Album Montessori per l’area linguistica 6-9 anni

Nel corso degli anni ho pubblicato nel sito moltissime presentazioni relative all’area linguistica per la fascia d’età 6-9 anni. Le trovi qui:

AREA LINGUISTICA MONTESSORI

Il progetto è quello di realizzare e mettere a disposizione gli album Montessori per l’area linguistica… ci sto lavorando.

La mole di argomenti richiede una suddivisione per aree:

1: LETTURA, SCRITTURA E CALLIGRAFIA
2: STUDIO DELLE PAROLE
3: ANALISI GRAMMATICALE
4: ANALISI LOGICA E DEL PERIODO.

Al momento è pronto l’Album per lo studio delle parole in formato corso online qui:

. STUDIO DELLE PAROLE MONTESSORI

CANTI DI NATALE Stille Nacht (Astro del ciel) (Silent night)

CANTI DI NATALE Stille Nacht (Astro del ciel) (Silent night) . Per flauto dolce e canto, testo in Tedesco, Italiano e Inglese, con spartito stampabile e file mp3. 

Testo e musica furono composti da Franz Guber, maestro di scuola e organista, il 25 dicembre 1818.

CANTI DI NATALE  Stille Nacht
(Astro del ciel) (Silent night)
SPARTITO STAMPABILE e FILE mp3

https://www.lapappadolce.net/wp-content/uploads/2023/03/Stille-Nacht-Astro-del-ciel.mp3

CANTI DI NATALE  Stille Nacht
TESTO

Testo tedesco

1. Stille Nacht! Heilige Nacht!
Alles schläft; einsam wacht
Nur das traute hochheilige Paar.
Holder Knabe im lockigen Haar,
Schlafe in himmlischer Ruh!
Schlafe in himmlischer Ruh!
2. Stille Nacht! Heilige Nacht!
Gottes Sohn! O wie lacht
Lieb´ aus deinem göttlichen Mund,
Da schlägt uns die rettende Stund,
Jesus in deiner Geburt!
Jesus in deiner Geburt!
3. Stille Nacht! Heilige Nacht!
Hirten erst kundgemacht
Durch der Engel Alleluja.
Tönt es laut bei Ferne und Nah:
Jesus, der Retter ist da!
Jesus, der Retter ist da!

Testo italiano

1. Astro del Ciel, pargol divin,
Mite agnello, Redentor,
Tu che i Vati da lungi sognâr,
Tu che angeliche voci annunziâr,
Luce dona alle menti,
Pace infondi nei cuor.
2. Astro del Ciel, pargol divin,
Mite agnello, Redentor,
Tu di stirpe regale decor,
Tu virgineo, mistico fior,
Luce dona alle menti,
Pace infondi nei cuor.
3. Astro del Ciel, pargol divin,
Mite agnello, Redentor,
Tu disceso a scontare l’error,
Tu sol nato a parlare d’amor,
Luce dona alle menti,
Pace infondi nei cuor.

Testo inglese

1. Silent night, holy night!
All is calm, all is bright.
Round yon Virgin, Mother and Child.
Holy infant so tender and mild,
Sleep in heavenly peace,
Sleep in heavenly peace.
2. Silent night, holy night!
Shepherds quake at the sight.
Glories stream from heaven afar
Heavenly hosts sing Alleluia,
Christ the Savior is born!
Christ the Savior is born.
3. Silent night, holy night!
Son of God love’s pure light.
Radiant beams from Thy holy face
With dawn of redeeming grace,
Jesus Lord, at Thy birth.
Jesus Lord, at Thy birth.

CANTI DI NATALE Jingle bells

CANTI DI NATALE Jingle Bells è una tradizionale canzone natalizia, scritta da James Pierpont nel 1857, ma nel tempo sono state create numerose versioni.

Inizialmente, la canzone è stata pubblicata con il titolo The One Horse Open Sleigh.

Con testo inglese, spartito stampabile e traccia mp3.

CANTI DI NATALE Jingle bells
SPARTITO SONORO STAMPABILE e FILE mp3

spartito e file mp3 qui:

https://www.lapappadolce.net/wp-content/uploads/2015/11/Jingle-bells.mp3

CANTI DI NATALE Jingle bells
Testo originale inglese

Dashing through the snow In a one-horse open sleigh
Through the fields we go Laughing all the way.
Bells on bob-tail ring Making spirits bright
What fun it is to ride and sing A sleighing song tonight.

Jingle bells, jingle bells Jingle all the way,
Oh what fun it is to ride In a one-horse open sleigh,
O Jingle bells, jingle bells Jingle all the way,
Oh what fun it is to ride In a one-horse open sleigh.

A day or two ago I thought I’d take a ride
And soon Miss Fanny Bright Was seated by my side;
The horse was lean and lank Misfortune seemed his lot,
We ran into a drifted bank And there we got upsot.

A day or two ago The story I must tell
I went out on the snow And on my back I fell;
A gent was riding by In a one-horse open sleigh
He laughed at me as I there sprawling laid But quickly drove away.

Now the ground is white, Go it while you’re young,
Take the girls along And sing this sleighing song.
Just bet a bob-tailed bay, Two-forty as his speed,
Hitch him to an open sleigh and crack! You’ll take the lead.

CANTI DI NATALE The little drummer boy

CANTI DI NATALE The little drummer boy – Canto natalizio tradizionale inglese, con spartito stampabile, file mp3 e testo italiano e inglese.

https://www.lapappadolce.net/wp-content/uploads/2023/03/The-little-drummer-boy.mp3

CANTI DI NATALE The little drummer boy
Testo inglese

1. Come they told me, parapapampam,
a new born king to see, parapapampam,
our finest gifts we bring, parapapampam,
to lay before the king, parapapapam,
rapapampam, rapapampam,
so they honour them, parapapampam,
when we come.
2. Little baby, parapapampam,
I am a poor boy, parapapampam,
I have no gifts to bring parapapampam,
rapapampam, rapapampam,
that’s fit to give our king, parapapampam,
on my drum.

3. Mary nodded parapapampam,
the ox and lamb kept time, parapapampam,
I played my drum for him, parapapampam,
I played my best for him, parapapampam,
rapapampam, rapapampam,
then he smiled me, parapapampam.

CANTI DI NATALE The little drummer boy
Testo italiano

1. Tamburino, parapapampam,
vieni anche tu con noi, parapapampam,
è nato un re in Bethlem, parapapampam,
e noi corriam laggiù, parapapampam,
qualche dono, parapapampam,
a lui rechiam.

2. Bambinello, parapapampam,
un tamburino son, parapapampam,
queste mie mani, parapapampam,
non recan dono alcun, parapapampam,
il tamburo, parapapampam,
il mio sol ben.
3. Batterò per te, parapapampam,
un ritmo allegro assai, parapapampam,
che mette gioia, parapapampam,
in chi lo sta a sentir, parapapampam,
io sonai e Lui, parapapampam,
sorrise a me.

CANTI DI NATALE The little drummer boy
SPARTITO  STAMPABILE e FILE mp3

 

Lavoretti per la festa della mamma: altre 30 e più idee creative

Lavoretti per la festa della mamma: altre 30 e più idee creative. Una collezione di tutorial per realizzare coi bambini della scuola d’infanzia e primaria vari lavoretti e biglietti d’auguri per festeggiare la mamma…

…lavoretti per la festa della mamma realizzati con origami, pittura, paper cutting, progetti di riciclo di vari materiali, pop up, stampa, collage, mollette da bucato e altro ancora…

1

1. biglietto d’auguri pop up con modello pronto per la stampa gratuita e istruzioni di montaggio dettagliatamente illustrate (basta cliccare sull’immagine). Per i più piccoli si può pensare di far colorare le parti e poi montarle, per i medi colorare e ritagliare. Molto bello, di http://www.freekidscrafts.com

2

2. libretto a cuore, può essere usato per scrivere una bella poesia, di http://familyfun.go.com/

3

3. 70 e più progetti creativi per la festa della mamma sul tema “fiori”, qui LAPAPPADOLCE

4. E qui LAPAPPADOLCE 60 e più progetti creativi per realizzare cuori

5

5. biglietto d’auguri a forma di tulipano di http://crafts.kaboose.com. Molto semplice da realizzare stampando il modello gratuito (clicca su “pattern”)

6

6. busta a forma di vaso con biglietto fiorito, di http://www.scrapbooksetc.com/

7

7. coppa realizzata con cartone di recupero, pasta secca, spray dorato e applicazioni varie, nell’immagine in versione papà, di http://elementaryartfun.blogspot.it/

8

8. biglietti d’auguri a stampa. Si crea col nastro adesivo la cornice su una tavoletta plastificata, quindi si passa all’interno il colore a tempera. Il bambino disegna il motivo che desidera eliminando la tempera con un cotton fioc e quindi si stampa appoggiando un foglietto della stessa misura della cornice di nastro adesivo, pressandolo sulla tavoletta. Di http://lets-explore.net/

9

9. biglietti d’auguri con modelli stampabili gratuitamente ed istruzioni, di http://mmmcrafts.blogspot.it

10

10. biglietto d’auguri o quadretto realizzato con cartoncino colorato, cartone ondulato e fili di lana colorata, di http://www.yourspecialtee.com/

11

11. vaso portafiori decorato con l’impronta delle manine, di http://christinasadventures.com/

12

12. biglietto d’auguri a forma di cuore con interno di fiorellini pop up. E’ disponibile il modello stampabile gratuitamente, ed è possibile quindi modificare il testo una volta che si riporta il modello su cartoncino, di http://www.michaels.com/

13

13. le sagome delle manine formano un cuore, biglietto d’auguri. Di http://krokotak.com/

14

14. Ancora da http://krokotak.com, quattro cuoricini per un biglietto d’auguri pop up da decorare e completare a piacere

15

15. busta che si apre diventando un cuore, tutorial esempi e modelli gratuiti di http://www.marthastewart.com

16

16. fiori e farfalle pop up, nonostante l’apparenza è un lavoretto molto semplice da realizzare coi bambini, seguendo il tutorial fotografico molto ben fatto, di http://krokotak.com/

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17. la mano della mamma e la mano del bimbo, di http://www.millybee.com/

18

18. Quadretto “Mamma sei il mio sole” realizzato con le impronte delle manine, via http://waarliefdewoont.blogspot.it/

19

19. portafiori o portacandela realizzato con una scatola ad esempio di tonno e mollette da bucato, tutorial di http://www.shelterness.com/

20

20. simmetria molto simpatica, non traducibile ma perchè non festeggiare la mamma in inglese? Di http://easypreschoolcraft.blogspot.it/

21

21. album di ricordi realizzato con una scatola di cereali e cartoncini colorati, tutorial di http://www.crafttestdummies.com/

22

22. borsa della spesa in cotone decorata con le impronte delle manine, di http://paintcutpaste.com/

23

23. coccarde con cuore, possono essere realizzate con i porta biscotti di carta, decorandoli coi bambini, ed essere donate così oppure per realizzare biglietti d’auguri. Di http://charlottesfancy.com/

24

24. le pittura dei più piccole possono diventare un bellissimo biglietto d’auguri per la mamma, di http://www.smallfriendly.com

25

25. idea regalo per mamme creative, di http://emmalinebride.com/

26

26. idea regalo per mamme che amano il tè, di http://www.curbly.com/

27

27. fiori di fili di lana e colla vinilica; la sagoma può essere realizzata in cartone rivestito di carta stagnola. Di http://mykidsmake.com/

28

28. “Mamma ti voglio tanto bene… tanto tanto tanto così”, di http://www.freekidscrafts.com

29

29. quadretto floreale con le impronte delle manine, di http://thetrendytreehouse.blogspot.it/

30

30. “Mamma, il mio amore per te cresce e cresce e cresce”, di http://whytewater.blogspot.it/

La collezione continua qui:

Acquarello esercizi di colore ebook

Acquarello esercizi di colore ebook.  Lo scopo di questi esercizi è quello di far provare ai bambini esperienze guidate del colore, svincolato quanto più possibile dall’elemento della forma. Per questo si utilizzano colori molto diluiti e si lavora sul foglio di carta bagnato…

Acquarello esercizi di colore ebook

Acquarello esercizi di colore ebook

Il contenuto del libro è disponibile inoltre in formato post (consultabile, scaricabile e stampabile) qui:

https://www.lapappadolce.net/tag/esercizi-di-colore-steineriani/

Watercolor painting in the Waldorf School  –  ebook. We propose these watercolor painting exercises to the children, so that they can experience the color in its essence, without ties, as far as possible, with the element of form. For this reason, we use very diluted watercolors, and paint on wet sheets….

In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but it is not essential.

The content of the book is also available in post format (available for downloading and printing) here:

https://www.lapappadolce.net/tag/esercizi-di-colore-steineriani/

Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine, pittura ad acquarello. La storia segue la vita dell’albero dalla primavera al suo nuovo risveglio sul finire dell’inverno; le pitture vengono realizzate dai bambini…

Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine
Qui in formato ebook:

Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

C’era una volta un giovane piccolo albero: era nato in primavera, tra il tepore dell’aria e il canto degli uccelli. Viveva felice: aveva foglie bellissime, e fiori colorati che si trasformavano in grandi frutti dolci e tondi.

Acquarello steineriano – tutorial per l’albero in primavera  

Acquarello steineriano – tutorial per la fioritura degli alberi 


Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Ma d’un tratto cominciò a sentirsi stanco: era settembre.

I frutti si staccarono, le foglie cominciarono a perdere il loro colore e addirittura, di tanto in tanto, il vento se ne portava via qualcuna.

Venne la pioggia, e poi l’aria fredda: l’albero si sentiva sempre peggio. Non capiva cosa gli stesse succedendo. Nel giro di pochi giorni si trovò spoglio, solo, infreddolito.

Decise di andare per il mondo a cercare tutto quello che aveva perduto.

Acquarello steineriano – Tutorial per l’albero in autunno

Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Corse da Mattino d’Inverno: <<Sono solo, infreddolito, ho perso tutte le mie foglie. Sai dove le posso trovare?>>

<<Ci sono ancora alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro…>>

Acquarello steineriano –  tutorial per l’albero in inverno 


Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Corse dagli alberi, ma quelli gli risposero: <<Noi le foglie non le perdiamo, non sappiamo cosa dirti. Prova a chiedere a quelli uguali a te!>>

Il giovane albero cercò allora dei rami spogli simili a lui, ma anche loro erano soli e infreddoliti, proprio come lui, e non avevano risposte da dargli.

“Se mai risolverò  il mistero, tornerò ad aiutarvi”, pensò, e riprese il suo viaggio.

Acquarello steineriano – tutorial per l’abete 


Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Andò dal Vento. <<Io le foglie le porto solo via, è la Pioggia che le fa crescere>>.


Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Andò dalla pioggia. <<Le farò crescere solo a suo Tempo>>.


Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Andò dal Tempo. <<Io so tante cose>> gli disse <<il Tempo aggiusta tutto. Non ti preoccupare, occorrono solo tanti giorni e tante notti…>>


Acquarello steineriano – Un lavoro sul ciclo delle stagioni e l’albero per arte e immagine

Andò dalla Notte, ma la notte era silenziosa, e l’albero molto stanco…


Sul punto di addormentarsi, vide una fata avvicinarsi a lui.
Portava dei piccoli occhiali d’oro sul naso.
Lui le raccontò la sua storia, e lei lo capì.
Sorrise, si tolse gli occhiali, e glieli diede: <<Sono occhiali magici, con questi potrai guardarti dentro…>>.

E il giovane albero vide… Dentro di lui c’era movimento e musica. Linfa. <<Vedi caro?>> disse la fata  <<Le tue foglie ricresceranno: le hai già dentro di te…>>

 

Gioco cantato Draw a bucket of water

Gioco cantato Draw a bucket of water,  per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Con testo italiano e inglese, spartito stampabile, istruzioni di gioco e traccia mp3.

Gioco cantato Draw a bucket of water
Istruzioni di gioco

Otto giocatori si tengono per mano e formano due cerchi concentrici.

I giocatori esterni sono numerati (1,2,3,4) quelli interni stanno scalati rispetto ai primi.

Cantano la canzoncina: “Draw a bucket of water, for my lady’s daughter, one in a rush, and two in a rush, and the next old man pop under…

Nella prima parte, fino a old man pop under, tutti alzano e abbassano le braccia come per pompare l’acqua.

Alla parola under il numero uno, senza lasciare le mani dei compagni, passa sotto le braccia dei due giocatori che nel cerchio interno sono davanti.

La canzone ricomincia e di nuovo i giocatori, meno quelli intrecciati, ricominciano a pompare; quindi tocca al numero due, che alla parola under passa sotto le braccia dei due giocatori che gli stanno davanti e così via fino a che non viene completato il cesto.

A questo punto si ricanta la canzone finendo con il quinto verso girando in senso orario con piccoli passi a galoppo laterale, e mantenendo il peso del corpo verso l’esterno del cerchio, cantando: “…and around, around, around, around…”

Gioco cantato Draw a bucket of water- Testo

Testo inglese:
Draw a bucket of water,
for my lady’s daughter,
one in a rush, and two in a rush,
and the next old man pop under…
and around, around, around, around…

Testo italiano:
Prendi un secchio d’acqua,
mia figlia si risciacqua,
l’uno ci va, il due porterà,
passa sotto il più vecchietto,
e si gira, si gira, si gira…

Gioco cantato Draw a bucket of water- Spartito stampabile e traccia mp3

qui:

https://www.lapappadolce.net/wp-content/uploads/2023/03/Draw-a-bucket-of-water.mp3

 

Gioco cantato London bridge

Gioco cantato London bridge per bambini della scuola d’infanzia e primaria. Con testo inglese, spartito stampabile e traccia mp3.

Istruzioni di gioco

Due giocatori formano un ponte dopo essersi messi d’accordo di quali materiali è composto (es. iron-gold).

La fila vi passa sotto.

Alla fine della strofa i due che fanno il ponte abbassano le braccia e prendono l’ultimo della fila. Questi dovrà scegliere, senza farsi udire dai compagni, il nome del materiale e poi si dovrà mettere dietro al giocatore prescelto.

Quando tutti saranno stati presi, si avranno due file di bambini che tirano, tenendosi per la vita.

Vince la fila che riesce a trascinare l’altra dentro il fiume Tamigi.

Gioco cantato London bridge – Testo

London bridge is falling down,
falling down, falling down,
London bridge is falling down,
my fair lady.

Gioco cantato London bridge – Spartito stampabile ed mp3

qui:

https://www.lapappadolce.net/wp-content/uploads/2023/03/London-bridge.mp3

Acquarello steineriano la fioritura degli alberi da frutto

Acquarello steineriano la fioritura degli alberi da frutto. Una proposta di lavoro sul tema “la fioritura degli alberi a inizio primavera”.

L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a riflettere sulla condizione dell’albero in questa stagione.

Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due alberi uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…

Acquarello steineriano la fioritura degli alberi da frutto
Acquarello steineriano – Materiale occorrente

acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori:
giallo limone,
blu di prussia
rosso carminio
bianco (facoltativo)

I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.

Un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)

una bacinella e un vasetto d’acqua

una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)

un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)

Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna. Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.

Poi si dispone il materiale…

Acquarello steineriano la fioritura degli alberi da frutto
Acquarello steineriano – come si fa

Al bambino possiamo dire che stiamo dipingendo un albero fiorito prima, oppure possiamo semplicemente dire che faremo una “pittura” e sarà lui a scoprirlo facendo.

Per prima cosa realizziamo “l’aria profumata di primavera” col rosso carminio molto diluito e il giallo. L’aria profumata è soffice e leggera, allegra…

intensifichiamo il giallo in basso, di modo che poi con poco blu di Prussia otterremo un bel verde giovane, nel quale piantare il seme del nostro albero (rosso carminio)

A partire da questo seme, senza lavare il pennello o prendere altro colore, far scendere le radici verso il basso e il primo abbozzo di tronco verso l’alto.

E’ molto importante non lavare mai il pennello, e non prendere altro rosso: si usa solo il rosso del seme, che si mescola agli altri colori sul foglio.

Il seme nella terra incontra calore, luce e acqua, e così si apre: una parte va verso il basso (le radici), quindi si mette il pennello sul seme e si scende, sempre staccando e senza mai tornare indietro; una parte comincia ad andare verso l’alto (sempre dal seme in su, senza tornare indietro).

Naturalmente mescolandosi rosso blu e giallo si forma il marrone, e non ci saranno due marroni uguali…

Ora possiamo sviluppare l’albero, utilizzando alternativamente rosso, giallo e blu, prendendoli dalle ciotoline quando serve.

Infine lavare benissimo il pennello e con giallo, rosso carminio molto diluito e, se volete, bianco, creare nel profumo di primavera la fioritura dell’albero:

Acquarello steineriano la fioritura degli alberi da frutto

Acquarello steineriano Le pratoline

Acquarello steineriano Le pratoline: “Ogni filo d’erba che spunta è una risposta della terra a un raggio di sole…”. Tutorial per realizzare con i bambini una pittura ad acquarello secondo le indicazioni date nella scuola Waldorf.

Acquarello steineriano Le pratoline
Colori utilizzati:

giallo limone
blu di Prussia
giallo oro
bianco (se non siete troppo “steineriani”)

Acquarello steineriano Le pratoline
Come si fa:

dopo aver predisposto il materiale e bagnato il foglio, cominciare col giallo limone, creando tanti raggi di sole che dall’alto scendono verso il basso incrociandosi tra loro

Col blu di Prussia sentire come la terra risponda coi fili d’erba ai raggi del sole:

continuare questo gioco prendendo altro giallo limone che va dall’alto verso il basso e altro blu di prussia che andando dal basso verso l’alto incontra il giallo.

Quando siamo soddisfatti del nostro prato, fermiamoci ad osservarlo. Sicuramente tra i fili d’erba noteremo dei punti di luce: evidenziamoli con del giallo oro:

Per realizzare le corolle prendiamo un pennello più piccolo, lo bagniamo

e lo usiamo per togliere il colore, così:

poi asciughiamo il pennello sulla spugna, prendiamo altra acqua, e ripetiamo così

Ora, se il bambino è soddisfatto del profumo delle sue pratoline, ci si può fermare così:

Altrimenti, se il bambino lo desidera e se la cosa non viola i vostri principi, potete definire meglio le corolle con del bianco:

Lavoretti per Pasqua: uova decorate – 30 e più progetti

Lavoretti per Pasqua: uova decorate – 30 e più progetti. Una collezione di progetti sul tema “uovo di Pasqua” per la scuola d’infanzia e primaria: tecniche per tingere con ingredienti naturali, coi coloranti alimentari, uova trasformate in personaggi, in biglietti d’auguri, in decorazioni per la scuola e la casa; idee per la merenda, e molto altro…

1

1. Uova decorate con colori alimentari e colla a caldo.

Bisogna bollire le uova, quindi farle raffreddare e applicare la colla a caldo creando disegni a piacere. Per evitare di scottarsi è utile mettere le uova nella loro confezione di cartone.

Quando la colla si è rappresa, immergere le uova nel primo colorante per il tempo necessario, quindi far asciugare, rimuovere la colla a caldo, applicare un secondo disegno di colla a caldo ed immergere in un secondo colorante, e via così.

Tutorial di http://creativeconnectionsforkids.com

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2

2. metodi di tintura delle uova con ingredienti naturali di http://www.marthastewart.com.

Giallo oro: (deep gold) far bollire le uova in soluzione di curcuma e due cucchiai di aceto per 30 minuti.

Terra di Siena: (Sienna) far bollire le uova in soluzione di cipolle rosse e due cucchiai di aceto per 30 minuti.

Marrone scuro: (dark rich brown) far bollire le uova nel caffè nero e due cucchiai di aceto per 30 minuti.

Giallo chiaro: (pale yellow) mettere a bagno le uova  in soluzione a temperatura ambiente di curcuma e due cucchiai di aceto per 30 minuti.

Arancio: (orange) immergere le uova  in soluzione a temperatura ambiente di cipolla rossa e due cucchiai di aceto per 30 minuti.

Marrone chiaro: (light brown) immergere le uova  nel caffè nero e due cucchiai di aceto per 30 minuti

Rosa chiaro: (light pink) immergere le uova in soluzione a temperatura ambiente di barbabietola e due cucchiai di aceto per 30 minuti.

Azzurro: (light blue) immergere le uova  in soluzione a temperatura ambiente di cavolo rosso e due cucchiai di aceto per 30 minuti.

Blu: (royal blue) immergere le uova  in soluzione a temperatura ambiente di cavolo rosso e due cucchiai di aceto per una notte.

Lilla: (lavender) immergere le uova  in soluzione a temperatura ambiente di barbabietola e due cucchiai di aceto per 30 minuti, quindi immergerle per altri 30 secondi in soluzione di cavolo rosso.

Verdino: (chartreuse) immergere le uova  in soluzione a temperatura ambiente di curcuma e due cucchiai di aceto per 30 minuti, quindi immergerle per altri 5 secondi in soluzione di cavolo rosso.

Rosa salmone: (salmon) immergere le uova  in soluzione a temperatura ambiente di curcuma e due cucchiai di aceto per 30 minuti, quindi immergerle per altri 30 minuti in soluzione di cipolla rossa.

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3

3. ovetto travestito da ape, di http://ofpinksandfairytales.blogspot.it

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4

4. uova travestite, soggetti vari, di http://katherinemariephotography.com

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5

5. uova da decorare coi gessetti, dipinte con la vernice lavagna, idea di http://www.everythingetsy.com

6

6. uova marmorizzate, tutorial di http://www.marthastewart.com.

In una prima ciotola versare 3 tazze d’acqua tiepida, 2 cucchiai di aceto, e del colorante alimentare, e immergere l’uovo fino ad ottenere il colore desiderato.

Togliere l’uovo dalla soluzione ed asciugarlo un po’.

In una seconda ciotola, poco profonda, preparare una soluzione di colorante aceto e acqua, scegliendo un colore più scuro, e aggiungere un cucchiaio di olio di oliva.

Con una forchetta creare dei vortici di olio sulla superficie della soluzione, ed appoggiare l’uovo facendolo un po’ rotolare.

Tamponare con carta da cucina e lasciar asciugare.

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7

7. uova “animate”, molte altre idee qui: http://inspirationfeed.com

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8. candeline nel guscio d’uovo, di http://www.flickr.com

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9

9. uovo realizzato con tempera data a rullo su sagoma creata col nastro adesivo, di:
http://www.notimeforflashcards.com

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10. uova decorate con la tecnica del decoupage (tovaglioli di carta e colla vinilica diluita con acqua), di http://www.marthastewart.com

11

11. Uova decorate trasferendo il disegno di una cravatta sul guscio, tutorial di http://www.ourbestbites.com. Serve una cravatta 100% seta.

Scucire la cravatta scelta, tagliarla in pezzi sufficienti ad avvolgere le uova.

Avvolgere e legare con uno spago, quindi rivestire ulteriormente con una pezzetta di cotone bianco e legare anche questa.

Mettere le uova in una pentola, coprire con acqua, aggiungere 4 cucchiai di aceto e portare ad ebollizione.

Dopo circa 20 minuti rimuovere le uova, farle raffreddare, rimuovere le stoffe e sorpresa!

Il disegno si sarà trasferito sul guscio.

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12. memory da colorare, stampa gratuita qui http://go.tipjunkie.com

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13. uova puzzle, modello gratuito di http://go.tipjunkie.com

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14. uovo di cartoncino forato lungo il bordo per il gioco dentro-fuori, di http://go.tipjunkie.com

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15. uova a strisce. Avvolgere le uova sode con fasce elastiche  di gomma, immergere nel primo colorante, rimuovere alcuni elastici ed immergere nel secondo colorante, poi rimuoverne altri, e così via.

Tutorial di http://sandytoesandpopsicles.blogspot.it

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16. bellissima idea per un biglietto a sorpresa, di http://elephantine.typepad.com/

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17. ghirlanda di uova, di http://www.marthastewart.com

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18. brownie nei gusci d’uovo. Tutorial e ricetta di http://www.larecetadelafelicidad.com/

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19. le uova belle calde di bollitura possono essere decorate in modo splendido coi pastelli a cera. Tutorial di http://familyfun.go.com

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20. uovo tridimensionale in cartoncino di http://familyfun.go.com/easter.

Si tagliano tre sagome di uovo, si piegano a metà nel senso della lunghezza e si incollano tra loro, quindi si decorano con strisce colorate.

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21. Uovo di cartoncino. Ritagliate l’uovo, posatelo su una tovaglia di plastica o un pezzo di carta forno, e per prima cosa fate disegnare o scrivere sull’uovo con un pastello a cera bianco.

Il bambino poi spruzzerà qualche goccia di  colorante alimentare e si divertirà a vedere come il colore si diffonde spruzzandovi sopra dell’acqua con un normale spruzzino, senza esagerare…

Tutorial di http://www.classifiedmom.com

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22. uovo travestito da agnellino, di http://familyfun.go.com

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23. uovo travestito da ape, di http://familyfun.go.com/

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24. uovo travestito da uccellino, di http://familyfun.go.com

25. uova sode marmorizzate, tutorial : http://www.lapappadolce.net/

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26. uovo travestito da colomba, di http://familyfun.go.com

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27. uova portafiori, di http://www.delish.com

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28. uova ritagliate nel cartone decorate con la tecnica della schiuma da barba di http://littlewondersdays.blogspot.it.

In un vassoio spruzzate della schiuma da barba, poi mettete qua e là qualche goccia di colore a tempera o acrilico.

Muovete il colore nella schiuma con un bastoncino, quindi prendete il vostro uovo e posatelo sulla schiuma colorata, premendo un po’.

Rimuovete l’uovo, fatelo asciugare un po’, poi rimuovete l’eccesso di schiuma: il colore resterà stampato sul cartone.

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29. uova decorate di pizzo di http://www.thecoterieblog.com.

Immergete le uova nel colorante dopo aver legato attorno al guscio del pizzo.

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30. uovo travestito da alieno, di http://family.go.com

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31. uova decorate scrivendo o disegnando prima con pastello a cera bianco, ed immergendo poi nel colorante. Di http://www.marthastewart.com

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32. bellissimo progetto. Raccogliete foglie e fiori e, ancora freschi appoggiateli ai gusci delle uova, eventualmente aiutandovi con un goccio di colla da carta.

Fissate avvolgendo l’uovo in un pezzo di calza di nylon e chiudendo con uno spago.

Fate bollire nel colorante naturale o artificiale scelto, fate raffreddare, togliete la calza, le foglie ed i fiori.

Via http://www.duitang.com.

La collezione continua qui:

Acquarello steineriano poesia illustrata Dal seme al seme

Acquarello steineriano poesia illustrata Dal seme al seme : una poesia di Maddalena Peccarisio, illustrata con la tecnica dell’acquarello su foglio bagnato…

Acquarello steineriano poesia illustrata Dal seme al seme
Dopo il seme, cosa avviene?

raggia il sole luce d’oro
sulla terra e dona vita
s’apre il seme, fa radice,
lento cresce ed esce in stelo
spinge dritto e infin si rizza

gonfia un nodo ed esce in foglia

nel colore nasce il fiore
sboccia il frutto dal calore

e dal frutto spunta un seme
scende in terra, cerca pace
alla luce della luna
il risveglio aspetta e tace…

… dopo il seme
cosa avviene?

Acquarello steineriano poesia illustrata Dal seme al seme
Dopo il seme, cosa avviene?

raggia il sole luce d’oro
sulla terra e dona vita
s’apre il seme, fa radice,

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lento cresce ed esce in stelo
spinge dritto e infin si rizza

gonfia un nodo ed esce in foglia

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nel colore nasce il fiore
sboccia il frutto dal calore

 e dal frutto spunta un seme

scende in terra, cerca pace
alla luce della luna
il risveglio aspetta e tace…

 … dopo il seme cosa avviene?


Acquarello steineriano poesia illustrata Dal seme al seme

Acquarello steineriano – Un racconto sul mare

Acquarello steineriano – Un racconto sul mare di Barbara Costalunga, adatto in particolare al periodo estivo, illustrato con la tecnica dell’acquarello su foglio bagnato…

Un giorno di tanto tempo fa, un Raggio di Sole, appena sorto sul mare, si innamorò di Piccola Onda.

Si staccò allora dalla palla infuocata e si mise a serpeggiare nel cielo, libero e felice, come un uccello di fuoco.

 Raggio di Sole si avvicinò a Piccola Onda, e cominciò a chiamarla, come fanno gli innamorati: <<Ondina, Ondina bella, fermati un attimo che ti voglio baciare…>>.

Piccola Onda emozionata rispose: <<Se mi baci mi potresti scottare, e poi io non mi posso fermare, la mia vita è seguire la danza del mare…>>.

Raggio di Sole non si fece scoraggiare, e decise di tuffarsi. Per un attimo ebbe paura: e se nel mare avesse perso tutto il suo splendore?

Ma non accadde, perchè era l’amore per Piccola Onda a farlo brillare. E brillò così tanto che, chi avesse sorvolato in quel momento il mare, avrebbe visto un serpentello davvero insolito muoversi là sotto…

Poi, finalmente, Raggio di Sole raggiunse Piccola Onda, e seguendo il ritmo dolce della corrente, la circondò della sua luce… tutto il mare danzava la loro danza.

E tra fondali di sabbia chiara ed alghe verdi, nacque Pesce Sole, che ancora oggi vanta nobili discendenze.

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla

Il racconto

C’era una volta il bruco Raimondo, che pensava solo a mangiare.

E così mangiava: mangiava, mangiava… mangiava sempre.

E mangiando mangiando arrivò ad una pianta di limoni, e pensò che era un buon posto per continuare a mangiare…

Mangiando mangiando si trovò a passare per una bella pianta di arance, e anche quella era un buon posto per continuare a mangiare.

Ma mangia oggi, mangia domani, adesso era proprio stanco…

Si addormentò nel suo bozzolo, e tutto intorno a lui era buio e silenzio… si sentiva solo il dolce battere del suo piccolo cuore.

Che sorpresa al suo risveglio! Era diventato una splendida farfalla…

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla
Come si fa

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla – Il bruco Raimondo

L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a sperimentare il colore e la luce, e la formazione dei colori a partire dai colori primari.

Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla – Materiale occorrente

– acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori: giallo limone,  blu di prussia, rosso vermiglio e blu oltremare. I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.

– un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purché morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)

– una bacinella e un vasetto d’acqua

– una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)

– un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla  – Come si fa

Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna.

Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.

Poi si dispone il materiale, se volete così:

E’ il modo migliore per evitare incidenti.

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla
Pagina 1 – Copertina

Preparate per i bambini solo giallo limone e rosso vermiglio.

Creiamo col rosso una cornice che chiude al suo interno un grande spazio vuoto:

 Nello spazio vuoto facciamo entrare il giallo limone:

 A partire dal centro verso la periferia, facciamo espandere il giallo sul foglio:

 E lasciamo che i due colori giochino insieme per far nascere l’arancione:

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla
Pagina 2 – I limoni

Preparate per i bambini blu di Prussia e giallo limone.

Prepariamo col blu tante piccole tane tonde per un colore nuovo che sta per arrivare:

Eccolo: è il giallo limone:

 Dopo aver riempito ognuno la propria tana, i gialli vanno a giocare col blu, e intorno ai limoni nasce il verde:

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla
Pagina 3 – le arance

Preparate per i bambini blu di Prussia, giallo limone e rosso vermiglio.

 Come per i limoni, prepariamo tante tane bianche:

per far stare ben comodo il giallo limone:

Poi il giallo limone gioca col blu per far nascere il verde:

e infine il rosso va a giocare nelle tane del giallo:

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla
Pagina 4 – Il bozzolo

Servono blu di Prussia, giallo limone e rosso vermiglio.

Creiamo una tana piccola piccola al centro del foglio, col blu di Prussia tutto intorno, come un uovo:

fuori dall’uovo c’è una bella luce (giallo limone):

e il blu ci gioca un po’ (nasce il verde):

Il rosso vermiglio, il calore della vita, prende il suo posticino nella tana, e intorno a lui è tutto molto silenzioso e calmo:

Acquarello steineriano lavoro sulla metamorfosi della farfalla
Pagina 5 – La farfalla

Servono giallo limone, rosso vermiglio, blu oltremare.

Il giallo limone, per primo, di mette al centro del foglio

e poi vola a destra e a sinistra:

Arriva il rosso:

e anche lui vola a destra e a sinistra, insieme al giallo:

Arriva il blu oltremare, e vola anche lui, prima da solo, poi col suo amico rosso:

Torna il giallo, e vola così tanto da riempire tutto lo spazio bianco che trova:

Poi è stanco, e chiama il suo amico blu oltremare a volare dove ha volato lui: 

Il rosso vermiglio, uscito dal suo uovo,  arriva a posarsi sul verde:

e si allunga su tutti i colori; ha anche delle belle antenne in alto, e poi apre le ali sui voli degli altri colori:

Il blu gli regala tanti puntini:

La psicogrammatica Montessori

La psicogrammatica Montessori, ovvero filosofia della grammatica, rappresenta un notevole aiuto per orientarsi nei vari ambiti linguistici.

Nella lingua italiana ci sono nove simboli per le varie parti del discorso, e grazie alla loro forma stabiliscono un legame tra lingua e matematica.

E’ interessante vedere che, come in matematica per l’uno e lo zero, la dualità emerge di nuovo sotto forma di nome e di verbo, colonne portanti del mondo della lingua.

Maria Montessori associò al nome la forma della piramide, da cui è tratto il simbolo: il triangolo nero.

La piramide è solida, stabile: costruzione molto antica, simboleggia anche il fatto che, probabilmente, i sostantivi vennero usati per primi dagli esseri umani, per capirsi fra loro.

Il nero rappresenta la materia e il triangolo la staticità, elemento paragonabile all’unità.

Al verbo si collega l’immagine di una sfera rossa e di qui il simbolo di un cerchio rosso.

Il rosso simboleggia l’energia, e la sfera e quindi il cerchio significano movimento e dinamicità, paragonabili allo zero.

Tra nome e verbo troviamo le altre sette parti del discorso, i cui simboli rendono chiara una relazione ulteriore o con il verbo, o con il sostantivo.

L’intera parentela tra le parti del discorso è legata a questa coppia. Il significato psicologico e filosofico di questo approccio alla grammatica diventa particolarmente chiaro nel racconto che segue, inventato da Maria Montessori e raccontato dal figlio Mario durante un convegno a Francoforte nel 1954, per spiegare ai bambini la funzione delle parole.

La psicogrammatica Montessori
La favola delle parti del discorso

(Narratore) C’era una volta un principe molto potente che governava un paese molto speciale: il paese delle parti del discorso (nome, un triangolo nero).

Il principe era accompagnato quasi sempre da un piccolo inserviente (articolo, triangolino equilatero celeste chiaro).

Se il principe era di buon umore, portava con sè un altro inserviente, più grande del primo. Allora tutta la gente aveva il piacere di vedere che specie di principe fosse (aggettivo, triangolo equilatero blu).

A volte il principe non aveva voglia di farsi vedere. Allora inviava un rappresentante che doveva camminare tutto solo, senza alcun servitore (pronome, triangolo isoscele viola).

 

(Il principe racconta). Quando arrivai nel nuovo paese, non riuscivo a trovare la strada. Improvvisamente vidi al lato della via alcune piccole falci verdi. Erano i segnali stradali che indicavano dove si poteva trovare qualcosa, oppure quale direzione prendere (preposizione, mezzaluna verde).

Il sole rosso rotolava attraverso il cielo e faceva vivere tutti, ma solo in certi periodi (verbo, cerchio rosso).

Il sole, poi, non era sempre solo nel cielo: talvolta arrivava la piccola luna, ad aumentare la sua luminosità. Allora, improvvisamente, si poteva vedere anche quale aspetto avesse il sole, dove stesse in quel momento, o quando sarebbe nuovamente andato via (avverbio, cerchio più piccolo arancione).

(Narratore). Ogni cosa era organizzata nel modo migliore nel paese del principe. Nessuno lì lavorava da solo: si riunivano per parlarsi. Tutte le città erano collegate da linee ferroviarie. In questo modo ci si poteva riunire velocemente: bastava sedersi in treno (congiunzione, una barretta rosa).

In questo bel paese  non sempre tutto era tranquillo. Talvolta la gente esclamava a voce molto alta sillabe o parole, quando era contenta o triste, come: ehi, oh, oppure ahimè (interiezione, punto esclamativo dorato).

 

Ora abbiamo fatto la conoscenza di tutti i rappresentanti del paese del principe.
E’ un paese interessante.
Più a lungo ci si ferma, meglio lo si conosce.

Spesso ci si stupisce perchè succede che una parte del discorso assuma la funzione di un’altra. Ma questi sono segreti che si possono scoprire solo via via, lentamente.

Montessori psycho – grammar, or philosophy of grammar, is a great help for orientation in the different linguistic areas.

There are nine symbols for the various parts of speech, and due to their form they establish a link between language and mathematics.

It is interesting to see that, as in mathematics for one and zero, the duality emerges again in the form of name and verb, pillars of the language.

Maria Montessori associated with the name, the form of the pyramid, that inspired the symbol: the black triangle.

The pyramid is solid, stable building very old, also symbolizes the fact that, probably, the nouns were used first by human beings, to understand each other.

Black represents the matter, and triangle represents the static nature. It is an element comparable to the unit.

The image of a red sphere is connected to the verb, and then the symbol of the verb is a red circle.

The red symbolizes the energy, and the sphere and then the circle signify movement and dynamism, comparable to zero.

Between noun and verb are the seven other parts of speech, whose symbols make clear relationship further or with the verb, or with the noun.

The entire relationship between the parts of speech is linked to this couple. The philosophical and psychological significance of this approach to grammar becomes particularly clear in the story that follows, invented by Maria Montessori. It was narrated by his son Mario during a conference in Frankfurt in 1954, to explain to children the function of words.

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The tale of the parts of speech

photo credit: http://www.montessorica.com/favorite.htm

(Narrator) Once there was a very powerful prince who ruled a country very special: the country of the parts of speech (name, a black triangle).

The prince was almost always accompanied by a small servant (article, equilateral triangle light turquoise).

If the prince was in good spirits, he brought with him another attendant, larger than the first. Then all the people had the pleasure of seeing what sort of prince he was (adjective, equilateral blue triangle).

Sometimes the prince did not want to be seen. Then he sent a representative who had to walk alone, without any servant (pronoun, isosceles triangle purple).

(The prince tells). When I arrived in the new country, I could not find the way. Suddenly I saw to the side of road a few small green scythes. They were the road signs indicating where you could find something, or what direction to take (preposition, green crescent).

The red sun rolled across the sky and it made all live, but only at certain times (verb, red circle).

The sun also was not always alone in the sky: sometimes the small moon came, to increase its luminosity. Then, suddenly, you could also see what aspect had the sun, where he was at that time, or when it would again left (adverb, smaller circle orange).

(Narrator). Everything was organized in the best way in the country of the prince. No one there working alone: they gathered to talk. All cities were connected by rail lines. This way you could gather quickly: it was enough to sit on the train (junction, a pink bar).

In this beautiful country not everything was quiet. Sometimes people cried loudly syllables or words, when he was happy or sad, like: hey, oh, alas, or (interjection, golden exclamation mark).

Now we have made the acquaintance of all the representatives of the country’s prince. It ‘an interesting country. As long as you stop, you know better.

We often wonder because it happens that a part of the discourse takes over the function of another. But these are secrets that can be discovered only gradually, slowly.

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photo credit: http://www.montessoriedutoys.com/10-Symbols–Grammar-Symbols-with-Box-l-24,1351,113.html

Ruota o mandala delle tabelline Montessori

Ruota o mandala delle tabelline Montessori – Il bambino può avere già osservato, in natura, ordini numerici in determinati sistemi, per esempio nelle piante la specifica disposizione dei petali e dei sepali o delle antere: è facile per lui scoprire la regolarità di un disegno anche nelle tabelline.

la stella a 5 punte nella disposizione dei semi della mela

Costruire la ruota delle tabelline è molto semplice ed economico. Noi abbiamo ritagliato dei dischi di compensato del diametro di circa 25cm. Poi abbiamo praticato col trapano dieci fori lungo il bordo, a distanza regolare, e vi abbiamo inserito ed incollato dei tasselli di legno. I bambini li hanno rifiniti con la carta vetrata.

Senza trapano e tasselli, si possono anche più semplicemente piantare sul retro dieci chiodi con la testa grossa, lasciandoli sporgere sul davanti (per la punta) per almeno un centimetro.

Al legno può naturalmente essere sostituito del cartone spesso, più semplice da ritagliare)

I tasselli (o i chiodi) vengono quindi numerati da 0 a 9. Come verrà spiegato meglio di seguito, nel cerchio vengono prese in considerazione solo le unità, mentre le decine bisogna ricordarle. Se ad esempio dobbiamo segnare il numero 16 useremo il chiodino 6, per il 63 il chiodino 3, ecc…

Ruota o mandala delle tabelline Montessori 

Tabellina del 2
Il filo di lana sullo 0, sul 2, sul 4, sul 6, sull’8, sullo 0 (10), poi ancora sul 2 (12), sul 4 (14), sul 6 (16), sull’8 (18) e ancora sullo 0 (20)

Così, mentre il bambino ripete oralmente la tabellina, sulla ruota si crea questo:

Ruota o mandala delle tabelline Montessori 

Tabellina del 3

Il filo di lana sullo 0, sul 3, sul 6, sul 9, sul 2 (12), sul 5 (15), sull’8 (18), sull’1 (21), sul 4 (24), sul 7 (27) e di nuovo sullo 0 (30)

Così, mentre il bambino ripete oralmente la tabellina, sulla ruota si crea questo:

Ruota o mandala delle tabelline Montessori 

Tabellina del 4

Filo di lana sullo 0, sul 4, sull’8, sul 2 (12), sul 6 (16), ancora sullo 0 (20), poi ancora sul 4, sull’8, sul 2, sul 6 e infine di nuovo sullo 0 (40)

Questa (come naturalmente quella del 6) è la tabellina preferita dai bambini, perchè durante l’esecuzione il disegno risulta molto scomposto, ma al termine dell’esercizio,  ripetendo oralmente la tabellina si ottiene questa forma:

Ruota o mandala delle tabelline Montessori 

tabellina del 5
Filo di lana una volta sullo 0 e una volta sul 5, fino ad arrivare al 50.

La tabellina del 5 mostra come il 5 è la metà del cerchio, cioè del 10.

Ruota o mandala delle tabelline Montessori
Tabellina del 6

Anche con la tabellina del 6 si ottiene la stella a 5 punte, come con quella del 4 (infatti 6+4=10), con andamento inverso del filo di lana:

Ruota o mandala delle tabelline Montessori


Tabellina del 7

Allo stesso modo, ripetendo la tabellina del 7 sulla ruota, si ottiene la stella a 10 punte,  come per la tabellina del 3 (infatti 7+3=10)

Ruota o mandala delle tabelline Montessori 

Tabellina dell’8

E ripetendo quella dell’8, si torna al pentagono, come per la tabellina del 2 (8+2=10)

Ruota o mandala delle tabelline Montessori
Tabellina del 9

ripetendo la tabellina del 9, si vede bene  come questa tabellina , da alcuni considerata “difficile”, si memorizza facilmente procedendo di numero in numero aggiungendo una decina e togliendo una unità:

Ruota o mandala delle tabelline Montessori 

Tabellina del 10

La tabellina del 10 è il cerchio:

Con lo stesso principio si possono preparare dei cubi per sedersi in cerchio,  numerati sempre da 0 a 9:

Ruota o mandala delle tabelline Montessori 

Montessori wheel or mandala of multiplication tables  – The child may have already noted, in nature, numerical orders in certain systems, for example in plants the specific arrangement of petals and sepals, or anthers: it’s easy for them to find out the regularity of a pattern even in the multiplication tables.

the 5-pointed star in the arrangement of apple seeds

Building the wheel of multiplication tables is very simple and cheap. We have cut some disks of plywood of diameter about 25cm. Then we practiced with drill ten holes along the edge, at regular distances, and we have inserted and glued dowels of wood. The children have finished with the sandpaper.

Without drill and dowels, you can also simply plant on the back ten nails with a big head, letting them stick out from the front (for the tip) for at least one centimeter.

Wood can be replaced with thick cardboard, easier to trim.

The dowels (or nails) are then numbered from 0 to 9. As will be explained below, in the circle are taken into account only the units, while the tens must remember. For example, if we have to mark the number 16 we will use the nail 6, to 63 the nail 3, etc …

Multiplication table of  2 The wool thread on the 0, on the 2, on the 4, on the 6, on the 8, on the 0 (10), then again on the 2 (12), on the 4 (14), on the 6 (16), on the 8 (18) and on the 0 (20)

So, while the child repeats the multiplication table orally, on the wheel are creating this:

Multiplication table of  3

The wool thread on the 0, on the 3, on the 6, on the 9, on the 2 (12), on the 5 (15), on the 8 (18), on the 1 (21), on the 4 (24), on the 7 (27) and on the 0 (30)

So, while the child repeats the multiplication table orally, on the wheel are creating this:

Multiplication table of  4

The wool thread on the 0, on the 4, on the 8, on the 2 (12), on the 6 (16), on the 0 (20), on the  4, on the  8, on the 2, on the 6 and on the  0 (40)

This (of course as that of 6) is the multiplication table preferred by children, because when running the design is very decomposed, but at the end exercise, orally repeating the multiplication table is obtained this form:

Multiplication table of  5

Wool thread once on the 0 and once on the 5, up to the 50.

The multiplication table of 5, shows how the 5 is half of the circle, that is, 10.

Multiplication table of  6 Even with the multiplication table of 6 is obtained the 5-pointed star, as with that of 4 (that is 6 + 4 = 10), with the inverse of the wool yarn:

Multiplication table of  7 Similarly, by repeating the multiplication table of 7 on the wheel, you get the star at 10 bits, as for the multiplication table of 3 (in fact 7 + 3 = 10)

Multiplication table of  8

And repeating that of 8, we return to the pentagon, as the multiplication table of 2 (8 + 2 = 10):

Multiplication table of  9

repeating the multiplication table of 9, one can see how this multiplication table, by some considered “difficult”, you learn easily progressing in number in number, adding 1 ten, and removing one unit:

Multiplication table of 10

The multiplication table of 10 is the circle:

With the same principle can be prepared cubes to sit in a circle, always numbered from 0 to 9:

Tabelline psicomotorie Montessori

Tabelline psicomotorie Montessori. Per la tabellina del 2 ci mettiamo comodamente seduti su una sedia con le mani appoggiate sulle cosce. Al via solleviamo entrambe le mani.

Con la mano destra andiamo a toccare la coscia sinistra e con la sinistra la coscia destra (dicendo silenziosamente “uno”). Una volta incrociate diciamo a voce alta “Due!”.

Proseguiamo con questo movimento incrociato, contando sottovoce e, ogni volta che la sinistra tocca la coscia destra diciamo a voce alta il numero successivo che qui sarà “Quattro”, fino ad arrivare al 20.

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Tabelline psicomotorie Montessori

Per la tabellina del 3 facciamo lo stesso movimento, contiamo sottovoce ma al 3 battiamo le mani e diciamo il numero a voce alta, fino a che si arriva a 30.

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Tabelline psicomotorie Montessori

Per la tabellina del 4 cominciamo come per la tabellina del 2, ma dopo aver toccato la coscia destra, andiamo a toccare con la mano destra il gomito sinistro, e con la mano sinistra il gomito destro; a questo punto diciamo a voce alta “Quattro” e ripetiamo questi movimenti fino a 40.

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Tabelline psicomotorie Montessori

Per la tabellina del 5 procediamo come per la tabellina del quattro e, dopo aver toccato il gomito sinistro, stringiamo con i due pollici le narici del naso e diciamo a voce alta “Cinque”. Proseguiamo allo stesso modo fino a 50.

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Tabelline psicomotorie Montessori

Per la tabellina del 6 ripetiamo lo stesso procedimento fino a 4, andiamo dal gomito destro, con la destra, al lobo dell’orecchio sinistro e con la sinistra al lobo destro, quindi diciamo “Sei”. Proseguiamo fino a 60.

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Tabelline psicomotorie Montessori

Per la tabellina del 7, come quella del 6, ma dopo aver toccato il lobo dell’orecchio destro, tocchiamo con tutte e due le mani la nuca e diciamo “Sette”. Si continua allo stesso modo fino a 70.

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Tabelline psicomotorie Montessori

Per la tabellina dell’8, ripetiamo gli stessi movimenti fino al 6, andiamo quindi dal lobo dell’orecchio destro con la mano destra a toccare la palpebra sinistra e con la mano sinistra la palpebra destra, e una volta arrivati diciamo “Otto”. Ripetiamo gli stessi movimenti fino a 80.

Per la tabellina del 9 Vera Birkenbihl nel suo libro “Imparare malgrado la scuola” ha fornito una possibilità grandiosa e razionale: il risultato lo si può ottenere con le dita.

E questo è ancora più impressionante perchè normalmente ai bambini viene impedito molto presto di contare con le dita.

Mettiamo le mani sulle cosce o sul piano di un tavolo e apriamo le 10 dita.

Ora pieghiamo il mignolo sinistro (9×1) e contiamo da sinistra a destra le dita rimaste distese. Il messaggio più efficace per il cervello sarebbe se, contando, premessimo ogni dito contro la coscia. Maria Montessori ci ricorda l’importanza della memoria muscolare.

Ora distendiamo nuovamente tutte le dita, pieghiamo l’anulare sinistro (9×2) e contiamo allo stesso modo di prima fino al dito piegato: sono 8. Il dito dietro al dito piegato vale 10, quindi siamo a 18.

Distendiamo un’altra volta le dieci dita, ora viene piegato il medio della mano sinistra (9×3) e contando da destra a sinistra fino al dito piegato, arriviamo a 7.

Le due dita dietro il dito piegato sono 20, quindi 27. E procediamo così per tutta la sequenza, di seguito altri esempi:

Tabelline psicomotorie Montessori

In tutte queste attività i bambini trovano il proprio ritmo di movimento e, grazie alle ripetizioni, acquistano sicurezza nelle tabelline, non attraverso un arido apprendimento mnemonico che impegna la parte sinistra del cervello, bensì facendo esperienze ritmiche divertenti che diventano autentico lavoro di memoria, attraverso la rielaborazione in tutti e due i lobi del cervello.

Cartelli dei numeri Montessori

Cartelli dei numeri Montessori. Per  i vari utilizzi dei cartelli dei numeri, consulta il materiale presente sito.

Questi cartelli esistono in vari formati:

– i primi cartelli grandi dei numeri da 1 a 10

cartelli grandi, colorati, da 0 a 9000. Seguendo le indicazioni Montessori avremo le unità verdi, le decine blu, le centinaia rosse e le migliaia di nuovo verdi.

cartelli grandi, neri, da 0 a 9000

cartelli piccoli, neri e colorati, da 0 a 9000

Primi cartelli dei numeri da 1 a 10

Cartelli grandi, colorati, da 0 a 9000

Cartelli grandi, neri, da 0 a 9000

 Cartelli piccoli, colorati, da 0  a 9000

Cartelli piccoli, neri, da 0 a 9000

Costruire gli alfabeti smerigliati Montessori per lo stampato minuscolo – Tutorial

Costruire gli alfabeti tattili Montessori (o lettere smerigliate) è davvero semplice. I colori raccomandati sono l’azzurro per le consonanti ed il rosa per le vocali.

Si tratta semplicemente di stampare i caratteri, riportarli sulla carta vetrata, ritagliarli ed incollarli alle schede. Le schede devono essere abbastanza grandi, per rendere agevole la tracciatura del tratto con indice e medio insieme (circa 16x13cm).

Possono essere aggiunte delle freccette per indicare il punto di partenza del percorso da tracciare.

 Costruire gli alfabeti smerigliati Montessori per lo stampato minuscolo – Tutorial

Qui trovi le lettere cartamodello che ho preparato ed usato io per costruire l’alfabeto smerigliato:

Stampate, riportate sulla carta vetrata, ritagliate e incollate ai cartoncini: solitamente si incollano le vocali su cartoncino rosa e le consonanti su cartoncino azzurro.


A queste schede ho aggiunto le frecce che indicano la direzione di partenza del movimento di scrittura:

per ulteriori istruzioni sulla costruzione degli alfabeti con le lettere smerigliate vai qui: 

Costruire l’alfabeto smerigliato Montessori per il corsivo – tutorial

Costruire l’alfabeto smerigliato Montessori per il corsivo – tutorial.  

Per prima cosa ho  preparato le strisce di carta bianca leggera, (normali fogli A4 da stampante o anche carta da quaderno) piegandola in tre per marcare due righe. Così possiamo essere sicuri che le lettere siano proporzionate tra loro e che si possano congiungere,  come avviene con la scrittura.

Poi con pennello e tempera rossa ho disegnato le lettere. Ho usato il rosso perchè poi queste sagome non si buttano, ma possono diventare un super economico alfabeto mobile…

Ritagliate le lettere, le ho posizionate a rovescio sul rovescio della carta vetrata, e ho tracciato i contorni.

Quindi ho ritagliato le lettere dalla carta vetrata e le ho  incollate su cartoncino rosa per le vocali e azzurro per le consonanti.

Con la matita bianca ho aggiunto le indicazioni del percorso, e per aiutare i bambini a riconoscere le lettere “che salgono” e le lettere che “scendono”, ho anche tracciato a matita la linea di base.

Se preferite usare modelli di lettera stampati invece di scrivere a mano, qui trovate un primo modello, in stampato minuscolo:

e qui l’alfabeto corsivo minuscolo che potete utilizzare sia per l’alfabeto tattile, sia per quello mobile:

Coi modelli di carta avanzati dalla costruzione dell’alfabeto tattile, si può costruire un semplice alfabeto mobile:

Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween

Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween. Una raccolta di 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: mollette pipistrello, decorazioni paurose, ragni e ragnatele, scheletri e fantasmi, giochi da stampare e giochi di gruppo per animare la festa, idee per merende a tema, streghe, cappelli, scope, gufi, tramezzini e dolci da paura, pozioni, zucche, lanterne e molto altro ancora…

1. Halloween: mollette pipistrello in plastica, in vendita qui:  artlebedev.com ma semplici da realizzare con mollette di legno e cartoncino

2. Halloween: festoni in cartoncino nero, non c’è tutorial ma sono di semplice realizzazione; di fortytworoads.blogspot


3.  Halloween: gatto di strega, anche questo senza tutorial ma bellissimo; di etsy.com

4.  Halloween: tutorial per realizzare la ragnatela incrociando 3 stecchi da gelato e filo bianco di lana. I ragnetti si fanno semplicemente con 4 scovolini da pipa; di crafts.preschoolrock.com

5.  Halloween: biscotti della sfortuna, in cartoncino nero, senza tutorial; di www.etsy.com


6.  Halloween: skeletoff skeleton, decorazione, senza tutorial; via http://birdstehword.tumblr.com/

7.  Halloween: fantasmi da appendere, tutorial. Sono realizzati rivestendo un palloncino con garza inamidata (anche acqua e zucchero va benissimo, come facevano le nonne coi centrini all’uncinetto); di http://www.countryliving.com/

8.  Halloween:  mummia snodabile, tutorial. Si realizza modellando del fil di ferro e poi rivestendo con garza o striscette di tessuto bianco tipo lino; di http://cfabbridesigns.com/

9. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: gioco del tiro al bersaglio coi palloncini (nei palloncini possono essere nascosti dei dolcetti o piccoli regalini a tema); di http://www.marthastewart.com/

10.  Halloween: bottigliette di succo di frutta travestite da mummia, tutorial; di http://onecharmingparty.com/

11. Halloween:  gufo realizzato con due piattini di carta, tutorial; di http://craftsbyamanda.com/

12.  Halloween:    contenitore per i dolcetti da dare ai bambini che suonano il campanello, realizzato a forma di ragno utilizzando due piatti di carta e del cartoncino per le zampe, non c’è tutorial; di http://uniquecraft.info/

13.  Halloween:  tramezzini mostruosi; via http://liveontape-tv.blogspot.com/

14.  Halloween:  pizzette-mummia; di http://www.parents.com/

15.  Halloween:  cioccolata calda mostruosa, gli occhi sono fatti con due marshmallows e due caramelline scure; di http://www.tasteofhome.com/

16.  Halloween:   dolcetti-teschio glassati su bastoncino da leccalecca. La ricetta consiglia di ritagliare le forme da una torta al cioccolato, e poi decorare con glassa bianca e cioccolato, di http://www.redtedart.com/

17.  Halloween:  salatini-ragno di http://meetthedubiens.blogspot.com/

18.  Halloween:  ragni decorativi realizzati con tappi di plastica e scovolini da pipa, tutorial di http://kidsactivitiesblog.com/

19.  Halloween:   lanterne realizzate incollando  alle pareti di un vasetto di vetro carta velina arancione e decorando con carta nera, tutorial di http://www.skiptomylou.org/

20. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween:  percorso a ostacoli da superare senza toccare i nastri  di http://chickenbabies.blogspot.com/

21.   Halloween:  bowling con rotoli di carta igienica e una zucca  di http://www.jeanetics.net/

22.  Halloween:   Festoni con fantasmini, è possibile scaricare gratuitamente il modello per il taglio della carta  di http://www.skiptomylou.org/2008/

23.  Halloween:  cappello da strega dolce, realizzato con cono da gelato, biscotti tondi e caramelline, ricetta  di http://www.bhg.com/recipe/

24.  Halloween:  Pipistrello realizzato coi cartoni delle uova, tutorial  di http://thinkcrafts.com/blog/

25.  Halloween:  tutte le maestre credo conoscano il gioco della coda dell’asino: qui una versione “gatto da strega”. I bambini bendati devono cercare di mettere la coda al gatto a turno… istruzioni  di http://www.bhg.com/halloween/

26. Halloween:   pipistrello realizzato con le impronte delle mani, su sagoma ritagliata  di http://www.walkingbytheway.com/

27.  Halloween:  cappello di strega realizzato con un piatto di carta e un cono di cartoncino, tutorial  di http://www.allfreeholidaycrafts.com/

28.  Halloween:  questo è un gioco che mi piace molto, e che può essere anche un gioco scientifico nella parte che riguarda lo studio della costruzione della ragnatela. Per la festina di Halloween, l’aspetto ludico consiste nel costruire una ragnatela con del nastro adesivo, in modo che la parte appiccicosa si trovi tutta da un lato. I bambini lanciano batuffoli di cotone che resteranno impigliati nella rete, di http://almostunschoolers.blogspot.com/

29.  Halloween:  un memory dei colori realizzato con sagome di ragnetti. Il video di un memory dei colori è un po’ eccessivo, ma lo inserisco per segnalare il canale childcareland, ricco di idee soprattutto per la scuola d’infanzia… http://www.youtube.com/

30. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween:  collage positivo-negativo. Non c’è tutorial, di http://www.teachingblogaddict.com/

31.  Halloween:   biscottini mummia, ricetta di http://www.bettycrocker.com/

32.  Halloween:  Le tredici notti di Halloween. Si tratta di 13 schede scaricabili gratuitamente per contare alla rovescia l’arrivo della festa, a cominciare dalla notte del 19 ottobre, di http://www.oopseydaisyblog.com/

33.  Halloween:  ragno decorativo realizzato con colla a caldo e fil di ferro, tutorial di http://www.thesweetestoccasion.com/

34.  Halloween:  quadretto, senza tutorial, proposto come biglietto d’invito di http://papillon-sur-la-branche.blogspot.com/

35.  Halloween:   zucca decorativa realizzata con nastri colorati, senza tutorial, di http://www.etsy.com/listing/

36.  Halloween:  dentiera realizzata con fettine di mela rossa e marshmallows, ricetta via http://family.go.com/

37.  Halloween:   ragnatela. decorazione per finestra realizzata con filo di lana nero, tutorial di http://diyandfyi.wordpress.com/

38.  Halloween:  borsette porta dolcetto, idea di http://www.purlbee.com/

39.  Halloween:  scheletri di pasta per biglietti d’invito, festoni e quadretti decorativi, di http://jerseyshorejournal.blogspot.com/

40. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween:  casetta di strega, idea di http://www.flickr.com/photos/craftfancy/

41. Lavoretti per Halloween: budini al cioccolato con pietra tombale, ricetta di http://www.myrecipes.com/

42.  Lavoretti per  Halloween:altro fantasmino realizzato con garza inamidata, tutorial di http://www.everydayisacraftingday.com/

43.  Lavoretti per  Halloween: torta a forma di zucca, idea e ricetta di http://amerrierworld.com/

44. Lavoretti per  Halloween: biglietti di invito alla festa, modello stampabile gratuitamente di http://www.marthastewart.com/

45.  Halloween: un gioco per tirare al bersaglio, idea e modello stampabile gratuitamente di http://www.bhg.com/halloween/

46. Lavoretti per Halloween: altro tiro al bersaglio, col cappello da strega, tutorial di http://www.chicaandjo.com/

47. Lavoretti per  Halloween: decorazione per le gambe del tavolo, idea di http://bubblegumandducttape.blogspot.com

48.  Lavoretti per Halloween: finalmente del cibo sano… scheletro realizzato con verdure fresche, idea di http://feedingfourlittlemonkeys.blogspot.com/

49. Lavoretti per  Halloween: gioco mostruoso per esercitarsi con l’addizione. Ogni bambino pesca tre bulbi oculari (palline da ping pong decorate come nell’immagine) e somma i tre numeri sorteggiati, tutorial di http://www.classroomfreebies.com/

50.Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloweensemplici vetrofanie realizzate con colla vinilica, coloranti e materiali vari, tutorial di http://letkidscreate.blogspot.com/

51. Lavoretti per  Halloween: ragnatele commestibili, ricetta di http://www.momendeavors.com/

52.  Lavoretti per Halloween: zucche travestite da pipistrello, tutorial di http://familyfun.go.com/

53.  Lavoretti per Halloween: a questo gufo trovate voi uno scopo, io l’ho trovato irresistibile… via http://noms.icanhascheezburger.com/ (blog simpatico)

54.  Lavoretti per Halloween: etichette per bibite stampabili gratuitamente, di http://www.marthastewart.com/270731/

55.  Lavoretti per Halloween: succhi di frutta travestiti da mummia, di http://www.parents.com/holiday/

56. Lavoretti per  Halloween: tramezzini strega, idea e ricetta di http://www.ziggityzoom.com/

57. Lavoretti per  Halloween: fragole fantasma: fragole fresche, cioccolato bianco e nero, ricetta di http://www.tasteofhome.com/

58. Lavoretti per  Halloween: bento di Halloween, idea di http://www.anotherlunch.com/

59. Lavoretti per  Halloween: altri fantasmi da appendere, per realizzare questi oltre alla garza e ai palloncini, occorrono quelle cannucce braccialetto che diventano fosforescenti quando piegate (si trovano di solito nei bazar cinesi) di http://simplycreativeinsanity.blogspot.com/

60. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: mele mostruose travestite con caramelle gommose e altro, idea di http://www.parents.com/holiday/halloween/

61.  Halloween: tutorial molto dettagliati per ritagliare ragnatele decorative, di http://afancifultwist.typepad.com/

62.  Halloween:  venti etichette, festoni e altre decorazioni a tema stampabili gratuitamente, di http://www.tipjunkie.com/

63.  Halloween: una collezione di illustrazioni vintage a tema, di http://www.flickr.com/

64.  Halloween: altro set di etichette stampabili gratuitamente, di http://suaviloquy.blogspot.com/

65.  Halloween: ragnatela realizzata con piatto di carta e filo di lana, di http://www.mypreschool-crafts.com/ (insieme a molte altre idee per i più piccoli)

66.  Halloween: fantasmi decorativi da appendere, realizzati con carta bianca stropicciata su palloncino e colla vinilica, tutorial di http://www.marthastewart.com/

67.  Halloween: ragnatele da ritagliare, con modello pdf gratuito per il taglio, di http://www.marthastewart.com/

68.  Halloween: altre etichette e materiali stampabili vari, gratuiti, di http://blog.catchmyparty.com/  (molte altre proposte gratuite nel blog)

69.  Halloween: sagome mostruose, stampa dei modelli gratuita, di http://www.marthastewart.com/

70.  Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: e queste, paurosissime, sempre per la stampa gratuita di http://www.marthastewart.com/

71.  Halloween:qui un bel gioco per contare. Nell’immagine ci sono le corone da re, ma seguendo il link di  seguito arriverete alla tabella con le zucche di Halloween, stampabile gratuitamente. Il dado dovrete invece prepararlo voi, utilizzando una seconda copia della tabella per ritagliare le zucche… di http://mama-jenn.blogspot.com/

72.  salatini a forma d’osso realizzati con pasta sfoglia surgelata, ricetta di http://familyfun.go.com/

73. puzzle realizzato su stecchi di gelato, via http://www.thefrugalfamily.org/

74.  un dettagliatissimo tutorial illustrato per realizzare un mobile di Halloween, di http://eighteen25.blogspot.com/

75.  biscotti fantasma realizzati con cioccolata bianca, idea di  http://www.wanelo.com/

76.  tutorial per realizzare lanterne paurose: fondo di gelatina colorata col t+, candela e decorazione con ragnetti di plastica o realizzati a mano di http://www.marthastewart.com/

77.  lanterne molto carine, realizzate con piccole zucche e scovolini neri da pipa, via http://yourdecoratinghotline.com/

78.  biscottini gufo al cioccolato, ricetta di http://onecharmingparty.com/, via http://kimmccrary.blogspot.com

79.   contenitori per stuzzicchini realizzati travestendo da mummia contenitori vari e bottiglie di plastica tagliate, via http://www.parents.com/

80.   Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: ghirlanda realizzata con lana filata grigia e sagome di pannolenci, senza tutorial, in vendita qui http://www.etsy.com/listing/

81.   altra versione, via http://adventuresofamomof2.blogspot.com/

82.   Una galleria di pitture a tema realizzate con l’impronta delle dita, di http://www.squidoo.com/

83.   semplice costume da pipistrello, con tutorial e cartamodello gratuito di http://alphamom.com/

84.   dalla stessa fonte, un costume da gufo, sempre con tutorial e cartamodello gratuito qui http://alphamom.com/

85.    decorazione realizzata inamidando (o usando acqua e colla vinilica) del filo grosso nero su un palloncino, tutorial di http://www.bhg.com/halloween/

86.  Halloween: budini Frankenstein, realizzati decorando prima i bicchieri trasparenti con la cioccolata, e poi versando il budino (in questa ricetta budino alla vaniglia colorato con colorante alimentare verde) di http://princessandthefrogblog.blogspot.com/

87.  Halloween: ma che belli questi mandarini! Ancora di http://princessandthefrogblog.blogspot.com

88.  Halloween: scheletro componibile, può essere realizzato con calamite, nastro biadesivo oppure velcro, modello stampabile gratuitamente, di http://www.bhg.com/halloween/

89.  Halloween: dalla stessa fonte, gli occhi di gatto qui http://www.bhg.com/halloween/

90. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: ragno lecca lecca, idea di http://www.houseofbabypiranha.com/

91.  Halloween: e dalla stessa fonte un tutorial per realizzare un cappello da ragno, qui: http://www.houseofbabypiranha.com/

92.  Halloween: scopette porta dolci realizzate tagliuzzando i sacchetti del pane, di http://www.marthastewart.com/

93.  Halloween: ragno decorativo realizzato con un palloncino nero e dei nastri, via http://www.flickr.com/photos/

94.  Halloween: wc pauroso? Via http://vinilosdecorativos.net/

95.  Halloween: tutorial corredato da modello stampabile gratuitamente, per realizzare scatolette a forma di gufo, di http://www.domestifluff.com/

96.  Halloween: maglietta teschio, via http://www.bedifferentactnormal.com/

97.  Halloween: graziosi spettri da giardino realizzati con rete metallica argentata, via http://www.chroniclingkunder.com/

98.  Halloween: altra ricca collezione di etichette stampabili gratuitamente di http://www.lilluna.com/

99. Halloween:  paurosissima manina di ghiaccio (ghiacciate dell’acqua all’interno di un guanto…) di http://simplystated.realsimple.com/

100.  Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: può essere usata come ciotola o come portaghiaccio, di http://www.marthastewart.com/

101. spiedini mostruosi di frutta e marshmallows, di http://littlenummies.net/

102. scatole mostruose (anche per un tiro al bersaglio) di http://gigglesgalorenmore.blogspot.com/

103. decorazione da strega, via http://curioussofa.blogspot.com/

104. ancora una decorazione da strega, di http://www.parents.com/

105. sagome decorative, modelli stampabili gratuitamente di http://www.nobiggie.net/

106. sacchetto di carta gufo, tutorial di http://www.dltk-kids.com/

107. ancora streghe a gambe all’aria di http://www.bhg.com/halloween/

108. gufo, idea per un collage, in vendita qui http://www.etsy.com/listing/

109. zucche palloncino, di http://www.marthastewart.com/

110. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween: ghirlanda in carta o strisce di tessuto, semplice da proporre anche ai bimbi più piccoli di http://agapelovedesigns.blogspot.com/

111. sacchetti mostruosi, tutorial di http://craftsbyamanda.com/2009/

112. scopa di strega commestibile realizzata con un salatino e una gelatina alla frutta ritagliata, ricetta di http://familyfun.go.com/

113. semplicissima mano di scheletro realizzata riempendo di pop corn un guanto trasparente, di http://makingmemorieswithyourkids.blogspot.com/

114. vaso di terracotta zucca, idea di http://blogs.babble.com/

115. tombola di Halloween, stampa gratuita, di http://familycrafts.about.com/

116. macedonia di frutta , ricetta di http://familyfun.go.com/

117. pasticcino gufo alla frutta, ricetta di http://www.bhg.com/halloween/

118. semplice decorazione a scopa di  strega, idea di http://www.craftaholicsanonymous.net/

119. un’idea bellissima: decorazione per il soffitto “pipistrello” realizzata ritagliando la sagoma delle mani dei bambini, di http://readingconfetti.blogspot.com/

120. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween pdf gratuito di un grande scheletro (utile anche per lo studio del corpo umano) qui: http://www.spelloutloud.com/ 

121. pittura realizzata con l’impronta dei piedi, di http://funhandprintart.blogspot.com/

122. bellissimo tutorial, con modello pdf da scaricare gratuitamente, per realizzare una casetta di strega in cartoncino, di http://www.sarahjanestudios.com/

123. alberello di halloween: i mostriciattoli porta dolci sono realizzati coi rotoli di carta igienica, tutorial di http://eighteen25.blogspot.it/

124. una raccolta di 40 idee didattiche, creative e di gioco con le zucche, di http://www.handsonaswegrow.com/

125. ciotole porta caramelle con carta di giornale, carta colorata e colla, di http://thelongthread.com/

126. tutorial per ritagliare il ragno nella ragnatela, di http://greenbabyguide.com/2009/10/13/

127. zucche da dito, di http://mycreativefamily.blogspot.com/2011/10/five-little-pumpkins.html


128. rafia, spiedini di bamboo e una castagna, idea di http://www.theimaginationtree.com/


129. gioco che consiste nel comporre la faccia della zucca, può essere fatto anche coi bambini bendati, di http://littlefamilyfun.blogspot.com/2011/10/pin-face-on-pumpkin.html

130. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween per nulla paurosa la casetta di fata ricavata da una zucca, idea di http://www.flickr.com/photos/tinyfroglet/2990741426/

131. varie stampe mostruose a doppio, con le macchie di inchiostro, tutorial di http://unschoolme.blogspot.com/2011/10/inkblot-halloween.html

132. omini di panpepato vampiro, idea http://www.flickr.com/photos/glasseye/5161297476/


133. tutorial per realizzare un fantasmino pop up, di http://littlefamilyfun.blogspot.com/2011/10/pop-out-ghost-halloween-card.html

134. tutorial per realizzare queste marionette utilizzando un palloncino, carta e colla vinilica, una bacchetta e dei ritagli di stoffa, di http://mermag.blogspot.com/2011/10/getting-frightfully-festive-this.html

135. sempre per mani abilissime, mostriciattoli da dito in feltro, in vendita da http://www.etsy.com/shop/babus


136. mostro a uncinetto, per mani abilissime, o in vendita qui http://www.etsy.com/listing/56772330/murray-reserved-for-naomi

137. tutorial per realizzare questo bel mostro marionetta di cartoncino, di http://nurturestore.co.uk/scary-monster-craft-halloween

138. altre lanterne mostruose realizzate con vasetti di vetro, carta velina e colla vinilica, con applicazioni di cartoncino nero, di http://www.gleefulthings.com/blog/?p=3031

139. nove progetti di mostri realizzati con rotoli di carta igienica, carta colorata e colla vinilica, di http://craftsandartforchildren.blogspot.com/2011/10/9-toilet-paper-tube-halloween

140. Halloween 120 e più idee creative e lavoretti per Halloween ragnetti colorati realizzati con cartoni delle uova e scovolini da pipa, di http://krokotak.com/2011/10/payatcheta-ot-kori-za-ytsa/

141. zucche di pasta colorata e fagiolini, una bella attività per i più piccoli, di http://momto2poshlildivas.blogspot.com/2011/10/

142. gioco del tris mostruoso realizzato con pompom e stecchi da gelato, di http://www.busybeekidscrafts.com/Halloween-TicTacToe.html

143. lanterna – mummia realizzata con un vasetto di vetro, garza e occhietti, di http://starshinechic.blogspot.com/2010/10/fast-cheap-easy-halloween-decor.html

144. preziose lanterne con ragnatela, ma non sembrano difficili da realizzare coi bambini, di http://www.atwestend.com/Catalogue/fall-halloween/glass-wire-spider-web-votive-cup

145. gufo mobile, modello stampabile gratuitamente, di http://madebyjoel.com/2010/09/paper-owl-mobile.html

Natale 60 e più modelli di stelle natalizie

Natale: 60 e più modelli di stelle natalizie. Una raccolta di tutorial e immagini da cui trarre ispirazione per realizzare stelle natalizie di carta, materiale riciclato, legno, cartone, perline, pasta e molto altro. Stelle per addobbare l’albero, per decorare le finestre, da regalare, da realizzare coi bambini…

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1. stelle natalizie di carta decorata di http://jennibowlinstudioinspiration.blogspot.com

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2. tutorial per realizzare questa bellissima stella di carta, di http://asubtlerevelry.com

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3. stelle natalizie di spezie, tutorial di http://www.wholeliving.com/

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4. tutorial per realizzare questa stella con pagine di vecchi libri piegate e tessute di http://houserevivals.blogspot.com/

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5. tutorial per realizzare questa stella con pagine di vecchi libri piegate e tessute di http://houserevivals.blogspot.com/

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6. tutorial per realizzare questa stella con pagine di vecchi libri piegate e tessute di http://houserevivals.blogspot.com/

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7. video tutorial della stella tridimensionale di carta a 8 punte, di http://gratefulprayerthankfulheart.blogspot.com/

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8. stelle natalizie di perline, tutorial di http://www.thecraftjunkieblog.com/

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9. stelle natalizie di legnetti, tutorial di http://www.littlethingsbringsmiles.com/

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10. tutorial per realizzare questa stella con strisce di carta arricciata, di http://www.simplymodernmom.com/

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11. altro modello di stella con carta arricciata, tutorial di http://www.simplymodernmom.com/

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12. stelle natalizie di cartoncino tridimensionali,  semplicissime anche per i bambini, tutorial di http://strawberry-chic.blogspot.com/

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13. stelle natalizie tridimensionali a 5 punte realizzate riciclando le scatole dei cereali, tutorial di http://greylustergirl.blogspot.com/

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14. istruzioni di base per realizzare stelle ritagliate, di http://howaboutorange.blogspot.com/

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15. tutorial molto dettagliato per realizzare questa stella con strisce di cartoncino di http://www.homemade-gifts-made-easy.com/

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16. tutorial molto dettagliato per realizzare questa stella di carta velina a 8 punte di http://www.homemade-gifts-made-easy.com/

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17. tutorial molto dettagliato, con modello stampabile gratuitamente, per realizzare questa stella tridimensionale a 5 punte che può essere utilizzata anche come lanterna, di http://www.homemade-gifts-made-easy.com/

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18. stella con strisce di cartoncino, molto semplice, tutorial di http://hinzpired.wordpress.com/

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19. stella di carta velina a 16 punte, tutorial di http://de.etsy.com/blog/

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20. stella di spezie e bacche, tutorial di http://rosinahuber.blogspot.com/

21

21. stella da realizzare in cartoncino o legno, di http://ballardbunch.blogspot.com/

22

22. tre modelli diversi, con tutorial, per realizzare stelle con stecchini di legno o strisce di cartone, di http://www.craftynest.com/

23

23. stellina di lana da fissare con lacca per capelli o colla spray, tutorial di http://www.craftideas.info/

24

24. stelle natalizie ritagliate e piegate, tutorial e modelli gratuiti per la stampa di http://www.craftideas.info/

25

25. stelle natalizie a otto punte ritagliate e piegate, tutorial e modelli gratuiti per la stampa di http://www.craftideas.info/

26

26. stelle di pasta, tutorial di http://www.katyelliott.com/

27

27. stella di bacchette di zucchero, tutorial  di http://www.beverlys.com/

28

28. stelle natalizie di corda e colla vinilica, tutorial di http://www.marthastewart.com/

29

29. stelle natalizie coi fondi di bottiglie di plastica, via http://www.i-do-it-yourself.com/ (non c’è tutorial, ma le idee proposte sono molto belle e sembrano semplici da realizzare)

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30. stelle natalizie di nastro, tutorial di http://www.marthastewart.com/

31

31. un tutorial per realizzare elementi tipo “ghiacciolo” utilizzando le bottiglie di plastica… potrebbero essere utilizzati per realizzare una stella, di http://www.cutoutandkeep.net/

32

32. tutorial per realizzare queste stelle ritagliate di http://bontempsbeignet.blogspot.com/

33

33. tutorial molto dettagliato per realizzare questa stella tridimensionale con strisce di carta di http://www.craftideas.info/

34

34. mobile di stelle, senza tutorial, di http://www.etsy.com/

35

35. tutorial per realizzare tutte queste stelle di carta, di http://kerliandanimals.blogspot.com/

36

36. tutorial per realizzare questa stella con rotolini e strisce di carta di http://www-en-rhed-ando.blogspot.com/

37

37. tutorial per realizzare questa stella di carta che è anche una pallina per l’albero di Natale, di http://howaboutorange.blogspot.com/

38

38. tutorial per realizzare questa stella con cartone e filo di lana di http://gingerbreadsnowflakes.com/

39

39. modelli stampabili gratuitamente di http://www.minieco.co.uk/

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40. stella di strisce di carta piegata e arricciata, tutorial di http://www.marthastewart.com

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41. moltissimi modelli stampabili gratuitamente per realizzare stelle natalizie ritagliate nella carta di http://www.marcels-kid-crafts.com

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42. tutorial per realizzare vari modelli di stella in panno, con modelli stampabili gratuitamente, di http://www.purlbee.com

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43. videotutorial di http://www.highhopes.com

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44. videotutorial di http://www.highhopes.com

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45. stella di frutta secca, via http://misscutiepiegoes80s.blogspot.com

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46. altra stella origami, tutorial di http://www.instructables.com

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47. stella di legnetti, di http://houseofphilia.blogspot.com

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48. altre stelle natalizie da ritagliare con modello gratuito di http://adamandhaleykjar.blogspot.com

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49. tutorial per realizzare queste semplici stelle di carta colorata di http://ing-things.blogspot.com

50

50. stella di cotton fioc, tutorial di http://brassyapple.blogspot.com/

51

51. tutorial per realizzare questa bellissima stella con carta stagnola, cartone, fili colorati, carta velina e colla vinilica, di http://www.dillydaliart.com

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52. mobile realizzato con stelle di carta bianca ritagliata (non c’è tutorial) di http://www.potterybarnkids.com

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53. tutorial per realizzare questa variante di stella di carta di http://themagiconions.blogspot.com

54. tutorial per realizzare una stella in cartoncino e carta velina di http://www.basteln-gestalten.de

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55. tutorial per realizzare 4 diverse sagome per stelle di carta velina di http://www.basteln-gestalten.de/faltsterne

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56. tutorial per realizzare una stella origami a 6 punte di http://www.basteln-gestalten.de/stern-anhaenger

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57. stelline semplici di carta velina, tutorial di http://www.craftideas.info

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58. stella di carta velina a 6 punte, tutorial di http://www.craftideas.info

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59. stella di carta velina a 8 punte, tutorial di http://www.craftideas.info/

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60. stella di carta velina a 8 punte, tutorial di http://www.craftideas.info

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61. stella di carta velina a 8 punte, tutorial di http://www.craftideas.info

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62. stelline a uncinetto (non c’è tutorial, ma mi sembrano semplici da realizzare) di http://www.etsy.com

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la collezione continua qui:

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60 and more models to make stars. A collection of tutorials and images for inspiration to create stars with paper, recycled materials, wood, cardboard, beads, pasta and more. Stars to decorate the tree, to decorate the windows, to give as gifts, to build with the children …

1

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2

2. tutorial by http://asubtlerevelry.com

3

3. tutorial by http://www.wholeliving.com/

4

4. tutorial here: http://houserevivals.blogspot.com/

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8

8. tutorial http://www.thecraftjunkieblog.com/

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9.tutorial http://www.littlethingsbringsmiles.com/

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10. tutorial here: http://www.simplymodernmom.com/

11

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19. stella di carta velina a 16 punte, tutorial di http://de.etsy.com/blog/

20

20. stella di spezie e bacche, tutorial di http://rosinahuber.blogspot.com/

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21. stella da realizzare in cartoncino o legno, di http://ballardbunch.blogspot.com/

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22. tre modelli diversi, con tutorial, per realizzare stelle con stecchini di legno o strisce di cartone, di http://www.craftynest.com/

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23. stellina di lana da fissare con lacca per capelli o colla spray, tutorial di http://www.craftideas.info/

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24. stelle natalizie ritragliate e piegate, tutorial e modelli gratuiti per la stampa di http://www.craftideas.info/

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60 and more models to make stars 

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Recita per San Martino

Recita per San Martino per bambini della scuola primaria, o per allestire un teatrino per i più piccoli.

Narratore: San Martino era un santo guerriero e viveva nei paesi del Nord dove già da novembre fa un gran freddo. Spesso, tutto avvolto nel proprio mantello per proteggersi dal gelo, egli galoppava sul suo bianco cavallo per le strade della sua terra, andando da un paese all’altro. Egli, in uno dei primi giorni di novembre, stava galoppando a briglia sciolta per una di queste strade di campagna. Era un giorno particolarmente freddo, e…

Martino: Questo gelo intorpidisce le membra e toglie il fiato. Per fortuna ho il mantello che mi copre e mi ripara…

Narratore: il cavallo scalpitava forte. Il respiro, uscendo dalle sue narici, si condensava in nuvole di vapore, e Martino…

Martino: La corsa fa sentir meno il gelo al mio cavallo. Ma che cosa vedo laggiù? Quei due che vengono lentamente sulla strada sembrano ombre avvolte negli stracci.

Narratore: Martino rallentò l’andatura del proprio destriero e quando i due uomini che aveva intravisti nella gelida bruma gli furono vicini, gli si strinse il cuore.

Martino: Poveretti! E’ dunque tanto grande la loro miseria da non avere nemmeno un mantello per ripararsi dal freddo?

Primo mendicante: Fammi la carità, o cavaliere! Ho freddo e ho fame.

Secondo mendicante: Fa’ la carità anche a me, buon cavaliere!

Narratore: Pietosa era la voce di entrambi i mendicanti e Martino pensò che avrebbe potuto lenire la sofferenza di uno di loro, donandogli metà del suo mantello. Si tolse il mantello, impugnò la spada e, con un taglio netto, recise a metà l’indumento.

Martino: Prendi questo, copriti le spalle e continua il tuo cammino. Non avrai più freddo.

Primo mendicante: grazie, cavaliere! Con questo tuo dono potrò raggiungere la città vicina senza il timore di morire assiderato.

Narratore: Il primo mendicante, avvolto nella calda stoffa, continuò felice il suo cammino, ma l’altro mendicante fece udire la sua lamentevole voce.

Secondo mendicante: E a me non dai nulla, cavaliere? Anch’io sono povero come lui! Anch’io ho freddo e fame!

Narratore: A Martino era rimasta soltanto una metà del mantello. Impugnò nuovamente la spada e la divise ancora.

Martino: Prendi, ravvolgiti in questo. Basterà per tutti e due.

Secondo mendicante: Dio ti ricompensi per la tua bontà, cavaliere! Ma ora avrai freddo… un quarto del mantello che avevi non basterà a ripararti dal freddo mentre cavalchi.

Martino: Se ripara te, riparerà anche me. Va’? Raggiungi anche tu la città. Io continuo il mio cammino.

Narratore: Martino spronò il suo destriero e partì al galoppo. Il suo mantello non svolazzava più. Era una pezza di stoffa gettata sulle spalle, ma sulle labbra del santo c’era un sorriso. Era felice di aver fatto del bene. E il cielo lo premiò con una improvvisa dolcezza dell’atmosfera, con una giornata di tiepido sole, sereno… Quel breve periodo che ancora oggi si chiama l’ “estate di San Martino”.

(adattato da D. Volpi e D. Forina)

Recita per San Martino

Dettati ortografici e materiale didattico sul FRIULI VENEZIA GIULIA

Dettati ortografici e materiale didattico sul FRIULI VENEZIA GIULIA, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

Dettati ortografici e materiale didattico sul FRIULI VENEZIA GIULIA
Osserviamo la cartina

Confini: Mare Adriatico, Slovenia, Austria, Veneto
Lagune: di Marano, di Grado
Golfi: di Trieste, Vallone di Muggia
Promontori: Punta Sdobba
Monti: Alpi Orientali (Carniche), Prealpi Venete (Carniche, Giulie).
Cime più alte: Monte Coglians, Monte Montasio, Monte Mangart, Monte Canin (Alpi Carniche); Col Nudo, Cima dei Preti, Monte Pramaggiore (Prealpi Venete)
Valli: del Tagliamento
Valichi: della Mauria, di Monte Croce Carnico, di Tarvisio, del Predil
Fiumi: Livenza col suo affluente Meduna; Tagliamento col suo affluente Fella; Isonzo (italiano solo nell’ultimo tratto) con il suo affluente Torre e il subaffluente Natisone; Stella; Aussa; Timavo.
Isole: di Grado.

Anche questa regione è costituita da due territori: il Friuli, rappresentato dal bacino idrografico del Tagliamento, e la Venezia Giulia.
Gran parte dei territori che costituivano la regione prima del secondo conflitto mondiale sono stati ceduti alla Repubblica iugoslava in seguito alle sfortunate vicende della guerra.
La regione è limitata a nord dalle Alpi Carniche che degradano verso l’alta Valle del Tagliamento. A sud la fertile pianura è limitata dall’Adriatico che ne bagna la costa lagunosa.

Dettati ortografici e materiale didattico sul FRIULI VENEZIA GIULIA
Vita economica

L’agricoltura è l’attività prevalente in tutta la regione; si producono uva e patate sulle colline, ortaggi, barbabietole, cereali, tabacco e frutta, in pianura. Numerose zone forestali, della Carnia, danno ottimo legname, e i pascoli consentono l’allevamento dei bovini. Nelle acque dell’alto Adriatico è esercitata la pesca. Le industrie prevalenti sono rappresentate dai cantieri navali, dalle raffinerie di petrolio, dagli stabilimenti siderurgici e meccanici, dalle industrie chimiche, alimentari e dai cotonifici. Monto attivo è il turismo e il commercio.

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Le province

Le province della regione, che gode di una particolare autonomia, sono quattro: Trieste, Udine, Pordenone e Gorizia.
Trieste, capoluogo della regione, ricca di ricordi cari al cuore degli italiani, è un notevole porto commerciale e industriale dell’Adriatico.
Udine è un buon centro industriale, agricolo e commerciale e un nodo stradale e ferroviario di grande transito.
Gorizia, adagiata nel luogo in cui la Valle dell’Isonzo sbocca nella pianura, è chiamata per il suo clima mite, la “Nizza veneta”.

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Per il lavoro di ricerca

Come si presenta il territorio del Friuli Venezia Giulia? Quali gruppi montuosi vi si elevano?
Dove si verificano i fenomeni carsici e che cosa sono?
Quali fiumi scorrono nel Friuli Venezia Giulia?
Il Tagliamento segna per un tratto il confine con una regione: quale?
Quali sono le maggiori risorse del Friuli Venezia Giulia?
Quali industrie sono sviluppate a Trieste? E a Monfalcone?
Che cos’è la bora?
Che cosa sono i magredi?
Perchè soltanto la bassa pianura è fertile?
Perchè la Venezia Giulia è più ricca e industrializzata del Friuli?
Quali sono le province e le località importanti della provincia? Perchè sono note?
Ricerca notizie sulle tradizioni, gli usi e i costumi del Friuli Venezia Giulia.
Che cosa ti ricorda Redipuglia?
E Aquileia?

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Il Friuli

Ippolito Nievo definì il Friuli “un piccolo compendio dell’universo”, cioè un armonico riassunto, un felice mosaico, un gradevole cocktail di tutto ciò che di bello esiste su questa terra. Dalle altre montagne della catena Carnica, con la vetta massima del monte Coglians, a quasi 2800 metri, alle colline che degradano in dolci declivi, dalle campagne verdi e fertili alle vastissime spiagge adriatiche, dai laghetti del Predil e di Fusine al bacino morenico di San Daniele, dalle aree sassose e aspre, ai boschi fitti e intricati. Nel Friuli c’è di tutto, come se, e una leggenda antica lo dice, infatti, il creatore, al termine della propria fatica, si fosse accorto che era rimasto qualcosa ancora da utilizzare, dell’enorme materia prima predisposta per forgiare il mondo, e, a capriccio, avesse sparso tale residuo a piene mani in quest’angolo gettato tra le Alpi e l’Adriatico, per fare di esso un campionario di tutte le bellezze del mondo.
Le bellezze del Friuli meritano la massima attenzione. Dalle località balneari che hanno il loro centro massimo in Lignano Sabbiadoro fino alle nevi del Tarvisio e di Stella Nevea, di Forni di Sopra e del Matajur, si sta compiendo ogni sforzo per incrementare la recettività turistica, con impianti e attrezzature di primissimo ordine, comprese quelle degli sport invernali, al fine di offrire all’ospite italiano e straniero il meglio della tradizionale e calda accoglienza friulana, fatta di gentilezza, di rispetto, di onestà, di altissimo senso civico.
Accanto alle bellezze naturali, il Friuli tutto è una miniera di meraviglie artistiche. La plurisecolare storia del Friuli, dai più remoti tempi celtici preromani fino alla colonizzazione romana, alle invasioni longobarde, alla conquista della regione da parte di Venezia, ha dato al Friuli infiniti monumenti e vestigia che ben meriterebbero di essere maggiormente conosciuti. Dalle rovine di Aquileia, con il suo foro, il suo porto, la sua basilica; da Udine con la sua collezione di opere di Gian Battista Tiepolo, il suo duomo del Trecento, il suo castello; da Cividale, l’antica Forum Julii di Giulio Cesare con il suo tempio longobardo di Santa Maria in Valle e il Battistero di Callisto; da Pordenone, l’antica Portus Naonis, con il suo duomo e il suo municipio; da Porcia, con i suoi portali e il suo castello; da Palmanova, la città fortezza che ancora conserva intatte le sue caratteristiche: non basterebbe un volume per elencare tutte le bellezze artistiche di questa terra generosa, ospitale, di questo piccolo compendio dell’universo che non chiede che di essere meglio conosciuta: per essere apprezzata e amata come merita.

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Friuli Venezia Giulia, regione autonoma

Il 10 maggio 1964 è nata in Italia una nuova regione autonoma: il Friuli Venezia Giulia. In tal giorno si è votato nelle province di Udine e di Gorizia e nel territorio di Trieste. Sono stati eletti i 61 rappresentanti del parlamento regionale. Esso a sua volta, ha  scelto al suo interno il presidente e i dieci assessori destinati a governare la regione per quattro anni. Pur dipendendo sempre da Roma per quel che riguarda le leggi fondamentali della Repubblica Italiana, il Friuli Venezia Giulia si è dato proprie leggi per ciò che riguarda determinate attività locali. E non versa più a Roma tutto l’importo delle tasse governative, ma ne amministra direttamente una parte per risolvere i non lievi problemi regionali.
Prima dello sviluppo dei notevoli centri industriali di Pordenone ed Udine, il Friuli era una zona depressa. Il reddito per persona era tra i più bassi e moltissimi friulani emigrarono per cercare lavoro.
La Carnia è molto bella, con le sue Alpi che non superano i 2800 metri, ed era anch’essa una zona molto povera.
Il Friuli ha una sua unità, basata sul dialetto e sulla storia. Il dialetto non è veneto, ma un idioma neolatino, affine al ladino, al provenzale e al romeno. Il ducato longobardo del Friuli lottò contro le invasioni degli Slavi. Sotto la dominazione veneziana, gli orgogliosi comuni friulani ottennero larghe autonomie. Dal 1895 al 1814 il Friuli fece parte del Regno d’Italia napoleonico. Poi passò all’Austria. Nel 1866 con la terza guerra d’indipendenza si ricongiunse all’Italia.
La provincia di Gorizia è stata ridotta a pochi brandelli dalla seconda guerra mondiale e l’allora Jugoslavia si è presa il resto. Era la città prediletta dagli Asburgo, ma lo stesso imperatore Giuseppe II ne riconosceva il carattere schiettamente italiano. Fu liberata nel 1916, perduta nel 1917 con Caporetto, annessa definitivamente all’Italia nel 1918.
Anche il territorio triestino è ridotto ai minimi termini, in seguito alle vicende belliche e all’annessione dell’Istria alla Jugoslavia. Trieste, sotto l’Austria, era il secondo porto del Mediterraneo e il primo dell’Adriatico. L’ardente irredentismo si concluse con l’unione all’Italia, nel 1918.
Trieste è la capitale della regione. Alcuni assessorati possono risiedere però a Udine o in altre città.
(G. Zannoni)

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Trieste

Al primo affacciarsi sulla strada litoranea sul golfo, la città intera appare allo sguardo, in un incontro fulmineo. Se splende il sole, cielo e mare avvolgono la città in un unico bagliore. Dall’auto e dal treno, la stupenda visione si presenta come in una lunga carrellata cinematografica.
La strada segue l’arco del golfo fra suggestivi e arditi strapiombi sul mare, sì che, spesso, si ha la sensazione di stare sospesi sulla lucente pianura dell’Adriatico.
Dal medioevale Castello di Duino, già baluardo contro i Turchi ed i pirati dove forse sostò Dante, ambasciatore di Cangrande della Scala, alla sognante baia di Sistiana, a quella di Grignano, a Miramare, pare di compiere un’allucinante immersione in un’atmosfera solare  e marina. Il paesaggio varia ad ogni passo. Mare, roccia, verde: i sensi finiscono col percepire solo questi tre motivi fondamentali, mentre la città si palesa sempre più vicina e più viva.
L’aria è impregnata di salsedine e di resina. Infine: il Lungomare di Barcola. Da un lato la scogliera, con la cantilena delle onde, le vele, le barche, il porticciolo, dall’altro la movimentata teoria delle ville e dei luoghi di ritrovo, alla fine di un viale alberato, incontreremo la città viva e pulsante.
L’arrivo dalle vie di mare avviene in un diverso accordo di colori, più sfumati. Il passeggero avrà l’impressione di essere nelle vie della città già prima di sbarcare quando la nave all’entrata nel porto sfiora rive e moli. Un arrivo dal cielo consente un abbraccio ideale all’intera città: un mareggiare di colli, di pendici smaltate di verde, tutto un rampicare di case, dai massi dei palazzi sulle rive ai dadi delle ville che si affacciano all’altipiano.
Ma, si giunga da una parte o dall’altra, l’attenzione finisce con l’essere dominata da una culminante visione. San Giusto: il vecchio castello veneto, la poderosa quadrata torre della basilica, la platea romana sul Colle Capitolino. La storia, l’anima di Trieste sono lassù; tutte le età, tutte le vicende accostate, accomunate, sovrapposte parlano.
Il Castello fu costruito al principio del 1500 sul posto della rocca romana e di una successiva fortezza trecentesca.
Dal bastione rotondo che alza la sua massa sulla Piazza San Giusto, l’occhio spazia su un panorama grandioso.
Di lassù Trieste appare come una scacchiera ondulata fra il verde dei colli ed il turchino del mare. Il golfo lunato si distende nelle sue nobili linee dalla riviera che va verso Miramare, Duino, Monfalcone sino alla dolce curva della laguna gradese. Nelle ore più propizie si vedono profilarsi laggiù, in controluce, i contorni delle Alpi e delle Prealpi, i campanili di Aquileia e di Grado. Girando lo sguardo, sulla sinistra appare il vago disegno della costa istriana; e l’occhio può accompagnarla fino allo sperone di Pirano, alla Punta di Salvore.
Monumento caratteristico di Trieste è il Faro della Vittoria eretto in memoria dei Caduti del mare. Alto 116 metri sul livello del mare, per grandezza è il terzo del mondo dopo quelli di New York e Santo Domingo. Il suo raggio spazia per 36 miglia e le navi lo vedono già a metà rotta tra Venezia e Trieste.
Altra opera notevole, il Canal Grande, che penetra nel cuore della città.
Fu scavato nel 1750 per i velieri che così potevano scaricare le merci proprio davanti ai magazzini, allineati allora lungo il canale. E’ anche grazie ad esso che poche città come Trieste sentono la presenza del mare e di continuo lo vedono non solo dalle alture, ma in fondo alle vie.
(B. Parisi)

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Udine

In questa chiara Udine, una certa mollezza veneta, risalendo dalla pianura e da occidente, addolcisce il nobile parlare della gente friulana e adorna di piacevoli forme le architetture.
L’Udinese, lo distingui subito per una sua pacatezza corretta: lo interroghi su un indirizzo, lo chiami a te per un motivo qualsiasi, e subito si offre: “Mandi” (che è poi una derivazione del veneziano “comandi”). Ma ti accorgi benissimo che, Friulana dal ceppo morbido fuori e duro assai dentro, non si farebbe comandare da nessuno, a meno di non offrire spontaneamente la sua fedeltà.
Insomma, Venezia sì, ma nella parte migliore e più forte, escludendo il lato settecentesco e diremmo goldoniano del pur affascinante costume lagunare. E poi, Udine è capitale! Meno ricca e attiva di Pordenone, forse, ma il cuore del Friuli è lei, un prodigioso e fiero cuore che ha resistito a molti brutti scossoni della storia.
Non era difficile, fino a trent’anni fa,  trovare a Udine chi ricordasse distintamente l’entrata delle truppe austriache in città, dopo Caporetto. Neppure l’ultima guerra è stata pietosa con la città, e il ferro e il fuoco non furono risparmiati a tentare di domare questi Udinesi gentili ma incapaci di obbedire a un occupante dai metodi così poco corretti.
Ed ora, oso dire che il momento buono per conoscerla non è durante il giorno, quando le ampie strade del centro pullulano di ente vivace e ordinata; l’ora buona è al principio della notte. Dopo le nove Udine, da antica e dignitosa capitale qual è, se ne sta a casa, e le sue vie semi deserte offrono una straordinaria suggestione. Qualcuno si attarda in discorsi sotto l’enorme platano di via Zanon, e alle calme voci friulane risponde discreta la roggia, che ancora lì corre scoperta.
Seguite allora il labirinto di certe stradine, con le simpatiche, antiche case dai balconi delicati, traboccanti di fiori; trascorrete il mirabile impianto urbanistico: Udine può ripetervi il suo racconto di persona, meglio di qualsiasi storico.
(F. Piselli)

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La bora

Mentre tutto intorno alla casa domina il frastuono della bora, un fanciullo studia da un suo manuale geografico che “in Italia la velocità del vento supera di rado i 42 chilometri orari”. Bel privilegio questo di Trieste, fra le città italiane, di essere visitata spesse volte durante ‘anno e specie d’inverno, da un vento che, quando è mite, soffia con una velocità di 60 chilometri e, in certe giornate di furore, raggiunge i 140.
Visitatore sgarbato e violento, per cui la città sta sempre sul chi vive. E lo sanno gli ingegneri della luce e dei telefoni, e tutti i costruttori, i quali non sono mai abbastanza previdenti nel calcolare la violenza di questo nemico delle condutture e dei cavi aerei, dei comignoli e dei tetti. Lo sanno i marinai che non rafforzano mai abbastanza gli ormeggi.
Lo sanno infine i cittadini, che per quanto lo conoscano per tradizione e per esperienza, non riescono mai a premunirsi in modo da non doverlo temere.
(G. Stuparich)

Dettati ortografici e materiale didattico sul FRIULI VENEZIA GIULIA
L’acqua e la pietra

Il Carso è un altopiano che dalle Alpi Giulie va degradando verso l’Adriatico ed è compreso tra il basso corso dell’Isonzo e il Golfo del Carnaro. Di questo altopiano, soltanto una piccola parte è inclusa nei confini politici dell’attuale Venezia Giulia e precisamente quella striscia che si affaccia sul Golfo di Trieste. Essa si distingue in Carso Monfalconese e Carso Triestino, divisi l’uno dall’altro dal Vallone di Gorizia. Il Carso è caratterizzato dall’assenza di corsi d’acqua; la sua superficie perciò si presenta arida, costituita in gran parte di rocce bianche e nude. L’acqua piovana tende a scorrere rapidamente attraverso le fessure delle rocce e scompare nel sottosuolo.
Nel sottosuolo non meno che alla superficie, l’acqua silenziosamente lavora. E’ l’acqua che conferisce al paesaggio carsico quell’aspetto di terra caotica e tormentata che lo distingue da ogni altro.
In superficie la roccia appare scavata da solchi, incisa da crepacci, stranamente forata, ridotta a lame taglienti e a punte aguzze. Nel sottosuolo, si formano cavità di ogni genere: caverne spesso grandissime, grotte ramificate come labirinti, canali, gallerie, pozzi, cunicoli. In questo mondo sotterraneo, l’acqua scorre, spumeggia, gorgoglia, continua a scavare, seguendo vie misteriose che la conducono al mare. Il crollo della volta di una grotta ha dato origine, in superficie, a una conca, una valletta che ha forma di scodella o di imbuto. Questa conca si chiama, con parola slava, dolina. Quando la dolina termina con un inghiottitoio a pozzo, che spesso è profondissimo, si chiama foiba (dal latino fovea, che significa fossa). Il Carso è tutto bucherellato di doline; viste dall’alto sembrano piccoli crateri vulcanici: un paesaggio quasi lunare.
Tra le numerose grotte del Carso Triestino va ricordata la Grotta Gigante, che si trova a qualche chilometro da Trieste. Attraverso una breve galleria si raggiunge una cavità immensa, alta 115 metri, che potrebbe contenere la cupola di San Pietro in Vaticano. La grotta è attrezzata per le visite turistiche; fasci di luce elettrica illuminano nel modo più fantastico i cristalli delle meravigliose stalagmiti. E’ il capolavoro dell’acqua.
Non si deve credere che il Carso sia tutto e soltanto un deserto di pietra. Il Carso Triestino, assai meno brullo di quello di Monfalcone, è rallegrato da pinete che formano chiazze verde scuro in mezzo al biancheggiare dei macigni, da boscaglie di querce che coprono le sue colline, da prati, da cespugli di ginepro, di rovo, di biancospino. La primavera fa fiorire tra i sassi il timo e la salvia; compaiono fiori di alta montagna che fanno dimenticare di trovarsi a pochi passi dal mare.
La terra coltivata è poca: qualche vigna, qualche breve campetto nel fondo delle doline.
La roccia del Carso è il calcare, sul quale l’acqua agisce facilmente. Dovunque vi sia il calcare, si manifestano gli stessi fenomeni che si osservano nel Carso: aridità in superficie e acque sotto terra, macigni corrosi, grotte e caverne. Poiché questi fenomeni sono  più evidenti nel Carso che altrove, hanno preso da esso il nome: si chiamano fenomeni carsici o carsismo.
In Italia, i terreni di natura calcarea sono molto estesi; quindi anche il carsismo è frequente in tutta la penisola. Zone carsiche si trovano nelle Prealpi Lombarde, nelle Alpi Apuane, nel Gargano, nelle Murge, nelle Madonie, nell’Iglesiente; le doline non mancano nel bresciano, nell’Appennino bolognese; un grandioso complesso di grotte è quello di Castellana in Puglia; i fiumi a corso sotterraneo sono frequenti nell’Appennino meridionale.
Il fatto è che nel Carso i fenomeni carsici sono tutti riuniti e presenti.
(S. Pezzetta)

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Le grotte di Postumia

Un vecchio proverbio latino dice che la goccia scava la pietra: una goccia che cade occasionalmente su un sasso, no di certo, ma dieci, cento, mille, un milione di gocce che cadono una dopo l’altra sempre sullo stesso punto, sì. Se poi le gocce, scorrendo su una roccia calcarea, si sono arricchite di sostanze minerali, avviene il fenomeno contrario: invece di scavare, esse… costruiscono: depositano a poco a poco il calcare; un po’ resta attaccato alla fessura da cui cola l’acqua, un po’ si consolida a terra.
Così nascono le stalattiti e le stalagmiti nelle caverne carsiche. Come tutti sanno anche l’Italia è ricchissima di caverne di questo genere, ma le più celebri del mondo  sono certamente quelle di Postumia, italiane fino all’ultima guerra, slovene dopo le spartizioni territoriali seguite alla pace. Le grotte di Postojna (questo è l’attuale nome) sono ancora meta di numerosissimi turisti. Sono tanto grandi che in esse si snoda una ferrovia a scartamento ridotto di ben tre chilometri. Ma a piedi se ne possono percorrere sei  e, tenendo conto dei numerosi canali secondari, si giunge ad un’estensione di oltre trenta chilometri.

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Bellezza delle Alpi Giulie

Le Alpi Giulie sono tra le più attraenti della nostra cerchia alpina. Due ardite ferrovie conducono al loro cuore, parallelamente a due grandi, magnifiche strade: la strada e la ferrovia del Canal di Ferro e quelle della Valle dell’Isonzo.
In questo estremo lembo orientale d’Italia sono profuse con magnifica prodigalità tutte le bellezze di cui si vanta l’Alpe, bellezze che dalla poesia mite e pastorale dei pascoli alti, vanno a quella solenne delle foreste, e da questa a quella tragica delle rupi nude e precipiti, erette sulle loro basi cinte di ghiaioni, superbamente sfidanti il vento e il sole. Le Giulie hanno in comune con le Dolomiti la costituzione; ma le loro valli sono profonde e selvagge, scarsamente collegate da passi, con altopiani di rocce nude, con nevai sperduti nel mare delle rocce calcaree. Forse manca loro la grandiosità delle masse montuose e la maestà delle nevi perenni, ma in compenso l’Alpe conserva intatta la sua fisionomia selvaggia, primordiale, fatta di pietra e di abeti, quieta e raccolta. Ogni valle ha i suoi monti posti a custodia, il suo torrente spumoso e sonante, le sue foreste. La Val Saisera ha il Montasio, la Val di Resia il Canin.
Ecco la Sella di Nevea, culla dell’alpinismo giuliano e tappa per le più belle vette delle Giulie, convegno di venti, splendore di pascoli verdi, dove germoglia rubescente il rododendro e spicca, flessibile al vento, l’azzurra genziana!
Ecco la vetta del Monte Nero, sacro alla gloria dei nostri Alpini; ecco la Valbruna, teatro di abeti e di pareti incombenti, chiusa nello sfondo da uno dei panorami più belli delle Alpi, nell’inverno, paradiso bianco dello sciatore. Ecco ancora la verde dovizia dei boschi di Pontebba, variati di pascoli alti e di baite, da dove si domina il Canal del Ferro smagliante di tinte e di contrasti, lungo il corso sonoro del torrente Fella.
(O. Samengo)

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Usanze, tradizioni, costumi

Feste e sagre si celebrano numerose nel Friuli. Ad Aquileia e Cividale si celebra, per l’Epifania, la Messa dello Spadone, durante la quale il diacono, riccamente vestito, e con l’elmo piumato sulla testa, saluta il popolo con un antico spadone, simbolo del tramontato potere temporale e militare dei Patriarchi (Vescovi, principi di quelle terre).
A Gemona viene celebrata ogni anno la sagra dei surisins (topolini). I quali topolini sono minuscoli razzi che, fischiando e scintillando, scivolano lungo un fil di ferro teso in una piazza di Borgo Villa, non senza staccarsi e finire in mezzo alla folla che si agita con ilare spavento.
A Comeglians, e anche in altri paesi, nella notte dell’Epifania, il cielo è solcato da cento meteore che ricadono sui clivi montani sprizzando scintille. Sono le cidulis ossia rotelle di faggio che un cidular arroventa al fuoco e scaglia lontano a mezzo di un bastone flessibile. Ad ogni cidula che vola nella notte, si grida il nome di una fanciulla del paese.

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La bora

La bora è un vento locale che raggiunge forza e velocità straordinarie. Quando essa soffia, si devono rafforzare gli ormeggi alle navi che sono nel porto. Nelle vie più battute cessa quasi del tutto il traffico degli autoveicoli. Quelli che devono forzatamente circolare sono guidati a fatica e fatti procedere a passo d’uomo. I pedoni si aggrappano a corde tese nei punti più flagellati da vento ed evitano, per quanto possono, di attraversare le strade e di avventurarsi nelle piazze aperte.
La rovinosità di questo vento dipende dal fatto che soffia rasente terra. Si tratta infatti di una corrente di aria fredda e secca che proviene da Nord Est. Essa, scontrandosi con l’aria mediterranea, più calda e leggera, la fa salire e poi scorrazza da padrona negli strati più bassi. La sua velocità raggiunge perfino i 200 orari.

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Trieste, città del mare

Non v’è forse altra città che viva in intima unione col mare come Trieste. Un lato della piazza maggiore è spalancata senza neppure il riparo di una balaustra, sull’infinita distesa abbagliante e per tutte le vie penetra da quella gran bocca, l’odore salso dell’onda. Nei giorni di tempesta i cavalloni, non impediti da alcun ostacolo, sormontano il breve dislivello e si riversano e si frangono contro le soglie marmoree dei fabbricati. Questa città, che allinea lungo intere contrade palazzi di favolosa ricchezza per ospitarvi banche, compagnie di navigazione, vive mescolata al suo mare come potrebbe un povero villaggio di pescatori. Il porto di Trieste offre uno spettacolo inebriante e sempre nuovo d’attività e di forza, coi suoi moli formicolanti di gente operosa, con la sua sfilata di magazzini, di cantieri navali, di opifici fumanti e sonanti, col suo andirivieni di navi giganteschi e minuscoli, col suo trascorrere di vele candide e gialle e rosse, coi suoi rapidi voli d’idroplani.
(G. De Agostini)

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La campana di Rovereto

E’ la sera del 2 novembre. Attraverso la radio si diffonde, in tutto il mondo, un suono lento, grave, solenne: Don!… Don!… Don!…
E’ la voce di Maria Dolens, la campana di Rovereto. Essa ci ricorda i caduti, tutti i caduti della guerra: italiani, francesi, inglesi, tedeschi, austriaci, russi, slavi, giapponesi, americani… sono migliaia e migliaia di uomini che rivivono nel suono della campana. Quante cose dice al nostro cuore questo suono: “Pace!… Pace!… Pace!… Vogliatevi bene! Siate tutti fratelli!… Soltanto la pace può rendervi felici!”.
Questo ci dice la campana di Rovereto. I suoi mesti rintocchi si disperdono nell’aria ormai oscura della sera. Essi  si diffondono attraverso lo spazio, come un messaggio di pace e di amore fra tutti gli uomini di buona volontà.
(R. Dal Piaz)

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Il Carso

Ci sono cose nella Venezia Giulia che meritano di essere viste. Si tratta di grotte, di inghiottitoi, di doline: di curiosi fenomeni insomma che, appunto dal nome della regione, si chiamano fenomeni carsici.
La regione del Carso è formata da rocce calcaree assai tenere, porose e piene di fessure. Le acque piovane, filtrando attraverso le fessure, con l’andare dei secoli, le hanno allargate e si sono aperte nel sottosuolo gallerie, cunicoli e grandi cavità in cui esse scorrono come fiumi sotterranei. E’ avvenuto che molte di quelle acque circolanti nel sottosuolo, avendo trovato una nuova strada più breve e più profonda, hanno abbandonato le gallerie nelle quali prima scorrevano, lasciandole vuote. Queste gallerie abbandonate dalle acque sono appunto le grotte.
E’ assai interessante il penetrare e l’avventurarsi nell’interno di questi sotterranei. Dal soffitto penetrano e luccicano certe bizzarre concrezioni di roccia che si dicono stalattiti; dal pavimento sorgono altre concrezioni coniche dette stalagmiti e spesso le une e le altre congiunte insieme formano esili o poderose colonne. Le pareti qua e là sono rivestite,  si potrebbe anche dire adornate, di coltri, frange, panneggiamenti, anch’essi di roccia più o meno trasparente e variamente colorata.
(G. Assereto)

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Aquileia romana

Aquileia è una città ricca di storia e di preziose vestigia: ebbe due momenti di grande splendore sotto Augusto e nell’alto Medioevo. Maestose si levano nei suoi dintorni le rovine romane: uno splendido colonnato dell’antico foro si staglia contro il cielo e nel sepolcreto romano altri ruderi dell’antica Roma attirano l’attenzione dei visitatori.
Una raccolta di lapidi, anfore, urne, terrecotte, monete, si trova nel Museo Archeologico della città e gli scavi, nei dintorni, continuano.
Tra il verde ecco un’altra visione, questa volta medioevale: la grandiosa Basilica romanica costruita intorno all’anno 1.000: agile ed alto ben 73 metri, si leva, a fianco delle possenti mura, l’antico campanile.

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Una città come una stella

Una strana cittadina, Palmanova! Se tu la vedessi dall’aereo, ti apparirebbe come un’immensa stella a nove punte. Si tratta di un’antica città fortezza costruita da Venezia, contro le minacce sia dei Turchi, sia dell’Impero d’Asburgo.
Un particolare va ricordato: la cittadina fu fondata nel 1593, il 7 ottobre, anniversario (il ventiduesimo) d’una famosa battaglia navale contro i Turchi: la battaglia di Lepanto. La pianta di questa città è certamente una delle più belle esistenti in Italia: bastioni, casermette, torri, depositi costituiscono un poligono regolarissimo con diciotto lati: al centro c’è una piazza dove sorge il Duomo. Palmanova è nella pianura friulana, quasi a metà sulla via tra Udine ed Aquileia.

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IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture

IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia.

IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture
Le terre che Carlo Magno aveva distribuito a conti e marchesi di chiamavano feudi, e coloro che le avevano ricevute venivano chiamati col nome generico di feudatari.
Il possesso di un feudo durava quanto la vita del feudatario, e alla morte di quest’ultimo tornava sotto la diretta signoria dell’Imperatore.
Coloro che avevano ricevuto un feudo dall’imperatore divenivano suoi vassalli e, finché vivevano, potevano godere di tutti i prodotti della terra su cui governavano.
I vassalli, in cambio, giuravano fedeltà all’imperatore, avevano l’obbligo di versargli una parte delle ricchezze ricavate dal feudo e, in caso di necessità, di procurargli un dato numero di guerrieri.
Col tempo i vassalli ottennero di essere esonerati dal pagamento delle tasse e dall’arruolamento di guerrieri.
Infine, i feudatari più potenti, approfittando della debolezza di alcuni imperatori, ottennero che i loro feudi , da vitalizi, diventassero ereditari.
I vassalli, divenuti proprietari del loro feudo, ne assegnarono, a loro volta, una parte ad uomini loro fedeli che si chiamavano valvassori. Costoro avevano verso i feudatari gli stessi obblighi che i feudatari avevano verso l’imperatore. Col tempo, ottennero anch’essi che le loro terre, assegnate a vita, divenissero ereditarie. Talvolta anche i valvassori affidarono una parte delle loro terre ad altri: i valvassini.
La terra era lavorata di coloni e dai servi della gleba.
I coloni dovevano dare al signore una parte dei raccolti e lavorare gratuitamente per la manutenzione di strade, ponti, canali.
I servi della gleba (cioè i servi della terra) vivevano quasi come schiavi; non potevano sposarsi, né farsi religiosi, né cambiare mestiere, né trasferirsi altrove senza il consenso del padrone che, spesso, li tormentava con ogni sorta di prepotenze. In caso di vendita del fondo su cui lavoravano, i servi della gleba passavano in potere del nuovo padrone, come cose o animali.
La cerimonia con cui si consegnava un feudo a un vassallo si chiamava investitura. Essa avveniva alla presenza di tutti i maggiori dignitari dell’Impero.
Il vassallo, in ginocchio, poneva le mani nelle mani dell’imperatore giurandogli fedeltà. L’imperatore, allora, se il feudo era una marca, gli consegnava una spada per ricordargli che doveva essere pronto a difendere con le armi quanto gli era stato affidato; se invece si trattava di una contea, gli offriva una zolla di terra o un mannello di spighe.
I feudi, divenuti ereditari, spettavano sempre al figlio primogenito. Gli altri figli si avviavano alla vita ecclesiastica o, ricevuti dal padre un’armatura e un cavallo, cercano gloria e fortuna combattendo per i potenti. Dapprima i cavalieri, ammirando soltanto la forza, si mostrarono intrepidi e crudeli. Poi, per merito della Chiesa, che predicava l’amore per il prossimo, divennero generosi, onesti, e si dedicarono alla difesa dei deboli e degli oppressi.

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Per il lavoro di ricerca

Che cosa erano i feudi e come si chiamavano gli assegnatari?
Di che cosa poteva godere il vassallo?
Quali obblighi aveva verso l’imperatore?
Chi erano i valvassori e i valvassini?
Chi erano  i coloni e i servi della gleba?
Come erano considerati questi ultimi?
Che cos’era l’investitura a vassallo?
Come avveniva?
Chi erano i cavalieri e come dovevano comportarsi?
Come si svolgeva la giornata del castellano?
Quali erano i costumi feudali?
Quale era la cerimonia dell’armamento di un cavaliere?
Come ci si comportava a tavola nell’epoca medioevale? E quali erano i cibi?
Come si faceva la toletta quotidiana?
Esistono ancora molti castelli in Italia; cerca, se possibile, di visitarne uno e osserva la sua struttura caratteristica (il ponte levatoio, il fossato, le torri, il torrione, ecc..); cerca di spiegarti perchè mai sia stato costruito così in alto; procura infine di disegnare un castello, magari servendoti di un’illustrazione.
Visita qualche museo o ricerca delle illustrazioni che raffigurino le armi e le armature dei soldati di questo periodo.
Le case dei servi della gleba sorgevano ai piedi del castello. Perchè?
Come e cosa mangiavano i nobili signori del Castello?
Quali divertimenti avevano i feudatari?
Procura di conoscere i particolari della cerimonia detta dell’investitura e poi, con l’aiuto di qualche amico, prepara una scenetta da recitare in classe.
Chi erano i Cavalieri?
Quale scopo si prefiggeva la Cavalleria?
Quale carriera doveva seguire un giovane prima di essere nominato cavaliere?

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Il borgo

Il feudatario viveva nel castello. Intorno ad esso sorgeva il borgo, cioè l’insieme delle umili abitazioni degli artigiani e dei servi della gleba. Gli uni fornivano al feudatario i prodotti agricoli, gli altri (tessitori, sarti, calzolai, falegnami, fabbri) gli oggetti indispensabili alla sua vita  e a quella dei suoi soldati e servitori. In caso di guerra, gli abitanti del borgo si rifugiavano nel castello.

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Potenza dei feudatari

Il feudo aveva tre elementi costitutivi: il beneficio, cioè la concessione del territorio, fatta dal re; il Vassallaggio, ossia l’assunzione degli obblighi verso il sovrano da parte del feudatario; l’immunità, cioè praticamente una sempre maggiore indipendenza del feudatario nei confronti del re. A questi elementi venne ad aggiungersi anche l’ereditarietà. Dopo la morte di Carlo Magno, infatti, i grandi feudatari esercitarono  fortissime pressioni per ottenere che, alla loro morte, i territori da essi amministrati, anziché tornare al re, passassero in eredità ai loro figli.
Carlo il Calvo, uno degli imbelli sovrani succeduti a Carlo Magno, finì col cedere a questa richiesta e nel Capitolare di Kiersy dell’anno 877 dichiarò di riconoscere ed accettare il principio dell’ereditarietà. I feudi divennero gradatamente sempre più potenti e indipendenti, e formarono veri e propri stati negli stessi  confini del regno. I potenti feudatari vivevano nei loro Castelli turriti che, dapprima non furono che semplici fortezze, ma vennero col tempo a trasformarsi in comode e splendide dimore, centri di vita economica, sociale e culturale.

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Omaggio e investitura

L’investitura era la cerimonia simbolica con la quale veniva stabilito il contratto feudale: in origine, il vassallo si chinava ai piedi del signore e, mettendo e sue mani nelle mani di lui, gli si dichiarava vassallo. Questo atto era detto omaggio: a sua volta, il signore lo sollevava e lo baciava sulla bocca; seguiva un giuramento di fedeltà, poi il signore gli  consegnava un simbolo della terra datagli in feudo: la spada, per difenderla,  oppure un ramo, un mazzo di spighe, una zolla.

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La vita nell’epoca feudale

Nell’epoca feudale le città sono in piena decadenza: vi vivevano piccoli commercianti ed artigiani, povera gente gelosa della libertà, ma senza difesa e soggetta a tutte le angherie degli eserciti che passavano. Anche le città facevano parte del feudo, ma erano generalmente trascurate dai signori, perchè il centro della vita feudale era il castello; vi aveva invece una certa importanza il Vescovo.
Il castello, in cui risiedeva il feudatario, era costruito in posizione dominante e facilmente difendibile. La massiccia costruzione era cinta di mura poderose, orlate alla sommità di merli che servivano di riparo ai combattenti. Intorno vi correva un fossato, pieno di acqua, su cui si abbassavano uno o più ponti levatoi: in caso di difesa essi venivano alzati, in modo da impedire ogni passaggio verso l’interno del fortilizio.
All’interno vi erano ampi cortili su cui si aprivano le abitazioni, i magazzini, le scuderie, gli altri locali adibiti a vari usi. Le stanze erano vaste ma disadorne e piuttosto oscure. Solo in seguito le dimore signorili si abbellirono di ornamenti, oltre che di trofei di caccia e di guerra, e divennero più comode e perfino lussuose. Il castello è un poco il simbolo della vita aspra e violenta dell’età feudale.
La guerra, la preda, il saccheggio, le incursioni nei territori nemici erano quasi consuetudini. La forza fisica, il coraggio, l’abilità di maneggiare le pesanti armi erano le doti più considerate.
La caccia era insieme un divertimento e un mezzo per procacciarsi la selvaggina per i banchetti del castello.
Non vi erano altri divertimenti che i tornei, combattimenti simulati tra guerrieri o tra gruppi, i conviti e le gagliarde bevute; si assisteva talora ai lazzi ed agli esercizi di giullari o si ascoltavano i canti d’amore e di guerra dei trovatori.
Una cerimonia solenne della vita feudale era l’investitura. Il signore alla presenza della sua corte riunita riceveva l’atto di omaggio del vassallo e il giuramento di fedeltà; poi lo investiva del feudo, cioè gli conferiva i diritti sul territorio, consegnandogli un simbolo: una spada, un anelo, un gonfalone o, se il feudo era modesto, un fascio di spighe o anche una zolla.
La povera gente viveva in capanne o in squallide dimore poste nelle immediate vicinanze del castello, in cui si rifugiava quando si avvicinava la minaccia della guerra.
Attività fondamentale era l’agricoltura, praticata in grandi proprietà, che avevano per centro il castello o la curtis (cioè la fattoria con le abitazioni, le stalle, i fienili, i magazzini, i mulini e tutto quanto occorreva). In esse si produceva quello che era necessario alla vita degli abitanti: al di fuori si comperava ben poco, solo qualche prodotto essenziale come l’olio o il sale, e ben poco si andava a vendere alle fiere e ai mercati che periodicamente si tenevano in certe località.
Per questo, ed anche per la mancanza di vie di comunicazione e per i continui atti di brigantaggio, i traffici erano scarsissimi.
Il feudo era un mondo chiuso che bastava a se stesso.
(C. Bini)

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Il castello

Il feudalesimo è l’età dei castelli. Massicci e ben fortificati, essi sorgono per lo più in luoghi naturalmente difesi, sulle alture da cui dominano la piana sottostante, all’imbocco di gole montane  o presso un ponte o negli incroci delle vie più battute, per obbligare i passanti a pagare pedaggi e tributi per il trasporto delle merci.
Varie cerchia di mura merlate, con torri e porte, cingevano il castello. Esternamente e tra una cerchia di mura e l’altra, correvano larghi fossati sormontati da ponti levatoi. Alte torri fiancheggiavano l’edificio, da cui spiare le mosse del nemico e scagliare dardi e pietre sugli assalitori: poche e strette feritoie si aprivano nelle mura esterne.
Oltrepassato il ponte levatoio si giungeva nel cortile del castello al cui centro, generalmente, c’era un pozzo.
Tutto attorno al cortile si aprivano le porte della scuderia; dell’armeria, piena di corazze, di spade, di lance, di archi e di scudi; della cucina, ampissima e annerita dal fumo; degli alloggi per la servitù e, infine, quelle della cappella.
Una scala conduceva al piano superiore, dove’erano le stanze del feudatario e dei suoi familiari. Le pareti degli ampi locali erano generalmente coperte da arazzi e da affreschi. Il pavimento, invece, era di semplice pietra.
I mobili, scarsi e poco comodi, consistevano in grandi cassoni di legno scolpito, dove venivano riposti gli abiti; in sedie rigide e dure con alti schienali; in tavoli robusti.
Per la pulizia del mattino, nelle camera da letto si trovava soltanto una bacinella sorretta da un treppiede di ferro o di legno.
Le stanze non erano luminose poichè le finestre, per ragioni di difesa e per il costo dei vetri, erano assai piccole.
Al calar del sole di infilavano in appositi anelli, fissati alle pareti, grosse torce resinose che illuminavano le sale di una luce rossastra e incerta.
Nella stagione invernale l’unico mezzo di riscaldamento era costituito da immensi camini, il cui calore si disperdeva nei vasti saloni.
Nel castello si rendeva giustizia e si tenevano i prigionieri; spesso sotterranee, tetre e umide erano le carceri, presso le quali era la camera di tortura.
Dentro il castello si rifugiavano i contadini, quando le loro terre erano invase.
Nel castello feudale si distinguono tre parti: la cinta, il mastio (che avevano entrambi scopi di difesa) e il palazzo dove abitava il signore.
La cinta era in muratura, con torri agli angoli. Si ebbero anche due o tre mura di cinta; la più esterna racchiudeva il borgo.
Dopo il secolo III, specie nei castelli di pianura, comparve il fossato, col ponte levatoio.
Il mastio era la torre più alta che sorvegliava tutta la cinta, e in cui ci si asserragliava per l’ultima difesa. Il palazzo comprendeva la sala delle udienze, le stanze del feudatario, affacciate sul grande cortile interno, le camere dei cortigiani e della servitù, le cucine e le scuderie.
Nei sotterranei vi erano le prigioni ed i magazzini.

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Vita nel castello

Nelle lunghe serate invernali, non appena le prime ombre battono ai vetri a piombo filato delle finestre, nella sala oscura si accendono le lucerne ad olio; la cena è pronta ed il signore, la madonna, i figli e gli ospiti si seggono a tavola. Subito dopo, la famiglia si riunisce sotto la cappa del vasto camino e al riverbero della fiamma, recita la preghiera. Fatto il segno della croce, il signore si alza e si avvia verso le sue stanze; i familiari lo seguono; la fumosa fiamma della lucerna scompare davanti a loro e il buio si fa più denso, il silenzio più profondo; il castello si addormenta.
Nei profumati pomeriggi di primavera, invece, tutta la famiglia si raccoglie sul verziere e, fra risa e canti, si intrattiene in lieti passatempi, in dolci novellari. Spesso i giovani escono e sul sagrato della chiesa o sul largo spiazzo del castello, danzano il trescone.  E’ in questo tempo che il giocoliere bussa alla porta del castello: la famiglia accorre, gli fa festa ed egli, al suono di un vecchio strumento musicale, fa ballare l’orso e la bertuccia.
La sera il giocoliere, con raffinata arte immaginativa, racconta ai familiari le proprie avventure: parla di luoghi lontani e meravigliosi, di imprese leggendarie ed eroiche, di ricchezze favolose, di tragedie sinistre; sorride e freme la famiglia a quel parlare.

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La sentinella

Sulla torre più alta del castello stava di guardia una sentinella che doveva sempre vigilare, particolarmente di notte.
Per resistere al sonno, la sentinella scambiava ogni tanto un grido con i soldati di guardia in altre parti del castello.
Un gridava: “Sentinella all’erta!” e l’altro rispondeva: “All’erta sto!”.
Di giorno la sentinella segnalava l’arrivo di estranei, fossero essi amici o nemici.

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Il saluto

Quando nel castello entrava un cavaliere, si toglieva l’elmo per dimostrare le sue intenzioni pacifiche e soprattutto la sua certezza di non essere tradito.
Tale uso passò nell’esercito: ma poichè un soldato non poteva mai presentarsi disarmato, i guerrieri medioevali, trovandosi di fronte ad un loro superiore, non si toglievano l’elmo ma sollevavano la visiera scoprendo il volto. La consuetudine di portare la mano alla fronte, quasi per alzare un’immaginaria visiera, sussiste ancora oggi.

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La guerra

Quando il feudatario doveva partecipare alle guerre intraprese dall’imperatore, conduceva con sé un certo numero di guerrieri. A guardia del castello rimanevano allora pochi soldati, i servitori e gli umili abitanti del borgo. Altre volte la guerra scoppiava fra due o più feudatari: allora il più forte invadeva i territori dell’avversario, ne devastava i raccolti e, infine, assaliva il castello.

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La tecnica dell’assedio

L’assalto a un castello si svolgeva generalmente second una tecnica fissa. Una prima fase consisteva nel circondare completamente il castello, con la cavalleria, per impedire agli assediati ogni possibilità di fuga. Seguiva il bombardamento con le macchine da lancio: mangani e trabucchi; in questo modo di cercava di smantellare le difese dell’avversario e di danneggiare le sue macchine belliche, per preparare le condizioni adatte al vero e proprio assalto.
L’assalto veniva preceduto dal tentativo di colmare il fossato; a questo scopo molti uomini correvano fin sul ciglio, vi gettavano delle fascine e poi si ritiravano precipitosamente, per evitare le pietre, le sostanze infuocate e le frecce che i difensori lanciavano su di loro. Ripetendo molte volte questa manovra, si poteva creare un passaggio attraverso il fossato per le truppe di assalto che dovevano tentare la scalata delle mura servendosi di lunghe scale. La loro azione era coadiuvata dalle torri mobili, dall’alto delle quali si potevano colpire i difensori delle mura molto meglio che dal basso.

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La tecnica difensiva

E i difensori? Non restava loro che cercare di distruggere o di incendiare le macchine nemiche, lanciando pietre e sostanze incendiarie. A quelli che tentavano la scalata delle mura, riservavano una speciale accoglienza, a base di pentoloni di pece e di olio bollente.
Se con l’uso di questi mezzi o con qualche audace sortita notturna non riuscivano a piegare la volontà degli aggressori, i difensori di un castello assediato mantenevano ben poche speranze di salvezza. Se non volevano arrendersi, dovevano prepararsi all’ultima disperata difesa nel mastio,la costruzione centrale del castello, nella quale si sarebbero asserragliati quando le mura e i cortili fossero caduti in mano al nemico.

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Vita feudale

Appena dalle alte torri si avvistava l’approssimarsi di un attacco nemico, i popolani del borgo entravano nel cortile, si alzava il ponte levatoio e il castello restava isolato dal profondo fossato che gli attaccanti cercavano di superare con ponti mobili. Dalle mura fioccavano frecce, sassi, olio bollente e qualsiasi cosa potesse colpire gli attaccanti, che tentavano di salire con scale a pioli.
In tempo di pace, il castello era ugualmente luogo di raccolta dei borghigiani. Nell’interno, non mancava mai la cappella. Nei giorni in cui il cortile si trasformava in mercato, vi convenivano non solo i mercanti della regione, ma  anche i venditori ambulanti che arrivavano da lontano; questi accorrevano specialmente nei castelli dove il Barone aveva appeso il proprio sudo con lo stemma di famiglia nel cortile o sulle mura: questo significava che aveva sfidato altri Baroni a una giostra cortese e, in occasione di tali spettacoli, arrivavano sempre persone in vena di… spendere, e gli ambulanti facevano buoni affari. Oltre alle giostre d’armi, i Baroni organizzavano grandi battute di caccia, nelle quali mettevano in mostra non solo la loro abilità nel cavalcare, ma anche quella dei cani e degli uccelli rapaci, come falchi e astori, addestrati a catturare la selvaggina. Nella caccia, la preda preferita era il cervo. Quando la cattiva stagione non permetteva di divertirsi all’aperto, il Barone invitava i suoi amici nobili a banchetto nella grande sala del castello, l’unica ad essere riscaldata, perchè il fuoco era sempre acceso nel caminetto. Durante i banchetti, si divoravano enormi arrosti e si rideva ai lazzi dei giocolieri; lo spettacolo più gradito era quello offerto dai giullari che cantavano le avventure dei Paladini di Carlo Magno o le vicende dei Cavalieri della corte inglese di Re Artù. Oltre ai giullari, nei castelli vennero in seguito i trovatori e i menestrelli esperti nel comporre e nel cantare canzoni d’amore in onore delle belle dame. A tavola, I Baroni si divertivano anche con le pesanti coppe di metallo: per mettere in mostra la loro forza afferravano in due una coppa colma di vino alla quale l’uno e l’altro cercavano di bere tirandola a sé. Una specie di braccio di ferro, insomma.
Nel castello non esisteva un bagno. Solo in casi… eccezionali (perchè di diceva che la pulizia togliesse la forza), il Barone si lavava in un mastello di legno.
La castellana aveva anche il compito particolare di prendere e uccidere i pidocchi e le pulci che infestavano il Barone. Purtroppo, con Carlo Magno non era scomparsa solo la grandezza dell’Impero Carolingio, ma anche la bella abitudine di fare spesso il bagno!

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La giornata di un castellano

Appena vestito, il Castellano fa le prime devozioni prostrato all’inginocchiatoio, e la Castellana nel piccolo oratorio adiacente alla sua camera. Poi tutta la famiglia si raccoglie ad ascoltare la messa nella ricca e fastosa cappella, celebrata da un religioso che risiede nel castello. Dopo di che la Castellana dà una prima capatina alle cucine, e il Signore alle scuderie o alla sala d’armi, dove attende ad armeggiare col figliolo, o con gli ospiti, o con gli scudieri. Le figlie girellano intanto nel giardino, cogliendo fiori.
Alle dieci della mattina uno squillo di corno annuncia il pasto. Anche nei giorni ordinari vengono serviti molti e grassi piatti: carne di bue, di cinghiale, di montone, di capriolo, galline, fagiani e via dicendo, condite con salse piccanti, tutte aromi e pizzicorini mordenti come pepe, chiodi di garofano, cannella, ginepro, ambra, benzoino, noce moscata, anice, ed altre nostrane ed orientali delizie, sulle quali primeggiano l’aglio e la cipolla.
Dopo il pranzo, che è protratto il più lungamente possibile, il Signore fa la siesta; i fanciulli, dopo essersi dedicati ad alcuni esercizi sportivi, riparano col pedagogo nella stanza degli studi. La Castellana e le figlie si ritirano nelle loro camere, ove attendono, nella speranza di qualche visita, ad adornarsi.
Quando capitano visite, o vi sono ospiti in casa, verso le due tutti convengono in giardino o nel parlatorio, e là si trattengono mangiando dolci e bevendo. Vengo serviti rosolio, marmellata, e perfino uccelletti arrosto, oltre alla migliore frutta della stagione. La Castellana appresta canzonieri scelti ed ogni sorta di strumenti musicali, e si canta e si suona fino all’ora della cena, che avviene tra le quattro e le cinque pomeridiane ed è il pasto principale della giornata.
Venuta la sera, il Castellano si riduce accanto al fuoco in sonnecchioso silenzio, e le dame, fatte alcune lente danze al fioco chiarore delle fumose lucerne, prima novellano alquanto tra di loro, indi recitano in cerchio le preghiere, ed il cappellano dà loro lo spunto. Poi i valletti mescono al padrone il vino del sonno, quindi i Castellani, augurata la buona notte, seguiti dai rispettivi servi, si recano a dormire.
(G. Giacosa)

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Occupazione di una castellana

La ragazza che andava sposa ad un feudatario, passava improvvisamente dallo stato di soggezione che aveva subito come figlia ad una posizione di attività ed importanza. Essa non era affatto la schiava del marito, ma la sua consigliera e la sua fedele collaboratrice. Gli interessi del marito diventavano la sua preoccupazione principale e ad essi sacrificava anche l’accudimento e l’educazione dei figli, che erano affidati a delle nutrici. La castellana era più moglie e padrona che madre.
Organizzava tutto il necessario per nutrire e vestire gli abitanti del castello; era questo un lavoro che occupava un’intera vita e richiedeva abilità di attenta amministratrice. Quello che era necessario per una casa non poteva essere acquistato come oggi con una rapida spesa in negozio: ciò che non veniva fornito dai campi doveva essere ordinato molto tempo prima là dove lo si poteva trovare e nella quantità necessaria.
Inoltre la castellana doveva curare la conservazione delle carni, della cacciagione e dei pesci e assicurare la legna per i caminetti e per la cucina. Era anche la signora che dirigeva i lavori di filatura della lana, di tessitura delle stoffe e di manifattura dei vestiti, che veniva eseguita dalle domestiche e dalle contadine.
(G. M. Trevelyan)

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La caccia

Il feudatario, fosse o non fosse leale nei confronti del suo re, viveva essenzialmente per la guerra; e si teneva pronto, da un giorno all’altro a lasciare il suo castello ed a partire con i suoi più fedeli cavalieri a combattere. Quando, tuttavia, non v’era guerra, i suoi divertimenti prediletti erano altrettanto rudi: la caccia o il torneo.
Se la caccia allietava il signore, essa era, per i miseri servi della gleba, un vero flagello. Per inseguire un cervo in fuga, o per catturare cinghiali, i cacciatori non esitavano di solito a lanciarsi, a cavallo, attraverso i campi coltivati con lunga ed assidua fatica, distruggendo gran parte delle colture. La caccia era rigorosamente riservata al signore, e pene gravissime erano comminate per chi osasse abbattere un qualsiasi capo di selvaggina. Più tardi, anche ai contadini fu permesso cacciare, ed il codice di nobiltà feudale distingueva gli animali in nobili ed ignobili. I primi, riservati ai signori, erano il cervo, l’alce, il capriolo e la lepre; i secondi, che potevano essere cacciati anche dai contadini: il lupo, la volpe, il cinghiale e la lince.
La caccia dava occasione a festosi raduni, a grandi cavalcate, a lotte avventurose con le belve (orsi, lupi, cinghiali) che allora non mancavano nei boschi. Una forma di caccia più tranquilla ed elegante, praticata anche dalle dame e dalle damigelle, era la falconeria, cioè l’arte di dar la caccia agli uccelli servendosi di falconi addestrati in modo particolare. Questo addestramento era opera di specialisti, ma gli stessi signori vi spendevano molto tempo.
Il cacciatore o la cacciatrice portavano il falcone sul polso avvolto in un guanto di cuoio. Appena avvistava la preda, il falcone si lanciava a volo, uccideva e tornava a posarsi sulla mano aperta del padrone che lo attendeva. I signori più ricchi tenevano costose collezioni di uccelli da caccia, non soltanto falconi, e schiere di falconieri addetti al loro addestramento.
Il signore e la signora amavano tenere con sé il falcone preferito anche durante le conversazioni. Alcune dame se lo portavano perfino in chiesa, appollaiato sul polso. L’imperatore Federico II compose un famoso trattato sull’arte della falconeria.
Ancora oggi talune popolazioni nordiche vanno a caccia con l’aquila: in Estremo Oriente si va ancora a pesca col cormorano.

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La caccia: passatempo e necessità

La caccia tanto celebrata dai poeti non è tanto un passatempo della nobiltà, quale si rispecchia nella poesia cavalleresca del Medioevo, quanto una necessità di carattere economico.
L’allevamento del bestiame da macello non era sufficiente per coprire il fabbisogno: perciò si andava nei boschi a procacciarsi la carne.
Le risorse di grossa selvaggina erano così abbondanti, che in una buona partita di caccia ci si poteva rifornire per molte settimane.
Più di tutto abbondavano i cinghiali; anche gli orsi si trovavano, e ancora oggi si trovano, in tutte le parti d’Europa; non occorrevano lunghi appostamenti per cervi e caprioli, e quanto ai volatili ce n’era a volontà.
Ma i cacciatori procedettero con tanto impegno che dopo un paio di secoli una buona parte della selvaggina era sterminata.
Gli europei del Medioevo mangiavano molta carne. L’alimentazione dei poveri era invero pregiudicata spesso dalle necessità della guerra o dalla scarsità dei raccolti, ma in tempi di pace era relativamente buona. Poiché c’erano poche grandi città, ai contadini rimaneva più roba.
(Morus)

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Il torneo

Il torneo è il gioco che si avvicina di più alla guerra. Perciò, quando si offre l’occasione di prendere parte a una di queste feste, che vengono annunciate con molto anticipo a suon di tromba, il signore non le perde. Eppure, la partecipazione a un torneo è costosissima. Molti signori si rovinano, volendo gareggiare in lusso con quelli che sono più ricchi. Infatti, bisogna comprare una lancia con gli stemmi, uno scudo con il blasone del signore che permetta agli spettatori di riconoscerlo anche quando ha abbassato la visiera dell’elmo, un’armatura nuova e una bardatura di lusso per il cavallo…
Alla vigilia dell’incontro, la città nella quale sta per avere luogo il torneo è illuminata. Gli scudi dei combattenti sono appesi davanti alle case dove essi sono alloggiati. Al suono delle trombe ha inizio, attraverso la città, la sfilata dei cavalieri che prenderanno parte al torneo.
Il giorno dopo, un tratto di strada viene chiuso da barriere perchè serva da campo di battaglia. L’acciottolato viene coperto di paglia e di sabbia; tutte le finestre delle case che fiancheggiano questa lizza traboccano di spettatori. Coloro che non sono stati ammessi ai posti d’onore si ammassano dietro le barriere. L’araldo annuncia con voce squillante il nome dei combattenti che entrano in quel momento dai due lati opposti della lizza. Essi fermano per un istante la cavalcatura, salutano con la lancia le nobili dame e attendono il segnale della tromba. Risuona un breve squillo. Gli avversari speronano il corsiero e si dirigono l’uno verso l’altro con la lancia stretta sotto il gomito destro e lo scudo appeso al braccio sinistro che serve loro contemporaneamente per guidare la bestia. Quando si scontrano verso la metà del percorso, un colpo sordo risuona. Spesso uno dei due avversari viene buttato a gambe all’aria e va a rotolare nella polvere, oppure le due lance si rompono e i due cavalieri trasportati dal loro slancio continuano la corsa fino all’estremità della lizza; qui si voltano subito, per ricominciare una nuova carica con un’altra lancia che uno scudiero presenta loro.
I tornei offrono a quelli che sono abili giostratori anche una possibilità di… guadagno, oltre al piacere di battersi e di riportare una vittoria davanti a una brillante assemblea di dame e di signori. Il vincitore, infatti, si può impossessare dell’equipaggiamento e del cavallo del vinto: talvolta, anche della persona e gli restituisce la libertà solo a prezzo di un forte riscatto.

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La giustizia durante l’età feudale

Allorché un accusato non aveva altro modo per provare la propria innocenza, ricorreva al giudizio di dio, certi com’erano gli uomini di quei tempi che dio avrebbe aumentato le forze dell’innocente e diminuite quelle del colpevole. Il duello era il più diffuso tra i giudizi di dio: dei due duellanti il vincitore era l’innocente o colui che aveva ragione in una vertenza.
Altro giudizio era la prova dell’acqua: se l’acqua era bollente, l’accusato doveva immergervi un braccio senza scottarsi; se era fredda, l’imputato doveva tuffarcisi dentro (si trattava di un tino molto più alto di lui) senza toccare il fondo ma galleggiando.
Se le prove non riuscivano egli era colpevole.
La prova del fuoco in un certo senso era simile a quella dell’acqua bollente: l’accusato doveva portare per tre metri una massa di ferro rovente fra le mani; poi il sacerdote gli congiungeva le mani, le fasciava e vi poneva il proprio sigillo: dopo tre giorni, se vi erano scottature era colpevole.
Altre prove del fuoco consistevano nel camminare su lastre roventi o di passare fra cataste ardenti, per un pertugio ampio poco più di mezzo metro.
(C. Bini)

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Alcune pene per  i colpevoli

Nel Medioevo la pena di morte era comminata frequentemente e talvolta per delitti che oggi avrebbero un castigo assai lieve; ma il modo di vedere le cose, in quei tempi, era assai dissimile da quello moderno, e soprattutto vigeva il criterio, in epoche così torbide e malsicure, di reprimere certi delitti molto frequenti e facilitati dalla situazione. La pena di morte veniva applicata con la decapitazione, con l’impiccagione, lo squartamento, l’annegamento e con altri barbari sistemi, il più crudele dei quali era il seppellimento da vivi, inflitto agli omicidi.
Un castigo diffusissimo era la berlina, che consisteva nell’esporre al pubblico dileggio il condannato, in vari modi.
Il tratto di corda, cioè una barbara fustigazione, serviva soprattutto a strappare le confessioni del reo; ma molto spesso confessavano anche gli innocenti!
Gli ecclesiastici erano duramente colpiti; a loro era riservata la gabbia, in cui venivano chiusi come uccelli ed esposti alle intemperie anche per anni, mentre venivano nutriti a pane e acqua.
Si praticavano anche le mutilazioni e la marchiatura a fuoco.

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I servi della gleba

Mentre, al tempo di Augusto, tutti erano contenti di far parte dell’impero romano, perchè in esso vi era pace e sicurezza, a poco a poco, col passare del tempo e con l’aumentare delle tasse, le popolazioni si sentivano schiave ed oppresse.
Le città si spopolavano perchè, per la povertà della gente, non si potevano più fare buoni commerci. La gente si rifugiava nelle campagne e nei boschi, per nascondersi ai funzionari dello stato. Molti plebei chiedevano protezione a qualche ricco proprietario, che dava loro un po’ di terra da coltivare, li aiutava a pagare le tasse per loro.  In cambio questi plebei lavoravano anche le terre del padrone e si impegnavano a non abbandonarle mai. Essi diventavano, insomma, quasi schiavi: venivano chiamati servi della gleba, che vuol dire servi della zolla, cioè della terra.
E intanto i barbari si stringevano sempre più intorno ai confini, si infiltravano dentro, dovunque il confine non era ben custodito.
Circondato dai nemici, oppresso dalla povertà, l’impero sembrava una grande barca sul punto di affondare.

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Le tasse del contadino

Il contadino feudale era ricco solo… di tasse. In denaro aveva tre tasse annue: una modesta tassa annua, per persona, al governo, cioè al re; un modesto affitto per la casa e l’orto al signore; un’imposta richiesta una o più volte l’anno dal signore.
Inoltre il contadino aveva questi obblighi: offrire al signore, ogni anno, un decimo del raccolto agricolo o del bestiame; lavorare gratis per il signore un certo numero di giorni l’anno; doveva macinare il grano, cuocere il pane, pigiare l’uva, ecc. sempre nel castello e usando le attrezzature del signore (naturalmente pagava per ogni cosa); pagare per avere il diritto di pescare, di cacciare e di pascolare le bestie nelle terre del signore; pagare quando il signore gli rendeva giustizia in tribunale; servire nella milizia del signore in caso di guerra; contribuire a pagare la somma del riscatto se il signore cadeva prigioniero; offrire ricchi doni al figlio del signore quando veniva fatto cavaliere; pagare al signore una tassa per ogni merce che vendeva nei mercati viciniori; aspettare a vendere il suo vino (o la sua birra, o qualche altro prodotto) finché il signore non avesse venduto il proprio; pagare una multa se intendeva far studiare, o mandare in seminario un figlio, perchè il castello perdeva un uomo; pagare una multa se sposava una persona appartenente ad un altro castello e poi si trasferiva; pagare una decima annua alla Chiesa.
Tutto ciò può sembrare gravosissimo, ai nostri occhi. Ma va tenuto conto di alcune cose: mai il contadino era tenuto a tutte insieme queste prestazioni, ma solo ad alcune tra esse, a seconda dei casi. Inoltre, non aveva altre spese, e il signore doveva provvedere alla difesa, alle opere pubbliche, in certi casi alle spese connesse con l’agricoltura (sementi, qualche volta attrezzi, bestiame selezionato da riproduzione), e spesso anche l’obbligo di assistere il colono in caso di malattia o di vecchiaia: questo specialmente per i feudi tenuti da ecclesiastici.
In definitiva, è stato calcolato che riguardo al guadagno medio, le tasse che doveva pagare il colono feudale erano meno gravose di quelle che noi paghiamo oggi.

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Nel castello feudale

Un grande castello era come un piccolo mondo. Nel vasti cortili erano le dimore degli armigeri e dei servi, grandi cisterne, magazzini e botteghe per gli armaioli, i macellai e i fornai.
Nulla vi mancava: dalla cappella alle immense cucine con ampi e bassi camini; dalla sala del trono, nella quale il feudatario rendeva giustizia, al carcere tetro e sotterraneo.
Gli uomini che abitavano queste solitarie dimore, quando non erano in guerra, cercavano distrazioni nella caccia, negli esercizi cavallereschi e nei tornei.
I tornei si bandivano per lo più in occasione di feste religiose, di incoronazioni o matrimoni di principi e di trattati di pace.
Era molto gradito l’arrivo di qualche poeta (trovatore) il quale cantava le tragiche avventure di qualche dama o di qualche barone, o le meravigliose imprese dei paladini di Carlo Magno.
Lauti banchetti talora si protraevano per giorni e settimane con feste e baldorie.

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Il torneo

I tornei erano grandiose feste d’armi in cui coppie o squadre di cavalieri si assalivano dentro un recinto, contendendosi la vittoria. I cavalieri scendevano in campo rivestiti di armature. Tre squilli di tromba davano il segnale dell’assalto e subito i combattenti si slanciavano l’un contro l’altro, usando lance, spade, mazze.
Quando i giudici ritenevano sufficiente la prova lanciavano in mezzo ai cavalieri un bastone, per significare che la giostra era finita; poi proclamavano solennemente il nome del vincitore, che riceveva il premio dalle mani di qualche dama eletta regina del torneo.

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Banchetti medioevali

Guardando certe miniature o certi quadri che rappresentano scene di banchetti medioevali siamo generalmente colpiti dallo sfarzo del vasellame e delle vesti, dall’allegria e dalla vivacità dei commensali.
Non vi siete mai chiesti quali profumati e appetitosi piatti potessero comparire su quelle mense?
Gli uomini del Medioevo non avevano certo a disposizione la varietà e la quantità di cibi che abbiamo noi, oggi che le comunicazioni con tutto il resto del mondo ci permettono di avere sul nostro tavolo cibi provenienti dai più lontani paesi e basta entrare in un negozio per trovare quanto ci occorre. Abbiamo più volte osservato che, se in quell’epoca la caccia era tanto di moda, lo era non solo come… passatempo, ma perchè permetteva, anche ai signori, di unire l’utile (la selvaggina) al dilettevole (occupare gradevolmente le molte ore della giornata).
Vediamo dunque che cosa avevano gli uomini del Medioevo a disposizione del loro… appetito.
Quanto ai cereali, grano, segale, orzo e riso continuavano ad essere coltivati, come nell’antichità. Anzi, nei paesi occupati dagli Arabi queste colture rifioriscono, perchè gli Arabi sono maestri nell’arte dell’irrigazione. Ci sono zone della Spagna, dal suolo arido, che essi trasformarono in veri giardini: ancora oggi quelle zone conservano il nome di huertas, cioè “orti”.
Anche per la trebbiatura, fatta nei nostri paesi battendo le spighe con cinghie e corregge, gli Arabi si mostrano all’avanguardia. Essi trascinano, sulle spighe tagliate, speciali macchine fornite di rulli, allo scopo di separare i chicchi dalla paglia. E’ merito degli Arabi anche l’introduzione nell’Africa del Nord di una specie di grano a chicco duro che, una volta macinato, dà la semola, farina che più tardi sarà particolarmente indicata per la fabbricazione delle paste alimentari.
Il grano saraceno, o grano nero, viene anch’esso dalla Tartaria e dalla Russia, giungendo fino in Bretagna e in Normandia dove ancora viene coltivato, così come da noi in alcune vallate alpine, per farne frittelle o, come in quel di Sondrio, la polenta taragna.
La patata è ancora assente dalle tavole del vecchio mondo, dove avrebbe potuto bene impedire molte carestie… A quei tempi essa è conosciuta solo nel suo paese d’origine, la Cordigliera delle Ande.
I contadini, da noi, devono accontentarsi delle fave; i fagiolini e i fagioli sono noti invece sia agli Arabi sia agli indigeni d’America. E’ probabile che le invasioni barbariche, oltre alle molte disgrazie, ci abbiano portato anche la ricetta delle minestre e dei minestroni nei quali i legumi cuociono insieme alla carne.
E veniamo alla carne. Il contadino del Medioevo assapora raramente la carne bovina. L’allevamento di questi animali è infatti costoso; essi sono perciò impiegati essenzialmente come animali da lavoro e vengono macellati solo in occasione di banchetti speciali.
Più comune è invece l’uso della carne di maiale, animale più facile da allevare perchè è poco esigente circa la qualità del cibo che gli viene dato. In Europa, naturalmente; non tra gli Arabi, perchè la religione musulmana proibisce loro di mangiare carne di maiale (e giustamente,  perchè non è molto igienica nei paesi caldi).
Presso gli Arabi invece, le vetrine delle macellerie offrono carne di cane, di gatto, di lucertola e di serpente. Le teste e le pelli di questi animali sono esposte accanto alla carne perchè il cliente sappia bene che cosa compra.
Presso gli Aztechi, in America, si mangiano cani di un razza curiosa, sprovvisti di peli, che vengono ingrassati prima di essere sacrificati.
Un animale frequentemente cacciato in Italia, Inghilterra e Olanda, prima che dalle specie selvatiche si ottengano quelle domestiche, è il coniglio.
Gli uccelli più apprezzati in Europa sono il fagiano e il pavone, che sono serviti sulla tavola circondati dalle loro superbe piume. Anche i piccioni sono pregiati: infatti solamente i ricchi hanno diritto di allevarne. Attorno alle loro piccionaie, gli Arabi piantano la ruta, una pianta amara che ha il compito di tenere lontani i serpenti. I pesci sono ricercati per sostituire la carne durante i periodi di digiuno imposti dalla religione cristiana. I fossati pieni d’acqua che circondano le mura, si popolano di carpe. Durante la quaresima, si vendono anche, come cibo, le aringhe secche e carne secca di balena.
Anche i vari tipi di molluschi di mare aiutano a sopportare i rigori della quaresima. In Polinesia si pratica la pesca sottomarina con l’arpione da più di mille anni.
E’ venuto il momento di parlare delle famose spezie che venivano dall’Oriente.
Per condire i piatti, profumare dolci e anche, almeno così si credo, per curare molte malattie, le spezie mettono in movimento mezzo mondo. Carovane e navi ne assicurano il trasporto e giungono dall’Estremo Oriente, dalle coste dell’Africa o dell’India, coi loro carichi preziosi e odorosi. Quando i Turchi rendono pericoloso il trasporto delle spezie, si cerca un’altra strada da ovest, per mare; sarà il sogno di Cristoforo Colombo.
I mercanti di spezie, gli speziali, fanno fortuna; essi vendono: il chiodo di garofano, conosciuto in Cina fin dalla più remota antichità e masticato dai cortigiani per profumarsi l’alito; la noce moscata, portata in Europa dagli Arabi fin dal secolo XI; lo zenzero, ricercato per profumare il pan pepato. Non meno ricercata è la cannella, una scorza proveniente da Ceylon e dalla costa del Malabar che, a partire dal secolo XIII, giunge in Europa attraverso l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e il Mediterraneo. Lo zafferano è coltivato su larga scala in Medio Oriente, ma costa carissimo: in cambio di sei libbre di zafferano si può avere un buon cavallo da sella! Quanto al pepe, la questione del prezzo è risolta in modo molto semplice: esso vale tanto oro quanto pesa. La gente modesta deve accontentarsi di aglio, di cipolla e di senape consumati in quantità enormi. Alcuni mulini hanno un paio di macine per la senape e due paia di macine per il grano.
Per completare questo viaggio da buongustai facciamo una visitina nella pasticceria di un bazar orientale.  Potete offrirvi un po’ di halva, torrone di miele selvatico riempito di pistacchi e mandorle, e i lokum dolciastri di amido e pistacchi.
Ma cos’è questa meraviglia che un pasticcere presenta alla folla stupefatta? Si direbbe un boschetto di rose con le sue foglie; questo dolce raro è riservato per un’occasione eccezionale: si tratta della corona di matrimonio offerta a due giovani sposi. Essa è fatta di zucchero candito, alimento ancora costoso, poichè la coltivazione della canna da zucchero, pianta venuta dalle Indie, è possibile solo nelle regioni molto calde del bacino mediterraneo. Al tempo delle Crociate, la canna da zucchero giunge progressivamente in Spagna e in Sicilia, dove le canne sono macinate da macchine mosse da mulini a vento. E’ una specie di canna che bisogna tagliare a pezzi e torchiare poi in un frantoio per estrarne il succo zuccherino. Questo viene riscaldato e fatto evaporare finché perde i tre quarti del suo volume; quindi versato in appositi stampi, dove solidificando dà dei pani di zucchero.
Ma continuiamo la nostra visita attraverso le botteghe del bazar. La polvere ci riempie la gola; perchè dunque non dobbiamo rinfrescarci con un gelato alla melagrana o al miele? Bisogna allora farsi avanti con i gomiti perchè gli amatori sono numerosi. Da dove viene il ghiaccio? Nel Medioevo è già un vero prodotto industriale, in Oriente. Le notti fredde d’inverno permettono di far gelare l’acqua in grandi bacini, poco profondi; gli operai rompono il ghiaccio, che si è formato per lo spessore di alcuni centimetri, e lo fanno scivolare verso il fondo di fresche cantine, dove si conserva facilmente. Questa industria è così prospera che certi Stati ne fanno un monopoli, come avviene oggi in Italia per il tabacco. I gelati sono fatti di ghiaccio grattugiato, di miele e di amido cotto a cui sono aggiunti i frutti e le essenze.
Se ne avete voglia potete offrirvi anche una tazza di buon caffè. A partire dal secolo XIII, lo si può bere sia a Aden che in Egitto o in Persia; l’uso del tè, venuto dalla Cina, comincia a diffondersi anche nei paesi musulmani verso lo stesso periodo; ma l’Europa Occidentale ignora ancora il tè e il caffè, nonostante i numerosi viaggi in Oriente. A quei tempi, all’altro capo del mondo, i Messicani mangiano un cioccolato secco fatto di fave di cacao macinate con sale, ambra rossa, pepe e spezie. Essi apprezzano anche il cioccolato liquido aromatizzato con la vaniglia; l’albero che dà il cacao viene probabilmente dalle foreste dell’Amazzonia. L’America conosce anche l’albero del chinino e la coca che gli indigeni masticano per piacere.

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Breus

Un fanciullo, incantato alla vista di un cavaliere in armi bello, anzi più bello, per lui, di San Michele, abbandona la casa, e per dieci anni sotto il nome fittizio di Breus, si copre di gloria divenendo il migliore dei cavalieri. Ma la mamma, per il dolore di quella partenza, muore; e quando egli una sera chiede ospitalità a una vecchia e trascurata dimora è accolto da una fanciulla in lacrime. Ella piange ogni volta che vede un cavaliere perchè rammenta il fratello che a dieci anni ha lasciato la casa. Lì è rimasta lei, sola con la nutrice. Commosso, Breus, che altri non è che il fanciullo partito un giorno ormai lontano, si rivela alla sorella. Il delicato racconto pascoliano, sempre tenuto su un tono di favola e di ingenuo ardimento, rivela il suo significato profondo negli ultimi versi: non c’è gloria che possa compensare il dolore mortale di una mamma. Per poter abbracciare ancora la madre, Breus darebbe ora tutte le sue più belle vittorie e si accontenterebbe di strigliare umilmente il suo ronzino.

Viveva con sua madre in Cornovaglia:
un dì trasecolò nella boscaglia.
Nella boscaglia un dì, tra cerro e cerro,
vide passare un uomo tutto ferro.
Morvan pensò che fosse san Michele:
s’inginocchiò: “Signore san Michele,
non mi far male, per l’amor di dio!”.
“Né mal fo io, né san Michel son io.
No: san Michele non posso chiamarmi:
cavalier, sì: son cavaliere d’armi”.
“Un cavaliere? Ma che cosa è mai?”
“Guardami, o figlio, e che cos’è saprai”.
“Che è codesto lungo legno greve?”
“La lancia; ha sete e dove giunge, beve”.
“Che è codesta di cui tu sei cinto?”
“Spada, se hai vinto; croce, se sei vinto”.
“Di che vesti? La veste è pesa e dura”.
“E’ ferro. Figlio, questa è l’armatura”.
“E tu nascesti già così coperto?”
Rise e rispose il cavalier: “No, certo”.
“E chi la pose, dunque, indosso a te?”
“Chi può”. “Chi può?”. “Ma, caro figlio, il re!”.
Il fanciullo tornò dalla sua mamma,
e le saltò sulle ginocchia: “Mamma,
mammina (cinguettò), tu non lo sai!
Ho visto quello che non vidi mai!
Un uomo bello più di san Michele
ch’è in chiesa, tra il chiaror delle candele!”
“Non c’è uomo più bello, figlio mio,
più bello, no, d’un angelo di dio”.
“Ma sì, ce n’è, mammina, se permetti:
ce n’è, mammina, cavalier son detti.
E io, mammina, voglio andar con loro,
E aver veste di ferro e sproni d’oro”.
La madre a terra cadde come morta
che già Morvan usciva dalla porta:
Morvan usciva e le volgea le spalle,
ed entrò difilato nelle stalle;
nelle stalle trovò solo un ronzino:
lo sciolse, vi montò sopra: in cammino.
Egli partì, né salutò persona:
eccolo fuori, ecco che batte e sprona,
Eccolo già lontano dal castello,
dietro quell’uomo ch’era così bello.
Dopo dieci anni, dieci tutti intieri,
Breus il cavalier de’ cavalieri
sostò pensoso avanti quel castello.
Era fradicio e rotto il ponticello.
Entrò pensoso nella corte antica:
c’era tant’erba, c’era tanta ortica.
Il rovo vi crescea come siepe,
e la muraglia piena era di crepe.
L’edera aveva la muraglia invasa:
l’erba copria la soglia della casa.
E l’uscio era imporrito e tristo a mo’
Di tomba. Egli picchiò, picchiò, picchiò…
Ecco alfine una donna, ecco una donna
antica e cieca, che gli aprì. ” Voi, nonna,
mi potete albergar per questa notte?”
“Albergar vi si può per questa notte,
albergar vi si può di tutto cuore,
ma l’albergo non è forse il migliore.
Ché questa casa è tutta in abbandono
da che il figlio partì, dieci anni or sono”.
Era discesa una donzella in tanto,
che appena lo guardò, ruppe in un pianto.
“Perchè piangete, buona damigella?
perchè piangete, cara damigella?”.
“Io voglio dirvi, sire cavaliere,
io voglio dirvi, che mi fa dolere.
Un mio fratello che dieci anni fa
(ora sarebbe della vostra età),
ci abbandonò per farsi cavaliere.
Io piango appena vedo un cavaliere.
Se vedo un cavalier presso il castello,
piango pensando al mio dolce fratello”.
“Non avete la madre, o damigella?
Non un altro fratello? Una sorella?”.
“Nessuno… almeno ch’io li veda in viso:
son, fratelli e sorelle, in paradiso.
Anche la mamma l’ha chiamata Iddio:
non c’è più qui che la nutrice ed io.
La mia madre morì dal dispiacere
quand’e’ partì per farsi cavaliere.
Ecco il suo letto presso il limitare,
ecco il suo seggio presso il focolare.
La sua crocetta porto sopra me.
Pel mio povero cuore altro non c’è”.
Mise un singhiozzo il cavalier d’un tratto.
Ella il pallido alzò viso disfatto.
La damigella alzò con meraviglia
gli occhi ch’aveano il pianto sulle ciglia.
“Iddio la mamma ancora a voi l’ha presa,
ch’ora piangete, che m’avete intesa?”
“Ancora a me la mamma prese Iddio;
ma chi gli disse: ‘Prendila’ fui io”.
“Voi? Ma chi siete? Qual è il vostro nome?”.
“Morvan il nome, Breus il soprannome.
O sorellina, io sono pien di gloria:
ogni giorno ho contata una vittoria:
ma se potevo indovinar quel giorno,
che l’avrei veduta al mio ritorno,
o sorellina, non sarei partito!
O sorellina, non sarei fuggito!
Oh! Per vederla qui sul limitare,
per rivederla presso il focolare,
per abbracciare qui con te pur lei,
le mie vittorie tutte le darei:
sarei felice, pur ch’a lei vicino,
di strigliar tuttavia quel mio ronzino”.
(G. Pascoli)

IL FEUDALESIMO dettati ortografici e letture – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Segni di interpunzione col metodo Montessori DUE PUNTI E VIRGOLETTE

Segni di interpunzione col metodo Montessori DUE PUNTI E VIRGOLETTE per introdurre il discorso diretto.

Materiali:
– penna nera e rossa,
– una striscia di carta bianca
– forbici
– l’immagine di due orecchie e di due bocche
– la frase scelta (nell’esempio Giovanni dice mi piacciono i dinosauri) già scritta in nero, con il due punti, l’iniziale maiuscola e le virgolette acute scritte in rosso.

Segni di interpunzione col metodo Montessori DUE PUNTI E VIRGOLETTE
Presentazione:

Invitiamo un gruppo di bambini a partecipare alla lezione e stendiamo un tappeto sul pavimento.

Scriviamo una frase, leggendola mentre scriviamo. Ad esempio: Giovanni dice mi piacciono i dinosauri:

Chiediamo ai bambini: “Quali sono le parole esatte che ha pronunciato Giovanni?”. I bambini risponderanno: “Mi piacciono i dinosauri”.

Tagliamo la frase in queste due parti,

poi diciamo ai bambini: “Ora dobbiamo mettere un segno che ci spieghi che stiamo per ascoltare le parole di Giovanni. Con che cosa ascoltiamo le parole di chi di parla? Sì, con le orecchie”. Poniamo quindi l’immagine di due orecchie poste una sull’altra, sopra il primo segmento di frase:

Chiediamo ora ai bambini: “E che cosa usa, Giovanni, per dirci il suo pensiero? Sì, la bocca. Quindi metteremo una bocca all’inizio di ciò che dice, per indicare l’inizio del suo discorso, così…”
“E anche una bocca alla fine del suo discorso, altrimenti non possiamo sapere quando smette di parlarci. Facciamo così:”

“Quando scriviamo, sostituiamo le orecchie con questo segno speciale, che ricorda proprio le orecchie di chi ascolta.” (Aggiungiamo i due punti all’immagine e al primo segmento di frase, con la penna rossa, poi togliamo l’immagine, che metteremo poi accanto al titolo)

“In italiano chiamiamo questo segno ‘due punti’, per indicare la loro forma”. (Mettiamo nella parte superiore del tappeto i cartellini dei titoli per i due punti e l’immagine.)

“Poi sostituiamo la bocca con un altro segno speciale. Quando la persona inizia a parlare, scriviamo così:” (Aggiungiamo con la penna rossa le virgolette alte aperte.)

“E quando la persona termina il suo discorso, scriviamo così:” (Aggiungiamo con la penna rossa le virgolette alte chiuse.)

 “Questi segni speciali incorniciano le parole pronunciate da qualcuno, e si chiamano virgolette. Quelle all’inizio sono virgolette aperte e quelle alla fine sono virgolette chiuse”.

Mettiamo nella parte superiore del tappeto i cartellini dei titoli:

“C’è un’altra cosa importante da fare, adesso. Quello che ha detto Giovanni è una frase. Vi ricordate cosa si usa sempre a inizio frase?” I bambini risponderanno che si usa la lettera maiuscola. Correggiamo quindi con la penna rossa, così:

“Questa è la vostra lezione chiave su due punti e virgolette.”

“Le virgolette possono essere scritte come abbiamo fatto noi, oppure anche in questo modo.” (Mettiamo la frase scritta con le virgolette acute sotto la frase costruita durante la lezione.)

“Ora potete registrare la lezione sui vostri quaderni”.

Segni di interpunzione col metodo Montessori DUE PUNTI E VIRGOLETTE
Per l’insegnante

In italiano li conosciamo come due punti, per indicare la loro forma, ma il loro uso viene dagli antichi Greci che chiamavano questo segno Kolon (ramo di un albero), perché la parte della frase che li segue è come un ramo che dipende dal tronco dell’albero.

I due punti indicano una pausa di durata uguale a quella del punto e virgola, ed hanno una funzione sintattica ben precisa: segnalare che ciò che segue è un’illustrazione, una spiegazione, una conseguenza di ciò che è stato detto in precedenza. In particolare i due punti si usano:
per introdurre un elenco: nella mia scuola si studiano molte materie: italiano, storia, geografia, matematica, fisica, inglese, educazione fisica.
E’ però preferibile che i due punti non separino il verbo dal complemento oggetto o dal soggetto post-verbale, anche se questi sono costituiti da un’enumerazione di cose o persone: nella mia scuola si studiano italiano, storia, geografia, matematica, fisica, inglese, educazione fisica.
per introdurre una spiegazione: ha un progetto molto ambizioso: diventare l’unico proprietario dell’azienda.
in combinazione con le virgolette o i trattini, per introdurre un discorso diretto: gli chiese: “Come ti chiami?”
in alcuni casi, in sostituzione di una congiunzione coordinante o subordinante: sono molto stanco: non esco. Prendi l’ombrello: piove.

I Romani usavano forme curve per rappresentare le labbra. Queste labbra a inizio frase significavano: “sto iniziando”; alla fine significavano: “ho finito”.

Le virgolette delimitano un discorso diretto o una citazione: Mi disse: “Cerca di aiutarlo”.
Talvolta vengono usate per dare evidenza a una o più parole, per sottolinearne un particolare significato, per metterne in rilievo la stranezza: il valore “politico” dell’opera d’arte.
In questi casi sono più comuni i segni “…”, mentre nei discorsi diretti e nelle citazioni sono più comuni i segni <<…>>; le virgolette semplici ‘…’ vengono invece usate spesso per dare il significato di una parola o di un’espressione: corizza significa ‘raffreddore’.

Segni di interpunzione col metodo Montessori DUE PUNTI E VIRGOLETTE

Segni di interpunzione col metodo Montessori LA VIRGOLA

Segni di interpunzione col metodo Montessori LA VIRGOLA

Materiali
– penne nere e rosse
– una lunga striscia di carta (fogli da stampante incollati tra loro). E’ importante che la frase possa essere letta dai bambini su un’unica riga orizzontale, senza andare a capo (se è il caso, allineare più tappeti)
– forbici
– penna nera e rossa.

Segni di interpunzione col metodo Montessori LA VIRGOLA
Presentazione

Invitiamo un gruppo di bambini ad unirsi a noi e srotoliamo il tappeto.

Diciamo ai bambini: “Vorrei raccontarvi le cose che mi piacciono” e scriviamo una lunga frase, ripetendo a voce alta mentre scriviamo. Ad esempio “A me piace camminare e leggere e scoprire libri nuovi e ascoltare musica e il gelato al limone e la fotografia e l’acqua frizzante e il mare e bere il tè e i gatti e il cinema.

Dopo averla scritta, rileggiamo di nuovo la frase e diciamo: “Wow! E’ una frase davvero molto lunga! Chi di voi si ricorda qualcuna delle mie cose preferite?”. (I bambini rispondono)

Ora chiedete loro: “Avete notato qualcosa in questa frase? Qualcosa che continua a ripetersi? “. (I bambini noteranno la ripetizione della congiunzione e).

“Se togliamo tutte le e, possiamo rendere la frase breve. Proviamo.” Quindi iniziamo a tagliare la frase per eliminare tutti le e presenti, tranne l’ultima, dicendo :”Questa ultima e la lasciamo, perchè ci aiuta a capire che siamo alla fine della frase.”

“Adesso, al posto di ogni è che abbiamo tolto, mettiamo un segno speciale. Questo segno si chiama virgola” e segniamo le virgole in rosso.

Leggiamo di nuovo la frase e diciamo ai bambini: “La virgola si usa ogni volta che vogliamo che chi legge faccia una breve pausa. “

La parola virgola deriva dal latino virgula che significa “bastoncino, piccola verga”.

Aggiungere il titolo della lezione sul tappeto dicendo: “Questa è la nostra lezione chiave sulla VIRGOLA”, quindi chiedere ai bambini di registrare la lezione sui loro quaderni, scrivendo in rossole virgole.

Segni di interpunzione col metodo Montessori LA VIRGOLA
Per l’insegnante

La virgola indica una pausa breve. I suoi impieghi sono molti e complessi; si usa:
– nelle enunciazioni: Maria, Carlo, Giovanni, Gaia, Alma, Sofia, Laura;
– 
negli incisi: Si tratta, lasciamelo dire, di un ottimo lavoro;
prima o dopo i vocativi: Sei sicuro, Antonio, di aver chiuso la finestra?
dopo il vocativo quando si trova in apertura di frase: Antonio, sei sicuro di aver chiuso la finestra?
per separare le proposizioni coordinate introdotte dalle congiunzioni anzi, però, tuttavia: E’ sinceramente pentito, ma non lo vuole ammettere;
– tra la proposizione principale e vari tipi di subordinate: Se viene lui, non vengo io.
Di norma la virgola non va inserita tra soggetto e predicato e tra predicato e complemento oggetto. Quando però vi sono fenomeni di evidenziazione, che comportano una modifica dell’ordine delle parole, questa norma viene meno e l’inserimento di una virgola serve a segnare la particolare intonazione e la pausa che separa l’elemento evidenziato dal resto della frase:
è davvero bravo, Carlo, a fare le imitazioni (soggetto collocato dopo il predicato);
il treno delle 7 e 50, lo prendo tutte le mattine (dislocazione a sinistra del complemento oggetto);
cerca di dimenticarla, quella brutta esperienza (dislocazione a destra del complemento oggetto).

Segni di interpunzione col metodo Montessori LA VIRGOLA
Estensioni

– Dare più frasi che contengono liste come quella presentata nella lezione. I bambini possono lavorare sulla striscia, oppure copiare la frase togliendo tutte le e ad eccezione dell’ultima, e aggiungendo le virgole in rosso.

– Introdurre l’uso della virgola nella data e nella corrispondenza.

– Negli anni successivi si approfondiranno le altre funzioni della virgola, dopo che i bambini avranno avuto varie esperienze con l’analisi logica e del periodo.

Segni di interpunzione col metodo Montessori LA VIRGOLA

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

I Franchi

I Franchi, verso il secolo V, varcato il Reno, erano penetrati in Gallia e vi avevano fondato un regno romano-barbarico. Il loro re Clodoveo (481-511), capostipite della dinastia che fu detta dei Merovingi, era stato il primo fra i Germani che con il suo popolo si era convertito al cattolicesimo.
A Clodoveo erano succeduti re inetti al governo che avevano lasciato il potere in mano ai Maggiordomi. Fra questi, aveva avuto grande autorità Carlo Martello, che nel 732 aveva sconfitto gli Arabi a Poitiers, salvando l’Europa.
Il figlio di lui, Pipino il Breve, nel 752 fece chiudere in convento l’ultimo merovingio e si proclamò re dei Franchi. Il papa Stefano II si recò personalmente in Francia ad incoronarlo. Aveva così inizio la dinastia del Carolingi.
Pipino, sollecitato dal Papa, calò in Italia e sconfisse il re longobardo Astolfo due volte, nel 754 e nel 756, costringendolo a cedere alla Chiesa le terre occupate.
Il figlio di Pipino, Carlo, assunse quindi il titolo di re dei Franchi e dei Longobardi. Al papa confermò ed accrebbe le precedenti donazioni, dando vita ormai a un vero e proprio Stato Pontificio che da Roma, attraverso il Lazio, l’Umbria e le Marche, si estendeva fino alla Romagna e comprendeva le antiche terre del dominio bizantino.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Re Carlo

Carlo, Re dei Franchi, detto dai posteri, per ammirazione, Magno, fu veramente uno dei più notevoli personaggi del Medioevo. Egli fu soprattutto un grande unificatore e si giovò anche della religione per dare unità spirituale ai diversi popoli del suo immenso dominio. Egli condusse vittoriosamente in tutta l’Europa occidentale circa sessanta imprese militari e riunì sotto il suo scettro un territorio vastissimo che comprendeva la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania, l’Austria, la Repubblica Ceca, la Serbia, la Croazia, l’Ungheria, la Svizzera e metà dell’Italia odierne.
Per garantire il confine dei Pirenei marciò contro gli Arabi della Spagna, tolse loro le due regioni dell’Aragona e della Catalogna, con le quali costituì la Marca Spagnola.
Durante il ritorno da questa spedizione nel 778, la retroguardia di Carlo, comandata dal famoso paladino Orlando, fu assalita dai Baschi nella gola di Roncisvalle e distrutta. L’eroica morte di Orlando, caduto combattendo per il suo re e per la sua fede, fu cantata nella Chanson de Roland, il primo di una lunga serie di poemi cavallereschi sui paladini di Francia.
La vastità, l’unità del dominio di Carlo e l’alto prestigio politico di cui godeva fecero rinascere l’idea dell’Impero Romano, che fu consacrata dal papa Leone III la notte di Natale dell’800 a Roma, nella basilica di San Pietro. Con una cerimonia solenne il Papa incoronò Carlo imperatore del Sacro Romano Impero, mentre tutto il popolo acclamava: “A Carlo, piissimo, augusto, coronato da dio grande e pacifico imperatore dei Romani,  vita e vittoria!”.
Carlo meritò effettivamente questi onori perchè fu un sovrano illuminato. Benché analfabeta, promosse gli studi, le arti e l’istruzione pubblica, facendo aprire numerosissime scuole per ricchi e poveri, e fondando in Aquisgrana, sua residenza preferita, l’Accademia Palatina, che accolse i dotti del tempo.
Carlo Magno morì ad Aquisgrana nell’814, dopo 46 anni di regno, e lì fu sepolto.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Come governò Carlo Magno

Carlo Magno amministrò saggiamente il suo vasto impero. Per poterlo governare meglio, secondo un’usanza franca, lo suddivise in contee, che affidò a uomini a lui fedeli; presso i confini creò contee più estese e militarmente più forti che si chiamarono marche. Coloro che governavano marche e contee, cioè i marchesi ed i conti, dipendevano direttamente dall’Imperatore ed avevano poteri amplissimi.
Dapprima Carlo Magno non diede una capitale al suo Impero perchè, per meglio conoscere le condizioni di vita dei suoi sudditi, viaggiava moltissimo. Infine si stabilì ad Aquisgrana, in Germania, che divenne la capitale del Sacro Romano Impero. In quella città egli morì nell’anno 814.
Carlo Magno fu uno dei più grandi imperatori germanici, valoroso e saggio. Sotto il suo Impero anche la cultura rifiorì. Egli, che l’apprezzava molto, volle che alla sua corte si raccogliessero i più dotti uomini del tempo fra i quali ricordiamo Alcuino, Paolo Diacono e Paolino, patriarca di  Aquileia.  Volle inoltre l’istituzione di scuole per l’istruzione dei fanciulli.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Per il lavoro di ricerca

Ricerca notizie sulla figura e la cultura di Carlo Magno.
Contro quali popoli combatté Carlo Magno?
Dove vinse gli Arabi?
Chi erano i paladini?
Ricerca notizie sulla morte del paladino Orlando.
Quali terre comprendeva l’impero di Carlo Magno?
Perchè fu chiamato Sacro Romano Impero?
Come fu governato amministrativamente l’impero?
Chi erano i “missi dominici” e che cosa dovevano controllare?
Come si viveva ai tempi di Carlo Magno?
Che cosa era la “legge salica?”
Quando e dove morì Carlo Magno?

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Carlo Magno non sapeva né leggere né scrivere

Questa era la sua spina nel fianco, il suo lato patetico. Carlo, che la sera andava presto a letto, dovunque si trovasse, ma soffriva di insonnia, trascorreva spesso la notte compitando l’abbecedario e cercando di capirne le lettere. Ma inutilmente. Questo genio della politica e della guerra, che era riuscito a conquistare mezzo mondo, non riuscì mai a conquistare l’alfabeto.
A furia di farseli ripetere dal confessore, imparò a memoria i salmi, e li cantava anzi abbastanza bene perchè, se la sua voce era stridula, l’orecchio era buono. Ma sebbene fino alla tarda vecchiaia seguitasse a trascorrere le sue notti a fare le aste, la soddisfazione di scrivere e di leggere da sé egli non l’ebbe mai. Eppure fu Carlo Magno.
(I. Montanelli e R. Gervaso)

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
La figura di Carlo Magno

Era re Carlo di corporatura massiccia e robusta, di statura alta che pur tuttavia non eccedeva una giusta misura. Aveva testa tonda, occhi grandissimi e vivaci, il naso un po’ più lungo del normale, bei capelli bianchi, volto sereno e gioviale che gli conferiva una grandissima autorità e pari dignità di aspetto. Sicuro nell’incedere, emanava da tutto il corpo un fascino virile.
Si esercitava di frequente all’equitazione ed alla caccia, ed era questa una passione che aveva fin da bambino.
Amava anche molto i bagni minerali e spesso si esercitava al nuoto. Per tale ragione costruì una reggia in Aquisgrana ricca di acque minerali; ivi trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Invitava al bagno con lui, non soltanto i figli, ma anche i grandi del regno e gli amici e talora perfino tutte le proprie guardie del corpo.
Vestiva sempre nel costume nazionale dei Franchi. Rifuggiva dai costumi di altri paesi, anche se bellissimi, e non amò mai indossarli, meno che a Roma, quando su richiesta di papa Adriano, acconsentì a portare una lunga tunica e la clamide ed i sandali alla moda dei Romani…
Era assai sobrio nel mangiare e nel bere. Mentre cenava gli piaceva udire qualche musica o qualche lettura. Gli leggevano le storie degli antichi, ma amava ascoltare anche le opere di Sant’Agostino. Aveva facile e copioso l’eloquio, e sapeva esprimere con molta chiarezza il proprio pensiero.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
La cultura di Carlo

La sua istruzione e la sua cultura non derivano da studi teorici; ma piuttosto dall’esperienza pratica e dalla viva voce di chi gli stava introno. Tuttavia erano grandissime.
Egli parlava la lingua franca, ma conosceva anche il latino, parlato dai suoi sudditi gallo-romani, e perfino il greco, benchè si curasse poco di parlarlo.
Non era un matematico, ma aveva la mente aperta a penetrare rapidamente la complessità delle cifre e dei calcoli.
Carlo possedeva cognizioni di anatomia umana e soprattutto di anatomia animale, perchè, come cacciatore, era abituato a scannare e a scuoiare la selvaggina che uccideva.  Sapeva bene come vivono e come si cacciano gli uccelli, e soprattutto era molto pratico di cavalli.
Conosceva un po’ tutti i mestieri perchè era abituato a sorvegliare di persona i suoi servi al lavoro: avrebbe potuto non solo riparare la bardatura del suo cavallo, ma anche estirparsi i denti e medicarsi le ferite, in caso di necessità.
Inoltre conosceva, attraverso i canti dei giullari di corte, le gesta degli antenati suoi e le storie dei re dei paesi vicini.
Egli tentò anche di imparare a scrivere, e, a questo scopo, aveva l’abitudine di tenere sotto i cuscini del letto alcune tavolette e alcuni fogli di pergamena per esercitarsi a tracciare di propria mano qualche lettera. Ma poco gli fruttò questo lavoro disordinato e iniziato troppo tardi.
(Baker)

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Carlo Magno e gli scolari

Un giorno l’imperatore Carlo Magno visitò una scuola a Parigi e volle vedere i compiti fatti dagli alunni. Osservò che quelli fatti dai ragazzi del popolo erano molto migliori di quelli fatti dai figli dei nobili.
Allora l’imperatore fece passare alla sua destra i più bravi e disse loro: “Grazie figlioli miei; studiate ancora per diventare sempre più bravi e io, quando sarete grandi, vi darò ogni sorta di onori, perchè solo voi siete degni ai miei occhi”.
Po si volse a quelli che erano alla sua sinistra, fece loro un viso molto accigliato e disse: “In nome di Dio io vi dico che non mi importa nulla della vostra nobiltà e della vostra bellezza fisica. Vi ammiri pure chi vuole, per queste stolte cose. Io vi avverto che, se non diventerete migliori, non otterrete nulla da Carlo”.

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Le conquiste di Carlo Magno

Carlo Magno intervenne in difesa del Papa in lotta contro i Longobardi e vinse l’ultimo re longobardo Desiderio; poi cinse a Pavia la corona dei re longobardi, stabilendo così in Italia il dominio dei Franchi.
Questa fu una delle numerose guerre che egli combatté nei 46 anni del suo regno, per costituire un vasto impero in occidente.
Per ben 32 anni Carlo Magno guerreggiò contro i Sassoni, un popolo ancora barbaro e idolatra che abitava la regione settentrionale della Germania.
Alla fine il loro re Vitichindo si sottomise a Carlo, che lo costrinse a convertirsi al cristianesimo con tutto il suo popolo.
Ardua fu anche la lotta combattuta contro gli Arabi di Spagna. Spintosi al di là dei Pirenei, Carlo Magno riportò qualche brillante successo, ma non potò conquistare Saragozza. Durante la ritirata, la sua retroguardia fu completamente distrutta al passo di Roncisvalle (778). Cadde eroicamente in quella battaglia il più famoso dei Conti Palatini, Orlando.
Questa battaglia esercitò un grande fascino sulla fantasia popolare, e il ricordo di essa si tramandò con vivi e poetici particolari. Intorno a Carlo e ai suoi paladini, combattenti per la fede e per la patria, fiorì una serie di leggende che furono materia di molti poemi cavallereschi scritti da poeti francesi ed italiani.
Più tardi Carlo si impadronì di tutta la regione fra i Pirenei e l’Ebro e vi costituì la Marca Spagnola, che servì da baluardo all’Europa contro gli Arabi.
Carlo Magno combatté con fortuna contro i Bavari, gli Avari (stanziati nell’odierna Austria) e contro gli Slavi. Alla fine di queste guerre poteva considerarsi padrone di quasi tutta l’Europa occidentale e centrale.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Carlo Magno sotto le mura di Pavia

I soldati franchi giunsero ben presto sotto le mura di Pavia. All’avvicinarsi di essi, il re Desiderio e il duca Ottocaro salirono su di una torre altissima, da dove si poteva abbracciare con l’occhio tutta la campagna.
Apparvero dapprima delle macchine da guerra che avrebbero fatto invidia a Dario e a Cesare. Desiderio domandò ad Ottocaro: “Carlo si trova in quell’immensa folla?”
“Non ancora”, rispose questi.
Vedendo poi le milizie raccolte in ogni parte del nostro vasto impero, il longobardo disse: “Certo, Carlo avanza trionfalmente in mezzo a quelle masse profonde”.
“No, non ancora, non ancora”.
Il re, turbandosi, mormorava: “Ora che faremo noi, se vengono con forze così considerevoli?”
“Voi non capirete chi sia Carlo Magno ” diceva Ottocaro, “che quando comparirà. Quello che accadrà di noi allora, io non lo so”.
Mentre scambiavano queste parole, giungeva la guardia reale, che non conosce mai riposo. Desiderio era stupefatto.
“In fede mia, non è là Carlo!” diceva.
“Non ancora!”
Poi sfilano con gran seguito i vescovi, gli abati, i chierici della cappella palatina ed i Conti. A tal vista Desiderio, on potendo più oltre sopportare la luce del giorno e sentendo il freddo della morte, rompe in singulti e balbetta: “Discendiamo, nascondiamoci nelle viscere della terra, lontano dalla faccia e dal furore di un così terribile nemico!”.
Ottocaro, anch’egli tremando, egli che ben conosceva la potenza di Carlo e che in tempi migliori era vissuto vicino a lui, dice: “Quando vedrai nella montagna erigersi come una messe di lance, quando le onde oscurate del Po e del Ticino, non riflettendo che il ferro delle armi, avranno gettato sulle mura nuovi torrenti di uomini coperti di ferro, allora saprai che Carlo è vicino!”.
Non aveva terminato di dire, che all’improvviso l’occidente di velò di una nube tenebrosa; pareva che un uragano avesse oscurato la luce del cielo. A misura che il re avanzava, il luccicare delle spade proiettò sulla città un giorno più sinistro della stessa notte.
Ben presto Carlo fu in vista, gigante di ferro: sul capo un elmo di ferro, guanti di ferro alle mani, il petto e le spalle coperti di una corazza di ferro.
La mano sinistra brandiva una lancia di ferro, mentre la destra era distesa sul ferro della sua invincibile spada. Il ferro copriva le vie ed i piani; in ogni dove i raggi del sole riverberavano sul ferro.
Dalla città si elevava un clamore confuso: “Quanto ferro, ohimè!”
“Re!” gridò Ottocaro, “Ecco colui che i vostri occhi cercavano da gran tempo!”
E pronunciando queste parole cadde svenuto.
(Monaco di San Gallo)

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Il Sacro Romano Impero

Dopo tante guerre, Carlo Magno regnava su una buona parte d’Europa e dimostrava di saper governare saggiamente. Tutti vedevano in lui un grande imperatore amante della pace e dell’ordine, ed egli sognava di far rinascere l’antico ordinamento romano. Infatti il nuovo impero si chiamò Sacro Romano Impero.
Ben diverso dall’antico Impero Romano, che era uno stato vero e proprio, retto dalla forza delle leggi di Roma,  questo di Carlo Magno era un agglomerato di popoli diversi, ciascuno dei quali conservava le proprie leggi e le proprie tradizioni.
Uguale per tutti fu invece l’ordinamento amministrativo: il territorio fu diviso in contee con a capo un conte. Nelle zone di confine si crearono le marche, più vaste e più forti delle contee, governate da marchesi (per esempio la Marca Spagnola, posta come baluardo contro gli Arabi; la Marca Avarica, l’odierna Austria, contro gli Slavi). Accanto ai conti erano per importanza i Vescovi, cui furono affidati molti uffici.
Conti e marchesi reclutavano i soldati e li fornivano all’esercito imperiale, amministravano la giustizia e riscuotevano i tributi in nome dell’Imperatore.
L’imperatore controllava conti e marchesi, mandando periodicamente coppie di ispettori detti “missi dominici” dei quali uno era laico e l’altro ecclesiastico, a visitare le contee; essi ascoltavano le querele delle popolazioni, si informavano dei bisogni e sopprimevano gli abusi.
Carlo Magno dettò per tutto l’impero alcune leggi generali dette “Capitolari”. Ogni anno, in primavera, si radunava presso la residenza imperiale un’assemblea generale di tutti gli uomini liberi, detta Campo di maggio: vi si approvavano le leggi già preparate.
Carlo Magno non scelse una città come capitale stabile; a seconda delle necessità del governo, egli mutava residenza. Negli ultimi anni risiedette di solito ad Aquisgrana.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Provvedimenti economici

Carlo Magno diede incremento anche alla vita economica, provvedendo con una serie di editti alla buona amministrazione del suolo coltivato, all’incremento dell’allevamento del bestiame, regolando le prestazioni personali dei contadini, tentando, ma invano, di salvare la classe dei piccoli proprietari.
Rese più sicuro e facile il cambio con l’introduzione di un sistema monetario e di uno di pesi e misure unico per tutto l’Impero.
L’avanzata degli Arabi aveva quasi del tutto distrutto le relazioni commerciali fra l’Oriente e l’Occidente; l’economia accentuò quindi il suo carattere particolaristico ed agricolo. Molte merci di lusso, provenienti dall’Oriente, erano sparite o diventate assai rare: Carlo Magno dovette perciò sostituire nella monetazione l’argento all’oro; il papiro, a partire dal secolo VIII, in Gallia cedette il posto alla pergamena.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Ciò che i missi dominici dovevano controllare

In una legge stabilita nell’802 Carlo Magno indicò che i missi dominici dovevano controllare. Tra le altre cose, essi dovevano informare l’imperatore sull’osservanza di questi obblighi:
“E’ fatto obbligo ai giudici di giudicare con giustizia secondo quanto prescrive la legge scritta e non seguendo il loro arbitrio”.
“Le misure siano uguali ed esatte e giuste e uguali per tutti i pesi”.
“Non di compiano di domenica lavori servili”.
“Si tengano tutti pronti per quando possa venire, in qualsiasi momento, un ordine dell’Imperatore”.
“Tutti gli promettano fedeltà”.
“I nostri missi, ovunque se ne riconosca la necessità, ricerchino e si preoccupino del giusto quanto alle chiese di dio, alle vedove, agli orfani, ai pupilli e a tutti gli altri uomini. Quanto si trovi da correggere, essi correggano il meglio che possono; quanto non riescono a correggere traducano al nostro tribunale”.
(da Capitulare missorum)

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
La notte di Natale dell’800

Nella cattedrale di San Pietro c’era messa solenne, la notte di Natale dell’800; tutti i sacerdoti della curia erano assisi negli scranni; in mezzo il trono del pontefice Leone III. Al momento del Vangelo questi si alzò dirigendosi verso l’altare maggiore dove stava inginocchiato Carlo Magno, il conquistatore d’Europa, che abbandonate le vesti guerriere, indossava uno sfarzoso abito da patrizio romano.
Papa Leone, nel silenzio attonito, pose sul capo di Carlo la corona degli imperatori di Roma dicendo: “A Carlo Augusto, coronato da dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria”. E parve allora che Roma fosse nuovamente tornata al centro del mondo.

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Morte di Carlo Magno

Carlo Magno, in età di 72 anni, dopo aver regnato per 46 anni come re e 14 come imperatore, morì in Aquisgrana, nell’814, e fu sepolto nella basilica da lui stesso voluta. Il suo corpo fu imbalsamato e posto nel sepolcro seduto su uno scranno d’oro, cinto della spada d’oro e con in mano il Vangelo, con la corona sul capo e nella corona incastonato un frammento ligneo della croce.
Indossava abiti imperiali; il volto era coperto da un sudario. Davanti a lui furono appesi lo scettro e lo scudo. Poi il sepolcro fu chiuso e sigillato.

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I giudizi di dio

La legge salica, che formava quasi la “costituzione” dei popoli franchi, conteneva parecchie norme che regolavano lo svolgimento dei processi. Per dimostrare l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato si ricorreva spesso al cosiddetto “giudizio di dio”. Si pensava cioè che dio intervenisse direttamente a favore dell’innocente. Per esempio, l’accusato veniva legato mani e piedi e gettato in un fiume, che era stato in precedenza benedetto.
Se l’annegato andava a fondo, era innocente: se galleggiava era colpevole: si pensava infatti che l’acqua benedetta respingesse chi fosse macchiato da un delitto. Si presume che poi l’innocente venisse ripescato!
Altre volte la prova consisteva nel camminare a piedi nudi su carboni ardenti, o nel reggere in mano un ferro incandescente.
Molto spesso, infine, si decideva una controversia ricorrendo a un duello: dio avrebbe guidato la mano di chi aveva ragione e avrebbe dato la morte a chi aveva torto.

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Morte di Orlando

Le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini per cacciare i Mori di Spagna ispirarono uno dei più bei capolavori della poesia epica di tutti i tempi; La canzone di Orlando (La chanson de Roland)  dovuta, pare, al francese Turoldo. La pietosa fine del paladino Orlando tradito e massacrato nella gola di Roncisvalle, nei Pirenei, mentre guidava sulla via del ritorno la retroguardia dell’esercito, occupa alcune delle più belle pagine del poema.
Orlando è ormai ferito a morte e tenta, ma invano, di infrangere la sua invitta e prodigiosa spada Durlindana. Sente che la morte lo possiede e lo invade dalla testa al cuore. Corre sotto un pino e si corica sull’erba verde, faccia a terra; mette sotto il corpo la spada e il corno; poi volge il capo verso i pagani, perchè vuole che Carlo e tutti dicano che il nobile paladino è morto combattendo. Poi con flebile voce grida i suoi peccati e tende a dio il guanto e le sue colpe.
Sa che la sua vita è finita. E’ sopra un poggio aguzzo, il viso verso la Spagna; con una mano si batte il petto: “Confesso, o Signore, davanti alla tua maestà la mia colpa per tutti i miei peccati, da quando sono nato ad oggi, che sono battuto”. Tende il guanto destro a dio, gli angeli scendono a lui.
Il paladino Orlando giace sotto il pino, ed ha la faccia rivolta verso la Spagna. E di molte cose si rammenta, di tante terre, della dolce Francia, degli uomini della sua stirpe, di Carlo suo signore che lo aveva nutrito.  E non può esimersi dal piangere e dal sospirare. Ma non vuole dimenticare se stesso, confessa i propri peccati e implora da dio pietà. Offre a dio il suo guanto destro. E san Gabriele lo prende di propria mano. Sul braccio tiene il capo chino, poi a mani giunte attende la morte. Dio gli manda un suo angelo cherubino e san Michele del Periglio. E con questi San Gabriele. E così portano in paradiso l’anima del paladino.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Carlo Magno

Persona ampia e robusta, era piuttosto alto ma non troppo. Aveva testa rotonda, occhi grandi e vivaci, naso un po’ più largo del comune. Usava assiduamente cavalcare e cacciare. Si esercitava di frequentare al nuoto e invitava a bagnarsi con lui non soltanto con i figlioli, ma anche le persone più altolocate e gli amici, e talvolta perfino la moltitudine delle sue guardie del corpo, così che in certe occasioni ci furono in acqua insieme con lui cento persone e anche più. Nei giorni normali, il suo pasto principale constava di quattro portate, senza contare l’arrosto che i cacciatori solevano portare infilato negli spiedi, e che era il suo piatto preferito.
Mentre cenava, ascoltava un po’ di musica o di lettura. Era così sobrio in fatto di vini che non beveva mai più di tre volte per pasto. D’estate, dopo il pasto di mezzogiorno, prendeva qualche frutto, beveva una sola volta, poi spogliatosi delle vesti e delle scarpe, come fosse notte, riposava due o tre ore.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
I passatempi di Carlo Magno

Passatempi preferiti del sovrano furono l’equitazione e la caccia, dei quali ebbe il gusto fin dalla fanciullezza. Molto lo dilettavano anche le acque termali. Spesso si dava al piacere del nuoto, vincendo in gara chiunque competesse con lui. Infatti ai bagni della Mosa, per i quali ad Aquisgrana aveva costruito un palazzo, convenivano oltre ai figli anche i dignitari della corte. Si vedevano spesso nello specchio d’acqua, assieme con l’imperatore, anche cento e più persone.
Aveva buona salute; non fu malato che negli ultimi quattro anni della sua vita, quando fu soggetto a frequenti attacchi di febbre. Ma anche allora sdegnava il consiglio dei medici: egli li aveva in uggia e non voleva assoggettarsi alle loro prescrizioni, perchè gli vietavano l’uso delle carni arrostite. Questo era il piatto da lui preferito. L’Imperatore fu particolarmente sobrio nel bere perchè in tutte le persone condannava l’ubriachezza.
Fin dall’infanzia fu iniziato alla vita devota e si dedicava con scrupolo alle pratiche religiose. Ma egli seguì anche i precetti evangelici della carità: aiutò i poveri anche fuori del suo Impero, inviando elemosine in Siria, in Egitto e altrove. La povertà di quegli uomini muoveva la sua compassione; e appunto per procurare a costoro qualche conforto ricercò l’amicizia dei sovrani d’oltremare.
(Eginardo)

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture
Il giuramento dei Vassalli

Io giuro per questi santi vangeli, che d’ora in avanti sarò fedele a costui come deve un vassallo al signore, e ciò che egli affiderà alla mia fedeltà, non rivelerò consapevolmente ad altri in suo danno.
Io giuro su questi santi vangeli che d’ora innanzi sino all’ultimo giorno della vita sarò fedele a te, mio signore, contro ogni uomo eccetto l’imperatore. Cioè giuro che scientemente non parteciperò mai a deliberazione o ad atto per cui tu perda la vita o qualche membro, o riceva danno nella persona, o ingiustizia o insulto, che tu perda qualche diritto che tu hai o in futuro avrai. E se avrò saputo o udito di alcuno che voglia fare qualcuna di queste cose a tuo danno, cercherò di impedire, nella misura delle mie forze, che questo avvenga, e se non potrò oppormi ti avviserò al più presto possibile, e ti aiuterò contro di lui quando potrò. E se accadrò che tu perda qualche cosa che hai o avrai, per ingiustizia o per caso, ti aiuterò a recuperarla, e, recuperata, a conservarla. E se avrò saputo che tu vuoi giustamente assalire qualcuno, e sarò stato da te invitato, sia in forma generale sia personale, ti darò il mio aiuto come potrò. E se tu mi avrai rivelato qualche segreto, non lo svelerò al alcuno, senza tuo permesso, né farò in modo che sia svelato. E se mi chiederai consiglio su qualche cosa ti darò il consiglio che mi sembra più utile per te. E mai di persona farò coscientemente cosa che possa essere di danno ed insulto a te e ai tuoi.

CARLO MAGNO dettati ortografici e letture – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO ESCLAMATIVO

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO ESCLAMATIVO

Materiali
– una piccola clava
– una perla rossa
– penne rosse e nere
– strisce di carta bianca

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO ESCLAMATIVO
Presentazione

Invitiamo un gruppo di bambini ad unirsi a noi e srotoliamo il tappeto.

“Nella Preistoria gli uomini vivevano di caccia, e facevano a gara per stabilire chi fosse il più forte, il miglior cacciatore di tutti.  Il migliore naturalmente riceveva un premio, ad esempio una bella clava come questa. Allora il vincitore prendeva la sua clava e la alzava verso il cielo, per mostrare di avere un grande potere e anche perchè era felice di avere vinto. E alzando la clava urlava: “Sono il migliore!” oppure “Questa caccia è stata fantastica!”, o magari: “Stasera si fa festa!”.

Scriviamo queste frasi senza punteggiatura e mettiamole sul tappeto:

Chiediamo ai bambini: “Sono frasi?” Leggiamo ad alta voce. Poi chiediamo: “Ci ricordate come si fa a fermare una frase?”, quindi mettiamo una perlina rossa alla fine della prima frase, e segniamo un punto rosso sulle altre due.

Diciamo:”Quando vogliamo mostrare che una frase ha una grande potenza, o grande eccitazione, la fermiamo con un segno che assomiglia a questa clava.”

Mettiamo la clava sopra la perlina rossa della prima frase, e segniamo il punto esclamativo, in rosso, sulle altre due.

Aggiungiamo: “Questo segno rosso che ho fatto si chiama un punto esclamativo. La parola “esclamativo” deriva dalla parola latina “exclamare”, che significa gridare. Quando vogliamo gridare qualcosa usiamo un punto esclamativo. “

“Questa è la nostra lezione chiave sul punto esclamativo. Ora potete registrarla sui vostri quaderni, usando sempre la penna rossa per le maiuscole e per il punto esclamativo.

Il punto esclamativo segue le parole di esclamazione. Anticamente per indicare la sorpresa o la gioia in una frase, si scriveva alla fine di essa la parola latina “IO” che significava “Evviva”. Nel corso del tempo la I si spostò al di sopra della O divenendo così l’asta del punto esclamativo, mentre la O si rimpicciolì trasformandosi in un punto.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO ESCLAMATIVO
Estensioni

– presentare ai bambini esclamazioni formate da una sola parola (Aiuto! Correte! Evviva! ecc.)

– leggere ai bambini testi che contengano molte esclamazioni prima senza nessuna espressione, poi con grande enfasi.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO ESCLAMATIVO
Per l’insegnante

Il punto esclamativo indica il tono delle esclamazioni, e in genere delle frasi che esprimono meraviglia, gioia, dolore, ecc.
Talvolta per esprimere forte stupore e incredulità, si possono usare insieme il punto interrogativo e il punto esclamativo: Maria e Antonio sono usciti insieme?!
Piuttosto raro nello scritto formale e nella prosa letteraria, l’uso combinato o iterato di punti esclamativi e interrogativi è molto frequente nella pubblicità.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO ESCLAMATIVO

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO INTERROGATIVO

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO INTERROGATIVO

Materiali
– un amo da pesca (o l’immagine di un amo)
– una perlina rossa
– penne nere e rosse
– strisce di carta bianca.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO INTERROGATIVO
Presentazione

Invitiamo un gruppo di bambini ad unirsi a noi e srotoliamo il tappeto.

Su una striscia di carta scriviamo una domanda, ad esempio: “Come stai” omettendo il punto.

Diciamo ai bambini: “Vi ricordate la settimana scorsa, quando abbiamo parlato della frase? Come si fa a fermare una frase? » (Con un punto). Aggiungiamo la perla rossa in fondo alla frase:

“Però questo punto, in questa frase, non è del tutto giusto, perchè non si capisce che stiamo facendo una domanda.  Fare una domanda è un po’ come pescare: si lancia una domanda e si spera in una risposta, come quando si lancia l’amo e si aspetta il pesce. Allora quando noi diciamo qualcosa e aspettiamo che qualcuno ci risponda, cioè quando facciamo una domanda, usiamo il punto interrogativo, o punto di domanda, che somiglia proprio a un amo da pesca”

Rimuoviamo la  perla rossa e scriviamo il punto fermo col pennarello rosso sulla striscia di carta. Poi posizioniamo l’amo sopra al punto, in modo che somigli al punto interrogativo.

Quindi rimuoviamolo e tracciamo il punto interrogativo, sempre in rosso.

Aggiungiamo il cartellino del titolo e dell’etimologia dicendo: “Questa è la nostra lezione chiave sul PUNTO INTERROGATIVO”, quindi chiediamo ai bambini di registrare la lezione sui loro quaderni, scrivendo in rosso il punto interrogativo.

La parola “interrogativo” deriva dal Latino inter (fra) e rogare (domandare). In origine, nei testi latini, le domande erano indicate con la parola QUAESTIO che voleva dire “domanda finale”. Questa parola venne poi abbreviata con QO e per non confondere le due lettere con altre sigle, si cominciò a scrivere la Q sopra la O. Con passare del tempo la O è diventata un punto e la Q venne stilizzata diventando il nostro “?”

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO INTERROGATIVO
Per l’insegnante

Il punto interrogativo indica il tono ascendente dell’interrogazione diretta; si usa perciò alla fine di una domanda.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO INTERROGATIVO

Dettati ortografici e materiale didattico sul TRENTINO ALTO ADIGE

Dettati ortografici e materiale didattico sul TRENTINO ALTO ADIGE, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

Osserviamo la cartina

Confini: Austria, Veneto, Lombardia
Monti: Alpi Centrali (Retiche) , Alpi Orientali (Atesine e Dolomitiche), Prealpi Venete.
Cime più alte: Cima Tosa nel gruppo di Brenta; Presanella; Cevedale; Ortles; Palla Bianca; Vetta d’Italia; Picco dei Tre Signori; Cime di Lavaredo; Marmolada; Catinaccio; Latemar; Pale di San Martino; Monte Baldo; Pasubio
Valli: Giudicarie, Val di Non, Val di Sole, Val d’Ultimo, Val Venosta, Passiria, Val Sarentina, dell’Isarco, Val Pusteria, Val Gardena, Val di Fassa, Val di Fiemme, Valsugana, Valle Lagerina
Valichi: della Mendola, del Tonale, dello Stelvio, Di Resia, del Giovo, Del Brennero, di Dobbiaco, Monte Croce di Comelico, di Sella, del Pordoi, di Costalunga, di Rolle
Fiumi: Adige, Chiese, Sarca, Brenta. Affluenti di sinistra dell’Adige: Isarco (col suo affluente Rienza), Avisio. Affluenti di sinistra: Noce
Laghi: di Garda, di Ledro, di Molveno, di Tovel, di Resia, di Braies, di Carezza, di Levico, di Caldonazzo.

Questa regione, che si incunea tra la Lombardia e il Veneto, è formata da due territori: il Trentino e l’Alto Adige. Interamente montuosa, la regione comprende le Alpi Retiche e un gruppo delle Dolomiti, che si innalzano aspre e ardite.
Numerosi laghetti alpini rendono pittoresche le verdi conche; deliziose sono le stazioni climatiche e famosi i centri sportivi invernali.
Solcata dall’Adige, questa regione, ricchissima di ricordi e di testimonianze dell’eroismo profuso dai nostri soldati nella guerra combattuta, dal 1915 al 1918, per ridare alla nostra Patria i suoi confini naturali, è una delle più pittoresche d’Italia.

Dettati ortografici e materiale didattico sul TRENTINO ALTO ADIGE
Vita economica

L’agricoltura, alla base dell’economia della regione, è una delle principali fonti di ricchezza. Sui pendii dei monti, in pieno sole, vi sono vigneti, campi di grano, di patate, di frutta, di tabacco.
Nei prati estesi e ben tenuti pascolano bovini, ovini ed equini.
Le folte e scure foreste danno abbondante e pregiato legname.
Per l’abbondanza delle acque primeggiano le industrie idroelettriche, poi quelle alimentari, le industrie chimiche, i cotonifici, le fabbriche di cemento. Attrezzatissima è l’industria turistica ed alberghiera.
Dalle cave si estraggono marmi pregiati e porfido, usato per le massicciate stradali. Notevole è pure l’artigianato.

Dettati ortografici e materiale didattico sul TRENTINO ALTO ADIGE
Province

Il Trentino Alto Adige ha un’amministrazione autonoma e comprende due province. Trento, il capoluogo del Trentino, sorge sulle rive dell’Adige. Di origine antichissima, è città ricca di ricordi storici e patriottici.
Bolzano, capoluogo dell’Alto Adige, è per la sua posizione un centro commerciale e alberghiero di prim’ordine. Vanta industrie idroelettriche, chimiche e meccaniche.

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Per il lavoro di ricerca

Come si presenta il territorio del Trentino Alto Adige?
Il tratto delle Alpi che si erge tra il Trentino Alto Adige e il Veneto è costituito da magnifiche montagne, meta di numerosi turisti. Sai come si chiamano e quali sono le loro più attraenti caratteristiche?
Nel Trentino Alto Adige c’è la vetta che segna il punto più settentrionale dell’Italia; come si chiama? Conosci il nome di qualcuno tra i più bei laghi delle Dolomiti?
Il lago di Garda fa parte della regione?
Qual è la risorsa principale della Regione?
Che cosa offre l’agricoltura?
Quali industrie primeggiano nel Trentino?
E’ molto importante l’allevamento del bestiame?
Ricerca notizie sulla flora e la fauna altoatesina.
Il Trentino Alto Adige ha amministrazione autonoma. Che cosa significa?
Qual sono le località più importanti della Regione e perchè sono note?
Perchè nel Trentino Alto Adige si parla anche la lingua tedesca?
Perchè è famosa la Val Gardena?

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Ai confini con l’Austria

Il Trentino Alto Adige è stato giustamente definito il regno delle montagne. Infatti tutto il territorio abbraccia catene di monti, alti bacini, una grande vallata (Adige) e una serie di solchi minori. Tra le nostre regioni è quella che si spinge più a settentrione, incuneandosi tra la Lombardia e il Veneto.
Qui si trova la Vetta d’Italia, punto estremo nord del territorio italiano. Osserviamo sulla cartina il complesso di catene e gruppi montuosi del Trentino. Si possono notare in ciascuna le cime più elevate. Queste si trovano per lo più nella catena delle Alpi Atesine, sul cui crinale corre il confine con l’Austria.
Ricordiamo soltanto la Palla Bianca, il Pan di Zucchero, il Pizzo dei tre Signori con candide colate di ghiaccio. Nessuno oltrepassa i 4000 metri, eppure nel loro complesso danno un quadro  di poco inferiore per asprezza a quello visto nella cerchia piemontese. Del resto è un fatto da segnalare che man mano le Alpi si avvicinano alla loro conclusione ad oriente, vanno notevolmente abbassando le loro vette.
In questo tratto si aprono tre valichi di grande importanza per il traffico transalpino: il Passo di Resia, il Brennero, e il Passo di Dobbiaco; il primo percorso da strada,  e gli altri due da strada e ferrovia. Pure importanti per le comunicazioni con la Lombardia sono i Passi dello Stelvio e del Tonale, posti tra i gruppi dell’Adamello e dell’Ortles-Cevedale, sul lato occidentale.
Il quadro alpino più splendido, il Trentino Alto Adige ce lo riserva sul lato orientale, dal quale si innalzano le Dolomiti. Nel loro insieme costituiscono quasi un mondo a sé, notevolmente diverso dagli altri gruppi montuosi.
Si tratta di rocce di particolare formazione, di origine sedimentaria come tante del sistema alpino, ma passate attraverso altre vicende. Le Dolomiti, viste da vicino nel loro gruppi principali (il Sella, il Catinaccio, il Sasso Lungo, la Marmolada, le Pale di San Martino) presentano ora guglie slanciate, ora esili muri smerigliati, ora tozzi castelli, tra loro intagliati da paurosi strapiombi e da ripidi canaloni, ai piedi dei quali viene ad accumularsi una massa di ghiaia e di detriti che si sono staccati dalla roccia.
Completa il rilievo del Trentino Alto Adige il settore meridionale, anch’esso montuoso, costituito dai più dolci e blandi contrafforti prealpini (Monti Lessini, il Pasubio, il Monte Baldo).
Il fiume Adige è il grande collettore delle acque della regione: nasce al Passo di Resia e subito dopo pochi chilometri passa per un ampio solco dal piatto fondo, che si fa via via più dilatato e costituisce l’unico lembo di piano in mezzo a tante conche e declivi.

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L’agricoltura

La regione ha la sua principale fonte di ricchezza (metà del territorio ne è coperta) nel patrimonio boschivo, costituito per la maggior parte da alberi pregiati dell’abete rosso, del larice, del pino. Nel Trentino i boschi sono quasi tutti di proprietà comunale, così fa garantire un’equa distribuzione del reddito tra la popolazione locale; prevale invece la proprietà privata nei boschi dell’Alto Adige. Pur presentando il paesaggio vaste e verdi estensioni prative, l’allevamento del bestiame non raggiunge un livello eccezionale; le mandrie bovine vivono durante l’estate negli alti pascoli e in quelli bassi in primavera e in autunno; molti di questi pascoli, come i boschi, sono di proprietà comune.
Le vallate della regione hanno un’eccellente produzione di frutta; in particolare, uva e mele; ovunque è possibile si sviluppa la coltivazione dei cereali e delle patate.

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L’allevamento del bestiame

Nel modo di vita dei montanari, l’allevamento del bestiame appare una caratteristica importante.
I villaggi non grossi sono siti in prevalenza nei fondi vallivi; attorno ad essi si stendono minute scacchiere di campicelli, scacchiere evidenti al momento della maturazione delle messi, quando i riquadri assumono colori diversi (orzo e segale, patate, ortaggi, ecc.). Ma le risorse propriamente agricole sono in genere tutt’altro che sufficienti.
Ed ecco, ben connaturato con l’ambiente alpino, l’allevamento del bestiame bovino (quello delle pecore e delle capre ha perduto via via d’importanza): nei fondovalle, sui coni e sulle prossime falde si coltivano piante foraggere col sussidio dell’irrigazione, pratica molto diffusa nelle Alpi; radure, appositamente aperte nella fascia boschiva, offrono pascolo e prati da sfalcio; le praterie superiori al limite del bosco costituiscono una vera riserva di erba estiva, in genere utilizzata direttamente col pascolo, portandovi il bestiame dei villaggi.

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Trento

Trento, capoluogo della regione, sorge sull’Adige, tra una magnifica schiera di monti. Ha notevoli monumenti, quali il Duomo (dedicato a San Virgilio), il Castello del Buon Consiglio, la Chiesa di Santa Maria Maggiore, il Monumento a Dante (eretto nel 1896, sotto la dominazione austriaca), il monumento a Cesare Battisti, cui la città diede i natali.

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Bolzano

Situata in un’ampia conca, sulla destra dell’Isarco, è città di aspetto moderno, attivo centro industriale, commerciale e turistico, importante nodo di comunicazioni. Vi si tene annualmente una Fiera Campionaria Internazionale. Ha bei monumenti, tra cui il Duomo, Castel Roncolo (uno dei più belli dell’Alto Adige), il monumento alla Vittoria.

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Cittadine del Trentino

Centri notevoli della regione sono: Rovereto, vecchio centro industriale del setificio e patria del filosofo Antonio Rosmini; Merano, in posizione incantevole e dal clima mitissimo; Bressanone, nota stazione climatica; Riva, adagiata sulla sponda del lago di Garda e centro alberghiero; Arco, dominata da un’asperrima rupe su cui troneggiano e rovine di una rocca, che ha dato i natali al grande pittore Giovanni Segantini; Levico, famosa per le sue acque minerali terapeutiche, alle sorgenti del fiume Brenta, dominata dalle montagne degli altipiani vicentini che le stanno di fronte; Molveno, sulla riva del lago omonimo, che ebbe origine dallo sbarramento di una enorme frana preistorica (oggi è stato sbarrato, per alimentare un’imponente centrale idroelettrica); Fiera di Primiero, notevole centro di villeggiatura nella Valle del fiume Cismon, ai piedi del villaggio turistico di San Martino di Castrozza e del gruppo dolomitico delle Pale di San Martino.

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Trento

Quella graziosa, gaia, linda città che è Trento congiunge nel suo aspetto lo spirito montanaro, un avanzo d’ordine austriaco ed il pittoresco del Veneto. Non è ricca, eppure le strade sono ben asfaltate, hanno la pulizia cristallina delle Alpi. Contemplo con piacere le antiche case, con facciate dipinte di figure. Nei giorni di sole il castello del Buon Consiglio riacquista letizia benchè chiuda fra le sue mura la tomba di Battisti e degli altri martiri. Ma bisogna vedere al buio il palazzo Tabarelli che fu, secondo la leggenda, eretto dal diavolo in una notte. Piace ai trentini andare in gita a Castel Toblino… oppure nella Val Rendena, verso Madonna di Campiglio, in cui si vedono chiesette con le pareti esterne ricoperte di affreschi popolari che fanno pensare al Messico.
(G. Piovene)

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Bolzano

Percorrendo in treno il canale alpino che va da Trento a Bolzano, ci vien fatto di immaginare come venti secoli fa le legioni imperiali con le lance e le insegne romane, e i  manipoli di cavalieri, risalissero questa valle, attraverso pantani, tempeste e orrori di un’epoca presso a pressapoco antidiluviana.
Ecco infatti venirci addosso le Dolomiti che fiancheggiano la strada ferrata: ci si parano dinanzi, a tratti, improvvise di luce, ciclopiche.
Rosse, rosee, cineree pareti da scalare con le corde e la piccozza. Lassù, inaccessibili, sull’orlo degli abissi, sporgono la testa ogni tanto i fortilizi italiani, eccelsi nell’azzurro come il Walhalla.
Sotto le Dolomiti, nelle verdi e piane pezze di terra c’è la vigna bassa e fitta, coi tralci distesi e tirati a tetto come si sua nelle colline dei Castelli romani (le graticciate di ferro della linea a fili elettrici, gli orti carichi e pieni di grosse mele rosse) e le acque correnti limpide come il cristallo.
Qui si comincia a respirare, a narici dilatate, la famosa aria di Bolzano.
Quest’aria fina e leggera dalla carezza fredda, quest’arietta frizzante e movimentata, che con la complicità del vinello che c’è da queste parti ti fa venire il naso rosso, che ti assidera un po’ le orecchie, pura al cento per cento.
Bolzano è chiusa, circondata da alte montagne. La vallata è profonda, circoscritta; più che una valle è un buco. Nelle ere geologiche qui c’era forse un lago, un serbatoio naturale di acque, di fango e di mostri anfibi di una specie umida e favolosa, perduta ormai per sempre; adesso c’è un clima asciutto, secco, l’aria pungente e pura e il fiume Isarco: velo trasparente d’acqua che le vivaci trote risalgono.
Qui tutto esprime la gioia di vivere: i grandi alberi con il fogliame così pulito e risplendente di freschezza che si direbbe l’abbian messo in bucato e poi ad asciugare sotto il tenero sole di Bolzano; le fontane di acque alpine che scrosciano davanti alla stazione; il largo e tranquillo traffico degli uomini e delle automobili.
(B. Barilli)

Dettati ortografici e materiale didattico sul TRENTINO ALTO ADIGE
La campana dei caduti

Nella Val Lagarina, in prossimità di Trento, giace Rovereto, industre cittadina lambita dall’Adige. Tra i monti dei dintorni, alcuni portano nomi che ricordano l’eroismo e la tenacia dei soldati italiani durante la prima guerra mondiale: il Pasubio, l’Altopiano di Asiago, la Cima Dodici, che furono teatro di battaglia tra le più aspre che insanguinarono i monti della patria. Oggi Rovereto lavora tranquilla e operosa nella sua conca, battuta dal sole implacabile dell’estate e dai rigidi venti dell’inverno; ma non dimentica i Caduti di quelle epiche lotte sostenute per l’indipendenza di quell’estrema regione d’Italia. Glieli ricordano i 36 cimiteri di guerra che la circondano; gliela ricorda Maria Dolente, la campana che ogni sera batte cento rintocchi in loro memoria e in memoria dei Caduti delle guerre di tutto il mondo. Fusa nel bronzo dei cannoni degli eserciti che parteciparono alla prima guerra mondiale e benedetta con l’acqua dei fiumi e dei mari che furono testimoni delle più aspre battaglie, i suo i rintocchi sono come voce di madre che implori la pace per i figli diletti.

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Un po’ di geologia

Le Dolomiti costituiscono un mondo alpino a sé stante sia per confermazione geologica che per aspetto.
Esse devono il loro nome al geologo Deodat Gratet de Dolomieu che, per primo, ne studiò la complessa costituzione. Alla cosiddetta “dolomia principale”, che è l’elemento più evidente, si intercalano rocce tenere e rocce calcaree: mentre le prime offrono una limitata resistenza all’incessante opera modellatrice degli agenti esogeni, cioè all’azione di ghiacci, delle piogge e del vento, le rocce calcaree rimangono nettamente staccate, compatte su estese fasce e falde di detriti e di ghiaia.
Nel paesaggio dolomitico, quindi, mancano i grandi altipiani, appaiono raramente le creste continue e i fianchi ampi e poderosi arrotondati dalla millenaria azione dei ghiacciai. Le Dolomiti sono il regno delle moli isolate, delle cime dagli aspetti più complessi, più strani, più irreali: guglie slanciate e tozzi castelli, miri sottili ricamati da aerei trafori e bastioni poderosi come giganteschi contrafforti. E strana, pittoresca è la nomenclatura che ben si s’addice alla singolarità del paesaggio: piz (pizzo), croda (roccia nuda, parete), pala (parete rocciosa), cadin (conca) giaroni (falde di ghiaia).

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Strade dolomitiche

Non ci sono ghiacciai sulle dolomiti: ci sono laghetti azzurri, scuri abeti secolari, pascoli verdi e nudi picchi di roccia. Sono rocce rosa, grige, color oro o color sabbia, a seconda del sole; sono rocce solide e potenti o guglie sottili in bilico sui declivi erbosi; sono talvolta strane moli che sembrano, con il variare delle luci, cattedrali o castelli. E fra queste rocce, fra questi abeti, fra questi pascoli si inerpicano le strade dolomitiche; salgono ai valichi famosi, al Pordoi, al Rolle, al Falzanego; vengono dalla Val Gardena, dalla Val Pusteria, dal Lago di Carezza, vanno verso Cortina d’Ampezzo, verso l’incanto di Misurina.
(A. Danti)

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La leggenda dell’edelweiss

Nelle Dolomiti viveva un re il cui figlio sognava da anni di andare sulla Luna. Un giorno il principe riuscì a realizzare il desiderio, aiutato da due strani omini che però lo avvisarono: “Non resterai a lungo lassù; lì è tutto bianco ed abbagliante e ci perderesti la vista”.
Infatti dopo non molto tornò sulla Terra, portandosi in sposa la figlia del re della Luna, che era bellissima e diffondeva, attorno a sé, una gran luce bianca. La principessa aveva recato certi fiori bianchi che sulla Luna coprivano campi e monti come uno strato di neve. E questi fiori si diffusero per tutte le Alpi; gli Italiani li chiamano “stelle alpine” e i Tedeschi “edelweiss”.

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Dimore di pastori nel Trentino

Nella zona dei prati e dei pascoli di alta montagna sono comuni le “malghe” e le “manzare”, dimore temporanee che servono per la monticazione estiva rispettivamente delle mucche da latte e delle bestie asciutte.
Le malghe constano di solito di due fabbricati costruiti di muro e coperti con tetti di scandole, ossia assicelle di legno; uno, il maggiore, è la stalla. In esso si tengono chiusi gli animali durante la notte. L’altro, più solidamente costruito e meglio riparato, è la malga propriamente detta, dove vivono e dormono il malgaro con la  famiglia e talvolta anche i pastori. I locali essenziali sono tre: la cucina, dove si lavora il latte; il locale dove si conserva il formaggio e quello dove si mette il latte ad affiorare.
Nella cucina trovi un primitivo focolare formato da tre o quattro sassi grossi, intorno al quale ci sono delle rozze panche. E’ il focolare d’uso privato, dove i pastori e il malgaro si preparano i pasti: immancabile la polenta di granoturco, meno frequente di grano saraceno, che si mangia col formaggio o col latte o con la ricotta. Su una tavola, spesso fissata al muro, e su rozze mensolette trovi disposte le scodelle e le ciotole di terracotta, il vasetto del caffè e quello del sale. In un canto la padella e il paiolo di rame.
Di fronte al focolare, in una rientranza del muro, c’è la caldaia di rame, di grandi dimensioni, ove si riscalda il latte spannato e si prepara il formaggio. Vicini alla caldaia si vedono dei bastoni a un’estremità dei quali sono infissi, a raggiera, dei pioli: sono gli strumenti che si adoperano per la cagliata, adattissimi a smuovere la massa che va cuocendo. Essenziale in una malga, oltre la caldaia, è la zangola, una specie di botticella girevole sopra un sistema di leve, nella quale si batte la panna per trarre il burro. Completano l’arredamento della cucina: la cassapanca dove si tengono le farine, i secchielli che si usano per mungere il latte, il ceppo con l’accetta per spaccare la legna, le schiumarole di legno per spannare il latte, il brentone (grande mastello dove si conserva il siero), qualche mestolo di legno col mestolone della polenta.
Annesso alla cucina è il locale dove si mette il latte appena munto, tenendovelo dalla sera alla mattina, affinché vi faccia la panna. Si procura che il locale sia fresco scegliendolo a tramontana e facendovi scorrere l’acqua per dei canaletti scavati nel suolo. Vicino al locale del latte c’è il locale dove si conserva il formaggio, collocato su mensole di legno alte da terra e sostenute da paletti conficcati trasversalmente nel muro.
(L. Bertagnolli)

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Un lago rosso

Le acque del laghetto di Tovel, nelle dolomiti, ogni estate si fanno di color rosso sanguigno. Nulla di strano! E’ il clenodio, animaletto microscopico che in questa stagione si moltiplica enormemente, a dare questa tinta a quell’acqua, giacché il clenodio è rosso e d’estate si ammassa sulla superficie dell’acqua.
Non abbiamo quindi solo il Mar Rosso che deve il suo nome a un fenomeno molto simile, ma anche il Lago Rosso.

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Fauna e flora trento-atesina

Limitandoci a percorrere le strade, non troveremo che animali e piante comuni. E’ nei boschi, cominciando dai 500 metri di altezza e, via via salendo fino ai 3000, che potremo imbatterci in lepri grige e bianche, in caprioli, in marmotte, in volpi, in tassi, in orsi, in rettili, in cervi e, là dove si elevano le rocce, anche in qualche esemplare di camoscio. Fra gli uccelli potremmo incontrare l’aquila, il gallo cedrone, il francolino, la starna, la coturnice, il lucherino.
Tra i numerosi pesci di fiume e di lago ricordiamo la trota, il salmerino, il carpione, la carpa, la tinca, il barbo,…
Per la flora ricorderemo, accanto all’olivo che prospera sulle rive del Garda, il cipresso, l’alloro, il rosmarino, il fico, il cappero, e, accanto alla stella alpina, il rododendro, la sassifraga, la primula, la campanula, il nasturzio, la genziana.
La fioritura dei pascoli alpini, meravigliosa, è una delle più gentili attrazioni della regione.

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Il Trentino Alto Adige

Meravigliosi panorami montani, aperti pascoli, folte foreste: ecco quello che ci ricorda il nome di questa regione. Ma, soprattutto, vediamo il magico gruppo delle Dolomiti con le loro pareti a picco, profondamente incise dalle piogge e dai venti, coi loro pinnacoli aguzzi che le fanno somigliare a cattedrali immense, con la loro colorazione di madreperla, sempre variante dal rosa al viola, talora squillante in toni di fiamma. Nessuna meraviglia se l’industria alberghiera prospera in questo paese e ne costituisce la principale risorsa.

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Frutteti Alto Atesini

Il treno fila veloce nell’ampia vallata dell’Adige tra il succedersi di grosse e piccole borgate, di vigneti, di frutteti e campicelli di granoturco. Tutta la vallata è il regno della frutta. I più intraprendenti frutticoltori per ottenere un prodotto perfetto, per avere cioè mele senza il più piccolo difetto, quando il frutto di primavera è ancora piccino, lo racchiudono in un sacchetto di carta cerata che lo protegge dalle eventuali nebbie e dalle punture degli insetti, e lo lasciano fino a quando il frutto può dirsi maturo.
Ma dentro al sacchetto di carta il frutto rimane verde, e perciò un po’ prima della raccolta, si tolgono uno ad uno i sacchetti che a centinaia pendono da ogni albero, perchè le mele acquistino il bel roseo e il giallo dono del sole. Bisognerebbe essere qui all’inizio della primavera, quando fioriscono mandorli, pruni, peschi, ciliegi, peri e meli. La valle è tutta un fiore, ed è uno spettacolo meraviglioso.
(G. Assereto)

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Dolomiti

Variano ad ogni variare delle ore, hanno la stessa mutabilità del mare. Il vento, le nubi, il giorno, la notte, il sole e la luna le riplasmano ad ogni istante. A volte tra cumuli di nubi grigie la luce scende perpendicolarmente e rasente illuminando le erte pareti di barlumi freddi come nell’interno di una cattedrale; contro la prima luce dell’alba appaiono nere, informi ed immiserite, ma poi il sole arriva a definirle precise in ogni contorno, accendendo nell’azzurro nettissimo il rosso aragosta delle spaccature profonde. Nel pomeriggio con calde nubi immobili le cime si inombrano tra squarci di sole, ma la loro massiccia potenza è nelle giornate di tempesta: allora tra l’irto delle punte è formidabile il tumulto di sublimi battaglie.
(G. Comisso)

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La valle dei giocattoli

Val Gardena! Una guida avverte il viaggiatore che fino a non molti anni fa si esportavano da qui settecento quintali di lavori in legno scolpito, ci cui la metà tra santi e altari e metà giocattoli-
Trecentocinquanta quintali di giocattoli per anno! Oh, valle di delizia! Valle di sogno! Per secoli questa gente è cresciuta in mezzo a questo silenzio di nevi tra invenzioni ilari e gioconde, ideando buffi congegni e personaggi gaudiosi, per l’estro sempre accesso e rivolto ad una gioia di bimbo, o al suo stupore ingenuo e ridente. Ed ha inondato il mondo di questo riso fecondo.
(G. Cenzato)

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Bolzano

Bolzano è opulenta, moderna. Ma la sua bellezza è gotica: le sue vie fiancheggiate di portici, abbellite non tanto da questa o da quella costruzione, quanto dal movimento degli angoli e dalle sporgenze che creano fondali e teatro, giochi di luce. Il suo sapore viene dall’incontro di questo sfondo con l’emigrazione italiana. Una folla irrequieta, petulante, variabile, che parla forte in diversi dialetti, si esibisce, gesticola, litiga, simile a un o sciame di maschere nello scenario opaco delle case e degli animi locali. Appare nel contrasto più meridionale. Bolzano è una città di montagna dell’Austria a cui si sovrappone un porto levantino.
(G. Piovene)

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Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO FERMO

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO FERMO; presentazioni per bambini della scuola primaria, che servono anche a spiegare cos’è la frase.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO FERMO
Prima presentazione del punto fermo ai bambini (serve anche a spiegare cos’è la frase).

Materiali
– un pezzo di spago
– una perla rossa
– pennarello rosso e nero
– strisce di carta

Presentazione

Invitiamo un gruppo di bambini ad unirsi a noi e srotoliamo il tappeto.

Su una striscia di carta scriviamo un soggetto, ad esempio: “tutti i pesci”

Leggere a voce alta e poi chiedere ai bambini: “Secondo voi quello che ho scritto è sufficiente a capire quello che voglio dire? Riuscite a capire cosa sto pensando dei pesci?”

Quindi completare la frase aggiungendo, ad esempio: “vivono nell’acqua”

Leggere tutta la frase e dire: “Ora sì che abbiamo un pensiero completo. Un pensiero completo è un gruppo di parole che insieme hanno un senso. Un pensiero completo si chiama frase. “

Con lo spago incorniciare la frase, per sottolinearne la completezza.

Quindi dire ai bambini: “Ogni volta completiamo una frase, la dobbiamo fermare”.  E poniamo la perla rossa al termine della striscia.

Diciamo: “Per fermare la mia frase ho messo questo punto rosso. Tutte le volte che ho terminato una frase devo fare le stessa cosa, mettere un punto. Questo punto si chiama PUNTO FERMO”. Quindi prendiamo di nuovo in mano la perla rossa e facciamo un punto rosso alla fine della frase:

Ora chiediamo ai bambini: “Vi ricordate cosa abbiamo detto delle lettere maiuscole? Quali parole si devono scrivere con la lettere maiuscole? Giusto, la parola che sta all’inizio di una frase”. Col pennarello rosso correggiamo la parola scritta sulla striscia di carta:

Aggiungere il titolo della lezione sul tappeto dicendo: “Questa è la nostra lezione chiave sul PUNTO FERMO”, quindi chiedere ai bambini di registrare la lezione sui loro quaderni, scrivendo in rosso l’iniziale maiuscola e il punto fermo.

Possiamo aggiungere che gli antichi Greci ponevano un cerchio intorno alle frasi, per indicare che lo scrittore con quelle parole era andato intorno a un certo soggetto. Il cerchio poi è diventato un cerchietto piccolo alla fine della frase, ed infine divenne così piccolo da trasformarsi in punto.
La parola punto deriva dal latino “punctum” che significa “ridotto al minimo”.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO FERMO

Per l’insegnante

Il testo è formato da frasi, che sono delle unità di senso compiuto inserite in una situazione comunicativa.
Una frase è composta da una o più proposizioni.
La proposizione è un’unità sintattica di base costituita almeno da un soggetto e un predicato. Unendo due o più proposizioni poste sullo stesso piano (coordinate) o ordinate secondo una gerarchia (subordinate) si ottiene una frase complessa o periodo.
Una frase può essere costituita da una sola proposizione, e si ha allora la frase semplice; oppure può essere costituita da più proposizioni, e si ha allora la frase complessa o periodo.

Il punto (o punto fermo) indica una pausa lunga e si mette generalmente alla fine di una frase. Se tra due frasi o tra due gruppi di frasi c’è uno stacco molto netto, dopo il punto si va a capo e si comincia con un nuovo capoverso (al quale si può fare maggiore evidenza lasciando uno spazio bianco all’inizio del rigo).
Viene usato anche nelle abbreviazioni (ecc. = eccetera; v. = vedi; cfr = confronta).
Quando una frase termina con una parola abbreviata, il punto non si scrive perchè  già presente nell’abbreviazione.

Segni di interpunzione col metodo Montessori IL PUNTO FERMO

Dettati ortografici e letture sulla fabbricazione della carta

Dettati ortografici e letture sulla fabbricazione della carta per la scuola primaria. Per la fabbricazione della carta coi bambini e altri cenni storici vai qui: Fare la carta coi bambini.

L’argomento si presta ad essere affrontato anche nell’ambito della Quarta grande lezione Montessori

Dettati ortografici e letture sulla fabbricazione della carta
Dall’albero al giornale

Ognuno di noi sa che la carta si fa ora, quasi tutta, con la corteccia degli alberi, ma non tutti sanno quanto poco tempo occorra perchè un albero si trasformi in carta.
Ecco che cosa accadde un giorno in una grande fabbrica di carta.
Alle sette e trentacinque del mattino, tre alberi furono tagliati nella foresta, portati subito alla fabbrica, scorticati e macinati. Il legno fu ridotto, passando per diversi bagni, ad un pasta la quale fu subito portata alle macchine della carta, che la distesero in fogli sottili, e alle nove e trenta usciva il primo foglio di carta.
La tipografia di un giornale quotidiano sorgeva a quattro chilometri di là, e il foglio portato da un’automobile fu immediatamente messo sotto la rotativa. Alle dieci del mattino usciva il giornale stampato.
Erano bastate due ore e venticinque minuti per leggere le notizie del giorno su di un foglio di carta, che quella mattina stessa era parte di un albero dritto e fiero nella foresta. (F. Lombroso)

Dettati ortografici e letture sulla fabbricazione della carta
Come si fabbrica la carta

I fusti vengono segati in pezzi regolari e passati in uno scortecciatore e quindi uno sminuzzatore che riduce i pezzi di legno in minuti frammenti. Questi frammenti con un nastro trasportatore vengono immersi in un mescolatore cui il legno viene mescolato a calcare e ad altre sostanze che concorrono a fare del legno una pasta omogenea. Questa pasta viene raccolta in un serbatoio e da qui passata su una tavola piana che porta la pasta a rulli pressori dai quali esce il foglio di carta che passa attraverso una serie di essiccatori. Per cento chili di tale pasta occorrono trecento chili di legno. Per via chimica, invece, si ottiene la cellulosa. La carta pronta viene calandrata, cioè avvolta in grossi rotoli per essere messa in commercio.
La carta venne fabbricata per la prima volta con fibre vegetali in Cina; gli Arabi la introdussero in Sicilia. Le grandi cartiere di Fabriano risalgono al 1276.

Dettati ortografici e letture sulla fabbricazione della carta
La carta

Carta da lettera, carta da sigarette, carta da giornali, carta moneta, carta da pacchi: quindici milioni di tonnellate  almeno di carta di diverso tipo vengono prodotti ogni anno nel mondo. Intere foreste vengono, ogni anno, trasformate in poltiglia di cellulosa, consegnata poi alle cartiere.
La materia prima della carta italiana è il pioppo o anche la canna gentile (lavorata a Torri di Zuino, presso Cervignano del Friuli), mentre a Foggia si lavora con successo la paglia, per la carta da imballaggio.

(in costruzione)

Dettati ortografici e letture sulla fabbricazione della carta – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

INIZIALE MAIUSCOLA per i nomi propri col metodo Montessori

INIZIALE MAIUSCOLA per i nomi propri col metodo Montessori, presentazione ed esercizi. E’ un argomento che prepara i bambini allo studio della punteggiatura ed è adatto anche alla prima classe.

Presentazione delle lettere maiuscole e minuscole

Materiali
– cartellini delle lettere maiuscole e cartellini delle lettere minuscole
– carta di controllo delle lettere disposte in ordine alfabetico.

– cartelli dei titoli per l’esercizio

Esercizio

Invitare un gruppo di circa cinque bambini alla lezione e srotolare un tappeto.

Distribuire le lettere minuscole tra i bambini, dicendo : “Vi sto dando le lettere minuscole”

Poi dire loro: “Mettiamo queste lettere in ordine. Quale lettera viene prima? “. Cominciare a mettere le lettere, in ordine alfabetico, sul tappeto, dalla lettera a alla lettera z.

Proseguire l’esercizio dicendo: “Ora abbineremo l’alfabeto maiuscolo all’alfabeto minuscolo.”. Poi distribuire le lettere tra i bambini dicendo: “Queste sono le lettere maiuscole”

Indicare ai bambini la prima lettera sul tappeto dicendo: “Questa è la lettera ‘a’ minuscola. Chi ha la ‘A’ maiuscola? “. Se i bambini hanno bisogno di aiuto, possono consultare la tabella di controllo.

Via via i bambini mettono la lettera maiuscola sotto la minuscola corrispondente.

Dire ai bambini: “Questa è la chiave per conoscere le lettere maiuscole” e posizionare i cartelli dei titoli sul tappeto

Ora possiamo dire di piegare lungo la metà verticale una pagina del loro quaderno, e di scrivere sulla prima metà la lettera minuscola, e nell’altra la maiuscola corrispondente. Sarebbe meglio scrivere le minuscole in nero e le maiuscole in rosso.

Una volta completato il lavoro, può essere lasciato in classe per qualche giorno.

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INIZIALE MAIUSCOLA per i nomi propri col metodo Montessori

Presentazione

Materiali
– cartellini dei comandi per le lettere maiuscole (trovi i cartellini pronti in formato pdf qui di seguito)
– libro delle regole per l’uso della lettera maiuscola – pdf qui:

– strisce di carta bianca
– penne di due colori diversi

INIZIALE MAIUSCOLA per i nomi propri col metodo Montessori

Libretto delle regole:

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INIZIALE MAIUSCOLA per i nomi propri col metodo Montessori

Cartellini dei comandi:

tutti scaricabili qui:

cartellini dei comandi per nomi geografici vie e piazze

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cartellini dei comandi per nomi di enti titoli e marchi

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cartellini dei comandi per epoche, mesi, giorni

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cartellini dei comandi per i nomi propri

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cartellini dei comandi per la maiuscola dopo il punto esclamativo

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cartellini dei comandi per la maiuscola dopo il punto interrogativo

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cartellini dei comandi per nomi propri

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cartellini dei comandi per la maiuscola dopo il punto fermo

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Presentazione:

Riuniamo un piccolo gruppo di bambini e diciamo loro che studieremo le lettere maiuscole. Chiediamo quindi ai bambini: “Cos’è una maiuscola?”

Presentiamo ai bambini il Libro delle regole per l’uso della lettera maiuscola. Diciamo loro che non dovranno sapere tutte le regole. Leggiamo la prima regola: “La lettera maiuscola si usa sempre quando si inizia a scrivere e dopo ogni punto fermo”.

Leggiamo degli esempi che dimostrino questa regola, poi chiediamo ai bambini di scrivere delle frasi di esempio sotto dettatura, utilizzando le strisce di carta bianca predisposte e scrivendo le maiuscole in rosso e le minuscole in nero.

A questo punto mostriamo ai bambini i cartellini dei comandi predisposti per questa regola sull’uso della maiuscola. I bambini si eserciteranno individualmente, utilizzando le strisce di carta, o i loro quaderni.

Presentare allo stesso modo tutte le altre regole, con i cartellini dei comandi relativi.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla LOMBARDIA

Dettati ortografici e materiale didattico sulla LOMBARDIA, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

Osserviamo la cartina

Confini: Svizzera, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia, Piemonte
Monti: Alpi Centrali (Lepontine, Retiche, Orobie); Prealpi Lombarde (Bergamasche e Bresciane)
Cime più alte: Bernina, Disgrazia, Ortles, Cevedale, Adamello (Alpi Centrali);  Grigna settentrionale, Resegone, Presolana (Prealpi Lombarde)
Valli: Valle del Ticino, di San Giacomo, Val Bregaglia, Valtellina, Val Camonica (Alpi); Val Brembana, Seriana, Trompia (Prealpi)
Valichi: Spluga, Maloggia, Aprica, Stelvio, Tonale.
Colline: del Varesotto, della Brianza, del Garda, Oltrepò Pavese
Pianure: Padana, con alcune zone ben delimitate (Lomellina)
Fiumi: Po. Affluenti di sinistra: Ticino, Olona, Lambro, Adda con l’affluente Serio, Oglio con gli affluenti Mella e Chiese, Mincio.
Canali: Naviglio Grande, Naviglio Pavese, Naviglio della Martesana, Canale Villoresi
Laghi: Lago Maggiore (lombarda solo la sponda orientale), Lago di Lugano (lombardi i rami estremi), Lago di Como, Lago di Garda (lombarda solo la sponda occidentale), Lago d’Idro, Lago di Monate, Lago di Comabbio, di Pusiano, d’Annone, d’Endine, di Varese.

La Lombardia deve il suo nome ai Longobardi, che la occuparono nell’anno 568 e posero in Pavia la loro capitale.
La Lombardia confina ad ovest col Piemonte, a nord con la Svizzera, ad est con l’Alto Adige, il Trentino ed il Veneto, a sud con l’Emilia. La parte settentrionale di questa regione è montuosa, comprende le Alpi Lepontine, le Retiche e le Orobie, che degradano nelle Prealpi Lombarde, percorse da amene valli ed adornate da pittoreschi laghi; la parte meridionale della Lombardia si estende nella Pianura Padana, irrigatissima. Solo nell’estremo lembo dell’Oltrepò Pavese si allunga l’Appennino Ligure. Dalle Alpi scendono vari corsi d’acqua, tutti affluenti di sinistra del Po ed in genere immissari ed emissari dei laghi. Si ha, al confine col Piemonte, un buon tratto di Lago Maggiore (la sponda orientale) da cui esce il Ticino; pure lombarda è una piccola porzione di costa del lago di Lugano. Dal lago di Como scende l’Adda, dall’Iseo l’Oglio, dal Garda il Mincio, che segna il confine col Veneto; da ricordare anche i fiumi Brembo, Serio, Chiese e Mella.
La regione, a breve distanza dagli scali marittimi di Genova e di Venezia, è pure centro di un grande traffico commerciale, ed occupa i primi posti nelle attività industriali e nell’economia del nostro Paese.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla LOMBARDIA
Economia

Anche la Lombardia, come il Piemonte, comprende tre zone: la montuosa, la collinare e la pianeggiante.
La zona alpina, ricca di pascoli, favorisce l’allevamento del bestiame, il quale, praticato con criteri razionali anche in pianura, permette di ottenere una sempre maggiore produzione di latte.
Sulla collina e in pianura si producono in abbondanza uva, frutta, granoturco, frumento, foraggi, riso, barbabietole da zucchero e ortaggi.
L’industria è molto sviluppata, in ogni settore produttivo. Modesti sono invece i prodotti del sottosuolo.
Il commercio è molto attivo ed è favorito da una fitta rete di vie di comunicazione (stradali, ferroviarie ed aree).

Dettati ortografici e materiale didattico sulla LOMBARDIA
Province della Lombardia

La Lombardia è divisa in dodici province.
Milano è un grandissimo centro industriale e commerciale, tra i maggiori d’Europa. Oltre le sue industrie, la città vanta splendidi monumenti e insigni opere d’arte.
Bergamo, la “città dei mille”, posta trai fiumi Brembo e Serio, raccoglie e commercia i prodotti delle sue ricche e laboriose vallate prealpine.
Brescia, detta “leonessa d’Italia”, sorge allo sbocco della industriale Val Trompia, al limite delle Prealpi e la fertilissima pianura. Ha notevoli complessi industriali, tra i quali primeggiano le fabbriche di armi.
Como, sul lago omonimo, fu patria di Alessandro Volta. Nota per le seterie, è un notevole nodo stradale e ferroviario situato a poca distanza dal confine svizzero.
Cremona, importante per le sue industrie alimentari, fu patria dei più celebri liutai d’Europa. Anche oggi vi si fabbricano violini e pianoforti.
Lecco  è celebre per essere il luogo in cui Alessandro Manzoni ambientò il romanzo de I Promessi Sposi, che costituisce la più significativa eredità culturale lecchese, oltre ad affermarsi fra Ottocento e Novecento come uno dei primi centri industriali in Italia.
Lodi è un importante nodo stradale e centro industriale nei settori della cosmesi, dell’artigianato e della produzione lattiero-casearia. È inoltre il punto di riferimento di un territorio prevalentemente votato all’agricoltura e all’allevamento.
Mantova, nei cui pressi, a Pietole, nacque Virgilio, è posta sul Mincio. La sua provincia ha un’economia prevalentemente agricola.
La provincia di Monza e della Brianza è stata istituita nel 2004, ed è divenuta operativa nel 2009 con l’elezione del primo consiglio provinciale. E’ nata dallo scorporo di una porzione di territorio della allora provincia di Milano. Capoluogo della provincia è Monza, già residenza estiva del regno longobardo all’epoca di Teodolinda e Agilulfo.
Pavia, la romana Ticinum, è mercato agricolo e città industriale. E’ anche sede di una famosa Università.
Sondrio, sul fondo dell’ampia Valtellina, è città rinomata per l’industria enologica, le centrali elettriche ed i boschi che danno prezioso legname.
Varese, la gemma delle Prealpi, situata tra i laghi di Varese, Maggiore e di Lugano, è centro turistico, ma soprattutto industriale.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla LOMBARDIA
Per il lavoro di ricerca

Come si presenta il territorio della Lombardia? Quali gruppi montuosi vi si elevano? Quali ne sono le cime principali?
Nomina i principali valichi alpini che permettono le comunicazioni fra la Lombardia, lo Stato confinante e le altre regioni.
Quali sono oltre al Lago di Como gli altri laghi della Lombardia?
Come si chiama la grande pianura che si estende nella parte meridionale della Lombardia e che è anche la più vasta d’Italia? Da quali fiumi è solcata?
Segui il corso dell’Adda dalla sorgente: come si chiama la valle entro cui scorre nel primo tratto? E il lago di cui è immissario? Come si chiama il canale che collega le sue acque con quelle del Ticino? Di quale fiume è affluente l’Adda?
Quali sono le principali attività economiche della regione?
Quali sono i principali prodotti agricoli?
Perchè è famosa la fiera di Milano?
La regione vanta complessi industriali famosi non solo in Italia, ma in tutto il mondo: ricordi i principali?
Ricerca notizie sull’artigianato, le tradizioni, gli usi e i costumi della Lombardia.
Quante e quali sono le province in cui è suddivisa la Lombardia?
Per che cosa è nota la città di Como? E Cremona? E le altre province lombarde?
Da Milano si irradiano grandi autostrade: verso quali città? Osserva le linee ferroviarie che partono da Milano in direzione est, ovest, nord, sud: quali centri collegano? Dovendoti recare da Mantova a Varese quali città attraverseresti? E se da Voghera volessi giungere a Brescia quali fiumi dovresti attraversare?

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La Lombardia

La Lombardia, coronata dalle Alpi Lepontine e Retiche e limitata dall’ininterrotta via d’acqua Garda-Mincio-Ticino-Po, è terra aperta e luminosa, tutta pervasa da un ritmo febbrile di vita. Nessun’altra regione, forse, come questa, presenta condizioni tanto diverse: pianura, collina, montagne, nettamente delimitate; centri fragorosi di industrie e commerci come Milano e Brescia, e quiete cittadine prevalentemente rurali come Lodi e Mantova, ostinatamente impegnate nella grande battaglia da cui gli uomini traggono il pane. In Lombardia si trova il maggior numero di laghi alpini; sono lombardi infatti i laghi di Como e d’Iseo, tutta la parte italiana del lago di Lugano, la riviera orientale del lago Maggiore e quella occidentale del lago di Garda. (C. Paci)

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Le vie di comunicazione

Da Milano si irradia una fittissima rete di strade, autostrade e ferrovie dirette verso le altre regioni italiane e verso l’estero. A Milano fanno capo le autostrade per Torino, Varese, Como, Bergamo, Brescia, Verona, Padova, Mestre, Trieste, Napoli (autostrada del sole) e Genova.
Tutta la regione è solcata da strade statali e provinciali: importanti sono quelle dirette ai passi dello Spluga (Svizzera), dello Stelvio e del Tonale (Trentino Alto Adige). Milano è nodo ferroviario di importanza internazionale per tutte le linee che si diramano verso il Sempione, il San Gottardo e gli Stati dell’Europa occidentale e orientale, e, attraverso la Pianura Padana, lungo tutta la penisola. La Lombardia è servita dagli aeroporti della Malpensa e di Linate, nei pressi di Milano.

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Le vie d’acqua

Quando le strade erano scarse e mancavano motori e treni, esistevano già in Lombardia alcune assai utili vie d’acqua.
Il Naviglio Grande è forse il più antico dei canali: risale al 1777 ed ha una lunghezza di 150 chilometri. Esce dal Ticino e giunge a Milano, a Porta Ticinese; fu questo naviglio che permise di trasportare da Candoglia, presso Fondotoce sul Lago Maggiore, i marmi per il Duomo, su ampi barconi.
Il Naviglio di Pavia congiunge Milano col Ticino, che confluisce nel Po. Attraverso questa via d’acqua si poteva raggiungere il Mare Adriatico.
Il Naviglio della Martesana esce dal fiume Adda in vicinanza di Trezzo e giunge quindi a Milano. Fu ideato e voluto, nel 1460, da Francesco Sforza; venne prolungato da Ludovico il Moro. Questo naviglio prese il nome del contado della Martesana, che attraversa.
Il Canale Villoresi serve ad unire il Ticino con l’Adda. Le sue acque rendono più fertile la bassa Brianza. Fu iniziato nel 1881 e porta il nome del suo ideatore.

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Il lago di Como

Chi ha vissuto una sera d’estate in riva a un lago sa che cosa sia la beatitudine. Un calore fermo, avvolgente, sale in quell’ora dalle acque che sembrano  lasciate lì, immobili e qua e là increspate dall’ultimo fiato di vento che il giorno andandosene ha esalato, e il loro aspetto è morto e grigio. Si prova allora, più che in qualunque altro istante della giornata, quella dolce infinita sensazione di riposo auditivo che danno le lagune, dove i rumori non giungono che ovattati.. Come sanno d’acqua le parole che dicono i barcaioli che a quell’ora stanno a chiacchierare sulla scaletta! Come rimbalzano chiocce nell’aria! I rintocchi delle squille lontane attivano all’orecchio a grado a grado e rotondi, scivolando dall’alto del cielo pianamente a guisa di lentissimi bolidi. La sera scorre placida, è tutta un estatico bambolarsi, un fluire di cose silenziose a fior d’acqua. Naufraga d’un tratto in un chiacchiericcio alto, intenso, diffuso, simile al clamore di una festa lontana, appena si accendono i lampioni, tra le risate e le voci varie e gaie che escono dagli alberghi dopo cena e il fragore allegro di un pianoforte che giunge dall’altra riva.
Poi tutto sfuma e rientra ben presto nel gran silenzio lacustre, dove più non si ode che il battere degli orologi che suonano ogni quarto d’ora, a poca distanza l’uno dall’altro, da tutti i punti della sponda, e quel soave, assiduo scampanio delle reti che i pescatori lasciano andare di sera alla deriva, che fa pensare insistentemente a un invisibile gregge in cammino.
Nelle notti di luna piena i monti che non la ricevono sono cento volte più neri e le vie ed i viottoli della campagna paiono tante scie di lumaca.
(V. Cardarelli)

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Agricoltura

Nel settore agricolo la Lombardia è ai primi posti tra le regione italiane. Ciò è dovuto sia a motivi d’ordine naturale (la grassa terra padana, l’abbondanza di acqua e le tiepide risorgive) sia ad una razionale organizzazione del lavoro umano, che si avvale dei più moderni ritrovati meccanici e chimici (macchine, concimi ecc…). Nell’alta pianura, dove sono stati scavati numerosi canali, si produce mais; nella bassa grano e riso. La produzione di foraggi, ingentissima, è favorita dalle marcite, ove, sfruttando l’acqua delle risorgive (18° di temperatura) si attuano sette o otto raccolti l’anno. Notevole anche la produzione di barbabietola, canapa, ortaggi, patate e legumi. In regresso è la cultura del gelso per l’allevamento del baco da seta; molto sviluppato è l’allevamento dei bovini. Sviluppatissima è l’industria dei latticini, con lo scarto dei quali di confezionano mangimi per l’allevamento dei suini. Nelle colline vi sono frutteti e vigneti; attorno ai laghi il clima permette la coltivazione di olivi e agrumi.

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La marcita

E’ una speciale caratteristica coltura a prato della regione lombarda. La  denominazione deriva dal pratum marcidum, cioè terra bassa, con acque non del tutto stagnanti.
L’osservazione, assai antica, del persistere di una certa vegetazione a prato, anche durante il periodo invernale, fece sorgere l’idea dell’irrigazione in tempo d’inverno, usufruendo della abbondanti acque del terreno. Dapprima si trattò di distribuire meglio l’acqua sorgiva (della zona dei fontanili), favorendone anche il deflusso.
Si attribuisce a San Benedetto ( secoli V – VI) il merito di aver insegnato ai contadini lombardi i metodi di tale coltura, ma i maggiori perfezionamenti si ebbero più tardi, nel secolo XIX, con l’attuazione di impianti di irrigazione, studiati per tale scopo.
D’inverno le marcite si presentano verdeggianti, perchè sono irrigate dall’acqua delle sorgive che hanno una temperatura relativamente elevata, che impedisce il gelo.
Importanti marcite si trovano nei dintorni di Melegnano; questa zona viene irrigata dalle acque della Vettabbia, che attraversano Milano.
Con il sistema delle marcite si possono avere vari raccolti  di erba falciata; in genere da sei a otto tagli.

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Milano

Milano è il capoluogo della Lombardia. E’ una città movimentatissima e di aspetto moderno. Annualmente vi si teneva la Fiera Campionaria Internazionale, che era tra le più importanti nel mondo. Attualmente la Fiera di Milano è costituita dai due poli espositivi di Fieramilano (situato in un’area al confine tra i comuni di Rho e di Pero) e di Fieramilanocity (situato nel quartiere Portello del comune di Milano). E’ il polo fieristico più grande d’Europa.
Vanta quattro Università e il Teatro alla Scala, uno dei più celebri teatri lirici del mondo; ospita numerose gallerie d’arte, musei di eccezionale interesse, e parecchie manifestazioni culturali.
Ha grandiosi monumenti, tra cui lo splendido, marmoreo Duomo, con la famosa Madonnina dorata sulla più alta guglia; poi la Basilica di San Lorenzo, la Basilica di Sant’Ambrogio, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie (con il Cenacolo di Leonardo), il Palazzo della Ragione, il Castello Sforzesco, il Palazzo di Brera, la Galleria Vittorio Emanuele II.

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Milano, città che risorge

Durante la seconda guerra mondiale, Milano, che ormai superava il milione di abitanti ed era il più importante centro industriale d’Italia, subì una lunga serie di bombardamenti aerei, molti dei quali a tappeto, che la distrussero in gran parte. Quando la guerra finì, la città appariva come svuotata: i muri superstiti, con le occhiaie vuote delle finestre che lasciavano vedere il cielo, si levavano dritti come quinte di un tragico scenario. Le vie erano sconvolte e intasate dalle macerie, i servizi quasi inservibili, la popolazione viveva ammucchiata nelle poche case ancora abitabili e rabberciate alla meglio, senza vetri alle finestre, con i tetti sconnessi e gocciolanti, e porte scardinate; oppure abitava nei paesi dei dintorni e si sottoponeva alla fatica di continui viaggi con mezzi di fortuna, pur di non abbandonare il lavoro, sperando in un domani migliore. Questo domani migliore è venuto per merito soprattutto della febbrile attività dei Milanesi. Milano si merita davvero il soprannome di “capitale morale d’Italia”.

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Il duomo di Milano

Chi non l’ha veduto se non in fotografia, quando gli si trova davanti prova un senso di stupore, quasi di sgomento. Possibile che dei piccoli uomini, unendo marmo a marmo, abbiano elevato una montagna simile, traforata come un gioiello, gremita di statue, fiorita di ricami aerei, candida di un candore roseo di carne e di un biancore azzurrino d’argento? E’ possibile sì, ragazzi miei, perché quei piccoli uomini avevano due cose che smuovono le montagne: fiducia e genio.
Entriamo ora nel tempio. Cinque navate immense; una selva di piloni colossali che si ramificano, lassù, a reggere le volte venate come foglie, e, tutt’attorno, finestroni eccelsi che riversano raggi colorati dalle vetrate incandescenti di rubino e d’azzurro, nella penombra piena di mistero.
Ma poiché siamo a Milano voglio dirvi alcuni numeri precisi che vi faranno sgranare gli occhi: sapete quanto è lungo il Duomo? Centocinquantotto metri. Sapete quanto è alto, dal suolo alla corona di stelle della Madonnina? Centootto metri, l’altezza di un colle. Sapete quanti sono i finestroni esterni? Centosessantanove, per servirti. E quante le guglie? Centoquarantacinque. E quante le statue? Circa tremilacinquecento, la popolazione di un paese. E indovina indovina… quanto pesa? Pesa centottantaquattro milioni di chilogrammi. Non uno di più né uno di meno.
(G. E. Mottini)

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Città dell’eterna giovinezza

Pavia è la città goliardica per eccellenza. Molte altre città italiane hanno, tra le loro mura, un Ateneo: qualcuna può anche vantare un Ateneo più insigne di questo pavese, per anzianità e per il nome di qualcuno dei suoi Maestri. Ma forse nessuna città italiana vive, come Pavia, dei suoi studenti. Si direbbe che essa respiri del respiro del suo Studium. D’estate, per esempio, svuotata com’è di tutta la sua ventenne popolazione goliardica, quando i porticati dell’Università si allungano deserti e silenziosi intorno ai cortili quadrati dove ancora l’erba tenera cresce tra i sassi bianchi; quando nelle aule addormentate non s’ode che il ronzio di qualche moscone che danza nel pulviscolo d’oro di un raggio di sole, e le cento lapidi che tappezzano i muri si rimandano l’una con l’altra gli elogi dei grandi Maestri che vi tennero cattedra; d’estate, Pavia si direbbe che sonnecchi sulle rive del suo bel Ticino gonfio di mulinelli e di minuscoli vortici, tra i due ponti: quello nuovo che la guerra ha rispettato e il Ponte Coperto.
Ma quando viene l’autunno, e lungo i boschi del Ticino cominciano a salire le prime nebbie azzurrine, tornano gli studenti, e la città si ravviva, il ritmo delle sue giornate di fa gioioso e vibrante, le strade si rifanno giovani, i cortili dell’Università si ripopolano, le aule si affollano, i due grandi Collegi, il Ghislieri e il Borromeo, ridiventano due giganteschi alveari di giovinezza. E’ una specie di rito, diventato, lungo il corso dei secoli, abitudine di vita. Ecco perchè a fogliare le vecchie cronache universitarie, e soprattutto le vecchie cronache di quel Ghislieri che gli studenti si tramandano con geloso amore di generazione in generazione, da quasi cinque secoli, come potrebbe una famiglia tramandare una vecchia casa che d’anno in anno si rinnova; ecco perchè si trae la sensazione che Pavia sia una città privilegiata. E’ il privilegio dell’eterna giovinezza, in fondo: una fiaccola che ogni “sfornata” di laureati consegna, occhi negli occhi, e attenti a non mancare alla consegna all’infornata di matricole.
“Ragazzi” dicono i ‘vecchi’ andandosene (e chissà cosa costi loro lasciare questa cara città), “Ragazzi, noi ce ne andiamo, la vita ci chiama e sarà quel che sarà. Ma voi, che venite a riempire il vuoto che noi lasciamo; voi che raccogliete dalle nostre mani questa secolare eredità di fresca gaiezza e di gioconda primavera spirituale (primavera, sissignori, anche quando scende fitta la neve  e mette gli orli di velluto bianco sulla severa facciata di San Pietro in Ciel d’Oro, e dell’incompiuto duomo del Bramante e sull’incanto romanico di San Teodoro che bisogna andare a scoprire per stradette medioevali e di quel San Francesco che è un esempio di snella gotica eleganza; e incappuccia di ermellino le statue che popolano i cortiletti dell’Università; primavera anche quando le gelide piogge sferzano le piccole piazze e le anguste strade e trasformano il corso in un torrentello che domandava dei ponticelli di legno per passare dall’uno all’altro marciapiedi): voi che raccogliete questa nostra eredità benedetta, siatene degni, continuatela con impegno, in questi indimenticabili anni che il destino vi ha concesso di trascorrere tra il Castello visconteo e il Ticino…”
(G. Cornali)

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Valenti armaioli a Brescia

Un tempo Brescia fu famosa in tutto il mondo per le sue fabbriche di armi. Tale industria si sviluppò perchè le valli a nord della città erano ricche di minerali, specialmente di ferro di ottima qualità. Ne approfittò particolarmente Venezia, che durante il periodo della sua massima potenza commissionò a Brescia, che le era soggetta, le sue armi migliori. Gli armaioli bresciani per due secoli fornirono gli eserciti di Venezia e di mezza Europa.
La decadenza di un’industria tanto fiorente cominciò quando Brescia fu dominata dagli Austriaci i quali non permisero a un’attività tanto pericolosa per loro di prosperare. I nomi dei più valenti armaioli sono affidati alle armi da loro costruite. Così un fabbricante, Lazzarino Cominazzo, diede il nome alle canne che da lui si dicono “lazzarine” (in Brasile fino al principio del XX secolo “lazzarina” era sinonimo di pistola). Ancor oggi la pistola calibro 9 in dotazione all’esercito di chiama “Beretta”, dal nome di un noto armaiolo bresciano.

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Bergamo, città sana. Uomini solidi, facce di alpini

Non si è ancora usciti da Milano, e già si arriva a Bergamo. Le lunghe ore del cammino di Renzo fino all’Adda ed oltre sono diventate, sulle fettucce di asfalto dell’autostrada, minuti, pochi minuti. Bergamo bassa, il Borgo come ancora dicono i vecchi, se ne sta appiattata nella pianura; la si sfiorerebbe, quasi senza accorgersene, se non fosse per il faro della città alta. Stretta nelle sue mura venete,  adagiata su un tappeto di foschia invernale, la vecchia Bergamo sembra sospesa a mezz’aria: come l’isola volante dei viaggi di Gulliver. Il distacco tra le due città, quella alta e quella bassa, non è solo il prodotto di un’illusione ottica. E’ una realtà psicologica, economica, urbanistica. Una città con due corpi: e in un certo senso una città con due anime.
Città bassa: il traffico è intenso, ma senza le punte di convulsione esasperante delle metropoli. Strade pulite, bei negozi. Chi si metta sul Sentierone respira ordine, sicurezza, dignità. Uomini solidi, facce di alpini. Gli agricoltori che vengono dalle campagne per le loro contrattazioni suggellano tuttora gli affari con pesanti strette di mano (e i mediatori, che vogliono arrivare a una conclusione, tentano disperatamente, durante i lunghi sì e no, di avvicinare l’una all’altra le grosse, callose, riluttanti mani). Gente che afferma orgogliosamente: “Non sono mai stato in tribunale né come imputato né come testimone”.
Questo è il Borgo: un’appendice della vera Bergamo.
Gli uffici pubblici scappano dalla città alta. Il comune è giù, la prefettura è giù, il tribunale anche. In città alta è rimasto, tra le massime autorità, soltanto il vescovo. Non è sceso e non scenderà. La domenica la vecchia Bergamo, la Bergamo alta, è gremita di gitanti. Ma nei giorni feriali la vita vi pulsa assai più lentamente che in pianura. Il tempo è misurato con un metro diverso. La sera il campanone della torre civica dà il coprifuoco con cento rintocchi.
Le dimore signorili guardano orgogliosamente, dall’alto, il Borgo. Non indovinereste mai, percorrendo le strette vie, il panorama aereo che si apre davanti a queste case. Ecco palazzo Scotti: lì Gaetano Donizetti terminò il suo tragitto terreno cominciato in due bui locali bassi di Borgo Canale: “Nacqui sotto terra in Borgo Canale: si scendeva per una scala in cantino dove mai penetrò ombra di luce. E siccome gufo presi il volo”.
(M. Cervi)

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Varese: il cielo sui laghi

Nessuna provincia è ricca, come quella varesina, di bacini lacustri, anche se a tale ricchezza fa riscontro una relativa scarsità di corsi d’acqua. Sette sono i laghi che ingemmano il territorio della provincia.
Il lago di Varese, di origine glaciale, è lungo otto chilometri e largo circa quattro e mezzo.
Il lago di Biandronno ha rive piuttosto melmose ricche di torba e di canne palustri.
Il lago di Monate ha limpide acque azzurre ricche di pesci.
Il lago di Comabbio vanta una piscicoltura condotta con criteri razionali.
Il lago di Ghirla occhieggia nella verde Valcuvia.
Il lago di Delio è un piccolo specchio che se sta raccolto tra i monti di una solitaria conda nell’alto luinese.
Il lago di Ganna è nascosto tra il verde della valle omonima, ed è originato da uno sbarramento morenico.
Vi sono poi i grandi laghi che appartengono alla provincia di Varese solo in parte: ad est il lago di Lugano, sulle cui acque scorre in parte il confine con la Svizzera, ad ovest il lago Maggiore la cui riva destra è novarese.
Il lago di Lugano, sulla sponda italiana, è ancora chiamato, come un tempo dai Romani, Ceresio. A nord è riparato dai venti freddi da alte catene montuose; a sud, una serie di colline moreniche fa da barriera alle nebbie; così sulle sue rive si gode sempre una temperatura piuttosto moderata. Dei suoi quattro rami, che si allungano fra incantevoli montagne, interessa la provincia di Varese quello che va da Porto Ceresio fino a Ponte Tresa.
Grande, il lago Maggiore, dovette apparire anche ai Celti se lo chiamarono Verbano, cioè “grande recipiente”; a meno che si voglia collegare l’appellativo alle copiose erbe verbene o verbane che crescono lungo le sue sponde.
Nel lago Maggiore, amministrativamente per metà novarese, come abbiamo detto, confluiscono (oltre al Ticino che vi entra presso Locarno e ne esce a Sesto Calende, e al fiume Tresa, emissario del lago di Lugano) i torrenti varesini Boesio e Bardello, il quale ultimo vi porta le acque dei laghi, pure varesini, di Biandronno e di Comabbio.
Con la varietà dei suoi aspetti, ora severi, ora dolci e ridenti, il lago Maggiore ha il potere di incantare i visitatori.
Antonio Stoppani, l’autore de “Il bel Paese” scriveva: “Ho veduto più volte il lago Maggiore e sempre mi è parso nuovo, sempre mi è parso bello. Ognuno vorrebbe passarvi la vita”.

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Mantova

Secondo la leggenda la città fu fondata da alcuni profughi greci, tra cui la sacerdotessa indovina Manto. Mantova raggiunse grande splendore sotto i Gonzaga. Quattro sono le sue piazze monumentali: Piazza Sordello, dove si ergono il Duomo, il Palazzo Bonacolsi (signori della città dal 1273 al 1328), il Palazzo dei Gonzaga; Piazza delle Erbe con il Palazzo della Ragione, la Torre dell’Orologio e la Rotonda di San Lorenzo; Piazza Broletto con la Torre civica; Piazza Mantegna con la Chiesa di Sant’Andrea.
Per chi voglia dire di conoscere l’Italia, Mantova è un punto importante. Mantova è un mondo.
Mantova fu prima una città comunale, con una delle più belle piazze che sia dato vedere in Italia, la Piazza delle Erbe, tra una torre e un palazzo, tra una facciata di terracotta e un muro scabro, di quei vecchi muri compatti e nudi su cui l’azione del tempo ha descritto un lavoro suo, bello quanto una striscia istoriata da qualche grande scultore, dove la fantasia legge una storia senza immagini e senza parole precise. Vecchi muri ciechi di tutta l’Italia, dominati la notte da un lampione scialbo, questo muro di Mantova è uno dei più belli, un capolavoro del tempo e della natura. Il mercato con le osterie intorno è vegliato dalla figura di Virgilio in un bassorilievo medioevale, seduto a un banco, che svolge il suo libro.
La città comunale è pressapoco tutta qui. Ma tra il Palazzo del Te, che è un padiglione e un chiosco gigantesco, e la Reggia, si ritrova il più straordinario sogno di grandezza che sia dato osservare. Sono quattordici grandi sale nel Palazzo del Te, che era una specie di casa di campagna dove si andava a passare un’ora tra le stanze decorate e i giardini; sono cinquecento stanze la Reggia, ma non c’è un solo appartamento, una sola camera che si possano chiudere a chiave, e tutto è fatto per la rappresentazione, come in certi piccoli appartamenti moderni, dove tutte le stanze sono salotti e la sera divengono tutte stanze da letto.
(C. Alvaro)

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Vini famosi in Valtellina

Degno complemento alla polenta taragna (cibo caratteristico della Valtellina preparato con il grano saraceno) sono i famosi vini. Infatti, nella parte della vallata esposta a sud, dalle zone pedemontane fin oltre i seicento metri, si ha la coltivazione a vigneto, con i caratteristici terrazzamenti, sostenuti sulle scoscese pendici a destra dell’Adda, da lunghi muretti di sassi che danno all’insieme l’aspetto di un’ordinata scacchiera.
Di fronte a queste ordinate coltivazioni non si può trattenere un moto di stupita ammirazione, soprattutto quando si pensa che sono state create dalla costante e secolare laboriosità della gente valtellinese che lottò contro una conformazione naturale del terreno difficile, quasi esclusivamente con le sole forze fisiche, riuscendo così a strappare, anche da terre apparentemente avare, un prodotto pregiato. L’ottimo vino che si ricava da questi vigneti ricompensa però i sacrifici dei valligiani; infatti proprio da queste uve si ottengono vini squisiti, delizia dei buongustai, così da essere annoverati tra i migliori d’Italia e di godere di una certa rinomanza anche al’estero: tali sono il Sassella, il Grumello, l’Inferno, il Valgella e il Fracia.

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Il torrone di Cremona

Come si può pensare a Cremona senza associarla al suo dolce tipico, il torrone, che, nelle sue confezioni così tradizionalmente conservatrici, entra, si può dire, in ogni casa d’Italia, specialmente nel periodo delle feste natalizie?
Come accade per tutti i personaggi illustri di cui l’origine non sia storicamente accertata, anche per il torrone molti paesi si contendono l’onore di avergli dato i natali, e infinite sono le leggende che il popolo ha creato intorno alla sua nascita. Chi lo vuole originario dell’Oriente, chi lo considera una ghiottoneria italiana di antichissima data.
Raccontano che una donna fu sorpresa dalla notte in una località selvaggia mentre si recava al mercato trascinando su un carro i prodotti della sua terra: mandorle, miele e uova. Per difendersi dagli animali feroci che infestavano la zona, la donna si costruì un riparo, usando come materiale tutti i generi alimentari che aveva con sé, dopo averli opportunamente impastati; si salvò perchè le belve, intente a divorare golosamente quella leccornia, furono sorprese dalla luce dell’alba che le mise in fuga.
Narrano anche che i Crociati sostenevano da tempo un lungo assedio in Terra santa. Quando ormai stavano per arrendersi, stremati dalla fame, i mattoni delle torri e delle mura che li difendevano si trasformarono miracolosamente in mandorle, e la calce che li cementava, bagnata dalle loro lacrime, in miele.
Senza cercare nelle leggende le origini del torrone, sappiamo che i Romani erano ghiottissimi di un impasto i cui ingredienti, miele, noci e uova, erano pressapoco quelli dell’odierno torrone; chiamavano “turandae” le focaccine ottenute, e da quel nome a quello di torrone il passo è breve.
Del resto quando Biancamaria Visconti sposò Francesco Sforza, il dolce che rallegrò il banchetto nuziale era un vero e proprio torrone, la cui forma rappresentava il Torrazzo di Cremona, la città che la sposa portava in dote al marito.
E la leggenda si avvicina alla storia…

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Lombardia

La bella regione che ha preso il nome dal dominio dei Longobardi, scende dalle catene dell’Alpe Retica fino al Po, oltrepassando in parte, ed estendendosi al centro della grande pianura padana, fra le terre venete e piemontesi. Tocca tutta la gamma del paesaggio continentale italiano, dalle distese ghiacciate, ai monti prealpini, e da questi, attraverso la splendente regione dei laghi e a dolce zona collinosa dei loro archi morenici, alla prima fascia asciutta del piano per morire nelle molli zolle erbose dove erra il nostro massimo fiume. E questa varietà stupenda di forme è come il simbolo della poliedrica attività del suo popolo intraprendente.
(I. Zaina)

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L’irrigazione in Lombardia

Le acque di monte o di pioggia, penetrate per le spaccature e raccolte sui profondi strati impermeabili della terra, scorrono lungo i pendii e risgorgano nei fontanili. Da fiumi e da fontanili, gli uomini, col lavoro e con sapienza secolari, hanno derivato navigli, canali, rivi, fossi… tutto un mirabile sistema di condotti, di cateratte, di conche, di pescaie, di argini che guida, raccoglie, convoglia, modera, smaltisce. Assicura l’irrigazione, combatte le piene; risana gli acquitrini, concede la navigazione, dà vita alle risaie e alle marcite, dà moto agli opifici e ai mulini, dà freschezza alle campagne e pane alla gente.

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Bergamo

La romantica città che adagiata sul colle e cinta dall’arborato cerchio delle mura venete, si innalza sul piano, profilando nel cielo, al di sopra dell’armonioso chiarore delle sue case raggruppate in chiaro scuro pittoresco, le sue torri, gli aerei campanili, le salde cupole, a lato della Rocca imponente e austera, non ebbe nel corso della sua vita secolare splendori di corti principesche né fasti di glorie ducali…
L’essere la città antica, unica dell’alta Italia, sopralzata sulla pianura di circa cento metri, ha isolato questa città dall’imperversare della modernità violenta ed eguagliatrice.  E poichè la stessa attività cittadina e il tradizionale bergamasco fervore di lavoro non potevano non affermarsi imponenti nell’ultimo cinquantennio, tale sviluppo di vita si è ampiamente svolto al piede del colle, nell’ingrandirsi e nell’espandersi progressivo e intenso della nuova città.
(L. Angelini)

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Pavia

Vivere a Pavia è una condizione felice, un regalo continuato: la sua quiete, la sua pace, e la modestia, che qui tutte le cose ispirano, sono sottolineate dal colore fondamentale della città che è tra il rosso vivo del mattone e il grigio un po’ pigro dell’arenaria.
Intanto il cittadino a passeggio per le vie non sente per nulla umiliata la sua statura di uomo camminando tra file di case basse. Pensate a Milano o a Torino dive la persona è schiacciata da quei palazzoni: uno perde subito la confidenza del passeggiare e dello stare.
Quelle sono metropoli, è vero, città cosmopolite. E lo siano. Ma per quei loro corsi sgargianti e tumultuanti, noi non daremo una spanna della nostra settecentesca via Foscolo o il silenzio di via Boezio. Vie tutte piene di cielo, illuminate e, direi, completate da certi bei nomi che ricordano glorie municipali o santi o costumi locali: contrada degli Apostoli, via dei Mulini, del Lino, e anche strada nuova, che poi si chiama così fin dal mille e trecento.
(C. Angelini)

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Mantova

Quando fummo alle mura di Mantova, una stazione accertava che c’era sempre una città ci questo nome. C’era: di strade acciottolate, fra case fosche, invano lavate da tanta acqua… Il canale che, nascostamente, taglia la città da lago a lago, era sordido di spazzatura galleggiante. Un sentore d’acqua stagnante saliva, per il lavandino, nella camera d’albergo. Come una città continuamente minacciata di marcire dalle fondamenta. Ma per le strade dure di ciottoli, sotto i portici, non erravano fantasmi acquatili: corpi vivi di uomini e donne con ombrelli andavano, ben sicuri di non sciogliersi in acqua, nella città da tanti secoli murata dentro l’ansa del Mincio dilagato in tre laghi. Nel tramonto livido, al ponte San Giorgio, il lago inferiore aveva la tristezza bigia, immota, della palude Stigia.
(G. Caprin)

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Milano

Togliete all’Italia Milano e sarà come togliere ad un’automobile il serbatoio della benzina o, se più vi piace, lo spinterogeno. Se essa è una città di nessun tempo, di nessuna epoca gli è perchè è di tutti i tempi e di tutte le epoche. Essa è nata da sé e vive di sé. Pensate al suo Duomo. Dite San Pietro e vi si affaccia Michelangelo, dite Santa Maria del Fiore e pensate al Brunelleschi della cupola o al Giotto del campanile. Ma per Duomo di Milano nessun nome grandeggia: esso è nato dal denaro di tutti i milanesi, che a turno vi portarono le pietre: avvocati, medici, operai, nobili e popolani. Negli archivi della Fabbrica, dove si conserva, scritta giorno per giorno, la storia immensa del sovrumano edificio, leggete migliaia e migliaia di donazioni che vanno da terre, da case, da sostanze ingenti, a lasciti di poche lire o di poche libbre di cera.
(G. Cenzato)

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Il famoso nebbione della bassa

Si cammina adagio: non si vede a un palmo dal proprio naso: un odore acre sale alle narici e penetra in gola. Sembra di essere immersi in una umida, vaporosa bambagia; i rumori giungono attutiti; come echi; gli oggetti appaiono all’improvviso, come ombre sorte dal nulla: la nebbia avvolge tutto, grava su ogni cosa.

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Luci di laghi

A paragonare il lago di Varese a una perla azzurrina legata in pallido argento dalla nebbietta smagliante, poco più che un sospetto di foschia luminosa, che lo ingrandiva singolarmente, e addolciva il crudo lume del sereno invernale, le terre bruciate dal gelo, le nitide rive e le spiagge; a paragonarlo ad una perla, si dice poco e non senza preziosità leziosa: per altro, il suo colore era quello; e mi pare di non aver mai vista, adunata in una conca di lago, una tanta effusione di luce perlacea, come quella che saliva e posava sulla viva quiete delle sue acque, mentre scendevo verso il lago per la proda lene del suo lato meridionale, che da codesta parte è aperto e disteso, adagiato, coniugato col fondo. E ci sono viottoli e stradette antiche, piene di un garbo agreste e gentilmente austero, di quella naturale ritrosia che conferisce un carattere sobrio  e segreto, di idilliaca rusticità , al paese subalpino lombardo e piemontese, non appena si esce dalle strade maestre.
Quella riva è più romita, a tratti deserta, ma poi ingentilita da una rustica osteria, da un casale quieto fra le cannucce, da una piccola darsena, da un capitello con l’immagine della Madonna, levato sull’acqua come ad indicare l’approdo alle barche, col lumicino dell’immagine sacra…
(R. Bacchelli)

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Il lago di Como

Il lago di Como è fatto come una Y capovolta. Si direbbe che madre natura si sia prodigata in modo particolare per rivestire le sponde montuose di varia ed esuberante vegetazione. Gli uomini hanno fatto il resto. Vi crearono ville e giardini e alberghi senza numero con parchi ombrosi, terrazze, chioschi, e scenari vegetali che le acque cristalline del lago concorrono a colorire e animare.
Fra i giardini primeggia quello annesso alla Villa Carlotta a Cadenabbia, famoso in tutto il mondo. Lo si direbbe creato dalla fantasia di parecchie generazioni di artisti. Nel mese di maggio specialmente, quando azalee, camelie, rose, rododendri e ogni sorta di fiori rari, trionfano tra le aiole disseminate tra i viali e i boschetti di cipresso, di pini e di piante esotiche, sembra proprio una casa di sogno e di favola.

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Il Garda in burrasca

… Uno di questi giorni, anzi una notte, stavo ascoltando il Garda in burrasca.
La burrasca, propriamente, allentava, abbonacciava; il vento, ormai caduto, non frastornava più, con le sue stormenti folate, il fragore delle onde rompenti e frangenti. Aveva smesso di percuoterle e premerle, di incalzarle e istigarle, col flagello delle raffiche che esprimono dalla terra e dalle acque e dall’aria quella sorta di strozzato e strepitante spasimo della natura nel tormento, nello strido, nell’ululo dei turbini in tempesta.
Piene, alte, libere, sciolte, si levavano in pacata vigoria le onde, e correvano a riva, a frangere in largo scroscio disteso sui greti delle spiagge e fra i sassi delle scogliere.
Saliva dal lago un rumore, un suono spianato  in ampiezza di tempo e di volume, anch’esso vigorosamente tranquillo; e continuo, cadenzato, rotondo. Era quel fragore e clamore di tono alto, spiegato, sonante e risonante, proprio come d’una forza, liberata e placata, che assumono le onde nel cedere e nell’allentare della tempesta.
(R. Bacchelli)

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La terra del latte

Milano è città di confine; attraversandola da nord a sud, sud-est si passa dalla Lombardia dei laghi alla Lombardia dei fiumi e dei canali, dei prati a marcita, delle cascine dove le stalle lunghissime reggono appena al penso  dei fieni. In nessun luogo più giustamente che a Lodi poteva sorgere una fiera del latte.
Di burro e formaggio nella regione semichiusa fra Adda, Lambro e Po, si produce quasi la sesta pare che nel resto d’Italia. Ma tutto questo esplodere di rustiche e non rustiche grandezze sembra spostare solo di un filo, nella piccola città di Lodi, le abitudini giornaliere, appena appena vi s’incrina l’armonia in grigio e in silenzio della vecchia Piazza Maggiore, degli archi, delle chiese, delle vie piane e dolcemente larghette dove si stende e sogna il centro cittadino. Nella Piazza, sotto i portici, si sorprendono ora conversazioni in lingue e dialetti disparatissimi o in quell’esperanto che appartiene a ogni riunione eteroclita… si penserebbe a una biennale veneziana del burro e del formaggio; le voci tuttavia sono calme e discrete.
Dal giro di facciate che si sporgono così gentilmente, coi balconi di ferro battuto e le insegne in rilievo nei negozi e dei caffè, agli angoli segreti del Broletto, la Piazza ha ancora l’aria di attendere con modesto decoro qualche gruppo di viaggiatori in arrivo con la diligenza. Le vie, che se ne distaccano ben regolate, incrociandosi al punto giusto, portano un senso di leggerezza nelle misure né troppo grandi né troppo piccole e nelle tinte non monotone, solo quiete: leggerezza cui si accompagna una particolare malinconia, come spesso nei paesaggi che seguono un fiume. Sta come un deposito umido nella luce delle giornate anche più limpide: un velo d’acqua rende più morbide le voci delle campane. L’acqua che scorre ampia nei fiumi, con lentezza; che scivola canalizzata, lambendo i salici e i pioppi, a imbevere i campi; e questa gente non languida è ben lontana dall’allungarne il sangue delle sue vene, il latte delle sue stalle, o il vino delle sue osterie, ma l’acqua rimane qui l’elemento primordiale.
(G. Ferrata)

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Milano città d’arte

A nessun visitatore, a nessun turista viene mai in mente che una città così simpaticamente brutta (gli angolini sconosciuti non fanno che confermare la regola), così moderna, così presa dal ritmo del lavoro, possa non già produrre, ma avere una qualche segreta bellezza che faccia perennemente parte della sua natura.
Per la stragrande maggioranza dei visitatori, la Milano artistica si riduce dunque al Duomo. Gli stranieri dopo aver appreso che le statue sono 3.159, che la Madonnina è altra dal suolo 108 metri e 50 centimetri, che i lavori cominciati nel 1386 si conclusero soltanto nel XIX secolo, penetrano anche nell’interno ad ammirare le grandi navate gotiche, i cinque colonnati, il sarcofago di Ariberto d’Intimiano, arcivescovo del Carroccio. Gli Italiani molto spesso non entrano neppure. Ripetuto in mille modi da cartoline, documentari, panettoni, il Duomo di Milano è tanto familiare, tanto noto che la sua conoscenza, al pari di quella di certi romanzi famosi, viene data per scontata, non val neppure la pena di entrarci, basta uno sguardo fuggevole alle guglie velate di nebbia dalle arcate dei portici settentrionali.
Solo un’esigua minoranza, gli animi più sensibili, le comitive organizzate, trovano il tempo per una seconda tappa: L’ultima cena di Leonardo da Vinci, a Santa Maria delle Grazie, che dopo la pazientissima, miracolosa opera di restauro effettuata nel 1953 da Mauro Pellicioli, ha riacquistato parte della sua luminosità e dei suoi colori.
Duomo e Cenacolo sono  gli unici due monumenti di Milano turisticamente vivi, frequentati in ogni ora e in ogni stagione da folte comitive come succede ai capolavori fiorentini o romani. Il resto, deserto. Alla Pinacoteca Ambrosiana in questa stagione capita più di una volta che nel corso dell’intera giornata neppure una persona si presenti all’ingresso; al Museo della Scala i visitatori si contano sulla punta delle dita; a Brera, il più famoso di tutti, solo la domenica c’è una certa animazione. Eppure si tratta di raccolte di valore europeo, talune delle quali addirittura uniche nel loro genere.
Prendiamo il caso di Brera. Sede, oltre che della Pinacoteca, di una grande biblioteca e dell’Accademia di Belle Arti, questo grande palazzo barocco-lombardo, costruito verso la fine del Seicento dall’architetto milanese Francesco Maria Richini, è un po’ il centro del quartiere artistico milanese, con i suoi cortili monumentali, i suoi loggiati, i suoi scaloni su cui spiccano ancora i colossali portacenere d’ottone dove i visitatori del secolo scorso erano pregati di abbandonare i loro sigari.
Ma il cuore, il gioiello di Brera è la Pinacoteca. Sorse nel 1809 per volere di Napoleone il quale, al fine di cementare l’unità del regno italico, dette precise disposizioni affinché vi fossero radunate opere di tutte le scuole pittoriche italiane. Unità politica attraverso l’unità artistica. Così Brera è forse l’unica pinacoteca italiana a carattere spiccatamente nazionale. Chi volesse avere un’idea panoramica della pittura del nostro Paese visitando un solo museo dovrebbe per forza di cose venire qui. Accanto ai capolavori di Raffaello, del Mantegna, di Giovanni Bellini, di Piero della Francesca, del Bramante, nelle trentotto grandi sale sono rappresentate organicamente tutte le scuole dell’Italia settentrionale: quella veneta (Tiziano, Tintoretto, Veronese, Guardi, Canaletto, Longhi), quella lombarda (Luini, Bramantino), quella ferrarese (Tura, Cossa, Costa, Ercole De Roberti) e non mancano fulgide testimonianze di altre regioni e di altri Paesi (El Greco, Rembrandt). I due quadri più famosi, quelli che tutti conoscono, sono Lo sposalizio della Vergine di Raffaello e il Cristo Morto del Mantegna, colto dai piedi in audacissima prospettiva.
In Piazza della Scala c’è un altro museo unico in Europa: quello che per l’appunto prende il nome dal massimo teatro lirico milanese. Ci si accede per una scaletta bassa, angusta, modesta come quasi sempre sono le scalette dei teatri; anche le sue sale sono piccole, ma della piccolezza ovattata, ricca, quasi sontuosa, che contraddistingue i palchi della Scala. Fra marmi e velluti sono ordinati spartiti, cimeli, lettere dei maggiori musicisti del mondo. C’è l’orologio di Puccini, la penna d’avorio di Boito, gli occhiali d’oro di Rossini, la spinetta di Paisiello. Gli oggetti di Verdi sono tanti che riempiono addirittura due sale. Alle pareti, accanto ai ritratti di Giuditta Pasta, della Malibran, di Caruso e di Toscanini, spiccano locandine scaligere di tutti i tempi. Ma oltre quella della Scala, attraverso pregevoli collezioni di maschere greche e romane, di riproduzioni scenografiche, di documenti, il museo rifà praticamente la storia di tutto il teatro.
(G. Tumiati)

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Curiosità sulla Lombardia

La Lombardia ebbe il suo nome di battesimo circa 600 anni dopo Cristo; lo prese dalla popolazione di origine germanica dei Longobardi, che si erano stanziati nel territorio di questa regione verso il 570 dC.
I confini perimetrali della Lombardia misurano quasi 1.400 chilometri.
C’è un pezzettino di Lombardia (e perciò d’Italia)… all’estero: è il Comune di Campione d’Italia, nel Cantone Ticino (Svizzera):
Benché sia difficile precisarlo, si può stimare che nella regione esistano circa 2.000 fontanili. Si può inoltre dire che il volume d’acqua donato da tutti i fontanili lombardi sia almeno pari alla portata media di un fiume come l’Adda.
Dei tre grandi laghi lombardi il lago di Como è l’unico che sia interamente lombardo. Il lago Maggiore, infatti, ha la costa occidentale in territorio piemontese e l’estremità settentrionale addirittura in Svizzera; il lago di Garda ha la costa orientale nel Veneto e l’estremità settentrionale nel Trentino.
Il campanile più alto d’Italia è il Torrazzo di Cremona, alto 111 metri. Le mura sono spesse cinque metri alla base, due metri e mezzo all’altezza della cella campanaria. Le sette campane che vi sono installate furono fuse nel 1774 da Bartolomeo Bozzi; la maggiore, detta di Sant’Omobono, pesa 35 quintali.
La fertile pianura in cui sorge Crema era una palude, denominata Lago Gerundio, da cui emergeva un isolotto. Su questa poca terra fu fondata Crema.
(R. Mezzanotte)

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Pavia

Amo la libertà de’ tuoi romiti
vicoli e delle tue piazze deserte,
rossa Pavia, città della mia pace.
Le fontanelle cantano ai crocicchi
con chioccolio sommesso: alte le torri
sbarran gli sfondi, e, se pesante ho il cuore,
me l’avventano su verso le nubi.
Guizzan, svelti, i tuoi vicoli, e s’intrecciano
a labirinto; ed ai muretto pendono
glicini e madreselve; e vi s’affacciano
alberi di gran fronda, dai giardini
nascosti. Viene da quel verde un fresco
pispigliare d’uccelli, una fragranza
di fiori e frutti, un senso di rifugio
inviolato, ove la vita ignara
sia di pianto e di morte. Assai più belli,
i bei giardini, se nascosti: tutto
mi par più bello, se lo vedo in sogno.
E a me basta passar lungo i muretti
caldi di sole; e perdermi ne’  tuoi
vicoli che serpeggian come bisce
fra verzure d’occulti orti da fiaba
rossa Pavia, città della mia pace.
(A. Negri)

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Grattacielo a Milano

Quando rincasavo la sera
c’erano due lumi rossi
agli angoli dello sterrato.
In quel fosso è nato
il grattacielo di Milano,
un piccolo segno di vittoria
per noi apostoli di cannoni nuovi
del nuovo vangelo.
Me lo trovo impagliato
di fronte all’Albergo Doria
come se io l’avessi innaffiato.
Mi fa ombra sul viso
all’angolo del marciapiede,
dove la fioraia contadina
portava un tempo edelweiss
e narcisi.
(L. Sinisgalli)

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Pace

Milano, alle tue soglie
l’erma badia di Chiaravalle tace.
Milano, alle tue soglie hai la tua pace.
Quando da te mi toglie
un desiderio d’esser consolato,
vado al tuo camposanto fatto prato.
L’erba è fitta d’occhietti
azzurri, e l’aria è un saettar di voli:
sotto gli archi i sarcofaghi stan soli.
Tra i gracili alberetti
dei mandorli, certo, anime celesti
muovono i lembi dell’eteree vesti.
Pena mi si disperde
fra gli alti muri e le patrizie tombe:
vita non pesa, morte non incombe.
Seggo in quel chiuso verde
presso il solingo tempio: e morte appare
sorella, e che sia dolce in lei posare.
(F. Pastonchi)

Tradizioni comasche
Oggi, a Como, i bambini sono danno più una malattia per la pampara. Ma un tempo era un’altra cosa. Nel giorno di Sant’Antonio c’era la benedizione di mucche e di cavalli.  Bancarelle a iosa con le pampare e i firun. Non sono mai riuscita a sapere l’origine del nome pampara. Si tratta di una sottile canna di bambù con inserite, in diversi taglietti della corteccia, larghe ostie colorate e tante di quelle coserelline che sono care ai bambini. Di modo che ogni bambino prendeva la sua, più bella e più guarnita delle altre, per tornarsene a casa trionfante.
I furin sono collane di castagne cotte,  infilate in uno spago, che i venditori recano in lunghe ceste.
Naturalmente la piazzuola, per il gran giorno, ha mille altre cianfrusaglie in vendita: dalle immagini alle statuette sacre ai prodotti mangerecci.
(M. Fagnani)

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REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture di autori vari, per bambini della scuola primaria: Vandali, Ostrogoti, Visigoti, Eruli, Bizantini e Longobardi; Odoacre, Teodorico, Genserico, Teodolinda, Rotari, ecc…

Nell’immenso territorio, dove l’autorità dell’antico Impero era venuta meno, i popoli germanici formarono i loro regni: i Visigoti si stabilirono in Spagna, i Franchi in Gallia, i Vandali in Africa.
Si costituirono in tal modo i regno romano-barbarici, così detti perché sotto lo stesso nuovo governo si riunivano le antiche popolazioni romane e le nuove genti barbariche di stirpe germanica.
Col passare degli anni questi due popoli, dapprima separati, lentamente si fusero con una reciproca influenza.
Molto più vasta ed efficace per la superiore civiltà, fu quella esercitata dai vinti sui conquistatori, che finirono per adottare la lingua, i costumi, le leggi e la religione del popolo che avevano sottomesso.

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture
Gli Eruli

Gli Eruli giunsero in Italia guidati da Odoacre, che tolse il trono a Romolo Augustolo. Questi, che i soldati romani avevano acclamato loro imperatore, era un fanciullo e non aveva quindi alcuna energia per opporsi all’invasione. Fatto prigioniero, fu rinchiuso in un castello della Campania e nessun imperatore fu eletto a succedergli in Occidente.
Odoacre, proclamatosi rappresentante dell’imperatore d’Oriente si insediò a Ravenna e governò l’Italia col titolo di Patrizio. Era l’anno 476 dC; esso segna la fine dell’Impero di Roma e l’inizio del Medioevo, cioè l’età di mezzo tra l’epoca antica e quella moderna.

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture
Gli Ostrogoti

Teodorico, un barbaro valoroso ed intelligente, nella sua giovinezza era stato per molti anni ostaggio alla corte di Costantinopoli: aveva così potuto conoscere ed apprezzare la cultura e la civiltà romane. Acclamato re degli Ostrogoti, che occupavano allora la Pannonia (l’odierna Ungheria), vagheggiava nuove conquiste per dare sedi migliori al suo popolo, poco amante dell’agricoltura ed inquieto.
Nel 489 Teodorico giunse alla Alpi Orientali. Non lo seguiva solo un esercito, ma un popolo intero con le donne, i figli, i servi, i carri colmi di masserizie e tende: trecentomila persone.
Odoacre, sconfitto in più battaglie, si chiuse in Ravenna. Dopo tre anni di assedio, si arrese con la promessa di aver salva la vita; invece fu fatto trucidare a tradimento (493).
Così finì il dominio erulo in Italia e subentrò quello degli Ostrogoti.

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture
Il governo di Teodorico

Teodorico governò per trentatré anni col titolo di re degli Ostrogoti e Patrizio d’Italia. Egli mirò a far convivere pacificamente i due popoli pur così diversi: lasciò ai Goti l’uso delle armi e affidò agli Italici l’amministrazione civile.
Migliorò le condizioni economiche dell’Italia con lavori di bonifica e con la costruzione di strade e di acquedotti, restaurò molti monumenti romani, abbellì Ravenna di un grandioso palazzo reale, un mausoleo e altri edifici; protesse le lettere e le arti, chiamò ad alti uffici uomini di valore, come lo storico Simmaco, il filosofo Severino Boezio e il dotto Cassiodoro, che divenne suo primo ministro. Benché ariano, Teodorico fu tollerante con i cattolici.
Ma l’avversione degli Italici e gli intrighi della corte bizantina avvelenarono gli ultimi anni del suo regno, rendendolo sospettoso e crudele: si diede ad arrestare, perseguitare, uccidere.
Anche Boezio e Simmaco furono messi  a morte, e lo stesso papa Giovanni I visse i suoi ultimi giorni in carcere.
Teodorico morì nel 526 e fu sepolto nel superbo mausoleo di Ravenna.

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture – I Bizantini

Le relazioni tra i Romani e gli Ostrogoti peggiorarono assai con i successori di Teodorico. Ne approfittò l’imperatore d’Oriente Giustiniano per unire l’Italia all’Impero d’Oriente (553).
Il dominio bizantino (così detto da Bisanzio, antico nome di Costantinopoli) produsse opposti, molteplici effetti. Infatti, se da un lato attivò le relazioni tra Italia e Oriente e fede della capitale Ravenna una città ricca e adorna di splendidi monumenti (come la famosa chiesa di San Vitale costruita appunto nel VI secolo e tutta rivestita di mosaici e d’oro), di contro afflisse le misere popolazioni con nuovi insopportabili balzelli, imposti senza ritegno dai rapaci funzionari imperiali.
La vita dei commerci e delle industrie intristì e grave fu il disagio delle città e delle campagne.
A rimedio di tanti guai solo la Chiesa diffondeva un po’ di bene fra le afflitte popolazioni ed accresceva in mezzo ad esse il suo prestigio.

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture – Per il lavoro di ricerca

Quale barbaro fu chiamato “re della terra e del mare”?
Quando cadde l’Impero Romano d’Occidente?
Per opera di chi?
Come si chiamava l’ultimo imperatore romano?
Da chi fu sconfitto Odoacre?
Come governò Teodorico? Come morì?
Qual era la capitale del regno degli Ostrogoti?
Che cosa era l’ “editto di Teodorico?”
Da chi furono scacciati gli Ostrogoti?
Perchè divenne famoso Giustiniano?
Come governarono i Bizantini in Italia?
Come fu divisa l’Italia in quel periodo?

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture – Il re della terra e del mare

Genserico, alla testa dei suoi Vandali, è alle porte di Cartagine. In città gli uomini fanno festa, ignari che il nemico è sotto le mura; così, mentre Genserico si accinge ad assalire i bastioni, i Cartaginesi sono nel circo. Ma d’un tratto alle porte del circo si sente qualcuno che batte per farsi aprire; i custodi chiedono chi sia mai costui che domanda di entrare in un’ora così fuori dal consueto.
“Sono il re della terra e del mare!” risponde il vincitore.

REGNI ROMANO BARBARICI dettati ortografici e letture –  Odoacre e la fine dell’Impero

Mentre l’Impero Romano d’Oriente fronteggiava con buon successo i barbari, e restava saldo ed unito, l’Impero Romano d’Occidente era percorso continuamente da orde selvagge, insanguinato da guerre e saccheggi, e finì per essere alla mercé dei capi barbarici e dei generali germanici. Uno di questi, Oreste, giunse nel 475 a porre sul trono imperiale suo figlio Romolo (che venne poi per spregio detto l’ “Augustolo” cioè il piccolo, misero Augusto). Ma questi regnò poco: l’anno dopo, un altro generale barbaro, Odoacre, piombò su Ravenna, la conquistò, uccise Oreste e depose l’Augustolo.
Una volta deposto quel debole imperatore, Odoacre assunse il titolo di “Patrizio” ed il potere in Italia, e mandò le insegne imperiali a Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente: un solo imperatore, disse, è più che sufficiente! Per una amara beffa del destino, l’ultimo re di Roma portava il nome del primo re, Romolo, colui che, secondo la leggenda, aveva fondato la città e gettato le fondamenta della sua potenza. Così nel 476 si concludeva miserevolmente la storia dell’Impero di Roma.

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Curiosità

Gli ultimi imperatori dell’Impero d’Occidente salirono al trono ancora bambini: Giuliano aveva sei anni, Graziano diciassette, Valentino II cinque, e Romolo Augustolo quattordici.
Per molti secoli l’Impero romano aveva avuto una difesa pronta e vigile ai confini anche lontanissimi. I barbari così spiegano il fatto: sul Campidoglio esisteva un tempietto consacrato alla Difesa entro cui erano molte statue raffiguranti le varie province di confine.
Ognuna aveva al collo un campanellino e appena questa provincia fosse stata minacciata esso preannunciava il pericolo suonando. Ecco perchè, ogni qualvolta i barbari toccavano le terre di confine romano, trovavano le truppe pronte alla difesa.

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Gli Ostrogoti, Teodorico e i Longobardi

Quando nel 488 Teodorico, il giovane re degli Ostrogoti, venne attraverso le Alpi Giulie in Italia, col suo esercito, fu la fine del governo di Odoacre. Questi, sconfitto prima sull’Isonzo, fu poi costretto a chiudersi in Ravenna, dove resistette valorosamente per due anni e mezzo; ma alla fine avendogli promesso Teodorico di salvargli la vita si  arrese.
Il patto non fu però mantenuto e Odoacre fu ucciso assieme ai suoi familiari, nel corso di una disputa insorta durante un banchetto.
Teodorico, riconosciuto re d’Italia dall’imperatore di Costantinopoli, per un certo periodo governò saggiamente. Stabilì la capitale del regno a Ravenna e chi anche oggi visita quella città può ammirare splendidi monumenti come la chiesa di sant’Apollinare, il battistero, il mausoleo di Galla Placida, ecc…
Negli ultimi anni del suo regno diventò crudele e sospettoso.  Fece uccidere il suo consigliere, Boezio, al quale aveva conferito gli onori di console, di patrizio e di maestro degli uffizi, e fece condannare a morte Simmaco, suocero di Boezio, solo perchè ne aveva pianto in pubblico la morte.
Prima di morire aveva ordinato la chiusura di tutte le chiese dei cattolici, ma l’ordine non ebbe seguito.
Morì nel 526 e così ebbe fine, con un breve periodo di tirannia, un lungo e glorioso regno.
Amalasunta, sua figlia, gli eresse un monumento presso Ravenna.

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Teodorico

Di Teodorico dobbiamo ammirare la saggezza con la quale governò l’Italia, gli sforzi fatti per fondere i Romani con i barbari sopraggiunti (fu questo il suo ideale e non è colpa sua se non poté raggiungerlo); a suo merito dobbiamo ricordare la protezione da lui data ai grandi uomini che fecero splendere di nuova luce le lettere romane: Cassiodoro, Emiodo, Boezio e le opere pubbliche che egli iniziò, i monumenti restaurati, gli edifici innalzati nelle sue città predilette: Verona, Pavia, Ravenna.
Quest’ultima città, un tempo sede della flotta romana, era divenuta già sotto Odoacre la capitale d’Italia e fioriva sulla sua laguna non ancora occupata dalle sabbie. Teodorico l’ornò di chiese e monumenti che in gran parte ancora sussistono e ci danno in modo strano l’illusione di rivivere ai tempi del grande Goto. Eppure questo re tanto amante delle arti non sapeva scrivere e per tracciare le lettere del suo nome doveva usare una laminetta traforata, attraverso la quale a fatica conduceva la penna! Assai meglio della penna egli maneggiava la spada, e lo sperimentarono numerosi popoli che egli assoggettò, entro e fuori d’Italia.

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Leggende sulla morte di Teodorico

Procopio racconta che, trovandosi Teodorico ad un banchetto, gli fu portato un grosso pesce, il quale, digrignando i denti e rivolgendo minacciosamente gli occhi, pareva che assumesse le sembianze di Simmaco. Spaventato di ciò, il re si sentì preso da brividi che lo costrinsero a mettersi a letto, dove non vi furono panni che bastassero a riscaldarlo; ed il 30 agosto 526, in età di settantadue anni, fu da una forte dissenteria condotto a morte.
Un’altra leggenda racconta che un collettore di tasse, passando per l’isola di Lipari, vi trovò un eremita che subito esclamò: “E’ morto Teodorico!”
“Come mai” rispose l’altro “se non è molto che io lo lasciai in buona salute?”
“Eppure” soggiunse l’eremita, “io l’ho visto or ora passare con le mani legate, fra papa Giovanni I e Simmaco, ed essere gettato nel cratere del vulcano di Lipari”.
Un’altra leggenda racconta che Teodorico fu portato da un cavallo nero, a corsa sfrenata, fin presso il vulcano ove fu scaraventato. (Villani)

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Dalla raccolta di leggi di Teodorico

1 Prima di tutto decretiamo che se un giudice avrà accettato denaro per giudicare a danno di un innocente contrariamente alle leggi e al diritto, sarà punito con la condanna a morte.
34 Nessuno, o Romano o barbaro, si prenda la roba altrui: e se con inganno se ne sarà impadronito non potrà tenerla, e dovrà immediatamente restituirla con gli interessi.
108 Se qualcuno sarà sorpreso a sacrificare col rito pagano sarà condannato a morte. Quelli che praticano arti malefiche, cioè gli stregoni, spogliati di tutte le loro sostanze, se di agiata condizione, saranno condannati all’esilio, se di umile condizione, a morte…

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Giustiniano e la liberazione dell’Italia dagli Ostrogoti

Mentre i Goti dominavano l’Italia, l’Impero d’Oriente, ancora solido e quasi intatto, cominciava ad interessarsi delle sorti dell’Italia, oramai da troppo tempo abbandonata nell’arbitrio dei barbari.
Nel 527, un anno dopo la morte di Teodorico, a Costantinopoli saliva al trono il più grande degli imperatori d’Oriente, Giustiniano.
Romano di animo e di propositi, egli inaugurò il suo regno con un’opera immortale, ordinando che si raccogliessero tutte le leggi dei Romani in un unico codice che rimane tuttora il solenne monumento del genio giuridico di Roma antica.
Giustiniano volle anche ricostruire l’unità dell’Impero romano  e in breve strappò ai Vandali l’Africa, sottrasse ai Visigoti la spagna meridionale, e finalmente, nel 535, sbarcò con un esercito in Italia per liberarla dai Goti e ricongiungerla all’Impero. La guerra durò ben diciotto anni e devastò tutta l’Italia, ma alla fine i Goti furono definitivamente sconfitti.

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Il governo bizantino in Italia (553-568)

L’Italia tornò così a far parte dell’Impero romano come una provincia. L’Imperatore la governò per mezzo di un suo rappresentante, detto Esarca, che risiedeva a Ravenna, con sommi poteri civili e militari.
Ravenna, che mostra ancora nelle belle chiese di San Vitale e di Sant’Apollinare, adorne di splendidi mosaici, i ricordi di questo periodo, divenne il centro delle comunicazioni con l’Oriente.
A tutta l’Italia divisa in ducati (così chiamati perchè governati da duchi bizantini) fu esteso il codice giustinianeo.
Fra i vari ducati ebbe una particolare importanza il ducato di Roma, per la presenza del papa, capo della Chiesa cattolica.
I Bizantini cercarono di migliorare le condizioni della penisola con l’aiuto dei Vescovi, a cui furono affidati uffici civili. Con ciò si accrebbe il potere temporale dei Vescovi, che avrà tanta importanza in seguito.
Ma per sopperire alle spese della difesa e dell’amministrazione, il governo bizantino aggravò le popolazioni italiane di tasse esose, rese ancora più aspre dai metodi di riscossione e dalla corruzione dei funzionari. Per questo e per la sua breve durata, esso non potè recare all’Italia i benefici che tutti speravano.
Infatti l’Italia rimase bizantina solamente quindici anni. Nel 568, appena tre anni dopo la morte di Giustiniano, una nuova ondata di barbari, i Longobardi, si rovesciò sul nostro paese

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La conquista dei Longobardi

Non erano passati quindici anni dalla definitiva conquista dell’Italia da parte dei Bizantini quando, nell’anno 568, attraverso le Alpi Giulie sopraggiunsero nuovi invasori: i Longobardi.
I soldati dell’Impero d’Oriente che presidiavano l’Italia non seppero validamente difenderla; essi si ritirarono nelle città costiere, dove avevano basi militari e flotte.
I Longobardi non avevano navi cosicchè non riuscirono mai a scacciare i Bizantini dalle coste italiane e ad unire tutta l’Italia sotto il loro dominio.
Fu questa una delle tristi conseguenze della conquista longobarda: l’Italia, unita dai Romani, si spezzetta in domini Bizantini e in domini Longobardi; ed anche quando finirono quei domini, l’Italia continuerà ad essere politicamente divisa.

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La conversione dei Longobardi

Il dominio dei Longobardi durò dal 568 al 774. Nei primi anni il loro governo fu aspro; poi venne mitigandosi soprattutto per la conversione al cattolicesimo della regina Teodolinda per opera di papa Gregorio Magno.
Fu questo un fatto di grande valore politico e civile, perchè influì sui costumi dei dominatori, rese più umana la condizione dei vinti latini e permise non solo la convivenza ma, più tardi, anche al fusione tra vincitori e vinti.
Nell’anno 603 la regina Teodolinda, adempiendo un suo voto, fece erigere in Monza la Basilica di san Giovanni Battista, decorata di preziosi ornamenti d’oro e d’argento.
Nella cappella, detta ancor oggi “cappella della regina Teodolinda”, si conserva la famosa corona ferrea, la quale, dopo essere stata di Teodolinda ed aver cinto il capo dei re longobardi, servì nei secoli successivi a cingere anche la fronte imperiale di Carlo Magno, poi quella dei re d’Italia nel Medioevo e più tardi ancora quella dei re di Germania imperatori del Sacro Romano Impero.

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Per il lavoro di ricerca

Di che stirpe erano i Longobardi?
Come vivevano?
Quali leggi li governavano?
Com’erano le loro case?
Come si vestivano?
Quando vennero in Italia?
Da chi erano guidati?
Come governò Alboino?
Perchè è famoso l’editto di Rotari?
Quando e per opera di chi si convertirono al cattolicesimo?
Chi fu Teodolinda? Che cos’è la corona ferrea e dove si trova? Conosci la sua leggenda?

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Il sogno di Teodolinda

Dice una leggenda che Teodolinda aveva promesso di erigere un tempio a San Giovanni e aspettava che un’ispirazione divina le indicasse il luogo più adatto. Mentre cavalcava col suo seguito attraverso una piana ricca di olmi e bagnata dal Lambro, la regina si fermò a riposare lungo le rive del fiume, all’ombra di un albero.
Addormentatasi, ella vide in sogno una colomba che si fermò poco lontano da lei e le disse: “Modo” (cioè qui).
Prontamente la regina rispose: “Etiam” (sì) e fece costruire la basilica nel luogo indicatole dalla colomba.
Quella zona fu poi chiamata Modoetia (Monza).

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Odoacre, amico di San Severino

Non pare che Odoacre avesse la ferocia dei barbari di Attila o di certi imperatori romani; la leggenda ci tramanda infatti la sua vivissima amicizia con San Severino, un asceta molto venerato. Al barbaro Odoacre si attribuiscono poi sentimenti e atti pietosi verso il piccolo Romolo Augustolo che “per compassione della sua infanzia gli salvò la vita e, perchè era un bel bimbo, gli diede una rendita di seimila soldi e lo mandò in Campania a viverci liberamente con i parenti”.

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Alboino in Pavia

I Longobardi (“uomini dalle lunghe barbe”) appartenevano a quelle tribù germaniche vissute lontano dai confini dell’Impero romano e rimaste sprofondate nella più oscura barbarie. Nomadi, essi avevano vagato senza meta nell’Europa Centrale; e si trovavano nei territori tra le Serbia, Croazia e Ungheria, quando sentirono parlare del clima mite, delle ricche città, dei pingui campi dell’Italia. Ciò decise il loro re, il fiero e crudele Alboino, ad ordinare un esodo di massa. Nella primavera del 568, una carovana di trecentomila longobardi, tra guerrieri, donne, vecchi e bimbi, si presentò al passo del Predil, nel Friuli, e dilagò poi nella pianura veneta. L’Italia, appena uscita, stremata, dalla lunghissima guerra greco-gotica, venne rapidamente conquistata.
In breve tempo i Longobardi si impadronirono di gran parte dell’Italia settentrionale, della Toscana spingendosi a sud, fino ad occupare Benevento. Una sola città oppose agli invasori strenua resistenza: Pavia che, stretta d’assedio, respinse per tre anni gli attacchi longobardi, arrendendosi solo per fame. Era il 572: re Alboino entrava finalmente in Pavia, che sarebbe diventata, con Verona, la capitale del nuovo Regno. Iniziava per l’Italia una nuova, decisiva fase della sua storia.
“E’ mia questa Italia!” gridò Alboino, affacciandosi dalle Alpi e scendendo nella pianura del Po che gli sembrò molto bella e fertile. Scelse per sua capitale Pavia. I Longobardi rimasero a lungo in quella regione. E anche quando cessò il suo dominio, il nome rimase. Infatti anche oggi il nome Lombardia ricorda la dominazione dei Longobardi.
I Longobardi erano tutti biondi rossicci. Alti di statura, portavano capelli a ciuffo sulla fronte, baffi spioventi e barbe lunghe. Sui copricapo, di pelo, portavano corna di animali. La loro arma preferita era una lunga alabarda. Nel vedere quei nuovi barbari i ragazzi italiani dicevano scherzando: “Sembrano carote!”
I Longobardi, dalle Alpi, giunsero fino al mar Ionio, percorrendo tutta la penisola italiana.
“Fin qui è il mio regno!” disse un successore di Alboino, Autari, spingendo il cavallo nel mare, a Reggio Calabria. Proprio così. Pareva che ormai fossero i padroni di tutta l’Italia e che nessuno li potesse sconfiggere.

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Alboino e Rosmunda

Per capire quanto fossero crudeli, basti dire che coi crani degli avversari uccisi si facevano coppe per il vino. Così ogni volta che bevevano, accostavano le labbra alle ossa del loro nemico.
Anche Alboino aveva preso stanza nella città di Verona e occupava il castello già abitato da Teodorico. Suo nemico era stato Cunimondo, re dei Gepiti, che Alboino aveva ucciso in battaglia, sposando poi la figlia del re morto, chiamata Rosmunda.
Un giorno dopo un pranzo durante il quale aveva più volte accostato le labbra al teschio di Cunimondo, mezzo brillo, Alboino chiamò uno del suo seguito e gli disse: “Perideo, prendi questa coppa di buon vino e portala alla mia dolce sposa Rosmunda”.
Perideo obbedì. Quando la regina riconobbe il teschio del proprio padre, inorridì. Ma non volle mostrare la sua commozione e il suo orrore. Prese la coppa e accostò le labbra sbiancate all’orto del cranio paterno.
Con gli occhi dilatati dall’orrore, mentre beveva, fissava Perideo, il quale lesse in quello sguardo una muta invocazione: “Vendicami…”
Presso i barbari la vendetta era sacra. E pochi giorni dopo Perideo uccideva Alboino, per vendicare Rosmunda. (P. Bargellini)

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Autari e Teodolinda

Una cupa leggenda circonda il nome di Alboino, il re longobardo che guidò il suo popolo, trecentomila persone comprese le donne e i bambini, una carovana zingaresca di carri e masserizie, guidata da fortissimi guerrieri, a sud delle Alpi: si dice che egli costringesse la moglie Rosmunda, a bere in un boccale ricavato dal teschio del padre, ucciso dallo stesso Alboino.
Più gentile e poetica è la leggenda del re Autari e della regina Teodolinda. Autari, prima di sposare quella principessa,, figlia del re degli Avari, si recò alla sua corte in incognito, per conoscerla, fingendosi un ambasciatore. La fanciulla venne chiamata alla sua presenza, perchè egli potesse vederla e, come diceva, “riferire al suo re”.
Teodolinda offerse da bere agli ospiti. Quando venne il turno di Autari, questi le sfiorò la mano con un dito e le passò la destra sulla fronte, sul naso e sulla guancia. Teodolinda, turbata, riferì la cosa alla sua nutrice. Ma la vecchia la rassicurò: “Non avere timore: nessun uomo avrebbe osato toccare la futura sposa del re. Quel cavaliere è senza dubbio Autari in persona”. Così conobbe il suo sposo la giovane che, diventata regina, favorì la conversione dei Longobardi (i quali professavano a religione ariana) al cattolicesimo.
Sotto i primi anni del dominio longobardo, l’Italia conobbe il più nero e doloroso periodo della sua storia. Ma col passare degli anni i Longobardi (che non riuscirono mai a costruire uno stato forte ed unito) addolcirono un poco i loro barbari costumi. Nel 643 il re Rotari emanò un complesso di leggi, attraverso il quale possiamo farci un’idea della società longobarda, in gran parte ancora barbara, ma già influenzata dallo spirito romano.
L’Editto di Rotari elenca i possibili reati, indicando, per ciascuno di essi, la pena da scontare o la multa da pagare.
Una curiosa disposizione dice: ” Se qualcuno avrà pelato la coda del cavallo di un altro, pagherà sei soldi”.

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Leggi longobarde

I Longobardi obbedivano alle tradizioni ed ai costumi di tutte le tribù germaniche. Vigeva, tra di essi, la vendetta privata, chiamata faida: l’omicida poteva essere a sua volta ucciso da un membro della famiglia del morto; le lotte tra famiglie, in tal modo, duravano molto a lungo, e spesso si tramandavano di generazione in generazione.
Un’altra barbara usanza era il “giudizio di dio”. Per stabilire se un uomo era innocente o colpevole del crimine che gli era ascritto, lo si sottoponeva a brutali prove, nella convinzione che dio avrebbe provato la sua innocenza salvandolo. Al giudizio di dio facevano ricorso spesso i Longobardi: l’imputato, legato, viene tuffato in acqua alla presenza di numerosi testimoni; se rimane a galla è ritenuto colpevole, e quindi condannato; se, invece, affonda, la sua innocenza sarà provata! Per tutto il corso del Medioevo, del resto, si ebbero varie forme del giudizio di dio: una delle più frequenti era il duello: l’accusato si doveva battere contro l’accusatore (talvolta costoro erano sostituiti da loro amici, o “campioni”): il vincitore avrebbe provato di essere nel giusto, poiché la sua vittoria, si credeva, veniva dal fatto di difendere una causa giusta.
Un certo miglioramento dei costumi longobardi fu ottenuto da re Rotari, il quale, con il suo editto, limitò a pochi casi sia la faida sia il giudizio di dio.
Regola della giustizia divenne il “guidrigildo”, cioè il compenso dell’offesa patita. Questi compensi erano fissati con una scrupolosa esattezza.
“Chi taglia il naso ad un altro gli dovrà pagare tredici soldi” diceva la legge: ed ecco che il ferito riceveva solennemente, dal feritore, la somma dovuta.
Un altro articolo diceva: “Chi fa cadere ad uno i denti mascellari, gli dovrà pagare diciannove soldi per ogni dente”.
Più curiosa era quest’altra disposizione: “Se qualcuno avrà colpito un altro in testa, e gli avrà rotto le ossa, gli dovrà pagare: per un osso, dodici soldi; per due ossa, trentasei soldi. Se le ossa rotte saranno più di due, non si contino. Bisogna però che una di queste ossa sia di tale misura che, lasciata cadere all’aperto, su di uno scudo, faccia un suono udibile a dodici piedi di distanza”.
Assai cara era pagata una mano: metà del prezzo necessario per compensare una vita.
In longobardo, l’offesa era detta walopaus.

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Come si vestivano e si acconciavano i Longobardi

Nelle decorazioni del palazzo di Monza, si può vedere molto bene in che modo a quel tempo i Longobardi vestivano e si acconciavano. Essi avevano i capelli rasi fino all’occipite e ricadenti sulla fronte fino all’altezza della bocca, divisi in due bande da una scriminatura. Le loro vesti erano ampie e generalmente di lino, ornate di strisce intessute abbastanza larghe e di vario colore. Portavano calzari aperti all’estremità e fermati da lacci intrecciati.

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In una casa longobarda

Sono entrato nella casa, chiamiamola così, di un guerriero longobardo molto stimato dai suoi connazionali per il suo valore. A me, che sono latino, è sembrato di ritornare indietro nel tempo di millecinquecento anni. L’abitazione consta di un unico vano, le cui pareti sono di legno e il tetto di paglia. Le suppellettili sono ridotte al minimo indispensabile: pentole di terra o di rame, corna di bue per contenere l’olio, o da usare come bicchiere, un mulino portatile per macinare il grano, pelli buttate per terra che servono da letto. Siccome il mio ospite era, come vi ho detto, un soldato valoroso, appesi alle pareti c’erano parecchi crani, quelli dei nemici che il gentiluomo aveva ucciso con le sue mani: così mi ha lui stesso spiegato.

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L’editto di Rotari

Rotari era un re longobardo. Nacque nel 606 e salì al trono nel 636 sposando Gondeberga, vedova di Ariovaldo. Sotto il suo regno lo stato si ingrandì grazie alla conquista della Liguria, tolta ai Greci. Ma la sua fama resta legata soprattutto all’opera di legislatore (aveva del resto dato prova della sua grandezza d’animo proteggendo i cattolici pur essendo ariano). L’editto di Rotari, detto anche editto longobardo, promulgato a Pavia nel 643, è uno specchio fedele delle condizioni di vita e di civiltà del popolo longobardo. L’editto è un vero e proprio codice, composto di 338 capitoli, di diritto penale e privato, riguardanti la repressione dei reati contro lo stato, contro l’incolumità delle persone e la salvaguardia del patrimonio, del diritto ereditario, del diritto di famiglia, dei diritti reali, dei diritti di obbligazione, della responsabilità per i servi, dei danneggiamenti e delle obbligazioni.
In questo editto, scritto in latino, per la prima volta dei barbari, come dovevano essere considerati i Longobardi, tenevano conto delle esperienze del diritto romano e delle innovazioni del cristianesimo. Grande importanza è attribuita dall’editto alla famiglia, centro dell’ordinamento sociale e politico, ed a tutte le questioni familiari.

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La conversione dei Longobardi

I Longobardi dominarono per ben due secoli nell’Italia settentrionale, e in così lungo periodo ebbero modo di subire la benefica influenza della civiltà romana, alla quale attinsero per l’organizzazione dello stato, per la compilazione delle leggi mescolando addirittura il proprio linguaggio alla lingua latina. La religione cattolica contribuì in gran parte a modificare le caratteristiche di questo popolo barbaro. La conversione al cattolicesimo avvenne per opera della regina Teodolinda. I Longobardi infatti erano ariani.
Era allora pontefice Gregorio Magno, monaco benedettino che, salito alla cattedra di Pietro, diceva tuttavia di sé “io sono il servo dei servi di dio”, e non sdegnava di servire i poveri, che voleva alla sua mensa.
Gregorio Magno paternalmente ammonì Teodolinda, e la convertì al cattolicesimo. Ancora molti anni dovettero passare prima che la religione ariana scomparisse tra il popolo longobardo. Tuttavia l’esempio della regina operò grandi conversioni e preparò il terreno per la conversione di tutto il suo popolo.

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Teodolinda, regina dei Longobardi e dei Latini

L’Italia è dominata dai barbari. Orde di ogni stirpe cavalcano sulle dolci terre e le distruggono. Da qualche anno vi comandano i Longobardi, ma già i Franchi hanno preso a combatterli e a fatica il longobardo Autari li ha ricacciati oltre il confine. Gli Italici attendevano i Franchi come liberatori: chi li proteggerà ora? Autari è crudele e minaccia di morte chiunque sei suoi voglia battezzare i figli. Inutilmente la moglie, Teodolinda, lo supplica di moderarsi… E’ la morte a portarsi via il re prepotente. Teodolinda rimane sola.
Esce spesso dalla reggia e si reca fra la povera gente. E’ una fiammata di intima, calda sensibilità a spingerla a far del bene, ed il suo cuore ignora la differenza tra Longobardi e Latini. Un mattino, mentre la regina cavalca verso Monza, un uomo lacero traversa la strada. E’ stremato, traballa… cade. Teodolinda, incurante del fango che le insudicerà il mantello, scende di sella e si china sul mendico.
“Chi sei?” il povero ha aperto gli occhi e fissa stupito la dama bionda.
“Teodolinda”
“La regina! Dio ti protegga sempre… tutti i Latini dicono che sei buona”
“La mia gente ti trasporterà nel più vicino castello…”
“Tu ami gli amici Italici…” mormora ancora l’uomo “dacci un re che ci comprenda! Lo puoi!”
“Sì”.
Teodolinda, cattolica, sposa in seconde nozze di Agilulfo, duca di Torino, che non perseguiterà più i cattolici. E papa Gregorio invia ai due sposi una preziosa corona. Preziosa per le gemme che la compongono, ma ancor più preziosa per il sottile cerchio di ferro che la delimita internamente, formato secondo la leggenda da un chiodo della croce: la corona ferrea. Quella che Teodolinda deporrà nella basilica di San Giovanni Battista, che ha fatto erigere in Monza. (R. Gelardini)

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La corona ferrea

Secondo un’antica tradizione, Sant’Elena, madre dell’Imperatore Costantino, trovò sul Calvario la Croce. Ella ne tolse un chiodo e lo fece applicare all’interno di una corona d’oro, che regalò a suo figlio. Questi la donò al papa. Circa tre secoli dopo, Gregorio Magno regalò la corona, chiamata ferrea per il chiodo che aveva internamente, alla regina Teodolinda. Ella, a sua volta, ne fece dono al Duomo di Monza, fatto edificare da lei stessa.
La corona si trova lì ancora oggi.

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ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture

ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture di autori vari, per bambini della scuola primaria.

I figli del deserto

Nella prima metà del VII secolo, e più precisamente nel 634 dC, gli Arabi assumono una posizione di primo piano alla ribalta della storia.
Fino ad allora questo popolo era vissuto sparso per il deserto in tribù nomadi formate di carovanieri, di pastori e di razziatori, detti beduini, cioè figli del deserto, e sono una parte di esso, insediata lungo le coste, praticava l’agricoltura.
Gli Arabi adoravano più dei; fra i tanti idoli propri di ciascuna tribù, ce ne era uno comune a tutte, la pietra nera, che si credeva portata dal cielo dall’arcangelo Gabriele e che si venerava in un santuario di forma cubica, la Càaba, alla Mecca, centro religioso e commerciale dell’Arabia.
Qui da ogni parte della penisola affluivano una volta all’anno gli Arabi, in pellegrinaggio, per celebrarvi i riti e per trafficare.

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Maometto

Alla Mecca, verso l’anno 570, nacque Maometto. Costui sentendosi ispirato da dio, incominciò a raccontare le rivelazioni che la divinità gli faceva e a diffondere in mezzo al popolo i principi di una religione.
Maometto insegnava che vi è un dio unico, Allàh, il quale dopo aver inviato come suoi profeti Abramo, Mosè e Gesù, suscitava ora il suo ultimo e più grande profeta, Maometto: “Allàh è il solo dio e Maometto è il suo profeta”.
“Gli uomini di fronte ad Allàh sono tutti uguali” diceva Maometto “come i denti di un pettine”. Chi crede in Allàh si abbandona interamente al suo volere, perchè sa che egli nella sua sapienza ha fissato per ciascun uomo un destino, che nulla può mutare.
Questa fede cieca, o abbandono in Allàh, si chiama Islàm, e Islamici o Musulmani si chiamano coloro che la professano. Ad essi è riservato il paradiso, un meraviglioso giardino pieno di delizie, per meritarsi il quale adempiere i doveri religiosi, che sono: la preghiera, cinque volte al giorno, quando il muezzin, affacciato al minareto ne grida il segnale; il digiuno, dall’alba al tramonto, nel mese di Ramadàn (febbraio); l’elemosina, che il ricco deve al povero; il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita; la guerra santa contro gli infedeli.
Le dottrine di Maometto furono raccolte dai discepoli in un libro sacro: il Corano.

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La guerra santa

La guerra santa predicata da Maometto trasformò rapidamente quel piccolo popolo di nomadi in un grande popolo di guerrieri e di conquistatori. Sotto la guida dei califfi, gli Arabi dilagarono in Mesopotamia e in Persia, poi in Palestina, in Siria e in Egitto.
Nel 711 i Musulmani conquistarono la Spagna, passarono quindi i Pirenei, invadendo la Gallia; ma nel 732 furono respinti da Carlo Martello, generale dei Franchi.
Non perciò si arrestarono le conquiste arabe nel Mediterraneo: nei primi anni dell’800, la Sicilia e le altre isole italiane erano in potere degli Arabi: il Mediterraneo divenne un mare arabo.
Palermo fu allora una delle principali città d’Europa per ricchezza di monumenti e per numero di abitanti. La Sicilia, dopo i tempi floridi di Siracusa e delle colonie greche, aveva sofferto per la rapacità dei governatori romani; si era un poco sollevata nei primi due secoli dell’Impero, per ricadere poi nelle più tristi condizioni per le invasioni dei barbari e per il pessimo governo dei Bizantini. Caduta in dominio degli Arabi, rifiorì a nuova vita; le sue campagne furono allora assai ben coltivate: le industrie, i commerci, le arti prosperarono.
La Sicilia raccolse e sviluppò tanta parte di civiltà degli Arabi, la diffuse nei paesi bagnati dal Mediterraneo e, prima che altrove, in Italia.

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Per il lavoro di ricerca

Descrivi in paese dell’Arabia e le condizioni dei suoi abitanti prima di Maometto. Che cos’è la Kaaba?
Quando visse Maometto?
Che importanza ha per gli Arabi l’Egira?
In quale libro è contenuta la dottrina di Maometto?
Qual è il principio fondamentale della dottrina di Maometto?
Perchè gli Arabi giudicarono santa la guerra?
Chi erano i Califfi?
Quali terre conquistarono gli Arabi  in Occidente e in Oriente?
Quando giunsero vittoriosi nella Spagna e chi sconfissero?
Come governarono gli Arabi in Sicilia?
Quale contributo diete all’agricoltura la conquista araba?
Quali furono le città più ricche degli Arabi?
Quali furono le scienze da loro più coltivate?

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Ritratto di Maometto

Maometto era un uomo dignitoso e raramente rideva. Di costituzione delicata, era nervoso, impressionabile, propenso alla meditazione melanconica. Nei momenti di eccitazione o di rabbia le vene del viso gli si gonfiavano pericolosamente, ma egli sapeva reprimere le proprie passioni e poteva facilmente perdonare a un nemico vinto e pentito… Era un uomo semplice e senza pretese. Gli appartamenti in cui successivamente dimorò erano casette di mattoni non cotti, con tetti di rami di palma; la porta era riparata da una tenda di pelo di capra o di cammello; l’arredamento consisteva in un materasso e alcuni cuscini sul pavimento. Fu visto spesso rammendare i propri vestiti o aggiustarsi le scarpe, accendere il fuoco, scopare il pavimento, mungere la capra in cortile e fare acquisti al mercato. Si cibava di datteri e di pane di orzo, raramente si concedeva il lusso di gustare latte o miele, e dava per primo l’esempio di astenersi dal vino.
Cortese con i potenti, affabile con gli umili, indulgente verso i suoi aiutanti, gentili con tutti eccetto che con i nemici. Visitava i malati e si univa a ogni funerale che incontrasse per via. Non amava dimostrazioni di magnificenza e di grandezza. Non richiedeva il lavoro di schiavi quando aveva tempo e forza per fare da solo. Spendeva poco per la famiglia, ancor meno per sé, molto in opere di carità.
(W. Durant)

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Maometto e l’Islamismo

Maometto affermava l’esistenza di un dio solo, e voleva che tutti gli idoli fossero distrutti; i sacerdoti e i ricchi mercanti della Mecca suscitarono contro di lui una tale agitazione, che dovette fuggire e rifugiarsi a Yatrib, detta poi Medina (“Città del Profeta”).
Ciò avvenne l’anno 622.
Questa fuga (in arabo Egira) è considerata dagli Arabi l’inizio di una nuova era. Perciò essi cominciarono a contare gli anni dal 622, che è l’anno primo della loro era.
La dottrina maomettana è contenuta nel Corano, che potrebbe definirsi la Bibbia dei Musulmani, e deriva in parte dai Giudaismo e dal Cristianesimo adattati alla natura del popolo arabo.
Il principio fondamentale di questa dottrina è l’esistenza di un dio solo, Allah, il quale ha già rivelato la sua legge per mezzo di Mosè e di Gesù, ed ora la rivela in modo più perfetto per mezzo di Maometto, dopo il quale non apparirà più alcun profeta.
I fedeli devono obbedire ciecamente ad Allah, accettare con rassegnazione la sua volontà, annullando la propria: tutto è da Allah ineluttabilmente prestabilito. Questo abbandono alla volontà di dio si dice con parola araba Islam. Perciò Islamismo si disse la dottrina di Maometto; islamici o musulmani sono i suoi seguaci.
Il paradiso è immaginato come un luogo di godimenti e di piaceri materiali, in forma di giardino, posto sulla vetta di un monte, irrorato da fresche fontane. I dannati piombano invece nell’abisso pieno di fiamme.
E’ un dovere degli Arabi convertire alla vera fede di Allah gli infedeli, soprattutto gli idolatri; se gli infedeli resistono si devono sterminare con le armi. Chi cade nella guerra santa è sicuro del paradiso. Questo miraggio, unito al fanatismo religioso, trasformò gli Arabi, da povero popolo di pastori nomadi e contadini, in conquistatori.
Il Corano prescrive minutamente i doveri del credente; quali: l’abluzione, la preghiera da farsi cinque volte al giorno a un segnale dato dal muezzin; il digiuno nel mese del Ramadan; il pellegrinaggio, almeno una volta nella vita, ai luoghi santi, ecc…

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Norme del Corano

Oriente e Occidente sono di Allah. Il Signore è ovunque volgete l’occhio e riempie l’universo con la sua sapienza ed infinità.
L’esistenza dei cieli e della terra, della notte e del giorno che si succedono, della nave che corre sui nari a vantaggio degli uomini, della pioggia che scende dalle nubi e vivifica la terra, degli animali che popolano la superficie terrestre, dei venti che spirano or di qua or di là, delle nuvole erranti tra terra e cielo, tutto ciò è il segno della potenza dell’Altissimo anche davanti agli occhi degli ignoranti.
Nel giorno del giudizio finale tutti i visi degli uomini saranno o bui o risplendenti. I rinnegatori della fede avranno il viso coperto di tenebra e Allah dirà loro : “Andate in preda alle fiamme, giacché siete stati apostati”. Invece, quelli il cui viso risplenderà, proveranno la divina bontà e di essa avranno eterno gioire.
Il Signore vi ordina di giudicare con giustizia i vostri simili. Obbeditegli, perché egli tutto vede e tutto sa. Oh credenti, siate cauti nel giudicare; talvolta il giudizio è ingiusto. Frenate la vostra curiosità; non lacerate la reputazione degli assenti.
Allah è autore di ogni bene che ti giunga. Tu sei l’autore del male che ti giunge. Chi obbedisce al Profeta, obbedisce al Allah.
Anche il verme più vile è creatura di Dio, nutrita da lui;  Dio conosce il suo rifugio e dove dovrà morire.
La terra presenta ad ogni passo un quadro sempre più vario, qui giardini con vigneti e legumi, là palme, ora solitarie ora in boschetti. La stessa acqua irriga tutti i frutti, ma il suo sapore è diverso. Ecco come Dio dà la prova della sua potenza a quelli che comprendono.
La spada è la chiave del cielo e dell’inferno; una goccia di sangue versato per la causa di Dio, una notte sotto le armi, avranno maggior valore che due mesi di digiuno e di preghiera. Colui che morrà in battaglia, otterrà il perdono dei peccati, nell’ultimo giorno le sue ferite saranno rosse come il vermiglio, profumate come il muschio, ed ali d’argento e di cherubino terranno il posto delle membra che avrà perdute.

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I successori di Maometto e le loro grandi conquiste

Raccolto a Medina un nucleo di fedeli, Maometto potè rientrare trionfalmente alla Mecca nel 630, dopo aver sanguinosamente vinto i suoi avversari. Cominciava la guerra santa.
Quando il Profeta morì (632), quasi tutta l’Arabia era convertita all’Islamismo e le tribù, prima divise, formavano un saldo organismo politico, militare e religioso. I suoi successori si chiamarono Califfi; i primi furono elettivi, poi si fondò una dinastia.
La marcia degli Arabi si sviluppò in due direzioni: ad occidente, verso l’Africa mediterranea; a nord e a oriente, verso la Siria, l’Asia Minore e il Regno di Persia. Essa fu favorita dalla debolezza in cui si trovavano allora i due stati vicini: l’Impero d’Oriente e il Regno di Persia.  Il primo perdette parte dei territori, il secondo si sfasciò.
Conquistata tutta l’Africa mediterranea, l’anno 711 gli Arabi varcarono lo stretto che la separa dalla Spagna e che, dal nome del loro condottiero, fu chiamato Gibilterra (Gebel-el-Tarik, cioè monte di Tarik), cozzando contro il regno dei Visigoti. In due anni questo crollò: i Visigoti superstiti ripararono nelle Asturie, una regione montagnosa lungo la costa settentrionale della penisola iberica. Né l’impervia catena dei Pirenei arrestò la formidabile espansione degli Arabi, che irruppero in Francia. Ma un valoroso duca franco, maggiordomo del re, Carlo Martello, li sconfisse a Poitiers (732), ricacciandoli al di là dei Pirenei.
Nel giro di un secolo, dopo la morte del Profeta, gli Arabi avevano costituito un immenso impero che dall’India si estendeva fino alle coste dell’Atlantico, dai Pirenei al Mar Nero e dal lago d’Aral giungeva fino al deserto del Sahara e all’oceano indiano.
In Asia, il loro dominio confinava col grande impero cinese.

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La civiltà araba: agricoltura, commercio, industria

Nei primi tempi della loro espansione, gli Arabi recarono gravi danni alle civiltà conquistate, perchè saccheggiarono  e distrussero opere utili ed opere artistiche. Si deve a loro la distruzione completa della Biblioteca di Alessandria.
Ma ben presto essi sentirono interesse ed ammirazione per le civiltà dei popoli con cui erano venuti il contatto, e le assorbirono apportandovi anche originali contributi.
Agricoltura, industria e commercio fiorirono rapidamente in tutti i paesi conquistati, promuovendone la ricchezza.
Nuove piante furono introdotte e diffuse nel bacino del Mediterraneo, come l’arancio, la palma, l’albicocco, il cedro, il carciofo, l’asparago, lo zafferano, il riso, il cotone, ecc…
Sistemi ingegnosi di irrigazione furono attuati in Spagna meridionale e nella Sicilia, che diventò allora un giardino fiorente; ancora restano celebri avanzi di pozzi, acquedotti, bacini.
Nelle regioni d’Oriente gli Arabi appresero la fabbricazione di eleganti tessuti, la lavorazione del cuoio, dei metalli, del vetro, dell’avorio e del legno.
Le armi di Damasco e di Toledo, i leggeri tessuti di Mosul (mussoline), le sete, i broccati, i tappeti di Damasco, il cuoio del Marocco, i mobili intarsiati in avorio, le vetrerie, i vasi, le lampade di Baghdad e di Cordova costituirono i più raffinati prodotti al mondo tra l’VII e il XII secolo.
Tutta questa produzione industriale era alimentata dalla facilità degli scambi. Provvisto di porti numerosi, dotato di una flotta potente e di antiche e regolari vie carovaniere, l’Impero arabo era intermediario tra l’Occidente e l’Estremo Oriente. Molte parole della nostra lingua, che riguardano la navigazione ed il commercio, sono derivate dall’arabo (arsenale, ammiraglio, fondaco, dogana, magazzino, ecc…).
Mentre nell’Europa cristiana le maggiori città andavano decadendo e la vita economica si restringeva nelle curtis, gli Arabi crearono ovunque nuove città o impressero una floridezza nuova a quelle già esistenti.

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La ricchezza degli Arabi poveri

Gli Arabi poveri raramente erano tanto poveri da non possedere nemmeno questa semplice ricchezza: un cammello o, meglio un dromedario.
Esso dava loro nutrimento, con la sua carne, il latte e i prodotti che da questo ne ricavavano. Il suo pelo serviva per la tessitura delle tende e delle vesti. Persino il suo sterco veniva raccolto e usato come eccellente combustibile. Il cammello era prezioso come mezzo di trasporto. Alla resistenza dell’animale, alla sua sobrietà, che lo fa star contento delle erbe della steppa, e che gli permette di star giorni interi senza bere, si deve se le grandi distese desertiche non sono state per i beduini un ostacolo insormontabile e se essi hanno potuto regolarmente varcarle con le loro carovane, con gli eserciti, con conseguenze di grande portata per la storia politica, economica e culturale.
(M. Guidi)

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I musulmani e la schiavitù

Tra i musulmani la schiavitù era abbastanza diffusa, limitatamente però ai lavori domestici: gli Arabi non avevano grandi proprietà terriere in cui occorresse il lavoro degli schiavi. La religione considerava atto di pietà la liberazione di uno schiavo musulmano; considerava un dovere, invece, la riduzione in schiavitù dei nemici. La dura sorte di venir venduti come schiavi toccò, così, anche a molti europei, catturati in battaglia, o durante le scorrerie degli Arabi lungo le coste, o in seguito alle imprese dei pirati arabi che molestavano il traffico delle navi degli “infedeli” nel Mediterraneo.
Se i prigionieri erano di buona famiglia, ed esisteva la speranza di un buon riscatto, anziché venduti sui mercati erano restituiti alle famiglie dietro pagamento di una grossa taglia. C’è da dire che i padroni arabi non erano duri con gli schiavi. I più colti praticavano la virtù della misericordia, raccomandata dal Corano, anche nei loro confronti. Quando poi, in Spagna, gli Arabi vennero sconfitti dalle forze della nascente potenza spagnola, toccò a loro essere venduti come schiavi, dove venivano adibiti ai servizi domestici. Molti villaggi, in Liguria, sono sorti in cima alle colline proprio per essere al riparo dalle scorrerie arabe.

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La cultura araba

Magnifico sviluppo ebbe l’architettura, dalle linee armoniose e dalla ricchissima colorazione policroma. I più bei monumenti sono: il palazzo dell’Alhambra a Granata e l’Alcazar a Siviglia. Non ebbe invece grande sviluppo la pittura per il divieto, posto da Maometto, di rappresentare dio in figura umana, allo scopo di impedire il ritorno degli Arabi all’idolatria: in compenso fiorì l’arte decorativa col bizzarro, caratteristico stile degli arabeschi. Tra le opere letterarie, celebre è la raccolta di novelle “Le mille e una notte”.
Nel campo delle scienze, partendo dalle conquiste dei Greci e dei popoli orientali, gli Arabi fecero molti progressi: crearono l’algebra, diedero nuova forma al calcolo con l’uso delle cifre arabiche, introdussero lo zero, posero le basi della chimica moderna; la geografia, l’astronomia, la medicina e la chirurgia ebbero da loro contributi nuovi.
Ma la civiltà araba, dopo aver raggiunto il suo massimo sviluppo tra il X e il XII secolo, si arrestò e decadde.

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Le mille e una notte

Le mille e una notte sono una raccolta di fiabe e novelle arabe famose in tutto il mondo. La cornice favolosa è data dalla leggenda della principessa Sheherazade, che per mille e una notte intrattenne il Sultano con i suoi racconti, ottenendo dalla sua curiosità il continuo rinvio della morte cui era condannata.
Al termine dei racconti, il Sultano si riconcilia con lei, ritira la condanna e dà una grande festa. Il libro è pieno di magie, stregonerie, trasformazioni di uomini in animali e viceversa, strumenti fatati (la lampada di Aladino, il tappeto volante e così via). Ma è anche ricchissimo di descrizioni della vita araba nella splendida capitale e nella reggia di Baghdad o nei vicoli del Cairo, dove si aggira una folla pittoresca di facchini, comari, artigiani, mariuoli, avventurieri.
Negli straordinari viaggi del marinaio Sindbad rivive l’epopea di qualche Ulisse arabo nei mari d’Oriente. Principi, mercanti, navigatori, studiosi, poeti, uomini del popolo sono i personaggi di una commedia umana che ha per noi il valore di un grande documentario dei costumi e della mentalità degli Arabi nel periodo di maggior splendore della loro civiltà.

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Le armi degli Arabi

Le spade caratteristiche degli Arabi erano ricurve: spesso le lame erano finemente lavorate con intarsi d’oro e d’argento e i foderi erano ornati di pietre preziose. I soldati erano armati poi di giavellotto e di lunghe lance orante di criniere di cavallo, e portavano uno scudo piuttosto piccolo.
Usavano un elmo con nasale e gorgiera di maglia di ferro per riparare il collo e il naso. Gli uomini indossavano il Kaftan, cioè un ampio mantello di lana e portavano lunghe braghe, strette alle caviglie. Si coprivano il capo con il turbante.

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L’incendio della biblioteca di Alessandria d’Egitto

Amru, generale del califfo Omar, conquistò l’Egitto. Entrato in Alessandria, dove ancora esisteva al famosa biblioteca, in cui i Tolomei avevano raccolto tutte le opere dei Greci antichi, Amru, che stimava le scienze e il letterati, fece amicizia con un dotto greco, di nome Giovanni. Si narra che questi volesse approfittare dell’amicizia che aveva con lui per salvare la biblioteca di Alessandria, ricca di ben 600.000 volumi e lo supplicasse di conservarla.
“Io non posso rispondere di nulla ” disse Amru “senza aver ottenuta l’approvazione dell’imperatore dei fedeli”.
Ne scrive pertanto al califfo, il quale gli dà questa risposta: “Se i libri di cui parli non contengono ciò che è nel libro di dio, essi sono inutili, falli bruciare; se non si accordano, essi sono dannosi, falli bruciare”.
Amru a malincuore obbedì scrupolosamente all’ordine del califfo.
(Manaresi)

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I pirati arabi distruggono un’abbazia

I monaci benedettini di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno si incontravano spesso per feste religiose. In una di queste, che aveva raccolto il popolo delle due badie, avvenne un tremendo massacro. Assaliti dalle orde dei Saraceni che erano risaliti dal litorale di Castel Volturno, furono asserragliati, massacrati e sgozzati; massacro di un esercito inerme preso al laccio dal nemico in una gola di monti senza scampo. La basilica, le chiese furono depredate e incendiate, con grande lutto per la fede e per l’arte. Una traccia resta ancora nell’oratorio di San Lorenzo, unica chiesa superstite ma non indenne.

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Gli Arabi in Sicilia

La Sicilia, passata dal governo tirannico di Bisanzio a quello più illuminato degli Arabi, fece enormi progressi intellettuali ed economici, i cui benefici effetti si risentirono con le altre dominazioni.
Gli Arabi, bravi agricoltori, curarono i boschi, i corsi d’acqua, la piantagione di alberi fruttiferi, la coltivazione delle ortaglie e del cotone, introdussero in Sicilia la coltivazione della canna da zucchero e degli agrumi, oggi grande ricchezza dell’isola. Divisero le grandi estensioni di terreno in tante piccole proprietà.
Palermo divenne, assieme ad altre, una bella, popolosa, ricca città.

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Parole arabe in italiano

Molto spesso, parlando di qualche cosa, noi usiamo, senza saperlo, parole che sono state introdotte nella nostra lingua da un grande popolo del passato: gli Arabi.
Zucchero, per esempio, è una parola di derivazione araba, come arabe sono le parole cotone, magazzino, almanacco, ammiraglio, albicocca, denaro, divano, materasso e molte altre. Queste stesse parole sono presenti anche in altre lingue europee.
Per esempio, dalla parola araba sukkar deriva l’italiano zucchero, lo spagnolo azucar, il francese sucre , l’inglese sugar, il tedesco zucker.

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I cavalli, orgoglio degli Arabi

Gli Arabi non avevano grandi mandrie di bovini, ma pecore e cammelli, asini e cavalli.
I cavalli erano il loro orgoglio, animali svelti, alti e ben proporzionati, di temperamento nervoso e velocissimi.
I migliori provenivano dall’altopiano di Nedshd; e in tutto l’Oriente erano considerati il più nobile prodotto della natura; in realtà erano il risultato di un accurato allevamento.
Il cavalo ebbe fin dall’inizio una notevole importanza nella storia e nelle leggende dell’Islam.
Lo stesso Maometto, che non era un beduino, ma un cittadino, fin dalla prima giovinezza aveva avuto gran confidenza con gli animali.
Da bambino aveva accompagnato suo zio in un viaggio in Siria, e più tardi guidò egli stesso carovane di mercanti attraverso il deserto, al servizio di una ricca vedova attempata che possedeva alla Mecca un’impresa di trasporti e che poi divenne sua moglie.
Probabilmente faceva i suoi viaggi di affari su di un cammello, o su un asino, ma quando diventò conquistatore, e si coprì di gloria, ebbe un focoso destriero, anche per le sue missioni spirituali.
I suoi fedeli raccontano che sul suo cavallo miracoloso, Barak, guidato dall’arcangelo Gabriele cavalcò nella santa notte dalla Mecca al Tempio di Gerusalemme e di là salì in cielo.
Presso la rupe dalla quale il cavallo aveva spiccato il volo verso il cielo, il secondo califfo Omar al-Khattab, al posto del Tempio di Salomone fece erigere la grandiosa moschea che porta il suo nome.
Ciò nonostante, Omar fece il suo ingresso a Gerusalemme come semplice beduino, su un cammello che portava un sacco di biada, un altro di datteri e una borsa di cuoio con acqua da bere.
I successi militari degli Arabi sconfinavano nel prodigioso.
Con piccole squadre di cavalieri sottomisero i più grandi regni. I Persiani cercarono di trattenerli con un considerevole corpo di elefanti, ma dopo una lotta durata tre giorni, la battaglia degli elefanti di Kadesia si risolse a favore dei lancieri arabi; trecento arabi e settemila berberi presero la Spagna; solo a Poitiers, nel centro della Francia, la cavalleria araba fu bloccata per la prima volta.
(Morus)

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Il grande viaggio

La morte non atterriva gli Arabi, perchè essi sapevano che nell’aldilà esiste un dio giusto che premia chi ha vissuto con fede e ha sempre compiuto il bene. Perciò, quando un Arabo doveva intraprendere un lungo viaggio, metteva nel suo bagaglio anche il lenzuolo candido che avrebbe fatto da sudario. Durante il cammino, se l’Arabo si sentiva male e comprendeva che non aveva ormai più molto da vivere, avvertiva i compagni e si faceva dare un’ultima fiasca d’acqua. Poi si allontanava in solitudine. Scavava la sua fossa, con l’acqua faceva le ultime abluzioni rituali, recitava le preghiere e infine si sdraiava serenamente nella buca, in attesa della morte. Non si preoccupava per la sepoltura: avrebbe pensato il vento del deserto ad accumulare in poche ore la sabbia sulla sua fossa.

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Inferno e paradiso
Certamente noi preparammo ai cattivi il fuoco che li circonderà di un turbine di fumo, e, se chiederanno aiuto, avranno acqua che brucerà loro la faccia come se fosse rame fuso. Ma a quelli che avranno invece creduto e operato con rettitudine, non lasceremo mancare il premio dei giusti. Avranno i giardini del Paradiso, saranno adorni di bracciali d’oro  e vestiti di abiti verdi di seta preziosa intessuta d’oro e di una sopravveste splendente.

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Dal Corano

Dio ha creato per voi il bestiame; esso vi dà calore  e profitto, vi dà nutrimento. La sera quando le bestie tornano alla stalla, la mattina quando vanno al pascolo, sono per voi uno spettacolo bello da vedere. Trasportano i vostri carichi a paesi che non raggiungereste senza affanno e fatica, poichè il Vostro Signore è buono e pietoso. Egli ha creato cavalli, muli ed asini per cavalcatura e per ornamento, e altre cose che non conoscete neppure.
A Dio appartiene quanto è nei cieli e sulla terra: Egli è colui che basta a se stesso… e se tutti gli alberi della terra fossero penne, ed al mare fossero aggiunti sette mari, tutti d’inchiostro, non si esaurirebbero scrivendo le parole di Dio. Certo Egli è potente e saggio…

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La Sicilia sotto gli Arabi

La Sicilia fu governata da un Emiro (Balì) che dipendeva giuridicamente dall’Emiro di Kairouan, ma che, eccezion fatta per l’interpretazione dei dogmi, esercitava un governo assoluto. Palermo fu la capitale del nuovo stato. Dall’Emiro dipendevano i Cadì, che amministravano le città importanti, e funzionari minori.
Dopo gli atti violenti della conquista, gli Arabi divennero miti, e il loro governo fu tutt’altro che gravoso. L’isola fu divisa in tre province o valli: Mazara (anche oggi, Mazara del Vallo), Demone e Noto. In generale, Val Demone (Sicilia nord orientale) formata dalle catene dei Peloritani e dei Nebrodi e dall’Etna, tutta aspre valli ed impervie montagne, rimase indipendente di fatto, con municipalità locali; Val di Noto (Sicilia sud orientale) fu resa tributaria; a Sicilia centrale e occidentale, Val di Mazara, era veramente suddita. I beni ecclesiastici e demaniali vennero confiscati dal governo musulmano, ma i cittadini, pur perdendo ogni autorità politica, continuavano a vivere secondo le proprie leggi e costumi, godevano pienamente il diritto di proprietà, potevano praticare la loro religione.
La legge musulmana proteggeva le persone e gli averi con le medesime sanzioni penali per i musulmani, e ammetteva ogni contrattazione civile tra loro e i dominatori, anche i lasciti per testamento.
Tutti gli uomini liberi, di qualsiasi grado, erano davanti ai vincitori ragguagliati in un’unica condizione, detta dsimma. I dsimmi (sudditi o umiliati) erano sottoposti a vari divieti: non potevano portare armi né andare a cavallo, né bere vino in pubblico, né celebrare pompe funebri; la loro condizione di inferiorità, indicata esteriormente con un segno sulla porta di casa e sul vestito, si rivelava dall’obbligo di cedere per strada il passo ai musulmani e di alzarsi nei ritrovi quando entrava un musulmano.
In complesso, al condizione fatta dagli Arabi ai vinti non fu eccessivamente gravosa. Per questo e per l’odio verso l’antico dominate bizantino, i Siciliani non si ribellarono e la signoria araba si consolidò; occorrerà una forza proveniente dall’esterno, i Normanni, per abbatterla.
La Sicilia sotto i Musulmani fiorì di commerci e di industrie. Come Cordova, in Spagna, Palermo fu uno dei centri principali della civiltà araba: nel secolo X contava circa 300.000 abitanti ed era ricca e festosa. Con essa gareggiavano Catania, Messina, Siracusa, Castrogiovanni.
L’agricoltura fu favorita dallo spezzettamento del latifondo: molte grandi proprietà del dominio bizantino o della Chiesa, confiscate dal governo musulmano, furono in parte divise tra i conquistatori, in parte date in affitto o in enfiteusi.
Maometto aveva stabilito che chiunque rendesse una vita alla terra incolta, ne divenisse proprietario. Questo favorì il dissodamento e la coltura intensiva di terre abbandonate. Gli Arabi introdussero nell’isola piante e metodi di coltura che avevano appreso in Oriente: agrumi, fichi d’India, palme da dattero, gelso, cotone, canna da zucchero, ecc., e seppero regolare il corso dei fiumi con sapienti lavori idraulici.
La lingua e la cultura indigena non vennero soffocate, anzi valorizzate e arricchite dalla cultura greco orientale, di cui gli Arabi furono mediatori.

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La tecnica araba

Gli Arabi furono i primi ad iniziare un’applicazione più sistematica della ruota ad acqua e del mulino a vento.
Mentre nel mondo classico la ruota ad acqua non ebbe mai un’importanza particolare, gli Arabi ne fecero una delle loro principali risorse.
In Mesopotamia essi adottarono una ruota a pale galleggianti su chiatte ancorate alle rive del Tigri, per dare energia ai mulini, alle fabbriche di carta e ad altri macchinari, dove fecero grande uso di ruote dentate di legno e di altri congegni di trasmissione dell’energia.
Riferisce un antico storico che “… nell’Afghanistan tutti i mulini a vento sono mossi dal vento del nord e quindi orientati in questa direzione. Applicate ai mulini a vento vi sono delle file di persiane che vengono chiuse o aperte per trattenere o immettere il vento. Infatti, se questo è troppo forte, la farina brucia e diventa nera e la stessa macina può surriscaldarsi e guastarsi.”
Questo nuovo modello di mulino a vento è dovuto agli Arabi.
Nell’epoca d’oro della civiltà islamica (900-1.000) una serie di scienziati fece progredire la tecnica chimica studiando attentamente sostanze organiche e inorganiche, grazie allo sviluppo di strumenti scientifici.
Lo scienziato arabo Al-Biruni usò il suo picnometro per determinare il peso specifico di molti minerali e pietre preziose.
Uno degli strumenti maggiormente diffusi nel  mondo arabo fu l’astrolabio.
Risale certamente a Tolomeo e ad altri astronomi ellenistici, ma gli Arabi lo perfezionarono fino a farne uno strumento utile e di impiego universale per la misurazione degli angoli e il calcolo delle posizioni dei corpi celesti.
Gli Arabi furono anche famosi per l’arte del vasellame e specialmente per gli smalti lucenti e colorati applicati alle terraglie.
Quei recipienti smaltati, molti dei quali a prova di fuoco, erano particolarmente adatti agli esperimenti tecnici.
Il miglioramento della qualità del vasellame aiutò grandemente i chimici arabi ad intraprendere una produzione su larga scala di certi prodotti chimici.
Essi inventarono i forni cilindrici o conici, in cui venivano poste file di alambicchi per la produzione di acqua di rose o di nafta (benzina) per la combustione dei gas.
Nel 1085 un incendio nella cittadella del Cairo distrusse non meno di 300 tonnellate di benzina. La produzione di quantitativi così ingenti era possibile soltanto con il suddetto metodo.
Città come Damasco erano, secondo testi antichi, centri di produzione e distillazione.
Gli  Arabi si interessarono anche alla produzione di tessili.
Come certi nomi di sostanze e apparecchi chimici (quali alcali, antimonio, alambicco), passarono dalla lingua araba alla nostra, anche molti nomi arabi di tessuti furono adottati da noi.
Così il damasco, ad esempio, deriva originariamente da Damasco, e la mussola da Mosul, mentre la parola taffetà deriva dal persiano taftah e il fustagno, una stoffa famosa nel Medioevo, da Fostat, un sobborgo del Cairo.
Il sorgere di un’industria araba della carta fu dovuto ai contatti con la Cina.
Nel 793 sorgeva a Baghdad la prima cartiera. Ben presto l’uso della carta divenne così diffuso, che intorno all’800 troviamo scrivani che si scusavano se per stendere le lettere dovevano ricorrere ancora al papiro.
Verso il 900 si introdussero a Baghdad formati standard di carta e se ne fabbricarono qualità assai leggere, che servivano per la posta aerea di allora, cioè il servizio dei piccioni viaggiatori.
L’industria della carta era strettamente connessa con quella della legatura dei libri, nella quale eccellevano gli Arabi.
Essi facevano bellissime copertine di cuoio lavorato a mano e decorato d’oro.
Gli Arabi per primi escogitarono un procedimento di raffinazione dello zucchero, e speciali procedimenti per l’estrazione dei profumi dai fiori.
E’ di quei tempi l’introduzione su larga scala delle armi chimiche.

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Il Corano

La dottrina di Maometto è contenuta nel Corano. Corano (“lettura, recitazione”) è l’insieme delle recitazioni pronunciate da Maometto come profeta che si riteneva ispirato dalla rivelazione divina, le quali, raccolte dai suoi ascoltatori, vennero riunite dopo la sua morte.
Il Corano è completato dalla Sunna, ossia dalla condotta pratica del Profeta, come risulta dai sui detti e atti tramandati dalla tradizione.
Il dogma musulmano è assai semplice. L’unità e l’onnipotenza di Dio (Allah), la vita futura con pene e ricompense, la missione divina di Maometto: questi sono gli articoli di fede.
Allah comunica con gli uomini mediante la rivelazione, trasmessa per mezzo dei profeti: ogni popolo ha il suo profeta, ogni epoca il suo libro sacro.
Tra i grandi profeti che hanno preceduto Maometto è Gesù: Maometto, l’ultimo venuto tra i profeti, è il profeta per eccellenza, ha apportato la rivelazione definitiva.
Dopo la morte l’uomo deve rendere conto delle sue azioni: i reprobi e gli infedeli verranno precipitati nella Gehenna, ove saranno tormentati; ai veri credenti, ai giusti è invece riservato il paradiso, le cui delizie saranno eterne.
Per meritare le gioie del paradiso l’uomo deve avere fede e sottomissione assoluta ad Allah, non deve mai rappresentarlo sotto forme visibili, deve obbedire alla sua legge, diffonderla per il mondo anche con le armi, compiere le pratiche essenziali del culto (preghiere, abluzioni, pellegrinaggi), fare elemosina.
La carità è stretto obbligo per i Musulmani. La morale è intimamente legata alla religione: il Corano condanna l’avarizia, la menzogna, l’orgoglio, la malvagità; proibisce vino e gioco, i due vizi favoriti dagli Arabi, raccomanda la modestia, la castità, la rettitudine, la pazienza, l’umiltà, e soprattutto la carità.
I credenti sono tutti fratelli: gli ebrei e i cristiani potranno, pagando tributo, professare la propria fede.
Il Corano permette più mogli, ma la monogamia è considerata preferibile; proibisce l’infanticidio; protegge i deboli, gli orfani, gli schiavi.
Si può quindi affermare che la legislazione del Corano abbia costituito per gli Arabi un effettivo progresso.
Per il Musulmano il Corano è ciò che la Bibbia è per il popolo ebraico: il libro per eccellenza, che sta al di sopra di ogni altro libro per il suo carattere sacro.
Quando vengono letti  ad alta voce i versetti del Corano, tutti i presenti devono osservare un assoluto silenzio e nessuno può permettersi di bere o di fumare. In parecchi luoghi era consuetudine insegnare ai bambini inferiori ai dieci anni i 6.200 versetti a memoria, ridotti poi, nelle scuole di tipo più moderno , ad una scelta antologica che non affatichi tanto la memoria.
L’unicità di dio è continuamente ribadita nel Corano: “Egli è Dio; non ci è altro Dio che Lui, conoscitore del visibile e dell’invisibile, il misericordioso, il compassionevole! Egli è Dio, non v’è altro Dio che Lui, il re, il santo, il pacificatore, il fedele, il custode, il potente, il dominatore, il grandissimo”.
Ci sono versetti che esortano a confidare nella sapienza di Dio, che ha fini ben precisi da realizzare: “Non disperare dello Spirito di Dio”; “Non pensare che Dio sia immemore di coloro che commettono ingiustizie”.
Anche nel Corano, come nella tradizione cristiana e presso altre religioni, si possono trovare espressioni quasi proverbiali che aiutano la gente modesta, a portare il peso del vivere con rassegnazione e con totale fiducia in Dio: “Dio non aggrava un’anima più di quanto essa non possa sopportare”; “Se la tentazione da parte di Satana ti inducesse al male, cerca rifugio in Dio che tutto ascolta e conosce”; “Nessuna anima porterà il peso di un’altra”.
(L. Salvatorelli)

ESPANSIONE E CIVILTÀ DEGLI ARABI dettati ortografici e letture – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA, di autori vari, per bambini della scuola primaria.

Osserviamo la cartina

Confini: Francia, Svizzera, Piemonte
Monti: Alpi Occidentali (Graie) e Centrali (Pennine)
Cime più alte: Gran Paradiso, La Grivola, Monte Bianco, Cervino, Monte Rosa
Valli: della Dora Baltea, con le valli laterali. A sud: Veny, La Thuile, Valgrisanche, di Rheme, di Cogne. A nord: Ferret, del Gran San Bernardo, Valpelline, Valtournanche, d’Ayas, di Gressoney
Valichi: Piccolo San Bernardo, Col Ferret, Gran San Bernardo
Fiumi: Dora Baltea (nel suo corso superiore).

La Valle d’Aosta, la più piccola e montuosa regione d’Italia, è il regno delle cime inaccessibili, delle nevi perenni. Il Gran Paradiso, il Monte Bianco, il Cervino, il Monte Rosa sono nomi noti agli alpinisti di tutto il mondo. DA queste vette lo sguardo scende verso la valle operosa, percorsa dalla Dora Baltea. Il fiume scorre tra dolci declivi, raccogliendo le acque dei torrenti che scendono dalle valli collaterali.
La Valle d’Aosta è famosa, oltre che per le sue montagne, anche per i numerosi castelli medioevali, meta continua di visitatori.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Vita economica

L’economia della Valle d’Aosta si basa principalmente sull’industria dell’energia idroelettrica, prodotta dalle imponenti centrali scaglionate lungo le valli.
Miniere di carbone sopra La Thuile, e di ferro sopra Cogne, alimentano ferriere ed acciaierie. Nella Valtournanche si estrae marmo serpentino.
Estesi pascoli favoriscono l’allevamento di bovini ed ovini; abbondante quindi è la produzione di latticini (fontina della Val d’Aosta).
Fiorente è l’industria turistica della valle; gli appassionati della montagna e degli sport invernali frequentano assiduamente le migliori località di soggiorno della Valle ed i rifugi alpini, situati ad altissime quote.
Il capoluogo della regione è Aosta, città antichissima, fondata dall’Imperatore Augusto, da cui prese il nome.
Con tutto il suo territorio la Valle d’Aosta forma una regione autonoma, governata da un parlamento detto Consiglio della Valle.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Per il lavoro di ricerca

Chi furono i primi abitanti di Aosta?
A quale epoca risale la fondazione della città?
Con quali province e con quali stati confina la Valle d’Aosta?
Da quale fiume è attraversata l’intera regione?
Quali fiumi e quali torrenti si gettano nella Dora Baltea?
Com’è il clima?
Quali importanti gruppi di montagne comprende?
Quali sono le vette principali?
Quali passi, valichi, trafori mettono in comunicazione la Valle d’Aosta con la Francia e con la Svizzera?
Quali sono le maggiori risorse economiche della regione?
Conosci qualcuno fra i costumi più famosi della Valle d’Aosta?
Hai già sentito parlare della funivia dei ghiacciai?
Che cos’è il Parco Nazionale del Gran Paradiso?
Nell’interno del Parco Nazionale, sono permesse la caccia, il taglio delle piante e la pesca?
Ricerca notizie sul Monte Rosa e sul Cervino.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Sulle ali della fantasia

Numerosissime sono le leggende create dalla fantasia ed ispirate dall’animo poetico dei valligiani. Molte di esse hanno per protagonista il diavolo. E non poteva davvero il diavolo mancare nella tradizione popolare valdostana. Il diavolo, infatti, rappresenta uno dei termini della lotta tra il bene e il male: l’altro è rappresentato dall’angelo e dal santo.
Rivive in questi contrasti, che la fantasia popolare abbellisce con le pittoresche e ingenuo integrazioni, un atteggiamento caro alla poesia medioevale, anche alla poesia di Dante.
E nella Valle d’Aosta, in cui la solitudine antica dei monti sembra creare l’ideale luogo per l’ascesi dello spirito, il dramma tra il bene e il male si risolve con la vittoria della santità.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – La Valle d’Aosta: sguardo d’insieme

Nel luogo dove i confini dell’Italia, della Francia e della Svizzera trovano il loro punto d’incontro si estende la Valle d’Aosta, la più piccola fra le regioni italiane.
Il nome Valle ne indica solo parzialmente il carattere: in realtà essa presenta in breve spazio tutto ciò che la montagna può offrire di bello, di solenne, di orrido, di affascinante: qui sono le cime più alte, le pareti più vertiginose, i nevai più estesi, i torrenti più impetuosi.
Si esce appena dalla ridente campagna canavesana, l’occhio riposa ancora sul dolce paesaggio morenico, quando entriamo nella vallata centrale che ci apre il paesaggio tra i massicci montuosi e percorre la regione in tutta la sua lunghezza.
L’ingresso è ampio, accogliente, ma la valle non tarda a serrare i suoi bastioni di roccia nella stretta selvaggia di Bard; e subito, come per un pentimento, si slarga di nuovo, concedendo spazio ai coltivi, al corso della Dora vorticosa, torbida, grigia di sabbie. Poi si rinserra repentinamente alla Mongiovetta. La Dora scroscia in una gola profonda e la strada si arrampica su pei dirupi. Nuovamente la valle si allarga dove sorge l’elegante centro turistico di Saint Vincent, su su fino alla conca di Aosta, la piccola capitale. Di qui riprende deciso il dominio delle montagne che stringono sempre più da vicino la strada ed il fiume, ma, a tratti, lasciano spazio ai paesini, ai villaggi e cedono ancora al verde dei prati dell’ultima, stupenda conca di Courmayeur.
La valle, che trae il nome dalla città di Aosta, è come un tronco torto e nodoso da cui si dipartono, a destra e a sinistra, i rami delle valli minori.
Ciascuna di esse è solcata da un torrente che reca il suo apporto di acque alla grande Dora. In alto, fra i picche nevosi, occhieggiano laghetti azzurri, distendono acque increspate dal vento i bacini idrici serrati fra il monte e le altissime dighe.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Lo sai?

Aosta è la romana Augusta Praetoria, fondata nel 24 aC per volere dell’imperatore Cesare Augusto.
Entrèves (frazioni di Courmayeur): in località La Palud, l’arditissima “funivia dei ghiacciai”, inaugurata nel 1057, porta sul Monte Bianco raggiungendo i 3842 metri di altezza (Aiguille du Midi) e scavalca l’imponente massiccio per scendere poi a Chamonix (Francia).
La funivia supera un percorso di quindici chilometri.
Gran San Bernardo: vi è un ospizio di monaci Agostiniani e un allevamento di cani di razza San Bernardo. Questi cani, un tempo, erano impiegati dai monaci per ricercare gli alpinisti sperduti.
Piccolo San Bernardo: verso la fine di settembre del 218 aC vi passò molto probabilmente Annibale, con il suo esercito. Pochi giorni dopo, il generale cartaginese sconfisse una prima volta i Romani, comandati dal console Publio Cornelio Scipione, presso il Ticino.
Gran Paradiso: la zona ospita un Parco Nazionale per la conservazione della flora e della fauna. In questo parco vivono numerosi camosci e stambecchi.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Minerali della Valle d’Aosta

Miniere di ferro a Cogne e miniere di carbon fossile a La Thuile;  cave di pietra da taglio, di granito, di marmo verde; filoni di amianto e di ferro magnetico; giacimenti di rame, manganese, di galena argentifera, di pirite, di cristallo di rocca ed infine il carbone bianco, cioè la grande abbondanza di acqua per l’energia elettrica; sorgenti di acque minerali a Saint Vincent e Courmayeur.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Curiosità

I giacimenti di minerale di ferro più alti d’Europa di trovano a Cogne, in Val d’Aosta a millecinquecento metri sul livello del mare. Vi lavorano circa settecento minatori anche d’inverno, ospitati in un moderno e ben attrezzato villaggio. Annualmente ricavano circa duecentoquaranta mila tonnellate di ferro.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Artigianato

Non c’è angolo della Val d’Aosta che non rispecchi gentilezza, fantasia e non riveli qualche segno dell’umile, delicatissima arte. Qua è una porta estrosamente intagliata, là è una fontana o un balcone dalle forme ingegnosamente sagomate… Il legno dei boschi assume, nelle mani dei Valdostani, gli aspetti più svariati. Da secoli lo lavorano e ne ricavano oggetti graziosissimi, utili e d’ornamento… Armadi, cassettoni, conocchie, pipe, coppe, bastoni, manici per piccozze, oggetti d’arte sacra. Ognuno di questi oggetti è intagliato, decorato, cesellato, arabescato con disegni.
Tutta questa produzione non è soltanto nelle case. Assieme a merletti, trine, tessuti a mano, oggetti di stagno sbalzato ed altre caratteristiche creazioni valdostane, fanno bella mostra di sé in negozi e mercati dove turisti ed amatori li acquistano…

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – In una bottega s’Aosta

Nelle botteghe di Aosta fanno bella mostra numerosissimi oggetti in legno (astucci, ciotole, pipe, piccoli scrigni, bastoni, culle) lavorati con grande, abilità dei valligiani.
Alcuni di questi oggetti finemente intagliati e decorati, hanno un vero valore artistico.
Altri lavori caratteristici sono i merletti, le trine, i tessuti fatti a mano e gli oggetti di peltro.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Il Monte Rosa

Splendida corona alla Valsesia è il Monte Rosa, un imponente massiccio delle Alpi Pennine, il secondo in Europa per altitudine subito dopo il Monte Bianco.
Esso si estende tra il Colle di Teodulo e il Passo del Monte Moro e comprende numerose e gigantesche vette che superano tutte i quattromila metri, come la Punta Giordani, la Piramide Vincent, il Corno Nero, la Punta Parrot, la Punta Gnifetti, la Punta Zumstein, la Punta Dufour, che è la più elevata, e la Nordend.
Bellissime vallate si aprono ai piedi del massiccio, uno dei più conosciuti ed amati delle nostre Alpi.
Scintillanti ghiacciai, e assai vasti, ricoprono i fianchi del Monte Rosa (il Gornergletschern, nel versante svizzero, e, nel versante del Lys, il ghiacciaio dallo stesso nome): la solitudine immensa e il divino silenzio accolgono gli animosi alpinisti che vi si avventurano.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Il Monte Cervino

Nelle Alpi Pennine, ad ovest del Rosa, si erge solitario, al disopra di una meravigliosa cerchia di monti, il capriccioso Cervino. Ha una caratteristica forma piramidale, e l’elegante cuspide aguzza è quasi sempre avvolta da una corona di nubi.
I tentativi di conquistare la vetta durarono quasi un secolo e la prima ascensione fortunata, dal versante italiano, segnò una delle pagine più radiose nella storia dell’alpinismo valdostano.
La scalata del Cervino è tuttora difficile e pericolosa. Le famosissime guide di Valtournanche si addestrano sulle sue levigate pareti.
Il Brocherel (la Valle d’Aosta) dice del Cervino: “La visione del Cervino è sempre affascinante e comprensiva, perchè contenuta nella sintesi di un colpo d’occhio. Ergendosi isolato senza corteo di satelliti, il Cervino avvince ed assorbe l’attenzione per la schematica semplicità delle forme; la mole giganteggia appunto per il taglio netto degli spigoli e la levigatura delle pareti. La bellezza scenografica del Cervino consiste nella composizione geometrica del suo profilo, che possiede uno stile proprio, da qualunque parte lo di guardi.
Da Zermatt il Cervino assume la forma di un immenso cristallo di rocca e le scintillanti incrostazioni di ghiacci rendono ancor più evidente la somiglianza; dal Breuil sembra il torso di un gigante addormentato, la testa sciabolata di rughe, gli omeri fasciati dai drappeggi dei ghiacciai; dal Dent l’Hérens, la sagoma è ancor più affusolata, e sembra un massiccio obelisco, istoriato dai geroglifici delle chiazze di neve”.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Itinerario in funivia sul Monte Bianco

Da Entrèves nella Valle d’Aosta a Chamonix in territorio francese, si può attraversare la massiccia catena del Monte Bianco, salendo fino a quota 3.842 metri (Aiguille du Midi) stando comodamente seduti nei piccoli vagoncini sospesi della funivia. La chiamano “la Funivia dei Ghiacciai”). Ogni tanto, quando un gruppo di carrelli giunge a una delle stazioni terminali, tutto il complesso si ferma e si resta sospesi magari sul ghiacciaio del Gigante o sulla Vallée Blanche, a più di 3.500 metri di altezza, mentre sotto di noi si distendono sconfinate distese candide, picchi solenni, una foresta pietrificata di cime, una fuga vertiginosa di vallate scoscese.
Questa è la Funivia dei Ghiacciai, un’ opera ardita e meravigliosa di ingegneria. Quando la progettarono, sul Colle del Gigante mancavano i sostegni naturali sui quali appoggiare i piloni che dovevano sostenere la grande campata di 5.093 metri fino a Gros Rognon, a 3541 metri di altezza. Allora i costruttori idearono un pilone sospeso, sorretto dalle due parti da un sistema di cavi di acciaio che furono fissati da un lato al Grand Flambeau e dall’altro alle pendici del Dente del Gigante.  L’apparecchiatura, che sostiene al loro passaggio i carrelli, pesa da sola diverse tonnellate e sembra di volare, senza scosse, incantati da quello spettacolo straordinario.
Per chi vorrà poi attraversare le Alpi nello stesso punto, ma facendo a meno di ammirare lo straordinario spettacolo della catena, si è perforato il Monte Bianco in persona! Lungo 11.700 metri, senza superare i 1.500 metri di altezza, il traforo guida gli automobilisti in linea retta e in meno di mezz’ora dall’Italia alla Francia e viceversa. (A. Lugli)

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Il traforo del Monte Bianco

Il traforo del Monte Bianco è la più grande galleria stradale d’Europa e attraversa il monte più alto d’Europa, alto 4810 metri. Il tunnel passa esattamente sotto il ghiacciaio di Toulà, tocca la verticale dell’Aiguille de Toule (che segna il confine tra l’Italia e la Francia; in galleria il confine è indicato da due grandi cartelli), attraversa il Ghiacciaio del Gigante, la Vallée Blanche e tocca infine la verticale dell’Aiguille du Midi, per ridiscendere sotto il ghiacciaio des Pelerins. Per la realizzazione del traforo sono state impiegate sei milioni e trecentomila ore lavorative, pari a circa ottocentomila giornate lavorative. In cantiere si sono trovati fino a seicento tra operai e tecnici. (A. Selmi)

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Guide valdostane

Essendo uomini della montagna, sono per natura schivi, rifuggono istintivamente dai clamori e dal chiasso che circondano tanto spesso i personaggi più in vista.
Sono coraggiosi e forti, profondamente buoni e generosi, sempre pronti a correre là dove qualcuno si trova in pericolo, disposti ad ogni sacrificio, fosse pure quello della vita, che del resto tanto spesso mettono a repentaglio, quando la necessità lo richieda. Ma, appena la loro presenza non è più necessaria, quando tutto è tornato normale e ogni pericolo è svanito, si eclissano silenziosamente, quasi si adombrassero dei ringraziamenti e delle lodi che si vorrebbero loro tributare.
Innamorati delle loro belle montagne, ne hanno assorbito lo spirito, rude e fiero in apparenza, nel fondo estremamente generoso, gentile e sensibile: ne è una dimostrazione evidente questa loro ritrosia, che non vuole mettere in imbarazzo nessuno, che inconsciamente vuol conservare agli atti eroici la purezza che li ha ispirati.
Tali sono le famose guide valdostane.
E anche noi, che comprendiamo ed apprezziamo la delicatezza del loro spirito, rispetteremo il loro desiderio di rimanere nel buio, accontentandoci di dire che li abbiamo ammirati tante volte, che li ammiriamo tuttora per il loro coraggio, per la loro silenziosa abnegazione, che spesso rasenta e raggiunge le vette del più sublime eroismo.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Il Parco Nazionale del Gran Paradiso

Una delle gite più interessanti che si possono fare sulle Alpi Piemontesi è quello che ha come meta il Parco Nazionale del Gran Paradiso. Entriamo in un regno meraviglioso, perchè qui tutto è rimasto intatto con piante, fiori, animali, uccelli ed insetti protetti contro ogni sovversione o modifica che la mano dell’uomo vi può apportare.
Una legge apposita del governo italiano, che risale al 1922, ha stabilito pene severissime per chi intacca il patrimonio vegetale ed animale di questa zona, diventata zona di protezione o, come si suole chiamare, Parco Nazionale.
Esso comprende il massiccio del Gran Paradiso ed alcuni territori dei comuni di Ceresole Reale, di Locana, di Cogne, di Valsavara, di Ronco Canavese e di altri, compresa l’ex riserva di caccia dei Savoia. Il perimetro del Parco è segnato da cartelli indicatori.
Nell’interno è vietato qualsiasi genere di caccia e uccellagione, la pesca, il taglio di piante, le iscrizioni, i cartelloni pubblicitari e qualsiasi altra deturpazione delle bellezze naturali. E’ perfino vietato l’ingresso con cani e il campeggio.
Tutto questo a quale scopo?
Perchè sia salvo, almeno in qualche angolo del nostro stupendo arco alpino, il paesaggio naturale quale doveva apparire un tempo quassù, prima che l’uomo iniziasse con la caccia e il diboscamento la trasformazione dell’ambiente montano. Orma sia al piano che sulle valli del nostro Paese è rimasto ben poco del quadro primitivo e selvaggio di un tempo, ed ancor meno resterà con il progressivo deturpamento di ogni bellezza naturale.
Si ampliano le città al piano, sorgono stabilimenti per ogni dove, si inquinano le acque, si aprono mille strade, si disbosca in modo eccessivo, e così a poco a poco le nostre regioni assumono un volto diverso e ben lontano dal primitivo aspetto. Proprio per arrestare questo lento ma profondo mutamento, sono state istituite varie zone di protezione (parchi del Gran Paradiso, dello Stelvio, degli Abruzzi, del Circeo, …) e non in Italia soltanto, ma in ogni nazione del mondo.
Così nel Parco del Gran Paradiso si è potuto salvare lo stambecco, scomparso da tempo da ogni altro angolo delle Alpi. Lo Stambecco è una grande capra di forme tozze ma robusta, di pelame bruno, folto e ruvido, con corna nodose incurvate all’indietro, vive per lo più oltre il limite superiore della vegetazione arborea. Pascola di notte, e nell’inverno cerca grotte e terrazzi ben esposti al sole, al riparo dalle valanghe. E’ agilissimo e con destrezza di arrampica svelto svelto su cammini e canaloni. Ma nel Parco vivono molti atri animali selvatici, dentro fitte pinete, con un lussureggiante sottobosco: camosci, ermellini, volpi, donnole, marmotte, lepri bianche, faine, martore, tassi, lontre e numerosi uccelli (l’aquila reale, il gufo, il picchio, la coturnice, il fagiano di monte, il gallo cedrone, la nocciolaia, il merlo alpino e tanti e tanti altri).
Una gita a questo Parco è veramente interessante; sembra per un momento di vivere in un altro mondo, lontani dal frastuono delle città e dal rumorio solito di macchine e automobili. La natura, se rispettata, conserva questo incanto, questo arcano potere di avvicinarci alle sue meravigliose bellezze. (C. Verga)

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – Testimonianze di antiche tradizioni e folklore valdostano

Una gioiosa fiaccolata di giovani annuncia l’arrivo del nuovo anno, cantando davanti ad ogni casa. Sempre a Capodanno (la tradizione è viva in quasi tutta la Valle) i bambini, a gruppi, si recano nelle case a porgere gli auguri e sono affettuosamente accolti e ricevono piccoli doni, di solito caramelle e dolci.
Secondo una tradizione, detta del “baldzor d’an”, nella notte dell’Epifania si scrivono i nomi di tutte le fanciulle e di tutti i giovani del paese du piccole strisce di carta, che poi si mettono in due cassette: una coi nomi delle donne, una con quelli degli uomini. Un bambino estrae, alternativamente, un biglietto dall’una e dall’altra urna, formando così le coppie: e le due strisce, unite assieme, vengono poi sparse il giorno successivo sulla piazza principale del paese…
Durante il Carnevale, ancora ricco di maschere che variano secondo le località, il martedì grasso, a Châtillon, si distribuisce ai poveri una minestra di fagioli e polenta con fontina, il tutto preparato sulla piazza del paese.
La Domenica delle Palme, oltre i rami d’olivo, si fanno benedire anche mele che si ritiene preservino dal mal di gola e dal morso delle vipere.
La vigilia di San Giovanni e di San Pietro in molti paesi della Valle si accendono grandi falò (i “sidora”, fuochi di gioia).
La sera dei Morti si preparano legna ed acqua e si lascia la tavola imbandita per le anime dei defunti… Inoltre la stessa sera, ragazzi e ragazze si riuniscono in due stanze diverse e a turno bevono dalla stessa grolla (una coppa di legno): poi, quando scocca la mezzanotte, bussano ad ogni porta per ricordare che è tempo di preghiera… Se ci si dimenticasse dei morti, vuole la tradizione, si provocherebbe da parte delle anime defunte un rumoroso “tzarivari”, una specie di rumorosa sarabanda che si organizza anche in occasione delle nozze di un vedovo o vedova, servendosi di ogni oggetto che produca gran fracasso…
Durante la notte di Natale i bambini sono soliti appendere, davanti alla porta di casa o alla finestra, piccoli canestri per i doni.
Gentile è l’usanza di conservare con molta cura il cero che viene acceso durante il battesimo dei neonati: questo stesso cero viene riacceso durante le malattie del bambino per affrettarne la guarigione…
Fra i giochi infantili tradizionali, molto praticato nella Valle è il “palet”, simile a quello delle bocce, con la differenza che le bocce sono sostituite da sassi piatti.
Fra gli adulti si gioca allo “tzan” (o cian): si organizzano anche tornei tra paese e paese. Consiste nel lancio di una palla di legno, posta su una pertica, per mezzo di un’assicella (“piota”). Si gioca anche al “piollét” che consiste nel lanciare il più lontano possibile una palla ovale di bosso, appesantita da chiodi di rame e di ottone.
Ma la competizione più famosa e più caratteristica è la “battaglia delle reines” per il conferimento del titolo di “reine de reines”, regina delle regine, che si svolge ad Aosta e a Châtillon alla fine dell’estate fra i campioni bovini (reines) delle varie mandrie, che si sono conquistati il titolo di “reines” durante l’alpeggio estivo.

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – La leggenda del monte Rutor

Vi fu un tempo, assai lontano, in cui le cime e le conche del Rutor erano ricoperte di una vegetazione lussureggiante.
Un giorno un saggio, travestito da povero, andò ai pascoli del Rutor per provare il cuore del ricco proprietario, le cui uniche mucche pascolavano sparse a migliaia sull’immenso pianoro.
Quando egli si presentò, umile e supplichevole sulla soglia di casa, il padrone stava osservando i suoi servi i quali riempivano di latte un tino di straordinaria grandezza. Nessuno badò all’infelice che attendeva sulla porta.
Allorché il recipiente fu pieno, il padrone disse, brutalmente, rivolgendosi al poveretto: “Chi sei e ce cosa vuoi, tu che ci togli la luce, standotene così davanti alla mia porta?”
“Un po’ di latte per ammorbidire il mio pane, e avrete luce per l’eternità” rispose il povero.
Uno scoppio di risa interruppe le sue suppliche. Disse il ricco dal cuore di pietra: “Ah, sì? Ebbene, ascoltami: piuttosto che dare una scodella di latte a un vagabondo come te, spanderò tutto il contenuto del tino sull’erba del prato!”
Detto ciò, ordinò ai suoi servi di spandere il latte proprio sopra il prato, che si estendeva davanti alla casa.
I servi per un po’ esitarono, ma alla fine, timorosi dello sguardo infuriato del loro padrone, obbedirono. Il tino fu capovolto e il latte, sparso interamente, colò sui pendii del pianoro in ruscelletti bianchi che scesero lontano, gorgogliando.
Il riccone, intanto, guardava con aria malvagia e trionfante il povero. E questi mormorò con tristezza, osservando la prateria inondata di latte: “Guarda come biancheggiano i più lontani prati…”
Poi, alzando gli occhi in alto aggiunge: “E già arrivano le nubi…”
Il ricco montanaro guardò in alto e vide delle enormi nuvole avanzare rapidamente, simili ad una minacciosa armata. Poi la dolce luce del sole si oscurò. Quando abbassò gli occhi, il ricco si accorse che il poveretto era scomparso.
La notte seguente egli udì spesso risuonare nelle proprie orecchi le ultime parole del mago, cioè del mendicante respinto: “Guarda come biancheggiano i più lontani prati…”
Queste parole non gli davano pace. Alla fine, per sfuggire all’incubo, egli si alzò e guardò dalla finestra. Era l’alba e, lontano, i prati erano tutti bianchi. E nevicava ancora. E nevicò tutto il giorno ed ancora il giorno seguente. E venne il terzo giorno e nevicava sempre e per molto tempo la neve cadde notte e giorno.
L’uomo ricco fu sepolto sotto il bianco lenzuolo di neve, con tutti i suoi beni. E lassù la neve rimase e rimarrà per sempre, fino alla fine del mondo.
Così i bei pascoli verdeggianti dell’uomo ricco sono diventati il ghiacciaio del Rutor, che splende ancora oggi ai raggi del sole.
(J. Favre)

Dettati ortografici e materiale didattico sulla VALLE D’AOSTA – La conquista del Cervino

Quattro italiani si trovano sulla Spalla del Cervino, ai piedi dell’ultimo picco. La vetta è ormai vicina. Mancheranno sì e no duecentocinquanta metri. Siamo nel 1865, il 14 luglio, una giornata stupenda senza una nube. Il Cervino è il picco più bello delle Alpi, uno dei più belli del mondo. Poco meno di 4.500 metri. Tutte le altre vette delle Alpi sono state conquistate dall’uomo. Il Cervino non ancora. Il Cervino fa paura. Molti lo ritengono invincibile. Dà la sensazione di un gigante cattivo che non lascerà passare nessuno. Eppure l’uomo ha una voglia immensa di salire lassù. Che cosa ci sarà in cima? Che cosa si vedrà? Che difficoltà ci sono da superare? Non esistono ancora le comodità che ci saranno nel secolo ventesimo. Altro che strade asfaltate e funivie. Con la carrozza si può arrivare soltanto a Valtournanche. Per arrivare al Breuil resta una lunga camminata. E il Breuil, dove esistono poche casupole e un modesto albergo, non è neppure alla base del gigante. Per raggiungere le rocce, parecchie ore di salita. Anche i mezzi per salire le montagne sono semplicissimi e rozzi. Scarponi ferrati, corde rudimentali e, per scavare i gradini nel ghiaccio, non la piccozza ma un’ascia, come quelle che servono a tagliare la legna. E soprattutto c’è il mistero. La montagna è ancora un enigma. Eppure gli uomini avevano giurato di arrivare lassù. Quali uomini? Pochi, pochissimi ancora. In Italia, nel 1863, era nato il Club Alpino. E i fondatori, tra cui erano Quintino Sella e Felice Giordano, pensarono subito a un’impresa che facesse onore all’Italia e alla nuova associazione. Fino ad allora, sulle Alpi, erano stati gli Inglesi i più forti. L’Inghilterra, patria degli sport, era scesa alle Alpi per dimostrare la superiorità fisica e morale dei suoi campioni. Questa nobile emulazione tra Inglesi e Italiani si concentrò sul Cervino.
Il Cervino era la posta più difficile e gloriosa. L’ultimo duello fu combattuto tra due tipi formidabili, degni uno dell’altro, il cui nome è rimasto famoso. Ecco Jean-Antoine Carrel, cacciatore e guida alpina di Valtournanche, detto “il bersagliere” perché alla battaglia di San Martino si era guadagnato i galloni di sergente. Era un giovane forte e orgoglioso e con il Cervino aveva un fatto personale: il Cervino egli lo considerava casa sua. L’idea che a conquistarlo potesse essere uno straniero lo faceva impazzire. Ma il pericolo c’era.
Ecco infatti Edward Whimper, inglese colto e di raro talento artistico. Giovane di bellissimo aspetto, carattere di ferro per la tenacia addirittura testarda. A quell’epoca gli alpinisti senza guida non esistevano ancora, ma Whimper era uno che sapeva anche pagare di persona.
In un primo tempo Carrel e Whimper collaborarono. Legati alla stessa corda fecero, sul Cervino, tre tentativi. Ma quando poi si mossero i capi del Club Alpino Italiano, e Felice Giordano venne a Valtournanche per cercare di lui, Carrel lasciò il cliente inglese. Che bisognasse ricorrere a Carrel non c’erano dubbi. Nessuno, neppure tra le guide svizzere, poteva stargli al paragone. Quando Carrel si rifiutò di accompagnarlo ancora, Whimper se prese.
“Privo di Carrel ” racconta Guido Rei nel vecchio ma bellissimo libro ‘Il Monte Cervino’, “Whimper è rimasto come un generale senza esercito.
E Giordano, che sovrintende ai preparativi italiani, si illude di avere ormai partita vinta. Tanto più che la salita dal versante svizzero è giudicata da tutti impossibile. Ma ci vuol altro per abbattere Whimper. Whimper si affretta a Zermatt per cercare qualche compagno e qualche brava guida.
E’ chiaro che non c’è da perdere neppure una giornata. Il duello volge alla fine.
Carrel intanto parte. Lo accompagnano Cesar Carrel, Carlo Gorret e Jean-Joseph Maquignaz, tutti di Valtournanche. Ma l’11 e il 12 il tempo è proibitivo. Soltanto il 13 si rischiara e si può andare all’attacco.
Alle due del pomeriggio del 14 luglio Carrel e suoi sono arrivati alla “spalla”. Più avanti comincia l’ignoto. Ma on è lungo il tratto che resta da superare. La vittoria è là, su può dire, a portata di mano. Prima di sera, gli amici dal fondo valle, vedranno sventolare in vetta il tricolore? No, purtroppo non è ancora venuto il momento. I quattro sostano a riprendere fiato e a rifocillarsi. Discutono sulla via da seguire. Che cosa si dissero precisamente? Perchè cominciarono a litigare? Ancor oggi è un enigma. E probabilmente nessuno lo saprà mai. Gli animi si scaldavano, gli spiriti si inasprivano: si rimisero i sacchi in spalla, voltarono le schiene alla vetta, si avviarono giù per le rocce.
Avevano da poco fatto dietro front che si udì una voce lontana. Era una voce d’uomo. Veniva dall’alto. Si voltarono. Lassù, sulla vetta, contro il cielo azzurro due figurine agitavano la mano. Erano Whimper e la guida Croz di Zermatt, i primi due di una cordata di sette: quattro inglesi con tre guide svizzere.
Che cosa passò in quel momento nell’animo del grande Carrel? Si pentì di aver ceduto a un momento di debolezza, oppure pensò che tutto fosse dovuto alla fatalità? Carrel fu tentato di fare per la seconda volta dietro front e di ritornare all’attacco, per arrivare anche lui in vetta, nello stesso giorno di Whimper. Ma i compagni non erano più in condizioni di seguirlo. Ora amarissima, colma di umiliazione e nello stesso tempo commovente. Tanti anni di speranze, di attesa, di fatiche, di sacrifici buttati via. L’orgoglio della valle umiliato. Giordano e i capi del Club Alpino amaramente delusi. Con che faccia Carrel avrebbe avuto il coraggio di ripresentarsi in paese? Ancor più cruda fu la delusione di Giordano. Ancora più rabbiosa fu la volontà di salvare almeno l’onore e di scalare al più presto il Cervino dal versante italiano. Ciò che riuscì infatti a fare, da par suo, Carrel, tre giorni dopo con l’abate Amè Gorret, Jean-Augustin Meinet e Jean-Baptiste Bich, servitori di un albergo. E la nostra bandiera sventolò tra le folate di nebbia, accanto a quella britannica. Ma né Giordano in fondo valle né Carrel sulla vetta sapevano che cosa era successo. A Zermatt, invece che le musiche del trionfo c’era il tetro silenzio della morte.
Whimper e i sei compagni, che erano il reverendo Hudson, il diciannovenne Hadow, il giovane lord Douglas (tre inglesi a cui Whimper si era aggregato perchè disponevano di guide), la guida Michele Croz di Zermatt, le guide Petter Tanguralder e il figlio, erano sulla via della discesa da appena un’ora quando il signor Hadow scivolò. Erano tutti legati da un’unica corda, ciò che oggi, soprattutto in roccia, sarebbe giudicato pazzesco. Croz, che precedeva, cercò di sorreggere l’inglese ma ne restò travolto. I due precipitarono. La corda si tese violentemente. Lo strappo divelse Hudson dalle rocce. A sua volta il giovane lord Douglas fu trascinato giù dall’urto. Al di sopra, le guide Tanguralder padre e figlio, con Whimper, si puntarono alla rupe con tutte le forze. La violenza del colpo dovette essere tremenda. Come i tre scalatori potevano trattenere quattro corpi che piombavano giù nella voragine? La corda si spezzò. I quattro precipitarono, sfracellandosi di roccia in roccia. E nessuno ne udì le ultime voci. Così il gigante sconfitto si vendicava atrocemente. E un tragico sudario parve avvolgere il picco, rendendolo ancora più celebre e più temuto.
(D. Buzzati)

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La leggenda di Attila e Leone I in recita

La leggenda di Attila e Leone I in recita – Questa leggenda misteriosa nella sua semplicità, ha ispirato molti artisti che la hanno immortalata su tela e nel marmo: tra queste opere  è celebre l’affresco di Raffaello in Vaticano.

La leggenda di Attila e Leone I in recita
Scena I

(In una piazza della città di Aquileia, assediata dagli Unni)

Personaggi:
Primo cittadino
Secondo cittadino
Terzo cittadino
Quarto cittadino
Altri cittadini intorno

Primo cittadino: Amici! Cittadini! Conviene ancora resistere alle forza di Attila? Da settimane lottiamo contro la forza che ci serra, ma è inutile: la fine della nostra città è vicina. C’è una sola speranza di salvezza…

Secondo cittadino: Quale?

Primo cittadino: Quella riposta nelle trattative con Attila. Offriamo al re degli Unni la nostra amicizia. I barbari sono clementi quando sperano di avere una nuova amicizia.

Secondo cittadino: Di quale speranza vaneggi? Quale follia ti spinge a proporre tali trattative? Il re degli Unni non vuole parole, non vuole amici, e nemmeno traditori: desidera solo per i suoi nemici morte, rovina, fuoco.

Terzo cittadino: Il nome di Attila vuol dire ferro. Egli è di ferro. Soprattutto il suo cuore è di ferro.

Quarto cittadino: Attila è il flagello di dio. Dovunque le sue orde sono passate, è rimasta la desolazione. Donne, vecchi, fanciulli non sono risparmiati dalla sua ferocia. Se una speranza c’è, questa è riposta nella resistenza delle nostre mura e dei nostri petti.

Primo cittadino: Guardate lassù! Una cicogna sfugge dalla nostra città spingendo davanti a sé i suoi piccoli. Oh, potessi fare altrettanto io! Potessi mettere in salvo i miei figlioli!

La leggenda di Attila e Leone I in recita
Scena II

(E’ la visione della futura Venezia. La scena si svolge in una qualsiasi città del Veneto, dopo che Aquileia è caduta).

Personaggi:
Primo cittadino
Secondo cittadino
Vescovo
Altri cittadini

Primo cittadino: Amici! Una terribile notizia. Aquileia è caduta in mano degli Unni. La porta l’Italia è aperta al più crudele dei barbari.

Cittadini: Che facciamo? Decidiamo di resistere?

Primo cittadino: E’ inutile. Non abbiamo armi sufficienti e poi… da quando l’Italia consce il piede dei Barbari, la virtù romana è spenta!

Secondo cittadino: Ecco ciò che faremo: aspetteremo Attila ed i suoi Unni con le porte della città aperte, lo accoglieremo con onori, lo blandiremo con gli elogi. I barbari, quando ricevono buona accoglienza, entrano da una parte ed escono dall’altra.

Primo cittadino: E’ un consiglio vile e pericoloso!

Secondo cittadino: E che altro si può fare? Vorresti forse che le nostre case fossero bruciate, le nostre donne uccise, i nostri fanciulli rapiti?

Cittadini: Ha ragione!

Vescovo: Calma, figlioli! La paura del pericolo non vi mostra la via più chiara. Io, insieme con la benedizione di dio, sono pronto a darvi un consiglio.

Cittadini: Quale?

Vescovo: Lasciamo le nostre terre e trasferiamoci al di là del mare, sulle isole della laguna. Che Attila trovi le nostre città deserte. Che Attila trovi il silenzio. Là, sulle isole, non verrà. Là, sulle isole, noi costruiremo le nostre case.

Primo cittadino: Le nostre case! Forse vi troveremo la salvezza, ma non un solido avvenire. La terra è sabbiosa, il mare è minaccioso. Come costruire una nuova città?

Vescovo: Oh cittadini! Oh figlioli! Sulla sabbia, dove lavorino uomini animati da speranza e fiducia, possono sorgere case solide e serene. Ecco, io la vedo, la nostra nuova città. E’ tutta di marmo, si innalza al cielo con cupole e campanili, e si specchia nel mare. Il sole vi batte sopra radioso.

La leggenda di Attila e Leone I in recita
Scena III
(Nella tenda di Attila)

Personaggi:
Attila
Generale
Servo

Generale: Oh re, quale cruccio ti rende inquieto?

Attila: Ho trovato città abbandonate, campagne silenziose e morte. Non questa Italia sognavo. Mi aspettavo un’Italia verde e ricca da saccheggiare con profitto.

Generale: Oh re, ma noi andiamo avanti!

Attila: Sì, andremo avanti, finché non troveremo…

Servo (entrando): Oh mio re, ambasciatori romani sono arrivati per parlarti.

Attila: Ambasciatori? Immagino quello che mi vogliono dire. Mi vorranno fermare, offrendomi denaro. Io lo rifiuterò! O forse mi offriranno il possesso di una provincia. Che sciocca proposta sarebbe! Perché dovrei accontentarmi di una provincia, quando posso prendermele tutte? (esce).

Generale: Sperano di fermare il nostro re, ma è inutile…

Servo: Non so.

Generale: Noi Unni continueremo la nostra marcia.

Servo: Non so.

Generale: Niente può resistere alla nostra furia.

Servo: Non so.

Generale: Ma che vuol dire questo “non so”?

Servo: Ecco, rientra il nostro re!

Attila (entrando): Ufficiale, ordina a tutti di tornare indietro!

Generale (meravigliato): Ma come?

Attila (sconvolto) Non sono chiaro? Con me si paga ogni discussione. Suvvia, torneremo indietro, lasceremo l’Italia!

La leggenda di Attila e Leone I in recita
Scena IV

(Nella tenda di Attila, lontano dall’Italia)

Personaggi:
Attila
Generale

Generale: Oh re, ora che i nostri eserciti sono rientrati nella steppa tranquilla, dimmi, se è possibile: perchè lasciasti improvvisamente l’Italia?

Attila: Quel giorno mi incontrai col papa Leone Magno. Fu lui che mi convinse di tornare indietro.

Generale: Perchè? Quante legioni aveva il papa?

Attila: Nessuna. Neppure un uomo armato!

Generale: E allora? Che accadde?

Attila: Dietro alla sua figura ho avuto la visione di una spada di fuoco. Io, che fin da bambino avevo adorato la forza materiale, capii quel giorno che esiste una potenza d’altro genere. Una potenza contro la quale è inutile afferrare le spade e preparare guerre. E sarà sempre inutile.

(Rodolfo Botticelli, adattamento da “Recitiamo la Storia”, editrice La Scuola 1967)

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