Recite per bambini – L’uomo e l’animale. Una recita in rima, molto utilizzata nelle scuole steineriane in quarta classe.
Narratore: Gentili Signore e Signori siamo qui oggi per raccontare la storia singolare dell’uomo e dell’animale che sulla terra stanno insieme per godere il bello e il bene che ogni essere fecondo porta sempre in dono al mondo, del coraggio e dell’astuzia, della rabbia e la pigrizia il ricco gioco del creato che è ora qui rappresentato.
Essere umano: Mi presento, l’uomo sono la coscienza è il mio dono, ma non solo, su, andiamo… queste cose le sappiamo. Io le mani posso usare afferrare o accarezzare, posso stare dritto in piedi, ecco, guarda, non lo vedi? Ho la bocca per parlare o il silenzio accompagnare. La casalinga o il ragioniere, il farmacista o il parrucchiere. Tutte le cose che posso fare sono impossibili da elencare. Posso scrivere e anche tanto e della parola seguire l’incanto. Ho il coraggio e la pazienza, la furbizia e la sapienza. Potrei dirne ancora a quintali, ma ora è momento di voi animali.
Elefanti: I nostri passi sono pesanti, fate largo tutti quanti! Siamo antichi e siam sapienti, animali sorprendenti. Gran memoria possediamo ed alla terra noi la doniamo. Con lunghe zanne ci difendiamo con grandi orecchie tutto ascoltiamo. Del passato e del presente non ci sfugge proprio niente. Ma attenzione, zitti, ascoltate… … un topo! Aiuto! Scappate! Scappate!
Topo Elefanti elefantoni, siete grandi ma lenti e fifoni! Io piccino invece sguscio nella casa sotto l’uscio. Sono il topo roditore mangio e corro a tutte l’ore son veloce e furbo assai forse prendermi potrai con astuzia e con coraggio e con la trappola col formaggio! Ma ora scappo, mica son matto, qui si sente odore di gatto!
Gatto M’è scappato, il roditore, era qui, sento l’odore! Beh, peccato, ma non fa niente, sarebbe stato divertente. Una bella leccatina e son pulito da sera a mattina Ho un mantello lisciato e lucente ammirate brava gente. Sono il gatto vanitoso io di giorno mi riposo e la notte balzo in piedi proprio quando non mi vedi. So essere buffo e divertente ma a cambiare ci vuole un niente Da tutto il mondo son rispettato e dagli uomini molto amato.
Felini Dei micetti siamo parenti ma più lunghi abbiamo i denti. Siamo veloci come il vento e il nostro fiuto è un vero portento. Con le orecchie noi sentiamo anche se starnuta un nano. Siamo temuti e rispettati e da infinito coraggio animati. Ci piace vivere con la famiglia coccole e giochi: che meraviglia! Ci muoviamo con passo felpato quando la preda abbiamo avvistato. Sappiamo cacciare ferocemente, ma sentite: arriva un serpente!
Serpente Noi siamo i serpenti strisciamo qua e là famosi e temuti in ogni civiltà. Facciamo uova e cambiamo pelle il sole ci scalda cacciamo con le stelle. Attenzione ai nostri denti, c’è il veleno, sian serpenti!
Riccio e scoiattolo Amico riccio, tutto spinoso, sono qui che mi riposo. Vuoi sederti anche tu a riposare, che due chiacchiere mi va di fare? Oggi ho raccolto castagne e ghiande per la provvista delle vivande, che nell’inverno, senza fogliame, non ci faranno morire di fame. Mangiare le cose messe da parte, questa sì che è vera arte! Anche tu, riccio, sei previdente, un vero amico, davvero eccellente.
Coccinella Volo e volo, che bellezza, nell’aurora, nella brezza, sorridente e spensierata con un elfo ed una fata. Per volare su prati e canali basta battere un poco le ali. Ho un bel vestito fatto a puntini il prato mi ama, e anche i bambini e sotto il sole e sotto la luna si dice pure ch’io porti fortuna.
Essere umano Ecco qui, li avete ascoltati, gli amici animali si son presentati. Ogni storia è interessante quella del topo e dell’elefante del serpente e della rana dello scoiattolo nella sua tana. Ognuno ha un dono particolare e con precisione sa cosa fare. Ma io questi doni li ho dentro tutti sia quelli belli sia quelli brutti, io questi doni li ho tutti in me dall’uomo misero al grande re. Col cuore supero il coraggio del leone col pensiero volo più alto del falcone posso avere più fame di un lupo e desiderare il cielo più forte del bruco.
tutorial per realizzare pecorelle in lana cardata per il presepe, il gioco o per allestire teatrini in stile Waldorf.
Pecorelle di lana cardata – Materiale occorrente
lana bianca cardata e non cardata, un ciuffetto di marrone se si vogliono decorare le zampe, forbici, fil di ferro abbastanza sottile, acqua tiepida e sapone, aghetto da feltro
Pecorelle di lana cardata – come si fa
preparare una striscia di lana cardata bianca, fare un nodo al centro, poi dividere in due falde il ciuffo che avanza ad una delle estremità del nodo, e con queste rivestire il nodo, come mostrato nelle foto:
con poca lana cardata girare intorno al nodo per fermarlo bene, poi dividere nuovamente il ciuffo in due falde, usarle per rivestire il nodo, e fermare sempre girando attorno a nodo con poca lana cardata.
Ora, in base alla grandezza della testa (cioè del nodo) immaginare le dimensioni del corpo della pecora, e piegare la falda di lana a misura, poi con dell’altra lana cardata formare un primo abbozzo di corpo, girando attorno:
Poi inserire il fil di ferro per le zampe:
mettere la pecorella in piedi sul tavolo e decidere l’altezza delle zampe, accorciandole ripiegando il fil di ferro su se stesso, e fare delle prove di stabilità, quindi rivestire le zampe avvolgendo la lana intorno al fil di ferro:
Ora dare alla pecorella il suo vello con della lana cardata, aiutandosi con l’aghetto da feltro:
Preparare le orecchie lavorando con acqua e sapone una nuvoletta di lana cardata bianca, e ritagliando dalla pezzetta ottenuta le due orecchie unite tra loro, così:
Con l’aghetto da feltro applicare le orecchie, e poi con acqua e sapone lavorare un po’ tutta la testa della pecora, così non si noterà la giuntura delle orecchie, e potremo modellare meglio il musetto un po’ appuntito.
pecorelle di lana cardata
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
Sheep in carded wool tutorial to make sheep in carded wool for Nativity scene, play or to set up the puppets theaters in Waldorf style.
Sheep in carded wool tutorial
What do you need?
white wool carded and non-carded, a tuft of brown if you want to decorate the paws, scissors, wire thin enough, warm water and soap, felting needle
Sheep in carded wool tutorial
How is it done?
Prepare a strip of carded wool white, make a knot at the center, then divide into two flaps the tuft that advances at one end of the knot, and with these coat the knot, as shown in the picture:
with a little carded wool turn around the knot to stop it well, then divide again the tuft into two, use them to coat the knot, and stop always turning around knot with a little carded wool.
Now, depending on the size of the head (ie knot) imagine the size of the body of the sheep, and bend the flap of wool suitable, then with the other carded wool form a first outline of the body, turning around:
Then insert the wire for the paws:
put the sheep standing on the table and decide the height of the paws, shortening them folding the wire back on itself, and do the stability tests, then coat the paws by wrapping the wool around the wire:
Now add the fleece, with the carded wool, using the needle:
Prepare the ears working with soap and water a cloud of carded wool white, and cutting out from the cloth obtained the two ears joined together, like this:
With the needle to apply the ears, and then with soap and water to work the sheep’s head, so you will not notice the joint of the ears, and we can better shape the nose.
Animali di lana cardata – Oca e galletto – Tutorial per realizzare oche, galline, galletti, cigni ecc… in lana cardata.
Materiale occorrente
lana bianca, aghetto da feltro, forbici e fil di ferro, lana bianca e poca lana gialla, arancione, grigia e nera per le rifiniture.
Animali di lana cardata – Oca
Come si fa
prendere una striscia di lana e fare un nodo al centro, poi dividere in due parti uno dei ciuffi ed usarlo per rivestire il nodo, portandolo verso il basso, quindi con dell’altra lana fermare il tutto e proseguire avvolgendo saldamente per formare il collo, così:
Se avvolgiamo ben stretto, il collo diventa modellabile.
A questo punto immaginiamo le dimensioni del corpo dell’oca a partire da quelle della testa, e ripieghiamo la lana a misura, poi fermiamo, sempre avvolgendo altra lana. Inseriamo il fil di ferro per le zampe:
Aggiungiamo lana al corpo, sempre avvolgendo intorno alla struttura, e se serve aiutiamoci con l’aghetto da feltro, poi rivestiamo con del giallo le zampe:
Sempre lavorando con l’aghetto da feltro passiamo alle rifiniture: occhi e becco, così:
Animali di lana cardata – Galletto
Materiale occorrente:
Lana cardata bianca, aghetto da feltro, forbici e fil di ferro, poca lana colorata mista per le rifiniture.
Come si fa:
viste le istruzioni per realizzare l’oca, le varianti sono pochissime:
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
Animals in carded wool tutorial GOOSE and Cockerel. Photos tutorial to create with carded wool geese, hens, roosters, swans etc…
Animals in carded wool tutorial GOOSE and COCKEREL GOOSE
What do you need?
Felting needle, scissors and wire, white carded wool carded wool yellow, orange, gray and black for the final touches.
Animals in carded wool tutorial GOOSE and COCKEREL GOOSE
How is it done?
Take a strip of wool and make a knot at the center, then divide into two parts one of the tufts and use it to coat the knot, pushing it downward, then with other wool stop it. Continue wrapping tightly to form the neck, in this way:
If you wrap it tight, the neck becomes shapeable.
Now imagine the size of the body goose starting from those of the head, and fall back the wool on itself, then stop it, always wrapping other wool. Insert the wire for the paws:
Add other wool to the body, always wrapping around it, and if necessary let us help with the needle, then cover with yellow the paws:
Always working with the needle, make the final touches: eyes and beak
Animals in carded wool tutorial GOOSE and COCKEREL COCKEREL
What do you need?
Carded wool white, felting needle, scissors and wire, little colored wool mixed for the final touches.
How is it done?
following the instructions for realize the goose, the variations are very few:
Animali di lana cardata – Gattino – Tutorial per realizzare piccoli gattini con la lana cardata…
Animali di lana cardata – Gattino
Materiale occorrente:
– lana cardata grigia, e qualche ciuffetto di arancio, marrone, bianco e rosso per le rifiniture, – fil di ferro e forbici, – aghetto da feltro.
Animali di lana cardata Gattino Come si fa
Solito nodo nel centro della striscia di lana, poi si divide in sue parti uno dei ciuffi, si porta verso il basso a rivestire il nodo, e con poca lana cardata si avvolge sotto per fissare:
Poi di stabilisce la lunghezza del corpo e si avvolge dell’altra lana per farne un primo abbozzo; per il gatto è comodo lasciare un ciuffetto in fondo per lavorare meglio la coda:
Si inserisce il fil di ferro per le zampe e per la coda, e si riveste avvolgendo altra lana cardata:
Se lasciate le zampe posteriori un po’ più lunghe, poi potete piegarle un po’ in questo modo, per un effetto più realistico:
Aggiungere altra lana cardata intorno alle zampe e al corpo, e modellare con l’aghetto da feltro:
Per ottenere il musetto a punta infilare l’ago nel nodo e tirare in avanti, come mostrato nella foto:
Aggiungere un ciuffo di lana in alto e modellare con l’aghetto da feltro le orecchie:
Per le rifiniture usare l’aghetto da feltro per occhi, naso, baffi e collarino:
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
carded wool gray, and some tuft of orange, brown, black and red the final touches, wire and scissors, felting needle.
Animals of carded wool tutorial KITTEN
How is it done?
Make a knot in the middle of a strip of carded wool, then divide into two parts one of the tufts, bringing it down to coat the knot, and with little carded wool wrap below to fix
Then determine the length of the body and wrap other wool to make it a first draft; for the cat it is comfortable leaving a tuft at the end for the tail:
Insert the wire for the paws and the tail, and cover, wrapping other carded wool:
If you leave the back legs a bit longer, then you can fold them in this way, for a more realistic effect:
Add more carded wool around the paws and body, and shape with the needle:
To get the nose to the tip insert the needle in the knot and pull forward, as shown in the photo:
Add a tuft of wool at the top and shape with the needle the ears:
With the needle add eyes, nose, mustache and collar:
Asinello di lana cardata bue e cammello – Tutorial per realizzare un asinello con la lana cardata; con le stesse indicazioni non sarà difficile creare altri animali quali cavalli, mucche, il bue per il presepe, giraffe, ecc…
Asinello di lana cardata bue e cammello Materiale occorrente
lana cardata grigio chiaro, grigio scuro (per la criniera) e dei ciuffetti di bianco e di nero per le rifiniture, forbici, fil di ferro abbastanza sottile, acqua tiepida e sapone, aghetto da feltro.
Asinello di lana cardata bue e cammello Come si fa
preparare una striscia di lana cardata grigia, fare un nodo al centro, poi dividere in due falde il ciuffo che avanza ad una delle estremità del nodo, e con queste rivestire il nodo, come mostrato nelle foto:
con poca lana cardata girare intorno al nodo per fermarlo bene, poi formare il collo dell’asino girando attorno altra lana, così:
Flettere tra le dita la testa verso il collo, e bloccare con una striscia di lana, poi fissare e modellare con l’aghetto da feltro:
ora, in base alla grandezza della testa (cioè del nodo) immaginare le dimensioni del corpo, e piegare la falda di lana a misura, poi con dell’altra lana cardata formare un primo abbozzo di corpo, girando attorno:
Nel fare questo è meglio considerare che la testa al momento risulta un po’ più grande di come apparirà a fine lavoro. Poi inserire il fil di ferro per le zampe e per le orecchie:
mettere l’asinello in piedi sul tavolo e decidere l’altezza delle zampe, accorciandole ripiegando il fil di ferro su se stesso, e fare delle prove di stabilità, quindi rivestire le zampe e le orecchie avvolgendo la lana intorno al fil di ferro:
Ora modellare il corpo dell’asinello aggiungendo altra lana cardata e lavorando con l’aghetto da feltro:
per la coda aiutarsi con acqua e sapone, così:
Questo è l’asinello prima delle rifiniture:
Con acqua e sapone massaggiare l’asinello con movimenti circolari, in modo tale da dargli la forma che più ci piace e regolare le proporzioni tra le varie parti del corpo. Se serve aiutarsi un po’ con l’aghetto.
Poi avvolgere intorno alle zampe prima della lana nera, poi della lana bianca, così:
Inserire la criniera:
aggiungere occhi e musetto:
E l’asinello è pronto.
Fatto l’asinello, sarà molto semplice realizzare il bue e il cammello. Se vi può essere utile ecco le foto:
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il Tradizionale presepe in lana cardata:
Animals in carded wool tutorial DONKEY, OX, CAMEL. Tutorial to make a donkey with carded wool; with the same information it will not be difficult to create other animals such as horses, cows, oxen for the Nativity scene, giraffes, etc …
Animals in carded wool tutorial DONKEY, OX, CAMEL
DONKEY Materiale occorrente
carded wool light gray, dark gray (for the mane) and tufts of white and black the final touches, scissors, wire thin enough, warm water and soap, felting needle.
Animals in carded wool tutorial DONKEY, OX, CAMELDONKEY How is it done?
preparing a strip of carded wool gray, make a knot at the center, then divide into two flaps the tuft that advances at one end of the knot, and with these coat the knot, as shown in the photos:
with little carded wool turn around the knot to stop it well, then form the neck of the donkey turning around other wool, in this way:
Flex the head of the donkey to the neck, and block with a strip of wool, then fix and shape with the felting needle:
Now, depending on the size of the head (ie knot) imagine the size of the body, and fold the flap of wool, then with other carded wool form a first outline of the body, turning around:
n doing so it is worth considering that the head at the moment is a little bigger than it will appear at the end of work. Then insert the wire for the paws and for the ears:
put the donkey standing on the table and decide the height of the paws, shortening them folding the wire back on itself, and make the stability tests, then coat the paws and the ears wrapping the wool around the wire:
Now shape the body of the donkey adding other carded wool and working with the needle:
for the tail help themselves with soap and water, in this way:
This is the donkey before finishing:
With soap and water massaging the donkey with a circular motion, so as to give it the shape we like and adjust the proportions of the various parts of the body. If needed, help themselves with needle.
Then wrap around the paws before the black wool, then the white wool, in this way:
Put the mane:
add eyes and nose:
And the donkey is prepared.
Animals in carded wool tutorial DONKEY, OX, CAMEL
OX and CAMEL
Made the donkey, it will be very easy to make the ox and the camel. If you can be useful Here are the pics:
Bamboline in lana cardata – Con questo tutorial di base potete imparare a realizzare figure in lana cardata, senza l’uso di scovolini o fil di ferro, per realizzare in proprio il presepe e qualsiasi altro personaggio per il teatrino, il gioco, la decorazione.
Bamboline in lana cardata
Questa tecnica consente di modellare la lana nella massima libertà tecnica.
Soprattutto per i bambini è importante vedere crescere l’oggetto senza “prendere misure” e lasciare che le proporzioni si sviluppino tra le mani a partire dalla forma e dalla grandezza della testa. Naturalmente è una bellissima esperienza anche per gli adulti.
Lavorare con la lana cardata ha più a che fare col modellaggio e la scultura, che non col taglio e il cucito.
La testa, come per l’angelo, si forma a partire da un nodo. La testa delle figure umane, delle “bambole”, deve avere tre caratteristiche fondamentali:
deve apparire DURA deve apparire TONDA deve essere l’apice di una linea VERTICALE. Il nodo è inoltre un bellissimo simbolo del pensare.
La lana cardata si può acquistare ad esempio qui.
Bamboline in lana cardata Come si fanno
Prendere una striscia di lana cardata color rosa incarnato e fare un semplice nodo che cada a metà della striscia stessa, stringere il nodo accompagnando bene la lana:
Separare in due metà uno del due ciuffi all’estremità del nodo fatto, ed usarle per rivestire il nodo, quindi con una piccola striscia di lana fissarle formando il collo:
Posare il lavoro sul tavolo, e ai lati del collo prendere due strisce uguali di lana, ricavandola da quella che si trova sotto.
Immaginare, in base alle dimensioni della testa, la lunghezza delle braccia e fare due nodini, che saranno le manine.
La lana che esce dai nodini viene ripiegata all’indietro e si fissano i polsi, come fatto per il collo:
Bamboline in lana cardata
Utilizzando della lana bianca formare le braccia e di seguito il tronco e la tunica della statuina. La lana va aggiunta con pazienza, piccole strisce alla volta, e girata molto strettamente.
Più si riesce a stringere arrotolando, e più la figura diventa poi plasmabile, le braccia possono essere atteggiate come si desidera e così anche la figura nel suo insieme…
Bamboline in lana cardata
Immaginare in base alle proporzioni della testa e delle braccia la lunghezza della statuina, e procedere all’avvolgimento della lana bianca.
Non utilizzando fil di ferro o altro materiale del genere, ogni correzione è possibile: se le braccia non risultano della stessa lunghezza, ad esempio, basterà tirare un po’ il braccio corto, ed è fatta.
Lo stesso se la figura nel suo insieme risultasse troppo tozza e corta:
Fare una prova di stabilità e se la statuina non sta bene in piedi da sola, lavorare con l’aghetto di feltro la base. Se non avete l’aghetto da feltro, si può ricorrere con lo stesso risultato all’uso di ago e filo tradizionali. Prima dell’arrivo sul mercato di questo “aghi magici” si faceva così, anche per fissare i capelli ed ogni altro particolare dell’abito:
Bamboline in lana cardata
Questa è la tecnica base per realizzare figure umane in lana cardata “senza piedi”.
Si possono anche fare con gambe e piedi, come racconterò poi…
Bamboline in lana cardata
Bamboline in lana cardata
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Dolls in carded wool tutorial. With this basic tutorial you can learn how to make figures in carded wool, without the use of pipe cleaners or wire, to create their own nativity scene and any other character for puppet theater, play, decoration.
This technique allows you to model the wool with complete freedom technique.
Especially for children it is important to see grow the object without “taking measures” and let the proportions develop between the hands from the shape and size of the head. Of course it is a wonderful experience for adults too.
Working with carded wool has more to do with modeling and sculpture, not with the cutting and sewing.
The head, as with the angel, is formed from a knot. The head of the human figures, the “dolls”, must have three basic features: It must appear HARD, it must appear ROUND, it must be the culmination of a line VERTICAL. The knot is also a beautiful symbol of thinking.
Dolls in carded wool tutorial
What do you need ?
White carded wool pink incarnate carded wool felting needle.
Dolls in carded wool tutorial
How is it done?
Take a strip of carded wool pink incarnate, and make a simple knot in the middle of the strip itself, tighten the knot accompanying well the wool:
Separate into two halves one of the two tufts of the end knot, and use it to coat the knot, then with a small strip of wool fix forming the neck:
Lay the work on the table, and to the sides of the neck to take two equal strips of wool, deriving it from the one that is located below.
Imagine, based on the size of the head, the length of the arms and make two knots, which will be hands.
The wool that comes out of the knots is folded backwards. Fix the wrists, as done for the neck:
Using the white wool form the arms and then the trunk and tunic doll. The wool must be added patiently, small strips at a time, and turn very closely.
The more you can tighten, and more the figure becomes malleable, arms can be atteggiate as you want and so the figure as a whole …
Imagine according to the proportions of the head and arms length of the doll, and proceed, wrapping the white wool.
If we create the doll without wire or other material of this kind, any correction is possible: if the arms are not of the same length, for example, you need only pull a bit on the short arm, and it is done.
The same if the figure as a whole is too short and squat:
Do a test of stability and if the doll is not comfortable standing alone, work with the felting needle the base. If you have not felting needle, may be used with the same result traditional needle and thread. Before the arrival on the market of this “magic needle” it it was so, even to fix the hair and every other detail of the apparel:
This is the basic technique to create human figures in carded wool “without feet”.
You can even make them with legs and feet, then tell you how …
poi passate alla caratterizzazione del personaggio, se volete prendendo spunto dal tutorial fotografico che segue.
La lana cardata si può acquistare ad esempio qui.
decorate con la lana più scura maniche e fondo della veste, avvolgendo semplicemente. La lana si blocca da sola, ma eventualmente potete aiutarvi con l’aghetto da feltro:
se volete aggiungete qualche filo argentato:
preparate la tunica, fissatela e decoratela a piacere:
barba e capelli:
la mitra:
il bastone:
e infine il mantello:
Ecco San Nicola, pronto per andare ad abitare nel presepe.
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Tutorial: St. Nicholas in carded wool. Prepare the “doll” as explained here, then go to the characterization, if you want by taking inspiration from the tutorial photos below:
decorate with the darker wool sleeves and bottom of the dress, just wrapping. The wool hangs alone, but hopefully you can help with the felting needle:
if you want add some silver thread:
prepare the tunic, tie it and decorate it as you like:
Stella tridimensionale di carta – Realizzare questa stella è molto semplice…
Stella tridimensionale di carta – Materiale occorrente
sei fogli di carta quadrati forbici squadra matita cucitrice o colla
Stella tridimensionale di carta – Come si fa
Se volete esercitare coi bambini le divisioni e l’uso degli strumenti di precisione, procedete così:
dal foglio rettangolare ottenere un quadrato piegandolo così, ed eliminando la parte eccedente:
2. tenere il foglio piegato lungo la diagonale, trovare con la squadra l’altezza del triangolo, prenderne la misura e dividerla per quattro. Usare questa misura per segnare il foglio così:
3. Con le forbici (o con righello e cutter) praticare dei tagli lungo le linee tracciate a matita sul foglio (sempre piegato a metà), avendo cura di lasciare intatto un margine di almeno 1cm in prossimità dell’altezza del triangolo:
4. quindi aprire il foglio.
5. Ora non resta che incollare o graffettare tra loro i lembi ritagliati, a partire dal centro, alternando il lavoro una volta sul davanti e una volta sul retro, così:
i primi due davanti…
girare, i secondi due dietro
girare: i terzi due davanti; girare: i quarti due sul dietro:
girare; i quinti due sul davanti:
6. Preparare sei di questi elementi in totale:
quindi fissarli tra di loro per creare la stella:
oppure dei festoni:
Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:
Tridimensional paper star- Create this star is very simple…
Tridimensional paper star required materials
six squares of paper scissors set square and pencil stapler or glue
Tridimensional paper star How is it done?
If you want to exercise with children divisions and the use of precision instruments, proceed as follows: from the rectangular sheet to get a square folding it so, and eliminating the excess part
keep the sheet folded along the diagonal, find the set square the height of the triangle, take measurements and divide by 4. Using this measure to mark the paper so:
With scissors (or ruler and cutter) cut along the lines drawn in pencil on paper (still folded in half), taking care to leave intact a margin of at least 1 cm in proximity of the height of the triangle:
then open the sheet.
Now we have to glue or staple together the flaps cut, starting from the center, alternating the work once on the front and once on the back, in this way: the first two in front …
Presepe in lana cardata – capanna e stella cometa: tutorial per realizzarli in proprio in modo semplice ed economico, ma di grande effetto.
Presepe in lana cardata – capanna e stella cometa – Materiale occorrente
fil di ferro abbastanza robusto, forbici, aghetto da feltro, lana cardata e non nei colori marrone, verde, giallo, lana in gomitolo sottile marrone e oro.
Presepe in lana cardata – capanna e stella cometa – Come si fa
Dopo aver rivestito il fil di ferro con la lana marrone, si modella a piacere a forma di capanna, poi si rafforzano sempre con la lana alcuni punti, quindi si decora con fili marroni e oro. Si aggiunge la stella, e a piacere cespugli verdi, angioletti o uccellini, come mostrato nelle foto:
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Nativity scene in carded wool tutorial – hut and comet star: tutorial to implement them in their own in simple and economical manner, and with great effect.
Nativity scene in carded wool tutorial – hut and comet star required materials
wire strong enough, scissors, felting needle, carded wool in brown, green, yellow, woolen thread brown and gold.
Nativity scene in carded wool tutorial – hut and comet star How is it done?
After having covered the wire with the brown wool, shape in the shape of hut, then grow stronger, always with wool, only a few points, then decorate with threads brown and gold. Add the star, and green bushes, angels, birds, as shown in the photos:
Presepe in lana cardata tutorial – Maria, Giuseppe, Gesù bambino, i pastori e i Re Magi: eccoci al capitolo finale dei tutorial per realizzare il presepe in lana cardata.
La base per realizzare le statuine si trova qui: bamboline lana cardata
Consiglio di preparare prima un certo numero di statuine, poi di osservarle e decidere in base alle proporzioni tra loro ed alla riuscita, che personaggio assegnare ad ognuna.
Per caratterizzare i personaggi serve un assortimento di lana cardata e non in vari colori, qualche pezzetto di fil di ferro, aghetto da feltro, qualche filo dorato, e se volete infeltrire i mantelli acqua e sapone.
Le statuine che trovate qui sono piuttosto piccole, e per questo mi sarebbe stato molto difficile ricamare occhi e bocca, per cui ho rinunciato in favore di un effetto scenografico d’insieme. A scuola l’unico posto disponibile per il presepe era un piccolissimo caminetto. Se siete abbastanza abili, completate i visi con ago e filo da ricamo, e saranno molto più belli.
La lana cardata si trova, ad esempio, qui:
Presepe in lana cardata tutorial – Maria
Per la veste avvolgere la lana colorata prima sulle maniche, poi sul busto e infine intorno alla figura. Aiutarsi con l’aghetto da feltro. Se si desidera avere un aspetto più compatto, si può poi massaggiare la figura con movimenti circolari dei polpastrelli con acqua e sapone.
Con l’aghetto da feltro aggiungere i capelli e acconciarli. I capelli servono anche a disegnare i contorni del volto.
Per il mantello preparate a parte una falda di lana colorata, se volete fate in modo che da un lato di sia un tono di colore più chiaro, e dall’altro più scuro.
Poi se vi piace che la figura abbia un aspetto più soffice e fiabesco, usate la lana così com’è, se invece vi piace un aspetto più consistente, massaggiate anche il mantello con acqua e sapone prima di fissarlo alla figura:
Decorate con qualche filo dorato:
Presepe in lana cardata tutorial – Giuseppe
Come per Maria, per prima cosa la veste, avvolgendo con cura la lana così:
Poi capelli e barba:
Rivestendo del fil di ferro con la lana marrone realizzare il bastone:
Poi, come abbiamo visto per Maria, preparare il mantello e applicarlo drappeggiando. Decorare con qualche filo dorato.
Presepe in lana cardata tutorial – Gesù bambino
Per la mangiatoia ho prima avvolto della lana cardata intorno al fil di ferro, come ho fatto per la capanna, poi l’ho modellato e decorato con altra lana cardata e qualche filo dorato. Il bambino si realizza come le statuine, ma invece della veste si abbozzano le fasce.
Presepe in lana cardata tutorial – Pastori e pastorelle
Per i pastori e le pastorelle c’è solo da seguire il proprio gusto e la propria fantasia. Qui di seguito trovate qualche esempio:
Presepe in lana cardata tutorial – Re Magi
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Nativity scene in carded wool tutorial – Mary, Joseph, baby Jesus, the shepherds and the Wise Men: here we are at final chapter of tutorials to make the Nativity scene in carded wool.
The basis for achieving the dolls are here: dolls in carded wool
I would recommend to prepare before a certain number of dolls, then observe them and decide based the proportions between them and the aspect that, that character assign to each.
To characterize the dolls serves a range of carded wool and not in various colors, a few pieces of wire, needle felting, some golden thread, and if you want the felting capes, also soap and water.
The statues you find here are quite small, and for this I would have been very difficult to embroider eyes and mouth, so I gave up in favor of a dramatic effect overall. At school the only place available for the Nativity scene was a very small fireplace. If you are skilled enough, fill the faces with a needle and embroidery thread, and will be much more beautiful.
Nativity scene in carded wool tutorial – Mary, Joseph, baby Jesus, the shepherds and the Wise Men
Mary
For the robe wrap colored wool first on the sleeves, then on the chest and finally around the figure. Help ourself with the needle. If you want to give a more compact appearance, you can then massage the figure with circular motions of the finger pads with soap and water.
With the needle add the hair and make styling. The hair also serve to draw the contours of the face.
For the mantle separately preparing a layer of colored wool, if you want make it from one side of a tone lighter in color, and the other darker.
Then if you like that figure has appearance softer and fabulous, used wool as it is, but if you like appearance more consistent, massaged mantle also with soap and water before fixing it to the figure:
Decorate with gold thread:
Nativity scene in carded wool tutorial – Mary, Joseph, baby Jesus, the shepherds and the Wise Men
Joseph
Hair and beard:
Covering the wire with the brown wool realize the stick:
Then, as we have seen for Mary, prepare and apply mantle draping it. Decorate with golden thread.
Nativity scene in carded wool tutorial – Mary, Joseph, baby Jesus, the shepherds and the Wise Men
baby Jesus
For the manger before I wrapped of carded wool around the wire, as I did for the hut, then I modeled and decorated with other carded wool and some golden thread. The baby is realized as the dolls, but rather the robe I have done the bend.
Nativity scene in carded wool tutorial – Mary, Joseph, baby Jesus, the shepherds and the Wise Men
the shepherds
For shepherds just follow your own taste and your own imagination. Below are some examples:
Nativity scene in carded wool tutorial – Mary, Joseph, baby Jesus, the shepherds and the Wise Men
Animali in lana cardata – volpe. Tutorial per realizzare una volpe in lana cardata per il presepe, il gioco o per allestire un teatrino steineriano.
Animali in lana cardata – volpe – Materiale occorrente
lana cardata marrone rossiccio, qualche ciuffetto di grigio chiaro, bianco e marrone scuro per le rifiniture, forbici, fil di ferro abbastanza sottile, aghetto da feltro.
Animali in lana cardata – volpe – Come si fa
preparare una striscia di lana cardata rossiccia, fare un nodo al centro, poi dividere in due falde il ciuffo che avanza ad una delle estremità del nodo, e con queste rivestire il nodo, che sarà la testa della volpe; con poca lana cardata girare intorno al nodo per fermarlo bene:
aggiungere poca lana cardata in alto, e modellarla con l’aghetto da feltro per formare le orecchie, così:
poi inserire l’aghetto da feltro sul davanti del nodo e tirare, per ottenere il musetto a punta, così:
ora, in base alla grandezza della testa, immaginare le dimensioni del corpo, e piegare la falda di lana a misura, poi con dell’altra lana cardata formare un primo abbozzo di corpo, girando attorno:
Poi inserire il fil di ferro per le zampe, mettere la volpe in piedi sul tavolo e deciderne l’altezza, accorciandole ripiegando il fil di ferro su se stesso, e fare delle prove di stabilità, quindi rivestirle avvolgendo la lana intorno al fil di ferro:
Ora modellare il corpo della volpe aggiungendo altra lana cardata e lavorando con l’aghetto da feltro, aggiungere anche della lana rossiccia in più per la coda, se serve, ed alla sua estremità una puntina di bianco:
Dare forma con l’aghetto da feltro, e avvolgere alle estremità delle zampe un po’ di lana marrone scuro. Ora inserire il naso, i baffi e gli occhi, così:
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Animals in carded wool – fox. Tutorial to make a fox in carded wool for the Nativity scene, for play or set up a puppet theater.
Animals in carded wool – fox What do you need?
carded wool reddish brown, some tuft of gray, white and dark brown for the finish, scissors, wire thin enough, felting needle.
Animals in carded wool – fox Howis it done?
Prepare a strip of reddish carded wool, make a knot at the center, then divide into two flaps the tuft that advances at one end of the knot, and with these coat the knot, which will be the fox head; with little carded wool turn around the knot to stop it well:
add little carded wool at the top, and shape it with the needle to form the ears, in this way:
then insert the needle at the front of the knot and pull, to get the the snout, like this:
Now, depending on the size of the head, imagine the size of the body, and bend the flap of wool to size, then with other carded wool form a first outline of the body, turning the wool around:
Then insert the wire for the paws, put the fox standing on the table and decide their height, shorten them by folding the wire back on itself, and do the stability tests, then coat them wrapping the wool around the wire:
Now shape the body of the fox adding other carded wool and working with the needle, also add more reddish wool for the tail, if needed, and at its end a pinch of white:
Give shape with the needle, and wrap the ends of the paws a little dark brown wool. Now enter the nose, mustache and eyes, as well:
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – 21 novembre. Una raccolta di dettati ortografici di autori vari per la scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
In molte parti del mondo, sia i grandi che i bambini, piantano gli alberi in un giorno speciale chiamato “Festa degli alberi”. Essa cade in giorni diversi nei vari paesi del mondo. Se tu fossi un bambino indiano o una bambina messicana, avresti un albero tutto tuo! In quei paesi ogni volta che nasce un bimbo, i genitori piantano un albero dandogli il nome del bambino. In Israele, gli scolari piantano gli alberi in un giorno chiamato Tu B’ Shebat. Molto tempo fa infatti, in quel giardino, gli Ebrei piantavano un albero per ciascun bimbo nato in quell’anno, un cedro per i maschi e un cipresso per le bambine.
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI Il 21 novembre si celebra la festa degli alberi. Perchè amiamo gli alberi? Perchè la loro funzione è benefica. Gli alberi purificano l’aria; sentite che buon odore quando attraversiamo un bosco? Gli alberi trattengono le acque che altrimenti irromperebbero a valle, trascinando terra, piante, e purtroppo anche case. Gli alberi fanno da riparo ai venti. Danno bellezza al paesaggio: osservate la diversità fra una zona alberata e una zona brulla. Gli alberi ci danno il legno, materiale prezioso per costruire… che cosa? Guardiamoci intorno e cerchiamo tutto quello che è fatto di legno. Legno di quali alberi? Abete, castagno, pino, noce. E ancora, gli alberi ci danno la frutta. Ricordiamo gli alberi più noti: il castagno, l’olivo, il pero, il melo, il susino, il noce…
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Se l’albero è così utile e benefico, cosa possiamo fare noi per lui? Innanzitutto piantarli: sui margini dei fiumi, sulle pendici scoscese, nelle zone brulle, nei luoghi frequentati dai bambini. Un albero viene danneggiato se lo si lega stretto, se vi si piantano chiodi, se si strappa la corteccia, se si spezzano i rami, se il tronco viene ferito. Cerchiamo di proteggere questi giganti buoni. Sembrano potenti, ma anche un bambino può far loro del male.
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI Il 21 novembre è la festa degli alberi. In questa data si vogliono ricordare a tutti, ma soprattutto ai bambini, le grandi virtù di questi giganti della foresta, e insieme richiamare l’attenzione sull’importanza che essi hanno per tutti noi. Vuol far presente anche i gravi danni arrecati dal disboscamento, dovuti ad incuria e speculazioni disoneste. In questi casi è necessario il rimboschimento. E a questo rimboschimento partecipano i bambini con la festa degli alberi.
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI Un albero è tutto un vario, singolare, molteplice mondo. Eccone uno, tacito, solitario, immobile, gigantesco, sul ciglio dell’aspra strada di campagna. Sembra un essere dormiente, sembra serrato in non si sa quale suo cruccio, ed allarga, sul terreno diseguale, la sua ombra fresca e ferma. Si passa, di solit, vicino ad un albero, lo si sfiora, ci si appoggia a lui, si gode della sua ombra, quasi sempre senza pensare che vive come noi. (C. Allori)
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – Rispettate gli alberi Rispettate gli alberi per il verde delle loro foglie, per il profumo dei loro fiori, per la bontà della loro frutta, per la delizia della loro ombra. Rispettateli perchè sono amici dell’uomo, perchè rendono più bella la campagna, perchè proteggono gli uccellini.
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – L’albero Quando in un lontano giorno il seme cadde in terra e germogliò, la radice era soltanto un filo che succhiava; guarda che cosa è diventato quel filo: braccia nerborute di gigante che non mollano la presa. Guarda il tronco: era uno stelo sottile, verde, debole. Si piegava ad ogni soffio di vento. Ora è diventato una colonna, bella, diritta, solida.
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Gli alberi, oltre ad essere belli e a rendere suggestivo il paesaggio, sono utili all’uomo. Tutti conoscono i prodotti degli alberi da frutto, necessari alla nostra alimetazione, tutti sanno che dall’albero si ricava il legname così utilizzato dalle industrie, ma bisogna anche sapere che l’albero ci è utile con la sua sola presenza perchè difende il terreno dalle alluvioni, perchè modifica il clima rendendolo più fresco e più salubre, perchè bonifica l’aria.
L’albero nella storia Gli antichi amavano molto gli alberi. I Greci adoravano il dio Pan, nume dei boschi; i Romani il dio Silvano, simile, nell’aspetto, al dio dei Greci. Tutti i popoli germanici ritenevano sacri gli alberi e compivano i loro sacrifici e i riti religiosi nelle foreste, presso una quercia.
L’albero L’albero si incontra in ogni regione del mondo nelle sue diverse specie e varietà, ed è prezioso per i suoi prodotti e per l’influenza che esso ha sulla temperatura dell’ambiente e sulla vita stessa dell’uomo. Vi sono alberi da frutto, peschi, peri, meli, susini, ciliegi; alberi che danno ottimo legname utilizzato nelle industrie, alberi che, come l’olivo, ci forniscono un ottimo condimento per i nostri cibi.
Parla l’albero Sono nato da un piccolo seme, che un vecchio piantò nella terra; l’uomo sapeva che non mi avrebbe visto crescere, ma pensò ai figli dei suoi figli. Crebbi esile pianticella prima, poi tronco robusto e vigoroso. Invano il vento si accanì contro di me. Opposi alla sua forza la mia chioma rigogliosa e, con i miei fratelli, difesi dal turbine il paesello che stava sotto la mia protezione.
I boschi I boschi abbelliscono il paesaggio e lo rendono più suggestivo. Ma soprattutto, influiscono sul clima mitigandone il calore. Inoltre, gli alberi si oppongono efficacemente alla violenza dei venti e, trattenendo le acque, alimentano le sorgenti. Le radici impediscono lo scoscendamento del terreno ed evitano le frane. Gli alberi sono altresì di ostacolo alle valanghe a cui oppongono la resistenza dei loro tronchi proteggendo la zona anche dalle inondazioni.
Il culto degli alberi Fin dalla più remota antichità, gli alberi sono sempre stati sacri all’uomo e i grandi poemi, testimonianze delle prime civiltà, lo provano. Gli antichi Romani avevano il fico ruminale, perchè la leggenda diceva che sotto ad esso erano stati trovati Romolo e Remo. La pianta più cara ai Latini era la quercia, anche perchè si cibavano delle sue ghiande. La palma era l’albero sacro dei Fenici e dei Cartaginesi, l’olivo dei Greci, il tiglio dei popoli germanici, la vite degli Indo-Persiani. (A. Beltramelli)
I nemici dell’albero L’albero va curato come tutti gli esseri viventi. Le intemperie, gli insetti ed altri animali possono essere i suoi nemici. Gli insetti ne bucherellano la corteccia, vi scavano delle lunghe gallerie e ne divorano le foglie, i frutti e anche l’interno dei tronchi. Le intemperie possono spezzare rami, strappare foglie, schiantare tronchi. Anche le capre possono essere dannose agli alberi. Esse possono arrampicarsi sui dirupi arrivando così a brucare i giovanissimi arbusti di cui divorano le gemme.
L’albero L’albero giovane è come un bambino. Quando il sole lo riscalda, nella tiepida primavera, apre le gemme, mette le prime foglie e diffonde intorno a sè la stessa dolcezza che viene dagli occhi dei bambini. In seguito, l’albero acquista vigore, e spande i suoi rami, si riveste di foglie e mormora e freme, e canta quando il vento soffia. (F. Ciarlantini)
Gli alberi Come sono belli, alti e fronzuti, diritti contro il vento che li scuote! Gli alberi danno la bellezza ai luoghi dove crescono, danno la salute perchè purificano l’aria, proteggono il paese perchè trattengono le acque dirompenti che porterebbero la rovina. Rispettiamo gli alberi, i giganti della montagna, che ci danno soltanto bene.
Rispetta l’albero L’albero si può danneggiare incidendo la sua corteccia, troncando i rami, legandolo troppo stretto e piantando chiodi nel suo tronco. Si difende curando le sue ferite, e cioè otturando le cavità con gesso o altro, sostenendolo con pali durante la crescita, proteggendolo dall’opera nefasta degli insetti. Proteggi l’albero e l’albero ricambierà le tue cure dandoti ombra, i suoi frutti e il suo legno.
Il bosco Le piante crescono invadendo il regno dell’aria coi robusti polloni e penetrando la terra con le grosse radici: i rami si dividono, si moltiplicano, scendono, fanno capolino dappertutto: sono brune in cima, pallide in basso, e offrono tutte le più delicate tinte al verde da quello opalino, trasparente, pallido, sino al vigoroso e forte che quasi sembra nero. Il sole manda negli interstizi certi raggi sottili che paiono capelli biondi luminosi, getta in terra tanti cerchietti lucidi che sono la sua piccola e ridente immagine; la luce è buona e dolce nel bosco. (M. Serao)
Rispetta gli alberi Gli alberi rendono l’aria pura e balsamica; le radici, affondando nel terreno, impediscono che l’acqua trascini con sè la terra fertile. Se tu trovi una fresca sorgente nel bosco, lo devi in parte, anche agli alberi che con le loro radici trattengono il terreno e con questo l’acqua. Invece del torrente rovinoso, hai lo zampillo che dà origine al limpido ruscello.
L’albero e gli uccelli All’uscita del campo e della foresta, che era autunnalmente spoglia e aperta alla vista, come se fosse stato spalancato un portone per dare accesso alla sua vacuità, cresceva bella e solitaria, unica, fra gli alberi, ad aver conservato il fogliame intatto, una rugginosa, fulva pianta di sorbe. Cresceva su un rialzo fangoso del terreno e protendeva verso l’alto, fino al cielo, nella plumbea oscurità delle intemperie che precedono l’inverno, i piatti corimbi delle bacche indurite. Gli uccelli invernali dalle penne chiare come le aurore del gelo, fringuelli e cinciarelle, venivano a posarsi sul sorbo, beccavano lentamente , scegliendole, le bacche più grosse e, sollevando i capini, allungando il collo, le inghiottivano faticosamente. Fra gli uccelli e l’albero s’era stabilita una sorta di viva intimità. Come se il sorbo capisse e , dopo aver resistito a lungo, si arrendesse, cedendo impietosito: “Che posso fare per voi! Ma sì, mangiatemi, mangiatemi pure. Nutritevi.”. E sorrideva. (B. L. Pasternak)
Conoscere le piante Avete mai pensato solo per un momento a quello che gli alberi rappresentano ancora oggi per noi? Guardate, ecco, ho una matita in mano: la grafite è chiusa nel legno. Di quale legno? Si sa tutti che il legno è fornito dagli alberi, ma qual è l’albero che ha fornito questo particolare legno di grana fine, senza fibre, facile da essere tagliato, adatto, insomma, a fare matite? Forse nessuno di voi immagina che sia un ginepro della Virginia, il Red Cedar degli Americani, importato in Inghilterra nel 1600 e oggi coltivato proprio per questo uso industriale. Per matite meno costose si adoperano anche il legno di ontano e di tiglio, che sono alberi caratteristici del nostro paese. Scrivo su della carta, naturalmente, come su della carta fate ogni giorno i compiti di scuola. La carta di che cosa è fatta? Di stracci. Sì, anche, ma soprattutto di legno, preparati convenientemente, ridotto in pasta e poi steso. I migliori legni per fare ciò sono quelli di abete e di pioppo. Un albero così simpatico, dalle foglie che si agitano al vento sui lunghi peduncoli, dai tronchi chiari e di così rapida crescita. Oltre alla cellulosa per la carta, il legno per i fiammiferi, quante ne sono le utilizzazioni: pali, imballaggi, tutto ciò che richiede un legno leggero, unito, facile da lavorare e, naturalmente, anche i mobili. Tutti sappiamo che tavoli, armadi, sedie, poltrone sono di legno di vari tipi, lucidati o verniciati, oltre che di pioppo sono fatti di abete, di quercia, di noce, di castagno. Il mio tavolo, per esempio, ha il piano in compensato di quercia. Che cos’è il compensato? E’ un procedimento moderno per cui si ottengono fogli di vari spessori di sottilissimi strati di legno pressati e incollati insieme, e che offrono il vantaggio di essere leggeri, resistenti, e possono essere utilizzati nei modi più vari. Mentre il grande scrittoio giù a casa di mio nonno è un solido pesante tavolo di noce massiccio, ben levigato e costruito a regola d’arte, come si faceva cento anni fa, e che ha la durata di parecchie generazioni. Un mobile signore, dunque, benchè di forma che noi può non piacere più. E la seggiola su cui siedo? E’ di acero chiaro, fresco, leggero, piacevole alla vista e al tatto. Sicuramente sarete stati a sentire un concerto. Ebbene, davanti a quella massa di lucenti violini, vi siete domandati qual è il legno sonoro, meraviglioso, che diede la possibilità ai liutai di Cremona di costruire i loro famosi strumenti ricercati in tutto il mondo? Anch’esso è l’acero. Ogni giorno si adoperano tanti oggetti e utensili comuni, anche esteticamente così poco interessanti, ma così utili, ormai fissati nelle loro semplici forme, perchè le migliori, da generazione a generazione, e tutti di legno o in parte di legno. Mestoli per esempio, e ciotole per la cucina, e s manici di martelli o di cacciavite, e casse nelle quali vengono spedite le merci, dalla frutta alle conserve. Oggetti rozzi, eppure son fatti di faggio, uno degli alberi più belli delle nostre montagne, che da tempo immemorabile vive sul nostro suolo.
Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
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Dettati ortografici sugli ALBERI – Una collezione di dettati ortografici sugli alberi per la scuola primaria, di autori vari.
La quercia La quercia è un albero rude e forte, che si innalza lento, vestito di una scorza ruvida, ma che custodisce un legno che dura in eterno e resiste alle insidie del tempo. Quando la quercia è ancora giovane, è un albero come un altro. Non diventa bella che quando ha mezzo secolo, e con gli anni va sempre crescendo la maestosità del portamento, la frondosità dei rami, la densità delle sue fresche ombre. La quercia è nel fiore della sua bellezza quando conta almeno un secolo di vita, ed è bellissima quando è tre, quattro volte centenaria. (P. Mantegazza)
Alberi di montagna in primavera Anche gli alberi si vestono a festa! In basso, sulle prime pendici, ecco gli alberi da frutta, spogli da alcune settimane della neve invernale, rivestirsi d’un’altra neve, quella dei loro fiori. Più su, i castagni, i faggi, i diversi arbusti, si ricoprono delle loro foglie dal verde tenero e da un giorno all’altro par che la montagna si sia rivestita con un meraviglioso drappo, in cui il velluto si mescola con la seta. (G. Reclus)
Il mandorlo fiorito Quale miracolo è mai avvenuto questa mattina? E’ caduta una neve odorosa oppure miriadi di farfalle si sono posate sui rami del mandorlo? Pur ieri l’alberello era nudo e freddo. Ma stanotte, all’alito dei venti, esso è sbocciato, è fiorito; s’è ricoperto di candide ali, di mille stelline. Sembra cosparso di fior di farina soffice e fragile con lievi riflessi di rosa. Gli occhi restano beati a mirarlo; ed intanto, nel cuore, passa nascosto il primo soffio della primavera. (F. Lanza)
Una gemma si apre Osserviamo le gemme del castagno: al centro, la bambagia avvolge le sue tenere foglioline; all’esterno una solida corazza di scaglie disposte come le tegole d’un tetto, le chiude strettamente. Le parti dell’armatura scagliosa sono incatramate con un mastice che, simile a vernice disseccata, diventa molle, in primavera, per permettere alla gemma di schiudersi. Le scaglie, non più incollate fra loro, si allargano vischiose, e le prime foglie si spiegano al centro della loro culla socchiusa. (H. Fabre)
Ciliegio in fiore L’albero era sino a ieri nudo; nudo nel tronco, nei rami qua e là contorti dall’aspro battere del vento. Cosa sarà accaduto perchè, stamane, io abbia visto invece dell’albero, una nube bianca fatta tutta di fiori stretti così fittamente gli uni agli altri da formare una cosa sola, impalpabile, quasi aerea, attraverso la quale non mi riesce più di distinguere nè rami, nè tronco? (A. Anile)
La prima fogliolina Nessuno s’è trovato mai davanti a un albero nel momento preciso in cui spunta la prima fogliolina. Tutti abbiamo questo desiderio perchè ci piacerebbe tanto poter dire: “Sono io che quest’anno ho visto per primo la primavera”. Ma, dopo aver tanto atteso, una mattina ci alziamo, scendiamo giù in cortile, e vediamo che le foglie sono già tutte spuntate. (Giovanni Mosca)
Il mandorlo frettoloso Un mandorlo frettoloso ha già spiegato al solicello la sua bianca fioritura; non gli importa se una brinata farà cadere troppo presto quella bella veste; come sempre, vuole essere il primo ad annunciare la primavera! I meli, i peri, i peschi, più prudenti, rimangono indietro. (G. Fanciulli)
Gli aranci In primavera, la Sicilia odora di zagare dalla Punta del Faro alla Conca d’Oro, dall’Agro trapanese a quello di Catania. Nei mattini tersi, nelle serene notti di luna, la soavissima fragranza dei sui venti, si diffonde sin nei più interni quartieri delle popolose città dell’isola e pare che ogni casa abbia un arancio fiorito davanti alla porta. Migliaia di aranci intanto costellano le distese degli aranceti siciliani. Quelle migliaia di piccole sfere, nelle cupole dei fitti e slanciati alberi, sembrano granelli di sole splendenti. (G. Patanè)
Il castagno
Il castagno, per l’alto valore nutritivo dei suoi frutti, è considerato l’albero del pane delle nostre montagne. Esso alligna tra i 400 e i 1000 metri d’altitudine. Il castagno giovane ha un tronco diritto e liscio, color bruno chiaro; il castagno vecchio è ricoperto di una corteccia bruna e screpolata. Di solito questa pianta raggiunge i dieci metri d’altezza, ma qualche castagno gigante può raggiungere anche i trenta metri. Le foglie, a punta di lancia e con il margine seghettato, sono lunghe quindici, venti centimetri. Il castagno fiorisce in maggio – giugno. I suoi fiori sono di due specie. Alcuni sono ricchi di polline giallo; quando questo viene portato via dal vento i fiori seccano e cadono. Altri fiori invece ricevono il polline trasportato dal vento e dagli insetti, si ingrossano e diventano castagne. Il frutto matura da settembre a novembre. Il riccio è la buccia verde e spinosa in cui sono racchiude una, due o tre castagne.
La palma
La palma esiste fin dai tempi preistorici in alcune zone dell’Africa e dell’Asia. Fuori da queste regioni o non fiorisce o non fruttifica, è unicamente ornamentale. Si trova infatti anche in Italia, ove fu importata dagli Arabi. La foglia della palma fu simbolo di vittoria: i trionfatori romani usavano fare il loro ingresso solenne in Roma con un ramo di palma in mano. Essa è pure simbolo di fede.
L’olivo
L’albero dell’olivo è sempre stato considerato con grande rispetto: esso è infatti simbolo di pace, di bellezza, di sapienza. Due colombe che tenevano nel becco un ramoscello di olivo annunciarono a Noè la fine del diluvio. Nelle religioni greca e romana l’olivo era sacro ad Atena e a Minerva. In Grecia i vincitori dei giochi olimpici venivano incoronati con rami di olivo e di palma. E ancora oggi l’olivo è simbolo di pace.
Fioritura
Il mandorlo si è tutto magnificamente coperto di fiori biancorosei, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. Le margheritine silenziose e tranquille tremolano in bianca folla al tiepido vento. La giunchiglia piega sul gracile stelo il velato suo calice. Persino nelle lande più pietrose e deserte, qualche fiore solitario apre all’aria nuova le sue tre o quattro foglioline, soffuse di un pallido rosa, o venate di tenui righe violacee. In ogni albero canta un nido e in ogni cuore resuscita una speranza. (E. Nencioni)
Un piccolo vandalo
Luigi non ama gli alberi. Uno dei suoi passatempi preferiti, quando va a giocare nel prato, è quello di incidere nel tronco delle sue vittime arboree disegni e messaggi che salutano la sua squadra di calcio preferita. Le piante non sopportano scherzi del genere; la corteccia salta via a pezzi strappata dal temperino di Luigi. Il povero albero soffre, proprio come soffriremmo noi se ci strappassero la pelle a pezzetti per incidere dentro un bel disegno. (M. Bettini)
Il bosco
Qui la vegetazione è libera; le piante crescono invadendo tutto e penetrano la terra con robuste radici. Le fronde salgono, scendono, si dividono, si moltiplicano liberamente; offrono le più delicate tinte del verde; da quello opalino trasparente, pallido, sino al vigoroso e forte che sembra quasi nero. Giungono odori forti e sani: i profumi che esalano quegli alberi meravigliosi, i rigogli della loro gioventù, i succhi di vita che salgono in essi e rompono la corteccia. Quiete stupenda in tanta vitalità, sicurezza profonda in tanta libertà. (M. Serao)
L’albero di sera
C’è un pino in cui di notte si raccolgono a dormire i passeri. Ma ci sono tanti alberi che servono da albergo agli uccellini! Vi è mai capitato di osservare a sera, quando essi giungono da tutte le parti e pare che affondino nell’albero ospitale? Un gran frastuono, pigolii, cinguettii… al più piccolo rumore silenzio improvviso. Poi di nuovo il frastuono dell’albero immobile, sì che pare da sè cinguetti. (G. Pascoli)
Il platano
Era mezzogiorno d’estate. Due viaggiatori camminavano sotto il sole ardente. Erano stanchi, accaldati. Scorsero un platano e con un sospiro di sollievo si rifugiarono e si sdraiarono alla sua fresca ombra. Riposavano e intanto guardavano su trai rami frondosi. Disse uno dei due al compagno: “Ecco un albero sterile e inutile all’uomo”. L’altro approvò. L’albero prese la parola e li rimproverò: “Come? Proprio mentre godete dei miei benefici mi trattate da sterile e da inutile?”. (Esopo)
Il pioppo
Il pioppo è uno degli alberi più belli della nostra zona temperata. Alto, snello, robusto, si lancia in alto, diritto come un cipresso, ma non mai triste e severo come lui. I suoi filari non guidano al cimitero, ma fanno da lieti colonnati ai fiumi ed ai canali, diritti come sentinelle. (P. Mantegazza)
Il ciliegio
La frutta saporitissima che viene raccolta a ciocche, a mazzolini caratteristici anche per il vivo colore, è la ciliegia. L’albero, il ciliegio, fu importato in Europa dall’Asia Minore. Spesso arriva fino a venti metri di altezza. Il tronco del ciliegio è robusto e coperto di corteccia bruno – rossastra. La chioma è tondeggiante. Le foglie sono ovali, larghe, lucide, doppiamente seghettate, tinte di un verde assai scuro. I fiori, a mazzetti bianchi, profumati, si sviluppano numerosissimi in primavera: l’albero, a distanza, tutto bianco, sembra quasi coperto di neve.
Alberi da frutto I prodotti degli alberi sono noti. Innanzitutto la frutta. E’ la cosa più evidente. Vediamoli un po’ da vicino questi alberi da frutto: sono meli, peri, ciliegi, susini, peschi,… Facendo ricerche nell’ambiente, i bambini saranno in grado di descrivere questi alberi e i loro prodotti. In autunno sarà facile osservare il castagno e l’olivo che ci danno i loro prodotti. L’albero si incontra pressochè in ogni regione del mondo, nelle sue diverse specie e varietà, ed è prezioso per i suoi prodotti e per l’influenza che esso ha sulla temperatura dell’ambiente e sulla vita stessa dell’uomo. Affonda nel terreno le sue robuste radici, eleva il suo tronco rivestito di una corteccia rugosa, e si espande in alto con i rami rivestiti di foglie le quali formano la chioma.
Gli alberi nella storia Gli antichi amavano molto gli alberi. Nei tempi più remoti, si usava seppellire i defunti alla radice dell’albero, con la convinzione che essi sarebbero risorti nel tronco e nelle foglie. Questa pratica era in uso fino a poco tempo fa in Giappone dove si credeva che in alcuni alberi fossero rinchiusi gli spiriti degli eroi nazionali sepolti al loro piede. Usanze simili si riscontrano tuttora presso alcuni popoli primitivi d’Africa e d’Asia. I Greci adoravano il dio Pan, nume dei boschi. Essi lo raffiguravano incoronato di rami di pino, con le orecchie dritte, in mano un bastone da pastore e il fianco sinistro coperto da una pelle di daino. I Romani adoravano il dio Silvano dall’apparenza simile a quella di Pan. Essi credevano che negli alberi fossero ospitate le Ninfe, divinità considerate come forme ed energie della natura. Tutti i popoli germanici ritenevano sacri gli alberi e compivano i loro sacrifici e i riti religiosi nelle foreste, presso una quercia, ritenuta simbolo della divinità.
Boschi e macchie Gli alberi possono ergersi isolati oppure riuniti in gran numero in un’estensione che generalmente si chiama bosco. Più precisamente prende il nome di foresta quando è formata da alberi di alto fusto, selva quando ha un’estensione minore della foresta, macchia quando è una radura disseminata di alberi. I boschi possono essere costituiti da piante a foglie larghe o a foglie minute, o come si dice aghiformi. Molti dei primi si spogliano della loro vegetazione in autunno; gli altri sono nella maggior parte delle specie sempreverdi. A seconda degli alberi che lo compongono, il bosco può assumere diverse denominazioni: querceto, faggeto, pineta, abetaia. Si chiama ceduo il bosco sottoposto a taglio periodico.
Utilità degli alberi I boschi non soltanto abbelliscono il paesaggio, elemento questo niente affatto da trascurare, ma influiscono sul clima mitigando il calore. Inoltre, gli alberi si oppongono efficacemente alla violenza dei venti e alimentano le sorgenti. Le radici impediscono il franamento del terreno ed evitano le frane. Gli alberi sono di freno alle valanghe a cui oppongono la resistenza dei loro tronchi e proteggono dalle inondazioni in quanto, con le loro radici, consolidano il terreno e impediscono l’infiltrazione rapida delle acque nel sottosuolo. Inoltre, com’è funzione di tutte le piante, durante il giorno esse assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno e quindi rendono l’aria più salubre.
Gli alberi non crescono ugualmente in tutte le zone. A seconda degli alberi che vi prosperano si possono distinguere quattro zone in Italia.
Vi è la zona calda, denominata anche zona dell’ulivo dove, oltre all’ulivo crescono la quercia da sughero, il leccio, il carrubo, il pistacchio, il pino da pinoli, il pino marittimo, il cipresso e l’eucalipto.
Nella zona temperata, o zona del castagno, abbiamo oltre al castagno due specie di quercia, il cerro e il rovere. Nella zona fredda o zona del faggio (fino a 1200 metri) crescono la betulla, l’ontano e il tiglio.
Nella zona rigida o zona delle conifere, troviamo l’abete rosso e il larice. Le conifere hanno, in particolare, la proprietà di rendere l’aria balsamica e pura. Sono alberi che hanno il frutto a cono (pino, abete, …) comunemente detto pigna. Il pino, nelle sue diverse specie, si può trovare tanto in montagna che in riva al mare. In quest’ultimo caso si tratta del pino marittimo; l’altro è il pino a ombrello. Facendo un’incisione nel tronco di quest’albero, si vedrà gocciolare una sostanza attaccaticcia e profumata, la resina, che è utilizzata in varie industrie. Mescolata a nero fumo forma la pece dei calzolai; la si usa nei fuochi d’artificio e per rendere più vibranti le corde del violino; e nella fabbricazione dei balsami.
Il tronco del pino, così alto e diritto, viene utilizzato per fare gli alberi delle navi. L’olmo, l’ontano e il pioppo ci danno la cellulosa, ampiamente usata nelle più svariate industrie, come la fabbricazione della carta, della stoffa e perfino degli esplosivi.
Il legno dell’ontano che, crescendo vicino all’acqua è molto resistente all’umidità, viene utilizzato per i pali delle palafitte. Dalla corteccia di quest’albero si ricava il tannino, sostanza colorante usata in tintoria.
L’età degli alberi Gli alberi possono raggiungere anche migliaia e migliaia di anni di vita. In Sicilia esiste ancora il castagno dei cento cavalli, chiamato così perchè, secondo la tradizione, Giovanna d’Aragona, sorpresa dalla tempesta, si rifugiò sotto la sua chioma con cento cavalieri del seguito. Pare che questo immenso albero abbia almeno quattromila anni! A Somma Lombardo esiste un cipresso che si dice abbia duemila anni. L’età di un albero si può constatare soltanto quando l’albero è abbattuto. Infatti, poichè il tronco aumenta di solito di uno strato all’anno, contando in un tronco tagliato questi strati, che sono disposti in cerchi concentrici, si può sapere approssimativamente quanti anni è vissuto l’albero.
Il papiro L’albero che permise agli uomini di scrivere è il papiro. Il papiro è una grande erba perenne acquatica, con radice sotterranea strisciante, dura e carnosa. Il fusto esterno, triangolare, si erge diritto da due fino a cinque metri, e termina con chioma a ombrello: una specie di piumino. Oggi il papiro si trova con maggiore facilità e diffusione, ma è meno cercato. Lo si trova in Palestina, in Africa, a Malta, ed anche in Sicilia presso Siracusa, dove lo trapiantarono gli Arabi. Gli antichi trassero dalla corteccia del papiro un foglio largo, lungo e sottile, molto pieghevole, su cui poterono scrivere. Il papiro deve considerarsi quindi come una specie di “albero della scienza” poichè alla sua corteccia furono affidati, fino dall’alba della civiltà, i pensieri dell’uomo, le sue idee storiche, letterarie, artistiche, scientifiche. (G. Bitelli)
Sugli alberi Il nostro giardino era pieno d’alberi. C’era un ippocastano rosso con due rami a forca che per salire bisognava metterci dentro il piede, e poi non potendolo più levare ci lasciavo la scarpa. Dalle ultime vette vedevo i coppi rossi della nostra casa, pieni di sole e di passeri. C’era una specie d abete, vecchissimo, su cui si arrampicava un glicine grosso come un serpente boa, rugoso, scannellato, storto, che serviva magnificamente per le salite precipitose quando si giocava a nascondersi. Io mi nascondevo spesso su quel vecchio cipresso ricco di cantucci folti e di cespugli, e in primavera, mentre spiavo di lassù il passo cauto dello stanatore, mi divertivo a ciucciare la ciocca di glicine che mi batteva fresca sugli occhi come un grappolo d’uva. (S. Slataper)
Il re delle Alpi Il larice viene definito il re delle Alpi. E’ un albero maestoso che può raggiungere i 50 metri di altezza; il suo legno duro e resistentissimo viene usato soprattutto per le costruzioni navali. E’ una delle poche conifere che perdono le foglie durante l’inverno. E’ l’albero più tipico delle nostre Alpi, dove forma grandi boschi e si trova fino a 2200 metri di altezza. Altri alberi che popolano le nostre montagne sono il pino, l’abete e il faggio.
Proteggiamo l’albero I boschi sono affidati alla protezione dello Stato il quale soltanto ne può consentire l’abbattimento. Per questo, esiste uno speciale corpo di Guardie Forestali che hanno l’incarico non soltanto di difendere gli alberi dal vandalismo degli uomini, ma di curarli perchè non deperiscano e di ripopolare, mediante appositi vivai, le zone che ne sono sprovviste.
Ma la difesa dell’albero è affidata soprattutto al senso civico di ogni cittadino che deve apprezzare gli alberi non soltanto per il guadagno che ne può ricavare, ma anche perchè proteggono la salute, rendono bello il paesaggio, oppongono una valida difesa contro i pericoli delle alluvioni e delle valanghe. Come si può danneggiare un albero? Non soltanto con l’abbattimento, il che produce un danno definitivo ed irraparabile, ma anche strappando i rami senza discriminazione, scortecciando i tronchi, piantando chiodi sul tronco o stringendolo con fili di ferro. Tutti questi traumi possono danneggiare la salute dell’albero e causare anche la sua morte.
L’albero va curato come tutti gli esseri vivi. Gli insetti, le intemperie, alcuni animali possono essere i nemici dell’albero. Gli insetti ne bucherellano la corteccia, scavano sotto di essa lunghe gallerie e pur così piccoli come sono, possono provocare la morte dell’albero in brevissimo tempo. Anche le capre sono nemiche dell’albero. Infatti esse brucano anche i teneri germogli dei rami. Animali del bosco, come scoiattoli, ghiri ed altri, rodono talvolta anche la corteccia, causando danni rilevanti a questi giganti che non possono opporre nessuna valida difesa contro i loro dentini implacabili.
Il sottobosco Non dimentichiamo il sottobosco e quello che esso ci fornisce: funghi, fragole, lamponi, mirtilli. Anche questi prodotti minori della foresta hanno il loro valore tanto più che non implicano spese di sorta.
Guarda da vicino un albero Guarda da vicino un albero: vedrai tante cose che neppure immaginavi e rimarrai stupito. Guarda le sue radici, o almeno quello che affiora di esse. Sono grosse, nodose, capaci di sollevare la durissima crosta della terra. Se il vento tira forte e vuol sradicare l’albero, non può; ci sono le radici che tengono il tronco saldamente piantato sul terreno e il vento si sforza e ulula in una vana rabbia.
Quando il seme cadde in terra e germogliò, la radice era soltanto un filo che succhiava; guarda che cosa è diventato quel filo: braccia nerborute di gigante che non lasciano la presa. Guarda il tronco. Era uno stelo sottile, verde, debole. Si piegava a ogni soffio di vento. Ora è diventato una colonna, bella, diritta, solida. Colui che per primo fabbricò una chiesa coi suoi colonnati e i suoi pilastri e le sue volte profonde, si ispirò agli alberi di un bosco.
Una corteccia dura, legnosa, ruvida, copre questo tronco diritto. La pioggia l’ha gonfiata, il vento l’ha screpolata, gli insetti l’hanno percossa, sforacchiandola da tutte le parti; sembra una cosa insensibile, tanto è ruvida, rozza, eppure, se la ferisci col tuo coltellino, se ne stacchi un pezzo, da quella ferita gemerà il sangue dell’albero, e l’albero, indifeso, in quel punto sarà alla mercè della tempesta e del freddo e se non correrà ai ripari potrà anche morire per quella ferita che tu hai inferto alla corteccia che lo proteggeva.
La ferita si rimarginerà, ma rimarrà un gonfiore scabro che non se ne andrà più. Quel gonfiore scabro è la cicatrice, il ricordo del dolore che egli ha sofferto. Guarda i rami. Sono come grandi braccia che si tendono per proteggere. Proteggono tutto ciò che si rifugia sotto di essi: il coniglio pauroso che si nasconde nell’ombra, l’uccellino che vuol dormire. Proteggono anche te che cerchi ristoro al solleone. E il vento va ad infrangere la sua violenza contro la chioma ampia del bell’albero grande.
Guarda la foglia. E’ così delicata nella sua nervatura che sembra un ricamo. Guardala contro luce; nessuno saprebbe fare una cosa delicata e perfetta come la gemma, che meraviglia! La gemma, dentro, è un astuccio di velluto, e fuori è impellicciata come una bambina freddolosa. L’acqua e il freddo non riescono a penetrare nell’interno e, se è necessario, la gemma si riveste di resine e di cera o, magari, di una crosta dura come il metallo. A lei è affidato il tesoro dell’albero che è anche il suo avvenire: la foglia, il fiore, il frutto.
Il fiore si apre, così rosato e lieve che sembra quasi impossibile sia potuto sbocciare da un ramo tanto duro e ruvido. Fa la stessa impressione della mano morbida di un bambino posata sulla guancia rugosa del nonno. Ma i fiori degli alberi durano poco: oggi li vedi, domani non li vedi più. C’è solo una sfiorita di petali per terra. L’albero ha fretta: deve preparare i suoi frutti, prima verdi, duri, informi, poi grossi, rotondi, morbidi e coloriti che sembrano messi lì apposta per bellezza, come si mettono le palline lucide e sono felice.
Ecco, tutto questo è l’albero; basta che lo guardi da vicino, tanto da vicino per sentire il suo grande cuore battere nel tronco ruvido, da sentire la sua linfa vitale frusciare lungo le sue vene generose. (M. Menicucci)
La storia dell’uomo e del bosco C’era un uomo che possedeva un bosco. Questo bosco era fatto di alberi alti e fronzuti, castagni, pini, lecci e querce. A primavera pareva vivo: gli uccellini facevano il nido sui rami e svolazzavano di qua e di là, cinguettando. Fra le erbe ronzavano gli insetti e volavano le farfalle. C’era un bel fresco sotto gli alberi del bosco e in mezzo a quegli alberi l’uomo aveva la sua casa.
In autunno la famiglia andava a raccogliere le castagne e i bambini più piccoli cercavano i pinoli. Durante l’inverno, nel camino della casa, ardeva un bellissimo fuoco che illuminava e scaldava. La famiglia mangiava la polenta e anche i funghi quando ne trovava. Qualche volta mangiava anche le salsicce perchè con le ghiande si poteva allevare un maiale grasso e bello.
Un giorno salì, fino al bosco, un tale che non si era mai visto. Disse all’uomo: “Volete vendere il bosco?” L’uomo stette un pezzo a pensare, poi disse: “E io come camperò? Il bosco mi dà tutto: pane, companatico e la legna per l’inverno”.
L’altro si mise a ridere. “Siete un uomo semplice che non farà mai fortuna. Quando mi avrete venduto il bosco, io farò tagliare gli alberi e li porterò con via. Voi sul terreno rimasto libero, potete seminare il grano e piantare le patate. Senza pensare che io vi darò molti milioni e con questi potrete spassarvela un bel po’. L’uomo si mise a pensare ancora, poi disse: “Va bene, accetto. La cosa mi conviene”.
Dopo alcuni giorni vennero i boscaioli e cominciarono ad abbattere gli alberi. I grossi tronchi cadevano giù di schianto, con un gran frastuono di rami fruscianti; poi, con le mine, gli uomini fecero saltare le radici. Gli uccelletti fuggivano spaventati abbandonando i nidi. Anche le lepri scappavano e i conigli selvatici, le martore, le donnole e le faine.
“Non credevo che nel bosco ci fossero tanti animali!” diceva l’uomo meravigliato, e guardava i carri che portavano via, albero per albero, tutto il suo bosco. C’era rimasto solo un pino verde che pareva triste in tanta solitudine.
Il terreno restò sgombero e il sole, che ora spadroneggiava, seccò ben presto le erbe e i cespugli. L’uomo si mise a vangare la terra e da boscaiolo si fece contadino. Seminò il grano e piantò le patate. Diceva: “Avremo un bel raccolto!”, ma la moglie non era contenta.
“Senza il bosco mi sento sperduta” diceva, “C’era una bell’ombra e un bel fresco. Ora la casa mi sembra senza difesa”. I ragazzi, che non potevano più andare in cerca di castagne e di pinoli, furono mandati con un branco di tacchini e un piccolo gregge di pecore, in giro per la montagna. Il raccolto fu buono. La terra grassa produsse molto grano e molte patate e nella casa del contadino sembrò entrare l’agiatezza.
Poi venne l’autunno e con l’autunno le piogge. “Piove molto quest’anno” disse un giorno la moglie: “Piove più degli altri anni. Forse è perchè non ci sono più gli alberi” “Stupidaggini” rispose il marito; “la pioggia viene dal cielo e gli alberi non c’entrano per niente”. “Ma la pioggia viene giù a precipizio per il monte e si porta via la terra.” Il contadino dovette convenire che era vero. L’acqua, non più trattenuta dalle grosse radici, lavava il terreno e se lo portava a valle.
“E’ una brutta storia” disse la moglie “Qualche anno così e non ci resterà più terra, soltanto roccia. Intanto, a valle, il torrente gonfio rumoreggiava e il contadino seppe che gli abitanti del villaggio cercavano di rinforzare gli argini per paura delle piene.
L’inverno passò e fu un inverno molto più freddo del solito. C’era poca legna e nella casa, non più riparata, il vento entrava da padrone. Finalmente venne la primavera e tutta la famiglia respirò di sollievo. Senza la protezione del bosco aveva passato delle brutte giornate.
Il contadino aveva seminato anche stavolta grano e patate, ma il terreno, lavato dalle piogge, non era più fertile e ricco come prima. Il raccolto fu scarso. Il sole che batteva a piombo seccava anche le erbe e il gregge trovò poco da pascolare. “Non so com’è” diceva la donna, “Ma quando c’erano gli alberi si stava meglio. L’aria era più fresca e più buona e i ragazzi erano pieni di salute. Ora sono pallidi e meno forti. E poi, tutto era più bello. Se ne sono andai anche gli uccelli.
Infatti, nelle ore calde, non si sentiva nemmeno un cinguettio, solo il falco roteava in alto silenziosamente. Tornò l’inverno e con l’inverno la neve. La famiglia si chiuse in casa per non soffrire il freddo. Quell’anno la neve fu molta. C’erano dei mucchi alti che il vento spostava e faceva turbinare. “Non mi piace questa neve” diceva la donna “Non ne ho mai vista tanta.”
L’inverno fu lungo e cattivo, ma finalmente si aprì, nel cielo, uno spiraglio d’azzurro. La donna respirò di sollievo. Arrivava la primavera. Il contadino era pensieroso; le cose non andavano bene. Sotto la neve che si scioglieva non si vedeva la terra, ma la roccia. La terra se ne era andata a valle con la furia dell’acqua. Una mattina, tutta la famiglia uscì dalla casa a prendere il primo raggio di sole. C’era ancora tanta neve che scintillava intatta.
Ad un tratto si sentì un rumore lontano. Pareva un muggito. La donna ebbe paura. “Che cos’è?” Il contadino tendeva l’orecchio. Anche le pecore erano inquiete e si accalcavano le une accosto alle altre, come se volessero sfuggire un pericolo. L’uomo andò sopra un’altura e guardò lontano. “Si vede un polverio bianco…” Il rombo si faceva più forte; veniva dall’alto del monte. “Andiamo via” disse l’uomo, “Andiamo a metterci al riparo di quei massi. Fuggiamo di qui, è troppo scoperto…” Scapparono tutti meno le pecore chè non c’era tempo di radunarle.
Ora il rombo era forte e cupo e si avvicinava. “La valanga!” gridò l’uomo diventando bianco di paura. E si prese i figlioli tra le braccia e si nascose con loro dentro una grotta. Il turbine di neve si avvicinava con un rombo come il tuono. Ma non era tuono, il cielo restava sereno. Era una gran massa di neve che rotolava per il fianco della montagna, s’ingrossava lungo il cammino, schiantava, rovinava, travolgeva tutto al suo passaggio, non più arrestata dagli alberi che per tanto tempo le avevano sbarrato il passo.
Passò come un turbine, si scontrò con la casetta, la seppellì, la travolse, si perdette a valle con un muggito lungo e pauroso… E la famiglia uscita salva dalla grotta, stava a vedere, piangendo, la rovina che la valanga si era lasciata dietro e pensava che se ci fossero stati gli alberi, quella rovina non sarebbe avvenuta… (M. Menicucci)
Morte di un albero La donna lavava i piatti con un gran ciabattare e scrosciare d’acqua. Il marito fumava, leggendo il giornale. Era sera e faceva molto freddo. Brutta annata: gelate, tramontana, ventaccio e poca legna. La donna era di malumore e brontolava.
“Con tanti alberi, qui nel viale, non si può avere un ciocco di legna da buttare sul fuoco. Qui signori del Municipio! Tutto per la bellezza del paese! Come se la bellezza si potesse mangiare!” Il marito non diceva niente. Sapeva che la moglie bisognava lasciarla sfogare.
“Vorrei sapere che cosa ci stanno a fare quegli alberi sulla strada! Per dar fastidio! D’inverno ti levano la luce e d’estate ti coprono la finestra che non si può vedere neanche chi passa. C’è questo qui davanti poi, che è un castigo. Sembra che per i passeri non ci sia che quell’albero. Tutti lì, tutti lì, e la sera ti stordiscono per il chiasso che fanno e la mattina ti svegliano all’alba. E se per caso ti vien voglia di sederti all’aria fresca… sudicioni! L’altr’anno mi rovinarono il vestito nuovo!”
L’uomo fumava e taceva, ma gli si vedeva un risolino sotto i baffi. “Tu ridi, eh, ridi! E non vedi che siamo senza fuoco? Lo sai che la legna è quasi finita e l’inverno è appena cominciato? Ridi, invece di procurarti un po’ di fascine e di ciocchi!”.
La donna tacque per riprendere fiato. “Dimmi un po’” disse dopo un momento di silenzio “Non potresti tagliare qualche ramo?” “Sì, per andare in prigione!” rispose, flemmatico, l’uomo.
“In prigione! In prigione ci manderei quei signori del Municipio che non sanno far altro che piantare alberi! E perchè, poi? Per scimmiottare la città. Sicuro! E intanto, la povera gente non ha nemmeno il sole, chè se lo ruban tutto loro, foglie e rami!”.
La donna gettò uno sguardo iroso fuori della finestra dove s’intravedeva la sagoma scura e stecchita del grande albero spoglio. L’albero dormiva. Aveva perduto da un pezzo le foglie e ora si era chiuso tutto nella scorza dura per impedire che il gelo frugasse nelle fibre tenere e bianche.
Un sonno lungo, il suo, che cominciava ai primi freddi e finiva in primavera. Ma quanti sogni! Che cosa può sognare un albero? L’inverno che finisce e tutto e ancor freddo, immobile ma i rami cominciano a rabbrividire e, dentro, la linfa preme, gonfia la corteccia fin che la spacca e la gemma verde si affaccia per godersi il primo tepore dell’aria. Allora l’albero riviveva ed era una vita magnifica e possente. La linfa gagliarda andava su e giù finchè prorompeva in migliaia di germogli che scoppiavano da tutte le parti, si aprivano e mettevano le foglie, belle, grandi, lucide.
Passato quel primo tripudio di giovinezza in cui l’albero si sentiva un po’ pazzo, cominciava il lavoro calmo dell’estate. Diventava bello. Chi si ricordava più di quello scheletro magro ed asciutto? Il vento giocava coi rami, li strapazzava un po’, ma rifaceva subito pace portando profumi e tepori. Il sole si divertiva a trapelare tra le foglie e a ricamarle d’oro fino.
E poi, i passeri. Pettegoli, prepotenti, che allegria mettevano nel vecchio tronco! Non ci facevano il nido, preferivano il tetto, più sicuro, ma il primo volo, ai piccini, glielo facevan fare lì, dal tetto all’albero, che li accoglieva tutto intenerito, poveri piccoli piumaccioli, morbidi, tondi e tanto felici!
Poi la sera, a nanna, fra i suoi rami. Che chiasso! La gente alzava la testa, sorridendo e qualcuno si divertiva a fare un colpo con le mani, forte. E allora tutto lo stormo scappava, spaventato e nell’albero si faceva un gran silenzio. Ma non avevano paura, fingevano soltanto; tornavano alla spicciolata perchè sapevano che era un gioco e ci si divertivano anche loro. E, dopo un momento, riecco il cicaleccio fitto fitto. Avevano tante cose da dirsi, la sera! Infine, pian piano, qualcuno, stanco, taceva. Stava un po’ zitto e raggomitolato, con gli occhietti semichiusi, poi, tutt’a un tratto, ficcava la testina sotto l’ala e buonanotte a tutti!
Questo sognava il grande albero, ma nessuno lo immaginava, vedendolo così cupo e immobile. Di che cosa si accorgono gli uomini, egoisti e meschini? Ma l’avrebbero lasciato vivere se non fosse stato per l’odio di una donna.
“Un mezzo ci sarebbe per far seccare l’albero!” disse l’uomo levandosi la pipa dai denti e sputando lontano. La donna si fermò davanti a lui con le mani sui fianchi.
“Forse” riprese il marito “se l’albero seccasse, ci toccherebbe parecchia legna. Non per questa stagione, naturalmente, ma si potrebbe far provvista per l’inverno che viene. Non la porterebbero via tutta”. “Parla dunque” “In una sera di gelo, basta rovesciare, sulle radici dell’albero, un paiolo di acqua calda. Non so com’è, ma l’albero secca”. Una luce cattiva passò negli occhi della donna. “Ma io direi di farlo vivere” si affrettò a dire l’uomo, pentito di quanto si era lasciato scappare. “In fondo è un bell’albero e ha faticato per crescere”.
La donna non lo degnò di una risposta: prese il paiolo e andò a metterlo sul fuoco. “Non ci pensi molto, tu” disse l’uomo andandosi a mettere davanti alla finestra. Gli dispiaceva d’aver parlato, ma non credeva che la moglie mettesse subito in atto il suo progetto. L’albero si levava nella notte come un fantasma nero. Un soffio di tramontana fece vibrare i vetri. “Dove la trovi una notte più fredda di questa?” disse la donna “Vogliono gelare persino i sassi della strada”. E alimentò il fuoco sotto il paiolo. Il marito tacque. S’era pentito delle sue parole, ma ormai sapeva che c’era più nulla da fare. Aveva rimorso di veder uccidere deliberatamente l’albero che, infine, era una creatura viva. Poi pensò che, forse, quella poca acqua non sarebbe stata sufficiente ad uccidere un colosso così. La donna prese il paiolo, si ravvolse in uno scialle e scese nella strada.
Il cielo, scintillante di stelle, prometteva una gelata bianca come un sudario di morte. L’albero si destò. Un’onda di tepore saliva lungo le sue fibre con una dolcezza primaverile. Stupì. Ad ogni suo risveglio era abituato a vedersi attorno una fioritura leggera e il cielo azzurro, tenero e soave. Invece era notte e tutto era nudo, scheletrito e deserto.
Ma il tepore persisteva e l’albero si rallegrò. Dilatò le sue fibre e lo accolse trepidante. Le radici, anch’esse improvvisamente rideste, si abbeverarono a quel calore dolce, fremendo. Il tronco si scosse e aprì i suoi pori già serrati contro il gelo e il tiepido succo salì, ricercò la sua vita più profonda, la rianimò, diffondendo sotto la corteccia un benessere gaudioso. E per l’albero fu primavera. Ecco, la sua rinascita cominciava. Il gelo delle sue membra si scioglieva, le ombre dei sogni fuggivano di fronte a questa magnifica realtà; l’albero si preparò a ricevere il nuovo, benefico afflusso di vita… Una raffica violenta lo investì; rigida come una lama si infiltrò nelle fibre dilatate e indifese; lo frustò fino al midollo tenero e bianco, serrò in una morsa gelida le radici deste e vive, scosse i rami vibranti e li fermò in un abbraccio mortale… Poi passò come un impeto di furia vittoriosa, oltre l’albero, che restò immerso in uno stupore desolato… Il vecchio cuore, colpito dall’inganno, impietrì senza più vita. Sopra un ramo, un passero pigolò piano, e nel sonno si scosse tutto rabbrividendo. (M. Menicucci)
Le piante si difendono dalla siccità e dal freddo eccessivi, liberandosi delle foglie
La caduta delle foglie è un fenomeno che avrai osservato tante volte: è lo spettacolo suggestivo e poetico che l’autunno ogni anno ci offre. Gli alberi restituiscono alla terra le loro verdi spoglie. Nelle regioni a clima temperato, come l’Italia, la caduta delle foglie avviene ai primi freddi autunnali. In altri paesi delle regioni tropicali la caduta delle foglie coincide con l’inizio dell’estate. Come mai le piante si comportano in così diversa maniera? Non è il caldo o il freddo che direttamente fanno cadere le foglie. E’ un’altra la ragione. Tu sai che le piante traspirano attraverso le foglie, cioè eliminano vapore acqueo. Nelle regioni tropicali il periodo estivo è caratterizzato dalla mancanza di piogge: le piante seccherebbero tutte se continuassero a traspirare regolarmente attraverso le foglie. Invece le lasciano cadere e passano il periodo di siccità in una specie di sonno estivo. Nelle regioni temperate accade che all’inizio dell’autunno il freddo fa abbassare la temperatura del terreno: le radici delle piante, allora, non riescono più a trarre da esso quella quantità d’acqua di cui ha bisogno. Se la traspirazione delle piante continuasse normalmente, le piante seccherebbero completamente. E così, più o meno rapidamente, le piante si liberano dalle foglie. In certe piante (faggio, nocciolo) la caduta delle foglie ha inizio dalla cima dei rami e va verso la base. In altri invece (tiglio, salice, pioppo) avviene il contrario: cadono prima quelle più in basso e poi quelle dei rami superiori. La caduta delle foglie è certo una perdita di sostanze per le piante: è un danno ma presenta anche dei notevoli vantaggi. D’altra parte la pianta, prima di perdere il suo verde manto, ha compiuto una… operazione di recupero delle cellule delle foglie: ha portato via amidi, zuccheri, grassi, li ha messi da parte nel tronco per utilizzarli poi in primavera per creare nuove e più giovani foglie. Ecco perchè le foglie, prima di cadere, cambiano colore e diventano gialle, o arancione o brune in infinite sfumature, creando con i loro colori il meraviglioso paesaggio autunnale. La pianta dunque cede alla terra solo gli scheletri delle foglie, ricche soprattutto di una sostanza, che si è accumulata durante l’estate, l’ossalato di calcio. Questa sostanza non solo non è più utile alla pianta, ma ne riuscirebbe dannosa, se la conservasse ancora. La caduta delle foglie ha un po’ anche il compito di purificare la pianta e liberarla dalle sostanze inutili e dannosi: un’operazione simile all’escrezione degli animali. Le foglie cadute al suolo lentamente si decompongono e contribuiscono alla formazione dell’humus, che è un elemento fondamentale per la fertilità del terreno. Come si staccano le foglie? E’ forse il vento che le porta via con il suo gelido soffio? Certo le foglie cadono più facilmente e rapidamente per lo stimolo di cause esterne; ma è la pianta stessa, che lavora per liberarsi delle foglie. Essa forma sul picciolo delle foglie una specie di anello di cellule, che ha il compito di operare la separazione delle foglie dalla pianta. Basta allora un alito di vento o il peso stesso delle foglie a determinarne la caduta.
Alberi nani
I giardinieri giapponesi sanno ottenere incantati giardini in miniatura, allevando gli alberi in piccoli vasi, ove vegetano lentissimamente per decine e decine di anni, assumendo l’aspetto di vecchie piante, pur essendo alte pochi centimetri. Per ottenere questo nanismo, si seminano in piccoli vasi i semi più piccoli delle piante in terriccio povero: le piantine vanno poco innaffiate e abbondantemente potate. La radice principale viene tagliata, le radici laterali vengono in parte scoperte. Si cerca di dare alla pianta la forma di un vecchio albero con tronco e rami tortuosi. Un tale ricorda di aver osservato in Giappone una pianta di ciliegio, che aveva l’età di centocinquanta anni. A questo tipo di allevamento si presta bene l’albero della canfora, con foglie alterne sempreverdi, picciolate ovali, a fiori piccoli e biancastri; così pure il cedro, resinoso, dal caratteristico odore aromatico, la quercia e l’albero del pane, dai cui frutti si ricava un lattice, che col calore si rapprende formando una specie di pane, commestibile.
Albero tuttofare
Un europeo viaggiava per i paesi dell’India meridionale sotto un sole implacabile, quando, stanco e spossato per il lungo cammino, decise di bussare ad una solitaria capanna circondata da altissime palme di cocco. L’ospitalità dell’indiano fu veramente squisita: per prima cosa gli offrì una bibita dissetante affinché si ristorasse, poi gli servì un pranzo così vario e nutriente che il viaggiatore, meravigliato, domandò al suo ospite chi in quel luogo così solitario lo provvedesse di tutte quelle cose. “Le mie palme!” gli rispose l’ospite. “La bibita dissetante che vi ho offerto è ricavata dal frutto prima che sia maturo. Questo latte, che voi trovate così gradevole, è contenuto nell’interno della mandorla. Questa verdura così delicata è il tenero germoglio dell’albero di cocco. Il vino, di cui voi siete così contento, è anch’esso fornito dal cocco, durante tutto l’anno. E infine, tutto questo vasellame e questi utensili di cui ci siamo serviti a tavola, sono stati fatti con il guscio del cocco.
Vita dell’albero
Vive col tempo, con le stagioni, progredisce, si protende, si innalza. Nei suoi anelli concentrici sono impresse le vicende di tutte le annate trascorse, sì che leggendo in un tronco tagliato, puoi avere notizia non solo della sua età, ma della siccità o meno di tutte le annate da lui vissute. Combatte con le intemperie, con gli animali, coi parassiti, coi venti, coi fulmini; si difende, si cura, si guarisce da solo. Guardalo. Pesa quintali e quintali e non ne vedi il peso; vedi la forza semmai, lo slancio, la leggerezza, la freschezza, la grazia. (F. Tombari)
Alberi in fiore Sull’alto della collina, il contadino ripartisce lo stabbio col tridente e attorno a lui è già una vasta punteggiatura sulla terra grigia. Col solito anticipo sugli altri alberi da frutta i mandorli sono già fioriti; tutta la collina ne è bianca e rosa. Da quando Maria posò tra i suoi rami Gesù neonato, per nasconderlo agli sbirri di Erode, secondo quello che narrano i vecchi, il mandorlo si affretta ogni anno a fiorire, anche a costo, come spesso capita, di perdere fiori e frutti alla prima gelata. In fondo alla valle si estende il mosaico verdegrigio dei campicelli. Sui rettangoli e quadrati verdi, frotte di ragazzi e donne già zappettano per dare aria alla terra incrostata e liberare il grano tenero dalle erbe selvatiche; sulle parti grigie, uomini con zappa, aratri e bestie lavorano alle semine di granoturco, di piselli, di fave, di ceci, di lenticchie, mondano i fossi, rafforzano i cigli, le fratte. (I. Silone)
Dettati ortografici sugli ALBERI – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Dettati ortografici sull’olivo – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Le olive sono ormai tutte nere e grasse e a spremerle emanano il loro denso liquore; gli olivi, poveretti, implorano di essere alleggeriti da tanto peso. Non ne possono più. E le raccoglitrici cercano in terra e non lasciano che una sola bacca sfugga ai loro sguardi. Cantano, intrecciano stornelli. Una canta e le altre rispondono. Così per tutto il giorno. Verso il tramonto le lavoratrici si radunano e partono intonando ancora una canzone. (A. Palazzeschi)
L’olivo Con la vite e col grano, l’olivo è la terza pianta propria del nostro suolo. Pianta povera, modesta nell’aspetto, mite nei frutti, cresce sui colli, esposta al sole e ai danni degli insetti, che ne rovinano il tronco. Per crescere e fruttificare bene, impiega circa trent’anni: però chi la pianta non la pianta mai per sè, ma per i figli e i nipoti e per amore verso la terra. (F. Tombari)
L’olivo Veste di grigio-verde le nostre colline, e di notte s’inargenta ai raggi della luna. I suoi rami sono contorti, ma le foglioline robuste sono dritte e lucide come piccole lame. Si afferra con le radici al terreno, si nutre d’aria, di sole, di salmastro. I suoi frutti non sono dorati, profumati, grossi, ma sono quei piccoli tesori bruni nei quali si nasconde tanto oro: l’olio che cola dal frantoio e va ad allietare la nostra tavola. (G. Vaj Pedotti)
Il dolce olivo Dovunque l’aria sia mite e il clima non troppo mutevole, ne umido, ne secco, l’olivo resiste: all’opera attenta dell’uomo è legata la sua lunga vita. Beato chi ha piantato l’albero d’olivo, nella propria terra, a difesa del grano che non ama essere investito dal vento invernale; beato chi può raccoglierne le bacche, appena macchiate di violetto o biancastre, o screziate, o verdoline, in questo mese dolce, dopo il primo temporale d’autunno, sulla terra ancora dura che odora di vendemmia! Dalle vigne ove rare piante segnano i confini, alle coste ondulate delle colline, alla pianura gialla e nera di ristoppie arse dal fuoco, il paesaggio di questa terra agli olivi affida la sua decorazione: quel distacco ricco di ombre ferme che variano dal grigio all’argenteo, dal verde al cupreo, a seconda dei riflessi della luce, dello splendore del giorno, della trasparenza della sera. Tra gli spazi di questo paesaggio, ecco donne ricurve: soltanto le mani si muovono, e il grembiule si gonfia di olive. Qualcuna è salita sull’albero e scrolla con grazia esitante i rami più alti. (R. M. De Angelis Beltempo)
La raccolta delle olive
Alla metà di novembre i contadini raccolgono le olive. Quanti mesi sono passati da quando gli olivi, nelle chiare giornate di aprile, si coprirono di fiorellini gialli!
Ora i campi sono squallidi. Viti, pioppi, gelsi sono tutti senza foglie. L’aria è bigia e fredda, senza voli e senza canti. I contadini escono di casa ben coperti, camminano per la viottola fino agli ulivi che occupano la parte più alta della collina, dove la terra è più asciutta e sassosa, poi si accingono al lavoro pazienti. L’aria è fredda e le mani presto si intorpidiscono. Ma i contadini resistono alle fatiche e al disagio per ore e ore; sanno che le olive costituiscono il raccolto più ricco dell’anno; sono il loro tesoro, e non vogliono perderne nemmeno una. (G. Fanciulli)
L’olivo è un albero sempreverde, dalle foglie coriacee, verdi di sopra, biancastre di sotto, fortemente cutinizzate, rivestite cioè di cutina, una sostanza dura e impermeabile che permette al fogliame di difendersi dal freddo e dall’umidità. Il frutto dell’olivo è l’oliva, una drupa con polpa oleosa e nocciolo duro nell’interno. Dell’olivo esistono due sottospecie: l’olivo coltivato (olivo gentile) e l’olivo selvatico detto anche oleastro.
Questo non è da confondersi con l’olivastro, chiamato anche erroneamente olivo selvatico e che invece proviene da seme di olivi coltivati e cresce nelle siepi e nei boschi senza coltura. Produce frutti più piccoli, meno carnosi che danno generalmente un prodotto più scarso, ma superiore per qualità a quello dell’olivo coltivato. Le olive sono ricoperte da una pellicola verde che con la maturazione diventa, man mano, più scura, fino a raggiungere una tinta bruno – violacea o nerastra. Le olive, a seconda della qualità, vengono utilizzate in vari modi, conciate, salate, seccate, ma l’utilizzazione più importante è quella dell’estrazione dell’olio.
L’olivo cresce in regioni che hanno un clima dolce e uniforme. Non prospera dove è troppo freddo, ma nemmeno dove è troppo caldo. Qualunque terreno, purchè non sia paludoso, conviene all’olivo. Nei terreni fertili esso è più produttivo, ma la qualità del suo frutto è inferiore a quello che può dare in un terreno sassoso sito in posizione alquanto elevata e che costituisce l’ambiente ideale.
Il legno dell’olivo, che si presenta compatto ed elegantemente variato per l’andamento delle sue fibre, è molto usato nell’industria per la fabbricazione di mobili e per lavori di tarsia. L’olivo cresce con lentezza e può vivere anche più di quattro o cinque secoli. Si dice che lo pianta il nonno per il nipote. In alcune regioni, si usa raccogliere le olive percuotendo l’albero con un lungo bastone, ma questo sistema è dannoso. Il miglior modo di procedere alla raccolta è quello di cogliere l’oliva a mano.
L’olivo fu conosciuto fin dalla più remota antichità. I Greci premiavano i vincitori dei giochi con corone di olivo e fecero di questa pianta il simbolo della saggezza, dell’abbondanza, della pace. Quest’albero fu tenuto in considerazione anche dai Romani; spesso, i popoli vinti chiedevano la pace a Roma portando rami di olivo. Secondo la Bibbia la colomba del diluvio tornò nell’Arca con un ramoscello di olivo nel becco, simbolo della pace tra Dio e gli uomini.
L’olivo viene distribuito insieme alle palme, nelle chiese la domenica prima di Pasqua, chiamata perciò domenica delle palme o degli ulivi, in ricordo del giorno in cui Gesù entrò in Gerusalemme, festeggiato dalla folla che agitava rami di palma e di ulivo in segno di giubilo.
Dettati ortografici sull’olivo – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Dettati ortografici NOVEMBRE – Una raccolta di dettati ortografici, con vari livelli di difficoltà, sul mese di novembre, per bambini della scuola primaria.
Novembre E’ un mese freddo, nebbioso, umido. Gli alberi sono spogli e alzano, verso il cielo grigio, le loro braccia stecchite. I prati sono umidi di nebbia, la siepe è nuda e mostra l’intrigo dei suoi rami spinosi. Si sente l’inverno vicino.
Fa freddo Le belle giornate di sole ormai se ne sono andate. Il cielo, quasi sempre grigio, nebbioso, lascia cadere una pioggerellina minuta e fredda. Gli animali si sono rifugiati sotto terra, nelle loro tane tiepide e sicure, i rettili sono nascosti nel profondo dei crepacci, i pipistrelli, a testa in giù, si sono appesi sotto la volta delle grotte oscure. Si sveglieranno a primavera.
I doni di novembre Novembre porta la pioggia, la nebbia, la brina. Il cieso è sempre grigio, cade una pioggerella minuta e fredda, i prati sono zuppi di umidità, sopra ogni filo d’erba brilla una goccia. Se questa umidità si gela, avremo la brina, la fredda sorella della neve.
L’estate di San Martino Nei primi giorni di novembre, talvolta il cielo si rischiara. Il sole appare tra la nuvolaglia grigia, i fioretti si schiudono, le erbe raddrizzano i loro steli. Sembra tornata la primavera. Ma è soltanto l’estate di San Martino.
L’estate di san Martino Il cielo è nebbioso; i rami secchi degli alberri, ormai privi di foglie, lasciano cadere lente gocce di umidità rappresa. Ma ecco che, un bel giorno, il cielo si rasserena, il sole torna a scaldare, tiepido, la terra, i passeri cinguettano, qualche fiore sboccia pensando che sia primavera: è l’estate di San Martino, breve, dolce stagione, piena di tepore e di bellezza.
Novembre Il cielo non ha più il suo bel colore azzurro. Ora è bigio e coperto di nuvole dense. Gli alberi hanno perduto le foglie. Erano così belli, vestiti di verde! Sono rimasti nudi e stecchiti e rabbrividiscono al vento freddo che scuote i rami con triste fruscio.
Freddo Il freddo è arrivato. Gli alberi hanno ormai perso tutte le foglie, e scheletriti e nudi, rabbrividiscono al vento che soffia, violento, fra i rami. Lucertole, bisce, insetti, sono tutti giù, sottoterra, immersi nel letargo. Si sveglieranno a primavera. I prati sono senza erba; sulle zolle si forma la brina e sui cespugli secchi si posano i passeri infreddoliti alla ricerca di un granellino per sfamarsi.
Novembre Una nebbia leggera leggera ingombra l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che non nasconde, ma dà bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna. Di tratto in tratto, a voli brevi, i passeri si slanciano, dai comignoli al piano, e lo scricciolo dal cespuglio alla macchia. (A. Stoppani)
Novembre Al tempo degli antichi Romani, che furono quelli a dar il nome ai mesi, l’anno cominciava con marzo, ed ecco che novembre era, appunto il nono mese. Mutò il calendario, ma il nome restò, così come sono restati quelli di settembre, di ottobre e di dicembre.
Giorno di nebbia La nebbia, fitta, umida, silenziosa, bianca, al mattino avvolge in un velo leggero le persone, le automobili, i contorni delle case. Sembra di vivere in un mondo sconosciuto, in mezzo ad ombre. Perfino i suoni sembrano avere un tono più lieve. Verso mezzogiorno la nebbia si dirada e il sole appare in cielo.
Nebbia Leggera e silenziosa è calata la nebbia. Nasconde col suo velo la luce pallida del sole, i colori degli ultimi fiori dell’autunno. Le case, gli alberi, le persone sembrano ombre. Io cammino adagio, stretto alla mano della mamma. Forse tra poco un raggio di sole riuscirà a sciogliere il velo fitto della nebbia. Allora guarderò lassù per rivedere il cielo.
Pioggia Il cielo è grigio, pare che un velo lo ricopra tutto. Piove piano, piano. Le gocce si rincorrono in un gioco scherzoso. Ecco, ora una goccia leggera batte ai vetri della finestra. Toc, tic, tac. La pioggia canta la sua canzone. Io l’ascolto in silenzio e osservo nella pozzanghera del cortile il cielo che si riflette.
Arriva il gelo Viene nelle notti serene, quasi all’improvviso. Si stende tacito sulla terra che si irrigidisce e diventa dura come la pietra. Al mattino un’aria tagliente ci sferza il viso. Tutte le pozzanghere e i fossi sono ricoperti di uno strato di ghiaccio.
Novembre
Un uomo vestito di grigio, magro e palliduccio, avanza a gran passi. Porta con sè un sacchetto, poche foglie ingiallite e molti crisantemi bianchi. Ma che cosa perde da quel sacchetto? Chicchi di grano? Si capisce, è Novembre, il seminatore.
L’autunno intorno a noi
Guarda: ogni stagione ha la sua poesia di giorni e di cose. Se la primavera inventa i colori, l’autunno li cancella. La terra ha lavorato a dar fieni e biade, ed ecco l’autunno coprirla di foglie cadute, velarla di nebbie sottili, perchè s’addormenti e dolcemente riposi. Gli alberi fino a ieri così folti di chiome, così beati d’ombre e popolati di nidi, ingialliscono e si spogliano. E dove sono gli uccelli?
Nel mese di novembre continua la semina del frumento, delle fave, dell’orzo e della segale. Da per tutto, negli orti e nei giardini, fioriscono i crisantemi. Le giornate sono sempre più brevi. Nel calendario romano novembre era il nono mese dell’anno ed era dedicato a Diana, la dea della caccia. Il mese di novembre è consacrato al culto dei defunti.
Dice la terra: “Ho maturato il grano e l’uva, ho dato il pane agli uomini e alle formiche; dopo tanta fatica, devo riposare. Datemi il seme, che io lo chiuda dentro di me, perchè appena tornerà il sole maturerò ancora le piante che devono darvi il pane”.
Un uomo vestito di grigio, magro e palliduccio, avanza a gran passi. Porta con sè un sacchetto, poche foglie ingiallite e molti crisantemi bianchi. Ma che cosa perde da quel sacchetto? Chicchi di grano? Si capisce, è Novembre, il seminatore.
Novembre
Ottime, per la semina, queste giornate di novembre brumose, nebbiose, piovigginose; così la terra è molliccia e le formiche non rubano i chicchi, e i passerotti non li beccano e i polli, razzolando, non li trovano. E intanto, si colgono gli ultimi frutti: no, gli ultimi frutti sono, veramente, le olive. Or che la campagna si addormenta nel riposo invernale, le olive rimangono alla pioggia e al gelido vento sui rami fronzuti. (T. Pellizzari)
L’ultimo raccolto di novembre
Quando la campagna si addormenta nel riposo invernale, le olive rimangono alla pioggia e al gelido vento, nei rami fronzuti. E si gonfiano. E si annerano. E si colmano di olio odoroso. E il contadino comincia a coglierle. E le frangerà sotto la macina. E le torchierà nel pressoio. E dal pressoio, fluiranno taciti rivi d’oro. (T. Pellizzari)
Novembre in campagna
Una nebbia leggera leggera ingombra l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che non nasconde, ma dà bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna… Di tratto in tratto, a voli brevi e furtivi, i passeri si slanciano dai comignoli al piano e lo scricciolo dal cespuglio alla macchia. (A. Stoppani)
Fiori di novembre
I giardini non hanno più fiori: soltanto i crisantemi fanno nei cespugli una macchia rossastra, gialla, bianca. Sono fiori grandi, rotondi, fitti di petali, oppure semplici e piccoli come margherite. La gente li coglie per portarli alle tombe dei morti e il cimitero, in quei giorni, sembra un grande, magnifico giardino. Ma non c’è allegria come negli altri giardini.
Novembre
Novembre è un mese triste. Porta la brina, la nebbia, la pioggia. Il cielo è quasi sempre nuvoloso. I rami degli alberi sono stecchiti perchè hanno perdute tutte le foglie. In questo mese si ricordano le persone care che non ci sono più. Sulle loro tombe si portano i crisantemi che fanno, nel cimitero, un grande giardino. Pure, qualche cosa di allegro c’è anche a novembre. Si raccolgono le castagne che piacciono molto ai bambini. Nei campi il contadino semina. I chicchi affondano nel terreno lavorato. A primavera la terra sarà tutta verde e fresca.
Estate di san Martino
Novembre è un mese triste: nebbia, freddo, cielo nuvoloso, alberi che si spogliano. Passano gli ultimi stormi di uccelli migratori che si dirigono verso i paesi caldi. Sui rami degli alberi, ormai privi di foglie, si formano grosse gocce di umidità rappresa. Gli insetti sono spariti, la natura è brulla e silenziosa. Ma ecco che un giorno il cielo si rasserena, il sole torna a scaldare tiepido, la terra, i passeri cinguettano, qualche fiore sboccia illudendosi che sia tornata la primavera. Non è primavera: è l’estate di san Martino, breve dolce stagione piena di tepore e di bellezza.
E’ novembre Presto, cogliamo questi ultimi lampi di bellezza della terra esausta che si prepara a morire. Quante volte avremmo voluto fissare sulla carta l’emozione, il nostro amore per la zolla grassa, bollente, coperta di verde, per la spiga pesante che il sole abbrustolisce, per il grappolo azzurro, lustro, per il ramo curvo carico di frutta! Non abbiamo saputo! Non perdiamo questi splendori estremi. Riempiamoci gli occhi del vermiglione, della porpora, dell’arancione dei pampini agonizzanti; del giallo e del bianco dei fiori ritardatari. L’erba fresca inzuppata di rugiada, le foglie scintillanti nelle mattine ancora soleggiate, i campi e le prode fumanti come la groppa di un bue che ha lavorato troppo. Domani il sipario della nebbia calerà su tutto e sul nostro cuore. Non vedremo, non ameremo più nulla che i nostri ricordi. (A. Soffici)
Giornate novembrine In questi giorni d’autunno, solo la natura ha colori smaglianti, più festosi di quelli di primavera. Le foglie delle viti e dei boschi vanno dal giallo canarino al rosso carabiniere, passando attraverso ogni sfumatura; l’oro grezzo, il bronzo nuovo, il cuoio vecchio, il pane. La gente in ogni villaggio, la mattina dei Santi, quando ci sono passato, andava al cimitero a portare fiori. Avevano tutti l’abito buono. I giovani o quasi giovani vestiti come in città, i vecchi contadini ancora con il fazzoletto di seta bianca legato al collo, il cappello di feltro tondo con qualche buffetto, il sigaro toscano o la pipa tra i denti, la carnagione arrossata dal sole e dai buoni vini. La gente andava a piedi, in motoretta, con le donne aggrappate al sellino posteriore, o in automobile. C’erano automobili a centinaia da tutte le parti, vecchie rabberciate e ridipinte, quasi nuove ben lucidate, e nuovissime appena uscite dal negozio. Si allineavano in bell’ordine, all’ingresso del cimitero, dove il vigile, vestito a nuovo, faceva autorevoli segni. Le donne portavano grandi mazzi, tenuti stretti al petto come un bambino, per lo più crisantemi color d’oro, grandissimi, certamente molto più grandi di quelli che si usavano prima della guerra, rinchiusi in sacchi di plastica, perchè non si sciupassero. L’ordine era nelle cose ma anche nei sentimenti, nell’obbedienza ai precetti e alle tradizioni, nella pietà per i defunti. (L. Barzini J un)
Colore di novembre Novembre: mese delle prime brinate, delle prime nebbie, delle uggiose piogge. Qualche volta fa la sua apparizione la neve; sovente accade già di trovare, il mattino, fontane e ruscelli gelati. Nelle case, sui focolari scoppiettanti, o sulle stufe che brontolano, c’è quasi sempre una pentola che fuma. I bimbi disegnano casine, barche ed alberi sui vetri appannati. In questo mese, l’acqua è davvero presente in quasi tutti i suoi travestimenti.
Il mese di novembre La campagna lentamente si spoglia. I campi arati fumano, e la prima nebbia li fascia; e gli alberi nudi levano come scheletri le braccia. Cadono pioggerelle fini, e intanto i solchi e le zolle si vanno riempendo di semi che danno frutti alla nuova stagione. I contadini piantano nuovi vigneti e nuovi filari di alberi. Si raccolgono le prime olive da mangiare dolci; sulle bancarelle dei fruttivendoli fanno spicco i vivaci colori delle mele, delle pere, dei cachi, mentre le caldarroste spandono all’intorno un gradevole profumo. Nei giardini sbocciano gli ultimi fiori: i crisantemi, bianchi, viola, gialli, dal profumo amaro.
Tempo di caccia Il primo sole del novembre si affaccia malinconico alle ultime cime della montagna, già biancheggianti per la neve caduta di fresco, e, mandando i suoi languidi raggi attraversi ai rami brulli dei castagneti, tinge di rosa la croce di ferro del campanile.
Qualche nuvola bianca sta fissa sui monti più lontani, uno strato bigio di nebbia allaga la pianura, e il villaggio dorme ancora sotto un freddo e splendido sereno d’autunno.
I cacciatori son già tutti partiti, dopo che ha suonato la campana dell’alba; vi è stato allora un breve segno di vita, qualche latrato, qualche fischio, qualche colpo alle porte per destare i compagni addormentati, e poi deserto e silenzio turbato soltanto ad intervalli dal fruscio delle foglie secche dei platani della piazzetta, che bisbigliano lievi lievi, portate in giro sul lastrico da radi sbuffi di tramontana. (R. Fucini)
San Martino
Nacque nel 316 in Ungheria. Suo padre era un ufficiale romano. Ancora ragazzo fu avviato alla carriera delle armi che più tardi, divenuto prete, abbandonò. Fu eletto vescovo di Tours. Morì nel 397. La leggenda narra che San Martino, il santo della carità, divise il proprio mantello con un povero incontrato in una rigida giornata autunnale. Come premio a questo suo atto generoso, Dio mutò la temperatura di quella giornata in un clima di primavera. Da quel giorno quel periodo venne chiamato “l’estate di San Martino”. San Martino è considerato anche il simbolo dell’abbondanza.
San Martino
Nacque in Pannonia. Suo padre, tribuno romano, fece di lui un soldato. Ebbe innato il senso della carità. E’ particolarmente noto l’episodio di cui fu protagonista in una fredda giornata di novembre. Mentre a cavallo percorreva un solitario sentiero, si imbatté in un poveretto tremante. Non esitò a dividere con lui il suo mantello. Nella notte, in sogno, gli apparve un giovane uomo rivestito del drappo che aveva donato al poveretto e lo ringraziò. Commosso da questo strano sogno, non esitò a convertirsi al Cristianesimo. Fondò poi alcuni monasteri ed ebbe grande popolarità. La sua tomba divenne meta di numerosi pellegrinaggi, cosicché in quel luogo sorse una stupenda Basilica.
Dettati ortografici su NOVEMBRE – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Libri di lettura di Tolstoj – Racconti tratti dalle raccolte di Libri di lettura di Tolstoj per la lettura, il riassunto e l’analisi grammaticale.
Sto utilizzando con successo queste brevi letture di Tolstoj coi bambini di seconda e terza. Ci esercitiamo nella lettura, ma anche i bambini si cimentano nei primi riassunti e nell’analisi grammaticale, sottolineando e classificando nomi, verbi, aggettivi. Iniziamo anche a cercare le prime parole sul vocabolario.
Tolstoj dedicò alla stesura dei suoi quattro Libri di lettura, che inizialmente appartenevano all’Abbecedario, circa 14 anni di lavoro, condotto in larga parte all’interno della sua scuola a diretto contatto coi bambini.
Mi sento davvero di consigliarli:
Le letture seguono un ordine di complessità progressiva, e si caratterizzano tutte da una rappresentazione positiva della realtà, dalla scelta di temi vicini alla sensibilità dei bambini e che suscitano il loro interesse, e da un linguaggio accuratamente scelto per loro dallo scrittore al fine di ottenere uno stile conciso, semplice e soprattutto chiaro, senza per questo rinunciare alla bellezza della parola.
Ecco alcuni esempi di schede di lavoro.
Libri di lettura di Tolstoj
Leggi il seguente racconto, poi evidenzia i nomi, gli aggettivi qualificativi ed i verbi
I fili sottili Un uomo chiese a una filatrice alcuni fili sottili. La filatrice glieli preparò, ma l’uomo disse che non andavano bene, che gli occorrevano ancora più sottili. La filatrice allora rispose: “Se questi fili non sono abbastanza sottili per te, eccone altri” e gli mostrò una scatola vuota. L’uomo disse che non vedeva nulla; ma l’astuta filatrice rispose: “Appunto, sono tanto sottili che non si vedono. Non li vedo nemmeno io!” Allora quello sciocco, tutto contento, fece una grande ordinazione di quei fili e li pagò a prezzo d’oro.
Autocontrollo e autocorrezione
Nomi: fili, uomo, filatrice, scatola, ordinazione, sciocco, prezzo, oro
Aggettivi: sottili, vuota, astuta, contento, grande
Come imparai a cucire Avevo sei anni quando chiesi a mia madre che mi insegnasse a cucire. Mia madre rispose: “Sei ancora troppo piccola. Non riusciresti che a pungerti le dita”. Ma io insistetti. Allora mia madre tolse dal suo cestino un pezzo di panno rosso e me lo diede. Poi infilò un sottile filo rosso in un ago e mi insegnò come tenerlo. Cominciai a cucire, ma non riuscii a fare i punti regolari: uno era troppo lungo, uno troppo corto, un altro finiva troppo vicino all’orlo, non prendeva la stoffa e lasciava aperto un grosso buco. Alla fine mi punsi un dito. Non volevo piangere, ma storsi la bocca e la mamma se ne accorse. “Ebbene? Che cos’hai?” mi chiese sorridendo. Questo fu troppo per me, e scoppiai finalmente a piangere. Allora mia madre mi consolò e mi consigliò di andare a giocare. La sera, quando mi coricai, i punti danzavano ancora davanti ai miei occhi. Mi domandavo come avrei fatto a imparare a cucire, e la cosa mi sembrava tanto difficile che dicevo scoraggiata tra me e me: “No, non imparerò mai!”. Ora, divenuta grande, non mi ricordo neppure come feci ad imparare; e quando insegno a cucire a mia figlia, rimango sempre assai sorpresa nel constatare come faccia fatica a tener ben fermo l’ago tra le dita.
Libri di lettura di Tolstoj
La pietra Un mendicante bussò alla porta di un ricco e chiese la carità. Ma il ricco non gli diede nulla e gli gridò con sgarbo: “Vattene! Vattene!”. Il povero non si mosse. Allora il ricco andò in collera, raccattò una pietra e gliela scagliò contro. Il povero raccolse la pietra, la mise nella sua bisaccia, e mormorò: “Porterò questa pietra fin quando non sarà giunta l’ora di vendicarmi e di lanciarla contro di lui”. E infatti quell’ora giunse. L’uomo ricco commise un delitto. Fu spogliato di tutti i suoi beni e venne condotto in prigione. Mentre il ricco camminava lungo la strada, incatenato e deriso, il mendicante lo incontrò e lo riconobbe. Si fece avanti, tolse la pietra dalla bisaccia e alzò il braccio. Ma, dopo aver riflettuto un attimo, lasciò cadere a terra la pietra, dicendo: “Perchè mai ho portato questa pietra per tanto tempo? Quando egli era ricco e potente suscitava la mia ira; ora mi fa pena…”
Libri di lettura di Tolstoj
Il cieco e il sordo Un cieco e un sordo andarono a rubar piselli nel campo del vicino. Il sordo disse al cieco: “Tu ascolta bene e riferiscimi tutto. Da parte mia, terrò gli occhi aperti.” Giunti nel campo, fecero bottino e sedettero. Il cieco tastò i piselli e disse: “Quanti! E’ andata bene…” “Che dici? Chi viene?” chiese il sordo, che aveva capito male l’ultima parola. Il cieco, allarmato, cadde nel fosso che limitava il campo. “Che fai?” chiese il sordo stizzito. “Son caduto nel fosso. Che brutto incidente!” “Come? Vien gente?” e il sordo si diede subito alla fuga, seguito a balzi dal cieco.
Libri di lettura di Tolstoj
Il bambino trovato Una povera donna aveva una figlioletta che si chiamava Maria. Un giorno, di buon mattino, Maria uscì per attingere acqua dal pozzo e scorse sulla soglia della casa un piccolo involto. Posò il secchio e si mise a disfare l’involto. A un tratto, da quel fagottino di vecchi panni uscì uno strillo e Maria vide un bel bambino appena nato, che agitava le manine e vagiva, vagiva… Maria allora se lo prese in braccio, ritornò in casa e gli diede un po’ di latte. “Che cosa hai trovato?” le domandò la madre, che entrava nella stanza in quel momento. “Ho trovato un bel bambino. Era in un fagottino presso la porta” rispose Maria. “Che cosa gli daremo da mangiare?” sospirò la madre. “Siamo già così poveri anche noi! Andrò dal sindaco del villaggio e lo pregherò di tenerlo con sè”. A quelle parole, Maria si mise a piangere. “Oh, mamma,” supplicava la bambina “è tanto piccolo! Mangerà così poco! Lascialo stare qui. Guarda com’è bello con le manine rosse e le piccole dita…” La madre guardò il piccolo e ne fu commossa. Tennero il bambino e lo crebbero con ogni cura. Maria lo nutriva, lo fasciava e lo sfasciava, lo metteva nella sua piccola culla e alla sera, per addormentarlo, gli cantava le più belle canzoni.
Libri di lettura di Tolstoj
Bob, il cane dei pompieri Nelle città capita molto spesso che, quando le case bruciano, qualche bambino resti tra le fiamme. E non è facile salvarlo, perchè, pieno di paura, egli si nasconde in qualche angolo e il fumo impedisce di vederlo. A Londra, la capitale dell’Inghilterra, si ammaestrano i cani affinchè salvino i bambini in caso di incendio. Questi cani sono gli amici fedeli dei pompieri e vivono con loro. Quando brucia una casa, essi si slanciano tra le fiamme e portano in salvo i bambini. Un cane, di nome Bob, ne ha già salvati dodici. Un giorno, il fuoco di appiccò a una casa, e, quando i pompieri giunsero sul luogo, una donna corse disperata incontro ad essi. Con voce rotta dai singhiozzi, ella disse che nella casa c’era la sua bambina, di soli due anni. I pompieri mandarono subito Bob a cercarla. Il cane si arrampicò su per la scala e scomparve nel fumo. Cinque minuti dopo ricomparve: in bocca, stretta nella piccola camicia, teneva la bambina. La madre si precipitò verso la sua creatura, e quando la vide sana e salva scoppiò in un pianto di gioia. I pompieri, intanto, accarezzavano il cane e guardavano se si era ferito. Ma Bob si agitava, si dimenava inquieto, finchè riuscì a sfuggire alle loro mani. Il cane ritornò di corse nella casa in fiamme e i pompieri, per un attimo, pensarono che vi fosse rimasto qualche altro bambino. Ma quando Bob ritornò fuori, tutti scoppiarono a ridere. Il cane teneva tra i denti una grossa bambola di pezza.
Libri di lettura di Tolstoj
Gli eschimesi C’è sulla terra un paese dove la bella stagione dura solo tre mesi; per il resto dell’anno è inverno. D’inverno, le giornate sono tanto brevi che il sole, appena levato sull’orizzonte, si corica e tramonta. Anzi, per circa tre mesi il sole non si leva neppure, e c’è sempre buio. Anche in queste regioni vi sono degli uomini: gli Eschimesi. Essi non escono mai dal loro territorio; hanno una lingua propria e non comprendono le altre lingue. Di statura sono piccoli, ma hanno la testa piuttosto grossa. La loro carnagione non è bianca, ma color caffelatte. Hanno occhi piccoli, capelli neri, naso poco sviluppato, zigomi larghi e sporgenti. Gli Eschimesi vivono spesso in case di neve, che costruiscono in modo curioso: tagliano la neve dura in forma di mattoni, collocano questi blocchi l’uno sull’altro e così costruiscono i muri. Le finestre sono fatte con lastre di ghiaccio; le porte sono lunghe gallerie scavate nella neve. D’inverno, quando il vento fischia e copre le case di nevischio, in quelle case si sta bene e c’è caldo. Gli Eschimesi di cibano di carne di renna, di lupo, di orso bianco. Oppure di carne di pesce, che essi pescano abilmente, col rampone o con le reti, nei mari polari. Cacciano gli animali con l’arco e ne mangiano la carne cruda. Non hanno nè lino, nè canapa, nè lana, ma si vestono con pelli e si servono dei nervi degli animali uccisi per fabbricare le corde. Essi non conoscono il ferro. Per fare gli spiedi e le frecce, usano ancora le ossa degli animali. Donne e uomini, tutti vestiti allo stesso modo. Le donne, tuttavia, hanno stivali molto larghi, perchè vi mettono dentro i loro bambini. D’inverno, per oltre tre mesi, c’è buio su tutto il paese. Ma d’estate il sole non tramonta mai, e non c’è notte.
Libri di lettura di Tolstoj
La scimmia e il boscaiolo Un giorno un boscaiolo andò nella foresta, abbattè un albero e si accinse a tagliarlo. Sollevò una estremità del tronco abbattuto, l’appoggiò su un ceppo, ci si mise a cavalcioni e cominciò a segare. Poi piantò un cuneo nel punto in cui era arrivato con la sega e gli fu facile staccare un ciocco. Proseguì allora così: segava, piantava il cuneo, staccava il ciocco. Seduta sopra un albero, una scimmia lo stava a guardare con attenzione. Quando il boscaiolo si sentì stanco, si coricò all’ombra di una pianta e subito si addormentò. Allora la scimmia discese in fretta dal suo albero, si mise a cavalcioni del tronco, proprio come aveva visto fare dall’uomo, e lo volle imitare in ogni suo gesto. Fece per togliere il cuneo, piantato nel tronco dal boscaiolo, ma la spaccatura del legno si rinserrò e le prese dentro la coda. La scimmia, con la coda schiacciata nella fessura, si dibatteva, strillando per il dolore. Allora il boscaiolo si svegliò, la stordì con un colpo e la fece prigioniera. Tutto per colpa della coda! La scimmia infatti può ben tentare di copiare l’uomo, ma non può riuscirvi. Perchè la scimmia ha la coda, e l’uomo no…
Libri di lettura di Tolstoj
Il viaggio in città Mio padre stava andando in città. Io gli dissi: “Papà, portami con te!” “Che idea!” mi rispose “Tu moriresti di freddo lungo la strada!” Io mi voltai dall’altra parte, scoppiai in lacrime e corsi a rinchiudermi nella mia camera. Piansi a lungo e alla fine mi addormentai. Vidi in sogno un sentiero che usciva dal nostro villaggio e conduceva ad una cappella. Mio padre camminava su quel sentiero. Lo raggiunsi, e insieme ci avviammo verso la città. A un tratto, mentre camminavamo, vidi in lontananza il negozio di un fornaio. “E’ questa la città?” chiesi allora a mio padre. “Sì, è la città” rispose. Intanto eravamo giunti al negozio. Nella vetrina vidi molti pasticcini appena sfornati e chiesi: “Papà, compramene uno!” Mio padre mi accontentò: comprò un pasticcino e me lo diede. Proprio in quel momento mi svegliai. Mi alzai, mi vestii, infilai i guanti e uscii di casa. Nella strada c’erano ragazzi che scivolavano sul ghiaccio, che correvano e saltavano, e anch’io mi misi a giocare con essi, finchè fui tutto intirizzito dal freddo. Rientrai in casa per riscaldarmi, quando udii la voce di mio padre che era tornato in quel momento dalla città. Gli corsi incontro tutto contento e gli chiesi: “Papà, me lo hai comprato un pasticcino?” “Sì!” rispose; e mi porse proprio quel pasticcino che avevo visto in sogno. Allora fui preso da una tale felicità che saltai sulla tavola e mi misi a cantare.
Libri di lettura di Tolstoj
La tempesta nel bosco Un giorno, quand’ero ancora ragazzino, fui mandato nel bosco in cerca di funghi. Ne trovai in gran quantità e, dopo averne raccolti parecchi, pensai di fare ritorno a casa. Ma l’aria, quasi all’improvviso, si era fatta scura. Incominciò a piovere e a tempestare, mentre il tuono brontolava lontano. Preso dalla paura, mi rannicchiai sotto un grande albero. A un tratto, un lampo saettò nell’aria così vicino e luminoso che chiusi gli occhi abbagliato. Nello stesso tempo qualcosa scricchiolò sul mio capo. Udii uno schianto, un forte colpo sulla testa e caddi a terra svenuto. Rimasi così a lungo, immobile sotto l’acqua. Quando rinvenni, tutti gli alberi del bosco scintillavano, gocciolavano, mentre il sole gettava sprazzi di luce tra i rami. Gli uccelli cantavano. Ma il grande albero giaceva al suolo, schiantato e bruciacchiato; dal suo tronco si levavano ancora pennacchi di fumo. La terra, tutt’intorno, era cosparsa di schegge e frammenti di legno. I miei abiti erano fradici; la testa mi faceva male. Raccolsi in fretta i funghi, raccattai il mio berretto e corsi a casa. Non c’era nessuno. Presi un po’ di pane che stava sul tavolo, sedetti accanto alla stufa e mi addormentai. Quando mi svegliai, vidi che i miei funghi erano già in tavola, cotti ben bene, e che i miei genitori si accingevano a mangiarli. “Li mangerete così, senza di me?” gridai indispettito. “E tu, perchè dormi?” risposero i miei “Vieni, c’è posto anche per te. Purchè tu venga subito”.
Dettati ortografici e poesie LA RUGIADA – Una collezione di dettati ortografici, poesie e filastrocche, sulla rugiada, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Rugiada
Questa graziosa fata del mattino, che stende sui prati il suo velo rilucente, è anch’essa prodotta dal valore acqueo accumulato nell’atmosfera durante il giorno: la vegetazione, il suolo, tutti gli oggetti che sono stati esposti al calore diurno del sole, dopo il tramonto di questo si raffreddano più rapidamente dell’aria; ed allora il vapore acqueo, a contatto con essi, si trasforma in minutissime goccioline, che imperlano così tutte le cose e brillano come diamanti alla luce dell’alba nuova.
Rugiada Soltanto un ciuffo d’erba e gocciole tremanti posate sulla pianta: un velo di rugiada. Ma tremuli diamanti su dei fili di giada. (C. Jacobelli)
La rugiada “Perchè, dimmi, mammina, i fioretti del prato, la mattina anche quelli lontano dalla fonte hanno una goccia d’acqua sulla fronte?” “Anche i fioretti, vedi, bimbo mio, appena il sol li tocca, aprono tutti l’odorosa bocca a ringraziare della vita Iddio, e si fan tutti il segno della crode con un’acqua lustrale che trovano nell’aria mattinale. E di quel santo segno loro resta, come accade anche a te, una goccia d’acqua sulla testa che brilla come gemma di re”. (R. Pezzani)
Esercizi di vocabolario
Rugiada: rugiadoso, rorido. La rugiada può essere: benefica, abbondante, fresca, scintillante, … La rugiada: imperla, cade, imbrillanta, rinfresca, ristora, disseta, rianima, ricopre, … Modi di dire: benefica come la rugiada; parole rugiadose; rorido di rugiada; bagnato di rugiada; …
Ricerche e relazioni
Come si forma la rugiada.
Differenza tra rugiada e brina. Effetti sulla vegetazione dell’una e dell’altra.
La rugiada. Osservazione e descrizione di un prato dove sia caduta la rugiada.
Dettati ortografici e poesie LA RUGIADA – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Esperimenti scientifici per bambini – Costruire un generatore di corrente alternata. Un generatore elettrico è uno strumento che trasforma energia meccanica in energia elettrica, il cui principio di funzionamento si basa sul fenomeno dell’induzione elettromagnetica.
Se, tramite la variazione di un campo magnetico, è possibile indurre una corrente in un circuito, la corrente prodotta può anche essere utilizzata, per esempio per accendere una lampadina.
I generatori elettrici impiegati negli impianti per la produzione di elettricità sono strumenti piuttosto complessi, ma il loro principio di funzionamento è molto semplice.
Schematicamente sono costituiti da uno o più avvolgimenti di filo conduttore (bobine), ai quali viene fornita energia meccanica per farli ruotare all’interno di un intenso campo magnetico. L’energia meccanica può essere fornita per esempio da una turbina mossa dall’acqua in un impianto idroelettrico, o dalla combustione in un impianto termoelettrico.
La bobina, libera di ruotare, viene detta rotore, mentre il magnete fisso viene detto statore.
Come funziona: la rotazione del magnete genera un campo magnetico variabile, questo determina nell’avvolgimento la generazione di una corrente elettrica in base ad uno dei principi fondamentali dell’elettromagnetismo: “In un conduttore immerso in un campo magnetico variabile si genera una corrente elettrica.”
Per ottenere una tensione più elevata bisogna aumentare il numero di spire dell’avvolgimento.
Esperimenti scientifici per bambini Costruire un generatore di corrente alternata Progetto 1
Cosa serve: due magneti ceramici cilindrici potenti (almeno 10x10mm), filo di rame, una lampadina led, una bacchetta di metallo (un ferro da maglia o un raggio di ruota di bicicletta, ad esempio), un pezzetto di gomma da cancellare o del mastice, una cannuccia da bibita (o un vecchio pennarello) e un tubo di plastica (ad esempio un contenitore per rullini).
In realtà nel video la cinghia è collegata ad un motore di un vecchio giocattolo, ma il collegamento può essere fatto anche alla bacchetta del nostro generatore, così:
Science experiments for children – Simple electric generators. An electrical generator is a tool that converts mechanical energy into electrical energy, whose operating principle is based on the phenomenon of electromagnetic induction.
If, through the variation of a magnetic field, it is possible to induce a current in a circuit, the current produced can also be used, for example to turn on a light bulb.
The electric generators used in plants for the production of electricity are tools rather complex, but their operating principle is very simple.
Schematically they are constituted by one or more windings of conductive wire (coil), to which is supplied mechanical energy to rotate them within an intense magnetic field. The mechanical energy can be provided for example by a turbine powered by water in a hydroelectric plant, or from the combustion in a thermoelectric power plant.
The coil, free to rotate, is called the rotor, while the fixed magnet is said stator.
How it works: the rotation of the magnet generates a variable magnetic field, this produces inside of it the generation of an electric current according to one of the fundamental principles of electromagnetism: “In a conductor immersed in a variable magnetic field generates an electric current.”
To obtain a higher voltage is necessary to increase the number of turns of the winding.
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Science experiments for children – Simple electric generators
project 1
What do you need?
two cylindrical ceramic magnets powerful (at least 10x10mm) copper wire, a LED light bulb, a metal rod (an iron mesh or a radius of a bicycle wheel, for example), a piece of eraser or mastic, a drinking straw (or an old marker) a plastic tube (such as a container for photographic film).
Esperimenti scientifici per bambini – Lanterna magica. Conoscerete di certo le lanterne magiche, quelle lampade da comodino che proiettano immagini in movimento intorno alla stanza, sfruttando il calore emanato dalla lampadina accesa
Esperimenti scientifici per bambini Lanterna magica Cosa serve
una bottiglia di plastica da 2l, fil di ferro, un dischetto di metallo, una punta e un martello, una base per lampada da comodino con lampadina, cartoncino, carta da decorazioni varia, eventualmente un foglio di carta tipo pergamena.
Dettati ortografici: Autunno. Dettati e letture di autori vari, per la scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Autunno Sono bastati tre giorni di vento freddo e qualche ora di pioggia grossa per cambiare faccia al mondo. Adesso, sì, è l’autunno. L’azzurro non splende più da sé, ma riflette per trasparenza una luce che sembra essersi allontanata, ritirata al fondo del cielo; basse sull’orizzonte fumano bellissime nuvole grigiazzurre falla gran cresta bianca. Nei campi, tra il verde brillante, spiccano grovigli di vigne rossastre chiazzate d’uva viola; gracili robinie, tremule d’oro, si levano da dietro le siepi nere.
Autunno Muore sul poggio l’ultima eco delle canzoni della vendemmia: nel giardino passa l’aria fredda dell’aurora a tingere di rosso le foglie della vitalba; sbocciano, ultimi fiori, le corolle dei crisantemi; le dalie appassite piegano il grosso capo. Lievi strati di nebbia si stendono qua e là, fra gli alberi dalle fronde già diradate, sui campi arati di fresco, sul corso serpeggiante del fiume. (V. Bersezio)
Autunno La nuova stagione ha avuto inizio con l’equinozio d’autunno, il 23 settembre, e terminerà il 21 dicembre. Equinozio è parola che deriva dal latino e vuol dire “giorno uguale alla notte”. Gli equinozi sono due poichè oltre a quello d’autunno c’è quello di primavera, il 21 marzo. In detti periodi la notte ha, dunque, la stessa durata del giorno.
Mattino d’autunno Il sole non era ancora tutto apparso all’orizzonte… Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole si alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalla sommità dei monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendii e nella valle. Un venticello d’autunno, staccando dai rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere a qualche passo distante dall’albero. (A. Manzoni)
Autunno
L’autunno cominciò precocemente, quell’anno: un settembre piovoso e freddo seguiva all’agosto torbido di uragani. La vegetazione risentiva già la vecchiaia; si coloriva d’oro e di rosso. Cade una foglia che pare tinta di sole e nel cadere ha l’iridescenza della farfalla. Appena a terra si confonde, con l’ombra, già morta. (G. Deledda)
La caduta delle foglie
Cadono lente, con un breve volo, come se fossero stanche di stare attaccate al ramo. Se, invece, tira vento, ecco che vengono strappate con rabbia e si disperdono finchè alla fine cadono a terra dove vanno a formare un frusciante tappeto. La pioggia le bagna, le fa marcire. Ma esse vanno ad arricchire il terreno, che a primavera sarà più prodigioso di succhi e darà maggior nutrimento all’albero che metterà nuove foglie e nuovi frutti.
Il lamento dell’albero
E’ bastato il fruscio della foglia a scuotere l’albero che cominciava a lamentarsi. D’albero in albero, il lamento si estende; tutto il frutteto è agitato, e sembra che non sia il vento a scuoterlo, ma una forza interiore, un’angoscia mista a rivolta. Giù tutte le foglie! E’ inutile tenerle quando non sono più parte viva del ramo: e con le foglie cade anche qualche frutto: la pigna si spacca e i pinoli si staccano e cadono. I rami più alti, con ancora le foglie verdi, si sbattono in una lotta leggera. (G. Deledda)
Autunno
Nell’aria, che si riposa sulla campagna, volano schiere di uccelli: dal bosco vicino, che comincia a tingersi di macchie rossastre, viene il canto dorato e lento del cuculo. La stagione indugia dorandosi in un’attesa piena di sopore. Le strade odorano di mele cotogne e d’uva e dalle porte spalancate delle cantine esce il fumo delle caldaie schiumanti di mosto, fra le voci aspre e clamorose dei pigiatori. (G. Titta Rosa)
Autunno
Settembre era passato e i primi giorni di ottobre erano grigi, freddi; nelle notti, sempre più lunghe, cadeva una brina cristallina che bruciava le erbe; il bosco aveva mutato aspetto, voce; il vento traeva dagli alberi quasi nudi non più fruscii, ma gemiti. Ad uno ad uno gli animali erano migrati o si erano barricati in casa per cadere in letargo. (R. Calzini)
Autunno
Un silenzio penoso domina pianure e colline. Le foglie rosse della vite che si dondolano ai tralci parlano ancora di solleoni, di grappoli d’oro, di ronzanti mosconi. Fluttua nell’aria quasi un resto di profumo vendemmiale e insieme l’eco di allegri richiami, di cantilene, di risa e di chiacchiere… Ciò era appena ieri; eppure sembra già così lontano. (A. S. Novaro)
Rondini addio
Si chiamano, si rincorrono, volano di qua e di là, dai nidi vuoti al campanile, dal campanile alle grondaie; stanno ferme un momento posate lungo il cornicione quasi a consultarsi, poi scappano. Volteggiano, stridono: è il gran giorno della partenza… Ecco: le prime hanno già spiccato il volo; ecco altre e altre le seguono; eccole tutte partite. Addio, rondini! Volano via lentamente, stridono quasi indugiando nei saluti. Sono già lontane. Addio, rondini, addio! (L. Capuana)
Autunno
L’estate fresca e piovosa non ha ingiallito la campagna, e le poche foglie appassite tendono sugli orti al rosso e al violetto. Limpida l’aria, nitidi i colori, un autunno che sembra primavera. Bianche nuvole corrono per il cielo luminoso, lungo le siepi ronzano ancora le api, fioriscono le rose selvatiche, ma all’orizzonte è in partenza una nera fila di uccelli fuggenti l’inverno in agguato. (G. Mosca)
Sole d’autunno La nuvolaglia si ruppe e ne scattò un bel raggio di sole. Baciò le piante umide di pioggia e le fece brillare; fece scintillare le pozzanghere, dorò le montagne, disperse la nebbia e la natura sembrò ridere di gioia sotto il bel sole d’autunno.
Mattino d’autunno Un venticello d’autunno, staccando dai rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere a qualche passo distante dall’albero. A destra, a sinistra, nelle vigne, su tralci ancora tesi, brillavano le foglie rosseggianti a varie tinte, e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta nei campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. (A. Manzoni)
L’autunno
I campi arati fumano e la prima nebbia li fascia. Gli alberi nudi levano come scheletri le braccia. Comincia la stagione piovosa, come vuole l’agricoltura. Cadono pioggerelle fini e intanto i solchi e le zolle si vanno riempiendo di semi che daranno frutti alla nuova stagione.
L’autunno L’autunno è una bella stagione che ci regala ancora qualche bella giornata di sole. E ci regala anche tanta frutta nutriente e saporita: mele, pere, fichi, uva, castagne. Saranno gli ultimi doni, poi la terra si addormenterà e si sveglierà a primavera.
Mattino d’autunno Si apriva appena il più bel giorno d’autunno. Pareva che la notte, seguita dalle tenebre e dalle stelle, fuggisse dal sole che usciva nel suo immenso splendore, dalle nubi d’oriente, quasi dominatore dell’universo; e l’universo sorrideva. Le nuvole dorate e dipinte di mille colori salivano la volta del cielo. Gli alberi sussurrando soavemente facevano tremolare, contro la luce, le gocce trasparenti di rugiada. (U. Foscolo)
La caduta delle foglie. Cade una foglia che pare tinta di sole, ma appena giunta a terra si confonde con l’ombra, già morta. E’ bastato il suo fruscio per scuotere tutto l’albero, che comincia a lamentarsi. D’albero in albero, il lamento si estende: tutto il frutteto è agitato. Giù tutte le foglie! E’ inutile tenerle quando non sono più parte viva del ramo. I rami più alti, con ancora le foglie verdi, si battono in una lotta leggera; alcuni dicono di sì, altri di no. Poi tutto di nuovo si placa, in una stanchezza dolce, rassegnata. (G. Deledda)
Pioggia autunnale.
Alla fine dell’autunno, in un solo giorno, cambiava il tempo. Di notte dovevamo chiudere le finestre perchè non entrasse la pioggia e il vento freddo strappava le foglie dagli alberi della piazza. Le foglie giacevano fradicie nella pioggia contro il grosso autobus verde al capolinea; il caffè era gremito e le vetrine erano appannate dal caldo e dal fumo dell’interno. (E. Hemingwai)
Rondini, addio. Si chiamano, si rincorrono, volano di qua e di là, dai nidi vuoti al campanile, dal campanile alle grondaie, stanno ferme un momento, posate lungo il cornicione quasi a consultarsi, poi scappano. Volteggiano, stridono: è il giorno delle partenze! (L. Capuana)
Il letargo. La marmotta, il riccio, il ghiro, il tasso, lo scoiattolo, la talpa, la tartaruga, la lumaca, la lucertola combattono il freddo e la fame andando in letargo. Prima di abbandonarsi al sonno ognuno prende le sue brave precauzioni: respira il meno possibile e non si muove. Una tale vita di risparmio si può paragonare a un focolare il cui carbone brucia lentamente sotto la cenere. ((H. Fabre)
Autunno E’ arrivato l’autunno e ha portato i bei frutti saporiti e nutrienti, pere, mele, noci, castagne. Le foglie degli alberi sono diventate rossastre e appena tira un soffio di vento si staccano dal ramo e cadono al suolo dove formano un bel tappeto frusciante. Nel cielo vagano nuvoloni soffici che ben presto si scioglieranno in pioggia.
Autunno L’autunno dipinge di rosso, di giallo, di viola il bosco e la vigna. Nel bosco, ai piedi degli alberi, spuntano grossi funghi e nei prati fiori violetti dalla corolla delicata e leggera. Sono i colchici autunnali.
Autunno E’ una bella stagione anche se non è calda e allegra come l’estate. L’aria è mite, il sole dorato, la campagna è tutto uno splendore di toni rossastri, gialli, verdi. Dagli alberi pendono i frutti maturi; la vigna è ormai spoglia, ma ci ha regalato i bei grappoli d’uva succosa. Gli uccelli sono partiti, ma quelli che sono rimasti cinguettano dolcemente fra i rami degli alberi e il fischio allegro dei merli riempie il silenzio del bosco.
Autunno Tutto intorno l’autunno vive nelle sue creature. Le olive, piccole uova con l’osso dentro, cadono ai piedi dei loro tronchi feriti. Le formiche, il granello tra le mandibole, passano tutte in fila. Forse anche per loro questo è l’ultimo giorno, poi si chiuderanno nel nido a dormire. Per l’aria le grandi nuvole sono gonfie di pioggia. Da una gran zucca gialla salta fuor un cosino nero. Il riccio ha un battito di cuore, poi si accorge che è un topo e ride. Più lontano, su uno stagno, un uccello dal largo becco pesca. Si sente strisciare: è la serpe che avanza. Pioviggina un poco e la quercia assopita prova dei brividi di dolcezza. (F. Tombari)
Alberi d’autunno Sono ancora fronzuti, anche se le foglie hanno dei toni gialli e rossastri. L’albero non le nutre più e al più lieve soffio di vento, alla prima pioggia, ecco che le foglie si staccano e, con un volo leggero, cadono per terra. L’albero resterà presto spoglio del suo bel manto.
Alberi d’autunno Hanno perduto quasi tutte le foglie ed ora alzano, verso il cielo grigio, i loro rami spogli. Pure, se guardate bene dove prima c’era la foglia, vedrete già la piccola gemma che aspetta la primavera per dar vita a una nuova foglia, a un fiore, a un frutto.
Autunno Viene l’autunno, grasso, allegro, rubicondo. Ha un cesto di frutta squisite: mele, pere, castagne, uva, noci… Fra un raccolto e l’altro si diverte a dare alle foglie una bella tinta rossastra. Ma qualche volta è di cattivo umore e tira fuori un ventaccio strapazzone che stacca le foglie dagli alberi e le fa turbinare nell’aria.
Giornata d’autunno Una brutta mattina la campagna si risveglia ammantata di brina. Cominciano i primi freddi! Piove a dirotto. Fuori ombrelli, impermeabili e maglie di lana. Tutto è brullo e squallido. Solo i pallidi crisantemi fioriscono ancora sui cespugli.
Autunno L’autunno arrivò e subito si mise a ridere giocondamente. Era di carattere allegro, e quando stava in compagnia, non rifiutava un bicchiere di vino. Appena giunto, fu sua cura andare nella vigna per vedere se i grappoli erano maturi. I grappoli c’erano, ma ancora verdi e acerbi. L’autunno li toccò con la punta delle dita e quelli diventarono pieni di succo fino a scoppiare. L’autunno poi, si guardò intorno e osservò: “C’è troppo verde qui. E’ monotono”. E con un largo pennello chiazzò di giallo, di rosso, di bruno, le chiome degli alberi.
Autunno L’autunno andò nel frutteto. C’erano pere, mele, noci. “Evviva!” esclamò e ne fece una scorpacciata. Poi andò nel bosco a scrollare i castagni e fece cadere i ricci che schiacciò col piede per farne uscire le castagne. Disse al tasso, alla marmotta, al ghiro: “Ebbene? Che cosa aspettate per andare a dormire?”. Ma il tasso, la marmotta e il ghiro gli risposero che era troppo presto e che ancora non avevano sonno. Allora l’autunno fece levare un forte vento di tramontana e il tasso, la marmotta e il ghiro scapparono subito a rintanarsi.
Autunno E’ una stagione che ci regala ancora qualche bella giornata di sole. E ci regala, anche, tanta frutta saporita e nutriente: mele, pere, castagne, noci, uva. Saranno gli ultimi doni della terra che poi si addormenterà per il lungo riposo invernale.
Sole d’autunno La nuvolaglia si ruppe e ne scattò un bel raggio di sole che baciò le piante umide di pioggia e le fece brillare. Trasse scintille dalle pozzanghere, dorò le montagne e disperse la nebbia. La natura sembrò ridere di gioia sotto il tiepido sole d’autunno.
Autunno Ecco l’autunno tutto grappoli e frutti, e odoroso di mosto. La campagna lentamente si spoglia; fuggono gli uccelli che fecero lieta l’estate, e nel cielo grigio veleggiano i corvi e le gru che sentono l’acqua. I campi arati fumano, e la prima nebbia li fascia. Gli alberi nudi levano come scheletri le braccia. (F. Lanza)
Vento d’autunno Un venticello d’autunno, staccando dai rami le foglie appassite dal gelo, le portava a cadere qualche passo distante dall’albero. A destra e a sinistra nelle vigne, sui tralci ancora tesi, brillavano le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta nei campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. (A. Manzoni)
Autunno La bella estate è finita. Le rondini sono partite e i nidi sono rimasti deserti. Il cielo ha perduto il suo bel colore azzurro. Ora è bigio e coperto di nuvole. Gli alberi si spogliano delle loro chiome. Erano così belli, tutti vestiti di verde! Ora sono nudi e stecchiti e rabbrividiscono al vento freddo che scuote i rami e strappa le foglie.
Il ghiro Il ghiro esce dalla sua tana. Ghiotto ghiotto mangia nocciole e ghiande. Se non le trova, sbuffa e borbotta; quindi saltella di ramo in ramo. Sale sul noce e coi dentini aguzzi ruba alle noci il saporito gheriglio.
Autunno Anche l’autunno ha la sua bellezza. Passano alti gli uccelli migratori che vanno verso i paesi caldi. Torneranno con la bella stagione. Le foglie sono spennellate di rosso e di giallo, il cielo è dolcemente velato, il sole è tiepido; sulle siepi rosseggiano le bacche e fra l’erba sbocciano gli ultimi fiori.
Le rondini Una mattina le rondini si raccolsero sui fili e sulle gronde delle case. La rondine più bella partì come una freccia, lanciando un grido acuto. Tutte, con un frullo solo, si levarono nell’aria e la seguirono in stormo. Volteggiarono un poco intorno al campanile, salutarono il vecchio nido, il bosco, i prati… Volarono verso il sole… Addio, rondini!
Partono le rondini Hai sentito la folata? Guarda, guarda quante rondini sul mare! Sono più di mille: una nuvola viva. Guarda come brillano! Ora partono per un gran viaggio, verso una terra distante; l’ombra cammina sull’acqua con loro; qualche piuma cade, si farà sera; incontreranno le barche in alto mare, vedranno i fuochi, udiranno i canti dei marinai; i marinai le guarderanno passare rasente alle vele; qualcuna si poserà stanca sul ponte.
Autunno I giorni si sono accorciati. L’aria si è fatta più fredda. Il cielo è spesso nuvoloso, piove e c’è nebbia. In autunno si ripongono i vestiti estivi e si levano dagli armadi quelli più pesanti e le coperte di lana. Le rondini migrano verso paesi più caldi perchè non resisterebbero ai rigori invernali e non troverebbero insetti per cibarsi. Il passero e lo scricciolo non migrano. Alcuni animali si preparano a cadere in letargo. Essi sono: il ghiro, il pipistrello, l’orso, la vipera, il rospo, ecc… Prima di cadere in letargo mangiano moltissimo, poi, fino a primavera, non prendono più cibo. Lo scoiattolo ogni tanto si sveglia per mangiare ghiande, nocciole e bacche che aveva nascoste. In autunno scendono al piano le greggi.
Autunno L’autunno comincia il 23 settembre e termina il 20 dicembre. Le giornate sono più corte che in estate: il sole si leva più tardi e tramonta più presto. Fa meno caldo che in estate e il mattino, la sera e durante la notte la temperatura è abbastanza fresca. Dobbiamo già indossare abiti pesanti. Raramente il cielo è limpido e azzurro. Generalmente è grigio e nebbioso. Al mattino e alla sera in alcune zone particolarmente ricche di acqua il bianco velo della nebbia avvolge silenziosamente tutte le cose, trasportandoci in un mondo di fiaba. I prati, al mattino, come in estate, sono costellati di limpide goccioline di rugiada che, a volte, quando la temperatura della notte è particolarmente fredda, si trasformano in bianchi aghetti di ghiaccio: la brina.
E’ tempo di semina e di raccolta. Si semina il frumento: i solchi si vanno riempendo di semi che daranno spighe d’oro nella calda estate. I frutteti si spogliano offrendoci i loro doni. Fra i cespugli, nei castagneti e nelle abetaie spuntano i funghi. Si raccolgono pere, mele, cachi, noci, nocciole, castagne. Il bosco è una meraviglia, perchè le foglie cambiano colore: ve ne sono di gialle, di rossastre, di brune, di dorate. Il vento le porta via, la pioggia le fa marcire, ma anche così le foglie saranno ancora utili, perchè decomponendosi renderanno più fertile il terreno. Il bosco è deserto e silenzioso, ma nelle vigne si odono i canti dei vendemmiatori: questi staccano i grappoli maturi dai tralci e riempiono ceste e bigonce. A novembre sarà pronto il nuovo vino.
Le rondini lasciano le nostre regioni per migrare verso i paesi più caldi: ma in primavera le rondini ritorneranno, ripareranno i nidi rotti e ne costruiranno di nuovi sotto le grondaie. Lo scoiattolo, la formica, il tasso e la talpa sanno che in inverno non potranno procurarsi il cibo e approfittano dell’autunno per completare le provviste. La marmotta, il pipistrello, il riccio, il ghiro, l’orso si riparano nelle loro tane e, prima che giunga l’inverno, cadono in letargo.
Si ritorna a scuola dopo le liete vacanze: per i bambini è tempo di rimettersi al lavoro con gioia.
Esternamente il bosco non sembra cambiato, eppure aleggia tra le piante qualcosa come se ogni essere fosse teso nell’attesa di una sciagura. Il verde delle foglie comincia ad attenuarsi e si rivelano quei colori che erano stati sempre nascosti dalla verde clorofilla. Il manto degli alberi si fa bruno, giallo, rossastro; ogni foglia si prepara a cadere. Alla base del suo stelo si forma una parete di separazione e basterà un leggero soffio di vento o una goccia di pioggia a farla precipitare. Dalla fine di ottobre il suolo comincerà a tappezzarsi d’oro. E sul tappeto di foglie lavoreranno i microscopici animali che trasformeranno le foglie in nutrimento della terra.
Il cielo in autunno può essere: nebbioso, nuvoloso, grigio, cupo, livido, fuligginoso, piovoso, celeste, burrascoso, caliginoso, tetro, buio, oscuro, tempestoso.
Le rondini partono. Le hai viste per l’ultima volta in un pomeriggio nuvoloso, appoggiate tutte in fila sui cavi della corrente elettrica. Lanciavano qualche raro richiamo alle compagne lontane. Sembravano tristi. Di tanto in tanto si ravvivavano col becco il nero mantello lucente, come per prepararsi al lungo viaggio. Poi sono partite. QUasi obbedendo a un richiamo misterioso, sono partite in stormi verso le lontane terre d’Africa. D’inverno non troverebbero più cibo da noi. Perciò ogni anno, in autunno, affrontano venti contrari e tempeste, attraverso il mare con volo lungo e faticoso, per raggiungere le terre calde del sud, dove nell’aria brulicano ancora gli insetti. Con esse partono anche altri uccelli migratori: le cicogne, le anatre, le gru. Torneranno in primavera, con i mandorli in fiore.
Per le ultime notti il tasso esce per procurarsi il cibo. Presto verrà il freddo, e il nostro amico si ritirerà nella tana ben pulita e foderata di erba secca e là, al calduccio, si addormenterà e passerà in letargo tutto l’inverno. Durante l’estate si è nutrito di talpe e di serpenti; ha saccheggiato nidi di pernici e nidiate di leprotti; ha divorato favi di miele rubati alle api- Ora, però, preferisce cibi vegetali e mangia voracemente tutto ciò che il bosco, il frutteto e l’orto gli offrono. Sotto la pelle ha accumulato molto grasso. Durante il sonno invernale questo a poco a poco si consumerà, e a primavera il tasso uscirà di nuovo magro e affamato.
L’autunno intorno a noi. Guarda: ogni stagione ha la sua poesia di giorni e di cose. Se la primavera inventa i colori, l’autunno li cancella. La terra ha lavorato a dar fieno e biada, ed ecco l’autunno coprirla di foglie cadute, velarla di nebbie sottili, perchè s’addormenti e dolcemente riposi. Gli alberi fino a ieri così folti di chiome, così beati di ombre e popolati di nidi, ingialliscono e si spogliano. L’autunno li prepara alla vita più segreta delle radici. E dove sono gli uccelli? Le rondini dove sono? La bella stagione andandosene li ha chiamati con sè. Il cielo lascia vedere la sua malinconia, e tocca le cose con un sole impallidito, che al mattino si alza tardi; ed è subito sera. (R. Pezzani)
Tardo autunno. L’autunno tutto grappoli e frutti e odoroso di mosto si è ormai dileguato. La campagna rapidamente si spoglia; fuggono gli uccelli, che fecero allegra l’estate, e nel cielo grigio veleggiano i corvi e le gru. I campi arati fumano e la prima nebbia li fascia; e gli alberi nudi levano come scheletri le braccia. Comincia la stagione piovosa come vuole l’agricoltura. Cadono pioggerelle fini ad inzuppare il contadino e, intanto, i solchi e le zolle si vanno riempendo di semi. che daranno frutto alla nuova stagione. (F. Lanza)
Gli alberi si spogliano
Le foglie cadevano! Era una pioggia continua e silenziosa. Le foglie gialle si staccavano lievi lievi, volteggiando per l’aria come ali di farfalle. A volte era una soltanto che cadeva, poi, più lontano, quattro o cinque, poi venti trenta cinquanta falde d’oro che erravano per l’aria verso il suolo, senza interruzione, come una tranquilla nevicata gialla. Il vento autunnale mandava forti folate talvolta; e allora era un agitarsi di rami e di fronde; un rumore stridente e confuso come sciacquio d’onde sul lido.
Un angolo di bosco in autunno Ho visto un angolo di bosco. Non lo dimenticherò mai. Non era che un pezzetto di terra, ma che meraviglie comprendeva! Era raccolto intorno al piede di un castagno molto grosso, macchiettato qua e là di muschio verdastro. Da un nodo della corteccia nascevano alcune foglie ancora fresche, ma già punteggiate di ruggine, a terra ne giacevano altre secche, color marrone bruciato, accartocciate e rotte: a toccarle sarebbero andate in briciole. Dall’alto pendeva un tralcio di vite del Canada. Sembra impossibile che su uno stesso getto si trovino tanti colori. Le foglie più alte, grosse e un po’ avvizzite, erano opache; ma a mano a mano che digradavano si accendevano di bruno e di fiamma, più simili a fiori che a foglie. Così ordinate a cinque, si piegavano ad arco sollevandosi dal tronco, quasi cercassero luce ed aria fuori dal groviglio delle erbe. Altre avevano strani colori: verde tenerissimo al centro, rosa corallo verso le punte, e ciclamino, scarlatto, viola, marrone, giallo nei toni più svariati, tutti sparsi sulla superficie senza alcun ordine. Lo stelo era appena rosato, con una indefinibile sfumatura bruno – rossiccia. Ho voluto toccare un gruppetto delle ultime foglie; una sola ne è rimasta attaccata, la meno rossa. Perchè la bellezza più appariscente a volte è così fragile? Un semplice tocco di mano e l’ordine del tralcio era distrutto. Cresceva anche un rovo al piede del castagno: col gambo rigido e spinoso e le foglie scure rosicchiate dagli insetti, si slanciava arditamente al di sopra delle felci, formando un intreccio confuso di rami sottili e robusti. Seminascosti nell’ombra si intravvedevano due ricci di castagna. Uno era ancora tutto chiuso, l’altro offriva da una spaccatura i frutti lucidi e chiari: due grossi ai lati che ne racchiudevano al centro uno più striminzito; ma tutti erano lisci, con la punta chiara ornata di un pennacchietto. Sotto l’albero nascevano anche due funghi. L’ombrello del più grosso presentava solo una gobba poco accentuata ala sommità; tutto intorno aveva una delicata raggera di alette regolari e rideva da una spaccatura bianca, che faceva contrasto col rosso dell’ombrello. Il fungo sorgeva come una ninfa da un calice tenero e bianco, con un gambo dalla linea elegante e slanciata, ora stretta, ora più arrotondata. L’altro fungo poteva sembrare un fiore: era tutto chiuso in una membrana chiara; soltanto in cima si mostrava con una puntina di rosso e così rotondo pareva non avesse radici. Nell’angolino di bosco viveva perfino una chiocciola. Saggiava guardinga il terreno da percorrere con i cornetti flessibili, e segnava dietro di sè una striscia argentea che attingeva dal sole riflessi iridati. La terra, nei tratti scoperti, era di un arido color ocra, ma sotto la vegetazione presentava grumi scuri, impastati di umidore. Ogni tanto un raggio filtrava dalle fronde e accendeva di fugaci trasparenze i colori delle foglie attraverso la nebbiolina che fumava dalla terra. Intanto la chiocciola, perduto all’improvviso l’equilibrio, era precipitata a capofitto trascinando le erbe. Sotto brillava uno zaffiro di rugiada, trepido e pronto a rotolare da un momento all’altro nel terreno assetato. (G. Ramponi)
Un silenzio pensoso Un silenzio pensoso domina pianure e colline. Le foglie rosse della vite che si dondolano ai tralci parlano ancora di solleoni, di grappoli d’oro, di ronzanti mosconi. Fluttua nell’aria quasi un resto di profumo vendemmiale e insieme l’eco di allegri richiami, di cantilene meridiane, di risa e chiacchiere strepitose protratte per le placide notti bagnate e benedette di luna. Ciò era appena ieri: eppure sembra già così lontano! (A. S. Novaro)
Autunno Ecco, è l’autunno. D’un verde più cupo, più gialli e più rossi, gli alberi rendono freschi e dolci i villaggi dell’Ohio, con le foglie che tremolano a un mite vento, le mele pendono mature nei frutteti, pendono i grappoli dai pergolati (avverti l’aroma dei grappoli sui tralci? Senti l’odore del grano saraceno, dove testè ronzavano le api?). Su tutto si apre il cielo, così limpido e calmo dopo la pioggia, e con mirabili nubi; anche al disotto è tutto calmo, pieno di vita, bello; il podere è in fiore. (W. Whitman)
Pomeriggio d’autunno I conigli erano stranamente audaci quel pomeriggio; continuavano a sbucar fuori da ogni parte intorno a noi e a lanciarsi giù per la scarpata come se stessero giocando un loro gioco speciale. Ma gli animaletti ronzanti che vivono nell’erba erano tutti morti: tutti meno uno; mentre me ne stavo lì steso sulla terra calda, un insettino di un verde tenero pallidissimo uscì fuori dall’erba saltellando penosamente e tentò di raggiungere con un balzo un ciuffo di campanule. Non vi riuscì, cadde indietro e rimase lì con la testa abbassata fra le lunghe zampe, le lunghe antenne vibranti come se aspettassero che qualcosa giungesse a finirlo… (W. Cather)
Vien l’autunno a Venezia L’estate se ne va bruscamente, senza lasciare strascichi di sorta. Cola a picco nei canali come una vecchia gondola logora. E ci si accorge del suo passaggio dal diradarsi dei turisti che, in numero sempre più esiguo, occupano i tavoli dei caffè di piazza San Marco. In quelle file gloriose riempite fino a ieri da un pubblico dorato e fittizio, si sono fati a un tratto dei vuoti melanconicissimi. Ormai le poche persone che vi si attardano verso sera non sono più nemmeno forestieri smarriti, ma clienti abituali, tipi del luogo, che si confusero nei mesi estivi con la grossa ondata turistica, per poi rimanere scoperti sulla gran piazza come gusci di riccio e ossa si seppia sulla spiaggia. Intanto l’autunno veneziano si accompagna a questo vasto senso di esodo e di solitudine inattesa. I crepuscoli scendono rapido, soverchiamente bruni… (V. Cardarelli)
Sulla spiaggia d’autunno Le giornate erano ancora tanto lunghe che bastava fermarsi un momento a guardarsi dattorno, per sentirsi isolati come fuori dal tempo. Stefano aveva scoperto che il cielo marino si faceva più fresco e come vitreo, quasi ringiovanisse. A posare il piede nudo sulla sabbia, pareva di posarlo sull’erba. Ciò avvenne dopo un groppo di temporali notturni… Ritornò il sereno, ma a mezza mattina, l’incendio, la lucida desolazione della canicola, erano ormai cosa lontana. Certe mattine Stefano s’accorgeva che grosse barche da pesca, a secco sulla sabbia e avvolte di tela, erano state spinte in mare nella notte; e non di rado i pescatori che non aveva mai visto prima, si lasciavano sorprendere a smagliare reti ancora umide. (C. Pavese)
Gli ultimi bagnanti Venne l’autunno: si era levato il promo vento gagliardo. In cielo si incalzavano lembi di nuvole sottili e grige. Il mare fosco, sconvolto, era tutto coperto di schiuma. Onde altissime si avvicinavano con terribile inesorabile calma, si incurvavano maestosamente formando una cavità verde cupa lucida come il metallo, poi si rovesciavano sulla spiaggia con fragore di tuono. La stagione era finita. Quella parte di spiaggia di solito gremita d’una folla di bagnanti, già quasi sgombra di cabine e con pochi seggiolini di vimini pareva ormai morta. Ogni tanto un gabbiano sfrecciava sul mare gettando il suo grido di uccello rapace. Toni e Morten contemplavano le verdi pareti delle onde, tappezzate di alghe, che avanzavano minacciose e s’infrangevano contro la roccia, in quell’eterno fragore che stordisce, rende muti e distrugge la sensazione del tempo. (T. Mann)
Bosco d’autunno Piove, l’aria autunnale discende dai boschi, toccati da una fiamma che diventa sensibile di giorno in giorno. L’autunno comincia così a bruciare questa tenera vegetazione. Lo so, i castani sono fragili, impallidiscono alla prima burrasca, poi passano attraverso tutta la ricchezza del rosso e del giallo: quel rosso e quel giallo vegetale, che sembrano morire e invece durano due, tre mesi, finchè il vento gelido non li polverizza. (M. Ferro)
Bosco d’autunno Nel bosco, l’autunno aveva già disegnato nettamente i confini tra il mondo delle conifere e il mondo delle foglie. Il primo si rizzava in profondità come una parete cupa, quasi nera, mentre il secondo traluceva qua e là con macchie rossodorate. La terra, piena di buche e nei solchi della foresta percorsa e indurita dai geli mattutini, era fittamente cosparsa e come lastricata dalle foglie del salice piangente, aride, secche e accartocciate. L’autunno sapeva di quell’amaro fogliame bruno e di infiniti altri aromi. (B. L. Pasternak)
Il lamento dell’albero E’ bastato il fruscio della foglia a scuotere l’albero che comincia a lamentarsi. D’albero in albero, il lamento si estende; tutto il frutteto è agitato, e sembra che non sia il vento a scuoterlo, ma una forza interiore un’angoscia mista a rivolta. Giù tutte le foglie! E’ inutile tenerle quando non sono più parte viva del ramo: e con le foglie cade anche qualche frutto: la pigna si spacca e i pinoli si staccano e cadono. I rami più alti, con ancora le foglie verdi, si sbattono in una lotta leggera. (G. Deledda)
Cadono le foglie Un continuo mormorio, un sussurro continuo correvano per il bosco: parole di congedo delle foglie, che cadevano dai cespugli e dagli alberi. Una volta avevano cantato il cantico della loro forza vitale, sotto il venticello che le agitava, un cantico con molte strofe: dal tenero sussurro allo stormire cupo e doloroso. Quando germogliavano sotto l’invito e il bacio del sole primaverile, erano d’un verde pallido, quasi giallo, come il cielo all’inizio del giorno. Saldamente attaccate ai rami, ai ramoscelli sottili, ai virgulti oscillanti, si sarebbe detto che dovessero essere eternamente giovani. Poi, percorse dal succo nutritivo, crescevano e diventavano d’un verde più intenso. Alcune avevano il rovescio argenteo, velato da una deliziosa peluria bianca; altre erano vigorose e lisce, molte mandavano un odore gradevole… Ora lo smalto era sparito, svanito l’aroma, scomparsi i superbi colori. L’età toglieva ad alcune la luminosità argentea, ad altre la levigatezza compatta. Ora erano secche, senza forze, raggrinzite. (F. Salten)
Dettati ortografici: Autunno – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Dettati ortografici per i frutti dell’autunno. Una collezione di dettati ortografici per la scuola primaria sui frutti dell’autunno: funghi, uva, castagne, frutta secca, ecc…
Funghi
Il bosco si è ripopolato di funghi. Curvi sotto un gran cappellone, i porcini; altri grassocci, tondi come osti, altri ancora più piccini, col cappuccio, un po’ storti, riuniti a famigliole simili a funghi bambini, bruni, giallicci e bianchi, sporchi di fango, fanno capolino qua e là, nascosti sotto il cumulo delle foglie, sul terriccio molle, su muschio, dietro gli alberi. (F. Tombari)
Il grappolo d’uva
Il grappolo d’uva occhieggia fra i pampini con i suoi chicchi maturati al sole. Chicchi d’oro, chicchi bruni, così belli e dolci che il bimbo, al solo vederli, tende le mani, pieno di desiderio. Chicco dopo chicco, ben presto del bel grappolo non resta che il raspo.
L’offerta
Il sole pallido batte sulla siepe e sul bosco. Disegna con le ombre degli stecchi e dei rami strane figure sulla terra imbiancata dal freddo. Ma su quella ragnatela di scarabocchi oscuri si accendono i colori delle bacche, risaltano le sagome della frutta secca. Pare che il mondo delle piante si sia spogliato per rendere più visibile l’offerta dei suoi dono agli uccelli che si preparano al lungo volo, agli animali che si preparano al grande digiuno e al lungo sonno.
La vendemmia
Gli allegri vendemmiatori si spargono nella vigna, armati di cesoie e di panieri. Ad uno ad uno, i bei grappoli vengono staccati dal tralcio e cadono nelle ceste. Le ceste ricolme sono rovesciate nei tini dove un uomo, a piedi nudi, pigia l’uva. Ecco il mosto dolce e profumato. E’ una fatica allegra. Tutti sono nelle vigne, perfini i bambini più piccini; ognuno ha il suo grappolo da portare nel tino.
I semi del pino
E’ venuto il vento e ha seccato l’aria. Le pigne si aprono crepitando. Poi, nel chiarore del nuovo mattino, si vedono volteggiare piccole eliche. Sono i semi del pino: quasi puntini neri, tanto sono piccoli. Da questi “puntini” nasceranno i pini marittimi: i giganti che combattono contro il vento, per donare all’uomo terra buona ed aria purissima.
Nella vigna
L’uva è stata vendemmiata. Fra i tralci c’è rimasto solo qualche grappolino dimenticato dal vendemmiatore, ma non dimenticato dalle vespe che vi ronzano attorno, ansiose di succhiare la bella polpa zuccherina.
La castagna
La castagna è un frutto prezioso. L’albero delle castagne è il castagno. E’ un albero alto e ricco di rami. Il bosco di castagni si chiama castagneto. La castagna è protetta dal riccio spinoso. Dalla castagna si ottiene una farina dolciastra che serve per preparare i dolci. Io mangio volentieri le castagne arrosto e lessate. Al mattino incontro il venditore di caldarroste. Conosco un indovinello che dice: “Il riccio pungente, la buccia lucente, si mangiano cotte, arroste o ballotte”.
Il mosto bolle
Il mosto bolle nelle buie cantine. Un odore acuto si sprigiona dai tini. E’ pericoloso entrare nelle cantine quando il mosto bolle. Ma il contadino prudente lo sa; e, quando vi scende, accende una candela. Se la candela si spegne, egli sa che c’è pericolo e si affretta a risalire.
Caldarroste
Sull’angolo della strada è già comparso il solito carretto che si annuncia da lontano con l’odore delle castagne arrostite. Il fornello ha la bocca rossa; la grande padella forata, messa lì sopra, viene scoperta di tanto in tanto per rimestare le castagne, e manda una fumata.
L’uva è matura
L’uva è matura e fra i pampini s’intravedono i grappoli grossi e lucenti. Tac tac, si sente il rumore delle cesoie che recidono i tralci e i grappoli che vanno a cadere nelle ceste. Le ceste colme sono poi rovesciate nei tini, dove l’uomo è già pronto per pigiare i grappoli e spremerne il buon mosto profumato.
Le castagne
Gli alberi del bosco dicevano al castagno: “Tu non dai che spine e foglie”. Venne l’autunno, e gli alberi tristi e soli si lamentavano ancora: “Non abbiamo più frutta. Non abbiamo più bacche. Sono fuggiti gli uccelli, sono fuggiti i bambini. E tu, vecchio castagno, ancora non dai che spine”. Il castagno taceva e soffriva. E soffrì tanto che i suoi frutti spinosi si ruppero e… tac tac tac, caddero le castagne scure sulle foglie morte. Le vide un bambino. Chiamò i compagni. E, nel bosco, pieno di canti e di voci, tornò per alcuni giorni la gioia, come a primavera. (Comassi – Monchieri)
La vite
La vite, in primavera, ha fiorito, ma non ha fatto fiori vistosi, bensì dei fiorellini minuti e modesti. Questi, dopo essere stati visitati dagli insetti, ghiotti del dolce nettare che essi contengono, si sono poi trasformati in chicchi dolcissimi. E ora, dalla vite, pendono grossi grappoli color d’oro e di rubino che sono un frutto squisito e sano.
La raccolta delle castagne
Uomini, donne, ragazzi, raccolgono le castagne su per il bosco. Dai ricci secchi e spaccati, le castagne sono ruzzolate in terra tra l’erba e i ciuffi delle felci. Le castagne vengono gettate nel paniere, che ciascuno di quei montanari porta al braccio. Come son belle, gonfie, lustre! I ragazzi vuotano i panieri colmi nei sacchi, giù presso la viottola grande. Poi passerà il carro per portare i sacchi a casa. (G. Fanciulli)
La pigiatura
Quando il tino è pieno di grappoli, vi entra un baldo giovanotto, a piedi nudi, che comincia un allegro ballo. Dall’uva schiacciata esce il succo, il mosto dolcissimo e profumato. Esso viene messo in tini capaci e, nella profondità della cantina, bolle e, come meglio si dice, fermenta. Dopo qualche tempo, non è più mosto: è vino.
La stagione delle castagne
La stagione delle castagne è anche quella del vino e le due opere si incrociano. Grandi faccende da per tutto. Mentre in paese gli uomini provvedono ai tini, le donne e i ragazzi s’inerpicano su su nei boschi a raccogliere le prime castagne. Sotto le grandi chiome dei castagni, i richiami, le voci, i canti hanno un tremolio, un calore come di eco. Tratto tratto le sassate improvvise dei ragazzi saettano le chiome. Con un tonfo pieno, qua e là i ricci cadono da sè sulla terra morbida; ne sgusceranno castagne tutte nuove, umide e ammiccanti come occhi. E questa è vendemmia dei ricchi e dei poveri; il castagno è una buona pianta che qualcosa dà a tutti. “La castagna ha la coda: chi l’acchiappa è la sua!”. Questo vuol dire che le castagne che cadono nei viottoli del castagneto sono di chi le prende. (P. Pancrazi)
La vendemmia
L’epoca della vendemmia è la più lieta di tutto l’anno. Nessun altro prodotto della campagna, neppure le spighe d’oro, è portato a casa in mezzo a tanta festa. Nei lavori della vendemmia tutti possono essere utili. Curve sui filari le fanciulle e le donne, avvolti intorno al capo i loro bei fazzoletti colorati, muovono rapidamente le forbici tra i pampini e staccano i grappoli che pongono con cura dentro i canestri posti ai loro piedi. Gli uomini con le bigonce si avvicinano e versano in esse l’uva dei cesti, piano, sospingendola con le mani. (R. Lombardini)
La castagna
Il castagno fiorisce in maggio – giugno. I suoi fiori sono di due specie. Alcuni sono ricchi di polline giallo; quando questo viene portato via dal vento i fiori seccano e cadono. Alcuni fiori invece ricevono il polline trasportato dal vento e dagli insetti, si ingrossano e diventano castagne. Il frutto matura da settembre a novembre. Il riccio è la buccia verde e spinosa in cui sono racchiuse una, due o tre castagne. La polpa bianca, molto nutriente, della castagna è protetta da due bucce: quella esterna è bruna, lucida e dura, più chiara alla base perchè unita al riccio; quella interna è bionda, sottile e pelosa. Ci sono molte varietà di castagne: la più grossa e saporita si chiama marrone. Il frutto dell’ippocastano, o castagno d’India, è simile alla castagna, ma non si può mangiare perchè è di cattivo sapore. La raccolta delle castagne avviene in autunno con la bacchiatura, così chiamata perchè i contadini fanno cadere le castagne percuotendo i rami della pianta con un bastone grosso e lungo detto appunto bacchio. Le castagne si mangiano lessate, arrostite (caldarroste), o condite (fatte bollire in uno sciroppo di zucchero). Per conservarle i montanari usano ammucchiare le castagne sotto ricci vuoti, foglie e terriccio. Un altro metodo per la conservazione delle castagne è quello di affumicarle, bagnarle e farle seccare più volte: preparate così, vengono vendute sciolte o infilate a treccia. Le castagne possono anche essere seccate a fuoco in appositi recipienti; poi si sbucciano e si hanno così le castagne pelate o peste, che si mangiano cotte in acqua con un po’ di vino, o nel latte. Con la farina di castagne si fa il castagnaccio, una torta casalinga con l’aggiunta di noci e pinoli.
La vite
Il contadino coltiva la vite in filari, a festoni, a pergolato. La vite ha un fusto contorto e i rami (tralci) che si afferrano con facilità ai sostegni per mezzo dei viticci. Le foglie (pampini) sono larghe, a forma di cuore, con contorno dentellato. La vite produce grappoli d’uva scura o bionda. Ogni grappolo è composto di un raspo e di acini tondi o allungati. La polpa dell’acino è rivestita da una buccia resistente e contiene alcuni semi, detti vinaccioli. La vite viene attaccata da un piccolo insetto, la fillossera, che punge le radici e provoca la morte della pianta. Un altro parassita della vite è la peronospora che il contadino combatte con lo zolfo. La vite preferisce colline piene di sole, ma prospera bene anche in pianura ed in montagna, non oltre i mille metri. In Italia, perciò ci sono tante varietà d’uva. L’uva dell’Italia meridionale è zuccherina; quella dell’Italia settentrionale è più acida. La vendemmia avviene a settembre ed il raccolto dell’uva in Italia è uno dei più ricchi. Noti in tutto il mondo sono i vini italiani.
La vite e l’uva
Nelle antiche mitologie esiste la leggenda del primo che piantò la vite. Per gli Egiziani fu Osiride, per i Greci Dioniso che, allevato dalle Ninfe, era nutrito da queste con grappoli d’uva. Gli Indiani, che facevano col succo d’uva sacrifici agli dei, chiamarono questo succo vinas, cioè amato. E quando gli Arabi penetrarono in Europa, vi portarono questa parola: “vino”.
La coltivazione della vite è antichissima e se ne sono trovate tracce anche nei villaggi di palafitte.
Le foglie della vite si chiamano pampini, i rami tralci e i loro filamenti attorcigliati, che si avvinghiano ai sostegni, viticci. Il grappolo è composto di acini (o chicchi) che sono bacche contenenti i semi o vinaccioli. L’acino è costituito dalla buccia e dalla polpa. La buccia può essere di colore verde che assume varie gradazioni, quando non di tratti della cosiddetta uva nera che assume invece una tinta violacea più o meno scura.
La buccia è ricoperta di uno strato di cera che ha il compito di difendere l’acino dalla pioggia e dalla puntura degli insetti. Questo strato cereo si chiama pruina.
L’Italia fu chiamata anticamente Enotria, dalla voce greca oinòs che vuol dire vino, quindi, terra del vino.
La vite prospera in regioni temperate e anche in quelle calde purchè abbia un sufficiente grado di umidità. Si conoscono numerosissime varietà di uva non soltanto in relazione al colore, ma anche al sapore, alla consistenza della polpa, all’uso, ecc… Si hanno quindi uve da tavola e uve da vino.
Nemici della vite sono la filossera, un insetto dannosissimo che può distruggere interi vigneti e la peronospera, malattia causata da un fungo.
Il vino
L’uva viene pigiata in capaci tini e se nei tempi passati questa operazione si faceva coi piedi, oggi generalmente viene fatta con apposite macchine pigiatrici.
Dall’uva schiacciata si ricava il mosto, un liquido dolce, dal caratteristico profumo.
Dopo qualche giorno, il mosto fermenta. Anticamente si davano le versioni più disparate di questo fenomeno che non si sapeva spiegare. Fu Pasteur che, per primo, scoprì come la fermentazione fosse dovuta a speciali microorganismi esistenti sulle bucce e che, trasportati dall’aria sulle sostanze zuccherine dell’uva, si sviluppano e sono la causa della trasformazione dello zucchero in alcool e anidride carbonica. Il liquido perde così il suo sapore dolce; l’alcool resta nel vino, mentre l’anidride carbonica si disperde nell’aria dopo essere salita alla superficie del liquido smuovendo la massa.
L’anidride carbonica è un gas irrespirabile. Ecco perchè la permanenza nelle cantine durante la fermentazione costituisce un pericolo che può essere anche mortale. E’ prudente, quindi, scendere in cantina con una candela accesa. Se la candela si spegne vuol dire che esiste anidride carbonica in eccesso.
Quando la fermentazione è compiuta, si tolgono le bucce ed i semi. Il vino è composto di una gran quantità di acqua, una piccola quantità di alcool, vitamine, sostanze varie ed enocianina, che è la sostanza colorante contenuta nelle bucce.
Se si espone il vino all’aria, dopo un po’ esso diventa aceto per opera anche questa volta di microorganismi vegetali che formano, alla superficie del liquido, un velo detto appunto madre dell’aceto. Questi microorganismi trasformano l’alcool in acido.
Vendemmia
Nelle ultime settimane di agosto il paese mutava, si agitava, pareva ammalarsi d’ansia. Cantine, che per noi non aerano mai state porte chiuse, con un buco sulla soglia per i gatti, si aprivano, rivelandoci androni bui in cui troneggiavano cupamente tini, botti e qualche misteriosa macchina, simile a un gigante che avesse per petto un’enorme vite di legno e per testa una trave di traverso. (E. Cozzani)
Vendemmia
Tutto il paese fa la veglia, tra le vasche e le botti, e mangia sorbe bagnate nel mosto e tracanna bicchieri di vino fermentato, che sprizza vivido e vermiglio dai tini coperti di graspi. Solo all’alba, quando la stella del giorno è lassù a sfiammare nello spazio e annuncia il primo chiarore, il paese va a riposare.
La vendemmia durava due settimane, tra la raccolta delle noci e le prime semine. Così la stagione, dopo tanto pacato indugiare, cadeva spossata: si alzavano le prime nebbie, partivano gli uccelli, e la campagna si spogliava al vento d’autunno. (G. Titta Rosa)
Vendemmia
L’afa era ancora pesante, il cielo velato di vapori. La pioggia doveva essere assai lontana, e si cominciò la vendemmia. Nelle vigne popolate di vespe e di calabroni i grappoli appena punti si disfacevano. Un odore denso era dappertutto. Le donne si sparsero per il campo con le loro ceste sul capo, e si adagiavano sotto le viti. Le dita si appiccicavano legate dai succhi e dalle ragnatele. Nell’aria si intonavano canzoni cui si rispondeva da vite a vite, e i peri e i peschi buttavano giù con un tonfo qualche frutto troppo maturo.
Verso mezzogiorno il palmento si riempì d’uva e fu il primo convegno delle vespe che salivano stordite alla superficie dei grappoli. L’aria era divenuta di miele, e l’aroma delle piante bruciate dal sole si mescolava a quello dolce e inebriante delle uve che non riuscivano più a contenere i succhi e che si disfacevano, un grappolo sull’altro, nel reciproco peso. (C. Alvaro)
Si vendemmia
In ogni vigna si vendemmia: l’uva bianca e l’uva nera passa dalle mani invischiate delle ragazze che la mondano degli acini secchi o guasti e ne riempiono ceste e bigonce. Ronzano vespe e mosche ubriache. Il sole scotta ancora: le ombre del pomeriggio sono brevi, raccolte ai piedi dei tronchi, nascoste nelle siepi. Frullano per ogni dove, passi di gioia, schiere di uccelli; anche per essi si vendemmia. Da una vigna all’altra i canti si chiamano, si rispondono, tacciono; e s’ode un’accetta, in quel silenzio a un tratto slargato, battere nel bosco vicino. Poi il rumore d’un carro, le voci del paese dalle aie, un fischio lontano. Il giorno pare che riposi su se stesso, adagiato in un calmo dorato sopore, in un tempo che sembra fermo, come in uno specchio.
Le poche, scarse nebbioline azzurre della mattina se l’era assorbite il cielo, bevute il sole. Saluto dal monte cinto di nuvole arrossate, il sole s’era avviato a varcare la curva dello spazio con vittoriosa lentezza. Ora comincia a discendere, e pare che i colli si alzino con le lunghe loro ombre per seguirlo. Poi, poco prima che giunga la sera, un grillo si mette a cantare tutto solo. Chiama la notte, la luna. (G. Titta Rosa)
La sfogliatura
Pochi uomini intorno alla macchina. Le grosse pannocchie incartocciate venivano immesse in una specie di imbuto e da una bocca situata in basso, simile a una pioggia d’oro, usciva una cascata di chicchi che rimbalzavano a terra dove il mucchio si elevava.
Dall’altro lato i tutoli, e le foglie che prima avvolgevano le pannocchie, venivano rigettati al di fuori da due diverse aperture.
Un uomo spalava i chicchi che più tardi sarebbero stati distesi sull’aia e rivoltati accuratamente per la completa asciugatura; intanto una ragazza ammucchiava con un rastrello i tutoli che sarebbero serviti per avviare il fuoco. Un’altra ragazza affastellava le foglie crocchianti dentro le quali, con alti strilli di gioia che superavano il ronzio della macchina, i bambini facevano le capriole. (Q. P. Fontanelli)
La sfogliatura del granoturco
Un canto di più voci, lento e dolcissimo, che scende da una casa buia, mi conduce su per una scala di pietra di un granaio dove in dieci o dodici stanno sfogliando il granoturco. Seduti in cerchio, uomini, donne, fanciulli, fra i cartocci già alti sull’impiantito; in mezzo al cerchio pende una lacrimosa lanterna da stalla. L’ombra di questa lanterna si distende su ogni cosa; la sua fioca luce sembra il riflesso di un lontano lume.
I cartocci si aprono come strani fiori, i loro gambi si spezzano crocchiando e le pannocchie stupendamente lucide e compatte vanno a cadere nel mucchio. (U. Fracchia)
La bacchiatura delle noci
Sotto la pertica lunga sbattuta con forza addosso ai rami, le belle noci cascano con tonfi umidi e sordi sul muschio del piede dell’albero, e i loro malli, spaccandosi, cacciano odore di verde e di radici. I bambini, che naturalmente alla festa non mancano, è il loro mestiere raccogliere nel sacco e portarle fino a casa; dove, riposte in solaio o in dispensa, saranno ambito companatico alla lieta merenda. Tanto che un proverbio dialettale lombardo, con una rima che in lingua non torna, dice che pane e noci è mangiare da sposi, volendo dire che è molto gustoso. (C. Angelini)
La vite
La vite è una pianta sarmentosa, provvista di radici molto sviluppate e minutamente ramificate (radici capillari o barboline).
La radice continua nel fusto o ceppo, che si eleva più o meno da terra e si dirama nelle branche sulle quali sono inseriti i rami di uno o due anni, detti tralci.
Questi sono lunghi, esili, cilindrici e ingrossati ai nodi.
I tralci, quando sono ancora allo stato erbaceo, si chiamano cacciate e terminano col germoglio. Il tratto che corre tra un nodo e l’altro è detto internodo; esso contiene un midollo molto sviluppato, interrotto da un diaframma legnoso in corrispondenza dei nodi.
Sui nodi dei tralci si trovano le gemme dormienti, che si formano d’estate e danno in primavera i tralci fruttiferi. Invece le gemme che si sviluppano subito dopo formate si chiamano gemme pronte e danno rami inutili, che si chiamano femminelle.
Sul legno vecchio talora spuntano, da gemme latenti, tralci detti succhioni, che non portano frutto.
Le foglie sono palmate, dentate, lobate (divise in tre o cinque lobi divisi a loro volta dalle rispettive insenature). La pagina inferiore è spesso pelosa o feltrata. I viticci o cirri sono organi filiformi, coi quali la vite si attacca a sostegni durante il suo sviluppo.
I grappolini dei fiori in boccio si chiamano lame fiorifere.
I fiori sono minuti ed odorosi.
Il grappolo è formato dal graspo, nel quale si distinguono: la raffide, cioè l’asse principale; i racemi, ossia le diramazioni secondarie ed i pedicelli, ai quali sono attaccati gli acini.
La buccia è ricoperta da una sostanza biancastra, di natura cerosa, detta pruina.
Gli acini contengono da uno a quattro vinaccioli.
Perchè il vino, che deriva dall’uva, ha un sapore così diverso?
Quando l’uva viene pigiata nei tini o nella pigiatrice, il suo succo si trasforma in mosto. Questo sembra bollire e gorgoglia continuamente. Che cosa succede? Nel mosto si trovano certi funghi piccolissimi chiamati saccaromiceti (funghi mangiatori di zucchero). Questi funghi si raccolgono sugli acini sin da quando l’uva, ancora sulla pianta, comincia a maturare e con essa passano nei tini. Appena l’uva viene pigiata, si mettono in alacre attività: cominciano a nutrirsi e a produrre, in conseguenza, un gas, l’anidride carbonica; è questa che, salendo attraverso il liquido, per uscire all’aria fra gli altri gas, fa gorgogliare. Attenzione! E’ un gas venefico: gli ambienti dove il vino fermenta devono avere tanti finestroni; guai a lasciarli chiusi, anche se solo per poco si può anche morire, uccisi dall’anidride carbonica, che gli operai degli stabilimenti vinicoli chiamano lupo. Ma, mangiando lo zucchero, i saccaromiceti, e questo è il buon servizio che ci rendono, lo trasformano in alcool, che dà la gradazione e il sapore al vino. Il vino viene lasciato nelle botti, sul fondo delle quali si sedimentano le impurità. Dopo un po’, perciò, il vino va travasato in altri recipienti puliti
Gli agrumi, riserva di sole e di vitamine
Pochi frutti riscuotono in tutto il mondo tanto successo quanto gli agrumi. Aranci, mandarini, limoni, cedri, pompelmi sono divenuti oggetto di un commercio attivissimo e redditizio che non si limita a rifornire le nostre tavole di frutti gustosi e decorativi, ma costituisce la materia prima per molti impieghi industriali. Gli agrumi trovano infatti largo impiego in profumeria, farmacia e nella fabbricazione delle bevande dissetanti. Con aranci e mandarini sono stati ottenuti incroci interessantissimi, come i mandaranci e le clementine.
(P. Tombari)
Dettati ortografici – I frutti dell’autunno. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Esperimenti scientifici per bambini – Perchè le foglie in autunno cambiano colore – cromatografie. Per vivere le piante prendono l’acqua dal terreno e l’anidride carbonica dall’aria, e utilizzano la luce solare per trasformare acqua e anidride carbonica in glucosio attraverso un processo chiamato fotosintesi, che avviene anche grazie ad una sostanza chimica chiamata clorofilla. La clorofilla è anche ciò che dà alle piante il colore verde.
Durante l’inverno la quantità di luce e di acqua a disposizione delle piante diminuisce, e gli alberi entrano in uno stato di minore attività: la clorofilla verde scompare dalle foglie, e via via cominciamo a vedere i colori giallo e arancio. Piccole quantità di questi colori sono sempre stati presenti nelle foglie, anche quando ci apparivano verdi. Ma non potevamo vederli perchè coperti dal verde della clorofilla.
Durante le giornate autunnali la luce diventa via via minore, e siccome la clorofilla viene prodotta grazie alla luce, anche questa diminuisce, e il colore verde inizia a svanire dalle foglie. Allo stesso tempo, le concentrazioni di zucchero in aumento causano un aumento della produzione di pigmenti di colore rosso (pigmenti antociani), arancio-giallo (carotenoidi) e marroni (tannini), che non hanno bisogno della luce per formarsi.
Insomma in autunno vediamo le foglie gialle, marroni ed arancioni perché la clorofilla, che maschera gli altri colori, si degrada .
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Esperimenti scientifici per bambini Perchè le foglie in autunno cambiano colore Esperimenti di cromatografia
Gli esperimenti di cromatografia consentono di separare tutti i colori nascosti in quello che in apparenza sembra un colore unico.
Prima di procedere con le foglie, si può mostrare l’esperimento con un pennarello, come mostrato in questo video:
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Cromatografia degli spinaci
Esperimenti scientifici per bambini Perchè le foglie in autunno cambiano colore – cromatografie Cosa fare
Appoggiare una foglia di spinacio su di una striscia di carta assorbente e, facendovi scorrere sopra ripetutamente il bordo di una moneta, tracciare una linea verde a circa 2 cm dal bordo. Ripetere l’operazione perché la linea deve essere di colore intenso.
Versare sul fondo di un vaso di vetro trasparente pochi ml di alcol. Inserire la striscia nel becher, con la linea verde verso il basso, facendo in modo che l’estremità della striscia sfiori appena l’alcol, e fissare la carta al bordo del bicchiere con una graffetta.
Fare attenzione a non bagnare direttamente la linea colorata con l’alcol. Aspettare qualche minuto, fino a quando l’alcol è risalito lungo la striscia fino quasi al bordo del bicchiere e far asciugare la striscia di carta sul termosifone.
L’alcol risale lungo la striscia di carta spostando il pigmento colorato e separandolo in colori diversi, che sono, a partire dal fondo: marrone/verde cachi, verde brillante, giallo (a volte si riesce a notare anche dell’arancione)
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Esperimenti scientifici per bambini Perchè le foglie in autunno cambiano colore – cromatografie Perchè?
L’alcol risale lungo la carta per capillarità.
Il colore verde delle foglie in realtà è il risultato del mescolamento di colori diversi, che corrispondono a sostanze diverse.
Come i membri di una famiglia, ogni sostanza ha le sue simpatie e le sue antipatie.
Alcune amano di più stare aggrappate alla carta e non sono per nulla attratte dall’alcol, altre preferiscono farsi sciogliere e trasportare, più o meno facilmente, dall’alcol.
E’ proprio questa diversa “simpatia” di ogni pigmento nei confronti dell’alcol a permettere la loro separazione.
Esperimenti scientifici per bambini Perchè le foglie in autunno cambiano colore – cromatografie Separare i colori di una foglia verde con cromatografia
Cosa serve:
foglie, piccoli vasetti, coperchi per barattoli o fogli di alluminio o pellicola trasparente, alcol, carta assorbente, tegame, acqua calda, nastro, penna, coltello o un cucchiaio di plastica, orologio o timer.
Cosa fare:
raccogliere 2-3 foglie di grandi dimensioni da alberi diversi.
Tagliare le foglie in pezzi molto piccoli e metterli in vasetti etichettati con il nome o la posizione dell’albero.
Aggiungi in ogni barattolo l’alcol che serve a coprire completamente i pezzetti di foglia, e sminuzzare ulteriormente usando un coltello o un cucchiaio di plastica fino a ottenere una specie di poltiglia.
Tappare accuratamente i vasi e posizionarli su di un vassoio contenente qualche centimetro di acqua calda. Aspettare almeno mezz’ora, finchè l’alcol non si è ben colorato (più scuro è meglio è).
Posizionare i vasi con cura in un vassoio contenente superficiale 1 pollice di acqua calda sanitaria. Sostituire l’acqua calda se si raffredda e ogni tanto scuotere i vasetti.
Tagliare una striscia lunga e sottile di carta assorbente per ogni vasetto ed etichettarla.
Togliere i vasetti dall’acqua calda, aprirli e mettere una striscia di carta in ogni barattolo, in modo che la sua estremità si trovi immersa nell’alcool. Piegare l’altra estremità sulla parte superiore del vaso e fissarla con del nastro adesivo.
L’alcool viaggerà lungo la carta, portando i colori con sè.
Dopo circa un paio d’ore, i colori avranno percorso distanze diverse lungo la carta, e l’alcol sarà via via evaporato. Dovreste così essere in grado di vedere diverse sfumature di verde, e forse qualche giallo, arancione o rosso, a seconda del tipo di foglia.
Esperimenti scientifici per bambini Perchè le foglie in autunno cambiano colore Cromatografia con foglie verdi e con foglie autunnali
Cosa serve:
due o tre foglie verdi, due o tre foglie d’autunno che hanno già cambiato colore, barattoli di vetro con coperchio (uno per ogni foglia), alcol, carta assorbente, teglia da forno, acqua calda, nastro adesivo, cucchiai e coltelli, un timer.
Cosa fare:
Procedere come spiegato nell’esperimento precedente.
Esperimenti scientifici per bambini Perchè le foglie in autunno cambiano colore – cromatografie Video:
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Esperimenti scientifici per bambini Perchè le foglie in autunno cambiano colore – cromatografie Fonti
Le castagne – canto con testo, spartito stampabile, e file mp3 gratuito per ascoltare la melodia.
Testo:
Passeggiando dentro il bosco
ho trovato strani frutti
sono verdi e ricoperti
da spinette lunghe e dure
con il babbo li raccolgo
e li apriamo con cautela.
Che sorpresa, meraviglia,
ci son dentro le castagne
per finir la scampagnata
accendiamo un grande fuoco,
le cuociamo tutte quante,
oh che bella scorpacciata!
Di seguito puoi stampare lo spartito e scaricare la base in mp3:
Dettati ortografici su ottobre, di autori vari, per la scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Ottobre
Al tempo degli antichi Romani, che furono quelli a dar il nome ai mesi, l’anno cominciava con marzo, ed ecco che ottobre era, appunto l’ottavo mese. Mutò il calendario, ma il nome restò, così come sono restati quelli di settembre, di novembre e di dicembre.
Ottobre al mare
Come corre l’acqua lungo i rigagnoli delle strade! Addio, estate! Addio, bagni!
E’ tanto bello anche il mare così grigio e malinconico senza più traccia alcuna di umanità, come al giorno della sua creazione. Già gli alberghi, le pensioni, chiusi i vetri sul mare, hanno ritirato i tavolo dalle rotonde, dai terrazzi.
Sono le sere in cui i pochi villeggianti rimasti si illudono di avere il mare tutto per loro e tornano dalle passeggiate, chiusi negli impermeabili; sono le notti di vento e di salsedine, quando cadono lungo i viali le foglie di tiglio che la prima tramontana spazzerà via del tutto. (F. Tombari)
Ottobre
Ottobre tinge tutto d’oro. D’oro sono le foglie che si staccano dall’albero, d’oro sono i tramonti, d’oro il sole che manda i suoi tiepidi raggi ad illuminare la terra arata, la campagna ormai stanca, il cielo velato dalle prime nebbie di autunno.
E’ un bel mese, ottobre. Il sole è un po’ stanco, ma si dà ancora da fare per dipingere le foglie di rosso e di giallo. E le foglie insuperbiscono di quel colore, senza immaginare che basta un soffio di vento per staccarle dal ramo. Un lieve volo e giù, per terra. Se durante la notte il vento ha tirato un po’ forte, la mattina c’è tutto un tappeto frusciate per terra.
Due ricchezze ci dona la terra nel mese di ottobre: nei tini canta il vino frizzante; nei boschi i ricci aperti lasciano cadere le castagne, che un tempo davano cibo nutriente ai montanari. Ma ai frutti freschi e succosi bisogna dire addio. Il sole, ormai debole e pallido, non riesce a maturare gli ultimi: la sorba e la nespola. Esse finiranno di maturare, nel granaio, nel tepore della paglia. (F. Bartorelli)
Ottobre
Ottobre dà l’idea di un grasso oste che, col grembiule bianco e il pancione, ci inviti a passare nella sua cantina. Vuole darvi ad intendere che ha il vino nuovo, ma non gli date retta. E’ ancora il vino dell’altr’anno; quello di adesso bolle ancora nel tino, giù nel profondo della cantina.
E i contadini hanno paura di questo vino che bolle. Sanno che può far brutti scherzi e, quando devono scendere giù dove la vinaccia gorgoglia, ci vanno con la candela accesa. Se la candela si spegne scappano subito e dicono: “Giù non si può respirare; c’è il vino che bolle”. E non scendono finchè il pericolo non è passato.
Ma se non c’è il vino nuovo nell’osteria di Mastro Ottobre, un leprotto al forno lo troverete di certo. E’ tempo di caccia e per la campagna si sentono gli spari dei cacciatori. Pum pum, e starne e beccacce e lepri cadon giù stecchite sopra il campo arato, dopo aver cercato invano di sfuggire alla corsa disperata dei cani.
Ottobre
E’ un bel mese, ottobre. Il sole è un po’ stanco, ma si dà ancora da fare per dipingere le foglie di rosso e di giallo. E le foglie insuperbiscono di quel colore, senza immaginare che basta un soffio di vento per staccarle dal ramo. Un lieve volo e giù, per terra. Se durante la notte il vento ha tirato un po’ forte, la mattina c’è tutto un tappeto frusciate per terra.
In montagna, gli stambecchi, rinvigoriti, fanno battaglia con le loro corna; la marmotta s’è ritirata nella sua tana a mangiare il fieno che ha messo in serbo. Fra poco s’addormenterà per risvegliarsi soltanto quando il venticello di marzo farà frusciare i rami degli alberi rinverditi.
I campi sono tutti scuri, puliti, con certi solchi dritti, pronti a ricevere il seme.
(M. Manicucci)
Ottobre
Nei luoghi in cui si coltiva la vite si vendemmia; l’uva viene pigiata per ottenere il mosto che, con la fermentazione, diverrà vino. Nei campi si ara e in alcuni luoghi comincia la semina del grano. Finisce la raccolta del granoturco ed inizia quella delle castagne, delle noci e delle nocciole. Si potano gli alberi da frutto. Il mese di ottobre nel nostro calendario è il decimo mese dell’anno; nel più antico calendario romano era l’ottavo mese.
Ottobre
Gli alberi a foglie caduche si spogliano lentamente ai forti venti autunnali. Sui monti è già freddo e le greggi scendono al piano. Gli insetti spariscono nelle cavità degli alberi o sotto terra; molti animali, come il riccio, la talpa e la marmotta cadono in letargo; altri, come la volpe, infoltiscono la loro pelliccia; molti uccelli, come la rondine, migrano verso i paesi più caldi.
I contadini curano i frutteti, disinfettano le piante, sistemano l’orto, piantano i cavolfiori, i piselli, le fave, l’aglio. Nei luoghi in cui si coltiva la vite si vendemmia; l’uva viene pigiata per ottenere il mosto che, con la fermentazione diventerà vino. Nei campi si ara e in alcuni luoghi comincia la semina del grano. Finisce la raccolta del granoturco ed inizia quella delle castagne, delle noci e delle nocciole. Si potano gli alberi da frutto.
Il mese di ottobre sul nostro calendario è il decimo mese dell’anno; nel più antico calendario romano era l’ottavo mese.
Ottobre
Odore di ottobre. Nell’aria, che si riposa nella campagna, volano schiere di uccelli: dal bosco vicino, che comincia a tingersi di macchie rossastre, viene il canto dosato e lento del cuculo. La stagione indugia, dorandosi in un’attesa piena di sopore. Le strade odorano di mele cotogne e d’uva, e dalle porte spalancate delle cantine esce il fumo delle caldaie schiumanti il mosto, fra le voci aspre e clamorose dei pigiatori. (G. Titta Rosa)
Vento d’ottobre
Un soffio di vento ottobrino scuote gli alberi del bosco. E’ un vento frizzante che scende dai monti già avvolti di nebbia. Alcune foglie si staccano; scivolano, quasi trattenute ancora, lungo i rami più grossi; volteggiano nell’aria; si posano al suolo umido e nero.
“Addio!” dicono le foglie gialle, “Addio, albero amico! Il vento ci strappa senza pietà. Non sentiremo più il canto degli uccelli, non godremo più i raggi del sole!”
Un soffio più impetuoso… Numerose foglie sfarfallano intorno; altre si alzano da terra in un breve ultimo volo. Ora sul prato si stende un giallo tappeto di foglie morte; ma, a primavera, nuove foglie rivestiranno di tenero verde tutti gli alberi del bosco. (L. Fiorentini)
Dettati ortografici su ottobre. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Esperimenti scientifici per bambini – Razzo ad acqua. Questo esperimento dimostra come un accumulo di pressione può lanciare un razzo.
Quando la pressione all’interno della bottiglia riesce a scollegare il tappo in fondo alla bottiglia, l’acqua uscirà di getto dalla parte inferiore, mentre la bottiglia sarà lanciata in direzione opposta.
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Esperimenti scientifici per bambini
Razzo ad acqua
Cosa serve
una bottiglia di plastica vuota
un cono e 4 alettoni realizzati in cartoncino colorato
acqua
un tappo di sughero e una pompa da bicicletta con un ago adattatore (per realizzare il tappo-raccordo esistono varie possibilità, consultate i link in fondo all’articolo. L’importante è che il sistema sia costruito in modo tale da non scollegarsi finchè all’interno della bottiglia non si sia accumulata una pressione sufficiente al lancio)
Esperimenti scientifici per bambini
Razzo ad acqua
Cosa fare
Spingere l’adattatore ad ago della pompa attraverso il tappo di sughero (se non fuoriesce, accorciare il tappo).
Decorare la bottiglia con il cono e gli alettoni. Riempire la bottiglia con l’acqua per circa un quarto e spingere saldamente il tappo all’imboccatura della bottiglia. Collegare la pompa all’adattatore.
Gli alettoni possono servire proprio a tenere la bottiglia in verticale, ma si può anche costruire una rampa con un tubo di plastica, una gruccia metallica, dei picchetti da campeggio o delle tavolette di legno, come mostrato nei link in fondo all’articolo.
Pompare l’aria nella bottiglia: prenderà il volo dopo pochi secondi.
I razzi spaziali funzionano in modo simile alla bottiglia, ma invece del getto d’acqua bruciano carburante per creare un getto di gas caldo.
Istruzioni dettagliate per realizzare modelli di razzo ad acqua più complessi (con paracadute, a più stadi, ecc…) qui: http://www.aircommandrockets.com
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Esperimenti scientifici per bambini
Razzo ad acqua
Altre fonti
Dettati ortografici – Una collezione di dettati ortografici sul tema “l’autunno e la semina” per la scuola primaria.
La semina
Il campo è stato arato. I buoi hanno tracciato i lunghi solchi diritti e il contadino si prepara a gettarvi il seme. Poi il seme sarà ricoperto di terra, la pioggia lo gonfierà, il tepore della terra lo riscalderà e, un bel giorno, tante piantine verdi ricopriranno la superficie del campo.
La semina
I buoi hanno tracciato i lunghi solchi diritti nel bruno campo. Il contadino vi getterà il seme e, ai primi tepori, vedremo tante piantine verdi che un giorno diverranno le preziose spighe del grano. Quanta fatica e quanto tempo perchè il seme del frumento possa trasformarsi nel buon pane profumato!
Il seme
Il seme è stato gettato nel solco. L’acqua lo gonfierà, la neve lo coprirà col suo candido mantello, la terra lo nutrirà e finalmente, da quel semino, nascerà la bella pianta del grano che un giorno diverrà pane.
Sotto terra
I campi, in inverno, sono brulli, spogli, deserti. Sembra che non debbano produrre nulla e invece, sotto terra, i piccoli semi del grano germogliano: fra poco spunteranno all’aperto tante piantine verdi che un giorno ci daranno il cibo più prezioso: il pane.
Le speranze del contadino
Il contadino spera quando semina il grano, spera quando vede il primo biondeggiar delle spighe, spera quando i primi fiori della vite spandono il loro profumo e, attraverso una bella fiorita di speranze, porta al granaio le messi, alla botte il mosto, alla cucina i legumi dell’orto. (P. Mantegazza)
Il seme
E’ caduto nel solco e fra poco germoglierà. Da quel piccolo seme nascerà una piantina prima debole, sottile, poi, man mano, più robusta e forte. Infine la vedremo mettere, in cima, una bella spiga che col calore del sole diverrà dorata e maturerà. E in quella pianta, nata da un semino solo, ci saranno migliaia e migliaia di semi come quelli gettati nel solco in un giorno lontano.
La semina
I buoi abbassano la testa soffiando, il gioco cigola, l’aratro scricchiola. Il vomero affonda nella terra, apre il solco, e lascia indietro, ai lati, le grosse zolle. A poco a poco tutto il campo è segnato da lunghi solchi scuri. Poi il contadino cammina nel solco, portando un paniere al braccio. Tuffa la mano nel paniere, prende un pugnetto di grano e, via via, con un gesto largo lo sparge nel solco. Dietro a lui, donne ed uomini rompono le zolle con la zappa e ricoprono di terra i semi. (G. Fanciulli)
Il seminatore
“Guarda che figura!” esclamò Federico, soffermandosi ed indicando il seminatore: “Ha l’altezza di un uomo, eppure sembra un gigante”. Egli avanzava per il campo in linea dritta con una lentezza misurata. Con la sinistra teneva il saccolo; con la destra prendeva la semenza e la spargeva. Il suo gesto era largo, gagliardo e sapiente e il grano, involtandosi dal pugno, brillava talvolta nell’aria come faville d’oro e cadeva sulle zolle umide ugualmente ripartito. (G. D’Annunzio)
L’aratro
In principio l’aratro fu soltanto un ramo ricurvo da cui ebbe origine il cosiddetto aratro a uncino, grosso ramo biforcuto di cui la parte più corta penetrava nella terra scavandovi un solco e quella più lunga serviva da traino. Più tardi, alla parte più corta di questo aratro fu applicata una selce appuntita per facilitare la sua penetrazione nel terreno; la selce, in seguito, fu sostituita da una punta di rame, di bronzo e infine di ferro: fu l’aratro a chiodo, usato dai nostri bisnonni, e ancor oggi nei paesi meno progrediti.
L’invenzione del giogo permise all’uomo di attaccare all’aratro gli animali a coppia, in genere buoi.
Attualmente l’aratro, nelle sue parti principali, si compone del coltello, una lama che taglia la terra verticalmente; del vomere, che è una lama che taglia la terra orizzontalmente al di sotto della sua superficie; dell’orecchio, così chiamato per la sua forma e che ha il compito di far ruotare la terra tagliata dall’azione combinata del coltello e del vomere e di rovesciarla nel solco.
Il lavoro della terra
Dal materno grembo della terra viene tutto ciò che è necessario all’uomo. Egli ne ricava le piante che gli servono per sfamarsi e poichè si nutre anche di carne, ecco la terra nutrire gli animali che egli alleva a tale scopo. Tutto gli viene dalla terra purchè l’uomo le dia il suo lavoro di ogni giorno, quel lavoro che cominciò in un giorno lontano, quando un essere irsuto, selvaggio, vestito di pelli e di corteccia d’albero gettò nel terreno alcuni granelli di una spiga e stette a vedere cosa sarebbe successo.
L’aratro
L’uomo preistorico si servì del ramo di un albero biforcuto per tracciare il primo solco nel terreno. Era il primo aratro. Poi, a questo ramo fu applicata una punta, prima fatta di pietra, poi di metallo. Oggi l’aratro si è perfezionato, compie il suo lavoro in modo razionale, risparmiando all’uomo fatica e tempo. L’intelligenza dell’uomo e la sua industriosità non conoscono limiti.
Il seminatore
Avanzava per il campo direttamente e con una lentezza misurata. Un saccolo bianco gli perdeva dal collo per una striscia di cuoio, scendendogli davanti, alla cintura, pieno di grano. Con la manca teneva aperto il sacco, con la destra prendeva la semenza e la spargeva. Il suo gesto era largo e sapiente, moderato da un ritmo uguale. (G. D’Annunzio)
Sulla tomba di un mietitore romano
Sono nato da povera famiglia e da poveri genitori. Vissi coltivando il campo nel quale nacqui e che non cessai mai di coltivare. Quando le messi erano mature, io fui il primo a mietere, e allorchè la schiera dei mietitori si recava ai campi, io precedevo tutti lasciandomi dietro la lunga fila di essi. Dopo aver mietuto dodici volte sotto il sole torrido, in premio al lavoro compiuto, fui eletto capo dei mietitori. Gli anni della mia vita furono belli, senza offese o accuse. Così meritò di morire chi visse senza commettere cattive azioni.
continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):
Esperimenti scientifici per bambini – Il palloncino che non scoppia sul fuoco (ancora sulla convezione). Per questo esperimento servono due palloncini, una candela, fiammiferi, un imbuto e una brocca d’acqua.
Esperimenti scientifici per bambini
Il palloncino che non scoppia sul fuoco
Cosa fare
Gonfiamo il primo palloncino e chiudiamolo con un nodo. Accendiamo la candela e poniamo il palloncino sopra la fiamma. Naturalmente vedremo il palloncino scoppiare.
Infiliamo il secondo palloncino all’imboccatura dell’imbuto e con la brocca versiamo al suo interno circa 1/3 di acqua, quindi togliamo dall’imbuto, gonfiamo per la parte rimanente di aria e chiudiamo con un nodo.
Accendiamo nuovamente la candela, poniamo il palloncino sulla fiamma e osserviamo: il palloncino non scoppierà!
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Esperimenti scientifici per bambini
Il palloncino che non scoppia sul fuoco
Perchè?
L’acqua all’interno del pallone assorbe il calore del fuoco.
Il palloncino, essendo molto sottile, consente al calore di passare molto rapidamente e quindi di riscaldare l’acqua.
Scaldandosi l’acqua inizia a salire, in alto si raffredda e torna a scendere, e il processo di ripete così, impedendo a lungo al palloncino di scoppiare.
Questo tipo di circolazione del calore è detta convezione: il palloncino pieno d’acqua non scoppia perché il calore viene costantemente trasferito lontano dal pallone, e per questo il pallone rimane intatto.
La fuliggine sul fondo del pallone è il residuo della combustione della candela, e non è un residuo del palloncino, che rimane intatto.
Autunno – Una canzoncina per bambini della scuola d’infanzia e primaria sull’autunno, con testo, spartito e file mp3 per la melodia.
Autunno – testo
Le foglie veston i colori del tramonto, e raccogliamo i frutti per l’inverno, si sente già l’odore del vino, di fieno e legna che poi ci scalderà. E sulla brace scoppiettan le castagne, ed un sorriso si accende su ogni volto, cantiamo insieme alla buona terra, che si prepara al lungo e freddo inverno.
Autunno – spartito ed mp3 disponibili gratuitamente per gli abbonati
Esperimenti scientifici per bambini – Girandole e trottole per studiare lo spettro della luce. La combinazione dei vari colori (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto) dà la luce bianca.
Questi colori (detti colori dello spettro) sono visibili quando la luce attraversa un prisma. In natura è possibile vedere lo spettro dei colori dell’arcobaleno, che si forma dopo una pioggia.
I colori sono visibili perchè la luce del sole passa attraverso le piccole gocce di pioggia, che fungono da prismi.
Gli arcobaleni compaiono quando il Sole è a un angolo inferiore a 54 gradi sull’orizzonte.
Per questo l’arcobaleno si vede di primo mattino o alla sera.
Esperimenti scientifici per bambini – Baricentro, equilibrio e gravità – Il gioco dei dieci chiodi. Quando si cercano le posizioni di equilibrio di un oggetto di forma qualsiasi, sia esso appoggiato o vincolato a un punto, occorre trovare il suo baricentro, ovvero il punto nel quale si può considerare concentrata tutta la sua forza peso.
Il baricentro, detto anche centro di gravità, presuppone l’azione della forza di gravità.
La posizione del baricentro di un corpo dipende dalla sua forma geometrica e dalla distribuzione della sua massa. In una sfera, per esempio, il baricentro coincide con il centro della sfera.
Il baricentro di un corpo può essere determinato attraverso metodi geometrici, se il corpo possiede elementi di simmetria, o sperimentalmente, trovando le posizioni di equilibrio del corpo, se questo è vincolato a un punto fisso (sospeso) o a una superficie (appoggiato).
Equilibrio dei corpi appoggiati
Un corpo pesante appoggiato è un corpo vincolato a una superficie. È soggetto alla forza di gravità e alla forza vincolare, diretta verso l’alto, data dalla base di appoggio. Se l’appoggio è in un punto, l’equilibrio si realizza quando il baricentro del corpo si trova sulla verticale del punto di appoggio.
Quando, spostando l’oggetto dalla sua posizione iniziale, il baricentro si sposta verso l’alto l’equilibrio è stabile: il corpo tende a tornare nella posizione iniziale.
Quando il baricentro si sposta verso il basso l’equilibrio è instabile: il corpo si allontana dalla posizione iniziale. Quando infine il baricentro del corpo resta alla stessa quota l’equilibrio è indifferente.
Preparate una base per il gioco, con un chiodo più grande conficcato al centro, e dieci chiodi più piccoli tutti della stessa dimensione. Poi disponete i chiodi così:
e appoggiateli al chiodo più grande:
Esperimenti scientifici per bambini
Baricentro, equilibrio e gravità
Il gioco dei dieci chiodi
Esperimenti scientifici per bambini – L’uovo in bottiglia. Per questo esperimento servono: un uovo sodo raffreddato e sbucciato, una bottiglia trasparente di vetro o di plastica con l’imboccatura leggermente più piccola del diametro dell’uovo, un pezzo di carta, accendino o fiammiferi.
Esperimenti scientifici per bambini – L’uovo in bottiglia – Cosa fare:
Dare fuoco al pezzo di carta e gettarlo nella bottiglia, quindi posizionare l’uovo all’imboccatura della bottiglia stessa in modo che la sigilli: l’uovo verrà risucchiato al suo interno.
Esperimenti scientifici per bambini
L’uovo in bottiglia
Perché?
Il calore della fiamma fa espandere l’aria, quindi la pressione all’interno della bottiglia diventa maggiore di quella esterna.
Quando l’aria all’interno della bottiglia si raffredda torna a contrarsi, quindi avremo all’interno della bottiglia una quantità di aria minore di quella che c’era all’inizio, in altre parole la pressione all’interno della bottiglia sarà inferiore rispetto alla pressione esterna, e la pressione esterna spingerà l’uovo verso il basso.
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Esperimenti scientifici per bambini
L’uovo in bottiglia
Un video:
Esperimenti scientifici per bambini
L’uovo in bottiglia Altri link
Esperimenti scientifici per bambini – Misurare il pH col cavolo rosso. Tagliate il cavolo rosso a fettine, mettete in una pentola coprendolo d’acqua, portate ad ebollizione e fate bollire per 30 minuti. Una volta raffreddato, filtrate il liquido: avrete il vostro succo di cavolo rosso, che sarà di colore blu-viola.
Coi bambini più piccoli questo succo è l’ingrediente ideale per la preparazione di pozioni magiche (basta procurarsi pipette o siringhe senza ago e qualche bicchiere, liquidi vari quali succo di limone, aceto, acqua e bicarbonato, birra, sapone liquido, cocacola ecc…)
Il succo di cavolo rosso ha infatti la caratteristica di variare di colore a contatto con sostanze che hanno pH diverso: avrete un rosa molto intenso con le sostanze acide, e un bellissimo verde con le sostanze basiche. Si può arrivare fino al giallo.
Coi bambini più grandi si possono realizzare anche cartine indicatrici di pH. E’ sufficiente preparare tanti cartoncini bianchi, immergerli nel succo di cavolo rosso per 30 minuti, quindi farli asciugare.
Il succo di cavolo rosso si deteriora abbastanza velocemente, ma se tenete i cartoncini in una busta di plastica chiusa potrete conservarli per alcuni mesi.
Con questi cartoncini è possibile realizzare una scala cromatica come quella delle cartine di Tornasole. Scale cromatiche si possono realizzare anche utilizzando contenitori di vetro o provette:
Esperimenti scientifici per bambini – Costruire un forno a energia solare. Le istruzioni per la costruzione del forno “minimum” in italiano si trovano al sito Solar Cooking, qui . Se avete tempo leggete in che contesto è inserito il progetto, è molto interessante. Inutile dire che cucina davvero dal pane ai biscotti a qualsiasi altro alimento…
Esperimenti scientifici per bambini – Costruire un forno a energia solare. Un video dettagliatissimo, in inglese:
Esperimenti scientifici per bambini – Squishy circuits. Guardate questo video, ne vale veramente la pena. Per i sottotitoli in italiano Play e poi selezionate la lingua dal bottone che appare alla destra della freccetta.
Realizzare Squishy circuits (circuiti “morbidosi”) col play dough è semplice ed economico. Alla portata di tutti.
Andando al sito SquishyCircuits troverete le ricette per realizzare il play dough conduttore e il play dough isolante, guide dettagliatamente illustrate per realizzare i circuiti, e anche dei video e molti esempi.
Esperimenti scientifici per bambini – La nebbia in vaso. Lo scopo di questo esperimento è quello di osservare la formazione della nebbia.
Esperimenti scientifici per bambini La nebbia in vaso – versione 1
Il modo più semplice per farlo è quello di riempire un vaso di vetro con acqua calda, immergervi un fiammifero acceso dopo averlo tenuto qualche secondo all’interno, quindi coprire il vaso con un sacchetto di ghiaccio, come mostra questo video:
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Esperimenti scientifici per bambini
La nebbia in vaso – versione 2
Una variante più complessa prevede l’utilizzo di:
un vaso di vetro,
acqua calda colorata con colorante alimentare,
fiammiferi,
un sacchetto di ghiaccio,
una striscia di carta nera da posizionare sulla parete posteriore del vaso per migliorare la visione dell’interno.
Esperimenti scientifici per bambini
La nebbia in vaso
Perchè si forma la nebbia?
L’acqua calda riscalda lo strato d’aria che tocca, in parte evapora e va verso l’alto.
Lì incontra il ghiacco, quindi si condensa rimanendo in sospensione nell’aria.
Questo è quello che avviene in natura, quando il vapore acqueo in sospensione nell’aria si condensa in goccioline d’acqua intorno a dei nuclei di condensazione (particelle di polvere, cenere, inquinanti, sale marino), formando la nebbia.
Esperimenti scientifici per bambini
La nebbia in vaso
Esperimenti scientifici per bambini – La bustina di tè volante. Prestare attenzione a dove si prova! Eseguire con un adulto.
Quando la bustina di tè viene bruciata, si riempie di aria calda, e quando l’aria calda sale porta la bustina di tè verso l’alto, in modo simile al funzionamento della mongolfiera.
Noi abbiamo provato l’esperimento, e non è riuscito subito.
Cambiando alcuni tipi diversi di bustina, abbiamo trovato quelle che volano. L’esperimento dura pochi secondi ed è molto bello.
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Esperimenti scientifici per bambini
La bustina di tè volante
Video
Esperimenti scientifici per bambini
La bustina di tè volante
Altri link:
I triangoli costruttori Montessori con tutorial per realizzarli in proprio, con modelli stampabili. e istruzioni per la presentazione e l’utilizzo coi bambini. I triangoli costruttori servono a dimostrare che tutte le figure geometriche piane possono essere costruite per mezzo di triangoli.
Il materiale è composto da 5 differenti scatole, ognuna delle quali contiene un certo numero di triangoli di varie dimensioni, forme e colori.
Ad eccezione del box 2, i triangoli di tutte le altre scatole recano delle bande nere posizionate su lati diversi che servono ad aiutare il bambino nella costruzione delle figure geometriche proposte.
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E’ un materiale che si propone nella scuola d’infanzia, ma che io utilizzo ampiamente anche in terza classe, soprattutto se ci sono problemi di dislessia da affrontare.
In terza classe il programma prevede lo studio della geometria, e questo materiale può essere abbinato a schede delle nomenclature per aiutare la memorizzazione dei termini.
Permette inoltre di valutare la lunghezza dei lati o l’ampiezza degli angoli mediante semplice sovrapposizione degli elementi, e facilita la classificazione in equilatero, isoscele e scaleno, oppure rettangolo, acutangolo, ottusangolo.
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Per costruirli in proprio nel web si trovano i modelli stampabili gratuitamente a grandezza naturale in questo sito. Cliccate su Colored Sets 1-5 se avete la stampante a colori, Outlines l’avete solo nero. In Boxes trovate invece i modelli per realizzare le scatole, io ho preferito usare i vassoi da mensa che si trovano alla coop.
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Nei download non sono comprese le carte delle nomenclature, che ho realizzato a mano. I modelli delle forme da realizzare coi triangoli sono invece molto piccoli, quindi per fare le mie schede li ho elaborati così:
– ho aperto la pagina per il download, poi con ctrl + ho ingrandito la schermata, e con ScreenHunter ho catturato le immagini ingrandite.
Per ogni box ho preparato:
– i triangoli previsti
– schede grandi che presentano da una parte lo schema di costruzione e dall’altra la forma pura (solo i contorni esterni)
– cartellini delle nomenclature, facilitati da una miniatura dello schema da realizzare
– cartellini per la classificazione dei triangoli contenuti nel box che hanno su una facciata il nome del triangolo, e sull’altra l’indicazione di quanti triangoli per tipo e colore appartengono a quella categoria con miniatura, per l’autocontrollo.
Box 1
Box 2
Box 3
Box 4
Box 5
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Qualche video:
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Disclaimer: “Per redigere questa mia presentazione ho utilizzato i miei album e appunti personali e consultato vari album di altri autori e articoli nel web. Per leggere online o acquistare le copie legali di tali opere consultate segui i link: – Sensorial primary guide di Infomontessori.com – Album for ages 3-6 – Sensorial di montessoriteacherscollective (Moteaco) – Montessori teacher album – Sensorial di Montessorialbum.com – Sensorial album di wikisori.org – The casa 2,5-6 years – sensorial di montessoricommons – Sensorial development di montessoriworld.org – Module 3: Exercises of sensory development di Montitute.com – Sensorial teacher manual di khtmontessori.com – Primary class curriculum – second year di mymontessorihouse.com – Sensorial teaching manual – primary ages di montessoriprintshop – Early childhood curruculum – Montessori sensorial manual di montessoritraining.net – Sensorial Manual Infant and Toddler e Sensorial Manual Early Childhooddi themontessoriparent.com, che ha suggerito l’aggiunta di questo disclaimer in accordo con la sua politica di copyright. Ho inoltre consultato i testi di riferimento di Maria Montessori per gli esercizi sensoriali: Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini La scoperta del bambino Per una bibliografia completa delle opere di Maria Montessori vai qui.
Tutorial DIY Montessori: costruire il cofanetto delle figure geometriche, con cartamodelli gratuiti e istruzioni dettagliatissime per realizzare il materiale in proprio con pochissima spesa.
Se preferite acquistarlo, questo è il set più economico che ho trovato in rete:
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E questa è una app per iOS:
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Se non avete molto tempo da dedicare alla costruzione dei materiali ma avete sufficienti risorse economiche, i modelli possono essere certamente passati a un falegname 🙂 …e se sono anche le risorse a mancarvi potete pensare di stampare, ritagliare e plastificare direttamente il tutto.
Considerate però che nel secondo caso otterrete un materiale difficile da maneggiare per il bambino, e dovreste rinunciare al pernetto centrale che non ha una funzione decorativa, ma serve a stimolare la corretta presa indice e medio contro pollice, in preparazione all’impugnatura della matita.
Il cofanetto delle figure geometriche piane è costituito da sei cassetti-vassoio così predisposti:
Per costruirli in proprio nel web si trovano i modelli stampabili gratuitamente a grandezza naturale in questo sito (cliccate su Geometric Cabinet Insets).
Anche le cards sono molto utili per gli esercizi sensoriali con le forme geometriche, anche se non servono alla costruzione dei vassoi.
Si tratta di carte assortite in forme piene, con contorni larghi e con contorni sottili e fanno riferimanto per forma e dimensione ai contenuti dei vassoi (cliccate su cards thin line, thick, solid).
I metodi di costruzione più semplici sono invece questi:
Col polistirolo da controsoffitto
Stampate i modelli e ritagliateli con la massima precisione.
Io li ho comunque plastificati perchè così dopo la costruzione potrò conservare i modelli per utilizzarli nelle lezioni di geometria coi bambini più grandi.
Riportate i modelli sul polistirolo e procedete al taglio prima della forma, poi del quadrato di contorno:
Inserendo un chiodo il vostro bambino avrà un ottimo materiale per la presa:
Quindi procedete a colorare scegliendo due colori vivaci e contrastanti. Lo svantaggio di questo metodo è che otterrete un materiale molto ingombrante anche in altezza, per via dei chiodi…
Con cartone spesso
Per il pernetto da presa ho fatto così:
Preparate forme e cornici, sono passata ai vassoi:
Per sapere come usare il cofanetto delle figure geometriche, e visionare il materiale montessoriano originale vai qui.
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Disclaimer: “Per redigere questa mia presentazione ho utilizzato i miei album e appunti personali e consultato vari album di altri autori e articoli nel web. Per leggere online o acquistare le copie legali di tali opere consultate segui i link:
– Sensorial primary guide di Infomontessori.com – Album for ages 3-6 – Sensorial di montessoriteacherscollective (Moteaco)
– Montessori teacher album – Sensorial di Montessorialbum.com
– Sensorial album di wikisori.org – The casa 2,5-6 years – sensorial di montessoricommons
– Sensorial development di montessoriworld.org – Module 3: Exercises of sensory development di Montitute.com
– Sensorial teacher manual di khtmontessori.com
– Primary class curriculum – second year di mymontessorihouse.com
– Sensorial teaching manual – primary ages di montessoriprintshop
– Early childhood curruculum – Montessori sensorial manual di montessoritraining.net
– Sensorial Manual Infant and Toddler e Sensorial Manual Early Childhooddi themontessoriparent.com, che ha suggerito l’aggiunta di questo disclaimer in accordo con la sua politica di copyright.
Ho inoltre consultato i testi di riferimento di Maria Montessori per gli esercizi sensoriali: Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini La scoperta del bambino Per una bibliografia completa delle opere di Maria Montessori vai qui.
Birilli delle frazioni Montessori. I birilli delle frazioni sono un materiale molto interessante. Di seguito qualche indicazione per la presentazione e l’utilizzo coi bambini.
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Presentazione
materiale necessario
i birilli delle frazioni
un vassoio
1. L’insegnante invita il bambino ad unirsi a lei nell’esercizio, quindi porta il vassoio col materiale al tavolo, e siede a fianco del bambino, al suo lato non dominante.
2. Comincia poi a spostare le varie parti dei birilli dal vassoio al tavolo, nominandole. I birilli vanno presi come si prende normalmente una bottiglia: con la mano dominante sul collo, e l’altra sotto a fare da sostegno. Il primo birillo è “l’intero”, ogni parte del secondo birillo è “un mezzo”, ogni parte del terzo birillo è “un terzo”, e ogni parte del quarto birillo è “un quarto”.
3. Quando prende in mano singole frazioni di un birillo, lo rimonta pezzo per pezzo sul tavolo. Per esempio, se prende una metà, la nomina, quindi la dà in mano al bambino perchè possa esaminarla, poi il bambino gliela restituisce e lei la pone sul tavolo. Quindi prende l’altra metà, procede nello stesso modo, e la pone poi accanto alla prima a ricostituire sul tavolo l’intero, in modo che il bambino possa sempre vedere i pezzi ricomposti.
4. Al termine l’insegnante rimette il tutto sul vassoio e lascia il bambino libero di esplorare il materiale, anche cercando di miscelare le parti tra loro.
Disclaimer: “Per redigere questa mia presentazione ho utilizzato i miei album e appunti personali e consultato vari album di altri autori e articoli nel web. Per leggere online o acquistare le copie legali di tali opere consultate segui i link:
– Mathematic primary guide di Infomontessori.com – Album for ages 3-6 – Math di montessoriteacherscollective (Moteaco)
– Montessori teacher album – Math di Montessorialbum.com
– Math album di wikisori.org – The casa 2,5-6 years – math di montessoricommons
– Beginning math di montessoriworld.org – Teach your 3 to 7 year old math di John Bowman
– Montessori Early Childhood math album di Montessori Tube
– Module 5: Mathematics Manual A di Montitude.com
– Mathematics teacher manual di khtmontessori.com
– Primary class curriculum – second year di mymontessorihouse.com
– Math teaching manual – primary ages di montessoriprintshop
– Montessori matters: a mathematics manual di heutink-usa.com
– MATHEMATICS MANUAL EARLY CHILDHOODdi themontessoriparent.com, che ha suggerito l’aggiunta di questo disclaimer in accordo con la sua politica di copyright.
Ho inoltre consultato i testi di riferimento di Maria Montessori per la matematica: Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini La scoperta del bambino
L’autoeducazione nelle scuole elementari. Psicoaritmetica. Per una bibliografia completa delle opere di Maria Montessori vai qui. Leggi anche la bibliografia e i link utili di seguito.
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