Esperimento scientifico: l’arcobaleno in una stanza

Esperimento scientifico: l’arcobaleno in una stanza.

Scopo

In questo esperimento rifrangiamo la luce del sole attraverso l’acqua.

Età

Dai 4 anni.

Materiali

Luce del sole
torcia
contenitore trasparente
specchietto
vecchio cd
fogli di carta bianca
acqua.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe.

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la luce che percepiamo come bianca è composta dai colori dell’arcobaleno

. in una stanza in penombra illuminiamo un contenitore pieno d’acqua con la torcia

. proviamo varie angolazioni finché non vedremo apparire sul muro un piccolo arcobaleno

. ora usciamo all’aperto o andiamo in una stanza ben illuminata dai raggi del sole e versiamo l’acqua in un contenitore trasparente riempendolo circa a metà

. immergiamo lo specchietto in modo che la parte immersa dello specchietto venga colpita dai raggi del sole

. incliniamo lo specchietto finché non vedremo il nostro arcobaleno, quindi appendiamo in foglio di carta bianca per vederlo meglio

. lasciamo il foglio bianco appeso e proviamo a inclinare un cd in modo che riceva i raggi del sole

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La luce, quando viene rifratta nel modo giusto, si separa nei colori che la compongono.
Con la parola rifrazione intendiamo il modo in cui la luce si piega quando passa attraverso mezzi diversi, come il vetro o l’acqua.
La luce che di appare bianca è una combinazione di tutti i colori visibili. Quindi, quando la luce si piega, tutti i suoi componenti (rosso, arancione, giallo, verde, blu e indaco) si piegano. Ognuno di questi colori si piega con un’angolazione diversa perché ogni colore viaggia a una velocità diversa all’interno dell’acqua o del vetro.

Un arcobaleno è un’eccellente dimostrazione della rifrazione della luce. Dopo o durante la pioggia, puoi vedere un arcobaleno se la luce del sole colpisce le goccioline d’acqua nell’aria ad una certa angolazione.

L’effetto dei nostri esperimenti non somiglia esattamente all’arcobaleno che vediamo nel cielo dopo la pioggia, ma condivide con esso le stesse caratteristiche generali per quanto riguarda i colori e il loro ordine. I nostri esperimenti e l’arcobaleno che appare nel cielo condividono gli stessi principi: la rifrazione e la riflessione.

Nella prima parte dell’esperimento, rifrangiamo la luce della torcia attraverso l’acqua. Quando facciamo brillare la luce bianca della torcia o del sole nell’acqua, la luce si piega. A seconda del tipo di torcia che abbiamo a disposizione l’effetto sarà più o meno marcato.

Nella seconda parte dell’esperimento i diversi colori della luce solare vengono rifratti da diversi angoli perché hanno lunghezze d’onda diverse. Di conseguenza, quando la luce bianca viene rifratta, viene separata in diversi colori, fenomeno che prende il nome di “dispersione”. Quando riflettiamo la luce fuori dall’acqua usando lo specchio, riflettiamo la stessa luce bianca ma scomposta dalla rifrazione nei colori dell’arcobaleno.

Nella terza parte dell’esperimento la luce non viene rifratta, ma diffranta. Nella rifrazione, come abbiamo visto, la luce subisce una deviazione passando da un mezzo a un altro. Nella diffrazione la luce non cambia mezzo, ma devia il suo percorso perché nel mezzo sono presenti degli ostacoli.

Il cd si comporta come un reticolo di diffrazione, uno strumento ottico usato in laboratorio per separare i colori della luce. In un cd le informazioni sono immagazzinate in una singola traccia a forma di spirale, molto densa, che corre dal centro al bordo del disco. I solchi del cd deviano e diffondono la lucei in modo diverso per le diverse lunghezze d’onda, cioè per i diversi colori: i colori si sparpagliano in modo simile alle onde del mare quando arrivano all’imboccatura di un porto: incontrando l’ostacolo, si irradiano in tutte le direzioni, interferendo non solo fra loro ma anche con quelle in arrivo.

I reticoli di diffrazione sono presenti anche in natura. Per esempio, i colori iridescenti delle piume del pavone, della madreperla, le ali delle farfalle e di altri insetti.

Perché i tramonti sono rosso arancio e il cielo azzurro?

Perché i tramonti sono rosso arancio e il cielo azzurro?

Scopo

Dimostrare che la luce del sole si riflette urtando le molecole sospese nell’aria, il che rende il nostro cielo blu e i nostri tramonti rossi, facendo brillare una torcia attraverso bastoncini di colla a caldo.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Una piccola torcia
bastoncini di colla a caldo
fogli di carta bianca
nastro adesivo trasparente.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la dispersione della luce nell’atmosfera

. mettiamo dei fogli di carta in fila sul tavolo

. mettiamo la torcia e un bastoncino di colla sui fogli bianchi

. teniamo la torcia vicino ad un’estremità di un bastoncino di colla a caldo, di modo che la luce risplenda attraverso la colla

. notiamo che l’estremità del bastoncino più vicina alla luce è di un colore diverso rispetto all’altra estremità: appare più bianca mentre la parte più lontana appare più gialla

. fissiamo insieme due bastoncini di colla e teniamoli insieme con del nastro adesivo trasparente

. ripetiamo la nostra indagine accendendo la torcia e notiamo le differenze di colore lungo i bastoncini

. continuiamo ad aggiungere bastoncini di colla legandoli col nastro adesivo e continuiamo ad i cambiamenti di colore e intensità lungo i bastoncini nella loro lunghezza complessiva. Noteremo che la luce diventa via via più rossa e fioca lungo i bastoncini fissati insieme, man mano che la luce si allontana dalla torcia

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La torcia emette luce bianca, che è la somma dei colori dello spettro luminoso. Il bastoncino di colla diffonde la luce blu della torcia leggermente più di quanto non diffonda la luce gialla o rossa. Questo fa sì che l’estremità del bastoncino più vicino alla torcia ci appaia di colore bluastro mentre vedremo l’altra estremità gialla-arancione.
Quando aumentiamo la lunghezza aggiungendo altri bastoncini, una maggior quantità di luce blu viene dispersa, e l’estremità lontana dalla torcia assume un colore arancione.
Abbiamo realizzato un modello del fenomeno chiamato scattering (in italiano diffusione ottica o dispersione), grazie al quale vediamo il cielo azzurro e i tramonti rosso-arancio
Il cielo è blu perché la luce blu è più facilmente dispersa nella nostra atmosfera, proprio come la luce blu della nostra torcia è stata più facilmente dispersa nei bastoncini di colla.
Al tramonto il sole è basso, vicino all’orizzonte, e la luce viaggia attraverso un maggiore spessore di atmosfera di quanto non faccia quando il sole è alto nel cielo.
La luce della torcia viaggiando nei bastoncini di colla diventava più rossa man mano si allontanava dalla torcia. Allo stesso modo il tramonto appare rosso quando il percorso della luce solare si allunga.
Il sole produce luce bianca, che è costituita dalla luce di tutti i colori: rosso, arancione, giallo, verde, blu e viola. Anche la nostra torcia produce luce bianca.
La luce è un’onda e ognuno di questi colori corrisponde a una frequenza diversa e quindi a una diversa lunghezza d’onda della luce.
I colori nello spettro luminoso sono disposti in base alle loro frequenze: la luce viola e blu hanno frequenze più alte di quella gialla, arancione e rossa.
Quando la luce bianca del sole splende attraverso l’atmosfera terrestre, si scontra con le molecole di gas. Queste molecole diffondono la luce. Più è corta la lunghezza d’onda della luce, più è dispersa dall’atmosfera. Poiché la sua lunghezza d’onda è molto più breve, la luce blu è sparsa circa dieci volte di più della luce rossa.
La frequenza della luce blu, rispetto alla luce rossa, è più vicina alla frequenza di risonanza degli atomi e delle molecole che compongono l’aria. Cioè, se gli elettroni legati alle molecole nell’aria vengono spinti, oscillano con una frequenza naturale che è persino più alta della frequenza della luce blu.
La luce blu spinge gli elettroni con una frequenza vicina alla loro frequenza di risonanza naturale, che provoca la radiazione della luce blu in tutte le direzioni in un processo chiamato scattering.
La luce rossa che non è dispersa continua nella sua direzione originale.
La luce viola ha una lunghezza d’onda ancora più corta della luce blu. Allora, perché il cielo non è viola? In base al colore che subisce di più il fenomeno dello scattering, il cielo dovrebbe essere viola. Ci appare blu perché la nostra sensibilità ai colori di fa captare il viola in modo molto debole, mentre percepiamo in modo intenso il blu, presente in grande quantità e facilmente percepibile dai nostri fotorecettori specializzati a captare il blu, il verde e il rosso.
Lord John Rayleigh, alla fine del 1800, capì che il colore blu del cielo era il risultato di un fenomeno chiamato scattering: l’atmosfera non assorbe la luce, ma le molecole in sospensione la riflettono, e questa riflessione è più pronunciata per le lunghezze d’onda più corte, cioè il blu e il viola, alla fine dello spettro visibile.
Gli esperimenti di Newton con i prismi avevano dimostrato, duecento anni prima, che la luce bianca è composta dai colori dello spettro visibile: il rosso, l’arancio, il giallo, il verde, il blu e il violetto.
Mentre la luce attraversa l’atmosfera, gli atomi assorbono e riemettono luce. Non cambia l’intensità della luce, ma la direzione: e questo cambio di direzione, che chiamiamo scattering, è 10 volte più intenso per il viola rispetto al rosso.
È quello che chiamiamo scattering selettivo o scattering di Rayleigh (dal nome di chi l’ha studiato per primo).
La luce blu ha una lunghezza d’onda breve e ad alta frequenza, così viene diffusa molto facilmente. Quando guardiamo il cielo, tutta la luce che vediamo è stata diffusa, cioè redirezionata verso i nostri occhi. Siccome vediamo solo questa, ci appare blu.

Perchè i tramonti sono rosso arancio?

Perchè i tramonti sono rosso arancio? Un esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Scopo

Dimostrare che i tramonti ci appaiono rosso-arancio a causa delle lunghezze d’onda dei colori dello spettro solare e del movimento della terra intorno al sole.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un contenitore trasparente
acqua
sostanza lattiginosa (sapone, latte, latte in polvere, yogurt, cera per pavimenti, ecc.)
una torcia elettrica che emetta luce bianca
una stanza buia.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che i tramonti ci appaiono rosso-arancio a causa delle lunghezze d’onda dei colori dello spettro solare, e del movimento della terra intorno al sole

. mettiamo il contenitore dove possa essere osservato da tutti i lati

. riempiamolo per ¾ con acqua. Mettiamo la torcia accesa contro una parete del contenitore così suo raggio passi attraverso l’acqua. Proviamo a individuare il fascio di luce nell’acqua: si potranno vedere particelle di polvere, tuttavia sarà piuttosto difficile individuare esattamente il fascio

. tenendo la torcia in posizione aggiungiamo goccia a goccia la sostanza lattiginosa finché il fascio di luce non diverrà ben visibile

. osserviamo il raggio: nella zona più vicina alla torcia apparirà azzurro, mentre nella zona più lontana apparirà rosso-arancio

. più sostanza lattiginosa aggiungiamo, più saranno visibili l’azzurro all’inizio e l’arancio alla fine. Più sostanza lattiginosa aggiungiamo all’acqua, più il fascio di luce si diffonderà nel liquido

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La luce solare ci appare bianca perché contiene tutti i colori nello stesso raggio. Ognuno di questi colori si sposta con onde più o meno ampie.

Quando la luce entra nell’atmosfera si scontra coi gas e le altre particelle contenute nell’aria.
I colori con onde più corte, cioè il violetto e l’azzurro, si scontrano con le particelle e vengono deviati e riflessi in tutte le direzioni. Per questo, ovunque si guardi, i raggi che arrivano ai nostri occhi appaiono azzurri.
I colori con onde più lunghe, cioè il rosso e l’arancio, scavalcano le particelle e continuano il loro tragitto.
Per questo, all’alba e al tramonto, quando i raggi arrivano sulla terra lunghi e obliqui, vediamo il cielo rosso-arancio.
Quando il raggio della torcia viaggia attraverso l’aria, non possiamo vedere il fascio di lato perché l’aria è uniforme, e la luce della torcia viaggia in linea retta. Lo stesso vale quando il fascio viaggia attraverso l’acqua, poiché l’acqua è uniforme, e il fascio viaggia in linea retta. Potremo intravedere il fascio di luce solo se nell’aria o nell’acqua sono presenti particelle di polvere.
Quando abbiamo versato la sostanza lattiginosa nell’acqua, abbiamo aggiunto molte piccole particelle di proteine e grassi in sospensione nell’acqua
Che cosa significa questo esperimento e cosa ha a che fare col cielo azzurro e i tramonti arancio?
L’azzurro del cielo è luce solare dispersa dalle particelle di polvere nell’atmosfera. Se non ci fosse alcuna dispersione, e tutta la luce viaggiasse direttamente dal sole alla terra, il cielo apparirebbe nero avviene di notte. La luce viene diffusa dalle particelle di polvere nello stesso modo della luce della torcia dispersa dalle particelle lattiginose in questo esperimento.

Al tramonto o all’alba, la luce del sole effettua un percorso più lungo attraverso l’atmosfera rispetto a quanto avviene durante le ore del giorno e per questo puoi vedere i colori dall’altra parte dello spettro: rossi e arancioni.

Perché l’alba sembra diversa dal tramonto? E’, simmetricamente, lo stesso fenomeno, e se le condizioni atmosferiche fossero identiche nei due passaggi avremmo albe identiche ai tramonti.
La differenza sostanziale sta nella temperatura e nella quantità di polveri sottili sospese nell’aria. All’alba l’aria è più pulita e più fresca, al tramonto invece l’aria è più calda e ricca di particelle, soprattutto a causa delle attività umane.

Esperimento scientifico: l’angolo critico

Esperimento scientifico: l’angolo critico.

Scopo

Un materiale trasparente, come il vetro o l’acqua, può effettivamente riflettere la luce meglio di uno specchio, se si guarda dalla giusta angolazione.

Età

Dai 10 anni.

Materiali

Un contenitore di vetro trasparente
latte (o del latte in polvere)
un laser è la scelta migliore, se disponibile, altrimenti una torcia.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra come il vetro o l’acqua possono effettivamente riflettere la luce meglio di qualsiasi specchio, guardando dalla giusta angolazione

. svolgiamo l’esperimento in una stanza buia

. riempiamo il contenitore trasparente con acqua

. teniamo il puntatore laser o la torcia a lato del contenitore, in modo che la luce risplenda nell’acqua

. aggiungiamo il latte una goccia alla volta, mescolando dopo ogni goccia, finché non si vede il raggio di luce che passa attraverso l’acqua

. dirigiamo il raggio di luce verso l’alto in modo che colpisca la superficie dell’acqua da sotto

. muoviamo la torcia in modo che il raggio di luce colpisca la superficie dell’acqua all’incirca ad angolo retto, poi cambiamo lentamente l’angolo in cui il raggio di luce colpisce la superficie dell’acqua

. continuiamo a sperimentare finché non troveremo l’angolo con cui il raggio trasmesso scompare completamente. A questo angolo, chiamato l’angolo critico, tutta la luce viene riflessa nell’acqua

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

In generale, quando un raggio di luce (il raggio incidente) colpisce l’interfaccia tra due materiali trasparenti, come l’aria e l’acqua, parte del raggio viene riflessa e parte di essa prosegue oltre. Il raggio di luce viene piegato, o rifratto, mentre passa da un materiale all’altro.
L’angolo critico (o angolo limite) è l’angolo oltre il quale si ottiene una riflessione interna totale.

A: normale riflessione acqua – aria
B: angolo limite o critico
C: riflessione interna totale.

La luce si sposta dall’acqua all’aria e si flette verso l’acqua. Ad un certo angolo, la flessione sarà così forte che il raggio rifratto sarà diretto proprio lungo la superficie; cioè, nessuno di questi uscirà nell’aria: questo è l’angolo critico o angolo limite.
Oltre l’angolo critico, tutta la luce viene riflessa nell’acqua, quindi il raggio riflesso è luminoso come il raggio incidente. Questo fenomeno è chiamato riflessione interna totale: viene riflesso quasi il 100 percento del raggio di luce.
L’angolo critico per l’acqua è misurato tra il raggio e una linea perpendicolare alla superficie ed è 49 gradi.

Esperimento scientifico: nelle profondità dell’oceano

Esperimento scientifico: nelle profondità dell’oceano.

Scopo

Dimostrare la legge di Pascal per i fluidi.

Materiali

Cartoni del latte vuoti o bottiglie di plastica
nastro isolante
uno spiedino o un chiodo
lavandino o bacinella
acqua
colorante (facoltativo).

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la legge di Pascal. È una legge della fisica che ci dice che la pressione esercitata su un fluido viene trasmessa inalterata in ogni punto del fluido e sulla superficie del suo contenitore

. per provarlo pratichiamo dei fori identici disposti uno sotto l’altro lungo una parete del cartone o della bottiglia e copriamo provvisoriamente i fori con del nastro isolante

. teniamo il contenitore in orizzontale, strappiamo il nastro e osserviamo gli zampilli fuoriuscire tutti con la stessa forza

. ora prendiamo un cartone del latte e pratichiamo tre fori, come abbiamo fatto prima. Copriamo provvisoriamente i tre fori con del nastro isolante

. prendiamo un terzo cartone e pratichiamo anche qui tre fori, ma questa volta disposti in diagonale. Copriamo provvisoriamente con del nastro isolante

. riempiamo entrambi i cartoni di acqua (se vogliamo aggiungiamo del colorante)

. chiediamo ai bambini di prevedere cosa accadrà quando rimuoveremo il nastro: i getti saranno tutti lunghi uguali?
. strappiamo il nastro isolante dal cartone con i fori allineati. Osserviamo

. strappiamo il nastro dal cartone coi fori in diagonale. Osserviamo

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

La legge di Pascal
Osservazioni e conclusioni

Quando abbiamo tolto il nastro isolante dal contenitore con i fori allineati in orizzontale, tutti i getti erano della stessa lunghezza perché, secondo la legge di Pascal, la pressione dell’acqua a una data profondità è la stessa in tutte le direzioni.
Cosa è successo quando il nastro è stato rimosso dal contenitore con i fori in linea verticale? Dal foro più in basso è fuoriuscito il getto più lungo, perché più profonda è l’acqua, maggiore è la pressione).


L’acqua che fuoriesce dal foro più in basso è soggetta ad una pressione maggiore (ha più acqua/peso su di sè) e viene spinta fuori con molta più forza
L’acqua che fuoriesce dal foro superiore è sottoposta a una pressione molto molto più bassa, e il getto è di conseguenza corto e debole.
Quando i fori sono disposti in linea verticale, che sia perpendicolare oppure obliqua, i fori più in basso produrranno getti più potenti e quelli più alto getti più deboli.

Esperimento scientifico: eruzione vulcanica

Esperimento scientifico: eruzione vulcanica.

Scopo

Sfruttare la reazione chimica tra bicarbonato di sodio, albume d’uovo e aceto per simulare un’eruzione vulcanica.

Età

Dai 4 anni.

Materiali

Una tortiera
una piastra per forno o una tovaglia di plastica
una bottiglietta di plastica
bicarbonato di sodio
un imbuto
un cucchiaio
aceto bianco
2 uova crude
carta stagnola
colorante alimentare o acquarello.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questa attività può essere presentata ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. versiamo nella bottiglietta un cucchiaio da tavola colmo di bicarbonato di sodio, aiutandoci con un imbuto

. rompiamo due uova crude, separiamo gli albumi dai tuorli e versiamo gli albumi nella bottiglietta

. aggiungiamo del colorante e agitiamo la bottiglietta

. mettiamo la bottiglietta al centro della tortiera. Per preservare il tavolo, mettiamo il tutto su una piastra da forno o usiamo una tovaglia cerata

. avvolgiamo bottiglietta e tortiera nella carta stagnola, quindi foriamo all’altezza della bocca della bottiglietta

. versiamo tutto in una volta mezzo bicchiere di aceto nella bottiglietta

. dopo alcuni secondi, vedremo sgorgare dalla bocca del vulcano una copiosa schiuma colorata

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

L’aceto contiene acido acetico; quando entra in contatto con il bicarbonato di sodio sviluppa una reazione chimica che porta alla formazione di anidride carbonica, un gas.
A contatto con l’albume, l’acido acetico provoca la sua coagulazione, trasformandolo in una schiuma simile a quella che si ottiene quando lo montiamo con la frusta elettrica.
Questa schiuma fuoriesce dalla bocca del vulcano spinta dall’anidride carbonica.

Un’altra eruzione vulcanica qui:

Esperimento scientifico: sai cos’è un geyser?

Esperimento scientifico: sai cos’è un geyser?

Scopo

Creare uno sbuffo di vapore che ricordi un geyser.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Una pentola d’acqua
un imbuto
carta stagnola.

Note di sicurezza

I bambini osserveranno l’esperimento alla giusta distanza di sicurezza dal vapore.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che proveremo a creare uno sbuffo di vapore che ricordi un geyser. Poi parleremo di cosa lo distingue da un geyser vero

. inseriamo l’imbuto nella pentola e copriamo la pentola con la carta stagnola lasciando un foro per il beccuccio dell’imbuto

. accendiamo il fuoco sotto alla pentola

. non appena l’acqua comincerà a bollire, il vapore uscirà dall’imbuto

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Un geyser è una sorgente d’acqua calda sotterranea dalla quale fuoriesce, in determinate condizioni, una colonna di vapore e acqua. Questa è la differenza più importante rispetto al nostro “geyser”.
La seconda grande differenza è che i geyser si caricano e scaricano ciclicamente e non eruttano in modo continuo. Ci sono tre fasi principali del ciclo di un geyser: riscaldamento, eruzione e rabbocco.
Un’emissione di solo vapore acqueo (mescolato ad acido borico, metano e altri gas) è il soffione boracifero. Larderello, in Toscana, è famosa per i suoi soffioni boraciferi.
I geyser sono rari sul nostro pianeta perché richiedono la presenza di condizioni molto particolari. Affinché un geyser possa esistere, infatti, servono:
– una camera magmatica, che irradia calore
– un ampio terreno ricco d’acqua
– un serbatoio a sifone (cioè a forma di U) nel sottosuolo
– una fessura che permetta di riempire il serbatoio con l’acqua di superficie.
La struttura sotterranea a sifone deve comunicare con l’esterno e deve essere formata da rocce permeabili, nelle quali circola l’acqua, circondate da rocce impermeabili.
I geyser si trovano in prossimità di vulcani o nei luoghi ove la crosta terrestre è meno spessa. La maggior parte dei geyser si trovano negli USA, seguiti da Islanda, Russia, Cile e Nuova Zelanda. In Italia non ci sono geyser, mentre sono presenti i soffioni boraciferi.
La parola “geyser” deriva dall’islandese geysir che significa “sgorgare”.
Per capire come funziona un geyser, è necessario comprendere la relazione tra acqua e vapore. Il vapore è uno stato gassoso dell’acqua.
Quando l’acqua si trasforma in vapore, subisce un’enorme espansione perché il vapore occupa 1600 volte più spazio di quanto non occupi il volume dell’acqua.
Quando l’acqua fredda di superficie filtra giù nella terra e si avvicina alla fonte di calore (la camera magmatica), viene riscaldata sempre più, ma quando arriva al punto di ebollizione non si converte in vapore, perché le sue molecole sono trattenute dalle rocce.
Questa acqua più che bollente continua il suo viaggio in forma liquida verso la superficie. Man mano che risale, però, la pressione intorno a lei diminuisce finché, giunta in prossimità del livello del suolo, è nuovamente libera di trasformarsi in vapore.
A quel punto, acqua e vapore si avviano velocemente verso l’uscita del geyser, da dove zampillano, con più o meno forza, creando fontane di acqua bollente e vapore.

Esperimento scientifico: un disastro petrolifero

Esperimento scientifico: un disastro petrolifero.

Scopo

Osservare cosa avviene quando il contenuto di una petroliera si riversa nell’oceano.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Olio
acqua
bottiglietta di plastica trasparente
imbuto
colorante alimentare o acquarello blu.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che il petrolio galleggia sull’acqua

. riempiamo un terzo della bottiglia con acqua e aggiungiamo il colorante. Agitiamo la bottiglia

. riempiamo i due terzi rimanenti della bottiglia con olio e avvitiamo il tappo

. teniamo la bottiglia orizzontalmente e muoviamo la bottiglia avanti e indietro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

L’olio e l’acqua sono insolubili, non possono mescolarsi tra loro perché hanno densità diverse, in particolare l’acqua pesa molto più dell’olio e per questo sta sul fondo.
Quando si muove la bottiglia, l’olio e l’acqua si muovono separatamente. Per questo si parla di “marea nera” quando il petrolio si riversa nell’oceano.
Acqua e petrolio non si mescolano come l’olio e l’acqua nella nostra bottiglia. Ma quando il petrolio si riversa in mare, uno dei tanti suoi componenti comincia ad evaporare nell’aria ed un altro comincia a dissolversi nell’acqua.
Il petrolio che fuoriesce dalle petroliere provoca gravissimi danni all’ambiente.
I componenti oleosi del petrolio, quelli che galleggiano sulla superficie dell’oceano, sono tossici perché formano una pellicola impermeabile all’ossigeno che “soffoca” le forme di vita acquatica.
Anche i componenti volatili sono pericolosi anche per l’ambiente e per l’uomo.
Il petrolio inoltre rimane intrappolato sottoterra quando le onde lo depositano a riva e la sabbia lo ricopre. Sottoterra, in mancanza di ossigeno, il petrolio può restare sepolto per anni, e spostarsi non solo nel mare ma anche nelle falde acquifere.

Esperimento scientifico: i crateri lunari

Esperimento scientifico: i crateri lunari.

Scopo

Scoprire come si formano i crateri e perché sono di dimensioni diverse.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Ciottoli e sassi di forma e dimensione varia, palline non troppo pesanti, frutti di diverse dimensioni, ecc.
una scatola o cassettina o vassoio
farina
cacao in polvere
setaccio o scolapasta
eventualmente righello, penna e quaderno.

Note di sicurezza

Scegliere un luogo aperto per non mettere in pericolo persone, animali o cose durante i lanci.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul pavimento, o all’aperto, scegliendo una superficie l’appoggio dura (non sull’erba o sul tappeto) e con un sufficiente spazio intorno
. versiamo la farina nel vassoio e livelliamola. Lo strato di farina dovrebbe avere una profondità di almeno 5 cm

. col setaccio o lo scolapasta copriamo la farina con un velo di cacao

. sediamo a terra davanti al vassoio e lasciamo cadere uno ad uno i nostri “meteoriti”, lasciandoli cadere da diverse altezze e da diverse angolazioni

. osserviamo i crateri

. utilizzando le forbici togliamo i “meteoriti” con la massima delicatezza: questo ci permetterà di osservare ancora meglio i crateri

. prestiamo attenzione ai bordi


. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

I crateri sono depressioni a forma di ciotola circondate da un anello.
Si formano quando un meteorite si scontra con un pianeta o una luna e per questo i crateri sono più correttamente “crateri da impatto”.
Spesso il meteorite che crea il cratere esplode al momento dell’impatto, quindi il cratere è un ricordo vuoto della collisione. Studiando i crateri, comunque, gli scienziati sono in grado di risalire al tipo di oggetto che l’ha prodotto.
I crateri lunari hanno diametri diversi, inoltre alcuni sono molto profondi, mentre altri sono superficiali. La dimensione e la profondità di un cratere dipendono dalla velocità con cui il meteorite colpisce la superficie, dalla grandezza del meteorite, dall’inclinazione con cui cade sulla superficie.

Esperimento scientifico: contrasti

Esperimento scientifico: contrasti.

Scopo

Scoprire che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi di colori diversi.

Età

Dai 6 anni.

Materiali

Forbici
carta colorata o da origami in giallo, viola, verde, blu (due tonalità) e arancione (due tonalità)
colla.

Note di sicurezza

Insegniamo ai bambini come utilizzare le forbici in sicurezza.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che i colori sembrano cambiare quando li metti su sfondi diversi

. tagliamo un foglio di carta arancione a metà longitudinalmente e incolliamolo sul foglio blu

. tagliamo due quadrati da ciascuno dei fogli colorati e creiamo due colonne di quadrati colorati uguali, uno sullo sfondo blu e uno sullo sfondo arancione

. noteremo che due quadrati dello stesso colore appaiono come tonalità

. per ogni coppia di quadrati ritagliamo un rettangolo abbastanza grande da poter essere posizionato su entrambe le colonne per il confronto

. posizioniamo la striscia di confronto in modo che tocchi entrambi i quadrati di uno stesso colore per verificare

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La parte posteriore dell’occhio è rivestita da cellule sensibili alla luce, tra le quali i coni, sensibili al colore.
I coni si influenzano a vicenda in modi complessi. Queste connessioni ci danno una buona visione dei colori, ma possono anche ingannare il nostro sguardo.
Quando i coni in una parte dell’occhio vedono la luce blu, rendono i coni vicini meno sensibili al blu.
Per questo motivo, se mettiamo un punto viola su uno sfondo blu, il punto appare un po’ meno blu di quanto non sarebbe altrimenti.
Allo stesso modo, una macchia rossa su uno sfondo arancione sembra meno arancione di quanto sarebbe altrimenti.

Esperimento scientifico: pupille

Esperimento scientifico: pupille.

Scopo

Osservare che la pupilla cambia dimensione in base alla quantità di luce e che la luce che splende in un occhio influisce sulla dimensione della pupilla nell’altro occhio.

Materiali

Lente d’ingrandimento e specchietto (oppure specchio ingrandente)
piccola torcia elettrica.

Età

Dai 9 anni.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la pupilla cambia dimensione in base alla quantità di luce e che la luce che splende in un occhio influisce sulla dimensione della pupilla nell’altro occhio

. se usiamo specchietto e lente d’ingrandimento, mettiamo la lente sulla superficie dello specchio e guardiamo al centro della lente con un occhio

. regoliamo la distanza dallo specchio fino a quando non vediamo un’immagine nitida e ingrandita dell’occhio

. osserviamo il bianco dei nostri occhi, il disco colorato dell’iride e la nostra pupilla, il buco nero al centro dell’iride

. puntiamo la luce di una piccola torcia nella pupilla di un occhio facendola brillare attorno al bordo dello specchio

. osserviamo come la pupilla cambia dimensione

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La pupilla è un’apertura che lascia entrare la luce. Con la luce fioca, la pupilla si espande per consentire a più luce di entrare negli occhi. In piena luce, si contrae.
La dimensione delle pupille può cambiare anche a causa di stimoli emotivi (paura, rabbia, dolore, ecc.)

Esperimento scientifico: l’uccellino in gabbia

Esperimento scientifico: l’uccellino in gabbia.

Scopo

Mostrare che se l’occhio si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe.

Età

Dai 9 anni.

Materiali

Cartoncino rosso, verde e blu brillante
colla per carta
quattro fogli di carta bianca
pennarello nero
forbici.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamoci in un luogo ben illuminato: l’illuminazione intensa è un fattore significativo nel far funzionare bene l’esperimento

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. Spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che se uno o più dei tre tipi di coni si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe

. ritagliamo la stessa semplice forma, ad esempio un uccello o un pesce, da ciascuno dei tre fogli colorati

. incolliamo ogni forma su un foglio di carta bianca

. disegniamo un occhio su ogni uccello o pesce col pennarello nero

. sul quarto figlio bianco disegniamo il contorno di una gabbia per uccelli (o di una boccia per pesci)

. chiediamo al bambino di fissare la figura rossa (pesce o uccello) per circa 20 secondi e poi fissare rapidamente il foglio bianco con la gabbia o la boccia. Il bambino vedrà un uccello blu-verde nella gabbia

. chiediamo al bambino di ripetere il processo, fissando la figura verde: nel foglio bianco (con gabbia o boccia) vedrà una figura rosso-blu

. infine, chiediamo di fissare la figura blu. Su foglio bianco il bambino vedrà una figura gialla.

Osservazioni e conclusioni

Le figure che appaiono sul foglio bianco (con la gabbia o la boccia) dopo aver fissato a lungo una figura, sono chiamate immagini residue.
Un’immagine residua è un’immagine che permane anche dopo aver smesso di guardare l’oggetto.
Il rivestimento dietro l’occhio, chiamato retina, è ricoperto da cellule sensibili alla luce chiamate coni e bastoncelli. I bastoncelli permettono di vedere in penombra, ma solo in sfumature di grigio. I coni invece rilevano il colore in condizioni di luce intensa. Esistono tre tipi di coni e ognuno è sensibile a un particolare intervallo di colori.
Se uno o più dei tre tipi di coni si adatta a uno stimolo a causa della lunga esposizione, risponde in modo meno forte di quanto normalmente farebbe.
Quando fissiamo l’uccello rosso, le cellule sensibili al rosso si adattano e riducono la loro risposta.
Il foglio bianco riflette la luce rossa, blu e verde, perché la luce bianca è composta da tutti questi colori.
Quando spostiamo lo sguardo verso il foglio bianco, dopo aver fissato a lungo l’uccello rosso, i coni sensibili al rosso non rispondono, ma i coni sensibili al blu e al verde rispondono con forza alla luce blu e verde riflessa dal bianco.
Di conseguenza, dove le cellule sensibili al rosso non rispondono, vedremo un uccello bluastro-verde. Questo colore bluastro-verde è chiamato ciano.
Quando fissiamo l’uccello verde, i tuoi coni sensibili al verde si adattano allo stimolo quindi, quando guarderemo il foglio bianco, gli occhi risponderanno solo alla luce rossa e blu riflessa dal bianco e vedremo un uccello rosso-blu. Questo colore rosso-blu è chiamato magenta.
Allo stesso modo, quando fissiamo un oggetto blu, i coni sensibili al blu si adattano e la luce rossa e verde riflessa si combinano per formare il giallo.

Esperimento scientifico: il punto cieco

esperimento scientifico: il punto cieco

Scopo

Sperimentare la presenza del “punto cieco” dell’occhio.

Materiali

Un foglietto di carta o cartoncino bianco 3 × 5 cm
pennarello nero
un bastone (opzionale).

Età

Dai 9 anni.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. Spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la presenza del “punto cieco” dell’occhio

. disegniamo sul foglietto un punto a sinistra e una croce a destra

. teniamo il foglietto a livello degli occhi, col braccio disteso. Assicuriamoci che la croce sia sulla destra

. chiudiamo l’occhio destro e guardiamo direttamente la croce con l’occhio sinistro. Noteremo che è ancora possibile vedere anche il punto

. concentriamoci sulla croce, ma restando consapevoli del punto a sinistra, mentre lentamente portiamo il foglietto verso il viso, cioè mentre lo avviciniamo: il punto a sinistra sparirà e poi riapparirà. Proviamo a spostare il foglietto più vicino e più lontano per individuare esattamente dove ciò accade


. ora distendiamo di nuovo il braccio e chiudiamo l’occhio sinistro. Guardiamo il punto a sinistra con l’occhio destro. Allontaniamo e avviciniamo il foglietto come abbiamo fatto per la croce


. infine, proviamo di nuovo l’attività, ma questa volta teniamo inclinato il foglietto, in modo che il punto e la croce non siano direttamente uno di fronte all’altro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La retina dell’occhio riceve le immagini dall’ambiente esterno e invia segnali al cervello, permettendoti di vedere. Una parte della retina, tuttavia, non dà informazioni visive: questa parte della retina è detta “punto cieco
Il punto cieco è la parte della retina in cui si trovano le cellule nervose del nervo ottico. In questo punto, la retina non ha recettori di luce, ma appunto cellule nervose.
Quando tieni il foglietto in modo che l’immagine del punto cada su questa parte della retina, non puoi vedere il punto.

Esperimento scientifico: naso e lingua

Esperimento scientifico: naso e lingua

Scopo

Scoprire la stretta relazione che esiste tra olfatto e gusto.

Età

Dai cinque anni.

Materiali

Batuffoli di cotone
estratto profumato (vaniglia, rosa, ecc.)
mela o altro frutto.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra la relazione esistente tra olfatto e gusto

. diamo al bambino un pezzetto di mela e chiediamogli di notarne il sapore. Nulla di nuovo!

. mettiamo alcune gocce di estratto su un batuffolo di cotone

. chiediamo al bambino di annusare il batuffolo di cotone e mangiare un altro pezzo di mela mentre lo fa.

Osservazioni e conclusioni

Questo esperimento darà al bambino un’idea di quanto odori e sapori siano connessi.
Più di 3/4 di ciò che gustiamo è correlato alla percezione del suo odore.
Pensa a quando hai il raffreddore: il tuo cibo sembra senza sapore.
La nostra lingua può riconoscere molto facilmente solo 4 sapori fondamentali: il salato, l’amaro, il dolce e l’acido. Gli altri sapori sono collegati a ciò che odoriamo.
Prova a mettere in bocca una caramella: all’inizio potresti non essere in grado di dire il sapore specifico della caramella oltre a una sensazione generale di dolcezza o asprezza. Con il passare del tempo, potresti notare che mentre la caramella si dissolve, puoi identificare il gusto specifico. Questo perché alcune molecole di profumo volatilizzano e viaggiano fino al tuo organo olfattivo attraverso una specie di porta sul retro, cioè su un passaggio nella parte posteriore della gola e del naso.
Dal momento che possiamo sentire solo 4 diversi veri sapori, è in realtà l’odore che ci fa sperimentare i sapori complessi e appetitosi che associamo ai nostri cibi preferiti.
Ecco perché nella seconda parte dell’esperimento il gusto della mela ci è sembrato diverso.

Esperimento scientifico: onde sonore

Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che le onde sonore si propagano nell’aria.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un contenitore
un foglio di carta sottile o pellicola per alimenti
un elastico
semi di lino o di papavero o sabbia colorata o tè o farina
un mattarello e una pentola metallica.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. copriamo il contenitore col materiale scelto e fermiamolo con un elastico, di modo che rimanga ben teso

. versiamo i semi o la sabbia sulla superficie tesa

. avviciniamo la tortiera al contenitore, col fondo all’esterno, e colpiamola col mattarello

. guardiamo i semi rimbalzare e muoversi

. proviamo a girare la tortiera, col fondo verso il contenitore, e proviamo di nuovo a batterla col mattarello: non succederà nulla

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Le onde sonore emesse dalla tortiera durante l’impatto col mattarello si propagano nell’aria e mettono in moto i semi (o altro materiale scelto).

Esperimenti scientifici: un gong al cucchiaio

Esperimenti scientifici: un gong al cucchiaio .

Scopo

Questa è una semplice dimostrazione che aiuta a chiarire che il suono ha bisogno di qualcosa da attraversare e che l’aria non è un materiale molto efficiente a tale scopo.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un righello (di legno, plastica o metallo)
due cucchiaini di diverse dimensioni (prova con un cucchiaino e un cucchiaio da portata)
corda o filo di cotone.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. creiamo un cappio nel mezzo del filo e inseriamo il manico del cucchiaio

. stringiamo il nodo saldamente, in modo che il cucchiaio penda al centro del filo

. prendiamo le due estremità del filo e avvolgiamo ognuna di esse attorno al dito indice su ciascuna mano

. mettiamo gli indici con la cordicella avvolta intorno in ogni orecchio, come per tapparsi le orecchie

. Il cucchiaio dovrebbe pendere appena sotto la vita

. chiediamo a un bambino di colpire il cucchiaio col righello

Osservazioni e conclusioni

Con questo esperimento i bambini scoprono come viaggiano le onde sonore.
Se usiamo un cucchiaio piccolo, il bambino sentirà un suono di campanello, con un cucchiaio più grande il suono somiglierà a un gong. Possiamo provare anche diversi tipi di filo: più la corda è densa, migliore sarà il suono.
Quando il righello colpisce il cucchiaio, crea vibrazioni che generano onde sonore. Queste onde sonore viaggiano lungo il filo invece che nell’aria.
Il filo agisce come un conduttore per le onde sonore. A seconda delle dimensioni del cucchiaio e della lunghezza del filo, il suono apparirà più alto (come una campana) o più profondo (come un gong).
Poiché il filo consente alle onde sonore di continuare a viaggiare, il suono del cucchiaio risuonerà o riverbererà, cioè persisterà abbastanza a lungo dopo aver colpito il cucchiaio.
L’unico che può sentire il suono del campanello o del gong sarà la persona con il filo nelle orecchie: tutti gli altri nella stanza sentiranno solo un debole tintinnio quando il righello colpisce il cucchiaio. Ciò dimostra come la stessa vibrazione suona in modo diverso quando viaggia attraverso materiali diversi.
Quando colpiamo un cucchiaio con un righello, il suono viaggia attraverso l’aria per raggiungere il nostro orecchio, e gran parte di questo suono si perde lungo la strada.
Quando colpiamo il cucchiaio appeso al filo, le vibrazioni sonore viaggiano dal cucchiaio attraverso la corda e le dita al tuo orecchio, e in questo modo molta meno energia sonora si perde nel percorso.
Sebbene la maggior parte dei suoni che sentiamo siano trasmessi attraverso l’aria, l’aria non è l’unica portatrice di onde sonore, né la migliore. Prova a mettere un orologio sul tavolo e avvicinati: sentirai il suo ticchettio attraverso l’aria. Ma prova a mettere l’orecchio sul tavolo: il ticchettio sarà molto più forte.
In alcuni materiali le molecole sono strettamente legate tra loro, in altri materiali, le molecole sono lontane tra loro. La vicinanza delle molecole tra loro in un materiale può influenzare la facilità con cui esse possono urtarsi l’un l’altra e dare inizio ad una vibrazione.
Le molecole del metallo che forma il cucchiaio sono molto vicine tra loro. Quando colpiamo il cucchiaio le molecole del metallo iniziano a vibrare. Le vibrazioni nel metallo viaggiano attraverso la corda e le dita fino al nostro orecchio.
Questa attività rivela alcuni fatti importanti sulla natura del suono e ci dice che il suono viaggia in modo diverso attraverso solidi, liquidi e gas.
La corda è un solido, quindi il suono che sentiamo attraverso di essa è diverso dal suono che sentiamo quando le vibrazioni giungono alle nostre orecchie attraverso l’aria (un gas).

Varianti

. puoi usare un appendiabiti metallico al posto del cucchiaio.

Esperimenti scientifici per bambini – OOBLECK

Esperimenti scientifici per bambini – OOBLECK. Un esempio  di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere è l’oobleck, una sospensione di amido di mais e acqua.

Esperimenti scientifici per bambini
Oobleck

Scopo

Esplorare le proprietà di un fluido non newtoniano.

Età

Dai 4 anni.

Materiali

2 parti di amido di mais
1 parte di acqua
Colorante alimentare (se vuoi)
Una teglia di alluminio e un contenitore di plastica
Una traccia audio da 40 50 o 63 Hz (cerca su YouTube)
Il miglior altoparlante che riesci a trovare.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che con questo esperimento esploreremo le proprietà di un fluido non newtoniano

. in una contenitore di plastica uniamo una parte di acqua a due parti di amido di mais. Se lo desideriamo aggiungiamo del colorante alimentare

. mescoliamo con cura

. dopo aver preparato il composto teniamo a portata di mano dell’acqua perché l’oobleck tende ad asciugarsi assumendo l’aspetto del fango secco: per mantenerlo fluido basta aggiungere ogni tanto un po’ d’acqua

. immergiamo una mano e cerchiamo di toglierla più velocemente che possiamo: sentiremo una forte resistenza

. prendiamo in mano un po’ di fluido e schiacciamolo: sembrerà diventare solido, ma diminuita la pressione il composto tornerà fluido

. proviamo a colpire con forza il fluido: la mano rimarrà incastrata

. maneggiamo il nostro fluido liberamente per sentirlo passare da fluido a solido e viceversa

. versiamo il nostro oobleck in una teglia di alluminio

. scarichiamo tracce audio con diversi toni: quelli che funzionano meglio sono 40 HZ, 50 e 63

. mettiamo la teglia sull’altoparlante mentre trasmette la traccia scelta, ed esercitiamo con le dita una certa pressione lungo il bordo della teglia. Il nostro oobleck comincerà a danzare

Osservazioni e conclusioni

L’oobleck è un esempio di fluido non-newtoniano davvero economico e semplicissimo da ottenere. È una sospensione di amido di mais e acqua.
Il nome “oobleck” deriva dal libro per bambini Bartholomew and the Oobleck del Dr Seuss (che non è stato tradotto in Italiano).

L’oobleck è davvero sorprendente: si comporta come un liquido se lasciato a riposo, come un solido non appena lo si maneggia, e colpendolo diventa tanto più duro quanta più forza si applica al colpo.
Un fluido non–newtoniano è un fluido la cui viscosità varia a seconda della velocità con cui lo si misura.
I fluidi non newtoniani si dividono in due classi:
1. fluidi pseudoplastici: la viscosità diminuisce all’aumentare della velocità
2. fluidi dilatanti: la viscosità aumenta all’aumentare della velocità. L’Oobleck fa parte di questa classe: sollecitazioni rapide lo rendono più viscoso rispetto allo stato di riposo.
I fluidi non newtoniani oppongono una resistenza maggiore all’aumentare della pressione esercitata.
Nel nostro esperimento, la maizena non si scioglie nell’acqua, ma le sue particelle rimangono in sospensione. Quando si esercita una forte pressione, le particelle si ammassano e non fanno penetrare l’oggetto. Se invece l’oggetto viene immerso lentamente, le particelle hanno il tempo di separarsi.
Anche il fango e le sabbie mobili sono fluidi non newtoniani: se vi si affonda, bisogna sollevare le gambe molto lentamente, altrimenti si resta sempre più intrappolati perché facendo movimenti veloci si esercita una pressione maggiore e le sabbie mobili si oppongono con maggior resistenza.

Esperimenti scientifici: raddoppia il capitale

Esperimenti scientifici: raddoppia il capitale.

Scopo

Osservare gli effetti della rifrazione della luce.

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Un bicchiere trasparente
acqua
una moneta da 2 centesimi (o qualsiasi altra moneta).

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Mettiamo la moneta nel bicchiere vuoto

. mettiamoci in modo da vedere la moneta di lato attraverso il vetro (non dall’alto)
. versiamo lentamente l’acqua nel bicchiere finché non vedremo una seconda moneta apparire sull’altro lato del bicchiere
. muoviamo la testa su e giù e osserviamo come la moneta appare due volte e quando torna ad essere una moneta sola

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

La luce si piega quando passa da un mezzo (acqua) a un altro mezzo di diversa densità (aria). Questo avviene quando passa dall’acqua all’aria, o dal vetro all’acqua
Questa flessione della luce, chiamata rifrazione, fa cambiare la posizione apparente della moneta e te la fa vedere in una posizione meno profonda di quella è la posizione reale.
Quando la luce passa attraverso il vetro del bicchiere, fa apparire la moneta più vicina a chi osserva.
Di conseguenza, si vedranno due immagini della moneta.

Esperimenti scientifici: il bicchiere scomparso

Esperimenti scientifici: il bicchiere scomparso.

Scopo

Mostrare gli effetti della rifrazione

Età

Dai 5 anni.

Materiali

Olio di semi
acqua
sciroppo di zucchero di canna
un contenitore in pirex piccolo
un contenitore in pirex grande
un contenitore di vetro piccolo
un contenitore di vetro grande.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. mettiamo il contenitore di pirex piccolo in quello grande

. riempiamo il contenitore piccolo con acqua: il bicchiere piccolo resterà visibile

. mettiamo acqua anche nel bicchiere grande: il bicchiere piccolo continuerà ad essere visibile

. possiamo quindi dire che il bicchiere più piccolo è visibile in acqua

. rimuoviamo l’acqua, asciughiamo i due contenitori e riproviamo l’esperimento con l’olio di semi. Prima riempiamo il bicchiere piccolo, poi quello grande (cioè lo spazio tra i due bicchieri)

. il contenitore più piccolo sarà scomparso


. riproviamo l’esperimento con due contenitori di vetro

. versando l’olio in entrambi i contenitori, il più piccolo resterà visibile

. anche versando acqua i due contenitori resteranno visibili


. aggiungiamo all’acqua sciroppo di canna da zucchero: continuiamo finché il contenitore piccolo non sarà scomparso

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.


Osservazioni e conclusioni

Riempendo i due contenitori di pirex con olio da cucina il contenitore più piccolo diventa molto difficile da vedere: ne rimarrà solo un’immagine
Questo accade perché l’indice di rifrazione del pirex e dell’olio da cucina è quasi lo stesso, cioè la velocità con cui la luce attraversa il pirex e l’olio non cambia. Per questo il contenitore di pirex diventa invisibile.
Lo stesso avviene coi contenitori di vetro, quando aggiungiamo sciroppo fino a raggiungere l’indice di rifrazione del vetro.

Mani fredde – esperimenti scientifici per bambini

Mani fredde – esperimenti scientifici per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Mani fredde
Scopo

Osservare come il senso del tatto e la capacità di presa dalle dita possono essere influenzate dalla temperatura.

Età

Dai 5 anni.

Mani fredde
Materiali

Una ciotola con acqua
cubetti di ghiaccio
un ago.

Note di sicurezza

Se durante l’esperimento il volontario prova fastidio o dolore nell’acqua, deve sapere che può ritirare la mano immediatamente.
Nel preparare la ciotola verificare con attenzione che la temperatura sia adatta all’immersione delle dita.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che il senso del tatto e la capacità di presa dalle dita possono essere influenzate dalla temperatura
. chiediamo a un bambino di prendere l’ago con la sua mano dominante

. il bambino eseguirà l’azione senza problemi

. mettiamo i cubetti di ghiaccio nella ciotola d’acqua

. chiediamo al bambino di immergere la mano dominante nella ciotola per 20-30 secondi

. chiediamo al bambino di togliere la mano e asciugarla rapidamente

. chiediamogli di riprovare a sollevare l’ago

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Noteremo che prendere l’ago non è così facile come sembrava all’inizio. Le dita si rifiutano di obbedirci! Il freddo riduce la nostra sensibilità tattile e indebolisce le capacità motorie. È difficile utilizzare le dita fredde per eseguire movimenti precisi come sollevare un ago.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Scopo

Osservare come il senso del tatto può ingannarci quando percepisce le temperature.

Materiali

Tre identici contenitori di vetro
acqua a diverse temperature (molto calda, tiepida, molto fredda)
asciugamani

Note di sicurezza

Se durante l’esperimento il volontario prova fastidio o dolore nell’acqua, deve sapere che può ritirare la mano immediatamente.
Nel preparare le tre ciotole verificare con attenzione che le tre temperature siano adatte all’immersione delle dita.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che la nostra percezione della temperatura può essere ingannata

. coi bambini prendiamo la prima ciotola, versiamoci l’acqua fredda (precedentemente raffreddata con del ghiaccio) e in un punto nascosto della ciotola applichiamo un cartellino piegato a metà con la scritta “fredda”

. prepariamo allo stesso modo le altre due ciotole

. disponiamo le ciotole sul tavolo in modo che l’acqua a temperatura ambiente sia al centro e che l’acqua calda e quella fredda siano su entrambi i lati

. immergiamo le dita nell’acqua più calda e contiamo fino a 10

. poi immediatamente spostiamole nell’acqua tiepida. Chiediamo: “Com’è quest’acqua?”

. i bambini diranno che è fredda, ma aprendo il cartellino nascosto leggeranno “tiepida”: i sensi possono ingannarci!

. ora immergiamo la mano destra nell’acqua fredda e la mano sinistra nell’acqua calda

. lasciamo le mani in acqua per circa 20 secondi

. spostiamo contemporaneamente entrambe le mani nel contenitore centrale

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?
Osservazioni e conclusioni

I bambini sperimenteranno qualcosa di molto particolare, cioè una mancata corrispondenza tra la percezione della temperatura e la temperatura reale dell’acqua.
Si tratta di un fenomeno chiamato “adattamento sensoriale”.
Sulle nostre mani, e in particolare nei nostri polpastrelli, c’è una quantità incredibile di terminazioni nervose sensoriali, e tra questi i termocettori, che
servono a rilevare la temperatura degli oggetti. Alcuni termocettori rilevano condizioni di freddo mentre altri termocettori sono attivati dal calore.
Se la mano è esposta al calore per un lungo periodo, i recettori sensibili al calore, come i muscoli dopo un lungo allenamento, inizieranno a stancarsi e ridurranno la loro attività, cioè diventeranno meno sensibili.
La stessa cosa succede ai recettori del freddo.
Questo processo di adattamento dei termocettori e dei nervi sensoriali spiega il disallineamento di sensazione di temperatura durante l’esperimento.
È la stessa cosa che succede quando appoggiamo una mano su un tavolo: appena appoggiata notiamo la consistenza e la temperatura del tavolo, ma dopo un po’ non sentiremo più nulla. Anche questo fenomeno è dovuto all’adattamento sensoriale.

Esperimento scientifico: il senso del tatto è affidabile?

Che vista! Un esperimento scientifico sulla riflessione della luce

Che vista! Un esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria per spiegare la riflessione della luce.

Che vista!
Scopo

Sfruttare le proprietà di riflessione della luce per leggere attraverso una busta chiusa.

Materiali

Pennarello nero
foglio bianco
busta scura
busta bianca
un tubo fatto arrotolando carta scura largo 10 cm circa.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Che vista!
Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento dimostra che non è possibile leggere la scritta all’interno di una busta a causa della luce riflessa dalla superficie bianca

. con un pennarello nero, scriviamo una parola di tre o quattro lettere su un foglio di carta bianca

. mettiamo la carta in una busta scura e inseriamo quella busta in una busta bianca. La scritta sul foglio dovrebbe ora essere impossibile da leggere

. prendiamo un pezzo di cartoncino scuro o una pagina di una rivista stampata su entrambi i lati. Arrotoliamo la carta in un tubo

 . quando teniamo il tubo contro la busta, saremo in grado di leggere la scritta all’interno

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Di solito non è possibile leggere la scritta all’interno di una busta a causa della luce riflessa dalla superficie bianca della busta. Ma le pareti del tubo riflettono la luce, quindi vedrai solo la luce che passa attraverso la busta.

Esperimento scientifico – Immagini invertite

Esperimento scientifico – Immagini invertite

Scopo

Dimostrare la rifrazione della luce.

Età

Dai 6 anni.

Materiali

Bicchiere
acqua
carta
penna o pennarello nero o matita.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato in un piccolo gruppo di bambini o nell’intera classe

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento mostra gli effetti della rifrazione

. disegniamo due frecce, entrambe rivolte verso la stessa direzione

entrambe) attraverso un bicchiere

. se utilizziamo inchiostro indelebile o la matita (o plastifichiamo il foglio su cui abbiamo disegnato) possiamo inserirlo nel bicchiere, quindi aggiungere via via acqua

. altrimenti possiamo porre il foglio dietro al bicchiere

. non funziona solo con le frecce, possiamo usare la nostra creatività. Disegniamo tutto ciò che ci piace e vedere come appare attraverso il vetro

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Osservazioni e conclusioni

Con questo esperimento entriamo in contatto con un concetto della fisica chiamato rifrazione, o flessione della luce.
Quando la luce passa attraverso oggetti trasparenti (in questo caso, la parte anteriore del vetro, l’acqua e la parte posteriore del vetro), si rifrange o si piega.
Quando il bicchiere è pieno d’acqua, agisce come una lente cilindrica convessa e produce un’immagine invertita.
L’immagine invertita può apparire più grande, più piccola o delle stesse dimensioni, a seconda di dove posizioni il foglio di carta o il bicchiere, e dipende anche dal punto di osservazione. Un’altra variabile è il diametro del bicchiere.
Importa quanto è lontano il bicchiere d’acqua?
Cosa succede se muovi la testa da un lato all’altro? Come cambia la tua immagine?
La dimensione dell’immagine è importante?
Cosa succede se provi con un bicchiere più largo o più stretto?
Cosa succede se avvicini il bicchiere all’immagine? E se lo allontani?

Perchè il cielo è azzurro

Perchè il cielo è azzurro: un semplice esperimento scientifico per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Scopo dell’esperimento

Dimostrare che il cielo è azzurro perché il colore blu all’interno della luce solare è il più disperso dalle molecole d’aria e viene percepito meglio dai nostri occhi.

Materiali

– un contenitore trasparente (provare vari contenitori)
– acqua
– sostanza lattiginosa (sapone, latte, latte in polvere, yogurt, cera per pavimenti, ecc.)
– una torcia elettrica che emetta luce bianca
– una stanza buia.

Note di sicurezza

Finché usiamo ragionevolmente i materiali questa è un’attività molto sicura.

Età consigliata

A partire dei 5 anni.

Perchè il cielo è azzurro?

Presentazione

. Questo esperimento può essere presentato ad un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe

. scegliamo una stanza facilmente oscurabile

. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo

. spieghiamo ai bambini che questo esperimento ci spiega come mai vediamo il cielo azzurro, anche se la luce del sole è incolore ai nostri occhi.

. riempiamo il contenitore trasparente con acqua.

. oscuriamo la stanza

. sciogliamo un po’ di sostanza lattiginosa nell’acqua, per ottenere una soluzione torbida

. puntiamo la torcia verso la soluzione torbida, colpendola di lato

. giochiamo con l’angolazione della torcia fino a veder apparire l’azzurro

. se abbiamo difficoltà, proviamo a guardare il contenitore dall’alto

. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.

Perchè il cielo è azzurro? Osservazioni e conclusioni

La luce “incolore” del sole è in realtà luce bianca: è composta infatti da tutti i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola) mescolati insieme.

La luce si piega quando passa attraverso mezzi diversi, in questo caso acqua e aria. Questa flessione della luce è chiamata rifrazione.

I diversi colori della luce solare vengono rifratti da diversi angoli perché hanno lunghezze d’onda diverse.

L’atmosfera della Terra contiene polvere, gocce d’acqua e altre minuscole molecole che non possiamo normalmente vederle a occhio nudo. In una giornata limpida, dunque. la luce del sole che filtra attraverso l’atmosfera si disperde in contrando le particelle contenute nell’aria.

Questa dispersione non è uguale per tutti i colori dello spettro: è molto più forte per i colori che hanno frequenze più alte e lunghezze d’onda più corte: il blu-viola. Quindi i colori violetto e blu si diffondono nell’aria più dei colori giallo rosso verde. Tra il viola e il blu, però, gli occhi umani sono più sensibili al blu.

Possiamo dire, dunque, che il cielo è blu perché il colore blu all’interno della luce solare è quello che si diffonde meglio nell’aria e che viene percepito meglio dai nostri occhi.

In questa dimostrazione la sostanza lattiginosa imita le particelle presenti nell’aria e, come queste, piega la luce (non del sole, ma della torcia).

Materiale didattico sulla seconda guerra di indipendenza

Materiale didattico sulla seconda guerra di indipendenza: dettati ortografici, letture, poesie per bambini della scuola primaria.

Astuzie di Cavour
Al principio della campagna del 1859, per arrestare l’avanzata austriaca, Cavour, allora Ministro della Guerra, diede l’incarico di allagare le campagne tra Vercelli e Novara all’ingegnere Carlo Noè, direttore dei canali statali, scrivendogli: “Caro ingegnere Noè, il suo omonimo salvò il genere umano dalle acque, lei, per mezzo delle acque salvi la Patria”

Gli Austriaci, all’inizio della seconda guerra d’indipendenza, erano convinti di conquistare Torino in pochi giorni. Alcuni loro ufficiali, con tale certezza, fecero inviare dai proprio familiari le lettere direttamente in quella città. Cavour ne venne in possesso e, consegnandole all’ambasciatore prussiano, che sostituiva in quel momento quello austriaco, disse: “Ecco qui alcune lettere destinate a persone che non siamo riusciti a trovare in città: vogliate farle pervenire ai destinatari”.

Le forze in campo
Esercito francese: 150 mila uomini. Comandante: Napoleone III, che era anche comandante supremo di tutte le forza alleate. Capo di stato maggiore, il generale Vaillant.
Esercito piemontese: 63 mila uomini. Comandante: Vittorio Emanuele II. Capo di stato maggiore, il generale Morozzo della Rocca.
Cacciatori delle Alpi: 3500 volontari male armati. Comandante: Giuseppe Garibaldi. La partecipazione di Garibaldi fu voluta dal re contro il parere del ministro della guerra La Marmora.
Esercito austriaco: 2oo mila uomini di cui  però solo 120 mila il linea. Comandante il generale Ferencz Giulay.

Solferino e San Martino
L’alba del 24 giugno, aprendo le sue pupille, vide una cosa meravigliosa: tutte le alture tra il Mincio e il Garda erano coronate dai soldati dell’Austria. Tutto l’esercito austriaco, rafforzato di nuove genti, aveva rivalicato il Mincio; lassù si era schierato, appoggiato dalle retrostanti fortezze.
All’alba Francesco Giuseppe contemplava il suo esercito e il generale Schlik disse: “La Maestà Vostra sta per assistere a una grande battaglia e a una grande vittoria”.
Vide la torre di Solferino e comprese che il nodo della battaglia era lì. Risalì a cavallo e, accompagnato dalle sue cento guardia dalle criniere bianche, mosse veloce verso Solferino. Nella corsa perse una spallina.
Risuonò il comando: “Avanti, cavalleggeri! Viva l’Imperatore!”. Baionette abbassate, senza sparare colpo, al rullo di cento tamburi, i Francesi vanno all’assalto. L’artiglieria nemica folgorava  da tutte le parti. Due volte la collina è presa dai Francesi, due volte è ripresa dagli Austriaci.
All’ultimo disperato assalto, la posizione è saldamente conquistata. La bandiera giallo-nera apparve, scomparve, riapparve sullo sprone di Solferino. Infine scomparve. Anche l’ufficiale che reggeva quella insegna scomparve. Sulla torre di Solferino sventola il tricolore di Francia.
I centro nemico è sfondato; tutte le alture sono prese. Da Cavriana partono gli ultimi colpi di cannone. Sono le quattro e tre quarti. Dodici ore è durato il duello.
Alle sette di sera Napoleone III entrava a Cavriana nella casa dove Francesco Giuseppe aveva il suo quartier generale: ma lo aveva dovuto lasciare, perché per poco non era stato fatto prigioniero anche lui.
La battaglia di Solferino era terminata; riprendeva come un uragano la battaglia a San Martino. Dalle nove del mattino i soldati italiani erano lanciati in disperati assalti sotto gli occhi del re. “Figlioli” diceva il re, “o si prende San Martino o i Tedeschi faranno fare a noi San Martino!” (Fioei, venta piè San Martin, se no gli aleman a lu fan fè a nui autri!).
All’ultimo assalto, con tutte le forze, San Martino è conquistata.
Dunque l’Imperatore entrò in quella casa di Cavriana che per breve era stata alloggio dell’altro Imperatore. Quelli che erano con lui dicono che un’espressione di tristezza e di stanchezza profonda era scolpita sul suo volto. Si sedette presso un tavolo coperto da una tovaglia verde, e rimase a lungo immobile e in silenzio.
“Sire, l’inseguimento, il coronamento della vittoria!”. Risponde l’Imperatore: “No, la giornata è finita”.
Alla luce del lungo tramonto si vedevano le colonne austriache ripassare in buon ordine il Mincio. Napoleone si ritira nelle sue stanze. Vede sulla parete, tracciate a matita, tre parole italiane: “Addio, cara Italia”. Un ignoto ufficiale di Francesco Giuseppe aveva segnato le tre parole profetiche. Quando il sole apparve, l’Imperatore era già con il pensiero a Villafranca.
(A. Panzini)

L’ordine del giorno di Vittorio Emanuele II dopo la vittoria di Solferino e di San Martino
Soldati!
In due mesi di guerra, dalle sponde della Sesia che sono state invase al Po, voi avete corso, di vittoria in vittoria, fino alle rive del Garda e del Mincio. Nella via gloriosa che avete percorso, in compagnia del nostro potente alleato, avete dato ovunque le più grandi prove di disciplina e di eroismo. La Nazione è fiera di voi; tutta l’Italia contra tra le vostre fila i suoi figli migliori, applaude il vostro coraggio e dalle vostre imprese trae fiducia per il suo destino futuro.
Ora avete riportato una nuova e grande vittoria, vincendo un nemico grande di numero e protetto da ottime posizioni.
Nella giornata ormai famosa di Solferino e di San Martino, avete respinto, combattendo dall’alba fino a notte, i ripetuti assalti del nemico e lo avete costretto a riattraversare il Mincio, lasciando nelle vostre mani il suo campo di battaglia, gli uomini, le armi e i cannoni.
Da parte sua l’esercito francese ha ottenuto uguali risultati e ugual gloria dando prova di quel valore che, da secoli, richiama l’ammirazione del mondo.
La vittoria è costata gravi sacrifici; ma da questo sangue versato per la più nobile delle cause, l’Europa imparerà come l’Italia sia degna di sedere tra le Nazioni.
Soldati!
Nelle battaglie precedenti ho spesso avuto occasione di segnalare all’ordine del giorno i nomi di molti di voi. Oggi io porto all’ordine del giorno l’intero esercito.
(Vittorio Emanuele, 25 giugno 1859)

Il dramma di Villafranca
L’8 luglio Cavour viene a sapere che il generale Fleury, primo scudiero dell’imperatore, è andato a Verona per proporre un armistizio a Francesco Giuseppe.
Cavour parte subito da Torino e si precipita dal re, che è alloggiato alla villa Melchiorri, in Monzambano sul Mincio. Appena il sovrano e il ministro si trovano soli, il tono della loro voce è così alto che rimbomba all’esterno della piccola sala della villa: l’argomento della discussione è davvero drammatico. Vittorio Emanuele è obbligato a confessare che, fin dalla vigilia di Solferino, Napoleone III gli ha confidato la decisione di trattare al più presto con l’Austria, dovuta all’attitudine alla minaccia degli Stati tedeschi. E il re si è dimostrato d’accordo dicendo che tutto sommato, questa guerra abbreviata gli farà conquistare almeno la Lombardia. Se la Francia abbandonasse la lotta, il Piemonte potrebbe continuarla da solo?
Ad ogni frase Cavour scattava sotto l’impulso della collera crescente, al pensiero di tutto quello che avrebbe potuto fare, di tutte le combinazioni che avrebbe potuto inventare, di tutte le leve che avrebbe potuto manovrare in quei diciotto giorni, se avesse conosciuto i piani di Napoleone III; tutto ciò lo rende furioso…
Vittorio Emanuele cerca di contraddirlo, di spiegargli le sue ragioni. Non è meglio concludere la guerra guadagnando la Lombardia, piuttosto che farsi nemica la Francia, col rischio di rientrare a Torino a mani vuote, sotto la minaccia delle baionette austriache e tutta l’Europa che ride di noi? Ma Cavour, che non riesce a trattenersi, grida:
“Allora, Sire, abdicate”
“Tacete! Ricordatevi che sono il Re!”
“Il vero re, in questo momento, sono io!”
“Voi il re? Voi non siete che un insolente!” gli urla Vittorio Emanuele, ed esce dalla sala sbattendo la porta.

Napoleone III e Vittorio Emanuele dopo Villafranca
Dopo il “tradimento” di Villafranca, Napoleone così spiegò le ragioni del suo comportamento:
“Se la rivoluzione varcasse gli Appennini, l’unità d’Italia sarebbe fatta, e io no voglio l’unità, ma soltanto l’indipendenza. L’unità rischia di portare a problemi interni per la questione di Roma, e a problemi esteri perché con l’unità  la Francia si ritroverebbe una grande nazione al suo fianco, che potrebbe far diminuire la sua influenza”.
Più tardi, Vittorio Emanuela II rispose a Napoleone rinfacciandogli il suo comportamento:
“Io sono vincolato dal patto con l’Europa, dal dovere di giustizia, dagli interessi della mia casa e sono vincolato al mio popolo, all’Italia. I Solferino, i San Martino riscattano talvolta i Novara, i Waterloo; ma le apostasie dei principi sono sempre irreparabili. Io sono commosso nel più profondo del mio animo per la fiducia e per l’amore che questo nobile e sventurato popolo ha riposto in me; e, prima di tradirlo, spezzo la spada e getto la corona come fece mio padre”.

Le annessioni
La fine della guerra porta alla cessione della Lombardia alla Francia, che la cede a sua volta al Piemonte, in cambio di Nizza e Savoia. Il Veneto rimane ancora sotto l’Austria.
Ma durante la guerra molte province sono insorte, hanno cacciato i sovrani,  hanno chiesto l’annessione al Piemonte. Dopo la Toscana e Massa Carrara, anche Modena insorge e, ai primi di giugno, costringe il Duca a lasciare la città. Il 13 giugno un movimento popolare sempre più forte travolge la reggenza lasciata dal Duca e proclama l’annessione al Piemonte.
A Parma il popolo è insorto fin da maggio: il 2 giugno costringe la Duchessa a fuggire e dichiara l’annessione al Piemonte.
Bologna e la Romagna, Stato del Papa, vengono tenute a freno da forti truppe austriache fino all’11 giugno, ma il 12 scoppia un’impetuosa dimostrazione popolare, e il potere passa nelle mani di un governo provvisorio: entro la mezzanotte del 13 tutta la Romagna è insorta e si è liberata del dominio austriaco e clericale. Nella discussione a Zurigo, per il trattato di pace, si propone di rimettere i sovrani sui loro troni. Ma le popolazioni si ribellano, si riuniscono in grandi assemblee e reclamano l’annessione al Piemonte.

Il trattato di pace: Zurigo, 10 novembre 1859
Si firma il trattato di page che pone ufficialmente fine alla guerra.
Nel trattato si confermano gli accordi di Villafranca, e si stabilisce che i principi italiani, che erano stati costretti a fuggire, debbono ritornare nei loro Stati. Ma come ciò sarà possibile? Non hanno eserciti propri, né possono contare sull’aiuto dell’Austria, perché questa, nel trattato, si è impegnata a rispettare il principio del “non intervento”.
D’altra parte le popolazioni sono decise a votare, per plebiscito, l’annessione al Piemonte.
Il trattato prevede che il futuro assetto dell’Italia sarà stabilito in un Congresso che sarà successivamente convocato.
Ma è impressione generale che saranno i fatti e l’autodecisione delle popolazioni, che daranno un nuovo volto all’Italia.

In margine al trattato di pace: la restituzione della Corona Ferrea
La corona ferrea, con la quale nel Medio Evo venivano incoronati i re d’Italia, e con la quale anche Napoleone fu incoronato “re d’Italia”, era stata tolta dal duomo di Monza, dove era conservata, e portata a Vienna dagli Austriaci, all’inizio della guerra.
Ora l’Austria, in virtù del trattato di pace, è obbligata a restituirla.
Sembra un presagio.

Vittorio Emanuele II
La sera del 23 marzo 1849, dopo che il suo esercito era stato sconfitto dagli Austriaci, il re di Sardegna Carlo Alberto abdicò alla corona in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Era un momento tragico per la storia italiana, ma il ventinovenne re superò questa prova con fermezza e coraggio, rifiutandosi di rinnegare ed abolire lo Statuto che suo padre aveva concesso e giurato.
Sinceramente convinto che il regno di Sardegna dovesse diventare il centro della lotta di tutti gli italiani, per l’unificazione e l’indipendenza nazionali, Vittorio Emanuele ebbe la fortuna di trovare in Cavour il geniale ministro che realizzò questo grande programma: e così i patrioti, sia monarchici sia repubblicani, si schierarono con il regno di Sardegna nella lotta all’Austria.
Vittorio Emanuele II fu sui campi di battaglia, distinguendosi nel 1859 a Palestro e a San Marino. Appoggiò la spedizione dei Mille e, ricevuto da Garibaldi a Teano il regno delle Due Sicilie appena conquistato, portò nel 1861 la corona dell’Italia unita. Fu ancora sul campo a Custoza (18669 e infine entrò, da re, in Roma libera (1870).
Carattere rude e fiero, regnò con lealtà e dignità, meritando il soprannome di “Re galantuomo”. Morì a Torino nel 1878.

Aneddoti
Un giorno il D’Azeglio disse al Re: “Ce ne sono stati così pochi nella storia di re galantuomini, che sarebbe veramente bello cominciare la serie”. “Devo fare il galantuomo?”, chiese senza ridere Vittorio Emanuele.
“Vostra maestà ha giurato fede allo Statuto, ha pensato all’Italia e non al Piemonte. Continuiamo allora a dare per certo che a questo mondo tanto un re quanto un individuo oscuro non hanno che una sola parola”
“Ebbene, il mestiere mi sembra facile” disse sua Maestà.
“E il re galantuomo l’abbiamo”, osservò il D’Azeglio.

A volte il re amava confondersi con la folla per sentirne i giudizi direttamente e per essere libero di esprimere i suoi. Nel primo anniversario dello Statuto si travestì da popolano indossando i suoi abiti da caccia, ed entrò di sera in una birreria in piazza San Carlo. Alcuni popolani che erano nel locale festeggiavano la ricorrenza e gridavano: “Viva il re! Viva lo Statuto!”.
Il re si sedette ad un tavolo, ordinò, bevve in fretta e poi, prima di uscire, si rivolse ai popolani gridando: “Viva la Repubblica!”.
Successe un parapiglia e il Re pensò di non riuscire ad uscirne, quando un operaio prese le sue difese e, siccome non riusciva a calmare i suoi compagni, gli venne l’idea di gridare: “Ma non vedete che è matto?”.
(L. Pollini)

Motti arguti 
Nel 1861 passavo in rassegna le truppe in Piazza d’Armi a Milano. Erano reggimenti di fanteria nei quali abbondavano i soldati lombardi e tra questi non pochi milanesi. Un reggimento stava davanti a me e al mio Stato Maggiore, ed i soldati, come la disciplina prescrive, tenevano gli occhi fissi nei miei. Due di quei soldati, mentre aveva gli occhi rivolti a me, tenevano senza scomporsi una conversazione, che anche se fatta a voce molto bassa, riuscii ad ascoltare parola per parola.
“Guarda” diceva uno, “El noster re come l’è bel grass”. E l’altro rispondeva: “El soo anca mi che l’è bel e grass; el se magna una provincia al dì, e te veut minga ch’el sia bel e grass?”

Il “miracolo” di Cavour
Cavour si preparava alla guerra, ma secondo i patti di Plombieres non poteva dichiararla lui: doveva aspettare di essere aggredito.
Lord Russel disse a Cavour: “Signor Conte, credo che lei stia sprecando le sue energie, perché l’Austria non le dichiarerà mai la guerra.”.
“Ma io saprò convincerla”, disse Cavour.
Il lord incredulo domandò allora ironicamente quando credeva possibile il miracolo diplomatico.
“Intorno alla prima settimana di maggio”, rispose serio serio Cavour.
E fu infatti così.
(F. Palazzi)

Il compito più difficile
Un giorno un gruppo di persone stavano tessendo le lodi di Cavour davanti a Napoleone III. Qualcuno disse:
“Sì, è un grande uomo politico; peccato che non sia lui a governare un grande Stato”.
Napoleone con molto buon senso rispose:
“Credo che il compito di fare grande  un piccolo Stato sia molto più difficile che non governare un grande Stato. Lasciatelo fare, Cavour è sulla buona strada”.

Un pensiero di Cavour
Cavour amava tanto il lavoro e le persone attive, che gli piaceva dire: “Quando voglio che una cosa sia fatta presto e bene, mi rivolgo alle persone che sono sempre occupate: i disoccupati non hanno mai tempo di far nulla”.
(F. Palazzi)

Sovrano popolare
Siamo a Torino, nel 1859, alla vigilia della seconda guerra d’indipendenza. La città è tutta in attesa, fremente di entusiasmo e di speranza.
Il popolo, che si era raccolto spontaneamente attorno allo stesso ideale, va una sera a fare una grande dimostrazione patriottica davanti alla dimora del conte Camillo Benso di Cavour, presidente del Consiglio dei Ministri.
La mattina dopo Cavour, molto soddisfatto, parla al Re del grande vociare di entusiasmo che gli è giunto dalla strada; ma il sovrano non ha l’aria di stupirsi.
“Vostra Maestà è stata già informata?”
“Cuntacc!” rispose il re,  “Ero anch’io fra il popolo a gridare -Viva Cavour!- “
(Vaccaro, da “Enciclopedia degli aneddoti”)

Il discorso della Corona del 10 gennaio 1859
L’apertura della sessione venne fissata al giorno 10 gennaio 1859.
La sera del 7 il conte Cavour ebbe una nuova conferenza col Re, il quale esaminò attentamente il discorso, scrisse di suo pugno alcune variazioni e concordò col suo ministro le parole diventate storiche, il grido di dolore, che erano state accennate e suggerite da Napoleone III…
La mattina del 10 gennaio l’aspetto dell’aula di Palazzo Madama era più che mai imponente. I ricordi del passato s’intrecciavano con le speranza e con la fiducia del futuro. Lì Vittorio Emanuele aveva pronunciato il giuramento solenne: lì sì era più volte appellato al buon senso e al patriottismo del parlamento e del suo popolo; lì quella mattina pronunciava le parole ardenti di chi sente nell’animo la gioia di un grande progetto.
Quando aprì il foglio di carta che doveva leggere, ci fu un silenzio profondissimo: tutti pendevano dalle sue labbra, il segreto era stato gelosamente custodito, e l’impazienza di sentire ciò che il Re avrebbe detto, era grandissima. Egli gettò uno sguardo intorno all’aula, e poi con voce che, fioca all’inizio, andò via via prendendo vigore e colorito, lesse…
Il discorso finiva così:
“L’orizzonte, in mezzo a cui sorge il nuovo anno, non è pienamente sereno. Ciò non di meno vi accingerete con la consueta alacrità ai vostri doveri parlamentari.
Confortati dall’esperienza del passato, andiamo risoluti incontro all’eventualità dell’avvenire. Questo avvenire sarà felice, riposando la nostra politica sulla giustizia, sull’amore della libertà e della patria. Il nostro paese, piccolo per territorio, ha guadagnato credito nei consigli europei perché grande per le idee che rappresenta e per le simpatie che ispira. Questa condizione non è priva di pericoli, perché mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi.
Forti e fiduciosi nel nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi.”
Ad ogni periodo il discorso venne interrotto da applausi fragorosi e dalle grida “Viva il Re!”, e alle parole “grido di dolore” eslose un entusiasmo indescrivibile. Senatori, deputati, spettatori si levarono in piedi e lo acclamarono.
I ministri di Francia, di Prussia e d’Inghilterra osservavano attoniti e commossi lo spettacolo. L’incaricato degli affari di Napoli aveva il volto bagnato di sudore.
(G. Massari)

L’eco a Milano del discorso di Vittorio Emanuele
La notizia del discorso giunse a Milano la stessa sera. Ero al teatro della Scala; a un tratto si vide un parlarsi l’un l’altro, con ansietà, con commozione, come di persone che si comunicano una grande notizia; e si osservò una sorpresa insolita anche nei palchi delle autorità e dei generali Austriaci. Quell’elettricità che era nell’aria, che era in tutti, doveva, poche sere dopo, scoppiare rumorosamente in quella stessa sala del teatro.
Si rappresentava la Norma di Bellini e, appena fu intonato il coro “Guerra, guerra!” tutto il pubblico scattò in piedi: dai palchi le signore sventolavano i fazzoletti e tutti in coro gridarono  “Guerra! Guerra!”e il coro fu fatto ripetere più volte.
Gli ufficiali della guarnigione che, come di solito, occupavano le due prime file della platea a loro riservate, non capirono sulle prime la ragione di quel chiasso. Esterrefatti, guardavano, quasi interrogando, nei due palchi riuniti di prima fila, dove stava il generale Giulay con parecchi ufficiali superiori.
Questi capirono ben presto di che cosa si trattasse e si misero ad applaudire essi pure “Guerra! Guerra!”. Anzi Giulay stesso ne diede il segnale, battendo ripetutamente la sciabola sul pavimento.
Chi avrebbe detto quella sera che la guerra sarebbe proprio scoppiata e che, cinque mesi dopo, egli avrebbe perduto a Magenta una grande battaglia?
Il segnale dato da Giulay fu subito seguito da tutti gli ufficiali, che si alzarono in piedi e, fissando il pubblico, applaudirono fragorosamente. Pensate che baccano! Da una parte si gridava entusiasticamente “Viva va guerra! Viva la guerra!, si sventolavano i fazzoletti, si chiedevano nuove repliche al coro; dall’altra si battevano in modo altrettanto provocante le sciabole a terra: il teatro fu attorniato dalla truppa, chiamata in fretta, e Giulay uscì, circondato dagli ufficiali accorsi in sua difesa. Il baccano quella sera durò a lungo: era l’esplosione del desiderio represso di vedere spuntare il primo giorno della guerra. Le parole di Vittorio Emanuele II aveva aveva acceso le polveri.
(G. Visconti Venosta)

 Napoleone III
Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del grande imperatore, nacque nel 1808 a Parigi. Irrequieto ed avventuroso, si dedicò sin da giovanissimo alla politica, e nel 1848 fu eletto presidente della Repubblica francese. Nel 1851, con un colpo di stato, si impadronì del potere e l’anno dopo si proclamò imperatore, col nome di Napoleone III. Sotto il suo regno la Francia tornò  ad essere una delle massime potenze mondiali, pagando però grandezza e prestigio con la perdita della libertà.
Le ambizioni di Napoleone III tramontarono nel 1870 quando, dichiarata la guerra alla Prussia, venne sconfitto e catturato nella battaglia di Sedan. Mentre il suo impero crollava, egli andò esule in Inghilterra, dove morì nel 1873.
Napoleone III può essere considerato uno dei protagonisti del Risorgimento italiano. Nel 1849, egli mandò un esercito a soffocare la Repubblica romana; nel 1867, a Mentana, sbarrò a Garibaldi la via per Roma.
Questi sanguinosi episodi di ostilità, tuttavia, sono riscattati da quanto Napoleone III fece nel 1859, quando mise a repentaglio la fortuna sua e della Francia per aiutare gli Italiani a liberare la Lombardia. Malgrado tutto dunque, dobbiamo riconoscenza a Napoleone.

Nasce la Croce Rossa
Ferdinando Palasciano medico dell’esercito borbonico, aveva sostenuto dieci anni prima di Solferino, che “i feriti di guerra, nel momento in cui rimangono feriti, cessano di essere nemici e vanno raccolti e curati, indipendentemente dall’esercito a cui appartengono”.
Per questi suoi principi Ferdinando II l’aveva degradato e imprigionato. Ma la nobile proposta del Palasciano doveva essere raccolta, dieci anni dopo, da un medico svizzero che assistette alla sanguinosissima battaglia di Solferino.
In un libro intitolato “Un ricordo di Solferino” egli descrisse la tragica odissea di migliaia di feriti che, senza cure adeguate, senza assistenza, morivano dissanguati sul campo o in ricoveri improvvisati.
“Proclamiamo solennemente”, disse “che i feriti di guerra sono sacri e devono essere curati anche dai nemici”.
Le sue proposte, alla Conferenza Internazionale di Ginevra (1864) portarono alla nascita della Croce Rossa.
Il suo nome è Enrico Dunant.

Materiale didattico sulla seconda guerra di indipendenza. Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

LE PIANTE CARNIVORE dettati ortografici e letture

LE PIANTE CARNIVORE dettati ortografici e letture per la scuola primaria.

Le piante carnivore

Le piante carnivore, o insettivore, costituiscono una delle parti più interessanti e più strane dell’immensa flora terrestre. Si tratta, come il nome stesso indica, di piante che si nutrono di piccoli animali, per lo più insetti o minuscoli crostacei, dai quali utilizzano le sostanze loro necessarie, ad esempio l’azoto, che non possono trovare nell’ambiente in cui vivono.
Infatti crescono generalmente in luoghi umidi, acquitrinosi o sono piante acquatiche: solo alcune abitano terreni sabbiosi o rocciosi.

Dato il singolare modo di nutrizione, esse sono fornite di speciali dispositivi per imprigionare la preda e producono sostanze dette enzimi che permettono la digestione e quindi l’assimilazione dell’animale catturato.
Gli apparati per la cattura non sono altro che foglie trasformate in organi cavi (ascidi) di vario aspetto, simili ad urne o a vescicole, così da essere perfettamente adatte alla nuova funzione. La parte più interessante dunque di questi vegetali sono le foglie, dall’apparenza innocua, che si tendono simili a tentacoli, per catturare l’incauto insetto.
Queste piante carnivore prosperano nei nostri paesi come in quelli tropicali, e ve ne sono di moltissime specie, circa cinquecento; ma qui parleremo delle più interessanti.

Bellissima è la Nepente, pianta rampicante delle foreste indonesiane; la parte terminale delle sue foglie costituisce un ascidio a forma di urna ricoperta di piccoli peli, munita di coperchietto e colorata vivacemente. La natura, così saggia e giusta nel disporre l’ordine delle cose, ha donato a queste foglie, nell’orlo dell’ulna, sostanze zuccherine che attirano gli insetti verso quell’irresistibile dolcissimo cibo. Essi si posano, ignari della fine crudele che li attende, e succhiano avidi lo zucchero, ma la foglia muove i peli come minuscoli tentacoli e l’insetto vi resta inesorabilmente impigliato, scivola nel fondo dell’ulna, dove il liquido secreto della pianta stessa prepara il processo di digestione.

photo credit: Di Jan Wieneke, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=673060

L’Erba vescica, invece, che è una pianta acquatica priva di radici,  ha foglie trasformate in piccole vesciche, vere e proprie trappole per gli incauti animaletti che vi penetrano.

photo credit: CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4547229

E stranamente belle, ma piene di insidie, sono le foglie della Drosera, le cui tre specie Drosera rotundifolia, intermedia e longifolia sono molto diffuse anche da noi, specialmente nelle torbiere di montagna. Le foglie,rotonde od allungate, di un bel verde, sono ricoperte da numerosi e lunghi tentacoli rossi, le cui estremità secernono una sostanza vischiosa, rifrangente la luce, che appare come una gocciolina di rugiada. L’insetto, richiamato da quella multicolore trasparenza, vi si posa e subito rimane invischiato, mentre i tentacoli, lasciato ormai il loro aspetto innocuo e bellissimo, si curvano su di lui e lo soffocano.

photo credit: CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=195090

Terminato il processo di digestione, i tentacoli ritornano nella posizione primitiva, pronti ad attirare altri animaletti, con spietata ed incosciente crudeltà.
Un’altra interessantissima pianta carnivora è la Dionaea muscipola, comunemente detta “piglia – mosche”. E’ un’erba alta circa 20 centimetri, che cresce nell’America settentrionale e le cui foglie sono dotate di una sensibilità notevolissima. La lamina fogliare, sostenuta da un picciolo spatolato, ha i margini provvisti di denti lunghi e acuminati: essa è divisa dalla nervatura principale che funziona da cerniera, in due tempi mobili. Su ciascuno di essi si trovano, oltre a numerose ghiandole, tre setole, che stimolate dal contatto di piccoli animali, fanno avvicinare i due lembi con movimento brusco e rapido, cosicchè i denti marginali si incastrano uno all’altro e la preda resta prigioniera.

photo credit: Di H. Zell – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9796192

E cento e cento altre piante, di apparenza strana e diversa, che qui sarebbe impresa ardua elencare, vivono sui monti, negli acquitrini, tra le misteriose folte vegetazioni tropicali. Ma ognuna ha in comune l’istinto crudele di catturare le piccole prede, ragione del loro nutrimento e della loro perpetuazione.

Il carnivoro verde
Io non sapevo che al mondo vi fossero piante che mangiano animali. Un giorno, durante un viaggio nell’America Centrale, la guida mi fece vedere un albero e mi disse: “Ora vedremo come mangia”.
A un cenno, mi fermai sulla sponda dello stagno presso il quale eravamo, e rimasi in attesa.
Poco dopo, un leggero fruscio mi fece volgere il capo. Trotterellando sulle corte zampette, un topolino avanzava guardingo. Quando l’animaletto si avvicinò ai rami dell’albero “cacciatore” la guida, con un gesto, mi invitò a fare attenzione.
Ciò che vidi mi lasciò tristemente stupito.
Non appena il porcellino toccò uno di quei rami, questo, con una mossa fulminea. lo strinse a sé, mentre altri rami si volsero verso la presa, serrandola nelle loro spire.
Il topolino gridava e si dibatteva con tutte le sue forze.
Balzai avanti, sfoderando il coltello. Ma la guida mi fermò.
“Troppo tardi” disse e, comprendendo il mio disappunto, mormorò: “E’ la legge della foresta”.
Egli aveva ragione. La morte del topolino dava vita alla pianta. Non trovando in quel terreno le sostanza azotate di cui aveva bisogno per vivere, la pianta se la procurava succhiando la carne animale attraverso le ventose di cui sono muniti i suoi rami.
Ero scosso. La guida se ne accorse e mi portò via da quel luogo. Ma non ho più dimenticato il carnivoro verde, il terribile laudocapto.

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Leggende del Piemonte

Leggende del Piemonte per bambini della scuola primaria.

Leggende del Piemonte – La leggenda di Maino della Spinetta
Dopo la battaglia di Marengo (1800), vinta da Napoleone, la maggior parte del Piemonte veniva annessa politicamente alla Francia. La popolazione nutriva un sordo rancore verso i Francesi, che, dopo aver promesso la libertà, si comportavano come arroganti dominatori. Nella provincia di Alessandria l’opposizione aperta si manifestò attraverso le imprese di Maino, detto Spinetta dal luogo in cui nacque. Egli fu il Fra Diavolo e il Passator cortese del Monferrino. Le sue imprese sono circonfuse da un alone di leggenda eroica e patriottica. La fantasia popolare ha trasformato in atti eroici quelli che forse furono solo azioni da brigante.  Il Maino aveva raccolto attorno a sé dei giovani che, come lui, mal volentieri accettavano di servire nell’esercito francese. Era coraggioso, astuto, crudele, deciso, audace. I gendarmi gli davano una caccia spietata ed egli reagiva uccidendo, procurandosi vitto e denaro con rapine e ricatti a danno soprattutto degli occupanti e dei ricchi della zona, donando ai poveri quando non gli serviva. L’esito fortunato delle sue imprese lo aveva reso spavaldo, tanto che spesso e volentieri si prendeva gioco dei suoi segugi. Famosa è rimasta la burla, detta “dei cavalli”.
Una sera, alcuni gendarmi si trovavano in un’osteria a bere allegramente. I loro discorsi erano caduti sul brigante Maino, che essi denigravano in ogni modo sollecitando appoggio ai loro argomenti da quanti erano presenti; tra essi uno era particolarmente aspro nelle sue invettive contro Maino e si era unito al brigadiere in un brindisi alla sua cattura e alla sua impiccagione. Questo avventore altri non era che lo stesso Maino travestito da boscaiolo. Approfittando di un momento di particolare euforia, uscì  nel cortile, si avvicinò ai cavalli dei gendarmi e tagliò le cinghie delle selle, trascurando di proposito la cavalcatura del brigadiere. Quindi rientrò e, attirata su di sé l’attenzione di tutti, gridò: “Signori, il codardo che cercate, il brigante, l’assassino Maino Spinetta, sono io!”.
I gendarmi restarono allibiti ed egli, approfittando dell’attimo di confusione seguito alla sua dichiarazione, uscì, balzò sul cavallo del brigadiere e fuggì a briglia sciolta. I gendarmi, ripresisi, uscirono correndo, montarono sui cavalli e si lanciarono all’inseguimento. Dopo pochi istanti tutti caddero rovinosamente a terra tenendosi con le mani le parti dolenti del corpo.
Secondo la leggenda, lo stesso Napoleone avrebbe ricevuto Maino a Monza per trattare la sua resa, ma il fuorilegge avrebbe interrotto le trattative perchè l’Imperatore non si impegnava a garantire la vita dei suoi compagni oltre alla sua. La sua fine, come quella di ogni masnadiero che soccombe, fu dovuta al tradimento. Mentre il Maino si trovava ospite di un parente, una spia avvertì i gendarmi che circondarono la casa e gli intimarono la resa. Maino invitò i gendarmi a catturarlo se pur ne erano capaci. Si ingaggiò una impari lotta al termine della quale egli cadde, ferito in ogni parte del corpo.

Leggende del Piemonte – La leggenda di Gagliaudo
Federico Barbarossa assediava Alessandria da parecchi giorni. I cittadini erano ridotti alla fame più nera: già circolavano voci sulla resa della città. Un giorno, ai capi dell’esercito che sedevano a consulta per prendere decisioni sulle condizioni della resa, si presentò un rozzo mandriano di nome Gagliaudo, che promise di liberare la città dall’assedio, se gli fossero stati dati un paio di sacchi di grano. Con il grano avuto egli nutrì per alcuni giorni una sua mucca e, quando gli parve ben pasciuta, uscì con essa dalla cerchia delle mura, poi cominciò a batterla selvaggiamente, tanto che questa prese a fuggire in direzione del campo nemico. I soldati si impadronirono della bestia e portarono Gagliaudo con le mani ed i piedi legati davanti all’Imperatore, che prese ad interrogarlo per conoscere e condizioni dei cittadini entro la città. Gagliaudo finse di rivelare di malavoglia all’Imperatore una notizia strabiliante: gli alessandrini avevano tanta abbondanza di cibo che nutrivano con grano perfino le loro bestie. L’Imperatore, adirato, minacciò di morte Gagliaudo se le sue parole non fossero state veritiere, e immediatamente ordinò che la sua mucca fosse squartata. Tanto fu il grano, senza alcuna traccia di biada, che trovarono nello stomaco della bestia, che l’Imperatore disperò di poter prendere Alessandria per fame e decise di togliere l’assedio.
Probabilmente il fatto narrato è leggendario e l’Imperatore fu costretto a togliere l’assedio per l’avvicinarsi di un esercito della Lega, che già aveva raggiunto Tortona; tuttavia resta il fatto della magnifica prova delle fortificazioni nella nuova città e del valore dei suoi cittadini.

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Leggende del Piemonte

IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie

IL CANGURO dettati ortografici, letture e poesie per la scuola primaria.

Un marsupiale è un mammifero provvisto di una vasca ventrale nella quale possono essere sistemati uno o più piccoli. I marsupiali, che oggi vivono solamente in Australia e in America, sono tra i primi mammiferi che hanno fatto la loro apparizione sulla terra. Sono stati trovati fossili di marsupiali che provano come già cento milioni di anni or sono vivevano animali a sangue caldo, capaci di allattare i loro piccoli. Probabilmente questi animali di piccola taglia furono preda dei grandi rettili carnivori, ma sono sopravvissuti agli attacchi di questi mostri e ai cataclismi terrestri, così che ancor oggi, vivono allo stato selvaggio, senza che la loro costituzione si sia troppo trasformata; si trovano, come dicevamo, solo in America (opossum) e in Australia (canguro, koala, il lupo della Tasmania oggi estinto, ecc.)

Quando deve lottare il canguro si appoggia sulla sua robusta coda, e si mette in posizione di attacco. Poi improvvisamente molla una terribile pedata con le zampe posteriori, oltretutto armata di unghie che lasciano segni profondi sull’avversario.
Il canguro adirato riesce a tener testa brillantemente sia all’uomo sia ai cani: lo si è visto più volte abbattere robusti cani da caccia, senza subire alcun danno.

I grandi branchi di canguri vagano per le distese del continente australiano. Al centro del branco stanno i “grandi rossi”, circa due metri di altezza, a destra e a sinistra”i grigi” più piccoli. I canguri vanno così brucando nei pascoli dei bovini e delle greggi. E questo spiega anche perché vengano perseguitati da una caccia spietata. Per sfuggire all’uomo il canguro si lancia in una velocissima fuga. Le sue lunghe zampe posteriori, come quelle di una rana, gli permettono di fare dei salti in lungo anche di dieci metri. Se non deve sfuggire alcun pericolo, il canguro più che camminare si trascina sul suolo. S’appoggia sulla coda e sulle zampe anteriori, per poter sollevare e spingere avanti il suo corpo pesante: mentre quando scappa si appoggia solamente sulle zampe posteriori. Se si riposa, ma non è tranquillo, il canguro si corica sul ventre, con le zampe divaricate di qua e di là dal suo corpo, pronto a scappar via al primo segno d’allarme. Ma quando è sicuro che nessun pericolo è in vista, si corica su di un fianco, come noi.

La parola “canguro” ha un’origine curiosa: i marinai del capitano Cook, quando sbarcarono in Australia per le prima volta videro queste bestie saltellare e chiesero agli aborigeni: “Potete dirci che cosa siano?”, frase che in inglese suona “Can you…”. Gli aborigeni ripeterono: “Can you… can you”, e la parola canguro era bell’e inventata, o almeno così dice la leggenda.
(da “Il corriere dei piccoli”)

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(IN COSTRUZIONE)

Problemi ed esercizi vari sui poligoni per la classe quarta

Problemi ed esercizi vari sui poligoni per la classe quarta della scuola primaria.

Esercizi (alla lavagna e sul quaderno)
– Misura il lato di alcuni quadrati che hai disegnato e calcolane il perimetro.
– Ci sono quattro aiuole quadrate: la prima ha il lato di m 5,5; la seconda di m 6,3; la terza di m 7 e la quarta di m 8. Calcola i perimetri delle quattro aiuole.
– Disegna un quadrato e un rombo i cui lati misurino cm 5.
– Disegna alcuni rombi, misura il lato di ciascuno e calcolane il perimetro.
– Disegna quattro rombi: il primo con il alto di cm 3.5; il secondo con il lato di cm 5; il terzo con il lato di cm 8; il quarto con il lato di cm 19. Calcola il perimetro di ciascuno.
– Disegna due segmenti, uno di cm 12 e l’altro di cm 8 in modo che si taglino a metà. Ora congiungi le estremità dei segmenti. Quale poligono ottieni? Misura con esattezza 2 lati e calcola il perimetro del poligono ottenuto.
– Disegna alcuni rettangoli; misurane, con la tua riga, la lunghezza e la larghezza e calcola il perimetro di ciascuno.

Disegna quattro rettangoli: il primo con i lati di 8 cm e di 5 cm; il secondo con i lati di cm 11 e cm 7; il terzo con i lati di cm 9,5 e cm 4,7; il quarto con i lati di cm 13 e cm 15. Calcola il perimetro di ciascuno.

Misura i due lati del piano della cattedra e calcola il suo perimetro.

Fra le cose che ti circondano a scuola, trova esempi di rettangoli. Misura due lati e calcola il perimetro.

Quali sono i perimetri del foglio sul quale scrivi, del tuo libro di lettura chiuso e aperto, del piano del banco?

Disegna un parallelogramma; misurane due lati e calcolane il perimetro.

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie per bambini della scuola primaria.

Il cammello è il primo animale di cui ci parla la Bibbia; con il cavallo i il bue, fu uno dei primi animali che l’uomo abbia assoggettato al proprio diretto servizio.  Il cammello è detto “la nave del deserto”, perché è l’unico animale che possa attraversare gli immensi deserti sabbiosi dove manca l’acqua. Un cavallo con un carico sulle spalle affonderebbe nella mobile sabbia e presto, stanco e spossato, non potrebbe più proseguire. Quando il vento soffia ed infuriano i turbini di sabbia, qualunque animale morirebbe soffocato, ma il cammello no. Esso ha delle narici che può chiudere, in modo da impedire alla sabbia di penetrare nei polmoni. I piedi del cammello sono forniti di grandi, larghe callosità a guisa di cuscino; allorché esso cammina, il suo piede grosso e soffice, fornito di due sole dita, sparpaglia intorno la sabbia più mobile e si posa saldamente sul terreno.

Uno dei fenomeni più interessanti che riguarda il cammello è il modo con cui può resistere a lungo senza bere. Lo stomaco di questo animale infatti non solo è molto ampio, ma è composto di tre sacche, due delle quali hanno le pareti rivestite di piccole cellette le quali possono essere riempite d’acqua che rimane “di riserva”.

Quando ha la fortuna di bere, il cammello inghiotte tanta acqua quanta ne può contenere. Dopo di che si accingerà coraggiosamente ad attraversare il più infuocato deserto, senza bere un sol sorso per cinque o sei giorni, sopportando sul suo dorso un peso di 150 chilogrammi, e non mangiando altro che le dure e spinose erbe che crescono qua e là anche nel deserto. Molto affine al cammello è il dromedario che si usa come cavalcatura; il dromedario è proprio dell’Arabia e dell’Africa ed ha una sola gobba. Il cammello, che ha due gobbe, è proprio dell’Asia meridionale. Queste gobbe sono formate da ammassi di grasso e, quando i cammelli fanno un viaggio lungo e faticoso, le gobbe si rendono a mano a mano più piccole, tanto che qualche volta quasi scompaiono addirittura, perché il grasso si consuma, servendo esso a nutrire l’animale.

A memoria d’uomo, i cammelli sono vissuti sempre allo stato domestico; tuttavia esistono ancora cammelli selvatici in alcune parti dell’Asia centrale. Si crede che molti secoli fa uno spaventoso turbine di sabbia spazzasse via ogni cosa in un fertile paese. Il turbine distrusse i villaggi e uccise tutti gli abitanti. Solo i cammelli resistettero: ed ora si ritiene che i cammelli servaggi e liberi di quelle regioni discendano direttamente da quelli che scomparirono allora.

Il dromedario
E’ uno dei mammiferi di maggiore statura: la sua altezza supera qualche volte anche i tre metri. Per poter camminare sulla sabbia del deserto, questo animale ha la pianta del piede conformata in maniera particolare. Essa è infatti formata da quattro cuscinetti di tessuto elastico. Quando l’animale appoggia il piede, i cuscinetti si appiattiscono, la suola si allarga, ed il piede non affonda nella sabbia.

Tra gli animali da soma il dromedario è il più resistente. Esso può camminare anche per dodici ore al giorno e per molte settimane di seguito con carichi superiori al quintale senza risentirne minimamente. Inoltre può rimanere senza bere per sette, otto giorni.
Il latte della femmina è molto sostanzioso e viene usato anche per preparare burro e formaggi. La carne è commestibile. Il pelo viene tessuto in stoffe pregiate. La pelle, morbidissima, viene utilizzata anche per confezionare indumenti.

Il lama
Strettamente imparentato con il cammello, il lama è il tipico animale da soma della Cordigliera delle Ande. E’ assai sobrio e resistente, per cui viene destinato al trasporto di merci lungo i ripidi sentieri della montagna, dove non esistono strade. La sua andatura è lenta ma sicura anche tra i passaggi più dirupati e pericolosi. Può portare anche mezzo quintale di merci e camminare per cinque giorni di seguito senza riposare, percorrendo notevoli distanze. Solitamente sono solo i maschi che vengono destinati alle carovane di trasporto. Le femmine sono tenute al pascolo.

Danno una scarsa quantità di latte, che gli Indios utilizzano in vario modo, ma sono abbastanza prolifiche e questo è molto importante perché i lama sono allevati anche come animali da macello; la loro carne è saporita come quella dei nostri maiali. Il lama è un animale assai mite, e certamente meno scontroso del mulo, al quale può essere avvicinato per la resistenza fisica e per l’adattamento alla vita in montagna.

L’unica maniera per cui reagisce alle offese è quella di lanciare un getto di salive contro l’avversario.
Il colore del suo mantello è variabile. La lana che lo ricopre è lunga e robusta, ma piuttosto grossolana, adatta per far tappeti.

ANIMALI DEL DESERTO dettati ortografici, letture e poesie. – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Il plastico delle regioni

Il plastico delle regioni. Con un semplicissimo plastico polimaterico (carta e colla vinilica dipinta, pasta di sale, ecc…) potremo vedere concretamente come è fatta la nostra regione, osservarne i confini, individuarne i rilievi, le pianure, le coste, i fiumi, ecc.

A seconda delle dimensioni del lavoro, potremo usare un supporto di cartone (per superfici piccole) o di compensato. Per un plastico di dimensione media può andare più che bene, ad esempio, un cartone da pizza. Questa soluzione, grazie al coperchio, ha il vantaggio di poter aggiungere al lavoro schede di ricerca e immagini, e diventa una sorta di libro diorama, facile da riporre, anche per creare una “biblioteca” delle regioni.

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Disegniamo sul supporto solo un semplice contorno, il profilo della regione, ricavandolo da una carta geografica fisica.

Ora segniamo la posizione dei rilievi (catene montuose e collinari) con un simbolo facilmente riconoscibile per ognuna. Fatto questo cerchiamo di individuare le montagne di maggiore importanza. Se c’è, segniamo anche la costa. Il un secondo momento penseremo ai fiumi, alle pianure, ecc.

Abbiamo finora approntato il progetto del lavoro. Ora quindi possiamo iniziare la costruzione del plastico:
– stendiamo con un pennello abbondante colla vinilica su di un foglio di carta da giornale. In alternativa possiamo utilizzare carta di giornale e colla di farina fatta in casa (qui la ricetta:

– prendiamo la carta per il margine (come se fosse un panno bagnato da mettere ad asciugare) e sistemiamola sul supporto. In quale posto? Nello spazio riservato al rilievo che abbiamo segnato
– mentre la colla è ancora fresca, cerchiamo di modellare la carta di giornale in maniera da imitare un rilievo.
– per costruire le cime più alte possiamo incollare sulla carta sottostante un altro pezzo di giornale.

se volete evitare invece carta e colla e utilizzare invece paste da modellare, in alternativa alla classica pasta di sale che spesso crea bruciore sulle mani dei bambini, potete trovare ricette utili qui:

– coi bambini più grandi i rilievi possono essere realizzati sovrapponendo strati di cartone alternati a qualcosa che faccia spessore (palline di carta, pasta piccola tipo pennette, ecc.)

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– creati i rilievi (nel modo che preferiamo) osserviamo il lavoro: ora sarà immediato riconoscere le zone destinate alle pianure. Per realizzarle stendiamo un’abbondante mano di colla sul supporto: quindi lasciamo cadere sulla colla segatura piuttosto grossa. Quella per la lettiera dei criceti, ad esempio, si trova facilmente ed  è molto economica. In alternativa possiamo usare farina da polenta, cous cous, pastina da minestrina, bulgur, crusca…

– prima che la colla asciughi completamente, togliamo la segatura (o altro materiale scelto) in eccedenza. Quindi scaviamo il letto dei fiumi, la superficie del lago o del mare, togliendo dal supporto ogni traccia di materiale e colla
– attendiamo che la colla asciughi completamente, quindi completiamo il lavoro con della pittura a tempera o acrilica. Per le pianure schiacciamo un pennello a punta rotonda su del colore verde. Poi, usando il pennello come tampone, dipingiamo la pianura e i versanti della montagna. Ben presto la segatura (o altro materiale) assorbirà il verde e con la sua superficie ruvida, imiterà l’erba dei prati
– ora schiacciamo il pennello, ancora sporco di verde, sul colore marrone e tamponiamo il lavoro partendo dalla pianura e su, su verso la sommità del rilievo.
Laviamo il pennello e tamponiamolo sulla tempera bianca e quindi sulle vette: la spruzzata di bianco abbellirà il lavoro e darà la sensazione della neve.
– attendiamo che il colore asciughi. Infine, con un pennello piuttosto piccolo, dipingiamo in azzurro il mare, il fiume e il lago stendendo il colore nelle zone concave del plastico.
– per perfezionare il lavoro potremo incollarvi sassolini, ghiaia sottile, sabbia, barchette, ecc.

Una variante
Disegnati i contorni della regione o dello stato su di un foglio, incolliamolo ad un cartone, coloriamo di verde (la pianura) e quindi applichiamo in base ad una legenda stabilita i vari elementi:
– montagne:
– colline
– pianura: verde
– deserto
– oceano
– fiumi
– laghi
associando ad ogni elemento un dato materiale.

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Il plastico delle regioni – Altri esempi nel web:

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Il plastico delle regioni

Esercizi per la classificazione di triangoli e quadrilateri

Esercizi per la classificazione di triangoli e quadrilateri, adatti alla classe quarta della scuola primaria.

Classificazione dei triangoli

Stabilisci se è possibile costruire un triangolo con tre strisce di carta aventi le misure sotto indicate. In caso affermativo specifica accanto come risulta il triangolo rispetto ai lati.

Con le strisce lunghe: cm 10, cm 12, cm 15, si può costruire un triangolo?_________
Come?________________________

Con le strisce lunghe: cm 4, cm 7, cm 11, si può costruire un triangolo?_________
Come?________________________

Con le strisce lunghe: cm 8, cm 8, cm 10, si può costruire un triangolo?_________
Come?________________________

Con le strisce lunghe: cm 18, cm 10, cm 10, si può costruire un triangolo?_________
Come?________________________

Con le strisce lunghe: cm 14, cm 14, cm 14, si può costruire un triangolo?_________
Come?________________________

Con le strisce lunghe: cm 3, cm 4, cm 5, si può costruire un triangolo?_________
Come?________________________

Con le strisce lunghe: cm 3, cm 3, cm 4, si può costruire un triangolo?_________
Come?________________________

Quadrilateri
Prendiamo quattro strisce di cartoncino e colleghiamo i loro estremi in modo che nessuna striscia intersechi le altre. Otteniamo una figura con quattro lati e quattro angoli detta quadrilatero o quadrangolo.

Il quadrilatero non è una figura rigida e indeformabile come il triangolo: si può trasformare in altri quadrilateri aventi gli stessi lati ma non gli stessi angoli, e quindi di forma diversa.

I segmenti che congiungono due vertici opposti del quadrilatero si chiamano diagonali. In ogni quadrilatero si possono tracciare due diagonali.
Nella figura ABCD è un quadrilatero: AC e BD sono le diagonali; A, B, C, D sono i vertici; il lato AB ha per opposto il lato CD; il lato AD ha per opposto il lato BC.

Rappresentiamo con un grafico l’intera famiglia dei quadrilateri:

Il perimetro dei quadrilateri si trova sommando la misura dei rispettivi lati.

Classificazione dei quadrilateri

Prendi quattro strisce di cartone forate agli estremi e collegandole tra loro mediante dei ferma-campione, costruisci un quadrilatero articolato.
Con quattro strisce prese a caso, è sempre possibile costruire un quadrilatero?

Stabilisci se con quattro strisce aventi le misure sotto indicate puoi costruire un quadrilatero:

cm 6, cm 4, cm 5, cm 10.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

dm 2, cm 8, cm 6, cm 5.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

cm 6, cm 9, dm 1, dm 2.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

cm 3, cm 3, cm 3, cm 3.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

cm 3, cm 3, cm 3, cm 10.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

cm 5, cm 5, cm 4, cm 4.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

cm 3, cm 4, cm 3, cm 4.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

cm 20, cm 8, cm 8, cm 4.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

cm 6, cm 10, cm 5, cm 3.
Si può costruire un quadrilatero? ______________

Costruisci con 4 strisce un quadrilatero articolato quindi disponilo in modo da ottenere un trapezio.

Quando un quadrilatero si chiama trapezio?

Costruisci un rettangolo servendoti di 4 strisce a due a due uguali. Come devono essere disposte le 4 strisce per ottenere un rettangolo?
Tenendo fisso un lato esercita una leggera pressione su uno dei lati ad esso consecutivi: che cosa ottieni?
il rettangolo costruito e le figure ottenute nella trasformazione hanno lo stesso perimetro?

Costruisci un quadrato servendoti di quattro strisce uguali; tenendo fisso un lato ed esercitando una leggera pressione su uno dei lati ad esso consecutivi, il quadrato si trasforma in tanti rombi. Il quadrato costruito ed i rombi hanno lo stesso perimetro?

Come si chiamano i quadrilateri che hanno i lati a due a due paralleli? Come sono inoltre tra loro i lati paralleli?

Quali sono i quadrilateri che hanno le diagonali uguali?

Quali sono i quadrilateri che hanno le diagonali perpendicolari tra loro?

Disegna un trapezio isoscele, un trapezio rettangolo, un trapezio scaleno e traccia le loro diagonali. In quale dei tre trapezi disegnati le diagonali sono uguali?

Disegna un trapezio isoscele, un trapezio rettangolo ed un trapezio scaleno e traccia le distanze tra le basi, cioè le altezze dei trapezi. In quale dei tre trapezi disegnati l’altezza coincide con un lato?

 Perimetro dei quadrilateri

Qual è il perimetro di questo parallelogramma?

m (5+3+5+3) = m 16 (perimetro del parallelogramma)

Oppure:
m (5+3) x 2 = m 16 (perimetro del parallelogramma)

Qual è il perimetro di questo quadrato?

m (7×4) = m 28 (perimetro del quadrato)

Qual è il perimetro di questo rettangolo?

m (5+3+5+3) = m 16 (perimetro del rettangolo)

Oppure:
m (5+3) x 2 = m 16 (perimetro del rettangolo)

Qual è il perimetro di questo rombo?

m (7×4) = m 28 (perimetro del rombo).

Troviamo il perimetro del nostro banco, della nostra aula, del corridoio, del cortile, ecc. (lavoro a gruppi).

  Il trapezio
 Costruito un quadrilatero con le quattro strisce di cartone, possiamo disporle in modo che due di esse risultino parallele: otterremo così un trapezio.

Il trapezio infatti è un quadrilatero che ha due paralleli. I due lati paralleli AB e DC (vedi figura) si dicono basi del trapezio; la distanza EF tra le due basi si dice altezza del trapezio.
Se i lati obliqui (i due lati non paralleli) sono uguali, il trapezio si dice isoscele: se uno dei lati non paralleli fra di loro è perpendicolare alle basi, il trapezio si dice rettangolo; esso ha due angoli retti.

Il parallelogrammo
Se nel trapezio costruito con le quattro strisce di cartone teniamo fissa la posizione delle basi e di un lato obliquo, e permettiamo all’altro lato obliquo di ruotare attorno ad un estremo della base minore, otteniamo tanti trapezi. Ad un certo punto il lato mobile si dispone parallelamente al lato opposto: il trapezio si è trasformato in un quadrilatero particolare che ha i lati a due a due paralleli: il parallelogrammo.

Il parallelogrammo è infatti un trapezio particolare ed ha:
– i lati opposti paralleli ed uguali
– gli angoli opposti uguali a due a due
– le diagonali che si tagliano scambievolmente per metà.

Il rettangolo
Il parallelogrammo è una figura mobile. Esercitando una leggera pressione su un lato, tenendo fermo uno dei lati ad esso adiacenti, il parallelogrammo si trasforma in tanti parallelogrammi diversi.
Osserva che gli angoli variano di ampiezza, rimanendo però uguali a due a due, finché, ad un certo punto, diventano tutti uguali e retti; otteniamo così un rettangolo, cioè un parallelogramma con tutti gli angoli uguali, retti.

Il rettangolo è un parallelogramma particolare avente:
– i lati opposti uguali e paralleli
– gli angoli tutti uguali e retti
– le diagonali uguali che si dimezzano scambievolmente.

Il rombo
Abbiamo visto che il parallelogramma con tutti gli angoli uguali è il rettangolo. Il parallelogrammo con tutti i lati uguali è il rombo. Le diagonali dividono il rombo in quattro triangoli rettangoli uguali.
Il rombo è un parallelogramma particolare con:
– i lati tutti uguali a due a due paralleli
– gli angoli opposti uguali
– le diagonali perpendicolari che si dimezzano scambievolmente.

Il quadrato
Il rombo, come tutti i quadrilateri, è una figura mobile. Esercitando una leggera pressione su un lato e tenendo fermo uno dei lati ad esso adiacenti, esso si trasforma in tanti rombi diversi.
Ad un certo punto i lati si dispongono perpendicolarmente tra loro: abbiamo così ottenuto un quadrato, cioè un rombo con tutti gli angoli retti. Il quadrato è un rombo particolare che ha:
– i lati tutti uguali, a due a due paralleli
– gli angoli tutti uguali e retti
– le diagonali uguali, perpendicolari fra loro, che si dimezzano scambievolmente.

Problemi
– Un presepe ha la base quadrata il cui lato è di m 3.  Qual è il perimetro della base del presepe?
– Disegna un rettangolo con le dimensioni di cm 8 e cm 4. Quanti centimetri misura il perimetro?
– Disegna un quadrato con il lato di cm 8. Quanti centimetri misura il perimetro?
– Luisa ricama su una tovaglietta un rombo con il lato di cm 25. Quale sarà la lunghezza del ricamo?
– Calcola il perimetro di un parallelogramma che ha un lato di cm 20 e l’altro di cm 16.

Nomi di genere maschile e femminile: esercizi per la classe quarta

Nomi di genere maschile e femminile: esercizi per la classe quarta, pronti per il download e la stampa in formato pdf.

I nomi di persona, di animale e di cosa possono essere di genere maschile o di genere femminile. Sono di solito maschili i nomi che si riferiscono a persona o animali maschi (bambino, gatto,…). Sono di solito femminili i nomi che si riferiscono a persone e ad animali femmine (bambina, gatta,…). Alcuni nomi di persona si adattano al genere maschile e al genere femminile (nipote, insegnante, custode, ciclista, artista, pianista,…).

Il mio materiale pronto è disponibile per il download e la stampa solo per gli abbonati:

Questo è il contenuto:

Distingui i nomi di genere maschile, di genere femminile, di genere comune per il maschio e la femmina:
lepre, pappagallo, violinista, fiorista, scoiattolo, omicida, erede, scimmia, cantante, colera, eco, dinamo, radio, consorte, falco, sire, rondine, fiume, scorpione, bidente, corvo, parente, zebra, ciclista, pianista, custode, nipote, insegnante, atleta, mosca, pulcino, Enea, lumaca, guardia, Piave, Senna, bagnante, Milano, oca, balena, pettirosso, studente.

Forma il femminile dei seguenti gruppi di nomi:
– commesso, ragazzo, merciaio, asino, mulo, gatto, amico, fanciullo, cameriere, contadino, sarto, cuoco, ortolano, vecchio, ragioniere, impiegato, portinaio, schiavo, infermiere, scolaro, dattilografo
– duca, visconte, elefante, leone, oste, fattore, presidente, gambero, poeta, pavone, barone, professore, dottore, principe, profeta, studente, mercante, generale
– direttore, ispettore, istruttore, educatore, viaggiatore, organizzatore, coltivatore, aviatore, pittore, filatore, peccatore, manovratore, genitore, autore, lettore, scrittore, disegnatore, osservatore
– padre, madre, marito, babbo, fratello, genero, bue, montone, celibe, maiale, dio, daino, eroe, gallo, maschio, frate, cane, farmacista, commerciante, giornalista, alpinista, collega, nipote, parente, martire, cantante, custode, ciclista.

Indica il diverso significato dei seguenti nomi:
– l’arco – l’arca
– il baleno – la balena
– il banco – la banca
– il buco – la buca
– il colpo – la colpa
– il fosso – la fossa
– il lotto – la lotta
– il mento – la menta
– il mostro – la mostra
– il pasto – la pasta
– il pianto – la pianta
– il porto – la porta.

Nomi di genere maschile e femminile: esercizi per la classe quarta

Materiale didattico sul baco da seta

Materiale didattico sul baco da seta per bambini della scuola primaria: dettati, letture, racconti, poesie.

Il baco da seta è originario della Cina. Le prime uova di questa farfalla sarebbero state portate a Costantinopoli in bastoni cavi, da alcuni monaci persiani nel IV secolo dopo Cristo. Dalla Grecia l’allevamento del baco da seta si diffuse nella Spagna, in Italia e in Francia.
Noi osserviamo al lavoro il tessitore, l’unica farfalla che l’uomo abbia allevato. La femmina depone circa seicento uova minute, dalle quali nasceranno piccoli vermiciattoli sudici, e, in capo ad alcuni giorni, muore senza aver preso il cibo. (Reichelt)

Dalle uova minutissime deposte dalla farfalla del filugello escono, in primavera, alcuni bacolini nerastri che rapidamente crescono fino a diventare dei grossi bruchi di color giallognolo che hanno raggiunto questo sviluppo mangiando tanta foglia di gelso pari a sessantamila volte il loro peso primitivo. Dopo circa quattro cinque settimane, durante le quali ha cambiato cinque volte la sua pelle, il baco inizia la costruzione del bozzolo emettendo un filo da certe ghiandole che si trovano nella bocca. Da questi bozzoli si ricava la seta.

Il baco da seta è utile all’uomo per la seta che il suo bozzolo fornisce, e per le industrie importanti collegate, quali l’allevamento dei filugelli e la lavorazione della seta. L’uomo alleva questo industrioso insetto che, in cambio di un certo quantitativo di foglie di gelso, gli fa un regalo prezioso, il bozzolo.

Il ragno e il baco da seta
Un ragno disse a un baco da seta: “Io fabbrico la mia tela in un minuto: tu impieghi giorni e giorni per chiudere la tua casa”.
“La tua casa” rispose il baco da seta “è fragile e non giova che a te; il mio bozzolo invece, e solido e giova anche agli uomini”.
Per far cosa che duri, occorre tempo. Presto e bene, raro avviene.
(Mercati)

Il bombice del gelso è un insetto che è dannoso alla pianta del gelso, perchè si nutre delle sue foglie. Gli uomini, però, hanno da molto tempo imparato che il bombice può essere anche utile. La bava che il bruco emette per costruirsi il bozzolo si indurisce a contatto dell’aria e diventa un filo sottile e lucente: un filo di seta. Il bozzolo è una specie di gomitolo di sottilissimo filo di seta. Gli allevatori immergono i bozzoli appena chiusi nell’acqua calda, in modo da uccidere l’insetto e dipanare poi il filo di seta. Il filo di ciascun bozzolo viene unito ad altri fili e poi tessuto per farne stoffe bellissime. Se gli allevatori lasciassero trasformare il bruco in farfalla, l’insetto, uscendo dal bozzolo, romperebbe il filo, che non si potrebbe più adoperare.

Il baco da seta, appena nato, è fornito di un grande appetito e mangia continuamente foglie di gelso, dapprima triturate finemente, e poi anche intere. Ogni cinque giorni circa, smette di mangiare e si addormenta un po’. Quando si risveglia, perde la sua pelle, che è diventata troppo stretta; ma gliene cresce addosso un’altra. Dopo quattro volte che ha cambiato pelle, il bruco è già molto cresciuto. E’ ormai lungo alcuni centimetri ed è di colore biancastro. Sotto la sua pelle si è formata una buona provvista di grasso. Quando è cresciuto abbastanza, il filugello si arrampica su un rametto, abbandona i suoi abbondanti pasti, e si costruisce un involucro, deponendo un filo di seta che è tutto di un pezzo e lungo più di un chilometro! Il filo, che esce dalla filiera, una piccola apertura che si trova sotto la sua bocca, è formato da un liquido, il quale, a contatto con l’aria, si solidifica. Quando il filo, ora giallo, ora bianco, ora verdognolo, ha ravvolto tutto l’animale, il bozzolo è compiuto. Nel bozzolo, il baco si è trasformato in pupa. Non è più una larva, non è ancora farfalla. Non si muove, non prende cibo. Basta, a nutrirla, il grasso che aveva accumulato quando era bruco. Il filugello rimane nel bozzolo venti giorni circa; poi inumidisce con un suo liquido speciale un’estremità del bozzolo, ed urta fortemente il capo contro la parte così rammollita. E dal bozzolo esce la farfalla. La femmina, dal corpo grosso e tozzo, non può volare; il maschio tenta di fare qualche salto, ma neanch’esso vola. Ma all’uomo poco importa che la farfalla voli: gli basta ch’essa deponga le uova che l’anno prossimo gli permetteranno di riprendere l’allevamento dei bachi.

Il bombice del gelso o baco da seta

Il bombice del gelso è un insetto che è dannoso per la pianta del gelso, perchè si nutre delle sue foglie. Gli uomini, però, hanno da molto tempo imparato che il bombice può essere anche utile.
La bava che il bruco emette per costruire il bozzolo si indurisce a contatto dell’aria e diventa un filo sottile e lucente: un filo di seta. Il bozzolo è una specie di gomitolo di sottilissimo filo di  seta.
Gli allevatori immergono i bozzoli appena chiusi nell’acqua calda, in modo da uccidere l’insetto e dipanare poi il filo di seta. Il filo di ciascun bozzolo viene unito ad altri fili e poi tessuto per farne stoffe bellissime.
Se gli allevatori lasciassero trasformare il bruco in farfalla, l’insetto, uscendo dal bozzolo, romperebbe il filo, che non si potrebbe più adoperare.

La vita del baco da seta

Il baco da seta, appena nato, è fornito di un grande appetito e mangia continuamente foglie di gelso, dapprima triturate finemente e poi anche intere. Ogni cinque giorni circa, smette di mangiare e si addormenta un po’. Quando si risveglia, perde la sua pelle, che è diventata troppo stretta, ma gliene cresce addosso un’altra.
Dopo quattro volte che ha cambiato pelle, il bruco è già molto cresciuto. E’ ormai lungo alcuni centimetri ed è di colore biancastro.
Sotto la sua pelle si è formata una buona provvista di grasso. Quando è cresciuto abbastanza, il filugello si arrampica su un rametto, abbandona i suoi abbondanti pasti, e si costruisce un involucro, deponendo un filo di seta che è tutto d’un pezzo e lungo più di un chilometro! Il filo, che esce dalla filiera, una piccola apertura che si trova sotto la sua bocca, è formato da un liquido, il quale, a contatto con l’aria, si solidifica. Quando il filo, ora giallo ora bianco ora verdognolo, ha ravvolto tutto l’animale, il bozzolo è compiuto.
Nel bozzolo, il baco si è trasformato in pupa. Non è più larva, non è ancora farfalla. Non si muove, non prende cibo. Basta, a nutrirla, il grasso che aveva accumulato quando era bruco. Il filugello rimane nel bozzolo venti giorni circa; poi inumidisce con un suo liquido speciale un’estremità del bozzolo, ed urta fortemente il capo contro la parte così rammollita. E dal bozzolo esce la farfalla. La femmina, dal corpo grosso e tozzo, non può volare; il maschio tenta di fare qualche salto, ma neanch’esso vola.
Ma all’uomo poco importa che la farfalla voli: gli basta che essa deponga le uova che l’anno prossimo gli permetteranno di riprendere l’allevamento dei bachi.

Il baco da seta

L’imperatrici cinese Silinci ebbe un giorno dall’imperatore un piccolo baco e questo consiglio: “Impara ad allevare questo baco e il popolo non ti dimenticherà mai”.
Silinci prese ad osservare i bachi, e vide ch’essi, quando fanno le loro dormite, si rivestono di un tenue velo di fili. Ella scese quei fili e tessè un fazzolettino. Silinci vide poi che i bachi montavano sui gelsi. Allora ella prese a raccogliere le foglie dei gelsi e a nutrire con esse i bachi.
Così i bachi allevati furono moltissimi e Silinci volle che tutto il popolo imparasse la nuova arte. Da allora sono passati 5.000 anni e i Cinesi ricordano ancora l’imperatrice che insegnò loro ad allevare il prezioso baco da seta. (L. Tolstoj)

I gelsi

Gli alberi che per primi si sono coperti di larghe foglie, i gelsi che segnano in lunghi filari  i campi delle messi ancora immature, si trovano di giorno in giorno più spogli. Non hanno potuto attendere l’autunno con gli altri alberi. Le mani degli uomini li hanno spogliati per nutrire i bachi voraci e quelle foglie saranno trasformate in seta lucente.

La seta

Il filugello, o bombice del gelso, o baco da seta, in un certo periodo della sua brevissima vita emette dalla bocca una sostanza liquida (la fibroina) e gommosa (la sericina) sotto forma di due filamenti (bavette) che, indurendosi a contatto con l’aria, diventano un lungo sottilissimo filo. Di questo filo, il bombice si serve per costruirsi intorno una casetta ovoidale (il bozzolo), nella quale attenderà di mutarsi in una grossa bianca farfalla.
A questo punto, l’insetto fora il bozzolo e ne esce fuori per vivere un paio di settimane, giusto il tempo per deporre le uova. Ma pochissime farfalle vedono la luce del sole: la maggioranza dei bozzoli  va a finire, per mano dell’uomo, in speciali stufe, dove un adatto calore uccide la farfalla prigioniera. I bozzoli “stufati” vengono immersi in acqua bollente al fine di rammollire la sericina e poter così trovare il capo del filamento e dipanare facilmente il bozzolo.
Da questa operazione, chiamata trattura, si ha la seta grezza o tratta. Con la seta grezza, sottoposta a lavaggi o a processi chimici, si ottiene la seta cruda, la seta cotta, la seta mezza cotta e la seta caricata; questi tipi diversi di seta servono per la produzione di vari tessuti (lisci, operati, uniti, ecc…), la cui preparazione avviene mediante alcune operazioni particolari come la cilindratura, la lucidatura e la rasatura.
I principali tipi lisci, usati largamente nell’abbigliamento, sono i crespi, i rasi, i taffetà, le faglie, le garze, il popeline e i foulards. Tra i tessuti operati ricordiamo i damaschi, che presentano disegni a rilievo, e i broccati, misti a fili d’oro e d’argento. Poichè esistono sete rigenerate (prodotte con sete già usate), sete selvatiche (prodotte da insetti che vivono in Africa e nell’Estremo Oriente) e sete artificiali, la legge prescrive, per i tessuti prodotti con le preziose bavette del bombice del gelso, un marchio che rechi la dicitura “seta pura”.

Il filugello (racconto)

Alla frontiera cinese, il fraticello fu frugato, in ogni luogo.
“Avete oro?” gli chiesero le guardie.
“No”.
“Avete argento?”
“No”.
“Avete seta?”
Il fraticello rimase in istante perplesso. Non voleva dire il falso. Ma poi rispose con decisione: “No”.
I Cinesi erano molto gelosi della loro seta. Non volevano che altri popoli della terra conoscessero il segreto di quel preziosissimo filo, col quale fabbricavano un bellissimo tessuto, lucido e morbido.
“Passate pure” gli dissero allora le guardie. Il frate raccolse il suo bastone di bambù e passò la frontiera.
Cammina cammina, sempre appoggiandosi alla sua canna, giunse finalmente al suo paese.
“Ho portato un tesoro!”
“Dov’è?”
Credevano che fosse oro, argento, pietre preziose. Il pellegrino sorrise.
Gli abitanti del paese lo guardarono increduli. Era povero, non aveva bagagli e pensarono che durante il lungo viaggio avesse smarrito la ragione.
Il frate allora mostrò il suo bastone: “E’ qui dentro”.
Gli altri risero di lui. Ma il frate ruppe la canna di bambù e mostrò alcuni semini scuri: “Ecco il tesoro”, disse.
Tutti credettero che si volesse burlare di loro. Gli voltarono le spalle e lo lasciarono solo. Allora il frate mise i semini al caldo. Dopo pochi giorni dai semini, che erano uova, uscirono alcuni bachini neri. Il frate li pose con grande cura sopra una foglia tenera di gelso. I bacolini cominciarono a mangiare e ridussero la foglia alle sole nervature.
In poco tempo i bacolini ingrassarono e diventarono chiari, lucidi e mollicci.
“Venite a vedere il grande tesoro!” diceva la gente, “Quattro o cinque bruchi che fanno ribrezzo!”
Il frate sorrideva: “Aspettate”, diceva, “aspettate e vedrete”.
I bachi crescevano sempre più. Quando furono grossi come un fuscellino, smisero di mangiare e si misero a dormire.
“Sono morti”, disse la gente.
Invece, dopo poco tempo, ripresero a mangiare. Quando furono grossi come un dito indice, si addormentarono nuovamente. Intanto il fraticello aveva cercato un rametto di scopa secca; vi fece salire i suoi bachi e disse ai suoi increduli paesani: “Ripassate tra qualche giorno, e vedrete!”
Dalla bocca dei bachi usciva un filo d’oro, che le bestiole appiccicavano nei diversi punti della scopa. Poi cominciarono a girarsi su loro stessi tessendo un fittissimo bozzolo dentro il quale restarono prigionieri.
Quando la gente chiese di vedere il prodigio, il fraticello mostrò il rametto di scopa dal quale pendevano tanti bozzoli d’oro. Si alzò un grido di meraviglia: “Sono frutti d’oro?”
“No,” rispose il frate, “sono semplicemente bachi da seta”.
Così anche gli Europei allevarono il filugello e produssero come i Cinesi i preziosi tessuti lucidi e resistenti. (P. Bargellini)

Dal baco alla seta

La seta, questo  filo luminoso, elastico e resistentissimo è il filamento elaborato dal “bombix mori”, l’insetto comunemente chiamato baco d seta. A contatto con l’aria, questo filamento si solidifica e forma la bava.
Seguiamo un po’ da vicino la vita del bombix mori.
Allo stato di larva si nutre, come tutti sanno, di foglie di gelso. Fino a poco tempo fa innumerevoli erano nelle campagne i filari di gelsi dai caratteristici tronchi mozzi su cui  spuntavano a decine i rami sottili carichi delle preziose foglie. Ora la coltura del gelso è diminuita perché non si allevano più tanti bachi come una volta: le fibre artificiali hanno in gran parte sostituito la seta naturale. Ma dove i bachi vengono ancora allevati, la foglia del gelso è indispensabile.
In un mese la larva subisce quattro mute: dopo la quarta, sale al “bosco” e comincia ad emettere  quel filo di bava con cui forma il bozzolo.
Per rinchiudersi dentro il bozzolo completamente, il baco impiega circa tre giorni, dopo i quali inizia la sua metamorfosi: da larva a crisalide, da crisalide a farfalla.
I bozzoli che devono essere utilizzati vengono essiccati: o per effetto del vapore acqueo o in forni appositi che raggiungono la temperatura di 65-85 gradi. A questo calore  la crisalide, racchiusa nella sua prigione dorata, muore, e non si trasformerà in farfalla e non uscirà più a deporre le uova.
Ma il bozzolo potrà essere sottoposto intatto, a tutte le altre operazioni necessarie per averne la seta.
Dopo essere stati essiccati e cerniti, secondo la loro grandezza e i loro possibili difetti, i bozzoli passano alla filanda dove avviene la complessa operazione detta “trattura” mediante la quale i bozzoli , ammorbiditi nell’acqua calda, strofinati opportunamente con speciali spazzole, lasciano svolgere docilmente il loro filo.
In questa operazione le bave di 4-5-6-7-10 bozzoli, secondo la grossezza desiderata del filato, si svolgono e si riuniscono insieme in un unico filo che viene avvolto sull’aspo: il prodotto così ottenuto si chiama seta greggia.

La Cina e la seta
L’allevamento dei bachi e l’industria della seta furono, nei secoli antichi, monopolio della Cina, tanto che presso  i Greci erano conosciuti con il nome di Seres: i  serici, coloro che praticavano l’arte serica. Nei paesi dell’Occidente tale arte non era conosciuta, ma era ben conosciuto ed apprezzato il prodotto che ne derivava, e  frequenti erano tra Oriente e Occidente i commerci del prezioso tessuto.
Spesso però, lungo i secoli, avvenimenti politici intralciavano, se non interrompevano, i pacifici traffici dei mercanti di seta.

Storia di due monaci
L’imperatore Giustiniano, per ovviare a tutte le difficoltà che ostacolavano i normali scambi, nel 552 spedì nelle lontane terre dei Seres due monaci  con il preciso impegno di impadronirsi del segreto della fabbricazione della seta.
I Cinesi infatti erano gelosissimi di questa loro arte che si erano tramandati di generazione in generazione, ed il compito dei monaci non si presentava dei più facili.
I due monaci, giunti sul luogo, riuscirono non solo a rendersi conto del ciclo di produzione della seta, ma anche ad impadronirsi di alcune uova dei preziosissimi bachi, e a trafugarle in patria.
Le piccolissime uova giunsero in Occidente sane e salve, si schiusero e ne uscirono, sotto gli occhi attoniti dei Bizantini, i primi bachi che si costruirono i primi bozzoli.
E da Bisanzio il segreto cinese si divulgò in altri paesi del Medio Oriente e dell’Europa.
Grande fu lo stupore dei Latini i quali avevano sempre immaginato che la seta avesse un’origine vegetale più che animale. Ci testimoniano questa opinione i versi di Virgilio che, nelle Georgiche, descrive i Seres intenti a pettinare le foglie di certi alberi per toglierne la sottil seta.
“Velleraque ut foliis depectant tenui Seres?” (Georgiche II – 120)

Arte della seta in Europa
Il fiorire dell’industria serica nei paesi del Mediterraneo fu dovuto soprattutto agli Arabi che, nel secolo IX, introdussero in Sicilia e nella Spagna tale arte.
Quest’ultimo paese, già il secolo seguente, era in grado di vantare una produzione abbondante e di buona qualità, e famose divennero in tutto il mondo le sete di Granata.
In Sicilia l’industria della sete ebbe un grande sviluppo soltanto nel secolo XII; ma fu proprio da questa estrema regione che ebbe inizio l’arte serica italiana che, dal 1200 al 1600, mantenne il primato europeo.
Il 1600 segnò purtroppo in Italia, l’inizio di un lungo periodo di decadenza politica ed economica. Languirono le arti e le industrie, ma molti operai si trasferirono in Francia dove a Lione, ad Avignone e a Tours fondarono l’industria serica.
Ma ormai i confini di tutti i paesi di Europa si erano aperti a questa importante industria tessile che fiorì in Inghilterra, nella Svizzera, in Germania e si sviluppò in tutto l’impero austroungarico sotto l’alto patronato del’imperatrice Maria Teresa. Frattanto la produzione della seta aveva avuto un grande incremento anche nel suo paese d’origine: la cina era pur sempre produttrice di tessuti finissimi;  e il Giappone, puntando sui bassi costi, non tardò a farle concorrenza.
Il secolo XIX vide l’affermarsi e svilupparsi dell’industria della seta in tutti i maggiori paesi d’Asia e d’Europa; e si distinguono ormai gli Stati che forniscono seta grezza (quelli dove le condizioni climatiche consentono l’allevamento dei bachi) e quelli che, importando la materia grezza, producono tessuti.

Materiale didattico sul baco da seta. Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Esercizi vari di geometria per la classe quarta

Esercizi vari di geometria per la classe quarta pronti per il download e la stampa in formato pdf: angoli, linee rette, curve, parallele, perpendicolari, segmenti, figure piane…

Esercizi vari di geometria per la classe quarta – puoi scaricarli qui:

Questo è il contenuto:

Prendi due strisce di cartoncino, collegale ad un estremo mediante un ferma-campione e costruisci:
– un angolo retto
– un angolo acuto
– un angolo ottuso
– un angolo piatto
– un angolo giro.

Prendi due strisce di cartoncino, collegale mediante un ferma-campione in un punto diverso dagli estremi. Quanti angoli ottieni? Come sono tra loro? Quando i quattro angoli sono uguali?

Gli angoli formati dalle lancette di un orologio da polso e dall’orologio di un campanile quando segnano le ore 2 sono uguali? E quando segnano le ore 6? E quando segnano le ore 8?

Quando due angoli sono uguali? L’uguaglianza degli angoli dipende dalla lunghezza dei loro lati?

Disegna tre angoli acuti di diversa ampiezza ed indicali mediante delle lettere.

Disegna un angolo retto, un angolo piatto ed un angolo giro. Qual è l’ampiezza di ciascuno di essi?

A quanti angoli retti corrisponde un angolo giro? Ed un angolo piatto?

Disegna un angolo convesso ed uno concavo.

Rispondi mettendo una crocetta nelle caselline corrispondenti (nel caso che l’angolo non sia né convesso né concavo non metterai alcuna crocetta):

Elenca alcuni esempi di segmenti perpendicolari che noti guardandoti attorno.

Elenca qualche esempio di segmenti paralleli che noti guardandoti attorno.

Quali corpi limitati da superfici curve conosci? E da superfici piane?

Disegna 8 corpi che vedi nella tua casa, che abbiano solo superfici piane.

Disegna 5 corpi che abbiano sia superfici piane sia superfici curve.

Misura le dimensioni del tuo astuccio.

Misura le dimensioni della lavagna della tua classe.

Misura la lunghezza e la larghezza di una pagina del tuo quaderno.

Misura la lunghezza e la larghezza delle carte geografiche appese in classe.

Rispondi mettendo una crocetta nella casellina corrispondente.

I SUINI: dettati ortografici e letture

I SUINI: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.

Il cinghiale

Occhio vivace,  garretti asciutti, dorso agile, trotto veloce e nervoso, cotenna spessa e dura, zanne robuste e acuminate, il cinghiale è un lottatore di grande coraggio. Ben diverso da lui è il placido grasso maiale discendente dal cinghiale che ancora vive in libertà nelle macchie e nelle foreste paludose.

Il maiale

Nulla resta in questo animale dell’aggressività, della forza, della furberia di uno dei suoi antenati, il cinghiale. Da una parte, sensi affinati, muscoli scattanti, riflessi rapidi, coraggio ed intelligenza; dall’altra la tranquillità, in nutrimento facile, e quindi la sonnacchiosità, la petulanza ottusa, i riflessi tardi e il grasso.

Il maiale

E’ grasso, tardo, non pensa che a mangiare e a grufolare. Ma è un animale prezioso. Nulla si butta via del maiale. Con la carne si confezionano saporite salsicce, salami e prosciutti; il grasso serve per cucinare e per rendere saporite le vivande; gli intestini, seccati, servono a fare corde di strumenti musicali; con le setole si fabbricano spazzole, pennelli e scope.

Il maiale

Il contadino lo chiama il suo salvadanaio, perché quello che mette vi ritrova. Ma vi mette patate, ghiande, farina, crusca, bucce e brodaglie; ricava i prosciutti, le squisite salsicce, i salami saporiti, il condimento per le sue minestre.

Il porcellino dell’Orthobene
Si trattava di assistere al sacrificio del maiale e manipolarne le carni e i grassi fumanti. Veniva giù in marzo, coi caldi venti orientali, l’arzillo adolescente maialino; scendeva dai cari boschi di lecci dell’Orthobene con una grossa ghianda ancora ficcata nella zanna rabbiosa, coi piedi legati, sul cavallo del servo che lo portava in arcioni e invano tentava di placarne le proteste.
La gabbia dove veniva ficcato, sebbene alta e spaziosa, non lo consolava di certo: erano, i primi giorni, grugniti che spaventavano persino il prode gallo del cortile; e tentativi di smuoverne le sbarre e persino il grande truogolo di granito che forse gli ricordava le pietre della patria perduta.
Allora, in un fresco turchino giorno del primo inverno, arrivavano due valentuomini: uno smilzo e nero, con un berretto frigio sulla testa rapata e le maniche della camicia rimboccate sulle braccia pelose; sembrava il boia; l’altro un pacioccone roseo e lucido: erano due celebri macellai.
(G. Deledda)

(IN COSTRUZIONE)

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CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture

CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

La cerbiatta
Il vecchio guardava sempre le macchie di aliterno in fondo alla radura. Era verso quell’ora che la cerbiatta si avvicinava alla capanna. Il primo giorno egli l”aveva veduta balzar fuori dalle macchie spaventata, come inseguita dal cacciatori: si era fermata un attimo a guardarsi intorno coi grandi occhi dolci e castani come quelli di una fanciulla, poi era sparita di nuovo, rapida e silenziosa, attraversando come in volo la radura. Era bionda, con le zampe che parevan di legno levigato, le corna grigie, delicate come ramicelli di asfodelo secco.
(G. Deledda)

(IN COSTRUZIONE)

CERVI e CERBIATTI dettati ortografici, poesie e letture . Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

Le volpi
Parla un volpone: “Osservate tutto e notate ogni minima cosa. Non date mai a vedere d’essere delle volpi; se volete manifestarvi ad alta voce, fingetevi cuccioli di cane: abbaiate. A caccia, ricordatevi di essere una selvaggina anche voi, guardatevi d’attorno, accosciatevi spesso, ascoltate ciò che dice la terra. Se ferite, non urlate, mettetevi sottovento dei cani e medicatevi con le radici di rafano. Non temete mai gli scoppi, temete i fruscii, e rifugiatevi di preferenza nel grano. Guardatevi dai funghi velenosi e purgatevi spesso col ricino”-
(F. Tombari)

La volpe
Il suo mantello di peli folti è un’arma di difesa: esso  assume i colori della terra, degli alberi, delle rocce, delle nevi. La volpe è un animale quasi invisibile.
Va a caccia di notte. Assale e divora lepri, conigli, topi e lucertole.  Inoltre dà la caccia agli uccelli, anche a quelli acquatici (oche, anatre, cigni) e devasta i pollai. E’ golosa di pere, susine, uva.
Corre rapida; resiste alla fatica; passa tra le fessure più strette; sa camminare leggera, senza rumore, come se scivolasse; si nasconde nei cespugli.  Nuota bene e si arrampica sugli alberi.
I boscaioli e i contadini le fanno una guerra spietata.
(H. Hvass; da “Mammiferi nel mondo”; ed. Colderini)

(IN COSTRUZIONE)

LE VOLPI dettati ortografici, poesie e letture.  Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture per la scuola primaria.

Stambecchi e camosci
Si videro scendere a valle quaranta o cinquanta stambecchi e un centinaio di camosci come una frana, ma più potenti gli stambecchi, capaci di daltare rocce che i camosci girano, e di valicare d’un salto fino a sei o sette metri di terreno impervio, fermandosi di netto su una piccola punta aguzza. Sanno anche risalire pareti a picco, incastrandosi tra due piani ad angolo, facendo gioco con gli zoccoli tra l’uno e l’altro.
(G. Piovene)

Il camoscio
Un vecchio cacciatore raccontava questo episodio, occorsogli al ritorno da una infruttuosa battuta di caccia. Ritornava dunque il nostro uomo, stanco e affaticato, attraverso un sentiero impervio e sconosciuto, quando si trovò a viso a viso con un camoscio, morto. La bestia evidentemente era precipitata dalla montagna, e niente aveva potuto trattenerla nella sua caduta: solo alla fine le corna, impigliandosi fra i rami di un cespuglio, avevano tenuto sospeso l’animale nella posizione in cui appunto il cacciatore l’aveva trovato. Forse alla fine della rovinosa caduta il camoscio non era ancora morto, ma poi la fame, le ferite avevano avuto la meglio e la povera bestiola era morta, così, sospesa fra i rami, sola… La montagna, con i suoi pericoli, come si vede, sottopone il camoscio a durissime prove, se l’animale vuole sopravvivere nell’ambiente naturale tutt’altro che facile.
D’estate,  i branchi di camosci, da dieci a cinquanta, dimostrano la loro eccezionale abilità di scalatori vivendo a grandi altitudini, anche oltre i 2300 metri.
D’autunno, da ottobre fino all’inizio dell’inverno, i camosci combattono i loro mortali duelli per il predominio sul branco; poi, con la caduta delle prime nevi, scendono in basso, verso i boschi di conifere. In questo periodo il camoscio diminuisce la sua dieta fino a nutrirsi solamente di scorze d’albero, di muschi, di rovi; un nutrimento molto diverso dai ricchi pascoli estivi. In primavera, invece, nel mese di maggio, nascono i piccoli: uno o due, nel folto del bosco, lontano da tutti,  in un luogo riparato e segreto. Ben presto i piccoli saranno in grado di seguire la madre verso le vette, insieme con il branco fatto più numeroso dai nuovi nati.

Il camoscio: carta d’identità
Lunghezza: circa un metro e venti.
Altezza: 75 centimetri.
Peso: il maschio 45 chili, la femmina 35.
Il colore varia: d’estate è grigio chiaro, scuro d’inverno. Una striscia di peli più lunghi e scuri segna la pelliccia del camoscio dalla punta della coda alla testa. Con questo pelo i tirolesi fanno le nappine, che ornano i loro famosi cappelli.
Il camoscio vive in gruppo; solo i vecchi maschi hanno abitudini solitarie così come le femmine quando stanno per mettere al mondo i piccoli.
L’aquila, i cacciatori, le valanghe, le impervie cime delle montagne su cui hanno la loro residenza, rendono assai pericolosa la vita del camoscio.
L’udito e l’odorato del camoscio sono eccellenti. Non così la vista. Femmine e maschi recano sulla fronte le corna con cui affrontano i loro nemici. Il camoscio si trova sulle Alpi, e sull’Appennino, nel Parco Nazionale d’Abruzzo.

Il capriolo
Vive un po’ dappertutto in Europa. Ha forme snelle, corna ramificate. Si nutre di foglioline e di giovani germogli. Di giorno si tiene nascosto, di notte vaga per campi e prati. Se non fosse protetto da leggi speciali sarebbe già scomparso, preda ambita dei cacciatori.
Può raggiungere settantacinque centimetri di altezza, un metro e trenta di lunghezza, venticinque o trenta chili, al massimo, di peso. Ha gambe sottili, alte, nervose, forti. Il suo mantello varia con le stagioni. In inverno la lanetta, fittissima e morbida, è color bruno-ruggine.
La sua testa è corta, animata da grandi occhi vivaci, le orecchie hanno media lunghezza, le corna, proprie dei maschi, non hanno lo sviluppo e la bellezza di quelle dei cervi.
(G. Menicucci)

L’alce
Nelle regioni paludose e nelle foreste della Siberia si incontrano ancora numerose mandrie di alci, grossi animali strettamente imparentati con i cervi. Un alce adulto è alto oltre due metri al garrese e può pesare 700 chilogrammi. Le enormi corna, che cadono ogni anno in autunno per rispuntare in primavera, sono palmate e largamente spiegate a ventaglio. La femmina ne è priva ed è anche di dimensione più piccola. Il pelame, abbastanza folto, è di colore bruno scuro e nel maschio presenta una criniera assai sviluppata. Gli zoccoli molto larghi e disgiunti permettono a questi animali di camminare nella neve senza sprofondare eccessivamente. Le abitudini dell’alce sono simili a quelle del cervo. Esso preferisce però i luoghi aperti e acquitrinosi del nord dove vaga pascolando. Si nutre di foglie, di cortecce e di piante acquatiche. Per strappare queste ultime, però, deve inginocchiarsi, perché il collo è molto corto rispetto alla lunghezza delle gambe. Un tempo gli alci erano molto diffusi anche in Europa. Secondo antiche credenze, nello zoccolo del piede sinistro dell’alce risiedevano poteri magici, per cui questa parte veniva venduta a caro prezzo, ed era consigliata in numerosissime ricette dell’antica farmacopea.

CAMOSCI STAMBECCHI CAPRIOLI ALCI CERVI dettati ortografici, poesie e letture. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

I BOVINI: dettati ortografici e letture

I BOVINI: dettati ortografici e letture per bambini della scuola primaria.

Il bue

Il bue ha un’importanza rilevante per la storia stessa della civiltà umana. Quando l’uomo delle caverne riuscì a rendere domestico e quindi ad allevare e a trasformare gradatamente l’uro, il colossale bue preistorico, ebbe inizio una serie di eventi importantissimi. L’allevamento di questo animale  significava possibilità di avere carni a sufficienza e il numero dei buoi che uno possedeva servì a calcolare la sua ricchezza. Inoltre la forza del bovino permise la trasformazione del suolo, ancora vergine, in campi coltivati.

Il bue

Gli antichi Germani cacciavano di preferenza l’uro. Ne adoperavano la pelle per fare i vestiti, ne mangiavano la carne, nelle loro corna bevevano l’idromele. Più tardi, i Germani fissarono le loro dimore e praticarono l’agricoltura, ma l’uro calpestava i loro campi e perciò il contadino cercò di fermare il gigante. L’uro era già scomparso fin dal Medio Evo. Il gigante continua però a vivere nel bue domestico ostinato e lento, ma utile, che ora si trova sparso per tutta la terra.
(Reichelt)

Bufale
A uno a uno tutti quei blocchi oscuri, che io avevo scambiati nel crepuscolo per rialzi verdastri del terreno, si sollevarono, scuotendo polvere, e, dondolandosi con mosse lente, si avanzarono sulla radura, incontro a me. Bufale enormi della giogaia ciondolante, dai corvi brevi, dai corni lunghi, diritti serpeggianti, lunati, dal muso nero, dalla stella in fronte, dal piè balzano, dalle radici rosse. La prima del branco ruggiva sempre, fermandosi ad aspettare; e altre vacche nere, che poltrivano  digrumando fra le stoppie gialle, bruciate dal libeccio, si alzavano, si scuotevano muggendo, e s’indirizzavano adagio, circospette e annoiate, sull’orme della guida.
(F. Paolieri)

Bestie all’abbeveratoio
Ultimo divertimento della giornata fu assistere all’abbeverata del bestiame. L’abbeveratoio era in fondo a un gran prato, accanto al pozzo perenne, oggetto di molta invidia dei vicini in quelle terre siccitose. La fila delle bestie sciolte s’avvicinava lentamente dove le chiamava il boaro con un certo verso e fischio lungo, pacato, suasivo, che le invitava a bere. Camminavano sagge, con quella loro andatura che sembra inceppata, a testa bassa; e il sole basso sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche per la più parte. Immergevano il muso fino alle froge nell’acqua, e bevevano adagio, alla loro discreta maniera. Poi lo levavano stillante, e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie.
(R. Bacchelli)

Due vitellini si vogliono bene
Era successo che, proprio stando soli nella stalla, forse per ruzzare intorno alla mangiatoia o per scavalcarla, il vitellino più anziano, quello che aveva una specie di stellina in fronte, si fece male, ebbe una delle due protuberanze che, ai lati della fronte, cominciavano a indurirsi, scalfita da un chiodo, ammaccata da un urto troppo forte. Nulla di straordinario: ci fu qualche medicamento rustico, una foglia larga e fresca messa sull’ammaccatura, un po’ di dolore… Ma cosa straordinaria fu che il vitellino più giovane intervenisse lui, nelle ore in cui erano soli, a medicare, tirando fuori la lingua, che era poi anch’essa quasi come una foglia ma rosea e un poco ruvida, raspando, leccando sull’ammaccatura dell’amico come per una carezza e, insieme, una medicina.
(B. Tecchi)

Buoi al lavoro
I buoi, i grandi buoi, questi giganti
così affettuosi, così utili, così vigorosi!
Guardateli tirare, lungo le strade,
quei carichi così pesanti…
Il loro corpo, teso dallo sforzo, freme,
e il carro geme, geme a lungo.
Il carro geme, a lungo geme,
e i buoi tirano fino all’estrema fatica.
E sembra, nella sera bagnata d’ombra,
che il carro pianga per chi lo trascina…
E la sera, lungo la strada solitaria,
il carro geme, geme e se ne va.
(A. Lopez-Vieira)

Il bove
In questo sonetto, che è tra i più famosi della nostra letteratura, il poeta celebra la forza laboriosa e mite del bue e quel suo faticare docile in mezzo ai campi lavorati dall’uomo. E’ un quadro di pace solenne che ispira un senso religioso della fatica agreste.

T’amo, o pio →1 bove, e mite un sentimento
di vigore e di pace al cor m’infondi  →2,
0 che  →3 solenne come un monumento  →4
tu guardi i campi liberi e fecondi,
o che al gioco inchinandoti contento
l’agil opra de l’uom grave secondi  →5 :
ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
giro dei pazienti occhi rispondi  →6.
Da la larga narice umida e nera
fuma il tuo spirto  →7, e come un inno lieto  →8
il mugghio nel sereno aer si perde;
e del greve occhio glauco entro l’austera
dolcezza  →9 si rispecchia ampio e quieto
il divino del pian silenzio verde  →10.
(G. Carducci)

Note:
→1 pio: mite e disposto al lavoro dei campi che è, per gli uomini, una santa fatica
→2 m’infondi: mi ispiri
→3 o che: sia che
→4 come un monumento: in atteggiamento placido e solitario
→5 secondi: col movimento grave del corpo, il bove asseconda i gesti dell’uomo, agile nella fatica dell’aratura
→6 rispondi: mostri d’intendere e consentire alla sua volontà
→7 fuma il tuo spirto: esala il tuo alito
→8 come un inno lieto: il mugghiare del bove è come un inno che accompagna in letizia il lavoro dei campi
→9 entro l’austera dolcezza: dentro lo sguardo dolce e insieme solenne dell’occhio azzurro (glauco) del bove. Grave perché si volge con lentezza e pazientemente
→10 si rispecchia… silenzio verde: si riflette la pace e l’alto silenzio della pianura. Verde è congiunto con silenzio ed è un’immagine lirica che si spiega pensando che il poeta, per spontaneo gioco di fantasia, ha trasferito al silenzio la proprietà verde del piano.

Il bue
Quando l’uomo cominciò a coltivare i cereali, iniziò ad addomesticare gli animali e, tra questi, il bue.
Come sollevò il lavoro dell’uomo!
Discende da un animale preistorico chiamato uro, la cui razza è ormai scomparsa da circa quattromila secoli.
Il manzo, il toro, la mucca, il vitello, la giovenca e il bue sono differenti stati dello stesso animale: il bue.
E’ un ruminante; ha i piedi forcuti e corna cave, corpo tozzo, membra corte e robuste, collo con sotto una pelle pendula chiamata giogaia. Vive d’erba e serve all’uomo da tiro e da trasporto. Fornisce energia organica per il lavoro della terra, ottimo concime, produzione abbondante e sostanziosa di latte; carne per l’alimentazione, sangue, ossa, corna, pelle, unghie per moltissimi usi.
Si adatta alle più svariate condizioni di clima, di altitudine, di alimentazione.
Gli antichi lo veneravano.

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