GLI UCCELLI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici GLI UCCELLI – Una collezione di dettati ortografici sugli uccelli, di autori vari, per la scuola primaria.

Uccelli
Piove, adagio adagio, poco poco. C’è bisogno di fango per fare i nidi. Ci sarà? Tutti gli uccellini a due a due sotto l’ombrello delle frasche ascoltano la pioggia che dice loro: “Sì. Sì”. Il giorno dopo, come sfolgora il sole, gli sposini lavorano tutti a farsi una casettina; la tottavilla, il migliarino, l’ortolano, i beccafichi, le peppole; fra l’erba spagna, sui rami, dentro le siepi, sotto le tegole; chi taglia, chi mura, chi impasta, chi cuce, chi scava, chi intreccia. Bisogna far presto perchè domani è domenica. (F. Tombari)

Uccelli
L’aria è piena di frulli d’ali, di canti, di strida, di misteriosi bisbigli. Sono tornati gli uccelli e nelle loro fragili e belle casette, nuove vite pigolano in attesa del cibo. E’ tornata la cincia che libera l’oliveto dalle uova delle mosche olearie; è tornata la capinera gentile il cui canto ricorda quello dell’usignolo; l’allodola mattiniera, il pettirosso vivace, la rondine che stride e saetta nel cielo, senza posa. Siano benedette queste piccole creature che lavorano senza posa alla distruzione dei nemici dei campi e dei raccolti.

Uccelli
Verso la fine di marzo la prima rondine giunse sotto il tetto. Si aggrappò al nido, sbattè più volte le ali, poi riprese a volare nel cielo disegnando nell’aria ampi cerchi. Passò sul melo dell’orto, e subito dai piccoli rametti brulli sbucarono alcune gemme. In un baleno, dai cartoccetti che bucavano l’aria come dentini, si svolsero i bianchi fiori i il melo sembrò a tutti una bella nuvola caduta dal cielo nell’orto. La rondine passò a volo sul pesco, e anche il pesco si ingemmò. Giunse perfino sul mandorlo, là verso la collina, e col suo grido acuto la rondine lo risvegliò. Poi sfiorò i prati e l’erba incominciò a tremare nell’aria col suo filo di un verde tenero; sfiorò le prode, e l’acqua dei ruscelli incominciò a scorrere tra i sassi; e le viole, sotto le larghe foglie, si destarono come per incanto, spandendo nell’aria il loro delicato profumo. Volava, volava, la rondine, e cinguettava felice. (C. Bucci)

Uccelli
Quando il cielo diventa sereno e azzurro e, scivolando su un raggio tiepido di sole, arriva primavera, ritornano nel nostro cielo le rondini.  In largo stormo gli eleganti uccelli volano sul mare; poi, in piccoli gruppi, prendono la via di casa, la via del vecchio nido. Qualcuna, ansiosa, sopravanza il gruppo, arriva prima. Eccola là, sul filo, petto bianco, dorso nero. Si guarda attorno, osserva tutto. Poi, arrivano tutte, e i cornicioni, i fili dell’elettricità, i tetti sono pieni dei piccoli uccelli bianchi e neri. (G. Valle)

Sulla facciata rustica, per tutte le cornici, lungo il gocciolatoio, sopra gli architravi, sotto i davanzali delle finestre, sotto le lastre dei balconi, dovunque, le rondini avevano nidificato. I nidi di creta, innumerevoli, vecchi e nuovi, agglomerati come le cellette di un alveare, lasciavano pochi intervalli liberi tra loro. Benchè chiusa e disabitata, la casa viveva. Viveva di una vita irrequieta, allegra e tenera. Le rondini fedeli l’avvolgevano dei loro voli, delle loro grida, dei loro luccichii senza posa. (G. D’Annunzio)

Quando la rondine vuol rassettare il suo vecchio nido, non cerca nè trucioli nè pagliuzze, come fanno gli altri uccelli, ma adopera fango e con bravura lo accomoda col becco. Vola là dove scorre il ruscello. Vi si piana sopra con le ali in alto, battendole rapidamente. Tiene a fior d’acqua il petto per bagnarsene le piume, poi spruzza l’acquerugiola sulla polvere e ne fa una tenace poltiglia. E di questa poltiglia col suo becco, o si fabbrica o si accomoda il nido. (Taverna)

Uccelli
E’ primavera, è il tempo degli uccellini. Allegri, felici, già ghiotti di ciliegie, litigiosi, stanno in cinquanta su un ramo come tanti piccoli gnomi, fuggono col vento, spensierati, da un albero a un tetto, dal pagliaio al campanile, rubano a man bassa; un chiasso, un cinguettio, una baraonda. Le passerette, pettegole, con un vestitino corto che le copre sì e no, non vanno mai d’accordo, si intrufolano da per tutto, fanno a chi arriva prima sul fiume a vedere il martin pescatore. (F. Tombari)

Uccelli
Il sole nasce, gli uccelli si sparpagliano. Cercano il loro pascolo, chi le bacche, chi i vermiciattoli, chi i semi, a frotte. Si cibano, si azzuffano, amano, saltellano qua e là: infine spiccano il volo e dall’aria agili coronano con un batter d’ala e un gorgheggio la loro piccola fatica. (G. Pascoli)

Uccelli
Dorati uccelli, dall’acuta voce, liberi per il bosco solitario in cima ai rami di pino confusamente si lamentano; e chi comincia, chi indugia, chi lancia il suo richiamo verso i monti: e l’eco che non tace, amica dei deserti, lo ripete dal fondo delle valli. (Lirici Greci)

Uccelli
Gli uccelli, oltre a rallegrare col loro canto, sono preziosi per l’agricoltura perchè distruggono gli insetti. Se possiamo raccogliere i saporiti ortaggi, se possiamo assaporare la squisita frutta, se riempiamo di grano i nostri granai, lo dobbiamo, in gran parte, a questi preziosi amici dell’agricoltore.

La rondine è tornata. Ha fatto sentire il suo grido e si è messa a volare in tondo sul tetto. Ha veduto il suo nido e vi è volata dentro come una piccola freccia nera. Poi è tornata a volare, ma il suo grido era più lieto e festoso. Avevo ritrovato la sua casetta. E presto, in quella casetta, ci sarebbero stati i rondinini.

Uccelli
A introdurre i suoni più belli nel mondo primaverile, accanto al ronzio e alle musiche varie degli insetti, sono gli uccelli con il loro concerto canoro. Basta ricordare che la primavera è la stagione in cui gli uccelli fanno il nido! Essi sono le creature della gioia: la scienza non ha trovato una spiegazione del loro canto che sembra superfluo; ma chi saprebbe immaginare gli uccelli senza più le loro melodie? F. Molinelli

La rondinella ci porta il primo saluto della primavera e ci ricorda la passata malinconia dell’autunno. Essa, fidando in noi, appende il nido ai tetti e ai portici delle nostre case, ritornando ogni anno nello stesso giorno e quasi nella stessa ora. P. Mantegazza

In marzo tornano le rondini. Vengono dai paesi caldi dove hanno passato l’inverno. Se ne andarono verso la fine di settembre, non tanto perchè avessero paura del freddo, ma specialmente perchè essendo uccelli insettivori, durante il freddo non avrebbero trovato di che nutrirsi. Tornano adesso perchè gli insetti cominciano a rinascere. Questi erano morti ai primi freddi, ma avevano lasciato le loro uova o le loro crisalidi ben nascoste e riparate sotto la corteccia degli alberi. E. Fabre

Uccelli
L’uomo non potrebbe difendersi da solo dalle distruzioni causate dagli insetti. Ma gli uccelli lo aiutano validamente, divorando le larve nascoste sotto i tronchi o striscianti sopra le foglie, cibandosi degli insetti che volano nell’aria, nutrendosi di bruchi, di farfalline, di tignole. Gli uccelli non sono soltanto piacevoli a vedersi e ad ascoltarsi, ma sono anche i preziosi amici dell’agricoltore.

Uccelli
Gli uccellini non sono soltanto graziose creature che ci rallegrano col loro canto. Essi sono anche i preziosi amici dell’agricoltore perchè divorano gli insetti e le larve, salvando così la vegetazione. Rispetta, dunque, gli uccellini. Non chiuderli in gabbia, non catturarli, non distruggere i loro nidi. Anche gli uccelli sono creature che soffrono e godono e, oltretutto, salvaguardano le campagne e la vegetazione.

Uccelli
Gli uccelli insettivori si dividono il campo di caccia: chi va nei prati, chi nei boschi e nei verzieri; fanno una guerra continua ai bruchi che distruggerebbero i nostri raccolti. Più abili di noi, di vista più acuta, più pazienti e senza altra occupazione che quella, gli uccelli fanno un lavoro che a noi sarebbe assolutamente impossibile. (E. Fabre)

Uccelli
In ogni nido c’è una piccola famiglia. C’è il babbo, c’è la mamma, ci sono i figlioletti, tutti uniti da un tenerissimo amore. Se tu distruggi un nido, metti il dolore dov’era la gioia, la disperazione dove non c’era che allegria e amore. Rispetta i nidi come vorresti che fosse rispettata la tua casetta.

Il passero è dappertutto e sempre. Vola e saltella, bruno e chiacchierone, tra le foglie verdi degli alberi, nella buona stagione; sui rami brulli e secchi nell’inverno: cinguetta sui fili del telegrafo, sulle gronde, sui davanzali; becca grani, briciole di pane, insetti… E’ graziosissimo, quantunque non sia bello come la rondine e non canti come l’usignolo. (Bianchi e Giaroli)

Uccelli
Piove adagio adagio, poco poco. C’è bisogno di fango per fare i nidi. Ci sarà? Tutti gli uccelletti, a due a due sotto le ombre delle frasche, ascoltano la pioggia che dice loro sì, sì… Il giorno dopo, come sfolgora il sole, lavorano tutti a farsi una casettina. Chi taglia, chi mura, chi impasta, chi cuoce, chi scova, chi intreccia. (F. Tombari)

Uccelli
Ogni uccellino cerca un posto sicuro per fabbricare il suo nido. IL fringuello lo intreccia sui rami dei ciliegi e delle querce. L’allodola lo nasconde tra le zolle dei campi. Il corvo lo sospende ai rami del pioppo. La rondine lo nasconde sotto le grondaie o sotto le travi di casa. Quando gli uccellini fanno il nido, mille piccole cose vengono utilizzate: pagliuzze, crini, foglie secche, muschi, piccoli fili di lana. (V. Gaiba)

Sono tornate le rondini. Hanno attraversato mari e monti pur di tornare al loro nido. E ora che lo hanno ritrovato, cinguettano felici, lo riparano, lo imbottiscono, perchè fra poco nasceranno i rondinini.

Ecco mamma rondine che ritorna con un insetto e tutti i piccini spalancano il becco e gridano perchè lo vorrebbero per sè. Che piccini affamati! Non sono mai sazi. E mamma rondine vola, vola, torna e ritorna al nido per saziare quei rondinini che aspettano, con il beccuccio aperto. Poi si rimettono giù buoni, buoni, con gli occhietti chiusi, ad aspettare che la mammina torni ancora.

In marzo tornano le rondini. Arrivano dai paesi caldi dove hanno passato l’inverno. Se ne andarono verso la fine di settembre, non tanto perchè avessero paura del freddo, ma perchè, essendo uccelli insettivori, durante l’inverno non avrebbero avuto di che nutrirsi. (E. Fabre)

In un giorno di primavera, si è sentito un lieto garrito nell’aria. Erano le rondini che tornavano. Hanno ritrovato il vecchio nido. Con un grido di gioia sono volate dentro a ripararlo, a farlo tutto morbido e caldo. Rispetta le rondinelle. Sono la benedizione delle case che le ospitano.

San Benedetto, la rondine sotto il tetto. Ha attraversato mari e monti per tornare al suo nido e, ora che lo ha ritrovato, garrisce di gioia. Come il viaggiatore che ritorna alla sua casa, così la rondine fa festa quando ritrova il suo nido e di dà da fare per ripararlo, per accomodare i danni causati dalle intemperie, per renderlo morbido e tiepido. Mamma rondine pensa ai rondinini che fra poco cinguetteranno nel nido appeso sotto la gronda.

San Benedetto, la rondine sotto il tetto. Forse è una rondine sola; è arrivata prima delle altre per vedere se il tempo si è veramente rimesso al bello e se l’inverno è andato via. Ma spesso è ancora freddo; la primavera sembra lontana e la povera rondine, con le penne arruffate dal vento, col corpicino tremante, si sente smarrita, sola, affamata. Povera rondinella, arrivata troppo presto!

Esistono molte varietà di rondini, tra cui il balestruccio, che ha il dorso nero violetto e le parti inferiori e la coda bianche; la rondinella comune che è nera, col petto castano e la coda con macchie bianche; il rondone, che è tutto nero, salvo una macchia bianca sulla gola. Soltanto la rondinella e il balestruccio fanno il nido sotto la gronda; alcune specie di rondine lo fanno sulle rive scoscese dei fiumi e nei buchi delle altre muraglie. Il trillo della rondine si chiama garrito.

Uccelli
Ogni uccello, in primavera, fa il suo nido. L’uccellino canoro lo intreccia tra i rami degli alberi, la rondine lo costruisce sotto la gronda, l’aquila in un crepaccio della montagna dove vive, il passero sotto il tegolo o in un buco del muro. E, in ogni nido, nasceranno i piccini.

Con la primavera, ecco la fedele rondine che torna al suo nido lasciato sotto la gronda. Osserviamole nel volo: hanno ali lunghe, fortissime, che permettono loro di attraversare il mare, talvolta senza sostare nemmeno un momento. Ammiriamo l’infallibile istinto di questo uccello, che gli fa ritrovare non soltanto la località che ha lasciato, ma perfino il tetto, il nido.

Uccelli
Perchè gli uccelli migrano? Vi sono le anatre selvatiche che, pur di depositare le uova nelle zone dove sono nate, non esitano ad arrivare perfino al circolo polare, dove nidificano. Per ciò che riguarda la rondine, poichè questo uccello è insettivoro, non troverebbe durante la cattiva stagione di che nutrirsi, perchè gli insetti muoiono o sono nascosti. E’ per questo che la rondine emigra verso le terre calde, dove il cibo non manca, per ritornare a deporre le uova sotto i nostri tetti, al ritorno della buona stagione.

Il becco della rondine è largo e corto. La rondine si nutre di insetti e li cattura a volo. Il suo becco, che è di grande apertura, facilita appunto questa cattura. Invece il becco degli uccelli granivori è forte e a punta, adatto a beccare i grani. Il becco dei rapaci, che si nutrono di piccole prede vive, è forte, adunco, e adatto a lacerare la carne. Il becco dei palmipedi è fatto a cucchiaio, e lascia sfuggire l’acqua per trattenere solo il cibo.

Uccelli
Le zampe degli uccelli che sono grandi volatori, come le rondini, sono rattrappite, ottime per aggrapparsi, ma quasi inadatte a posarsi sul terreno. Infatti, se la rondine cade sul terreno, riprende il volo con grande difficoltà. La zampa dei gallinacei, invece, e dei corridori come lo struzzo, è larga, schiacciata, atta a posarsi sul terreno; nei polli è munita di unghielli per razzolare; nello struzzo, di callosità. La zampa dei rampicanti (pappagallo, picchio, cuculo) ha due dita anteriori e due posteriori atte ad arrampicarsi sul tronco degli alberi. Quella dei rapaci è armata di artigli formidabili con cui l’uccello afferra la preda, la dilania e la porta al nido. Nei palmipedi le zampe hanno le dita unite da una membrana che le trasforma in ottimi remi.

La rondine fabbrica il nido con fango, cementandolo sotto le gronde. Sembra quasi che abbia imparato a costruirlo dall’uomo, sotto la cui casa nidifica. Gli altri uccelli lo costruiscono in maniera ben diversa. I cantori, che sono quelli che fabbricano il nido più perfetto, lo fanno di ramoscelli intrecciati e lo imbottiscono di lanuggine e di piccole penne. I rapaci lo fabbricano in maniera rudimentale negli anfratti delle rocce dove vivono; il passero lo da sotto i tegoli, nei buchi del muro.

Uccelli
Gli uccelli depongono un numero variabile di uova, che hanno un guscio generalmente colorato o macchiato, e da queste uova, dopo un periodo di incubazione, nascono i piccoli, implumi, inadatti a nutrirsi da soli. I genitori li imboccano ed è per questo che gli uccelli sono dei formidabili distruttori di insetti. Si è potuto calcolare che la cincia distrugge fino a trecentomila fra insetti e larve ad ogni stagione.

Uccelli
Gi uccelli sono la gioia della campagna, sono i figli della terra e la terra li nutre senza che essi si affannino a seminare e a mietere; non c’è zolla che neghi loro una gemma, un fiore, una buccia di frutto! Il danno che danno ai tuoi campi lo ripagano; tu non sai quanti insetti nocivi essi distruggono, se ti rubano un chicco te ne salvano cento.
(F. Lanza)

I pellicani
Fra i rami e gli arbusti di cotone, albergavano colonie di pellicani, le cui zampe sporgevano dal nido mentre essi covavano. I maschi nutrivano le femmine che parevano non abbandonare mai il loro nido nel periodo della covata. Papà pellicano era buono con la moglie, e vi era un continuo andirivieni di questi enormi uccelli. Sono grandi pescatori e portano la loro preda in una borsa di pelle gialla che, quando è piena, pende come un sacco sotto il becco.

La rondine ha il mantello di piume nero e bianco, il becco corto e largo, le zampe adatte per aggrapparsi, la coda biforcuta.  Ci sono parecchie specie di rondini: la rondinella comune, il balestruccio, il balestruccio selvatico che nidifica sulle sponde dei fiumi, il rondone che è il più grosso della specie. Il grido della rondine si chiama garrito.

Il nido che la rondine costruisce sotto la gronda è fatto di terra impastata d’acqua, come se il simpatico uccello volesse imitare le case degli uomini presso le quali vive. Dentro, è imbottito di lanuggine che la rondine carpisce all’aria o alle piante.

Il corpo della rondine è snello, robusto, con ali molto sviluppate. Le remiganti  sono penne lunghe e forti perchè le rondini dovono fare lunghi viaggi, attraversare il mare e spesso anche territori deserti per recarsi nei paesi caldi. La rondine ha un manifesto istinto d’orientamento. Quindi, in primavera torna da noi, e non soltanto conosce la località, ma addirittura il nido che si affretta a restaurare e a preparare per la nuova covata.

Il becco della rondine è larghissimo e corto: adatto cioè alla caccia degli insetti di cui la rondine si nutre volando. Vola a becco spalancato così che gli insetti che essa insegue, si invischiano e vengono catturati. E, appunto perchè si nutre di insetti, finita la buona stagione, se ne va.  Gli insetti, al sopraggiungere del freddo, muoiono o si rintanano; quindi, la rondine non avrebbe più il cibo che le è necessario. La rondine è un animale utile,  come tutti gli animali insettivori, considerando il danno prodotto dagli insetti alla coltivazione.

La rondine è tornata da lontano, ha girato sopra la città, ha riconosciuto la casa, il tetto, il nido. Ed ora eccola tutta affaccendata a preparare la casetta per i rondinini che verranno.

Sono arrivate le rondinelle. Hanno attraversato mari e monti per tornare al loro nido. Benvenute, rondinelle, che arrivate da tanto lontano!

“Ecco mamma rondine che ritorna! Che cosa hai portato, mammina?”. I rondinini aspettano nel nido col becco spalancato.

La rondine vuole riassettare il vecchio nido. Non cerca fuscelli come gli altri uccellini, ma adopera fango e con bravura lo impasta col becco.  Poi fa il nido morbido e caldo.

San Benedetto, la rondine è sul tetto. Forse è una rondine sola quella che è arrivata prima della altre per vedere se il tempo si è rimesso al bello. Ma presto verranno anche le altre.

La rondine vola sempre: mangia volando, si bagna volando e qualche volta  nutre i suoi piccoli volando. L’aria è il suo dominio.

Rispetta le rondinelle. Sono la benedizione della casa. Sono tornate da tanto lontano per venire ad abitare il vecchio nido. Fra poco nel vecchio nido pigoleranno i rondinini.

Un bel giorno di primavera si è sentito un grido nell’aria. Era la rondine che tornava. Ha riconosciuto il vecchio nido e con un grido di gioia vi è entrata dentro, per rassettarlo.

Le rondini gridano in alto, nel cielo sereno. I bambini le guardano e dicono: “Sono tornate le rondini. E’ primavera”.

Uccelli
Dopo che la primavera ha spiegato tutti i suoi fascini, di campo in campo, allora si fabbricano ovunque i nidi: nidi tra le erbe, nidi sugli alberi, nidi su spacchi di scogli, in fessure di mura, sotto travi, sotto cornici di case: nidi e nidi dappertutto. Guai se questi asili di nascituri fossero costruiti su alberi nudi, o in siepi senza foglie, o in cantucci senza muschio. Sarebbero esposti alla vista di molti nemici. Si nascondono invece tra ripari abbassati che li nascondono dalle insidie. Ve ne sono con pareti cementate di argilla, rivestiti di licheni, tessuti con fili, steli, fuscelli, con l’interno tappezzato di molli foglie, di fiori, di lana, di crini. Le averle e le capinere li fabbricano con rametti di scope, i tordi vi mettono intonachi di legno fradicio, i beccafichi e i canapini vi intrecciano sottili gramigne miste a tele di ragno, a semi di pioppo, a lanugini. I falchi rapaci, vi ammassano penne di vittime; i pacifici storni penne di polli e di anatre, raccolte nei cortili, nei campi; i cardellini setole di maiali; i passeri crini, paglia, stoppa, cenci, brandelli di carta. (P. Lioy)

Il merlo. Col suo abito da cerimoniere, il becco dorato, l’occhio fisso che pare non veda e vede benissimo; con la sua coda alzata, la voce amplificata e ripercossa dall’eco dei macchioni dei quali fa la sua rocca; ora di corsa sul terreno, ora in volo a freccia, ora immerso nelle sue alcove di rovi, in interminabili meditazioni; coi suoi gridi vari, ciascuno dei quali corrisponde a un sentimento o a un atto, il “pitt pitt”  di quando va a dormire, il “cac cac cac” dell’angoscia per un pericolo che corre il nido, lo stridulo e rapido “ki ki ki” che manda quando fugge via; infine col suo canto, col suo vero canto che ritengo il più completo e il più musicale di tutti i canti degli uccelli che fischiano, sempre lui si profila sullo schermo della mia memoria, quando essa torna indietro verso gli anni in cui passavo le vacanze pasquali in campagna. (M. Roland)

Uccelli
La nebbia si diradava, apparivano profili di boschi neri sull’azzurro pallido dell’orizzonte; poi tutto fu sereno, come se mani invisibili tirassero di qua e di là i veli del maltempo e un grande arcobaleno di sette vivi colori e un altro più piccolo e più scialbo s’incurvarono sul paesaggio. Grandi ranuncoli gialli, umidi come di rugiada, brillarono nei prati argentei, e le prime stelle apparse al cadere della sera sorrisero ai fiori: il cielo e la terra parevano due specchi che si riflettessero. Un usignolo cantò sull’albero solitario ancora soffuso di fumo, tutta la frescura della sera, tutta l’armonia delle lontananze serene; e il sorriso delle stelle ai fiori, e il sorriso dei fiori alle stelle, e tutta la malinconia dei poveri che vivono aspettando l’avanzo della mensa dei ricchi, e i dolori lontani e le speranze, e il passato, l’amore, il delitto; il rimorso, la preghiera, il cantico del pellegrino che va e va e non sa dove passerà la notte, e la solitudine verde, la voce del fiume e degli ontani laggiù, il riso e il pianto di tutto il mondo, tremavano e vibravano delle note dell’usignolo, sopra l’albero solitario che pareva più alto dei monti, con la cima rasente il cielo e la punta dell’ultima foglia ficcata dentro una stella. (G. Deledda)

Uccelli
Ciascun nido ha una sua costruzione ed una sua sapienza d’amore. Nidi di allodole cui pochi fuscelli bastano nel solco delle messi; nidi di pettirossi nei cespugli intessuti di fili d’erba e rivestiti internamente di borragine e di licheni; nidi di stiaccini e di fringuelli nell’intrico delle siepi; nidi sugli olmi, sulle querce, in cima agli alti pioppi che fiancheggiano i fiumi; nidi di passeri solitari nei crepacci di rocce odoranti di fiori selvaggi. Nei casi dove il nido non riesca del tutto ad occultare le uova, queste hanno colore mimetico, cioè con la stessa tinta delle cose che sono loro attorno e però da queste non facilmente distinguibili. (A. Anile)

Uova

Tutti gli uccelli producono uova. L’uovo ha forma tondeggiante ed è rivestito di un guscio rigido e resistente. Aderente al guscio c’è una pellicola elastica , che forma sul fondo una camera d’aria. Il guscio racchiude le parti nutrienti dell’uovo: l’albume e il tuorlo.

Quando gli uccelli covano le loro uova, nell’interno si sviluppa un piccolo che si nutre appunto del tuorlo e dell’albume. Quando il piccolo è formato, rompe il guscio ed inizia la sua vita all’aria aperta.

Ci sono piccoli capaci subito di muoversi e di nutrirsi (i pulcini), altri che nascono senza piume ed hanno bisogno di essere imbeccati dai genitori  (passerotti, rondini, …)

Penne e piume

Il corpo degli uccelli è protetto da un manto fitto, morbido, caldo, di piume fatte a fiocchetto. Le ali e la coda sono munite di penne. Quelle che stanno al bordo delle ali sono dette remiganti, quelle della coda timoniere. Le penne sono lunghe, robuste, rigide, sostenute da una specie di bastoncino detto calamo, piantato nella pelle.

Becchi di uccelli

Molti uccelli sono granivori o insettivori: la natura ha dato loro un becco adatto al cibo di cui si nutrono. Gli uccelli granivori hanno becchi non troppo lunghi, larghi alla base, appuntiti, duri e taglienti: con essi frantumano i grani. Gli uccelli insettivori hanno becchi molto larghi, teneri, appiccicosi, capaci di afferrare e inghiottire anche grossi insetti.

La rondine

La rondine vive in campagna e in città: cerca le grondaie per costruirvi il nido ed ama l’acqua del fiume, del lago e dello stagno. Infatti sa che, alla superficie dell’acqua, si cacciano in abbondanza gli insetti, che sono il suo cibo preferito.

Ha le ali aguzze e lunghe, la coda biforcuta. Le piume sono di color turchino carico sul dorso e bianche sul petto.

E’ un uccello che ama il caldo; perciò, appena l’estate lascia il passo all’autunno umido e freddo, la rondine se ne va in Africa, dove l’attende il sole. Per questo si dice che è un uccello migratore.

Il nido della rondine assomiglia ad una mezza scodella. E’ costruito con pezzetti di fango appiccicati l’uno all’altro con la saliva e rafforzato con erbe, pagliuzze e piume.

La gallina

E’ un uccello molto utile, dell’ordine dei galliformi, che popola le aie ed i cortili. L’uomo le costruisce una casetta, il pollaio. Il suo corpo è piuttosto grosso e pesante; le ali, corte e deboli, le permettono solo voli brevi. Il capo è ornato di piccoli barbigli e di una cresta rossa e corta. Gli occhi sono tondi. Il becco è rigido, capace di rompere i semi duri. Le zampe sono ricoperte di scaglie giallastre. Sono robuste, armate di unghie e adatte a razzolare.

La gallina offre all’uomo carne fine e nutriente e uova. E’ una mamma (chioccia) affettuosa; per tre settimane cova pazientemente quindici – venti uova, che si schiudono liberando i pulcini. Essi, appena sgusciati, sono già coperti di piumino e molto vispi.

L’oca

E’ un uccello palmipede perchè ha le dita delle zampe riunite da una pelle dura e membranosa che le serve per nuotare negli stagni. Le zampe sono poste molto indietro rispetto al resto del corpo e ciò dà all’oca un’andatura goffa. Essendo un uccello acquatico ha le penne e le piume cosparse di un grasso oleoso, grazie al quale il suo corpo non si bagna. Pesca il suo nutrimento servendosi del becco largo e schiacciato, che lascia uscire l’acqua dai margini dentellati. Sono uccelli palmipedi il cigno, l’anitra, il gabbiano, il pellicano.

Il cuculo

E’ un uccello diffidente e astuto, molto accorto; vive evitando anche di farsi vedere nelle vicinanze delle nostre case. Il suo verso, il caratteristico cucù, ci giunge spesso all’orecchio nelle sere di primavera, mentre l’uccello è nascosto in mezzo al fogliame. Ottimo volatore, il cuculo percorre lunghissime distanze emigrando nella cattiva stagione verso le terre calde, per poi ritornare da noi agli inizi di primavera.

Il picchio

E’ un uccello rampicante adatto alla vita sui tronchi degli alberi; vi si arrampica e vi si aggrappa mediante le quattro dita del piede, della quali due sono rivolte in avanti e due indietro. Ha il becco lungo e diritto, con il quale picchia contro la scorza degli alberi. Mediante il suono prodotto dal legno, il picchio sente se il tronco è cavo o pieno; nel caso sia cavo, l’uccello pratica col becco un foro nella corteccia, e con la lingua lunga e viscida, prende gli insetti e le larve che vi dimorano.

Le voci degli uccelli

Il colombo tuba. La civetta squittisce, chiurla, stride. L’anitra schiamazza. La cornacchia gracchia e crocida. La gallina chioccia e crocchia. La gazza gracchia. Il merlo zufola, zirla, chioccola. La passera pigola, garrisce, cinguetta. La rondine stride e garrisce. L’usignolo gorgheggia. La pernice stride.

L’aquila

E’ la dominatrice dell’aria. Abita le più alte montagne, nidifica su rocce scoscese e alimenta i suoi aquilotti con la carne degli animali (conigli, lepri, agnelli) dei quali va in cerca di giorno volando, e sui quali si abbatte non appena li ha scorti, afferrandoli con gli artigli e sollevandosi a grandi altezze per portarli poi al nido o in altro luogo sicuro.

Ha il becco tagliente e forte, detto rostro; unghie robuste e adunche, dette artigli, atte a dilaniare la preda.

Anche la civetta, il barbagianni e il gufo sono uccelli rapaci ma notturni, perchè volano solo di notte dando la caccia a topi, vipere e altri animali dannosi.

Questi uccelli rapaci notturni sono rivestiti di un piumaggio adatto alle loro abitudini di predoni delle tenebre: colori scuri, piume foltissime, morbide e vellutate che rendono il volo assolutamente silenzioso. Il loro corpo è grosso e rotondo, con gli occhi dalla grande iride colorata di giallo o rosso. Un largo cerchio di penne chiare circonda gli enormi occhi quasi a guisa di occhiali, dando loro un aspetto del tutto singolare.

Grossi rapaci sono pure il falco, la poiana, lo sparviero, l’avvoltoio e il girifalco.

Il passero

In Italia è uno degli uccelli più comuni. Vive presso le case e nidifica generalmente sui tetti. Ha un becco conico robusto, le zampe con quattro dita e la coda tronca. Si nutre di semi: è un granivoro vorace. Infatti i contadini, quando le messi sono mature, per tenerlo lontano dai campi vi dispongono dei bizzarri fantocci: gli spaventapasseri. Si nutre però anche di insetti e di vermi, rendendosi così molto utile. Quando ha i piccoli nel nido, il passero dà loro l’imbeccata anche venti volte in un’ora. Altri passeracei sono il fringuello, il cardellino, l’allodola, l’usignolo, il merlo, il tordo, il pettirosso e il canarino.

Il gabbiano

E’ un uccello carenato e palmipede (ha cioè le zampe con le dita palmate, munite di una membrana che le rende simili a remi); frequente lungo le spiagge del mare, si trova anche in riva ai laghi e lungo i fiumi. Vola sull’acqua con volo lento e grave mandando un grido particolare, specialmente all’approssimarsi delle burrasche. Ha grandi ali così che può facilmente sostenere un lungo volo; può anche nuotare con i piedi palmati. Si ciba di pesci, vermi marini, crostacei ed altri piccoli invertebrati che prende nuotando o sfiorando a volo il pelo dell’acqua, oppure saltellando sulla riva del mare, guardingo e circospetto, alla scoperta di quanto l’onda ha lasciato per lui. Nidifica nelle paludi e negli stagni, fabbricando il nido fra erbe, giunchi e alghe.

Il pappagallo

E’ un uccello rampicante: ha cioè le zampe particolarmente adatte  ad arrampicarsi, con due dita rivolte in avanti e due rivolte indietro. Ha le piume dai colori vivaci, e proviene dalle foreste dei paesi tropicali. Si può addomesticare ed ambientare anche nei nostri paesi ed è divertente perchè apprende e ripete parole ed espressioni umane.

La cicogna

E’ un trampoliere: infatti le sue zampe lunghissime sono simili ai trampoli. Oltre alle zampe snelle  e sottili, ha il collo e il becco molto lunghi; il becco è fatto  in modo da afferrare e trattenere la preda. E’ un uccello migratore, cioè non ha stabile dimora in un luogo: sverna in Africa e passa l’estate in Europa. L’unico trampoliere stazionario in Italia è l’airone cinerino.

Il pinguino

Anche il pinguino è un uccello, ma ha il corpo inadatto al volo. Cammina con andatura goffa e barcollante. Vive in branchi numerosissimi fra i ghiacci delle regioni polari dell’Antartide. Le sue ali corte e robuste si sono adattate al nuoto anziché al volo. La femmina del pinguino depone le uova dalle quali, dopo circa due mesi, nascono i piccoli rivestiti di un fitto piumino.

Le qualità degli uccelli: rapaci, passeracei, gallinacei, palmipedi, corridori, granivori, acquatici, insettivori, notturni, diurni, migratori, sedentari, canterini, implumi, lenti, veloci, grandi, leggeri.

Le azioni degli uccelli: cinguettare, cantare, schiamazzare, stridere, pigolare, volare, migrare, nidificare, deporre, covare, imbeccare, costruire, saltellare, beccare, razzolare, raspare, bezzicare, frullare, saltellare.

Passeri sulla neve

Il passero pigola tra le fronde sempre verdi e fa capolino dalla volta di un tegolo, rannicchiato, irsuto come un riccio. Poveri passeri! Li vedete fatti dalla necessità doppiamente domestici, spiccarsi tratto tratto dai comignoli, venire a stormi dalla campagna tutta coperta, svolazzarvi tra le gambe, cercando qualche cosa da beccare. Intanto qualche pietosa bimba sbriciola agli affamati uccelletti il panino della sua  colazione. (A. Stoppani)

Lo scricciolo (racconto)

Passavo presso una cascina leggendo. D’un tratto mi vidi a lato un bimbo che teneva in mano un uccellino così piccolo come non ne avevo veduto nei miei paesi.

– Eccoti due soldi, me lo dai? – Non se lo fece dire due volte. Prese la moneta e si allontanò correndo. Povero uccellino! Non era più grosso del mio pollice; grigio, con un becco fino e acuto, ancor lattiginoso agli angoli. Doveva essere appena fuggito dal nido. Ad un tratto mi scappò di mano, mandando degli acutissimi “ci!” “ci!”  e battendo le ali così rapidamente che pareva un grosso insetto. Ma non potè sostenersi e scese a terra subito. Io lo raccolsi e lo portai a  casa. Perchè non lo posi sopra una siepe? Lo lasciai svolazzare per lo studio tutto il giorno; non poteva camminare, avanzava a piccoli salti come un ranocchio; il suo color grigio anche lo faceva somigliare ad un piccolo rospo.

Si appendeva alle tende e a piccoli salti giungeva alla cima. Lo imbeccai e lo posi a dormire nella bambagia. Al mattino il suo grido, simile al cigolio del manico di un secchiello, mi svegliò. Era appeso alle tende e guardava fuori dai vetri. Aprii le finestre: appena vide uno spiraglio prese il volo, ma cadde sul balcone. Lo raccolsi e gli tarpai le ali leggermente. Volle spiccarsi di nuovo, si slanciò verso le vetrate, verso la libertà e la luce, ma cadde sul tavolino. Che cosa crudele!

Perchè? Speravo che si addomesticasse.

E non volò più, anzi non si mosse più. Incominciò a socchiudere gli occhi leggermente. Come è triste ciò! Le palpebre diafane si appesantivano: le piume si arruffavano, si raggomitolavano. Io lo scaldavo con le mie mani e le sue pulsazioni erano rapidissime, interrotte spesso da scosse che dovevano essere fortissime per quel corpicino.

Dovevo uscire per le mie occupazioni. Lo posi nella sua bambagia ed egli vi si ficcò tutto sotto, come sotto le ali di una madre per morire in pace.

Presto tornai. Ero assediato dall’idea della piccola vita prigioniera e moribonda; giunto a casa fui pronto a sollevare il piccolo strato di bambagia… Era rigido. (G. Cena)

Il colpo di fucile

Fu allora che il cacciatore lasciò andare una schioppettata. Le anatre, fra grida di spavento, fuggirono sui campi e per qualche minuto si udirono richiamarsi alla lontana, fino a che, riunite in due squadre, dileguarono lungo il fiume. Solo due mancarono all’appello: erano rimaste là, sul greto fra le canne. (F. Tombari)

Gli uccelli insettivori

La vegetazione ha i suoi nemici ed i suoi amici. Sono suoi nemici certi insetti, che rodono le gemme, le tenere foglie, i fiori. Per fortuna, vi sono gli uccelli insettivori, che si dividono il lavoro nei campi, nelle siepi, nei boschi, negli orti, e fanno una guerra continua a tutti i bachi che distruggerebbero i nostri raccolti. Essi, con la vista acuta, con la pazienza, e senza altra occupazione che quella, fanno un lavoro che sarebbe assolutamente impossibile senza di loro.

Gli uccelli

Fortunati gli uccelli! Essi sono liberi di percorrere a volo le infinite vie del cielo. Ne conosciamo moltissimi: uccelli da preda come le aquile e i falchi, i gabbiani che vivono in riva al mare, le rondini che emigrano in autunno e tornano in primavera, le cicogne del becco lungo e dalle lunghe zampe, i pappagalli, le gazze che rubano tutti gli oggetti lucenti, le civette ed i gufi che vivono di notte, e tutti gli uccelli che cinguettano, trillano, fischiano, come i passeri, i cardellini, i pettirossi, i canarini, gli usignoli, i merli , i fringuelli, e molti altri.

Gli uccelli pesanti non possono volare. Conosciamo il gallo e la gallina, le oche, le anatre, i tacchini e i pavoni. Lo struzzo è un grosso uccello dalle gambe robustissime che corre velocissimo nei deserti e nelle savane dei paesi caldi. Le anatre sanno anche volare e così altri grossi uccelli come i fagiani e le pernici.

Uccelli

Dall’alba all’ora di notte è un turbinio continuo di ali e un solo clamore di vocine forti, brevi e pungenti, sempre di una misura. Passeri, certo; e devono convenire qui da tutte le grondaie del vicinato come i bimbi in un pubblico giardino. Però fra loro c’è anche qualche uccello forestiero, venuto chissà da dove; questo che gracida asprigno a modo di  raganella, quest’altro che tenta un gorgheggio d’acqua sorgiva… (D. Valeri)

Le uova

Sono assai nutrienti, come lo è la carne. Sono un alimento animale perchè ci vengono fornite dalle galline. Nelle uova vi sono due parti: il tuorlo e l’albume. Il tuorlo giallo e denso, è la parte migliore. Assai buone sono le uova fresche, cioè appena deposte. Si possono però conservare per parecchie settimane mettendole nella sabbia o nella calce.

I passeri

E il nido del passero lo si trova da per tutto, vicinissimo alla casa dell’uomo in cui confida; sotto le tegole del tetto, tra le balle di paglia di un fienile, entro una piccola crepa del muro di cinta. Il passero è sempre lieto. Trova quasi sempre il chicco di grano o la briciola di pane che lo nutre, anche d’inverno: e quando sente la massaia chiamare i suoi polli per la quotidiana distribuzione del becchime, sempre il passero viene a rubacchiare qualcosa tra le zampe delle galline.

Il nido vuoto

Sotto la gronda c’è un piccolo nido in rovina. Pare una casina senza porta, una casina abbandonata. La famigliola che la abitava è andata lontano. E’ andata in cerca di sole. Fa freddo, ora, da noi. Le giornate sono brevi, la campagna è senza verde e senza fiori. Piove spesso. L’acqua penetra dalle tegole sotto la gronda. E il piccolo nido fradicio, abbandonato, si sfascia a poco a poco. (C. Dossi)

Gli uccelli nel periodo della cova

Durante il periodo della cova, la femmina rimane quasi sempre nel nido; se ne allontana solo per andare in cerca di cibo. Il maschio le rimane vicino, pronto a difenderla da ogni pericolo; e quando tutto intorno è tranquillo, esso canta per tenere allegra la sua compagna, per farle sentire la sua vicinanza. Finalmente, le uova si schiudono: i piccoli sono nati. Ma come sono brutti! Il loro corpicino è nudo, senza piume; gli occhi sono chiusi; la testa sembra enorme, in confronto all’esile collo; le zampe sono inerti. Però hanno un grosso becco ben aperto, dentro cui il padre e la madre si alternano ad introdurre il cibo: piccoli insetti, moscerini, che la madre prima frantuma col suo forte becco. Quei piccini sono affamati: come sono  buffi, coi loro testoni ritti, e coi beccucci spalancati… Ma, dopo pochi giorni, i piccoli prendono forza; il corpo si copre di leggere piume, ed essi possono cominciare a spiccare i primi voli, guidati, assistiti, protetti dalla madre, che ha un grido particolare per chiamarli quando ha trovato il cibo.

Se qualcuno, animale o uomo, assale i suoi piccini, essa li difende accanitamente, con un’abnegazione commovente. Alle volte, arriva ad offrirsi vittima di un nemico, pur di salvare i suoi piccini.

Dicono che quando scoppia un incendio in una casa di campagna, in primavera, i gemiti, le grida della rondine il cui nido è attaccato alla casa in fiamme, sono veramente impressionanti… La povera bestia non teme di attraversare le fiamme per volare in aiuto dei suoi piccoli: vuole salvarli, o morire con loro.

Quando i piccoli sono abbastanza forti per volare via, sfuggono ai legami della famiglia… e, poco curanti dei genitori, se ne vanno in qualche altra parte del mondo. Ma i genitori non si amareggiano per questo: riformano una nuova covata e ricominciano le cure, le sollecitudini, i sacrifici, che saranno ricambiati con così scarsa riconoscenza.

Nidi di uccelli

Molte sono le forme e diversi i tipi di nidi, che gli uccelli costruiscono con destrezza ed abilità. La starna e la quaglia si accontentano di semplici buche nel terreno, con qualche sterpo. Invece, presso i corsi d’acqua, il pendolino si fabbrica il nido a forma di fiaschetto e con finissima arte, intrecciando fibre vegetali all’estremità di un ramo sottile e pieghevole. Il picchio muratore non vuol essere da meno del suo nome: cerca una cavità del tronco di un albero, intonaca l’entrata con fango, lasciandovi solo una piccola apertura, e il nido è pronto. L’aquila, regina delle vette, naturalmente lo costruisce in alta montagna, nelle fessure tra le rocce. Le folaghe fanno i nidi galleggianti sull’acqua; le cicogne sui comignoli e sui rami nudi degli alberi. Chi si dà poca cura di fabbricarlo è il cuculo. Depone le uova nei nidi dei cardellini, dei merli e degli usignoli; e affida la covatura, la nascita e l’assistenza dei suoi grossi figli alle mamme degli altri piccoli uccelli cantori.

Tornano gli uccelli migratori

Nelle terre calde dell’Africa settentrionale le rondinelle, tutte chiuse nel loro bell’abito nero e bianco, si preparano a partire per il viaggio di ritorno, ora che è tornata la primavera.
Le rondini voleranno sopra deserti, mari, pianure, montagne. Un istinto meraviglioso le guiderà per migliaia di chilometri, e farà sì che esse riconoscano i nidi che ogni anno le aspettano.
Anche le gru, le anatre e le oche selvatiche, gli stornelli, i chiurli, le cicogne, le allodole, i vanelli e i falchi sono uccelli migratori.
Le gru cinerine, cioè di color cenere, volano formando nel cielo una grande V. Il loro volo è lento e maestoso. Lo sai che possono raggiungere perfino i 9.000 metri di altezza? Potrebbero cioè da sole, con il solo battito delle forti ali, posarsi sulla più alta montagna della Terra.
Le anatre selvatiche invece hanno un volo rapidissimo. Possono compiere in un’ora anche centoventi chilometri, quanti cioè ne fa un’automobile.
Gli storni invece formano in cielo delle grosse nubi nere, poichè volano in gruppi foltissimi e molto serrati.
Mettendo attorno alle zampe di alcuni uccelli migratori degli anellini di alluminio, con le indicazioni del luogo da cui ebbe inizio il volo, si è saputo, per esempio, che le cicogne dei paesi del nord Europa passano l’inverno nell’Africa del sud, dopo aver compiuto un viaggio di ben diecimila chilometri, senza neppure l’aiuto dei punti cardinali.

Come fanno ad orientarsi gli uccelli migratori?

Cose veramente straordinarie sanno fare gli uccelli migratori: si è notato per esempio che la rondine torna non solo nello stesso luogo, ma persino nello stesso nido che ha abbandonato l’anno precedente.
Come fa ad orientarsi in un percorso che è spesso di migliaia di chilometri?
Purtroppo non si è ancora in grado di rispondere con esattezza, e il problema dell’orientamento degli uccelli migratori rimane tuttora uno dei più appassionanti per la scienza moderna.
Si è supposto che gli uccelli sappiano calcolare per istinto l’angolo che la  loro strada deve avere in ogni istante rispetto alla direzione della luce solare.

Nidi

Non esiste tanta varietà di tipi nelle case degli uomini quanta ce n’è nei nidi degli uccelli.
C’è chi costruisce il nido sui rami sporgenti degli alberi, chi lo scava tra le zolle del terreno;  c’è chi si sceglie una cavità di un tronco, chi lo pone a galleggiare sull’acqua, tra i  canneti.
C’è anche chi, in mancanza di meglio, si fa il nido in una vecchia brocca o in una latta di benzina abbandonata; si sono visti nidi posti all’interno di cassette della posta o di pompe idrauliche usate poco di frequente.
Anche i materiali usati sono i più vari: da quelli di origine vegetale (muschi, pagliuzze, rametti, fili d’erba, pappi e semi lanosi) o animale (bioccoli di lana, peli, crini, tele di ragno) a quelli prodotti dalle attività dell’uomo (fili di cotone e di lana, straccetti, trucioli, pezzetti di carta).

Come nasce il nido di una rondine

Anche quest’anno, con l’arrivo della primavera, sono tornate le rondini e riempiono l’aria di allegri stridi e di voli. Sotto le gronde  dei tetti, nelle stalle, nei cortili, ritrovano i vecchi nidi, o li costruiscono nuovi se sono stati guastati dalle piogge invernali o dagli uomini, tanto che non vale più la pena di ripararli.
Hai mai osservato di che cosa sono fatti e come sono costruiti questi nidi? Vieni a vedere: una coppia di rondini sta costruendone uno proprio sopra la nostra finestra, sotto la grondaia. Le ho viste poco fa ispezionare il muro attentamente, tenendosi aggrappate ad una piccola sporgenza, e poi sono volate via. Eccole di ritorno. Ciascuna ha nel becco una pallina di fango molle, presa sul bordo di qualche pozzanghera. Hanno impastato il fango con la saliva ed ora, con abili colpi di becco, lo applicano al muro come farebbe un muratore con cazzuola e cemento. Attaccano una pallina dopo l’altra, inserendo fili di paglia e di erba nella malta per renderla più resistente.
A poco a poco il nido prende forma e, quando sarà ultimato, sembrerà una mezza tazza.  Non sarà molto bello, ma potrà resistere per anni e contenere la rondine quando cova i molti rondinini. (M. Leale Anfori)

La prima rondine

Verso la fine di marzo la prima rondine giunse sotto il tetto. Si aggrappò al nido, sbattè più volte le ali, poi riprese a volare nel cielo disegnando nell’aria ampi cerchi. Passò sul melo dell’orto, e subito dai piccoli rametti brulli sbucarono alcune gemmule. In un baleno, dai cartoccetti che bucavano l’aria come ditini, si svolsero i bianchi fiori, e il melo sembrò a tutti una bella nuvola caduta dal cielo nell’orto.
La rondine passò a volo sul pesco, che era nell’angolo dell’aia e sembrava avere addosso ancora tutto il freddo dell’inverno, e anche il pesco si ingemmò, giunse perfino sul mandorlo, là verso la collina, e col suo grido acuto la rondine lo risvegliò.
Poi sfiorò i prati e l’erba cominciò a tremare nell’aria col suo filo di un verde tenero; sfiorò le prode, e l’acqua sei ruscelli cominciò a scorrere tra i sassi; e le viole, sotto le larghe foglie, si destarono come per incanto, spandendo nell’aria il loro delicato profumo.
Volava, volava, la rondine, e cinguettava felice. (C. Bucci)

Tipi di nidi

Per covare le loro uova in tutta tranquillità e per assicurare ai loro piccoli una protezione efficace contro le intemperie e anche contro gli animali da preda, gli uccelli si costruiscono, con arte meravigliosa, un rifugio, caldo e sicuro, solido e confortevole, spesso elegante: il nido. I materiali con cui viene costruito, come pure la sua forma, variano notevolmente a seconda delle specie. Pezzettini di legno, festuche, muschio, crini di cavallo, lana, fibre di cotone, terra argillosa e altro, possono servire per la sua costruzione. E’ interessante notare che ogni specie ha, in una certa misura, la possibilità di adattarsi alle circostanze e di servirsi di materiali dei quali di solito non fa uso. Infatti, un uccello che costruisce generalmente il suo nido con fili di paglia e con muschio è capace, se non trova questi materiali nelle vicinanze, di usare licheni, stracci, pezzi di carta e perfino fil di ferro o addirittura molle di orologio. Esso può anche fissare il nido in luoghi insoliti: l’upupa, per esempio, che lo costruisce di regola nel cavo degli alberi tarlati, può all’occasione nidificare nelle cavità delle rocce, nei buchi dei muri e perfino nelle carcasse degli animali morti.
Tuttavia, come vedremo, ogni gruppo di uccelli si serve, solitamente, di materiali ben determinati, dà al suo nido una forma precisa, e lo costruisce in un posto definito.

Nidi a coppa e a cestino
Esistono nidi a forma di cestino: come i cestai, gli uccelli intrecciano fuscelli, crini o erbe, in modo da formare una specie di coppa, una cavità accogliente. Nella maggior parte dei nidi, tre strati ne formano le pareti: uno esterno, abbastanza grossolano, uno interno, morbido, fatto con erbe sottili, muschio, cotone, peli, piume, e un terzo, fra i due, costituito da materiali diversi. Il nido dei cardellini, per esempio, è rivestito all’esterno di muschio bianco e fili di ragnatela, mentre la rivestitura interna è costituita da crine, cotone di diverse piante, peli di cardo, erbe sottili e peluria.
I nidi a forma di coppa sono posti per la maggior parte sugli alberi o sugli arbusti e sono nidi di fringuello, di usignolo, di cardellino, di ciuffolotto, di capinera, di merlo, di canarino, di verdone, di fanello e di altri ancora. Il loro colore è tale che si confondono spesso con la scorza dell’albero e talvolta è molto difficile distinguerli dai nodi dell’albero o dei rami.
Alcuni nidi sono posti al livello del suolo, come il nido della gentile allodola, che consiste in una semplice buca scavata nei campi di grano o nei prati e rivestita di fili d’erba, di steli secchi e di radici. Altrettanto fanno la quaglia, la pernice e il fagiano. Talora, il nido è costruito in mezzo a piante acquatiche e perfino su una specie di piccola zattera: il nido della folaga nera, ad esempio, galleggia liberamente sulla superficie dell’acqua.

I nidi dei passeri e delle gazze
Alcuni uccelli costruiscono nidi a forma di palla, con una o due aperture laterali, che proteggono dalla pioggia e dal freddo meglio dei precedenti. Di tale tipo sono il nido del passero e quello della gazza. Il primo è una specie di palla voluminosa, un po’ grossolana, fatta di paglia, di fieno, di ramoscelli, di stracci, di lana, di pezzi di carta, con l’interno più soffice, tappezzato di piume. Quando però il nostro passero lo costruisce sotto una tegola o sotto il davanzale di una finestra, non si preoccupa più del tetto della sua abitazione, sentendosi, forse, protetto a sufficienza. Più complicato è il nido della gazza: la sua base, a forma di coppa profonda, è costruita con robuste bacchette (che possono raggiungere il metro di lunghezza e che talvolta sono piegate), con calcina, con fuscelli e con sottili radici; la cupola è composta di ramoscelli che si incrociano in modo da formare una volta a grata, che, però, è molto sicura perchè costruita sempre con rami muniti di uncini e di spine. Due aperture, abbastanza strette, permettono all’uccello di entrare e di uscire, ma sono insufficienti per difenderlo dai nemici di grosse dimensioni, come il corvo, la cornacchia  o il falco. A una certa distanza, questa costruzione di confonde con i numerosi rami della cima degli alberi e ciò contribuisce a proteggere i suoi abitanti. La gazza, inoltre, ha l’abitudine di cominciare molti nidi contemporaneamente, ma ne termina solamente uno, nel quale depone le uova; certamente fa ciò per sviare i nemici.

Gli uccelli tessitori
I nidi più stupefacenti sono senz’altro quelli costruiti dai cosiddetti tessitori, una specie di passeracei, i quali tessono i loro nidi con erbe molto flessibili, con piccoli rami, con radici, che intrecciano in modo da comporre un tutto molto solido, una specie di tessuto le cui maglie vengono incollate con saliva o con terra. La forma di questi nidi varia a seconda della specie, ma hanno sempre forma di una borsa con l’apertura in basso o sul fianco, e sono sospesi si rami di un albero, che ne può portare anche una quarantina. Il nido dei passeri del genere Cassicus, uccelli grandi come un corvo che vivono in Amerca, misura circa 1,20 m di lunghezza; è così solido che lo si può rompere a fatica, e tuttavia le sue pareti sono tanto sottili che lasciano scorgere le uova o i piccoli. Le fibre che lo costituiscono vengono strappate agli alberi dall’uccello stesso. Esso si posa su un ramo, ne pizzica la corteccia col becco, la stacca per qualche centimetro, afferra l’estremità così sollevata e vola via di fianco in un modo tutto speciale, in maniera da strappare delle fibre di una lunghezza da tre a quattro metri. Talvolta le fibre vegetali sono sostituite da crini di cavallo. Per la fabbricazione di tali nidi il passero impiega molto tempo e perciò questi uccelli utilizzano lo stesso nido per molti anni di seguito, riparandolo dopo ogni covata. La maggior parte degli uccelli tessitori abita le regioni molto calde; non di meno, se ne possono trovare anche nei Paesi piuttosto freddi o temperati. Così, nell’Europa orientale, vive un uccellino, il pendolino, il cui nido, sospeso sopra l’acqua, è una specie di borsa alta da 16 a 22 cm, col diametro da 11 a 14 cm e con un’apertura sul fianco che ricorda il collo di una bottiglia, per cui è detto anche “fiaschettone”. Per costruirlo, il pendolino sceglie un ramo sottile, inclinato verso il basso, che presenta una o più biforcazioni a poca distanza dal punto di origine; lo circonda di lana e talvolta di peli di diversi animali, capra, lupo, cane, o anche di filamenti di corteccia, poi tesse le pareti del nido fra le biforcazioni. Il pendolino è frequente anche nelle zone acquitrinose dell’Italia.

I nidi meno raffinati
Vi sono altri uccelli che semplificano il loro lavoro, accontentandosi di intrecciare semplicemente sterpi e rami d’albero. Così fanno le aquile, le cicogne e i corvi. Il nido dell’aquila reale è costruito con rami, alcuni dei quali hanno lo spessore di un braccio; il centro è occupato da fuscelli, da cortecce e da erbe secche. Appena completato, non oltrepassa i 25 cm, ma aumenta di volume col passare degli anni per l’apporto di nuovi materiali, così che può raggiungere le dimensioni di un metro e mezzo.
Anche il nido delle cicogne è grossolano. E’ costruito sui tetti, sui camini e sulle rocce con rami della grossezza di un dito, spine e zolle di terra più o meno erbose. La parte intermedia è fatta di fuscelli più sottili e di foglie di canna; l’interno, di erbe secche, di letame, di stracci, di paglia, di piume. Il maschio e la femmina raccolgono insieme i materiali, ma è la femmina che dirige il lavoro.
Il nido del corvo è abbastanza simile a quello della cicogna, ma più piccolo. Da lontano, assomiglia a una fascina: oltre ai rami, che possono raggiungere 40 cm di lunghezza, vi si trovano i materiali più vari: fili di paglia, lana, muschio, stracci e così via. La costruzione è molto solida e dura parecchi anni; così, quando il corvo l’abbandona, viene occupata da altri uccelli, come le poiane, i falconi, gli sparvieri. Alcuni uccelli, infine, come la cinciallegra, utilizzano i buchi degli alberi; altri, come l’usignolo, le cavità dei muri. Lo struzzo scava, semplicemente, una fossa nel suolo, cova le uova di notte, e le abbandona di giorno, dopo averle ricoperte di sabbia, che le nasconde e le protegge dall’intenso calore tropicale.
Una semplice cinta di  ciottoli costituisce il nido dei pinguini. Il cuculo, poi, depone le uova nel nido di altri uccelli e affida loro le cure della figliolanza.

Il nido dell’allodola

Eugenio, Riccardo e Silvio hanno scoperto un nido di allodola.
La madre era lassù in alto come perduta nel gran cuore azzurro del cielo; e cantava.
I tre monelli strisciavano nell’erba fino al nido.
La madre si precipitò su di loro come un sasso. Poi ebbe paura. Si fermò, cantando di dolore, sul loro capo.
Se ne andarono via a testa bassa, nascondendosi in seno i cinque pulcini caldi, pigolanti.
“Li nutriremo meglio noi”, disse Eugenio come per giustificarsi.
Sull’uscio di casa, li incontrò Rossana, la sorellina.
“Che portate?”
Ma Rossana non era tipo da perdersi d’animo. Li vide prendere l’ovatta, scendere in cantina, preparare una specie di nido, deporvi i cinque implumi.
“Ah, cattivi!” esclamò fra sè, “Il nido della mia allodola…”
Lasciò che i fratellini uscissero, scese in cantina, prese delicatamente i pulcini che pigolavano piano piano, e via di corsa per filari, finchè giunse al prato e al nido.
L’allodola volava come impazzita e cantava dolorosamente.
“Vedi, allodola, eccoli i tuoi bambini!” gridò Rossana, protendendo le manine al di sopra dei fiordalisi.
Si allontanò e l’allodola scese sui suoi piccini, a coprirli con le ali.
Rossana corse a casa.
I fratellini erano sempre fuori a caccia di mosche e di bruchi.
Quando si accorsero della scomparsa dei pulcini dell’allodola, cominciarono a strepitare.
“Chi ha preso gli uccellini? Chi è stato?”
“Il gatto” rispose Rossana, che era accorsa alle loro grida.
“Quale?”
“Quello nero”
“Ah, gattaccio!” e i tre fratellini cominciarono a inseguire il gatto, che scappò, spaventatissimo, soffiando.
Passarono i giorni.
Era una bella mattinata di sole; e delle allodole trillavano liete nel cielo
“Eugenio, Riccardo, Silvio, venite!” gridò Rossana.
I tre fratellini accorsero.
“Vedete quelle allodole?”
“Certo”
“Sono gli uccellini che voi avreste fatto morire. Sì, non era stato il gatto nero. Sono stata io a riportarli alla loro mamma”.
Le allodole continuarono a cantare; e i tre fratellini le guardavano, contenti che una sorellina gentile avesse loro impedito di distruggere un nido. (M. Lauri e G. Neri)

Nidi

Com’è piena di bisbigli l’aria di primavera! Hanno bisbigli le siepi in cui fiorisce il biancospino, con il buon profumo amarognolo che invita le api; hanno bisbigli gli alberi tutti rivestiti di foglie tenere e che non sanno resistere al vento… Quei bisbigli così miti, quei frulli d’ali improvvisi, dicono che, nei nidi, dei beccucci si aprono avidi in attesa dell’imbeccata materna. (A. S. Novaro)

La cova

Durante il periodo della cova, la femmina dell’uccello resta quasi sempre nel nido; se ne allontana soltanto per andare alla ricerca del cibo. Il maschio le rimane vicino, pronto a difenderla da ogni pericolo e tenerla allegra, per farle sentire la sua vicinanza. Finalmente, le uova si schiudono: i piccoli sono nati. Aprono subito il becco e la mamma e il padre si alternano per introdurvi il cibo e saziare quei piccoli affamati. (M. Menicucci)

Rondini

Quante sono quest’anno le rondini! All’alba e più al tramonto, fanno come una nobile trama nera in questo rettangolo di cielo. Sono pazze di volo, di allegrezza, di canto. Tagliano via l’aria, stridendo, con le ali tese e ferme: si riabbassano, riprendono respiro, indugiano; e poi si rovesciano, si tuffano a capofitto, scompaiono. (M. Valgimigli)

Le rondini

Le rondini fulminee saettavano il cielo, di cui sono navigatrici eterne. Vanno ora radendo il suolo, ora perdendosi nell’azzurro; volano sempre facendo intorno il vento, e seminando lo spazio di sibili acuti; e poi a un tratto, posano sopra un filo telegrafico o sulla punta di un parafulmine, ciangottando fra loro, senza stanchezza, senza sudore, linde linde e tutte raccolte nelle vele ammainate delle grandi ali e pronte a nuovi voli. (P. Lioy)

Uccelletti

Cinguettano i passerotti, volando vispi dai tetti ai cortili, dai cortili ai campi e nei frutteti dove matura tanta frutta zuccherina. Stridono le rondini, volando a stormi intorno al campanile, o intorno alle grondaie delle vecchie case; là sotto hanno costruito i loro nidi; e vi pigolano i rondinini.
Trilla l’allodola, nella mattina serena, e si alza alta nel sole nascente.
Gorgheggia l’usignolo, soavemente, nell’ombra degli alberi; e specialmente di sera, di notte… Ma allora i bambini dormono e non possono udirlo. (E. Graziani Camillucci)

Chiacchiericcio

Chi sa perchè gli uccelli sono sempre allegri? Cantano, pigolano, cinguettano, non stanno mai zitti. Senti che chiacchierio che fanno lassù, su quegli alberi? Ci deve essere festa a casa loro. Scommetterei che nei loro nidi son nati i piccini o stanno per nascere. Ecco perchè fanno festa!

L’uccellino

Un uccellino scende a volo da un albero dove stava a dondolarsi, fa pochi saltelli e si avvicina alla riva del fossatello dove si son formate delle pozze d’acqua.
L’uccello si accosta ad una di esse e beve, poi entra con le zampette nella pozza, vi tuffa le ali, la testina, una volta, due volte. Ora si risolleva e scuote le piume: si è pulito, si è rinfrescato. Prima di volar via dice grazie al fossatello con un garrulo cip cip.

Tempo di migrare

Ed ecco, se ne vanno. Malinconia di queste migrazioni, precedute da ripetuti raduni che essi fanno o presso i folti canneti o alle chiare fonti, o intorno al campanile della parrocchia, con chiacchiericci sommessi e commossi, che sono cenni d’intesa. Finchè un bel giorno, divisi per famiglie, fiutando vento valido, di mattina per tempo o sul far della sera, al comando di un capo che s’è guadagnata la fiducia, il raduno si leva, volteggia, si scompone, si ricompone, si serra, s’innalza, prende alta quota, altissima, e va. Chi sta sotto a guardarlo, vede la meraviglia di quel convoglio aereo. E il convoglio va, va finchè si perde come una nuvola vivente all’orizzonte. (C. Angelini)

Partono le rondini

Partite, rondini? Sembrate allegre, riunite a stormi e mai come stasera canterine! Il sole del tramonto vi bacia le lucide ali come a dirvi: “Arrivederci a domattina, in un altro cielo!”
E volate e rivolate intorno ai nidi che lasciate là, vuoti sotto la grondaia; e i vostri stridi sono di gioia, simili a trilli di bimbi che per la prima volta fanno un viaggio insieme al babbo. Di voi, infatti, molte sono al loro primo andare lontano, altre hanno già fatto più volte la strada, guidate dalle aurore rossastre dei mari. E chissà se queste torneranno ancora! La gioia dei rondinotti, assetati di fughe e di lontananze, è forse malinconia per le rondini anziane: la stessa malinconia di noi che siamo qui a salutarvi, a vedervi volare per l’ultima sera nel nostro cielo più terso che mai.
Salutiamoci, dunque, senza esser tristi. (G. Giusti)

Dettati ortografici UCCELLI – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici MAGGIO

Dettati ortografici MAGGIO – Una collezione di dettati ortografici sul mese di maggio, di autori vari, per la scuola primaria.

Maggio, bel maggio, maggio amor dei fiori! Ogni pianta, a maggio, ha il suo fiore, ed ogni fiore farà il seme e il seme darà la vita a una nuova pianta.

Maggio è forse, il più bel mese dell’anno. Tutte le piante sono in fiore, qualche albero già prepara il suo frutto. Il grano ha messo il suo fiorellino. Il cielo è quasi sempre azzurro, la temperatura è mite, il sole splende e manda i suoi raggi a riscaldare la terra.

Quante rose a maggio! Rose semplici con cinque petali,  rosi grandi, doppie, rose rosse, rosa, bianche, gialle. Rose nei cespugli, arrampicate sui cancelli, rose nei giardini e sulle siepi.

Sopra il muretto del giardino fa capolino una rosa. E’ una rosa rossa, profumata, che si dondola nell’arietta tiepida. Bella rosa,  tu sei la regina di maggio!

Il grano ha fatto la spiga. E’ ancora una spiga verse, senza granelli, ma presto diverrà piena, pesante e sotto il sole caldo sarà tutta d’oro. E’ il pane di domani.

Fra il grano verde c’è tutto uno sfarfallio di rosso: sono i rosolacci che crescono fra le spighe. E fra i rosolacci c’è anche qualche macchia azzurra: sono i fordalisi che hanno il colore del cielo di maggio.

Fra i rami del ciliegio già rosseggiano i rossi frutti che sembrano tanti cuoricini appesi ai rami. Le ciliege sono buone, piacciono ai bambini, ma piacciono anche ai passeri che vanno a beccarle, golosamente.

Le rose sono sbocciate. Fioriscono sulla siepe, sui cespugli, sui muri. La rosa è la regina di maggio. Tutta l’aria è piena del profumo delle rose.

Ancora una! Ancora un’altra! Invincibile tentazione… La ciliegia ride scaltra: mangia, mangiami, ghiottone!

Le rose fioriscono sulle siepi, nei giardini, nei vasi che si tengono sui davanzali. Sono rose rosse dai petali di velluto, rose di color rosa come le guance dei bambini, rose bianche come la cera, che stanno bene sulla tavola apparecchiata.

Maggio è il mese delle rose e ogni pianta di rosa mette il suo bocciolino e fa sbocciare il suo fiore profumato.

Maggio è il mese più bello dell’anno. La campagna è piena di fiori, le spighe diventano dorate, il  cielo è azzurro e solo qualche nuvolone bianco, talvolta, vi naviga lento.

Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e afferrano al volo fiocchi di bambagia e di lanuggine per fare il nido più morbido e caldo.

 Com’è bello il mese di maggio! Quanti fiori, quante rose! Si sente una gran gioia nel cuore, un gran bisogno di correre e di saltare all’aperto, di respirare l’aria pura a pieni polmoni. (G. Ugolini)

Maggio è il mese più bello dell’anno: la campagna è piena di fiori, le spighe sembrano  un mare verde, il cielo è azzurro e il sole caldo, ma non ardente. Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e afferrano, a volo, fiocchi di bambagia per fare il nido più morbido e più caldo. (G. Vaj Pedotti)

Dai folti e verdi cespugli, le rose mandano il loro intenso profumo nell’aria scossa dai dolci rintocchi delle campane. Trionfo di giovinezza e di colori, di fiori e di sole. I ciliegi piegano i loro rami gremiti di frutti vermigli; i bambini, chini sui libri per l’ultima fatica,  guardano invidiosi i garruli voli delle rondini e le danze delle farfalle in pieno sole. Di maggio la gioia canta anche tra le ombre notturne: sotto il cielo inghirlandato di stelle, l’aria è densa di molti profumi e di armoniosi pigolii. L’albero del melo, ultimo a fiorire nell’orto, si ingemma, tra le corolle bianche venate di rosso, di vivide lucciole. (L. Rini Lombardini)

Maggio è il mese in cui più attivo e quasi febbrile si fa il lavoro: nel campo continuano le sarchiature e si iniziano le rincalzature e i trapianti, mentre nei prati comincia la falciatura delle erbe foraggere; si vedono vigne ordinate, orti sistemati con arte e pazienza. Il grano è ormai alto e in qualche luogo si comincia già a vedere la spiga e si odono i canti dei contadini al lavoro: è la primavera che fa cantare gli uomini mettendo loro la gioia nel cuore.

A maggio l’orticello è una bellezza. L’insalatina ha disteso il suo tappeto di un verde tenero. Le cipolline, a due a due, fanno compagni alle piante che ingrossano sottoterra. I piselli dall’alto della pianta mostrano i baccelli già maturi che si nascondono tra le foglie. Il prezzemolo, la salvia, il basilico confondono i loro odori: e su per il muricciolo le piante dei fagioli a fiori bianchi e rossi. Intanto in un angolo, tra le foglie, le fragole sono già mezzo rosseggianti. Una capinera sulla cima di un gran pesco canta ai piccini la canzone di maggio. (Bollini)

A maggio i giardini sono tutti in fiore, sono tutti una festa di forme, di colori, di profumi. Le rose sono le grandi regine: rose rosse, bianche, gialle; rose dai petali vellutati, rose ancora in bocciolo, rose tutte fiorite, che piano si sfogliano, esalano nell’aria il loro profumo e, un poco superbe, si difendono con le spine. I giacinti bianchi, azzurri, rosei, color lilla levano gli steli robusti e portano fiori fitti fitti. Gli anemoni hanno tinte così vivaci che tutta l’aiuola sembra un invito alla gaiezza. Sul muro, dove cresce rampicante, già odora il delicato gelsomino e i gigli sono già alti, già mostrano al sommo i boccioli duri, ancora un poco verdastri, da cui presto sbocceranno i fiori dal purissimo candido colore.

Non c’è rosa che a maggio non sbocci: rose grandissime nei giardini, fortemente profumate, semplici rose di siepe che subito si sfogliano. Ce ne sono di tanti colori, dal rosso così cupo che sembra quasi nero, al bianco così candido che sembra neve. E tra questi due colori, tutte le tinte, dal rosa camicino al giallo zafferano, dal rosso violento, al bianco cereo. Rose nei giardini, nelle siepi, nei cespugli, rose ad alberello, a spalliera, rose rampicanti che arrivano sul tetto. E profumi d’ogni intensità. (M. Menicucci)

E’ bello sostare sul prato di maggio. Il profumo dell’erba novella e dei fiori freschi ti riempiono di fragranza: la vista delle pecore mansuete che brucano e il pastore che zufola o intaglia ti allieta e ti fa amare la vita. Bisogna sostare sul prato di maggio per temprarsi le membra e per rinfrancarsi l’anima. Questo è il mese più adatto. Beato chi se lo può godere sui prati fioriti e festosi. (G. Fanciulli)

Era il mese di maggio. Ed era così sull’imbrunire. Il vecchio pastore, sdraiato sull’erba, guardava le sue capre, tutte raccolte entro il cerchio di pietroni che, là, a mezza valle, servivano per l’addiaccio dei greggi migranti. Alcune dormivano già; altre, accosciate, volgevano il capo, tendevano il muso pigramente di qua e di là, a fiutare gli odori della sera; poche erano ancora in piedi, ma tranquille, mansuete, e come attonite nell’incantata immobilità dell’aria azzurra, venata d’oro. Il cane spinone, fatto il suo ultimo giro, veniva ora ad accucciarsi ai piedi del padrone, fissandolo coi suoi caldi occhi d’ambra e d’amore.

E’ spiovuto. La natura è tutta fresca, raggiante. La terra sembra assaporare con voluttà l’acqua che le dà la vita. Si direbbe che la pioggia ha rinfrescato anche la gola degli uccelli. Il loro canto è più puro, più vivo: tutto uno squillo. Vibra a meraviglia nell’aria, divenuta anch’essa tutta sonora. Gli usignoli, i fringuelli, i merli, i tordi, i rigogoli, i reattini cantano a gara, come pazzi di gioia. Lo strillo di un’oca, stridulo come trombetta, accresce, per contrasto, l’incanto. Innumerevoli meli fioriti appaiono, di lontano, sfere di neve. I ciliegi, candidi anch’essi, scattano su in piramidi o si spiegano in ventagli di fiori. A volte, gli uccelli sembrano come intesi a produrre quegli effetti d’orchestra, in cui tutti gli strumenti si confondono in una massa di armonia. (T. Gautier)

Al crepuscolo appaiono i pipistrelli, razziatori di insetti notturni dal volo rapido, fulmineo. Il grillo tenta i suoi primi accordi che dureranno intensi e continui tutta la notte. I ranocchi iniziano i loro notturni richiami mentre la lucciola, accesa la sua lampada,  perlustra le rive in cerca di lumache. L’aria si fa fresca: la rugiada scende a ristorare animali e vegetali; le stelle guardano dagli alti silenzi del cielo. E’ la notte. (P. Segnali)

In maggio si fa il primo taglio dell’erba per ottenere il fieno maggengo. L’erba dei prati è alta e basta un soffio di vento perchè si pieghi, scompigliandosi. Farfalle e api volano di fiore in fiore in cerca di nettare. Poi un mattino il contadino falcia il prato. In pianura, dove i prati sono vasti, si adopera la falciatrice, una macchina; in collina e sulle montagne, nelle zone non troppo alte, coltivate, dove i prati sono irregolari, talvolta su pendii ripidi, il contadino adopera la falce. Ogni tanto l’affila… L’erba viene recisa, stride, cade e vien lasciata seccare. Cadono anche i fiori, grandi e piccini e, seccando, perdono i loro bei colori, si fanno spenti, quasi grigi. L’erba diventa fieno e quando il fieno è ben asciutto, viene ammucchiato con i rastrelli e raccolto sui carri.

A maggio la spiga è già formata; la piantina si alza esile e diritta con le foglie strette, verdi. E’ così dritta perchè i chicchi non sono ancora maturi. Osserviamoli: sono molli, bianchicci, lattiginosi. Ci penserà la terra con i suoi umori che le radici della piantina succhiano continuamente a renderli grossi, gonfi, turgidi, e il sole, che si fa sempre più caldo, a renderli dorati. Allora, nel mese di giugno, la spiga non potrà più tenersi diritta, si curverà, contenta, per il peso dei chicchi.

Tutto il grande campo di grano color verderame era zeppo di spighe diritte; lassù, nel cielo azzurro, c’era il sole raggiante e tutte le allodole cantavano dallo spuntare dell’alba fino a sera. Dopo il tramonto, la rugiada cadeva dolce come un’onda rinfrescante sul grano infiammato dal sole e la grande luna d’oro splendeva mitemente sui campi che maturavano. (G. Joergensen)

Con gli uccellini che frequentano a primavera inoltrata il  vecchio pino dell’orto credo che si potrebbe popolare un bel boschetto. Dall’alba all’ora di notte un turbinio continuo d’ali e un solo clamore di vocine forti, brevi e pungenti, sempre di una misura. Passeri, certo; e devono convenire qui da tutte le grondaie del vicinato come bambini in un giardino pubblico. Però tra loro c’è anche qualche uccello forestiero, venuto chissà da dove; questo che gracida asprigno a modo di raganella, quest’altro che tenta un gorgheggio d’acqua sorgiva, o quest’altro ancora che cigola acuto e monotono. Lanciano ogni tanto il loro verso strano tra l’interminabile gridio dei passeri, ma subito tacciono, sopraffatti e confusi. (Diego Valeri)

A maggio non basta un fiore! Ne vuole tanti sulla siepe, sui cespugli, nei prati, fra le fessure dei muri. Tutto è in fiore a maggio: la pianta curata dal giardiniere e la piantina che si sforza di crescere sul bordo della strada. La fioritura a maggio è legge per tutte le piante. Perchè una pianta nasce, cresce, si nutre? Per fiorire, per obbedire alla gran legge della natura. Credete che il fiore sia soltanto bellezza? Se fosse così, la pianta potrebbe forse farne a meno. Invece no, deve fiorire per preparare il seme. Deve pensare alla discendenza, e suo dovere è quello di far sbocciare il gran fiore e il minuscolo fiore di campo che solo un’ape operosa conosce. (M. Menicucci)

Ora che siamo in maggio e le rose sono tutte in fiore, nell’aria si sente un gran brusio. Le api vanno e vengono frettolose, infaticabili; e sembrano d’oro nel sole d’oro. Vanno a fare il loro bottino di polline e di nettare nei calici dei fiori che portano alle loro casette, dove lo trasformano in cera e in miele, il bel miele biondo in cui pare siano racchiusi tutti i profumi e tutta la luce di un giorno di primavera. (G . Zanetti)

Maggio è il mese più bello dell’anno. La campagna è piena di fiori, i campi di frumento sembrano un mare verde, il cielo è azzurro e il sole caldo, ma non ardente. Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e cercano e afferrano a volo fiocchi di bambagia per rendere il nido più morbido e caldo. (M. Menicucci)

Maggio si presenta inghirlandato di rose. Non vi è giardino che non offra al nostro occhio la splendida fioritura della regina dei fiori. Rosse, ardenti come il fuoco, scarlatte come i tramonti sereni, rosa come pallide aurore, bianche come le nevi splendenti dell’inverno, gialle carnicine, le rose presentano una ricca tavolozza. La primavera vi attinge i colori più belli per dipingere i sogni dei bambini felici. (G. G. Moroni)

Tutto è in fiore a maggio. La pianta ha atteso tanti mesi, ha succhiato l’umore della terra, ha respirato tanto ossigeno dall’aria, si è fatta grande, robusta, bella. Perchè? Per dar vita al fiore. E’ venuto maggio e il fiore è sbocciato. Gli insetti sono accorsi, hanno succhiato, ingordi, il dolcissimo nettare e, così facendo, hanno trasportato il polline da un fiore all’altro. Il miracolo si è compiuto. Il fiore diventerà frutto, seme, vita! E maggio, ridente e rigoglioso, passa sui campi, sui giardini, sulle siepi e dappertutto lascia un fiore, il profumato segno del suo passaggio. (M. Menicucci)

Maggio è il mese dei nidi, le piccole case degli uccelli. Forse ci domandiamo come le piccole creature alate riescano a costruire case tanto perfette. Il fatto è che più che con le ali, con il becco e con petto, gli uccelli costruiscono il loro nido con il cuore, perchè è destinato ad accogliere i loro piccoli nati. Essi amano i loro figlioletti ancora prima che nascano: come le mamme ed i papà di tutti i bimbi che vivono sulla terra. (G. G. Moroni)

Maggio è forse il più bel mese dell’anno. L’aria è tiepida e profumata, i prati sono fioriti, le siepi non mostrano più i loro rami spinosi. Gli uccellini gorgheggiano. E’ ora di fare il nido. E se talvolta qualche nuvolone soffice e candido vela l’azzurro del cielo, è un broncio che passa presto: il cielo torna subito a sorridere. (M. Menicucci)

Nelle risaie a maggio  incomincia la monda. I campi si sono riempiti di erbacce ed è necessario strapparle perchè non danneggino gli steli preziosi. E’ un lavoro pesante, che obbliga a stare per parecchie ore chini, con le gambe immerse nell’acqua. Per lo più viene espletato da giovani donne reclutate per questo lavoro nelle regioni vicine. (G. G. Moroni)

La rosa è celebrata tra i fiori come la regina della bellezza. Nella rosa c’è tutto: forma, colore, odore. Anche gli altri fiori sono belli: non esiste un fiore brutto, ma nessuno è bello come la rosa, bello e perfetto. A qualche fiore, che pure sopravanza la rosa per bellezza, manca il profumo; a qualche altro che ha un soave profumo, manca il colore. Qualcuno ha un odore acutissimo, ma un aspetto modesto: solo la rosa è perfetta, completa, regina. (M. Menicucci)

Una nota di rosso tra il verde delle erbe e delle foglie: sono le ciliegie che abbiamo guardato maturare, pregustando la gioia di coglierle. Se ne sono accorti i passeri, che vanno a beccare golosamente le palline pienotte e rilucenti per essere i primi a godere della primizia. Vorremmo seguire il loro esempio, ma noi… non abbiamo le ali. (G. G. Moroni)

La campagna è tutta in fiore. Gli alberi si sono ormai rivestiti di foglie, il grano è già alto e fa la spiga. Sulle siepi sbocciano le rose selvatiche, di un colore delicato e gentile. Maggio è, forse, il più bel mese dell’anno. (M. Menicucci)

Maggio è il mese delle rose e delle fragole. Negli orti prorompono i piselli, le fave, le prime zucchine, e spandono i loro aromi casalinghi e buoni il prezzemolo, il basilico, la salvia, la maggiorana. Ronzano le api. le cetonie. le libellule. le coccinelle: tutti gli insetti, insomma. che sembrano gioielli smaltati che volano. (F. Palazzi)

Gli alberi hanno perduto tutti i loro fiori. Ma se guardate attentamente fra i rami, al posto dei fiori vedrete certi piccoli frutti verdi, duri, che chiedono solo un po’ di sole e un po’ di caldo per diventare grossi, morbidi, succosi. Il fiore è bello, ma il frutto è bello e buono e ognuno di essi ha la sua stagione. (M. Menicucci)

Mattino di  maggio. A poco a poco le stelle si spengono nella luce del giorno nascente, il cielo luminoso s’inarca, piccole palle di nuvole volano alte nella luce; nuvolette rosee e tonde sopra gli oscuri corpi dei monti. Anche gli uccelli si mettono a cantare, cinciallegre e zigoli; tutt’ a un tratto c’è una quantità di uccelli fra i rami dei cespugli. Altri s’innalzano dai campi; le loro piume improvvisamente s’accendono nella luce; cantano, ricadono a terra. Poi il sole alza il suo capo abbagliante sopra la montagna e incede maestoso, e tutta la vastità del cielo si riempie del suo splendore, cielo e terra. (K. Waggerl)

Fiori di maggio. I contadini hanno approfittato dei giorni asciutti per tagliare il maggese; il frumento s’è legato alto, mettendo la spiga: ai lati delle strade ha fatto ritorno la capricciosa ombra delle robinie; e ogni albero di gran fruscio palpita, frulla, cinguetta, per via degli uccelli indaffarati a preparare  i nidi. Che respiro, che gioia, quando maggio sta per entrare in giugno… Rose ne trovo dovunque; ben condotte lungo fili di ferro sui muretti delle casine rustiche, ben curate negli orticelli, fra le lattughe, i porri e le camomille: quasi tutte di quel roseo vinoso proprio delle vere rose di maggio, che tengono sempre, ronzante tra i petali, una cetonia vorace. Il loro odore si mescola a quello dei fieni di fresco recisi, riposanti in ondulate strisce sui prati nell’attesa di venir raccolte sui carri; e ad un altro, che non so definire, di polvere della strada, di siepi selvatiche, di more acerbe, di snelli corpi infantili in corsa: di terra, d’aria, di sole: non so. (A. Negri)

Comincia a far caldo. Il sole si alza sempre più presto e tramonta sempre più tardi. L’aria è piena di profumi. E’ la festa dei fiori e della loro regina che è la rosa.  Le spighe del grano già ondeggiano e si piegano sotto il peso dei chicchi. Le viti sono fiorite e cominciano a mettere in mostra i grappoli ancora acerbi.
Talvolta si ode brontolare il tuono e scoppiano improvvisi i primi temporali. (S. Pezzetta)

Nessun mese è così verde e così fiorito come il dolce mese di maggio. L’erba è già alta, piena di fiori, di profumati odori, di api, di vespe, di calabroni, di grilli, di coccinelle. Pare che il prato parli, danzi e canti. Ma, soprattutto, il campo è in gran lavoro. Tutte le piante sono coperte di foglie, che catturano i raggi del sole, fabbricano zucchero e lo spingono verso i mille e mille piccoli frutti verdi che devono maturare.
Le ciliegie rubizze, le profumate fragole sono già mature. Sugli alberi dei frutteti e dei boschi sono nascosti mille nidi, ove le madri covano silenziose. E tutta la campagna canta. (M. Comassi)

Dettati ortografici MAGGIO – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Tutorial fiori in feltro

Tutorial fiori in feltro – Un tutorial fotografico per imparare a realizzare fiori di feltro con la tecnica dell’infeltrimento con acqua e sapone. Non si tratta di un fiore in particolare, ma di “un’idea di fiore” che si costruisce, come avviene davvero anche in natura, con la luce ed  il calore che insieme portano alla formazione prima del bocciolo, e poi del fiore.

Con questi fiori possiamo realizzare fermacapelli, spille per giacche, collane, braccialetti, segnalibri, ferma tende, cinture, coroncine da principessa per le bimbe ecc… o anche semplicemente fiori sullo stelo per il tavolo delle stagioni.

Anche a prescindere  dal valore che può avere l’oggetto finito, e ci sono veri artisti del feltro,  penso che la manualità creativa che porta a realizzare piccole cose non in serie sia anche per gli adulti  un’importante esperienza sensoriale e meditativa, e per questo il tutorial punta a creare una situazione da risolvere solo nel momento non prevedibile dell’apertura del bocciolo: dipenderà dai colori scelti, dalla grandezza e dalla forma  assunta dalla lana nel bocciolo, dallo spessore, dai bordi regolari o irregolari,  dal vostro modellare e tirare il feltro in un modo o nell’altro, quale fiore avrete creato.

Considerare solo il  tempo che richiede realizzare un fiorellino così, può farci capire quale ne sia il vero valore per chi si è cimentato.

Materiale occorrente:

– lana cardata colorata verde, gialla ed in altri colori a scelta
– sapone di marsiglia meglio se all’olio d’oliva (ma si può usare anche detersivo per piatti) e acqua bollente
– una stuoietta (tipo quelle da sushi, ma si può usare anche un pezzo di arella rotta o simili, o in alternativa anche un pezzo di plastica a bolle) e un asciugamano
– mattarello
– una matita
– eventualmente fil di ferro, elastico per capelli, spilla, ecc..
– ago e filo per assemblare fiori e foglie, e altri eventuali elementi

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Come si fa:
Mettere sulla stuoia delle nuvolette di lana asciutta nei colori che preferite (io ho scelto verde, rosso, arancione e giallo). La nuvoletta può essere di qualsiasi dimensione, e tenete presente che con l’infeltrimento diventerà molto più piccola; la mia era all’inizio circa 20 cm, ed al termine circa 11cm:

Cominciate a massaggiare coi polpastrelli, con movimenti circolari, bagnando le mani con l’acqua calda ed insaponandole più volte:

Ripete da entrambe le facce, rivoltando la nuvoletta più volte; questo lavoro può richiedere 3 minuti circa:

Ora arriva la fase della follatura, che può richiedere 15 – 20 minuti (tenendo presente che più si lavora, più il feltro sarà di buona qualità.
Alternativamente facciamo le seguenti operazioni, e durante ognuna di questa operazioni spostiamo la nuvoletta in ogni senso (vedrete infatti come la lana “si accorcia” sempre nel senso in cui la arrotoliamo, quindi se variamo i sensi, avremo un feltro omogeneo):

rulliamo la lana nella stuoia, premendo, prima con leggerezza per non spostare i colori, poi via via sempre più forte

premiamo sulla stuoia ruotando il mattarello, sempre prima con leggerezza per non spostare i colori, poi via via sempre più forte

usiamo come mattarello una matita, avvolgiamo la nuvoletta e ruotiamo premendo con forza.

E’ anche importante, di quando in quando, tirare la nuvoletta lungo i bordi, per ottenere un feltro più compatto, prezioso e sottile:

Questo è il mio fiore dopo tutti i maltrattamenti subiti:

Ora possiamo accartocciare la nuvoletta come a formare un germoglio, poi la ruotiamo tra le mani e premendo leggermente, rigirandola molto velocemente (attenzione a non esagerare, altrimenti vi sarà impossibile aprirlo…):

Passiamo alla fase più divertente e creativa; apriamo il germoglio e (il trucco è pensare a un fiore) per prima cosa inseriamo il pollice all’interno e tiriamo i petali; poi osservando attentamente, possiamo decidere come aprire, tirare o arricciare i petali, accentuare il calice (si può inserire la matita e premere) ecc…

Mentre il fiore si asciuga, facciamo utilizzando la stessa tecnica qualche foglia:

Ed ora possiamo decidere cosa fare del nostro fiore…
Per realizzare un fiore sullo stelo, avvolgiamo la lana verde asciutta intorno a del fil di ferro modellato a piacere (avvolgendo fino all’ultimo peletto finale, la lana si blocca da sola). Poi, se volete, passare su tutto lo stelo dell’acqua e sapone, massaggiando leggermente

Montate a vostro gusto, fissando gli elementi con punti invisibili dati con ago e filo:

Per realizzare una semplice decorazione, una spilla, un fermacapelli create la composizione di fiori e foglie, fissate con ago e filo, e aggiungete sul l’eventuale elastico, cerchietto, molletta, spilla scelta:

La composizione può essere puoi cucita su una corda di feltro, che si prepara così:

– predisponete una lunga striscia di lana asciutta, ricordando che tutte le aggiunte in lunghezza possono essere fatte solo finchè la lana è asciutta.

– bagnando ripetutamente le mani con acqua calda e sapone, cominciare a ruotare la lana sulla stuoia, con leggerezza e calma, fino a bagnare tutta la lunghezza. Tornare all’inizio della striscia e ricominciare, e così più volte, aumentando progressivamente la pressione. Ogni tanto appallottolare tra le mani, girare premendo, poi distendere e tirare la striscia con forza… almeno un quarto d’ora di lavoro, per un  buon feltro.


Montando i  fiori sulla corda di feltro, come già detto, potrete realizzare svariati oggetti ed accessori…

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Dettati ortografici FESTA DELLA MAMMA

Dettati ortografici FESTA DELLA MAMMA – Una raccolta di dettati ortografici di autori vari sulla mamma e la sua festa, per la scuola primaria.

La mamma
Ogni volta che temo di rintracciare nel passato le impronte della beatitudine, mi rivedo accanto alla mamma nei pomeriggi d’inverno quando calava presto la notte, seduti a una stessa tavola, sotto la luce quieta che veniva dal globo di vetro appannato del lume a petrolio. Lei, tutta rinvoltata in uno scialle di lana celeste, cuciva con l’ago o con la macchina; io appiccicavo sopra un foglio grandi farfalle azzurre di carta… La strada era silenziosa, in casa non c’è nessuno all’infuori di noi due, soli, soli, vicini vicini, al riparo dal vento, dal freddo, dal buio, e io mi sentivo salvo e sicuro sotto la protezione della luce colma della lampada e degli occhi potenti e lucenti di mia madre. (G. Papini)

La mamma
Mi rammento che, quando ero stanco di correre, andavo a sedermi dinanzi alla tavola del tè sul mio alto seggiolino. Era già tardi… e gli occhi mi si chiudevano dal sonno; ma non mi muovevo: restavo lì fermo e ascoltavo. Come non ascoltare? La mamma parla con alcune persone… La guardo fisso fisso con gli occhi offuscati dal sonno e ad un tratto ella diventa piccina piccina: la sua faccia non è più grande di uno dei suoi bottoni, ma la distinguo nettamente e vedo che mi guarda e mi sorride… Chiudo ancor più le palpebre ed ella diminuisce, diminuisce… Ma, ecco, mi sono mosso e l’incanto è rotto. (L. Tolstoj)

La mamma
Vi è un nome soave in tutte le lingue, venerato fra tutte le genti; il primo che suona sulle labbra del bambino; un nome che l’uomo maturo e il vecchio invocano con tenerezza di fanciulli nelle ore solenni della vita, anche molti anni dopo che non è più sulla terra chi lo portava. E’ il nome della mamma. (E. De Amicis)

La mamma
La mamma! Dicono che sia buona. Sarà. Per me si tratta della donna più misteriosa del mondo. Quando dorme?  Mah. Entro in casa dopo la mezzanotte e la trovo che fruga nei cassettoni. Se mi sveglio, anche prima dell’alba, la sento camminare leggera nella stanza o parlare sottovoce col mio fratellino.
Fa, inoltre, della magia: prepara, poniamo, la valigia.
“Ho messo  le maglie, i fazzoletti, le camicie…”.
Guardo, prima di chiuderla, e vedo le maglie, i fazzoletti, le camicie… e una grossa ciambella. Come? Quando?
Insomma questo agire nascosto a lungo andare impensierisce. Di giorno sta ore e ore in mezzo a cumuli di calze. Chi rompe tante calze? Non esageriamo, i buchi ce li fa lei per restare pomeriggi interi vicino alla finestra. (C. Zavattini)

La mamma
L’aringa fu ripulita, messa in un piatto, cosparsa di olio e io e mia madre ci mettemmo a tavola. In cucina, dico, col sole alla finestra dietro le spalle di mia madre avvolta nella coperta rossa e i capelli castani molto chiari. La tavola era contro la parete e io e mia madre seduti l’uno di fronte all’altro col braciere sotto e il piatto dell’aringa sopra, quasi colmo di olio. E mia madre mi gettò un tovagliolo, mi allungò un piattino e una forchetta, tirò fuori dal cassetto un grosso pane consumato a metà.
“Non ti importa se non stendo la tovaglia?” chiese.
“Oh, no” dissi io.
E lei: “Non posso lavare ogni giorno… Sono vecchia ora.” (E. Vittorini)

La mamma
Mamma. Nessuna parola è più bella. La prima che si impara, la prima che si capisce e che si ama. La prima di una lunga serie di parole con cui si è risposto alle infinite, alle amorose, timorose domande della maternità. E anche se diventassimo vecchi, come chiameremmo la mamma più vecchia di noi? Mamma. Non c’è un altro nome. (M. Moretti)

La mamma
Le mani della mamma sono belle e buone. Le mani della mamma sono laboriose e carezzevoli. Le mani della mamma sono utili e umili, amorose e infaticabili. Sono utili perchè compiono tanti lavori. Umili perchè non rifiutano di fare qualsiasi servizio…Infaticabili perchè sono sempre attive. Guidano e sorreggono; ammoniscono e accarezzano; insegnano a bere e a mangiare, a leggere e a scrivere. (N. Salvaneschi)

La mamma
Nelle circostanze più terribili della mia vita, quando l’oceano ruggiva sotto la carena, contro i fianchi della mia nave, sollevata come un sughero; quando le palle fischiavano alle mie orecchie e piovevano a me d’intorno fitte come la gragnola, io vedevo sempre mia madre inginocchiata, immersa nella preghiera, ai piedi dell’Altissimo. Ed in me, quello che trasfondeva quel coraggio, di cui anch’io rimanevo stupito, era la convinzione che non poteva cogliermi alcuna disgrazia, mentre una così santa donna, un tale angelo pregava per me. (Giuseppe Garibaldi)

La mamma
Ogni parola diretta a tua madre sia una carezza; ogni tuo  nobile pensiero sia pensato in nome di lei; ogni tua opera buona e bella sia fatta per lei; perchè nessuno ti amerà  mai a questo mondo come ti ha amato e ti ama la mamma. (V. Guerrazzi)

La mamma
Tu ammiri gli sportivi; pensa al lavoro che compie la tua mamma ogni giorno, ai pesi che solleva, ai chilometri che percorre in casa e fuori. Tu ammiri gli eroi che sanno affrontare il sacrificio col sorriso sulle labbra: pensa alle fatiche che tua madre sopporta sorridendo. Tu sei ancora un ragazzo, ma senti che gli adulti discutono spesso di giustizia sociale, di fatiche degli operai, di paghe più o meno scarse, di orari pesanti di lavoro…Ammira la tua mamma che lavora solo per il tuo amore, ad ogni ora del giorno e della notte, ricompensata solo da un tuo abbraccio e dalla tua bontà, dal tuo sorriso e dalla tua felicità.

La mamma
Indovinate chi amo più di tutti sulla terra? Io amo mia madre. Povera mia madre! Se voi la conosceste, forse non ci capireste nulla. E’ una donna quieta come un cielo sereno, una donna alla buona, che ama il suo figliolo, come voi amate voi stessi. Quando mio padre talvolta mi sgridava, ella mi consolava, mi asciugava le lacrime, mi baciava, mi dava un trastullo, mi riconduceva alla gioia. Quando andavo a scuola, e mi ero innamorato dei libri, mia madre mi dava il denaro per comprarmeli. Ella mi ama come il suo cuore: io sono il suo cuore. (C. Bini)

La mamma
Il sorriso della mamma è più luminoso del primo raggio di sole, quando il bambino riapre gli occhi al mattino e vi trova dentro la sicurezza del suo nido. Il sorriso della mamma è un’ultima carezza quando saluta e dice ciao dal davanzale della finestra, accompagnando il bambino, che va a scuola, fino alla svolta della strada. E il bambino lo porta con sè, nel cuore, come un caro segreto: la strada gli sembra più amabile, il mondo più roseo, la vita più buona. Il sorriso della mamma è soave fino alle lacrime, quando attende sull’uscio il ritorno del bimbo; e il bimbo lo riceve come un premio alla sua fatica, come una benedizione e un augurio. (A. Novaro)

La mamma
La mamma è l’angelo di questa terra che ci protegge e ci guida. Chi veglia sui bambini quando dormono? La mamma! Chi pensa ai vestiti, a tenere i bambini lindi e puliti? La mamma… sempre la mamma!  E i bambini cosa possono fare per ricompensarla? Una cosa sola: essere buoni. (U. Nocentini)

La mamma
Agli uomini sono dati molti doni: l’acqua limpida e fresca per dissetarsi; la terra fertile che dà il pane quotidiano; gli animali docili che ci aiutano e ci nutrono; il sole che ci riscalda e dà luce; le stelle e la luna che ci rallegrano la notte; il buio che ci riposa; il canto degli uccelli; gli smaglianti colori dei fiori; i profumi meravigliosi della terra. Ma il dono più bello, che l’inverno e il mal tempo o la carestia non riescono a portar via, è il dono che ha ogni bambino: l’amore della mamma. (L. Giovinazzi Oliva)

La mamma
Tu sai comprendere che cosa vuol dire avere una mamma? Sai tu comprendere ciò che vuol dire essere un fanciullo, un piccolo povero bambino, debole, nudo, misero, affamato, solo al mondo e sentire che hai vicino a te, intorno a te, sopra di te, una donna che cammina se tu cammini, che si arresta se tu ti fermi, che sorride se tu piangi? No, non è una donna, è un angelo che ti guarda, che ti insegna a parlare, che ti insegna a leggere, che ti insegna ad amare! Ella riscalda le tue dita nelle sue mani, il tuo corpo fra le sue braccia, la tua anima sul suo cuore! Ti dona il suo latte quando sei piccolo, il pane quando sei grande, la sua vita sempre! Com’è dolce poter dire: “Oh, mamma!”. E sentirsi rispondere: “Oh, figlio mio!”. (Victor Hugo)

Così parlava il ragazzo eschimese
Le nostre mamme raccolgono le poche bacche di mirtillo e di ginepro che incontrano nei boschi di confine, per farci marmellate; pescano salmoni, scuoiano le pelli, seccano i pesci, fabbricano collane di ossicini, badano a non far spegnere la lucerna, remano, quando tutta la famiglia si sposta sull’imbarcazione, badano all’igloo, cucinano, lavano, cuciono i vestiti di pelliccia e si prendono cura di noi bambini.

Così parlava il ragazzo del deserto
Prima del tramonto, ci fermiamo: le nostre mamme alzano le tende, disponendole a fila o in cerchio, col bestiame al centro; noi bambini andiamo a cercare legna per il fuoco e i padri vanno a caccia o riposano nelle tende. E’ una grande responsabilità quella dei nostri padri, che devono guidarci nel deserto per la via giusta, senza che ci siano indicazioni; e guai sbagliarla. Tirati fuori gli utensili per cucinare, munto il bestiame, acceso il fuoco, le nostre mamme preparano il “cous cous” che è il nostro saporito cibo quotidiano.

Così parlava il ragazzo africano
Torniamo dalla pesca; è mattino e la marea ci risospinge sulla spiaggia. La mamma, che ha atteso a riva, scaricherà i gamberoni e comincerà subito a dividerli. E’ la mamma che macina sulla pietra il granoturco per fare la polenta e il grano per fare il pane e le focacce, e anche il sorgo per ricavarne la birra. Dal babbo e dalla mamma ho imparato ad essere cortese e gentile verso tutti, specialmente verso gli ospiti. Ho una bella capanna, perchè il babbo è molto abile ad innalzarle e la mamma è bravissima ad intrecciare stuoie. Tra poco avrò un fratellino al quale insegnare tutte quelle cose che ho imparato; per ora è piccolo ed è nel “tari”, dietro le spalle della mamma.

Così parlava la ragazza pellirossa
Nel nostro “tee pee” sulle rive del fiume Mississipi, siamo in sette; la nonna, il babbo, la mamma, un frate,,o e una sorella maggiori di me, io – Germoglio di Rosa – e Piccolo Daino, il fratellino nato da poco. Vedeste com’è simpatico! Di solito sta in una cestina di vimini intrecciata dalla mamma. Se usciamo al lavoro ce lo portiamo dietro in una culla di legno, che è già servita per tutti noi, alla quale Piccolo Daino è legato stretto, in modo che la culla può stare anche diritta, appoggiata ad un albero, e lui non può cadere.

Così parlava una ragazza indiana
Abito in un villaggio, vicino a Benares, la nostra città santa, sul sacro fiume Gange. Il mio babbo è orafo. La mia casetta si trova al centro del villaggio, tra quelle dei Bramini, che sono i nostri sacerdoti. Io sto scrivendo mentre la mia mamma, nel cortile che è in ogni casa, sta preparando il pranzo. Più tardi preparerò l’acqua, perchè la mamma, nel pomeriggio, laverà e per domani mattina sarà tutto in ordine.

Così parlava un ragazzo australiano
Abito, con la mia tribù, nel nord dell’Australia. Tra noi gli uomini di fanno tatuare. I più anziani si mettono anche ossi di animali attraverso il naso. La mamma si fabbrica, da sola, le collane e i braccialetti di denti e di ossicini, e si mette conchiglie sui capelli; costruisce la capanna, porta le provviste e gli utensili nelle marce di trasferimento, provvede la legna, cucina, ha cura di noi bambini. Il babbo ha tutte le responsabilità della famiglia, perchè spetta a lui provvedere il vitto per tutti, difenderci dai pericoli e guidarci nella foresta; perciò la mamma lo fa riposare, quando torna a casa, e pensa lei a tutti gli altri lavori.

Idee per la composizione:
La compagnia della mamma
Un momento divertente con la mia mamma
Un momento felice con la mia mamma
Penso alla mia mamma
Ricordo della mamma
Giochi con la mamma
Faccio il ritratto della mia mamma.

Dettati ortografici FESTA DELLA MAMMA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Tongue twisters

[wpmoneyclick id=88190 /]Tongue twisters per giocare con l’Inglese coi bambini.

Six sick slick slim sycamore saplings.

A box of biscuits, a batch of mixed biscuits.

A skunk sat on a stump and thunk the stump stunk, but the stump thunk the skunk stunk.

Peter Piper picked a peck of pickled peppers. Did Peter Piper pick a peck of pickled peppers? If Peter Piper picked a peck of pickled peppers, where’s the peck of pickled peppers Peter Piper picked?

Red lorry, yellow lorry, red lorry, yellow lorry.

Unique New York.

Betty Botter had some butter, “But,” she said, “this butter’s bitter. If I bake this bitter butter, it would make my batter bitter. But a bit of better butter– that would make my batter better.” So she bought a bit of butter, better than her bitter butter, and she baked it in her batter, and the batter was not bitter. So ‘twas better Betty Botter bought a bit of better butter.

Six thick thistle sticks. Six thick thistles stick.

Is this your sister’s sixth zither, sir?

A big black bug bit a big black bear, made the big black bear bleed blood.

The sixth sick sheik’s sixth sheep’s sick.

Toy boat. Toy boat. Toy boat.

One smart fellow, he felt smart. Two smart fellows, they felt smart. Three smart fellows, they all felt smart.

Pope Sixtus VI’s six texts.

I slit the sheet, the sheet I slit, and on the slitted sheet I sit.

She sells sea shells by the sea shore. The shells she sells are surely seashells. So if she sells shells on the seashore, I’m sure she sells seashore shells.

Mrs. Smith’s Fish Sauce Shop.

“Surely Sylvia swims!” shrieked Sammy, surprised. “Someone should show Sylvia some strokes so she shall not sink.”

A Tudor who tooted a flute tried to tutor two tooters to toot. Said the two to their tutor, “Is it harder to toot or to tutor two tooters to toot?”

Shy Shelly says she shall sew sheets.

Three free throws.

I am not the pheasant plucker, I’m the pheasant plucker’s mate. I am only plucking pheasants ‘cause the pheasant  lucker’s running late.

Sam’s shop stocks short spotted socks.

A flea and a fly flew up in a flue. Said the flea, “Let us fly!” Said the fly, “Let us flee!” So they flew through a flaw in the flue.

Knapsack straps.

Which wristwatches are Swiss wristwatches?

Lesser leather never weathered wetter weather better.

A bitter biting bittern Bit a better brother bittern, And the bitter better bittern Bit the bitter biter back. And the bitter bittern, bitten, By the better bitten bittern, Said: “I’m a bitter biter bit, alack!”

Inchworms itching.

A noisy noise annoys an oyster.

The myth of Miss Muffet.

Mr. See owned a saw. And Mr. Soar owned a seesaw. Now See’s saw sawed Soar’s seesaw . Before Soar saw See, Which made Soar sore. Had Soar seen See’s saw Before See sawed Soar’s seesaw, See’s saw would not have sawed
Soar’s seesaw. So See’s saw sawed Soar’s seesaw. But it was sad to see Soar so sore Just because See’s saw sawed
Soar’s seesaw!

Friendly Frank flips fine flapjacks.

Vincent vowed vengeance very vehemently.

Cheap ship trip.

I cannot bear to see a bear Bear down upon a hare. When bare of hair he strips the hare, Right there I cry, “Forbear!”

Lovely lemon liniment.

Gertie’s great-grandma grew aghast at Gertie’s grammar.

Tim, the thin twin tinsmith

Fat frogs flying past fast.

I need not your needles, they’re needless to me; For kneading of noodles, ‘twere needless, you see; But did my neat knickers but need to be kneed, I then should have need of your needles indeed.

Flee from fog to fight flu fast!

Greek grapes.

The boot black bought the black boot back.

How much wood would a woodchuck chuck if a woodchuck could chuck wood? He would chuck, he would, as much as he could, and chuck as much wood as a woodchuck would if a woodchuck could chuck wood.

We surely shall see the sun shine soon.

Moose noshing much mush.

Ruby Rugby’s brother bought and brought her back some rubber baby-buggy bumpers.

Sly Sam slurps Sally’s soup.

My dame hath a lame tame crane, My dame hath a crane that is lame.

Six short slow shepherds.

A tree toad loved a she-toad  Who lived up in a tree. He was a two-toed tree toad But a three-toed toad was she. The two-toed tree toad tried to win The three-toed she-toad’s heart, For the two-toed tree toad loved the ground That the three-toed tree toad trod. But the two-toed tree toad tried in vain. He couldn’t please her whim. From her tree toad bower
With her three-toed power The she-toad vetoed him.

Which witch wished which wicked wish?

Old oily Ollie oils old oily autos.

The two-twenty-two train tore through the tunnel.

Silly Sally swiftly shooed seven silly sheep. The seven silly sheep Silly Sally shooed shilly-shallied south. These sheep shouldn’t sleep in a shack; sheep should sleep in a shed.

Twelve twins twirled twelve twigs.

Three gray geese in the green grass grazing. Gray were the geese and green was the grass.

Many an anemone sees an enemy anemone.

Nine nice night nurses nursing nicely.

Peggy Babcock.

You’ve no need to light a night-light On a light night like tonight, For a night-light’s light’s a slight light, And tonight’s a night that’s light. When a night’s light, like tonight’s light, It is really not quite right To light night-lights with their slight lights On a light night like tonight.

Black bug’s blood.

Flash message!

Say this sharply, say this sweetly, Say this shortly, say this softly. Say this sixteen times in succession.

Six sticky sucker sticks.

If Stu chews shoes, should Stu choose the shoes he chews?

Crisp crusts crackle crunchily.

Give papa a cup of proper coffee in a copper coffee cup.

Six sharp smart sharks.

What a shame such a shapely sash should such shabby stitches show.

Sure the ship’s shipshape, sir.

Betty better butter Brad’s bread.

Of all the felt I ever felt, I never felt a piece of felt which felt as fine as that felt felt, when first I felt that felt hat’s felt.

Sixish.

Don’t pamper damp scamp tramps that camp under ramp lamps.

Swan swam over the sea, Swim, swan, swim! Swan swam back again Well swum, swan!

Six shimmering sharks sharply striking shins.

I thought a thought. But the thought I thought wasn’t the thought I thought I thought.

Brad’s big black bath brush broke.

Thieves seize skis.

Chop shops stock chops.

Sarah saw a shot-silk sash shop full of shot-silk sashes as the sunshine shone on the side of the shot-silk sash shop.

Strict strong stringy Stephen Stretch slickly snared six sickly silky snakes.

Susan shineth shoes and socks; socks and shoes shines Susan. She ceased shining shoes and socks, for shoes and socks shock Susan.

Truly rural.

The blue bluebird blinks.

Betty and Bob brought back blue balloons from the big bazaar.

When a twister a-twisting will twist him a twist, For the twisting of his twist, he three twines doth intwist; But if one of the twines of the twist do untwist, The twine that untwisteth untwisteth the twist. Untwirling the twine that untwisteth between,
He twirls, with his twister, the two in a twine; Then twice having twisted the twines of the twine, He twitcheth the twice he had twined in twain. The twain that in twining before in the twine, As twines were intwisted he now doth untwine; Twist the twain inter-twisting a twine more between, He, twirling his twister, makes a twist of the twine.

The Leith police dismisseth us.

The seething seas ceaseth and twiceth the seething seas sufficeth us.

If one doctor doctors another doctor, does the doctor who doctors the doctor doctor the doctor the way the doctor he is doctoring doctors? Or does he doctor the doctor the way the doctor who doctors doctors?

Two Truckee truckers truculently truckling to have truck to truck two trucks of truck.

Plague-bearing prairie dogs.

Ed had edited it.

She sifted thistles through her thistle-sifter.

Give me the gift of a grip top sock: a drip-drape, ship-shape, tip-top sock.

While we were walking, we were watching window washers wash Washington’s windows with warm washing water.

Freshly fried fresh flesh.

Pacific Lithograph.

Six twin screwed steel steam cruisers.

The crow flew over the river with a lump of raw liver.

Preshrunk silk shirts

A bloke’s back bike brake block broke.

A pleasant place to place a plaice is a place where a plaice is pleased to be placed.

I correctly recollect Rebecca MacGregor’s reckoning.

Good blood, bad blood.

Quick kiss. Quicker kiss.

I saw Esau kissing Kate. I saw Esau, he saw me, and she saw I saw Esau.

Cedar shingles should be shaved and saved.

Lily ladles little Letty’s lentil soup.

Amidst the mists and coldest frosts, with stoutest wrists and loudest boasts, he thrusts his fist against the posts and still insists he sees the ghosts.

Shelter for six sick scenic sightseers.

Listen to the local yokel yodel.

Give Mr. Snipa’s wife’s knife a swipe.

Whereat with blade, with bloody, blameful blade, he bravely broached his boiling bloody breast.

Are our oars oak?

Can you imagine an imaginary menagerie manager imagining managing an imaginary menagerie?

A lusty lady loved a lawyer and longed to lure him from his laboratory.

The epitome of femininity.

She stood on the balcony inexplicably mimicing him hiccupping, and amicably welcoming him home.

Kris Kringle carefully crunched on candy canes.

Please pay promptly.

On mules we find two legs behind and two we find before. We stand behind before we find what those behind be for.

What time does the wristwatch strap shop shut?

One-One was a racehorse. Two-Two was one, too. When One-One won one race, Two-Two won one, too.

Girl gargoyle, guy gargoyle.

Pick a partner and practice passing, for if you pass proficiently, perhaps you’ll play professionally.

Once upon a barren moor There dwelt a bear, also a boar. The bear could not bear the boar. The boar thought the bear a bore. At last the bear could bear no more Of that boar that bored him on the moor, And so one morn he bored the boar-
That boar will bore the bear no more.

If a Hottentot taught a Hottentot tot To talk ere the tot could totter, Ought the Hottenton tot Be taught to say aught, or naught, Or what ought to be taught her? If to hoot and to toot a Hottentot tot Be taught by her Hottentot tutor, Ought the tutor get hot If the Hottentot tot Hoot and toot at her Hottentot tutor?

Will you, William?

Mix, Miss Mix!

Who washed Washington’s white woolen underwear when Washington’s washer woman went west?

Two toads, totally tired.

Freshly-fried flying fish.

The sawingest saw I ever saw saw was the saw I saw saw in Arkansas.

Just think, that sphinx has a sphincter that stinks!

Strange strategic statistics.

Sarah sitting in her Chevrolet, All she does is sits and shifts, All she does is sits and shifts.

Hi-Tech Traveling Tractor Trailor Truck Tracker Ned Nott was shot and Sam Shott was not. So it is better to be Shott
than Nott. Some say Nott was not shot. But Shott says he shot Nott. Either the shot Shott shot at Nott was not shot,
or Nott was shot. If the shot Shott shot shot Nott, Nott was shot. But if the shot Shott shot shot Shott, then Shott was shot, not Nott. However, the shot Shott shot shot not Shott — but Nott. Six slippery snails, slid slowly seaward.

Three twigs twined tightly.

There was a young fisher named Fischer Who fished for a fish in a fissure. The fish with a grin, Pulled the fisherman in;
Now they’re fishing the fissure for Fischer. Pretty Kitty Creighton had a cotton batten cat. The cotton batten cat was bitten by a rat. The kitten that was bitten had a button for an eye, And biting off the button made the cotton batten fly.

Suddenly swerving, seven small swans Swam silently southward, Seeing six swift sailboats Sailing sedately seaward.

The ochre ogre ogled the poker.

If you stick a stock of liquor in your locker, It’s slick to stick a lock upon your stock, Or some stickler who is slicker Will stick you of your liquor If you fail to lock your liquor With a lock!

Shredded Swiss chesse.

The soldiers shouldered shooters on their shoulders.

Theophiles Thistle, the successful thistle-sifter, in sifting a sieve full of un-sifted thistles, thrust three thousand thistles through the thick of his thumb. Now…..if Theophiles Thistle, the successful thistle-sifter, in sifting a sieve full of un-sifted thistles, thrust three thousand thistles through the thick of his thumb, see that thou, in sifting a sieve full of un-sifted thistles, thrust not three thousand thistles through the thick of thy thumb. Success to the successful thistle-sifter!

Thank the other three brothers of their father’s mother’s brother’s side.

They both, though, have thirty-three thick thimbles to thaw.

Irish wristwatch.

Fred fed Ted bread, and Ted fed Fred bread.

Cows graze in groves on grass which grows in grooves in groves.

Brisk brave brigadiers brandished broad bright blades, blunderbusses, and bludgeons — balancing them badly.

Tragedy strategy.

Selfish shellfish.

They have left the thriftshop, and lost both their theatre tickets and the volume of valuable licenses and coupons for free theatrical frills and thrills.

Tongue twisters

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici LA PIOGGIA

Dettati ortografici LA PIOGGIA – una collezione di dettati ortografici di autori vari sulla pioggia, per la scuola primaria.

La pioggia viva
La pioggia cadeva con forza crescente e assorbiva ogni altro rumore, e non si vedeva più altro. Prendevo una scatola di latta, la posavo subito fuori, davanti alla porta di casa e, sull’istante, l’acqua mi scorreva sulle mani, sui polsi, mi colava nelle maniche; in breve la scatola era piena: guardavo l’acqua cadere nell’acqua e ascoltavo e riuscivo a distinguere il rumore che faceva. Sentivo anche, la pioggia crepitare sul legno e dappertutto vedevo l’acqua corrodere il suolo, rubargli la terra, portarla via e formare ruscelli sui pendii. Guardavo l’acqua scorrere cadere rimbalzare e correre. Impregnava le vegetazioni squassate, imbevute. Guardavo lo stirarsi eccessivo degli alberi, delle piante abbattute e risollevate e riabbattute a colpi bruschi; l’acqua riempire, velare, confondere il paesaggio; accanto a me appannare il minuscolo vetro, tremarvi su, rotolare su se stessa. Alla fine tutto il temporale se n’è andato. La pioggia continua senza tregua, ora la rete si dirada. E finalmente, altri rumori, un’automobile, una frase si sentono.
Non c’è dubbio continuerà a piovere così con uguale violenza nè più nè meno fino al primo pomeriggio.
(I. Thibaudeau, da “Ouverture”)

Pioggia di primavera
La pioggia, picchiettandola con le lunghe dita leggere, faceva il solletico alla terra e le diceva piano piano: “Svegliati”. E mormorava: “Destati!”. E poi: “Su, su, è l’ora, vestiti!”. E la terra fingeva ancora di dormire perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia! Alla fine aprì gli occhi delle margherite e nei giardini restò un odore di terra bagnata. (Achille Campanile)

Che gioia camminare sotto l’ombrello, se la pioggia è leggera, ridarella, canterina. La pioggia ti aspetta una mattina sulla porta e c’è quasi il sole. Nell’aria c’è odore di strada bagnata, odore di terra da fiore. E’ più musica che pioggia. Tutto si lava, si fa bello: l’albero, il tetto, il marciapiede. Questa sì che è pioggia felice! (R. Pezzani)

Piove

Piove, e sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadine luccica; e luccicano gli ombrelli, i cappucci dei cappotti impermeabili. Nei campi, i fossi gonfi di acqua borbottano, I fiumi corrono limacciosi in piena e portano innanzi quanto hanno rapinato alle prode.
Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia, tra i vapori che salgono dalla terra e lentamente vanno a confondersi con le nuvole grige. (G. Fanciulli)

Pioggia nel bosco

Quando piove, l’acqua colpisce le fronde degli alberi, si rompe in tante goccioline, che rimbalzano tra le foglie. La pioggia giunge a terra a stilla a stilla, scorrendo anche lungo i rami e lungo i tronchi.
In terra trova uno strato di foglie morte. Le inzuppa pian piano, le fa marcire e finalmente penetra sotto terra dove trova una falda di argilla che la porterà a scaturire in una limpida sorgente. (P. Bargellini)

Dopo un acquazzone

L’aria, lavata e fresca, odorava di terra e di verdure, e la terra inzuppata, più bruna, pareva ribollire ai raggi del sole già alto. Le piante, ancora grondanti di pioggia, stormivano leggermente, facendo fiammeggiare come diamanti le goccioline d’acqua sospese alle foglie lustre. Una luce dorata bagnava dolcemente i campi, le facciate, le siepi; filtrava tra i rami scuri, rompeva e chiazzava l’ombra verde e umida delle aiuole. (A. Soffici)

Pioggia in città

La gente è stizzita e guardinga; torme nere di ombrelli si buttano contro i muri quando rasentano le automobili e tranvai sventaglianti spruzzi gialli e lunghi dalle ruote. Solo i vigili, nei loro impermeabili neri a mantellina, raccolgono pazienti e sacrificati le acque del cielo e della terra. Un nembo livido avvolge i quartieri della periferia dai viali vastissimi e deserti di bambini, guardati da palazzi torvi tutti chiusi nei loro vetri come ammalati nei loro cappotti, forse sorpresi di sentire la pioggia precipitare nei tubi delle grondaie e pulsare, quasi sangue, nelle vene. (G. B. Angioletti)

Pioggia
Ad ogni attimo un lampo violetto o verdastro palpita, seguito immediatamente da un tuono formidabile che fa rintronare i vetri. L’acqua cade rabbiosamente; il vento la spinge di traverso e i suoi fili sono come frecce di vetro scagliate obliquamente dall’alto. Gli alberi si divincolano sotto il turbine. L’orizzonte si perde in una nebbia folta, cieca. (A. Soffici)

Pioggia nel bosco
Quando piove, l’acqua colpisce le fronde degli alberi, si rompe in tante goccioline, che rimbalzano tra le foglie. La pioggia giunge a terra a stilla a stilla, scorrendo anche lungo i rami e lungo i tronchi. In terra trova uno strato di foglie morte. Le inzuppa pian piano, le fa marcire e finalmente penetra dotto terra dove trova una falda di argilla che la porterà a scaturire in una limpida sorgente. (P. Bargellini)

Piove
Piove, e sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadine luccica; e luccicano gli ombrelli, i cappucci dei cappotti impermeabili. Nei campi, i fossi gonfi di acqua borbottano. I fiumi corrono limacciosi in piena e portano innanzi quanto hanno rapinato dalle prode.
Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia, tra i vapori che salgono dalla terra  e lentamente vanno a confondersi con le nuvole grigie. (G. Fanciulli)

L’alluvione
Grandi, sparuti, lamentosi muggiti venivano dalla campagna allagata, dalle stalle che il boaro non aveva fatto in tempo ad aprire, dai campi, dove il bestiame errava con l’acqua al ginocchio, al ventre, al petto, sperduto e impantanato. Voce spiegata all’angoscia comune davano le campane a stormo: Ro rispondeva alla Guarda, martellando: e in tanti anni il vecchio campanile della Guarda non aveva ancora mai rintoccato così alla disperata: pareva l’ultima volta prima di dare il crollo. (R. Bacchelli)

Prime piogge
Da tre giorni e da tre notti cadeva sulla campagna una pioggia minuta e uguale. Era la prima pioggia d’autunno. Gli alberi del frutteto ne grondavano, ne grondavano i tetti e il suo rumore lieve e diffuso, simile al ronzio di un immenso arcolaio, senza pause, ininterrotto, era la musica dell’autunno pieno di sonno e di malinconia. Tutti nel villaggio l’ascoltavano dal chiuso delle nere stalle, delle nere cucine. (U. Fracchia)

La pioggia
Cade, cade monotona e sempre uguale. Sembra che non debba smettere più. Batte sulle strade, sui tetti,  sugli ombrelli dei passanti. Dov’è il bel sole d’oro, dove sono le nuvole candide e morbide? Piove piove e sulla strada si formano larghe pozzanghere fangose. Ma anche la pioggia è necessaria e la terra e le piante la bevono avidamente.

Dopo un acquazzone
L’aria, lavata e fresca, odorava di terra e di verdure, e la terra inzuppata, più bruna, pareva ribollire ai raggi del sole già alto. Le piante, ancora grondanti di pioggia, stormivano leggermente, facendo fiammeggiare come diamanti le goccioline d’acqua sospese alle foglie lustre. Una luce dorata bagnava dolcemente i campi, le facciate, le siepi; filtrava tra i rami scuri, rompeva e chiazzava l’ombra verde e umida delle aiuole. (A. Soffici)

La pioggia
Ecco, l’aria immota si scuote. Sembra proprio che il dio dei venti, Eolo, abbia aperto la caverna dei venti furibondi. Le foglie degli alberi spasimando si contorcono. Ecco le prime gocce, grandi, chiazzate, furenti. Qualcosa balza nell’aia: un chicco di grandine. Si attende col cuore sospeso. Nulla, non è nulla. Cessa il vento: la pioggia scende ora in pace, dolce, sonora. Se dura un’ora i pomodori si faranno turgidi; l’erba medica crescerà per un nuovo taglio, l’uva rachitica si gonfierà. (A. Panzini)

Quando piove
Fango in terra e fango in cielo, stillanti, grondanti, chiazzati di tetra umidità i tetti, le case, i muri: cinereo e grigio lutto; e dalla monotona deformità delle nubi filtra un acquerugiola lenta, fredda, ostinata, che non si vede e immola l’anima, che non si sente ed empie le strade di una poltiglia mobile e appiccicosa, lubrica e attaccaticcia e impacciante. (G. Carducci)

Storia dell’ombrello
Sapete chi fu il primo uomo che usò l’ombrello in Europa? Il signor Giona Hauway, di Londra.
Questo signore aveva viaggiato molto. Era stato in Russia, in Persia, in Cina e chissà in quanti altri posti ed aveva visto chissà quante belle cose. Poiché l’ombrello ha un’origine che si perde nella notte dei tempi, avrà visto anche che esso veniva usato da molti popoli, quale segno di distinzione o potenza. Del resto gli ombrellini erano già usati in Europa, come segno di femminilità ed eleganza, dalle signore. Ma che si fosse mai visto un uomo in giro con l’ombrello!
Invece in una giornata piovosissima dell’anno di grazia 1752, il signor Giona pensò che sarebbe stato molto utile uscire di casa al riparo di un grosso ombrello, e così fece.
Non lo avesse mai fatto! Le vie di Londra furono per lui come tante sale da… concerto o campi di esercitazioni di tiro a segno.
Infatti tutte le persone… per bene lo dileggiarono, lo fischiarono, ed i ragazzi andavano a festa nel bersagliarlo di torsoli, di patate, di uova…
Si incrociarono discussioni a non finire, sotto la pioggia s’intende e… senza riparo; chi diceva che era semplicemente ridicolo che un uomo, segno di forza e di sapienza, andasse in giro a quel modo; chi diceva, e questi era interessato, che l’ombrello avrebbe fatto morire di fame i poveri vetturini; chi infine, timorato di dio, affermava essere un insulto sacrilego verso il supremo fattore dell’universo, perchè se Lui mandava la pioggia, voleva dire che aveva intenzione che le persone si bagnassero e nessuno aveva il diritto di ripararsi!
Sotto tutto quel diluvio: pioggia, torsoli, patate, invettive d’ogni genere, il signor Giona continuò a passeggiare, riparandosi fa tutte le cose materiali che gli cadevano addosso, col suo ombrello, e dalle invettive con la sua imperturbabile flemma.
Sapete quanto ci volle perchè i londinesi e gli europei comprendessero l’utilità dell’ombrello? Trent’anni.
Nel 1782, infatti, l’ombrello era già di uso comune!
(A. M. Giannini)

Dettati ortografici LA PIOGGIA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici APRILE

Dettati ortografici APRILE – Una collezione di dettati ortografici (difficoltà miste) sul mese di aprile, per la scuola primaria.

Aprile
Prati verdi, agnellini saltellanti, uccelli che preparano il nido amorosamente, ruscelli canori che scorrono tra sponde fiorite, lucertole che si scaldano al sole, farfalle dalle ali screziate: ogni cosa graziosa e gentile allieta questo mese, che è uno dei più belli dell’anno. “Aprile dolce dormire” dice il proverbio, ed è anche vero; ma è dolce anche vivere in questo mese. Talvolta piove, sì, “aprile ogni giorno un barile”,  ma è pioggia benefica. I campi, gli orti, i prati se la bevono con avidità. Gli alberi hanno indossato il vestito nuovo di fronde tenere e verdi e se ne compiacciono. Il mondo sembra tutto nuovo, tutto lustro, vivido e luminoso. (Palazzi)

Aprile
In Italia il primo aprile è un giorno particolare. I ragazzi si divertono a fare le burle e gli scherzi più strani che chiamano pesci d’aprile. Per esempio, se ti dicono: “Hai una mosca sul naso” e tu ci credi,   ti hanno fatto un pesce d’aprile. Si attribuisce l’invenzione del pesce d’aprile al popolo di Firenze: pare infatti che un tempo, in quella città, il primo d’aprile ci fosse l’usanza di mandare i semplicioni a comperare, in una certa piazza, del pesce che era soltanto raffigurato. Altri pensano che questa tradizione abbia avuto origine in Francia: forse perchè tanto tempo fa, in alcune città l’anno ufficiale cominciava il primo aprile. In seguito, quando si adottò il nuovo calendario, il capodanno cadde il primo di gennaio; ma alcune persone lo dimenticarono e continuarono a festeggiarlo come prima: per questo furono chiamati sciocchi o pesci d’aprile.

Aprile
Il nome di questo mese viene da “aprire” perchè la terra si apre sotto l’impeto della vegetazione, i fiori si schiudono, gli insetti escono dal loro involucro per mettere le ali. Durante questo mese, in genere, si celebra la Pasqua. Non vogliamo dimenticare inoltre il pesce d’aprile, a cui è scherzosamente dedicato il primo giorno di questo mese. Sempre in questo mese cade l’anniversario della Liberazione. Uno dei fiori caratteristici di aprile è il glicine.

Aprile
Aprile è un mese gentile, odoroso di fiori, tiepido di sole. Le siepi sono tutte in veste bianca: fra l’erba odorano le viole, il cielo è dolcemente azzurro. La campagna è ormai tutta verde. Le rose sono in boccio e sono pieni di fiori anche gli alberi da frutto: meli, peri, susini e ciliegi.

Aprile
In aprile anche la pioggia è piacevole e lietamente accolta. Le pioggerelle frequenti ed insistenti di questo mese rendono  meno dure le zolle disseccate dai venti freddi di marzo, saziano la sete delle erbe e degli alberi, permettono alle radici di succhiare avidamente dal terreno gli umori necessari alla vita. (G. G. Moroni)

Aprile
Aprile, ce lo dice il suo nome, apre la porta all’ingresso trionfale della stagione dei fiori, degli uccelli, dei cieli sereni e splendenti d’azzurro. Il fremito di vita nuova, che sembra animare ogni zolla, è avvertito intimamente anche da noi: si rivela nel desiderio di godere in pace questo sole giocondo, di giocare fuori all’aperto, di contemplare lietamente ciò che avviene attorno a noi. (G. G. Moroni)

Aprile
D’aprile si ammirava il felice fiorire della campagna. Gli alberi erano vividi di foglie, il campo era verde di grano. La vite cominciava a gettare le prime aguzze foglioline. Accanto al campo passava un gregge di pecore guardate dal cane, ch’era il più alto di tutte; e il pastore con la mazza alzata le spingeva sulla strada perchè non mangiassero il grano tenero, ch’era stato tanto tempo sotto la neve. (G. Titta Rosa)

Aprile
Aprile è un bel mese, nè caldo nè freddo, con un cielo dolcemente azzurro, gli alberi in fiore, il canto degli uccelli. Le rondini, ormai tutte tornate dai lontani paesi, hanno ritrovato il loro nido dove, presto, cinguetteranno i rondinini.

Aprile
Aprile, dolce dormire. E tu, la mattina, resteresti tanto volentieri fra le lenzuola. Non essere pigro, non senti gli uccellini che cantano, le rondini che garriscono, le campane che suonano? Tutti sono già al lavoro, uomini e animali. Aprile ti chiama, col suo bel cielo azzurro, con gli alberi fioriti, col dolce venticello che fa frusciare le foglie. Non lasciare senza risposta il suo appello.

Aprile
Aprile, ogni giorno il suo barile. E quasi ogni giorno il cielo si vela di nuvolette leggere, manda sulla terra una pioggia gentile che ristora la campagna, disseta le piante, rinfresca l’aria. E, a ogni goccia di pioggia che cade, è un fiore che sboccia, una gemma che si apre, una foglia che ingrandisce. Aprile è, forse, il più bel mese dell’anno.

Aprile
La campagna è ormai tutta verde. Gli alberi sono pieni di foglie e di fiori, le siepi sono ammantate di bianco, l’erbetta tenera e verde copre la terra, gli uccellini cinguettano allegramente. Ogni balcone ha una pianta fiorita. Il cielo è dolcemente azzurro, il vento fa frusciare le foglie degli alberi. Benvenuto, aprile!

Aprile
Avanti, bel mese sorridente! Tu fai sbocciare, ogni giorno, cento e cento fiori profumati, rose di macchia, convolvoli, campanelle, glicini e lillà. Il tuo venticello è tiepido e profumato, nei tuoi occhi si rispecchia l’azzurro del cielo. Benvenuto, aprile!

Aprile
Aprile arrivò e aveva in mano un ramo fiorito. Vide che marzo, quel fratellino pazzerello, aveva fatto il suo dovere, ma non troppo. C’era, sì, qualche fiore, c’era, sì, qualche spicchio di cielo azzurro, ma per aprile non bastava. Spazzò il cielo e subito tutte le nuvole si allontanarono. Toccò, col suo ramoscello, gli alberi e subito questi misero tanti fiori e tante foglie. Aprile non si stancava: la sua fatica era leggera e dolce.

Aprile
Aprile è arrivato. La gente apre le finestre e invita l’aria tiepida ad entrare; le ragazze cantano felici. Fiori dappertutto. Perfino le piantine che crescono sulla strada e che tutti, camminando, schiacciano col piede, mettono un fiorellino, piccino, ma coraggioso. Gli insetti escono dalla terra e si mettono a volare.

Aprile
Qualche volta il cielo si vela, ma è un velo di pioggerella leggera: dà un’annaffiatina ai fiori e sparisce. Quando aprile si avanza tra i fiori, le farfalle e gli insetti ronzanti, tutto rinasce a nuova vita. Gli alberi sono in fiore, il cielo è dolcemente azzurro, nei prati odorano le violette e sui vecchi muri si arrampica il glicine profumato.

Aprile
Quanti fiori nei giardini, ad aprile! Nascoste, fra l’erba, sbocciano le violette profumate, sulla siepe, le rose di macchia. Ecco i garofani rossi di fiamma, le campanelle azzurre, le margherite fatte a stella. Ogni pianta ha il suo fiore. Anche le piantine che non si sa come si chiamano, hanno messo il loro bocciolino. Le api volano sui fiori e visitano il fiorellino più modesto come il fiore più splendente.

Aprile
Aprile deriva da “aprire”, perchè con questo mese comincia la bella stagione, si schiudono gemme e fiori, e la terra si apre alla vegetazione.
La natura è nel suo pieno rigoglio. Quali sono i fiori tipici dell’aprile? Il glicine, che ammanta con la sua veste smagliante i vecchi muri e le terrazze; il lillà, i cui fiorellini sono golosamente visitati dagli insetti che ne cercano la gocciolina di nettare nascosta in fondo ai calici; gli alberi da frutto, meli, peri, ciliegi, tutti in fiore.

Gli insetti sono ormai tutti in piena attività: farfalle di tutti i colori, vespe, calabroni, api… Tutti gli animali che erano caduti in letargo nella cattiva stagione si sono ormai risvegliati: bisce, lucertole, tassi, ghiri e pipistrelli. Inoltre sono tornate le rondini che hanno già cominciato a riattare il nido.

Nel cielo intensamente turchino qualche nuvola leggera sdrucciola lentamente. Il sole sparge sui campi il suo calore tiepido e dolce. Gli uccelli, ebbri di gioia, cantano. Nei prati, le primule e le margherite sollevano le timide testine al sole che le ha risvegliate. I boschi si ravvivano di profumi e di canti. Il ruscello inargentato rinnova la sua musica antica, fra sorrisi azzurri di mammole e di pervinche. Nei campi, i susini ed i ciliegi in fiore sembrano lunghe sciarpe rosee e bianche. La primavera! Dappertutto ha diffuso la sua giovinezza, il suo riso, la sua bellezza, la sua luce. (G. Barbetti)

Aprile
Aprile è un bel mese di primavera. Il cielo è dolcemente azzurro e soltanto qualche nuvoletta bianca vaga qua e là sospinta da un venticello lieve. I prati sono fioriti. Sbocciano, fra l’erba, le margherite bianche che sembrano stelline, le primule, le viole; i bambini le colgono e ne fanno mazzetti che offrono alla mamma e alla maestra. Aprile, dolce dormire. I bambini, la mattina, non vorrebbero aprire gli occhietti pieni di sonno, ma la mamma li bacia in fronte e dice: “Sù, è tardi!”.

Il mese di aprile

La primavera avanza lentamente; l’accompagnano molte fioriture, molti risvegli, un buon tepore ed anche la benefica pioggia o il vento  che trasporta i semi. La campagna si anima notevolmente poichè si lavora da per tutto. Sui pascoli montani tornano gli armenti che sono stati a svernare nelle pianure.
I contadini impiegano bene il mese di aprile con l’intensa ripresa dei loro lavori: completano la semina di patate, fagioli, lenticchie, granoturco, riso; nelle vigne spargono lo zolfo ramato, disinfettano i tralci ed i tronchi contro la peronospora. Intanto nei frutteti proseguono la potatura delle piante e gli innesti. Grandi lavori si fanno nell’orto dove si rinnovano trapianti e semine di cardi, carote, lattughe, rape, cetrioli, zucchine, trifogli, mentre si raccolgono i primi asparagi, i piselli, le insalate. Anche il giardino vuole semine e trapianti: garofani, astri, violaciocche, verbene e tanti altri fiori daranno alla primavera la gioia dei loro profumi e dei loro colori.
Aprile anticamente era consacrato a Cibele, madre degli dei. Il suo nome deriva dal latino “aperire”, che vuol dire aprire; infatti, in questo mese, tutto si apre a nuova vita.

Canzone d’aprile

Cielo d’aprile, fresco come acqua viva, canta: la rondine è tornata. Nubi bianche e nere, scendete: il pesco è appena fiorito. Venti del sud, correte: gli agnelli sono sul prato. Sole, per te si è aperto il primo fiore: bacia la terra. Lampi, lucidi come fuoco, brillate: i pampini inverdiscono la vite. Tuoni duri come rombi di battaglia, squarciatevi sopra il grano: ha sete. E voi grilli e farfalle, allodole e merli, tenete compagnia al contadino che lavora. E voi bisce acquaiole che giocate con le rane dagli occhi pendule: uscite. E voi, semi, piante, fiori, gioia della terra, rallegrate il cuore degli uomini. (L. Davanzo)

Aprile

Aprile arrivò e aveva in mano un ramo fiorito. Vide che marzo, quel fratellino pazzerello, aveva fatto il suo dovere, ma non troppo. C’era sì qualche fiore, c’era sì qualche spicchio di cielo azzurro, ma per aprile non bastava. Spazzò il cielo e subito tutte le nuvole si allontanarono. Toccò, col suo ramoscello, gli alberi e subito questi misero tanti fiori e tante foglie. Aprile non si stancava: la sua fatica era leggera e dolce. (M. Menicucci)

Così è aprile

Ogni albero è una nuvola verdognola di foglie che incupiscono ad ogni bacio del sole, a ogni scossa di vento.
E nel vento, che odore! Odore di peschi e di ciliegi e di meli e di albicocchi e d’ogni grazia di dio. Un frullo da una siepe: c’è un nido; e la mamma covava. Eccola lì che si lamenta, ci dice che ci leviamo subito di torno, che le facciamo paura.
Guardate il grano come cresce: par che non veda l’ora di buttar fuori la spiga. E le viti non piangono più: sventolano i pampini teneri e tra i pampini è il piccolissimo grappolo.

E’ una mattina di aprile

Dal cielo grigio cominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Esse si fanno sempre più fitte e l’aria sembra intessuta di fili d’argento. Vero è il proverbio: “Aprile ogni giorno un barile”.
Le persone che passano per la strada cercano un rifugio. I tetti delle case, gli asfalti delle strade, le piante luccicano sotto la pioggerellina fine ed insistente.

Aprile in campagna

Ti viene incontro il verde tenero dei prati che appaiono così morbidi che si ha la tentazione di sdraiarvisi dentro, di sentire sul viso, sulle mani, ovunque, la freschezza di quell’erba nuova.
E poi gli alberi in fiore che danno una improvvisa emozione: quel delicato e gentile pesco rosa che pare una nuvola illuminata dal sole al tramonto, quel vaporoso albero bianco che appare come incappucciato di neve.

Aprile sui monti

In alto c’è ancora neve, ma sotto i verdi pascoli si sono fatti più verdi, più intensamente colorati. Le mandrie escono dagli stalli e vanno lentamente da un prato all’altro, da un pendio all’altro; il suono dei campanacci porta una acuta malinconia nel cuore di chi ascolta, come di voce che si perde lontano nel silenzio dei boschi. Appaiono siepi in fiore, una festa multicolore fatta di innumerevoli fiori che sembrano gocce di cielo, immagini di paradiso.

Fiori d’aprile

Fra i fiori selvatici, aprile dona l’azzurra pervinca, lungo le siepi, e nei fossi, riuniti in grappoli, i fiorellini delicati del nontiscordardime. Adornano i prati innumerevoli ranuncoli dai fiori giallo – oro, e le graziose pratoline.
Nei giardini fioriscono le fresie, le giunchiglie, l’anemone e il giaggiolo; da balconi, da muri, da cancellate pendono ricchi grappoli del fiore del glicine… mentre nell’aria appaiono le prime farfalle e arrivano gli uccelli migratori.

Arrivano gli usignoli

Siamo alla metà di aprile. Si susseguono giornate limpide e chiare e notti palpitanti di stelle. Il biancospino ha lasciato cadere gli ultimi petali di immacolato candore e si sta rivestendo di un tenero verde.
Eccoli, arrivano gli usignoli. Vengono di notte alla spicciolata. Arrivano prima i maschi, cercano il posto ove hanno formato il loro nido l’anno scorso, e cantano per richiamare le spose.
L’usignolo sceglie per il suo impareggiabile canto le ore del tramonto, della notte, dell’alba. (T. Bettolo)

Un giorno d’aprile

Un giorno d’aprile il vento disse al sole: “Proviamo a fare un bel disegno nel cielo?”
“Ebbene, comincia tu”, rispose il sole.
Il vento cominciò. Scese nel mare, si caricò di nuvole e andò a stenderle nel cielo. Che bei disegni! Parevano fiori, alberi, animali, montagne. Ma le nubi erano quasi tutte dello stesso colore.
“Ora tocca a te!” disse il vento.
Il sole, zitto zitto, si fece prestare tante goccioline dalle nuvole e tra quelle goccioline mandò i suoi raggi. Oh, che bellezza! Subito nel cielo si disegnò un bell’arco di sette colori: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto.
Tutti gli uomini e gli animali che lo videro stettero lì incantati a guardare. (E. Nuccio)

Profumi e colori

Verso la fine di aprile le viole, i giacinti, i narcisi, i tulipani, i nontiscordardime traboccano dalle aiuole. Il glicine si veste di grappoli violacei. Il caprifoglio è tutto un mazzetto color miele. Le serenelle folte di corimbi bianchi e lilla profumano l’aria. Tra poco sbocceranno le rose: a maggio.

Due pesci d’aprile famosi

Famoso è rimasto lo scherzo preparato a Roma dal sarto Pasquino ai danni di un avaro signore. Un anno, ai 31 di marzo, parecchi romani si videro recapitare un biglietto d’invito a pranzo per l’indomani da parte del ricco signore. E il giorno dopo, tra lo stupore generale, tutti si presentarono puntualmente a palazzo. Rimandare tanta gente indietro sarebbe stato uno scandalo; così il pranzo dovette essere preparato e gli ospiti dovettero essere accolti, sia pure a malincuore. Ma che lezione fu quella per l’avaro!
Qualche anno fa a Verona furono annunciati i balli svedesi, nell’Arena, per il primo di aprile. Oltre duemila persone acquistarono i biglietti. Aspetta, aspetta… i balli non cominciavano mai… Ad un certo momento gli spettatori videro apparire in mezzo all’Arena un enorme pesce di carta, mentre un ragazzetto si presentava alla folla facendo ballare sulle dita… i fiammiferi svedesi. L’incasso fu destinato a pubblica beneficenza.

Dettati ortografici APRILE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici LE ERBE DEL PRATO

Dettati ortografici LE ERBE DEL PRATO – Una collezione di dettati ortografici sul tema “le erbe del prato”, di autori vari, per la scuola primaria.

Il prato
In primavera il prato si riveste di erba verde e profumata. Fra l’erbetta tenera sbocciano le prime margheritine, le calendule, tutti i piccoli, variopinti giori di cui pochi conoscono il nome, ma che fanno il prato leggiadro e bello.

Quanti fiori!
Quanti fiori sul prato verde, nuovo. tutto imbrillantato di rugiada! Pratoline bianche con l’orlino rosso, calendule arancione, campanelle bianche e viola che di arrampicano sui cancelli, vilucchi modesti, bianchi, venati di rosso, e poi tutti i piccoli fiori di cui forse pochi sanno il nome, ma che fanno il prato così leggiadro, così variopinto, così profumato!

Sotto la siepe ancora fitta di stecchi spinosi, è spuntata la prima viola. Coraggiosamente ha sfidato i pericoli dell’ultimo freddo ed ha levato la sua testina scura fra un groviglio di foglie secche, di germogli novelli, di fili di paglia, di grumi di terra. Grazie, piccola annunciatrice della primavera.
R. Rompato

Il prato è colmo di fiori: vedi le radichelle gialle, le azzurre corolle della cicoria, le testine piumose della pimpinella, i trifogli bianchi, gialli, rossi, l’oro dei ranuncoli, il bianco rosato delle pratoline… e i fiori della malva, del tasso barbasso, i fiorellini leggeri delle veroniche, gli occhi azzurri delle genziane, i grappoletti della prunella, le creste di gallo, i tralci dell’odoroso pisello… E’ una festa di colori e di aromi; la festa della primavera. (N. A. Oddi)

I fiori
Appena la natura ripalpita ai primi soffi di primavera, ecco i fiori. Fiori dappertutto: nei campi e nei prati, sulle rive dei ruscelli, nelle siepi, nei boschi, nei giardini. Fiori che ornano con ugual grazia i vasi di cristallo e i pentolini sbocconcellati, le case dei ricchi e le modeste dimore dei poveri. (Savini)

La prima viola
E’ spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata! E’ venuta a dire alla primavera che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si copriranno di gemme, di fiori, di frutti. (Steiner)

Alla viola
Grazie, piccola annunciatrice della primavera! Tu vieni a dirci che le rondini sono in viaggio per tornare ai loro nidi, che gli alberi si sono già coperti di gemme, che il contadino prepara i lavori dei campi… Tu vieni a dirci la parola della speranza e della gioia, piccola viola che ti dondoli al vento di marzo, con delle perline di brina ancora luccicanti sul lembo delle foglie, ma con la profumata corolla spalancata a bere il calore del pallido sole.
R. Rompato

L’amemone
Fior di vento è il mio nome; e quando, a primavera, tutta la pianura si desta fremente all’alito dei primi venti, io alzo ridente la mia corolla al sole. Mi piace sentirmi curvare da quel manto leggero che piega gli steli e fa ondeggiare gli alti, solenni pioppi. E’ bello fare a rimpiattino con gli aguzzi ciuffi d’erba che, timidi, si affacciano a cercare il sole.
R. Rubatto

Fiori selvatici
In primavera, quando tutto rinasce nella natura, è una gioia osservare il verde delle erbe e del fogliame riprendere la sua rivincita sulla bianchezza delle nevi. Gli steli delle erbe, che possono rivedere la luce, perdono la loro tinta rossastra per diventare di un bel verde. I prati sono screziati da moltitudini di fiori e qui ecco ranuncoli, anemoni e primule sbocciate a mazzi, più lontano il verde scompare sotto il niveo biancore del grazioso narciso.
G. Reclus

Risveglio dei fiori
Al mattino, appena il cielo biancheggia ad oriente e spegne ad uno ad uno i suoi lumi, appena le nuvole cominciano a colorarsi di tinte d’opale, d’argento, d’oro, di porpora, i colori dei fiori cominciano a distinguersi fra le erbe sempre meno scure, e prima i bianchi e i gialli, più tardi i rosei, i cilestrini, i blu. Presto presto, se il cielo non sia nuvoloso o piovoso, le pratoline sciolgono le cuffiette, i vilucchi calano i cappucci, si aprono le campanelle e i gialli soffioni e le cicorie somiglianti a fiordalisi.
Paolo Lioly

Fiori di campo
Sbocciano in piena libertà, all’aria aperta della campagna. Danno un aspetto vago all’erba dei prati, inghirlandano a festa la spalliera delle colline, riempiono di profumo le gole dei burroni e il silenzio delle ombrose valli. (Collodi)

Fiori di campo
Li trovate dappertutto: lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, lungo le prode, su per i greppi, nelle aiuole degli orti e dei giardini. Si direbbe che questi piccoli e graziosi amici stanno a far capolino fra l’erba per sorridere mentre passate, per darvi il bene arrivato e per rallegrarvi la strada. (Collodi)

Fiori di campo
Entrate nel bosco ed ecco venirvi incontro il mughetto con le sue campanelline d’argento e la violetta dal profumo delicato; fra quel ciuffo d’erba verde biancheggia l’elegante margheritina, e in mezzo ai campi di biade, spicca il rosso fiammante del rosolaccio e la tinta azzurra del fiordaliso. (Collodi)

I fiori
I fiori vivono e parlano. Il profumo è il loro respiro, il colore la loro voce. La rosa ho un linguaggio e il garofano dice parole diverse dalla violetta. Così ogni fiore ha la sua voce e dal giardino e dal prato si alza un coro di profumi. (Salvaneschi)

Il prato
Il prato era tutto brullo, con pochi ciuffi di erba inaridita dal gelo. E’ bastata una mattina di sole, è bastata una lieve pioggerellina di primavera ed ecco che il prato si è ricoperto di erbetta tenera e profumata; ecco gli insetti ronzare intorno ai primi fiori, ecco le pratoline aprire gli occhietti meravigliati, ecco le violette esalare il loro delicato profumo.

Il prato
Sul prato cresce l’erba, talvolta così disprezzata che molti la chiamano erbaccia. Non è erbaccia, è il fieno profumato per alimentare il bestiame, è il foraggio per l’inverno, quando il gelo avrà ucciso tutte le piante; è la bellezza del prato, è una meraviglia della natura.

Il prato
Certamente ti piace correre per i prati, sdraiarti fra la verde erbetta, cogliere i fiorellini che sbocciano al tiepido sole di primavera. Ebbene, quando ti sarai sfogato a correre, a saltare, a cogliere fiori, fermati un momento a guardare, da vicino, l’erba dei prati. Vi scoprirai tante cose: vedrai che mondo pieno di meraviglie è quel prato che tutti calpestano senza badarci.

Le piantine del prato
Povere piantine, calpestate da tutti, urtate, lacerate, strappate! Sembrerebbero destinate a morire appena nate. E invece, la natura, materna anche con loro, le ha dotate di tessuti resistenti, capaci di guarire dalle ferite più profonde. Osserva queste piantine e vedrai come si sono adattate a vivere dovunque hanno trovato un po’ di terra, un po’ di sole, una goccia d’acqua.

Le piante del prato
Chi le ha seminate? Forse è stato il vento, un rivolo d’acqua, un uccellino, che hanno trasportato un piccolo seme; e il piccolo seme ha germogliato, ha messo foglioline e radichetta, ha fatto persino il fiore, il seme.

La portulaca

E’ una piantina di prato che forse avrai vista tante volte. Ha le foglioline grasse e un fusto cilindrico e fragile. Si spezza facilmente, ma la portulaca è dura a morire. E’ sottoposta a ogni specie d’ingiuria: piedi, ruote, zoccoli. Il fusto della piantina si spezzerà, ma se tornerai dopo qualche giorno, vedrai che la coraggiosa piantina ha rimarginato la sua ferita ed è viva e vegeta come prima.

Il soffione

Tutti lo conoscono. E’ quel piccolo ciuffo di peli che a soffiarci sopra sparisce, come sparisce la fiamma del lumino, sotto un soffio vigoroso. In fondo a ciascuno dei peluzzi, che si chiamano pappi, c’è un semino. E basta un soffio di vento perchè questi semini, portati dal loro paracadute che è, insieme, ala, se ne vadano alla ventura per cadere lontano e dar vita a una nuova pianta.

La cicoria

Hai visto, chissà quante volte, i prati fioriti dell’azzurro fiore della cicoria. E’ una pianta amara che forse non ti piace, quando la mamma la cuoce per fartela mangiare. Ma è una piantina preziosa perchè la sua radice, tostata e macinata, è buona per fare il caffè, che non è caffè ma un surrogato adatto ai bambini, certamente più del caffè vero.

Il trifoglio
E’ bella la fogliolina del trifoglio che è, insieme, una e tre: tre cuoricini venati di rosso, una fogliolina sola. Il fiore del trifoglio non è un fiore solo, ma sono tanti fiorellini uniti insieme che odorano acutamente di miele. Lo sanno le api e gli altri insetti che accorrono, avidi, a succhiarne il dolcissimo nettare.

Le piante del prato
Le piante del prato sono tante, tante, che non arriveremo mai a conoscerle tutte. In genere sono molto modeste, senza pretese, ma molte di esse potrebbero avere anche un po’ di superbia, perchè sono lontane cugine del grano. E tutte insieme formano il profumato fieno, quello che serve a nutrire il bestiame e che, per un miracolo che solo la natura sa fare, si trasforma in latte, lana, carne.

Le erbe del prato
I bambini amano i terreni erbosi e preferiscono camminare sul prato invece che sulla strada. E’ bello imparare ad osservare l’erba del prato, questa erba così calpestata, così trascurata, da meritare talvolta il nome di erbaccia.

Alcune di questa piante hanno una grossa radice a fittone, profondamente e solidamente conficcata nella terra, tanto che è difficile strapparla. E’ una delle difese che la pianta mette in opera per salvaguardare la sua esistenza. Altre piante hanno le foglie disposte a rosetta. Poichè le annaffia la natura, le piantine sono fatte così per poter raccogliere più acqua e quindi portarla alla radice. In genere l’erba del prato è resistente, non facile ad essere strappata, oppure il tessuto delle foglie è tale da rimarginarsi ad ogni lacerazione.

Chi ha seminata l’erba del prato? Nessuno (quando non si tratti di prati artificiali). Le piantine hanno lasciato cadere il seme, tanti semi che sono sbocciati spontaneamente formando così il verde tappeto. Il vento ha trasportato lontano molti di questi semi, e il prato si è esteso, l’erba ha invaso l’orlo dei fossati, il margine della strada.

Guardiamo in particolare qualcuna di queste piantine. La petacciola, o meglio la piantaggine, ha le spighe verdastre, rigide, diritte. Si lascia svellere con una certa difficoltà.

La portulaca ha delle foglioline grasse che talvolta si mangiano anche in insalata. Il suo fusto è rossastro, cilindrico, fragile. Contrariamente alla piantaggine, si spezza con facilità, ma ha la proprietà di rimarginare prontamente le sue ferite. Sottoposta, com’è, ad ogni sorta di ingiurie, usa questa sua proprietà per resistere e vivere.

Noto a tutti i bambini è il soffione, il quale da quel piccolo globo di pelo che vediamo volar via ad ogni lieve soffio di vento. I piccoli fiocchi che lo compongono sono chiamati pappi e in fondo a ciascuno di essi c’è il semino. Trasportato dal vento, il seme del soffione può così andare anche molto lontano dalla pianta madre.

L’erba del prato costituisce un ottimo pascolo per le pecore. I prati sono talvolta seminati appositamente perchè l’erba dovrà servire da mangime al bestiame. Il contadino vi semina allora il trifoglio, la lupinella e l’erba medica, che andranno poi a costituire il profumato fieno, il foraggio, così necessario all’allevamento del bestiame.

Anche molte erbe medicinali crescono spontaneamente fra l’erba del prato: camomilla, arnica, malva, ecc…

Fiori del prato
Qui, lungo il rivo, a specchio dell’acqua bruna, fioriscono i miosotis. Dalle umili foglioline sugli steli emergono i fiori; sono frammenti di cielo azzurro, e in mezzo ad ognuno splende un grano d’oro, come il riflesso di un sottile raggio di sole. Sulla riva ancora fioriscono le primule. Dal cesto verde, rotondo, aderente alla terra, s’alzano le delicate corolle gialle, pallide e trasparenti, come se dentro brillasse un tenue lume. (G. Fanciulli)

Fiori del prato
Si stendono in file bianche e rosate le pratoline, modeste come bimbe. Le guardano, appena reclinandosi, le nobili genziane, dalla veste mirabilmente turchina. Azzurri sono anche i fiori della borrana, e più teneri sembrano, affacciandosi dal viluppo delle foglie villose e pungenti. Larghe macchie d’un rosso cremisino, o d’un bianco giallognolo, stendono sul verde i trifogli. Dove l’erba è più alta, emergono i giallo-lucidi bottoni d’oro, penduli ad ogni soffio d’aria; e le più gravi margherite, dal tondo occhio stupito in mezzo alla candida raggera. (G. Fanciulli)

Le erbe del prato
A primavera, dopo che le ultime nevi sono scomparse, le erbe germinano in fretta e si fanno alte. Sembrano tutte uguali al piede che le calpesta; ma non agli occhi che le guardano con amore, nè alle mani che a dita aperte vi affondano per una carezza. Quale innumerevole famiglia! Steli, foglie, fiori, sembrano messi lì a far folla, hanno ciascuno un disegno, un’armonia di colore, un carattere individuale rivelato in minutissimi particolari. (G. Fanciulli)

Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo: l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il nettare, gli insetti gli ronzano intorno. La sua vita è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina. Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace tra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore del fieno fresco. (M. Cera)

I campi ormai sono un trionfo di colori:  il frumento cresce a vista d’occhio  e comincia a spigare; i prati di ravizzone e di trifoglio sono fatti di porpora e d’oro; le rive dei fossati e dei fiumi si sono ricoperte di fiori dai colori tenui e soavi; le piante da frutto tendono al cielo i rami carichi di fiori, tra i quali, con un ronzio monotono ma vivo, volano leggere le api dall’alba al tramonto. (G. G. Moroni)

Era un breve spazio rettangolare che una cancellatina separava dal giardino più vero. In due lati del rettangolo una strisciolina aveva la bellezza di un nespolo, di un rosaio che distendeva la sua capigliatura per tutta l’estensione della cancellata… Odorosa fioritura di ciocchette bianche, bocche di lupo, bocche di leone, vilucchi, convolvoli; stupori dei bocci, dei semi, delle bacche che schioccavano e lanciavano il seme. Vita dei bruchi, delle larve, amori e nozze dei minuscoli esseri: un mondo di stupori quella strisciolina di terra. (B. Cicognani)

I vecchi muri hanno una particolare poesia: dalle screpolature, dai piccoli antri bui escono le erbe, quali piccole e timorose della luce, quali vigorose e ricche di foglie e di fiori. Alcune ricoprono il muro con una leggiadra cortina di un verde tenero sulla quale scherza il vento, che la agita vivacemente suscitando fruscii sommessi e improvvisi, mentre il sole vi accende luci ed ombre, bagliori di perle e riflessi di seta. (P. Boranga)

Le viole sono state le prime a sbocciare sulle rive dei fossi e vicino ai cespugli, pronte a rispondere al richiamo del sole. Le hanno seguite poi le pervinche, le primule, le pratoline: ora, bottoncini di luce, rallegrano le zolle. Ci annunciano la primavera che sta arrivando e noi accogliamo nel cuore la dolce promessa.

Le primule sono fiori da nulla, piccoli, gialli come lo zolfo. Tutti gli anni, appena marzo ride un pochino, si mettono di impegno. Spuntano a ciuffi da una modesta rosetta di foglie ruvide e si accontentano di un pugnetto di terra, di una goccia d’acqua, di un raggio di sole. Vogliono essere tra le prime ad annunciare il ritorno della bella stagione. Chi le vede pensa: “La primavera è qui” e si rallegra. Le primule lo sanno bene ed hanno fretta.  Non importa se, poi,  la neve le farà morire. Non importa. Hanno annunciato la fine dell’inverno, il ritorno della primavera e… sono contente. (L. Davanzo e D. Scotti)

La campagna conserva ancora l’aspetto invernale. I rami degli alberi cominciano appena a mostrare le prime gemme e l’aria è ancora umida e fresca. La primavera è vicina. Ecco i primi fiori: le viole mammole. Sbocciano ai margini delle strade di campagna, lungo i viottoli e lungo i fossi, nei prati, là dove comincia il bosco, ai piedi delle vecchie querce, tra le foglie secche dell’autunno.

La prima viola è spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura e profumata! E’ venuta a dire che è primavera, che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido. E’ venuta a dire al contadino che i lavori del campo lo aspettano. E’ venuta a dire ai poverelli, che questo inverno soffrivano tanto, che non farà più freddo. (L. Steiner)

Fienagione

L’erba ben presto diverrà fieno odoroso. Poi verrà il gran carro e il fieno vi sarà  ammonticchiato; e il carro se ne andrà traballando col suo carico profumato.
Il prato resterà silenzioso e spoglio del suo bel manto. E le cavallette, le formiche, le coccinelle, le chioccioline, tutte le creature minuscole che vivono sotto le erbe folte, vedranno distrutta la grande boscaglia.
Addio ombra, addio frescura, addio protezione.
Ma gli steli corti corti assicurano: “La falce taglia? E noi cresceremo di nuovo”.
(E. G. Camillucci)

I fiori di campo

I fiori di campo fanno una figura molto semplice e modesta, ma sono anch’essi graziosi, freschi, odorosi e coloriti con una delicatezza e una varietà di tinte meravigliose. I fiori di campo sbocciano, in pienissima libertà, all’aria aperta della campagna. fuori del muro dei giardini e senza bisogno delle cure del giardiniere. Passeggiando per la campagna si trovano questi fiorellini da per tutto: lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, lungo le prode, su per i greppi. Si direbbe che questi piccolissimi e graziosi amici siano lì per sorriderci e augurarci buona fortuna.

Fiore di prato

Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo; l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il nettare, è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina.
Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace tra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore fresco del fieno. (M. Cera)

Fiori modesti

A tutti i fiori splendidi e superbi preferisco quelli modesti: la selvaggia rosa di macchia, che un raggio di sole appassisce; il caprifoglio, che si arrampica sulle querce o stende sui cespugli le sue braccia aulenti; la  viola del pensiero dagli occhi vellutati e pensosi; la viola mammola timida; la margheritina dei campi; il ranuncolo d’oro; l’erica rosa; il mughetto d’argento; la viola di Pasqua, che nasce, vive e muore negli orti; il biancospino intorno a cui ronzano le api. (F. Dumonteil)

Fiori

Qua e là, cespugli di fiamme vermiglie dei rosolacci; e macchie giallastre e celestognole di tulipani selvaggi, di papaveri e di anemoni; eserciti di spighe e di grappoli tra il bianco della brina e il rosso del sangue; moltitudini di pratoline con gli orli venati e l’occhio d’oro; e qua e là pezzetti di cielo più celeste del vero, caduti tra l’erba: i fiordalisi. Agli orli del prato, cespi alti e squillanti di ginestre. (G. Papini)

Waldorf poems and verses

Waldorf poems and verses – una collezione di poesie, motti e filastrocche, di autori vari, per la lezione di Inglese nello stile della scuola steineriana.

Waldorf poems and verses
Hidden
Deep in the kingdom there spreads a great forest,
Deep in the forest a mountain soars high;
Deep in the mountain a high vaulted cavern,
Secret and solemn, where fools may not pry.
Deep in the cavern there stands a great granite,
Solid and silent and strong as the earth;
Deep in the granite there glistens and gleams
A radiant jewel of wondrous worth.
Paul King

The little brown bulb
The little brown bulb lies quiet and warm,
Sheltered from wind and sheltered from storm.
“Awake, Little Bulb,” call the rain and the sun,
“Wake and unfold
Your green and your gold,
For winter is done.”
Paul King

Winter and Spring
Cruel winter froze the stream,
Made all things hard with ice and snow.
The creatures shivered, the flowers died,
Nothing could live, and nothing could grow.
Then came summer’s kindly warmth,
The sun shone down with love and light.
The hard ice cracked and melted away
And life bloomed again in colours bright.
Paul King

The lighthouse
Out in the bay there’s a lighthouse,
On an island of rock on its own.
The mighty waves buffet its boulders
And the winds howl around it and moan.
But so firmly it stands on the granite,
Undaunted by wind or by sea,
And its bright beam sweeps through the stormy night
To bring the ships safe to the quay.
Paul King

Morning Verse
The sun with loving light
Makes bright for me each day.
The soul with spirit power
Gives strength into my limbs.
In sunlight shining clear
I reverence, O God,
The strength of humankind
Which thou, so graciously,
Hast planted in my soul
That I, with all my might,
May love to work and learn
From thee comes light and strength
To thee rise love and thanks.

Waldorf poems and verses

How Beautiful the World Is
How beautiful the world is,
How blue the sky above,
How green the grass in the morning dew,
How musical the dove.
Eyes to see the colours bright,
Ears for music of delight,Nose to smell the fragrant rose,
Skin to feel the breeze that blows.
How beautiful the world is,
How blue the sky above,
God is there in all creation
Flowing forth in light and love.
Paul King

The song of the stars
The song of the stars resounds in the heavens,
The song of the sun awakens the day,
The song of my heart is the sun in my soul,
And I’ll listen, and listen, to what it can say.
P. King
A head I have for thinking deeply,
Listening, and learning, and looking with care.
Hands I have for work and creating
With fingers skillful to make and repair.
In my heart I can carry the sun
Shining with love for everyone.
Paul King

From Wibbleton to Wobbleton is fifteen miles,
From Wobbleton to Wibbleton is fifteen miles,
From Wibbleton to Wobbleton,
From Wobbleton to Wibbleton,
From Wibbleton to Wobbleton is fifteen miles.

Waldorf poems and verses
Hickory, dickory, dare,

The pig flew up in the air.
A man in brown
Brought him down
Hickory, dickory, dare.
Higglety, pigglety, pop!
The dog has eaten the mop;
The pig’s in a hurry,
The cat’s in a flurry,
Higglety, pigglety, pop!
Hoddley, poddley, puddle and fogs,
Cats are to marry the poodle dogs;
Cats in blue jackets and dogs in red hats,
What will become of the mice and the rats?
Tumbling Jack goes clickety-clack,
Down the ladder and then comes back,
Clickety-clack, rattle and hop,
Over and down again, flipperty-flop!

Waldorf poems and verses
The Robin’s Song

God bless the field and bless the furrow,
Stream and branch and rabbit burrow,
Hill and stone and flower and tree,
From Bristol town to Wetherby –
Bless the sun and bless the sleet,
Bless the land and bless the street,
Bless the night and bless the day,
From Somerset and all the way
To the meadows of Cathay;
Bless the minnow, bless the whale,
Bless the rainbow and the hail,
Bless the nest and bless the leaf,
Bless the righteous and the thief,
Bless the wing and bless the fin,
Bless the air I travel in,
Bless the mill and bless the mouse,
Bless the miller’s bricken house,
Bless the earth and bless the sea,
God bless you and God bless me!
(old English Rhyme)

After the Rain
Drip, drip, drip from the twigs and the leaves,
Drop, drop, drop from the drain-pipe and the eaves,
Plip, plip, plip making dimples in the sand,
Plap, plap, plap in the palm of my hand.
Driplets on the petal tips,
Droplets on the grass,
A-glistening in the sunlight
When the rain cloud has passed. Paul King

Bees
Buzzing bees, buzzing bees,
Buzzing and bumbling from flower to flower,
Sucking sweet nectar out of the bloom,
To fill with gold your honeycomb bower.
Paul King

Waldorf poems and verses
One tired tortoise

Plodding in the Karoo,

He bumped into another one
And that made two.
Two tired tortoises
Resting by a tree,
Along came another one
And that made three.
Three tired tortoises
With feet feeling sore
Along came another one
And that made four.
Four tired tortoises
Just trying to survive,
Along came another one
And that made five.
Five tired tortoises
In a thirsty fix,
Along came another one
And that made six.
Six tired tortoises
Wished they were in Devon,
Along came another one
And that made seven.
Seven tired tortoises
Getting quite irate,
Along came another one
And that made eight.
Eight tired tortoises
Starting to decline,
Along came another one
And that made nine.
Nine tired tortoises
Prayed and said ‘Amen’,
Along came another one
And that made ten.
Ten tired tortoises drinking at a well,
Then each one yawned and said Goodnight
And slipped into his shell.
Paul King

Waldorf poems and verses
Twelve Tiny Tadpoles (adding 2)

2 tiny tadpoles swimming near the shore,
up swam another two and that made 4.
4 tiny tadpoles playing naughty tricks,
up swam another two and that made 6.
6 tiny tadpoles in a giddy state,
up swam another two and that made 8.
8 tiny tadpoles found a little den,
up swam another two and that made 10.
10 tiny tadpoles in the mud did delve,
up swam another two and that made 12.
12 tiny tadpoles wriggling just for fun,
One called out, “There’s the stork!”,
. . . And then there were none.
(because they’d all hidden, not because they were all eaten!)
Paul King

Finger exercise rhyme
Hens at the Dish
Peck, peck, peck,
Peck, peck, peck,
The hens in the yard go
Peck, peck, peck.
First one, second one,
Third one, fourth one,
Pecking round the dish
Till the grain’s all gone.
Paul King

Left and Right
Left and Right were going to fight,
They crossed their swords in the middle of the night.
Left and Right were equally strong.
Left and Right were equally wrong!
Left and Right grew tired of the fight,
So they all shook hands and said Good-night.

Waldorf poems and verses
The Lion and the Mouse

Lion lies sleeping, silent and still,
Along comes a mouse and thinks he’s a hill.
Up the great body the little mouse goes,
Through mane, across ear, and down Lion’s nose.
But Lion wakes up and gives a great roar,
Catches poor Mouse in his long cruel claw.
“How dare you walk over your king and your lord!
For this only death shall be your reward.”
The little mouse shivers and shudders with fright,
Tries hard to think how to put things a-right.
“Forgive my mistake, mighty Lion, I pray,
And I promise to help you too some day.”
At this Lion laughs and shakes to and fro,
But he’s now in good humour and lets the mouse go.
Days come and days go, and some hunters pass by
Who set a great lion-trap cunning and sly.
Lion walks in, unaware of the threat,
And suddenly finds himself caught in a net.
Frustrated he roars with wrath and despair;
Little Mouse hears how he’s caught in a snare.
She remembers her promise and runs without pause
To the spot where the Lion so rages and roars.
Her sharp little teeth set to gnawing the rope,
Thread after thread, now the Lion feels hope.
Soon there’s a hole and the Lion is freed.
The Mouse has kept her promise indeed!

Waldorf poems and verses
The Fox and the Crow

A coal-black crow sits in a tree,
A morsel of cheese in his beak has he.
A fox slinks by as sly as you please,
And cunningly plots how to get the cheese.
“Oh how I admire your feathers so spry,
The sheen of your tail and the glint of your eye,
The elegant curve of your beak sharp and long –
But would I could hear your sweet voice raised in song!”
At this the crow’s flattered and quite taken in;
To impress the fox further he will now begin.
He throws back his head, and rasping and raw,
He utters a raucous, cacophonous “Caw!”
With beak all agape, the cheese tumbles out,
The fox snaps it up in his long pointed snout.
“Sing, Crow, your vanity, long as you please.
You keep your song, and I’ll have the cheese!”

The Pine Tree and the Reed
“You are small and weak,” the pine tree said
To the swaying reed by the stream below,
“Whereas I am stately, high above you,
And have far more to show!”
The reed was silent. But soon after this
A gale began to bluster and blurt.
The rigid pine tree snapped in the wind,
But the pliant reed bent unhurt.

Waldorf poems and verses
Chatterford Market

Cabbage and carrots,
Beetroot and beans,
Spinach and sprouts,
Marrows and greens:
All of the freshest
Crispy and spry,
At Chatterford market,
Buy! Come buy!
Lettuce and leeks,
Pumpkin and peas,
Cherries and berries
And lemons to squeeze.
There’s big yellow cheese
And honey from bees
And all sorts of teas
From bushes and trees,
And cakes and pies
To feast the eyes,
Pies and pasties of every size.
There are things we all know
And things that surprise
At Chatterford Market
Under the skies.

The little bird
The little bird sighed, “Oh me, oh my!
How they will laugh if I try to fly.
If I flutter and flop, or tumble and fall,
Will the creatures all laugh at me, clumsy and small?”
But the sun shone down with a kindly face
“Just try and soon you will fly with grace.”
The bird practised hard never minding to fall,
And now the great eagle flies highest of all.

Waldorf poems and verses
Acorn and Oak

“Oh I’ll never be big,” the acorn said
As it gazed on high to the oak tree tall,
“I’m little and round as a miller’s thumb,
I’ll never be big, I’ll always be small.”
The oak tree smiled a knowing smile,
“My trunk is thick, and my roots are deep,
My branches and twigs spread high and wide,
For birds to nest in, and bugs to sleep.
But I was an acorn too on a time,
– ‘Oh I’ll never be big, I’ll never be strong,’-
That’s what I thought many years ago…
And, dear little acorn, you see I was wrong!”

Johnny’s farm
Waldorf poems and verses

Johnny had a little dove, coo, coo, coo.
Johnny had a little mill, clack, clack, clack.
Johnny had a little cow, moo, moo, moo.
Johnny had a little duck, quack, quack, quack.
Coo, coo; clack, clack; moo, moo; quack, quack;
Down on Johnny’s little farm.
Johnny had a little hen, cluck, cluck, cluck.
Johnny had a little crow, caw, caw, caw.
Johnny had a little pig, chook, chook, chook.
Johnny had a little donkey, haw, haw, haw.
Coo, coo; clack, clack; moo, moo; quack, quack;
Cluck, cluck; caw, caw; chook, chook; haw, haw;
Down on Johnny’s little farm.
Johnny had a little dog, bow, wow, wow.
Johnny had a little lamb, baa, baa, baa.
Johnny had a little son, now, now, now!
Johnny had a little wife, ha! ha!! ha!!!
Coo, coo; clack, clack; moo, moo; quack, quack;
Cluck, cluck; caw, caw; chook, chook; haw, haw;
Bow-wow; baa, baa; now, now; ha! ha!!
Down on Johnny’s little farm.
(traditional)

Lovely Things
Bread is a lovely thing to eat –
God bless the barley and the wheat!
A lovely thing to breathe is air –
God bless the sunshine everywhere!
The earth’s a lovely place to know –
God bless the folks that come and go!
Alive’s a lovely thing to be –
Giver of life – we say – bless Thee!
H.M.Sarson

Waldorf poems and verses
Measurement
“Oh build for me builder
A house of my own,
With plank and with timber,
With tiling and stone;
A solid foundation,
Four walls stout and thick,
A roof of good oak beam,
And chimney of brick.”
“Yes, I’ll build you a house,
The best that I can,
But the measurements true
I’ll need for the plan.
How deep the foundation?
What height for the wall?
What length for the rooms,
And the passage and hall?
How high is the chimney?
How wide are the floors?
How broad is the staircase?
How narrow the doors?
Give me the measure
To build your house right:
The width and the length,
The depth and the height.”
Paul King

Waldorf poems and verses
Nouns and Verbs

Of all the things I can know and love,
Like the earth below and the sky above,
The wind in the trees
And the waves of the sea:
All these the noun will name for me.
The dolphin, the whale and fishes bright,
The lark at dawn, and the owl of the night,
The fox in his den,
And the buck that springs:
The naming noun will name these things.
Of all the things that as deeds are done,
I can leap or linger, romp and run,
I can weep salt tears,
And chuckle with glee:
And these the doing verbs decree.
I live, I learn, I wish for, I work,
But if a good deed I would lazily shirk,
Then a charm I can say
The good to fulfill:
I can,
I should,
I want to,
I will!
Paul King

Waldorf poems and verses
Where am I?
In the hand of God is the Universe,
In the Universe is our galaxy,
In our galaxy is the Solar System,
In the Solar System is the Earth,
On Earth is the continent of Africa,
In Africa is the country of South Africa,
In South Africa is the province of the Western Cape,
In the Western Cape is the city of Cape Town,
In Cape Town is the suburb of Kenilworth,
In the suburb of Kenilworth is Marlowe Road,
In Marlowe Road is Michael Oak School,
In Michael Oak is Class Four,
In Class Four are rows of desks,
In one of those rows is my desk,
Here I sit.

Waldorf poems and verses
Here I sit
at my desk
in one of the rows
in Class 4
in Michael Oak
in Kenilworth
in Cape Town,
in the Western Cape
in South Africa
in Africa
on Earth
in the Solar System
in the galaxy
in the universe
in the hand of God.

Waldorf poems and verses
Butterfly and Flower

See the flower open
Its petals one by one –
Butterfly wings upon a stem
Waving in the sun.
See the flitting butterfly
In shimmering colours bright –
A flower free and flying
In the warm summer’s light.
See the bee
How selflessly
She toils to bring the honey home.
The silent hive
She’ll keep alive
When blooms are blown and winter’s come.

By day the light of the radiant Sun,
By night the light of mysterious Moon,
And the wandering Stars ever above,
Guide and guard us night and noon.
Light of the sun shine in my thoughts
Beauty of moon weave in my heart,
Wisdom of stars flow through my deeds.
Morning, evening, night and noon.

The pillars of the temple
Stand between earth and sky :
Upon a footing that’s sturdy and firm
They lift the roof on high.

The great and glorious golden sun
Shines from on high on everyone,
On saint and sinner, shepherd and king,
On the great and the stumbling, unstinting.

See the stone
Sculpted by storm,
Weathered by wind
To a rugged form.
See the shell
Whose elegant spin
Spirals and twists
To the heart within.
Weather and wind
Or life unfurled:
Inner and outer
Shape the world.

Waldorf poems and verses
Above me, the heavens with moon and sun,

Below me, the earth firm and strong,
Behind me, an angel to guard me and guide,
Before me, the goal to which I stride,
Beside me, my loved ones, and all around
Fire and water and air abound.
Above, below; near and wide;
Behind, before, and either side :
The encompassing world lies far and nigh,
And in the centre, here stand I.

Crystal, jewel, rock or stone,
In me is sinew, flesh and bone.
The plant unfolding stem and leaf,
In me is growth and pulsing life.
The sentient beast that roves the plain
In me is shades of joy and pain.
The sun that gives its loving light,
In me is thinking’s radiance bright
Beast and plant, earth and sun –
All the world in me is One.

The word of a king can slay or spare,
The word of a clown can gladden.
The word of a friend can comfort and share,
The word of a foe can sadden.
The word of God creates a world
Of firmament, land and sea;
The word of my mouth
Shapes my life,
And so creates me.

The master paints a picture
And its greatness shineth forth;
The journeyman travels to broaden his skill
By many a winding path;
The apprentice must practise and practise
And practise undaunted still more –
But first he takes a simple broom
And sweeps the master’s floor.

Rain, fall!
Water, flow!
Bring new life
That the plant may grow.
Soften the earth
That the root grow deep;
Moisten the air
That stem and leaf
Unfurl and unfold
In the shimmering light
And bring forth the flower
For our delight

The tool unused lies lost in dust,
The sword unused turns dull with rust,
The path unused grows clogged with weed,
The crop untended goes to seed.
Skills unused will soon decay,
Talents wasted, fade away.

I will work with a wish and I’ll work with a will,
And the task that life brings me I’ll gladly fulfil,
And unfolding new skills, many joys shall be mine.
Away dull rust! Let me shine!

In the waters of a pool,
Deep and green, dim and cool,
Unperturbed by swirl or swish,
Hangs a dreaming silver fish.
Thrice a-dream in waters deep,
Wrapped in fast aquatic sleep.

Then with a flip and a flash and a flay
Swift as the lightning it flickers away.

The sails are full, the anchor hauled,
The rolling keel o’erleaps the swell,
The wheeling gulls above me call,
And wind and wave betoken well.

Storm or calm
Near or far,
Undeterred I’ll follow my star.

Earth beneath my feet,
Thee my step doth greet.
Through the light of days
I walk upon thy ways,
Straight or curved or steep
In places high or deep.
Wisdom guide my soul,
Lead me to life’s goal;
Firmness bear me on
Till my path be done.
Earth beneath my feet,
Thee I gently greet.

I waken to the morning light,
I waken to the hills and seas,
I waken to the birds and beasts,
I waken to the plants and trees;
And the world of people round me moves,
Family, teachers, friends and more –
The world awaits me every morn
To know, to cherish and explore.
In the world I will seek
For the good and the true
By the thought that I think
And the deeds that I do

Waldorf poems and verses
The Ballad of Semmerwater

Deep asleep, deep asleep,
Deep asleep it lies,
The still lake of Semmerwater
Under the still skies.
And many a fathom, many a fathom,
Many a fathom below,
In a king’s tower and a queen’s bower
The fishes come and go.
Once there stood by Semmerwater
A mickle town and tall;
King’s tower and queen’s bower
And the wakeman on the wall.
Came a beggar halt and sore:
“I faint for lack of bread!”
King’s tower and queen’s bower
Cast him forth unfed.
He knock’d at the door of the eller’s cot,
The eller’s cot in the dale.
They gave him of their oatcake,
They gave him of their ale.
He has cursed aloud that city proud,
He has cursed it in its pride;
He has cursed it into Semmerwater
Down the brant hillside;
He has cursed it into Semmerwater
There to bide.
King’s tower and queen’s bower,
And a mickle town and tall;
By glimmer of scale and gleam of fin,
Folk have seen them all.
King’s tower and queen’s bower,
And weed and reed in the gloom;
And a lost city in Semmerweater,
Deep asleep till Doom.
Sir William Watson

Waldorf poems and verses
The Water Cycle

Water hard as iron,
Water flowing free,
Water floating light as air,
Water one in three.
Vapour rising skyward,
Falls to earth as rain,
Flows in river, stream and sea
To rise as cloud again.
Lifting skyward, falling earthward,
Ever on the move,
Thus the cycle of all life
Comes and goes on earth.
Paul King

Waldorf poems and verses
Deep in the night is darkness,

With my soul in slumber deep.
Moonlight dreams on the waters,
Moonlit dreams in my sleep.
High in the star-filled firmament
The song of the spheres is heard,
Giving me strength for the morrow,
In thought and deed and word.
Now light of the sun is dawning,
And light of my mind as I wake:
Alive in the world,
At home on the earth,
My path through life to take.
Paul King

The rocks are hard
And we stumble.
The rocks are sharp
And we bleed.
The rocks are heavy, jagged and dense,
Crushing and dark indeed.
But the rocks bear the weight of the world,
They bear up our steps with might;
And deep within, like stars on earth,
Their jewels glisten bright.
Paul King

A pebble dropped in a lake
Sends ripples gliding to shore.
The world is changed for ever;
Does the ripple glide ever more?
A word of kindness spoken
Sends warmth where was pain before.
The world is changed for ever:
The warmth lives on ever more.
Paul King

Waldorf poems and verses
Bean bag

(per l’esercizio del girare il sacchetto di fagioli attorno ai fianchi. Ogni verso è un giro completo)

Waldorf poems and verses
Round About

Round the coppice
Round the trees,
Round the woods
With the rustling leaves;
Round the tree trunk,
Round the stem:
Round about
And home again.
Paul King

(tenere il sacchetto di fagioli nella mano destra, gettarlo accompagnadolo bene con la mano sopra la testa e riprenderlo con la mano sinistra. Quattro lanci per ogni verso).

Waldorf poems and verses
Red, and orange, and yellow, and green:

The rainbow’s seven colours have a bright shiny sheen.
Light blue, indigo, and violet all told. At the end of the rainbow is a pot of gold

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Waldorf poems and verses

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Gioco cantato – There was a jolly miller (un mugnaio bello e buono)

Gioco cantato – There was a jolly miller (un mugnaio bello e buono), con testo italiano e inglese, spartito stampabile, file mp3 e istruzioni di gioco.

Gioco cantato – There was a jolly miller (un mugnaio bello e buono) – testo:

There was a jolly miller and he lived by himself
as the wheel went round he made his wealth
with one hand on the hopper and the other in the bag
as the wheel went round he made his grab!

Un mugnaio bello e buono sempre solo abitò
macinando ricco diventò,
di grano e di farina le sue mani riempì,
mentre macinava, chi rapì?

There was a jolly miller (un mugnaio bello e buono) – spartito in formato immagine

Gioco cantato – There was a jolly miller (un mugnaio bello e buono) – spartito stampabile e file mp3 qui:

Gioco cantato – There was a jolly miller (un mugnaio bello e buono) – Istruzioni di gioco

I giocatori sono in cerchio in coppia e cantano girando in senso antiorario. I giocatori che si trovano all’esterno tengono la mano sinistra sul fianco, quelli interni li prendono a braccetto.

Il mugnaio sta all’interno del cerchio e gira nel senso delle lancette dell’orologio.
A “chi rapi?” tutti i giocatori che di trovano all’esterno del cerchio si fermano e quelli all’interno avanzano fino ad affiancarsi e prendere sottobraccio il giocatore esterno successivo.

Durante lo scambio il mugnaio prende sottobraccio uno dei giocatori del cerchio esterno e il gioco ricomincia con un nuovo mugnaio.

There come three jolly fishermen

There come three jolly fishermen (tre marinai che tornano): gioco cantato con testo italiano-inglese, spartito stampabile gratuitamente, traccia mp3 e istruzioni di gioco.

 

There come three jolly fishermen
Testo inglese:

There come three jolly fishermen,
There come three jolly fishermen,
There come three jolly fishermen,
who’ve just come from the sea.

They’ve cast their nets into the sea,
They’ve cast their nets into the sea,
They’ve cast their nets into the sea,
and a jolly old fish caught they.

There come three jolly fishermen
Testo italiano:

Tre marinai che tornano,
Tre marinai che tornano
Tre marinai che tornano
che tornano dal mar.
Una bella rete lanciano
una bella rete lanciano
una bella rete lanciano
che vogliono pescar.

There come three jolly fishermen – spartito e traccia mp3 qui:

Due cerchi concentrici: quello interno è formato dai tre marinai, quello esterno da tutti gli altri giocatori.
Mentre tutti cantano la prima strofa i marinai girano in senso antiorario e il grande cerchio in senso orario.
Al termine della strofa i tre marinai si avvicinano ciascuno a un giocatore del cerchio e lo prendono per le due mani.
Tutti cantano la seconda strofa; il cerchio resta fermo, le tre coppie girano in senso orario.
Quando finisce il canto, le tre persone scelte diventano i marinai e il gioco ricomincia.

GLI INSETTI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici GLI INSETTI – Una raccolta di dettati ortografici, letture e materiale didattico sugli insetti, di autori vari, per la scuola primaria: farfalle, grilli, maggiolini, formiche, mosche, api, vespe, ecc…

Visite
Nel mio studio capitano spesso animali, ma non mi viene mai l’idea di interrogarli. Domenica passata, ad esempio, venne a trovarmi un bellissimo esemplare di locusta nasuta, lunga e snella come un levriero dei prati, d’un verde così delicatamente graduato e sfumato che non l’ottengono, credo, neppure in una scuola di tintoria. Volle girare tutta la stanza, a forza di salti e, a un certo punto, si posò anche sulla mia spalla. In capo ad un paio d’ore, sparì. Visite ne ricevo tutti i giorni. Vengono specialmente i vesponi, con quel loro bustino settecentesco a strisce d’ebano e di zafferano, e si divertono a dare dei gran colpi sulle costole dei libri. E ora, mentre scrivo, una formica smarrita attraversa, trepidante, la mia pagina bianca, e vista un po’ dall’alto sembra un fratino sopra un nevaio.
(G. Papini)

Gli insetti
Se gli insetti non avessero dei potenti nemici, in breve distruggerebbero tutto: piante, semi, foglie, frutta, radici. Ma, fortunatamente, gli insetti se ne nutrono, le rane fanno loro una caccia spietata e altri animali insettivori aiutano l’uomo in quest’opera di distruzione,

I nemici degli insetti
Primi fra tutti sono gli uccelli che, alla fine della loro giornata, hanno divorato migliaia e migliaia d’insetti. Dobbiamo essere grati anche al rospo che, pur così sgraziato e maldestro, è un abilissimo cacciatore di bruchi, di farfalline, mosche e moscerini. Bravi insettivori sono le lucertole, le rane, che fanno del loro meglio per liberarci dagli sgraditi ospiti. Esistono anche insetti divoratori d’insetti e, quindi, utili, quali il formicaleone, la coccinella e molti altri.

Gli insetti
Se osservate un insetto che avete a portata di mano, potrete notare che ha il corpo distintamente diviso in tre parti: capo, torace e addome. Nel capo ci sono gli occhi, le antenne, e l’apparato boccale. Quest’ultimo varia secondo il modo con cui l’insetto si nutre. Le zampe sono sei. Spesso l’insetto è fornito di ali. Respira a mezzo di trachee, tubicini che da una parte aspirano l’aria e dall’altra la ramificano dentro il corpo.

Gli insetti
Non vi è luogo solitario, non ciuffo d’erba, non zolla o minuscolo anfratto del terreno, non crepa fra rocce o ferite di corteccia, che non vibri del fremito, talvolta inavvertito, degli insetti. Minuscoli esseri, essi trovano asilo e dimora ovunque la terra offra una minima possibilità di vita.
Piccoli, ma nella varietà e bellezza delle forme, nella mirabile struttura dei loro organi, nella loro vitalità presso che indistruttibile, sono anch’essi testimonianza di una divina presenza, creatrice e ordinatrice del tutto.
(G. G. Moroni)

Gli insetti
Tra le tante classi di animali rappresentate sulla terra, quella degli insetti è la più ricca. Gli insetti vivono dovunque: nelle regioni fredde e in quelle calde. Si nascondono nel suolo, invadono le case, svolazzano e volano, si arrampicano, saltano, si moltiplicano nell’erba, nei cespugli, sugli alberi, sotto le pietre, nelle cortecce delle piante.
Alcuni vivono persino nella neve e nel ghiaccio, altri stanno perfettamente a loro agio nell’acqua caldissima e nei crateri dei vulcani.
(Verril)

Insetti terribili
L’Australia ha un campionario di insetti, che formano una specialità del paese: formiche saltatrici, formiche che vivono in grattacieli di propria fabbricazione, formiche che rodono lamiere temperate, perchè schizzano un acido ossidante che permette loro di scavarsi una galleria e di penetrare all’interno di una cassa corazzata e di distruggere il contenuto con tutta comodità. In quel continente nuovissimo non son rare le mosche che depongono le uova tra i peli degli ovini, e neppure zanzare che rendono assolutamente inabitabili le zone palustri. Le cavallette sono capaci di distruggere il lavoro agricolo di anni in altrettanti minuti. (H. Van Loon)

Gli insetti

Non vi è luogo solitario, non ciuffo d’erba, non zolla o minuscolo anfratto del terreno, non crepa fra rocce o ferita di corteccia, che non vibri del fremito, talvolta inavvertito, degli insetti.
Minuscoli esseri, essi trovano asilo e dimora ovunque la terra offra una minima possibilità di vita.
Piccoli, ma nella varietà e bellezza delle forme, nella mirabile struttura dei loro organi, nella loro vitalità indistruttibile, sono anch’essi testimonianza di una divina presenza, creatrice ed ordinatrice del tutto.

Gli insetti

Gli insetti sono animali invertebrati, cioè senza ossa. Hanno il corpo diviso in tre parti: capo, torace e addome; essi sono dotati di tre paia di zampe e, generalmente, di due paia di ali.
Gli occhi degli insetti sono composti, cioè formati di tanti occhietti; sul capo sporgono le antenne, con le quali sentono ostacoli e pericoli. La bocca varia secondo il modo con cui l’animale prende il nutrimento; può quindi essere adatta a masticare, a lambire, a succhiare o a pungere. Gli insetti respirano per mezzo di trachee: tubicini che da una parte respirano l’aria, dall’altra si ramificano dentro il corpo. Essi sono ovipari; dall’uovo non esce l’insetto perfetto, ma un vermiciattolo detto larva, che poi si trasforma in ninfa o crisalide, e infine in insetto. Tali trasformazioni si dicono metamorfosi.

Gli insetti

Sono animaletti molto piccoli. Alcuni di essi volano, come le belle farfalle dalle ali colorate, le libellule sottili, le api che fanno il miele e la cera e vivono negli alveari, le fastidiose mosche e zanzare che trasmettono le malattie. Altri insetti camminano, come le formiche che vivono nei formicai; altri saltano, come le pulci e i pidocchi, insetti piuttosto antipatici, o come gli insetti dei campi, i grilli e le cicale, le cavallette e i  maggiolini; altri strisciano come i bruchi e come gli utilissimi bachi da seta.

La metamorfosi degli insetti

Gli insetti, prima di diventare adulti, compiono una metamorfosi, cioè una trasformazione. Quando l’uovo si schiude esce fuori un baco molliccio, detto bruco o larva. Successivamente, dopo essersi chiuso in un bozzolo, il bruco diviene insetto perfetto somigliante ai propri genitori.

Insetti utili e dannosi

Gli insetti che, specialmente nella bella stagione, vedi volare sui fiori, dalle bellissime farfalle al minuscolo moscerino, dalla cavalletta fornita di lunghe zampe al lucente scarabeo chiuso nella corolla di una rosa, sono, in genere, dannosi all’uomo. Esistono tuttavia molte eccezioni. L’ape e il baco da seta, ad esempio, danno all’uomo prodotti utili: il miele e la seta.
La formica rufa distrugge quel parassita dei boschi che è la processionaria dei pini.
E poi c’è un’eccezione che vale per tutti. Gli insetti, infatti, volando di fiore in fiore, trasportano il polline dall’uno all’altro, permettendo così al fiore di trasformarsi in frutto.
Purtroppo alcuni insetti sono dannosi all’uomo; infatti con la loro puntura gli trasmettono delle gravi malattie. Fra questi tu conosci certamente la zanzara anofele che fa ammalare l’uomo di malaria. E altri, che non hanno il triste privilegio di far ammalare gli uomini, sono ugualmente dannosi perchè distruggono i raccolti.
Se uno sciame di cavallette cala sopra un campo di grano, dopo poco, su quel campo, non resta più una spiga di frumento, non resta più un filo d’erba.
La forza degli insetti è soprattutto nel loro numero sterminato: essi, infatti, si trovano dappertutto, dalle desolate terre del Polo alle foreste vergini dell’Equatore.

Alleati e nemici del contadino

E’ una meravigliosa mattina di primavera. Il contadino si aggira nella sua proprietà e osserva con soddisfazione i primi frutti della sua fatica. Nello sguardo del contadino c’è una grande speranza, ma anche una certa apprensione. Andrà tutto bene? Non ci saranno sorprese all’ultimo momento? Sono state prese tutte le precauzioni per evitare anche il più piccolo inconveniente?
Mentre il contadino passeggia e osserva, un’altra vita si svolge intorno a lui. Una vita minuscola, intensa, anche se appena appena percettibile. Si sente nell’aria un fruscio d’ali; osservando la terra si vede qualcosa muoversi velocemente. Migliaia e migliaia di minuscoli esseri volano nell’aria, si posano sui fiori degli alberi, scavano nella terra, fabbricano i loro nidi nelle radici delle piante. Ma migliaia e migliaia di altri piccoli esseri sono pronti a sferrare il loro attacco contro questi animaletti che vivono danneggiando enormemente il raccolto. La loro vita si svolge così: lotte, attacchi, contro attacchi, difese, e questo da secoli. E ogni anno il risultato del raccolto dipende anche dall’esito di queste terribili e minuscole battaglie.
Intorno agli alberi in fiore ci sono innumerevoli farfalline variopinte. E’ piacevole guardare il loro volo elegante e allegro. Ma il contadino osserva preoccupato questo leggiadro vibrare d’ali. In estate, quando al posto dei fiori i rami porteranno i frutti, le mele, le susine, le pesche, avranno, nella loro polpa, un piccolo verme roseo. Infatti queste farfalline depongono le loro uova tra i fiori degli alberi, e quando dalle uova usciranno i piccoli vermi, questi si alimenteranno con la dolce polpa dei preziosi frutti. Quando saranno divenuti farfalla, cominceranno a posarsi sui fiori, a cibarsi del nettare e, a loro volta, deporranno le uova che daranno vita ad altri piccoli vermi rosei, devastatori dei frutteti.
Tra i ciuffi d’erba e le piante di grano, assistiamo spesso ai salti acrobatici delle cavallette. E’ nota la voracità di questi insetti che in breve tempo annientano le fatiche di interi mesi di lavoro agricolo. Si nutrono delle foglioline dell’insalata, rosicchiano le radici degli ortaggi. Ma la cavalletta nostrana, che in fondo è un animale semplicione e ingenuo, si combatte abbastanza facilmente. Ben più nocive sono le locuste migratorie dei paesi caldi (Africa, Sudamerica) dove questo tipo di cavallette, spostandosi a milioni in un’unica direzione, distruggono in brevissimo tempo con la loro voracità i raccolti di intere popolazioni. Per la sua lotta contro le cavallette, il contadino ha un’alleata naturale: la mantide religiosa. E’ un affascinante insetto. Ha un musino sottile, un corpo grazioso ed elegante; tiene le zampe anteriori raccolte e piegate sul petto. Sembra proprio una piccola santa in preghiera.
Vicino a lei una cavalletta ammira incantata quel santo contegno. Ma mentre è al colmo dell’ammirazione, un uncino formidabile l’afferra a metà del corpo e la tiene in una morsa strettissima. Una zampa le torce il collo completamente. La santa si è mutata in un brigante della peggior specie: assale i viandanti, li uccide e se li mangia.
Nei frutteti e, in modo particolare, nelle pinete, alcune farfalle dai colori tenui e armoniosi si posano, dopo un breve volo di ispezione, sui rami. Sono le processionarie. La farfalla depone se uova raggruppate in piccoli cilindri che ne contengono  dalle cento alle centocinquanta. Verso la fine di agosto nascono i bruchi che cominciano a rodere le foglie. Dove passano lasciano un sottile filo simile alla seta, in modo da formare una ragnatela che viene ingrandita sempre più fino a formare un vero e proprio nido a forma di pera rovesciata. Dentro il nido i bruchi passano l’inverno e in primavera escono dal loro rifugio per dirigersi in fila indiana verso gli alberi vicini dove riprendono la loro opera distruttrice. Per fortuna anche questa volta l’uomo ha un amico: anzi, parecchi minuscoli amici: piccole mosche, vespette  che vivono da parassiti sul corpo dei bruchi nutrendosi delle sostanze vitali di questi insetti che in breve tempo muoiono.
Anche le formiche, questi industriosi architetti che tante volte abbiamo ammirato mentre costruivano le loro piccole ma perfette città sotterranee, sono un pericolo che il contadino considera con un certo timore. Nelle loro scorribande sotterranee si nutrono di sostanze vegetali, di piccole parti di radici.
Ma ecco un altro alleato: è un animale molto simile alla libellula. Il suo volo, però, è assai più debole e le sue ali sono meno lunghe ed eleganti. E’ il formicaleone. Una particolarità di questo animaletto è che, quando è adulto, il suo corpo odora di rose. Particolarmente interessante è la larva del formicaleone. E’ un vermiciattolo di colore grigio rossastro; le zampe anteriori sono divaricate in avanti, le posteriori sono strette al corpo così che l’animale cammina all’indietro. Scava nella terra, con la testa, una buca a forma di imbuto. Vi si nasconde dentro e attende il passaggio della vittima (è ghiotto di formiche e da ciò gli deriva il nome), la afferra con le mandibole, la divora e butta fuori dal buco le spoglie.
Naturalmente, oltre a questi animali che hanno caratteristiche più spiccate, ve ne sono altri che, pur essendo più comuni e meno interessanti , svolgono attivamente il loro compito di alleati dell’agricoltore: i ricci, le talpe che scavano profonde tane nella terra e si nutrono di tutti quegli insetti che vivono a spese delle colture. Per finire, una particolare menzione la meritano tutti quegli imenotteri che, deponendo le uova dentro il corpo dell’insetto devastatore, fanno in modo che la larva si nutra delle viscere dell’insetto stesso che in breve tempo sarà distrutto.

Ad ogni alitar di vento

Ad ogni alitar di vento tremano le corolle leggere, oscillano le ricche infiorescenze, le spighe e le foglioline minute hanno brividi leggeri; e il muro, il severo, l’aspro muro, è percorso continuamente da impeti di gioia, è rallegrato da sussurri fecondi.
Dalle screpolature dove più batte il sole, fa capolino la lucertola; sotto le foglie fresche ed umide lavorano i millepiedi, i glomeri, le formiche, le chioccioline e le lumache, mentre da una corolla all’altra passano frettolosi i bombi, le farfalle, i moscerini, e il paziente regno dei muri vigila la sua tela fitta come un tulle e gonfia al pari di una vela.
(P. Boranga)

Gli afidi
Ognuno conosce gli afidi o pidocchi  delle piante, ma chi di noi può concepire che da uno solo di tali minuscoli esseri devino 6000 milioni di altri afidi durante la bella stagione? Logicamente, se questo potesse accadere, e l’aumento della popolazione degli afidi fosse senza freni, in breve la vegetazione del mondo intero sarebbe distrutta. Però, fortunatamente per l’uomo e per la terra, gli afidi, come quasi tutti gli altri insetti, hanno innumerevoli nemici che senza posa li divorino.
(A. Verrill)

Gli insetti
Fra le tante classi di animali rappresentate sul nostro pianeta, quella degli insetti è la più ricca. Multiformi e multicolori, tali esseri vivono nelle regioni artiche alle antartiche, all’equatore ed in ogni ambiente. Essi si nascondono nel suolo, nuotano, invadono le case, svolazzano e si moltiplicano nell’erba, nei cespugli e sugli alberi. E’ certo che qualcuno vive persino nella neve e nel ghiaccio, mentre altri sono perfettamente a posto nell’acqua caldissima che sgorga dalle correnti termali e nei crateri dei vulcani.
(A. Verrill)

Dettati ortografici GLI INSETTI Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici FIORI

Dettati ortografici FIORI Una collezione di dettati ortografici sui fiori, di autori vari,  per la scuola primaria: fiori di campo, violette, primule, margherite, rose, ecc…

Fiori di campo

Sbocciano in piena libertà, all’aria aperta della campagna. Danno un aspetto vago all’erba, inghirlandano a festa le colline, riempiono di profumo le gole dei burroni e il silenzio delle ombrose valli. Li trovate dappertutto, lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, le prode, su per i greppi, nelle aiuole degli orti e dei giardini.  Si direbbe che questi piccoli e graziosi amici stanno a far capolino tra l’erba per sorridervi mentre passate e per rallegrarvi la strada. Entrate nel bosco ed ecco venirvi incontro il mughetto con le sue campanelline d’argento e la violetta dal profumo delicato; fra quel ciuffo d’erba verde biancheggia l’elegante margheritina, e in mezzo a campi di grano spicca il rosso fiammante del rosolaccio e la tinta azzurra del fiordaliso. (Collodi)

Fiori 
Quanti fiori, nei giardini, a primavera! Nell’erba, nascoste, sono le violette profumate; sulla siepe fiorisce il biancospino. Ogni pianta ha il suo fiore. Anche le piantine che nessuno sa come si chiamano, hanno messo il loro bocciolino.

La pratolina
La pratolina è composta da molti fiori piccoli: tanti fiori gialli al centro, tanti fiori bianchi alla corona, riuniti in un solo capolino, così da sembrare un unico fiore che spicca sul verde del prato.
Perchè?
In questo modo gli insetti possono vederla anche da lontano; vi accorrono in volo; vi si posano a succhiare il nettare e trasportano il buon polline ad altre pratoline.
Solo così potranno nascere nuove piantine.

Dettati ortografici FIORI
Le primule

Sono sbocciate le primule. Sono a mucchietti, piccole e gialle. Ciascun cespo sembra una famiglia con tante sorelline.
Sbocciano di qua e di là, da tutte le parti. Si chiamano a fiorire insieme.
Le foglie escono, dal cespo, ruvide e rugose.
Questa pianta non ha rami, ma soltanto le foglie che rimangono rasente terra. I suoi fiori si alzano un poco sopra il cespo con i loro piccoli gambi sottili e con il calice verde che mette meglio in risalto il giallo della corolla.
Gli insetti si posano sui fiori, li fanno un po’ dondolare, ma il loro gambo non si spezza.
“Io so perchè gli insetti volanti si posano su questi fiori; perchè in fondo al calice trovano una gocciolina dolce come il miele, che si chiama nettare, e se lo succhiano”.
“Anch’io ho succhiato questi fiori e mi hanno lasciato in bocca un buon sapore dolce e profumato”, dice Giovanni alla sorellina.
(Pierina Boranga)

Fiori 
Perchè alcune piante fanno dei fiori così belli, variopinti, profumati? Forse per far piacere agli uomini? No, la pianta non si cura degli uomini, ma mette in opera tutta la sua bellezza, tutto il suo profumo, tutto il suo colore e soprattutto nasconde nel suo calice una gocciolina di dolcissimo nettare, per attirare gli insetti. E perchè questo sviscerato amore per le alate creature? Perchè saranno proprio gli insetti, almeno per numerosissime specie, a favorire la trasformazione del fiore in frutto nell’interno del quale, poi, matureranno i semi. Per ottenere questo, le piante mettono in opera infiniti accorgimenti. Qualcuna schiude i suoi fiori di notte, perchè sa che soltanto insetti notturni andranno a trovarla; altre fabbricano trappole astutissime per trattenerli il tempo necessario all’impresa; altre ancora foggiano petali e calice in modo da costruire passaggi obbligati, affinchè gli insetti arrivino al polline fecondatore. Tutto per il fine ultimo che la pianta si propone, quello di produrre il seme che darà vita ad altre piante.

Fiori 
Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo; l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il  nettare, gli insetti ronzano introno. La sua vita è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina. Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace fra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore fresco del fieno. (M. Cera)

Fiori 
Nel prato fioriscono i miosotis. Dalle umili foglioline emergono i fiori: sono frammenti di cielo azzurro ed in mezzo ad ognuno splende un grano d’oro, come il riflesso d’un sottile raggio solare. Vi fioriscono le primule. Dal cesto verde, tondo, aderente alla terra, si alzano le delicate corolle gialle, pallide e trasparenti, come se dentro brillasse un tenue lume. Si stendono in file bianche e rosate le pratoline. Le guardano, appena reclinandosi, le nobili genziane dalla veste mirabilmente turchina. Dove l’erba è più alta emergono i giallo-lucidi bottoni d’oro, penduli in ogni soffio d’aria, e le più gravi margherite, dal tondo occhio stupito in mezzo alla candida raggera. Al vento, le mente, dai fiorucci azzurro-bigi, affidano il  loro profumo. Per quel vento si aprono talvolta dei solchi e si scoprono laggiù erbe minute che pure hanno i loro fiori, spruzzi gialli, rossi, turchini. (G. Fanciulli)

Fiori 
Le siepi di pruni aprivano tra le spine miriadi di occhietti bianchi per guardare il frumento tenero che brillava rabbrividendo allo scherzo gentile del vento; e gli alberi gemmavano: le foglioline lucide accendevano a mille a mille le loro fiammette verdi lungo i rami, intorno ai fremiti dei nidi; tremolavano attraverso i campi i filari argentei dei pioppi e dei salici. Qualche nuvoletta bianca era nel cielo: nei prati brillavano i bottoni d’oro dei ranuncoli; intorno ad essi gli ombrellini lievi delle pastinache vi facevano una nebbiolina rosea e bianca, e tra il verde si fondevano i mille azzurri, i viola, i gialli, i rossi di tutti i fiori campestri. (Virgilio Brocchi)

Fiori 
A primavera, dopo che le ultime nevi sono scomparse, le erbe germinano in fretta e si fanno alte. Tutte eguali sembrano le erbe al piede che le calpesta, ma non agli occhi che le guardano con amore, nè alle mani che a dita aperte vi affondano una carezza. Quale innumerevole famiglia! Steli, foglie, fiori, che sembrano messi lì a far folla, hanno ciascuno un disegno, un’armonia di colore, un carattere individuale rivelato in minutissimi particolari. (G. Fanciulli)

Fiori 
Tutto il mio affetto va ai poveri fiori di campo e di monte, che pochi guardano e nessuno coltiva. Alle pratoline dai petali macchiati di vino, al papavero che insanguina i grani, al fiore azzurro del radicchio, al fragile ed effimero farfallio del biancospino, al cardo selvatico che mostra al primo sole le sue corolle crudeli e pungenti, fra il celeste e il turchino, al ciclamino che timido si affaccia tra l’erba tenera e commovente. Sono i fiori dei bambini e dei poeti; di coloro cioè che sono al tempo stesso più poveri dei mendicanti e più ricchi dei re. (G. Papini)

Fiori 
Uscite dai dedali della città e inoltratevi per i campi. Quale sia il fiore che per primo vi si mostrerà, voi, nel vederlo non divelto dalla pianta e vibrante con le cose circostanti, risentirete pieno il suo fascino. Riempitevi di questa armonia. Alla svolta di quel sentiero, all’ombra di un masso, una pianticina erbacea fa sforzi per offrire alla luce il suo fiorire di corolle fitte e azzurre, così grandi a paragone dell’umiltà della pianta che noi non possiamo trattenerci dal domandarci come abbia fatto ad effondere tanta ricchezza. (A. Anile)

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Fiori 

Non v’è lembo di prato spontaneamente formatosi che non ci si riveli una gara di richiami, che è gara di colori: dal bianco niveo al roseo, dal giallo al purpureo, dall’azzurro al violetto cupo. Se una specie ha fiori bianchi, il colore cioè che agisce a maggiore distanza ed un’altra ha fiori gialli, questa cerca di vincere il vantaggio di quella sollevandosi alquanto più da terra. Colori vari e gradazioni indefinibili di colori, che restano tuttavia insufficienti al numero delle specie dei fiori, che vogliono un loro segno. Da ciò la necessità del comporsi di varie tinte sopra il medesimo fiore, quante combinazioni di turchino e di giallo su fondo grigio, di violetto e di lilla su bianco, di rosso trapassante in purpureo ed in amaranto; e quante sfumature e screziature che non si possono esprimere con le parole. Una struttura particolare delle cellule di rivestimento del petalo ed una speciale incidenza di luce possono dare nuovi riflessi a un medesimo colore: paragonate il viola della mammola a quello di una corolla di petunia. Vi sono corolle dove ciascun petalo cambia colore in gradazioni non determinabili. (A. Anile)

Fiori 
Alla svolta di un sentiero, all’ombra di un masso, una pianticina erbacea fa sforzi per offrire alla luce il suo fiorire in corimbi fitti e azzurri, e così grandi in paragone all’umiltà della pianta, che noi non possiamo trattenerci dal domandarci come abbia fatto ad effondere tanta ricchezza; un poco più oltre, lungo il margine di un ruscello, un ciuffo fiorito si piega nel vento a riflettersi nell’acqua: se indugiate ad osservare il colore di questi fiori, vi accorgerete che è anch’esso sfuggente. Strisce d’asfodeli, che si dilungano sul fosso aspro di quel colle, sembra che traccino sentieri per il passaggio degli angeli. Dove si formano promontori in un tumulto di rocce, la più strapiombante sul mare si colora di una ghirlanda di fiori, la cui pensosa bellezza muore immediatamente se tolta da lassù. Allo stesso modo da fianchi rupestri di montagne emergono piante che amano rendere ondeggianti sull’abisso grappoli floreali che nessuna mano toccherà. (A. Anile)

Il fiore
Non c’è cosa più bella del fiore: piace all’occhio e anche all’odorato. Noi ci fermiamo talvolta a osservarlo e ci domandiamo da quale mano può essere fabbricata tanta beltà e tanta gentilezza. I fiori si donano alle persone che si amano. Si danno proprio perchè sono cosa bella e gentile. (F. Socciarelli)

I fiori

I fiori vivono e parlano. Il profumo è il loro respiro e il colore la loro voce. I fiori somigliano ai bambini. Quando la rugiada del mattino li bacia, tutti sollevano la corolla come tante testoline bianche e brune di bimbi appena nati. E come alle prime ombre della sera i fiori chiudono le loro corolle, così i bimbi piegano le testoline allorchè cadono dal sonno. (N. Salvaneschi)

Fiori 
Mille gentilissime forme, infinite sfumature di colori, un variare delizioso di profumi, e l’acuto piacere che danno al tatto i petali vellutati; ecco in folla venire a noi i fiori d’ogni stagione, a stimolare i nostri sensi, perchè facciano giungere all’anima l’immagine di tanta bellezza. (F. Monelli)

Fiori 
Le mammole riaprono dal lungo sonno i begli occhi azzurri. Il pesco si è tutto magnificamente coperto di fiori, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. Le margherite silenziose e tranquille, tremolano al tiepido vento. Persino nelle lande più pietrose e deserte qualche fiore solitario apre all’aura nuova le sue tre o quattro foglioline soffuse di un pallido rosa, o venate di tenere righe violacee. In ogni albero canta un nido, in ogni cuore rinasce la speranza. (E. Nencioni)

Fiori 
La primavera tornò, la campagna si coprì del verde vellutato dei frumenti, interrotto a quando a quando dai gialli tappeti delle rape in fiore; i mandorli esalavano amare fragranze dalle loro bianche ghirlande; la viola mammola, ametista odorosa, fiorì celatamente fra l’erba. Sulle vette dei freschi platani e delle querce severe, tra i longevi cipressi e le gracili acacie, i fringuelli cantarono; da ogni lato si alzavano al cielo profumi e armonie; profumi e armonie primaverili. (F. Martini)

Fiori 
Le primule sono dappertutto: ho visto sulla collina un gran pendio tutto biondo che pareva l’immagine della via lattea. I cornioli in fiore sembravano sciami di api d’oro sospesi qua e là sullo smeraldo e sull’ametista delle campagne. Nel mio orto, giacinti e narcisi sono balzati su col vigore delle giovani punte, senza aspettare che io rimuovessi loro  la coperta invernale di letame e di fogliame. Laggiù nell’angolo, la vecchia mimosa, ridotta a quei due o tre rami inaccessibili, si è accesa del suo giallo fuoco di gioia. Rami inaccessibili, perduti in alto, che ogni primavera io guardo con un’ammirazione mista di dispetto. (F. Chiesa)

Fiori 
Appena la natura ripalpita ai primi soffi della primavera, ecco i fiori. Fiori dappertutto: nei campi e nei prati, sulle rive dei ruscelli, nelle siepi, nei boschi, nei giardini, nei negozi e nelle piazze. Ovunque è una profusione di piccole rose, dal profumo appena sensibile, ma vivide e fresche; di lillà bianchi e celesti, di violette sorgenti nel folto delle siepi: odorano con uguale grazia i vasi di cristallo e i pentolini sbocconcellati, i salotti dei ricchi e le modeste case  degli operai. Ed ecco nei prati le vivaci margherite dal cuore d’oro e dai petali sfumati in rosso. Fiori, fiori dappertutto. La natura che si risveglia dopo il riposo invernale è ricca di promesse. (M. Savini)

Fiori 
A tutti i fiori splendenti e superbi preferisco quelli modesti: la selvaggia rosa di macchia che un raggio di sole appassisce, il caprifoglio che si arrampica sulle querce, la viola del pensiero dagli occhi vellutati, la margheritina dei campi, il ranuncolo d’oro, l’erica rosa, il mughetto d’argento, il biancospino intorno a cui ronzano le api. (F. Dumonteil)

Fiori 
I fiori sono il più bel dono che sia stato fatto agli uomini. Osservate un giardino in fiore, una terrazza, un balcone, adorni di fiori  dai colori vivaci, dai profumi inebrianti e soavi. Osservate la vetrina di un fioraio: quale festa di colori, di forme armoniose! I fiori hanno una sola colpa: quella di durare troppo poco. Anche circondato dalle maggiori cure, il fiore finisce sempre per appassire, perdendo profumo, colore, freschezza e morbidezza. Ma questo danno è solo apparente; in sostanza, il fiore appassisce, ma in esso si forma il germe di una nuova pianta. (P. Addoli)

Fiori 
Al mattino, appena il cielo biancheggia ad oriente e spegne a uno a uno i suoi lumi, appena le nuvole cominciano a colorarsi di tinte d’argento, d’oro, di porpora, i colori dei fiori cominciano a distinguersi fra le erbe sempre meno scure, e prima i bianchi e i gialli, più tardi i rosei, i celesti, i blu. Presto presto, se il cielo non è nuvoloso o piovoso, le pratoline sciolgono le cuffiette, i vilucchi calano i cappucci, si aprono le campanelle e i gialli soffioni e le cicorie somiglianti a fiordalisi. (P. Lioy)

Fiori 
Addio, giorni brevi e tristi; cieli grigi, fredde e tenebrose piogge monotone, nebbie e ghiaccio crudele… Un alito nuovo spira tiepido dalle umide colline, velate di vapori argentei e leggeri. Bianche e soffici nuvole aleggiano per l’immacolato turchino del cielo. I neri e grossi alberi, dalle braccia muscolose e rudi, paiono spruzzati da una brina di smeraldi e di perle. Sotto il muschio delle vecchie pietre grigie, nel bosco, le mammole riaprono dal lungo sonno i begli occhi azzurri. (E. Nencioni)

Fiori 
La primavera è proprio dappertutto, anche dove non c’è bisogno. Anche tra i sassi del muro franato l’erba è voluta crescere; per i sentieri più scoscesi, tra i tronchi degli alberi che furono abbattuti con l’ascia. Le margheritine bianche, quelle dei prati, fanno di tutto per dare nell’occhio; e gli stessi prati si sono lisciati con la rugiada e il fresco che pare perfino bizzarria e voglia di divertirsi. Anche l’azzurro rimane lì per lì un poco rintontito, quasi non sapesse che fare e forse, vergognoso di odorare nemmeno quanto una violetta. (F. Tozzi)

Fiori 
La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva, dietro le palpebre chiuse, a sentire frugare fra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le minute dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva pian piano: svegliati; e mormorava: svegliati; e poi: su, su, è l’ora, vestiti. E la terra fingeva ancora di dormire, perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia. Alla fine ha aperto gli occhi delle margheritine ed è rimasto un odore di terra bagnata nei giardini. (A. Campanile)

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Fiori 

Noi chiamiamo frutti solo la pesca, la ciliegia, la pera, la noce, l’arancia e l’uva. Ma tutte le piante producono frutti, dalla rosa alla fava, dalla violetta alla quercia, perchè il frutto non è altro che l’ovario trasformato dopo la fecondazione degli ovuli. Per effetto di questo prodigioso fenomeno, il magico fiore della rosa è trasformato in una piccola sfera rossa che pochi conoscono, perchè le rose sono colte e appassiscono prima del tempo. Il fiore alato della fava e dei fagioli diventa un grosso legume e l’amabile fiore del ciliegio, la rossa bacca carnosa. (E. Baldacci)

Fiori 
A primavera, quando i fiori si schiudono ai primi tepori, quando i petali variopinti mostrano i loro splendidi colori ed esalano i profumi più soavi, una moltitudine di insetti vola freneticamente dall’uno all’altro fiore per succhiare quella gocciolina di nettare che ognuno di essi nasconde in fondo al suo calice. E, così facendo, aiutano la natura nel miracolo della fecondazione. Per opera degli insetti, il polline di un fiore viene trasportato su un fiore della stessa specie, ed ecco che il miracolo si compie: il fiore si trasforma in frutto.

Fiori 
Le piante che ricorrono all’opera degli insetti per trasformare i loro fiori in frutti, prendono gli aspetti più appariscenti per attirarli. Innanzitutto il colore, così gli insetti possono subito avvistarli fra il verde e visitarli. Poi, il profumo. Non è necessario che siano odori soavi e delicati. Qualche fiore emana perfino un odore nauseabondo che attira gli insetti che lo preferiscono, ma tutti hanno, in fondo al calice, una gocciolina di dolcissimo nettare. Per succhiare questo cibo squisito, gli insetti visitano diligentemente tutti i fiori, impolverandosi così di polline che trasportano da un fiore all’altro.

Fiori 
I leggeri venti mattutini che soffiano per la valle appena il sole si alza, le calde correnti che salgono nell’aria, verso il mezzogiorno, le brezze marino che spirano sulle coste, raccolgono il polline dalle capsule floreali mature e lo portano in volo con movimenti ondeggianti, diluendolo nell’aria. I filamenti piumosi, viscidi, pelosi dell’ovario si sporgono dai calici, e come ragnatele pronte a far prigioniero ogni minuscolo insetto che incautamente vi cada, raccolgono quanto il vento ha portato. Dagli abeti e dai pini, dai ginepri e dai cipressi, si libera una nuvola gialla al primo alitare di vento: una pioggia di zolfo, come la chiamano i contadini. Il polline scorre sulle correnti atmosferiche e si deposita sui fiori femminili. sbocciati all’estremità dei rami. (E. Baldacci)

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Fiori 

Il mandorlo, il pesco, l’oleandro, il lampone e la fragola producono nettare prelibato attorno al loro ovario. Il nettare non è che un impasto di amido, di zuccheri, di grassi e di altre sostanze, ma il suo sapore è dolcissimo come quello del miele delle api. I fiori producono il nettare sulle loro foglie colorate o in ricettacoli e ciascuno non può cederlo che a insetti particolarmente confermati. I coleotteri muniti di brevi succhiatoi lo raccolgono dai tessuti carnosi del calice, su cui il nettare si spande come una densa pennellata di vernice lucente. Le farfalle, munite di lunghe proboscidi, visitano i fiori che nascondano il loro nettare in recipienti profondi. Così che i visitatori di questi fiori non possono raggiungere fiori diversi da quelli su cui questo nettare è stato prodotto. (E. Baldacci)

Fiori 
Gli insetti aiutano il fiore: mosche, vespe, calabroni, api, scarabei, farfalle, tutti fanno a gara in suo aiuto per trasportare il polline dagli stami sui pistilli. S’immergono nel fiore ingolositi da una goccia di miele espressamente preparata in fondo alla corolla e nei loro sforzi per raggiungerla, scuotono gli stami e s’impasticciano di polline che trasportano da un fiore all’altro. Chi non ha visto le api e i calabroni  uscire infarinati dal seno dei fiori? Il loro corpo villoso, polveroso di polline, non ha che da toccare, passando, un pistillo per comunicargli la vita. (J. H. Fabre)

La prima viola
E’ spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata. E’ venuta a dire che è primavera, che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si ricopriranno di fiori, di foglie, di frutti. E’ venuto a dire al contadino che i lavori dei campi l’aspettano. E’ venuta a promettere ai poveri che non farà più freddo. Tra poco il sole tiepido scalderà la terra coi suoi raggi e la terra tornerà rigogliosa, con l’aiuto di Dio e col lavoro dell’uomo. (L. Steiner)

E’ spuntata sul bordo della strada. Manda un delizioso profumo. E’ venuta a dire che la primavera è finalmente arrivata.

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La pratolina

La pratolina cresceva a vista d’occhio, finchè una mattina si trovò in piena fioritura, con tutte le foglioline bianche e lucenti spiegate come raggi intorno al piccolo sole giallo del centro. A lei nemmeno passava per la mente di essere un povero fiorellino disprezzato che nessuno avrebbe degnato di uno sguardo, là, in mezzo all’erba; oh, no:  era tutta contenta, si volgeva dalla parte del sole, guardava su ed ascoltava l’allodola che cantava, nell’alto. Se ne stava composta, sul suo piccolo stelo verde e imparava dal sole caldo e da tutto quanto la circondava quanto è bello il mondo; e godeva che l’allodoletta cantasse così bene e così chiaro. (H. C. Andersen)

Gli anemoni
Intorno a certe rocce, si alzano, in belle famigliole, gli anemoni. Tutti hanno simili foglie, a ventaglietto, minutamente tagliuzzate come per gioco, e grossi gambi rosso-bruni, un po’ contorti per lo sforzo del trovare la via tra la terra secca e i sassi. Ma le corolle dei petali riuniti, soffuse di opaca lanuggine, mostrano i colori più diversi: alcune rosse di fiamma, altre violacee, e altre quasi bianche. Nei fiori, che aprono i petali a stella di sei punte, si scorge il nero cercine dei piccoli stami affollati. (G. Fanciulli)

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La mammola

Erba, cara erba, sempre vista e sempre nuova, quando mai mi era apparsa così verde? E dove mai se ne stavano nascoste tutte queste mammole? Proprio come le stelle che, fino a una certa ora della sera, non ci si pensa: poi ad un tratto, se levi lo sguardo, il cielo ti trafigge gli occhi con miriadi di spilli. Dappertutto mammole: nella prateria dietro la casa, lungo i cigli dei viali, formando siepe, sulle rive del laghetto, all’ombra dei pini e dei pioppi. Non c’è tronco che non abbia alla radice, tra i fili d’erba e i ciuffi dell’edera, la sua corona di mammole. Brune, di un bruno intenso, di ciglia abbassate, timide e pur d’un rilievo schietto tra le foglioline a cuore; e d’una fragranza così penetrante nella sua leggerezza, che le narici le sentono prima che l’occhio le scopra. (A. Negri)

Ciliegio in fiore
L’albero era fino a ieri nudo; nudo nel tronco, nei rami qua e là contorti dall’aspro battere del vento. Cosa sia accaduto perchè stamattina ricalcando il sentiero solitario, io abbia visto, invece dell’albero, una nube bianca tutta di fiori stretti così fittamente gli uni agli altri da formare una cosa sola, impalpabile, quasi aerea attraverso la quale non mi riesce più di distinguere nè rami nè tronco… L’aria attorno alla nube non è più chiara e vibra come uno strumento musicale con melodie di suoni che son diventate melodie di profumi e di cui la mia anima si riempie. Guardo in alto, e mi sembra che il cielo si sia più incurvato per richiamare a sè questa nube venuta da sottoterra. (A. Anile)

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Glicine

Si arrampica sui muri, ammantandoli con la sua veste violacea fatta di grappoli fitti fitti visitati golosamente dagli insetti. Il glicine è il trionfatore dell’aprile. Si arrampica su su, e ogni vecchio muro diventa leggiadro, ogni cancello ha una veste fiorita, ogni inferriata sembra piena di primavera.

I grappoli del glicine coprono tutto il muro come un manto violaceo, senza neppure un filo di verde perchè le foglie non sono ancora spuntate. Pare che abbia fretta, il glicine, e sboccia subito ai primi tepori, e sale su, impetuoso, fino alla sommità del muro, e tabocca ancora di là, come se non gli bastasse mai.

Dopo l’impeto della prima fioritura, i grappoli del glicine impallidiscono piano piano, i calici cadono come una pioggia di viole e, allora, sono le foglie che crescono, si arrampicano, ricoprono il muro di verde, e lo fanno tutto bello, fresco, nuovo, mentre ancora qualche grappolino fiorisce qua e là, ma di malavoglia, come se gli dispiacesse di finire troppo presto, quando la stagione è ancora tanto tiepida e dolce.

Durante la notte cadde una pioggerella benefica e il mattino si alzò limpido e luminoso. Gli steli acuminati del grano giovane erano cresciuti di un dito e nell’orto i piselli avevano germogliato. La canna da zucchero era tutta aghi del colore del pistacchio contro la terra color cioccolata. I gelsi erano carichi di more verdi; la spalliera del glicine era tutta in fiore: una trama delicata come un merletto. Le api ne avevano scoperto la fragranza e in ogni corolla ce n’era una, a capofitto intenta a succhiare. (M. Rawlings)

I papaveri
I papaveri hanno invaso il campo di grano. Sono un esercito. I soldatini indossano la camicia rossa e non fanno male a nessuno: la loro spada è la spiga. Il vento li agita.I soldatini sembrano correre per il campo conquistato. Quando poi il vento tace, ogni papavero si attarda col fiordaliso, suo compaesano, che indossa la tuta azzurra dell’operaio. (Renard)

Ninfee
Le rive dello stagno erano ricoperte di ninfee. La barca ne fendeva la superficie spessa con un secco fruscio. Tra le foglie, l’acqua traspariva come la polpa di un’anguria nel triangolo dell’incisione. Le piante s’intrecciavano fra loro accorciandosi, i fiori bianchi con lo stelo chiaro, scomparivano sott’acqua e riemergevano grondanti. (B. Pasternak)

Il giglio
Osservate il giglio: lascia a terra la rosetta delle sue foglie e si eleva tutto in uno stelo che porta al sommo le candide corolle. Non sembra un fiore: è piuttosto una purezza di offerta all’alto, sì che non c’è stato pittore che non l’abbia fatto portare dalla mano di un angelo.  (A. Anile)

I fiori

I fiori sono sempre belli: belli quando timidi ed umili ornano le zolle dei campi e occhieggiano dal fitto delle siepi; belli quando sbocciano sul ramo quasi nudo degli alberi da frutto cui donano un vestito nuovo e vaporoso; belli nelle aiuole curate dei giardini quando vengono a premiare la fatica del giardiniere. Ma diventano belli soprattutto quando, raccolti in un mazzolino, diventano un omaggio ed un dono.

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I fiori e le stelle

Quanti fiori rallegrano la terra! Papaveri rossi, fiordalisi azzurri, margheritine bianche e ranuncoli d’oro spiccano in mezzo al giallo dei campi e al verde dei prati, mentre garofani screziati e rose di ogni colore ornano le aiuole dei giardini.
Quando, poi, i fiori si piegano sullo stelo per dormire, e i loro colori scompaiono nell’oscurità della notte, in cielo, ad una ad una, si accendono le stelle.
E anche le stelle sembrano fiori.

La natura e i fiori

Di fiori è piena la natura: prati, campi, siepi, declivi, monti, boschi, selve, tutto è un immenso, molteplice, perenne rifiorire.
I fiori sono la poesia del mondo. Dove si trova mai un tessuto che possa eguagliare il petalo di un fiore? I fiori sono per noi simbolo di gentilezza, di purezza, di grazia, di bellezza, di amore, di gioia, di speranza, di augurio, di ricordo.
Chi ama i fiori non può essere un’anima volgare: coltivare un fiore significa ingentilirsi, pensare al bello, al buono. (O. Stampatti)

Il fiore

Il fiore ha allungato il gambo. Nel bocciolo, piccolo laboratorio, è ormai tutto pronto: il polline, le antere, gli stami, il pistillo, i petali tutti uguali. Si aspetta il segnale perchè l’apertura si compia.
Ma nessuno deve vedere questo miracolo, e perciò i boccioli si schiudono sempre di notte. Al mattino il fiore è aperto; e il sole gli dà gli ultimi ritocchi di colore… Le farfalle, appena si svegliano, corrono tutte a vedere, e, al suono del campanellino dei grilli, danzano sui petali immacolati la lieta danza della primavera. (C. Pretelli)

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Quanti bei fiori

Quanti bei fiori rallegrano il nostro paese! Tutti i colori: il rosso dei papaveri, l’azzurro dei fiordalisi, il bianco delle margherite, spiccano in mezzo al verde dei campi dei prati. Nei giardini si aprono i fiori d’arancio, le rose, i garofani, le dalie, i crisantemi.
Quando viene la sera, quando l’ombra copre la campagna ed i giardini, i vivi colori dei fiori svaniscono nell’oscurità. Molti fiori piegano sugli steli le corolle stanche, come se volessero dormire. Allora appaiono ad una ad una le stelle, che sembrano fiori luminosi nel limpido cielo. (M. Savi Lopez)

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Un fiore che ha fretta

Il ranuncolo è una pianta frettolosa; appena finito il vero freddo, allarga le sue foglie lucenti spesso macchiettate di rosso bruno o di bianco. Dal centro di questa rosetta di foglie si alza il fiore giallo dorato che invita i primi insetti della stagione a fargli visita.
Ha da tre a cinque sepali e i petali variano da cinque a dodici. Se staccate un petalo vedete, alla sua base, una piccola squama che sporge come l’apertura di una tasca. Per gli insetti è davvero una tasca piena di leccornie: è il serbatoio del nettare. E’ una pianta così rasente alla terra che bisogna s’affretti a far provvista di luce e d’aria prima che le altre piante più alte le si affollino intorno. Infatti, quando ha fiorito allarga più che può le foglie, per assorbire dall’aria il maggior nutrimento possibile, e mandarlo alle radici che ingrossano; poi le foglie appassiscono e spariscono. Ma il tesoro è già messo in serbo per la primavera ventura, quando, allo sciogliersi delle nevi, sul terreno ancor tutto spoglio, appariranno le foglie verdi del ranuncolo.

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Il fiore sconosciuto

Quando giunge la fine di febbraio, esco tutti i giorni per frugare con lo sguardo nei campi e lungo i margini delle strade; cerco i primi fiori che annunciano la primavera. Il primo che vedo è sempre un fiore giallo, dai petali che luccicano al sole come tanti specchietti, che dove nasce spande attorno un senso di gioia e di festosità.
Prima di coglierlo, mi fermo a guardarlo, e mi viene voglia di inginocchiarmi tanto mi sembra bello.
Tutti i fiori che porta la primavera non hanno la bellezza e lo splendore di questo umile fiore giallo, di cui non conosco neppure il nome.
E non cerco di saperlo, perchè mi pare che non ci possa essere nome tanto bello, per un fiore così grazioso.
(C. Pretelli)

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Dettati ortografici LA PRIMAVERA

Dettati ortografici LA PRIMAVERA – Una collezione di dettati ortografici sulla primavera, di autori vari, per la scuola primaria.

Dettati ortografici LA PRIMAVERA

Da qualche giorno c’è qualcosa di nuovo nell’aria. Si diffonde un lieve tepore, il sole è più limpido. La primavera è arrivata. Anche sotto terra la buona notizia deve essere arrivata, perchè già alcune foglioline spuntano piano piano come sentinelle per informarsi di come vanno le cose; e subito dopo alcuni fiorellini curiosi tirano fuori il capino per vedere. Pochi giorni ancora, e i fiori saranno tanti, tanti; i ruscelli, ingrossati per lo sciogliersi delle nevi, cominceranno a correre allegramente. (O. Giacobbe)

Ed ora è primavera, ancora una volta primavera. Invano l’inverno ha scatenato le sue ultime raffiche di neve, di grandine, di tramontana; già grandi lenzuoli azzurri ondeggiano bruscamente tra la nuvolaglia oscura. La campagna, il giardino erompono dappertutto in boschi di serenelle, in gemme di alberi da frutto; le giunchiglie spuntano nell’erba diritte come pugnali, e nei boschi i rami ancora nudi si popolano di battiti d’ali e di gridi leggeri. (M. Roland)

Venne la primavera. Sul cielo ancora freddo, ma alto e nitidissimo, riapparve qualche rapido volo di rondine e il sole scese sul cortiletto, indugiandosi negli angoli umidi e verdognoli di muschio, ove restava qualche rimasuglio di neve ghiacciata. Sulle creste dei muri luccicavano, verdi e lavati, i frantumi di vetro; i davanzali di granito, resi bruni dall’umido, riprendevano la prima tinta chiara, e sulle grigie cime del noce dell’orto attiguo, gli estremi rami sottili  si squarciavano per lasciare uscire le gemme di un bel giallo verdognolo e delicato. (G. Deledda)

E’ primavera: tutta la natura si risveglia e mentre il suolo si libera dal gelo invernale, le erbe si affrettano a fiorire prima che la cupola del verde degli alberi si chiuda sul bosco e le privi di luce. Così dal suolo cosparso di foglie spuntano i primi colori dei mughetti, delle viole. Nell’interno degli alberi la linfa sale fino ai germogli che spingono le sottili squame chi li hanno finora protetti e sbocciano. Sembra che la fretta abbia invaso il bosco. Tutto si spinge verso la luce, quella luce che è vita: a metà aprile il ciliegio è ricoperto da grappoli di fiori bianchi, l’acero è pieno di boccioli vermigli. A maggio la febbre della primavera tocca il suo culmine. Il suolo è tappezzato da campanule gialle, gerani selvatici, da margherite. Gli alberi si ricoprono rapidamente di foglie. Anche gli animali iniziano una nuova vita. Chi durante l’inverno era rimasto in letargo come l’orso, si desta dalla tana: è magro, irritabile, sente prepotente il bisogno del cibo. A frotte ritornano gli uccelli migratori, i rettili riprendono a strisciare in cerca di preda, e gli insetti, nella maggioranza dei casi, completano la loro formazione.

Primavera in città.
Com’è stato lungo l’inverno! Pareva non dovesse avere mai fine! Furono giorni e giorni senza nemmeno un’occhiata di sole. Nella luce malinconica e scialba, sotto una coltre di nebbia e di nuvole che gravava sulla città, tutto era ottenebrato, in una specie di eterno crepuscolo. Ora, fugata la nebbia, fugate le nuvole, il sole trionfa nel cielo. Si respira di gioia. D’un tratto la città ha preso un aspetto di festa. Bambini e ragazzi sciamano per i viali e per le piazze alberate. Nei rioni popolari finestre e terrazzi si spalancano al sole; la gente si affaccia per godersi l’animazione della strada, per respirare e tuffare gli occhi nel cielo di una bellezza che rapisce. (A. Fabietti)

Il ventuno del mese di marzo la primavera entra puntualmente, portando la luce, il calore, la vita. I contadini hanno ormai un gran da fare: seminano la canapa, il riso, i fagioli, il granoturco, i foraggi. Poi rincalzano la terra, sarchiano, concimano, hanno mille faccende da portare a termine negli orti. Ed ecco che la mattina al mercato si cominciano a vedere già le primizie: i primi piselli, i carciofi, le insalatine. Vediamo anche le ricotte e i formaggi freschi. Nei campi ogni albero è carico di gemme… e nei prati sbocciano le violette, le primule. (A. Palazzi)

Primavera in montagna.
In questa stagione gli uomini, per consuetudine antica, salgono le pendici e cercano le vette. Primi sono i pastori. Hanno passato lunghi mesi tra le case del villaggio chiusi talvolta per settimane tra quattro pareti, di contro al biancore compatto d’intorno. Belavano le bestie affamate, piangevano i bimbi infastiditi. Ora son tutti fuori nel sole: spingono innanzi le bestie, mai sazie di erba tenera, verso i pascoli alti. La baita sull’orlo del prato, a sera fuma, e l’occhio del bimbo fissa la stella piccolina, che è spuntata laggiù. (G. Fanciulli)

Primavera alpina.
Neve e fiori… ecco la pompa della primavera delle Alpi. Il fiorellino appena sbocciato, tentennando il capo mollemente sulla neve, che ha appena abbandonato sull’esile gambo l’ultima stilla, sembra ringraziarla con un sorriso di avergli custodito nella lunga stagione dei geli il germe della vita. Superba sopra tutti sorride la rosa delle Alpi che in solitari cespugli orna la cima di una rupe o in larghe e folte macchie si distende tutta porporina tra neve e neve. Essa è la gloria della flora alpina.

Apri la finestra. E’ la primavera che ti chiama: ogni cosa intorno a te parla di vita. Alza gli occhi al cielo, dove, scompigliata la corte delle nubi, torna alfine il sole, a cucire con fili di luce gli abiti nuovi degli alberi e dei campi. Un anno nuovo comincia nel grande tempo della terra. (R. Rubatto)

Primavera.
Non è più tanto freddo e, sui prati, sbocciano, a cento a cento, i fiorellini bianchi. Anche le violette sbocciano sul margine dei fossi e profumano l’aria.

Primavera.
Il cielo è quasi sempre sereno e soltanto qualche nuvoletta vaga qua e là. Il vento la trasporta e la nuvoletta è molto lieta di  vagare per il cielo e guardare la terra tutta verde.

La bella stagione.
Un giorno il cielo diventa tutto azzurro, di un azzurro gentile e delicato con qualche nuvoletta bianca che vaga qua e là. E gli alberi, che sembravano secchi, improvvisamente si mettono a fiorire.

Primavera.
E’ primavera. I campi sono tutti verdi; è l’erbetta nuova che cresce. Fra l’erba sbocciano le pratoline. Si aprono al primo raggio di sole e se il sole scompare, chiudono i petali e si addormentano.

Primavera.
I bambini sono contenti che sia tornata primavera. Ora possono andare a giocare per i prati e godere il tepore del sole d’oro.

Colori della primavera.
Al cielo terso e luminoso di un azzurro che l’inverno non conosce e l’estate non ha più, ai colori dei torrenti e dei ruscelli, alle mille sfumature di verde della nuova vegetazione, la primavera aggiunge la tavolozza ricchissima dei suoi fiori. Ha cominciato il mandorlo con i suoi candidi fiori, poi i meli, i peri, i ciliegi, ma prevalgono i fiori dei peschi con il loro rosa che sfuma nel carminio. (F. Monelli)

Primavera, tempo degli arrivi
La primavera è il tempo degli arrivi. I meli, i peri hanno già ricevuto la fioritura rosea e bianca,e tramando la innalzano nell’azzurro. Sotto ogni mazzetto di fiori fa capolino il cartoccetto delle foglie; fra poco la buccia si romperà e le foglie si apriranno, piccine, tenere e lustre. Sui solchi, il grano verdazzurro vibre, lancia per lancia, rimescolato dal tepore del sole. (G. Fanciulli)

Primavera
La primavera è qui, è arrivata. La senti nell’aria, la vedi nel cielo, nel prato e persino nel viso delle persone che è più aperto, più ridente, non più nascosto da sciarpe e pellicce, ma esposto al dolce venticello che purifica l’aria e la rende più dolce. Guardati intorno, ma il tuo sguardo non sia distratto e superficiale. La primavera va scoperta con attenzione, con amore e soltanto allora potrai godere del lieto miracolo che ogni anno si rinnova.

Primavera
Ogni pezzo di terra era coperto d’erba; gli steli crescevano folti, stretti l’uno contro l’altro, in uno splendido rigoglio. Si scostavano ad ogni passo dolcemente e subito si raddrizzavano. L’ampia, verde pianura era costellata di margherite bianche, di fiori di trifoglio dalle grosse teste violette sfumate di rosso, di gialli bottoni dorati e splendenti, di denti di leone. (F. Salten)

Annuncio di primavera
Da qualche giorno c’è qualcosa nell’aria. Si diffonde un lieve tepore, il sole è più limpido, la primavera è arrivata.
Anche sottoterra la buona notizia deve essere arrivata, perchè già alcune foglioline spuntano piano piano come sentinelle per informarsi come vanno le cose; e subito dopo alcuni fiorellini curiosi tirano fuori il capino per vedere.
Pochi giorni ancora e i fiorellini saranno tanti; i ruscelli, ingrossati per lo sciogliersi delle nevi, cominceranno a correre allegramente. (O. Giacobbe)

Preannuncio di primavera
Anche i vecchi alberi di copriranno presto di verde. Ecco che le gemme si ingrossano; lì dentro stanno chiuse le foglie. Ma il sole vuole che vengano fuori, e scalda le gemme e l’albero tutto: e le foglie scappan fuori belle lucide e pare che ridano; e anche l’albero ride, si fa tutto verde e torna giovane ancora. (A. Colombo)

Primavera
La primavera è una stagione meravigliosa, coi suoi bei fiori, i prati smeraldini, le rondini che tornano ai nidi, e i pulcini pigolanti intorno alle chiocce. Tutto sulla terra germoglia, le giornate si fanno più lunghe, e i ragazzi passano quasi tutto il tempo che rimane loro libero, fuori di casa a giocare alle biglie, alle guardie e ai ladri, e a qualunque altro gioco che venga loro in mente. (Jerome S. Meyer)

La primavera
L’inverno aveva rinfrescato anche il colore delle rocce. Dai monti scendevano, vene d’argento, mille rivoletti silenziosi, scintillanti tra il verde vivido dell’erba. Il torrente sussultava in fondo alla valle tra i peschi e i mandorli fioriti. E tutto era puro, giovane, fresco, sotto la luce argentea del cielo. (Grazia Deledda)

Il risveglio della terra
La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva, dietro le palpebre chiuse, a sentirsi frugare fra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le lunghe dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva piano piano: “Svegliati!”. (Achille Campanile)

Primavera
Alla grondaia sono arrivate le rondini e rattoppano i buchi dei vecchi nidi; volano, volano ancora portandosi intorno un riflesso del gran mare che hanno attraversato. Sui ramicelli più nuovi della macchia si posano i pettirossi, attillati e svelti, l’occhio attento ad esplorare l’orto. Anche i bruchi li hanno visti e si rannicchiano dentro i gonfi cavoli; sarebbe triste davvero farsi sciupare la farfalla! Per tutta la valle scende un vento fresco, non freddo, e spazza, spolvera, scioglie gli ultimi nodi dell’inverno, porta al sole il fumo dei camini, il suono delle campane, le prime libere canzoni. (G. Fanciulli)

Primavera nei campi
Dopo il letargo invernale, la campagna sembra sorridere al contadino, ravvivargli nel cuore la santa speranza dei racconti e invitarlo al lavoro. Nel cielo ci sono nuvoloni chiari che si accavallano; un’acquata breve e improvvisa fa trotterellare gli agnellini verso le loro mamme, e sembra rendere più acuto l’odore delle erbe. Sboccia un garofano sul davanzale della massaia; appare timidamente il biancore del biancospino e si avverte veramente il profumo delle viole mammole. (L. Rinaldi)

Rifluisce la vita
Il giovane bosco era ancora quasi spoglio, come d’inverno. Solo nei cerei germogli, di cui era fittamente costellato, c’era qualcosa di superfluo, di insolito, una gromma o un gonfiore: questo superfluo, questa novità, questa gromma erano la vita che abbracciava già alcuni alberi con la verde fiamma del fogliame.
(B. Pasternak, da “Il dottor Zivago”)

La primavera
La primavera toccò i rami dei peschi e dei mandorli e disse lietamente; “Su, svegliatevi! Che cosa fate? E’ ora!”. E quelli, obbedienti, schiusero le gemme, si coprirono di fiori, e furono molto belli. Anche le violette si destarono, sbocciando al tocco leggero della primavera e così le pratoline fra l’erba dei prati e il biancospino sulla siepe.

Le violette
Per i campi si sparse un odore soave e leggero. Erano sbocciate le violette e tutti furono contenti. Gli uccelli, vedendole, cinguettarono festosi e le nuvolette bianche chiesero al vento che non le portasse via subito. Volevano sentire anch’esse quel gentile profumo.

La bella stagione
Un bel giorno il cielo diventa azzurro, di un azzurro delicato con qualche nuvoletta bianca vagante qua e là. E gli alberi, che sembravano tutti secchi, stecchiti, improvvisamente si mettono a fiorire. E pare impossibile che da quei rami, duri e ruvidi, siano potuti venire certi fiori così lievi.

Le lucertole
Le lucertole, riscaldate dal sole tiepido, escono dai buchi dove sono state in letargo per tutto l’inverno e si fermano al calduccio, guardando qua e là con gli occhietti vispi. Sono alla caccia di un insetto. Hanno tanto dormito che ora vorrebbero proprio saziarsi di qualche insettuccio incauto, che arrivi alla portata della loro lingua.

Le pratoline
E’ primavera: i campi sono tutti verdi; è l’erbetta nuova che cresce. Fra l’erba sbocciano le pratoline. Si aprono al primo raggio di sole, ma se il sole scompare, velato da una nuvola, o se scende dietro l’orizzonte, le pratoline chiudono i petali e si addormentano. Si schiuderanno al nuovo sole.

Primavera
Quando viene primavera, tutta la terra si schiude al dolce calore.Gli alberi mettono le gemme; fra l’erba sbocciano le pratoline, il cielo si fa chiaro e l’aria mite. I giorni sono più lunghi e tutto è allegria.

Primavera
Il torrente sussultava in fondo alla valle, fra i peschi e i mandorli fioriti. E tutto era puro, giovane, fresco, sotto la luce argentea di quel gran cielo mite, sul cui orizzonte i profili morbidi dei monti, ancora coperti di neve, si stendevano come file di colombi addormentati. (G. Deledda)

Primavera
Al torrente è arrivata tanta acqua dai nevai che si sfanno, e la sua voce canta più alta fra i ciottoli, parla più tenera fra i salici… Per tutta la valle scende un vento fresco, non freddo; scioglie gli ultimi nodi dell’inverno, porta il fumo dei camini, il suono delle campane e le prime libere canzoni. (G. Fanciulli)

Primavera
Le mammole riaprono, dal lungo sonno, i begli occhi azzurri, il pesco si è tutto magnificamente coperto di fiori che brillano al nuovo sole come gemme cristalline. Le margherite, silenziose e tranquille, tremolano al tiepido sole. (E. Nencioni)

Primavera
L’aria si è addolcita. La pioggia non è più gelida. S’è fatta quasi tiepida. All’alito della primavera, le piante, che hanno dormito per tutto l’inverno, si ridestano. Le loro radici si allungano nella terra umida. Succhiano e fanno salire nuovi umori lungo i fusti e i tronchi. (P. Bargellini)

Il vento
Il vento di primavera è capriccioso: ora è uno zeffiro leggero che fa dondolare i fiori e frusciare dolcemente gli alberi. Talvolta invece, è un vento strapazzone, che sbatacchia porte e finestre, strappa i petali dei fiori e trascina le nuvole in un pazzo galoppo.

Il vento
Il vento tira violento, ulula fra i monti, fischia tra i rami degli alberi, strappa i fiori, urla, penetrando nelle case e porta le nuvole qua e là in un pazzo galoppo. Ma se diventa gentile, fa frusciare i rami degli alberi, accarezza i fiori e porta, con grazia, le nuvolette qua e là nel cielo.

I neri e grossi alberi dalle braccia minuscole e rudi, paiono spruzzati da una brina di smeraldi e di perle. Sotto l’arido muschio delle vecchie pietre grige, nel bosco, le mammole riaprono, dal lungo sonno, i begli occhi azzurri. Il mandorlo si è tutto magnificamente coperto di fiori biancorosei che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. (E. Nencioni)

Il pesco si è tutto magnificamente coperto di fiori biancorosei, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. Le margherite, silenziose e tranquille, tremolano al tiepido vento, La giunchiglia piega sul gracile stelo il velato suo calice. Persino sulle lande più petrose e deserte, qualche fiore solitario apre le sue tre o quattro foglioline soffuse di un pallido rosa, o venate di tenui righe violacee. (E. Nencioni)

Addio, giorni brevi e tristi, cieli grigi, pesanti. Addio fredde e tenebrose piogge monotone, nebbie e ghiacci crudeli… Il fremito giovanile della vita è corso su tutta la terra… Un alito spira lieto dalle umide colline, velate dai vapori argentei e leggeri. Bianche e soffici nuvole aleggiano per l’immacolato turchino del cielo. (E. Nencioni)

Mentre le gemme si fanno turgide e i fiori sbocciano, gli insetti, come avvertiti da questo mirabile risveglio della terra, escono dalle loro uova, dai bozzoli, dalla terra e si spandono per i campi, per i prati e per i boschi. Gli uccelli si riuniscono a coppie e preparano il nido. Molti ritornano dalle zone più calde. Le vacche e le pecore escono dalle stalle e tornano sui prati coperti di tenera erbetta. (L. Vaccari)

Ieri gli alberi erano nudi, neri, rigidi: d’un tratto in vetta, al ramo più alto brillò una fogliolina ancora accartocciata, colore di chiaro bronzo, e un poco si aprì all’aria solatia che si addolciva nel presentimento delle viole. Subito su ogni ramo s’inturgidirono mille e mille gemme, si schiusero e vestirono platani e ippocastani di una peluria di un verde roseo che inteneriva a guardarla. (V. Brocchi)

Nell’inverno, il sole è in basso, i suoi raggi obliqui non penetrano nella terra, nulla si muove allora. Ma appena comincia ad elevarsi al di sopra di noi e con le sue frecce riscalda la terra, tutto nel mondo si riscalda e si mette in movimento. La neve scompare, il ghiaccio si scioglie nei ruscelli, le acque precipitano dalle montagne e con l’elevarsi dei vapori dall’acqua, in forma di nubi, comincerò a piovere. (L. Tolstoj)

C’è uno stepito gioioso intorno all’albero d’aranci mentre le api abbracciano i fiori e s’inebriano di dolcezza. Ognuna ha da portare all’alveare, prima dell’imbrunire, un carico di nettare che è forse dieci volte il proprio peso. E’ stato calcolato che mezzo chilo di miele richiede trentasette mila viaggi di andata e ritorno dall’alveare ai fiori. (D. Culross Peattie)

Basta un fiore sbocciato sul davanzale della finestra, il volo di una rondine nel breve spazio del cielo verso cui alziamo gli occhi, un raggio lucente e caldo che ci raggiunga al nostro tavolo di lavoro, per dirci che è primavera. Ma forse non c’è bisogno di nulla se ascoltiamo dentro di noi il desiderio di essere buoni e gentili con tutti, la voglia improvvisa di ridere e di cantare. Il piacere di rimanere con gli occhi rivolti verso il cielo inseguendo con il pensiero un sogno. Allora la primavera è in noi. (G. G. Moroni)

Le sementi, disgelandosi, manderanno fuori i loro germogli; questi ingrosseranno nella terra; dalle vecchie radici verranno fuori germogli nuovi, e gli alberi e le erbe cominceranno a crescere. Gli orsi, le talpe usciranno dal loro torpore; le mosche e le api si sveglieranno; le zanzare nasceranno e le uova dei pesci si schiuderanno. L’aria scadandosi, si innalzerà, al suo posto verrà l’aria fredda e il vento soffierà. Le nubi saliranno… Chi farà tutto questo? Il sole. (L. Tolstoj)

La siepe era tutti spini, sembrava imbronciata. Non sta bene avere il broncio, quando tutti sono contenti. Ieri il vento deve averglielo detto: le è passato vicino dicendo: sss… sss… sss… Penso che le abbia detto: “Su, ridi, e vestiti a festa anche tu”. E questa mattina è vestita di bianco e di verde, che è una bellezza. Le spine non si vedono più; sono tutte ricoperte dai fiori bianchi. (Colombo)

Ritorno all’aperto
Eravamo usciti di febbraio due o tre giorni appena, quando il tempo, fino allora grigio e sudicio, si schiarì per un bel vento tiepido, che sembrava sopravvenuta la primavera. Ed io ottenni, se Dio vuole, di precipitarmi fuori di casa.
Che felicità quei primi giorni!
Respiravo l’aria libera come si beve sopo una gran sete; ritrovavo, come scoperte allora allora, le strade, le case, le campagne, la gente: cose tutte piene d’un valore fantastico; somiglianti, sì, ad una vaga immagine che ne avevo in mente, ma mille volte più belle e felici. I butti d’acqua che venivan giù dalle rocce delle fontane, bisognava per forza che li toccassi, tanto mi sembravano incredibili.
E il sole! Quel bel sole d’oro, biondo, morbido, buono come se mi conoscesse personalmente, non mi bastava vederlo luccicare sulle cortecce violette degli alberi, nè pure di sentirmelo sul dorso delle mani, che gli stendevo.
Bisognava guazzare in quel sole.
(F. Chiesa, da “Tempo di marzo”)

Giorni di fine inverno
Finisce l’inverno, lungo le rive dei fossi si aprono i primi fiori e sui pendii dei colli altri, di colori più intensi, azzurri o gialli. Sulle cime dei monti gli ultimi filoni di neve sfumano in nere nubi. Il verde del frumento si accresce, ed altri campi si fanno gialli di ravizzone. Biancheggiano i susini, i peri, alterni al rosa dei peschi. Le galline hanno un canto diverso, appare la prima farfalla, e gli uccelli cantano fra gli alberi che ancora non danno ombre. Finisce l’inverno, si entra in primavera, certi anni il trapasso viene come velato da un lungo periodo di piogge, si aprono le foglie, fioriscono i frutteti e la terra sotto la pioggia, ritorna il sole e sui rami si scopre la frutta già segnata senza esserci accorti dei fiori.
(G. Comisso, da “La favorita”)

Presagi di primavera sui monti
A volte pare impossibile che la montagna si liberi ancora dell’inverno, eppure sta scritto che se ne libererà. Non grazie alle deboli forze umane, costrette, qui, come altrove, ad assistere, ad accettare; ma grazie ad una forza divina, che scende fino a noi con le fiamme del sole.
Non si libererà come la pianura, ma in tutt’altro modo. In pianura la neve se ne va un poco ogni giorno, come è venuta, silenziosamente. Anche qui molte cose accadono senza rumore: sopra e sotto la terra, nei pianori più riposati, nei grembi concavi, negli angoli riparati e inclinati leggermente. Ma altre si svolgono addirittura con fragore. Non sempre la montagna è il regno del silenzio. Già ben sonoro è il primo risvegliarsi della meravigliosa forza celeste. Un bel mattino, e pare ancora pienissimo inverno, il rivestimento di ghiaccio su per le pareti e le cime non tiene, non aderisce più: tende all’infuori, scricchiola, si stacca, piomba giù per cinquanta, per cento metri, con rombi e rimbombi di tuono.
Ora gli uomini hanno capito. La primavera tornerà, spunteranno presto i bucaneve, i suoi crochi bianchi e turchini, innumerevoli, nei prati.
(G. Zoppi, da “Dove nascono i fiumi”)

Illusione di primavera
Già nell’aria correva un respiro di primavera, sebbene alberi e siepi non dessero ancora segno di vita: la terra nera del giardinetto si rivestiva soltanto sulle cornici delle aiuole d’una lanuggine verde; ma il sole pareva più nitido e, non disturbato da nessuna frasca, proiettava più nere e precise le ombre dei pali, dei pergolati e delle persone.
(E. De Marchi, da “Ragazzi”)

Tramonto di marzo
Il sole, sembrava, scendendo fra le nebbie, una palla di rame che scomparisse in mezzo alla cenere. Ma eccolo che ritorna.
E’ un intenso color di rosa, che dal lontano occidente sale e si dilata sino a impregnare di sè gran parte del cielo. Le masse degli alberi, rese spaziate e leggere dalla nudità dei rami, si disegnano in trine leggere e trafori, delicatissime, sugli accesi riflessi degli sfondi. Il ghiaccio delle lance s’imporpora, rifrange splendori di rubini. I tronchi dei pioppi e dei salici si animano di una profonda tinta violastra. Salici di fiume, dal ceppo basso, nocchieruto, dalle grosse teste scarmigliate e irte; pioppi alti e sottili, incorporei come ombre; terra d’inverno, più vasta, perchè più spoglia, più libera perchè placata.
Ma già l’aria s’è fatta d’un grigio azzurrognolo d’ortensia; il rosso è tutto nell’acqua. Si spostano i riflessi, si spezzano le armonie: qualcosa ha da morire, e si dibatte contro la fine, pur sapendo che ha da rinascere. Qualcosa di infinitamente piccolo, d’infinitamente grande: il giorno.
(A. Negri, da “Di giorno in giorno”)

Primavera
Appena un lontano mandorlo caccia la sua fioritura, la timida nota diventa gorgheggio ed il volo saltellante di siepe in siepe di fa volo lungo e disteso di giardino in giardino. Giunge, intanto, la capinera. Seguono i richiami squillanti del merlo e del fringuello in armonia con lo squillare dappertutto dei colori.

La primavera va dal 21 marzo al 22 giugno, data da cui avrà inizio una nuova stagione, l’estate. L’arrivo della primavera si rivela, innanzi tutto, nelle mutate condizioni del clima, del cielo, della vegetazione. Il clima è più tiepido; perchè? La terra gira intorno al sole, impiegando in questo giro poco più di 365 giorni. Poichè durante questo movimento di rivoluzione la terra cambia la sua posizione rispetto al sole, ecco che cambiano anche le condizioni di riscaldamento e di illuminazione nelle varie zone della superficie terrestre.

La primavera attraverso il tatto
Sulla nostra pelle sentiamo il tepore dei raggi di sole, il vento non più gelato, ma prevalentemente tiepido, anche se qualche volta diventa violento e furioso. Sentiamo il velluto della gemma, la morbidezza dei petali del fiore, la scabrosità del tronco dell’albero che lascia cadere la vecchia corteccia, la flessuosità morbida dell’erba dei prati.

La primavera attraverso l’udito
La pioggia non è più la pioggia gelida e sferzante dell’inverno. E’ una pioggerella leggera che fruscia, che mormora. Nel suo rumore leggero sentiamo poi il canto degli uccelli: sono i primi ad annunciare l’arrivo della bella stagione. Oltre al canto degli uccelli, ecco il ronzio degli insetti che si sono svegliati dal loro sonno invernale durante il quale, spesso, hanno compiuto una metamorfosi che li ha resi perfetti, forniti di ali che, talvolta, come nel caso delle farfalle, hanno smaglianti colori.
Ascoltiamo anche il fruscio delle chiome degli alberi dove il vento di primavera suscita mille suoni. Il vento è un po’ la voce di marzo. Infine, a causa dello scioglimento delle nevi, i ruscelli fanno sentire il loro mormorio, i torrenti scrosciano, le fontane hanno una voce più sonora.

La primavera attraverso la vista
Prima di tutto osserviamo il cielo nei vari momenti della giornata: il chiarore madreperlaceo della prima luce, il roseo dell’aurora, il celeste delicato delle ore di sole, il rosso del tramonto. Notiamo poi le forme, i colori dei fiori, scopriamone le gradazioni; ammiriamo le variopinte ali delle farfalle, il verde smaltato della nuova erbetta, le sfumature delle chiome degli alberi.

La primavera attraverso il gusto
Si può assaggiare la primavera? Certo! E’ vero che in estate avremo il sapore dei frutti, ma in questa stagione possiamo sperimentare il sapore acidulo dell’erba nuova, e il dolce di un fiore. Soprattutto nei fiori degli alberi da frutto, c’è una gocciolina di nettare e ben lo sanno gli insetti che non se la lasciano sfuggire.

La primavera attraverso l’odorato
Possiamo percepire il profumo delicato della violetta, ma più in generale quello prepotente della primavera con la sua vastissima gamma di odori.

Il freddo era finito, soffiavano venti gagliardi, ma l’erba non cresceva sulle prode, nè i fiori, nè le viole. Nulla cambiava nel paesaggio: le argille si stendevano grigie tutto attorno, come sempre; qualcosa mancava, la vita stessa dell’anno e il senso di questa mancanza riempiva il cuore di tristezza. Col tempo migliore, le vie del paese erano tornate deserte: gli uomini erano tutto il giorno lontani, nei campi invisibili. I ragazzi sguazzavano, con le capre, nelle pozzanghere e dalle case giungevano alterne le voci delle donne.
Carlo Levi

La primavera comincia il 21 marzo e termina il 20 giugno. La giornate si allungano sempre di più e un tiepido sole riscalda la terra. Non c’è bisogno di indossare i pesanti abiti invernali, di tenere ben chiuse porte e finestre, di riscaldare la nostra casa: non fa più freddo…
E’ come aprire gli occhi dopo un lungo sonno e, come per incanto, come per incanto, vedere una natura nuova: sui monti la neve ha cominciato a sciogliersi e i torrenti sono gonfi e luccicanti; prati, boschi e giardini ricominciano a verdeggiare e alcuni fiori fanno capolino tra le vecchie foglie.
Gli alberi si rivestono di bottoncini verdi. Osserva questi bottoncini: essi danno piccole foglie di un verde intenso, le prime foglie nuove della primavera.
Nei giardini e nei frutteti i peschi e i ciliegi si coprono di fiori rosati e bianchi che il miracolo della natura trasforma in saporiti frutti. Di tanto in tanto una fitta pioggerellina va a ristorare le nuove pianticelle, assetate di vita. E’ una pioggerellina fine fine, lieve lievi, e le sue goccioline cadendo, rimbalzano qua e là, sugli esili fili d’erba, sulle tenere foglioline e le timide corolle dei fiori, diffondendo tutto intorno la musica della primavera.
A volte scoppiano gravi temporali che incupiscono per un attimo il limpido azzurro del cielo; ma non fanno paura e i tuoni sembrano brontolii di un gigante buono. Ritornano le rondini: dopo lunghi, estenuanti voli, riprendono possesso dei vecchi nidi. E se il nido è rotto o se le intemperie l’hanno rovinato o distrutto, le rondini non si perdono di animo: puoi vederle allora volare instancabili in cerca di terra fine, di pagliuzze, di lanuggine e lavorare con impegno alla ricostruzione del nido.
La primavera è una stagione tutta piena di voci, di movimenti, di risvegli.
Il cuculo lancia le sue sillabe gioiose sempre uguale, le galline chiocciano, gli uccelli cantano lieti sui rami; le farfalle, le formiche, i calabroni, i grilli, le api, ad innumerevoli altri insetti animano con i loro voli, i loro colori, i loro canti, il loro industrioso lavoro prati e giardini, mentre la lucertola, il riccio, la marmotta, il ghiro, escono dalle tane dove hanno trascorso, in letargo, il lungo e freddo inverno, per godersi il nuovo sole.
Nei campi un lavoro intenso attende il contadino: le tenere pianticelle di frumento devono essere liberate dalle erbacce che ruberebbero loro il nutrimento e le viti devono essere riassestate e irrorate. E’ tempo di concimazione e di semina; si seminano barbabietole, piselli, lino e canapa; si piantano gli alberelli degli olivi, dei gelsi e le pianticelle di alberi da frutta.

Perchè i fiumi si gonfiano in primavera

Col sopraggiungere della bella stagione, le acque dei fiumi diventano di giorno in giorno più abbondanti. Questo fenomeno è causato dallo scioglimento delle nevi: i vari torrenti che alimentano il fiume si arricchiscono dell’acqua che proviene da ghiacciai e nevai di alta montagna.

I lavori del contadino

Il contadino ritorna sempre più frequentemente nei suoi campi. Il lavoro da fare è tanto. Le tenere pianticelle di frumento devono essere liberate dalle erbe infestanti che ruberebbero loro il nutrimento: è il momento della sarchiatura. Vengono arati i campi che erano stati coltivati a foraggio in inverno e si preparano con concimazioni per la semina di fave, avena o granoturco. E’ tempo di sistemare i tralci delle viti sui fili zincati o su altri sostegni e di provvedere alle prime irrorazioni di sostanze antiparassitarie contro le più comuni malattie della vite (peronospora e oidio).
In primavera si provvede inoltre alla semina delle barbabietole da zucchero e da foraggio,dei piselli, del lino e della canapa.
Nei terreni preparati con scasso durante l’inverno, si piantano gli alberelli degli olivi, dei gelsi e le pianticelle degli alberi da frutta.

Il risveglio

In collina la fioritura è un mare di fragranti ondicelle rosee spumeggianti. I poggi verzicanti sono tondi e morbidi e sui vecchi tralci contorti i primi teneri viticci mettono un manto delicato.
E in pianura negli orti germogliano a perdita d’occhio in filari simmetrici le pallide lattughe e gli ispidi cavolfiori nani e i carciofini d’un verde bigio.
E gli alberi si vestono di gemme e da quelli fruttiferi i petali si staccano per posare in terra un tappeto bianco e rosa. I nuclei dei frutti gonfiano e si colorano: ciliegie e mele, pesche e pere, fichi gelosi che si tengono racchiuso il fiore nel cuore.
Tra i filari l’ortolano rovescia le zolle d’erba primaverile perchè l’erba interrata ingrassi la terra, scava solchi per far affiorare l’acqua e argina i solchetti perchè la trattengano, e dagli argini estirpa le erbacce che potrebbero rubarla alle piante.
Sulla vite i fiori minuti sbocciano il lunghi penduli corimbi. E man mano che la stagione si inoltra, il caldo aumenta e le foglie assumono una tinta più cupa.
Le susine si allungano in forma di uovo, i peruzzi in forma di perla, le pesche mettono la peluria. I fiori della vite schiudono i minuscoli petali e i duri pallini diventano bottoni verdi e i bottoni si fanno pesanti. (J. Steinbeck)

I giardini e i frutteti

Nei giardini e nei frutteti i peschi ed i ciliegi, prima ancora di rivestirsi di foglie o contemporaneamente al formarsi di queste, sbocciano in migliaia di fiori, rosati e bianchi: offrono per primi il nettare dello loro corolle alle api.

Le gemme

Gli alberi a primavera si svegliano e si preparano alla nuova fioritura. Le radici si allungano nella terra in cerca di nutrimento. L’acqua sale su per gli steli, i tronchi, i rami, ed ecco le gemme poste sui rami diventare più grosse.
Esse hanno incominciato a godere i primi tiepidi raggi di sole ed ora le loro piccole squame vischiose si aprono, lasciando intravvedere delle punte grigiastre: sono i sepali che,  come mani amorose, proteggono i bocci fiorali. In seguito le squame si curveranno all’esterno, per lasciare liberi i fiori di crescere, distendersi e ricevere tutta la luce. Intanto, da altre gemme, si libereranno le nuove foglie, dapprima delicate, poi robuste e vivaci.
Dalle gemme apicali, quelle poste sulle punte, usciranno i nuovi rami che daranno all’albero una chioma più abbondante.

Nelle gemme

E’ incredibile quanta roba sia rinchiusa nelle gemme. In quest’astuccio di squame, in uno spazio talora così piccolo, dove noi non sapremmo farci entrare neppure un seme di canapa, si trovano foglie a dozzine e interi grappoli di fiori. Il grappolo nascosto dentro una gemma di lillà possiede più di cento fiori. E tutto trova posto nella stretta valigia, senza che nulla sia lacerato od ucciso. Se si togliessero ad una ad una dal loro posto le diverse parti di una gemma, se si disfacesse la valigia, chi avrebbe l’abilità di rifarla?
Le foglie sono speciali per collocarsi nel minor posto possibile: assumono la forma di cornetti, si arrotolano, si piegano in due per lungo e per largo, si raggomitolano, si pieghettano o si chiudono a ventaglio. Osservate in primavera le gemme prossime a schiudersi: vi potranno insegnare a fare un giorno la vostra valigia!

Sveglia nel bosco

Il tepore di primavera e l’odore dell’erbetta nuova sono giunti fin nelle tane profonde, dove gli animaletti del bosco dormivano il lungo sonno. E i ricci, i tassi, i ghiri, gli scoiattoli si sono risvegliati. Sono usciti magri e affamati, hanno cercato subito il buon cibo fresco e si sono messi a mangiare avidamente.
Lassù tra il verde, seduto sul ramo d’un grosso faggio, un ghiro sta divorando alcune gemme appena schiuse.
Uno scoiattolo sgranocchia una pigna trovata per terra. La tiene agilmente con le zampine anteriori, mentre i denti aguzzi lavorano senza posa.

Nei pascoli alpini

Sui monti non sono ancora giunte le mandrie di mucche e le greggi belanti, eppure i pascoli solitari son già pieni di vita. Dalle tane profonde e foderate di fieno sono uscite le marmotte, dopo il letargo invernale. Il loro mantello bruno – grigio è un po’ sciupato, e lascia vedere il corpo molto dimagrito per il lungo digiuno. Ora corrono a frotte nelle vallette tranquille, mangiando a sazietà, mentre una di loro sta di guardia sopra un sasso. Se appena scorge qualche pericolo, lancia un fischio e tutte spariscono nelle tane.
La pernice, il gallo cedrone, le cornacchie riempiono l’aria di fruscii d’ali. Anche per gli uccelli di montagna è giunto il momento di preparare il nido e di covare.
Di notte, poi, escono numerose le arvicole, i piccoli topi della montagna, e la lepre alpina si aggira timorosa tra i cespugli, alla fioca luce lunare. Rizza le orecchie e annusa spesso l’aria con sospetto. Potrebbe giungere improvvisamente l’ermellino brigante, che azzanna e uccide senza pietà. Potrebbe piombare dal cielo qualche rapace notturno, e chi si salverebbe più dai forti artigli? Per questo occorre essere pronti a fuggire veloci, in ogni istante.
Nella montagna alta, intanto, camosci e stambecchi riposano sicuri negli anfratti, in attesa delle prime luci dell’alba, quando usciranno a brucare l’erba fresca di rugiada.

Tornano gli uccelli migratori

Nelle terre calde dell’Africa settentrionale le rondinelle, tutte chiuse nel loro bell’abito nero e bianco, si preparano a partire per il viaggio di ritorno, ora che è tornata la primavera.
Le rondini voleranno sopra deserti, mari, pianure, montagne. Un istinto meraviglioso le guiderà per migliaia di chilometri, e farà sì che esse riconoscano i nidi che ogni anno le aspettano.
Anche le gru, le anatre e le oche selvatiche, gli stornelli, i chiurli, le cicogne, le allodole, i vanelli e i falchi sono uccelli migratori.
Le gru cinerine, cioè di color cenere, volano formando nel cielo una grande V. Il loro volo è lento e maestoso. Lo sai che possono raggiungere perfino i 9.000 metri di altezza? Potrebbero cioè da sole, con il solo battito delle forti ali, posarsi sulla più alta montagna della Terra.
Le anatre selvatiche invece hanno un volo rapidissimo. Possono compiere in un’ora anche centoventi chilometri, quanti cioè ne fa un’automobile.
Gli storni invece formano in cielo delle grosse nubi nere, poichè volano in gruppi foltissimi e molto serrati.
Mettendo attorno alle zampe di alcuni uccelli migratori degli anellini di alluminio, con le indicazioni del luogo da cui ebbe inizio il volo, si è saputo, per esempio, che le cicogne dei paesi del nord Europa passano l’inverno nell’Africa del sud, dopo aver compiuto un viaggio di ben diecimila chilometri, senza neppure l’aiuto dei punti cardinali.

Come fanno ad orientarsi gli uccelli migratori?

Cose veramente straordinarie sanno fare gli uccelli migratori: si è notato per esempio che la rondine torna non solo nello stesso luogo, ma persino nello stesso nido che ha abbandonato l’anno precedente.
Come fa ad orientarsi in un percorso che è spesso di migliaia di chilometri?
Purtroppo non si è ancora in grado di rispondere con esattezza, e il problema dell’orientamento degli uccelli migratori rimane tuttora uno dei più appassionanti per la scienza moderna.
Si è supposto che gli uccelli sappiano calcolare per istinto l’angolo che la  loro strada deve avere in ogni istante rispetto alla direzione della luce solare.

Proserpina e la primavera

Proserpina era la figlia di Cerere, la buona dea che insegnava agli uomini come si fa a crescere il frumento. Ella aveva il capo coronato di spighe di frumento e portava con sè l’abbondanza e la gioia. Proserpina, sua figlia, era leggiadra e fresca come un fiore.
Un giorno Proserpina si trastullava in un prato con le compagne. Verde era l’erba e quieta l’aria, imbalsamata di profumi. Ad un tratto la terra si aprì accanto a Proserpina. Ne uscì un magnifico carro tirato da neri cavalli, e sul carro sedeva Plutone, che afferrò Proserpina, la rapì e la portò nel suo regno buio e tetro. Egli voleva che Proserpina, gentile e mite, diventasse la regina dell’inferno.
Invano Cerere cercò la sua cara figliola. Come pazza girò tutta la terra. Intanto non aiutava il lavoro degli uomini e trascurava i campi, che attendevano la sua benedizione.
Così i campi inaridivano e non davano più una spiga di frumento. Mancava il pane e la fame rattristava gli uomini.
Quando Cerere seppe che Proserpina era stata rapita da Plutone, supplicò che le fosse resa.
Plutone, allora, raccolse a consiglio tutti gli spiriti dell’inferno. Fu deciso che Proserpina potesse sì ritornare da sua madre, purchè non avesse assaggiato nulla dei cibi dell’inferno.
Per fortuna Proserpina, che era desolata di essere lontana da Cerere e di non rivedere la dolce terra bella di fiori, non aveva voluto mai toccar cibo. Solo, avendo visto delle bellissime melegrane rosse, ne aveva colto una.
“Allora” disse Plutone, “Proserpina deve rimanere qui!”
“No” dissero gli spiriti dell’inferno, “Proserpina dovrà stare quaggiù per tre mesi all’anno: e ne trascorrerà nove con la madre”.
E così fu fatto.
Ed ogni primavera, Proserpina, fresca e gentile, ricompare sulla terra; e il suo ritorno segna il primo germogliare del tenero frumento, il primo sbocciare dei fiorellini profumati. (E. G. Camillucci)

La primavera

Spunta da ogni dove, tra il verde del prato bucato dalle primule e dalle margheritine, all’angolo delle case dove sta il vecchio fico, nei bottoni dei cespugli, sui pennacchi nudi delle piante che si punteggiano di gonfie protuberanze, sotto i nostri stessi piedi, nell’aria che accarezza i nostri volti e rinfresca i nostri pensieri. Tutto intorno a noi pare voglia innalzarsi e volare: tutto tende all’alto,  e gli stessi uccelli sfrecciano più rapidi, e le prime rondini scivolano a larghe volate, che pare non abbiano mai a finire. Un profumo sottile e grato è nell’aria; un colore nuovo, che rinnova perfino le facciate delle case, i boschi e le valli.

Incanto della primavera

La primavera apre le grandi porte del cielo al sole, alla gioia, a tutte le cose belle. Le porte spalancate sono le nubi, che vanno sempre più lontane, diventano più lievi. Sulla terra, tutto si risveglia, tutto sorride, tutto canta, tutto si tinge di meravigliosi colori. Anche nel cuore delle persone più infelici rinasce la gioia, la letizia. Nel cuore dei bambini, nei loro volti, nei loro giochi sono già comparsi allegria ed esultanza.

Primavera nella valle

Il sole brillava, ma più ancora brillava il verde della vallata perchè ogni filo d’erba rifletteva la luce, e tutti i prati erano pieni d’oro e di verde, e macchie gialle, rosse e azzurre facevano capolino dalle siepi, dove i fiori si davano un gran daffare per le api. I mandorli e i biancospini erano fioriti, e più in basso i meli primaticci venivano su splendidi, in quattro file ben ordinate dietro la fattoria.
La mandria di mucche nere era tutta nel fiume immersa fino al ventre nell’acqua fresca e tranquilla; e le code mandavano spruzzi bianchi, ricadendo nell’acqua dopo aver scacciato le mosche; e più in su, le pecore non alzavano un momento il muso dall’erba tenera. Quando il vento riprendeva fiato, si sentivano brucare. (R. Llewellyn)

Nel mondo degli animali
Riprende la piena attività di molti animali in terra, nel mare, nei fiumi e nei laghi. Degli animali terrestri, il cervo perde le corna e si isola, le talpe sono in attività febbrili, le volpi cominciano ad uscire dalla tana.
Fra gli uccelli tornano le beccacce, gli storni e i colombi selvatici; le pernici volano a coppie; il merlo gira intorno alle macchie; l’allodola comincia a far udire il suo canto. Si possono vedere in volo anitre, cicogne, corvi e cornacchie. (D. Forina)

Dettati ortografici LA PRIMAVERA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Acquarello steineriano – L’albero in primavera

Acquarello steineriano – L’albero in primavera: una proposta di lavoro sul tema “l’albero in primavera”. L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a riflettere sulla condizione dell’albero in questa stagione.

Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due alberi uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
Materiale occorrente:

acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori:

giallo limone,

giallo oro,

blu di Prussia

I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.

Un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)

una bacinella e un vasetto d’acqua

una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)

un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
preparazione

Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna. Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.

poi si dispone il materiale, se volete così è il modo migliore per evitare incidenti:

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
Lezione

Al bambino possiamo dire che stiamo dipingendo un albero in primavera prima di iniziare, oppure possiamo semplicemente dire che faremo una “pittura” e sarà lui a scoprirlo facendo.

Per prima cosa realizziamo portiamo su tutto il foglio una bella luce leggera, tiepida e allegra, col giallo limone. La luce scende dall’alto verso il basso, ma gioca sul foglio saltellando qua e là.

intensifichiamo il giallo in basso, di modo che poi con poco blu di prussia otterremo un bel verde giovane, nel quale piantare il seme del nostro albero (rosso carminio)

A partire da questo seme, senza lavare il pennello o prendere altro colore, far scendere le radici verso il basso e il primo abbozzo di tronco verso l’alto.

E’ molto importante non lavare mai il pennello, e non prendere altro rosso: si usa solo il rosso del seme, che si mescola agli altri colori sul foglio.

Il seme nella terra incontra calore, luce e acqua, e così si apre: una parte va verso il basso (le radici), quindi si mette il pennello sul seme e si scende, sempre staccando e senza mai tornare indietro; una parte comincia ad andare verso l’alto (sempre dal seme in su, senza tornare indietro). Naturalmente mescolandosi rosso blu e giallo si forma il marrone, e non ci saranno due marroni uguali…

Ora possiamo sviluppare l’albero, utilizzando alternativamente rosso carminio, giallo oro e limone e blu di prussia, prendendoli dalle ciotoline quando serve.

Infine lavare benissimo il pennello e con giallo e blu di Prussia molto diluito, creare una bellissima chioma

Acquarello steineriano – L’albero in primavera

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Dettati ortografici MARZO

Dettati ortografici MARZO – Una collezione di dettati ortografici di vari autori sul mese di marzo, per la scuola primaria, adatti alle classi dalla prima alla quinta.

Sui rami si gonfiano le gemme; tornano gli uccelli migratori. Il sole sorge più presto e tramonta più tardi; a qualche giornata ancora fredda si alternano giornate tiepide e assolate. Il contadino teme la grandine che può mettere in pericolo i raccolti e le fioriture delle piante da frutto che in questo mese si riempiono di corolle delicate.
Marzo era il primo mese del calendario romano ed era consacrato a Marte, dio della guerra, da cui prese il nome.

Marzo comincia. Il suo nome viene da Marte, l’antico e sempre minaccioso dio della guerra. Come uscendo dal letargo invernale, il pagano guerriero, proprio in questo mese, si accingeva a percorrere la terra. Per gli antichi, la guerra era un’avventura primaverile. Si attendeva marzo, il mese dedicato al dio bellicoso, per dar fiato ai corni e muovere gli eserciti che invadevano i campi come le acque del disgelo. (P. Bargellini)

Marzo. Il cielo di marzo è mutevole; qualche giorno è di un gentile azzurro con nuvolette bianche e morbide, qualche giorno è tempestoso e freddo come se l’inverno volesse tornare indietro.

Il vento. Spesso soffia forte, sbatacchia finestre e porte, scuote violentemente i rami degli alberi e sfoglia i fiori delicati del mandorlo e del pesco. Ma qualche volta è gentile come una carezza.

Primi fiori.  Nei prati sbocciano le pratoline bianche orlate di rosso, tra l’erba si nasconde la violetta, sui rami dei mandorli e dei peschi c’è tutta una fioritura di stelle bianche e rosa.

Primavera. E’ primavera. Il cielo è dolcemente azzurro, il vento tiepido, gli alberi sono fioriti, gli uccellini cinguettano preparando il nido per i piccini che verranno.

E’ ora. Una violettta si affacciò e chiese: “E’ ora?”. Una margheritina aprì il suo collettino bianco, orlato di rosso, e domandò: “E’ ora?”. Una farfalla picchiò alla porta della sua prigione e disse: “E’ ora?”. “Avanti, avanti!” esclamò allegramente un bel raggio di sole.

Marzo. E’ un mese pezzerello, ora ride e ora piange. Ecco il sole che splende nel cielo sgombro di nubi; subito dopo il tempo s’imbroncia e giù acqua a catinelle!

Primi tepori. La campagna è ancora spoglia, pure a guardare bene i rami, si possono vedere le gemme avvolte nella loro peluria, ma pronte a dischiudersi ai raggi tiepido del sole.

Marzo. Fra le zolle di terra ecco i fili d’erba affacciarsi timidamente e nell’aria c’è un leggero odore di fiori non ancora sbocciati, ma che presto si schiuderanno al dolce vento di primavera.

Marzo. Non bisogna voler male a questo mese pazzerello: basta un giorno di sole ed ecco i mandorli fioriti miracolosamente ecco le violette che odorano fra l’erba, ecco le pratoline che riempiranno i prati di stelle.

Marzo. Marzo è pazzo. Ora piove, ora c’è il sole. Via le nuvole ed ecco l’azzurro; via l’azzurro ed ecco le nuvole. Marzo è un mese pazzerello; ora ride e ora piange.

Marzo è il mese dei venti e delle piogge. I giorni continuano ad allungarsi; la temperatura aumenta; si hanno, però, frequenti burrasche. I campi e i prati si fanno verdi e cominciano a coprirsi di fiori. Fioriscono gli anemoni, le primaverine, le pervinche e soprattutto i pioppi e, in genere, tutte le piante amiche del vento. Fanno pompa dei loro fiori i mandorli, i ciliegi, i susini. Nelle siepi compaiono i candidi fiori dei prugnoli e dei biancospini. (L. Vaccari)

Il tiepido vento si marzo giocava a cacciare, con furia scherzosa, le nuvole chiare. Le arruffava, le scapigliava, le lacerava a frange, a cirri, le fugava dai colli, le inseguiva, le disperdeva e trascorreva lontano. Ma subito dopo ritornava col suo lungo ululo festoso; s’aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi. (V. Brocchi)

Il vento di marzo si aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi, li sbandava, scuoteva gli alberi sui colli, rapiva petali di fiori novelli, godeva di farli sperdere nella limpidezza dell’aria; li lasciava piovere sulle piazze e sulle vie, metteva un tintinnio a tutti i vetri. (V. Brocchi)

A marzo guardati attorno. Osserva il ramo di un albero: vedrai tanti piccoli bottoni verdi, ancora accartocciati, stretti stretti. Sono le gemme che aspettano un’ora di tepore per aprirsi. Da quelle gemme verranno le foglioline verdi e tenere, verranno i fiori gentili del mandorlo e del pesco. Guarda sul prato. Vedrai l’erba che, improvvisamente, è spuntata ed ha ricoperto la terra con un morbido tappeto verde. Le siepi, già brulle e spoglie, si coprono, da un giorno con l’altro, di una fioritura candida e fitta. E’ il biancospino che ha fretta, che vuol fiorire, che dice: “Primavera è qui che viene”.

Marzo era un fantasticone, bizzarro, che pareva fatto apposta per far impazzire la gente. Bello e gagliardo, con gli occhi azzurri, che qualche volta si oscuravano per un repentino corruccio, capelli a ciocchette del color della viola, era sempre con le gambe in aria a correre, a far dispetti, a gridare per il cielo come un indemoniato, scagliando acqua e qualche volta anche grandine, sui fiori e sugli alberi spaventati, (F. Perri)

Terzo mese dell’anno, primo della primavera, fu il primo mese dell’anno fino a Numa Pompilio che premise il gennaio e il febbraio. Era dedicato a Marte che, forse, in origine era dio della vegetazione primaverile, ma ben presto, fu considerato dio della guerra. Il sole entra nell’Ariete. Marzo è, qualche volta, ventoso e freddo, ma cominciano le belle giornate di primavera, i fiori sbocciano e le erbette smaltano i prati.

Era il marzo temperato e sereno, coi primi fiori degli alberi da frutto e delle siepi di biancospino. Le prode stellate di margheritine e di primule, sapevano di violette nascoste fra i cespi dell’erba; il grano era tenero sul campo. Bello era il mondo nella bella giornata del mese bellissimo; l’allodola, perduta in canto ed in luce nell’alto del cielo, s’incantava lassù, nel mentre gli uccelletti di minor volo cinguettavano d’ogni parte il loro canto contento più umile. (R. Bacchelli)

Verso la metà di marzo, il cielo era turchino; un vento tiepido attraversava la foresta e arrivava alle case. La neve si scioglieva; larghi spacchi vi si formavano, subito riempiti di acqua bruna, e, per la china, cento improvvisi ruscelli scorrevano. Dalle potenti spalle degli abeti cadevano larghi drappi bianchi. Ovunque era fruscio, mormorio d’acqua. (G. Fanciulli)

Marzo è matto. Ormai si è fatto questo nome, chi glielo leva più? Eppure, vorrei vedere un altro al posto suo, così a cavalcioni tra inverno ed estate, fra caldo e freddo e, da una parte, lo tira il vento di febbraio, dall’altra, il cielo d’aprile gli fa l’occhiolino. C’è ancora il gelo nei crepacci della montagna e già nei prati, le violette hanno fretta di venir su. E quel povero marzo corre di qui, di là, aiuta le gemme a schiudersi, spazza il cielo dalle nuvole, si dà da fare da tutte le parti… Si capisce che qualche volta, gli vengono le bizze e fa il matto. Troppe esigenze per questo povero mese! E l’umore cambia.

Il malumore di marzo dura poco, ed eccolo ridere fra le lacrime, eccolo fare una smorfia buffa e saltabeccare fra i prati di nuovo tutti in fiore. Poi, appena vede una rondine, si quieta. E sta a guardarla che guizza per l’aria, veloce come una freccia e dice: “Mi par di riconoscerla. Dev’essere quella dell’altro anno”. E la rondine grida che sì sì, è lei e dice trovato a marzo e a tutte le cose.

Marzo è matto. Un giorno ride pazzamente e si sente allegro come un fringuello; allora è tutta una meraviglia: peschi fioriti, viole sbocciate, cielo sereno, venticelli scherzosi e tiepidi… Ma poi marzo si stanca e arriva il malumore. E allora son dolori: venti strapazzoni che spogliano quei poveri rami di pesco, pioggia a dirotto e tutti si rintanano in casa dicendo: “E’ tornato l’inverno!”.

Il cielo di marzo
Il cielo di marzo è mutevole. Qualche volta manda la pioggia e persino un po’ di nevischio, ma spesso è azzurrino, quasi trasparente, con nuvole leggere, ben diverse da quelle compatte e bigie dell’inverno. Il sole è ormai tiepido e al suo dolce calore, si schiudono i primi fiori.

Il mese del risveglio
Marzo è il mese della primavera, quando tutto si risveglia, piante e animali e perchè no? L’uomo. Infatti, anche l’uomo, con l’arrivo della bella stagione, sente rinnovate le sue energie, ha desiderio di camminare, di sgranchirsi le gambe tenute troppo tempo a impigrirsi nel chiuso, di buttar via gli indumenti pesanti, di guardarsi attorno e godere di quanto la natura gli offre in questo ridestarsi del creato.

Marzo, il cui nome deriva da Marte, il dio a cui i Romani lo avevano dedicato, fu il primo mese dell’anno romano fino all’anno 601 dalla fondazione di Roma. Nel nostro calendario è il terzo, ma nel calendario astronomico è sempre il primo perchè in questo mese il sole entra nell’Ariete, che è il primo segno dello Zodiaco. Nel plenilunio di marzo si celebra la Pasqua. In questo mese, e precisamente il 21, ha luogo l’equinozio di primavera in cui la notte e il giorno sono di uguale lunghezza.

E’ arrivato marzo e con lui la primavera. E’ un mese un po’ pazzerello, ci porta sole e solicello, vento e venticello, qualche temporale o una pioggerellina che bagna la terra e la sveglia dal suo lungo sonno invernale. Ecco infatti le gemme sui rami degli alberi, i primi mandorli fioriti, le siepi di biancospino piene di stelline bianche e profumate; tra l’erbetta tenera spuntano le margherite col cuore d’oro e le timide violette. Il grano spunta e sembra un morbido tappeto verde.

In marzo, in alcuni paesi, si possono osservare le migrazioni di stormi di uccelli che vengono dai luoghi caldi per recarsi al  nord dove usano fare il nido.  L’uccello migratore delle nostre regioni è principalmente la rondine. Tra l’erba possiamo osservare il brulichio degli insetti che escono dalle loro tane, o che hanno addirittura cambiato aspetto e cominciano a volare, a succhiare, a riprodursi secondo il loro ciclo vitale. Qualche farfalla già vola tra i primi fiori.

Quali sono questi primi fiori? Innanzi tutto le pratoline: bianche, orlate di rosso, sono le più audaci e le più allegre; al primo raggio di sole tiepido, le vediamo sbocciare miracolosamente tra l’erba e si chiudono non appena il sole mette il broncio. Altri fiori dell’acerba primavera: le primule, gli anemoni e la trionfatrice della stagione: la violetta. E’ il simbolo della modestia; è di un bel colore, profumatissima, di una forma graziosa, eppure si cela tra l’erba, non ostenta nè la sua bellezza, nè il suo colore, nè il suo profumo. Soltanto chi la sa cercare la trova e può godere delle sue belle virtù.

I colori di marzo sono il bianco del mandorlo, il rosa del pesco, il viola della violetta, il violaceo dell’anemone, il bianco orlato di rosso della margheritina, il rosso viola della primula, il giallo della giunchiglia. Cogliamo i fiori a volontà, specie i fiori dei prati che sono di tutti e di nessuno, ma attenzione a non troncare i rami fioriti degli alberi, perchè ogni fiore diventerà un frutto. Vi sono frutti commestibili e frutti che non si mangiano, ma ogni fiore diventa frutto. Il fine di ogni fioritura è quello di preparare il seme per dare origine a una nuova pianta. Infatti, dentro ogni frutto, c’è il seme.

Gli uccellini cominciano a cinguettare; prima degli altri, i passeri, i quali cominciano già a pensare al nido. Il passero fa il nido sotto un tegolo, al riparo. Gli altri uccellini lo fanno, in genere, tra i rami degli alberi. Hai mai visto un nido? E’ intrecciato di rametti come se fosse tessuto. Questo meraviglioso lavoro è fatto dagli uccelli col becco e le zampette. Poi la femmina lo imbottisce di lanuggine che trova nei fiori di pioppo, di salice e nel cardo. Ma gli uccelli non si peritano di strappare anche qualche filo a un lembo di stoffa, di afferrare al volo qualche piumetta e qualche fiocco di ovatta. I piccoli devono stare morbidi e caldi.

Non tutti gli uccelli fanno il nido tra i rami degli alberi: ve ne sono alcuni che si accontentano di un crepaccio, di un buco nel muro, alcuni che lo fabbricano con due foglie cucite insieme abilmente con fili d’erba per mezzo del becco, altri, come i rapaci, non fanno che un rozzo groviglio di rami in una anfrattuosità della roccia.

Marzo è matto, dice il proverbio, perchè il cielo è mutevole: qualche giorno è di un gentile azzurro con nuvolette bianche e morbide, qualche giorno tempestoso e freddo come se l’inverno volesse tornare indietro. Il vento spesso soffia forte, sbatacchia le finestre, scuote violentemente i rami degli alberi e sfoglia i delicati fiori del mandorlo e del pesco. Ma anche il vento è necessario perchè rinnova l’aria e la purifica, trasporta il polline da un albero all’altro e passando da un fiore ad un altro della stessa specie, lo trasforma in frutto. Tra i benefici del vento dobbiamo mettere anche quello di portare le nuvole qua e là e di modificare, quindi, il clima, con le piogge che derivano da questo movimento del vapore acqueo. In alcune regioni il vento viene utilizzato per muovere le pale dei mulini e si ha così un’energia che non costa niente.  Quando però il vento assume la forza di un ciclone può arrecare danni gravissimi: svelle da terra interi alberi, fa crollare muri e soprattutto sconvolge il mare causando naufragi e disgrazie.

Dicono che marzo è pazzo; ma che deve fare il poveretto, se è a servizio di due padroni che lo comandano a piacer loro? Se è l’inverno che ordina, marzo deve mandare giù la pioggia e scatenare il vento che strapazza i rami pieni di gemme; se è la primavera che lo chiama a sè, allora ecco che sparge i fiori sui prati, mette in fuga le nuvole, intiepidisce l’aria, invita i bambini all’aperto.

Sereno a volte e limpido come un immenso specchio azzurro, anche il cielo partecipa alla festa della natura. Ma talvolta, all’improvviso, il cielo si oscura e assume il color cinerino dell’autunno: la nuvolaglia nasconde il sole e una pioggia fitta e insistente cade sulla terra. Un broncio di breve durata. Dopo la pioggia il sole torna a splendere più luminoso e più caldo.

Al torrente è arrivata tanta acqua dai nevai che si sfanno, e la sua voce canta più alta fra i ciottoli, parla più tenera fra i salici… Per tutta la valle scende un vento fresco, non freddo; scioglie gli ultimi nodi dell’inverno, porta il fumo dei camini, il suono delle campane e le prime libere canzoni. (G. Fanciulli)

Il torrente sussultava in fondo alla valle, fra i peschi e i mandorli fioriti. E tutto era puro, giovane, fresco, sotto la luce argentea di quel gran cielo mite, sul cui orizzonte i profili morbidi dei monti, ancora coperti di neve, si stendevano come file di colombi addormentati. (G. Deledda)

Quando l’inverno muore lentamente nella primavera, nelle sere di quei bei giorni limpidi, lieti, senza vento, in cui si tengono spalancate per le prime volte le finestre e si portano sulle terrazze i vasi di fiori, le città offrono uno spettacolo gentile e pieno di allegria e di poesia. A passeggiare per le vie, si sente di tratto in tratto nel viso un’ondata d’aria tiepida, odorosa. Di che? Di quali fiori? Di quali erbe? Chi lo sa! Sono profumi indistinti e sconosciuti, che sanno di freschezza, di giovinezza e di vita (E. De Amicis)

Lungo le rive dei fossi si aprono i primi fiori e sui pendii dei colli, altri, di colori più intensi, azzurri o gialli. Sulle cime dei monti gli ultimi filoni di neve sfumano in nere nubi. Il verde del frumento si accresce, ed altri campi, si fanno gialli di ravizzone. Biancheggiano i susini, i peri, alterni al rosa dei peschi. Le galline hanno un canto diverso, appare la prima farfalla, e gli uccelli cantano tra gli alberi che ancora non danno ombre. Finisce l’inverno, si entra in primavera; certi anni il passaggio viene come velato da un lungo periodo di piogge, ritorna il sole e sui rami si scopre la frutta già segnata senza esserci accorti dei fiori. (G. Comisso)

Ora la primavera avanza. La rondine dà la sveglia ai pigri, e la collina si veste da sposa con quei suoi bianchi filari di ciliegi fioriti, che sembrano da lontano lunghi festoni serpeggianti, tesi lungo i pendii per un corteo di angeli. E accanto al bianco dei ciliegi, ecco la meraviglia rosea dei peschi. E’ un succedersi di bianco e di rosa, di superbe macchie vivissime sul verde, ormai deciso, della campagna. E’ questo il momento più bello della primavera, che avanza regalmente con profumi, colori e tepori, con ronzii e cinguettii. Le gemme spuntano, ingrossano, scoppiano in fronde di un verde tenero e, a poco a poco, l’impeto interno della terra madre si sfoga in una vegetazione lussureggiante, e la campagna, la collina e il monte si vestono si un manto imperiale. (A. Dusso)

Il trepido vento di marzo giocava a cacciare con furie scherzose le nuvole chiare. Le arruffava, le scapigliava, le lacerava a frange, a cirri, le fugava dai colli, le inseguiva, le disperdeva e trascorreva lontano. Ma, subito dopo, ritornava col suo ululo festoso; s’aggirava per il cielo mulinando nel sole gli ultimi fiocchi di nubi, li sbandava, scuoteva gli alberi sui colli, rapiva petali di fiori novelli, godeva di farli sperdere nella limpida aria; li lasciava piovere sulle piazze e sulle vie; metteva un tintinnio a tutti i vetri. (V. Brocchi)

Appena giunto in città, il venticello di marzo cominciò a soffiare in tutte le direzioni, allegro, invadente, felice di scorrazzare. Chiudeva ed apriva le imposte, sbatacchiava usci, il monello, come se fosse stato a casa sua. Faceva tremare i grandi cristalli delle vetrine, e si trastullava tra i vestiti dei passanti e distribuiva loro sulla faccia i biglietti del tram gettati a terra. (Lunarino)

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Dettati ortografici FEBBRAIO

Dettati ortografici a tema: il mese di febbraio. Una collezione di dettati ortografici sul mese di febbraio, di autori vari, per la scuola primaria

Dettati ortografici FEBBRAIO

E’ un mese allegro, pieno di mascherine, di coriandoli, di stelle filanti e di frittelle. L’inverno di fa ancora sentire, ma se guardate bene, vedrete una gemma che sta per schiudersi sul ramo di un albero, vedrete un fiorellino che timidamente sboccia, vedrete un tiepido raggio di sole che cerca di farsi strada fra le nuvole.

La campagna è ancora spoglia, ammantata di brina; pure, se guardate attentamente, vedrete una gemma, nel cavo di un ramo, che sta per schiudersi; vedrete sul piano le prime margheritine e sull’orlo del fossato sentirete il profumo delle prime violette. E il pesco e il mandorlo, fra poco, avranno la loro veste fiorita.

Il ghiaccio intorno alla fontana si è sciolto, le piantine rialzano il capo e mettono un bocciolino con la speranza di farlo presto schiudere. La siepe si copre di gemme e fra qualche giorno il biancospino fiorirà. Anche i mandorli e i peschi sono pronti: al primo raggio di sole tiepido si copriranno della loro bella veste fiorita.

Primi tepori
Fra le erbe del prato, le violette non sono ancora sbocciate. Se ne sente, però, il profumo. anche l’aria odora un po’ di primavera. Gli uccellini cinguettano; pensano al nido. Gli insetti cominciano a ronzare; qualcuno ha messo già le ali, dopo la lunga invernata passata sotto terra.

Molta gente borbotta contro questo piccolo mese. Febbraietto, corto e maledetto! Eppure, è proprio febbraio che porta le mascherine, e che soprattutto porta i primi tepori, più luce al giorno, qualche gemma, e persino qualche fiore. E allora, un po’ di pazienza per i suoi bronci che sono seguiti sempre da un lieto sorriso!

Parla febbraio: “Nei campi che cosa si fa? Non troppo, ancora, ma c’è la speranza del marzo vicino. I contadini si preparano sapendo che, dopo di me, verranno subito i primi tepori. Essi pensano a potare le viti, a scortecciarle per distruggere gli insetti dannosi. Nei luoghi dove il clima è meno freddo, i pastori cominciano la tosatura delle pecore”.

La terra è ancora brulla, gli alberi nudi e stecchiti. Pure, se osservate bene, vedrete un leggero spolverio verde sui rami, sui cespugli. Sono le gemme che aspettano un raggio di sole per potersi schiudere. Se guardate fra le erbe del prato, forse troverete una violetta, la prima, che però, nel suo linguaggio, vi dirà che la primavera non è lontana.

Febbraio è il mese più breve perchè ha soltanto ventotto giorni e ventinove negli anni bisestili. Febbraio era, nel calendario romano antico, l’ultimo mese dell’anno. Il primo mese era marzo, da Marte, il dio della guerra. Il nome deriva da “februare” che vuol dire purificare, espiare; il mese, infatti, era dedicato alla purificazione. I nostri antenati usavano espiare per sè e per i defunti e purificare gli animali mediante cerimonie che si svolgevano sul Colle Palatino. A noi, febbraio porta la bella festa del Candelora e l’allegria del Carnevale.

Se provate a fare una passeggiata in campagna, quante cose di riveleranno ai vostri occhi che voi nemmeno pensavate! Spunta già il grano, e lieve lieve, morbido morbido, copre la terra di un mantello verde non appena la neve la lascia libera. E se guardate sulle siepi, troverete certi bocciolini duri e pelosi che aspettano soltanto un raggio di sole per aprirsi. E’ il biancospino, e tra qualche giorno, vedremo che fioritura candida e profumata sopra le siepi rinsecchite! Gli uccellini cinguettano: sono allegri anche loro. Cominciano a trovare qualcosa di più da mettere nel becco: gli insetti, le larve fanno capolino dalla terra e sono proprio dei bocconi saporiti.

Febbraio è il mese più corto dell’anno, un mese ancora freddo, ma che ci mostra i primi avvisi di primavera. Il suo nome deriva dal latino “Februarius” da “februus” che vuol dire purificante, purgante. In questo mese gli antichi romani facevano, infatti, i sacrifici di espiazione durante le feste dei Lupercali, istituite a quanto si dice, da Romolo, in onore della lupa che lo aveva nutrito.

Febbraio fu aggiunto agli altri mesi da Numa Pompilio e con esso terminava l’anno, che cominciava con marzo. Febbraio consta solo di ventotto giorni e, negli anni bisestili, ventinove. Gli anni centenari sono bisestili soltanto se possono dividersi per 400.

Il mese di febbraio è l’ultimo mese dell’inverno e secondo il proverbio, che “il più duro da scorticare è la coda” anche febbraio ci riserva spesso le più crude manifestazioni del freddo. Imperano ancora il gelo, il vento e qualche volta anche la neve. Però, se guardiamo attentamente intorno a noi, vedremo già qualche manifestazione della primavera imminente.

Il cielo di febbraio è spesso nuvoloso e grigio, ma con qualche squarcio di azzurro che si fa sempre più grande e frequente con il progredire del mese. Le giornate si allungano.

Sui rami delle piante possiamo notare a partire da febbraio gli ingrossamenti che daranno luogo alle gemme; qualcuna, anzi, ha già la gemma ben visibile: il pioppo, il ligustro, il biancospino. Osservando queste gemme vedremo che questi germogli ben riparati da un rivestimento che può variare da pianta a pianta. In qualcuno c’è addirittura una morbida pelliccetta pelosa che tiene riparato il prezioso contenuto, in altri c’è un rivestimento di scaglie dure e coriacee che lo difendono dal vento gelido e dagli sbalzi di temperatura; in altri ancora l’involucro della gemma è rivestito di resina impermeabile che difende il germoglio dalla pioggia.

A fine febbraio, se la temperatura non è troppo cruda, c’è l’esplosione dei fiori di mandorlo e di pesco che illeggiadriscono la campagna con un’improvvisa manifestazione primaverile. Ed ecco la prima violetta, la prima margheritina, la primula…

La vita animale in febbraio è ancora sopita, ma presto si manifesterà. Dove sono gli insetti? Morti, oppure sotto terra, nascosti nella corteccia degli alberi sotto l’aspetto di crisalidi, oppure ancora nell’uovo; ma ecco le prime mosche, i primi bruchi avventurosi, ecco le formiche, ecco il guizzo di una lucertola che si è svegliata in anticipo! La lucertola, come gli altri rettili, è rimasta immersa nel letargo perchè, avendo il sangue a temperatura ambiente, non potrebbe resistere al freddo invernale. Ma il primo raggio di sole l’ha destata dal suo intorpidimento anche perchè qualche insetto è sbucato fuori e il primo appetito si potrà saziare.

In febbraio i tassi, le marmotte, i ghiri, i pipistrelli non si sono ancora destati; restano immersi nel letargo, durante il quale le funzioni vitali rallentano al massimo permettendo all’animale di rimanere digiuno per lunghi mesi. Ma col primo pallido sole di febbraio, c’è da giurarlo, anche loro cominciano a sentire il sangue muoversi, cominciano a sentire gli stimoli della fame e presto anch’essi sbucheranno fuori dalle loro tane.

La terra è ancora umida e fredda, pure, se guardi con attenzione, vedrai qualche filo d’erba spuntare nelle fessure, vedrai qualche ramo che presenta i piccoli rigonfiamenti dove si nascondono le future gemme, vedrai, forse, una pratolina sbocciare timidamente sulla zolla ancora spoglia. Sono gli indizi dell’arrivo imminente della primavera. Non lasciarti sfuggire questi segni: ne ricaverai una grande gioia pregustando in anticipo il bel sole che verrà, il rigoglio della natura che ancora non appare, ma che un giorno, non lontano, esploderà in tutto il suo vigore, e la sua bellezza.

Febbraio è l’ultimo mese d’inverno. Ancora è freddo, la nebbia pesa sulla campagna, il vento soffia gelido, e spesso la neve cade ancora dal cielo a ricoprire la terra. Febbraio, quando te ne andrai? Sei il più piccino dei mesi, ma sei forse il più cattivo. Non ne possiamo più di freddo, di nebbia, di neve. Desideriamo, con tutto il cuore, il tiepido sole di primavera, le prime violette, le pratoline candide che sembrano stelline cadute sul prato. Febbraio, vattene via lesto! Vogliamo la primavera!
E’ ancora freddo; spesso il vento soffia gelido fra i rami nudi degli alberi. Pure, se guardi con attenzione, vedrai qualche coraggioso filo d’erba spuntare nelle fessure sui muri, vedrai qualche insetto avventuroso tentare i primi voli, vedrai qualche squarcio di azzurro nel cielo grigio e forse, chissà, potrai trovare sulla riva di un fosso una violetta profumata che è sbocciata per darti il saluto della primavera che si avvicina.

Febbraio è un mese di passaggio fra l’inverno e la primavera. Per questo è così instabile, capriccioso e infido. Anche se ha qualche giornata di sole, non dargli retta: rallegrati, ma tieni il tuo cappotto e il tuo berretto. Anche se un mandorlo fiorisce coraggiosamente, gioisci della sua fioritura gentile, ma non ti sorprendere se l’indomani il vento stizzoso lo avrà spogliato. E se trovi una violetta sul bordo di un fosso, prendila come un saluto del bel tempo che verrà.

Dicono i contadini: “Febbraio febbraietto corto e maledetto”. Ma perchè, povero piccolo mese? In fondo anche lui porta le gioie di un’acerba primavera: qualche violetta sbocciata sull’orlo di un fosso, qualche pratolina fra l’erba, le mimose pronte a sbocciare e soprattutto la fioritura dei mandorli e dei peschi. Non maledire questo mese anche se è ancora freddo e nebbioso. Vedrai, in marzo, che cosa ti ha preparato febbraio.

Gli alberi stendono al cielo i loro rami nudi e rinsecchiti. Pure, se li osservi con attenzione, vedrai dei piccoli rigonfiamenti che si fanno, di giorno in giorno, più turgidi e verdi. Sono le gemme che ancora non germogliano, ma lo faranno non appena un raggio di sole più tiepido le sveglierà dal loro sonno invernale. Sono rivestite da una folta pelliccetta, oppure da squame dure e coriacee; ma ben presto il loro rivestimento si aprirà per dar luogo al fiore, alla foglia, al rametto giovane della primavera.

Il vento, la neve, la pioggia, sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di stare troppo a lungo in questa compagnia; e per questo, forse, è il mese più corto dell’anno e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi ancora coperti di brina. Che fatica per il povero febbraio con le sue scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ma febbraio prende la sua fatica allegramente. (F. Palazzi)

Se osserviamo bene, vedremo i primi sintomi del risveglio della natura. Le gemme sono ancora coperte di scaglie resinose e impermeabile che le proteggono dal freddo, ma nei posti più soleggiati, sputano ciuffi d’erba verde, lungo le prode sbocciano le violette timide, i ranuncoli gialli. Sulle zolle ancora nude ecco le pratoline bianche col collarino rosso che si schiudono all’apparire del sole, per richiudersi subito non appena il sole scompare. E’ la primavera che si annuncia.

Non ti fidare se febbraio ti regala qualche bella giornata. Ecco che, dopo il tepore, un vento gelido accumula di nuovo le nuvole della pioggia. E se il mandorlo e il pesco una mattina ti sorprendono con la loro leggiadra fioritura, non è difficile che, l’indomani, i fiori siano tutti a terra e gli alberi più spogli di prima. Ma, anche nei suoi capricci, febbraio precede la primavera e te lo dice con i suoi timidi tentativi durante i quali fa sbocciare un fiore, squarcia le nubi e accoglie festosamente un bel raggio di sole.

L’albero che ha perduto nell’inverno tutte le foglie, sente la carezza del primo sole: “Svegliati, dunque! E mettiti al lavoro! Che cosa aspetti ancora? La buona terra è pronta a darti i suoi ricchi umori. Io ho tiepidi raggi. L’aria ti sussurra attorno una dolce canzone.”. L’albero ode le care voci e chiama dal suo cuore i teneri germogli. (G. Camillucci)

Il mese di febbraio è l’ultimo mese dell’inverno e spesso ci riserba le più crude manifestazioni del freddo. Imperano ancora il gelo, il vento, e spesso la neve. Pure, se guardiamo attentamente intorno a noi, vedremo già qualche manifestazione della primavera imminente. Il cielo spesso nuvoloso e grigio, ha talvolta uno squarcio d’azzurro che, col progredire del mese, si fa sempre più grande e più luminoso. Le giornate sono più lunghe e, talvolta, ci arriva un soffio profumato che sa di bosco e di giardino anche se boschi e giardini sono ancora spogli e addormentati.

Primavera? Siamo ai primi di febbraio e ancora ne ha da cadere di neve, ancor da pungere di freddo. Pure, adesso che ci penso, e guardo meglio in giro, l’annuncio della primavera non è solo sulla bocca della fioraia all’angolo della strada. Forse nelle nubi; forse nel vento; o nell’erba dei giardinetti che hanno il cancello sul marciapiede; o fra le connessure delle pietre; ma, insomma, è. Gioca con me a nasconderello; dove si appiatti non potrei dire, nè dove sbuchi per tornare a rintanarsi; non dice, promette, e poi fugge. (Ada Negri)

Febbraio è un mese infido, volubile. E’ un mese invernale, e vuol sembrare invece un mese di primavera; e lo dice anche. Il due febbraio si festeggia la Candelora, così chiamata per le offerte di candele che si fanno alla Madonna in quel giorno. Ebbene, febbraio fa cantare: “Oggi è la Candelora, dell’inverno semo fora”. Sì, in qualche giorno del mese c’è infatti un sole luminoso e quasi tiepido che ci consola; e sulle rade dei fossi spuntano già le prime violette dell’anno… ma poi, il giorno dopo, ecco che fischia la tramontana e riprende a fioccare la neve. (F. Palazzi)

E’ spuntata la prima viola sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata! E’ venuta a dire che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si copriranno di gemme di fiori, di frutti. E’ venuta a dire al contadino che i lavori dei campi lo aspettano. E’ venuta a promettere ai poverelli, che quest’inverno hanno tanto sofferto, che non farà più freddo. Tra poco il sole tiepido scalderà la terra e la terra tornerà rigogliosa con l’aiuto della natura e il lavoro dell’uomo. (L. Steiner)

Brillano al sole le nevi; sgrondano i tetti. Riponete, ragazzi, slitte e pattini; finito ormai è quest’affanno dell’inverno. L’abete ha sciorinato lungo il clivio la sua ombretta celeste. Non più sentieri ghiacciati, Non più sizze che taglian le orecchie. Ora tutto s’allenta, s’espande, si dona. Com’è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti si rallegrano, l’ombra del fico si disegna sul muro con una tenerezza nuova. (C. Linati)

Un giorno di sole riappare, dapprima timido, freddo, poi manoa mano più caldo; che aria di festa! I prati ritornano soffici, si sciolgono i ruscelli e riprendono a cantare. I ragazzi, felici, invadono le strade gridando, e i poveri sorridono… Ma il gelo, ahimè! Non si è dato per vinto. Di nuovo vittorioso torna signore delle cose. Tutto di nuovo è freddo, silenzioso, immobile. I bambini sono tornati nelle case; i poveri tremano. Quanto durerà ancora il regno del gelo? (G. Fanciulli)

Parla febbraio: “Nell’antico calendario romano io avevo ventinove giorni; me ne tolsero uno per regalarlo ad agosto e, da allora, me lo rendono solo negli anni bisestili; non riesco, però, ad averne mai più di ventinove, e rimango sempre il più corto dei dodici fratelli. Dicono che sono cattivo: Febbraio, febbraietto corto e maledetto. Allora cerco di portare un poco di allegria con il carnevale; e la gente si diverte più che può senza curarsi del mio freddo.” (M. Toscano)

Parla febbraio: “E nei campi, che cosa si fa? Non troppo ancora, ma c’è la speranza del marzo vicino; i contadini si preparano, sapendo che, dopo di me, verranno subito i primi tepori. Essi pensano a potare le viti, a scortecciarle per distruggere gli insetti dannosi. Le greggi, seguite dal vigile pastore, risalgono i colli in cerca delle prime erbette. Si comincia la tosatura delle pecore; la lana è la prima preziosa raccolta dell’annata.” (M. Toscano)

Oh valletta, che ancora non è primavera e tu di sorridere tenti già! Lascia che io riveda com’è quel bel verde che quasi negli occhi l’immagine più non ne trovo! Rimirati, o valletta, raccogliere ad una ad una le piccole dolci tue cose… Quelle prime tue primule uscite a sentire se il sole è già tiepido, l’aria meno grigia, quel tuo timido verde che torna cercando fra gli aridi ciuffi il sentiero. (F. Chiesa)

Piove, e sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadine luccica; e luccicano gli ombrelli, i cappucci dei cappotti impermeabili. Nei campi, i fossi gonfi d’acqua borbottano. I fiumi corrono limacciosi in piena e portano innanzi quanto hanno rapinato dalle prode. Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia, tra i vapori che salgono dalla terra e lentamente vanno a confondersi alle nuvole grige. Non finirà mai più? Si sta bene al chiuso, all’asciutto, al caldo. E per fortuna febbraio è corto. (G. Fanciulli)

Il giorno della Candelora la primavera si è affacciata nei cieli ed ha sbandierato il suo gonfalone di raso celeste. Dalle piazze, dalle vie, dagli abbaini, dai fondachi, tra le tende e dietro i vetri, gli uomini l’han vista, l’hanno sentita; i giovani non un guizzo di gioia nella pupilla… Già ci investe la luce. Questa è per tutti gioia e potenza. I giorni sono più lunghi… Fa meno freddo. Ognuno di noi ha uno scopo da raggiungere, immediato: la primavera. (A. Bucci)

Nel lungo inverno la terra pare come morta, ma non è così. Essa dorme il suo sonno tranquillo e riposante; dormono anche molti animali nelle loro tane. Dorme la terra, ma pure nel sonno, come una madre amorosa, copre sotto il suo manto milioni di semi che come lei dormono, e li difende dal freddo e li prepara per il risveglio primaverile. (G. Cives)

Mi ricordo bene di certe corte e ventose giornate di gennaio e di febbraio, quando si camminava via lesti per le strade dure, ghiacciate, che risuonavano sotto i passi, fra i muri asciutti che rimandavano gli echi, sotto le sfilacciature bianche delle nuvole alte. A forza di camminare tornavo a casa coi piedi brucianti e il viso acceso, tutto vibrante e vigoroso come se tornassi da una vittoria. (G. Papini)

Quando sul salice appaiono le prime infiorescenze, non c’è dubbio: la primavera ha ripreso possesso di questo vecchio mondo. Le gemme sono le sue messaggere. Durante l’inverno, le gemme cominciano a far capolino. Poi lentamente s’ingrossano, e sui rami spogli si vedono piccole protuberanze coperte di scaglie color bronzo, marroncino, e d’un delicato verde. Alcune di esse sono lisce, altre lanuginose, o ruvide, o increspate, come protette da corazze di vari colori e di varie forme. (D. Culross Peattie)

Le scaglie che rivestono le gemme non servono a proteggerle dal freddo, come si crede. Durante l’inverno le gemme sono fredde, addirittura ghiacciate, poichè spesso nell’interno si formano cristalli di ghiaccio. Le scaglie servono a proteggere le gemme dal vento gelido. Poi, mentre la neve resiste ancora sulle cime dei monti e Febbraio sferza ogni cosa col vento e le piogge violente, la temperatura delle gemme aumenta, e una mattina, all’improvviso, tutto intorno a noi s’è rivestito di verde, e il miracolo della primavera si rinnova. (D. Culross Peattie)

Febbraietto corto e freddo, in ogni luogo ci mise la febbre. Tutta la terra ha un nascosto bollore. Sale alle cime la linfa e le gemme già si ingrossano e friggono. Continuano le piantagioni e la potatura. L’accetta lavora in pieno per togliere il vecchio e il superfluo ed aiutare il nuovo. La cattiva accetta rovina gli alberi. Il belar degli agnelli empie la campagna dove mandorli e peschi cominciano a fiorire; e dalle masserie fuma l’odor delle ricotte. Carnevale passa tra risa e divertimenti. (F. Lanza)

E’ il mese più breve perchè ha soltanto 28 giorni e ventinove negli anni bisestili. Febbraio era, nel calendario romano antico, l’ultimo mese dell’anno. Il primo mese era Marzo, da Marte, il dio della guerra. Il nome deriva da “februare” che vuol dire purificare, espiare: il mese infatti era dedicato alla purificazione. I nostri antenati usavano espiare per sè e per i defunti e purificare gli animali mediante cerimonie che si svolgevano sul Colle Palatino. A noi, febbraio porta la bella festa della Candelora e l’allegria del Carnevale.

Se provate a fare una passeggiata in campagna, quante cose si riveleranno ai vostri occhi che voi nemmeno pensavate! Spunta già il grano, e lieve lieve, morbido morbido, copre la terra di un mantello verde non appena la neve la lascia libera. E se guardate sulle siepi, troverete certi bocciolini duri e pelosi che aspettano soltanto un raggio di sole per aprirsi. E’ il biancospino e, fra qualche giorno, vedrete che fioritura candida e profumata sopra le siepi rinsecchite! Gli uccellini cinguettano: sono allegri anche loro. Cominciano a trovare qualche cosa di più da mettere nel becco: gli insetti, le larve fanno capolino dalla terra e sono proprio dei saporiti bocconi.

D’inverno, bisce e lucertole sono tutte sparite, sprofondate nei crepacci e nascoste sotto i sassi a dormire profondamente. Ma quando un raggio di sole tiepido batte sul loro rifugio, il sangue scorre più veloce, i battiti del cuore si fanno più rapidi e comincia a farsi sentire l’appetito. Coraggio, facciamo capolino! Chissà che non ci sia qualcosa da divorare tanto per non morire di fame. Il grasso del corpo che questi animali hanno consumato durante il loro letargo è ormai tutto finito e c’è bisogno di rinnovare le provviste!

Dettati ortografici a tema: il mese di febbraio

Il primo raggio di sole ha destato la lucertola che fa capolino dal suo rifugio, palpitante sotto la sua leggiadra corazza verde. Tassi, ghiri, marmotte sono ancora in letargo, il lunghissimo sonno durante il quale le funzioni vitali si sono rallentate al massimo permettendo all’animale di vivere senza mangiare e senza muoversi e di sopportare il freddo intenso. Ma il loro sangue comincia a scorrere più veloce, il cuore batte più svelto e l’appetito comincia a farsi sentire. Presto, al primo sole di primavera, li vedremo far capolino dalle loro tane, baffi vibranti e naso al vento per sentire il primo avviso di primavera.

Febbraio febbraietto, corto e maledetto! Ma perchè maledetto, povero, piccolo mese, così allegro, così spensierato, sempre in vena di mascherarsi e di andare a ballare? Per qualche stizzone di gelo più forte, ora che la gente cominciava a gustare il tepore del primo sole? Ma insomma, anche febbraio è un mese dell’inverno e anche lui ha il suo bravo diritto di avere piogge, freddo, geli e magari qualche nevicata. Ma, in compenso, guardate quante maschere! E quante stelle filanti! E quanti coriandoli! Una continua festa!

Il cielo fa ancora il broncio, ma non gli date retta: non vedete un riflesso azzurro nelle pozzanghere? E se cercate bene sulle prode dei fossi, chissà che non troviate una violetta, magari una sola, ma così profumata, così gentile che vi metterà in cuore una grande allegrezza. E poi, anche se febbraio vuol fare il cattivo, non durerà molto. Ha solo ventotto giorni, qualche volta ventinove, e presto ci dirà addio. E poichè è il più piccino, bisogna pure perdonargli qualche bizza!

Il secondo mese dell’anno è caro ai bimbi per le allegre ricorrenze del carnevale. Pantalone, Arlecchino, Balanzone, Pulcinella, Gianduia, Rugantino, Stenterello… scherzano e ridono per le vie delle proprie città, fino al giorno delle ceneri, al quale seguirà la Quaresima, periodo di raccoglimento e di penitenza che precede di quaranta giorni la Pasqua. La terra incomincia a scuotersi dal torpore invernale.  Le giornate si sono allungate e il sole si mostra più spesso nel cielo. Spuntano le prime margherite, fioriscono le mimose. Il grano incomincia a verdeggiare nei campi. Il contadino semina rape, piselli, lattughe, cipolle. Il nome febbraio deriva dalla parola latina “februare”, che vuol dire purificare, perchè, anticamente, era questo il tempo in cui il corpo veniva purificato per renderlo degno di avvicinarsi ai templi degli dei. I romani lo avevano dedicato a Giunone.

Tutte le cose dormono ancora il lungo  sonno invernale. I ghiaccioli pendono dalle grondaie e i comignoli fumano dalla mattina alla sera. Il gelo sembra padrone del mondo.
Ma un giorno il sole riappare: un sole dapprima timido, freddo, poi a mano a mano più caldo.
Che aria di festa! I prati tornano soffici, i ruscelli si sciolgono e riprendono a cantare. I ragazzi, felici, invadono le strade gridando, e i poveri sorridono. Appaiono i primi fili d’erba, nuovi nuovi. Ma il gelo, ahimè, non si è dato per vinto. Di nuovo vittorioso, torna signore delle cose. Tutto di nuovo è freddo, silenzioso, immobile. I bambini sono tornati nelle case; i poveri tremano. (G. Fanciulli)

Brillano al sole le nevi, sgrondano i tetti. Riponete, ragazzi, slitte e pattini: finito è ormai quest’affanno dell’inverno. Non più sentieri ghiacciati, non più ventate che tagliano le orecchie. Ora tutto si allenta, si espande, si dona. Come è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti s’allegrano, l’ombra del fico di disegna sul muro con una tenerezza nuova. Riponete, ragazzi, slitte e pattini! Andiamo ai primi lavori. (C. Linati)

Il più breve mese dell’anno, spesso, giunge con furia di vento, di freddo e di neve. Ma dopo alcuni giorni, dove sono le nubi? Non c’è più che un po’ di nebbia, rada rada, che lascia vedere il cielo sereno.
Allora, la neve e il ghiaccio cominciano a sciogliersi e i ruscelli riprendono il loro cammino.
Allora, ai margini delle strade di campagna, tra foglie secche e teneri fili d’erba, si scoprono cespi di primule, macchie di crochi, ciuffi di violette.
Timido annuncio della bella stagione.

Il mese allegro è spesso il mese più freddo dell’anno. L’inverno fa sentire ancora i suoi rigori, ma le sponde dei fossi, le prode dei campi mostrano fili d’erba nuova e boccioli che aspettano un raggio di sole per aprirsi.
Poi, febbraio è un mese allegro. La gente si diverte ed è contenta perchè è carnevale, ma soprattutto perchè l’inverno sta per finire.

Il cielo è nuvoloso: ogni tanto qualche lembo di azzurro, qualche sprazzo di sole; e poi da capo il grigiore freddo e uggioso. Il vento soffia, sibila, stride, scuote le porte, forza le imposte, fa tintinnare i vetri e rabbrividire i bambini. Le montagne si risvegliano, e incominciano a scuotere la canizie dal capo: la neve a poco a poco si discioglie; giunge di lontano il fragore dei torrenti che precipitano a valle. Qua e là verdeggiano gli olivi.
I ragazzi sgambettano allegri di stanza in stanza e scendono volentieri a rincorrersi per le strade e per la campagna. (G. Berlutti)

La nebbia, e le nuvole, cariche di pioggia e di neve, sono rimaste sorprese. Chi sono quegli uccelli scuri e fischiettanti, che volano nella bufera, sicuri e ad ali aperte? Nessun altro uccelletto ha ancora avuto il coraggio di tornare. Ma gli storni sì. Eccoli. Si posano. Vanno  popolare le aie deserte.
Nella fredda notte, il gelo è ancora feroce. Ma lo storno dorme accanto a un camino tiepido. Nella mattina, il gelo ha fatto luccicare di ghiaccio e di brina i campi e i rigagnoli. Poi viene il sole. Il gelo si nasconde nell’ombra. E lo storno vola fuori a fischiettare.

Il vento, la neve, la pioggia sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di star troppo a lungo in questa strana compagnia: e per questo, forse, è il mese più corto dell’anno, e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi coperti di brina e di ghiaccio.
Che vitaccia fa il povero febbraio, con le scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ognuno ha, nella vita, la sua sorte di lavoro, la sua razione di fatica. Ma febbraio prende la sua fatica allegramente. I mesi dell’anno hanno bisogno anche di lui per scaricare il freddo bagaglio dell’inverno. Febbraio corre. Per nascondere la sua fatica si è messo sul volto la maschera del carnevale. (O. Vergani)

La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva dietro le palpebre chiuse, a sentirsi frugare tra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le lunghe dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva piano piano: “Svegliati”. E mormorava: “Svegliati”. E poi: “Su, su, è l’ora, vestiti”.
E la terra fingeva ancora di dormire, perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia.
Alla fine ha aperto gli occhi delle margheritine, ed è rimasto un odore di terra bagnata nei giardini. (A. Campanile)

Si sente nell’aria l’alito della primavera: il rigore dell’inverno si è spezzato. Il bel tempo dura da una settimana e i giorni si succedono uguali, pieni di lavoro; la sera si ritorna a casa soddisfatti. In questi giorni mi sento insolitamente allegro: sono buono e garbato con tutti.
Nei campi le voci risuonano chiare e festose. Verrebbe voglia di abbracciare tutta la gente che fatica sulla terra. Anche gli uccelli, sentendo il tepore dell’aria, sono in festa.
E’ stata una bella giornata, ma con le prime ombre della sera il freddo si è fatto pungente. Passando nel querceto, sento i ruscelli fiottare; gli alberi spogli nel chiarore lunare hanno una rigidità spettrale. (F. Seminara)

Quando l’inverno muore lentamente nella primavera, nelle sere di questi bei giorni limpidi, lieti, senza vento, in cui si tengono spalancate per le prime volte le finestre e si portano sulle terrazze i vasi dei fiori, le città offrono uno spettacolo gentile e pieno di allegria e di poesia. A passeggiare per le vie si sente, di tratto in tratto, nel viso, un’andata d’aria tiepida, odorosa.
Di che? Di quali fiori? Di quali erbe? Chi lo sa!
Son profumi indistinti e sconosciuti, che sentono di freschezza, di gioventù, e di vita. (E. De Amicis)

Il 19 febbraio si festeggia San Biagio. San Biagio, prima di essere eletto vescovo, faceva il medico. Durante la persecuzione di Licinio, si nascose in una caverna dove curava le bestie che a lui accorrevano. Scoperto e condotto davanti al magistrato, fu condannato a morte.
Mentre veniva condotto al supplizio, avrebbe guarito un fanciullo che stava per soffocare per aver inghiottito una spina di pesce. Grazie a questo prodigio, Biagio viene invocato specialmente per i mali di gola ed il giorno della sua festa viene, appunto, benedetta la gola con l’apposizione di due candele benedette da parte del sacerdote.

Secondo la legge di Mosè, quaranta giorni dopo la nascita di un bambino, ogni mamma si presentava al Tempio per la purificazione, recando un’offerta. Anche la Madonna presentò Gesù al Tempio ed offrì due tortore. In alcuni paesi, si ricorda la purificazione di Maria con una processione nella quale i fedeli portano candele benedette. Per questo motivo, il 2 febbraio viene detto la “Candelora”.

Il passero pigola tra le fronde sempre verdi e fa capolino dalla volta di un tegolo, rannicchiato, irsuto come un riccio. Poveri passeri! Li vedete fatti dalla necessità doppiamente domestici, spiccarsi tratto tratto dai comignoli, venire a stormi dalla campagna tutta coperta, svolazzarvi tra le gambe, cercando qualche cosa da beccare. Intanto quella pietosa bimba sbriciola agli affamati uccelletti il panino della sua colazione. (A. Stoppani)

Il mese di febbraio
In febbraio proseguono le feste del Carnevale. Pantalone, Arlecchino, Balanzone, Pulcinella, Gianduia, Rugantino, Stenterello, scherzano e ridono per le vie delle proprie città, fino al giorno delle Ceneri, al quale seguirà la Quaresima, periodo di raccoglimento e di penitenza che precede di quaranta giorni la Pasqua.
Le giornate si sono allungate, il sole si mostra più spesso nel cielo. Spuntano le prime margherite, fioriscono le mimose.
Nei tempi antichi questo era l’ultimo mese dell’anno. I Romani lo chiamarono così da verbo latino “februare” che significa purificare. Infatti era questo il periodo delle purificazioni di fine anno. Anzitutto debbo dirvi che purificare per i Romani era un atto al quale essi attribuivano un gran valore, ai fini di procacciarsi il favore degli dei.
E volete sapere in che modo effettuavano queste purificazioni? O col fuoco, portando in giro grandi fiaccole nelle cerimonie religiose, o con l’acqua, con la quale effettuavano abbondanti aspersioni sulle cose e sulle persone. Ecco perchè all’ingresso dei loro templi si trovavano sempre grandi recipienti ricolmi di limpide acque.

Febbraio
Il vento, la neve, la pioggia sono gli strani amici di febbraio. Sembra che il mese non abbia voglia di star troppo a lungo in questa strana compagnia e, per questo, forse, è il mese più corto dell’anno e passa via così rapido per la sua strada ghiacciata, sotto gli alberi ricoperti di brina e di ghiaccio. Che vitaccia fa il povero febbraio con le scarpe rotte dalla fretta di correre, con il suo mantello sdrucito dal vento! Ognuno ha, nella sua vita, la sua sorte di lavoro, la sua razione di fatica… ma febbraio prende la sua fatica allegramente e la nasconde sotto la maschera del Carnevale.
(O. Vergani)

Febbraio
Febbraietto corto e freddo in ogni luogo mise la febbre. Tutta la tera ha un nascosto fervore. Sale alle cime la linfa e le gemme già ingrossano. Continuano le piantagioni e la potatura, e si zappa la vigna che poi bisogna impalmare.
E’ l’epoca giusta per gli innesti.
Dissodata la terra, si piantano le viti nuove; si riparano le conche e i muretti.
I seminati vogliono pioggerelle e nelle giornate belle, vi si passa la zappa.
Il belare degli agnelli e dei vitellini empie la campagna, che già mandorli e peschi cominciano a infiorare.
Carnevale passa con risa e divertimenti.
L’inverno prima d’andarsene intirizzisce marine e montagna; ma non hai tempo di volgerti indietro, che marzo ti passa avanti.
(F. Lanza)

Il febbraio dell’aquila
Era stato un inverno terribile; il novilunio aveva illuminata la campagna, nascosta completamente sotto un’infinita coltre di neve, covando i germi delle messi sotto un’insolita parvenza di morte.
I rami degli abeti innumerevoli parvero allora braccia stanche di una cappa troppo pesante; e i grandi alberi, digradanti in fila lungo il confine aspro e scosceso della foresta, furono simili a schiere di frati minori che vanno per via.
Sui rami nevosi la luna accendeva riflessi d’oro e d’argento; non un soffio di brezza agitava il grande esercito dei giganti pietrificati dal gelo.
In quelle lunghe notti, l’aquila dormiva, col fiero capo nascosto sotto un’ala enorme o abbandonato sul petto gonfio di penne, nell’incavatura di due rupi in bilico sull’abisso; e fin lassù arrivavano, così alto era il silenzio, gli urli lamentosi e strani delle volpi e di qualche lupo affamato.
I gioghi s’incoronavano di spettacolari ammassi di nuvole; e in grembo a quelle scoppiarono folgori secche e abbaglianti; e raffiche impetuose di venti furibondi agitarono e sbatterono, per l’anfiteatro delle montagne, fitti velari d’acqua, che si polverizzava sulle frasche, nascondendo ogni cosa.
I leprotti non uscivano più dai covi; le starne rimanevano nascoste nel cavo dei grandi alberi sventrati, in imezzo alle alte piante, i pollai erano chiusi.
non vi era possibilità di caccia e l’aquila languiva.
Per quanto capace di un digiuno di due, tre settimane, troppo frequenti erano ormai i periodi nei quali il colossale nido rimaneva sprovvisto di cibo. L’aquila aveva covato tre aquilotti: uno lo uccise, perchè troppo debole, poi ne uccise un altro, perchè troppo vorace…
(F. Paglieri)

Disgelo
Brillano al sole le nevi; sgrondano i teti, l’abete ha sciorinato lungo il declivio la sua ombra celeste. Non più sentirsi ghiacciati, non più ventate che tagliano le orecchie.
Com’è dolce questa prima luce dell’anno! Muri e tetti si rallegrano, l’ombra degli alberi si disegna per terra e sul muro con una tenerezza nuova.
E andiamo ai primi lavori. C’è il fosso da ripulire sotto il campo d’avena, la cavedagna che vuol essere riassettata alla falda del poggio.
Un’occhiata al pronto marcito sebbene verdeggi sull’orlo; poi scalzeremo un po’ di bosco ed a sera faremo il frutteto. Voi, ragazzi, riponete slitte e pattini: finito è ormai quest’affanno dell’inverno.
(C. Linati)

Non è ancora primavera
Primavera? Siamo ai primi di febbraio e ancora ne ha di cadere, di neve; ancora da pungere, di freddo. Pure, adesso che ci penso, e mi guardo meglio in giro, l’annuncio della primavera non è solo sulla bocca della fioraia all’angolo della strada. Forse nelle nubi, forse nel vento, o nell’erba dei giardinetti che hanno il cancello, sul marciapiede, o fra le pietre: ma, insomma, c’è. Gioca con me a nascondino: dove si nasconda non potrei dirlo, né da dove sbuchi fuori per poi tornare a rintanarsi; non dice nulla, promette e poi fugge.
(A. Negri)

Primavera precoce
Il temporale della sera precedente aveva fatto sulla natura l’effetto di una bastonata secca sulla testa di un uomo, cui tutte le idee si imbrogliano: la natura, intontita, aveva scambiato febbraio con aprile.
Quel giorno non c’era più niente a posto. Il cielo era d’un colore tenero di cobalto, tutto limpido; un vento tiepido vi correva, e sembrava che lo spazzasse e lo riscaldasse. I colori vivaci, rossi e azzurri, che per tanti giorni non si erano più visti, ora si stendevano dappertutto: il sole, allegro pittore, spennellava franco e denso le strade, le case e gli uomini.
Gli alberi erano ancora nudi, ma una brezzolina li faceva tremolare: e in rapido tremolio rammentava il bisbiglio inquieto delle prime foglioline.
(Gatti)

Presagi di febbraio
E’ quasi mezzogiorno, e dappertutto c’è un gran silenzio. Non odo che un fracasso di treno lontano, laggiù dalla parte di Firenze, qualche canto di gallo; e il taglio secco delle forbici, e questo squillo del pennato dei portatori, che mi rammenta dolcemente gli inverni della mia collina, della mia infanzia…
Ma col sole ecco la dimoia e la mota. I rigagnoli corrono; le primavere, i ranuncoli e anche gli anemoni mettono la testa fuori dalle zolle credendo che sia aprile. Infatti fa quasi caldo e non vedo che un po’ di neve rosea in cima alle lontane montagne pistoiesi, mentre i pettirossi cantano qui accanto, nelle siepi di sanguine, e le cince fra le chiome rossissime dei salici.
Un contadino che saluto mi dice che questa stagione non vale nulla per i raccolti. Ma io sono felice. Tutta la terra ai miei piedi, pare una pedana di seta, ricamata a colori pallidi, ma caldi e luminosi.
(A. Soffici)

La certezza della primavera
Era un ramo d’annunciazione.
Non pensai più che a una cosa: dopodomani è marzo…
Presto dimoia: le prode dei fossi sono  brune di mammole sotto la neve che sta per sciogliersi: gli alberi dietro quell’apparenza arcigna e stecchita, covano le gemme. Che ti immaginavi? Che l’inverno non dovesse finire mai?
Ancora, dunque, la certezza della primavera: giornate che si allungano, aria che si riscalda, prati che rinverdiscono, primule senza gambo che, se le vuoi cogliere, le strappi da terra e tutto: così fresca, la terra, nelle mani. E ancora gli alberi da frutto che si fanno bianchi e rosa come le nuvole. E ancora, ancora, per noi, forza da riprendere, lavoro da compiere, promesse da mantenere, anime da conoscere: vita, insomma, da vivere.
Per qualche istante non ebbi negli occhi che lo splendore del ramo di pesco: nel cervello, che pensieri simili ad esso.
La gioia di quella fioritura diveniva, in me, gioia di sentirmi al mondo.

In cerca della primavera
Sono condotto su una stradaccia di fango secco che va serpeggiando tra rocce sconnesse, incrinate e corrose dai ghiacci; tra scoscendimenti biancazzurri, scarniti e scavati dalle piogge; tra pietraie sinistre cosparse di tumuli erbosi e di arbusti dove, si dice, le volpi hanno le tane e le vipere i covi.
E poi vado avanti su prode molli e franose, su sentieri invasi dalle felci intirizzite e dai rovaio spogli…
Ma finalmente ecco aprirsi davanti una valletta verde e benevola. Sembra davvero, dopo tanta ostilità selvaggia e tanto affannoso strapazzo, una raccolta sala ospitale, con i suoi tappeti d’erba fitta e asciutta, con i suoi giacigli di foglie secche, con i suoi cerchiellini di fiori acerbi e primaticci e, soprattutto, con le sue rustiche mense di pietra umida e oscura…
Sopra una di queste tavole c’è un incavo naturale della pietra dove è rimasto un monticello di neve che fa pensare a una ciotola di sale bianchissimo… Intorno l’aria è gelata, il silenzio è perfetto, la solitudine definitiva, ma il bel cielo in alto mi appare più vicino, più amico…
(G. Papini)

L’arrivo dello scirocco
Al termine di ogni inverno arrivava lo scirocco col suo rombo profondo che l’alpigiano ode con tremore e spavento, mentre in paesi stranieri lo bramano con struggente nostalgia.
Uomini e donne, montagne, selvaggina e bestiame lo sentono molte ore prima che si avvicini. La sua venuta, quasi sempre preceduta da freschi venti contrari, si annuncia con un sibilo caldo e profondo. Per qualche istante il lago verdazzurro diventa nero come l’inchiostro e all’improvviso si incorona di spume candide e irrequiete: tranquillo e silenzioso fino a qualche minuto prima, incomincia a tuonare con l’accanita risacca di un mare contro la riva.
Nello stesso tempo tutto il paesaggio si rannicchia per paura. Sulle cime che di solito sognano in remote lontananze si possono ora contare i macigni, e nei villaggi che normalmente sembrano macchie brune laggiù in riva al lago si distinguono ora tetti, cornicioni e finestre. Tutto si restringe, monti, prati, case, come un gregge impaurito. Poi incominciano i fischi rabbiosi e la terra trema. Onde del lago sollevate si disperdono nell’aria come fumo e, specialmente di notte, si ode la disperata battaglia tra l’uragano e le montagne. Poco tempo dopo si sparge la notizia di torrenti colmati, di case divelte, di barche fracassate, di padri e di fratelli dispersi.
(H. Hesse)

Scende, tra le nebbie, il sole
Il sole sembrava, scendendo fra le nebbie, una palla di rame che scomparisse in mezzo alla cenere. Ma eccolo che ritorna.
E’ un intenso color di rosa, che dal lontano occidente sale e si dilata sino a impregnare di sé gran parte del cielo. Le masse d’alberi, rese spaziate e leggere dalla nudità dei rami, si disegnano in trine e trafori, delicatissime, sugli accesi riflessi degli sfondi. Il ghiaccio delle lance s’imporpora, rifrange splendori di rubini. I tronchi dei pioppi e dei salici si animano di una profonda tinta violastra.
Salici di fiumi, dal ceppo basso, largo, nocchieruto, dalle grosse teste scarmigliate e irte: pioppi alti e sottili, incorporei come ombre: terra d’inverno, più vasta, perchè più spoglia, più libera, perchè placata.
Ma già l’aria s’è fatta d’un grigio azzurrognolo d’ortensia: il rosso è tutto nell’acqua. Si spostano i riflessi: si spezzano le armonie: qualcosa ha da morire, e si dibatte contro la fine, pur sapendo che ha da rinascere. Qualcosa di infinitamente piccolo, di infinitamente grande: il giorno.
(A. Negri)

Tramonto
I tramonti duravano ore e ore, come se la giornata si rifiutasse di terminare, e quel sole infantile, già mezzo nascosto tra le montagne azzurre, stesse troppo bene in cielo. Erano tramonti lentissimi, pieni di tutti i colori più meravigliosi; dove il rosso del fuoco passava all’arancione, e al giallo; e a uno strano verde mattino pieno d’incanto e al viola dei fiori, chiaro chiaro come le prime violette di primavera, e poi sempre più cupo e notturno. Quei colori scendevano dalle nuvole, si muovevano dolcemente, riempivano l’aria e sembrava la facessero densa come un’acqua trasparente.
D’un tratto, in quell’aria visibile, apparivano i pipistrelli, e svolazzavano silenziosi, in cerchi incerti, neri come la notte prossima, e così lontana.
(C. Levi)

A catafascio nel gelo
Mentre dalla finestra del mio studio guardo la strada illividita dall’inverno, spazzata dal gelido tramontano, deserta, vedo venire in bicicletta, correndo in senso inverso, due uomini rimbacuccati, i quali rasentano a testa bassa l’alto ciglio della siepe per ripararsi dal vento che taglia loro la faccia paonazza.
Arrivati proprio davanti a me senza essersi visti l’un l’altro, essi si cozzano con violenza e vanno entrambi a catafascio con le loro biciclette contro il ciglio indurito del gelo.
Restano un momento lì a gambe all’aria, come istupiditi; poi, in silenzio, si distrigano dalle loro macchine, si rimettono in piedi, si tastano tutto il corpo, si scuotono la terra e gli stecchi dagli abiti, raccattano il cappello; infine, presa per il manubrio ciascuno la sua bicicletta, ne stringono fra i ginocchi la ruota davanti per raddrizzarla.
Nel fare questa operazione, uno di loro dice: “Andavo a testa bassa, non vedevo”.
“Sono cose di poca importanza” risponde l’altro.
Tutt’e due inforcano di nuovo la bicicletta e se ne vanno pedalando, ognuno per il suo verso.
(A. Soffici)

Le prime passeggiate
Era un loro modo di passare il pomeriggio, ora che le giornate cominciavano a farsi più lunghe e c’era già per aria come un presentimento di primavera, andarsene con un libro o un lavoro in campagna. O nelle pinete verso l’interno, dove il profumo della resina creava un’aria rarefatta e remota: oppure lasciandosi il borgo alle spalle e prendendo il viottolo che portava al mare.
Anche qui c’era una pineta, ma più limitata e raccolta, e il paesaggio diventava arido, forse per le vicinanze delle cave di pietra. C’erano larghe zone incolte, avvallamenti ruvidi e cunette folte di verde, qua e là: i cespugli delle ginestre, la lava seccata e indurita, il binario dei carrelli per il trasporto delle pietre, un’aria di brughiera; e più giù il mare, con un modesto cantiere allestito nelle rovine d’una torre saracena.
Le case coloniche erano rade, calcinate di bianco, ma con l’intonaco screpolato dalle intemperie del luogo aperto aumentavano la desolazione del paesaggio più che mitigarne l’asprezza con una nota di umanità.
(M. Prisco)

Giochi sulla spiaggia
Siamo rimasti sulla spiaggia tutta la mattina. Ogni minuto Luigino aveva una nuova idea. Inventai anch’io un gioco che piacque molto. Ciascuno, a turno, faceva il cacciatore e con la palla cercava di colpire gli altri che fuggivano. Chi era colpito aveva l’obbligo di buttarsi a terra mentre la caccia continuava. Se il cacciatore mancava il bersaglio, un altro poteva raccogliere la palla e diventare a sua volta cacciatore. Vinceva chi restava solo fra i caduti. Naturalmente Luigino era il più bravo. Anche Marie era bravissima. Non avrei mai creduto che fosse così svelta ad abbassarsi per schivare il colpo ed acciuffare la palla che rotolava via. S’era accesa in viso e quando aveva la palla era implacabile.
Hai voglia di fuggire!
Ti veniva dietro, instancabile. Per correre più veloce s’era tolta le scarpe e ti arrivava addosso in quattro salti. E, infine, pam, il suo tiro faceva sempre centro.
Negli intervalli fra un gioco e l’altro sedevamo in faccia al mare. La sabbia era tiepida e faceva piacere starsene lì a crogiolarsi al sole.
(M. Cancogni)

Piove
Sembra un gran pianto del cielo. L’asfalto delle strade cittadina luccica… Nei campi i fossi gonfi d’acqua borbottano. I fiumi in piena corrono limacciosi e portano quanto hanno rapinato dalle prode. Le case quasi spariscono tra i veli della pioggia… E per fortuna febbraio è corto…
(G. Fanciulli)

Dettati ortografici FEBBRAIO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Tutorial fiocchi di neve di carta

Tutorial fiocchi di neve di carta – Una rassegna di 24 modelli per realizzare i fiocchi di neve di carta con la tecnica del paper cutting. L’attività è adatta a bambini di quarta, quinta classe. Per i bambini più piccoli si possono utilizzare piegature più semplici e spiegare come si possono praticare i tagli a mano libera, senza modello. Trovate di seguito, se può essere utile, il modello pdf stampabile gratuitamente, di tutti i fiocchi proposti.

La piegatura

Per i fiocchi di neve ci serve un foglietto di carta di forma quadrata, possiamo quindi seguire questo procedimento:

Pieghiamo lungo una delle diagonali:

pieghiamo in modo da sovrapporre l’angolo A sull’angolo B:

Pieghiamo il triangolo ottenuto in tre, così:

Teniamo presente qual è la piega principale, cioè quella non sfogliabile:

Tagliamo la carta in eccesso, così:

Posiamo sul tavolo tenendo la piega principale in basso:

Per tutti i modelli di fiocco di neve procedere così: seguendo il modello disegnare sulla carta piegata le tracce per i tagli. Si può fare senza problemi a mano libera, non è necessario essere così precisi per ottenere dei fiocchi bellissimi… la cosa veramente importante è rispettare la piega principale (nei modelli le ho sottolineate in rosso).

Tagliare e aprire il fiocco:

Modelli e fiocchi

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Maschere da colorare di Carnevale – schede e free ebook

Maschere da colorare di Carnevale – schede e free ebook – schede delle principali maschere tradizionali italiane, con descrizione e disegno da colorare, in formato ebook e in formato pdf, pronte per il download gratuito e la stampa.

 Questo è il contenuto delle schede:

qui le schede in formato ebook:

Altro materiale sulle maschere tradizionali italiane

IL CARNEVALE materiale didattico
In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua…

Il Piemonte ha Gianduia, montanaro dalle scarpe grosse e dal cervello fino.
Meneghino, milanese, è un golosone impertinente, ma anche cordiale, sincero, generoso.
A Bergamo c’è Gioppino, sornione e trasognato, almeno in apparenza, perchè, se qualcosa non gli va, eccolo a roteare il suo bastone e a distribuire sonanti cariche di legnate.
Arlecchino ha un abito fatto di pezze di tutti i colori, cento ritagli di stoffa offertigli dagli amici per potersi confezionare un indumento che non possedeva.
Pantalone è di Venezia. Vestito di rosso, col mantello nero, secondo la tradizione è piuttosto avaro ma, come capita spesso agli avari, è a lui che si estorcono i denari per pagare i debiti agli altri.
Talvolta gli si accompagna Colombina, maliziosa e pettegola, che fa il paio con la sua amica
Rasaura, anch’essa di lingua lesta e di movenze aggraziate e civettuole.
Compagno inseparabile di Rosaura è Florindo, azzimato e lezioso.
Bologna la dotta ha per esponente Balanzone, sputasentenze, spaccone e bonario, sempre pronto a distribuire purganti e pillole.
Stenterello è fiorentino: arguto e di lingua appuntita, non risparmia motti da levare il pelo, così come è in uso tra gli abitanti della sua città.
Roma ha Rugantino, anche lui spaccone, ma di cuor d’oro.
Pulcinella è la maschera tipica di Napoli; vestito di un bianco camicione, ha una maschera nera con un grosso naso caratteristico. E’ buffo, sornione, arguto e… scroccone.
Reggio ha Fagiolino, Modena Sandron, Verona Facanapa …
… e si può dire che ogni regione ha la sua maschera, sempre allegra, ridaciana e arguta. Ogni maschera usa il dialetto caratteristico della città in cui vive e rappresenta un personaggio che riassume in sè i vizi e le virtù dei suoi cittadini.
… continua qui:

Il Carnevale: materiale didattico

Il Carnevale: materiale didattico – In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua… 

Il Piemonte ha Gianduia, montanaro dalle scarpe grosse e dal cervello fino.
Meneghino, milanese, è un golosone impertinente, ma anche cordiale, sincero, generoso.
A Bergamo c’è Gioppino, sornione e trasognato, almeno in apparenza, perchè, se qualcosa non gli va, eccolo a roteare il suo bastone e a distribuire sonanti cariche di legnate.
Arlecchino ha un abito fatto di pezze di tutti i colori, cento ritagli di stoffa offertigli dagli amici per potersi confezionare un indumento che non possedeva.
Pantalone è di Venezia. Vestito di rosso, col mantello nero, secondo la tradizione è piuttosto avaro ma, come capita spesso agli avari, è a lui che si estorcono i denari per pagare i debiti agli altri.
Talvolta gli si accompagna Colombina, maliziosa e pettegola, che fa il paio con la sua amica Rasaura, anch’essa di lingua lesta e di movenze aggraziate e civettuole.
Compagno inseparabile di Rosaura è Florindo, assimato e lezioso.
Bologna la dotta ha per esponente Balanzone, sputasentenze, spaccone e bonario, sempre pronto a distribuire purganti e pillole.
Stenterello è fiorentino: arguto e di lingua appuntita, non risparmia motti da levare il pelo, così come è in uso tra gli abitanti della sua città.
Roma ha Rugantino, anche lui spaccone, ma di cuor d’oro.
Pulcinella è la maschera tipica di Napoli; vestito di un bianco camicione, ha una  maschera nera con un grosso naso caratteristico. E’ buffo, sornione, arguto e… scroccone.
Reggio ha Fagiolino, Modena Sandron, Verona Facanapa …

… e si può dire che ogni regione ha la sua maschera, sempre allegra, ridaciana e arguta. Ogni maschera usa il dialetto caratteristico della città in cui vive e rappresenta un personaggio che riassume in sè i vizi e le virtù dei suoi cittadini.

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Questo è il contenuto

Piccola storia delle maschere

Furono i Greci a introdurre nel teatro il modo di camuffarsi e l’uso delle maschere così uno stesso attore poteva sostenere più ruoli, ampliare per mezzo della maschera stessa la propria voce, sottolinare i lineamenti del volto che dovevano esprimere o ira, o gioia… Giunsero in Italia attraverso i teatri della Magna Grecia e poi per tutta la penisola. Lorenzo il Magnifico, nella seconda metà del 400, incoraggiò le pompe carnevalesche e le sere meravigliose e  importanti. Verso la fine del XVI secolo nasce la Commedia dell’Arte e le maschere italiane diventano popolari in tutta Europa.

Arlecchino

Arlecchino è una maschera dal costume fatto di stracci di tutti i colori. Sua città d’origine è Bergamo. Arlecchino rappresentò i bergamaschi in un primo momento, poi divenne una maschera popolare e anche il suo costume cambiò. Prima era servo, poi  diventò un poltrone e un imbroglione, desideroso solo di mangiare. Il più importante autore di commedie che hanno per protagonista questa maschera fu Goldoni.

Arlecchino si presenta
Vi saluto, piccoli amici. Allegria! E’ Carnevale! Come, non mi riconoscete? Non vedete il mio vestito di pezze multicolori, la mia barbetta nera, la spada di legno, la scarsella sempre vuota appesa alla cintura?
Sono Arlecchino Batocio, nato a Bergamo più di quattrocento anni fa: la più bizzarra, la più originale di tutte le maschere del mondo! Sono agile come una cavalletta, coraggioso come un coniglio grigio, goloso come quel biondino seduto nell’ultimo banco. Se qualcuno mi dà noia, guai a lui! Mi accendo di rabbia come un fiammifero svedese e lo bastono di santa ragione. Non importa se poi, le prendo sonore anch’io: il mio destino è questo ormai: bastonare e essere bastonato. Tanto c’è chi mi consola: la mia dolce e buona Colombina.
(G. Kierek e D. Duranti)

Arlecchino
Da dove viene? Da Bergamo. Intendiamoci bene: non è che a Bergamo sia nato un omettino come lui, con quel testone fuligginoso e tondo e quelle setole di sopracciglia sopra due buchetti lucidi e neri, che gli fan da occhi; nè a Bergamo usarono mai vestiti come quello che egli indossa, tutto quadrettini rossi, bianchi, gialli, turchini. Ma dal buonumore bergamasco fu donato al teatro questo buffissimo tipo di servo, di facchino, di vagabondo che tutti i paesi del mondo hanno amato e festeggiato. In fondo è un gran bonaccione, anche quando vuole imbrogliare, l’imbrogliato è sempre lui. Colpa della sua ignoranza non dovuta, ohimè, a negligenza personale, ma al fatto che, mentre andava a scuola, una vacca gli ha mangiato i libri. (R. Simoni)

Pulcinella
Figura goffa e buffa; gran nasone, mascherina nera, una bobba, un cappello a punta, un camiciotto bianco, oppure un grembiule giallo e rosso stretto alla vita, un par di braconi pure gialli, un mantelletto sulle spalle, giallo orlato di verde, collaretto e calze bianche, scarpe gialle con nastri rossi: un pappagallo tale e quale! Ma quante risate matte ha fatto fare questa maschera partenopea nota in tutto il mondo. (A. Gabrielli)

Arlecchino
Arlecchino è bergamasco; viene dalle vallate che circondano Bergamo. Magro, con una curiosa pancetta sporgente, lesto di gambe e pronto di lingua, è chiacchierone, mettimale e mettibene, a seconda delle circostanze, e, quando fiuta odor di vivanda nessuno lo tiene più: Arlecchino ha sempre una fame da lupo.

Il dottor Balanzone
E’ una maschera che parla molto; è la maschera che parla più di tutte. Bolognese, il Dottor Balanzone espone con sussiego le sue idee e i suoi consigli, ricorrendo a un diluvio di parole, infarcite di sentenze latine, di detti sgangherati nella grammatica e nella sintassi, ma risonanti, pomposi, imponenti, tali da far restare a bocca aperta. Procede imperterrito nei suoi discorsi senza spaventarsi delle colossali buaggini che gli escono dalle labbra. Veste una casacca nera e lucida, guarnita di un bianco collare. In testa un feltro a larghe tese, nero. Alla cintura un pugnale o un fazzoletto, e sottobraccio un librone. Calzoni corti, calze nere, scarpette con fibbia e gli occhi inquadrati in una mascherina nera.

Pantalone
Veste rossa come il fuoco, ornata di una cintura che regge la borsa dei quattrini, (magari vuota) calzoni dello stesso colore, calze nere, scarpette dalla punta all’insù; naso lungo e adunco, baffi a mezzaluna, con le punte diritte fino agli occhi: ecco Pantalone, la più assennata delle maschere. Il mantello nero, che si mette sulle spalle, aggiunge dignità alla sua gobba figura. La maschera di Pantalone fa ridere proprio per la sua serietà, con la sua imponenza.

Pulcinella
Cappello a cono, come il latte, casacca, calzoni che pendono molli e flosci, muso nero e, nel mezzo, un naso adunco: ecco Pulcinella, buffonesco e allegro, affamato e mangiatore come Arlecchino, agile nei salti e nelle capriole. (E. Possenti)

Le maschere
Siamo in Carnevale. Per le strade si vedono girare le maschere. Come sono buffe! Chi le riconosce sotto quel pezzetto di stoffa che nasconde il viso facendo brillare solo gli occhi? Nessuno. Se parlassero senza cambiare voce, allora sì che verrebbero riconosciute! (G. Bitelli)

Pantalone
Celebre maschera veneta. Il suo vestito è ben conosciuto: giubbetto rosso stretto alla cintura, calzoni e calze attillate, uno zimarrone nero sulle spalle, scarpettine gialle con la punta all’insù. In capo uno zucchetto a corno, come quello dei dogi, e sul viso una mascherina nera che lascia ben esposto il nasone adunco. Ricco mercante e avaro. Ma quante volte le vicende della vita lo costringono al allentare le corde della borsa, dalla quale cadono sonanti monete d’oro! Mai più numerose, tuttavia, delle lacrime e dei lamenti che le accompagnano. Arlecchino, trapiantato a Venezia, è suo non sempre fedelissimo servitore. (A. Gabrielli)

Arlecchino

E’ la più famosa ed internazionale delle maschere. Pare che Arlecchino sia nato nel 1572 e che il creatore di questa maschera sia stato un certo Alberto Ganassa da Bergamo, il quale si attribuì il nome di Arlechin Ganassa. La sua patria è dunque Bergamo, anche se generalmente, lo si sente parlare il dialetto veneziano; ma questo si spiega col fatto che Bergamo, a quel tempo, era un dominio veneto.

Fu chiamato anche Arlechin Batocio, dal bastone (batocchio) che porta alla cintola e che usa spesso per far intendere le proprie ragioni a quanti vengono in baruffa con lui.

Arlecchino interpreta la parte del servitore astuto, ficcanaso e attaccabrighe; passa in un momento dal pianto al riso, per tutte le occasioni ha pronta una battuta burlesca; è scansafatiche, ingordo e goloso. Nelle varie città e regioni d’Italia Arlecchino mutò d’abito e di nome. Ed ecco così apparire la pittoresca schiera formata da Truffaldino, Mezzettino, Tortellino, Fagottino, ecc…

Pulcinella
E’ l’Arlecchino di Napoli ed è ancor oggi una maschera “viva” per opera di alcuni autori contemporanei di commedie in dialetto napoletano. Ha un carattere più bonario, rassegnato e meditabondo dell’Arlecchino bergamasco.

Storia di Gianduia
Gianduia doveva personificare il Piemontese furbo, coraggioso, pratico, disposto magari a fare il “finto tonto” per raggiungere i propri fini.
In quegli anni, in cui incominciavano le prime idee di Unità e di risorgimento, Gianduia venne a simboleggiare, in un certo modo, il Piemonte, che si era messo coraggiosamente alla testa della rinascita nazionale. “E’ una maschera libera, democratica”, scrive un suo biografo dell’Ottocento. “Non conosce padroni, parla francamente e schietto anche al suo Re. E’ la sola maschera italiana ad avere un carattere politico, e la rappresentazione di un popolo.”
Il popolo infatti lo aveva soprannominato ” ‘l citt ciaciarett” (il piccolo pettegolo), perchè Gianduia si era improvvisato, sul palcoscenico, il temerario portavoce delle sue proteste e delle sue lagnanze: era l’avvocato volontario del popolo piemontese.

Passa Gianduia
Il corteo delle maschere passa allegramente con un frastuono assordante tra una ressa soffocante di uomini, donne, bambini. Tutti corrono a gara a vedere; s’alzano sulla punta dei piedi o s’aggrappano ai pilastri e i bimbi strillano, perchè vogliono essere sollevati in braccio. Il cocchio di Gianduia scompare a poco a poco tra le case… (L. Aimonetto)

Meneghino
Come tutte le maschere, Meneghino è un “carattere” nato per simboleggiare i vizi e le virtù dell’umanità. Nelle intenzioni di Carlo Maria Maggi, che ben a ragione si può considerare il padre della popolare maschera, Meneghino doveva rispecchiare le qualità dell’infaticabile e generoso popolo milanese, e mostrarsi furbo e galantuomo insieme, talvolta padrone, talvolta umile servo che non mancava di levare la sua critica mordace contro l’egoismo e la vanità di certa aristocrazia.
E proprio per ricordargli questo suo compito di “strigliatore”, il Maggi volle dare a Meneghino il cognome di Pecenna (parrucchiere).
Sul perchè poi del nome Meneghino i pareri sono discordi. Potrebbe infatti il nome significare “piccolo uomo” (omeneghino), o più propriamente “piccolo Domenico”, riferendosi all’antica consuetudine secondo la quale, in ogni giorno di domenica, alcuni uomini del popolo erano chiamati a prestare servizio di tuttofare nelle case dei ricchi signori.
Il nostro Meneghino, nato sulla fine del Seicento, calcò le scene per circa due secoli acquistando, or nelle vesti di servo, or in quelle di padrone, ora col sussiego del diplomatico, ora con la rudezza del contadino, una sempre maggior fortuna, dovuta in gran parte alla bravura degli attori che lo seppero interpretare.
Celebri fra questi furono, nella prima metà dell’Ottocento, Gaetano Piomarta e Giuseppe Monclavo. Con quest’ultimo divenne decisamente spregiatore degli Austriaci che ancora dominavano in Lombardia.
Sulla fine dell’Ottocento la fortuna di Meneghino cominciò a declinare, vuoi perchè mancarono altri ottimi interpreti, vuoi perchè i tempi ormai andavano relegando le maschere nel teatro delle marionette.
Anche il costume di Meneghino subì variazioni: in origine era simplicemente vestito d’una veste bianca, lunga fino al ginocchio, trattenuta in vita da una cintura, ed era calzato di calze verdi e di ruvidi zoccoli; in seguito acquistò un aspetto settecentesco, con parrucca e tricorno marrone, con veste pure marrone, con codino fasciato di rosso, con calzoni corti e calze a righe.
Così lo si può vedere ancora sui carri carnevaleschi.
E’ una maschera muta ormai, perchè le folle ora non hanno più tempo di ascoltare le maschere; ma il suo sorriso sembra ancora ammonirci:
“Tegni sempre st’usanza: fè ‘l fatt vost con crianza”.

Storia della maschere dall’antico Egitto alla Commedia dell’Arte

Il nome di Carnevale è stato dato al periodo che va dal 26 dicembre al giorno precedente le Ceneri in tempi abbastanza recenti: forse soltanto nei secoli XV e XVi, quando divennero celebri i Carnasciali,  fiorentini, organizzati dagli stessi Medici, e specialmente da Lorenzo il Magnifico.
Da Carnasciale, appunto, venne il nome di Carnevale, che indicò non soltanto un periodo dell’anno, ma anche tutte le manifestazioni festose e mascherate che avevano luogo in quel periodo particolare.
Ma in ogni tempo, e presso tutti i popoli, si sono avuti periodi di feste alle quali prendevano parte principi e popolo e che possiamo considerare come il moderno Carnevale.

Nell’antico Egitto
Gli antichi Egizi adoravano molti dei, ma la sola dea adorata in tutto il Paese era Iside, invocata come maga nelle malattie e considerata la benefattrice dell’Egitto, perchè le sue lacrime producevano le benefiche inondazioni del Nilo.
Ebbene, in suo onore, una volta all’anno, si faceva una grande processione, alla quale partecipava tutta la popolazione.
La dea si presentava travestita da orsa, per simboleggiare la costellazione dell’Orsa Maggiore. Era seguita da un corteo di sacerdoti, tutti mascherati, i quali simboleggiavano fatti notevoli e, specialmente, le quattro stagioni. Un sacerdote mascherato da sparviero rappresentava l’inverno, un altro mascherato da leone raffigurava l’estate, un terzo mascherato da toro simboleggiava la primavera, mentre il sacerdote mascherato da lupo era l’autunno. Seguivano popolani e popolane mascherati a piacimento, danzanti e cantanti.
Si tratta, insomma, del primo corteo mascherato del quale si hanno notizie storiche abbastanza precise.

Nell’antica Grecia
I Greci ebbero un loro particolare periodo che possiamo dire carnevalesco: quello delle feste in onore di Dioniso e di Bacco, dette “Feste dionisiache” e “Baccanali”.
Si trattava addirittura di quattro feste, celebrate in marzo-aprile; le più celebri e le più lunghe erano le “Grandi feste dionisiache”:  si facevano solenni sacrifici al dio, vi erano processioni, gare, rappresentazioni, drammi in cui apparivano personaggi mascherati. E naturalmente, poichè Bacco è il dio del vino, si beveva molto…

Nell’antica Roma
In Roma il periodo che possiamo dire carnevalesco era quello dedicato alle feste in onore di Saturno, perciò dette “Saturnali”: avevano luogo dal 17 al 23 dicembre.
Saturno era considerato il dio dell’oro e del benessere agricolo e in onore suo era proibito lavorare durante i Saturnali; si facevano banchetti ai quali erano ammessi anche gli schiavi e ci si scambiavano doni, come facciamo noi nel periodo natalizio. Infine, erano ammessi anche i giochi d’azzardo, proibitissimi durante gli altri periodi dell’anno.
Erano giorni di baldoria, di scherzi, e spesso, poichè non mancava chi alzava troppo il gomito, finivano con risse e feriti.
Durante le feste dei Saturnali in Roma vi era l’abitudine anche di pagare gli avvocati. Gli avvocati meno celebri avevano la loro clientela di poveracci: gente disgraziata e biliosa i cui mezzi non corrispondevano al piacere di litigare. Era gente che pagava male l’avvocato, anzi spesso non lo pagava affatto, e si ricordava di lui soltanto durante i Saturnali. E l’avvocato che riceveva più doni si riteneva più grande e andava enumerando i doni ai conoscenti come prova della sua fama e dei suoi successi.
“I Saturnali hanno fatto ricco Sabello: con ragione egli va tronfio e pettoruto, e pensa e dice che tra gli avvocati non ce n’è uno cui le cose vadano bene come a lui…” dice Marziale, un poeta romano, e aggiunge anche la lista dei regali: mezzo moggio di farro e mezzo di fave, una libbra e mezzo di pepe e di incenso, una salsiccia e un  tocco di carne secca, una bottiglia di mosto cotto, un vaso di fichi in conserva, e bulbi, e chiocciole, e cacio; poi una cestella piena di olive…
Evidentemente, benchè tronfio e pettoruto, Sabello non era un avvocato pagato troppo bene.

I principi e il Carnevale
E’ noto che, specialmente durante il periodo medioevale e delle Signorie, anche i personaggi d’alto rango (re, principi e nobili) prendevano parte gioiosamente alle mascherate carnevalesche.
A Torino, dove si svolgevano tornei e cavalcate che riproducevano fatti storici, i principi di Savoia partecipavano al Carnevale seguiti da tutta la corte, con carri colmi di fiori.
A Venezia, dove il Carnevale era un richiamo per gli stranieri e si svolgeva principalmente lungo il Canal Grande, con gondole mascherate e illuminate, i Dogi, gli altri membri del Gran Consiglio e della Signoria e gli Ambasciatori, si univano al popolo festosamente.
A Firenze poi, esisteva l’antica usanza di far girare per la città, durante il Carnevale, dei carri decorati e scortati da uomini in maschera, che cantavano canzoni composte per la circostanza. Lorenzo il Magnifico seppe vedere in questo genere di spettacolo un mezzo straordinario per divertire i fiorentini e attirarne le simpatie, e lo circondò abilmente di pompa inusitata. Così, attraverso la città, passavano carri con strane mascherate di una variopinta folla di fornai, di mercanti, di spazzacamini, e d’ogni categoria d’artigiani, ma anche carri in cui si rappresentavano le virtù, i diavoli, gli angeli, i trionfi della dea Minerva, della Gloria, della Fama, della Frode, della Calunnia, ecc…
Alcune canzoni carnescialesche, le più belle, furono proprio composte dallo stesso Lorenzo e dai poeti della sua corte.
Anche all’estero il Carnevale era divertimento tanto del popolo quanto dei regnanti. E’ infatti rimasta celebre una mascherata di stregoni diretta personalmente da Enrico IV re di Francia. A un re, Carlo IV, in uno dei tanti balli mascherati venuti di moda alla sua corte, capitò quasi di bruciare vivo. Si era camuffato da satiro, imbrattandosi tutto il corpo di pece e rotolandosi poi fra piume di uccelli; non si sa bene come la pece però prese fuoco e il re fu salvato appena appena…

La Commedia dell’Arte
Pantalone, Arlecchino, Balanzone, il Capitano e così via furono in origine i personaggi della Commedia dell’Arte, nata in Italia nel ‘500 e diffusa poi trionfalmente in tutta Europa nei due secoli che seguirono. Commedia dell’Arte significa in sostanza “commedia dell’abilità” o “di mestiere” in quanto si affdava non ai testi, sommari o inesistenti, ma per l’appunto all’abilità degli attori, che sulla scena improvvisavano situazioni e battute.
Tale abilità era a volte straordinaria: quando agivano le migliori compagnie, la Commedia dell’Arte diventava un’entusiasmante girandola di gag, una sorta di “fumetto animato” pieno di meraviglia e di sorprese, in cui la splendida libertà delle improvvisazioni si univa ad un meccanismo infallibile e preciso.
La “maschera” è una “faccia tinta”, tragica o buffa, che indossata da una persona in aggiunta di solito a un particolare costume, vale a creare un “tipo”: il servitore furbo e famelico, il dottore pedante, il soldataccio spaccone, e così via; così che la parola “maschera” non indica più soltanto la testa o la faccia di cartapesta, ma proprio quel tipo che è identificato da “quella” maschera, e che presto assume un nome (Arlecchino, Pantalone, e così via), nome che gli resterà anche se, per caso, trascuri di mettersi sulla faccia la faccia finta, e la sostituisca per esempio col trucco, o anche soltanto col costume.
Molte maschere che conosciamo nacquero come personaggi della Commedia dell’Arte. I primi, i più antichi di questi personaggi, furono il Padrone e il Servo.
Tra i vari tipi di Padroni delle antiche farse, si affermò quello di un anziano e ricco cittadino di Venezia, avaro e burbero: prima si chiamava Magnifico, con allusione all’altezza della sua condizione sociale, e poi Pantalone.
C’è anche un altro tipo di Padrone, il Dottore pedante e sputansentenze, che prende prima il nome di Graziano, e poi di Balanzone: è di Bologna, laureato alla famosa università.
Il Servo proviene invece dalle valli bergamasche; veste un camiciotto bianco di fatica e si chiama dapprima Zanni (Giovanni), finchè un ignoto comico non ha l’idea di rappezzarne l’abito con toppe variopinte, e nasce Arlecchino.
Un altro Zanni si chiamerà Brighella, che è, almeno all’inizio, un tipo da prendersi davvero con le molle.
Un altro “tipo” antichissimo è il soldato spaccone, che rinasce anche lui come “maschera” e si chiamerà Capitan Fracassa, o Matamoro, o Rodomonte, o Sbranaleoni, o così via spaventando.
Vi sono poi gli Innamorati, di cui gli ultimi e più noti sono Rosaura e Florindo, e le Servette come Corallina e Colombina.
Tante altre maschere agiscono in quelle farse, come il gran Pulcinella, nato a Napoli tra il popolo, o il suo compatriota Coviello, o Scaramuccia, a volte capitano a volte servo, o Scapino, parente stretto di Brighella, o Giangurgolo calabrese.
Conclusa la Commedia dell’Arte, nelle varie regioni d’Italia si affermarono altri tipi e caratteri, che divennero maschere anch’essi; come Gianduia in Piemonte, Meneghino a Milano, Stenterello in Toscana, Gioppino a Bergamo e Sandrone a Modena, e a Roma Meo Patacca e Rugantino… non si finirebbe più.

Portavano la maschera ma non era Carnevale
Immaginiamoci di trovarci nella Venezia del ‘700. Che curiosa e bella città! Ecco le sue tortuose viuzze (le calli), e le piazzetti (i campi) ornate al centro da un pozzo di pietra. Percorriamo una fondamenta, lo stretto marciapiede che costeggia i canali che attraversano in ogni senso la città; ci viene incontro un vecchietto ricurvo; passandoci accanto solleva il capo per salutarci, secondo la consueta cortesia dei veneziani; lo guardiamo e la nostra risposta ci muore sulle labbra… il volto di quel vecchietto è mascherato!
Affrettiamo il passo e andiamo oltre. Ecco uscire da un uscio una giovane servetta, che va a fare la spesa; canta nel suo bel dialetto… ed è mascherata.
Ecco un mercante; è mascherato anche lui; ecco una mamma col bambino in braccio: anch’essa porta una mascherina nera. Ora incrociamo un gruppo di giovanotti che parlano e ridono fra loro: portano tutti la maschera. Ah, ma allora abbiamo capito! Però, persino questo mendicante che tende la mano, porta la maschera! Incontriamo una lettiga, portata a braccia da due servitori: il viaggiatore scosta la tendina e sporge il viso che (ormai non ci stupisce più) è mascherato. Passa una gondola: la dama che la occupa porta anch’ella la sua brava mascherina.
Non c’è dubbio: è tutta questione di calendario. Ci avviciniamo a un popolano: “Scusi…”
“Comandi, paron” ci risponde, guardandoci, naturalmente, attraverso le fessure di una maschera.
“Scusi, siamo di Carnevale?”
Nossignori: non eravamo affatto di Carnevale. A Venezia in quel tempo la maschera la portavano tutti, e tutti i giorni dell’anno. Inutile domandarsi perchè: era la moda.
Oggi la parola maschera ci richiama alla mente soltanto la festa di carnevale. In altri tempi, e ancora oggi presso altri popoli, le maschere hanno invece avuto un’importanza e un significato ben diversi; ne abbiamo visto un esempio.

Il carnevale

Scommettiamo… scommettiamo che non sapete che, secondo una certa tradizione, Carnevale comincia subito dopo le feste natalizie, e che la parola cernevale significa “carnem levare”, ossia togliere la carne? No? Allora due paroline di spiegazione me le permettete, vero? L’espressione letterale della parola si riferisce più esattamente al giorno delle Ceneri (cioè al primo giorno di quaresima) e all’intero periodo quaresimale. Per lungo tempo, nell’era cristiana, da questo giorno in poi ci si doveva astenere dal mangiare carne. Ma i bravi cittadini, per rifarsi della lunga astinenza che li aspettava, prima di togliere la carne dalla tavola, pensarono bene di abbandonarsi ai più pazzi divertimenti.
Oggi come oggi il carnevale nelle sue più evidenti manifestazioni corrisponde, pressapoco, a quella settimana che precede la quaresima. In teoria dovrebbe iniziare dopo Natale e terminare il primo giorno di quaresima. Vi piacerebbe, eh?
Allora dovreste riferirvi a Venezia… o meglio alla Venezia di alcuni secoli fa, dove il carnevale durava sei mesi e il giovedì grasso veniva solennizzato in gran pompa alla presenza del Doge con l’accensione dei fuochi artificiali in pieno giorno.
E già che ci siamo vogliamo vedere come era ed è festeggiato il carnevale in Italia e nel mondo?
Nei secoli passati il carnevale assunse al massimo splendore in parecchi luoghi, specialmente a Venezia, a Ivrea, a Nizza. In Firenze, col favore dei Medici, signori della città, i festeggiamenti si svolgevano in forma grandiosa, in mascherate su carri allegorici (i “trionfi”), accompagnate dai canti carnescialeschi. L’uso dei carri allegorici è rimasto poi in molte città italiane e straniere.
Nella Roma papale, i giorni destinati alle mascherate erano otto e il permesso di uscire per il corso era dato alle 13.00 dalle campane del Campidoglio. Nell’ultima notte di carnevale tutti i romani, principi e popolani, giocavano per la strada a “moccoletti”. Ciascuno aveva una candelina accesa, e tutti facevano a gara nel rubarsela di mano o nello spegnersela scambievolmente, motivo di riso e simbolo di uguaglianza, perchè la candelina (“moccoletto”) del principe, valeva quanto quella del popolano.
Com’è lontano da noi il magnifico carnevale di Velletri del 1546! Per festeggiarlo, ai rami di centinaia di alberi di un bosco furono appesi, alla portata di mano di chi voleva mangiarli, capponi, torte, focacce, galline, mentre quattro cannoni sparavano quattro diverse qualità di vino!
Ma se a Velletri si regalavano polli e capponi, a Venezia si scialava nello zucchero. Infatti, per mostrare al mondo stupito la sua potenza economica e la sua ricchezza, Venezia allestiva dei banchetti colossali con grande spreco di zucchero, prodotto allora rarissimo perchè importato dall’oriente. Per onorare Enrico III di Polonia, in un pranzo furono fatti di zucchero persino le tovaglie e i tovaglioli; l’ospite, che non ne sapeva nulla, rimase di stucco quando, prendendo il tovagliolo e spiegandolo sul petto, se lo trovò sbriciolato tra le mani.
E nelle altre nazioni?
Ovunque si trovano carri, danze, e pantagruelici pasti. A carnevale, nessuna distinzione di nazionalità. Anche oggi, più o meno, il carnevale viene festeggiato dappertutto con una sfilata di carri e qualche mascherata. Solo però in poche città, come Viareggio, Torino, Ivrea, rivive il vecchio carnevale. Sfilano carri tra musiche, canti e getti di coriandoli e fiori.
Getti di fiori! Ma se andate in Perù, in Bolivia, in Venezuela o in uno qualsiasi degli altri paesi sudamericani, attenti! Non di gettano fiori nè coriandoli, nè stelle filanti, ma palloncini di gomma pieni d’acqua, che vi colpiscono all’improvviso bagnandovi tutto! E non basta: lucido da scarpe, vernici, tinte, tutto è buono per quei pazzerelloni per cambiarvi il colore della pelle… e degli abiti.
Il carnevale ci mostra, mettendolo in caricatura, come sarebbe disordinato il mondo se ciascuno potesse fare ciò che gli passa per la mente senza pensare agli altri. Invece anche nel divertimento è importante la buona educazione.
In Calabria vi è l’uso di portare in giro, sulla groppa di un asino, chiunque nel giorno si carnevale venga sorpreso al lavoro. Ben venga, dunque, il carnevale: e impazziscano gli uomini per un giorno, purchè si ricordino di non esserlo troppo per gli altri 364!
(da “Il Vittorioso”)

Le origini del Carnevale

Il carnevale deriva, secondo alcuni studiosi, da antiche feste latine in cui, dopo un certo periodo di dissipatezze e di piaceri, veniva nesso a morte un fantoccio travestito da re, cosa che ancor oggi si fa in alcune città, specialmente in quel giorno di metà quaresima che è detto per lo più “Carnevalino” e che è come un ritorno di fiamma dell’autentico Carnevale.
Questo rito burlesco sta forse a significare la morte dell’inverno: di qui il tripudio di tutti e l’attesa della primavera, della sua gioia, dei suoi frutti. Il carnevale ha dunque un’origine agricola, contadina.

Sembra certo che nelle costumanze carnevalesche debbano riconoscersi quelle feste religiose da tutti i popoli celebrate nell’antichità con gran pompa al principio del nuovo anno per propiziarselo, o all’inizio della primavera per simboleggiare la rinascita della natura.

Ricordiamo le feste degli Egizi e dei Babilonesi, che nell’equinozio d’autunno onoravano i cherubs, buoi importati dai primi sacerdoti etiopi. Venuto il giorno stabilito, il bue, dipinto a festa, con le corna dorate e ricoperto di un ricco manto, era tratto dal sacro recinto e lo si conduceva per tutte le vie di Menfi. Un ragazzo gli stava sul dorso. Uomini e donne, vecchi, adulti, giovani, bambini, travestiti e mascherati, a piedi, a cavallo, lo seguivano canticchiando inni in sua lode; venivano poi le ragazze che lo avevano servito… insieme ai sacerdoti. Soldati e ufficiali facevano ala nelle vie, al suo passaggio. Dal momento in cui il bue usciva, incominciavano per tutto l’Egitto e l’Etiopia le feste, i godimenti pubblici, le mascherate. Queste duravano sette giorni, fino al sacrificio dell’animale…

Il Carnevale degli antichi Romani
Il giorno decimoquarto avanti le calende di gennaio o, per dirlo più alla buona, il 19 dicembre, era giorno di festa e di gazzarra per i discendenti di Romolo… Le vie erano affollate di gente ilare e gaudente, che riempiva il foro, i templi, le basiliche, le vie principali, i termopolii, le popine (taverne) e le più infime bettole, in preda alla più sfrenata allegria.
E questa bella allegria, che doveva durare per tre giorni, era fatta in onore del dio Saturno. La particolarità che distingueva questa festa dalle altre, quanto al rito, consisteva in questo: che i sacerdoti sacrificavano le vittime a capo scoperto, mentre per le altre divinità sacrificavano con la testa coperta.
Le feste di Saturno, o Saturnalia, erano aspettate con impazienza da tutti, ma specialmente dagli schiavi, che per tre giorni erano liberi dalle loro penose fatiche, e potevano fare quello che volevano…

Nasce la maschera
Il comico dell’arte (salvo rarissime eccezioni), per raggiungere l’eccellenza, rinunzia all’illusione di potersi rinnovare sera per sera; e decide una volta per sempre di limitarsi, in perpetuo, a una sola parte. Per tutta la vita e in tutte le commedie che reciterà, il comico dell’arte sarà un solo personaggio: sarà unicamente o Pantalone, o Arlecchino, Rosaura o Colombina. Persino il suo nome si confonderà con quello della sua maschera, sicchè a un certo punto non si saprà più quale sia il vero e quale il fittizio. Alle volte come nel caso della Andreini, il personaggio che ella incarna, la maschera che ella crea, prende il nome di battesimo dell’attrice, della donna, Isabella. Molto più spesso sarà il nome della maschera che farà sparire quella dell’attore: sicchè, all’arrivo di Francesco Andreini a Parigi si dirà: “E’ arrivato Capitan Spaventa!”; alla morte di Domenico Biancolelli, correrà la notizia: “E’ morto Arlecchino.”.
Carnevale qui e lì per il mondo

Maschere per i vivi e per i morti (Messico)
La fabbricazione delle maschere rappresenta per i Messicani uno dei più curiosi aspetti del loro artigianato. Le maschere vengono fabbricate con vari materiali: legno, stoffa, carta, cuoio, stagno e vengono dipinte o laccate nelle maniere più strane e divertenti che denotano una grande originalità di gusto e di talento. Le maschere, oltre che per i giorni di carnevale, servono anche per il giorno dei morti. In questo caso, sono di carattere macabro e, per mezzo di esse, gli abitanti sono convinti di poter comunicare con le anime dei defunti.

Si balla dappertutto (Guadalupa)
In occasione del carnevale, si balla ovunque: nelle campagne, si balla al suono di strumenti primitivi come scatole o bidoni pieni di sassi che vengono freneticamente agitati dai suonatori, mentre nelle città si balla il doudou al quale gli invitati intervengono mascherati o vestiti con le acconciature più strane. Un’altra danza caratteristica delle città e anche delle campagne, è quella dei tagliatori della canna da zucchero, durante la quale uomini e donne si muovono agli ordini di un comandante: gli uomini devono presentarsi armati di coltelli, mentre le donne tengono in mano una canna da zucchero verde.

Costenos, tigri, coccodrilli (Colombia)
Per i Colombiani, il carnevale è la più importante delle feste. Per tre giorni nessuno lavora, ma i preparativi hanno inizio già tre settimane prima. Tali preparativi occupano migliaia di persone addette alla fabbricazione delle maschere più curiose. La maschera è quasi d’obbligo durante i tre giorni che precedono la quaresima. Oltre alle maschere, molte sono le usanze del carnevale colombiano. Una è quella dei costenos, che sono giovani mascherati i quali girano facendo la questua e lanciando frizzi, insulti, o cospargendo di nerofumo coloro che osano negare un’offerta. C’è poi l’uso di molti carri allegorici, come quello di Barranquilla che è superato in splendore solo da quello del gran carnevale di Rio de Janeiro. Altre manifestazioni sono la caccia alla tigre. C’è poi il ballo del caimano che si svolge il 20 gennaio con la fabbricazione di un enorme coccodrillo nel quale si nasconde un uomo che lo fa muovere in una frenetica danza avanti e indietro, davanti ad ogni negozio o bar: per liberarsi dal mostro i proprietari devono offrire al grosso animale un dono in liquore o in altri generi.

La festa delle lanterne (Cina)
Dopo la grande festa del primo dell’anno, la vita in Cina si fa più vivace e festosa per un periodo che corrisponde su per giù al nostro carnevale. Molte sono le feste, ma la più caratteristica è senza dubbio quella delle lanterne. Essa ha inizio al rombo del cannone, delle campane e di tutti gli strumenti musicali disponibili. Per tre giorni consecutivi milioni di fuochi brillano sui fiumi, sul mare, sui monti, nelle strade, nelle campagne, nelle città, alle finestre dei poveri e a quelle dei ricchi. I più ricchi, sfoggiano naturalmente lanterne magnificamente decorate, mentre i meno ricchi si accontentano di lanterne più modeste. Nessuno comunque vuole esserne privo. Sono lanterne quadrate, triangolari, cilindriche, a globo, a piramide. Ce ne sono di carta, di seta, di corno, di vetro, di madreperla. Per tutta la durata della festa i negozi restano chiusi e la gente circola per le vie vestita con fogge strane e insolite. Anche per i Cinesi, come per qualsiasi altro popolo del mondo, questa specie di carnevale rappresenta uno sfogo alla vita di tutti i giorni con i suoi pesi, le sue fatiche, le sue quotidiane preoccupazioni.

Halloween
Halloween è il carnevale dei ragazzi che si travestono nelle fogge più spaventose raffiguranti scheletri, streghe, diavoli, spettri. Così camuffati, essi, di notte, girano di casa in casa e chiedono ragalucci o dolci pronunciando la formula: “Treat or trick” che significa “o mi regali qualcosa oppure la vedrai brutta”. Se qualcuno infatti osa negare il dono, la vendetta non si fa attendere: i colpevoli si vedranno in un batter d’occhio imbrattati i vetri delle finestre, delle vetrine, delle macchine.

La festa degli insulti (Ghana)
Ogni tanto gli uomini sentono la necessità di rompere la monotonia della vita quotidiana facendo qualche cosa di strano e di diverso. Così nel Ghana, in Africa, nacque la festa degli insulti. Per qualche giorno, tutte le abitudini vengono sconvolte. Gli Akan, abitanti del Ghana, affermano chelo spirito Sunsum, legato ad ogni singola persona, in quei giorni si ribella e vuol sfogarsi fadendo fare a tutti una specie di grande vacanza. Si mangia, si beve, si danza, e soprattutto si dicono tutti gli insulti che vengono in mente. Gli Akan, nascosti sotto maschere, ombrelli, baldacchini, si lanciano a vicenda ogni sorta di parolacce, scherzi, insulti. E questo dura per ben otto giorni. Passato questo periodo, i sacerdoti, sotto la maschera di leopardi, leoni, iene o sciacalli, sacrificano una capra con il sangue della quale purificano i loro vasi sacri. Fatto questo, gli spiriti Sunsum tornano nell’ordine abituale e ognuno riprende la vita di ogni giorno

Il Coon Carnival (Città del Capo)
Durante gli ultimi tre giorni dell’anno, a Città del Capo, in Africa, succede un fatto straordinario: ogni sera un gran numero di persone scompare dalla città. Dove vanno? Nessuno lo sa. Tutti però conoscono il motivo della loro scomparsa. Si sa, cioè, che sono scomparsi per andarsi a nascondere nella foresta, dove preparano, sotto la guida di un capo, costumi, maschere, carri carnevaleschi, danze e canti che dovranno essere una grande sorpresa per la città. Guai se qualcuno osasse tradire il segreto del Coon Carnival, cioè prima di capodanno qualdo il carnevale avrà inizio nella città che in un batter d’occhio si trasformerà in un fantastico carosello di musiche, di costumi, di carri meravigliosamente addobbati e carichi delle maschere più strane e varie.

Il carnevale brasiliano
Il carnevale brasiliano non è solo quello famoso che si celebra a Rio de Janeiro, ma è il carnevale di tutto il Brasile. Fu introdotto dall’Europa e, se in parte conserva ancora le caratteristiche del continente d’origine, esso ha d’altra parte assimilato molti elementi pagani del popolo brasiliano. I preparativi del carnevale brasiliano richiedono mesi di lavoro; si può affermare che, appena terminato il carnevale di un anno, già si comincia a pensare a come preparare quello successivo. Costumi europei, fogge russe e tirolesi, si mescolano a quelli hawaiani in una splendida fantasiosa fantasmagoria di colori. I festeggiamenti durano quattro giorni: cominciano il sabato a mezzogiorno quando, ad un dato segnale, si chiude ogni negozio, laboratorio, fabbrica; per terminare a mezzogiorno del mercoledì delle Ceneri. Per quattro giorni, su Rio e su ogni centro piccolo e grande, sembra passare un vero ciclone: maschere, danze, carri, musica, frastuono, sfilate. Ogni sfilata è un fantastico carosello di maschere svariate che passano tra la folla a ritmo di samba e di marcia, invitando la folla stessa ad entrare nel corteo.

Carnevale qui e lì per l’Italia

Il carnevale di Viareggio
Il carnevale di Viareggio è vecchio. Ma il carnevale è un mattacchione che più invecchia e più diventa allegro. Figurarsi che gli storici gli attribuiscono cinquemila anni di vita. Invecchiare per lui è niente, morire ancor meno di niente. Ringiovanisce e resuscita sempre più ingegnoso di trovate, sempre più colorato e sempre più vivace.
In Toscana il carnevale sembra sia nato per opera di Lorenzo il Magnifico.
A Viareggio poi, il carnevale sembra una festa di uomini e di cose, una fantasia bellissima dove collaborano il cielo, il mare, le pinete incantevoli, la parlata sonora e abbondante, e gli uomini con colori, canti, scenari. Il carnevale a Viareggio è uno spettacolo di cui cercheresti invano lo scenografo, il macchinista, il pittore, il cantore, l’inventore, perchè non sapresti se andarlo a trovare fra gli uomini o fra la natura.
Per preparare il carnevale ogni anno, centinaia e centinaia di operai per parecchie settimane non conoscono riposo, nè di notte nè di giorno. Dormono qualche ora e sognano il carro mascherato con cui hanno deciso di partecipare alla gara.
Questo corteo fantasioso di carri oscillanti sotto le manovre delle maschere che cantano nel sole, questi giganti che sembrano usciti dalla fantasia di poeti, questi mostri dalla corteccia di carta, che, tagliando la folla, passano suscitando risa fragorose, non solo costano fior di soldi, ma costano fatiche e sacrifici.
Ogni anno ognuno dei più famosi costruttori di carri ha un’idea, cerca degli aiutanti, si chiude nel proprio laboratorio e fabbrica. Cosa fabbrica? Quello che l’estro gli ha suggerito. Un carro.
Cosa metterà su questo carro? Chi lo può sapere, prima del giorno fissato?
I fabbricanti di carri sono gelosissimi l’uno dell’altro. Inventano tutti i sotterfugi per sapere cosa fanno gli altri, e per mascherare ciò che faranno loro.
Talvolta assoldano i ragazzetti per far loro da spie, per introdursi nel laboratorio di un concorrente temuto. Il ragazzetto, quando non è scoperto (e allora sono guai!) riferisce quel che ha visto, facendo nascere preoccupazioni e timori.
(G. Cenzato)

Il carnevale torinese
Il carnevale torinese, negli anni passati, ormai lontani, era ritenuto uno dei più fastosi che si celebrassero in Italia.
Anche la corte interveniva in equipaggi alla postigiona, con cocchieri, staffieri, valletti in parrucca bianca, incipriati, in costume scarlatto argento; e la Regina Maria Teresa, consorte di Carlo Alberto, vi compariva festosa, sopra un cocchio tirato da otto cavalli bianchi.
Le vie erano adorne di festoni, i balconi gremiti di gente, e sotto i portici giravano le maschere a piedi: Gianduia, Giacometta, Gipin, mentre nella strada circolavano le cavalcate e i carri allegorici.
I torototela, poeti da strapazzo, cantastorie, rimavano la canzoncina:
“Cerea bela fia
cerea bel gasson
ch’a stago an alegria
ch’a beivo del vin bon”
mentre ferveva, tra i balconi, la vivace battaglia delle caramelle e dei mazzolini di fiori.
L’ultima notte di carnevale, il martedì grasso, si bruciava in piazza Castello il bogo, un enorme fantoccio pieno di fuochi d’artificio.
A mezzanotte in punto la fiamma provocava lo scoppio, salivano fischiando numerosi razzi al cielo; e così fra lingue di fuoco rossiccio, grida, urla, canti, moriva il carnevale.

Libri illustrati: Il grande albero delle rinascite – Fiabe dalle terre d’India

Libri illustrati: Il grande albero delle rinascite – Fiabe dalle terre d’India Un libro che sprigiona la suggestione di mondi lontani… storie di brahmani grandi come re, di cobra custodi di tesori nascosti e divinità all’ombra di banyan. La sensibilità di ogni artista trasforma in immagine la forza evocativa delle più belle fiabe della tradizione indiana.

L’albo illustrato raccoglie le più belle fiabe della tradizione indiana e fa parte della collana Le immagini della fantasia. E’ il settimo titolo che realizziamo in collaborazione con la Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia di Sàrmede, giunta quest’anno alla 29ma edizione. Le illustrazioni, vere protagoniste del libro, sono firmate da alcuni tra i più importanti artisti italiani e stranieri che, ognuno con la propria sensibilità, ha trasformato in immagine la forza evocativa delle fiabe. Dieci tra le più belle fiabe delle terre d’India per nove artisti del panorama internazionale e due giovani emergenti.

 Edito da Franco Cosimo Panini Editore in collaborazione con Le immagini della fantasia.
Curatrice progetto: Monica Monachesi – Testi: Luigi Dal Cin
Illustratori: Laura Berni, Giuliano Ferri, Aurélia Fronty, Véronique Joffre, Dileep Joshi, André Letria, Jacqueline Molnár, Simona Mulazzani, André Neves, Linda Wolfsgruber, Alessandra Vitelli.
pagine 48
dai 7 ai 10 anni
14 euro

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Dettati ortografici LA NEBBIA

Dettati ortografici LA NEBBIA – Una raccolta di dettati ortografici sulla nebbia, di autori vari, per la scuola primaria.

Dettati ortografici LA NEBBIA

La nebbia
Si cammina adagio: non si vede a un palmo dal proprio naso; un odore acre alle narici penetra in gola, l’aratro scricchiola. Il vomere affonda nella porosa bambagia; i rumori giungono attutiti, come echi; gli oggetti appaiono all’improvviso, come ombre sorte dal nulla: la nebbia avvolge tutto, grava su ogni cosa.

La nebbia
Minuscole goccioline scendono dal cielo e rimangono sospese nell’aria. E’ la nebbia. Come un velo sottile si adagia sulle cose e ruba ai colori la loro vivezza. Tutto diventa grigio ed uniforme. Qualche volta riesce a nascondere ai nostri occhi tutto ciò che ci circonda. E allora ci sembra di camminare soli e che intorno a noi si muovano fantasmi. (A. Cittigno)

La nebbia
Non è ancor giunta la sera, ma è quasi buio. Tutto il cielo è occupato da cumuli di nebbie grige posate in cima il monti, da cavalloni di nuvole nere ed immote. Bigio e nero dappertutto. Nella valle un gran silenzio sinistro: s’ode soltanto lo sfruscio del fosso in piena e quello delle foglie gocciolanti che sbattono insieme e fanno un rapido sussurro marino. Giù per le strade in discesa scorre l’acqua motosa in solchi gialli. Poi la nebbia dei fondi, a strati compatti, vien su dalla valle, varca i crinali dei poggi, si rompe, si riaffittisce, ricopre tutto e finalmente si sfalda o fugge, lasciando brandelli fumosi attorno agli alberi fradici. (G. Papini)

La nebbia
E’ un ammasso di vapore acqueo visibile, che si forma sulla superficie della terra e del mare. E’ grigia, compatta, oppure leggera come un velo. In genere non fa male alla vegetazione, ma se il navigante la incontra sul mare, se l’autista vi si trova immerso senza poter più distinguere la strada, allora la nebbia può trasformarsi in un pericolo anche grave.

La nebbia
Una nebbia fitta fitta da tagliare col coltello. Le grandi lampade elettriche paiono lumini ad olio; le persone a tre metri di distanza sembrano fantasmi vaganti; i veicoli procedono lenti fra uno scampanio, uno strombettamento, un gridio che le nebbia affievolisce. I passanti camminano a tratti lesti quando credono di vederci, lenti quando temono di inciampare: si riuniscono in gruppi se devono passare dall’altra parte della via. Attraversare una piazza è un’impresa: non mancano quelli che temono di sbagliare strada. Ognuno col bavero rialzato, con le mani affondate nelle tasche o nel manicotto, pensa alla sua casetta tiepida e illuminata. (P. Bianchi)

La nebbia
Improvvisamente si udì la sirena di un autocarro lacerare la cortina di silenzio e di nebbia che avvolgeva il paesaggio: con un sibilo acuto, e prolungato, da parere che volesse preparare la strada al veicolo come un alfiere mandato avanti a sgombrare il cammino… Poi si udì il respiro affannato del motore, lo sfrigolio delle ruote contro il fango della strada, e il veicolo apparve alla svolta traballante e un po’ tardo. L’autocarro avanzava con faticosa lentezza, le piogge dei giorni passati avevano reso cedevole il fondo stradale: aveva acceso i fari sebbene non fosse ancora scuro, sicchè le due grandi luci appena proiettavano a terra, senza illuminare la via, uno scialbo e corto riflesso sul quale si adagiava l’autocarro avanzando. Anche il rumore del motore sembrava adesso un suono quasi senza significato e come spaesato nell’abbandono dei campi che si stendevano ai lati della strada rotta, allagati dall’acqua caduta abbondante, nelle trascorsi notti. (M. Prisco)

Dettati ortografici LA NEBBIA
Nebbia e gelo
Una nebbia leggera leggera imgombra l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che nasconde, ma dà una bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna. I torrenti sono gelati; le mandrie fumano sdraiate nelle tiepide stalle; i cani giacciono accovacciati; i gatti fanno le fusa accosciati in un angolo del focolare. Solo si vedono di lontano i corvi disegnare una larga macchia nera sulla distesa dei campi deserti; e, di tratto in tratto, a voli brevi, i passeri si slanciano dai comignoli fumanti al piano, e lo scricciolo dal cespuglio alla siepe. (A. Stoppani)

Dettati ortografici LA NEBBIA
La nebbia

Specie nelle regioni settentrionali le nebbie non mancano. Tutto acquista un carattere strano: pare che ogni cosa perda la sua reale consistenza e non sia presente che nei suoi contorni.
Le persone fanno pensare ad ombre vaganti; i suoni sono attutiti; la vita, il movimento, tutto rallenta; nelle vie di città automobili, autobus avanzano con prudenza per scansarsi a vicenda. Problematico e difficile il camminare per i pedoni che si urtano sui marciapiedi ed attraversano timorosi le strade.
Nelle campagne, quando la nebbia le avvolge, regna silenzio. I rumori non giungono lontano, i contadini stanno volentieri nelle stalle. Qui ora è il loro lavoro, poichè nei campi non vi è più nulla da fare se non andare a far legna nei boschi, lungo le sponde dei fossati fiancheggiati da alti alberi, lungo i filari sostenuti da olmi e da gelsi.
E nelle stalle i contadini riparano attrezzi o intrecciano canestri e ceste.
Il sole tenta di comparire, ma i suoi raggi vengono assorbiti dalla spessa coltre di nubi.

I giganti grigi

Uscire di casa con la nebbia è il più gran desiderio di Filippo.
La nebbia viene; e Filippo esce.
La nebbia lo accoglie, gli fa strada: cancella ogni ostacolo davanti a lui. I paracarri, i pioppi, il fosso sono scomparsi. Tutto è bello: ma Filippo non sa più dov’è.
Vorrebbe correre a casa, ma la nebbia gli si stringe attorno. Non è più nebbia. E’ diventata giganti grigi, silenziosi, che lo guardano, immobili. Per fortuna, una voce chiama Filippo. E’ la voce della mamma. Filippo esce dal cerchio dei giganti. Non erano che nebbia. (M. L. Magni)

Sera di nebbia
Una nebbia fitta fitta da tagliare col coltello. Le grandi lampade elettriche paiono lumini a olio; le persone a tre metri di distanza sembrano fantasmi vagolanti; i veicoli procedono lenti tra uno scampanio, uno strombettamento, un gridio che la nebbia affievolisce. I passanti camminano a tratti, lesti quando credono di vederci, lenti quando temono di inciampare; si riuniscono in gruppi se devono passare dall’altra parte della via. Attraversare una piazza è un’impresa: non mancano quelli che temono di sbagliare strada. Ognuno col bavero rialzato, con le mani affondate nelle tasche o nel manicotto, pensa alla sua casetta tiepida e illuminata. (Piero Bianchi)

Nebbia in montagna
Grande era la nebbia. Sulla montagna deserta non si vedevano ne bestie ne uomini. Null’altro che un grigiore infinito. Un fumo freddo saliva tra i piedi, passava sotto le braccia, entrava nella bocca e negli occhi. Il silenzio era così grande da parer sovrumano. Come se tutto il mondo, con tutte le sue cose e le sue voci, fosse piombato nell’abisso senza fine. (G. Zoppi)

Nebbia
La nebbia bassa avvolgeva tutte le cose. Ci si vedeva soltanto a pochi passi di distanza, altrimenti tutto era confuso in una caligine densa, grigia, che smorzava il rumore dei passi e le voci dei passanti. Le lampade accese avevano un alone biancastro e la loro luce era tenue, diafana e blanda.

Nebbia in campagna
Una nebbia leggera leggera ingombrava l’orizzonte. E’ una nebbia uguale, soffice, trasparente, quasi un velo che nasconde, ma dà una bellezza nuova al paesaggio. Tutto tace nella campagna. Solo si vedono di lontano i corvi disegnare una larga macchia nera sulla distesa dei campi deserti.; e di tratto in tratto, a voli brevi, i passeri si slanciano dai comignoli fumanti al piano, e lo scricciolo dal cespuglio alla siepe. (A. Stoppani)

Nebbie e brine
Pesanti, si stendevano ora sui campi le nebbie autunnali, restavano più a lungo appese ai cespugli e agli alberi. Sembravano nubi spesse, bianche come il latte e c’era da chiedersi se non fossero scese dal cielo notturno o non fossero uscite dal seno della terra.
Quando finalmente si dissiparono, dopo lunga esitazione, brillò nel bosco un limpido sole, poi fu una mattina dorata, e i prati scintillarono candidi, perchè la brina li aveva ricoperti.

Dettati ortografici LA NEBBIA – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici SPORT INVERNALI

Dettati ortografici SPORT INVERNALI – Una collezione di dettati ortografici sugli sport invernali: slitta, sci, pattini da ghiaccio, la seggiovia, alpinismo, ecc…

La seggiovia
E così, anche a me, una bella mattina, venne incontro l’aereo seggiolino rosso. L’uomo lo frena un attimo sulla voltata. “No, sulle ginocchia il sacco, non dietro le spalle!”. E subito mi trovai con le gambe pendule nella montagna vuota. Abbassai e fermai il paletto di sicurezza, aggiustai il sacco come l’uomo aveva detto, e mi guardai attorno. Giù a terra la mia ombra che mi seguiva, sotto il sole già alto, pareva come raggomitolata.
(M. Valgimigli)

La slitta
Non abbiamo notizie precise su chi ci ha insegnato l’uso della slitta. Di slitte ne esistono di varie forme e grandezze. Alcune di esse sono perfino munite di enormi vele. Le slitte servono come mezzo di trasporto o di diletto o di gare sportive. Lo sport praticato con questi veicoli è sano e dà l’ebbrezza della velocità, e non c’è campo da neve che non abbia la sua slittovia dove si scivola, o meglio si vola, come il vento.

Pattini da ghiaccio
Anticamente il pattinaggio era usato come mezzo di locomozione in alcuni paesi del Nord dove, per il freddo intenso, durante i mesi invernali, le strade erano ricoperte da una pericolosa lastra di ghiaccio. I pattini, costituiti da una lamina di acciaio fissata alla scarpa, pare abbiano avuto la loro origine in Olanda, ma vennero quasi contemporaneamente usati nei paesi finnici e baltici; più tardi in Inghilterra e in Germania assunsero il ruolo di vero e proprio sport. Oggi il pattinaggio su ghiaccio è in uso in tutto il mondo; è anzi uno dei giochi sportivi preferiti dai bambini per l’ebbrezza della velocità che consente di raggiungere.

Campi da sci
I campi offrono uno spettacolo magnifico. Che animazione! Che festa degli occhi e del cuore! Neve abbagliante a perdita d’occhio, le Dolomiti si ergono gigantesche contro il cielo, i ghiacciai scintillano sotto l’apparizione fugace del sole. Lungo i pendii è un continuo incrociarsi di sciatori che gridano ogni tanto: “Pista! Pista!”. Si improvvisano piccole gare, e coloro che sono giunti in fondo alle discese tornano pazientemente ad inerpicari arrancando con gli sci sulla neve soffice, annaspando un po’ di traverso alla maniera dei gamberi. C’è un bambino paffutello e impettito che fila come una rondine su due minuscoli sci che sembrano giocattolo. Dal bordo dei campi assiste una folla variopinta e lieta che batte i piedi per difendersi dal freddo.
(F. Malagodi)

Dettati ortografici SPORT INVERNALI
Allievi sciatori

A vederli, gli allievi alle prime prese con gli sci, vien voglia di tenerli, perchè appena li hanno allacciati pare debbano saettare via , e quando si rizzano ti viene di sostenerli, se no cadono da tutte le parti, o non si muovono, come se gli sci li avessero incollati al terreno… Altri, che hanno potuto, chissà come, prendere una volata dall’alto, si mettono a gridare come disperati: “Pista! Pista!”. Pare che tutto il mondo debba essere riservato a loro, che tutti debbano fuggire davanti a una valanga. Ti volti, e vedi lo sciatore che ha già fatto un capitombolo fragoroso, che sprizza neve e che arriva in fondo prosaicamente seduto… E questo quando arriva bene… Per la strada ha perduto tutto: berretto, racchette, tutto quello che si può perdere, tranne quello che non si perde mai in questi casi: l’allegria.
(G. Cenzato)

La slitta
Un urlo, uno stridore, una rabbia forsennata, un’unghiata sulla trincea gelata. Il tempo di girare la testa per accompagnare con lo sguardo il grande pazzo giocattolo, e già non lo vedi più, e già la voce rugginosa si è spenta, perchè la slitta è arrivata in fondo alla discesa, laggiù, oltre i colonnati degli abeti che scendono fra le nevi della montagna, affondando pesantemente i tronchi bruni nell’abbagliante candore.
(O. Vergani)

Com’è bello sciare
Il silenzio della montagna è rotto da un vociare giocondo. Sciamano i giovani sciatori lungo i pendii. Massimo e Maria sono felici; si agganciano gli sci, si avvolgono nella pesante sciarpa di lana, e via sulla neve. Scivolano leggeri. Risate… e risate… e ruzzoloni! Non è nulla, non si sciupano i vestiti sul soffice tappeto. L’aria è fredda, ma asciutta. Scintilla la vetta nel sole; non si può sciare lassù, dove la neve si è mutata in ghiaccio. Ma il sole già discende e gli sciatori lasciano la montagna che, nel luccicare delle prime stelle s’addormenta, tutta incappucciata di bianco e lasciata in silenzio.

Davanti al ghiacciaio
Era una conca selvaggia, con alcune lastre di macigno. Io mi sedetti, poi mi stesi sulla più lunga. Davanti erano i ghiacciai, giù in fondo, dalla parte opposta, l’azzurreggiare dei laghi, a picco sotto di me, la valle scintillante di acque e di sole. La vetta della Margna mi sorgeva accanto, nell’ombra del cielo, chiudendo da questo lato la vista, con la sua forma di trono d’argento.
(G. A. Borghese)

Sulle vette del K2
Il paesaggio era fantastico, quasi incredibile: un gran variare di vette e di montagne e sopra a loro un cielo azzurro, profondo. I colori dei monti variavano dal celestino al pallido oro, a tratti prendevano tonalità rosa che subito sfumavano nel verde tenero per poi tornare al celeste dominante delle nevi e dei ghiacci eterni.
(R. Lacedelli)

Lo sport della montagna
L’alpinismo è l’arte di comprendere, di ammirare la natura nelle sue manifestazioni più sublimi e pittoresche. E’ un ottimo sport perchè oltre a tutto il corpo, mette in esercizio l’intelligenza e l’anima. Sui monti il corpo di fa più forte; sulla cima conquistata si trova compenso alla fatica; nella conquista del monte ci si abitua alle privazioni. Sulla montagna si trova il coraggio per sfidare i pericoli, ma si imparano anche la prudenza e a la capacità di superarli.

Dettati ortografici SPORT INVERNALI
Storia degli sci

Nel museo di Oslo, in Norvegia, sono raccolti gli sci di tutti i tempi e di ogni Paese, dalla ‘scarpa da neve’ agli sci dei campionissimi di oggi.
Nei Paesi Nordici, infatti, dove la neve ricopre la terra per mesi e mesi, dove i popoli, abituati a una vita nomade, rimanevano isolati per lunghi inverni, nacque la ‘scarpa da neve’ in epoche antichissime: era una larga fasciatura, avvolta attorno al piede, costruita con strisce di pelle e che, allargando la superficie del piede, consentiva di non affondare nella neve.
In seguito, le strisce di pelle furono sostituite da assicelle di legno o da archi di rami intrecciati e si usarono anche delle rozze racchette.
Questi antenati degli sci servivano soltanto per camminare, poi ci si accorse che era più facile scivolare: si faceva meno fatica e si andava più veloci.
Uno storico romano narra che le migrazioni dei popoli nordici venivano effettuate con due assicelle assicurate ai piedi: una era lunga 140 centimetri e larga 20 e serviva per prendere la spinta; l’altra era più lunga e sottile e serviva per scivolare.
Nel 110 gli sci erano quasi simili a quelli moderni e, per prendere la spinta, si usava un lungo bastone. Erano adoperati anche dalle donne e dai bambini.
Da semplice mezzo di locomozione, lo sci servì ben presto anche per la guerra: i Finnici e i Norvegesi li usarono nelle guerre del secolo XIII e i Finnici, nel 1939, si difesero energicamente contro i Russi proprio per la possibilità di rapidissimi spostamenti mediante gli sci. Durante l’ultima guerra mondiale, poi, lo sci fu usato abitualmente sul fronte russo-tedesco.
La diffusione dello sci come attrezzo sportivo si ebbe invece agli inizi dell’Ottocento, e le prime gare si ebbero in Scandinavia. Nel 1885 il lappone Tuorda vinse la prima gara di gran fondo percorrendo 220 chilometri in 21 ore. Si ebbero presto anche gare di salto con gli sci e un norvegese sbalordì tutti saltando 23 metri.
L’introduzione dello sci nelle Alpi è relativamente recente: nel 1883 un medico svizzero fece venire gli sci dalla Norvegia e, nello stesso anno, un giovane, il pioniere dello sci alpino, Guglielmo Paulke, ebbe in regalo due sci norvegesi. Rapidamente lo sci si diffuse nella Svizzera, poi nell’Austria, infine in Francia e in Italia, dove si diffuse dapprima in Val di Susa.
Ora, si sa, lo sci è diffusissimo, come svago e come sport, e l’Italia ha campi da sci in ogni zona montana, alpina e appenninica. Ne è derivata anche un’industria alberghiera di eccezionale importanza che ha letteralmente salvato l’economia di molti paesi condannati alla stasi completa nel periodo invernale.
Sì, dalla ‘scarpa da neve’ a oggi, bisogna dire che lo sci, della strada, ne ha fatta.
(G. B. Fabian)

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Sulla neve

E’ arrivata, finalmente, la candida visitatrice e ha già coperto i monti col suo soffice mantello.
Sci, sci! Febbrilmente si tolgono dall’angolo dove sono stati durante l’estate. Una spazzolata alla tuta, una spalmata di grasso agli scarponi, e via, per i campi, a sciare!
Diamo un’occhiata al principale strumento di questo simpatico sport.
Fino al secolo scorso lo sci non era conosciuto in Italia, paese dal molto sole e dalla poca neve. Fu uno svizzero che, stabilitosi a Torino, sentì una forte nostalgia delle lunghe e ripide discese, e visto che la neve d’era, si fece mandare dal suo paese un bel paio di sci e via, per il parco del Valentino e per le colline torinesi, a sciare con molta soddisfazione.
Era uno spettacolo e la gente accorreva a veder quel “bel matto” che volava sulla neve. Dopo pochi anni i “matti” furono parecchi e nel 1901 fondata la prima associazione sciistica.
Le nazioni nordiche, dove la neve copre la terra per la maggior parte dell’anno, conoscevano questo sport da duemila anni almeno. A Oslo, in Norvegia, nel Museo dello Sci, esiste un’asta pietrificata che pare risalga all’epoca degli antichi Romani.
Il primo ad introdurre lo sci in Europa, fu il grande esploratore Nansen che attraversò la Groenlandia sciando. Egli descrisse il suo viaggio, durato 37 giorni, in un libro che fu letto da molti. I primi sci italiano furono costruiti sul modello di quelli norvegesi.

Dettati ortografici SPORT INVERNALI – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA – Una collezione di dettati ortografici sul ghiaccio e la brina, di autori vari, per la scuola primaria: ghiaccio, gelo, brina, …

Il ghiaccio
Il ghiaccio è duro, trasparente come un cristallo. Si è formato sulla superficie delle pozzanghere, nel fossato, intorno alla fontana, nei crepacci. Sembra che non voglia andarsene mai più, che niente riuscirà a scioglierlo. Ma appena un raggio si sole si poserà sulla superficie ghiacciata, prima ne trarrà barbagli luminosi e poco dopo non ci sarà più ghiaccio, ma un rivolo d’acqua corrente.

La brina
Stanotte il gran freddo ha coperto di brina tutta la campagna. Sembra un ricamo di gelo, con i suoi aghi sottili, i suoi merletti e i suoi ricami. Povere piante, sotto la sua stretta gelata! Le vedremo, presto, con le foglie accartocciate, gli steli appassiti, non più piante rigogliose, ma povere erbe bruciate dal gelo!

Il gelo
Quand’è il momento, la notizia vola in casa, di stanza in stanza, tra colpi alle porte e grida di “Il gelo! Il gelo!” ed anche i più pigri gettano via le coltri e corrono alla finestra. Gli incanti del gelo si formano di solito nel silenzio e nel buio della notte. Una pioggerella sottile cade per ore e ore sui rami spogli degli alberi, e gela. In breve, tronchi, rami e ramoscelli sono rivestiti di ghiaccio solido e puro e gli alberi sembrano come di cristallo. Il tempo si rasserena verso l’alba, lasciando un’aria pura e frizzante, un cielo senza traccia di nuvole, e tutto è immobile; non c’è alito di vento… Infine il sole lancia un fascio di raggi fra gli alberi spettrali e li trasforma in uno splendore di brillanti. (M. Twain)

Il gelo
Uno sguardo al termometro: la colonna del mercurio è scesa sotto zero, all’aperto. E’ il tempo di Mago Gelo che si diverte a decorare le siepi stecchite con gocce ghiacciate iridescenti; a mettere alle grondaie frange di ghiaccioli corti e lunghi; a disegnare sui vetri bellissime felci argentee contornate da foglie di cardo e da stelline dalle mille fantastiche forme; a far sbocciare sugli alberi rigidi fiori di ghiaccio.

Brina
Sui rami, sui tronchi scheletriti, sulle piante che non hanno più nè fiori nè foglie, in una sola notte essa depone tutte le sue stelle. E i giunchi e le canne si ammantano di bianchi fiorellini scintillanti, aggruppati gli uni agli altri, graziosissimi. E così ogni piantina, ogni filo di erba. Dovunque una goccia di rugiada che abbia potuto fermarsi, si è trasformata in migliaia di minuti cristalli sfavillanti. Talvolta sono interi campi che per una forte brinata appaiono coperti di una fioritura candida. E non solo sugli alberi o sull’erba essa si diverte a ricamare le sue trine leggere. Spesso una massa di delicati fiori non è altro che la bizzarra guarnizione depositata dalla brina sopra una pietra qualunque. Le betulle sono rivestite di candidi ghiaccioli scintillanti come argento al pallido e prezioso solicello invernale. (M. Rinella)

La brina
La natura ha mutato veste: smesso il verde, smesse le mille tinte, ha indossato una veste candida e lieve. La brina penetra ovunque, riveste con un magico velo. Le piante hanno rimesso, quasi per incanto, la chioma: ma quella chioma è canuta. I fiori e le foglie son di cristallo; ogni fronda è come un vezzo di diamante; ogni erbetta un serto di gemme. (A. Stoppani)

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA
Paesaggio invernale

Soffiava la tramontana: faceva un freddo del diavolo. Il sole scendeva pallido, scialbo, verso ponente. I ruscelli erano gelati. L’erba alle prode scricchiolava. I salici, con le rame spoglie, rosseggiavano. I pettirossi ed altri uccelli saltellavano, svolazzavano senza paura, da un ramo all’altro. Non si vedeva anima viva pei campi; solo qualche povera donnetta che equilibrava sulla testa il grembiule ripieno di legna secca, o qualche vecchio cencioso che cercava le lumache ai piedi d’una siepe morta. (Mistral)

La brina

La brina è un’artista meravigliosa. Sui rami scheletriti, sulle piante spoglie, sui cespugli inariditi e secchi, in una sola notte sa creare una bianca fioritura mirabile, di una bellezza fantastica e delicata.
I giunchi, le canne, ogni pianticina, ogni filo d’erba, ogni sasso, ogni pietra si vestono di bianchi fiorellini scintillanti, aggruppati gli uni agli altri, graziosissimi. Ovunque una gocciolina di rugiada ha potuto fermarsi, si è trasformata in centinaia di minuti cristalli sfavillanti.

La brina
La notte è stata gelida e serena. La mattina, tutte le piante sono ricamate di bianco. E’ la brina, la fredda sorella della neve; ma, al contrario di questa che giova alle piante e le ripara del gelo, la brina le ferma tutte nel suo gelido abbraccio, le ricama di un merletto ghiacciato, le copre di un sudario di morte.

Dettati ortografici IL GHIACCIO E LA BRINA
Una brinata

Che meravigliosa brinata! Tutto investe, tutto penetra la brina. Le piante hanno, quasi per incanto, rimesso la chioma: ma questa è chioma canuta. I fiori e le foglie sono di cristallo. Ogni fronda è una collana di gemme. Che sono mai quelle filze di cristallini che descrivono una curva così vaga fra i rami e sono tese come brandelli di merletto, dall’uno all’altro ramoscello? (A. Stoppani)

Scherzi del ghiaccio
Un vitello era solito sgambettare nella stalla. Imparò a fare giri e mezzi giri. Un giorno d’inverno, nonostante il ghiaccio, lo lasciarono uscire con il grosso bestiame per andare a bere.
Tutte le mucche si avvicinarono all’abbeveratoio con prudenza. Il vitello invece corse sul ghiaccio: la coda dritta, le orecchie abbassate, e si mise a girare in tondo. Fin dal primo giro gli mancò il piede e la sua testa picchiò sull’abbeveratoio.
“Quanto sono disgraziato! Potevo fare piroette nella paglia che mi arrivava al ginocchio e non cadevo, mentre qui, dove tutto è liscio, sono caduto!”.
Una vecchia mucca gli disse: “Se tu non fossi un vitello sapresti che là dove si galoppa con maggiore facilità è più difficile trattenersi dal cadere”-
(L. Tolstoi)

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Tutorial: lampadario (o mobile) di casette di carta

Tutorial: lampadario (o mobile) di casette di carta.

L’idea è di hutch studio . Avevo ancora una lampada nuda in casa (sfinimento da trasloco) e ho provato a vestirla. Costruire le casette di carta è molto semplice, un po’ più laboriosa la composizione, ma il risultato ci piace molto, soprattutto perchè anche se ci sono molte imperfezioni, una volta illuminate le casette proiettano bellissime ombre intorno…

Io ho fatto così.

casette di carta
Materiale occorrente: 

pagine di un libro da macero (la carta spessa facilita molto il lavoro perchè le pieghe si incidono semplicemente tracciando le linee con la matita)

colla da carta, forbici e cutter

fil di ferro (io ho usato quello da perline)

modello; se volete scaricare il mio è qui:

Come si fa

Per preparare le casette riportare a matita il modello sulla carta.  Al modello, quando si ritaglia con le forbici, bisogna aggiungere un margine per incollare il tetto:

Ritagliate col cutter le finestrelle, e con le forbici il resto, come mostrato nell’immagine. Piegate lungo le linee tracciate.

Tagliate il tetto della casetta e piegate a metà:

Incollate il tetto:

Le finestre delle casette di carta possono essere decorate, alcuni esempi:

Preparate un anello col fil di ferro (se sottile come quello che ho usato io meglio metterlo a doppio):

Per appendere le casette di carta all’anello fate un nodo su un pezzo di fil di ferro, inseritelo all’interno della casetta:

e usate il filo sporgente all’esterno per fissare la casetta all’anello, secondo il vostro gusto:

E’ tutto qui.

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Libri illustrati: Tara Books

Tara Books è un editore indipendente di libri illustrati per adulti e bambini con sede a Chennai, India del sud. Salani propone due dei suoi meravigliosi libri fatti a mano (su carta seta artigianale, e stampati con colori ricavati da pigmenti vegetali) con testo in italiano: La vita notturna degli alberi e Vite d’acqua. Questi due video possono dare un’idea…

Queste alcune immagini del libro (da http://www.tarabooks.com/):

Pubblicati da Salani:

VITE D’ACQUA

Autore: Rambharos Jha
Traduzione di Giulia Tonelli
Pagg. 26

Coccodrilli che inseguono lanterne, aironi bianchi che si avventurano nel torrente tempestoso, villaggi profumati di gamberi e granchi, gracidio di rane come suono di tamburo, cavallucci lanciati al galoppo quando il vento piega gli alti giunchi, piccoli serpenti che spaventano elefanti… È il mondo del Gange, microcosmo di equilibrio assoluto.
Le storie del fiume sacro che racchiude lo spirito dell’India sono dipinte in questa raccolta di immagini straordinarie, affascinante reinterpretazione del mondo marino in arte Mithila, pittura popolare dell’India nordorientale, e sono accompagnate da poemi della tradizione indiana: le creature acquatiche danno vita a un universo in cui realtà e mito, natura e leggenda si intrecciano.
Vite d’acqua racchiude lo spirito dell’India: se La vita notturna degli alberi – pubblicato con le stesse caratteristiche di libro d’arte stampato su carta seta prodotta a mano – è un inno alla Terra, questo bellissimo Bestiario canta e immortala l’Acqua, culla primordiale di vita e suggestioni, e le sue creature multiformi e colorate.

“Quando i rossi fiori di loto cominciano a sbocciare
sulla superficie dello stagno limaccioso
gli uccelli spaventati portano veloci i piccoli al riparo
per paura che l’acqua s’incendi.”

Immagini da http://www.tarabooks.com/

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LA VITA NOTTURNA DEGLI ALBERI

Autore: Bhajji Shyam – Durgan Bai – Ram Singh Urveti
Traduzione di Valentina Paggi e Monica Romanò
Pagg. 32

L’albero del Peepul, che ha la stessa forma delle sue foglie. Il sacro albero del Dumar, che serve per fabbricare baldacchini. L’albero che si veste di piume fiammeggianti alla danza del pavone. L’albero della musica. L’albero delle Dodici Corna… Ogni notte, quando finalmente il lavoro di questi alberi maestosi giunge al termine, inizia la vita segreta degli spiriti che li abitano.Le loro storie profonde e senza tempo sono dipinte e raccontate da Bhajju Shyam, Durga Bai e Ram Singh Urveti, tre artisti contemporanei della tradizione Gond, una corrente pittorica dell’India centrale caratterizzata da linee fluenti, intricati motivi geometrici e e simboli che fanno da tramite l’essere umano e il cosmo. Le immagini sono stampate in serigrafia tradizionale su carta seta. Se L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono è il manifesto del rapporto dell’uomo occidentale con la natura, La vita notturna degli alberi, Premio New Horizons 2008 Bologna, racchiude tutto lo spirito dell’India, quello sguardo così pacato e armonioso che mette sullo stesso piano l’uomo, il cosmo e la divinità.

“Quando Shankar Bhagwan, il Creatore, dliede vita al primo uomo, sulla Terra non esistevano alberi né foglie. L’uomo disse: «Signore, cosa mangerò? Come potrò sopravvivere?» Il Creatore si strappò tre peli, e con quelli fece tre grossi alberi. Allora l’uomo disse: «Ma Signore, non c’è frutta su questi alberi. Tre rimarranno tre, e tre un giorno moriranno». Ouindi Shankar Bhagwaan prese la cenere che ricopriva i suoi capelli arruffati e cosparse gli alberi con essa, e questi cominciarono a fiorire e a dare frutti. Così prima che noi imparassimo a coltivare il grano, c’erano alberi che ci nutrivano con il carico dei loro rami.”

Immagini da http://www.tarabooks.com/

Tutti i libri Tarabooks li trovi sul sito http://www.tarabooks.com/

Libri illustrati: La grande fabbrica delle parole

La grande fabbrica delle parole. un libro…

C’è un paese dove le persone parlano poco.

In questo strano paese, per poter pronunciare le parole bisogna comprarle e inghiottirle. Le parole più importanti, però, costano molto e non tutti possono permettersele.

Il piccolo Philéas è innamorato della dolce Cybelle e vorrebbe dirle “Ti amo”, ma non ha abbastanza soldi nel salvadanaio.

Al contrario Oscar, che è ricchissimo e spavaldo, ha deciso di far sapere alla bambina che un giorno la sposerà.

Chi riuscirà a conquistare il cuore di Cybelle?

Pubblicato da un editore indipendente belga, La grande fabbrica delle parole ha vinto il Prix Papillotes 2010 e il Prix littéraire de la Citoyenneté 2010.

http://libri.terre.it/libri/collana/0/libro/294/La-grande-fabbrica-delle-parole

… e un progetto

La Grande Fabbrica delle Parole è un laboratorio gratuito di scrittura creativa rivolto a bambini e ragazzi in età scolare, obiettivo è costruire uno spazio di incontro e condivisione della passione per la narrazione. La Grande Fabbrica delle Parole è un progetto interculturale  che interviene in un quartiere simbolo della Milano cosmopolita, la zona due, con l’intento di favorire la coesione sociale  e l’incontro tra culture, generi e generazioni diverse. I workshop si svolgono in orario curricolare e sono aperti su prenotazione alle classi di tutte le scuole di Milano e Provincia.

Il progetto è nato da un’idea di Insieme nelle Terre di Mezzo Onlus e Terre di Mezzo, ispirato al progetto 826 Valencia, inaugurato nel 2002 a San Francisco su iniziativa dello scrittore Dave Eggers e dell’educatrice Nínive Calegari.  Una formula che, ad oggi, è stata replicata in sette città statunitensi e a cui si ispirano il Centro  Fighting Words di Dublino e il nuovissimo Ministry Of Stories nel Regno Unito.

Protagonisti delle attività sono i bambini in età scolare. Le classi delle scuole primarie e secondarie di primo grado partecipano ai laboratori gratuiti che si tengono presso la nostra sede tre giorni a settimana. In occasione di alcuni eventi speciali, inoltre, il laboratorio apre le sue porte a tutti i bambini dai 6 agli 11 anni, accompagnti dai genitori.

Scrittori, editor, disegnatori, giornalisti, creativi, studenti ed insegnanti: questi sono I tutor-volontari del laboratorio, che vogliono impegnarsi per condividere le proprie competenze e soprattutto la propria passione per lo scrivere con i più piccoli. L’idea è che tutti, nomi noti ed illustri sconosciuti, siano preparati e motivati a mettere in gioco le proprie abilità e competenze dando un contributo gratuito.

Le attività del triennio 2010-13 si svolgono nel quadro del progetto “Rane volanti. Tra strade, vie d’acqua e d’aria, per incontrarsi nel territorio”. Si tratta di un progetto (finanziato dalla Fondazione Cariplo) volto a promuovere la coesione sociale nella zona di Milano racchiusa tra via Padova e il naviglio Martesana. Il laboratorio si inserisce nell’area operativa “Promozione del protagonismo giovanile”: la creatività come strumento di empowerment che, attraverso i più piccoli, raggiunge le famiglie e la scuola e quindi la comunità più ampia.

​Qui:  laboratorio.terre.it

EPIFANIA E LA BEFANA dettati ortografici

Epifania e la befana – dettati ortografici sull’Epifania, la Befana e i Re Magi, di autori vari, per la scuola primaria.

L’Epifania

L’Epifania è il giorno dell “manifestazione”, poichè la stella apparve ai Magi il 6 gennaio e indicò loro la strada per raggiungere la capanna. Fu stabilita come festa nell’813, perchè a quel tempo il Natale si festeggiava per dodici giorni di seguito, e il dodicesimo era l’anniversario dell’apparizione che guidò i tre re Magi.

Nel Medioevo questo evento si rappresentava alle corti di Spagna e di Inghilterra dai sovrani stessi. In Francia si sceglieva tra i preti un re spartendo  una grande focaccia con dentro una fava: chi riceveva la fetta con la fava veniva proclamato re: “Re della Fava”. Altrove si rappresentano drammi di circostanza, come “la festa della stella”.

In Italia, da Epifania è venuta la parola Befana, che indicava un fantoccio di stracci che le donne e i ragazzi usavano mettere per scherzo alle finestre. E ancora oggi la Befana viene giù la notte della vigilia per la cappa del camino. I bambini appendono scarpette, calze e cestini che la vecchia riempie di doni.

Che grida di gioia, quando, al mattino, la casa si sveglia e i bimbi vuotano le calze e i cesti! Ma i doni che la Befana ha portato nottetempo, e che ricordano quelli dei Re Magi, riservano a volte sgradite sorprese: carbone, cenere, agli e cipolle…

La notte dell’Epifania ha, nella fantasia popolare, tinte di leggenda. Si dice che, nelle stalle, gli animali parlano e predicono il destino degli uomini.

6 gennaio: Epifania

Con questo nome, che significa apparizione della divinità, la chiesa cattolica ricorda l’arrivo alla capanna di Gesù dei Rei Magi che, guidati da una stella luminosa apparsa nel cielo, si erano messi in cammino dai lontani paesi d’Oriente. Avevano nomi strani: Melchiorre, Gaspare, Baldassarre, e portarono in dono al bambino oro, incenso e mirra.

L’oro è il metallo più prezioso. L’incenso ha il profumo soave della virtù. La mirra, che è una sostanza data da un arbusto del deserto, ha un sapore amaro ed è il segno dell’umanità.

La parola Befana, con cui si denomina spesso l’Epifania, ha un significato che di religioso non ha nulla: indica una specie di fata, vecchia e brutta, ma benefica, che, la notte del 6 gennaio, scendendo per la cappa del camino, porta i doni ai bambini che vi hanno appeso la calza.

L’Epifania in alcune regioni d’Italia

In Romagna una leggenda dice che nella notte dell’Epifania le mura diventino di ricotta; nelle Marche, nell’Abruzzo e in altre regioni si dice che gli animali acquistino la favella, ma chi osasse ascoltare e riferire morirebbe il giorno stesso.

A Palermo è nota la leggenda che i Re Magi attraversarono l’isola e fecero fiorire per incanto gli aranceti brulli per una nevicata.

In Calabria le ragazze, prima di addormentarsi la vigilia, cantano una canzoncina augurale; se sogneranno una chiesa parata a festa o un giardino fiorito, sarà per loro un anno fortunato.

In Toscana i contadini infilano il capo sotto la cappa del camino; se riescono a scorgere le stelle, stappano il vino buono perchè è segno d’annata buona; altri pronostici traggono da altri segni.

L’Epifania segna anche l’inizio del Carnevale: in Sicilia corre il proverbio “Per i tre re, tutti olè”. Ma soprattutto a Roma, in piazza Navona, la Befana presenta le più caratteristiche espressioni del folklore, anche di carattere carnevalesco.

In Austria

Nel periodo tra il primo dell’anno e l’Epifania, in molte regioni sembra di rivivere un’ingenua e delicata favola. Nelle strade, verso sera, brilla una luce lontana che, avvicinandosi, prende la forma di una stella. La portano tre uomini vestiti di bianco, che raffigurano i Re Magi; colui che impersona il re dei Mori ha il viso annerito di fuliggine. I “cantori della stella”, rischiarati dal suo calore, vanno nella notte.  Vanno di casa in casa e cantano le loro semplici canzoni popolari; poi, rifocillati e ristorati di cibo e bevande, riprendono il loro girovagare. Entrano nei cascinali, visitano cortili e stalle, mentre i contadini, col gesso, scrivono sulle porte le iniziali dei Re Magi: G M B, e invocano la benedizione divina per l’anno appena iniziato.

In Inghilterra

In Inghilterra la festa del Capodanno è simile a quella che si svolge in tutta Europa; più originale è la festa dell’Epifania. Tra le cerimonie più suggestive ricordiamo la funzione religiosa che si svolge a Londra nella cappella reale di San Giacomo: in memoria dei doni dei Re Magi, il Lord Ciambellano, in rappresentanza della Regina, presenta tre borse di denaro all’offertorio. Le borse sono per i poveri della parrocchia.

I tre Magi

Alcuni giorni dopo, tre Magi giungevano dalla Caldea. Una nuova stella, simile alla cometa che riappare ogni tanto nel cielo per annuciare la nascita di un profeta o la morte di un Cesare, li aveva guidati fino alla Giudea. Erano venuti per adorare un Re e trovano un poppante mal fasciato, nascosto dentro una stalla. I Magi non erano re, ma erano, in Media e in Persia, padroni dei re. I re comandavano i popoli, ma i Magi guidavano i re. Sacrificatori, interpreti di sogni, profeti e ministri, potevano comunicare con la divinità: conoscevano il futuro e il destino, possedevano i segreti della terra e quelli del cielo. In mezzo  a un popolo che viveva per la materia, rappresentavano la parte dello spirito. Inginocchiati, dentro ai sontuosi mantelli reali ed ecclesiastici, sulla paglia dello strame, essi, i potenti, i dotti, gli indovini, offrono anche se stessi come pegno dell’obbedienza del mondo. (C. Papini)

Re Magi

Sono i Re più dolci che siano mai esistiti. Li trovi davanti a un bambino, inginocchio e adoranti. Tre: un maestoso raduno da lasciar sgomenti. Ma re in ginocchio non fanno paura. L’abito del pellegrino ha forse sostituito il mantello di porpora? E il bordone ha sostituito lo scettro? No. Sono giunti a Betlemme con scettro e lumeggiamento di vesti, han portato le loro corone stellanti: non appena per provare a chiunque la loro identità, ma per umiliare ogni loro grandezza ai piedi del bambino. Dopo l’omaggio della semplicità, pastori e pecore, sta bene questo omaggio della regalità, cammelli e popoli. (C. Angelini)

I Re Magi

Chi erano i Re Magi? Re o principi di piccoli e lontani Stati nel cuore dell’Asia misteriosa, o filosofi che sapevano di scienza e di astronomia, o sacerdoti di un mistico culto del sole e degli astri? E venivano  dall’Arabia deserta, o dalla Mesopotamia, o dalla Persia, paesi tutti che anticamente venivano genericamente indicati tutti col nome di Oriente?

Portavano alla capanna le loro offerte, secondo la consuetudine dei Persiani, dei Caldei e si tutti i popoli orientali in genere, la quale non voleva che si comparisse davanti ai re se non con qualche dono. E le loro offerte si prestavano facilmente al simbolo: oro per sollevare dalla povertà, incenso contro l’odore della stalla, mirra per consolidare le tenere membra del bambino; mistici rimedi alla miseria, al peccato, alla debolezza.

Dettati ortografici EPIFANIA E LA BEFANA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici: Gennaio

Dettati ortografici su gennaio – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste. Brevi dettati ortografici a tema per esercitare la scrittura e seguire il ritmo della natura… 

Il cielo è grigio, coperto di nuvoloni carichi di pioggia o di neve. Gli uccellini non cantano più. Gli alberi sono nudi e spogli.

Sotto la neve, pane! E gennaio copre di un mantello candido le verdi piantine del grano che così non geleranno.

Gennaio è un dei mesi più freddi dell’anno. La neve ricopre tutto col suo mantello candido. Il vento urla fra i rami degli alberi spogli.

Fra le divinità adorate dai Romani, vi era Giano, il dio dai due volti, propiziatore del nuovo anno, simbolo della fine e del principio, al quale era dedicato il primo mese: gennaio. E poichè dove una cosa finisce ne comincia necessariamente un’altra, Giano era anche il dio dei confini, delle porte, della pace e della guerra; la sua specialità era, insomma, di iniziare un periodo e di chiuderne un altro.

E’ arrivato gennaio col suo carico di freddo, di neve, di pioggia. Ma anche il freddo è necessario. Le piantine di grano, non potendo uscire all’aperto per il gran freddo, moltiplicano sotto terra le loro radici, e si preparano a diventare robuste e rigogliose.

E’ un mese freddo, ma anc’esso necessario. I cattivi germi e gli insetti nocivi muoiono. La terra, sotto la coltre gelida, si riposa e si prepara al lavoro della primavera. Anche gli alberi dormono. Il cielo è quasi sempre grigio e spesso cade la neve.

E’ un mese freddo e rigido. Il cielo è quasi sempre nuvoloso e il sole raramente fa capolino con un raggio scialbo e pallido. Il vento fischia nelle strade deserte. La gente si ripara con indumenti pesanti e caldi, sospirando il ritorno della bella stagione.

In gennaio gli alberi sono brulli, spogli; il vento squassa i loro rami stecchiti. Sembrano morti, ma morti non sono. La vita scorre nel tronco immobile che presto metterà gemme e fiori.

Le nuvole di gennaio sono bigie, pesanti, apportatrici di pioggia e di neve. Il vento le ammassa all’orizzonte in un nembo che copre tutto l’azzurro del cielo. Il sole a stent può farsi strada per qualche momento fra le nuvole grigie, ma il suo raggio non riesce a riscaldare la terra gelida.

Siamo nel cuore dell’inverno. L’aria è gelida. Il vento ulula per le strade, la gente cammina in fretta, avvolgendosi strettamente in sciarpe e cappotti per difendersi dalla gelida tramontana. Si sogna il tepore della primavera.

Parla gennaio: “Sono il primo di dodici fratelli e porto pioggia, neve, brina e freddo intenso. Tutto dorme, ma sotto la bianca coltre di neve, le piantine si sforzano di gettare più radici che possono. A primavera germoglieranno. Quando me ne sarò andato, i campi di copriranno di verde erbetta, il grano di domani.”.

Gennaio è un simpatico mese. Dietro a lui, altri undici signori, chi allegro, chi malinconico, chi coperto di pellicce, chi col costume da bagno. Sono i mesi, suoi fratelli, e insieme formano l’anno. Gennaio porta anche lui, come dicembre, un bel sacchetto di doni. I ragazzi gli vogliono bene; quando c’è per aria odore di regali, va bene anche il freddo, va bene anche la neve. E i ragazzi sognano: calzette piene di doni, cestini rigurgitanti di buone cose, e la tavola, apparecchiata per i giorni di festa.

Gennaio è uno dei mesi più freddi dell’anno. La neve ricopre tutto col suo mantello candido. Il vento ulula e s’ingolfa per le strade. sbatacchiando le finestre. Gli uccellini non trovano neppure un semino per sfamarsi e pigolano e si lamentano. Gli alberi sono spogli e tendono verso il cielo le loro braccia rinsecchite. I prati sono coperti di neve o di brina.

Nella campagna c’è un gran silenzio. La terra dorme, copera di neve, ma, sotto, lavora. La neve la ripara dal gelo e i semi si svegliano domandando se è ora di germogliare. No, non è ora. Fuori fa freddo, continuate a dormire. E invece, quelli, pian piano, mettono fuori una radichetta, e aprono gli occhietti curiosi. Ma, finchè il sole non batterà, di fuori, con i suoi raggi, è proibito uscire.

Lucertole, ghiri, bisce e tassi dormono profondamente. Consumano il grasso che hanno accumulato durante la buona stagione, così risparmiano di mangiare e non soffrono il gelo. Gli uccellini, sui rami spogli, pigolano di fame e di freddo. Gennaio è lungo. Tanti giorni di neve, di pioggia, di vento. Quando le feste sono finite, la gente comincia a mormorare: “Ma quando se ne va?”. E sogna le violette di febbraio.

Gennaio è uno dei mesi più lunghi; con esso comincia l’anno nuovo. E’ un mese freddo: neve, brina, gelo. Ma sotto la crosta gelata della terra, riparati dal mantello nevoso, i semi si danno un gran da fare per stendere le loro radici, per rafforzarle in modo da poter uscire con una pianticina robusta quando il tempo lo permetterà. Ma ora tutto è scheletrito, spoglio, rigido e triste.

Gennaio è il primo mese dell’anno, uno dei mesi più freddi. Nei crepacci e intorno alle fontane si forma il ghiaccio, I monti sono coperti di neve. L’erba dei prati è intristita dal gelo. Gli uccellini hanno freddo e fame. E’ difficile trovare anche un semino per saziare l’appetito. Volano qua e là, pigolando piano, come se chiedessero la carità di una briciola. Ma gennaio porta anche delle belle feste: Capodanno e l’Epifania. Sono feste liete e tutti di fanno gli auguri.

In gennaio il contadino riposa; ma la terra, sotto, lavora. E, più è freddo e più nevica, e più le piantine morse dal freddo accumulano energia per coprirsi di fior e di frutta e più il grano tenuto indietro dalla neve, accestisce: ogni chicco quattro o cinque steli; ogni stelo una spiga, ogni spiga tanti granelli. Aritmetica dell’universo. Sotto la neve, pane; sotto l’acqua, fame.

Gennaio prende il suo nome da Giano, il dio che i Romani raffiguravano con due facce: una volta al passato, una volta all’avvenire. Infatti, essendo il primo mese dell’anno, gennaio ci invita a guardare quello che è passato e a sperare e far propositi per i giorni che verranno. Che cosa ci riservano, questi? Nessuno lo sa.

I contadini seminano il grano, arano il terreno per le patate e il granoturco; potano le viti e gli ulivi. Gennaio è il mese più freddo dell’anno, ma è tanto amato dai bambini per l’Epifania.

Sole di gennaio
Siamo alla fine di gennaio e nell’aria c’è già un sole, un respiro, un errabondo odore di primavera.
Si sente dire che sui colli i mandorli cominciano a fiorire; ma qui, nell’orto suburbano che mi consola con la sua vista serena, non si scorge ancora nessun segno di vita.
Dietro la siepe di bosso e il filare di girasoli rinsecchiti e pencolanti l’arida terra porta soltanto qualche ciuffo d’erba pallida tra i mucchi di grigia sterpaglia. I ciliegi disegnano netto nel cielo l’arabesco dei loro rami nerastri e gropposi. Più oltre, la vite a pergola lascia pendere qualche esile tralcio, nudo, chiaro e liscio.
Eppure la precoce primavera è arrivata anche qua.
Il colore del sole mattutino, disteso sul terreno è color di rosa; le ombre dei ciliegi su quel rosa sono violette; quelle della vigna sul muretto bigio di fondo, azzurre e come tremanti. E le tre case che chiudono l’orizzonte, una rosa, una giallina, gialla la terza, slavate dalla pioggia e scialbate dal sole, direi che mandino luce, quasi fossero fatte di una preziosa materia trasparente.
Sono case qualunque, case utilitarie, che non han nulla di bello e neppure ambiscono ad esser belle; ma in quest’aria primaverile d’inverno diventano bellissime: magiche creazioni del nostro sole di pianura, di pianura padovana.
Perchè, sì, anche qui sento e riconosco la mia città materna: in questa semplicità e modestia di paesaggio, in questa timida delicatezza di rapporti tonali in questa luce di poesia che si sprigiona dalle più umili e povere cose.
(D. Valeri)

Dettati ortografici su Gennaio – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Tutorial: quadro in lana cardata

Tutorial: quadro in lana cardata (E’ un quadretto in lana cardata, un mini tutorial fotografico qui…)

Tutorial: quadro in lana cardata
Materiale occorrente:

lana cardata,
un pezzo di gommapiuma,
ago da feltro

Tutorial: quadro in lana cardata
Come si fa

Con pazienza preparare il fondo, utilizzando ciuffetti leggeri di lana cardata e disponendoli in vari strati:

Abbozzare con la lana bianca i contorni del disegno, fissandoli con l’aghetto:

Procedere con la lana colorata:

Tutorial: quadro in lana cardata

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Painting in carded wool tutorial

Painting in carded wool tutorial

What do you need?

carded wool,
a piece of foam rubber,
felting needle.

Painting in carded wool tutorial

How is it done?

Patiently prepare the base, using light tufts of carded wool and placing them in different layers:

Sketch with white wool   the contours of the drawing, fixing them with the needle:

Proceed with colored wool:

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9 – tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a  quindici punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9
materiale occorrente

15 quadrati di carta trasparente

colla da carta.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9
come si fa

Preparate quindici quadrati di carta trasparente colorata, i miei misurano 7,5 x 7,5 cm, poi procedete per ognuno nello stesso modo.

Piegate lungo la diagonale:

Poi piegate due angoli così:

e fate questa seconda piega:

Infine rivoltate un piccolo triangolino verso il margine interno:

All’estremità opposta procedete così:

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Transparent paper star tutorial – model 9 – Tutorial to make an fifteen-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 9

What do you need?

15 squares of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 9

How is it done?

Prepare 15 squares of colored transparent paper; my squares measure 7,5 cm x 7,5 cm. Fold each of the squares, in the same way, as shown below.

Fold along the diagonal:

Then fold two corners:

and make this second fold:

Finally turned over a small triangle to the inner edge:

At the opposite end, proceed as follows:

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8.  Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto   punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8
materiale occorrente

8 quadrati di carta trasparente

colla da carta.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8
come si fa

Preparate otto quadrati di carta colorate trasparente, nelle misure che preferite. I miei misurano 7,5 x 7,5 cm, poi procedete nello stesso modo per tutti i quadrati…

Piegate lungo una diagonale e riaprite:

Portate gli angoli a destra e a sinistra verso linea centrale:

quindi fate questa seconda piega:

Preparate tutti gli elementi e assemblateli con poca colla da carta:

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8

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Transparent paper star tutorial – model 8 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 8

What do you need?

8 squares of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 8

How is it done?

Prepare 8 squares of colored transparent paper; my squares measure 7,5 cm x 7,5 cm. Fold each of the squares, in the same way, as shown below.

Fold along a diagonal and reopen:

Bring the corners to the right and to the left toward the center line:

then make this second fold:

When the eight elements are ready, assemble the star in this way::

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 7

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 7. Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto   punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

 LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Materiale occorrente

8 quadrati di carta trasparente

colla da carta.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Come si fa

Preparate otto quadrati di carta colorata trasparente della misura che desiderate: i miei misurano 7,5 x 7,5

Per ogni quadrato procedete così: piegate a metà,

poi piegate i quattro angoli così:

e riaprite:

Ad una estremità piegate così due angoli:

Poi piegate a destra e sinistra portando l’apice verso la linea centrale:

aprite:

All’estremità opposta a quella lavorate piegate questo piccolo triangolino verso l’alto:

quindi richiudete a destra e sinistra:

Ora portate l’angolo indicato dalla freccia sulla linea centrale:

Preparati otto di questi elementi procedete all’assemblaggio:

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Transparent paper star tutorial – model 7 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 7

What do you need?

8 squares of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 7

How is it done?

Prepare 8 squares of colored transparent paper; my squares measure 7,5 cm x 7,5 cm. Fold each of the squares, in the same way, as shown below.

Fold in half,

then fold the four corners:

and reopen:

At one end fold so two angles:

Then fold to the right and left carrying the apex toward the center line:

open:

At the opposite end, fold this small triangle upward:

then reclose to the right and the left:

Now bring the corner indicated by the arrow on the center line:

When the eight elements are ready, assemble the star in this way:

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 6

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 6 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto   punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente

otto rettangoli di carta trasparente

colla da carta.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa

Preparate otto rettangoli di carta colorata trasparente 10 cm x 5 cm.

Per ogni rettangolo procedete così:  piegate a metà nel senso della lunghezza e riaprite,

Piegate i quattro angoli:

Per due dei triangoli di una estremità procedete così: riaprite

piegate un triangolino verso l’interno:

richiudete la piega iniziale:

Ora piegate i margini lunghi e poi riapriteli, così:

Poi, all’altra estremità, fate questa piegatura:

E infine richiudete seguendo la piegatura lunga:

Assemblate gli otto elementi con della colla da carta, sul rovescio:

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Transparent paper star tutorial – model 6 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 6

What do you need?

8 rectangles of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 6

How is it done?

Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.

First, fold the rectangle in half and open:

Fold the four corners:

For two of the triangles of one end, proceed as follows: reopen

fold a triangle towards the inside:

Close the initial fold:

Now fold the long edges and then reopen these as well:

Then, at the other end, make this folding:

And finally, following the close folding long:

When the eight elements are ready, assemble the star in this way:

 

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 5

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 5 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto o sedici  punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente

8 (o 16) rettangoli di carta trasparente

colla da carta

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Come si fa

Preparate otto (o sedici) rettangoli 12cm x 4,5cm:

Per ognuno dei rettangoli seguite poi le seguenti istruzioni. Per prima cosa fate una piegatura lungo la metà nel senso della lunghezza, e poi riaprite:

Piegate i quattro angoli:

Ora procedete alle due estremità in modo diverso. Da una parte così:

aprite i due triangoli e fate un ulteriore piega così, prima di richiudere:

All’altra estremità fate questa piega:

e poi questa:

Una volta preparati gli otto (o i sedici) elementi, procedete all’assemblaggio con della colla da carta:


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Transparent paper star tutorial – model 5 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 5

What do you need?

8 (or 16) rectangles of transparent paper
glue.

Transparent paper star tutorial – model 5

How is it done?

Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 12 cm x 4,5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.

First, fold the rectangle in half and then reopen:

Fold the four corners:

Now proceed to the two ends in a different way. On the oneend in this way:

open the two triangles and make another fold before closing:

At the other end do this fold:

and then this:

When the eight (or 16) elements are ready, assemble the star in this way:

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 4

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 4 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente

otto rettangoli di carta trasparente

colla da carta.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Come si fa

Preparate otto rettangoli di carta colorata trasparente 10 cm x 7,5 cm

Piegate il rettangolo a metà nel senso della lunghezza, quindi riaprite il foglio

piegate i quattro angoli così:

poi ad un’estremità aprite ognuno dei due triangolini, piegate una seconda volta su se stesso, e richiudete:

all’altra estremità piegate in quest’altro modo gli altri due triangoli:

ora piegate una seconda volta gli ultimi triangoli piegati facendo in modo che il margine esterno coincida con la linea centrale del rettangolo:

preparati gli otto elementi, assemblateli così:

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Transparent paper star tutorial – model 4 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 4

What do you need?

8 rectangles of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 4

How is it done?

Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 7,5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.

First, fold the rectangle in half, then reopen:

fold the four corners:

then open at one end each of the two triangles, fold it a second time on itself, and close:

at the other end fold it this way the other two triangles:

now fold a second time the last triangles folded in such a way that the outer edge coincides with the center line of the rectangle:

When the eight elements are ready, assemble the star in this way:

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 3

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 3 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi.

In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente

otto rettangoli di carta trasparente

colla da carta.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa

Preparate 8 rettangoli di carta colorata trasparente 10 cm x 7,5 cm

piegate a metà nel senso della lunghezza e aprite di nuovo

piegate i quattro angoli così

e poi così:

All’altra estremità aprite ognuno dei triangoli, piegate all’interno un triangolo più piccolo, quindi riportate alla piega originaria:

Fate otto di questi elementi, poi assemblateli così:

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Transparent paper star tutorial – model 3 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 3

What do you need?

8 rectangles of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 3

How is it done?

Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 7,5 cm.

fold in half lengthwise and open again:

fold the four corners:

and then in this way:

At the other end open each of the triangles, fold inside a smaller triangle, then brought back to the original fold:

When the eight elements are ready, assemble the star in this way::

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 2

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 2 –Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi.

In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

 LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente

otto rettangoli di  carta trasparente
colla per carta.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa

Preparate otto rettangoli di carta colorata trasparente nelle misure 10 cm x 7,5 cm, poi procedete così: piegate a metà il rettangolo nel senso della lunghezza,

Aprite nuovamente e piegate due degli angoli così:

riapriteli per fare un’ulteriore piegatura, così:

Preparati gli otto elementi, assemblateli così:

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Transparent paper star tutorial – model 2 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 1

What do you need?

8 rectangles of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 1

How is it done?

Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 7,5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.

First, fold the rectangle in half:

Reopen and fold two of the corners:

reopen these to make a further folding, like this:

When the eight elements are ready, assemble the star in this way:

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 1

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 1

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 1 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).

E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi.

In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – cosa serve

8 rettangoli di carta trasparente

colla da carta

LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa

Preparate 8 rettangoli di carta trasparente colorata; i miei misurano 10 cm x 5 cm. Si procede alla piegatura di ognuno dei rettangoli, sempre nello stesso modo, come mostrato di seguito.

 Per prima cosa di piega il rettangolo a metà:

poi si stira un po’ la piega aperta, in modo che rimanga solo la traccia, e si piegano i quattro angoli, facendoli combaciare con la linea centrale:

Ora le due estremità si piegano in modo diverso. Da una parte si piega una seconda volta, formando un triangolo che combacia con la linea centrale così:

Dall’altra parte semplicemente si piega indietro parte del triangolo facendolo combaciare con la linea esterna, così:

Questo è il risultato:

Quando gli otto elementi sono pronti, procedere all’assemblaggio della stella in questo modo:

Stendete della colla sul davanti di un elemento

ed incollatelo sul rovescio del secondo, tenendo come punto di riferimento la sua linea centrale.

Procedete allo stesso modo con gli altri:

E la stella è pronta:

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Transparent paper star tutorial – model 1 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.

It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.

In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.

Transparent paper star tutorial – model 1

What do you need?

8 rectangles of transparent paper
glue

Transparent paper star tutorial – model 1

How is it done?

Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.

First, fold the rectangle in half:

then stretch a little the folding open, so that it is only the track, and fold the four corners, making them matching with the center line:

Now fold the two ends in a different way. On the one end to fold a second time, forming a triangle which matches with the center line:

On the other end simply bend backwards part of the triangle making matching with the external line:

This is the result:

When the eight elements are ready, assemble the star in this way:

Roll out the glue on the front of an element

and paste it on the back of the second, taking as a reference its center line.

Do the same with the others:

And the star is ready:

Dettati ortografici: Dicembre

Dettati ortografici su dicembre – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Il nome di dicembre

Dicembre ha questo nome perchè, al tempo degli antichi Romani, quando cioè l’anno cominciava a marzo, era il decimo mese del calendario. Poi i mesi diventarono dodici, ma il nome restò, così come è restato a settembre, a ottobre e a novembre.

La campagna

La campagna è squallida; nei boschi la vita sembra scomparsa, ma in realtà la volpe, la donnola ed il lupo si avventurano nei campi in cerca di cibo. La stagione invernale è propizia a coloro che amano gli sport di montagna e si recano a sciare sui campi di neve. Nel mese di dicembre proseguono nei campi i dissodamenti, il taglio delle siepi, la potatura degli alberi e la pulizia dei fossi. Si bacchiano le olive e, nelle regioni più calde e nelle isole, si raccolgono gli agrumi che andranno in ogni parte d’Italia e all’estero.

Dicembre

Dicembre è un mese freddo, uno dei più freddi dell’anno. Il cielo è quasi sempre grigio, piovoso; spesso cade la neve. Il vento soffia tra i rami degli alberi spogli e li fa tremare sotto la sua gelida furia. Gli uccellini non cantano più. Soltanto i passeri pigolano, infreddoliti e affamati.

Dicembre

Dicembre è un mese freddo perchè con esso entra l’inverno col suo corteo di nebbie, di pioggia, di neve. Ma se scostate il mantello di dicembre scorgerete una quantità di giocattoli, e un bell’albero di Natale. Dicembre è anche un mese pieno di belle e piacevoli sorprese.

Dicembre

A dicembre come passano le giornate, e che freddo! Si fa tutto in fretta, ma il tempo non basta mai: viene subito sera, ed una volta a letto, sotto il caldo delle coperte, si ripensa all’estate trascorsa, alle belle giornate, alla campagna verde e festosa. Ora, dappertutto foglie secche e niente fiori, niente uccelli. Dove sono andate a finire le rondini tanto allegre? Si vedono solo passeri e pettirossi tristi e infreddoliti.
(G. Cauzillo)

Dicembre

Dicembre è un mese brutto per i poveri. Hanno bisogno di fuoco, di indumenti pesanti, di cibo, di casa. E spesso, i poveri non hanno nulla di tutto questo. Il vento soffia impetuoso e penetra sotto le travi sconnesse. I poveri desiderano la primavera, ma la bella stagione è lontana. Per i poveri l’inverno è duro e doloroso.

Dicembre

Il freddo è arrivato. Gli alberi hanno perduto tutte le foglie e scheletriti e nudi rabbrividiscono al vento che li scuote. Lucertole, bisce, insetti, sono tutti giù, sotto terra a dormire. Si sveglieranno a primavera. Il cielo è grigio e spesso piove. Allora, nella strada, si allargano le pozzanghere fangose, che rispecchiano le nuvole grigie.

Dicembre

Dicembre è un mese pieno di belle feste. Feste di santi, che portano i doni, festa del bambino Gesù, che in questo mese è nato, festa dell’anno vecchio che se ne va per lasciare il posto all’anno nuovo, che tutti sperano sia più buono di quello che è passato.

Dicembre

Dicembre rassomiglia a un vecchione con la lunga barba bianca, tutto avvolto nel suo ampio mantello coperto di neve. Ma se schiude un po’ quel suo misterioso mantello, ecco far capolino un bell’albero di Natale, e tanti, tanti doni, per la gioia dei bambini buoni.

La campagna

I contadini lavorano attorno alla casa: provvedono alla pulitura e alla preparazione degli attrezzi. Viene travasato il vino nuovo. Continua e termina la raccolta delle olive; nei mercati, sulle mense, compaiono arance e mandarini. In questo mese si festeggiano l’Immacolata e la Madonna di Loreto con processioni e falò. In Lombardia, nel Veneto e in Sicilia i bambini attendono i doni da Santa Lucia. Il Natale raduna tutte le famiglie davanti al presepe e attorno al desco per la tradizionale cena della vigilia. San Silvestro chiude l’anno con danze e canti.

Dicembre

E’ dicembre e l’inverno non aspetta la data ufficiale per fare il suo ingresso. Guardiamoci attorno: le manifestazioni invernali sono visibili ovunque. Il cielo, almeno in Italia, è quasi sempre grigio, nuvoloso, percorso da nubi spesse e pesanti. Osserviamo il cielo non solo durante le sue variazioni (pioggia, sereno, nebbia, ecc.) ma anche nelle varie ore del giorno.
Guardiamoci intorno. I segni dell’inverno sono dappertutto. Prati brulli, spesso coperti di brina, cespugli secchi, alberi scheletriti che ormai hanno perduto quasi tutte le foglie, siepi spoglie che lasciano vedere l’intrico dei rami.
In tanto squallore spicca la macchia scura di qualche albero sempreverde. Osserviamo la foglia di questi alberi. Se si tratta di conifere, la foglia è sottile, appuntita come un ago e resistente agli agenti atmosferici. Osserviamo anche gli altri sempreverdi: l’ulivo, l’alloro, ecc. Hanno le foglie dure, resistenti, spesso rivestite di uno spesso strato di cutina, una sostanza coriacea e impermeabile che le difende dalla pioggia, dal freddo, dal gelo.
Nonostante la campagna sia spoglia, non mancano piante da osservare. Non hanno l’esuberanza della vegetazione primaverile ed estiva. Alcune piante sono fornite di bacche: le rose selvatiche, per esempio, e le piante caratteristiche di dicembre: l’agrifoglio e il pungitopo, che spesso servono come motivo di decorazione natalizio.
Le manifestazioni della vita animale sono scarse perchè quasi tutti gli uccelli sono emigrati, fatta eccezione per i passeri, i merli, gli scriccioli, i pettirossi e pochi altri. Alcuni animali, come le lucertole, le bisce, le marmotte, i tassi, i ghiri, sono immersi nel letargo, un sonno profondissimo durante il quale la respirazione e le pulsazioni del cuore sono rallentate al massimo. L’animale, immerso nel letargo, non ha bisogno di mangiare e consuma il grasso accumulato durante la buona stagione.
E gli insetti? Spariti, morti, magari dopo aver deposto le uova in un luogo dove il piccolo nato troverà culla e cibo. Sotto terra ci sono le larve, mollicce, oppure coriacee, ma sempre inerti, come morte. Non sono morte; attendono invece alla loro metamorfosi. A primavera le vedremo trasformate in insetti perfetti.

Dicembre

Nelle campagne è un gran silenzio. La terra dorme, spesso coperta di neve, ma, sotto, lavora. La neve la ripara dal gelo e i chicchi si svegliano, ma non osano metter fuori le loro foglioline verdi. Si danno, invece, da fare con le radici che s’insinuano coraggiose fra le zolle e si moltiplicano e diventano forti per poter essere in grado, dopo, di nutrire e fortificare la pianta che spunterà in primavera.

Dicembre

E’ l’ultimo mese dell’anno e porta nebbia, freddo, pioggia e, spesso, neve. Ma anche il freddo è necessario. Le piante perdono le foglie, ma le radici, sotto terra, si moltiplicano e diventano più robuste. Saranno, così, in grado di sostenere e di nutrire meglio la pianta a primavera quando tutta la natura si ridesterà a nuova vita. Gli alberi alzano verso il cielo grigio le loro braccia spoglie. Sembrano morti, ma lungo il tronco e i nei rami, scorre la linfa che è il sangue della pianta. Scorre piano, lentamente, senza forza, ma a primavera ricomincerà a vivificare l’albero che metterà foglie e fiori.

Una giornata di dicembre
Era una di quelle giornate di dicembre, in cui si direbbe che si solennizzi il vero ingresso trionfale, definitivo, dell’inverno,  con un immenso parata di neve. Chi si era svegliato presto aveva sentito battere sordamente le ore dalla vicina torre, quasi la campana fosse coperta da un panno, o il batacchio rivestito d’ovatta.
Chi è solito aspettare il giorno tra le coperte, ne aveva visto la luce distendersi sulle pareti con insolita bianchezza. Chi aveva messo la faccia fuori, l’aveva ritirata esclamando: “Ehi! Che bella nevicata!”.
Chi fosse salito il alto, avrebbe visto i tetti, le strade, le mura, le campagne al di fuori, l’immenso piano, i colli, le Prealpi, le Alpi, se erano visibili, tutto d’un solo colore.
Quando mi affacciai alla finestra la neve veniva ancora giù, a larghe falde.
(A. Stoppani)

Mattinata di dicembre
La tramontana di stanotte ha seccato la strada; le carreggiate sono dure come il vetro e luccicano per un po’ di brina nell’ombra scura degli ulivi.
Gli alberi nudi frastagliano il cielo coi loro rami e le loro vette che sembrano d’oro.
Sono vicino ad un orto di contadino pieno di piante di carciofi. Oltre l’orto c’è una loggetta e, sotto, una donna che leva il pane dal forno.
Arriva fino a me l’odore del pane misto a quello della terra. Dopo tanta acqua i campi esultano a sentirsi riscaldati e prosciugati da un po’ di sole.
Il grano si rialza dal fango delle zolle, nei solchi c’è però ancora dell’acqua che riflette il cielo azzurro.
(A. Soffici)

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