IL RICCIO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici IL RICCIO

Dettati ortografici IL RICCIO – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Sotto la grande quercia vive tutto un popolo strano: formiche brune, ricci, lumache, una faina. Si lavora continuamente giorno e notte. Ogni tanto la riccia torna a casa con un fascio di foglie sopra la schiena. E’ andata a rotolarsi sotto i castagni e tante foglie le si sono infilzate sul dorso, tante ne porta a casa. E’ stata sveglia, come di solito, tutta la notte e ha ancora molto da fare. Il piccino suo, seduto sopra una radica di quercia, la guarda tutto contento. E’ simile a un minuscolo porcellino da latte, più ignorante di una talpa, e non sa niente, non capisce niente. (F. Tombari)

(in costruzione)

Dettati ortografici IL RICCIO – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL LOMBRICO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici – IL LOMBRICO- una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Il lombrico uscì da un buco della terra e si allungò e si snodò per venire fuori tutto. Stava volentieri sotto terra, perchè era nudo, molle e cieco e i nemici erano tanti: il vomere, la vanga, la zappa del contadino e poi gli uccelli. Essi, alla vista di un lombrico grasso e tenero, si buttano giù a capofitto tutto becco e fame, e il verme, senza accorgersene, passa dal buio della terra, al buio di uno stomaco. Sottoterra, dove lento e tenace, il lombrico si scava la sua strada, esso è sicuro e sta bene. Lo chiamano mangiatore di terra, ma non è vero; per scavare il suo buco il lombrico ingoia la terra, ma poi la restituisce resa più grassa, più fertile dal passaggio del suo corpo. Benedetto il campo dove i lombrichi stanno di casa!

Il lombrico
Nudo, molle, cieco, striscia sul terreno e si infila volentieri nel primo buco che incontra. Si dice che il lombrico mangia la terra. In realtà, quando scava, il lombrico ingoia la terra che scava e poi la restituisce più grassa. Perciò quest’umile verme è di grande vantaggio al contadino, perchè rende la terra più soffice, porosa, fertile.

Il lombrico
E’ un verme simpatico, perchè non soltanto è prezioso per il terreno dove abita, ma se lo ferisci, anzi, se lo tagli addirittura a metà, in due pezzi, in tre pezzi, in quattro, vedrai che ogni pezzo se ne andrà tranquillo per conto suo come se non gli fosse accaduto nulla di male. E invece di un lombrico solo, ne abbiamo due, tre, quattro, ognuno con la sua testa, il suo stomaco, i suoi anelli!

Dettati ortografici – IL LOMBRICO – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

ANIMALI DELLO STAGNO E DEL FOSSO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici – animali dello stagno e del fosso – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Nel fosso l’acqua non era profonda, ma limpida e ridente. Vi abitavano molti pesci, spinelli e carpe, che passavano e ripassavano in fila. C’erano anche libellule verdi, azzurre, brune, che non appena si posavano sui vincastri, io afferravo piano piano, dolcemente, o mi sfuggivano, leggere, silenziose, col fremito delle loro ali di velo. C’erano certi insetti bruni dal ventre bianco, che saltellavano sulla superficie dell’acqua, e facevano muovere le loro esili gambe allo stesso modo dei calzolai quando tirano lo spago. E non mancavano le ranocchie che non appena si accorgevano di me, si tuffavano nell’acqua. C’erano poi delle salamandre acquatiche che rovistavano nella mota e dei grossi scarafaggi che si davano un gran da fare nelle pozzanghere. (F. Mistral)

(in costruzione)

Dettati ortografici – animali dello stagno e del fosso – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

IL LETARGO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici IL LETARGO – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Il risveglio del tasso

Quatto quatto, ancora un po’ incerto, è uscito dalla tana anche il tasso. Poveraccio, com’è dimagrito! Ne ha guadagnato la linea, è vero, ma sembra il ritratto della fame. Ghiottone com’è, si accorge che è ancor presto per le grandi scorpacciate, la natura offrendogli  ben poco; ma forse è meglio riabituarsi al cibo un po’ alla volta, con moderazione. Data un’occhiata in giro e addentato qualcosa, ritorna guardingo verso la tana; è stanco e una dormitina non gli farà male. D’improvviso si arresta, poi, rassicurato, prosegue: il fischio che aveva sentito l’aveva subito riconosciuto. Toh, s’è svegliata pure la signora marmotta: aperto il cunicolo che immette alla tana, è uscita al richiamo della primavera.
(V. De Marchi)

Lo scoiattolo si risveglia

Lo scoiattolo non riusciva più a dormire. Il sole lo guardava. Si strofinò gli occhietti, afferrò una noce e si pose a sedere. Aveva molta fame, ma era ben provvisto: tutto il nido era foderato di noci, poi ne tirava fuori un’altra di sotto il letto. Così, quando nel pancino non ce ne stettero più, si diede una gran lisciata di baffi e si mise a guardare intorno. Passava da un ramo all’altro a corsettine, senza mai toccar terra. Saltava su un abete, rimbalzava su un pino, gettava pinoli in tesa ai conigli. Riappariva su un nido di gazza per rubarvi le uova. Le uova col sole dentro.
(L. Volpicelli)

Le lucertole

Le lucertole, riscaldate dal sole tiepido, escono dai buchi dove sono state in letargo per tutto l’inverno e si fermano al calduccio, guardando qua e là con gli occhietti vispi. Sono alla caccia di un insetto. Hanno tanto dormito che ora vorrebbero proprio saziarsi di qualche insettuccio incauto che arrivi alla porta della loro lingua. (M. Menicucci)

La lucertolina

Ecco là sul muricciolo la lucertolina che sta a godersi il sole. No, non sta lì a goderselo, sta lì al sole per vera necessità. E’ una lucertolina giovane, uscita da poco da una crepa del muro, dove ha passato l’inverno, e ora aspetta che il caldo la irrobustisca, le dia snellezza per acchiappar mosche e vivere. Ecco dunque chi potrebbe diminuire il gran numero di mosche che minacciano la nostra salute. Ma vi è forse al mondo un’altra bestiola più perseguitata dai ragazzi?
(Reynaudo)

Che cos’è il letargo

Molti animali, per difendersi dai rigori dell’inverno, si rinchiudono nella tana sin dall’autunno e vanno in letargo. Durante questo sonno profondissimo, la temperatura del loro corpo si abbassa e il loro respiro si fa più lento: essi consumano pochissime energie e non hanno bisogno di nutrirsi. E’ il caso del ghiro e della marmotta. Lo scoiattolo, invece, si sveglia di tanto in tanto per mangiare il cibo immagazzinato nella sua tana.

Letargo e ibernazione

Agli inizi dell’inverno milioni di animali, in ogni parte del mondo, cadono in un particolare stato di riposo: il letargo. Il letargo è un mezzo per sopravvivere, offerto dalla natura ad alcune specie di animali che in questa stagione non troverebbero più il cibo adatto.

Molti animali hanno un letargo che consiste semplicemente in un sonno più o meno profondo e prolungato: tra questi vi sono l’orso, il tasso, lo scoiattolo, la talpa.

Alcuni mammiferi, invece, durante il letargo mutano profondamente le condizioni del loro organismo: si dice che ibernano. L’ibernazione non consiste in un semplice sonno: la temperatura del sangue dell’animale si uniforma a quella dell’ambiente (come avviene, in ogni stagione, nei rettili), il cuore dà un battito ogni due o tre minuti, il respiro si fa impercettibile, cessa completamente la necessità di nutrirsi. Sono animali ibernanti la marmotta, il riccio, il ghiro, il pipistrello.

I pesci, i rettili, gli anfibi, durante il riposo invernale limitano anch’essi tutte le funzioni del loro organismo al minimo indispensabile per conservare la vita; questo stato si dice “vita latente”.

Il riccio

Quando giunge l’inverno il riccio comincia a trovarsi nei guai; il suo mantello spinoso è un ottimo strumento di difesa contro le zanne e gli artigli dei nemici, ma è un riparo assai scadente contro gli assalti del freddo. Per combattere la grande dispersione di calore a cui è sottoposto il suo corpo dovrebbe, in inverno, mangiare moltissimo, ma ha la sfortuna di essere un insettivoro e… di insetti in questa stagione, specialmente quando il terreno è gelato, è quasi impossibile trovarne. Per risolvere questa difficile situazione il riccio, appena la temperatura comincia a scendere sotto i 15°, si appallottola nella sua tana e cade in letargo; vi resterà finchè il clima non sia tornato più favorevole alla sua nutrizione. Durante la sua ibernazione il riccio regola continuamente la temperatura del proprio corpo, mantenendola sempre di un grado superiore a quella dell’ambiente. Facciamo un esempio: se la temperatura esterna è a +10° il riccio mantiene il suo corpo  solamente a +11°. E’ questo un ottimo sistema per risparmiare… combustibile, cioè i grassi accumulati nel corpo durante l’estate. Però, se la temperatura esterna si abbassa sotto i +5°, il riccio non si può permettere di seguirla nella sua discesa, perchè finirebbe col diventare congelato; allora il suo organismo comincia automaticamente a consumare una quantità maggiore di grassi, per mantenere nel corpo la temperatura minima sufficiente alla vita. Mentre avviene tutto ciò, il riccio seguita tranquillamente a dormire. Si direbbe che questo animale sia dotato di un perfetto termostato, l’apparecchio che c’è nei nostri frigoriferi, e che riaccende automaticamente il motore se la temperatura non è più al punto voluto.

La marmotta

Il luogo ove le marmotte trascorrono in letargo sei o sette mesi invernali è una vera camerata sotterranea: essa si trova a due o tre metri di profondità ed è larga una decina di metri; vi stanno a dormire una quindicina di marmotte. Durante l’estate questi animali hanno tagliato coi denti  molta erba e l’hanno fatta seccare al sole; poi, con la bocca hanno trasportato il fieno nella caverna, disponendolo ordinatamente a strati. Ora, su questo soffice materasso, dormono un profondissimo sonno: se ne stanno acciambellate col capo stretto fra le zampe posteriori. Nella marmotta, durante il letargo, le funzioni della vita sono ridotte al minimo: l’animale compie 36.000 respirazioni in quindici giorni, tante quante ne compiva in un sol giorno durante l’estate. La temperatura del corpo, che durante la veglia è di 36°, nel letargo si mantiene sui 10° e può eccezionalmente scendere anche a 5°, quando quella esterna si approssima allo zero. Anche per mantenere queste basse temperature occorre però un certo consumo di grassi; le marmotte, infatti, durante il letargo, perdono una buona parte del loro peso.

Il ghiro

I ghiri sono i più famosi dormiglioni del regno animale; tutti conosciamo il detto “dormire come un ghiro”; figuratevi infatti che quando dorme, e se ne sta tutto raggomitolato come una palla, possiamo prenderlo e farlo rotolare per terra senza che neanche si svegli. Alla fine dell’estate i ghiri cominciano a raccogliere in un vasto nido, nel cavo di un albero, una quantità di ghiande, noci, faggiole. Poi si radunano a dormire in parecchi nella stessa tana. Le provviste che hanno raccolto serviranno per la prima colazione nell’aprile dell’anno seguente, quando si ridesteranno.

Il pipistrello

Il pipistrello cade in letargo… ogni giorno. Questo animale esce in cerca di cibo soltanto la notte; di giorno se ne sta nascosto in una caverna, in una soffitta o in una fessura della roccia e cade in uno stato di sonno detto letargo diurno; infatti, in quelle ore, il suo sangue si raffredda, i respiri e i battiti del cuore si fanno più distanziati. Ma quando giunge l’inverno e la temperatura scende al di sotto dei 10°, il sonno si prolunga per settimane e mesi e la vita rallenta ancor più il suo ritmo. Il pipistrello resiste al sonno anche se la temperatura del suo sangue scende a -2°. E’ l’unico mammifero che possa sopportare temperature del corpo inferiori a zero gradi, senza pericolo per la sua vita. Si desta invece facilmente al calore, alla luce, al tatto, al rumore e si riscuote subito, a differenza degli altri animali.  Curioso è il suo modo di dormire, appeso a capo all’ingiù; ma non si stanca? Verrebbe voglia di chiedersi. Niente affatto, perchè le sue zampette si serrano automaticamente  sull’appiglio per azione del peso del corpo che fa contrarre i tendini delle dita.

Animali in letargo

E’ sopraggiunto l’inverno e tutto, intorno, è spoglio, triste, silenzioso. Lucertole, bisce, ghiri, tassi e marmotte dormono profondamente. Consumano il grasso accumulato nella buona stagione e così possono resistere senza mangiare per i lunghi giorni dell’inverno… Anche il loro respiro si è rallentato: è quasi impercettibile e il loro cuore batte pianissimo.

Le signore Grassone a convegno

Le signore Grassone  discutevano in cerchio, attente e serie. Ognuna diceva la sua, con calma e moderazione, ma la Strillona gridava più di tutte e poichè chi grida di più ha sempre ragione, le altre tacquero e la Strillona parlò.
“Bisogna affrettarci!” gridava. “L’acqua sa già di neve. Tra poco la terra sarà tutta gelata, le piante si spoglieranno e non di troverà più un frutto né un seme da mettere sotto i denti. Presto, presto, a scavare le tane per l’inverno, abbastanza grasse per sopportare il lungo digiuno, presto, presto, che il sonno arriva a chiudere gli occhi dei giovani e degli anziani!”.
“Ah, il sonno!” esclamò una marmotta anziana con espressione di grande beatitudine. “Quando penso che fra poco ci scaveremo la tana, profonda, molto profonda, fra i sassi e le rocce, che ne imbottiremo una stanza con fieno tritato e asciutto e che lì potremo rifugiarci con tutta la famiglia, abbracciati e dormire… mi sento felice. Ah, la vita è bella!”
Un sonno lungo, quello delle signore marmotte, che durerà molti mesi e, se potessero sognare… Montagne di frutta secca, colline di semi, pascoli di radici saporite… Una delizia! Purché l’uomo… Un brivido di terrore passa su quelle schiene grasse.
La marmotta anziana ricorda, purtroppo, la gran strage di quell’anno e racconta. Si erano tutte diligentemente purgate, come ogni volta, con acqua purissima di sorgente. E intanto si erano costruite la casa: una casa profonda e sicura, con un corridoio cieco che serviva da deposito di immondizie e una bella camera calda con un letto di fieno profumato.
Avevano chiuso l’ingresso con un muro di fango, di pietre e d’erba secca, un vero calcestruzzo. Si credevano sicure lì dentro e si erano abbandonate alla beatitudine del lunghissimo letargo invernale. Altrimenti, di che cosa si sarebbero potute nutrire le povere marmotte? Durante la brutta stagione non avrebbero trovato né un frutto né un seme, forse nemmeno una radice sepolta dalla neve. La natura provvida aveva loro concesso il gran sonno.
Appena un debole fiato d’aria per tenersi in vita, e così, quasi senza respiro e senza calore, ma con una grossa riserva di grasso sotto la folta pelliccia, le marmotte si erano addormentate profondamente.
Durante il sonno era avvenuto lo scempio. Decine di famiglie non si erano più svegliate. L’uomo era avido della bella pelliccia morbida e anche del grasso che secondo lui, spalmato sulla pelle, guariva ogni male. Scavando nel muro di calcestruzzo, anche alla profondità di otto o nove metri, le aveva raggiunte e catturate senza pietà.
Per questa ragione quell’anno avevano deciso di emigrare. Avrebbero cercato di sfuggire all’insidia degli uomini, recandosi in alto, ai confini delle grandi nevi, al di là del bosco e del torrente.
In quel luogo spirava un vento propizio, Era una zona sicura… L’aveva detto il camoscio, venuto a brucare il finocchio ai margini del bosco. Nemmeno il camoscio era amico dell’uomo e sapeva dove si poteva stare al sicuro da lui.
Le signore grassone, precedute dalla Strillona, che doveva eventualmente dare l’allarme, avanzavano caute, affacciandosi prima ai cigli delle rocce per perlustrare il terreno. Un grande silenzio sulla montagna. Non un colpo d’arma da fuoco, non un colpo di piccone, ma un’aria di pace completa. Solo il lieve stormire delle fronde mosse dal vento. Non c’era traccia d’uomo. Le marmotte durante il cammino, facevano grandi bevute d’acqua di fonte e non mangiavano nulla, non di facevano tentare nemmeno dalle ultime bacche cadute per terra. Dovevano andare verso il gran sonno col corpo purificato.
Finalmente arrivarono. Alzarono verso l’aria le narici umide e vibranti per aspirare gli odori, odori rassicuranti e amici, poi cominciarono a scavare le tane. Dovevano mettersi al sicuro dall’uomo e dal falco, anche lui ghiotto di marmotte.
Finalmente, il lavoro fu compiuto. Le famiglie di radunarono, si riconobbero sfiorandosi i baffi e finalmente giù nel profondo, dove, abbracciate in una tenera stretta, avrebbero aspettato il tepore della primavera che le avrebbe svegliate.
(Mimì Menicucci)

Gli scoiattoli

Gli scoiattoli, durante l’inverno, non dormono continuamente. Quasi ogni mattino escono dal loro nido, posto sulla sommità di un albero, per sgranchirsi un poco le gambe, inseguendosi e correndo a spirale lungo il tronco ed i rami. Vanno anche a prelevare un poco del cibo che durante l’estate avevano accumulato in piccoli magazzini nascosti nelle cavità dei tronchi. Nelle altre ore del giorno se ne stanno ben tappati nel loro nido ove alternano mangiatine a lunghe dormite.

Le vipere

Le vipere, quando avvertono i primi freddi, si radunano in gruppi numerosi (talvolta anche di venti o trenta) in una sola tana, fra le radici di un albero, o sotto una pietra. Così. aggrovigliate assieme, cadono in letargo.

La lucertola

Si nasconde in qualche buchetto, per cadere in letargo, soltanto nelle zone in cui l’inverno è rigido.

Le rane

Nelle zone dove l’inverno è rigido, si sprofondano nel fango del loro stagno e vi rimangono inerti fino alla primavera seguente.

La tinca

Quando le acque si raffreddano, si immerge nel fango del fondo e vi rimane a lungo immobile.

La chiocciola

Durante l’inverno,  si nasconde fra le pietre, chiude con una membrana l’apertura del suo guscio e s’addormenta.

E’ finito il letargo

La primavera è la stagione in cui la natura si sveglia.
I fiumi, che il ghiaccio ha resi prigionieri durante l’inverno, riprendono liberi il loro corso, gorgogliando e chioccolando. Negli alberi rifluisce la linfa. Essa risveglia i germogli addormentati, che si aprono, rivelando le foglie. I fiori incominciano a sbocciare. Su dall’arida terra morta spuntano i fili della verde erba. Il mondo, che pareva diventato inerte, ricomincia a mostrare i primi segni di vita.
Gli animali, che durante l’inverno hanno dormito, si destano. Gli uccelli ritornano dal Sud. I lavori dell’anno stanno per riprendere. Tutti sono affaccendati.
Per il castoro la primavera è la stagione in cui bisogna ricominciare a lavorare. Mamma castoro vuole un bel letto per i suoi piccoli. Il padre può dormire sulla nuda terra, ma i bambini devono avere un giaciglio più soffice; perciò babbo castoro deve preparare per loro un materasso di ramoscelli teneri e di fili d’erba.
Presto vi saranno le inondazioni primaverili. I ruscelli mormoranti si trasformeranno in torrenti impetuosi. Il castoro deve, presto presto, riassettare la sua diga, se non vuole che le acque tumultuose gliela spazzino via. Deve rafforzarla con rami e pietre; deve aggiungere tronchi e grossi sassi che tengano a posto i tronchi; deve ammucchiare rami e sterpi e zolle di terra che leghino insieme ogni cosa. Deve far sì che la sua diga diventi ogni anno più grossa e più bella.
A volte le dighe dei castori diventano talmente alte e forti, che anche i cavalli ci possono camminare sopra.
Spesso papà castoro non riesce, da solo, a far tanto lavoro. Invita allora i parenti ad aiutarlo. Fa un fischio ai suoi fratelli, agli zii, alle zie, i quali arrivano al chiaro di luna e lo aiutano finchè il lavoro è terminato. A sua volta esso aiuta i parenti quando hanno bisogno di lui.
A primavera anche la marmotta si sveglia: è magra, affamata e sola. Quando era andata a rintanarsi per l’inverno era coperta di spessi strati di grasso. Sotto la sua pelliccia non ce ne sarebbe stato un pezzettino di più. Non poteva neppure correre! Perciò tutti la chiamavano “grassona”.
Quando era caduta in letargo, era un animaletto incredibilmente assonnato, e sino a primavera aveva continuato a dormire senza mai svegliarsi, neppure per mangiare.
Ed ecco che adesso, all’arrivo della primavera, la marmotta è magra, affamata e sola. Annusa nervosamente le gallerie che la circondano: alcune sono state scavate da lei stessa; altre sono state scavate dai suoi fratelli, dalle sorelle e da altri parenti.
Poi la marmotta si mette in viaggio, di galleria in galleria, in cerca dei vecchi amici. A volte, entrando in una galleria, si imbatte in un opossum che vi si è insediato, oppure in un coniglio o in una moffetta. Allora scappa in un’altra galleria.
Nel suo giro di ricerca incontra molti animali, i quali, vedendo che la marmotta si è svegliata, capiscono che è primavera. (A. Webb)

Lo scoiattolo

Lo scoiattolino non riusciva più a dormire. Nella brezza del mattino che continuava a cullarlo, lassù sul cavo più alto del faggio, sotto il cumulo delle foglie, si sentiva pungere gli occhi da uno spino d’oro, che invano cercava di togliere con la zampina. Schiuse le palpebre, fece capolino di sotto la gran coda in cui era avvolto, sbirciò da uno spiraglio del tettuccio.
Il sole lo guardava.
Presto presto si strofinò gli occhietti, diede una scrollatina al pelliccione,  arruffò il letto, afferrò una noce e si pose a sedere.
Aveva molta fame, ma era anche ben provvisto: tutto il nido era foderato di noci. Ne vuotava una, gettava via il guscio e ne tirava fuori un’altra di sotto il letto.
Quando nel pancino non ce ne stettero più, si diede una gran lisciata di baffi e si mise a considerare l’inverno.
L’aria odorosa di resina scintillava fresca e pungente perchè c’era ancora un poco di neve all’ombra degli alberi e sulla montagna; ma il lago era sgelato.
Lo scoiattolino si agitò tutto per la gran festa.
(F. Tombari)

Animali in letargo…
Lo sapevate che se gli uomini potessero cadere in letargo vivrebbero fino a 2162 anni? Infatti durante il letargo i battiti del nostro cuore subirebbero un rallentamento, e ciò prolungherebbe di molto la nostra vita.
Che cos’è l’ibernazione? E’ un periodo felice che gli animali trascorrono in luoghi diversi (tronchi, buche, tane) durante il quale la loro temperatura diminuisce. E’ inesatto dire che certi animali, come rane, rettili o pesci hanno il sangue freddo: la loro temperatura dipende unicamente dall’ambiente in cui si trovano. Per esempio una serpe, sui sassi al sole, avrà sangue caldo, ma se la troverete sotto una pietra, toccandola la sentirete gelida.
I mammiferi e gli uccelli in generale hanno temperatura costante: sia che voi andiate a spasso con un gran freddo, sia che ve ne stiate ad arrostire sulla spiaggia, la vostra temperatura interna sarà sempre di 37 gradi. Tra gli animali che vanno in letargo, o ibernanti, ce ne sono di quelli che hanno temperatura variabile e di quelli che hanno temperatura costante; comunque sia, la temperatura di questi animali diminuisce d’inverno.
E fra questi mammiferi ci possono essere i roditori, gli insettivori, ed anche i carnivori che hanno la proprietà di diminuire moltissimo la temperatura.
Ci sono poi dei falsi ibernanti, come l’orso, che pur andando in letargo non subisce una diminuzione della temperatura.
La marmotta è un esempio tipico di roditori ibernanti. Quando il termometro scende dotto i 15 gradi, dolcemente il piccolo animale si addormenta e sembra cadere in letargo: ma ogni due o tre settimane la marmotta si risveglia per eliminare dalla sua tana tutta la sporcizia.
Un abbassamento troppo rapido della temperatura la ridesta ugualmente dal letargo: occorre perciò che essa si riscaldi per non morire di freddo. Si agiterà allora in tutti i modi e farà delle vere e proprie acrobazie. Durante il letargo la marmotta non mangia più e consuma le sue riserve di grasso.
Gli invertebrati dormono proprio tutto l’inverno; gli insetti trascorrono questa stagione sia come larve, sia come crisalidi. Mi è capitato una volta di osservare una farfalla attaccata a un muro alla fine dell’estate e di averla vista immobile ancora nella stessa posizione duasi alla fine dell’inverno.
(U. Gozzano)

Dettati ortografici IL LETARGO – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

DETTATI ORTOGRAFICI l’albero in primavera

Dettati ortografici l’albero in primavera – Una collezione di dettati ortografici di vari autori sull’albero in primavera, per la scuola primaria, adatti alle classi dalla prima alla quinta.

Dettati ortografici l’albero in primavera

L’albero si sveglia e sgranchisce i rami; già è l’ora! Che sonno! Il primo sole di primavera ha destato il pigrone, col suo teporino. Ora scuote i rami e mette qualche gemma: così, tanto per cominciare. Oh, qualche gemma piccola, gommosa, fatta di tante foglioline serrate e di tessuti giovani: un abbozzo, insomma, dei nuovi rami e delle foglie. Non vede l’ora di averle, tutte verdi, tenere. (R. Tommaselli)

L’albero si risveglia e sgranchisce i rami a primavera. Ecco apparire qualche gemmetta piccola, gommosa, fatta di tante foglioline serrate disposte come le tegole dei tetti. In ogni gemma, c’è l’abbozzo dei nuovi rami, delle foglie, dei fiori. Ecco le gemme poste sui rami più alti divenire più grosse: hanno cominciato a godere, più delle sorelle, i primi raggi del sole. La vernice vischiosa trasuda dalle squame rosse. Finito il loro compito di impermeabili protettrici del cuore delle gemme, si trasformano, diventano sempre più tenere e verdastre. Incominciano ad allargarsi e lasciano intravvedere selle punte grigiastre: sono i sepali, mani amorose, trepide che difendono i bocci floreali. In seguito si curveranno all’esterno per lasciare liberi i fiori di crescere, distendersi e ricevere tanta luce. In seguito, da altre gemme, si libereranno le nuove foglie, dapprima timide e delicate e poi robuste e vivaci. Dalle gemme apicali, quelle poste sulle punte, spunteranno i nuovi rami che provvederanno a donare all’albero una chioma più abbondante. (A. Martinelli)

 Osserviamo le gemme del castagno: al centro, la bambagia avvolge le sue tenere foglioline; all’esterno una solida corazza di scaglie disposte come le tegole di un tetto, la chiude strettamente. Le parti dell’armatura scagliosa sono incatramate con un mastice che diventa molle, in primavera, per permettere alla gemma di schiudersi. Le scaglie, non più incollate fra loro, si allargano vischiose, e le prime foglie si spiegano al centro della loro culla socchiusa. (H. Fabre)

Il ciliegio fino a ieri era nudo. Cosa sarà accaduto perchè stamattina io abbia visto, invece dell’albero, una nube bianca, fatta tutta di fiori, non saprei dirvi. Mi avvicino al miracolo e vedo che la nube ha fremiti sulla superficie continua dei suoi piccoli fiori aperti, ed ascolto un ronzio di insetti alati che passano rapidamente da un fiore all’altro e mi colpisce il volo di farfalle bianche le cui ali sembrano petali che si siano distaccati dai fiori stessi. L’aria attorno alla nube è più chiara e vibra come uno strumento musicale con melodie di suoni che sono diventate melodie di profumi. (A. Anile)

Dettati ortografici l’albero in primavera – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

62. Erosione del suolo – Esperimenti scientifici – L’importanza del verde

Erosione del suolo – Esperimenti scientifici – L’importanza del verde

Erosione del suolo – Questo esperimento sull’erosione del suolo, che ha un impatto visivo formidabile anche per la sua semplicità, serve a dimostrare la relazione esistente tra precipitazioni, erosione del suolo, tutela dei corsi d’acqua e vegetazione.

Un esperimento estremamente semplice che sottolinea quanto sia importante la copertura vegetale del terreno.

Si può proporre in tre varianti:
– predisponendo la semina di piantine
– utilizzando piante pronte da  trapiantare
– utilizzando campioni di suolo.

Erosione del suolo – Esperimento – Prima variante

Prepariamo tre bottiglie di plastica uguali, ritagliamole come mostrato nelle foto e posizioniamole su una superficie piana (io le ho incollate con la colla a caldo su una tavoletta di compensato):

l’imboccatura delle tre bottiglie deve sporgere un po’ fuori dal piano d’appoggio. In ogni bottiglia distribuiamo la stessa terra, in pari quantità, premendola bene per compattarla quanto più possibile. La terra deve essere al di sotto del livello dell’apertura della bottiglia:

Tagliamo il fondo di altre tre bottiglie di plastica trasparente, e pratichiamo due fori per inserire la cordicella. Queste coppette hanno la funzione di raccogliere, durante l’esperimento vero e proprio, l’acqua in eccesso delle innaffiature che riproduce l’acqua piovana:

Poi rimettiamo il tappo alla prima bottiglia, dove semineremo:

e mettiamo nella seconda bottiglia un letto di residui vegetali morti (rametti, cortecce, foglie secche, radici morte).

Nella terza bottiglia lasceremo solo la terra.

Spargiamo i semi nella prima bottiglia (io ho scelto crescione, basilico ed erba cipollina), copriamo con un velo di terra e premiamo un po’, poi innaffiamo.

Possiamo utilizzare la parte di bottiglia tagliata per creare una serra che aiuterà i semi a germogliare più velocemente:

Esponiamo alla luce del sole, e prendiamoci cura della nostra semina finchè le pantine non si saranno ben sviluppate. L’esperimento vero e proprio si potrà fare solo allora…

Questa variante  è particolarmente adatta ad essere proposta ai bambini più piccoli, perchè genera curiosità ed aspettative, invita a prendersi cura nel tempo del terreno di semina e stimola l’osservazione del processo di sviluppo della pianta a partire dal seme.

Un processo completo come questo, insegna ai bambini piccoli tantissimi concetti che possono apparire “troppo complicati”, e crea un legame col mondo reale: la pianta viene dal seme (e non dal supermercato o dal fiorista). Quando poi, dopo tanta attesa e tante cure, avremo le piantine nella prima bottiglia, e dopo che chissà quante volte i bambini avranno guardato le altre due e quelle strane coppette facendosi tutte le loro domande, sarà indimenticabile quello che vedranno…

Senza dover dare particolari “spiegazioni” verbali (i piccoli possono apprendere concetti astratti attraverso la loro esperienza e non dalle nostre parole astratte), anche se forse solo i più grandi potranno arrivare all’idea di erosione del suolo, sicuramente tutti avranno chiaro il legame verde=pulito.

Facendo invece l’esperimento con bambini della scuola primaria, che già hanno affrontato i temi dell’ecologia, dell’impoverimento del suolo, della franabilità del terreno legata al diboscamento, della tutela dei corsi d’acqua, tutti questi concetti si chiariranno davvero “in un colpo d’occhio”.

Una volta che le nostre piantine si saranno sviluppate, potremo osservare acqua limpida uscire dalla prima bottiglia, ed acqua progressivamente più sporca dalla seconda e dalla terza; ecco le immagini scattate un paio di settimane dopo la semina:

Erosione del suolo – Esperimento – Variante due

Acceleriamo il processo sostituendo alla semina il trapianto di piantine già sviluppate (io avevo dei gerani):

e naturalmente in questo caso togliamo il tappo anche dalla prima bottiglia:

Ora versiamo la stessa quantità di acqua in ogni bottiglia. Perchè la cosa sia più chiara possibile,  e ogni concetto passi attraverso l’esperienza diretta, possiamo fare un segno all’interno dell’innaffiatoio :

Versiamo dunque l’acqua in tutte e tre le bottiglie, in tutte e tre nello stesso punto (l’estremità opposta all’apertura)

e osserviamo:

Le immagini sono scattate in sequenza.

Utilizzando piantine da trapianto, come vedete, l’acqua del primo contenitore al termine non è perfettamente limpida (inevitabilmente attorno all’apparato radicale ci sarà del terriccio aggiunto di fresco che sporca un po’ l’esperimento), ma l’acqua nella ciotola risulta comunque pulita rispetto a quella contenuta nelle altre due.

Erosione del suolo – Esperimento – Terza variante

Questa variante è adatta a bambini della scuola primaria e oltre: aggiunge infatti all’esperimento la scientificità e la serietà del “prelevare campioni di suolo”, cosa che per i bambini piccoli, invece, può generare un’impressione non proprio positiva.

E con questo arriviamo a poter citare gli ispiratori dell’esperimento:

Come vedete, qui sono state utilizzate bottiglie più grandi per i campioni, e per l’innaffiatura si è utilizzato un tubo con tre rubinetti (per questo è evidente il foro nel terzo campione).

Si tratta di andare all’aperto e prelevare tre zolle differenti di terreno: una di erba viva, una di terra coperta di residui vegetali morti, una priva di qualsiasi altro elemento.

Si aprono i rubinetti, ma pochissimo, in modo che l’acqua goccioli lentamente in ognuna delle bottiglie, si attende e si osserva. Si può anche versare l’acqua senza usare rubinetti, purchè ogni bottiglia ne riceva, come già detto, la stessa quantità.

Visitando il blog (anche se in portoghese) potrete trovare altri interessanti esperimenti e molto materiale sul tema dell’erosione.

Science experiment on soil erosion – This experiment, which has a tremendous visual impact due to its simplicity, it will demonstrate the relationship between precipitation, soil erosion, protection of watercourses and vegetation.

A very simple experiment that stresses the importance of the vegetation cover of the soil. You can propose in three versions: – Preparing the planting of seedlings – Using plants ready to be transplanted – Using soil samples.

Science experiment on soil erosion – First version

Prepare three identical plastic bottles, cut as shown in the pictures and put them on a flat surface (I’ve stuck with the hot glue on a tablet of plywood):

the opening of the three bottles should protrude a little out of the surface. Put in each bottle the same amount of ground and press hard to pack as much as possible. The ground must be below the level of the opening of the bottle:

Cut the bottom of other three bottles of transparent plastic, and make two holes for the string. These cups will serve to collect, during the experiment, the water in excess, which reproduces the rainwater:

Then put the cap on the first bottle in which to plant the seeds:

put inside the second bottle some dead vegetal wastes (twigs, bark, leaves, dead roots). In the third bottle just leave ground.

Spread the seeds in the first bottle (I chose watercress, basil and chives), cover with a layer of ground and press a little, then watering; you can use the piece of plastic cut from the bottle to cover the soil seed like a greenhouse, which will help the seeds to germinate faster:

Expose to sunlight, and take care of planting until the plants are well developed. The actual experiment can be done only then …

This version is particularly suitable to be offered to younger children, because it generates curiosity and expectations, invites you to take care of sowing and stimulates the observation of the process of development of the plant from seed.

A process as complete teaches children many concepts that may appear “too complicated”, and creates a link with the real world: the plant is from seed (and not from the supermarket or florist). When, after a long wait and a lot of care, we have the plants in the first bottle, and after the children have watched day after day the other two bottles and cups, making all their questions, what they see will be unforgettable …

Without having to give specific verbal explanations (little ones can learn abstract concepts through their experience and not by our words), though perhaps only the older children come to the idea of soil erosion, surely everyone will clear the link green = clean .

If you do this experiment with primary school children, who have already studied about ecology, land degradation, landslides, deforestation, protection of watercourses, etc … all of these concepts will become experience.

When the plants will be developed, we can see clear water out of the first bottle, and water progressively dirtier out of the second and third.
Here are the pictures taken two weeks after sowing:


Science experiment on soil erosion – Second Version

Speed up the process and replace the sowing with the transfer of plants already developed (I had geraniums):

of course, in this case, remove the cap also from the first bottle:

Pour the same amount of water in each bottle. To make it as clear as possible, and to learn each concept through direct experience, make a mark inside the watering can:


Pour the water into all three bottles, in all three at the same point (the end opposite the opening) and observe:


The images are taken in sequence.

Using plants already developed, as you can see, the water from the first container at the end of the experiment, it is not perfectly clear (inevitably, there will be some fresh soil around the root), but the water in the first bowl will always be clean compared to the water contained in the other two bowls.

Science experiment on soil erosion – Third version

This version of the experiment on soil erosion is suitable for children of primary school and beyond: it adds the seriousness of “taking samples of the soil.” With younger children, however, take samples of soil (especially living plants) can generate a negative impression. And so I can quote the inspirers of this experiment:

Solo na escola – ESALQ solonaescola.blogspot.it

As you see, here were used larger bottles for the samples, and it is used for watering a tube with three taps (for this reason it is so evident the hole in the third sample).
It is to go outside and take three different clods of soil: a patch of grass alive, a ground covered with dead plant residues, a clod without any other element.
Open taps, but very little, so that the water drips slowly in each of the bottles, wait and observe.
It can also pour water without using taps, provided that each bottle receives, as already said, the same amount of water.

Visiting the blog (although in Portuguese) you can find other very interesting experiments and educational materials on the topic of soil erosion.

Copioni per recite – La bambina con la lanterna

Copioni per recite – La bambina con la lanterna: si tratta della mia elaborazione di un testo molto usato nelle scuole Waldorf, adatto ai bambini della scuola d’infanzia e dei primi anni di scuola primaria. E’ indicato come recita natalizia, ma anche per celebrare la stagione invernale.

Copioni per recite – La bambina con la lanterna

Narratore: C’era una volta una bambina che possedeva una piccola chiara lanterna, e la portava sempre con sè lungo la via. Camminava la bambina, ed era sempre contenta…

Coro: Forte e freddo soffia il vento, la lanterna adesso ha spento!

Bambina con la lanterna: Oh, no! Ora chi mi aiuterà a riaccendere la mia bella lanterna?

Narratore: Si guardò attorno… ma non c’era nessuno.

Coro: Si sentono le fronde frusciare, chi sarà mai che sta per arrivare? Chi scivola sotto il castagno? Uno spinoso compagno!

Bambina con la lanterna: Oh, caro amico! Il vento ha spento la mia lanterna, chi accenderà di nuovo il mio lumino?

Riccio: Io proprio non so cosa fare, non è a me che devi domandare. Poi è tardi, non posso restare: dai miei piccoli devo tornare.

Coro: Ma chi borbotta, che non vediamo nessuno? Ah,  ma è l’orso bruno!

Bambina con la lanterna: Ciao caro orso, il vento ha spento la mia lanterna, guarda! Tu sai chi potrà accendere di nuovo il mio lume?

Narratore: scuote l’orso il grosso capo e il lungo pelo

Orso: Io proprio non so cosa fare, non è a me che devi domandare. Sonno ho, a dormire devo andare.

Coro: Chi striscia silenzioso dietro al pino e annusa l’aria con il suo musino?

Volpe: Ma che ci fai nel bosco tutta sola? Vattene, presto, corri a casa, vola! Io sto cacciando, e mi farai scappar la cena, se non la smetti con questa cantilena!

Narratore: La bambina sedette allora su una pietra, e comincio a piangere…

Bambina con la lanterna: Nessuno mi vuole aiutare?

Narratore: Le stelle sentirono il suo pianto…

Stelle: Il caro sole devi interrogare, lui certamente ti saprà aiutare…

Narratore: La bambina si fece nuovamente coraggio e proseguì il suo cammino. Finalmente giunse a una casetta. Dentro sedeva una vecchietta che filava la lana.

Bambina con la lanterna: Conosci la via che conduce al sole? Vorresti venire con me?

Vecchietta: Io la ruota devo dar girare, la lana bianca filare e filare. Ma riposati qui da me almeno un pochino, è ancora molto lungo il tuo cammino.

Narratore: La bambina entrò, e dopo che si fu riposata prese la sua lanterna e proseguì il suo viaggio. Di nuovo giunse ad una casetta. Dentro sedeva un vecchio calzolaio, che batteva il martello sul cuoio che stava lavorando.

Bambina con la lanterna: Buongiorno signor calzolaio, tu conosci la via che conduce al sole? Vorresti venire con me?

Calzolaio: Ho ancora molte scarpe non finite, che aspettano di esser ricucite. Ma riposati un po’ accanto al camino, è ancora molto lungo il tuo cammino.

Narratore: Dopo che si fu riposata, la bambina prese la sua lanterna e proseguì… Finalmente vide in lontananza un’alta montagna, e si mise a correre come un cerbiatto.

Bambina con la lanterna: Lassù di certo abita il sole!

Narratore: Incontrò salendo un bambino che giocava con la sua palla.

Bambina con la lanterna: Vieni con me! Andiamo alla casa del sole!

Narratore: Ma il bambino preferiva giocare con la sua palla, e corse via saltellando sui prati.

Bambino: Io mi diverto a stare qui a giocare, vacci da sola, ho altro da fare!

Narratore: La bambina con la lanterna proseguì così tutta sola, e salì, salì… sempre più in alto sulla montagna. E arrivata alla cima, però, si accorse che il sole non c’era.

Bambina con la lanterna: Lo aspetterò qui. Sono sicura che verrà…

Narratore: Sedette sulla cima della montagna, e siccome era molto stanca dopo aver camminato così a lungo, chiuse gli occhi e si addormentò…

… ma il sole si era accorto della bambina già da molto tempo. E quando calò la sera, prima di scomparire, si chinò sul monte ed accese la piccola lanterna.

Bambina con la lanterna: (si sveglia) La mia lanterna! Splende di nuovo!

Narratore: E con la sua lanterna finalmente accesa, discese il monte. Incontrò di nuovo il bambino, che piangeva…

Bambina con la lanterna: Perchè piangi?

Bambino: Ho perso la mia palla, non riesco più a trovarla!

Bambina con la lanterna: Ti farò luce io…

Bambino: Eccola qua!

Narratore: La bambina corse giù verso la valle, fino alla casa del calzolaio. L’uomo sedeva triste nella sua stanzina…

Calzolaio: Ieri si è spento il fuoco nel camino , non posso lavorare, me tapino! Dita ghiacciate, freddo, ed allo scuro, le scarpe non finisco di sicuro!

Bambina con la lanterna: Riaccenderò io il tuo fuoco!

Narratore: il calzolaio si riscaldò le mani e potè di nuovo martellare e cucire le sue scarpe, mentre la bambina proseguì il suo cammino, e si inoltrò nuovamente nel bosco. Giunse alla capanna della vecchietta, ma nella sua stanzina era buio pesto.

Vacchietta: il mio lume si è spento,  consumato; restano fermi la ruota ed il filato. Da quando il lume ha smesso di brillare, io non ho potuto più filare.

Bambina con la lanterna: Ti accenderò io un nuovo lume!

Narratore: La vecchietta sedette di nuovo al filatoio e si mise felice a far girare la ruota, mentre la bambina si rimise in cammino. Giunse ad un verde prato nel cuore del bosco, e tutti gli animali si svegliarono al chiarore della sua lanterna. La volpe fiutò l’aria col suo musetto e strizzò gli occhi davanti al lume. L’orso bruno si mise a brontolare e si ritirò in un punto ancora più profondo della sua caverna tornando al suo letargo invernale. Il riccio strisciò curioso tra l’erba, e da dietro un cespuglio ammirò lo spettacolo

Riccio: Credevo in vita mia di averne viste tante, ma da dove viene questa lucciola gigante?

Narratore: E la bambina, felice, tornò a casa.


La struttura circolare della trama rende il copione particolarmente adatto ai bambini più piccoli. Oltre che usarla per una recita, la possiamo leggere ai bambini in forma di racconto.


 Racconto

La bambina con la lanterna

 

C’era una volta una bambina che possedeva una piccola chiara lanterna, e la portava sempre con sè lungo la via. Camminava la bambina, ed era sempre contenta… Ma un giorno, mentre si trovava in un bel prato nel cuore del bosco, un vento forte e freddo, e dispettoso, soffiò tanto da spegnerla. La bambina si fece subito triste, ma non perse il suo coraggio.

Si guardò attorno nella speranza di trovare qualcuno che potesse aiutarla, quando sentì un fruscio di foglie sotto ad un castagno. Era un riccio, e subito gli chiese: “Puoi aiutarmi a riaccendere la mia lanterna che il vento ha spento?”. Ma il riccio non poteva fare nulla per lei, ed inoltre doveva correre al più presto nella tana, dai suoi cuccioli.

Il loro chiacchierare svegliò l’orso bruno, che si stava godendo il suo letargo invernale in una profonda caverna lì vicino. Uscì subito fuori brontolando, e anche a lui la bambina provò a chiedere aiuto, ma naturalmente l’orso non poteva fare nulla per lei, ed inoltre aveva sonno e non era per niente contento di essere stato svegliato.

E l’orso non era l’unico a non gradire la presenza della bambina nel prato; poco dopo anche una volpe uscì dal suo nascondiglio, e annusando l’aria si avvicinò alla bambina. Lei chiese aiuto anche alla volpe, ma quella non solo non poteva aiutarla, ma le chiese di andarsene via perchè stava disturbando la sua caccia.

E così la bambina, ancora senza perdere speranza nè coraggio, riprese a camminare inoltrandosi nel bosco. Camminò e camminò, finchè non si sentì davvero molto stanca. Vide una grossa pietra che sembrava proprio una seggiolina, sedette, e una piccola lacrima le scivolò sul viso. Allora le stelle videro quella lacrima e con una voce dolcissima, sussurrando, la consolarono e le dissero: “Cara bambina, vai dal sole… lui ti può aiutare…”

Così il suo viaggio riprese. Nel bosco vide una casetta. Spiò dalla finestrella e vide una vecchietta seduta accanto alla ruota, che filava la lana. La vecchietta fece entrare la bimba, e lei chiese: “Cara vecchina, conosci la strada che conduce al sole? Vorresti venire con me?”. Ma la vecchina non conosceva la strada, e inoltre aveva molto da fare e non poteva proprio accompagnarla. Però le offrì la sua ospitalità, e la bambina potè riposare un po’ nella casetta e ammirare la vecchietta che stava filando un filo di lana lunghissimo e sottile.

Riprese poi il suo viaggio, e giunse ad una valle.  C’era una casetta, e dentro sedeva un vecchio calzolaio che batteva con grande impegno il martello sul cuoio. La bambina chiese anche all’uomo indicazioni per arrivare al sole, ma anche lui rispose che non ne sapeva nulla, e che inoltre non poteva andare con lei perchè aveva molto lavoro da fare. Anche lui offrì alla bambina la sua ospitalità.

Dopo che si fu riposata, la bambina prese la sua lanterna e proseguì… Vide le montagne, e correndo felice come un cerbiatto si diresse verso la più alta, certa che fosse proprio quella la strada per il sole.

Salendo incontrò un bambino che giocava con la sua palla. “Vieni con me! Andiamo alla casa del sole!” disse felice la bambina, ma il bambino preferiva giocare con la sua palla, e corse via.

La bambina con la lanterna proseguì così tutta sola, e salì, salì… sempre più in alto. Arrivata alla vetta, però, si accorse che il sole non c’era. Per nulla scoraggiata, sedette sulla cima della montagna ad aspettarlo, e siccome era davvero molto stanca, presto gli occhi le si chiusero e si addormentò.

La bambina non poteva saperlo, ma il sole era da un po’ che si era accorto di lei e dall’alto la accompagnava nel suo viaggio. Così, quando calò la sera, prima di scomparire, si chinò sul monte ed accese la piccola lanterna.

Potete immaginare la gioia della bambina quando, svegliandosi, vide che la sua lanterna illuminata!

Scendendo incontrò di nuovo il bambino, che piangeva disperato perchè aveva perso la sua palla e non riusciva a ritovarla. “Ti farò luce io!” disse la bambina con la lanterna, e così la palla fu ritrovata.

Giunta a valle vide di nuovo la casa del calzolaio. L’uomo sedeva triste nella sua stanzina, senza fare nulla… Il giorno prima il fuoco del suo camino si era spento, e lui non poteva più lavorare perchè era troppo buio e faceva così freddo che le sue mani erano ghiacciate e non riusciva a muoverle. “Riaccenderò io il tuo fuoco!” disse la bambina con la lanterna. Presto il camino tornò a scaldare e illuminare la casa e il calzolaio potè di nuovo martellare e cucire le sue scarpe, mentre la bambina proseguì il suo cammino.

Si inoltrò nuovamente nel bosco e giunse alla capanna della vecchietta, ma nella sua stanzina era buio pesto. Il suo lume si era consumato e lei aveva dovuto smettere di filare. “Ti accenderò io un nuovo lume!” disse la bambina. Così la vecchietta potè sedere di nuovo al filatoio e si mise felice far girare la ruota.

Intanto la bambina si ritrovò di nuovo nel verde prato nel cuore del bosco, e tutti gli animali si svegliarono al chiarore della sua lanterna. La volpe fiutò l’aria col suo musetto e strizzò gli occhi davanti al lume. L’orso bruno si mise a brontolare e si ritirò in un punto ancora più profondo della sua caverna tornando al suo letargo invernale. Il riccio strisciò curioso tra l’erba, e da dietro un cespuglio ammirò incredulo lo spettacolo pensando: “Ma da dove viene questa lucciola gigante?”

E la bambina con la lanterna, felice, tornò a casa.

Quiet books 150+ idee

Quiet books

Quiet books – si tratta di libretti fatti a mano, solitamente realizzati in  tessuto (ma anche in carta, cartoncino, fogli di gomma e plastica, …), ricchi di attività interessanti e adatti anche ai bambini più piccoli, che ancora non sanno leggere. Possono contenere attività sensoriali, didattiche (numeri, alfabeto, colori, ecc…), che stimolano le abilità manuali, la memoria, ecc…

Sono semplici da realizzare anche con pochissima spesa e senza dover seguire tutorial o saper cucire, e sono molto belli. Spesso è possibile trovare anche i cartamodelli, in vendita o scaricabili gratuitamente, ma non trovo siano indispensabili quanto le idee…

Qui ho raccolto gli esempi che ho trovato più interessanti, spero possano essere di ispirazione per realizzare libretti e inventare nuove attività per i vostri bambini a scuola e in famiglia.

1

1.  – Quiet books – pagine per un libro dei colori (i fiori potrebbero essere preparati con un’asola, così il bambino può giocare ad allacciarli ai bottoni); qui sono anche in vendita i cartamodelli per realizzarlo http://www.etsy.com/

2

2.  – in questa pagina il gioco consiste nell’abbinare i palloncini al colore corrispondente, ed applicarlo col bottone a pressione, di http://www.elisaloves.com/

3

3. – qui una scarpa per esercitarsi con le stringhe, ancora di http://www.elisaloves.com/

4

 4.  – e qui, ancora di http://www.elisaloves.com/ un abaco di perline

5

5. QUIET BOOKS – sul tema “mostri” con varie attività, sono proposti qui i cartamodelli pdf in vendita http://www.youcanmakethis.com

6

6. – qui ci sono principesse con capelli da intrecciare; l’intero blog è dedicato ai quiet books, con moltissime idee, e se pensate possano essere utili, i cartamodelli gratuiti: http://quietbook.blogspot.it/

7

7.  – pagina per l’abbinamento forma – colore, di http://craftymumnz.blogspot.it/

8

8.  – pagine realizzate con un foglio di carta trasparente e tessuto, riempito con riso e oggetti da “scovare”, abbinati a una pagina oggetti, di http://brandyscrafts.blogspot.it/

9

9.  – altra versione, simile alla precedente ma con immagini e parole scritte, di http://www.etsy.com/listing/

10

10. QUIET BOOKS – I tre porcellini, tutte le pagine qui http://www.etsy.com/listing

11

11.  – pagina per imparare a leggere l’orologio. L’esempio è in cartoncino, ma è realizzabile facilmente anche in pannolenci o tessuto, di http://www.workboxsystem.com/

12

 12.  – libretto per i mesi dell’anno, sempre con varie attività. Questa è la pagina di ottobre sul tema “dolcetto o scherzetto”, trovi tutte le altre pagine qui http://sarahscreativebrain.blogspot.it/

13

 13.  – solo alcuni degli esempi che potrete trovare in questo blog, tutti corredati da cartamodelli scaricabili gratuitamente: http://www.imagineourlife.com/quiet-book-patterns/

14

14. – idea per realizzare pagine per l’abbinamento cifre-colori-quantità, di http://rainautumn.livejournal.com/68933.html#cutid1

15

15. QUIET BOOKS – idea per realizzare pagine di classificazione delle forme per tipo e per lunghezza, sempre di http://rainautumn.livejournal.com/68933.html#cutid1

16

16. – e ancora di http://rainautumn.livejournal.com/68933.html#cutid1 pagine per il riconoscimento delle forme

17

17.  – pagina di cerniere, fa parte di un progetto con moltissime pagine interessanti, tutte offerte con modelli pdf gratuiti di http://servingpinklemonade.blogspot.it/

18

18.  – questo è un secondo esempio, la bambolina ha canottiera e mutandine in velcro, e tanti vestitini da cambiare, sempre con cartamodelli gratuiti, sempre qui http://servingpinklemonade.blogspot.it/

19

19.  – il terzo esempio scelto sempre da http://servingpinklemonade.blogspot.it/ sono le pagine dedicate alle stagioni

20

20.   – libretto sul tema “creature marine”, anche con cartamodelli (in vendita) qui http://www.etsy.com/

21

21.  – libretto sul tema “insetti”, varie pagine, sempre con cartamodelli pdf in vendita. Li trovate qui http://www.etsy.com/ insieme a moltissimi altri libretti a tema.

22

22.  – altro blog ricco di esempi per pagine con proposte di attività varie legate all’apprendimento dei numeri qui http://yourcreativejuices.blogspot.it/

23

23. QUIET BOOKS – pagine puzzles di http://craftychiclyric.blogspot.it/2009/07/

24

24.  – automobile con ruote intercambiabili (da fissare con l’asola al bottone) di http://thecraftpatch.blogspot.it/

25

25.  – ancora di http://thecraftpatch.blogspot.it/ la cassa contenente vari tesori chiusa con lucchetto

26

26.  – e sempre di http://thecraftpatch.blogspot.it la faccia buffa da caratterizzare cambiando bocche, occhi e nasi

27

27.  – pesci nella boccia, di http://homemadebyjill.blogspot.it/

28

28. – pagina da tessere, qui http://whiteelegance.com/Busy-Books/

29

29.  – libro della allacciature, di http://fortytworoads.blogspot.it

30

30. QUIET BOOKS – la pagina dell’orto di http://fluffybunnyfeetdesigns.blogspot.it/ fa parte di un libretto per le lettere dell’alfabeto

31

31.  – e questa è la pagina coccinella, sempre di http://fluffybunnyfeetdesigns.blogspot.it/ , nel blog trovi tutto l’alfabeto

32

32.  – la rana che acchiappa le mosche con la lingua (con bottoni a pressione sulla lingua e sulle ali delle mosche), di http://www.onelovelylife.com/

33

33. – e sempre di http://www.onelovelylife.com/ il coccodrillo che apre la bocca (con la cerniera)

34

34.  – forno e tavola apparecchiata (il forno si apre con un bottone a pressione) di http://mycupoverflows

35

35.  – trenino di pupazzetti da dito estraibili di http://brittanyleighpotter.blogspot.it/

36

36. QUIET BOOKS – e sempre di http://brittanyleighpotter.blogspot.it/ il castello di sabbia puzzle

37

37.  – dinosauro da completare, di http://jocelynandjason.blogspot.it/

38

38. QUIET BOOKS – pista per automobile, sempre di http://jocelynandjason.blogspot.it/

39

39.  – il bucato da stendere con le mollette, di http://creatingbycami.blogspot.it/

40

40. QUIET BOOKS – la borsa della spesa per apparecchiare la tavola, sempre di http://creatingbycami.blogspot.it/

41

41.  pagina per far passare la cordicella (contenuta nella taschina bianca) attraverso perline ed asole, di http://www.flickr.com/photos/

42

42.  – pagina con moschettone e anello, ancora di http://www.flickr.com/photos/

43

43. QUIET BOOKS – bacchette da estrarre aprendo la cerniera. Le bacchette vanno poi inserite nei passanti, per colore. Sempre da http://www.flickr.com/photos/

44

44.  – la mia casa. le finestre si aprono sulle foto del bimbo e di mamma e papà. Di http://leafytreetopspot.blogspot.it/

45

45. QUIET BOOKS – qui ci sono dei biscotti da togliere dal forno e da posizionare nella confezione esatta, a seconda del numero di confetti, di http://thecraftingchicks.com/

46

46.  – creature marine da contare, di http://www.imagineourlife.com/

47

47. QUIET BOOKS – pagina da pettinare e acconciare, di http://craftaliciousgals.blogspot.it/

48

48. – pagina per giocare a tris, sempre di http://craftaliciousgals.blogspot.it/

49

49. QUIET BOOKS –  pesciolino che nuota nel mare, di http://schaertalents.blogspot.it/

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50.  – e ancora  di http://schaertalents.blogspot.it/ la pagina del tesoro: si apre la mappa, si prende la chiave e si apre la cassa del tesoro.

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51. QUIET BOOKS – pagina tattile (a sinistra) di http://aplusaequalsz.blogspot.it/

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52.   – il pulcino che esce dall’uovo, via http://thecraftingchicks.com/

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53. QUIET BOOKS – pagine per cucinare, di http://theaustsadventures.blogspot.it/

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54.  – Mamma dinosauro: dalla cerniera escono le uova, e nelle uova ci sono i piccoli dinosauri, di http://theaustsadventures.blogspot.it/

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55.  – pagina dei dinosauri: anche qui le uova nascondono i piccoli, ma ci sono tesori anche nascosti nel vulcano, di  http://calendria.canalblog.com/

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56. QUIET BOOKS – il Polo Nord: l’igloo è un puzzle, le onde del mare una tasca per i pesci… ancora da http://calendria.canalblog.com/

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57.  –  e sempre di http://calendria.canalblog.com/archives/ l’idea di un libretto di attività, una per ogni giorno della settimana (questa è la pagina per il martedì)

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58. QUIET BOOKS – nella pagina a sinistra il bruco va a nascondersi, nella pagina a destra dal bozzolo escono le farfalle, di http://schaertalents.blogspot.it/

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59.  – fiori da cogliere e mettere nel vaso, di http://www.sewcando.com/

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60. QUIET BOOKS –  nella tasca a sinistra ci sono elementi caratteristici di ogni stagione, da posizionare correttamente nei quattro riquadri a destra, ancora di http://www.sewcando.com/

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61.  – pupazzo di neve da vestire, di http://www.familysafemedia.com/

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62. QUIET BOOKS – pagine inventa-mostro, di http://fromthetortoiseandthehare.blogspot.it/

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63.  – sotto al nido (che si toglie col velcro), sono nascoste le uova, che eventualmente possono contenere gli uccellini. Di http://bustylaruesglitzandglam.blogspot.it/

64

64. QUIET BOOKS – ancora allacciature, di http://www.littlehandsbigwork.com/

65

65. QUIET BOOKS – libro per le quattro stagioni, di http://mandydouglass.blogspot.it

66

66.  QUIET BOOKS – la valigia contiene tutto ciò che serve a vestire la bambolina, di http://emptybobbinsewing.com/

67

67. QUIET BOOKS – dalla bocca della rana (cerniera) escono i ranocchi, di http://www.etsy.com/

68

68. QUIET BOOKS – dietro ai bottoni c’è del velcro, e si tratta di posizionarli in corrispondenza del campione di colore esatto, di http://abacktobasicslifestyle.blogspot.it/

69

69. QUIET BOOKS – ruota dell’anno, ancora di http://abacktobasicslifestyle.blogspot.it/

70

70. QUIET BOOKS – un simpatico cagnolino, per esercitarsi con le allacciature, sempre di http://abacktobasicslifestyle.blogspot.it/

71

71. QUIET BOOKS – il pescatore e i pesciolini da mettere nella rete, di http://danidoodle.blogspot.it/

72

72. QUIET BOOKS – l’arca di Noè (non poteva mancare), ancora di http://danidoodle.blogspot.it/

73

73. QUIET BOOKS – e, sempre di http://danidoodle.blogspot. la navicella spaziale che viaggia sul filo verso la luna

74

74. QUIET BOOKS – la stalla e i suoi animali, di http://richellescreativecorner.blogspot.it/

75

75.  QUIET BOOKS – pagina del tempo atmosferico a tasche, per bambini che sanno leggere, di http://folksy.com/

76

76. QUIET BOOKS – bellissimo libretto in tre parti, da sfogliare per creare ogni volta nuovi personaggi, di http://www.artsyfartsymama.com/ (in vendita il cartamodello)

77

77. QUIET BOOKS –  libro dei pirati, cartamodello pdf e istruzioni in vendita qui http://www.etsy.com/

78

78. QUIET BOOKS – pagina dell’orto, di http://hipposanddinosaurs.blogspot.it/

79

79. QUIET BOOKS – pagina dei pacchetti regalo, per imparare a fare i fiocchi, sempre di http://hipposanddinosaurs.blogspot.it/

80

80. QUIET BOOKS – la borsetta della mamma, pagina di http://aprongirls.blogspot.it/

81

81. QUIET BOOKS – pagina per vestire l’omino da supereroe a scelta, di http://makingtheworldcuter.com/

82

82. QUIET BOOKS – sempre di http://makingtheworldcuter.com/ la pagina degli attrezzi

83

83. QUIET BOOKS – questo blog polacco è strepitoso, sarebbe da segnalare ogni pagina proposta. Questa fa parte di un libretto di attività logiche, ad esempio http://marta-mojepasje.blogspot.it/

84

84. QUIET BOOKS – qui abbiamo una torta da decorare http://marta-mojepasje.blogspot.it/

85

85. QUIET BOOKS – qui un labirinto http://marta-mojepasje.blogspot.it/

86

86. QUIET BOOKS – qui un domino http://marta-mojepasje.blogspot.it/

87

87. QUIET BOOKS – qui rete e farfalline (magari da far uscire) http://marta-mojepasje.blogspot.it/

88

88. QUIET BOOKS – un albero di Natale da addobbare http://marta-mojepasje.blogspot.it/

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89. QUIET BOOKS – una farfallina che ha perso i puntini http://marta-mojepasje.blogspot.it/

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90. QUIET BOOKS – un altro bellissimo gioco logico di abbinamento di elementi (tavolozza-pennello, lucchetto-chiave, telefono-cornetta, presa- interruttore ecc…) http://marta-mojepasje.blogspot.it/

91

91. QUIET BOOKS – pagina labirinto per biglia, di http://creating-sarah.blogspot.it/

92

92. QUIET BOOKS – pagina per realizzare una catena di strisce di tessuto, ancora di http://creating-sarah.blogspot.it/

93. lavagnetta di gelatina, di  http://chasingcheerios.blogspot.it/

94. una pagina per pescare, di http://shannonmakesstuff.blogspot.it/ (con tutorial)

95. pagina memory, di http://www.sugarbeecrafts.com/ (with many other interesting pages)

96. quiet book di http://craftychiclyric.blogspot.it/ la tasca a sinistra contiene tre tipi diversi di puzzle (stella, cuore, fiore) da comporre nel quadrato marrone a destra.

97. pagina frigorifero di  http://itsgoodfortheheart.blogspot.it/

98. ogni pagina è una busta con una finestrella trasparente, e contiene una diversa attività (memory, pupazzi da dito, telai per allacciature, ecc…). Di  http://theprincessandthetot.blogspot.it/

99. dinosauri fossili da comporre, di  http://julesandjemscreations.blogspot.it/

100.  racchetta da tennis per tessitura, di  http://julesandjemscreations.blogspot.it/

101. semaforo per attività di abbinamento dei colori, di http://playinghouseinmaryland.blogspot.it/

102. cosa mangiano? Dove vivono? Di  http://cutesycrafts.blogspot.it/

103. attività sui colori, di http://todaysmama.com/

104. crostata per tessitura, di http://www.bubblesandbobbins.com/

105.  metti il cibo nel piatto giusto, in base alla forma, di  http://shellerunswithscissors.blogspot.it

106. collega i puntini per ottenere il disegno, di http://creating-sarah.blogspot.it

107. “Talk about book” di http://www.quiltingboard.com/

108. Di http://www.oopseydaisyblog.com/

109. intreccia la coda del leone, di http://montesgirl.blogspot.it/

110. allaccia i pattini all’elefante, di http://montesgirl.blogspot.it

111. infiocchetta il collo della giraffa, di http://montesgirl.blogspot.it/

112. libro pizza di http://paula-heartandsewl.blogspot.it/

113. libro tattile sui colori di http://everydaycelebrate.blogspot.it/

114. strade di città ed automobili, di http://mckayandemilyrytting.blogspot.it/

115. abaco di http://mckayandemilyrytting.blogspot.it/

116. uova e cuccioli, di http://freshlycompleted.blogspot.it/

117. un libro di forme in bianco e nero di  http://itsgoodfortheheart.blogspot.it/

118. tra i nastri tessuti sono nascosti vari elementi che possono servire a comporre disegni, di  http://rigierukodelki.blogspot.it/

119. casetta di mattoni, di  http://rigierukodelki.blogspot.it/

120. e qui http://rigierukodelki.blogspot.it/ bottoni ed asole

121. puzzle, di  http://www.vanillajoy.com/

122. i versi degli animali, di http://kellymccaleb.typepad.com/

123. quiet book di animali, di http://rosylittlethings.typepad.com/

124. libro tattile di http://bkids.typepad.com

125. abbinare le parole che fanno rima tra loro, di http://www.rockabyebutterfly.com/

126.conta i marshmallows, di http://www.etsy.com/

127. libro chioccia di  http://www.etsy.com/

128. quiet book di http://www.etsy.com/

129. animali, di  http://dabblerhasababy.blogspot.it/

130. attività con fili e bottoni, di http://www.rockabyebutterfly.com/

131. di http://brandyscrafts.blogspot.it/

132. di http://brandyscrafts.blogspot.it/

133.  giungla di http://brandyscrafts.blogspot.it/

134. accoppia i calzini, di http://www.imagineourlife.com/

135. di http://deliacreates.blogspot.it/

136. sport, di http://www.elisaloves.com/

137. di http://cosmocricket.typepad.com/

138. quiet book, di http://www.theartannex.com

139. dinosauri,  http://tssimplecreations.blogspot.it/

140. quiet book insolito di http://domesticblissnz.blogspot.it/

141. animali del prato, di http://www.etsy.com/

142. frutti e ortaggi, di http://www.etsy.com/

143. ”Tea time” di http://envedesigns.blogspot.it/

144. forme, di http://www.burdastyle.com/

145. perdorsi per biglie, di  http://www.yourtherapysource.com

146. di  http://dabblerhasababy.blogspot.it/

147. QUIET BOOKS – I spy di http://themuddyprincess.blogspot

148. numeri, di http://www.howtogal.com/

149. sensory page di http://aprilmariewilde.blogspot.it/

150. orto, di  http://www.crafterella.com/

151. bruco, di http://makechnieland.blogspot.co.uk/

152. di http://www.bevscountrycottage.com/

153.  tamgram, di http://sewmamasew.com

154. labirinto, di  http://www.therapro.com/

I punti cardinali – dettati ortografici

I punti cardinali – dettati ortografici: una raccolta di dettati ortografici sui punti cardinali e l’orientamento, di autori vari, per la scuola primaria.

I punti cardinali 

All’alba, in un punto dell’orizzonte, sempre dalla stessa parte, vedi apparire il sole, che da prima sale lentamente nel cielo, raggiunge a mezzogiorno la massima altezza e subito dopo comincia lentamente a scendere, finchè al tramonto scompare dietro l’orizzonte, nella parte opposta a quella da cui era sorto.

La parte dove sorge il sole si chiama Levante, Est oppure Oriente; dalla parte opposta troviamo il punto chiamato Occidente oppure Ovest. Se ci mettiamo col braccio destro teso verso Est e il sinistro verso Ovest, avremo davanti a noi un terzo punto chiamato Nord, Tramontana o Mezzanotte e alle nostre spalle un quarto punto, che è chiamato Sud, Meridione o Mezzogiorno. Questi quattro punti dell’orizzonte si chiamano punti cardinali ed è bene che tu sappia riconoscerli sul tuo orizzonte.

Sapersi orientare

Come facciamo a camminare senza smarrirci, quando siamo in mezzo a un bosco? Per trovare la via del ritorno, cerchiamo di vedere fra gli alberi qualcosa che ci serva da punto di riferimento per dirigerci: una fonte, una capanna di boscaioli, la forma di un monte lontano. Possiamo trovare il Nord guardando la corteccia degli alberi; dalla parte del Nord il sole non batte mai e perciò la corteccia è più umida, più scura, e spesso coperta di muschio.

Ma supponiamo di trovarci in una pianura vasta, senza alberi, senza capanne, senza montagne visibili all’orizzonte, senza quindi alcun punto di riferimento: allora dobbiamo ricorrere a qualche altro mezzo per orientarci, cioè per trovare la direzione giusta. I popoli antichi, che viaggiavano fra i monti e attraverso boschi e deserti e che solcavano il mare con le navi, sapevano in che direzione andare  perchè sapevano orientarsi guardando il cielo. Essi avevano appunto notato che al mattino il sole sorge sempre dalla stessa parte dell’orizzonte: a oriente.

La parola orientarsi significa riconoscere l’oriente, cioè la parte dalla quale vediamo sorgere il sole al mattino. In pratica, però, per orientarsi basta trovare uno qualsiasi dei punti cardinali. Infatti, stabilita la posizione di uno, si può facilmente stabilire la posizione degli altri.

Di notte il sole non c’è, ma guardando le stelle i viaggiatori antichi si accorsero che una di esse, la stella polare, si trova sempre nello stesso punto del cielo, a Nord.

I punti cardinali – L’orientamento

Il sole sorge da Est: io mi volgo, faccia al sole nascente. Di fronte ho l’Est, alle spalle l’Ovest, alla mia destra il Sud, alla sinistra il Nord.

Mi rivolgo, faccia al Sole calante: di fronte avrò l’Ovest, alle spalle l’Est, alla mia destra il Nord, alla sinistra il Sud.

Ho osservato il punto verso cui volgono le ombre all’ora di mezzogiorno. Mi volgo verso quel punto: di fronte avrò il Nord, alle spalle il Sud, a destra l’Est, a sinistra l’Ovest.

Ho osservato il punto in cui si trova il sole a mezzogiorno. Mi volgo verso quel punto: di fronte avrò il Sud, alle spalle il Nord, a destra l’Ovest, a sinistra l’Est.

Come orientarsi di notte

Di notte ci si orienta con la Stella Polare, che indica sempre il Nord. Ma come riconoscerla? Vi sono nel cielo due costellazioni, che hanno quattro stelle disposte come le ruote di un carro e altre tre come un timone. La costellazione più grande si chiama Orsa Maggiore, l’altra Orsa Minore; l’ultima stella del timone dell’Orsa Minore è la Stella Polare.

La bussola

La bussola è come un piccolo orologio, ma sul quadrante invece delle ore sono segnati i quattro punti cardinali e quelli intermedi. Al centro su un perno c’è l’ago calamitato, libero di girare. Orbene, quest’ago ha la proprietà di volgere la sua punta calamitata sempre verso Nord.

La bussola è stata inventata dai Cinesi molti e molti secoli or sono. E’ stata poi perfezionata da Flavio Gioia, un geniale navigatore di Amalfi.

La bussola è uno strumento indispensabile non solo per chi sfida il mare, ma anche per chi deve pilotare un aereo o per chi deve affrontare viaggi in regioni desertiche.

La rosa dei venti

Ogni vento ha un nome ben preciso, secondo la direzione in cui spira. Si tratta di nomi antichissimi, quasi tutti di origine marinara.

I più importanti sono: Tramontana, vento freddo e secco che soffia da Nord; Greco o Grecale, da Nord-Est; Levante da Est; Scirocco, piuttosto umido e tiepido, che spira da Sud-Est; Mezzogiorno, da sud; Libeccio, spesso violento, da Sud-Ovest; Ponente, da Ovest (detto Ponentino quando è debole); Maestro o Maestrale, da Nord-Ovest.

Il movimento del cielo stellato è solo apparente: mentre noi vediamo girare il cielo da oriente ad occidente, siamo invece noi a girare da occidente ad oriente. Ma questo movimento apparente ci ha dato modo di fissare vari punti: EST dove il sole sembra levarsi, OVEST dove tramonta.

Se ci volgiamo verso est e apriamo il braccio destro di ha il punto dove il sole, che è ormai a metà cammino, batterà i suoi raggi a picco sulla terra (mezzogiorno, sud, austro). La parte opposta è il nord (settentrione, tramontana).

I punti sud e nord possono essere determinati tutti i giorni esattamente con la luce del sole. Ciò non avviene per est ed ovest, se non negli equinozi, cioè il 23 settembre e il 21 marzo. Solo agli equinozi il sole segnerà esattamente est ed ovest, spostandosi poi verso nord o verso sud, a seconda delle stagioni.

Fra i 4 punti cardinali, a metà distanza da ciascuno di essi, si segnano altri quattro punti secondari:

– greco, o nordest

– scirocco, o sudest

– libeccio, o sudovest

– maestro, o nordovest.

Ogni vento ha un nome ben preciso, secondo la direzione in cui spira. Si tratta di nomi antichissimi, quasi tutti di origine marinara. I più importanti sono:

– tramontana: vento freddo e secco che soffia da nord

– greco o grecale: da nordest

– levante: da est

– scirocco: piuttosto umido e tiepido, che spira da sudest

– mezzogiorno, da sud

– libeccio: spesso violento, da sudovest

– ponente: da ovest, detto ponentino quando è debole

– maestro o maestrale: da nordovest.

Dettati ortografici I punti cardinali

Dettati ortografici I punti cardinali – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Sono due pulcini usciti ieri dall’uovo. Sono già nel prato a godersi la primavera. Guardano intorno, beccano in terra e si bisticciano. Bisticciano per una crostina di pane trovata fra l’erba. Tira uno, tira l’altro… nessuno vince. Il pulcino più scuro dà una beccata alla crostina; il pulcino più chiaro dà una beccata al compagno; l’altro scappa via contento col boccone. Non è passato che un momento; ecco i pulcini già in pace. Beccano contenti l’uno quasi contro l’ala dell’altro.

Dettati ortografici I punti cardinali – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial per costruirle in proprio

Le perle dorate Montessori: tutorial per costruirle in proprio con poca spesa, indicazioni didattiche generali e lezione in tre tempi per la presentazione del materiale ai bambini…

Con le perle dorate Montessori il bambino scopre l’aritmetica nell’ambito del Sistema Decimale:

l’uno (unità) è un punto

la decina è un allinearsi di dieci punti su una linea

il centinaio una successione di dieci linee (di dieci perle ciascuna) su di un quadrato pari a 100

il migliaio è composto da dieci quadrati messi insieme che costituiscono un cubo di 1000, che è nuovamente un grosso punto

diecimila si forma mettendo uno accanto all’altro dieci cubi che danno come risultato nuovamente una lunga linea.

Per dare ai bambini la possibilità di occuparsi concretamente di grandi spazi numerici, insieme al materiale delle perle dorate Montessori vengono offerti loro, da subito, anche i simboli numerici per le unità, la decina, il centinaio ed il migliaio in forma di scheda stampata – download gratuiti qui:

I bambini mettono le cifre in relazione con il materiale concreto e imparano che hanno bisogno di soli dieci simboli: 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 , per potersi muovere e orientare nel gigantesco mondo dei numeri.

L’1 e lo 0 sono come una cornice per il tutto.

Hans Magnus Enzenberger lo ha raccontato in modo meraviglioso nel suo romanzo Il mago dei numeri:

Sulla grande scala apparve un cinese in abiti di seta e prese posto sul trono d’oro.
-Chi è mai costui?- chiese Roberto.
-E’ l’inventore dello zero- sussurrò Teplotaxl.
-Allora è il più potente?-
-Il secondo-, disse il suo accompagnatore -il più potente di tutti abita là sopra, dove finisce la scala, nelle nuvole-
-Anche lui è un cinese?-
-Ah, se lo sapessi! Quello non l’abbiamo visto nemmeno una volta, ma noi tutti lo onoriamo. Egli è il capo di tutti i maghi dei numeri perchè ha inventato l’uno. Chissà, forse non è nemmeno un uomo, forse è una donna!-
Roberto era così impressionato che non aprì bocca per un pezzo. Intanto i servitori avevano iniziato a servire la cena.
-Ma queste sono tutte torte!- esclamò Roberto.
-Sss, non così forte, ragazzo mio. Qui noi mangiamo solo torte, perchè le torte sono rotonde, e il cerchio è la più completa di tutte le figure. Assaggia…-

L’uno è l’inizio, la prima perla, cui seguono la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona e la decima.
Arrivati alla decima, si cambiano tutte le perle sciolte con una nuova unità: la decina o 10.
E si continua a contare, e per farlo abbiamo bisogno di altre nove decine; arriviamo al decimo bastoncino e siamo arrivati a 100.
ll bambino capisce in questo modo che ci spostiamo continuamente in una nuova unità; lo zero aiuta a immaginare quanto spazio i numeri si siano appena presi.

Si può intuire facilmente come la dimestichezza con tale materiale comunichi un profondo messaggio psicologico al bambino: egli sperimenta l’estensione dell’aritmetica, ma allo stesso modo può immaginare il proprio sviluppo: cominciando da un punto (l’ovulo) l’essere umano cresce e occupa sempre più posto.

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial
Costruire in proprio il materiale

Ricapitolando, per materiale delle perle dorate intendiamo una dotazione di  perline dorate tutte della stessa misura. Ce ne devono essere di sfuse per le unità e infilate in file di 10 per le decine, le centinaia e il migliaio.
Un’unità è una perlina (punto)
Una decina sono 10 perline infilate il linea verticale su un fil di ferro o uno stecchino (linea)
Un centinaio sono 10 file di decine disposte una a fianco all’altra (quadrato)
il migliaio è formato da dieci centinaia sistemate insieme a formare un cubo 10x10x10 (punto)
Questo modello punto / linea / punto / linea  si ripete in tutte le numerazioni del sistema decimale.

Il fornitore più economico che ho trovato offre questo materiale:

Ma prepararsi il materiale da sè è estremamente semplice, se non si è troppo perfezionisti (troppo montessoriani?) e se si coinvolgono nella costruzione del materiale i genitori.

Aggiungo, per chi pensa di non poter affrontare la costruzione del materiale, una versione stampabile:

che non ha sicuramente lo stesso valore dal punto di vista sensoriale, ma che può permettere di eseguire coi bambini una vasta gamma di esercizi sul sistema decimale:

Io, per avere a disposizione una grande quantità di perle tutte uguali per costruire il materiale in proprio ho usato una vecchia tenda:

e ho fatto come mostrato nelle immagini seguenti. Il lavoro richiede sicuramente del tempo, ma ne vale la pena ed è molto semplice. L’unico consiglio è quello di scegliere un fil di ferro non troppo rigido…

Barrette della decina:

infilate dieci perline nel fil di ferro,

ripiegate il primo estremo

tagliate dall’altra parte e ripiegate:

Quadrato del centinaio:

preparate 10 barrette della decina

tagliate un pezzo di fil di ferro e ripiegatelo a U, in modo che ripiegato risulti lungo circa il doppio del quadrato di perline

Inserite la curva della vostra U tra la prima e la seconda perlina della prima barretta e modellate come nell’immagine

avvicinate la seconda barretta e modellate nuovamente il fil di ferro, come fatto attorno alla prima barretta

procedete così per tutte le altre barrette

Ora tagliate una seconda U di fil di ferro e procedete allo stesso modo a fissare il secondo lato del vostro quadrato del cento

alla fine attorcigliate il fil di ferro rimasto

tagliate e ripiegate verso l’interno, nascondendo la chiusura:

Cubo del migliaio:

Preparate dieci quadrati del cento

Prima possibilità: il modo più semplice di formare il cubo del mille è quello di utilizzare degli elastici. Questa opzione consente di smontare il cubo, e ha il vantaggio di permettere l’esperienza di vedere davvero che 1000 è dieci volte cento, però il cubo risulterà meno stabile mentre si gioca alla banca, ad esempio:

Se invece volete dei  cubi più solidi, i quadrati vanno legati col fil di ferro, così:

preparate quattro U di fil di ferro

ed inseritele nel primo quadrato come mostrato nell’immagine.

modellate il fil di ferro

ed inserite il secondo quadrato:

al termine attorcigliate il fil di ferro che avanza,

tagliate

e nascondete all’interno del cubo.

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial
Presentazione dell’unità, la decina e il centinaio: lezione in tre tempi

Ci sono moltissimi esercizi che utilizzano il materiale delle perle dorate; questo è il primo e serve ad introdurre i nomi uno, dieci e cento.

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial
Materiale necessario:

una tabella a colonne per migliaia, centinaia, decine e unità
perle dorate: una  unità, una barra della decina, un quadrato delle centinaia
un vassoio
un tappeto

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial
Primo tempo:

1. invitiamo bambino ad unirsi a noi in questo esercizio
2. il bambino può prendere il tappeto  e srotolarlo sul pavimento
3. portiamo sul tappeto il materiale, poi ci sediamo accanto al bambino per la presentazione
4. con la presa a tre dita (indice e medio contro pollice) prendiamo l’unità  dicendo: “Questa è una unità”.
5. Poi chiediamo al bambino: “Ti piacerebbe tenermi l’unità?”
6. Mettere la perla delle unità  nel palmo della mano del bambino, e lasciare che la esamini.
7. quando il bambino ha terminato, rimetterà l’unità nella vostra mano
8. e voi la posizionerete nella tabella, nel riquadro verde delle unità.
9. Prendete ora la barra della decina dicendo:  “.Questa è la barra del dieci Ha dieci perle”.
10. Poi chiedete al  bambino “Ti piacerebbe tenere in mano la barra del dieci?”
11. Dare la barra al bambino;
12. Il bambino la esamina, conta le perline, e quindi ve la restituisce.
13. posizionate la barra sulla colonna blu delle decine.
14. Ora prendete il quadrato del cento dicendo:  “E’ il  quadrato del 100, infatti ha 100 perle”
15. poi chiedetegli “Ti piacerebbe tenerla in mano?”
16. e dare il materiale al bambino.
17. Lui la esamina, quindi ve la restituisce,
18. quindi voi la posizionate sulla tabella, nella colonna rossa delle centinaia.

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial
Secondo tempo:

1. Chiedete al  bambino “Puoi mostrarmi l’unità?”
2. Ringraziatelo,  poi ripetere il processo con la barra di dieci e col quadrato del cento

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial
Terzo tempo: 

1. Indicate l’unità e chiedete  al  bambino “Che cos’è questo?”
2. Ripetete il processo con la barra del dieci e il quadrato del cento.

Se il bambino indica l’oggetto sbagliato o dà il nome sbagliato, chiedetegli di contare le perline. Se poi non corregge il suo errore, è possibile con delicatezza ripetergli il nome dell’oggetto. Per esempio, se il bambino  ha detto che la barra del dieci è il quadrato del cento,  gli diremo: “Contiamo le perle…”. Quando arriva a dieci, diremo: “Ha dieci perle. E ‘ la barra del dieci”.

Perle dorate Montessori: presentazione e tutorial

Montessori golden beads DIY and presentation. The tutorial to build them on their own with little expense, print version, educational indications and the three period lesson for the presentation of the material to children.

With Montessori golden beads children discover arithmetic as part of the Decimal System:

one (unit) is a point:

the ten is an alignment of ten points on a line:


the hundred is a succession of ten lines (ten beads each) on a square of 100:

 

the thousand is composed of ten squares put together, which constitute a cube of 1000, which again is a big point:

photo credit: http://www.lisheenmontessori.com/products.php?category=4

Ten thousand is formed juxtaposing ten cubes forming, such as ten, a line..

Children receive, with the Montessori golden beads, an authentic orientation in the context of the great mathematical relationships which for them is very important. Often already in the Casa dei Bambini they speak of great numbers   and in the Primary school, with the help of this material and their ability to imagine, they can penetrate in broader numerical spaces and eventually find themselves with their concrete unity, that is to say with themselves.

To give children the chance to deal concretely of large numerical spaces, along with the material of Montessori golden beads are offered them,
immediately, also numeric symbols for the units, tens, the hundred and thousand in the form of card Printed (free downloads here: Montessori number cards)

Children put the numbers in connection with the concrete material and learn that they need to just ten symbols: 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9, to be able to move and orient in the gigantic world of numbers.

The 1 and 0 are as a frame for the whole.

Hans Magnus Enzensberger has told it so as wonderful in his novel The Number Devil: A Mathematical Adventure:

On the large scale it appeared a Chinese in silk robes and took his seat on the throne of gold.
– Who Is this man? – Robert asked.
– He is the inventor of the zero – whispered Teplotaxl.

– So he is the most powerful? –
– The second -, said his companion – the most powerful of all lives up there, where It ends the staircase, in the clouds –
– Although he is a Chinese? –
– Ah, if I knew! Him, we have not seen even once, but we all honor he. He is the chief of all the devils of the numbers because he invented one. Who knows, maybe it is not even a man, maybe it’s a woman! –
Robert was so impressed that he did not speak for a while. Meanwhile the servants had started serving dinner.
–  But these are all cakes! – Said Robert.
– Ssh, not so loud, my boy. Here we only eat cakes, because the cakes are round, and the circle is the most complete of all the figures. Taste – 

The one is the beginning, the first bead, followed by the second, the third, the fourth, the fifth, the sixth, the seventh, the eighth, the ninth and the tenth.
Arriving at the tenth, they change all loose pearls with a new one: the ten or 10.
And we continue to rely, and to do that we need another nine tens; we come to the tenth stick and we arrived at 100.
The child understands in this way that we move continuously in a new unit; zero helps to imagine how much space the numbers have just taken.

You can easily guess how the familiarity with the material communicate a profound psychological message to the child: he experiences the extension of arithmetic, but likewise can imagine its development: starting with a point (the egg) the human beingIt grows and occupies more and more space.

Montessori golden beads DIY and presentation 

Building on his own material

In summary, for material of Montessori golden beads we mean an allocation of golden beads all the same size. There must be loose for units   and strung in the rows of 10 for the tens, the hundreds and a thousands:
1 unit is a bead (point)
1 ten are 10 beads strung a vertical line on a piece of wire or a stick (line)
1 hundred are 10 rows of tens arranged side by side (square)
1 thousand consists of ten hundreds arranged together to form a cube 10x10x10 (point).

This model point / line / point / line is repeated in all the numbers of the decimal system.

It is a rather expensive material, but prepare it on its own is extremely simple, if you are not too perfectionist and if you involve parents in the construction of the material.

I add, for those who think that they can not deal with the construction of the material, a printable version:

which has not definitely the same value from sensory point of view, but which can afford to run with the children a wide range of exercises on the decimal system: golden beads printable.

To have available a large amount of beads all equal to build the material in own I used an old curtain:

and I did as shown in the following images. The work certainly takes time, but it’s worth it and it is very simple. The only advice is to choose a wire not too hard …

Bars of ten:

put ten beads in the wire,

folded the first endpoint

cut the other side and folded:

Square hundred:

prepare 10 bars of ten

cut a piece of wire and fold it to U, so that, folded, it appears along about twice the square of beads:

Place the curve of your U between the first and the second bead of the first bar and modeled like in the image:

approached the second bar and molded again the wire, as done around the first bar:

Proceed the same way for all the other bars:

Now cut a second U of wire and proceed the same way to attach the second side of your square of hundred:

at the end twist the wire left:

cut and fold inward, hiding the closure:

Cube of thousand: prepare ten squares of the hundred

First possibility: the easiest way to form the cube of the thousand is to use rubber bands. This option allows you to disassemble the cube, and has the advantage of allowing the experience to really see that 1000 is ten times hundred, but the cube will be less stable while playing at the bank, for example:

If you want more solid cubes, squares are tied with wire, so:

Montessori golden beads DIY and presentation 

Presentation of the unit, the ten and the hundred: three period lesson

There are many exercises that use Montessori golden beads; This is the first and serves to introduce the names of one, ten hundred.

What do you need?

– a table with columns for thousands, hundreds, tens and units
– golden pearls: a unit, a bar of ten, a square of hundreds
– a tray
– a mat

First period:

1. invite children to join us in this exercise
2. the child can take the rug and roll it on the floor
3. carry on the mat material, then we sit next to the child for the presentation
4. with taking three fingers (index and middle fingers against thumb) take the unit saying: “This is a unity.”
5. Then ask the child: “Would you like to keep the unit?”
6. Put the pearl of the units in the palm of the hand of the child, and let him examine it.
7. When your child has finished, it will refer the unit in your hand
8. and you’ll place in the table, in the green box of the unit.
9. Now take the bar of ten saying: “.This is the bar of the ten. It has ten beads.”
10. Then ask the child, “Would you like to hold in your hand the bar of ten? “
11. Give the bar to the child;
12. The child examines it, count the beads, and then returns it to you.
13. place the bar on the blue column of tens.
14. Now take the square of 100, saying: “It ‘s the square of the hundred, it has 100 beads”
15. Then ask “Would you like to hold it?”
16. and give the material to the child.
17. He examines it, then returns it to you,
18. you placed it on the table, in the red column of hundreds.

Second period

1. Ask the child, “Can you show me the unity?”
2. Thank him, then repeat the process with the bar and with the square

Third period 

1. Indicate to the child unit and ask “What is this?”
2. Repeat the process with the bar and the square.

If your child shows the wrong item or give the wrong name, ask them to count the beads. If he does not correct his mistake, you can gently repeating the name of the object.

Un metodo grafico per la moltiplicazione

…un gioco grafico per eseguire le moltiplicazioni tra numeri a due o a tre cifre, noto come moltiplicazione vedica…

I bambini trovano questo gioco grafico molto interessante, e presenta notevoli vantaggi. Lo consiglio perchè:

– può essere proposto ai bambini a partire dalla seconda o terza di scuola primaria, anche se non sanno ancora moltiplicare con grandi numeri, perchè consente di esercitare l’addizione e le tabelline , e anche il contare, il tutto con la possibilità di autocontrollo dell’errore (basta confrontare il risultato con quello una calcolatrice 🙂 )

– naturalmente può essere proposto poi ai bambini e ai ragazzi della scuola secondaria, come variante del procedimento classico di moltiplicazione, o anche come “prova”

– è un esercizio che migliora le capacità di orientamento spaziale e l’ordine

– è molto gratificante anche in termini estetici

– fa sentire molto bravi in matematica, trovandosi in grado di lavorare anche con grandi numeri.

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Cominciamo con l’esempio più semplice, e moltiplichiamo 12 x 32 =

Per il 12 tracciamo una riga orizzontale in alto (corrispondente alla prima cifra 1)

e due righe orizzontali in basso corrispondenti alla cifra 2:

Poi  tre linee verticali corrispondenti alla cifra 3 del 32:

e, più a destra, due linee verticali corrispondenti alla cifra 2 del 32:

Ora delimitiamo alcune specifiche zone del nostro bel disegno isolando due angoli, così:

e contiamo disegnando un puntino in corrispondenza dei punti di intersezione delle linee, per ognuna delle tre zone delimitate (i due angoli e la zona centrale):

Controlliamo con la calcolatrice, e sì: 12 x 32 fa proprio 384 !

Questo esempio è scelto appositamente perchè contiene solo le cifre 1 2 e 3, ma il gioco grafico funziona con qualsiasi cifra… se il conteggio dei puntini dà risultati a due cifre, però, occorre aggiungere un ulteriore passo alla procedura.

Moltiplichiamo ora 46 x 53

Per prima cosa tracciamo le linee orizzontali corrispondenti al 46, e quelle verticali corrispondenti al 53, come spiegato sopra:

Poi delimitiamo le tre aree del disegno:

e contiamo i puntini in corrispondenza di ogni punto di intersezione delle linee, divisi per area:

Abbiamo 20, 42 e 18. Come possiamo fare?

Partiamo dal 18, lasciamo l’8 al suo posto,  togliamo l’1 e lo spostiamo avanti, verso il 42. 42 +1=43

Del 43 lasciamo il 3 al suo posto e spostiamo avanti il quatto, verso il 20.

20+4 = 24

e 46 x 53 = 2.438

Giochiamo ora con cifre ancora più grandi, il primo esempio è 312 x 131 =

In questi casi, dovendo moltiplicare tra loro due numeri di tre cifre, le aree vanno divise così:

Contiamo, i punti di intersezione presenti in ogni areea, e scriviamo a lato il numero corrispondente:

Come spiegato sopra le cifre che compongono il 10 vanno separate: lo 0 resta al suo posto, l’1 va ad aggiungersi al 3, che diventerà 4:

E il risultato sarà 40.872

Utilizzando cifre più alte, il bambino sarà stimolato a mettere in atto strategie diverse per contare i puntini, e senza dover dire nulla in proposito, presto deciderà da solo di utilizzare le tabelline, ad esempio così:

Per ottenere il risultato, dovrà spostare, a partire dal 18, ogni prima cifra ed aggiungerla al numero che sta davanti, così:

ottenendo il risultato corretto di 357.588

Ho usato spesso a scuola questo semplice gioco grafico per eseguire le moltiplicazioni, esercitare il calcolo orale, l’addizione e stimolare la memorizzazione delle tabelline, ma non sapevo si trattasse della “moltiplicazione vedica“, in questo video chiamata “moltiplicazione cinese“:

Nel web ne parlano, tra gli altri:

http://www.lanostra-matematica.org/

http://areeweb.polito.it/

http://www.softwaredidatticofree.it/

http://spicchidilimone.blogspot.it

visitando questi link troverete informazioni storiche su questo procedimento, varie curiosità, e anche un software…


The vedic

The vedic multiplication. Children find this graphic game very interesting. It has considerable advantages. I recommend it because:
– May be brought to the children in the second or third of primary school, although not yet know with multiply large numbers, because it allows you to exercise the addition and multiplication tables, and even the count,
all with the possibility of self-control error (simply compare the result with a calculator 🙂
– Of course it can be proposed then the older kids, as a variant of the traditional process of multiplication, or even as “proof”
– Is an exercise that improves the ability of spatial orientation and order
– It is also very rewarding in terms of aesthetics
– It makes you feel very good at math, being able to work well with large numbers.

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The vedic multiplication
Let’s start with the simplest example, and we multiply 12 x 32 =

For 12 we draw a horizontal line at the top (corresponding to the first number 1):

and two horizontal lines at the bottom corresponding to number 2:

Then three vertical lines corresponding at the number 3 of 32:

and, more to the right, two vertical lines corresponding at the number 2 of 32:

Now we delimit some specific areas of our beautiful design by isolating two angles:

and we count plotting a point at the points of intersection of the lines, for each of the three zones demarcated (the two corners and the central area):

We check with the calculator, and yes: 12 x 32 does just 384!

This example was chosen specifically because it only contains the numbers 1, 2 and 3, but the graphic game works with any number … if the count of dots gives results in two numbers, however, we must add another step to the procedure.

The vedic multiplication

Now multiply 46 x 53

First we draw the horizontal lines corresponding to the 46, and the vertical corresponding to 53, as explained above:

Then we delimit the three areas of drawing:

and we count the dots in correspondence to each point of intersection of the lines, divided by area:

We have 20, 42 and 18. How can we do?

We start from the 18,
8 to leave the place,
we remove the 1 and we move it forward, towards 42.
42 + 1 = 43

43:
leave 3 in place
and move forward the four, towards 20.
20 + 4 = 24

and 46 x 53 = 2,438

The vedic multiplicationThe vedic multiplication
Let’s play now with even bigger numbers, the first example is 312 x 131 =

In these cases, having to multiply together two three-digit numbers, the areas should be divided so:

We count, the intersection points in each areea, and we write the number corresponding to the side:

As explained above, the numbers that make up the 10 should be separated: 0 stays in place, the 1 to be added to the 3, which will become 4:

And the result will be 40,872

Using higher figures, the child will be encouraged to implement different strategies to count the dots, and without having to say anything about it, soon will decide on its own to use multiplication tables, such as:

To get the result, you will have to move, starting from 18, each first number and add it to the number that is in front, as well:

getting the correct result of 357 588

I laghi: dettato e disegno

I laghi: dettato e disegno –  una breve descrizione e l’esempio di un disegno alla lavagna per introdurre i bambini di seconda e terza classe allo studio degli ambienti naturali.

Geografia I LAGHI

Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada da qualche grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, ha riempito la conca naturale che si è formata, e poi lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta.

Altri laghi, invece, sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Questi sono i laghi vulcanici.

Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai sulle montagne. Questi sono i laghi glaciali.

I laghi alpini, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio di alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti, e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono i laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.

I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle. Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei mesi di siccità. Prima, nei periodi di  piena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese, perchè rendono più fertili i campi. Inoltre l’acqua mette in moto le turbine e queste azionano i generatori di energia elettrica, che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.

Il lago

Gli stessi ghiacciai che, in anni lontanissimi, segnarono il corso delle valli e innalzarono barriere di colline, scavarono conche profonde, riempite poi dalle acque dei torrenti e dei fiumi: si formarono così molti laghi.

Allo sbocco delle nostre valli prealpine, incontriamo grandi laghi, circondati dai monti che li riparano dai venti freddi. Lungo le rive, dove sorgono cittadine e paesi pittoreschi, la vegetazione è molto simile a quella che alligna sulle coste del mare.

Il clima, eccezionalmente mite, favorisce le colture di viti, ulivi, cedri, limoni. Nei giardini fioriscono le azalee, le magnolie, le acacie, le palme. Le popolazioni rivierasche solcano con le loro barche le acque tranquille del lago, ricche di lucci, di trote, di anguille.

Sulle Alpi, piccoli laghi dalle acque fredde e limpide rispecchiano le cime dei monti e gli scuri abeti che fanno loro corona.

Infine, alcuni laghi dell’Italia centrale occupano con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. La loro forma è quasi sempre circolare.

I laghi alpini

Come sono belli i nostri laghi alpini!

Sembrano specchi azzurri che si stendono nel fondo delle valli a riflettere le cime candide delle Alpi e le verdi foreste. In ognuno di essi si va a perdere un fiume turchino che scende dal monte; un altro fiume esce dalle loro acque incantate e riprende il suo corso verso il mare lontano.

Le rive sono pittoresche: alcune si gettano a picco nelle acque, dando al lago un aspetto selvaggio e imponente; altre digradano dolcemente verso le spiagge, ricche di vegetazione. (G. Giacosa)

Sul lago di notte

Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremore e l’ondeggiare leggero della luna, che si specchiava da mezzo il cielo. Si udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido; il gorgoglio più lontano dell’acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di quei due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti e si rituffavano.

L’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata , che si andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata indietro guardavano i monti e il paese, rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grandi ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne. (A. Manzoni)

Visione del lago

Com’è tranquillo il lago! Raramente le onde si agitano, i battelli e perfino le barche tracciano nell’attraversarlo una lieve scia bianca che subito scompare.

Le sue rive hanno olivi e viti, qualche volta anche aranci e limoni, anche se sulle montagne vicine brillano le nevi. Infatti il lago conserva a lungo il calore del sole e lo diffonde attorno. Per questo si vedono intorno al lago, oltre che ridenti cittadine e paesini di pescatori, anche alberghi e ville con magnifici parchi colmi di fiori. Ogni anno vi sono persone che dalla città vengono sulle rive dei laghi a trascorrere un periodo di riposo e di svago.

Anche d’inverno la temperatura non è mai troppo bassa e il paesaggio è sempre meraviglioso.

Come si formano i laghi

Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada  da una grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, e poi, lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta. Altri laghi invece sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai delle montagne.

I laghi alpini

Questi piccoli laghi, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio d’alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono il laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.

I laghi vulcanici

Questi laghi riempiono con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. Perciò la loro forma è generalmente circolare. I principali sono i laghi di Bolsena, di Bracciano, di Albano e di Nemi, nel Lazio; il lago d’Averno in Campania; i laghi di Monticchio, in Basilicata.

I laghi prealpini

Il lago Maggiore o Verbano ha per immissario ed emissario il fiume Ticino. Il lago di Como o Lario è formato dall’Adda che di biforca in due rami: di Como e di Lecco. E’ il più profondo tra i laghi prealpini (410m).

Il lago d’Iseo o Sebino riceve le acque del fiume Oglio.

Il lago di Garda o Benaco è il più esteso d’Italia. E’ formato dal fiume Sarca il quale, uscendone, prende il nome di Mincio.

A cosa servono i laghi artificiali

I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle.

Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei periodi di siccità. Prima, nei periodi di pena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese perchè rendono più fertili i campi.

Inoltre l’acqua mette in moto le turbine, e queste azionano i generatori di energia elettrica che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.

Dice il lago

“Io rifletto nelle mie acque il cielo, i monti, i colli, i piccoli fiori, le cose grandi e le umili cose. Io accolgo sulla mia superficie i battelli che trasportano gli uomini e le cose necessarie alla vita. Accolgo le barchette dei pescatori che trovano, frugando nel mio grembo, piccoli tesori vivi. Accolgo sulle mie rive incantevoli mille e mille persone malate alle quali ridono la salute e la gioia.” A. Rovetta

Laghetti alpini

Talvolta appare un tranquillo laghetto solitario dalle acque limpide e fresche che riflettono l’azzurro intenso del cielo. Spesso, se guardi intorno a quel solitario laghetto, gli trovi a lato un lago gemello; poi altri attorno, ed altri ancora: una intera famiglia di laghetti, che da buoni fratelli si dividono l’acqua delle nevi e dei ghiacciai. A. Stoppani

Metodo Montessori: schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche CI

Metodo Montessori: schede delle nomenclature per le difficoltà ortografiche – CI. Esistono molte possibilità per favorire gli esercizi di autodettatura, una volta che il bambino è avviato alla scrittura ed alla lettura;  una di queste possibilità può essere quella di preparargli delle schede illustrate (nomenclature Montessori), che possono anche fornire un aiuto all’arricchimento del lessico.

Classicamente le schede delle nomenclature Montessori, a questo secondo scopo, sono organizzate per aree tematiche (animali domestici, casa, abbigliamento, mezzi di trasporto, ecc…).

https://shop.lapappadolce.net/prodotto/nomenclature-per-le-difficolta-ortografiche-ci/

In questa serie di schede propongo una classificazione diversa, in funzione dell’apprendimento delle varie difficoltà ortografiche presenti nella nostra lingua: dopo le nomenclature Montessori per le consonanti doppie 

e il suono CHI,

passiamo alle parole che contengono CI (ci, cia, cie, cio, ciu).

Questa è una selezione di parole italiane che presentano appunto il suono “ci”, con diversi gradi di difficoltà; non tutte si prestano ad essere illustrate, e le parole presenti nelle schede delle nomenclature sono in grassetto. Può essere utile per preparare altri esercizi, comporre frasi, dettati, ecc…

parole di 3 lettere: ciò, cip

parole di 4 lettere:  Ciad, ciao, Cile, cime, Cina, cioè, Ciro, noci

parole di 5 lettere: ciano, cicca, ciclo, cieco, cielo,  cifre, cigno, cinta, cippo, Cipro, circa, Circe, circo, cirro, ciste, città, ciuco, cacio, Licia, Lucia, Lucio, micio, socio, amici, dieci, fauci, greci, acido, acini

parole di 6 lettere: cialde, ciance, cicala, ciccia, cicuta, cifosi, ciglia, ciglio, cileno, cimice, cincia, cinema, cinese, cinico, cinque, Cinzia, ciocco, cipria, ciripà, citare, citato, ciuffo, ciurma, civico, civile, accisa, bacino, cucina, cucire, cucito, decina, deciso, docile, facile, fucile, fucine, inciso, lecito, lucido, macina, nocino, nocivo, reciso, recita, ricino, tacito, Ticino, ucciso, uscire, uscito, vicino, dodici, indici, manici, medici, monaci, musici, sedici, undici,

parole di 7 lettere: cianosi, cianuro, cibarie, ciclico, ciclone, ciclope, cicogna, cicoria, cifrare, cifrato, cigolio, cilecca, Cilento, Cimabue, cimelio, cinghia, cingolo, cinismo, cintato, cintura, ciotola, cipolla, cirrosi, cisposo, cistico, cistite, citrato, citrico, ciuccio, civetta, civiltà, acidità, acidosi, acidulo, accidia, acciuga, arciere, arcigno, baciare, bacillo, Cecilia, decibel, deciduo, eccidio, forbici, incinta, incipit, Luciano, Lucilla, macigno, paciere, recinto, Sicilia, sociale, società, boccino, calcina, coccige, concime, conciso, faccino, fiocina, glicine, glucide, laicità, mancino, marcire, narciso, omicida, opacità, ovocita, piccino, placido, porcile, porcini, precise, Puccini, pulcino, rancido, sancire, scucire, scucito, siccità, suicida, unicità, vaccino, vescica, vincita, viscido, arancia, arancio, audacia, breccia, Brescia, broncio, camicia, caucciù, deficit, Fenicia, ferocia, fiducia, floscio, Francia, freccia, gruccia, guancia, guercio, omaccio, plancia, quercia, sagacia, sconcio, sfalcio, sudicio, tenacia, treccia, spinaci,

parole di 8 lettere: ciabatte, ciaccona, ciarlare, ciarpame, ciascuno, cicalare, cicalino, ciccioli, cicciona, cicerone, cicisbeo, ciclismo, ciclista, cifrario, cigolare, ciliegio, cilindro, cimitero, cincillà, cineasta, cinefilo, cinerino, cinetico, ciniglia, cinofilo, cinquina, ciottolo, cipiglio, cipresso, circense, circuire, cisterna, citofono, citosina, citrullo, equivoci, massicci, organici, pacifici, plastici, pubblici, quindici, tirabaci, alopecia, alticcio, astuccio, bisaccia, catorcio, chioccia, edificio, erbaccia, farmacia, feticcio, focaccia, fradicio,  galoscia, legaccio, libecio, mendacia, meticcio, opificio, robaccia, romancia, unticcio, vitaccia, viticcio, arancino, atrocità, basicità, braccino, caducità, camicina, capacità, comicità, erbicida, eroicità, felicità, fisicità, flaccido, illecito, indeciso, leoncino, liricità, logicità, lumicino, medicine, officina, ossicino, principe, rapacità, ricucire, riuscire, tenacità, tipicità, tonicità, topicida, toracico, tubicino, velocità, veracità, vivacità, voracità, amicizia, asociale, berciare, bocciare, bocciolo, braciere, braciola, briciole, bruciare, bruciato, bruciore, cacciare, cacciato, calciare, calciato, carciofo, cencioso, ciccione, cocciuto, conciare, conciato, crociato, crociera, cruciale, cucciolo, facciata, falciare, giacinto, glaciale, gracidio, lanciare, lasciare, lerciume, lisciare, lucciola, manciata, marciare, marciume, moccioso, nocciole, omicidio, panciera, picciolo, piccione, precipuo, procinto, procione, pulcioso, ricciolo, ricciuto, roccioso, selciato, sfociare, speciale, suicidio, tacciare, triciclo, bicipite, caciotta, cucinare, cucitura, decidere, decimare, decisivo, diciotto, docilità, facilità, incidere, incisivo, incisore, lecitina, lucidare, macinare, macinato, macinino, recidere, recidivo, recitare, tacitare, uccidere, vicinato,

parole di 9: cialtrone, ciambella, cianciare, cianotico, ciarliero, cicatrice, cicerchia, ciclabile, ciclamino, ciclicità, ciclopico, ciliegina, ciminiera, cineforum, cinepresa, cinghiale, cingolato, cinquanta, cinturino, cinturone, circolare, cirillico, citazione, citologia, cittadino, ciuffetto, acrostici, antipulci, avaraccio, babbuccia, bamboccio, barcaccia, beccaccia, beccuccio, bertuccia, boccaccia, boccuccia, borraccia, cagnaccio, calduccio, cannuccia, cantuccio, cappuccio, capriccio, cartaccia, cartoccio, cartuccia, corteccia, crepaccio, dispaccio, donnaccia, efficacia, fantoccio, fattaccio, fettuccia, lanificio, lettuccio, malconcio, maleficio, massiccio, molliccio, panificio, efficacia, fantoccio, fattaccio, fettuccia, lanificio, lettuccio, malconcio, maleficio, massiccio, molliccio, panificio, pellaccia, pelliccia, polpaccio, provincia, rossiccio, salciccia, spilorcio, tempaccio, terriccio, tettuccio, traliccio, umidiccio, acaricida, addolcire, addolcito, antracite, bollicine, coroncina, corpicino, cronicità, cuoricino, difficile, esplicite, filoncino, forbicina, fungicida, germicida, indeciso, impreciso, latticini, libricino, loquacità, partecipe, pesticida, Pollicino, porticina, posticino, praticità, precocità, risarcire, ritmicità, rivincita, vagoncino, aranciata, arancione, associare, associato, bracciolo, crescione, cresciuto, crucciato, enunciato, esercizio, esorcismo, fiducioso, guanciale, imbecille, motociclo, municipio, musicisti, sbocciare, sbocciato, sbucciare, sbucciato, scacciare, scacciato, scalciare, scalciato, scocciare, scocciato, sfacciato, sganciare, sganciato, slacciare, slanciato, slacciato, spicciole, sporcizia, spulciare, sudiciume, tirocinio, tracciare, tracciato, tranciato, ufficiale, concimare, concimato, concitato, diecimila, dolciario, fanciullo, giaciglio, luccicare, panciolle, panciotto, vaccinare, vaccinato, vincitore, accidente, baciamano, bacinella, cucitrice, decisione, incidente, incidenza, incisione, occidente, oscillare, pacifista, recintato, socialità, socievole, sociologo, taciturno, uncinetto, vacillare, vicinanza,

parole di 10 lettere: ciabattare, ciabattino, ciabattona, ciarlatano, cicaleccio, ciclistico, cilindrata, cilindrico, cinguettio, cinquemila, cioccolato, ciondolare, circadiano, circolando, circonciso, circondare, circondato, citofonare, citoplasma, cittadella, civetteria, civettuolo, acciaccato, acciaieria, accigliato, acciuffato, arcipelago, bicicletta, diciannove, facilitare, inciampare, incipriare, incisività, lucidatura, racimolare, recinzione, recipiente, bocciatura, bruciatore, bruciatura, cacciavite, calciatore, coccinella, cruciverba, cucciolata, cuscinetto, falciatura, giacimento, gocciolare, gocciolina, gocciolone, lanciatore, marciatore, piccionaia, precipizio, precisione, Pulcinella, ricciolino, riccioluto, rocciatore, specialità, torcicollo, truciolato, anticipare, avvicinare, efficiente, efficienza, esercitare, medicinale, principale, principato, accasciare, accasciato, acconciare, acconciato, accorciare, accorciato, agganciare, agganciato, allacciare, allacciato, annunciare, annunciato, arricciare, arricciato, asticciola, chiocciola, cominciare, cominciato, cornicione, denunciare, denunciato, dissociare, dissociato, farmacista, forbiciata, ghiacciaia, ghiacciaio, ghiacciato, ghiacciolo, impacciato, limaccioso, minacciare, minacciato, minaccioso, misticismo, muricciolo, participio, patrocinio, pernicioso, ricacciare, ricacciato, rilanciare, rilanciato, rinunciare, scamiciato, scricciolo, setacciare, setacciato, sfiduciato, sfrecciare, turacciolo, verniciare, verniciato, balconcino, barboncino, bastoncino, beccaccino, bocconcino, bottoncino, camioncino, cappuccino, carboncino, cartoncino, complicità, cordoncino, dinamicità, elasticità, fettuccina, flaconcino, furgoncino, incapacità, infelicità, marroncino, mattoncino, palloncini, pasticcino, portoncino, pubblicità, semplicità, spadaccino, affaraccio, bestiaccia, canovaccio, casereccio, figuraccia, lavoraccio, levataccia, linguaccia, maglificio, malaticcio, pagliaccio, sacrificio, sudaticcio, superficie, centodieci, metafisici, pannolenci, pronostici,

parole di 11 lettere: ciambellano, cibernetico, ciberspazio, ciclomotore, cilindrasse, cineamatore, cinguettare, cinquantina, cinquecento, circolarità, circondario, circospetto, circostante, circostanza, cirrocumulo, cirrostrato, cistercense, cistifellea, civilizzato,

parole di 12 lettere: cialtroneria, cicatrizzare, cicatrizzato, cicciottello, cinciallegra, cincischiare, cinquantatré, cinquantenne, cioccolatini, circolazione, circonflesso, circoscritto, cittadinanza

parole di 13 lettere: cianfrusaglia, cinquantamila, cinquantennio, cinquantesimo, circonferenza, circoscrivere, circospezione, citrullaggine, Civitavecchia

parole di 14 lettere: cinematografia, cinquecentesco, circonvenzione, circoscrizione, circostanziare, circostanziato, circumnavigare, circumnavigato, civilizzazione,

parole di 15 lettere: cicatrizzazione, cinematografico, cinquecentesimo, cinquecentomila.

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Il materiale comprende:

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Dettati ortografici ESTATE

Dettati ortografici sull’estate: una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per la scuola primaria.

L’estate è la stagione più calda dell’anno. Il sole ardente fa maturare nei campi il grano; le spighe piene e mature sembrano d’oro. Il contadino le guarda e, vicino al raccolto, dimentica le fatiche passate. E’ la stagione dei temporali,degli acquazzoni, delle grandinate. Spesso le grandinate distruggono in pochi minuti, coi raccolti, le fatiche di molti mesi. Il contadino le teme come il peggiore flagello. (Bianchi e Giaroli)

Di giorno le cicale cantano sugli alberi, e i grilli, a sera, cantano fra l’erba del prato. I contadini mietono il buon grano, che darà il pane per tutta l’annata. Le rondini stridono nel cielo e, quando scendono le prime ombre della sera, rientrano nei nidi, sotto le gronde. I pastori lasciano la pianura e salgono col gregge ai pascoli montani. I giorni sono lunghi, le notti sono corte. S’incomincia a pensare alla villeggiatura. Giunge l’estate, la bella stagione della quiete e del riposo.

D’estate le giornate sono lunghe e abbaglianti di sole, il cielo è di un colore azzurro intenso, le notti sono brevi, luminose, stellate. Corrono le lucertole lungo i muri, nei prati cantano i grilli, sulle siepi stridono le cicale, le rane e le raganelle gracidano nei fossati: volano le farfalle, le lucciole. Mille insetti palpitano fra la vegetazione rigogliosa della terra.

E’ estate. Sui monti le ultime nevi si sciolgono. Nel piano gli alberi sono in pieno rigoglio. La campagna è tutta verde. Sciami d’api ronzano tra le corolle dei fiori, gli uccelli scendono sui campi a beccare i chicchi, a scegliere insetto da insetto; risalgono nel più alto dei cieli con magnifico volo. Lo stagno rispecchia le nubi e l’azzurro del cielo; il ruscello gorgoglia e bagna le sponde fiorite.

D’estate certe notti di luna sono così chiare che le farfalle, ingannate da quest’ambiguo albore di eclissi, continuano a volare come se fosse ancora giorno; e il palpito dei loro voli insonni, che si intravede nella perlacea nebbiolina notturna, dà l’impressione che i prati siano popolati di fantasmi d’ali, evocati dal plenilunio. (P. Calamandrei)

Attorno a me il sole occhieggiava sull’erba, e faceva brillare qualche filo di ragno ancora coperto di rugiada. Un venticello tenerissimo piegava con grazia i sottili arbusti del boschetto di nocciole, e qualche foglia giungeva ad accarezzarmi la fronte. (G. Titta Rosa)

Com’è bella nella sua vestina bianca con sfrangiature verdi e marroni sulle punte, con il corpicino elegante. Ma il povero cavolo come la teme! Questa farfalla, la pieride cavolaia maggiore, si posa sulla pagina inferiore delle sue grandi foglie. Qui depone tante uova ben nascoste. Dopo pochi giorni, dalle uova nascono i bruchi. E che cosa fanno? Brucano la foglia, passano sulla pagina superiore e si mettono a divorare. In breve della bella foglia non restano che le nervature.

Cre… cre… cre… cre… Come sono noiose queste raganelle! Non tacciono un minuto. Sono là sulle rive del fosso. Saltano dall’acqua all’erba della riva, e dall’erba ai cespugli… E tutto il giorno si sente la loro voce. Gri… gri… gri… gri… Appena l’aria si fa bruna, ecco il sottile canto dei grilli. Di giorno sono nascosti nei buchetti sotto terra; di sera, escono, stanno tra l’erba fresca, trillano. Cantano alle stelle, alla luna, alla notte serena e silenziosa. (E. Graziani Camillucci)

I raggi del sole non hanno la stessa efficacia secondo che ci giungono a piombo o in modo obliquo. Essi riscaldano fortemente le regioni che li ricevono a piombo, e poco quelle che li ricevono obliquamente. Per capirlo basta aver osservato che, per godere in pieno il calore di un focolare, bisogna collocarvisi in faccia e che, tenendosi in disparte, si riceve assai meno calore. Nel primo caso, il calore cade dritto su di noi e produce più effetto; nel secondo ci arriva di traverso e rimane indebolito. Così, posta innanzi al focolare del sole, la terra non riceve in tutta la sua superficie la stessa quantità di calore, perchè per certe regioni i raggi dell’astro arrivano a piombo, e per altre in modo più o meno obliquo. Inoltre, al guadagno in calore durante il giorno sotto l’irradiazione solare succede la dispersione della notte, il raffreddamento notturno. Più la giornata sarà lunga e corta la notte, più elevata sarà la temperatura, perchè il guadagno eccederà di molto la perdita. Per queste due cause riunite in una stessa epoca dell’anno la temperatura è lungi dall’essere la stessa dappertutto. Fa caldo in certi punti, più o meno verticalmente assolati con giorni lunghi e notti brevi; fa freddo in altri a insolazione obliqua, dalle giornate corte e notti lunghe. Qua è l’inverno, là è l’estate. (J. H. Fabre)

Tutto brilla nella natura all’istante del meriggio. L’agricoltore che prende cibo e riposo; i buoi sdraiati e coperti di insetti volanti, che, flagellandosi con le code per cacciarli, chinano di tratto in tratto il muso, sopra cui risplendono spesse stille di sudore, e abboccano negligentemente e con pausa il cibo sparso innanzi ad essi; il gregge assetato che col capo basso si affolla e si rannicchia sotto l’ombra; la lucertola che corre timida  a rimbucarsi, strisciando rapidamente e per intervalli lungo la siepe; la cicala che riempie l’aria di uno stridore continuo e monotono; la zanzara che passa ronzando vicino all’orecchio; l’ape che vola incerta, e si ferma su di un fiore, e parte, e torna al luogo donde è partita: tutto è bello, tutto è delicato e toccante. (G. Leopardi)

Era l’ora del caldo e del riposo. La terra si ampliava nella distesa del sole. Il cielo era chiuso e grave. Neanche una vela sul mare. Tacevano le vespe e i  bombi. Un frutto tonfava giù da un ramo. Era il grande silenzio infuocato, quando gli occhi dei colombi stanno chiusi sotto l’ala e il bue rumina accosciato corpulento sulla paglia fresca. (D. Slataper)

Passeggiammo per le vie desolate tagliando qua e là alla ricerca dell’avara ombra lungo i muri… Decidemmo di sederci a un caffè vicino a una fontana, lo scroscio dell’acqua violento e monotono. A un tavolo poco lontano ragazzi strepitavano a gran gesti in un’accanita discussione di calcio. Nomi di giocatori e insulti giostravano pesanti nel vuoto per liquefarsi in pausa di greve silenzio. Le forme delle motociclette appostate lungo il marciapiede scintillavano. Dagli ombrelloni cadevano magri cerchi d’ombra. Sentivo il piano del tavolo caldissimo sotto le dita. Intorno botteghe chiuse, targhe stinte sui muri. Qualcuno  spiava dalla fessura d’una persiana. (G. Arpino)

E’ l’ora in cui la luce si smorza, in cui mi rimane qualche minuto per andare un po’ in giardino. Si apre la porta, ed ecco la cavità del giardino, con l’ampio cielo al di sopra. Una sottile mezzaluna nel verde della distesa, pere che pendono, afferrando un raggio col ventre rotondo e riflettendolo come una lampada. I grappoli d’uva bianca si dorano sulla spalliera. Un uccello saltella ancora nel cespuglio di noccioli. Il mio giardino si addormenta su cuscini di fiori e di verdure; ecco le rudbekie gialle, gli astri color d’ametista, le dalie a rosoni di carta pieghettata, gli ultimi fagioli che intrecciano i loro pendagli, i porri dalle larghe chiome aperte come quelle dei palmizi, i cavoli azzurrastri e rotondi. Il mio giardino si addormenta coi piedi al fresco nel rivoletto di metallo bianco che brilla, allungandosi tra le sue rive e va, verso il gran fiume, laggiù… Ecco che a poco a poco tutto si immerge nell’ombra e tace. Non distinguo più il volto dei pomodori impolverati di solfato di rame, nè la sfinge alla ricerca di nettare sulle ultime bocche di leone, nè i pipistrelli che scrivono non so cosa nell’aria oscura. (M. Roland)

Fra i piccoli trifogli l’ape ebbra e rumorosa svolazza e raccoglie l’impercettibile nettare. Il merlo sommessamente modula una sua frase che sembra significare assentimento alla pace che qui regna uguale anche tra gli spini dalle punte violette dei cardi o per le caselle delle stipule percorse da piccolissime farfalle color lillà. La bianca cavolaia barcolla ebbra fra i cespugli delle felci. E quale immagine più cara di quella del fragile rosolaccio rosso scarlatto: come un tenero fuoco che ravviva le blandizie d’una breve radura? (L. Bartolini)

Cominciava il caldo, un duro caldo che pesava nell’aria e continuava a pesare imperturbato sino alla sino alla fine di settembre. Come i pesci di un’acqua, sotto il cui recipiente sia stato acceso il fuoco, e che mandi già le prime bollicine, gli uomini rallentavano ancor più la loro andatura, mentre sugli occhi portavano, come una palpebra sottile e perennemente abbassata, la stanchezza e il desiderio di non veder nulla. Altri, che passeggiavano verso le sei di pomeriggio, non richiamavano i pesci alla memoria, ma le beccacce, allorchè, morte, vanno penzolando dal pugno del cacciatore. (V. Brancati)

L’estate è la stagione più calda dell’anno. Comincia il 21 giugno e termina il 23 settembre. Il sole spunta molto presto (prima delle cinque) e tramonta molto tardi (verso le venti). Le giornate sono lunghissime e il caldo diventa insopportabile ogni giorno di più. Di tanto in tanto improvvisi temporali rinfrescano l’atmosfera. Non è raro il caso che campi e frutteti vengano devastati dalla grandine, molto temuta dai contadini. Per fuggire il caldo soffocante, la gente va al mare o in montagna. Ma non tutti si possono concedere un meritato riposo in vacanza. Per gli agricoltori, l’estate è una stagione di intensa attività. Infatti ci sono molti lavori da compiere e non bisogna perdere tempo. Il grano deve essere mietuto.

Un tempo si mieteva a mano, oggi invece ci sono macchine meravigliose che avanzano nei campi di grano, lasciando dietro di sè i sacchi pieni di chicchi puliti, la pula e le balle di paglia. Poi c’è il granoturco da sarchiare; l’erba da falciare; le viti e gli alberi da frutta da irrorare con le sostanze antiparassitarie che disinfestano cioè liberano le piante dai parassiti.

D’estate i giardini sono un incanto. Fioriscono i gerani, i gigli, le rose variopinte, i garofani, le dalie. Maturano i cocomeri, i meloni, le albicocche, le prugne, le ciliegie e le pesche. Un’infinità di insetti e di animaletti vari animano come in primavera i prati, i giardini e i boschi: api, farfalle, formiche, grilli, cicale, zanzare, libellule, calabroni… Però i loro canti, i loro voli,  i loro bisbigli e ronzii sono diventati più intensi, chiassosi: sembra che vogliano rendere omaggio alla più bella stagione dell’anno.

Sul calar della sera compaiono i pipistrelli, che svolazzano qua e là a caccia di insetti. Questi animaletti non sono uccelli, ma mammiferi: gli unici che sanno volare. Nel cuore della notte si odono i gorgheggi dell’usignolo, il verso del gufo e il grido della civetta.

Arriva l’estate. E’ incoronata di spighe mature e tutta vestita d’oro; i suoi grandi occhi color del fiordaliso sfavillano. Diffonde intorno a sè lo splendore e l’allegria del sole. Davanti a lei tutti si presentano con fiducia, e i poveri specialmente la tengono per loro grande amica: il buon caldo allora non costa nulla! Quando arriva nell’aia, l’estate si siede su un mucchio di grano falciato e canta. Gli uomini la guardano e le dicono: “Benedetta, tu ci porti il pane!” (G. Fanciulli)

In questi giorni il sole la fa da padrone. E le notti sono calde. Alla mutevolezza della stagione sopravviene l’estate vampante. Anche l’usignolo, che ha i piccoli, ha smesso di verseggiare alle stelle. Rimane vicino al nido, svolazzando nei boschetti. Sotto la mia finestra c’è un ranocchione vecchio. Il suo gracidare sembra un ammonimento. Vive presso una pozza d’acqua che una polla mantiene viva tutta l’estate, nascosto tra un ciuffo di selci. Sta di casa sotto un embrice che le donne hanno appoggiato alla sponda per lavare i panni. Se si muove l’embrice, poi riaffiorano i suoi occhioni, come bolle nel mezzo della pozza, e spariscono di nuovo risucchiati. (B. Samminiatelli)

E’ l’estate. Il sole arroventa l’aria , ci fa sudare e ci abbrunisce la pelle. E’ in questa stagione che si falcia il fieno, si miete il grano e matura la frutta. In questi giorni, il mietitore, curvo sul mareggiare d’oro delle spighe, lavora e suda; è felice perchè raccoglie il frumento, che è il frutto del suo lavoro. Anche tu, ragazzo, se hai studiato con amore, riceverai il premio delle tue fatiche, sarai promosso e potrai godere le vacanze. (G. Fanelli)

Il campo ondeggia come un mare, il grano verde si fa biondo. Sulla proda sono cresciuti alcuni steli di grano meno alti di quelli del campo. In mezzo ad essi un papavero spiega la sua larga corolla che pare di seta rossa; due fiordalisi, accanto ad esso, sono come due occhi azzurri che lo guardano stupiti. Una farfalla, con le ali color arancione, vola dallo stelo di grano al papavero e da questo ai fiordalisi e sembra un bellissimo fiore vivo.

Nei campi fino a qualche mese fa era quasi impossibile distinguere un prato da un campo di grano. Ora quelle piante sono cresciute ed hanno generato una spiga che il sole ha indorato. L’erba è diventata molto alta, in alcuni punti è stata già falciata e si essicca al sole. E’ proprio tra l’erba alta che si aggira una moltitudine di insetti e di piccoli animali tutti intenti nel loro lavoro. Alcuni, come le api e i calabroni, si inebriano di nettare, altri tagliano e incidono ogni filo d’erba come le cavallette. (G. Piovene)

Il grano è maturo. Le bionde distese di pianticelle ondeggiano ancora per pochi giorni. Già si sente nei campi lo scoppiettio sonoro delle mietitrebbie, le moderne macchine capaci di tagliare il frumento e di liberarlo contemporaneamente dalla paglia e dalla pula. Sui campi d’oro e sulle verdi distese coltivate si leva intanto il monotono frinire delle cicale. E’ il canto dell’estate, un inno al sole intenso di questi giorni, che dà luce, vita, gioia. Ridono, rosse e fresche nel banco del fruttivendolo, le prime fette di popone. Le fontane invitano a dissetarsi. I giardini sono tutti una festa di fiori e di colori.

Le giornate sono lunghe e i bambini possono stare tante ore a giocare nel cortile e nei prati. Il caldo piace, e con i vestiti leggeri si muovono meglio. Ma non devono andare scalzi. Per terra ci possono essere vetri, cocci, spini, chiodi. Se entrano nel piede fanno tanto male. (P. Boranga)

Alcuni pipistrelli svolazzano attorno alla casa con un piccolo grido lieve. Dal seno delle erbe in fiore si alza il monotono concerto dei grilli; un rospo solitario, collocato al fresco sotto una pietre, emette di tanto in tanto la sua nota flautata, mentre le rane riempiono i fossati delle praterie vicine dei loro rauchi gracidamenti. Le civette alternano le loro dolci voci di richiamo; la capinera, infine, dà l’addio della sera alla chioccia, già sonnecchiante sulle sue uova.  (E. Fabre)

M’ero fermato su un ponticello in pineta a guardare la fretta dei contadini che raccoglievano il fieno falciato e seccato. Nel pomeriggio sciroccale l’afoso vento nero adunava nuvole di pioggia, e le rondini volavano basse. Tre erano armati di forcone: uno, uomo; l’altro, ragazzotto; il terzo, poco più che bambino. Levavano i fastelli di legno sulle lucide e temibili branche, e facevano il cumulo. Finchè restava basso ed informe, concorrevano promiscui al mucchio, ma quando saliva a spalla d’uomo ed era quindi al punto di ricevere sesto e misura e garbo a spiovente di cupola appuntita, allora il minore dei tre si faceva da parte a cominciarne un altro. Il maggiore sul suo forcone non si trovava mai nè più nè meno di quel che gli occorresse a riempire un vuoto, a rincalzare uno sdrucio nella compagine, a rialzare una curva. Pettinava, toglieva, rimetteva e aggiungeva: in poco d’ora il cumulo era fatto e assettato. R. Bacchelli

Partite, ragazzi, senza libri, e portate con voi solo reticelle per farfalle, palle di gomma, bambole, secchielli, palette per scavare la sabbia e innalzare castelli sulla riva del mare. E per un  mese almeno non pensate ad altro che a giocare, e la sera, poichè le sere del mese di giugno sono piene di lucciole, raccoglietene molte in scatoline trasparenti, e andate con esse in giro per i prati come portaste una lampada, la lampada più bella che si possa immaginare, una lampada viva. Finiti i vostri giochi, prima di andare a letto, aprite la scatolina e liberate le piccole stelle che vi sono dentro. La sera dopo, ritorneranno spontaneamente nella scatola e torneranno a formare la lampada che illumina i vostri giochi. Dopo un mese di vita senza pensieri, fatta di castelli di sabbia, di aquiloni e di lampade vive, pregate il vostro papà di regalarvi qualche libro. Ma non libri di scuola. Libri di racconti e di favole. E ogni tanto leggetene qualche pagina. Ma, sempre, il maggior tempo passatelo a giocare. E, di tanto in tanto, sapete, per non perder l’esercizio dello scrivere, che cosa dovete fare? Mettete sulla carta il racconto di una bella giornata trascorsa, d’una gita, di un gioco, di un’avventura. G. Mosca

Dopo un intero anno di lavoro la scuola si chiude. I nostri cuori già pregustano i lieti ozi delle giornate estive, in cui sola cura sarà il trovare nuovi giochi e nuovi svaghi. Pure qualche volta il nostro pensiero tornerà alla scuola: rivedremo il nostro maestro alla cattedra, i compagni nei banchi, le pareti ornate dei nostri disegni. Forse sentiremo un po’ di nostalgia e vedremo con gioia avvicinarsi il giorno in cui torneremo tutti insieme qui.

In una settimana il fieno fu tutto falciato; e allora con le forche andavano a rivoltarlo, prima di fare i mucchi, perchè si seccasse bene di sotto e il sole entrasse anche dentro. La caldura aveva bruciato ogni cosa, e anche il grano  pigliava un colore bianco che diventava più giallo o anche di notte si vedeva bene. Il terreno era così arroventato che senza gli zoccoli bruciava i piedi, e le passere che varcavano le vallate da poggio a poggio, pareva che cadessero giù a strapiombo. F. Tozzi

L’abbeveratoio era in fondo al gran prato. La fila delle bestie sciolte si avviava lentamente,a testa bassa; e il sole sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche, per la più parte. Immergevano nell’acqua il muso fino alle froge e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie. Il cane di casa, abbaiando, fingeva per gioco di assalire questa o quella. Rientrarono ad una ad una nella stalla le bestie. Era il tramonto del sole. R. Bacchelli

Era mezzogiorno e splendeva un sole ardentissimo. Non stridore di cicala, non canto d’uccello, non volo di farfalle, non voce, non moto nè vicino nè lontano; ogni cosa quieta, pareva che la natura dormisse. Allora la campagna s’anima di una vita fantastica, come di notte. Si sentono suoni indefiniti, come di lunghe grida lontane.; soffi, fruscii, ora a molta distanza, ora all’orecchio, qui, là, non si sa dove, da ogni parte; pare che nell’aria ci sia qualcuno o qualcosa che fluttua e che si agita; s’avvicina, si scosta, ritorna, ci rasenta, s’allontana; si direbbe ch e vi sono degli esseri invisibili che stanno macchinando qualcosa.  A un tratto si sente un acuto ronzio di insetto; passa e silenzio. S’ha una scossa, ci si volta: è caduta una foglia. Sbuca una lucertola, si ferma, par che stia a sentire, e, come impaurita da quel silenzio, via. La campagna ha qualcosa di solenne e di triste come un mare solitario; la testa si abbassa come per forza e l’occhio socchiuso vaga per le valli oscure e per i cupi recessi che la fantasia languida finge tra i fili d’erba e i granelli della terra. E. De Amicis

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Dettati ortografici: temporali estivi e grandine

Dettati ortografici sul tema temporali estivi e grandine e l’arcobaleno.

Il lampo che illumina il cielo finisce in uno schianto sul tronco di un cipresso, e fortissimo rintrona. La grandine precipita fitta: sui tetti e sulle piazze danzano granelli e perle gelate. E il vento volteggia e rigira nell’aria bruna e fosca le povere foglie strappate dai rami. Quando la bufera si quieta le anatre corrono sull’aia e guazzano nelle pozze d’acqua, ove si mescolano granelli pallidi e foglie tritate. La pace ritorna: gli usci e le finestre si schiudono e la lucertolina si stende sulla pietra a prendere il sole che, rosso di vergogna, volge al tramonto. (A. Paluschi)

Nell’aria pende la tempesta; osservate il paesaggio vegetale in quei momenti di calma minacciosa che ne precedono lo scoppio. Dalle zolle erbose su per i cespugli degli alberi, in largo giro, sta come se fosse scolpito: ciascuna forma vegetale nell’imminenza della lotta, si fa quasi pensosa restando protesa verso la luce residua. Il vento irrompe: le erbe hanno un largo brivido, gli steli si piegano in moto ondoso, i cespugli si convellono, le foglie tremano, svolazzano, frullano sui piccioli tesi, volgendosi di tratto in tratto in un unico verso che ci dà l’immagine della superficie vibrante dell’acqua al colpo del maestrale; i rami bassi degli alberi si piegano verso terra, i sovrapposti sussultano, ed il fusto solenne oscilla. Il vento ha una pausa: dalle erbe ai culmi, ai fusti è una pronta riconquista degli atteggiamenti di quiete… Se sopraggiunge un imperversare di pioggia, l’urto delle gocce crea per ciascuna apparenza vegetale nuovi rapidi moti di difesa. Al cessare della tempesta si scoprono qua e là, per terra, sparse foglie strappate dal vento, battute dalla pioggia e qualche divelto fusticino di pianta erbacea; ma il paesaggio vegetale appare ricomposto nelle sue linee e con una rinnovata, gemmante veste di bellezza. (A. Anile)

Subito dopo la grandine biancheggiò saltellante per terra, risuonando come sassi sulle tegole, tambureggiando le foglie, formando strati sull’erba, sul cortile. Tutti gli alberi, le viti,  le piante dell’orto, le acacie della strada si tenevano fermi, spauriti, oppressi dalla martellante caduta. I contadini guardavano e non fiatavano, gli occhi dilatati, inebetiti, stringendosi le braccia con le mani, guardavano e sembrava non volessero credere. Le viti si scarnivano di foglie sotto i loro occhi, lo strato bianco cresceva; passò una decina di minuti e poi la pioggia prese a mischiarsi alla grandine e questa a scemare. Più tardi, quando fu possibile uscire a camminare verso i campi, subito si intese un odore di foglie cadute come per un prematuro autunno. (G. Comisso)

Le nuvole grige e nere si urtano, si pigiano spinte del vento, nascondono il sole, oscurano il cielo. Ci son ancora, qua e là, lembi d’azzurro, ma vanno facendosi sempre più piccoli, sempre più radi. Ecco un lampo: guizza, abbaglia, sembra incendi il cielo. Poi scoppia il tuono. Un tonfo forte, un brontolio lungo. I passeri si rifugiano sotto i tegoli, le rondini volano basse, senza stridi. Cadono le prime gocce d’acqua, si fanno fitte, sembrano grossi aghi lucenti. Poi la pioggia scroscia impetuosa.

Poco dopo mezzogiorno il sole cominciò ad essere meno limpido. Non c’erano nuvole ancora; ma proprio nel mezzo del cielo, il turchino cominciò a diventare sempre più smorto; fin che all’improvviso vi nacque una nuvola grigia che si faceva sempre più scura. Poi altre nuvole, dello stesso colore e più bianche, si accostarono, insieme. Quando tutte furono chiuse l’una con l’altra, un lampo abbagliò gli occhi e fece luccicare le ruote del carro, gli aratri e tutti gli strumenti di ferro sull’aia. Allora i tuoni cominciarono, come se avessero dovuto schiantare anche le case, e le prime gocciole, quasi bollenti, si sentirono picchiettare sulle tegole e sui mattoni. Dopo un poco l’acqua venne giù sempre più grossa, e il temporale durò quasi tre ore. (F. Tozzi)

Dopo il temporale il sole era tornato, e i pioppi parevano più verdi: avevano sentito quella rinfrescata e ne godevano. Lungo qualche filare erano nati i girasoli, grandi e gialli, che tentennavano  un poco quando passava il vento. Tra i grani, dove era più umido, erano nati il ciano coi fiori azzurri; le campanelle bianche, venate di rosso chiaro, che s’attorcigliavano fin sulle spighe, e la borrana con le stelline celesti. I ragni avevano teso tanti fili, che quando brillavano parevano un’altra messe. (F. Tozzi)

Dopo la grandinata, quando fu possibile riuscire a camminare verso i campi, subito si intese un odor di foglie cadute come per un prematuro autunno. I contadini prima ancora di vedere realmente i danni causati ripetevano sommessi: “Siamo rovinati”. E veramente la campagna aveva un aspetto lugubre: il verde prima traboccante non esisteva più. Il granoturco abbattuto, stracciato nelle sue larghe foglie, i campi di foraggio calpestati, come da una torma di cavalli, le pesche rosee mordicchiate, l’uva scoppiata nei suoi grani, e foglie e piante, per terra, mischiate al fango. (G. Comisso)

Venne un temporale che flagellò la campagna e rose le strade, per fortuna senza grandine. Lo passammo in casa, da una finestra all’altra, fra donne e bambine che correvano e gemevano sotto i lampi. Il crepitio dei sarmenti nel camino  sbatteva in cucina una luce rossastra, che dava riflessi fantastici ai festoni di carta colorata, sulla batteria di rame, alle stampe della Madonna, e al ramulivo appeso al muro. Tremavano i vetri. Qualcuno, di sopra, urlava di fermare le finestre… Venne un momento di strana solitudine, quasi di pace e di silenzio, nel diluvio. Mi fermai sotto la scala dove dal lucernario accecato volavano gocciole e odor d’acqua. Si sentiva la massa dell’acqua, quasi solida, cadere e muggire… Finì com’era cominciato, d’un tratto. Quando uscimmo sul terrazzo, dappertutto in paese si sentiva vociare, il cemento seminato di foglie aveva già chiazze d’asciutto. Tirava un vento di vallata, schiumoso, e le nuvole galoppavano… M’investì un sentore folle di fradicio, di frasche, di fiori schiacciati, un odore acre, quasi salso, di fulmine e di radici. (C. Pavese)

A nord i cavalloni del cielo, avanzando a ondate, già chiudevano la valle. Quando qualche raro soffio giungeva, le bocche aperte a respirarlo bevevano dell’aria calda e soffocante che faceva desiderare l’acquazzone vicino. Sulle fronde immote gli uccelli tacevano, ed un volo di colombi che passò in alto e si disperse nel grigio diffuso, sembrava aprirsi a fatica la via con i colpi rari dell’ale nell’aria densa. Poi, sotto il nembo nero e compatto, altre nubi leggere corsero, spinte da un vento che non toccava terra. Adesso tutta la valle era chiusa in alto dalla nuvolaglia come da un gigantesco coperchio, e un breve chiarore, che brillava oltre la montagna, si spense sotto l’incalzante minaccia. (A. Bonsanti)

Il tempo accennava a rimettersi. In alto, un vento fortissimo assaliva le nubi, le divideva, apriva vasti spiragli attraverso i quali si vedeva un cielo incredibilmente tranquillo. Il sole inondava i poggi e le colline su cui apparivano come di notte sotto i raggi di un riflettore ville e case di contadini. Le finestre luccicavano come specchi. Soltanto lungo il fiume, la bruma pareva stagnare fra gli alti pioppi; ma finalmente anche questa zona di campagna fu illuminata. S’era aperta definitivamente la matassa delle nebbie: apparì un ponte che luccicava d’umidità; anche gli steli delle erbe e la terra, dov’era ferma l’acqua delle piogge recenti, rilucevano. (A. Benedetti)

Il temporale rovesciava ancora brevi scariche di acqua ma fulmini e tuoni andavano allontanandosi. Dalla finestra dell’albergo vidi un guardamacchine attraversare di corsa, curvo nella sua improvvisata mantella di cellophane. S’acquattò in un portone di dove già apparivano gambe e scarpe di gente assiepata al riparo. Ogni tanto un volto di ragazza si sporgeva a spiare, a ridere. I muri gialli mostravano larghe chiazze di pioggia; il selciato e un’asimmetrica fila di tetti erano percorsi da brividi di serpentino argento, gore vive di viola. Un ombrellone colorato dondolò lentamente su una terrazza, un’ultima ventata lo capovolse. (G. Arpino)

All’improvviso il cielo diventò scuro, si levò un vento fortissimo, lampeggiò, tuonò, poi cominciarono a cadere grossi goccioloni. La terra secca, bruciata dal sole, bevve a larghi sorsi l’acqua ristoratrice. Caddero alcuni chicchi di grandine. Con colpi secchi batterono sui tetti e sui davanzali delle finestre, ma non fecero danni.
L’aria divenne fredda. Piovve a lungo, prima a dirotto, poi piano piano. I lampi e i brontolii del tuono si fecero radi radi.
La pioggia cessò. Le nubi scomparvero.
Il cielo tornò sereno e splendette l’arcobaleno. (Scotti – Davanzo)

Il temporale

Guizzi di lampi serpentini serpeggiano nell’oceano oscuro delle nuvole, come saette di fuoco. Gocciole rade e grosse di pioggia cadono col rumore delle pietre sulla terra assetata, che la beve avidamente. E poi le gocciole si addensano in pioggia rumorosa, che martella foglie, pietre e animali e case.
Fuggono le rondini turbinando per l’aria; geme il vento per le case e per gli alberi; le strade diventano fiumi di fango, le piazze laghi di fango, e poi fango e fiumi scompaiono bevuti dalla terra e dalle cloache e la faccia del pianeta si lava in un lavacro universale.
Lampi e tuoni  si vanno allontanando, come se l’esercito vittorioso inseguisse il nemico in fuga, e anche le nubi corrono, corrono verso regioni ignote, aprendo qua e là oasi di azzurro. (P. Mantegazza)

Temporale

A ogni attimo un lampo violetto o verdastro palpita; è seguito immediatamente da un tuono formidabile che fa rintonare i vetri della mia finestra. L’acqua cade rabbiosamente, fa le funi; il vento la spinge di traverso e i suoi fili sono come frecce di vetro. Gli alberi si divincolano sotto il turbine; le frasche paiono povere bestie legate a catena o mezzo sepolte nella terra e che si sforzino di liberarsi e fuggire. La pioggia intanto le percuote, le lava e ne fa lustrare le foglie. L’orizzonte dei campi si perde in una nebbia folta, cieca. (A. Soffici)

Si avvicina il temporale

La nebbia s’era a poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbuiandosi sempre più, davano l’idea di un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la sfera del sole, pallida, che spargeva intorno a sè un barlume fioco  e sfumato, e pioveva un colore smorto e pesante. (A. Manzoni)

Il temporale
Il cielo p diventato nero nero. E’ tutto carico di nuvole. Il vento soffia impetuoso e porta innanzi polvere e foglie secche. Poi un lampo passa tra le nuvole e il tuono brontola in lontananza. Ecco, cadono le prime gocce di pioggia: sono grosse e pesanti. Le gocce si fanno sempre più fitte; piove a scroscio. (G. Fanciulli)

L’acquazzone
Da oriente vennero galoppando grandi nuvole bianche che poi si fecero bigie e pesanti. L’azzurro sparì, ingoiato da quella nuvolaglia spessa. Scoccò un lampo abbagliante, seguito, da lontano, da un tuono profondo. Qualche goccia cominciò a cadere, rada.
Poi, la pioggia si infittì, precipitò, scrosciò violenta. Le strade subito ruscellarono, le foglie degli alberi stormirono sotto la sferza, la terra giacque ristorata sotto l’acqua dirotta. (F. Herczeg)

Tempesta nel bosco
Tutta la notte il vento soffiò. Andava e veniva. Era una ninna nanna. Si udiva lo sgocciolio dei rami. Poi, di lontano, attraverso gli alberi, giungeva la nuova raffica e sembra di vedere gli animali della foresta anch’essi in attesa e in ascolto nelle loro tane. Quando la raffica si abbatteva vicino, si udivano i grossi tronchi curvarsi come canne e i rami stroncarsi, con un colpo secco come una fucilata. Il vento passava sulle cime degli alberi, sui rami, poi scendeva fino a terra, frusciando tra le foglie. (Richter)

L’arcobaleno
Il cielo si schiariva. Sull’ampio scenario turchino come un mare sconvolto, si illuminava un arcobaleno vivissimo, iridescente, che ne accendeva subito un altro di fuori, più grande, ma incompleto. Dall’altra parte il sole riappariva tra gli strappi delle nuvole e tagliava nettamente in due l’orizzonte, dividendo luce e ombra, come per un invisibile immenso diaframma. (J. S. Meyer)

L’arcobaleno

Talvolta, dopo un violento temporale, il sole fa capolino tra le nuvole che si allontanano mentre la pioggia continua ancora a cadere, e allora, dalla parte del cielo opposta al sole, si ammira uno degli spettacoli più belli della natura: l’arcobaleno. E’ come se un grande arco fosse stato dipinto attraverso il cielo coi più vivi e luminosi colori della tavolozza di un pittore. C’è il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, il celeste, l’indaco e il violetto, tutti armoniosamente fusi. (J. S. Meyer)

La grandine
Il caldo era soffocante, ma il cielo era tutto azzurro. Solo una nuvola nera era ferma all’orizzonte. In breve, la nuvola divenne un nuvolone e non fu più ferma all’orizzonte, ma coprì tutto il cielo. Gli uccellini tacquero, tutto sembrò immobile e silenzioso sotto la minaccia di quella nuvola. Ad un tratto, un tuono rimbombò cupo; nel cielo si susseguirono i lampi, fitti ed abbaglianti. Ad un tuono più forte sembrò quasi che il cielo si aprisse. Venne giù prima un acquazzone dirotto, e poi la grandine. Una grandine fitta, scrosciante, martellante, che batteva forte sui tegoli, sulla strada; bianca, gelida, rovinosa.

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Dettati ortografici IL GRANO

Dettati ortografici IL GRANO, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Il campo, di lontano, appare come una distesa di pallido verde. Ci avviciniamo, raggiungiamo la proda; vi crescono ciuffi di erbe nuove, che si fanno strada fra i fuscelli secchi, rimasti per tutto l’inverno sul terreno. Il campo è vasto: in righe dritte, ben allineati, si levano gli steli, di un color verde ancora un po’ tenero, ma già vigorosi. Si direbbero, ora, steli d’erba senza nome, ma noi sappiamo quanto invece siano preziosi. Non si calpesti nemmeno uno di quegli steli. Essi cresceranno, metteranno spighe; al sole di giugno offriranno la messe del bel frumento dorato. E, più tardi, diventeranno pane, saranno il dono quotidiano che pare benedizione alle mense frugali.

Un mattino di primavera, un germoglio verde mise la testina fuori della terra umida. Il sole splendeva così caldo che la terra fumava.  E su in alto nell’azzurro cielo, un immenso stuolo di allodole cantava. Il chicco di grano si guardò intorno inebriato. Era proprio tornato in vita, rivedeva il sole e sentiva cantare le allodole. Ricominciava a vivere. E non era solo, perchè intorno a lui, nel campo, vedeva altri verdi germogli, un esercito intero, e in esse riconobbe i suoi fratelli. Allora la giovane pianticella si sentì invasa dalla gioia di esistere e le parve di dovere, in atto di pura riconoscenza, alzarsi fino al cielo e accarezzarlo con le sue foglie. (G. Joergensen)

Il grano è alto. La spiga è fatta e ondeggia al vento con le sue lunghe ariste e i chicchi bene allineati. Fra poco sarà pesante, piegherà il capo, diverrà tutta bionda e turgida. Allora la falce verrà a mieterla per il pane di domani. (B. Ardesi)

Un’estate senza le spighe che dondolano sotto la spinta del vento, non è un’estate. Proprio così: la messe bionda è il simbolo di questa stagione dalle lunghe giornate dilatate dal sole abbagliante. Otto mesi fa, i solchi erano aperti a ricevere il seme, oggi gli uomini si recano a raccogliere i frutti della terra generosa. (N. Nason)

Guarda com’è bella! Il sole l’ha dorata. I suoi chicchi sono disposti con ordine e ciascuno è coperto di leggere squame. Tutti hanno un ago sottile. Si chiama arista ed è il pugnale che li difende dagli uccelli troppo golosi. I suoi chicchi sono numerosi e vengono tutti da quell’unico che fu seminato nell’autunno. Ricordi? (D. Scotti)

La giovane sposa, col cesto sul capo, si affretta a portare la cena ai lavoratori. Stende la tovaglia sopra la terra; leva dal cesto il grande piatto della lattuga con le cipolle fresche; e intorno dispone le forcine, e i grossi pani e i fiaschi del vino acidetto. Riposano gli uomini, riposa la terra. (A. Panzini)

Ritto in mezzo al campo, stava lo spaventapasseri. Portava un cappello vecchio, una camicia, che un tempo doveva essere stata bianca, un paio di calzoni rattoppati e un fazzoletto rosso intorno al collo. Era solo lo spaventapasseri. (G. Ajmone)

Il campo di grano ondeggia al passare del vento; sembra un mare d’oro. Il contadino guarda le messi e sorride. Ancora pochi giorni, e raccoglierà il frutto delle sue fatiche. Ancora pochi giorni, ed anch’io spero di ricevere il compenso del mio lavoro: la promozione e la felicità delle vacanze. (M. Frati)

Sembra che le cicale nascoste fra gli alberi invochino il sole, perchè non le bruci vive. Non si muove una foglia; in lontananza le case della campagna tremolano nella gran luce. In quest’ora nessuno si azzarda a lasciare il fresco rifugio delle stanze. Soltanto un carro, laggiù, rotola all’ombra dei pioppi, lungo il canale. Il rumore delle ruote riempie tutta la campagna insieme con il frinire pazzo delle cicale ed al cinguettio continuo dei passeri. Poi, una mattina all’alba, sono cominciati i lavori della trebbiatura: sull’aia il gran polverone glorioso nel quale si muovono le figure brune dei contadini. Il canto delle cicale, sui pioppi del torrente, è soverchiato dall’iroso frastuono della trebbiatrice. Attorno al motore caldissimo, puzzolente d’olio e di nafta, si aggira il meccanico, asciugandosi ogni tanto i rivoli di sudore che gli scendono per la nuca e sul viso. Il sole si arrampica su per l’arco del cielo e l’afa comincia  a gravare sui campi. Verso mezzogiorno i contadini si rifugeranno all’ombra del portico, per ristorarsi un poco. (A. Lugli)

Il frumento, questa pianta benedetta che di dà il pane, porta la sua pesante spiga in cima a un fusto abbastanza lungo per allontanare i chicchi dalla polvere del terreno, abbastanza sottile per crescere in ciuffi folti senza dar noia ai vicini, abbastanza robusto per sostenere il peso dei semi, abbastanza elastico per piegarsi al vento senza rompersi. Questo insieme di qualità preziose è dato dalla forma speciale della paglia. Invece di farsi un fusto pieno, il frumento se lo fa vuoto. (E. Fabre)

il grano, con un impeto di forza, si affretta a compiere il ciclo della sua breve vita, finchè nei giorni di giugno le spighe si piegheranno. La rondine pare ripetere col suo grido stridente all’uomo: “Lavora, lavora il tuo grano, rincalza il crespo, strappa le erbacce”. La lucciola risplende di prima sera, volando silenziosa per tutta la distesa del grano; e la cicala, poi, canta nei grandi pomeriggi estivi sopra le spighe fiorenti. La rondine, la lucciola, la cicala accompagnano la vita del grano. E così tre fiori fanno al granaio ghirlanda: il giglio dei campi, i fiordalisi e i papaveri di fiamma. (A. Panzini)

Guardate la spiga di grano: ha in capo una corona di cento punte. E’ davvero la regina dei campi. Tutte le altre biade, tutti gli altri frutti sono meno belli di lei. E’ la piuma d’oro della terra. Essa è la prediletta del contadino che le presta le sue fatiche più dure. Ara con il pesante aratro per fare al seme un letto soffice e profondo, per difenderlo dal gelo. L’aiuta a crescere rompendo con la zappa la crosta della terra, che l’inverno ha indurito. Le dà il nutrimento di concime, perchè venga su robusta. E quando è fatta adulta, trema per lei se vede passare nel cielo una nuvola nera. Matura e dorata, egli va a raccoglierla e per tagliarla l’abbraccia e si china un poco come per dirle: “Perdonami se ti faccio male. Lo sai che ti voglio bene”. (R. Pezzani)

I papaveri hanno invaso il campo di grano. Sono un esercito. I soldatini indossano la camicia rossa e non fanno male a nessuno: la loro spada è una spiga. Il vento li agita: i soldatini sembrano correre nel campo conquistato. Quando poi il vento tace, ogni papavero si attarda al margine del solco col fiordaliso, suo compaesano, che indossa la tuta azzurra dell’operaio. (N. Salvaneschi)

Mi ricordo di aver passeggiato, quando è vicino il raccolto, per le campagne piene di frumento già maturo e bronzino. Sentivo nell’aria un odore di pane fresco e il contadino mi diceva, con l’aria di chi possiede un gran segreto, che anche per quell’anno non si sarebbe morti di fame. Infatti bastava guardar giù per vedere un mare di spighe, fra le quali frusciava l’alito caldo del mezzogiorno, piegarsi, incresparsi, prendere a vicenda il colore dell’oro, dell’argento e mandare scintillamenti, come vi fossero in mezzo delle lucciole. Fra gambo e gambo, cresce il papavero scarlatto, e sugli orli, la viola azzurra e la margherita; ronzano i mosconi, si alzano dalla strada nuvoli di polvere e schiamazzano centomila cicale o più, al chiasso che fanno. (E. De Marchi)

Si avvicinano i giorni della mietitura: essi hanno una solennità di attesa. Per le campagne non si parla d’altro. Un gran rito si compie. Fluttuano ancora per i campi le spighe con lieve fruscio di seta e un balenare di verde. Il granello, levato del suo involucro e spremuto tra le dita, è ancora un umore bianco. (A. Panzini)

Dice il proverbio: “Giugno, la falce in pugno”. Per fare cosa? Per mietere il grano, che ormai è maturo. Quanta fatica è costato! Il contadino ha arato il campo, lo ha seminato, concimato, ripulito dalle erbacce. Ma ora è ripagato con tanto oro. Il grano maturo sembra proprio oro. E’ più prezioso dell’oro. L’oro non si mangia, ma col grano si fa il pane, che è il nutrimento di tutti. (P. Bargellini)

Di fronte a me la collina tocca la curva linea del cielo, le piccole basse nubi, l’ampio glorioso sereno. Tre falciatori la vanno a gran forza tosando. Calzonacci di fustagno, andanti. Fusciacca, rossa come il sangue, intorno alla vita. Camicia aperta sul collo e sul petto, gonfia d’aria tremante. Maniche rimboccate su, oltre il gomito. Braccia come stanghe di vecchio rame. Come le larghe mani abbrancano la lunghissima falce! Come l’avventano, ampia, impetuosa, balenante nell’erba, con una mano afferra la lama luccicante, con l’altra attentamente e fortemente, or dall’alto, or dal basso, l’affila. (G. Zoppi)

Rocco mieteva, mieteva. Passava la falce al piede del grano alto, con una frequenza uguale di colpi come se la stanchezza non gli vincesse il braccio mai. La terra ardeva sotto; le messi mandavano vampate soffocanti. Ed egli mieteva, con gli occhi abbarbagliati dal lampeggiare continuo della falce, con le mani che gli pareva volessero scoppiare. Non finiva mai quel campo: le spighe ricrescevano appena tagliate. Gli altri mietitori, qua e là si trascinavano innanzi taciturni, senza un canto, senza una parola. (G. D’Annunzio)

La raccolta del grano era nel suo massimo ardore. Il campo sconfinato d’un giallo luccicante era limitato, solo da una parte, dall’alta, azzurreggiante foresta. Tutto il campo era coperto di covoni e di gente. Nell’alto, folto grano si vedeva qua e là, sul campo mietuto, la schiena curva di una mietitrice, lo sbatter delle spighe, quando essa le prendeva tra le dita; una donna all’ombra e i covoni dispersi qua e là per la seminagione. Dall’altra parte contadini ritti sui carri affastellavano i covoni e sollevavano polvere sul campo arso, rovente. (L. Tolstoj)

Il grano è una distesa d’oro fra strada e argine. Appena si muove, a quel venticello che porta l’alba, la peluria delle ariste trema e fa un suono leggero. A mezzogiorno, invece, pare che dica al contadino: “taglia, taglia”. E il contadino, sentendo questa voce, se, come accade, s’è posato all’ombra di un ulivo, col cappello sulla faccia, dopo sette ore di fatica, riapre gli occhi, gli par passato chissà quanto tempo e ripiglia la falce. (G. T. Rosa)

Il macchinista ha fatto ben presto ad avviare il motore, la cinghia è stata subito innestata, sotto alla trebbiatrice che già palpitava han disteso un ruvido panno a raccogliere quel poco che la macchina avrebbe lasciato perdere dagli ingranaggi; e l’uomo è subito montato su. Il contadino porgeva un covone dopo l’altro, accanto alla tramoggia; con un falcetto un altro tagliava un legaccio, e il primo infilava il covone per il capo, nella bocca della tramoggia… Solo il macchinista se ne stava imperioso, una gamba appoggiata al suo sussultante motore. (G. Titta Rosa)

L’estate è la stagione dei raccolti. Sotto il sole d’oro tutto diventa d’oro. Il grano biondeggia nei campi. L’erba falciata forma cumuli profumati. SI raccolgono i frutti dell’anno. Perciò  tutti sono contenti. Anche i bambini mietono dopo la loro fatica. Ognuno può dire: “Ho arato lungo le pagine dei quaderni. Anch’io ho seminato fra le righe.” Ed ecco che su quei solchi sono sbocciati e maturati buoni frutti. (P. Bargellini)

I seminati erano già alti, pallidi di un sentore di grano e illuminati sfarzosamente da papaveri d’ogni grandezza, il cui calice traboccava luce rossa nell’aria, tra le spighe e addirittura nell’interno del solco. Impolverati d’argento, a intervalli regolari, gli ulivi avevano l’aria di persone che si fossero fermate al richiamo di qualcuno rimasto indietro, per aspettarlo; il viale saliva verso un poggio su cui sorgeva una casina gialla dalle persiane verdi con accanto una fattoria dal muro biancastro crivellato di porte e finestre nere; a destra del viale, verdissimi, lucidi, rinfrescanti l’aria col loro alito di fontana si stendevano i giardini di limoni su su fino al poggio… V. Brancati

 La messe

Tutto il grande campo di grano color verderame era zeppo di spighe diritte; lassù, nel cielo azzurro, c’era il sole raggiante e tutte le allodole cantavano dallo spuntare dell’alba fino a sera. Dopo il tramonto, la rugiada cadeva dolce come un’onda rinfrescante sul grano infiammato dal sole e la grande luna d’oro splendeva mitemente sui campi che maturavano. (C. Joergensen)

 La semina del grano

Il grano, involandosi dal pugno, brillava come faville d’oro e cadeva sulle porche umide, ugualmente ripartito. Il seminatore avanzava con lentezza, affondando i piedi umidi nella terra cedevole, levando il capo nella santità della luce. Il suo gesto era largo, sapiente; tutta la sua persona era semplice, sacra, grandiosa. (G. D’Annunzio)

Il grano

Quasi certamente la prima pianta coltivata fu il grano. L’uomo era ancora rivestito di pelli e di corteccia d’albero quando scoprì che i granelli di una spiga che egli aveva lasciato cadere nel terreno, erano germogliati e avevano dato origine ad altre spighe uguali. Da quel giorno sono passati migliaia e migliaia di anni, ma da allora il pane fu il perno intorno a cui si sviluppò la civiltà mediterranea.

Il grano

Il chicco di grano  è caduto nel solco e fra poco germoglierà. Da quel piccolo chicco nascerà una piantina che a maggio metterà la spiga. Il vento trasporterà il polline da un chicco all’altro e la spiga allora sarà granita. Il sole la dorerà e la farà maturare. Il bel grano d’oro sarà mietuto e trebbiato. Con la farina che l’uomo saprà ricavarne si farà il buon pane quotidiano.

Grano maturo

Si vedeva un mare di spighe fra le quali frusciava l’alito caldo del mezzodì; piegarsi, incresparsi, prendere a vicenda il colore dell’oro, dell’argento e persino del latte, e mandare scintillamenti come se vi fossero in mezzo delle lucciole. Fra gambo e gambo cresceva il papavero scarlatto, e sugli orli, la viola azzurra e la margherita. (E. De Marchi)

Le speranze del contadino

Il contadino spera quando semina il grano, spera quando vede il primo biondeggiare delle spighe, spera quando i primi fiori della vite spandono il loro profumo e attraverso una fiorita corona di speranza, porta al granaio le messi, alla botte il mosto, alla cucina i legumi dell’orto. (P. Mantegazza)

Il grano

Gli uomini trovarono un’erba dal lungo stelo, che da un seme solo fa tante spighe ed ogni spiga tanti chicchi, i quali macinati, danno una polvere così bianca, così molle e queste, intrisa e rimenata e cotta, dà un cibo così soave, così forte! Quell’erba è la divina vivanda che di fa vivere: il pane! (G. Pascoli)

Il grano

Il grano è una delle piante più coltivate fin dai tempi antichi. Quando l’uomo decise di coltivare la terra forse furono semi di grano che egli gettò nel terreno. Da quel giorno lontano, i nostri campi ogni anno si coprono della preziosa messe che dà all’uomo il nutrimento necessario.

Il fiore del grano

La pianta benedetta, che ci dà il pane, ha fiori modesti. Facilmente potete scorgere tre stami pendenti, con l’antera, doppio sacchetto, ripiena di polline. La parte principale del fiore è l’ovario panciuto che, maturato, diventa un chicco di grano. E’ tale il piccolo, modesto fiore che ci fa vivere. (Fabre)

Il frumento

Seminato in ottobre – novembre, dopo il lavorio sotterraneo che ha sviluppato le radici, più tardi il grano spunterà fuori dal terreno in tanti fili teneri e versi. Da queste piantine si svilupperà la spiga che, in maggio – giugno diverrà tutta dorata. E ai primi di giugno, quando le cicale cominceranno a far sentire il loro canto monotono e assordante, le spighe cadranno sotto la falce dei  dei  mietitori. Il buon pane è assicurato.

Il grano

In autunno si semina, a primavera germoglierà. Al principio dell’estate quando il sole è tutto d’oro, il grano è maturo. Pare un mare dorato che il vento fa ondeggiare. Le bionde spighe cadranno sotto il falcetto del mietitore.

Esercizi di vocabolario
Grano: granaio, granaiolo, granaglie, granito, granire, granagione, granone, granuloso, sgranare, raggranellare, granivoro, …
Il grano può essere: seminato, spuntato, germogliato, spigato, maturo, mietuto, trebbiato, conciato, macinato, …
Il grano nasce, spunta, verzica, accestisce, fa lo stocco, fa la spiga, fiorisce, granisce, è in latte, biondeggia, si miete, si trebbia, si macina, si schiccola, si sgrana, si concia, si spigola, si vaglia, si monda, …
Spiga, mannello, covone, bica o barca, pula o loppa, paglia, stoppia, …
Falciatrice, mietitrice, trebbiatrice, spulatrice, vaglio, mulino, setaccio, …
Modi di dire: non avere un grano di giudizio; un granello di sabbia; un grano d’oro; un grano di pazzia; chi ha il grano non ha la sacca; mangiare il proprio grano in erba.

Il grano
Dio aveva già detto all’uomo scacciato dal paradiso terrestre: “Tu guadagnerai il pane col sudore della fronte”. Guadagnare il pane significò, per l’uomo, conquistarsi la possibilità di vivere.
L’uomo preistorico era frugivoro, cioè si nutriva di frutti. Grosso, irsuto, pesante, si esprimeva a mugolii con i suoi simili, scambiando con loro le notizie che lo interessavano: dove trovare, cioè, i frutti che gli piacevano tanto.
Poi, qualche volta, i frutti gli mancarono. Forse l’inverno era stato più rigido, forse il terreno dove in quel momento si trovava, era arido e sabbioso. In queste condizioni l’uomo subì un brutto periodo di carestia. Divenne magro e famelico. E poichè la fame è uno sprone, forse tra i più potenti, l’uomo imparò dagli animali ad aggredire altri esseri viventi che, con le loro carni, potevano sfamarlo. Il sapore della carne non dovette piacergli, abituato com’era a quello dolce e succoso dei frutti, ma vi si adattò. In seguito, seppe scegliere, fra gli animali, quelli che avevano la carne più tenera e saporita. L’uomo divenne cacciatore. Divorava la sua preda così come la trovava, ancora sanguinante e cruda, naturalmente. Non aveva ancora scoperto il fuoco.
La carne era un nutrimento forte, adatto ormai a quell’essere che aveva tante abitudini in comune con gli animali, ma spesso l’uomo aveva bisogno di alternare quel forte sapore non soltanto con la polpa succosa e fresca e soave dei frutti, ma con qualcosa di farinoso, di gentile, che temperasse piacevolmente il sapore della carne: il granello di una spiga che cresceva spontaneamente nei campi, prima verde, poi dorata, ma sempre tale da soddisfare il suo gusto.
Quei granelli gli piacquero tanto che egli li raccolse e li ammucchiò nella grotta che gli serviva da abitazione. Aveva imparato che non in tutte le stagioni gli era possibile trovarne.
Ma quella grotta dove il vento aveva portato un po’ di terra, era umida. Un giorno, l’uomo si accorse che quei granelli avevano germogliato. Li gettò via, irritato che la sua provvista di fosse guastata.
Tornò sul luogo dopo qualche mese. Accanto alla grotta, crescevano, alte, le spighe che l’uomo riconobbe. Non solo, si ricordò che in quel punto erano caduti i granelli germogliati…
La mente dell’uomo lavorava, lavorava… L’uomo raccolse i granelli di quelle spighe e li lasciò di nuovo cadere nel terreno. Questa volta non si mosse da quel luogo. Sorvegliò per vedere che cosa succedeva. Vide spuntare le piantine verdi e tenere e le difese dagli animali che ne erano ghiotti.. Le piantine divennero alte, misero la spiga. L’uomo resistette alla tentazione di mangiarne i granelli. E le spighe divennero d’oro. I granelli erano ormai maturi, l’uomo li raccolse nel palmo della mano e li osservò: erano identici a quelli che aveva seminato in un giorno lontano. Li mostrò alla sua donna e ai figlioletti, li assaggiò, poi indicò la terra e la donna capì. Non sarebbero morti di fame; non avrebbero dovuto vagare continuamente alla ricerca dei frutti, non sarebbero stati obbligati, per saziarsi,  a uccidere l’animale che fuggiva davanti a loro. Con quei granelli avevano in pugno il destino. Erano pochi granelli dorati che facevano, però, di un essere selvatico quasi come le bestie, un uomo che in quel momento muoveva il primo passo sul cammino della civiltà.
L’uomo divenne agricoltore, pur restando ancora nomade. Seminava i campi, aspettava che le messi maturassero e, per far ciò, aveva imparato a costruire alcune capanne di frasche, dato che le caverne, nei campi, non sempre si trovavano. L’uomo ebbe una casa sua, fatta con le sue mani. Ma quando i campi, ormai stremati dai successivi raccolti dettero un prodotto insufficiente, l’uomo li abbandonò per andare a cercarne altri non ancora sfruttati. Si portava dietro i greggi perchè aveva imparato ad allevare gli animali che lo dovevano nutrire.
Non mangiava più i granelli, così come la spiga glieli dava. Aveva ormai scoperto il fuoco e imparato a cuocervi sopra la carne dei capretti e delle lepri uccise a caccia. Ora stritolava i granelli fra due sassi e ne ricavava una farina bianca. Con questa farina, la donna impastava una rozza focaccia che, anche così bruciacchiata e nera, aveva un ottimo sapore.
Infine, l’uomo non fu più nomade. Costruì i suoi villaggi e coltivò i campi che li circondavano.
Il compito di seminare il grano era affidato alla donna che imparò a servirsi di un pezzo di legno con cui scavava un buco nel terreno per lasciarvi cadere il seme: un lavoro faticoso e lento. Per renderlo più facile, la donna chiese all’uomo di legare due pezzi di legno insieme: quasi una croce. Premendovi sopra col corpo, la donna riusciva a tracciare un solco nel quale, poi, avrebbe gettato il seme.
L’uomo, vedendo quel lavoro, si spaventò. Temeva di ferire la terra che egli considerava sua madre e che aveva paura di offendere. Ma la donna lo convinse del contrario. La terra gradiva quel trattamento. Infatti, dava maggior copia di spighe.
L’uomo si lasciò convincere, pur continuando ad offrire sacrifici alla buona terra che gli si mostrava così benigna.
Infine attaccò, a quell’arnese primitivo, un animale. Fu un bestione che egli aveva domato con molta fatica; un animale robusto che ancora mal si assoggettava alla schiavitù: il toro.
La civiltà avanzava. Ogni villaggio aveva ormai il suo mulino. Questo era formato da una grande pietra fissa sulla quale girava un’altra pietra, grossa e pesante: mulini che ancor oggi si trovano in qualche paese meno progredito. Li usarono anche i Romani, i quali vi attaccavano gli asini e i cavalli che bendavano per costringerli a girare. E qualche volta, vi attaccavano anche i prigionieri di guerra e gli schiavi.
Poi i Romani inventarono i mulini ad acqua. La macina era collegata a una ruota mossa dalla forza di un torrente o di un fiume.
Nel Medioevo si diffuse l’uso dei mulini con grande ruote munite di tele che utilizzavano la forza del vento; sono ancora in uso in alcuni paesi.
Oggi, i mulini sono complicati e perfetti, azionati dalla forza elettrica, attrezzati in modo tale che non solo procedono alla macinatura, ma anche alla selezione dei semi e alla setacciatura della farina.
Anche il pane, dalla rozza focaccia cotta tra due pietre, ha fatto una lunga strada. E’ diventato leggero, profumato, bianco, ha preso le forme più varie e invitanti.
Ma resta sempre il pane: il nutrimento fondamentale dell’uomo.

Il chicco di grano
Il seminatore procedeva nel campo, spargendo i semi di grano nella terra lavorata. Ci fu un chicco di grano che si trovò solo, tra due zolle di terra nera e umidiccia; divenne triste, molto triste! Ripensò al tempo in cui si ergeva in una spiga svelta, baciata dal sole, cullata dal vento, quando si sentiva beato come un bimbo in braccio alla mamma. Tutto il grande campo di grano color verderame era zeppo di spighe diritte; e lassù, nel cielo azzurro, c’era il sole raggiante, e tutte le allodole cantavano, dallo spuntar dell’alba fino a sera. E quando il sole tramontava non faceva freddo, non era umido come in quel momento; ma la rugiada cadeva dolce come un’onda rinfrescante sul grano infiammato dal sole, e la grande luna d’oro splendeva mite sui campi che maturavano. (Joergensen)

Il seme nella zolla
Quale avvenimento emozionante fu per me un mattino la scoperta, in quella zolla di terra, d’un chicco di grano in germoglio. In principio temei che il seme fosse già morto; ma, dopo aver spostato, per mezzo d’una festuca di paglia, con lentissime precauzioni il terriccio che l’attorniava, scoprii una linguetta viva, tenerissima, della forma e grandezza di un minuscolo filo d’erba.
Ah, tutto il mio essere, tutta la mia anima si raccolse ad un tratto attorno a quel piccolo seme. Quanto mi disperai allora di non sapere esattamente che cosa convenisse fare per aiutarlo meglio a vivere. Per ripararlo dal gelo vi aggiunsi sopra una manata di terra; ogni mattino facevo sciogliere su di esso un po’ di neve allo scopo di fornirgli l’umidità necessaria; e affinchè non gli mancasse il calore spesso vi alitavo sopra.
Quella zolla di terra, con quel piccolo debole tesoro nascosto, minacciato da tanti pericoli eppure vivente, finì per acquistare ai miei occhi il mistero, la familiarità, la santità di un seno materno. (I. Silone)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Esperimenti scientifici per bambini – Cromatografia con i pennarelli

Esperimenti scientifici per bambini – Cromatografia con i pennarelli. Di cromatografia avevo già parlato qui, in un esperimento che dimostra perchè le foglie in autunno cambiano colore. Ora propongo esperimenti scientifici per bambini anche più piccoli, più semplici e artistici, utilizzando come base il colore dei pennarelli (o anche i coloranti alimentari, se volete).

Partiamo dai più semplici… anche coi bambini più piccoli ricordiamo la motivazione del nostro lavoro: nel rosso che usiamo per colorare c’è proprio solo il rosso? E il nero è solo nero, o contiene anche lui altri colori?

In questi video è mostrato l’esperimento con pennarello nero e acqua; possiamo usare qualsiasi carta un po’ assorbente e porosa, e non troppo delicata, anche la carta da cucina può andare bene; i pennarelli possono essere quelli lavabili o quelli a inchiostro permanente, magari insieme: è anche interessante vedere cosa succede di diverso usando un materiale piuttosto che un altro. Si possono usare anche coloranti liquidi alimentari.

In tutti i casi gli effetti migliori sono quelli ottenuti col nero e coi colori secondari e terziari.

In questo una bellissima variante con gessetti bianchi, pennarelli e acqua (scegliete gessi bianchi porosi, i gessi lisci non funzionano bene):

Mentre si sperimenta la cromatografia, si possono realizzare pezzi d’arte, ad esempio fiori di carta:

http://www.mn-net.com/tabid/11126/default.aspx

http://scientopia.org/blogs

http://www.homeschool-activities.com/

o farfalline:

http://discusprogram.blogspot.it/

Il video realizzato con l’acqua è accelerato; se volete davvero vedere i colori separarsi sotto i vostri occhi, invece dell’acqua dovete usare un solvente alcoolico, come spiegato poi. Utilizzando un alcool le bande di colore si formano dopo pochi minuti, e l’esperimento diventa per i bambini molto più stimolante.

http://chemistry.about.com/

Che usiate acqua o solventi, al termine dell’esperimento fate asciugare bene i gessi: avrete dei bellissimi gessetti colorati! A meno che non utilizziate grandi quantità di inchiostro o colorante, naturalmente il gesso si colorerà solo in superficie, e più che gessi colorati, saranno meravigliosi gessi bianchi decorati…

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Ed ora qualche informazione in più sulla cromatografia per l’adulto che presenta l’attività, e per i bambini più grandi: 

La cromatografia è un procedimento scientifico impiegato per separare i componenti di una miscela: comporta la separazione di sostanze chimiche. Esistono molti tipi di cromatografia, ed alcuni richiedono costose apparecchiature di laboratorio, ma alcune varianti possono invece essere realizzate a casa, facilmente e con pochissima spesa.

Possiamo separare ad esempio pigmenti vegetali (vedi qui),

oppure sostanze come l’inchiostro dei pennarelli o i coloranti alimentari.

La separazione, in tutti i progetti esposti sopra,  si ottiene ponendo la sostanza che intendiamo separare su di un supporto fisso (la carta o il gesso) e facendola interagire con una sostanza in movimento (l’acqua o l’alcool che lentamente “camminano” nel supporto fisso).

Per realizzare l’esperimento servono pochi materiali:

(i video mostrano molto bene sia i materiali, sia il procedimento)

per la cromatografia con carta:  carta porosa abbastanza assorbente e resistente, un vaso di acqua o di alcol, uno “stoppino” molto assorbente lungo poco più del vaso (si può fare con un pezzo di carta da cucina, o avvolgendo la carta da cucina o dell’ovatta attorno a un bastoncino); pennarelli o coloranti alimentari

per la cromatografia con gessetti: gessetti bianchi porosi, un piatto fondo, pennarelli o coloranti alimentari, acqua o alcool. Se si utilizza l’alcool, che evapora molto facilmente, può essere utile una ciotola grande trasparente da usare come coperchio oppure della plastica trasparente. Coi bambini piccoli è meglio non usare un piatto unico, ma porre ogni singolo gessetto in un vaso di vetro separato, più facile da chiudere.

In entrambi i casi, se usate coloranti liquidi, possono servire degli stuzzicadenti per distribuire il colore a gocce sulla carta o sul gesso.

I solventi alcoolici
Tutti i tutorial parlano di “rubber alcohol”, che é il nostro alcool isopropilico o “alcool bianco”. Questo detergente a base di alcool isopropilico e qualche altro ingrediente si trovava anche al supermercato:
 
 
ma pare che ora sia difficile da reperire.
Però si può acquistare l’alcool isopropilico denaturato anche nei negozi di elettronica (si usa come detergente di componenti vari), e online ad esempio qui:
 
 
oppure questo:
 
Anche l’alcool denaturato (rosa) può funzionare abbastanza bene, ma dipende anche dai pennarelli o dai coloranti che abbiamo a disposizione… si possono sempre fare delle prove.
 
Alcune fonti consigliano anche il metanolo (quello che si può acquistare nei negozi specializzati di modellismo), ma mi sembra una scelta ancora più complicata.
 
Per quanto riguarda la procedura, è sufficiente seguire i video; le uniche raccomandazioni sono: 
– se usate i gessi il colore non deve essere a diretto contatto col liquido, ma distanziato di circa mezzo centimetro;
– se lo scopo dell’esperimento è vedere i colori che si celano in ogni colore, è importante usare un solo colore per  gessetto, oppure distanziare tra loro i colori sulla carta; coi bambini più piccoli, se si è interessati principalmente all’osservazione dei colori che si muovono sul supporto, potete usare tutti i colori che volete, come più vi piace e anche sovrapponendoli;
– l’esperimento ha termine quando siete soddisfatti della vostra cromatografia, ed è quello il momento di togliere la carta o i gessi.
 

Possibili osservazioni conclusive

Il liquido è salito attraverso lo stoppino assorbente o il gesso, e man mano che ha percorso il gesso o la carta, ha raccolto i pigmenti portandoli con sé nel suo viaggiare. La separazione dei colori si è verificata perché i differenti colori presenti nell’inchiostro o nel colorante hanno pesi e dimensioni diverse, quindi alcuni viaggiano più di altri.

 

Riferimenti nel web:

http://chemistry.about.com/

http://education.llnl.gov/

http://voices.yahoo.com/home-school-chemistry-projects

http://www.hawaiinewsnow.com/story/11599709/weird-science-chalk-chromatography

http://www.mn-net.com/tabid/11126/default.aspx

http://www.homeschool-activities.com/valentine-crafts-for-kids.html

Dettati ortografici – Giugno

Dettati ortografici sul mese d giugno

Il sole si affaccia all’orizzonte e spande la sua luce sulla terra e nel cielo. Illumina le cime dei monti, le punte dei campanili, i tetti delle case. Getta un tappeto d’oro sui campi e mille scintille sulle acque del mare, dei laghi, dei fiumi. I galli annunciano il nuovo giorno e le campane squillano. Il contadino, di buon’ora, si avvia nel campo, ove l’attende il suo lavoro. L’aria, già calda al mattino, annuncia una giornata afosa.  Le cicale iniziano presto il loro grido insistente e, quando i bambini si svegliano, il sole, già alto nel cielo, entra nelle case a portare luce, salute, allegria. (M. Menicucci)

Carlo è felce quando può correre per i prati col suo cane. Mentre Bobi scappa avanti, Carlo si butta a terra, fra l’erba alta. Il cane si ferma e si gira di scatto: alza il muso, drizza le orecchie e poi, via! Con un balzo è sopra al suo padroncino e tutti e due rotolano insieme. Il bambino strilla e ride: il cane uggiola di gioia.

I contadini sotto il sole di giugno raccolgono i covoni di grano. Il loro viso scuro riluce di gocce di sudore, ma instancabili continuano il lavoro.  Un uccellino, in un prato accanto, si ferma un momento a guardare, poi continua, in un lieto cinguettio, a insegnare ai suoi piccoli a volare.

E’ arrivato giugno col sole caldo, con i temporali estivi e con i primi frutti succosi. Nelle belle giornate il sole si leva prestissimo e risplende per ore ed ore. Ai bambini piace attardarsi all’aperto fino al suo tramonto e salutare l’arrivo della sera con giochi e grida festose.

I prati sono verdi e nei campi biondeggia il grano. Di sera si vedono piccoli lumini vagare piano piano qua e là: sono le lucciole, che i bimbi talvolta rincorrono, felici di potere stringere un po’ di luce. Gli alberi sono folti di foglie e donano la loro ombra benefica. In campagna c’è molto lavoro ed i contadini si preparano per la fatica della mietitura. Anche i bimbi si preparano per la loro ultima fatica dell’anno scolastico e sperano di potere portare a casa una bella promozione.

Giugno, mese di spighe, ricco di sole e di feste, apre con chiavi d’oro le porte dell’estate. Il sole avvampa; le spighe diventano d’oro; i fiori hanno i colori più belli; alcuni petali ricordano lo splendore delle pietre preziose. Stridono le cicale; erra laboriosa l’ape; lampeggiano le falci; suda sui libri lo scolaro. Per chi ha ben lavorato, è l’ora del raccolto. (L. Rini Lombardini)

Giugno è il mese dei prati erbosi e delle rose; il mese dei giorni lunghi e delle notti chiare. Le rose fioriscono nei giardini, si arrampicano sui muri delle case. Nei campi, tra il grano, fioriscono gli azzurri fiordalisi e i papaveri fiammanti e la sera mille e mille lucciole scintillano fra le spighe. Il campo di grano ondeggia al passare del vento: sembra un mare d’oro. Il contadino guarda le messi e sorride. Ancora pochi giorni e raccoglierà il frutto delle sue fatiche. (G. Carducci)

Sera di giugno. La luna doveva già essere alta dietro il monte. Tutta la pianura, allo sbocco della valle, era illuminata da un chiarore d’alba. A poco a poco al dilagare di quel chiarore, anche nella costa cominciarono a spuntare i covoni raccolti in mucchi, come tanti sassi posti in fila. Degli altri punti neri si muovevano per la china, e a seconda del vento giungeva il suono grave e lontano dei campanacci che portava il bestiame grosso, mentre scendeva passo passo verso il torrente. Si tratto in tratto soffiava pure qualche folata di venticello più fresco dalla parte di ponente e per tutta la lunghezza della valle udivasi lo stormire delle messi ancora in piedi (G. Verga)

Giugno. I giorni succedevano ai giorni. Il sole descriveva un arco sempre più vasto nel cielo, il pomeriggio  si faceva di giorno in giorno più ardente, il fogliame si addensava sulle piante, il grano ingialliva nei campi, la vite e l’ulivo fiorivano profumando l’aria, e al loro odore si mescolava quello delle cantaridi verdi e dorate; gli uccelli tacevano, acquattati sulle uova dei nidi; la notte le lucciole uscivano di tra le spighe ancora acerbe, imitando nel buio lo stellato del firmamento. L’ultimo spicchio ranciato della luna calante si dondolava riflesso nell’acqua nera e cheta, simile a una barchetta di foglio dorato dimenticata lì da qualche bambino. Un coro di ranocchi al quale si mescolava la voce più chioccia di qualche rospo malinconico, si alzava ogni tanto con impeto lirico su dal pacciame, subitamente interrotto dal più leggero rumore che facesse il vento tra i giunchi e i salici della proda, o qualcuno che passasse nelle vicinanze. (A. Soffici)

Ai ultimi di maggio il cielo impallidì e perdette le nuvole che aveva ospitate per così lungo tempo al principio della primavera. Il sole prese a picchiare e continuò di giorno in giorno a picchiar sempre più sodo sul giovane granoturco finchè vide ingiallire gli orli d’ogni singola baionetta verde. Le nuvole tornarono, ma se ne andarono subito, e dopo qualche giorno non tentarono nemmeno più di tornare. Le erbacce si vestirono di un verde più scuro per mescolarsi alla vista, e smisero di moltiplicarsi. La terra si coprì di una sottile crosta dura che impallidiva man mano che il cielo impallidiva… Nei solchetti scavati dall’acqua la terra si sgretolò in rigagnoli di polvere minuta, tosto percorsi da innumerevoli processioni di formiche e  di formiconi. E sotto le sferzate ogni giorno più crudeli del sole le foglie del giovane granoturco perdevano la loro baldanza e la loro durezza; s’inchinavano, dapprima, e poi man mano che s’infiacchiva la loro colonna vertebrale, si prostravano. E venne il giugno, e il sole diventò selvaggio; le strisce brune sulle foglie del granoturco si estesero dagli orli fino a toccare le colonne vertebrali. Le ortiche si sfrangiarono, si raggrinzirono, invecchiarono. L’aria era afosa e il cielo sempre più pallido e di giorno in giorno la terra incanutiva. (J. Steinbeck, da “Furore”)

Le api irrequiete e vivacissime passavano dall’uno all’altro fiore, facendo bottino di polline e di nettare; le vespe andavano tagliando coi loro strumenti da falegname il legno per fabbricare la loro carta; i neri calabroni rodevano le corolle per cavarne fuori stami e pistilli. Un mondo di piccoli coleotteri mangiava allegramente i petali e ognuno di essi aveva scelto il suo fiore prediletto. Mi fermai dinanzi a un cespuglio di rose, mi fermai a lungo: molti bruchi verdi e gentili rodevano il margine delle foglie, mentre le tenere gemmette erano tutte quante coperte da afidi che ne cavavano il succo. Intanto una formica correva frettolosa dall’uno all’altro di quei piccoli animalucci, eccitandoli a secernere quell’umore di cui le formiche sono tanto ghiotte. In una aiuola di narcisi fioriti era un andare e un venire di farfalle di ogni colore che leggere leggere passavano d’una in altra corolla, succhiandone il miele. Quanto brulichio, quanto movimento, quanta attività!

Giugno è il mese che sta nel mezzo dell’anno come un trionfatore. Ora grano ora frutta, ora splendidi fiori e piante aromatiche, ora canto di uccelli e di insetti notte e giorno. Nei buchi delle mura le rondini hanno posato il nido, e da quello l’uccello implume si affaccia tentando il volo. Una vita immensa e tenace si è sparsa su tutta la terra. Tra le fratte di lentisco e di mirto scivolano le lucertole e i ramarri, saltano i grilli e volano come frecce gli uccelli. Su tutto le cicale cantano battendo il tempo minuto per minuto, e il loro canto dura fino a notte, quando nei campi l’opera del contadino non  è ancora terminata. (C. Alvaro)

Al principio di giugno, una sera, improvvisamente, scorgo una lucciola, poi altre due o tre, stelle avventurose e solitarie che fluttuano nell’aria chiara, come se navigassero sulla cresta di un’onda, o facessero la riverenza. Le loro minuscole luci s’accendono e si spengono secondo il ritmo del volo. A prenderne una sul palmo della mano sprigiona un bagliore strano, un messaggio misterioso, un piccolo alone verde pallido. La sera dopo, nei boschi, se ne trovano a centinaia. Per un motivo a noi ignoto restano sempre circa un metro da terra. Vien fatto di immaginare che un branco di ragazzi sui sei o sette anni, stia correndo per la foresta buia con candele o bacchette accese ad un fuoco magico, saltando allegramente, inseguendosi a balzelloni, roteando in segno di festa le piccole torce chiare. I boschi si riempiono di vita sfrenata e gioconda, mentre tutto è silenzio perfetto. (K. Blixen)

Era il colmo di giugno. In quei giorni le cicale emerse dalla terra salivano sugli ulivi a togliersi gli scafandri, ad asciugare le ali. I sole alto, quasi a piombo, cuoceva la terra. Ed ecco da un orifizio sotto un pino uscir fuori a uno a uno tanti piccoli caratteri simili a minuscoli 8, a impercettibili 3: erano le formiche brune. S’affaccendavano in piena luce a spiare indecise, quasi cieche, agitando i fili delle antenne. Subito, da un’aiuola spuntavano altre piccole formiche,  si incontravano, si annusavano; riprendevano di corsa verso una sola direzione, aggiravano un ciottolo, il pino, scansavano la ronda, s’introducevano nell’orifizio. Allora cominciarono a venir fuori tutte: a una, a due, a dieci, venti scaturivano fuori pigiandosi, accavallandosi l’una sull’altra; tutte, i maschi, i vecchi, le grosse regine, le ancelle: non finivano più, s’addensavano in masse, facevano circolo, si disponevano in file… (F. Tombari)

Giorgio ha un cartoccio di ciliege: sono rosse, lucide e succose. E’ proprio vero                                                                                                      che una tira l’altra: basta infatti che ne afferri una, perchè si formi dietro a quella tutta una fila. “E’ il frutto che mi piace di più”, dice Giorgio convinto. Ma ripeterà così anche quando assaporerà le prime albicocche della stagione nuova, le prime pesche, le prime prugne, le prime pere.

I papaveri hanno invaso il campo di grano. Sono un esercito. I soldatini indossano la camicia rossa e non fanno male a nessuno: la loro spada è una spiga. Il vento li agita: i soldatini sembrano correre nel campo conquistato. Quando poi il vento tace, ogni papavero si attarda al margine del solco col fiordaliso, suo compaesano, che indossa la tuta azzurra dell’operaio. (N. Salvaneschi)

“Buongiorno!” frinisce la cicala, appena il sole fa capolino dietro la foglia che le fa da cassa. “Buongiorno!”. Anche le formiche salutano la luce che filtra fra le erbe del prato; ma hanno una vocina sottile e nessuno le ode. “Buongiorno!”. Api, farfalle, calabroni, coccinelle, salutano il sole nascente con i loro ronzii, col battito delle loro ali, col fremito delle piccole elitre. In breve, da tutta la campagna, si leva un coro: “Buongiorno, oh sole!” (N. Oddi Ozzanesi)

 

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

 

I libri del Dr Seuss

I libri del Dr Seuss. Theodor Seuss Geisel (1904 – 1991),  scrittore  poeta  illustratore e vignettista americano, è noto in tutto il mondo per i suoi libri per bambini, caratterizzati dalla presenza di personaggi fantastici e testi in rima, scritti sotto lo pseudonimo di Dr. Seuss. Ve ne sono molti altri, per i quali Seuss ha curato solo i testi o solo le illustrazioni firmandosi con lo pseudonimo Theo LeSieg (“LeSieg” è “Geisel” scritto al contrario), e, in un caso, Rosetta Stone.

I suoi libri più celebri sono disponibili in italiano nella collana “I libri del Dr Seuss” di Giunti Editore, tradotti da Anna Sarfatti; sempre dell’editore  Giunti, “A scuola con il Dr. Seuss”. Mondadori ha pubblicato nel 2000 “Il Grinch“, traduzione di Ilva Tron e Fiamma Izzo:

 Il Grinch
Regia di Ron Howard – Universal Pictures

Seuss nacque nel 1904 a Springfield nel Massachusetts, da una famiglia di immigrati tedeschi. Lasciati gli studi universitari prima del conseguimento della laurea, iniziò la sua carriera scrivendo e disegnando vignette umoristiche per vari giornali e riviste e divenne famoso grazie alla pubblicità di Flit , un insetticida comune a quel tempo; durante la grande depressione disegno per varie altre campagne pubblicitarie.

Il suo primo libro per bambini pubblicato a fatica, ma che riscosse grande successo,  fu “L’uovo di Ortone“.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, si dedicò alla satira politica, disegnando oltre 400 vignette in due anni, poi pubblicate in “Il Dr. Seuss va alla guerra”. Dal 1942 rivolse tutte le sue energie per sostenere lo sforzo bellico degli Stati Uniti. Assegnato alla “Divisione di Informazione ed Educazione” a Hollywood, sotto la direzione di Frank Capra, si occupò di film educativi per i soldati.

Durante la sua attività in ambito cinematografico vinse due Oscar ed ottenne altri numerosi successi, ma nonostante ciò, lasciò presto il cinema per tornare ai libri.

Nel maggio del 1954, la rivista Life pubblicò un rapporto sull’analfabetismo tra i bambini in età scolare, che si concludeva con l’affermazione che i bambini non imparavano a leggere perché i loro libri erano inadeguati e noiosi. Di conseguenza, William E. Spaulding, editore di libri per l’infanzia, compilò una lista di 348 parole base da saper riconoscere in prima elementare, e Seuss gli rispose promettendo che sarebbe riuscito a scrivere un libro utilizzando tali parole, ma riducendole a 250; nove mesi più tardi, con 236 delle parole stabilite, completò Il gatto e il cappello matto” , primo titolo della collana  “Beginner Books”, di cui poi Seuss assunse la presidenza. Il gatto e il cappello matto centrò l’obiettivo e in tre anni ne furono vendute quasi un milione di copie.

I libri della sezione “Beginner books” dovevano rispondere a criteri fissi, tra i quali:

– dovevano essere costruiti con le 225 parole che rappresentano il vocabolario base;

– ogni facciata non poteva contenere più di un’illustrazione;

– le illustrazioni delle facciate destra e sinistra dovevano formare insieme un’unità artistica;

– il testo poteva contenere solo i particolari presenti anche nelle immagini, e non altri.

A titolo di curiosità, c’è da riportare che Prosciutto e uova verdi , meraviglioso libretto del 1960, è scritto con sole 50 parole (a, am, and, anywhere, are, be, boat, box, car, could, dark, do, eat, eggs, fox, goat, good, green, ham, here, house, I, if, in, let, like, may, me, mouse, not, on, or, rain, Sam, say, see, so, thank, that, the, them, there, they, train, tree, try, will, with, would, you), ed è forse il suo libro più bello. E’ nato da una scommessa tra Seuss e il suo editore (Bennett Cerf) che, dopo la pubblicazione di The Cat in the Hat , affermò che non era possibile realizzare un libro con così poche parole. 

Ma il valore dei libri del Dr Seuss non consiste solo in questa ricerca di “leggibilità”;  per l’autore infatti non c’è tema che non possa essere affrontato dai bambini: la diversità, la difesa dell’ambiente, l’adozione, la guerra, la minaccia del nucleare, il consumismo e il materialismo, l’uguaglianza razziale …

Nel 1984 Seuss fu insignito del Premio Pulitzer “per il suo contributo di quasi mezzo secolo all’educazione e al divertimento dei bambini americani e dei loro genitori“.

Morì all’età di 87 anni; nel corso della sua vita si sposò due volte, e pur avendo dedicato gran parte della sua vita a scrivere libri per bambini, non ebbe figli.

Negli USA il 2 marzo, data di nascita del Dr Seuss,  è la data adottata dalla National Education Association come giornata della promozione della lettura: il “Read across America day”.

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Di seguito i libri del Dr Seuss disponibili nella nostra lingua. Trattandosi di testi in rima, a dire la verità, varrebbe la pena considerare anche la lettura dei testi originali in Inglese. Per quanto riguarda l’età consigliata, rientrano nella fascia di ascolto  a partire dai quattro anni, ma possono sicuramente essere apprezzati anche dai bambini più piccoli, ad esempio, L’uovo di Ortone e Prosciutto e uova verdi. Piacciono poi a tutte le età, sia da leggere, sia da ascoltare.

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 L’uovo di Ortone – Horton hatches the egg

“Lo penso e lo dico, lo dico e lo penso, onor di elefante, al cento per cento!”

Questo racconto in versi ha al centro un elefante generoso e fedele che si prende l’impegno di covare l’uovo di un’allodola alquanto irresponsabile: alla fine l’amore vincerà anche le leggi di natura…

Un tipo affidabile e leale, Ortone l’elefante: la sua parola d’onore vale tanto oro quanto (lui) pesa. Una volta che ha promesso di badare all’uovo della signora Giodola, un’allodola, niente può schiodarlo dal nido. Neanche se il nido è su un albero, neanche se l’uovo dovrà covarselo tutto da solo per un sacco di tempo, a costo di fare figuracce, buscarsi raffreddori sotto la pioggia o vedersela con tre cacciatori armati fino ai denti. E quando, finalmente, il pulcino si decide a nascere…

E’ una storia che insegna ad essere tenaci e a mantenere le promesse. Piace anche ai bambini più piccoli grazie alle belle illustrazioni ed al testo in rima, ma è consigliato in particolare dai cinque agli otto anni.

Giodola (Mayzie) l’allodola è stanca di covare e vorrebbe prendersi una vacanza alle Canarie (Palm Beach), così chiede ad Ortone l’elefante di sostituirla perchè lei possa fare una “breve pausa”, che in realtà finisce col diventare un trasferimento permanente… Ortone all’inizio rifiuta, ma poi si presta ad aiutare la sua amica. Il tempo passa, e l’elefante resiste, continuando a covare il suo uovo… Lo spettacolo di un elefante seduto su un albero non passa inosservato nella giungla, e il povero Ortone viene deriso dagli amici, preso di mira dal cattivo tempo e dai cacciatori, e molto altro, ma non abbandona mai il piccolo uovo che gli è stato affidato.

Nonostante le difficoltà e anche quando è chiaro che Giodola non farà mai ritorno, Ortone continua a ripetere : “Lo penso e lo dico, lo dico e lo penso, onor di elefante, al cento per cento!” ed insiste a mantenere la sua parola.

Quando finalmente l’uovo si schiude, la creatura che ne esce è un’incrocio tra allodola ed elefante. Il nuovo nato e Ortone fanno felicemente ritorno nella giungla, e Giodola rimane sola.

L’uovo di Ortone è, tra quelli del Dr Seuss,  uno dei più amati, e rappresenta un classico della letteratura per l’infanzia. E’ una delicata favola sull’adozione raccontata con umorismo e leggerezza, attraverso rime ripetizioni e nonsense, e le illustrazioni che accompagnano il testo aiutano a sorridere mentre ci parlano di impegno, integrità e perseveranza.

Il gatto e il cappello matto – The Cat in the Hat” 

Il gatto
Regia di Bo Welch – Universal Pictures

“The Cat in the Hat” è, come già detto, il libro che ha inaugurato la collana “Beginner Books”, dedicata alla causa dell’alfabetizzazione di base negli USA. Il protagonista è un gatto antropomorfo che porta un grande cappello a strisce bianche e rosse sulla testa e un grande papillon rosso legato al collo. Il personaggio comparirà in altri cinque libri successivi: The Cat in the Hat Comes Back, The Cat in the Hat Song Book, The Cat’s Quizzer, I Can Read with My Eyes Shut! Daisy-Head Mayzie, e diventerà il logo dei libri del Dr Seuss.

La vicenda inizia col gatto matto che irrompe nella casa di due bambini (Sally e suo fratello) che se stanno seduti davanti alla finestra in un noioso giorno di pioggia,  portando allegria, esuberanza, trasgressione e caos, mentre la mamma è uscita.  Il gatto si lancia in ogni genere di acrobazia per divertire i due bambini, ad un certo punto arriva a tenere un numero impressionante di oggetti in equilibrio mentre sta in bilico su una palla. Poi prova portando in casa una grande scatola che contiene due strane creature: I Cosi (Thing One e Thing Two), che cominciano a far volare gli oggetti di casa come aquiloni. Le pazzie del gatto sono invano osteggiate dall’animale domestico di casa: un pesce molto saggio.

I bambini riescono alla fine a riprendere il controllo della situazione, catturano gli oggetti volanti con una rete e tranquillizzano il gatto, che, per rimediare ai guai procurati, ripulisce tutta alla casa alla perfezione e sparisce proprio un attimo prima del ritorno della mamma. La madre chiede ai bambini cosa hanno fatto mentre lei era fuori, ma la loro risposta  non si sa…

Da un punto di vista letterario, Il gatto e il cappello matto è una prodezza di abilità, dal momento che, utilizzando un vocabolario elementare e ridotto, riesce a raccontare in rima una storia ricca e divertente.

E’ un libro adattissimo alla lettura ad alta voce: i bambini ascolteranno rapiti e presto impareranno a memoria le brillanti rime che contiene.

Le immagini poi, si sposano meravigliosamente col testo. E’ consigliato a partire dai quattro anni, ma può essere presentato anche prima, e naturalmente poi a lettori, adulti e bambini di qualsiasi età,  che amino le rime e i racconti surreali.

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Ortone i e piccoli Chi – Horton hears a Who!” 

Ortone e il mondo dei Chi
Regia di Jimmy Hayward, Steve Martino – 20th Century Fox Home Entertainment

“”Io devo salvarlo, perché questo penso : ognuno è importante, sia piccolo o immenso.”

Seuss scrisse questa nuova avventura di Ortone nel 1954, e il ritornello che la caratterizza portò da subito a definirla come una lezione in rima a tutela delle minoranze e dei loro diritti.

La città dei piccolissimi Chi corre il rischio di essere distrutta e l’elefante Ortone, che ha sentito il grido d’aiuto dei suoi piccoli abitanti,  cerca in tutti i modi di difenderli. La città dei Chi è davvero piccolissima: sta tutta intera in un granello di polvere. Ortone decide di chiedere aiuto ai suoi amici della giungla, ma le scimmie, i canguri e tutti gli altri animali non gli credono, lo prendono in giro e cercano di fargli credere che è diventato matto.

Ortone non si scoraggia,  trova un modo molto rumoroso per dimostrare a tutti l’esistenza dei suoi nuovi minuscoli amici, e facendosi aiutare proprio da loro, fa capire a tutti gli animali della giungla che ogni essere, seppur minuscolo e invisibile, va rispettato e aiutato. E tutti, Ortone, i suoi amici più piccoli e i suoi amici più grandi, imparano l’importanza del lavorare insieme per il bene comune.

Per molti è, insieme a Prosciutto e uova verdi, tra i più bei libri del Dr Seuss, per la sua comicità surreale e per la capacità dell’autore di trattare temi universali come l’uguaglianza in modo spontaneo e sincero, senza retorica e in un modo che parla davvero al cuore dei piccoli (e grandi) lettori.

E’ consigliato a partire dai cinque anni d’età, ma vale quanto detto per i libri precedenti.

Il ritorno del gatto col cappello – The Cat in the Hat Comes Back

“…anche io per fortuna, ho un esperto aiutante!”

Ancora una volta, la mamma ha lasciato Sally e suo fratello soli a casa, ma questa volta dando loro l’incarico di sgombrare il giardino dalla gran quantità di neve che è caduta in quei giorni, mentre lei è via.

I due fratellini si mettono all’opera, quando all’improvviso riappare il gatto matto, e ricominciano i guai…

Come se non bastasse, questa volta è accompagnato da tanti piccoli amici. 26, per la precisione e ciascuno chiamato a suo modo: A, B, C, D, E, F, G, H,…

… una prima introduzione alle lettere dell’alfabeto.

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Gli Snicci e altre storie – The Sneetches and Other Stories

Gli Snicci sono dei simpatici animaletti che si dividono in due categorie: quelli con una stellina verde sulla pancia e quelli senza.

I primi si sentono superiori, finché nel loro mondo non si presenta uno strano personaggio capace di mettere e togliere le stelle a piacere…

Che paura! e Troppi Cicci sono le altre due storie in rima contenute in questo libro dove, fra l’altro, ci capita anche di vedere un paio di pantaloni andare in giro da soli! 

Fu allora che si mossero. Quei pantaloni vuoti!
Sembrava che saltassero, così, senza piloti!

Tre storie in un solo libro, tanti personaggi per ridere e riflettere…

Gli Snicci (Sneetches)  è un racconto pensato dal Dr Seuss come satira della discriminazione tra razze e culture, ispirato in particolare dalla sua opposizione all’antisemitismo .

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Prosciutto e uova verdi –  Green eggs and ham

“Sono Nando, sono Nando detto Ferdi… vuoi prosciutto e uova verdi?”

“I am Sam, Sam I a m… do you want green eggs and ham?”

Una delle opere più conosciute del Dr. Seuss, sia per la vivacità delle immagini, sia per la simpatia del testo, che verte attorno a un vassoio contenente un insolito cibo colorato…

“No al prosciutto e uova verdi, non li voglio, detto Ferdi!”

Un personaggio noto come “detto Ferdi” (Sam I Am) assilla un altro personaggio per convincerlo ad assaggiare un piatto dall’aspetto molto bizzarro: prosciutto e uova verdi.

Lui rifiuta, ma “detto Ferdi” non demorde, lo segue e gli chiede se vuole assaggiarli magari in un posticino speciale oppure in compagnia di qualcuno in particolare, proponendogli un alto ramo, un’auto, una galleria, una cassa, un topino, una capretta, una volpe, un tavolino…

Alla fine, pur di liberarsi dallo scocciatore, la vittima accetta di assaggiare la pietanza e scopre che gli piace, ma così tanto da dichiarare di volerne mangiare ancora ” in barchetta! Anche insieme alla capretta…E anche sotto l’acquazzone. E sul treno. E in galleria. E sull’auto. E sul ramo. Che delizia, mamma mia!”.

Uno dei libri più belli e divertenti del Dr Seuss, consigliato da Nati per leggere a partire dai tre anni d’età. Può essere utile per vincere la diffidenza dei bambini nei confronti dei cibi nuovi.  

L’ottima traduzione italiana restituisce, dell’originale, la vivacità e la bizzarria delle scelte lessicali, la rima e il gioco della ripetizione e dell’accumulo.” 

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 C’è un mostrino nel taschino – There’s a wocket in my pocket!

Simpatici o antipatici, gentili o dispettosi, tanto piccoli da entrare nel taschino o grandi a tal punto da riempire il divano, questi mostri e mostrini sono proprio dappertutto!… ma non si sta poi tanto male in una casa così! 

I mostrini sono dappertutto: Basetto nel cassetto, Cavello nel lavello, Ploccia nella doccia, Uvano sul divano, Famino nel camino, Sottiglia nella bottiglia…

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La battaglia del burroThe butter battle book

Gli Zighi e gli Zaghi (Yooks e Zooks) sono due popolazioni tra loro in lotta per uno strano motivo: gli uni imburrano le fette di pane nella parte superiore, gli altri inferiore.

Da questa insignificante (ma per loro importantissima) diversità scaturisce un conflitto destinato sempre più a inasprirsi, con l’uso di tante e strampalate armi, fino a quando…

Il libro contiene anche la storia dei Rax, due esseri scorbutici e litigiosi, che si accapigliano per un diritto di precedenza.

”La battaglia del burro” è stato per sei mesi nella classifica del New York Times dei libri più venduti al pubblico adulto, unico libro per ragazzi cui sia toccato un così prestigioso e prolungato riconoscimento.

E correndo arruffato, fui da un grido gelato:

“Se tu spruzzi noi Zaghi, tu sarai rispruzzato!”

La follia della guerra, la corsa agli armamenti e l’odio razziale…

Questo libro è stato scritto durante la Guerra Fredda, e riflette le preoccupazioni del tempo, in particolare la percezione della possibilità della fine della vita a causa di  una guerra nucleare.

Zighi e Zaghi vivono su lati opposti di una lunga parete curva, abbastanza simile al Muro di Berlino . Il conflitto tra le due parti porta ad una corsa agli armamenti , e i due popoli cominciano a competere tra loro per chi realizza armi più grandi ed efficienti dell’altro.

Nessuna soluzione viene raggiunta alla fine del libro, che si chiude con i generali di entrambe le fazioni sul muro, pronti entrambi  a far cadere le loro bombe, e in attesa di vedere chi lo farà per primo.

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Il paese di Solla Sulla – I had a trouble in getting to Solla Sollew

Uno strampalato e avventuroso viaggio in rima verso il paese di Solla Sulla sulle acque del fiume Trastulla, laddove ”soffre poco chi è là, quasi nulla”.

Nel consueto ritmo e umorismo, proprio dei libri del Dr. Seuss, anche questa volta la voce narrante si trova coinvolta in molteplici incontri/scontri con problemi, personaggi, ambienti che divertono il lettore.

Un libro che insegna a non scappare dai guai, ma ad affrontarli. Il protagonista si avvia alla ricerca di Solla Sulla, città dove si soffre poco o quasi nulla, per evitare i suoi guai.

Per raggiungerla ne passa di tutti i colori, e quando arriva scopre che un piccolo, piccolissimo guaio, rende la città inagibile. Che fare? andarsene a Bao Baba Ballero, dove non soffre nessuno davvero? oppure….. tornarsene a casa e affrontare i propri guai?

Da oggi in poi sono pronto.
I miei guai si preparino…
io NON TEMO lo scontro!”

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Il LoraxThe Lorax

Lorax. Il guardiano della foresta
Regia di Chris Renaud, Kyle Balda – Universal Pictures

Il Lorax è un ometto un po’ scontroso, una piccola sentinella che difende gli alberi e gli animali della felice foresta dei Lecci Lanicci.

Un giorno, però, in quel paradiso giunge l’intraprendente Chi-Fu e le cose cominciano a cambiare…

Una storia divertente e bizzarra, scritta nel 1971 dal grande Theodor Geisel, in arte Dr. Seuss, che ci ricorda che in ogni angolo del mondo rischiamo di perdere le nostre risorse naturali. A meno che… 

 “Sono il Lorax. E per gli alberi parlo. Io parlo per gli alberi perché voce non hanno.” 

Riferimenti nel web:

http://en.wikipedia.org/wiki/Dr._Seuss

http://www.seussville.com/

http://www.annasarfatti.it/css/home_static.htm

Anna Sarfatti, Il Dr. Seuss, lo scrittore per bambini che inventò l’alfabeto oltre la Z

http://www.giuntistore.it/customer/search.php?in_id_collana=473

http://www.lafeltrinelli.it/catalogo/aut/214917.html

Naturalmente nel web ci sono moltissimi spunti di lavoro che hanno come base di partenza la lettura dei libri del Dr Seuss; sto raccogliendo il materiale qui:

Aritmetica Waldorf: un gioco per la moltiplicazione

E’ un gioco scritto per 20 bambini, per giocare con la moltiplicazione e le tabelline.

Ci sono 10 portoni e 10 cercatori.

I portoni stanno in piedi in cerchio, ed i cercatori stanno fuori. I portoni hanno il viso rivolto verso l’esterno ed indossano dei mantelli fissati al collo ed ai polsi, in vari colori.  I cercatori indossano cappellini di carta di un unico colore.

portone chiuso

I portoni dicono: “Dieci portoni sorvegliano il tesoro e aprirli è facile per loro. Per ogni portone c’è una chiave speciale, ma tu devi scoprire qual è”.

I cacciatori rispondono: “Noi vogliamo il vostro tesoro, e lo ruberemo senza decoro. Ognuno di noi ha lo stesso nome, e ci chiamiamo tutti 2 (o 3, 4, 5, ecc…)

Uno per uno, i cacciatori vanno di fronte ad un portone. Il cercatore chiede: “Sono qua, posso entrare?”

Il portone risponde: “Io sono 2, e tu chi sei?”

“Io sono 2!”

“Allora puoi entrare. 2 è 2×1”

portone aperto

“Io sono 4, e tu chi sei?”

“Io sono  2!”

“Allora puoi entrare. 4 è 2×2”

ecc…

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Gioco cantato con traccia mp3 e spartito- Gli uccelli

Gioco cantato – Gli uccelli. Con istruzioni di gioco, spartito stampabile e file mp3 della melodia.

Testo

Gli uccelli già s’affacciano sugli alberi a cantar
ed ogni specie canta come sa cantar.

Lo spartito in formato immagine:

Spartito e traccia mp3: 

istruzioni di gioco

I giocatori sono in cerchio e cantano;
nel mezzo c’è un bambino con gli occhi bendati.
Si cammina in cerchio e al termine della canzone il bambino al centro chiede a un uccellino: “Come canti tu?”

Se dalla voce che risponde indovina di chi si tratta, prende il suo posto nel cerchio e il gioco ricomincia.

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode

sostenuto da:

Salute dei denti e alimentazione

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode: la crescita di denti sani dipende molto dalla dieta. I denti da latte del vostro bambino si sono formati durante le gravidanza, influenzati dalla vostra dieta. Dopo la nascita, molto si può fare per garantire ai denti permanenti di svilupparsi e crescere sani e forti.

Assicuratevi che il vostro bambino riceva con la dieta un sufficiente apporto di calcio e vitamina D. Dopo lo svezzamento il bambino assume il latte in quantità decisamente minore, quindi è importante inserire nella sua alimentazione yogurt  e formaggio. 

L’alimentazione poi, influenza la salute dei denti anche in modo più diretto, per questo fate il possibile per evitare di sviluppare nel bambino comportamenti che ledono i denti creando nel cavo orale un ambiente favorevole allo sviluppo dei batteri ed all’insorgere di placca, tartaro e carie.

Non abituate i bambini a consumare succhi di frutta zuccherati, snack e bibite tra un pasto e l’altro. In ogni caso preferite sempre offrirgliele in bicchiere e non nel pacchetto con la cannuccia, perchè questo piccolo accorgimento può ridurre di molto il tempo di esposizione allo zucchero.

L’ideale sarebbe che il bambino non sapesse nemmeno cosa sono caramelle e cioccolata prima dei due anni, ma i condizionamenti posso essere molti. Non c’è dubbio che i dolci facciano male ai denti del vostro bambino, ma un atteggiamento ansioso e rigido non è comunque salutare per lui: dosati con cura, dolci e caramelle possono non essere un problema.

Alte concentrazioni di zucchero raffinato distruggono l’equilibrio acido nella bocca del bambino e compromettono la salute dello smalto dei denti. Ogni volta che si mangia dello zucchero, i denti sono in pericolo, e più a lungo lo zucchero rimane in bocca, tanto più è probabile che si formino carie, ma questo vale per lo zucchero raffinato in generale, e non in particolare per le caramelle: il sorseggiare continuo o il succhiare dalle cannucce dei succhi di frutta o di altre bevande, può essere più dannoso delle caramelle o della fetta di torta più dolce che ci sia.  

Per questo è più ragionevole controllare tutti gli alimenti dolci, anziché vietare le caramelle, e preferire sempre dolci che si consumano in fretta, perchè l’acido prodotto dalla loro presenza potrà scomparire senza avere il tempo di  aderire alla smalto dei denti . Ad esempio una fetta di torta o un pezzetto di cioccolata sono meno pericolosi per i denti di un lecca lecca che il bambino può succhiare per ore.

Anche la consistenza dei dolci fa la differenza: quelli che possono incollarsi ai denti masticando, magari restando là fino al prossimo spazzolamento, sono i peggiori: questo vale per i biscotti secchi e anche per alcuni prodotti naturali che a volte offriamo perchè più salutari rispetto alle caramelle: ad esempio l’uvetta.

Tutti i bambini attraversano fasi in cui sono particolarmente golosi di dolci: scegliamo quelli che si dissolvono più rapidamente in bocca, come cioccolato e caramelle morbide, e diamo da bere dell’acqua. 

Insegniamo ai bambini a riconoscere gli alimenti che fanno bene ai denti, e quelli che possono danneggiarli. Si può cominciare anche quando sono piccoli, anche senza dare particolari informazioni tecniche, ma permettendo loro di fare esperienze dirette.

L’esempio classico è l’esperimento con le uova sode. E’ vero che l’affinità tra guscio dell’uovo e smalto dei denti è assolutamente discutibile, ma come vedrete l’impatto visivo è formidabile e i bambini fanno spontaneamente l’associazione tra uovo e dente.  In questo caso l’immaginazione è davvero più potente della fredda analisi nel trasmettere l’informazione corretta…

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode – Per l’esperimento servono:

– due barattoli trasparenti
– due uova sode (se le trovate bianche è meglio, ma non è indispensabile)
– un assortimento di cibi sani (frutta, formaggi, verdura, pane,…), acqua e latte
– un assortimento di cibi dannosi (miele, zucchero, cioccolata, marmellata, panna montata, caramelle, gelato,…),e cola
– spazzolino da denti e dentifricio
– una bacinella d’acqua
– vassoio e piattini
– può essere utile anche un timer o una clessidra, se vogliamo rinforzare nel bambino la percezione di quanto siano lunghi i tre minuti che gli chiediamo di impiegare per spazzolarsi i denti.

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode – Cosa fare:

Prima di intraprendere l’esperimento sarebbe importante avviare coi bambini una discussione sul tema dei denti,  e ad esempio portarli ad immaginare cosa potremmo mangiare se non avessero i denti. Possiamo invitare i bambini a toccarsi i denti e poi a dirci come sono, quindi a toccare le uova sode che abbiamo preparato. Emergerà che i denti sono duri e bianchi proprio come le uova.

Ora prepariamo in un vassoio tutti i cibi dannosi per i denti, mettiamo nel primo barattolo un uovo sodo,

aggiungiamo gli alimenti

e versiamo la cola (per rendere l’esperimento ancora più impressionante si può aggiungere succo d’arancia e aceto: in questo modo, oltre a sporcarsi tantissimo, l’uovo assumerà un odore disgustoso e diventerà molliccio).

In un altro vassoio prepariamo tutti di cibi sani,

mettiamo l’altro uovo sodo nel secondo barattolo, aggiungiamo gli alimenti e versiamo latte ed acqua.

Ora andiamo a dormire senza lavarci i denti…

Nel versare i vari alimenti nei barattoli, possiamo chiedere ai bambini cosa sono e se secondo loro sono buoni. Sicuramente in molti diranno che la cola è buona, ad esempio. Ma proviamo a chiedere se fa bene ai denti, e molti bambini non sapranno cosa rispondere. Per fortuna abbiamo il nostro dente – uovo ad aiutarci!

Possiamo anche dire che, ad esempio, nella cola c’è molto zucchero, e che lo zucchero nella nostra bocca diventa acido come l’aceto, e che questo piace molto ai batteri che bucano i dentini con le carie.

E se non ci lavassimo i denti, cosa succederebbe?

Il  giorno successivo, tiriamo fuori dai barattoli i nostri denti – uova: il confronto è incredibilmente forte!

Laviamo il povero dente… prepariamo su un vassoio dentifricio, spazzolino, l’uovo da lavare in un piattino e a parte una bacinella d’acqua. Grazie a questa attività il bambino si eserciterà a svitare e riavvitare il tappo, stendere il dentifricio, spazzolare…

Se il bambino lo desidera, può dedicarsi anche alla pulizia dell’altro dente, ma ai fini dell’esperimento è servito essenzialmente per il confronto iniziale…

Lavarsi i denti, insomma, anche se ogni tanto mangiamo un po’ di zucchero, mantiene i denti puliti e bianchi, proprio come il guscio d’uovo! Però mangiare sano è proprio meglio…

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode

Riferimenti all’argomento nel web:

– thechocolatemuffintree.com

– mamabeefromthehive.blogspot.com

– fitkidsclub.blogspot.com

– science-mattersblog.blogspot.com

– luvprek.blogspot.com

– imaginationstationtoledo.org

– thepreschoolexperiment.blogspot.com

Oral care – Experiment with hard-boiled eggs: the growth of healthy teeth is very dependent on diet. The milk teeth of your child have been formed during the pregnancy, affected by your diet. After birth, much can be done to ensure the permanent teeth to develop and grow healthy and strong.

Make sure your child receives a diet with sufficient calcium and vitamin D. After weaning, the child takes the milk in amounts much lower, so it is important to include in his diet yogurt and cheese.

The nutrition then, affects the health of teeth even more directly, so do everything you can to avoid developing in the child behaviors which harm teeth creating a favorable environment in the oral cavity to the development of bacteria and the onset of plaque, tartar and cavities.

Not accustomed children to consume sugary juices, snacks and drinks between meals and the other. In any case always prefer to offer them in glass and not in the package with drinking straw, because this little trick can greatly reduce the time of exposure to sugar.

Ideally, the child does not even know What are candies and chocolate before two years, but the conditioning can be many. There is no doubt that the sweets to hurt your child’s teeth, but an anxious and rigid approach however, it is not healthy for him dosed carefully, cakes and sweets can not be a problem.

High concentrations of refined sugar destroy the acid balance in your child’s mouth and endanger the health of the tooth enamel. Every time you eat sugar, the teeth are in danger, and the longer the sugar remains in the mouth, the more it is likely to be formed caries, but this applies to the refined sugar in general, and in particular not for candies : the continuous sipping from straws fruit juices or other drinks, can be more damaging of candies or cake sweeter there is.

Therefore it is more reasonable to check all sweet foods, rather than banning the sweets, and always prefer sweets that you consume in a hurry, because the acid produced by their presence will disappear without having time to adhere to tooth enamel. For example, a slice of cake or a piece of chocolate are less hazardous to the teeth of a lollipop that the baby can suck for hours.

Even the consistency of the sweets makes the difference: those who can stick to teeth by chewing, maybe staying there until the next toothbrushing, are the worst: that goes for dry biscuits and even for some natural products that sometimes we offer because most healthful compared to candies: such as raisins.

All children go through stages where they are particularly sweet tooth: choose those that dissolve quickly in the mouth, such as chocolate and soft candy, and we give him water to drink.

We teach children to recognize foods that are good for teeth, and those that can damage them. You can begin when they are small, without giving any further technical information, but allowing them to make direct experiences.

The classic example is the experiment with the boiled eggs. It is true that the affinity between eggshell and tooth enamel is absolutely questionable, but as you will see the visual impact is tremendous and the children spontaneously make the association between egg and tooth. In this case the imagination is truly mightier than the cold analysis in conveying the correct information …

Oral care – Experiment with hard-boiled eggs

What do you need?

– Two transparent jars
– Two boiled eggs (if you find white is better, but is not essential)
– An assortment of healthy foods (fruit, cheese, vegetables, bread, …), water and milk
– An assortment of harmful foods (honey, sugar, chocolate, jam, whipped cream, candy, ice cream, …), and cola
– Toothbrush and toothpaste
– A bowl of water
– Tray and dishes
– It can also be useful a timer or an hourglass, if we want to strengthen the child’s perception of how long are the three minutes that we ask him to employ for brushing teeth.

Oral care – Experiment with hard-boiled eggs

What to do?

Before embarking on the experiment it would be important to start a discussion with kids on the theme of the teeth, and for example take them to imagine what we could eat if we did not have their teeth. We invite children to touch their teeth and then tell us how they arethen to touch the boiled eggs that we have prepared. It emerges that the teeth are hard and white just like the eggs.

Now we prepare on a tray all the foods damaging to their teeth, and we put in the first jar a boiled egg,

add foods:

and pour the cola (to make the experiment more impressive you can add orange juice and vinegar: in this way, as well as dirty a lot, the egg will take a disgusting smell and become mushy):

In another tray we prepare all of healthy foods,

We put another hard-boiled egg in the second pot, add the food and pour milk and water.

Now we go to bed without brushing our teeth …

While we pour the various foods in jars, we can ask the children what they are and if they think they are good. Surely many will say that the cola is good, for example. But we try to ask if it is good for teeth, and many children do not know what to say. Luckily we have our teeth – egg to help us!

We can also say that, for example, in the cola there is a lot of sugar, and that sugar in our mouth becomes acid such as vinegar, and that it really like to the bacteria, which pierce the teeth with caries.

And if we do not brush teeth, what would happen?

The next day, we pull out of the jars our teeth – eggs: the comparison is incredibly strong!

We wash the poor tooth … prepare a tray of toothpaste, toothbrush, the egg to be washed in a dish and part a basin of water. Thanks to this activity the child will practice to unscrew and screw the cap, apply toothpaste, brushing …

If the child wants, he can dedicate himself to cleaning the other tooth, but the purpose of the experiment is served primarily by the initial confrontation …

Brush your teeth, in short, even if sometimes we eat a bit of sugar, keeps teeth clean and white, just like the eggshell! But eating healthy is your best…

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Oral care – Experiment with hard-boiled eggs

Other links

– thechocolatemuffintree.com

– mamabeefromthehive.blogspot.com

– fitkidsclub.blogspot.com

– science-mattersblog.blogspot.com

– luvprek.blogspot.com

– imaginationstationtoledo.org

– thepreschoolexperiment.blogspot.com

Insegnare l’igiene orale – esperimento della mela “cariata”

Insegnare l’igiene orale – esperimento della mela “cariata”: un semplicissimo esperimento che serve a dare un’impressione visiva dell’effetto delle carie sui denti, adatto a bambini del nido d’infanzia e della scuola d’infanzia, dopo aver parlato di denti e carie…

cosa serve

due mele belle e simili tra loro

una bacchetta cinese o qualcosa di simile.

cosa fare

praticare con la bacchetta un foro profondo in una delle due mele, dire al bambino che una carie nel dente è proprio un buco, come quello che sta facendo nella mela… anche il dente, proprio come la mela, ha al suo interno la polpa. Più passa il tempo, più quel foro danneggia tutto il frutto…

Ora si tratta solo di aspettare (almeno un giorno),

e poi  di confrontare le due mele tra loro:

Quale mela metteresti nella tua bocca?

Insegnare l’igiene orale – Esperimento della mela cariata

Riferimenti all’argomento nel web:

– thechocolatemuffintree.com

– mamabeefromthehive.blogspot.com

– fitkidsclub.blogspot.com

– science-mattersblog.blogspot.com

– luvprek.blogspot.com

– imaginationstationtoledo.org

– thepreschoolexperiment.blogspot.com

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Oral care: experiment of the “decayed” apple: a simple experiment that serves to give a visual impression of the effect of caries on teeth, suitable for children of nursery and kindergarten, after talking about teeth and caries …

Oral care: experiment of the “decayed” apple

What do you need?

two apples beautiful and similar to each other,

Chinese wand or something similar.

Oral care: experiment of the “decayed” apple

What to do?

Practicing with the wand a deep hole in one of two apples, tell the child that a cavity in the tooth is just a hole, like what he is doing in the apple … even the tooth, just like the apple, has within it the pulp. The more time passes, the more the hole damages all the fruit.

Now it’s just wait (at least one day),

and then to compare the two apples:

Which apple would you put in your mouth?

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Oral care: experiment of the “decayed” apple

Other links

– thechocolatemuffintree.com

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Igiene orale – lavare una sagoma di dente di carta plastificata

Igiene orale – lavare una sagoma di dente di carta plastificata. Bellissima attività proponibile anche ai bambini piccoli, nella versione “gioco d’acqua” , o nella versione “a secco”.

Per la versione “gioco d’acqua” serve:

– la sagoma del dente plastificata
– un vassoio contenente: acqua, dentifricio e spazzolino
– acquarelli

L’attività riesce meglio mettendo il dente in verticale, magari all’aperto; altrimenti occorre qualcosa per raccogliere l’acqua che cola…

Ritagliate il vostro dente plastificato e sporcatelo con gli acquarelli.

Se può esservi utile questa è la mia sagoma in formato pdf:

Ponete il dente in verticale. Il bambino si divertirà a lavarlo utilizzando acqua, spazzolino e dentifricio:

Versione “a secco”

Per sporcare il dente usate un pennarello al posto degli acquarelli, e offrite al bambino spazzolino e dentifricio, senza acqua

Solo quando il dente sarà ben spazzolato, offrite poca acqua o un tappino di collutorio per eliminare meglio l’inchiostro.

Riferimenti all’argomento nel web:

– sweetserendipity23.blogspot.it

Igiene orale: esercitarsi col dentone

Igiene orale: esercitarsi col dentone. Questo progetto può essere interamente realizzato in autonomia, anche dai bambini più piccoli (una volta tagliata la bottiglia di plastica) e comporta la fase di costruzione del modello, e la fase di esercitazione nell’uso dello spazzolino da denti.

Il modello è particolarmente efficace per spiegare e far sperimentare ai più piccoli lo spazzolamento della superficie superiore (superficie di masticazione) dei molari, i denti che sono a maggior rischio di carie.

Per preparare il modello servono:
un fondo di bottiglia di plastica
tempera o acrilico bianco
carta di recupero per riempire eventualmente il “dentone” e renderlo più pesante e resistente
una striscia di nastro isolante rosso (per fissare la comprensione dello spazzolare i denti dal rosa al bianco).

Come si fa

colorare bene di bianco l’interno del dentone e far asciugare bene

Quando il colore è asciutto riempire con la carta da recupero e passare un giro di nastro isolante rosso alla base del dentone.

Attività col dentone

Preparate un vassoio con:
acqua
il dentone
spazzolino
dentifricio

Sporcate il dentone con gli acquarelli

Il bambino si dedicherà alla pulizia del suo dentone utilizzando acqua, spazzolino e dentifricio:

Riferimenti all’argomento nel web:

– thenatureofgrace.blogspot.com

– craftycommunity.com

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Oral care: practice with the “big tooth”. This project can be made entirely independently, also from the small children (once cut the plastic bottle) and involves the construction phase of the model, and the phase of exercise in the use of the toothbrush.

The model is particularly effective to explain and experience to children brushing the top surface (chewing surface) of the molars, teeth that are at higher risk for tooth decay.

Oral care: practice with the “big tooth”

What do you need?

a bottom of plastic bottle
white paint
waste paper to eventually fill the “big-teeth” and make it heavier and durable
a strip of insulating tape red (for the gums).

Oral care: practice with the “big tooth”
How is it done?

Color with white the big thooth of big thooth and allow to dry:

When the paint is dry fill with waste paper and pass a round of red tape at the base of the big thooth.

Oral care: practice with the “big tooth”

Activities with big thooth

Prepare a tray with:
water
the big thooth
toothbrush and toothpaste.

Dirty the big thooth with watercolors:

The child will be dedicated to the cleaning of his big thooth using water, toothbrush and toothpaste. It will use the toothbrush always from the bottom upwards, ie from the gum to the tooth:

Oral care: practice with the “big tooth”

Other links

– thenatureofgrace.blogspot.com

– craftycommunity.com

Igiene orale: un modello di denti realizzato con bicchierini di plastica

Igiene orale: un modello di denti realizzato con bicchierini di plastica. Il progetto di costruzione del modello non è adatto ai bambini, soprattutto perchè ritagliare i bicchierini richiede una certa forza, e per realizzare un modello impermeabile e resistente all’acqua, l’uso della colla a caldo è necessario. I bambini possono comunque partecipare ritagliando le strisce di  panno, legando i bicchierini tra loro, riempendoli con la carta di recupero. Naturalmente l’uso del modello è invece tutto loro… Il modello può servire ad esercitarsi non solo sull’uso dello spazzolino, ma anche del filo interdentale.

Cosa serve:

– dodici bicchierini di plastica da da caffè
– una superficie rossa (meglio se di plastica)
– strisce di pannolenci rosso
– carta bianca di recupero
– colla a caldo

Per fare in modo che i dentini stiano ben vicini gli uni agli altri, ritagliate così:

poi fare una collana usando nastro adesivo, o biadesivo, o anche con la graffettatrice:

Riempite i dentini con della carta bianca di recupero:

Disponete ad arco i dentini sulla superficie rossa e incollante con abbondante colla a caldo: i dentini devono essere resistenti!

Con altra abbondante colla a caldo aggiungete le strisce di pannolenci alla base dei dentini, a formare le gengive e fissare ulteriormente il tutto. Ritagliate la superficie rossa seguendo l’arco dei dentini.

Se volete rifinite con un giro di nastro isolante colorato, ed il modello è pronto.

Attività di igiene orale

Per preparare l’attività servono:
– acquarelli e pezzetti di carta colorata
– un vaso d’acqua
– spazzolino, dentifricio e filo interdentale

Sporcate il vostro modello così:

Il bambino si dedicherà sua pulizia e sarà un buon modo per mostrare come spazzolare i denti e come utilizzare il filo tra gli spazi interdentali:

Al termine potete proporre anche un tappo di collutorio:

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Oral care: a model of teeth made of plastic cups. The project of construction of the model is not suitable for children, especially because cut the plastic cups requires a certain strength, and to achieve a model waterproof and water resistant, the use of hot glue is needed. Children can still participate by cutting strips of cloth, tying the cups between them, filling them with waste paper.
Instead the use of the model is their.
The model can be used to practice not only on the use of the toothbrush, but also floss.

Oral care: a model of teeth made of plastic cups

What do you need?

– twelve plastic cups
– A red surface (preferably plastic)
– Strips of red felt
– White paper
– Hot glue

Oral care: a model of teeth made of plastic cups

How is it done?

To make sure that the teeth are very close to each other, cut out in this way:

then make a necklace using adhesive tape, or biadhesive, or even with the stapler::

Filled teeth with of the white paper:

Arrange the teeth in the shape of arc on red surface and gluing with plenty of hot glue: the teeth must be resistant!

With plenty of other hot glue, add the strips of felt at the base of the teeth, to form gums and fixing everything. Cut the red surface following the arch of teeth.

If you want
finish with a round of colored tape, and the model is ready.

Oral care: a model of teeth made of plastic cups

Activities of oral care

To prepare the activities need:
– Watercolors and bits of colored paper
– A glass of water
– Toothbrush, toothpaste and dental floss

Dirtying your model like this:

The child will be dedicated clean it and will be a good way to show how to brush their teeth and how to use the floss between the interdental spaces:

At the end you can also proposing a cap of mouthwash:

Igiene orale: modello realizzato coi cartoni delle uova

Igiene orale: modello realizzato coi cartoni delle uova. Questo modello può essere realizzato anche dai bambini, una volta ritagliato il cartone. E’ indicato per imparare a gestire il filo interdentale, e per nominare i denti, ma non può essere bagnato.

La costruzione del modello è per i bambini anche un buon esercizio di simmetria.

Cosa serve:
– dieci o dodici denti ritagliati dai cartoni delle uova
– un cartoncino rosso
– forbici
– colla (vinilica se incollano i bambini, altrimenti anche colla a caldo per velocizzare il lavoro)

I bambini distribuisco i dentini sul cartoncino e quando sono soddisfatti della composizione li incollano, ben vicini gli uni agli altri.

Quando la colla è asciutta, il modello è pronto, basta solo ritagliare ad arco il cartoncino.

Esercitazioni col modello

Preparate dei pezzetti di carta colorata e incastrateli tra gli spazi interdentali.

preparate un vassoio col filo interdentale, mostrate al bambino come prendere il filo e come utilizzarlo per rimuovere lo sporco tra i denti. Poi il bambino potrà mettere in pratica:

Riferimenti all’argomento nel web:

– theseedsnetwork.com

– myshaenoel.blogspot.it

– kristin-senseofwonder.blogspot.com

– abcand123learning.com

– theeducationcenter.com

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Oral care: model made with egg cartons. This model can be realized even by children, once cut the cardboard. It is suitable for learning how to manage the floss, and to appoint the teeth, but it can not be wet.

The construction of the model is for children also a good exercise of symmetry.

Oral care: model made with egg cartons

What do you need?

– Ten or twelve teeth cut from egg cartons
– A red cardstock
– scissors
– Glue (PVA glue if children, or even hot glue to speed up the work)

Children distribute the teeth on the cardboard and when they are satisfied with the composition paste them, very close to each other.

When the glue is dry, the model is ready, just cut out the cardboard-shaped arc.

Oral care: model made with egg cartons

Exercises with model

Prepare pieces of colored paper and embed their between the interdental spaces.

prepare a tray with dental floss, show the child how to take and how to use floss to remove dirt between the teeth. Then the child will be able to practice:

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Oral care: model made with egg cartons

Other links

– theseedsnetwork.com

– myshaenoel.blogspot.it

– kristin-senseofwonder.blogspot.com

– abcand123learning.com

–  theeducationcenter.com

FARFALLE E BRUCHI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici FARFALLE E BRUCHI – Una raccolta di  dettati ortografici di vari autori, sul tema farfalle e bruchi, per la scuola primaria.

Come gli uccelli che cantano meglio hanno il piumaggio più semplice, così la più utile tra le farfalle ha un abito semplicissimo. E’ la farfalla del filugello, una farfalla che sa appena volare, che non sa mangiare perchè il suo apparato boccale non glielo consente, non sa far nulla, soltanto deporre le uova e poi morire. Ma da queste uova nasceranno centinaia di bacolini minuti che, mangiando una gran quantità di foglie di gelso, diverranno i preziosi bachi da seta.

La primavera era arrivata e tutto risplendeva di luci e di colori. Un bruco verde e peloso piangeva in mezzo a tanta allegria. Lo udì il vento: “Che cos’hai?”. Il bruco rispose: “Sono triste, perchè tutti hanno schifo di me, anche i bambini…”. Il vento andò lontano, rincorse la primavera: “Dolce fatina” chiamò, “c’è un animaletto infelice, mentre tutti sono allegri: il bruco…”. “E’ vero” disse la fatina, “Come ho potuto dimenticarmi di lui? Va’, digli  che esprima un desiderio. Sarà accontentato”. Il bruco allora osservò i fiori, guardò gli uccelli. “Ecco” disse “Voglio diventare anche per poco, un piccolo uccello dalle ali leggere e colorate come i petali dei fiori”. Fu preso da un freddo terribile e da un sonno profondo. Quando riaprì gli occhi, era un bellissimo insetto con le ali dai colori dell’arcobaleno. Volò sulle erbe e sui fiori con la leggerezza di una piuma: era nata la farfalla. (G. Vaj Pedotti)

 

La farfalla cavolaia gironzolò un poco sotto la foglia per trovare il punto più tenero. Stette un momento immobile come chi ha bisogno di riposare e quindi incominciò a punzecchiare la foglia. Ad ogni punzecchiatura piantava un ovetto giallino. Ne depose una ventina, poi si mise a volare sopra i cavoli. Cercò il rovescio di una foglia e vi piantò un’altra ventina di uova. Sotto una seconda ne piantò dieci; altre ne lasciò sull’orlo. Dopo una settimana al posto delle uova c’erano dei piccoli bruchi verdi, uguali, per colore, alle foglie. E alla distanza di quindici giorni i bruchi, cioè i figli della farfalla, erano molto cresciuti. Mangiavano senza riguardo nell’orlo e in mezzo alle foglie e sempre cercavano di andare verso il centro della pianta dove le foglie erano più tenere. (P. Boranga)

 

Abbiamo osservato nel prato molte farfalle: alcune hanno le ali nere vergate di rosso, altre sono bianche ornate di cerchi arancione, altre ancora sono azzurre e gialle. Tutte sono bellissime. Sul capo hanno due antenne: sono l’organo del tatto e dell’olfatto. Sotto il capo hanno una specie di tromba, un succhiatoio sottile come un capello arrotolato a spirale. Quando si avvicinano ad un fiore svolgono la tromba e la immergono nel cuore della corolla per succhiarvi una goccia di nettare. Le farfalle hanno una vita molto breve.

Una farfalla si posa sopra un fiore. E’ una bellissima farfalla e le sue ali hanno i più gai colori. Ma da lei nasceranno i bruchi che rovineranno tutto l’orto.

Era un modesto bruco che strisciava sopra una foglia di cavolo. Poi, un giorno, quel bruco non ci fu più. Ci fu, invece, una farfalla dalle ali variopinte.

E’ così bella con le sue ali variopinte! Ma, purtroppo, la farfalla deporrà tante piccole uova e da quelle uova nasceranno tanti bruchi che saranno la rovina delle piante.

La farfalla nasce da un piccolo uovo sotto forma di bruco (larva), che striscia sulle foglie o sul tronco o sul frutto di cui si nutre. Mangia voracemente per un certo periodo di tempo, quindi emette un filo con cui tesse una specie di bozzolo nel quale si chiude. Nel bozzolo avviene una prima trasformazione. Non si tratta più di un bruco, ma di un essere quasi coriaceo, immobile, chiamato ninfa. Dopo un certo periodo, la ninfa comincia a muoversi, rompe, col capo, l’involucro che l’avvolge ed esce fornita di ali, non più bruco, ma farfalla. Questa metamorfosi non si compie nell’identico modo per tutte le specie di farfalle; anche il bozzolo  può assumere diversi aspetti, ma, nelle sue grandi linee, la trasformazione segue questo processo.

Le farfalle si possono dividere in tre grandi gruppi: farfalle diurne, farfalle notturne e tignole. Fra le farfalle diurne, le più comuni sono le vanesse dalle ali vagamente variopinte e, fra queste, la cavolaia, flagello degli orti.

L’unica farfalla utile, anzi preziosa all’uomo che ne fa l’allevamento, è la farfalla del filugello chiamato anche baco da seta o bombice del gelso. Il baco cambia pelle cinque volte, nutrendosi di foglie di gelso. Ad un certo punto, smette di mangiare, si arrampica su un rametto ed emette dalla bocca un sottilissimo filo che è tutto di un pezzo e può raggiungere anche la lunghezza di circa mille metri. Con questo filo, il baco si tesse intorno al corpo un bozzolo di purissima seta. Dopo una ventina di giorni, l’animale inumidisce, con un liquido speciale, l’estremità del bozzolo e battendovi forte con il capo, riesce a praticarvi un foro, da cui uscirà farfalla.

Si tratta di una farfalla grossa e tozza che non può volare. Non ha neppure l’apparato boccale e quindi è condannata a morir di fame. Ma, prima di morire, la femmina depone centinaia di piccolissime uova da cui, a suo tempo, nasceranno i piccoli bruchi.

La farfalla scende su un fiore. Immerge ingordamente la testolina nella corolla; spinge il so succhiatoio fino in fondo e succhia il nettare. Approfittando di quella posizione, il fiore scuote sulla testa della farfalla il suo polline. Quando essa ha finito di succhiare il nettare, riprende il volo. Vola di qua e di là. Vede altri fiori simili a quello che ha visitato. Si getta sul primo che incontra. Mette la testolina nel calice. Intanto il polline di cui si era impolverata va a cadere sul nuovo fiore. (P. Bargellini)

La farfalla è un insetto, perciò presenta le stesse caratteristiche generali degli insetti. Il suo corpo brunastro, peloso e fragile, è diviso in capo, torace e addome. Sul capo si trovano due antenne, due grossi occhi composti e l’apparato boccale, costituito di una lunga e sottile proboscide avvolta a spirale come la una molla.

Quando la sera, d’estate, si tengono le finestre aperte, numerose farfalline volano in gran numero verso la sorgente luminosa. Le volano intorno, fino a che cadono esauste, morenti, nel lampadario, dove finiscono la loro breve vita. Sono le tignole. Alcune vengono dalle provviste alimentari: dalla farina, dalla pasta. Altre, di colore grigio dorato, veloci, ma non resistenti volatrici, sono l’incubo delle massaie. E con ragione: sono le tignole dei panni. Esse depositano nelle stoffe di lana, nelle pellicce, le loro uova, dalle quali nasceranno tanti piccoli, distruttori dei nostri indumenti.

Dall’uovo deposto dalla farfalla nasce un piccolissimo bruco. Poichè le uova sono centinaia e centinaia, tanti sono anche i bruchi, che divorano steli, foglie e gemme. Ogni giorno il bruco mangia il doppio del proprio peso; perciò nessuna meraviglia che debba più volte cambiare la pelle, se quella che ha addosso diventa ogni giorno più stretta. Quando il bruco è pienamente sviluppato, abbandona la pianta che lo nutriva e va in cerca di un luogo adatto. Qui si tesse un nido e vi si chiude dentro, oppure si libera semplicemente dell’ultima pelle, trasformandosi in crisalide. Ora è diventato un essere senza gambe, senza testa, fasciato da una pelle rigida e scolpita, che se ne sta immobile come una mummia. Ma dopo un certo numero di giorni questo essere muto, cieco, sordo e immobile incomincia ad agitarsi; la sua rigida scorza si spacca sul dorso; ed ecco venir fuori un essere brutto, raggrinzito, umido. A poco a poco, però, le sue ali si stendono, il corpo si affusola, appaiono i colori, l’insetto fa le prime prove vibrando le ali, e finalmente è perfetto e nitido, tutto nuovo, splendente, e quello che era un bruco strisciante ora vola e vive nell’aria la sua terza vita.

Quando i bruchi nascono, non c’è nessuno che provveda a nutrirli: ed essi stessi devono subito lavorare di mascelle per provvedere all’avvenire. Ma ci provvedono tanto bene che, se tutti i bruchi che nascono vivessero sempre fino a diventar farfalle e a deporre le uova a centinaia, e da queste uova nascessero e vivessero altri bruchi, dotati dello stesso formidabile appetito, potremmo dire addio a tutti i nostri alberi, ai fiori, agli ortaggi: i bruchi finirebbero ogni cosa. La terra resterebbe spoglia, veramente tutta brucata. Ecco perchè, forse, la natura ha disposto che la vira di un bruco sia piuttosto indifesa; non è certamente male, dunque, che di bruchi ne muoiano parecchi.

 

La farfalla è come un fiore vivo, un fiore volante, con due petali soli. Ama il verde dei giardini, dei prati, dei boschi. Se la gode a far l’altalena, su e giù; sotto la carezza del sole. Le sue ali sono ornate di vivi colori e coperte di una polvere fine. Il suo corpo è sottile, il capo piccino e le zampine esili come fili. (T. Fanelli)

Le tignole sono minuscole farfalline dalle ali frastagliate, più o meno colorate, in genere dannose. Parecchie di esse danneggiano il grano, la pasta, la farina; altre sono le famigerate tarme o tignole dei panni, che tutti conoscono, altre ancora sono la rovina dei meli, dei ciliegi e di altri alberi da frutto. Se nella mela, nella ciliegia, troviamo il verme, lo dobbiamo a queste minuscole farfalline che hanno precedentemente deposto un uovo nel calice di ogni fiore, così che il piccolo bruco ha trovato, al suo nascere, un dolce rifugio che è insieme, culla e cibo. (M. Menicucci)

La pieride cavolaia maggiore. Come è bella nella sua veste bianca con sfrangiature verdi e marroni sulle punte, con il corpicino elegante! Ma il povero cavolo come la teme! Questa farfalla si posa sulla pagina inferiore delle sue grandi foglie. Qui depone tante uova ben nascoste. Dopo pochi giorni, dalle uova nascono i bruchi. E che cosa fanno? Brucano la foglia, passano sulla pagina superiore e si mettono a divorare. In breve della bella foglia non ne restano che le nervature.

Chi, guardando le farfalle che volano leggere sui fiori, pensa agli eserciti di bruchi che hanno divorato quintali di foglie, migliaia di piante, centinaia di potenti tronchi d’albero, per soddisfare il loro insaziabile appetito? L’esercito dei bruchi si è trasformato in un esercito di farfalle. All’origine della minuscola tignola di pochi millimetri, come della più grande farfalla australiana, che ha un’apertura d’ali di quasi trenta centimetri, c’è sempre un bruco. (M. Menicucci)

Generalmente i bruchi sono voraci e talvolta questa voracità è veramente straordinaria. Il celebre naturalista Reaumur pesò alcuni bruchi della cavolaia, la bianca farfalla che predilige i cavoli, e diede loro brandelli di cavolo che pesavano il doppio del loro corpo. In meno di ventiquattro ore avevano consumato tutto. In questo tratto di tempo il loro peso era cresciuto di un decimo. Per fare un paragone, un uomo che pesi ottanta chili dovrebbe mangiare centosessanta chili di cibo in un giorno per mettersi alla pari con questi potenti mangiatori! (R. Scaringi)

Esce da un ciuffo d’erba che lo aveva nascosto durante il caldo. Attraversa il viale di sabbia con grandi ondulazioni, e per un momento si crede perduto nell’ombra lasciata dallo zoccolo del giardiniere. Giunto dove sono le fragole, si ferma, si riposa, alza il naso a destra e  a sinistra per annusare, poi riparte, e sotto le foglie sa oramai dove va. Che bel bruco grasso, velloso, impellicciato, bruno, punteggiato d’oro e con gli occhi neri! Guidato dall’olfatto, si dimena e si aggrotta come un sopracciglio folto. SI ferma sotto il rosaio; e con le sue papille sottili tasta la scorza ruvida, muove qua e là la testolina di cane appena nato e finalmente osa arrampicarsi. E questa volta sembra che divori faticosamente tutta la lunghezza del cammino in salita, inghiottendola. (G. Renard)

Colori delle farfalle
Questi insetti dovettero essere dapprima fiori; fiori portati così in alto dallo stelo che finirono per distaccarsene; oppure, sotto una carezza di luce, avvenne che il sogno dei fiori trovò modo di attuarsi, di prendere forma e volteggiare nell’aria. Le ali hanno, infatti, l’apparenza di grandi petali e ne riproducono i colori: dal rosso fuoco del tulipano all’azzurro del giacinto, dal giallo del ranuncolo al bianco del ciliegio, dal lilla dell’iris alla cupezza della mammola. E’ perchè la luce, quando colpisce un’ala di farfalla, non incontra una superficie liscia, ma un succedersi di minuscole lamine, di scudi minuscoli articolati sulla superficie dell’ala; e ciascuno di questi ha il suo modo di riflettere e diffondere la luce quasi come le sfaccettature di un diamante. Quella polvere dorata che ci resta sulle dita quando si tocca un’ala di farfalla, non è fatta che da un insieme di tali scudi, così lievi e delicati, ca non sopportare contatti che non siano quelli dell’aria e della luce.
(A. Anile)

Prime farfalle
Un picchio è nascosto tra i pioppi; con il suo becco appuntito, esso batte senza posa nella corteccia degli alberi. E’ questo il segno che è arrivata la primavera e l’uccello dalle belle piume di color porpora dà, in tal modo, il lieto annuncio alla formica. Nell’aria serena e luminosa i campi sembrano sorridere, mentre timida timida la violetta spunta sotto i cespugli e il salice piega le verdeggianti fronde sull’acqua del limpido fiume. Nel prato svolazzano intanto le prime farfalle. Un ragazzino le insegue con sfrenata allegria, nel desiderio di acchiapparle, e il suo volto si illumina di gioia, quando può ammirare la sua mano cosparsa di una polverina d’oro: è riuscito, finalmente, a prenderne una!
(V. Verdusio)

La farfalla
Si dice che le farfalle siano dannose. E che male può fare una variopinta farfallina che vola, leggiadra, di fiore in fiore, succhiando il nettare e beandosi di sole? Se si accontentasse di questo non farebbe male a nessuno. Ma la farfalla è un’ottima mamma e un giorno depone tante uova, piccole piccole, ma tante, tante. A primavera, saranno nati tanti bruchi, piccoli piccoli, ma tanti tanti, che in poco tempo divoreranno tutto ciò che capita sotto il loro instancabile apparato boccale.

Le farfalle
Se vi trovate, in primavera o d’estate, in campagna, vedrete farfalle di ogni colore e d’ogni grandezza volare sui fiori. Alcune volano in alto, altre si posano leggiadramente sui fiori e vi indugiano, infilando la oro tromba nel calice, a succhiarvi la gocciolina di nettare in esso contenuta. E quando il sole è tramontato, ecco miriadi di farfalline accorrere intorno alle sorgenti luminose e, qualche volta, in mezzo a loro c’è una grossa farfalla dal corpo pesante che sembra volare quasi a fatica. E’ una farfalla notturna.

Le farfalle
Hanno sulla fronte due corna fini, due antenne ora sfilate, a ciuffo, ora frastagliate a pennacchio. Hanno sotto la testa una tromba, una cannuccia sottile, come un capello arrotolato a spirale. Quando si avvicinano a un fiore, svolgono la tromba e la immergono in fondo alla corolla, per bervi una goccia di liquore melato. Oh, come sono belle!
(Fabre)

La farfallina del melo
Le farfalline deposero un piccolo uovo in ogni fiore del melo, poi morirono perchè le farfalle, quando hanno pensato ai piccini che debbono nascere, non hanno più nulla da fare. I fiori del melo perdettero i petali e pian piano si trasformarono in frutti. Ma in ognuna di quelle piccole mele che il sole coloriva e faceva diventare sempre più grosse, c’era un bacolino nato dall’uovo deposto dalle farfalline azzurre, un bacolino che aveva trovato la casa e insieme la polpa saporita da mangiare.

Le farfalle
Come sono belle! Ve ne sono con le ali vergate di rosso sopra un fondo granata; ve ne sono di un turchino vivo con dei cerchi neri; altre sono bianche e orlate d’aurora. Hanno sulla fronte due corna fini, due antenne ora sfilate a ciuffo, ora frastagliate a pennacchio.
(Fabre)

La farfallina
La farfallina scende su un fiore. Immerge ingordamente la testolina nella corolla; spinge il suo succhiatoio fino in fondo e succhia il nettare. Approfittando di quella posizione il fiore scuote sulla testa della farfalla il suo polline. Quando essa ha finito di succhiare il nettare, riprende il volo.
(P. Bargellini)

La farfalla
Quando la farfalla ha finito di succhiare il nettare, riprende il volo. Vola di qua vola di là. Vede altri fiori simili a quello che ha visitato. Si getta sul primo che incontra. Mette la testolina nel calice e intanto il polline, di cui si era precedentemente impolverata, va a cadere sul nuovo fiore.
(P. Bargellini)

Bruchi e farfalle
Chi, guardando le farfalle che volano leggere sui fiori, pensa agli eserciti di bruchi che hanno divorato quintali di foglie, migliaia di piante, centinaia di potenti tronchi d’albero, per soddisfare il loro insaziabile appetito? L’esercito di bruchi si è trasformato in un esercito di farfalle. All’origine della minuscola tignola di pochi millimetri, come della più grande farfalla australiana, che ha un’apertura d’ali di quasi trenta centimetri, c’è sempre un bruco.

Il bruco
Il bruco non ha che un dovere, non sente che un richiamo, non ha che un’occupazione: mangiare. Possiamo considerare il bruco come un tubo digerente che si muove. Nulla lo interessa se non quello che può soddisfare il suo appetito formidabile. E ingrassa. Soltanto quando è giunto al massimo della sua dimensione, quando il suo peso è aumentato anche fino a sedicimila volte quello originario, soltanto allora il cibo non lo interessa più.

Il bruco tessitore
Quando il bruco è arrivato al massimo della sua dimensione che la natura gli impone, ecco che il cibo non lo interessa più. Ne ha nausea. Diventa schifiltoso. Si sente tardo, pesante, obeso. E’ in attesa di qualcosa che non sa ancora definire, ma che egli sembra cercare con i movimenti pieni di ansia della sua testa oscillante. Poi, improvvisamente, si mette a secernere qualcosa che diventa rapidamente un filo, tanti fili uniti insieme, lunghi e luminosi e forti e resistenti, e dentro ci sono le immense quantità d’erba, di foglie, di legno che il bruco ha divorato durante il primo stadio della sua vita.

Le tignole
Sono minuscole farfalline dalle ali frastagliate, più o meno colorate, in genere dannose. Parecchie di esse danneggiano il grano, la pasta, la farina: altre sono le famigerate tignole dei panni che tutti conoscono, altre ancora sono la rovina dei meli, dei ciliegi e di altri alberi da frutto. Se nella mela, nella ciliegia, troviamo il verme, lo dobbiamo a queste minuscole farfalle che hanno precedentemente deposto un uovo nel calice di ogni fiore, così che il piccolo bruco ha trovato, al suo nascere, un dolce rifugio che è insieme culla e cibo.

Il bozzolo
Dopo aver tanto gozzovigliato, il bruco si scopre la vocazione del penitente. Vuol farsi eremita. Si costruisce intorno un bozzolo con un filo lungo anche migliaia di metri e vi si chiude dentro in attesa del miracolo che premierà la sua improvvisa vocazione, il suo ritiro da monaco. Diventa rigido, cade come in catalessi. Tutto fasciato come una mummia, non sente, non vede più. E’ coriaceo, immobile, morto. Ma un giorno, il morto resusciterà.

La farfalla
La farfalla sembra attirata dai fiori; ma non è il fiore, è una goccia di dolcissimo nettare che la chiama a sè irresistibilmente. Chi ha mai mangiato foglie di cavolo? O foglie di gelso? Chi ha mai rosicchiato legno? Chi si è mai cibato di peluzzi di lana? Il nettare, ecco il cibo della farfalla. Essa si posa sul fiore e ne percepisce lo squisito sapore zuccherino con… le zampe. E’ all’estremità delle loro zampette che le farfalle hanno gli organi gustativi.

Le farfalle
La farfalla si era staccata con indicibile dolcezza da uno stelo e ora di librava con volo incerto; molte farfalle, simili a quelle che aleggiavano sopra la prateria, rapide solo in apparenza, oscillavano su e giù in un gioco entusiasmante. Sembravano dei fiori vaganti, giocondi, che non avevano più potuto restare sullo stelo e s’erano saccati per danzare un po’; oppure fiori giunti col sole, che non avevano ancora il loro posto e cercavano all’intorno. Si lasciavano cadere come se l’avessero trovato, poi subito risalivano e continuavano nella ricerca.
(F. Salten)

Da dove vengono i bachi della frutta

Qualche volta, tagliando a metà un frutto, ci capita di vedere la sua polpa intaccata da lunghe gallerie. In fondo a queste vive tranquillo un baco. Com’è entrato nel frutto?
Ve l’ha depositato, sotto forma di uovo, la piccola mosca dei frutti, forandone la buccia. Poi l’uovo si è trasformato in baco, che, per nutrirsi, ha mangiato la polpa del nostro frutto, scavando le gallerie che vediamo.

L’imperatrice cinese Silinci ebbe un giorno dall’imperatore un piccolo baco e questo consiglio: “Impara ad allevare questo baco e il popolo non ti dimenticherà mai”. Silinci prese ad osservare i bachi, e vide che essi, quando fanno le loro dormite, si rivestono di un tenue velo di fili. Ella scelse quei fili e tessè un fazzolettino. Silinci vide poi che i bachi montavano sui gelsi. Allora ella prese a raccogliere le foglie dei gelsi e a nutrire con esse i bachi. Così i bachi allevati furono moltissimi e Silinci volle che tutto il popolo imparasse la nuova arte. Da allora sono passati cinquemila anni e i Cinesi ricordano ancora l’imperatrice che insegnò loro ad allevare il prezioso baco da seta. (L. Tolstoj)

Gli alberi che per primi si sono ricoperti di larghe foglie, i gelsi che segnano in lunghi filari i campi dalle messi ancora immature, si trovano di giorno in giorno più spogli. Non hanno potuto attendere l’autunno con gli altri alberi. Le mani degli uomini li hanno spogliati per nutrire i bachi voraci e quelle foglie saranno trasformate in seta lucente.

Dettati ortografici FARFALLE E BRUCHI – Le farfalle diurne

La Cleopatra annuncia per prima, a febbraio – marzo, la buona stagione. E’ gialla e ha sulle ali anteriori una macchia rossastra.

Lo splendido Macaone ha le ali anteriori screziate di nero e di giallo e le ali posteriori con bordi neri e gialli, una striscia blu, ancora una macchia gialla e due “occhi” rossi sulle estremità. Appare in marzo.

La Pieride Cavolaia è pure bianca con una macchia bruna sulla punta delle ali anteriori. Il maschio ha anche due macchie brune. La possiamo trovare in aprile.

La farfalla Circe è la farfalla che si nasconde. Tenendo congiunte le ali di un bel marrone carico con striscia verticale chiara, si posa su un tronco. Se qualcuno si avvicina, gira intorno al tronco e poi, non vista, prende il volo.

La Pavonia maggiore è il gigante degli insetti europei: le sue ali aperte misurano anche quindici centimetri di larghezza. Il suo nome deriva dalle macchie a forma di occhio, simili a quelle del pavone, poste sulle sue ali. Le sue ali hanno tonalità di colori che vanno dal marrone al giallo. La larva è vivacemente colorata e vive sugli alberi da frutta.

La Vanessa Atalanta e la Vanessa Jo, detta “occhio di pavone”, sono altri due splendidi esemplari estivi. Entrambe hanno come colore di fondo un arancione affocato. La prima, un po’ più grande, ha grandi macchie scure e bordi variegati con striature azzurre sulle ali inferiori. La seconda ha quattro grandi macchie simili a quelle che ornano le penne del pavone.

La Singe Testa di Morto è chiamata così per il disegno che ha sul torace, assomigliante a un teschio. Se viene stuzzicata emette un suono stridulo dovuto allo sfregamento della spiritromba cornea.

Nell’America meridionale, nell’India e nell’Australia, vivono le farfalle dai colori più brillanti e forme più strane. Una di queste è il Morphos Menelaus dell’America del Sud, dalle ali di un blu metallico e splendente.

Il Papilio Priamus dell’India ha invece strisce e macchie verde smeraldo su fondo nero. E’ molto grande e, quando volteggia sulle chiome degli alberi, sembra un uccello.

La Papilio, che vive nelle foreste vergini dell’Africa occidentale, è una tra le più grandi farfalle che si conoscano. Ha un’apertura d’ali di circa ventidue centimetri.

Le farfalle

Le quattro ali della farfalla sono ricoperte da piccolissime scaglie che, ad occhio nudo, sembrano una finissima polverina.
Le specie di farfalle sono moltissime, circa centomila, e tutte meravigliosamente colorate. Volano di fiore in fiore alla ricerca del nettare, di cui si nutrono.
La loro bocca è adatta a succhiare; infatti è munita di una tromba o proboscide, avvolta a spirale, che si svolge al momento di introdursi in fondo al calice del fiore per succhiarne il nettare.
Le farfalle che volano di giorno (diurne) hanno il corpo esile e un volo leggero. Quando viene la sera si nascondono in cantucci oscuri.
Le farfalle notturne hanno invece un corpo molto robusto e grosso; di sera volano attorno ai lampioni accesi e quando riposano tengono le ali distese come quelle di un aeroplano.
La farfalla prima di diventare come la vedi subisce alcune trasformazioni, cioè una metamorfosi. Dall’uovo di farfalla, deposto tra le erbe o sulle piante, nasce un bruco che si nutre di foglie, di fiori e di frutti. Successivamente il bruco diventa una crisalide che si chiude nel suo bozzolo e dorme. Dopo un certo tempo, dal bozzolo esce la farfalla ancora umida e molle. Quando si è asciugata, spicca il volo leggera come una piuma.
La vita delle farfalle è breve; alcune vivono poche ore, altre qualche giorno. In questo periodo depongono continuamente uova.

Voracità dei bruchi

Quando i bruchi nascono, non c’è nessuno che provveda a nutrirli: ed essi stessi devono subito lavorare di mascelle per provvedere all’avvenire. Ma ci provvedono tanto bene che, se tutti i bruchi che nascono vivessero sempre fino a diventare farfalle e deporre le uova a centinaia, e da queste uova nascessero e vivessero altri bruchi, dotati dello stesso formidabile appetito, potremmo dire addio a tutti i nostri alberi, ai fiori, agli ortaggi: i bruchi finirebbero ogni cosa. La terra resterebbe spoglia, veramente tutta brucata. Ecco perchè, forse, la natura ha disposto che la vita di un bruco sia piuttosto indifesa; non è certamente male, dunque, che di bruchi ne muoiano parecchi.

 

Le farfalle

Come sono belle! Ve ne sono con le ali vergate di rosso sopra uno sfondo granata, ve ne sono di un turchino vivo con dei cerchi neri; altre sono bianche e orlate d’aurora. Hanno sulla fronte due corna fini; due antenne, ora sfilate a ciuffo ora frastagliate a pennacchio. Hanno sotto la testa una tromba, un succhiatoio sottile come un capello, arrotolato a spirale. Quando si avvicinano a un fiore, svolgono la tromba e la immergono in fondo alla corolla, per bervi una goccia di liquore melato. Oh, come sono belle! (E. Fabre)

Bruchi sempre affamati

Generalmente i bruchi sono voraci e talvolta questa voracità è veramente straordinaria. Il celebre naturalista Reaumur però alcuni bruchi della cavolaia, la bianca farfalla che predilige i cavoli, e diede loro brandelli di cavolo che pesavano il doppio del loro corpo. In meno di ventiquattro ore avevano consumato tutto. In questo tratto di tempo il loro peso era cresciuto di un decimo. Per fare un paragone, un uomo che pesi 80 kg dovrebbe mangiare 160 kg di cibo in un giorno per mettersi alla pari con questi potenti mangiatori! (R. Scaringi)

Il bruco

Esce da un  ciuffo d’erba che lo aveva nascosto durante il caldo. Attraversa il viale di sabbia con grandi ondulazioni e per un momento si crede perduto nell’ombra lasciata dallo zoccolo del giardiniere. Giunto dove sono le fragole, si ferma, si riposa, alza il naso a destra e a sinistra per annusare, poi riparte, e sotto le foglie sa ormai dove va.
Che bel bruco grasso, velloso, impellicciato, bruno, punteggiato d’oro e con gli occhi neri!
Guidato dall’olfatto, si dimena e si aggrotta come un sopracciglio folto. Si ferma sotto il rosaio; e con le sue papille sottili tasta la scorza ruvida, muove qua e là la testolina ci cane appena nato e finalmente osa arrampicarsi.
E questa volta sembra che divori faticosamente tutta la lunghezza del cammino il salita, inghiottendola. (G. Renard)

 

Le farfalle

Nelle farfalle, la natura ha spiegato il massimo della prodigalità, in bellezza ed armonia di colori. La spettacolosa varietà delle tinte, le iridescenze, i riflessi metallici, la morbidezza vellutata, la leggiadria del volo, l’istinto infallibile che le porta a scegliere il luogo più adatto per la loro conservazione, tutto possiedono questi insetti, che sembrano creati per rappresentare la bellezza nel regno animale.

La vita. Nell’analizzare la loro esistenza, si rimane stupiti da tanta armonia. La vita delle farfalle è generalmente breve e le femmine muoiono dopo aver deposto le uova. Dall’uovo all’insetto perfetto (e di nuovo all’uovo) passa di solito circa un anno e precisamente il ciclo di sviluppo va da una primavera all’altra.
Tuttavia in molte farfalle diurne si possono avere nello spazio di un anno, due generazioni. Il periodo larvale ha una durata varia, da poche settimane a parecchi mesi: anche la durata della ninfosi è varia. In alcune specie la farfalla si schiude dopo una o due settimane, in altre lo stadio ninfale si prolunga per tutto l’inverno, mentre la farfalla completa ha un periodo di vita che va da qualche giorno a due mesi.

Dall’uovo alla farfalla. Le farfalle depongono uova piccolissime: anche nelle specie più grandi, non superano le dimensioni di una capocchia di spillo. Dall’uovo non esce l’insetto alato, bensì una larva, o bruco, senza ali, di aspetto simile ad un verme, che cresce rapidamente, mutando quattro o cinque volte la propria pelle.
I bruchi si muovono lentamente, ed hanno in generale colori poco vistosi: il loro corpo è ornato talora di bitorzoli pelosi, di setole, di cornetti uncinati. La bocca è formata da due mascelle taglienti con cui divorano foglie, fiori, frutta, legno.
Quando la larva ha raggiunto un completo sviluppo, non si nutre più e va in cerca di un luogo adatto per trasformarsi in ninfa. Per far questo la larva si appende mediante un filo ad un ramo, o si avvolge in un involucro, tessuto con fili che emette dalla bocca (in tal caso la ninfa si chiama crisalide), o si sprofonda nel terreno o nel legno o si avvolge nelle foglie.
Mentre la ninfa sta così racchiusa, avviene la sua ultima trasformazione, e dopo un tempo più o meno lungo uscirà dal suo involucro la farfalla.

Come sono fatte. Mirabile è l’anatomia di questi insetti. Le farfalle hanno quattro ali membranose; sul capo due antenne di forma e lunghezza variabili e lateralmente due grandi occhi composti, formati cioè da migliaia di minutissimi occhi tubolari. La bocca è composta da un tubo avvolto a spirale, detto spiritromba, per mezzo del quale le farfalle succhiano dai fiori le sostanze zuccherine (nettare).
Questi insetti dell’ordine dei Lepidotteri sono diffusi dappertutto, dove c’è vegetazione.
La loro parte più interessante sono le ali, ricoperte su entrambe le facce da piccolissime squame, variamente colorate e facilmente distaccabili: infatti esse formano un pulviscolo variopinto che rimane attaccato alle nostre dita quando afferriamo l’insetto. Le squame sono di varia forma, rotonde o ovali, seghettate, tronche o acute all’apice, inserite per mezzo di articoli in corrispondenti piccolissime cavità della lamina alare e disposte in modo da dar l’impressione di un rivestimento di piastrine smaltate.
Le diverse tinte delle squame dipendono dai vari strati di cellule del tegumento, i quali possono essere più o meno ricchi di materie coloranti. Ma le iridescenze ed i colori cangianti sono dovuti indubbiamente all’effetto ottico combinato da due o più squame vicine, e siccome la luce e la temperatura influiscono potentemente sulle cellule del derma, le farfalle delle zone torride sono più vistose, mentre vi è una diversità di colorazione sulle due facce dell’ala. Nella maggior parte dei casi, la colorazione della faccia inferiore è povera ed uniforme, e ciò soprattutto per difesa: poichè nel volo la farfalla ha poco da temere, mentre in riposo le occorre una colorazione che si discosti poco dall’ambiente.
Quando la farfalla si posa su di un ramo, avvicina le ali in modo che si dispongano verticalmente e lascino vedere solo la faccia inferiore.

 

Dettati ortografici FARFALLE E BRUCHI – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

LE API E LE VESPE: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici LE API E LE VESPE – Una raccolta di  dettati ortografici di vari autori, sul tema farfalle e bruchi, per la scuola primaria.

Le api
Le api, come le formiche, si riuniscono in una società a capo della quale c’è la regina, che non ha che un dovere: fare le uova. Le brave api operaie penseranno poi ad allevare e a custodire la prole. Intanto le altre andranno a far bottino di nettare e di polline. Volano di fiore in fiore, e poi portano le loro provviste all’alveare dove fabbricheranno il miele e la cera.

Le api
Quando i giardini i prati e le foreste fanno pompa delle loro fioriture, rare volte pensiamo che milioni di fiori leggiadri nascondono preziosi tesori. I ricchi tesori sui quali nessuno fa valere il più piccolo diritto di proprietà, sono le minutissime gocce di nettare che le api laboriose estraggono dalla più profonda cavità della corolla e che convertono in miele e cera. L’uomo perciò prese ad allevare le api che, nelle antiche età, vivevano allo stato selvatico e nascondevano il miele nelle fenditure delle rocce e in alberi cavi.
(Reichelt)

Le api
Hanno scosso il lungo torpore invernale: la regina si è messa di nuovo a deporre le uova fin dai primi giorni di febbraio. Le operaie hanno visitato gli anemoni, i giunchi, le violette, i salici, i noccioli. Poi la primavera ha rivestito la terra; i granai e le cantine traboccano di miele e di polline. Migliaia di api nascono ogni giorno. (Meeterlinck)

Fiori e api
La natura ha dato ai fiori una forma tale da attirare le api, e alle api un corpo che si adatta ai fiori, un corpo che reca loro il polline e che a sua volta usa il polline e il nettare dei fiori. Qualcosa come diecimila specie di fiori si sarebbero estinte se non ci fossero state le api, e le api non potrebbero vivere senza fiori. Nel colmo di una giornata umida e calma, il flusso del nettare alla base dei petali dei fiori d’arancio è il massimo. L’aria è satura del suo profumo che, da lontano, attira le api.
(D. Culross Peattie)

La vespa
La vespa è simile all’ape, ma di questa non ha nessun merito. Le vespe si distinguono dalle api perchè, quando stanno in posizione di riposo, ripongono le ali superiori che sembrano, così, strettissime. Si nutrono non soltanto di polline e di nettare, ma anche di frutta e perfino di carne. L’aculeo delle vespe ha, alla base, una borsetta piena di veleno; per questo la puntura della vespa è ancora più pericolosa di quella dell’ape. Il nido delle vespe, di forma rotonda, è costituito da un materiale simile al cartone che la vespa fabbrica elaborando, con la saliva, il legno degli alberi.

L’ape e la vespa si assomigliano; spesso i bambini le scambiano fra loro per il loro aspetto quasi simile, ma questi insetti cugini hanno delle abitudini, e anche delle qualità, molto differenti.
La vespa costruisce un nido con il legno degli alberi che essa mastica trasformandolo in una specie di cartone. Forse l’uomo ha imparato proprio dalla vespa a fabbricare la carta con la pasta di legno. Le vespe vivono in colonie, e le progenitrici di queste colonie sono alcune femmine sopravvissute alla stagione passata. Queste femmine depongono uova da cui nascono maschi e operaie. Alla fine della buona stagione, le vespe muoiono, meno alcune regine che svernano per dar vita, in primavera, a una nuova famiglia.

Le vespe
Non sono animali simpatici perchè, se pungono, il loro pungiglione darà un dolore intenso che non passerà tanto presto. Eppure le vespe hanno insegnato come si fabbrica la carta. Infatti, masticando sostanze vegetali e cementandole con la saliva, le vespe fabbricano un vero e proprio materiale cartaceo col quale costruiscono il loro nido.

Il nido delle vespe
Le vespe, per fabbricare il loro nido, scelgono di preferenza i pali della corrente elettrica o alberi dai quali possono staccare facilmente il materiale da costruzione che è loro necessario. Sgretolano quindi il legno, ne formano pallottole e costruiscono le celle, trasformando il legno in pasta per mezzo della saliva. Le celle non sono regolari come quelle delle api. Le femmine vi depongono le uova e subito nascono le larve che le vespe nutrono con una poltiglia di insetti afferrati con rapidi voli. (T. Stagni)

L’ape è uno dei pochissimi insetti che l’uomo alleva (l’altro è il filugello o baco da seta). Anche fra le api c’è una regina che è la madre di tutta la popolazione dell’alveare; ci sono i fuchi (maschi) tra i quali la regina sceglie lo sposo. Essi muoiono dopo o vengono uccisi subito dopo avvenuta la fecondazione. Il resto della popolazione è formato dalle operaie, che sono quelle che vediamo visitare indefessamente i fiori, succhiarne il nettare e il polline. Il polline viene messo in apposite sacchette che le api hanno nelle zampe; il nettare viene raccolto nel canale digerente, trasformato in miele e rigurgitato, poi, nell’alveare.
L’alveare, fabbricato dalle stesse api, è formato da molte cellette prismatiche a sezione esagonale, disposte in due strati. Queste cellette costituiscono il favo e sono fatte di cera, sostanza prodotta dalle ghiandole addominali delle operaie, e intonacate di propoli, sostanza resinosa ricavata dalle gemme dei pioppi.
Dentro il favo viene depositato il miele che dovrebbe servire al nutrimento delle larve e di tutta la popolazione dell’alveare. Le cellette non sono tutte uguali, ma differenti, a seconda dell’uso a cui devono servire: le più piccole sono per le operaie, quelle grandissime per le future regine.
Il meraviglioso è che la regina sa, in precedenza, quali individui usciranno dalle uova che depone e lascia cadere quelle operaie, dei fuchi, e delle future regine, nelle cellette appositamente costruite per ognuno.
Le operaie più vecchie hanno l’onore e l’onere di allevare i nascituri. Appena la piccola larva esce dall’uovo, viene nutrita con miele e con polline semidigerito. Per le larve di regina si usa un regime speciale, la pappa reale, che ha il compito di favorirne lo sviluppo. Non solo, ma questo alimento, prezioso e privilegiato, servirà alla formazione di quelle uova che un giorno la futura regina deporrà.
Dopo pochi giorni, dalle uova escono le ninfe, e allora le nutrici le chiudono nelle cellette, da dove, dopo sette giorni, usciranno trasformate in insetti perfetti.
Durante il suo volo, l’ape operaia visita migliaia di fiori. Affonda nel calice la proboscide, succhia il nettare che introdotto nello stomaco, a contatto con speciali succhi, viene trasformato in miele o in cera, a seconda della necessità.
Se nell’alveare nasce un’altra regina, si accende una lotta accanita fra la vecchia e la nuova. La lotta ha un esito mortale: in un solo alveare non possono rimanere due regine. Ma se l’alveare è troppo numeroso, allora l’istinto infallibile avverte le due contendenti, le quali in questo caso, non si combattono. Una di esse, in genere la più giovane, sciamerà, cioè partirà dall’alveare portando con sè uno sciame numeroso di operaie e di fuchi.
Trovato il posto che le pare adatto per fondare il nuovo regno, la regina si ferma e si aggrappa a un appiglio qualunque, in genere il ramo di un albero, e ad esso si appendono, come in un meraviglioso grappolo, tutte le alte api. L’apicoltore sta in guardia: quando le api sciamano, le insegue e cattura lo sciame con mezzi vari.
Per favorire la costruzione dell’alveare l’uomo prepara per lo sciame delle apposite cassettine. La cassettina, il favo e lo sciame formano quello che si chiama arnia. L’alveare è costituito dai soli favi che qualche volta le api si costruiscono anche nei tronchi cavi degli alberi.

L’ape ha una difesa: il pungiglione, un aculeo che nasconde nell’addome. Ma, quando è costretta a servirsene, ciò segna anche la sua condanna a morte perchè il pungiglione resta nella ferita e, con esso, parte dell’apparato digerente dell’insetto.

Creature laboriose
Con i primi tepori della primavera abbiamo visto uscire dalle arnie le api. Sono già in cerca di corolle aperte alla luce per raccogliere il nettare dolce, che trasformeranno in dolcissimo miele.
Talvolta vediamo le api ferme tra i rami degli alberi resinosi: raccolgono sostanze vischiose con cui tureranno le fessure della propria casina.
(G. G. Moroni)

Uno sciame d’api
Che cos’è questa musica che sembra sgorgare, grave, dal cuore del ciliegio come da un violoncello magico, e gli vibra intorno, senza uscire dalla cerchia dei rami in fiore? E’ uno sciame d’api. Da dove vengono? Forse dagli alveari dell’orto poco discosto da qui. Le ha chiamate odor di cibo dolce, odor d’aprile.
(A. Negri)

Lo sciame
Quando la nuova generazione è completa, nell’alveare c’è troppa gente e bisogna decidersi a sfollare. Allora, un forte gruppo di api, preceduto dai maschi, vola via dall’alveare con una nuova regina. Tutte vanno in cerca di un luogo sicuro per formare un nuovo alveare. Ma appena trovato il luogo, i maschi vengono cacciati via. La regina si mette subito al lavoro, che è quello di fare migliaia di uova che dovranno assicurare la popolazione del nuovo alveare.

Le api
Quando i giardini, i prati e le foreste fanno pompa della loro fioritura, rare volte pensiamo che milioni di fiori leggiadri nascondono tesori preziosi. I ricchi tesori sui quali nessuno fa valere il più piccolo diritto di proprietà, sono le minutissime gocce di nettare che le api laboriose estraggono dalla più profonda cavità della corolla e che convertono in miele e in cera. L’uomo, perciò, prese ad allevare le api che, nelle antiche età, vivevano allo stato selvatico e nascondevano il miele nelle fenditure delle rocce e in alberi cavi.
(Reichelt)

Le api
L’uomo deve essere molto grato alle api che fabbricano per lui un prodotto nutriente e delizioso, il miele. Le operaie volano di fiore in fiore succhiando polline e nettare e che poi trasformano in cera e in miele. La cera serve a fabbricare i favi, tutti a cellette esagonali perfettissime in alcune delle quali viene racchiuso il miele, mentre in altre la regina depone le uova. Abitanti dell’alveare sono anche i fuchi, cioè i maschi, che a un certo punto vengono cacciati fuori e muoiono di fame perchè incapaci di procurarsi il cibo, o sono uccisi dalle api stesse.

Il favo
Il favo è formato di celle esagonali fatte con cera che trasuda l’addome delle api operaie. Le cellette non sono tutte uguali. Alcune sono più piccole e in esse la regina depone le uova che daranno vita alle operaie; in altre, più grandi, sono deposte le uova da cui nasceranno i fuchi, cioè i maschi. Più grande di tutte, a forma di ghianda, è la cella che servirà alla regina, la futura rivale della regina madre.

Il miele
Il nettare, viene introdotto nel proventricolo dell’ape dove, a contatto coi succhi gastrici, si trasforma in miele. Allora l’ape entra nell’alveare e con le zampette lo spinge in una cella. Un’altra ape lo comprime ben bene col capo e, dopo, la cella piena viene chiusa con la cera. Altre celle sono lasciate vuote per accogliere le uova che la regina vi depositerà.

Lo sciame
Le api sciamano, d’ordinario, nello ore del mezzogiorno e con impeto selvaggio si precipitano come fiocchi di neve, quando cade fitta fitta. Quindi si posano sul ramo dell’albero vicino attaccandosi l’una all’altra, finchè sono tutte ammucchiate come un grappolo pendente. L’apicoltore accorre pronto con un alveare vuoto e cautamente ci mette dentro lo sciame. Più presto le api sciamano e più l’apicoltore gode perchè allora il popolo minuscolo può raccogliere più ricche provvigioni per l’inverno ed egli deve venire loro in aiuto con poco nutrimento.
(Reichelt)

Dentro alle arnie lavorano le api. Vivono in grande armonia tra loro. Le api operaie sono all’opera: chi va in cerca del dolce succo dei fiori; chi resta a costruire i favi; chi fa la pulizia delle cellette; chi prepara il cibo ai piccini e alla regina; chi scalda le covate e chi porta via i morti. Soltanto l’ape regina, che è la più grossa delle altre, vive da… regina. E non fa nulla? No, fa molto anche lei. Depone migliaia di uova per la conservazione della specie.
(Lipparini)

Le api
Fuori dell’alveare è un brulichio confuso di api che si raccolgono intorno ai fori d’entrata. Le operaie entrano ed escono senza posa, con un ronzio sonoro e affaccendato. Visitano tutti i fiori, instancabilmente. Succhiano il nettare, si caricano di polline e nel prodigioso laboratorio del loro proventricolo trasformano questa sostanza in miele e cera. Intanto la regina è occupata a deporre migliaia di uova, le sentinelle fanno buona guardia, le nutrici custodiscono le piccole larve e le sventolatrici agitano senza posa le loro ali affinchè nell’alveare venga mantenuta la temperatura necessaria al benessere di quel laborioso popolo.

L’ape
Quando i giardini, i campi, i prati fanno pompa della loro fioritura, noi ricordiamo che questi leggiadri fiori nascondono un tesoro di cui non sappiamo servirci. Ma qualcuno lo sa. Lo sanno le api, minuscole operaie laboriose e industriose che raccolgono il giallo polline, che succhiano la dolce stilla di nettare racchiusa nei calici e trasformano il loro raccolto in cera e miele, prodotti tanto utili all’uomo.

Le api
E’ uno sciame d’api. Le ha chiamate odor di cibo dolce, odor d’aprile. Volano, ronzano attorno ai fiori, vi s’attaccano, ne cercano e ne estraggono il nettare e il loro corsaletto d’oro e di ambra splende nel sole. Le une sanno ciò che fanno le altre; un’unica intesa le guida, le rende strumenti di perfetta orchestra.
(A. Negri)

Ora che siamo in maggio e le rose sono tutte in fiore, nell’aria si sente un gran brusio. Le api vanno, vengono, frettolose e infaticabili, e sembrano d’oro nel sole d’oro. Vanno a fare il loro bottino di polline e di nettare nei calici dei fiori e lo portano alle loro casette, dove lo trasformano in cera e miele. (G. Zanetti)

Che cos’è questa musica che sembra sgorgare dal cuore del ciliegio e gli vibra intorno senza uscire dalla cerchia dei rami in fiore? E’ uno sciame di api. Di dove vengono? Forse dagli alveari che sono nell’orto, poco distanti di qui. Le ha chiamate odor di cibo dolce. Svolano, ronzano intorno ai fiori, vi si attaccano, ne cercano e ne estraggono il nettare. (A. Negri)

“Zzz…. zzz… zzz…!”. Sono le api. Ronzano intorno ai fiori. Succhiano il dolce nettare e si caricano di polline. Poi, veloci, tornano all’alveare. Per riposarsi? No, per deporre il miele e la cera. Il miele d’oro, dolcissimo. La cera bianca, profumata. Il cibo per noi e la fiamma per la candela.

Le api ronzano intorno all’alveare. “Come vi affaccendate, api! Ma che cosa c’è di nuovo?”. “La regina ha deposto le uova. Molte, una per ogni celletta. Adesso, noi api operaie, dobbiamo fare molto miele per nutrire le larve che nasceranno tra poco. Il prato è smaltato di fiori nuovi; il giardino, le siepi, gli alberi da frutto ci offrono il nettare. Non dobbiamo perdere tempo”. Le api vanno e vengono dall’alveare ai fiori, dai fiori all’alveare. (Davanzato Scotti)

Un alveare è come una città. Una città di gente laboriosa. Ogni cittadino ha un compito. C’è la regina che depone le uova ed è la madre di tutte le api. Ci sono i fuchi e le operaie. A queste ultime spetta il compito di andare per i campi a raccogliere le provviste. Altre devono costruire le case, le celle. Altre ancora sono incaricate di accudire alle api bambine. Le operaie per strumenti di lavoro, hanno le spazzole e il cestello. Per fare la raccolta penetrano nei fiori, si coprono di polline e succhiano il nettare, il succo zuccherino che è nel calice. (M. Di Filippo)

Dall’apicoltore
Le api che si vedono entrare nell’alveare sono le api operaie. Esse volano da un fiore all’altro e, con le speciali spazzole delle zampe posteriori, raccolgono il polline, di cui si nutrono, e lo mettono in cestelli aperti nelle stesse zampe. In fondo al calice dei fiori succhiano una goccia dolcissima, il nettare, che inghiottono in una specie di stomaco detto mielario.
Giunte all’alveare rimettono il nettare, diventato miele, in ogni favo: sarà il nutrimento dei piccoli appena nati.
Intanto, altre api sono intente alla costruzione delle cellette di cera per il miele, altre hanno cura delle uova deposte dall’ape regina e sorvegliano che nessun estraneo venga a turbare la loro operosità.
Il maschio dell’ape si chiama fuco. In un alveare possono esservi anche quarantamila api operaie che vivono pochi mesi. L’ape regina mangia la pappa reale, depone le uova a milioni e vive quasi sei anni.
Questi insetti lavorano per tutta la buona stagione a produrre miele: da ogni arnia se ne possono ricavare 20 – 30 chili. I fiori offrono polline e nettare; le api contraccambiano il dono portando da una corolla all’altra un po’ di polline, indispensabile perchè, dai fiori, nascano i frutti.

Gli abitanti dell’alveare

L’ape operaia è piccola, di colore rosso bruno. Le sue zampe sono fornite di due palette ricurve, e di spazzole. L’apparato boccale è piuttosto complicato: vi sono due forti mandibole, per afferrare il materiale, e una proboscide che l’ape introduce nell’interno dei fiori. Inoltre, nell’ultima parte dell’addome, le api operaie hanno ghiandole che secernono la cera, e un acuto pungiglione, che esse estraggono solo in momento di pericolo.
I maschi, detti anche fuchi, sono più lunghi delle operaie, hanno ali che ricoprono tutto l’addome, e sono privi di palette e di pungiglione.
La regina è più grossa delle operaie, ma più piccola del fuco; le sue ali le ricoprono solo metà del corpo, e manca anch’essa di palette e di pungiglione.

Che cosa fanno

Alla regina è affidato il compito della deposizione delle uova. Ogni giorno ne depone più di trecento e durante tutta la sua vita più di mezzo milione.
Le operaie attendono infaticabilmente alla costruzione dei favi contenente le cellette, alla pulizia dell’alveare, alla raccolta del nettare che esse trasformano nel prezioso miele destinato, insieme con il polline, al nutrimento delle larve e della regina.
Quanto ai maschi, il compito loro assegnato è di unirsi con la regina, e ciò avviene una sola volta, nel volo nuziale.
Al ritorno dal volo la regina inizia la deposizione delle uova, mentre i maschi, non sapendo raccogliere ne il polline ne il polline, vengono considerati bocche inutili ed espulsi dalla comunità o addirittura spietatamente uccisi dalle operaie.

Ecco un’ape operaia di ritorno dal suo lungo viaggio di fiore in fiore: è primavera, ed essa è stata la prima ad uscire dall’alveare. Quest’ape è stata inviata in ricognizione dal grosso ed industrioso esercito di cui fa parte. Quando le compagne vedranno il carico di polline che essa reca con sè, imprigionato fra i lunghi peli dei cestelli, sulle due zampe posteriori, si affretteranno ad uscire: è venuto il momento di mettersi assiduamente al lavoro!

Un’ape su una rosa

In un cespuglio di rose, su una splendida rosa bianca, si posa un’ape, e vi rimane per parecchio tempo. Se la guardassimo bene, meglio se con una lente, vedremmo che l’ape ha allungato la sua proboscide tra i petali, la stende, la raccorcia, la ravvolge, la piega continuamente. Essa succhia dal cuore della rosa il polline, e lo posa sulla spazzola: da qui lo balza sulle palette e quindi, con l’aiuto delle tenaglie lo depone in un condotto, dal quale il succo passa nello stomaco. Ecco il primo stadio per la fabbricazione del miele.

Il miele nei favi

Il polline, passato per mezzo delle spazzole nelle palette delle zampe posteriori, viene introdotto nello stomaco dell’ape,  nella cosiddetta “borsa melaria”, dove il polline, al contatto coi succhi dell’ape, si muta in miele. All0ra l’ape piena di miele entra nell’alveare, rigurgita il miele dallo stomaco e con le zampe mediane lo spinge in una cella; un’altra ape lo comprime ben bene col capo, e, quando la cella è piena, viene chiusa con la cera.
Ma altre celle vengono lasciate vuote, perchè la regina vi depositerà le uova.

L’attività febbrile di un alveare

Nell’alveare si lavora, non c’è che dire. Api giungono dai campi, cariche di provviste, altre vanno a prenderne a loro volta: sono le predatrici. Ci sono le spazzine, che tengono pulitissime le celle da ogni elemento estraneo; le… becchine, che portano fuori i cadaveri; le guerriere, che lottano contro gli stranieri che vorrebbero invadere l’alveare; le sentinelle, che fanno buona guardia ed osservano attentamente le api prima di lasciarle entrare… Ognuna ha il suo posto, il suo incarico, il suo lavoro. E la regina? Quella non ha che un solo compito: fare le uova. Ha una vera guardia del corpo di operaie, che la spazzolano, la leccano, le presentano il miele con la loro proboscide, le risparmiano ogni fatica. Bisogna dire che in ogni arnia vi è una sola regina, mentre le operaie sono dalle quattro alle ventimila.

Le balie

Alle operaie più vecchie è affidato l’alto onore di custodire le uova e allevare le larve che ne usciranno. Infatti, appena la piccola larva si è schiusa dal guscio, ecco la sua balia pronta col cibo: miele e polline semidigeriti… Questo è il cibo destinato alle larve di operaie e di maschi; ma le larve di regina hanno un trattamento speciale. Vengono nutrite con la pappa reale, che è assai più densa e zuccherata del cibo apprestato alle altre larve, e ha il potere di aiutare la formazione e lo sviluppo delle uova. In cinque giorni, le larve diventano ninfe, che è lo stato di passaggio dalla larva all’insetto. Allora le balie chiudono le celle perchè le ninfe non mangiano; dopo sette giorni la ninfa depone le vecchie spoglie di larva e diventa insetto. Naturalmente, le giovani api vengono ancora aiutate dalle loro balie; crescono rapidamente e cominciano subito a lavorare.

Quanto vivono le api?

Le operaie, che hanno la vita più laboriosa, vivono meno: cinque o sei settimane in tutto. Solo quelle nate in autunno arrivano alla primavera successiva, e passano l’inverno ben chiuse nell’alveare, nutrendosi del miele conservato nelle cellette. La regina invece vive anche quattro o cinque anni. I maschi vivono al massimo tre mesi.

La sciamatura

Spesso, agli inizi della primavera, le nascite si nuove api sono sin troppo numerose ed accade che in un’arnia si trovino tre o quattro volte più api di quanto essa possa contenerne. Le api vi si trovano a disagio. Se fra i nati si trova una nuova ape regina, avviene allora la sciamatura. La vecchia ape regina,a capo di un numeroso gruppo di api, abbandona la vecchia casa. Il nuovo sciame va, di solito, a stabilirsi a poca distanza dall’arnia in cui viveva. L’ape regina si posa sul ramo di un albero e tutte le operaie si aggrappano a lei formando un grosso grappolo vivente.
Nei giorni seguenti le “api esploratrici” andranno in cerca di un luogo opportuno ove poter costruire i nuovi favi, ma prima che ciò avvenga, l’apicoltore cattura il nuovo sciame e provvede egli stesso a fornirgli una nuova casetta.

Insetti molto simili alle api: le vespe

Le vespe si distinguono dalle api perchè quando stanno a riposo ripiegano le ali superiori, che sembrano così strettissime, a differenza delle api che le tengono sempre larghe; inoltre le vespe hanno il corpo molto allungato.
Anche le vespe hanno femmine, maschi e operaie.
I loro nidi sono un’opera perfetta di costruzione, di ordine, di pulizia: hanno forma ovale o sferica e sono muniti di una porta di ingresso e di una porta di uscita; generalmente sono formati da quindici o sedici favi, distribuiti in piani.
L’aculeo delle vespe ha, alla base, una borsetta piena di veleno. Questa è la ragione per cui la puntura di vespa può essere pericolosa.
Quando viene l’inverno, tutte le vespe muoiono, ad eccezione di alcune femmine più forti.

Come costruiscono il loro nido le vespe?

Il nido delle vespe comuni è di materia grigia, durissima, che sembra un grosso cartone. Come è ottenuto questo cartone? Le vespe, con le forti mandibole, tagliuzzano dei vegetali e, lavorandoli con la saliva, ottengono un impasto duro e resistentissimo, simile appunto al cartone.

Di cosa si nutrono le vespe?

Le vespe sono ghiotte di miele e di materie zuccherine, ma si cibano anche di frutta, di carne cruda, e perfino di piccoli insetti vivi che incontrano nei loro voli.

Le api

Il sole ha fatto uscire dalle loro casette di legno le api. Il loro ronzio risuona nel silenzio della campagna. Sempre in movimento, volano di corolla in corolla per tornare all’alveare cariche di nettare. Nessuna ozia: se potessimo entrare nella loro casina, vedremmo che ognuna di esse ha un proprio compito, un lavoro che compie diligentemente: costruiscono cellette, tengono pulito ogni piccolo spazio, nutrono le larve e la grande regina e… funzionano da ventilatori per mantenere all’interno sempre la stessa temperatura.

Uno sciame d’api

Che è questa musica, che sembra sgorgare, grave, dal cuore del ciliegio, come da un violoncello magico, e gli vibra intorno, senza uscire dalla cerchia dei rami in fiore?
E’ uno sciame d’api. Da dove vengono? Forse dagli alveari che sono nell’orto del curato, poco discosto da qui. Le ha chiamate odore di cibo dolce, odor d’aprile. Svolano, ronzano intorno ai fiori, vi si attaccano, ne cercano e ne estraggono il nettare, splendendo si e non nel vibratile corsaletto d’oro e d’ambra. Le une fanno ciò che fanno le altre: un’unica intesa le guida, le rende strumenti di perfetta orchestra. (A. Negri)

Bestioline operose

Dentro alle arnie lavorano le api. Vivono in grande armonia fra loro. Le api operaie sono sempre all’opera: chi va in cerca del dolce succo nei fiori, chi resta a casa a costruire i favi. Chi fa pulizia, chi prepara il cibo ai piccini e alla regina, chi scalda le covate e chi porta via i morti.  Soltanto l’ape regina, che è più grossa delle altre, vive da… regina! E non fa nulla? Depone migliaia di uova…
Dagli alveari si ricavano due sostanze utilissime: miele e cera. (G. Lipparini)

L’alveare

Un alveare è come una città. Una città di gente molto laboriosa. Ogni cittadino ha un compito.
C’è la regina che depone le uova ed  è la madre di tutte le api. Ci sono i fuchi e le operaie. A queste ultime spetta il compito di andare nei campi a raccogliere le provviste. Altre devono costruire le case, le celle. Altre ancora sono incaricate di accudire alle api bambine.
Le operaie, per strumenti di lavoro, hanno le spazzole e il cestello. Per fare la raccolta penetrano nei fiori, si coprono di polline e succhiano il nettare, il succo zuccherino che è nel calice. (M. Di Filippo)

Le api si fabbricano l’alveare

L’alveare è formato da celle a forma di prisma esagonale, dette favi, e formate con la cera secreta da ghiandole dell’addome. Ma come hanno fatto a costruire una casa così perfetta e regolare? Le api provviste di miele si allacciano tra loro per mezzo delle zampe posteriori e anteriori, e formano così lunghe catene, disposte a festoni. In tale posizione, le api segregano facilmente la cera, che si consolida in scagliette che esse, con le mandibole, trasportano per farne le cellette: più piccole per le operaie; più grandi per i maschi; più grande di tutte, a forma di ghianda, è la cella della regina.
Ogni cella viene chiusa poi con un coperchietto di cera, sia che debba servire da deposito di miele o alla custodia per le larve. Gli eventuali buchi o fessure che risultassero nell’arnia, vengono chiusi con propoli, sostanza vegetale, che si solidifica e forma una specie di cemento. Qualche volta capita che una limaccia o una chiocchiola riesca a penetrare nell’alveare. Le api, furibonde, le sono addosso: con forti punzecchiature al capo la uccidono.
Per la chiocchiola, basta otturare con propoli il buco del guscio. La limaccia, che non ha guscio, si corromperebbe, infestando così l’aria dell’alveare. Ma le industriose operaie trovano subito il rimedio. La limaccia è troppo grossa per portarla fuori: esse allora le fanno una vera imbalsamatura, coprendola con propoli, in modo che  è tolto ogni pericolo che l’aria diventi infetta e possa nuocere alla vita dei pacifici insetti.

Il favo

Il favo è una costruzione a celle che le api operaie preparano per ospitare le uova che la regina depone e per custodire il miele. E’ interamente fatto di cera. Per costruire il favo le giovani api che eseguono questo lavoro iniziano la costruzione dall’alto, fissando le prime squamette di cera al soffitto dell’arnia; in questo modo esse sono certe che la costruzione riuscirà ben verticale.
Una di esse prende con le zampe posteriori la cera che le trasuda dall’addome, la porta alla bocca, la impasta e la attacca ad un punto del soffitto. Un’altra ape compie lo stesso lavoro e pone la sua pallottolina di cera vicino a quella fissata dalla prima compagna. Una terza la segue e così di seguito, col lavoro di migliaia di api, si viene formando il favo. Il meraviglioso è che la costruzione, eseguita da un numero così grande di lavoratori, ognuno dei quali non fa altro che avvicinarsi all’opera, collocare il proprio “mattoncino” ed andarsene, riesca tanto perfetta ed esattamente calcolata in tutte le sue parti. I matematici hanno accertato che non sarebbe possibile costruire un edificio altrettanto solido, con maggior spazio disponibile per le covate e per la conservazione del miele, consumando una minor quantità di cera.
Infatti un famoso entomologo francese, Antonio Ferchault di Réamur, formulò un problema rimasto famoso sotto il nome di “Problema delle api”; esso diceva:
“una cella a sezione esagonale regolare è terminata da tre rombi uguali ed ugualmente inclinati; calcolare l’ampiezza dell’angolo minore dei rombi perchè la superficie totale della cella sia la minor possibile”.
Tre grandi matematici, un tedesco, uno svizzero e un inglese, si cimentarono nella soluzione del quesito ed il risultato fu 70° 32′, esattamente la misura che le ingegnosissime api applicano nella costruzione delle loro celle!
L’uomo più sapiente non potrebbe suggerire nessuna modifica o miglioria alle api, nella costruzione della loro casa.
Accade che le api inizino la costruzione di un favo in più punti del soffitto di un’arnia. Si formano così due o tre favetti che poi, progredendo il lavoro, si saldano fra loro. Ebbene, le celle dei punti di congiunzione risultano anch’esse perfettamente esagonali ed uguali alle altre; ciò significa che le api non hanno scelto a caso i vari punti di inizio del lavoro, ma hanno minuziosamente calcolato le distanze, prevedendo fin dall’inizio  i punti di incontro, nel vuoto, dei vari favetti.
Come le api eseguano questi calcoli è un mistero.

Il bottino

Le api hanno bisogno di tre tipi di nutrimento: il polline, il nettare e l’acqua.
Il polline è il nutrimento di cui l’ape ha bisogno nei primi giorni della sua vita, quando è allo stato di larva.
L’ape bottinatrice non mescola mai, durante il raccolto, qualità diverse di polline nelle cestelle delle sue zampe; fino a quando esse non sono colme, l’ape visita sempre la stessa specie di fiori. Ciò è di grande importanza per i fiori che, per la loro impollinazione, si servono dell’opera delle api.
Il polline raccolto dalle bottinatrici viene sistemato dalle giovani api che svolgono il servizio interno in celle vicine a quelle occupate dalle larve, pronto per essere distribuito.
Il nettare è il nutrimento dell’ape adulta e, trasformato in miele, diviene un cibo di riserva. Tenendolo nell’ingluvie o borsa melaria, l’ape lo trasporta nell’arnia. Già durante questa breve permanenza nel corpo dell’ape, il nettare comincia a trasformarsi in miele.
Giunta all’arnia, l’ape verse il nettare nell’ingluvie delle giovani api, le quali provvedono a raccoglierlo in celle che vengono sigillate con cura.  Stagionandosi, il nettare dei fiori si trasforma definitivamente in miele; allora le api vi inoculano una piccola quantità del loro veleno, il quale ha la proprietà di renderlo inalterabile anche col trascorrere di lunghissimo tempo.
Un’ape può trasportare in media, in un volo, 50 mg di nettare. Calcolando la lunghezza media di un volo in 2 km e mezzo, si ha che per raccogliere un chilo di miele occorrono circa 40.000 voli, per un totale di 100.000 km. Eppure un buon alveare nel periodo della più intensa fioritura può ammassare, in un sol giorno, anche 10 kg di nettare.
Anche l’acqua è un alimento indispensabile all’alveare, soprattutto per preparare la pappa per le larve; anch’essa viene raccolta dalle bottinatrici e trasportata all’arnia nelle loro ingluvie. Le bottinatrici, divise in gruppi, si occupano di tutte queste raccolte; le giovani api, adibite ai lavori interni, le avvertono di volta in volta, se al momento occorra più polline, o nettare, o acqua; ma gli entomologi non sono ancora riusciti a scoprire come vengono trasmesse queste comunicazioni.

Il naso delle api

Le api impediscono agli estranei l’accesso nei loro nidi e non solo ai predoni, ma anche alle api di altri alveari. Si suppone che si riconoscano grazie all’olfatto. Sembra ormai accertato che ogni alveare possieda un odore speciale, per mezzo del quale le api dello stesso nido riescono a riconoscersi. Se un’ape sperduta cerca di penetrare in un alveare forestiero, essa viene subito accolta ostilmente e, se non si allontana, viene trafitta dal pungiglione delle legittime proprietarie di nido. Qualche volta succede che un’ape, di ritorno da un abbondante raccolto, col gozzo pieno di nettare, sbaglia casa e viene assalita dalle altre api. Allora sporge la proboscide e lascia gocciolare il dolce succo, che viene avidamente leccato dalle padrone del nido le quali, dopo questa specie di pedaggio, lasciano libero l’ingresso alla forestiera.
L’esistenza e l’importanza di un odore tipico delle api di uno stesso alveare vengono inoltre dimostrate dalle osservazioni che si sono fatte al tempo della sciamatura.
Quando uno sciame abbandona l’alveare, si dà quasi sempre il caso che esso si aggrappi e resti appeso su quel ramo sul quale uno sciame dello stesso alveare si era precedentemente collocato e dove l’apicoltore lo aveva raccolto.
Si è potuto provare che nemmeno una pioggia abbondante riesca ad allontanare quell’odore caratteristico.
Dov’è situato il naso delle api? O meglio, dove risiedono gli organi dell’olfatto? Possiamo dirlo con tutta sicurezza: sulle zampe. E nelle zampe si trovano pure le orecchie, o, meglio, l’apparato uditivo. (A. Canestrini)

Lo sciame

Ecco la prima tappa dello sciame, detta “sciame primario”, alla testa del quale si trova sempre la vecchia regina. Si ferma, d’ordinario, sull’albero o arbusto più vicino all’arniaio, giacchè la regina, appesantita dalle uova e non avendo riveduto la luce fin dal suo volo nuziale o dallo sciamaggio dell’anno precedente, esita ancora a slanciarsi nello spazio, e sembra aver dimenticato l’uso delle ali.
L’apicoltore aspetta che la massa delle api si sia ben agglomerata. Poi, coperto il capo d’un largo cappello di paglia, (giacchè l’ape più inoffensiva mette fuori inevitabilmente il pungiglione quando si impiglia nei capelli o si prede presa in trappola), senza maschera e senza velo, se ha esperienza, dopo aver immerso nell’acqua fredda le braccia nude fino al gomito, raccoglie lo sciame scuotendo vigorosamente al disopra di un’arnia capovolta il ramo che lo porta; e allora il grappolo vi cade pesantemente come un frutto maturo.
Ovvero, se il ramo è troppo forte, con un cucchiaio attinge dal mucchio colme cucchiaiate viventi e le sparge ove gli piace, come farebbe del grano. Nè deve temere le api che gli ronzano attorno e gli coprono in folla le mani e il viso: egli ascolta il loro canto di ebbrezza, che non somiglia al loro canto di collera. E nessun timore che lo sciame si divida, si irriti, si dissipi o scappi. L’ho detto: quel giorno le misteriose operaie hanno un’aria così festosa e fidente, che nulla potrebbe alterare; sono inoffensive per troppa felicità, sono felici senza che si sappia perchè: eseguono la legge.
Lo sciame resterà dov’è caduta la regina; e, fosse pure caduta sola nell’alveare, appena avvertita la sua presenza, tutte le api, in lunghe file nere, dirigeranno i loro passi verso la dimora materna. E mentre la più parte vi penetra in fretta, una moltitudine di altre, arrestandosi un istante sulla soglia delle porte sconosciute, vi formeranno circoli d’allegrezza solenne, con i quali usano salutare gli avvenimenti felici. Esse “battono a raccolta”, dicono i contadini. In un batter d’occhio, il ricovero che non speravano è accettato ed esplorato nei minimi nascondigli; la sua posizione nell’arniaio, la sua forma, il suo colore sono raffigurati e iscritti in migliaia di piccole memorie prudenti e fedeli. I punti di riferimento dei dintorni sono attentamente notati; la nuova città esiste già tutta intera in fondo alla loro immaginazione coraggiosa, e il suo posto è fissato nel cervello e nel cuore di tutti i suoi abitanti: s’ode riecheggiare nei suoi muri l’inno d’amore della presenza reale; e il lavoro comincia. (da M. Maeterlinck, La vita delle api).

Il linguaggio delle api

Le api hanno possibilità di comunicare fra di loro per informarsi l’un l’altra sulla località in cui si trova il cibo o sull’imminenza di un pericolo. Possiedono un linguaggio che si esprime attraverso figure tracciate col volo.

I nemici delle api

Molti sono i nemici delle api; e, nonostante tutta la loro attenzione e la loro perspicacia, a volte le api restano ingannate.
C’è, per esempio, la farfalla detta “testa di morto” che sa entrare nell’alveare simulando il ronzio dell’ape regina e ingannando così le sentinelle che stanno alla porta. Per premunirsi contro le incursioni di questo loro nemico, le api costruiscono un muro interno contro la porta, in modo che possono entrare le api, ma non gli insetti più grossi.
Se alla porta si presenta un’ape di un altro alveare, viene uccisa o cacciata, a meno che non porti miele, nel qual caso viene ben accolta.
A volte è una grossa chiocciola che entra tranquilla, sfidando i pungiglioni. Allora le api, che non ce la vogliono viva, la murano dentro il suo guscio, con un bel coperchio di cera, che lo tappa ermeticamente; così la chiocciola muore, se non è morta prima a forza di punture…
Se per caso il guscio della chiocciola è screpolato, lo rivestono tutto di cera affinchè nessuna cattiva esalazione venga dal cadavere chiuso nel nicchio.

Le api e il contadino (racconto)

Un contadino scozzese aveva una bella fattoria. In essa allevava cavalli, mucche, pecore, galline, conigli d’ogni sorta ed anche api. Perdeva veramente molte ore davanti alle arnie, però, in compenso, si poteva vantare di ottenere il miele più buono di tutto il vicinato, e moltissima cera.
Un giorno poi le api gli resero un gran servigio.
Egli stava presso gli alveari; con la vanga rimuoveva la terra nella quale avrebbe poi deposti semi da fiori; le api laboriose ronzavano; lavorava il contadino, lavoravano tranquille anch’esse; nessuna poi avrebbe mai cercato di pungere il padrone. Ma ecco che questi, rialzando il capo dalla vanga, si vide davanti tre sconosciuti armati di coltello che gli gridavano con voce minacciosa di consegnare tutto quanto aveva con sè.
Il contadino era un uomo forte e calmo. Si portò qualche passo indietro, davanti alle arnie: “Ho poco denaro con me” disse, “a signori come voi, vorrei consegnare qualcosetta di più…”
“Poche chiacchiere”
“E’ giusto, poche chiacchiere… e fuori i denari…” fece il contadino e, con la vanga, con mossa rapida, rovesciò di colpo una dozzina di  arnie.
Gli sciami, disturbati e inferociti, si levarono come una nube e si precipitarono non certo sul contadino, ma su quei tre figuri a cui non restò che darsela a gambe. Le api li inseguirono e dove poterono arrivare con i loro pungiglioni, si piantarono terribili.
Rossi, sfigurati, confusi; con mani, facce, colli gonfi e doloranti, i tre sciagurati non si poterono nascondere. La polizia li rintracciò facilmente, li fece medicare per bene, poi li passò dall’ospedale alla prigione che avevano meritata.
Il contadino riordinò le arnie con pazienza; ne ebbe più cura di prima. Ma si comprò anche un buon cane da guardia.

Dettati ortografici LE API E LE VESPE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

GLI ANIMALI DEL PRATO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici PRIMAVERA – Gli animali del prato. Una collezione di dettati ortografici sul tema “gli animali del prato e la primavera”, di autori vari, per la scuola primaria.

I cantori del prato
Non sono gli uccelli che preferiscono le verdi chiome degli alberi, ma le cavallette, i grilli. Quanto alle cicale, esse vivono un po’ sull’albero, un po’… sotto. Cavallette e grilli cantano preferibilmente di notte, le cicale alla luce solare. Ma è un canto per modo di dire, perchè la loro voce non è altro che la vibrazione di un organo speciale e non ha nulla a che fare con il canto.

Le cicale

Cominciano agli ultimi di giugno, nelle splendide mattinate; cominciano ad accordare in lirica monotonia le voci argute e squillanti. Prima una, due, tre, quattro, da altrettanti alberi; poi dieci, venti, cento, mille, non si sa di dove, pazze di sole; poi tutto un gran coro che aumenta d’intonazione e di intensità col calore e col luglio, e canta, canta, canta, sui capi, d’attorno, ai piedi dei mietitori. Finisce la mietitura, ma non il coro. Nelle fiere solitudini sul solleone, pare che tutta la pianura canti, e tutti i monti cantino, e tutti i boschi cantino…
(G. Carducci)

Animali del prato
Se guardiamo fra le erbe del prato, che brulichio di insetti, che viavai d’animaletti frettolosi, affaccendati, impauriti! Formiche, vespe, calabroni, farfalle e, nei buchi del terreno, i grilli canterini che fanno compagnia ai lombrichi aratori!

Il grillo
E’ l’ora in cui stanco di vagare l’insetto nero torna dalla passeggiata e rimedia con cura al disordine della sua tana. Dapprima rastrella i suoi stretti viali di sabbia. Poi fa un po’ di segatura che sparge sulla soglia del suo rifugio. Lima la radice di quella grande erba che gli dà fastidio. Si riposa. Poi carica il suo orologino. Ha finito? O l’orologio si è rotto? Di nuovo si riposa un po’. Rientra in casa e chiude la porta. A lungo gira la chiave nella delicata serratura. Sta in ascolto. Fuori, nessun allarme. Ma lui non si sente sicuro. E come una lunga catenella, la cui carrucola stride, scende in fondo alla terra.  Non si sente più nulla. Nella campagna muta, i pioppi si drizzano come dita nell’aria e indicano la luna.
(J. Renard)

Il maggiolino
Che disastro quando un bosco è invaso da questi formidabili distruttori! Non resta nemmeno una foglia, nemmeno una gemma. Tutto è sparito dentro il vorace stomaco di questi animaletti… ma per fortuna il maggiolino ha dei nemici: se si lascia ingannare dal sole invernale, sale sulla superficie, e qui il gelo sopravvenuto lo uccide. Se il contadino ara o zappa il terreno, mette allo scoperto le grosse larve bianchicce e allora che festa per le cornacchie, gli storni, le galline e tutti i pennuti che vanno a caccia di insetti!

Libellule, cicale, cavallette
Molte specie d’insetti infestano le nostre campagne. Alcuni, come la libellula, ci sono indirettamente utili perchè si cibano delle larve degli altri insetti. Altri, come la cicala, il grillo e la cavalletta, sono i gentili cantori dei prati. La cicala produce il suo stridulo canto mediante uno speciale apparato costituito da un insieme di membrane che, contraendosi e vibrando, producono la caratteristica risonanza. La cavalletta, quando è riunita in sciami numerosi, può produrre incalcolabili danni alla vegetazione.

Il maggiolino

E’ un insetto dal formidabile apparato masticatorio e dalle ali anteriori rigide, dure, le quali coprono quelle posteriori, membranose. Sotto le ali è nascosto il corpo dell’insetto: parte del torace e l’addome.
I maggiolini adulti fanno la loro apparizione in maggio: donde il nome. Appena la femmina ha posto le uova in un buco del terreno, muore. Qualche settimana dopo, dall’uovo si schiude una larva senza ali, fornita di sei zampe, la quale comincia a scavare lunghe gallerie sotterranee, nutrendosi delle radici che incontra. Si nutre e ingrossa notevolmente, per un periodo di tre anni. Allora la larva si nasconde in fondo ad una galleria e diventa ninfa.
Nel mese di settembre, la ninfa diventa insetto adulto. Ma ormai si avvicina l’inverno, e il giovane maggiolino rimane ancora sotto terra, fino alla primavera seguente. A primavera, i maggiolini assaltano gli alberi e divorano tutte le gemme, le foglie, gli arbusti teneri. Per fortuna, questa invasione avviene solo ogni tre o quattro anni, altrimenti poveri alberi!

La cavalletta

Il prato è una festa di colori. Le farfalle si posano con grazia sui fiori. Le cavallette invece non conoscono la cortesia. Prendono le misure e poi spiccano i loro grandi salti.
Guardiamo le tre parti del corpo della cavalletta. La testa ha due lunghe e sottili antenne e due occhi che guardano con fissità.
La cavalletta mangia foglie, steli e insetti tagliandoli con organi che assomigliano a una pinza. Il torace della cavalletta è sostenuto da due zampe.
Le due ali anteriori sono abbastanza dure e resistenti. Le due ali posteriori sono sottili e trasparenti. Quando una cavalletta è in volo, tutte e quattro le sue belle ali sono spiegate come le vele di un’antica nave, ma soltanto le ali posteriori si muovono e fanno da motorino.
L’addome non ha nè ali nè zampe: è formato da tanti anelli. La cavalletta non ha uno scheletro, ma il suo corpo è ugualmente protetto dalla pelle, che lo difende come una corazza.
La cavalletta respira con l’addome, ai cui lati si aprono alcuni forellini.
Le cavallette dell’Italia del Nord sono in piccolo numero e poco adatte al volo; nell’Italia insulare e nell’Africa si formano immensi sciami, che percorrono in volo centinaia di chilometri. Dove si posa questa nuvola di cavallette, ogni raccolto è divorato, distrutto.

Il grillo campestre

Al canto delle cicale si unisce, in campagna, e continua anche nelle serene notti d’estate, il canto del grillo.
Dapprima è un grillo solo, che lancia nell’aria la sua nota vibrante: cri, cri, cri… Poi un altro lo imita, poi un altro ancora: in breve, tutta l’orchestra è in azione,e la sinfonia si alza nel cielo.
Il grillo depone le sue uova, gialle, cilindriche, in un nido che è una meraviglia di meccanica. Immaginate un piccolo astuccio, aperto in alto da un foro circolare che funziona da coperchio. Quando il grillino si è formato, dà un colpo con la testa al coperchio, che si apre di scatto, come in certe scatole dalle quali, premendo una molla, scatta fuori il diavoletto. L’uovo rimane col coperchio appeso all’imboccatura. Il grillo cerca un rifugio sotto terra, dove passa l’inverno. Sotto terra è di colore pallido; e lavora attivamente, con la mandibola e con calci, e si fa strada nel terreno. Finalmente ne esce, e allora diventa di colore scuro. Corre intorno rapidamente, in cerca di cibo. E’ piccolo come una pulce, e le formiche ne fanno grande strage. In agosto è tutto bruno, e si è fatto un po’ più grandicello. Vive al riparo di una foglia morta, si scava la tana: zappa con le zampe anteriori, e con le posteriori spinge indietro il materiale. Entra nella terra, e ogni tanto torna fuori, a buttar via i detriti. Quando è stanco, si ferma sulla soglia della sua piccola tana, tenendo fuori la testa, le cui antenne vibrano continuamente.

La musica del prato

Esseri mostruosi dotati delle armi più potenti, più strane, più complicate; armati di veleni, di gas, di radar, di antenne; esseri mostruosi per la loro forza si aggirano in una intricata foresta dove è sempre in agguato la morte: questo è il prato. Eppure, tra tante lotte, c’è chi canta: il grillo. Come suona? Le due elitre (ossia le due ali anteriori) posseggono una nervatura marginale, rafforzata e dentata che rappresenta l’archetto, seguita da un’altra parte detta cantino. L’archetto dell’ala destra sfrega contro il cantino dell’ala sinistra e viceversa. Ne risulta quel dolce cri cri metallico.
Dove c’è musica, ci sono orecchie pronte ad ascoltarla: i grilli hanno le orecchie sulle zampe anteriori, come le locuste, così come gli altri animali le hanno nei punti più alti del loro corpo.

Cantano i grilli

Cantano cantano i grilli! La loro voce si spande per la campagna come un inno di gioia e dai rami rispondono gli uccelli. Il sole benefico ha maturato le messi; i campi di grano sono biondi come l’oro. Presto le spighe verranno recise e raccolte in covoni. Un bel giorno arriverà sui campi la trebbiatrice, la macchina miracolosa che separa i chicchi dalla pula e dalla paglia. Allora al canto dei grilli si unirà l’inno gioioso degli uomini.
(A. Stalli)

L’utile coccinella

La coccinella comune, riconoscibilissima per avere il corpo di forma quasi emisferica e le elitre di un bel colore rosso vivo con sette puntini neri, è uno degli insetti più utili all’agricoltura, in quanto, allo stato di larva, distrugge enormi quantità di parassiti delle piante coltivate, specialmente di afidi, noti più comunemente col nome di pidocchi delle piante.

Lucciola

E’ sera: brillano in cielo le stelle, ma anche sulla terra brillano ad intervallo qua e là delle piccole luci tremolanti: sono le lucciole, minuscole lampade viventi. Come tali insetti producono questa luce?
Essa viene emessa da due organi luminosi piatti che si trovano nell’addome e che appaiono come macchie bianche. Le lucciole accendono e spengono a piacimento il loro lumino. Se ne stanno nascoste fra i cespugli che appaiono illuminati da una luce tenue: non appena però avvertono un pericolo smorzano il lume: ecco perchè quando qualcuno le cattura esse non emanano più luce.
Sverna riparata sotto le pietre, fra le radici degli alberi o fra foglie secche.

Il ragno
Un bimbo, mentre passava vicino a una siepe, ruppe con la sua frusta una grossa tela di ragno. “Bravo!” – disse subito il ragno con una voce stizzita – “Ti vorrei vedere, però, a rifare questa tela!”. Il ragno aveva ragione: è più facile disfare che fare.
(G. Fanciulli)

Le lucertole
Serbiamo il nostro rispetto anche alle lucertole, che, come tanti animali, sono le cacciatrici d’insetti, quindi di aiuto all’uomo. Chi non conosce la lucertola grigia, delle muraglie assolate? Spia le mosche, rovista da un buco all’altro per afferrare ogni insetto che passi. E’ la protettrice delle siepi e delle piante rampicanti. La vediamo distendersi al sole, immobile, ma al minimo rumore sparire, tornare, ripiegarsi su se stessa, infilarsi rapida in un crepaccio.
(E. Fabre)

Animali del prato

Nel prato volteggiano le farfalle: farfalle bianche, variamente colorate, leggiadre, ma tutte indistintamente dannose. Sono utili solo indirettamente per l’impollinazione dei fiori.
La cavalletta, che deve questo nome alla forma della testa che assomiglia a quella del cavallo, e forse anche alla sua abilità nel fare i salti, può distruggere i raccolti in quelle zone dove si abbatte in foltissimi sciami. Osserviamo le sue zampe posteriori e ci renderemo conto del perchè può fare dei salti così alti. Anche gli altri animali saltatori (rana, canguro, coniglio, lepre) hanno le zampe posteriori molto più lunghe delle anteriori.
Il grillo dei prati, o grillo canterino, è nero con una macchia chiara sul dorso. Un suo cugino abita anche sotto le pietre dei caminetti, nei forni, nei granai. Il suo tremulo canto si leva nelle notti serene.
Amante del sole è invece la cicala, che stordisce col suo canto nelle calde giornate di agosto. Quello che canta è soltanto il maschio, mentre la femmina si limita a deporre le uova entro un foro che ha scavato, con uno speciale succhiello, nel tronco di un albero.
Dopo qualche tempo nascono le larve che scendono dall’albero e vanno a nascondersi nel terreno dove vivono qualche anno succhiando gli umori delle radici. Infine tornano sugli alberi dove, dalla pelle che si spacca, esce l’insetto perfetto.
Le voci di questi insetti hanno diverse denominazioni: zirlare, frinire, cantare, ma è singolare che non si tratta di voce nel senso proprio della parola. Essi posseggono un organo vibratorio, una specie di cassa armonica nel torace o nell’addome, con cui riescono a produrre quelle vibrazioni che comunemente chiamiamo canto.

Gli insetti

Gli insetti sono tutti fuori. Alcuni di essi hanno compiuto le loro metamorfosi e ora volano di fiore in fiore, per succhiarne la goccia di dolcissimo nettare, nascosta in fondo ad ogni calice. Sono farfalle, vespe, api, calabroni. E dappertutto si sente un ronzio sonoro che sembra la voce stessa della primavera.

Animali del prato

Quante minuscole vite si agitano fra le erbe del prato! Intere tribù di coleotteri bruni, verdi, con le elitere screziate o cangianti; cavallette dalle lunghissime zampe, coccinelle con il grazioso vestito rosso a puntini neri, bruchi che sbucano dalla terra, lenti e molli, grossi scarabei affaccendati a far pallottole e infine, interi eserciti di insetti quasi invisibili. Più in alto, altri insetti volano instancabilmente a visitare i fiori: farfalle bianche e colorate, api frettolose, vespe ronzanti e stizzose, bombici rumorosi. E ognuna di queste piccole vite, che forse noi distruggiamo con indifferenza, racchiude un miracolo di perfezione e di amore.

Animaletti

Le api, irrequiete e vivacissime, passavano dall’uno all’altro fiore facendo bottino di polline e di nettare; le vespe andavano tagliando, coi loro strumenti da falegname, il legno per fabbricare la loro casa; i neri calabroni rodevano le corolle per cavarne fuori i pistilli. Un mondo di piccoli coleotteri mangiava allegramente i petali; e ognuno di essi aveva scelto il suo fiore prediletto. Quanto brulichio, quanto movimento, quanta attività!
(P. Mantegazza)

Il maggiolino

Uno dei flagelli più temibili dell’agricoltura è il  maggiolino, piccolo grazioso insetto, che divora le foglie di molti alberi e specialmente degli olmi.  Negli anni in cui  i maggiolini sono poco numerosi, non si scorgono quasi i loro danni; ma se appaiono in più legioni sterminate, si vedono intere parti di giardino o di bosco del tutto spoglie di verde e che, nel cuore dell’estate, offrono aspetti di un paesaggio invernale.
Di solito gli alberi così devastati non muoiono: a stento però riprendono l’antico vigore e quelli dei frutteti non danno frutti per un anno o due.
(L. Figuier)

La larva del maggiolino

E’ un grosso verme panciuto, dall’andatura pesante, di colore bianco con la testa giallastra. Le sei zampe gli servono, non già per correre alla superficie del suolo ma per strisciare sotto terra. Le forti mandibole sono adattissime a trinciare le radici delle piante. La sua testa, onde scavare con maggior vigore, ha per cranio una calotta di corno. L’alimento che appare in nero, attraverso la pelle del ventre, lo appesantisce tanto che non può stare sulle gambe e si corica indolentemente sul fianco.
(H. Fabre)

La cavalletta

Che sia il carabiniere degli insetti? Tutto il giorno salta e si accanisce sulle tracce di altri insetti che non riesce mai a prendere… Le erbe più alte non la fermano. Nulla la spaventa, perchè ha gli stivali delle sette leghe, il collo del toro, la fronte geniale, le ali di celluloide, due corna diaboliche…
Ma a sera… a sera caccia per davvero: fa il suo pasto più prelibato. Povere lucciole! Col loro lumino si tradiscono e si fanno prendere e sventrare.

La libellula

Tra canne e salici, che circondano lo specchio d’acqua scintillante al sole, s’affaccendano in agile volo grosse libellule: volteggiano al disopra dell’acqua e si posano sulle punte delle canne e dei giunchi, mettendo in mostra i loro esili capi azzurri o verdastri. Le libellule vivono esclusivamente di preda. Nel loro rapido volo, esse afferrano la vittima nell’aria, un piccolo insetto e cominciano subito ad addentarla.
(A. E. Brehm)

La mantide guerriera

Con le zampette anteriori sollevate come se stesse pregando, la bellicosa mantide resta a lungo immobile. Una cavalletta, ignara del pericolo, le si avvicina.  Fulminea, la mantide affonda i suoi pungiglioni acuminati nel corpo della vittima. La tiene stretta tra le sue zampette seghettate e la divora. Le mantidi nascono battagliere. Incominciano a bisticciare e a combattere tra di loro prima di mettere le ali.  Qualche volta esse combattono fino alla morte. Alla fine dell’estate, le femmine danzano la danza della morte davanti ai maschi. Poi piombano loro addosso e li uccidono.

La lucciola

Nella quieta oscurità della notte c’è un lumicino che s’alza, scende, vaga sul prato, scompare, riappare sulla siepe, s’allontana… Ora guizza sul ruscello, ora gira sull’aia; si direbbe una stellina vagabonda, venuta a danzare sul prato ove grilli e ranocchi hanno intonato il loro concerto notturno.
Invece non è che una luccioletta che esce a godersi il fresco della notte e si rischiara la via col suo lumicino.
(A. Buzio)

Insetti luminosi

Gli indigeni di alcune regioni dell’America tropicale hanno a loro disposizione un mezzo molto economico per illuminare la notte: si servono infatti di un insetto, il piroforo, che emette luce vivissima.
La sua luce è di due colori diversi: dal torace traspare un bel verde, mentre l’addome risplende di luce arancione.
Molto più modeste sono le lucciole europee, il cui bagliore biancastro, emesso dall’addome, serve solo a punteggiare i prati estivi come per una fantastica fiaccolata.

Lucciole

Nel nero della notte non si distingue più il campo di grano; ma, nel buio, come se caduto dal cielo rimasto deserto, ecco un vortice di piccole stelle inquiete. Le lucciole! A milioni palpitano sulla distesa delle messi addormentate. Vagano, alte e basse, si accendono  e si spingono fra i rami, piombano come gocciole d’oro tra l’erba muta. Lontano, dal bosco, i gorgheggi dell’usignolo, il canto dei ranocchi; nell’aria calda e quieta il profumo possente del fieno maggese; e giù per la strada invisibile, una voce di bimbo scoppia all’improvviso:
“Lucciole lucciole dove andate?
Tutte le porte sono serrate,
sono serrate a chiavistello
con la punta del coltello…”
Si commuove questa voce chiara della nostra infanzia, dei nostri cari giorni perduti:
“Lucciola, lucciola, vieni da me
io ti darò il pan del re,
il pan del re e della regina,
lucciola, lucciola piccolina…”.
(A. Soffici)

Libellule, cicale e cavallette

Molte specie di insetti infestano le nostre campagne. Alcuni, come la libellula, ci sono indirettamente utili perchè si cibano delle larve degli altri insetti. Altri, come la cicala, il grillo e la cavalletta, sono i cantori dei prati. La cicala produce il suo stridulo canto mediante uno speciale apparato costituito da un insieme di membrane che, contraendosi e vibrando, producono la caratteristica risonanza. La cavalletta, quando è riunita in sciami numerosi, può produrre incalcolabili danni alla vegetazione.
(M. Menicucci)

Le palline dello scarabeo

Lo scarabeo stercorario sembra che si diverta ad arrampicarsi su piccoli mucchietti di terra e poi ruzzolare giù. Questi scarabei sono anche tenaci lavoratori e hanno una gran cura delle loro uova. La madre e il padre ammucchiano dei pezzi di sterco fresco di pecora e, modellandoli con le loro zampette, ne fanno una pallottolina grassa come una pillola. Nel centro della palla la madre depone un uovo. Poi, camminando entrambi all’indietro, la fanno rotolare sul terreno, il padre spingendo e la madre tirando. Man mano che la palla rotola, la sabbia del terreno forma intorno ad essa una crosta dura. Allora la madre scava una buca, e i due scarabei vi fanno discendere la palla. Quando l’uovo si aprirà, l’insetto appena nato potrà nutrirsi con le provviste di cibo contenute nella palla. La madre e il padre possono così lasciarlo al sicuro e ricominciare a lavorare per un altro uovo.

Un nido sotterraneo

La femmina del grillotalpa si serve delle sue forti zampe anteriori per scavarsi una tana come fa la talpa. Essa depone le uova nel fondo della galleria e resta a sorvegliare finché i piccoli sono nati. Poi rimane a guardia dell’entrata del nido, pronta ad attaccare qualsiasi insetto nemico che tentasse di farvi irruzione.

Dettati ortografici PRIMAVERA – Gli animali del prato – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Gnometti sabbiolini TUTORIAL e RACCONTO

Gnometti sabbiolini TUTORIAL con cartamodello stampabile gratuitamente in formato pdf e RACCONTO. Il tutorial può essere utile anche per realizzare gli Gnomi della Matematica Waldorf (verde, rosso, giallo e blu).

L’omino del sonno
C’è un omino piccino piccino
che va in giro soltanto di sera
e cammina pianino pianino
con un sacco di polvere nera.
E’ l’omino inventor del dormire
che nel lungo serale cammino
senza farsi veder ne’ sentire
porta il sonno per ogni bambino.
Non si sa se sia bello o sia brutto
se sia vecchio più o meno del nonno
si sa solo che va dappertutto
e che lascia, passando, un gran sonno.
Quando stanchi si senton gli occhietti
è perché sta passando l’omino
ed è l’ora in cui tutti i bimbetti
fan la nanna nel loro lettino!
(J. Colombini Monti)

Materiale occorrente:

– tessuto (io ho usato la manica di una vecchia maglia)
– maglina per bambole
– lana bianca per imbottire e per barba e capelli
– ago, filo, forbici
– semi di lino e fiori di lavanda

Come si fa:
Riportate il cartamodello sul tessuto e tagliate:

(il cartamodello è questo):

Poi fate la prima cucitura così (a mano o con la macchina da cucire):

Sovrapponete così il dietro (quello che avete parzialmente cucito) al davanti e cucite; cucite anche il berretto:

Quindi rivoltate sul dritto:

Ora prepariamo la testina. Facciamo un nodo, poi usiamo i ciuffi che avanzano per formare una pallina, tipo gomitolo:

Rivestiamo la pallina con una falda di lana, chiudiamo sul collo, poi facciamo una legatura per dividere volto da cranio, e sul volto passiamo lungo la metà un filo, tiriamolo bene e fermiamo, per formare la linea degli occhi:

Arrotoliamo del filo intorno al collo:

Rivestiamo con la maglina e aggiungiamo una pallina per il naso:

Con un cucchiaino riempiamo il corpo dello gnomo di semi di lino e fiori di lavanda:

Quindi cuciamo intorno al collo, ricamiamo occhi e bocca, aggiungiamo barba e capelli, e se vogliamo un sacchettino di stoffa pieno di semini, e lo Gnomo Sabbiolino è pronto:

Ma chi è lo Gnomo Sabbiolino?

Si tratta di un personaggio che fa parte della cultura popolare di molti paesi; presente anche in alcune regioni italiane,  è molto celebrato in particolare in Germania come “Sandmann” .

L’omino del sonno
Ha un lume sul cuore,
ma fioco fioco,
Appena un chiarore.
L’omino del sonno
Ha scarpe di panno,
Quando cammina
Rumore non fanno.
L’omino del sonno
Ha in testa un berretto,
Di lana calda,
Per stare a letto.
L’omino del sonno
Va in giro in vestaglia,
Tutta rossa,
Fatta a maglia.
L’omino del sonno
Ha in mano un sacchetto
Con due cordelle
Legato stretto.
Dentro il sacchetto
Ha una polverina
Che non si vede, leggera fina
Butta la polvere lesto l’omino:
Già dorme il bimbo, lui spegne il lumino.
(M.Martini)

Ha molti nomi, è anche Mago Sabbiolino e Orco Sabbiolino (se porta sogni brutti), Ole-Luk-Oie, Sandmann, Ole Chiudigliocchi, Serralocchi, ecc…

La storia tradizionale è all’incirca questa:

“Sabbiolino è un nano che porta un grosso sacco sulle spalle. Tutte le  sere, al crepuscolo, si toglie le scarpe per non fare rumore e viene da noi, nel mondo degli umani. E ‘così piccolo e così bravo a nascondersi, che nessuno riesce a vederlo e nessuno saprebbe riconoscerlo. Questo è un gran bene, perchè se per disgrazia capitasse ad un umano di vederlo, il povero Sabbiolino svanirebbe nel nulla…

Sabbiolino ha molto, molto lavoro da fare ogni sera! Deve far visita a tutti i bambini che devono addormentarsi nei loro caldi lettini…  e così saltella e svolazza per tutta la notte. Prima va dai bambini più piccoli.  Aspetta che nelle camerette ci sia buio, per non farsi vedere, si mette davanti al lettino, apre il suo sacco e prende due chicchi di sabbia.

Appena il bambino chiude gli occhi,  posa delicatamente i granelli uno sull’occhio destro e uno sull’occhio sinistro, e comincia a raccontare una storia nell’orecchio del piccolo: “C’era una volta un bambino che partì per  il deserto, in cerca di fiabe. Il suo villaggio le aveva perse tutte, insieme alla fantasia, e il bambino, anche se piccolo, era determinato e coraggioso, e voleva ritrovarle e riportarle al villaggio. Cammina cammina, arrivò ad una foresta di pietra, e lì trovò uno scrigno con scritto il suo nome. Meravigliato lo aprì e vi trovò…”

Arrivato a questo punto della storia Sabbiolino si ferma, il bambino si è ormai addormentato dolcemente, a volte ha anche iniziato a russare, e può sognare il seguito della storia. Silenziosamente il nano esce dalla cameretta e va a trovare un altro bambino.

Quando ha terminato il suo lavoro coi più piccoli, Sabbiolino va a far visita anche ai bambini più grandi, ma per farli addormentare invece della sabbia, usa chicchi di mais, che soffia sui loro occhi, e anche loro si addormentano felici.

Il suo è un lavoro molto importante, perchè se per caso si dimenticasse di un bambino, il poverino non potrebbe dormire per tutta la notte…

Nessuno, nemmeno i bambini possono vedere Sabbiolino, ma almeno i bambini possono vedere, al mattino, una piccola traccia che il nano lascia per loro: la sabbiolina negli occhi…”

Esistono innumerevoli varianti, a volte Sabbiolino si serve di un’asina per compiere il suo lavoro, altre volte spruzza latte negli occhi, o polvere di stelle, ecc…

Dalla tradizione alla letteratura, esistono due famosi racconti che hanno per protagonista Sabbiolino.
Il primo é Ole-Luk-Oie, di Hans Christian Andersen:

“In tutto il mondo non c’è nessuno che sappia tante storie quante ne sa Ole Chiudigliocchi. E come le sa raccontare! Verso sera, quando i bambini sono ancora seduti a tavola, o sulle loro seggiole, arriva Ole Chiudigliocchi, sale le scale silenziosamente, perché cammina senza scarpe, apre lentamente la porta e plaff! spruzza un po’ di latte negli occhietti dei bambini, poco, poco, ma comunque abbastanza perché loro non riescano più a tenere gli occhi aperti e perciò non lo vedano; sguscia dietro di loro, gli soffia dolcemente sul collo e subito sentono la testa pesante, ma non tanto da far male; perché Ole Chiudigliocchi vuole il bene dei bambini, desidera soltanto che stiano tranquilli, e loro sono davvero tranquilli solo quando finalmente vanno a letto e devono stare zitti perché lui possa raccontare le sue storie. Quando i bambini finalmente dormono, Ole Chiudigliocchi si siede sul loro letto; ha un bel vestito, un mantello di seta, ma è impossibile dire di che colore è perché a ogni suo movimento ha riflessi ora verdi, ora rossi, ora blu. Tiene sotto le braccia due ombrelli, uno pieno di figure, e lo apre sopra i bambini buoni che così sognano per tutta la notte le storie più belle, l’altro invece non ha niente e viene aperto sui bambini cattivi che così dormono in modo strano e quando si svegliano la mattina, non hanno sognato niente. Ora ascoltiamo come Ole Chiudigliocchi per tutta una settimana si è recato da un bambino di nome Hjalmar, e sentiamo che cosa gli ha raccontato. Sono sette storie in tutto, perché ci sono sette giorni in una settimana…”

Puoi leggere il seguito qui:
http://www.paroledautore.net/fiabe/classiche/andersen/ole.htm
http://www.softwareparadiso.it/studio/letteratura/40_novelle/il_folletto_serralocchi.html

Il secondo è Der Sandmann, L’Uomo della Sabbia,  di E.T.A. Hoffmann, che se volete potete leggere qui. In questo caso l’uomo di sabbia è una sorta di uomo nero, inserito in un racconto gotico che ha avuto grande successo, e che è stato anche analizzato da Freud.

Sulla storia Der Sandmann è basato anche il balletto  Coppelia.

GLI UCCELLI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici GLI UCCELLI – Una collezione di dettati ortografici sugli uccelli, di autori vari, per la scuola primaria.

Uccelli
Piove, adagio adagio, poco poco. C’è bisogno di fango per fare i nidi. Ci sarà? Tutti gli uccellini a due a due sotto l’ombrello delle frasche ascoltano la pioggia che dice loro: “Sì. Sì”. Il giorno dopo, come sfolgora il sole, gli sposini lavorano tutti a farsi una casettina; la tottavilla, il migliarino, l’ortolano, i beccafichi, le peppole; fra l’erba spagna, sui rami, dentro le siepi, sotto le tegole; chi taglia, chi mura, chi impasta, chi cuce, chi scava, chi intreccia. Bisogna far presto perchè domani è domenica. (F. Tombari)

Uccelli
L’aria è piena di frulli d’ali, di canti, di strida, di misteriosi bisbigli. Sono tornati gli uccelli e nelle loro fragili e belle casette, nuove vite pigolano in attesa del cibo. E’ tornata la cincia che libera l’oliveto dalle uova delle mosche olearie; è tornata la capinera gentile il cui canto ricorda quello dell’usignolo; l’allodola mattiniera, il pettirosso vivace, la rondine che stride e saetta nel cielo, senza posa. Siano benedette queste piccole creature che lavorano senza posa alla distruzione dei nemici dei campi e dei raccolti.

Uccelli
Verso la fine di marzo la prima rondine giunse sotto il tetto. Si aggrappò al nido, sbattè più volte le ali, poi riprese a volare nel cielo disegnando nell’aria ampi cerchi. Passò sul melo dell’orto, e subito dai piccoli rametti brulli sbucarono alcune gemme. In un baleno, dai cartoccetti che bucavano l’aria come dentini, si svolsero i bianchi fiori i il melo sembrò a tutti una bella nuvola caduta dal cielo nell’orto. La rondine passò a volo sul pesco, e anche il pesco si ingemmò. Giunse perfino sul mandorlo, là verso la collina, e col suo grido acuto la rondine lo risvegliò. Poi sfiorò i prati e l’erba incominciò a tremare nell’aria col suo filo di un verde tenero; sfiorò le prode, e l’acqua dei ruscelli incominciò a scorrere tra i sassi; e le viole, sotto le larghe foglie, si destarono come per incanto, spandendo nell’aria il loro delicato profumo. Volava, volava, la rondine, e cinguettava felice. (C. Bucci)

Uccelli
Quando il cielo diventa sereno e azzurro e, scivolando su un raggio tiepido di sole, arriva primavera, ritornano nel nostro cielo le rondini.  In largo stormo gli eleganti uccelli volano sul mare; poi, in piccoli gruppi, prendono la via di casa, la via del vecchio nido. Qualcuna, ansiosa, sopravanza il gruppo, arriva prima. Eccola là, sul filo, petto bianco, dorso nero. Si guarda attorno, osserva tutto. Poi, arrivano tutte, e i cornicioni, i fili dell’elettricità, i tetti sono pieni dei piccoli uccelli bianchi e neri. (G. Valle)

Sulla facciata rustica, per tutte le cornici, lungo il gocciolatoio, sopra gli architravi, sotto i davanzali delle finestre, sotto le lastre dei balconi, dovunque, le rondini avevano nidificato. I nidi di creta, innumerevoli, vecchi e nuovi, agglomerati come le cellette di un alveare, lasciavano pochi intervalli liberi tra loro. Benchè chiusa e disabitata, la casa viveva. Viveva di una vita irrequieta, allegra e tenera. Le rondini fedeli l’avvolgevano dei loro voli, delle loro grida, dei loro luccichii senza posa. (G. D’Annunzio)

Quando la rondine vuol rassettare il suo vecchio nido, non cerca nè trucioli nè pagliuzze, come fanno gli altri uccelli, ma adopera fango e con bravura lo accomoda col becco. Vola là dove scorre il ruscello. Vi si piana sopra con le ali in alto, battendole rapidamente. Tiene a fior d’acqua il petto per bagnarsene le piume, poi spruzza l’acquerugiola sulla polvere e ne fa una tenace poltiglia. E di questa poltiglia col suo becco, o si fabbrica o si accomoda il nido. (Taverna)

Uccelli
E’ primavera, è il tempo degli uccellini. Allegri, felici, già ghiotti di ciliegie, litigiosi, stanno in cinquanta su un ramo come tanti piccoli gnomi, fuggono col vento, spensierati, da un albero a un tetto, dal pagliaio al campanile, rubano a man bassa; un chiasso, un cinguettio, una baraonda. Le passerette, pettegole, con un vestitino corto che le copre sì e no, non vanno mai d’accordo, si intrufolano da per tutto, fanno a chi arriva prima sul fiume a vedere il martin pescatore. (F. Tombari)

Uccelli
Il sole nasce, gli uccelli si sparpagliano. Cercano il loro pascolo, chi le bacche, chi i vermiciattoli, chi i semi, a frotte. Si cibano, si azzuffano, amano, saltellano qua e là: infine spiccano il volo e dall’aria agili coronano con un batter d’ala e un gorgheggio la loro piccola fatica. (G. Pascoli)

Uccelli
Dorati uccelli, dall’acuta voce, liberi per il bosco solitario in cima ai rami di pino confusamente si lamentano; e chi comincia, chi indugia, chi lancia il suo richiamo verso i monti: e l’eco che non tace, amica dei deserti, lo ripete dal fondo delle valli. (Lirici Greci)

Uccelli
Gli uccelli, oltre a rallegrare col loro canto, sono preziosi per l’agricoltura perchè distruggono gli insetti. Se possiamo raccogliere i saporiti ortaggi, se possiamo assaporare la squisita frutta, se riempiamo di grano i nostri granai, lo dobbiamo, in gran parte, a questi preziosi amici dell’agricoltore.

La rondine è tornata. Ha fatto sentire il suo grido e si è messa a volare in tondo sul tetto. Ha veduto il suo nido e vi è volata dentro come una piccola freccia nera. Poi è tornata a volare, ma il suo grido era più lieto e festoso. Avevo ritrovato la sua casetta. E presto, in quella casetta, ci sarebbero stati i rondinini.

Uccelli
A introdurre i suoni più belli nel mondo primaverile, accanto al ronzio e alle musiche varie degli insetti, sono gli uccelli con il loro concerto canoro. Basta ricordare che la primavera è la stagione in cui gli uccelli fanno il nido! Essi sono le creature della gioia: la scienza non ha trovato una spiegazione del loro canto che sembra superfluo; ma chi saprebbe immaginare gli uccelli senza più le loro melodie? F. Molinelli

La rondinella ci porta il primo saluto della primavera e ci ricorda la passata malinconia dell’autunno. Essa, fidando in noi, appende il nido ai tetti e ai portici delle nostre case, ritornando ogni anno nello stesso giorno e quasi nella stessa ora. P. Mantegazza

In marzo tornano le rondini. Vengono dai paesi caldi dove hanno passato l’inverno. Se ne andarono verso la fine di settembre, non tanto perchè avessero paura del freddo, ma specialmente perchè essendo uccelli insettivori, durante il freddo non avrebbero trovato di che nutrirsi. Tornano adesso perchè gli insetti cominciano a rinascere. Questi erano morti ai primi freddi, ma avevano lasciato le loro uova o le loro crisalidi ben nascoste e riparate sotto la corteccia degli alberi. E. Fabre

Uccelli
L’uomo non potrebbe difendersi da solo dalle distruzioni causate dagli insetti. Ma gli uccelli lo aiutano validamente, divorando le larve nascoste sotto i tronchi o striscianti sopra le foglie, cibandosi degli insetti che volano nell’aria, nutrendosi di bruchi, di farfalline, di tignole. Gli uccelli non sono soltanto piacevoli a vedersi e ad ascoltarsi, ma sono anche i preziosi amici dell’agricoltore.

Uccelli
Gli uccellini non sono soltanto graziose creature che ci rallegrano col loro canto. Essi sono anche i preziosi amici dell’agricoltore perchè divorano gli insetti e le larve, salvando così la vegetazione. Rispetta, dunque, gli uccellini. Non chiuderli in gabbia, non catturarli, non distruggere i loro nidi. Anche gli uccelli sono creature che soffrono e godono e, oltretutto, salvaguardano le campagne e la vegetazione.

Uccelli
Gli uccelli insettivori si dividono il campo di caccia: chi va nei prati, chi nei boschi e nei verzieri; fanno una guerra continua ai bruchi che distruggerebbero i nostri raccolti. Più abili di noi, di vista più acuta, più pazienti e senza altra occupazione che quella, gli uccelli fanno un lavoro che a noi sarebbe assolutamente impossibile. (E. Fabre)

Uccelli
In ogni nido c’è una piccola famiglia. C’è il babbo, c’è la mamma, ci sono i figlioletti, tutti uniti da un tenerissimo amore. Se tu distruggi un nido, metti il dolore dov’era la gioia, la disperazione dove non c’era che allegria e amore. Rispetta i nidi come vorresti che fosse rispettata la tua casetta.

Il passero è dappertutto e sempre. Vola e saltella, bruno e chiacchierone, tra le foglie verdi degli alberi, nella buona stagione; sui rami brulli e secchi nell’inverno: cinguetta sui fili del telegrafo, sulle gronde, sui davanzali; becca grani, briciole di pane, insetti… E’ graziosissimo, quantunque non sia bello come la rondine e non canti come l’usignolo. (Bianchi e Giaroli)

Uccelli
Piove adagio adagio, poco poco. C’è bisogno di fango per fare i nidi. Ci sarà? Tutti gli uccelletti, a due a due sotto le ombre delle frasche, ascoltano la pioggia che dice loro sì, sì… Il giorno dopo, come sfolgora il sole, lavorano tutti a farsi una casettina. Chi taglia, chi mura, chi impasta, chi cuoce, chi scova, chi intreccia. (F. Tombari)

Uccelli
Ogni uccellino cerca un posto sicuro per fabbricare il suo nido. IL fringuello lo intreccia sui rami dei ciliegi e delle querce. L’allodola lo nasconde tra le zolle dei campi. Il corvo lo sospende ai rami del pioppo. La rondine lo nasconde sotto le grondaie o sotto le travi di casa. Quando gli uccellini fanno il nido, mille piccole cose vengono utilizzate: pagliuzze, crini, foglie secche, muschi, piccoli fili di lana. (V. Gaiba)

Sono tornate le rondini. Hanno attraversato mari e monti pur di tornare al loro nido. E ora che lo hanno ritrovato, cinguettano felici, lo riparano, lo imbottiscono, perchè fra poco nasceranno i rondinini.

Ecco mamma rondine che ritorna con un insetto e tutti i piccini spalancano il becco e gridano perchè lo vorrebbero per sè. Che piccini affamati! Non sono mai sazi. E mamma rondine vola, vola, torna e ritorna al nido per saziare quei rondinini che aspettano, con il beccuccio aperto. Poi si rimettono giù buoni, buoni, con gli occhietti chiusi, ad aspettare che la mammina torni ancora.

In marzo tornano le rondini. Arrivano dai paesi caldi dove hanno passato l’inverno. Se ne andarono verso la fine di settembre, non tanto perchè avessero paura del freddo, ma perchè, essendo uccelli insettivori, durante l’inverno non avrebbero avuto di che nutrirsi. (E. Fabre)

In un giorno di primavera, si è sentito un lieto garrito nell’aria. Erano le rondini che tornavano. Hanno ritrovato il vecchio nido. Con un grido di gioia sono volate dentro a ripararlo, a farlo tutto morbido e caldo. Rispetta le rondinelle. Sono la benedizione delle case che le ospitano.

San Benedetto, la rondine sotto il tetto. Ha attraversato mari e monti per tornare al suo nido e, ora che lo ha ritrovato, garrisce di gioia. Come il viaggiatore che ritorna alla sua casa, così la rondine fa festa quando ritrova il suo nido e di dà da fare per ripararlo, per accomodare i danni causati dalle intemperie, per renderlo morbido e tiepido. Mamma rondine pensa ai rondinini che fra poco cinguetteranno nel nido appeso sotto la gronda.

San Benedetto, la rondine sotto il tetto. Forse è una rondine sola; è arrivata prima delle altre per vedere se il tempo si è veramente rimesso al bello e se l’inverno è andato via. Ma spesso è ancora freddo; la primavera sembra lontana e la povera rondine, con le penne arruffate dal vento, col corpicino tremante, si sente smarrita, sola, affamata. Povera rondinella, arrivata troppo presto!

Esistono molte varietà di rondini, tra cui il balestruccio, che ha il dorso nero violetto e le parti inferiori e la coda bianche; la rondinella comune che è nera, col petto castano e la coda con macchie bianche; il rondone, che è tutto nero, salvo una macchia bianca sulla gola. Soltanto la rondinella e il balestruccio fanno il nido sotto la gronda; alcune specie di rondine lo fanno sulle rive scoscese dei fiumi e nei buchi delle altre muraglie. Il trillo della rondine si chiama garrito.

Uccelli
Ogni uccello, in primavera, fa il suo nido. L’uccellino canoro lo intreccia tra i rami degli alberi, la rondine lo costruisce sotto la gronda, l’aquila in un crepaccio della montagna dove vive, il passero sotto il tegolo o in un buco del muro. E, in ogni nido, nasceranno i piccini.

Con la primavera, ecco la fedele rondine che torna al suo nido lasciato sotto la gronda. Osserviamole nel volo: hanno ali lunghe, fortissime, che permettono loro di attraversare il mare, talvolta senza sostare nemmeno un momento. Ammiriamo l’infallibile istinto di questo uccello, che gli fa ritrovare non soltanto la località che ha lasciato, ma perfino il tetto, il nido.

Uccelli
Perchè gli uccelli migrano? Vi sono le anatre selvatiche che, pur di depositare le uova nelle zone dove sono nate, non esitano ad arrivare perfino al circolo polare, dove nidificano. Per ciò che riguarda la rondine, poichè questo uccello è insettivoro, non troverebbe durante la cattiva stagione di che nutrirsi, perchè gli insetti muoiono o sono nascosti. E’ per questo che la rondine emigra verso le terre calde, dove il cibo non manca, per ritornare a deporre le uova sotto i nostri tetti, al ritorno della buona stagione.

Il becco della rondine è largo e corto. La rondine si nutre di insetti e li cattura a volo. Il suo becco, che è di grande apertura, facilita appunto questa cattura. Invece il becco degli uccelli granivori è forte e a punta, adatto a beccare i grani. Il becco dei rapaci, che si nutrono di piccole prede vive, è forte, adunco, e adatto a lacerare la carne. Il becco dei palmipedi è fatto a cucchiaio, e lascia sfuggire l’acqua per trattenere solo il cibo.

Uccelli
Le zampe degli uccelli che sono grandi volatori, come le rondini, sono rattrappite, ottime per aggrapparsi, ma quasi inadatte a posarsi sul terreno. Infatti, se la rondine cade sul terreno, riprende il volo con grande difficoltà. La zampa dei gallinacei, invece, e dei corridori come lo struzzo, è larga, schiacciata, atta a posarsi sul terreno; nei polli è munita di unghielli per razzolare; nello struzzo, di callosità. La zampa dei rampicanti (pappagallo, picchio, cuculo) ha due dita anteriori e due posteriori atte ad arrampicarsi sul tronco degli alberi. Quella dei rapaci è armata di artigli formidabili con cui l’uccello afferra la preda, la dilania e la porta al nido. Nei palmipedi le zampe hanno le dita unite da una membrana che le trasforma in ottimi remi.

La rondine fabbrica il nido con fango, cementandolo sotto le gronde. Sembra quasi che abbia imparato a costruirlo dall’uomo, sotto la cui casa nidifica. Gli altri uccelli lo costruiscono in maniera ben diversa. I cantori, che sono quelli che fabbricano il nido più perfetto, lo fanno di ramoscelli intrecciati e lo imbottiscono di lanuggine e di piccole penne. I rapaci lo fabbricano in maniera rudimentale negli anfratti delle rocce dove vivono; il passero lo da sotto i tegoli, nei buchi del muro.

Uccelli
Gli uccelli depongono un numero variabile di uova, che hanno un guscio generalmente colorato o macchiato, e da queste uova, dopo un periodo di incubazione, nascono i piccoli, implumi, inadatti a nutrirsi da soli. I genitori li imboccano ed è per questo che gli uccelli sono dei formidabili distruttori di insetti. Si è potuto calcolare che la cincia distrugge fino a trecentomila fra insetti e larve ad ogni stagione.

Uccelli
Gi uccelli sono la gioia della campagna, sono i figli della terra e la terra li nutre senza che essi si affannino a seminare e a mietere; non c’è zolla che neghi loro una gemma, un fiore, una buccia di frutto! Il danno che danno ai tuoi campi lo ripagano; tu non sai quanti insetti nocivi essi distruggono, se ti rubano un chicco te ne salvano cento.
(F. Lanza)

I pellicani
Fra i rami e gli arbusti di cotone, albergavano colonie di pellicani, le cui zampe sporgevano dal nido mentre essi covavano. I maschi nutrivano le femmine che parevano non abbandonare mai il loro nido nel periodo della covata. Papà pellicano era buono con la moglie, e vi era un continuo andirivieni di questi enormi uccelli. Sono grandi pescatori e portano la loro preda in una borsa di pelle gialla che, quando è piena, pende come un sacco sotto il becco.

La rondine ha il mantello di piume nero e bianco, il becco corto e largo, le zampe adatte per aggrapparsi, la coda biforcuta.  Ci sono parecchie specie di rondini: la rondinella comune, il balestruccio, il balestruccio selvatico che nidifica sulle sponde dei fiumi, il rondone che è il più grosso della specie. Il grido della rondine si chiama garrito.

Il nido che la rondine costruisce sotto la gronda è fatto di terra impastata d’acqua, come se il simpatico uccello volesse imitare le case degli uomini presso le quali vive. Dentro, è imbottito di lanuggine che la rondine carpisce all’aria o alle piante.

Il corpo della rondine è snello, robusto, con ali molto sviluppate. Le remiganti  sono penne lunghe e forti perchè le rondini dovono fare lunghi viaggi, attraversare il mare e spesso anche territori deserti per recarsi nei paesi caldi. La rondine ha un manifesto istinto d’orientamento. Quindi, in primavera torna da noi, e non soltanto conosce la località, ma addirittura il nido che si affretta a restaurare e a preparare per la nuova covata.

Il becco della rondine è larghissimo e corto: adatto cioè alla caccia degli insetti di cui la rondine si nutre volando. Vola a becco spalancato così che gli insetti che essa insegue, si invischiano e vengono catturati. E, appunto perchè si nutre di insetti, finita la buona stagione, se ne va.  Gli insetti, al sopraggiungere del freddo, muoiono o si rintanano; quindi, la rondine non avrebbe più il cibo che le è necessario. La rondine è un animale utile,  come tutti gli animali insettivori, considerando il danno prodotto dagli insetti alla coltivazione.

La rondine è tornata da lontano, ha girato sopra la città, ha riconosciuto la casa, il tetto, il nido. Ed ora eccola tutta affaccendata a preparare la casetta per i rondinini che verranno.

Sono arrivate le rondinelle. Hanno attraversato mari e monti per tornare al loro nido. Benvenute, rondinelle, che arrivate da tanto lontano!

“Ecco mamma rondine che ritorna! Che cosa hai portato, mammina?”. I rondinini aspettano nel nido col becco spalancato.

La rondine vuole riassettare il vecchio nido. Non cerca fuscelli come gli altri uccellini, ma adopera fango e con bravura lo impasta col becco.  Poi fa il nido morbido e caldo.

San Benedetto, la rondine è sul tetto. Forse è una rondine sola quella che è arrivata prima della altre per vedere se il tempo si è rimesso al bello. Ma presto verranno anche le altre.

La rondine vola sempre: mangia volando, si bagna volando e qualche volta  nutre i suoi piccoli volando. L’aria è il suo dominio.

Rispetta le rondinelle. Sono la benedizione della casa. Sono tornate da tanto lontano per venire ad abitare il vecchio nido. Fra poco nel vecchio nido pigoleranno i rondinini.

Un bel giorno di primavera si è sentito un grido nell’aria. Era la rondine che tornava. Ha riconosciuto il vecchio nido e con un grido di gioia vi è entrata dentro, per rassettarlo.

Le rondini gridano in alto, nel cielo sereno. I bambini le guardano e dicono: “Sono tornate le rondini. E’ primavera”.

Uccelli
Dopo che la primavera ha spiegato tutti i suoi fascini, di campo in campo, allora si fabbricano ovunque i nidi: nidi tra le erbe, nidi sugli alberi, nidi su spacchi di scogli, in fessure di mura, sotto travi, sotto cornici di case: nidi e nidi dappertutto. Guai se questi asili di nascituri fossero costruiti su alberi nudi, o in siepi senza foglie, o in cantucci senza muschio. Sarebbero esposti alla vista di molti nemici. Si nascondono invece tra ripari abbassati che li nascondono dalle insidie. Ve ne sono con pareti cementate di argilla, rivestiti di licheni, tessuti con fili, steli, fuscelli, con l’interno tappezzato di molli foglie, di fiori, di lana, di crini. Le averle e le capinere li fabbricano con rametti di scope, i tordi vi mettono intonachi di legno fradicio, i beccafichi e i canapini vi intrecciano sottili gramigne miste a tele di ragno, a semi di pioppo, a lanugini. I falchi rapaci, vi ammassano penne di vittime; i pacifici storni penne di polli e di anatre, raccolte nei cortili, nei campi; i cardellini setole di maiali; i passeri crini, paglia, stoppa, cenci, brandelli di carta. (P. Lioy)

Il merlo. Col suo abito da cerimoniere, il becco dorato, l’occhio fisso che pare non veda e vede benissimo; con la sua coda alzata, la voce amplificata e ripercossa dall’eco dei macchioni dei quali fa la sua rocca; ora di corsa sul terreno, ora in volo a freccia, ora immerso nelle sue alcove di rovi, in interminabili meditazioni; coi suoi gridi vari, ciascuno dei quali corrisponde a un sentimento o a un atto, il “pitt pitt”  di quando va a dormire, il “cac cac cac” dell’angoscia per un pericolo che corre il nido, lo stridulo e rapido “ki ki ki” che manda quando fugge via; infine col suo canto, col suo vero canto che ritengo il più completo e il più musicale di tutti i canti degli uccelli che fischiano, sempre lui si profila sullo schermo della mia memoria, quando essa torna indietro verso gli anni in cui passavo le vacanze pasquali in campagna. (M. Roland)

Uccelli
La nebbia si diradava, apparivano profili di boschi neri sull’azzurro pallido dell’orizzonte; poi tutto fu sereno, come se mani invisibili tirassero di qua e di là i veli del maltempo e un grande arcobaleno di sette vivi colori e un altro più piccolo e più scialbo s’incurvarono sul paesaggio. Grandi ranuncoli gialli, umidi come di rugiada, brillarono nei prati argentei, e le prime stelle apparse al cadere della sera sorrisero ai fiori: il cielo e la terra parevano due specchi che si riflettessero. Un usignolo cantò sull’albero solitario ancora soffuso di fumo, tutta la frescura della sera, tutta l’armonia delle lontananze serene; e il sorriso delle stelle ai fiori, e il sorriso dei fiori alle stelle, e tutta la malinconia dei poveri che vivono aspettando l’avanzo della mensa dei ricchi, e i dolori lontani e le speranze, e il passato, l’amore, il delitto; il rimorso, la preghiera, il cantico del pellegrino che va e va e non sa dove passerà la notte, e la solitudine verde, la voce del fiume e degli ontani laggiù, il riso e il pianto di tutto il mondo, tremavano e vibravano delle note dell’usignolo, sopra l’albero solitario che pareva più alto dei monti, con la cima rasente il cielo e la punta dell’ultima foglia ficcata dentro una stella. (G. Deledda)

Uccelli
Ciascun nido ha una sua costruzione ed una sua sapienza d’amore. Nidi di allodole cui pochi fuscelli bastano nel solco delle messi; nidi di pettirossi nei cespugli intessuti di fili d’erba e rivestiti internamente di borragine e di licheni; nidi di stiaccini e di fringuelli nell’intrico delle siepi; nidi sugli olmi, sulle querce, in cima agli alti pioppi che fiancheggiano i fiumi; nidi di passeri solitari nei crepacci di rocce odoranti di fiori selvaggi. Nei casi dove il nido non riesca del tutto ad occultare le uova, queste hanno colore mimetico, cioè con la stessa tinta delle cose che sono loro attorno e però da queste non facilmente distinguibili. (A. Anile)

Uova

Tutti gli uccelli producono uova. L’uovo ha forma tondeggiante ed è rivestito di un guscio rigido e resistente. Aderente al guscio c’è una pellicola elastica , che forma sul fondo una camera d’aria. Il guscio racchiude le parti nutrienti dell’uovo: l’albume e il tuorlo.

Quando gli uccelli covano le loro uova, nell’interno si sviluppa un piccolo che si nutre appunto del tuorlo e dell’albume. Quando il piccolo è formato, rompe il guscio ed inizia la sua vita all’aria aperta.

Ci sono piccoli capaci subito di muoversi e di nutrirsi (i pulcini), altri che nascono senza piume ed hanno bisogno di essere imbeccati dai genitori  (passerotti, rondini, …)

Penne e piume

Il corpo degli uccelli è protetto da un manto fitto, morbido, caldo, di piume fatte a fiocchetto. Le ali e la coda sono munite di penne. Quelle che stanno al bordo delle ali sono dette remiganti, quelle della coda timoniere. Le penne sono lunghe, robuste, rigide, sostenute da una specie di bastoncino detto calamo, piantato nella pelle.

Becchi di uccelli

Molti uccelli sono granivori o insettivori: la natura ha dato loro un becco adatto al cibo di cui si nutrono. Gli uccelli granivori hanno becchi non troppo lunghi, larghi alla base, appuntiti, duri e taglienti: con essi frantumano i grani. Gli uccelli insettivori hanno becchi molto larghi, teneri, appiccicosi, capaci di afferrare e inghiottire anche grossi insetti.

La rondine

La rondine vive in campagna e in città: cerca le grondaie per costruirvi il nido ed ama l’acqua del fiume, del lago e dello stagno. Infatti sa che, alla superficie dell’acqua, si cacciano in abbondanza gli insetti, che sono il suo cibo preferito.

Ha le ali aguzze e lunghe, la coda biforcuta. Le piume sono di color turchino carico sul dorso e bianche sul petto.

E’ un uccello che ama il caldo; perciò, appena l’estate lascia il passo all’autunno umido e freddo, la rondine se ne va in Africa, dove l’attende il sole. Per questo si dice che è un uccello migratore.

Il nido della rondine assomiglia ad una mezza scodella. E’ costruito con pezzetti di fango appiccicati l’uno all’altro con la saliva e rafforzato con erbe, pagliuzze e piume.

La gallina

E’ un uccello molto utile, dell’ordine dei galliformi, che popola le aie ed i cortili. L’uomo le costruisce una casetta, il pollaio. Il suo corpo è piuttosto grosso e pesante; le ali, corte e deboli, le permettono solo voli brevi. Il capo è ornato di piccoli barbigli e di una cresta rossa e corta. Gli occhi sono tondi. Il becco è rigido, capace di rompere i semi duri. Le zampe sono ricoperte di scaglie giallastre. Sono robuste, armate di unghie e adatte a razzolare.

La gallina offre all’uomo carne fine e nutriente e uova. E’ una mamma (chioccia) affettuosa; per tre settimane cova pazientemente quindici – venti uova, che si schiudono liberando i pulcini. Essi, appena sgusciati, sono già coperti di piumino e molto vispi.

L’oca

E’ un uccello palmipede perchè ha le dita delle zampe riunite da una pelle dura e membranosa che le serve per nuotare negli stagni. Le zampe sono poste molto indietro rispetto al resto del corpo e ciò dà all’oca un’andatura goffa. Essendo un uccello acquatico ha le penne e le piume cosparse di un grasso oleoso, grazie al quale il suo corpo non si bagna. Pesca il suo nutrimento servendosi del becco largo e schiacciato, che lascia uscire l’acqua dai margini dentellati. Sono uccelli palmipedi il cigno, l’anitra, il gabbiano, il pellicano.

Il cuculo

E’ un uccello diffidente e astuto, molto accorto; vive evitando anche di farsi vedere nelle vicinanze delle nostre case. Il suo verso, il caratteristico cucù, ci giunge spesso all’orecchio nelle sere di primavera, mentre l’uccello è nascosto in mezzo al fogliame. Ottimo volatore, il cuculo percorre lunghissime distanze emigrando nella cattiva stagione verso le terre calde, per poi ritornare da noi agli inizi di primavera.

Il picchio

E’ un uccello rampicante adatto alla vita sui tronchi degli alberi; vi si arrampica e vi si aggrappa mediante le quattro dita del piede, della quali due sono rivolte in avanti e due indietro. Ha il becco lungo e diritto, con il quale picchia contro la scorza degli alberi. Mediante il suono prodotto dal legno, il picchio sente se il tronco è cavo o pieno; nel caso sia cavo, l’uccello pratica col becco un foro nella corteccia, e con la lingua lunga e viscida, prende gli insetti e le larve che vi dimorano.

Le voci degli uccelli

Il colombo tuba. La civetta squittisce, chiurla, stride. L’anitra schiamazza. La cornacchia gracchia e crocida. La gallina chioccia e crocchia. La gazza gracchia. Il merlo zufola, zirla, chioccola. La passera pigola, garrisce, cinguetta. La rondine stride e garrisce. L’usignolo gorgheggia. La pernice stride.

L’aquila

E’ la dominatrice dell’aria. Abita le più alte montagne, nidifica su rocce scoscese e alimenta i suoi aquilotti con la carne degli animali (conigli, lepri, agnelli) dei quali va in cerca di giorno volando, e sui quali si abbatte non appena li ha scorti, afferrandoli con gli artigli e sollevandosi a grandi altezze per portarli poi al nido o in altro luogo sicuro.

Ha il becco tagliente e forte, detto rostro; unghie robuste e adunche, dette artigli, atte a dilaniare la preda.

Anche la civetta, il barbagianni e il gufo sono uccelli rapaci ma notturni, perchè volano solo di notte dando la caccia a topi, vipere e altri animali dannosi.

Questi uccelli rapaci notturni sono rivestiti di un piumaggio adatto alle loro abitudini di predoni delle tenebre: colori scuri, piume foltissime, morbide e vellutate che rendono il volo assolutamente silenzioso. Il loro corpo è grosso e rotondo, con gli occhi dalla grande iride colorata di giallo o rosso. Un largo cerchio di penne chiare circonda gli enormi occhi quasi a guisa di occhiali, dando loro un aspetto del tutto singolare.

Grossi rapaci sono pure il falco, la poiana, lo sparviero, l’avvoltoio e il girifalco.

Il passero

In Italia è uno degli uccelli più comuni. Vive presso le case e nidifica generalmente sui tetti. Ha un becco conico robusto, le zampe con quattro dita e la coda tronca. Si nutre di semi: è un granivoro vorace. Infatti i contadini, quando le messi sono mature, per tenerlo lontano dai campi vi dispongono dei bizzarri fantocci: gli spaventapasseri. Si nutre però anche di insetti e di vermi, rendendosi così molto utile. Quando ha i piccoli nel nido, il passero dà loro l’imbeccata anche venti volte in un’ora. Altri passeracei sono il fringuello, il cardellino, l’allodola, l’usignolo, il merlo, il tordo, il pettirosso e il canarino.

Il gabbiano

E’ un uccello carenato e palmipede (ha cioè le zampe con le dita palmate, munite di una membrana che le rende simili a remi); frequente lungo le spiagge del mare, si trova anche in riva ai laghi e lungo i fiumi. Vola sull’acqua con volo lento e grave mandando un grido particolare, specialmente all’approssimarsi delle burrasche. Ha grandi ali così che può facilmente sostenere un lungo volo; può anche nuotare con i piedi palmati. Si ciba di pesci, vermi marini, crostacei ed altri piccoli invertebrati che prende nuotando o sfiorando a volo il pelo dell’acqua, oppure saltellando sulla riva del mare, guardingo e circospetto, alla scoperta di quanto l’onda ha lasciato per lui. Nidifica nelle paludi e negli stagni, fabbricando il nido fra erbe, giunchi e alghe.

Il pappagallo

E’ un uccello rampicante: ha cioè le zampe particolarmente adatte  ad arrampicarsi, con due dita rivolte in avanti e due rivolte indietro. Ha le piume dai colori vivaci, e proviene dalle foreste dei paesi tropicali. Si può addomesticare ed ambientare anche nei nostri paesi ed è divertente perchè apprende e ripete parole ed espressioni umane.

La cicogna

E’ un trampoliere: infatti le sue zampe lunghissime sono simili ai trampoli. Oltre alle zampe snelle  e sottili, ha il collo e il becco molto lunghi; il becco è fatto  in modo da afferrare e trattenere la preda. E’ un uccello migratore, cioè non ha stabile dimora in un luogo: sverna in Africa e passa l’estate in Europa. L’unico trampoliere stazionario in Italia è l’airone cinerino.

Il pinguino

Anche il pinguino è un uccello, ma ha il corpo inadatto al volo. Cammina con andatura goffa e barcollante. Vive in branchi numerosissimi fra i ghiacci delle regioni polari dell’Antartide. Le sue ali corte e robuste si sono adattate al nuoto anziché al volo. La femmina del pinguino depone le uova dalle quali, dopo circa due mesi, nascono i piccoli rivestiti di un fitto piumino.

Le qualità degli uccelli: rapaci, passeracei, gallinacei, palmipedi, corridori, granivori, acquatici, insettivori, notturni, diurni, migratori, sedentari, canterini, implumi, lenti, veloci, grandi, leggeri.

Le azioni degli uccelli: cinguettare, cantare, schiamazzare, stridere, pigolare, volare, migrare, nidificare, deporre, covare, imbeccare, costruire, saltellare, beccare, razzolare, raspare, bezzicare, frullare, saltellare.

Passeri sulla neve

Il passero pigola tra le fronde sempre verdi e fa capolino dalla volta di un tegolo, rannicchiato, irsuto come un riccio. Poveri passeri! Li vedete fatti dalla necessità doppiamente domestici, spiccarsi tratto tratto dai comignoli, venire a stormi dalla campagna tutta coperta, svolazzarvi tra le gambe, cercando qualche cosa da beccare. Intanto qualche pietosa bimba sbriciola agli affamati uccelletti il panino della sua  colazione. (A. Stoppani)

Lo scricciolo (racconto)

Passavo presso una cascina leggendo. D’un tratto mi vidi a lato un bimbo che teneva in mano un uccellino così piccolo come non ne avevo veduto nei miei paesi.

– Eccoti due soldi, me lo dai? – Non se lo fece dire due volte. Prese la moneta e si allontanò correndo. Povero uccellino! Non era più grosso del mio pollice; grigio, con un becco fino e acuto, ancor lattiginoso agli angoli. Doveva essere appena fuggito dal nido. Ad un tratto mi scappò di mano, mandando degli acutissimi “ci!” “ci!”  e battendo le ali così rapidamente che pareva un grosso insetto. Ma non potè sostenersi e scese a terra subito. Io lo raccolsi e lo portai a  casa. Perchè non lo posi sopra una siepe? Lo lasciai svolazzare per lo studio tutto il giorno; non poteva camminare, avanzava a piccoli salti come un ranocchio; il suo color grigio anche lo faceva somigliare ad un piccolo rospo.

Si appendeva alle tende e a piccoli salti giungeva alla cima. Lo imbeccai e lo posi a dormire nella bambagia. Al mattino il suo grido, simile al cigolio del manico di un secchiello, mi svegliò. Era appeso alle tende e guardava fuori dai vetri. Aprii le finestre: appena vide uno spiraglio prese il volo, ma cadde sul balcone. Lo raccolsi e gli tarpai le ali leggermente. Volle spiccarsi di nuovo, si slanciò verso le vetrate, verso la libertà e la luce, ma cadde sul tavolino. Che cosa crudele!

Perchè? Speravo che si addomesticasse.

E non volò più, anzi non si mosse più. Incominciò a socchiudere gli occhi leggermente. Come è triste ciò! Le palpebre diafane si appesantivano: le piume si arruffavano, si raggomitolavano. Io lo scaldavo con le mie mani e le sue pulsazioni erano rapidissime, interrotte spesso da scosse che dovevano essere fortissime per quel corpicino.

Dovevo uscire per le mie occupazioni. Lo posi nella sua bambagia ed egli vi si ficcò tutto sotto, come sotto le ali di una madre per morire in pace.

Presto tornai. Ero assediato dall’idea della piccola vita prigioniera e moribonda; giunto a casa fui pronto a sollevare il piccolo strato di bambagia… Era rigido. (G. Cena)

Il colpo di fucile

Fu allora che il cacciatore lasciò andare una schioppettata. Le anatre, fra grida di spavento, fuggirono sui campi e per qualche minuto si udirono richiamarsi alla lontana, fino a che, riunite in due squadre, dileguarono lungo il fiume. Solo due mancarono all’appello: erano rimaste là, sul greto fra le canne. (F. Tombari)

Gli uccelli insettivori

La vegetazione ha i suoi nemici ed i suoi amici. Sono suoi nemici certi insetti, che rodono le gemme, le tenere foglie, i fiori. Per fortuna, vi sono gli uccelli insettivori, che si dividono il lavoro nei campi, nelle siepi, nei boschi, negli orti, e fanno una guerra continua a tutti i bachi che distruggerebbero i nostri raccolti. Essi, con la vista acuta, con la pazienza, e senza altra occupazione che quella, fanno un lavoro che sarebbe assolutamente impossibile senza di loro.

Gli uccelli

Fortunati gli uccelli! Essi sono liberi di percorrere a volo le infinite vie del cielo. Ne conosciamo moltissimi: uccelli da preda come le aquile e i falchi, i gabbiani che vivono in riva al mare, le rondini che emigrano in autunno e tornano in primavera, le cicogne del becco lungo e dalle lunghe zampe, i pappagalli, le gazze che rubano tutti gli oggetti lucenti, le civette ed i gufi che vivono di notte, e tutti gli uccelli che cinguettano, trillano, fischiano, come i passeri, i cardellini, i pettirossi, i canarini, gli usignoli, i merli , i fringuelli, e molti altri.

Gli uccelli pesanti non possono volare. Conosciamo il gallo e la gallina, le oche, le anatre, i tacchini e i pavoni. Lo struzzo è un grosso uccello dalle gambe robustissime che corre velocissimo nei deserti e nelle savane dei paesi caldi. Le anatre sanno anche volare e così altri grossi uccelli come i fagiani e le pernici.

Uccelli

Dall’alba all’ora di notte è un turbinio continuo di ali e un solo clamore di vocine forti, brevi e pungenti, sempre di una misura. Passeri, certo; e devono convenire qui da tutte le grondaie del vicinato come i bimbi in un pubblico giardino. Però fra loro c’è anche qualche uccello forestiero, venuto chissà da dove; questo che gracida asprigno a modo di  raganella, quest’altro che tenta un gorgheggio d’acqua sorgiva… (D. Valeri)

Le uova

Sono assai nutrienti, come lo è la carne. Sono un alimento animale perchè ci vengono fornite dalle galline. Nelle uova vi sono due parti: il tuorlo e l’albume. Il tuorlo giallo e denso, è la parte migliore. Assai buone sono le uova fresche, cioè appena deposte. Si possono però conservare per parecchie settimane mettendole nella sabbia o nella calce.

I passeri

E il nido del passero lo si trova da per tutto, vicinissimo alla casa dell’uomo in cui confida; sotto le tegole del tetto, tra le balle di paglia di un fienile, entro una piccola crepa del muro di cinta. Il passero è sempre lieto. Trova quasi sempre il chicco di grano o la briciola di pane che lo nutre, anche d’inverno: e quando sente la massaia chiamare i suoi polli per la quotidiana distribuzione del becchime, sempre il passero viene a rubacchiare qualcosa tra le zampe delle galline.

Il nido vuoto

Sotto la gronda c’è un piccolo nido in rovina. Pare una casina senza porta, una casina abbandonata. La famigliola che la abitava è andata lontano. E’ andata in cerca di sole. Fa freddo, ora, da noi. Le giornate sono brevi, la campagna è senza verde e senza fiori. Piove spesso. L’acqua penetra dalle tegole sotto la gronda. E il piccolo nido fradicio, abbandonato, si sfascia a poco a poco. (C. Dossi)

Gli uccelli nel periodo della cova

Durante il periodo della cova, la femmina rimane quasi sempre nel nido; se ne allontana solo per andare in cerca di cibo. Il maschio le rimane vicino, pronto a difenderla da ogni pericolo; e quando tutto intorno è tranquillo, esso canta per tenere allegra la sua compagna, per farle sentire la sua vicinanza. Finalmente, le uova si schiudono: i piccoli sono nati. Ma come sono brutti! Il loro corpicino è nudo, senza piume; gli occhi sono chiusi; la testa sembra enorme, in confronto all’esile collo; le zampe sono inerti. Però hanno un grosso becco ben aperto, dentro cui il padre e la madre si alternano ad introdurre il cibo: piccoli insetti, moscerini, che la madre prima frantuma col suo forte becco. Quei piccini sono affamati: come sono  buffi, coi loro testoni ritti, e coi beccucci spalancati… Ma, dopo pochi giorni, i piccoli prendono forza; il corpo si copre di leggere piume, ed essi possono cominciare a spiccare i primi voli, guidati, assistiti, protetti dalla madre, che ha un grido particolare per chiamarli quando ha trovato il cibo.

Se qualcuno, animale o uomo, assale i suoi piccini, essa li difende accanitamente, con un’abnegazione commovente. Alle volte, arriva ad offrirsi vittima di un nemico, pur di salvare i suoi piccini.

Dicono che quando scoppia un incendio in una casa di campagna, in primavera, i gemiti, le grida della rondine il cui nido è attaccato alla casa in fiamme, sono veramente impressionanti… La povera bestia non teme di attraversare le fiamme per volare in aiuto dei suoi piccoli: vuole salvarli, o morire con loro.

Quando i piccoli sono abbastanza forti per volare via, sfuggono ai legami della famiglia… e, poco curanti dei genitori, se ne vanno in qualche altra parte del mondo. Ma i genitori non si amareggiano per questo: riformano una nuova covata e ricominciano le cure, le sollecitudini, i sacrifici, che saranno ricambiati con così scarsa riconoscenza.

Nidi di uccelli

Molte sono le forme e diversi i tipi di nidi, che gli uccelli costruiscono con destrezza ed abilità. La starna e la quaglia si accontentano di semplici buche nel terreno, con qualche sterpo. Invece, presso i corsi d’acqua, il pendolino si fabbrica il nido a forma di fiaschetto e con finissima arte, intrecciando fibre vegetali all’estremità di un ramo sottile e pieghevole. Il picchio muratore non vuol essere da meno del suo nome: cerca una cavità del tronco di un albero, intonaca l’entrata con fango, lasciandovi solo una piccola apertura, e il nido è pronto. L’aquila, regina delle vette, naturalmente lo costruisce in alta montagna, nelle fessure tra le rocce. Le folaghe fanno i nidi galleggianti sull’acqua; le cicogne sui comignoli e sui rami nudi degli alberi. Chi si dà poca cura di fabbricarlo è il cuculo. Depone le uova nei nidi dei cardellini, dei merli e degli usignoli; e affida la covatura, la nascita e l’assistenza dei suoi grossi figli alle mamme degli altri piccoli uccelli cantori.

Tornano gli uccelli migratori

Nelle terre calde dell’Africa settentrionale le rondinelle, tutte chiuse nel loro bell’abito nero e bianco, si preparano a partire per il viaggio di ritorno, ora che è tornata la primavera.
Le rondini voleranno sopra deserti, mari, pianure, montagne. Un istinto meraviglioso le guiderà per migliaia di chilometri, e farà sì che esse riconoscano i nidi che ogni anno le aspettano.
Anche le gru, le anatre e le oche selvatiche, gli stornelli, i chiurli, le cicogne, le allodole, i vanelli e i falchi sono uccelli migratori.
Le gru cinerine, cioè di color cenere, volano formando nel cielo una grande V. Il loro volo è lento e maestoso. Lo sai che possono raggiungere perfino i 9.000 metri di altezza? Potrebbero cioè da sole, con il solo battito delle forti ali, posarsi sulla più alta montagna della Terra.
Le anatre selvatiche invece hanno un volo rapidissimo. Possono compiere in un’ora anche centoventi chilometri, quanti cioè ne fa un’automobile.
Gli storni invece formano in cielo delle grosse nubi nere, poichè volano in gruppi foltissimi e molto serrati.
Mettendo attorno alle zampe di alcuni uccelli migratori degli anellini di alluminio, con le indicazioni del luogo da cui ebbe inizio il volo, si è saputo, per esempio, che le cicogne dei paesi del nord Europa passano l’inverno nell’Africa del sud, dopo aver compiuto un viaggio di ben diecimila chilometri, senza neppure l’aiuto dei punti cardinali.

Come fanno ad orientarsi gli uccelli migratori?

Cose veramente straordinarie sanno fare gli uccelli migratori: si è notato per esempio che la rondine torna non solo nello stesso luogo, ma persino nello stesso nido che ha abbandonato l’anno precedente.
Come fa ad orientarsi in un percorso che è spesso di migliaia di chilometri?
Purtroppo non si è ancora in grado di rispondere con esattezza, e il problema dell’orientamento degli uccelli migratori rimane tuttora uno dei più appassionanti per la scienza moderna.
Si è supposto che gli uccelli sappiano calcolare per istinto l’angolo che la  loro strada deve avere in ogni istante rispetto alla direzione della luce solare.

Nidi

Non esiste tanta varietà di tipi nelle case degli uomini quanta ce n’è nei nidi degli uccelli.
C’è chi costruisce il nido sui rami sporgenti degli alberi, chi lo scava tra le zolle del terreno;  c’è chi si sceglie una cavità di un tronco, chi lo pone a galleggiare sull’acqua, tra i  canneti.
C’è anche chi, in mancanza di meglio, si fa il nido in una vecchia brocca o in una latta di benzina abbandonata; si sono visti nidi posti all’interno di cassette della posta o di pompe idrauliche usate poco di frequente.
Anche i materiali usati sono i più vari: da quelli di origine vegetale (muschi, pagliuzze, rametti, fili d’erba, pappi e semi lanosi) o animale (bioccoli di lana, peli, crini, tele di ragno) a quelli prodotti dalle attività dell’uomo (fili di cotone e di lana, straccetti, trucioli, pezzetti di carta).

Come nasce il nido di una rondine

Anche quest’anno, con l’arrivo della primavera, sono tornate le rondini e riempiono l’aria di allegri stridi e di voli. Sotto le gronde  dei tetti, nelle stalle, nei cortili, ritrovano i vecchi nidi, o li costruiscono nuovi se sono stati guastati dalle piogge invernali o dagli uomini, tanto che non vale più la pena di ripararli.
Hai mai osservato di che cosa sono fatti e come sono costruiti questi nidi? Vieni a vedere: una coppia di rondini sta costruendone uno proprio sopra la nostra finestra, sotto la grondaia. Le ho viste poco fa ispezionare il muro attentamente, tenendosi aggrappate ad una piccola sporgenza, e poi sono volate via. Eccole di ritorno. Ciascuna ha nel becco una pallina di fango molle, presa sul bordo di qualche pozzanghera. Hanno impastato il fango con la saliva ed ora, con abili colpi di becco, lo applicano al muro come farebbe un muratore con cazzuola e cemento. Attaccano una pallina dopo l’altra, inserendo fili di paglia e di erba nella malta per renderla più resistente.
A poco a poco il nido prende forma e, quando sarà ultimato, sembrerà una mezza tazza.  Non sarà molto bello, ma potrà resistere per anni e contenere la rondine quando cova i molti rondinini. (M. Leale Anfori)

La prima rondine

Verso la fine di marzo la prima rondine giunse sotto il tetto. Si aggrappò al nido, sbattè più volte le ali, poi riprese a volare nel cielo disegnando nell’aria ampi cerchi. Passò sul melo dell’orto, e subito dai piccoli rametti brulli sbucarono alcune gemmule. In un baleno, dai cartoccetti che bucavano l’aria come ditini, si svolsero i bianchi fiori, e il melo sembrò a tutti una bella nuvola caduta dal cielo nell’orto.
La rondine passò a volo sul pesco, che era nell’angolo dell’aia e sembrava avere addosso ancora tutto il freddo dell’inverno, e anche il pesco si ingemmò, giunse perfino sul mandorlo, là verso la collina, e col suo grido acuto la rondine lo risvegliò.
Poi sfiorò i prati e l’erba cominciò a tremare nell’aria col suo filo di un verde tenero; sfiorò le prode, e l’acqua sei ruscelli cominciò a scorrere tra i sassi; e le viole, sotto le larghe foglie, si destarono come per incanto, spandendo nell’aria il loro delicato profumo.
Volava, volava, la rondine, e cinguettava felice. (C. Bucci)

Tipi di nidi

Per covare le loro uova in tutta tranquillità e per assicurare ai loro piccoli una protezione efficace contro le intemperie e anche contro gli animali da preda, gli uccelli si costruiscono, con arte meravigliosa, un rifugio, caldo e sicuro, solido e confortevole, spesso elegante: il nido. I materiali con cui viene costruito, come pure la sua forma, variano notevolmente a seconda delle specie. Pezzettini di legno, festuche, muschio, crini di cavallo, lana, fibre di cotone, terra argillosa e altro, possono servire per la sua costruzione. E’ interessante notare che ogni specie ha, in una certa misura, la possibilità di adattarsi alle circostanze e di servirsi di materiali dei quali di solito non fa uso. Infatti, un uccello che costruisce generalmente il suo nido con fili di paglia e con muschio è capace, se non trova questi materiali nelle vicinanze, di usare licheni, stracci, pezzi di carta e perfino fil di ferro o addirittura molle di orologio. Esso può anche fissare il nido in luoghi insoliti: l’upupa, per esempio, che lo costruisce di regola nel cavo degli alberi tarlati, può all’occasione nidificare nelle cavità delle rocce, nei buchi dei muri e perfino nelle carcasse degli animali morti.
Tuttavia, come vedremo, ogni gruppo di uccelli si serve, solitamente, di materiali ben determinati, dà al suo nido una forma precisa, e lo costruisce in un posto definito.

Nidi a coppa e a cestino
Esistono nidi a forma di cestino: come i cestai, gli uccelli intrecciano fuscelli, crini o erbe, in modo da formare una specie di coppa, una cavità accogliente. Nella maggior parte dei nidi, tre strati ne formano le pareti: uno esterno, abbastanza grossolano, uno interno, morbido, fatto con erbe sottili, muschio, cotone, peli, piume, e un terzo, fra i due, costituito da materiali diversi. Il nido dei cardellini, per esempio, è rivestito all’esterno di muschio bianco e fili di ragnatela, mentre la rivestitura interna è costituita da crine, cotone di diverse piante, peli di cardo, erbe sottili e peluria.
I nidi a forma di coppa sono posti per la maggior parte sugli alberi o sugli arbusti e sono nidi di fringuello, di usignolo, di cardellino, di ciuffolotto, di capinera, di merlo, di canarino, di verdone, di fanello e di altri ancora. Il loro colore è tale che si confondono spesso con la scorza dell’albero e talvolta è molto difficile distinguerli dai nodi dell’albero o dei rami.
Alcuni nidi sono posti al livello del suolo, come il nido della gentile allodola, che consiste in una semplice buca scavata nei campi di grano o nei prati e rivestita di fili d’erba, di steli secchi e di radici. Altrettanto fanno la quaglia, la pernice e il fagiano. Talora, il nido è costruito in mezzo a piante acquatiche e perfino su una specie di piccola zattera: il nido della folaga nera, ad esempio, galleggia liberamente sulla superficie dell’acqua.

I nidi dei passeri e delle gazze
Alcuni uccelli costruiscono nidi a forma di palla, con una o due aperture laterali, che proteggono dalla pioggia e dal freddo meglio dei precedenti. Di tale tipo sono il nido del passero e quello della gazza. Il primo è una specie di palla voluminosa, un po’ grossolana, fatta di paglia, di fieno, di ramoscelli, di stracci, di lana, di pezzi di carta, con l’interno più soffice, tappezzato di piume. Quando però il nostro passero lo costruisce sotto una tegola o sotto il davanzale di una finestra, non si preoccupa più del tetto della sua abitazione, sentendosi, forse, protetto a sufficienza. Più complicato è il nido della gazza: la sua base, a forma di coppa profonda, è costruita con robuste bacchette (che possono raggiungere il metro di lunghezza e che talvolta sono piegate), con calcina, con fuscelli e con sottili radici; la cupola è composta di ramoscelli che si incrociano in modo da formare una volta a grata, che, però, è molto sicura perchè costruita sempre con rami muniti di uncini e di spine. Due aperture, abbastanza strette, permettono all’uccello di entrare e di uscire, ma sono insufficienti per difenderlo dai nemici di grosse dimensioni, come il corvo, la cornacchia  o il falco. A una certa distanza, questa costruzione di confonde con i numerosi rami della cima degli alberi e ciò contribuisce a proteggere i suoi abitanti. La gazza, inoltre, ha l’abitudine di cominciare molti nidi contemporaneamente, ma ne termina solamente uno, nel quale depone le uova; certamente fa ciò per sviare i nemici.

Gli uccelli tessitori
I nidi più stupefacenti sono senz’altro quelli costruiti dai cosiddetti tessitori, una specie di passeracei, i quali tessono i loro nidi con erbe molto flessibili, con piccoli rami, con radici, che intrecciano in modo da comporre un tutto molto solido, una specie di tessuto le cui maglie vengono incollate con saliva o con terra. La forma di questi nidi varia a seconda della specie, ma hanno sempre forma di una borsa con l’apertura in basso o sul fianco, e sono sospesi si rami di un albero, che ne può portare anche una quarantina. Il nido dei passeri del genere Cassicus, uccelli grandi come un corvo che vivono in Amerca, misura circa 1,20 m di lunghezza; è così solido che lo si può rompere a fatica, e tuttavia le sue pareti sono tanto sottili che lasciano scorgere le uova o i piccoli. Le fibre che lo costituiscono vengono strappate agli alberi dall’uccello stesso. Esso si posa su un ramo, ne pizzica la corteccia col becco, la stacca per qualche centimetro, afferra l’estremità così sollevata e vola via di fianco in un modo tutto speciale, in maniera da strappare delle fibre di una lunghezza da tre a quattro metri. Talvolta le fibre vegetali sono sostituite da crini di cavallo. Per la fabbricazione di tali nidi il passero impiega molto tempo e perciò questi uccelli utilizzano lo stesso nido per molti anni di seguito, riparandolo dopo ogni covata. La maggior parte degli uccelli tessitori abita le regioni molto calde; non di meno, se ne possono trovare anche nei Paesi piuttosto freddi o temperati. Così, nell’Europa orientale, vive un uccellino, il pendolino, il cui nido, sospeso sopra l’acqua, è una specie di borsa alta da 16 a 22 cm, col diametro da 11 a 14 cm e con un’apertura sul fianco che ricorda il collo di una bottiglia, per cui è detto anche “fiaschettone”. Per costruirlo, il pendolino sceglie un ramo sottile, inclinato verso il basso, che presenta una o più biforcazioni a poca distanza dal punto di origine; lo circonda di lana e talvolta di peli di diversi animali, capra, lupo, cane, o anche di filamenti di corteccia, poi tesse le pareti del nido fra le biforcazioni. Il pendolino è frequente anche nelle zone acquitrinose dell’Italia.

I nidi meno raffinati
Vi sono altri uccelli che semplificano il loro lavoro, accontentandosi di intrecciare semplicemente sterpi e rami d’albero. Così fanno le aquile, le cicogne e i corvi. Il nido dell’aquila reale è costruito con rami, alcuni dei quali hanno lo spessore di un braccio; il centro è occupato da fuscelli, da cortecce e da erbe secche. Appena completato, non oltrepassa i 25 cm, ma aumenta di volume col passare degli anni per l’apporto di nuovi materiali, così che può raggiungere le dimensioni di un metro e mezzo.
Anche il nido delle cicogne è grossolano. E’ costruito sui tetti, sui camini e sulle rocce con rami della grossezza di un dito, spine e zolle di terra più o meno erbose. La parte intermedia è fatta di fuscelli più sottili e di foglie di canna; l’interno, di erbe secche, di letame, di stracci, di paglia, di piume. Il maschio e la femmina raccolgono insieme i materiali, ma è la femmina che dirige il lavoro.
Il nido del corvo è abbastanza simile a quello della cicogna, ma più piccolo. Da lontano, assomiglia a una fascina: oltre ai rami, che possono raggiungere 40 cm di lunghezza, vi si trovano i materiali più vari: fili di paglia, lana, muschio, stracci e così via. La costruzione è molto solida e dura parecchi anni; così, quando il corvo l’abbandona, viene occupata da altri uccelli, come le poiane, i falconi, gli sparvieri. Alcuni uccelli, infine, come la cinciallegra, utilizzano i buchi degli alberi; altri, come l’usignolo, le cavità dei muri. Lo struzzo scava, semplicemente, una fossa nel suolo, cova le uova di notte, e le abbandona di giorno, dopo averle ricoperte di sabbia, che le nasconde e le protegge dall’intenso calore tropicale.
Una semplice cinta di  ciottoli costituisce il nido dei pinguini. Il cuculo, poi, depone le uova nel nido di altri uccelli e affida loro le cure della figliolanza.

Il nido dell’allodola

Eugenio, Riccardo e Silvio hanno scoperto un nido di allodola.
La madre era lassù in alto come perduta nel gran cuore azzurro del cielo; e cantava.
I tre monelli strisciavano nell’erba fino al nido.
La madre si precipitò su di loro come un sasso. Poi ebbe paura. Si fermò, cantando di dolore, sul loro capo.
Se ne andarono via a testa bassa, nascondendosi in seno i cinque pulcini caldi, pigolanti.
“Li nutriremo meglio noi”, disse Eugenio come per giustificarsi.
Sull’uscio di casa, li incontrò Rossana, la sorellina.
“Che portate?”
Ma Rossana non era tipo da perdersi d’animo. Li vide prendere l’ovatta, scendere in cantina, preparare una specie di nido, deporvi i cinque implumi.
“Ah, cattivi!” esclamò fra sè, “Il nido della mia allodola…”
Lasciò che i fratellini uscissero, scese in cantina, prese delicatamente i pulcini che pigolavano piano piano, e via di corsa per filari, finchè giunse al prato e al nido.
L’allodola volava come impazzita e cantava dolorosamente.
“Vedi, allodola, eccoli i tuoi bambini!” gridò Rossana, protendendo le manine al di sopra dei fiordalisi.
Si allontanò e l’allodola scese sui suoi piccini, a coprirli con le ali.
Rossana corse a casa.
I fratellini erano sempre fuori a caccia di mosche e di bruchi.
Quando si accorsero della scomparsa dei pulcini dell’allodola, cominciarono a strepitare.
“Chi ha preso gli uccellini? Chi è stato?”
“Il gatto” rispose Rossana, che era accorsa alle loro grida.
“Quale?”
“Quello nero”
“Ah, gattaccio!” e i tre fratellini cominciarono a inseguire il gatto, che scappò, spaventatissimo, soffiando.
Passarono i giorni.
Era una bella mattinata di sole; e delle allodole trillavano liete nel cielo
“Eugenio, Riccardo, Silvio, venite!” gridò Rossana.
I tre fratellini accorsero.
“Vedete quelle allodole?”
“Certo”
“Sono gli uccellini che voi avreste fatto morire. Sì, non era stato il gatto nero. Sono stata io a riportarli alla loro mamma”.
Le allodole continuarono a cantare; e i tre fratellini le guardavano, contenti che una sorellina gentile avesse loro impedito di distruggere un nido. (M. Lauri e G. Neri)

Nidi

Com’è piena di bisbigli l’aria di primavera! Hanno bisbigli le siepi in cui fiorisce il biancospino, con il buon profumo amarognolo che invita le api; hanno bisbigli gli alberi tutti rivestiti di foglie tenere e che non sanno resistere al vento… Quei bisbigli così miti, quei frulli d’ali improvvisi, dicono che, nei nidi, dei beccucci si aprono avidi in attesa dell’imbeccata materna. (A. S. Novaro)

La cova

Durante il periodo della cova, la femmina dell’uccello resta quasi sempre nel nido; se ne allontana soltanto per andare alla ricerca del cibo. Il maschio le rimane vicino, pronto a difenderla da ogni pericolo e tenerla allegra, per farle sentire la sua vicinanza. Finalmente, le uova si schiudono: i piccoli sono nati. Aprono subito il becco e la mamma e il padre si alternano per introdurvi il cibo e saziare quei piccoli affamati. (M. Menicucci)

Rondini

Quante sono quest’anno le rondini! All’alba e più al tramonto, fanno come una nobile trama nera in questo rettangolo di cielo. Sono pazze di volo, di allegrezza, di canto. Tagliano via l’aria, stridendo, con le ali tese e ferme: si riabbassano, riprendono respiro, indugiano; e poi si rovesciano, si tuffano a capofitto, scompaiono. (M. Valgimigli)

Le rondini

Le rondini fulminee saettavano il cielo, di cui sono navigatrici eterne. Vanno ora radendo il suolo, ora perdendosi nell’azzurro; volano sempre facendo intorno il vento, e seminando lo spazio di sibili acuti; e poi a un tratto, posano sopra un filo telegrafico o sulla punta di un parafulmine, ciangottando fra loro, senza stanchezza, senza sudore, linde linde e tutte raccolte nelle vele ammainate delle grandi ali e pronte a nuovi voli. (P. Lioy)

Uccelletti

Cinguettano i passerotti, volando vispi dai tetti ai cortili, dai cortili ai campi e nei frutteti dove matura tanta frutta zuccherina. Stridono le rondini, volando a stormi intorno al campanile, o intorno alle grondaie delle vecchie case; là sotto hanno costruito i loro nidi; e vi pigolano i rondinini.
Trilla l’allodola, nella mattina serena, e si alza alta nel sole nascente.
Gorgheggia l’usignolo, soavemente, nell’ombra degli alberi; e specialmente di sera, di notte… Ma allora i bambini dormono e non possono udirlo. (E. Graziani Camillucci)

Chiacchiericcio

Chi sa perchè gli uccelli sono sempre allegri? Cantano, pigolano, cinguettano, non stanno mai zitti. Senti che chiacchierio che fanno lassù, su quegli alberi? Ci deve essere festa a casa loro. Scommetterei che nei loro nidi son nati i piccini o stanno per nascere. Ecco perchè fanno festa!

L’uccellino

Un uccellino scende a volo da un albero dove stava a dondolarsi, fa pochi saltelli e si avvicina alla riva del fossatello dove si son formate delle pozze d’acqua.
L’uccello si accosta ad una di esse e beve, poi entra con le zampette nella pozza, vi tuffa le ali, la testina, una volta, due volte. Ora si risolleva e scuote le piume: si è pulito, si è rinfrescato. Prima di volar via dice grazie al fossatello con un garrulo cip cip.

Tempo di migrare

Ed ecco, se ne vanno. Malinconia di queste migrazioni, precedute da ripetuti raduni che essi fanno o presso i folti canneti o alle chiare fonti, o intorno al campanile della parrocchia, con chiacchiericci sommessi e commossi, che sono cenni d’intesa. Finchè un bel giorno, divisi per famiglie, fiutando vento valido, di mattina per tempo o sul far della sera, al comando di un capo che s’è guadagnata la fiducia, il raduno si leva, volteggia, si scompone, si ricompone, si serra, s’innalza, prende alta quota, altissima, e va. Chi sta sotto a guardarlo, vede la meraviglia di quel convoglio aereo. E il convoglio va, va finchè si perde come una nuvola vivente all’orizzonte. (C. Angelini)

Partono le rondini

Partite, rondini? Sembrate allegre, riunite a stormi e mai come stasera canterine! Il sole del tramonto vi bacia le lucide ali come a dirvi: “Arrivederci a domattina, in un altro cielo!”
E volate e rivolate intorno ai nidi che lasciate là, vuoti sotto la grondaia; e i vostri stridi sono di gioia, simili a trilli di bimbi che per la prima volta fanno un viaggio insieme al babbo. Di voi, infatti, molte sono al loro primo andare lontano, altre hanno già fatto più volte la strada, guidate dalle aurore rossastre dei mari. E chissà se queste torneranno ancora! La gioia dei rondinotti, assetati di fughe e di lontananze, è forse malinconia per le rondini anziane: la stessa malinconia di noi che siamo qui a salutarvi, a vedervi volare per l’ultima sera nel nostro cielo più terso che mai.
Salutiamoci, dunque, senza esser tristi. (G. Giusti)

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Racconti per la primavera

Racconti per la primavera – una collezione di racconti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria…

Racconti per la primavera – Storia del bruco Morbidone
C’era una volta una farfallina azzurra, molto graziosa nel suo vestito di seta celeste. Volava insieme a tante altre farfalline azzurre. Disse: “Conosco un magnifico posto per deporre le uova. I nostri piccini avranno una culla da re”.
Questo magnifico posto era un melo in fiore e le farfalline deposero un piccolo uovo in ogni fiore, poi morirono, perchè le farfalle, quando hanno pensato ai piccolini che debbono nascere, non hanno più nulla da fare.
I fiori del melo perdettero i petali e pian piano si trasformarono in frutti. Ma in ognuna di quelle piccole mele che il sole coloriva e faceva diventare sempre più grosse, c’era un bacolino appena nato dall’uovo deposto dalle farfalline azzurre, un bacolino che aveva trovato la casa e insieme la polpa saporita da mangiare.

Il bruco Morbidone era uno di questi bacolini, e poichè era dotato di grandissimo appetito, in breve era diventato grasso e ben pasciuto. Anche la mela diventava grossa e si coloriva al sole, ma non era allegra perchè non aveva nessun piacere di sentirsi divorare tutta la polpa da quel ghiottone di bruco.
Morbidone si era aperta una finestrina nella buccia della mela e ogni mattina vi si affacciava per prendere il fresco e per scambiare qualche chiacchiera con i suoi compagni. Ma un giorno sentì uno strattone che lo mandò a ruzzolare in fondo alla casetta.
“Che maniera!” strillò. Ma non aveva finito di gridare che sentì dei denti entrare profondamente nella mela e mancò poco che venisse schiacciato.
“Puah, c’è il verme!” disse una voce e la mela venne scagliata lontano.
Il bruco Morbidone, non appena si fu riavuto dal colpo, si affacciò alla finestrina e con voce soffocata dall’indignazione, si mise a strillare: “Chi è questo ignorante che mi chiama verme? Verme sarà lui e tutti i suoi discendenti! Non lo sa che io appartengo alla specie dei bruchi e con i vermi non ho proprio nulla in comune?”.
“Ah, non sei un verme?” disse una coccinella che si lustrava la corazza. “Ma gli somigli!”.
“Non gli somiglio nient’affatto!” gridò il bruco Morbidone, che aveva un carattere piuttosto irascibile. “Il verme ha forse le zampe? Non hai mai visto un lombrico? Quello sì che è il campione di tutti i vermi! E ti pare che abbia le zampe? Io, invece, ne ho ben cinque paia, anche se due paia le perderò strada facendo”.

“Uh, perdi le zampe!” sghignazzò la coccinella, “E quando succederà?”
Ma il bruco Morbidone, indignato, aveva sbattuto la finestrina borbottando: “Che razza d’ignorante!”.
Si guardò intorno e si sentì improvvisamente molto triste e malinconico. Neppure la polpa della mela gli piaceva più.
“Forse ho fatto indigestione”, pensò. “E’ meglio che vada a fare una passeggiata”.
Si attaccò a un filo di seta, finissima produzione propria, e si calò dalla finestrina. Un soffio d’aria lo fece dondolare dolcemente, e i fiori gli mandarono un’ondata di profumo.
“Come è bello il mondo!”, mormorò il bruco Morbidone, e si addormentò.
Quando si destò, era primavera. Le violette odoravano dolcemente fra l’erba novella.
“Buongiorno, farfallina azzurra!” disse una lumachina che si arrampicava sullo stelo di un rosaio.
“Dici a me? Ma io sono il bruco Morbidone!”
“Forse lo eri”, disse la lumachina ritirando maliziosamente un cornino. “Ma ora sei una bella farfallina vestita di velo celeste. Puoi specchiarti in una goccia di rugiada”.
“E’ vero, è vero!” esclamò il bruco Morbidone diventato farfallina, dopo esseri specchiato. “Questa è una bellissima sorpresa”.
Pazza di gioia, la farfallina si mise a volare nell’aria tranquilla e si mescolò a uno sciame di farfalline simili a lei, che svolazzavano sopra i fiori. E allora, un ricordo lontano affiorò nella sua piccola mente, il ricordo di un buon sapore di mela…
“Conosco un posto” disse alle compagne, “un magnifico posto per deporre le uova…”
E la storia ricominciò.
(Mimì Menicucci)

Racconti per la primavera – La rosa più bella del mondo

Quando la Rosa Bella aprì gli occhi alla luce del mattino, fu molto contenta di essere sbocciata.
“Buongiorno!” le disse un petulante Garofano Rosso. “Sei la Rosa Bella?”
“Sì, ma non mi basta. Voglio essere la rosa più bella del mondo.”.
Il Garofano la guardò stupefatto.
“Accipicchia!” esclamò “Accipicchia!” e non seppe aggiungere altro.
Lo Gnomo Puc, che si era svegliato di ottimo umore perchè aveva dormito sotto una pianta di papavero che gli aveva conciliato il sonno, finì di pettinarsi la barba, poi disse: “E’ facile. E’ una cosa facilissima”.
Subito la rosa diventò tutta d’oro, petali, foglie, tutto, e si ritrovò fra le mani del re, perchè soltanto i re posso avere delle rose d’oro.

“E’ una rosa bellissima” disse il re contemplandola “un vero capolavoro. Ma io, oltre a essere re sono anche poeta e preferisco le rose dai petali di velluto”.
“Gnomo Puc!” chiamò la Rosa Bella, e lo gnomo Puc venne subito, a cavalcioni della sua pipa.
“Che c’è?”
“Credevo che la rosa d’oro fosse la rosa più bella del mondo. Invece non è vero. Voglio essere una rosa di velluto”.
Lo gnomo Puc la toccò con la cannuccia della sua pipa e subito la Rosa d’oro divenne di velluto e si trovò appuntata sulla pelliccia di una signora.
“Bellissima questa rosa di velluto!” disse qualcuno toccandola con un dito.
“Sì” rispose la signora “ma, come tutte le rose di velluto, non ha odore. Il più umile fiorellino di campo odora più di questa rosa artificiale. E perciò non ha nessun valore.”
“Gnomo Puc!” gridò la rosa di velluto.
“Che cosa succede?” chiese questi, accorrendo.

“Mi hanno chiamato una rosa artificiale e hanno detto che non ho nessun valore. Che cos’è che ha più valore di tutto, per gli uomini?”
“Lasciami pensare cinque minuti” disse lo gnomo Puc. Si mise a pensare con la testa tra le mani, poi guardò l’orologio e disse: “Ecco fatto. Più valore di tutto, per gli uomini, ce l’ha il diamante.”.
“Bene!” esclamò la Rosa “Fammi diventare una rosa di diamanti”.
Lo gnomo Puc la contentò. La Rosa sfolgorò e mandò sprazzi di luce dalle gemme di cui era composta. Un uomo la guardava attentamente con la lente nell’occhio.
“Perfetta…” mormorò “un valore inestimabile.”
Poi la mise in un astuccio di raso e la ripose nella cassaforte.
La Rosa si trovò al buio.
“Dove sono?” gridò.
Le rispose un tintinnio che sembrò una risata beffarda.
“Sei nella cassaforte di un avaro” disse una voce sottile.
“Chi ha parlato?”
“Siamo delle monete d’oro, condannate, come te, a un brutto destino: non vedere mai il sole”.
“Gnomo Puc!” gridò la Rosa “Vieni subito d’urgenza!”.
“Eccomi!” disse lo gnomo Puc, che poteva entrare anche nelle casseforti. “Com’è, non sei contenta?”
“Nient’affatto!” disse la Rosa “Voglio ritornare dov’ero quando sono nata”.
E subito tornò ad essere la Rosa Bella del giardino.

Tutti le fecero festa e la riempirono di complimenti.
Poi scesero in giardino due bambine e si misero a cogliere i fiori. Colsero molti fiori, anche il Garofano Rosso e la Rosa Bella che misero proprio al centro del mazzo. Poi andarono dalla mamma e glielo regalarono.
“Oh, come sono brave le mie bambine!” esclamò la mamma” Mi hanno regalato un mazzolino stupendo. Questa rosa, poi, è certo la più bella rosa del mondo”.
Lo gnomo Puc, che ascoltava dietro la porta, si stropicciò le mani, soddisfatto.
Mimì Menicucci

Racconti per la primavera – Il pettirosso di mamma Orsa

Un giorno di primavera, quando mamma Orsa era piccola, trovò un piccolo pettirosso in giardino, troppo piccolo per volare.
“Oh, come sei carino” disse, “Da dove vieni?”
“Dal mio nido” rispose il pettirosso.
“E dov’è il tuo nido, piccolo pettirosso?”, domandò mamma Orsa.
“Credo che sia lassù” rispose il pettirosso.
“No, quello era il nido del passerotto”
“Forse è più in là” disse il pettirosso.
“No, quello era il nido del merlo”.
Mamma Orsa guardò da tutte le parti, ma non riuscì a trovare il nido del pettirosso.
“Puoi vivere con me” disse, “sarai il mio pettirosso”.
Portò il pettirosso a casa e gli preparò un nido.
“Mettimi vicino alla finestra, per favore” disse il pettirosso. “Mi piace guardar fuori e vedere gli alberi e il cielo”
Mamma Orsa lo mise vicino alla finestra.

“Oh” disse il pettirosso “dev’essere divertente volare lì fuori”
“Sarà divertente anche volare qui dentro” rispose mamma Orsa.
Il pettirosso mangiava, cresceva, cantava. Presto imparò a volare. Volava in giro per la casa e si divertiva, proprio come mamma Orsa aveva detto.
Ma un giorno che era triste, mamma Orsa gli domandò: “Perchè sei triste, piccolo pettirosso?”
“Non lo so” rispose il pettirosso, “il mio cuore è triste”.
“Prova a cantare una canzone” disse mamma Orsa.
“Non posso” rispose il pettirosso.
Gli occhi di mamma Orsa si riempirono di lacrime. Portò il pettirosso in giardino.
“Ti voglio bene, piccolo pettirosso” disse “e voglio che tu sia felice. Vola via, se vuoi. Sei libero”.
Il pettirosso si alzò alto in volo nel cielo azzurro.
Cantò una canzone dolce e acuta.
Poi tornò giù, dritto verso mamma Orsa.
“Non essere triste” disse il pettirosso, “anch’io ti voglio bene. Devo volare per il mondo, ma ritornerò. Ogni anno, ritornerò”.
Allora mamma Orsa gli dette un bacio, e il pettirosso volò via.
(Else Holmelund Binarik)

Racconti per la primavera – La rondine
Il primo stormo di rondinelle arriva fra le vecchie case del borgo. Ciascuna cerca il suo nido, e se lo trova sciupato dal vento, dalla pioggia, dalla neve, la rondine va in cerca di fuscelli, di bioccoli sulla siepe, per ripararlo.
C’è una rondinella che arriva un po’ in ritardo.
Alcune compagne curiose e pettegole le volano incontro, la circondano:
“Sai, il tuo nido è occupato”
“C’è dentro una pesseretta”
“Quando ci ha viste s’è avventata col becco spalancato”
“Non vuole uscire”
“Dobbiamo scacciarla”
“E’ una prepotente”
“E’ un’intrusa”
“Andiamo a vedere” fa la rondine, già sdegnata, perchè è stato occupato il suo nido.”Vedrete, ci penso io!”
E vola verso il campanile.

Eccolo il suo nido, sotto l’arcata.
La rondinella si lancia a volo presa dall’ira… ed ecco, trova tre testoline ancora implumi, tre beccucci spalancati, tre passerini affamati.
“Andiamo” dice la rondine alle compagne “Mi aiuterete a costruirmi un nido nuovo”
“Come? Come? Vorresti…”
“Poveri passerotti, sono tanto piccini…” dice la rondine con un cinguettio commosso.
(Eugenia Graziani Camillucci)

Racconti per la primavera – Marzo e il pastore
Una mattina, sul cominciare della primavera, un pastore uscì con le pecore e incontrò Marzo per la via. Disse Marzo: “Buongiorno, pastore, dove le porti oggi le pecore?”
“Eh, Marzo, oggi vado al monte!”
“Bravo pastore, fai bene, buon viaggio!” E fra sè disse “Lascia fare a me; oggi i innaffio io per bene!”
Il pastore, però, che l’aveva squadrato ben bene in viso, aveva fatto tutto il contrario. La sera, nel tornare a casa, incontrò di nuovo Marzo.

“Ehi, pastore, com’è andata oggi?”
“E’ andata benone. Sono stato al piano: una bellissima giornata, un sole che scottava.”
“Ah, sì? Ci ho gusto!” (e intanto si morse un labbro) “E domani dove andrai?”
“Domani tornerò al piano. Con questo bel tempo…”
“Bravo, addio!”
E partirono. Ma il pastore, invece di andare al piano, andò al monte; e Marzo giù acqua e vento e grandine al piano. La sera trovò il pastore.
“Oh pastore, buonasera! E oggi com’è andata?”
“Benone! Sai, sono andato al monte. E’ stata una giornata d’incanto. Che cielo! Che sole!”
“Bravo pastore… e domani dove andrai?”
“Eh, domani andrò al piano!”
Insomma, per farla corta, il pastore gli disse sempre il contrario, e Marzo non ce lo potè mai beccare. Si arrivò così alla fine del mese.

L’ultimo giorno Marzo disse al pastore: “Eh beh pastore, come va?”
“Va bene,ormai è finito Marzo e sono a cavallo. Non c’è più paura e posso star tranquillo…”
“Dici bene,e domani dove andrai?”
“Domani vado al piano, faccio più presto”
“Bravo, addio!”
Allora Marzo in fretta e furia andò da Aprile, gli raccontò la cosa e, infine, gli disse: “Ora avrei bisogno che tu mi prestassi un giorno”.
Aprile, senza farsi pregare, gli prestò un giorno.
La mattina dopo, il pastore fece uscire le pecore e andò al piano come aveva detto. Ma, quando fu una certa ora e il gregge era sparso per i prati, cominciò una ventipiova da fare spavento; acqua a ciel rotto, vento e neve e grandine. Il pastore ebbe da fare e da dire a riportare le pecore all’ovile.
La sera Marzo andò a trovare il pastore, che era là nel canto del fuoco, senza parole, tutto malconcio, e gli chiese ironico: “Oh pastore, buona serata! Oggi com’è andata?”
“Ah, Marzo mio, sta’ zitto, sta’ zitto, per carità! Oggi è stata proprio nera. Peggio di così neanche a mezzo gennaio; si sono scatenati per aria tutti i diavoli dell’inferno.”
E’ per questo che marzo ha trentun giorni; perchè ne ha preso in prestito uno da aprile.
(I. Neri)

Racconti per la primavera – La leggenda del tuono
Una mattina, Nube Bianca, una graziosa bimba pellirossa, mentre si chinava al allacciare un sandalo, notò ai suoi piedi una lumaca.
Infastidita, con un calcio la buttò lontano e riprese il suo cammino. Passarono molte ore e Nube Bianca non fece ritorno a casa.
I fratelli l’attesero a lungo; poi, preoccupati, incominciarono a chiamarla: “Nube Bianca, dove sei? Nube Bianca, rispondi!”
Corsero a destra e a sinistra, e finalmente la videro. Stava immobile sulla cima di una rupe.
“Scendi, Nube Bianca! Cosa fai lassù?”
“Non posso muovermi” rispose tristemente la sorellina “sono stata punita per aver maltrattato una lumaca. Potrò scendere solo se venite a prendermi”.

“Proviamo a salire” propose il maggiore dei fratelli “dobbiamo salvarla”.
Purtroppo la roccia era troppo ripida e i quattro ragazzi, ad ogni tentativo di arrampicarsi non facevano che scivolare indietro.
“E se ci costruissimo delle ali con il legno di quel cedro laggiù?” propose il fratello maggiore.
Corsero a staccare i rami, li intrecciarono, e se li legarono sulle spalle. Ma fecero solo qualche metro e ripiombarono a terra.
“Proviamo a costruirle più leggere” disse uno dei fratelli.
Tornarono tutti e quattro di corsa al villaggio, raccolsero le lische dei salmoni lasciate sulla riva da alcuni pescatori e le legarono con striscioline di pelle.

“Facciamo presto! Tu lega le ali alle mie spalle. Io aiuto Freccia Rossa, che è troppo piccolo per arrangiarsi da solo. Siamo pronti? Alziamoci in volo insieme!”
Il vento che vide i loro sforzi, si commosse e soffiò forte. I ragazzi non fecero che un lieve movimento. Esso li sollevò e li accompagnò fino alla capanna.
Ma appena i quattro fratelli ebbero deposto Nube Bianca a terra, un nuovo colpo di vento li alzò e li portò lontano nel cielo.
“Addio… addio…” ripeterono a lungo, finché svanirono per sempre. Ammirato dal loro coraggio, il vento li aveva trasformati in tuoni.
Da allora i pellirosse della costa del Pacifico, quando si scatenano grossi temporali, riconoscono nei tuoni i quattro fratelli coraggiosi.

Racconti per la primavera – Marzo irrequieto
Tre erano i figlioli della Primavera: Marzo, Aprile e Maggio. A questi tre ragazzi la Primavera delegava, per un mese ciascuno, il governo dei venti e, quando le cose erano nella mani di Marzo, la prima a tremare era la madre.
Delle cose del cielo in quel mese non se ne capiva nulla: ora il cielo scottava come in giugno, ora una tramontana gelata scendeva dai monti e faceva rabbrividire i germogli; ora il cielo si copriva di nubi come in gennaio e quel pazzo monello, dopo aver raccolto sulle montagne burrasche di neve e di tempesta, le scagliava per la campagna, facendo strage di fiori e di gemme.

Un giorno sua madre gli disse: “Senti, Marzolino mio, tu sai: in tutto l’inverno ho accumulato un subisso di nuvole sporche che ora vorrei lavare. Ti prego di farmi qualche giorno di bel tempo, con un bel sole forte, perchè voglio fare il bucato di tutto ed asciugarlo il più rapidamente possibile”.
Marzo, naturalmente, si diede a rassicurare compiutamente la madre e l’indomani la Primavera, in gran faccende, a mezzogiorno aveva già steso al sole, che splendeva magnifico in cielo, una gran quantità di panni candidi.

Tutto andava per il meglio, quando Marzo, affacciatosi da un angolo dell’orizzonte, vedendo quel candido bucato disteso sui monti e la mamma tutta intenta a sciabordare nelle acque profonde, fu preso da uno di quegli irresistibili impeti di monelleria che sono il meglio e il peggio del suo carattere.
“Che bella cosa” disse tra sè “portare un po’ in giro tutto quel bucato! Mia madre è tanto, tanto carina quando corre qua e là, coi capelli in aria, a raccattare i suoi panni!”

Detto fatto, apre l’otre dei venti ed ecco un furioso maestrale mettersi a correre come un matto verso la pianura. Solleva nuvole di polvere, scavezza ramoscelli, sbatacchia rabbiosamente le chiome degli alberi e finalmente si precipita sul bucato: lenzuoli, tovaglie, camicie, tutto all’aria! Qualche lenzuolo si straccia sui cespugli della montagna, altri vengono sollevati e trasportati a precipizio nell’azzurro e sul mare: il cielo è tutto pieno di stracci variopinti, sbattuti qua e là dalla furia del vento.

La povera Primavera, disperata, coi capelli all’aria, corre per i campi cercando di agguantare a volo quei panni volanti, e grida e chiama e si aggrappa agli alberi per non essere sbattuta via anche lei dalla tempesta.
E intanto uno squillo di risa argentine risuona per le campagne: ridono rombando gli alberi dei boschi, ridono le fontane, e ride pazzamente Marzo, con i grandi occhi azzurri spalancati dietro le cime dei monti.
(M. Spano)

Racconti per la primavera – Gli uomini di burro

Giovannino Perdigiorno, gran viaggiatore e famoso esploratore, capitò una volta nel paese degli uomini di burro. A stare al sole si squagliavano, dovevano vivere sempre al fresco, e abitavano in una città dove al posto delle case c’erano tanti frigoriferi. Giovannino passava per le strade e li vedeva affacciati ai finestrini dei loro frigoriferi, con una borsa del ghiaccio in testa. Sullo sportello di ogni frigorifero c’era un telefono per parlare con l’inquilino.
“Pronto”
“Pronto”
“Chi parla?”
“Sono il re degli uomini di burro. Tutta panna di prima qualità. Latte di mucca svizzera. Ha guardato bene il mio frigorifero?”
“Perbacco è d’oro massiccio. Ma non esce mai di lì?”
“D’inverno, se fa abbastanza freddo, in un’automobile di ghiaccio.”
“E se per caso il sole sbuca d’improvviso dalle nuvole mentre la vostra maestà fa la sua passeggiatina?”
“Non può, non è permesso. Lo farei mettere in prigione dai miei soldati”.
“Bum” disse Giovannino. E se ne andò in un altro paese.
(G. Rodari)

Racconti per la primavera – Il fiore
C’era un bocciolo che faticava ad aprirsi. Era duro, piccolo, verde e pareva che non dovesse sbocciare mai. Allora disse alla pianta: “Succhia forte il buon nutrimento dalla terra, così io potrò diventare più grosso”.
La pianta succhiò con tutte le sue radici e il bocciolo ingrossò, ma rimaneva verde e duro. Allora disse alle nuvole:”Mandate giù una pioggerella, ma non tanto forte, altrimenti mi sciupate”.
E le nuvole mandarono giù una spruzzatina sulla terra, ma con molta educazione.

Poi il bocciolo disse al sole: “Per piacere, riscaldami coi tuoi raggi, ma non mi bruciare, sarebbe un peccato”. E il sole lo accarezzò col suo tepore.
Finalmente in una bella mattina di primavera, il bocciolo si aprì e ne venne fuori un magnifico fiore rosso che pareva di seta.
Una farfalla disse: “Che bellezza! Un fiore così bello non si è mai visto in questo giardino!”. E vi si posò sopra con delicatezza.

La terra, le nuvole, il sole ne furono molto orgogliosi. Le campanelle bianche, screziate di rosa, si misero a suonare a festa.
Verso sera arrivò un bambino. Vide il bellissimo fiore rosso e lo colse. Poi lo strappò.
Le campanelle smisero di dondolarsi e chinarono le corolle con molta malinconia.
Il giardino pianse per tutta la notte.
(Mimì Menicucci)

Racconti per la primavera – La cameriera della Primavera
C’era una donnina che si chiamava Sigismonda e stava al servizio della Primavera. Qualche giorno prima che questa scendesse sulla terra per il solito viaggio, Sigismonda si metteva a cavalcioni della scopa e si calava giù per le azzurre vie del cielo. Veniva a vedere se, sulla terra, tutto era in ordine.
“Benvenuta, Sigismonda!” gridavano i merli che la vedevano per primi dall’alto degli alberi.
“Come va, come va?” chiedeva Sigismonda, soddisfatta di quella festosa accoglienza, “Avete preparato la nuova canzone?”
“Si capisce”, dicevano i merli, “La vuoi sentire?”
“Grazie, no, io non me ne intendo!” rispondeva Sigismonda. Era un po’ sorda e si vergognava a dirlo. Ma i merli erano così impazienti di cantare la loro nuova canzone che chiudevano gli occhi e si mettevano a fischiettare. Sigismonda approfittava della loro distrazione e scendeva sui teti a salutare i passeri.

“Sigismonda, abbiamo già fatto i nidi!” gridavano quelli, tutti insieme, con gran baccano.
“Mi compiaccio! Primavera sarà molto contenta!”
“Quando arriverà, troverà già i piccini”.
E i passeri, dalla gioia, si buttavano giù a precipizio, poi tornavano su velocissimi e Sigismonda doveva andarsene perchè le veniva il capogiro.
Le campanelle azzurre cominciavano a suonare dolcemente non appena la vedevano. Gli uomini non sentivano nulla, ma i grilli e gli insetti del prato godevano molto di quella musica e la stavano ad ascoltare estasiati.

“Sigismonda, un concerto così, Primavera non l’ha mai sentito!”
“Oh, che piacere sarà per lei! Ha sempre tanta voglia di ballare!”
“Io le ho preparato una serenata coi fiocchi. La vuoi sentire, Sigismonda?”
E il grillo cominciava a suonare e Sigismonda si addormentava e faceva dei bellissimi sogni. Quando la serenata era finita, il grillo la pizzicava dolcemente sotto la pianta dei piedi e Sigismonda si svegliava.

“E’ bellissima questa serenata! Beata Primavera che potrà sentirla tutte le sere!”
E poichè si faceva tardi, la donnina si affrettava a guardare se tutto era in ordine. Ma tutto era in ordine, sempre. Nessuno mancava mai all’appello della Primavera e tutti erano puntuali come orologi di precisione. I bocciolini si tenevano pronti ad aprirsi tutti insieme non appena Primavera li avessi sfiorati col piede, le erbette erano nuove e lustre, i ruscelletti ridevano sommessamente, correndo tra i sassi puliti.
“Mi pare che tutto sia pronto!” diceva finalmente Sigismonda, e rideva anche lei, giocondamente, perchè era sempre allegra come si conviene alla cameriera della stagione più bella dell’anno.

Poi diceva agli scoiattoli che si spazzolassero bene la coda, cosa che questi facevano con grande piacere, dava un ultimo colpo di scopa ai mucchi di neve rimasti nei crepacci, pettinava i prati che il vento si era divertito a scapigliare e infine, guardandosi intorno diceva:”Che bellezza!”.

Si metteva di nuovo a cavalcioni della scopa e, dopo aver salutati tutti festosamente, tornava per le azzurre vie del cielo e le stelle le facevano l’occhiolino, molto contente di rivederla.
Mimì Menicucci

Racconti per la primavera – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo

Anche se l’accrescimento può essere soggetto a diversi fattori ambientali, l’orientamento della pianta è guidato da tre fattori principali che sono il fototropismo, il gravitropismo e il tigmotropismo:

il fototropismo, o crescita verso la luce, assicura che le foglie ricevano una quantità ottimale di luce per la fotosintesi;
il gravitropismo, o crescita in risposta alla gravità, permette alle radici di crescere nel suolo verso il basso e ai fusti di crescere verso l’alto, lontano dal suolo;
il tigmotropismo, o crescita a seguito di contatto, permette alle radici di crescere attorno agli ostacoli ed permette alle piante rampicanti di avvolgersi attorno alle strutture di supporto.

Il fototropismo è mediato dall’auxina (un ormone vegetale della crescita). L’auxina si forma nell’apice e poi scende distribuendosi uniformemente in tutte le cellule della pianta, ma se l’illuminazione non proviene dall’alto, l’auxina anziché distribuirsi uniformemente si sposta verso il lato non illuminato. L’accumulo di questo ormone determinerà crescita maggiore nel lato in ombra, con conseguente piegamento verso la luce.

Il fototropismo è stato descritto per la prima volta da Darwin, ed è stato osservato anche nel plancton acquatico.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
 Materiale necessario per costruire il labirinto:

– una scatola di cartone con coperchio, possibilmente di colore scuro
– ritagli di cartone, possibilmente di colore scuro

Piantine:

l’esperimento riesce particolarmente bene utilizzando patate, patate dolci o cipolle germogliate che possono essere messe in un vaso di terriccio ben bagnato, oppure sospese in un vaso d’acqua con degli stecchini di legno:

photo credit http://amicidellortodue.blogspot.it/

oppure piantando un seme di fagiolo in un vasetto con un po’ di terriccio ben bagnato:

photo credit: http://lalica.wordpress.com/

Se usiamo il vaso con terriccio, sia per la semina, sia per patate e cipolle germogliate, occorrerà  di tanto in tanto innaffiare, e anche se usiamo il vaso d’acqua dovremo controllare se serve aggiungerne.

Con le patate e le cipolle si può anche provare a metterle nella scatola così, senza acqua né terriccio: contengono in effetti acqua e nutrienti che per un po’ possono assicurare la crescita del germoglio anche in assenza di terra ed acqua. Se scegliete questa soluzione, il processo di sviluppo della pianta potrebbe essere un po’ più lento, ma vi sarà possibile sigillare meglio il coperchio alla scatola.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Obiettivi dell’esperimento:

dimostrare l’effetto della luce sulla crescita delle piante.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Tempi:

occorreranno circa due settimane dall’esperimento, per poter osservare i risultati. Di più se rinunciate a terriccio ed acqua.

Per preparare i bambini possiamo, nei giorni precedenti, invitarli ad osservare le piante sul davanzale della finestra. Cosa possiamo dire della loro crescita?  Che le piante non crescono verso la stanza, ma verso l’esterno della casa. Perchè? Perchè le piante si rivolgono alla luce del sole. Possiamo anche uscire all’aperto ed osservare e confrontare la crescita delle piante che incontriamo.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Preparazione della scatola

La scatola può essere preparata in diversi modi, l’importante è che presenti un solo foro in alto per l’ingresso della luce e che i cartoni divisori siano alternati in modo tale da non impedire alla luce di seguire un certo percorso verso la pianta, ed alla pianta di crescere verso il foro, una volta che la scatola sarà chiusa.

I cartoni divisori devono avere esattamente la stessa altezza di quella della scatola, in modo tale da toccare il coperchio, quando la scatola verrà chiusa. Potete farne quanti ne volete. Possono essere di lunghezza diversa, oppure posso essere tutti lunghi come la lunghezza della scatola, e si possono praticare fori (finistrelle di circa 3×3 cm) a distanze diverse per il passaggio della luce.

Alcuni esempi:

http://www.asc-csa.gc.ca/

photo credit: http://www.epa.gov/

photo credit: http://www.imsa.edu

photo credit: http://kitchenpantryscientist.com/
 
photo credit http://bangkokpatanascience.blogspot.it/
 
photo credit: http://archive.blisstree.com/
 

Per la riuscita ottimale dell’esperimento, naturalmente, la scatola deve essere integra ed il coperchio deve chiudere perfettamente, così la luce può davvero entrare solo attraverso il foro superiore. Si può controllare inserendo una torcia,al buio, nel foro superiore, e si può provvedere a sigillare meglio con l’aiuto del nastro adesivo, ma bisogna ricordare che ogni tanto la scatola deve essere aperta per dare l’acqua alla pianta.

È essenziale che anche i cartoni divisori all’interno siano a tenuta di luce lungo i punti di fissaggio alla parete della scatola e utilizzare nastro adesivo nero può essere una buona soluzione.

Inoltre anche tutti i bordi dei cartoni divisori che toccano il coperchio, quando viene montato, devono essere a tenuta di luce; per impedire alla luce di fuoriuscire al di sopra dei divisori che vengono in contatto con il coperchio si può provvedere a rivestire l’interno del coperchio con un foglio di spugna o qualche strato di feltro, e poi mettere il coperchio premendo delicatamente, in modo tale da comprimere l’imbottitura contro i divisori di cartoni ed i bordi esterni della scatola.

Possiamo anche più semplicemente incappucciare la scatola con un telo nero che presenti solo un foro in corrispondenza del foro per la luce praticato sulla scatola.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Cosa fare

Preparata la scatola e il germoglio, posizionare la piantina sul fondo, chiudere col coperchio e posizionare in un luogo soleggiato, in modo che il foro in alto possa ricevere quanta più luce possibile.

Possiamo coi bambini fare previsioni rispetto a quello che accadrà all’interno della scatola, e i bambini possono provare a disegnarle.

Si può approfittare dell’apertura della scatola per le innaffiature, per fare misurazioni e registrazioni.
Quanto velocemente può la vostra pianta di fagioli o di patate crescere? Patate e fagioli sono piante che crescono molto in fretta: una pianta di fagioli raggiunge l’altezza di circa 50 centimetri in tre settimane, e una pianta di patata cresce fino a 60 centimetri in quattro settimane. I bambini possono usare un righello per misurare la crescita della pianta, e fare un segno all’interno della scatola . Queste misurazioni possono essere fatte ogni giorno. Osserveremo che durante i primi giorni la crescita sarà molto molto lenta, ma poi accelererà notevolmente dopo il terzo o quarto giorno, soprattutto se saremo costanti con le innaffiature.

Possono inoltre essere preparate delle “scatole di controllo”. La più interessante sarà quella preparata come spiegato, ma poi, invece di essere esposta al sole col foro in alto, la si può appendere a un sostegno alto, in modo che l’apertura per la luce venga a trovarsi in basso. Cosa accadrà alla piantina in questa scatola? Sarà in grado di sfidare la forza di gravità e crescere a testa in giù per raggiungere la luce?

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Conclusioni possibili

Le piante, che appaiono immobili per definizione in quanto saldamente ancorate alla terra con le loro radici, in realtà sono in grado di compiere movimenti in risposta a stimoli esterni.

La luce solare è essenziale per la crescita delle piante, e le piante fanno tutto il possibile per riceverla.

Coi bambini più grandi possiamo parlare nello specifico del fototropismo e dei suoi meccanismi ricorrendo ai termini esatti, oppure presentare il fenomeno a partire da ciò che è direttamente osservabile.

Le piante, come tutti gli esseri viventi, sono costituiti da piccole unità chiamate cellule. Nelle piante, alcune cellule presenti nelle foglie e negli steli sono sensibili alla luce. Mentre gli esseri umani e altri animali mangiano cibo per ottenere energia, le piante ricavano l’energia che serve loro per vivere dal sole. Una pianta che non può ricevere una quantità di luce adeguata  può morire, e per questo ogni pianta cerca sempre di crescere in direzione del sole. Per la nostra piantina chiusa nel labirinto, anche la piccola quantità di luce che entra attraverso il foro è sufficiente a guidare il germoglio verso l’esterno.

All’apertura della scatola potremo notare come il germoglio e le foglioline appaiano biancastre nelle zone più lontane dal foro. Le piante infatti, ricevuta l’energia che serve loro attraverso la luce del sole, producono una sostanza chimica chiamata clorofilla, che è di colore verde. Quando la clorofilla manca, le foglie invece di essere verdi diventano bianchicce, gialle, rossicce, marroncine; come avviene naturalmente in autunno.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo – Fonti:

– http://www.imsa.edu

– http://scienceforcuriousstudents.blogspot.it

– http://www.planet-science.com/

– http://kitchenpantryscientist.com/

– http://www.ehow.com/

– http://plantsinmotion.bio.indiana.edu

– http://www.asc-csa.gc.ca/

– http://bangkokpatanascience.blogspot.it

– http://archive.blisstree.com/

– http://herbarium.desu.edu/

– http://it.wikipedia.org/wiki/Fototropismo

– http://www.tesionline.it/v2/

fototropismo

Tutorial: libretto fatto a mano con le impronte digitali

Impronte digitali. Tutorial: libretto fatto a mano con le impronte digitali. Trovo molto interessanti le immagini che si possono creare aggiungendo pochi tratti stilizzati alle impronte digitali; sicuramente i bambini più grandi possono inventare vere meraviglie anche da soli, ma coi più piccoli la proposta si fa più complicata…

…ho pensato questo libretto per loro. Lo consiglio perchè per l’adulto che lo prepara è tempo dedicato alla creatività e ai pensieri felici sul proprio bambino, e per il bambino perchè anche da queste piccole cose può nascere l’amore per i libri e la lettura: facendo leva sulla meraviglia gli diciamo che un libro è una cosa che nasconde sorprese belle e che…le cose non sono le cose. Ed ecco il risultato:

Nelle pagine a sinistra ci sono le impronte digitali colorate, nella pagina a destra, nascosta sotto la carta velina colorata, c’è una paginetta trasparente che contiene i segni che completano la figura: si apre la velina, si gira la pagina trasparente…

… e appare l’immagine completa:

Materiale occorrente:

– fogli A4 bianchi da stampante
– cartoncino colorato
– carta velina colorata
– fogli trasparenti di carta da regalo (quella da fiorista)
– un pennarello nero indelebile
– tempera o pittura da dita in colori vari (io ho usato la pittura per vetrofanie, che una volta asciutta resta lucida e gommosa, e facilita la sovrapposizione del foglio trasparente, che rimane aderente)
– forbici e colla da carta
– nastro adesivo trasparente
– se non siete bravi disegnatori, possono essere utili dei modelli da copiare; i miei, in formato pdf pronti per la stampa, se volete sono qui:

impronte digitali

Come si fa:

Preparate le impronte, fatele asciugare e ritagliatele. Preparate nel frattempo la prima pagina piegando un foglio A4 a metà: la prima facciata sarà la copertina del libretto, e nella prima facciata interna potete incollare le prime impronte.

Per tutte le pagine formate dal foglio A4 piegato a metà, procedete così:

Tagliate a misura un pezzo di carta trasparente e fermatela sulla piegatura della metà col nastro adesivo trasparente, con le dita premete bene, aprite e chiudete più volte questa pagina trasparente aggiunta per fare in modo che si muova agevolmente, poi procedete col disegno:

Incollate al margine destro del foglio bianco la carta velina e ripiegatela in modo che si possa aprire e chiudere, così:

Infine incollate un cartoncino colorato, così:

Piegate il foglio trasparente sul cartoncino (in questo caso giallo) e coprite chiudendo la velina (in questo caso il foglietto rosa):

Per la pagina successiva chiudiamo tutto, la quarta facciata sarà quella dove incolleremo le nuove impronte, poi avremo bisogno un altro foglio A4 piegato a metà, sempre col nastro adesivo trasparente, poi procediamo come sopra: foglio trasparente, disegno, velina e cartoncino…

Per la copertina scegliete del cartoncino e decoratelo a vostro gusto; naturalmente fate in modo che il bambino piccolo capisca facilmente qual è il dritto del libro ed il davanti… la copertina dovrebbe dare questo messaggio.

Qui i dettagli delle mie impronte, ma si può fare decisamente di meglio:

I modelli di riferimento li ho trovati qui:

– http://blog.gummylump.com/2011/04/eric-carle-inspired-fingerprint-craft.html

– http://www.thechocolatemuffintree.com/2011/05/ant-art-projects.html

– http://kids4crafts.blogspot.it/2009/03/fingerprint-bug-bookmarks-at-bookmans.html

– http://www.example.pl/odciski-palcow-12535.htm

Dettati ortografici MAGGIO

Dettati ortografici MAGGIO – Una collezione di dettati ortografici sul mese di maggio, di autori vari, per la scuola primaria.

Maggio, bel maggio, maggio amor dei fiori! Ogni pianta, a maggio, ha il suo fiore, ed ogni fiore farà il seme e il seme darà la vita a una nuova pianta.

Maggio è forse, il più bel mese dell’anno. Tutte le piante sono in fiore, qualche albero già prepara il suo frutto. Il grano ha messo il suo fiorellino. Il cielo è quasi sempre azzurro, la temperatura è mite, il sole splende e manda i suoi raggi a riscaldare la terra.

Quante rose a maggio! Rose semplici con cinque petali,  rosi grandi, doppie, rose rosse, rosa, bianche, gialle. Rose nei cespugli, arrampicate sui cancelli, rose nei giardini e sulle siepi.

Sopra il muretto del giardino fa capolino una rosa. E’ una rosa rossa, profumata, che si dondola nell’arietta tiepida. Bella rosa,  tu sei la regina di maggio!

Il grano ha fatto la spiga. E’ ancora una spiga verse, senza granelli, ma presto diverrà piena, pesante e sotto il sole caldo sarà tutta d’oro. E’ il pane di domani.

Fra il grano verde c’è tutto uno sfarfallio di rosso: sono i rosolacci che crescono fra le spighe. E fra i rosolacci c’è anche qualche macchia azzurra: sono i fordalisi che hanno il colore del cielo di maggio.

Fra i rami del ciliegio già rosseggiano i rossi frutti che sembrano tanti cuoricini appesi ai rami. Le ciliege sono buone, piacciono ai bambini, ma piacciono anche ai passeri che vanno a beccarle, golosamente.

Le rose sono sbocciate. Fioriscono sulla siepe, sui cespugli, sui muri. La rosa è la regina di maggio. Tutta l’aria è piena del profumo delle rose.

Ancora una! Ancora un’altra! Invincibile tentazione… La ciliegia ride scaltra: mangia, mangiami, ghiottone!

Le rose fioriscono sulle siepi, nei giardini, nei vasi che si tengono sui davanzali. Sono rose rosse dai petali di velluto, rose di color rosa come le guance dei bambini, rose bianche come la cera, che stanno bene sulla tavola apparecchiata.

Maggio è il mese delle rose e ogni pianta di rosa mette il suo bocciolino e fa sbocciare il suo fiore profumato.

Maggio è il mese più bello dell’anno. La campagna è piena di fiori, le spighe diventano dorate, il  cielo è azzurro e solo qualche nuvolone bianco, talvolta, vi naviga lento.

Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e afferrano al volo fiocchi di bambagia e di lanuggine per fare il nido più morbido e caldo.

 Com’è bello il mese di maggio! Quanti fiori, quante rose! Si sente una gran gioia nel cuore, un gran bisogno di correre e di saltare all’aperto, di respirare l’aria pura a pieni polmoni. (G. Ugolini)

Maggio è il mese più bello dell’anno: la campagna è piena di fiori, le spighe sembrano  un mare verde, il cielo è azzurro e il sole caldo, ma non ardente. Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e afferrano, a volo, fiocchi di bambagia per fare il nido più morbido e più caldo. (G. Vaj Pedotti)

Dai folti e verdi cespugli, le rose mandano il loro intenso profumo nell’aria scossa dai dolci rintocchi delle campane. Trionfo di giovinezza e di colori, di fiori e di sole. I ciliegi piegano i loro rami gremiti di frutti vermigli; i bambini, chini sui libri per l’ultima fatica,  guardano invidiosi i garruli voli delle rondini e le danze delle farfalle in pieno sole. Di maggio la gioia canta anche tra le ombre notturne: sotto il cielo inghirlandato di stelle, l’aria è densa di molti profumi e di armoniosi pigolii. L’albero del melo, ultimo a fiorire nell’orto, si ingemma, tra le corolle bianche venate di rosso, di vivide lucciole. (L. Rini Lombardini)

Maggio è il mese in cui più attivo e quasi febbrile si fa il lavoro: nel campo continuano le sarchiature e si iniziano le rincalzature e i trapianti, mentre nei prati comincia la falciatura delle erbe foraggere; si vedono vigne ordinate, orti sistemati con arte e pazienza. Il grano è ormai alto e in qualche luogo si comincia già a vedere la spiga e si odono i canti dei contadini al lavoro: è la primavera che fa cantare gli uomini mettendo loro la gioia nel cuore.

A maggio l’orticello è una bellezza. L’insalatina ha disteso il suo tappeto di un verde tenero. Le cipolline, a due a due, fanno compagni alle piante che ingrossano sottoterra. I piselli dall’alto della pianta mostrano i baccelli già maturi che si nascondono tra le foglie. Il prezzemolo, la salvia, il basilico confondono i loro odori: e su per il muricciolo le piante dei fagioli a fiori bianchi e rossi. Intanto in un angolo, tra le foglie, le fragole sono già mezzo rosseggianti. Una capinera sulla cima di un gran pesco canta ai piccini la canzone di maggio. (Bollini)

A maggio i giardini sono tutti in fiore, sono tutti una festa di forme, di colori, di profumi. Le rose sono le grandi regine: rose rosse, bianche, gialle; rose dai petali vellutati, rose ancora in bocciolo, rose tutte fiorite, che piano si sfogliano, esalano nell’aria il loro profumo e, un poco superbe, si difendono con le spine. I giacinti bianchi, azzurri, rosei, color lilla levano gli steli robusti e portano fiori fitti fitti. Gli anemoni hanno tinte così vivaci che tutta l’aiuola sembra un invito alla gaiezza. Sul muro, dove cresce rampicante, già odora il delicato gelsomino e i gigli sono già alti, già mostrano al sommo i boccioli duri, ancora un poco verdastri, da cui presto sbocceranno i fiori dal purissimo candido colore.

Non c’è rosa che a maggio non sbocci: rose grandissime nei giardini, fortemente profumate, semplici rose di siepe che subito si sfogliano. Ce ne sono di tanti colori, dal rosso così cupo che sembra quasi nero, al bianco così candido che sembra neve. E tra questi due colori, tutte le tinte, dal rosa camicino al giallo zafferano, dal rosso violento, al bianco cereo. Rose nei giardini, nelle siepi, nei cespugli, rose ad alberello, a spalliera, rose rampicanti che arrivano sul tetto. E profumi d’ogni intensità. (M. Menicucci)

E’ bello sostare sul prato di maggio. Il profumo dell’erba novella e dei fiori freschi ti riempiono di fragranza: la vista delle pecore mansuete che brucano e il pastore che zufola o intaglia ti allieta e ti fa amare la vita. Bisogna sostare sul prato di maggio per temprarsi le membra e per rinfrancarsi l’anima. Questo è il mese più adatto. Beato chi se lo può godere sui prati fioriti e festosi. (G. Fanciulli)

Era il mese di maggio. Ed era così sull’imbrunire. Il vecchio pastore, sdraiato sull’erba, guardava le sue capre, tutte raccolte entro il cerchio di pietroni che, là, a mezza valle, servivano per l’addiaccio dei greggi migranti. Alcune dormivano già; altre, accosciate, volgevano il capo, tendevano il muso pigramente di qua e di là, a fiutare gli odori della sera; poche erano ancora in piedi, ma tranquille, mansuete, e come attonite nell’incantata immobilità dell’aria azzurra, venata d’oro. Il cane spinone, fatto il suo ultimo giro, veniva ora ad accucciarsi ai piedi del padrone, fissandolo coi suoi caldi occhi d’ambra e d’amore.

E’ spiovuto. La natura è tutta fresca, raggiante. La terra sembra assaporare con voluttà l’acqua che le dà la vita. Si direbbe che la pioggia ha rinfrescato anche la gola degli uccelli. Il loro canto è più puro, più vivo: tutto uno squillo. Vibra a meraviglia nell’aria, divenuta anch’essa tutta sonora. Gli usignoli, i fringuelli, i merli, i tordi, i rigogoli, i reattini cantano a gara, come pazzi di gioia. Lo strillo di un’oca, stridulo come trombetta, accresce, per contrasto, l’incanto. Innumerevoli meli fioriti appaiono, di lontano, sfere di neve. I ciliegi, candidi anch’essi, scattano su in piramidi o si spiegano in ventagli di fiori. A volte, gli uccelli sembrano come intesi a produrre quegli effetti d’orchestra, in cui tutti gli strumenti si confondono in una massa di armonia. (T. Gautier)

Al crepuscolo appaiono i pipistrelli, razziatori di insetti notturni dal volo rapido, fulmineo. Il grillo tenta i suoi primi accordi che dureranno intensi e continui tutta la notte. I ranocchi iniziano i loro notturni richiami mentre la lucciola, accesa la sua lampada,  perlustra le rive in cerca di lumache. L’aria si fa fresca: la rugiada scende a ristorare animali e vegetali; le stelle guardano dagli alti silenzi del cielo. E’ la notte. (P. Segnali)

In maggio si fa il primo taglio dell’erba per ottenere il fieno maggengo. L’erba dei prati è alta e basta un soffio di vento perchè si pieghi, scompigliandosi. Farfalle e api volano di fiore in fiore in cerca di nettare. Poi un mattino il contadino falcia il prato. In pianura, dove i prati sono vasti, si adopera la falciatrice, una macchina; in collina e sulle montagne, nelle zone non troppo alte, coltivate, dove i prati sono irregolari, talvolta su pendii ripidi, il contadino adopera la falce. Ogni tanto l’affila… L’erba viene recisa, stride, cade e vien lasciata seccare. Cadono anche i fiori, grandi e piccini e, seccando, perdono i loro bei colori, si fanno spenti, quasi grigi. L’erba diventa fieno e quando il fieno è ben asciutto, viene ammucchiato con i rastrelli e raccolto sui carri.

A maggio la spiga è già formata; la piantina si alza esile e diritta con le foglie strette, verdi. E’ così dritta perchè i chicchi non sono ancora maturi. Osserviamoli: sono molli, bianchicci, lattiginosi. Ci penserà la terra con i suoi umori che le radici della piantina succhiano continuamente a renderli grossi, gonfi, turgidi, e il sole, che si fa sempre più caldo, a renderli dorati. Allora, nel mese di giugno, la spiga non potrà più tenersi diritta, si curverà, contenta, per il peso dei chicchi.

Tutto il grande campo di grano color verderame era zeppo di spighe diritte; lassù, nel cielo azzurro, c’era il sole raggiante e tutte le allodole cantavano dallo spuntare dell’alba fino a sera. Dopo il tramonto, la rugiada cadeva dolce come un’onda rinfrescante sul grano infiammato dal sole e la grande luna d’oro splendeva mitemente sui campi che maturavano. (G. Joergensen)

Con gli uccellini che frequentano a primavera inoltrata il  vecchio pino dell’orto credo che si potrebbe popolare un bel boschetto. Dall’alba all’ora di notte un turbinio continuo d’ali e un solo clamore di vocine forti, brevi e pungenti, sempre di una misura. Passeri, certo; e devono convenire qui da tutte le grondaie del vicinato come bambini in un giardino pubblico. Però tra loro c’è anche qualche uccello forestiero, venuto chissà da dove; questo che gracida asprigno a modo di raganella, quest’altro che tenta un gorgheggio d’acqua sorgiva, o quest’altro ancora che cigola acuto e monotono. Lanciano ogni tanto il loro verso strano tra l’interminabile gridio dei passeri, ma subito tacciono, sopraffatti e confusi. (Diego Valeri)

A maggio non basta un fiore! Ne vuole tanti sulla siepe, sui cespugli, nei prati, fra le fessure dei muri. Tutto è in fiore a maggio: la pianta curata dal giardiniere e la piantina che si sforza di crescere sul bordo della strada. La fioritura a maggio è legge per tutte le piante. Perchè una pianta nasce, cresce, si nutre? Per fiorire, per obbedire alla gran legge della natura. Credete che il fiore sia soltanto bellezza? Se fosse così, la pianta potrebbe forse farne a meno. Invece no, deve fiorire per preparare il seme. Deve pensare alla discendenza, e suo dovere è quello di far sbocciare il gran fiore e il minuscolo fiore di campo che solo un’ape operosa conosce. (M. Menicucci)

Ora che siamo in maggio e le rose sono tutte in fiore, nell’aria si sente un gran brusio. Le api vanno e vengono frettolose, infaticabili; e sembrano d’oro nel sole d’oro. Vanno a fare il loro bottino di polline e di nettare nei calici dei fiori che portano alle loro casette, dove lo trasformano in cera e in miele, il bel miele biondo in cui pare siano racchiusi tutti i profumi e tutta la luce di un giorno di primavera. (G . Zanetti)

Maggio è il mese più bello dell’anno. La campagna è piena di fiori, i campi di frumento sembrano un mare verde, il cielo è azzurro e il sole caldo, ma non ardente. Sulla siepe sbocciano le rose; gli uccellini cantano armoniosamente e cercano e afferrano a volo fiocchi di bambagia per rendere il nido più morbido e caldo. (M. Menicucci)

Maggio si presenta inghirlandato di rose. Non vi è giardino che non offra al nostro occhio la splendida fioritura della regina dei fiori. Rosse, ardenti come il fuoco, scarlatte come i tramonti sereni, rosa come pallide aurore, bianche come le nevi splendenti dell’inverno, gialle carnicine, le rose presentano una ricca tavolozza. La primavera vi attinge i colori più belli per dipingere i sogni dei bambini felici. (G. G. Moroni)

Tutto è in fiore a maggio. La pianta ha atteso tanti mesi, ha succhiato l’umore della terra, ha respirato tanto ossigeno dall’aria, si è fatta grande, robusta, bella. Perchè? Per dar vita al fiore. E’ venuto maggio e il fiore è sbocciato. Gli insetti sono accorsi, hanno succhiato, ingordi, il dolcissimo nettare e, così facendo, hanno trasportato il polline da un fiore all’altro. Il miracolo si è compiuto. Il fiore diventerà frutto, seme, vita! E maggio, ridente e rigoglioso, passa sui campi, sui giardini, sulle siepi e dappertutto lascia un fiore, il profumato segno del suo passaggio. (M. Menicucci)

Maggio è il mese dei nidi, le piccole case degli uccelli. Forse ci domandiamo come le piccole creature alate riescano a costruire case tanto perfette. Il fatto è che più che con le ali, con il becco e con petto, gli uccelli costruiscono il loro nido con il cuore, perchè è destinato ad accogliere i loro piccoli nati. Essi amano i loro figlioletti ancora prima che nascano: come le mamme ed i papà di tutti i bimbi che vivono sulla terra. (G. G. Moroni)

Maggio è forse il più bel mese dell’anno. L’aria è tiepida e profumata, i prati sono fioriti, le siepi non mostrano più i loro rami spinosi. Gli uccellini gorgheggiano. E’ ora di fare il nido. E se talvolta qualche nuvolone soffice e candido vela l’azzurro del cielo, è un broncio che passa presto: il cielo torna subito a sorridere. (M. Menicucci)

Nelle risaie a maggio  incomincia la monda. I campi si sono riempiti di erbacce ed è necessario strapparle perchè non danneggino gli steli preziosi. E’ un lavoro pesante, che obbliga a stare per parecchie ore chini, con le gambe immerse nell’acqua. Per lo più viene espletato da giovani donne reclutate per questo lavoro nelle regioni vicine. (G. G. Moroni)

La rosa è celebrata tra i fiori come la regina della bellezza. Nella rosa c’è tutto: forma, colore, odore. Anche gli altri fiori sono belli: non esiste un fiore brutto, ma nessuno è bello come la rosa, bello e perfetto. A qualche fiore, che pure sopravanza la rosa per bellezza, manca il profumo; a qualche altro che ha un soave profumo, manca il colore. Qualcuno ha un odore acutissimo, ma un aspetto modesto: solo la rosa è perfetta, completa, regina. (M. Menicucci)

Una nota di rosso tra il verde delle erbe e delle foglie: sono le ciliegie che abbiamo guardato maturare, pregustando la gioia di coglierle. Se ne sono accorti i passeri, che vanno a beccare golosamente le palline pienotte e rilucenti per essere i primi a godere della primizia. Vorremmo seguire il loro esempio, ma noi… non abbiamo le ali. (G. G. Moroni)

La campagna è tutta in fiore. Gli alberi si sono ormai rivestiti di foglie, il grano è già alto e fa la spiga. Sulle siepi sbocciano le rose selvatiche, di un colore delicato e gentile. Maggio è, forse, il più bel mese dell’anno. (M. Menicucci)

Maggio è il mese delle rose e delle fragole. Negli orti prorompono i piselli, le fave, le prime zucchine, e spandono i loro aromi casalinghi e buoni il prezzemolo, il basilico, la salvia, la maggiorana. Ronzano le api. le cetonie. le libellule. le coccinelle: tutti gli insetti, insomma. che sembrano gioielli smaltati che volano. (F. Palazzi)

Gli alberi hanno perduto tutti i loro fiori. Ma se guardate attentamente fra i rami, al posto dei fiori vedrete certi piccoli frutti verdi, duri, che chiedono solo un po’ di sole e un po’ di caldo per diventare grossi, morbidi, succosi. Il fiore è bello, ma il frutto è bello e buono e ognuno di essi ha la sua stagione. (M. Menicucci)

Mattino di  maggio. A poco a poco le stelle si spengono nella luce del giorno nascente, il cielo luminoso s’inarca, piccole palle di nuvole volano alte nella luce; nuvolette rosee e tonde sopra gli oscuri corpi dei monti. Anche gli uccelli si mettono a cantare, cinciallegre e zigoli; tutt’ a un tratto c’è una quantità di uccelli fra i rami dei cespugli. Altri s’innalzano dai campi; le loro piume improvvisamente s’accendono nella luce; cantano, ricadono a terra. Poi il sole alza il suo capo abbagliante sopra la montagna e incede maestoso, e tutta la vastità del cielo si riempie del suo splendore, cielo e terra. (K. Waggerl)

Fiori di maggio. I contadini hanno approfittato dei giorni asciutti per tagliare il maggese; il frumento s’è legato alto, mettendo la spiga: ai lati delle strade ha fatto ritorno la capricciosa ombra delle robinie; e ogni albero di gran fruscio palpita, frulla, cinguetta, per via degli uccelli indaffarati a preparare  i nidi. Che respiro, che gioia, quando maggio sta per entrare in giugno… Rose ne trovo dovunque; ben condotte lungo fili di ferro sui muretti delle casine rustiche, ben curate negli orticelli, fra le lattughe, i porri e le camomille: quasi tutte di quel roseo vinoso proprio delle vere rose di maggio, che tengono sempre, ronzante tra i petali, una cetonia vorace. Il loro odore si mescola a quello dei fieni di fresco recisi, riposanti in ondulate strisce sui prati nell’attesa di venir raccolte sui carri; e ad un altro, che non so definire, di polvere della strada, di siepi selvatiche, di more acerbe, di snelli corpi infantili in corsa: di terra, d’aria, di sole: non so. (A. Negri)

Comincia a far caldo. Il sole si alza sempre più presto e tramonta sempre più tardi. L’aria è piena di profumi. E’ la festa dei fiori e della loro regina che è la rosa.  Le spighe del grano già ondeggiano e si piegano sotto il peso dei chicchi. Le viti sono fiorite e cominciano a mettere in mostra i grappoli ancora acerbi.
Talvolta si ode brontolare il tuono e scoppiano improvvisi i primi temporali. (S. Pezzetta)

Nessun mese è così verde e così fiorito come il dolce mese di maggio. L’erba è già alta, piena di fiori, di profumati odori, di api, di vespe, di calabroni, di grilli, di coccinelle. Pare che il prato parli, danzi e canti. Ma, soprattutto, il campo è in gran lavoro. Tutte le piante sono coperte di foglie, che catturano i raggi del sole, fabbricano zucchero e lo spingono verso i mille e mille piccoli frutti verdi che devono maturare.
Le ciliegie rubizze, le profumate fragole sono già mature. Sugli alberi dei frutteti e dei boschi sono nascosti mille nidi, ove le madri covano silenziose. E tutta la campagna canta. (M. Comassi)

Dettati ortografici MAGGIO – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Canto: La mamma

Canto: La mamma. Con testo, spartito scaricabile e stampabile gratuitamente e file mp3. Per flauto dolce e canto.

Canto: La mamma
La mamma: testo

Ci sono al mondo tante cose belle
i fiori il mare il cielo con le stelle
il sorriso del sole d’oro che dà luce e dà calor.
Ma per me più che il cielo e il mar
più del sole che ci dà calor
c’è la fiamma del focolare
c’è la mamma col suo amor.

Spartito e file mp3 QUI:

Canto: La mamma

La mamma

Festa della mamma – ebook – Libretto d’auguri illustrato con tisane, tè, sale grosso e collage…

Festa della mamma – ebook – Libretto d’auguri illustrato con tisane, tè, sale grosso e collage… In realtà è quasi un libro tattile e non ha molto senso come ebook, ma lo condivido volentieri sperando possa essere di ispirazione per inventare lavoretti simili coi vostri bambini.

Festa della mamma – ebook – Libretto d’auguri illustrato con tisane, tè, sale grosso e collage…

Si tratta della poesia “Alla mamma” di Luisa Nason, illustrata con tecniche varie:

Alla mamma
Mamma, per la tua festa
io ti offro
una cesta di baci
e un cestino di stelle.
Ti offro un cuscino di fiori
su cui posare la testa
quando sei stanca;
una fontana di perle lucenti
color della luna,
una ghirlanda di rose
e una montagna
di cose gentili
un cuore tanto piccino
e un amore grande così:
mamma per questo dì. ( L. Nason)

file pdf del libretto:

Festa della mamma – ebook – Libretto d’auguri illustrato con tisane, tè, sale grosso e collage…

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Recita per la festa della mamma – La fata

Recita per la festa della mamma – La fata  – Una semplice recitina scritta da T. Lovera, adatta a bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Primo atto: in un giardino

Giulianella:
Mi piacerebbe tanto andare un po’ nella casa delle fate.
Devono essere molto belle e piene di bontà.

(Un fruscio leggero leggero: appare una fatina tutta vestita d’azzurro)

Giulianella:
Oh, la bella fata!

La fatina azzurra:
Mi ha mandato a prenderti la regina delle fate.

Giulianella:
Sono tanto contenta! Vengo con te!

(La bambina si alza, si avvicina alla fata. I fiori si muovono e recitano)

Fiori:
Un palazzo pieno di fiori è lassù nel cielo turchino,
fra le nuvole e le stelle delle fate è il regno d’or.
Cara bambina, ti salutiamo:
addio, piccina, ritorna ancor!
Fru… fru… fru… fru…

(I fiori ritornano al loro posto. Gli uccelli svolazzano intorno alla pianta, poi si fermano davanti alla bambina ed alle fate per dire)

Uccelli:
Un palazzo pien di luce,
è lassù nel ciel turchino,
fra le nuvole e le stelle,
delle fate è il regno d’or.
Cara bambina, ti salutiamo,
addio piccina, ritorna ancor!
Cip… cip… cip… cip…

(Anche gli uccelli ritornano al loro posto)

Azzurrina: Allora, vuoi proprio venire?

Giulianella: (battendo le mani)
Sì! Sì!

(La fatina prende per la mano la bimba. Escono insieme. I fiori e gli uccelli le accompagnano con un gesto di saluto)

Fiori e uccelli:
Cara bambina, ti salutiamo:
addio piccina, ritorna ancor!

Secondo atto: nel palazzo delle fate

(Nel palazzo delle fate, la regina delle fate è seduta in una poltroncina. Entrano la fata Azzurrina e Giulianella)

Giulianella: (inginocchiandosi)
Sono io.

Regina:
Vuoi rimanere sempre nel mio palazzo?

Giulianella:
Sì, sempre.

Regina:
Va bene, diventerai anche tu una piccola fata.

La fatina azzurrina: (avvicinandosi)
Vieni con me, ti metterai il vestito bianco.

(Escono insieme)

Regina:
Chiamerò tutte le fate.
(Suona un campanello)

(Entrano le fate ad una ad una. Ogni fatina ha un vestito di colore diverso: rosso, rosa, giallo, verde e arancio)

Fatine:
Un inchino alla nostra regina!

Regina:
Vi ho chiamate per farvi vedere una fatina nuova, la fata più piccola.

(Entra Giulianella, tutta vestita di bianco: ha in mano la sua bacchetta magica)

Fatine:
Evviva la fatina bianca!

(Le fate danzano a due a due e dicono):

Fatine:
Giriamo, giriamo nel cielo,
portate da nuvole d’or.
Cantiamo vaghe canzoni
per dire la gioia del cuor!

Fatina rossa:
vieni con noi!

Fatina gialla:
vedrai cose belle!

(Riprende il coro)

Fatine:
Giriamo, giriamo nel cielo,
portate da nuvole d’or.
Cantiamo le vaghe canzoni
per dire la gioia del cuor!

Terzo atto: nel palazzo delle fate

(Entra la fatina bianca con altre fatine. Si dispongono davanti alla regina)

Regina:
E così ti sei divertita?

Fatina bianca:
Ho visto tante cose belle.
Ho guardato giù giù…

Regina:
Che cosa hai visto?

Fatina bianca:
Una casa piccina piccina, in fondo al bosco, con tanti bambini. Sulla porta, una bella fata, piena di luce…

Regina:
Una fata?

Fatina bianca:
Sì sì, una fata tanto bella!

Regina: (lentamente)
In quella casa c’è la tua mamma…

Fatina bianca:
Mamma, mamma! Voglio ritornare dalla mia mamma!

Regina:
Hai ragione, non si può essere contenti lontani dalla mamma.

Fatina bianca:
Aiutami, regina, a ritornare dalla mamma.

Regina:
Chiudi gli occhi, in un momento sarai dalla mamma.

Fatina bianca:
Grazie, fata regina, grazie, fatine buone!

(La bambina chiude gli occhi, porta le mani alla fronte. Si avvicinano due fatine, fanno il seggiolino con le mani incrociate e portano fuori la bimba. Le altre fate recitano):

Fatine:
In ogni cuore di bimbo buono
c’è una gran fiamma di luce d’or.
Fiamma d’amore per la sua mamma,
fiamma radiosa che mai non muor.

Di T. Lovera

Dettati ortografici FESTA DELLA MAMMA

Dettati ortografici FESTA DELLA MAMMA – Una raccolta di dettati ortografici di autori vari sulla mamma e la sua festa, per la scuola primaria.

La mamma
Ogni volta che temo di rintracciare nel passato le impronte della beatitudine, mi rivedo accanto alla mamma nei pomeriggi d’inverno quando calava presto la notte, seduti a una stessa tavola, sotto la luce quieta che veniva dal globo di vetro appannato del lume a petrolio. Lei, tutta rinvoltata in uno scialle di lana celeste, cuciva con l’ago o con la macchina; io appiccicavo sopra un foglio grandi farfalle azzurre di carta… La strada era silenziosa, in casa non c’è nessuno all’infuori di noi due, soli, soli, vicini vicini, al riparo dal vento, dal freddo, dal buio, e io mi sentivo salvo e sicuro sotto la protezione della luce colma della lampada e degli occhi potenti e lucenti di mia madre. (G. Papini)

La mamma
Mi rammento che, quando ero stanco di correre, andavo a sedermi dinanzi alla tavola del tè sul mio alto seggiolino. Era già tardi… e gli occhi mi si chiudevano dal sonno; ma non mi muovevo: restavo lì fermo e ascoltavo. Come non ascoltare? La mamma parla con alcune persone… La guardo fisso fisso con gli occhi offuscati dal sonno e ad un tratto ella diventa piccina piccina: la sua faccia non è più grande di uno dei suoi bottoni, ma la distinguo nettamente e vedo che mi guarda e mi sorride… Chiudo ancor più le palpebre ed ella diminuisce, diminuisce… Ma, ecco, mi sono mosso e l’incanto è rotto. (L. Tolstoj)

La mamma
Vi è un nome soave in tutte le lingue, venerato fra tutte le genti; il primo che suona sulle labbra del bambino; un nome che l’uomo maturo e il vecchio invocano con tenerezza di fanciulli nelle ore solenni della vita, anche molti anni dopo che non è più sulla terra chi lo portava. E’ il nome della mamma. (E. De Amicis)

La mamma
La mamma! Dicono che sia buona. Sarà. Per me si tratta della donna più misteriosa del mondo. Quando dorme?  Mah. Entro in casa dopo la mezzanotte e la trovo che fruga nei cassettoni. Se mi sveglio, anche prima dell’alba, la sento camminare leggera nella stanza o parlare sottovoce col mio fratellino.
Fa, inoltre, della magia: prepara, poniamo, la valigia.
“Ho messo  le maglie, i fazzoletti, le camicie…”.
Guardo, prima di chiuderla, e vedo le maglie, i fazzoletti, le camicie… e una grossa ciambella. Come? Quando?
Insomma questo agire nascosto a lungo andare impensierisce. Di giorno sta ore e ore in mezzo a cumuli di calze. Chi rompe tante calze? Non esageriamo, i buchi ce li fa lei per restare pomeriggi interi vicino alla finestra. (C. Zavattini)

La mamma
L’aringa fu ripulita, messa in un piatto, cosparsa di olio e io e mia madre ci mettemmo a tavola. In cucina, dico, col sole alla finestra dietro le spalle di mia madre avvolta nella coperta rossa e i capelli castani molto chiari. La tavola era contro la parete e io e mia madre seduti l’uno di fronte all’altro col braciere sotto e il piatto dell’aringa sopra, quasi colmo di olio. E mia madre mi gettò un tovagliolo, mi allungò un piattino e una forchetta, tirò fuori dal cassetto un grosso pane consumato a metà.
“Non ti importa se non stendo la tovaglia?” chiese.
“Oh, no” dissi io.
E lei: “Non posso lavare ogni giorno… Sono vecchia ora.” (E. Vittorini)

La mamma
Mamma. Nessuna parola è più bella. La prima che si impara, la prima che si capisce e che si ama. La prima di una lunga serie di parole con cui si è risposto alle infinite, alle amorose, timorose domande della maternità. E anche se diventassimo vecchi, come chiameremmo la mamma più vecchia di noi? Mamma. Non c’è un altro nome. (M. Moretti)

La mamma
Le mani della mamma sono belle e buone. Le mani della mamma sono laboriose e carezzevoli. Le mani della mamma sono utili e umili, amorose e infaticabili. Sono utili perchè compiono tanti lavori. Umili perchè non rifiutano di fare qualsiasi servizio…Infaticabili perchè sono sempre attive. Guidano e sorreggono; ammoniscono e accarezzano; insegnano a bere e a mangiare, a leggere e a scrivere. (N. Salvaneschi)

La mamma
Nelle circostanze più terribili della mia vita, quando l’oceano ruggiva sotto la carena, contro i fianchi della mia nave, sollevata come un sughero; quando le palle fischiavano alle mie orecchie e piovevano a me d’intorno fitte come la gragnola, io vedevo sempre mia madre inginocchiata, immersa nella preghiera, ai piedi dell’Altissimo. Ed in me, quello che trasfondeva quel coraggio, di cui anch’io rimanevo stupito, era la convinzione che non poteva cogliermi alcuna disgrazia, mentre una così santa donna, un tale angelo pregava per me. (Giuseppe Garibaldi)

La mamma
Ogni parola diretta a tua madre sia una carezza; ogni tuo  nobile pensiero sia pensato in nome di lei; ogni tua opera buona e bella sia fatta per lei; perchè nessuno ti amerà  mai a questo mondo come ti ha amato e ti ama la mamma. (V. Guerrazzi)

La mamma
Tu ammiri gli sportivi; pensa al lavoro che compie la tua mamma ogni giorno, ai pesi che solleva, ai chilometri che percorre in casa e fuori. Tu ammiri gli eroi che sanno affrontare il sacrificio col sorriso sulle labbra: pensa alle fatiche che tua madre sopporta sorridendo. Tu sei ancora un ragazzo, ma senti che gli adulti discutono spesso di giustizia sociale, di fatiche degli operai, di paghe più o meno scarse, di orari pesanti di lavoro…Ammira la tua mamma che lavora solo per il tuo amore, ad ogni ora del giorno e della notte, ricompensata solo da un tuo abbraccio e dalla tua bontà, dal tuo sorriso e dalla tua felicità.

La mamma
Indovinate chi amo più di tutti sulla terra? Io amo mia madre. Povera mia madre! Se voi la conosceste, forse non ci capireste nulla. E’ una donna quieta come un cielo sereno, una donna alla buona, che ama il suo figliolo, come voi amate voi stessi. Quando mio padre talvolta mi sgridava, ella mi consolava, mi asciugava le lacrime, mi baciava, mi dava un trastullo, mi riconduceva alla gioia. Quando andavo a scuola, e mi ero innamorato dei libri, mia madre mi dava il denaro per comprarmeli. Ella mi ama come il suo cuore: io sono il suo cuore. (C. Bini)

La mamma
Il sorriso della mamma è più luminoso del primo raggio di sole, quando il bambino riapre gli occhi al mattino e vi trova dentro la sicurezza del suo nido. Il sorriso della mamma è un’ultima carezza quando saluta e dice ciao dal davanzale della finestra, accompagnando il bambino, che va a scuola, fino alla svolta della strada. E il bambino lo porta con sè, nel cuore, come un caro segreto: la strada gli sembra più amabile, il mondo più roseo, la vita più buona. Il sorriso della mamma è soave fino alle lacrime, quando attende sull’uscio il ritorno del bimbo; e il bimbo lo riceve come un premio alla sua fatica, come una benedizione e un augurio. (A. Novaro)

La mamma
La mamma è l’angelo di questa terra che ci protegge e ci guida. Chi veglia sui bambini quando dormono? La mamma! Chi pensa ai vestiti, a tenere i bambini lindi e puliti? La mamma… sempre la mamma!  E i bambini cosa possono fare per ricompensarla? Una cosa sola: essere buoni. (U. Nocentini)

La mamma
Agli uomini sono dati molti doni: l’acqua limpida e fresca per dissetarsi; la terra fertile che dà il pane quotidiano; gli animali docili che ci aiutano e ci nutrono; il sole che ci riscalda e dà luce; le stelle e la luna che ci rallegrano la notte; il buio che ci riposa; il canto degli uccelli; gli smaglianti colori dei fiori; i profumi meravigliosi della terra. Ma il dono più bello, che l’inverno e il mal tempo o la carestia non riescono a portar via, è il dono che ha ogni bambino: l’amore della mamma. (L. Giovinazzi Oliva)

La mamma
Tu sai comprendere che cosa vuol dire avere una mamma? Sai tu comprendere ciò che vuol dire essere un fanciullo, un piccolo povero bambino, debole, nudo, misero, affamato, solo al mondo e sentire che hai vicino a te, intorno a te, sopra di te, una donna che cammina se tu cammini, che si arresta se tu ti fermi, che sorride se tu piangi? No, non è una donna, è un angelo che ti guarda, che ti insegna a parlare, che ti insegna a leggere, che ti insegna ad amare! Ella riscalda le tue dita nelle sue mani, il tuo corpo fra le sue braccia, la tua anima sul suo cuore! Ti dona il suo latte quando sei piccolo, il pane quando sei grande, la sua vita sempre! Com’è dolce poter dire: “Oh, mamma!”. E sentirsi rispondere: “Oh, figlio mio!”. (Victor Hugo)

Così parlava il ragazzo eschimese
Le nostre mamme raccolgono le poche bacche di mirtillo e di ginepro che incontrano nei boschi di confine, per farci marmellate; pescano salmoni, scuoiano le pelli, seccano i pesci, fabbricano collane di ossicini, badano a non far spegnere la lucerna, remano, quando tutta la famiglia si sposta sull’imbarcazione, badano all’igloo, cucinano, lavano, cuciono i vestiti di pelliccia e si prendono cura di noi bambini.

Così parlava il ragazzo del deserto
Prima del tramonto, ci fermiamo: le nostre mamme alzano le tende, disponendole a fila o in cerchio, col bestiame al centro; noi bambini andiamo a cercare legna per il fuoco e i padri vanno a caccia o riposano nelle tende. E’ una grande responsabilità quella dei nostri padri, che devono guidarci nel deserto per la via giusta, senza che ci siano indicazioni; e guai sbagliarla. Tirati fuori gli utensili per cucinare, munto il bestiame, acceso il fuoco, le nostre mamme preparano il “cous cous” che è il nostro saporito cibo quotidiano.

Così parlava il ragazzo africano
Torniamo dalla pesca; è mattino e la marea ci risospinge sulla spiaggia. La mamma, che ha atteso a riva, scaricherà i gamberoni e comincerà subito a dividerli. E’ la mamma che macina sulla pietra il granoturco per fare la polenta e il grano per fare il pane e le focacce, e anche il sorgo per ricavarne la birra. Dal babbo e dalla mamma ho imparato ad essere cortese e gentile verso tutti, specialmente verso gli ospiti. Ho una bella capanna, perchè il babbo è molto abile ad innalzarle e la mamma è bravissima ad intrecciare stuoie. Tra poco avrò un fratellino al quale insegnare tutte quelle cose che ho imparato; per ora è piccolo ed è nel “tari”, dietro le spalle della mamma.

Così parlava la ragazza pellirossa
Nel nostro “tee pee” sulle rive del fiume Mississipi, siamo in sette; la nonna, il babbo, la mamma, un frate,,o e una sorella maggiori di me, io – Germoglio di Rosa – e Piccolo Daino, il fratellino nato da poco. Vedeste com’è simpatico! Di solito sta in una cestina di vimini intrecciata dalla mamma. Se usciamo al lavoro ce lo portiamo dietro in una culla di legno, che è già servita per tutti noi, alla quale Piccolo Daino è legato stretto, in modo che la culla può stare anche diritta, appoggiata ad un albero, e lui non può cadere.

Così parlava una ragazza indiana
Abito in un villaggio, vicino a Benares, la nostra città santa, sul sacro fiume Gange. Il mio babbo è orafo. La mia casetta si trova al centro del villaggio, tra quelle dei Bramini, che sono i nostri sacerdoti. Io sto scrivendo mentre la mia mamma, nel cortile che è in ogni casa, sta preparando il pranzo. Più tardi preparerò l’acqua, perchè la mamma, nel pomeriggio, laverà e per domani mattina sarà tutto in ordine.

Così parlava un ragazzo australiano
Abito, con la mia tribù, nel nord dell’Australia. Tra noi gli uomini di fanno tatuare. I più anziani si mettono anche ossi di animali attraverso il naso. La mamma si fabbrica, da sola, le collane e i braccialetti di denti e di ossicini, e si mette conchiglie sui capelli; costruisce la capanna, porta le provviste e gli utensili nelle marce di trasferimento, provvede la legna, cucina, ha cura di noi bambini. Il babbo ha tutte le responsabilità della famiglia, perchè spetta a lui provvedere il vitto per tutti, difenderci dai pericoli e guidarci nella foresta; perciò la mamma lo fa riposare, quando torna a casa, e pensa lei a tutti gli altri lavori.

Idee per la composizione:
La compagnia della mamma
Un momento divertente con la mia mamma
Un momento felice con la mia mamma
Penso alla mia mamma
Ricordo della mamma
Giochi con la mamma
Faccio il ritratto della mia mamma.

Dettati ortografici FESTA DELLA MAMMA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

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