Libri illustrati: C’era una volta una vecchia signora che ingoiò una mosca

C’era una volta una vecchia signora che ingoiò una mosca. E poi un ragno. E un uccello. E un gatto. E un topo. E un serpente. E una mucca. E infine un cavallo. Sapete cosa le accadde? Certo che lo sapete! Età di lettura: da 5 anni.

di Jeremy Holmes; traduzione di Stefania Carretti
Aliberti Editore; 2010
€ 18,00
Dai sei anni

Quali potrebbero essere le conseguenze qualora una vecchia signora, magari per sbadataggine, ingoiasse una mosca? Probabilmente nessuna. Ma se la vecchia signora fosse convinta del contrario, convinta addirittura di poterne morire? Be’, è semplice: ricorrere a un ragno.

E per scacciare il ragno?

Mangiarsi un uccello.

E per scacciare l’uccello?

Mangiare un gatto…

Leggendo C’era una volta una vecchia signora che ingoiò una mosca, ci viene in mente Alla fiera dell’est di Angelo Branduardi, e in effetti, il libro illustrato da Jeremy Holmes, si basa su una filastrocca molto conosciuta dai bambini americani.

Libri illustrati: Il piccolo re dei fiori

Il piccolo re dei fiori ha tutto ciò che gli serve per essere felice: un palazzo, un giardino e tanti tulipani che sbocciano a primavera. Eppure… eppure il suo cuore desidera qualcos’altro. Così, il piccolo re parte per cercare ciò che lo renderà davvero felice. Dentro un tulipano, trova la sua principessa, che ben presto diventerà la piccola regina dei fiori…

IL PICCOLO RE DEI FIORI
Autore: Kveta Pacovská; tradotto da Luigina Battistutta
Collana: Libri illustrati – Nord Sud Edizioni
Pagine: 40
Prezzo: 16,00 €
Età: da 3 anni

“Il piccolo re dei fiori è un libro estremamente innovativo. Il racconto è strettamente legato al succedersi delle immagini, e sarebbe impensabile scindere la parte scritta dalle figure che ne fanno parte.

Al centro della copertina c’è un piccolo “buco” dal quale si vede il protagonista; tutto sembra casuale e invece ci troviamo di fronte a una proposta che suscita infinite curiosità. Cosa ci sarà dentro? Dentro c’è una storia…

Il piccolo Re va alla ricerca della principessa. Da piccolo diventa grande e la sua figura occupa tutta una pagina. Sale sulla colomba/aeroplano, sorvola una città che sembra disegnata da bambini di cinque-sei anni, vola dall’alba al tramonto, con il sole e la pioggia. Incontra la luna, che è mezza e ha un enorme naso, e finalmente in un tulipano (aperto come una piccola finestra) sente una dolce vocina: “Sono qui”. Il Re la porta con sé in un lungo viaggio tra grandissimi fiori. Poi due trombettieri annunciano il loro arrivo: due figure colorate a strisce o a pallini e ironicamente sagomate. Gli evviva si sprecano: non si sa perché una grossa testa sovrasta un piccolissimo palazzo con dentro la principessa. Le immagini impreviste si susseguono con ritmo sorprendente: la figura della piccola principessa occupa tutta una pagina, a cui segue un’altra pagina fitta di piccoli cuori di tutti i colori e dimensioni. Matrimonio felice. Ritroviamo il piccolo buco al centro della pagina che incornicia marito e moglie.”  R. Denti (da LiBeR 74)

http://www.liberweb.it/

Libri illustrati: La grande fabbrica delle parole

La grande fabbrica delle parole. un libro…

C’è un paese dove le persone parlano poco.

In questo strano paese, per poter pronunciare le parole bisogna comprarle e inghiottirle. Le parole più importanti, però, costano molto e non tutti possono permettersele.

Il piccolo Philéas è innamorato della dolce Cybelle e vorrebbe dirle “Ti amo”, ma non ha abbastanza soldi nel salvadanaio.

Al contrario Oscar, che è ricchissimo e spavaldo, ha deciso di far sapere alla bambina che un giorno la sposerà.

Chi riuscirà a conquistare il cuore di Cybelle?

Pubblicato da un editore indipendente belga, La grande fabbrica delle parole ha vinto il Prix Papillotes 2010 e il Prix littéraire de la Citoyenneté 2010.

http://libri.terre.it/libri/collana/0/libro/294/La-grande-fabbrica-delle-parole

… e un progetto

La Grande Fabbrica delle Parole è un laboratorio gratuito di scrittura creativa rivolto a bambini e ragazzi in età scolare, obiettivo è costruire uno spazio di incontro e condivisione della passione per la narrazione. La Grande Fabbrica delle Parole è un progetto interculturale  che interviene in un quartiere simbolo della Milano cosmopolita, la zona due, con l’intento di favorire la coesione sociale  e l’incontro tra culture, generi e generazioni diverse. I workshop si svolgono in orario curricolare e sono aperti su prenotazione alle classi di tutte le scuole di Milano e Provincia.

Il progetto è nato da un’idea di Insieme nelle Terre di Mezzo Onlus e Terre di Mezzo, ispirato al progetto 826 Valencia, inaugurato nel 2002 a San Francisco su iniziativa dello scrittore Dave Eggers e dell’educatrice Nínive Calegari.  Una formula che, ad oggi, è stata replicata in sette città statunitensi e a cui si ispirano il Centro  Fighting Words di Dublino e il nuovissimo Ministry Of Stories nel Regno Unito.

Protagonisti delle attività sono i bambini in età scolare. Le classi delle scuole primarie e secondarie di primo grado partecipano ai laboratori gratuiti che si tengono presso la nostra sede tre giorni a settimana. In occasione di alcuni eventi speciali, inoltre, il laboratorio apre le sue porte a tutti i bambini dai 6 agli 11 anni, accompagnti dai genitori.

Scrittori, editor, disegnatori, giornalisti, creativi, studenti ed insegnanti: questi sono I tutor-volontari del laboratorio, che vogliono impegnarsi per condividere le proprie competenze e soprattutto la propria passione per lo scrivere con i più piccoli. L’idea è che tutti, nomi noti ed illustri sconosciuti, siano preparati e motivati a mettere in gioco le proprie abilità e competenze dando un contributo gratuito.

Le attività del triennio 2010-13 si svolgono nel quadro del progetto “Rane volanti. Tra strade, vie d’acqua e d’aria, per incontrarsi nel territorio”. Si tratta di un progetto (finanziato dalla Fondazione Cariplo) volto a promuovere la coesione sociale nella zona di Milano racchiusa tra via Padova e il naviglio Martesana. Il laboratorio si inserisce nell’area operativa “Promozione del protagonismo giovanile”: la creatività come strumento di empowerment che, attraverso i più piccoli, raggiunge le famiglie e la scuola e quindi la comunità più ampia.

​Qui:  laboratorio.terre.it

Un libro sbilenco… prima di Munari e Depero.

Un libro sbilenco… prima di Munari e Depero. Una carrozzina impazzita, sfuggita alla mano della tata, attraversa la città. Rocamboleschi incontri, più spesso scontri, fanno conoscere al piccolo Bobby chi alla città dà vita: dall’immigrato al poliziotto, dai giocatori di tennis agli operai, dallo strillone alla signora che passeggia. E la carrozzina arriva presto in campagna, giusto in tempo per imbattersi in un morbido pagliaio che mette fine alla sua corsa.

fonte: http://lcweb2.loc.gov/

La carrozzina con a bordo il piccolo Bobby, lanciato a razzo a combinare disastri per le vie della città, ma tutt’altro che spaventato dalla sua folle corsa, è accompagnata da versi in rima tradotti da Marco Graziosi.

Un libro tutto in discesa, dal formato al carattere tipografico disegnato appositamente dallo stesso autore, Peter Newell, uno dei più straordinari artisti americani dei primi del ‘900, che ha anticipato i libri oggetto di Munari e Depero.

 

 

Il libro sbilenco (titolo originale  The Slant Book), pubblicato per la prima volta nel 1910 in America,  fa parte di una serie che Orecchio Acerbo ha dedicato a Peter Newell, insieme a Il libro esplosivo (The rocket book)

e a I pisolini di Polly (The naps of Polly Sleepyhead) .

L’idea de Il libro esplosivo è un razzo che perfora il soffitto, piano dopo piano, delle stanze di un grattacielo, a partire dallo scantinato. I pisolini di Polly è un fumetto.

Peter Newell (1862-1924), artista originario dell’Illinois e illustratore di famose riviste americane, è noto soprattutto per i suoi sei eccezionali libri illustrati per bambini; qui trovi i links ai libri digitalizzati:

Topsys and Turvys
The Hole Book
The Rocket Book
The Slant Book
The 20-Mule-Team Brigade
Jungle-Jangle

I suoi libri sono costruiti inseguendo una certa idea grafica: i buchi nelle pagine di The hole book e The rocket book; la discesa di The slant book o le immagini a testa in giù dei due  Topsys e Turvys . Ciò che oggi rende decisamente poco attraente la sua opera, è  invece il tono razzista di alcune battute…

Fonti:

http://www.idranet.it

http://www.nonsenselit.org/newell/

http://www.orecchioacerbo.com/

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina – Questo racconto è utile sia per illustrare il ciclo dell’acqua, sia per introdurre in geografia gli ambienti naturali montagna, collina e pianura. Andrebbe proposto a blocchi, ed ogni blocco illustrato dai bambini con matite, cerette, acquarello, ecc…  (anche copiando dalla lavagna). Questo solo a titolo di esempio:

C’era una volta, molto ma molto tempo fa, un regno immenso fatto di acqua, dove tutto era pace e armonia. Era il regno di Oceano. Custodiva tante e tante meraviglie: negli abissi più profondi e inesplorati, si nascondevano grotte misteriose e montagne di sabbia e roccia rivestite di un  mantello verde evanescente che danzava all’ondeggiare dell’acqua. C’erano giardini incantati, pieni di fiori e coralli dai colori più sgargianti, e piante grandi e piccole, alcune delle quali aprivano e richiudevano le loro chiome per mangiare e riposare.

Piccole e grandi creature si muovevano senza sosta tra quelle meraviglie. La loro pelle era simile al colore delle piante e dei fiori che le circondavano, e  lucente, e piante e creature si confondevano tra loro.

Ogni creatura aveva un nome. C’era ad esempio il polipo, con la sua grande testa allungata dalla quale spuntavano lunghi tentacoli che si muovevano in tutte le direzioni. C’era poi la medusa, leggiadra e trasparente, che si muoveva così leggera e sinuosa da sembrare una ballerina sulle punte, in perfetta sintonia coi movimenti dell’acqua. La conchiglia dell’ostrica sembrava un ventaglio colorato e custodiva al suo interno una magnifica, perfetta perla splendente. La balena era la più grande creatura del regno. Un gigante buono. Quando nuotava, attorno a lei c’erano tanti pesciolini che le tenevano compagnia. Per respirare la balena doveva, di tanto in tanto, uscire dall’acqua, ed in quel momento spruzzava dal suo dorso una gorgogliante fontana che saliva verso il cielo e poi ricadeva su se stessa aprendosi come un fiore. C’era poi il delfino, l’acrobata di quel regno. I delfini nuotavano sempre in gruppo, ed il loro gioco preferito consisteva nel balzare fuori dall’acqua, il più alto possibile, per poi rituffarsi in acqua disegnando  nell’aria archi d’argento e allegri spruzzi d’acqua.

Il colore verdazzurro del regno di Oceano gli donava un’atmosfera di sogno e di pace. In superficie tutto era un luccichio, grazie alla luce del sole:  milioni di piccole stelline sembravano posarsi a danzare sul pelo dell’acqua.

Oceano aveva moltissime figlie: le gocce d’acqua, che vivevano felici nel suo regno. Oceano si occupava amorevolmente di loro e provvedeva a tutti i loro bisogni: le nutriva, le cullava cantando per loro, le proteggeva dai pericoli. Le gocce amavano Oceano, e gli erano grate e riconoscenti per quella vita così felice e spensierata.

Un giorno, mentre tutte le piccole gocce erano impegnate a giocare tra loro, si spinsero fino alla cresta delle onde, pericolosamente troppo vicino alla superficie, e lontane dal palazzo verdazzurro di Oceano. Lì udirono una misteriosissima voce chiamarle: “Goccioline! Fatevi riscaldare dai miei raggi, vi prometto che conoscerete cose fantastiche… vi farò vedere tutte le meraviglie che esistono oltre al vostro regno…”

Le gocce si spaventarono e fuggirono via. Non appena furono di nuovo a palazzo si sentirono al sicuro, ma non riuscivano a smettere di pensare a quello che era successo, e non riuscivano a darsi una spiegazione. Di chi era quella voce? Chi le aveva chiamate? Era il caso di tornare vicine alla superficie e cercare di scoprirlo, o era meglio dimenticare tutto e lasciar perdere?

Una piccola goccia parlò: “Oh, io sono così stanca di tutta questa pace, ogni giorno uguale all’altro, ogni giorno sempre più noioso di quello prima… Questo regno lo conosco ormai fino al più piccolo granello di sabbia che contiene. Basta! Voglio qualcosa di nuovo! Voglio avventura! Voi fate come volete: io salgo!”.

A parlare era Diamantina, la più curiosa e irrequieta goccia che ci fosse mai vista nel vasto oceano. Senza esitazione, dunque, si diresse verso la superficie, e molte delle sue sorelle decisero di seguirla…

… un brivido misterioso percorse le acque, e giunse fin negli abissi più profondi dell’oceano.

Appena giunte in superficie, le piccole avventuriere si sentirono avvolte da un piacevole tepore: un raggio di sole le aveva infatti accarezzate e le stava attirando a sè con forza sempre maggiore. Diamantina e le sue compagne si lasciano andare e, piano piano, con grande gioia, si arrampicarono sul raggio di sole, lasciando sotto di sè il regno di Oceano. Man mano che salivano diventavano sempre più leggere: fluttuavano nell’aria più leggere di trasparenti farfalle, e salivano sempre più in alto, sempre più su… per la prima volta in tutta la sua vita Diamantina, fuori dal regno di Oceano, vide tutti i colori del mondo.

(disegno)

Diamantina e le sue sorelle erano così felici! Ed ecco, videro comparire mago Vento: un gigante buono che se ne stava là nell’aria e  sembrava divertirsi come un matto a gonfiare le sue guance a più non posso. Quando aprì la bocca, ne uscì una bella folata fresca che investì tutte le gocce, allora loro si diedero la mano e si strinsero, per evitare di venire sparpagliate chissà dove.  Così unite , formarono una bella nuvola bianchissima nell’azzurro del cielo, e mago Vento continuò a soffiare, spingendo la nuvola fino alla cima di un’alta montagna rocciosa.

Lassù faceva molto freddo, non si vedevano nè erba nè alberi, ma solo rocce gigantesche, immobili e solenni. Per proteggersi dal gran freddo, ed estasiate dalla bellezza di ciò che vedevano, Diamantina e le altre gocce si strinsero ancoro  più forte le une alle altre: erano nel regno di mago Gelo. Divennero per opera sua sempre più consistenti e solide e bianche, e scesero lievemente sulle montagne, trasformate in meravigliosi cristalli stellati. Si adagiarono con dolcezza al suolo formando un mantello soffice soffice e bianco bianco, e caddero in un piacevolissimo sonno che per lungo tempo le cullò su quelle alte vette.

Finalmente, un mattino, un lieve tepore le svegliò dal loro sonno, e le gocce ad una ad una si accorsero che potevano nuovamente muoversi: era arrivata la primavera.

(disegno)

Scivolarono lungo il pendio della montagna verso la valle, lungo il percorso cantavano e saltellavano e giocavano a rincorrersi, riprendendo  via via la loro trasparenza. Scorrevano sempre più veloci, e ridevano, ridevano… L’eco delle loro risa risuonava tutto intorno, e improvvisamente ebbero come l’impressione di prendere velocità e di volare nel vuoto: l’emozione le fece ridere ancora più forte! E il loro salto aveva formato un’incantevole cascata.

Lungo il percorso capitava che alcune gocce scegliessero altre strade, ma sempre accadeva che un po’ più a valle si ricongiungessero. Ritrovarono perfino le sorelle che avevano scelto per un po’ di scorrere sottoterra, per poi riaffiorare dalla roccia e riunirsi a loro come acqua di sorgente.  Quando furono di nuovo tutte insieme,  i loro mille rigagnoli erano diventati un bel torrente limpido e lastricato di sassi grandi e piccoli.

Diamantina e le altre gocce si scambiarono i loro racconti di viaggio: c’era chi aveva conosciuto la regina Stella Alpina, chi aveva spiato una cordata di coraggiosi alpinisti, chi era passata vicino a paurosissimi burroni… un profumo molto intenso le avvolgeva e felici più che mai contemplavano il verde giovane della primavera.

Diamantina per prima si fece coraggio, e chiese: “Chi siete? Perchè ve ne state lì fermi e non venite con noi?”. “Noi siamo l’erba”, risposero in coro, “non potremmo vivere separati dalla terra, che ci nutre, ci protegge, ha cura di noi. Tappezziamo la montagna formando i pascoli, e la facciamo soffice e morbida… su di noi giocano i bambini, e senza di noi mucche, pecore, caprette, morirebbero di fame”. Diamantina e le sue compagne domandarono perplesse: “Mucche? Pecore? Caprette? E che cosa sono?” . “Sono quegli animali laggiù, vedete? Quelli a quattro zampe!”.

Le gocce conobbero così gli animali, strani esseri che, a differenza dell’erba, possono correre, saltare, galoppare…

“Anche tu ti chiami Erba?”, chiese Diamantina ad un bel fiore. “Beh, non proprio… il mio nome è Calendula, anch’io appartengo alla famiglia dell’Erba, ma a me aria e luce hanno dipinto un bel fiore con i raggi del sole…”. Mentre Calendula parlava, Diamantina si accorse di un piccolo essere simile a un fiore, ma che volteggiava nell’aria. Quando lo vide posarsi su una dolce margherita, urlò: “Attento bel fiore bianco e giallo, quella cosa ti farà male!”. “Mia cara Diamantina,” rispose Margherita, “questa è nostra sorella, la Farfalla. Non vedi come somiglia a noi fiori? Le sue ali sono come i nostri petali, ma sono petali speciali perchè possono prendere la strada del cielo. La farfalla, sai, volando qua e là per il prato, raccoglie tutte le storie che racconta la natura e le passa di fiore in fiore. Ora è a me che vuole raccontare qualcosa…”

Dopo aver salutato tutti i nuovi amici conosciuti nel pascolo montano, Diamantina e le sue compagne ripresero il loro viaggio. Ad un tratto sentirono un brivido di freddo e di paura: videro attorno a loro non più il verde dei pascoli, ma una miriade di giganti maestosi ed immobili che, nascondendo la luce del sole, creavano un’atmosfera cupa e misteriosa.  Le gocce, unite nel torrente, stavano infatti attraversando un fitto bosco di pini, abeti e larici.

La luce tornò e le gocce tirarono un bel sospiro di sollievo. Avevano ripreso il loro corso naturale, quando questa volta fu un grosso sasso a sbarrar loro la strada. Alcune gocce riuscirono ad aggirarlo, passare oltre e proseguire il loro cammino; altre si fermarono a discutere a lungo davanti al masso, presero a litigare, e così divennero ben presto acqua stagnante, e il fango le imprigionò.

(disegno: montagna)

Le altre, passate il grande sasso, decisero di rallentare un po’ la loro corsa per ammirare il meraviglioso paesaggio che andava cambiando. Via via la pendenza si faceva più dolce e cominciavano ad apparire verdeggianti colline, che si susseguivano simili alle onde di un mare incantato, pronto ad offrire nuovi tesori e nuove bellezze: argentei ulivi dal tronco contorto, filari di viti, frutteti, tappeti di terra coltivata, boschetti di castagni e querce, fiori variopinti. Tante casette colorate erano sparse qua e là tra il verde. Le gocce si beavano di tutte queste meraviglie.

Diamantina e le sue compagne di viaggio si guardavano intorno felici, e la loro attenzione presto si concentrò su una specie di prato verde sospeso in alto. “Forse è un prato che vola, una specie di grande farfalla…” disse Diamantina a voce alta.  “Ma che sospeso! Ma che farfalla!” disse un grosso vocione da contrabbasso, “Sono la Quercia. Le mie radici affondano nella terra, e la terra mi ha nutrita e fatta crescere così alta e maestosa perchè desiderava guardare il cielo da vicino. I miei rami servono da riparo per gli uccelli: loro cantano e volano, mentre io sto immobile a custodire la loro casa. Solo mago Vento viene ogni tanto a scuotermi un po’ le fronde: lui è mio grande amico. “

Un canto improvviso distrasse presto Diamantina: nascosto tra i fili d’erba c’era un piccolo cosino nero, ed era lui a cantare. “E tu chi sei?”, chiese Diamantina, “una capretta nana?”. “No, no!”, rispose quello. “Allora sei una mucca piccola!”. “Ma no! Sono un insetto, un grillo canterino, per la precisione, e mentre mi occupo di pulire e riordinare la tana, canto”.

“E quei fili d’erba che saltano, cosa sono?” chiese ancora Diamantina al grillo. “Sono cavallette! Non sono fili d’erba, sono insetti come me. Non stanno mai ferme, saltano, saltano… mi fanno girare la testa!”. Detto questo il grillo riprese le sue faccende e il suo canto.

(disegno: collina)

Le gocce, intanto, cominciavano a sentirsi molto stanche, dopo quel lunghissimo viaggio, ed erano confuse e stordite per la quantità di cose nuove che avevano visto lontane da casa. Rallentarono l’andatura e udirono un ronzio insistente provenire dalla riva, da un bel prato fiorito. Videro tanti piccoli esserini gialli e neri: volavano di fiore in fiore producendo il ronzio che aveva attirato la loro attenzione.

“Quelle non sono certo farfalle” pensò Diamantina, che proprio per colpa delle farfalle aveva già fatto tante brutte figure. Si avvicinò e chiese: “E voi chi siete?”. “Noi siamo le api” risposero loro, “e ci posiamo sui fiori per raccogliere il dolce nettare. Loro ce lo danno molto volentieri, perchè sanno che così noi potremo preparare la pappa reale per la nostra regina e il miele per tutti.”

Diamantina non sapeva proprio cosa fosse il miele, ma era troppo stanca per fare altre domande, così, insieme alle sue compagne, riprese il suo viaggio, muovendosi sempre più lentamente.

Il letto sul quale Diamantina e le altre gocce scorrevano non era più così ripido, ed era anche diventato molto più largo. Le gocce ora non avevano più quella voce sonora e squillante di una volta, non saltellavano, non guizzavano: scivolavano pacatamente e via via perdevano la loro limpidezza di acqua di montagna, per diventare acqua di fiume. Il fiume si allargava sempre più. Diamantina e le sue compagne si sentivano ora pesanti e stanche e provavano una grande nostalgia per il regno verdazzurro di Oceano. Attorno a loro c’erano tante cose meravigliose: le barche, le case, la vasta pianura verdeggiante, i campi dorati di grano, i filari di vite… ma Diamantina aveva perso ogni curiosità.

(disegno: pianura)

Ora le gocce scorrevano così lentamente che il tempo sembrava non passare mai…ma ecco che, in lontananza, scorsero il regno di Oceano, la loro casa. Ma come era possibile?

“Ogni fiume porta al mare, ragazze mie!” diceva Oceano, “Forza, correte, fatevi abbracciare!”

E tornate finalmente nel regno di Oceano, Diamantina potè raccontare a tutti gli abitanti del mare com’è fatta la terra: montagna, collina e pianura.

(adattamento da un racconto in uso nelle scuole steineriane)

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Il passaggio dal minuscolo al corsivo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare.

Il passaggio dal minuscolo al corsivo come trasformazione della forma. Una storia tutta da disegnare. L’anno scorso abbiamo imparato un nuovo alfabeto: lo stampato minuscolo. Vi ricordate quante avventure avevano vissuto precipitando dalla montagna? Ora vi voglio raccontare cosa è successo alle nostre letterine maiuscole e minuscole quest’estate, durante una meravigliosa notte di luna piena…

Il sole, come accade di solito in questa stagione, era andato a dormire molto tardi ed aveva lasciato il posto alla luna e alle stelle. Nell’aria calda e profumata si stagliava il canto felice dei grilli e il gracchiare delle ranocchie, che si erano messe in attività tra le ninfee dello stagno.

Le letterine maiuscole e minuscole, quella sera, erano andate a dormire prima del solito, stanche morte. Erano state tutta la giornata a prendere il sole e a fare il bagno. Qualcuna aveva anche schiacciato un pisolino pomeridiano all’ombra di un papavero. Sul far della sera erano ritornate a casa. Il sole quel giorno le aveva ben ben cucinate e si sentivano molto molto stanche e spossate. Per questo andarono a dormire prima del solito.

Le minuscole diedero il bacio della buonanotte alle sorelle maggiori, poi andarono in camera loro, si misero la camicia da notte, si tolsero le ciabatte, ed oplà, con un bel saltello eccole tutte  a letto sotto le lenzuola: ventisei lettini ben allineati l’uno accanto all’altro. Bastarono pochi minuti, ed erano tutte addormentate. Alcune sognavano beatamente, altre russavano…

…ad  un tratto, nel cuore della notte, una calda brezza estiva invase la stanza. L’aria entrava dalla finestra ed arrivava fino ai lettini, accarezzando dolcemente le letterine. Si svegliarono.

L’aria era calda. Il canto dei grilli e delle ranocchie era così allegro e distinto, che sembrava invitarle ad uscire.

Saltarono giù dal letto, si tolsero la camicia da notte, si vestirono, e in pochi minuti erano già tutte in giardino. La piccola z fu l’ultima ad uscire… chiuse piano la porta di casa, col cuore che batteva forte in gola:  temeva che le sorelle più grandi, le maiuscole, potessero svegliarsi e non dar loro il permesso di uscire: la notte, si sa, porta con sè molti pericoli… Ma le maiuscole non si accorsero di nulla.

E già le loro sorelline minuscole vagavano per il mondo, lontane da casa.

Il firmamento luccicava: c’erano molte stelle e la luna era piena. Le letterine si distesero sull’erba alta del prato e si misero ad ammirare il cielo e a contare le stelle. Erano così vicine che quasi si potevano toccare.

Poi si arrampicarono su un albero per ammirare gli uccellini che dormivano. Poi si misero a correre, ad arrivarono nei pressi di una stalla. Vi entrarono. Tutti gli animali stavano dormendo.

Entrarono poi nella casa del contadino, in punta di piedi salirono le scale fino al primo piano, si infilarono curiose nella serratura di una porta, ed in un attimo furono nella cameretta dei bambini.

Salirono sul trenino, giocarono a palla e con le costruzioni, e così fecero un bel po’ di rumore, tanto che la mamma dei bambini si svegliò. Corsa in cameretta non vide nessuno, per fortuna, perchè le letterine si erano nascoste tutte sotto i letti. Scampato il pericolo, corsero nel pollaio.

Le galline continuarono a dormire tranquillamente, ma il gallo si svegliò di soprassalto e urlò: “Chicchirichì!”

Tutte le luci di casa si accesero e le  letterine se la diedero a gambe levate!

Corsero, corsero e corsero, così tanto che arrivarono senza nemmeno rendersene conto nel bosco. Esauste e senza fiato, si fermarono a riposare.

Ed ecco, sentirono un canto. Era il canto degli gnomi che si recavano al lavoro, con le loro lanternine e i loro sacchi. Nascondendosi di tronco in tronco, presero a seguirli.

Davanti alla porta della loro caverna, gli gnomi si misero in cerchio ed accesero un bel fuoco, e proprio a causa della luce della fiamma rossa e gialla, si accorsero che qualcuno le stava spiando: le letterine erano state scoperte!

“Chi è là?” borbottarono in coro. Le poverine si misero a correre, i nani dietro… Correndo a più non posso giunsero ad un laghetto. La a, che correva avanti a tutte, si arrestò bruscamente per non cadere in acqua… ma non servì a nulla: il resto della fila non riuscì a fermarsi in tempo. L’una addosso all’altra caddero tutte nel lago.

Stavano quasi per annegare, quando a, che sapeva nuotare un po’ meglio delle altre, disse: “Non abbiate paura, teniamoci tutte per mano, e vi porterò tutte fuori…”

E così, mano nella mano, risalirono in superficie.

A causa di quel bagno fuori programma erano diventate tutte molli, ed anche per questo non smisero mai più di tenersi per mano.

Quando tornarono a casa, sempre per mano, era già mattino, e le sorelle grandi erano in giardino a bagnare i fiori: non si erano ancora accorte della loro sparizione.

Al vederle arrivare, così tutte molli e per mano, invece di arrabbiarsi cominciarono a ridere come delle matte, e non riuscivano proprio a fermarsi!

Allora la piccola a, infuriata e offesa, strappo’ la canna e innaffiò per bene tutte le sorelle maiuscole.

Poverine, adesso anche loro erano diventate molli, anche più molli delle minuscole: quasi distrutte.

La piccola a si pentì molto… Per consolare le sorelle maggiori, le minuscole le asciugarono, le coccolarono, le pettinarono ben bene una ad una, misero loro i bigodini, fecero riccioli e boccoli ad ognuna…

(adattamento da un racconto in uso nelle scuole steineriane)

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EPIFANIA E LA BEFANA dettati ortografici

Epifania e la befana – dettati ortografici sull’Epifania, la Befana e i Re Magi, di autori vari, per la scuola primaria.

L’Epifania

L’Epifania è il giorno dell “manifestazione”, poichè la stella apparve ai Magi il 6 gennaio e indicò loro la strada per raggiungere la capanna. Fu stabilita come festa nell’813, perchè a quel tempo il Natale si festeggiava per dodici giorni di seguito, e il dodicesimo era l’anniversario dell’apparizione che guidò i tre re Magi.

Nel Medioevo questo evento si rappresentava alle corti di Spagna e di Inghilterra dai sovrani stessi. In Francia si sceglieva tra i preti un re spartendo  una grande focaccia con dentro una fava: chi riceveva la fetta con la fava veniva proclamato re: “Re della Fava”. Altrove si rappresentano drammi di circostanza, come “la festa della stella”.

In Italia, da Epifania è venuta la parola Befana, che indicava un fantoccio di stracci che le donne e i ragazzi usavano mettere per scherzo alle finestre. E ancora oggi la Befana viene giù la notte della vigilia per la cappa del camino. I bambini appendono scarpette, calze e cestini che la vecchia riempie di doni.

Che grida di gioia, quando, al mattino, la casa si sveglia e i bimbi vuotano le calze e i cesti! Ma i doni che la Befana ha portato nottetempo, e che ricordano quelli dei Re Magi, riservano a volte sgradite sorprese: carbone, cenere, agli e cipolle…

La notte dell’Epifania ha, nella fantasia popolare, tinte di leggenda. Si dice che, nelle stalle, gli animali parlano e predicono il destino degli uomini.

6 gennaio: Epifania

Con questo nome, che significa apparizione della divinità, la chiesa cattolica ricorda l’arrivo alla capanna di Gesù dei Rei Magi che, guidati da una stella luminosa apparsa nel cielo, si erano messi in cammino dai lontani paesi d’Oriente. Avevano nomi strani: Melchiorre, Gaspare, Baldassarre, e portarono in dono al bambino oro, incenso e mirra.

L’oro è il metallo più prezioso. L’incenso ha il profumo soave della virtù. La mirra, che è una sostanza data da un arbusto del deserto, ha un sapore amaro ed è il segno dell’umanità.

La parola Befana, con cui si denomina spesso l’Epifania, ha un significato che di religioso non ha nulla: indica una specie di fata, vecchia e brutta, ma benefica, che, la notte del 6 gennaio, scendendo per la cappa del camino, porta i doni ai bambini che vi hanno appeso la calza.

L’Epifania in alcune regioni d’Italia

In Romagna una leggenda dice che nella notte dell’Epifania le mura diventino di ricotta; nelle Marche, nell’Abruzzo e in altre regioni si dice che gli animali acquistino la favella, ma chi osasse ascoltare e riferire morirebbe il giorno stesso.

A Palermo è nota la leggenda che i Re Magi attraversarono l’isola e fecero fiorire per incanto gli aranceti brulli per una nevicata.

In Calabria le ragazze, prima di addormentarsi la vigilia, cantano una canzoncina augurale; se sogneranno una chiesa parata a festa o un giardino fiorito, sarà per loro un anno fortunato.

In Toscana i contadini infilano il capo sotto la cappa del camino; se riescono a scorgere le stelle, stappano il vino buono perchè è segno d’annata buona; altri pronostici traggono da altri segni.

L’Epifania segna anche l’inizio del Carnevale: in Sicilia corre il proverbio “Per i tre re, tutti olè”. Ma soprattutto a Roma, in piazza Navona, la Befana presenta le più caratteristiche espressioni del folklore, anche di carattere carnevalesco.

In Austria

Nel periodo tra il primo dell’anno e l’Epifania, in molte regioni sembra di rivivere un’ingenua e delicata favola. Nelle strade, verso sera, brilla una luce lontana che, avvicinandosi, prende la forma di una stella. La portano tre uomini vestiti di bianco, che raffigurano i Re Magi; colui che impersona il re dei Mori ha il viso annerito di fuliggine. I “cantori della stella”, rischiarati dal suo calore, vanno nella notte.  Vanno di casa in casa e cantano le loro semplici canzoni popolari; poi, rifocillati e ristorati di cibo e bevande, riprendono il loro girovagare. Entrano nei cascinali, visitano cortili e stalle, mentre i contadini, col gesso, scrivono sulle porte le iniziali dei Re Magi: G M B, e invocano la benedizione divina per l’anno appena iniziato.

In Inghilterra

In Inghilterra la festa del Capodanno è simile a quella che si svolge in tutta Europa; più originale è la festa dell’Epifania. Tra le cerimonie più suggestive ricordiamo la funzione religiosa che si svolge a Londra nella cappella reale di San Giacomo: in memoria dei doni dei Re Magi, il Lord Ciambellano, in rappresentanza della Regina, presenta tre borse di denaro all’offertorio. Le borse sono per i poveri della parrocchia.

I tre Magi

Alcuni giorni dopo, tre Magi giungevano dalla Caldea. Una nuova stella, simile alla cometa che riappare ogni tanto nel cielo per annuciare la nascita di un profeta o la morte di un Cesare, li aveva guidati fino alla Giudea. Erano venuti per adorare un Re e trovano un poppante mal fasciato, nascosto dentro una stalla. I Magi non erano re, ma erano, in Media e in Persia, padroni dei re. I re comandavano i popoli, ma i Magi guidavano i re. Sacrificatori, interpreti di sogni, profeti e ministri, potevano comunicare con la divinità: conoscevano il futuro e il destino, possedevano i segreti della terra e quelli del cielo. In mezzo  a un popolo che viveva per la materia, rappresentavano la parte dello spirito. Inginocchiati, dentro ai sontuosi mantelli reali ed ecclesiastici, sulla paglia dello strame, essi, i potenti, i dotti, gli indovini, offrono anche se stessi come pegno dell’obbedienza del mondo. (C. Papini)

Re Magi

Sono i Re più dolci che siano mai esistiti. Li trovi davanti a un bambino, inginocchio e adoranti. Tre: un maestoso raduno da lasciar sgomenti. Ma re in ginocchio non fanno paura. L’abito del pellegrino ha forse sostituito il mantello di porpora? E il bordone ha sostituito lo scettro? No. Sono giunti a Betlemme con scettro e lumeggiamento di vesti, han portato le loro corone stellanti: non appena per provare a chiunque la loro identità, ma per umiliare ogni loro grandezza ai piedi del bambino. Dopo l’omaggio della semplicità, pastori e pecore, sta bene questo omaggio della regalità, cammelli e popoli. (C. Angelini)

I Re Magi

Chi erano i Re Magi? Re o principi di piccoli e lontani Stati nel cuore dell’Asia misteriosa, o filosofi che sapevano di scienza e di astronomia, o sacerdoti di un mistico culto del sole e degli astri? E venivano  dall’Arabia deserta, o dalla Mesopotamia, o dalla Persia, paesi tutti che anticamente venivano genericamente indicati tutti col nome di Oriente?

Portavano alla capanna le loro offerte, secondo la consuetudine dei Persiani, dei Caldei e si tutti i popoli orientali in genere, la quale non voleva che si comparisse davanti ai re se non con qualche dono. E le loro offerte si prestavano facilmente al simbolo: oro per sollevare dalla povertà, incenso contro l’odore della stalla, mirra per consolidare le tenere membra del bambino; mistici rimedi alla miseria, al peccato, alla debolezza.

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Racconto La Befana torna indietro

Racconto La Befana torna indietro – Ai tempi antichi la Befana fabbricava da sè i giocattoli, che erano fatti di legno e di maglia. Ma i bambini nuovi vedevano solamente il legno e torcevano la bocca. Perciò la Befana comprava i giocattoli di lusso nelle grandi fabbriche e i suoi rimanevano sempre in fondo al sacco, perchè non piacevano a nessuno…

La Befana, stanca stanca, tornava verso la sua casa, che è lontana, tanto lontana che, fra andare e tornare, ci vuole un anno.

Ai tempi antichi la Befana fabbricava da sè i giocattoli, che erano fatti di legno e di maglia. Ma i bambini nuovi vedevano solamente il legno e torcevano la bocca. Perciò la Befana comprava i giocattoli di lusso nelle grandi fabbriche e i suoi rimanevano sempre in fondo al sacco, perchè non piacevano a nessuno.

La Befana camminava in silenzio nel lume di luna. Ad un tratto inciampò e si fermò. Che cos’era? Un filo di pianto teso fin lassù.

“Un bambino che piange? A quest’ora?” borbottò. E riprese a camminare.

Quel filo però la tirava e non si spezzava. Allora la Befana tornò indietro. Arrivò ad un comignolo alto: due voci si distinguevano legate a quel filo di pianto. Una diceva: “Nemmeno oggi me l’hai portato il giocattolo!”. E quell’altra rispondeva: “Come potevo fare, amore mio, se non m’avanzava nemmeno un soldo!”.

La Befana, appoggiata al camino, aveva già aperto il sacco e frugava nel fondo. Tirò su due manciate di quei giocattoli che faceva lei e che ora nessuno voleva più, poi avvicinò la bocca del sacco a quella del camino e adagio adagio vuotò ogni cosa.

Allora il filo di pianto si spezzò e la sua voce si tramutò in una risatina lunga lunga che, arrivata fuori del camino, si sparpagliò nel cielo come una fioritura di stelle piccine.

La Befana, stanca stanca, riprese a camminare, ma quelle stelline sbocciate dalle risa del bambino la inseguivano come lucciole. Finchè ne prese una manciata  e le mise nel sacco.

“Farò gli occhi alle bamboline per quest’altro anno!”.

Ed era contenta.

(G. Fanciulli)

Racconto Scaramacai e la Befana

Racconto Scaramacai e la Befana  –  avevo attaccato la mia calza sotto la finestra perchè il camino nella mia capanna non c’è e tutta la notte ero stato sveglio, sperando che arrivasse la Befana. Invece, niente. Quando mi accorsi che fra poco sarebbe spuntato il giorno, pensai di farmi la Befana da solo. In un cassetto avevo quattro palline di vetro che mi erano state regalate da un bambino al quale avevo raccontato una barzelletta…

Avevo attaccato la mia calza sotto la finestra perchè il camino nella mia capanna non c’è e tutta la notte ero stato sveglio, sperando che arrivasse la Befana. Invece, niente. Quando mi accorsi che fra poco sarebbe spuntato il giorno, pensai di farmi la Befana da solo. In un cassetto avevo quattro palline di vetro che mi erano state regalate da un bambino al quale avevo raccontato una barzelletta.

Erano quattro palline con centro dei fili colorati, molto preziose. Le presi e le infilai nella calza, senza ricordarmi che nella calza c’era un buco, e così tin tin tin, le quattro palline caddero sul pavimento. Mi ero appena messo carponi per cercarle, quando la porta si aprì e, oh meraviglia delle più meravigliose meraviglie, entrò la Befana.

La riconobbi subito per il sacco che portava sulle spalle stanche, per il gran naso che le si incurvava sulla bocca, per la neve che aveva sui capelli e per gli occhi, due occhi strani e dolci che invece di sembrare da vecchia erano da bimba: ecco, due occhi di bimba in mezzo a mille rughe di vecchia.

Io ero rimasto lì, come un tonto, senza riuscire a parlare, ma lei non ci fece caso e disse: “Scaramacai, per favore aiutami…”

“In che cosa posso servirla, signora Befana?”, chiesi educatamente senza far vedere che avevo il cuore che correva come un cavallo matto perchè pensavo che lei avesse bisogno del mio aiuto per levare dal sacco un regalo grossissimo e tutto per me.

Invece la Befana disse: “Manca poco, ormai, all’alba e devo ancora fare due consegne, aiutami, sennò, da sola non ce la faccio…”

“Ma io non ho la bicicletta!” osservai senza far vedere che ero molto deluso.

“Macchè bicicletta!”, si spazientì la Befana,  “Fuori ho la scopa, avanti, sali!”

“Per far che?”, chiesi.

“Ma per volare sulle case! Su, muoviti!”

Sentii una gran tremarella scuotermi le gambe, ma come si fa a dire no alla Befana? Così, salii a cavalcioni sulla scopa, dietro di lei, chiusi gli occhi, la abbracciai forte forte, e via!

Mi sentii sollevare da terra, come una foglia secca portata dal vento, e quando riaprii gli occhi, li richiusi subito perchè vidi sotto di me la città che girava come una giostra.

Ma la Befana mi riscosse (forse aveva sentito che io mi ero stretto più forte a lei) e mi chiese: “Riesci a vedere su che strada siamo?”

Dovetti per forza riaprire gli occhi e mi accorsi che ora volavamo basso, rasente ai comignoli. Lessi chiaramente la targa della via: via della Gallina Rossa e lo dissi alla Befana.

“Bene” commentò lei, “quando passiamo sul comignolo del numero 7, sgancia il sacchetto di carbone, che c’è nel sacco…”

“Per chi è, se è lecito?” , chiesi.

“E’ per Luigino, un bimbo capriccioso”, rispose la Befana.

“Non  si potrebbe perdonargli?”

“Fa come ti dico! Conosco il mio mestiere!”

Mogio mogio, allungai la mano per prendere il carbone dal sacco, ma invece, forse per sbaglio, forse no, trovai un trenino… Lo lasciai cadere in fretta e lo vidi infilare prodigiosamente il comignolo, come guidato da un filo.

Un attimo dopo, una finestra si illuminò, si aprì, un bimbo, proprio Luigino in camicia da notte, si affacciò e lo sentimmo gridare: “Grazie Befanina!”

“Che strano…” commentò la Befana, mentre faceva compiere alla scopa una larga virata, “mi ringrazia del carbone…”

Io stavo per confessare la verità, ma lei non me ne lasciò il tempo, dicendo: “Controlla se siamo su corso Pomponio. Queste nuove targhe stradali io,  quando viene l’alba, non riesco più a leggerle…”

“Sì, ci siamo” , risposi.

“Allora, sul numero 21 sgancia un trenino elettrico…”

“E’ per un bimbo buono?”

“No, è per un vecchietto buono”

“Un trenino a un vecchietto?”

“Fa come ti dico, impertinente!”

Allungai la mano per prendere il trenino dal sacco ma, invece, forse per sbaglio, forse no, trovai il sacchetto di carbone… Con un lieve sibilo il sacchetto cadde e si infilò nel comignolo del vecchietto.

Un attimo dopo, una finestra si illuminò, si aprì, un vecchietto con la papalina in testa si affacciò, e lo sentimmo gridare: “Grazie, Befana! Avevo tanto freddo!”

“Che c’entra il freddo col treno?” borbottò la Befana, “Ma, deve essere un po’ matto…”

Non potevo più tacere: “Ecco, veramente…” mormorai, “mi sono sbagliato”

“Cos’hai fatto?” chiese la Befana con un tono di voce che non vi auguro mai di sentire.

Risposi in fretta: “Senza volere apposta, ho dato il trenino a Luigino, che sono sicuro che diventa buono, e il carbone al vecchietto che tanto lui non sa cosa farsene, invece del carbone sì, perchè i vecchi hanno sempre freddo…”

Mi aspettavo che la Befana si mettesse a urlare con la voce della tempesta, invece non disse niente.

“Peggio” pensai, “è tanto arrabbiata che adesso mi butta di sotto… addio Scaramacai…”

Invece dopo un po’ disse (ma con una voce dolce, un po’ roca): “In fondo, Scaramacai, sei un bravo pagliaccio… E io sto diventando vecchia…”

Il cielo era ormai color del latte annacquato. Si volava rapidi e in silenzio: sentivo il vento frusciare vicino alle orecchie…

“Ecco, sei arrivato” disse a un tratto la Befana e dolcemente mi atterrò davanti alla mia capanna, “Ciao, Scaramacai, scendi adesso”.

“Aspetti, signora Befana” dissi scendendo dalla scopa.

Macchè, quella era già ripartita e ormai era diventata piccola piccola e nera nera sullo sfondo del cielo biancastro.

Spinsi l’uscio della capanna. Ero un po’ triste. Che cosa ci avevo guadagnato dall’avere aiutato la Befana? Un certo indolenzimento alle gambe (é scomodo cavalcare una scopa) e forse un bel raffreddore. Entrai a capo chino e le mie orecchie furono colpite da un rumore quasi di cascata, ma non di acqua tenera, di roba dura…

Alzai il capo e guardai. Oh, che prodigio di dolcezza! Dal buco della mia calza appesa, usciva uno  zampillo colorato di caramelle, cioccolatini, torroncini, fichi secchi, castagne, confetti… Il pavimento ne era già tutto pieno, e il meraviglioso zampillo continuava, continuava, continuava…

(da “Il Corriere dei Piccoli”)

Giochi di parole: Le frasi matte

Giochi di parole: Le frasi matte. Di seguito trovate il gioco; se vi piace potete scaricarlo e stamparlo cliccando sul link in fondo alla pagina.

Provate a leggere le seguenti frasi, direte: “Ma non hanno senso, sono matte!”. Invece no. Leggetele e rileggetele attentamente: in ognuna troverete un proverbio più o meno famoso.

1. Non basta tirare le ruote se si vuole arrivare al carretto bisogna ungere anche il mercato.

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2. Quando tutti sono capaci il ciliegio è carico di lodare di fiori.

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3. Il ragazzo mangia lavora quando di quindici anni è un bambino e quando un uomo.

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4. Chi non va prende contro selvaggina a caccia voglia.

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5. Non viaggiare con un asino sciocco. Se il bambino cade il suo asino piange. Se cade il bambino il tuo bambino ride.

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6. Nel termine prudente e tenace sii nel cominciare a portare.

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7. E’ meglio mangiare un nemico arrosto con un amico che con pane secco.

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8. Il buon giudice giudica ma capisce in fretta adagio.

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9. A comprare il cane mandare non salsicce.

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10. Il cammello sciacallo aggredisce lo quando lo è morto.

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11. Difettosa nave tutti alla sono i venti contrari.

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12. Molto poso, chi mantiene promette.

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13. Tutti ma pochi pensano parlano.

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14. Lascian cani l’uscio e sempre aperto villani.

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15. Invano vecchio non abbaia cane.

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16. Un cesto ne guasta marcia una mela.

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17. Chi non vorrebbe quando fa, non quando può fare può.

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18. Il fuoco non acqua spegne lontana.

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19. Dice “non so” colui che è ignorante non mai il peggiore.

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20. Lo secco abbandonano quando il fiore è gli insetti.

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21. Parlare la migliore maniera di a uno sciocco è di lasciarlo rispondere.

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22. Tre giorni una settimana pane fame a di dì.

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23. Verità e bugia, la la punge unge.

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24. Gli occhi, la bocca il ragazzo apre goloso prima, poi.

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25. Non invidioso mangia cane mangiare lascia e non.

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26. Sincero falso nemico amico un meglio che un.

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27. Manca manca molto tutto, all’avaro al povero.

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28. Sono in padella i pesci quelli che finiscono più ingordi.

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29. E nessuno nessuno niente tutto sa fare sa fare.

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30. Un vicino del fagiano pare la gallina.

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Soluzioni
1. Non basta ungere le ruote, bisogna anche tirare il carretto se si vuole arrivare al mercato.
2. Tutti sono capaci di lodare il ciliegio quando è carico di fiori.
3. Il ragazzo di quindici anni è un uomo quando mangia e un bambino quando lavora.
4. Chi va a caccia contro voglia non prende selvaggina.
5. Non viaggiare con un bambino sciocco. Se il suo asino cade il bambino piange. Se cade il tuo asino il bambino ride.
6. Sii prudente nel cominciare e tenace nel portare a termine.
7. E’ meglio mangiare pane secco con un amico che arrosto con un nemico.
8. Il buon giudice capisce in fretta ma giudica adagio.
9. Non mandare il cane a comperare le salsicce.
10. Quando il cammello è morto, lo sciacallo lo aggredisce.
11. Alla nave difettosa tutti i venti sono contrari.
12. Chi molto promette, poco mantiene.
13. Tutti parlano, ma pochi pensano.
14. Cani e villani lascian sempre l’uscio aperto.
15. Cane vecchio non abbaia invano.
16. Una mela marcia ne guasta un cesto.
17. Chi non fa quando può, non può fare quando vorrebbe.
18. Acqua lontana non spegne il fuoco.
19. Il peggiore ignorante è colui che non dice mai “non so”.
20. Quando il fiore è secco gli insetti lo abbandonano.
21. La migliore maniera di rispondere a uno sciocco è di lasciarlo parlare.
22. A pane di tre giorni, fame di una settimana.
23. La verità punge e la bugia unge.
24. Il ragazzo goloso prima apre la bocca e poi gli occhi.
25. Cane invidioso non mangia e non lascia mangiare.
26. Meglio un nemico sincero che un falso amico.
27. Al povero manca molto, all’avaro manca tutto.
28. I pesci più ingordi sono quelli che finiscono in padella.
29. Nessuno sa fare niente e nessuno sa fare tutto.
30. La gallina del vicino pare un fagiano.

(adattamento da “Piccolo quiz”, Ermanno Libenzi, Mursia 1962)

Puoi scaricare l’esercizio qui:

Giochi di parole: Le frasi matte

CANTI DI NATALE – Canto dei tre re magi

CANTI DI NATALE Canto dei tre re magi – con testo, spartito stampabile, e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.

CANTI DI NATALE – Canto dei tre re magi
Testo

Tre magi vengono dal sol levante
le stelle splendono là sull’infante
lungi è la meta, ma il bel chiaror
della cometa va innanzi a lor.
Incenso e mirra portan con sè
oro pel bimbo ch’ è il re dei re.
A Bethlem trovano Gesù bambin
commossi adorano il piccolin.

CANTI DI NATALE – Canto dei tre re magi
spartito E FILE MP3

CANTI DI NATALE – I Re Magi

CANTI DI NATALE – I Re Magi con testo, spartito stampabile, e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.

Testo

Nel deserto senza luna vanno i tre Re Magi
han passato un’altra duna ma non trovano Gesù
Ma d’un tratto in ciel si accende una splendida stella
la cometa che Betlemme guida i Magi a Gesù
Messaggera del Signore che tu sia benedetta
se per te il Redentore noi potremo adorar.

Spartito e traccia mp3

Giochi di parole: dov’è l’errore?

Giochi di parole: dov’è l’errore? Ti piace giocare a fare il maestro? Leggi le frasi qui di seguito: ognuna contiene, in qualsiasi forma, un errore. Trovalo, sottolinealo e scrivi di che errore si tratta, poi controlla le risposte in fondo alla pagina.

1. Da un racconto di caccia: “Era l’epoca delle migrazioni degli uccelli: nei cieli dell’Africa passavano, volando alti, stormi di cicogne e di passeri”.
Dov’è l’errore?
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2. Da un giornale sportivo: “La partita di pallacanestro era cominciata appena da dieci minuti, quando il portiere Zambelli fu ferito in uno scontro e portato fuori dal campo”.
Dov’è l’errore?
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3. Da una storia di viaggi: “Sorvegliato dalla madre, il piccolo canguro saltellava allegramente sulle sabbie del Sahara.
Dov’è l’errore?
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4. Da un compito in classe: “L’estate mi piace molto, però, quando il calore non è molto forte. Se non avrebbe fatto così caldo, mi sarei divertito di più”.
Dov’è l’errore?
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5. “Papà” domanda Giovanni, “Come si chiamava quel tale che combatteva contro i mulini a vento?” “Tarantino di Tarascona” risponde il babbo, distratto. “Ma no,” dice Pierino “si chiamava Sancio Pancia”.
Dov’è l’errore?
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6. “Dimmi i monumenti più caratteristici di alcune città” dice il maestro a Francesco. E Francesco risponde: “Il Duomo di Milano, il Vesuvio di Napoli, la torre pendente di Pisa, San Marco a Venezia”
Dov’è l’errore?
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7. Fra bambini. “Domenica scorsa sono andato a fare una gita in campagna. Avessi visto che bello! In un laghetto c’erano le rane che pigolavano, sugli alberi gli uccellini saltellavano. Mi sarebbe piaciuto restare ancora una settimana”.
Dov’è l’errore?
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8. Fra bambini: “Se tu avresti venti euro tutti tuoi” domanda Carlo a Giorgio “che cosa ne faresti?”. “Ne metterei un quarto nel salvadanaio” risponde Giorgio, “comprerei cinque euro di caramelle e con i rimanenti dieci me ne andrei al cinema”.
Dov’è l’errore?
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9. Da un racconto di viaggi: “Dopo due giorni di vagabondaggio nel Sahara, l’esploratore raggiunse finalmente un’oasi. Si dissetò al laghetto e subito si stese a riposare all’ombra di un platano”.
Dov’è l’errore?
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10. Dialogo tra bambini. Luca dice: “Io ho uno zio che è più giovane di me”. “Questo è niente” dice Giovanni, “io ho un fratello che è più vecchio dei miei genitori.”
Dov’è l’errore?
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11. Da un racconto storico: “L’imperatore Carlo Magno accolse freddamente l’inviato dei Sassoni. Quando lo vide, alzò appena gli occhi dal giornale che stava leggendo”.
Dov’è l’errore?
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12. Dialogo tra bambini. “Non vado mai al circo perchè non mi piace”, dice Lisa. “Non ci credo”, risponde Carlo, “non ci vai perchè la tua mamma non vuole”. “E invece no.” ribatte Lisa, “Se mi piacerebbe ci andrei. Anzi, la mamma voleva portarmici, ma ho rifiutato”.
Dov’è l’errore?
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13. Fra bambini. “Io leggo volentieri le poesie di Gianni Rodari”, dice Giovanni. “Io invece preferisco quelle di Alessandro Volta”, ribatte Michele.
Dov’è l’errore?
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14. Da un racconto di avventura. “Era una notte buia e senza luna. Il cacciatore strisciava sull’erba della prateria. Ad un tratto gli parve che qualcuno lo seguisse. Si voltò: era soltanto la sua ombra”.
Dov’è l’errore?
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15. Da un compito in classe. “Fra l’Italia e la Francia il confine è segnato dalle Alpi. Anche tra l’Italia e la Germania il confine è segnato dalle Alpi.”
Dov’è l’errore?
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16. Piero racconta: “Al giardino zoologico ho visto una pantera nera, un orso bruno, un giaguaro grigio e un cigno bianco.
Dov’è l’errore?
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17. Da un compito di storia. “La nave ammiraglia della flotta cartaginese ad un certo punto non potè più manovrare perchè l’elica si era spezzata.
Dov’è l’errore?
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Soluzioni:
1. I passeri non sono uccelli migratori.
2. Nel gioco della pallacanestro non c’è il portiere.
3. Nel Sahara non ci sono canguri; sono in Australia.
4. Non si dice “se non avrebbe”, ma “se non avesse”.
5. L’uomo che lottava contro i mulini a vento si chiamava Don Chisciotte.
6. Il Vesuvio non è un monumento.
7. Le rane non pigolano, gracidano.
8. Non si dice “se tu avresti”, ma “se tu avessi”.
9. Nelle oasi del deserto non crescono platani.
10. Luca può avere uno zio più giovane di lui, ma è impossibile che il fratello di Giovanni sia più vecchio dei suoi genitori.
11. All’epoca di Carlo Magno non c’erano i giornali.
12. Non si dice “se mi piacerebbe”, ma “se mi piacesse”.
13. Alessandro Volta non è un poeta, ma uno scienziato.
14. In una notte buia senza luna, i corpi non fanno ombra.
15. L’Italia e la Germania non confinano tra loro.
16. Non esistono i giaguari grigi.
17. Le navi cartaginesi non avevano eliche.

(adattamento da “Piccolo quiz”, Ermanno Libenzi, Mursia 1962)

Giochi di parole: Sulla punta della lingua

Giochi di parole: Sulla punta della lingua. Di seguito trovate il gioco; se vi piace potete scaricarlo e stamparlo cliccando sul link in fondo alla pagina.

Quando non ci ricordiamo una parola diciamo: “Ce l’ho sulla punta della lingua!” Qui trovate una serie di definizioni, per ognuna provate a trovare la parola adatta. Per aiutare un po’, diamo l’iniziale della parola da trovare.

1. Come si chiama la chioma del leone? C…………………

2. Come si chiama l’involucro della noce? G…………………

3. Come si chiamano i chicchi dell’uva? A………………..

4. Come si chiama l’oggetto che serve a disegnare i cerchi? C………………………

5. Il materiale più usato dai calzolai si chiama C……………………

6. Come si chiamano quegli oggetti sui quali girano porte e finestre? C………………

7. Il piccolo congegno per spegnere e accendere la luce elettrica si chiama I…………………..

8. Come si chiama il buchino che c’è all’estremità dell’ago? C………………..

9. Come si chiama quella specie di porta di lamiera ondulata che chiude i negozi? S…………………

10. Come si chiama un insieme di musicisti? O………………….

11. Come si chiamano le famose barche di Venezia? G……………..

12. Come si chiama la bicicletta a due posti? T…………………….

13. Come si chiamano i lacci delle scarpe? S……………….

14. Come si chiama il luogo dove si possono vedere le corse di cavalli? I………………………

15. L’uomo che cammina sul filo si chiama E………………….

1. criniera, 2. guscio, 3. acini, 4.compasso, 5. cuoio, 6. cardini, 7. interruttore, 8. cruna, 9. saracinesca, 10.orchestra, 11. gondole, 12. tandem, 13. stringhe, 14. ippodromo, 15. equilibrista

(adattamento da “Piccolo quiz”, Ermanno Libenzi, Mursia 1962)

Puoi scaricare l’esercizio qui:

Giochi con le parole: E’ arrivato un bastimento carico carico di…

Giochi con le parole: E’ arrivato un bastimento carico carico di… Per giocare bisogna leggere attentamente ogni frase: in ognuna viene descritta una certa cosa, una cosa qualsiasi che può essere la luna, o un fiammifero, o una bambola… e può essere anche una cosa viva. Però questa cosa non viene mai nominata. Dovrete indovinare voi di cosa si tratta.

1. Ha un bel nome. E’ alto e robusto. Si trova in campagna e raramente in qualche giardino di città. Non si mangiano nè le radici nè le foglie, nè i frutti, ma soltanto i semi. I suoi petali sono simili a quelli di un’enorme margherita. Il fusto sta fermo, piantato in terra, le foglie stanno ferme, ma la sua testa si muove e il suo nome deriva appunto da questo movimento.
Che cos’è?

2. Può essere grossa come la tua testa e anche di più. A molti animali non piace. In primavera non c’è. D’inverno nemmmeno. Non si cuoce. La buccia si getta via. E’ prodotto da una pianta, però cresce al suolo, perchè il fusto non potrebbe reggerne il peso. E’ verde, bianco e rosso, e i suoi semi sono quasi sempre neri. Quando la mangi, si dice che “mangi, bevi e ti lavi la faccia”.
Che cos’è?

3. Ce ne sono in ogni casa, in ogni strada. Ce ne sono di forti e di deboli, di grosse e di piccole. Possono essere di ogni colore. Non si mangiano. Ce le hanno le automobili, gli autobus e le biciclette. Anche i treni. Se cadono a terra si rompono, tante volte si guastano da sole. Si usano soprattutto di sera e di notte.
Che cosa sono?

4. Vanno a due a due, ma sono una cosa sola. Non si mangiano, di solito li portano le persone anziane. Qualche volta li portano anche i bambini. D’estate ne fanno uso quasi tutti, giovani e vecchi, uomini e donne. Sono piuttosto fragili, possono essere colorati. Quando non si usano si mettono in tasca. Quando si usano non si tengono in mano.
Che cosa sono?

5. E’ molto grossa e di solito è tonda, ma può essere anche piccola oppure di forma allungata come un serpente o anche simile a un grosso uovo. Si mangia, ma cotta. Cruda mai. Anche i suoi semi bianchi si mangiano. Cresce al suolo perchè è troppo pesante. Con la sua polpa si possono fare piatti squisiti e ottime minestre. Si mangia anche cotta al forno. Talvolta, se si vuole offendere qualcuno, si dice che la sua non è una testa, ma una…
Che cos’è?

6. Ce ne sono in ogni casa. Non si mangiano. Possono essere grandi o piccoli, quadrati, rotondi, ovali o di altra forma. Sono lisci, lucidi e fragili. Alcuni tipi più piccoli si portano in tasca o nella borsetta. Il papà ne fa uso per farsi la barba, la mamma per truccarsi. Raddoppiano quello che vedono.
Che cosa sono?

7. Hanno le gambe ma non camminano. Hanno la schiena ma non hanno la testa. Qualche volta zoppican. Non si mangiano. Possono essere di legno o di metallo. Possono essere povere o di lusso. Piacciono ai gatti e ai cani, ma gli altri animali non sanno che cosa farsene. Ce ne sono in ogni casa. Quando è ora di pranzo stanno intorno alla tavola, ma non mangiano.
Che cosa sono?

8. E’ un liquido utilissimo, di cui tutti fanno uso, ma che si beve soltanto di rado. Dove tocca lascia la macchia. Si ricava dai frutti di una pianta che cresce nei climi caldi. In certe regioni d’Italia se ne produce moltissimo. In altre niente. E’ quasi sempre dello stesso colore, salvo quando fa molto freddo. Allora questo liquido gela e cambia colore. Quando fa molto caldo, invece, può diventare rancido.
Che cos’è?

9. Tutti lo usano. Serve qualche volta anche per gli animali. Ha i denti ma non morde. Può essere di diversi materiali, anche di metallo. Ve ne sono anche di legno. Non è fragile, ma spesso si rompe. Spesso i bambini non lo vogliono usare. E’ nemico dei nodi.
Che cos’è?

10. Sono grandi come biglie. Sono rosse oppure rosa. Si mangiano. I gatti non ne vogliono. I bambini ne fanno perfino indigestione. Crescono su un albero. Molti bambini per gioco se le appendono alle orecchie.
Che cosa sono?

11. Ha quattro gambe, ma non è un tavolino. Ha le orecchie lunghe, ma non è un asino. Ha paura di tutti, ma non è un coniglio. Corre veloce, ma non è un ciclista. Mangia l’erba, ma non è una mucca. Vive nelle tane, ma non è un orso. I cacciatori la cercano spesso. I cuochi la cucinano in salmì, ma lei non vorrebbe…
Che cos’è?

12. Di solito sono lunghe e strette. Qualche volta però sono anche corte corte. Hanno l’anima nera, ma possono averla anche rosso o blu o di altro colore. Le adoperano tutti, anche tu. Qualcuno, quando è distratto, le mette in bocca, ma non dovrebbe farlo perchè non sono cose che si mangiano. Gli animali non sanno che farsene. Si usano dappertutto, anche a scuola. Le vende il cartolaio.
Che cosa sono?

13. Possono essere grandi o piccole, belle o brutte. Hanno gambe, ma non camminano. Hanno mani, ma non afferrano. Hanno occhi, ma non vedono. Hanno capelli, ma non sanno pettinarsi.
Che cosa sono?

14. Ce ne sono di tutte le misure, e un po’ di tutti i colori. Ognuno ne possiede. Non si mangiano. Agli animali non servono. Camminano a due a due, ma soltanto se qualcuno le accompagna. Si trovano sempre in basso. Non devono essere nè larghe nè strette, nè lunghe nè corte.
Che cosa sono?

15. Volano, ma non sono aeroplani. Hanno le ali, ma non sono uccelli. Pungono, ma non sono spilli. Hanno la regina, ma non il re. Fanno colazione in un fiore. Sono molto utili, ma non conviene stuzzicarle.
Che cosa sono?

16. Sono tanti fratelli che hanno la testa, ma non sanno pensare. Stanno tutti insieme in una scatolina ed escono ad uno ad uno. Non si mangiano. I bambini non dovebbero toccarli. La mamma li usa in cucina, però si possono usare anche fuori, anche per la via; a scuola di solito no. Sono piuttosto piccoli, possono esser di legno o di altra sostanza. Si irritano facilmente, e allora guai.
Che cosa sono?

17. Sono rotonde e paffute. Sono rosse oppure verdi, o anche gialle. I gatti non le vogliono, i bambini sì. Si mangiano crude o cotte. Si conservano a lungo e si mettono anche in scatola. In Italia ce ne sono molte e diverse qualità. Una cadde in testa a Newton.
Che cosa sono?

18. Ha una grande bocca, ma non ha occhi. Divora pane, torte, dolci e altri cibi, ma poi li restituisce e in buono stato. Quando è freddo non serve a niente.
Che cos’è?

19. Possono essere gialli, rossi, turchini, bianchi o di un altro colore. Possono essere profumati, o anche no. Qualcuno si può addirittura mangiare. Si possono mettere dappertutto. Bevono, ma non mangiano. Piacciono a tutti.
Che cosa sono?

20. Sono due, ma sono una cosa sola. Non sono mai di legno. Non di mangiano. Tutti le usano. Hanno due anelli, ma non hanno le dita. Ce ne sono di dritte e di curve, di grandi e di piccole.
Che cosa sono?

21. Di solito sono bianche, ma possono essere anche di altro colore. Ce ne sono di vere e di finte. Uno solo è maschile, due o più sono femminili. Si mangiano e si bevono. Si rompono sempre, ma qualche volte rompendole sono guai. Se non sono fresche non sono buone.
Che cosa sono?

22. Ce n’è di tutti i colori. E’ infiammabile. E’ utilissima. Si usa in mille modi. Non si mangia. Si mette in tasca, sui muri, nella cartella, sul banco. Ce n’è di robusta e di sottile. Non è fragile, ma si rompe facilmente. Ce l’hai sotto gli occhi.
Che cos’è?

Giochi con le parole: E’ arrivato un bastimento carico carico di…
Soluzioni

1.  girasole
2.  anguria
3.  lampadine
4.  occhiali
5.  zucca
6.  specchio
7.  sedie
8.  olio
9.  pettine
10.ciliegia
11. lepre
12. penna biro
13. bambola
14. scarpe
15. api
16. fiammiferi
17. mele
18. forno
19. fiori
20. forbici
21. uova
22. carta

(adattamento da “Piccolo quiz”, Ermanno Libenzi, Mursia 1962)

Giochi con le parole: Il pescatore di perle

Giochi con le parole: Il pescatore di perle. Tu sei il pescatore, e le perle sono parole che, per un errore di stampa, acquistano un significato tutto diverso da quello che si intendeva esprimere, ad esempio “tonto” invece di “tondo”. Leggi attentamente, e in ogni frase sottilinea la perla, e scrivi la parola giusta sulla riga di puntini.

 1. Pierino ha un brutto vizio: scrivendo si balocca, guarda volar le mosche, mette la panna in bocca.

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 2. Diede un pugno a Carletto il barbaro Gasone, Carletto glielo rese: la legge del maglione.

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 3. E’ entusiasta di Verdi, il giovane Luigini, da quando ha visto un’opera: La forza del cestino.

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 4. “Un quattro in aritmetica!”, grida lo zio Tommaso. “Francesco, questa goccia fa traboccare il naso!”

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 5. Il discolo Carletto con un martello in mano, batteva a più non posso tutti i basti del piano.

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 6. Il capitan Burrasca esclama: “Qui fra breve bisogna gettar l’ancora e fermare la neve!”

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 7. “A me piace il formaggio”, dice la zia Carlotta, “Ma più di tutto adoro mangiare la ridotta.”

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 8. “Non voglio andare a scuola!” piagnucola Graziella. “Ho paura dei voti che avrò sulla padella”.

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 9. Il cacciatore Massimo dice: “Che cosa strana! Ho visto sette volpi uscire da una rana”

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10. Per non studiare musica, il discolo Pierino, tagliava con le forbici sorde del violino.

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11. Il giovane Albertino è buono ma distratto; ieri, nel camminare, pestò la coda a un matto.

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12. L’esploratore Ignazio esclama: “E’ molto bello attraversare l’Africa a dorso di carrello!”

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13. Nella burrasca grida il capitan Simone: “Presto, mollate l’ancora! S’è spezzato il limone!”

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14. “Oggi è assai bello il mare!”, dice la zia Carmela. “Vorrei fare una gita sopra una barba a vela”.

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15. Ha vinto in bicicletta il corridor Siviero. E della sua vittoria si sente tutto Piero.

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16. Il prode Sigisberto dice: “Non c’è rimedio, a quel vecchio mastello bisogna dar l’assedio!”

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17. Ha fatto indigestione, mangiando troppo lesso, l’ingordo Giovannino…Salterà i tasti adesso.

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18. “Ho caldo, sudo, scoppio”, dice Gigi al compagno, “Se vuoi venir con me, andiamo a farci un ragno”

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19. A letto senza cena va il povero Leone, che ha rotto la vetrata giocando col tallone.

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20. Il cacciatore Asdrubale esclama: “Che balordo! Ho tirato ad un merlo, e invece ho preso un sordo!”

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21. “Ho trovato due perle, vieni a vedere” dice Gigi alla mamma, “Guarda, saranno pere?”

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22. Per tutta la lezione, il professor Micragna, con un pezzo di lesso scrive sulla lavagna.

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23. L’ortolano Archimede strilla: “Per tutti i diavoli! Ho seminato rape, e invece spuntan tavoli!”

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24. Tutta contenta Gaia, poichè è giorno di festa, mette il vestito nuovo ed il carrello in testa.

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25. “Per il mio compleanno”, dice Giulietta a Piera, “Ho fatto una scorpacciata. Pensa: una porta intera!”

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26. Nei lavori di casa Margherita e Carletto aiutano la mamma: le fanno sempre il tetto.

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27. Per poco con un calcio, non vola in aria Arturo. “E’ imprudente, ragazzo, tirar la corda al muro!”

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28. Seduto su un muretto Camillo, bimbo saggio, faceva la merenda con rane e con formaggio.

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29. “Durante le vacanze” dice Carlo al professore, “Ho letto un grosso libro di un fumoso scrittore”.

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30. Correndo come un matto , giunse in casa Isidoro, e grida: “Guarda mamma, il gatto ha preso un toro!”

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31. Dice il babbo a Giorgetto: “Oggi non sono in vena. Non mangi la finestra? A letto senza cena!”

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32. Diceva al giornalaio, Pippo ragazzo lesto: “Le ho dato quattro euro, e adesso voglio il pesto!”

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33. Un otto in aritmetica s’è meritato Ernesto. Mormora ancora incredulo: “Ma sogno oppur son pesto?”

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34. Col suo vestito nuovo, allegro, anzi raggiante, affermava Cirillo: “Sono proprio elefante!”

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Giochi con le parole: Il pescatore di perle
Soluzioni

1. penna-panna
2. taglione-maglione
3. destino-cestino
4. vaso-naso
5. tasti-basti
6. nave-neve
7. ricotta-ridotta
8. pagella-padella
9. tana-rana
10. corde-sorde
11. gatto-matto
12. cammello-carrello
13. timone-limone
14. barca-barba
15. fiero-Piero
16. castello-mastello
17. pasti-tasti
18. bagno-ragno
19. pallone-tallone
20. tordo-sordo
21. vere-pere
22. gesso-lesso
23. cavoli-tavoli
24. cappello-carrello
25. torta-porta
26. letto-tetto
27. mulo-muro
28. pane-rane
29. famoso-fumoso
30. topo-toro
31. minestra-finestra
32. resto-pesto
33. desto-pesto
34. elegante-elefante.

(adattamento da “Piccolo quiz”, Ermanno Libenzi, Mursia 1962)

Puoi scaricare l’esercizio in formato pdf qui:

Giochi con le parole: Il pescatore di perle

Recite per bambini – I nani

Recite per bambini –  I nani. Una recita in rima che narra della fine dell’amicizia tra uomini e nani… Faustino,  il re dei nani, chiede in sposa la bella Matilde, e così ha inizio la storia…

Il re dei nani Faustino siede sul suo trono; attorno a lui stanno molti nani…

Faustino: Sul mio trono manca, a me vicina, gentile e generosa una regina

Primo nano: Fra picchi e vette andai a cercare, oh re, ma nessuna ne trovai degna di te.

Secondo nano: Nei pascoli e nei boschi io pur cercai, ma donna di te degna non trovai.

Terzo nano: Io scesi fino al piano; in un paese vicino al nostro, vidi un re cortese. Ed una principessa bella e buona, che sembra degna della tua corona. E’ Matilde, di mirabile bellezza, garbata e dolce, tutta gentilezza.

Faustino: Dal padre di Matilde dunque andate, e di Faustino ambasciatori siate. Dite che chiedo d’ottenerla in sposa e sempre mi sarà cara e preziosa.

I nani: Sarà come tu chiedi, o re Faustino

Faustino: Andate, e non sostate nel cammino.

Davanti al castello di Matilde…

Poldo: Omuncoli, chi siete? Che cosa pretendete?

Primo nano: Noi ti chiediamo di lasciarci entrare, perchè con il tuo re dobbiam parlare.

Poldo: Nemmeno per idea, via via, smammare. Da questa porta non vi lascio entrare.

Secondo nano: Di re Faustino siamo ambasciatori, fateci entrare, e coi dovuti onori.

Poldo: Ma senti questi nani, che villani! Ma guarda che sfacciati! Chi dunque vi ha chiamati?

Terzo nano: Messaggio portiamo, ma non certo a te. Fa’ il tuo dovere, e portaci dal re.

Poldo: Va bene, allora entrate, e col mio re parlate. Potessi comandare, vi farei bastonare e mettere alla porta, gente di razza corta!

Ildebrando: O Poldo, perchè tanto rancore? Sono esseri di senno e di valore, che non hanno meritato le tue offese. Devi imparare ad esser più cortese!

Nella stanza del trono…

Primo nano: Oh re potente, innanzi a te mi inchino, siamo inviati qui da re Faustino.

Re: Di lui m’han detto che è potente e saggio, or dite la ragion del vostro viaggio.

Secondo nano: Il re Faustino, nostro buona sovrano, della figliola tua chiede la mano.

Re: Son grato al vostro re per la proposta, che mi lusinga assai: ma la risposta da mia figlia soltanto può venire, che è libera di scegliere e di agire.

Terzo nano: Di re Faustino ambasciatori siamo, e la richiesta sua ti trasmettiamo; Matilde bionda, bella, generosa, del nostro re vuoi essere la sposa?

Matilde: Signori, la richiesta assai mi onora, e di respingerla invero m’addolora; ma son giovane molto, impreparata ad essere regina, e affezionata alla terra nativa, alla mia gente… Piangerei nel lasciarla, amaramente… Ma dite al re che grata assai gli sono, e del rifiuto mio chiedo perdono.

Re: La decisione di mia figlia accetto, ma dite al re che molto lo rispetto, per la saggezza sua e il suo valore.

Primo nano: Oh, sire, noi partiamo col dolore, di portare un rifiuto a re Faustino, ma cortese tu fosti, e a te mi inchino.

Secondo nano: Noi pure, sire, molto ti onoriamo, e alla bella Matilde ci inchiniamo.

Davanti al castello di Matilde… 

Poldo: Guardali i cavalieri, che andavan tanto fieri! Direi che l’ambasciata è stata sfortunata…

Terzo nano: Tu, che sei il guardiano del castello, dovresti comperare un chiavistello da metterti alle labbra ed imparare a fare il tuo mestier senza parlare!

Poldo: Omuncolo borioso, sfacciato, vanitoso! Non creder di salvarti, verrò presto a cercarti!

Nella sala del trono di re Faustino…

Primo nano: Sventura, sventura su di noi, oh re Faustino!

Secondo nano: Trovammo la morte sul nostro cammino!

Faustino: La morte? Partiste in missione di pace!

Primo nano: Trafitto nel bosco un tuo fido ora giace.

Faustino: Notizie inattese e crudeli portate; che avvenne? In che modo? Or tutto narrate!

Secondo nano: Matilde le nozze con te rifiutò, e un servo cattivo di noi si beffò-

Primo nano: Venimmo a parole, e a mezza strada, ci diede l’assalto con lancia e con spada.

Faustino: A offerta d’amore risposta di morte? Non sanno, gli stolti, che sfidan la corte? Che sono maestro d’incanti e magia? Vendetta crudele dev’esser la mia!

Narratore: La sala risplende di luci festose , si canta, si danza… Ma cadon le rose, in magica pioggia che tutti stupisce, e al padre, non visto, Matilde rapisce…”

Nel castello di Re Faustino…

Matilde: Faustino è un ospite perfetto ed io pure lo stimo e lo rispetto, ma quando penso al padre, nel mio cuore, risuona sempre un canto di dolore

Primo nano: Abbi fede signora, certo un giorno, alla tua casa potrai far ritorno.

Nel castello di Matilde…

Fratello: Amici, una notizia assai gradita! Ho trovato Matilde! Fu rapita, per mezzo di un incanto da Faustino, che la tiene nascosta a sè vicino. Seguitemi, che andiamo a liberarla!

Ildebrando: Tutti siamo impazienti di trovarla, ma il nano è un avversario molto forte, e noi siam pochi per tentar la sorte. Chiedi aiuto al potente Teodorico, che è un eroico guerriero, e un fido amico.

Fratello: Oh re, per mia sorella ci accingiamo a un’impresa difficile e chiediamo aiuto a te, che sei l’eroe famoso, da cento lotte uscito vittorioso.

Teodorico: Ben volentieri accetto, e sono pronto, a unirmi a voi per vendicar l’affronto.

Poldo: Vi seguo nell’impresa, che ho lungamente attesa. Quella gente sfacciata dev’esser bastonata!

Davanti al castello di Faustino…

Fratello: Giungemmo all’alba in vista del giardino, ma lungo e faticoso fu il cammino.

Ildebrando: Meravigliosamente belle e profumate sono le rose, al sole dell’estate.

Teodorico: E’ questa, dunque, la gloriosa impresa? Qui non vedo nè mura nè difesa. Solo un filo di seta qui m’appare, che non posso e non voglio sorpassare. Facciamo entrare un messo nel giardino, che porti i nostri patti a re Faustino.

Poldo: Questa idea di far pace davvero non mi piace. Voglio con queste mani, schiacciare il re dei nani! (Spezza il filo e calpesta le rose)

Faustino: Guai a chi invade e offende il regno mio!

Poldo: Io non ti temo, Poldo sono io!

(Duello tra Poldo e Faustino; Poldo cade a terra sconfitto)

Fratello: Di mia sorella devi render conto.

Faustino: Non subì, stanne certo, alcun affronto. Ha delle belle sale per dimora, e uno stuolo d’ancelle che la onora.

Fratello: Mettila sull’istante in libertà, o la tua testa mozza qui cadrà.

Teodorico: Perchè tanta durezza contro il nano? E’ un nemico leale e un buon sovrano. Non permetto che qui, in presenza mia, gli si parli con tanta scortesia.

Matilde: Fratello, finalmente m’hai trovata! Ti ringrazio d’avermi liberata, però mi spiace che vi sia contesa fra te e Faustino, chè nessuna offesa ebbi da lui, che sempre mi onorò, e come una regina mi ospitò.

Teodorico: Hai parlato con senno e con giustizia, motivo più non v’è d’inimicizia. Abbiamo combattuto con onore, ora sia pace e cada ogni rancore.

Poldo: Io preferisco star per conto mio, piuttosto che venire a patti, addio!

Faustino: Ora che siamo amici, permettete che vi mostri il mio regno e le segrete ricchezze che contiene; mi sarà gradito offrirvi la mia ospitalità.

Narratore: Agli occhi stupiti dei cavalieri apparvero mirabili cose; il regno dei nani conteneva tesori inestimabili e opere d’arte di grandissimo pregio. Ebbe luogo un ricchissimo banchetto, rallegrato da canti e balli… ma a mezzanotte, mentre tutti dormivano, Poldo con una schiera di armati assalì di sorpresa il regno dei nani. Si accese una lotta terribile, ed alla fine, dopo alterne vicende, re Faustino fu vinto e fatto prigioniero. Lo chiusero in una vecchia casa solitaria e gli diedero Poldo per custode. La dura prigionia di Faustino durò per molti anni…

Poldo: Che freddo! Quanta neve!

Soldato: Vieni qui presso al fuoco. (Giocano a dadi e bevono birra)

Poldo: Che sonno! Dormo un poco seduto accanto al fuoco, tu veglia al posto mio.

Soldato: Così sia, ma ho sonno anch’io.

Faustino: Mi accosto piano piano al focolare, sulla cenere ardente consumare lascio la corda che mi tien legato… nessuno ha visto, ed io son liberato!

Faustino fugge, giunge nel giardino davanti al suo castello…

Faustino: Ecco le rose rosse del giardino, che splendono nel sole del mattino. Sono esse che han mostrato all’uomo indegno, la via per penetrare nel mio regno. In roccia muterò tutto il roseto, che diventi invisibile e segreto. Sia notte o giorno, pietra resterà, e nessun occhio umano lo vedrà.

Narratore: Ma nell’incantesimo Faustino aveva dimenticato il crepuscolo, che non è nè giorno nè notte… così ogni sera, dopo il tramonto, si rivedono le rose rosse del giardino incantato. Allora gli abitanti della montagna escono dalle loro capanne e guardano e ammirano e, per un attimo solo, nelle loro menti inconsapevoli, sorge una confusa intuizione del buon tempo passato, quando gli uomini non di odiavano nè si uccidevano, e tutte le cose erano belle e buone. 

(Di autore ignoto.)

Giochi con le parole

Giochi con le parole. Qualche gioco di gruppo per bambini della scuola primaria per divertirsi con le parole. Possono essere usati anche per esercitare la scrittura per autodettatura.

La parola proibita
Il bambino che sta sotto esce dalla stanza, mentre gli altri bambini si accordano in segreto sulla parola proibita.
Chi sta sotto rientra, e i bambini gli fanno delle domande, cercando di fargli usare la parola proibita, mentre un bambino conta quante volte il bambino che sta sotto dice la parola proibita.
Fino alla fine nessuno rivela la parola proibita, e chi sta sotto deve cercare di indovinarla.
Se pensa di aver capito la annuncia, e il suo turno è finito.

Sei parole proibite
Ogni bambino scrive sei parole proibite su sei pezzetti di carta, e li capovolge sul banco.
A turno si fanno domande per costringere gli avversari ad usare una delle sei parole proibite scritte sui suoi foglietti.
Quando un bambino avversario usa una parola proibita, il bambino volta il suo foglietto con quella parola e lo fa vedere a tutti.
Vince chi riesce per primo a scoprire tutti e sei i suoi foglietti.

Le sillabe finali
Esempio: “Quale -ANA ha la pelle verde e la voce gracidante?”. “La r-ANA”.
“Quale -ANA zampilla e disseta?”. “La font-ANA”.

L’ABC degli aggettivi
Esempio:
primo bambino: “Questa è un’automobile Avveniristica”
secondo bambino: “Questa è un’automobile Biposto”
terzo bambino: “Questa è un’automobile Costosa”
quarto bambino: “Questa è un’automobile Difettosa”
e così via.
Quando due bambini sono eliminati, ricominciano il gioco tra di loro con un’altro nome, mentre gli altri vanno avanti finchè rimane il vincitore.
Quelli eliminati via via si aggregano al secondo gruppo.

Variante:
“Io ho un’Arancia”
“Io ho un’Arancia nella Bisaccia”
“Io ho un’Arancia nella Bisaccia per il Cuoco”
ecc…

Cosa piace a Pierino?
Si devono scegliere parole che abbiano una caratteristica comune per differenziare ciò che piace da ciò che non piace a Pierino. I bambini devono capire qual è questa caratteristica (nell’esempio le parole che contengono delle doppie). Esempio:
primo bambino: “A Pierino piace il burro, ma non gli piace il pane. Cosa piace a Pierino?”
Se il secondo bambino non sa rispondere, il primo bambino si rivolge al terzo: “A Pierino piacciono le cravatte, ma non le cinture. Cosa piace a Pierino?”
I giocatori che rispondono con frasi che hanno nomi appropriati di cose che piacciono a Pierino, escono dal gioco. L’ultimo bambino che non riesce a dire cosa piace a Pierino perde.

Associazioni di parole
Il primo bambino dice un nome qualsiasi. Il secondo deve dire un altro nome che abbia una qualsiasi associazione col primo. Ogni bambino può contestare la risposta di un altro:
– chi impugna la risposta con successo guadagna due punti;
– chi non riesce a giustificare la propria risposta perde due punti;
– se la risposta viene giustificata con successo il bambino guadagna due punti e chi l’aveva impugnata ne perde due.

Giochi con le parole

Una storia per il compleanno

Una storia per il compleanno – Un adattamento (molto alleggerito) di una storia  di ispirazione steineriana per il compleanno…  purtroppo non conosco la fonte originale. 

Giovanni abitava in una casa tutta luce: una stella. Viveva là con molti altri bambini, e insieme giocavano mille giochi sulle nuvole. La sera, stanchi, rientravano nella Casa d’Oro e mangiavano il pane delle stelle, e non serviva dormire perchè quel pane era il miglior riposo che si possa immaginare.
Tutti i giorni erano belli lassù, ma tra tutti uno fu per Giovanni davvero speciale: il giorno in cui incontrò il suo angelo. Era bellissimo. Quel giorno Giovanni aveva visto una nuvola molto diversa da tutte le altre avvicinarsi alla Casa d’Oro, e su quella nuvola c’era proprio lui. Era ancora lontano, ma già Giovanni pensava: “Che bello che è, e mi vuole bene…”
Quel giorno così si incontrarono e si riconobbero, e da allora i giochi sulle nuvole diventarono anche più divertenti.

Quando era il momento il Signore della Casa d’Oro chiamava uno dei bambini e lo faceva entrare nella stanza del trono, e così anche Giovanni un giorno si trovò davanti al Signore, che gli disse: “Caro Giovanni, è già da un bel po’ che sei qui con me nella Casa d’Oro. Ora mi piacerebbe mandarti sulla Terra, cosa ne pensi?”
“Oh, no!” disse Giovanni, “Io sto bene qui, e mi diverto un sacco col mio angelo e con tutti i miei amici… voglio restare sempre qui!”
“Lo so, Giovanni,” disse sorridendo il Signore, “ma vedi, laggiù sulla terra ci sono delle persone che ti stanno aspettando e che hanno davvero molto bisogno di te. Vorrei mandarti da loro, e mi piacerebbe che laggiù tu raccontassi di noi, della Casa d’Oro, dei giochi sulle nuvole e del pane delle stelle. Ascolteranno solo te, e solo tu puoi farlo…”
“D’accordo… va bene…” rispose allora Giovanni, “io ci andrò, ma soltanto se il mio angelo potrà venire con me!”
Molti altri giorni trascorsero tra i mille giochi sulle nuvole, infine una mattina l’angelo si avvicinò a Giovanni su di una nuvola più grande e densa delle solite, con un piccolo carretto dorato al suo fianco, dicendo: “Ora ti farò visitare tutti quei regni che fino ad ora hai visto solo da lontano, e riceverai tantissimi regali. Ecco a cosa serve il carretto!”
Ed insieme partirono per il loro lungo viaggio verso la terra.

La nuvola speciale si avvicinò al primo regno, tutto profumi e trasparenze blu. Giovanni in questo regno camminava senza nessuna fatica, come spinto gentilmente da un venticello azzurro e leggero, e presto si trovò davanti al signor Saturno, seduto sul suo trono blu e avvolto in una bellissima luce blu e nel suo meraviglioso mantello, naturalmente blu, e trapuntato di stelle. Quando il signor Saturno lo vide, aprì le braccia sorridendo, e lo invitò ad avvicinarsi.
“Caro Giovanni” disse, “benvenuto! So che stai andando sulla terra, e mi piacerebbe darti qualcosa che possa aiutarti a non dimenticare mai che sei luce di stella”. Così dicendo, tagliò un lembo del suo mantello, quel che serviva a farne uno per Giovanni, e glielo mise sulle spalle.
E gli regalò anche un piccolo scettro da re, tutto d’oro, dicendo: “Questo ti aiuterà a dare la giusta misura ad ogni cosa, e vedrai! Ti servirà molto, una volta sulla terra…”

La nuvola poi si avvicinò al secondo regno, che sembrava fatto di fiori arancioni piccoli come calendule. Il signore di questo regno, Giove, sedeva su un trono arancione e aveva una lunga barba bianca e in testa una corona a dodici punte. Sembrava molto serio e pensieroso, ma accolse comunque Giovanni con gioia e calore.
“Caro Giovanni, che piacere vederti!” disse, “stai andando sulla terra, vero? Sarà bene darti un po’ di saggezza prima che tu arrivi laggiù, perchè sai essere figlio degli uomini può essere più complicato che essere luce di stella!”
Il signor Giove mise allora sulla testina di Giovanni una piccola corona d’oro, e aggiunse: “Se laggiù ti dovessi trovare in difficoltà, pensami e io ti darò la saggezza che ti serve: brillerà sul tuo capo come una corona, e tu saprai cosa fare…”

Il terzo era un regno tutto rosso, e a differenza del regno blu e del regno arancione, non era fatto solo di trasparenza e profumo, ma ci si poteva anche camminare sopra. Il signore di questo regno, Marte, indossava una bellissima armatura e aveva al suo fianco una pesante spada di ferro. Giovanni lo vide avvicinarsi a lui sorridente, e lo trovò bellissimo.
“Ciao, Giovanni!” disse Marte, “Ma, …come farai ad arrivare sulla terra leggerino come sei? Avvicinati…”
Il cavaliere lo abbracciò e, subito Giovanni si sentì forte, molto forte. Poi gli regalò una piccola spada di ferro, simile alla sua.

Ripreso il viaggio sulla nuvola, con l’angelo sempre con lui e tutti i doni ricevuti, i due videro davanti a loro il quarto regno, ma non poterono avvicinarsi troppo. Era un regno troppo luminoso e caldo per loro.
Il signore di questo regno, che si chiamava Sole, mandò presto a Giovanni un suo messaggero, un angelo imponente e tutto vestito d’oro. Il messaggero gli diede il dono scelto per lui dal signor Sole: una spilla d’oro. Quando la indossò, per la prima volta potè sentire il battito del suo cuore.

Il quinto regno era di soffice verde, così calmo e accogliente che veniva voglia di tuffarcisi dentro e starsene lì a farsi coccolare. Venere, la regina di questo regno, fu davvero felice di vedere Giovanni. “Che piacere averti qui, caro!” disse, “Sento il tuo cuoricino battere, devi già essere stato dal signor Sole! Voglio proprio aggiungere il mio piccolo regalino al suo!”.
E così dicendo diede a Giovanni una scatolina, che conteneva tantissime piccole boccettine, tutte diverse tra loro per forma e colore. Una meraviglia!
“Prendi!” disse “dal tuo cuore alle tue mani! Con queste potrai regalare agli uomini che incontrerai sulla terra il tuo aiuto. Possono aiutare chi è triste, chi è sfortunato, chi ha paura… insomma ce n’è per ogni guaio e per ogni disgrazia, se vorrai…”

Il sesto era un regno tutto giallo, e prima di scendere dalla nuvola l’angelo disse: “Speriamo bene! Qui il signore è un certo Mercurio, e capirai! Ha l’incarico di fare il messaggero di tutto il cielo, e trovarlo in casa è un miracolo!”
Infatti dovettero aspettare un bel po’, ma quando finalmente fece ritorno, anche lui diede a Giovanni il suo dono, anzi gliene diede addirittura tre.
“Giovanni, eccoti finalmente!” disse, “Vedi? Io ho queste ali sulle spalle, sono il messaggero e mi servono a fare tutte le mie consegne, ovunque e a tutta velocità… così ho pensato che anche tu potrai fare come me, una volta sulla terra.”
Il signor Mercurio diede un piccolo bacio a Giovanni: “Ora hai Parola e Pensieri…ma prendi anche questa, ti sarà indispensabile”, e mise tra le sue mani una piccola bilancia. E subito ripartì per altre consegne.

Lasciando il regno giallo del signor Mercurio, il cielo cominciò a scurirsi e la nuvola li portò nel settimo regno, il regno della signora Luna.
Questa misteriosa e bellissima regina stava seduta sul suo trono e sembrava proprio lì ad aspettarli. Era tutta bianca e argento splendente, aveva un sorriso buono e luminoso, e teneva tra le mani uno stranissimo oggetto, che Giovanni non aveva mai visto prima.
“Ma che bello che sei!” disse “Col tuo mantello, la corona, la spada e tutto il resto … dovresti proprio vederti!”
“Ma io so chi sono, signora” disse Giovanni senza capire.
“Oh, certo…” rispose dolcemente la signora Luna “…sei Giovanni. Ma non ti sei mai visto… avvicinati ancora un po’, guardati…”, e così dicendo porse a Giovanni l’oggetto misterioso e sconosciuto che teneva tra le mani: un piccolo specchio.
Giovanni era estasiato, non riusciva a distogliere lo sguardo dallo specchio, e finì con l’addormentarsi placidamente tra le braccia della signora Luna.
L’angelo, che si trovava a pochi passi da lui, sorrise amorevolmente e insieme alla signora Luna portò sulla terra tutti i doni che Giovanni aveva ricevuto lungo il viaggio, perchè sapeva che lui da solo non avrebbe potuto farcela. Lì sulla terra li avrebbe ritrovati tutti.
Poi prese Giovanni in braccio e insieme tornarono sulla loro nuvola, per proseguire il loro viaggio.

Quando Giovanni si svegliò sulla sua nuvola, si sentiva benissimo. Sapeva che tutti i suoi doni lo stavano aspettando sulla terra, e che una meravigliosa avventura stava per cominciare. Sentiva di essere atteso e desiderato, ed era solo impaziente di arrivare.
La nuvola si fermò davanti ad una grande porta, Giovanni la aprì, e vide davanti a sè un lunghissimo ponte. Scese dalla nuvola e cominciò a camminare; il suo angelo era sempre un passo dietro di lui, anche se ora non poteva vederlo. Lontana brillava una piccola luce, e Giovanni cominciò a correrle incontro, e la luce diventava sempre più grande. Era felice.
Si accorse di essere arrivato quando la luce lo avvolse completamente e si ritrovò in una casetta piccola piccola, sì, ma con due graziose finestrelle da cui guardare il mondo. Mamma Claudia e papà Paolo l’avevano preparata per lui, proprio per lui, con tanto amore.
Si era sul finire dell’estate e in quella giornata di settembre stavano lì a guardarlo ammirati, insieme al piccolo Giacomo e alla piccola Sara, i suoi fratellini.
Da quel giorno sette anni sono trascorsi…
… felice compleanno, Giovanni!

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Racconti per Capodanno

Racconti per Capodanno – una raccolta di racconti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

L’aeroplano sconosciuto

-Comandante, un aeroplano sconosciuto chiede di atterrare.-
-Un aeroplano sconosciuto? E come è arrivato fin qui?-
-Non so, comandante. Noi non abbiamo avuto alcuna comunicazione. Dice che sta per finire il carburante e che atterrerà anche se non glielo permettiamo. Uno strano personaggio, comandante.-
-Strano?-
-Un po’ pazzo direi. Un momento fa lo sentivo ridacchiare nella radio: “Tanto, nessuno mi può fermare…”
-Ad ogni modo facciamolo scendere, prima che combini qualche guaio.-
L’apparecchio atterrò sul piccolo campo d’aviazione, alla periferia della capitale, alle ventitrè e ventisette precise. Mancavano trentatre minuti alla mezzanotte. Già, ma non a una mezzanotte qualunque, bensì alla mezzanotte più importante dell’anno. Era la sera del 31 dicembre e in tutto il mondo milioni di persone vegliavano in attesa dell’anno nuovo.

L’aviatore sconosciuto balzò a terra agilmente e subito cominciò a dare ordini: -Scaricate i miei bauli. Sono dodici, fate attenzione. Mi occorreranno tre tassì per trasportarli. Qualcuno può fare una telefonata per me?-
-Forse sì o forse no- rispose per tutti il comandante del campo, -Prima si dovranno chiarire alcune cosette, non le pare?-
-Non ne vedo la necessità- disse l’aviatore, sorridendo.
-Io però la vedo- ribattè il comandante, -La prego, intanto, di mostrarmi i suoi documenti personali e le carte di bordo.-
-Mi dispiace ma non farò nulla del genere-. Il suo tono era così deciso che il comandante fu lì lì per perdere la calma.
-Come vuole- disse poi, -ma intanto abbia la cortesia di seguirmi-.
L’aviatore si inchinò. Al comandante parve che l’inchino fosse piuttosto esagerato. “Che voglia prendermi in giro?” pensò, “Ad ogni buon conto, dal mio aeroporto non uscirà con quelle arie da padrone del vapore”.
-Guardi- diceva intanto il misterioso viaggiatore, -che sono atteso. Molto, molto atteso.-
-Per la festa di mezzanotte, immagino?-
-Appunto, comandante carissimo-
-Io invece, come vede, sono di servizio e passerò la notte di Capodanno all’aeroporto. Se lei insisterà a non volermi mostrare i documenti, mi terrà compagnia.-
Lo sconosciuto (erano intanto entrati insieme in una saletta del campo), si accomodò in una poltrona, si accese la pipa e rivolgeva intorno occhiate curiose e divertite.

-I miei, documenti? Ma lei ne è già in possesso, comandante-
-Davvero? Me li ha infilati in tasca con un giochetto di prestigio? E adesso mi caverà un uovo dal naso e un orologio da un orecchio?-
Per tutta risposta lo sconosciuto indicò il calendario dell’anno nuovo, che pendeva dalla parete dietro una scrivania, aperto alla prima pagina.
-Ecco i miei documenti, prego. Sono il Tempo. Nei miei dodici bauli ci sono i dodici mesi che dovrebbero avere inizio tra… vediamo un po’… tra ventinove minuti precisi.-
Il comandante non si scompose.
-Se lei è il Tempo- disse -io sono un aviogetto. Vedo che le va di scherzare. Benissimo, mi terrà allegro. Le dispiace se accendo il televisore? Non vorrei perdermi l’annuncio della mezzanotte.-
-Accenda, accenda. Ma non ci sarà nessun annuncio, fin che lei mi trattiene.-
Sul teleschermo era in corso uno spettacolo di canzoni e arte varia. Di quando in quando una graziosa presentatrice consultava un grande orologio appeso dietro l’orchestra, proprio sulla testa del batterista, e annunciava: “Mancano ventidue minuti…”
L’aviatore sconosciuto pareva divertirsi un mondo allo spettacolo. Canterellava, batteva il piede a tempo con l’orchestra, rideva di cuore alle battute dei comici…
-Un minuto a mezzanotte- sorrise il comandante, -mi dispiace di non poterle offrire lo spumante. In servizio io non bevo mai.-
-Grazie, ma lo spumante non serve. Da questo momento il tempo cesserà di scorrere. Dia un’occhiata al suo orologio-
Il comandante obbedì meccanicamente. Guardò il quadrante, si accostò il polso all’orecchio. “Strano” pensò, “l’orologio cammina, ma la sfera dei secondi si è guastata e non gira più…”
Egli cominciò mentalmente a contare i secondi. Ne contò sessanta, poi tornò a guardare l’orologio: le sfere erano sempre ferme sulla mezzanotte meno un minuto. Anche sul grande orologio del teleschermo le sfere erano immobili. L’annunciatrice, con un sorriso un po’ imbarazzato, stava dicendo: “Sembra che ci sia un piccolo guasto…”
Musicisti, cantanti, comici, spettatori, come per un segnale, cominciarono a scrutare i loro orologi, a scuoterli, ad accostarseli all’orecchio, con aria sorpresa. In breve tutti si convinsero che le sfere non si muovevano più.
-Il tempo si è fermato- gridò qualcuno, scherzando. -Forse ha bevuto troppo spumante e si è addormentato prima della mezzanotte.-

Il comandante dell’aeroporto gettò uno sguardo allarmato sullo strano forestiero, il quale, dal canto suo, gli sorrise educatamente.
-Ha visto? Colpa sua.-
-Come sarebbe… colpa mia…- balbettò il comandante.
-Non è ancora convinto che io sia il Tempo? Guardi quella rosa- (ce n’era una sulla scrivania, freschissima. Al comandante piaceva tenere qualche fiore in ufficio) -Vuol vedere che cosa le succede, se la tocco?-
Lo sconosciuto si avvicinò alla scrivania, soffiò delicatamente sulla rosa: i petali caddero tutti insieme, avvizziti, secchi, si sbriciolarono, non furono più che un mucchietto di polvere…
Il comandante balzò in piedi e si attaccò al telefono…

Pochi minuti dopo la telefonata del comandante al ministro, già tutti sapevano, in America come a Singapore, in Tanzania come a Novosibirsk, che il Tempo era stato fermato in un piccolo aeroporto, perchè privo di documenti. Milioni di persone che aspettavano la mezzanotte per stappare lo spumante ruppero il collo delle bottiglie per fare prima, e si scambiarono brindisi entusiastici. Cortei festosi percorrevano le strade di Milano, Parigi, Ginevra, Varsavia, Londra, Eccetera: scrivendo Eccetera con la maiuscola vogliamo indicare tutte le città che non ci sarebbe possibile nominare una per una.

-Evviva!- gridava la gente, in tutte le lingue.
-Il tempo si è fermato! Non invecchieremo più! Non moriremo più!-
Il comandante dell’aeroporto passava il tempo al telefono. Lo chiamavano da ogni parte del mondo per dirgli:
-Lo tenga stretto!-
-Gli metta le manette!-
-Gli tiri il collo!-
-Gli metta un sonnifero nel bicchiere!-
-Macchè sonnifero: veleno per i topi, di deve mettere!-

Il ministro aveva avvertito i suoi colleghi. Una riunione del consiglio dei ministri era in corso. L’ordine del giorno: “Misure da prendere. Bisogna tramutare il fermo del Tempo in arresto o liberarlo?”
Il ministro dell’Interno tuonava: -Liberarlo? Mai non sia! Se cominciamo a lasciare andare in giro la gente senza documenti, siamo fritti in padella. Questo signore ci deve dire nome, cognome, paternità, luogo di nascita, domicilio, residenza, nazionalità, numero di passaporto, numero delle scarpe, numero del cappello; ci deve mostrare il certificato di vaccinazione, quello di buona condotta, il diploma di quinta elementare, la ricevuta delle tasse. E poi, ha ben dodici bauli: ha pagato dogana? Si rifiuta di aprirli: e se ci avesse dentro delle bombe?-
Il ministro aveva settantadue anni: capirete che aveva ogni interesse a tener fermo l’orologio…
I ministri decisero di chiedere il parere alle Nazioni Unite. Alle Nazioni Unite, a quell’ora, c’era soltanto il portiere: tutti i delegati erano in giro a far festa.

-Quanto ci vorrà per riunire l’assemblea?-
-Una quindicina di giorni. Però, se il tempo non passa, non passano neanche i quindici giorni e l’assemblea non si può riunire.-
Anche questa notizia fece il giro del mondo, contribuendo ad accrescere l’allegria generale.
Dopo un po’…
Ecco, veramente questa frase non si potrebbe scrivere: se il tempo era fermo, la parola “dopo” non aveva più senso.
Diciamo che un bambino, svegliato dal fracasso e messo al corrente dell’accaduto, sommò due più due e cominciò a protestare: -Cosa? Sarà sempre adesso? Allora io non diventerò più grande? Devo prendere per tutta la vita gli scapaccioni del babbo? Devo continuare a risolvere problemi di pizzicagnoli che comprano l’olio e si fanno calcolare dai bambini delle scuole la spesa e il ricavo? Ah, no, grazie tante! Io non lo accetto!-
Anche lui si attaccò al telefono, per dare l’allarme ai suoi amici.
I bambini non vollero sentir parole. Si infilarono il cappotto sul pigiama e scesero anche loro per le strade a fare il corteo. Ma le loro grida e i loro cartelli erano ben diversi da quelli degli altri cortei:
-Liberate il tempo!- dicevano.
-Non vogliamo restare sempre dei marmocchi!-
-Vogliamo crescere!-
-Io voglio diventare ingegnere!-
-Io voglio l’estate per andare al mare!-
-Incoscienti!- commentava un passante, -in un momento storico come questo pensano ai bagni di mare.-
-Però- riflettè un altro passante, -su un punto almeno hanno ragione: se il tempo non passa più, sarà sempre il trentun dicembre…-
-Sarà sempre inverno…-

-Sarà sempre mezzanotte meno un minuto! Non vedremo più spuntare il sole!-
-Mio marito è in viaggio- sospirò una signora, -come farà a tornare a casa, se il tempo non passa?-
Un malato nel suo letto si lamentava: -Ahi, ahi! Doveva fermarsi il tempo proprio mentre avevo il mal di testa?-
Un carcerato, aggrappato alle sbarre della sua prigione, si domandava accorato: -Non riavrò più la mia libertà?-
I contadini borbottavano: -Qua, col raccolto, si mette male… Se non passa il tempo, se non torna la primavera, gelerà tutto… Non avremo niente da mangiare-
Insomma, il comandante dell’aeroporto cominciò a ricevere telefonate allarmate:
-Beh, lo lasciate andare sì o no? Io aspetto un vaglia, me lo manda lei, se il tempo non può passare?-
-Comandante, per favore, liberi il Tempo: abbiamo un rubinetto che perde, e se non viene domattina non possiamo chiamare l’idraulico-
Il Tempo, allungato sulla sua poltrona, continuava a fumare la sua pipa, sorridendo.
-Cosa devo fare?- protestava il comandante, -Uno la vuole bianca, l’altro la vuole nera… Io me ne lavo le mani. Io la lascio andar via…-
-Bravo, grazie.-

-Ma così, senza ordini superiori… Capisce che ci rimetto il posto?-
-E allora mi tenga qui. Io ci sto benissimo.-
Un’altra telefonata:
-E’ scoppiato un incendio! Se non passa il tempo non arrivano i pompieri! Brucerà tutto! Bruceremo tutti! Abbiamo in casa vecchi e bambini… non può fare niente, comandante?-
Il comandante, a questo punto, picchiò un pugno sulla scrivania.

-Bene, succeda quel che vuol succedere. Mi prenderò questa responsabilità. Se ne vada, lei è libero.-
Il Tempo balzò in piedi: -Permetta che le stringa la mano, comandante. Conoscerla è stato un vero piacere-.
Il comandante aprì la porta: -Se ne vada, presto, prima che io cambi idea!-
Il Tempo uscì dalla porta. Le sfere degli orologi ricominciarono a muoversi. Sessanta secondi più tardi scoccò la mezzanotte, scoppiarono i fuochi artificiali. Il nuovo anno era cominciato.

G. Rodari

Racconti per Capodanno

Capodanno

Nelle vallate del comasco usavano, una volta, la notte di Capodanno, appendere alla porta dei casolari un bastone, un sacco e un tozzo di pane.
Ecco il perchè.

Molti anni fa, al tempo dei tempi, e precisamente nella notte di San Silvestro, padron Tobia stava contando il proprio gruzzolo in un angolo della sua capanna, quando bussarono alla porta. L’avaro coprì con un gabbano i suoi ducati e andò ad aprire.
Una folata d’aria gelida e di neve lo colpì in viso. Era una notte d’inverno.
Sotto la tormenta, nel nevischio, egli vide un pover’uomo che si reggeva a stento e che non aveva neppure un cencio per mantello. Padron Tobia fu molto contrariato da quella visita e domandò bruscamente allo sconosciuto: -Che fate qui? Che volete? Chi siete?-
-Sono un povero viandante sperduto e sorpreso dalla bufera, e vi chiedo in carità di poter dormire nel vostro fienile-

-Io non lascio dormire nessuno nel mio fienile. Andate, andate. Non posso far nulla per voi!-
-Datemi almeno un tozzo di pane-
-Non ho pane, andate!-
-Datemi un sacco, un cencio da mettermi al collo, che muoio di freddo!-
-Non ho sacchi! Non ho cenci!-
-Almeno una fiaccola per ritrovare il sentiero… un bastone per appoggiarmi…-
-Non ho fiaccole e non ho bastoni!-
E, chiuso l’uscio in faccia all’infelice, Tobia ritornò al suo gruzzolo, ma… sotto il gabbano, invece dei ducati, trovò un pugno di foglie secche…
Padron Tobia impazzì e terminò i suoi giorni vagando per le vallate natie e raccontando a tutti la sua disgrazia. Da allora in poi la notte di Capodanno tutti appesero alla porta del proprio casolare un bastone, un sacco e un tozzo di pane.
(leggenda comasca)

Racconti per Capodanno 

Il castello dei dodici mesi

C’era una volta un omino gentile ed educato che si chiamava Faustino. Tanto lui era perbene, quanto suo fratello era sgraziato e villano, tanto che la gente lo chiamava Rusticone.
Un giorno Faustino andò a cercar fortuna, e si mise per il mondo. Una volta, però, perse la strada e si trovò in un bosco fitto. Era buio e Faustino non si sentiva affatto tranquillo. Vide tra gli alberi un castello illuminato e pensò di chiedere ospitalità.

Bussò e un servitore lo fece entrare. Il castello era abitato da dodici signori, che accolsero gentilmente Faustino e lo fecero accomodare. I dodici signori appartenevano tutti alla stessa famiglia, ma non si somigliavano affatto. Poichè era l’ora di cena invitarono Faustino alla loro tavola.
Mentre mangiavano, uno di questi signori, guardando la pioggia che cadeva a dirotto disse: “Che brutto mese dicembre!”
“No, perchè?” replicò Faustino, “Anche l’acqua ci vuole e bisogna pure che la terra beva in inverno se vuole fiorire in estate…”

“Non dirai però che sia bello anche gennaio?” disse un signore che aveva una lunga barba bianca.
“Sotto la neve pane, signore mio! Non lo sapete?”
“Ma… febbraietto… corto e maledetto?” replicò un omino piccino che non arrivava nemmeno alla tavola, “Lo dice anche il proverbio!”
Seguì un coro di voci: tutti avevano la loro da dire. Marzo e aprile erano matti; maggio, il pane era scarso perchè la campagna ancora non dava frutto; giugno, mosche a pugno; luglio, dava fastidio per via del caldo; agosto poi meglio non parlarne, un’afa da non poter respirare; anche settembre aveva i sui difetti per le variazioni del clima ora caldo ora freddo, e Dio ci guardi da ottobre novembre e dicembre: pioggia, neve e gelo e chi più ne ha, più ne metta.

Ma, neanche a farlo apposta, Faustino pareva l’avvocato difensore di tutti i mesi dell’anno. Per lui, febbraio era quello che preparava le sorprese sotto terra; marzo il gentile portatore della primavera; aprile maggio e giugno i più bei mesi dell’anno; per non parlare del luglio che riempiva i granai. Agosto e settembre davano frutta in abbondanza; ottobre riempiva i tini; novembre era un mese benedetto per le semine. Dicembre poi, il mese più felice dell’anno per i doni che portava in occasione delle feste. Tutti, per Faustino, avevano il loro lato bello.
“Se la provvidenza li ha fatti così, vuol dire che così dev’essere!”
E quei signori sembrarono proprio contenti delle parole di Faustino che gli regalarono una bisaccia dicendo: “Ogni volta che l’aprirai, ne uscirà tutto quello che desideri!”

Figuratevi la rabbia di Rusticone, quando vide la fortuna capitata al fratello… Si fece raccontare tutto per filo e per segno, poi si mise in cammino verso il castello dei dodici signori.
Fu ricevuto gentilmente, ma quando cominciò a parlare di mesi, apriti cielo! Rusticone diceva male di tutti. Gennaio faceva morire di freddo i poveretti, febbraio faceva tremare, marzo era il mese dei raffreddori, aprile ogni giorno un barile… trovò persino il coraggio di dir male di maggio e giugno! Di luglio e agosto si lamentò per il caldo, settembre gli dava noia per via delle zanzare, rimproverò a ottobre di favorire gli ubriachi come se fosse colpa sua se gli uomini bevevano troppo; novembre era il peggiore di tutti i mesi perchè lui soffriva di reumatismi e quel mese glieli peggiorava, e infine dicembre era un mesaccio per la nebbia e per il gelo.
“Dunque, non ti piace nessun mese dell’anno?” chiese il signore più vecchio.
“Per me non ce n’è uno che faccia il suo dovere!”

“Bene!” dissero, e gli regalarono un nodoso bastone dicendo: “Battilo contro una pietra quando ti occorrerà qualcosa, e vedrai…”
Rusticone, tutto contento, se ne andò senza neppure ringraziare. Appena fuori battè il bastone sopra una pietra e questo cominciò a dargli tante botte fino a fargli gridare: “Mi piace gennaio! Mi piace febbraio!” e giù fino in fondo all’anno…
… e soltanto allora il bastone si fermò.

Mimì Menicucci

 

Racconti per Capodanno

La diligenza dei dodici mesi

C’era un freddo secco, pungente: la neve scricchiolava sotto i piedi, tutto il cielo risplendeva di stelle. Una diligenza si arrestò alla porta della città, e i viaggiatori si presentarono alla dogana.
-Io mi chiamo Gennaio- disse il primo: era rosso in viso e lieto, con una bella barba bianca, -Buon anno a voi! Venite da me domani, avrete un bel regalo e poi faremo festa. Io amo le feste, le mance e i doni, e per questo molti sperano in me: buona fortuna a tutti voi!-
Il secondo viaggiatore pareva un buontempone, e per bagaglio aveva un grosso barile: -Quando c’è questo- diceva, -non c’è pericolo che manchi l’allegria. Voglio che il prossimo si diverta e mi piace divertirmi anch’io, visto che ho poco tempo: solo ventotto giorni. Ma non m’importa, evviva!-
-Non faccia chiasso, per favore!- disse il doganiere.

-Badi a come parla!- gridò il vaggiatore, -Io sono il principe Carnevale, e viaggio in incognito col nome di Febbraio.-
Scese allora il terzo viaggiatore. Era magro quanto la quaresima, poverino, ma si dava un sacco di arie, forse perchè era astrologo e sapeva predire il tempo: portava all’occhiello un mazzolino di violette, piccole piccole e pallidine.
-Ehilà, professor Marzo!- gridò il viaggiatore che era sceso dopo di lui, -Di là c’è uno scatolone per te, credo che sia un uovo di Pasqua.-

Però non era vero niente: il quarto viaggiatore era un gran burlone, ecco tutto. Chi sia, lo potete immaginare.
Portava a spasso mezza dozzina di pesci in carta d’argento: il suo nome era Aprile. Era un tipo strano: un po’ si comportava da allegrone come vi ho detto, ma poi si metteva a piangere senza una ragione al mondo: un po’ sole, e po’ pioggia.
-In questa valigia- diceva, -ho i miei vestiti d’estate, ma non sono tanto sciocco da mettermeli, gente. Una bella sciarpa di lana, ecco quel che mi ci vuole, ma più di tutto un buon ombrello; l’ho inventato io, l’ombrello…-
Dopo di lui scese una ragazza, si chiamava Maggio, e aveva un vestito leggero, verde pastello, con le maniche corte. Al braccio, però, portava un impermeabile. Maggio aveva nei capelli un mazzolino di fiori. Come le stava bene, e com’era carina!
-Dio vi benedica- disse al doganiere, e poi si mise a cantare a mezzavoce. Era molto brava, per quanto non avesse molta scuola; usava cantare per suo piacere, confessò, mentre andava a spasso nei boschi al tempo di primavera.

-Fate largo alla signora Giugno!- disse l’uomo della diligenza. Era una giovane dama, bella e un po’ altera. Era molto ricca, e dava una gran festa nel giorno più lungo dell’anno, in modo che gli ospiti potessero gustare tutti i piatti della sua fornitissima tavola. Da vera gentildonna, aveva una carrozza tutta sua; ma viaggiava in diligenza con gli altri, perchè non dicessero che si dava delle arie. Usava il ventaglio con gran distinzione, e aveva con sè un fratello minore.
Costui era un giovanotto grassottello, in abito estivo e con un gran cappello di panama. Bagaglio ne aveva pochino, in tutto e per tutto un paio di mutande da bagno, che certo non gli erano di ingombro. Appena arrivato andò a sedersi in poltrona, e si tolse la giubba senza nemmeno chiedere permesso alle signore; rimasto in maniche di camicia, trasse un fazzolettone e se lo annodò intorno al collo. Infatti sudava molto, nonostante il freddo.

Mamma Agosto vendeva frutta all’ingrosso, ed era proprietaria di molti ettari di terreno. Grassoccia com’era e per giunta sempre accaldata, sapeva lavorare con le sue mani, quanto e più dei contadini; lei stessa andava nei campi, a mezzogiorno, per mescere ai lavoratori il vino fresco.
Dopo di lei, scese dalla diligenza un noto pittore, Settembre di nome. Tutti lo conoscono, ma i boschi più di ogni altro: sotto il suo pennello le foglie cambiano colore, si tingono di paonazzo e di terra di Siena, che sono i toni che il Professor Settembre predilige. Lui dipinge sul tralcio i grappoli d’uva, e prima di andarsene spreme nel suo boccale il vino nuovo. Quando se ne va, a braccetto con le vacanze, tutti i ragazzi lo rimpiangono.
Lo seguiva un anziano gentiluomo di campagna, il conte Ottobre, robusto nella persona e ben portante. Ottobre è sempre molto occupato con le sue terre, ma ha la passione della caccia. Se ne esce al mattino col suo cane e col fucile, e camminando per i boschi riempie il suo carniere di noci e di castagne. Se sia un buon tiratore non lo so, ma a sentir lui non c’è nessuno che lo superi. Può darsi che le sballi un po’ grosse, da buon cacciatore!

L’undicesimo viaggiatore tossiva da far pietà. Parola mia, non ho mai incontrato nessuno più raffreddato di lui! In altri tempi era assai impegnato a fornir legna per i camini e le stufe; ora, col diffondersi del riscaldamento centrale, un po’ meno. Lui naturalmente se ne lamentava, tra uno starnuto e l’altro. Novembre, così si chiamava, mi parve un buon diavolaccio, ma un tipo allegro no di certo; intorno a sè aveva un alone di nebbia.
Finalmente la diligenza sbarcò l’ultimo viaggiatore, il vecchio nonno Dicembre. Aveva in mano lo scaldino e pareva tutto infreddolito; ma gli occhi gli brillavano come due stelle e recava in mano un vasetto con un minuscolo abete.
-Crescerò questo abete- disse, -perchè il prossimo Natale tocchi con la vetta il soffitto, e l’angelo di carta che sta sulla cima voli giù, e vi si accosti all’orecchio per darvi la buona novella. Arrivederci, e siate buoni!-

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Recite per bambini – Mamma Luna e i dodici Mesi

Recite per bambini – Mamma Luna e i dodici Mesi. Personaggi: la Luna, che starà in piedi su una sedia; basterà un disco di cartone bianco tenuto davanti alla faccia; i dodici Mesi, che si distingueranno perchè ciascuno  porterà un oggetto simbolico, come un ombrello, una rosa, ecc…

Luna: Figli miei, io sono la vostra mamma. Mi trovo quassù lontana, ma veglio su di voi e penso al vostro giro sulla terra. Vi chiamo ad uno ad uno coi vostri bei nomi.

Gennaio: sarei curioso di sapere perchè mi chiamo Gennaio.

Luna: ti chiami così da Giano.

Gennaio:  E Giano chi è?

Luna: Hai mai sentito parlare degli antichi Romani? Per ogni fatto, essi immaginavano che ci fosse un dio. E Giano era il dio che, secondo loro, apriva le porte.

Gennaio: (ridendo) Un dio portinaio!

Luna: Proprio così. E anche tu, caro Gennaio, sei un mese portinaio.

Gennaio: Come, come?

Luna: Sì, tu sei il portinaio, perchè apri le porte del nuovo anno. L’anno nuovo non comincia con te?

Gennaio: E’ vero, non ci avevo mai pensato…

Febbraio: E io, perchè mi chiamo Febbraio?

Luna: Tu ti chiami così perchè gli antichi immaginavano un altro dio che lavava e purificava. Si chiamava Febbraio.

Febbraio: Io sarei allora un mese lavandaio?

Luna (sorridendo): Proprio così. Tu lavi con le tue piogge e purifichi col tuo freddo.

Marzo: Anch’io prendo il nome da un dio antico?

Luna: Certo. Ti chiami Marzo dal dio Marte, che era il dio della guerra.

Aprile: E io?

Luna: Tu ti chiami Aprile, che vuol dire aprire. Durante i tuoi giorni si aprono le gemme e comincia la fioritura.

Maggio: Ma i fiori più belli sono i miei!

Luna: Sì, infatti ti chiami Maggio da Maia, la dea dell’abbondanza.

Giugno: La dea Giunone era anche più bella e ricca. E’ vero che il mio nome viene da lei?

Luna: Sì, è vero. Infatti tu sei un mese ricco di raccolti.

Luglio: E il mio nome da quale dio deriva?

Luna: Il tuo nome, caro Luglio, non deriva da un dio, ma da un uomo, Giulio Cesare.

Luglio: Giulio Cesare. Il grande condottiero romano.

Luna: Sì, e un imperatore fu Augusto

Agosto: Ho capito, il mio nome di Agosto deriva da lui.

Luna: L’hai indovinato.

Settembre: Ci voleva poco. Il mio nome è più difficile.

Luna: No, invece è facilissimo. Vuol dire settimo. Tu, anticamente, eri il settimo mese dei Romani.

Ottobre: E io allora era l’ottavo.

Novembre: E io il nono.

Dicembre: E io il decimo.

Luna: Come siete intelligenti!

Gennaio: Ma allora i nostri nomi sono tutti antichi?

Luna: Sì, i vostri nomi sono antichissimi.

Febbraio: E tu come hai fatto a sapere queste cose?

Luna (sorridendo): Oh, io sono vecchia, molto vecchia…

Marzo: Ma c’eri anche al tempo dei Romani?

Luna: Sì, e credevano che fossi anch’io una dea.

Aprile: Davvero? E come ti chiamavano?

Luna: Mi chiamavano come mi chiamo ancora: Luna.

Maggio: E’ un bel nome.

Luna: Tutti i nomi sono belli. Basta portarli con gioia.

(adattamento da B. Bargellini)

Recite per bambini – L’anno nuovo

Recite per bambini – L’anno nuovo. Un vecchio dalla lunga barba bianca sta sprofondando in una poltrona. Un bimbo entra trascinando due valigie…

Bimbo: Permesso?

Vecchio: Avanti, avanti…

Bimbo: Disturbo? Mi perdoni… sono accaldato, con questi valigioni!

Vecchio: Avanti, avanti…

Bimbo: Comodo, prego!

Vecchio: Che ragazzino svelto!

Bimbo: Beh… svelto non lo nego. E ci vuol coraggio a venire fin qua!

Vecchio: Infatti…

Bimbo: Sa? Pesavano…

Vecchio: Ne sono certo.

Bimbo: E che ne sa?

Vecchio: Il vecchio anno che muore ha certo il suo fardello d’esperienze, figliolo. E indovino quello che mi hai portato.

Bimbo: Bene, ne sono lieto e commosso. Mi risparmia, così, di diventare tutto rosso!

Vecchio: Capricci, impertinenze… vero? Bugie… dispetti…

Bimbo: Proprio così.

Vecchio: Tu vuoi guarire dei tuoi difetti, vero?

Bimbo: Sì, certamente. Mamma ne è disperata. Ed io le voglio bene, e l’ho rassicurata che con l’anno nuovo sarò proprio un ometto

Vecchio: Eh… si dice, ma poi…

Bimbo: No, no… glielo prometto.

Vecchio: Mah!

Bimbo: Sì, certo, è difficile. E chi mi aiuterà?

L’anno nuovo (entra allegro e vivace) : Io!

Bimbo: Tu! L’anno nuovo!

L’anno nuovo (all’anno vecchio) : Ciao, nonnino.

Bimbo: Sei davvero simpatico!

L’anno nuovo: Eh, ora sono carino. Poi, man mano invecchio, e buonanotte!

Bimbo: Ad esser bravo e buono, dimmi, mi aiuterai?

L’anno nuovo: Sì, ragazzo bello.

Bimbo: Ho qua due valigione piene di cose brutte…

L’anno nuovo: Io ti do quelle buone (gli porge una valigia). Ma, attento, è molto facile che di qui ti scappino tutte a gran velocità…

Bimbo: E perchè mai?

L’anno nuovo: Perchè è difficile mantenere le promesse.

Il vecchio: Forse è un po’ birichino, ma mi sembra che ne abbia di buona volontà…

Bimbo: E questo è il necessario! Anno nuovo, vedrà!

Zietta Liù

Racconti per l’inverno

Racconti per l’inverno – una raccolta di racconti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

La signorina formica Bruna

La signorina formica Bruna è stanca di starsene a dormire tutto il giorno al caldo e al buio sotto terra. “Forse è già primavera… forse c’è già un bel sole tiepido…” ha detto alla vicina formica Rossa, svegliatasi per caso, fra un sonnellino e l’altro. “Ma no!” ha replicato quest’ultima. “Non senti che si bene ancora a dormire sotto terra? La piccola radice piantata proprio nel corridoio d’uscita non ha ancora messo i primi germogli; guarda anche il chicco verde del pisello; proprio ieri è piombato su di noi ed è lì, tutto infreddolito, raggrinzito: quando scoppierà e getterà fuori il suo germoglio, allora sarà tempo di uscire anche per noi.” Ma la signorina formica Bruna non se la sente: scrolla con disprezzo le piccole antenne frementi e si incammina con passo ancora indeciso. “Porta un po’ di sole anche a me!” ha sghignazzato formica Rossa, fra uno sbadiglio e l’altro. C’è freddo, oltre la tana, nella terra nera. Formica Bruna passa sul dorso, morbido come un tappeto, di un talpa in letargo sgattaiola fra un chicco e l’altro, e saluta il pisello raggrinzito; poi si inerpica lungo lo stelo verde di una pianta di grano. Ma man mano che sale sente più freddo. Formica Bruna batte le sei zampette per riscaldarsi, agita le antenne e seguita a salire. Alla fine sbuca fuori. Di sole nemmeno un filo; il cielo è grigio e, miracolo, la terra è tutta bianca e fredda. Bianchi sono i rami nudi degli alberi, e il tetto della casa vicina, e i monti lontani. Tutto questo, veramente, formica Bruna non lo vede, perchè per quanto abbia migliaia di occhi piantati sul capo, è molto miope e non vede che da vicino; ma glielo dice un passero affamato che saltella sul tappeto bianco e che, per amicizia, rinuncia a mangiarsela. Che sospirone di conforto tira fuori la signorina Bruna! Saluta il passero, poi scivola lesta lesta lungo lo stelo verde del grano, non guarda neanche il pisello grinzoso, ripassa a precipizio sul dorso della talpa, s’imbuca nella terra calda, e piano piano, si corica fra le sorelline che dormono buone buone; sbircia la formica Rossa, sbadiglia due volte, poi s’addormenta di colpo.

Nerina Oddi Azzanesi

L’albero addormentato

Un albero si addormentò. Tutti gli alberi s’addormentano quando perdono le foglie e il freddo viene. Ma in genere non sognano mai. Dormono per tutto l’inverno, e a primavera si svegliano. Invece quell’albero, sognò. Gli pareva che nel cielo volassero, lenti, tanti angeli e dalle ali di quegli angeli cadevano le penne. Erano penne bianche e leggere che si posavano sui rami, sulla terra, e sulle siepi. Era un sogno così bello che l’albero si svegliò. Si guardò intorno stupito e vide tutto bianco. Il sogno non era un sogno. Dal cielo continuavano a cadere le penne degli angeli. L’albero rabbrividì di gioia e di freddo. Poi, di colpo, si riaddormentò. A primavera, quando si destò, raccontò il suo sogno a un merlo col becco giallo. Il merlo si mise a ridere. “Sei un vecchio albero, ma sei anche sciocco. Quelle non erano le penne degli angeli, era la neve, una cosa fredda che cade dal cielo!” “Non è vero!” gridò l’albero. Ma poi, quando anche una lucertola gli disse la stessa cosa, dovette crederci. “Va bene” disse al merlo dal becco giallo “Non erano le penne degli angeli, ma tu puoi trovarti un altro albero per fare il nido. Io non ti ci voglio più”. E quell’anno ospitò una coppia di cardellini.

Mimì Menicucci

C’era una volta un omino di neve

C’era una volta un omino di neve. Era venuto su panciuto e candido con un taralluccio per naso, due bottoni per occhi e una pipa in bocca. Quando poi gli misero un cappello tutto sbertucciato in testa, il pupazzo si guardò intorno con arroganza come se fosse il padrone del quartiere. I ragazzi ci giocarono intorno fino a sera e questo lo insuperbì ancora di più, tanto che quando se ne furono andati via, si rivolse al monumento di marmo che sorgeva in mezzo alla piazza e gli disse: “Non crederai mica di essere più bello di me. Io ho perfino la pipa!” La statua, che era quella di un grand’uomo, rise silenziosamente senza provare nemmeno a discutere le sciocchezze che l’omino di neve diceva; ma un passero che, si sa, è un uccellino impertinente, andò a posarsi proprio sul cappello dell’omino e gli pizzicò il naso. “Non mancarmi di rispetto!” strillò il pupazzo “e vattene subito di qui!” Ma il passero non l’ascoltò neppure e invece si accomodò meglio sul cappello dove aveva deciso di passare la notte che si annunciava fredda e rigida. Intanto si era levata la luna e l’omino, per consolarsi, le rivolse la parola dicendo: “Non pare anche a te che io sia una persona importante?” La luna rise col suo faccione largo e splendente e l’omino, imbronciato, decise di non parlare più con nessuno. La notte passò gelida e silenziosa, e poichè la neve a quel freddo rassodava, la superbia dell’omino cresceva. Ma venne la mattina, e con la mattina il bel sole tiepido che usciva fuori dopo tante giornate di cattivo tempo, e voleva rifarsi delle ore perdute. Avvolse il pupazzo di neve con la sua luce d’oro e gli fece scintillare i bottoni degli occhi. In principio, l’omino ebbe quasi piacere di sentirsi invadere da quel bel calore, ma poi si accorse che si indeboliva sempre più: grossi rigagnoli gli corsero per tutto il corpo e capì che si sarebbe infine sciolto. L’ultimo sguardo fu per il monumento che se ne stava immobile in mezzo alla piazza, illuminato dal sole che con lui non ce la faceva. Quando i ragazzi tornarono, non trovarono più l’omino di neve. Della sua superbia era rimasta soltanto una pozza d’acqua sporca nella quale galleggiava una vecchia pipa.

Mimì Menicucci

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici – INVERNO

Dettati ortografici – INVERNO – Una collezione di dettati ortografici di autori vari sull’inverno, per la scuola primaria.

Inverno
Partiti gli uccelli, il vento invase la montagna e le portò via tutti i colori e soffocò tutte le melodie del bosco. Tutto nero divenne il bosco e gli alberi, seri e imbronciati, scuotevano i rami disperatamente. Poi venne la neve e incappucciò di bianco le rocce, gli alberi, tutto. Sotto quel mantello bianco s’indovinava il fremere delle betulle giovani le quali si piegavano un poco sotto il gran peso, poi con sforzo disperato si risollevavano, e la neve: “Plaff!” cascava giù. Così di tratto in tratto le betulle che riuscivano a risollevarsi segnavano una riga nera su quel biancore infinito.
(P. Reynaudo)

Inverno
E’ la bianca, fredda stagione. La terra, coperta sovente dalla neve, riposa. Gli uomini stanno volentieri riparati nelle case, presso il fuoco. Chi può accende la stufa; nelle case i termosifoni mandano un calore uguale. Non tutti, però, hanno fuoco: i poveri, i senza tetto, soffrono di più. Eppure l’inverno ci vuole. I semi, gettati nel terreno, germoglieranno coi primi tepori, pronti a dar le pianticelle che ci forniscono il pane. La neve, l’amica dei bambini, che si distende sui campi, è una soffice coperta che li ripara, dà loro, lentamente, l’umidità necessaria. Per questo si dice “sotto la neve, pane”.

Inverno
L’inverno arrivò appoggiandosi al bastone. Dietro venivano le sue figliole: neve, pioggia e brina. La neve, al contrario delle sorelle, uggiose e malinconiche, era allegra e aveva voglia di giocare. “Non esagerate, vi prego!” disse l’inverno, rivolto alla pioggia e alla brina. “Non siate prepotenti e non pretendete di essere le padrone. Un po’ per uno non fa male a nessuno!”.

Inverno
I passeri si sono rifugiati sotto le tegole da dove viene il tepore del camino che fuma. Usciranno quando la fame li spingerà a cercare qualche semino che permetterà loro di campare alla meglio fino a primavera. Gli alberi sembrano giganti stecchiti, con le lunghe braccia scricchiolanti ad ogni soffio di vento. E il vento soffia forte, ululando per le strade.
Fa freddo, le erbe sono gelate, i campi hanno una crosta di terra indurita e sembrano morti, senza più un palpito di vita. Ma non sono morti. La vita è nascosta sotto terra e a primavera proromperà trionfante con tanti fiori, tante gemme, tante radici.

Inverno
Il vento soffia, ululando per le strade deserte. Le erbe sono gelate; una crosta di ghiaccio copre i campi che sembrano morti, senza più un palpito di vita. Ma la vita c’è. E’ nascosta sotto terra, e a primavera proromperà trionfante, con tanti fiori, con tante gemme, con tante radici.

Inverno
L’inverno avanza col suo carico di venti gelidi e rabbiosi, di neve candida e molle, di nuvole gonfie, cariche di pioggia. Il grosso ceppo, sul focolare delle case di campagna, scoppietta allegramente. Fuori, la neve ha fatto tutto bianco. Le strade sono deserte. La gente sta volentieri accanto al fuoco, o al riparo delle stelle tiepide, in attesa che il tempo diventi più mite.

Inverno
L’inverno è una stagione poco amica della povera gente. Le giornate sono brevi, le notti lunghe. Ognuno ha bisogno di fuoco e di indumenti di lana. Chi non può procurarsi queste cose vede, con tristezza, avvicinarsi l’inverno e sospira di desiderio, ricordando il tepore della primavera e il caldo sole dell’estate.

Inverno
E’ arrivato l’inverno col suo seguito di pioggia, di neve, di gelo. Nell’inverno, gli alberi sono spogli e tendono verso il cielo grigio le loro braccia stecchite. Nei prati l’erba è secca, accartocciata, bruciata dal gelo. Nei fossi e nelle fontane si forma uno strato di ghiaccio.

Inverno
I prati sono senza erba; c’è appena qualche cespuglio secco su cui si posano i passeri infreddoliti. La siepe è brulla e spinosa. Presto verrà la neve e coprirà tutto col suo bianco mantello. Ma sotto la neve non c’è freddo, e le piantine di grano, così riparate, metteranno le radici. A primavera il campo sarà tutto verde.

Inverno
Piove. Cade una pioggerella minuta e noiosa che scende sulla terra formando pozzanghere larghe e fangose. La gente cammina in fretta sotto gli ombrelli gocciolanti; tutti corrono per le loro faccende lesti lesti, e non vedono l’ora di rintanarsi a casa, al riparo.

Inverno
“E’ brutto l’inverno!”, borbottò un passero rabbrividendo di freddo. “I campi sono coperti di neve e non è possibile trovare un chicco tra tutta questa roba bianca.” “E’ brutto davvero”, rispose un altro arruffando le penne, “La notte non riesco a dormire per il gran freddo.” “Coraggio, fratellini!” esclamò un altro passerotto: “Anche il freddo finirà e verrà la primavera!”

Inverno
Io sono il freddo. Senza di me le pianticelle non diventerebbero forti, crescerebbero deboli e senza resistenza. E poi sarebbero divorate da tutti gli insetti, attaccate dalle malattie. Sono io che faccio morire i germi dannosi alle piante: sono io che freno la moltiplicazione degli insetti. Se un anno non venissi, te ne accorgeresti a primavera! Vedresti tutte le foglie delle piante attaccate dalla malattia e i raccolti sciupati da un numero sterminato di divoratori.
(P. Bargellini)

Inverno
E’ bene rilevare che l’Italia ha, rispetto ad altre terre europee, un clima prevalentemente mie, sia per la posizione intermedia tra Polo Nord ed Equatore, sia perchè il mare che la circonda tempera la calura estiva e il gelo invernale, sia infine perchè la catena alpina ripara la nostra penisola dai gelidi venti del nord.
Tutto questo, però, non impedisce che tra inverno ed estate vi sia una notevole differenza di clima. Non solo: anche nella stessa stagione vi sono discordanze tra le varie parti dell’Italia. Il settentrione, ad esempio, ha un clima prevalentemente continentale (cioè con notevoli differenze tra estate e inverno), il meridione ha invece clima mediterraneo (con piccole differenze).
Per questo abbiamo in inverno una temperatura minima di dieci gradi sotto zero a Torino e di un grado sotto zero a Palermo. Anche nella distribuzione della pioggia c’è differenza: al nord le stagioni più piovose sono la primavera e l’autunno, al sud è l’inverno: da ciò deriva la differenza di vegetazione da luogo a luogo.
Anche la neve si comporta in modo diverso da regione a regione: sono oltre i mille metri cade quasi ovunque.
(M. La Rocca e R. Tommaselli)

Inverno
Terso e lucente a volte come un cristallo, il cielo in inverno ferisce l’occhio per il suo splendore. Ma più spesso è grigio e scuro, e pare lontano, quando addirittura non si nasconde dietro un velo pesante di nebbia. Ma grigio e plumbeo o azzurro e terso il cielo assume sempre il colore e la trasparenza dell’occhio che lo guarda. Quando assume un colore grigio-biancastro, dopo qualche ora il cielo sembra quasi in attesa, si vedono scendere i fiocchi leggeri della neve.

Bosco d’inverno
Che dire del bosco d’inverno? L’occhio forse vi trova quadri diversi per una larga e cupa fronda d’abete ricurva sotto il fantastico cappuccio di neve, per i neri ricami dei ramoscelli cascanti dai larici, per la cima del pino che sporge appena dal bianco cumulo portato dal vento, ma l’orecchio nostro non ascolta che l’uguale profondo silenzio.
Pare che il gelo e il gran manto tengano immobile ogni ramo, ferma ogni fronda; e come se l’aria avesse perduto ogni sua arte, non sa cavare dal folto alcun suono, se non si gonfia in folate di vento, che fischiano aspre tra i tronchi.
(E. Mosna)

Inverno
L’inverno è arrivato. Le giornate serene si fanno sempre più rare, il cielo è grigio, il vento è freddo, spesso piove e il sole, quando riesce a farsi strada fra le nuvole, è appena tiepido. La natura si appresta al gran riposo. I campi sono brulli, le siepi spoglie, gli alberi stecchiti. Solo qualche sempreverde mette una macchia vivace in tanto squallore. Gli uccelli sono emigrati lontano, alcuni animali sono caduti in letargo. Si risveglieranno a primavera.

Inverno
L’inverno è arrivato. Gli alberi hanno perduto le foglie e, scheletriti e nudi, rabbrividiscono al vento che li scuote. Lucertole, bisce, insetti, sono tutti giù, sotto terra, a dormire. Si sveglieranno a primavera. Il cielo è spesso grigio. Cade la pioggia. Nei prati, l’erba è sparita. I passeri infreddoliti si posano sui cespugli secchi. La siepe è brulla e spinosa. Dove sono le violette della primavera? Presto, la neve coprirà tutto col suo bianco mantello.

Inverno
L’inverno è arrivato. Quasi sparito il verde, il cielo sempre o quasi sempre, almeno in Italia, nuvoloso, bigio, monotono. Le piante spoglie danno un senso di tristezza; non più il gorgheggio degli uccellini: solo i passeri, instancabili, sempre affamati, pigolano quasi a chiedere la carità di una briciola. Gli insetti, quasi tutti morti, o spariti sotto terra, non riempiono più l’aria col loro ronzio sonoro che era, pur esso, una voce della bella stagione.

Inverno
Il cielo è grigio, il vento ha strappato dagli alberi le ultime foglie. La nebbia vela i monti lontani. La siepe è spoglia, gli animali sono migrati, oppure sono caduti in letargo. Nel bosco, soltanto pochi uccellini cinguettano piano saltellando fra le foglie secche. Fra questi è il pettirosso che non lascia il luogo natio, ma resta fra noi ad aspettare la bella primavera.

Inverno
La campagna è brulla, le siepi sono rigide e spinose. Il cielo è tutto bigio e, tra le nuvole, il sole si è come sperduto. E’ inverno. I rettili dormono  profondamente nei crepacci o sotto i sassi. Dormono le lucertole verdi che non possono avere una vita attiva senza il tepore del sole; dormono ghiri, topi, marmotte. Non c’è più un fiore, solo qualche bacca rossa mette una nota vivace in tanto squallore.

Inverno
I venti soffiano gelati dalle cime nevose; dalle nubi cadono le piogge fredde e uggiose; le brine imbiancano i campi. Spento è il sorriso dei colli, i giardini sono spogli di fiori; le piante vanno perdendo la chioma ingiallita e rada. Lo squallore di tutta la campagna rende meno doloroso l’addio. Le sponde dei laghi, le immense distese dei campi, gli ameni villaggi rientrano nella loro quiete, si rinchiudono nella loro semplicità.
(A. Stoppani)

Silenzio invernale
Tutto tace nella campagna. I ruscelli scorrono senza mormorio sotto il ghiaccio come sotto una volta di cristallo. I torrenti sono gelati e asciutti; le mandrie fumano sdraiate nelle tiepide stalle; i cani giacciono accovacciati in uno stato di dormiveglia. I gatti fanno le fusa accoccolati in un angolo del focolare; gli uccelli intonano sotto altri cieli le loro canzoni. Tutto tace.
(A. Stoppani)

Inverno
L’inverno è un periodo di attesa e di riposo per molte creature. Si arresta lo sviluppo della pianticella di frumento che sorrise al novembrino; si chiude in sé e quasi non respira l’albero che donò le sue foglie ai venti autunnali; le piante di fori che offrirono profumi e colori si riducono spesso a radici affondate nelle viscere del terreno. Molti animali si rifugiano nelle viscere della terra e dormono per lunghi mesi, e molti insetti sono vivi soltanto nelle piccole uova, che si schiuderanno a primavera.
Anche il riposo è una legge della natura: si risparmiano le forze per la nuova fioritura e per la nuova vita primaverile.
(G. G. Moroni)

Una giornata invernale
La strada era solitaria: le rive, le campagne si confondevano nude in tutta la squallidezza dell’inverno. La natura intirizzita, le piante aride e grame lasciavano cadere qualche ramoscello spezzato dal gelo e le ultime foglie già morte. Non un fiore, non un filo d’erba che spuntasse sotto la neve gelata, né un passero che saltellasse fra i rami avvizziti.
(G. Carcano)

Inverno
D’inverno pare che la vita, sia quella vegetale che quella animale, si arresti. In realtà subisce un notevole rallentamento. Gli uccelli migratori hanno abbandonato le zone fredde per andare a nidificare altrove, gli insetti sono morti, o sprofondati sotto terra a procedere nella loro metamorfosi; molti animali sono immersi in letargo, il profondissimo sonno durante il quale possono fare a meno perfino di nutrirsi. Anche la vegetazione osserva questo periodo di riposo: non germogli, non fiori, non foglie. Soltanto le radici, protette dal manto nevoso che spesso ricopre la terra e che le difende dal gelo, provvedono a moltiplicarsi e a rafforzarsi.

Inverno
L’inverno è brutto per i poveri. Quando è caldo, quando il sole rende tiepida l’aria, la vita è più facile. Ma, con il sopraggiungere dell’inverno, occorrono indumenti, occorre fuoco, occorre cibo più sostanzioso. E i poveri che non possono avere tutto questo, soffrono, e soffrono soprattutto i bambini, i vecchi, i malati. Non chiudere il tuo cuore. Tu, forse, hai tanto di superfluo: pensa a coloro che mancano anche del necessario.

Inverno
Ecco l’inverno: pioggia, brina, freddo, neve… una brutta stagione! E perchè brutta? Sarebbe lo stesso che chiamare brutto il sonno. Anche noi, quando dormiamo non vediamo, non sentiamo, non ci muoviamo… Ma intanto, il nostro corpo, nel sonno, riprende vigore, si riposa, si prepara alla fatica di un nuovo giorno. L’inverno è il sonno della terra e durante questo periodo la terra arresta la sua vegetazione per essere pronta al grande risveglio primaverile.
Ma non dorme tutta: radici, bulbi, semi, si danno da fare sotto la dura crosta che li difende dal gelo; gli alberi preparano i verdi germogli e non appena l’inverno ci avrà detto addio, ecco la natura risvegliarsi tutta nuova, tutta bella, tutta verde.

Inverno
Guardati intorno. Che cosa è cambiato? Il cielo non è più azzurro e sereno: grosse nuvole scure lo percorrono da un capo all’altro. Il sole non è più il caldo sole dell’estate. E’ velato e appena tiepido. Spira il vento gelido, la pioggia cade a bagnare la terra che diventa fangosa e piena di pozzanghere. E’ l’inverno che fa il suo ingresso, temuto soprattutto da coloro che mancano del necessario, che non hanno lavoro, che non hanno panni per rivestirsi, che non hanno fuoco né, talvolta, pane.

Inverno
I venti soffiano gelati dalle cime nevose delle Alpi; dalle nubi che coprono di un bigio uniforme il sereno del cielo ed accorciano un giorno già corto, cadono le piogge fredde e uggiose; le brine imbiancano i campi, presagi di più bianca canizie. Spento è il sorriso dei colli; i giardini sono spogli di fiori; le piante vanno perdendo una chioma ingiallita e rada. Lo squallore di tutta la campagna rende meno doloroso l’addio.
(Antonio Stoppani)

Arriva l’inverno
D’improvviso il tempo s’è mutato. Il cielo è ancora chiuso e immobile com’è stato per tutti questi giorni tetri; vento non s’è levato che si senta, ma il selciato è asciutto e netto, e l’aria spazzata d’ogni umore, leggera e pungente. Aria che porta odore di freddo. Forse in montagna c’è già la neve.
Attraverso il Campo dei Carmini, mi trovo in mezzo a un lento mulinello di pezzetti di carta e di foglioline secche: strisciano sul suolo con un raschio sommesso e per un poco m’inseguono; poi si riadagiano giù. Appena un fiato di vento, raso terra. Ma su, sopra i tetti e le nuvole, altro vento deve passare, duro e silenzioso.
Ora vado lungo una lama di acqua ferma, lustra che raccoglie nel suo grigiore oleoso l’ultimo barlume del crepuscolo.
La sera s’è lasciata cadere pesantemente; si sono accesi i lampioni. Quello là in fondo piove una chiazza di luce cruda su un lembo di muro scrostato, rossastro; scivola per la gelida spalletta di marmo di un ponte, e va a finire dentro il rio, calando a fondo e risalendo a galla in sonnolento altalenio. Sopra non v’è più nulla: i cornicioni delle case si confondono col cielo: tutto nero.
(D. Valeri)

Inverno
L’inverno comincia il 21 dicembre e termina il 20 marzo. Le giornate sono le più corte dell’anno. Il sole sorge tardi e tramonta presto. Fa molto freddo, l’acqua delle fontane gela, i prati, al mattino, sono bianchi di brina; è necessario riscaldare le nostre case e coprirci con pesanti abiti di lana.
Spesso cade la neve, che ammanta ogni cosa di bianco; i passerotti cercano il cibo sui davanzali delle finestre.
Il bosco non è smagliante di colori come in autunno, ma è ugualmente pittoresco: si cammina sopra un soffice tappeto di foglie secche, oppure sulla neve. Gli alberi intrecciano i loro rami nudi contro il cielo che, a volte, è di un azzurro purissimo. Si va nel bosco a raccogliere foglie, rami secchi e fascine di sarmenti, mentre nei campi i contadini potano le viti o gli alberi da frutta.
Ma buona parte del lavoro invernale dei contadini si svolge al chiuso, nelle stalle, nei magazzini, nelle cantine e nei granai: si travasa il vino e si purifica l’olio; si controlla la conservazione del granoturco e del frumento; si riparano le macchine e gli attrezzi da lavoro.
La vita per gli animali diventa difficile: alcuni si sottraggono ai rigori invernali cadendo in letargo, immergendosi, cioè, in un sonno profondo per tutta la durata della stagione e nutrendosi del grasso del loro organismo, accumulato nei mesi precedenti. Altri devono affannarsi nella ricerca del cibo: la loro pelliccia si fa più folta, così sono protetti dal freddo. Gli animali più fortunati sono gli animali domestici, che se ne stanno al calduccio nelle nostre casa.
Anche l’inverno, però, ha i suoi meriti e i suoi aspetti favorevoli. In questa stagione godiamo maggiormente la famiglia e la casa; le feste invernali, come il Natale, sono tra le più belle dell’anno ed i ragazzi hanno modo di divertirsi con i giocattoli portati in dono da Santa Lucia, da Babbo Natale e della Befana.
La nostra mensa è arricchita dalla frutta autunnale, nè mancano i frutti freschi, dolcissimi, cioè l’arancia e il mandarino.

Fiori d’inverno
Anche l’inverno ha i suoi fiori: il bucaneve, la rosa di Natale e la pratolina; fiori semplici che ci fanno pensare alla meravigliosa fioritura della primavera vicina.

Inverno
L’inverno si avvicina. L’autunno dai tramonti colorati, dalle foglie dapprima rosseggianti, poi gialle, poi secche, se ne va. Gli alberi nudi aspettano il mantello bianco della neve. Dagli alti pascoli le greggi tornano al piano guidate dai fidi cani e dai pastori pazienti. Le pecorelle vanno e vanno, le une dietro le altre, e un tremulo tintinnio di campanelli le accompagna. Le giornate si fanno sempre più brevi e le notti si allungano. Nell’aria non passano ali di rondini; se ne sono andate via, laggiù, nelle terre africane, dove il sole è caldo, per tornare a primavera, quando i prati saranno verdi e il cielo turchino. Solo i passerini sono qui: essi non temono il freddo, non temono la neve, anche se in mezzo al candore il loro cuoricino si fa inquieto per il cibo. Le mamme hanno già tirato fuori dai bauli e dagli armadi gli indumenti invernali che dormivano nel profumo della canfora e della naftalina; li hanno già preparati, perchè i primi freddi sono insidiosi e conviene coprirsi subito. Ben coperti, i bambini possono continuare i loro giochi all’aperto, fino a quando le arrossate manine non li consiglieranno a cercare rifugio nella casetta tiepida e accogliente. (Cardini Marini)

Giunge l’inverno

I venti soffiano gelati dalle cime nevose delle Alpi; dalle nubi, che coprono di grigio uniforme il sereno cielo ed accorciano un giorno già corto, cadono le piogge fredde ed uggiose; le brine imbiancano i campi, presagi di più bianca canizie. Spento è il sorriso dei colli; i giardini sono spogli di fiori; le piante vanno perdendo una chioma già ingiallita e rada. Lo squallore di tutta la campagna rende meno doloroso l’addio alla stagione che muore. Le sponde dei laghi, le immense distese dei campi, gli ameni villaggi, dove poco prima risuonavano i gridi di allegre brigate, rientrano nella loro quiete, si rannicchiano nella loro semplicità. (A. Stoppani)

L’inverno

L’inverno è un periodo di attesa e di riposo per molte creature. S’arresta lo sviluppo della pianticella di frumento che sorrise al novembrino; si chiude in sè e quasi non respira l’albero che donò le sue foglie ai venti autunnali; le piante di fiori che offrirono profumi e colori si riducono spesso a radici affondate nel terreno. Molti animali si rifugiano nelle viscere della terra e dormono per lunghi mesi e molti insetti sono vivi soltanto nelle piccole uova, che si schiuderanno a primavera. Piante ed animali sanno che bisogna risparmiare le forze per la nuova fioritura e per la nuova vita primaverile.

Sole d’inverno

Oh sole d’oro, quanto ti amo! Sei bello nell’estate, quando risplendi di luce vivissima, ma d’inverno tu sei più caro! Entri nelle fredde stanze, nelle scuole, nelle umide capanne, negli ospedali, e porti un raggio di luce e di allegria ai vecchi e ai bambini, ai poveri e agli ammalati! Come sei buono, sole! Quando sorgi, la terra sorride, i fiori sbocciano, gli uccelli cantano, gli uomini ti benedicono. (A. Cuman Pertile)

Durante l’inverno il sole, sia pure con volto pallido, si affaccia tra le coltri delle nubi, noi ne salutiamo la venuta come un sorriso e come un augurio. Quando arriva il sole, il tepore della casa si fa più caldo e più vivo, le ore si fanno più brevi e leggere, e, forse, i pensieri diventano più sereni.

Gli alberi in inverno

In questa stagione molti alberi protendono nel cielo i rami nudi e il mattino li ritrovi coperti di brina. Nella nebbia i tronchi spogli sono simili a fantasmi. Ma vi sono anche le piante che mantengono le foglie e queste conservano il loro colore. Sembra quasi che non avvertano il freddo. Tuttavia, se ti avvicini, vedi le foglie tremare. (G.G. M.)

Gli insetti in inverno

Ora, d’inverno, gli  insetti allo stato perfetto mancano; la maggior parte di essi è morta dopo aver deposto le uova, e i rari superstiti sono rannicchiati, al riparo dal freddo, in nascondigli dove sarebbe molto difficile poterli trovare. D’altra parte, le larve, la speranza delle future generazioni, sono intorpidite, lontane dagli sguardi, sotto terra, nel tronco dei vecchi alberi, in fondo a rifugi inaccessibili; il verme bianco, per fuggire ai geli, è disceso nel suolo a parecchi metri di profondità. Non più maggiolini per l’orecchione, non più farfalle crepuscolari per la nottola e il pipistrello, non più scarabei per il riccio. Che cosa sarà di loro? (H. Fabre)

Aspetti della stagione invernale

La natura riposa: animali e vegetali riducono il loro lavoro al minimo necessario; il rigore dell’inverno li rende inoperosi. Ecco infatti alcuni animali cadere in un lungo sonno e così lasciar trascorrere i mesi più rigidi. I graziosi abitatori del bosco dormono, dorme il riccio nella tana ben chiusa, coperta di foglie e di frasche, scavata ai piedi dei grandi alberi; dorme il ghiro, dopo aver ben provveduto a riempire la sua tana di noci, di nocciole, di castagne; dorme lo scoiattolo spesso rintanato nel cavo di un castagno…
Vicino ai muri dormono pipistrelli e chiocciole. Non si nutrono, respirano appena appena e non si muovono per serbare il calore al loro corpo.
Negli orti,  nei giardini, nei prati, nei boschi… sembra che tutto abbia cessato di vivere. La terra è fredda, poichè il sole non può giungere con la sua energia a riscaldarla sufficientemente e, mancando la luce, manca la vita.
Non vi sono insetti che ronzano per l’aria: scomparse farfalle, api, calabroni, vespe. Negli orti le verdure resistenti al freddo sono ricoperte di paglia: verze, sedano, insalata. Nei giardini nessun fiore, alberi spogli, legnosi, sembrano in attesa di una scure che, da un momento all’altro, venga a tagliarli.
Prati ed erbe appassite dal gelo, luccicanti di brina non temono di essere calpestati; vi sono però anche campi con pianticelle verdi: sono le pianticelle di frumento, piccole piccole; ma da quell’apparente riposo assoluto sorgerà un giorno rigogliosa e preziosa una nuova vita. La terra appunto riposa per accumulare il nutrimento necessario alla vegetazione primaverile.

Mezzi di riscaldamento

In alcune località di montagna si usa tuttora ritrovarsi, alla sera, nelle stalle intiepidite dal fiato dei bovini; in altre ci si raccoglie attorno a grandi camini in cui arde un bel ceppo. Ma ben altri mezzi più perfezionati hanno sostituito il focolare: stufe a legna, a gas, a carbone, a petrolio, termosifoni,…
I mezzi di riscaldamento hanno una lunga storia che si accompagna con la vita dell’uomo.
Gli uomini primitivi si difesero dal rigido freddo invernale accendendo il fuoco in mezzo alla caverna.
Poi gli uomini, quando si costruirono la casa con le pietre, si scaldarono al fuoco del caminetto, che è formato di un piano di pietra, su cui si mette a bruciare la legna, della cappa e del fumaiolo per far uscire il fumo e le faville.
Più avanti essi impararono a bruciare la legna ed il carbone nelle stufe di pietra; poi si riscaldarono anche con stufe a gas o elettriche. Il sistema più moderno di riscaldamento per i grandi caseggiati è quello a termosifone: in ogni stanza, attraverso lunghi tubi, arriva l’acqua riscaldata in una grande caldaia che può funzionare a carbone, a nafta o a metano.

La frutta dell’inverno

Nei frutteti, sulle colline, nei boschi le piante riposano. Hanno lavorato tanto e ci hanno preparato dolci frutti anche per l’inverno. Guardate le ceste dei fruttivendoli: brillano dei colori dei frutti colti in autunno.
Nelle case dei contadini le stanze sono odorose di mele e di pere che maturano e d’uva appassita; noci, nocciole, mandorle e castagne stanno ammucchiate negli angoli o distese sui graticci; arance e mandarini splendono come lampioncini; le pallide ghirlande di agli, i mazzi ramati delle cipolle, le collane di peperoni, le patate ancora un poco vestite di terra ricordano, in silenzio, i giorni dell’estate e gli ultimi raccolti d’autunno col sole impallidito e le prime nebbie.

Un dono dell’inverno: l’arancia

L’arancia è un frutto profumato, che appartiene, col mandarino e col limone, alla famiglia degli agrumi. La buccia è arancione, porosa, con uno spessore vario. La polpa, composta di spicchi, contiene un succo agrodolce e i semi. Gli aranci crescono dove l’inverno è mite; quando l’albero è in fiore è tutto una corolla rosata e leggera; al cadere dei petali maturano le arance. Prima di darci il suo dono gradito la pianta deve diventare robusta: dopo 10, 15 anni di vita produce un gran numero di frutti.
In Sicilia vi è una grande insenatura detta Conca d’Oro, perchè ricoperta, dai monti al mare, dagli aranceti.

L’arancio

E’ originario della Cina meridionale; era sconosciuto ai Greci ed ai Romani e pare sia stato introdotto in Europa dagli Arabi.
Le foglie, coriacee, lanceolate, con il margine liscio, sono di un bel verde lucente. I fiori, bianchissimi, nascono all’ascella delle foglie e mandano un profumo delizioso. L’albero raggiunge al più l’altezza dei sei metri; viene coltivato nei prati, in lunghe file regolari.
Dove il clima e il suolo gli si confanno particolarmente, un arancio che occupi lo spazio di circa tre metri e mezzo di diametro produrrà da tre a quattromila arance l’anno.
L’albero vive e fruttifica per circa cento anni e le piante vecchie danno frutti migliori di quelle più giovani.

Gli agrumi

Un tempo si chiamavano agrumi gli ortaggi di sapore agro, come le cipolle, l’aglio, ecc… Oggi si indicano con questo nome l’arancio, il limone, il cedro, il mandarino, il pompelmo, il bergamotto, il chinotto, i cui frutti contengono un succo acido che spesso ha una notevole percentuale di zuccheri.
Gli agrumi sono piante generalmente belle, ma la loro grande importanza è dovuta alla bontà dei frutti, squisiti e utilissimi al nostro organismo. La ricchezza di vitamine, zuccheri e sali in essi contenuti li rende molto preziosi per la nostra salute.
Si pensi che basta il succo di pochi limoni per vincere la terribile malattia dello scorbuto, che attacca l’organismo umano quando non si alimenta di verdure e cibi freschi. Il succo dell’arancia arricchisce il sangue di globuli rossi.
Altri agrumi, i cedri e i chinotti, vengono usati in pasticceria per confezionare canditi (ottenuti facendo cuocere la buccia del frutto in uno sciroppo).
Infine, da quasi tutte le specie si ricavano le essenze, liquidi che evaporano con estrema facilità e che sono fortemente odorosi. Queste essenze si trovano in quasi tutte le parti della pianta; esse sono contenute in piccole vescichette distribuite nello spessore delle bucce dei frutti, delle foglie e dei fiori. Osserviamo, ad esempio, controluce una foglia di arancio: la vediamo cosparsa di punti chiari; sono appunto le vescichette ripiene di un liquido profumatissimo che schizza fuori se stropicciamo con le dita la foglia.

Gli agrumi

L’arancia, il mandarino e il limone sono frutti invernali che maturano presso le trepide rive del mare, specialmente in Sicilia ed in Calabria.
Si chiamano agrumi per il loro sapore agrodolce; sono frutti nutrienti e digestivi, ottimi per preparare gustose bibite dissetanti. Esistono due tipi di arance, quelle dolci e quelle amare.
Tutti conoscono le arance dolci. Ne abbiamo di numerose varietà, da quella a buccia giallo chiara e polpa aspretta, chiamata “portogallo”, a quella a buccia sottile e polpa rossa, più dolce, detta “sanguigna”.
Le arance amare assomigliano solo esternamente a quelle dolci, ma non si mangiano. Con la loro scorza si fanno canditi per i pasticceri, il sugo serve a preparare sciroppi e liquori amari.
Il mandarino è un frutto più piccolo dell’arancia, ma ha un sapore più dolce, intensamente profumato. I bimbi ne sono molto ghiotti; del resto si sbuccia con tanta facilità!
Il limone è ormai diventato indispensabile in ogni cucina, per preparare dolci e vivande. Il suo succo agro è un buon disinfettante dell’intestino.

Gli agrumi

L’arancia, il mandarino e il limone sono frutti invernali che maturano nei paesi caldi. Le loro parti sono: il picciuolo, la buccia ruvida e profumata, la polpa sugosa divisa in tanti spicchi e i semi. La buccia dell’arancia e del mandarino è arancione; quella del limone è gialla – verdognola. Il mandarino è dolce; l’arancia è agrodolce; il limone è agro. Per il loro sapore questi frutti si chiamano agrumi. L’arancia e il mandarino sono frutti nutrienti e digestivi; il limone è disinfettante dell’intestino. Tutti servono per preparare bibite.

Le piante invernali che usiamo per ornare le nostre case

Agrifoglio. E’ un alberetto sempreverde dei boschi di querce e castagni, con foglie coriacee lucide e con drupe rosse. Parecchie piante legnose sono armate di spine finchè sono basse e quindi esposte al dente dei ruminanti; quando sono cresciute, i loro rami alti, fuori della portata di questi animali, non sviluppano più spine. Così si comporta anche l’agrifoglio.
Vischio. E’ una pianta parassita di meli, peri, mandorli, pioppi, querce ed aceri. Le foglie sono verdi, persistenti, coriacee, ovali; i fiori sono poco vistosi e biancastri alla biforcazione dei rami. Il frutto è una bacca perlacea che contiene un sugo vischioso e velenoso, usato per prendere gli uccelli al paretaio.
Muschio. E’ composto di piccolissime pianticelle che vivono in formazioni vastissime, coprendo intere regioni (ad esempio la tundra). Da noi sono frequenti nei luoghi umidi, sulle pietre e anche sulle scorze dei tronchi; formano, a volte, nei prati montani, fitti ed estesi tappeti.
Edera. E’ una pianta rampicante che si abbarbica su per alberi e muri per mezzo di numerosissime piccole radici aeree che escono dal fusto e dai rami. Le foglie sono lucenti. E’ ornamento dei muri come delle rupi. Ha fiori giallastri e bacche nerissime.

Le foglie delle piante sempreverdi

Le foglie delle piante sempreverdi non cadono mai? Cadono anch’esse; sul terreno della pineta potremo infatti osservare uno spesso strato di aghetti morti, cioè di foglie cadute dagli alberi. Ma le foglie delle sempreverdi rimangono sulla pianta per due o tre anni; ad ogni primavera, mentre spuntano le nuove foglioline color verde chiaro, cadono quelle più vecchie, nate due o tre anni prima; sulla pianta rimangono ancora quelle nate nell’anno precedente; avviene così che le sempreverdi mostrano continuamente le loro chiome munite di foglie.
Ecco il nome delle principali piante sempreverdi: pino, cipresso, magnolia, olivo, rosmarino, cembro, ginepro, mirto, oleandro, quercia da sughero, abete bianco, alloro, edera, arancio e tutti gli altri agrumi, palma da datteri.

Pini ed abeti

Si assomigliano. Danno un frutto di ugual nome: le pigne.
Il loro tronco secerne una speciale resina profumata che fa distinguere il legno di questi alberi da tutti gli altri per l’odore caratteristico che da essi emana. Sono dei sempreverdi, cioè delle piante che, perdendo le foglie poco per volta ed essendo subito rimpiazzate da nuove foglioline, mantengono un aspetto sempre verde. Anche le foglie appena spuntate sono ben resistenti al freddo essendo acuminate e spesse da sembrare aghi. Vi sono boschi interi di pini e di abeti; abetaie e pinete che, in montagna, col loro verde interrompono il grigiore monotono del paesaggio invernale.

Brutta stagione, l’inverno?
Non dire: “Che brutta stagione! Se non venisse mai!”
Anche questa che tu chiami ‘brutta stagione’ è necessaria.
Il seme, che è nella terra, ha bisogno di umidità per germogliare; l’albero che sembra rinsecchito ha bisogno del riposo invernale per rinnovarsi; i fiumi, che scorrono portando ovunque il beneficio delle loro acque abbondanti, hanno bisogno che le nevi si ammassino sui ghiacciai dai quali nascono, altrimenti inaridirebbero col giungere dell’estate.
Anche questa stagione, quindi, coi suoi venti gelidi, le sue nebbie, la pioggia, la neve, ci porta benefici non indifferenti.
(L. Colombo)

Inverno pittore
E’ straordinario pensare a quale varietà di colori ben distinti possa offrirci l’inverno, e ciò usando si tante poche tinte, se così vogliamo chiamarle. La limpidezza e la purezza particolarissima dei colori rappresentano probabilmente il fascino maggiore di una passeggiata invernale.
C’è il rosso del cielo al tramonto, e della neve di sera, e dei lembi di arcobaleno durante il giorno, e delle nuvole basse.
C’è l’azzurro del cielo, e dei riflessi dell’acqua, e del ghiaccio e delle ombre sulla neve.
C’è il giallo del sole e del cielo crepuscolare al mattino e alla sera, e del carice (o color paglierino, che diviene brillante se, a sera, viene illuminato sull’orlo del ghiaccio) e tutti e tre nei cristalli di brina.
E poi, per i colori secondari, ecco il porpora della neve in mucchi e sulle cime delle colline, sui monti, dalle nuvole serotine.
Il verde dei sempreverdi, del cielo e del ghiaccio e delle acque quando scende la sera.
L’arancione del cielo di sera.
(H. D. Thoreau)

Elogio dell’inverno
Nell’inverno tutto è vivo e vitale. La grande morte della creatura che ebbe la sua giovinezza in aprile è ormai avvenuta con l’ultima foglia volata via.
Quello che è rimasto sulla terra a me pare l’impalcatura salda e precisa di un lavoro che si inaugura, il severo cominciamento di un’esistenza che si aprirà all’amore in primavera, darà frutti nell’estate e si estinguerà nell’autunno.
Conviene guardare quel suo apparente squallore come si guarda il disegno di una grande fabbrica che profila le sue alte moli e nasconde il suo fervente lavoro dietro gli sterili steccati. Le sue lunghe piogge sono fresco sangue per la creatura nuova, la sua neve un caldo tessuto, e il fradicio impasto di melme e di foglie morte un vitale nutrimento.
(C. Tumiati)

L’assolata ora pomeridiana
Nell’assolata ora pomeridiana il paese, benchè fossimo in inverno, mi si presentò sonnolento e torpido come in una giornata d’agosto. Bianco e deserto, usci chiusi, mazzi di fichi d’India e grappoli d’uva alle finestre, silenzio. Aspetti e atmosfera comuni, del resto, a tutti i paesi seminati nella pianura leccese, arieggianti nell’architettura, se d’architettura poteva parlarsi, temi moreschi di cupole e scalette esterne; chiusi nelle intricate prospettive delle case bianche di calce e abbacinate in quella bianchezza.
Intorno a una fontanella un gruppo di donne con pezzuole nere sul capo aspettava indolentemente di riempire i grossi orci che rappresentavano la provvista d’acqua della giornata. Cinque o sei ragazzetti giocavano a piastrelle senza rumore. Qualche moscone solitario ronzava nel sole.
(C. Montella)

Sole invernale
Il gelo risuonava. Nella nebbia gelata, senza un nesso apparente, apparivano suoni e forme spezzate, si fermavano immobili, si muovevano, scomparivano. Non brillava il sole a cui si è abituati sulla terra, ma un altro sole, come artificiale, librato sul bosco come un globo scarlatto, da cui si spandevano lenti  e faticosi, come in un sogno o in una fiaba, raggi di luce rossastra, color rame, che nel loro tragitto si rapprendevano nell’aria, e aderivano gelati agli alberi.
(B. Pasternak)

Valanga
I ventotto uomini della corvèe sono giunti alla base del canalone. Cominciano a risalirlo a zig-zag, si arrestano, avanzano un passo, affondano fino al collo. Si arrestano di nuovo e guardano su.
E’ la morte che vedono?
L’hanno veduta. Hanno sentito con un brivido la sua gelida vicinanza, ma solo per una frazione di secondo… Poi non sanno più niente… perchè il mondo precipita… precipita in frantumi bianchi, si avventa con la furia di un uragano giù per il canalone… addosso a quegli uomini che guardano in su e che spalancano la bocca in un ultimo grido… e li divora… Spazza via quei poveri diavoli, scaraventa le loro misere ossa nell’abisso, donde non si può risalire.
La valanga deve essersi staccata molto in alto; la massa candida, come un’onda poderosa di risacca, rotolò giù turbinando dentro al canalone e lo percorse ululando e fracassando.
Quando il turbinio fu cessato, di quei ventotto uomini, che poco prima stavano uno sopra l’altro come dei pioli di una scala, non rimaneva più nulla, neppure un fagotto disperso…
(L. Trenker)

Tormenta
Voi conoscete la montagna d’estate quando è piena di vita e di poesia. Ma bisognerebbe che vi saliste d’inverno, quando la neve raggiunge l’altezza dei pali telegrafici o persino quella del tetto, e la temperatura discende a quindici-venti gradi sotto zero, e infuria la tormenta.
Formidabili muggiti seguiti da impressionanti silenzi istantanei, ed urli inesprimibili, fischi lunghi e laceranti si fanno allora sentire attraverso le doppie e ben connesse finestre dell’Ospizio; la stufa e tutti gli oggetti che si trovano nella mia camera vengono agitati come sul mare in burrasca, mentre al di fuori milioni di aghi invisibili, acutissimi, duri come l’acciaio, con forza inaudita vengono sferzati contro la faccia di chi sale. A poco giovano il passamontagna e i grandi occhiali neri protettori: a poco vestiti e guanti. I mille e mille aghi si insinuano attraverso gli interstizi, penetrano fino alla pelle, la punzecchiano in modo doloroso, si fondono, inzuppano le vesti e sotto l’azione di quel freddo polare gelano di nuovo al primo istante concesso al riposo, rendendo impacciati e talvolta dolorosi i movimenti. Gli occhi battuti, malgrado gli occhiali, non possono rimanere aperti. Non è possibile tener sollevata la testa per non rimaner soffocati  dalla massa d’aria e di neve che il vento inietta negli organi respiratori. Gli orecchi ronzano per l’assordante infernale rumore della tempesta, e la mente si ottenebra. Si perde il senso della direzione, la capacità di pensare, e spinti solo da una forza che trae le sue origini dall’istinto di conservazione, si cammina, si cammina sempre, senza curarsi del dove si vada, senza sapere se si procede verso la meta.
(P. Chanoux)

Esercizi di vocabolario per l’inverno
– Inverno: invernale, invernata, svernare.
– L’inverno può essere: rigido, gelato, inclemente, freddo, ventoso, tempestoso, nevoso, crudo, lungo, mite, ecc.
– Freddo: freddino, freddone, frigido, freddoloso, freddare, freddezza, infreddolire, raffreddore, raffreddarsi, frigorifero.
– Neve, brina, ghiaccio, gelo, ghiaccioli, gelata, vento, tempesta, bufera, nevicare, ghiacciare, agghiacciante, gelare, gelato, brinare, sbrinare, surgelati.
– Classificare dal più freddo al meno freddo e aggiungere a ciascuna parola un nome adatto: tiepido, freddo, gelato, rigido, ghiacciato, intirizzito.

Ricerche e relazioni per l’inverno
– Raccogliere brani, poesie, illustrazioni che riguardano l’inverno e il freddo, da applicare ad un cartellone “Calendario murale” e che serviranno, in seguito, per la compilazione delle schede o di un libro fatto da sé.
– Osservare il cielo invernale nei vari momenti della giornata e farne la descrizione.
– Osservare come si presenta una giornata d’inverno quando c’è sole, quando piove, quando nevica.
– In occasione di una nevicata, osservare accuratamente il paesaggio, i tetti delle case, gli alberi, i cespugli, i campi, le strade.
– Compilare un calendario meteorologico.
– Gli sport invernali: se nel luogo ci sono manifestazioni sportive, sia pure modeste, farne una relazione.
– I mezzi di trasporto sulla neve.
– La vegetazione d’inverno. Effetti della neve e della brina sulla campagna.
– I sempreverdi: loro aspetto d’inverno.
– Gli alberi d’inverno. Osservazione accurata dei vari tipi di alberi.
– I cespugli e le siepi d’inverno.
– Gli uccelli migratori e quelli rimasti nella località.
– Gli animali delle regioni nordiche.
– Gli insetti: larve e crisalidi.
– Gli animali che cadono in letargo.
– Esperimenti sui fenomeni fisici a cui è sottoposta l’acqua durante il freddo intenso.

I doni dell’inverno
Il pastore passava le giornate nella capanna; si sentiva tranquillo e pregava che l’inverno non diventasse molto rigido, che molti capretti venissero alla luce, che molto latte gonfiasse le mammelle delle capre.
Lo scrosciare del bosco contorto dal vento gli diceva che l’inverno era lungo e rigido: ma per la sua antica esperienza sapeva che il vento, la pioggia, la nebbia e la neve erano necessarie perché la terra s’impregnasse di umido, gli alberi si spogliassero delle foglie inutili, le sorgenti rigurgitassero di acqua, e ogni cosa infine ricevesse dall’inverno i germi fecondi della primavera.
Quindi non di lamentava mai: anzi, il tepore dei grossi tronchi accessi nella capanna lo avvolgeva spesso di sogni e dalla tristezza dell’inverno la sua vecchia esperienza presentiva il rigoglio della primavera.
(G. Deledda)

L’odore dell’inverno
Il tempo dapprincipio fu bello, calmo. Schiamazzavano i tordi, e nelle paludi qualcosa di vivo faceva un brusio, come se soffiasse in una bottiglia vuota.
Passò a volo una beccaccia e il colpo che le fu sparato risuonò nell’aria con allegri rimbombi.
Ma quando nel bosco si fece buio e soffiò da oriente un vento freddo e penetrante, tutto tacque.
Sulle pozzanghere si allungarono degli aghetti di ghiaccio. Il bosco divenne squallido, solitario.
Si sentì l’odore dell’inverno.
(A. Cechov)

Quadretto invernale
I venditori di caldarroste stavano agli angoli delle strade. Dietro i vetri appannati delle osterie c’erano uomini seduti ai tavoli, con le carte in mano e il litro davanti. Le donne, curve dal freddo, negli scialli striminziti, le mani sotto i grembiuli, traversavano le strade.
Alla fontanella di piazza Santa Croce l’acqua era gelata nella grande conchiglia di marmo ce la riceveva.
I vetturini si riscaldavano incrociando le mani sotto le ascelle. Sulla via Pietrapiana, di animava, con le luci dei negozi, il traffico della sera; davanti al venditore di castagnaccio c’era sempre ressa di avventori.
(V: Pratolini)

Inverno in montagna
L’inverno anticipò la sua venuta. La valle era tutta bianca, gli abeti verdi, quasi neri, reggevano pesi enormi di neve. La cascata accanto alla casa era ghiaccio vivo: solo un filo d’acqua cristallino scorreva liscio, oleoso sotto la crosta, lo si vedeva, alla trasparenza del ghiaccio, aprirvi delle larghe bolle d’aria biancastra. Che silenzio intorno! Il villaggio dormiva accovacciato. La mattina all’Ave Maria e la sera all’Angelus qualche ombra nera passava silenziosa sulla neve dura, con una lucerna in mano, e filava dritta alla chiesa, poi per tutta la giornata non andava intorno anima viva.
(G. Giacosa)

Mattino grigio
Mattino grigio d’inverno. Silenzio di tutte le cose. Nevica sui monti erti, sui pascoli inclinati, sui prati concavi e piani. Se, rovesciando il capo all’indietro, guardo all’indietro,  guardo all’insù, vedo l’universo intero vacillare, sfaldarsi in bioccoli e in polvere, scendermi, roteando, fin negli occhi, fin entro la bocca.
Infinito sfarfallio nell’aria. Fruscio di rami che si scrollano… Tonfo della neve che sul colpo cade… Nuovo, più profondo e misterioso silenzio… Il tempo stagna come un’acqua che il ghiaccio prenda… Forse il mondo non esiste più…
(G. Zoppi)

Dettati ortografici – Inverno – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.

Dettati ortografici: Gennaio

Dettati ortografici su gennaio – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste. Brevi dettati ortografici a tema per esercitare la scrittura e seguire il ritmo della natura… 

Il cielo è grigio, coperto di nuvoloni carichi di pioggia o di neve. Gli uccellini non cantano più. Gli alberi sono nudi e spogli.

Sotto la neve, pane! E gennaio copre di un mantello candido le verdi piantine del grano che così non geleranno.

Gennaio è un dei mesi più freddi dell’anno. La neve ricopre tutto col suo mantello candido. Il vento urla fra i rami degli alberi spogli.

Fra le divinità adorate dai Romani, vi era Giano, il dio dai due volti, propiziatore del nuovo anno, simbolo della fine e del principio, al quale era dedicato il primo mese: gennaio. E poichè dove una cosa finisce ne comincia necessariamente un’altra, Giano era anche il dio dei confini, delle porte, della pace e della guerra; la sua specialità era, insomma, di iniziare un periodo e di chiuderne un altro.

E’ arrivato gennaio col suo carico di freddo, di neve, di pioggia. Ma anche il freddo è necessario. Le piantine di grano, non potendo uscire all’aperto per il gran freddo, moltiplicano sotto terra le loro radici, e si preparano a diventare robuste e rigogliose.

E’ un mese freddo, ma anc’esso necessario. I cattivi germi e gli insetti nocivi muoiono. La terra, sotto la coltre gelida, si riposa e si prepara al lavoro della primavera. Anche gli alberi dormono. Il cielo è quasi sempre grigio e spesso cade la neve.

E’ un mese freddo e rigido. Il cielo è quasi sempre nuvoloso e il sole raramente fa capolino con un raggio scialbo e pallido. Il vento fischia nelle strade deserte. La gente si ripara con indumenti pesanti e caldi, sospirando il ritorno della bella stagione.

In gennaio gli alberi sono brulli, spogli; il vento squassa i loro rami stecchiti. Sembrano morti, ma morti non sono. La vita scorre nel tronco immobile che presto metterà gemme e fiori.

Le nuvole di gennaio sono bigie, pesanti, apportatrici di pioggia e di neve. Il vento le ammassa all’orizzonte in un nembo che copre tutto l’azzurro del cielo. Il sole a stent può farsi strada per qualche momento fra le nuvole grigie, ma il suo raggio non riesce a riscaldare la terra gelida.

Siamo nel cuore dell’inverno. L’aria è gelida. Il vento ulula per le strade, la gente cammina in fretta, avvolgendosi strettamente in sciarpe e cappotti per difendersi dalla gelida tramontana. Si sogna il tepore della primavera.

Parla gennaio: “Sono il primo di dodici fratelli e porto pioggia, neve, brina e freddo intenso. Tutto dorme, ma sotto la bianca coltre di neve, le piantine si sforzano di gettare più radici che possono. A primavera germoglieranno. Quando me ne sarò andato, i campi di copriranno di verde erbetta, il grano di domani.”.

Gennaio è un simpatico mese. Dietro a lui, altri undici signori, chi allegro, chi malinconico, chi coperto di pellicce, chi col costume da bagno. Sono i mesi, suoi fratelli, e insieme formano l’anno. Gennaio porta anche lui, come dicembre, un bel sacchetto di doni. I ragazzi gli vogliono bene; quando c’è per aria odore di regali, va bene anche il freddo, va bene anche la neve. E i ragazzi sognano: calzette piene di doni, cestini rigurgitanti di buone cose, e la tavola, apparecchiata per i giorni di festa.

Gennaio è uno dei mesi più freddi dell’anno. La neve ricopre tutto col suo mantello candido. Il vento ulula e s’ingolfa per le strade. sbatacchiando le finestre. Gli uccellini non trovano neppure un semino per sfamarsi e pigolano e si lamentano. Gli alberi sono spogli e tendono verso il cielo le loro braccia rinsecchite. I prati sono coperti di neve o di brina.

Nella campagna c’è un gran silenzio. La terra dorme, copera di neve, ma, sotto, lavora. La neve la ripara dal gelo e i semi si svegliano domandando se è ora di germogliare. No, non è ora. Fuori fa freddo, continuate a dormire. E invece, quelli, pian piano, mettono fuori una radichetta, e aprono gli occhietti curiosi. Ma, finchè il sole non batterà, di fuori, con i suoi raggi, è proibito uscire.

Lucertole, ghiri, bisce e tassi dormono profondamente. Consumano il grasso che hanno accumulato durante la buona stagione, così risparmiano di mangiare e non soffrono il gelo. Gli uccellini, sui rami spogli, pigolano di fame e di freddo. Gennaio è lungo. Tanti giorni di neve, di pioggia, di vento. Quando le feste sono finite, la gente comincia a mormorare: “Ma quando se ne va?”. E sogna le violette di febbraio.

Gennaio è uno dei mesi più lunghi; con esso comincia l’anno nuovo. E’ un mese freddo: neve, brina, gelo. Ma sotto la crosta gelata della terra, riparati dal mantello nevoso, i semi si danno un gran da fare per stendere le loro radici, per rafforzarle in modo da poter uscire con una pianticina robusta quando il tempo lo permetterà. Ma ora tutto è scheletrito, spoglio, rigido e triste.

Gennaio è il primo mese dell’anno, uno dei mesi più freddi. Nei crepacci e intorno alle fontane si forma il ghiaccio, I monti sono coperti di neve. L’erba dei prati è intristita dal gelo. Gli uccellini hanno freddo e fame. E’ difficile trovare anche un semino per saziare l’appetito. Volano qua e là, pigolando piano, come se chiedessero la carità di una briciola. Ma gennaio porta anche delle belle feste: Capodanno e l’Epifania. Sono feste liete e tutti di fanno gli auguri.

In gennaio il contadino riposa; ma la terra, sotto, lavora. E, più è freddo e più nevica, e più le piantine morse dal freddo accumulano energia per coprirsi di fior e di frutta e più il grano tenuto indietro dalla neve, accestisce: ogni chicco quattro o cinque steli; ogni stelo una spiga, ogni spiga tanti granelli. Aritmetica dell’universo. Sotto la neve, pane; sotto l’acqua, fame.

Gennaio prende il suo nome da Giano, il dio che i Romani raffiguravano con due facce: una volta al passato, una volta all’avvenire. Infatti, essendo il primo mese dell’anno, gennaio ci invita a guardare quello che è passato e a sperare e far propositi per i giorni che verranno. Che cosa ci riservano, questi? Nessuno lo sa.

I contadini seminano il grano, arano il terreno per le patate e il granoturco; potano le viti e gli ulivi. Gennaio è il mese più freddo dell’anno, ma è tanto amato dai bambini per l’Epifania.

Sole di gennaio
Siamo alla fine di gennaio e nell’aria c’è già un sole, un respiro, un errabondo odore di primavera.
Si sente dire che sui colli i mandorli cominciano a fiorire; ma qui, nell’orto suburbano che mi consola con la sua vista serena, non si scorge ancora nessun segno di vita.
Dietro la siepe di bosso e il filare di girasoli rinsecchiti e pencolanti l’arida terra porta soltanto qualche ciuffo d’erba pallida tra i mucchi di grigia sterpaglia. I ciliegi disegnano netto nel cielo l’arabesco dei loro rami nerastri e gropposi. Più oltre, la vite a pergola lascia pendere qualche esile tralcio, nudo, chiaro e liscio.
Eppure la precoce primavera è arrivata anche qua.
Il colore del sole mattutino, disteso sul terreno è color di rosa; le ombre dei ciliegi su quel rosa sono violette; quelle della vigna sul muretto bigio di fondo, azzurre e come tremanti. E le tre case che chiudono l’orizzonte, una rosa, una giallina, gialla la terza, slavate dalla pioggia e scialbate dal sole, direi che mandino luce, quasi fossero fatte di una preziosa materia trasparente.
Sono case qualunque, case utilitarie, che non han nulla di bello e neppure ambiscono ad esser belle; ma in quest’aria primaverile d’inverno diventano bellissime: magiche creazioni del nostro sole di pianura, di pianura padovana.
Perchè, sì, anche qui sento e riconosco la mia città materna: in questa semplicità e modestia di paesaggio, in questa timida delicatezza di rapporti tonali in questa luce di poesia che si sprigiona dalle più umili e povere cose.
(D. Valeri)

Dettati ortografici su Gennaio – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Acquarello steineriano – l’albero in inverno

Acquarello steineriano – L’albero in inverno . In inverno la luce e il calore non appaiono come elementi esteriori, soprattutto se osserviamo un albero spoglio. Eppure sappiamo che sono contenuti nella terra.

Colori utilizzati:
blu oltremare,
blu di Prussia,
giallo oro
rosso carminio.

Per questo prepariamo l’ambiente lavorando col blu oltremare e il blu di prussia, così:

facendo giungere il colore sul foglio dall’esterno verso l’interno, a ricordare sia la luce fredda, sia la nebbia e l’umidità della terra.

Poi concentriamo il blu di prussia in un punto in basso, da lì diamo un abbozzo di radici e poi spingiamo il colore verso l’alto, a formare il tronco e poi i rami. Il tronco si sviluppa sempre prendendo colore dalla radice, i rami prendendo colore dal tronco e dai rami più grandi.

In nessun caso, possiamo dire ai bambini, i rami piovono dal cielo già fatti e si appiccicano a un albero. Nascono sempre dall’albero stesso e si dirigono  verso l’esterno.

ora abbiamo un’immagine di un albero completamente privo di vita, un albero di ghiaccio, ma non è così.

Dalla terra su verso l’alto facciamo scorrere nell’albero la sua vita nascosta, il giallo oro e il rosso carminio.

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Waldorf watercolor tutorial: tree in winter. In winter, the light and the heat does not appear as external elements, especially if we see a bare tree. Yet we know that are contained in the ground.

Waldorf watercolor tutorial: tree in winter

Colours used

ultramarine blue,
Prussian blue,
golden yellow
carmine red.

The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but it is not essential:

Waldorf watercolor tutorial: tree in winter

Procedure

Prepare the environment by working with ultramarine and Prussian blue, like this:

by getting the color on the sheet from the outside   towards the inside, remembering the cold light, mist and moisture of the earth.

Then concentrate the Prussian blue, in a point at the bottom, from there to make a sketch of roots and then push the color upwards, to form the trunk and then the branches.
The trunk grows increasingly taking color from the root, the branches taking color from the trunk and larger branches.

In any case, we can say to the children, the branches fall from the sky already made and cling to a tree. Always come from the tree itself and go towards the outside .

Now we have a picture of a tree completely devoid of life, a tree of ice, but it is not.

From the land upward flow in the tree his hidden life, the golden yellow and the carmine red.

Gnomi di pannolenci

Gnomi di pannolenci – materiale occorrente

Servono dei ritagli di feltro o pannolenci (ma va bene anche qualsiasi altro tessuto se abbastanza consistente), della lana bianca (oppure ovatta), e filo da ricamo.

Puoi scaricare il cartamodello qui:

Gnomi di pannolenci – come si fanno

Per prima cosa ritaglia il tessuto, tenuto a doppio, seguendo il cartamodello:

Poi cuci il cappuccio a doppio, così:

Per spiegare ai bambini il punto festone, mostra che l’ago fa infilato da dietro verso il davanti:

poi bisogna tirare il filo ma non completamente, in modo che resti un piccolo cappio:

poi, sempre da dietro verso il davanti si infila l’ago nel cappio:

e si tira, così:

Dopo aver cucito il cappuccio, si passa a fare un’arricciatura come mostrato nelle foto  (ai bambini si può tracciare il percorso con del gesso):

Ora prendiamo una falda di lana e facciamo un nodo al centro:

Dividiamo in due una delle estremità e rivoltiamole sul nodo, in modo da rivestirlo, quindi stringiamo con un po’ di lana intorno al “collo”, e inseriamo la testina nel cappuccio:

Utilizzando il filo rimasto libero arricciamo e facciamo un bel fiocchetto, quindi tagliamo la lana eccedente:

Se vogliamo che il nostro gnomo abbia la barba, basta sollevare un ciuffetto di lana lasciandola fuori dall’arricciatura, così:

Con questi gnometti di panno si può decorare l’albero, si possono preparare dei mobiles o dei festoni colorati, e naturalmente giocare…

Qui ho trovato anche una bella idea per un regalo da fare a mano:

http://www.atelierpippilotta.nl/

Si preparano due tappetini neri con dei cerchietti colorati: i colori corrispondono a quelli segnati dal dado e naturalmente per ogni colore ci saranno due gnometti. I bambini lanciano il dado e posizionano  lo gnomo del colore indicato sul loro tappetino, a turno. Se esce il colore di uno gnomo che era già uscito, il dado passa all’altro bambino e vince chi per primo riesce a completare il tappetino.

Orologio – impariamo a leggerlo

Orologio – impariamo a leggerlo: ecco un’idea semplice e che può essere realizzata facilmente a casa per aiutare i bambini ad imparare a leggere l’orologio:

Spiegate ai bambini che gli adesivi servono a leggere la posizione della lancetta lunga (i minuti) e possibilmente realizzate le scritte insieme ai bambini.

Cominciate col far visualizzare i bollini che contano i minuti come la tabellina del cinque, mentre li posizionate e scrivete i numeri.

Poi passate a spiegare che la stessa ora si può leggere in due modi diversi: ad esempio si può dire che sono le tre e  trenta, oppure che sono le tre e mezzo, ecc…

Durante la giornata potete chiedere spesso ai bambini di dirvi l’ora.

Orologio – impariamo a leggerlo

Recite di Natale – Il dono dei nani

Recite di Natale – Il dono dei nani. 

C’era una volta una povera famiglia di contadini. Babbo e mamma lavoravano i campi e i figlioli badavano alle bestie. Bruno conduceva al pascolo le pecore, e Bianca guidava le oche. Il babbo aveva promesso che, al momento di vendere la lana e le piume, avrebbe portato del mercato un bel regalo per i due bambini. Bruno e Bianca aspettavano con impazienza quel regalo, e intanto facevano coscienziosamente il loro lavoro, ma un giorno…

Bruno: Oggi le pecorelle erano inquiete, forse avevano caldo, forse sete… E’ molto tempo ormai che camminiamo, e quasi non capisco dove siamo. Dei grandi abeti, un limpido ruscello, un ammasso di rocce, un ponticello: per riposarmi qui starò da re, anche per voi va bene?

Pecorelle: Beh! Beh! Beh!

Bruno: L’erba è tenera e fresca. L’acqua c’è. Vi piace questo posto?

Pecorelle: Beh! Beh! Beh!

Le pecorelle si misero a brucare, e Bruno si accomodò ai piedi di un abete per riposare. Senza accorgersene si addormentò, ma ben presto alcune voci lo destarono…

Nani: Pim pum. Pim pam! Noi del bosco i nani siamo, proteggiamo le sementi, raccogliam gemme lucenti. Pim pum. Pim pam! Tutto il giorno lavoriam.

Nano: Guardate, un gregge qui nel nostro prato!

Nano: E da che parte sarò mai sbucato?

Nano: Son pecore venute da lontano…

Nano: Non facciamo rumore, parla piano.

Nano: Hanno proprio una splendida pelliccia.

Nano: E’ tutta lana pura, bianca e riccia.

Nano: Io, se potessi averne un bel sacchetto, farei un materasso pel mio letto.

Nano: Io dormo sulla paglia che è pungente.

Nano: Ed io sul fieno dormo malamente.

Nano: Ma di lana, purtroppo, non ne abbiamo

Nano: Si sveglia il pastorello… via, scappiamo!

Bruno: Ho visto i nani, proprio intorno a me. Ho dormito? Ho sognato?

Pecorelle: Beh! Beh! Beh!

Appena a casa, Bruno raccontò in gran segreto la sua avventura alla sua sorellina, ma Bianca gli disse che doveva proprio aver sognato. Però, qualche giorno dopo…

Bianca: Oggi le mie ochette hanno voluto uscire dal sentiero conosciuto. E’ molto tempo ormai che camminiamo, e quasi non capisco dove siamo. Uno stagno dall’acqua trasparente, un ponticello, un salice piangente. Per riposare ci fermiamo qua, anche per voi va bene?

Oche: Qua qua qua!

Bianca: C’è l’erba fresca ed acqua in quantità. Vi piace questo posto?

Oche: Qua qua qua!

Le ochette si misero a sguazzare nello stagno, e Bianca si accomodò ai piedi del salice per riposare. Senza accorgersene si addormentò, ma ben presto alcune voci la svegliarono…

Nani: Pim pum, pim pam! Le radici difendiam, custodiamo oro e argento, siamo sempre in movimento. Pim pum, pim pam! Noi del bosco i nani siam!

Nano: Guardate quante belle oche bianche!

Nano: Da dove son venute? Sembran stanche…

Nano: Sono certo arrivate da lontano.

Nano: Non facciamo rumore, parla piano.

Nano: Come dev’esser morbida la piuma!

Nano: Se almeno ne prendessimo qualcuna… Le prenderei per farmi un cuscinetto.

Nano: Io non ce l’ho davvero nel mio letto.

Nano:  Io ho provato con la segatura, e non si dorme bene perchè è dura.

Nano: Ma di piume purtroppo non ne abbiamo…

Nano: Si sveglia la bambina, via, scappiamo!

Bianca: Ho visto i nani, erano proprio là. Ho dormito? Ho sognato?

Oche: Qua qua qua!

Appena a casa, Bianca raccontò in gran segreto la sua avventura al fratellino, e insieme si convinsero che avevano veramente visto i nani. Ma per quanto li cercassero ancora nel bosco e tornassero spesso dove li avevano incontrati, quelli non si lasciarono più far vedere. I due bambini, però, non riuscivano a dimenticarli…

Passò del tempo, le pecore furono tosate e le oche spiumate. Un giorno il babbo disse che andava al mercato a vendere lana e piume, e che avrebbe portato a casa il regalo promesso. Che cosa desideravano? Bruno  e Bianca risposero che che non volevano niente dal mercato, e che desideravano solo tenere per sè un sacco di lana e un sacco di piume. Il babbo si meravigliò, ma fece come i bambini chiedevano. Così Bruno e Bianca presero i loro sacchi sulle spalle, e se ne andarono nel bosco.

Bruno: Io stavo zitto zitto sotto al pino, e i nani mi passavano vicino…

Bianca: sotto il salice quieta me ne stavo, e i nani eran vicini, e li ascoltavo…

Bruno: Però non voglion essere osservati, e appena mi hanno visto son scappati.

Bianca: Nel prato i nostri doni ora lasciamo, chiamiamo i nani, e lesti ce ne andiamo.

I bambini chiamano, poi si nascondono. Sbucano i nani…

Nano: Perchè quei due bambini ci han chiamati?

Nano: Son stati qui un momento e son scappati!

Nano: Han posato qui due sacchi, che sarà?

Nano: Io non resisto dalla curiosità!

Nano: Io mi avvicino a dare una sbirciatina…

Nano: Questo è pieno di piuma bianca e fina!

Nano: Questo è pieno di lana, che bellezza!

Nano: Sarà proprio per noi questa ricchezza?

Bianca e Bruno in coro: I nani del bosco i doni troveranno, e più contenti questa notte dormiranno…

Nano: Ma certo che è per noi, non hai sentito?

Nano: Questo regalo è certo il più gradito.

Nano: Quei due bambini sono molto buoni…

Nano: Torniamo a casa con i nostri doni!

Passano dei mesi, e venne il tempo del Natale. Bruno e Bianca aspettavano con gioia quel giorno. L’unica cosa che li rattristava, era che non avrebbero avuto l’albero di Natale come l’avevano visto in casa dei bambini più ricchi di loro. La mamma diceva che u abete ne bosco sarebbe stato presto trovato, ma che erano troppo poveri per potersi comprare tutti gli ornamenti necessari: palline d’argento, stelle d’oro, ciondoli variopinti… I bambini capivano che la mamma aveva ragione, ma spesso, quando erano soli, sospiravano pensando all’alberello desiderato. Alla vigilia di Natale, vi fu trambusto in famiglia per gli ultimi preparativi, e tutti poi si coricarono presto. Ma un po’ prima di mezzanotte, piano piano, l’uscio di casa si aprì…

Nano: Venite avanti piano, zitti zitti…

Nano: Se qualcuno ci vede siamo fritti!

Nano: Abbiam fatto fatica nella neve.

Nano: Non credevo che fosse così greve.

Nano: Io dico che è una bella improvvisata…

Nano: qui due bimbi l’han proprio meritata!

Nano: Chissà che festa, chissà che battimani!

Nano: Capiranno che è il dono di noi nani?

E posano nel salotto di casa un albero di Natale carico di luci e meravigliose decorazioni…

(Autore ignoto)

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San Nicola – CANTI DI NATALE

San Nicola – CANTI DI NATALE con testo, spartito stampabile e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.

San Nicola – CANTI DI NATALE
testo

San Nicola, tu che i doni porti ai bimbi che son buoni,
guarda a noi che t’invochiamo, ed il canto a te leviamo.
Vaglia il nostro piccol cuore, se ricolmo è d’amore,
se del bene noi facciamo con le azioni che compiamo.
La tua scopa non portare, che il tuo sacco hai da vuotare,
esso è pieno di dolci buoni, che del cielo sono doni.

San Nicola – CANTI DI NATALE
spartito  stampabile e traccia mp3 qui:


CANTI DI NATALE – San Nicola 

Bulbi di giacinto – fioritura invernale

Bulbi di giacinto – fioritura invernale – I giacinti si possono piantare verso ottobre – novembre, quando comincia a fare freddo. All’aperto fioriscono da fine inverno ad inizio primavera.

Occuparsi dei bulbi è una bellissima attività per la seconda settimana dell’avvento, dedicata alle piante.

Possono essere piantati sia in vaso sia in idrocoltura, che sono due modi efficaci per ottenere fioriture precoci dei bulbi.

 In vaso

Per interrare i bulbi occorrono vasetti di terracotta bassi, da riempire con circa 4 cm di terriccio.  I bulbi non devono essere completamente interrati, ed è meglio evitare di pressare il terriccio. Annaffiare e aspettare…dopo qualche settimana spuntano i germogli.

Per aiutare la pianta nel suo sviluppo, il giacinto ha bisogno di un luogo fresco (intorno ai 6 -10 gradi), e di penombra. I vasetti possono essere messi quindi in un ripostiglio non riscaldato o una cantina, mantenendo il terriccio umido.

Quando i germogli avranno raggiunto un’altezza di circa 10 cm, i vasetti possono essere trasferiti in casa, al caldo e alla luce. Dopo qualche settimana fioriranno.

Altro modo per ottenere la fioritura invernale del giacinto è l’idrocoltura. Occorrono delle brocche con una strozzatura che permetta al bulbo di restare sollevato dal pelo dell’acqua. Non avendo brocche, sono andata in cerca di vasetti…

E’ importante che il bulbo non entri mai in contatto diretto con l’acqua, perchè rischierebbe di marcire, però deve essergli molto vicino, perchè questa vicinanza stimola il processo di sviluppo delle radici.

In idrocoltura

Si consiglia di usare acqua piovana o demineralizzata, ma io mi sono avventurata (piena di speranza) con quella di rubinetto.

I vasetti vanno poi portati in un luogo fresco e in penombra (si torna alla cantina o al ripostiglio di cui sopra)… e si aspetta.

Quando il vaso si sarà riempito di radici, e tra le foglie che saranno spuntate  sarà possibile vedere il colore del fiore che deve nascere, si può trasferire il vaso in casa, al caldo e alla luce, e in poco tempo avremo una bella fioritura.

 

Dettati ortografici: Dicembre

Dettati ortografici su dicembre – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Il nome di dicembre

Dicembre ha questo nome perchè, al tempo degli antichi Romani, quando cioè l’anno cominciava a marzo, era il decimo mese del calendario. Poi i mesi diventarono dodici, ma il nome restò, così come è restato a settembre, a ottobre e a novembre.

La campagna

La campagna è squallida; nei boschi la vita sembra scomparsa, ma in realtà la volpe, la donnola ed il lupo si avventurano nei campi in cerca di cibo. La stagione invernale è propizia a coloro che amano gli sport di montagna e si recano a sciare sui campi di neve. Nel mese di dicembre proseguono nei campi i dissodamenti, il taglio delle siepi, la potatura degli alberi e la pulizia dei fossi. Si bacchiano le olive e, nelle regioni più calde e nelle isole, si raccolgono gli agrumi che andranno in ogni parte d’Italia e all’estero.

Dicembre

Dicembre è un mese freddo, uno dei più freddi dell’anno. Il cielo è quasi sempre grigio, piovoso; spesso cade la neve. Il vento soffia tra i rami degli alberi spogli e li fa tremare sotto la sua gelida furia. Gli uccellini non cantano più. Soltanto i passeri pigolano, infreddoliti e affamati.

Dicembre

Dicembre è un mese freddo perchè con esso entra l’inverno col suo corteo di nebbie, di pioggia, di neve. Ma se scostate il mantello di dicembre scorgerete una quantità di giocattoli, e un bell’albero di Natale. Dicembre è anche un mese pieno di belle e piacevoli sorprese.

Dicembre

A dicembre come passano le giornate, e che freddo! Si fa tutto in fretta, ma il tempo non basta mai: viene subito sera, ed una volta a letto, sotto il caldo delle coperte, si ripensa all’estate trascorsa, alle belle giornate, alla campagna verde e festosa. Ora, dappertutto foglie secche e niente fiori, niente uccelli. Dove sono andate a finire le rondini tanto allegre? Si vedono solo passeri e pettirossi tristi e infreddoliti.
(G. Cauzillo)

Dicembre

Dicembre è un mese brutto per i poveri. Hanno bisogno di fuoco, di indumenti pesanti, di cibo, di casa. E spesso, i poveri non hanno nulla di tutto questo. Il vento soffia impetuoso e penetra sotto le travi sconnesse. I poveri desiderano la primavera, ma la bella stagione è lontana. Per i poveri l’inverno è duro e doloroso.

Dicembre

Il freddo è arrivato. Gli alberi hanno perduto tutte le foglie e scheletriti e nudi rabbrividiscono al vento che li scuote. Lucertole, bisce, insetti, sono tutti giù, sotto terra a dormire. Si sveglieranno a primavera. Il cielo è grigio e spesso piove. Allora, nella strada, si allargano le pozzanghere fangose, che rispecchiano le nuvole grigie.

Dicembre

Dicembre è un mese pieno di belle feste. Feste di santi, che portano i doni, festa del bambino Gesù, che in questo mese è nato, festa dell’anno vecchio che se ne va per lasciare il posto all’anno nuovo, che tutti sperano sia più buono di quello che è passato.

Dicembre

Dicembre rassomiglia a un vecchione con la lunga barba bianca, tutto avvolto nel suo ampio mantello coperto di neve. Ma se schiude un po’ quel suo misterioso mantello, ecco far capolino un bell’albero di Natale, e tanti, tanti doni, per la gioia dei bambini buoni.

La campagna

I contadini lavorano attorno alla casa: provvedono alla pulitura e alla preparazione degli attrezzi. Viene travasato il vino nuovo. Continua e termina la raccolta delle olive; nei mercati, sulle mense, compaiono arance e mandarini. In questo mese si festeggiano l’Immacolata e la Madonna di Loreto con processioni e falò. In Lombardia, nel Veneto e in Sicilia i bambini attendono i doni da Santa Lucia. Il Natale raduna tutte le famiglie davanti al presepe e attorno al desco per la tradizionale cena della vigilia. San Silvestro chiude l’anno con danze e canti.

Dicembre

E’ dicembre e l’inverno non aspetta la data ufficiale per fare il suo ingresso. Guardiamoci attorno: le manifestazioni invernali sono visibili ovunque. Il cielo, almeno in Italia, è quasi sempre grigio, nuvoloso, percorso da nubi spesse e pesanti. Osserviamo il cielo non solo durante le sue variazioni (pioggia, sereno, nebbia, ecc.) ma anche nelle varie ore del giorno.
Guardiamoci intorno. I segni dell’inverno sono dappertutto. Prati brulli, spesso coperti di brina, cespugli secchi, alberi scheletriti che ormai hanno perduto quasi tutte le foglie, siepi spoglie che lasciano vedere l’intrico dei rami.
In tanto squallore spicca la macchia scura di qualche albero sempreverde. Osserviamo la foglia di questi alberi. Se si tratta di conifere, la foglia è sottile, appuntita come un ago e resistente agli agenti atmosferici. Osserviamo anche gli altri sempreverdi: l’ulivo, l’alloro, ecc. Hanno le foglie dure, resistenti, spesso rivestite di uno spesso strato di cutina, una sostanza coriacea e impermeabile che le difende dalla pioggia, dal freddo, dal gelo.
Nonostante la campagna sia spoglia, non mancano piante da osservare. Non hanno l’esuberanza della vegetazione primaverile ed estiva. Alcune piante sono fornite di bacche: le rose selvatiche, per esempio, e le piante caratteristiche di dicembre: l’agrifoglio e il pungitopo, che spesso servono come motivo di decorazione natalizio.
Le manifestazioni della vita animale sono scarse perchè quasi tutti gli uccelli sono emigrati, fatta eccezione per i passeri, i merli, gli scriccioli, i pettirossi e pochi altri. Alcuni animali, come le lucertole, le bisce, le marmotte, i tassi, i ghiri, sono immersi nel letargo, un sonno profondissimo durante il quale la respirazione e le pulsazioni del cuore sono rallentate al massimo. L’animale, immerso nel letargo, non ha bisogno di mangiare e consuma il grasso accumulato durante la buona stagione.
E gli insetti? Spariti, morti, magari dopo aver deposto le uova in un luogo dove il piccolo nato troverà culla e cibo. Sotto terra ci sono le larve, mollicce, oppure coriacee, ma sempre inerti, come morte. Non sono morte; attendono invece alla loro metamorfosi. A primavera le vedremo trasformate in insetti perfetti.

Dicembre

Nelle campagne è un gran silenzio. La terra dorme, spesso coperta di neve, ma, sotto, lavora. La neve la ripara dal gelo e i chicchi si svegliano, ma non osano metter fuori le loro foglioline verdi. Si danno, invece, da fare con le radici che s’insinuano coraggiose fra le zolle e si moltiplicano e diventano forti per poter essere in grado, dopo, di nutrire e fortificare la pianta che spunterà in primavera.

Dicembre

E’ l’ultimo mese dell’anno e porta nebbia, freddo, pioggia e, spesso, neve. Ma anche il freddo è necessario. Le piante perdono le foglie, ma le radici, sotto terra, si moltiplicano e diventano più robuste. Saranno, così, in grado di sostenere e di nutrire meglio la pianta a primavera quando tutta la natura si ridesterà a nuova vita. Gli alberi alzano verso il cielo grigio le loro braccia spoglie. Sembrano morti, ma lungo il tronco e i nei rami, scorre la linfa che è il sangue della pianta. Scorre piano, lentamente, senza forza, ma a primavera ricomincerà a vivificare l’albero che metterà foglie e fiori.

Una giornata di dicembre
Era una di quelle giornate di dicembre, in cui si direbbe che si solennizzi il vero ingresso trionfale, definitivo, dell’inverno,  con un immenso parata di neve. Chi si era svegliato presto aveva sentito battere sordamente le ore dalla vicina torre, quasi la campana fosse coperta da un panno, o il batacchio rivestito d’ovatta.
Chi è solito aspettare il giorno tra le coperte, ne aveva visto la luce distendersi sulle pareti con insolita bianchezza. Chi aveva messo la faccia fuori, l’aveva ritirata esclamando: “Ehi! Che bella nevicata!”.
Chi fosse salito il alto, avrebbe visto i tetti, le strade, le mura, le campagne al di fuori, l’immenso piano, i colli, le Prealpi, le Alpi, se erano visibili, tutto d’un solo colore.
Quando mi affacciai alla finestra la neve veniva ancora giù, a larghe falde.
(A. Stoppani)

Mattinata di dicembre
La tramontana di stanotte ha seccato la strada; le carreggiate sono dure come il vetro e luccicano per un po’ di brina nell’ombra scura degli ulivi.
Gli alberi nudi frastagliano il cielo coi loro rami e le loro vette che sembrano d’oro.
Sono vicino ad un orto di contadino pieno di piante di carciofi. Oltre l’orto c’è una loggetta e, sotto, una donna che leva il pane dal forno.
Arriva fino a me l’odore del pane misto a quello della terra. Dopo tanta acqua i campi esultano a sentirsi riscaldati e prosciugati da un po’ di sole.
Il grano si rialza dal fango delle zolle, nei solchi c’è però ancora dell’acqua che riflette il cielo azzurro.
(A. Soffici)

Dettati ortografici sui dicembre – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Recite per bambini – La nascita dei colori

Recite per bambini – La nascita dei colori. Entra il narratore, e si dispone a lato. Mentre parla fanno il loro ingresso Luce e Tenebra (bianco e nero) e simulano di combattere con le loro spade. Restano sempre da una parte del palcoscenico, mentre nell’altra avviene la danza dei colori. Le due parti vengono illuminate a seconda del momento.

Narratore
In principio era la notte, nera buia scura e fredda, poi le tenebre son rotte, da una luce che vi aleggia. Una lotta è cominciata, tra due arditi cavalieri, dura aspra e anche spietata, perchè entrambi forti e fieri.

Luce
Io sono il cavaliere bianco, una spada di luce porto al mio fianco, come il cristallo son limpido e puro, nel cuore mio ardito mai non spauro.

Tenebre
Ed io sono il cavaliere oscuro, avvolto in un manto buio e cupo, temprata han le tenebre l’arma mia nera, combatto con forza ardita e sincera.

Narratore
Luce e buio, chiaro e scuro, insieme lottano con cuore puro, e al cozzare di lor spade di scintille in terra cade, una pioggia di colori e tutto tinge coi suoi doni. Ora il mondo è colorato, e il nostro cuore è assai grato.

(mentre Luce e Tenebra stanno da una parte del palcoscenico, entrano i colori e si dispongono sparsi, mentre il sole comincia a parlare muovendosi tra loro).

Giallo
Splende il sole tondo e giallo, al suo levare canta il gallo, e tutto illumina sua luce di colori ora riluce.

Rosso
Rossa la rosa dona a ciascuno la sua bellezza e il suo profumo.

Viola
Sotto le foglie di un bel violetto, di piccoli fiori si cela un merletto.

Verde
Verde di tenera erbetta è il prato, ma tutti quei fiori lo fan colorato.

Arancione
L’arancia del sole racchiude il calore, ed arancione è il suo colore.

Blu
Blu è l’abbraccio del cielo stellato, manto di zaffiro d’or ricamato.

Narratore
Ma continua lo scontro sempre più duro, ognuno combatte con cuore sicuro, e quasi le spade fosser pennelli, nascono in terra i colori più belli.

(Incomincia la danza dei colori, che si avvicinano e si allontanano seguendo il testo).

Colori
Sono al mondo tre colori per per bellezza lor splendori, tutto tingon con le dita; rosso accende di sua vita, giallo illumina ed irraggia, blu silente tutto abbraccia. Se poi danzano insieme di creare nessun teme nuovi accordi e nuovi toni: giallo e rosso or arancioni, blu e giallo danno il verde, e nel violetto chi si perde? Son alcuni poi fratelli, stando insieme son sì belli, che si cercan con piacere: viola il giallo vuol vedere, mentre arancio cerca il blu, chi ama il rosso dillo tu!

Luce
Anch’io al mondo voglio donarmi, per un momento poso le armi, sì che d’un latteo candido manto, tutto si tinga come d’incanto.

Tenebra
Ed io non voglio esser da meno, porto nel cuore uno scrigno pieno di un nero più nero del nero inchiostro, sul mondo lo spiego e i suoi doni mostro.

Luce
Se tu di tenebre vuoi tutto oscurare, brilli la luna il buio a rischiarare.

Bianco
Bianca nel cielo brilla la luna, cala la notte e tutto s’oscura.

Nero
Così nel buio nero e profondo, si può sognare di un altro mondo.

Narratore
Ancor due colori strani portano doni a piene mani: pura luce c’è nel bianco, alle tenebre sta al fianco, per brillare nel cristallo chiede al nero di abbracciarlo.

Tenebra
Ancora insieme, sempre uniti, fosse possiamo chiamarci amici?

Luce
Allora un modo dobbiamo trovare, per confrontarci senza lottare.

Tenebra
Creiamo un ponte dall’uno all’altro, unisca gli opposti con il suo arco.

Luce
Lo chiameremo arcobaleno, e nascerà dal bianco e dal nero: dove la luce la tenebra incontra, ora le spade più non si scontran.

Tenebra
Anzi si tendan benevolmente le loro mani sopra l’abisso, che da ponente fino ad oriente sia il divario sempre sconfitto

Narratore
Ed ecco apparire la scala armoniosa, tra le mani tese dei due cavalieri, e lungo il suo arco gli sguardi sorpresi, da tenebra a luce van senza posa.

(I colori si allineano nell’ordine dell’arcobaleno tra Luce e Tenebra, davanti ai quali si pongono Bianco e Nero).

Colori
Sette sono i colori, che dal porpora al violetto, sanno calmare col loro balletto, i due arditi opposti cuori. E a goderne è proprio l’uomo, a cui donato è sempre a nuovo, un mondo allegro e variegato, ogni volta appena nato.

Tutti
A mostrare come la pace tra gli opposti sia capace, di creare un universo dal principio assai diverso.

(Autore ignoto)

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Pomander – Arance coi chiodi di garofano

Pomander – Arance coi chiodi di garofano. L’aspetto educativo di questa  attività  sta nell’esercizio di movimento delle mani che porta ad un affinamento della motricità fine, soprattutto per la  gestione dei chiodi di garofano. E’ inoltre un’interessante attività sensoriale che lascia sulle manine un delizioso profumo di Natale.

I chiodi di garofano hanno, oltre alla funzione decorativa, la proprietà di conservare la frutta nel tempo.

Nome dell’esercizio in inglese: pomander

 Area: movimenti elementari, pinza a tre dita

Età: dai 3 anni

Materiale: un vassoio contenente una matita appuntita o uno stuzzicadenti, una ciotola di chiodi di garofano, un’arancia su di un piattino e un tappetino arrotolato, eventualmente fermato da un portatovagliolo. Un tavolo e due sedie

Presentazione

1. Preparazione diretta

. invitare il bambino a iniziare il ciclo di lavoro in modo breve e stimolante e dare il nome dell’esercizio: “Ti mostro come decorare l’arancia coi chiodi di garofano”

. il bambino è libero di accettare o rifiutare: cercare il consenso del bambino con lo sguardo

. accompagnare il bambino allo scaffale dove è conservato il materiale

. trasportare il vassoio su di un tavolo

. sedersi al tavolo (il bambino siede alla nostra sinistra)

. srotolare il tappetino sul tavolo davanti a noi

. prendere l’arancia e posarla sul tappetino

. prendere la matita o lo stuzzicadenti e metterlo a destra dell’arancia

. prendere la ciotola dei chiodi di garofano e metterla a destra della matita o dello stuzzicadenti

2. Analisi dei movimenti

. ripetere il nome dell’esercizio che è argomento della presentazione

. tenere l’arancia con la mano sinistra

. prendere la matita o lo stuzzicadenti con la mano destra e usarla per fare un foro nell’arancia

. posare la matita

. utilizzando la pinza a tre dita prendere un chiodo di garofano per la testa e inserirlo nel foro praticato sulla buccia dell’arancia

. dare un breve riassunto verbale dei punti di interesse e del controllo dell’errore. Far notare i profumi sprigionati dall’arancia e dal chiodo di garofano

. ripetere una o due volte a seconda delle necessità e dell’interesse del bambino

. se il bambino mostra il desiderio di subentrare con gesti, parole o espressioni facciali, permettergli di farlo. Si può anche stimolare il bambino in questo senso, rallentando leggermente le proprie azioni e la loro successione

3. Conclusione

al termine riordinare il materiale usato con l’aiuto del bambino

. portare l’arancia nel luogo dove teniamo i lavori ultimati da portare a casa

. rimettere sul vassoio la ciotola dei chiodi di garofano

. rimettere sul vassoio la matita o lo stuzzicadenti

.  arrotolare il tappetino e metterlo sul vassoio

. riportare il vassoio allo scaffale

. ringraziare il bambino per il suo lavoro

. congedarsi assicurandosi che abbia pensato a cosa gli piacerebbe fare

Libertà del bambino

dopo la presentazione il bambino è libero di scegliere l’esercizio presentato, decidere quando svolgerlo, ripeterlo tutte le volte che gli è necessario, chiedere la ripetizione della presentazione già fornita e chiedere nuove presentazioni

Obiettivi diretti: isolare le abilità necessarie per inserire i chiodi di garofano nella buccia dell’arancia

Obiettivi indiretti: raffinare i movimenti e stimolare la motricità fine, favorire la destrezza e la coordinazione oculo-manuale, rinforzare la muscolatura della mano e la capacità di presa delle dita in preparazione alla scrittura, sviluppare le capacità di coordinazione e controllo motorio, focalizzare l’attenzione del bambino sull’oggetto per stimolare la concentrazione, la percezione sensoriale delle qualità degli oggetti utilizzati

Nomenclatura: arancia, buccia, chiodi di garofano, forare, inserire, ecc.

Punti di interesse: forare la buccia dell’arancia prima di inserire il chiodo di garofano, la pinza a tre dita, i profumi

Controllo dell’errore: il bambino non è in grado di portare a termine l’esercizio, il bambino non è in grado di eseguire correttamente l’esercizio

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Geodi di feltro e palline di feltro coi bambini

Geodi di feltro e palline di feltro coi bambini – un classico lavoretto natalizio da fare con gli avanzi di lana cardata, molto adatto per la prima settimana di avvento. La tecnica, una volta imparata, è la stessa che porta alla realizzazione di perle e palline per realizzare orecchini, collane e braccialetti di feltro per ogni occasione.

La lana cardata si può acquistare, ad esempio, qui

Mettiamo sulla tavola un vecchio telo mare o una vecchia coperta, che avanzi abbondantemente ai lati, così i bambini possono asciugarsi le mani quando lo desiderano.

Poi prepariamo al centro un ricco assortimento di avanzi di lana cardata colorata, una brocca di acqua calda e una ciotola con una soluzione di acqua calda e sapone (qualsiasi tipo di sapone va bene, anche quello per i  piatti…).

Chiediamo ad ogni bambino di scegliere il proprio colore preferito; col batuffolo scelto formiamo una pallina a secco (si può roteare tra i palmi, oppure fare un nodo iniziale e lavorare i ciuffi che avanzano come per fare un gomitolo).

Quindi ci  insaponiamo le mani (meglio non far immergere la pallina nella ciotola ai bambini più piccoli, per evitare esagerazioni di schiuma sulle mani…)

e continuiamo a roteare la pallina insaponata tra i palmi, prima con delicatezza ed esercitando via via una pressione maggiore.

La pallina diventerà notevolmente più piccola e molto dura.

A questo punto  chiediamo ai bambini di scegliere un secondo colore, e di nascondere dentro al secondo batuffolo la pallina. Ci insaponiamo di nuovo le mani, e procediamo sempre facendo roteare la pallina tra i palmi.

Continuiamo così per più strati, considerando che più il geode è grande, più è difficile per il bambino da infeltrire.

Quando il bambino è soddisfatto del proprio lavoro, e la pallina si è arricchita di vari strati che via via si sono nascosti, la maestra, che nel frattempo ha scelto un angolino tranquillo e appartato nella classe,  prende in consegna l’opera, e con cautela la apre  davanti a lui (servono forbici ben affilate o un cutter).

Un bambino alla volta, e prestando ad ognuno l’attenzione che merita. Così anche a casa.

Prima di farlo è bene dire al bambino qualcosa del genere: “Ora io taglio il tuo sasso, ma non lo guardo, così lo guarderai tu per primo. Se poi vuoi ce lo potrai mostrare…”

Ogni geode può essere portato a casa il giorno stesso, incartato nella carta velina a caramella, per rinnovare la sorpresa con mamma e papà.

Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:

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E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:

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Felted geodes tutorial a classic Christmas craft to do with the leftovers of carded wool, very suitable for the first week of Advent. The technique, once learned, is the same that leads to the realization of felted beads and balls to achieve earrings, necklaces and bracelets for any occasion.

Felted geodes tutorial

Preparing the environment for children

Put on the table an old beach towel or an old blanket, that surpluses thoroughly to the sides, so children can dry their hands when they wish.

Then prepare at the center a rich assortment of leftover carded wool colored, a jug of hot water and a bowl with a solution of warm water and soap (any soap is fine, even dishwashing liquid …).

Felted geodes tutorial

How is it done?

Ask each child to choose their favorite color; with the chosen color form a ball dry (you can spin between the palms, or tie a knot and work tufts advancing like to make a ball).

Then lather hands (better not to submerge the ball in the bowl for small children, for avoid exaggeration of foam on the hands …)

and continue to rotate the soapy ball between the palms, first gently and gradually exerting more pressure.

The ball will become considerably smaller and very tough.

At this point we ask the children to choose a second color, and hide in the second color the ball. Lathering hands again, and proceed always turning the ball between the palms.

Continue in this same way for multiple layers, whereas plus the geode is great, more difficult it is for the child felting it.

When the child is satisfied with his work, and the ball has been enriched by various layers that gradually are hidden, the teacher, who has since chosen a quiet and secluded corner in the class, take delivery of the work, and carefully open it in front of the child (need very sharp scissors or a cutter).

One child at a time, and giving everyone the attention it merits. So even at home.

Before doing so it is good to tell the child something like: “Now I cut your stone, but I do not watch it, so you will look to it first. Then if you want, you can show it to us … “

Each geode can be taken home the same day, wrapped in tissue paper, to renew the surprise with mom and dad.

Racconto su San Nicola – 6 dicembre

Racconto su San Nicola – 6 dicembre. Questa festa si ricollega alla figura storica di Nicola, che visse nel VI secolo.

Anche se è spesso vestito di rosso, San Nicola nella tradizione indossa una tunica bianca e blu e ha un mantello azzurro stellato.

Sappiamo tutti che Babbo Natale è diventato rosso perchè ha bevuto la Cocacola, e a maggior ragione immaginare San Nicola azzurro aiuta i bambini a distinguere tra i due personaggi.

In testa porta la mitra, ha solidi stivali perchè deve camminare molto, e in una mano tiene un bel bastone da vescovo (la pastorale con la spirale avvolta), nell’altra dovrebbe tenere un grande libro d’oro, dove sono scritte tutte le azioni degli uomini, ma coi bambini tralascio sempre questi aspetti troppo moraleggianti e un po’ da “partita doppia” (aspetti in alcune tradizioni addirittura caricati dalla presenza accanto a Nicola di un antagonista malvagio, il Krampus…)

photo credit http://www.ripleys.com/

Siccome San Nicola deve camminare molto, indossa grossi stivali, e come richiamo al suo tanto camminare, è tradizione che al suo passaggio gli stivali e le pantofole dei bambini si riempiano di cose buone da mangiare, soprattutto mele, noci, pane bianco (o farina bianca,  o dolcetti al miele).

Altri doni ne falsificano un po’ l’immagine e fanno di San Nicola un Babbo Natale fuori tempo.

photo credit http://www.sensationalcolor.com

E’ inoltre preferibile non far venire San Nicola a scuola o a casa, ma far trovare i doni ai bambini al mattino presto o al ritorno da una breve passeggiata.

Magari il giorno prima si puliscono per bene le pantofole insieme ai bambini, con una spazzolina e un panno morbido, e si sistemano insieme a loro con gran cura prima di lasciare la scuola.

A casa questo si può fare la sera prima di andare a dormire, oppure al mattino presto, prima di uscire…

Racconto su San Nicola – 6 dicembre

Ecco un piccolo racconto che si può leggere ai bambini, anche il giorno prima:

“Nel lontano oriente viveva un uomo molto buono, il vescovo Nicola. Un giorno sentì dire che lontano lontano, in occidente, c’era una grande città dove tutti gli uomini pativano la fame, perfino i bambini piccoli.

Chiamò allora tutti gli abitanti della città e chiese loro di portargli  i migliori frutti dei loro orti e dei loro campi. Questi tornarono poco dopo con grossi cesti pieni di mele e di noci, sacchi di grano dorato per fare la farina, pane bianco e dolcetti al miele.

Il vescovo Nicola fece caricare tutto su una nave. Era una nave imponente e maestosa, blu come il cielo, ed aveva una grande vela bianchissima che splendeva sotto i raggi del sole.

Iniziarono il viaggio verso occidente, e il vento si mise subito ad aiutarli, soffiando sempre nella direzione giusta. Ci impiegarono sette giorni e sette notti, e quando giunsero alle porte della città stava calando la sera. Per le strade non si vedeva anima viva, ma qua e là brillava qualche lucetta alle finestre.

Il vescovo Nicola bussò ad una di esse. In quella povera casetta viveva una mamma coi suoi cinque bambini. La donna, sentendo bussare, disse ai figlioletti di andare ad aprire la porta, pensando si trattasse di qualche poverello bisognoso di ospitalità. I bambini obbedirono, ma non trovarono nessuno; anche la mamma venne a controllare, e poi tornarono tutti insieme a casa.

Vicino alla stufa a legna la mamma aveva messo le scarpine dei suoi bimbi ad asciugare, perchè nel pomeriggio erano andati a far legna nel bosco.

Rientrando in casa, sentirono tutti un delizioso profumino provenire proprio dalla stufa, si avvicinarono e trovarono le loro scarpe traboccanti di noci, mele rosse, mandarini, pane e dolcetti al miele. E lì vicino c’era anche un grande sacco pieno di chicchi di grano. Tutti poterono finalmente mangiare, ed i bimbi crebbero sani e vivaci.

Così San Nicola ogni anno, nel giorno del suo compleanno, si mette in viaggio per venire da noi. Monta sul suo cavallo bianco e cavalca di stella in stella, e porta ogni anno i suoi doni per ricordare ai bambini che presto sarà Natale”.

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I rami di Santa Barbara – 4 dicembre

I rami di Santa Barbara – 4 dicembre – la tradizione dei rami di Santa Barbara non è connessa ad alcuna leggenda relativa alla santa, ma si lega invece alle più antiche tradizioni contadine. Il 4 dicembre di tagliano dei rami di alberi da frutto (ciliegio, melo, susino, mandorlo) o anche gelsomino o ippocastano.

Poi si stendono in acqua tiepida, per una notte, ed il giorno successivo si dispongono in un vaso con acqua a temperatura normale, accanto al presepe.

L’acqua va cambiata ogni 3 giorni, ed ogni tanto sarebbe anche bene inumidire i rami con uno spruzzino.

Il giorno di Natale questi rami saranno coperti di bei germogli, e potremo osservare la loro “miracolosa” fioritura.

Come si dice, provare per credere…

Am 4. Dezember
Geh in den Garten
am Barbaratag.
Geh zum kahlen
Kirschbaum und sag:
Kurz ist der Tag,
grau ist die Zeit.
Der Winter beginnt,
der Frühling ist weit.
Doch in drei Wochen
da wird es geschehn:
Wir feiern ein Fest,
wie der Frühling so schön.
Baum, einen Zweig
gib du mir von dir.
Ist er auch kahl,
ich nehm ihn mit mir.
Und er wird blühen
in seliger Pracht
mitten im Winter
in der heiligen Nacht.

Josef Guggenmos

Santa Barbara è invocata contro la morte improvvisa per fuoco, perciò gli esplosivi ed i luoghi dove vengono conservati sono spesso chiamati “santabarbara” in suo onore.

È patrona dei minatori, degli addetti alla preparazione e custodia degli esplosivi, degli armaioli e più in generale, di chiunque rischi di morire di morte violenta e improvvisa.

Molto invocata dai militari, è anche la protettrice della Marina Militare Italiana, dei Vigili del fuoco, delle armi di Artiglieria e Genio. È anche la protettrice dei geologi, dei montanari, dei lavoratori nelle attività minerarie e petrolifere, degli architetti, degli stradini, dei cantonieri, degli artisti sommersi e dei campanari, nonché di torri e fortezze.

I Paesi germanici, in particolare, hanno una grande devozione per santa Barbara. Il folklore originale voleva che, per Barbarazweig (festa del ramo di santa Barbara), le ragazze non sposate tagliassero i rami di ciliegio, e se il ramoscello fosse fiorito per Natale, la ragazza si sarebbe sposata entro l’anno successivo.

In Francia e Ucraina, invece del ramo di ciliegio, si piantano al caldo due o più chicchi di grano, e se essi crescono per la vigilia di Natale, il raccolto di quell’anno sarà abbondante.

La variazione provenzale di questa usanza prevede che la famiglia faccia germogliare dei chicchi di grano su una base di cotone bagnato, in tre piattini separati, mantenendoli umidi durante tutto l’Avvento. Quando le piantine di grano nei tre piattini sono belle verdi, si utilizzano per decorare il presepe il giorno di Natale. Il detto francese recita_ “Quand le blé va bien, tout va bien” (Quando la pianta viene bene, tutto va bene).

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Recite di Natale – L’asino e il bue

Recite di Natale – L’asino e il bue. Una recita natalizia che si rifà alla tradizione per la quale nella notte di Natale gli animali per una breve ora possono parlare con voce umana. I bambini ne sono incantati. (Potete inserire a vostro piacere canti natalizi per i cambi di scena, l’introduzione e il finale). Purtroppo non conosco la fonte.

Narratore: Quando nella stalla di Betlemme nacque Gesù, Dio fece un dono a tutti gli animali: che nella notte di Natale potessero salutare il Bambino con voce umana.

Narratore: Dall’alta rastrelliera, pian pianino, il bue strappò del fieno profumato, si avvicinò alla greppia del bambino, e disse:

Per coprirti l’ho portato. Presso i piedini poi mi fermerò, e col mio fiato li riscalderò.

Narratore: L’asinello pazzerello saltò un po’ per allegria, e poi disse:

Amico bello, guardà là, guarda Maria, che sorride dolcemente, non starò senza far niente. Fammi un po’ di posto, su, voglio anch’io scaldar Gesù.

Narratore: Lassù, nel vano di una finestrella, un ragno stava intento al suo lavoro. Disse:

perchè la tela sia più bella, dal sole prenderò tre fili d’oro, e tre fili d’argento dalla luna. Dalle stelle, una perla per ciascuna.

Narratore: Da un angolino un topo sussurrò:

sono il topino, nel mio buco sto. Ma quando tutti saranno andati via, verrò a tenerti un po’ di compagnia. E ti porterò il mio piccolo tesoro: un bel chicco di grano tutto d’oro.

Narratore: lasciata la tranquilla prateria, le pecore si misero in cammino, in cerca di Giuseppe e di Maria, della capanna e di Gesù bambino. Dissero:

una bella stella ci conduce, là dove splende la divina luce

Narratore: il cane abbaiava e correva intorno alle sue pecorelle

Avanti, venite! La notte è splendente di stelle. Non fatemi tanto aspettare, c’è un bimbo che debbo vegliare.

Narratore: anche in Betlemme tutti gli animali apriron gli occhi sventolando l’ali, e allungando le orecchie, ed il galletto diede la sveglia ritto in cima al tetto:

Amici, amici, in questa notte bella s’è accesa in terra una divina stella. In una mangiatoia un bimbo c’è. Povero e nudo, eppure Re dei Re. Gli angeli in cielo van cantando osanna. Venite amici, andiamo alla capanna!

Narratore: la mucca mormorò:

tiepido e bianco, io porto il latte sotto l’ampio fianco. Maria ne mungerà un secchiellino, che l’aiuti a nutrire il suo bambino.

Narratore: l’oca il collo allungò di qua e  di là chiamando la massaia:

qua qua qua. Eccomi pronta a dare il mio piumino, per fare un letto morbido al bambino.

Narratore: venne nitrendo il cavallino:

cosa darò a Gesù bambino? So solo galoppare, che potrò mai regalare? Il mio cuore e niente più, posso offrirti o buon Gesù

Narratore: dietro al fieno stava un riccio bruno. Disse:

Sto qui nascosto, chè nessuno mi veda, però ci sono anch’io a salutar Gesù, figlio di Dio. Tengo bassi gli aculei miei pungenti, chè il bambino di me non si spaventi.

Narratore: da una fessura usciron le farfalle, movendo l’ali con palpiti di gioia:

un giardino è nato in questa stalla, e il più bel fiore è nella mangiatoia. Intorno a quel bel fiore voleremo e un diadema di voli gli faremo

Narratore: nel bosco nero un orso si destò. Scosse la testa, e cupo brontolò:

mi sembra di sentire che un bambino si disceso dal cielo, qui vicino

Narratore: l’orsa fiutò nell’aria

è un bimbo biondo come il miele, e profuma tutto il mondo

Narratore: dissero in coro gli orsacchiotti

è buono il miele, e noi ne siamo ghiotti. Andiamo dunque a far le capriole intorno al bimbo biondo come il sole

Narratore: lo scoiattolo allegro e saltellante, scese di ramo in ramo fra le piante

porto una pigna di quel grosso pino e la depongo ai piedi del bambino

Narratore: la lepre aveva udito da lontano con le sue lunghe orecchie la notizia. Venne correndo per il bosco e il piano, col cuoricino pieno di letizia.

E’ Natale, e non ho più paura, presso al bambino posso star sicura

Narratore: nella boscaglia i lupi eran nascosti, e stavan quieti e buoni, e ben composti.

le zampe vogliamo un po’ incrociare, per mostrare che anche noi sappiam pregare

Narratore: la volpe di mostrarsi non osava, era fuori dall’uscio e mormorava

là dentro c’è una luce che mi abbaglia, eppure è solo un bimbo nella paglia

Narratore: il capriolo levò al cielo i suoi occhi, e vide mille stelle scintillare

con umiltà piego i ginocchi, perchè è nato un bimbo da adorare

Narratore: gli uccelli tutti in coro si misero a cantare

c’è una cometa d’oro, c’è un bimbo da cullare. Cantiamo in lieto stuolo, seguendo l’usignolo

Narratore: l’usignolo mandò due note chiare poi disse

Vedo il bosco verdeggiare, sento odore di rose nella serra, come se tornasse primavera. Ogni ramo di pianta porta un fiore: è nato in terra il nostro salvatore. Ogni uccello gli canti il suo saluto. Figlio di Dio, sìì nostro benvenuto

Narratore: e da quel momento, ogni volta che torna la notte di Natale, gli animali possono parlare per un’ora con voce umana.

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Libretti di auguri natalizi “Buon Natale!”

Libretti di auguri natalizi “Buon Natale!” – Le foto sono di un “prototipo” che ho usato a scuola. L’idea, semplicissima, è di ricavare delle finestrelle (palline e una stella) attraverso le quali si legge “Buon Natale”, mentre gli avanzi diventano nell’ultima pagina le palline e la stella dell’albero.

Per questi auguri natalizi si possono utilizzare dei cartoncini colorati, oppure riciclare la carta da regalo o vecchie prove di pittura, o naturalmente dipingere i quadretti appositamente per realizzare il libretto.

Utilizzare tutti gli avanzi è molto importante per i bambini, soprattutto se le pitture sono le loro… Coi bambini piccoli è un modo interessante per esercitare il riconoscimento del suono delle lettere.

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Christmas greetings “Merry Christmas!” booklet. The photos are of a “prototype” which I used in school. The idea, very simple, is to obtain the windows (balls and a star) through which reads “Merry Christmas” (in Italian “Buon Natale), while the leftovers become on the last page the balls and tree star .

For these Christmas greetings you can use colored cardboards, or recycle wrapping paper or old paintings, or of course paint the squares specially to make the booklet.

Use all the leftovers is very important for children, especially if the paints are their… With small children is an interesting way to exercise sound recognition of letters.

Libretto fatto a mano: Il pupazzo di neve

Libretto fatto a mano: Il pupazzo di neve. L’idea, semplicissima, è di ricavare delle finestrelle (palline) che rappresentano i fiocchi di neve.

I bambini hanno dipinto su cartoncino che presentava un lato tipo “carta alluminio” e un lato ruvido.

Attraverso i fori compariva la facciata “alluminio”.

Tutte le palline sono state incollate all’ultima pagina, intorno al pupazzo di neve.

Libretto fatto a mano: Il pupazzo di neve

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Handmade booklet: The snowman. The idea, very simple, is to obtain the windows (balls) representing snowflakes. The children painted on cardboard, which had a side like “aluminum foil” and a rough side. Through the holes, it appears the facade “aluminum”. All the balls have been glued to the last page, around the snowman.

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