRI  sono stati pubblicati per la prima volta da Danese nel 1980. Sono una serie di 12 piccoli libri (10 x 10 cm) dedicati ai bambini che non hanno ancora imparato a leggere e scrivere, disegnati per adattarsi alle loro mani e assemblati usando diversi tipi di materiali, colori e rilegature. Offrono una varietà di stimoli, sensazioni e emozioni, che nascono dall’accostamento di percezioni e immagini: “dovrebbero dare la sensazione che i libri siano effettivamente fatti in questo modo, e che contengano sorprese. La cultura deriva in effetti dalle sorprese, ossia cose prima sconosciute” (Bruno Munari).

TOC TOC… CHI E’? APRI LA PORTA Qui, come negli altri titoli, Munari gioca su un racconto essenzialmente visivo pieno di attese e di sorprese ottenute attraverso soluzioni semplicissime. Toc toc … e una porta si apre.

NELLA NOTTE BUIA Questo libro è uscito per la prima volta, in poche copie, nel 1956 e da allora è diventato un libro culto dell’editoria per ragazzi. Tuttora conserva tutta la sua attualità e ognuno, bambino o adulto che sia, diventa protagonista di questa avvincente ricerca all’interno della notte, sotto l’erba del prato, nel fiume sotterraneo e nella grotta, passando con la propria fantasia e curiosità (quasi con il proprio corpo) attraverso i fori, i pertugi e i profondi buchi presenti nelle pagine di carta, nere o ruvide o trasparenti…. Ognuno segue fino in fondo, con il fiato sospeso, la piccola luce che si intravede lontano. Età di lettura: da 5 anni.

NELLA NEBBIA DI MILANO Pubblicato per la prima volta nel 1968, questo volume propone un ritratto spietato e gustoso della metropoli lombarda con forme nere, stilizzate, geometriche, creando un effetto nebbia con la carta lucida semitrasparente, in contrasto fortissimo con il fantastico mondo del circo rappresentato al centro del libro. Il lettore viene completamente coinvolto ed entra attivamente nel racconto, in un percorso fatto di immagini e suggestioni create dall’uso di carte diverse fustellate e disegnate. Un viaggio dentro la lattiginosa opacità della nebbia di Milano, un approdo nell’allegra vivacità del mondo del circo. Età di lettura: da 5 anni.

IL PRESTIGIATORE VERDE  Il prestigiatore verde, il simpatico Alfonso, sparisce e ricompare tra le pagine in bauli e scatole per riuscire finalmente a suonare in pace il suo violino.

GIGI CERCA IL SUO BERRETTO Dove sarà il cappello di Gigi? Nell’armadio, nel frigorifero? Una storia semplice e coloratissima, divertente e attuale anche se disegnata negli anni ’40.

IL VENDITORE DI ANIMALI Un bizzarro venditore ci propone una teoria di fantasiose creature dalle strane abitudini…e tra un fenicottero che fuma la pipa e un armadillo “un poco brillo”, nel finale la sorpresa è assicurata!

LA RANA ROMILDA La storia di una rana che, saltando di palo in frasca, ha una serie di avventure curiose e divertenti.

L’UOMO DEL CAMION 10 Km. E per ognuno, un diverso mezzo di trasporto e un “imprevisto” che ritarda la consegna del regalo… ma cosa ci sarà dentro al pacco?

STORIE DI TRE UCCELLINI Ancora un libro della storica serie del 1945. Munari ideò questi libri/album animati per i bambini utilizzando grandi immagini, pagine ed inserti di diverse dimensioni, fori e fustelle, per creare curiosità ed attesa in chi guarda. L’album racconta tre delicate e eleganti storie di tre uccellini che finiscono in gabbia.

TANTA GENTE Un libro abbozzato, suggerito, un libro che Bruno Munari ha cominciato a preparare e che noi possiamo completare, rifare e reinventare… il tema? La gente! tanti tipi diversi, tanti atteggiamenti, tanti tic e tante storie: possiamo completare i disegni accennati, disegnarne di nuovi, descrivere, incollare e divertirci a cambiare l’ordine dei fogli. Anche le carte sono tante, colorate e trasparenti, per suggerirci tanti stimoli diversi.

ABC SEMPLICE LEZIONE DI INGLESE “ABC” è un alfabetiere scritto e disegnato da Bruno Munari nel 1960, con la consueta colorata ironia. Destinato originariamente agli Stati Uniti, diventa una semplice e divertente lezione d’inglese per i bambini (e non solo) italiani.

ALFABETIERE Chi l’ha detto che l’alfabeto si impara dalla A alla Z? Munari invita i bambini a giocare con suoni e forme delle parole: imparare a leggere e a scrivere diventa così un impagabile divertimento.

ZOO Un viaggio fra animali colorati e testi divertenti per descriverli. Le immagini vivide e il segno particolare fanno di questo libro uno zoo fra reale e immaginario per bambini e adulti.

MAI CONTENTI Qui, come spesso succede nella vita reale, animali sognano di essere altri animali, in un divertente ed ironico rimando circolare.

 

Presentazione della pedagogia Montessori

Presentazione della pedagogia Montessori. Il termine “Scuola” evoca molto spesso idee quali dovere, noia, di obbligo a fare cose stabilite da altri, la paura delle interrogazioni e dei giudizi, il gusto del sotterfugio e del come farla franca. La bellezza del sapere e del crescere è quasi un incidente, trasversale alla scuola.

Nella mia ricerca, accanto a tutte le altre esperienze didattico-educative che mi piacciono, e che sono peraltro anche più sconosciute, ci fa piacere incontrare la didattica Montessori: anche lei ha puntato a rovesciare questa situazione.

La scuola montessoriana basa il piacere dello studio sul fare e sul capire, sulla libera scelta delle attività e sulla gioia di lavorare coi compagni, sul collaborare guidati da un adulto che non esprime giudizi e confronti continui, ma sostiene il percorso individuale e il gruppo, in un clima di scambio e di libera esplorazione.

Quando ci si chiede come mai le scuole montessoriane in Italia siano sempre state così rare, e lo siano ancora oggi, forse possiamo rispondere che il motivo profondo è proprio questo: la differenza sostanziale rispetto al modello diffuso di educazione, che si basa su una profonda sfiducia nell’essere umano e nelle sue capacità auto formative.

Il pregiudizio di base era ed è che il bambino, per svilupparsi al meglio, non possa fare a meno di una guida autoritaria, severa, punitiva e noiosa.

Insomma parliamo di un tentativo di opporre a questo pregiudizio un agire rivolto ad assecondare il gusto dell’imparare secondo i propri interessi, l’esplorazione personale ma anche l’impegno comune, il piacere di immaginare, la felicità, la fiducia e il coraggio.

Parliamo di un tentativo  che risale ormai agli inizi del 1900.

Oggi, mentre la scuola non è certo molto cambiata, dovremmo già essere impegnati nel superamento anche delle didattiche, e percorrere strade educative che non si basano sull’una o l’altra idea di uomo.

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Presentazione della pedagogia Montessori

I dieci desideri dei bambini
Da “I dieci desideri dei bambini” – Claus-Dieter Kaul-Auer Verlag GmgH

Qualche estratto da questo piccolo grande libro, che consiglio di cuore…

In Italiano: I dieci desideri dei bambini, Auer Verlag 2002. Da richiedere a:

ASSOCIAZIONE “FACCIAMO UN NIDO”

Località Zuel di Sotto n. 101
32043 – CORTINA D’AMPEZZO (BL)
Telefono e Fax 0436/861776
e-mail: ass.facciamounnido@virgilio.it

 

1.   Donateci amore
2.   Prestateci attenzione
3.   Lasciateci crescere, non obbligateci
4.   Accompagnateci
5.   Permetteteci di sbagliare
6.   Dateci un orientamento
7.   Indicateci limiti chiari
8.   Siate affidabili
9.   Mostrate i vostri sentimenti
10. Date spazio alla gioia

“Il bambino è la più grande e confortante meraviglia della natura, non un essere senza forza, quasi un recipiente vuoto da riempire della nostra saggezza, ma il costruttore della sua intelligenza, l’essere che, guidato da un maestro interiore, lavora infaticabilmente con gioia e felicità, secondo un preciso programma, alla costruzione di quella meraviglia della natura che è l’Uomo.  Noi insegnanti possiamo soltanto aiutare l’opera già compiuta”.
Maria Montessori, La mente del bambino.

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Presentazione della pedagogia Montessori
Donateci amore

Molti adulti mettono condizioni. Espressioni tipiche, che tutti conoscono, sono per esempio “Quando avrai fatto i compiti, potrai andare a giocare”, oppure “Se finisci quello che hai nel piatto avrai il gelato”, ecc….
Il bambino recepisce questo comportamento e a sua volta pone le proprie condizioni: “Se sarò gentile con mia sorella, potrò andare al cinema”, “Se vado bene a scuola riceverò una macchinina telecomandata”…

Al bambino viene comunicato inconsciamente che l’amore può essere comprato, o quanto meno essere messo sullo stesso piano di qualsiasi oggetto. Così per i bambini qualsiasi lavoro e perfino il gioco diventa finalizzato soltanto a ricevere considerazione. Rimangono assolutamente strabiliati quando scoprono che, come adulto, dedico loro tempo e attenzione spontaneamente, senza aspettarmi nulla in cambio. In questo modo imparano a godere del loro lavoro o del loro gioco unicamente per sviluppare e perfezionare la propria personalità.

I bambini, per loro natura, possiedono la meravigliosa capacità di immergersi nell’immediato e di soffermarsi contemporaneamente nel presente. Perfino bambini che hanno perso tale equilibrio naturale e quindi la loro tranquillità interiore, possono trovare la via per mettere nuovamente in relazione il loro mondo interiore con il mondo esterno.

Per ritrovare questo equilibrio hanno bisogno di cerimonie e di rituali fissi, che diano loro la possibilità di ricevere vero amore.

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Presentazione della pedagogia Montessori
Prestateci attenzione

Noi adulti abbiamo molte idee astratte su ciò che il bambino può o non può imparare. E’ essenziale invece prenderci tempo sufficiente per osservarli giocare e per imparare da loro, e non pretendere sempre che raggiungano i nostri obiettivi e soddisfino le nostre aspettative.

Ciò significa che dovremmo vedere i bambini come sono e non come vorremmo che fossero. La capacità di osservare diventa un’arte vera e propria, vuol dire riuscire a reprimere l’impulso ad intrometterci nei processi infantili o addirittura cercare di accelerarli.

Maria Montessori chiama tutto ciò “attendere osservando“.

I bambini imparano attraverso attività spontanee, durante le quali sviluppano un’enorme energia.

E’ bello vedere con quale gioia, con quale profonda capacità immaginativa i bambini siano in grado di prendere personalmente in mano il proprio apprendimento quando sanno di essere rispettati.

Per noi adulti è importante distinguere fra osservare in modo attento e interessato, e osservare in maniera annoiata, per controllare.

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Lasciateci crescere, non obbligateci

Maria Montessori in un saggio dal titolo “Quando il vostro bambino ne sa più di voi” scrisse: “Facciamo l’ipotesi di una mamma rana, impazzita, che dica ai suoi girini “Uscite dall’acqua, inspirate bene l’aria fresca, giocate e divertitevi nell’erba verde e diventate delle piccole rane forti e sane. Venite con me perchè la mamma sa quello che è meglio per voi.”

Se però i girini tentassero di obbedirle, questo significherebbe di certo la loro fine.

Eppure questo è il modo in cui molti di noi cercano di educare i propri figli, pensando di farne cittadini utili e intelligenti. A questo scopo sprechiamo molto tempo e molta pazienza per correggerli. Se solo riuscissimo a rendercene conto, capiremmo che ci stiamo comportando esattamente come la rana impazzita.

Che cosa possiamo fare noi adulti, affinché il bambino utilizzi i suoi talenti e le sue potenzialità per svilupparsi al meglio?

E’ necessario creare per loro, a casa e a scuola, un ambiente olistico, ricco di stimoli. Nel far questo dobbiamo prestare molta attenzione per offrire ai bambini la possibilità, mentre studiano, di accumulare esperienze anche con la parte destra del cervello, perchè in generale oggi la maggior parte delle offerte di apprendimento sono indirizzate alla parte sinistra.

Accompagnateci

Molti degli adulti che adottano un’educazione libera si pongono in continuazione la domanda: ” Quando presento qualcosa a un bambino, questo non è già troppo direttivo o manipolativo? Non lo costringo ad una visione mia delle cose? Dove rimane allora la creatività?”

Col termine “presentazioni” nella scuola Montessori si intende il lavoro concentrato e rivolto totalmente al materiale: mostrare come lo si usa in maniera corretta senza la pretesa di doverlo usare sempre in quel modo.

Si tratta di risvegliare l’interesse per l’essenza del materiale, e si può parlare di un’esperienza olistica per il bambino come per l’adulto, solo nel momento in cui viene raggiunta una concatenazione di rapporti tra materiale e bambino, bambino e insegnante e insegnante e materiale.

Per entrambi nasce un’unione tra corpo, anima e spirito.

Tuttavia alcune presentazioni sono state interpretate ed usate dagli adulti in modi molto diversi.

Spesso il materiale viene “insegnato” con una presentazione e questa viene considerata una lezione da dover impartire. Per altri adulti invece la presentazione è paragonabile a un rituale pieno d’amore.

Si tratta in effetti di una questione di atteggiamento nei confronti del bambino.

I bambini chiedono una presentazione quando hanno un reale interesse per un dato materiale, o quando la vogliono sfruttare come possibilità di contatto con l’adulto.

Sanno che in questo modo avranno tutta la sua attenzione.

Naturalmente anche la qualità del materiale gioca un ruolo importante: il materiale montessoriano non ha bisogno di spiegazioni verbali e consente di agire affidandosi interamente alla mimica espressiva.

Durante la presentazione l’adulto deve tenere presente che per il bambino sta sempre in primo piano l’aspirazione cosciente a staccarsi dall’adulto per raggiungere la maggior indipendenza possibile e un libero sviluppo della sua personalità.

Per dirla con la Montessori egli chiede “Aiutami a farlo da solo!”.

Con questo concetto il bambino intende dire: mostrami come si fa. Non farlo tu al mio posto. Posso e voglio farlo da solo. Abbi però la pazienza di capire i miei percorsi. Forse sono più lunghi, forse ho bisogno di più tempo perchè voglio fare diversi tentativi. Per favore stammi solo a guardare e non intervenire. Farò esercizio, riconoscerò gli errori che faccio. Il materiale me li farà vedere.

Per questo motivo, anche dopo la presentazione, è importante che noi adulti ci teniamo semplicemente a disposizione senza intervenire, lasciando i bambini liberi di provare e di esprimersi a modo loro. Solo così potremo notare come agiscano in modi diversi con i vari materiali durante il lavoro libero.

Quando i bambini si sentono veramente accompagnati da noi adulti e non istruiti o controllati e quando noi diamo il tempo e la tranquillità necessari per le loro scoperte, si può notare quanto siano attenti nell’usare il materiale. Il rapporto amorevole e rispettoso verso di loro e con gli oggetti produce un effetto positivo anche nel contatto con gli altri bambini e con gli adulti.

Per genitori ed educatori accettare che l‘educazione non consista tanto in quello che si insegna, ma che sia piuttosto un processo che avviene da sé nel bambino, può essere difficile.

L’efficacia dell’educazione è tanto maggiore se non cerchiamo di educare direttamente, in maniera programmatica e intenzionale.

Il bambino intraprende attività che ci fanno stupire enormemente.

Come genitori e maestri dovremmo attribuire più importanza all’ambiente, alla preparazione e alla presentazione di materiali stimolanti, invece di darlo alle lezioni verbali: insomma, dovemmo parlare poco, spiegare meno, e fidarci di più dei bambini.

Permetteteci di sbagliare

Che cosa cerchiamo realmente in un bambino? Quasi sempre siamo alla ricerca di errori e non solo di quelli che ha fatto, ma anche di quelli che potrebbe fare.

L’unica cosa che possiamo veramente fare è cambiare il nostro atteggiamento nei riguardi del bambino e amarlo di un amore che crede nella sua personalità e nel fatto che egli è buono, che non vede i suoi difetti, ma le sue virtù, che non lo reprime, ma lo incoraggia e gli dà libertà.

Maria Montessori, Educazione e pace.

Molti adulti credono di essere di valido aiuto ai bambini facendogli notare continuamente i suoi errori o correggendoglieli. Spesso intervengono già prima, proprio per impedire ogni sbaglio.

I bambini educati da adulti così ambiziosi, sviluppano ben presto complessi di inferiorità e succede che poco dopo aver iniziato la scuola dicano “Non lo so fare” ancor prima di aver cominciato un lavoro.

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Dateci un orientamento

Noi adulti abbiamo per prima cosa bisogno di sapere come educare. Genitori e maestri sono spesso perplessi e privi di un orientamento quando devono trattare coi bambini.

Chiedono consigli, metodi e indicazioni per fare diversamente o meglio il loro lavoro educativo.

Ma trasmettere ad altri qualche esempio non serve, in fin dei conti si tratta solo di uno scambio di potere fra noi adulti: chi chiede esercita un potere con la sua impotenza, il “consigliere” tranquillizza con una risposta intelligente basata sulla sua apparente competenza.

In questo modo però non nasce un vero contatto che permetta di prendere seriamente e serenamente in considerazione il problema.

Dobbiamo sempre tenere in considerazione che i bambini non hanno bisogno di metodi migliori o nuovi, ma di persone pronte a cambiare.

Dovremmo essere sempre disponibili ad accettare il nuovo, l’imprevisto, e quindi ogni cambiamento in noi e nel nostro ambiente con pazienza, interesse, attenzione.

E’ importante che ci chiariamo le idee sulla direzione che vogliamo prendere, contemporaneamente però dobbiamo essere aperti a inevitabili cambiamenti di direzione.

E alla fine possiamo fidarci solo della nostra capacità di capire e, nell’educare, dobbiamo prenderci personalmente la responsabilità di ogni passo.

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Indicateci limiti chiari

La richiesta di limiti ben definiti provoca spesso grande insicurezza e senso di impotenza negli adulti che cercano strade nuove e vogliono resistere ai modelli educativi tradizionali.

Tra genitori ed insegnanti la paura di mettere limiti è dovuta a esperienze personali infantili, quando i limiti sono stati usati come sistema repressivo per fare o non fare quello che altri si aspettavano da noi. Si trattava per lo più di divieti indicazioni o ammonizioni che si appellavano al nostro Io “migliore”.

Ieri come oggi, nel porre questi limiti spesso non vengono viste né prese in considerazione le necessità personali. I bambini il più delle volte si devono adattare alle esigenze degli adulti per avere un riconoscimento e l’attenzione necessari al loro sviluppo.

A partire dagli anni ’70 è apparsa una marea di letteratura, la più diversa, che ha fornito in proposito consigli ed esempi. In primo piano troviamo le possibilità di risolvere i problemi con intelligenza, parlando in modo democratico.
In questo modo l’adulto ha la sensazione di venir incontro al bambino con molta comprensione, di non condizionarlo e tanto meno di trattarlo male, imponendo dei limiti.

Dimentichiamo tuttavia che i bambini piccoli non sono assolutamente in grado di seguire tali trattative sui limiti: essi percepiscono unicamente il modello linguistico, senza capire realmente il nocciolo del problema, che sarà loro chiaro solo in una successiva fase di sviluppo.

Per i bambini è importante constatare che noi adulti siamo consapevoli del fatto che i limiti posti spesso non piacciono e che riteniamo legittimo che esprimano i loro sentimenti piangendo o brontolando. Tuttavia i limiti restano fermi: non svaniscono con le proteste, né con i pianti.

E’ importante che lo percepiscano insieme al fatto che anche noi ci troviamo in una situazione difficile nei loro confronti: vogliamo loro bene, ma non permettiamo di fare qualsiasi cosa venga loro in mente.
I bambini hanno bisogno di confini per crescere in pace.

Se noi adulti abbiamo il coraggio di indicarli, in maniera chiara e rispettosa, il vantaggio è di tutti.
I bambini, sperimentando limiti e regole nel gioco, possono acquisirne una conoscenza profonda. Più tardi riuscirà loro più facile accettare limiti e regole e potranno usare libertà e limiti in maniera più autentica.

Con la competenza acquisita in questo modo, nella scuola elementare, possono raggiungere un elevato grado di consapevolezza nella fase successiva di sviluppo, tra i 14 ed i 21 anni. In questo periodo i giovani mostrano uno spiccato interesse per temi come giustizia e dignità umana, cause sociali, scoperte scientifiche di ogni tipo e responsabilità politica.

Riconosceranno che non porre limiti significa mancanza di responsabilità nei riguardi di se stessi e del prossimo.
“Nessuno deve oltrepassare i miei confini”, significa che in fondo il mancato rispetto e il disprezzo dei limiti porta a violazioni di individui e di popoli.

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Siate affidabili

I bambini hanno bisogno di relazioni stabili, sicure, basate sulla fiducia, nelle quali trovare un orientamento per le loro necessità.

Nella scuola elementare per i bambini più grande è di grande aiuto ad esempio lo scrivere ogni mattina alla lavagna il decorso che avrà la giornata.
E’ importante per loro che determinate attività, come il lavoro libero, il gruppo di discussione, la pausa, la lettura a voce alta, ecc…, abbiamo luogo sempre con lo stesso ritmo.

Così possono essere certi di avere a disposizione tempo sufficiente per i loro interessi e le loro inclinazioni personali, e tuttavia trovano anche uno spazio nel gruppo di discussione per esprimere i loro desideri e arrivare a una convivenza affettuosa e piena di rispetto.

Nascono così accordi e regole che adulti e bambini rispettano sicuramente.
Allo stesso tempo è chiaro per i bambini, che qualche volta le regole si devono cambiare per adattarle a necessità contingenti.

Accettare e rispettare questi cambiamenti è tanto più facile per i bambini, quanto più sono certi che determinati rituali, come la lettura a voce alta oppure festeggiare il compleanno tutti insieme, avranno sempre luogo con regolarità.

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Mostrate i vostri sentimenti

Per noi adulti è chiaro che i bambini oggi vivono più liberi e che si è più attenti ai loro sentimenti: anche per questo sono più facilmente vulnerabili.

Spesso, nell’accompagnare i bambini con l’intelligenza emotiva necessaria, dobbiamo fronteggiare richieste particolari.

Siamo attenti nel trattare i nostri bambini con giustizia, pazienza e rispetto e, nel far questo, comunichiamo loro informazioni perchè possano risolvere i problemi con sensibilità e avere buone relazioni. Ma esiste grande discrepanza fra la buona educazione e l’effettiva realizzazione.

Molti adulti pensano di  poter risolvere i problemi in maniera razionale e per questo spesso parlano e discutono coi bambini, danno consigli, fanno esempi, in realtà si limitano a parlare ai bambini, anziché parlare con i bambini ed ascoltarli. Con tutti questi consigli si trascura spesso il fatto che una buona educazione ha molto a che vedere con i sentimenti.

Daniel Goleman, nel suo libro Intelligenza emotiva, descrive i risultati di ricerche che dimostrano quale ruolo giochino i sentimenti nella nostra vita.

Dagli studi fatti risulta evidente che successo e felicità, sia in campo familiare, sia in campo professionale, non dipendono tanto dal quoziente d’intelligenza, quanto da una vita emotiva consapevole. Egli chiama questa qualità “intelligenza emotiva“.

Per genitori ed insegnanti ciò significa pensare maggiormente ai sentimenti dei bambini, cercare di consolarli e di guidarli, immedesimandosi in loro.

Lo stesso principio vale per i nostri sentimenti personali.
Dovremmo imparare ad accettare sentimenti quali rabbia, tristezza, paura come parte della nostra vita, e considerare le tensioni emotive come un’opportunità.

Molti adulti invece non sono in grado di affrontare i sentimenti negativi propri e dei bambini: c’è chi sorvola e addirittura minimizza le emozioni negative, chi rimprovera o punisce i bambini per la loro esplosione emotiva. Altri sembrano particolarmente tolleranti perchè accettano i sentimenti dei bambini, però osservandoli più da vicino si constata che non offrono loro alcun aiuto concreto per risolvere i problemi o per porre limiti al loro comportamento.

John Gottman (Intelligenza emotiva per un figlio) dice che occorre:
. essere consapevoli dei sentimenti del bambino;
. vedere nella manifestazione dei sentimenti un’opportunità per potergli essere vicino e comunicargli qualcosa;
. ascoltare in maniera partecipe e confermare i sentimenti del bambino;
. aiutarlo a dare un nome alle emozioni;
. porre alcuni limiti e prospettare una possibile soluzione del problema.
Dalle ricerche è emerso che i bambini certi dell’amore e dell’appoggio degli adulti riguardo i loro sentimenti, sono più tutelati da un’eccessiva aggressività, da un comportamento asociale, da dipendenza da droghe, da un’attività sessuale prematura, dal suicidio.
Gottman e Goleman hanno inoltre appurato che i bambini che si sentono apprezzati e considerati dagli adulti, hanno prestazioni migliori a scuola, più amici, e una vita più sana e ricca di successi.

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Date spazio alla gioia

Stare con i bambini permette a noi adulti di affrontare le responsabilità della vita con una leggerezza tale che dovremmo sempre farci coinvolgere.

In tutte le situazioni difficili e nelle provocazioni, mi hanno sempre fatto ridere di cuore e reso felice le osservazioni dei bambini o le storie scritte da loro. Ricordiamo che gli sciamani indiani guariscono i malati nel momento in cui riescono a farli ridere.

Per me quindi è diventato un principio di vita e di lavoro provocare il riso nelle persone, raccontando favole scritte da bambini, e noto come la maggior parte delle persone si senta subito bene perchè è proprio il senso dell’umorismo che riesce a ristabilire un nuovo equilibrio fra sentire e pensare, tra ragione  e fantasia.

 

Prospettive per una “nuova” educazione in questo secolo

Molti adulti pensano ancora che l’essere umano sia incline alla pigrizia e all’inerzia e per questo debba essere istruito, guidato da persone di maggiore autorità e soprattutto essere da loro controllato.

Ma gli esseri umani sono degni di fiducia, ricchi di inventiva, auto motivati, dinamici, creativi e costruttivi.

In un ambiente educativo olistico si crea un clima rassicurante nel quale vengono soddisfatti la curiosità e il desiderio naturale di imparare.

Al posto di una competitività distruttiva troviamo cooperazione, rispetto per gli altri, disponibilità reciproca. In questo ambiente i bambini, ma anche gli adulti, imparano ad apprezzarsi, sviluppano fiducia e considerazione in se stessi.

Scopriamo, in maniera sempre crescente, che l’origine della nostra idea di valore è dentro di noi e che un senso positivo della vita viene dal nostro interno.

In questo modo nasce in ogni singolo un dialogo costante fra scoperte intellettuali e scoperte emotive che portano a una gioia di imparare che dura per tutta la vita.

Anche Montessori disse: “La questione della vera riforma educativa è una questione di odio o amore. Il bambino che ama, che si sente amato, ha una natura dinamica. E’ un bambino che lavora molto, che non ha paura di far fatica e cerca disciplina, elemento naturale per le persone che vivono una vita normale. Un bambino che ama, nella sua maturità, diventerà l’uomo nuovo. E’ possibile prevedere una nuova società, nella quale l’uomo sarà più capace perchè quando era bambino gli è stata insegnata la fiducia.

L’esperienza, ormai da anni, ha dimostrato che l’educazione futura sarà soprattutto una provocazione alla nostra immaginazione e la riscoperta del bambino che è in noi.

E’ quindi necessario abbandonare aspettative e pregiudizi e aprirci all’oggi. Noi adulti, quando impariamo, dobbiamo considerarci in modo olistico, cioè un insieme di corpo, anima e spirito per sentirci elementi integrati in un tutto attivo.

Ciò significa che non dobbiamo più insegnare i particolari ai bambini, ma far loro sentire il mondo visibile e invisibile come un insieme. L’educazione olistica include il cuore del bambino, il suo istinto, la sua fantasia, i suoi sentimenti.
Maria Montessori ha sviluppato questo modo particolare di imparare nella cosiddetta “Educazione Cosmica” elaborata tra il 1939 e il 1947, periodo in cui era in India.
C’era una volta una regina che aveva tre figli. Il maggiore era un drago, il secondo era un cavallo e il più piccolo un uomo. I tre fratelli erano così diversi fra loro che nessuno capiva la lingua dell’altro. Benché la regina non avesse promesso il suo regno ad alcuno di loro, il più giovane si impadronì del potere e lo esercitò con grande crudeltà. Quando poi la regina ebbe anche una figlia, il figlio più giovane temette per il suo potere, fece un brutto incantesimo alla piccola principessa che si addormentò e non si svegliò mai più.”
La vecchia regina è la nostra anima. I tre figli sono il drago, ovvero la struttura cerebrale reticolare che corrisponde al tronco encefalico; il cavallo, che è la struttura limbica cerebrale, centro delle emozioni; la corteccia cerebrale, l’uomo, è la capacità razionale.

La principessa dormiente però è il quarto figlio, la farfalla cerebrale. Dobbiamo liberare la bella dormiente che è in noi. Come la farfalla ha le ali, e quando verrà svegliata il mondo delle larve e delle crisalidi scomparirà: la principessa distenderà le ali e volerà libera.
Spero che anche voi riusciate a liberare la farfalla assopita della vostra mente, che sappiate trovare diverse alternative per un’altra forma di educazione in questo secolo, anche se, talvolta, nella vita di tutti i giorni, ci possiamo sentire scoraggiati.

Nell’interesse di bambini mi esercito ogni giorno a credere nell’impossibile, e vi prego, fatelo anche voi.

Claus-Dieter Kaul

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Bibliografia consigliata 

Intelligenza emotiva per un figlio. Una guida per i genitori – di John Gottman e Joan Declaire
Ogni genitore si interroga sui modi migliori per educare i propri figli a realizzare i loro talenti e godere della vita nella sua pienezza: in questo percorso di crescita, un ruolo fondamentale è rivestito dall’intelligenza emotiva, cioè dalla capacità di fondere le proprie attitudini con qualità come l’empatia e l’attenzione ai rapporti con gli altri. Psicologo noto in tutto il mondo proprio per i suoi studi sulle relazioni tra genitori e figli, Gottman mostra in questo libro in che modo i genitori possono diventare dei bravi “allenatori emotivi”: attraverso limpide spiegazioni e un ampio numero di esempi pratici, l’autore esamina le fasi cruciali dello sviluppo di bambini e ragazzi – dalla gestione dei sentimenti al controllo degli impulsi, dall’importanza dell’ascolto al superamento dei conflitti – e illustra passo dopo passo come trasmettere ai figli le qualità necessarie per crescere più forti e felici.

La pace giusta. Testimoni e maestri tra ‘800 e ‘900 – di Emilio Butturini

Educare ad essere. Una scuola dalla parte dei bambini (momentaneamente non disponibile)

Infanzia e società in Maria Montessori. Il bambino padre dell’uomo – di Raniero Regni
Il contributo che Maria Montessori ha dato alla pedagogia italiana ha attraversato il tempo e conserva intatto il suo valore anche oggi. Nel presente volume si mette a confronto la Montessori con alcune delle punte più avanzate della riflessione psicopedagogica, sociologica, etologica, filosofica e letteraria (Piaget, Bruner, Hayek, Lorenz Camus, Popper tra gli altri); accostamenti inaspettati che permettono di esplorare aspetti poco valorizzati o malintesi del messaggio educativo montessoriano.

I bambini, che belle persone! Centro nascita Montessori
Questo libro è un invito a guardare il mondo dell’infanzia con occhi molto attenti, ad osservare il bambino nella sua dignità di persona sensibile e sempre attiva. Si è scelto quindi di presentare una serie di fotografie che, nella loro immediatezza e semplicità di lettura, ci facciano riflettere su situazioni quotidiane che i nostri occhi distratti non vedono più: sulla straordinaria espressività dei bambini, sulle loro azioni mai banali, mai superflue… Accompagnano le illustrazioni alcune parole di Maria Montessori.

Montessori: perchè no? – a cura di G. Honegger Fresco
Si tratta di una vicenda del passato oppure il pensiero e le esperienze della pedagogista italiana hanno continuato a vivere, costituendo modello e spunto per imprese scolastiche e pedagogiche che vanno ben oltre le Case dei Bambini cui il suo nome è soprattutto legato? La risposta che viene offerta nel testo è affermativa e si fonda su scritti inediti della stessa Montessori, su testimonianze di discepoli, amici, studiosi di fenomeni formativi, personaggi di cultura, su resoconti di sue iniziative e realizzazioni nei vari luoghi in cui è trascorsa la sua esistenza, su documentazioni di “scuole” montessoriane sparse nel mondo e frequentate da bambini piccoli e adolescenti.

Paesaggio educatore. Per una geo-pedagogia mediterranea – di Raniero Regni
Il ruolo del paesaggio e la delineazione di una sua fisionomia: è questo il tema centrale del volume. Un argomento importante della psicologia sociale che si interroga su cosa sia oggi il paesaggio, che cosa insegna e come possa essere insegnato, indagando anche un particolare tipo di paesaggio che è il nostro, quello mediterraneo, capace di ispirare ancora una psicologia sociale, e addirittura un modello non solo educativo.

di Maria Montessori: 

Il bambino in famiglia
Il bambino in famiglia raccoglie i testi di una serie di conferenze tenute nel 1923 a Bruxelles, nelle quali Maria Montessori traccia le proprie proposte per una Scuola dei genitori. Il volume è quindi una guida di igiene mentale a uso di genitori ed educatori, perché non si creino – anche inavvertitamente le premesse di quella che si manifesterà un giorno come una penosa (ma inevitabile) incomprensione nei rapporti tra genitori e figli.

Il segreto dell’infanzia
Madri ed educatori troveranno in questo libro il mondo in cui s’ambienta il metodo montessoriano: “l segreto dell’infanzia” crea infatti lo stato d’animo preliminare all’intelligenza di una pratica pedagogica logica e chiara, che conduce sottilmente alla progressiva scoperta delle verità intellettuali. Il muto e misterioso lavoro del bambino nei suoi primi tre anni, l’incarnazione dello spirito umano nella giovane creatura divengono una verità acquisita alla nostra coscienza, una rivelazione a cui ognuno può attingere suggerimenti per meglio orientare il processo formativo.

La scoperta del bambino
La scoperta del bambino è la sintesi e il coronamento degli scritti in cui Maria Montessori ha delineato il suo metodo pedagogico, basato sul lavoro creativo cui è chiamato l’insegnante. Il volume segue lo sviluppo psicologico del bambino da quando, dopo il segreto travaglio dell’apprendimento del linguaggio, si volge al mondo che lo circonda, fino agli anni dell’insegnamento elementare. Sottolineando l’incessante interazione tra le percezioni del bambino, i suoi atti e la mente che acquisisce, illustra il materiale montessoriano e il suo uso negli esercizi pratici e sensoriali. Centrali sono anche il tema della formazione dell’insegnante e la polemica contro i pregiudizi che pesano sullo sviluppo della mente infantile.

Educazione per un mondo nuovo
Il libro propone un’analisi scientifica della personalità del bambino. Con un’esposizione sempre piana, Maria Montessori tratta delle grandi capacità del bambino e delle sperimentate possibilità del suo sviluppo psichico e intellettuale. Scritto dopo la terribile esperienza della guerra, questo libro segna il tentativo di delineare attraverso l’educazione i tratti di una comunità mondiale pacifica e armonica.

Dall’infanzia all’adolescenza
In questo lavoro, pubblicato al culmine della maturità intellettuale e dell’impegno in campo pedagogico, Maria Montessori analizza le caratteristiche psicologiche che contraddistinguono il periodo evolutivo che va dalla seconda infanzia all’adolescenza sino alle soglie della maturità e alla frequenza universitaria, individuando risposte educative e didattiche pertinenti con le specifiche esigenze cognitive, emozionali e sociali emergenti in queste particolari fasi evolutive. Dalle sue riflessioni emergono un quadro psicologico di grande interesse e attualità, indicazioni didattiche chiare e coerenti, nonché una proposta curricolare e organizzativa di scuola secondaria centrata su una preparazione culturale “ampia, profonda, completa”, attenta alla esigenza prioritaria di fornire ai giovani condizioni concrete per la costruzione della propria identità sociale e personale. Ne emerge un modello di scuola che pone al centro dell’attenzione i bisogni dell’adolescente, un soggetto da cui dipende il futuro dell’umanità, come sottolinea l’autrice, ma che si trova ad attraversare una fase di “cambiamento radicale nella sua persona” che richiede un “cambiamento radicale nella sua educazione”.

L’aritmetica sviluppata secondo le indicazioni della psicologia infantile durante venticinque anni di esperienze.
Il libro presenta la proposta montessoriana per l’apprendimento dell’aritmetica con materiali autocorrettivi per i bambini da tre a dodici anni.

Educare alla libertà
II metodo educativo Montessori, applicato in centinaia di scuole in tutto il mondo, ha rivoluzionato nel profondo la pedagogia degli ultimi cent’anni, proponendo un’idea del bambino completamente diversa da quella fino allora accettata. Il fanciullo viene visto come un essere completo, dotato naturalmente di un’energia creativa e affettiva, e il principio fondamentale che deve improntare la sua educazione è quello della libertà, da cui naturalmente emergerà la disciplina. Questo volume comprende alcuni dei brani chiave del pensiero montessoriano che offrono ai genitori e agli educatori di oggi utili spunti di riflessione per crescere dei bambini liberi, autentici, spontanei, responsabili.

La mente del bambino. Mente assorbente
In questo libro Maria Montessori si inoltra nel mistero di quel periodo in cui si organizza la mente. Definisce i caratteri, i limiti e le insospettate possibilità della prima forma della mente del bambino, quella mente assorbente che tutto riceve e ritiene, ma che di alimento ha bisogno per il suo sviluppo così come di alimento materiale ha bisogno il corpo.

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L’importanza dell’ambiente nella pedagogia Montessori

L’ambiente riveste per la Montessori un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la crescita dei bimbi; la scuola deve essere in grado di accogliere bambini di età diverse coinvolgendoli e stimolandoli nelle attività individuali e di gruppo, accrescendo in loro il senso di appartenenza a una collettività e nello stesso tempo dando loro piena libertà di movimento e di azione.

In altre parole, accogliendoli in un luogo caldo e rassicurante, aperto alle scelte e al lavoro di ciascun piccolo alunno.

Gli arredi devono essere pensati e studiati tenendo conto dell’età e della corporatura dei piccoli e costruiti all’insegna della leggerezza in modo che, proprio a causa della loro fragilità, rivelino un utilizzo sbagliato o mancanza di rispetto da parte di coloro che ne fanno regolarmente uso (per questo motivo, nelle scuole montessoriane gli scolari si servono di piatti di ceramica, bicchieri di vetro, soprammobili fragili: i bambini sono, in questo modo, invitati a coordinare i movimenti con esercizi quotidiani di autocontrollo, autocorrezione e prudenza).

Il mantenimento dell’ordine, della pulizia e della bellezza sono i compiti principali che i bimbi sono chiamati ad adempiere e ciò nella convinzione che solo un ambiente ordinato e organizzato è in grado di far emergere le virtù nascoste di chi lo frequenta e lo vive.

L’istinto e il bisogno fondamentali del bambino sono quelli di un adattamento attivo al mondo delle cose e delle persone, misurate e commisurate alle sue personalissime istanze.

Non v’è ambiente sociale, ha scritto Maria Montessori, nel quale non vi siano individui che abbiano esigenze e livelli diversi.

Per questo stesso fatto la scuola è un ambiente che deve accogliere bambini di età eterogenea e adatto al lavoro individuale o di piccolo gruppo.

Il suo parametro di misura è dunque la casa, con spazi articolati, irregolari, ricchi di ‘angoletti nascosti’, di ‘cantucci tranquilli’ dove lavorare, pensare, immaginare con i propri tempi e ritmi interiori.

Ma anche ambiente preparato nel senso della misura, con oggetti e arredi proporzionati all’età e al corpo dei bambini stessi, rivelatori dell’esattezza e dell’ordine, qualità che suggeriscono una disciplinata attività autonoma; ambiente accogliente e caldo, rassicurante e vissuto con un positivo senso di appartenenza.

L’ambiente scolastico diventa ambiente di vita nel quale i bambini sono impegnati gioiosamente al mantenimento dell’ordine, della pulizia, della bellezza. Queste attività, definite esercizi di vita pratica, hanno una funzione importante e significativa sia nella “Casa dei bambini” dove favoriscono il perfezionamento psico-fisico e la coordinazione dei movimenti, sia nella scuola elementare dove assume maggior rilievo la dimensione della autonomia responsabile e quindi della socialità.

La scelta metodologica montessoriana assegna all’insegnante e all’adulto anche da questo punto di vista una assunzione di responsabilità circa i rischi collegati all’uso di materiali ‘reali’.
Nella Scuola Elementare l’ambiente sarà razionalmente organizzato e articolato anche in vista della più attiva ricerca di relazione e di socialità che sono caratteristiche di questa età.

Esso dovrà favorire:

la sperimentazione e il lavoro individuale e di gruppo;

la lettura e la consultazione di testi con una essenziale biblioteca di classe;

la raccolta, lo studio e la valorizzazione di elementi forniti dalla natura come occasione per la ricerca e le uscite di osservazione;

l’apertura alla realtà extrascolastica e al territorio (la scuola entra nel mondo e il mondo entra nella scuola);

le attività manuali legate al “lavoro dell’umanità”, ma sempre collegate allo sviluppo della mente.

Il lavoro della mani” ha scritto Maria Montessori “deve sempre accompagnare il lavoro della mente in virtù di una unità funzionale della personalità”.

Come è noto, l’ambiente tipico di una scuola montessoriana si distingue per la presenza dei necessari ‘strumenti’ di lavoro psico-motorio e intellettivo dei bambini, strumenti definiti “materiali di sviluppo e di formazione interiore”.

Il bambino, come peraltro ogni essere vivente, è guidato dai suoi misteriosi impulsi vitali ad adattarsi all’ambiente, assorbendone i caratteri.

Laddove esso sia confuso, instabile, incompiuto, né utile né necessario, privo di attrattiva e di interesse e non direttamente utilizzabile per una personale sperimentazione di conoscenza, ebbene il bambino assimilerà questi caratteri negativi senza poter esercitare in modo chiaro, preciso e finalizzato i propri poteri psichici e mentali. In sostanza gli è impedita o resa difficile la stessa formazione del suo proprio carattere.

Per questo motivo di fondo, strettamente legato alla costruzione di una personalità attiva e disciplinata, l’ambiente educativo montessoriano è stato definito come maestro di vita e di cultura, come ambiente educatore.

Il lavoro organizzato è la dimensione pratica nella quale vivono e si realizzano i due presupposti scientifici che sostengono le ragioni e la necessità del metodo Montessori:

Il primo di essi riguarda il bambino, ossia la sua natura che gli ‘comanda’, attraverso spinte interiori, impulsi delicati e profondi, di realizzare il proprio sviluppo psichico.

È soltanto la natura che gli suggerisce che cosa fare, quando farlo e come farlo, e lo guida nella creazione dei propri ‘organi psichici’ (si pensi al movimento e al linguaggio) mettendogli a disposizione particolari e temporanee sensitività.

Queste presiedono alla preparazione e formazione di forze e poteri che non potranno essere positivamente acquisiti quando i corrispondenti periodi sensitivi abbiano cessato di agire in modo intenso e dominante.

Pertanto lo sviluppo psichico non avviene a caso né ha origine da stimoli esterni: certamente il bambino deve essere esposto all’ambiente alle cui spese si sviluppa; ma se l’ambiente è necessario affinché il bambino agisca e incarni se stesso, la propria creazione psichica e mentale è il risultato di una ‘volontà interna’, di un misterioso segreto vitale: “In questi rapporti sensitivi tra il bambino e l’ambiente, sta la chiave che può aprirci al fondo misterioso in cui l’embrione spirituale compie i miracoli della crescenza”.

Il secondo presupposto afferma che i bambini hanno una forma mentale propria e diversa dall’adulto: è la mente inconscia e assorbente, creatrice della natura dell’uomo e della sua cultura: movimento, linguaggio, pensiero, amore.

Ma il bambino non crea e assorbe a caso, ma attraverso una guida severa e ordinata.

Egli segue leggi costanti che creano normalmente i fatti dello sviluppo rispettandone i tempi di manifestazione ed esplosione.

Per il solo fatto di vivere il bambino impara o meglio assorbe e fa suo tutto ciò che l’ambiente offre alla sua attenzione trasformandolo in cultura e civiltà e assicurando così la continuità storica dell’umanità.

La scuola, a partire da questi fatti e fenomeni naturali, è perciò ‘coltivazione’ dell’umanità, aiuto alla sua espansione e formazione: “le menti in via di sviluppo hanno l’avidità di un corpo affamato”.

La cultura del bambino è, dunque, il risultato del suo libero lavoro nel corso di esperienze personali donde egli trae e assorbe gli elementi costitutivi, i quali si fissano nel suo spirito preparandosi a dare nuovi frutti.

La scuola nel suo insieme e le aule non sono confini limitanti, ma luoghi di storie e di esperienze, perché il bambino circolandovi liberamente scopre nuove possibilità di lavoro e di conoscenza.
Il bambino istintivamente si porta dove c’è opportunità di lavoro, di esperienza, di osservazione, di studio.

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Il ruolo dell’insegnante nella scuola Montessori

I bambini desiderano conoscere e sapere, domandano e ricercano, pensano e immaginano perché istintivamente sanno che i fenomeni e i fatti debbono essere spiegati e giustificati e che essi ‘vivono’ e esistono secondo determinate leggi e proprietà.

Ogni cosa è pensata in una visione più vasta della realtà.

Ma, ha scritto Maria Montessori, essi “hanno bisogno di ricevere risposte complete, che provocano il loro entusiasmo e suscitano il bisogno di nuove ricerche e di attività intensa”.

Gli insegnanti dovranno essere all’altezza di tale prorompente bisogno, “ampliando la loro vita psichica”, penetrando con le loro ricerche in campi inesplorati, aprendosi a più larghi orizzonti, impadronendosi di nuove conoscenze di cui forse non sospettano l’esistenza.
L’insegnante montessoriano opera con la fondata speranza che ogni individuo è chiamato dalla natura a realizzare la propria evoluzione psichica, secondo un disegno da essa preordinato, purché egli viva in un ambiente adatto alle forme del suo lavoro.

L’insegnante non giudica i risultati conseguiti dal bambino, ma le cause che ne impediscono o ritardano l’ascesa, provvedendo ad osservarle e capirle, e a modificare le circostanze che ostacolano il normale sviluppo.

Per questo motivo egli non ha un centro e una periferia nella classe ed è contemporaneamente assente e presente: è vicino al bambino che richiede la sua presenza, gli siede accanto con una piccola sedia, gli parla dolcemente e brevemente, senza sovrastare il bambino con il corpo e la parola adulti.

Aiuta senza interrompere e correggere, e questo aiuto è dato senza disturbare il lavoro e la concentrazione degli altri bambini.

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Il materiale Montessori

Il materiale Montessori è il capitolo centrale del metodo.

Il materiale è, per così dire, un eserciziario dello spirito, in quanto il bambino vi esercita la propria sensorialità ed intelligenza, liberamente attirato dalle segrete informazioni e dalle inesplorate soluzioni che esso racchiude.

Penetrando il materiale strutturato, i bambini si rendono conto di come operano, pensano, adottano ipotesi, congetture e soluzioni, di come classificano, risolvono problemi e modificano le proprie rappresentazioni mentali.

Poiché il loro lavoro è intimamente personale, essi sperimentano e conquistano il sentimento della propria autonomia e identità.

Maria Montessori, pur scusandosi di non aver saputo individuare un termine equivalente e meno ambiguo, ha sempre precisato che la normalizzazione non è una azione correttiva e emendativa dell’adulto.

Essa è il ‘ritorno’ spontaneo del bambino alla espressione e sperimentazione delle sue forze positive e costruttive: è dunque, un processo di auto-normalizzazione, di liberazione dei poteri sani da stati di coscienza e di comportamento che ne impediscono l’adattamento attivo.

La normalizzazione è la rinascita della normalità bio-psichica attraverso la quale il bambino riprende interesse, desiderio di lavoro, sforzo e soddisfazione nell’attività prescelta.

La libera scelta e il lavoro appropriato sono le ‘medicine miracolose’ che canalizzano lo spirito del bambino nella scoperta della sua più profonda natura: il fare e il saper fare, non imposti e giudicati dall’adulto, ma sperimentati nell’attività con le ‘cose’ in un ambiente sociale a sua volta non violento, non competitivo, né selettivo, né emarginante.

Questo aspetto dell’educazione montessoriana è stato sempre notato e riconosciuto come il tipico effetto di un intervento indiretto dell’ambiente che offre l’opportunità di ‘auto-riformare’ le proprie tendenze di fuga, di opposizione, di abbandono, di capriccio.

La guarigione del bambino è nelle sue stesse mani, proprio nel senso della mano che riprende ad esplorare, a fare, a pensare, a conoscere.

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Il curricolo nelle scuole Montessori

Il termine curricolo viene usato in questo progetto nel suo significato largo, come espressione operativa di un programma o di un corso di studio organizzato e sequenziato secondo particolari assunti psicologici che ne motivano sia i processi che i metodi.

Gli obiettivi non sono, nella metodologia montessoriana, qualcosa da cui partire o a cui giungere; essi sono modificazioni di conoscenze e comportamenti iscritti nel processo stesso del lavoro del bambino.

Pertanto il curricolo che si propone è  la scoperta e la descrizione della cultura infantile di cui la Montessori è stata la ricercatrice infaticabile, facendocene conoscere la nascita, lo sviluppo e i contenuti, e il modo in cui il bambino la incarna diventando individuo colto e competente.

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IL CURRICOLO DELLA SCUOLA D’INFANZIA

Vita pratica e socialità
La vita pratica e la cura dell’ambiente. La vita pratica e la cura della persona. La vita pratica nella relazione sociale. Motricità fine e controllo della mano. Esercizi di movimento determinanti il bisogno di coordinazione e controllo psicomotorio. I travasi. L’esercizio del silenzio. L’esercizio del filo.

Obiettivi: ordine mentale; verso l’autonomia e l’indipendenza; autodisciplina; rispetto di sé, degli altri, delle cose; unità di libertà e responsabilità; l’analisi dei movimenti.

Educazione sensoriale

Senso visivo: dimensioni, forme, colori. Senso uditivo: rumori e suoni. Senso tattile:  barico, termico, stereognostico. Sensi gustativo e olfattivo. La lezione dei tre tempi. Il training sensoriale: ulteriori sviluppi e raffinamenti. La memoria muscolare. Suono e movimento.

Obiettivi: verso l’astrazione; analisi; attenzione; concentrazione (capacità di distinzione, discriminazione, confronto, misura, classificazione, seriazione, generalizzazione, ecc.).

Il linguaggio.

Arricchimento e proprietà del linguaggio. Nomenclature classificate. Giochi linguistici per la scoperta della funzione logica, comunicativa e grammaticale del linguaggio. Preparazione diretta e indiretta alla scrittura. L’analisi dei suoni. L’esplosione della scrittura. Il perfezionamento: calligrafia, ortografia, composizione. L’esplosione della lettura: dalla parola alla frase. I comandi. La grammatica come preparazione alla lettura totale. Giochi grammaticali intuitivi: funzione, posizione, simbolo. Le scatole grammaticali; prima tavola per l’analisi logica (materiale fisso e mobile); tavole dei suffissi e dei prefissi. Il libro: la lettura, la conversazione, l’ascolto. L’arte di interpretare. Le parole delle immagini.

Obiettivi: padronanza fonemica del continuum fonico; padronanza grafemica del continuum grafico. Il linguaggio come denominazione e classificazione; la costruzione delle parole e le loro variazioni semantiche; analisi del linguaggio e analisi del pensiero; la funzione comunicativa: narrazione e auto-narrazione; il linguaggio e la vita simbolica; il bambino grammatico verso la metalinguistica.

La mente logico-matematica

La base sensoriale delle strutture d’ordine e le astrazioni materializzate. Primo piano della numerazione (cellula germinativa del sistema decimale). La struttura del sistema decimale: 2° piano. La simbolizzazione. Le quattro operazioni: approccio sensoriale e intuitivo. La memorizzazione.

Obiettivi: la scoperta del numero come unità e insieme; la padronanza simbolica delle quantità; le funzioni del contare: separare, aggiungere, dividere, distribuire, togliere, sottrarre, ripetere, ecc… Il lavoro della mente: successioni, gerarchie, seriazioni, relazioni, uguaglianze, differenze, ordinamento, ecc… Il linguaggio matematico e l’ordine delle cose.

Educazione cosmica

Il tempo dell’io e il tempo sociale: passato, presente, futuro. La misura del tempo cronologico. Il tempo biologico. Tempi e cicli della natura. Il tempo della civiltà: storia materiale (utensili, casa, trasporti, mezzi di protezione, ecc.). Lo spazio dell’io. Gli spazi sociali. Lo spazio bi e tridimensionale. Lo spazio rappresentato. Lo spazio misurato. Lo spazio del mondo: costituzione e forme (acqua, terra, continenti, penisole, isole, fiumi, montagne, vulcani, pianure, ecc.). La materia: forme e stati. Le forze della materia. Gli organismi viventi: funzioni e bisogni. Il cosmo nel giardino: lo stagno, l’orto, la fattoria (etologia e biologia animale, biologia vegetale). Il linguaggio scientifico della natura: nomenclature e classificazioni.

Obiettivi: primo avvio alla comprensione delle costanti cosmiche; approccio alla visione di interdipendenza ed ecosistema nei processi evolutivi umani e naturali; osservazione e sperimentazione tra favola (cosmica) e realtà; introduzione al vissuto dei viventi.

L’educazione musicale
Rumori e suoni nella natura e nella super-natura; riconoscimento, analisi, rappresentazione (altezza, timbro, durata, intensità, ecc). Il bambino costruttore di suoni e di oggetti sonori. Suoni, ritmi e movimento. Il suono e il gesto; suono e colore. I suoni organizzati: analisi e riproduzione: ninne nanne, filastrocche, cantilene, fiabe musicali e loro traduzione drammaturgica in piccolo gruppo. Il coro; l’inventa-canto; l’inventa-orchestra. Striscia storica degli strumenti musicali. Il silenzio e l’ascolto. Approccio ai generi musicali. Verso la scrittura e la lettura musicali.

Obiettivi: comprensione della natura e del fenomeno del suono; esplorazione dell’io sonoro; educazione sensoriale all’ascolto; la socialità del suono; creatività interpretativa e produttiva.

Educazione all’arte rappresentativa

Il contesto: educazione alle forme, alle dimensioni, ai colori. Composizione di colori e scale cromatiche. Educazione della mano, organo motore del segno. Dall’arte degli incastri alle decorazioni spontanee.Le carte colorate. Forme e colori nella storia; forme e colori nella natura. Il disegno spontaneo: gli aiuti indiretti. Il disegno spontaneo si ‘racconta’. L’espressione plastica: materiali e tecniche. La cartella personale ed evolutiva del lavoro pittorico del bambino. Il museo dei manufatti artistici.

Obiettivi: dal controllo della mano al controllo del segno; dalla composizione dei colori alla espressività del colore; il disegno decorativo ed ornamentale e la geometria delle forme; disegnare per raccontare e immaginare; la mano e la materia: le forme dei volumi.

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