Psicogrammatica Montessori: nomi di animale

Psicogrammatica Montessori: nomi di animale. Presentazione ai bambini, esercizi e i cartellini pronti per il download e la stampa.

Scopo diretto

– arricchire il vocabolario riguardo ai nomi di animali per genere e numero
– approfondire la conoscenza dei nomi collettivi
– arricchire il vocabolario relativo ai nomi dei cuccioli.

Scopi indiretti

– migliorare le competenze di lettura di semplici parole
– offrire un’ampia scelta di suoni e digrammi, e fonogrammi
– sviluppare la capacità di cercare le parole nel dizionario.

Prerequisiti

– lezioni di presentazione del nome
– lezioni sui nomi collettivi, sul genere del nome e sul numero del nome.

Controllo dell’errore

tavola di controllo

Materiali

– cartellini dei titoli: nomi di animale, maschi, femmine, cuccioli,  gruppi
– cartellini dei nomi preparati (vari set di 10 animali sviluppati nelle cinque categorie, cioè 50 cartellini per set)
– dizionario
– tavola di controllo.

Presentazione

Invitiamo il bambino al tavolo o al tappeto per iniziare insieme una nuova attività.

Mostriamo al bambino la scatola dei cartellini e la tavola di controllo e diciamo:”Questi cartellini contengono i nomi di alcuni animali, che possono essere maschi, femmine, cuccioli e gruppi di animali. Possiamo usare il dizionario per cercare quelli che non conosciamo. Per verificare se abbiamo svolto correttamente l’esercizio, potremo confrontare il nostro lavoro con la tavola di controllo”.

Disponiamo ordinatamente lungo il margine superiore del nostro spazio di lavoro i cinque cartellini dei titoli e facciamoli leggere al bambino.

Offriamo al bambino un cartellino di un nome. Se il bambino lo conosce, lo posiziona sotto al cartellino dei titolo corrispondente. Se il bambino non conosce il nome usiamo il dizionario per cercarne il significato, quindi inseriamo il cartellino nello schema.

Dopo aver posizionato un cartellino lungo una colonna, lasciamo sempre liberi gli spazi in orizzontale per le altre colonne, in modo tale da poter completare lo schema correttamente.

Quando il bambino ha posizionato correttamente i 50 cartellini del set, mostriamogli come utilizzare la tavola di controllo per verificare il suo lavoro.

Estensioni

– al termine dell’esercizio il bambino può copiare lo schema sul suo quaderno di grammatica
– nei giorni seguenti il bambino potrà lavorare col materiale autonomamente, utilizzando anche gli altri set preparati
– il bambino può scrivere frasi e storie utilizzando i nomi di animali presentati nei set, o anche nomi di animali scelti da lui
– l’insegnante o il bambino possono creare parole crociate o altri giochi di parole che utilizzino nomi di animali.

Per l’insegnante

Esistono numerosi termini specifici che si riferiscono a gruppi di animali di particolari tipi. Per esempio:
– un gruppo di uccelli in volo viene in genere chiamato stormo;
– un gruppo di pesci è generalmente detto banco. Il termine branco viene usato per gli animali di grosse dimensioni, domestici o meno. Frequentemente è usato in riferimento a gruppi di carnivori (per esempio un branco di lupi);
– un branco di mammiferi erbivori è detto mandria;
gregge è il termine più usato per indicare gruppi di ovini da allevamento;
– un gruppo stanziale di animali viene spesso detto una colonia;
armento (dal latino armentum) è un branco di grossi animali domestici;
torma indica un insieme disordinato di animali (o persone).

Psicogrammatica Montessori: nomi di animale

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Psicogrammatica Montessori: nomi di animale

Psicogrammatica Montessori: nomi di animale

Leggende della Liguria

Leggende della Liguria per la scuola primaria. 

Leggende della Liguria
Capitan Bresca

Da quanti secoli quell’obelisco giaceva, mezzo interrato, vicino alla Basilica di San Pietro?
Era venuto dall’Egitto, perchè in quel paese, antichissimamente, gli obelischi servivano a segnare le ore con la loro lunga ombra.
Infatti gli obelischi erano altissimi e strettissimi massi di granito, terminanti a punta. Sulle facce rivelavano incise quelle strane figurine che costituivano la scrittura degli antichi Egizi.
Riusciva dunque difficile far reggere in piedi un obelisco. E infatti l’obelisco, che si trovava vicino a San Pietro, giaceva da secoli  e secoli sdraiato per terra e nessuno si era sentito la capacità e il coraggio di rimetterlo dritto.
Il granito pesa moltissimo, tanto è vero che, a poco a poco, l’obelisco era affondato nella terra, dalla quale affiorava soltanto una faccia, tutta piena di scrittura figurata.
Ma nel 1584 papa Sisto V chiamò il suo architetto, che si chiamava Domenico Fontana, e gli disse: “Avete veduto quel bellissimo obelisco, che giace vicino alla sagrestia di San Pietro? E’ nostro desiderio raddrizzarlo proprio nel mezzo della piazza”.
“Sarà fatto, Santità” rispose l’architetto.
Misurò l’obelisco. Ne calcolò il volume e quindi il peso. Studiò macchine speciali, con ruote a ingranaggio e grosse funi di canapa, e quando gli parve d’essere sicuro del fatto suo, si presentò al papa e gli disse: “Santità, io sarei pronto per la manovra, ma ho paura”.
“Che cosa vi spaventa?” chiese Sisto V.
“Mi spaventa la folla,” disse l’architetto. “La notizia si è sparsa per tutta Roma, e il giorno della manovra sulla Piazza San Pietro accorrerà una gran folla”.
“Certamente” disse il papa “Anche noi ci saremo, con tutti i Cardinali. Che noia vi daremo?”.
“Mi darà noia il clamore, che coprirà la mia voce. I miei ordini non verranno uditi. Poi ci sarà chi griderà una cosa e chi un’altra. Invece io ho bisogno del più assoluto silenzio. Gli ordini devono venire soltanto da me, durante la difficilissima manovra”.
Sisto V era un papa molto energico e severo. Tutti lo temevano, perchè sapevano come fosse rigoroso contro coloro che disobbedivano.
Fece un editto, nel quale si ordinava il più assoluto silenzio. Chi avesse alzato la voce, durante la manovra di innalzamento, sarebbe stato punito con la morte.
Il papa Sisto non scherzava. Perciò i cittadini , nel giorno fissato, affluirono in Piazza San Pietro a bocca chiusa. S’intendevano a gesti e sembravano tanti sordomuti. Il papa aveva fatto mescolare alla folla molte guardie svizzere, con l’ordine di arrestare chi gridasse anche una sola parola.
Nel silenzio, l’architetto Fontana cominciò a dare gli ordini per la manovra. Le funi si tesero, le ruote cigolarono e l’obelisco, lentissimamente, cominciò ad alzarsi da un lato.
Tutti trattenevano il fiato, anche il papa e i Cardinali, attenti alla pericolosa operazione.
Sempre nel più assoluto silenzio, si udiva la voce dell’architetto, che seguitava a dare ordini. E l’obelisco continuava ad inclinarsi sempre di più, a drizzarsi sempre meglio.
Eccolo quasi verticale. Un ultimo strattone delle funi e l’obelisco sarebbe andato a posto, perfettamente dritto.
Ma le funi tese sono giunte alla  fine del loro tratto e non si muovono più. Le ruote degli argani sembrano inchiodate. Tutta la grande macchina è ferma. L’architetto Fontana ha sbagliato i calcoli e l’obelisco rimane leggermente inclinato. Com’è possibile lasciarlo così?
Il papa guarda severamente l’architetto. L’architetto, costernato, guarda il papa. Tutto il lavoro fatto è dunque inutile?
Allora si ode una voce alzarsi dalla piazza. E’ la voce distinta, chiara, d’un uomo solo, che sembra abituato al comando e che grida: “Acqua alle funi!”.
Il papa volge lo sguardo irato verso il punto della piazza dal quale si è levata quella voce gagliarda e imperiosa. Le guardie accorrono per arrestare il ribelle agli ordini papali.
Ma l’architetto si batte la fronte e ordina di stare tutti fermi.
Fa portare secchi d’acqua, con i quali bagna davvero le funi. E le funi, con l’umidità, si accorciano, e quell’accorciamento è sufficiente per mandare a posto l’obelisco.
Intanto le guardie svizzere avevano arrestato l’autore del grido. Era un capitano marittimo di Sanremo, e si chiamava Bresca.
Condotto dinanzi al papa, tutti attendevano la sua condanna. Invece Sisto V gli disse benignamente: “Chi sei?”
“Sono il capitan Bresca”
“Di dove sei?”
“Di Sanremo”
“Perchè hai gridato?”
“Perchè noi marinai conosciamo bene le corde di canapa e sappiamo che quando sono bagnate si ritirano”
“Conoscevi l’editto che prometteva la morte a chi avesse gridato?”
“Sì, ma noi marinai liguri siamo abituati a sfidare la morte pur di fare un’opera buona!”.
La risposta piacque al papa, il quale, non solo perdonò il bravo marinaio ligure, ma lo volle premiare.
“Che cosa desideri?”
“Santità, prima di tutto la vostra benedizione”.
Dopo averlo benedetto, Sisto V chiese al capitano Bresca: “Vuoi altro?”
“Santità, l’onore per me e per i miei discendenti di fornire le palme al Palazzo Apostolico. Sulla riviera ligure crescono le più belle palme d’Italia.”
Il papa si stupì. Quel bravo capitano di mare non chiedeva, ma voleva dare.
E allora Sisto V volle essere generoso con lui. Lo nominò Capitano dell’Armata pontificia. Gli diede il privilegio di issare sulla sua nave la bandiera papale.
Così il capitano Bresca ebbe più onori dell’architetto Fontana e riportò, per sè e per la sua famiglia, un titolo di benemerenza e d’onore.
(P. Bargellini)

Leggende della Liguria
Le galline dell’isola Gallinara

L’isola Gallinara, questo già lo sai, sorge nel mare di Albenga, poco ad ovest della città. Quello che forse non sai è il perchè, ancora oggi, la solitaria isoletta porta questo singolare nome.
“Perchè era abitata dalle galline!” mi pare di sentirti esclamare.
Bravo, proprio cosi! Essa era abitata da galline, da galline selvatiche. Ascolta ora quel che avvenne…
Si sa che le galline sono alquanto pettegole. A volte il loro chiacchiericcio era talmente alto e petulante da essere udito perfino dalla costa per giornate e giornate intere.
Ti figuri gli abitanti? Ad un certo punto ebbero i loro nervi così fuori posto da non poterne più e cominciarono a imprecare contro quelle bestiacce e chi le aveva create.
Proprio così. Tu dirai che non è giusto. Sono d’accordo con te, ma questa, purtroppo, è la verità.
Ma quelle bestemmie non rimasero sulla costa ligure e tanto meno sulla terra. Arrivarono nientemeno che all’orecchio del buon Dio, il quale maledì l’isola e fece sì che da allora, nessuna gallina mai più ci vivesse.
Passarono gli anni…
Un giorno giunse ad Albenga l’abate francese Martino; scorse l’isola e la volle visitare. Innamoratosi della grande solitudine e della profonda pace che vi regnavano, la scelse per sua dimora e vi si stabilì.
Martino era un santo e le preghiere che egli quotidianamente innalzava a Dio arrivavano diritte al Creatore, nel Regno dei Cieli. Spesso, dunque, Martino, nelle sue orazioni invocava il buon Dio, affinché permettesse nuovamente alle galline di ritornare a vivere nell’isola.
Inutilmente, però, in quanto Dio non si lasciò commuovere nemmeno dalle parole del santo. E da allora le galline non vi fecero più ritorno. Di esse rimase soltanto il ricordo… nel nome dell’isola.
Il buon abate, ad ogni modo, se non riuscì a far tornare le galline, potè invece operare un altro miracolo.
Devi sapere che, anche in Liguria, esiste una certa pianta chiamata elleboro. Essa possiede una certa sostanza velenosa. Ebbene, San Martino riuscì a togliere ogni traccia di veleno all’elleboro che cresceva sulla Gallinara.
Difatti sull’isola oggi cresce soltanto una varietà di quella pianta, non velenosa.

Leggende della Liguria
La trave del tesoro

Un giorno d’ottobre dell’anno 1202 giunse a Portovenere, portato dalle onde, un grosso tronco. Era un normale tronco d’albero, anche se di grandezza non comune. I Portovenerini, vedendolo così lungo e grosso, si dissero: “Di questo tronco ce ne faremo una bella riserva di legna da ardere per quest’inverno”.
Detto fatto, ritornarono con asce e picconi, e giù colpi da orbo che avrebbero spaccato una montagna.
Non fu così per il tronco; infatti per quanto gli dessero non riuscirono neppure a scalfirlo.
Un fatto simile non era mai successo nella storia di Portovenere e dintorni; per cui l’impressione fu assai grande. Qualcuno disse: “Dev’essere certamente una cosa sacra! Per conto mio questo è un miracolo”.
E la voce del miracolo corse veloce per tutto il paese. La curiosità, però non diminuì, nei Portovenerini, anzi aumentò. Decisero allora di spaccare quel singolare tronco con ogni delicatezza.
Così, infatti, cominciarono a fare.
Ed ecco che ai primi colpi (erano quasi carezze) la misteriosa trave si aprì dolcemente, come uno scrigno, mostrando agli stupefatti abitanti immagini, quadri, arredi sacri e quattro cofanetti d’avorio tutti istoriati a penna, in rosso e nero.
Da dove mai veniva quel tronco? E chi aveva mandato la trave misteriosa?
Nessuno ha mai saputo rispondere a queste domande: ma i quattro cofanetti (unici in Italia di così prezioso e delicato lavoro in avorio) sono ancora nella chiesa di San Lorenzo, a Portovenere.

Leggende della Liguria per la scuola primaria – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Psicogrammatica Montessori: nomi di persona, cosa, luogo

Psicogrammatica Montessori: nomi di persona, cosa, luogo. Presentazione ai bambini, esercizi e i cartellini pronti per il download e la stampa.

Prerequisiti

lezioni di presentazione del nome

Scopo diretto

comprendere la funzione del nome; conoscere le classificazione dei nomi in nomi di persona, di luogo e di cosa.

Scopo indiretto

stimolare l’interesse dei bambini sull’analisi grammaticale e sul nome.

Punti di interesse

– classificare il nome
– imparare che ci sono diversi tipi di nome.

Controllo dell’errore

ogni set contiene un numero dato di cartellini.

Età

6 anni.

Materiali

– cartellini dei nomi di persona, di luogo, di cosa
– cartellini dei nomi da compilare
– cartellini dei titoli: nomi, di persona, di luogo, di cosa
– penna nera.

Presentazione

Raccogliamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto.

Diciamo loro: “Ormai conosciamo molte cose sulle parole che servono a chiamare gli oggetti. Queste parole come sono chiamate? Sì, sono i nomi.”

“Oggi diremo qualcosa di nuovo sui nomi”.

Presentiamo ai bambini le categorie di “persona”, “luogo” e “cosa” ai bambini dicendo: “Persone, luoghi e cose sono nomi, perchè servono a nominare qualcosa o qualcuno”.

Mettiamo sul tavolo o sul tappeto  i cartellini dei titoli, in alto.

Invitiamo i bambini a leggere i nomi dei cartellini preparati e posizionarli ognuno sotto il titolo corrispondente, formando tre colonne.

Invitare i bambini a cercare altri nomi di persona, luogo e cosa. Scrivere i nomi sui cartellini in bianco e darli ai bambini, perchè possano classificarli.

Rileggere i nomi presenti in ogni colonna.

I bambini possono registrare gli elenchi dei nomi presentati sul loro quaderno di grammatica.

Nei giorni seguenti i bambini potranno svolgere l’esercizio autonomamente.

Estensioni

– i bambini possono compilare propri elenchi di nomi di cosa, luogo, persona;
– classificare ulteriormente i nomi, ad esempio per i nomi di cosa stilare elenchi di nomi di vestiario, di mobili, di attrezzi ecc.

Psicogrammatica Montessori: nomi di persona, cosa, luogo

Il gioco dell’inventario della classe per il nome

Il gioco dell’inventario della classe per il nome per approfondire lo studio del nome col metodo della psicogrammatica Montessori.

Scopo diretto

comprendere la funzione del nome

Età

6 anni

Materiali

– cartellini bordati di nero da compilare
– penna nera
– cartellini preparati coi nomi degli oggetti presenti in classe.

Presentazione

Raduniamo un gruppo di bambini attorno al tavolo o al tappeto.

Diciamo: “Fino ad ora abbiamo imparato molte cose sulle parole che usiamo per chiamare gli oggetti. Come si chiamano le parole che usiamo per nominare gli oggetti? Sì, sono i nomi. I nomi sono parole che servono a nominare.”

“Oggi etichetteremo coi loro nomi gli oggetti che si trovano nella nostra classe”.

Invitiamo un bambino a nominare un oggetto presente in classe. Con la penna nera scriviamo il nome su di un cartellino. Invitiamo il bambino a leggere il cartellino ed a posizionarlo accanto all’oggetto nominato.

Facciamo altri esempi, finché i bambini non saranno in grado di proseguire il lavoro autonomamente.

A quel punto forniamo loro una serie di cartellini preparati coi nomi degli oggetti  presenti in classe: i bambini li useranno per etichettarli.

Al termine dell’esercizio potranno compilare elenchi dei nomi degli oggetti presenti in classe sui loro quaderni di grammatica.

Il gioco dell’inventario della classe per il nome

Il gioco della fattoria Montessori per il nome

Il gioco della fattoria Montessori per il nome, presentazioni ed esercizi per bambini della scuola primaria, per sperimentare la funzione del nome nella frase. Per la costruzione della fattoria e stampare i cartellini previsti per il gioco, trovi tutto qui.

Il gioco della fattoria Montessori per il nome
Versione 1

Materiali

gioco della fattoria
cartellini neri dei nomi

Presentazione

Formiamo un piccolo gruppo di bambini.

Invitiamo i bambini ad allestire la fattoria.

Prendiamo un cartellino, leggiamolo e posizioniamolo accanto all’oggetto corrispondente. Queste parole che usiamo per chiamare le cose che ci circondano sono nomi.

Al termine i bambini possono registrare l’esercizio sul loro quaderno di grammatica.

Diciamo ai bambini che tutte le parole scritte sui cartellini che useremo per l’esercizio, servono a nominare gli oggetti della fattoria.

Il gioco della fattoria Montessori per il nome
Versione 2

Mostriamo ai bambini il gioco della fattoria e spieghiamo loro che lo useremo per lavorare sul linguaggio.

Mostriamo i cartellini delle parole che servono a nominare gli oggetti della fattoria, e presentiamo il cartellino del titolo su cui avremo scritto “NOMI”.

Ricordiamo coi bambini le lezioni di presentazione del nome.

I bambini leggeranno i cartellini dei nomi e li abbineranno agli oggetti corrispondenti, portandoli sotto al cartellino del titolo.

Al termine dell’esercizio i bambini scriveranno sui loro quaderni di grammatica il titolo in alto e in seguito l’elenco dei nomi trovati.

Prerequisiti

lezioni sulla funzione del nome.

Età

6 anni

Scopo diretto

fare pratica sulla funzione del nome

Scopo indiretto

sviluppo del lessico; lettura e comprensione.

Punti di interesse

allestire la fattoria; etichettare correttamente gli oggetti.

Controllo dell’errore

i nomi sono scritti tutti su etichette nere.

Estensioni

i bambini possono scrivere nuove etichette di nomi (particolari o sinonimi) per gli oggetti già presenti nel gioco; i bambini possono aggiungere elementi alla fattoria ed etichettarli.

Il gioco della fattoria Montessori per il nome
Versione 3

Raccogliamo un piccolo gruppo di bambini attorno al gioco della fattoria.

Invitiamo i bambini ad allestire la fattoria.

Ogni oggetto della fattoria ha un nome. I nomi sono scritti su questi cartellini. Tutte le parole che usiamo per chiamare le cose sono nomi. Un nome è una parola che serve a nominare le cose.

Invitiamo i bambini a posizionare i cartellini dei nomi accanto agli oggetti corrispondenti. I bambini prendono un cartellino, lo leggono, quindi lo usano per etichettare un oggetto.

Al termine dell’esercizio i bambini copiano l’elenco dei nomi usati sui loro quaderni di grammatica.

Nei giorni seguenti i bambini svolgeranno con cartellini selezionati l’esercizio in modo indipendente.

Prerequisiti

lezioni sulla funzione del nome.

Età

6 anni

Scopo diretto

fare pratica sulla funzione del nome

Scopo indiretto

sviluppo del lessico; lettura e comprensione.

Punti di interesse

allestire la fattoria; etichettare correttamente gli oggetti.

Controllo dell’errore

i nomi sono scritti tutti su etichette nere.

Estensioni

i bambini possono scrivere nuove etichette di nomi (particolari o sinonimi) per gli oggetti già presenti nel gioco; i bambini possono aggiungere elementi alla fattoria ed etichettarli.

Il gioco della fattoria Montessori per il nome

Gioco della fattoria Montessori

Gioco della fattoria Montessori: la mia versione stampabile completa di tutti gli elementi (attrezzi, personaggi, animali, elementi architettonici,…) e dei cartellini per gli esercizi coi simboli grammaticali.

Gioco della fattoria Montessori

La fattoria Montessori tradizionale è un materiale piuttosto costoso, ma così versatile ed utile che non bisogna farsi scoraggiare. Naturalmente la versione originale è davvero molto bella, ma ci si può ingegnare in tantissimi modi per allestire una bellissima fattoria. In rete molte mamme blogger si sono cimentate nell’impresa (consiglio la ricerca nel web per “Montessori grammar farm”).

Set di animali della fattoria di plastica o legno si trovano facilmente, a varie fasce di prezzo. Per gli elementi architettonici si trovano delle bellissime soluzioni in cartone, molto economiche, ad esempio:

Non proprio economici, ma si possono collezionare un po’ alla volta, ci sono gli elementi della serie “Vita nella fattoria” Schleich, con vari accessori.

La difficoltà, preparando la fattoria in proprio, è quella di dover preparare il materiale di accompagnamento (cartellini dei nomi e delle altre parti del discorso e frasi per l’analisi logica e grammaticale) in base agli elementi presenti nella nostra fattoria.

Per questo ho preparato una fattoria stampabile, da colorare e allestire praticamente a costo zero, con il materiale di accompagnamento pronto.

Basta stampare gli elementi:

Ritagliare lasciando un margine e una base diritta:

Colorare e poi scegliere se incollarli su mattoncini da costruzione di legno o plastica, oppure aggiungere una linguetta in cartone o cartoncino:

Gioco della fattoria Montessori

Il lavoro con la fattoria si abbina all’uso dei simboli grammaticali, per questo la prima serie di cartellini segue i colori dei simboli grammaticali, e non quelli delle scatole grammaticali:

Gioco della fattoria Montessori

Col metodo Montessori abbiamo a disposizione una vastissima gamma di attività diverse per presentare ai bambini le parti discorso. Alcuni possono essere sorprendenti, e la fattoria è uno di questi.

La fattoria può essere usata nella Casa dei Bambini per il lavoro sull’arricchimento del linguaggio orale, sulla scrittura e la lettura; è utilissima per presentare le parti del discorso sia nella fascia d’età 3-6, sia in quella 6-9 anni; consente di esercitare l’analisi logica e grammaticale.

Userò la fattoria nei prossimi articoli per fare esempi di presentazioni delle parti del discorso, aggiungendo frasi e cartellini per l’analisi logica e grammaticale.

Gioco della fattoria Montessori 

Il cavaliere e la mosca – racconto sul Medioevo

Il cavaliere e la mosca – racconto sul Medioevo. Un uomo dei nostri giorni si trova trasportato al tempo dei cavalieri erranti, ed è costretto a fare un lungo viaggio con l’armatura addosso. Ed ecco quanto gli capita…

Cominciava a far caldo, senza alcun dubbio, e stavo facendo una lunghissima tirata, senza ombra affatto. Cose di sui sulle prime non mi importava niente, cominciarono ad importarmi sempre più, via via che il tempo passava. Le prime dieci o quindici volte che avrei voluto il fazzoletto, avevo tirato avanti e avevo detto: “Pazienza, non fa nulla”, e non ci avevo pensato più. Ma ora era diverso; era un assillo continuo e non me lo potevo levar dalla mente; e così alla fine, perdetti la pazienza e dissi: “Accidenti a chi ha fatto quest’armatura senza tasche!”. Capirete, aveva il fazzoletto in fondo all’elmo, insieme ad altre cosette; ma era uno di quegli elmi che uno non si può levare da solo. E così, ora, il pensiero che fosse lì, tanto vicino e ciononostante irraggiungibile, rendeva la cosa anche più difficile da sopportare. Quel pensiero distoglieva la mia mente da qualsiasi altra cosa e la concentrava sull’elmo a immaginare il fazzoletto, a dipingersi il fazzoletto; era quanto mai irritante sentirsi gocciolare il sudore dentro gli occhi e non essere in grado di raggiungere il fazzoletto.

Decisi che la prossima volta mi sarei portato dietro una borsetta, qualunque fosse l’effetto e checché dicesse la gente: il benessere prima e lo stile poi.

E così, seguitavo ad arrancare e di tanto in tanto arrivavo a una distesa polverosa e la polvere si alzava in nugoli e mi entrava nel naso e mi faceva starnutire e piangere; e, naturalmente, dicevo cose che non avrei dovuto dire; non lo nego. Non sono migliore degli altri. Pareva che non si dovesse incontrare nessuno, in quella solitaria landa, neppure un orco; e dato il mio umore in quel momento, ciò era un bene per l’orco; vale a dire, per l’orco che avesse avuto un fazzoletto. La maggior parte dei cavalieri non avrebbe pensato che a prendergli l’armatura; per conto mio, mi sarebbe bastato arrivare al suo moccichino e poi si sarebbe potuto tenere tutto il suo armamentario.

Intanto, lì dentro faceva sempre più caldo. Capirete, il sole dardeggiava e riscaldava il ferro; più andavo avanti e più il peso del ferro mi gravava addosso: ogni minuto che passava mi pareva di pesare una tonnellata di più. E bisognava cambiar mano ogni momento e passare la lancia da una parte all’altra; non potevo reggerla a lungo con una mano sola.

Insomma, sapete che quando si suda a quel modo, a torrenti, viene il momento in cui… beh, in cui tutto ti dà prurito. Tu sei dentro, le tue mani sono fuori, e in mezzo c’è il ferro.

Non è una cosa da nulla, checché paia. Prima in un punto, poi in un altro, il prurito continua a diffondersi e a dilagare e alla fine tutto il territorio è occupato e potete immaginare come ci si sente. E quando fui arrivato al punto di non poterne più, una mosca entrò di fra le sbarre e mi si posò sul naso: la visiera si era inceppata e io non potevo alzarla; potevo soltanto scuotere la testa che nel frattempo si era arroventata, e la mosca (beh, sapete come agisce la mosca quando è sicura del fatto suo) si curava dei miei scuotimenti giusto quel tanto che bastava per cambiare posto dal naso al labbro e da labbro all’orecchio, ronzando e ronzando tutto in giro e continuando a posarsi e a pungere in un modo che una persona già tribolata come lo ero io non poteva assolutamente sopportare. Non mi restava che buttarmi a capofitto nel primo stagno che avrei incontrato: e così feci. Che refrigerio, ragazzi!

(da “Un americano alla Corte di Re Artù”, di Mark Twain)

Il cavaliere e la mosca – racconto sul Medioevo – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Il cavaliere e la mosca – racconto sul Medioevo

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria.

Paese di collina.

Le Marche sono un paese di collina e vogliono la vista scoperta da tutti i lati. In piccolo spazio troverete una moltitudine di città e cittadelle situate su per giù nella medesima posizione, su lunghe colline piuttosto alte a cui sorride il mare da una parte, con la vista assidua del promontorio di Ancona, e il lontano, aereo Appennino dall’altra.
Il mare arriva dappertutto come la sua luce. Se ci si affaccia dall’alto, lo si vede insinuarsi, occhieggiare fin sotto le pendici dei colli più apparentemente discosti; si scoprono le coste marchigiane formatesi, al dire dei geologi, per emersione e quindi sicure dalla malaria, ma non altrettanto in antico, dalle incursioni piratesche, le quali spiegano il perchè di tante torri in luogo di campanili. Torri che, isolate oppure vigilanti sull’abitato, si rispondono da tutti i monti, segnalano a valle i passi obbligati, e danno a questo idilliaco paese un aspetto difensivo e guerresco.
(V. Cardarelli)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
Ecco le dolci Marche

I campi sono così gonfi di vegetazione che il trifoglio in fiore trabocca, in primavera, sulle scarpate della ferrovia. Quale ampiezza di linee in questo paesaggio trasfigurato da una luce che è tutta un sogno, un sospiro! L’Adriatico iridescente e trinato ricorda la pittura veneziana e anche il vetro di Murano. Vorrei essere pittore per dipingere quel caos, quello spruzzo di colori, che è Fano vista da Pesaro: i quercioli e il grano piegati dalla bora; la terra bruna e leggiadra su cui spiccano le pianticelle di pomodoro, di aglio e di cipolla che si coltivano nei frugalissimi orti del litorale. I pescatori lavorano il mare come i contadini la terra. Al carro tinto di rosso e di turchino, ai buoi infiocchettati, rispondono al largo le vele colorate. Il mare arriva da per tutto con la sua luce.
(V. Cardarelli)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
Pesaro

Questa, signori, è la piccola città. Vedete? Da una parte è il mare: non somiglia a nessun altro, perchè due colli, l’Ardizio e il San Bartolo, ne delimitano la proprietà… Le ore più vere della nostra piccola città sono quelle dell’alba quando i pescatori di telline sono centro metri dentro il mare coi calzoni rimboccati fino al ginocchio ché l’acqua non arriva più in su… Fra poche ore la nostra spiaggia avrà tutti i colori balneari: i rossi, il turchino, il giallo; sono le tende, gli ombrelloni, i capanni. La vita della nostra piccola città scorre serena; gli abitanti, tranquilli, non si stupiscono di nulla; gli avvenimenti, spesso notevoli, toccano tutte le tonalità: quelle persone che vengono a gruppi verso di noi, sono uscite ora dal teatro; nel salone del Conservatorio provano ancora il concerto che si farà domani… Ora sono andati tutti a riposare: è questa l’ora in cui i viali odorano di mare e biancospino e i portali trecenteschi delle nostre chiese hanno l’armonia di lunghi accordi d’organo… Questa, signori, è la piccola città vecchia, stravecchia, gotica, medievale, malatestiana, tra il mare, il Catria, Urbino e il forte di Gradara. Nelle vie scure e deserte, sulle vecchie case cariate dal vento di mare, gioconda, grande, magnifica, rimane la magica melodia di Gioacchino Rossini.
(M. Cocco)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
Ascoli, dolce terra

E’ una città di torri, di ponti romani, di frati vestiti di nero, di campane minute e verdognole che chiamano alle funzioni i fedeli con un timbro conventuale e trafelato. Penso che sarebbe sufficiente un colpo di vento, di libeccio, a far suonare senza l’aiuto dell’uomo tutte queste campane a vela attaccate a campanili che sembrano blocchi di fango essiccato. Ogni sera, dopo la calata del sole, decine di chiese che hanno il colore delle fortezze assorbono la poca luce restante. E se vi approssimate alle zone più popolari e più buie, a stento riuscite a notare alle finestre donne affacciate tra vasi di garofani, magari sopra cinquecentesche lunette e formelle di terracotta rappresentanti o un’ostia col calice o un’agnella… Qui la vita si protrae fino a tarda ora pure nelle anguste rue, traducendosi in vivace bisbiglio che proviene da terrazzi nascosti. A mano a mano che vi avvicinate ai viali alberati lungo le scoscese sponde del Tronto, v’avvolge il profumo dolce e oleoso dei tigli in fioritura.
(D. Zanasi)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
Macerata

Scura al pari di una certosa sulla cime di un colle; gremita di chiese seicentesche a pietra viva, a mattoni aggettati: piena di misticismo, di motivi elegiaci, di religiosi stupori… Città così ruvida e amabile, strade anguste e disagevoli come sentieri di ronda. Macerata in certi temporaleschi tramonti d’estate ha incendi purpurei… Un panorama spazioso e abbastanza profondo, aperto sopra una tondeggiante cavalcata di colli che degradano all’orizzonte. La stazione è in fondo al viale e ora è dipinta di azzurro, di un azzurro vivace che con la sua tinta e con l’aiuto della fontana lì accanto cerca di rimediare alla scarsa frequenza dei treni che vanno a Portocivitanova. Le voci, sia pur sommesse, riecheggiano col medesimo stupore di un grido in una cattedrale vuota.
(D. Zanasi)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
Urbino… ventoso

Il padre si trascinò dietro il figliolo tra le belle case bramantesche, nelle vie che si disegnavano in vaghe ondulazioni, nelle piccole vie che si restringevano sempre e poi si infossavano, su scalette che si arrampicavano, fra casucce silenziose dalle quali spuntava qualche bel ciuffo verde; o gli indicava dall’alto una cascata di gradinate che si rotolava nell’altra via o la mole panoramica del Palazzo Ducale che si scorgeva sempre, come una veduta animata, coi suoi due torricini e le due piccole cuspidi da castello di carta. Aspre erano le salite, precipiti le discese. Ritornarono in piazza, rigirarono intorno alla fontana. Poi sdrucciolarono giù quasi correndo sul selciato sonoro fino a un ripiano inferiore dove la città finiva e aveva dinanzi il panorama delle sue colline e dei suoi monti: vaste ondulazioni azzurre, colline blande, monti aguzzi.
(M. Moretti)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
La piazza del Sabato del villaggio

Recanati. E’ già quasi il tramonto, il paese si scuote dal suo torpore del pomeriggio. Le case sono chiare  e pulite: poche le botteghe, rari i passanti: una grande quiete, come se il paese si raccogliesse in un tardo rispetto. Il palazzo Leopardi è poco lontano dalla piazzetta ombrosa. Mi pare di dover camminare in punta di piedi, per non far rumore, come quando si entra in chiesa e non c’è nessuno. Un breve tratto ed ecco la piccola piazza signoreggiata dalla casa del Poeta. Anche la piazza è chiusa fra il fianco grigio d’una chiesa e il muro del “paterno giardino” unito al palazzo: spuntano dietro ad esso fiori e fogliame. Dinanzi al palazzo, la piazza che scende in lieve declivio è chiusa da quattro o cinque casette basse, con le porte e le finestre chiuse. Su quella di mezzo è scritto in una targa i marmo: Piazza del Sabato del villaggio.
(G. Civinini)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
Contadini marchigiani

Quei miti e laboriosi contadini marchigiani, che gente tenace! Dormono in campagna loro. E non si lasciano vedere in paese che nelle mattine di festa, quando salgono su per la messa o a far la spesa. Radi i loro casolari sorgono, qua e là, a grandi distanze. Ivi è il “contadino”. S’è fatto dei suoi campi di grano e di granoturco, dove l’estate fanno il nido le calandre, un paradiso, questo instancabile concimatore. Le stalle sono ampie e ricche di molto bestiame. La vita scorre non senza le liete usanze contadinesche: le gite di notte da un casolare all’altro, le veglie, i canti, le danze sull’aia fin oltre la mezzanotte, nel tempo che si mondano i raccolti… L’ordine e l’allegria regnano in casa, sotto l’autorità d’una massaia rispettata come una regina. Sui campi comanda lui, il contadino. Gentilezza di costumi,  religione, contentezza del proprio stato, sono le sue doviziose divinità familiari.
(V. Cardarelli)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria
Pesca nelle coste marchigiane

Sotto un bel cielo marchigiano appena toccato dalle nuvole, si lasciò il canale murato per il mare mosso da un po’ di garbino. Una giornata di pesca nell’Adriatico, ma era il mio sogno!
Il lido si allontanava. A otto chilometri dalla costa il ridente litorale tra Fano ed Ancona spiegava il suo anfiteatro di basse colline ondulate, un poco velate, con San Ciriaco là in fondo e il Conero e Sinigallia nel messo, macchia rosea e felice posata nel verde. Di lì a poco venne gettata la rete in mare, la lunga rete a imbuto che chiamano tartana. Dopo qualche ora, verso le tre, gli uomini trassero la rete. Puntando i piedi contro la balaustra e tirando a ritmo con un oh! issa! trassero in coperta la gran borsa greve di fango. Sgocciolava da tutte le parti e dentro, nella mota giallastra, si muoveva, in un infinito brulichio, tutto il viscido cosmo delle profondità inviolate. Ora si ritorna a tutto motore verso terra..
Si vola, e mentre scuffiate d’acqua dai fianchi della barca si rovesciano sul ponte, all’ombra delle vele schioccanti i nostri compagni trascelgono il pesce dal mucchio fangoso. Le triglie in una corba, calamari, razze e sogliole nell’altra.
(C. Linati)

Dettati ortografici, letture e poesie sulle MARCHE per la scuola primaria. Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Psicogrammatica Montessori: nomi astratti e concreti

Psicogrammatica Montessori: nomi astratti e concreti. Presentazioni (varie versioni) ed esercizi per bambini della scuola primaria, coi cartellini pronti per il download e la stampa.

Scopo diretto

comprendere la funzione del nome, comprendere la differenza tra nomi concreti e nomi astratti.

Scopo indiretto

stimolare l’interesse sui vari tipi di nome.

Prerequisiti

lezione di presentazione del nome; lezione di presentazione dei nomi di cosa, persona e luogo.

Punti di interesse

classificare correttamente i cartellini; imparare che ci sono tipi diversi di nomi.

Controllo dell’errore

ogni set contiene un numero determinato di coppie di nomi; si possono preparare dei colori di controllo dietro ai cartellini o predisporre i cartellini in due colori differenti.

Età

dai sei anni

Presentazione – versione 1

Materiali

– cartellini da compilare (dieci coppie)
– cartellini dei titoli: nome concreto, nome astratto
– penna nera.

Presentazione

Raduniamo un gruppo di bambini intorno al tavolo o al tappeto.

Diciamo ai bambini: “Abbiamo detto che tutti gli oggetti vengono nominati utilizzando parole speciali. Vi ricordate come si chiamano le parole che servono ad indicare gli oggetti? Sì, si tratta dei nomi. I nomi sono parole che si usano per nominare le cose che ci circondano”.
“Oggi diremo qualcosa di più di questi nomi”.

Con la penna nera scriviamo su di un cartellino il nome di un oggetto presente in classe, ad esempio “dizionario”. Invitiamo i bambini a leggere il cartellino, quindi chiediamo a un bambino di portarci la cosa nominata e di metterla accanto al cartellino.
Ripetiamo con altri oggetti, ad esempio “righello”, “cubo”, “pennarello”, “libro”.

Scriviamo poi altri nomi, ad esempio: “amicizia”. Invitiamo i bambini a leggere il cartellino, quindi chiediamo a un bambino di portarci la cosa nominata e di metterla accanto al cartellino. Non si può portare “amicizia” sul tavolo. Ripetiamo con altri nomi astratti, ad esempio “gentilezza”, “libertà”, “pace”, “cattiveria”.

Diciamo ai bambini: “Queste parole sono nomi di cose che esistono, non è vero?”. “

“I nomi sono le parole che usiamo per nominare tutto ciò che ci circonda: indicano le cose, i luoghi, gli oggetti, le persone, i pensieri, le idee e le emozioni. Tutti queste parole sono nomi. Possiamo dare un nome anche a cose che non possiamo toccare. Anche le parole che diamo alle cose che non si toccano sono nomi. I nomi che usiamo per nominare le che non si possono toccare si chiamano NOMI ASTRATTI. I nomi che usiamo per nominare le cose che si possono toccare si chiamano NOMI CONCRETI.”

Disponiamo i cartellini in due colonne. Poniamo in alto i due cartellini del titoli: “NOMI CONCRETI” e “NOMI ASTRATTI”.

Chiediamo ai bambini di farci altri esempi di nomi concreti e di nomi astratti e scriviamoli su dei nuovi cartellini.

Rileggiamo i nomi delle due colonne.

Al termine della presentazione i  bambini possono copiare lo schema sui loro quaderni di grammatica. Nei giorni successivi possono lavorare individualmente coi i set di cartellini dei nomi concreti e astratti preparati.

Presentazione – versione 2

Materiali

– cartellini di nomi concreti e astratti
– cartellini dei titoli: nome concreto, nome astratto

Presentazione

Iniziamo a comporre lo schema a due colonne coi cartellini preparati. Dopo i primi abbinamenti, diciamo ai bambini che ci sono nomi che indicano idee, sentimenti, emozioni e tutte le cose esistono ma che non possono essere udite, viste, toccate, assaggiate o annusate. Questi nomi si chiamano NOMI ASTRATTI, mentre i nomi delle cose che possono essere udite, viste, toccate, assaggiate o annusate si chiamano NOMI CONCRETI.

Poniamo in alto i due cartellini dei titoli e continuiamo a comporre lo schema, con l’aiuto dei bambini.

Presentazione – versione 3

Introduzione orale

Invitiamo un piccolo gruppo di cinque bambini.
Chiediamo ad ognuno, uno alla volta, di portarci un determinato oggetto  che possa essere percepito con l’udito, la vista, il tatto, l’olfatto e il gusto.
Ogni volta che un bambino porterà l’oggetto, chiediamogli: “Cosa hai portato?” e mostriamo apprezzamento per ogni oggetto.
Chiediamo poi ai bambini di rimettere gli oggetti presi al loro posto e di tornare da noi.
Ora chiediamo ad ognuno, uno alla volta, di portarci una cosa nominata  da un nome astratto, ad esempio bellezza, paura, bontà, giustizia, felicità.
Probabilmente i bambini rimarranno dove si trovano, quindi possiamo chiedere loro di andare a cercare la cosa nominata in giro per la classe.
Se un bambino ci porta qualcosa, ad esempio un oggetto che gli appare bello per la parola “bellezza”, diciamo: “Ci hai portato un fiore. Questo è un fiore, non è una bellezza!”.
Dopo aver giocato un po’ in questo modo, confrontiamo con  i bambini il primo gruppo di nomi proposti col secondo. Diciamo ai bambini che le cose del primo gruppo potevano essere toccate, viste, udite, annusate o assaggiate. I nomi che usiamo per nominare questo genere di cose si dicono nomi concreti.
Le cose del secondo gruppo non possono essere ascoltate, viste, toccate, annusate o assaggiate, ma sappiamo con certezza che sono cose che esistono. I nomi che usiamo per nominare le cose che non percepiamo coi cinque sensi, ma che sentiamo nel cuore o nella mente, si dicono nomi astratti.

Facciamo quindi vari esempi a voce e chiediamo ai bambini di partecipare.

Presentazione – versione 4

Materiali

– cartellini di nomi concreti e nomi astratti
– cartellini dei titoli: nome concreto, nome astratto

Presentazione

Leggiamo ai bambini i cartellini dei titoli e poniamoli sul tappeto, in alto.

Mescoliamo i cartellini dei nomi concreti e astratti, e cominciamo a comporre lo schema con l’aiuto dei bambini, scegliendo per ogni cartellino la colonna appropriata e favorendo la discussione.

Presentazione – versione 5

Materiali

– cartellini di nomi concreti e astratti
– cartellini dei titoli stampati fronte/retro: cose che posso toccare/nomi concreti; cose che non posso toccare/nomi astratti

Presentazione

Accogliamo intorno a noi un piccolo gruppo di bambini.

Diamo a un bambino il cartellino di un nome concreto. Leggiamo il cartellino e chiediamo al bambino di rileggerlo. Chiediamo al bambino di portarci l’oggetto nominato. Quando il bambino avrà posto l’oggetto sul tappeto (o sul tavolo), posizioniamo il cartellino corrispondente accanto ad esso.

Ripetiamo con gli altri bambini.

Ora proseguiamo nella nostra presentazione proponendo i nomi astratti, chiedendo sempre ai bambini di portarci l’oggetto corrispondente.

Naturalmente i bambini non potranno portarci le cose nominate, quindi chiediamo loro perchè non vi riescono. Ascoltiamo le loro ipotesi, quindi diciamo loro che alcune parole servono a nominare cose che non possono essere toccate, ma che esistono.

Queste parole che nominano cose che esistono anche se non possono essere toccate, sono nomi. Anche le cose che non possono essere toccate hanno un nome, come succede per tutte le cose che possono essere toccate.

Estensione 1
Origine dei nomi astratti

Materiali

– cartellini preparati di nomi astratti di qualità, di stato e d’azione e di aggettivi e verbi corrispondenti
– cartellini dei titoli: nomi astratti; aggettivi; verbi

Questo esercizio serve ad approfondire lo studio e la classificazione dei nomi astratti, e può essere presentato in seconda e terza classe.

Presentiamo l’esercizio coi cartellini nel solito modo. Successivamente i bambini potranno eseguire i loro esercizi individuali col materiale preparato.

Estensione 2
Classificazione dei nomi astratti 

Materiali

– cartellini preparati di nomi astratti di qualità, di stato e d’azione
– cartellini dei titoli: nomi astratti; qualità; stato; azione.

Prerequisiti

dopo aver classificato i nomi concreti (di cosa e  luogo, di persona, di animale). Questo esercizio può essere molto difficile e può essere proposto in seconda o terza classe.

Presentazione

Ricordiamo coi bambini la classificazione dei nomi concreti e diciamo che anche i nomi astratti possono essere classificati.

Introduciamo i cartellini dei titoli e favoriamo la discussione: i nomi astratti che nominano un’azione si riferiscono a un movimento, un aumento, uno sviluppo, una nascita; i nomi astratti che nominano una qualità si riferiscono a una caratteristica posseduta da qualcosa o qualcuno; i nomi astratti che nominano uno stato si riferiscono alla condizione o alla circostanza in cui si trova qualcosa o qualcuno.

Disponiamo in alto i cartellini dei titoli.

Mescoliamo i cartellini dei nomi e invita i bambini a leggerli, uno alla volta, e a decidere in quale colonna posizionarlo.

Psicogrammatica Montessori: nomi astratti e concreti

Nei giorni successivi

– i bambini possono ripetere individualmente l’esercizio coi cartellini preparati;
– possono preparare altri cartellini;
– possono scrivere elenchi sui propri quaderni;
– si possono organizzare dettati di nomi concreti e astratti (con l’insegnante o tra due bambini)
– possiamo chiedere ai bambini di mimare i nomi astratti
– i bambini possono stilare elenchi di nomi astratti.

Psicogrammatica Montessori: nomi astratti e concreti

Psicogrammatica Montessori: nomi astratti e concreti

Psicogrammatica Montessori: nomi comuni e nomi propri

Psicogrammatica Montessori: nomi comuni e nomi propri. Presentazioni (varie versioni) ed esercizi per bambini della scuola primaria, coi cartellini pronti per il download e la stampa.

Scopo diretto

comprendere la funzione del nome, comprendere la differenza tra nomi comuni e nomi propri.

Scopo indiretto

stimolare l’interesse sui vari tipi di nome.

Prerequisiti

lezione di presentazione del nome; lezione di presentazione dei nomi di cosa, persona e luogo.

Punti di interesse

classificare correttamente i cartellini; imparare che ci sono tipi diversi di nomi.

Controllo dell’errore

ogni set contiene lo stesso numero di cartellini.

Presentazione – versione 1

Materiali

– cartellini di nomi propri e comuni
– cartellini bianchi
– cartellini dei titoli: nome comune, nome proprio
– penna nera.

Presentazione

Raduniamo un gruppo di bambini intorno al tavolo o al tappeto.

Diciamo ai bambini: “Abbiamo detto che tutti gli oggetti vengono nominati utilizzando parole speciali. Vi ricordate come si chiamano le parole che servono ad indicare gli oggetti? Sì, si tratta dei nomi. I nomi sono parole che si usano per nominare le cose che ci circondano”.
“Oggi diremo qualcosa di più di questi nomi”.
“Guardate. Ora distribuisco questi nomi in due colonne differenti. Guardate attentamente, e quando pensate di aver capito in base a quale regola metto i cartellini in una colonna o nell’altra, alzate la mano”.

Invitiamo i bambini a leggere i nomi scritti sui cartellini preparati. Posizioniamo ogni cartellino nella colonna corretta.

Quando i bambini avranno compreso che i nomi in una colonna iniziano tutti con la lettera maiuscola, diciamo loro: “Tutti i nomi di questa colonna cominciano con la lettera maiuscola. Questi nomi sono molto specifici e vengono chiamati NOMI PROPRI”. Quindi posizioniamo all’inizio della colonna il cartellino del titolo “nomi propri”.

Poi diciamo: “Questi altri nomi non sono specifici e non iniziano con la lettera maiuscola. Essi sono detti NOMI COMUNI.” Posizioniamo all’inizio della colonna il cartellino del titolo “nomi propri”.

Invitiamo i bambini a dirci altri nomi comuni e nomi propri. Scriviamo i nomi sui cartellini in bianco che abbiamo predisposto per la presentazione e mettiamoli nella colonna corrispondente.

Rileggiamo i nomi delle due colonne.

I bambini possono copiare la presentazione sui loro quaderni di grammatica.

Presentazione – versione 2

Materiali

– cartellini di nomi propri e comuni corrispondenti
– cartellini dei titoli: nome comune, nome proprio

Presentazione

Iniziamo a comporre lo schema a due colonne coi cartellini preparati. Dopo i primi abbinamenti, diciamo ai bambini che ci sono nomi che indicano un gruppo di persone, cose, luoghi, mentre altri nomi indicano persone, cose o luoghi specifici.

Evidenziamo che i nomi propri si scrivono con la lettera maiuscola.

Presentazione – versione 3

Introduzione orale

Andiamo davanti alla finestra e chiamiamo: “Bambine! Venite qui!”. Poi andiamo davanti alla porta e chiamiamo: “Bambini! Venite qui!”.
Infine andiamo in un altro luogo della stanza e chiamiamo per nome uno dei bambini, ad esempio: “Giovanni! Vieni qui!”.

Ora chiediamo a Giovanni: “Quando ho detto ‘bambini’ sei arrivato insieme agli altri. Perchè adesso sei venuto da solo?”
 “Perchè tu hai un nome specifico, e io ho detto quel nome.”
Ripetere il gioco chiamando una bambina.

Spieghiamo quindi che ci sono alcuni nomi che appartengono a molte persone (ad esempio ci sono molte bambine e molti bambini) ma si sono solo un Giovanni e solo una Gaia nella nostra classe.

Oggi stiamo imparando qualcosa di nuovo sui nomi: alcuni nomi indicano persone luoghi o cose molto precisi, altri nomi invece possono indicare molte persone, luoghi e cose insieme. I nomi che indicano precisamente una persona, un luogo o una cosa si chiamano nomi propri; i nomi che indicano luoghi persone o cose più in generale si chiamano nomi comuni.

Facciamo quindi vari esempi a voce e chiediamo ai bambini di partecipare.

Presentazione – versione 4

Materiali

– cartellini di nomi propri e comuni
– cartellini dei titoli: nome comune, nome proprio

Mostriamo ai bambini i cartellini dei titoli, leggiamoli e poniamoli uno accanto all’altro.


Formiamo sotto ai titoli le due colonne di nomi, se necessario discutendone con i bambini.

I bambini dovrebbero notare che tutti i nomi propri iniziano con la lettera maiuscola.

Presentazione – versione 4

Materiali

– cartellini di nomi propri e comuni
– cartellini dei titoli: nome comune, nome proprio

Presentazione

Invitare un piccolo gruppo di bambini. Posizionare le carte titolo sul tappeto. Dire ai bambini che posizioneranno le altre carte dividendole nei due diversi gruppi. Chiedere loro di alzare la mano quando sanno la regola per i due gruppi.

Procedere leggendo ogni cartellino e posizionandolo sotto il titolo appropriato.

Appena i bambini cominciano a capire la regola, spiegare che i nomi comuni posso chiamare ogni persona, luogo o cosa; i nomi propri nominano una persona, luogo o cosa in particolare.

Mescolare le carte e chiedere ai bambini di posizionarle loro stessi sotto i titoli appropriati.

I bambini possono registrare la disposizione dei cartellini sui loro quaderni di grammatica.

Psicogrammatica Montessori: nomi comuni e nomi propri

Nei giorni successivi

– i bambini possono ripetere individualmente l’esercizio coi cartellini preparati;
– possono preparare altri cartellini;
– possono scrivere elenchi sui propri quaderni;
– si possono organizzare dettati di nomi comuni e propri (con l’insegnante o tra due bambini);
– fornire una lista di nomi comuni e chiedere ai bambini di trovare nomi propri da abbinare ai nomi comuni dati;
– sfruttare questo lavoro per spiegare la lettera maiuscola dei nomi propri
– includere negli elenchi nomi propri che contengono più di una parola (ad esempio Signor Rossi)
– cercare le origini dei nomi di ogni bambino della classe;
– investigare le cerimonie e gli usi legati al dare il nome;
– cercare informazioni storicche sul nome di città, paesi, montagne, fiumi e altri toponimi.

Psicogrammatica Montessori: nomi comuni e nomi propri

Psicogrammatica Montessori: nomi comuni e nomi propri

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA per la scuola primaria.

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Toscana gentile

Il paesaggio dell’Italia centrale annuncia subito clima più mite e mare vicino. L’ulivo che nell’Italia settentrionale appare soltanto lungo la riviera ligure e lungo le sponde eccezionalmente privilegiate dei laghi lombardi, in Toscana riveste ampiamente le pendici inferiori dell’Appennino e poi il suo caratteristico di pallido verde e di grigio argenteo. Tra gli ulivi svettano i cipressi agili e scuri, che al paesaggio toscano danno il tocco più elegante. E poi i vigneti, i famosi vigneti di Toscana, il cui succo va per l’Italia e per il mondo negli stapaesani fiaschi impagliati e attinge la dignità dei prodotti di gran classe.
Poiché la gente è solita dare ad ogni paese un epiteto semplice e riassuntivo, la Toscana è gentile. L’epiteto si addice bene ai costumi del popolo toscano, di moderato benessere e di educata affabilità, all’eleganza del suo parlare spontaneo e arguto. Ma l’attributo di gentilezza va inteso soprattutto nel suo senso più antico e più schietto di nobiltà. Tutto qui mostra la più felice e armonica fusione fra genio istintivo e raffinatezza del gusto, fra fantasia e misura.
Questo segreto ci svelano la poesia di Dante e Petrarca, l’umorismo del Boccaccio, la prosa ragionatrice di Galileo, l’architettura del Brunelleschi, la struttura delle città, ciascuna delle quali, piccola o grande che sia, è regina.

 Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Cielo toscano

Chi entra in Toscana si accorge subito di entrare in un paese dove ognuno è contadino. Ed esser contadini da noi non vuol dire soltanto saper vangare, zappare, arare, seminare, potare, mietere, vendemmiare: vuol dire soprattutto mescolare le zolle alle nuvole, fare tutt’una cosa del cielo e della terra. In nessun luogo, il cielo è così vicino alla terra come in Toscana; e lo ritrovi nelle foglie, nell’erba, negli occhi dei buoi e dei bambini, nella fronte liscia delle ragazze. Uno specchio il cielo toscano, così vicino che lo appanni col fiato: monti e poggi le nuvole, e tra quelli le ombrose valli, i prati verdi, i campi dai solchi dritti (e quando è terso vedi nel fondo, come in un’acqua limpida, le case, i pagliai, le strade, le chiese). Ad ogni colpo di zappa l’aria si mescola alla terra, e subito dalle zolle spunta una peluria d’erba verde e azzurra, nascono larve di cicale e allodole improvvise.
Basta toccarla, per sentir che la nostra terra è piena di bollicine d’aria, e in certi giorni si gonfia e lievita, par che da un momento all’altro debbano nascere forme di pane. E’ una materia leggera e pura, per poterne far statue e uomini…
(C. Malaparte)

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Tra colli digradanti

Rivedo il mio dolce paese di Toscana, là dove è più bello, più sereno, più consolante, in Valdarno.  Rivedo la verde pianura ad aiuole quasi di giardino, tutte alberate, che a mano a mano si libera come ridendo dalle strette dei colli digradanti e di quando in quando è rinserrata come in un nuovo abbraccio dai colli che risalgono e le si stringono sopra. Corre diritta nel mezzo la bianca strada maestra; scendono per una traccia di salici e canne i fiumiciattoli dai soavi nomi e con dolci mormorii corrono via sotto i ponticelli leggiadri giù all’Arno. Una processione lunga lunga di pioppi, le  cui cime ondeggianti perdono figura e mobilità nella caligine biancastra del vespero autunnale, segna e seguita la corrente del fiume.
E la pianura e i colli sono popolati di case rustiche, bianche o dipinte, con le due scale esterne che salgono a congiungersi nel verone impergolato sul quale è un’insegna gentilizia o una Madonna. Al pian terreno è la tinaia, il frantoio e le stalle; l’aia in faccia e a sinistra due o tre pagliai non anche manomessi, con un pentolino sullo stollo. Ai piedi dei pagliai si accucciano i cani.
Dietro ha il monte ripido; e sul monte una fila di cipressi gracili e austeri dentellano del loro verde cupo l’orizzonte settentrionale tinto in colore di perla. Anche più indietro è una torre o un castello. Il sole calante batte nelle vetrate del piano superiore della villa, e quelle paiono incendiarsi come al riflesso di  uno scudo incantato.
(G. Carducci)

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Passeggiate fuori porta

Tutto quel che c’è di poetico, di malinconico, di grigio e di solitario in me l’ho avuto dalle campagne di Toscana, dalla campagna ch’è intorno a Firenze. Mio padre mi portava ogni domenica, fin da bambino, fuori porta. Il babbo sapeva certe strade solitarie, deserte, fuori mano dove si camminava adagio adagio. Di sopra ai muri, in cui la strada era incassata, si spenzolavano i rami convulsionari dei bigi ulivi, o sfilavano i rosai nani, poveri e non curati, i rosai con le rose fradice e sbiancate che cascavano foglia a foglia giù nella zanella a marcire.  Quante miglia rasente a quei muri! Muri bassi, quasi muriccioli che invitavano la gente a sedere; muri umidi, toppati di licheni bigi e di fungaie verdi, colle scolature nere e luccicanti delle feritoie; muri altissimi con alberi grossi, neri e fronzuti in alto. Ogni tanto i muri si aprivano e succedevano le siepi vive, alte, prunose, bianche di brina e di neve in inverno, bianche di fiori in primavera, nere di more alla fine dell’estate. E più lontano ancora, sparivano muri e siepi, e la strada solinga e massicciata tra i cipressi o gli abeti e avevo là sotto le valli solcate e i prati  bagnati e i fondi di nebbia e l’illusione dell’infinito.
(G. Papini)

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Colline fiorentine

Per coloro che non conoscono Firenze o la conoscono poco, dirò come essa sia una città molto graziosa e bella, circondata strettamente da colline armoniosissime… E’ pregio inestimabile di queste colline l’essere disseminate di ville, di castelli costruiti nei punti più suggestivi, volti in tutti i sensi, di tutte le epoche, d’ogni stile, e che mai ne turbano l’armonia; circondati da parchi e giardini che invece di produrre un’atmosfera di irrealtà da sogno o da fiaba, per virtù di certa severità e raffinatezza, riescono a darci l’illusione della realtà più semplice, di intimità domestica, di nobiltà sicura, di sobrietà e saggezza. Alle ville e ai castelli si aggiungono le ville più piccole, le villette, le case, i casolari, i paesi e borgate che la varietà del suolo lascia apparire in un complesso che rende insaziabile l’occhio dell’osservatore per il numero inesauribile delle scoperte.
(A. Palazzeschi)

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Firenze

Era una di quelle belle giornate di freddo asciutto e di luce cruda che fan risaltare la bellezza realistica e insieme trascendentale di Firenze. Via Tornabuoni, illuminata dal sole, svelava le forme e lo spirito del Rinascimento, parlava il linguaggio dell’architettura di allora, si propagava nell’armonia miracolosa della pietra divenuta canto: Palazzo Strozzi, nel fondo Palazzo Antinori. Festosa l’aria, e così l’aspetto della gente. E il senso del Natale: al principio del muricciolo di Palazzo Strozzi, sull’angolo del chiassolo, la mostra di alberi di Natale, di agrifogli coi pallini rossi, ciocche di vischio dalle lacrime ceree.
(B. Cicognani)

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Arezzo

Dal muretto dell’orto della casa del Vasari, presso il tondo dell’acqua tra gli alberi da frutto, l’occhio riposato raccoglie in prospettiva i digradanti tetti di Arezzo, misura in basso gli spazi delle vie e delle piazze col nitido rilievo d’una incisione. Finché la campana grossa e vicina di Santa Maria in Gradi, e quella leggera di San Vito poi, e via via dell’Annunziata, di San Domenico, di San Lorentino e tutte le campane non riempiono il cielo e volgono la giornata.
(P. Pancrazi)

Dettati ortografici, letture e poesie sulla TOSCANA
Siena

Siena, da sotto il mio ciliegio, pareva un arco che non si poteva aprire più, e le sue case, giù per le strade a pendio, parevano frane che mi mettevano paura; con i tetti legati dalle edere cresciute su per le mura di cinta, le mura che non si apriranno mai. Ed io allora andavo a guardare la città da un’altra parte, quasi da quella opposta, dalla Porta Ovile. E vedevo i suoi orti squadrati entrare, con un angolo più alto degli altri, tra le case più rade; oppure, l’uno appresso all’altro, farsi largo e posto, ma fermati da una fila di cipressi la cui ombra oscurava il verde dell’erba; e qualche pesco fiorire e maturare accanto alle campane di una chiesetta, e qualche olivo chinarsi dietro tutta la campagna soave che impallidiva lontano, rasente i monti chiarissimi, talvolta più luminosa del sole.  E se guardavo la città dall’altra altura, da Vignanone, le voci degli uccelli si allargavano nell’azzurro come il vento. Le rose dei giardini, senza colore e senza profumo, la cingevano tutta: le finestre erano aperte. Da parecchie miglia lontano, io vedevo invece le sue torri come tizzi ritti che si spegnevano nella cenere del crepuscolo.
(F. Tozzi)

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Grosseto nell’Ottocento

Grosseto era una cittadina malinconica e serena, fatta di case che al primo entrarci odoravano di sigaro, di polvere, di spigo e di mele cotogne, come cassetti di vecchi mobili, chiusa in una cerchia rugginosa di vecchie mura bastionate e arborate come quelle di Lucca. Sotto le grandi acacie la domenica suonava la banda, e la gente ci portava a spasso il vestito delle feste, da mezzo pomeriggio fino al che il solito tramonto palustre affocato e torbido scendeva ad arrossare la piatta campagna sottostante dall’orizzonte brumoso agli spigoli del gran bastione stemmato con l’arma dei Medici. E quando veniva aprile, per certe strade deserte ed erbose, di là dalla vecchia chiesa di San Francesco, l’odore delle acacie fiorite scendeva ventate giù dalle mura, e dava al cuore. Le case avevano le grondaie piene d’ortiche e le persiane tutte verdi. E pareva che anche i muri avessero messo le foglie.
(G. Civinini)

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Fiera di quaresima a Firenze

Banchi e banchi, uno accanto all’altro, in due file dirimpettaie che si estendono nella lunghezza del quartiere e che straripano di frittelle, di torrone, di schiacciata tipica e di zucchero filato. E i brigidini.
Il brigidino è l’attrazione della fiera. Lo si impasta e cuoce sotto i vostri occhi. Lo si mangia tiepido e croccante.
E’ in virtù del suo richiamo che la gente affolla la fiera. Il brigidino è una cosa da nulla, appena un’ostia di più grandi dimensioni, pure ha una consistenza, una fragranza, un sapore che si scioglie in bocca. I carretti ne sono pieni, dapprima, ma via via che l’ora monta e la folla cresce, si formano le code in attesa davanti ai banchi dal fornelletto sul treppiede, ove l’esperto brigidinaio rigira le sue “schiaccie”.
I venditori sono tutti vestiti di bianco, con in testa copricapi da cuochi di grande albergo. Magnificano la merce a squarciagola, persuaso ognuno di essere eletto da Santa Brigida in persona a custode del segreto per la confezione del biscotto.
(V. Pratolini)

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Alpi Apuane

La mia ora per amarle, era la mattina; la mia stagione la primavera. Lassù, lassù, dal verde cupo delle pinete sul mare, al più chiaro verde dei castagneti a mezza costa, alle alture già nude e sovrane, le grandi moli si levano audacemente; e sagomavano altissime l’orizzonte, attendevano nel celeste pallido delle cime che trascoloravano.
E a un tratto la luce alitava dietro di loro: come una diffusa nebbia chiara, già orlava d’un tremito splendente le loro creste; poi, con una irruenza improvvisa, il sole balzava, raggiava maestoso e terribile, le velava d’una cortina di fulgore, ascendeva sicuro. La cortina si spegneva e le Apuane cominciavano le loro variazioni di colori e di rilievi; si disegnavano catena contro catena, in una diversità di azzurri che rivelavano le valli tra le fiancate di rupe; passavano dal più denso cobalto, ai glauchi più lattei, ai più ferrei grigi; fino a stare, nel meriggio, bianche e calcinate nella severità abbagliante; per ripigliare poi via via fino a sera i passaggi dal celeste all’azzurro, all’amaranto al viola; e bruciare, accendendosi d’un tratto in certi miracolosi tramonti, come spaventevoli torce senza fumo; e spegnersi del tutto, svanire; riapparire aeree, nell’ultimo crepuscolo; e, se c’era la luna, biancheggiare indefinibili come sogni, nella vastità sonnolenta.
(E. Cozzani)

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Il Valdarno

Di quelle passeggiate pomeridiane e vespertine mi restano molti ricordi; vaghi i più, e dove si mescolano il colore dei campi e dei cieli di quel mio caro Valdarno; l’incanto di certi solicelli distesi per piagge solitarie e tacite, di certi tramonti piedi di frulli di uccelli, con qualche voce di bifolco o qualche muggito o belato: lo splendore e il profumo delle siepi fiorite, la bianchezza della strada polverosa, dove d’improvviso piombano i primi radi goccioloni di una pioggia estiva che ci faceva correre verso casa a ripararci sotto un ponticello o in un capanno di contadini. Taluni ricordi invece  molto distinti e vivi, come quello di un bel ramo di mele lazzarole verdi e rosse rubato da noi in un campo per farne un presente al maestro.
(A. Soffici)

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Maremma

Sono nato e cresciuto in Maremma, a poca distanza dal mare, in un paese urbano e campagnolo, rustico e civile, che ha serbato intatto il secolare orgoglio della sua piccola cerchia antica, torreggiante e murata, e tiene la qualità di forestiero per indice di villania. Circondato da un territorio amplissimo e diverso d’aspetti e di natura, qui grasso e ferace, onusto di biade, di frumento, di vigne, di orti e di canneti, là isterilito e impraticabile per i sassi affliggenti della vecchia Etruria ventosa che biancheggiano un po’ da per tutto. E’ esposto a mare e monte, e ne sorveglia le strade, rifiata lo scirocco e la tramontana, ma i venti variano e passano su di esso come le eterne stagioni, né dal tempo dei tempi sono buoni di raccontargli più nulla. Il suo costume non cambia.
(V. Cardarelli)

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Il mutevole volto della Maremma

La varietà del paesaggio è una caratteristica comune a tante province d’Italia e a tanti altri luoghi del mondo, ma nel Grossetano essa è veramente spiccata e colpisce il visitatore: sulla costa, folte pinete si alternano a larghi arenili, strette insenature rocciose lasciano il posto a tratti rettilinei con laghi costieri; e una vasta laguna, limitata dai caratteristici tomboli, separa un’isola dal continente; nell’entroterra si allarga un’ampia pianura; poi, ecco gruppi collinosi complessi e frazionati, qualche volta rivestiti dalle colture e dalla vegetazione, altre volte con nude pareti impervie; nell’interno si elevano vere, imponenti montagne.
Incontriamo luoghi dove il tempo sembra essersi fermato ai secoli del Medioevo e alle più remote età degli Etruschi e, a poca distanza da essi, centri in continuo e rapido sviluppo.
Provincia di Grosseto e Maremma si possono considerare sinonimi, perchè il Grossetano ne comprende i nove decimi, lasciando a Livorno il tratto da Cecina a Follonica.

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IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture per la scuola primaria.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture
I direttori d’orchestra del nostro corpo

Abbiamo visto come gli esseri viventi si nutrono, assimilando, digerendo, trasformando e ossidando gli alimenti. Essi inoltre si muovono e stabiliscono rapporti vari con il mondo esterno. Ma in quale modo questi processi vengono regolati e diretti?
Si sa che elementi di controllo importantissimi sono gli ormoni. Essi sono sostanze secrete da particolari ghiandole, dette endocrine, (dal greco endon = dentro, e crinein = secernere) perchè non possiedono un canale escretore, ma versano direttamente nel sangue le loro secrezioni. Ciò è possibile perchè le cellule che costituiscono il loro tessuto si incrociano e si aggrovigliano con i vasi sanguigni.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture
I messaggeri chimici

Le  ghiandole endocrine, che nel loro insieme costituiscono il sistema endocrino, sono situate nel corpo in punti differenti: l’ipofisi e l’epifisi sono nel cranio, intimamente collegate con il cervello; la tiroide e le paratiroidi sono nel collo; il timo nella parte superiore del torace. Nella cavità addominale si trovano invece le surrenali, il pancreas endocrino (nella massa del pancreas digestivo) e le ghiandole della riproduzione.
Le loro secrezioni, dette ormoni, agiscono come messaggeri chimici, regolando l’attività dei tessuti: mantengono a livello esatto la quantità dei sale, di glucosio e delle altre sostanze necessarie e impediscono al sangue di diventare troppo acido o troppo alcalino, così da essere sempre in grado di trasportare l’ossigeno e l’anidride carbonica.
Nel corpo umano c’è una specie di armonico equilibrio cui concorrono tutte le ghiandole, per cui ogni perturbazione di una di esse si ripercuote sul funzionamento delle altre.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture – Ipofisi ed epifisi
L’ipofisi o ghiandola pituitaria, è la più importante delle ghiandole a secrezione interna, perchè oltre ai vari compiti che diremo, essa esercita anche un controllo sull’attività di tutte le altre ghiandole: infatti, con ormoni particolari detti stimuline, può eccitarne la secrezione.
L’ipofisi è un piccolo organo situato sotto la base dell’encefalo. Si distinguono i esso tre parti, ciascuno dei quali esercita una particolare funzione. Il lobo anteriore agisce sulla crescita. Il lobo posteriore esercita la sua azione soprattutto sulla pressione arteriosa, aumentandola, e sulla contrattilità dei muscoli lisci. Del lobo intermedio sappiamo che esercita un’azione particolare sul colore della pelle dei pesci e degli anfibi.
L’epifisi o ghiandola pineale ha la grossezza di un pisello ed è in intimi rapporti con la massa cerebrale. Ha anch’essa una funzione regolatrice della crescita.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture – La tiroide e le paratiroidi
La tiroide, che è situata nel collo, regola il metabolismo basale delle cellule, che è una funzione molto importante. Si chiama infatti basale la velocità con cui il corpo consuma ossigeno ed espelle anidride carbonica. Questa velocità aumenta con l’aumentare della superficie corporea, per cui 10 bambini del peso di 7 chilogrammi l’uno usano molto più ossigeno per l’attività basale delle loro cellule che un uomo di 70 chili.
Di regola l’attività della tiroide coincide esattamente con i bisogni del corpo; quando essa invece fabbrica un’eccessiva quantità di ormoni, allora la combustione delle cellule avviene  a una velocità esagerata e ciò causa un metabolismo basale superiore alla media, eccessiva magrezza e nervosismo. Si ha il cosiddetto ipertiroidismo: chi ne è affetto si riconosce per lo sporgere eccessivo dei bulbi oculari. Nel caso contrario, il metabolismo basale scende al di sotto della media e i sintomi sono torpore e sonnolenza, e si parla di ipotiroidismo.
Le paratiroidi sono strettamente unite alla tiroide e per questo se ne ignorò a lungo non solo la funzione, ma anche l’esistenza. Esse sono invece molto importanti, perchè l’ormone che secernono regola l’utilizzazione del calcio nel corpo.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture – Il timo
Il timo è una ghiandola che si trova dietro lo sterno, lateralmente alla trachea, nella parte più alta del torace. La sua funzione è in rapporto con l’accrescimento corporeo. Nell’uomo raggiunge il suo massimo sviluppo verso i tre anni, per diminuire progressivamente, cosicchè intorno ai dodici anni non è più riconoscibile.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture – Le ghiandole surrenali
Le ghiandole surrenali sono anche dette capsule perchè sembrano avvolgere la parte superiore dei reni; esse sono due, simmetricamente disposte come gli organi da cui prendono nome.
In queste ghiandole si può distinguere una parte esterna o corticale, di colore giallo-bruno, e una parte interna o midollare, bianco-rosa, le cui funzioni sono nettamente distinte.
La parte midollare secerne un ormone detto adrenalina, la quale mantiene costante il ritmo cardiaco e la pressione arteriosa. Gli esperimenti hanno dimostrato che quando un animale è infuriato o spaventato, il tasso (cioè la quantità) di adrenalina nel sangue cresce immediatamente: questo eccesso di adrenalina lo prepara alla fuga o alla lotta e al tempo stesso fa salire la pressione sanguigna e accelera i battiti del cuore.
La parte corticale del surrene secerne vari ormoni, tra cui di particolare importanza i cosiddetti corticosteroidi, che hanno un’importanza capitale per l’organismo in quanto regolano il metabolismo (cioè il ricambio) dei glicidi, dei sali, dell’acqua.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture – Il pancreas endocrino
Il pancreas, che come abbiamo visto invia nell’intestino le sue secrezioni, funziona anche come ghiandola endocrina. Nella sua massa sono presenti dei gruppi di cellule grigiastre, dette isole pancreatiche o isole di Langerhars (da nome dello scopritore) che versano nel sangue un ormone particolare: l’insulina. Ciò avviene quando il tasso di glucosio nel sangue sale al di sopra del normale.
La malattia causata dall’insufficiente produzione di insulina è detta diabete. Nei malati di diabete il glucosio si accumula nel sangue. Un malato di diabete può perciò venire curato mediante somministrazione di insulina.

IL SISTEMA ENDOCRINO materiale didattico e letture – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

INTERIEZIONI Psicogrammatica Montessori scatola grammaticale VIII (cartellini)

INTERIEZIONI Psicogrammatica Montessori scatola grammaticale VIII (cartellini) con la presentazione del materiale di lavoro e tutti i cartellini di riempimento pronti per il download e la stampa. Con questa scatola i bambini approfondiscono lo studio delle interiezioni.

Il materiale per l’analisi delle parole è costituito da varie serie di cartellini della frase di colore azzurro e da varie serie di cartellini delle parole di diverso colore:
– azzurro per le interiezioni
– giallo per le congiunzioni
– verde per i pronomi
– rosa per gli avverbi
– viola per le preposizioni
– rosso per i verbi
– marrone chiaro per gli  articoli
– nero per i nomi
– marrone scuro per gli aggettivi
che si scelgono a seconda dell’esercizio che si vuole proporre e si collocano nella scatola grammaticale VIII.

Il primo esercizio è anche qui quello della composizione di frasi, analizzate coi cartellini colorati.
La scatola grammaticale ha nove caselle del colore corrispondente alla parte grammaticale. Nella casella più grande (la decima) si collocano i cartellini delle frasi.

Ad ogni parola scritta nei cartellini della frase corrisponde un cartellino della parola, e ad ogni parola scritta, corrisponde un cartellino nel casellario, ad eccezione delle parole ripetute all’interno di ogni cartellino della frase.

Come per le altre scatole grammaticali, i cartellini colorati delle parole non corrispondono esattamente alle parole delle frasi che dovranno ricomporre, perchè le parole comuni nelle frasi di uno stesso biglietto non sono ripetute. E’ solo l’interiezione che, sostituita, cambia la frase.

Le varie serie di cartellini si trovano ognuna in una scatolina azzurra, e i gruppi di frasi relativi ad ogni serie sono separati con degli elastici.

Essendo questa l’ultima parte del discorso rimasta da studiare, i bambini sono giunti a riconoscere tutte le parti del discorso. Non è dunque più necessario comporre artificialmente delle monche frasi che contengono solo le parti del discorso note al bambino. Per questo sono state scelte delle frasi da autori classici (quasi tutte dal Manzoni).

Siccome l’interiezione è un’espressione abbreviata in una sola parola, essa si presta molto all’interpretazione drammatica; i bambini quindi sulle medesime frasi fanno il doppio lavoro di una analisi generale e della « lettura espressiva « o recitazione delle frasi da essi scelte e studiate (in sostituzione dei comandi).

Inoltre sarà presentata una tabella contenente la classificazione completa delle interiezioni; ed i bambini potranno leggerla, dando ad una ad una la interpretazione espressiva della voce e del gesto. Questa sarà la prima tavola di classificazione presentata. In seguito tutte le parti del discorso verranno ripresentate con la definizione e la classificazione.

Questi sono i cartellini pronti, rivisitati sostituendo i vocaboli caduti in disuso e tenendo conto di chi non ha la fortuna di disporre del materiale sensoriale in uso nella Casa dei bambini:

MATERIALI PREVISTI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE VIII

(con la codifica che ho utilizzato io per la preparazione dei cartellini)

scatola grammaticale VIII (qui il tutorial per costruirla: Costruire le scatole grammaticali)
3 scatoline di riempimento di colore verde contrassegnate VIIIA, VIIIB, VIIIC.
una scatolina aperta AZZURRA per il libretto degli elenchi e per il libretto delle regole

Questo è il materiale pronto

ISTRUZIONI per confezionare i libretti

(nell’esempio un libretto delle nomenclature)

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

MATERIALI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE VIII

Si tratta di un materiale rivisitato e attualizzato ai mutamenti che la lingua ha subito e ai vocaboli che più appartengono alla realtà dei bambino oggi.
L’organizzazione originale del materiale non cambia, ho aggiunto però dei set che isolano ulteriori aspetti delle regole grammaticali.
Ciascuna parte del discorso ha un suo codice colore, che è diverso da quello dei simboli grammaticali (ad eccezione del nome e del verbo).

I simboli grammaticali possono entrare a far parte degli esercizi con le scatole grammaticali: i bambini possono porre i simboli mobili sulle parole scritte nei cartellini della frase, o anche possono copiare le frasi e disegnare i simboli (anche utilizzando gli stencil).

USO DEL MATERIALE

Avere a disposizione le scatole grammaticali di legno è sicuramente la situazione ideale, ma considerando il costo, non è la situazione alla portata di tutti. Si possono preparare delle bellissime alternative in cartone o anche sostituire alle scatole delle “tovagliette stampate“. Si può anche decidere di non utilizzare nulla, e di mettere semplicemente i cartellini sul tavolo, divisi in base al loro codice colore e ponendo sopra di essi dei cartellini-titolo (per la prima scatola ‘ARTICOLO’ e ‘NOME’).
Lo stesso discorso vale per le scatole di riempimento e per le scatole dei comandi, che possono essere acquistate in legno, o possono essere facilmente realizzate in cartoncino. Si può anche optare per qualsiasi altra soluzione alternativa: buste di carta colorata, sacchetti di plastica trasparente, cestini, ecc.

Le scatole grammaticali servono all’esercizio del bambino, dopo le presentazioni e le lezioni chiave relative alle parti del discorso che vogliamo esercitare.

Con le scatole grammaticali si possono svolgere vari esercizi.

L’alimentazione nel tempo

L’alimentazione nel tempo: dopo aver visto come mangiamo noi e quali siano i cibi in uso oggi, è naturale chiedersi “Ma prima di adesso, come e che cosa si mangiava?”. E noi, seguendo brevemente questa corsa nel tempo, avremo modo di tornare su argomenti già toccati, completeremo quanto è stato detto, riporteremo la conversazione sugli usi e abitudini dei tempi passati, amplieremo, in una parola, la conoscenza del mondo presente e passato.

L’alimentazione nel tempo – I primi uomini
All’apparizione dell’uomo sulla faccia della terra, quasi sicuramente i primi uomini furono vegetariani e si nutrirono dei frutti e delle piante spontanee, poi anche di carne. Come avranno fatto a scegliere il cibo? Obbedendo agli impulsi naturali, come fanno tuttora gli animali. Prima ghiande crude e acqua, poi vino e grano. Quando fu scoperto il fuoco, le carni vennero cotte direttamente sul fuoco e come piatti vennero usate conchiglie e zucche vuote. Sapete come si faceva bollire l’acqua? Non ponendola sul fuoco, ma mettendo dentro l’acqua pietre arroventate sul fuoco!
Al tempo delle palafitte, gli uomini mangiavano una specie di polente di farina di ghiande, piselli, lenticchie, nocciole, noci e altri frutti selvatici, come mele, pere, susine e ciliegie. Non ci meravigli l’uso delle ghiande! Anche oggi, presso alcuni popoli, vengono mangiate, sia crude che lessate o arrostite, come si usano da noi le castagne.

L’alimentazione nel tempo – Vino, birra, shaosing
Se il vino fu un’invenzione molto antica, non meno antico è l’uso di preparare la birra, bionda o bruna. A Babilonia era già nota nell’anno 2800 aC e veniva preparata con la fermentazione dell’orzo, più o meno come si usa anche oggi. Il shaosing è invece una bevanda alcolica, ottenuta con la fermentazione del riso, in uso presso i Cinesi da millenni.
Inoltre gli antichi bevevano l’idromele, una bevanda fatta di acqua e miele.

L’alimentazione nel tempo  – Allevamento e arboricoltura
In tempi successivi l’uomo imparò ad allevare animali per mangiarne la carne, o per ottenere il latte. Oltre ai bovini e agli ovini, veniva allevato il maiale (nell’Odissea, per esempio, ad Ulisse che tornava dopo vent’anni, il porcaro fedele preparò due giovinetti porcellini, li abbronzò li spartì, negli appuntati spiedi l’infisse: indi, arrostito il tutto, caldo e fumante… glieli offrì. Siamo a circa tremila anni fa).
Inizia anche la coltivazione degli alberi da frutta e dell’olivo; si mangiavano le olive o se ne ricavava l’olio; usato come condimento ma anche per spalmarsene il corpo, per rinforzarlo e renderlo più robusto.

L’alimentazione nel tempo – Presso i Greci e i Romani
Dobbiamo distinguere i pasti normali e i banchetti propriamente detti; i primi venivano consumati in piedi, specialmente quello del mattino e del mezzogiorno (erano semplici spuntini); il pasto principale era quello della sera.
Cosa mangiavano? Ciò che mangiamo noi, tranne alcuni alimenti giunti in Europa molto più tardi, come vedremo: una specie di polenta di farro cotta in acqua salata; oppure un miscuglio di formaggio fresco, miele e uova; o cervello di animali condito con vino e aromi. Il pane era di tre qualità: bianco (con fior di farina), integrale (con farina e crusca) o di sola crusca e tritello. Ma veniva cotto sotto la cenere calda, fino all’epoca imperiale, quando venne introdotto a Roma l’uso del forno, come possiamo vedere negli scavi di Pompei. Mangiavano poi pani dolci (preparati con farina, miele e uva passa; oppure con farina, miele e mandorle, quindi una specie di marzapane) e legumi verdi o secchi, insalata (specialmente lattuga) e frutta.
Le carni preferite erano quelle di bovini, specialmente arrosto; in primavera i pesci e in autunno gli uccelli; ma anche le carni di maiale, lepre e coniglio erano gradite; e ancora: uova di pavone, fagiano, gallina, oca e anatra. Di pesci se ne conoscevano circa 150 specie: le più pregiate erano anguille, murene, salmone, trote e tonno.
Le carni potevano essere lessate, in umido o in arrosto; sulla tavola si potevano vedere polpette, salsicce, braciole, salse, fritti vari. Nei banchetti, poi l’apparato era ben più complicato: i commensali stavano quasi sdraiati sui divani, si usavano, come sempre, le dita per prendere i cibi e si pulivano con mollica di pane, che veniva  poi gettata a terra per i cani e i galletti! Quasi sempre, durante i pasti, il vino veniva allungato con acqua; dopo il pasto si mangiavano cibi per stuzzicare la sete, come formaggio e gallette salate.
Posate? Ignota la forchetta (che compare in alcune case signorili solo 500 anni fa), poco usato L’alimentazione nel tempo – il coltello, qualche volta usato il cucchiaio; vasellame di terracotta, nelle case dei poveri, piatti e coppe d’argento e d’oro in casa dei ricchi.
Durante i banchetti, rallegrati da musica, danze e canti,  l’ospite curava che vi fossero piatti a sorpresa: uccelli ripieni di carne di maiale, animali ripieni di carni di altri animali, e talvolta decine di portate, tanto da chiederci: “Ma dole mettevano tutta quella roba?”.
Qualche banchetto passato alla storia? Uno di Vitellio: 2000 pesci e  7000 uccelli; quello di Eliogabalo: ventidue carrelli di vivande diverse; quello di Trimalcione: la più strana lista di vivande che sia mai stata concepita, e per numero di portate e per la loro presentazione e confezione! Non so chi di noi oggi sarebbe capace di mangiare tanto e cose così strane, senza morire!

L’alimentazione nel tempo – Nel Medioevo e nel Rinascimento
I Barbari, discesi in Italia dal 400 in poi, mangiavano come uomini primitivi e, diremmo oggi, senza alcuna educazione. Usavano trasformare in coppe da bere anche il cranio dei nemici vinti in battaglia; i loro banchetti erano autentiche orge obbrobriose.
Nei castelli feudali il banchetto durava fino a sei ore e le portate arrivavano fino a 18: carne e cacciagioni, uccelli, pesci, dolci, frutta varia e vino abbondante. Si stava seduti a tavola su sgabelli e il vasellame era sempre più prezioso.
Durante il Rinascimento troviamo cose nuove: i maccheroni (1247), la mortadella di Bologna (1376), polenta di mais o granoturco, pomodoro, patate, tacchino, cioccolato, caffè, tè, dopo la scoperta dell’America, e, finalmente, i gelati, nella cui preparazione brillarono toscani e siciliani. Il vasellame è eseguito da cesellatori e orafi; Benvenuto Cellini modella una saliera in oro massiccio con figure mitologiche per il re di Francia!
Un pittore di quest’epoca, Paolo Caliari, detto il Veronese, è il più celebre per le grandi tele di banchetti: La cena in casa del Fariseo, Le nozze di Cana, La cena di Levi; esse ci permettono di immaginare lo sfarzo delle mense del 1500 attraverso le rappresentazioni pittoriche.

L’alimentazione nel tempo

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale VII (cartellini)

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale VII con la presentazione del materiale di lavoro e tutti i cartellini di riempimento pronti per il download e la stampa. Con questa scatola i bambini approfondiscono lo studio delle congiunzioni.

Il materiale per l’analisi delle parole è costituito da varie serie di cartellini della frase di colore giallo e da varie serie di cartellini delle parole di diverso colore:
– giallo per le congiunzioni
– verde per i pronomi
– rosa per gli avverbi
– viola per le preposizioni
– rosso per i verbi
– marrone chiaro per gli  articoli
– nero per i nomi
– marrone scuro per gli aggettivi
che si scelgono a seconda dell’esercizio che si vuole proporre e si collocano nella scatola grammaticale VII.

Il primo esercizio è anche qui quello della composizione di frasi, analizzate coi cartellini colorati.
La scatola grammaticale ha otto caselle del colore corrispondente alla parte grammaticale. Nella casella più grande (la nona) si collocano i cartellini delle frasi.

Ad ogni parola scritta nei cartellini della frase corrisponde un cartellino della parola, e ad ogni parola scritta, corrisponde un cartellino nel casellario, ad eccezione delle parole ripetute all’interno di ogni cartellino della frase.

Come per le altre scatole grammaticali, i cartellini colorati delle parole non corrispondono esattamente alle parole delle frasi che dovranno ricomporre, perchè le parole comuni nelle frasi di uno stesso biglietto non sono ripetute. E’ solo la congiunzione, che, sostituita, cambia la frase.

Le varie serie di cartellini si trovano ognuna in una scatolina gialla, e i gruppi di frasi relativi ad ogni serie sono separati con degli elastici.

Questi sono i cartellini pronti, rivisitati sostituendo i vocaboli caduti in disuso e tenendo conto di chi non ha la fortuna di disporre del materiale sensoriale in uso nella Casa dei bambini:

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MATERIALI PREVISTI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE VII
(con la codifica che ho utilizzato io per la preparazione dei cartellini)

scatola grammaticale VII (qui il tutorial per costruirla: Costruire le scatole grammaticali)
3 scatoline di riempimento di colore verde contrassegnate VIIA, VIIB, VIIC.
una scatolina aperta GIALLA per il libretto degli elenchi e per il libretto delle regole

Questo è il materiale pronto:

ISTRUZIONI per confezionare i libretti

(nell’esempio un libretto delle nomenclature)

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

MATERIALI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE VII

Si tratta di un materiale rivisitato e attualizzato ai mutamenti che la lingua ha subito e ai vocaboli che più appartengono alla realtà dei bambino oggi.
L’organizzazione originale del materiale non cambia, ho aggiunto però dei set che isolano ulteriori aspetti delle regole grammaticali.
Ciascuna parte del discorso ha un suo codice colore, che è diverso da quello dei simboli grammaticali (ad eccezione del nome e del verbo).

I simboli grammaticali possono entrare a far parte degli esercizi con le scatole grammaticali: i bambini possono porre i simboli mobili sulle parole scritte nei cartellini della frase, o anche possono copiare le frasi e disegnare i simboli (anche utilizzando gli stencil).

USO DEL MATERIALE

Avere a disposizione le scatole grammaticali di legno è sicuramente la situazione ideale, ma considerando il costo, non è la situazione alla portata di tutti. Si possono preparare delle bellissime alternative in cartone o anche sostituire alle scatole delle “tovagliette stampate“. Si può anche decidere di non utilizzare nulla, e di mettere semplicemente i cartellini sul tavolo, divisi in base al loro codice colore e ponendo sopra di essi dei cartellini-titolo (per la prima scatola ‘ARTICOLO’ e ‘NOME’).
Lo stesso discorso vale per le scatole di riempimento e per le scatole dei comandi, che possono essere acquistate in legno, o possono essere facilmente realizzate in cartoncino. Si può anche optare per qualsiasi altra soluzione alternativa: buste di carta colorata, sacchetti di plastica trasparente, cestini, ecc.

Le scatole grammaticali servono all’esercizio del bambino, dopo le presentazioni e le lezioni chiave relative alle parti del discorso che vogliamo esercitare.

Dettati ortografici e letture su SAN MARINO

Dettati ortografici e letture su SAN MARINO per la scuola primaria.

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Una piccola repubblica

Se percorriamo la strada statale 72, da Rimini verso l’interno, andiamo incontro al dolce paesaggio di basse montagne e colline ben coltivate, nell’angolo estremo della Romagna: è un mareggiare calmo, a lunghe ondate che si esauriscono nella pianura. Dopo una decina di chilometri la strada inizia a salire, in modo sempre accentuato, ad ampie curve, fino a che ci troviamo di fronte ad un bastione di roccia calcarea, disposto parallelamente al mar Adriatico, fatto di rupi intagliate, rotto da strapiombi fin di 200 metri. E’ l’ultima compatta increspatura dell’Appennino Tosco-Emiliano, verso oriente. Il grosso banco roccioso spicca all’orizzonte in lungo giro.
Lassù, secondo la tradizione, circa l’anno 300 dC, si formò una comunità religiosa, guidata dal tagliapietre dalmata Marino, che esercitò subito diritto di asilo e lo difese con vigore.
La comunità fu riconosciuta autonoma e indipendente dalla Chiesa nell’anno 885.
San Marino è uno dei più antichi Stati indipendenti d’Europa. Nel X secolo divenne munita roccaforte e si diede un ordinamento comunale, conservato, nelle sue linee fondamentali, ancora oggi: il potere legislativo è esercitato dal Consiglio Grande e Generale, di sessanta membri, eletti ogni cinque anni; il potere esecutivo è esercitato da due Capitani Reggenti con funzione di capo di Stato e presidente del Consiglio Grande e Generale. I Capitani Reggenti sono scelti ogni sei mesi tra gli appartenenti al Consiglio Grande e Generale.
La Repubblica unì a sé alcune terre limitrofe e costituì un piccolo Stato libero che riuscì sempre a difendere la propria indipendenza.

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Il territorio

Il territorio della Repubblica di San Marino occupa la dorsale del monte Titano (m 749) con le sue tra note torri (penne) caratteristiche, tra le province italiane di Forlì e Pesaro-Urbino.
Non ci sono fiumi di rilievo ma corsi d’acqua torrentizi, come il San Marino, affluente del Marecchia, che bagna la parte sud-occidentale, e il Marano, che segna un tratto del confine orientale e sfocia nell’Adriatico a nord di Riccione.

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San Marino

Capitale della Repubblica è la città di San Marino, dal caratteristico aspetto medioevale. Notevoli sono la chiesa trecentesca di San Francesco, il Palazzo del Governo, la basilica del fondatore con le nicchie di San Marino e di San Leo scavate nella viva roccia, la chiesa di San Quirino, dove fu ospitato Garibaldi nel 1849, le rovine delle antiche mura con le tre torri.
Il secondo centro della Repubblica è Borgomaggiore, annidata su un declivio ai piedi della rupe, mercato rurale.
Ricordiamo ancora Serravalle, sulla statale 72, e Dogana.
La principale via di comunicazione è la carrozzabile Rimini-San Marino; altre strade collegano la capitale con località italiane. Una filovia da Borgomaggiore rende più agevole e rapida la salita al monte Titano.

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Le risorse economiche

L’agricoltura è fiorente. Fanno spicco la coltivazione del grano, della vite, degli alberi da frutto e l’allevamento del bestiame.
L’industria si fonda sulla tessitura, sulla fabbricazione della carte, sulla lavorazione delle pelli, dei colori, dei saponi, del cemento, della calce, dei dolciumi. Un posto a sé, per la sua importanza, occupano l’artigianato della ceramica, la lavorazione artistica della pietra e degli oggetti ricordo.
La Repubblica di San Marino è meta di un vivace movimento turistico. I visitatori sono attirati dall’amplissimo panorama, dalla singolare vita della comunità indipendente, dalle manifestazioni.

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Dettati ortografici letture e poesie sull’EMILIA ROMAGNA

Dettati ortografici letture e poesie sull’Emilia ROMAGNA per la scuola primaria.

Cartina fisica
Confini: Mar Adriatico, Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, Toscana, Marche, Repubblica di San Marino.
Lagune: Valli di Comacchio
Monti: Appennino Settentrionale (Ligure, Tosco-Emiliano).
Cime più alte: Maggiorasca, Cusna, Cimone, Fumaiolo.
Valichi: di Cento Croci, della Cisa, del Cerreto, dell’Abetone, dei Mandrioli, di Verghereto.
Pianure: Padana.
Fiumi: Po, Reno con il suo affluente Santerno, Lamone, Montone, Savio, Rubicone, Marecchio con il suo affluente Uso. Affluenti di destra del Po: Trebbia, Taro, Parma, Enza, Secchia, Panaro.
Canali: Corsini.

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L’Emilia Romagna

L’Emilia trae il suo nome dalla lunga e diritta via Emilia, che Roma fece costruire, da Rimini a Piacenza, nel 187 aC.
Distesa obliquamente lungo il versante padano degli Appennini, dalle cui valli scendono numerosi affluenti del Po, l’Emilia è una regione fertile e in parte pianeggiante.
Al confine dell’Emilia con le Marche, svettano le tre torri del Castello di San Marino, che dall’alto del Monte Titano guarda la verde pianura della Romagna e, lontano, il Mar Adriatico.

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Vita economica

L’Emilia è una regione essenzialmente agricola. Ha boschi di castagni dall’Appennino, vigneti sulle colline, e abbondantissime colture in pianura: di grano, di barbabietole da zucchero, di granoturco, di canapa e di alberi da frutto. L’abbondanza dei foraggi permette l’allevamento intensivo dei bovini, dei cavalli e dei suini.
Nelle Valli di Comacchio sono importanti la piscicoltura e la pesca delle anguille.
Tra le industrie hanno raggiunto il massimo sviluppo quelle alimentari. Famosa è l’industria dei salumi (zamponi di  Modena, mortadella di Bologna), i pastifici (tortellini e tagliatelle), i caseifici (formaggio reggiano e parmigiano) e le industrie delle conserve di pomodoro nel Parmense e nel Piacentino.
Importanti sono anche le industrie chimiche e meccaniche, i canapifici e le fabbriche di inchiostri e di profumi.
I prodotti del sottosuolo, localizzati quasi tutti nella fascia più bassa dell’Appennino, sono lo zolfo, il gesso, la torba.
A Cortemaggiore vi sono ricchi giacimenti di petrolio e di metano.
Un’industria di notevole importanza è quella alberghiera, molto fiorente lungo il litorale adriatico. Durante l’estate le stazioni balneari delle province di Ferrara, Ravenna e Forlì sono meta di numerosi turisti, italiani e stranieri, che ritemprano la loro salute riposando sulle ampie ed assolate spiagge.
Nella regione, attraversata da molte e belle strade e da una fitta rete ferroviaria, il commercio è attivissimo.

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Province

L’Emilia Romagna è divisa in otto province.
Bologna, l’antica Felsina degli Etruschi, si adagia nella pianura, presso lo sbocco della Valle del Reno. Centro agricolo e industriale, è un nodo ferroviario importantissimo e sede di una celebre Università.
Ferrara, presso il Po, è al centro di una zona agricola bonificata, molto fertile. Fu sotto il dominio degli Estensi, come attestano i meravigliosi palazzi che ancor oggi abbelliscono la città.
Forlì, l’antico ‘Forum Livii’ (mercato di Livio), giace nella pianura romagnola, ai piedi dell’Appennino.
Modena sorge in mezzo a campagne rigogliosissime, allo sbocco delle valli percorse dalla Secchia e dal Panaro. Celebre è la torre del Duomo, detta la Ghirlandina.
Parma, la cui importanza è soprattutto agricola, vanta numerosi caseifici e conservifici. Nella provincia, a Busseto, nacque Giuseppe Verdi.
Piacenza, città sul Po, è l’anello di congiunzione tra l’Emilia Romagna e la Lombardia.
Ravenna, collegata al mare dal Canale Corsini, è famosa per i suoi monumenti bizantini e per la pineta, ricordata da Dante, che in questa città è sepolto.
Reggio Emilia è città agricola e industriale. Fu patria del poeta Ludovico Ariosto.

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Per il lavoro di ricerca

Come si presenta il territorio dell’Emilia Romagna?
Quali sono le caratteristiche principali della zona di pianura e della zona appenninica?
Se nell’Emilia ti volessi recare in Toscana, quali paesi o valichi dovresti superare?
Dove sono le valli di Comacchio e perchè sono note?
Come sono le comunicazioni in Emilia?
Quali sono le principali risorse economiche della regione?
Dove si estrae il metano?
Perchè è famosa Cortemaggiore?
Che cosa sono le salse?
Lungo le coste emiliane è molto praticata la pesca?
Perchè il nome di Faenza è conosciuto in tutto il mondo?
Ricerca notizie su tutti i capoluoghi di provincia dell’Emilia Romagna.
Come si chiama il piccolo Stato indipendente che si incunea fra le Marche e la provincia di Forlì? Quando nacque?
Quali sono le sue fonti di ricchezza?
Ricerca notizie sulla cucina emiliana e sulle usanze e tradizioni degli Emiliani.

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Le valli di Comacchio

Sulle Valli, quando cala la sera, i pensieri si intridono di ansie leggere e sembrano partecipare della solitudine immensa che il paesaggio intorno esprime. Un volo di rondini frulla per un poco sopra il capo; poi tutto ricade nel silenzio immoto della laguna. Le erbe e i canneti sembrano vivere una lunga, interminabile attesa; anche Spina, la città misteriosa, sepolta sotto le acque, attende di essere rivelata agli occhi dell’uomo. E’ un paesaggio tutto da scoprire, tutto da amare per la sua intatta bellezza non guastata dall’opera dell’uomo; lo sanno i cacciatori che scivolano sull’acqua nei piatti barchetti da valle in cerca d’un posto propizio alla caccia.

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L’Emilia Romagna

Deve il suo nome alla via Emilia, antica strada che la attraversa in tutta la sua ampiezza da Rimini a Piacenza, e che era stata aperta nel 187 aC dal console Emilio Lepido.
Dopo le invasioni barbariche divenne una provincia dell’Impero di Bisanzio (antico nome di Costantinopoli) ed ebbe in Ravenna la sua capitale.
Durante la dominazione bizantina fu chiamata Romania, ossia ‘terra di Roma’, la parte di questa regione corrisponde all’attuale Romagna.
Dopo la dominazione longobarda, la sua storia fu la storia delle sue città e dei rappresentanti delle grandi famiglie che riuscirono a imporvi la propria signoria: gli Estensi a Ferrara, i Bentivoglio a Bologna, i Da Polenta a Ravenna, i Malatesta a Rimini. Tali signorie, a cominciare dal secolo XVI, passarono a far parte dello stato Pontificio; oppure, come Modena, Reggio, Parma e Piacenza, si eressero a ducati, finché, nel 1860, Emilia e Romagna furono definitivamente annesse al Regno d’Italia.
(E. Poggi)

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Sguardo d’insieme

Da Piacenza a Rimini, dall’Appennino all’Adriatico, campi molto fertili, terra grassa, condotta a svariate colture, da una gente vigorosa, piena di gioia di vivere, l’Emilia Romagna è la dispensa dell’Italia; cereali, lino, frutta, bovini di razza pregiata, formaggi celebri, salumi e mortadelle bolognesi, vini profumati, pietanze e cucina note dovunque; una grande distesa acquitrinosa.
Le Valli di Comacchio, molto pescose; gore d’acqua stagnante, i maceri per la canapa e le saline; spiagge assolate, ampie, che si susseguono da Ravenna a Cervia, a Milano Marittima, a Cesenatico, a Bellaria, a Igea Marina, a Torre Pedrera, a Viserba, a Rimini, a Marebello, a Miramare, a Riccione, a Misano, a Cattolica, biancheggianti di moderne, confortevoli costruzioni, iridate di capanni, di tende e di ombrelloni, tra l’azzurro del mare ed il verde cupo delle pinete costiere; al centro della Regione la via Emilia, che si snoda dritta, come se fosse stata tracciata da un’immensa riga da disegno, che riunisce i centri più importanti , rendendo rapidi gli scambi, i trasporti, le comunicazioni, facendo da via principale al grande, simpatico, ospitale paese.
(M. Menicucci)

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Zona appenninica

La rudezza del clima, le difficoltà delle comunicazioni, la povertà del manto boscoso (castagni) e lo scarso rendimento delle colture e della pastorizia ha causato l’esodo della popolazione dalla montagna verso la vicina pianura. Molte case e molti terreni, pertanto, sono rimasti abbandonati.
Migliori sono le condizioni economiche della fascia sub-appenninica dotata di colture cerealicole e di vigneti (Lambrusco, Sangiovese, Albana).

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Zona di pianura

E’ tutta una zona di bonifica, frutto di un lavoro assiduo, che va dell’età romana ai nostri giorni. Chi la contempli dal finestrino del treno in corsa è colpito dall’incessante succedersi di campi, tutti di forma regolare, separati da filari di alberi e viti. Il paesaggio affascina con la varietà e la ricchezza delle sue coltivazioni. I contadini della pianura emiliano-romagnola vivono in case isolate nella campagna… Le abitazioni rurali constano di solito di due edifici, separati o affiancati, uno per la dimora della famiglia e uno adibito a stalla.
Questa terra è la prima per la produzione del frumento, la prima nella produzione della barbabietola da zucchero, ed occupa una notevole posizione nella coltivazione della vite, della frutta e degli ortaggi; sviluppatissimo è l’allevamento suino; nell’allevamento bovino è superata solo dalla Lombardia.
Tale ricchezza di prodotti dà vita ad una forte esportazione ed incrementa lavorazioni locali: conserve, ortaggi e frutta, caseifici, salumifici, distillerie e stabilimenti vinicoli.

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La Romagna

Romagna significa ‘piccola Roma’, perchè i Romani diedero grande importanza a questo lembo di spiaggia adriatica. La flotta imperiale aveva il suo porto nei pressi di Ravenna, che una volta si trovava quasi sulla riva del mare, che ora invece è lontano, a causa dell’interramento della costa.
E Ravenna, dopo Roma, fu la città più importante d’Italia. I bellissimi monumenti rimasti sono il segno della sua potenza e della sua ricchezza.
A Ravenna di trova la tomba del re Teodorico e poi quella di Dante Alighieri.

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Il Ferrarese

Tutto immerso nella pianura, il Ferrarese ha i suoi confini naturali nelle acque: a oriente l’Adriatico, a nord il Po, a sud il Reno. Ad occidente, dove è il lato di confine meno esteso, non ci sono fiumi a delimitare il territorio, ma il Panaro l’attraversa per un tratto diagonalmente. La provincia ferrarese, la cui altitudine è, in media, di quattro metri e mezzo sul livello del mare, trae dall’acqua non solo i suoi confini, ma la sua vita e la sua storia: storia di fiumi e di paludi, di canali collettori, di argini…
La parte di protagonista, in queste vicende di secoli, spetta al Po che, in questo tratto di pianura è ormai a breve distanza dal mare.
In tempi relativamente vicini (pare ancora nell’età romana) questa verde ed opulenta campagna era, press’a poco, un’enorme distesa di acquitrini dove i rami del grande fiume vagavano verso il mare trascinando con sé detriti: questi, depositandosi a lungo, fecero emergere alcune strisce di terra sulle quali si avventurarono i primi coloni.
Sembrerà strano che uomini si siano avventurati tra le paludi infide stabilendovi le dimore, quando ancora tante altre terre asciutte e disabitate avrebbero potuto offrire loro un insediamento più sicuro; ma c’è una ragione: l’acqua degli acquitrini, se obbligava ad una vita di dura lotta contro le sue insidie, d’altra parte assicurava una validissima difesa dai pericoli esterni.

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Il più grande nodo ferroviario d’Italia

Questo di Bologna è sicuramente il centro nevralgico della rete ferroviaria italiana, il nodo più importante a cui fanno capo tutte le comunicazioni che collegano le estreme regioni della penisola.
Il cuore del sistema circolatorio delle ferrovie è Bologna, in quel complesso di scali e di stazioni che formano il nodo ferroviario della grande città emiliana.
Come in una grande città esiste una via di circonvallazione che serve a dirottare il traffico dei veicoli pesanti e di transito, così anche il nodo bolognese dispone di una linea di circonvallazione, chiamata linea di cintura, che unisce direttamente la linea di Milano alla direttissima di Firenze non solo, ma mediante opportuni raccordi e bivi, allaccia fra di loro le linee di Verona, Venezia e Ancona.
(M. Righetti)

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Agricoltura

La pianura emiliana, ampia e bene irrigata, si presenta divisa in poderi di estensione notevole e fruttuosa; dall’alto, in una visione panoramica, appare ancora il reticolato dell’antica colonizzazione romana. Molto elevata è la produzione di cereali: primo fra questi il frumento, quindi il riso e il granoturco. Ottimi risultati dà la coltivazione delle patate e delle barbabietole da zucchero. Importante è la produzione della canapa. Anche la vite offre un prodotto abbondante (Lambrusco, Albana, Sangiovese): l’Emilia Romagna si pone al quarto posto (con la Toscana) tra le regioni vinicole.
Nella pianura alta e sui declivi collinari si ha una notevole produzione di pomodori e di frutta (mele e pere). Ricco è il patrimonio zootecnico, in particolare quello di bovini e suini.

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L’attività industriale

Un’agricoltura così varia e ricca offre l’avvio ad un’industria di trasformazione fra le prime in Italia: numerosi sono gli stabilimenti conservieri, lattiero-caseari (celebri i formaggi reggiani e parmigiani), tessili.
L’allevamento dei suini alimenta industrie di insaccati di fama mondiale (mortadelle, prosciutti, zamponi).
Oltre alle industrie alimentari vi sono attive industrie meccaniche agricole, di automobili di lusso (Ferrari, Maserati).
In molti centri emiliani sono sorte negli ultimi anni aziende per la produzione di calze, maglierie, calzature, i cui prodotti hanno invaso i mercati internazionali.
L’Emilia Romagna, povera di risorse idroelettriche, ha trovato nel metano una fonte di energia che ha dato slancio alle iniziative industriali. I pozzi di Cortemaggiore, presso Piacenza, distribuiscono metano a tutte le industrie della valle Padana e costituiscono la base di un’importante industria chimica per la produzione di fertilizzanti e gomma sintetica.
I turisti sono attratti dalle bellezze delle città storiche quali Parma o Ravenna, o Ferrara, e dalla stupenda linea di spiagge vaste e sabbiose, estese lungo tutta la costiera adriatica, dalle valli di Comacchio alle Marche. Centri de turismo balneare sono le città di Cervia, Cesenatico, Rimini, Riccione, Cattolica.
(Assereto-Zaina)

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I prosciutti vanno a balia a Langhirano
A prima vista il titolo può sembrare uno scherzo, ma non è così. Langhirano è un centro posto vicino al torrente Parma, e dalle sue case escono i migliori prosciutti dell’Emilia. Siccome i prosciutti dell’Emilia sono i migliori d’Italia, da Langhirano giungono i più succulenti prosciutti italiani alle mense dei buongustai. Può sembrare strano, ma è la verità.
Il prosciutto ha bisogno di una certa lavorazione e soprattutto di una lunga stagionatura, e in nessun luogo della valle padana esso asciuga, matura, si addolcisce e acquista profumo come a Langhirano.
Sicché in questo paese, sito a monte di Parma, dove cominciano a sollevarsi le prime colline dell’Appennino, non solo si lavorano tutti i prosciutti degli allevamenti suini locali, ma ne vengono inviate grandi quantità da fuori a stagionare, a guadagnare squisitezza.
Giungono dalle circostanti province emiliane, dalla bassa Lombardia, dalla Brianza. Langhirano è il posto di villeggiatura del prosciutto.
Queste pingui cosce suine di provenienza forestiera vengono chiamate prosciutti dati a balia. E qui anche i prosciutti meno nobili diventano vere leccornie.
Come ciò avvenga, e perchè avvenga qui e non altrove, rimane un mistero. Un felice clima, una strana salubrità dell’aria devono indiscutibilmente operare sui rosati prosciutti.
Visitare i luoghi di stagionatura è una visione sbalorditiva: in lunghissimi cameroni sono collocate, secondo la lunghezza, rastrelliere di legno, dalle quali pendono, simili a pere mostruose, miriadi di cosciotti. La lavorazione avviene in modo molto semplice, i prosciutti freschi vengono lavati con acqua tiepida e cosparsi di sale, messi in frigorifero, a zero gradi, per 30-40 giorni.
Non si usano droghe a Langhirano, ma unicamente sale, e ciò rende il prodotto più delicato e digeribile. Quindi si portano nei locali di stagionatura, dove devono prendere quanta più aria possibile.
Di notte e nei giorni di gelo si chiudono le finestre. La stagionatura si compie in circa cinque mesi, dopo di che i prosciutti sono pronti per essere consumati. Per ogni stagione, a Langhirano, vengono messi a balia non meno di 100.000 prosciutti,
(M. Carafoli)

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Le salse

Sulle ultime colline dell’Appennino Emiliano, in vicinanza della pianura, si osservano parecchi luoghi, specialmente nel Reggiano, dei curiosi mucchi di melma, mutabili di forma, ma non di rado assomiglianti a vulcani in miniatura. Sono le salse, altrimenti chiamate vulcani di fango: e mentre il primo nome ci richiama il fatto che il fango delle salse è leggermente salato, il secondo vuole accennare a manifestazioni eruttive.
Difatti le salse hanno di quando in quando le loro eruzioni; ma sono, direi, quasi eruzioni per burla: non materie infuocate, ma semplicemente acqua fangosa salata e melma viscida, talvolta odorante di petrolio, escono dalle bocche delle salse.
Coi veri vulcani, però, le salse non hanno niente a che fare. Il gas che esce terreno argilloso è metano che si può accendere con un fiammifero, ma non si incendia da sé nelle eruzioni delle salse. Col gas viene su l’acqua dal sottosuolo, ed essa imbeve il terreno, lo spappola, forma il fango che, accumulatosi, dà origine al conetto.
Insieme all’acqua viene su talora un po’ di petrolio che forma chiazze iridescenti. Del resto, non si deve credere che sempre si formi un monticello vulcanico in miniatura, poichè la fanghiglia può anche espandersi senza assumere forme particolari e definitive.
(A. Sestini)

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Metano in Emilia

Cortemaggiore, a oriente di Piacenza, nelle pianure, poco lontano dalla riva meridionale del Po, è oggi l’emblema del metano; sebbene altri giacimenti importanti si trovino in Lombardia, a nord del Po, a Caviaga (qui si aprì il primo pozzo), a Cornegliano, a Bordolano, a Ripalta e, in Emilia, a Correggio, a Imola, a Cotignola, ad Alfonsine, fino a Ravenna, dove si ha un giacimento di prima grandezza; quindici giacimenti in tutto, a una profondità media tra i 1600 e 1800 metri; e oltre 60 pozzi.
Il metano italiano, scoperto e messo in valore nel dopoguerra, è il più abbondante d’Europa, ed i metanodotti vanno avvolgendo l’Italia del nord in una rete, già fitta in Lombardia specie intorno a Milano, ben delineata nel Veneto, con rami che si spingono o stanno per spingersi a Bologna, a Torino, a Genova, a Domodossola, e perfino a Sondrio e a Trento.
L’immensa importanza di questa nuova sorgente di energia serve anzitutto le industrie e secondariamente l’autotrazione e i bisogni domestici.

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Comacchio e la pesca

Comacchio è una città stipata sopra isolotti che si alzano pochi decimetri sul livello del mare, tanto che non si sa neppure se sia più terra o più acqua. Da almeno millecinquecento anni vi abita una popolazione di pescatori, isolata, in mezzo a paludi salmastre. Nella piscicoltura, una volta assai fiorente, sta la principale risorsa di questi luoghi. La laguna  è popolata di anguille e di cefali. Durante i mesi di febbraio, marzo e aprile, in cui si aprono le comunicazioni al mare, entra nei vari campi della laguna un numero straordinario di pesciolini; e questa loro venuta è detta montata. Chiuse dopo quel tempo le chiaviche, i pesci che si sono rifugiati nella laguna vi rimangono fino a che, aumentando la salsedine delle acque per l’evaporazione estiva, non si risveglia in essi, ormai giunti alla maturità, l’istinto di ritornare al mare per incontrare un’acqua meno salata. Da questa circostanza si trae il massimo profitto per fare la pesca. Venuto il settembre davanti alle chiaviche di ciascun campo, si depongono dai vallanti i  lavorieri, che sono labirinti di canne e di filo di alluminio, forniti di una larga apertura dalla parte che guarda il campo vallivo e ristretti e chiusi dal lato opposto. Allora le chiaviche vengono aperte. L’acqua del mare penetra lentamente nei campi attraverso i lavorieri, e i pesci si affettano a correrle incontro, imprigionandosi da sé nei labirinti.

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L’arte della maiolica, ovvero Faenza

Tradotto in venti lingue differenti, il nome di Faenza significa ‘l’arte della maiolica’; questa è dunque la prova più evidente che gli artigiani faentini hanno raggiunto nell’arte della maiolica il massimo della perfezione.
I primi accenni di quest’arte risalgono al lontano 1142 e mai quest’artistica operosità è stata interrotta nel giro di otto secoli. Una decina di botteghe maiolicare, dotate di maestri di fama che supera le frontiere della Penisola, continua la tradizione dei vasai faentini (vasi, piatti, boccali, tazze, anfore).
Un pregiato Istituto d’Arte accoglie gli allievi di ogni regione d’Italia e dell’estero iniziandoli alla ricerca di sempre nuove forme d’arte e di nuovi e migliori mezzi di lavorazione.
Anche Imola, Bobbio e Sassuolo si distinguono nella lavorazione della ceramica.
Molti falegnami sono specializzati e specialisti nella lavorazione di mobili moderni o imitando vecchi stili.
Un po’ dappertutto bravi e raffinati artigiani del legno, del ferro battuto, della bulinatura del cuoio. Carpi e Mirandola vantano la lavorazione del truciolo per la fabbricazione di cappelli e altri oggetti; Castel san Pietro quella degli ombrelli, Budrio quella delle ocarine, Ciano d’Enza lavorazioni di vimini.
(G. Menicucci)

Province
Capoluogo della regione è Bologna, chiamata ‘la dotta’ per la sua famosa Università, che è la più antica d’Italia, e ‘la grassa’ per le sue note specialità alimentari. E’ cospicuo centro commerciale e industriale e importante nodo ferroviario e stradale. Vanta pregevoli monumenti, tra cui le chiese di san Petronio, di san Francesco e di san Domenico, il Palazzo del Podestà, la Fontana del Nettuno, le Torri pendenti degli Asinelli e della Garisenda.
Piacenza è attivo centro agricolo-commerciale, sede di numerose industrie e nodo di comunicazioni. Fra i suoi monumenti il più insigne è il Palazzo Comunale, detto ‘il Gotico’.
Parma è grande mercato di prodotti agricoli e sede di industrie alimentari e meccaniche. Celebri monumenti sono il Duomo e il Battistero.
Reggio nell’Emilia è importante centro agricolo-commerciale con notevoli industrie alimentari, meccaniche (costruzioni ferroviarie, macchine agricole, ecc.), chimiche. Monumenti degni di rilievo sono il Duomo e la Chiesa della Madonna della Ghiara.
Modena è grande mercato agricolo e centro di industrie alimentari, meccaniche (automobilistiche) e chimiche. Dei suoi monumenti  i più notevoli sono il Duomo romanico, con la bellissima torre della Ghirlandina, e il Palazzo Ducale. E’ sede dell’Accademia Militare.
Ferrara è situata su un ramo del delta del Po, detto Po di Volano, nel cuore di una zona fertilissima ed è sede di importanti industrie alimentari, chimiche e meccaniche. Conserva magnifici monumenti: la Cattedrale, il Castello Estense, il Palazzo dei Diamanti.
Ravenna è una delle più belle città d’Italia per le sue stupende opere d’arte. Particolarmente degne di nota sono: la Basilica di San Vitale e il Mausoleo di Galla Placida (con meravigliosi mosaici bizantini), il mausoleo di Teodorico e (poco lontano dalla città) la basilica di Sant’Apollinare in Classe. Ha un importante porto-canale ed è sede di grandi complessi industriali.
Forlì è il centro principale della Romagna, mercato di prodotti agricoli e sede di alcune industrie. I suoi più pregevoli monumenti sono il Duomo e la Chiesa di san Mercuriale.

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Bologna: la dotta, la grassa, la turrita

Tutti questi appellativi le calzano a meraviglia. Le nobili tradizioni di cultura, tenute sempre vive da otto secoli a questa parte dall’Università, che è la più antica d’Europa, la fecero chiamare la dotta. Le sue famose specialità gastronomiche, che vanno dalle tagliatelle e dai tortellini fino alla rosea mortadella, le diedero il nomignolo di grassa. Le duecento torri che dentellavano il panorama di Bologna all’epoca dei Comuni le valsero il titolo di turrita. Di queste torri innalzate nel XII e nel XIII secolo dai nobili bolognesi accanto al loro palazzo, come simbolo di indipendenza e vanto del casato, ben poche ne rimangono. Oggi le superstiti si contano sulle dita delle mani, ma fra esse ve ne sono due, quella degli Asinelli e la Garisenda, le famose torri pendenti, che sono considerate simbolo della città.
(G. Assereto)

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Bononia docet

‘Bononia docet’ si leggeva sulle monete che Bologna batteva; ed anche quando la moneta corrente non fu più quella coniata dalla zecca cittadina, Bologna continuò ad essere universalmente conosciuta come ‘la dotta’.
Il merito di questo epiteto è dovuto alla sua Università, la più antica dell’Europa; essa fin dalle origini richiamò nelle sue aule da ogni regione d’Europa studenti che si organizzavano in vere e proprie congregazioni e che portavano alla città, insieme ad un innegabile benessere economico, una nota caratteristica di gaiezza, tanto da far dire al Petrarca che ebbe occasione di fermarvisi come studente: “Non credo che mai sia stata e non sia città più libera e gioconda di Bologna”.
Ma le gaie brigate della gioventù studiosa  erano soltanto un aspetto marginale della società che gravitava intorno al famoso ‘Studio’. In verità, Bologna fu, per moltissimo tempo, insieme con Parigi, il centro più vivo della cultura europea; fu soprattutto il tempio del diritto romano che, dopo il silenzio seguito alla caduta dell’impero, risorgeva, ad opera di espertissimi ed appassionati glossatori, in tutta la ricchezza dei suoi concetti ed al quale tutti gli studiosi volevano attingere.
I famosi libri di Giustiniano, che in un primo tempo avevano trovato rifugio alla corte bizantina di Ravenna, furono poi trasportati a Bologna. Si ha notizia di un certo Pepone, ‘legis doctor’, che intorno al 1065 già interpretava i testi di diritto; ma tra i maestri antichi chi acquistò più chiara fama fu certamente il bolognese Irnerio, che formò scuola e che intorno a sé ebbe una scelta schiera di glossatori, così chiamati per il loro sapiente e paziente lavoro di commento (glossa) ai testi latini.
Bologna andava fiera di questi suoi studiosi; ne sono testimonianza le bellissime tombe che ad alcuni di essi furono costruite nel centro della città; presso le chiese di San Domenico e di San Francesco.
Accanto alla fiorentissima scuola di diritto si andò via via delineando anche una scuola di arti liberali ed un’altra ad indirizzo scientifico; e il complesso di tutte le scuole venne chiamato ‘Studio Generale’ e più tardi Università.
Fra i tanti uomini illustri che frequentarono, in ogni tempo, la scuola di Bologna ricordiamo: Dante, Petrarca, Copernico, Torquato Tasso, Marcello Malpighi, Luigi Galvani e Giovanni Pascoli.

La città etrusca di Misa
Da Bologna, risalendo la via per Pistoia, dopo Pontecchio si giunge a Marzabotto. Nelle vicinanze si trovava la città etrusca di Misa; di essa rimangono ruderi sparsi tra il verde e un profondo suggestivo silenzio domina intorno quasi a vegliare sul sonno millenario delle mura in rovina, dei resti dei templi, delle tombe preistoriche giacenti presso le acque d’un lago. Misa fu fondata nel Vi secolo aC dagli Etruschi e fu prospera città per due secoli finché fu distrutta dai Galli.

La cucina emiliana
In Emilia la cucina è un fatto complesso, un’improvvisazione continua, uno spettacolo meraviglioso: altrove, il piatto gustoso e raffinato appartiene soltanto alla sfera della mensa, al buon pranzo e alla buona cena;  a Bologna, invece, a Modena, a Parma la cucina abbraccia interessi più vasti ed è la nota saliente di un costume, il costume emiliano appunto. Il sentimento, la poesia fatalmente fioriscono attorno a una tavola imbandita, lo stesso amore non è amore se non è alimentato da lasagne, zamponi, tortelli e mortadella. Ne sa qualcosa Fagiolino, l’eroe della regione, il quale stornellando alla sua bella chiede sì un bacio e un sorriso, ma anche e soprattutto un manicaretto che anticipa e racchiude il paradiso. Non per nulla il tortellino nacque nel centro fisico e ideale dell’Emilia, a Castelfranco, ricalcato dirette su Venere: un oste guercio e bolognese, canta un poeta, imitando l’ombelico di Venere, l’arte di fare il tortellino apprese.
Accanto ai tortellini, godono meritata fama le tagliatelle, ricavate anch’esse nella tipica forma a nastro della sfoglia, e condite appunto col ragù alla bolognese. Tra i piatti, ecco lo zampone, ossia quella mirabile calza che è la zampa anteriore del suino ripiena di un impasto di carne magra e grassa in giusta proporzione: cotto a fuoco lento per cinque ore, viene servito su un letto o di lenticchie o di fagioli giganti bolliti e impastati poi con sugo, burro, dadi di prosciutto e punte di sedano e carote.
Ma l’Emilia è giustamente nota per i suoi salumi e soprattutto per quell’ineguagliabile poker che è vanto della provincia di Parma: il culatello di Zibello, il salame di Felino, la spalla di San Secondo e il prosciutto di Langhirano. Ai salumi si deve aggiungere il formaggio stagionato, il grana, che va per il mondo sotto il nome di parmigiano e di reggiano. I menù regionali hanno come naturale alleato il Lambrusco, il vino che ha a Sorbara la sua patria, riconoscibile per il profumo di viola, la spuma rosea e il gusto frizzantino.
(A. Ferruzza)

Usanze e tradizioni
Usanze e feste tradizionali si accompagnano sia in Emilia, sia in Romagna allo svolgimento dei più importanti lavori agricoli: la semina, la mietitura e la trebbiatura, la vendemmia. Usanze e credenze sono legate agli avvenimenti familiari, lieti o tristi, e ad ogni momento della vita.
Una bella usanza primaverile è quella dei grandi fuochi, detti le ‘focarine’ che vengono accesi dalla sera del 4 febbraio, giorno dedicato alla Madonna del Fuoco, fino ai primi di marzo. Con essi si vuole propiziare il bizzarro mese a favore dei campi e dei prossimi raccolti.
Bisogna far lume a marzo, a marzo birichino perchè sia più buono e ci tratti bene, e ci porti una spiga che dia a tutti il pane e una spiga che sia granita di grano‘ (Aldo Spallicci).
In occasione della mezza quaresima si ricorda a Forlì l’uso di portare burlescamente in trionfo, sopra un caro tirato da due torelli, un grande fantoccio, adorno di collane di frutti e salsicce, con un seguito di carri allegorici. La folla, al suo passaggio, rivolgeva al fantoccio domande e motteggi; e il fantoccio, per bocca di un uomo che vi era nascosto, rispondeva per le rime.
Un’altra allegra usanza della mezza quaresima è quella di segare la vecchia, un fantoccio in costume femminile anch’esso imbottito di frutta, salsicce ed altro. La ‘vecchia’, prima di essere segata, fra le acclamazioni della folla, che poi si precipiterà accapigliandosi a raccattare tutte le buone cose che cadono dal grembo del fantoccio, è condotta in corteo per le vie del paese.
Se durante il percorso la ‘vecchia’ dovesse fermarsi, ma per caso, davanti a una coppia di fidanzati, costoro ne sarebbero felici, traendone un buon auspicio per le loro prossime nozze.
Ma le tradizioni popolari, pure remote, vanno purtroppo scomparendo, come le feste carnevalesche, legate a figure di maschere locali (il dottor Balanzone, celebre per i suoi sproloqui) o derivate da antichi riti pagani (i fuochi purificati che solo in qualche parte dell’Appennino si accendono ancora in determinate occasioni).
Uno spettacolo teatrale tipico della Bassa Padana è quello dei burattini: in questa zona fiorirono nell’Ottocento le maggiori famiglie di burattinai girovaghi con le due maschere caratteristiche di Sandrone (contadino fanfarone, millantatore e pauroso) e di Fagiolino, astuto e generoso, sempre pronto a far giustizia col suo nodoso bastone.

Paesaggio bolognese
Alla fantasia del poeta si presenta il paesaggio bolognese, già a lui familiare. La natura risente della malinconia dell’autunno, con gli alberi spogli che rabbrividiscono ai primi geli; ma l’aspetto del paesaggio è ravvivato dallo scorrere lento delle acque, dal mosto in fermento, dal sole breve che terre e uomini si godono, dagli stormi degli uccelli migratori.
Improvvisa, la fantasia m’ha condotto per le strade
rettilinee del Bolognese, bordate di rami
freddolosi, toccati dall’ottobre, con prospettive
di persiane verdi allineate sulle facciate.
Il Reno si stacca dai monti con incantevoli
indugi e  prende spazio in pianura, alberi
e frutteti si spogliano con incredibile bellezza,
riposano al sole le terre. E’ il tempo
adesso che le cantine odorano di fermentazione
e il contadino esce senz’arnesi a guardare
forse se qualche fosso non scola. Le terre,
gli uomini il paese fortunato nelle adiacenza
del fiume, godono questo sole breve.
Gli uccelli son di passo. (R. Bacchelli)

Romagna
Il ricordo della terra di Romagna non s’è mai cancellato da cuore del poeta: lì egli trascorse i bei giorni dell’infanzia, correndo spensieratamente fra le stoppie, presso gli stagni, in mezzo al verde della campagna; lì lesse, da fanciullo, i poemi e le opere che lo trasportarono con l’immaginazione in mondi fantastici e lontani; lì, a contatto della bella natura, sentì germogliare nell’animo i primi sogni e i primi canti. Ma, all’improvviso, il ricordo del triste giorno in cui dovette lasciare la sua terra riscuote il poeta dal dolce incanto: mentre la bella visione svanisce, egli manda un accorato addio alla sua Romagna che non spera di rivedere mai più.

Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino: (1)
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra vision di San Marino: (2)
sempre mi torna in cure il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta, (3)
cui tenne pure (4) il Passator cortese,
re della strada, re della foresta. (5)
Là nelle stoppie (6) dove singhiozzando (7)
va la tacchina con l’altrui covata, (8)
presso gli stagni lustreggianti, (9) quando
lenta vi guazza l’anatra iridata, (10)
oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
e di fra gli olmi, nido alle ghiandaie, (11)
gettarci l’urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio dell’aie; (12)
mentre il villano pone (13) dalle spalle
gobbe (14) la ronca e afferra la scodella,
e ‘l bue rumina nelle opache (15) stalle
la sua laboriosa lupinella. (16)
Da’ borghi sparsi le campagne (17) in tanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo (18), alla quiete, al santo
desco fiorito d’occhi di bambini. (19)
Già (20) m’accoglieva in quelle ore bruciate
sotto ombrello di trine una mimosa,
che fioria la mia casa ai dì d’estate
co’ suoi pennacchi di color di rosa;
e s’abbracciava per lo sgretolato
muro un folto rosaio e un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un birichino. (21)
Era il mio nido (22): dove, immobilmente,
io galoppava (23) con Guidon Selvaggio (24)
e con Astolfo; o mi vedea presente
l’imperatore nell’eremitaggio. (25)
E mentre aereo mi poneva in via
con l’ippogrifo (26) pel sognato alone, (27)
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;
udia fra i fieni allor allor falciati
de’ grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema. (28)
E lunghi, e interminati, erano quelli (29)
ch’io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettio d’uccelli
risa di donne, strepito di mare.
Ma da quel nido, rondini tardive, (30)
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or è dove si vive;
gli altri sono poco lungi; in cimitero.
Così più non verrò per la calura (31)
tra que’ tuoi polverosi biancospini,
ch’io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozioso i piccolini, (32)
Romagna solatia (33), dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta. (G. Pascoli)

(1) Il villaggio a cui va il sorriso o il rimpianto del poeta è San Mauro di Romagna, il luogo dove egli nacque e abitò fin quando il padre fu amministratore della tenuta dei principi Torlonia. Oggi il paese si chiama San Mauro Pascoli. Severino è Severino Ferrari, poeta amico di Pascoli e del Carducci.
(2) Sul fondo azzurrino dell’orizzonte si profila la rocca di San Marino, un paesaggio che accompagna nell’andare il viandante.
(3) I Guidi e i Malatesta sono due famiglie che nel Medioevo signoreggiavano la Romagna.
(4) Che anche ebbe in suo dominio
(5) Passatore era chiamato il bandito romagnolo, Stefano Pelloni, le cui imprese incontrastate sulle strade e sui monti, avevano mosso la fantasia popolare, specialmente per taluni tratti di generosità. Probabilmente il soprannome di Passatore gli venne per il fatto che era barcaiolo e faceva il mestiere di traghettare le persone da una sponda all’altra dei corsi d’acqua.
(6) Paglia che resta sui campi dove si è mietuta la biada.
(7) Il verbo singhiozzando allude al suono gutturale e spezzato della tacchina.
(8) Coi pulcini nati da uova di gallina.
(9) Lucidi.
(10) Dai colori cangianti.
(11) La ghiandaia è un uccello di colore grigio rossiccio, che si nutre prevalentemente di ghiande.
(12) Il poeta vorrebbe trovarsi ancora nel verde della campagna; gli piacerebbe sentirla ancora trasalire al suo grido lanciato nel silenzio nelle ore meridiane.
(13) Depone.
(14) Fatte curve dalla quotidiana fatica.
(15) Che hanno scarsa luce, buie.
(16) La lupinella è una leguminosa da foraggio che le bestie assimilano dopo lunga masticazione.
(17) I rintocchi delle campane.
(18) Invitano all’ombra.
(19) Alla mensa del lavoratore animata dalla presenza dei bambini. L’immagine, densa e tenera, racchiude l’intraducibile meraviglia dell’infanzia.
(20) La rievocazione del paesaggio richiama alla fantasia del poeta le ore che egli trascorse in quei luoghi.
(21) Col vento, il pioppo stormiva e sembrava che godesse al fruscio delle fronde.
(22) In quella campagna, sotto l’ampia fioritura della mimosa, il poeta trascorreva ore di silenzio e di sogni. Si allude agli anni felici del Pascoli: quando  era ancora bambino e la casa non era stata toccata da lutti (la sorellina Ida di pochi mesi, morì nel 1862, quando il poeta aveva sette anni).
(23) Avverti la congiunzione del verbo ‘galoppava’  con l’avverbio che lo precede. Il fanciullo fantasticava e, mentre il corpo riposava immobilmente, la mente correva coi fantasmi delle prime letture.
(24) Guidon selvaggio è, come Astolfo, un personaggio dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
(25) L’imperatore nell’eremitaggio è Napoleone nell’isola di Sant’Elena. Il Pascoli allude a un’altra delle sue prime letture: il Memoriale che Napoleone dettò negli anni della sua relegazione nell’isola.
(26) L’ippogrifo è un cavallo alato di cui parla l’Ariosto nel suo poema. Con l’ippogrifo Astolfo salì fino alla luna per recuperare il senno del paladino Orlando impazzito per la bella Angelica.
(27) La fascia luminosa di vapori che circonda la luna. Il poeta vuol dire che egli si levava con la fantasia, assieme all’ippogrifo, fino a quel puro mondo di sogni che è la luna.
(28) Canto, ma il Pascoli ha detto poema perchè quel gracido pareva avesse un significato più grande, quasi fosse il naturale accordo al suo lungo e giovanile fantasticare.
(29) Le voci della natura e le forme di persone e luoghi immaginari compongono alla fantasia favole meravigliose.
(30) Come rondini che si sono indugiate e sono state raggiunte dai primi freddi. Tutta la famiglia fu strappata da quel nido: il poeta costretto ad andare per il mondo, gli altri nella tomba.
(31) Nella stagione calda.
(32) Per non trovare la casa della fanciullezza e dei sogni occupata da gente estranea da persone che hanno fatto come il cuculo, il quale suole deporre le uova nel nido di altri uccelli.
(33) Piena di sole.

L’Università di Bologna
Molti erano gli stranieri che da ogni parte accorrevano agli studi di Bologna, e si dividevano fino in trentacinque nazioni diverse. Questi studenti stranieri godevano prerogative civili e, convocati dal rettore, costituivano un corpo che aveva voto nelle assemblee. Un sindaco annuo rappresentava in giudizio l’Università ed un notaio ne rogava gli atti. Ogni anno si eleggevano due tassatori, uno dal comune e uno dagli studenti, perchè fissassero il prezzo degli alloggi. Lo scolaro aveva la facoltà di rimanere tre anni nella casa prescelta al prezzo fissato, e il padrone che esigesse di più, o maltrattasse il pigionale, non poteva più dare albergo ad altri.
I professori, una volta all’ano, dovevano giurare obbedienza al rettore dell’Università: questo doveva essere letterato, celibe, di almeno venticinque anni e non appartenere a ordini religiosi. Nelle funzioni aveva precedenza di passo avanti ai vescovi e agli arcivescovi, eccetto quello di Bologna.
L’irrequietezza degli studenti agitò la repubblica bolognese. Talvolta gli scolari si ritirarono tutti in un’altra città, finché non si fosse acconsentito alle loro esorbitanti domande. Qualche altra volta emigravano tutti se Bologna era messa al bando dall’Imperatore, o scomunicata dal papa. Però la città che doveva agli studiosi incremento di vita e di ricchezza, cercava di allettarli con ogni sorta di favori. I professori furono esenti dal servizio militare, poi da ogni tassa. Quelli che venivano addottorati a Bologna, dovevano giurare  che non avrebbero insegnato altrove. Morte e confisca erano minacciate ai cittadini che sviassero uno scolaro da quell’Università, e così ai professori che fossero passati ad altra scuola prima che fosse scaduto l’obbligo assunto.
Alla prima neve che cadeva, gli studenti andavano alla cerca, e con quello che raccoglievano, facevano statue o ritratti ai professori più rinomati.
Il dottorato dava diritto d’insegnare; sei anni di studio si richiedevano per passare dottore in diritto canonico, otto in civile. Lo studente giurava di aver compito quel tempo, poi sosteneva un esame privato e uno pubblico. Nel privato doveva disputare sopra due tesi assegnate davanti all’arcidiacono e al collegio dei dottori. L’esame pubblico si teneva con gran pompa nella cattedrale, dove il licenziando recitava un discorso ed esponeva una tesi, contro cui gli studenti potevano argomentare. Poi l’arcivescovo, o in sua vece un dottore, pronunciava l’encomio, acclamando dottore l’esaminato al quale si davano il libro, l’anello, il berretto e le insegne dottorali.
Il corso degli studi durava dal 19 novembre al 7 settembre: e ogni giovedì era vacanza, purché nella settimana non cadesse altra festa.
(O. Pio)

Il parmigiano reggiano
Il formaggio granoso e profumato che si acquista in tutta Italia come grana o come parmigiano è prodotto in realtà in una zona assai vasta, che esula dai confini della provincia di Parma, e si estende fino a Reggio, a Modena, a Bologna. Le qualità più pregiate, tuttavia, sono quelle di Parma e di Reggio; fra queste due città si è svolta nel passato un’accesa polemica per decidere quale avesse più diritto a legare il suo nome al prezioso prodotto. La contesa è stata risolta con piena soddisfazione di ambo le parti; le forme recano infatti un doppio marchio: parmigiano-reggiano su una faccia, e reggiano-parmigiano sull’altra.
La gente però continua a chiedere imperterrita: “Mi dia un etto di parmigiano” ed altrettanto imperterrito il negoziante consegna, sotto questa etichetta universale, formaggi di Parma e di Reggio, ma più spesso di Mantova, di Lodi e di Cremona.
Secondo i competenti, il parmigiano sarebbe nato nella valle dell’Enza, che oggi funge da confine fra Parmense e Reggiano, ma il suo commercio gravitava anticamente su Parma. Parma infatti era famosa fin dall’epoca romana per la squisita qualità dei suoi formaggi; e il Boccaccio, descrivendo  il paese di Bengodi, vi colloca una montagna di formaggio parmigiano:
… c’era una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato sopra la quale stavano genti che nessuna altra cosa facevano che far maccheroni e ravioli e cuocerli in brodo di capponi, e poi li gettavano giù: e chi più ne pigliava più ne aveva: e lì vicino scorreva un fiumiciattolo di vernaccia, della migliore, senza un solo goccio d’acqua.
La descrizione, del resto, potrebbe riferirsi per intero a Parma, dove la ghiotta cucina è sempre stata una tradizione ed un’arte.
Ancor oggi, le forme di parmigiano si fabbricano a mano: ciascuna di esse rappresenta il prodotto della coagulazione di 4-6 ettolitri di latte, e la sua stagionatura dovrebbe durare un periodo di 3 o 4 anni. In realtà, per non bloccare così a lungo ingenti capitali, la si accelera artificialmente con le stufe, riducendola ad un solo anno. Durante questo periodo, le forme sono sottoposte  ad un continuo controllo da parte di esperti che girano per i magazzini, le annusano, le battono con un piccolo martello porgendo attentamente l’orecchio, ne estraggono un assaggio con sottili trivelli. E il valore di questi depositi è talmente elevato che le banche, per garantirsi dei capitali prestati ai caseifici, effettuano anch’esse periodici controlli.
Quando la stagionatura è terminata, le forme partono per le destinazioni più varie, e compaiono sulla nostra tavola come formaggio da dessert o formaggio grattugiato.

I calanchi
Percorrendo la via Emilia che da Bologna ci porta a Rimini possiamo osservare uno strano paesaggio, che si ripete più e più volte lungo la fascia del sub-appennino. Ci troviamo davanti a franamenti del tutto particolari, a tante piccole vallette di terra nuda, che formano i noti calanchi. Qui il quadro è in prevalenza grigio, cinereo, brullo, manca perfino l’erba. La zona è pressoché impraticabile, ad ogni passo la terra si sgretola e cede, o, in caso di pioggia, si trasforma in fango tenacissimo e scivoloso. Quei pochi casolari che scorgiamo si tengono tutti sugli sproni o sui pendii più aperti, lontani il più possibile dalla minaccia delle frane e dello smottamento.
Due fattori si sono dati qui la mano per operare la trasformazione di quelli che un tempo erano dolci e verdi pendii: il terreno argilloso e le acque piovane. E’ noto che l’argilla è una roccia originata dall’ammasso di minutissimo detrito proveniente a sua volta dalla disgregazione di altre rocce; una specie di compatto fango secco, che a contatto dell’acqua si trasforma in una massa pastosa e modellabile. Essendo l’argilla un roccia impermeabile, la pioggia non va ad infilarsi in profondità ma scorre ed erode la superficie, formando nel terreno tante piccole incisioni che col tempo si approfondiscono sempre più e si allargano fino a formare gole e vallecole, una vicina all’altra, separate solo da sottili lingue di terra, che vanno sempre più assottigliandosi sino a scomparire del tutto.
Così tante colline se ne vanno, le frane si succedono alle frane, a poco a poco l’acqua di dilavamento porta alla pianura una massa di terreno fangoso, lasciando un quadro di desolazione sui pendii, erosi.
La zona dei calanchi, diventata impraticabile, improduttiva, pericolosa, crea attorno a sé il deserto, perchè tutti  la sfuggono.
Durante il nostro viaggio per l’Italia avremo modo di sostare ogni tanto davanti a rocce diverse (graniti, porfidi, calcari,…) alla fine poi si potrà riunirle in un quadro completo per avere una visione generale dei materiali che costituiscono la crosta terrestre. Ora consideriamo l’argilla, roccia diffusissima non solo in Italia, ma in tante parti del mondo.
Delle tre grandi classi in cui sono divise le rocce (sedimentarie, magmatiche, metamorfiche) l’argilla appartiene alla prima. E’ cioè una roccia che, come tante altre (marna, conglomerati, arenaria, marmo, …) ha avuto origine sul fondo del mare. Millenni e millenni or sono, i fiumi scaricarono  in mare ciottoli, sabbia e fanghiglia che si depositarono in tanti strati. Col passar del tempo questi strati si indurirono, si solidificarono fino a tramutarsi in dura roccia.
Come poi l’argilla e tutte le altre rocce sedimentarie  siano emerse dal mare sino a formare l’ossatura di colline e montagne, è una curiosità che potrete soddisfare poi. Per ora vi basti sapere che durante il tempo in cui si è formata la crosta terrestre (cioè durante le ere geologiche) sono accaduti immani sconvolgimenti: terre e mari si sono spostati, uno strato si è accavallato all’altro, terremoti e vulcani hanno agito con particolare violenza, insomma c’è stata un’incessante modifica. Del resto il mutamento continua anche oggi, benchè lentissimo e poco appariscente.
L’argilla dei nostri calanchi è dunque fango indurito, costituito da minutissimi detriti, assai più fini dei granellini di sabbia. Assume color grigio e talora giallastro o rossiccio.
Cave di argilla si trovano ovunque, perchè l’uomo ha bisogno di essa per tanti suoi lavori (laterizi, ceramiche,…). Anche voi la adoperate per tanti lavoretti che solitamente dite ‘fatti di creta’.

Curiosità su Ferrara
Perchè Porto Garibaldi ha questo nome? Quando cadde la Repubblica Romana nel 1849, Garibaldi tentò di raggiungere Venezia, braccato dagli Austriaci. In località Magnavacca, il colonnello Nino Bonnet salvò l’eroe, che stava per cadere nelle mani dei suoi acerrimi nemici. Poi, dopo la morte di Anita, avvenuta nella fattoria delle Mandiole, Garibaldi, con l’aiuto del sacerdote don Giovanni Verità, riuscì a raggiungere la Toscana e a mettersi in salvo. A ricordo del fatto, Magnavacca fu denominato Porto Garibaldi, e attualmente è una frequentata stazione balneare.
L’arte della stampa è antichissima a Ferrara e, nei secoli XV – XVI, numerosi furono i tipografi che operarono in città. Il primo fu un francese: Andrè Beaufort (nelle edizioni era impresso Andreas Belfortis Gallus) che lavorò fin dal 1471, stampando ‘De variis loquendi figuris’ di Agostino Dati.
L’Orlando Furioso fu stampato da Giovanni Mazzocchi nel 1516; la prima edizione nella stesura di 46 canti, su impressa invece nel 1532 da Francesco Rossi. Operava a Ferrara anche una stamperia ebraica, di Abraham Usque, che nel 1553 pubblicò una ‘Biblia en lengua espanola’.
La Bibbia di Borso d’Este è uno dei manoscritti più preziosi, costituito da due volumi di circa 1200 pagine complessive, finemente miniate da Taddeo Crivelli, Francesco Russi e da altri. Il lavoro di decorazione, iniziato nel 1455, durò più di sette anni. L’intera Bibbia scritta dal calligrafo milanese Pietro Paolo Marone, costò 1375 ducati. Attualmente si trova a Modena, nella biblioteca Estense, dove fu portata quando la famiglia d’Este dovette rinunciare a Ferrara.
Sotto un piccolo porticato in un cortiletto interno del Palazzo di Ludovico il Moro, si possono ammirare due imbarcazioni rinvenute nel 1948 negli scavi di Valle Isola, presso Comacchio. Sono grandi piroghe dalla linea irregolare, scavate in due massicci tronchi di rovere, che il tempo  ha scrostato e annerito, lunghe rispettivamente 14,5 metri e 12,7 metri. Il tipo di imbarcazione è assai arcaico, potendo risalire all’età del bronzo; tuttavia nel delta del Po e nella zona lagunare veneta si continuò fino all’età tardo-romana a costruire barche di questo tipo. A quest’epoca appartengono forse le nostre.
Trovandoti in gita a Cento dovresti visitare la Pinacoteca, nella quale è conservato il bell’affresco del Guercino ‘La pace’, staccato dal Palazzo Falzoni-Gallerani, dove l’artista lo dipinse. Altri affreschi, sempre del Guercino, si possono ammirare nella quattrocentesca Casa Pannini e nella Chiesa di Santa Maria del Rosario.
Non abbandonare però la città senza aver fatto una passeggiata fino a Villa Giovannina, la gemma di Cento, distante circa due chilometri. La villa, ‘palazzo cinto da muraglie, con ponte levatoio e fosse intorno’, trae il nome dal facoltoso signore Giovanni II Bentivoglio che la volle edificare, e conserva in numerose sale preziosi fregi e affreschi dell’immancabile Guercino, che raffigurano episodi dell’Orlando Furioso, della Gerusalemme e del Pastor fido.
Partendo da San Benedetto in Alpe, in circa due ore di cammino si può fare una magnifica passeggiata ai Romiti. E’ una località suggestiva, in cui si possono ammirare gli stupendi orridi detti dell’ ‘Acqua cheta’. Ai Romiti esisteva un antico monastero benedettino nel quale fu certamente ospitato Dante. Infatti, nelle immediate vicinanze vi è una cascata che ispirò al poeta i seguenti versi:
“… quel fiume ch’ha proprio cammino
prima da Monte Verso inver levante,
dalla sinistra costa d’Appennino
che si chiama Acquaqueta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
dell’Alpe per cadere ad una scesa”. (Inferno XVI, 94-101)
Settecento anni or sono a Rimini gli abitanti erano divisi in Guelfi e Ghibellini, per cui la loro principale occupazione era quella di combattersi. Giunse allora tra i Riminesi un umile fraticello a parlare di pace e di perdono, di amore. Ma la gente covava nel cuore l’odio e non aveva voglia di ascoltarlo. Il fraticello, allora, si diresse sulle rive della Marecchia e si mise a predicare ai… pesci. Sì, proprio ai pesci, i quali accorsero numerosi e, col musetto fuori dell’acqua stettero ad ascoltarlo. La voce del prodigio si sparse nella città, e la stessa gente che prima non aveva voluto ascoltare il fraticello accorreva ora in folla a sentire la sua parola ispirata. Dimenticavo di dire che l’umile fraticello era sant’Antonio da Padova.
La cittadina di Bertinoro, fondata dai Romani, vana la fama di regina dell’ospitalità. Sulla sua piazza fa ancora bella mostra di sé la Colonna delle anelle, fatta erigere dal conte del luogo nel secolo XIII. Nel Medioevo quando il forestiero entrava in paese, legava le redini del suo cavallo ad uno degli anelli infissi nella colonna, scegliendo in tal modo il suo ospite. Ad ogni anello corrispondeva lo stemma di una famiglia nobile del luogo, che accoglieva il visitatore con generosità e onore.
Ancor oggi a Bertinoro si celebra la giornata dell’ospitalità; quindi, se giungi da lontano, puoi scegliere come un tempo il tuo ospite, prendendo a caso un invito legato con un cordone azzurro ai famosi anelli della colonna.

Curiosità su Reggio Emilia
A Reggio, fuori del Palazzo Comunale è permanentemente esposto per voto unanime del Consiglio Comunale del 29 dicembre 1922, il vessillo tricolore, sotto cui sta scritto : “Qui dove nacque, per sempre”.
Assai diffuso a Reggio Emilia e nel territorio è l’allevamento di piccioni viaggiatori (razze reggiana e triganina). L’uso di far volare i colombi da torricelle sui tetti delle case è antichissimo e se ne trova menzione sin dal XIV secolo. Varie sono qui le Società colombofile, federate in un’associazione provinciale.

Curiosità su Ravenna
Alcuni paesi nei dintorni di Ravenna hanno derivato il loro nome da alcune frasi pronunciate dall’imperatrice Galla Placidia. Si narra che durante una passeggiata a cavallo, elle giungesse accaldata in una località percorsa dal Ronco e che desiderasse bagnarsi in esso. Quando uscì ristorata dalle acque disse: “Questo luogo si chiamerà Bagnola”. E così avvenne. Arrivò poi in un altro paesetto i cui abitanti offrirono brocche di bionda albana alla sovrana. Galla Placidia  bevve avidamente e disse: “Converrebbe berti in oro!”. E il paese divenne Bertinoro. Così Bevano deve il suo nome al coro di grida al seguito di Galla: “Beviamo! Beviamo!”.
Secondo la tradizione la basilica di San Giovanni Evangelista è stata fatta innalzare da Galla Placidia per sciogliere un voto fatto durante la burrasca che la colpì in mare durante il suo viaggio da Bisanzio a Ravenna. Si dice anche che gli avvallamenti presentati dal pavimento della basilica furono voluti espressamente da Galla per ricordare la tempesta a cui era miracolosamente sfuggita.
E’ tradizione che la campana della Dolorosa, una delle campane di San Giovanni Evangelista abbia una voce dolce e triste. E’ questa la campana di Berta, figlia infelice del famoso fonditore Roberto Sassone, che si dice abbia gettato nel bronzo incandescente, pronto per la colata della campana, la grande collana d’oro lasciatale dal promesso sposo Federico Di Barbenga, assassinato alla vigilia delle nozze. Secondo altri non l’oro ma le lacrime di Berta diedero alla campana il timbro mesto e soave.
Una secolare gelosia esiste tra Brisighella e Fognano. Si narra che in una festa da ballo i cittadini di Brisighella non volevano ammettere nessuno degli odiati abitanti di Fognano e perciò ricorsero ad uno stratagemma: sulla soglia della sala da ballo c’era, per terra, quel buco che serve per fermarvi il paletto inferiore della porta; a chi si accingeva ad entrare, due Brisighellati chiedevano a bruciapelo, indicando il buco: “Che cos’è questo?”. Se l’ospite rispondeva: “L’è un bus” (dialetto del paese) lo facevano entrare; se invece, colto alla sprovvista, confessava: “L’è un boghèn” (dialetto di Fognano), “Passa fura t’se d’Fognèn!”, gli si gridava, rimandandolo scornato!

Bologna
Una torre snella, sottilissima, con un piccolo grappolo aereo di merlature. Più piccola, accanto a lei, un’altra torre, obliqua, che pare cerchi protezione nella sorella più alta, esile come uno stelo: la Garisenda, e la Torre che ha un nome che fa sorridere; la Torre degli Asinelli. Bologna rossa, dai grandi portici fulvi, color dell’estate.
(O. Vergani)

Ravenna
Forlì ti si annuncia con due altissime torri, una sormontata da una guglia, l’altra quadrata: Ferrara con un castello che pare incastrato nel terreno: Ravenna, invece, pare si voglia diluire nell’atmosfera dei tramonti sotto un cielo sterminato. Oltre viali di alberi, canali pacati e case silenziose, tu intravedi pinete senza fondo, dune già di sabbie ed ora fertili di messi, chiese d’oro e sepolcreti imperiali, quasi che tu possa scoprire sarcofaghi e diademi sotto il fango mortale delle alluvioni e dei secoli.
La città non ti viene incontro con le braccia aperte delle sue strade; ma se ne sta raccolta, come dentro la corazza della sua storia, muta, discreta, solenne quasi che la ricchezza del suo passato, l’immensità della sua gloria, l’orgoglio di tutto il suo destino l’avessero resa più superba di quanto non si convenga. Cinta di prati e di cipressi, di canali e di argini; inerte di una staticità di secoli, sbiancata dalle guerre e dalla storia; ferma in un assopimento cui una gloria senza misura dà come l’immobilità di scomparse liturgie, ma con una fisionomia così solenne e grande che non puoi fare a meno di restare attonito e colpito.
(C. Di Marzio)

Comacchio
Al di là del canale si apriva la via di Comacchio: un gran nastro che biancicava ancora, snodandosi nella tenebra purpurea; purpurea perchè la via corre fra le acque della valle o laguna, e queste erano così imbevute di sole che parevano come colorate di sangue; e in mezzo a quel rosso tragico delle acque immote, spiccava la linea nera, fastigiata nelle sue torri, della città di Comacchio. Un castello tragico! Una scena da innamorare uno scenografo! Il Dorè avrebbe invidiato quel paesaggio per i suoi fantastici disegni! L’Ariosto l’avrebbe popolato di maghi e di fate. Era semplicemente la patria delle anguille.
(A. Panzini)

Il lido dell’assolata Romagna
Da lontano, anche da molto lontano, vengono qui i bagnanti, preferendo sovente il lido dell’assolata Romagna ad altre spiagge più a portata di casa, ma non così accoglienti e ridenti. Qui si scende nell’acqua percorrendo un lievissimo piano inclinato, senza rocce pericolose e senza gorghi traditori; si arriva alla linea dove l’onda si infrange con cavalcate impetuose di spuma, e ancora si tocca, perchè la spiaggia è regolare e prudente. Nelle mattinate prive di vento il velo marino è teso e non lo sdrucisce una sbavatura. Gioia semplice ma profonda è quella di navigare coi silenziosi mosconi, correndo al largo, dove lo scenario delle colline si ingrandisce e dove è dolce fantasticare sulla celeste vaghezza di San Marino, faro senza luce per l’orientamento dei pescatori.
Sul lido sono le piccole barche ancorate, che l’acqua schiaffeggia. I paesani più vecchi, che non vanno in mare con le paranze, pescano dalla riva, attaccati alla corda della tratta: tira e tira, puntando sei o sette paia di piedi sull’umida rena, l’estremità della rete, calata in mare ad arco, si avvicina sempre più all’altro gruppo di pescatori, che s’affatica all’opposta cima. Il pesce è al centro della rete, in un’insaccatura che giungerà a terra preceduta dai guizzi furiosi della preda scintillante, accortasi che il pericolo aumenta col calare del livello dell’acqua. A cattura ultimata resta sul lido, disseminato di orme umane, qualche asteria o qualche cavalluccio marino, curiosità degli sfaccendati e delizia dei bimbi.
(G. Tibalducci)

Dettati ortografici, letture e poesie sull’Emilia ROMAGNA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Quadretti familiari: preparativi

A volte la sera, in montagna, mio padre si preparava per gite o ascensioni. Inginocchiato a terra, ungeva le scarpe sue e dei miei fratelli con del grasso di balena; pensava che lui solo sapeva ungerle le scarpe con quel grasso. Poi si sentiva per tutta la casa un gran rumore di ferraglia: era lui che cercava i ramponi, i chiodi, le piccozze.
“Dove avete cacciato la mia piccozza?” tuonava, “Lidia! Lidia! Dove avete cacciato la mia piccozza?”
(N. Ginzburg)

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Quadretti familiari: a passeggio con papà

Mio padre… mi portava ogni domenica, fin da bambino, fuori di porta.
Si andava via doli dopo mangiato, senza parlare, il babbo sapeva certe strade solitarie, deserte, fuori mano, dove si camminava adagio per ore intere e senza incontrare un’anima. Non sempre, veramente: qualche volta ci s’imbatteva in un prete, in un contadino, in una vecchia. Ci salutavano e si tirava di lungo.
Il babbo era quasi sempre sovrappensiero; io ruminavo fra me… ingenui abbozzi di idee. Ma guardavo.
(G. Papini)

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Quadretti familiari: la mamma piccina
Mi rammento che, quando ero stanco di correre, andavo a sedermi davanti alla tavola del tè sul mio alto seggiolino. Era già tardi… e gli occhi mi si chiudevano dal sonno; ma non mi muovevo: restavo lì fermo e ascoltavo. Come non ascoltare? La mamma parla con alcune persone…
La guardo fisso fisso con gli occhi offuscati dal sonno e ad un tratto ella diventa piccina piccina: la sua faccia non è più grande di uno dei miei bottoni, ma la distinguo nettamente e vedo che mi guarda e mi sorride… Chiudo ancor più le palpebre, ed ella diminuisce, diminuisce…
Ma, ecco, mi sono mosso e l’incanto è rotto. Chiudo ancora gli occhi, cambio posizione, faccio di tutto per richiamare quell’immagine, ma non ci riesco…
(L. Tolstoj)

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Quadretti familiari: lo zio

La piccina ordinò allo zio di sedere e gli si arrampicò sulle ginocchia. “Perchè sei venuto?” disse ella. “Non c’è mica, sai il pranzo per te”.
“Me lo farai tu il pranzo. Son venuto per stare con te”.
“Sempre?”
“Sempre.”
“Proprio sempre sempre sempre?”
“Proprio sempre sempre.”
Maria tacque pensierosa. Poi domandò: ” E che cosa mi hai portato?”
Lo zio si levò di tasca un fantoccio di gomma.
“E’ brutto questo regalo” dissuggella ricordando di altri dello zio. “E se resti qui non mi porti più niente?”
“Più niente”.
“Va’ via, zio” diss’ella.
Lo zio sorrise.
(A. Fogazzaro)

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Quadretti familiari: il fratellino minore
L’ho davanti a me, piccolo, nero, vivo come un razzo. Era come una trottola: no, come un ciottolo lasciato che appena si derma, cade lungo disteso per terra. Dove arrivava si arrampicava e arrivava da per tutto. Non capisco come mai un bimbo così piccolino riuscisse a mettere l’una sull’altra tante sedie e sgabelli; ma ci riusciva, si arrampicava e appena arrivava in cima alla catasta rovinava giù con un fracasso indiavolato, che faceva accorrere spaventate tutte le donne di casa.
Cascava dalla tavola, dal letto, dai bauli, ruzzolava giù per le scale dieci volte al giorno, sì che aveva la fronte e il capo gonfi di bernoccoli.
(V. Brocchi)

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Quadretti familiari: il lume dell’altra casa
Fu una sera, di domenica, al ritorno da una lunga passeggiata. Tullio Buti aveva preso in affitto quella camera da circa due mesi. La padrona di casa, signora Nini, buona vecchietta all’antica, e la figliola ormai zitellina appassita, non lo vedevano mai. Usciva ogni mattina per tempo e rincasava a sera inoltrata. Sapevano che era impiegato  al Ministero di Grazia e Giustizia; che era anche avvocato; nient’altro. La cameretta, piuttosto angusta ammobiliata modestamente, non serbava traccia dell’abitazione di lui. Pareva che di proposito, con studio, egli volesse restarvi estraneo, come in una stanza d’albergo. Aveva sì, disposto la biancheria nel cassettone, appeso qualche abito nell’armadio; ma poi, alle pareti, sugli altri mobili, nulla: né un astuccio, né un libro, né un ritratto; mai sul tavolino qualche busta lacerata; mai su qualche seggiola un capo di biancheria lasciato, un colletto, una cravatta, a dar segno che egli lì si considerava in casa sua.
(L. Pirandello)

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Quadretti familiari: Geppetto fa il burattino Pinocchio
Dopo la bocca gli fece il mento, poi il collo, le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.
Appena finite le mani  Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su, e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano al burattino.
“Pinocchio!… rendimi subito la mia parrucca!”
E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la mise in capo, rimanendovi sotto mezzo affogato.
A questo sgarbo insolente e derisorio, Geppetto si fece triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua: e voltandosi verso Pinocchio gli disse: “Birba d’un figliolo! Non sei ancora finito di fare e già cominci di mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!”
E si asciugò una lacrima.
(C. Collodi)

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Composizione del nucleo familiare

Come ti chiami?
Come si chiama il tuo papà?
E la tua mamma?
Hai fratelli e sorelle? Quanti? Qual è il loro nome?
Ci sono altri parenti che vivono con te? Chi sono? Come si chiamano?

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Aspetto dei familiari

Osserva bene ciascuna persona della tua famiglia; com’è?
Che statura ha? (Alta, bassa, normale)
Com’è la sua corporatura? (Robusta, normale, sottile)
Di che colore sono i suoi capelli? Come sono? (Ricci, ondulati, lisci)
E i suoi occhi quale colore hanno?
Com’è la sua voce?
Osserva ognuno dei tuoi familiari quando mangia, quando parla, quando ascolta, quando legge, quando scrive, quando riposa: ha qualche speciale abitudine? Compie qualche gesto caratteristico? Quale?
Quali sono i membri della tua famiglia che si assomigliano di più? In che cosa si assomigliano?

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Storia della famiglia

In che anno è nato ciascun membro della tua famiglia?
C’è qualcuno tra i tuoi zii o zie paterni e materni che sia sposato? Ha figli? Quanti? Conosci il nome di tutti i tuoi cugini?
Quali sono i parenti che vengono più spesso a farti visita? Sei contento quando vengono da te? Tu vai spesso a trovarli? Se stai molto tempo senza vederli, sei contento quando vai da loro o essi vengono da te? Che fai quando sei in loro compagnia? Quali sono i tuoi parenti per i quali provi più simpatia?

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Affetti familiari

Vi sono momenti della giornata in cui la tua famiglia si trova tutta riunita? Quando? Quale di questi momenti è quello che tu preferisci? Sei contento quando i tuoi familiari sono riuniti intorno a te? Se qualcuno di loro è assente, ti dispiace?
I tuoi familiari sono sempre contenti di ciò che tu fai?
Nella tua famiglia si usa ricordare gli onomastici e i  compleanni dei vari membri? In che modo? Hai mai avuto occasione di fare dei doni ai tuoi genitori o ai tuoi fratelli? Come li hanno accolti? E tu, ne ricevi spesso di doni? In quali occasioni? Sei più contento quando li ricevi, i doni, o quando li fai?

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
Il lavoro dei familiari

Quanti sono i tuoi familiari che lavorano? Quali sono? Quale lavoro svolge ognuno di essi?
A che ora cominciano il lavoro? A che ora finiscono? Per recarsi al lavoro indossano un tenuta da lavoro? Com’è?
Dove lavorano? Il luogo dove lavorano è vicino a casa o è lontano? Di quale mezzo si servono per recarvisi?
Cosa fanno quando tornano dal lavoro? Sono stanchi? Tu fai qualcosa per aiutarli? Che cosa?
Hai mai osservato quanti lavori compiono in casa nel corso di una giornata? Prova ad elencarli.
Avanza loro molto tempo per riposare? Sono stanchi, quando è sera? Tu li aiuti nel corso della giornata? In che modo? Quando ti chiedono di aiutarli lo fai volentieri oppure ti fai pregare per accontentarli?
Qual è il lavoro dei tuoi zii? Hai anche dei cugini che lavorano? Qual è il loro lavoro?
Perchè lavorano il tuo papà, la tua mamma, i tuoi fratelli? A che serve il loro guadagno? Anche tu dovrai andare a lavorare da grande? Quale lavoro ti piacerebbe fare? Perchè?
Anche ora che sei un bambini, hai dei lavori da svolgere? Quali? Qual è il lavoro di un bambino che va a scuola? E’ importante farlo bene, questo lavoro? Perchè?

LA FAMIGLIA dettati ortografici e letture
La mia famiglia

La mia è una famiglia felice perchè rispetta il prossimo, non guarda mai nella cassetta delle lettere degli altri, e prima di stendere la biancheria, avverte sempre i vicini del piano di sotto. In casa si dice che bisogna avere rispetto degli altri, perchè le famiglie sono come delle tessere di un grande mosaico, che rappresenta l’umanità. Se una tessera è guasta oppure stonata, si vede subito, e allora bisognerebbe cambiarla. E per essere delle famiglie per bene, ci vuole il rispetto reciproco dei genitori, l’obbedienza dei figli e la carità verso i vecchi, che sono un poco come i bambini. Nella mia famiglia ci sono tutte queste cose, ed esistevano già quando io non c’ero ancora e i miei genitori erano giovani e non avevano figli. Il mio papà dice sempre: “Una famiglia onesta e dignitosa fa la stessa figura di uno stato potente e ben organizzato; perchè uno stato potente e organizzato non è altro che la somma di tante famiglie come la nostra”.
Siamo proprio una famiglia felice: cinque persone che si vogliono tutto il bene del mondo: papà, mamma, io, la nonna di ottant’anni che sferruzza ancora tutto il giorno senza portare gli occhiali, e quel frugoletto di Paolino che ha appena quattro anni e combina già tante marachelle. I capi della ‘tribù’ (una parola che piace tanto alla mamma) sono il papà e la mamma. Il papà va in Municipio per le pratiche, in Farmacia per le medicine, e quando fa il turno di notte (lavora in una fabbrica di automobili), impiega tutta la mattina a far la spesa al mercato. La mia cara mamma ha folti capelli annodati sulla nuca e due fossette sulle guance. E’ alta, ben piantata (non ha timore di ingrassare); è proprio una bella mamma. La nonna invece, con un dente solo e tutti i capelli bianchi, è minuta come una bambola, e certe volte sembra proprio che i vestiti camminino da soli.  Non sente più niente, neanche se le bombardassi le orecchie con un megafono. Sorride sempre, mostrando il dente, e sferruzza: calze, magliette, per me, per il babbo, per Paolino. Ride, non sente e sferruzza: la sua giornata è quella. “Sia benedetta quella donna” dice sempre il babbo, “portatele rispetto. Se non ci fosse stata lei, non ci sarei io, e non ci sareste neppure voi”.
L’ultimo in graduatoria è Paolino: quattro anni, l’argento vivo addosso, dei dentini che se ti mordono lasciano il segno blu per dieci minuti, e una cascata di perchè. Perchè questo, perchè quello.
La mia famiglia è arrivata due anni fa dal sud. Prima abitavamo fuori città in una casupola che era servita da stalla per le mucche. Ci ridevano sempre dietro, perchè il babbo non parlava l’italiano. Adesso siamo in città, e la nostra casa è un alloggetto all’ultimo piano di un grattacielo. Alcuni la chiamano soffitta, ma invece è un tale paradiso di sole, che sembra di essere ancora a Sorrento. Non paghiamo l’affitto  perchè la mamma se lo guadagna pulendo le scale di tutta la casa. Uno scalino, due scalini, trecento scalini; e tutte le porte con la targa di ottone e uno spioncino che serve agli inquilini per vedere chi preme il campanello. Affitto gratuito, dunque, e molti regali a Natale.
Il babbo lavora in fabbrica, una settimana di notte, l’altra settimana tra mattina e pomeriggio. Quando fa il turno di notte, la giornata è più serena perchè a pranzo di siamo tutti. Le altre volte io mi siedo al suo posto.
Adesso che ci siamo ambientati (quanta fatica in principio, specie d’inverno, senza cappotto e col mio dialetto che non lo capiva nessuno…) la vita è proprio bella. Ridiamo sempre, specie se ci siamo tutti, e talvolta vengono dei signori del palazzo a trovarci perchè dicono che “si respira aria pura, come ai tempi d’una volta”.
E’ proprio vero. Papà e mamma,  sono sempre stanchi, ma sorridono. Paolino è un incosciente che si mordicchia il pollice tutto il giorno, dandoci una montagna di soddisfazioni. A poco a poco la nostalgia del nostro cielo e del nostro mare ci sta lasciando. Anche qui è molto bello, nonostante le ciminiere che mandano fumo.
Dimenticavo una cosa molto importante; da quando è nato Paolino, c’è una signora che non vuole rivelare il suo nome, la quale tutti i mesi consegna una busta di soldi alla mamma. E’ una benefattrice, e quel denaro cade proprio al punto giusto. Paolino non lo capisce ancora, ma quando sarà più alto, avrà tutti i suoi buoni motivi per ringraziare la provvidenza. Per intanto, tutte le volte che arriva la busta, gli regaliamo un confetto speciale ed egli se lo conficca tutto in bocca per grande che sia. Il babbo se lo guarda per delle ore, ripetendo fino alla noia: “Tutto suo nonno, guarda, mamma, come gli somiglia; tutto suo nonno. Se fosse ancora vivo, sarebbe ancora più bello…”. Poi afferra Paolino tra le braccia, se lo stringe a lungo e mormora fra sè: “Contentiamoci, contentiamoci… siamo fortunati”.
(M. Fracchia)

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Il corpo umano OSSA E MUSCOLI materiale didattico

Il corpo umano OSSA E MUSCOLI materiale didattico
Domande per la conversazione e per il lavoro di ricerca
Perchè il nostro corpo può tenersi ben eretto?
Come si chiamano quegli organi che permettono all’uomo di muoversi e compiere degli sforzi?
Quando sollevi un peso la parte superiore del tuo braccio si gonfia e si irrigidisce.
Noi abbiamo i muscoli soltanto nelle braccia e nelle gambe?
Secondo te ci sono dei muscoli che si contraggono anche quando noi non lo vogliamo?
Per conservare in piena efficienza i muscoli, occorre esercitarli con regolarità e moderazione, praticando ginnastica e sport. Quale sport pratichi?
Sai dire che cos’è una frattura?
Quali norme igieniche devi osservare per mantenere alla tua colonna vertebrale una eretta posizione?
Che cosa sono i muscoli? Quali forme possono avere? Qual è la principale proprietà dei muscoli? Quale funzione fondamentale compiono? Che cosa sono i tendini?
A che cosa servono i muscoli? Perchè alcuni si dicono volontari e altri muscoli involontari? Sai indicare alcuni muscoli volontari e alcuni muscoli involontari?
Quali funzioni ha e da quali parti è costituito lo scheletro dell’uomo?
Quali forme possono avere le ossa?
Come possono essere le articolazioni delle ossa?
Quali sono le principali ossa di ciascuna parte del corpo?
In caso di frattura delle ossa, come occorre comportarsi?

Il corpo umano OSSA E MUSCOLI materiale didattico
Funzioni dello scheletro

Il corpo è sostenuto da circa duecento ossa che, tutte insieme, formano lo scheletro. Lo scheletro è l’impalcatura del nostro corpo. Esso assolve tre funzioni fondamentali: permette di tenere la posizione eretta; protegge le parti molli e delicate del nostro organismo (come il cervello, il cuore, i polmoni); consente di compiere i movimenti mediante l’azione dei muscoli.
(G. Petter)

Il corpo umano OSSA E MUSCOLI materiale didattico
Tipi di ossa

Nel nostro corpo distinguiamo tre tipi di ossa: le ossa lunghe (come, ad esempio, quelle delle braccia e delle gambe); le ossa piatte o larghe (come quelle del cranio e della faccia); le ossa corte (come quelle dei polsi).
Nelle ossa lunghe è contenuto il midollo osseo, una sostanza molle e molto ricca di vasi sanguigni. Parte del midollo è destinata alla produzione dei globuli rossi del sangue.
(G. Petter)

Il corpo umano OSSA E MUSCOLI materiale didattico
Lo scheletro del capo

Lo scheletro viene diviso in tre parti:
1. scheletro della testa
2. scheletro del tronco
3. scheletro degli arti (cioè delle braccia e delle gambe).
Lo scheletro della testa è formato dalle ossa del cranio e dalle ossa della faccia. Il cranio è una robusta scatola  ossea che contiene e protegge il cervello, il cervelletto e il midollo allungato. Le ossa della faccia sono quattordici e solo una di esse è mobile: il mascellare inferiore o mandibola.
(G. Petter)

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Lo scheletro del tronco

Lo scheletro del tronco comprende la colonna vertebrale e la gabbia toracica.
La colonna vertebrale è composta da 33 vertebre, a forma di anelli, sovrapposte e separate tra loro da piccoli cuscini o, più precisamente, da dischi di sostanza meno dura di quella ossea. Nella colonna vertebrale è racchiuso e protetto il midollo spinale.
La gabbia toracica è formata dalle costole e dallo sterno. Le costole sono dodici paia di ossa piatte articolate con le vertebre dorsali. Le prime sette paia di costole si dicono costole vere o sternali perchè si attaccano direttamente allo sterno, un osso piatto che si trova nella parte anteriore del torace. La gabbia toracica protegge il cuore e i polmoni.
(G. Petter)

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Lo scheletro degli arti

Gli arti sono distinti in arti superiori (le braccia) e in arti inferiori (le gambe). Gli arti superiori si uniscono al tronco con il cinto scapolare o toracico. Esso corrisponde alla spalla ed è formato da due scapole e da due clavicole.
Il braccio è diviso in cinque parti: il braccio vero e proprio formato dall’omero; l’avambraccio formato dall’ulna e dal radio; il polso con ossa del carpo; la mano con le ossa del metacarpo; le dita con le falangi.
Gli arti inferiori si uniscono al tronco con la cintura addominale o bacino.
La gamba comprende: la coscia con l’osso del femore; la gamba con la rotula, la tibia e il perone (o fibula); il tallone con le ossa del tarso; il piede con le ossa del metatarso; le dita con le falangi.
(G. Petter)

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Le articolazioni

Le ossa sono connesse tra loro mediante giunture o articolazioni.
Esse possono essere di tre tipi, secondo le funzioni che sono destinate a compiere. Per esempio, le articolazioni del ginocchio o del femore, che permettono ampi movimenti degli arti inferiori, si dicono articolazioni mobili.
Le articolazioni della colonna vertebrale e quelle che si trovano tra le costole e lo sterno, che concedono solo limitati movimenti, si chiamano articolazioni semi-mobili, cioè mobili solo per metà.
Le articolazioni delle ossa del cranio, che non tollerano nessun movimento, si dicono articolazioni immobili.
(G. Petter)

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La colonna vertebrale

Piegate un braccio dietro la schiena. Allungate la mano, dietro, fino in mezzo alle spalle; ora scendete verso il basso, sempre scivolando con le dita lungo la metà della schiena. Sentite? Sembra di scivolare con le dita lungo una fila di palline. Ognuno di questi piccoli nodi duri che sentite è una vertebra.
Quella che voi sentite con le dita è la spina dorsale, cioè l’insieme delle punte delle vertebre, le quali sono sovrapposte le une alle altre e formano la colonna vertebrale.
Alla colonna vertebrale sono collegate le altre ossa del nostro corpo.
La vertebra più in alto della colonna vertebrale regge la testa. Le vertebre del collo si muovono facilmente e fanno muovere la testa.
(G. Petter)

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Perchè le dita della mano possono toccarsi e quelle del piede no?

Osserva la tua mano contro la luce di una forte lampadina: la carne appare rosea e quasi trasparente; si vedono anche le ossa delle dita, più scure. Piega una ad una le dita della mano; nella mano ci sono tanti ossicini collegati l’uno all’altro, che permettono di fare tanti movimenti; muovendo le ossa della mano, riusciamo a toccare col pollice tutte le altre dita.
Per questo con la mano possiamo fare tante cose; la mano può servire come pinza, come martello, come pala…
Osserva invece il piede; si sono molti ossicini anche qui, ma il pollice non riesce a toccare le altre dita; con il piede non possiamo prendere oggetti, il piede serve solo per camminare ed è la base su cui poggia tutto il nostro corpo; infatti, per dire ‘ stare dritti’ diciamo ‘stare in piedi’.
Avete mai provato a far stare in piedi una figura di cartone?
Più grande è la figura, più grande deve essere la base su cui si appoggia.
I piedi sono la nostra base. Più alto è un uomo, più lunghi sono i suoi piedi. Ogni anno, via via che crescete, la mamma vi deve comprare scarpe più grandi.
(G. Petter)

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Lo scheletro degli animali

Il nostro scheletro è simile a quello degli altri mammiferi. Nonostante questi abbiano (generalmente) quattro zampe, notiamo che in essi la disposizione delle ossa è simile alla nostra.
Dato il grande sviluppo del cervello, la fronte dell’uomo è molto più pronunciata che negli altri animali.
In molti mammiferi terrestri le dita, sia degli arti anteriori, sia degli arti posteriori, sono talvolta saldate, a due o tre insieme, con le unghie trasformate in zoccoli (come nel cavallo e nei bovini).
Nei cetacei gli arti anteriori sono trasformati in pinne e gli arti posteriori mancano; la coda è formata dalla pelle.
Nei pipistrelli le dita della mano sono molto grandi rispetto al corpo; servono a sostenere una membrana che sembra un’ala.
In molti animali (come il gatto, la lepre, il coniglio, il canguro e, tra gli anfibi, la rana) gli arti posteriori sono molto più sviluppati di quelli anteriori: si tratta di animali che procedono a salti e possono compiere lunghi balzi.
Negli animali acquatici, sia mammiferi (foca, lontra, castoro) sia uccelli (oca, anatra) sia anfibi (rana) sia rettili (tartaruga), le dita sono unite da una membrana palmare.
Nei pesci gli arti anteriori e posteriori sono trasformati in pinne; negli uccelli gli arti anteriori sono trasformati in ali. Le ossa degli uccelli, estremamente porose, sono collegate con sacche di aria. Ciò contribuisce a conferire leggerezza ai volatori. Inoltre, lo sterno a forma di carena dà al loro corpo una sagoma aerodinamica, atta a fendere l’aria.
Nei serpenti osserviamo che le costole, sul davanti, non sono saldate allo sterno, ma sono libere. Ciò permette snodatezza nei movimenti, indispensabile per lo spostamento perchè, com’è noto, i serpenti, non avendo zampe, si muovono strisciando. La mandibola dei serpenti non è articolata direttamente al cranio, ma attraverso un osso, detto osso quadrato. Questo permette ai rettili una enorme apertura boccale, che consente loro di ingoiare animali interi. Il che supplisce alla mancanza di denti.

Il corpo umano OSSA E MUSCOLI materiale didattico
Che cosa sono i muscoli?
I muscoli sono la carne del nostro corpo. Noi abbiamo molti muscoli perchè moltissimi sono i movimenti che facciamo.
Prova ad aprire e chiudere gli occhi; prova ad aprire e chiudere la bocca; prova a girare la testa; mettiti seduto; corri; salta; cammina: puoi fare questi movimenti perchè i muscoli che hai nella testa, nella faccia, nel collo, nella schiena, nel petto, nelle gambe, nelle braccia, nelle mani, nei piedi, si allungano e si accorciano, si stringono e si allargano, e così mettono in movimento le ossa dello scheletro.

Il corpo umano OSSA E MUSCOLI materiale didattico
I muscoli e il movimento

Noi quindi possiamo muoverci e compiere degli sforzi grazie ai muscoli che sono distribuiti in tutte le parti del nostro corpo e si possono vedere più chiaramente nelle braccia e nelle gambe. Essi hanno forme varie e sono di un colore rosso vivo.
I muscoli sono uniti alle ossa per mezzo di cordoni duri e bianchi detti tendini (e non nervi, come si dicono comunemente). Accorciandosi e distendendosi i muscoli muovono le ossa e quindi, come abbiamo detto, permettono al nostro corpo di compiere i movimenti.
Sono volontari i muscoli che obbediscono agli ordini dati dal cervello e muovono la lingua, le labbra, gli occhi, la testa, il tronco e gli arti.
Sono involontari quelli che costituiscono la muscolatura dello stomaco, del cuore, dei polmoni e degli intestini. Essi agiscono indipendentemente dalla nostra volontà.

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La forza dei muscoli

Comandati dal sistema nervoso, i muscoli lavorano ed esplicano una tale forza da stupire. Anche prendendo come esempio elementi non eccessivamente grandi quali quelli della mandibola, che servono alla masticazione, vediamo che la loro forza è molto superiore a quanto comunemente si crede.
Nel caso in cui si rompa una nocciola coi denti, esercitano una pressione che varia tra gli ottanta e i cento chilogrammi. Robustissimi e laboriosissimi, i muscoli hanno grande bisogno di assimilare nutrimento, e in particolar modo grassi e zuccheri.
Se voi fate una lunga gita in montagna o nuotate per lungo tempo o eseguite esercizi fisici faticosi, il mezzo migliore per ridare ai vostri rossi servitori l’energia necessaria è quello di mangiare una buona dose di zollette di zucchero. Lo zucchero, infatti, per quanto riguarda il lavoro muscolare, è assai più indicato della carne: infatti poco più di 170 grammi di zucchero sostituiscono vantaggiosamente oltre 700 grammi di buone bistecche.

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I muscoli negli animali

Nei mammiferi sono sviluppati i muscoli delle orecchie (che rendono mobili i padiglioni) e il muscolo pellicciaio posto sotto la pelle (che, nel caso del riccio, permette all’animale di avvolgersi a palla).
Negli uccelli volatori sono sviluppati i muscoli pettorali.
Nei serpenti e nei pesci i muscoli permettono lo strisciare e il nuoto.
Negli anfibi (rane) i muscoli delle zampe favoriscono il salto.

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Igiene del movimento

Il movimento è una necessità per il nostro organismo. Se non ci muovessimo mai, tutti gli organi si indebolirebbero e, a lungo andare, il corpo stesso finirebbe per perire.
Perchè il moto sia veramente utile, e non dannoso, occorre però tener conto di alcune norme, dettate dal buon senso prima ancora che dall’igiene.
Innanzitutto, niente strapazzi! Ogni sforzo, quando è richiesto, deve essere compiuto nella giusta misura: chi abusa delle proprie forze finisce col perderle e col danneggiare non soltanto lo scheletro e i muscoli, ma anche il cuore, i polmoni, i nervi e tutti gli altri organi del corpo, con conseguenze molto gravi.
Si riposi quanto occorre poichè il riposo giova al corpo più ancora dell’alimento: i muscoli stanchi riacquistano le forze perdute, e l’organismo è messo nelle condizioni di affrontare e superare agevolmente nuove fatiche.

Il corpo umano: OSSA E MUSCOLI – materiale didattico – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici e letture sul VENETO

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Veneto: cartina fisica
Confini: Mar Adriatico, Friuli Venezia Giulia, Austria, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna
Lagune: Laguna Veneta, Laguna di Caorle
Monti: Alpi Orientali (Dolomitiche e Carniche); cime più alte: Civetta, Marmolada, Le Tofane, Cristallo, Cime di Lavaredo, Sorapis, Antelao. Prealpi Venete (Monti Lessini, Altopiano di Asiago, Prealpi Bellunesi); cime più alte: Monte Baldo, Cima Carega, Monte Grappa
Valli: Alta Valle del Piace, d’Auronzo, del Cordevole
Valichi: Pordoi, Falzarego, Monte Croce di Comelico, Mauria
Colline: Montello, Monti Berici, Colli Euganei
Pianure: Veneta, Polesine
Fiumi: Po col suo affluente Mincio, Tartaro, Adige, Brenta col suo affluente Bacchiglione, Sile, Piave con i suoi affluenti Boite e Cordevole, Livenza, Tagliamento
Canali: Adigetto, Bianco
Laghi: di Garda, di Santa Croce, di Misurina, di Alleghe
Isole: di Murano, di Burano

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Osserviamo la cartina

Il Veneto è così chiamato dagli antichi popoli che lo abitarono: gli Euganei prima, i Veneti poi. E’ protetta al nord dalle Dolomiti e dalle Prealpi Venete che degradano dolcemente, con valli pittoresche, fino alla pianura; questa si affaccia sull’Adriatico con una zona litoranea a costa bassa, sparsa di lagune.
Solcata dai fiumi Adige, Brenta e Piave, la regione è ricca di acque; la terra è fertilissima. Appartiene al Veneto anche la riva sinistra del Lago di Garda.
Per la particolare feracità del suolo, il Veneto ha nell’agricoltura una grande fonte di ricchezza. Sui monti, i boschi danno ottimo e abbondante legname, e gli estesi pascoli permettono l’allevamento di bovini ed ovini.
Sulle colline si coltivano gli alberi da frutto e la vite, che produce i noti vini di Valpolicella, di Bardolino e di Soave.
Nella pianura si coltivano frumento, granoturco, barbabietole da zucchero e tabacco.
In provincia di Verona è curato l’allevamento dei cavalli.
Notevole è la pesca delle anguille nelle lagune; esercitata con profitto è anche la piscicoltura.

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Sguardo d’insieme

Il Veneto era anche chiamato Venezia Euganea, nome derivato dai Colli Euganei che sorgono nel mezzo della pianura, presso Padova, e che anticamente erano vulcani.
Vulcani in questa pianura solcata in ogni senso da fiumi, da canali e da navigli più che qualunque altra parte d’Italia? Se era fondo di mare e col mare lotta ancora!
Sì, vulcani! E dovevano offrire un interessante spettacolo quelle isolette, ora colline, quando fiammeggiavano e rumoreggiavano sull’acqua.
Ora sui Colli Euganei ridono le vigne. Tutto intorno mareggiano non più i flutti salati, ma le messi biondeggianti del grano, del granoturco, o col variare delle stagioni, verdeggiano le praterie i gelseti e le canapine; oppure spiccano bruni i campi arati per la semina dell’orzo, dell’avena, della segale, del tabacco.
E quegli specchi d’acqua che brillano?
Sono le risaie.
E quelle chiazze rosee, là in quei boschi di alberi bassi e regolari, specialmente intorno a Verona?
Sembrano boschi di lillipuziani, e sono pescheti…
Verona è anche un centro agricolo di notevole importanza e ogni anno vi si tiene una fiera di cavalli che attira visitatori da tutta Italia e da fuori.
Le montagne del Cadore sono rivestite di oscure selve di abeti.
Sulla Laguna e sul mare aperto si slanciano i bragozzi a vele spiegate. Pescano migliaia di quintali di pesce l’anno, e hanno marinai che per settimane intere sanno resistere ai venti ed ai marosi fra le scogliere dell’Istria e della Dalmazia.
Centro della vita veneziana è Piazza San Marco, vasta sala marmorea, che ha per tetto il cielo, palpitante delle ali dei suoi innumerevoli colombi.

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L’alta pianura veneta
L’alta pianura veneta comincia già verso i 50 metri sul mare e sale dolcemente incontro ai colli subalpini. In certi tratti si restringe molto o quasi scompare (come al piede dei Lessini). Vi scorrono alcuni fiumi e torrenti che vengono dalla montagna. Da questi corsi d’acqua è stato diramato qualche canale e così il paesaggio della campagna ci offre anche prati da foraggio irrigati.
Lo sguardo si posa dovunque su una campagna tutta coltivata e ripartita in modo assai regolare da allineamenti di gelsi e talora d’alberi da frutto, e più ancora da alberi cui maritano le viti, e da filari meno vistosi di viti appoggiate a sostegni morti. Alternano nei campi le diverse gradazioni di verde del grano e del granoturco, dei fagioli e delle leguminose foraggere, e anche spiccano qua e là, nei campi della parte veronese e vicentina, le ampie foglie del tabacco.

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La bassa pianura veneta

Dalle vicinanze dell’Adige fin oltre il Piave, la bassa pianura veneta offre dovunque la vista di campagne ridenti e fittamente abitate. Alternano nei campi il frumento, il granoturco, la barbabietola, i fieni. Le alberature a filari dividono a riquadri il terreno, e la vite diffusissima appoggia i suoi festoni a olmi, aceri, pioppi, salici.
La presenza e la proporzione delle diverse colture variano anche secondo la fertilità del suolo, mentre le richieste del mercato hanno incoraggiato qua e là le colture orticole e più ancora l’impianto di frutteti, i quali offrono uno spettacolo magnifico specie all’epoca della fioritura.
Le abitazioni rurali sparse sono molto numerose: case in genere modeste, spesso tinteggiate di colori rosati. Spiccano qua e là alcune boarie, complessi di edifici staccati e disposti a corte più o meno aperta, con vistosità della stalla e dei grandi fienili, in quanto corrispondono a vaste aziende cerealicolo-zootecniche. Oppure fan bella mostra di sé vile signorili, spesso di singolare grazia.

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I colli Euganei

Il nome ufficiale della regione è ‘Veneto’, ma un tempo non molto lontano essa era chiamata col nome di Venezia Euganea derivato dai colli Euganei che sorgono nel mezzo della pianura, presso Padova, e che anticamente erano vulcani.
“Vulcani i colli Euganei!” direte voi, “I vulcani in questa pianura solcata in ogni senso da fiumi, da navigli e da canali più che qualunque parte d’Italia? Ma se conserva ancora, si può dire, le tracce di quando era fondo di mare, e col mare lotta ancora e quasi si confonde nelle estreme lagune!”.
Sì, i vulcani! E dovevano offrire uno spettacolo interessante quelle isolette, ora colline, quando fiammeggiavano e rumoreggiavano sull’acqua.
Ora sui colli Euganei ci sono le vigne. Tutto intorno ondeggiano non più le acque salate, ma le messi del grano e del granoturco o, col variare delle stagioni, verdeggiano le praterie, oppure spiccano bruni i campi arati per la semina dell’orzo, dell’avena, della segale, del tabacco.

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Paesaggio lagunare

Attraverso i secoli la vita delle lagune ha trovato le sue basi nell’attività peschereccia, marinara e mercantile.
La pesca offre tuttora aspetti caratteristici mentre non manca l’attività agricola sugli antichi cordoni sabbiosi dei delta, sui lidi, in alcune isole: molto concentrata, ma anche molto caratteristica, perchè intensiva e fondata essenzialmente sula vite e sugli ortaggi.
Ne sorgono così piccoli lembi di uno speciale paesaggio orticolo rappresentato in modo tipico e più estesamente intorno a Chioggia e a sud fino all’Adige, su vecchie dune spianate dall’uomo e diventate fertili con l’assiduo lavoro e le abbondanti concimazioni. Aiuole strette e lunghe, dense di ortaggi e di patate primaticce, e anche di viti, si susseguono l’una all’altra.
Una nota speciale vi portano i cannicci che in certe stagioni si stendono su sostegni inclinati, a protezione dal vento marino e dal freddo.

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Adige, re dei fiumi

Adige, re dei fiumi“: così Adriano Valerini, autore veronese del ‘500, innamorato della sua città e della sua terra, chiama il grande fiume, precisando però, che qui ci sono altre… somme autorità: “Benaco, imperador de i laghi, il Carpione, monarca de i pesci“.
Certo, il grande fiume dalle sorgenti tanto lontane, dal percorso mutevole e dalle impennate tanto furiose, ha accentrato su di sé, di volta in volta, l’attenzione, le cure, le apprensioni, la paura della terra e degli uomini di cui, in fondo, è quasi sempre il benefattore, a volte il tiranno.
Lo si vede giungere già formidabile alle Chiuse, dopo essersi impossessato di tante acque altoatesine e trentine, e arricchirsi di tutti i corsi d’acqua che scendono dai Lessini e che non hanno né tempo né spazio sufficienti per divenire fiumi. Per contenere le improvvise piene primaverili sono stati costruiti, ampliati, rinnovati, argini degni del ricordo di Dante, ma nemmeno questi, a volte, nel corso delle cento e cento inondazioni, hanno resistito. Anche Verona sa cosa significhi una piena rapida e violenta, allorché le acque, che sanno ancora di neve e di ghiaccio, urgono contro i Lungadige e dilagano verso la campagna tumultuando entro gli argini pensili e i grandi canali di deflusso.
Il fiume attraversa la città di Verona con andamento sinuoso, carezzevole, ricorda un poco il Canalazzo veneziano, quindi dopo un angolo retto sembra voler accettare la sorte di tanti altri fiumi e piega verso il Po; ma dopo Legnago, l’Adige ci ripensa, si riprende, punta energicamente verso oriente e raggiunge con una foce sue il mare.

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L’Adige non fa più paura

Da Verona in poi l’Adige è pensile e scorre fra potenti argini. Prima che gli argini venissero costruiti rappresentava un grosso pericolo per le fertili campagne che lo fiancheggiavano perchè, nei periodi di piena, gli argini denunciano infiltrazioni d’acqua che ne minacciavano seriamente la consistenza. Oggi, invece, nessuno più lo teme, perchè finalmente è stato portato a termine il canale Adige-Garda che consente di convogliare al lago le acque di esubero prima che il fiume trabocchi in pianura. Lo chiamiamo canale, ma in realtà è una galleria lunga 10 chilometri, alta 9 metri e larga 8, tutta scavata nella roccia, che parte nei pressi di Mori, a nord di Verona, e raggiunge Torbole, sulla riva orientale del Garda, dopo aver attraversato il Monte Faè.
Il vecchio Adige è diventato il più tranquillo dei fiumi e delle sue piene si sta perdendo anche il ricordo.

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Il monte Grappa

Spostiamoci ora rapidamente nel settore nord-orientale della provincia e, oltrepassata Bassano col suo celebre Ponte degli Alpini, imbocchiamo la strada che si inerpica sui brulli costoni del monte Grappa, caro alla memoria e immortalato da una canzone popolare. Per i pendii del Col d’Averto e del Col Campeggia si giunge al Campo di Solagna, la cui terrazza è strapiombante sulla profonda valle del Brenta.
Più su, a Ponte san Lorenzo, oltrepassiamo il punto della massima avanzata austriaca del 15 giugno 1918 e pieghiamo sul fianco meridionale del monte Asolone (m 1520) per risalire, tra un paesaggio carsico di impressionante squallore, fin verso i 1700 metri, dove comincia la ‘zona sacra’.
La vetta del Grappa è a 1776 metri, ma non si offre più, alla sommità, la vista delle rocce martoriate e sbriciolate dai cannoni. Oggi il vertice del monte è segnato da un’immensa gradinata che rappresenta il cimitero-ossario, sovrastato dalla Madonnina benedicente. L’occhio qui spazia sui luoghi che videro la morte di tanti combattenti e non soltanto della guerra del 1915-18. Anche durante la guerra partigiana, dal 1943 al 1945, il Grappa fu teatro di intensi rastrellamenti e di feroci rappresaglie da parte dei Nazisti e, a Bassano, il viale dei Martiri ricorda il sacrificio dei Partigiani catturati sul Grappa mentre combattevano per la libertà.

Un’alluvione del Po
Il Polesine è una terra tristemente famosa per le alluvioni del Po. Quando il fiume entra in piena per il disgelo delle nevi o per le continue piogge, le popolazioni che vivono lungo il suo corso, specie quelle prossime al delta, sono di continuo in stato di allarme. Attaccate alla loro casa, alla stalla, alla terra, guardano tra la paura e la speranza il fiume che ingrossa livido. Squadre di vigilanza vanno e vengono lungo gli argini, se ne rinforzano i tratti che sembrano più minacciati e che presentano infiltrazioni d’acqua, si approntano i mezzi di soccorso. Ma non si può prevedere né dove né quando la furia delle acque si scatenerà. L’alluvione irrompe improvvisa, in direzioni imprevedibili, dilagando nella pianura, abbattendo e distruggendo ogni cosa, tagliando la via della fuga.
E’ quanto avvenne il mezzogiorno del 15 novembre 1951, quando il Polesine fu sconvolto da una delle più tragiche alluvioni che si ricordino. Il Po ruppe gli argini nell’ansa di Pontelagoscuro, nei pressi di Ferrara, e per tre falle invase l’Alto Polesine giungendo in due giorni alle soglie di Rovigo, dirigendosi improvvisamente verso Adria, investendo Cavarzere, compiendo in cinque giorni un’avanzata di circa 60 chilometri! Le statistiche del disastro riportarono cifre impressionanti. Ma anche al dinamica dell’alluvione fu studiata in tutti i particolari. Se ne ricavarono dati che consentirono di imbrigliare le acque del fiume con opere di protezione che garantiscono un maggior margine di sicurezza.

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L’agricoltura

In Veneto l’agricoltura riveste una grande importanza. La pianura non è così fertile come quella lombarda, emiliana, piemontese. Molto elevata è la produzione di grano e di granoturco.
Nelle zone collinari e in alcuni tratti della pianura è importante la coltura della vite, da cui si ricavano vini famosi (Bardolino, Soave, Valpolicella, Prosecco).
Appena inferiore a quello lombardo è l’allevamento dei bovini; superiore è l’allevamento del pollame e la produzione delle uova.

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Il vino di Verona

La vite si coltiva in Italia da tempi antichissimi. Il disordine che portò la fine dell’Impero romano, aveva tra l’altro danneggiato grandemente anche la coltivazione di questa pianta.
Venne ripresa per impulso del Cristianesimo.
Religiosi di ogni ordine si fecero viticoltori, per la necessità di produrre il vino occorrente per la Messa.
Molti vigneti anche famosi non solo in Italia, ma anche in Francia e in Germania, furono opera di monaci Benedettini e Cistercensi.
Anche ai Barbari, che un tempo invasero la nostra terra, piaceva molto il vino. Esiste un documento storico che lo prova. Si tratta di una lettera di Cassiodoro, ministro di Teodorico, scritta all’ambasciatore a Venezia. Scrive Cassiodoro che la cantina del suo re ha bisogno di essere rifornita di vino. Ordina all’ambasciatore di acquistarne di quello prodotto nel Veronese che è il solo degno della mensa reale.
Questo documento è anche una testimonianza dell’antica fama che gode anche adesso il vino prodotto in provincia di Verona e precisamente il Valpolicella.

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Tokai e Tocai

La vite è la pianta più lieta di quella lieta regione che è il Veneto. Ed è anche intraprendente e tenace; una vera pianta veneta, insomma che si arrampica sulle montagne e sulle colline, si stende tra le coltivazioni di tutta la pianura, e dilaga nella nostra provincia, fino al mare, fino alle dune e agli arbusti scapigliati di Jesolo, di Eraclea, fino agli orti sistemati tra i cordoni dunali di Chioggia e di Sottomarina. Dove un pezzo di terra, anche piccolo così, viene bonificato, lì un vitigno arriva e attecchisce, e poi ne escono certi vini… Ogni zona, si può dire, ha un suo vino i suoi maestri del vino, perchè ancor oggi, un bicchiere di Tocai bello, buono, schietto, ancor oggi è una laboriosa opera d’arte.
“Tokai o Tocai?”, domandiamo al signor Piero, un maestro della vite, che dai suoi vigneti di Lison, un paesino piccolo così, vicino a Portogruaro, produce un Tocai malandrino, dall’apparenza innocua, dall’invitante color paglierino (solo Lison lo produce di questo colore) che ti rivela di colpo, alle orecchie e alle ginocchia, quando ormai è troppo tardi, la gradazione… pericolosa a cui può giungere!
“Tocai! Tocai!” garantisce il sior Piero, “Vino tutto nostro, che nulla ha a che vedere col vino ungherese. Forse, chissà quando, lo abbiamo mandato noi Veneti lassù!. Mentre il Tokai ungherese è dato da una combinazione di uve diverse, il nostro deriva da un vitigno solo, ma selezionatissimo: ci vuole il nostro sole, la nostra terra argillosa, che sembra povera, ci vuole la nostra cura per tutto l’anno, dalla preparazione del terreno al dosaggio dei pampini perchè il sole non sia troppo violento, e anche le nostre paure quando c’è in giro minacciosa e maligna… la ‘mare de san Piero’ in estate, che a volte, con una grandinata radente, ti lascia lì, a scherno, solo i mozziconi dei vitigni, affioranti dal suolo tra mucchi di foglie e di grappoli maciullati. E allora è una desolazione. Ma speriamo bene, stavolta, per me e per tutti perchè è così bello il raccolto!”.
E sior Piero si allontana tra le pergole perfette dalle quali pende l’ambra preziosa dei grappoli che presto diverranno raccolto.

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Le province

Capoluogo del Veneto è Venezia, una delle più belle e singolari città del mondo. E’ costruita al centro della Laguna du 118 isolette congiunte da più di 400 ponti. Dei suoi 160 canali, il più famoso è il Canal Grande, arteria principale della città, in cui si specchiano stupendi palazzi marmorei. Meta di turisti di ogni Paese, ha monumenti di incomparabile splendore: la Basilica di San Marco con la sua fantastica piazza, il Palazzo Ducale, il Ponte dei Sospiri, la Ca’ d’Oro, la Torre dell’Orologio, il Ponte di Rialto. La città è sede di importanti manifestazioni artistiche. Nei suoi limiti amministrativi rientrano Porto Marghera, centro di numerose industrie, e Mestre, importantissimo nodo di comunicazioni, cui è collegata da un ponte stradale e uno ferroviario. Notissimi sono i suoi sobborghi lagunari di Murano, di Burano, di Torcello e del Lido.
Rovigo è il capoluogo del Polesine, una regione compresa tra il Po e l’Adige, fertile ma purtroppo soggetta a inondazioni.
Verona sorge sull’Adige. E’ un importante nodo stradale e ferroviario, un grande mercato agricolo e la sede di notevoli industrie. Monumenti pregevoli sono: l’Arena, il Duomo, la Basilica di San Zeno, il Castel Vecchio con il magnifico Ponte sull’Adige, le Tombe degli Scaligeri.
Vicenza è detta la ‘città del Palladio’ in onore del celebre architetto Andrea Palladio che vi lasciò splendidi capolavori, tra cui il Teatro Olimpico, la Basilica, il Santuario di Monte Berico, la Rotonda.
Padova sorge nel cuore della pianura. E’ una città attiva, sede di notevoli industrie. E’ famosa per la sua antica Università e per i suo i pregevolissimi monumenti, quali la Basilica si Sant’Antonio, la statua equestre di Gattamelata, la Cappella degli Scrovegni, il Palazzo della Ragione.
Treviso è importante centro agricolo e commerciale. Tra i suoi monumenti sono degni di nota: il Duomo, il Palazzo dei Trecento, le chiese di San Francesco e di San Nicolò.
Belluno è una graziosa città che conserva bei monumenti: il Duomo, il Palazzo dei Rettori, la Chiesa di Santo Stefano.

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A zonzo per canali e lagune

Ritrovandomi a passare per Chioggia, un po’ per amor del pittoresco e un po’ perchè quelli son posti dove nessuno va di solito, ho voluto recarmi a Pellestrina e a San Piero in Volta, due località di pochi abitanti situate lungo la diga meridionale del sistema lagunare veneziano, quasi sospese tra acqua e cielo, a circa venti chilometri da Venezia e a una decina da Chioggia. Pellestrina si presenta bene a chi vi arriva in vaporetto. Una fila di casucce strette e rossastre, scrostate dalla salsedine, separate tra loro da calli e da piazzette, si specchia malinconicamente nell’acqua del canale come un vecchio sogno perduto.
Davanti passano continuamente, durante la giornata, oltre che i vaporetti che fan la spola da Venezia a Chioggia, i numerosi bragozzi e velieri che vi trasportano merci d’ogni genere dal fertile Polesine; e sono spesso lungi convogli e motovelieri di forte stazzatura. Il borgo si direbbe che abbia concentrato ogni sua risorsa nella coltivazione di alcuni orti situati tra il paese e la poderosa diga che lo difende dal mare. Questa diga che, qua e là interrotta, corre da Sottomarina fino al golfo di Malamocco e difende la laguna dagli assalti del mare aperto, dandole sicurezza e facilità di trasporti, è detta popolarmente ‘I Murazzi’, ed è una celebre opera costruttiva che non sarà mai abbastanza lodata e ammirata. Fu l’ultima grande creazione della Repubblica Veneta. E’ una grossa muraglia di massi d’Istria cementati con pozzolana; costo venti milioni di lire venete ed è lunga quattromila e ventisette metri.
Stando a Chioggia, nulla è più divertente che osservare la vita tacita e irrequieta che si agita sulla laguna. La quale è di continuo solcata da trasporti; vapori e pescherecci d’ogni genere, che con lo splendore delle grandi vele rossastre e istoriate sembrano tuttavia volerle serbare l’antica patetica bellezza.
(C. Linati)

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Il Po e Padova

Quando il Po, l’antico Padus, attraversava la pianura con corso molto variabile, gran parte del territorio che oggi costituisce la provincia di Padova, era occupato da acquitrini e paludi. Passarono i secoli e le acque si scavarono un letto definitivo, lasciando allo scoperto, nel loro ritirarsi, vasti lembi di terra. Appunto su uno di questi sorse Padova, che dal fiume prese il nome di Padua, latinizzato poi in Patavium. Questa, secondo l’opinione di alcuni storici accreditati, l’origine del nome Padova, che altri vorrebbero far derivare da una corruzione di ‘palus’, cioè palude.
Certo la zona doveva essere il regno delle acque, ora limpide e tranquille, ora fangose e turbolente, ora perfidamente malariche. Oggi di esse non resta che il Bacchiglione, il fiume che attraversa la città.

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Le stagioni di Verona

Due volte l’anno Verona, scuotendosi di dosso la sua bonaria e secolare indolenza, sembra quasi miracolosamente trovare il ritmo febbrile di una grande città.
La prima stagione veronese si apre con la Fiera Internazionale.
Col maturare dell’estate e del caldo, ecco la seconda grande stagione di Verona: l’Arena e gli Spettacoli Lirici. E’ questo il tempo in cui diventano familiari i nomi dei grandi musicisti (Verdi, Rossini, Puccini, Wagner), i titoli degli immortali melodrammi (Aida, Turandot, Bohème, Lohengrin), le voci e i volti dei celebri cantanti. E’ anche il tempo in cui ogni buon veronese rispolvera il suo riposto bagaglio di motivi, di ariette e di romanze o sciorina insospettate doti di critico musicale. Tra luglio e agosto, quasi ogni sera, l’Arena di Verona raduna sulle secolari gradinate migliaia di spettatori italiani e stranieri, fraternamente congiungendoli nell’incanto delle melodie e nell’amore per la musica.
Da qualche anno poi, accanto agli spettacoli lirici, Verona offre anche un ciclo di rappresentazioni teatrali. Teatro shakespeariano, naturalmente, perchè Shakespeare, grazie all’immortale favola di Giulietta e Romeo, di Verona è un po’ figlio adottivo. Alla bellezza dei suoi drammi niente sembra tanto convenire quanto la suggestiva cornice del Teatro Romano o di Piazza dei  Signori o di Castel Vecchio.
Così nel nome del lavoro e dell’arte, Verona vive con impegno e con entusiasmo i suoi giorni più belli e più internazionali: è dunque giusto che essa torni finalmente a sdraiarsi, con la grazia di una vecchia signora, lungo le anse armoniose del suo verde Adige.
(R. Bresciani)

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I libri ammalati guariscono a Praglia

A Praglia, nella monumentale abbazia benedettina, in una gran sala del Cinquecento, dotata ora di moderne scaffalature, e nel vecchio archivio al piano superiore, sono custoditi cinquantamila volumi, in varie lingue.
La millenaria tradizione benedettina d’amore per il libro è stata riconfermata, qui, con un’importante iniziativa, rapidamente conosciuta ed apprezzata negli ambienti internazionali qualificati. In un’ala del monastero è stato costruito un moderno istituto con laboratorio scientifico per il restauro del libro.
Quando arriva un malato, spiega un esperto monaco, la degenza è piuttosto lunga, in quanto il ricoverato, dopo la compilazione della cartella clinica, deve passare quasi sempre nei diversi reparti. Accertate le condizioni del libro, la sezione chimica procede alla diagnosi delle cause, che deve essere esatta per stabilire la cura appropriata.
Spesso, nei libri, e in particolare nelle pergamene, si osservano manifestazioni patologiche di natura microbica, e cioè prodotte da microorganismi che danneggiano, oltre alla scrittura, la consistenza stessa della materia. Si ricorre allora a reagenti chimici, a disinfezione in vasche speciali, in bagni di soluzioni a base di cloro o di altre sostanze adatte.
Si procede poi al restauro definitivo (lavaggio, rinforzo delle fibre con bagni rigeneratori, stiratura) e alla rilegatura. Un lavoro meticoloso, di lunga durata, che tende soprattutto alla bonifica della materia con assoluto rispetto dell’integrità dei vari elementi che compongono i libri.
Oltre un migliaio di opere, codici, incunaboli, libri rari, stampe, antiche carte geografiche e mappamondi, sono state perfettamente restaurate finora nell’istituto, che lavora attivamente per molte biblioteche pubbliche e di stato.
(U. Maraldi)

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I Veneti: sorrisi e parole

Vivono in un paese di pianura verde e rosa, e sono il più sorridente fra tutti i popoli italiani. Parlano sorridendo e mescolando il riso alle parole. Traggono un immenso piacere dal pianto, ma anche le loro lacrime sono mescolate al sorriso.  Parlano molto e senza sforzo, senza fatica. E io non penso che parlino molto perchè sono ciarlieri, ma perchè han la bocca grande e piena di parole e non san che farsene di tante parole e le spendono.
Parlano, uomini e donne, guardandoti in viso e sorridendo: e ti guardano negli occhi, con una curiosità singolare, come se si guardassero nello specchio, e intanto si toccano il viso come per essere sicuri che il viso che vedono sei tuoi occhi è il loro, non quello di un altro. Son buoni i veneti e se hanno qualcosa in loro della naturale malvagità umana, lo sfogano non in cose e fatti e detti e parole malvagie, ma in ‘ciacole’, in chiacchiere, in pettegolezzi.  E’ il paese della gentilezza, il paese sorridente, il solo paese in Italia che sa sorridere fra le lacrime.
(Curzio Malaparte)

Dettati ortografici e letture sul VENETO
Mercato a Chioggia

Le banchine son ben provviste e offrono uno spettacolo di animazione vivissima. I venditori schierati lungo il vasto terrazzo urlano allegri la loro merce, tra i viavai della gente.
Cumuli di sfoglie, che hanno il bel lucido della porcellana, si alternano alle sarde dal colore metallico o alle anguille ancora guizzanti che hanno il motoso e il verdastro dei bassifondi, ai mucchi stillanti dei garusi, delle cannocchie, delle capesante dal cuore arancione, alle seppie gelatinose, ai moli, ai peoci, alle verdognole carpe squartate a mezzo.
In certi punti, tutto quel ben di dio, sembra il quadro di un pittore fiammingo. E su tutto vola l’odore acre del mare, e la festa dei gridi di richiamo.
La gente si ferma, guarda, sceglie, compra, passa via.
(C. Linati)

Dettati ortografici e letture sul VENETO
Pesca in laguna

Scrisse un viaggiatore tedesco: ai giorni di festa, Chioggia sembra recinta da una legione di baionette giganti. Sono alberi, antenne, pennoni di navi, pali da sostenere le reti, pertiche da reggere nasse, cestoni, cordami; e nelle acque che circondano la città, nei canali, c’è una fitta di barche d’ogni grandezza e d’ogni foggia, arnesi galleggianti e tutto ciò che serve ad andare sull’acqua con la forza del vento e del braccio: grandi vele latine dipinte di immagini simboliche, stampate di lettere maiuscole, listate ed inquadrate con stemmi; remi enormi che due uomini muovono a fatica, e remi leggeri che le due braccia del battelliere sollevano agevolmente; ancore buone da mordere nella sabbia e nello scoglio. E insieme tutte le varietà di ordigni per la pesca, dalla vasta rete che imprigiona il pesce inconsapevole, e che, stringendosi, lo serra, lo preme, gli toglie il moto e il respiro, sino all’umile lenza che il pescatore paziente affonda nelle ore calme e ritrae carica d’un pesciolino che guizza, che si divincola e non vuol morire, sino agli arpioni per trascinare i pescecani e  i tonni, ai sacchi per le ostriche, ai canestri per la minutaglia, per il ‘pesce popolo’, che, infarinato a dovere, crepita e s’indora nelle classiche padelle dei friggitori.
(P. Gribaudi)

Dettati ortografici e letture sul VENETO
La veneta piazzetta

La veneta piazzetta
antica e mesta, accoglie
odor di mare. E voli
di colombi. Ma resta
nella memoria il volo
del giovane ciclista
volto all’amico: un soffio
melodico: “Vai solo?” (S. Penna)

Dettati ortografici e letture sul VENETO
La laguna veneta
E’ molto interessante visitare qualche tratto della laguna veneta, specialmente se stiamo un po’ discosti da Venezia. Per il nostro lavoro di osservazione meglio si presterebbe la laguna di Caorle o quella di Marano, in parte ancora allo stato naturale.
Ci troviamo davanti a cordoni di sabbia, più o meno lunghi più o meno ampi; a tanti canali, per i quali l’acqua del mare va a confondersi con la terraferma. Questi specchi d’acqua salmastra, noti col nome di lagune, sono soggetti ad un continuo mutamento. La laguna infatti, vista in certe ore del giorno, lascia affiorare qua e là isolotti fangosi (le velve) che poi, con l’alta marea, scompaiono totalmente. Altrove si possono notare isolotti erbosi detti barene che rimangono sempre emersi. Ma il mutamento maggiore è apportato dai detriti depositati alla foce dei fiumi, i quali, giungendo al mare con decorso assai lento per l’insensibile dislivello, non possono riversare in mare tutta l’abbondante quantità dei materiali convogliati. Si creano così davanti ai bassi fondali costieri tante zone paludose ed estesi acquitrini, che nel Veneto vengono anche chiamate col nome di valli, adibite per lo più alla pesca. L’opera di bonifica, di prosciugamento e di incanalamento di tutte queste acque, che vanno ad impantanare la fascia costiera, ha oggi in parte redento la zona, e l’ha resa meno instabile nella sua configurazione.
Un tempo la laguna si stendeva ininterrottamente da Ravenna ad Aquileia, e se Venezia non si fosse difesa contro questo progressivo insabbiamento, ora sarebbe città di terraferma, come è avvenuto per Ravenna stessa, per Adria e per tanti altri centri veneti, un tempo bagnati dal mare.
Venezia infatti ha deviato il corso del Brenta e del Bacchiglione verso sud, il Sile e il Piave verso est, ha predisposto per lo stesso grande Po un nuovo ramo di sbocco, il Po di Goro, ha eretto argini lungo le sponde dei fiumi, ha innalzato i caratteristici murazzi a difesa delle isole della laguna, insomma ha fatto di tutto per preservare la sua tipica fisionomia.
Ancora oggi il Magistrato delle acque, ente appositamente costituito a Venezia, non dorme sonni tranquilli perchè l’azione fluviale, il moto ondoso e le maree instancabilmente, anche se lentamente, compiono il loro lavoro di modellamento costiero.
E’ bene sapere come avviene il meccanismo della marea, che è uno dei tre moti a cui va soggetto il mare.
La marea è un movimento periodico che porta la massa acquea ora ad un grande innalzamento, detto flusso, ora ad un generale abbassamento, detto riflusso. Queste due fasi si alternano circa ogni sei ore al giorno, in corrispondenza del passaggio della Luna sul meridiano. Perchè occorre sapere che è proprio la Luna, con la sua forza di attrazione sul nostro pianeta (e particolarmente sulla massa liquida) quella che causa lo strano fenomeno.
A Venezia tra l’alta e la bassa marea si registra un divario di poco più di un metro, divario però sufficiente a produrre il ricambio delle acque della laguna. Se si arrestasse questo ricambio, si avrebbe una zona di acque morte.
Il fenomeno si può osservare molto bene anche su altre spiagge dell’Adriatico, specialmente in una giornata di mare tranquillo. Alla mattina presto si vede un lembo di spiaggia ben più largo di quello che si stenderà a mezzogiorno, perchè con l’alta marea le acque hanno ripreso ad innalzarsi e quindi ad invadere una più ampia fascia di litorale.
Sul nostro globo la marea raggiunge il suo massimo nella baia di Fundy, in Canada, con oltre 20 metri di dislivello tra il flusso e il deflusso.
La marea è un moto periodico, mentre le onde sono un moto variabile e le correnti un moto costante. In totale tre moti del mare.

Dettati ortografici e letture sul VENETO
La piazza delle Erbe a Verona
Piazza delle Erbe a Verona è certo una delle piazze più pittoresche d’Italia che rimane nella memoria come uno spettacolo: una commedia, essa sola, di cui sarebbe facile rianimare i personaggi e farli parlare. Su questa piazza, grande come un foro, si tiene il mercato, testimonianza della vocazione della città che ha fondato la propria prosperità sulla campagna e sugli alimenti terrestri. In piazza delle Erbe, sotto un centinaio di ombrelloni, si vende una tale varietà di frutta, di ortaggi e di legumi come raramente se ne vedono radunati in così gran numero. I pomodori spargono il loro rosso squillante accanto ai limoni d’oro, ai cedri, alle angurie, alle melanzane, al verde tappeto delle insalate: un odore di campagna aleggia sotto gli ombrelloni di tela, e compone un’atmosfera pacifica e ghiottona.
Non si pensa più allora ai Montecchi e ai Capuleti; non si pensa che Tebaldo avesse potuto uccidere Mercuzio a Verona; la vista di un mercato fa dimenticare tutte le tragedie: quelle della vita, quelle della storia, quelle dei poeti.
Tuttavia quando si alza lo sguardo al di sopra di queste mostre attraenti, si scorge a nord della piazza, sopra una colonna di marmo, il leone di San Marco, simbolo di un’antica dipendenza, quando Venezia regnava sulla terraferma.
Al centro della piazza un’altra colonna di marmo; e per inquadrare, per contenere questo vasto mercato, palazzi un tempo ornati di affreschi dei quali rimane qualche traccia.
(G. Bauer)

Dettati ortografici e letture sul VENETO
Curiosità su Padova

Vuoi conoscere alcuni proverbi padovani? Eccoli:
– A fare un proverbio ghe voe cent’anni.
– Venezia bea, Padoa so sorela.
– Veneziani gran signori, Padovani gran dottori, Visentini magnagati, Veronesi tuti mati.
– Pan padoan, vin visentin, tripe trevisane, done veneziane.
– Bologna la grassa, Padoa la passa.
– Co canta la cigala, se taja la segala, co canta el cigalon, se taja el formenton.
– De Santa Madalena se taja l’avena.
– De San Valentin se pianta l’ajo e el seolin.
– Tera mora fa bon fruto, tera bianca gninte del tuto.

“A Padoa ghe xe un Santo sensa nome, un cafè sensa porte e un prà sensa erba”. Questo detto si riferisce a:
– sant’Antonio, che viene chiamato da tutti semplicemente ‘il santo’;
– il Caffè Pedrocchi, che per molto tempo non ebbe porte perchè rimaneva aperto sia di giorno che di notte;
– al Prato della Valle, che non è un prato, ma una piazza grandiosa, e quindi non ha assolutamente erba.

Dettati ortografici e letture sul VENETO
Curiosità su Treviso
A Treviso l’arco che unisce il Palazzo del Podestà al Palazzo dei Trecento è detto ‘sottoportico dei soffioni’ perchè vi spira sempre un notevole vento.
A Treviso nella chiesa romanico-ogivale di San Francesco, si può ammirare un affresco del 1453, raffigurante un crocefisso dipinto per ordine dell’Inquisitore a spese di un oste ebreo che aveva servito carne di venerdì.
Sempre nella nuda ed austera chiesa di San Francesco a Treviso, possiamo sostare sia davanti alla pietra tombale di Francesca, figlia di Francesco Petrarca, morta nell’agosto del 1384, sia davanti all’arca di Pietro, figlio di Dante Alighieri, morto a Treviso nel 1364.
Nel giardino del Museo della Casa Trevigiana c’è una piccola Casa del XIV-XV secolo, nella quale è disposta la ‘Raccolta Sanguinazzi’, interessante esempio di Gabinetto di Storia Naturale del XVII secolo con collezione di strumenti scientifici, tra cui i celebri prismi di Newton.
C’è chi ha cantato in versi, anche se un po’ zoppicanti, il famoso radicchio trevisano: “Se lo guardi è un sorriso, se lo mangi è un paradiso, il radicchio di Treviso”.
Sull’iscrizione di una credenza da cucina che ora si trova nel Museo di Treviso possiamo leggere questi versi di ispirazioni popolare, pieni di confidente abbandono, di devota accettazione in un’umile realtà quotidiana, di decoro e di discrezione:
Gaetano santo vu che si sora la providenza
prega che ge sta sempre de buon in sta credenza
e se non vacorda divina onnipotenza
fa che la mangemo suta con pazienza
che per ultimo ne basta grazie del ciel
e de polenta no restar senza“.

Dettati ortografici e letture sul VENETO
Curiosità su Belluno

“Christus nobiscum stat”. Le case feltrine sono caratteristiche per i tetti fortemente aggettanti e per le facciate ornate da affreschi o graffiti attribuiti a Del Morto da Feltre e alla sua scuola. Su molti portali è inciso il motto: “Christus nobiscum stat” (Cristo vive tra noi).
A sud di Cortina, lungo il torrente Costeana, sorge il Sacrario di Pocol, costituito da una torre con basamento quadrato; in esso sono custodite le salme di 10.000 caduti della guerra 1915-1918.
Il gonfalone di Pieve di Cadore è decorato con medaglia d’oro per la “memoranda e tenace resistenza fatta nel 1848 dalle popolazioni cadorine contro soverchiante e agguerrito invasore”, e con la Croce di Guerra per la resistenza nel 1918.
A sud di Mas, sulla strada tra questa località e Mis, si trovano le Rovine di Vedana, costituite da un grandioso e disordinato ammasso di terra e pietre (3 milioni di metri cubi) disteso attraverso la valle. Secondo alcuni geologi tale ammasso sarebbe franato, in epoche remote, dai monti Vedana e Peron, seppellendo i villaggi di Cordova e Cornia. Poco lontano sorge la Certosa la cui origine si fa risalire a un ospizio di San Marco di Vedana, esistente nel 1155. La Certosa subì alterne vicende finché, recuperata nel 1768 dai Certosini francesi, du fatta risorgere. Qui nacque Gerolamo Segato (1792-1836) famoso oltre che come instancabile viaggiatore, cartografo e naturalista, anche per aver inventato un processo di pietrificazione dei cadaveri.

Vedi anche MATERIALE DIDATTICO SU VENEZIA

Dettati ortografici e letture sul VENETO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale VI (cartellini) PRONOMI

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale VI con la presentazione del materiale di lavoro e tutti i cartellini di riempimento pronti per il download e la stampa. Con questa scatola i bambini approfondiscono lo studio dei pronomi.

Il materiale per l’analisi delle parole è costituito da varie serie di cartellini della frase di colore verde e da varie serie di cartellini delle parole di diverso colore:
– verde per i pronomi
– rosa per gli avverbi
– viola per le preposizioni
– rosso per i verbi
– marrone chiaro per gli  articoli
– nero per i nomi
– marrone scuro per gli aggettivi
che si scelgono a seconda dell’esercizio che si vuole proporre e si collocano nella scatola grammaticale VI.

Il primo esercizio è anche qui quello della composizione di frasi, analizzate coi cartellini colorati.
La scatola grammaticale ha sette caselle del colore corrispondente alla parte grammaticale. Nella casella più grande si collocano i cartellini delle frasi.

Ad ogni parola scritta nei cartellini della frase corrisponde un cartellino della parola, e ad ogni parola scritta, corrisponde un cartellino nel casellario, ad eccezione delle parole ripetute all’interno di ogni cartellino della frase.

Come per le altre scatole grammaticali, i cartellini colorati delle parole non corrispondono esattamente alle parole delle frasi che dovranno ricomporre, perchè le parole comuni nelle frasi di uno stesso biglietto non sono ripetute. E’ solo il pronome, che, sostituito, cambia la frase.

Le varie serie di cartellini si trovano ognuna in una scatolina verde, e i gruppi di frasi relativi ad ogni serie sono separati con degli elastici:

Questi sono i cartellini pronti, rivisitati sostituendo i vocaboli caduti in disuso e tenendo conto di chi non ha la fortuna di disporre del materiale sensoriale in uso nella Casa dei bambini:

MATERIALI PREVISTI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE VI – pronomi
(con la codifica che ho utilizzato io per la preparazione dei cartellini)


scatola grammaticale VI (qui il tutorial per costruirla: Costruire le scatole grammaticali)
3 scatoline di riempimento di colore verde contrassegnate VIA, VIB, VIC.
una scatolina aperta rossa per il libretto degli elenchi e per il libretto delle regole

Questo è il materiale pronto

ISTRUZIONI per confezionare i libretti
(nell’esempio un libretto delle nomenclature)

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

MATERIALI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE VI

Si tratta di un materiale rivisitato e attualizzato ai mutamenti che la lingua ha subito e ai vocaboli che più appartengono alla realtà dei bambino oggi.
L’organizzazione originale del materiale non cambia, ho aggiunto però dei set che isolano ulteriori aspetti delle regole grammaticali.
Ciascuna parte del discorso ha un suo codice colore, che è diverso da quello dei simboli grammaticali (ad eccezione del nome e del verbo).

I simboli grammaticali possono entrare a far parte degli esercizi con le scatole grammaticali: i bambini possono porre i simboli mobili sulle parole scritte nei cartellini della frase, o anche possono copiare le frasi e disegnare i simboli (anche utilizzando gli stencil).

USO DEL MATERIALE

Avere a disposizione le scatole grammaticali di legno è sicuramente la situazione ideale, ma considerando il costo, non è la situazione alla portata di tutti. Si possono preparare delle bellissime alternative in cartone o anche sostituire alle scatole delle “tovagliette stampate“. Si può anche decidere di non utilizzare nulla, e di mettere semplicemente i cartellini sul tavolo, divisi in base al loro codice colore e ponendo sopra di essi dei cartellini-titolo (per la prima scatola ‘ARTICOLO’ e ‘NOME’).
Lo stesso discorso vale per le scatole di riempimento e per le scatole dei comandi, che possono essere acquistate in legno, o possono essere facilmente realizzate in cartoncino. Si può anche optare per qualsiasi altra soluzione alternativa: buste di carta colorata, sacchetti di plastica trasparente, cestini, ecc.

Le scatole grammaticali servono all’esercizio del bambino, dopo le presentazioni e le lezioni chiave relative alle parti del discorso che vogliamo esercitare.

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale V (cartellini)

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale V  idee per le presentazioni e gli esercizi, e i cartellini di riempimento pronti per il download e la stampa. Con questa scatola i bambini approfondiscono lo studio degli avverbi.

Il materiale per l’analisi delle parole è costituito da varie serie di cartellini della frase di colore rosa e da varie serie di cartellini delle parole di diverso colore:
– rosa per gli avverbi
– viola per le preposizioni
– rosso per i verbi
– marrone chiaro per gli  articoli
– nero per i nomi
– marrone scuro per gli aggettivi
che si scelgono a seconda dell’esercizio che si vuole proporre e si collocano nella scatola grammaticale V.

Il primo esercizio è anche qui quello della composizione di frasi, analizzate coi cartellini colorati.
La scatola grammaticale ha sei caselle del colore corrispondente alla parte grammaticale. Nella casella più grande si collocano sei cartellini delle frasi.

Ad ogni parola scritta nei cartellini della frase corrisponde un cartellino della parola, e ad ogni parola scritta, corrisponde un cartellino nel casellario, ad eccezione delle parole ripetute all’interno di ogni cartellino della frase.

Come per le altre scatole grammaticali, i cartellini colorati delle parole non corrispondono esattamente alle parole delle frasi che dovranno ricomporre, perchè le parole comuni nelle frasi di uno stesso biglietto non sono ripetute. E’ solo l’avverbio, che, sostituito, cambia la frase.

Le varie serie di cartellini si trova ognuna in una scatolina rosa, e i gruppi di frasi relativi ad ogni serie sono separati con degli elastici:

Questi sono i cartellini pronti, rivisitati sostituendo i vocaboli caduti in disuso e tenendo conto di chi non ha la fortuna di disporre del materiale sensoriale in uso nella Casa dei bambini:

MATERIALI PREVISTI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE V

(con la codifica che ho utilizzato io per la preparazione dei cartellini)

scatola grammaticale V (qui il tutorial per costruirla: Costruire le scatole grammaticali)
3 scatoline di riempimento di colore rosso contrassegnate IVA, IVB, IVC.
una scatolina aperta rossa per il libretto degli elenchi e per il libretto delle regole

Contenuto delle scatole di riempimento

scatola VA: scheda della definizione e cartellini (i 4 gruppi di cartellini stanno nella scatola VA separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini VA-1: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VA-2: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VA-3: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VA-4: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)

scatola VB: scheda della definizione e cartellini (i 4 gruppi di cartellini stanno nella scatola VB separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini VB-1: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VB-2: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VB-3: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VB-4: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)

scatola VC: scheda della definizione e cartellini ( i 5 gruppi di cartellini stanno nella scatola IVC separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini VC-1: (cartellini delle parole + 7 cartellini frase)
  • cartellini VC-2: (cartellini delle parole + 7 cartellini frase)
  • cartellini VC-3: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VC-4: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)
  • cartellini VC-5: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)

scatolina aperta ROSA:

  • libretto degli elenchi per l’avverbio (facoltativo)
  • libretto delle regole grammaticali per l’avverbio.

Questo è il materiale pronto:

ISTRUZIONI per confezionare i libretti
(nell’esempio un libretto delle nomenclature)

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

MATERIALI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE V

Si tratta di un materiale rivisitato e attualizzato ai mutamenti che la lingua ha subito e ai vocaboli che più appartengono alla realtà dei bambino oggi.
L’organizzazione originale del materiale non cambia, ho aggiunto però dei set che isolano ulteriori aspetti delle regole grammaticali.
Ciascuna parte del discorso ha un suo codice colore, che è diverso da quello dei simboli grammaticali (ad eccezione del nome e del verbo).

I simboli grammaticali possono entrare a far parte degli esercizi con le scatole grammaticali: i bambini possono porre i simboli mobili sulle parole scritte nei cartellini della frase, o anche possono copiare le frasi e disegnare i simboli (anche utilizzando gli stencil).

USO DEL MATERIALE

Avere a disposizione le scatole grammaticali di legno è sicuramente la situazione ideale, ma considerando il costo, non è la situazione alla portata di tutti. Si possono preparare delle bellissime alternative in cartone o anche sostituire alle scatole delle “tovagliette stampate“. Si può anche decidere di non utilizzare nulla, e di mettere semplicemente i cartellini sul tavolo, divisi in base al loro codice colore e ponendo sopra di essi dei cartellini-titolo (per la prima scatola ‘ARTICOLO’ e ‘NOME’).
Lo stesso discorso vale per le scatole di riempimento e per le scatole dei comandi, che possono essere acquistate in legno, o possono essere facilmente realizzate in cartoncino. Si può anche optare per qualsiasi altra soluzione alternativa: buste di carta colorata, sacchetti di plastica trasparente, cestini, ecc.

Le scatole grammaticali servono all’esercizio del bambino, dopo le presentazioni e le lezioni chiave relative alle parti del discorso che vogliamo esercitare.


Gli avverbi testuali rientrano nella categoria grammaticale dei connettivi, che sono parole (parti del discorso varie, non solo avverbi) o espressioni che fanno da raccordo tra le varie parti della frase.

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale V (cartellini)

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture per la scuola primaria: Amalfi, Pisa, Venezia e Genova.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
La leggenda dell’Anno Mille

Dice la leggenda che nell’imminenza dell’anno 1000, per una errata interpretazione di alcuni passi delle Sacre Scritture, le genti attendessero con terrore la fine del mondo, ma che poi, liberate dall’incubo, continuando il mondo la sua uguale vicenda, riprendessero a vivere con maggior lena. Si iniziava una nuova era, feconda di lavoro, di creatività in tutti i campi, materiale e morale.
La leggenda ha un suo valore perchè esprime, come un simbolo, quella ripresa di vita economica e politica, quel risveglio culturale ed artistico che nell’XI secolo rinnovò tutta l’Europa e i cui segni sono particolarmente visibili in Italia. Ebbe così fine l’età feudale che, con quella dei regni romano-barbarici, costituisce l’Alto Medioevo, e si iniziò il Basso Medioevo, durante il quale la Chiesa e l’Italia si sottrassero alla dipendenza degli imperatori germanici e fiorì la nuova civiltà dei Comuni e delle Signorie (1000 – 1492).
Di là dalle Alpi, in Francia, in Inghilterra e in Spagna, si costituivano invece le grandi monarchie nazionali.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
Le Repubbliche marinare

Alcune città marinare, favorite dalla loro naturale posizione e dalla ripresa dei traffici, raggiunsero, prima delle città di terraferma, un notevole grado di ricchezza e di indipendenza politica; esse furono Amalfi, Venezia, Pisa e Genova.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
Amalfi

Posta sul golfo di Salerno, fu la più fiorente città marinara del sud, superando di gran lunga Napoli, Gaeta e Bari. Trascurata dal governo di Bisanzio, minacciata dalle incursioni dei Saraceni, dovette assai per tempo provvedere alla sua difesa con una flotta, e al suo governo: tutti i cittadini, riuniti a Parlamento, eleggevano il capo della città, cioè il Duca. Tale governo repubblicano favorì in modo particolare i commerci e la navigazione. Nel X secolo Amalfi era già un centro attivissimo di commercio col Levante: a Costantinopoli, ad Antiochia, ad Alessandria e al Cairo, gli Amalfitani avevano fondachi ed alberghi, chiese ed ospizi.
In quelle città del Levante portavano i prodotti agricoli italiani e caricavano damaschi, armi, profumi, spezie, tappeti e indaco che rivendevano nell’Italia centro-meridionale.
La moneta amalfitana, il tari, aveva corso in tutti i porti del Mediterraneo. Gli Amalfitani compilarono il primo codice di leggi marittime, le famose Tavole Amalfitane, adottate da gran parte degli Stati mediterranei.
Altro loro merito è quello di aver introdotto in Occidente l’uso della bussola, già adoperata da Cinesi ed Indiani, perfezionandola; leggendaria è l’attribuzione di essa all’amalfitano Flavio Gioia.
Breve fu la vita florida e indipendente di Amalfi: verso la fine del secolo XI fu soggiogata dai Normanni, conquistatori ed unificatori di tutta l’Italia meridionale. In seguito, combattuta e vinta da Pisa, sua rivale nel Tirreno, perdette la flotta e con essa la potenza.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
Venezia

Abbiamo visto come le isole della laguna veneta, dall’invasione di Attila in poi, diventarono a più ripresa rifugio degli abitanti delle città venete, che andarono ad aggiungersi ai pochi e poveri pescatori che già vi dimoravano.
Sicure dalle invasioni, perchè difese da un labirinto di canali, ma povere, quelle terre non potevano dare mezzi di vita a una popolazione numerosa, che perciò si volse prestissimo al commercio marittimo lungo le coste dell’Adriatico e il corso dei fiumi veneti, prima vendendovi il sale e i prodotti della pesca, poi le merci importate dall’Oriente bizantino a Ravenna.
Nominalmente questi centri lagunari dipendevano dall’Esarca, ma a mano a mano che l’autorità di Bisanzio si affievoliva, essi andavano organizzando un’amministrazione autonoma. Già alla fine del VII secolo gli abitanti delle isole eleggevano a vita un magistrato supremo o Duca (in veneziano, Doge).
A Rialto e sulle isolette ad essa congiunte per mezzo di ponti, si incominciò a costruire la nuova Venezia (città dei Veneti), destinata a diventare una delle più belle e ricche città del mondo; essa fu posta sotto la protezione dell’evangelista San Marco, le cui reliquie, trasportate da Alessandria d’Egitto, furono deposte nell’omonima Basilica, sorta fra i primi monumenti.
Nel X secolo Venezia dovette combattere i pirati slavi (Schiavoni), che infestavano l’Adriatico. La vittoria definitiva su di essi fu riportata nell’anno 1000 dal Doge Pietro Orseolo II che occupò le coste dell’Istria e parecchie isole e città della Dalmazia. Il doge di Venezia prese allora il titolo di Dux Veneticorum et Dalmaticorum.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
Per il lavoro di ricerca

In che anno incominciò a sgretolarsi il sistema feudale?
Intanto cosa avveniva nelle città?
Come si chiamò la nuova classe sociale?
Quali furono le città marinare che divennero, prima delle città di terraferma, centri attivissimi di commercio e politicamente indipendenti?
Conosci gli stemmi delle gloriose Repubbliche marinare?
Quale fu la più fiorente città marinara del sud?
Quali meriti ebbero gli Amalfitani?
Sapresti dire a che cosa servivano le Tavole Amalfitane?
Qual era la moneta amalfitana?
Chi introdusse in Occidente l’uso della bussola?
Quando finì la potenza della gloriosa Amalfi?
Da chi fu costruita Venezia? Com’era chiamato il capo della Repubblica di Venezia?
Come si chiamava la sua nave?
Quale cerimonia era in uso il giorno dell’Ascensione?
Chi era il Santo protettore di Venezia?
Come si chiamava la moneta di Venezia?
Che cos’erano le galee? Da che cosa derivò il loro nome?
Su quali altri tipi di navi i marinai delle Repubbliche marinare percorrevano e dominavano i mari?
Ricerca notizie sulla potenza della Repubblica di Venezia.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
La bandiera navale italiana

Nella bandiera navale italiana lo stemma, al centro del tricolore, è costituito dai quattro stemmi di Amalfi (croce bianca in campo azzurro), di Pisa (croce bianca in campo rosso), di Genova (croce rossa in campo bianco) e di Venezia (il leone alato d’oro in campo rosso), a segnare la grande tradizione marinara della nostra storia.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
Storia di una parola

La cannella, il pepe, le droghe aromatiche venivano tutte dall’Oriente ed erano fra noi chiamate spezie. Esse non servivano solo per preparare le raffinatissime salse tanto in voga nel Medioevo; erano, secondo i ricettari farmaceutici del tempo, necessarie per la preparazione di medicine e di pomate. Ecco perchè il farmacista di allora veniva chiamato speziale, appellativo che familiarmente gli viene ancora dato in molti luoghi d’Italia.

LE REPUBBLICHE MARINARE dettati ortografici e letture
Le nuove monete

I mercanti delle Repubbliche marinare, che avevano navi, andavano in Oriente a comprare merci e le rivendevano in Europa a caro prezzo. Così le Repubbliche marinare si arricchivano rapidamente. Con l’oro portato dall’Africa, con l’argento ricavato nelle miniere di Spagna, di Francia, di Germania, vennero coniate nuove e belle monete, che incominciarono a circolare in Europa al posto dei denari e dei bisanti, cioè al posto delle monete araba e bizantina. La moneta di Venezia si chiamava ducato, quella di Genova genovese o genovino.

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Le navi delle città marinare

La galea deriva il suo nome dalla forma snella che la fa assomigliare al pesce spada che in greco è appunto chiamato galeos.
Fin verso il 1000 le galee venivano usate per il trasporto di merci quanto per le azioni di guerra, ma quando, attorno a quest’epoca, in tutte le città marinare d’Italia rifiorirono le costruzioni navali, si cominciarono a progettare galee destinate esclusivamente alla battaglia. Allora, poiché nella stiva non si dovevano più immagazzinare merci, si potevano imbarcare fino a 120 vogatori, in qualche caso anche 200.
In molte galee ogni remo era manovrato da due, tre o anche quattro vogatori. Inoltre le vele venivano considerate un motore ausiliario; queste navi usavano la vela triangolare, detta vela latina, e di frequente avevano due alberi.
L’armamento di una galea era costituito si armi da lancio e grosse baliste; erano inoltre armate di un enorme sperone per forare lo scafo delle navi avversarie. Ciascuna galea era, infine, munita di grossi ganci e di ponti che servivano per agganciare le navi nemiche e per attaccarle all’arrembaggio.
Fra vogatori, marinai, bombardieri, arcieri e soldati assalitori, l’equipaggio di tale nave poteva contare anche più di 500 uomini.
Le prime galee usavano la vela quadrata, come i navigatori greci e romani. Solo verso il secolo XII si apprese dagli Arabi a usare la vela triangolare, con la quale era possibile navigare anche contro vento. La vela triangolare è detta vela latina. Ma questo nome non indica l’origine della vela. Esso deriva dalla storpiatura di vela ‘alla trina’. Così si chiamava infatti la vela triangolare, o perchè fatta a triangolo o perchè legata con la trina, una treccia di canapa formata da tre fili e usata per le legature volanti.
L’equipaggio era suddiviso in compagni d’albero (marinai) e rematori. Questi ultimi erano dei detenuti, condannati al trattamento più inumano. Erano in parte condannati per delitti comuni e in parte prigionieri di guerra; alcuni erano volontari, gentaglia che non sapeva far alcun altro mestiere, e venivano chiamati, per ironia, buanavoglia. Per essere riconosciuti in caso di fuga, questi rematori delle galee, detti appunti galeotti, dovevano avere i capelli rasati o tagliati a ciuffo.
Se la nave affondava, i galeotti affondavano con essa. Dovettero purtroppo trascorrere alcuni secoli prima che venissero abolite queste barbare condanne.

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Le navi da carico

Le nostre città marinare usarono diversi tipi di navi da carico: le galee grosse o di mercanzia, le cocche, le caracche. Erano navi alte di bordo, più larghe e tondeggianti delle galee, adatte a portare grandi carichi (e da ciò il nome di caracche che deriva dall’espressione latina navis caricata); esse furono fra le prime del Mediterraneo ad applicare una grande innovazione, apparsa già da un secolo nei navigli del Mare del Nord: la sostituzione dei remi di governo con un vero e proprio timone a barra, detto timone ‘alla navaresca’. Ben presto Genovesi e Veneziani si accorsero che queste navi erano adattissime anche al combattimento, perchè con esse si potevano colpire i nemici dall’alto, standosene ben protetti negli alti castelli di poppa e di prua.

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La Repubblica di Amalfi

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Splendore e decadenza di Amalfi
Amalfi, nell’anno 839 si rese indipendente da Napoli (del cui ducato faceva parte) ed elesse come governatore un comite (magistrato annuale). Cominciò allora la fortuna marinara della città che divenne la prima delle potenti repubbliche marinare del Tirreno. Essa seppe difendere la propria indipendenza sia contro Bisanzio sia contro i Longobardi.
La sua importanza, analogamente a quella di Venezia, si fondava esclusivamente sui traffici e la navigazione.
Le sue navi visitavano Alessandria e Beirut, in parte per condurvi pellegrini, in parte per andare a prendere prodotti che si potevano vendere comodamente in Italia.
Ben presto  i mercanti di Amalfi costituirono colonie a Palermo, a Siracusa e Messina, tutte città che si trovavano nelle mani dei musulmani.
Gli Arabi gradivano questi scambi di merce, dai quali essi stessi traevano vantaggio.
Concedevano generosamente ai forestieri luoghi di residenza, i cosiddetti fonduk, dove i mercanti  potevano svolgere la loro attività, come anche a Venezia esistevano i fondachi per gli stranieri.
Amalfi sfruttò abbondantemente i suoi vantaggi.
In questa cittadina, nel periodo del suo massimo splendore (X secolo), vivevano 50.000 abitanti, cifra assai ragguardevole per quei tempi.
Probabilmente Amalfi era allora la città di gran lunga più popolata di tutto l’Occidente.
La sua moneta (il tari) circolava in tutta Italia e perfino in Oriente.
Le sue leggi venivano rispettate ovunque e spesso venivano adottate da altre città.
Il codice della navigazione di Amalfi, Tabula Amalphitana, divenne il modello di tutto il diritto marittimo dell’Occidente.
A uno dei suoi cittadini, Flavio Gioia, fu attribuita l’invenzione della bussola. E’ vero che ciò non è esatto perchè l’ago magnetico era già noto ai Cinesi, tuttavia Amalfi può rivendicare il merito di aver messo questa invenzione al servizio della navigazione, collegando l’ago magnetico con la Rosa dei Venti.
Amalfi decadde quando, nell’anno 1131, fu conquistata dai Normanni, che avevano già occupato la Sicilia.
La città si era appena riavuta da questo colpo, quando fu attaccata, sconfitta, saccheggiata e definitivamente distrutta dai Pisani.
Oggi esistono soltanto rovine che indicano il punto in cui sorgeva l’antica Amalfi.
(‘I mercanti trasformano il mondo’, E. Samhaber)

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Uno strumento nuovo: la bussola

I mercanti delle repubbliche marinare che commerciavano con l’Oriente portarono in Europa uno strumento utilissimo per la navigazione. Si trattava di uno strumento proveniente dalla lontana Cina, che sembrava opera di magia. Era un piccolo recipiente colmo d’acqua, cioè una bussola, sul quale galleggiava una lancetta di ferro calamitato, sorretta da una scheggia di legno. La lancetta si indirizzava sempre verso nord e rendeva facile l’orientamento anche alle navi che si trovavano in mezzo al mare, lontano dalla costa, o quando di giorno o di notte, il cielo era coperto di nuvole e non si vedevano le stelle.

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La Repubblica di Venezia

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Nascita di Venezia

Rialto, piccolo ammasso di isolotti, era sto fino ad allora scarsamente abitato, ma l’inviolabile asilo che aveva offerto ai profughi di Eraclea lo designava per la scelta quale sede preferibile e permanente dello Stato.
Prese singolarmente, le isolette di Rialto erano certo meno estese di Torcello, di Burano o di Eraclea, ma il gruppo ne annoverava ben sessanta, separate da stretti canali sui quali sarebbe stato agevole gettare ponti, in modo da rendere disponibile per la capitale una superficie considerevole e di molto superiore ad ogni altra.
La via d’acqua larga e profonda che spartiva in due gruppi l’arcipelago era il corso del fiume Prealto, ramo staccato del Brenta; se ne fece il Canal Grande. Le sue dimensioni avrebbero consentito il passaggio delle maggiori imbarcazioni e sulle sue rive si sarebbero create banchine e depositi, nei luoghi più adatti.
Al limite degli isolotti periferici si sarebbero potuti costruire una cinta muraria e un riparo in pietra, a circondare e proteggere la nuova città.
Come se presentisse quale splendido destino lo attendeva, tutto il popolo di pose all’opera con incrollabile entusiasmo.
Da ogni parte si innalzarono costruzioni, dapprima di legno, poi di mattoni e di pietra.
Per il palazzo del doge si scelse la posizione che sarebbe rimasta immutata per sempre.
Quanto al nome della città gloriosa i Veneti le diedero il proprio, quella che in origine si era chiamata Rialto, civitas Rivoalti, divenne Venetia, ossia Venezia.
Questo avveniva nell’anno 810 dC.
(A. Bailly)

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Grandezza di Venezia

Venezia divenne una grande città commerciale. Le sue navi la fecero dominatrice del Mediterraneo. Le sue flotte mercantili, protette dalle navi da guerra, commerciavano fino a Costantinopoli, entravano nel Mar Nero per ritirare i prodotti russi e gli altri prodotti che dall’Asia e dalla Cina vi arrivavano per mezzo delle carovane. Lungo le coste della Palestina e della Siria, le navi veneziane caricavano i prodotti della Mesopotamia, della Persia e dell’India, qui portati dalle carovane. Esse avevano commerci con l’Egitto, lungo le coste della Francia e della Spagna, e oltre l’Atlantico, con l’Olanda, il Belgio, l’Inghilterra e la Scandinavia. Quasi tutti i Paesi d’Europa compravano i prodotti asiatici da Venezia. Nei giorni in cui Venezia era il grande magazzino del commercio orientale, i suoi nobili mercanti, i suoi artigiani ed il suo governo costruirono bellissimi edifici. I suoi banchieri prestavano denaro ai principi di tutta Europa.
Intanto i Turchi andavano occupando l’Oriente e assalivano le navi veneziane; Cristoforo Colombo aveva aperto gli orizzonti verso terre vergini dell’Occidente molto più remunerative.
Di più, era giunta notizia che un portoghese di nome Vasco de Gama aveva trovato una via per le navi per arrivare direttamente in India girando attorno all’Africa.
Un triste giorno i prezzi delle merci caddero circa alla metà, e non si rialzarono più.
Quando i mercanti ed i banchieri veneziani seppero della scoperta di Colombo e, ancor peggio, di de Gama, capirono che Venezia non avrebbe più potuto essere il grande emporio.
Essa si erge ancora con i suoi magnifici, vecchi edifici, i suoi ponti ad arco sopra i canali, le gondole che scivolano ancora lungo le calme acque delle sue strade. Invece dell’assordante rumore delle automobili, si sente il canto del gondoliere o il fischio del vaporetto.
La Repubblica di Venezia fu la sola tra le Repubbliche marinare a diventare anche una grande potenza di terraferma, fino a contare, a un certo punto, tra i più forti stati europei. La sua ricchezza, comunque, le venne da Oriente. L’Adriatico diventò qualcosa come un lago veneziano, già prima delle Crociate, con la fondazione delle colonie in Istria e in Dalmazia. Le Crociate offrirono ai Veneziani l’occasione di allargare i loro traffici, prima provvedendo al trasporto dei guerrieri cristiani in Palestina, poi con la fondazione di colonie commerciali nei paesi d’Oriente, in Grecia, nel Mar Nero. Durante la quarta Crociata i Veneziani, in cambio del trasporto degli eserciti con le loro navi, ottennero addirittura di far combattere i Crociati per ristabilire la sovranità di Venezia sulla ribelle Zara e per allargarla nei territori dell’Impero d’Oriente. Il Doge di Venezia ottenne il titolo di ‘Signore di una quarta parte e mezzo dell’Impero Greco’.
La Repubblica di San Marco visse fino al 1797, quando passò sotto l’Austria.
(R. Smith)

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I Veneti e i loro commerci

Le iniziative mercanti dei Veneti li portavano già in tutti i porti del bacino mediterraneo.
Gli audaci navigatori, un tempo pescatori di laguna, andavano a commerciare a Costantinopoli, nello Ionio e nel Mar Nero, in Siria e in Africa.
Non rimanevano nell’attesa che le merci forestiere fossero portate loro, ma volevano scegliere e acquistare all’origine i prodotti dai quali potessero trarre maggior lucro.
Anche per via terra, a gruppi o isolati, percorrevano le strade d’Italia sostando specialmente a Pavia e a Roma.
Ma essi avevano una vera e propria industria nazionale: la costruzione di navi, arte nella quale fin dal VI secolo erano già considerati maestri e in seguito si erano perfezionati, avendo studiato anche in Slavonia e in Istria nuove forme di scafi e di chiglie, altre disposizioni di remi e di vele.
Naturalmente, le aveva studiate e modificate assimilandole alla propria tecnica costruttiva e avevano finanche chiamati calafati e carpentieri greci e siriani per apprendere i metodi di lavoro.
Ormai nessun popolo pensava più ad emularli, in questo campo.
Nell’VIII secolo le isole superavano in prosperità quasi tutti i paesi europei; praticamente i Veneti avevano il monopolio del grande commercio internazionale.
Partivano col consueto carico di sale, ma al ritorno recavano ricche merci straniere: oli, cereali, tessuti, spezie.
Nei lontani porti frequentati dai loro navigli i Veneti aprirono numerose agenzie, simili ai nostri attuali consolati, dirette da connazionali che studiavano le attività economiche dei paesi di residenza, le loro risorse e necessità, annodavano relazioni d’affari con le genti del luogo e agevolavano gli scambi tenendo in deposito nei loro magazzini tanto i carichi in arrivo che quelli in partenza.
In seguito, anche Venezia dovette a sua volta ospitare agenti dei mercanti forestieri e concedere loro siti di sbarco e di magazzinaggio: ne conservano ancor oggi memoria il Fondaco dei Turchi e il Fondaco dei Tedeschi.
Questa corrente di scambi, già molto intensa al sorgere della nuova capitale, doveva rendere splendida oltre ogni ottimistica previsione la città edificata su quegli isolotti di Rialto dei quali l’omonimo ponte, che domina con il suo maestoso arco il Canal Grande, custodisce il lontano ricordo.
(A. Bailly)

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Come era governata Venezia

A Venezia dominava l’aristocrazia: tutti i poteri erano nelle mani del temibile Consiglio dei Dieci. Il Doge aveva solo il compito rappresentativo e presiedeva il Consiglio dei ministri, o Serenissima Signoria, composto di nove membri: si trattava ancora di altri dieci personaggi. In totale, venti nobili veneziani amministravano gli affari della Repubblica sotto il controllo molto blando del Senato, formato anch’esso da soli patrizi.
Nel  1355, sembra che un Doge abbia cospirato con elementi popolari, benchè l’affare sia rimasto oscuro (I Dieci hanno fatto scomparire gli incartamenti). Il tentativo fallì. I complici del Doge furono impiccati alle finestre del Palazzo Ducale e il Doge stesso, Marin Faliero, fu decapitato il giorno seguente sulla scala della Corte d’Onore. La Regina dell’Adriatico, in questo periodo è al suo apogeo: essa conta trecento navi grandi e tremila piccole; quarantacinque galee proteggono validamente le sue rotte marittime. In uno scenario incomparabile, opulento e grandioso, essa mostra con esuberanza la sua fiducia e la sua gioia nelle feste di un carnevale che si prolunga a poco a poco per tutti i giorni dell’anno.

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L’arsenale di Venezia

Il suo arsenale, situato sulle due isole Gemelle nella parte orientale della città, era il più grande e il migliore che allora si conoscesse; ancor oggi se ne vedono le profonde darsene e i tre canali scavati in seguito per collegare gli impianti originari con quelli successivi.
In esso, da prototipi accuratamente studiati e uniformemente riprodotti, si costituivano ogni sorta di imbarcazioni: guerreschi vascelli rostrati dai fianchi scudati di cuoio e dai ponti muniti di catapulte e di torri per arcieri e balestrieri, navi mercantili più  pesanti e lente, nelle quali l’abbondante velatura rimpiazzava i duecento vogatori delle galee e dei ‘gatti’.
Questa è la tradizionale, autentica industria nazionale.
Non v’è popolano che non appartenga alla marineria: marinaio, pescatore o calafato che sia.
Anche coloro che esercitano un mestiere legato alla terra sono per origine dei marittimi. Del resto, vivono sul mare, il mare è il loro elemento naturale e la barca il basilare strumento di lavoro; il giorno in cui lo Stato ha bisogno di loro non fanno che cambiare i remi della barca in quelli della trireme, con una maestria marinara d’altronde indispensabile affinché la Repubblica possa essere presente là dove la chiamano i suoi interessi, ora con lo sguardo svolto a Bisanzio, della quale prevede la successione, ora ai Normanni, dei quali teme la forza e le mire ambiziose.
(A. Bailly)

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La forza navale di Venezia

Sotto il comando del General da Mar e del Capitano del Golfo le forze navali di Venezia, o Armata Veneta, erano formate da navi a vela, che costituivano l’Armata Grossa, e da navi a remi, o Armata Sottile, mosse quest’ultime da galeotti o condannati ai remi della galea, oppure da rematori volontari chiamati buonavoglia. Comandavano le prime i Governatori del Mare, mentre le navi a remi dipendevano da un Sopracomito.
Tutta l’Armata usciva dall’Arsenale, che poteva fornire navi con armamenti completi in tempo ridottissimo e che era un mosaico di squeri o cantieri. Anzi, era, a sua volta, un enorme cantiere funzionante. Dante stesso mostra di essere rimasto colpito agli ordini degli Inquisitori dell’Arsenale, dei Provveditori all’Armar e di quei Visdomini alla Tana che facevano arrivare da una località sul Mar Nero, Tanai, alle foci dell’odierno Don, la canapa destinata a divenire solida gomena in un reparto dell’Arsenale stesso, chiamato, ‘La Tana’.
Popolazione vivacissima dell’Arsenale, gli arsenalotti, erano artefici abilissimi, gelosi del loro mestiere, tramandato di generazione in generazione, e del privilegio di spingere, a suon di remi, nel giorno dello Sposalizio del Mare, il Bucintoro, l’imbarcazione dogale, che sdegnava l’aiuto degli alberi e delle vele.

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Le ‘uscieri’

Uscieri  si chiamavano le grosse navi a vela, per gli sportelli o usci praticati sui fianchi per agevolare l’imbarco di cavalli e di macchine da guerra. Insieme alle galee e alle navi minori partecipavano anch’essi alla battaglia, rovesciando vere fortezze galleggianti dai loro castelli e dai loro ponti volanti, con adatti ordigni, i proiettili sulle navi avversarie.
Fortezze che talora, in battaglia, venivano tra di loro legate per formare il cosiddetto porto d’alto mare, o porto galleggiante, perchè il vento non ne isolasse qualcuna, facendola preda delle più veloci galee, superiori certo, queste, per molti secoli, nei combattimenti rapidi in mare aperto.
(M. Bini)

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Severissima disciplina sulle galee veneziane

La disciplina, severa in tutte le marine italiane, era severissima sulle navi di Venezia. Nel 1293 il Gran Consiglio veneziano aveva decretato che, quando l’ammiraglio aveva dato l’ordine di attaccare il nemico, se una qualche galea si fosse allontanata dal luogo della battaglia, i capi divisione, i capitani, i nocchieri e i timonieri venissero decapitati. Se non si poteva raggiungerli, venivano condannati al perpetuo esilio e tutti i loro beni erano confiscati.

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Vita di galeotto

Durissima era la vita al remo nelle galee. I rematori di destra stavano con il piede sinistro incatenato alla banchina (e i vogatori di sinistra inversamente) e così sul banco vogavano per dieci o dodici ore; unico riparo era una tenda o una leggera sovrastruttura. Quando si intimava il silenzio dovevano mettersi in bocca il tappo di sughero che portavano appeso al collo. La ciurma era comandata da un sottufficiale, l’aguzzino, che aveva diritto di vita e di morte sui vogatori. Dalla corsia ammoniva a nerbate, puniva a sciabolate o (dopo l’invenzione della pistola) piantando una palla in testa ai recalcitranti.

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Dal ponte di comando alla catena del remo

La condizione delle ciurme nelle battaglie era spaventosa e orribile; esposte ai colpi dei loro correligionari e fratelli (poichè sulle galee cristiani gli schiavi erano turchi e su quelle turche erano cristiani), avevano come unica speranza di liberazione la cattura della galea. Avveniva così talvolta che capitani di navi, e anche ammiragli, passassero dal comando al remo o dal remo ancora al comando!

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Lo sposalizio del mare

Venezia stabilì di commemorare annualmente le sue vittorie con una festa nazionale che dapprima si espresse nella benedizione del mare: all’Ascensione, il vescovo di Olivolo si recava con il clero all’estremo limite dell’isola e lì, alla presenza della folla, tracciava sul mare, sede e strumento della grandezza veneziana, il sacro segno che lo univa a Dio e gli uomini.
In seguito la cerimonia doveva assumere un significato ancora più chiaro e di un simbolismo più adatto a colpire l’animo della massa.
Nacque così lo Sposalizio del Mare nel quale il Doge, vivente personificazione dello Stato, faceva suo il mare così come ogni uomo lega a sé la donna scelta in sposa.
Per la tradizione fu il papa Alessandro III che, avendo riconosciuta la sovranità veneziana sull’Adriatico, inviò al Doge l’anello benedetto accompagnandolo con queste parole: “Ricevetelo come il segno del vostro imperio sul mare; voi e i vostri successori rinnoverete gli sponsali ogni anno affinché i tempi a venire sappiano che il mare è vostro e vi appartiene come la sposa allo sposo”.
Ogni anno il doge saliva a bordo del Bucintoro, la galea nazionale fantasiosamente decorata di sculture e dorature, perfino nei remi.
Diritto sotto un baldacchino purpureo circondato dalla sua Corte, percorreva la laguna in direzione del Lido e per il vicino passaggio entrava nell’Adriatico.
Qui, dal Bucintoro galleggiante sul mare che Venezia considerava suo, il Doge lanciava in acqua il suo anello d’oro, pronunciando la formula rituale: “Desponsamus te, mare, in signum veri perpetuique dominii”.
(A. Bailly)

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Il Bucintoro

Il Bucintoro era il grande e maestoso naviglio sul quale, nel dì dell’Ascensione, il Doge di Venezia procedeva, ogni anno, a solennizzare la cerimonia dello sposalizio col mare. Il Bucintoro, adornato riccamente, lungo trentun metri e largo sette, aveva due piani: nell’inferiore stavano i remiganti, nel superiore il Doge, il Patriarca, gli ambasciatori, i governatori degli arsenali, i membri del Governo, gli altri personaggi della Repubblica.
(P. Persico)

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Ultime parole del Doge Mocenigo

Il grande doge di Venezia Mocenigo, sempre vigile nella cura della Repubblica, così disse ai maggiorenti della città, racconti attorno al suo letto di morte: “Ormai io più non posso giovare alla patria mia; perciò vi ho chiamato per raccomandarvi questa cristiana città e persuadervi ad amare i cittadini e a far giustizia e a pigliar pace… La guerra con il Turco vi ha fatto valorosi ed esperti per mare, avete sei capitani da guerra, avete molti uomini sperimentati nelle ambascerie e nel governo, avete molti dottori di diverse scienze e specialmente molti legali… La vostra zecca batte ogni anno un milione di ducati d’oro, duecentomila d’argento e ottocentomila in soldoni… Perciò sappiate governare un tale stato e abbiate cura che per negligenza mai diminuisca”.
M. Bini

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San Marco, patrono di Venezia

L’evangelista Marco ha come simbolo un leone , e coi caratteri del Leone appare Gesù nel vangelo di San Marco, cioè con le qualità del forte, che scaccia i demoni, che guarisce gli ammalati e che vince la morte.
Questo perchè san Marco rivolgeva il suo vangelo ai Romani, che non avrebbero dato nessun valore alle lunghe genealogie ebraiche o alle profezie. I Romani non conoscevano che il diritto e la forza. Perciò, nel vangelo di Marco, il Redentore rappresenta sempre il diritto e la forza a cui nulla può resistere.
Si sa che la sua tomba di marmo, ad Alessandria, era venerata anche durante la dominazione dei Maomettani. Nell’828, due mercanti veneziani vollero togliere le reliquie di san Marco dalla terra dominata dagli infedeli. Si disse che di nascosto i due veneziani togliessero dalla tomba le ossa del santo e le nascondessero in fondo a un paniere, riempito poi di vettovaglie. Altre leggende fiorirono intorno alla venuta di san Marco sul suolo veneziano. Fra queste la più poetica ebbe credito nella città lagunare.
San Marco sarebbe giunto a Venezia non dopo morto, ma ancora vivo, a causa di una grande tempesta che avrebbe spinto la sua nave, da Alessandria d’Egitto verso la laguna veneta. Sulla spiaggia, appena sbarcato, egli sarebbe stato accolto da un angelo, che gli avrebbe detto: “Pace a te, Marco evangelista mio”.
Sono le parole che si leggono ancora sulle pagine del libro, tenuto dagli artigli di un leone alato, che forma lo stemma di Venezia, chiamata perciò la ‘città di San Marco’.

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Indiscrezioni da Venezia

La dogaressa Selvo è al centro di animatissime discussioni nell’alta società veneziana.  Si sa che la dogaressa è bizantina di nascita, figlia di un imperatore e sorella di Michele VII Ducas; e fin da quando era giunta a Venezia si sapeva che era cresciuta in mezzo a lussi che noi non immaginiamo nemmeno. Si è subito fatta notare per la ricchezza e lo splendore dei suoi abiti. Ora poi sono trapelate alcune indiscrezioni che hanno scandalizzato i Veneziani. Si dice che la signora si lavi con acque odorose, si profumi, e si rinfreschi il volto con la rugiada, raccolta per lei ogni mattina dai servi.
Ma ciò che le sta attirando, a quanto pare, le ire del famoso predicatore Pier Damiani è una strana abitudine della dogaressa. Pare infatti che per portare il cibo alla bocca si serva di uno strumento d’oro a due denti, invece di usare le mani. Secondo Pier Damiani si tratta di uno strumento diabolico.
(L. Pisetzky)

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Una nuova basilica custodirà il corpo di san Marco

Un incendio ha distrutto la Cattedrale. Ma subito si pensa a costruirne una più grande e più bella.
L’incarico di progettare e di innalzare la nuova chiesa è stato dato ad architetti bizantini, essendo Venezia assai legata all’Oriente, ed essendo i Veneziani molto sensibili al gusto che viene di là.
Anche la nuova chiesa sarà dedicata a san Marco e ne custodirà le reliquie, come la vecchia chiesa.
San Marco evangelista è infatti, da 150 anni circa, il protettore di Venezia. Precisamente da quando due mercanti veneziani, che a causa dei loro traffici si trovavano ad Alessandria d’Egitto, vennero a sapere dai cristiani di quella città,  dove si trovavano nascoste le reliquie di san Marco. Ottenute quelle reliquie, essi le portarono a Venezia, facendola in barba al controllo degli Arabi. E sapete come?
Al di sopra della cassa contenente il corpo del santo, misero uno strato di carni suine; gli Arabi, ai quali è vietato mangiare carne di maiale, fecero subito passare quella merce, che era bene lasciasse l’Egitto; e con la carne suina passò quel corpo, venerato ora in Venezia.

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Il doge Orseolo e la Dalmazia

Gli Schiavoni si erano stabiliti in Croazia e in Dalmazia e le città costiere, che politicamente dipendevano dall’Impero greco ma che questo non era però in grado di proteggere, difficilmente potevano resistere da sole alle incursioni barbaresche.
Venezia invece, sia per la sua vicinanza che per la potenza della sua flotta, poteva difenderle o liberarle.
Perciò esse ne richiesero l’aiuto, che Orseolo concesse a patto che le città dichiarassero obbedienza alla Repubblica, giurandole fedeltà e fornendole dei rinforzi per l’opera di liberazione.
Due soltanto, Lesina e Curzola, ricusarono la sottomissione, ma tutte le altre accettarono, cosicchè nel maggio dell’anno 1000 il doge si recò a Pola con una poderosa flotta e vi si stabilì solennemente per ricevere l’omaggio dei magistrati di tutte le città costiere e incorporare nelle sue truppe i contingenti dei quali aveva imposto l’obbligo.
Quindi fece vela per Zara, dove i magistrati delle città marittime dalmate vennero a loro volta per fare atto di sottomissione e presentare i rinforzi.
In tal modo più di venti tra le città e isole si posero sotto il dominio di Venezia, che diventava di fatto la padrona delle coste istriana e dalmata.
Contro Lesina e Curzola, le due riottose, il doge passò alla maniera forte prendendole d’assalto, ed esse dovettero reputarsi fortunate di trovare un vincitore che, contrariamente alle usanze dei tempi, risparmiasse la vita agli abitanti.
Dopo di che, Orseolo sferrò l’attacco ai nidi dei pirati sul litorale, ne distrusse le imbarcazioni, li inseguì nella fuga entroterra e ne fece tale carneficina che per molto tempo furono ridotti all’assoluta impotenza.
Quando il doge ritornò a Venezia, alla testa della flotta vittoriosa, fu accolto dagli osanna del popolo entusiasta; per merito suo, infatti, la Repubblica si era assicurata il dominio delle coste illiriche e dalmate.
Quanto ai Greci, anziché adombrarsi dell’imponente successo veneziano, lo riconobbero e l’imperatore lo sancì conferendo al doge il titolo di Duca di Dalmazia.
(A. Bailly)

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Il trasporto del corpo di san Marco

Il nome di san Marco era da secoli venerato nell’estuario veneto. Era antica tradizione che l’evangelista fosse stato il primo propagatore della fede sulle coste dell’Adriatico settentrionale, e il fondatore della prima chiesa di Aquileia.
La leggenda narrava che la nave che lo aveva trasportato verso Aquileia da Alessandria d’Egitto, durante il suo tragitto era stata colta da una violenta burrasca, che aveva costretto l’equipaggio ad entrare nella laguna e ad approdare alle isole di Rialto. E lì, mentre il santo, sceso a terra, si riposava in attesa di riprendere il viaggio, gli era apparso un angelo che lo aveva salutato con le parole “Pax tibi, Marce, Evangelista meus”, e gli aveva annunciato che su quella terra le sue ossa avrebbero avuto un giorno riposo e venerazione.
Questa leggenda, che dava quasi al luogo, scelto dai Veneti come loro capitale, una designazione soprannaturale, aveva acceso nell’animo di molti di essi il desiderio di impadronirsi dei resti mortali del santo, secondo un costume molto diffuso in quei tempi in tutta la cristianità. Senonché le ossa di san Marco erano ad Alessandria d’Egitto, dove il santo aveva subito il martirio ai tempi di Nerone, e dove, per raccoglierle, era stata costruita una bellissima chiesa.
In quel tempo, in seguito alle ostilità esistenti tra l’Imperatore di Costantinopoli e i Saraceni, era severamente proibito ai mercanti veneti di approdare in Egitto, dominato dai Saraceni, e di esercitarvi quei commerci che nel passato erano stati fiorenti. Tuttavia, malgrado il divieto, i mercanti più arditi continuavano a frequentare quei posti.
Due di questi, secondo la tradizione Rustico da Torcello e Bon da Malamocco, approdano un giorno ad Alessandria con ben dieci navi cariche di merci; vi trovarono i cristiani del luogo addoloratissimi, perchè i musulmani dominatori  spogliavano ogni giorno le chiese dei vasi sacri e di ogni prezioso arredo, per arricchire le moschee e i loro palazzi, e già correva voce che il sultano avesse in animo di abbattere la chiesa nella quale erano custoditi i resti di san Marco per impiegare altrove i materiali.
Questa notizia colpì vivamente l’animo dei due mercanti veneziani, i quali decisero di impadronirsi della reliquia e di portarla alla loro patria.
Dopo molte difficoltà, riuscirono a persuadere i due religiosi greci che avevano la custodia del corpo del santo, a consegnarlo a loro, e lo trassero a bordo di una delle loro navi. Elusa con un’astuzia la sorveglianza dei doganieri, dopo un viaggio avventuroso giunsero in vista della laguna veneta, ma non osarono approdare perchè colpevoli di aver violato il divieto di commerciare coi Saraceni e inviarono un messo al doge perchè gli recasse la confessione del loro fallo e l’annuncio del prezioso carico.
La notizia fu accolta con immenso giubilo. Il doge perdonò l’infrazione alle leggi e si dispose, con tutto il popolo, a ricevere degnamente le spoglie dell’evangelista. Esse vennero collocate nella cappella di san Teodoro, adiacente al Palazzo Ducale, in attesa che le accogliesse un maestoso tempio, del quale si iniziò presto la costruzione.
San Marco fu eletto patrono della Confederazione veneziana, che adottò come stemma il leone alato, simbolo dell’evangelista; insieme con il libro dei vangeli e il motto “Pax tibi, Marce, Evangelista meus”.
(E. Zorzi)

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Una dimora veneziana

Il Procuratore Contarini ordinò a Giovanni Buono la facciata della casa, chiamata d’Oro per le dorature di cui era adorna. Compiuta la facciata che, nonostante le offese del tempo, ride ancora di una immortale bellezza, fu chiamato mastro Giovanni di Francia, per ornarla ‘de pentura’. Come doveva apparire quel gioiello dell’architettura veneta! Maestro Giovanni si impegnava a dorare le rose, gli stemmi, i leoni, gli archetti, il fogliame dei capitelli e i dentelli, dipingere le ‘tresse dazuro oltremarin fin ben dopiado per muodo che i la stia benissimo’. Le merlature dovevano essere dipinte con biacca e venate come il marmo; le fasce bizantine a tralci di vite, tinte di bianco su fondo nero, e tutte le pietre rosse e tutte le ‘dentade rosse sia onte de oio e de vernixe con color che le para rosse’.
(P. Molmenti)

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Diplomatici veneziani

E’ logico supporre che l’esaltazione di Venezia e delle sue bellezze ad opera di visitatori di ogni terra e di ogni condizione, concorresse a creare intorno alla città una leggenda avvalorata più che mai dalla chiara realtà di una flotta senza uguali, dalla ricchezza inesauribile dei commerci. Venezia è una potenza con la quale altre potenze si onorano di avere rapporti profondi e amichevoli; gli ambasciatori veneziani, educati alla più alta scuola di diplomazia e introdotti nelle corti più difficili, colgono ritratti ed atteggiamenti e li fissano per sempre nelle loro relazioni.
Ecco come la grande Elisabetta d’Inghilterra accoglie l’ambasciatore della Serenissima:
“Era la Regina in quel giorno vestita di taffetà d’argento e bianco fregiato d’oro, con abito aperto alquanto davanti sì che mostrava la gola, cinta di perle e di rubini fin a mezzo il petto. La testa aveva di capelli di un color chiaro che non lo può far la natura, con file di perle grosse intorno alla fronte e con archi in forma di cuffia e corona imperiale; faceva mostra di un gran numero di gemme e di perle, e nella persona era quasi coperta di cinto d’oro gioiellato e di gioielli in pezzi separati di carbonchi, balassi e diamanti, avendo anco le mani in luogo di mantili, filze doppie di perle più che mezzane, e tale in aspetto di regina non di anni 76…
Sedeva sua maestà su una sedia sopra un poggiolo quadrato di due scalini… e all’entrare che feci in quella stanza si levò in piedi, e procedendo io nelle debite riverenze, giunto a lei, in atto di porre in ginocchio sopra il primo gradino, la sua maestà non permettendolo, con ambe le mani quasi mi sollevò, e mi porse la destra, la quale baciai, e in quest’atto ad un tempo stesso mi disse: <<Sia ben venuto in Inghilterra il segretario. E’ ben ora che la Repubblica mandi a vedere una regina che l’ha tanto onorata in tutte le occasioni>>.

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Diplomazia veneziana

Un documento di singolare importanza per il contenuto e per la forma è l’accordo che il sultano Murad II (Amorato), colui che prepara la strada a Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli, stipula con Venezia nel 1430: trattato di breve durata. Mirabile la vivacità delle espressioni che nella parlata veneta acquistano una solennità inattesa:
In nome del gran Dio nostro, amen.
Mi Gran Signor e Grande Amirà, Soldan Amorato, zuro in loDio, creator del zielo e de la terra et alo gran nostro profeta Maomet et ali sete Mussafi che avemo e confessemo nuy Musulmani, et ali CXXIII mila profeti et in anema de mio avo e de mio padre, et in anema mia, et in la mia testa, e per la spada che me zengo, prometo mi Gran Signor Amorato, e zuro in li soraditi sagramenti:
che dal di d’anchuo, prometo e digo de aver con mio fredello, el Doxe, con lo honorado et lustrissimo Chomun de la dogal signoria de Vienexia e con i so zentilomeni grandi e pizoli, bona, dreta, fedel, ferma et veraxia paxe per mar e per terra, et in le terre, zitade, castelli, ixole e tuti luoghi che chomanda la serenissima signoria de Vienexia, in quanti castelli, terre e zitade, ixole e luoghi, i qual lieva la insegna del San Marco, e quanti la leverà da mo in avanti”.

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Venezia prima delle Crociate

Lo scarso sviluppo quantitativo del commercio veneziano dei due secoli che precedono le Crociate ci è attestato dalle condizioni in cui si svolgevano i trasporti sia per mare sia per terra.
I viaggi per mare erano fatti generalmente da navi di piccolissimo tonnellaggio, molte delle quali erano sprovviste di ancora, che doveva essere presa a nolo per la durata del viaggio.
La mancanza di ogni strumento di orientamento obbligava a limitare la durata giornaliera del viaggio alle ore della luce solare, riparando la notte in qualche insenatura della costa istriana o dalmata, oppure lungo le rive generalmente basse e piatte della costa italiana su cui si doveva tirare in secca le piccole imbarcazioni.
Ai pericoli del mare si aggiungevano e spesso sovrastavano quelli della pirateria slava, per cui, a differenza di quello che avverrà nei secoli successivi, le navi erano obbligate a viaggiare in convoglio fino al canale d’Otranto, mentre, uscite da questo, era loro permesso di viaggiare isolate; e questo non tanto perchè nel mar Ionio e nel Mar di Levante la loro sicurezza fosse garantita dalla vigilanza della flotta bizantina, ma perchè il loro piccolo numero e la varietà delle rotte che esse seguivano verso gli Stretti, verso la Siria, l’Egitto o la Sicilia, rendeva impossibile riunirle in convoglia protetti da una scorta armata.
Non molto migliori erano le condizioni dei trasporti per terra, per i quali il mezzo di gran lunga preferito era la via fluviale, che si presentava relativamente agevole lungo il corso inferiore del Po e dell’Adige, ma che per questi stessi fiumi a monte di foce Mincio e di Legnago e per tanti altri corsi d’acqua del Veneto e della Valle Padana si prestavano soltanto a barche di fondo piatto e di minima portata, che in certi tratti più ripidi dovevano essere tirate con funi; mentre in montagna e specialmente lungo i valichi alpini, che talvolta incominciavano ad essere pericolosi, non potevano esser fatte che da somieri, che difficilmente portavano più di un quintale ciascuno.
Tutto sommato dunque, se si può affermare che nel corso del X e del XI secolo si sono create tutte o quasi tutte le condizioni che permetteranno il grande sviluppo del commercio e di tutta l’economia veneziana nei due secoli successivi, è anche certo che questo sviluppo è stato poi decisamente favorito dalle Crociate, e che soltanto da queste ha origine la creazione di un impero coloniale veneziano nel Levante.
(C. Luzzatto)

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La Repubblica di Pisa

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La Repubblica di Pisa
Pisa cominciò a reggersi a Repubblica nella seconda metà del secolo XI. Dapprima fu assai ostacolata nei suoi traffici marittimi dai Saraceni, ma, in seguito, aiutata da Genova, riuscì, dopo lunga e accanita lotta, a snidare quei pericolosi pirati arabi dalle isole Baleari, dalla Corsica e dalla Sardegna, dove infestavano il Tirreno e saccheggiavano anche le altre città costiere italiane.
Pur combattendo contro i Saraceni, Pisa aveva empori in Oriente e trafficava con i Turchi, i Libici, i Parti e i Caldei. Molti vantaggi economici ottenne poi dalle Crociate. Splendidi monumenti, palazzi, magnifiche chiese testimoniano ancora quanto fosse ricca e prospera questa Repubblica.

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Decadenza della Repubblica di Pisa

Durante il secolo XIII Pisa decadde, combattuta per terra da Firenze e da Lucca, per mare da Genova.
Nella grande battaglia della Meloria, la flotta pisana fu completamente disfatta da quella genovese (1284), e migliaia di Pisani caddero prigionieri della potente rivale. Dopo questa tremenda sconfitta, Pisa non si risollevò più: perdette, l’uno dopo l’altro, i suoi possedimenti di Sardegna, di Corsica e la Colonia di San Giovanni d’Acri (Asia Minore); cedette a Genova l’Isola d’Elba, e non potè evitare la rovina commerciale del proprio porto. Ai disastri esterni si aggiunse la discordia interna tra Guelfi e Ghibellini.
Un episodio ben noto di questa lotta è quello del Conte Ugolino della Gherardesca, che tentò di farsi signore della città, appoggiandosi ora ai Guelfi ora ai Ghibellini.
Preso a tradimento dall’arcivescovo Ruggieri, suo rivale, venne chiuso con due figli  e due nipoti in una torre, e lì fu fatto morire di fame insieme con gli altri quattro sciagurati. Dante immortalò il tragico avvenimento nel XXXIII canto dell’Inferno.

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Pisa

L’esistenza di Pisa quale città marinara è nota fin dall’età romana: la città sorgeva alla foce dell’Arno, ed aveva un porto grande e sicuro. Dopo l’oscura parentesi delle invasioni barbariche, Pisa conquistò la propria indipendenza e già nel secolo VIII disponeva di una grossa flotta mercantile protetta da numerose navi da guerra. Alle incursioni ed alle minacce dei Saraceni, che correvano in lungo e in largo il Mediterraneo, i Pisani risposero con una guerra spietata, caratterizzata da imprese veramente leggendarie. Nel 1063, le navi pisane, rotta la grande catena del porto arabo di Palermo, irruppero in esso, attaccando le navi alla fonda.
Altre imprese vittoriose vennero compiute, nel giro di secoli di battaglie, a Reggio Calabria, sulle coste della Spagna, delle Baleari, della Sardegna, dell’Africa; famosa, e cantata dai poeti medioevali, la distruzione della roccaforte saracena di Mehedia (1087). La crescente potenza commerciale e militare pisana suscitò tuttavia la gelosia della sua grande vicina, Genova. La rivalità tra le due repubbliche le condusse ad una lunga serie di guerre nelle quali Pisa si venne sempre più indebolendo: la sconfitta della Meloria (1284) segnò l’inizio della sua inarrestabile, rapida decadenza.

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Lo scoglio della Meloria

Al largo del porto di Livorno, circa 7 chilometri a ponente, c’è lo scoglio della Meloria, su cui sorge un’antica torre. Sai perchè lo scoglio è famoso?
Perchè nei suoi pressi i Genovesi inflissero una dura sconfitta alle navi pisane nel lontano 1284, il 6 agosto, al tempo delle lotte combattute dalle repubbliche marinare di Genova e Pisa per il dominio del Mar Tirreno. Durante la sanguinosa battaglia navale due galee genovesi accoppiate, fra le quali era tesa una grossa catena, investirono la nave capitana pisana troncandone di netto lo stendardo bianco con l’immagine della Vergine. La vittoria genovese è ricordata da un iscrizione posta sulla facciata di San Matteo, chiesa dei Doria di Genova.

Morte del conte Ugolino
Alla battaglia della Meloria, nel 1284, i Pisani furono battuti definitivamente e lasciarono diecimila prigionieri nelle mani dei Genovesi. Fu allora che i guelfi toscani, alleati di Genova, minacciarono di marciare su Pisa per distruggerla. In tal frangente fu nominato prima podestà e poi capitano del popolo il conte Ugolino della Gherardesca; il quale, persuaso che si dovesse lottare contro Genova e non contro i guelfi della Toscana, si accordò con questi cedendo loro alcuni castelli e impegnandosi a render guelfa la sua città: gesto di amor patrio che andava oltre la passione politica di fazione; ma non la pensarono così i suoi concittadini che, accusatolo di tradimento, lo imprigionarono con i due figli e i due nipoti nella torre che, dopo di lui, fu detta della fame. Lì i cinque prigionieri furono lasciati miseramente morire di fame. Era l’anno 1288. Tutta la Toscana fu pervasa da un fremito di orrore per tale crudele condanna, che colpiva soprattutto gli innocenti figli e nipoti del conte.
Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, ricostruisce gli ultimi giorni e la fine, ad uno ad uno, dei prigionieri, con un verismo poetico di enorme potenza.

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Pisa ha corso un grave pericolo

Pisa, 1005
La città ha subito un improvviso e duro assalto da parte di armati saraceni, provenienti dalla Sardegna al comando del feroce Musetto. Ecco come essa si salvò dal terribile pericolo.
Pisa è immersa nel sonno. L’unico rumore sommesso è il mormorio dell’Arno, che attraversa la città. Ma forse, nelle loro case, non tutti i Pisani dormono tranquilli. Certo ignorano che alcune galee saracene, risalito il corso dell’Arno, stanno per raggiungere Porta Marina.
Musetto ha scelto il momento giusto: egli sa che questa oscura notte di settembre gli permetterà di dare a fuoco le porte, di irrompere nella città, di saccheggiare, di fare strage fra i Pisani, di portar via come schiavi donne e fanciulli. Lente, silenziose, le galee saracene ormeggiano ora ai serragli del primo ponte. Ed ecco che in un attimo i pirati sono sotto Porta Marina con le fiaccole accese, assalgono con scale e raffi le mura. Abbattuta la Porta i pirati irrompono urlando nelle prime case, con le torce e le spade sguainate. Cominciano a levarsi grida di orrore. Svegliate di colpo, nel sonno, famiglie sbigottite cercano scampo a quella furia nascondendosi, fuggendo, supplicando. In pochi istanti lo scompiglio diventa indescrivibile. In mezzo a tanto sgomento, una sola fanciulla (sembra incredibile) sa conservare la calma. Questa fanciulla è Cinzica de’ Sismondi.  Cinzica comprende subito che occorre fare una sola cosa, per la salvezza di Pisa: raggiungere il Palazzo del Comune e suonare a stormo le campane per dare l’allarme all’intera città. Incurante dei rischi cui va incontro, Cinzica scende dunque nella strada affollata di fuggiaschi e di Saraceni e comincia a correre, a correre… Finalmente, rischiando mille volte la morte, l’intrepida fanciulla è al Palazzo del Comune. Esausta, dà di piglio alla corda delle campane e suona, finché non le rimangono più forze. Poche ore più tardi la città è salva. I Pisani, infatti, svegliati dalle campane e corsi alle armi, erano riusciti a fermare i Saraceni, a travolgerli, a costringerli alla fuga.

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La Repubblica di Genova

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La Repubblica di Genova

Genova fu particolarmente favorita, nello sviluppo commerciale, dalla felice posizione geografica del suo porto, situato in un golfo ampio, profondo e sicuro, protetto alle spalle da un’alta cerchia di monti. Rovinata dai Longobardi, si riebbe solo sotto i Carolingi e divenne presto il centro più importante delle due Riviere di Levante e di Ponente.
Genova, liberata dal dominio dei marchesi e dei vescovi-conti verso la metà del secolo XI, si resse subito a Repubblica, e, lottando alleata con Pisa, contro i Saraceni, s’impadronì della Corsica; ottenuta poi dal Papa l’investitura sulla Sardegna, divenne la vera padrona del Tirreno, strappandone il predominio agli antichi alleati Pisani.
Debellata Pisa, accrebbe la sua potenza militare, politica e commerciale, assicurandosi depositi e magazzini di merci in tutti i porti principali del Mediterraneo orientale e perfino nel Mar Nero, per cui entrò in concorrenza, e rivaleggiò, con Venezia dalla fine del secolo XIII alla fine del secolo XIV.

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Il duello tra Genova e Venezia

Era così grande la potenza di Venezia e di Genova, che le sorti dell’Impero Bizantino, dipendevano dall’esito delle rivalità tra le due Repubbliche.
Il duello, tra Genova e Venezia, pieno di implacabile odio, ebbe varia fortuna e fu combattuto su tutti i mari, e senza quartiere, tra le potenti flotte delle due grandi nemiche, comandate da famosi ammiragli.
L’episodio più importante di questo lungo conflitto fu la guerra di Chioggia (1378), durante la quale Pietro Doria, ammiraglio dei Genovesi, superbamente impose a Venezia la resa. Quest’ultima proposta esasperò i Veneziani, che, da assediati, divennero assediatori, guidati da Vittor Pisani.
I Genovesi, così, furono costretti ad arrendersi per fame e a chiedere la pace, che fu stipulata a Torino (1381) per la mediazione di Amedeo VI di Savoia.
La guerra di Chioggia segnò il tramonto della potenza marittima e commerciale di Genova che non fu più in condizione di prendersi la rivincita su Venezia. Questa infatti ebbe la libertà dei suoi commerci e dei suoi possedimenti in Oriente e la possibilità di espansione anche per terra in Occidente.
Da allora la Repubblica di San Giorgio (Genova) fu tormentata da continue discordie interne e da guerre civili, e, per avere un po’ di pace e di tranquillità, dovette appoggiarsi ora a questa ora a quella potenza straniera a prezzo della propria libertà.

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Genova

Nell’anno 641 i Longobardi attaccarono e distrussero Genova: da questa catastrofe la città riuscì a risollevarsi nel giro di tre lunghi secoli. Il suo risveglio era ormai avvenuto quando, nel 935, i Saraceni piombarono su di essa, saccheggiandola ferocemente. Proprio le ripetute e gravissime incursioni arabe spinsero i genovesi ad apprestare una potente flotta con la quale difendere la città ed i suoi traffici; sorse così la Compagna, una potente associazione di mercanti-guerrieri. Verso il 1100, i consoli della Compagna divennero consoli della Repubblica genovese. Genova ebbe una grande espansione commerciale in tutto il Mediterraneo e stabilì basi e colonie un po’ ovunque; ma la sua storia è soprattutto caratterizzata dalle lunghe guerre condotte contro le repubbliche rivali, quella di Pisa e di Venezia. In più di un secolo di ostilità, alternata a lunghi periodi di pace ed anche di alleanza, Genova piegò Pisa e a sua volta venne piegata da Venezia e s’avviò alla decadenza.

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Genova e l’Oriente

La potenza della Repubblica marinara di Genova, in alcuni periodi, non fu inferiore a quella di Venezia. Anche i Genovesi, che, guidati dai loro mercanti e armatori, erano riusciti a rendersi indipendenti dall’Impero, raggiunsero il massimo della loro forza durante le Crociate, dapprima provvedendo ai rifornimenti degli eserciti cristiani ed ottenendone in cambio importanti posizioni nei porti della Siria e dell’Egitto.  Qui essi vendevano i prodotti europei, i metalli necessari per le armature, il ferro e il legname per le navi. Qui acquistavano, per rivenderli in tutta l’Europa, i prodotti orientali portati dalle carovane che provenivano dall’interno, specialmente droghe e sete indiane. Mentre nel Tirreno la potenza di Genova entrò in conflitto con quella di Pisa (e vinsero i Genovesi sconfiggendo la rivale), in Oriente l’antagonismo fu principalmente tra genovesi e veneziani, per il monopolio dei commerci nel Mar Egeo e nel Mar Nero. Lo scontro si risolse, dopo alterne vicende, a favore di Venezia. I Genovesi (come i Veneziani e i Pisani) possedevano, nei porti orientali, banchine speciali per l’attracco delle loro navi, magazzini, strade, talvolta interi quartieri, governati con le leggi della madrepatria.

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Genova Repubblica marinara
Siamo agli arbori di Genova Repubblica marinara: nel 1016, per iniziativa di papa Benedetto VIII, viene allestita una flotta, composta quasi esclusivamente di navi genovesi e pisane, la quale infligge una sconfitta, lungo le coste sarde al re saraceno Mujahid che si era impadronito dell’isola e molestava con sistematiche depredazioni le coste liguri. Questa vittoria e la successiva opera di penetrazione in Sardegna e in Corsica, segna l’inizio della rivalità tra Genova e Pisa; le due città non esiteranno però ad allearsi con Gaeta, Salerno e Amalfi per combattere più volte il comune nemico:
Nella seconda metà del secolo XI si inaspriscono i conflitti tra i vescovi e i visconti; ma la lotta si compone nel 1099 per merito del vescovo Arialdo, quando nasce la Compagna Communis composta dal vescovo, dai visconti e dalle compagne locali. Riunendo i nobili, i proprietari terrieri, i cittadini dediti al commercio e alla marineria, e il vescovo che conserva i suoi poteri tradizionali, la Compagna Communis si identifica col Comune e nasce così lo Stato Genovese. Nello stesso tempo la potenza marinara di Genova si consolida e si espande sulle due riviere, da Lavagna a Ventimiglia, con vasto retroterra capace di fornirle uomini e mezzi.

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Leone alato e croce rossa di San Giorgio

Quelli che hanno viaggiato per il mar Mediterraneo e sono passati vicini ai promontori, accanto alle mille isole dell’Egeo, e sono entrati nei porti avranno visto sempre, in cima al colle che sovrasta il mare o la città, un grande castello grigio, enorme, quasi sempre abbandonato, rovinato, cadente. Ognuno di questi castelli è un segno dell’antica potenza di Venezia, di Genova, di Pisa, di Amalfi.
Essa arrivava fino a Costantinopoli, fino all’Egitto. Quando i pirati o gli infedeli vedevano all’albero di una nave la bandiera di Venezia, che era il leone alato, o la croce rossa di san Giorgio, che era la bandiera di Genova, sapevano che c’erano a bordo dei marinai animosi che non avevano paura di attaccare battaglia e, se non si sentivano molto superiori di forze, fuggivano…
Era tale il terrore che quelle bandiere davano ai pirati che quando gli abitanti dell’Inghilterra incominciarono a fare lunghi viaggi per mere con le loro navi, domandarono il permesso ai Genovesi di poter innalzare anch’essi i colori di san Giorgio, per essere più rispettati.
I Genovesi acconsentirono, e perciò, anche oggi, voi vedete che la bandiera d’Inghilterra reca, nell’angolo superiore sinistro, la croce rossa, che è quella dell’antica Repubblica di Genova.
(P. Monelli)

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Un documento commerciale marittimo del 1158

Giovanni Filardo, mercante genovese, s’era recato in Egitto, ad Alessandria, per farvi acquisti, portando un capitale di 753 lire genovesi. Al ritorno, poichè doveva allontanarsi per andare a San Giacomo di Galizia a sciogliervi un voto, stese un preciso inventario delle merci, per conoscenza del suo socio e parente Guglielmo che ne fece ricevuta. E’ forse uno dei più antichi documenti commerciali che noi oggi possediamo:
Io Guglielmo Filardo dichiaro che sono presso di me, nel mio magazzino:
I. della commenda che feci a te Giovanni dei beni di Ansaldino mio nipote:
14 sporte di pepe del peso di 65 cantari e 45 rotuli (
il cantaro era circa 80 chilogrammi e il rotulo 800 grammi)
6 fasci di legno brasile del peso di 47 cantari
10 libbre di noce moscata
1 zurra di cannella uguale
87 e mezzo menne o fasci
1 fascio di chiodi di garofano.
II: della commenda fatta a te dei beni di mio nipote Guglielmo:
3 sacchi di pepe del peso di 17 cantari e 42 rotuli
1 fascio di legno brasile del peso di 7 cantari e 52 rutuli
1 zurra di cannella del peso 187 libbre
60 libbre di spica
(olio di nardo)
2 libbre e mezzo di noce moscata
III: della società che ho teco:
2 fasci di legno brasile selvatico del peso di 16 cantari e 88 rotuli
3 sporte di pepe e tre sacchi del peso di 29 cantari e 114 rotuli
4 fasci di galanga
(radici per concia)“.

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Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA

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Cartina fisica
Confini: Mar Ligure, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Francia
Golfi: di Genova (Riviera di Levante, Riviera di Ponente), del Tigullio, di La Spezia
Promontori: Capo Mele, Capo di Noli, Punta di Portofino,  Punta di Sestri Levante
Monti: Alpi Occidentali (Liguri); cime più alte: Monte Saccarello (m 2.220). Appennino Settentrionale (Ligure); cime più alte: Maggiorasca (m 1.803)
Valichi: Colle di Nava, Passo di Cadibona, Passo del Turchino, Passo dei Giovi, Passo della Scoffera, Passo di Cento Croci, Passo del Bracco
Pianure: di Albenga, di Chiavari
Fiumi: Roia, Centa, Polcevera, Bisagno, Entella, Magra col suo affluente Vara.

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Osserviamo la cartina
La Liguria comprende una fascia montuosa a forma di arco che si specchia, con un ampio golfo, nel Mar Ligure. Dura fatica hanno sostenuto i Liguri per dissodare la loro terra impervia e arida: il terreno fertile dovette essere creato a colpi di piccone. I dirupi furono ridotti a terrazze, sostenute da rocce e da muriccioli a secco per ottenere orti, campicelli, vigneti, giardini.
Tutto l’arco della costa ligure è detto Riviera, e Genova lo divide in Riviera di Ponente e Riviera di Levante, verdeggianti di pinete e di chiari olivi.

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Agricoltura

Data la natura poco fertile e la scarsità del terreno, la produzione agricola non ha grande sviluppo. Si coltivano olivi, frutta, primizie ortofrutticole e soprattutto fiori.

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Province

La Liguria conta quattro province: Genova, Imperia, Savona e La Spezia.
Genova, il capoluogo, sorge ad anfiteatro sul mare. E’ il più attivo porto del Mediterraneo ed uno dei centri siderurgici più importanti d’Italia.
Imperia è famosa per i suoi oli ed i suoi pastifici.
Savona, il secondo porto della Liguria, è un notevole centro commerciale.
La Spezia, sul golfo omonimo, è un porto militare.

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Per il lavoro di ricerca

Come si presenta il territorio della Liguria?
Come puoi rilevare dalla cartina i fiumi liguri sono tutti assai brevi: sai spiegarne la ragione?
Quali sono i maggiori valichi che permettono le comunicazioni della Liguria con l’Emilia Romagna?
Conosci il nome dell’autostrada che congiunge Genova con Milano?
Come sono le coste liguri?
Perchè il clima della regione è mite? Quali particolari coltivazioni favorisce?
Vi sono industrie importanti in Liguria? Dove?
Che cosa sono le terrazze?
E’ molto importante la pesca in Liguria? Perchè?
Che cosa sono i vigneti del mare?
Quali sono le principali città della regione?
Perchè è importante Genova?
Quando nacque la provincia di Imperia?
Quale cittadina ligure è chiamata ‘la capitale dell’acciaio’?
Quali sono le località balneari più famose?
Ricerca notizie sull’artigianato e il folklore della Liguria.

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La Liguria

La Liguria è come una falce di luna posata sul mare. Il luminoso Tirreno blandisce le sue sponde; le Alpi e gli Appennini, a ridosso, la proteggono dai venti.E’ una stretta e arcuata striscia di terra, verde di palme e di ulivi, dalle case variopinte, profumata di fiori, di aranci, di gelsomini, e di salmastro; dove maturano i frutti più saporiti, dove i vigneti si inerpicano sulle rocce tra i pini e i cipressi, dove molli colline si alternano a brusche e scoscese riviere.
(O. Grosso)

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La costa ligure

Tutta la costa ligure è un incanto e in particolar modo la Riviera di Ponente. A ogni svolta della strada, che ora sale ora scende, ti si para davanti un nuovo quadro pieno di colore, di vita, di attrattive: qua macchie gialle di esili mimose fiorite, là boschetti di contorti ulivi dal lucido fogliame, di oleandri in fiore che spandono lontano il loro profumo; più oltre agavi dall’altissimo stelo fiorito che sembra un pino; palme di ogni specie, aurei mandarini e aranci che punteggiano il verde scuro del fogliame; e viottoli ombrosi e chiesette dedicate alla Madonna della Guardia, protettrice dei marinai, e qualche torrione rotondo da cui, nell’alto Medioevo, si sorvegliava la costa da improvvisi assalti dei Saraceni.
(G. Assereto)

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Aspetto di una scogliera

Ecco scogliere nude, che danno un marmo nero e giallo, il portoro, tra cui si abbarbica la vigna; poi la vigna si stende, e copre interamente il fondo roccioso con fusti bassi per difendere i pampini dal vento robusto del mare. Pochi e monotoni colori, ma lucenti, quasi uno smalto; e pochi personaggi, la vite, il cactus, l’agave, l’albero del fico, le case solitarie a metà pendio che non servono da abitazione ma soltanto a pigiare l’uva che appassisce sui tetti. Gli oggetti distinti a uno a uno, come in un presepe un po’ sordo.
Gli abitanti delle Cinque Terre sono piccoli vignaioli o pescatori favoriti dal mare pescoso di scoglio.
(G. Piovene)

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Il ghiottone è servito

Profumo di mare e profumo di terra: l’uno e l’altra offrono i loro doni più preziosi alla gastronomia genovese, particolarmente saporita e fantasiosa. Re indiscusso ne è il pesto, la salsa a base di aglio, basilico, formaggio pecorino e olio, pestati nel mortaio di marmo col lucido pestello di legno d’olivo. Chi non ha sentito parlare delle trenette al pesto, uno dei più tipici piatti locali?
I piatti più ricercati sono riservati per le festività solenni. A Natale, maccheroni in brodo e, come dolce tradizionale il ‘pan duce’ una specie di panettone, ma più pesante e consistente del confratello milanese.
Per San Giuseppe si friggono i ‘friscen’, frittelle di zibibbo, mele, baccalà e aromi; a Sant’Antonio di preparano zucchini ripieni, mentre i piatti di rito per il giorno dei morti sono i ‘bacilli’, fave fresche con patate, e i ‘balletti’, le castagne bollite. E altri piatti tradizionali non sono meno noti dai buongustai: frittura di gianchetti, il cappon magro, la cima (cioè la pancetta di vitello ripiena), la torta pasqualina.

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Le coste liguri

Sono molto alte. Le principali sporgenze sono Capo Mele, Noli, Portofino e Portovenere.
Molte sono le rientranze e, benché non siano grandi, presentano porti sicuri, tra cui i principali sono quelli di Genova, di La Spezia e di Savona.
In fondo al golfo di Genova, sotto il quale nome si comprende la parte più settentrionale del mar Ligure, si trova il porto di Genova, il più attivo d’Italia.
Il golfo di La Spezia è formato a occidente da una penisoletta che termina con Portovenere.
Nelle due Riviere, di Levante e di Ponente, vi sono numerose e celebri stazioni climatiche (Bordighera, Sanremo, Alassio, Nervi, Santa Margherita, Rapallo).

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Il clima della Riviera Ligure

La regione che, come un ampio anfiteatro, si affaccia sul Mar Ligure, gode di condizioni climatiche privilegiate, che si prolungano dalla Versilia e sul litorale pisano fino a Livorno. Esse sono conseguenza del contatto ampio e profondo di questa striscia litoranea col mare, della sua esposizione verso mezzogiorno che la apre all’influenza dei tiepidi e umidi venti sud-occidentali, e soprattutto dalla sua orografia, perchè i rilievi della regione non solo costituiscono un efficace schermo contro le fredde correnti settentrionali, ma anche intiepidiscono poi queste ultime per riscaldamento dinamico durante la loro discesa al mare.
Queste condizioni particolari agiscono in modo decisivo su tutti gli elementi del clima e in primo luogo sulla temperatura, che è eccezionalmente mite, tanto che la Riviera si può considerare come un grande tepidario naturale, date le sue elevate temperature invernali che hanno riscontro solo nell’Italia meridionale a sud di Napoli. Tuttavia si notano importanti diseguaglianze, sia nella Riviera di Levante, dove arriva spesso il freddo Mistral del Golfo del Leone, sia nella Riviera di Ponente, allo sbocco di alcune valli principali, da cui scendono violenti e freddi i venti del Piemonte.

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Le Cinque Terre

Dopo Levanto, la costa già alta, rocciosa, si fa ancora più aspra e precipita quasi a picco sul mare. Dal Bracco, contrafforti scendono a formare un’insenatura meravigliosa nella sua selvaggia, naturale bellezza: il Golfo delle Cinque Terre.
Ancora negli anni ’70 unico mezzo per giungere a questo piccolo angolo di quiete e di bellezza era il treno, perchè l’asperità del rilievo e una certa trascuratezza nel considerare la necessità di questi piccoli centri: Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola, Riomaggiore, hanno sempre rimandato al domani la costruzione della litoranea da lungo tempo auspicata dalle piccole comunità, troppo isolate dal centro di maggior attrazione commerciale: La Spezia.
Potrà sembrare strano in una costa dal rilievo così accentuato, dalla costa che si tuffa precipitando nel mare, ma l’attività principale degli abitanti non è la pesca, ma l’agricoltura: le colture della vite e dell’ulivo. I pescatori ci sono, ma rappresentano un’esigua minoranza della popolazione residente; e il pesce sbarcato, specie nei periodi di massimo afflusso turistico, è insufficiente a soddisfare la richiesta.
La grande meraviglia è invece su, in quei piccoli terrazzi strapiombanti sul mare dai quali i grappoli turgidi occhieggiano provocanti in agosto e settembre.
Ogni metro di terra conquistato è costato innumerevoli sacrifici alla tenace gente di questi piccoli centri; la terra, se di terra si può parlare tanto è ancora rudimentale la disgregazione della roccia madre, è stata difesa con muretti a secco, portati, pietra su pietra, da chissà dove, nei grandi cesti che gli uomini portavano sulle spalle e le donne sul capo.
Nell’epoca della vendemmia, ogni minuscolo terrazzo si anima di un fermento insolito; i piccoli sentieri, a scalini impossibili, che separano terrazzo da terrazzo, sono teatro di un continuo andirivieni di uomini e donne con grandi ceste ricolme di uva. Nei paesi l’aria è presto satura dell’odore del mosto. Il vino, sia quello bianco secco, che va giù liscio tra un calamaretto e un polipo fritto, o fra un’orata o una mormora, come quello liquoroso e di maggior gradazione e pregio, che suggella una cena tra amici o un più pretenzioso pasto, chiamato Sciacchetracche è sovente troppo magra ricompensa a tanti sacrifici e tanti sforzi e, naturalmente, non basta ad assicurare il pane per tutto l’anno, anche perchè la proprietà è molto frazionata. Perciò gli uomini, a partire dagli anni ’60, hanno lasciato la terra ai vecchi e alle donne per un’occupazione meno saltuaria e più redditizia presso l’Arsenale di La Spezia o i cantieri di Muggiano o le raffinerie di petrolio.
Sui declivi più scoscesi, dove l’opera dell’uomo non è giunta a redimere la terra, la macchia mediterranea con le sue erbe aromatiche, i suoi pini ad ombrello, le sue ginestre e i suoi lecci contende lo spazio vitale all’ulivo, meno numeroso delle viti, ma che dà un olio finissimo e molto ricercato.
Altra specialità delle Cinque Terre sono le acciughe conservate con grande cura  e abilità.
(E. Dubois)

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Le comunicazioni
Le montagne, pur occupando tutta la regione, offrono valichi frequenti alle strade che collegano la Liguria con l’Italia settentrionale, la Francia e il resto della penisola. L’arco costiero è percorso dalla via Aurelia, in molti tratti tortuosa, stretta, congestionata. Le autostrade collegano Savona con Ventimiglia e il confine francese, avviano il traffico verso il Piemonte e la Lombardia. Una linea ferroviaria percorre tutto l’arco della costa proveniente dalla Francia e diretta alla Toscana. L’aeroporto internazionale di Genova sorge su una penisola artificiale slanciata nel mare per due chilometri.

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L’agricoltura

Il territorio della Liguria, invaso dalle catene alpine e appenniniche, offre pochissimo suolo adatto alle colture; i brevi avvallamenti, i tratti limitati di pianura che potrebbero essere meglio sfruttati sono sempre più occupati dallo sviluppo edilizio. Gli agricoltori liguri, che sono una piccola parte della popolazione attiva, si dedicano perciò a coltivazioni specializzate, favorite dal clima mite, utilizzando i declivi prossimi al mare, faticosamente sistemati a terrazzi. In essi producono ortaggi pregiati e primizie, frutta, uve (molto noti sono i vini delle Cinque Terre); coltivano l’olivo e i fiori: famosi sono i garofani di Sanremo e le rose, la cui produzione raggiunge il 75% del prodotto nazionale.

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L’attività industriale

L’attività industriale della Liguria è assai intensa e di importanza primaria sul piano nazionale: notevoli sono le industrie metallurgiche e siderurgiche. Tali industrie legano la loro attività a quella dei cantieri navali. Caratteristiche della liguria sono le industrie di trasformazione di prodotti locali e di importazione: oleifici, pastifici, saponifici, zuccherifici, raffinerie.
In questa regione, affacciata sul mare, dotata di grandi impianti portuali, fonte di ricchezza sono principalmente le attività commerciali che intorno ai  porti hanno  il loro sviluppo più intenso e si irradiano lungo le strade e le ferrovie dirette all’Europa centrale e lungo le rotte di navigazione del Mediterraneo e dell’oceano Atlantico.
La dolcezza del clima e la mutevole bellezza del paesaggio sono tal da suscitare una vivacissima attività turistica estiva e invernale, distribuita lungo i centri grandi e piccoli della Riviera di Ponente e di quella di Levante, da Rapallo a Portofino, da Alassio a Sanremo, a Bordighera.

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Il ricco manto di fiori e di piante

Gran parte del fascino della Riviera di Ponente deriva dallo splendido scenario di piante e di fiori che festosamente veste ogni più remoto anglo del territorio.
La vegetazione della costa ci appare rigogliosa e varia. La macchia mediterranea, formata di arbusti profumati e sempreverdi, è integrata dai bellissimi pini marittimi e italici e dalle argentee fronde dell’ulivo, che qui trova il suo ambiente d’elezione.
Gli oleandri, i gerani, i garofani compongono, nel paesaggio avvolto da una luce ora tenera ora violenta, meravigliosi arazzi dai colori più diversi.
Sugli speroni rocciosi che si protendono verso verso il mare, crescono piante grasse xerofite, che formano un pittoresco contrasto con la nuda roccia: sono le agavi, spesso gigantesche, e i fichi d’India.
Nei giardini, sui muretti, lungo le crose, s’arrampicano le rose e i gelsomini odorosi, le passiflore e le splendide buganvillee dai fiori rossi e violetti.
Le favorevoli condizioni ambientali hanno permesso il facile acclimatarsi di piante esotiche quali gli eucalipti, le magnolie e soprattutto le palme, dalle specie più svariate, tra cui primeggiano le palme da dattero. Spuntano un po’ dappertutto tra le costruzioni, emergono dai giardini, fiancheggiano le vie.
Ma la visione più suggestiva della flora della provincia ci è offerta dallo splendido giardino Hanbury che occupa tutto il costone della Mortola e scende fino al mare; è uno dei più celebri giardini di acclimatazione di specie esotiche.
Man  mano ci si allontana dal mare e ci si inoltra nell’interno delle vallate, le pendici dei colli abbandonano il tipo di vegetazione che abbiamo descritto e ci si presentano, specie nell’alta Valle Argentina, rivestite di castagneti, di pini, di carpini e di frassini.

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Fiori e profumi

Centinaia e centinaia di ettari di terreno, nei dintorni di Sanremo, di Porto Maurizio, di Albenga, vengono coltivati a rose, a garofani,  a violette, ad acacie, a resede, a bulbose. Qui sono roseti a perdita d’occhio, là garofaneti intramezzati da colture di narcisi, di anemoni, di tuberose, di giacinti… e quali cure assidue richiede un fiore!
Un ettaro di terreno coltivato a garofani comporta l’impiego di quindici persone per tutto l’anno. Migliaia di lavoratori sono dediti alla coltura dei fiori, senza tener conto delle persone addette agli impianti irrigatori, alla fabbricazione delle ceste, all’imballaggio, alla spedizione, ai trasporti… Vi sono mercati quotidiani di fiori. Treni speciali provvedono al rapido trasporto nelle principali città italiane e straniere dei fiori recisi nelle belle aiuole della Liguria.
Quintali di vellutate corolle di rose si spediscono ogni anno dalla Riviera ligure in Francia, per l’industria profumiera, e si esportano anche viole, fiori d’arancio, lavanda, timo, menta, giaggioli.
(L. Sasso)

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Il treno dei fiori

Ogni giorno, da Ventimiglia, viaggia in Riviera un treno speciale, carico di fiori, raccolti, sui trenta chilometri dell’incantevole cornice, a Ventimiglia, Bordighera, Ospedaletti, Taggia, Riva. Fila a Genova, ove si staccano vagoni diretti a piazze interne e riceve piante e fogliami ornamentali dalla Toscana; quindi si rimette in moto, diretto ai confini di dove dispensa a quindici nazioni, dal cuore d’Europa alla Scandinavia, il sorriso della più smagliante produzione delle nostre terre…
Sette tonnellate di fiori della Riviera che portano il calore e il sole d’Italia nei freddi paesi del Nord, nelle case della Germania, della Danimarca, della Norvegia e della Svezia.
La Liguria è il regno quasi assoluto del garofano e della rosa, assieme a violette, margherite, violaciocche, resede, narcisi, anemoni, mimose, foglie ornamentali.

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La pesca

Il Mar Ligure, come si è già avuto occasione di rilevare parlando dell’economia della provincia di Genova, è poco pescoso a causa del fondale marino roccioso, della brevità della piattaforma litorale, di una indiscriminata e colpevole cattura del pesce, anche in stagioni dell’anno nelle quali essa non sarebbe consigliabile.
La pesca è praticata con imbarcazioni di piccolo tonnellaggio, che sbarcano il prodotto sulle banchine del porto di Imperia da dove il pesce raggiunge i mercati di Bordighera e di Sanremo.

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I vigneti del mare

Chi le vede per la prima volta, magari solcando le acque del golfo su un vaporetto della linea di Lerici o di Portovenere, non sa spiegarsi il perchè di quelle lunghe file di trespoli di legno affioranti dal pelo dell’acqua, allineati con precisione geometrica. Sembrano vigneti. Sotto il mare, da quei trespoli si dipartono ghirlande strane, dalle quali pendono lunghe corde, tenute verticali da grosse pietre, e su queste corde, ormai coperte d’uno spesso strato di alghe, nascono i mitili, i saporosi frutti di mare, che col nome di muscoli o di cozze sono noti ai buongustai di tutta Italia.
Questi molluschi richiedono una cura meticolosa: operai e manovali si aggirano ogni giorno su pesante barconi da carico tra i vigneti, estraggono dall’acqua le pesanti ghirlande, e poi rimettono ogni cosa al suo posto. E i piccoli pontili di legno dei mitilicoltori, coperti da pittoresche baracche costruite con legname di fortune, ricordano lontanamente i paesaggi esotici delle remote città dei mari della Cina.
(A. Lugli)

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Le province

Capoluogo della Liguria è Genova che si stende ad anfiteatro in un’ampia insenatura dell’omonimo golfo. E’ detta ‘la Superba’ per la magnificenza e la grandiosità delle sue opere d’are, tra cui il Palazzo Ducale, antica residenza dei Dogi, il Palazzo Doria, il Palazzo San Giorgio, il Palazzo Reale, la Cattedrale di San Lorenzo, la Porta Soprana. E’ un grande centro industriale e commerciale. Il suo porto, dominato dalla caratteristica Lanterna, è il secondo del Mediterraneo, il primo d’Italia per traffico di merci: vi fanno capo numerosissime linee di navigazione italiane e straniere. Nei limiti amministrativi della Grande Genova sono compresi diversi centri, che sorgono a Ponente e a Levante della città su un tratto di costa lungo circa trenta chilometri. Notissimi sono: Sampierdarena, Cornigilano e Sestri Ponente, con grandi complessi industriali e cantieri navali; Pegli e Voltri, stazioni balneari; Nervi, rinomata stazione climatica. Nei suoi dintorni sorge il celebre Santuario della Madonna della Guardia.
Imperia, formata dall’unione di Oneglia e Porto Maurizio, è sede di attive industrie ed è un importante mercato dell’olio.
Savona è uno dei maggiori porti d’Italia, specializzato soprattutto nell’importazione del carbon fossile, e sede di grandi industrie siderurgiche, meccaniche e alimentari. Il vicino porto di Vado è particolarmente attrezzato per l’importazione di petrolio.
La Spezia sorge in bella posizione, sul magnifico golfo omonimo. Vi hanno sede industrie meccaniche e chimiche, cantieri navali, raffinerie di petrolio. Il suo porto, ben protetto dalla Penisola di Portovenere, è uno dei più importanti d’Italia e base navale militare.

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Curiosità su Genova

In provincia di Alessandria (Piemonte) i paesi Novi Ligure, Parodi Ligure e altri ancora dimostrano che in antico quei luoghi erano abitati dal popolo dei Liguri.
Il via Fieschi, a Genova, c’è la casa dove Colombo passò la sua giovinezza; è vicino alla monumentale Porta Soprana, alta 31 metri, eretta nel 1155, che si apre fra due torri.
Se oggi vogliamo indicare Voltri, Pegli ed altri comuni, dobbiamo dire Genova-Voltri, Genova-Pegli, ecc. Sai perchè? Perchè nel 1026, con un regio decreto, fu disposta la fusione del comune di Genova con altri 19 comuni limitrofi.
Il nome Liguria deriva dai Liguri, i quali furono i primi abitatori della regione. Si conosce ben poco di questo popolo, giunto qui, forse, dalla Spagna, all’alba della storia. E’ certo, però, che nel settimo secolo aC, i Liguri occupavano un territorio che si estendeva a nord fino al fiume Po e oltre, e che era, quindi, assai più vasto di quello della Liguria d’oggi.
Numerosi paesi della Liguria, soprattutto della Riviera di Ponente, appaiono divisi in due parti: una nuova, costruita in riva al mare, e l’altra, antica, costruita un po’ più addentro sui colli. Fu la paura dei pirati che spinse la popolazione a cercare riparo in alto nel retroterra.

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Curiosità su Savona

Curiosa sorte quella di Savona: non è né la più piccola né la più grande provincia italiana; non è né la più nota né la più importante; eppure è l’unica che può vantare un tratto di Alpi, un tratto di Appennini ed un tratto di mare tutti per sé.
Una nota leggendaria farebbe derivare Priamar dal nome di un condottiero cartaginese. La toponomastica, invece, certo con maggior fondamento, lo fa derivare da due termini dialettali: pria (pietra) e mar (mare). Quindi il significato è chiarissimo: la fortezza Priamar non è che uno scoglio sul mare.
A Garessio, secondo un’antica leggenda, nelle balze della Pietra Ardena, avrebbe trovato rifugio nel secolo X Alasia, figlia dell’Imperatore di Germania Ottone I, e Aleramo, capostipite dei marchesi di Monferrato.
Dal 1950 Albenga si è arricchita del Museo Navale Romano unico nel suo genere, in seguito al tentativo di recupero del carico e dei resti di una nave romana del I secolo aC affondata a due miglia dalla riva, intrapreso dalla celebre nave Artiglio. Il mare ha così restituito oltre mille anfore vinarie, resti lignei e metallici dello scafo, numerosi vasi di diverso tipo, provenienti forse dalla cucina della nave, varie rifiniture metalliche, oggetti nautici e tre elmi di bronzo.

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Curiosità su La Spezia

Lo sai che il ‘La’ che si premette al nome Spezia è un articolo? Fin dalle più antiche carte geografiche lo si trova infatti declinato come tale. Quindi dovrei dire ‘provincia della Spezia’, ‘golfo della Spezia’, e così via. Purtroppo non tutti sanno o ricordano questa regoletta grammaticale e capita abbastanza spesso di trovar scritto, anche in documenti ufficiali, ‘provincia di La Spezia’, o ‘una nave proveniente da La Spezia’.
Se ti trovi alla Spezia la seconda domenica d’agosto, potrai godere di una interessante manifestazione folkloristica: il Palio Marinaro del Golfo. E’ una gara remiera, che si disputa su un percorso di duemila metri nelle acque della rada e vi partecipano tutte le borgate del Golfo con le loro imbarcazioni tipiche a quattro vogatori. Prima della gara si snoda attraverso le vie della città un pittoresco corteo, al quale partecipano anche rappresentanze in costumi medioevali delle antiche Repubbliche marinare.
I buongustai sanno che a Portovenere o nell’isola Palmaria si può gustare un piatto prelibato: la zuppa di datteri marini. La tradizione vuole che lo stesso Federico Barbarossa ne fosse tanto ghiotto, da far obbligo ai Signori del luogo di consegnargli uno scudo pieno di datteri ogni volta che con i suoi soldati passasse da quelle parti.

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Il più potente faro d’Italia

Dice un vecchio proverbio genovese che ogni volta che un napoletano entra in porto, la Lanterna, cioè il faro di  Genova che si innalza sul Capo Benigno, si metta a tremare… Perchè la Lanterna si metta a tremare il proverbio non lo dice, ma è facile capire che non sia esattamente per la gioia di illuminare un forestiero.
Sul Capo Promontorio, detto successivamente di San Benigno, o di Faro, vi fu in origine un piccolo fortilizio romano che vigilava sulla vicina via Aurelia e sul mare: e furono i primi fuochi di bivacco di quella guarnigione a dar seguito alla consuetudine, creando un punto luminoso di riferimento sicuro per le navi in rotta davanti a Genova. Il piccolo fortilizio continuò a servire anche dopo la caduta di Roma. La prima torre che fu costruita nel perimetro del fortilizio risale ai primi anni del secolo dodicesimo: una torre di modeste dimensioni sulla quale si facevano segnali con piccoli fuochi, come accadeva in tutte le altre torri del tempo.
Nel 1543, poi, i Padri del Comune decisero di fabbricare di nuovo la torre. I lavori durarono un anno. Antiche carte parlano di 2000 quintali di calce, 120.000 mattoni, 2600 palmi di pietra lavorata a scalpello, ed altri 1000 di pietra pregiata di Finale di Lavagna.
(G. V. Grazzini)

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Nascita di una città

Imperia è nata soltanto il 21 ottobre 1923, quando un decreto del governo stabilì l’unione dei comuni di Oneglia e di Porto Maurizio: tra i due abitati scorrono le acque del torrente Impero, che un tempo divideva le due città sorelle.
Ora i due centri sono collegati da una strada fiancheggiata da pini e da piante esotiche, ampia e panoramica, nel cui punto medio è stato eretto il Municipio. Negli ultimi anni, però, moltissime costruzioni sono sorte lungo i tre chilometri del viale e gli abitati si sono fusi senza soluzione di continuità.
Nonostante questo, Oneglia e Porto Maurizio conservano caratteristiche proprie, sia per la posizione geografica che per l’aspetto e la vita economica.
Il volto di Imperia è dunque composito, ma non per questo meno interessante; il turista che voglia visitarla ha dunque la singolare possibilità di conoscere due città in una.
Oneglia, tutta al piano, con le belle vie rettilinee e spaziose, ha l’aspetto di città commerciale e industriale; Porto Maurizio assomma alle caratteristiche dei tipici centri liguri, con la città vecchia disposta sul promontorio roccioso, quelle di moderna città residenziale, animata da ville e alberghi e allietata da giardini ricchi di fiori e di palme.

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La Spezia

Alla fine del Settecento La Spezia aveva tremila abitanti. Nel 1849 Massimo d’Azeglio, ospite di amici spezzini, scriveva alla moglie una frase che brucia ancora adesso: “Qui il paese è codino (retrogado) e ci si fa la vita più tranquilla del mondo”.
Ma Napoleone aveva avuto l’intuizione di costruire nel paese ‘codino’ un porto militare; Cavour riesumò l’idea napoleonica e la fece sua; fra il 1862 e il 1869, secondo i progetti del generale Chiodo, fu edificato l’arsenale. Cominciò così l’aumento vorticoso della popolazione, accorsa da ogni parte d’Italia.
La Spezia può essere considerata città di pionieri, improvvisa e artificiale, tipo Texas. Nascono intorno all’arsenale le industrie navali e meccaniche. Le strade sono piene di ufficiali e di marinai. Viene un periodo di prosperità concentrato intorno alla marina. Poi, la guerra: La Spezia è distrutta. Nel 1945 è ridotta in rovine, ed è abbandonata a se stessa.
Oggi è di nuovo un’importante città industriale.

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Camogli

Camogli è una graziosa cittadina, cosparsa di ville degradanti verso il mare, un angolo pittoresco della pittoresca Liguria, dove il soggiorno per il turista è veramente incantevole.
Ma Camogli è anche rinomato centro peschereccio, città di pescatori e di uomini di mare, e fin dall’antichità ha dato alla marineria ottimi armatori e valenti capitani la cui fama è corsa attraverso i mari fin ai più lontani paesi.
I ‘bianchi velieri’ di Camogli, come venivano chiamati i bastimenti, i ‘barchi’, erano così numerosi e così conosciuti in tutto il mondo che lo stesso Luigi Filippo, re di Francia, quando nel 1830 intraprese la conquista dell’Algeria, pensò di servirsi di essi per il trasporto di artiglierie, di batterie, di carriaggi, di derrate, di foraggi. La marina mercantile camogliese fu ritenuta, dunque, più adatta di quella francese per le necessità di una campagna che doveva durare dieci anni.
E attraverso i secoli Camogli è sempre stata all’altezza della sua fama. Anche Camillo di Cavour soleva dire che se i servizi per le truppe piemontesi andarono bene durante la guerra di Crimea, il merito era tutto dei camogliesi che avevano saputo dare al Piemonte una vera flotta mercantile.
Ma in alcuni giorni dell’anno, la graziosa cittadina sembra dimenticare il consueto, duro e tenace lavoro: si anima e diviene allegra, riempendosi di gente giunta da ogni parte d’Italia. E’ il tempo delle manifestazioni folkloristiche, tra cui è rinomata la Sagra del Pesce.
Sul porticciolo di Camogli, in mezzo a una folla variopinta e chiassosa, i pescatori friggono quintali e quintali di pesce in enormi padelle. Poi lo offrono a tutti generosamente, secondo una gentile tradizione di ospitalità: “Mangiate pesce! Mangiate fosforo fritto!” essi gridano allegramente, muovendosi tra i tavoli pieni di commensali improvvisati ed offrendo piatti colmi di pesce dorato e croccante. E tutti mangiano abbondantemente fra risa, canti, motteggi, richiami.
Camogli, cittadina di sogno, in questi giorni sembra davvero un’altra, sembra perfino aver dimenticato quella riservatezza e quella scontrosità propria degli uomini di mare.

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I fuochi di San Giovanni

Genova la notte di San Giovanni è tanto piena di luci, di razzi, di falò, da far pensare, a chi la vede dall’alto del Castelletto o dal Righi, che il bel cielo di giugno tempestato di stelle si sia rovesciato e l’abbia imbrillantata dei sui fulgori.
Le piazze e le strade sono invase, e la folla, densa come una colata di lava, è attraversata da righe di palloncini multicolori, da solchi di bengala abbaglianti, da processioni di fantastici quadri di carta velina illuminata; è agitata da canzoni, da trilli felici, da grida di venditori ambulanti, da suoni di fisarmoniche e di chitarre.
Il mare umano si incanala su per i carruggi e passa tra le case che, scintillanti di fiamme su tutte le finestre, pare che anch’esse si prendano a braccetto, perchè gettano da una facciata all’altra, dall’uno all’altro balconcino o terrazzo ghirlande di lanterne di carta, e da ogni angolo spunta un altarino coronato di fiori freschi e ornato di lumini a olio o lampadine elettriche.
Canta uno dei tipici poeti genovesi, Carlo Malinverni:
“Dove gh’è lampa o candeja
gh’è o Battista in te unn-a niccia,
no se sbaglia, ch’è un Baciccia
dove l’è acceizo un falò”.
Sì, perchè San Giovanni Battista è il patrono di Genova, e col nome di Giovan Battista erano battezzati migliaia di bambini genovesi che diventavano prima Baciccin e poi Baciccia.
(E. Cozzani)

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Visita al porto

Vogliamo visitare un grande porto marittimo? Ecco all’esterno un lungo e spesso muro che affiora tra i flutti e sembra difendere le acque interne dalla violenza dei marosi: è la diga foranea, che se da un’estremità è congiunta alla terraferma prende il nome di molo frangiflutti.
All’estremità della diga si leva la torre cilindrica del faro che, durante la notte, indica alle navi in arrivo l’imboccatura del porto.
Il faro vero e proprio è una potente lampada elettrica circondata da un sistema di lenti, prismi e specchi, i quali proiettano il fascio luminoso a grande distanza (anche 30 chilometri). Il faro, o proiettore, è girevole e può illuminare così tutti i punti dell’orizzonte. Ogni faro ha un suo linguaggio: cioè la durata d’accensione e di spegnimento è diversa per ogni porto; in tal modo i marinai possono sapere a quale località si stanno accostando.
Proseguendo l’esplorazione, scorgiamo, ormeggiata, una piccola imbarcazione a motore. E’ la lancia o pilotina, per il fatto che reca a bordo un esperto pilota, il quale salito sulla nave in arrivo, conoscendo bene il porto, la potrà condurre con sicurezza al molo che è stato destinato dalla Capitaneria di Porto. Questa utile ed essenziale assistenza si chiama ‘servizio di pilotaggio’.
Ma guardate là: altre piccole e tozzi imbarcazioni si accostano alle grandi navi, le prendono a rimorchio con dei cavi, le fanno delicatamente manovrare sulla loro scia, e le conducono, quasi per mano, al loro posto tra le altre navi già in sosta: si tratta dei rimorchiatori, i corti ma potenti battelli che hanno il compito di far eseguire alle loro sorelle maggiori quei piccoli spostamenti che esse, ingombranti come sono, da sole non saprebbero compiere. Così al momento della partenza, le estraggono dallo schieramento delle altre navi e le trascinano fin là da dove prenderanno il largo.
Giunte dunque al loro posteggio, le navi vengono trattenute alla terraferma con le gomene, grosse funi che si avvolgono attorno a certe colonnette di ferro (le bitte) fissate sulle banchine, e gettano l’ancora.
La nave che seguiamo è da carico; viene quindi avviata verso la zona destinata a tali navi.
Da vari ponti sporgenti qua e là si levano attrezzature per il carico e lo scarico delle merci: le gru. Esse prelevano rapidamente il materiale dalla stiva delle navi e lo depongono sulle chiatte, o sui vagoni merci o sulle stesse banchine, o anche su appositi autocarri. Il raggio d’azione delle gru si dice sbraccio; esso può raggiungere una trentina di metri e reggere il peso di qualche tonnellata.
C’è inoltre, nel grande porto, una zona appartata che appare chiusa da sbarramenti. Perchè? Qui approdano le grandi petroliere, cariche del prezioso ma pericoloso liquido infiammabile.
Entrate nel loro grande recinto di acqua, gli sbarramenti impediranno che il petrolio eventualmente sparso sulle acque, galleggiando si diffonda nel porto, con grave pericolo di incendio per tutte le altre navi in sosta. Da questa zona partono i tubi che si innestano negli oleodotti: questi poi raggiungono città e terre anche molto lontane.
Il porto di Genova merita una visita perchè è il primo d’Italia e del Mediterraneo per il movimento di merci. La sua grande espansione avvenne dopo il 1860; sino a quell’epoca era limitato al bacino del Porto Vecchio. Ecco come si dividono e come si denominano le sue zone più importanti: l’Avamporto, zona di attesa delle navi; il Bacino delle Grazie, per le navi in riparazione; il Ponte Doria e il Ponte dei Mille, stazioni per il servizio passeggeri.
In prosecuzione al porto, nella zona di Cornigliano, c’è l’aeroporto, e presso Sestri Ponente sorge un altro porto per i cantieri navali e per i petroli.

Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA
I Liguri

I Liguri stanno affacciati al mare dal davanzale dei loro monti, e han voci strascicate unte d’olio, parlano come se avessero la bocca piena di sardine all’olio. Storcono la bocca, parlando, e questo forse viene per la ragione che le loro parole non sono rotonde, ma bislunghe, fatte a losanga, a triangolo isoscele, e per farle uscire di bocca bisogna storcere la bocca. Oppure per la ragione che i liguri le tengono tra i denti, e non le vogliono lasciar andare, e se le ciucciano, e le mordono, e le stringono tra le gengive, e quelle si divincolano, si dimenano, per uscire, finché escono di bocca unte e storte. Oppure perchè le parole liguri sono fatte come i pesci, e vogliono sgusciare di bocca, e conviene tenerle, perchè il discorso venga fuori con le parole-lische e gli aggettivi, e i verbi a posto, l’un dietro l’altro, secondo l’ordine dell’italiano.
Vivono in un paese stretto tra il mare e i monti, e non han posto per camminare, e perciò vanno in barca e solo per questo sono marinai, quando sono marinai. Poiché non è detto che sian tutti marinai; in grandissima parte sono montanari o contadini, e coltivano l’olio, il grano, poco vino, e fiori.
La maggior parte vive sui monti, o in collina. E la minor parte sta di casa sul mare, cammina stando attenta a non bagnarsi i piedi, così stretta è la riva, tanto che la sera i genovesi non escono di casa, per paura di cascare nell’acqua.
(Curzio Malaparte)

Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA
Liguria

La Liguria più vera, quella che conserva un’anima antica e un volto più umano, non la trovi sulle spiagge affollate di turisti o nei grandi centri mercantili e industriali, ma è nell’interno dove la terra si fa arida, pietrosa, aspra, dove ogni palmo conquistato alle colture è un giardino, dove le linee del paesaggio, acceso dal sole e confortato dalla presenza del mare, ha una sobria grazia, che occorre saper assaporare conquistandola per le strette, lastricate stradine dei colli che scendono ripidi al mare.
E’ la Liguria una terra leggiadra.
Il sasso ardente, l’argilla pulita,
s’avvivano di pampini al sole.
E’ gigante l’ulivo. A primavera
appar dovunque la mimosa effimera.
Ombra e sole s’alternano
per quelle fonde valli
che si celano al mare,
per le vie lastricate
che vanno in su, fra campi di rose,
pozzi e terre spaccate,
costeggiando poderi e vigne chiuse.
In quell’arida terra il sole striscia
sulle pietre come un serpe.
Il mare in certi giorni
è un giardino fiorito.
Reca messaggi il vento.
Venere torna a nascere
ai soffi del maestrale.
O chiese di Liguria, come navi
disposte a esser varate!
O aperti ai vanti e all’onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza vi colora
quando di sera, simile ad un fiore
che marcisce, la grande luce
si va sfacendo e muore. (V. Cardarelli)

Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA
Nel porto di Genova

Al porto il battello si posa:
nel crepuscolo che brilla,
negli alberi quieti di frutti di luce,
nel paesaggio mitico
di navi nel seno dell’infinito,
ne la sera
calida di felicità, lucente
in un grande in un grande velario
di diamanti disteso sul crepuscolo,
in mille e mille diamanti, in un grande velario vivente
il battello si scarica
ininterrottamente cigolante,
instancabilmente introna;
e la bandiera è calata e il mare e il cielo è d’oro e sul molo
corrono i fanciulli e gridano
con gridi di felicità.
Già a frotte s’avventurano
i viaggiatori alla città tonante
che stende le sue piazze e le sue vie;
la grande luce mediterranea
s’è fusa in pietra di cenere:
pei vichi antichi e profondi
fragore di vita, gioia intensa e fugace:
velario d’oro di felicità
è il cielo ove il sole ricchissimo
lasciò le sue spoglie preziose.
E la Città comprende
e s’accende
e la fiamma titilla ed assorbe
i resti magnificenti del sole,
e intesse un sudario d’oblio,
divino per gli uomini stanchi.
Perdute nel crepuscolo tonante
ombre di viaggiatori
vanno per la Superba
terribili e grotteschi come ciechi.
Vasto, dentro un odor tenue, vanito
di catrame, vegliato da le lune
elettriche, sul mare appena vivo,
il vasto porto si addorme. (Dino Campana)

Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA
Vecchia Zena
(Genova)
Scendi al sestriere de La Maddalena,
svolta nel vico dell’Amor Perfetto
che sottile s’avvia, fra tetto e tetto,
alla piazzetta nitida e serena.
Tace, sopita, l’affannosa pena
fra questi muri di vetusto aspetto
e si spegne il frastuono di Campetto,
pulsante arteria nella vecchia Zena.
Poco lontano, Sottoripa, al Molo,
tanti oscuri caruggi maleodoranti
si snodano, ovattati di mistero.
Nel vico dell’Amor Perfetto, solo,
s’acciambella indolente un gatto nero. (C. Mandel)

Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA
Le palme di Sanremo

Tu mi dicevi: Guarda com’è bella
e come ignuda dorme la Riviera
mentre sommerge l’estasi lunare
le palme di Sanremo abbandonate
alle fiumane tacite del vento
all’umore implacabile del mare. (G. Ligurio)

Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA
Sera di Liguria

Lenta e rosata sale su dal mare
la sera di Liguria…
Sepolto nella bruma il mare odora.
Le chiese sulla riva paion navi
che stanno per salpare. (V. Cardarelli)

Dettati ortografici letture e poesie sulla LIGURIA
Paesetto di Riviera

La sera amorosa
ha raccolto le logge
per farle salpare;
le case tranquille,
sognanti la rosea
vaghezza dei poggi,
discendono al mare
in isole, in ville,
accanto alle chiese. (A. Gatto)

Dettati ortografici e letture sulla LIGURIA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale IV (cartellini) PREPOSIZIONE

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale IV  – presentazione del materiale, e i cartellini di riempimento pronti per il download e la stampa. Con questa scatola i bambini approfondiscono lo studio della preposizione.

Il materiale per l’analisi delle parole è costituito da varie serie di cartellini della frase di colore viola e da varie serie di cartellini delle parole di diverso colore:
– viola per le preposizioni
– rosso per i verbi
– marrone chiaro per gli  articoli
– nero per i nomi
– marrone scuro per gli aggettivi
che si scelgono a seconda dell’esercizio che si vuole proporre e si collocano nella scatola grammaticale IV.

Il primo esercizio è anche qui quello della composizione di frasi, analizzate coi cartellini colorati.

La scatola grammaticale ha cinque caselle del colore corrispondente alla parte grammaticale. Nella casella più grande si collocano sei cartellini delle frasi.

Ad ogni parola scritta nei cartellini della frase corrisponde un cartellino della parola, e ad ogni parola scritta, corrisponde un cartellino nel casellario, ad eccezione delle parole ripetute all’interno di ogni cartellino della frase.  

Come per le altre scatole grammaticali, i cartellini colorati delle parole non corrispondono esattamente alle parole delle frasi che dovranno ricomporre, perchè le parole comuni nelle frasi di uno stesso biglietto non sono ripetute. E’ solo la preposizione, che, sostituita, cambia la frase.

Le varie serie di cartellini ognuna in una scatolina viola, e il gruppi di frasi relativi ad ogni serie sono separati con degli elastici:

Questi sono i cartellini pronti, rivisitati sostituendo i vocaboli caduti in disuso e tenendo conto di chi non ha la fortuna di disporre del materiale sensoriale in uso nella Casa dei bambini:

MATERIALI PREVISTI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE IV PREPOSIZIONE
(con la codifica che ho utilizzato io per la preparazione dei cartellini)

scatola grammaticale IV (qui il tutorial per costruirla: Costruire le scatole grammaticali)

4 scatoline di riempimento di colore rosso contrassegnate IVA, IVB, IVC, IVD.
una scatolina aperta rossa per il libretto degli elenchi e per il libretto delle regole

PREPOSIZIONE

Contenuto delle scatole di riempimento

scatola IVA: scheda della definizione e cartellini (i 4 gruppi di cartellini stanno nella scatola IVA separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IVA-1: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVA-2: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVA-3: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVA-4: (cartellini delle parole + 4 cartellini frase)

scatola IVB: scheda della definizione e cartellini (i 4 gruppi di cartellini stanno nella scatola IVB separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IVB-1: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVB-2: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVB-3: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVB-4: (cartellini delle parole + 4 cartellini frase)

scatola IVC: scheda della definizione e cartellini ( i 3 gruppi di cartellini stanno nella scatola IVC separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IVC-1: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVC-2: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVC-3: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)

scatola IVD: scheda della definizione e cartellini ( i 3 gruppi di cartellini stanno nella scatola IVD  separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IVD-1: (cartellini delle parole + 5 cartellini frase)
  • cartellini IVD-2: (cartellini delle parole + 7 cartellini frase)
  • cartellini IVD-3: (cartellini delle parole + 6 cartellini frase)

scatolina aperta VIOLA:

  • libretto degli elenchi per la preposizione (facoltativo)
  • libretto delle regole grammaticali per la preposizione.

Questo è il materiale pronto:

ISTRUZIONI per confezionare i libretti
(nell’esempio un libretto delle nomenclature)

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

_________________________

MATERIALI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE IV

Si tratta di un materiale rivisitato e attualizzato ai mutamenti che la lingua ha subito e ai vocaboli che più appartengono alla realtà dei bambino oggi.
L’organizzazione originale del materiale non cambia, ho aggiunto però dei set che isolano ulteriori aspetti delle regole grammaticali.
Ciascuna parte del discorso ha un suo codice colore, che è diverso da quello dei simboli grammaticali (ad eccezione del nome e del verbo).

I simboli grammaticali possono entrare a far parte degli esercizi con le scatole grammaticali: i bambini possono porre i simboli mobili sulle parole scritte nei cartellini della frase, o anche possono copiare le frasi e disegnare i simboli (anche utilizzando gli stencil).

USO DEL MATERIALE

Avere a disposizione le scatole grammaticali di legno è sicuramente la situazione ideale, ma considerando il costo, non è la situazione alla portata di tutti. Si possono preparare delle bellissime alternative in cartone o anche sostituire alle scatole delle “tovagliette stampate“. Si può anche decidere di non utilizzare nulla, e di mettere semplicemente i cartellini sul tavolo, divisi in base al loro codice colore e ponendo sopra di essi dei cartellini-titolo (per la prima scatola ‘ARTICOLO’ e ‘NOME’).
Lo stesso discorso vale per le scatole di riempimento e per le scatole dei comandi, che possono essere acquistate in legno, o possono essere facilmente realizzate in cartoncino. Si può anche optare per qualsiasi altra soluzione alternativa: buste di carta colorata, sacchetti di plastica trasparente, cestini, ecc.

Le scatole grammaticali servono all’esercizio del bambino, dopo le presentazioni e le lezioni chiave relative alle parti del discorso che vogliamo esercitare.

Con le scatole grammaticali si possono svolgere vari esercizi.

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Come si diventa cavaliere

A sette anni, il figlio di un nobile o di un cavaliere, cominciava un’educazione robusta fra giochi militari  nel castello paterno: quindi, uscito dall’infanzia, andava come paggio presso qualche barone rinomato per fasto, per antichità di stirpe, o generosità d’imprese. Lì rendeva servigi al signore e alla dama, corteggiando, ossequiando, accompagnando in viaggi, in visite, in passeggi: servendo i confetti, i dolci, il vin chiaretto e il cotto, e altre bevande con cui si chiudeva la mensa o preveniva il sonno.

Intanto col cavallo o col falcone cacciava le fiere e gli uccelli; in finti attacchi avvezzava l’animo alla guerra; ed alla guerra ed all’onore lo incitava l’esempio di baroni e cavalieri. A quattordici anni, padre e madre, col cero alla mano, conducevano il ragazzo all’altare, dal quale il sacerdote celebrante prendeva una spada e una cintura, e benedetti, li cingeva al giovane che diventava così scudiero: padrini e madrine promettevano amore e lealtà suo nome e gli stringevano gli sperono d’argento. Allora egli si accompagnava a qualche cavaliere, vigilava sui cavalli, teneva in ordine le armi, portandole al suo signore quando doveva usarle, e tenendogli la staffa quando montava in sella; custodiva i prigionieri; viaggiando conduceva a mano il destriero sul quale cavalcava il suo padrone.

Dopo alcuni anni di tale vita, l’iniziato si preparava a ricevere l’ordine della cavalleria con digiuni, preghiere, penitenze; poi si comunicava e vestiva l’abito bianco in segno dell’acquistata purezza, spesso si lavava accuratamente in un bagno. Poi cambiava la candida veste dell’innocenza in quella scarlatta che esprimeva il desiderio di versare il sangue per la religione, e si faceva tagliare i capelli in segno di servitù. Durante tutta la notte precedente la cerimonia faceva orazioni solo o con sacerdoti o con padrini. Giunto l’istante solenne, era accompagnato all’altare da cavalieri e scudieri, si inginocchiava con la spada a tracolla, e si offriva al sacerdote che lo benediceva e gliela rimetteva. Il signore che lo doveva nominare cavaliere gli domandava: “Perchè vuoi essere cavaliere? Per farti ricco? Trarre onore senza farne alla cavalleria?”. L’aspirante rispondeva di volerlo per onorare Dio, la religione e la cavalleria, e ne dava giuramento sulla spada del signore. Allora il giovane veniva addobbato da più cavalieri, dame, damigelle, che gli mettevano la maglia d’acciaio, la corazza, i bracciali, i guanti, la spada, e gli speroni d’oro, distintivo della sua dignità. Il signore, alzandosi dal suo seggio, gli dava tre colpi di piatto con la spada nuda sopra la spalla e uno schiaffo, ultima ingiuria che egli dovesse soffrire invendicato; e gli diceva: “In nome di Dio, di San Giorgio, di San Michele, ti fo cavaliere, sii prode, coraggioso, leale”. Allora erano portati al nuovo cavaliere l’elmo, lo scudo, la lancia, il cavallo sul quale, balzando senza staffa, caracollava brandendo le armi, e uscito di chiesa faceva altrettanto innanzi al popolo applaudente. (C. Cantù)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
I dieci comandamenti della Cavalleria
Ecco le dieci norme e comandamenti che si insegnavano ai giovani in attesa di essere investiti cavalieri.
1. Crederai agli insegnamenti della Chiesa e ne osserverai i comandamenti.
2. Proteggerai la Chiesa.
3. Difenderai ogni debole.
4. Amerai il paese in cui sei nato.
5. Non indietreggerai mai davanti al nemico.
6. Combatterai fino all’ultimo sangue contro gli infedeli.
7. Adempirai ai tuoi doveri feudali, purché non contrastino con la legge di Dio.
8. Non mentirai, e manterrai la parola data.
9. Sarai munifico e generoso con tutti.
10. Sarai sempre e dovunque il difensore del diritto e del bene contro l’ingiustizia e il male.

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Il futuro cavaliere
(dialogo immaginario all’interno di un castello)
Ragazzo: Che scalpitio di cavalli, che abbaiare di cani, che affaccendarsi di scudieri e di servi questa mattina! Ora il castello è tornato più silenzioso di sempre. Che noia… Hai visto quanto erano belli i nuovi cavalli del conte? Hai osservato i nuovi falchi e sparvieri ammaestrati?
Bambina: Che uccellacci!
Ragazzo: Sì, ma volano in alto e portano la preda!
Bambina: A me ha fatto impressione solo il fatto che questa volta il conte e la contessa avevano con sé il figlio minore, che non ha ancora sette anni: già sulla sella di un cavallo, poverino!
Ragazzo: Fortunato lui, invece! Egli è destinato a diventare cavaliere. Per questo il conte ha voluto che sapesse cavalcare prestissimo. Fra non molto, so che lascerà questo castello e si recherà presso un altro feudatario, di cui diventerà paggio. Imparerà a servire gentilmente il signore e la sua dama. Poi, a quattordici anni, diverrà scudiero: imparerà l’uso delle armi, avrà cura del cavallo e del suo signore e dei cavalieri suoi ospiti, gli porterà lo scudo e provvederà a mille servizi sempre meno umili, finché a ventun anni potrà avere l’investitura a cavaliere. E allora a lui saranno riserbate magnifiche imprese e avventure, come quelle che narrano i giullari che arrivano al castello. Oh, se potessi diventare anch’io un cavaliere!
Bambina: Un cavaliere tu? Il figlio di un fabbro? Sarebbe lo stesso che io, figlia di un mugnaio, sognassi di diventare una dama. La cavalleria è dei nobili!
(R. Botticelli)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Degradazione di un cavaliere

Se un cavaliere compiva un atto basso o vile subiva la degradazione. Le sue armi venivano spezzate, dal suo scudo si cancellava lo stemma, poi lo si appendeva alla coda di un cavallo che lo trascinava nel fango. Intanto il colpevole era coperto di contumelie e gli si diceva che il suo vero nome era quello di traditore. Poi gli veniva rovesciata una bacinella di acqua calda sul capo come a significare che gli veniva cancellata l’investitura. Finalmente, avvolto in un panno funereo, l’ex-cavaliere veniva condotto in chiesa e su di lui, chiuso sotto un graticcio, si celebrava l’ufficio dei morti. I suoi figli erano dichiarati ignobili e banditi dalla corte e dall’esercito. (A. Gigli)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Le città nell’età feudale

Le città nell’età feudale, fin verso il X secolo, sono scarse di popolazione, prive di importanza economica e politica. Formano, di diritto, parte di un feudo, ma il signore non le cura: vigilano su di esse i vescovi. La popolazione è formata da militi e da una classe di operai e artigiani.

In qualche città si tenevano mercati, in cui gli abitanti della campagna periodicamente si recavano per scambiare l’eccesso dei loro prodotti con gli oggetti fabbricati dagli artigiani urbani.

La tecnica fece nel Medioevo molti importanti progressi, grazie soprattutto all’inventiva degli artigiani. Non progredì invece la scienza, cioè lo studio  e la conoscenza delle leggi e delle forze della natura: nelle università medievali, sorte poco dopo il Mille, lo studio della natura era trascurato a favore delle discipline tradizionali (teologia, filosofia, grammatica, retorica e poche altre). I progressi tecnici, d’altronde, poco giovarono al miglioramento delle condizioni di vita, che nelle campagne e specialmente nelle città medioevali erano senz’altro disastrose.

Caduti in rovina gli acquedotti romani, le città restarono prive di sicuri e abbondanti rifornimenti d’acqua potabile. Le strade erano ingombre di ogni sorta di sozzure, perchè le fognature mancavano del tutto, e così la pavimentazione stradale: i rifiuti venivano gettati dalle finestre. L’inosservanza di qualsiasi igiene era la causa, naturalmente, di terribili e frequenti epidemie. Di notte, le strade non erano illuminate, e quindi malsicure: in pratica, la vita cittadina si interrompeva totalmente al calar del sole, per riprendere solamente all’alba. Solo all’inizio dei tempi moderni, dal 500 in poi, si ebbe qualche progresso: le strade vennero pavimentate, si costruirono acquedotti e fu introdotto un primitivo sistema di illuminazione. (A. Gigli)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Come ci si comportava a tavola nell’epoca medioevale

Nel Medioevo si mangiava, come si fa ancora in certe campagne, in semplici scodelle, usando il cucchiaio e il coltello (spesso un coltello serviva per due o più persone), ma l’uso di un piatto per ciascun convitato era sconosciuto e così pure quello delle forchette e dei tovaglioli. Le tovaglie erano una rarità riservata ai giorni di festa nelle case dei ricchi. Solo nel secolo XIV si cominciò ad adottare la biancheria da tavola e da allora si diffuse sempre più. Le tovaglie, quando si mettevano, scendevano fino a terra; i convitati, che adoperavano abbondantemente le dita per portarsi in bocca i cibi, le usavano per pulirsele e anche per la bocca e la barba; così che nei grandi pranzi, si dovevano cambiare le tovaglie dopo le portate principali.

Al principio dei pasti ci si lavava le mai con poche gocce d’acqua versate da un’ampolla sopra un piccolo catino. Nei monasteri era lo stesso abate che in segno di cortesia versava l’acqua sulle dita dei suoi ospiti; nelle case signorili questo servizio era invece reso dagli scudieri. Il loro arrivo con le ampolle e i catini era il modo con cui si annunciava che il pranzo era pronto. Quando si voleva essere raffinati si serviva acqua profumata con infusioni di petali di rosa, di menta, di verbena.

Il primo piatto era una minestra assai liquida, versata in una scodella e nella quale si inzuppava una fetta di pane; per portarla alla bocca si adoperava il cucchiaio. Poi veniva il piatto di carne costituito da grandi arrosti, o umidi, che venivano tagliati a fette e serviti su larghi pezzi di pane posti, come oggi si fa con i piatti, davanti ad ogni convitato; i pezzi di pane di inzuppavano di sugo e si mangiava il pane e la carne simultaneamente a morsi come oggi si fa con i panini. Nei grandi pranzi non si mangiava il pane, che veniva raccolto in ceste e dato ai poveri.

Nelle tavole signorili, gli scudieri erano incaricati di rifornire di carne le fette di pane dei loro signori; oppure ognuno si serviva mettendo la mano nel piatto centrale, ed era raccomandato di farlo con delicatezza e di non affondare nel sugo che la punta delle dita. Alla fine del pasto era servito il vino nel quale era anche usanza inzuppare del pane o dei biscotti. (G. Haucourt)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Cibi del Medioevo

Osservando delle miniature o delle pitture riproducenti scene di vita medioevale notiamo anche banchetti con tavole ricche e piatti appetitosi. Questi consistevano principalmente di carne di maiale, di cinghiale, di coniglio e, rare volte, di bue, animale il cui allevamento era costoso. Pure apprezzati erano il fagiano ed il pavone le cui carni erano cotte e poi portate a tavola in piatti ornati delle loro superbe e policrome piume. Anche i piccioni, il cui allevamento era riservato ai ricchi, erano di frequente fra i piatti prelibati.

Durante i digiuni, imposti dalla religione cristiana, i banchetti si arricchivano di pesci, per lo più di carpe, di tinche, che popolavano i fossati pieni d’acqua che circondavano le mura. Si consumava anche carne di aringhe secche e di molluschi di mare.

Il cibo veniva condito con varie spezie; perciò molti erano i mercanti che le commerciavano, detti speziali. Tra le più importanti spezie, per lo più di provenienza orientale, ricordiamo: il chiodo di garofano, che veniva masticato dai cortigiani per rendere profumato l’alito; lo zenzero, col quale veniva profumato il pan pepato; la noce moscata, il cui svariato uso è noto anche oggi; e infine lo zafferano e il pepe, che avevano prezzi proibitivi e venivano dai più sostituiti con aglio, cipolla, senape. I nostri avi non poterono gustare la carne di tacchino, né la fragranza del pomodoro, né la patata., non essendo stata ancora scoperta l’America, da cui furono in seguito importati.

E i dolci? Uno, squisito, era costituito da una specie di torrone, pieno di mandorle e di pistacchi e di miele, detto ‘halva’; un altro dolce era il ‘lokum’, un insieme di amido e pistacchi. Assai diffuso era il gelato, in particolare al melograno o al miele. Non esistendo i nostri moderni frigoriferi, il ghiaccio necessario veniva preparato durante le fredde notti invernali. Preparata l’acqua in bacini poco profondi, una volta ghiacciata col rigore del freddo, veniva immessa nel fondo a fresche cantine, particolarmente adatte alla sua conservazione. I gelati si ottenevano grattugiando il ghiaccio e aggiungendovi miele, amido cotto ed essenze varie.

Nel XIII secolo in Europa non si beveva ancora il caffè, né il tè, bevande invece già note agli Arabi

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
L’igiene personale nel Medioevo

Generalmente nel Medioevo la toletta quotidiana di faceva dopo essersi vestiti e si limitava al lavaggio delle parti del corpo che restavano ancora visibili, ossia la faccia e le mani. Non c’erano allora gabinetti appartati, ma ci si lavava nella stessa camera dove si dormiva. L’uso medioevale era di dormire in molte persone in una stessa camera.

Ma non si può dire che in quest’epoca si fosse incapaci di una pulizia più a fondo; questa era fatta nelle occasioni importanti, una volta alla settimana o anche più di rado, a torso nudo davanti a un secchio d’acqua.

Gli abitanti delle città e dei castelli conoscevano anche i piaceri del bagno, che i monasteri riservavano sono ai malati ed ai convalescenti. Questo ristoro veniva preso nelle tinozze di legno che servivano a fare il bucato. Se ne copriva il fondo con un panno per impedire che le scaglie potessero ferire la pelle, e il bagnante vi si sedeva dentro con le ginocchia piegate. Questi bagni a domicilio si prendevano o di mattina o al ritorno da un esercizio faticoso come un viaggio, una caccia, un torneo.

Per le persone meno ricche, esistevano anche dei bagni pubblici, di cui a Parigi nel 1282 ne ne contavano non meno di 26. Essi restavano aperti tutti i giorni eccetto le domeniche e i giorni di festa. Quando l’acqua era calda, venivano mandati per la città degli annunciatori che gridavano che i bagni erano pronti.

Non mancavano, allora come sempre, le cure di eleganza: depilazioni, uso di unguenti e profumi, tintura dei capelli. Noi conosciamo molte ricette medievali di bellezza quasi tutte fatte a base di erbe, radici e fiori.
(G. Haucourt)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Spettacoli teatrali nel Medioevo

Gli attori non indossavano costumi nell’antichità, ma vestiti del loro tempo che erano diversi secondo la professione (per esempio i medici vestivano in un certo modo, e così i maestri, gli avvocati, ecc.). Quando entravano in scena essi si annunciavano indicando il personaggio che rappresentavano: per esempio “Io sono Abramo”, oppure “Io sono Erode” e così via. Dio Onnipotente aveva una barba maestosa e una mitra in testa e portava guanti e mantello bianchi. I re cattivi avevano un turbante come gli arabi e giuravano in nome di Belzebù. I gran sacerdoti ebrei erano vestiti come vescovi cristiani ed erano sempre radunati in consiglio. I dottori della legge avevano cappucci rotondi e cappe di pelliccia. Contadini e soldati portavano vestiti dei contadini e dei soldati del tempo. Maria Maddalena, prima della conversione, era sempre addobbata con vestiti fastosi.
Gli angeli salivano e scendevano dal cielo per mezzo di scale a pioli di legno appoggiate ai muri. Impressionante era la bocca dell’inferno, fatta in modo che si poteva aprire e chiudere; diavoli neri, blu e rossi ne uscivano fuori per reclamare e trascinarsi dentro i dannati, mentre un gran fracasso di pentole e pignatte stava ad indicare la discordia e la confusione che regna all’inferno.
(C.M. Smith)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
I giochi del Medioevo

Molti giochi che pratichiamo oggi hanno origine da quelli che si tenevano nel Medioevo. Il gioco del calcio, per esempio, era già in uso nelle città italiane a quei tempi; e così la pallacorda, cioè quel gioco che ora si chiama tennis. I bambini piccoli si accontentavano della palla, una bella palla di legno, mentre le bambine avevano bambole di pezza col viso di terracotta dipinta. Gli adulti si cimentavano nelle gare di nuoto, di salto, di tiro alla fionda e di tiro al bersaglio. Ma c’erano giochi molto curiosi nel Medioevo.
A Bologna si usava il gioco delle uova che consisteva in una battaglia fra due squadre di giovani; gli uni armati di bastoni; gli altri, che portavano maschere a rete di ferro per proteggere le facce, armati… di ceste di uova.
A Venezia era in uso il gioco del ponte: qui pure si dividevano i partecipanti in due squadre che lottavano su un ponte privo di parapetto, finché una gran parte dei giocatori non aveva fatto un bel tuffo nell’acqua.
(A. Enriquez)

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture
Civiltà medioevale

Se ai nostri giorni fosse necessario, per essere ufficiali, comprare un carro armato e pagare i propri soldati, solamente i più ricchi potrebbero farlo Nel secolo XI, per andare in guerra a cavallo, armati da capo a piedi, occorreva un grosso patrimonio: la cavalleria, cioè il fulcro dell’esercito, era formata da proprietari terrieri, cioè da feudatari. Essi erano circondati di rispetto come, prima di loro, lo erano stati i nobili della tarda romanità e del periodo barbarico-romano, scomparsi nel crollo dell’Impero. Per di più, il loro era un compito pericoloso e necessario… Questi cavalieri sono all’origine, specie in Francia ma anche in Italia, della nobiltà militare.
A quindici anni circa si consegnavano al giovane cavaliere le armi e il cavallo di battaglia. Ma ne avrebbe fatto buon uso? La forza è cattiva consigliera, soprattutto in una società rozza  e senza leggi. Fin da allora si prese l’abitudine di raccomandare al giovane di essere leale e misericordioso, di essere prode.
Ben presto la Chiesa colse l’occasione per accaparrarsi la cerimonia della vestizione, che diventò una piccola festa religiosa e simbolica. Per esempio, perchè consegnare al futuro combattente degli speroni? Per ricordargli che deve obbedire a Dio come il cavallo al suo padrone… La cavalleria diventò così una specie di ordine laico in cui uomini violenti, e spesso perfino brutali, si sforzarono di comportarsi da folli pieni di onore.
Essi amavano tanto le mischie che, quando cessarono le invasioni e i conseguenti disordini, continuarono a far la guerra, ma la fecero fra di loro, e questa fu una sventura per le campagne. Allora la Chiese stabilì la ‘Pace di Dio’. Proibì la guerra, per mezzo della ‘tregua di Dio’ dal mercoledì sera  al lunedì mattina (1041). E quando i più accaniti si dimenticavano quelle restrizioni, la Chiesa li puniva, oppure altri si incaricavano di punirli in sua vece: in una regione della Francia, verso la fine del secolo XII, gli incappucciati (con il volto coperto da una cappa) prendevano nota dei combattenti incorreggibili e li pugnalavano.

Come nei formicai si distinguono i soldati e le operaie, così la società medioevale non ha conosciuto quell’uguaglianza cui noi tanto teniamo: in essa vi sono quelli che combattono, quelli che pregano e quelli che lavorano. Quando si dice ‘lavoratore’, in questo periodo, si intende dire ‘contadino’: nove persone su dieci, di quelle che vivevano in quel tempo, coltivavano la terra. I tre quarti degli italiani di oggi discendono da qualche contadino, servo o villano, del secolo XI. La loro storia sarebbe dunque la prima in ordine di importanza: sfortunatamente, i documenti preferiscono parlarci dei grandi di questa terra. Coltivare il terreno, vendemmiare, allevare il bestiame e le greggi serviva ad assicurare l’alimentazione di tutti, ma a volte era causa di maltrattamenti e sempre di disprezzo.
Basta pensare alla parola villano che, in origine, indicava il fattore della villa e che oggi è usata in senso spregiativo: gli uomini del Medioevo vedevano, dunque, nel lavoratore dei campi solamente maleducazione e grossolanità. Quanto a certe usanze brutali, qualche volta sono state esagerate. E’ stato detto per esempio che il servo era una ‘mano morta’ perchè, alla sua morte, gli si tagliava una mano per offrirla al signore, per indicare con ciò che il suo servo non l’avrebbe più servito. In realtà quella poco simpatica parola vuol dire semplicemente che i beni de servo senza eredi, ritornano, in caso di morte, al suo signore.
I contadini temevano, a giusta ragione, altre molestie di cui si parla di meno. Essi temevano soprattutto gli effetti di certe usanze. Poteva accadere che un signore feudale, in un momento critico, chiedesse agli abitanti del villaggio  di andare a falciare i suoi prati. Ecco che quella che era stata una prestazione eccezionale, di carattere straordinario, si trasformava facilmente in un obbligo permanente. Il signore esigeva, ora, che i contadini di quel dato villaggio gli falciassero sempre, e gratis, i suoi prati. In questo caso si vede come il nostro villano avesse buoni motivi per cercare di non prestare un simile servizio e di sottrarsi a obblighi del genere.
Tali resistenze, e molte altre, fecero comprendere a poco a poco ai signori, anche ai più duri, che conveniva loro trattare bene il contadino; già nel secolo XI incomincia il grande movimento di liberazione dei servi. Nell’epoca che stiamo studiando si poteva notare la comparsa, o per meglio dire la ricomparsa, lungo e strade e lungo i fiumi, di una specie di uomini abituati al rischio: i mercanti. Certo, era facile fare irruzione sui convogli di carri e di muli e impadronirsi della merce; la tentazione era forte e vi furono dei signori i quali si dedicarono a questo genere di saccheggio. Ma ve ne furono altri, dal cervello meno ristretto, i quali ebbero l’idea di accontentarsi di un pedaggio e concessero perfino vantaggi d’ogni specie per attirare nel loro feudo, con le fiere, folle di persone dalle quali si poteva ricavare qualche guadagno.

IL MEDIOEVO dettati ortografici e letture – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III (cartellini)

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III – presentazione del materiale, e i cartellini di riempimento pronti per il download e la stampa. Con questa scatola i bambini approfondiscono lo studio del verbo in relazione al nome, all’articolo e all’aggettivo.

Il materiale per l’analisi delle parole è costituito da varie serie di cartellini della frase di colore rosso e da varie serie di cartellini delle parole di diverso colore:
– rosso per i verbi
– marrone chiaro per gli  articoli
– nero per i nomi
– marrone scuro per gli aggettivi
che si scelgono a seconda dell’esercizio che si vuole proporre e si collocano nella scatola grammaticale III.

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

Maria Montessori racconta che questo materiale è nato durante l’esperienza nella Scuola Ortofrenica. Con i bambini dell’Istituto si era concentrata principalmente sui nomi e sui verbi: il nome era l’oggetto e il verbo l’azione. Queste due parti del discorso venivano distinte con grande chiarezza, come si distingue la materia dalla forza, o la chimica dalla fisica.  Per comprendere il nome in tutti i suoi aspetti di facevano esercizi con gli oggetti. Per comprendere il verbo si facevano eseguire ai bambini delle azioni.

Poiché i bambini devono essere guidati nell’esecuzione delle azioni, perchè non sempre sono in grado di interpretare una parola con un’azione che corrisponda ad essa con precisione, l’insegnante dovrà dare delle lezioni individuali per insegnare loro ad interpretare il verbo.

Presentiamo una scatola con quattro caselle per l’articolo, il nome, l’aggettivo e il verbo, contrassegnate da etichette marrone chiaro, nero, marrone scuro e rosso. Nella casella posteriore stanno per ogni esercizio sei cartellini della frase.

Ad ogni parola scritta nei cartellini della frase corrisponde un cartellino della parola: e ad ogni parola scritta, corrisponde un cartellino nel casellario, ad eccezione delle parole ripetute all’interno di ogni cartellino della frase. Se, ad esempio, nel cartellino della frase di trova scritto: lancia una piccola gomma /getta una piccola gomma; i cartellini saranno lancia, una, piccola, gomma, scaraventa.

Infatti il bambino comporrà la prima frase sul tavolino, eseguirà l’azione, cambierà solo un cartellino (getta invece di lancia) ed eseguirà la seconda azione.

In questo modo vedrà che, avendo sostituito il verbo, le due frasi indicano azioni diverse.

Le varie serie di cartellini ognuna in una scatolina rossa, e il gruppi di frasi relativi ad ogni serie sono separati con degli elastici:

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

Nelle serie originali preparate da Maria Montessori i verbi erano contrastanti o sinonimi.

Questi sono i cartellini pronti, rivisitati sostituendo i vocaboli caduti in disuso e tenendo conto di chi non ha la fortuna di disporre del materiale sensoriale in uso nella Casa dei bambini:

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

MATERIALI PREVISTI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE III
(con la codifica che ho utilizzato io per la preparazione dei cartellini)

scatola grammaticale III (qui il tutorial per costruirla: Costruire le scatole grammaticali)
– 5 scatoline di riempimento di colore rosso contrassegnate IIIA, IIIB, IIIC, IIID, IIIE.
una scatolina aperta rossa per il libretto degli elenchi e per il libretto delle regole

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

Contenuto delle scatole di riempimento

scatola IIIA: scheda della definizione e cartellini (i 5 gruppi di cartellini stanno nella scatola IIIA separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIIA-1: (cartellini verbi, articoli, nomi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIA-2: (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIA-3: (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIA-4: (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIA-5: (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)

scatola IIIB: scheda della definizione e cartellini (i 5 gruppi di cartellini stanno nella scatola IIIB separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIIB-1: comandi semplici opposti con oggetto diretto senza aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIB-2:  comandi semplici con oggetto diretto e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIB-3:  comandi semplici opposti con oggetto diretto (cartellini verbi, articoli, nomi, + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIB-4:  comandi semplici opposti con oggetto diretto e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIB-5:  comandi semplici opposti con oggetto diretto e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)

scatola IIIC: scheda della definizione e cartellini ( i due gruppi di cartellini stanno nella scatola IIC separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIIC-1: comandi semplici con oggetto diretto, aggettivi e azioni consecutive (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIC-2: comandi semplici con oggetto diretto, aggettivi e azioni consecutive (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)

scatola IIID: scheda della definizione e cartellini ( i 6 gruppi di cartellini stanno nella scatola IIID  separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIID-1: comandi con verbi sensoriali e un oggetto (cartellini verbi, articoli, nomi + 7 cartellini frase)
  • cartellini IIID-2: comandi con verbi d’azione e un oggetto (cartellini verbi, articoli, nomi + 7 cartellini frase)
  • cartellini IIID-3: comandi con verbi, oggetti d’uso domestico e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 7 cartellini frase)
  • cartellini IIID-4: comandi con verbi, oggetti d’uso scolastico e aggettivi  (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 7 cartellini frase)
  • cartellini IIID-5: concordanza nome-verbo (cartellini verbi, nomi, articoli)
  • cartellini IIID-6: concordanza nome-verbo (cartellini verbi, nomi, articoli)

scatola IIIE: scheda della definizione e cartellini ( i 4 gruppi di cartellini stanno nella scatola IIIE  separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIE-1: frasi semplici con oggetto diretto e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIE-2: frasi semplici con oggetto diretto e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIE-3: frasi semplici con oggetto diretto e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)
  • cartellini IIIE-4: frasi semplici con oggetto diretto e aggettivi (cartellini verbi, articoli, nomi, aggettivi + 6 cartellini frase)

scatolina aperta rossa:

  • libretto degli elenchi per il verbo (facoltativo)
  • libretto delle regole grammaticali per il verbo.

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

Questo è il materiale pronto:

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III
PDF QUI: LIBRO DELLE REGOLE GRAMMATICALI PER L’USO DEL VERBO

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Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III
ISTRUZIONI per confezionare i libretti
(nell’esempio un libretto delle nomenclature)

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

MATERIALI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE II

Si tratta di un materiale rivisitato e attualizzato ai mutamenti che la lingua ha subito e ai vocaboli che più appartengono alla realtà dei bambino oggi.
L’organizzazione originale del materiale non cambia, ho aggiunto però dei set che isolano ulteriori aspetti delle regole grammaticali.
Ciascuna parte del discorso ha un suo codice colore, che è diverso da quello dei simboli grammaticali (ad eccezione del nome e del verbo).


I simboli grammaticali possono entrare a far parte degli esercizi con le scatole grammaticali: i bambini possono porre i simboli mobili sulle parole scritte nei cartellini della frase, o anche possono copiare le frasi e disegnare i simboli (anche utilizzando gli stencil).

Psicogrammatica Montessori SCATOLA GRAMMATICALE III

USO DEL MATERIALE

Avere a disposizione le scatole grammaticali di legno è sicuramente la situazione ideale, ma considerando il costo, non è la situazione alla portata di tutti. Si possono preparare delle bellissime alternative in cartone o anche sostituire alle scatole delle “tovagliette stampate“. Si può anche decidere di non utilizzare nulla, e di mettere semplicemente i cartellini sul tavolo, divisi in base al loro codice colore e ponendo sopra di essi dei cartellini-titolo (per la prima scatola ‘ARTICOLO’ e ‘NOME’).
Lo stesso discorso vale per le scatole di riempimento e per le scatole dei comandi, che possono essere acquistate in legno, o possono essere facilmente realizzate in cartoncino. Si può anche optare per qualsiasi altra soluzione alternativa: buste di carta colorata, sacchetti di plastica trasparente, cestini, ecc.

Le scatole grammaticali servono all’esercizio del bambino, dopo le presentazioni e le lezioni chiave relative alle parti del discorso che vogliamo esercitare.

Il tributo: recita sul Medioevo

Il tributo: recita sul Medioevo. La scena è immaginata nell’umile casa di un servo della gleba, il contadino di allora.

Personaggi: il servo della gleba, il figlio, due alabardieri (soldati)

Figlio: Babbo, perchè sei triste? Sono stato al castello, sai! Mi hanno fatto entrare per aiutare gli sguatteri, perchè ieri c’è stata festa al castello, fino a notte fonda! Sono passato per lunghi corridoi e grandi stanze; una di queste è lunga quasi tutto il borgo… Ma perchè sei triste?

Servo della gleba: Per niente! Ti ascolto!

Figlio: Alle pareti sono appese teste di lupi e di cinghiali, corna di cervi e di caprioli. Questi animali li ha uccisi il conte, sai! E poi dappertutto si trovano lance, alabarde, mazze ferrate, e sui tavoli si vedono vassoi d’argento e coppe d’oro. Vedessi come sono lunghe le tavole della sala per il banchetto! Cento brocche di vino c’erano sopra. Nello spiedo ho visto girare un cinghiale intero e sul camino friggere in padella cento e cento uova. Uno scudiero mi ha fatto assaggiare una pietanza strana, che era avanzata e che io non avevo mai visto… Com’era buona!… Ma perchè sei triste?

Servo della gleba: Per niente, ti ripeto. Continua.

Figlio: Poi un paggio mi ha fatto entrare nella sala del banchetto, dove, insieme col conte e la contessa, c’erano i cavalieri, le dame, il menestrello, il buffone. Il conte e la contessa mi hanno sorriso.

Si sente battere alla porta con forza.

Una voce (con alterigia): Aprite! Aprite!

Il ragazzo corre ad aprire ed entrano due alabardieri.

Servo della gleba: Ah, gli esattori!

Soldato: Per ordine di messere il conte cerchiamo te. Tu devi ancora pagare la tassa del pascolo.

Servo della gleba: Messeri, ieri vi ho corrisposto il pedaggio per passare il ponte sul torrente e la tassa si mulitura. I miei prodotti li ho portati tutti al castello.

Soldato: Bene. Pagaci il tributo del pascolo con quel sacco di farina.

Servo della gleba: Ma è l’unico rimasto per me e il mio figliolo!

Soldato: Allora vieni con noi.

Servo della gleba: Dove mi conducete?

Soldato: Per ora davanti a messere il Conte, e poi…

Servo della gleba: Ma io…

Soldato: Ordine di messere il Conte!

(Lo afferrano)

Figlio: No! No! Babbo, diamo il sacco di farina. In qualche modo ci sfameremo.

Servo della gleba: E va bene, figliolo. Prendete pure, alabardieri. Il tributo per il pascolo è pagato.

(da: Recitiamo la Storia, Rodolfo Botticelli, editrice La Scuola)

Recita sul Medioevo – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Recita sul Medioevo

Nomenclature IL CIBO 3-6 anni in CORSIVO

Nomenclature Montessori IL CIBO 3-6 anni in CORSIVO, scaricabili e stampabili in formato pdf. Questa è la versione in corsivo dei pacchetti di nomenclature sul cibo (19 schede per le bevande, 26 schede per la carne, 21 cereali e pane, 6 per i legumi, 15 per salse e condimenti, 19 per erbe aromatiche e spezie, 38 per i dolci, 21 per formaggi e latticini, 34 per la frutta fresca, 14 per frutta secca e semi, 31 per gli ortaggi, 21 per la pasta, 22 per pesci e crostacei, 16 per i piatti unici, 17 per i primi piatti e 30 per i secondi).
Ho inoltre  raggruppato in un unico pacchetto tutte le 350 schede.
Se preferisci utilizzare le schede in stampato minuscolo, le trovi qui: NOMENCLATURE CIBO 3-6 ANNI STAMPATO MINUSCOLO

Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 3-6 sono formate da:
– illustrazione con titolo
– illustrazione
– titolo.

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Nomenclature IL CIBO 3-6 anni in CORSIVO

Le 350 schede comprendono:

19 BEVANDE: bibite gassate, birra, caffè, cappuccino, succo di carota, frappé di frutta, tè in bustina, tè verde, vino, latte, succo di mandarino, camomilla, centrifugati di verdure, spremuta di arance, succhi di frutta 100%, acqua frizzante, frullato di frutta, succo di pomodoro, acqua naturale.

26 CARNE: carne bovina, stinco di maiale, bresaola, selvaggina, carni bianche, pollo, costolette, arrosto di manzo, carne suina, wurstel, prosciutto cotto, spezzatino, cotoletta impanata, speck, tacchino, salsicce, salame, roast beef all’inglese, quaglia, carne trita, pancetta, arista di maiale, hamburger, carne di agnello, stufato di coniglio, prosciutto crudo.

21 CEREALI E PANE: mais, frumento, quinoa, riso, fonio, miglio, orzo, sorgo, avena, segale, grano saraceno, triticale, pane in cassetta, chapati, cracker, crostini di pane, pasta di pane, pane arabo, pretzel, grissini, pane azzimo.

6 LEGUMI: carruba, ceci, fagioli, lenticchie, piselli, soia.

15 SALSE E CONDIMENTI: salse chutney, guacamole, hummus, senape, olio d’oliva, passata di pomodoro, salsa tzatziki, maionese, salsa verde, aceto balsamico, aceto, pesto genovese, ketchup, sale da cucina, salsa di soia.

19 ERBE AROMATICHE E SPEZIE: basilico, cardamomo, anice stellato, semi di coriandolo, curcuma, erba cipollina, fave di cacao, aglio, prezzemolo, bacche di ginepro, alloro, noce moscata, rosmarino, timo, salvia, pepe, cannella, vaniglia, zenzero.

38 DOLCI: krapfen, caramelle, meringa, moretto, marzapane, cioccolata, bignè fritti, bignè ripieni, croissant, zucchero di canna, torta marmorizzata, torrone, cantuccini, caramelle gommose, tiramisù, crostoli, zucchero raffinato, strudel di mele, rasgulla indiani, puris indiani, burro di arachidi, pancake, crema di nocciole, muffin, marshmallows, macaron, frutta e panna montata, gelatina di frutta, confettura e marmellata, gulab jamun indiani, gelato, ghiacciolo, miele, torta di mele, panna montata, biscotti della fortuna, empanada, crostata.

21 FORMAGGI E LATTICINI: Bel Paese. stilton, brie, grana padano, yogurt, emmenthal, caprino fresco, feta greca, formaggio stagionato, ricotta, formaggio Piave, gorgonzola, mozzarella, pecorino sardo, provola affumicata, formaggio Asiago, fiocchi di latte, taleggio, tilsit, fontina, stracchino.

34 FRUTTA FRESCA: albicocca, avocado, banana, fragole, ribes nero, pompelmo, melograno, mela, nespola, pesca nettarina, more, mirtilli, melone, mango, litchi, lime, limone, lampone, kiwi, cachi, prugne, uva, frutti di bosco, frutta, arancia, agrumi, pera, anguria, fichi d’India, fico, ciliegia, ribes rosso, noce di cocco, mandarino.

14 FRUTTA SECCA e SEMI: noci, semi di zucca, pistacchi, pinoli, arachidi, mandorle, nocciole, semi di girasole, datteri, uvetta, frutta secca, caldarroste, castagne, anacardi.

31 ORTAGGI: asparagi, broccoli, verza, cavolo cappuccio, cavolfiore, carota, cassava, spinaci, cetriolo, melanzana, finocchio, cavolfiore romanesco, fagiolini, porri, lattuga cappuccina, lattuga gentile, carciofi, ortaggi, cipolla, pastinaca, peperoni, patata, rapanelli, cavolo rosso, rucola, sedano, zucca, pomodori, peperoncini, radicchio rosso, zucchine.

21 PASTA: ravioli al vapore, farfalle, gnocchi di patata, timballo, fusilli, mafaldine, cellentani, chifferi rigati, pipe, orecchiette, tagliatelle, ravioli, pasta integrale, penne lisce, soba di grano saraceno, spaghetti di riso, spaetzle, spaghetti, maccheroni, ditalini, tortellini.

22 PESCE E CROSTACEI: acciughe, anguilla, aringa, frittura di pesce, caviale, vongole, cozze, triglie, pesce impanato, polpi, seppie, bastoncini di pesce, aragosta, gamberoni, granchio, orata, ostrica, salmone, trota, pesce azzurro, sgombro in scatola, tonno in scatola.

16 PIATTO UNICO: fonduta valdostana, fricase boliviano, cuscus, riso jollof nigeriano, zighinì eritreo, fish burger, prosciutto e melone, paella, pilaf turco, pizza, pulao afghano, insalata di riso, sushi, pollo yassa Senegal, taco messicano, hamburger.

7 PRIMI PIATTI: lasagne al forno, pastasciutta, polenta, path thailandese, koshari, minestrone, brodo, zuppa di latte di cocco, zuppa di fagioli, passato di verdure, pasta al pesto, pasta alla panna, tortino di quinoa, risotto, pasta al ragù, pasta al pomodoro, gazpacho.

30 SECONDI PIATTI: cevapcici, escargot, alloco platano fritto, patatine fritte, germogli di soia, carciofi, peperoni arrostiti, insalata russa, parmigiana, manzo Stroganoff, purè di patate, polpette, hamburger vegetale, anelli di totano, sottaceti, patate arrosto, tartara di carne, bobotie, patate lesse, cotoletta alla milanese, seitan, carpaccio, bistecca, caprese, tofu, uovo alla coque, uovo, uovo alla benedettina, omelette, uovo al tegamino.

Nomenclature IL CIBO 3-6 anni in CORSIVO

L’investitura del feudatario

L’investitura del feudatario
Personaggi: l’Imperatore e il Feudatario.

L’investitura del feudatario – Dialogo tra Imperatore e Feudatario

Feudatario (inginocchiato): Sire, inginocchiato davanti alla vostra augusta persona, con le mani giunte per umiltà nelle vostre, prometto di essere vostro uomo e di servirvi lealmente e fedelmente.

Imperatore: Nobile dignitario, io sono pronto a te, che mi presti omaggio come vassallo, a trasmettere il possesso del grande feudo di Pieve Lontana e a concedere il titolo di Marchese, purché tu presti giuramento che tu e la Marca mi sarete di valido aiuto nei perigli: giuramento che farai in nome di Dio Nostro Signore, mancando al quale sarai dichiarato fellone e spogliato del feudo.

Feudatario: In nome d’Iddio Nostro Signore, giuro davanti alla Vostra Grazia, o Sire, che mi concedete il beneficio del feudo, di custodire i vostri segreti, di rispettare e fare rispettare il vostro onore, di seguirvi in battaglia accompagnato dai miei cavalieri e fanti; vi giuro formalmente fedeltà, mi dichiaro formalmente vostro uomo, vostro fedele, e vi riconosco mio signore.

Imperatore: Per il tuo sacro giuramento ti offro il simbolo del feudo di Pieve Lontana e il titolo di Marchese concedendoti le immunità secondo il Capitolare della mia legge.

Avvenuta l’investitura del marchese o del conte, questi possono trasmettere parte del feudo ad altri minori feudatari, valvassori, ripetendo la stessa cerimonia, e questi ultimi ad altri ancora, valvassini. Basterà cambiare alcune parole e il simbolo del feudo, ricordando che si usavano gonfaloni, spade e scettri, se si trattava di feudi cospicui, e zolle, rametti o mazzi di spighe, se si trattava di feudi minori. Un pezzo di stoffa può fare da gonfalone, una riga da spada, e così via…

(da: Recitiamo la Storia, Rodolfo Botticelli, editrice La Scuola)

L’investitura del feudatario – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

L’investitura del feudatario

La croda rossa leggenda del Trentino Alto Adige

La croda rossa leggenda del Trentino Alto Adige per bambini della scuola primaria.

Ai piedi della Croda, in una capanna tra gli abeti, c’era, nella beata età delle favole, una fanciulla bella come un’alba montana. Era figlia di legnaioli e, rimasta orfana in tenerissima età, viveva sola con alcune pecorelle in un valloncello romito, ove ben di rado l’uomo stampava la sua orma. era quindi una creatura semi selvaggia, che agilmente si arrampicava sino alle ultime “gusele” della Croda, che cacciava il capriolo ed il camoscio tra le balze rocciose, che godeva della più sconfinata libertà nel suo selvaggio regno.

Ora avvenne che un giorno un giovane principe, figlio del Re delle Valli, capitò sulla Croda a caccia del camoscio. Il giovane, forte ed ardito, inseguendo un animale già ferito, abbandonò i suoi compagni e finì con lo smarrirsi tra i contrafforti della montagna.

Il sole stava tramontando, la notte si avvicinava ed il principe non sapeva come fare a trarsi d’impaccio. Suonò a lungo il corno di caccia, ma solo l’eco delle vallate rispose al suo richiamo. Quando già si preparava a trascorrere la notte all’addiaccio sotto un cornicione di roccia, gli parve di udire un belato, seguito da un richiamo umano. Tosto egli si diresse verso quel segno di vita e ad un tratto si fermò, rapito dinanzi ad uno spettacolo d’una incomparabile bellezza. Presso una fonte che sgusciava da un masso, c’era una fanciulla vestita di pelli d’animale, che era certamente la più bella di tutte quelle che egli avesse mai visto.

I due giovani rimasero estatici a guardarsi, e subito d’accesero d’una fiamma d’amore. Seduti accanto alla fonte, mentre l’aria scuriva e la sera fasciava di silenzio le cose, sotto il palpitare di una limpida serenata di stelle, i due si dissero pianamente, dolcemente tutto il loro amore e giurarono di non separarsi mai più.

L’indomani il principe ritornò alla reggia di suo padre, conducendo seco la silvestre fidanzata. Quando egli espresse l’incrollabile volontà di farla sua sposa, tutta la Corte inorridì come per un sanguinoso insulto. Ma il vecchio re, che amava molto il figlio, non seppe dirgli di no, perciò gli sponsali si fecero, splendidi e memorabili, tra i sogghignare maligno delle dame di Corte, che non potevano capacitarsi d’esser state posposte ad una creatura selvaggia della foresta.

Un giorno in cui il giovane principe era lontano per una spedizione di guerra, le dame di Corte cominciarono il solito gioco maligno delle insinuazioni contro la principessa. Per farle ancora una volta sentire che la consideravano un essere inferiore, un’intrusa, cominciarono a descrivere il lusso e gli agi dei palazzi ov’erano state allevate.

“Vuol raccontarci, di grazia, dove e come fu allevata?”

Un risolino di sprezzo apparve sulla bocca delle dame di Corte.

La principessa sentì un’onda di sangue salire al volto. Scattò in piedi e corse verso una balconata, la spalancò, gridando: “Ecco, ecco, lassù io sono stata allevata! Nacqui in terra libera e sempre fui libera. Castello mi fu la Croda, più grande e più bello di tutti i castelli. Ebbi compagne le creature della foresta, più caste, più pure, più sincere d’ogni cortigiano. Quello è il regno dove fui regina e dove tornerò”.

La Croda, nella chiarità del tramonto, ardeva come una torcia d’una stupenda luce porporina e pareva un autentico castello di sovrumane proporzioni, scolpito nel rubino.

La principessa si sentì mancare il cuore. Era per lei, per lei che la Croda s’era fatta tanto bella, s’era ammantata di broccati di luce, s’era cinta di aristocratiche sembianze, per confondere i suoi nemici, per esaltare la sua figliola! Era un miracolo d’amore, questo… Ed allora, non potendo più resistere al richiamo che sentiva dentro di sé, approfittando del fatto che tutti stavano rapiti a contemplare la montagna porporina, la giovane fuggì e, risalendo la valle, ritrovò la sua capanna e fu di nuovo libera e felice.

Quando il principe tornò e seppe che sua moglie era scomparsa, pensò subito dove avrebbe potuto rintracciarla e partì di gran carriera verso la Croda. Lassù ritrovò la fuggitiva, che lo accolse con tutta la sua gioia, ma non volle tornare alla reggia, dove regnava la malignità e l’ipocrisia. Posto nella alternativa di rinunciare alla moglie o alla successione al trono, il giovane non esitò: scelse la sconfinata pace della Croda e restò nella silvestre capanna accanto alla sua donna. I due vissero liberi e felici ed allevarono tanti e tanti figlioli, sani arditi e belli, come i loro genitori.

Da quella sera lontana la Croda ripete il suo miracolo d’amore, diventando, al tramonto, la più bella, la più fiammeggiante vetta dei Monti Pallidi. E perciò d allora in poi fu chiamata la “Croda Rossa”.

(R. Baccino)

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Nomenclature Montessori IL CIBO 6-9 anni stampato minuscolo

Nomenclature Montessori Nomenclature Montessori IL CIBO 6-9 anni, scaricabili e stampabili in formato pdf. Ho raggruppato in un unico pacchetto tutte le 350 schede delle nomenclature sul cibo pubblicate finora.

Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 6-9 sono formate da:
– illustrazione
– titolo
– testo descrittivo
Per saperne di più puoi leggere qui: nomenclature per la scuola primaria.

Nomenclature Montessori IL CIBO 6-9 anni

PDF QUI

Le 350 schede comprendono:

19 BEVANDE: bibite gassate, birra, caffè, cappuccino, succo di carota, frappé di frutta, tè in bustina, tè verde, vino, latte, succo di mandarino, camomilla, centrifugati di verdure, spremuta di arance, succhi di frutta 100%, acqua frizzante, frullato di frutta, succo di pomodoro, acqua naturale.

26 CARNE: carne bovina, stinco di maiale, bresaola, selvaggina, carni bianche, pollo, costolette, arrosto di manzo, carne suina, wurstel, prosciutto cotto, spezzatino, cotoletta impanata, speck, tacchino, salsicce, salame, roast beef all’inglese, quaglia, carne trita, pancetta, arista di maiale, hamburger, carne di agnello, stufato di coniglio, prosciutto crudo.

21 CEREALI E PANE: mais, frumento, quinoa, riso, fonio, miglio, orzo, sorgo, avena, segale, grano saraceno, triticale, pane in cassetta, chapati, cracker, crostini di pane, pasta di pane, pane arabo, pretzel, grissini, pane azzimo.

6 LEGUMI: carruba, ceci, fagioli, lenticchie, piselli, soia.

15 SALSE E CONDIMENTI: salse chutney, guacamole, hummus, senape, olio d’oliva, passata di pomodoro, salsa tzatziki, maionese, salsa verde, aceto balsamico, aceto, pesto genovese, ketchup, sale da cucina, salsa di soia.

19 ERBE AROMATICHE E SPEZIE: basilico, cardamomo, anice stellato, semi di coriandolo, curcuma, erba cipollina, fave di cacao, aglio, prezzemolo, bacche di ginepro, alloro, noce moscata, rosmarino, timo, salvia, pepe, cannella, vaniglia, zenzero.

38 DOLCI: krapfen, caramelle, meringa, moretto, marzapane, cioccolata, bignè fritti, bignè ripieni, croissant, zucchero di canna, torta marmorizzata, torrone, cantuccini, caramelle gommose, tiramisù, crostoli, zucchero raffinato, strudel di mele, rasgulla indiani, puris indiani, burro di arachidi, pancake, crema di nocciole, muffin, marshmallows, macaron, frutta e panna montata, gelatina di frutta, confettura e marmellata, gulab jamun indiani, gelato, ghiacciolo, miele, torta di mele, panna montata, biscotti della fortuna, empanada, crostata.

21 FORMAGGI E LATTICINI: Bel Paese. stilton, brie, grana padano, yogurt, emmenthal, caprino fresco, feta greca, formaggio stagionato, ricotta, formaggio Piave, gorgonzola, mozzarella, pecorino sardo, provola affumicata, formaggio Asiago, fiocchi di latte, taleggio, tilsit, fontina, stracchino.

34 FRUTTA FRESCA: albicocca, avocado, banana, fragole, ribes nero, pompelmo, melograno, mela, nespola, pesca nettarina, more, mirtilli, melone, mango, litchi, lime, limone, lampone, kiwi, cachi, prugne, uva, frutti di bosco, frutta, arancia, agrumi, pera, anguria, fichi d’India, fico, ciliegia, ribes rosso, noce di cocco, mandarino.

14 FRUTTA SECCA e SEMI: noci, semi di zucca, pistacchi, pinoli, arachidi, mandorle, nocciole, semi di girasole, datteri, uvetta, frutta secca, caldarroste, castagne, anacardi.

31 ORTAGGI: asparagi, broccoli, verza, cavolo cappuccio, cavolfiore, carota, cassava, spinaci, cetriolo, melanzana, finocchio, cavolfiore romanesco, fagiolini, porri, lattuga cappuccina, lattuga gentile, carciofi, ortaggi, cipolla, pastinaca, peperoni, patata, rapanelli, cavolo rosso, rucola, sedano, zucca, pomodori, peperoncini, radicchio rosso, zucchine.

21 PASTA: ravioli al vapore, farfalle, gnocchi di patata, timballo, fusilli, mafaldine, cellentani, chifferi rigati, pipe, orecchiette, tagliatelle, ravioli, pasta integrale, penne lisce, soba di grano saraceno, spaghetti di riso, spaetzle, spaghetti, maccheroni, ditalini, tortellini.

22 PESCE E CROSTACEI: acciughe, anguilla, aringa, frittura di pesce, caviale, vongole, cozze, triglie, pesce impanato, polpi, seppie, bastoncini di pesce, aragosta, gamberoni, granchio, orata, ostrica, salmone, trota, pesce azzurro, sgombro in scatola, tonno in scatola.

16 PIATTO UNICO: fonduta valdostana, fricase boliviano, cuscus, riso jollof nigeriano, zighinì eritreo, fish burger, prosciutto e melone, paella, pilaf turco, pizza, pulao afghano, insalata di riso, sushi, pollo yassa Senegal, taco messicano, hamburger.

17 PRIMI PIATTI: lasagne al forno, pastasciutta, polenta, path thailandese, koshari, minestrone, brodo, zuppa di latte di cocco, zuppa di fagioli, passato di verdure, pasta al pesto, pasta alla panna, tortino di quinoa, risotto, pasta al ragù, pasta al pomodoro, gazpacho.

30 SECONDI PIATTI: cevapcici, escargot, alloco platano fritto, patatine fritte, germogli di soia, carciofi, peperoni arrostiti, insalata russa, parmigiana, manzo Stroganoff, purè di patate, polpette, hamburger vegetale, anelli di totano, sottaceti, patate arrosto, tartara di carne, bobotie, patate lesse, cotoletta alla milanese, seitan, carpaccio, bistecca, caprese, tofu, uovo alla coque, uovo, uovo alla benedettina, omelette, uovo al tegamino.

Nomenclature Montessori IL CIBO 6-9 anni

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale II AGGETTIVI

Psicogrammatica Montessori: scatola grammaticale II AGGETTIVI – presentazione del materiale, e i cartellini di riempimento pronti per il download e la stampa. Con questa scatola i bambini approfondiscono lo studio dell’aggettivo in relazione al nome e all’articolo.

Il materiale per l’analisi delle parole è costituito da varie serie di cartellini della frase di colore marrone scuro e da varie serie di cartellini delle parole di diverso colore:
– marrone chiaro per gli  articoli
– nero per i nomi
– marrone scuro per gli aggettivi
che si scelgono a seconda dell’esercizio che si vuole proporre e si collocano nella scatola grammaticale II.

Secondo le indicazioni di Maria Montessori il bambino legge una frase, prende gli oggetti che vi sono indicati, e poi compone la frase coi cartellini delle parole. Ad esempio, se il cartellino della frase contiene questa indicazione: ‘il colore verde – il colore turchino – il colore rosso’, il bambino prende tre spolette (verde, turchina e rossa) dalla scatola delle spolette dei colori, e le mette sul tavolo. Poi compone la frase la frase ‘il colore verde‘ e pone la spoletta verde accanto alla frase.

Quindi, lasciando sul tavolo i due primi cartellini, cambia solo quello relativo all’aggettivo, e sostituisce ‘verde’ con ‘turchino’, e infine cambia la spoletta verde con quella turchina.

In ultimo ripete la procedura con il colore rosso.

(Nel mio esempio ho utilizzato dei pennarelli al posto delle spolette dei colori. Per realizzarle in proprio trovate il tutorial qui: Costruire le spolette dei colori Montessori).

Le frasi originali proposte da Maria Montessori si riferiscono tutte ai materiali sensoriali che si utilizzano nella Casa dei Bambini.
Nella scatola grammaticale II si pongono un certo numero cartellini della frase alla volta (di solito sei), e i relativi cartellini delle parole, che corrispondono alle necessità dell’esercizio e non alle frasi, nel senso che gli articoli ed i nomi non sono ripetuti).

MATERIALI PREVISTI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE II AGGETTIVI
(con la codifica che ho utilizzato io per la preparazione dei cartellini)

scatola grammaticale II (qui il tutorial per costruirla: Costruire le scatole grammaticali)
6 scatoline di riempimento color marrone chiaro contrassegnate IIA, IIB, IIC, IID, IIE, IIF.
una scatolina aperta marrone chiaro per il libretto degli elenchi e per il libretto delle regole

scatola grammaticale II AGGETTIVI – Contenuto delle scatole di riempimento

scatola IIA: scheda della definizione e cartellini (i tre gruppi di cartellini stanno nella scatola IIA separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIA-1: colori (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IIA-2: colori (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IIA-3: colori (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)

scatola IIB: scheda della definizione e cartellini (i tre gruppi di cartellini stanno nella scatola IIB separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIB-1: qualità opposte (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IIB-2:  dimensioni opposte (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IIB-3:  stati d’animo opposti (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)

scatola IIC: scheda della definizione e cartellini scheda della definizione e cartellini  ( i quattro gruppi di cartellini stanno nella scatola IIC separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIC-1: forma e quantità (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IIC-2: quantità (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IIC-3: dimensioni (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IIC-4: forma (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)

scatola IID: scheda della definizione e cartellini ( i sette gruppi di cartellini stanno nella scatola IID  separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IID-1: qualità sensoriali (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IID-2: sensazioni tattili (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IID-3: olfatto e udito (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IID-4:  olfatto e gusto (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IID-5: sensazioni uditive (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IID-6: sensazioni tattili (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)
  • cartellini IID-7: udito, olfatto e gusto (cartellini articoli, nomi, aggettivi + cartellini frase)

scatola IIE: scheda della definizione e cartellini ( i cinque gruppi di cartellini stanno nella scatola IIE  separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIE-1: gradi dell’aggettivo (cartellini aggettivo positivo, comparativo, superlativo + titoli)
  • cartellini IIE-2: gradi dell’aggettivo (cartellini aggettivo positivo, comparativo, superlativo + titoli)
  • cartellini IIE-3: gradi dell’aggettivo (cartellini aggettivo positivo, comparativo, superlativo + titoli)

scatola IIF: scheda della definizione e cartellini ( i sei gruppi di cartellini stanno nella scatola IIF  separati tra loro per mezzo di elastici)

  • cartellini IIF-1: concordanza nome/aggettivo (cartellini nome e aggettivo + cartellini frase)
  • cartellini IIF-2: concordanza nome/aggettivo (cartellini nome e aggettivo + cartellini frase)
  • cartellini IIF-3: concordanza nome/aggettivo (cartellini nome e aggettivo + cartellini frase)
  • cartellini IIF-4: concordanza nome/aggettivo (cartellini nome e aggettivo + cartellini frase).

scatolina aperta marrone scuro:

  • libretto degli elenchi per l’aggettivo (facoltativo)
  • libretto delle regole per l’aggettivo.

Questo è il materiale pronto:

PDF QUI

scatola grammaticale II AGGETTIVI – ISTRUZIONI per confezionare i libretti
(nell’esempio un libretto delle nomenclature)

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

scatola grammaticale II AGGETTIVI

MATERIALI PER LA SCATOLA GRAMMATICALE II

Si tratta di un materiale rivisitato e attualizzato ai mutamenti che la lingua ha subito e ai vocaboli che più appartengono alla realtà dei bambino oggi.
L’organizzazione originale del materiale non cambia, ho aggiunto però dei set che isolano ulteriori aspetti delle regole grammaticali.
Ciascuna parte del discorso ha un suo codice colore, che è diverso da quello dei simboli grammaticali (ad eccezione del nome e del verbo).
I simboli grammaticali possono entrare a far parte degli esercizi con le scatole grammaticali: i bambini possono porre i simboli mobili sulle parole scritte nei cartellini della frase, o anche possono copiare le frasi e disegnare i simboli (anche utilizzando gli stencil).

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scatola grammaticale II AGGETTIVI

USO DEL MATERIALE

Avere a disposizione le scatole grammaticali di legno è sicuramente la situazione ideale, ma considerando il costo, non è la situazione alla portata di tutti. Si possono preparare delle bellissime alternative in cartone o anche sostituire alle scatole delle “tovagliette stampate“. Si può anche decidere di non utilizzare nulla, e di mettere semplicemente i cartellini sul tavolo, divisi in base al loro codice colore e ponendo sopra di essi dei cartellini-titolo (per la prima scatola ‘ARTICOLO’ e ‘NOME’).
Lo stesso discorso vale per le scatole di riempimento e per le scatole dei comandi, che possono essere acquistate in legno, o possono essere facilmente realizzate in cartoncino. Si può anche optare per qualsiasi altra soluzione alternativa: buste di carta colorata, sacchetti di plastica trasparente, cestini, ecc.

Le scatole grammaticali servono all’esercizio del bambino, dopo le presentazioni e le lezioni chiave relative alle parti del discorso che vogliamo esercitare.

Nomenclature Montessori IL CIBO 3-6 anni stampato minuscolo

Nomenclature Montessori Nomenclature Montessori IL CIBO 3-6 anni stampato minuscolo, scaricabili e stampabili in formato pdf. Ho raggruppato in un unico pacchetto tutte le 350 schede delle nomenclature sul cibo pubblicate finora.

Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 3-6 sono formate da:
– illustrazione con titolo
– illustrazione
– titolo.

Nomenclature Montessori IL CIBO 3-6 anni stampato minuscolo

PDF qui:

Nomenclature Montessori IL CIBO 3-6 anni stampato minuscolo
Le 350 schede comprendono:

19 BEVANDE: bibite gassate, birra, caffè, cappuccino, succo di carota, frappé di frutta, tè in bustina, tè verde, vino, latte, succo di mandarino, camomilla, centrifugati di verdure, spremuta di arance, succhi di frutta 100%, acqua frizzante, frullato di frutta, succo di pomodoro, acqua naturale.

26 CARNE: carne bovina, stinco di maiale, bresaola, selvaggina, carni bianche, pollo, costolette, arrosto di manzo, carne suina, wurstel, prosciutto cotto, spezzatino, cotoletta impanata, speck, tacchino, salsicce, salame, roast beef all’inglese, quaglia, carne trita, pancetta, arista di maiale, hamburger, carne di agnello, stufato di coniglio, prosciutto crudo.

21 CEREALI E PANE: mais, frumento, quinoa, riso, fonio, miglio, orzo, sorgo, avena, segale, grano saraceno, triticale, pane in cassetta, chapati, cracker, crostini di pane, pasta di pane, pane arabo, pretzel, grissini, pane azzimo.

6 LEGUMI: carruba, ceci, fagioli, lenticchie, piselli, soia.

15 SALSE E CONDIMENTI: salse chutney, guacamole, hummus, senape, olio d’oliva, passata di pomodoro, salsa tzatziki, maionese, salsa verde, aceto balsamico, aceto, pesto genovese, ketchup, sale da cucina, salsa di soia.

19 ERBE AROMATICHE E SPEZIE: basilico, cardamomo, anice stellato, semi di coriandolo, curcuma, erba cipollina, fave di cacao, aglio, prezzemolo, bacche di ginepro, alloro, noce moscata, rosmarino, timo, salvia, pepe, cannella, vaniglia, zenzero.

38 DOLCI: krapfen, caramelle, meringa, moretto, marzapane, cioccolata, bignè fritti, bignè ripieni, croissant, zucchero di canna, torta marmorizzata, torrone, cantuccini, caramelle gommose, tiramisù, crostoli, zucchero raffinato, strudel di mele, rasgulla indiani, puris indiani, burro di arachidi, pancake, crema di nocciole, muffin, marshmallows, macaron, frutta e panna montata, gelatina di frutta, confettura e marmellata, gulab jamun indiani, gelato, ghiacciolo, miele, torta di mele, panna montata, biscotti della fortuna, empanada, crostata.

21 FORMAGGI E LATTICINI: Bel Paese. stilton, brie, grana padano, yogurt, emmenthal, caprino fresco, feta greca, formaggio stagionato, ricotta, formaggio Piave, gorgonzola, mozzarella, pecorino sardo, provola affumicata, formaggio Asiago, fiocchi di latte, taleggio, tilsit, fontina, stracchino.

34 FRUTTA FRESCA: albicocca, avocado, banana, fragole, ribes nero, pompelmo, melograno, mela, nespola, pesca nettarina, more, mirtilli, melone, mango, litchi, lime, limone, lampone, kiwi, cachi, prugne, uva, frutti di bosco, frutta, arancia, agrumi, pera, anguria, fichi d’India, fico, ciliegia, ribes rosso, noce di cocco, mandarino.

14 FRUTTA SECCA e SEMI: noci, semi di zucca, pistacchi, pinoli, arachidi, mandorle, nocciole, semi di girasole, datteri, uvetta, frutta secca, caldarroste, castagne, anacardi.

31 ORTAGGI: asparagi, broccoli, verza, cavolo cappuccio, cavolfiore, carota, cassava, spinaci, cetriolo, melanzana, finocchio, cavolfiore romanesco, fagiolini, porri, lattuga cappuccina, lattuga gentile, carciofi, ortaggi, cipolla, pastinaca, peperoni, patata, rapanelli, cavolo rosso, rucola, sedano, zucca, pomodori, peperoncini, radicchio rosso, zucchine.

21 PASTA: ravioli al vapore, farfalle, gnocchi di patata, timballo, fusilli, mafaldine, cellentani, chifferi rigati, pipe, orecchiette, tagliatelle, ravioli, pasta integrale, penne lisce, soba di grano saraceno, spaghetti di riso, spaetzle, spaghetti, maccheroni, ditalini, tortellini.

22 PESCE E CROSTACEI: acciughe, anguilla, aringa, frittura di pesce, caviale, vongole, cozze, triglie, pesce impanato, polpi, seppie, bastoncini di pesce, aragosta, gamberoni, granchio, orata, ostrica, salmone, trota, pesce azzurro, sgombro in scatola, tonno in scatola.

16 PIATTO UNICO: fonduta valdostana, fricase boliviano, cuscus, riso jollof nigeriano, zighinì eritreo, fish burger, prosciutto e melone, paella, pilaf turco, pizza, pulao afghano, insalata di riso, sushi, pollo yassa Senegal, taco messicano, hamburger.

17 PRIMI PIATTI: lasagne al forno, pastasciutta, polenta, path thailandese, koshari, minestrone, brodo, zuppa di latte di cocco, zuppa di fagioli, passato di verdure, pasta al pesto, pasta alla panna, tortino di quinoa, risotto, pasta al ragù, pasta al pomodoro, gazpacho.

30 SECONDI PIATTI: cevapcici, escargot, alloco platano fritto, patatine fritte, germogli di soia, carciofi, peperoni arrostiti, insalata russa, parmigiana, manzo Stroganoff, purè di patate, polpette, hamburger vegetale, anelli di totano, sottaceti, patate arrosto, tartara di carne, bobotie, patate lesse, cotoletta alla milanese, seitan, carpaccio, bistecca, caprese, tofu, uovo alla coque, uovo, uovo alla benedettina, omelette, uovo al tegamino.

Nomenclature Montessori IL CIBO 3-6 anni stampato minuscolo

Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI

Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI disponibili nella versione per bambini dal 3 ai 6 anni, e per bambini dai 6 ai 9, con libretto di accompagnamento, scaricabili e stampabili in formato pdf.

Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 3-6 sono formate da:
– illustrazione con titolo
– illustrazione
– titolo.
Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 6-9 sono formate da:
– illustrazione
– titolo
– testo descrittivo
e sono accompagnate da un libretto con gli stessi contenuti delle carte, che può essere arricchito dal bambino ed essere usato per approfondire attraverso il lavoro di ricerca. Per saperne di più puoi leggere qui: 

Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI

Per la scelta degli oggetti, ho tenuto conto di quelli che possono essere quelli più conosciuti dai bambini, quelli che possono stimolare ulteriori lavori di ricerca e, per tutte le nomenclature attinenti al cibo, ho anche scelto di inserire prodotti di altre culture. Per i SECONDI PIATTI ho preparato questo elenco:

  1. cevapcici
  2. escargot
  3. alloco: platano fritto
  4. patatine fritte
  5. germogli di soia
  6. carciofi
  7. peperoni arrostiti
  8. insalata russa
  9. parmigiana
  10. manzo Stroganoff
  11. purè di patate
  12. polpette
  13. hamburger vegetale
  14. anelli di totano
  15. sottaceti
  16. patate arrosto
  17. tartara di carne
  18. bobotie
  19. patate lesse
  20. cotoletta alla milanese
  21. seitan
  22. carpaccio
  23. bistecca
  24. caprese
  25. tofu
  26. uovo alla coque
  27. uovo
  28. uovo alla benedettina
  29. omelette
  30. uovo al tegamino

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Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI

NOMENCLATURE IN TRE PARTI – SECONDI PIATTI – 3-6 anni

Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI 6-9 anni e libretto

Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI

ISTRUZIONI

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI

Nomenclature Montessori SECONDI PIATTI

Nomenclature Montessori SALSE E CONDIMENTI

Nomenclature Montessori SALSE E CONDIMENTI disponibili nella versione per bambini dal 3 ai 6 anni, e per bambini dai 6 ai 9, con libretto di accompagnamento, scaricabili e stampabili in formato pdf.

Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 3-6 sono formate da:
– illustrazione con titolo
– illustrazione
– titolo.
Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 6-9 sono formate da:
– illustrazione
– titolo
– testo descrittivo
e sono accompagnate da un libretto con gli stessi contenuti delle carte, che può essere arricchito dal bambino ed essere usato per approfondire attraverso il lavoro di ricerca. Per saperne di più puoi leggere qui: 

Nomenclature Montessori SALSE E CONDIMENTI

Per la scelta degli oggetti, ho tenuto conto di quelli che possono essere quelli più conosciuti dai bambini, quelli che possono stimolare ulteriori lavori di ricerca e, per tutte le nomenclature attinenti al cibo, ho anche scelto di inserire prodotti di altre culture. Per SALSE E CONDIMENTI ho preparato questo elenco:

  1. salse chutney
  2. guacamole
  3. hummus
  4. senape
  5. olio d’oliva
  6. passata di pomodoro
  7. salsa tzatziki
  8. maionese
  9. salsa verde
  10. aceto balsamico
  11. aceto
  12. pesto genovese
  13. ketchup
  14. sale da cucina
  15. salsa di soia

Nomenclature Montessori SALSE E CONDIMENTI

NOMENCLATURE IN TRE PARTI – SALSE E CONDIMENTI – 3-6 anni

NOMENCLATURE IN TRE PARTI e LIBRETTO – SALSE E CONDIMENTI – 6-9 anni

Nomenclature Montessori SALSE E CONDIMENTI

ISTRUZIONI

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

Nomenclature Montessori SALSE E CONDIMENTI

Se preferite realizzare il materiale in proprio, questo è il contenuto:

SALSE E CONDIMENTI
La salsa può essere una preparazione di cucina o di pasticceria, formata da un legante e da un sapore, di consistenza pastosa, cremosa o semiliquida.
Serve ad accompagnare carni, pesci, pasta, verdure, e per dare sapore e condire i piatti.
Il nome deriva dal latino salsus, che significa salato, perchè il sale è il condimento base di ogni alimento.
Un condimento è una qualsiasi sostanza utilizzata in cucina per insaporire gli alimenti. Per la maggior parte i condimenti sono di origine vegetale, ma possono anche essere di origine animale (ad esempio il brodo di carne) o minerale (ad esempio il sale).

SALSE CHUTNEY
E’ una famiglia di salse tipiche della cucina sud asiatica, a base di spezie, verdure e frutta.
Servono a condire i piatti a base di carne, riso e le verdure. Possono essere fatte, ad esempio, con mango e zenzero; con mango, cipolla e peperoncini; con cocco e zenzero, con menta e yogurt, ecc…

GUACAMOLE
E’ una salsa di origine messicana a base di avocado, che risale al tempo degli Aztechi. Si prepara con avocado, succo di lime, sale e pepe. Il suo nome significa ‘avocado molle’.

HUMMUS
E’ una salsa a base di pasta di ceci e pasta di semi di sesamo (tahin), olio di semi, aglio e succo di limone. E’ molto usata in tutti i paesi arabi e nella cucina israeliana.

SENAPE
E’ una salsa cremosa che si prepara con il semi polverizzati della pianta della senape, e che serve ad insaporire le carni e a condire le insalate. In Francia e Gran Bretagna è chiamata mostarda. In Giappone è chiamata karashi. Ne esistono di dolci e di molto piccanti.

OLIO D’OLIVA
Quello che usiamo per cucinare e condire è più propriamente chiamato extra-vergine. E’ composto per il 99% di grassi e contiene molte vitamine e acidi grassi. Si usa per condire a crudo, per friggere, per conservare gli alimenti.

PASSATA DI POMODORO
Anche detta salsa o conserva, è una salsa ottenuta dalla cottura dei pomodori che vengono poi passati con uno strumento che schiaccia la polpa eliminando bucce e semi.
Si utilizza per preparare tantissimi sughi diversi, usati soprattutto per la pasta, ma non solo.

SALSA TZATZIKI
E’ una salsa molto usata nei Paesi slavi e in Grecia. Si prepara con yogurt di pecora o capra, polpa di cetrioli, aglio, sale e olio d’oliva. Salse simili si usano anche in Iraq e Turchia. E’ un condimento equilibrato e non grasso.

MAIONESE
E’ una salsa cremosa, di colore bianco o giallo pallido, formata dall’emulsione di acqua, tuorlo d’uovo e olio. Si aromatizza con succo di limone o aceto e sale. E’ tipica della cucina francese. E’ un alimento molto calorico ed è meglio non abusarne.
Contiene molti grassi e proteine. Quella industriale inoltre contiene addensanti e conservanti e ingredienti liofilizzati e non freschi.

SALSA VERDE
E’ un condimento a base di prezzemolo, capperi, acciughe e olio d’oliva. E’ un condimento tipico della cucina ligure, usato per accompagnare secondi piatti a base di carne (soprattutto il bollito misto) o di pesce.

ACETO BALSAMICO
Tipico di Modena e Reggio Emilia, si presta ad essere usato un po’ su tutto: dall’antipasto al dolce. Si ottiene dalla fermentazione del mosto cotto, che viene poi fatto invecchiare all’interno di speciali botti, le acetaie. L’invecchiamento dura dai 12 anni fino ai 50, per questo si tratta di prodotti molto costosi.
L’aceto balsamico a basso prezzo, invece, è in genere fatto con normale aceto di vino con l’aggiunta di caramello, conservanti, coloranti e aromi.

ACETO
E’ il liquido acido che si produce nelle bevande alcoliche (vino, sidro, idromele), nel riso, nei malti e nella frutta, grazie all’azione di particolari batteri. Questi batteri trasformano l’alcol in acido acetico. Si usa per condire insalate e pesce e per marinare le carni. Nelle pulizie domestiche, è un ottimo sgrassatore.

PESTO GENOVESE
E’ un condimento molto energetico, ricco di grassi di buona qualità e proteine, con pochi carboidrati. E’ tipico della Liguria e si prepara con basilico, pinoli, aglio, sale, parmigiano, pecorino sardo e olio extravergine d’oliva. Si usa per condire la pasta, tradizionalmente le trofie e le trenette.

KETCHUP
E’ una salsa agrodolce che, anche se ci fa pensare agli USA, è nata in Malesia. Si prepara con pomodoro passato, zucchero, spezie e aceto. E’ una salsa con pochi grassi, facile da fare in casa e poco elaborata.

SALE DA CUCINA
Per gli antichi Romani il sale era molto prezioso, e chiamarono salario la paga che davano ai legionari (e ancora oggi chiamiamo salario la paga dei lavoratori).
Il sale contiene sodio, che è un minerale essenziale per il nostro organismo, ma non bisogna abusarne, perchè sia la mancanza di sodio sia l’eccesso provocano danni alla salute. Un adulto non dovrebbe assumere più di 6 grammi di sale al giorno.

SALSA DI SOIA
Chiamata shoyu in cinese, è una salsa fermentata che si ottiene con soia, grano tostato, acqua, sale e koji (un fungo). E’ ricca di antiossidanti e molto saporita, pur non essendo grassa. Non bisogna però abusarne perchè contiene molto sale.

Nomenclature Montessori SALSE E CONDIMENTI

Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI

Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI disponibili nella versione per bambini dal 3 ai 6 anni, e per bambini dai 6 ai 9, con libretto di accompagnamento, scaricabili e stampabili in formato pdf.

Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 3-6 sono formate da:
– illustrazione con titolo
– illustrazione
– titolo.
Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 6-9 sono formate da:
– illustrazione
– titolo
– testo descrittivo
e sono accompagnate da un libretto con gli stessi contenuti delle carte, che può essere arricchito dal bambino ed essere usato per approfondire attraverso il lavoro di ricerca. Per saperne di più puoi leggere qui: nomenclature per la scuola primaria.

Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI

Per la scelta degli oggetti, ho tenuto conto di quelli che possono essere quelli più conosciuti dai bambini, quelli che possono stimolare ulteriori lavori di ricerca e, per tutte le nomenclature attinenti al cibo, ho anche scelto di inserire prodotti di altre culture. Per i PRIMI PIATTI ho preparato questo elenco:

  1. lasagne al forno
  2. pastasciutta
  3. polenta
  4. path thailandese
  5. koshari
  6. minestrone
  7. brodo
  8. zuppa di latte di cocco
  9. zuppa di fagioli
  10. passato di verdure
  11. pasta al pesto
  12. pasta alla panna
  13. tortino di quinoa
  14. risotto
  15. pasta al ragù
  16. pasta al pomodoro
  17. gazpacho

Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI

NOMENCLATURE IN TRE PARTI – PRIMI PIATTI – 3-6 anni

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Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI
NOMENCLATURE IN TRE PARTI – PRIMI PIATTI – 6-9 anni

LIBRETTO PER LE NOMENCLATURE 6-9 anni PRIMI PIATTI 

Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI
ISTRUZIONI

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI

Se preferite realizzare il materiale in proprio, questo è il contenuto:

ZUPPA DI FAGIOLI
E’ una tipica ricetta povera della tradizione italiana, a base di fagioli. Esistono molte varianti regionali: la zuppa di farro e fagioli (Toscana); la zuppa di fagioli con le cotiche (Lazio); ecc.
La ricetta è nata come piatto povero contadino, che veniva preparato al mattino e messa a cuocere a fuoco lento, prima di uscire di casa per il lavoro nei campi. Si possono cucinare in zuppa anche tutti gli altri legumi: ceci, piselli, fave, ecc.

LASAGNE AL FORNO
Si preparano con una sfoglia di pasta, quasi sempre all’uovo, tagliata in fogli rettangolari, che vengono bolliti e scolati e poi si dispongono in una teglia da forno a strati, alternati ai condimenti. Almeno l’ultimo strato è di solito ricoperto di besciamella. Si preparano con ragù di carne, verdure, formaggi, a seconda del gusto. Il tutto viene cotto in forno e poi si mangia a fette.

GAZPACHO
Nella cucina spagnola è una zuppa fredda a base di verdure crude, tipica delle regioni calde del sud come l’Andalusia. Si prepara con peperoni, pomodori, cetrioli, cipolla ed erbe aromatiche. All’ultimo momento può essere aggiunto del ghiaccio tritato o a cubetti.

POLENTA
E’ un antichissimo piatto di origine italiana a base di farina di cereali. E’ stato per secoli l’alimento base della popolazione povera in molte regioni italiane, soprattutto al nord. Il cereale più usato è il mais, importato in Europa dalle Americhe nel XV secolo, che le dà il tipico colore giallo. Prima si faceva con farro, segale o grano saraceno ed era scura.
Simili alla polenta italiana sono il funchi (Antille), a base di mais e consumato al posto del pane; l’umutsima del Burundi, fatta con farina di manioca; la polenta di miglio del Burkina Faso.

PASTASCIUTTA
Il termine pasta è spesso usato come abbreviazione dell’italiano pastasciutta, ed indica un piatto dove la pasta alimentare è l’ingrediente principale, accompagnato da una salsa o un sugo o un altro condimento di qualsiasi tipo. La pasta si cuoce in acqua salata in ebollizione, poi viene scolata e condita.
Le ricette italiane di pastasciutta più famose sono: alla carbonara, allo scoglio, al ragù, al pesto, al pomodoro, all’amatriciana.

PHAD THAILANDESI
I phad (o phat) sono larghi tagliolini di farina di riso, tipici della cucina thailandese. Dopo la bollitura, si condiscono in padella con uova, salsa di soia, germogli di soia, gamberi, pollo e spezie.

KOSHARI
E’ un primo piatto tipico egiziano.Si prepara con riso, pasta, lenticchie, ceci, aglio egiziano, aceto e salsa di pomodoro speziata. Il tutto è guarnito con cipolle fritte.

MINESTRONE
E’ una minestra in brodo con molte verdure, e può essere completato con pasta o riso. Tra gli ingredienti più comuni ci sono fagioli, cipolle, carote, sedano, patate e pomodori. L’insieme delle verdure pulite e tagliate per il minestrone, crude e non condite, viene anche venduto come prodotto congelato.

BRODO
E’ un preparato liquido ottenuto dalla cottura di carni, verdure o pesce, con l’aggiunta di spezie, sale ed erbe aromatiche. Si usa per preparare minestre, salse e per cuocere il risotto.Per quello di carne di solito si usano manzo o pollame. Per quello di pesce si usano saraghi, gallinelle o scorfani con verdure. Quello vegetale è il più digeribile, e per questo si usa nello svezzamento dei neonati.

ZUPPA DI LATTE DI COCCO
E’ un primo piatto tipico thailandese che si prepara con latte di cocco e verdure, o anche con carne di pollo o pesce. Alcune varianti hanno un sapore delicato, altre sono molto piccanti.

TORTINO DI QUINOA
La quinoa è un cereale tipico del Sud America, anche se non appartiene alla famiglia delle graminacee. Essendo priva di glutine, è molto apprezzata in tutto il mondo perchè può essere consumata anche dai celiaci. Intera si presta ad essere usata per cucinare tortini o sformati con verdure, carni e formaggi.

PASSATO DI VERDURE
E’ una crema preparata con verdure passate o frullate che si può preparare in molti modi. Si può mangiare da solo o accompagnandolo a crostini di pane. Si può preparare con molte verdure miste, come il minestrone, oppure con una sola. Viene anche chiamata vellutata.

RISOTTO
E’ un primo piatto tipico della cucina italiana. Il particolare tipo di cottura fa addensare l’amido contenuto nel riso dando al piatto una consistenza cremosa. I più famosi risotti sono: alla parmigiana, agli spinaci, allo zafferano, mantecato, ai frutti di mare, al radicchio, al latte, risi e bisi.

PASTA ALLA PANNA
La panna o crema di latte è la parte grassa del latte, che si ottiene lasciando riposare il latte fresco e aspettando il galleggiamento della parte grassa, che è più leggera.La panna da cucina si può usare anche per condire la pastasciutta, da sola o con cubetti di prosciutto cotto.

PASTA AL RAGÙ
La parola ragù si riferisce a un sugo a base di carne, cotto per molte ore a fuoco basso e preparato con molti ingredienti. Il termine deriva dal francese ragout, che significa risvegliare l’appetito. Nella cucina italiana i più famosi ragù sono quello alla bolognese e quello napoletano. Per quello alla bolognese si usa carne trita, mentre per quello alla napoletana si usa carne a pezzetti, che viene spesso tolta a cottura ultimata.

PASTA AL POMODORO
Il modo più classico di mangiare la pastasciutta è quello di condirla col pomodoro. Si possono usare pomodori freschi oppure la salsa. I pomodori possono essere usati cotti e crudi, conditi con olio d’oliva e profumati con olio d’oliva e basilico, e un po’ di formaggio grana grattugiato.

PASTA AL PESTO
E’ una pastasciutta di origine ligure. In Liguria si usano di solito le trenette (anche dette linguine) o le trofie. Le trenette sono simili agli spaghetti, ma sono piatte e non cilindriche. Le trofie somigliano a degli gnocchetti, ma sono sottili e allungate. Il condimento è a base di basilico, olio, formaggio grana e pecorino sardo, pinoli e aglio.

Nomenclature Montessori PRIMI PIATTI

Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica

Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica, per bambini della scuola primaria. Trovi altre recite per Carnevale qui: RECITE PER CARNEVALE.

Personaggi: il primario e quattro medici.

Costumi: grembiuli bianchi e guanti di gomma.

Scenografia: in un angolo un attaccapanni o una sedia su cui sono appesi un camice bianco e un paio di guanti di gomma.

Azione: quattro personaggi sono in scena, posti uno dietro l’altro, fronte al pubblico, ma sfasati di mezza persona in diagonale, così che il pubblico possa vedere distintamente mezza persona di ognuno di loro. Entra il primario, si toglie la giacca, la appende all’attaccapanni e prende il camice. Due medici lo aiutano ad indossarlo. Va a mettersi all’inizio della fila, più vicino al pubblico: gambe leggermente divaricate, aria superiore. Si lascia infilare i guanti dagli altri, i quali lo trattano con deferenza.

Primario (voltandosi, verso quello immediatamente dietro di lui): Avanti l’ammalato.

Primo medico (voltandosi verso quello immediatamente dietro di lui, con lo stesso tono dottorale e annoiato): Avanti l’ammalato.

Secondo medico (al terzo, come sopra): Avanti l’ammalato.

Terzo medico (al quarto, come sopra): Avanti l’ammalato.

(Il quarto medico si volta, fa un passo, imita l’apertura di una porta, spinge una barella immaginaria fino davanti al primario).

Primario (considera attentamente l’ammalato sulla barella. Lo tasta. Gli sente il polso. Poi ordina): Bisturi!

Primo medico, secondo, terzo: Bisturi. Bisturi. Bisturi.

Quarto medico (raccoglie dal tavolo chirurgico il bisturi, tenendolo delicatamente come una penna, e lo fa passare a ogni compagno).

Primario (prende il bisturi, prende la mira e, calmissimo, lo affonda nel paziente. Si china a guardare dentro): Pinze.

Primo, secondo, terzo: Pinze!

Quarto (raccoglie, mimicamente, un paio di tenaglie e le passa).

Primario (continuando l’operazione, allarga i lembi della ferita, ne estrae parecchi metri di intestino che arrotola sulle braccia del secondo. Estrae il cuore, lo ascolta, lo massaggia, sorride e lo rimette dentro. Riprende la matassa degli intestini e la dispone nel paziente. Poi, soddisfatto) Ago!

Primo, secondo, terzo: Ago!

Quarto (prende l’ago e, porgendolo al secondo, lo punge inavvertitamente. Sussulto del secondo. Con precauzione, l’ago arriva al primario).

Primario: Filo!

Primo, secondo, terzo: Filo! (Il filo giunge al primario. Questi lo infila, poi, tenendo l’ago alto, si volta al primo)

Primario: Nodo!

Primo: (esegue)

Primario (incomincia a dare i primi punti. Ma il filo non scorre bene): Sapone!

Primo, secondo, terzo: Sapone!

Quarto (prende il sapone e lo passa. La saponetta sfugge di mano al terzo, il quale riesce a prenderla al volo, e la passa al secondo).

Primario (passa la saponetta sul filo, poi, imitando un enorme sforzo, punta il piede sul malato e riesce a cucire. Improvvisamente si interrompe, accorgendosi che il paziente sta male. Con voce svelta): Etere!

Primo, secondo, terzo (tutti con voce svelta guardando curiosamente oltre le spalle del primario) Etere!

Quarto (passa la bottiglietta dell’etere).

Primario (versa l’etere sul malato. Ne versa troppo. Si sente male lui. Accenna a cadere all’indietro).

Primo, secondo, terzo: Sali!

Quarto (prende i sali, li odora, li passa al terzo che li odora anche lui, così il secondo, il primo li mette sotto il naso del primario).

Primario (rinviene, si china sul paziente, mostra grande spavento. Con voce concitata): Ossigeno!

Primo, secondo, terzo: Ossigeno!

Quarto (faticosamente spinge la grossa bombola dell’ossigeno. Così gli altri).

Primario (Fa il gesto di staccare la mascherina dalla bombola e di porgerla al paziente. Si capisce che l’ossigeno non è sufficiente. Con voce agitatissima): Ossigeno! Ossigeno!

Primo, secondo, terzo (con la stessa voce agitatissima): Ossigeno! Ossigeno!

Quarto (passa altro ossigeno, asciugandosi il sudore, e si sporge ad osservare).

Primario (porge l’altro ossigeno, osserva, poi, tornando calmo, con voce normale): Acqua santa!

Primo, secondo, terzo: Acqua santa!

Quarto (raccoglie un immaginario aspersorio, che viene fatto passare).

Primario (agita l’aspersorio sul malato. Lo posa. Poi, veloce, con aria annoiata, mentre col piede spinge via la barella del morto): Avanti un altro!

Primo, secondo, terzo: Avanti un altro!

(M. L. e R. Varvelli)

Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Recite per bambini per Carnevale: operazione chirurgica

Il chiodo di Sant’Ambrogio

Il chiodo di Sant’Ambrogio: leggenda della Lombardia per bambini della scuola primaria, per la lettura e il riassunto.

Un bel giorno sant’Ambrogio, vescovo di Milano, venne chiamato a Roma dal Papa. Arriva dunque la lettera:  sant’Ambrogio la apre e legge, e vede che non c’è tempo da perdere: il Papa ha da parlargli d’urgenza.

L’indomani mattina subito, di buonissima ora che in giro suonavano le prime avemarie,  sant’Ambrogio si alza, si veste da pellegrino, mette la testa in sacrestia e dice al sagrestano: “Suona pure il primo segno della messa, che io vado un momentino a Roma a parlare col Papa; gli altri segni dalli a suo tempo che, per la solita ora, io sono qui di ritorno”.

Ripone il breviario in scarsella, salta in groppa alla mula e via per Roma, pregando il cielo che gliela mandi buona. Fosse l’aria sottile di quel mattino che metteva le ali ad ogni cosa, o non so che diamine fosse, la mula andava come il vento quando ha fretta.

Sicché, in un batter d’occhio, arriva a Roma. Naturalmente a quell’ora i romani erano ancora tutti a letto che russavano. Ambrogio va sull’uscio della casa del Papa, e giù una bella scampanellata che tutte le sale ne squillarono a lungo.

Di lì a un po’ un vecchio servitore viene ad aprire borbottando: “Son queste l’ore di disturbare Sua Santità?”

Calmo, Ambrogio gli mostra il rotolo della pergamena papale con tanto di espresso, e aggiunge: “Fate il piacere di dire al Papa che faccia presto, perchè io ho premura di tornare a Milano per dir messa”. E intanto si accomoda nella sala d’aspetto.

Il Papa sente la notizia, si alza, si lava la faccia alla meglio, poi va in sala d’aspetto e saluta l’ospite: “Buon giorno, Ambrogio”.

“Buongiorno, Santità”.

“Ho una ramanzina da farti”

“Son qui a prenderla” fa Ambrogio, lisciandosi la bella barba d’oro, simile allo sciame d’api. E poichè lì dentro faceva caldo, si levò il mantello, ma invece di attaccarlo a uno dei cavicchi d’argento che erano lì apposta, lo mise a cavallo di un raggio di sole che entrava dalla finestra.

Il Papa guarda quella faccenda, un po’ stupito. Che diavolo d’uomo era costui? L’aveva chiamato per fargli una ramanzina e adesso gli vede far cose che, se non fanno la santità, però la dimostrano; e quasi quasi non trovava il coraggio di incominciare.

Ambrogio, vedendo che andava alla lunga: “Fate presto, Santità!” gli dice con quell’aria sbrigativa propria dei santi che sanno di essere sul sicuro, qualunque cosa dicano o facciano, “Fate presto, perchè io sento già suonare il secondo segno della messa al mio paese” (che era poi Milano).

A quel parlare il Papa lo guarda con un più attento stupore: “Cos’hai detto? Che senti le campane di Milano?”

“Sì, Santità, mettete il vostro piede qui sul mio e sentirete anche voi”.

Il Papa allunga la sua pantofola vicino alla povera scarpa di Ambrogio e, mirabile cosa! anche lui sente suonare le campane di Milano. Allora entrò in sospetto anche più forte di essere veramente davanti a un santo. Tuttavia si ricordò che il Papa è sempre il Papa, cioè il superiore anche dei santi e ha il dovere di rimbrottarli quando è il caso. Sicché cominciò a parlare e gli diede il fatto suo.

Sant’Ambrogio ascoltò quella parlata fino alla fine, in umiltà grande e in silenzio, lisciandosi di tratto in tratto la bella barba d’oro. Finito che ebbe il Papa di parlare, Ambrogio gli fa: “Va bene. Nient’altro?”

“Nient’altro.”

“Allora buongiorno, Santità”

“Buongiorno, Ambrogio”

E Ambrogio scende in fretta le scale, dà la buona mano al servitore che gli aveva custodita la mula, vi monta in sella e via come una spia.

E’ a un chilometro appena fuori di città, che la mula perde un ferro e non c’è più verso di farla correre. Bisogna metterglielo, dunque.

Ambrogio scende, entra nella bottega di un fabbro che era lì a un tiro di sasso e lo prega di ferrargli la mula, raccomandandosi di mettere il ferro a rovescio, sì che le impronte siano verso Roma. Ora, mentre il fabbro faceva il suo mestiere, Ambrogio guarda dentro una cassetta piena di ferri vecchi e ci vede un chiodo tutto bistorto, un chiodo da cantiere. Lo prende in mano e chiede al fabbro: “Me lo cedi?”

“Portalo pure via!” dice il fabbro.

“A che prezzo?”

“Portalo via e non seccarmi, che te lo do proprio per ferro rotto”.

Ma Ambrogio vuole pagarlo ad ogni costo. Lo butta sulla bilancia, lo pesa, e tanto pesava il chiodo, tanto gli corrisponde in oro. Ambrogio salta in sella, e via al galoppo. Aveva fatto sì e no cinquanta passi, che tutte le campane di Roma, din don dan, din don dan, si mettono a suonare a distesa disperatamente come quando c’è il giubileo, quasi a salutare la partenza del chiodo.

Fra i romani subito nacque gran rumore, e tutti si fecero agli usci e alle finestre a domandare che diamine ci fosse. I più vicini a San Pietro si spinsero fin sotto le finestre del Papa: il quale, anche lui, in questa faccenda, ne sapeva meno degli altri. Però, subito dopo, si ricordò di Ambrogio e disse ai più vicini: “Non è un quarto d’ora che è uscito da Roma Ambrogio da Milano; è certo lui che ha sollevato questo putiferio. Ne ha fatte di stranezze, anche in casa mia; corretegli dietro e raggiungetelo, che è sulla strada di Milano a dorso di una mula bianca.

Una dozzina di quei romani più scalmanati montano in groppa a certi sauri del Papa e via al galoppo per la strada di Milano. Passano innanzi alla bottega del fabbro e gli chiedono: “Avete visto passare un uomo così e così?”

“Altro che se l’ho visto!” risponde il fabbro. “Gli ho ferrata la mula, e poi ha voluto portar via un vecchio chiodo bistorto, pagandomelo, ad ogni  costo, a peso d’oro!.”

“Qui c’è qualche miracolo in giro” fa il più furbo di quelli; e via dietro all’uomo del miracolo, così rapidamente che i cavalli non facevano in tempo a toccar terra. Galoppa e galoppa, lo raggiungono a Milano, e precisamente vicino a Porta Romana. Lo fermano e gli chiedono: “Tu hai portato via un chiodo così e così?”

“Sì” fa Ambrogio un po’ seccato.

“Per questo a Roma  si son mosse a suonare tutte le campane. Segno è che esso è un chiodo prezioso”.

“Non ne so nulla io” rispose Ambrogio, “Piuttosto, lasciatemi andare che ho da dir messa e sento suonare già l’ultimo segno”.

“Ma è un chiodo prezioso” insistono i Romani, “Portalo subito indietro, che Roma lo vuole”.

“No, no” fa Sant’Ambrogio “Io l’ho ben pagato al suo padrone, e adesso è mio”.

Sì, no, è mio, è nostro, la cosa diventa spessa. Sicché Sant’Ambrogio, ch’era spiccio anche col Papa, dice ai romani: “Sentite, diamogli un taglio e facciamo così: adesso andiamo a casa mia, in Duomo io butto il chiodo in alto, verso la cupola; se il chiodo resta su, sospeso, è segno che deve restare qui; se invece cade a terra, lo riportate via voialtri”. D’accordo, vanno in Duomo tutti insieme.

Sul volto di Ambrogio c’era tanto splendore come se vi si fosse adunata la luce del sole. Ambrogio va sotto la cupola e, uno, due, tre, lo butta in alto con un soavissimo gesto. E il chiodo restò sospeso, lassù. Ed è là ancora oggi.

(C. Angelini)

Il chiodo di Sant’Ambrogio – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Il chiodo di Sant’Ambrogio

Nomenclature Montessori PIATTO UNICO

Nomenclature Montessori PIATTO UNICO disponibili nella versione per bambini dal 3 ai 6 anni, e per bambini dai 6 ai 9, con libretto di accompagnamento, scaricabili e stampabili in formato pdf.

Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 3-6 sono formate da:
– illustrazione con titolo
– illustrazione
– titolo.
Le carte delle nomenclature in tre parti per la fascia d’età 6-9 sono formate da:
– illustrazione
– titolo
– testo descrittivo
e sono accompagnate da un libretto con gli stessi contenuti delle carte, che può essere arricchito dal bambino ed essere usato per approfondire attraverso il lavoro di ricerca. Per saperne di più puoi leggere qui: nomenclature per la scuola primaria.

Nomenclature Montessori PIATTO UNICO

Per la scelta degli oggetti, ho tenuto conto di quelli che possono essere quelli più conosciuti dai bambini, quelli che possono stimolare ulteriori lavori di ricerca e, per tutte le nomenclature attinenti al cibo, ho anche scelto di inserire prodotti di altre culture. Per la categoria PIATTO UNICO ho preparato questo elenco:

  1. fonduta valdostana
  2. fricase boliviano
  3. cuscus
  4. riso jollof nigeriano
  5. zighinì eritreo
  6. fish burger
  7. prosciutto e melone
  8. paella
  9. pilaf turco
  10. pizza
  11. pulao afghano
  12. insalata di riso
  13. sushi
  14. pollo yassa Senegal
  15. taco messicano
  16. hamburger

Nomenclature Montessori PIATTO UNICO

NOMENCLATURE IN TRE PARTI – PIATTO UNICO – 3-6 anni

Nomenclature e libretto Montessori PIATTO UNICO
LIBRETTO e NOMENCLATURE IN TRE PARTI – PIATTO UNICO – 6-9 anni

Nomenclature Montessori PIATTO UNICO
ISTRUZIONI

La mia stampante è in bianco e nero, ma consiglio di stampare a colori. Per il libretto ritagliate le pagine seguendo i tratteggi:

piegate ogni striscia così, per ottenere pagine stampate fronte/retro:

rilegate. Io ho usato la foratrice per spirali:

Nomenclature Montessori PIATTO UNICO

Nomenclature Montessori PIATTO UNICO

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