Igiene orale – vita pratica Montessori

Igiene orale – vita pratica Montessori. Nella didattica montessoriana, per esercizi di vita pratica si intendono tutte quelle attività cui il bambino può imparare a dedicarsi, in relazione alla cura dell’ambiente e della propria persona. Per approfondire puoi leggere  esercizi di vita pratica.

Qui vorrei introdurre il grande tema dell’igiene orale, ricordando che i principi che ispirano anche questo genere di attività di vita pratica sono, in sintesi:

– favorire l’indipendenza del bambino attraverso la preparazione dell’ambiente

– favorire la creazione di un “rituale” che garantisca costanza nell’attività

– fornire le corrette informazioni scientifiche sull’anatomia e la fisiologia dei denti, e le nomenclature relative (naturalmente tenendo conto dell’età e del grado di sviluppo del bambino)

– presentare in modo sintetico, chiaro e preciso gli strumenti da utilizzare

– fare in modo che il bambino abbia gli strumenti per essere motivato a lavare i suoi denti

– illustrare in modo chiaro i movimenti da compiere e la procedura da seguire per una corretta igiene dei denti (esattamente come insegniamo a scrivere le lettere dell’alfabeto, o a risolvere un problema di aritmetica)

– fare molte esperienze ludiche, artistiche, sensoriali sul tema, per sviluppare conoscenze e consapevolezza rispetto ai propri movimenti durante il lavaggio dei denti e alla procedura da seguire (sequenza, tempi, strumenti)

Un bambino che sa lavarsi i denti ha certamente una bocca sana, ma è anche un bambino più competente in termini cognitivi, motori e  sensoriali.

La didattica Montessori si basa sull’idea che i bambini imparano meglio quando hanno il controllo non solo su ciò che imparano, ma anche su come lo imparano. Credere nella validità di questo principio crea attorno ai bambini un ambiente che favorisce l’esplorazione e che consente loro di apprendere in una incredibile varietà di modi diversi; è un’esperienza che insegna indipendenza e creatività e che li accompagnerà per tutta la vita.

Anche se i nostri bambini non frequentano una scuola Montessori, è sempre possibile per ognuno di noi utilizzare metodi “montessoriani”, se ne riconosciamo la validità, in questo caso per sviluppare senso di responsabilità verso le proprie abitudini di igiene orale.

Nella mia esperienza di insegnamento, ho potuto constatare come ancora molti bambini non siano seguiti  in famiglia nella loro igiene orale. Ora so che chi arriva a leggere questo blog lo fa per una comunanza di interessi, ed è in questo senso “selezionato”, ma penso anche alle molte insegnanti di nido, materna e primaria che, attraverso l’insegnamento ai bambini, possono raggiungere le famiglie fornendo informazioni corrette e sviluppando competenze e sensibilità rispetto alla cura dei denti, a partire dai dentini da latte.

Consideriamo poi che l’igiene orale è legata anche a fattori culturali, e anche per i bambini italiani, che vogliamo ammetterlo oppure no, la cura dei denti è una conquista relativamente recente: chi ha la mia età ricorda certo amichetti di scuola coi denti cariati, senza che la cosa rappresentasse in fondo un problema per nessuno… oggi è vero, purtroppo si vedono ancora, ma è molto meno accettato ed accettabile, e molto si può fare.

La cura di sé è una parte essenziale della pratica della pedagogia montessoriana, pure in ogni scuola è importante concentrarsi sulla salute dentale e la pulizia dei denti predisponendo la trattazione del tema all’interno della programmazione scolastica:

– al nido d’infanzia

– nella scuola d’infanzia

– nella scuola primaria

e, naturalmente, è sempre possibile aggiungere attività connesse al tema nelle diverse aree di apprendimento: scienze (naturalmente), ma anche matematica, arte e immagine, tecnologia e manualità…

Queste (e tutte le immagini presenti nell’articolo) sono alcune delle mie  proposte sul tema:

La trattazione dell’argomento “igiene orale” mi è stata ispirata dalla collaborazione con Genitori Channel, che ha realizzato questo video-comic sulla corretta igiene dei denti dei bambini (con o senza apparecchio ortodontico):

ed è sostenuta da:

Riassumendo, il video si focalizza su questi consigli fondamentali:
– una buona pulizia e mangiare sano combattono i batteri che rovinano i denti
– spazzolare dal rosa verso il bianco (dalla gengiva ai denti)
– spazzolare per 3 – 5 minuti dopo i pasti
– non assumere bevande zuccherate, specie prima di dormire
– fare le visite periodiche di controllo dal dentista.

E per i bambini che portano l’apparecchio ortodontico:
– spazzolare per 3 minuti con spazzolino specifico
– usare dentifricio al fluoro antibatterico
– usare lo scovolino interdentale tra dente e apparecchio
– usare il filo interdentale tra dente e dente
– sciacquare la bocca con collutorio antibatterico
– mettere la cera specifica sulle parti sporgenti dell’apparecchio.

Non resta che rispondere a qualche domanda che può insorgere quando ci apprestiamo ad insegnare ai bambini  a lavarsi i denti, seguendo questi consigli di base.

A che età si cominciano a lavare i denti dei bambini?

La risposta più corretta è che si dovrebbe iniziare con l’eruzione del primo dentino da latte, con delicatezza naturalmente, e rendendo la cosa un’abitudine giocosa e piacevole. I primi dentini dovrebbero essere puliti tutti i giorni, regolarmente, soprattutto la sera. Si può usare il dito con una piccolissima quantità di dentifricio (grande come un pisello), un batuffolo di cotone umido o una garza e poi, quando i dentini cominciano ad essere una fila, anche un piccolo spazzolino morbido per bambini.

Finchè siamo noi genitori ad occuparci dell’igiene orale del bambino, è importantissimo che svolgiamo questo compito con estrema calma ed avendo cura, ancor più della pulizia dei denti, di sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti dell’igiene orale, e di permettere al bambino di “fare amicizia” con spazzolino e dentifricio.

Pensiamo che la natura ha dato ai nostri figli i denti da latte per i primi cinque anni di vita, perchè possano imparare in pace a lavarsi i denti!

Non imponete mai il lavaggio dei denti con la forza, e se una sera proprio il bambino non vuole, accettatelo;  piuttosto siate sempre fermi nel non dare da bere camomilla o tisane zuccherate, o altre bevande o cibi dolci prima di andare a dormire.

Lasciate sempre che il bambino possa provare ad usare lo spazzolino, se lo desidera; di solito verso i 18 mesi si può iniziare ad insegnare come spazzolarsi i denti con un certo grado di autonomia, come vedremo in seguito. In ogni caso, appena il bambino mostra interesse verso il lavarsi i denti, si dovrebbe lasciarlo provare, mostrandogli come spazzolarli dal basso verso l’alto (dal rosa al bianco).

La raccomandazione resta poi quella di controllare come il bambino si dedica alla sua igiene orale (con delicatezza e discrezione) almeno fino ai sette anni; in seguito avrà sicuramente acquisito tutta l’abilità necessaria per lavare bene i denti.

Consigli montessoriani su come insegnare ai bambini a lavarsi i denti:

– assicuratevi che il bambino possa facilmente arrivare al lavandino, predisponendo un rialzo o uno sgabellino.   Fate in modo che tutto quello che serve sia disposto ordinatamente, ad esempio su un piccolo vassoio o in un cestino, che lui possa facilmente raggiungere. Se lo specchio è per lui troppo lontano, provvedete anche a fornirgli uno specchietto personale. A seconda dell’età del bambino, il vassoio potrà contenere:
. spazzolino
. dentifricio
. clessidra o timer
. bicchiere
. specchietto
. filo interdentale
. collutorio
. scovolini
. cera per apparecchi ortodontici

– spiegate sempre ai bambini cosa state facendo:  questo li aiuterà a capire come fare per svolgere l’attività in autonomia in un secondo momento. Se ad esempio state insegnando come lavarsi i denti, non dimenticare di descrivere ogni azione mentre la svolgete, ad esempio che prendete il tubetto, svitate il tappo del dentifricio, prendete lo spazzolino, ecc…

– permettete al bambino di imitare le vostre azioni. Dopo aver spiegato cosa fare, permettere al bambino di copiare i movimenti. Continuate tranquillamente a ripetere una data azione finchè il bambino imita i vostri movimenti

– parlate sempre in termini positivi sulla pulizia dei denti. I bambini imparano dagli atteggiamenti degli adulti che li circondano. Descrivete sempre gli aspetti positivi delle vostre azioni, e non agite solo come si trattasse di azioni di routine. Ad esempio, dopo aver lavato i denti potrete dire “E’ così bello avere la bocca fresca e profumata!”

– eseguite una data attività trattandola come un’azione unica, anche se composta di più passaggi. Ad esempio, soffiarsi il naso non comprende solo il soffiare il naso in sè, ma include anche gettare il fazzoletto sporco e lavarsi le mani. Se non fate pause tra i tre passaggi, il bambino considererà il soffiarsi il naso come una sequenza di azioni legate tra loro.

– controllate i progressi del vostro bambino con discrezione e senza alcun atteggiamento di critica.

– i bambini che già da molto piccoli hanno imparato a lavarsi i denti, presto desidereranno ricevere informazioni sui loro denti, sapere come si chiamano, come sono fatti, ecc… predisponete per lui molte attività sul tema, e non dimenticate di offrire bei  libretti illustrati su denti e igiene orale

– imparare l’anatomia e la fisiologia dei denti aiuterà i bambini a lavarsi i denti ancora meglio, con maggior consapevolezza; coi bambini più piccoli, per insegnare a lavare bene ogni dentino, possiamo chiamarli ognuno con un nome diverso, ad esempio nomi di animali, e dire: “Adesso laviamo i denti conigli, adesso i denti mucca, ecc…”

Consigli aggiuntivi per bambini da zero a tre anni

Inventate qualsiasi attività che possa fare della spazzolatura dei denti un divertimento, sia quando sarete voi ad occuparvene, sia quando cominceranno a farlo i bambini autonomamente.

Lavatevi i denti insieme al bambino, non perdendo occasione per fare gare a chi fa più schiuma, a chi sputa di più, a chi fa le smorfie più buffe…

Come detto prima, potete dare ad ogni dentino un nome (animali, membri della famiglia o anche nomi di fantasia) che aiutino il bambino a prestare attenzione ad ogni suo dente.

Preparate per i bambini piccoli molte attività divertenti sul tema dei denti e dell’igiene orale: modelli di denti realizzati con materiali riciclati, pitture o simulazioni di pulizia con veri spazzolini da denti, giochi per familiarizzare col filo interdentale, giochi e piccoli esperimenti che agli occhi dei bambini possano creare l’associazione pulito = bello… ho preparato molti esempi del genere, anche per le altre fasce d’età

Valorizzate e premiate sempre i progressi che il bambino compie nella pratica della sua igiene orale.

Scegliete spazzolino, bicchiere, vassoio con cura, in modo che siano oggetti belli ed accattivanti.

Se vi piace la musica, accompagnate il rito del lavaggio dei denti col disco della canzone preferita del bambino: potrà anche fare la funzione di clessidra.

Proponete materiale didattico sui denti e la loro pulizia per imparare piano piano a conoscere i denti (nomenclature, memory, come già detto libri illustrati) e parlate ai bambini dei denti.

Create un rituale, lavando sempre i denti al mattino e dopo la cena, e facendo sempre le stesse cose. Ogni volta che il bambino mostra divertimento per una vostra proposta, ripetetela ad arricchimento del vostro lavarvi i denti insieme.

Se non siete certi dell’efficacia della spazzolatura autonoma del vostro bambino, potete proporgli di guardare i suoi dentini nello specchio, ma soprattutto potete giocare a lavarvi i denti a vicenda: voi li lavate al bambino, e lui a voi. In questo modo non farete sentire che state criticando il suo lavoro, e sarà molto divertente.

Se al mattino avete poco tempo, ricordate che è meglio lavare i denti una volta al giorno (la sera) veramente a fondo, piuttosto che farlo due volte, ma frettolosamente.

Non lasciate i bambini piccoli da soli mentre si lavano i denti, soprattutto per evitare che mangino il dentifricio…

Consigli aggiuntivi per bambini dai tre ai sei anni

Parliamo ai bambini dei denti e dell’importanza dell’igiene orale. I denti ci aiutano a fare che cosa? Chi è  il dentista? Perchè i dentini dei bambini cadono? Cosa succede dopo? Cosa fanno i batteri? Cos’è la placca? Cosa sono le carie? Il cibo che mangiamo può aiutare i nostri denti a mantenersi sani? Quali sono i cibi che fanno bene ai denti? Quali sono i cibi che fanno male?

Usiamo modelli di denti (anche costruiti dei bambini stessi)  per fare pratica con spazzolino e filo interdentale.

Alcuni dentisti consigliano di insegnare ai bambini, in questa fascia di età, a spazzolare i denti col metodo SEI (Sopra – Esterno – Interno): prima si spazzolano i denti sopra, poi la superficie esterna e infine quella interna, cominciando dai molari. Questo perchè le prime carie si possono manifestare proprio sulle superfici di masticazione (superiori) dei dentini. I bambini molto piccoli imparano a spazzolare anche solo le superfici di masticazione, poi , verso i quattro anni aggiungono la spazzolatura delle superfici esterne, e verso i cinque anni  anche quella delle superfici interne dei denti (sempre dal rosso al bianco).

Consigli aggiuntivi per bambini dopo i sei anni

Ora i bambini dovrebbero essere tutti in grado di lavarsi bene i denti, accuratamente e con costanza. Cominciano però, a complicare l’operazione, ad aver bisogno di apparecchi ortodontici.
E’ importante riprendere ed approfondire coi bambini tutti i temi affrontati quando erano più piccoli, arricchendo le nozioni di anatomia e fisiologia di contenuti scientifici appropriati all’età. Conoscere aumenta la motivazione e favorisce l’indipendenza e l’autonomia.
Anche trattare in modo più approfondito il tema dell’alimentazione è importante.

La coercizione è un mezzo che non si rivela utile. Meglio spiegare sempre al bambino perchè lo spazzolino è così importante e quali sono le conseguenze del non lavarsi i denti per la salute.
Suscitate e tenete vivo l’interesse del bambino verso l’igiene orale proponendo attività interessanti sul tema e bei libri.
Fate qualsiasi cosa possa rendere il lavarsi i denti un momento divertente.
Date sempre il buon esempio.
Mantenete la calma. Forse ci vorrà un bel po’ di tempo, forse anni, prima che il vostro bambino arrivi a lavarsi i denti volontariamente e con accuratezza. Non perdete la pazienza e… sorridete 🙂

Riferimenti all’argomento nel web:

– champlainsmiles.com

– wikihow.com

– parentmap.com

– nourishingtreasures.com

– nwcphp.org

– livingmontessorinow.com

– healthyteeth.org

– squidoo.com

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode

sostenuto da:

Salute dei denti e alimentazione

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode: la crescita di denti sani dipende molto dalla dieta. I denti da latte del vostro bambino si sono formati durante le gravidanza, influenzati dalla vostra dieta. Dopo la nascita, molto si può fare per garantire ai denti permanenti di svilupparsi e crescere sani e forti.

Assicuratevi che il vostro bambino riceva con la dieta un sufficiente apporto di calcio e vitamina D. Dopo lo svezzamento il bambino assume il latte in quantità decisamente minore, quindi è importante inserire nella sua alimentazione yogurt  e formaggio. 

L’alimentazione poi, influenza la salute dei denti anche in modo più diretto, per questo fate il possibile per evitare di sviluppare nel bambino comportamenti che ledono i denti creando nel cavo orale un ambiente favorevole allo sviluppo dei batteri ed all’insorgere di placca, tartaro e carie.

Non abituate i bambini a consumare succhi di frutta zuccherati, snack e bibite tra un pasto e l’altro. In ogni caso preferite sempre offrirgliele in bicchiere e non nel pacchetto con la cannuccia, perchè questo piccolo accorgimento può ridurre di molto il tempo di esposizione allo zucchero.

L’ideale sarebbe che il bambino non sapesse nemmeno cosa sono caramelle e cioccolata prima dei due anni, ma i condizionamenti posso essere molti. Non c’è dubbio che i dolci facciano male ai denti del vostro bambino, ma un atteggiamento ansioso e rigido non è comunque salutare per lui: dosati con cura, dolci e caramelle possono non essere un problema.

Alte concentrazioni di zucchero raffinato distruggono l’equilibrio acido nella bocca del bambino e compromettono la salute dello smalto dei denti. Ogni volta che si mangia dello zucchero, i denti sono in pericolo, e più a lungo lo zucchero rimane in bocca, tanto più è probabile che si formino carie, ma questo vale per lo zucchero raffinato in generale, e non in particolare per le caramelle: il sorseggiare continuo o il succhiare dalle cannucce dei succhi di frutta o di altre bevande, può essere più dannoso delle caramelle o della fetta di torta più dolce che ci sia.  

Per questo è più ragionevole controllare tutti gli alimenti dolci, anziché vietare le caramelle, e preferire sempre dolci che si consumano in fretta, perchè l’acido prodotto dalla loro presenza potrà scomparire senza avere il tempo di  aderire alla smalto dei denti . Ad esempio una fetta di torta o un pezzetto di cioccolata sono meno pericolosi per i denti di un lecca lecca che il bambino può succhiare per ore.

Anche la consistenza dei dolci fa la differenza: quelli che possono incollarsi ai denti masticando, magari restando là fino al prossimo spazzolamento, sono i peggiori: questo vale per i biscotti secchi e anche per alcuni prodotti naturali che a volte offriamo perchè più salutari rispetto alle caramelle: ad esempio l’uvetta.

Tutti i bambini attraversano fasi in cui sono particolarmente golosi di dolci: scegliamo quelli che si dissolvono più rapidamente in bocca, come cioccolato e caramelle morbide, e diamo da bere dell’acqua. 

Insegniamo ai bambini a riconoscere gli alimenti che fanno bene ai denti, e quelli che possono danneggiarli. Si può cominciare anche quando sono piccoli, anche senza dare particolari informazioni tecniche, ma permettendo loro di fare esperienze dirette.

L’esempio classico è l’esperimento con le uova sode. E’ vero che l’affinità tra guscio dell’uovo e smalto dei denti è assolutamente discutibile, ma come vedrete l’impatto visivo è formidabile e i bambini fanno spontaneamente l’associazione tra uovo e dente.  In questo caso l’immaginazione è davvero più potente della fredda analisi nel trasmettere l’informazione corretta…

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode – Per l’esperimento servono:

– due barattoli trasparenti
– due uova sode (se le trovate bianche è meglio, ma non è indispensabile)
– un assortimento di cibi sani (frutta, formaggi, verdura, pane,…), acqua e latte
– un assortimento di cibi dannosi (miele, zucchero, cioccolata, marmellata, panna montata, caramelle, gelato,…),e cola
– spazzolino da denti e dentifricio
– una bacinella d’acqua
– vassoio e piattini
– può essere utile anche un timer o una clessidra, se vogliamo rinforzare nel bambino la percezione di quanto siano lunghi i tre minuti che gli chiediamo di impiegare per spazzolarsi i denti.

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode – Cosa fare:

Prima di intraprendere l’esperimento sarebbe importante avviare coi bambini una discussione sul tema dei denti,  e ad esempio portarli ad immaginare cosa potremmo mangiare se non avessero i denti. Possiamo invitare i bambini a toccarsi i denti e poi a dirci come sono, quindi a toccare le uova sode che abbiamo preparato. Emergerà che i denti sono duri e bianchi proprio come le uova.

Ora prepariamo in un vassoio tutti i cibi dannosi per i denti, mettiamo nel primo barattolo un uovo sodo,

aggiungiamo gli alimenti

e versiamo la cola (per rendere l’esperimento ancora più impressionante si può aggiungere succo d’arancia e aceto: in questo modo, oltre a sporcarsi tantissimo, l’uovo assumerà un odore disgustoso e diventerà molliccio).

In un altro vassoio prepariamo tutti di cibi sani,

mettiamo l’altro uovo sodo nel secondo barattolo, aggiungiamo gli alimenti e versiamo latte ed acqua.

Ora andiamo a dormire senza lavarci i denti…

Nel versare i vari alimenti nei barattoli, possiamo chiedere ai bambini cosa sono e se secondo loro sono buoni. Sicuramente in molti diranno che la cola è buona, ad esempio. Ma proviamo a chiedere se fa bene ai denti, e molti bambini non sapranno cosa rispondere. Per fortuna abbiamo il nostro dente – uovo ad aiutarci!

Possiamo anche dire che, ad esempio, nella cola c’è molto zucchero, e che lo zucchero nella nostra bocca diventa acido come l’aceto, e che questo piace molto ai batteri che bucano i dentini con le carie.

E se non ci lavassimo i denti, cosa succederebbe?

Il  giorno successivo, tiriamo fuori dai barattoli i nostri denti – uova: il confronto è incredibilmente forte!

Laviamo il povero dente… prepariamo su un vassoio dentifricio, spazzolino, l’uovo da lavare in un piattino e a parte una bacinella d’acqua. Grazie a questa attività il bambino si eserciterà a svitare e riavvitare il tappo, stendere il dentifricio, spazzolare…

Se il bambino lo desidera, può dedicarsi anche alla pulizia dell’altro dente, ma ai fini dell’esperimento è servito essenzialmente per il confronto iniziale…

Lavarsi i denti, insomma, anche se ogni tanto mangiamo un po’ di zucchero, mantiene i denti puliti e bianchi, proprio come il guscio d’uovo! Però mangiare sano è proprio meglio…

Insegnare l’igiene orale – Esperimento con le uova sode

Riferimenti all’argomento nel web:

– thechocolatemuffintree.com

– mamabeefromthehive.blogspot.com

– fitkidsclub.blogspot.com

– science-mattersblog.blogspot.com

– luvprek.blogspot.com

– imaginationstationtoledo.org

– thepreschoolexperiment.blogspot.com

Oral care – Experiment with hard-boiled eggs: the growth of healthy teeth is very dependent on diet. The milk teeth of your child have been formed during the pregnancy, affected by your diet. After birth, much can be done to ensure the permanent teeth to develop and grow healthy and strong.

Make sure your child receives a diet with sufficient calcium and vitamin D. After weaning, the child takes the milk in amounts much lower, so it is important to include in his diet yogurt and cheese.

The nutrition then, affects the health of teeth even more directly, so do everything you can to avoid developing in the child behaviors which harm teeth creating a favorable environment in the oral cavity to the development of bacteria and the onset of plaque, tartar and cavities.

Not accustomed children to consume sugary juices, snacks and drinks between meals and the other. In any case always prefer to offer them in glass and not in the package with drinking straw, because this little trick can greatly reduce the time of exposure to sugar.

Ideally, the child does not even know What are candies and chocolate before two years, but the conditioning can be many. There is no doubt that the sweets to hurt your child’s teeth, but an anxious and rigid approach however, it is not healthy for him dosed carefully, cakes and sweets can not be a problem.

High concentrations of refined sugar destroy the acid balance in your child’s mouth and endanger the health of the tooth enamel. Every time you eat sugar, the teeth are in danger, and the longer the sugar remains in the mouth, the more it is likely to be formed caries, but this applies to the refined sugar in general, and in particular not for candies : the continuous sipping from straws fruit juices or other drinks, can be more damaging of candies or cake sweeter there is.

Therefore it is more reasonable to check all sweet foods, rather than banning the sweets, and always prefer sweets that you consume in a hurry, because the acid produced by their presence will disappear without having time to adhere to tooth enamel. For example, a slice of cake or a piece of chocolate are less hazardous to the teeth of a lollipop that the baby can suck for hours.

Even the consistency of the sweets makes the difference: those who can stick to teeth by chewing, maybe staying there until the next toothbrushing, are the worst: that goes for dry biscuits and even for some natural products that sometimes we offer because most healthful compared to candies: such as raisins.

All children go through stages where they are particularly sweet tooth: choose those that dissolve quickly in the mouth, such as chocolate and soft candy, and we give him water to drink.

We teach children to recognize foods that are good for teeth, and those that can damage them. You can begin when they are small, without giving any further technical information, but allowing them to make direct experiences.

The classic example is the experiment with the boiled eggs. It is true that the affinity between eggshell and tooth enamel is absolutely questionable, but as you will see the visual impact is tremendous and the children spontaneously make the association between egg and tooth. In this case the imagination is truly mightier than the cold analysis in conveying the correct information …

Oral care – Experiment with hard-boiled eggs

What do you need?

– Two transparent jars
– Two boiled eggs (if you find white is better, but is not essential)
– An assortment of healthy foods (fruit, cheese, vegetables, bread, …), water and milk
– An assortment of harmful foods (honey, sugar, chocolate, jam, whipped cream, candy, ice cream, …), and cola
– Toothbrush and toothpaste
– A bowl of water
– Tray and dishes
– It can also be useful a timer or an hourglass, if we want to strengthen the child’s perception of how long are the three minutes that we ask him to employ for brushing teeth.

Oral care – Experiment with hard-boiled eggs

What to do?

Before embarking on the experiment it would be important to start a discussion with kids on the theme of the teeth, and for example take them to imagine what we could eat if we did not have their teeth. We invite children to touch their teeth and then tell us how they arethen to touch the boiled eggs that we have prepared. It emerges that the teeth are hard and white just like the eggs.

Now we prepare on a tray all the foods damaging to their teeth, and we put in the first jar a boiled egg,

add foods:

and pour the cola (to make the experiment more impressive you can add orange juice and vinegar: in this way, as well as dirty a lot, the egg will take a disgusting smell and become mushy):

In another tray we prepare all of healthy foods,

We put another hard-boiled egg in the second pot, add the food and pour milk and water.

Now we go to bed without brushing our teeth …

While we pour the various foods in jars, we can ask the children what they are and if they think they are good. Surely many will say that the cola is good, for example. But we try to ask if it is good for teeth, and many children do not know what to say. Luckily we have our teeth – egg to help us!

We can also say that, for example, in the cola there is a lot of sugar, and that sugar in our mouth becomes acid such as vinegar, and that it really like to the bacteria, which pierce the teeth with caries.

And if we do not brush teeth, what would happen?

The next day, we pull out of the jars our teeth – eggs: the comparison is incredibly strong!

We wash the poor tooth … prepare a tray of toothpaste, toothbrush, the egg to be washed in a dish and part a basin of water. Thanks to this activity the child will practice to unscrew and screw the cap, apply toothpaste, brushing …

If the child wants, he can dedicate himself to cleaning the other tooth, but the purpose of the experiment is served primarily by the initial confrontation …

Brush your teeth, in short, even if sometimes we eat a bit of sugar, keeps teeth clean and white, just like the eggshell! But eating healthy is your best…

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Oral care – Experiment with hard-boiled eggs

Other links

– thechocolatemuffintree.com

– mamabeefromthehive.blogspot.com

– fitkidsclub.blogspot.com

– science-mattersblog.blogspot.com

– luvprek.blogspot.com

– imaginationstationtoledo.org

– thepreschoolexperiment.blogspot.com

Insegnare l’igiene orale – esperimento della mela “cariata”

Insegnare l’igiene orale – esperimento della mela “cariata”: un semplicissimo esperimento che serve a dare un’impressione visiva dell’effetto delle carie sui denti, adatto a bambini del nido d’infanzia e della scuola d’infanzia, dopo aver parlato di denti e carie…

cosa serve

due mele belle e simili tra loro

una bacchetta cinese o qualcosa di simile.

cosa fare

praticare con la bacchetta un foro profondo in una delle due mele, dire al bambino che una carie nel dente è proprio un buco, come quello che sta facendo nella mela… anche il dente, proprio come la mela, ha al suo interno la polpa. Più passa il tempo, più quel foro danneggia tutto il frutto…

Ora si tratta solo di aspettare (almeno un giorno),

e poi  di confrontare le due mele tra loro:

Quale mela metteresti nella tua bocca?

Insegnare l’igiene orale – Esperimento della mela cariata

Riferimenti all’argomento nel web:

– thechocolatemuffintree.com

– mamabeefromthehive.blogspot.com

– fitkidsclub.blogspot.com

– science-mattersblog.blogspot.com

– luvprek.blogspot.com

– imaginationstationtoledo.org

– thepreschoolexperiment.blogspot.com

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Oral care: experiment of the “decayed” apple: a simple experiment that serves to give a visual impression of the effect of caries on teeth, suitable for children of nursery and kindergarten, after talking about teeth and caries …

Oral care: experiment of the “decayed” apple

What do you need?

two apples beautiful and similar to each other,

Chinese wand or something similar.

Oral care: experiment of the “decayed” apple

What to do?

Practicing with the wand a deep hole in one of two apples, tell the child that a cavity in the tooth is just a hole, like what he is doing in the apple … even the tooth, just like the apple, has within it the pulp. The more time passes, the more the hole damages all the fruit.

Now it’s just wait (at least one day),

and then to compare the two apples:

Which apple would you put in your mouth?

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Oral care: experiment of the “decayed” apple

Other links

– thechocolatemuffintree.com

– mamabeefromthehive.blogspot.com

– fitkidsclub.blogspot.com

– science-mattersblog.blogspot.com

– luvprek.blogspot.com

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Igiene orale: costruiamo un libro – spazzolino

Igiene orale: costruiamo un libro – spazzolino. Questo progetto, estremamente semplice da realizzare, può essere se fatto a scuola un bel lavoretto da portare a casa per favorire la partecipazione della famiglia all’educazione all’igiene orale dei bambini.

E’ indicato per i bambini che sanno leggere, ed è anche una bella decorazione per lo specchio del bagno e un simpatico promemoria per tutti anche da realizzare in famiglia dopo aver lavorato al tema denti ed igiene orale.

Igiene orale: costruiamo un libro – spazzolino
Cosa serve:

– una striscia di cartoncino colorato (il manico dello spazzolino)

– i cartellini con le indicazioni per la corretta igiene orale (le setole)

I miei cartellini, se volete, sono questi:

ma potete anche pensare ad altre frasi, a far scrivere i cartellini a mano al bambino, o anche a sostituire il testo con delle immagini, per i bambini più piccoli…

Non servono particolari indicazioni sul “come fare”…

Riferimenti all’argomento nel web:

– lessonplandiva.com

– preschoolplaybook.com

– daniellesplace.com

– fun-in-first.blogspot.com

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Igiene orale – pittura con lo spazzolino da denti

Igiene orale – pittura con lo spazzolino da denti. Questa attività molto semplice può essere proposta anche ai bambini molto piccoli.

Oltre a migliorare le abilità manuali in relazione alla gestione dello spazzolino da denti, crea l’immagine di un dente ingiallito che, grazie allo spazzolamento, diventa bianco.

Cosa serve:

– un dente stilizzato ritagliato nel cartoncino giallo

– un vassoio contenente acqua, spazzolino da denti e un tubetto di tempera, acquarello o acrilico bianco

Se può esservi utile, questa è la mia sagoma (clicca sull’immagine per ingrandirla e stamparla):

Il bambino si dedicherà a rendere bianco il suo dente, imparando a gestire lo spazzolino e l’apertura e la chiusura del tubetto di colore. Non presentate modelli troppo grandi, potrebbero scoraggiare…

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

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Riferimenti all’argomento nel web:

– luvprek.blogspot.com

– ptskjohnson.blogspot.com

– prekfun.com

– busymommymedia.com

– ourcraftsnthings.com

– rockabyebutterfly.blogspot.com

Oral Care – painting with the toothbrush. This simple activities can also be brought to very young children. In addition to improving manual skills regarding the management of the toothbrush, creates the image of a tooth that yellowed, thanks to brushing, it turns white.

Oral Care – painting with the toothbrush

What do you need?

– A tooth cut in yellow construction paper,

– a tray containing water, a toothbrush and a tube of white painting.

If this may help, this is my shape (click to enlarge and print):

The child will devote to make white his tooth, learning how to handle the brush and the opening and closing of the tube of paint.Not presented models too big, they might discourage him .

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Oral Care – painting with the toothbrush

Other links

– luvprek.blogspot.com

– ptskjohnson.blogspot.com

– prekfun.com

– busymommymedia.com

– ourcraftsnthings.com

– rockabyebutterfly.blogspot.com

Igiene orale – lavare una sagoma di dente di carta plastificata

Igiene orale – lavare una sagoma di dente di carta plastificata. Bellissima attività proponibile anche ai bambini piccoli, nella versione “gioco d’acqua” , o nella versione “a secco”.

Per la versione “gioco d’acqua” serve:

– la sagoma del dente plastificata
– un vassoio contenente: acqua, dentifricio e spazzolino
– acquarelli

L’attività riesce meglio mettendo il dente in verticale, magari all’aperto; altrimenti occorre qualcosa per raccogliere l’acqua che cola…

Ritagliate il vostro dente plastificato e sporcatelo con gli acquarelli.

Se può esservi utile questa è la mia sagoma in formato pdf:

Ponete il dente in verticale. Il bambino si divertirà a lavarlo utilizzando acqua, spazzolino e dentifricio:

Versione “a secco”

Per sporcare il dente usate un pennarello al posto degli acquarelli, e offrite al bambino spazzolino e dentifricio, senza acqua

Solo quando il dente sarà ben spazzolato, offrite poca acqua o un tappino di collutorio per eliminare meglio l’inchiostro.

Riferimenti all’argomento nel web:

– sweetserendipity23.blogspot.it

Igiene orale: un modello di denti realizzato con bicchierini di plastica

Igiene orale: un modello di denti realizzato con bicchierini di plastica. Il progetto di costruzione del modello non è adatto ai bambini, soprattutto perchè ritagliare i bicchierini richiede una certa forza, e per realizzare un modello impermeabile e resistente all’acqua, l’uso della colla a caldo è necessario. I bambini possono comunque partecipare ritagliando le strisce di  panno, legando i bicchierini tra loro, riempendoli con la carta di recupero. Naturalmente l’uso del modello è invece tutto loro… Il modello può servire ad esercitarsi non solo sull’uso dello spazzolino, ma anche del filo interdentale.

Cosa serve:

– dodici bicchierini di plastica da da caffè
– una superficie rossa (meglio se di plastica)
– strisce di pannolenci rosso
– carta bianca di recupero
– colla a caldo

Per fare in modo che i dentini stiano ben vicini gli uni agli altri, ritagliate così:

poi fare una collana usando nastro adesivo, o biadesivo, o anche con la graffettatrice:

Riempite i dentini con della carta bianca di recupero:

Disponete ad arco i dentini sulla superficie rossa e incollante con abbondante colla a caldo: i dentini devono essere resistenti!

Con altra abbondante colla a caldo aggiungete le strisce di pannolenci alla base dei dentini, a formare le gengive e fissare ulteriormente il tutto. Ritagliate la superficie rossa seguendo l’arco dei dentini.

Se volete rifinite con un giro di nastro isolante colorato, ed il modello è pronto.

Attività di igiene orale

Per preparare l’attività servono:
– acquarelli e pezzetti di carta colorata
– un vaso d’acqua
– spazzolino, dentifricio e filo interdentale

Sporcate il vostro modello così:

Il bambino si dedicherà sua pulizia e sarà un buon modo per mostrare come spazzolare i denti e come utilizzare il filo tra gli spazi interdentali:

Al termine potete proporre anche un tappo di collutorio:

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Oral care: a model of teeth made of plastic cups. The project of construction of the model is not suitable for children, especially because cut the plastic cups requires a certain strength, and to achieve a model waterproof and water resistant, the use of hot glue is needed. Children can still participate by cutting strips of cloth, tying the cups between them, filling them with waste paper.
Instead the use of the model is their.
The model can be used to practice not only on the use of the toothbrush, but also floss.

Oral care: a model of teeth made of plastic cups

What do you need?

– twelve plastic cups
– A red surface (preferably plastic)
– Strips of red felt
– White paper
– Hot glue

Oral care: a model of teeth made of plastic cups

How is it done?

To make sure that the teeth are very close to each other, cut out in this way:

then make a necklace using adhesive tape, or biadhesive, or even with the stapler::

Filled teeth with of the white paper:

Arrange the teeth in the shape of arc on red surface and gluing with plenty of hot glue: the teeth must be resistant!

With plenty of other hot glue, add the strips of felt at the base of the teeth, to form gums and fixing everything. Cut the red surface following the arch of teeth.

If you want
finish with a round of colored tape, and the model is ready.

Oral care: a model of teeth made of plastic cups

Activities of oral care

To prepare the activities need:
– Watercolors and bits of colored paper
– A glass of water
– Toothbrush, toothpaste and dental floss

Dirtying your model like this:

The child will be dedicated clean it and will be a good way to show how to brush their teeth and how to use the floss between the interdental spaces:

At the end you can also proposing a cap of mouthwash:

Igiene orale: modello realizzato coi cartoni delle uova

Igiene orale: modello realizzato coi cartoni delle uova. Questo modello può essere realizzato anche dai bambini, una volta ritagliato il cartone. E’ indicato per imparare a gestire il filo interdentale, e per nominare i denti, ma non può essere bagnato.

La costruzione del modello è per i bambini anche un buon esercizio di simmetria.

Cosa serve:
– dieci o dodici denti ritagliati dai cartoni delle uova
– un cartoncino rosso
– forbici
– colla (vinilica se incollano i bambini, altrimenti anche colla a caldo per velocizzare il lavoro)

I bambini distribuisco i dentini sul cartoncino e quando sono soddisfatti della composizione li incollano, ben vicini gli uni agli altri.

Quando la colla è asciutta, il modello è pronto, basta solo ritagliare ad arco il cartoncino.

Esercitazioni col modello

Preparate dei pezzetti di carta colorata e incastrateli tra gli spazi interdentali.

preparate un vassoio col filo interdentale, mostrate al bambino come prendere il filo e come utilizzarlo per rimuovere lo sporco tra i denti. Poi il bambino potrà mettere in pratica:

Riferimenti all’argomento nel web:

– theseedsnetwork.com

– myshaenoel.blogspot.it

– kristin-senseofwonder.blogspot.com

– abcand123learning.com

– theeducationcenter.com

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Oral care: model made with egg cartons. This model can be realized even by children, once cut the cardboard. It is suitable for learning how to manage the floss, and to appoint the teeth, but it can not be wet.

The construction of the model is for children also a good exercise of symmetry.

Oral care: model made with egg cartons

What do you need?

– Ten or twelve teeth cut from egg cartons
– A red cardstock
– scissors
– Glue (PVA glue if children, or even hot glue to speed up the work)

Children distribute the teeth on the cardboard and when they are satisfied with the composition paste them, very close to each other.

When the glue is dry, the model is ready, just cut out the cardboard-shaped arc.

Oral care: model made with egg cartons

Exercises with model

Prepare pieces of colored paper and embed their between the interdental spaces.

prepare a tray with dental floss, show the child how to take and how to use floss to remove dirt between the teeth. Then the child will be able to practice:

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Oral care: model made with egg cartons

Other links

– theseedsnetwork.com

– myshaenoel.blogspot.it

– kristin-senseofwonder.blogspot.com

– abcand123learning.com

–  theeducationcenter.com

FARFALLE E BRUCHI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici FARFALLE E BRUCHI – Una raccolta di  dettati ortografici di vari autori, sul tema farfalle e bruchi, per la scuola primaria.

Come gli uccelli che cantano meglio hanno il piumaggio più semplice, così la più utile tra le farfalle ha un abito semplicissimo. E’ la farfalla del filugello, una farfalla che sa appena volare, che non sa mangiare perchè il suo apparato boccale non glielo consente, non sa far nulla, soltanto deporre le uova e poi morire. Ma da queste uova nasceranno centinaia di bacolini minuti che, mangiando una gran quantità di foglie di gelso, diverranno i preziosi bachi da seta.

La primavera era arrivata e tutto risplendeva di luci e di colori. Un bruco verde e peloso piangeva in mezzo a tanta allegria. Lo udì il vento: “Che cos’hai?”. Il bruco rispose: “Sono triste, perchè tutti hanno schifo di me, anche i bambini…”. Il vento andò lontano, rincorse la primavera: “Dolce fatina” chiamò, “c’è un animaletto infelice, mentre tutti sono allegri: il bruco…”. “E’ vero” disse la fatina, “Come ho potuto dimenticarmi di lui? Va’, digli  che esprima un desiderio. Sarà accontentato”. Il bruco allora osservò i fiori, guardò gli uccelli. “Ecco” disse “Voglio diventare anche per poco, un piccolo uccello dalle ali leggere e colorate come i petali dei fiori”. Fu preso da un freddo terribile e da un sonno profondo. Quando riaprì gli occhi, era un bellissimo insetto con le ali dai colori dell’arcobaleno. Volò sulle erbe e sui fiori con la leggerezza di una piuma: era nata la farfalla. (G. Vaj Pedotti)

 

La farfalla cavolaia gironzolò un poco sotto la foglia per trovare il punto più tenero. Stette un momento immobile come chi ha bisogno di riposare e quindi incominciò a punzecchiare la foglia. Ad ogni punzecchiatura piantava un ovetto giallino. Ne depose una ventina, poi si mise a volare sopra i cavoli. Cercò il rovescio di una foglia e vi piantò un’altra ventina di uova. Sotto una seconda ne piantò dieci; altre ne lasciò sull’orlo. Dopo una settimana al posto delle uova c’erano dei piccoli bruchi verdi, uguali, per colore, alle foglie. E alla distanza di quindici giorni i bruchi, cioè i figli della farfalla, erano molto cresciuti. Mangiavano senza riguardo nell’orlo e in mezzo alle foglie e sempre cercavano di andare verso il centro della pianta dove le foglie erano più tenere. (P. Boranga)

 

Abbiamo osservato nel prato molte farfalle: alcune hanno le ali nere vergate di rosso, altre sono bianche ornate di cerchi arancione, altre ancora sono azzurre e gialle. Tutte sono bellissime. Sul capo hanno due antenne: sono l’organo del tatto e dell’olfatto. Sotto il capo hanno una specie di tromba, un succhiatoio sottile come un capello arrotolato a spirale. Quando si avvicinano ad un fiore svolgono la tromba e la immergono nel cuore della corolla per succhiarvi una goccia di nettare. Le farfalle hanno una vita molto breve.

Una farfalla si posa sopra un fiore. E’ una bellissima farfalla e le sue ali hanno i più gai colori. Ma da lei nasceranno i bruchi che rovineranno tutto l’orto.

Era un modesto bruco che strisciava sopra una foglia di cavolo. Poi, un giorno, quel bruco non ci fu più. Ci fu, invece, una farfalla dalle ali variopinte.

E’ così bella con le sue ali variopinte! Ma, purtroppo, la farfalla deporrà tante piccole uova e da quelle uova nasceranno tanti bruchi che saranno la rovina delle piante.

La farfalla nasce da un piccolo uovo sotto forma di bruco (larva), che striscia sulle foglie o sul tronco o sul frutto di cui si nutre. Mangia voracemente per un certo periodo di tempo, quindi emette un filo con cui tesse una specie di bozzolo nel quale si chiude. Nel bozzolo avviene una prima trasformazione. Non si tratta più di un bruco, ma di un essere quasi coriaceo, immobile, chiamato ninfa. Dopo un certo periodo, la ninfa comincia a muoversi, rompe, col capo, l’involucro che l’avvolge ed esce fornita di ali, non più bruco, ma farfalla. Questa metamorfosi non si compie nell’identico modo per tutte le specie di farfalle; anche il bozzolo  può assumere diversi aspetti, ma, nelle sue grandi linee, la trasformazione segue questo processo.

Le farfalle si possono dividere in tre grandi gruppi: farfalle diurne, farfalle notturne e tignole. Fra le farfalle diurne, le più comuni sono le vanesse dalle ali vagamente variopinte e, fra queste, la cavolaia, flagello degli orti.

L’unica farfalla utile, anzi preziosa all’uomo che ne fa l’allevamento, è la farfalla del filugello chiamato anche baco da seta o bombice del gelso. Il baco cambia pelle cinque volte, nutrendosi di foglie di gelso. Ad un certo punto, smette di mangiare, si arrampica su un rametto ed emette dalla bocca un sottilissimo filo che è tutto di un pezzo e può raggiungere anche la lunghezza di circa mille metri. Con questo filo, il baco si tesse intorno al corpo un bozzolo di purissima seta. Dopo una ventina di giorni, l’animale inumidisce, con un liquido speciale, l’estremità del bozzolo e battendovi forte con il capo, riesce a praticarvi un foro, da cui uscirà farfalla.

Si tratta di una farfalla grossa e tozza che non può volare. Non ha neppure l’apparato boccale e quindi è condannata a morir di fame. Ma, prima di morire, la femmina depone centinaia di piccolissime uova da cui, a suo tempo, nasceranno i piccoli bruchi.

La farfalla scende su un fiore. Immerge ingordamente la testolina nella corolla; spinge il so succhiatoio fino in fondo e succhia il nettare. Approfittando di quella posizione, il fiore scuote sulla testa della farfalla il suo polline. Quando essa ha finito di succhiare il nettare, riprende il volo. Vola di qua e di là. Vede altri fiori simili a quello che ha visitato. Si getta sul primo che incontra. Mette la testolina nel calice. Intanto il polline di cui si era impolverata va a cadere sul nuovo fiore. (P. Bargellini)

La farfalla è un insetto, perciò presenta le stesse caratteristiche generali degli insetti. Il suo corpo brunastro, peloso e fragile, è diviso in capo, torace e addome. Sul capo si trovano due antenne, due grossi occhi composti e l’apparato boccale, costituito di una lunga e sottile proboscide avvolta a spirale come la una molla.

Quando la sera, d’estate, si tengono le finestre aperte, numerose farfalline volano in gran numero verso la sorgente luminosa. Le volano intorno, fino a che cadono esauste, morenti, nel lampadario, dove finiscono la loro breve vita. Sono le tignole. Alcune vengono dalle provviste alimentari: dalla farina, dalla pasta. Altre, di colore grigio dorato, veloci, ma non resistenti volatrici, sono l’incubo delle massaie. E con ragione: sono le tignole dei panni. Esse depositano nelle stoffe di lana, nelle pellicce, le loro uova, dalle quali nasceranno tanti piccoli, distruttori dei nostri indumenti.

Dall’uovo deposto dalla farfalla nasce un piccolissimo bruco. Poichè le uova sono centinaia e centinaia, tanti sono anche i bruchi, che divorano steli, foglie e gemme. Ogni giorno il bruco mangia il doppio del proprio peso; perciò nessuna meraviglia che debba più volte cambiare la pelle, se quella che ha addosso diventa ogni giorno più stretta. Quando il bruco è pienamente sviluppato, abbandona la pianta che lo nutriva e va in cerca di un luogo adatto. Qui si tesse un nido e vi si chiude dentro, oppure si libera semplicemente dell’ultima pelle, trasformandosi in crisalide. Ora è diventato un essere senza gambe, senza testa, fasciato da una pelle rigida e scolpita, che se ne sta immobile come una mummia. Ma dopo un certo numero di giorni questo essere muto, cieco, sordo e immobile incomincia ad agitarsi; la sua rigida scorza si spacca sul dorso; ed ecco venir fuori un essere brutto, raggrinzito, umido. A poco a poco, però, le sue ali si stendono, il corpo si affusola, appaiono i colori, l’insetto fa le prime prove vibrando le ali, e finalmente è perfetto e nitido, tutto nuovo, splendente, e quello che era un bruco strisciante ora vola e vive nell’aria la sua terza vita.

Quando i bruchi nascono, non c’è nessuno che provveda a nutrirli: ed essi stessi devono subito lavorare di mascelle per provvedere all’avvenire. Ma ci provvedono tanto bene che, se tutti i bruchi che nascono vivessero sempre fino a diventar farfalle e a deporre le uova a centinaia, e da queste uova nascessero e vivessero altri bruchi, dotati dello stesso formidabile appetito, potremmo dire addio a tutti i nostri alberi, ai fiori, agli ortaggi: i bruchi finirebbero ogni cosa. La terra resterebbe spoglia, veramente tutta brucata. Ecco perchè, forse, la natura ha disposto che la vira di un bruco sia piuttosto indifesa; non è certamente male, dunque, che di bruchi ne muoiano parecchi.

 

La farfalla è come un fiore vivo, un fiore volante, con due petali soli. Ama il verde dei giardini, dei prati, dei boschi. Se la gode a far l’altalena, su e giù; sotto la carezza del sole. Le sue ali sono ornate di vivi colori e coperte di una polvere fine. Il suo corpo è sottile, il capo piccino e le zampine esili come fili. (T. Fanelli)

Le tignole sono minuscole farfalline dalle ali frastagliate, più o meno colorate, in genere dannose. Parecchie di esse danneggiano il grano, la pasta, la farina; altre sono le famigerate tarme o tignole dei panni, che tutti conoscono, altre ancora sono la rovina dei meli, dei ciliegi e di altri alberi da frutto. Se nella mela, nella ciliegia, troviamo il verme, lo dobbiamo a queste minuscole farfalline che hanno precedentemente deposto un uovo nel calice di ogni fiore, così che il piccolo bruco ha trovato, al suo nascere, un dolce rifugio che è insieme, culla e cibo. (M. Menicucci)

La pieride cavolaia maggiore. Come è bella nella sua veste bianca con sfrangiature verdi e marroni sulle punte, con il corpicino elegante! Ma il povero cavolo come la teme! Questa farfalla si posa sulla pagina inferiore delle sue grandi foglie. Qui depone tante uova ben nascoste. Dopo pochi giorni, dalle uova nascono i bruchi. E che cosa fanno? Brucano la foglia, passano sulla pagina superiore e si mettono a divorare. In breve della bella foglia non ne restano che le nervature.

Chi, guardando le farfalle che volano leggere sui fiori, pensa agli eserciti di bruchi che hanno divorato quintali di foglie, migliaia di piante, centinaia di potenti tronchi d’albero, per soddisfare il loro insaziabile appetito? L’esercito dei bruchi si è trasformato in un esercito di farfalle. All’origine della minuscola tignola di pochi millimetri, come della più grande farfalla australiana, che ha un’apertura d’ali di quasi trenta centimetri, c’è sempre un bruco. (M. Menicucci)

Generalmente i bruchi sono voraci e talvolta questa voracità è veramente straordinaria. Il celebre naturalista Reaumur pesò alcuni bruchi della cavolaia, la bianca farfalla che predilige i cavoli, e diede loro brandelli di cavolo che pesavano il doppio del loro corpo. In meno di ventiquattro ore avevano consumato tutto. In questo tratto di tempo il loro peso era cresciuto di un decimo. Per fare un paragone, un uomo che pesi ottanta chili dovrebbe mangiare centosessanta chili di cibo in un giorno per mettersi alla pari con questi potenti mangiatori! (R. Scaringi)

Esce da un ciuffo d’erba che lo aveva nascosto durante il caldo. Attraversa il viale di sabbia con grandi ondulazioni, e per un momento si crede perduto nell’ombra lasciata dallo zoccolo del giardiniere. Giunto dove sono le fragole, si ferma, si riposa, alza il naso a destra e  a sinistra per annusare, poi riparte, e sotto le foglie sa oramai dove va. Che bel bruco grasso, velloso, impellicciato, bruno, punteggiato d’oro e con gli occhi neri! Guidato dall’olfatto, si dimena e si aggrotta come un sopracciglio folto. SI ferma sotto il rosaio; e con le sue papille sottili tasta la scorza ruvida, muove qua e là la testolina di cane appena nato e finalmente osa arrampicarsi. E questa volta sembra che divori faticosamente tutta la lunghezza del cammino in salita, inghiottendola. (G. Renard)

Colori delle farfalle
Questi insetti dovettero essere dapprima fiori; fiori portati così in alto dallo stelo che finirono per distaccarsene; oppure, sotto una carezza di luce, avvenne che il sogno dei fiori trovò modo di attuarsi, di prendere forma e volteggiare nell’aria. Le ali hanno, infatti, l’apparenza di grandi petali e ne riproducono i colori: dal rosso fuoco del tulipano all’azzurro del giacinto, dal giallo del ranuncolo al bianco del ciliegio, dal lilla dell’iris alla cupezza della mammola. E’ perchè la luce, quando colpisce un’ala di farfalla, non incontra una superficie liscia, ma un succedersi di minuscole lamine, di scudi minuscoli articolati sulla superficie dell’ala; e ciascuno di questi ha il suo modo di riflettere e diffondere la luce quasi come le sfaccettature di un diamante. Quella polvere dorata che ci resta sulle dita quando si tocca un’ala di farfalla, non è fatta che da un insieme di tali scudi, così lievi e delicati, ca non sopportare contatti che non siano quelli dell’aria e della luce.
(A. Anile)

Prime farfalle
Un picchio è nascosto tra i pioppi; con il suo becco appuntito, esso batte senza posa nella corteccia degli alberi. E’ questo il segno che è arrivata la primavera e l’uccello dalle belle piume di color porpora dà, in tal modo, il lieto annuncio alla formica. Nell’aria serena e luminosa i campi sembrano sorridere, mentre timida timida la violetta spunta sotto i cespugli e il salice piega le verdeggianti fronde sull’acqua del limpido fiume. Nel prato svolazzano intanto le prime farfalle. Un ragazzino le insegue con sfrenata allegria, nel desiderio di acchiapparle, e il suo volto si illumina di gioia, quando può ammirare la sua mano cosparsa di una polverina d’oro: è riuscito, finalmente, a prenderne una!
(V. Verdusio)

La farfalla
Si dice che le farfalle siano dannose. E che male può fare una variopinta farfallina che vola, leggiadra, di fiore in fiore, succhiando il nettare e beandosi di sole? Se si accontentasse di questo non farebbe male a nessuno. Ma la farfalla è un’ottima mamma e un giorno depone tante uova, piccole piccole, ma tante, tante. A primavera, saranno nati tanti bruchi, piccoli piccoli, ma tanti tanti, che in poco tempo divoreranno tutto ciò che capita sotto il loro instancabile apparato boccale.

Le farfalle
Se vi trovate, in primavera o d’estate, in campagna, vedrete farfalle di ogni colore e d’ogni grandezza volare sui fiori. Alcune volano in alto, altre si posano leggiadramente sui fiori e vi indugiano, infilando la oro tromba nel calice, a succhiarvi la gocciolina di nettare in esso contenuta. E quando il sole è tramontato, ecco miriadi di farfalline accorrere intorno alle sorgenti luminose e, qualche volta, in mezzo a loro c’è una grossa farfalla dal corpo pesante che sembra volare quasi a fatica. E’ una farfalla notturna.

Le farfalle
Hanno sulla fronte due corna fini, due antenne ora sfilate, a ciuffo, ora frastagliate a pennacchio. Hanno sotto la testa una tromba, una cannuccia sottile, come un capello arrotolato a spirale. Quando si avvicinano a un fiore, svolgono la tromba e la immergono in fondo alla corolla, per bervi una goccia di liquore melato. Oh, come sono belle!
(Fabre)

La farfallina del melo
Le farfalline deposero un piccolo uovo in ogni fiore del melo, poi morirono perchè le farfalle, quando hanno pensato ai piccini che debbono nascere, non hanno più nulla da fare. I fiori del melo perdettero i petali e pian piano si trasformarono in frutti. Ma in ognuna di quelle piccole mele che il sole coloriva e faceva diventare sempre più grosse, c’era un bacolino nato dall’uovo deposto dalle farfalline azzurre, un bacolino che aveva trovato la casa e insieme la polpa saporita da mangiare.

Le farfalle
Come sono belle! Ve ne sono con le ali vergate di rosso sopra un fondo granata; ve ne sono di un turchino vivo con dei cerchi neri; altre sono bianche e orlate d’aurora. Hanno sulla fronte due corna fini, due antenne ora sfilate a ciuffo, ora frastagliate a pennacchio.
(Fabre)

La farfallina
La farfallina scende su un fiore. Immerge ingordamente la testolina nella corolla; spinge il suo succhiatoio fino in fondo e succhia il nettare. Approfittando di quella posizione il fiore scuote sulla testa della farfalla il suo polline. Quando essa ha finito di succhiare il nettare, riprende il volo.
(P. Bargellini)

La farfalla
Quando la farfalla ha finito di succhiare il nettare, riprende il volo. Vola di qua vola di là. Vede altri fiori simili a quello che ha visitato. Si getta sul primo che incontra. Mette la testolina nel calice e intanto il polline, di cui si era precedentemente impolverata, va a cadere sul nuovo fiore.
(P. Bargellini)

Bruchi e farfalle
Chi, guardando le farfalle che volano leggere sui fiori, pensa agli eserciti di bruchi che hanno divorato quintali di foglie, migliaia di piante, centinaia di potenti tronchi d’albero, per soddisfare il loro insaziabile appetito? L’esercito di bruchi si è trasformato in un esercito di farfalle. All’origine della minuscola tignola di pochi millimetri, come della più grande farfalla australiana, che ha un’apertura d’ali di quasi trenta centimetri, c’è sempre un bruco.

Il bruco
Il bruco non ha che un dovere, non sente che un richiamo, non ha che un’occupazione: mangiare. Possiamo considerare il bruco come un tubo digerente che si muove. Nulla lo interessa se non quello che può soddisfare il suo appetito formidabile. E ingrassa. Soltanto quando è giunto al massimo della sua dimensione, quando il suo peso è aumentato anche fino a sedicimila volte quello originario, soltanto allora il cibo non lo interessa più.

Il bruco tessitore
Quando il bruco è arrivato al massimo della sua dimensione che la natura gli impone, ecco che il cibo non lo interessa più. Ne ha nausea. Diventa schifiltoso. Si sente tardo, pesante, obeso. E’ in attesa di qualcosa che non sa ancora definire, ma che egli sembra cercare con i movimenti pieni di ansia della sua testa oscillante. Poi, improvvisamente, si mette a secernere qualcosa che diventa rapidamente un filo, tanti fili uniti insieme, lunghi e luminosi e forti e resistenti, e dentro ci sono le immense quantità d’erba, di foglie, di legno che il bruco ha divorato durante il primo stadio della sua vita.

Le tignole
Sono minuscole farfalline dalle ali frastagliate, più o meno colorate, in genere dannose. Parecchie di esse danneggiano il grano, la pasta, la farina: altre sono le famigerate tignole dei panni che tutti conoscono, altre ancora sono la rovina dei meli, dei ciliegi e di altri alberi da frutto. Se nella mela, nella ciliegia, troviamo il verme, lo dobbiamo a queste minuscole farfalle che hanno precedentemente deposto un uovo nel calice di ogni fiore, così che il piccolo bruco ha trovato, al suo nascere, un dolce rifugio che è insieme culla e cibo.

Il bozzolo
Dopo aver tanto gozzovigliato, il bruco si scopre la vocazione del penitente. Vuol farsi eremita. Si costruisce intorno un bozzolo con un filo lungo anche migliaia di metri e vi si chiude dentro in attesa del miracolo che premierà la sua improvvisa vocazione, il suo ritiro da monaco. Diventa rigido, cade come in catalessi. Tutto fasciato come una mummia, non sente, non vede più. E’ coriaceo, immobile, morto. Ma un giorno, il morto resusciterà.

La farfalla
La farfalla sembra attirata dai fiori; ma non è il fiore, è una goccia di dolcissimo nettare che la chiama a sè irresistibilmente. Chi ha mai mangiato foglie di cavolo? O foglie di gelso? Chi ha mai rosicchiato legno? Chi si è mai cibato di peluzzi di lana? Il nettare, ecco il cibo della farfalla. Essa si posa sul fiore e ne percepisce lo squisito sapore zuccherino con… le zampe. E’ all’estremità delle loro zampette che le farfalle hanno gli organi gustativi.

Le farfalle
La farfalla si era staccata con indicibile dolcezza da uno stelo e ora di librava con volo incerto; molte farfalle, simili a quelle che aleggiavano sopra la prateria, rapide solo in apparenza, oscillavano su e giù in un gioco entusiasmante. Sembravano dei fiori vaganti, giocondi, che non avevano più potuto restare sullo stelo e s’erano saccati per danzare un po’; oppure fiori giunti col sole, che non avevano ancora il loro posto e cercavano all’intorno. Si lasciavano cadere come se l’avessero trovato, poi subito risalivano e continuavano nella ricerca.
(F. Salten)

Da dove vengono i bachi della frutta

Qualche volta, tagliando a metà un frutto, ci capita di vedere la sua polpa intaccata da lunghe gallerie. In fondo a queste vive tranquillo un baco. Com’è entrato nel frutto?
Ve l’ha depositato, sotto forma di uovo, la piccola mosca dei frutti, forandone la buccia. Poi l’uovo si è trasformato in baco, che, per nutrirsi, ha mangiato la polpa del nostro frutto, scavando le gallerie che vediamo.

L’imperatrice cinese Silinci ebbe un giorno dall’imperatore un piccolo baco e questo consiglio: “Impara ad allevare questo baco e il popolo non ti dimenticherà mai”. Silinci prese ad osservare i bachi, e vide che essi, quando fanno le loro dormite, si rivestono di un tenue velo di fili. Ella scelse quei fili e tessè un fazzolettino. Silinci vide poi che i bachi montavano sui gelsi. Allora ella prese a raccogliere le foglie dei gelsi e a nutrire con esse i bachi. Così i bachi allevati furono moltissimi e Silinci volle che tutto il popolo imparasse la nuova arte. Da allora sono passati cinquemila anni e i Cinesi ricordano ancora l’imperatrice che insegnò loro ad allevare il prezioso baco da seta. (L. Tolstoj)

Gli alberi che per primi si sono ricoperti di larghe foglie, i gelsi che segnano in lunghi filari i campi dalle messi ancora immature, si trovano di giorno in giorno più spogli. Non hanno potuto attendere l’autunno con gli altri alberi. Le mani degli uomini li hanno spogliati per nutrire i bachi voraci e quelle foglie saranno trasformate in seta lucente.

Dettati ortografici FARFALLE E BRUCHI – Le farfalle diurne

La Cleopatra annuncia per prima, a febbraio – marzo, la buona stagione. E’ gialla e ha sulle ali anteriori una macchia rossastra.

Lo splendido Macaone ha le ali anteriori screziate di nero e di giallo e le ali posteriori con bordi neri e gialli, una striscia blu, ancora una macchia gialla e due “occhi” rossi sulle estremità. Appare in marzo.

La Pieride Cavolaia è pure bianca con una macchia bruna sulla punta delle ali anteriori. Il maschio ha anche due macchie brune. La possiamo trovare in aprile.

La farfalla Circe è la farfalla che si nasconde. Tenendo congiunte le ali di un bel marrone carico con striscia verticale chiara, si posa su un tronco. Se qualcuno si avvicina, gira intorno al tronco e poi, non vista, prende il volo.

La Pavonia maggiore è il gigante degli insetti europei: le sue ali aperte misurano anche quindici centimetri di larghezza. Il suo nome deriva dalle macchie a forma di occhio, simili a quelle del pavone, poste sulle sue ali. Le sue ali hanno tonalità di colori che vanno dal marrone al giallo. La larva è vivacemente colorata e vive sugli alberi da frutta.

La Vanessa Atalanta e la Vanessa Jo, detta “occhio di pavone”, sono altri due splendidi esemplari estivi. Entrambe hanno come colore di fondo un arancione affocato. La prima, un po’ più grande, ha grandi macchie scure e bordi variegati con striature azzurre sulle ali inferiori. La seconda ha quattro grandi macchie simili a quelle che ornano le penne del pavone.

La Singe Testa di Morto è chiamata così per il disegno che ha sul torace, assomigliante a un teschio. Se viene stuzzicata emette un suono stridulo dovuto allo sfregamento della spiritromba cornea.

Nell’America meridionale, nell’India e nell’Australia, vivono le farfalle dai colori più brillanti e forme più strane. Una di queste è il Morphos Menelaus dell’America del Sud, dalle ali di un blu metallico e splendente.

Il Papilio Priamus dell’India ha invece strisce e macchie verde smeraldo su fondo nero. E’ molto grande e, quando volteggia sulle chiome degli alberi, sembra un uccello.

La Papilio, che vive nelle foreste vergini dell’Africa occidentale, è una tra le più grandi farfalle che si conoscano. Ha un’apertura d’ali di circa ventidue centimetri.

Le farfalle

Le quattro ali della farfalla sono ricoperte da piccolissime scaglie che, ad occhio nudo, sembrano una finissima polverina.
Le specie di farfalle sono moltissime, circa centomila, e tutte meravigliosamente colorate. Volano di fiore in fiore alla ricerca del nettare, di cui si nutrono.
La loro bocca è adatta a succhiare; infatti è munita di una tromba o proboscide, avvolta a spirale, che si svolge al momento di introdursi in fondo al calice del fiore per succhiarne il nettare.
Le farfalle che volano di giorno (diurne) hanno il corpo esile e un volo leggero. Quando viene la sera si nascondono in cantucci oscuri.
Le farfalle notturne hanno invece un corpo molto robusto e grosso; di sera volano attorno ai lampioni accesi e quando riposano tengono le ali distese come quelle di un aeroplano.
La farfalla prima di diventare come la vedi subisce alcune trasformazioni, cioè una metamorfosi. Dall’uovo di farfalla, deposto tra le erbe o sulle piante, nasce un bruco che si nutre di foglie, di fiori e di frutti. Successivamente il bruco diventa una crisalide che si chiude nel suo bozzolo e dorme. Dopo un certo tempo, dal bozzolo esce la farfalla ancora umida e molle. Quando si è asciugata, spicca il volo leggera come una piuma.
La vita delle farfalle è breve; alcune vivono poche ore, altre qualche giorno. In questo periodo depongono continuamente uova.

Voracità dei bruchi

Quando i bruchi nascono, non c’è nessuno che provveda a nutrirli: ed essi stessi devono subito lavorare di mascelle per provvedere all’avvenire. Ma ci provvedono tanto bene che, se tutti i bruchi che nascono vivessero sempre fino a diventare farfalle e deporre le uova a centinaia, e da queste uova nascessero e vivessero altri bruchi, dotati dello stesso formidabile appetito, potremmo dire addio a tutti i nostri alberi, ai fiori, agli ortaggi: i bruchi finirebbero ogni cosa. La terra resterebbe spoglia, veramente tutta brucata. Ecco perchè, forse, la natura ha disposto che la vita di un bruco sia piuttosto indifesa; non è certamente male, dunque, che di bruchi ne muoiano parecchi.

 

Le farfalle

Come sono belle! Ve ne sono con le ali vergate di rosso sopra uno sfondo granata, ve ne sono di un turchino vivo con dei cerchi neri; altre sono bianche e orlate d’aurora. Hanno sulla fronte due corna fini; due antenne, ora sfilate a ciuffo ora frastagliate a pennacchio. Hanno sotto la testa una tromba, un succhiatoio sottile come un capello, arrotolato a spirale. Quando si avvicinano a un fiore, svolgono la tromba e la immergono in fondo alla corolla, per bervi una goccia di liquore melato. Oh, come sono belle! (E. Fabre)

Bruchi sempre affamati

Generalmente i bruchi sono voraci e talvolta questa voracità è veramente straordinaria. Il celebre naturalista Reaumur però alcuni bruchi della cavolaia, la bianca farfalla che predilige i cavoli, e diede loro brandelli di cavolo che pesavano il doppio del loro corpo. In meno di ventiquattro ore avevano consumato tutto. In questo tratto di tempo il loro peso era cresciuto di un decimo. Per fare un paragone, un uomo che pesi 80 kg dovrebbe mangiare 160 kg di cibo in un giorno per mettersi alla pari con questi potenti mangiatori! (R. Scaringi)

Il bruco

Esce da un  ciuffo d’erba che lo aveva nascosto durante il caldo. Attraversa il viale di sabbia con grandi ondulazioni e per un momento si crede perduto nell’ombra lasciata dallo zoccolo del giardiniere. Giunto dove sono le fragole, si ferma, si riposa, alza il naso a destra e a sinistra per annusare, poi riparte, e sotto le foglie sa ormai dove va.
Che bel bruco grasso, velloso, impellicciato, bruno, punteggiato d’oro e con gli occhi neri!
Guidato dall’olfatto, si dimena e si aggrotta come un sopracciglio folto. Si ferma sotto il rosaio; e con le sue papille sottili tasta la scorza ruvida, muove qua e là la testolina ci cane appena nato e finalmente osa arrampicarsi.
E questa volta sembra che divori faticosamente tutta la lunghezza del cammino il salita, inghiottendola. (G. Renard)

 

Le farfalle

Nelle farfalle, la natura ha spiegato il massimo della prodigalità, in bellezza ed armonia di colori. La spettacolosa varietà delle tinte, le iridescenze, i riflessi metallici, la morbidezza vellutata, la leggiadria del volo, l’istinto infallibile che le porta a scegliere il luogo più adatto per la loro conservazione, tutto possiedono questi insetti, che sembrano creati per rappresentare la bellezza nel regno animale.

La vita. Nell’analizzare la loro esistenza, si rimane stupiti da tanta armonia. La vita delle farfalle è generalmente breve e le femmine muoiono dopo aver deposto le uova. Dall’uovo all’insetto perfetto (e di nuovo all’uovo) passa di solito circa un anno e precisamente il ciclo di sviluppo va da una primavera all’altra.
Tuttavia in molte farfalle diurne si possono avere nello spazio di un anno, due generazioni. Il periodo larvale ha una durata varia, da poche settimane a parecchi mesi: anche la durata della ninfosi è varia. In alcune specie la farfalla si schiude dopo una o due settimane, in altre lo stadio ninfale si prolunga per tutto l’inverno, mentre la farfalla completa ha un periodo di vita che va da qualche giorno a due mesi.

Dall’uovo alla farfalla. Le farfalle depongono uova piccolissime: anche nelle specie più grandi, non superano le dimensioni di una capocchia di spillo. Dall’uovo non esce l’insetto alato, bensì una larva, o bruco, senza ali, di aspetto simile ad un verme, che cresce rapidamente, mutando quattro o cinque volte la propria pelle.
I bruchi si muovono lentamente, ed hanno in generale colori poco vistosi: il loro corpo è ornato talora di bitorzoli pelosi, di setole, di cornetti uncinati. La bocca è formata da due mascelle taglienti con cui divorano foglie, fiori, frutta, legno.
Quando la larva ha raggiunto un completo sviluppo, non si nutre più e va in cerca di un luogo adatto per trasformarsi in ninfa. Per far questo la larva si appende mediante un filo ad un ramo, o si avvolge in un involucro, tessuto con fili che emette dalla bocca (in tal caso la ninfa si chiama crisalide), o si sprofonda nel terreno o nel legno o si avvolge nelle foglie.
Mentre la ninfa sta così racchiusa, avviene la sua ultima trasformazione, e dopo un tempo più o meno lungo uscirà dal suo involucro la farfalla.

Come sono fatte. Mirabile è l’anatomia di questi insetti. Le farfalle hanno quattro ali membranose; sul capo due antenne di forma e lunghezza variabili e lateralmente due grandi occhi composti, formati cioè da migliaia di minutissimi occhi tubolari. La bocca è composta da un tubo avvolto a spirale, detto spiritromba, per mezzo del quale le farfalle succhiano dai fiori le sostanze zuccherine (nettare).
Questi insetti dell’ordine dei Lepidotteri sono diffusi dappertutto, dove c’è vegetazione.
La loro parte più interessante sono le ali, ricoperte su entrambe le facce da piccolissime squame, variamente colorate e facilmente distaccabili: infatti esse formano un pulviscolo variopinto che rimane attaccato alle nostre dita quando afferriamo l’insetto. Le squame sono di varia forma, rotonde o ovali, seghettate, tronche o acute all’apice, inserite per mezzo di articoli in corrispondenti piccolissime cavità della lamina alare e disposte in modo da dar l’impressione di un rivestimento di piastrine smaltate.
Le diverse tinte delle squame dipendono dai vari strati di cellule del tegumento, i quali possono essere più o meno ricchi di materie coloranti. Ma le iridescenze ed i colori cangianti sono dovuti indubbiamente all’effetto ottico combinato da due o più squame vicine, e siccome la luce e la temperatura influiscono potentemente sulle cellule del derma, le farfalle delle zone torride sono più vistose, mentre vi è una diversità di colorazione sulle due facce dell’ala. Nella maggior parte dei casi, la colorazione della faccia inferiore è povera ed uniforme, e ciò soprattutto per difesa: poichè nel volo la farfalla ha poco da temere, mentre in riposo le occorre una colorazione che si discosti poco dall’ambiente.
Quando la farfalla si posa su di un ramo, avvicina le ali in modo che si dispongano verticalmente e lascino vedere solo la faccia inferiore.

 

Dettati ortografici FARFALLE E BRUCHI – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

LE API E LE VESPE: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici LE API E LE VESPE – Una raccolta di  dettati ortografici di vari autori, sul tema farfalle e bruchi, per la scuola primaria.

Le api
Le api, come le formiche, si riuniscono in una società a capo della quale c’è la regina, che non ha che un dovere: fare le uova. Le brave api operaie penseranno poi ad allevare e a custodire la prole. Intanto le altre andranno a far bottino di nettare e di polline. Volano di fiore in fiore, e poi portano le loro provviste all’alveare dove fabbricheranno il miele e la cera.

Le api
Quando i giardini i prati e le foreste fanno pompa delle loro fioriture, rare volte pensiamo che milioni di fiori leggiadri nascondono preziosi tesori. I ricchi tesori sui quali nessuno fa valere il più piccolo diritto di proprietà, sono le minutissime gocce di nettare che le api laboriose estraggono dalla più profonda cavità della corolla e che convertono in miele e cera. L’uomo perciò prese ad allevare le api che, nelle antiche età, vivevano allo stato selvatico e nascondevano il miele nelle fenditure delle rocce e in alberi cavi.
(Reichelt)

Le api
Hanno scosso il lungo torpore invernale: la regina si è messa di nuovo a deporre le uova fin dai primi giorni di febbraio. Le operaie hanno visitato gli anemoni, i giunchi, le violette, i salici, i noccioli. Poi la primavera ha rivestito la terra; i granai e le cantine traboccano di miele e di polline. Migliaia di api nascono ogni giorno. (Meeterlinck)

Fiori e api
La natura ha dato ai fiori una forma tale da attirare le api, e alle api un corpo che si adatta ai fiori, un corpo che reca loro il polline e che a sua volta usa il polline e il nettare dei fiori. Qualcosa come diecimila specie di fiori si sarebbero estinte se non ci fossero state le api, e le api non potrebbero vivere senza fiori. Nel colmo di una giornata umida e calma, il flusso del nettare alla base dei petali dei fiori d’arancio è il massimo. L’aria è satura del suo profumo che, da lontano, attira le api.
(D. Culross Peattie)

La vespa
La vespa è simile all’ape, ma di questa non ha nessun merito. Le vespe si distinguono dalle api perchè, quando stanno in posizione di riposo, ripongono le ali superiori che sembrano, così, strettissime. Si nutrono non soltanto di polline e di nettare, ma anche di frutta e perfino di carne. L’aculeo delle vespe ha, alla base, una borsetta piena di veleno; per questo la puntura della vespa è ancora più pericolosa di quella dell’ape. Il nido delle vespe, di forma rotonda, è costituito da un materiale simile al cartone che la vespa fabbrica elaborando, con la saliva, il legno degli alberi.

L’ape e la vespa si assomigliano; spesso i bambini le scambiano fra loro per il loro aspetto quasi simile, ma questi insetti cugini hanno delle abitudini, e anche delle qualità, molto differenti.
La vespa costruisce un nido con il legno degli alberi che essa mastica trasformandolo in una specie di cartone. Forse l’uomo ha imparato proprio dalla vespa a fabbricare la carta con la pasta di legno. Le vespe vivono in colonie, e le progenitrici di queste colonie sono alcune femmine sopravvissute alla stagione passata. Queste femmine depongono uova da cui nascono maschi e operaie. Alla fine della buona stagione, le vespe muoiono, meno alcune regine che svernano per dar vita, in primavera, a una nuova famiglia.

Le vespe
Non sono animali simpatici perchè, se pungono, il loro pungiglione darà un dolore intenso che non passerà tanto presto. Eppure le vespe hanno insegnato come si fabbrica la carta. Infatti, masticando sostanze vegetali e cementandole con la saliva, le vespe fabbricano un vero e proprio materiale cartaceo col quale costruiscono il loro nido.

Il nido delle vespe
Le vespe, per fabbricare il loro nido, scelgono di preferenza i pali della corrente elettrica o alberi dai quali possono staccare facilmente il materiale da costruzione che è loro necessario. Sgretolano quindi il legno, ne formano pallottole e costruiscono le celle, trasformando il legno in pasta per mezzo della saliva. Le celle non sono regolari come quelle delle api. Le femmine vi depongono le uova e subito nascono le larve che le vespe nutrono con una poltiglia di insetti afferrati con rapidi voli. (T. Stagni)

L’ape è uno dei pochissimi insetti che l’uomo alleva (l’altro è il filugello o baco da seta). Anche fra le api c’è una regina che è la madre di tutta la popolazione dell’alveare; ci sono i fuchi (maschi) tra i quali la regina sceglie lo sposo. Essi muoiono dopo o vengono uccisi subito dopo avvenuta la fecondazione. Il resto della popolazione è formato dalle operaie, che sono quelle che vediamo visitare indefessamente i fiori, succhiarne il nettare e il polline. Il polline viene messo in apposite sacchette che le api hanno nelle zampe; il nettare viene raccolto nel canale digerente, trasformato in miele e rigurgitato, poi, nell’alveare.
L’alveare, fabbricato dalle stesse api, è formato da molte cellette prismatiche a sezione esagonale, disposte in due strati. Queste cellette costituiscono il favo e sono fatte di cera, sostanza prodotta dalle ghiandole addominali delle operaie, e intonacate di propoli, sostanza resinosa ricavata dalle gemme dei pioppi.
Dentro il favo viene depositato il miele che dovrebbe servire al nutrimento delle larve e di tutta la popolazione dell’alveare. Le cellette non sono tutte uguali, ma differenti, a seconda dell’uso a cui devono servire: le più piccole sono per le operaie, quelle grandissime per le future regine.
Il meraviglioso è che la regina sa, in precedenza, quali individui usciranno dalle uova che depone e lascia cadere quelle operaie, dei fuchi, e delle future regine, nelle cellette appositamente costruite per ognuno.
Le operaie più vecchie hanno l’onore e l’onere di allevare i nascituri. Appena la piccola larva esce dall’uovo, viene nutrita con miele e con polline semidigerito. Per le larve di regina si usa un regime speciale, la pappa reale, che ha il compito di favorirne lo sviluppo. Non solo, ma questo alimento, prezioso e privilegiato, servirà alla formazione di quelle uova che un giorno la futura regina deporrà.
Dopo pochi giorni, dalle uova escono le ninfe, e allora le nutrici le chiudono nelle cellette, da dove, dopo sette giorni, usciranno trasformate in insetti perfetti.
Durante il suo volo, l’ape operaia visita migliaia di fiori. Affonda nel calice la proboscide, succhia il nettare che introdotto nello stomaco, a contatto con speciali succhi, viene trasformato in miele o in cera, a seconda della necessità.
Se nell’alveare nasce un’altra regina, si accende una lotta accanita fra la vecchia e la nuova. La lotta ha un esito mortale: in un solo alveare non possono rimanere due regine. Ma se l’alveare è troppo numeroso, allora l’istinto infallibile avverte le due contendenti, le quali in questo caso, non si combattono. Una di esse, in genere la più giovane, sciamerà, cioè partirà dall’alveare portando con sè uno sciame numeroso di operaie e di fuchi.
Trovato il posto che le pare adatto per fondare il nuovo regno, la regina si ferma e si aggrappa a un appiglio qualunque, in genere il ramo di un albero, e ad esso si appendono, come in un meraviglioso grappolo, tutte le alte api. L’apicoltore sta in guardia: quando le api sciamano, le insegue e cattura lo sciame con mezzi vari.
Per favorire la costruzione dell’alveare l’uomo prepara per lo sciame delle apposite cassettine. La cassettina, il favo e lo sciame formano quello che si chiama arnia. L’alveare è costituito dai soli favi che qualche volta le api si costruiscono anche nei tronchi cavi degli alberi.

L’ape ha una difesa: il pungiglione, un aculeo che nasconde nell’addome. Ma, quando è costretta a servirsene, ciò segna anche la sua condanna a morte perchè il pungiglione resta nella ferita e, con esso, parte dell’apparato digerente dell’insetto.

Creature laboriose
Con i primi tepori della primavera abbiamo visto uscire dalle arnie le api. Sono già in cerca di corolle aperte alla luce per raccogliere il nettare dolce, che trasformeranno in dolcissimo miele.
Talvolta vediamo le api ferme tra i rami degli alberi resinosi: raccolgono sostanze vischiose con cui tureranno le fessure della propria casina.
(G. G. Moroni)

Uno sciame d’api
Che cos’è questa musica che sembra sgorgare, grave, dal cuore del ciliegio come da un violoncello magico, e gli vibra intorno, senza uscire dalla cerchia dei rami in fiore? E’ uno sciame d’api. Da dove vengono? Forse dagli alveari dell’orto poco discosto da qui. Le ha chiamate odor di cibo dolce, odor d’aprile.
(A. Negri)

Lo sciame
Quando la nuova generazione è completa, nell’alveare c’è troppa gente e bisogna decidersi a sfollare. Allora, un forte gruppo di api, preceduto dai maschi, vola via dall’alveare con una nuova regina. Tutte vanno in cerca di un luogo sicuro per formare un nuovo alveare. Ma appena trovato il luogo, i maschi vengono cacciati via. La regina si mette subito al lavoro, che è quello di fare migliaia di uova che dovranno assicurare la popolazione del nuovo alveare.

Le api
Quando i giardini, i prati e le foreste fanno pompa della loro fioritura, rare volte pensiamo che milioni di fiori leggiadri nascondono tesori preziosi. I ricchi tesori sui quali nessuno fa valere il più piccolo diritto di proprietà, sono le minutissime gocce di nettare che le api laboriose estraggono dalla più profonda cavità della corolla e che convertono in miele e in cera. L’uomo, perciò, prese ad allevare le api che, nelle antiche età, vivevano allo stato selvatico e nascondevano il miele nelle fenditure delle rocce e in alberi cavi.
(Reichelt)

Le api
L’uomo deve essere molto grato alle api che fabbricano per lui un prodotto nutriente e delizioso, il miele. Le operaie volano di fiore in fiore succhiando polline e nettare e che poi trasformano in cera e in miele. La cera serve a fabbricare i favi, tutti a cellette esagonali perfettissime in alcune delle quali viene racchiuso il miele, mentre in altre la regina depone le uova. Abitanti dell’alveare sono anche i fuchi, cioè i maschi, che a un certo punto vengono cacciati fuori e muoiono di fame perchè incapaci di procurarsi il cibo, o sono uccisi dalle api stesse.

Il favo
Il favo è formato di celle esagonali fatte con cera che trasuda l’addome delle api operaie. Le cellette non sono tutte uguali. Alcune sono più piccole e in esse la regina depone le uova che daranno vita alle operaie; in altre, più grandi, sono deposte le uova da cui nasceranno i fuchi, cioè i maschi. Più grande di tutte, a forma di ghianda, è la cella che servirà alla regina, la futura rivale della regina madre.

Il miele
Il nettare, viene introdotto nel proventricolo dell’ape dove, a contatto coi succhi gastrici, si trasforma in miele. Allora l’ape entra nell’alveare e con le zampette lo spinge in una cella. Un’altra ape lo comprime ben bene col capo e, dopo, la cella piena viene chiusa con la cera. Altre celle sono lasciate vuote per accogliere le uova che la regina vi depositerà.

Lo sciame
Le api sciamano, d’ordinario, nello ore del mezzogiorno e con impeto selvaggio si precipitano come fiocchi di neve, quando cade fitta fitta. Quindi si posano sul ramo dell’albero vicino attaccandosi l’una all’altra, finchè sono tutte ammucchiate come un grappolo pendente. L’apicoltore accorre pronto con un alveare vuoto e cautamente ci mette dentro lo sciame. Più presto le api sciamano e più l’apicoltore gode perchè allora il popolo minuscolo può raccogliere più ricche provvigioni per l’inverno ed egli deve venire loro in aiuto con poco nutrimento.
(Reichelt)

Dentro alle arnie lavorano le api. Vivono in grande armonia tra loro. Le api operaie sono all’opera: chi va in cerca del dolce succo dei fiori; chi resta a costruire i favi; chi fa la pulizia delle cellette; chi prepara il cibo ai piccini e alla regina; chi scalda le covate e chi porta via i morti. Soltanto l’ape regina, che è la più grossa delle altre, vive da… regina. E non fa nulla? No, fa molto anche lei. Depone migliaia di uova per la conservazione della specie.
(Lipparini)

Le api
Fuori dell’alveare è un brulichio confuso di api che si raccolgono intorno ai fori d’entrata. Le operaie entrano ed escono senza posa, con un ronzio sonoro e affaccendato. Visitano tutti i fiori, instancabilmente. Succhiano il nettare, si caricano di polline e nel prodigioso laboratorio del loro proventricolo trasformano questa sostanza in miele e cera. Intanto la regina è occupata a deporre migliaia di uova, le sentinelle fanno buona guardia, le nutrici custodiscono le piccole larve e le sventolatrici agitano senza posa le loro ali affinchè nell’alveare venga mantenuta la temperatura necessaria al benessere di quel laborioso popolo.

L’ape
Quando i giardini, i campi, i prati fanno pompa della loro fioritura, noi ricordiamo che questi leggiadri fiori nascondono un tesoro di cui non sappiamo servirci. Ma qualcuno lo sa. Lo sanno le api, minuscole operaie laboriose e industriose che raccolgono il giallo polline, che succhiano la dolce stilla di nettare racchiusa nei calici e trasformano il loro raccolto in cera e miele, prodotti tanto utili all’uomo.

Le api
E’ uno sciame d’api. Le ha chiamate odor di cibo dolce, odor d’aprile. Volano, ronzano attorno ai fiori, vi s’attaccano, ne cercano e ne estraggono il nettare e il loro corsaletto d’oro e di ambra splende nel sole. Le une sanno ciò che fanno le altre; un’unica intesa le guida, le rende strumenti di perfetta orchestra.
(A. Negri)

Ora che siamo in maggio e le rose sono tutte in fiore, nell’aria si sente un gran brusio. Le api vanno, vengono, frettolose e infaticabili, e sembrano d’oro nel sole d’oro. Vanno a fare il loro bottino di polline e di nettare nei calici dei fiori e lo portano alle loro casette, dove lo trasformano in cera e miele. (G. Zanetti)

Che cos’è questa musica che sembra sgorgare dal cuore del ciliegio e gli vibra intorno senza uscire dalla cerchia dei rami in fiore? E’ uno sciame di api. Di dove vengono? Forse dagli alveari che sono nell’orto, poco distanti di qui. Le ha chiamate odor di cibo dolce. Svolano, ronzano intorno ai fiori, vi si attaccano, ne cercano e ne estraggono il nettare. (A. Negri)

“Zzz…. zzz… zzz…!”. Sono le api. Ronzano intorno ai fiori. Succhiano il dolce nettare e si caricano di polline. Poi, veloci, tornano all’alveare. Per riposarsi? No, per deporre il miele e la cera. Il miele d’oro, dolcissimo. La cera bianca, profumata. Il cibo per noi e la fiamma per la candela.

Le api ronzano intorno all’alveare. “Come vi affaccendate, api! Ma che cosa c’è di nuovo?”. “La regina ha deposto le uova. Molte, una per ogni celletta. Adesso, noi api operaie, dobbiamo fare molto miele per nutrire le larve che nasceranno tra poco. Il prato è smaltato di fiori nuovi; il giardino, le siepi, gli alberi da frutto ci offrono il nettare. Non dobbiamo perdere tempo”. Le api vanno e vengono dall’alveare ai fiori, dai fiori all’alveare. (Davanzato Scotti)

Un alveare è come una città. Una città di gente laboriosa. Ogni cittadino ha un compito. C’è la regina che depone le uova ed è la madre di tutte le api. Ci sono i fuchi e le operaie. A queste ultime spetta il compito di andare per i campi a raccogliere le provviste. Altre devono costruire le case, le celle. Altre ancora sono incaricate di accudire alle api bambine. Le operaie per strumenti di lavoro, hanno le spazzole e il cestello. Per fare la raccolta penetrano nei fiori, si coprono di polline e succhiano il nettare, il succo zuccherino che è nel calice. (M. Di Filippo)

Dall’apicoltore
Le api che si vedono entrare nell’alveare sono le api operaie. Esse volano da un fiore all’altro e, con le speciali spazzole delle zampe posteriori, raccolgono il polline, di cui si nutrono, e lo mettono in cestelli aperti nelle stesse zampe. In fondo al calice dei fiori succhiano una goccia dolcissima, il nettare, che inghiottono in una specie di stomaco detto mielario.
Giunte all’alveare rimettono il nettare, diventato miele, in ogni favo: sarà il nutrimento dei piccoli appena nati.
Intanto, altre api sono intente alla costruzione delle cellette di cera per il miele, altre hanno cura delle uova deposte dall’ape regina e sorvegliano che nessun estraneo venga a turbare la loro operosità.
Il maschio dell’ape si chiama fuco. In un alveare possono esservi anche quarantamila api operaie che vivono pochi mesi. L’ape regina mangia la pappa reale, depone le uova a milioni e vive quasi sei anni.
Questi insetti lavorano per tutta la buona stagione a produrre miele: da ogni arnia se ne possono ricavare 20 – 30 chili. I fiori offrono polline e nettare; le api contraccambiano il dono portando da una corolla all’altra un po’ di polline, indispensabile perchè, dai fiori, nascano i frutti.

Gli abitanti dell’alveare

L’ape operaia è piccola, di colore rosso bruno. Le sue zampe sono fornite di due palette ricurve, e di spazzole. L’apparato boccale è piuttosto complicato: vi sono due forti mandibole, per afferrare il materiale, e una proboscide che l’ape introduce nell’interno dei fiori. Inoltre, nell’ultima parte dell’addome, le api operaie hanno ghiandole che secernono la cera, e un acuto pungiglione, che esse estraggono solo in momento di pericolo.
I maschi, detti anche fuchi, sono più lunghi delle operaie, hanno ali che ricoprono tutto l’addome, e sono privi di palette e di pungiglione.
La regina è più grossa delle operaie, ma più piccola del fuco; le sue ali le ricoprono solo metà del corpo, e manca anch’essa di palette e di pungiglione.

Che cosa fanno

Alla regina è affidato il compito della deposizione delle uova. Ogni giorno ne depone più di trecento e durante tutta la sua vita più di mezzo milione.
Le operaie attendono infaticabilmente alla costruzione dei favi contenente le cellette, alla pulizia dell’alveare, alla raccolta del nettare che esse trasformano nel prezioso miele destinato, insieme con il polline, al nutrimento delle larve e della regina.
Quanto ai maschi, il compito loro assegnato è di unirsi con la regina, e ciò avviene una sola volta, nel volo nuziale.
Al ritorno dal volo la regina inizia la deposizione delle uova, mentre i maschi, non sapendo raccogliere ne il polline ne il polline, vengono considerati bocche inutili ed espulsi dalla comunità o addirittura spietatamente uccisi dalle operaie.

Ecco un’ape operaia di ritorno dal suo lungo viaggio di fiore in fiore: è primavera, ed essa è stata la prima ad uscire dall’alveare. Quest’ape è stata inviata in ricognizione dal grosso ed industrioso esercito di cui fa parte. Quando le compagne vedranno il carico di polline che essa reca con sè, imprigionato fra i lunghi peli dei cestelli, sulle due zampe posteriori, si affretteranno ad uscire: è venuto il momento di mettersi assiduamente al lavoro!

Un’ape su una rosa

In un cespuglio di rose, su una splendida rosa bianca, si posa un’ape, e vi rimane per parecchio tempo. Se la guardassimo bene, meglio se con una lente, vedremmo che l’ape ha allungato la sua proboscide tra i petali, la stende, la raccorcia, la ravvolge, la piega continuamente. Essa succhia dal cuore della rosa il polline, e lo posa sulla spazzola: da qui lo balza sulle palette e quindi, con l’aiuto delle tenaglie lo depone in un condotto, dal quale il succo passa nello stomaco. Ecco il primo stadio per la fabbricazione del miele.

Il miele nei favi

Il polline, passato per mezzo delle spazzole nelle palette delle zampe posteriori, viene introdotto nello stomaco dell’ape,  nella cosiddetta “borsa melaria”, dove il polline, al contatto coi succhi dell’ape, si muta in miele. All0ra l’ape piena di miele entra nell’alveare, rigurgita il miele dallo stomaco e con le zampe mediane lo spinge in una cella; un’altra ape lo comprime ben bene col capo, e, quando la cella è piena, viene chiusa con la cera.
Ma altre celle vengono lasciate vuote, perchè la regina vi depositerà le uova.

L’attività febbrile di un alveare

Nell’alveare si lavora, non c’è che dire. Api giungono dai campi, cariche di provviste, altre vanno a prenderne a loro volta: sono le predatrici. Ci sono le spazzine, che tengono pulitissime le celle da ogni elemento estraneo; le… becchine, che portano fuori i cadaveri; le guerriere, che lottano contro gli stranieri che vorrebbero invadere l’alveare; le sentinelle, che fanno buona guardia ed osservano attentamente le api prima di lasciarle entrare… Ognuna ha il suo posto, il suo incarico, il suo lavoro. E la regina? Quella non ha che un solo compito: fare le uova. Ha una vera guardia del corpo di operaie, che la spazzolano, la leccano, le presentano il miele con la loro proboscide, le risparmiano ogni fatica. Bisogna dire che in ogni arnia vi è una sola regina, mentre le operaie sono dalle quattro alle ventimila.

Le balie

Alle operaie più vecchie è affidato l’alto onore di custodire le uova e allevare le larve che ne usciranno. Infatti, appena la piccola larva si è schiusa dal guscio, ecco la sua balia pronta col cibo: miele e polline semidigeriti… Questo è il cibo destinato alle larve di operaie e di maschi; ma le larve di regina hanno un trattamento speciale. Vengono nutrite con la pappa reale, che è assai più densa e zuccherata del cibo apprestato alle altre larve, e ha il potere di aiutare la formazione e lo sviluppo delle uova. In cinque giorni, le larve diventano ninfe, che è lo stato di passaggio dalla larva all’insetto. Allora le balie chiudono le celle perchè le ninfe non mangiano; dopo sette giorni la ninfa depone le vecchie spoglie di larva e diventa insetto. Naturalmente, le giovani api vengono ancora aiutate dalle loro balie; crescono rapidamente e cominciano subito a lavorare.

Quanto vivono le api?

Le operaie, che hanno la vita più laboriosa, vivono meno: cinque o sei settimane in tutto. Solo quelle nate in autunno arrivano alla primavera successiva, e passano l’inverno ben chiuse nell’alveare, nutrendosi del miele conservato nelle cellette. La regina invece vive anche quattro o cinque anni. I maschi vivono al massimo tre mesi.

La sciamatura

Spesso, agli inizi della primavera, le nascite si nuove api sono sin troppo numerose ed accade che in un’arnia si trovino tre o quattro volte più api di quanto essa possa contenerne. Le api vi si trovano a disagio. Se fra i nati si trova una nuova ape regina, avviene allora la sciamatura. La vecchia ape regina,a capo di un numeroso gruppo di api, abbandona la vecchia casa. Il nuovo sciame va, di solito, a stabilirsi a poca distanza dall’arnia in cui viveva. L’ape regina si posa sul ramo di un albero e tutte le operaie si aggrappano a lei formando un grosso grappolo vivente.
Nei giorni seguenti le “api esploratrici” andranno in cerca di un luogo opportuno ove poter costruire i nuovi favi, ma prima che ciò avvenga, l’apicoltore cattura il nuovo sciame e provvede egli stesso a fornirgli una nuova casetta.

Insetti molto simili alle api: le vespe

Le vespe si distinguono dalle api perchè quando stanno a riposo ripiegano le ali superiori, che sembrano così strettissime, a differenza delle api che le tengono sempre larghe; inoltre le vespe hanno il corpo molto allungato.
Anche le vespe hanno femmine, maschi e operaie.
I loro nidi sono un’opera perfetta di costruzione, di ordine, di pulizia: hanno forma ovale o sferica e sono muniti di una porta di ingresso e di una porta di uscita; generalmente sono formati da quindici o sedici favi, distribuiti in piani.
L’aculeo delle vespe ha, alla base, una borsetta piena di veleno. Questa è la ragione per cui la puntura di vespa può essere pericolosa.
Quando viene l’inverno, tutte le vespe muoiono, ad eccezione di alcune femmine più forti.

Come costruiscono il loro nido le vespe?

Il nido delle vespe comuni è di materia grigia, durissima, che sembra un grosso cartone. Come è ottenuto questo cartone? Le vespe, con le forti mandibole, tagliuzzano dei vegetali e, lavorandoli con la saliva, ottengono un impasto duro e resistentissimo, simile appunto al cartone.

Di cosa si nutrono le vespe?

Le vespe sono ghiotte di miele e di materie zuccherine, ma si cibano anche di frutta, di carne cruda, e perfino di piccoli insetti vivi che incontrano nei loro voli.

Le api

Il sole ha fatto uscire dalle loro casette di legno le api. Il loro ronzio risuona nel silenzio della campagna. Sempre in movimento, volano di corolla in corolla per tornare all’alveare cariche di nettare. Nessuna ozia: se potessimo entrare nella loro casina, vedremmo che ognuna di esse ha un proprio compito, un lavoro che compie diligentemente: costruiscono cellette, tengono pulito ogni piccolo spazio, nutrono le larve e la grande regina e… funzionano da ventilatori per mantenere all’interno sempre la stessa temperatura.

Uno sciame d’api

Che è questa musica, che sembra sgorgare, grave, dal cuore del ciliegio, come da un violoncello magico, e gli vibra intorno, senza uscire dalla cerchia dei rami in fiore?
E’ uno sciame d’api. Da dove vengono? Forse dagli alveari che sono nell’orto del curato, poco discosto da qui. Le ha chiamate odore di cibo dolce, odor d’aprile. Svolano, ronzano intorno ai fiori, vi si attaccano, ne cercano e ne estraggono il nettare, splendendo si e non nel vibratile corsaletto d’oro e d’ambra. Le une fanno ciò che fanno le altre: un’unica intesa le guida, le rende strumenti di perfetta orchestra. (A. Negri)

Bestioline operose

Dentro alle arnie lavorano le api. Vivono in grande armonia fra loro. Le api operaie sono sempre all’opera: chi va in cerca del dolce succo nei fiori, chi resta a casa a costruire i favi. Chi fa pulizia, chi prepara il cibo ai piccini e alla regina, chi scalda le covate e chi porta via i morti.  Soltanto l’ape regina, che è più grossa delle altre, vive da… regina! E non fa nulla? Depone migliaia di uova…
Dagli alveari si ricavano due sostanze utilissime: miele e cera. (G. Lipparini)

L’alveare

Un alveare è come una città. Una città di gente molto laboriosa. Ogni cittadino ha un compito.
C’è la regina che depone le uova ed  è la madre di tutte le api. Ci sono i fuchi e le operaie. A queste ultime spetta il compito di andare nei campi a raccogliere le provviste. Altre devono costruire le case, le celle. Altre ancora sono incaricate di accudire alle api bambine.
Le operaie, per strumenti di lavoro, hanno le spazzole e il cestello. Per fare la raccolta penetrano nei fiori, si coprono di polline e succhiano il nettare, il succo zuccherino che è nel calice. (M. Di Filippo)

Le api si fabbricano l’alveare

L’alveare è formato da celle a forma di prisma esagonale, dette favi, e formate con la cera secreta da ghiandole dell’addome. Ma come hanno fatto a costruire una casa così perfetta e regolare? Le api provviste di miele si allacciano tra loro per mezzo delle zampe posteriori e anteriori, e formano così lunghe catene, disposte a festoni. In tale posizione, le api segregano facilmente la cera, che si consolida in scagliette che esse, con le mandibole, trasportano per farne le cellette: più piccole per le operaie; più grandi per i maschi; più grande di tutte, a forma di ghianda, è la cella della regina.
Ogni cella viene chiusa poi con un coperchietto di cera, sia che debba servire da deposito di miele o alla custodia per le larve. Gli eventuali buchi o fessure che risultassero nell’arnia, vengono chiusi con propoli, sostanza vegetale, che si solidifica e forma una specie di cemento. Qualche volta capita che una limaccia o una chiocchiola riesca a penetrare nell’alveare. Le api, furibonde, le sono addosso: con forti punzecchiature al capo la uccidono.
Per la chiocchiola, basta otturare con propoli il buco del guscio. La limaccia, che non ha guscio, si corromperebbe, infestando così l’aria dell’alveare. Ma le industriose operaie trovano subito il rimedio. La limaccia è troppo grossa per portarla fuori: esse allora le fanno una vera imbalsamatura, coprendola con propoli, in modo che  è tolto ogni pericolo che l’aria diventi infetta e possa nuocere alla vita dei pacifici insetti.

Il favo

Il favo è una costruzione a celle che le api operaie preparano per ospitare le uova che la regina depone e per custodire il miele. E’ interamente fatto di cera. Per costruire il favo le giovani api che eseguono questo lavoro iniziano la costruzione dall’alto, fissando le prime squamette di cera al soffitto dell’arnia; in questo modo esse sono certe che la costruzione riuscirà ben verticale.
Una di esse prende con le zampe posteriori la cera che le trasuda dall’addome, la porta alla bocca, la impasta e la attacca ad un punto del soffitto. Un’altra ape compie lo stesso lavoro e pone la sua pallottolina di cera vicino a quella fissata dalla prima compagna. Una terza la segue e così di seguito, col lavoro di migliaia di api, si viene formando il favo. Il meraviglioso è che la costruzione, eseguita da un numero così grande di lavoratori, ognuno dei quali non fa altro che avvicinarsi all’opera, collocare il proprio “mattoncino” ed andarsene, riesca tanto perfetta ed esattamente calcolata in tutte le sue parti. I matematici hanno accertato che non sarebbe possibile costruire un edificio altrettanto solido, con maggior spazio disponibile per le covate e per la conservazione del miele, consumando una minor quantità di cera.
Infatti un famoso entomologo francese, Antonio Ferchault di Réamur, formulò un problema rimasto famoso sotto il nome di “Problema delle api”; esso diceva:
“una cella a sezione esagonale regolare è terminata da tre rombi uguali ed ugualmente inclinati; calcolare l’ampiezza dell’angolo minore dei rombi perchè la superficie totale della cella sia la minor possibile”.
Tre grandi matematici, un tedesco, uno svizzero e un inglese, si cimentarono nella soluzione del quesito ed il risultato fu 70° 32′, esattamente la misura che le ingegnosissime api applicano nella costruzione delle loro celle!
L’uomo più sapiente non potrebbe suggerire nessuna modifica o miglioria alle api, nella costruzione della loro casa.
Accade che le api inizino la costruzione di un favo in più punti del soffitto di un’arnia. Si formano così due o tre favetti che poi, progredendo il lavoro, si saldano fra loro. Ebbene, le celle dei punti di congiunzione risultano anch’esse perfettamente esagonali ed uguali alle altre; ciò significa che le api non hanno scelto a caso i vari punti di inizio del lavoro, ma hanno minuziosamente calcolato le distanze, prevedendo fin dall’inizio  i punti di incontro, nel vuoto, dei vari favetti.
Come le api eseguano questi calcoli è un mistero.

Il bottino

Le api hanno bisogno di tre tipi di nutrimento: il polline, il nettare e l’acqua.
Il polline è il nutrimento di cui l’ape ha bisogno nei primi giorni della sua vita, quando è allo stato di larva.
L’ape bottinatrice non mescola mai, durante il raccolto, qualità diverse di polline nelle cestelle delle sue zampe; fino a quando esse non sono colme, l’ape visita sempre la stessa specie di fiori. Ciò è di grande importanza per i fiori che, per la loro impollinazione, si servono dell’opera delle api.
Il polline raccolto dalle bottinatrici viene sistemato dalle giovani api che svolgono il servizio interno in celle vicine a quelle occupate dalle larve, pronto per essere distribuito.
Il nettare è il nutrimento dell’ape adulta e, trasformato in miele, diviene un cibo di riserva. Tenendolo nell’ingluvie o borsa melaria, l’ape lo trasporta nell’arnia. Già durante questa breve permanenza nel corpo dell’ape, il nettare comincia a trasformarsi in miele.
Giunta all’arnia, l’ape verse il nettare nell’ingluvie delle giovani api, le quali provvedono a raccoglierlo in celle che vengono sigillate con cura.  Stagionandosi, il nettare dei fiori si trasforma definitivamente in miele; allora le api vi inoculano una piccola quantità del loro veleno, il quale ha la proprietà di renderlo inalterabile anche col trascorrere di lunghissimo tempo.
Un’ape può trasportare in media, in un volo, 50 mg di nettare. Calcolando la lunghezza media di un volo in 2 km e mezzo, si ha che per raccogliere un chilo di miele occorrono circa 40.000 voli, per un totale di 100.000 km. Eppure un buon alveare nel periodo della più intensa fioritura può ammassare, in un sol giorno, anche 10 kg di nettare.
Anche l’acqua è un alimento indispensabile all’alveare, soprattutto per preparare la pappa per le larve; anch’essa viene raccolta dalle bottinatrici e trasportata all’arnia nelle loro ingluvie. Le bottinatrici, divise in gruppi, si occupano di tutte queste raccolte; le giovani api, adibite ai lavori interni, le avvertono di volta in volta, se al momento occorra più polline, o nettare, o acqua; ma gli entomologi non sono ancora riusciti a scoprire come vengono trasmesse queste comunicazioni.

Il naso delle api

Le api impediscono agli estranei l’accesso nei loro nidi e non solo ai predoni, ma anche alle api di altri alveari. Si suppone che si riconoscano grazie all’olfatto. Sembra ormai accertato che ogni alveare possieda un odore speciale, per mezzo del quale le api dello stesso nido riescono a riconoscersi. Se un’ape sperduta cerca di penetrare in un alveare forestiero, essa viene subito accolta ostilmente e, se non si allontana, viene trafitta dal pungiglione delle legittime proprietarie di nido. Qualche volta succede che un’ape, di ritorno da un abbondante raccolto, col gozzo pieno di nettare, sbaglia casa e viene assalita dalle altre api. Allora sporge la proboscide e lascia gocciolare il dolce succo, che viene avidamente leccato dalle padrone del nido le quali, dopo questa specie di pedaggio, lasciano libero l’ingresso alla forestiera.
L’esistenza e l’importanza di un odore tipico delle api di uno stesso alveare vengono inoltre dimostrate dalle osservazioni che si sono fatte al tempo della sciamatura.
Quando uno sciame abbandona l’alveare, si dà quasi sempre il caso che esso si aggrappi e resti appeso su quel ramo sul quale uno sciame dello stesso alveare si era precedentemente collocato e dove l’apicoltore lo aveva raccolto.
Si è potuto provare che nemmeno una pioggia abbondante riesca ad allontanare quell’odore caratteristico.
Dov’è situato il naso delle api? O meglio, dove risiedono gli organi dell’olfatto? Possiamo dirlo con tutta sicurezza: sulle zampe. E nelle zampe si trovano pure le orecchie, o, meglio, l’apparato uditivo. (A. Canestrini)

Lo sciame

Ecco la prima tappa dello sciame, detta “sciame primario”, alla testa del quale si trova sempre la vecchia regina. Si ferma, d’ordinario, sull’albero o arbusto più vicino all’arniaio, giacchè la regina, appesantita dalle uova e non avendo riveduto la luce fin dal suo volo nuziale o dallo sciamaggio dell’anno precedente, esita ancora a slanciarsi nello spazio, e sembra aver dimenticato l’uso delle ali.
L’apicoltore aspetta che la massa delle api si sia ben agglomerata. Poi, coperto il capo d’un largo cappello di paglia, (giacchè l’ape più inoffensiva mette fuori inevitabilmente il pungiglione quando si impiglia nei capelli o si prede presa in trappola), senza maschera e senza velo, se ha esperienza, dopo aver immerso nell’acqua fredda le braccia nude fino al gomito, raccoglie lo sciame scuotendo vigorosamente al disopra di un’arnia capovolta il ramo che lo porta; e allora il grappolo vi cade pesantemente come un frutto maturo.
Ovvero, se il ramo è troppo forte, con un cucchiaio attinge dal mucchio colme cucchiaiate viventi e le sparge ove gli piace, come farebbe del grano. Nè deve temere le api che gli ronzano attorno e gli coprono in folla le mani e il viso: egli ascolta il loro canto di ebbrezza, che non somiglia al loro canto di collera. E nessun timore che lo sciame si divida, si irriti, si dissipi o scappi. L’ho detto: quel giorno le misteriose operaie hanno un’aria così festosa e fidente, che nulla potrebbe alterare; sono inoffensive per troppa felicità, sono felici senza che si sappia perchè: eseguono la legge.
Lo sciame resterà dov’è caduta la regina; e, fosse pure caduta sola nell’alveare, appena avvertita la sua presenza, tutte le api, in lunghe file nere, dirigeranno i loro passi verso la dimora materna. E mentre la più parte vi penetra in fretta, una moltitudine di altre, arrestandosi un istante sulla soglia delle porte sconosciute, vi formeranno circoli d’allegrezza solenne, con i quali usano salutare gli avvenimenti felici. Esse “battono a raccolta”, dicono i contadini. In un batter d’occhio, il ricovero che non speravano è accettato ed esplorato nei minimi nascondigli; la sua posizione nell’arniaio, la sua forma, il suo colore sono raffigurati e iscritti in migliaia di piccole memorie prudenti e fedeli. I punti di riferimento dei dintorni sono attentamente notati; la nuova città esiste già tutta intera in fondo alla loro immaginazione coraggiosa, e il suo posto è fissato nel cervello e nel cuore di tutti i suoi abitanti: s’ode riecheggiare nei suoi muri l’inno d’amore della presenza reale; e il lavoro comincia. (da M. Maeterlinck, La vita delle api).

Il linguaggio delle api

Le api hanno possibilità di comunicare fra di loro per informarsi l’un l’altra sulla località in cui si trova il cibo o sull’imminenza di un pericolo. Possiedono un linguaggio che si esprime attraverso figure tracciate col volo.

I nemici delle api

Molti sono i nemici delle api; e, nonostante tutta la loro attenzione e la loro perspicacia, a volte le api restano ingannate.
C’è, per esempio, la farfalla detta “testa di morto” che sa entrare nell’alveare simulando il ronzio dell’ape regina e ingannando così le sentinelle che stanno alla porta. Per premunirsi contro le incursioni di questo loro nemico, le api costruiscono un muro interno contro la porta, in modo che possono entrare le api, ma non gli insetti più grossi.
Se alla porta si presenta un’ape di un altro alveare, viene uccisa o cacciata, a meno che non porti miele, nel qual caso viene ben accolta.
A volte è una grossa chiocciola che entra tranquilla, sfidando i pungiglioni. Allora le api, che non ce la vogliono viva, la murano dentro il suo guscio, con un bel coperchio di cera, che lo tappa ermeticamente; così la chiocciola muore, se non è morta prima a forza di punture…
Se per caso il guscio della chiocciola è screpolato, lo rivestono tutto di cera affinchè nessuna cattiva esalazione venga dal cadavere chiuso nel nicchio.

Le api e il contadino (racconto)

Un contadino scozzese aveva una bella fattoria. In essa allevava cavalli, mucche, pecore, galline, conigli d’ogni sorta ed anche api. Perdeva veramente molte ore davanti alle arnie, però, in compenso, si poteva vantare di ottenere il miele più buono di tutto il vicinato, e moltissima cera.
Un giorno poi le api gli resero un gran servigio.
Egli stava presso gli alveari; con la vanga rimuoveva la terra nella quale avrebbe poi deposti semi da fiori; le api laboriose ronzavano; lavorava il contadino, lavoravano tranquille anch’esse; nessuna poi avrebbe mai cercato di pungere il padrone. Ma ecco che questi, rialzando il capo dalla vanga, si vide davanti tre sconosciuti armati di coltello che gli gridavano con voce minacciosa di consegnare tutto quanto aveva con sè.
Il contadino era un uomo forte e calmo. Si portò qualche passo indietro, davanti alle arnie: “Ho poco denaro con me” disse, “a signori come voi, vorrei consegnare qualcosetta di più…”
“Poche chiacchiere”
“E’ giusto, poche chiacchiere… e fuori i denari…” fece il contadino e, con la vanga, con mossa rapida, rovesciò di colpo una dozzina di  arnie.
Gli sciami, disturbati e inferociti, si levarono come una nube e si precipitarono non certo sul contadino, ma su quei tre figuri a cui non restò che darsela a gambe. Le api li inseguirono e dove poterono arrivare con i loro pungiglioni, si piantarono terribili.
Rossi, sfigurati, confusi; con mani, facce, colli gonfi e doloranti, i tre sciagurati non si poterono nascondere. La polizia li rintracciò facilmente, li fece medicare per bene, poi li passò dall’ospedale alla prigione che avevano meritata.
Il contadino riordinò le arnie con pazienza; ne ebbe più cura di prima. Ma si comprò anche un buon cane da guardia.

Dettati ortografici LE API E LE VESPE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

GLI ANIMALI DEL PRATO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici PRIMAVERA – Gli animali del prato. Una collezione di dettati ortografici sul tema “gli animali del prato e la primavera”, di autori vari, per la scuola primaria.

I cantori del prato
Non sono gli uccelli che preferiscono le verdi chiome degli alberi, ma le cavallette, i grilli. Quanto alle cicale, esse vivono un po’ sull’albero, un po’… sotto. Cavallette e grilli cantano preferibilmente di notte, le cicale alla luce solare. Ma è un canto per modo di dire, perchè la loro voce non è altro che la vibrazione di un organo speciale e non ha nulla a che fare con il canto.

Le cicale

Cominciano agli ultimi di giugno, nelle splendide mattinate; cominciano ad accordare in lirica monotonia le voci argute e squillanti. Prima una, due, tre, quattro, da altrettanti alberi; poi dieci, venti, cento, mille, non si sa di dove, pazze di sole; poi tutto un gran coro che aumenta d’intonazione e di intensità col calore e col luglio, e canta, canta, canta, sui capi, d’attorno, ai piedi dei mietitori. Finisce la mietitura, ma non il coro. Nelle fiere solitudini sul solleone, pare che tutta la pianura canti, e tutti i monti cantino, e tutti i boschi cantino…
(G. Carducci)

Animali del prato
Se guardiamo fra le erbe del prato, che brulichio di insetti, che viavai d’animaletti frettolosi, affaccendati, impauriti! Formiche, vespe, calabroni, farfalle e, nei buchi del terreno, i grilli canterini che fanno compagnia ai lombrichi aratori!

Il grillo
E’ l’ora in cui stanco di vagare l’insetto nero torna dalla passeggiata e rimedia con cura al disordine della sua tana. Dapprima rastrella i suoi stretti viali di sabbia. Poi fa un po’ di segatura che sparge sulla soglia del suo rifugio. Lima la radice di quella grande erba che gli dà fastidio. Si riposa. Poi carica il suo orologino. Ha finito? O l’orologio si è rotto? Di nuovo si riposa un po’. Rientra in casa e chiude la porta. A lungo gira la chiave nella delicata serratura. Sta in ascolto. Fuori, nessun allarme. Ma lui non si sente sicuro. E come una lunga catenella, la cui carrucola stride, scende in fondo alla terra.  Non si sente più nulla. Nella campagna muta, i pioppi si drizzano come dita nell’aria e indicano la luna.
(J. Renard)

Il maggiolino
Che disastro quando un bosco è invaso da questi formidabili distruttori! Non resta nemmeno una foglia, nemmeno una gemma. Tutto è sparito dentro il vorace stomaco di questi animaletti… ma per fortuna il maggiolino ha dei nemici: se si lascia ingannare dal sole invernale, sale sulla superficie, e qui il gelo sopravvenuto lo uccide. Se il contadino ara o zappa il terreno, mette allo scoperto le grosse larve bianchicce e allora che festa per le cornacchie, gli storni, le galline e tutti i pennuti che vanno a caccia di insetti!

Libellule, cicale, cavallette
Molte specie d’insetti infestano le nostre campagne. Alcuni, come la libellula, ci sono indirettamente utili perchè si cibano delle larve degli altri insetti. Altri, come la cicala, il grillo e la cavalletta, sono i gentili cantori dei prati. La cicala produce il suo stridulo canto mediante uno speciale apparato costituito da un insieme di membrane che, contraendosi e vibrando, producono la caratteristica risonanza. La cavalletta, quando è riunita in sciami numerosi, può produrre incalcolabili danni alla vegetazione.

Il maggiolino

E’ un insetto dal formidabile apparato masticatorio e dalle ali anteriori rigide, dure, le quali coprono quelle posteriori, membranose. Sotto le ali è nascosto il corpo dell’insetto: parte del torace e l’addome.
I maggiolini adulti fanno la loro apparizione in maggio: donde il nome. Appena la femmina ha posto le uova in un buco del terreno, muore. Qualche settimana dopo, dall’uovo si schiude una larva senza ali, fornita di sei zampe, la quale comincia a scavare lunghe gallerie sotterranee, nutrendosi delle radici che incontra. Si nutre e ingrossa notevolmente, per un periodo di tre anni. Allora la larva si nasconde in fondo ad una galleria e diventa ninfa.
Nel mese di settembre, la ninfa diventa insetto adulto. Ma ormai si avvicina l’inverno, e il giovane maggiolino rimane ancora sotto terra, fino alla primavera seguente. A primavera, i maggiolini assaltano gli alberi e divorano tutte le gemme, le foglie, gli arbusti teneri. Per fortuna, questa invasione avviene solo ogni tre o quattro anni, altrimenti poveri alberi!

La cavalletta

Il prato è una festa di colori. Le farfalle si posano con grazia sui fiori. Le cavallette invece non conoscono la cortesia. Prendono le misure e poi spiccano i loro grandi salti.
Guardiamo le tre parti del corpo della cavalletta. La testa ha due lunghe e sottili antenne e due occhi che guardano con fissità.
La cavalletta mangia foglie, steli e insetti tagliandoli con organi che assomigliano a una pinza. Il torace della cavalletta è sostenuto da due zampe.
Le due ali anteriori sono abbastanza dure e resistenti. Le due ali posteriori sono sottili e trasparenti. Quando una cavalletta è in volo, tutte e quattro le sue belle ali sono spiegate come le vele di un’antica nave, ma soltanto le ali posteriori si muovono e fanno da motorino.
L’addome non ha nè ali nè zampe: è formato da tanti anelli. La cavalletta non ha uno scheletro, ma il suo corpo è ugualmente protetto dalla pelle, che lo difende come una corazza.
La cavalletta respira con l’addome, ai cui lati si aprono alcuni forellini.
Le cavallette dell’Italia del Nord sono in piccolo numero e poco adatte al volo; nell’Italia insulare e nell’Africa si formano immensi sciami, che percorrono in volo centinaia di chilometri. Dove si posa questa nuvola di cavallette, ogni raccolto è divorato, distrutto.

Il grillo campestre

Al canto delle cicale si unisce, in campagna, e continua anche nelle serene notti d’estate, il canto del grillo.
Dapprima è un grillo solo, che lancia nell’aria la sua nota vibrante: cri, cri, cri… Poi un altro lo imita, poi un altro ancora: in breve, tutta l’orchestra è in azione,e la sinfonia si alza nel cielo.
Il grillo depone le sue uova, gialle, cilindriche, in un nido che è una meraviglia di meccanica. Immaginate un piccolo astuccio, aperto in alto da un foro circolare che funziona da coperchio. Quando il grillino si è formato, dà un colpo con la testa al coperchio, che si apre di scatto, come in certe scatole dalle quali, premendo una molla, scatta fuori il diavoletto. L’uovo rimane col coperchio appeso all’imboccatura. Il grillo cerca un rifugio sotto terra, dove passa l’inverno. Sotto terra è di colore pallido; e lavora attivamente, con la mandibola e con calci, e si fa strada nel terreno. Finalmente ne esce, e allora diventa di colore scuro. Corre intorno rapidamente, in cerca di cibo. E’ piccolo come una pulce, e le formiche ne fanno grande strage. In agosto è tutto bruno, e si è fatto un po’ più grandicello. Vive al riparo di una foglia morta, si scava la tana: zappa con le zampe anteriori, e con le posteriori spinge indietro il materiale. Entra nella terra, e ogni tanto torna fuori, a buttar via i detriti. Quando è stanco, si ferma sulla soglia della sua piccola tana, tenendo fuori la testa, le cui antenne vibrano continuamente.

La musica del prato

Esseri mostruosi dotati delle armi più potenti, più strane, più complicate; armati di veleni, di gas, di radar, di antenne; esseri mostruosi per la loro forza si aggirano in una intricata foresta dove è sempre in agguato la morte: questo è il prato. Eppure, tra tante lotte, c’è chi canta: il grillo. Come suona? Le due elitre (ossia le due ali anteriori) posseggono una nervatura marginale, rafforzata e dentata che rappresenta l’archetto, seguita da un’altra parte detta cantino. L’archetto dell’ala destra sfrega contro il cantino dell’ala sinistra e viceversa. Ne risulta quel dolce cri cri metallico.
Dove c’è musica, ci sono orecchie pronte ad ascoltarla: i grilli hanno le orecchie sulle zampe anteriori, come le locuste, così come gli altri animali le hanno nei punti più alti del loro corpo.

Cantano i grilli

Cantano cantano i grilli! La loro voce si spande per la campagna come un inno di gioia e dai rami rispondono gli uccelli. Il sole benefico ha maturato le messi; i campi di grano sono biondi come l’oro. Presto le spighe verranno recise e raccolte in covoni. Un bel giorno arriverà sui campi la trebbiatrice, la macchina miracolosa che separa i chicchi dalla pula e dalla paglia. Allora al canto dei grilli si unirà l’inno gioioso degli uomini.
(A. Stalli)

L’utile coccinella

La coccinella comune, riconoscibilissima per avere il corpo di forma quasi emisferica e le elitre di un bel colore rosso vivo con sette puntini neri, è uno degli insetti più utili all’agricoltura, in quanto, allo stato di larva, distrugge enormi quantità di parassiti delle piante coltivate, specialmente di afidi, noti più comunemente col nome di pidocchi delle piante.

Lucciola

E’ sera: brillano in cielo le stelle, ma anche sulla terra brillano ad intervallo qua e là delle piccole luci tremolanti: sono le lucciole, minuscole lampade viventi. Come tali insetti producono questa luce?
Essa viene emessa da due organi luminosi piatti che si trovano nell’addome e che appaiono come macchie bianche. Le lucciole accendono e spengono a piacimento il loro lumino. Se ne stanno nascoste fra i cespugli che appaiono illuminati da una luce tenue: non appena però avvertono un pericolo smorzano il lume: ecco perchè quando qualcuno le cattura esse non emanano più luce.
Sverna riparata sotto le pietre, fra le radici degli alberi o fra foglie secche.

Il ragno
Un bimbo, mentre passava vicino a una siepe, ruppe con la sua frusta una grossa tela di ragno. “Bravo!” – disse subito il ragno con una voce stizzita – “Ti vorrei vedere, però, a rifare questa tela!”. Il ragno aveva ragione: è più facile disfare che fare.
(G. Fanciulli)

Le lucertole
Serbiamo il nostro rispetto anche alle lucertole, che, come tanti animali, sono le cacciatrici d’insetti, quindi di aiuto all’uomo. Chi non conosce la lucertola grigia, delle muraglie assolate? Spia le mosche, rovista da un buco all’altro per afferrare ogni insetto che passi. E’ la protettrice delle siepi e delle piante rampicanti. La vediamo distendersi al sole, immobile, ma al minimo rumore sparire, tornare, ripiegarsi su se stessa, infilarsi rapida in un crepaccio.
(E. Fabre)

Animali del prato

Nel prato volteggiano le farfalle: farfalle bianche, variamente colorate, leggiadre, ma tutte indistintamente dannose. Sono utili solo indirettamente per l’impollinazione dei fiori.
La cavalletta, che deve questo nome alla forma della testa che assomiglia a quella del cavallo, e forse anche alla sua abilità nel fare i salti, può distruggere i raccolti in quelle zone dove si abbatte in foltissimi sciami. Osserviamo le sue zampe posteriori e ci renderemo conto del perchè può fare dei salti così alti. Anche gli altri animali saltatori (rana, canguro, coniglio, lepre) hanno le zampe posteriori molto più lunghe delle anteriori.
Il grillo dei prati, o grillo canterino, è nero con una macchia chiara sul dorso. Un suo cugino abita anche sotto le pietre dei caminetti, nei forni, nei granai. Il suo tremulo canto si leva nelle notti serene.
Amante del sole è invece la cicala, che stordisce col suo canto nelle calde giornate di agosto. Quello che canta è soltanto il maschio, mentre la femmina si limita a deporre le uova entro un foro che ha scavato, con uno speciale succhiello, nel tronco di un albero.
Dopo qualche tempo nascono le larve che scendono dall’albero e vanno a nascondersi nel terreno dove vivono qualche anno succhiando gli umori delle radici. Infine tornano sugli alberi dove, dalla pelle che si spacca, esce l’insetto perfetto.
Le voci di questi insetti hanno diverse denominazioni: zirlare, frinire, cantare, ma è singolare che non si tratta di voce nel senso proprio della parola. Essi posseggono un organo vibratorio, una specie di cassa armonica nel torace o nell’addome, con cui riescono a produrre quelle vibrazioni che comunemente chiamiamo canto.

Gli insetti

Gli insetti sono tutti fuori. Alcuni di essi hanno compiuto le loro metamorfosi e ora volano di fiore in fiore, per succhiarne la goccia di dolcissimo nettare, nascosta in fondo ad ogni calice. Sono farfalle, vespe, api, calabroni. E dappertutto si sente un ronzio sonoro che sembra la voce stessa della primavera.

Animali del prato

Quante minuscole vite si agitano fra le erbe del prato! Intere tribù di coleotteri bruni, verdi, con le elitere screziate o cangianti; cavallette dalle lunghissime zampe, coccinelle con il grazioso vestito rosso a puntini neri, bruchi che sbucano dalla terra, lenti e molli, grossi scarabei affaccendati a far pallottole e infine, interi eserciti di insetti quasi invisibili. Più in alto, altri insetti volano instancabilmente a visitare i fiori: farfalle bianche e colorate, api frettolose, vespe ronzanti e stizzose, bombici rumorosi. E ognuna di queste piccole vite, che forse noi distruggiamo con indifferenza, racchiude un miracolo di perfezione e di amore.

Animaletti

Le api, irrequiete e vivacissime, passavano dall’uno all’altro fiore facendo bottino di polline e di nettare; le vespe andavano tagliando, coi loro strumenti da falegname, il legno per fabbricare la loro casa; i neri calabroni rodevano le corolle per cavarne fuori i pistilli. Un mondo di piccoli coleotteri mangiava allegramente i petali; e ognuno di essi aveva scelto il suo fiore prediletto. Quanto brulichio, quanto movimento, quanta attività!
(P. Mantegazza)

Il maggiolino

Uno dei flagelli più temibili dell’agricoltura è il  maggiolino, piccolo grazioso insetto, che divora le foglie di molti alberi e specialmente degli olmi.  Negli anni in cui  i maggiolini sono poco numerosi, non si scorgono quasi i loro danni; ma se appaiono in più legioni sterminate, si vedono intere parti di giardino o di bosco del tutto spoglie di verde e che, nel cuore dell’estate, offrono aspetti di un paesaggio invernale.
Di solito gli alberi così devastati non muoiono: a stento però riprendono l’antico vigore e quelli dei frutteti non danno frutti per un anno o due.
(L. Figuier)

La larva del maggiolino

E’ un grosso verme panciuto, dall’andatura pesante, di colore bianco con la testa giallastra. Le sei zampe gli servono, non già per correre alla superficie del suolo ma per strisciare sotto terra. Le forti mandibole sono adattissime a trinciare le radici delle piante. La sua testa, onde scavare con maggior vigore, ha per cranio una calotta di corno. L’alimento che appare in nero, attraverso la pelle del ventre, lo appesantisce tanto che non può stare sulle gambe e si corica indolentemente sul fianco.
(H. Fabre)

La cavalletta

Che sia il carabiniere degli insetti? Tutto il giorno salta e si accanisce sulle tracce di altri insetti che non riesce mai a prendere… Le erbe più alte non la fermano. Nulla la spaventa, perchè ha gli stivali delle sette leghe, il collo del toro, la fronte geniale, le ali di celluloide, due corna diaboliche…
Ma a sera… a sera caccia per davvero: fa il suo pasto più prelibato. Povere lucciole! Col loro lumino si tradiscono e si fanno prendere e sventrare.

La libellula

Tra canne e salici, che circondano lo specchio d’acqua scintillante al sole, s’affaccendano in agile volo grosse libellule: volteggiano al disopra dell’acqua e si posano sulle punte delle canne e dei giunchi, mettendo in mostra i loro esili capi azzurri o verdastri. Le libellule vivono esclusivamente di preda. Nel loro rapido volo, esse afferrano la vittima nell’aria, un piccolo insetto e cominciano subito ad addentarla.
(A. E. Brehm)

La mantide guerriera

Con le zampette anteriori sollevate come se stesse pregando, la bellicosa mantide resta a lungo immobile. Una cavalletta, ignara del pericolo, le si avvicina.  Fulminea, la mantide affonda i suoi pungiglioni acuminati nel corpo della vittima. La tiene stretta tra le sue zampette seghettate e la divora. Le mantidi nascono battagliere. Incominciano a bisticciare e a combattere tra di loro prima di mettere le ali.  Qualche volta esse combattono fino alla morte. Alla fine dell’estate, le femmine danzano la danza della morte davanti ai maschi. Poi piombano loro addosso e li uccidono.

La lucciola

Nella quieta oscurità della notte c’è un lumicino che s’alza, scende, vaga sul prato, scompare, riappare sulla siepe, s’allontana… Ora guizza sul ruscello, ora gira sull’aia; si direbbe una stellina vagabonda, venuta a danzare sul prato ove grilli e ranocchi hanno intonato il loro concerto notturno.
Invece non è che una luccioletta che esce a godersi il fresco della notte e si rischiara la via col suo lumicino.
(A. Buzio)

Insetti luminosi

Gli indigeni di alcune regioni dell’America tropicale hanno a loro disposizione un mezzo molto economico per illuminare la notte: si servono infatti di un insetto, il piroforo, che emette luce vivissima.
La sua luce è di due colori diversi: dal torace traspare un bel verde, mentre l’addome risplende di luce arancione.
Molto più modeste sono le lucciole europee, il cui bagliore biancastro, emesso dall’addome, serve solo a punteggiare i prati estivi come per una fantastica fiaccolata.

Lucciole

Nel nero della notte non si distingue più il campo di grano; ma, nel buio, come se caduto dal cielo rimasto deserto, ecco un vortice di piccole stelle inquiete. Le lucciole! A milioni palpitano sulla distesa delle messi addormentate. Vagano, alte e basse, si accendono  e si spingono fra i rami, piombano come gocciole d’oro tra l’erba muta. Lontano, dal bosco, i gorgheggi dell’usignolo, il canto dei ranocchi; nell’aria calda e quieta il profumo possente del fieno maggese; e giù per la strada invisibile, una voce di bimbo scoppia all’improvviso:
“Lucciole lucciole dove andate?
Tutte le porte sono serrate,
sono serrate a chiavistello
con la punta del coltello…”
Si commuove questa voce chiara della nostra infanzia, dei nostri cari giorni perduti:
“Lucciola, lucciola, vieni da me
io ti darò il pan del re,
il pan del re e della regina,
lucciola, lucciola piccolina…”.
(A. Soffici)

Libellule, cicale e cavallette

Molte specie di insetti infestano le nostre campagne. Alcuni, come la libellula, ci sono indirettamente utili perchè si cibano delle larve degli altri insetti. Altri, come la cicala, il grillo e la cavalletta, sono i cantori dei prati. La cicala produce il suo stridulo canto mediante uno speciale apparato costituito da un insieme di membrane che, contraendosi e vibrando, producono la caratteristica risonanza. La cavalletta, quando è riunita in sciami numerosi, può produrre incalcolabili danni alla vegetazione.
(M. Menicucci)

Le palline dello scarabeo

Lo scarabeo stercorario sembra che si diverta ad arrampicarsi su piccoli mucchietti di terra e poi ruzzolare giù. Questi scarabei sono anche tenaci lavoratori e hanno una gran cura delle loro uova. La madre e il padre ammucchiano dei pezzi di sterco fresco di pecora e, modellandoli con le loro zampette, ne fanno una pallottolina grassa come una pillola. Nel centro della palla la madre depone un uovo. Poi, camminando entrambi all’indietro, la fanno rotolare sul terreno, il padre spingendo e la madre tirando. Man mano che la palla rotola, la sabbia del terreno forma intorno ad essa una crosta dura. Allora la madre scava una buca, e i due scarabei vi fanno discendere la palla. Quando l’uovo si aprirà, l’insetto appena nato potrà nutrirsi con le provviste di cibo contenute nella palla. La madre e il padre possono così lasciarlo al sicuro e ricominciare a lavorare per un altro uovo.

Un nido sotterraneo

La femmina del grillotalpa si serve delle sue forti zampe anteriori per scavarsi una tana come fa la talpa. Essa depone le uova nel fondo della galleria e resta a sorvegliare finché i piccoli sono nati. Poi rimane a guardia dell’entrata del nido, pronta ad attaccare qualsiasi insetto nemico che tentasse di farvi irruzione.

Dettati ortografici PRIMAVERA – Gli animali del prato – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

GLI UCCELLI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici GLI UCCELLI – Una collezione di dettati ortografici sugli uccelli, di autori vari, per la scuola primaria.

Uccelli
Piove, adagio adagio, poco poco. C’è bisogno di fango per fare i nidi. Ci sarà? Tutti gli uccellini a due a due sotto l’ombrello delle frasche ascoltano la pioggia che dice loro: “Sì. Sì”. Il giorno dopo, come sfolgora il sole, gli sposini lavorano tutti a farsi una casettina; la tottavilla, il migliarino, l’ortolano, i beccafichi, le peppole; fra l’erba spagna, sui rami, dentro le siepi, sotto le tegole; chi taglia, chi mura, chi impasta, chi cuce, chi scava, chi intreccia. Bisogna far presto perchè domani è domenica. (F. Tombari)

Uccelli
L’aria è piena di frulli d’ali, di canti, di strida, di misteriosi bisbigli. Sono tornati gli uccelli e nelle loro fragili e belle casette, nuove vite pigolano in attesa del cibo. E’ tornata la cincia che libera l’oliveto dalle uova delle mosche olearie; è tornata la capinera gentile il cui canto ricorda quello dell’usignolo; l’allodola mattiniera, il pettirosso vivace, la rondine che stride e saetta nel cielo, senza posa. Siano benedette queste piccole creature che lavorano senza posa alla distruzione dei nemici dei campi e dei raccolti.

Uccelli
Verso la fine di marzo la prima rondine giunse sotto il tetto. Si aggrappò al nido, sbattè più volte le ali, poi riprese a volare nel cielo disegnando nell’aria ampi cerchi. Passò sul melo dell’orto, e subito dai piccoli rametti brulli sbucarono alcune gemme. In un baleno, dai cartoccetti che bucavano l’aria come dentini, si svolsero i bianchi fiori i il melo sembrò a tutti una bella nuvola caduta dal cielo nell’orto. La rondine passò a volo sul pesco, e anche il pesco si ingemmò. Giunse perfino sul mandorlo, là verso la collina, e col suo grido acuto la rondine lo risvegliò. Poi sfiorò i prati e l’erba incominciò a tremare nell’aria col suo filo di un verde tenero; sfiorò le prode, e l’acqua dei ruscelli incominciò a scorrere tra i sassi; e le viole, sotto le larghe foglie, si destarono come per incanto, spandendo nell’aria il loro delicato profumo. Volava, volava, la rondine, e cinguettava felice. (C. Bucci)

Uccelli
Quando il cielo diventa sereno e azzurro e, scivolando su un raggio tiepido di sole, arriva primavera, ritornano nel nostro cielo le rondini.  In largo stormo gli eleganti uccelli volano sul mare; poi, in piccoli gruppi, prendono la via di casa, la via del vecchio nido. Qualcuna, ansiosa, sopravanza il gruppo, arriva prima. Eccola là, sul filo, petto bianco, dorso nero. Si guarda attorno, osserva tutto. Poi, arrivano tutte, e i cornicioni, i fili dell’elettricità, i tetti sono pieni dei piccoli uccelli bianchi e neri. (G. Valle)

Sulla facciata rustica, per tutte le cornici, lungo il gocciolatoio, sopra gli architravi, sotto i davanzali delle finestre, sotto le lastre dei balconi, dovunque, le rondini avevano nidificato. I nidi di creta, innumerevoli, vecchi e nuovi, agglomerati come le cellette di un alveare, lasciavano pochi intervalli liberi tra loro. Benchè chiusa e disabitata, la casa viveva. Viveva di una vita irrequieta, allegra e tenera. Le rondini fedeli l’avvolgevano dei loro voli, delle loro grida, dei loro luccichii senza posa. (G. D’Annunzio)

Quando la rondine vuol rassettare il suo vecchio nido, non cerca nè trucioli nè pagliuzze, come fanno gli altri uccelli, ma adopera fango e con bravura lo accomoda col becco. Vola là dove scorre il ruscello. Vi si piana sopra con le ali in alto, battendole rapidamente. Tiene a fior d’acqua il petto per bagnarsene le piume, poi spruzza l’acquerugiola sulla polvere e ne fa una tenace poltiglia. E di questa poltiglia col suo becco, o si fabbrica o si accomoda il nido. (Taverna)

Uccelli
E’ primavera, è il tempo degli uccellini. Allegri, felici, già ghiotti di ciliegie, litigiosi, stanno in cinquanta su un ramo come tanti piccoli gnomi, fuggono col vento, spensierati, da un albero a un tetto, dal pagliaio al campanile, rubano a man bassa; un chiasso, un cinguettio, una baraonda. Le passerette, pettegole, con un vestitino corto che le copre sì e no, non vanno mai d’accordo, si intrufolano da per tutto, fanno a chi arriva prima sul fiume a vedere il martin pescatore. (F. Tombari)

Uccelli
Il sole nasce, gli uccelli si sparpagliano. Cercano il loro pascolo, chi le bacche, chi i vermiciattoli, chi i semi, a frotte. Si cibano, si azzuffano, amano, saltellano qua e là: infine spiccano il volo e dall’aria agili coronano con un batter d’ala e un gorgheggio la loro piccola fatica. (G. Pascoli)

Uccelli
Dorati uccelli, dall’acuta voce, liberi per il bosco solitario in cima ai rami di pino confusamente si lamentano; e chi comincia, chi indugia, chi lancia il suo richiamo verso i monti: e l’eco che non tace, amica dei deserti, lo ripete dal fondo delle valli. (Lirici Greci)

Uccelli
Gli uccelli, oltre a rallegrare col loro canto, sono preziosi per l’agricoltura perchè distruggono gli insetti. Se possiamo raccogliere i saporiti ortaggi, se possiamo assaporare la squisita frutta, se riempiamo di grano i nostri granai, lo dobbiamo, in gran parte, a questi preziosi amici dell’agricoltore.

La rondine è tornata. Ha fatto sentire il suo grido e si è messa a volare in tondo sul tetto. Ha veduto il suo nido e vi è volata dentro come una piccola freccia nera. Poi è tornata a volare, ma il suo grido era più lieto e festoso. Avevo ritrovato la sua casetta. E presto, in quella casetta, ci sarebbero stati i rondinini.

Uccelli
A introdurre i suoni più belli nel mondo primaverile, accanto al ronzio e alle musiche varie degli insetti, sono gli uccelli con il loro concerto canoro. Basta ricordare che la primavera è la stagione in cui gli uccelli fanno il nido! Essi sono le creature della gioia: la scienza non ha trovato una spiegazione del loro canto che sembra superfluo; ma chi saprebbe immaginare gli uccelli senza più le loro melodie? F. Molinelli

La rondinella ci porta il primo saluto della primavera e ci ricorda la passata malinconia dell’autunno. Essa, fidando in noi, appende il nido ai tetti e ai portici delle nostre case, ritornando ogni anno nello stesso giorno e quasi nella stessa ora. P. Mantegazza

In marzo tornano le rondini. Vengono dai paesi caldi dove hanno passato l’inverno. Se ne andarono verso la fine di settembre, non tanto perchè avessero paura del freddo, ma specialmente perchè essendo uccelli insettivori, durante il freddo non avrebbero trovato di che nutrirsi. Tornano adesso perchè gli insetti cominciano a rinascere. Questi erano morti ai primi freddi, ma avevano lasciato le loro uova o le loro crisalidi ben nascoste e riparate sotto la corteccia degli alberi. E. Fabre

Uccelli
L’uomo non potrebbe difendersi da solo dalle distruzioni causate dagli insetti. Ma gli uccelli lo aiutano validamente, divorando le larve nascoste sotto i tronchi o striscianti sopra le foglie, cibandosi degli insetti che volano nell’aria, nutrendosi di bruchi, di farfalline, di tignole. Gli uccelli non sono soltanto piacevoli a vedersi e ad ascoltarsi, ma sono anche i preziosi amici dell’agricoltore.

Uccelli
Gli uccellini non sono soltanto graziose creature che ci rallegrano col loro canto. Essi sono anche i preziosi amici dell’agricoltore perchè divorano gli insetti e le larve, salvando così la vegetazione. Rispetta, dunque, gli uccellini. Non chiuderli in gabbia, non catturarli, non distruggere i loro nidi. Anche gli uccelli sono creature che soffrono e godono e, oltretutto, salvaguardano le campagne e la vegetazione.

Uccelli
Gli uccelli insettivori si dividono il campo di caccia: chi va nei prati, chi nei boschi e nei verzieri; fanno una guerra continua ai bruchi che distruggerebbero i nostri raccolti. Più abili di noi, di vista più acuta, più pazienti e senza altra occupazione che quella, gli uccelli fanno un lavoro che a noi sarebbe assolutamente impossibile. (E. Fabre)

Uccelli
In ogni nido c’è una piccola famiglia. C’è il babbo, c’è la mamma, ci sono i figlioletti, tutti uniti da un tenerissimo amore. Se tu distruggi un nido, metti il dolore dov’era la gioia, la disperazione dove non c’era che allegria e amore. Rispetta i nidi come vorresti che fosse rispettata la tua casetta.

Il passero è dappertutto e sempre. Vola e saltella, bruno e chiacchierone, tra le foglie verdi degli alberi, nella buona stagione; sui rami brulli e secchi nell’inverno: cinguetta sui fili del telegrafo, sulle gronde, sui davanzali; becca grani, briciole di pane, insetti… E’ graziosissimo, quantunque non sia bello come la rondine e non canti come l’usignolo. (Bianchi e Giaroli)

Uccelli
Piove adagio adagio, poco poco. C’è bisogno di fango per fare i nidi. Ci sarà? Tutti gli uccelletti, a due a due sotto le ombre delle frasche, ascoltano la pioggia che dice loro sì, sì… Il giorno dopo, come sfolgora il sole, lavorano tutti a farsi una casettina. Chi taglia, chi mura, chi impasta, chi cuoce, chi scova, chi intreccia. (F. Tombari)

Uccelli
Ogni uccellino cerca un posto sicuro per fabbricare il suo nido. IL fringuello lo intreccia sui rami dei ciliegi e delle querce. L’allodola lo nasconde tra le zolle dei campi. Il corvo lo sospende ai rami del pioppo. La rondine lo nasconde sotto le grondaie o sotto le travi di casa. Quando gli uccellini fanno il nido, mille piccole cose vengono utilizzate: pagliuzze, crini, foglie secche, muschi, piccoli fili di lana. (V. Gaiba)

Sono tornate le rondini. Hanno attraversato mari e monti pur di tornare al loro nido. E ora che lo hanno ritrovato, cinguettano felici, lo riparano, lo imbottiscono, perchè fra poco nasceranno i rondinini.

Ecco mamma rondine che ritorna con un insetto e tutti i piccini spalancano il becco e gridano perchè lo vorrebbero per sè. Che piccini affamati! Non sono mai sazi. E mamma rondine vola, vola, torna e ritorna al nido per saziare quei rondinini che aspettano, con il beccuccio aperto. Poi si rimettono giù buoni, buoni, con gli occhietti chiusi, ad aspettare che la mammina torni ancora.

In marzo tornano le rondini. Arrivano dai paesi caldi dove hanno passato l’inverno. Se ne andarono verso la fine di settembre, non tanto perchè avessero paura del freddo, ma perchè, essendo uccelli insettivori, durante l’inverno non avrebbero avuto di che nutrirsi. (E. Fabre)

In un giorno di primavera, si è sentito un lieto garrito nell’aria. Erano le rondini che tornavano. Hanno ritrovato il vecchio nido. Con un grido di gioia sono volate dentro a ripararlo, a farlo tutto morbido e caldo. Rispetta le rondinelle. Sono la benedizione delle case che le ospitano.

San Benedetto, la rondine sotto il tetto. Ha attraversato mari e monti per tornare al suo nido e, ora che lo ha ritrovato, garrisce di gioia. Come il viaggiatore che ritorna alla sua casa, così la rondine fa festa quando ritrova il suo nido e di dà da fare per ripararlo, per accomodare i danni causati dalle intemperie, per renderlo morbido e tiepido. Mamma rondine pensa ai rondinini che fra poco cinguetteranno nel nido appeso sotto la gronda.

San Benedetto, la rondine sotto il tetto. Forse è una rondine sola; è arrivata prima delle altre per vedere se il tempo si è veramente rimesso al bello e se l’inverno è andato via. Ma spesso è ancora freddo; la primavera sembra lontana e la povera rondine, con le penne arruffate dal vento, col corpicino tremante, si sente smarrita, sola, affamata. Povera rondinella, arrivata troppo presto!

Esistono molte varietà di rondini, tra cui il balestruccio, che ha il dorso nero violetto e le parti inferiori e la coda bianche; la rondinella comune che è nera, col petto castano e la coda con macchie bianche; il rondone, che è tutto nero, salvo una macchia bianca sulla gola. Soltanto la rondinella e il balestruccio fanno il nido sotto la gronda; alcune specie di rondine lo fanno sulle rive scoscese dei fiumi e nei buchi delle altre muraglie. Il trillo della rondine si chiama garrito.

Uccelli
Ogni uccello, in primavera, fa il suo nido. L’uccellino canoro lo intreccia tra i rami degli alberi, la rondine lo costruisce sotto la gronda, l’aquila in un crepaccio della montagna dove vive, il passero sotto il tegolo o in un buco del muro. E, in ogni nido, nasceranno i piccini.

Con la primavera, ecco la fedele rondine che torna al suo nido lasciato sotto la gronda. Osserviamole nel volo: hanno ali lunghe, fortissime, che permettono loro di attraversare il mare, talvolta senza sostare nemmeno un momento. Ammiriamo l’infallibile istinto di questo uccello, che gli fa ritrovare non soltanto la località che ha lasciato, ma perfino il tetto, il nido.

Uccelli
Perchè gli uccelli migrano? Vi sono le anatre selvatiche che, pur di depositare le uova nelle zone dove sono nate, non esitano ad arrivare perfino al circolo polare, dove nidificano. Per ciò che riguarda la rondine, poichè questo uccello è insettivoro, non troverebbe durante la cattiva stagione di che nutrirsi, perchè gli insetti muoiono o sono nascosti. E’ per questo che la rondine emigra verso le terre calde, dove il cibo non manca, per ritornare a deporre le uova sotto i nostri tetti, al ritorno della buona stagione.

Il becco della rondine è largo e corto. La rondine si nutre di insetti e li cattura a volo. Il suo becco, che è di grande apertura, facilita appunto questa cattura. Invece il becco degli uccelli granivori è forte e a punta, adatto a beccare i grani. Il becco dei rapaci, che si nutrono di piccole prede vive, è forte, adunco, e adatto a lacerare la carne. Il becco dei palmipedi è fatto a cucchiaio, e lascia sfuggire l’acqua per trattenere solo il cibo.

Uccelli
Le zampe degli uccelli che sono grandi volatori, come le rondini, sono rattrappite, ottime per aggrapparsi, ma quasi inadatte a posarsi sul terreno. Infatti, se la rondine cade sul terreno, riprende il volo con grande difficoltà. La zampa dei gallinacei, invece, e dei corridori come lo struzzo, è larga, schiacciata, atta a posarsi sul terreno; nei polli è munita di unghielli per razzolare; nello struzzo, di callosità. La zampa dei rampicanti (pappagallo, picchio, cuculo) ha due dita anteriori e due posteriori atte ad arrampicarsi sul tronco degli alberi. Quella dei rapaci è armata di artigli formidabili con cui l’uccello afferra la preda, la dilania e la porta al nido. Nei palmipedi le zampe hanno le dita unite da una membrana che le trasforma in ottimi remi.

La rondine fabbrica il nido con fango, cementandolo sotto le gronde. Sembra quasi che abbia imparato a costruirlo dall’uomo, sotto la cui casa nidifica. Gli altri uccelli lo costruiscono in maniera ben diversa. I cantori, che sono quelli che fabbricano il nido più perfetto, lo fanno di ramoscelli intrecciati e lo imbottiscono di lanuggine e di piccole penne. I rapaci lo fabbricano in maniera rudimentale negli anfratti delle rocce dove vivono; il passero lo da sotto i tegoli, nei buchi del muro.

Uccelli
Gli uccelli depongono un numero variabile di uova, che hanno un guscio generalmente colorato o macchiato, e da queste uova, dopo un periodo di incubazione, nascono i piccoli, implumi, inadatti a nutrirsi da soli. I genitori li imboccano ed è per questo che gli uccelli sono dei formidabili distruttori di insetti. Si è potuto calcolare che la cincia distrugge fino a trecentomila fra insetti e larve ad ogni stagione.

Uccelli
Gi uccelli sono la gioia della campagna, sono i figli della terra e la terra li nutre senza che essi si affannino a seminare e a mietere; non c’è zolla che neghi loro una gemma, un fiore, una buccia di frutto! Il danno che danno ai tuoi campi lo ripagano; tu non sai quanti insetti nocivi essi distruggono, se ti rubano un chicco te ne salvano cento.
(F. Lanza)

I pellicani
Fra i rami e gli arbusti di cotone, albergavano colonie di pellicani, le cui zampe sporgevano dal nido mentre essi covavano. I maschi nutrivano le femmine che parevano non abbandonare mai il loro nido nel periodo della covata. Papà pellicano era buono con la moglie, e vi era un continuo andirivieni di questi enormi uccelli. Sono grandi pescatori e portano la loro preda in una borsa di pelle gialla che, quando è piena, pende come un sacco sotto il becco.

La rondine ha il mantello di piume nero e bianco, il becco corto e largo, le zampe adatte per aggrapparsi, la coda biforcuta.  Ci sono parecchie specie di rondini: la rondinella comune, il balestruccio, il balestruccio selvatico che nidifica sulle sponde dei fiumi, il rondone che è il più grosso della specie. Il grido della rondine si chiama garrito.

Il nido che la rondine costruisce sotto la gronda è fatto di terra impastata d’acqua, come se il simpatico uccello volesse imitare le case degli uomini presso le quali vive. Dentro, è imbottito di lanuggine che la rondine carpisce all’aria o alle piante.

Il corpo della rondine è snello, robusto, con ali molto sviluppate. Le remiganti  sono penne lunghe e forti perchè le rondini dovono fare lunghi viaggi, attraversare il mare e spesso anche territori deserti per recarsi nei paesi caldi. La rondine ha un manifesto istinto d’orientamento. Quindi, in primavera torna da noi, e non soltanto conosce la località, ma addirittura il nido che si affretta a restaurare e a preparare per la nuova covata.

Il becco della rondine è larghissimo e corto: adatto cioè alla caccia degli insetti di cui la rondine si nutre volando. Vola a becco spalancato così che gli insetti che essa insegue, si invischiano e vengono catturati. E, appunto perchè si nutre di insetti, finita la buona stagione, se ne va.  Gli insetti, al sopraggiungere del freddo, muoiono o si rintanano; quindi, la rondine non avrebbe più il cibo che le è necessario. La rondine è un animale utile,  come tutti gli animali insettivori, considerando il danno prodotto dagli insetti alla coltivazione.

La rondine è tornata da lontano, ha girato sopra la città, ha riconosciuto la casa, il tetto, il nido. Ed ora eccola tutta affaccendata a preparare la casetta per i rondinini che verranno.

Sono arrivate le rondinelle. Hanno attraversato mari e monti per tornare al loro nido. Benvenute, rondinelle, che arrivate da tanto lontano!

“Ecco mamma rondine che ritorna! Che cosa hai portato, mammina?”. I rondinini aspettano nel nido col becco spalancato.

La rondine vuole riassettare il vecchio nido. Non cerca fuscelli come gli altri uccellini, ma adopera fango e con bravura lo impasta col becco.  Poi fa il nido morbido e caldo.

San Benedetto, la rondine è sul tetto. Forse è una rondine sola quella che è arrivata prima della altre per vedere se il tempo si è rimesso al bello. Ma presto verranno anche le altre.

La rondine vola sempre: mangia volando, si bagna volando e qualche volta  nutre i suoi piccoli volando. L’aria è il suo dominio.

Rispetta le rondinelle. Sono la benedizione della casa. Sono tornate da tanto lontano per venire ad abitare il vecchio nido. Fra poco nel vecchio nido pigoleranno i rondinini.

Un bel giorno di primavera si è sentito un grido nell’aria. Era la rondine che tornava. Ha riconosciuto il vecchio nido e con un grido di gioia vi è entrata dentro, per rassettarlo.

Le rondini gridano in alto, nel cielo sereno. I bambini le guardano e dicono: “Sono tornate le rondini. E’ primavera”.

Uccelli
Dopo che la primavera ha spiegato tutti i suoi fascini, di campo in campo, allora si fabbricano ovunque i nidi: nidi tra le erbe, nidi sugli alberi, nidi su spacchi di scogli, in fessure di mura, sotto travi, sotto cornici di case: nidi e nidi dappertutto. Guai se questi asili di nascituri fossero costruiti su alberi nudi, o in siepi senza foglie, o in cantucci senza muschio. Sarebbero esposti alla vista di molti nemici. Si nascondono invece tra ripari abbassati che li nascondono dalle insidie. Ve ne sono con pareti cementate di argilla, rivestiti di licheni, tessuti con fili, steli, fuscelli, con l’interno tappezzato di molli foglie, di fiori, di lana, di crini. Le averle e le capinere li fabbricano con rametti di scope, i tordi vi mettono intonachi di legno fradicio, i beccafichi e i canapini vi intrecciano sottili gramigne miste a tele di ragno, a semi di pioppo, a lanugini. I falchi rapaci, vi ammassano penne di vittime; i pacifici storni penne di polli e di anatre, raccolte nei cortili, nei campi; i cardellini setole di maiali; i passeri crini, paglia, stoppa, cenci, brandelli di carta. (P. Lioy)

Il merlo. Col suo abito da cerimoniere, il becco dorato, l’occhio fisso che pare non veda e vede benissimo; con la sua coda alzata, la voce amplificata e ripercossa dall’eco dei macchioni dei quali fa la sua rocca; ora di corsa sul terreno, ora in volo a freccia, ora immerso nelle sue alcove di rovi, in interminabili meditazioni; coi suoi gridi vari, ciascuno dei quali corrisponde a un sentimento o a un atto, il “pitt pitt”  di quando va a dormire, il “cac cac cac” dell’angoscia per un pericolo che corre il nido, lo stridulo e rapido “ki ki ki” che manda quando fugge via; infine col suo canto, col suo vero canto che ritengo il più completo e il più musicale di tutti i canti degli uccelli che fischiano, sempre lui si profila sullo schermo della mia memoria, quando essa torna indietro verso gli anni in cui passavo le vacanze pasquali in campagna. (M. Roland)

Uccelli
La nebbia si diradava, apparivano profili di boschi neri sull’azzurro pallido dell’orizzonte; poi tutto fu sereno, come se mani invisibili tirassero di qua e di là i veli del maltempo e un grande arcobaleno di sette vivi colori e un altro più piccolo e più scialbo s’incurvarono sul paesaggio. Grandi ranuncoli gialli, umidi come di rugiada, brillarono nei prati argentei, e le prime stelle apparse al cadere della sera sorrisero ai fiori: il cielo e la terra parevano due specchi che si riflettessero. Un usignolo cantò sull’albero solitario ancora soffuso di fumo, tutta la frescura della sera, tutta l’armonia delle lontananze serene; e il sorriso delle stelle ai fiori, e il sorriso dei fiori alle stelle, e tutta la malinconia dei poveri che vivono aspettando l’avanzo della mensa dei ricchi, e i dolori lontani e le speranze, e il passato, l’amore, il delitto; il rimorso, la preghiera, il cantico del pellegrino che va e va e non sa dove passerà la notte, e la solitudine verde, la voce del fiume e degli ontani laggiù, il riso e il pianto di tutto il mondo, tremavano e vibravano delle note dell’usignolo, sopra l’albero solitario che pareva più alto dei monti, con la cima rasente il cielo e la punta dell’ultima foglia ficcata dentro una stella. (G. Deledda)

Uccelli
Ciascun nido ha una sua costruzione ed una sua sapienza d’amore. Nidi di allodole cui pochi fuscelli bastano nel solco delle messi; nidi di pettirossi nei cespugli intessuti di fili d’erba e rivestiti internamente di borragine e di licheni; nidi di stiaccini e di fringuelli nell’intrico delle siepi; nidi sugli olmi, sulle querce, in cima agli alti pioppi che fiancheggiano i fiumi; nidi di passeri solitari nei crepacci di rocce odoranti di fiori selvaggi. Nei casi dove il nido non riesca del tutto ad occultare le uova, queste hanno colore mimetico, cioè con la stessa tinta delle cose che sono loro attorno e però da queste non facilmente distinguibili. (A. Anile)

Uova

Tutti gli uccelli producono uova. L’uovo ha forma tondeggiante ed è rivestito di un guscio rigido e resistente. Aderente al guscio c’è una pellicola elastica , che forma sul fondo una camera d’aria. Il guscio racchiude le parti nutrienti dell’uovo: l’albume e il tuorlo.

Quando gli uccelli covano le loro uova, nell’interno si sviluppa un piccolo che si nutre appunto del tuorlo e dell’albume. Quando il piccolo è formato, rompe il guscio ed inizia la sua vita all’aria aperta.

Ci sono piccoli capaci subito di muoversi e di nutrirsi (i pulcini), altri che nascono senza piume ed hanno bisogno di essere imbeccati dai genitori  (passerotti, rondini, …)

Penne e piume

Il corpo degli uccelli è protetto da un manto fitto, morbido, caldo, di piume fatte a fiocchetto. Le ali e la coda sono munite di penne. Quelle che stanno al bordo delle ali sono dette remiganti, quelle della coda timoniere. Le penne sono lunghe, robuste, rigide, sostenute da una specie di bastoncino detto calamo, piantato nella pelle.

Becchi di uccelli

Molti uccelli sono granivori o insettivori: la natura ha dato loro un becco adatto al cibo di cui si nutrono. Gli uccelli granivori hanno becchi non troppo lunghi, larghi alla base, appuntiti, duri e taglienti: con essi frantumano i grani. Gli uccelli insettivori hanno becchi molto larghi, teneri, appiccicosi, capaci di afferrare e inghiottire anche grossi insetti.

La rondine

La rondine vive in campagna e in città: cerca le grondaie per costruirvi il nido ed ama l’acqua del fiume, del lago e dello stagno. Infatti sa che, alla superficie dell’acqua, si cacciano in abbondanza gli insetti, che sono il suo cibo preferito.

Ha le ali aguzze e lunghe, la coda biforcuta. Le piume sono di color turchino carico sul dorso e bianche sul petto.

E’ un uccello che ama il caldo; perciò, appena l’estate lascia il passo all’autunno umido e freddo, la rondine se ne va in Africa, dove l’attende il sole. Per questo si dice che è un uccello migratore.

Il nido della rondine assomiglia ad una mezza scodella. E’ costruito con pezzetti di fango appiccicati l’uno all’altro con la saliva e rafforzato con erbe, pagliuzze e piume.

La gallina

E’ un uccello molto utile, dell’ordine dei galliformi, che popola le aie ed i cortili. L’uomo le costruisce una casetta, il pollaio. Il suo corpo è piuttosto grosso e pesante; le ali, corte e deboli, le permettono solo voli brevi. Il capo è ornato di piccoli barbigli e di una cresta rossa e corta. Gli occhi sono tondi. Il becco è rigido, capace di rompere i semi duri. Le zampe sono ricoperte di scaglie giallastre. Sono robuste, armate di unghie e adatte a razzolare.

La gallina offre all’uomo carne fine e nutriente e uova. E’ una mamma (chioccia) affettuosa; per tre settimane cova pazientemente quindici – venti uova, che si schiudono liberando i pulcini. Essi, appena sgusciati, sono già coperti di piumino e molto vispi.

L’oca

E’ un uccello palmipede perchè ha le dita delle zampe riunite da una pelle dura e membranosa che le serve per nuotare negli stagni. Le zampe sono poste molto indietro rispetto al resto del corpo e ciò dà all’oca un’andatura goffa. Essendo un uccello acquatico ha le penne e le piume cosparse di un grasso oleoso, grazie al quale il suo corpo non si bagna. Pesca il suo nutrimento servendosi del becco largo e schiacciato, che lascia uscire l’acqua dai margini dentellati. Sono uccelli palmipedi il cigno, l’anitra, il gabbiano, il pellicano.

Il cuculo

E’ un uccello diffidente e astuto, molto accorto; vive evitando anche di farsi vedere nelle vicinanze delle nostre case. Il suo verso, il caratteristico cucù, ci giunge spesso all’orecchio nelle sere di primavera, mentre l’uccello è nascosto in mezzo al fogliame. Ottimo volatore, il cuculo percorre lunghissime distanze emigrando nella cattiva stagione verso le terre calde, per poi ritornare da noi agli inizi di primavera.

Il picchio

E’ un uccello rampicante adatto alla vita sui tronchi degli alberi; vi si arrampica e vi si aggrappa mediante le quattro dita del piede, della quali due sono rivolte in avanti e due indietro. Ha il becco lungo e diritto, con il quale picchia contro la scorza degli alberi. Mediante il suono prodotto dal legno, il picchio sente se il tronco è cavo o pieno; nel caso sia cavo, l’uccello pratica col becco un foro nella corteccia, e con la lingua lunga e viscida, prende gli insetti e le larve che vi dimorano.

Le voci degli uccelli

Il colombo tuba. La civetta squittisce, chiurla, stride. L’anitra schiamazza. La cornacchia gracchia e crocida. La gallina chioccia e crocchia. La gazza gracchia. Il merlo zufola, zirla, chioccola. La passera pigola, garrisce, cinguetta. La rondine stride e garrisce. L’usignolo gorgheggia. La pernice stride.

L’aquila

E’ la dominatrice dell’aria. Abita le più alte montagne, nidifica su rocce scoscese e alimenta i suoi aquilotti con la carne degli animali (conigli, lepri, agnelli) dei quali va in cerca di giorno volando, e sui quali si abbatte non appena li ha scorti, afferrandoli con gli artigli e sollevandosi a grandi altezze per portarli poi al nido o in altro luogo sicuro.

Ha il becco tagliente e forte, detto rostro; unghie robuste e adunche, dette artigli, atte a dilaniare la preda.

Anche la civetta, il barbagianni e il gufo sono uccelli rapaci ma notturni, perchè volano solo di notte dando la caccia a topi, vipere e altri animali dannosi.

Questi uccelli rapaci notturni sono rivestiti di un piumaggio adatto alle loro abitudini di predoni delle tenebre: colori scuri, piume foltissime, morbide e vellutate che rendono il volo assolutamente silenzioso. Il loro corpo è grosso e rotondo, con gli occhi dalla grande iride colorata di giallo o rosso. Un largo cerchio di penne chiare circonda gli enormi occhi quasi a guisa di occhiali, dando loro un aspetto del tutto singolare.

Grossi rapaci sono pure il falco, la poiana, lo sparviero, l’avvoltoio e il girifalco.

Il passero

In Italia è uno degli uccelli più comuni. Vive presso le case e nidifica generalmente sui tetti. Ha un becco conico robusto, le zampe con quattro dita e la coda tronca. Si nutre di semi: è un granivoro vorace. Infatti i contadini, quando le messi sono mature, per tenerlo lontano dai campi vi dispongono dei bizzarri fantocci: gli spaventapasseri. Si nutre però anche di insetti e di vermi, rendendosi così molto utile. Quando ha i piccoli nel nido, il passero dà loro l’imbeccata anche venti volte in un’ora. Altri passeracei sono il fringuello, il cardellino, l’allodola, l’usignolo, il merlo, il tordo, il pettirosso e il canarino.

Il gabbiano

E’ un uccello carenato e palmipede (ha cioè le zampe con le dita palmate, munite di una membrana che le rende simili a remi); frequente lungo le spiagge del mare, si trova anche in riva ai laghi e lungo i fiumi. Vola sull’acqua con volo lento e grave mandando un grido particolare, specialmente all’approssimarsi delle burrasche. Ha grandi ali così che può facilmente sostenere un lungo volo; può anche nuotare con i piedi palmati. Si ciba di pesci, vermi marini, crostacei ed altri piccoli invertebrati che prende nuotando o sfiorando a volo il pelo dell’acqua, oppure saltellando sulla riva del mare, guardingo e circospetto, alla scoperta di quanto l’onda ha lasciato per lui. Nidifica nelle paludi e negli stagni, fabbricando il nido fra erbe, giunchi e alghe.

Il pappagallo

E’ un uccello rampicante: ha cioè le zampe particolarmente adatte  ad arrampicarsi, con due dita rivolte in avanti e due rivolte indietro. Ha le piume dai colori vivaci, e proviene dalle foreste dei paesi tropicali. Si può addomesticare ed ambientare anche nei nostri paesi ed è divertente perchè apprende e ripete parole ed espressioni umane.

La cicogna

E’ un trampoliere: infatti le sue zampe lunghissime sono simili ai trampoli. Oltre alle zampe snelle  e sottili, ha il collo e il becco molto lunghi; il becco è fatto  in modo da afferrare e trattenere la preda. E’ un uccello migratore, cioè non ha stabile dimora in un luogo: sverna in Africa e passa l’estate in Europa. L’unico trampoliere stazionario in Italia è l’airone cinerino.

Il pinguino

Anche il pinguino è un uccello, ma ha il corpo inadatto al volo. Cammina con andatura goffa e barcollante. Vive in branchi numerosissimi fra i ghiacci delle regioni polari dell’Antartide. Le sue ali corte e robuste si sono adattate al nuoto anziché al volo. La femmina del pinguino depone le uova dalle quali, dopo circa due mesi, nascono i piccoli rivestiti di un fitto piumino.

Le qualità degli uccelli: rapaci, passeracei, gallinacei, palmipedi, corridori, granivori, acquatici, insettivori, notturni, diurni, migratori, sedentari, canterini, implumi, lenti, veloci, grandi, leggeri.

Le azioni degli uccelli: cinguettare, cantare, schiamazzare, stridere, pigolare, volare, migrare, nidificare, deporre, covare, imbeccare, costruire, saltellare, beccare, razzolare, raspare, bezzicare, frullare, saltellare.

Passeri sulla neve

Il passero pigola tra le fronde sempre verdi e fa capolino dalla volta di un tegolo, rannicchiato, irsuto come un riccio. Poveri passeri! Li vedete fatti dalla necessità doppiamente domestici, spiccarsi tratto tratto dai comignoli, venire a stormi dalla campagna tutta coperta, svolazzarvi tra le gambe, cercando qualche cosa da beccare. Intanto qualche pietosa bimba sbriciola agli affamati uccelletti il panino della sua  colazione. (A. Stoppani)

Lo scricciolo (racconto)

Passavo presso una cascina leggendo. D’un tratto mi vidi a lato un bimbo che teneva in mano un uccellino così piccolo come non ne avevo veduto nei miei paesi.

– Eccoti due soldi, me lo dai? – Non se lo fece dire due volte. Prese la moneta e si allontanò correndo. Povero uccellino! Non era più grosso del mio pollice; grigio, con un becco fino e acuto, ancor lattiginoso agli angoli. Doveva essere appena fuggito dal nido. Ad un tratto mi scappò di mano, mandando degli acutissimi “ci!” “ci!”  e battendo le ali così rapidamente che pareva un grosso insetto. Ma non potè sostenersi e scese a terra subito. Io lo raccolsi e lo portai a  casa. Perchè non lo posi sopra una siepe? Lo lasciai svolazzare per lo studio tutto il giorno; non poteva camminare, avanzava a piccoli salti come un ranocchio; il suo color grigio anche lo faceva somigliare ad un piccolo rospo.

Si appendeva alle tende e a piccoli salti giungeva alla cima. Lo imbeccai e lo posi a dormire nella bambagia. Al mattino il suo grido, simile al cigolio del manico di un secchiello, mi svegliò. Era appeso alle tende e guardava fuori dai vetri. Aprii le finestre: appena vide uno spiraglio prese il volo, ma cadde sul balcone. Lo raccolsi e gli tarpai le ali leggermente. Volle spiccarsi di nuovo, si slanciò verso le vetrate, verso la libertà e la luce, ma cadde sul tavolino. Che cosa crudele!

Perchè? Speravo che si addomesticasse.

E non volò più, anzi non si mosse più. Incominciò a socchiudere gli occhi leggermente. Come è triste ciò! Le palpebre diafane si appesantivano: le piume si arruffavano, si raggomitolavano. Io lo scaldavo con le mie mani e le sue pulsazioni erano rapidissime, interrotte spesso da scosse che dovevano essere fortissime per quel corpicino.

Dovevo uscire per le mie occupazioni. Lo posi nella sua bambagia ed egli vi si ficcò tutto sotto, come sotto le ali di una madre per morire in pace.

Presto tornai. Ero assediato dall’idea della piccola vita prigioniera e moribonda; giunto a casa fui pronto a sollevare il piccolo strato di bambagia… Era rigido. (G. Cena)

Il colpo di fucile

Fu allora che il cacciatore lasciò andare una schioppettata. Le anatre, fra grida di spavento, fuggirono sui campi e per qualche minuto si udirono richiamarsi alla lontana, fino a che, riunite in due squadre, dileguarono lungo il fiume. Solo due mancarono all’appello: erano rimaste là, sul greto fra le canne. (F. Tombari)

Gli uccelli insettivori

La vegetazione ha i suoi nemici ed i suoi amici. Sono suoi nemici certi insetti, che rodono le gemme, le tenere foglie, i fiori. Per fortuna, vi sono gli uccelli insettivori, che si dividono il lavoro nei campi, nelle siepi, nei boschi, negli orti, e fanno una guerra continua a tutti i bachi che distruggerebbero i nostri raccolti. Essi, con la vista acuta, con la pazienza, e senza altra occupazione che quella, fanno un lavoro che sarebbe assolutamente impossibile senza di loro.

Gli uccelli

Fortunati gli uccelli! Essi sono liberi di percorrere a volo le infinite vie del cielo. Ne conosciamo moltissimi: uccelli da preda come le aquile e i falchi, i gabbiani che vivono in riva al mare, le rondini che emigrano in autunno e tornano in primavera, le cicogne del becco lungo e dalle lunghe zampe, i pappagalli, le gazze che rubano tutti gli oggetti lucenti, le civette ed i gufi che vivono di notte, e tutti gli uccelli che cinguettano, trillano, fischiano, come i passeri, i cardellini, i pettirossi, i canarini, gli usignoli, i merli , i fringuelli, e molti altri.

Gli uccelli pesanti non possono volare. Conosciamo il gallo e la gallina, le oche, le anatre, i tacchini e i pavoni. Lo struzzo è un grosso uccello dalle gambe robustissime che corre velocissimo nei deserti e nelle savane dei paesi caldi. Le anatre sanno anche volare e così altri grossi uccelli come i fagiani e le pernici.

Uccelli

Dall’alba all’ora di notte è un turbinio continuo di ali e un solo clamore di vocine forti, brevi e pungenti, sempre di una misura. Passeri, certo; e devono convenire qui da tutte le grondaie del vicinato come i bimbi in un pubblico giardino. Però fra loro c’è anche qualche uccello forestiero, venuto chissà da dove; questo che gracida asprigno a modo di  raganella, quest’altro che tenta un gorgheggio d’acqua sorgiva… (D. Valeri)

Le uova

Sono assai nutrienti, come lo è la carne. Sono un alimento animale perchè ci vengono fornite dalle galline. Nelle uova vi sono due parti: il tuorlo e l’albume. Il tuorlo giallo e denso, è la parte migliore. Assai buone sono le uova fresche, cioè appena deposte. Si possono però conservare per parecchie settimane mettendole nella sabbia o nella calce.

I passeri

E il nido del passero lo si trova da per tutto, vicinissimo alla casa dell’uomo in cui confida; sotto le tegole del tetto, tra le balle di paglia di un fienile, entro una piccola crepa del muro di cinta. Il passero è sempre lieto. Trova quasi sempre il chicco di grano o la briciola di pane che lo nutre, anche d’inverno: e quando sente la massaia chiamare i suoi polli per la quotidiana distribuzione del becchime, sempre il passero viene a rubacchiare qualcosa tra le zampe delle galline.

Il nido vuoto

Sotto la gronda c’è un piccolo nido in rovina. Pare una casina senza porta, una casina abbandonata. La famigliola che la abitava è andata lontano. E’ andata in cerca di sole. Fa freddo, ora, da noi. Le giornate sono brevi, la campagna è senza verde e senza fiori. Piove spesso. L’acqua penetra dalle tegole sotto la gronda. E il piccolo nido fradicio, abbandonato, si sfascia a poco a poco. (C. Dossi)

Gli uccelli nel periodo della cova

Durante il periodo della cova, la femmina rimane quasi sempre nel nido; se ne allontana solo per andare in cerca di cibo. Il maschio le rimane vicino, pronto a difenderla da ogni pericolo; e quando tutto intorno è tranquillo, esso canta per tenere allegra la sua compagna, per farle sentire la sua vicinanza. Finalmente, le uova si schiudono: i piccoli sono nati. Ma come sono brutti! Il loro corpicino è nudo, senza piume; gli occhi sono chiusi; la testa sembra enorme, in confronto all’esile collo; le zampe sono inerti. Però hanno un grosso becco ben aperto, dentro cui il padre e la madre si alternano ad introdurre il cibo: piccoli insetti, moscerini, che la madre prima frantuma col suo forte becco. Quei piccini sono affamati: come sono  buffi, coi loro testoni ritti, e coi beccucci spalancati… Ma, dopo pochi giorni, i piccoli prendono forza; il corpo si copre di leggere piume, ed essi possono cominciare a spiccare i primi voli, guidati, assistiti, protetti dalla madre, che ha un grido particolare per chiamarli quando ha trovato il cibo.

Se qualcuno, animale o uomo, assale i suoi piccini, essa li difende accanitamente, con un’abnegazione commovente. Alle volte, arriva ad offrirsi vittima di un nemico, pur di salvare i suoi piccini.

Dicono che quando scoppia un incendio in una casa di campagna, in primavera, i gemiti, le grida della rondine il cui nido è attaccato alla casa in fiamme, sono veramente impressionanti… La povera bestia non teme di attraversare le fiamme per volare in aiuto dei suoi piccoli: vuole salvarli, o morire con loro.

Quando i piccoli sono abbastanza forti per volare via, sfuggono ai legami della famiglia… e, poco curanti dei genitori, se ne vanno in qualche altra parte del mondo. Ma i genitori non si amareggiano per questo: riformano una nuova covata e ricominciano le cure, le sollecitudini, i sacrifici, che saranno ricambiati con così scarsa riconoscenza.

Nidi di uccelli

Molte sono le forme e diversi i tipi di nidi, che gli uccelli costruiscono con destrezza ed abilità. La starna e la quaglia si accontentano di semplici buche nel terreno, con qualche sterpo. Invece, presso i corsi d’acqua, il pendolino si fabbrica il nido a forma di fiaschetto e con finissima arte, intrecciando fibre vegetali all’estremità di un ramo sottile e pieghevole. Il picchio muratore non vuol essere da meno del suo nome: cerca una cavità del tronco di un albero, intonaca l’entrata con fango, lasciandovi solo una piccola apertura, e il nido è pronto. L’aquila, regina delle vette, naturalmente lo costruisce in alta montagna, nelle fessure tra le rocce. Le folaghe fanno i nidi galleggianti sull’acqua; le cicogne sui comignoli e sui rami nudi degli alberi. Chi si dà poca cura di fabbricarlo è il cuculo. Depone le uova nei nidi dei cardellini, dei merli e degli usignoli; e affida la covatura, la nascita e l’assistenza dei suoi grossi figli alle mamme degli altri piccoli uccelli cantori.

Tornano gli uccelli migratori

Nelle terre calde dell’Africa settentrionale le rondinelle, tutte chiuse nel loro bell’abito nero e bianco, si preparano a partire per il viaggio di ritorno, ora che è tornata la primavera.
Le rondini voleranno sopra deserti, mari, pianure, montagne. Un istinto meraviglioso le guiderà per migliaia di chilometri, e farà sì che esse riconoscano i nidi che ogni anno le aspettano.
Anche le gru, le anatre e le oche selvatiche, gli stornelli, i chiurli, le cicogne, le allodole, i vanelli e i falchi sono uccelli migratori.
Le gru cinerine, cioè di color cenere, volano formando nel cielo una grande V. Il loro volo è lento e maestoso. Lo sai che possono raggiungere perfino i 9.000 metri di altezza? Potrebbero cioè da sole, con il solo battito delle forti ali, posarsi sulla più alta montagna della Terra.
Le anatre selvatiche invece hanno un volo rapidissimo. Possono compiere in un’ora anche centoventi chilometri, quanti cioè ne fa un’automobile.
Gli storni invece formano in cielo delle grosse nubi nere, poichè volano in gruppi foltissimi e molto serrati.
Mettendo attorno alle zampe di alcuni uccelli migratori degli anellini di alluminio, con le indicazioni del luogo da cui ebbe inizio il volo, si è saputo, per esempio, che le cicogne dei paesi del nord Europa passano l’inverno nell’Africa del sud, dopo aver compiuto un viaggio di ben diecimila chilometri, senza neppure l’aiuto dei punti cardinali.

Come fanno ad orientarsi gli uccelli migratori?

Cose veramente straordinarie sanno fare gli uccelli migratori: si è notato per esempio che la rondine torna non solo nello stesso luogo, ma persino nello stesso nido che ha abbandonato l’anno precedente.
Come fa ad orientarsi in un percorso che è spesso di migliaia di chilometri?
Purtroppo non si è ancora in grado di rispondere con esattezza, e il problema dell’orientamento degli uccelli migratori rimane tuttora uno dei più appassionanti per la scienza moderna.
Si è supposto che gli uccelli sappiano calcolare per istinto l’angolo che la  loro strada deve avere in ogni istante rispetto alla direzione della luce solare.

Nidi

Non esiste tanta varietà di tipi nelle case degli uomini quanta ce n’è nei nidi degli uccelli.
C’è chi costruisce il nido sui rami sporgenti degli alberi, chi lo scava tra le zolle del terreno;  c’è chi si sceglie una cavità di un tronco, chi lo pone a galleggiare sull’acqua, tra i  canneti.
C’è anche chi, in mancanza di meglio, si fa il nido in una vecchia brocca o in una latta di benzina abbandonata; si sono visti nidi posti all’interno di cassette della posta o di pompe idrauliche usate poco di frequente.
Anche i materiali usati sono i più vari: da quelli di origine vegetale (muschi, pagliuzze, rametti, fili d’erba, pappi e semi lanosi) o animale (bioccoli di lana, peli, crini, tele di ragno) a quelli prodotti dalle attività dell’uomo (fili di cotone e di lana, straccetti, trucioli, pezzetti di carta).

Come nasce il nido di una rondine

Anche quest’anno, con l’arrivo della primavera, sono tornate le rondini e riempiono l’aria di allegri stridi e di voli. Sotto le gronde  dei tetti, nelle stalle, nei cortili, ritrovano i vecchi nidi, o li costruiscono nuovi se sono stati guastati dalle piogge invernali o dagli uomini, tanto che non vale più la pena di ripararli.
Hai mai osservato di che cosa sono fatti e come sono costruiti questi nidi? Vieni a vedere: una coppia di rondini sta costruendone uno proprio sopra la nostra finestra, sotto la grondaia. Le ho viste poco fa ispezionare il muro attentamente, tenendosi aggrappate ad una piccola sporgenza, e poi sono volate via. Eccole di ritorno. Ciascuna ha nel becco una pallina di fango molle, presa sul bordo di qualche pozzanghera. Hanno impastato il fango con la saliva ed ora, con abili colpi di becco, lo applicano al muro come farebbe un muratore con cazzuola e cemento. Attaccano una pallina dopo l’altra, inserendo fili di paglia e di erba nella malta per renderla più resistente.
A poco a poco il nido prende forma e, quando sarà ultimato, sembrerà una mezza tazza.  Non sarà molto bello, ma potrà resistere per anni e contenere la rondine quando cova i molti rondinini. (M. Leale Anfori)

La prima rondine

Verso la fine di marzo la prima rondine giunse sotto il tetto. Si aggrappò al nido, sbattè più volte le ali, poi riprese a volare nel cielo disegnando nell’aria ampi cerchi. Passò sul melo dell’orto, e subito dai piccoli rametti brulli sbucarono alcune gemmule. In un baleno, dai cartoccetti che bucavano l’aria come ditini, si svolsero i bianchi fiori, e il melo sembrò a tutti una bella nuvola caduta dal cielo nell’orto.
La rondine passò a volo sul pesco, che era nell’angolo dell’aia e sembrava avere addosso ancora tutto il freddo dell’inverno, e anche il pesco si ingemmò, giunse perfino sul mandorlo, là verso la collina, e col suo grido acuto la rondine lo risvegliò.
Poi sfiorò i prati e l’erba cominciò a tremare nell’aria col suo filo di un verde tenero; sfiorò le prode, e l’acqua sei ruscelli cominciò a scorrere tra i sassi; e le viole, sotto le larghe foglie, si destarono come per incanto, spandendo nell’aria il loro delicato profumo.
Volava, volava, la rondine, e cinguettava felice. (C. Bucci)

Tipi di nidi

Per covare le loro uova in tutta tranquillità e per assicurare ai loro piccoli una protezione efficace contro le intemperie e anche contro gli animali da preda, gli uccelli si costruiscono, con arte meravigliosa, un rifugio, caldo e sicuro, solido e confortevole, spesso elegante: il nido. I materiali con cui viene costruito, come pure la sua forma, variano notevolmente a seconda delle specie. Pezzettini di legno, festuche, muschio, crini di cavallo, lana, fibre di cotone, terra argillosa e altro, possono servire per la sua costruzione. E’ interessante notare che ogni specie ha, in una certa misura, la possibilità di adattarsi alle circostanze e di servirsi di materiali dei quali di solito non fa uso. Infatti, un uccello che costruisce generalmente il suo nido con fili di paglia e con muschio è capace, se non trova questi materiali nelle vicinanze, di usare licheni, stracci, pezzi di carta e perfino fil di ferro o addirittura molle di orologio. Esso può anche fissare il nido in luoghi insoliti: l’upupa, per esempio, che lo costruisce di regola nel cavo degli alberi tarlati, può all’occasione nidificare nelle cavità delle rocce, nei buchi dei muri e perfino nelle carcasse degli animali morti.
Tuttavia, come vedremo, ogni gruppo di uccelli si serve, solitamente, di materiali ben determinati, dà al suo nido una forma precisa, e lo costruisce in un posto definito.

Nidi a coppa e a cestino
Esistono nidi a forma di cestino: come i cestai, gli uccelli intrecciano fuscelli, crini o erbe, in modo da formare una specie di coppa, una cavità accogliente. Nella maggior parte dei nidi, tre strati ne formano le pareti: uno esterno, abbastanza grossolano, uno interno, morbido, fatto con erbe sottili, muschio, cotone, peli, piume, e un terzo, fra i due, costituito da materiali diversi. Il nido dei cardellini, per esempio, è rivestito all’esterno di muschio bianco e fili di ragnatela, mentre la rivestitura interna è costituita da crine, cotone di diverse piante, peli di cardo, erbe sottili e peluria.
I nidi a forma di coppa sono posti per la maggior parte sugli alberi o sugli arbusti e sono nidi di fringuello, di usignolo, di cardellino, di ciuffolotto, di capinera, di merlo, di canarino, di verdone, di fanello e di altri ancora. Il loro colore è tale che si confondono spesso con la scorza dell’albero e talvolta è molto difficile distinguerli dai nodi dell’albero o dei rami.
Alcuni nidi sono posti al livello del suolo, come il nido della gentile allodola, che consiste in una semplice buca scavata nei campi di grano o nei prati e rivestita di fili d’erba, di steli secchi e di radici. Altrettanto fanno la quaglia, la pernice e il fagiano. Talora, il nido è costruito in mezzo a piante acquatiche e perfino su una specie di piccola zattera: il nido della folaga nera, ad esempio, galleggia liberamente sulla superficie dell’acqua.

I nidi dei passeri e delle gazze
Alcuni uccelli costruiscono nidi a forma di palla, con una o due aperture laterali, che proteggono dalla pioggia e dal freddo meglio dei precedenti. Di tale tipo sono il nido del passero e quello della gazza. Il primo è una specie di palla voluminosa, un po’ grossolana, fatta di paglia, di fieno, di ramoscelli, di stracci, di lana, di pezzi di carta, con l’interno più soffice, tappezzato di piume. Quando però il nostro passero lo costruisce sotto una tegola o sotto il davanzale di una finestra, non si preoccupa più del tetto della sua abitazione, sentendosi, forse, protetto a sufficienza. Più complicato è il nido della gazza: la sua base, a forma di coppa profonda, è costruita con robuste bacchette (che possono raggiungere il metro di lunghezza e che talvolta sono piegate), con calcina, con fuscelli e con sottili radici; la cupola è composta di ramoscelli che si incrociano in modo da formare una volta a grata, che, però, è molto sicura perchè costruita sempre con rami muniti di uncini e di spine. Due aperture, abbastanza strette, permettono all’uccello di entrare e di uscire, ma sono insufficienti per difenderlo dai nemici di grosse dimensioni, come il corvo, la cornacchia  o il falco. A una certa distanza, questa costruzione di confonde con i numerosi rami della cima degli alberi e ciò contribuisce a proteggere i suoi abitanti. La gazza, inoltre, ha l’abitudine di cominciare molti nidi contemporaneamente, ma ne termina solamente uno, nel quale depone le uova; certamente fa ciò per sviare i nemici.

Gli uccelli tessitori
I nidi più stupefacenti sono senz’altro quelli costruiti dai cosiddetti tessitori, una specie di passeracei, i quali tessono i loro nidi con erbe molto flessibili, con piccoli rami, con radici, che intrecciano in modo da comporre un tutto molto solido, una specie di tessuto le cui maglie vengono incollate con saliva o con terra. La forma di questi nidi varia a seconda della specie, ma hanno sempre forma di una borsa con l’apertura in basso o sul fianco, e sono sospesi si rami di un albero, che ne può portare anche una quarantina. Il nido dei passeri del genere Cassicus, uccelli grandi come un corvo che vivono in Amerca, misura circa 1,20 m di lunghezza; è così solido che lo si può rompere a fatica, e tuttavia le sue pareti sono tanto sottili che lasciano scorgere le uova o i piccoli. Le fibre che lo costituiscono vengono strappate agli alberi dall’uccello stesso. Esso si posa su un ramo, ne pizzica la corteccia col becco, la stacca per qualche centimetro, afferra l’estremità così sollevata e vola via di fianco in un modo tutto speciale, in maniera da strappare delle fibre di una lunghezza da tre a quattro metri. Talvolta le fibre vegetali sono sostituite da crini di cavallo. Per la fabbricazione di tali nidi il passero impiega molto tempo e perciò questi uccelli utilizzano lo stesso nido per molti anni di seguito, riparandolo dopo ogni covata. La maggior parte degli uccelli tessitori abita le regioni molto calde; non di meno, se ne possono trovare anche nei Paesi piuttosto freddi o temperati. Così, nell’Europa orientale, vive un uccellino, il pendolino, il cui nido, sospeso sopra l’acqua, è una specie di borsa alta da 16 a 22 cm, col diametro da 11 a 14 cm e con un’apertura sul fianco che ricorda il collo di una bottiglia, per cui è detto anche “fiaschettone”. Per costruirlo, il pendolino sceglie un ramo sottile, inclinato verso il basso, che presenta una o più biforcazioni a poca distanza dal punto di origine; lo circonda di lana e talvolta di peli di diversi animali, capra, lupo, cane, o anche di filamenti di corteccia, poi tesse le pareti del nido fra le biforcazioni. Il pendolino è frequente anche nelle zone acquitrinose dell’Italia.

I nidi meno raffinati
Vi sono altri uccelli che semplificano il loro lavoro, accontentandosi di intrecciare semplicemente sterpi e rami d’albero. Così fanno le aquile, le cicogne e i corvi. Il nido dell’aquila reale è costruito con rami, alcuni dei quali hanno lo spessore di un braccio; il centro è occupato da fuscelli, da cortecce e da erbe secche. Appena completato, non oltrepassa i 25 cm, ma aumenta di volume col passare degli anni per l’apporto di nuovi materiali, così che può raggiungere le dimensioni di un metro e mezzo.
Anche il nido delle cicogne è grossolano. E’ costruito sui tetti, sui camini e sulle rocce con rami della grossezza di un dito, spine e zolle di terra più o meno erbose. La parte intermedia è fatta di fuscelli più sottili e di foglie di canna; l’interno, di erbe secche, di letame, di stracci, di paglia, di piume. Il maschio e la femmina raccolgono insieme i materiali, ma è la femmina che dirige il lavoro.
Il nido del corvo è abbastanza simile a quello della cicogna, ma più piccolo. Da lontano, assomiglia a una fascina: oltre ai rami, che possono raggiungere 40 cm di lunghezza, vi si trovano i materiali più vari: fili di paglia, lana, muschio, stracci e così via. La costruzione è molto solida e dura parecchi anni; così, quando il corvo l’abbandona, viene occupata da altri uccelli, come le poiane, i falconi, gli sparvieri. Alcuni uccelli, infine, come la cinciallegra, utilizzano i buchi degli alberi; altri, come l’usignolo, le cavità dei muri. Lo struzzo scava, semplicemente, una fossa nel suolo, cova le uova di notte, e le abbandona di giorno, dopo averle ricoperte di sabbia, che le nasconde e le protegge dall’intenso calore tropicale.
Una semplice cinta di  ciottoli costituisce il nido dei pinguini. Il cuculo, poi, depone le uova nel nido di altri uccelli e affida loro le cure della figliolanza.

Il nido dell’allodola

Eugenio, Riccardo e Silvio hanno scoperto un nido di allodola.
La madre era lassù in alto come perduta nel gran cuore azzurro del cielo; e cantava.
I tre monelli strisciavano nell’erba fino al nido.
La madre si precipitò su di loro come un sasso. Poi ebbe paura. Si fermò, cantando di dolore, sul loro capo.
Se ne andarono via a testa bassa, nascondendosi in seno i cinque pulcini caldi, pigolanti.
“Li nutriremo meglio noi”, disse Eugenio come per giustificarsi.
Sull’uscio di casa, li incontrò Rossana, la sorellina.
“Che portate?”
Ma Rossana non era tipo da perdersi d’animo. Li vide prendere l’ovatta, scendere in cantina, preparare una specie di nido, deporvi i cinque implumi.
“Ah, cattivi!” esclamò fra sè, “Il nido della mia allodola…”
Lasciò che i fratellini uscissero, scese in cantina, prese delicatamente i pulcini che pigolavano piano piano, e via di corsa per filari, finchè giunse al prato e al nido.
L’allodola volava come impazzita e cantava dolorosamente.
“Vedi, allodola, eccoli i tuoi bambini!” gridò Rossana, protendendo le manine al di sopra dei fiordalisi.
Si allontanò e l’allodola scese sui suoi piccini, a coprirli con le ali.
Rossana corse a casa.
I fratellini erano sempre fuori a caccia di mosche e di bruchi.
Quando si accorsero della scomparsa dei pulcini dell’allodola, cominciarono a strepitare.
“Chi ha preso gli uccellini? Chi è stato?”
“Il gatto” rispose Rossana, che era accorsa alle loro grida.
“Quale?”
“Quello nero”
“Ah, gattaccio!” e i tre fratellini cominciarono a inseguire il gatto, che scappò, spaventatissimo, soffiando.
Passarono i giorni.
Era una bella mattinata di sole; e delle allodole trillavano liete nel cielo
“Eugenio, Riccardo, Silvio, venite!” gridò Rossana.
I tre fratellini accorsero.
“Vedete quelle allodole?”
“Certo”
“Sono gli uccellini che voi avreste fatto morire. Sì, non era stato il gatto nero. Sono stata io a riportarli alla loro mamma”.
Le allodole continuarono a cantare; e i tre fratellini le guardavano, contenti che una sorellina gentile avesse loro impedito di distruggere un nido. (M. Lauri e G. Neri)

Nidi

Com’è piena di bisbigli l’aria di primavera! Hanno bisbigli le siepi in cui fiorisce il biancospino, con il buon profumo amarognolo che invita le api; hanno bisbigli gli alberi tutti rivestiti di foglie tenere e che non sanno resistere al vento… Quei bisbigli così miti, quei frulli d’ali improvvisi, dicono che, nei nidi, dei beccucci si aprono avidi in attesa dell’imbeccata materna. (A. S. Novaro)

La cova

Durante il periodo della cova, la femmina dell’uccello resta quasi sempre nel nido; se ne allontana soltanto per andare alla ricerca del cibo. Il maschio le rimane vicino, pronto a difenderla da ogni pericolo e tenerla allegra, per farle sentire la sua vicinanza. Finalmente, le uova si schiudono: i piccoli sono nati. Aprono subito il becco e la mamma e il padre si alternano per introdurvi il cibo e saziare quei piccoli affamati. (M. Menicucci)

Rondini

Quante sono quest’anno le rondini! All’alba e più al tramonto, fanno come una nobile trama nera in questo rettangolo di cielo. Sono pazze di volo, di allegrezza, di canto. Tagliano via l’aria, stridendo, con le ali tese e ferme: si riabbassano, riprendono respiro, indugiano; e poi si rovesciano, si tuffano a capofitto, scompaiono. (M. Valgimigli)

Le rondini

Le rondini fulminee saettavano il cielo, di cui sono navigatrici eterne. Vanno ora radendo il suolo, ora perdendosi nell’azzurro; volano sempre facendo intorno il vento, e seminando lo spazio di sibili acuti; e poi a un tratto, posano sopra un filo telegrafico o sulla punta di un parafulmine, ciangottando fra loro, senza stanchezza, senza sudore, linde linde e tutte raccolte nelle vele ammainate delle grandi ali e pronte a nuovi voli. (P. Lioy)

Uccelletti

Cinguettano i passerotti, volando vispi dai tetti ai cortili, dai cortili ai campi e nei frutteti dove matura tanta frutta zuccherina. Stridono le rondini, volando a stormi intorno al campanile, o intorno alle grondaie delle vecchie case; là sotto hanno costruito i loro nidi; e vi pigolano i rondinini.
Trilla l’allodola, nella mattina serena, e si alza alta nel sole nascente.
Gorgheggia l’usignolo, soavemente, nell’ombra degli alberi; e specialmente di sera, di notte… Ma allora i bambini dormono e non possono udirlo. (E. Graziani Camillucci)

Chiacchiericcio

Chi sa perchè gli uccelli sono sempre allegri? Cantano, pigolano, cinguettano, non stanno mai zitti. Senti che chiacchierio che fanno lassù, su quegli alberi? Ci deve essere festa a casa loro. Scommetterei che nei loro nidi son nati i piccini o stanno per nascere. Ecco perchè fanno festa!

L’uccellino

Un uccellino scende a volo da un albero dove stava a dondolarsi, fa pochi saltelli e si avvicina alla riva del fossatello dove si son formate delle pozze d’acqua.
L’uccello si accosta ad una di esse e beve, poi entra con le zampette nella pozza, vi tuffa le ali, la testina, una volta, due volte. Ora si risolleva e scuote le piume: si è pulito, si è rinfrescato. Prima di volar via dice grazie al fossatello con un garrulo cip cip.

Tempo di migrare

Ed ecco, se ne vanno. Malinconia di queste migrazioni, precedute da ripetuti raduni che essi fanno o presso i folti canneti o alle chiare fonti, o intorno al campanile della parrocchia, con chiacchiericci sommessi e commossi, che sono cenni d’intesa. Finchè un bel giorno, divisi per famiglie, fiutando vento valido, di mattina per tempo o sul far della sera, al comando di un capo che s’è guadagnata la fiducia, il raduno si leva, volteggia, si scompone, si ricompone, si serra, s’innalza, prende alta quota, altissima, e va. Chi sta sotto a guardarlo, vede la meraviglia di quel convoglio aereo. E il convoglio va, va finchè si perde come una nuvola vivente all’orizzonte. (C. Angelini)

Partono le rondini

Partite, rondini? Sembrate allegre, riunite a stormi e mai come stasera canterine! Il sole del tramonto vi bacia le lucide ali come a dirvi: “Arrivederci a domattina, in un altro cielo!”
E volate e rivolate intorno ai nidi che lasciate là, vuoti sotto la grondaia; e i vostri stridi sono di gioia, simili a trilli di bimbi che per la prima volta fanno un viaggio insieme al babbo. Di voi, infatti, molte sono al loro primo andare lontano, altre hanno già fatto più volte la strada, guidate dalle aurore rossastre dei mari. E chissà se queste torneranno ancora! La gioia dei rondinotti, assetati di fughe e di lontananze, è forse malinconia per le rondini anziane: la stessa malinconia di noi che siamo qui a salutarvi, a vedervi volare per l’ultima sera nel nostro cielo più terso che mai.
Salutiamoci, dunque, senza esser tristi. (G. Giusti)

Dettati ortografici UCCELLI – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo

Anche se l’accrescimento può essere soggetto a diversi fattori ambientali, l’orientamento della pianta è guidato da tre fattori principali che sono il fototropismo, il gravitropismo e il tigmotropismo:

il fototropismo, o crescita verso la luce, assicura che le foglie ricevano una quantità ottimale di luce per la fotosintesi;
il gravitropismo, o crescita in risposta alla gravità, permette alle radici di crescere nel suolo verso il basso e ai fusti di crescere verso l’alto, lontano dal suolo;
il tigmotropismo, o crescita a seguito di contatto, permette alle radici di crescere attorno agli ostacoli ed permette alle piante rampicanti di avvolgersi attorno alle strutture di supporto.

Il fototropismo è mediato dall’auxina (un ormone vegetale della crescita). L’auxina si forma nell’apice e poi scende distribuendosi uniformemente in tutte le cellule della pianta, ma se l’illuminazione non proviene dall’alto, l’auxina anziché distribuirsi uniformemente si sposta verso il lato non illuminato. L’accumulo di questo ormone determinerà crescita maggiore nel lato in ombra, con conseguente piegamento verso la luce.

Il fototropismo è stato descritto per la prima volta da Darwin, ed è stato osservato anche nel plancton acquatico.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
 Materiale necessario per costruire il labirinto:

– una scatola di cartone con coperchio, possibilmente di colore scuro
– ritagli di cartone, possibilmente di colore scuro

Piantine:

l’esperimento riesce particolarmente bene utilizzando patate, patate dolci o cipolle germogliate che possono essere messe in un vaso di terriccio ben bagnato, oppure sospese in un vaso d’acqua con degli stecchini di legno:

photo credit http://amicidellortodue.blogspot.it/

oppure piantando un seme di fagiolo in un vasetto con un po’ di terriccio ben bagnato:

photo credit: http://lalica.wordpress.com/

Se usiamo il vaso con terriccio, sia per la semina, sia per patate e cipolle germogliate, occorrerà  di tanto in tanto innaffiare, e anche se usiamo il vaso d’acqua dovremo controllare se serve aggiungerne.

Con le patate e le cipolle si può anche provare a metterle nella scatola così, senza acqua né terriccio: contengono in effetti acqua e nutrienti che per un po’ possono assicurare la crescita del germoglio anche in assenza di terra ed acqua. Se scegliete questa soluzione, il processo di sviluppo della pianta potrebbe essere un po’ più lento, ma vi sarà possibile sigillare meglio il coperchio alla scatola.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Obiettivi dell’esperimento:

dimostrare l’effetto della luce sulla crescita delle piante.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Tempi:

occorreranno circa due settimane dall’esperimento, per poter osservare i risultati. Di più se rinunciate a terriccio ed acqua.

Per preparare i bambini possiamo, nei giorni precedenti, invitarli ad osservare le piante sul davanzale della finestra. Cosa possiamo dire della loro crescita?  Che le piante non crescono verso la stanza, ma verso l’esterno della casa. Perchè? Perchè le piante si rivolgono alla luce del sole. Possiamo anche uscire all’aperto ed osservare e confrontare la crescita delle piante che incontriamo.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Preparazione della scatola

La scatola può essere preparata in diversi modi, l’importante è che presenti un solo foro in alto per l’ingresso della luce e che i cartoni divisori siano alternati in modo tale da non impedire alla luce di seguire un certo percorso verso la pianta, ed alla pianta di crescere verso il foro, una volta che la scatola sarà chiusa.

I cartoni divisori devono avere esattamente la stessa altezza di quella della scatola, in modo tale da toccare il coperchio, quando la scatola verrà chiusa. Potete farne quanti ne volete. Possono essere di lunghezza diversa, oppure posso essere tutti lunghi come la lunghezza della scatola, e si possono praticare fori (finistrelle di circa 3×3 cm) a distanze diverse per il passaggio della luce.

Alcuni esempi:

http://www.asc-csa.gc.ca/

photo credit: http://www.epa.gov/

photo credit: http://www.imsa.edu

photo credit: http://kitchenpantryscientist.com/
 
photo credit http://bangkokpatanascience.blogspot.it/
 
photo credit: http://archive.blisstree.com/
 

Per la riuscita ottimale dell’esperimento, naturalmente, la scatola deve essere integra ed il coperchio deve chiudere perfettamente, così la luce può davvero entrare solo attraverso il foro superiore. Si può controllare inserendo una torcia,al buio, nel foro superiore, e si può provvedere a sigillare meglio con l’aiuto del nastro adesivo, ma bisogna ricordare che ogni tanto la scatola deve essere aperta per dare l’acqua alla pianta.

È essenziale che anche i cartoni divisori all’interno siano a tenuta di luce lungo i punti di fissaggio alla parete della scatola e utilizzare nastro adesivo nero può essere una buona soluzione.

Inoltre anche tutti i bordi dei cartoni divisori che toccano il coperchio, quando viene montato, devono essere a tenuta di luce; per impedire alla luce di fuoriuscire al di sopra dei divisori che vengono in contatto con il coperchio si può provvedere a rivestire l’interno del coperchio con un foglio di spugna o qualche strato di feltro, e poi mettere il coperchio premendo delicatamente, in modo tale da comprimere l’imbottitura contro i divisori di cartoni ed i bordi esterni della scatola.

Possiamo anche più semplicemente incappucciare la scatola con un telo nero che presenti solo un foro in corrispondenza del foro per la luce praticato sulla scatola.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Cosa fare

Preparata la scatola e il germoglio, posizionare la piantina sul fondo, chiudere col coperchio e posizionare in un luogo soleggiato, in modo che il foro in alto possa ricevere quanta più luce possibile.

Possiamo coi bambini fare previsioni rispetto a quello che accadrà all’interno della scatola, e i bambini possono provare a disegnarle.

Si può approfittare dell’apertura della scatola per le innaffiature, per fare misurazioni e registrazioni.
Quanto velocemente può la vostra pianta di fagioli o di patate crescere? Patate e fagioli sono piante che crescono molto in fretta: una pianta di fagioli raggiunge l’altezza di circa 50 centimetri in tre settimane, e una pianta di patata cresce fino a 60 centimetri in quattro settimane. I bambini possono usare un righello per misurare la crescita della pianta, e fare un segno all’interno della scatola . Queste misurazioni possono essere fatte ogni giorno. Osserveremo che durante i primi giorni la crescita sarà molto molto lenta, ma poi accelererà notevolmente dopo il terzo o quarto giorno, soprattutto se saremo costanti con le innaffiature.

Possono inoltre essere preparate delle “scatole di controllo”. La più interessante sarà quella preparata come spiegato, ma poi, invece di essere esposta al sole col foro in alto, la si può appendere a un sostegno alto, in modo che l’apertura per la luce venga a trovarsi in basso. Cosa accadrà alla piantina in questa scatola? Sarà in grado di sfidare la forza di gravità e crescere a testa in giù per raggiungere la luce?

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo
Conclusioni possibili

Le piante, che appaiono immobili per definizione in quanto saldamente ancorate alla terra con le loro radici, in realtà sono in grado di compiere movimenti in risposta a stimoli esterni.

La luce solare è essenziale per la crescita delle piante, e le piante fanno tutto il possibile per riceverla.

Coi bambini più grandi possiamo parlare nello specifico del fototropismo e dei suoi meccanismi ricorrendo ai termini esatti, oppure presentare il fenomeno a partire da ciò che è direttamente osservabile.

Le piante, come tutti gli esseri viventi, sono costituiti da piccole unità chiamate cellule. Nelle piante, alcune cellule presenti nelle foglie e negli steli sono sensibili alla luce. Mentre gli esseri umani e altri animali mangiano cibo per ottenere energia, le piante ricavano l’energia che serve loro per vivere dal sole. Una pianta che non può ricevere una quantità di luce adeguata  può morire, e per questo ogni pianta cerca sempre di crescere in direzione del sole. Per la nostra piantina chiusa nel labirinto, anche la piccola quantità di luce che entra attraverso il foro è sufficiente a guidare il germoglio verso l’esterno.

All’apertura della scatola potremo notare come il germoglio e le foglioline appaiano biancastre nelle zone più lontane dal foro. Le piante infatti, ricevuta l’energia che serve loro attraverso la luce del sole, producono una sostanza chimica chiamata clorofilla, che è di colore verde. Quando la clorofilla manca, le foglie invece di essere verdi diventano bianchicce, gialle, rossicce, marroncine; come avviene naturalmente in autunno.

Esperimenti scientifici per bambini – Labirinti per germogli: il fototropismo – Fonti:

– http://www.imsa.edu

– http://scienceforcuriousstudents.blogspot.it

– http://www.planet-science.com/

– http://kitchenpantryscientist.com/

– http://www.ehow.com/

– http://plantsinmotion.bio.indiana.edu

– http://www.asc-csa.gc.ca/

– http://bangkokpatanascience.blogspot.it

– http://archive.blisstree.com/

– http://herbarium.desu.edu/

– http://it.wikipedia.org/wiki/Fototropismo

– http://www.tesionline.it/v2/

fototropismo

Botanica: il giardino delle meraviglie, un semplice esperimento sulla disseminazione

Botanica: il giardino delle meraviglie, un semplice esperimento sulla disseminazione. Prepariamo due cassette, da posizionare all’aperto sul terrazzo o sul davanzale di una finestra: in una di queste piantiamo qualche seme: grano, lenticchie, piselli, qualche bulbo. Li vedremo presto  germogliare, crescere e infine fiorire. Nell’altra cassetta non pianteremo niente, e la chiameremo “Il giardino delle meraviglie”…

Coi bambini diamo le stesse cure ad entrambe le cassette, provvedendo ad innaffiare la terra, e osservando via via quello che avviene.

Cosa succederà nel Giardino delle meraviglie? Un bel giorno anche qui, pur non avendo seminato nulla, spunteranno delle piantine. Chi le ha seminate allora? Il vento, oppure un uccellino di passaggio che ha lasciato cadere un semino. Potremo così parlare ai bambini della disseminazione.

La pianta ha un solo unico fine: quello di produrre il seme; ecco perchè fiorisce e fruttifica. Quando poi i suoi semi sono maturi, la natura provvede affinchè essi siano portati il più possibile lontano dalla pianta madre.

Il vento è un gran disseminatore e così gli uccelli, che ingoiano il frutto e lasciano cadere il seme. Ma spesso è la pianta stessa che provvede a questo compito vitale. Osserviamo ad esempio il seme dell’acero, munito di elica che gli permette di volare lontano sulle ali del vento; i semi di altre piante sono, invece, muniti di pungiglioni con cui si attaccano al vello delle pecore che li porteranno lontano; altri sono forniti di peli leggeri che li faranno vagare nell’aria, come i semi del soffione e della cicoria.

Qualcuno di questi semi andrà sicuramente a cadere nel nostro Giardino delle meraviglie, e darà origine ad alcune piantine nelle quali potremo riconoscere qualche piantina che cresce nel prato vicino.

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato – Ho realizzato tempo fa queste schede illustrate per il riconoscimento delle erbe selvatiche più comuni per una seconda classe, dopo aver lavorato coi  dettati ortografici sulle erbe del prato,

avviando anche le prime raccolte di erbe per la produzione di un erbario di classe.

Il livello di approfondimento è adeguato all’età. I nomi latini sono importanti, accanto al nome volgare, per ricercare ulteriori informazioni relative a quella specifica erba; non se ne richiede certo la memorizzazione :-)… e lo stesso vale per la classificazione botanica.

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Queste sono le schede per il riconoscimento delle erbe del prato:


che puoi scaricare in formato pdf qui:

Istruzioni per le schede per il riconoscimento delle erbe del prato: ogni foglio contiene la scheda fronte-retro di due erbe del prato. Ritagliate dunque due strisce orizzontali da ogni foglio, e ripiegatele lungo la linea verticale al centro. La scheda può essere plastificata così a doppio, oppure l’interno può essere utilizzato per conservare i campioni di erbe raccolte e per le annotazioni.

Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Per un lavoro più approfondito le risorse migliori che ho trovato nel web, tutte gratuite, sono queste:

le schede botaniche illustrate da Carl Axel Magnus Lindman
http://caliban.mpiz-koeln.mpg.de/lindman/

le schede botaniche illustrate da  Otto Wilhelm Thomé
http://www.biologie.uni-hamburg.de/b-online/thome/Alphabetical_list.html

una raccolta di link ad altre risorse:
http://www.floramedica.org/page7.htm

raccolte da cui ho tratto le immagini per realizzare le schede.

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Schede per il riconoscimento delle erbe del prato

Dettati ortografici LE ERBE DEL PRATO

Dettati ortografici LE ERBE DEL PRATO – Una collezione di dettati ortografici sul tema “le erbe del prato”, di autori vari, per la scuola primaria.

Il prato
In primavera il prato si riveste di erba verde e profumata. Fra l’erbetta tenera sbocciano le prime margheritine, le calendule, tutti i piccoli, variopinti giori di cui pochi conoscono il nome, ma che fanno il prato leggiadro e bello.

Quanti fiori!
Quanti fiori sul prato verde, nuovo. tutto imbrillantato di rugiada! Pratoline bianche con l’orlino rosso, calendule arancione, campanelle bianche e viola che di arrampicano sui cancelli, vilucchi modesti, bianchi, venati di rosso, e poi tutti i piccoli fiori di cui forse pochi sanno il nome, ma che fanno il prato così leggiadro, così variopinto, così profumato!

Sotto la siepe ancora fitta di stecchi spinosi, è spuntata la prima viola. Coraggiosamente ha sfidato i pericoli dell’ultimo freddo ed ha levato la sua testina scura fra un groviglio di foglie secche, di germogli novelli, di fili di paglia, di grumi di terra. Grazie, piccola annunciatrice della primavera.
R. Rompato

Il prato è colmo di fiori: vedi le radichelle gialle, le azzurre corolle della cicoria, le testine piumose della pimpinella, i trifogli bianchi, gialli, rossi, l’oro dei ranuncoli, il bianco rosato delle pratoline… e i fiori della malva, del tasso barbasso, i fiorellini leggeri delle veroniche, gli occhi azzurri delle genziane, i grappoletti della prunella, le creste di gallo, i tralci dell’odoroso pisello… E’ una festa di colori e di aromi; la festa della primavera. (N. A. Oddi)

I fiori
Appena la natura ripalpita ai primi soffi di primavera, ecco i fiori. Fiori dappertutto: nei campi e nei prati, sulle rive dei ruscelli, nelle siepi, nei boschi, nei giardini. Fiori che ornano con ugual grazia i vasi di cristallo e i pentolini sbocconcellati, le case dei ricchi e le modeste dimore dei poveri. (Savini)

La prima viola
E’ spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata! E’ venuta a dire alla primavera che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si copriranno di gemme, di fiori, di frutti. (Steiner)

Alla viola
Grazie, piccola annunciatrice della primavera! Tu vieni a dirci che le rondini sono in viaggio per tornare ai loro nidi, che gli alberi si sono già coperti di gemme, che il contadino prepara i lavori dei campi… Tu vieni a dirci la parola della speranza e della gioia, piccola viola che ti dondoli al vento di marzo, con delle perline di brina ancora luccicanti sul lembo delle foglie, ma con la profumata corolla spalancata a bere il calore del pallido sole.
R. Rompato

L’amemone
Fior di vento è il mio nome; e quando, a primavera, tutta la pianura si desta fremente all’alito dei primi venti, io alzo ridente la mia corolla al sole. Mi piace sentirmi curvare da quel manto leggero che piega gli steli e fa ondeggiare gli alti, solenni pioppi. E’ bello fare a rimpiattino con gli aguzzi ciuffi d’erba che, timidi, si affacciano a cercare il sole.
R. Rubatto

Fiori selvatici
In primavera, quando tutto rinasce nella natura, è una gioia osservare il verde delle erbe e del fogliame riprendere la sua rivincita sulla bianchezza delle nevi. Gli steli delle erbe, che possono rivedere la luce, perdono la loro tinta rossastra per diventare di un bel verde. I prati sono screziati da moltitudini di fiori e qui ecco ranuncoli, anemoni e primule sbocciate a mazzi, più lontano il verde scompare sotto il niveo biancore del grazioso narciso.
G. Reclus

Risveglio dei fiori
Al mattino, appena il cielo biancheggia ad oriente e spegne ad uno ad uno i suoi lumi, appena le nuvole cominciano a colorarsi di tinte d’opale, d’argento, d’oro, di porpora, i colori dei fiori cominciano a distinguersi fra le erbe sempre meno scure, e prima i bianchi e i gialli, più tardi i rosei, i cilestrini, i blu. Presto presto, se il cielo non sia nuvoloso o piovoso, le pratoline sciolgono le cuffiette, i vilucchi calano i cappucci, si aprono le campanelle e i gialli soffioni e le cicorie somiglianti a fiordalisi.
Paolo Lioly

Fiori di campo
Sbocciano in piena libertà, all’aria aperta della campagna. Danno un aspetto vago all’erba dei prati, inghirlandano a festa la spalliera delle colline, riempiono di profumo le gole dei burroni e il silenzio delle ombrose valli. (Collodi)

Fiori di campo
Li trovate dappertutto: lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, lungo le prode, su per i greppi, nelle aiuole degli orti e dei giardini. Si direbbe che questi piccoli e graziosi amici stanno a far capolino fra l’erba per sorridere mentre passate, per darvi il bene arrivato e per rallegrarvi la strada. (Collodi)

Fiori di campo
Entrate nel bosco ed ecco venirvi incontro il mughetto con le sue campanelline d’argento e la violetta dal profumo delicato; fra quel ciuffo d’erba verde biancheggia l’elegante margheritina, e in mezzo ai campi di biade, spicca il rosso fiammante del rosolaccio e la tinta azzurra del fiordaliso. (Collodi)

I fiori
I fiori vivono e parlano. Il profumo è il loro respiro, il colore la loro voce. La rosa ho un linguaggio e il garofano dice parole diverse dalla violetta. Così ogni fiore ha la sua voce e dal giardino e dal prato si alza un coro di profumi. (Salvaneschi)

Il prato
Il prato era tutto brullo, con pochi ciuffi di erba inaridita dal gelo. E’ bastata una mattina di sole, è bastata una lieve pioggerellina di primavera ed ecco che il prato si è ricoperto di erbetta tenera e profumata; ecco gli insetti ronzare intorno ai primi fiori, ecco le pratoline aprire gli occhietti meravigliati, ecco le violette esalare il loro delicato profumo.

Il prato
Sul prato cresce l’erba, talvolta così disprezzata che molti la chiamano erbaccia. Non è erbaccia, è il fieno profumato per alimentare il bestiame, è il foraggio per l’inverno, quando il gelo avrà ucciso tutte le piante; è la bellezza del prato, è una meraviglia della natura.

Il prato
Certamente ti piace correre per i prati, sdraiarti fra la verde erbetta, cogliere i fiorellini che sbocciano al tiepido sole di primavera. Ebbene, quando ti sarai sfogato a correre, a saltare, a cogliere fiori, fermati un momento a guardare, da vicino, l’erba dei prati. Vi scoprirai tante cose: vedrai che mondo pieno di meraviglie è quel prato che tutti calpestano senza badarci.

Le piantine del prato
Povere piantine, calpestate da tutti, urtate, lacerate, strappate! Sembrerebbero destinate a morire appena nate. E invece, la natura, materna anche con loro, le ha dotate di tessuti resistenti, capaci di guarire dalle ferite più profonde. Osserva queste piantine e vedrai come si sono adattate a vivere dovunque hanno trovato un po’ di terra, un po’ di sole, una goccia d’acqua.

Le piante del prato
Chi le ha seminate? Forse è stato il vento, un rivolo d’acqua, un uccellino, che hanno trasportato un piccolo seme; e il piccolo seme ha germogliato, ha messo foglioline e radichetta, ha fatto persino il fiore, il seme.

La portulaca

E’ una piantina di prato che forse avrai vista tante volte. Ha le foglioline grasse e un fusto cilindrico e fragile. Si spezza facilmente, ma la portulaca è dura a morire. E’ sottoposta a ogni specie d’ingiuria: piedi, ruote, zoccoli. Il fusto della piantina si spezzerà, ma se tornerai dopo qualche giorno, vedrai che la coraggiosa piantina ha rimarginato la sua ferita ed è viva e vegeta come prima.

Il soffione

Tutti lo conoscono. E’ quel piccolo ciuffo di peli che a soffiarci sopra sparisce, come sparisce la fiamma del lumino, sotto un soffio vigoroso. In fondo a ciascuno dei peluzzi, che si chiamano pappi, c’è un semino. E basta un soffio di vento perchè questi semini, portati dal loro paracadute che è, insieme, ala, se ne vadano alla ventura per cadere lontano e dar vita a una nuova pianta.

La cicoria

Hai visto, chissà quante volte, i prati fioriti dell’azzurro fiore della cicoria. E’ una pianta amara che forse non ti piace, quando la mamma la cuoce per fartela mangiare. Ma è una piantina preziosa perchè la sua radice, tostata e macinata, è buona per fare il caffè, che non è caffè ma un surrogato adatto ai bambini, certamente più del caffè vero.

Il trifoglio
E’ bella la fogliolina del trifoglio che è, insieme, una e tre: tre cuoricini venati di rosso, una fogliolina sola. Il fiore del trifoglio non è un fiore solo, ma sono tanti fiorellini uniti insieme che odorano acutamente di miele. Lo sanno le api e gli altri insetti che accorrono, avidi, a succhiarne il dolcissimo nettare.

Le piante del prato
Le piante del prato sono tante, tante, che non arriveremo mai a conoscerle tutte. In genere sono molto modeste, senza pretese, ma molte di esse potrebbero avere anche un po’ di superbia, perchè sono lontane cugine del grano. E tutte insieme formano il profumato fieno, quello che serve a nutrire il bestiame e che, per un miracolo che solo la natura sa fare, si trasforma in latte, lana, carne.

Le erbe del prato
I bambini amano i terreni erbosi e preferiscono camminare sul prato invece che sulla strada. E’ bello imparare ad osservare l’erba del prato, questa erba così calpestata, così trascurata, da meritare talvolta il nome di erbaccia.

Alcune di questa piante hanno una grossa radice a fittone, profondamente e solidamente conficcata nella terra, tanto che è difficile strapparla. E’ una delle difese che la pianta mette in opera per salvaguardare la sua esistenza. Altre piante hanno le foglie disposte a rosetta. Poichè le annaffia la natura, le piantine sono fatte così per poter raccogliere più acqua e quindi portarla alla radice. In genere l’erba del prato è resistente, non facile ad essere strappata, oppure il tessuto delle foglie è tale da rimarginarsi ad ogni lacerazione.

Chi ha seminata l’erba del prato? Nessuno (quando non si tratti di prati artificiali). Le piantine hanno lasciato cadere il seme, tanti semi che sono sbocciati spontaneamente formando così il verde tappeto. Il vento ha trasportato lontano molti di questi semi, e il prato si è esteso, l’erba ha invaso l’orlo dei fossati, il margine della strada.

Guardiamo in particolare qualcuna di queste piantine. La petacciola, o meglio la piantaggine, ha le spighe verdastre, rigide, diritte. Si lascia svellere con una certa difficoltà.

La portulaca ha delle foglioline grasse che talvolta si mangiano anche in insalata. Il suo fusto è rossastro, cilindrico, fragile. Contrariamente alla piantaggine, si spezza con facilità, ma ha la proprietà di rimarginare prontamente le sue ferite. Sottoposta, com’è, ad ogni sorta di ingiurie, usa questa sua proprietà per resistere e vivere.

Noto a tutti i bambini è il soffione, il quale da quel piccolo globo di pelo che vediamo volar via ad ogni lieve soffio di vento. I piccoli fiocchi che lo compongono sono chiamati pappi e in fondo a ciascuno di essi c’è il semino. Trasportato dal vento, il seme del soffione può così andare anche molto lontano dalla pianta madre.

L’erba del prato costituisce un ottimo pascolo per le pecore. I prati sono talvolta seminati appositamente perchè l’erba dovrà servire da mangime al bestiame. Il contadino vi semina allora il trifoglio, la lupinella e l’erba medica, che andranno poi a costituire il profumato fieno, il foraggio, così necessario all’allevamento del bestiame.

Anche molte erbe medicinali crescono spontaneamente fra l’erba del prato: camomilla, arnica, malva, ecc…

Fiori del prato
Qui, lungo il rivo, a specchio dell’acqua bruna, fioriscono i miosotis. Dalle umili foglioline sugli steli emergono i fiori; sono frammenti di cielo azzurro, e in mezzo ad ognuno splende un grano d’oro, come il riflesso di un sottile raggio di sole. Sulla riva ancora fioriscono le primule. Dal cesto verde, rotondo, aderente alla terra, s’alzano le delicate corolle gialle, pallide e trasparenti, come se dentro brillasse un tenue lume. (G. Fanciulli)

Fiori del prato
Si stendono in file bianche e rosate le pratoline, modeste come bimbe. Le guardano, appena reclinandosi, le nobili genziane, dalla veste mirabilmente turchina. Azzurri sono anche i fiori della borrana, e più teneri sembrano, affacciandosi dal viluppo delle foglie villose e pungenti. Larghe macchie d’un rosso cremisino, o d’un bianco giallognolo, stendono sul verde i trifogli. Dove l’erba è più alta, emergono i giallo-lucidi bottoni d’oro, penduli ad ogni soffio d’aria; e le più gravi margherite, dal tondo occhio stupito in mezzo alla candida raggera. (G. Fanciulli)

Le erbe del prato
A primavera, dopo che le ultime nevi sono scomparse, le erbe germinano in fretta e si fanno alte. Sembrano tutte uguali al piede che le calpesta; ma non agli occhi che le guardano con amore, nè alle mani che a dita aperte vi affondano per una carezza. Quale innumerevole famiglia! Steli, foglie, fiori, sembrano messi lì a far folla, hanno ciascuno un disegno, un’armonia di colore, un carattere individuale rivelato in minutissimi particolari. (G. Fanciulli)

Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo: l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il nettare, gli insetti gli ronzano intorno. La sua vita è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina. Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace tra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore del fieno fresco. (M. Cera)

I campi ormai sono un trionfo di colori:  il frumento cresce a vista d’occhio  e comincia a spigare; i prati di ravizzone e di trifoglio sono fatti di porpora e d’oro; le rive dei fossati e dei fiumi si sono ricoperte di fiori dai colori tenui e soavi; le piante da frutto tendono al cielo i rami carichi di fiori, tra i quali, con un ronzio monotono ma vivo, volano leggere le api dall’alba al tramonto. (G. G. Moroni)

Era un breve spazio rettangolare che una cancellatina separava dal giardino più vero. In due lati del rettangolo una strisciolina aveva la bellezza di un nespolo, di un rosaio che distendeva la sua capigliatura per tutta l’estensione della cancellata… Odorosa fioritura di ciocchette bianche, bocche di lupo, bocche di leone, vilucchi, convolvoli; stupori dei bocci, dei semi, delle bacche che schioccavano e lanciavano il seme. Vita dei bruchi, delle larve, amori e nozze dei minuscoli esseri: un mondo di stupori quella strisciolina di terra. (B. Cicognani)

I vecchi muri hanno una particolare poesia: dalle screpolature, dai piccoli antri bui escono le erbe, quali piccole e timorose della luce, quali vigorose e ricche di foglie e di fiori. Alcune ricoprono il muro con una leggiadra cortina di un verde tenero sulla quale scherza il vento, che la agita vivacemente suscitando fruscii sommessi e improvvisi, mentre il sole vi accende luci ed ombre, bagliori di perle e riflessi di seta. (P. Boranga)

Le viole sono state le prime a sbocciare sulle rive dei fossi e vicino ai cespugli, pronte a rispondere al richiamo del sole. Le hanno seguite poi le pervinche, le primule, le pratoline: ora, bottoncini di luce, rallegrano le zolle. Ci annunciano la primavera che sta arrivando e noi accogliamo nel cuore la dolce promessa.

Le primule sono fiori da nulla, piccoli, gialli come lo zolfo. Tutti gli anni, appena marzo ride un pochino, si mettono di impegno. Spuntano a ciuffi da una modesta rosetta di foglie ruvide e si accontentano di un pugnetto di terra, di una goccia d’acqua, di un raggio di sole. Vogliono essere tra le prime ad annunciare il ritorno della bella stagione. Chi le vede pensa: “La primavera è qui” e si rallegra. Le primule lo sanno bene ed hanno fretta.  Non importa se, poi,  la neve le farà morire. Non importa. Hanno annunciato la fine dell’inverno, il ritorno della primavera e… sono contente. (L. Davanzo e D. Scotti)

La campagna conserva ancora l’aspetto invernale. I rami degli alberi cominciano appena a mostrare le prime gemme e l’aria è ancora umida e fresca. La primavera è vicina. Ecco i primi fiori: le viole mammole. Sbocciano ai margini delle strade di campagna, lungo i viottoli e lungo i fossi, nei prati, là dove comincia il bosco, ai piedi delle vecchie querce, tra le foglie secche dell’autunno.

La prima viola è spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura e profumata! E’ venuta a dire che è primavera, che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido. E’ venuta a dire al contadino che i lavori del campo lo aspettano. E’ venuta a dire ai poverelli, che questo inverno soffrivano tanto, che non farà più freddo. (L. Steiner)

Fienagione

L’erba ben presto diverrà fieno odoroso. Poi verrà il gran carro e il fieno vi sarà  ammonticchiato; e il carro se ne andrà traballando col suo carico profumato.
Il prato resterà silenzioso e spoglio del suo bel manto. E le cavallette, le formiche, le coccinelle, le chioccioline, tutte le creature minuscole che vivono sotto le erbe folte, vedranno distrutta la grande boscaglia.
Addio ombra, addio frescura, addio protezione.
Ma gli steli corti corti assicurano: “La falce taglia? E noi cresceremo di nuovo”.
(E. G. Camillucci)

I fiori di campo

I fiori di campo fanno una figura molto semplice e modesta, ma sono anch’essi graziosi, freschi, odorosi e coloriti con una delicatezza e una varietà di tinte meravigliose. I fiori di campo sbocciano, in pienissima libertà, all’aria aperta della campagna. fuori del muro dei giardini e senza bisogno delle cure del giardiniere. Passeggiando per la campagna si trovano questi fiorellini da per tutto: lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, lungo le prode, su per i greppi. Si direbbe che questi piccolissimi e graziosi amici siano lì per sorriderci e augurarci buona fortuna.

Fiore di prato

Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo; l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il nettare, è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina.
Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace tra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore fresco del fieno. (M. Cera)

Fiori modesti

A tutti i fiori splendidi e superbi preferisco quelli modesti: la selvaggia rosa di macchia, che un raggio di sole appassisce; il caprifoglio, che si arrampica sulle querce o stende sui cespugli le sue braccia aulenti; la  viola del pensiero dagli occhi vellutati e pensosi; la viola mammola timida; la margheritina dei campi; il ranuncolo d’oro; l’erica rosa; il mughetto d’argento; la viola di Pasqua, che nasce, vive e muore negli orti; il biancospino intorno a cui ronzano le api. (F. Dumonteil)

Fiori

Qua e là, cespugli di fiamme vermiglie dei rosolacci; e macchie giallastre e celestognole di tulipani selvaggi, di papaveri e di anemoni; eserciti di spighe e di grappoli tra il bianco della brina e il rosso del sangue; moltitudini di pratoline con gli orli venati e l’occhio d’oro; e qua e là pezzetti di cielo più celeste del vero, caduti tra l’erba: i fiordalisi. Agli orli del prato, cespi alti e squillanti di ginestre. (G. Papini)

Poesie e filastrocche sui FIORI

Poesie e filastrocche sui fiori: una collezione di poesie e filastrocche sui fiori, di autori vari, per bambini della scuola materna e primaria.

Fiore

Portatemi pure l’anello del re
ma questo fioretto lo tengo per me.
C’è forse nel mondo qualcuno che vide
un fior di geranio che scotta, che ride,
macchiare d’un sangue più rosso e cocente
di questo, una casa di povera gente?
C’è forse più fresco, più vago giardino
di questo vasetto che vale un soldino;
che guarda la nuvola, aspetta l’uccello,
nè siepe ha di spino, nè chiuso cancello?
In quale camino c’è dunque una brace
più viva, più pronta a scaldare la pace?
C’è forse nel mondo, più ricco uno scrigno
di questo vasetto di coccio rossigno;
un salvadanaio di tanti tesori
che dà, come questo, a chi vuole, i suoi ori?
C’é forse altra grazia più vera e segreta
che accenda pensieri, che ispiri il poeta?
Se spicco quel fuoco e lo metto all’occhiello,
il mondo mi guarda, diventa il più bello.
Portatemi pure lo scettro del re
ma questo fioretto lo tengo per me. (R. Pezzani)

Fiori
Sono i fiori
una sublime lezione
d’altruismo:
a tutti, per niente,
dispensan profumi e colori:
sanno
di render meno triste la terra.
Degli uomini nessuno può guardarli
senza diletto,
a meno che in suo petto
dell’egoismo non racchiuda i tarli. (R. Penaglia)

Primule
Sbocciano al tenue sole
di marzo ed al tepor de’ primi venti,
folte, a mazzi, più larghe e più ridenti
de le viole.
Pei campi e su le rive,
a piè de’ tronchi, ovunque, aprono a bere
aria e luce anelando di piacere,
le bocche vive.
E son tutti esultanza
per esse i colli; ed io le colgo a piene
mani, mentre mi cantan per le vene
sangue e speranza. (Ada Negri)

Il biancospino
Di marzo, per la via delle fontane,
la siepe s’è svegliata tutta bianca:
ma non è neve, quella: è biancospino
tremulo ai primi soffi del mattino.
Si destano lontano le campane
e l’acqua di cantar non è mai stanca. (Angelo Orvieto)

Camomilla
Oh Camomilla, tenero fiore
togli la bua, togli il dolore,
alla mia bimba disperata,
che piange tutta sconsolata.
Con la corona dai raggi bianchi,
fai ristorar gli occhietti stanchi.
Con il giallo del capolino,
togli la bua dal suo pancino.
Con il profumo dolce e grazioso
concedi a lungo un buon riposo.
(di C. Folcando – Edita)

Margherite
Sopra l’erba novella
fiorite a cento a cento,
fremon le margherite
nel brivido del vento.
Testolina dorata,
collaretto d’argento,
stelo breve e diritto
grazioso portamento.
Coglierla? Ma vi pare?
Pel gusto di un momento
stroncar tanta esistenza?
Triste divertimento.
Vedete come godono
la carezza del vento?
E come si compiacciono
d’essere a cento a cento? (C Del Soldato)

La pratolina
“Oh, graziosa pratolina
che sorridi fra l’erbetta
tinta ancor di bianca brina,
perchè mai cotanta fretta?
Bigio e tetro è ancora il cielo,
fredda è l’aria e gelo in terra;
stende ancor la neve un velo,
sono i vasi ancora in serra.”
“Non m’importa della brina
non m’arresta un po’ di neve;
primavera è qua vicina
col suo passo lieve lieve.
Fra non molto spunteranno
sulle prode le viole;
dalle nubi eromperanno
caldi i raggi del bel sole. (Domizio Vignali)

Fiorita
Ecco i peri, i peschi, il melo
in fiorita prodigiosa;
ci fu mai più bella cosa
di quei ciuffi bianchi e rosa
contro il cielo? (Puch)

Il biancospino
Il biancospino è in fiore.
Della neve ha il colore.
Le brocche son gremite
di corolle infinite,
leggiadra nevicata
che non dilegua al sole,
ma cede a una ventata…
Per te ridon le aiuole
più chiare nel mattino
lucente biancospino. (M. Castoldi)

Bucaneve
Scricchiolando lieve lieve
l’ultima crosta di neve
s’è infranta. Chi la rompeva?
E dalla neve il bucaneve è nato.
Così, di dentro al suo guscio,
anche il pulcino apre un uscio
per farsi avanti nel mondo… (F. M. Bongioanni)

La canzone delle viole
Piccine, azzurrine,
baciate dal sole
noi siamo le dolci,
le prime viole.
Superbe non siamo,
non siamo curiose
le foglie tenere
ci tengono ascose.
Col mite profumo,
con voce sommessa,
cantiamo del marzo
la dolce promessa. (Ida Alliaud)

La prima margherita
Si risvegliò la prima margherita
tra l’erbe nuove sopra il breve stelo;
ancora tutta chiusa e infreddolita
levò la testa per guardare il cielo.
Vide venir la primavera e allora
gridò: “Fiorite, o sorelline, è l’ora!”
(Lina Schwarz)

La pratolina
Sulle rive del ruscello
tinte ancor di bianca brina,
è sbocciata, timidetta,
una bella pratolina.
Allo zefiro si culla
e sorride al sol, felice;
al bambin che la saluta
in segreto parla e dice:
“La stagione fredda e tetra
finalmente è per finire,
guarda il mandorlo ed il pesco,
sono lì per rifiorire! (Domiziano Vignali)

Il fiore
Ferma sopra la zolla
guardava con stupore
una bambina un fiore
dalla strana corolla.
“Oh corolla stupenda
che tremi in mezzo al prato,
per lo stelo dorato
aspetta che ti prenda!”
E corsero i piedini
sul prato di rugiada
trapunta di rubini.
Tese la mano. E la gialla
corolla stese al vento
l’ala di un volo lento.
Era un gran farfalla. (Giuseppe Porto)

Frutto e fiore
Non lo toccare il fiorellin del melo:
esso ci annuncia ch’è passato il gelo.
Rispetta il fiore se del frutto hai voglia;
rispetta il fiore e non toccar la foglia. (F. Dall’Ongaro)

Prato
Guarda giù nell’erba folta:
forse un angelo è passato;
mai si videro nel prato
tanti fiori in una volta.
Tanti e tutti così belli
che farfalle e farfallini
stupefatti fanno inchini
ora a questi ed ora a quelli.
E se poi deve passare
svolazzando qua e là,
sai la brezza cosa fa?
Chiude l’ali e sta a guardare. (D. Rebucci)

Pratolina
Pratolina appena nata,
chi di frangia ti ha vestita
chi ti ha d’oro incoronata?
Ti dischiudi sul mattino
e saluti di lontano
le farfalle e l’uccellino.
Ti raccogli verso sera
come un cuor che si prepara
al silenzio e alla preghiera. (D. Rebucci)

A nascondino
C’era una piccola
margheritina
nata da poco,
vispa e carina.
Diceva: “Mamma,
voglio giocare,
ma sono sola,
che posso fare?”
“Gioca col sole,
piccina mia,
fa’ a nascondino
con allegria!”.
La piccolina
col sole giocò:
ed lui, sì grande,
non rifiutò.
Sotto una foglia
lei si celava,
chiamava: “Cu cu!”
Lui la cercava.
Ed anche l’aria
si divertiva,
passava cauta
e il fiore scopriva. (A. Cuman Pertile)

 La violetta e la pervinca

La violetta mammola è sbocciata
in mezzo all’erba tenerella e bassa;
ma subito in gran fretta s’è chinata
per potersi nascondere a chi passa.
Ma l’azzurra pervinca a lei vicina
guarda in alto col grande occhio contento
tutta si mostra e dice: “O sorellina,
esci tu pure, e godi il sole e il vento.”
La violetta mammola risponde:
“Dio concesse una grazia ad ogni fiore:
da me un profumo lieve si diffonde,
a te fu dato invece un bel colore”. (M. Dandolo)

La violetta

Troppo presto sei nata,
mite viola del pensiero!
Forse il cielo ti ha ingannata,
ieri azzurro ed oggi nero?
Fredda e cupa vien la sera
con la notte torna il gelo.
Trema e muore sullo stelo
la gentile mammoletta
che voleva, troppo in fretta,
annunciar la primavera. (E. Ottaviani)

La prima viola
La neve è stata tanta e sulla via
anche quel cespo triste di viole
sembrò morir, ma guarda che magia!
da quanto è ritornato il biondo sole
apparve qualche foglia e, meraviglia!
un profumo mi tocca, mi commuove
come una voce che nel cuor consiglia
e sveglia in fondo al cuore voci nuove.
Quel profumo mi fece un po’ curiosa
e, cercando, una timida viola
scopersi come fata misteriosa
tra l’erba verde così sola sola… (L. Nason)

Nel prato

Nel mare verde del prato
tutto fili d’erba novella,
il bimbo si tuffa beato
e grida, ride, saltella
come uccello spensierato.
Meraviglie di coccinelle.
di farfalle, di bruchi, insetti,
variopinte campanelle,
scarabei in corsaletti;
e poi gocciole di brillanti,
gocciole di rugiada,
sui fili d’erba tremanti
verdi come la giada.
Papaveri tinti di rosso,
lucertole nel canneto,
raganelle lungo il fosso,
scopre il bimbo ogni segreto,
nel mare verde del prato.
Come lieve passan l’ore,
che meraviglia il creato
e le opere del Signore! (V. Seganti Pagani)

Il fiore di prato

Guarda com’è vestito,
neppur l’imperatore
ebbe un simile manto.
Che seta! Che splendore!
Lo lava la rugiada,
lo distende l’aurora,
col suo pennello vivo
il sole lo colora.
Che mirabile cosa
ogni fiore di prato!
La margherita ha un nitido
colletto inamidato:
il ranuncolo giallo
un abito tessuto
con i raggi del sole:
la viola è di velluto,
la mammola nei petali
ha il velo della sera,
e il miosotide è cielo,
cielo di primavera.
Che seta, che spendore
ogni fiore di prato.
Nessuno l’ha vestito,
nessun l’ha seminato.
Soltanto tu, Signore. (L. Nason)

Il gelsomino notturno

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle…

Il fiore azzurro (il lino)

Disse un bel fiore azzurro:
“Il vento mi carezza
con un lieve sussurro;
l’aurora mi regala
brillanti di rugiada,
che il calore del sole poi dirada.
Non profumo gli altari
né mi recano in dono,
in giorni lieti e cari,
i bimbi e le fanciulle;
sullo stelo fiorisco,
specchio l’azzurro cielo e poi finisco.
E mi tramuto in tela
candidissima e molle,
per l’altare e la vela,
per bendare le ferite
e fasciare il bambino
nudo, nella sua culla:
io sono il lino!” (E. Pesce Gorini)

Alla primula 
Nel nome hai la modesta
tua grazia e col timido colore,
o primula, sei lesta
più di qual si sia fiore
ad inseguir la neve spaventata.
Tu credi a primavera dubitosa. (R. Bacchieri)

La violetta mammola 
La violetta mammola è sbocciata
in mezzo all’erba tenerella e bassa;
ma subito in gran fretta s’è chinata
per potersi nascondere a chi passa.
(M. Dandolo)

Le violette
Le violette? Le scorsi a piè d’un muro:
facevano una chiazza di viola,
come di sangue, sul tappeto scuro
dell’ortica e dell’erba vetriola.
Erano lì: fiorivano ignorate
in quel luogo selvaggio, tra un sentiero
perduto e un muro cieco; inebriate
d’ombra e silenzio; dietro al cimitero.
(D. Valeri)

Il pesco e la viola
Ancora è freddo, ancora
luccica sulle vette
la neve, e il pesco mette
le sue gemme e s’infiora.
E’ tutto brullo intorno
l’orto, ma il pesco pare
voglia un po’ consolare
questo pallido giorno.
E dice a una viola,
che ora gli è sorta ai piedi:
-Primavera, non vedi?
torna, ma è troppo sola.
(M. Moretti)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

GLI INSETTI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici GLI INSETTI – Una raccolta di dettati ortografici, letture e materiale didattico sugli insetti, di autori vari, per la scuola primaria: farfalle, grilli, maggiolini, formiche, mosche, api, vespe, ecc…

Visite
Nel mio studio capitano spesso animali, ma non mi viene mai l’idea di interrogarli. Domenica passata, ad esempio, venne a trovarmi un bellissimo esemplare di locusta nasuta, lunga e snella come un levriero dei prati, d’un verde così delicatamente graduato e sfumato che non l’ottengono, credo, neppure in una scuola di tintoria. Volle girare tutta la stanza, a forza di salti e, a un certo punto, si posò anche sulla mia spalla. In capo ad un paio d’ore, sparì. Visite ne ricevo tutti i giorni. Vengono specialmente i vesponi, con quel loro bustino settecentesco a strisce d’ebano e di zafferano, e si divertono a dare dei gran colpi sulle costole dei libri. E ora, mentre scrivo, una formica smarrita attraversa, trepidante, la mia pagina bianca, e vista un po’ dall’alto sembra un fratino sopra un nevaio.
(G. Papini)

Gli insetti
Se gli insetti non avessero dei potenti nemici, in breve distruggerebbero tutto: piante, semi, foglie, frutta, radici. Ma, fortunatamente, gli insetti se ne nutrono, le rane fanno loro una caccia spietata e altri animali insettivori aiutano l’uomo in quest’opera di distruzione,

I nemici degli insetti
Primi fra tutti sono gli uccelli che, alla fine della loro giornata, hanno divorato migliaia e migliaia d’insetti. Dobbiamo essere grati anche al rospo che, pur così sgraziato e maldestro, è un abilissimo cacciatore di bruchi, di farfalline, mosche e moscerini. Bravi insettivori sono le lucertole, le rane, che fanno del loro meglio per liberarci dagli sgraditi ospiti. Esistono anche insetti divoratori d’insetti e, quindi, utili, quali il formicaleone, la coccinella e molti altri.

Gli insetti
Se osservate un insetto che avete a portata di mano, potrete notare che ha il corpo distintamente diviso in tre parti: capo, torace e addome. Nel capo ci sono gli occhi, le antenne, e l’apparato boccale. Quest’ultimo varia secondo il modo con cui l’insetto si nutre. Le zampe sono sei. Spesso l’insetto è fornito di ali. Respira a mezzo di trachee, tubicini che da una parte aspirano l’aria e dall’altra la ramificano dentro il corpo.

Gli insetti
Non vi è luogo solitario, non ciuffo d’erba, non zolla o minuscolo anfratto del terreno, non crepa fra rocce o ferite di corteccia, che non vibri del fremito, talvolta inavvertito, degli insetti. Minuscoli esseri, essi trovano asilo e dimora ovunque la terra offra una minima possibilità di vita.
Piccoli, ma nella varietà e bellezza delle forme, nella mirabile struttura dei loro organi, nella loro vitalità presso che indistruttibile, sono anch’essi testimonianza di una divina presenza, creatrice e ordinatrice del tutto.
(G. G. Moroni)

Gli insetti
Tra le tante classi di animali rappresentate sulla terra, quella degli insetti è la più ricca. Gli insetti vivono dovunque: nelle regioni fredde e in quelle calde. Si nascondono nel suolo, invadono le case, svolazzano e volano, si arrampicano, saltano, si moltiplicano nell’erba, nei cespugli, sugli alberi, sotto le pietre, nelle cortecce delle piante.
Alcuni vivono persino nella neve e nel ghiaccio, altri stanno perfettamente a loro agio nell’acqua caldissima e nei crateri dei vulcani.
(Verril)

Insetti terribili
L’Australia ha un campionario di insetti, che formano una specialità del paese: formiche saltatrici, formiche che vivono in grattacieli di propria fabbricazione, formiche che rodono lamiere temperate, perchè schizzano un acido ossidante che permette loro di scavarsi una galleria e di penetrare all’interno di una cassa corazzata e di distruggere il contenuto con tutta comodità. In quel continente nuovissimo non son rare le mosche che depongono le uova tra i peli degli ovini, e neppure zanzare che rendono assolutamente inabitabili le zone palustri. Le cavallette sono capaci di distruggere il lavoro agricolo di anni in altrettanti minuti. (H. Van Loon)

Gli insetti

Non vi è luogo solitario, non ciuffo d’erba, non zolla o minuscolo anfratto del terreno, non crepa fra rocce o ferita di corteccia, che non vibri del fremito, talvolta inavvertito, degli insetti.
Minuscoli esseri, essi trovano asilo e dimora ovunque la terra offra una minima possibilità di vita.
Piccoli, ma nella varietà e bellezza delle forme, nella mirabile struttura dei loro organi, nella loro vitalità indistruttibile, sono anch’essi testimonianza di una divina presenza, creatrice ed ordinatrice del tutto.

Gli insetti

Gli insetti sono animali invertebrati, cioè senza ossa. Hanno il corpo diviso in tre parti: capo, torace e addome; essi sono dotati di tre paia di zampe e, generalmente, di due paia di ali.
Gli occhi degli insetti sono composti, cioè formati di tanti occhietti; sul capo sporgono le antenne, con le quali sentono ostacoli e pericoli. La bocca varia secondo il modo con cui l’animale prende il nutrimento; può quindi essere adatta a masticare, a lambire, a succhiare o a pungere. Gli insetti respirano per mezzo di trachee: tubicini che da una parte respirano l’aria, dall’altra si ramificano dentro il corpo. Essi sono ovipari; dall’uovo non esce l’insetto perfetto, ma un vermiciattolo detto larva, che poi si trasforma in ninfa o crisalide, e infine in insetto. Tali trasformazioni si dicono metamorfosi.

Gli insetti

Sono animaletti molto piccoli. Alcuni di essi volano, come le belle farfalle dalle ali colorate, le libellule sottili, le api che fanno il miele e la cera e vivono negli alveari, le fastidiose mosche e zanzare che trasmettono le malattie. Altri insetti camminano, come le formiche che vivono nei formicai; altri saltano, come le pulci e i pidocchi, insetti piuttosto antipatici, o come gli insetti dei campi, i grilli e le cicale, le cavallette e i  maggiolini; altri strisciano come i bruchi e come gli utilissimi bachi da seta.

La metamorfosi degli insetti

Gli insetti, prima di diventare adulti, compiono una metamorfosi, cioè una trasformazione. Quando l’uovo si schiude esce fuori un baco molliccio, detto bruco o larva. Successivamente, dopo essersi chiuso in un bozzolo, il bruco diviene insetto perfetto somigliante ai propri genitori.

Insetti utili e dannosi

Gli insetti che, specialmente nella bella stagione, vedi volare sui fiori, dalle bellissime farfalle al minuscolo moscerino, dalla cavalletta fornita di lunghe zampe al lucente scarabeo chiuso nella corolla di una rosa, sono, in genere, dannosi all’uomo. Esistono tuttavia molte eccezioni. L’ape e il baco da seta, ad esempio, danno all’uomo prodotti utili: il miele e la seta.
La formica rufa distrugge quel parassita dei boschi che è la processionaria dei pini.
E poi c’è un’eccezione che vale per tutti. Gli insetti, infatti, volando di fiore in fiore, trasportano il polline dall’uno all’altro, permettendo così al fiore di trasformarsi in frutto.
Purtroppo alcuni insetti sono dannosi all’uomo; infatti con la loro puntura gli trasmettono delle gravi malattie. Fra questi tu conosci certamente la zanzara anofele che fa ammalare l’uomo di malaria. E altri, che non hanno il triste privilegio di far ammalare gli uomini, sono ugualmente dannosi perchè distruggono i raccolti.
Se uno sciame di cavallette cala sopra un campo di grano, dopo poco, su quel campo, non resta più una spiga di frumento, non resta più un filo d’erba.
La forza degli insetti è soprattutto nel loro numero sterminato: essi, infatti, si trovano dappertutto, dalle desolate terre del Polo alle foreste vergini dell’Equatore.

Alleati e nemici del contadino

E’ una meravigliosa mattina di primavera. Il contadino si aggira nella sua proprietà e osserva con soddisfazione i primi frutti della sua fatica. Nello sguardo del contadino c’è una grande speranza, ma anche una certa apprensione. Andrà tutto bene? Non ci saranno sorprese all’ultimo momento? Sono state prese tutte le precauzioni per evitare anche il più piccolo inconveniente?
Mentre il contadino passeggia e osserva, un’altra vita si svolge intorno a lui. Una vita minuscola, intensa, anche se appena appena percettibile. Si sente nell’aria un fruscio d’ali; osservando la terra si vede qualcosa muoversi velocemente. Migliaia e migliaia di minuscoli esseri volano nell’aria, si posano sui fiori degli alberi, scavano nella terra, fabbricano i loro nidi nelle radici delle piante. Ma migliaia e migliaia di altri piccoli esseri sono pronti a sferrare il loro attacco contro questi animaletti che vivono danneggiando enormemente il raccolto. La loro vita si svolge così: lotte, attacchi, contro attacchi, difese, e questo da secoli. E ogni anno il risultato del raccolto dipende anche dall’esito di queste terribili e minuscole battaglie.
Intorno agli alberi in fiore ci sono innumerevoli farfalline variopinte. E’ piacevole guardare il loro volo elegante e allegro. Ma il contadino osserva preoccupato questo leggiadro vibrare d’ali. In estate, quando al posto dei fiori i rami porteranno i frutti, le mele, le susine, le pesche, avranno, nella loro polpa, un piccolo verme roseo. Infatti queste farfalline depongono le loro uova tra i fiori degli alberi, e quando dalle uova usciranno i piccoli vermi, questi si alimenteranno con la dolce polpa dei preziosi frutti. Quando saranno divenuti farfalla, cominceranno a posarsi sui fiori, a cibarsi del nettare e, a loro volta, deporranno le uova che daranno vita ad altri piccoli vermi rosei, devastatori dei frutteti.
Tra i ciuffi d’erba e le piante di grano, assistiamo spesso ai salti acrobatici delle cavallette. E’ nota la voracità di questi insetti che in breve tempo annientano le fatiche di interi mesi di lavoro agricolo. Si nutrono delle foglioline dell’insalata, rosicchiano le radici degli ortaggi. Ma la cavalletta nostrana, che in fondo è un animale semplicione e ingenuo, si combatte abbastanza facilmente. Ben più nocive sono le locuste migratorie dei paesi caldi (Africa, Sudamerica) dove questo tipo di cavallette, spostandosi a milioni in un’unica direzione, distruggono in brevissimo tempo con la loro voracità i raccolti di intere popolazioni. Per la sua lotta contro le cavallette, il contadino ha un’alleata naturale: la mantide religiosa. E’ un affascinante insetto. Ha un musino sottile, un corpo grazioso ed elegante; tiene le zampe anteriori raccolte e piegate sul petto. Sembra proprio una piccola santa in preghiera.
Vicino a lei una cavalletta ammira incantata quel santo contegno. Ma mentre è al colmo dell’ammirazione, un uncino formidabile l’afferra a metà del corpo e la tiene in una morsa strettissima. Una zampa le torce il collo completamente. La santa si è mutata in un brigante della peggior specie: assale i viandanti, li uccide e se li mangia.
Nei frutteti e, in modo particolare, nelle pinete, alcune farfalle dai colori tenui e armoniosi si posano, dopo un breve volo di ispezione, sui rami. Sono le processionarie. La farfalla depone se uova raggruppate in piccoli cilindri che ne contengono  dalle cento alle centocinquanta. Verso la fine di agosto nascono i bruchi che cominciano a rodere le foglie. Dove passano lasciano un sottile filo simile alla seta, in modo da formare una ragnatela che viene ingrandita sempre più fino a formare un vero e proprio nido a forma di pera rovesciata. Dentro il nido i bruchi passano l’inverno e in primavera escono dal loro rifugio per dirigersi in fila indiana verso gli alberi vicini dove riprendono la loro opera distruttrice. Per fortuna anche questa volta l’uomo ha un amico: anzi, parecchi minuscoli amici: piccole mosche, vespette  che vivono da parassiti sul corpo dei bruchi nutrendosi delle sostanze vitali di questi insetti che in breve tempo muoiono.
Anche le formiche, questi industriosi architetti che tante volte abbiamo ammirato mentre costruivano le loro piccole ma perfette città sotterranee, sono un pericolo che il contadino considera con un certo timore. Nelle loro scorribande sotterranee si nutrono di sostanze vegetali, di piccole parti di radici.
Ma ecco un altro alleato: è un animale molto simile alla libellula. Il suo volo, però, è assai più debole e le sue ali sono meno lunghe ed eleganti. E’ il formicaleone. Una particolarità di questo animaletto è che, quando è adulto, il suo corpo odora di rose. Particolarmente interessante è la larva del formicaleone. E’ un vermiciattolo di colore grigio rossastro; le zampe anteriori sono divaricate in avanti, le posteriori sono strette al corpo così che l’animale cammina all’indietro. Scava nella terra, con la testa, una buca a forma di imbuto. Vi si nasconde dentro e attende il passaggio della vittima (è ghiotto di formiche e da ciò gli deriva il nome), la afferra con le mandibole, la divora e butta fuori dal buco le spoglie.
Naturalmente, oltre a questi animali che hanno caratteristiche più spiccate, ve ne sono altri che, pur essendo più comuni e meno interessanti , svolgono attivamente il loro compito di alleati dell’agricoltore: i ricci, le talpe che scavano profonde tane nella terra e si nutrono di tutti quegli insetti che vivono a spese delle colture. Per finire, una particolare menzione la meritano tutti quegli imenotteri che, deponendo le uova dentro il corpo dell’insetto devastatore, fanno in modo che la larva si nutra delle viscere dell’insetto stesso che in breve tempo sarà distrutto.

Ad ogni alitar di vento

Ad ogni alitar di vento tremano le corolle leggere, oscillano le ricche infiorescenze, le spighe e le foglioline minute hanno brividi leggeri; e il muro, il severo, l’aspro muro, è percorso continuamente da impeti di gioia, è rallegrato da sussurri fecondi.
Dalle screpolature dove più batte il sole, fa capolino la lucertola; sotto le foglie fresche ed umide lavorano i millepiedi, i glomeri, le formiche, le chioccioline e le lumache, mentre da una corolla all’altra passano frettolosi i bombi, le farfalle, i moscerini, e il paziente regno dei muri vigila la sua tela fitta come un tulle e gonfia al pari di una vela.
(P. Boranga)

Gli afidi
Ognuno conosce gli afidi o pidocchi  delle piante, ma chi di noi può concepire che da uno solo di tali minuscoli esseri devino 6000 milioni di altri afidi durante la bella stagione? Logicamente, se questo potesse accadere, e l’aumento della popolazione degli afidi fosse senza freni, in breve la vegetazione del mondo intero sarebbe distrutta. Però, fortunatamente per l’uomo e per la terra, gli afidi, come quasi tutti gli altri insetti, hanno innumerevoli nemici che senza posa li divorino.
(A. Verrill)

Gli insetti
Fra le tante classi di animali rappresentate sul nostro pianeta, quella degli insetti è la più ricca. Multiformi e multicolori, tali esseri vivono nelle regioni artiche alle antartiche, all’equatore ed in ogni ambiente. Essi si nascondono nel suolo, nuotano, invadono le case, svolazzano e si moltiplicano nell’erba, nei cespugli e sugli alberi. E’ certo che qualcuno vive persino nella neve e nel ghiaccio, mentre altri sono perfettamente a posto nell’acqua caldissima che sgorga dalle correnti termali e nei crateri dei vulcani.
(A. Verrill)

Dettati ortografici GLI INSETTI Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

Dettati ortografici FIORI

Dettati ortografici FIORI Una collezione di dettati ortografici sui fiori, di autori vari,  per la scuola primaria: fiori di campo, violette, primule, margherite, rose, ecc…

Fiori di campo

Sbocciano in piena libertà, all’aria aperta della campagna. Danno un aspetto vago all’erba, inghirlandano a festa le colline, riempiono di profumo le gole dei burroni e il silenzio delle ombrose valli. Li trovate dappertutto, lungo la strada, lungo i viottoli, lungo i fossi, le prode, su per i greppi, nelle aiuole degli orti e dei giardini.  Si direbbe che questi piccoli e graziosi amici stanno a far capolino tra l’erba per sorridervi mentre passate e per rallegrarvi la strada. Entrate nel bosco ed ecco venirvi incontro il mughetto con le sue campanelline d’argento e la violetta dal profumo delicato; fra quel ciuffo d’erba verde biancheggia l’elegante margheritina, e in mezzo a campi di grano spicca il rosso fiammante del rosolaccio e la tinta azzurra del fiordaliso. (Collodi)

Fiori 
Quanti fiori, nei giardini, a primavera! Nell’erba, nascoste, sono le violette profumate; sulla siepe fiorisce il biancospino. Ogni pianta ha il suo fiore. Anche le piantine che nessuno sa come si chiamano, hanno messo il loro bocciolino.

La pratolina
La pratolina è composta da molti fiori piccoli: tanti fiori gialli al centro, tanti fiori bianchi alla corona, riuniti in un solo capolino, così da sembrare un unico fiore che spicca sul verde del prato.
Perchè?
In questo modo gli insetti possono vederla anche da lontano; vi accorrono in volo; vi si posano a succhiare il nettare e trasportano il buon polline ad altre pratoline.
Solo così potranno nascere nuove piantine.

Dettati ortografici FIORI
Le primule

Sono sbocciate le primule. Sono a mucchietti, piccole e gialle. Ciascun cespo sembra una famiglia con tante sorelline.
Sbocciano di qua e di là, da tutte le parti. Si chiamano a fiorire insieme.
Le foglie escono, dal cespo, ruvide e rugose.
Questa pianta non ha rami, ma soltanto le foglie che rimangono rasente terra. I suoi fiori si alzano un poco sopra il cespo con i loro piccoli gambi sottili e con il calice verde che mette meglio in risalto il giallo della corolla.
Gli insetti si posano sui fiori, li fanno un po’ dondolare, ma il loro gambo non si spezza.
“Io so perchè gli insetti volanti si posano su questi fiori; perchè in fondo al calice trovano una gocciolina dolce come il miele, che si chiama nettare, e se lo succhiano”.
“Anch’io ho succhiato questi fiori e mi hanno lasciato in bocca un buon sapore dolce e profumato”, dice Giovanni alla sorellina.
(Pierina Boranga)

Fiori 
Perchè alcune piante fanno dei fiori così belli, variopinti, profumati? Forse per far piacere agli uomini? No, la pianta non si cura degli uomini, ma mette in opera tutta la sua bellezza, tutto il suo profumo, tutto il suo colore e soprattutto nasconde nel suo calice una gocciolina di dolcissimo nettare, per attirare gli insetti. E perchè questo sviscerato amore per le alate creature? Perchè saranno proprio gli insetti, almeno per numerosissime specie, a favorire la trasformazione del fiore in frutto nell’interno del quale, poi, matureranno i semi. Per ottenere questo, le piante mettono in opera infiniti accorgimenti. Qualcuna schiude i suoi fiori di notte, perchè sa che soltanto insetti notturni andranno a trovarla; altre fabbricano trappole astutissime per trattenerli il tempo necessario all’impresa; altre ancora foggiano petali e calice in modo da costruire passaggi obbligati, affinchè gli insetti arrivino al polline fecondatore. Tutto per il fine ultimo che la pianta si propone, quello di produrre il seme che darà vita ad altre piante.

Fiori 
Il piccolo fiore di prato non si sente mai solo; l’erba verde lo circonda, l’aria lo culla e lo accarezza dolcemente, l’ape si posa sulla sua corolla per succhiarne il  nettare, gli insetti ronzano introno. La sua vita è semplice e bella. Egli saluta l’alba spalancando la corolla alla luce, accoglie l’ora del tramonto chiudendo i suoi petali o reclinando la testina. Quando la falce dell’uomo taglia il suo stelo, giace fra le erbe e spande ancora intorno un sottile aroma: è l’odore fresco del fieno. (M. Cera)

Fiori 
Nel prato fioriscono i miosotis. Dalle umili foglioline emergono i fiori: sono frammenti di cielo azzurro ed in mezzo ad ognuno splende un grano d’oro, come il riflesso d’un sottile raggio solare. Vi fioriscono le primule. Dal cesto verde, tondo, aderente alla terra, si alzano le delicate corolle gialle, pallide e trasparenti, come se dentro brillasse un tenue lume. Si stendono in file bianche e rosate le pratoline. Le guardano, appena reclinandosi, le nobili genziane dalla veste mirabilmente turchina. Dove l’erba è più alta emergono i giallo-lucidi bottoni d’oro, penduli in ogni soffio d’aria, e le più gravi margherite, dal tondo occhio stupito in mezzo alla candida raggera. Al vento, le mente, dai fiorucci azzurro-bigi, affidano il  loro profumo. Per quel vento si aprono talvolta dei solchi e si scoprono laggiù erbe minute che pure hanno i loro fiori, spruzzi gialli, rossi, turchini. (G. Fanciulli)

Fiori 
Le siepi di pruni aprivano tra le spine miriadi di occhietti bianchi per guardare il frumento tenero che brillava rabbrividendo allo scherzo gentile del vento; e gli alberi gemmavano: le foglioline lucide accendevano a mille a mille le loro fiammette verdi lungo i rami, intorno ai fremiti dei nidi; tremolavano attraverso i campi i filari argentei dei pioppi e dei salici. Qualche nuvoletta bianca era nel cielo: nei prati brillavano i bottoni d’oro dei ranuncoli; intorno ad essi gli ombrellini lievi delle pastinache vi facevano una nebbiolina rosea e bianca, e tra il verde si fondevano i mille azzurri, i viola, i gialli, i rossi di tutti i fiori campestri. (Virgilio Brocchi)

Fiori 
A primavera, dopo che le ultime nevi sono scomparse, le erbe germinano in fretta e si fanno alte. Tutte eguali sembrano le erbe al piede che le calpesta, ma non agli occhi che le guardano con amore, nè alle mani che a dita aperte vi affondano una carezza. Quale innumerevole famiglia! Steli, foglie, fiori, che sembrano messi lì a far folla, hanno ciascuno un disegno, un’armonia di colore, un carattere individuale rivelato in minutissimi particolari. (G. Fanciulli)

Fiori 
Tutto il mio affetto va ai poveri fiori di campo e di monte, che pochi guardano e nessuno coltiva. Alle pratoline dai petali macchiati di vino, al papavero che insanguina i grani, al fiore azzurro del radicchio, al fragile ed effimero farfallio del biancospino, al cardo selvatico che mostra al primo sole le sue corolle crudeli e pungenti, fra il celeste e il turchino, al ciclamino che timido si affaccia tra l’erba tenera e commovente. Sono i fiori dei bambini e dei poeti; di coloro cioè che sono al tempo stesso più poveri dei mendicanti e più ricchi dei re. (G. Papini)

Fiori 
Uscite dai dedali della città e inoltratevi per i campi. Quale sia il fiore che per primo vi si mostrerà, voi, nel vederlo non divelto dalla pianta e vibrante con le cose circostanti, risentirete pieno il suo fascino. Riempitevi di questa armonia. Alla svolta di quel sentiero, all’ombra di un masso, una pianticina erbacea fa sforzi per offrire alla luce il suo fiorire di corolle fitte e azzurre, così grandi a paragone dell’umiltà della pianta che noi non possiamo trattenerci dal domandarci come abbia fatto ad effondere tanta ricchezza. (A. Anile)

Dettati ortografici FIORI
Fiori 

Non v’è lembo di prato spontaneamente formatosi che non ci si riveli una gara di richiami, che è gara di colori: dal bianco niveo al roseo, dal giallo al purpureo, dall’azzurro al violetto cupo. Se una specie ha fiori bianchi, il colore cioè che agisce a maggiore distanza ed un’altra ha fiori gialli, questa cerca di vincere il vantaggio di quella sollevandosi alquanto più da terra. Colori vari e gradazioni indefinibili di colori, che restano tuttavia insufficienti al numero delle specie dei fiori, che vogliono un loro segno. Da ciò la necessità del comporsi di varie tinte sopra il medesimo fiore, quante combinazioni di turchino e di giallo su fondo grigio, di violetto e di lilla su bianco, di rosso trapassante in purpureo ed in amaranto; e quante sfumature e screziature che non si possono esprimere con le parole. Una struttura particolare delle cellule di rivestimento del petalo ed una speciale incidenza di luce possono dare nuovi riflessi a un medesimo colore: paragonate il viola della mammola a quello di una corolla di petunia. Vi sono corolle dove ciascun petalo cambia colore in gradazioni non determinabili. (A. Anile)

Fiori 
Alla svolta di un sentiero, all’ombra di un masso, una pianticina erbacea fa sforzi per offrire alla luce il suo fiorire in corimbi fitti e azzurri, e così grandi in paragone all’umiltà della pianta, che noi non possiamo trattenerci dal domandarci come abbia fatto ad effondere tanta ricchezza; un poco più oltre, lungo il margine di un ruscello, un ciuffo fiorito si piega nel vento a riflettersi nell’acqua: se indugiate ad osservare il colore di questi fiori, vi accorgerete che è anch’esso sfuggente. Strisce d’asfodeli, che si dilungano sul fosso aspro di quel colle, sembra che traccino sentieri per il passaggio degli angeli. Dove si formano promontori in un tumulto di rocce, la più strapiombante sul mare si colora di una ghirlanda di fiori, la cui pensosa bellezza muore immediatamente se tolta da lassù. Allo stesso modo da fianchi rupestri di montagne emergono piante che amano rendere ondeggianti sull’abisso grappoli floreali che nessuna mano toccherà. (A. Anile)

Il fiore
Non c’è cosa più bella del fiore: piace all’occhio e anche all’odorato. Noi ci fermiamo talvolta a osservarlo e ci domandiamo da quale mano può essere fabbricata tanta beltà e tanta gentilezza. I fiori si donano alle persone che si amano. Si danno proprio perchè sono cosa bella e gentile. (F. Socciarelli)

I fiori

I fiori vivono e parlano. Il profumo è il loro respiro e il colore la loro voce. I fiori somigliano ai bambini. Quando la rugiada del mattino li bacia, tutti sollevano la corolla come tante testoline bianche e brune di bimbi appena nati. E come alle prime ombre della sera i fiori chiudono le loro corolle, così i bimbi piegano le testoline allorchè cadono dal sonno. (N. Salvaneschi)

Fiori 
Mille gentilissime forme, infinite sfumature di colori, un variare delizioso di profumi, e l’acuto piacere che danno al tatto i petali vellutati; ecco in folla venire a noi i fiori d’ogni stagione, a stimolare i nostri sensi, perchè facciano giungere all’anima l’immagine di tanta bellezza. (F. Monelli)

Fiori 
Le mammole riaprono dal lungo sonno i begli occhi azzurri. Il pesco si è tutto magnificamente coperto di fiori, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti. Le margherite silenziose e tranquille, tremolano al tiepido vento. Persino nelle lande più pietrose e deserte qualche fiore solitario apre all’aura nuova le sue tre o quattro foglioline soffuse di un pallido rosa, o venate di tenere righe violacee. In ogni albero canta un nido, in ogni cuore rinasce la speranza. (E. Nencioni)

Fiori 
La primavera tornò, la campagna si coprì del verde vellutato dei frumenti, interrotto a quando a quando dai gialli tappeti delle rape in fiore; i mandorli esalavano amare fragranze dalle loro bianche ghirlande; la viola mammola, ametista odorosa, fiorì celatamente fra l’erba. Sulle vette dei freschi platani e delle querce severe, tra i longevi cipressi e le gracili acacie, i fringuelli cantarono; da ogni lato si alzavano al cielo profumi e armonie; profumi e armonie primaverili. (F. Martini)

Fiori 
Le primule sono dappertutto: ho visto sulla collina un gran pendio tutto biondo che pareva l’immagine della via lattea. I cornioli in fiore sembravano sciami di api d’oro sospesi qua e là sullo smeraldo e sull’ametista delle campagne. Nel mio orto, giacinti e narcisi sono balzati su col vigore delle giovani punte, senza aspettare che io rimuovessi loro  la coperta invernale di letame e di fogliame. Laggiù nell’angolo, la vecchia mimosa, ridotta a quei due o tre rami inaccessibili, si è accesa del suo giallo fuoco di gioia. Rami inaccessibili, perduti in alto, che ogni primavera io guardo con un’ammirazione mista di dispetto. (F. Chiesa)

Fiori 
Appena la natura ripalpita ai primi soffi della primavera, ecco i fiori. Fiori dappertutto: nei campi e nei prati, sulle rive dei ruscelli, nelle siepi, nei boschi, nei giardini, nei negozi e nelle piazze. Ovunque è una profusione di piccole rose, dal profumo appena sensibile, ma vivide e fresche; di lillà bianchi e celesti, di violette sorgenti nel folto delle siepi: odorano con uguale grazia i vasi di cristallo e i pentolini sbocconcellati, i salotti dei ricchi e le modeste case  degli operai. Ed ecco nei prati le vivaci margherite dal cuore d’oro e dai petali sfumati in rosso. Fiori, fiori dappertutto. La natura che si risveglia dopo il riposo invernale è ricca di promesse. (M. Savini)

Fiori 
A tutti i fiori splendenti e superbi preferisco quelli modesti: la selvaggia rosa di macchia che un raggio di sole appassisce, il caprifoglio che si arrampica sulle querce, la viola del pensiero dagli occhi vellutati, la margheritina dei campi, il ranuncolo d’oro, l’erica rosa, il mughetto d’argento, il biancospino intorno a cui ronzano le api. (F. Dumonteil)

Fiori 
I fiori sono il più bel dono che sia stato fatto agli uomini. Osservate un giardino in fiore, una terrazza, un balcone, adorni di fiori  dai colori vivaci, dai profumi inebrianti e soavi. Osservate la vetrina di un fioraio: quale festa di colori, di forme armoniose! I fiori hanno una sola colpa: quella di durare troppo poco. Anche circondato dalle maggiori cure, il fiore finisce sempre per appassire, perdendo profumo, colore, freschezza e morbidezza. Ma questo danno è solo apparente; in sostanza, il fiore appassisce, ma in esso si forma il germe di una nuova pianta. (P. Addoli)

Fiori 
Al mattino, appena il cielo biancheggia ad oriente e spegne a uno a uno i suoi lumi, appena le nuvole cominciano a colorarsi di tinte d’argento, d’oro, di porpora, i colori dei fiori cominciano a distinguersi fra le erbe sempre meno scure, e prima i bianchi e i gialli, più tardi i rosei, i celesti, i blu. Presto presto, se il cielo non è nuvoloso o piovoso, le pratoline sciolgono le cuffiette, i vilucchi calano i cappucci, si aprono le campanelle e i gialli soffioni e le cicorie somiglianti a fiordalisi. (P. Lioy)

Fiori 
Addio, giorni brevi e tristi; cieli grigi, fredde e tenebrose piogge monotone, nebbie e ghiaccio crudele… Un alito nuovo spira tiepido dalle umide colline, velate di vapori argentei e leggeri. Bianche e soffici nuvole aleggiano per l’immacolato turchino del cielo. I neri e grossi alberi, dalle braccia muscolose e rudi, paiono spruzzati da una brina di smeraldi e di perle. Sotto il muschio delle vecchie pietre grigie, nel bosco, le mammole riaprono dal lungo sonno i begli occhi azzurri. (E. Nencioni)

Fiori 
La primavera è proprio dappertutto, anche dove non c’è bisogno. Anche tra i sassi del muro franato l’erba è voluta crescere; per i sentieri più scoscesi, tra i tronchi degli alberi che furono abbattuti con l’ascia. Le margheritine bianche, quelle dei prati, fanno di tutto per dare nell’occhio; e gli stessi prati si sono lisciati con la rugiada e il fresco che pare perfino bizzarria e voglia di divertirsi. Anche l’azzurro rimane lì per lì un poco rintontito, quasi non sapesse che fare e forse, vergognoso di odorare nemmeno quanto una violetta. (F. Tozzi)

Fiori 
La terra si era addormentata. Una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva, dietro le palpebre chiuse, a sentire frugare fra l’erba, a sentirsi toccare le violette nascoste. Picchiettandola con le minute dita leggere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva pian piano: svegliati; e mormorava: svegliati; e poi: su, su, è l’ora, vestiti. E la terra fingeva ancora di dormire, perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia. Alla fine ha aperto gli occhi delle margheritine ed è rimasto un odore di terra bagnata nei giardini. (A. Campanile)

Dettati ortografici FIORI
Fiori 

Noi chiamiamo frutti solo la pesca, la ciliegia, la pera, la noce, l’arancia e l’uva. Ma tutte le piante producono frutti, dalla rosa alla fava, dalla violetta alla quercia, perchè il frutto non è altro che l’ovario trasformato dopo la fecondazione degli ovuli. Per effetto di questo prodigioso fenomeno, il magico fiore della rosa è trasformato in una piccola sfera rossa che pochi conoscono, perchè le rose sono colte e appassiscono prima del tempo. Il fiore alato della fava e dei fagioli diventa un grosso legume e l’amabile fiore del ciliegio, la rossa bacca carnosa. (E. Baldacci)

Fiori 
A primavera, quando i fiori si schiudono ai primi tepori, quando i petali variopinti mostrano i loro splendidi colori ed esalano i profumi più soavi, una moltitudine di insetti vola freneticamente dall’uno all’altro fiore per succhiare quella gocciolina di nettare che ognuno di essi nasconde in fondo al suo calice. E, così facendo, aiutano la natura nel miracolo della fecondazione. Per opera degli insetti, il polline di un fiore viene trasportato su un fiore della stessa specie, ed ecco che il miracolo si compie: il fiore si trasforma in frutto.

Fiori 
Le piante che ricorrono all’opera degli insetti per trasformare i loro fiori in frutti, prendono gli aspetti più appariscenti per attirarli. Innanzitutto il colore, così gli insetti possono subito avvistarli fra il verde e visitarli. Poi, il profumo. Non è necessario che siano odori soavi e delicati. Qualche fiore emana perfino un odore nauseabondo che attira gli insetti che lo preferiscono, ma tutti hanno, in fondo al calice, una gocciolina di dolcissimo nettare. Per succhiare questo cibo squisito, gli insetti visitano diligentemente tutti i fiori, impolverandosi così di polline che trasportano da un fiore all’altro.

Fiori 
I leggeri venti mattutini che soffiano per la valle appena il sole si alza, le calde correnti che salgono nell’aria, verso il mezzogiorno, le brezze marino che spirano sulle coste, raccolgono il polline dalle capsule floreali mature e lo portano in volo con movimenti ondeggianti, diluendolo nell’aria. I filamenti piumosi, viscidi, pelosi dell’ovario si sporgono dai calici, e come ragnatele pronte a far prigioniero ogni minuscolo insetto che incautamente vi cada, raccolgono quanto il vento ha portato. Dagli abeti e dai pini, dai ginepri e dai cipressi, si libera una nuvola gialla al primo alitare di vento: una pioggia di zolfo, come la chiamano i contadini. Il polline scorre sulle correnti atmosferiche e si deposita sui fiori femminili. sbocciati all’estremità dei rami. (E. Baldacci)

Dettati ortografici FIORI
Fiori 

Il mandorlo, il pesco, l’oleandro, il lampone e la fragola producono nettare prelibato attorno al loro ovario. Il nettare non è che un impasto di amido, di zuccheri, di grassi e di altre sostanze, ma il suo sapore è dolcissimo come quello del miele delle api. I fiori producono il nettare sulle loro foglie colorate o in ricettacoli e ciascuno non può cederlo che a insetti particolarmente confermati. I coleotteri muniti di brevi succhiatoi lo raccolgono dai tessuti carnosi del calice, su cui il nettare si spande come una densa pennellata di vernice lucente. Le farfalle, munite di lunghe proboscidi, visitano i fiori che nascondano il loro nettare in recipienti profondi. Così che i visitatori di questi fiori non possono raggiungere fiori diversi da quelli su cui questo nettare è stato prodotto. (E. Baldacci)

Fiori 
Gli insetti aiutano il fiore: mosche, vespe, calabroni, api, scarabei, farfalle, tutti fanno a gara in suo aiuto per trasportare il polline dagli stami sui pistilli. S’immergono nel fiore ingolositi da una goccia di miele espressamente preparata in fondo alla corolla e nei loro sforzi per raggiungerla, scuotono gli stami e s’impasticciano di polline che trasportano da un fiore all’altro. Chi non ha visto le api e i calabroni  uscire infarinati dal seno dei fiori? Il loro corpo villoso, polveroso di polline, non ha che da toccare, passando, un pistillo per comunicargli la vita. (J. H. Fabre)

La prima viola
E’ spuntata sull’orlo della strada, sotto la siepe, piccola, scura, profumata. E’ venuta a dire che è primavera, che tra poco torneranno le rondini a rifare il nido, che tutti gli alberi, uno dopo l’altro, si ricopriranno di fiori, di foglie, di frutti. E’ venuto a dire al contadino che i lavori dei campi l’aspettano. E’ venuta a promettere ai poveri che non farà più freddo. Tra poco il sole tiepido scalderà la terra coi suoi raggi e la terra tornerà rigogliosa, con l’aiuto di Dio e col lavoro dell’uomo. (L. Steiner)

E’ spuntata sul bordo della strada. Manda un delizioso profumo. E’ venuta a dire che la primavera è finalmente arrivata.

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La pratolina

La pratolina cresceva a vista d’occhio, finchè una mattina si trovò in piena fioritura, con tutte le foglioline bianche e lucenti spiegate come raggi intorno al piccolo sole giallo del centro. A lei nemmeno passava per la mente di essere un povero fiorellino disprezzato che nessuno avrebbe degnato di uno sguardo, là, in mezzo all’erba; oh, no:  era tutta contenta, si volgeva dalla parte del sole, guardava su ed ascoltava l’allodola che cantava, nell’alto. Se ne stava composta, sul suo piccolo stelo verde e imparava dal sole caldo e da tutto quanto la circondava quanto è bello il mondo; e godeva che l’allodoletta cantasse così bene e così chiaro. (H. C. Andersen)

Gli anemoni
Intorno a certe rocce, si alzano, in belle famigliole, gli anemoni. Tutti hanno simili foglie, a ventaglietto, minutamente tagliuzzate come per gioco, e grossi gambi rosso-bruni, un po’ contorti per lo sforzo del trovare la via tra la terra secca e i sassi. Ma le corolle dei petali riuniti, soffuse di opaca lanuggine, mostrano i colori più diversi: alcune rosse di fiamma, altre violacee, e altre quasi bianche. Nei fiori, che aprono i petali a stella di sei punte, si scorge il nero cercine dei piccoli stami affollati. (G. Fanciulli)

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La mammola

Erba, cara erba, sempre vista e sempre nuova, quando mai mi era apparsa così verde? E dove mai se ne stavano nascoste tutte queste mammole? Proprio come le stelle che, fino a una certa ora della sera, non ci si pensa: poi ad un tratto, se levi lo sguardo, il cielo ti trafigge gli occhi con miriadi di spilli. Dappertutto mammole: nella prateria dietro la casa, lungo i cigli dei viali, formando siepe, sulle rive del laghetto, all’ombra dei pini e dei pioppi. Non c’è tronco che non abbia alla radice, tra i fili d’erba e i ciuffi dell’edera, la sua corona di mammole. Brune, di un bruno intenso, di ciglia abbassate, timide e pur d’un rilievo schietto tra le foglioline a cuore; e d’una fragranza così penetrante nella sua leggerezza, che le narici le sentono prima che l’occhio le scopra. (A. Negri)

Ciliegio in fiore
L’albero era fino a ieri nudo; nudo nel tronco, nei rami qua e là contorti dall’aspro battere del vento. Cosa sia accaduto perchè stamattina ricalcando il sentiero solitario, io abbia visto, invece dell’albero, una nube bianca tutta di fiori stretti così fittamente gli uni agli altri da formare una cosa sola, impalpabile, quasi aerea attraverso la quale non mi riesce più di distinguere nè rami nè tronco… L’aria attorno alla nube non è più chiara e vibra come uno strumento musicale con melodie di suoni che son diventate melodie di profumi e di cui la mia anima si riempie. Guardo in alto, e mi sembra che il cielo si sia più incurvato per richiamare a sè questa nube venuta da sottoterra. (A. Anile)

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Glicine

Si arrampica sui muri, ammantandoli con la sua veste violacea fatta di grappoli fitti fitti visitati golosamente dagli insetti. Il glicine è il trionfatore dell’aprile. Si arrampica su su, e ogni vecchio muro diventa leggiadro, ogni cancello ha una veste fiorita, ogni inferriata sembra piena di primavera.

I grappoli del glicine coprono tutto il muro come un manto violaceo, senza neppure un filo di verde perchè le foglie non sono ancora spuntate. Pare che abbia fretta, il glicine, e sboccia subito ai primi tepori, e sale su, impetuoso, fino alla sommità del muro, e tabocca ancora di là, come se non gli bastasse mai.

Dopo l’impeto della prima fioritura, i grappoli del glicine impallidiscono piano piano, i calici cadono come una pioggia di viole e, allora, sono le foglie che crescono, si arrampicano, ricoprono il muro di verde, e lo fanno tutto bello, fresco, nuovo, mentre ancora qualche grappolino fiorisce qua e là, ma di malavoglia, come se gli dispiacesse di finire troppo presto, quando la stagione è ancora tanto tiepida e dolce.

Durante la notte cadde una pioggerella benefica e il mattino si alzò limpido e luminoso. Gli steli acuminati del grano giovane erano cresciuti di un dito e nell’orto i piselli avevano germogliato. La canna da zucchero era tutta aghi del colore del pistacchio contro la terra color cioccolata. I gelsi erano carichi di more verdi; la spalliera del glicine era tutta in fiore: una trama delicata come un merletto. Le api ne avevano scoperto la fragranza e in ogni corolla ce n’era una, a capofitto intenta a succhiare. (M. Rawlings)

I papaveri
I papaveri hanno invaso il campo di grano. Sono un esercito. I soldatini indossano la camicia rossa e non fanno male a nessuno: la loro spada è la spiga. Il vento li agita.I soldatini sembrano correre per il campo conquistato. Quando poi il vento tace, ogni papavero si attarda col fiordaliso, suo compaesano, che indossa la tuta azzurra dell’operaio. (Renard)

Ninfee
Le rive dello stagno erano ricoperte di ninfee. La barca ne fendeva la superficie spessa con un secco fruscio. Tra le foglie, l’acqua traspariva come la polpa di un’anguria nel triangolo dell’incisione. Le piante s’intrecciavano fra loro accorciandosi, i fiori bianchi con lo stelo chiaro, scomparivano sott’acqua e riemergevano grondanti. (B. Pasternak)

Il giglio
Osservate il giglio: lascia a terra la rosetta delle sue foglie e si eleva tutto in uno stelo che porta al sommo le candide corolle. Non sembra un fiore: è piuttosto una purezza di offerta all’alto, sì che non c’è stato pittore che non l’abbia fatto portare dalla mano di un angelo.  (A. Anile)

I fiori

I fiori sono sempre belli: belli quando timidi ed umili ornano le zolle dei campi e occhieggiano dal fitto delle siepi; belli quando sbocciano sul ramo quasi nudo degli alberi da frutto cui donano un vestito nuovo e vaporoso; belli nelle aiuole curate dei giardini quando vengono a premiare la fatica del giardiniere. Ma diventano belli soprattutto quando, raccolti in un mazzolino, diventano un omaggio ed un dono.

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I fiori e le stelle

Quanti fiori rallegrano la terra! Papaveri rossi, fiordalisi azzurri, margheritine bianche e ranuncoli d’oro spiccano in mezzo al giallo dei campi e al verde dei prati, mentre garofani screziati e rose di ogni colore ornano le aiuole dei giardini.
Quando, poi, i fiori si piegano sullo stelo per dormire, e i loro colori scompaiono nell’oscurità della notte, in cielo, ad una ad una, si accendono le stelle.
E anche le stelle sembrano fiori.

La natura e i fiori

Di fiori è piena la natura: prati, campi, siepi, declivi, monti, boschi, selve, tutto è un immenso, molteplice, perenne rifiorire.
I fiori sono la poesia del mondo. Dove si trova mai un tessuto che possa eguagliare il petalo di un fiore? I fiori sono per noi simbolo di gentilezza, di purezza, di grazia, di bellezza, di amore, di gioia, di speranza, di augurio, di ricordo.
Chi ama i fiori non può essere un’anima volgare: coltivare un fiore significa ingentilirsi, pensare al bello, al buono. (O. Stampatti)

Il fiore

Il fiore ha allungato il gambo. Nel bocciolo, piccolo laboratorio, è ormai tutto pronto: il polline, le antere, gli stami, il pistillo, i petali tutti uguali. Si aspetta il segnale perchè l’apertura si compia.
Ma nessuno deve vedere questo miracolo, e perciò i boccioli si schiudono sempre di notte. Al mattino il fiore è aperto; e il sole gli dà gli ultimi ritocchi di colore… Le farfalle, appena si svegliano, corrono tutte a vedere, e, al suono del campanellino dei grilli, danzano sui petali immacolati la lieta danza della primavera. (C. Pretelli)

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Quanti bei fiori

Quanti bei fiori rallegrano il nostro paese! Tutti i colori: il rosso dei papaveri, l’azzurro dei fiordalisi, il bianco delle margherite, spiccano in mezzo al verde dei campi dei prati. Nei giardini si aprono i fiori d’arancio, le rose, i garofani, le dalie, i crisantemi.
Quando viene la sera, quando l’ombra copre la campagna ed i giardini, i vivi colori dei fiori svaniscono nell’oscurità. Molti fiori piegano sugli steli le corolle stanche, come se volessero dormire. Allora appaiono ad una ad una le stelle, che sembrano fiori luminosi nel limpido cielo. (M. Savi Lopez)

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Un fiore che ha fretta

Il ranuncolo è una pianta frettolosa; appena finito il vero freddo, allarga le sue foglie lucenti spesso macchiettate di rosso bruno o di bianco. Dal centro di questa rosetta di foglie si alza il fiore giallo dorato che invita i primi insetti della stagione a fargli visita.
Ha da tre a cinque sepali e i petali variano da cinque a dodici. Se staccate un petalo vedete, alla sua base, una piccola squama che sporge come l’apertura di una tasca. Per gli insetti è davvero una tasca piena di leccornie: è il serbatoio del nettare. E’ una pianta così rasente alla terra che bisogna s’affretti a far provvista di luce e d’aria prima che le altre piante più alte le si affollino intorno. Infatti, quando ha fiorito allarga più che può le foglie, per assorbire dall’aria il maggior nutrimento possibile, e mandarlo alle radici che ingrossano; poi le foglie appassiscono e spariscono. Ma il tesoro è già messo in serbo per la primavera ventura, quando, allo sciogliersi delle nevi, sul terreno ancor tutto spoglio, appariranno le foglie verdi del ranuncolo.

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Il fiore sconosciuto

Quando giunge la fine di febbraio, esco tutti i giorni per frugare con lo sguardo nei campi e lungo i margini delle strade; cerco i primi fiori che annunciano la primavera. Il primo che vedo è sempre un fiore giallo, dai petali che luccicano al sole come tanti specchietti, che dove nasce spande attorno un senso di gioia e di festosità.
Prima di coglierlo, mi fermo a guardarlo, e mi viene voglia di inginocchiarmi tanto mi sembra bello.
Tutti i fiori che porta la primavera non hanno la bellezza e lo splendore di questo umile fiore giallo, di cui non conosco neppure il nome.
E non cerco di saperlo, perchè mi pare che non ci possa essere nome tanto bello, per un fiore così grazioso.
(C. Pretelli)

Dettati ortografici FIORI Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.

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Esperimenti scientifici per bambini – Il sacchetto magico

Esperimenti scientifici per bambini – Il sacchetto magico. Per questo esperimento servono soltanto:
acqua di rubinetto
matite ben appuntite, quante ne volete
un sacchetto trasparente di quelli apri/chiudi per alimenti, ma se non lo avete potete ingegnarvi come ho fatto io
un secchio.

Esperimenti scientifici per bambini – Il sacchetto magico

Riempite il sacchetto di plastica con acqua, quindi chiudetelo e verificate che non ci siano perdite; in caso contrario il sacchetto sarà da cambiare. Per sicurezza fate l’esperimento tenendo il sacchetto su un secchio, oppure nel lavandino.

Inserite una ad una le matite nel sacchetto, con mano ferma ma senza violenza: magicamente non uscirà una sola goccia d’acqua! Il sacchetto sembra proprio sigillare le matite che sono state inserite: fatelo notare ai bambini.

 Esperimenti scientifici per bambini – Il sacchetto magico 

Quando hai finito, poni il sacchetto sul secchio (o sul lavandino) e rimuovi una ad una le matite:

Perchè?

I sacchetti di plastica sono fatti di polimeri. Un polimero è una grande molecola costituita da diverse unità molecolari, identiche o simili, chiamate monomeri e tenute insieme da legami chimici (legami covalenti).

wikipedia.org

Queste catene di molecole sono molto flessibili e danno al sacchetto elevata elasticità.

Quando la matita appuntita penetra nel sacchetto, le molecole di cui è costituito la abbracciano creando una guarnizione a tenuta stagna intorno alla matita, e il sacchetto non perde.

Altri esperimenti coi polimeri:

Esperimenti scientifici per bambini – Il sacchetto magico – Qui un video dell’esperimento:

Esperimenti scientifici per bambini – Il sacchetto magico. Nel web:

http://tinkerlab.com/2012/03/magical-plastic-bag-experiment/

http://www.stevespanglerscience.com/experiment/leak-proof-bag

http://www.abc.net.au/science/experimentals/experiments/episode25_1.htm

Science experiments for kids: magical plastic bag. For this experiment are used only: tap, well-sharpened pencils (many as you want), a transparent plastic bag of those open / close for food, but if not have it you can remedy with plain plastic bag, as I did, a bucket.

Science experiments for kids: magical plastic bag

How is it done?

Fill the plastic bag with water, then close it and check that there are no leaks; otherwise the bag will be to change. For safety you do the experiment holding the bag on a bucket, or in the sink.

Insert one by one the pencils in the bag, with a firm hand but without violence: magically will not leave a single drop of water! The bag looks just seal the pencils that were included: do note to children.

When you’re done, put the bag on the bucket (or sink) and remove one by one the pencils:

Science experiments for kids: magical plastic bag

Why?

The plastic bags are made of polymers. A polymer is a large molecule composed of different molecular units, identical or similar, called monomers and held together by chemical bonds (covalent bonds).

wikipedia.org

These chains of molecules are very flexible and give the bag a high elasticity.

When the sharpened pencil penetrates into the bag, the molecules of which it is composed embrace it, creating a watertight seal around the pencil, and the bag does not leak.

Other experiments with polymers:

Science experiments for children – Balloon skewer

Science experiments for kids: magical plastic bag 

Video

Science experiments for kids: magical plastic bag
Other links

http://tinkerlab.com/2012/03/magical-plastic-bag-experiment/ http://www.stevespanglerscience.com/experiment/leak-proof-bag http://www.abc.net.au/science/experimentals/experiments/episode25_1.htm

Acquarello steineriano – L’albero in primavera

Acquarello steineriano – L’albero in primavera: una proposta di lavoro sul tema “l’albero in primavera”. L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a riflettere sulla condizione dell’albero in questa stagione.

Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due alberi uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
Materiale occorrente:

acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori:

giallo limone,

giallo oro,

blu di Prussia

I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.

Un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)

una bacinella e un vasetto d’acqua

una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)

un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
preparazione

Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna. Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.

poi si dispone il materiale, se volete così è il modo migliore per evitare incidenti:

Acquarello steineriano – L’albero in primavera
Lezione

Al bambino possiamo dire che stiamo dipingendo un albero in primavera prima di iniziare, oppure possiamo semplicemente dire che faremo una “pittura” e sarà lui a scoprirlo facendo.

Per prima cosa realizziamo portiamo su tutto il foglio una bella luce leggera, tiepida e allegra, col giallo limone. La luce scende dall’alto verso il basso, ma gioca sul foglio saltellando qua e là.

intensifichiamo il giallo in basso, di modo che poi con poco blu di prussia otterremo un bel verde giovane, nel quale piantare il seme del nostro albero (rosso carminio)

A partire da questo seme, senza lavare il pennello o prendere altro colore, far scendere le radici verso il basso e il primo abbozzo di tronco verso l’alto.

E’ molto importante non lavare mai il pennello, e non prendere altro rosso: si usa solo il rosso del seme, che si mescola agli altri colori sul foglio.

Il seme nella terra incontra calore, luce e acqua, e così si apre: una parte va verso il basso (le radici), quindi si mette il pennello sul seme e si scende, sempre staccando e senza mai tornare indietro; una parte comincia ad andare verso l’alto (sempre dal seme in su, senza tornare indietro). Naturalmente mescolandosi rosso blu e giallo si forma il marrone, e non ci saranno due marroni uguali…

Ora possiamo sviluppare l’albero, utilizzando alternativamente rosso carminio, giallo oro e limone e blu di prussia, prendendoli dalle ciotoline quando serve.

Infine lavare benissimo il pennello e con giallo e blu di Prussia molto diluito, creare una bellissima chioma

Acquarello steineriano – L’albero in primavera

https://shop.lapappadolce.net/prodotto/acquarello-steineriano-esercizi-di-colore-ebook/

Esperimenti scientifici per bambini – Turbina ad acqua

Esperimenti scientifici per bambini – Turbina ad acqua: per  pressione idrostatica si intende la pressione che un liquido come l’acqua, esercita quando è a riposo.  Questa proprietà viene sfruttata da secoli per la costruzione di fontane, orologi ad acqua, e altre macchine.

Esperimenti scientifici per bambini – Turbina ad acqua – Il video mostra un semplicissimo modello di turbina ad acqua.

 photo credit: http://delightfullearning.blogspot.com/

E’ stato realizzato appendendo al rubinetto una bottiglia tagliata, con dei fori nei quali sono inserite delle cannucce, e mostra come l’acqua generi un movimento di rotazione. Come vedremo meglio poi, la riuscita dell’esperimento dipende dalla precisione con cui si distanziano i fori e la lunghezza e l’inclinazione delle cannucce (se usate) che deve essere il più possibile uniforme. E’ naturalmente importante anche appendere la bottiglia in assetto il più possibile verticale…

Esperimenti scientifici per bambini – Turbina ad acqua – Di seguito altre varianti possibili:

Qui alla bottiglia vengono praticati due soli fori e si usano cannucce snodate, http://www.overunity.com/

Simile al primo progetto, ma con cannucce snodate, http://www.glendale.edu/

Modello realizzato senza cannucce. (Se si opta per questo progetto è importante forare la bottiglia con un chiodo appuntito e non con cutter o forbici, per ottenere fori precisi), di http://www.thetech.org/islamic_science

Variante con un cartone del latte (o del succo di frutta). I quattro fori vanno fatti con precisione, e tutti alla stessa altezza e distanza dallo spigolo. http://www.energyquest.ca.gov

Esperimenti scientifici per bambini – Turbina ad acqua – Ma perchè la bottiglia gira su se stessa?

Prima di procedere con l’esperimento vero e proprio, potremmo prendere una prima bottiglia e praticare tre fori, uno sopra l’altro: uno vicino al fondo, uno verso la metà e uno vicino al collo.

Riempendo d’acqua la bottiglia osserveremo che i tre zampilli sono diversi: quello più in basso è più forte e il getto più lungo, gli altri sono progressivamente più deboli.

I bambini così vedranno che l’acqua ha una pressione, e che questa pressione è maggiore sul fondo, cioè la pressione dell’acqua aumenta con la profondità dell’acqua. Come risultato, il getto inferiore, che ha pressione dell’acqua più alta, schizza fuori con maggiore potenza.

Potete anche provare a bloccare uno dei fori con un dito e vedere se ci sono variazioni negli altri getti…

Fatto questo, si può procedere con la costruzione della turbina (seguendo il modello che preferite) e con l’esperimento vero e proprio.

La bottiglia dovrebbe avviare il movimento rotatorio spontaneamente, ma se non succede potete avviarlo con la mano: il bambino non ne sarà deluso e comunque sperimenterà come questo movimento non si interrompe finchè c’è acqua che scorre nella sua turbina. Variando la quantità dell’acqua che esce dal rubinetto, potrà anche vedere come varia la velocità di rotazione.

Se la bottiglia contiene troppa acqua, sarà anche troppo pesante e probabilmente ruoterà più lentamente perchè il suo spostamento richiederà più energia. Se l’acqua è troppo poca, la bottiglia sarà sì più leggera, ma ci sarà anche poca energia (cioè poca pressione idrostatica) per muoverla.

Esperimenti scientifici per bambini – Turbina ad acqua – Ma perchè gira?

L’acqua viene spinta attraverso i fori dalla pressione idrostatica. Siccome tutti i getti fuoriescono nella stessa direzione (cioè dal centro della bottiglia verso l’esterno), questo fa sì che la bottiglia venga spinta verso la direzione opposta e che quindi cominci a ruotare su se stessa.

Si tratta della terza legge del moto di  Newton: per ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

L’azione dell’acqua di zampillare all’esterno provoca una reazione uguale nella  bottiglia: questo esperimento dimostra appunto che le forze agiscono in coppia azione-reazione.

Le turbine delle centrali idroelettriche funzionano proprio così.

Science experiments for kids: water turbin. For “hydrostatic pressure” it is meant the pressure that a liquid such as water, exerts when it is at rest. This property is exploited for centuries for the construction of fountains, water clocks, and other machines.

The video shows a very simple model of water turbine:

photo credit: http://delightfullearning.blogspot.com/

It was done by hanging at the tap a bottle cut in half, with holes in which are inserted the straws, and it shows how the water generate a rotational movement. As we shall see later, the success of the experiment depends on the accuracy with which distance themselves from the holes and the length and inclination of the straws (if used) which must be as uniform as possible.
It is of course also important to hang the bottle as vertical as possible.

Science experiments for kids: water turbine

Other projects:

Here to the bottle only two holes are drilled and are used straws jointed, http://www.overunity.com/

 http://www.glendale.edu/

Model made without straws, by http://www.thetech.org/islamic_science

Variant with a milk carton by http://www.energyquest.ca.gov

Science experiments for kids: water turbine

But why the bottle turns on itself?

Before proceeding with the actual experiment, we could take a first bottle and drill three holes, one above the other, one near the bottom, one towards the middle and one near the neck.

Filling water bottle will observe that the three jets are different: the lower one is stronger and the jet longer, others are progressively weaker.

The children so will see that the water has a pressure, and that this pressure is greater on the bottom, that is, the water pressure increases with depth of the water. As a result, the lower jet, which has the highest water pressure, splashes out with greater power.

You can also try to block a hole with your finger and see if there are changes in other jets …

That done, you can proceed with the construction of the turbine (following the model of your choice) and with the actual experiment.

The bottle should start the rotational movement spontaneously, but if not happens you can start it with your hand: the child will not be disappointed and still experience how this movement will not stop until there is flowing water in its turbine. By varying the amount of water coming out of the tap, you will also see how varied the speed of rotation.

If the bottle contains too much water, it will be too heavy and probably will rotate more slowly because its shift will require more energy. If the water is too low, the bottle will ensure lighter, but there will be little energy (ie low hydrostatic pressure) to move it.

Science experiments for kids: water turbine

Why?

The water is pushed through the holes by the hydrostatic pressure. Since all the jets protrude in the same direction (that is, from the center towards the outside of the bottle), this means that the bottle is pushed towards the opposite direction and then begins to rotate on itself.

This is the third law of motion by Newton: for every action there is an equal and opposite reaction.

The action of water to gush outside causes an equal reaction in bottle: This experiment demonstrates precisely that the forces act in pairs action-reaction.

The turbines of the hydroelectric power plants work just as well.

Mangiatoie per uccelli: 50 e più progetti e ricette per realizzarle coi bambini

Mangiatoie per uccelli: 50 e più progetti e ricette per realizzarle coi bambini. Con l’arrivo dell’inverno,  proprio quando  aumenta per loro la necessità di nutrirsi per mantenere la giusta temperatura corporea, gli uccellini hanno più difficoltà a trovare il cibo, soprattutto se il  terreno è coperto dalla neve.

Possiamo aiutarli costruendo coi nostri bambini delle mangiatoie, che ci permetteranno, con un po’ di fortuna, di osservare o magari fotografare i nostri piccoli amici. Non occorre abitare in aperta campagna, nè avere un giardino di proprietà: le mangiatoie possono essere installate anche su terrazzi e balconi.

Esistono molti tipi di mangiatoia e la  forma non ha solo una funzione estetica, in quanto serve a selezionare l’ingresso di alcune specie, favorendo l’accesso al cibo alle specie che più ne hanno bisogno e impedendolo ad altre; ad esempio le mangiatoie a cassetta sono l’ideale per i piccoli passeriformi, mentre quelle a rete sono frequentate da uccellini più agili come la cinciallegra e la cinciarella.

L’Ufficio Fauna Selvatica dell’ ENPA consiglia di utilizzare materiali ecologici (legni non trattati chimicamente e vernici non tossiche), di non usare colori troppo vivaci e a cui gli uccelli non sono abituati (vanno benissimo verde scuro, marrone e altri colori mimetici a imitazione di alberi, fronde e foglie). Le mangiatoie si possono costruire con  oggetti usati come bottiglie di vetro o plastica, pezzi di legno naturale, griglie di metallo.

Il cibo più idoneo è quello che gli uccelli conoscono e troverebbero anche in natura: frutta molto matura,  bacche e soprattutto miscele di semi e anche frutta secca (ad esempio arachidi senza sale e uva passa).

Non si deve esagerare con le quantità, perchè alcuni uccelli prendono il cibo dalla mangiatoia per poi nasconderlo in altri posti, togliendo la possibilità ad altri di approfittarne.

La mangiatoia, nei periodi più freddi e soprattutto quando c’e’ neve, può essere anche fornita di altri cibi meno “naturali”:  lardo, panettone, piccoli pezzettini di carne e poco cibo per cani e gatti (sia secco che umido).

Ci sono alcuni cibi che non sono assolutamente adatti per gli uccelli, ad esempio pane e uova  non vanno mai utilizzati in inverno.

Ecco alcuni esempi di possibili menu, sempre consigliati dall’ENPA:
– cinciarelle: arachidi non salate;
– picchi: carne cruda;
– passeri e merli: briciole di dolci e piccole granaglie;
– merli e pettirossi: croste di formaggio tagliate a piccoli cubetti;
– tordi, storni e pettirossi: frutta fresca;
– fringuelli e capinere: semi di girasole, fiocchi di cereali, dolci sminuzzati.

Per quando fa molto freddo e nevica, coi bambini possiamo cucinare la “palla di Babbalù”, miscelando 100 grammi di margarina, 70 grammi di farina 00 o farina gialla, uva sultanina a piacere, un pugno di semi misti, frutta secca a pezzetti e briciole di dolci e modellando l’impasto a forma di palla; lasciamo riposare la nostra palla in frigo e quando si sarà solidificata potremo appenderla con uno spago, come una pallina dell’albero di Natale.

Solitamente le mangiatoie si installano in un luogo non molto distante da una finestra, in modo da poter osservare i visitatori con facilità e senza disturbarli. Se si dispone di un giardino o di un terrazzo, si può appendere anche ad un ramo di un albero, ma non troppo in alto: si può partire da un metro e mezzo dal suolo fino ad arrivare ai tre metri. Accanto alla mangiatoia sarebbe opportuno mettere una ciotola bassa per l’acqua, elemento di grande attrazione per gli uccelli.

Una volta iniziata la somministrazione di cibo, non bisogna interromperla per tutta la stagione più fredda, poiché per gli uccelli che la frequentano diventa un punto di riferimento fondamentale. Con l’avvicinarsi della primavera, bisogna gradualmente diminuire la somministrazione di cibo anche perché, con la stagione della nidificazione, gli uccelli cambiano le abitudini alimentari prediligendo insetti, con cui alimenteranno anche i piccoli. In primavera le fonti alimentari aumentano notevolmente e l’utilizzo della mangiatoia deve essere sospeso. E’ necessario, inoltre, pulire la mangiatoia da eventuali scarti di cibo.

Se non viene utilizzata immediatamente occorre portare pazienza: gli uccellini selvatici sono molto sospettosi, e potrebbero metterci un po’ di tempo ad abituarsi alla mangiatoia, che è comunque una variazione all’interno del loro territorio.

Fonte: http://www.enpa.it/it/

Ecco la mia raccolta di progetti creativi e ricette:

1

1. per realizzare questa mangiatoia si mette una pallina decorativa di rametti di vite (quelle in vendita già pronte per decorare gli alberi di Natale) in un sacchettino di plastica, e si prepara l’impasto con strutto, cereali da colazione, mirtilli, uvetta, burro di arachidi e miele. Si scioglie il tutto in un pentolino, quindi si versa all’interno della palla, lasciandola nel sacchetto di plastica, e si mette a raffreddare. Quando la miscela si è solidificata si può appendere fuori (o decorare e regalare a qualche amico amante degli uccellini…). Tutorial illustrato qui http://www.craftster.org

2

2. di questa mangiatoia, che sembra realizzata in legno dipinto, non sono riuscita a trovare l’immagine originale, ma è presente in moltissimi articoli che parlano di mangiatoie per uccelli, anche qui:  http://dickeybirds.com. Penso che coi bambini si può usare una mela vera, scavarla, e inserire il cibo scelto.

3

3. tutorial illustrato per realizzare una mangiatoia semplicemente scavando mezza arancia e riempendola con mangime per uccellini, di http://www.simplesavingsavvy.net.

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4. mangiatoia realizzata utilizzando come base una pigna. Si prende la pigna, si cosparge di burro di arachidi, poi si inserisce in un sacchettino di plastica insieme al mangime scelto e si agita, in modo che il mangime di appiccichi bene al burro. Il nastro per appendere  la mangiatoia è meglio metterlo prima… Tutorial illustrato qui http://www.craftjr.com

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5. Variante di mangiatoia realizzata con pappa di burro e semi, un’arancia scavata, e spiedini con bacche, qui: http://www.flickr.com

6

6. mangiatoia per miscela di semi realizzata con due assicelle di legno, una bottiglia di vetro, il fondo di una bottiglia di plastica e del fil di ferro, tutorial di http://en.espritcabane.com

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7. semplice progetto per miscela di semi, il vassoio può essere un coperchio riciclato di una scatola o può essere costruito, tutorial di http://familyfun.go.com

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8. Per realizzare questa mangiatoia occorrono solo miscela di semi per uccelli, una bottiglia di plastica da 2l con tappo, degli stecchini di legno e carta da cucina. Con la carta si forma sul fondo della bottiglia uno strato di circa 5cm. Qundi si insericono gli stecchini nella bottiglia in modo tale che sporgano di pochi centimetri all’esterno, in modo che formino tra loro angoli retti e ad una distanza di circa 5-10 cm di altezza. Utilizzando un taglierino tagliare una stretta fessura circa 5cm al di sopra ogni spiedino. Riempire la bottiglia col becchime, avvitare il tappo, avvolgere il filo intorno al collo della bottiglia, capovolgere e appendere. Tutorial qui: http://www.natureskills.com

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9. mangiatoia in materiali di recupero, qui http://www.etsy.com (non c’è tutorial)

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10. mangiatoia scavata in una zucca, di http://pinterest.com

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11. lussuosissime mangiatoie, in vendita qui http://www.plasticashop.com

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12. mangiatoia per arachidi, insieme a moltissimi altri modelli, in vendita qui http://www.duncraft.com

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13. via http://www.liveinternet.ru

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14. via http://www.liveinternet.ru

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15. via http://www.liveinternet.ru

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16. via http://www.liveinternet.ru

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17. via http://www.liveinternet.ru

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18. frutta secca (arachidi) infilata nel fil di ferro, tutorial di http://factorydirectcraft.com

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19. via http://www.urbangardensweb.com

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20. altra mangiatoia di lusso, di http://www.dasmoebel.at

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21. mangiatoia realizzato con un cono da gelato, burro di arachidi, cereali soffiati e semi. Si fora il cono gelato e si infila uno scovolino, si fa un nodo all’interno e la parte che resta all’esterno servirà ad appendere la mangiatoia. Poi si cosparge di burro il cono, e si rulla in un piatto contenente semi e cereali soffiati. Tutorial di http://www.bettycrocker.com

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22. collana da appendere all’aperto, formata con mirtilli rossi, cereali soffiati e pane (ma secondo l’ENPA sarebbe meglio usare panettone o altro dolce), tutorial di http://www.thechocolatemuffintree.com

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23. non è una mangiatoia, ma può aiutare gli uccellini in inverno a sistemare al meglio il nido: si tratta di mettere in una griglia piccoli scarti di lana o altri materiali naturali, e appenderli ai rami degli alberi o vicino alle siepi, via http://www.ohdeedoh.com

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24. tutorial e ricetta per realizzare una ghirlanda di semi e gelatina dolce, di http://www.bystephanielynn.com

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25. in vendita, via http://www.houzz.com

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26. Mangiatoia realizzata con una rete da frutta. La ricetta richiede burro di arachidi, margarina, farina di mais e d’avena. Tutorial di http://www.marthastewart.com

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27. di http://www.minieco.co.uk il tutorial, con ricetta,  per questa mangiatoia che per stampino usa un bicchiere di plastica o un vasetto vuoto di yogurt. La ricetta prevede l’uso di strutto fuso, frutta secca, formaggio grattuggiato e mangime per uccelli: una volta rappreso, si toglie il bicchiere e si appende. Per evitare che dal foro dello spago esca il liquido si può mettere un po’ di plastilina all’esterno o colla a caldo.

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28. Progetto simile al precedente, gli ingredienti sono strutto in cubetti, miscela di semi per uccelli, uva passa, arachidi, formaggio grattugiato. Si mette il tutto in una ciotola e si lavora con le mani, finchè i cubetti di strutto non riescono ad amalgamare tra loro tutti gli ingredienti, quindi si versa nel bicchiere forato e con lo spago che da una parte esce (per appendere la mangiatoia) e dall’altro resta sospeso con uno stecchino, e si mette in frigo per un’ora almeno. Poi si appende all’aperto. Tutorial di http://www.rspb.org.uk

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29. mangiatoia per pane, dolci, panettone o avanzi di carne, di http://www.coxandcox.co.uk

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30. mangiatoia fatta a mano in legno e materia plastica, in vendita qui http://www.etsy.com

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31. tutorial per realizzare questa mangiatoia con due piatti di legno Ikea (ad esempio), di http://www.instructables.com

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32. tutorial per realizzare questa semplice ma bellissima mangiatoia con una latta del caffè, di http://www.homeclick.com

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33. senza tutorial, di http://blomsterverkstad.blogspot.com

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34. tutorial per torte per uccelli preparate con miscela di semi per uccelli e gelatina, di http://eighteen25.blogspot.com

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35. tutorial per realizzare mangiatoie con zucche scavate  e cannucce, di http://blog.landofnod.com

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36. In vendita qui http://www.etsy.com queste mangiatoie in alluminio, in varie forme

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37. mangiatoie sferiche trasparenti, in vendita qui http://www.huset-shop.com

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38. Alberello-mangiatoia realizzato con burro di arachidi spalmato sui rami e mangime, tutorial di http://www.bystephanielynn.com

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39. mangiatoria realizzata interamente con materiale riciclato: un avanzo di filo elettrico, un barattolo in plastica con coperchio, un pezzo di tubo in PVC , un frisbee… dettagliatissimo tutorial qui http://www.instructables.com

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40. mangiatoia in una mezza noce di cocco, di http://goldenleaf1.trustpass.alibaba.com/

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41. mangiatoia per miscela di semi realizzata con una bottiglia di plastica e due mestoli, tutorial di http://heckfridays.blogspot.com/

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42. mangiatoia in metallo, via http://www.homelife.com.au/

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43. tutorial di http://www.busybeekidscrafts.com ; in inverno è meglio sostituire il pane con torta o panettone

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44. mangiatoia realizzata con una ciotola in legno (forare il fondo col trapano), un pezzo di corda, miscela di semi per uccelli, una bottiglia di plastica, gelatina per dolci. Tutorial di http://www.designsponge.com/

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45. mangiatoia realizzata con un cartone del latte, tutorial di http://www.notimeforflashcards.com

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46. mangiatoia realizzata con un cartone del latte, in versione decorata e col tetto rivestito con stecchini di gelato, tutorial di http://familyfun.go.com/

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47. coprilampada sferici diventano mangiatoie per uccellini, progetto di http://www.designsponge.com

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48. mangiatoie realizzate con rotoli di  carta igienica e piattini di plastica, tutorial di http://jennwa.blogspot.com

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49. mangiatoia per pezzi di frutta in fil di ferro, qui http://www.gardeners.com/

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50. mangiatoia  in fil di ferro, tutorial di http://www.homemadesimple.com/

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51. mangiatoia  in metallo, in vendita qui http://www.notonthehighstreet.com

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52. mangiatoia tutta commestibile, di http://www.weupcycle.com

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53. collana di fette di mela, mirtilli, frutta secca e semi, tutorial di http://naturalkidsteam.com/

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54. mangiatoia realizzata con un rotolo di carta igienica spalmato di burro di arachidi e cosparso di semi, tutorial di http://moffattgirls.blogspot.com

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55. mangiatoia realizzata con una ciotola di vetro rivestita di spago lavorato a uncinetto, tutorial di http://blog.creativekismet.com

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56. mangiatoia ricavata da un’arancia, di http://www.amberdusick.com (nel blog c’è uno scoiattolo che ne approfitta…)

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57. mangiatoia in legno e rete metallica, di http://www.hopandpeck.co.uk/

Bird feeders: 50 and more projects and recipes to make them with kids. With the arrival of winter, just when increases the need for them to feed to maintain proper body temperature, the birds have a harder time finding food, especially if the ground is covered by snow.

We can help them with our children by building mangers, which will allow us, with a little luck, to observe or maybe photograph our little friends. There is no need to live in the countryside, nor have a private garden: the feeders can also be installed on terraces and balconies….

There are many types of manger and shape not only has an aesthetic function, as it is used to select the input of some species, promoting access to food for the species that are most in need and to exclude other; for example mangers in box they are ideal for small passerines, while those in mesh are frequented by birds more agile as the great tit and blue tit.

We recommend using ecological materials (wood not chemically treated and non toxic paints), not to use too bright colors (are fine dark green, brown and other camouflage colors in imitation of trees, branches and leaves). The feeding troughs can be built with used objects such as bottles of glass or plastic, pieces of natural wood, metal grills.

The food more suitable It is what the birds know and would find in nature: very ripe fruit, berries and specially mixtures of seeds and even dried fruit (for example raisins and peanuts without salt).

You should not overdo the amount, because some birds take food from the manger and then hide it in other places, removing the possibility for others to take advantage.

The manger, in the coldest periods and especially when there is snow, it can also be equipped with other foods less “natural”: bacon fat, cake, small pieces of meat and little food for dogs and cats (both dry and wet).

There are some foods that are not suitable for birds, for example bread and eggs should never be used in winter.

Here are some examples of possible menu:
– Blue tits: unsalted peanuts;
– Peaks: raw meat;
– Sparrows and blackbirds: crumbs of cakes and small grain;
– Blackbirds and robins: cheese rinds cut into small cubes;
– Thrushes, starlings and robins: fresh fruit;
– Finches and warblers: sunflower seeds, cereal flakes, sweet shredded.

For when it’s cold and snowing, we can cook with kids the “Babbalù ball”, by mixing 100 grams of margarine, 70 grams of 00 flour or corn flour, raisins, a handful of mixed seeds, dried fruit into small pieces and crumbs of sweets.
Shaping the dough in the shape of the ball; let rest our ball in the fridge and when it is solidified we can hang with a string, like a Christmas tree ball.

Usually the feeders are installed in a place not far from a window, so you can observe visitors with ease and without disturbing them.
If you have a garden or a terrace, you can hang it on a branch of a tree, but not too high: you can start from a meter and a half from the ground up to three meters. Next to the manger it would be appropriate to put a shallow bowl for water, element of great attraction for birds.

Once you start the administration of food, we must not stop throughout the colder season, as for the birds that frequent it become a key reference point. With the approach of spring, we must gradually decrease the administration of food because, with the nesting season, the birds change eating habits preferring insects,  which also feed the offspring.
In spring food sources increase significantly and the use of the manger should be discontinued. It is also necessary to clean the manger from any food scraps.

If not used immediately, you must be patient: the wild birds are very suspicious, and might put some time to get used to the manger, which is still a change within their territory.

Here is my collection of creative projects and recipes:

1

1. tutorial ed recipe by http://www.craftster.org

2

2.  http://dickeybirds.com.

3

3. tutorial by http://www.simplesavingsavvy.net.

4

4. manger made using as a base a pine cone. Tutorial ed recipe here: http://www.craftjr.com

5

5. Tutorial ed recipe here:  http://www.flickr.com

6

6. tutorial here http://en.espritcabane.com

7

7. tutorial by http://familyfun.go.com

8

8. tutorial by: http://www.natureskills.com

9

9. http://www.etsy.com (there is no tutorial)

10

10.via http://pinterest.com

11

11. for sale here: http://www.plasticashop.com

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12. for sale here: http://www.duncraft.com

13

13. via http://www.liveinternet.ru

14

14. via http://www.liveinternet.ru

15

15. via http://www.liveinternet.ru

16

16. via http://www.liveinternet.ru

17

17. via http://www.liveinternet.ru

18

18. Tutorial ed recipe here:  http://factorydirectcraft.com

19

19. via http://www.urbangardensweb.com

20

20.  http://www.dasmoebel.at

21

21.Tutorial ed recipe here: http://www.bettycrocker.com

22

22. Tutorial ed recipe here: http://www.thechocolatemuffintree.com

23

23. not a manger, but it can help the birds in winter to accommodate to best the nest: they are put in a grid small scraps of wool or other natural materials, and hang them from tree branches or near the hedges, via http://www.ohdeedoh.com

24

24. Tutorial ed recipe here: http://www.bystephanielynn.com

25

25. via http://www.houzz.com

26

26. Tutorial ed recipe here: http://www.marthastewart.com

27

27. Tutorial ed recipe here: http://www.minieco.co.uk

28

28. Tutorial ed recipe here: http://www.rspb.org.uk

29

29. http://www.coxandcox.co.uk

30

30.  http://www.etsy.com

31

31. Tutorial  here: http://www.instructables.com

32

32. Tutorial here: http://www.homeclick.com

33

33.  http://blomsterverkstad.blogspot.com

34

34. Tutorial ed recipe here: http://eighteen25.blogspot.com

35

35. Tutorial here: http://blog.landofnod.com

36

36.  http://www.etsy.com

37

37. http://www.huset-shop.com

38

38. Tutorial ed recipe here: http://www.bystephanielynn.com

39

39. tutorial here: http://www.instructables.com

40

40.  http://goldenleaf1.trustpass.alibaba.com/

41

41.tutorial here: http://heckfridays.blogspot.com/

42

42. via http://www.homelife.com.au/

43

43. Tutorial ed recipe here: http://www.busybeekidscrafts.com ;

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44. tutorial here:  http://www.designsponge.com/

45

45. Tutorial here: http://www.notimeforflashcards.com

46

46. tutorial here:  http://familyfun.go.com/

47

47.  http://www.designsponge.com

48

48. tutorial here http://jennwa.blogspot.com

49

49.  http://www.gardeners.com/

50

50. tutorial here http://www.homemadesimple.com/

51

51. http://www.notonthehighstreet.com

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52. http://www.weupcycle.com

53

53. Tutorial ed recipe here: http://naturalkidsteam.com/

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54.Tutorial ed recipe here: http://moffattgirls.blogspot.com

55

55.Tutorial here: http://blog.creativekismet.com

56

56.Tutorial ed recipe here: http://www.amberdusick.com

57

57.  http://www.hopandpeck.co.uk/

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Bird feeders: 50 and more projects and recipes to make them with kids

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina

Il ciclo dell’acqua La storia di Diamantina – Questo racconto è utile sia per illustrare il ciclo dell’acqua, sia per introdurre in geografia gli ambienti naturali montagna, collina e pianura. Andrebbe proposto a blocchi, ed ogni blocco illustrato dai bambini con matite, cerette, acquarello, ecc…  (anche copiando dalla lavagna). Questo solo a titolo di esempio:

C’era una volta, molto ma molto tempo fa, un regno immenso fatto di acqua, dove tutto era pace e armonia. Era il regno di Oceano. Custodiva tante e tante meraviglie: negli abissi più profondi e inesplorati, si nascondevano grotte misteriose e montagne di sabbia e roccia rivestite di un  mantello verde evanescente che danzava all’ondeggiare dell’acqua. C’erano giardini incantati, pieni di fiori e coralli dai colori più sgargianti, e piante grandi e piccole, alcune delle quali aprivano e richiudevano le loro chiome per mangiare e riposare.

Piccole e grandi creature si muovevano senza sosta tra quelle meraviglie. La loro pelle era simile al colore delle piante e dei fiori che le circondavano, e  lucente, e piante e creature si confondevano tra loro.

Ogni creatura aveva un nome. C’era ad esempio il polipo, con la sua grande testa allungata dalla quale spuntavano lunghi tentacoli che si muovevano in tutte le direzioni. C’era poi la medusa, leggiadra e trasparente, che si muoveva così leggera e sinuosa da sembrare una ballerina sulle punte, in perfetta sintonia coi movimenti dell’acqua. La conchiglia dell’ostrica sembrava un ventaglio colorato e custodiva al suo interno una magnifica, perfetta perla splendente. La balena era la più grande creatura del regno. Un gigante buono. Quando nuotava, attorno a lei c’erano tanti pesciolini che le tenevano compagnia. Per respirare la balena doveva, di tanto in tanto, uscire dall’acqua, ed in quel momento spruzzava dal suo dorso una gorgogliante fontana che saliva verso il cielo e poi ricadeva su se stessa aprendosi come un fiore. C’era poi il delfino, l’acrobata di quel regno. I delfini nuotavano sempre in gruppo, ed il loro gioco preferito consisteva nel balzare fuori dall’acqua, il più alto possibile, per poi rituffarsi in acqua disegnando  nell’aria archi d’argento e allegri spruzzi d’acqua.

Il colore verdazzurro del regno di Oceano gli donava un’atmosfera di sogno e di pace. In superficie tutto era un luccichio, grazie alla luce del sole:  milioni di piccole stelline sembravano posarsi a danzare sul pelo dell’acqua.

Oceano aveva moltissime figlie: le gocce d’acqua, che vivevano felici nel suo regno. Oceano si occupava amorevolmente di loro e provvedeva a tutti i loro bisogni: le nutriva, le cullava cantando per loro, le proteggeva dai pericoli. Le gocce amavano Oceano, e gli erano grate e riconoscenti per quella vita così felice e spensierata.

Un giorno, mentre tutte le piccole gocce erano impegnate a giocare tra loro, si spinsero fino alla cresta delle onde, pericolosamente troppo vicino alla superficie, e lontane dal palazzo verdazzurro di Oceano. Lì udirono una misteriosissima voce chiamarle: “Goccioline! Fatevi riscaldare dai miei raggi, vi prometto che conoscerete cose fantastiche… vi farò vedere tutte le meraviglie che esistono oltre al vostro regno…”

Le gocce si spaventarono e fuggirono via. Non appena furono di nuovo a palazzo si sentirono al sicuro, ma non riuscivano a smettere di pensare a quello che era successo, e non riuscivano a darsi una spiegazione. Di chi era quella voce? Chi le aveva chiamate? Era il caso di tornare vicine alla superficie e cercare di scoprirlo, o era meglio dimenticare tutto e lasciar perdere?

Una piccola goccia parlò: “Oh, io sono così stanca di tutta questa pace, ogni giorno uguale all’altro, ogni giorno sempre più noioso di quello prima… Questo regno lo conosco ormai fino al più piccolo granello di sabbia che contiene. Basta! Voglio qualcosa di nuovo! Voglio avventura! Voi fate come volete: io salgo!”.

A parlare era Diamantina, la più curiosa e irrequieta goccia che ci fosse mai vista nel vasto oceano. Senza esitazione, dunque, si diresse verso la superficie, e molte delle sue sorelle decisero di seguirla…

… un brivido misterioso percorse le acque, e giunse fin negli abissi più profondi dell’oceano.

Appena giunte in superficie, le piccole avventuriere si sentirono avvolte da un piacevole tepore: un raggio di sole le aveva infatti accarezzate e le stava attirando a sè con forza sempre maggiore. Diamantina e le sue compagne si lasciano andare e, piano piano, con grande gioia, si arrampicarono sul raggio di sole, lasciando sotto di sè il regno di Oceano. Man mano che salivano diventavano sempre più leggere: fluttuavano nell’aria più leggere di trasparenti farfalle, e salivano sempre più in alto, sempre più su… per la prima volta in tutta la sua vita Diamantina, fuori dal regno di Oceano, vide tutti i colori del mondo.

(disegno)

Diamantina e le sue sorelle erano così felici! Ed ecco, videro comparire mago Vento: un gigante buono che se ne stava là nell’aria e  sembrava divertirsi come un matto a gonfiare le sue guance a più non posso. Quando aprì la bocca, ne uscì una bella folata fresca che investì tutte le gocce, allora loro si diedero la mano e si strinsero, per evitare di venire sparpagliate chissà dove.  Così unite , formarono una bella nuvola bianchissima nell’azzurro del cielo, e mago Vento continuò a soffiare, spingendo la nuvola fino alla cima di un’alta montagna rocciosa.

Lassù faceva molto freddo, non si vedevano nè erba nè alberi, ma solo rocce gigantesche, immobili e solenni. Per proteggersi dal gran freddo, ed estasiate dalla bellezza di ciò che vedevano, Diamantina e le altre gocce si strinsero ancoro  più forte le une alle altre: erano nel regno di mago Gelo. Divennero per opera sua sempre più consistenti e solide e bianche, e scesero lievemente sulle montagne, trasformate in meravigliosi cristalli stellati. Si adagiarono con dolcezza al suolo formando un mantello soffice soffice e bianco bianco, e caddero in un piacevolissimo sonno che per lungo tempo le cullò su quelle alte vette.

Finalmente, un mattino, un lieve tepore le svegliò dal loro sonno, e le gocce ad una ad una si accorsero che potevano nuovamente muoversi: era arrivata la primavera.

(disegno)

Scivolarono lungo il pendio della montagna verso la valle, lungo il percorso cantavano e saltellavano e giocavano a rincorrersi, riprendendo  via via la loro trasparenza. Scorrevano sempre più veloci, e ridevano, ridevano… L’eco delle loro risa risuonava tutto intorno, e improvvisamente ebbero come l’impressione di prendere velocità e di volare nel vuoto: l’emozione le fece ridere ancora più forte! E il loro salto aveva formato un’incantevole cascata.

Lungo il percorso capitava che alcune gocce scegliessero altre strade, ma sempre accadeva che un po’ più a valle si ricongiungessero. Ritrovarono perfino le sorelle che avevano scelto per un po’ di scorrere sottoterra, per poi riaffiorare dalla roccia e riunirsi a loro come acqua di sorgente.  Quando furono di nuovo tutte insieme,  i loro mille rigagnoli erano diventati un bel torrente limpido e lastricato di sassi grandi e piccoli.

Diamantina e le altre gocce si scambiarono i loro racconti di viaggio: c’era chi aveva conosciuto la regina Stella Alpina, chi aveva spiato una cordata di coraggiosi alpinisti, chi era passata vicino a paurosissimi burroni… un profumo molto intenso le avvolgeva e felici più che mai contemplavano il verde giovane della primavera.

Diamantina per prima si fece coraggio, e chiese: “Chi siete? Perchè ve ne state lì fermi e non venite con noi?”. “Noi siamo l’erba”, risposero in coro, “non potremmo vivere separati dalla terra, che ci nutre, ci protegge, ha cura di noi. Tappezziamo la montagna formando i pascoli, e la facciamo soffice e morbida… su di noi giocano i bambini, e senza di noi mucche, pecore, caprette, morirebbero di fame”. Diamantina e le sue compagne domandarono perplesse: “Mucche? Pecore? Caprette? E che cosa sono?” . “Sono quegli animali laggiù, vedete? Quelli a quattro zampe!”.

Le gocce conobbero così gli animali, strani esseri che, a differenza dell’erba, possono correre, saltare, galoppare…

“Anche tu ti chiami Erba?”, chiese Diamantina ad un bel fiore. “Beh, non proprio… il mio nome è Calendula, anch’io appartengo alla famiglia dell’Erba, ma a me aria e luce hanno dipinto un bel fiore con i raggi del sole…”. Mentre Calendula parlava, Diamantina si accorse di un piccolo essere simile a un fiore, ma che volteggiava nell’aria. Quando lo vide posarsi su una dolce margherita, urlò: “Attento bel fiore bianco e giallo, quella cosa ti farà male!”. “Mia cara Diamantina,” rispose Margherita, “questa è nostra sorella, la Farfalla. Non vedi come somiglia a noi fiori? Le sue ali sono come i nostri petali, ma sono petali speciali perchè possono prendere la strada del cielo. La farfalla, sai, volando qua e là per il prato, raccoglie tutte le storie che racconta la natura e le passa di fiore in fiore. Ora è a me che vuole raccontare qualcosa…”

Dopo aver salutato tutti i nuovi amici conosciuti nel pascolo montano, Diamantina e le sue compagne ripresero il loro viaggio. Ad un tratto sentirono un brivido di freddo e di paura: videro attorno a loro non più il verde dei pascoli, ma una miriade di giganti maestosi ed immobili che, nascondendo la luce del sole, creavano un’atmosfera cupa e misteriosa.  Le gocce, unite nel torrente, stavano infatti attraversando un fitto bosco di pini, abeti e larici.

La luce tornò e le gocce tirarono un bel sospiro di sollievo. Avevano ripreso il loro corso naturale, quando questa volta fu un grosso sasso a sbarrar loro la strada. Alcune gocce riuscirono ad aggirarlo, passare oltre e proseguire il loro cammino; altre si fermarono a discutere a lungo davanti al masso, presero a litigare, e così divennero ben presto acqua stagnante, e il fango le imprigionò.

(disegno: montagna)

Le altre, passate il grande sasso, decisero di rallentare un po’ la loro corsa per ammirare il meraviglioso paesaggio che andava cambiando. Via via la pendenza si faceva più dolce e cominciavano ad apparire verdeggianti colline, che si susseguivano simili alle onde di un mare incantato, pronto ad offrire nuovi tesori e nuove bellezze: argentei ulivi dal tronco contorto, filari di viti, frutteti, tappeti di terra coltivata, boschetti di castagni e querce, fiori variopinti. Tante casette colorate erano sparse qua e là tra il verde. Le gocce si beavano di tutte queste meraviglie.

Diamantina e le sue compagne di viaggio si guardavano intorno felici, e la loro attenzione presto si concentrò su una specie di prato verde sospeso in alto. “Forse è un prato che vola, una specie di grande farfalla…” disse Diamantina a voce alta.  “Ma che sospeso! Ma che farfalla!” disse un grosso vocione da contrabbasso, “Sono la Quercia. Le mie radici affondano nella terra, e la terra mi ha nutrita e fatta crescere così alta e maestosa perchè desiderava guardare il cielo da vicino. I miei rami servono da riparo per gli uccelli: loro cantano e volano, mentre io sto immobile a custodire la loro casa. Solo mago Vento viene ogni tanto a scuotermi un po’ le fronde: lui è mio grande amico. “

Un canto improvviso distrasse presto Diamantina: nascosto tra i fili d’erba c’era un piccolo cosino nero, ed era lui a cantare. “E tu chi sei?”, chiese Diamantina, “una capretta nana?”. “No, no!”, rispose quello. “Allora sei una mucca piccola!”. “Ma no! Sono un insetto, un grillo canterino, per la precisione, e mentre mi occupo di pulire e riordinare la tana, canto”.

“E quei fili d’erba che saltano, cosa sono?” chiese ancora Diamantina al grillo. “Sono cavallette! Non sono fili d’erba, sono insetti come me. Non stanno mai ferme, saltano, saltano… mi fanno girare la testa!”. Detto questo il grillo riprese le sue faccende e il suo canto.

(disegno: collina)

Le gocce, intanto, cominciavano a sentirsi molto stanche, dopo quel lunghissimo viaggio, ed erano confuse e stordite per la quantità di cose nuove che avevano visto lontane da casa. Rallentarono l’andatura e udirono un ronzio insistente provenire dalla riva, da un bel prato fiorito. Videro tanti piccoli esserini gialli e neri: volavano di fiore in fiore producendo il ronzio che aveva attirato la loro attenzione.

“Quelle non sono certo farfalle” pensò Diamantina, che proprio per colpa delle farfalle aveva già fatto tante brutte figure. Si avvicinò e chiese: “E voi chi siete?”. “Noi siamo le api” risposero loro, “e ci posiamo sui fiori per raccogliere il dolce nettare. Loro ce lo danno molto volentieri, perchè sanno che così noi potremo preparare la pappa reale per la nostra regina e il miele per tutti.”

Diamantina non sapeva proprio cosa fosse il miele, ma era troppo stanca per fare altre domande, così, insieme alle sue compagne, riprese il suo viaggio, muovendosi sempre più lentamente.

Il letto sul quale Diamantina e le altre gocce scorrevano non era più così ripido, ed era anche diventato molto più largo. Le gocce ora non avevano più quella voce sonora e squillante di una volta, non saltellavano, non guizzavano: scivolavano pacatamente e via via perdevano la loro limpidezza di acqua di montagna, per diventare acqua di fiume. Il fiume si allargava sempre più. Diamantina e le sue compagne si sentivano ora pesanti e stanche e provavano una grande nostalgia per il regno verdazzurro di Oceano. Attorno a loro c’erano tante cose meravigliose: le barche, le case, la vasta pianura verdeggiante, i campi dorati di grano, i filari di vite… ma Diamantina aveva perso ogni curiosità.

(disegno: pianura)

Ora le gocce scorrevano così lentamente che il tempo sembrava non passare mai…ma ecco che, in lontananza, scorsero il regno di Oceano, la loro casa. Ma come era possibile?

“Ogni fiume porta al mare, ragazze mie!” diceva Oceano, “Forza, correte, fatevi abbracciare!”

E tornate finalmente nel regno di Oceano, Diamantina potè raccontare a tutti gli abitanti del mare com’è fatta la terra: montagna, collina e pianura.

(adattamento da un racconto in uso nelle scuole steineriane)

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Acquarello steineriano – l’albero in inverno

Acquarello steineriano – L’albero in inverno . In inverno la luce e il calore non appaiono come elementi esteriori, soprattutto se osserviamo un albero spoglio. Eppure sappiamo che sono contenuti nella terra.

Colori utilizzati:
blu oltremare,
blu di Prussia,
giallo oro
rosso carminio.

Per questo prepariamo l’ambiente lavorando col blu oltremare e il blu di prussia, così:

facendo giungere il colore sul foglio dall’esterno verso l’interno, a ricordare sia la luce fredda, sia la nebbia e l’umidità della terra.

Poi concentriamo il blu di prussia in un punto in basso, da lì diamo un abbozzo di radici e poi spingiamo il colore verso l’alto, a formare il tronco e poi i rami. Il tronco si sviluppa sempre prendendo colore dalla radice, i rami prendendo colore dal tronco e dai rami più grandi.

In nessun caso, possiamo dire ai bambini, i rami piovono dal cielo già fatti e si appiccicano a un albero. Nascono sempre dall’albero stesso e si dirigono  verso l’esterno.

ora abbiamo un’immagine di un albero completamente privo di vita, un albero di ghiaccio, ma non è così.

Dalla terra su verso l’alto facciamo scorrere nell’albero la sua vita nascosta, il giallo oro e il rosso carminio.

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Waldorf watercolor tutorial: tree in winter. In winter, the light and the heat does not appear as external elements, especially if we see a bare tree. Yet we know that are contained in the ground.

Waldorf watercolor tutorial: tree in winter

Colours used

ultramarine blue,
Prussian blue,
golden yellow
carmine red.

The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but it is not essential:

Waldorf watercolor tutorial: tree in winter

Procedure

Prepare the environment by working with ultramarine and Prussian blue, like this:

by getting the color on the sheet from the outside   towards the inside, remembering the cold light, mist and moisture of the earth.

Then concentrate the Prussian blue, in a point at the bottom, from there to make a sketch of roots and then push the color upwards, to form the trunk and then the branches.
The trunk grows increasingly taking color from the root, the branches taking color from the trunk and larger branches.

In any case, we can say to the children, the branches fall from the sky already made and cling to a tree. Always come from the tree itself and go towards the outside .

Now we have a picture of a tree completely devoid of life, a tree of ice, but it is not.

From the land upward flow in the tree his hidden life, the golden yellow and the carmine red.

Bulbi di giacinto – fioritura invernale

Bulbi di giacinto – fioritura invernale – I giacinti si possono piantare verso ottobre – novembre, quando comincia a fare freddo. All’aperto fioriscono da fine inverno ad inizio primavera.

Occuparsi dei bulbi è una bellissima attività per la seconda settimana dell’avvento, dedicata alle piante.

Possono essere piantati sia in vaso sia in idrocoltura, che sono due modi efficaci per ottenere fioriture precoci dei bulbi.

 In vaso

Per interrare i bulbi occorrono vasetti di terracotta bassi, da riempire con circa 4 cm di terriccio.  I bulbi non devono essere completamente interrati, ed è meglio evitare di pressare il terriccio. Annaffiare e aspettare…dopo qualche settimana spuntano i germogli.

Per aiutare la pianta nel suo sviluppo, il giacinto ha bisogno di un luogo fresco (intorno ai 6 -10 gradi), e di penombra. I vasetti possono essere messi quindi in un ripostiglio non riscaldato o una cantina, mantenendo il terriccio umido.

Quando i germogli avranno raggiunto un’altezza di circa 10 cm, i vasetti possono essere trasferiti in casa, al caldo e alla luce. Dopo qualche settimana fioriranno.

Altro modo per ottenere la fioritura invernale del giacinto è l’idrocoltura. Occorrono delle brocche con una strozzatura che permetta al bulbo di restare sollevato dal pelo dell’acqua. Non avendo brocche, sono andata in cerca di vasetti…

E’ importante che il bulbo non entri mai in contatto diretto con l’acqua, perchè rischierebbe di marcire, però deve essergli molto vicino, perchè questa vicinanza stimola il processo di sviluppo delle radici.

In idrocoltura

Si consiglia di usare acqua piovana o demineralizzata, ma io mi sono avventurata (piena di speranza) con quella di rubinetto.

I vasetti vanno poi portati in un luogo fresco e in penombra (si torna alla cantina o al ripostiglio di cui sopra)… e si aspetta.

Quando il vaso si sarà riempito di radici, e tra le foglie che saranno spuntate  sarà possibile vedere il colore del fiore che deve nascere, si può trasferire il vaso in casa, al caldo e alla luce, e in poco tempo avremo una bella fioritura.

 

Acquarello steineriano – l’abete

Acquarello steineriano – l’abete. Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro e blu di prussia.

Acquarello steineriano – l’abete
Come si fa

Riempire tutto il foglio di tante stelline giallo oro e giallo limone:

continuare a fare stelline col blu di prussia. Poi col blu di prussia creare una base in basso, dalla quale far emergere un bel tronco dritto:

cercare nelle stelline la chioma dell’abete, lavorando coi gialli e col blu:

Se volete farne un  albero di Natale, aspettate che il foglio sia ben asciutto, poi lo potrete decorare applicando palline e stelline di carta, oppure disegnandole con le matite colorate…

Acquarello steineriano – l’abete

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Waldorf watercolor tutorial- the fir tree. Colors that are used: lemon yellow, golden yellow and Prussian blue.

The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but not essential:

Waldorf watercolor tutorial- the fir tree
How is it done?

Fill the entire sheet of many starlets with golden yellow gold and lemon yellow:

continue making starlets with Prussian blue. Then with Prussian blue to create a base at the bottom, from which bring out a nice straight trunk:

Search in little stars on the sheet the foliage of the fir tree, working with the yellows, and the blue:

If you want make a Christmas tree, wait until the sheet is dry, then you can decorate applying balls and stars of paper, or by drawing them with colored pencils …

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – 21 novembre

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – 21 novembre. Una raccolta di dettati ortografici di autori vari per la scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

In molte parti del mondo, sia i grandi che i bambini, piantano gli alberi in un giorno speciale chiamato “Festa degli alberi”. Essa cade in giorni diversi nei vari paesi del mondo. Se tu fossi un bambino indiano o una bambina messicana, avresti un albero tutto tuo! In quei paesi ogni volta che nasce un bimbo, i genitori piantano un albero dandogli il nome del bambino. In Israele, gli scolari piantano gli alberi in un giorno chiamato Tu B’ Shebat. Molto tempo fa infatti, in quel giardino, gli Ebrei piantavano un albero per ciascun bimbo nato in quell’anno, un cedro per i maschi e un cipresso per le bambine.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Il 21 novembre si celebra la festa degli alberi. Perchè amiamo gli alberi? Perchè la loro funzione è benefica. Gli alberi purificano l’aria; sentite che buon odore quando attraversiamo un bosco? Gli alberi trattengono le acque che altrimenti irromperebbero a valle, trascinando terra, piante, e purtroppo anche case. Gli alberi fanno da riparo ai venti. Danno bellezza al paesaggio: osservate la diversità fra una zona alberata e una zona brulla. Gli alberi ci danno il legno, materiale prezioso per costruire… che cosa? Guardiamoci intorno e cerchiamo tutto quello che è fatto di legno. Legno di quali alberi? Abete, castagno, pino, noce. E ancora, gli alberi ci danno la frutta. Ricordiamo gli alberi più noti: il castagno, l’olivo, il pero, il melo, il susino, il noce…

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI

Se l’albero è così utile e benefico, cosa possiamo fare noi per lui? Innanzitutto piantarli: sui margini dei fiumi, sulle pendici scoscese, nelle zone brulle, nei luoghi frequentati dai bambini. Un albero viene danneggiato se lo si lega stretto, se vi si piantano chiodi, se si strappa la corteccia, se si spezzano i rami, se il tronco viene ferito. Cerchiamo di proteggere questi giganti buoni. Sembrano potenti, ma anche un bambino può far loro del male.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Il 21 novembre è la festa degli alberi. In questa data si vogliono ricordare a tutti, ma soprattutto ai bambini, le grandi virtù di questi giganti della foresta, e insieme richiamare l’attenzione sull’importanza che essi hanno per tutti noi. Vuol far presente anche i gravi danni arrecati dal disboscamento, dovuti ad incuria e speculazioni disoneste. In questi casi è necessario il rimboschimento. E a questo rimboschimento partecipano i bambini con la festa degli alberi.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI
Un albero è tutto un vario, singolare, molteplice mondo. Eccone uno, tacito, solitario, immobile, gigantesco, sul ciglio dell’aspra strada di campagna. Sembra un essere dormiente, sembra serrato in non si sa quale suo cruccio, ed allarga, sul terreno diseguale, la sua ombra fresca e ferma. Si passa, di solit, vicino ad un albero, lo si sfiora, ci si appoggia a lui, si gode della sua ombra, quasi sempre senza pensare che vive come noi. (C. Allori)

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – Rispettate gli alberi
Rispettate gli alberi per il verde delle loro foglie, per il profumo dei loro fiori, per la bontà della loro frutta, per la delizia della loro ombra. Rispettateli perchè sono amici dell’uomo, perchè rendono più bella la campagna, perchè proteggono gli uccellini.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI – L’albero
Quando in un lontano giorno il seme cadde in terra e germogliò, la radice era soltanto un filo che succhiava; guarda che cosa è diventato quel filo: braccia nerborute di gigante che non mollano la presa. Guarda il tronco: era uno stelo sottile, verde, debole. Si piegava ad ogni soffio di vento. Ora è diventato una colonna, bella, diritta, solida.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI 

Gli alberi, oltre ad essere belli e a rendere suggestivo il paesaggio, sono utili all’uomo. Tutti conoscono i prodotti degli alberi da frutto, necessari alla nostra alimetazione, tutti sanno che dall’albero si ricava il legname così utilizzato dalle industrie, ma bisogna anche sapere che l’albero ci è utile con la sua sola presenza perchè difende il terreno dalle alluvioni, perchè modifica il clima rendendolo più fresco e più salubre, perchè bonifica l’aria.

L’albero nella storia
Gli antichi amavano molto gli alberi. I Greci adoravano il dio Pan, nume dei boschi; i Romani il dio Silvano, simile, nell’aspetto, al dio dei Greci. Tutti i popoli germanici ritenevano sacri gli alberi e compivano i loro sacrifici e i riti religiosi nelle foreste, presso una quercia.

L’albero
L’albero si incontra in ogni regione del mondo nelle sue diverse specie e varietà, ed è prezioso per i suoi prodotti e per l’influenza che esso ha sulla temperatura dell’ambiente e sulla vita stessa dell’uomo. Vi sono alberi da frutto, peschi, peri, meli, susini, ciliegi; alberi che danno ottimo legname utilizzato nelle industrie, alberi che, come l’olivo, ci forniscono un ottimo condimento per i nostri cibi.

Parla l’albero
Sono nato da un piccolo seme, che un vecchio piantò nella terra; l’uomo sapeva che non mi avrebbe visto crescere, ma pensò ai figli dei suoi figli. Crebbi esile pianticella prima, poi tronco robusto e vigoroso. Invano il vento si accanì contro di me. Opposi alla sua forza la mia chioma rigogliosa e, con i miei fratelli, difesi dal turbine il paesello che stava sotto la mia protezione.

I boschi
I boschi abbelliscono il paesaggio e lo rendono più suggestivo. Ma soprattutto, influiscono sul clima mitigandone il calore. Inoltre, gli alberi si oppongono efficacemente alla violenza dei venti e, trattenendo le acque, alimentano le sorgenti. Le radici impediscono lo scoscendamento del terreno ed evitano le frane. Gli alberi sono altresì di ostacolo alle valanghe a cui oppongono la resistenza dei loro tronchi proteggendo la zona anche dalle inondazioni.

Il culto degli alberi
Fin dalla più remota antichità, gli alberi sono sempre stati sacri all’uomo e i grandi poemi, testimonianze delle prime civiltà, lo provano. Gli antichi Romani avevano il fico ruminale, perchè la leggenda diceva che sotto ad esso erano stati trovati Romolo e Remo. La pianta più cara ai Latini era la quercia, anche perchè si cibavano delle sue ghiande. La palma era l’albero sacro dei Fenici e dei Cartaginesi, l’olivo dei Greci, il tiglio dei popoli germanici, la vite degli Indo-Persiani. (A. Beltramelli)

I nemici dell’albero
L’albero va curato come tutti gli esseri viventi. Le intemperie, gli insetti ed altri animali possono essere i suoi nemici. Gli insetti ne bucherellano la corteccia, vi scavano delle lunghe gallerie e ne divorano le foglie, i frutti e anche l’interno dei tronchi. Le intemperie possono spezzare rami, strappare foglie, schiantare tronchi. Anche le capre possono essere dannose agli alberi. Esse possono arrampicarsi sui dirupi arrivando così a brucare i giovanissimi arbusti di cui divorano le gemme.

L’albero
L’albero giovane è come un bambino. Quando il sole lo riscalda, nella tiepida primavera, apre le gemme, mette le prime foglie e diffonde intorno a sè la stessa dolcezza che viene dagli occhi dei bambini. In seguito, l’albero acquista vigore, e spande i suoi rami, si riveste di foglie e mormora e freme, e canta quando il vento soffia. (F. Ciarlantini)

Gli alberi
Come sono belli, alti e fronzuti, diritti contro il vento che li scuote! Gli alberi danno la bellezza ai luoghi dove crescono, danno la salute perchè purificano l’aria, proteggono il paese perchè trattengono le acque dirompenti che porterebbero la rovina. Rispettiamo gli alberi, i giganti della montagna, che ci danno soltanto bene.

Rispetta l’albero
L’albero si può danneggiare incidendo la sua corteccia, troncando i rami, legandolo troppo stretto e piantando chiodi nel suo tronco. Si difende curando le sue ferite, e cioè otturando le cavità con gesso o altro, sostenendolo con pali durante la crescita, proteggendolo dall’opera nefasta degli insetti. Proteggi l’albero e l’albero ricambierà le tue cure dandoti ombra, i suoi frutti e il suo legno.

Il bosco
Le piante crescono invadendo il regno dell’aria coi robusti polloni e penetrando la terra con le grosse radici: i rami si dividono, si moltiplicano, scendono, fanno capolino dappertutto: sono brune in cima, pallide in basso, e offrono tutte le più delicate tinte al verde da quello opalino, trasparente, pallido, sino al vigoroso e forte che quasi sembra nero. Il sole manda negli interstizi certi raggi sottili che paiono capelli biondi luminosi, getta in terra tanti cerchietti lucidi che sono la sua piccola e ridente immagine; la luce è buona e dolce nel bosco. (M. Serao)

Rispetta gli alberi
Gli alberi rendono l’aria pura e balsamica; le radici, affondando nel terreno, impediscono che l’acqua trascini con sè la terra fertile. Se tu trovi una fresca sorgente nel bosco, lo devi in parte, anche agli alberi che con le loro radici trattengono il terreno e con questo l’acqua. Invece del torrente rovinoso, hai lo zampillo che dà origine al limpido ruscello.

L’albero e gli uccelli
All’uscita del campo e della foresta, che era autunnalmente spoglia e aperta alla vista, come se fosse stato spalancato un portone per dare accesso alla sua vacuità, cresceva bella e solitaria, unica, fra gli alberi, ad aver conservato il fogliame intatto, una rugginosa, fulva pianta di sorbe. Cresceva su un rialzo fangoso del terreno e protendeva verso l’alto, fino al cielo, nella plumbea oscurità delle intemperie che precedono l’inverno, i piatti corimbi delle bacche indurite. Gli uccelli invernali dalle penne chiare come le aurore del gelo, fringuelli e cinciarelle, venivano a posarsi sul sorbo, beccavano lentamente , scegliendole, le bacche più grosse e, sollevando i capini, allungando il collo, le inghiottivano faticosamente. Fra gli uccelli e l’albero s’era stabilita una sorta di viva intimità. Come se il sorbo capisse e , dopo aver resistito a lungo, si arrendesse, cedendo impietosito: “Che posso fare per voi! Ma sì, mangiatemi, mangiatemi pure. Nutritevi.”. E sorrideva. (B. L. Pasternak)

Conoscere le piante
Avete mai pensato solo per un momento a quello che gli alberi rappresentano ancora oggi per noi?
Guardate, ecco, ho una matita in mano: la grafite è chiusa nel legno. Di quale legno? Si sa tutti che il legno è fornito dagli alberi, ma qual è l’albero che ha fornito questo particolare legno di grana fine, senza fibre, facile da essere tagliato, adatto, insomma, a fare matite? Forse nessuno di voi immagina che sia un ginepro della Virginia, il Red Cedar degli Americani, importato in Inghilterra nel 1600 e oggi coltivato proprio per questo uso industriale.
Per matite meno costose si adoperano anche il legno di ontano e di tiglio, che sono alberi caratteristici del nostro paese.
Scrivo su della carta, naturalmente, come su della carta fate ogni giorno i compiti di scuola. La carta di che cosa è fatta? Di stracci. Sì, anche, ma soprattutto di legno, preparati convenientemente, ridotto in pasta e poi steso. I migliori legni per fare ciò sono quelli di abete e di pioppo.
Un albero così simpatico, dalle foglie che si agitano al vento sui lunghi peduncoli, dai tronchi chiari e di così rapida crescita.
Oltre alla cellulosa per la carta, il legno per i fiammiferi, quante ne sono le utilizzazioni: pali, imballaggi, tutto ciò che richiede un legno leggero, unito, facile da lavorare e, naturalmente, anche i mobili. Tutti sappiamo che tavoli, armadi, sedie, poltrone sono di legno di vari tipi, lucidati o verniciati, oltre che di pioppo sono fatti di abete, di quercia, di noce, di castagno. Il mio tavolo, per esempio, ha il piano in compensato di quercia.
Che cos’è il compensato? E’ un procedimento moderno per cui si ottengono fogli di vari spessori di sottilissimi strati di legno pressati e incollati insieme, e che offrono il vantaggio di essere leggeri, resistenti, e possono essere utilizzati nei modi più vari.
Mentre il grande scrittoio giù a casa di mio nonno è un solido pesante tavolo di noce massiccio, ben levigato e costruito a regola d’arte, come si faceva cento anni fa, e che ha la durata di parecchie generazioni. Un mobile signore, dunque, benchè di forma che noi può non piacere più.
E la seggiola su cui siedo? E’ di acero chiaro, fresco, leggero, piacevole alla vista e al tatto.
Sicuramente sarete stati a sentire un concerto. Ebbene, davanti a quella massa di lucenti violini, vi siete domandati qual è il legno sonoro, meraviglioso, che diede la possibilità ai liutai di Cremona di costruire i loro famosi strumenti ricercati in tutto il mondo? Anch’esso è l’acero.
Ogni giorno si adoperano tanti oggetti e utensili comuni, anche esteticamente così poco interessanti, ma così utili, ormai fissati nelle loro semplici forme, perchè le migliori, da generazione a generazione, e tutti di legno o in parte di legno. Mestoli per esempio, e ciotole per la cucina, e s manici di martelli o di cacciavite, e casse nelle quali vengono spedite le merci, dalla frutta alle conserve. Oggetti rozzi, eppure son fatti di faggio, uno degli alberi più belli delle nostre montagne, che da tempo immemorabile vive sul nostro suolo.

Dettati ortografici LA FESTA DEGLI ALBERI

Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Poesie e filastrocche GLI ALBERI

Poesie e filastrocche GLI ALBERI – una raccolta di poesie e filastrocche sugli alberi, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.

Nel bosco
Nel bosco ogni vecchio gigante
sia abete, sia quercia, sia pino,
ha intorno, ai suoi piedi, un giardino
di piccole piante.
Son muschi, son felci, son fiori,
e fragole rosse e lichene
cui l’albero antico vuol bene
suoi teneri amori.
E mentre le fronde superbe
protende più su verso i cieli
ai pensa a quegli umili steli
nell’ombra, fra l’erbe. (L. Schwarz)

Albero secco
Un albero secco
fuori della mia finestra
solitaria
leva nel cielo freddo
i suoi rami bruni.
Il vento rabbioso la neve il gelo
non possono ferirlo.
Ogni giorno quell’albero
mi dà pensieri di gioia:
da quei rami secchi
indovino il verde a venire. (Wang Ya-Ping)

Pioppi al tramonto
Io so chi colora
di rosso, nell’ora
già prossima a sera,
il cielo, soffuso di un pallido blu:
i giovani pioppi
a specchio nell’acqua laggiù.
Li ho visti piegare il pennello
dell’agile chioma
e intingerlo dentro il ruscello
di limpida porpora, sempre, a quell’ora.
Poi, subito ritti, con zelo
svettando; striare di rosso
la pagina chiara del cielo.
So ancora
nel suo folleggiare nel fosso
nel suo folleggiare monello
si lascia sfuggire talora
qua e là qualche macchia vermiglia
che a nube sospesa somiglia. (G. Vaj Pedotti)

Pini in cortile
Crescono i pini
di fronte alla scala.
Toccano coi rami il muro
della casa dai tegoli bruni;
e di mattina e di sera
li visita il vento e la luna.
Nelle tempeste d’autunno
sussurrano un verso vago;
contro il sole d’estate
ci prestano un’ombra fresca.
Nel colmo della primavera
una pioggia sottile, a sera,
riempie le loro foglie
d’un carico di perle pendule;
e alla fine dell’anno,
il tempo della gran neve
stampa sui loro rami
una trina lucente. (liriche cinesi)

Alberi
Alberi!
Frecce voi siete
dall’azzurro cadute?
Quali tremendi guerrieri
vi scagliarono?
Sono state le stelle?
Vengon le vostre musiche
dall’anima degli uccelli,
dagli occhi di dio. (F. Garcia Lorca)

Il pioppo
Il pioppo nell’azzurro
è un vivo tremolio di grigio e argento;
fa in mezzo ai rami il vento
lento sussurro. (G. Camerano)

Festa a scuola
Mamma, lo sai che abbiamo fatto festa
a scuola, stamattina? Allineati
dapprima; e poi, con il maestro, in testa
a piantar gli alberelli siamo andati.
E ne abbiamo piantati un per ciascuno,
ma bello come il mio non è nessuno:
svelto, diritto, a cuspide perfetta,
verde cupo nel folto e chiaro in vetta.
Un per ciascuno, eravamo in cento:
Ora cento alberelli al sole, al vento,
come fiere sentinelle se ne stanno…
e pensa che bel bosco diverranno! (L. Salvatore)

Castagni
Nulla è più bello dei frondosi e ampi
castagni a selve sterminate in mezzo
a questi monti…
Nulla è più dolce. Cascano con tonfi
leggeri le castagne, e a quando a quando
ne sguscia fresca sotto il piede una.
Casca in gran copia e tutte l’erbe imbruna
di bei cardi spinosi il frutto buono. (G. Marradi)

Speranza
C’è un grande albero spoglio
in mezzo all’orto: pare
che soffra e non si possa
coprire e riscaldare.
Vola sui nudi rami
un passero sperduto,
e cinguetta più forte
in segno di saluto.
Geme l’albero: “Un tempo
fui giovane e fui bello:
candidi fiorellini
erano il mio mantello.”
Il passero cinguetta:
“Oh vecchio albero, spera!
Si scioglieran le nevi:
verrà la primavera. (M. Dandolo)

L’alberetto
Sul principio del boschetto
l’alberetto
guarda intorno, aspetta e spera
primavera.
Non ha foglie, non ha fiori,
non ha umori;
non ha nidi, nè richiami
sopra i rami.
AL suo piede una viola
sola sola,
stenta a fare capolino
tra uno spino.
Fischia il vento, scuro è il cielo:
ahi, che gelo!
Com’è triste, nell’aspetto,
l’alberetto. (F. Socciarelli)

 

Il bosco
Specie per voi bambini il bosco è bello,
ospita tanti uccelli e tanti nidi:
c’è talvolta un ruscello
e l’eco che risponde ai vostri gridi.
D’estate che bell’ombra! Che frescura!
Quante frutta selvatiche e gustose
in mezzo alla verdura!
E di notte, quante voci misteriose!
Anche d’autunno, quando s’è spogliato
e di frutta e di nidi, è bello ancora,
ma i colpi del pennato
vi si fanno sentir fino all’aurora.
Or più non vi canta l’assiolo
con la sua voce dolorosa: “Chiù!”
E’ l’inverno, e il boscaiolo
picchia di scure e molto butta giù.
E taglia tanta legna, chè i bambini
quando sentono il freddo stanno male.
Avran tutti i camini
un ceppo per la notte di Natale. (F. Socciarelli)

Due palme
Due palme son nel giardino;
al mattino
che allegro cinguettio
le anima al sole.
E se talvolta il fragore
di motorini, camion o altro motore
lo sovrasta per poco,
ben presto passa il rumore,
ma il cinguettio rimane
come limpida acqua
da cui traspare
incantato fondo di mare. (F. Gisondi)

Alberi
Sempre fermi, sempre ritti,
sempre zitti,
come impavidi soldati,
stanno i buoni alberi, armati
sol di foglie e fiori e frutti,
di cui fanno dono a tutti.
Tutto danno quel che hanno
e per sè tengono solo
un gorgheggio d’usignolo
un fischietto di fringuello
un sussurro di ruscello. (D. Valeri)

Il ciliegio
Ho un ciliegio nell’orto
(proprio sotto al murello)
vecchio, rugoso e storto,
che rinnova il mantello
ad ogni primavera;
e tra le nuove foglie,
quando viene la sera,
i passeri raccoglie.
Nel sussurrar del vento,
tra il cinguettar vivace,
parla, sereno e lento:
“Son vecchio, ma mi piace
allargare i miei rami
nell’aria cilestrina,
udir questi richiami
di sera e di mattina…”.
“Se poi i dolci frutti”
un passero gli dice
“te li mangiamo tutti,
ancora sei felice?”
“Ma sì!” lieto risponde
il ciliegio. “La vira
di queste annose fronde
se non dona… è finita”. (G. Fanciulli)

Boschetto
In questo boschetto di poche gaggie
ricanta un uccello le sue poesie.
Se un cuore vi passa, si ferma e ristà,
riparte provvisto di felicità.
E’ un bosco d’un’ombra armoniosa e leggera
e un angelo viene a dormirvi la sera.
Per farsi un lettuccio men duro raccoglie,
dai ceppi muschiosi, bracciate di foglie.
E vede, addondando nell’umida cuna
passare tra i rami più alti la luna;
e sente tra fronde dal vento toccate
tremore e bisbigli di calde nidiate;
e trova la pace d’un sonno tranquillo
tra un canto d’uccello e il canto d’un grillo. (R. Pezzani)

Il testamento dell’albero
Un albero d’un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
“Lascio i miei fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semetti a voi,
a voi, poveri uccelli,
perchè mi cantavate la canzone
della bella stagione…
E voglio che gli stecchi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli. (Trilussa)

L’abete
Nel nord sull’altura nuda
un abete sorge solo,
ha sonno, e di ghiacci e di neve
lo cinge un bianco lenzuolo.
Sognando va d’una palma,
che nel remoto levante,
solinga e muta s’attrista
sopra il dirupo bruciante. (E. Heine)

L’arbusto
Un arbusto si protende
dalla roccia alta sul mare;
vede un solco che risplende,
ode l’onda sussurrare…
E vorrebbe volar via
per svanire nell’azzurro,
dietro la fiammante scia,
dietro il magico sussurro.

Il pioppo
Conosci il riso del pioppo
al margine del ruscello?
E’ come un allegro monello
che sia cresciuto troppo.
Ride alla melodia
dell’ospite usignolo,
ride alla luna e al volo
d’un’ala che sfiora e va via.
Quando scherzoso arriva
tra le fogliette il vento,
ride e fruscia contento
d’una risata viva.
E guarda piegando piano
la cima di qua e di là,
l’acqua passata che va
lontano lontano lontano. (L. P. Mazzolai)

 

La foresta
Pare un gran tempio ad agili colonne,
un tempio antico, scuro, con tappeti
di muschio e con festoni verdi e lieti.
Un tempio antico che ha per finestra il cielo;
di canzoni n’ha tante e la preghiera
la dicono gli uccelli mane e sera. (M. Bertolini)

Nel libro della natura
Vanta una storia la quercia superba,
ma l’ha forse men grande un filo d’erba? (M. Spiritini)

Se odorano le felci
Se odorano le felci
e il sole entra discreto tra le foglie
e l’aria sfiora tra i castagni
il sonno degli uccelli
prendi la tua sorella per mano
falle un cuscino di muschio
e nel silenzio
ascolta l’ora più bella del bosco.
Domani la pioggia ed il vento
avranno disperso l’incanto. (L. Deli Gazo)

Pini
All’estremo orizzonte i grandi pini
se n’andavano curvi in lunga traccia,
a uno a uno come pellegrini:
e ciascuno recava per bisaccia,
alto sopra la livida brughiera,
una nuvola d’oro della sera. (D. Valeri)

L’olivo
Argento placcato di verde
mi sembra la foglia
che il verno giammai non dispoglia
nè il vento disperde.
Egli offre la drupa sua nera
in tempo d’avvento,
al tordo che vola contento,
all’uomo che spera.
E quando il freddo è più vivo,
con funi, con scale,
con cesti e panieri si sale
la pianta d’olivo.
Usando un arnese ad uncino
s’incurvan le vette,
si strusciano e s’empion sacchette
chè aspetta il mulino. (F. Socciarelli)

La canzone dell’ulivo
Non vuole
per crescere, che aria, che sole,
che tempo, l’ulivo!
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d’argento!
Tra i massi s’avvinghia, e non cede
se i massi non cedono, al vento. (G. Pascoli)

Il canto del ciliegio

Sorrise con l’aprile
la gioia in ogni cuore
e zefiro gentile
vide i ciliegi in fiore.
I bianchi fiorellini
zefiro si portò
e in frutti corallini
il maggio li cambiò.
Su verde ramo appese
con le ciliegie rosse
dai bimbi sempre attese
e piccoline e grosse.
Al vivido richiamo
venite coi cestelli
ma resti sopra il ramo
la parte degli uccelli!
“Uccelli e bimbi avanti!”
canta il ciliegio, “I frutti
che porto sono tanti!
Venite! Ne ho per tutti!”

I doni dell’albero

L’albero è tanto bello,
l’albero è tanto buono,
ha sempre pronto un dono
per te e per l’uccello.
A te regala l’ombra,
la frutta nutriente
e la provvida legna
per la stagione algente.
E ti dà il legno, utile
per i mobili tuoi,
chiedendoti bonario:
“Che cosa ancora vuoi?”
“Io voglio che tu arrsti
i venti e le bufere,
le frane, le alluvioni
di morte messaggere…”
“Lasciatemi dunque vivere
sulla natia pendice;
non venirmi a tagliare!
Ti aiuterò felice.” (T. Romei Correggi)

Alberi

Gli alberi tengono il cielo
azzurro prigioniero dei rami,
si vestono di silenzi
e di abbandoni
e tremano di voli e di canzoni.
Spandono un lume di fiori
ai mesi chiari
e camminano col vento
per ignoti reami.
La notte li ritrova incappucciati
monaci solitari nel convento:
ma, dove cantò l’usignolo,
resta, nel fiato dell’alba,
l’eco di un singhiozzo d’oro. (I. Dell’Era)

L’albero taciturno

L’albero aveva un cartello
che solo gli uccelli potevan decifrare:
“S’affittano rami per nidificare”
dicea la scritta
che un uomo non avrebbe potuto capire.
Pur malgrado l’annuncio
non venne alcun uccello,
nè picchio, nè fringuello,
e, deserto di nidi, a capo chino
muor di tristezza l’albero,
lungo il cammino. (A. M. Ferreiro)

L’albero

Vennero da vie lontane
le rondini rapide e snelle
a bere presso le fontane
ancora fresche di stelle.
Il sole apparve dal tetto
effondendo oasi d’oro
e l’albero del giardinetto
sfavillò come un tesoro.
S’accese di mille collane
e stette estatico a udire
le voci delle campane.
Dalla dolce terra veniva
musica d’onde lontane
e verso il suo cuore saliva. (G. Titta Rosa)

Il cipresso

Al margine di un breve praticello
sta un cipressetto solo e sembra triste
tutto ravvolto nel verde mantello.
Scherza, invece, col vento; a nascondino
fa con la luna, o pure, in cima ai rami
svelto l’appende come un lampioncino.
Più spesso a sera, quando tutto imbruna,
chiama le stelle a inghirlandargli il capo,
fino all’alba le conta ad una ad una!
E se piove, se rugge la tempesta,
si piega, grida, stringe le sue braccia,
ma non si spezza e fermo al suolo resta.
Chè un bel nido protegge: un nidietto
fragile e lieto, colmo di gorgheggi,
tesoro grande per il cipressetto. (T. Stagni)

La quercia caduta

Dov’era l’ombra, ora sè la quercia spande
morta, nè più coi turbini tenzona.
La gente dice: “Or vedo: era pur grande!”.
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: “Or vedo: era pur buona!”.
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto… d’una capinera
che cerca il nido che non troverà. (G. Pascoli)

Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

La spremitura a freddo delle olive e il frantoio

La spremitura a freddo delle olive e il  frantoio – La raccolta delle olive può avvenire manualmente, staccando le olive dai rami con l’aiuto di particolari “pettini”, oppure meccanicamente, provocando cioè la caduta delle olive con l’utilizzo di macchine “scuotitrici”.

Le olive raccolte si portano al frantoio, dove per prima cosa vengono passate nella defogliatrice, che toglie tutte le impurità come terra, foglie e ramoscelli rimasti dalla raccolta.

La macinazione consiste nella frantumazione tramite grosse ruote di granito meglio conosciute come “molazze”.

La pressione morbida delle macine, che ruotano molto lentamente, consentono di ottenere una pasta di olive frantumate fra i 13 e 18 gradi di temperatura (temperatura ambiente). Questo processo di circa 20 minuti fa sì che l’olio assuma un gusto più dolce e delicato.

Le olive vengono macinate fino a quando si ottiene un impasto omogeneo dato dalla macinazione di buccia, polpa e nocciolo.

La gramolatura consiste in un delicato rimescolamento della pasta appena ottenuta dalla macinazione. La gramola è una vasca lunga e stretta con un asse centrale munito di lame impastatrici in rotazione continua.

Il movimento delle lame favorisce lo scioglimento delle molecole dell’olio ossia la rottura delle microscopiche sacchette che nella pasta delle olive, trattengono ancora l’olio.

La pasta così ottenuta viene poi posta su dei dischi di corda chiamati diaframmi o fiscoli,  a comporre una sorta di torre che viene in seguito messa sotto la pressa.

La pressa, tramite pressione, separa la parte liquida (il mosto) da quella solida (sansa). Mentre la sansa viene scartata, il mosto viene trasferito nel separatore.

E’ questo, l’ultimo processo della spremitura a freddo. La separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione avviene attraverso il “separatore” che, sfruttando la forza centrifuga, separa le particelle dei due componenti i quali, com’è noto, hanno peso specifico diverso.

Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:

Tutti gli album

Dettati ortografici sugli ALBERI

Dettati ortografici sugli ALBERI – Una collezione di dettati ortografici sugli alberi per la scuola primaria, di autori vari.

La quercia
La quercia è un albero rude e forte, che si innalza lento, vestito di una scorza ruvida, ma che custodisce un legno che dura in eterno e resiste alle insidie del tempo. Quando la quercia è ancora giovane, è un albero come un altro. Non diventa bella che quando ha mezzo secolo, e con gli anni va sempre crescendo la maestosità del portamento, la frondosità dei rami, la densità delle sue fresche ombre. La quercia è nel fiore della sua bellezza quando conta almeno un secolo di vita, ed è bellissima quando è tre, quattro volte centenaria. (P. Mantegazza)

Alberi di montagna in primavera
Anche gli alberi si vestono a festa! In basso, sulle prime pendici, ecco gli alberi da frutta, spogli da alcune settimane della neve invernale, rivestirsi d’un’altra neve, quella dei loro fiori. Più su, i castagni, i faggi, i diversi arbusti, si ricoprono delle loro foglie dal verde tenero e da un giorno all’altro par che la montagna si sia rivestita con un meraviglioso drappo, in cui il velluto si mescola con la seta. (G. Reclus)

Il mandorlo fiorito
Quale miracolo è mai avvenuto questa mattina? E’ caduta una neve odorosa oppure miriadi di farfalle si sono posate sui rami del mandorlo?
Pur ieri l’alberello era nudo e freddo. Ma stanotte, all’alito dei venti, esso è sbocciato, è fiorito; s’è ricoperto di candide ali, di mille stelline.
Sembra cosparso di fior di farina soffice e fragile con lievi riflessi di rosa.
Gli occhi restano beati a mirarlo; ed intanto, nel cuore, passa nascosto il primo soffio della primavera. (F. Lanza)

Una gemma si apre
Osserviamo le gemme del castagno: al centro, la bambagia avvolge le sue tenere foglioline; all’esterno una solida corazza di scaglie disposte come le tegole d’un tetto, le chiude strettamente. Le parti dell’armatura scagliosa sono incatramate con un mastice che, simile a vernice disseccata, diventa molle, in primavera, per permettere alla gemma di schiudersi. Le scaglie, non più incollate fra loro, si allargano vischiose, e le prime foglie si spiegano al centro della loro culla socchiusa. (H. Fabre)

Ciliegio in fiore
L’albero era sino a ieri nudo; nudo nel tronco, nei rami qua e là contorti dall’aspro battere del vento. Cosa sarà accaduto perchè, stamane, io abbia visto invece dell’albero, una nube bianca fatta tutta di fiori stretti così fittamente gli uni agli altri da formare una cosa sola, impalpabile, quasi aerea, attraverso la quale non mi riesce più di distinguere nè rami, nè tronco? (A. Anile)

La prima fogliolina
Nessuno s’è trovato mai davanti a un albero nel momento preciso in cui spunta la prima fogliolina. Tutti abbiamo questo desiderio perchè ci piacerebbe tanto poter dire: “Sono io che quest’anno ho visto per primo la primavera”. Ma, dopo aver tanto atteso, una mattina ci alziamo, scendiamo giù in cortile, e vediamo che le foglie sono già tutte spuntate. (Giovanni Mosca)

Il mandorlo frettoloso
Un mandorlo frettoloso ha già spiegato al solicello la sua bianca fioritura; non gli importa se una brinata farà cadere troppo presto quella bella veste; come sempre, vuole essere il primo ad annunciare la primavera!
I meli, i peri, i peschi, più prudenti, rimangono indietro. (G. Fanciulli)

Gli aranci
In primavera, la Sicilia odora di zagare dalla Punta del Faro alla Conca d’Oro, dall’Agro trapanese a quello di Catania. Nei mattini tersi, nelle serene notti di luna, la soavissima fragranza dei sui venti, si diffonde sin nei più interni quartieri delle popolose città dell’isola e pare che ogni casa abbia un arancio fiorito davanti alla porta. Migliaia di aranci intanto costellano le distese degli aranceti siciliani. Quelle migliaia di piccole sfere, nelle cupole dei fitti e slanciati alberi, sembrano granelli di sole splendenti. (G. Patanè)

Il castagno

Il castagno, per l’alto valore nutritivo dei suoi frutti, è considerato l’albero del pane delle nostre montagne. Esso alligna tra i 400 e i 1000 metri d’altitudine. Il castagno giovane ha un tronco diritto e liscio, color bruno chiaro; il castagno vecchio è ricoperto di una corteccia bruna e screpolata. Di solito questa pianta raggiunge i dieci metri d’altezza, ma qualche castagno gigante può raggiungere anche i trenta metri. Le foglie, a punta di lancia e con il margine seghettato, sono lunghe quindici, venti centimetri. Il castagno fiorisce in maggio – giugno. I suoi fiori sono di due specie. Alcuni sono ricchi di  polline giallo; quando questo viene portato via dal vento i fiori seccano e cadono. Altri fiori invece ricevono il polline trasportato dal vento e dagli insetti, si ingrossano e diventano castagne. Il frutto matura da settembre a novembre. Il riccio è la buccia verde e spinosa in cui sono racchiude una, due o tre castagne.

La palma

La palma esiste fin dai tempi preistorici in alcune zone dell’Africa e dell’Asia. Fuori da queste regioni o non fiorisce o non fruttifica, è unicamente ornamentale.
Si trova infatti anche in Italia, ove fu importata dagli Arabi.
La foglia della palma fu simbolo di vittoria: i trionfatori romani usavano fare il loro ingresso solenne in Roma con un ramo di palma in mano. Essa è pure simbolo di fede.

L’olivo

L’albero dell’olivo è sempre stato considerato con grande rispetto: esso è infatti simbolo di pace, di bellezza, di sapienza. Due colombe che tenevano nel becco un ramoscello di olivo annunciarono a Noè la fine del diluvio. Nelle religioni greca e romana l’olivo era sacro ad Atena e a Minerva. In Grecia i vincitori dei giochi olimpici venivano incoronati con rami di olivo e di palma. E ancora oggi l’olivo è simbolo di pace.

 

Fioritura

Il mandorlo si è tutto magnificamente coperto di fiori biancorosei, che brillano al nuovo sole come gemme cristalline e fragranti.
Le margheritine silenziose e tranquille tremolano in bianca folla al tiepido vento. La giunchiglia piega sul gracile stelo il velato suo calice. Persino nelle lande più pietrose e deserte, qualche fiore solitario apre all’aria nuova le sue tre o quattro foglioline, soffuse di un pallido rosa, o venate di tenui righe violacee.
In ogni albero canta un nido e in ogni cuore resuscita una speranza. (E. Nencioni)

Un piccolo vandalo

Luigi non ama gli alberi. Uno dei suoi passatempi preferiti, quando va a giocare nel prato, è quello di incidere nel tronco delle sue vittime arboree disegni e messaggi che salutano la sua squadra di calcio preferita. Le piante non sopportano scherzi del genere; la corteccia salta via a pezzi strappata dal temperino di Luigi. Il povero albero soffre, proprio come soffriremmo noi se ci strappassero la pelle a pezzetti per incidere dentro un bel disegno. (M. Bettini)

Il bosco

Qui la vegetazione è libera; le piante crescono invadendo tutto e penetrano la terra con robuste radici. Le fronde salgono, scendono, si dividono, si moltiplicano liberamente; offrono le più delicate tinte del verde; da quello opalino trasparente, pallido, sino al vigoroso e forte che sembra quasi nero. Giungono odori forti e sani: i profumi che esalano quegli alberi meravigliosi, i rigogli della loro gioventù, i succhi di vita che salgono in essi e rompono la corteccia.
Quiete stupenda in tanta vitalità, sicurezza profonda in tanta libertà. (M. Serao)

L’albero di sera

C’è un pino in cui di notte si raccolgono a dormire i passeri. Ma ci sono tanti alberi che servono da albergo agli uccellini! Vi è mai capitato di osservare a sera, quando essi giungono da tutte le parti e pare che affondino nell’albero ospitale? Un gran frastuono, pigolii, cinguettii… al più piccolo rumore silenzio improvviso.
Poi di nuovo il frastuono dell’albero immobile, sì che pare da sè cinguetti. (G. Pascoli)

Il platano

Era mezzogiorno d’estate. Due viaggiatori camminavano sotto il sole ardente. Erano stanchi, accaldati. Scorsero un platano e con un sospiro di sollievo si rifugiarono e si sdraiarono alla sua fresca ombra. Riposavano e intanto guardavano su trai rami frondosi. Disse uno dei due al compagno: “Ecco un albero sterile e inutile all’uomo”. L’altro approvò. L’albero prese la parola e li rimproverò: “Come? Proprio mentre godete dei miei benefici mi trattate da sterile e da inutile?”. (Esopo)

Il pioppo

Il pioppo è uno degli alberi più belli della nostra zona temperata. Alto, snello, robusto, si lancia in alto, diritto come un cipresso, ma non mai triste e severo come lui. I suoi filari non guidano al cimitero, ma fanno da lieti colonnati ai fiumi ed ai canali, diritti come sentinelle. (P. Mantegazza)

Il ciliegio

La frutta saporitissima che viene raccolta a ciocche, a mazzolini caratteristici anche per il vivo colore, è la ciliegia.
L’albero, il ciliegio, fu importato in Europa dall’Asia Minore. Spesso arriva fino a venti metri di altezza. Il tronco del ciliegio è robusto e coperto di corteccia bruno – rossastra. La chioma è tondeggiante. Le foglie sono ovali, larghe, lucide, doppiamente seghettate, tinte di un verde assai scuro.
I fiori, a mazzetti bianchi, profumati, si sviluppano numerosissimi in primavera: l’albero, a distanza, tutto bianco, sembra quasi coperto di neve.

Alberi da frutto
I prodotti degli alberi sono noti. Innanzitutto la frutta. E’ la cosa più evidente. Vediamoli un po’ da vicino questi alberi da frutto: sono meli, peri, ciliegi, susini, peschi,… Facendo ricerche nell’ambiente, i bambini saranno in grado di descrivere questi alberi e i loro prodotti. In autunno sarà facile osservare il castagno e l’olivo che ci danno i loro prodotti. L’albero si incontra pressochè in ogni regione del mondo, nelle sue diverse specie e varietà, ed è prezioso per i suoi prodotti e per l’influenza che esso ha sulla temperatura dell’ambiente e sulla vita stessa dell’uomo.
Affonda nel terreno le sue robuste radici, eleva il suo tronco rivestito di una corteccia rugosa, e si espande in alto con i rami rivestiti di foglie le quali formano la chioma.

Gli alberi nella storia
Gli antichi amavano molto gli alberi. Nei tempi più remoti, si usava seppellire i defunti alla radice dell’albero, con la convinzione che essi sarebbero risorti nel tronco e nelle foglie. Questa pratica era in uso fino a poco tempo fa in Giappone dove si credeva che in alcuni alberi fossero rinchiusi gli spiriti degli eroi nazionali sepolti al loro piede. Usanze simili si riscontrano tuttora presso alcuni popoli primitivi d’Africa e d’Asia.
I Greci adoravano il dio Pan, nume dei boschi. Essi lo raffiguravano incoronato di rami di pino, con le orecchie dritte, in mano un bastone da pastore e il fianco sinistro coperto da una pelle di daino.
I Romani adoravano il dio Silvano dall’apparenza simile a quella di Pan. Essi credevano che negli alberi fossero ospitate le Ninfe, divinità considerate come forme ed energie della natura.
Tutti i popoli germanici ritenevano sacri gli alberi e compivano i loro sacrifici e i riti religiosi nelle foreste, presso una quercia, ritenuta simbolo della divinità.

Boschi e macchie
Gli alberi possono ergersi isolati oppure riuniti in gran numero in un’estensione che generalmente si chiama bosco. Più precisamente prende il nome di foresta quando è formata da alberi di alto fusto, selva quando ha un’estensione minore della foresta, macchia quando è una radura disseminata di alberi. I boschi possono essere costituiti da piante a foglie larghe o a foglie minute, o come si dice aghiformi. Molti dei primi si spogliano della loro vegetazione in autunno; gli altri sono nella maggior parte delle specie sempreverdi.
A seconda degli alberi che lo compongono, il bosco può assumere diverse denominazioni: querceto, faggeto, pineta, abetaia. Si chiama ceduo il bosco sottoposto a taglio periodico.

 

Utilità degli alberi
I boschi non soltanto abbelliscono il paesaggio, elemento questo niente affatto da trascurare, ma influiscono sul clima mitigando il calore. Inoltre, gli alberi si oppongono efficacemente alla violenza dei venti e alimentano le sorgenti. Le radici impediscono il franamento del terreno ed evitano le frane. Gli alberi sono di freno alle valanghe a cui oppongono la resistenza dei loro tronchi e proteggono dalle inondazioni in quanto, con le loro radici, consolidano il terreno e impediscono l’infiltrazione rapida delle acque nel sottosuolo. Inoltre, com’è funzione di tutte le piante, durante il giorno esse assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno e quindi rendono l’aria più salubre.

Gli alberi non crescono ugualmente in tutte le zone. A seconda degli alberi che vi prosperano si possono distinguere quattro zone in Italia.

Vi è la zona calda, denominata anche zona dell’ulivo dove, oltre all’ulivo crescono la quercia da sughero, il leccio, il carrubo, il pistacchio, il pino da pinoli, il pino marittimo, il cipresso e l’eucalipto.

Nella zona temperata, o zona del castagno, abbiamo oltre al castagno due specie di quercia, il cerro e il rovere.
Nella zona fredda o zona del faggio (fino a 1200 metri) crescono la betulla, l’ontano e il tiglio.

Nella zona rigida o zona delle conifere, troviamo l’abete rosso e il larice.
Le conifere hanno, in particolare, la proprietà di rendere l’aria balsamica e pura. Sono alberi che hanno il frutto a cono (pino, abete, …) comunemente detto pigna. Il pino, nelle sue diverse specie, si può trovare tanto in montagna che in riva al mare. In quest’ultimo caso si tratta del pino marittimo; l’altro è il pino a ombrello. Facendo un’incisione nel tronco di quest’albero, si vedrà gocciolare una sostanza attaccaticcia e profumata, la resina, che è utilizzata in varie industrie. Mescolata a nero fumo forma la pece dei calzolai; la si usa nei fuochi d’artificio e per rendere più vibranti le corde del violino; e nella fabbricazione dei balsami.

Il tronco del pino, così alto e diritto, viene utilizzato per fare gli alberi delle navi.
L’olmo, l’ontano e il pioppo ci danno la cellulosa, ampiamente usata nelle più svariate  industrie, come la fabbricazione della carta, della stoffa e perfino degli esplosivi.

Il legno dell’ontano che, crescendo vicino all’acqua è molto resistente all’umidità, viene utilizzato per i pali delle palafitte. Dalla corteccia di quest’albero si ricava il tannino, sostanza colorante usata in tintoria.

L’età degli alberi
Gli alberi possono raggiungere anche migliaia e migliaia di anni di vita. In Sicilia esiste ancora il castagno dei cento cavalli, chiamato così perchè, secondo la tradizione, Giovanna d’Aragona, sorpresa dalla tempesta, si rifugiò sotto la sua chioma con cento cavalieri del seguito. Pare che questo immenso albero abbia almeno quattromila anni!
A Somma Lombardo esiste un cipresso che si dice abbia duemila anni.
L’età di un albero si può constatare soltanto quando l’albero è abbattuto. Infatti, poichè il tronco aumenta di solito di uno strato all’anno, contando in un tronco tagliato questi strati, che sono disposti in cerchi concentrici, si può sapere approssimativamente quanti anni è vissuto l’albero.

Il papiro
L’albero che permise agli uomini di scrivere è il papiro. Il papiro è una grande erba perenne acquatica, con radice sotterranea strisciante, dura e carnosa. Il fusto esterno, triangolare, si erge diritto da due fino a cinque metri, e termina con chioma a ombrello: una specie di piumino.
Oggi il papiro si trova con maggiore facilità e diffusione, ma è meno cercato. Lo si trova in Palestina, in Africa, a Malta, ed anche in Sicilia presso Siracusa, dove lo trapiantarono gli Arabi.
Gli antichi trassero dalla corteccia del papiro un foglio largo, lungo e sottile, molto pieghevole, su cui poterono scrivere. Il papiro deve considerarsi quindi come una specie di “albero della scienza” poichè alla sua corteccia furono affidati, fino dall’alba della civiltà, i pensieri dell’uomo, le sue idee storiche, letterarie, artistiche, scientifiche. (G. Bitelli)

Sugli alberi
Il nostro giardino era pieno d’alberi. C’era un ippocastano rosso con due rami a forca che per salire bisognava metterci dentro il piede, e poi non potendolo più levare ci lasciavo la scarpa. Dalle ultime vette vedevo i coppi rossi della nostra casa, pieni di sole e di passeri. C’era una specie d abete, vecchissimo, su cui si arrampicava un glicine grosso come un serpente boa, rugoso, scannellato, storto, che serviva magnificamente per le salite precipitose quando si giocava a nascondersi. Io mi nascondevo spesso su quel vecchio cipresso ricco di cantucci folti e di cespugli, e in primavera, mentre spiavo di lassù il passo cauto dello stanatore, mi divertivo a ciucciare la ciocca di glicine che mi batteva fresca sugli occhi come un grappolo d’uva. (S. Slataper)

Il re delle Alpi
Il larice viene definito il re delle Alpi. E’ un albero maestoso che può raggiungere i 50 metri di altezza; il suo legno duro e resistentissimo viene usato soprattutto per le costruzioni navali. E’ una delle poche conifere che perdono le foglie durante l’inverno. E’ l’albero più tipico delle nostre Alpi, dove forma grandi boschi e si trova fino a 2200 metri di altezza. Altri alberi che popolano le nostre montagne sono il pino, l’abete e il faggio.

 

Proteggiamo l’albero
I boschi sono affidati alla protezione dello Stato il quale soltanto ne può consentire l’abbattimento. Per questo, esiste uno speciale corpo di Guardie Forestali che hanno l’incarico non soltanto di difendere gli alberi dal vandalismo degli uomini, ma di curarli perchè non deperiscano e di ripopolare, mediante appositi vivai, le zone che ne sono sprovviste.

Ma la difesa dell’albero è affidata soprattutto al senso civico di ogni cittadino che deve apprezzare gli alberi non soltanto per il guadagno che ne può ricavare, ma anche perchè proteggono la salute, rendono bello il paesaggio, oppongono una valida difesa contro i pericoli delle alluvioni e delle valanghe.
Come si può danneggiare un albero? Non soltanto con l’abbattimento, il che produce un danno definitivo ed irraparabile, ma anche strappando i rami senza discriminazione, scortecciando i tronchi, piantando chiodi sul tronco o stringendolo con fili di ferro. Tutti questi traumi possono danneggiare la salute dell’albero e causare anche la sua morte.

L’albero va curato come tutti gli esseri vivi. Gli insetti, le intemperie, alcuni animali possono essere i nemici dell’albero. Gli insetti ne bucherellano la corteccia, scavano sotto di essa lunghe gallerie e pur così piccoli come sono, possono provocare la morte dell’albero in brevissimo tempo. Anche le capre sono nemiche dell’albero. Infatti esse brucano anche i teneri germogli dei rami. Animali del bosco, come scoiattoli, ghiri ed altri, rodono talvolta anche la corteccia, causando danni rilevanti a questi giganti che non possono opporre nessuna valida difesa contro i loro dentini implacabili.

Il sottobosco
Non dimentichiamo il sottobosco e quello che esso ci fornisce: funghi, fragole, lamponi, mirtilli. Anche questi prodotti minori della foresta hanno il loro valore tanto più che non implicano spese di sorta.

Guarda da vicino un albero
Guarda da vicino un albero: vedrai tante cose che neppure immaginavi e rimarrai stupito. Guarda le sue radici, o almeno quello che affiora di esse. Sono grosse, nodose, capaci di sollevare la durissima crosta della terra. Se il vento tira forte e vuol sradicare l’albero, non può; ci sono le radici che tengono il tronco saldamente piantato sul terreno e il vento si sforza e ulula in una vana rabbia.

Quando il seme cadde in terra e germogliò, la radice era soltanto un filo che succhiava; guarda che cosa è diventato quel filo: braccia nerborute di gigante che non lasciano la presa.
Guarda il tronco. Era uno stelo sottile, verde, debole. Si piegava a ogni soffio di vento. Ora è diventato una colonna, bella, diritta, solida. Colui che per primo fabbricò una chiesa coi suoi colonnati e i suoi pilastri e le sue volte profonde, si ispirò agli alberi di un bosco.

Una corteccia dura, legnosa, ruvida, copre questo tronco diritto. La pioggia l’ha gonfiata, il vento l’ha screpolata, gli insetti l’hanno percossa, sforacchiandola da tutte le parti; sembra una cosa insensibile, tanto è ruvida, rozza, eppure, se la ferisci col tuo coltellino, se ne stacchi un pezzo, da quella ferita gemerà il sangue dell’albero, e l’albero, indifeso, in quel punto sarà alla mercè della tempesta e del freddo e se non correrà ai ripari potrà anche morire per quella ferita che tu hai inferto alla corteccia che lo proteggeva.

La ferita si rimarginerà, ma rimarrà un gonfiore scabro che non se ne andrà più. Quel gonfiore scabro è la cicatrice, il ricordo del dolore che egli ha sofferto.
Guarda i rami. Sono come grandi braccia che si tendono per proteggere. Proteggono tutto ciò che si rifugia sotto di essi: il coniglio pauroso che si nasconde nell’ombra, l’uccellino che vuol dormire. Proteggono anche te che cerchi ristoro al solleone. E il vento va ad infrangere la sua violenza contro la chioma ampia del bell’albero grande.

Guarda la foglia. E’ così delicata nella sua nervatura che sembra un ricamo. Guardala contro luce; nessuno saprebbe fare una cosa delicata e perfetta come la gemma, che meraviglia! La gemma, dentro, è un astuccio di velluto, e fuori è impellicciata come una bambina freddolosa. L’acqua e il freddo non riescono a penetrare nell’interno e, se è necessario, la gemma si riveste di resine e di cera o, magari, di una crosta dura come il metallo. A lei è affidato il tesoro dell’albero che è anche il suo avvenire: la foglia, il fiore, il frutto.

Il fiore si apre, così rosato e lieve che sembra quasi impossibile sia potuto sbocciare da un ramo tanto duro e ruvido. Fa la stessa impressione della mano morbida di un bambino posata sulla guancia rugosa del nonno. Ma i fiori degli alberi durano poco: oggi li vedi, domani non li vedi più. C’è solo una sfiorita di petali per terra. L’albero ha fretta: deve preparare i suoi frutti, prima verdi, duri, informi, poi grossi, rotondi, morbidi e coloriti che sembrano messi lì apposta per bellezza, come si mettono le palline lucide e sono felice.

Ecco, tutto questo è l’albero; basta che lo guardi da vicino, tanto da vicino per sentire il suo grande cuore battere nel tronco ruvido, da sentire la sua linfa vitale frusciare lungo le sue vene generose.
(M. Menicucci)

La storia dell’uomo e del bosco
C’era un uomo che possedeva un bosco. Questo bosco era fatto di alberi alti e fronzuti, castagni, pini, lecci  e querce. A primavera pareva vivo: gli uccellini facevano il nido sui rami e svolazzavano di qua e di là, cinguettando. Fra le erbe ronzavano gli insetti e volavano le farfalle. C’era un bel fresco sotto gli alberi del bosco e in mezzo a quegli alberi l’uomo aveva la sua casa.

In autunno la famiglia andava a raccogliere le castagne e i bambini più piccoli cercavano i pinoli. Durante l’inverno, nel camino della casa, ardeva  un bellissimo fuoco che illuminava e scaldava. La famiglia mangiava la polenta e anche i funghi quando ne trovava. Qualche volta mangiava anche le salsicce perchè con le ghiande si poteva allevare un maiale grasso e bello.

Un giorno salì, fino al bosco, un tale che non si era mai visto. Disse all’uomo: “Volete vendere il bosco?”
L’uomo stette un pezzo a pensare, poi disse: “E io come camperò? Il bosco mi dà tutto: pane, companatico e la legna per l’inverno”.

L’altro si mise a ridere.
“Siete un uomo semplice che non farà mai fortuna. Quando mi avrete venduto il bosco, io farò tagliare gli alberi e li porterò con via. Voi sul terreno rimasto libero, potete seminare il grano e piantare le patate. Senza pensare che io vi darò molti milioni e con questi potrete spassarvela un bel po’.
L’uomo si mise a pensare ancora, poi disse: “Va bene, accetto. La cosa mi conviene”.

Dopo alcuni giorni vennero i boscaioli e cominciarono ad abbattere gli alberi. I grossi tronchi cadevano giù di schianto, con un gran frastuono di rami fruscianti; poi, con le mine, gli uomini fecero saltare le radici. Gli uccelletti fuggivano spaventati abbandonando i nidi. Anche le lepri scappavano e i conigli selvatici, le martore, le donnole e le faine.

“Non credevo che nel bosco ci fossero tanti animali!” diceva l’uomo meravigliato, e guardava i carri che portavano via, albero per albero, tutto il suo bosco. C’era rimasto solo un pino verde che pareva triste in tanta solitudine.

Il terreno restò sgombero e il sole, che ora spadroneggiava, seccò ben presto le erbe e i cespugli.
L’uomo si mise a vangare la terra e da boscaiolo si fece contadino. Seminò il grano e piantò le patate. Diceva: “Avremo un bel raccolto!”, ma la moglie non era contenta.

“Senza il bosco mi sento sperduta” diceva, “C’era una bell’ombra e un bel fresco. Ora la casa mi sembra senza difesa”.
I ragazzi, che non potevano più andare in cerca di castagne e di pinoli, furono mandati con un branco di tacchini e un piccolo gregge di pecore, in giro per la montagna.
Il raccolto fu buono. La terra grassa produsse molto grano e molte patate e nella casa del contadino sembrò entrare l’agiatezza.

Poi venne l’autunno e con l’autunno le piogge.
“Piove molto quest’anno” disse un giorno la moglie: “Piove più degli altri anni. Forse è perchè non ci sono più gli alberi”
“Stupidaggini” rispose il marito; “la pioggia viene dal cielo e gli alberi non c’entrano per niente”.
“Ma la pioggia viene giù a precipizio per il monte e si porta via la terra.”
Il contadino dovette convenire che era vero. L’acqua, non più trattenuta dalle grosse radici, lavava il terreno e se lo portava a valle.

“E’ una brutta storia” disse la moglie “Qualche anno così e non ci resterà più terra, soltanto roccia.
Intanto, a valle, il torrente gonfio rumoreggiava e il contadino seppe che gli abitanti del villaggio cercavano di rinforzare gli argini per paura delle piene.

L’inverno passò e fu  un inverno molto più freddo del solito. C’era poca legna e nella casa, non più riparata, il vento entrava da padrone. Finalmente venne la primavera e tutta la famiglia respirò di sollievo. Senza la protezione del bosco aveva passato delle brutte giornate.

Il contadino aveva seminato anche stavolta grano e patate, ma il terreno, lavato dalle piogge, non era più fertile e ricco come prima. Il raccolto fu scarso. Il sole che batteva a piombo seccava anche le erbe e il gregge trovò poco da pascolare.
“Non so com’è” diceva la donna, “Ma quando c’erano gli alberi si stava meglio. L’aria era più fresca e più buona e i ragazzi erano pieni di salute. Ora sono pallidi e meno forti. E poi, tutto era più bello. Se ne sono andai anche gli uccelli.

Infatti, nelle ore calde, non si sentiva nemmeno un cinguettio, solo il falco roteava in alto silenziosamente.
Tornò l’inverno e con l’inverno la neve. La famiglia si chiuse in casa per non soffrire il freddo.
Quell’anno la neve fu molta. C’erano dei mucchi alti che il vento spostava e faceva turbinare.
“Non mi piace questa neve” diceva la donna “Non ne ho mai vista tanta.”

L’inverno fu lungo e cattivo, ma finalmente si aprì, nel cielo, uno spiraglio d’azzurro. La donna respirò di sollievo. Arrivava la primavera.
Il contadino era pensieroso; le cose non andavano bene. Sotto la neve che si scioglieva non si vedeva la terra, ma la roccia. La terra se ne era andata a valle con la furia dell’acqua.
Una mattina, tutta la famiglia uscì dalla casa a prendere il primo raggio di sole. C’era ancora tanta neve che scintillava intatta.

Ad un tratto si sentì un rumore lontano. Pareva un muggito. La donna ebbe paura.
“Che cos’è?”
Il contadino tendeva l’orecchio. Anche le pecore erano inquiete e si accalcavano le une accosto alle altre, come se volessero sfuggire un pericolo.
L’uomo andò sopra un’altura e guardò lontano.
“Si vede un polverio bianco…”
Il rombo si faceva più forte; veniva dall’alto del monte.
“Andiamo via” disse l’uomo, “Andiamo a metterci al riparo di quei massi. Fuggiamo di qui, è troppo scoperto…”
Scapparono tutti meno le pecore chè non c’era tempo di radunarle.

Ora il rombo era forte e cupo e si avvicinava.
“La valanga!” gridò l’uomo diventando bianco di paura. E si prese i figlioli tra le braccia e si nascose con loro dentro una grotta.
Il turbine di neve si avvicinava con un rombo come il tuono. Ma non era tuono, il cielo restava sereno. Era una gran massa di neve che rotolava per il fianco della montagna, s’ingrossava lungo il cammino, schiantava, rovinava, travolgeva tutto al suo passaggio, non più arrestata dagli alberi che per tanto tempo le avevano sbarrato il passo.

Passò come un turbine, si scontrò con la casetta, la seppellì, la travolse, si perdette a valle con un muggito lungo e pauroso…
E la famiglia uscita salva dalla grotta, stava a vedere, piangendo, la rovina che la valanga si era lasciata dietro e pensava che se ci fossero stati gli alberi, quella rovina non sarebbe avvenuta…
(M. Menicucci)

 

Morte di un albero
La donna lavava i piatti con un gran ciabattare e scrosciare d’acqua. Il marito fumava, leggendo il giornale.
Era sera e faceva molto freddo. Brutta annata: gelate, tramontana, ventaccio e poca legna.
La donna era di malumore e brontolava.

“Con tanti alberi, qui nel viale, non si può avere un ciocco di legna da buttare sul fuoco. Qui signori del Municipio! Tutto per la bellezza del paese! Come se la bellezza si potesse mangiare!”
Il marito non diceva niente. Sapeva che la moglie bisognava lasciarla sfogare.

“Vorrei sapere che cosa ci stanno a fare quegli alberi sulla strada! Per dar fastidio! D’inverno ti levano la luce e d’estate ti coprono la finestra che non si può vedere neanche chi passa. C’è questo qui davanti poi, che è un castigo. Sembra che per i passeri non ci sia che quell’albero. Tutti lì, tutti lì, e la sera ti stordiscono per il chiasso che fanno e la mattina ti svegliano all’alba. E se per caso ti vien voglia di sederti all’aria fresca… sudicioni! L’altr’anno mi rovinarono il vestito nuovo!”

L’uomo fumava e taceva, ma gli si vedeva un risolino sotto i baffi.
“Tu ridi, eh, ridi! E non vedi che siamo senza fuoco? Lo sai che la legna è quasi finita e l’inverno è appena cominciato? Ridi, invece di procurarti un po’ di fascine e di ciocchi!”.

La donna tacque per riprendere fiato.
“Dimmi un po’” disse dopo un momento di silenzio “Non potresti tagliare qualche ramo?”
“Sì, per andare in prigione!” rispose, flemmatico, l’uomo.

“In prigione! In prigione ci manderei quei signori del Municipio che non sanno far altro che piantare alberi! E perchè, poi? Per scimmiottare la città. Sicuro! E intanto, la povera gente non ha nemmeno il sole, chè se lo ruban tutto loro, foglie e rami!”.

La donna gettò uno sguardo iroso fuori della finestra dove s’intravedeva la sagoma scura e stecchita del grande albero spoglio.
L’albero dormiva. Aveva perduto da un pezzo le foglie e ora si era chiuso tutto nella scorza dura per impedire che il gelo frugasse nelle fibre tenere e bianche.

Un sonno lungo, il suo, che cominciava ai primi freddi e finiva in primavera. Ma quanti sogni! Che cosa può sognare un albero? L’inverno che finisce e tutto e ancor freddo, immobile ma i rami cominciano a rabbrividire e, dentro, la linfa preme, gonfia la corteccia fin che la spacca e la gemma verde si affaccia per godersi il primo tepore dell’aria. Allora l’albero riviveva ed era una vita magnifica e possente. La linfa gagliarda andava su e giù finchè prorompeva in migliaia di germogli che scoppiavano da tutte le parti, si aprivano e mettevano le foglie, belle, grandi, lucide.

Passato quel primo tripudio di giovinezza in cui l’albero si sentiva un po’ pazzo, cominciava il lavoro calmo dell’estate.
Diventava bello. Chi si ricordava più di quello scheletro magro ed asciutto? Il vento giocava coi rami, li strapazzava un po’, ma rifaceva subito pace portando profumi e tepori. Il sole si divertiva a trapelare tra le foglie e a ricamarle d’oro fino.

E poi, i passeri. Pettegoli, prepotenti, che allegria mettevano nel vecchio tronco! Non ci facevano il nido, preferivano il tetto, più sicuro, ma il primo volo, ai piccini, glielo facevan fare lì, dal tetto all’albero, che li accoglieva tutto intenerito, poveri piccoli piumaccioli, morbidi, tondi e tanto felici!

Poi la sera, a nanna, fra i suoi rami. Che chiasso! La gente alzava la testa, sorridendo e qualcuno si divertiva a fare un colpo con le mani, forte. E allora tutto lo stormo scappava, spaventato e nell’albero si faceva un gran silenzio. Ma non avevano paura, fingevano soltanto; tornavano alla spicciolata perchè sapevano che era un gioco e ci si divertivano anche loro. E, dopo un momento, riecco il cicaleccio fitto fitto. Avevano tante cose da dirsi, la sera! Infine, pian piano, qualcuno, stanco, taceva. Stava un po’ zitto e raggomitolato, con gli occhietti semichiusi, poi, tutt’a un tratto, ficcava la testina sotto l’ala e buonanotte a tutti!

Questo sognava il grande albero, ma nessuno lo immaginava, vedendolo così cupo e immobile. Di che cosa si accorgono gli uomini, egoisti e meschini? Ma l’avrebbero lasciato vivere se non fosse stato per l’odio di una donna.

“Un mezzo ci sarebbe per far seccare l’albero!” disse l’uomo levandosi la pipa dai denti e sputando lontano.
La donna si fermò davanti a lui con le mani sui fianchi.

“Forse” riprese il marito “se l’albero seccasse, ci toccherebbe parecchia legna. Non per questa stagione, naturalmente, ma si potrebbe far provvista per l’inverno che viene. Non la porterebbero via tutta”.
“Parla dunque”
“In una sera di gelo, basta rovesciare, sulle radici dell’albero, un paiolo di acqua calda. Non so com’è, ma l’albero secca”.
Una luce cattiva passò negli occhi della donna.
“Ma io direi di farlo vivere” si affrettò a dire l’uomo, pentito di quanto si era lasciato scappare. “In fondo è un bell’albero e ha faticato per crescere”.

La donna non  lo  degnò di una risposta: prese il paiolo e andò a metterlo sul fuoco.
“Non ci pensi molto, tu” disse l’uomo andandosi a mettere davanti alla finestra. Gli dispiaceva d’aver parlato, ma non credeva che la moglie mettesse subito in atto il suo progetto. L’albero si levava nella notte come un fantasma nero. Un soffio di tramontana fece vibrare i vetri.
“Dove la trovi una notte più fredda di questa?” disse la donna “Vogliono gelare persino  i sassi della strada”. E alimentò il fuoco sotto il paiolo.
Il marito tacque. S’era pentito delle sue parole, ma ormai sapeva che c’era più nulla da fare. Aveva rimorso di veder uccidere deliberatamente l’albero che, infine, era una creatura viva. Poi pensò che, forse, quella poca acqua non sarebbe stata sufficiente ad uccidere un colosso così. La donna prese il paiolo, si ravvolse in uno scialle e scese nella strada.

Il cielo, scintillante di stelle, prometteva una gelata bianca come un sudario di morte.
L’albero si destò. Un’onda di tepore saliva lungo le sue fibre con una dolcezza primaverile. Stupì. Ad ogni suo risveglio era abituato a vedersi attorno una fioritura leggera e il cielo azzurro, tenero e soave. Invece era notte e tutto era nudo, scheletrito e deserto.

Ma il tepore persisteva e l’albero si rallegrò. Dilatò le sue fibre e lo accolse trepidante. Le radici, anch’esse improvvisamente rideste, si abbeverarono a quel calore dolce, fremendo.
Il tronco si scosse e aprì i suoi pori già serrati contro il gelo e il tiepido succo salì, ricercò la sua vita più profonda, la rianimò, diffondendo sotto la corteccia un benessere gaudioso. E per l’albero fu primavera.
Ecco, la sua rinascita cominciava. Il gelo delle sue membra si scioglieva, le ombre dei sogni fuggivano di fronte a questa magnifica realtà; l’albero si preparò a ricevere il nuovo, benefico afflusso di vita…
Una raffica violenta lo investì; rigida come una lama si infiltrò nelle fibre dilatate e indifese; lo frustò fino al midollo tenero e bianco, serrò in una morsa gelida le radici deste e vive, scosse i rami vibranti e li fermò in un abbraccio mortale…
Poi passò come un impeto di furia vittoriosa, oltre l’albero, che restò immerso in uno stupore desolato…
Il vecchio cuore, colpito dall’inganno, impietrì senza più vita.
Sopra un ramo, un passero pigolò piano, e nel sonno si scosse tutto rabbrividendo.
(M. Menicucci)

Le piante si difendono dalla siccità e dal freddo eccessivi, liberandosi delle foglie

La caduta delle foglie è un fenomeno che avrai osservato tante volte: è lo spettacolo suggestivo e poetico che l’autunno ogni anno ci offre.
Gli alberi restituiscono alla terra le loro verdi spoglie.
Nelle regioni a clima temperato, come l’Italia, la caduta delle foglie avviene ai primi freddi autunnali. In altri paesi delle regioni tropicali la caduta delle foglie coincide con l’inizio dell’estate.
Come mai le piante si comportano in così diversa maniera?
Non è il caldo o il freddo che direttamente fanno cadere le foglie. E’ un’altra la ragione. Tu sai che le piante traspirano attraverso le foglie, cioè eliminano vapore acqueo.
Nelle regioni tropicali il periodo estivo è caratterizzato dalla mancanza di piogge: le piante seccherebbero tutte se continuassero a traspirare regolarmente attraverso le foglie. Invece le lasciano cadere e passano il periodo di siccità in una specie di sonno estivo.
Nelle regioni temperate accade che all’inizio dell’autunno il freddo fa abbassare la temperatura del terreno: le radici delle piante, allora, non riescono più a trarre da esso quella quantità d’acqua di cui ha bisogno. Se la traspirazione delle piante continuasse normalmente, le piante seccherebbero completamente. E così, più o meno rapidamente, le piante si liberano dalle foglie.
In certe piante (faggio, nocciolo) la caduta delle foglie ha inizio dalla cima dei rami e va verso la base. In altri invece (tiglio, salice, pioppo) avviene il contrario: cadono prima quelle più in basso e poi quelle dei rami superiori.
La caduta delle foglie è certo una  perdita di sostanze per le piante: è un danno ma presenta anche dei notevoli vantaggi. D’altra parte la pianta, prima di perdere il suo verde manto, ha compiuto una… operazione di recupero delle cellule delle foglie: ha portato via amidi, zuccheri, grassi, li ha messi da parte nel tronco per utilizzarli poi in primavera per creare nuove e più giovani foglie. Ecco perchè le foglie, prima di cadere, cambiano colore e diventano gialle, o arancione o brune in infinite sfumature, creando con i loro colori il meraviglioso paesaggio autunnale. La pianta dunque cede alla terra solo gli scheletri delle foglie, ricche soprattutto di una sostanza, che si è accumulata durante l’estate, l’ossalato di calcio. Questa sostanza non solo non è più utile alla pianta, ma ne riuscirebbe dannosa, se la conservasse ancora.
La caduta delle foglie ha un po’ anche il compito di purificare la pianta e liberarla dalle sostanze inutili e dannosi: un’operazione simile  all’escrezione degli animali.
Le foglie cadute al suolo lentamente si decompongono e contribuiscono alla formazione dell’humus, che è un elemento fondamentale per la fertilità del terreno.
Come si staccano le foglie?
E’ forse il vento che le porta via con il suo gelido soffio?
Certo le foglie cadono più facilmente e rapidamente per lo stimolo di cause esterne; ma è la pianta stessa, che lavora per liberarsi delle foglie.
Essa forma sul picciolo delle foglie una specie di anello di cellule, che ha il compito di operare la separazione delle foglie dalla pianta.
Basta allora un alito di vento o il peso stesso delle foglie a determinarne la caduta.

Alberi nani

I giardinieri giapponesi sanno ottenere incantati giardini in miniatura, allevando gli alberi in piccoli vasi, ove vegetano lentissimamente per decine e decine di anni, assumendo l’aspetto di vecchie piante, pur essendo alte pochi centimetri. Per ottenere questo nanismo, si seminano in piccoli vasi i semi più piccoli delle piante in terriccio povero: le piantine vanno poco innaffiate e abbondantemente potate. La radice principale viene tagliata, le radici laterali vengono in parte scoperte. Si cerca di dare alla pianta la forma di un vecchio albero con tronco e rami tortuosi. Un tale ricorda di aver osservato in Giappone una pianta di ciliegio, che aveva l’età di centocinquanta anni. A questo tipo di allevamento si presta bene l’albero della canfora, con foglie alterne sempreverdi, picciolate ovali, a fiori piccoli e biancastri; così pure il cedro, resinoso, dal caratteristico odore aromatico, la quercia e l’albero del pane, dai cui frutti si ricava un lattice, che col calore si rapprende formando una specie di pane, commestibile.

Albero tuttofare

Un europeo viaggiava per i paesi dell’India meridionale sotto un sole implacabile, quando, stanco e spossato per il lungo cammino, decise di bussare ad una solitaria capanna circondata da altissime palme di cocco. L’ospitalità dell’indiano fu veramente squisita: per prima cosa gli offrì una bibita dissetante affinché si ristorasse, poi gli servì un pranzo così vario e nutriente che il viaggiatore, meravigliato, domandò al suo ospite chi in quel luogo così solitario lo provvedesse di tutte quelle cose.
“Le mie palme!” gli rispose l’ospite. “La bibita dissetante che vi ho offerto è ricavata dal frutto prima che sia maturo. Questo latte, che voi trovate così gradevole, è contenuto nell’interno della mandorla. Questa verdura così delicata è il tenero germoglio dell’albero di cocco. Il vino, di cui voi siete così contento, è anch’esso fornito dal cocco, durante tutto l’anno. E infine, tutto questo vasellame e questi utensili di cui ci siamo serviti a tavola, sono stati fatti con il guscio del cocco.

Vita dell’albero

Vive col tempo, con le stagioni, progredisce, si protende, si innalza. Nei suoi anelli concentrici sono impresse le vicende di tutte le annate trascorse, sì che leggendo in un tronco tagliato, puoi avere notizia non solo della sua età, ma della siccità o meno di tutte le annate da lui vissute. Combatte con le intemperie, con gli animali, coi parassiti, coi venti, coi fulmini; si difende, si cura, si guarisce da solo. Guardalo. Pesa quintali e quintali e non ne vedi il peso; vedi la forza semmai, lo slancio, la leggerezza, la freschezza, la grazia. (F. Tombari)

Alberi in fiore
Sull’alto della collina, il contadino ripartisce lo stabbio col tridente e attorno a lui è già una vasta punteggiatura sulla terra grigia.
Col solito anticipo sugli altri alberi da frutta i mandorli sono già fioriti; tutta la collina ne è bianca e rosa. Da quando Maria posò tra i suoi rami Gesù neonato, per nasconderlo agli sbirri di Erode, secondo quello che narrano i vecchi, il mandorlo si affretta ogni anno a fiorire, anche a costo, come spesso capita,  di perdere fiori e frutti alla prima gelata.
In fondo alla valle si estende il mosaico verdegrigio dei campicelli. Sui rettangoli e quadrati verdi, frotte di ragazzi e donne già zappettano per dare aria alla terra incrostata e liberare il grano tenero dalle erbe selvatiche; sulle parti grigie, uomini con zappa, aratri e bestie lavorano alle semine di granoturco, di piselli, di fave, di ceci, di lenticchie, mondano i fossi, rafforzano i cigli, le fratte.
(I. Silone)

Dettati ortografici sugli ALBERI – Vedi anche:

Dettati ortografici sugli ALBERI – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

Dettati ortografici: L’olivo

Dettati ortografici sull’olivo – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.

Le olive sono ormai tutte nere e grasse e a spremerle emanano il loro denso liquore; gli olivi, poveretti, implorano di essere alleggeriti da tanto peso. Non ne possono più. E le raccoglitrici cercano in terra e non lasciano che una sola bacca sfugga ai loro sguardi. Cantano, intrecciano stornelli. Una canta e le altre rispondono. Così per tutto il giorno. Verso il tramonto le lavoratrici si radunano e partono intonando ancora una canzone. (A. Palazzeschi)

L’olivo Con la vite e col grano, l’olivo è la terza pianta propria del nostro suolo. Pianta povera, modesta nell’aspetto, mite nei frutti, cresce sui colli, esposta al sole e ai danni degli insetti, che ne rovinano il tronco. Per crescere e fruttificare bene, impiega circa trent’anni: però chi la pianta non la pianta mai per sè, ma per i figli e i nipoti e per amore verso la terra. (F. Tombari)

L’olivo Veste di grigio-verde le nostre colline, e di notte s’inargenta ai raggi della luna. I suoi rami sono contorti, ma le foglioline robuste sono dritte e lucide come piccole lame. Si afferra con le radici al terreno, si nutre d’aria, di sole, di salmastro. I suoi frutti non sono dorati, profumati, grossi, ma sono quei piccoli tesori bruni nei quali si nasconde tanto oro: l’olio che cola dal frantoio e va ad allietare la nostra tavola. (G. Vaj Pedotti)

Il dolce olivo
Dovunque l’aria sia mite e il clima non troppo mutevole, ne umido, ne secco, l’olivo resiste: all’opera attenta dell’uomo è legata la sua lunga vita. Beato chi ha piantato l’albero d’olivo, nella propria terra, a difesa del grano che non ama essere investito dal vento invernale; beato chi può raccoglierne le bacche, appena macchiate di violetto o biancastre, o screziate, o verdoline, in questo mese dolce, dopo il primo temporale d’autunno, sulla terra ancora dura che odora di vendemmia! Dalle vigne ove rare piante segnano i confini, alle coste ondulate delle colline, alla pianura gialla e nera di ristoppie arse dal fuoco, il paesaggio di questa terra agli olivi affida la sua decorazione: quel distacco ricco di ombre ferme che variano dal grigio all’argenteo, dal verde al cupreo, a seconda dei riflessi della luce, dello splendore del giorno, della trasparenza della sera. Tra gli spazi di questo paesaggio, ecco donne ricurve: soltanto le mani si muovono, e il grembiule si gonfia di olive. Qualcuna è salita sull’albero e scrolla con grazia esitante i rami più alti. (R. M. De Angelis Beltempo)

La raccolta delle olive

Alla metà di novembre i contadini raccolgono le olive. Quanti mesi sono passati da quando gli olivi, nelle chiare giornate di aprile, si coprirono di fiorellini gialli!

Ora i campi sono squallidi. Viti, pioppi, gelsi sono tutti senza foglie. L’aria è bigia e fredda, senza voli e senza canti. I contadini escono di casa ben coperti, camminano per la viottola fino agli ulivi che occupano la parte più alta della collina, dove la terra è più asciutta e sassosa, poi si accingono al lavoro pazienti. L’aria è fredda e le mani presto si intorpidiscono. Ma i contadini resistono alle fatiche e al disagio per ore  e ore; sanno che le olive costituiscono il raccolto più ricco dell’anno; sono il loro tesoro, e non vogliono perderne nemmeno una. (G. Fanciulli)

L’olivo è un albero sempreverde, dalle foglie coriacee, verdi di sopra, biancastre di sotto, fortemente cutinizzate, rivestite cioè di cutina, una sostanza dura e impermeabile che permette al fogliame di difendersi dal freddo e dall’umidità. Il frutto dell’olivo è l’oliva, una drupa con polpa oleosa e nocciolo duro nell’interno. Dell’olivo esistono due sottospecie: l’olivo coltivato (olivo gentile) e l’olivo selvatico detto anche oleastro.

Questo non è da confondersi con l’olivastro, chiamato anche erroneamente olivo selvatico e che invece proviene da seme di olivi coltivati e cresce nelle siepi e nei boschi senza coltura. Produce frutti più piccoli, meno carnosi che danno generalmente un prodotto più scarso, ma superiore per qualità a quello dell’olivo coltivato. Le olive sono ricoperte da una pellicola verde che con la maturazione diventa, man mano, più scura, fino a raggiungere una tinta bruno – violacea o nerastra. Le olive, a seconda della qualità, vengono utilizzate in vari modi, conciate, salate, seccate, ma l’utilizzazione più importante è quella dell’estrazione dell’olio.

L’olivo cresce in regioni che hanno un clima dolce e uniforme. Non prospera dove è troppo freddo, ma nemmeno dove è troppo caldo. Qualunque terreno, purchè non sia paludoso, conviene all’olivo. Nei terreni fertili esso è più produttivo, ma la qualità del suo frutto è inferiore a quello che può dare in un terreno sassoso sito in posizione alquanto elevata e che costituisce l’ambiente ideale.

Il legno dell’olivo, che si presenta compatto ed elegantemente variato per l’andamento delle sue fibre, è molto usato nell’industria per la fabbricazione di mobili e per lavori di tarsia. L’olivo cresce con lentezza e può vivere anche più di quattro o cinque secoli. Si dice che lo pianta il nonno per il nipote. In alcune regioni, si usa raccogliere le olive percuotendo l’albero con un lungo bastone, ma questo sistema è dannoso. Il miglior modo di procedere alla raccolta è quello di cogliere l’oliva a mano.

L’olivo fu conosciuto fin dalla più remota antichità. I Greci premiavano i vincitori dei giochi con corone di olivo e fecero di questa pianta il simbolo della saggezza, dell’abbondanza, della pace. Quest’albero fu tenuto in considerazione anche dai Romani; spesso, i popoli vinti chiedevano la pace a Roma portando rami di olivo. Secondo la Bibbia la colomba del diluvio tornò nell’Arca con un ramoscello di olivo nel becco, simbolo della pace tra Dio e gli uomini.

L’olivo viene distribuito insieme alle palme, nelle chiese la domenica prima di Pasqua, chiamata perciò domenica delle palme o degli ulivi, in ricordo del giorno in cui Gesù entrò in Gerusalemme, festeggiato dalla folla che agitava rami di palma e di ulivo in segno di giubilo.

Dettati ortografici sull’olivo – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. 

GLI ANIMALI DEL FREDDO: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici – GLI ANIMALI DEL FREDDO. Una collezione di dettati ortografici sugli animali del freddo: foca, tricheco, orso polare, ecc…

La foca piange

Per quanto viva nel mare, la foca è un mammifero. Essa ha uno spesso strato di grasso che le permette di trattenersi per ore ed ore sul ghiaccio senza congelarsi.

La voce della foca è un aspro latrato o muggito; quando è in collera ringhia come un cane. Ha sensi eccellenti e tutti ugualmente sviluppati. Il naso e le orecchie sono chiudibili a volontà dell’animale.

Gli occhi sono grandi e la pupilla non è tondeggiante e allungata, ma divisa in quattro raggi.

Da ciò probabilmente dipende la facoltà che la foca possiede di vedere ugualmente bene sia di giorno che di notte, come a diverse profondità sott’acqua.

La foca ha uno sguardo espressivo e quando sente dolore, piange. Questa è la riprova che la foca non è un pesce. E’ un mammifero e dei più sviluppati. O. Valle

La foca

Le foche rendono possibile, all’uomo che vive sulle nevi, la vita nella patria inospitale. L’uomo trae profitto di tutte le parti della foca. Sono per lui utili la carne e il grasso. Il sangue, cotto con acqua di mare, serve da minestra, l’olio si beve dalla brocca, che nella misera capanna non manca mai come da noi la caffettiera. Gli intestini, tesi sulle finestre, lasciano penetrare una scarsa luce nelle abitazioni e le proteggono dal freddo. La pelle fornisce il cuoio per le calzature e gli abiti. Non si gettano via neppure gli ossicini: servono da giocattoli per i bambini.

L’orso bianco
Vive nelle regioni più fredde della terra, dove non esiste vegetazione e regnano i ghiacci eterni. E’ il re del Polo, sfida la bufera, i lastroni di ghiaccio gli servono da barca, la neve da cuscino.
Essendo un carnivoro, si nutre di foche, di pesci e di lontre. Molti cacciatori polari e gli eschimesi gli danno una caccia spietata.

L’orso 
L’orso è un mammifero carnivoro, appartenente alla famiglia degli ursidi, molto affine a quella dei canidi. Vive in Europa (orso bruno del Trentino e dell’Abruzzo), in Asia (orso bruno della Siberia e orso nero del Tibet) e nelle due Americhe (orso bruno, grizzly, baribal).
L’orso bianco è un animale artico, ha il muso e il collo lunghi, le orecchie corte. E’ un buon nuotatore e si ciba di foche, di pesci e di sostanze vegetali.
Gli orsi hanno artigli poderosi, non retrattili; quasi tutti sono capaci di arrampicarsi. Attaccano di rado l’uomo, ma possiedono grande forza e sono animali assai temibili.
Può raggiungere l’altezza di un metro e venti, la lunghezza di oltre due metri, il peso di duecento, trecento chili in individui adulti, prima del letargo invernale. Ha pelliccia molto folta, che va dal bruno-nero al bruno-grigio, al bruno-rossastro, a seconda della distribuzione geografica. E’ forestale, bisognoso di grande estensione per aggirarsi a piacere e per il reperimento del cibo. La fame lo spinge ad uscire solo o in piccoli gruppi, durane la notte o al crepuscolo o al mattino presto. Mangia mirtilli, bacche, frutta in genere, germogli e radici, coleotteri, lumache, chiocciole, pesci. Nel cavo degli alberi, ricerca i favi di miele, di cui è molto ghiotto. A volte fa scorribande nei coltivi e si rimpinza di grano, di segale, si orzo, di pannocchie. Non molesta l’uomo se non preso alle strette, ma è aggressivo sul bestiame, specialmente quando, magro ed affamato, si desta dal letargo. Allora abbatte pecore e anche vitelli.
(G. Menicucci)

La foca
E’ un animale mammifero marino.  Nuota agilmente, e sulla terra si muove in modo buffo e pesante.
La foca vive in branchi numerosi e alleva i piccoli con cura. Va a caccia di notte; di giorno se ne sta sdraiata al sole, sulle rocce e sulle spiagge. Abbaia come i cani, brontola rabbiosa, ruggisce nelle lotte, urla quando è colpita dall’arpione.
L’uomo caccia la foca per l’ottima pelle, l’olio e i grassi; i popoli nordici ne usano gli intestini per confezionare mantelli impermeabili.

La foca
La foca è un mammifero carnivoro pinnipede. Si conoscono molte specie di foche che vivono soprattutto nelle regioni artiche e antartiche. La foca monaca, di pelame bruno o nerastro sul dorso e quasi bianco sul ventre, abita il Mediterraneo e talvolta viene catturata sulle coste italiane.
La foca ha un capo tondeggiante, privo di padiglioni auricolari. Le zampe posteriori non servono per camminare e restano protese all’indietro. Nuota molto bene e si ciba di pesci.
La foca vive in gruppi numerosi; è un animale intelligente e facile da addomesticare.

Il colosso dei ghiacci
Le regioni artiche non sono affatto regioni deserte come molti di voi potrebbero pensare, anzi. Vi abitano numerosi mammiferi: i lupi, i buoi muschiati, i caribù, le lepri del polo, i lemming, gli ermellini, e molti mammiferi marini, come le foche e i trichechi di cui parleremo questa volta.
Oggi i trichechi i trovano solamente nell’estremo Nord della Groenlandia e nella zona circostante lo stretto di Bering: sono animali goffi, che possono raggiungere tranquillamente il peso di una tonnellata e mezzo e la lunghezza di quattro metri e mezzo. Sotto la pelle i trichechi hanno uno spesso strato di grasso, che li protegge dal freddo terribile e permette loro di nuotare senza danno nelle acque gelide del Mar Artico.
Può darsi che i trichechi vivano anche altrove, ma si tratterebbe in questo caso di regioni inesplorate: infatti non si hanno notizie della presenza di trichechi se non nelle regioni che abbiamo detto. E pensare che di fu un tempo in cui i trichechi erano numerosissimi in tutta la zona intorno al Circolo Polare Artico: ma questi animali, come gli elefanti, possiedono una ricchezza che fa gola: l’avorio!  I denti incisivi del tricheco sono sviluppati come due vere e proprie zanne: possono raggiungere i settanta centimetri di lunghezza  e il peso di oltre tre chili. Furono proprio queste zanne a suscitare la cupidigia degli uomini, tanto che i trichechi furono massacrati senza pietà, e oggi di molti milioni di esemplari non ne rimangono che trenta-quarantamila. Un tempo tutto il tricheco ucciso veniva utilizzato, e lo stessa fanno oggi gli eschimesi che sfruttano la carne, il grasso, la pelle per gli usi più diversi. Un tempo le pelli dei trichechi venivano trasformate in cordami per navi e, a onor del vero, si trattava delle funi più solide che si possano immaginare.
L’aspetto si questo grosso bestione, la femmina pesa circa due terzi del maschio, ricorda grosso modo quello di un vecchio contadino tranquillo e bonaccione. I lunghi baffi lucidi e rigidi contribuiscono non poco a dare al tricheco una certa aria simpatica. Quando è piccolo, il tricheco è ricoperto da una pelliccia giallo-bruna, che presto diventa bianca, per poi cadere. Fatto adulto,  il tricheco non ha su tutto il corpo nemmeno un peluzzo ad eccezione dei baffi: la sua pelle si presenta nuda, piena di rughe e di grinze, coperta di cicatrice che testimoniano le feroci lotte combattute durante il periodo degli amori. Questo è l’unico momento in cui i l tricheco si mostra combattivo e feroce: per lo più .se ne sta tranquillo a ronfare sulla banchisa. Meglio non fidarsi troppo, però, della bonarietà del tricheco, né della sua lentezza, quando cammina sulla terraferma. Le sue zanne sono armi terribili con le quali il nostro amico osa affrontare persino l’orso bianco: per questo più permettersi di sonnecchiare pigramente sulla banchisa: nessuno degli animali polari, nemmeno il più feroce, oserebbe avvicinarsi a lui. Le zanne del tricheco hanno però anche un’altra funzione: oltre ad essere arma di difesa e piccolo aratro per stanare gli animali di cui esso si ciba sono utilizzate come bastone di sostegno. Il tricheco, infatti, se ne serve per sollevarsi e per reggersi in piedi sulle rocce e sul ghiaccio. Il suo nome scientifico, del resto, Odobenus, significa appunto “colui che cammina sui denti”.
Ma il tricheco usa anche un altro sistema per camminare: come la foca e a differenza dell’otaria, porta avanti le pinne natatorie, si appoggia su di esse, e, dopo di aver sollevato in questo modo tutta la parte posteriore del suo corpo, con un brusco movimento si getta in avanti.
Mamma tricheco è particolarmente affettuosa con le sue creature: due piccoli che nascono a primavera, pesanti già di una settantina di chili, e che deve allattare per due anni. Essa ama giocare con i suoi  piccoli, li fa rimbalzare come palle e improvvisa con loro una specie di nascondino acquatico.
Una particolarità anatomica dei trichechi è che sono praticamente privi di unghie: su ciascun dito delle cinque dita delle pinne natatorie anteriori hanno infatti solo una parvenza di unghie, sulle pinne posteriori hanno un’unghia sola, piuttosto lunga, sul dito esterno.
Il tricheco si trascina faticosamente per terra, e si trova invece meravigliosamente a suo agio in acqua: per questo si tuffa spesso a grandi profondità in cerca di cibo: conchiglie, asterie, ricci di mare e molti altri invertebrati sono il suo pasto preferito. Il tricheco infatti non si nutre di carne o di pesci come le foche, ma si ciba quasi esclusivamente con i piccoli animali che abbiamo detto.: li pesca in acqua o, con le zanne, li cerca nel fango ai limiti della banchisa. Per triturare queste leccornie, il tricheco è armato di sedici denti, oltre alle due zanne che sono la sua più formidabile arma di difesa. Questi sedici denti hanno la forma di piccoli coni resistentissimi e smussati sulla punta.

Dettati ortografici – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.

ANIMALI AFRICANI: dettati ortografici e letture

Dettati ortografici ANIMALI AFRICANI –  una raccolta di dettati ortografici sugli animali africani: leone, leopardo, elefante, giraffa, ecc…

L’elefante. L’elefante è un mammifero erbivoro tra i più grossi attualmente esistenti sulla terra. Il suo muso è caratteristico per la presenza della proboscide, un organo muscoloso, lungo, robusto, mobile, formato dal naso e dal labbro superiore cresciuti insieme. I due denti incisivi superiori, enormemente sviluppati, sono detti zanne. La sua pelle è durissima, e per questo è chiamato pachiderma.

Leopardo. Questo feroce carnivoro, che vive in Africa e in Asia, è capace di arrampicarsi sugli alberi, dove sta in agguato per sorprendere la preda. E’ cacciato dall’uomo per la sua pelliccia, di colore giallognolo e macchiettata di nero.

Leone. Il leone è il re della foresta e il suo possente ruggito spaventa e mette in fuga antilopi, zebre e giraffe. Il suo mantello è di colore rossiccio; il capo è ornato di una folta criniera. Il corpo è forte ed agile. Con i robusti artigli e i denti acuminati avvinghia e sbrana la preda.

Giraffa. La giraffa è un mammifero ruminante che vive in tutte le regioni a steppe e a boscaglie dell’Africa. E’ molto alta, con un collo lunghissimo e due piccole corna. Il suo mantello è di colore giallognolo, con grandi macchie castane.

La nave del deserto. Gli Arabi chiamano il cammello “la nave del deserto”. In mezzo alle sabbie e tre le nuvole di rena che il vento spinge ad ondate impetuose, questo ruminante ha un grande vantaggio sugli altri animali: dotato di lungo collo, erge il capo e tiene le narici al di sopra del vortice polveroso, con gli occhi mezzo chiusi  e difesi da densi peli. Il cammello porta enormi pesi; dà latte, carne, pelo, pelle; la notte serve da guardia come un cane; ha l’istinto di sentire le acque lontane; riconosce a meraviglia la strada; sopporta la fatica con grande mansuetudine. All’esterno del rumine del cammello vi sono tante tasche sempre piene di acqua; è la riserva da consumare in caso di bisogno. La gobba che ha sul dorso è formata di grasso che l’animale consuma in caso di carestia; essa infatti scema e sparisce nei giorni di fame. Come il soldato che intraprende una lunga marcia di guerra, il cammello ha i suoi viveri di riserva, indispensabili nella lotta contro la natura avversa dei paesi desolati. O. Valle

Il più bello dei felini: la tigre

La tigre può raggiungere la lunghezza di tre metri, compresa la coda; e l’altezza di più di un metro, misurata dalla spalla. Ha pellame fulvo, con larghe striature nere, nella parte superiore; nelle parti inferiori, biancastro.

La tigre è un terribile carnivoro, molto più coraggioso del leone. Essa si nutre di cervi, antilopi, giovani bufali, giovani cinghiali e anche di scimmie, di pavoni e altri animali. Se riesce a scoprire un luogo dove ci sia del bestiame domestico, fa strage di capre e cavalli. Va a caccia sempre da sola, silenziosamente, e non ruggendo come il leone. Avanza lentamente verso la preda, e la atterra con una zampata; dopo le torce il collo, fratturandole le vertebre cervicali.

Animali selvatici

Una mandria di zebre e di antilopi pascolavano nella radura. Erano migliaia e ricoprivano tutto il vasto pianoro come un immenso mantello che, al loro lento procedere sembrava fosse trascinato via da qualcuno, formando pieghe e viluppi a seconda degli avvallamenti del terreno. Fra le zebre e le antilopi, a passi lunghi e maestosi, camminavano alcune frotte di struzzi dalle smisurate zampe spoglie, di un vivido bianco e nero i maschi, e di un grigio sporco le femmine.
(Cloete)

L’abbeverata

Non venivano avanti uno per uno, per due e nemmeno a gruppi, bensì in schiere compatte e serrate e facevano rintronare e tremare tutto il terreno fangoso. Dapprima una mandria di elefanti, guidati da una femmina gigantesca, scese sino all’acqua e si mise a bere, a ruzzare, a giocare, e in mezzo a loro si muovevano, imperturbabili, gli ippopotami che, come succhiando il fango coi piedi, sbucavano dall’acqua sempre più numerosi, per buttarsi sulla riva a pascolare l’erba folta.
(Cloete)

La tigre
La sua pelliccia è color giallo ruggine a strisce nere. La tigre non teme l’uomo.
Vive lontana dagli abitati, nelle grandi foreste e tra le erbe alte. I suoi movimenti sono eleganti e rapidi. Sa strisciare come i serpenti, si arrampica sugli alberi, artiglia come le aquile.
E’ il terrore di tutti gli animali, ma teme molto l’elefante, il rinoceronte, il bufalo; fa strage di cinghiali, cervi, antilopi. E’ un animale ricercato per i circhi e gli zoo.

La tigre
La tigre è un grosso mammifero carnivoro della famiglia dei felidi. E’ un bell’animale per il suo mantello rosso fulvo a strisce nere verticali, mentre la gola e il ventre sono bianchi.
La tigre è un animale asiatico: abita le foreste e le boscaglie fitte e umide (giungle).
Si nutre di diversi mammiferi selvatici o domestici e divora in un sol pasto anche 40 chilogrammi di carne.
La tigre è addomesticabile e vive senza difficoltà in cattività, dove però di rado dà alla luce figli.

Il leopardo
Il leopardo ha mantello giallo con macchie e disegni neri; è diffuso in tutto il Continente Africano e in Asia. L’esemplare asiatico ha dimensioni maggiori di quello africano e vien detto pantera; questa presenta talvolta il mantello completamente nero. Di preferenza assale animali di piccola taglia; tuttavia non esita ad assalire anche mammiferi di grande mole.
Esso sorprende gli animali con l’agguato: agilissimo e astuto, striscia sul terreno, appiattendosi e riuscendo a celarsi anche il erba poco alta. Compie balzi improvvisi e potenti; si arrampica sugli alberi con velocità incredibile; balza di ramo in ramo a grande altezza dal suolo, tenendosi in perfetto equilibrio con la più spericolata sicurezza. Di rado assale l’uomo. Ma vi sono esemplari antropofagi i quali, pur non tralasciando la caccia agli animali selvatici, attaccano anche l’uomo.

Il leone
Attraversavo, in compagnia di ottimi amici e con una piccola scorta armata di gregari, un tratto di savana estesa lungo la riva destra del Giuba tra i villaggio fi Gar Uama e la carovaniera che porta a Bobbuin. Brillava sul cielo l’ultima falce di luna, dalla foresta esalava un mormorio sterminato come il frastuono dell’Oceano ce dà a chi ascolta il senso della madre natura: dai guaiti dei serpenti afflosciati nell’intrico erboso, al frullare garrulo degli aironi, delle otarde (grosso trampoliere), annaspante tra i rami e i tronchi; dalle lamentazioni gutturali di certe antilopi allo squittire elettrico delle gazzelle, degli struzzi, dei trampolieri, dal barrito misterioso dell’elefante al brulichio dei gattopardi, delle iene, degli sciacalli che vanno  di notte rimuovendo gli anfratti della boscaglia o battono in cerca di preda i greti alluvionali.
Noi camminavamo da lungo pezzo ascoltando. A un tratto gli indigeni si sono fermati, come colpiti da un avvenimento, in quel silenzio subitaneo, quasi sotto l’effetto paralizzante del panico. Anche noi ci siamo arrestati, trattenendo il respiro; sensazione di vuoto assoluto: tutto taceva, tutto era come inabissato. In mezzo a quel silenzio si percepì lontano, lontanissimo, un boato. Io, ignaro di cose d’Africa, non comprendevo che fosse: pareva un vocalizzo nasale, come se un basso dalla voce cupa si ostinasse a ripetere a lettera emme tenendo le labbra chiuse. Eppure faceva spavento.
“E’ la voce del leone”, mi hanno detto gli indigeni.
Fatto straordinario: quando risuona il grido del domatore tutti ammutoliscono. Non è semplice superiorità di forza fisica, giacché innumerevoli animali, quanto a massa e volume, meccanismo di muscoli, preponderanza di peso, potrebbero avere ragione di lui. E’ il sentimento di una dignità superiore, di una prevalenza ideale. Tutti temono il leone non perché egli sia il più brutale fra i bruti, ma perché egli è il più nobile. Il più fiero, il più dignitoso tra i viventi. Ogni animale tace e s’arresta davanti a chi lo supera nella scala dei valori, cioè davanti all’uomo, infinitamente più forte nello spirito, quantunque infinitamente più debole nel corpo. Questa è la vera spiegazione psicologica di quel fenomeno che tante volte è stato descritto e sul quale tante ironie si sono consumate: la timidezza del re della foresta di fronte al cacciatore.
((V. B. Brocchieri)

Il leone
Il leone è un grosso carnivoro della famiglia dei felidi. Non vive nelle foreste e nei deserti, ma abita le boscaglie e le savane dove va a caccia di giorno e di notte. Assalta antilopi, giraffe, zebre e costituisce un pericolo per l’uomo.
Il leone possiede una grossa testa, zampe robuste e coda con ciuffo nero in punta. Il pelame è color fulvo uniforme.  I maschi hanno il collo rivestito da una caratteristica criniera.
Oggi, vive in Africa e in Asia, ma in zone ormai limitatissime e protette (riserve), dove non può venir cacciato e sterminato come è accaduto in Africa e in certe regioni asiatiche in cui praticamente è scomparso.

L’elefante
Esistono due tipi di elefanti: quella africana e quella asiatica. L’elefante asiatico è più piccolo.
Una caratteristica dell’elefante è il naso prolungato, la proboscide, che può superare i due metri di lunghezza. Con la proboscide, l’elefante porta il cibo alla bocca, si fa la doccia, beve, fiuta, testa e carezza.
Altra caratteristica degli elefanti sono le zanne, due denti inseriti nella mascella superiore che si sono allungati in modo enorme. Esse sono armi di difesa e di offesa: l’animale le adopera anche per scortecciare e sradicare alberi.
L’elefante ha la pelle spessa, senza peli, di colore grigio. Ha un udito finissimo. Vive pacifico in famiglie e si lascia facilmente addomesticare.

L’elefante
L’elefante è il più grande mammifero terrestre. Durante età antichissime ne esistevano parecchie specie, ora scomparse. Oggi vivono: l’elefante asiatico (dalle orecchie relativamente piccole) e l’elefante africano (dalle orecchie grandissime, simili a ventagli, che coprono parte delle spalle).
L’elefante fa parte dell’ordine dei proboscidati. Il suo corpo è massiccio, di grande mole, sorretto da zampe robuste, simili a colonne.
La pelle è di colore grigio, rugosa, spessa, quasi senza peli. I denti sono in tutto sei: due incisivi superiori che sporgono dalla bocca, detti zanne, e quattro molari distribuiti uno per lato in ciascuna mascella. L’elefante può vivere fino a 120-130 anni di età.

La giraffa
E’ un mammifero, quadrupede, selvatico, erbivoro, ruminante. E’ il  più alto degli animali: un maschio adulto misura da 5 a 6 metri. Almeno due metri spettano al collo. Eppure le vertebre che reggono questo collo smisurato sono solamente sette, come nella maggior parte dei mammiferi. Naturalmente sono vertebre… giganti. Questo simpatico erbivoro ha le misure tutte eccezionali: ha 2 metri di zampe e mezzo metro di… lingua! Eppure, con tanta lingua, la giraffa è muta. Alcuni naturalisti sostengono che la giraffa fischia per chiamare i piccoli. In genere si pensa che almeno la coda, in questo lungo animale, sia piccola. Nossignori; la giraffa può vantare una coda di m 1,20!
Il peso della giraffa oscilla da kg 500 a 1000. Quando i giraffini nascono misurano già 2 metri e dopo tre o quattro settimane sono già alti 3 metri.
Il nome della giraffa deriva dalla parola araba zurafah, che significa mite, buona. Infatti  la giraffa dai dolci occhi è un animale tranquillo. Di giorno vaga nelle rade boscaglie africane, dove abita col piccolo branco delle compagne (10-20 individui).
La giraffa cammina in modo goffo e curioso, muovendo insieme prima le due zampe di destra, poi quelle di sinistra, e galoppa dondolando il collo. Nella corsa non sembra veloce, eppure il suo galoppo è più rapido e più resistente di quello del cavallo.
Non crediate però che la giraffa sia paurosa: è solo prudente. Se un leone, che fra gli animali è il suo nemico più pericoloso, attacca i suoi piccoli, li difende strenuamente, sferrando potenti calci.
A sera la giraffa scende all’abbeverata. La povera bestia deve faticare molto per bere: per arrivare al pelo dell’acqua deve divaricare le zampe anteriori come le aste di un compasso, oppure deve ripiegarle, con buffe e scomode contorsioni. Pare impossibile, ma il suo collo non è abbastanza lungo!

Gli ippopotami
La parentela tra ippopotami e suini è riconoscibile dal fatto che entrambi i gruppi sono forniti  di canini potenti e di piedi con quattro dita. Gli ippopotami sono quasi del tutto nudi, salvo qualche raro pelo sul dorso e alcune setole rigide sul muso. Il corpo è potente, tocco; il collo è corto e robusto; la testa quadrata e enorme.
L’ippopotamo pesa dal 2000 ai 2500 chili, talvolta perfino 3000. La femmina è molto più grossa del maschio. La pelle è di un colore che va dal rosso rame al grigio blu. Quando l’ippopotamo rimane per molto tempo fuori dell’acqua, e la sua pelle si secca, delle ghiandole sottocutanee secernono un liquido rossastro che aveva fatto pensare che l’animale perdesse sangue.
Il muso è più voluminoso della scatola cranica. I canini ricurvi della mascella inferiore possono raggiungere la lunghezza di 70 cm e il peso di 4 kg. I canini superiori sono rivolti verso il basso e sono assai più piccoli. Di solito questi denti sono nascosti dalle labbra ma vi suono individui nei quali uno o due o anche tutti e quattro spuntano fuori dalla bocca. I canini dell’ippopotamo vengono utilizzati per l’avorio che è molto più pregiato di quello degli elefanti. Un tempo gli ippopotami vivevano lungo il Nilo, ma ormai sono stati del tutto sterminati a nord di Cartum. Questa specie si trova invece ancora lungo le coste di quasi tutti i grandi fiumi e laghi dell’Africa tropicale e in modo particolare nell’Africa equatoriale, dal Kenya fino al Senegal.
Gli ippopotami sono buoni nuotatori, e infatti sono stati visti svariate volte in mare oltre le foci dei fiumi. Si è constatato anche che essi sono in grado di attraversare il braccio di mare che separa il continente africano da Zanzibar. Peraltro si incontrano anche nelle zone di notevole altitudine fino a 1500 e a 2500 metri sul mare, dove gli inverni possono essere freddi al punto che i laghi gelano. In realtà questi enormi animali possono sopportare il freddo grazie allo spessore della loro pelle.
Di giorno rimangono a lungo nell’acqua dei fiumi o dei laghi; mangiano piante acquatiche e poi fanno dei bagni di sole, sdraiati su degli isolotti melmosi. Quando si immergono per dissotterrare i rizomi delle piante acquatiche dal fondo, restano sott’acqua da 1 a 4 minuti. Di notte compiono spesso delle spedizioni per saccheggiare le piantagioni e distruggere i raccolti calpestandoli. In genere vivono in mandrie di 20-30 animali, ma all’epoca dell’accoppiamento, i maschi si abbandonano a furiosi combattimenti. La gestazione dura circa otto mesi. Appena nato, il piccolo ippopotamo, che pesa all’incirca 40 chili, è condotto dalla madre in acqua. Quando vuol dargli il latte, essa si corica su un fianco per consentirgli di succhiare le mammelle. I giovani sono più scuri degli adulti e restano sotto la sorveglianza della madre durante il primo anno di vita- In acqua sono trasportati, di solito, sul dorso materno. All’uscita dell’acqua, gli ippopotami scrollano le orecchie e dimenano la coda rapidamente. Si riconosce la zona del territorio su cui essi vivono per il fatto che lasciano dappertutto depositi di escrementi.
(H. Hvass)

La zebra
Le zebre vivono nella savana dell’Africa a sud del Sahara e sono facilmente riconoscibili per le striature brune sul fondo biancastro della pelle.
La coda termina con un lungo fiocco, le orecchie hanno una lunghezza intermedia tra quelle dei cavalli e quella degli asini. Le mandrie di zebre possono essere composte  da parecchie centinaia di individui talvolta perfino da mille, che brucano placidamente tra le antilopi e le giraffe. Spesso degli uccelli bovari si appoggiano sul loro dorso; in caso di pericolo spiccano il volo dando così l’allarme. Ma ciò non preserva del tutto le zebre dal loro peggiore nemico: il nemico che osserva i movimenti del branco durante l’abbeverata, solitamente serale.
La mandria di zebre è condotta da un maschio che mantiene la disciplina nel gruppo. Le zebre corrono in fretta, ma non sono molto resistenti e un buon cavaliere può riprenderle facilmente.
Alcune zebre sono state addestrate nei  circhi o attaccate alle carrozze, ma non è mai stato possibile addomesticarle completamente; in qualsiasi lavoro esse sono inferiori ai cavalli e agli asini.

Il rinoceronte africano
Le specie di rinoceronti che vivono in Africa si differenziano da quelle asiatiche per la presenza di due o più corna sul muso, mentre i rinoceronti indiani ne posseggono solo uno. Hanno corpo massiccio, lungo anche quattro metri, rivestito di una robusta pelle che sembra una corazza. Le zampe sono corte e tozze, ma ciò non toglie che il rinoceronte possa caricare gli intrusi, correndo a una certa velocità.
Il rinoceronte africano è diffuso particolarmente nelle regioni dei grandi laghi dell’est, poiché preferisce i terreni ricchi di acqua. Le sue abitudini sono prevalentemente notturne. Esce dall’ombra dei cespugli solo per pascolare e alle erbe preferisce gli arbusti verdi, compresi quelli spinosi. Nelle ore calde ama immergersi nelle acque fangose, dalle quali esce con uno strato di fango  sulla pelle che, essiccandosi, forma una crosta protettiva contro le punture degli insetti.

La scimmia
Se ne sta sui rami oppure gioca e fugge sulle cime degli alberi; si afferra ai rami con le mani e con i piedi; una grande famiglia di scimmie, per appigliarsi ai sostegni, usa anche la coda.
Ci sono grosse scimmie: gli oranghi, gli scimpanzé, i gorilla. L’orango ha braccia lunghissime; non spicca salti e raramente cammina sul terreno; si sposta da un ramo all’altro e scende a terra solo se spinto dalla sete. Vive in Asia (nelle isole di Sumatra e Borneo).
Lo scimpanzé vive in Africa. E’ l’animale più intelligente che esista. Può essere addomesticato e può imparare una quantità di  cose. Cammina eretto come l’uomo, ma se avverte qualche pericolo si allontana a quattro zampe. E’ di colore nero.

La scimmia
La scimmia è un mammifero e viene anche detto “quadrumane”; rappresenta senza dubbio un gruppo di animali molto intelligenti.
Possiede una dentatura completa; cammina poggiando completamente la pianta del piede a terra, le unghie sono quasi sempre piatte, gli alluci e talvolta anche i pollici sono opponibili alle altre dita.
Il pelame è di colorazioni molto varie e spesso vivaci.
La scimmia abita le regioni tropicali. Moltissime specie vivono sugli alberi: sono agilissime ed hanno ottima vista; le specie che vivono a terra hanno sviluppatissimo l’olfatto.

Il gorilla
Il gorilla è la più grande e più possente fra le scimmie. Pur possedendo una forza enorme, però, esso è abbastanza pacifico e non presenta alcun pericolo per l’uomo, se non viene molestato. E’ invece assai temuto dagli animali, che difficilmente osano attaccarlo, ben sapendo che avrebbero la peggio in un eventuale corpo a corpo. Il gorilla è alto fino a due metri in posizione eretta.
Ha un corpo massiccio e arti assai muscolosi, muso prominente e ampie narici. Ne esistono due varietà, una di pianura con pelame grigio scuro, e una di montagna, che nel Congo vive fino  a tremila metri, con le pelliccia completamente nera.
Di solito vivono in branchi di pochi individui, comprendenti giovani e vecchi, e si costruiscono rudimentali abitazioni che hanno l’aspetto di piattaforme di rami e ramoscelli, poste sugli alberi a qualche metro da terra. Non conducono però vita arboricola, preferendo vagare durante il giorno sul terreno, alla  ricerca di cibo.  Si nutrono di foglie, di radici e di frutti che la foresta offre in abbondanza.

Dettati ortografici – Tutte le opere  contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.

Esperimenti scientifici per bambini – Una collana di ghiaccio

Esperimenti scientifici per bambini – Una collana di ghiaccio. Cosa serve:

cubetti di ghiaccio,

un bicchiere d’acqua,

un filo di cotone,

sale.

Esperimenti scientifici per bambini – Una collana di ghiaccio – Cosa fare

Metti alcuni cubetti di ghiaccio in un bicchiere d’acqua. Bagna il filo di cotone, poi posalo sui cubetti che galleggiano nel bicchiere. Cospargi di sale per tutta la lunghezza del filo e aspetta circa 10 secondi. Solleva il filo: avrai tra le mani la tua collana di ghiaccio…

Esperimenti scientifici per bambini – Una collana di ghiaccio. Perchè?

L’acqua pura congela a 0 ° C. L’aggiunta di sale o di qualsiasi altra sostanza solubile (ad esempio zucchero), riduce la temperatura di congelamento dell’acqua. L’acqua di mare ad esempio congela a -1,8 ° C, ma continuando ad aggiungere sale la sua temperatura di congelamento può arrivare fino a  -21 °

Questo si verifica perchè i soluti interrompono la struttura cristallina del ghiaccio e riduce la concentrazione di acqua pura. Qualsiasi riduzione della concentrazione di acqua pura abbassa il punto di congelamento. Quindi maggiore è la concentrazione di sale, minore è il punto di congelamento.

Quando si cosparge di sale un cubetto di ghiaccio, in quel punto la concentrazione di sale diventa elevatissima, il punto di congelamento scende tantissimo e la parte di ghiaccio entrata in contatto col sale si scioglie e scorre lungo il cubetto residuo, portando con sè il sale. A questo punto sulla parte superiore del cubetto l’acqua, meno salata, si ricongela, intrappolando il filo di cotone.

Esperimenti scientifici per bambini – Una collana di ghiaccio – Fonti:

http://www.wikihow.com/

http://www.abc.net.au/

Science experiments for children – Ice cube necklace

What do you need?

ice cubes,
a glass of water,
a cotton thread,
salt.

Science experiments for children – Ice cube necklace

What to do?

Put some ice cubes in a glass of water. Wet cotton yarn, then lay him on cubes floating in the glass. Sprinkle salt over the entire length of the thread and waits about 10 seconds. Raises the thread: you will in your hands your necklace of ice …

Science experiments for children – Ice cube necklace

What happens?

Pure water freezes at 0 ° C. The addition of salt or of any other substance soluble (eg sugar), it reduces the freezing temperature of water. The sea water for example freezes at -1.8 ° C, but continuing to add salt to its freezing temperature can reach up to -21 °

This occurs because the solutes disrupt the crystalline structure of ice and reduces the concentration of pure water. Any reduction in the concentration of pure water lowers the freezing point. Therefore the higher the salt concentration, the lower the freezing point.

When it is sprinkled with salt an ice cube, at that point the salt concentration becomes high, the freezing point goes down much and the portion of the ice enters into contact with the salt melts and flows along the cube residue, bringing with them the salt. At this point on top of the cube water, less salty, refreeze, trapping the cotton thread.

Links

http://littleworldsbigadventures.com/summer-activity-making-ice-cube-necklace/

http://www.sundownersdaycare.com/youth-club/ice-cube-necklace/

 http://www.wikihow.com/

http://www.education.com/activity/article/Ice_Cube_Necklace_preschool/

http://www.abc.net.au/

Esperimenti scientifici per bambini – Costruire un generatore di corrente alternata

Esperimenti scientifici per bambini – Costruire un generatore di corrente alternata. Un generatore elettrico è uno strumento che trasforma energia meccanica in energia elettrica, il cui principio di funzionamento si basa sul fenomeno dell’induzione elettromagnetica.

Se, tramite la variazione di un campo magnetico, è possibile indurre una corrente in un circuito, la corrente prodotta può anche essere utilizzata, per esempio per accendere una lampadina.

I generatori elettrici impiegati negli impianti per la produzione di elettricità sono strumenti piuttosto complessi, ma il loro principio di funzionamento è molto semplice.

Schematicamente sono costituiti da uno o più avvolgimenti di filo conduttore (bobine), ai quali viene fornita energia meccanica per farli ruotare all’interno di un intenso campo magnetico. L’energia meccanica può essere fornita per esempio da una turbina mossa dall’acqua in un impianto idroelettrico, o dalla combustione in un impianto termoelettrico.

La bobina, libera di ruotare, viene detta rotore, mentre il magnete fisso viene detto statore.

Come funziona: la rotazione del magnete genera un campo magnetico variabile, questo determina nell’avvolgimento la generazione di una corrente elettrica in base ad uno dei principi fondamentali dell’elettromagnetismo: “In un conduttore immerso in un campo magnetico variabile si genera una corrente elettrica.”

Per ottenere una tensione più elevata bisogna aumentare il numero di spire dell’avvolgimento.

Esperimenti scientifici per bambini
Costruire un generatore di corrente alternata
Progetto 1

Cosa serve:
due magneti ceramici cilindrici potenti (almeno 10x10mm),
filo di rame,
una lampadina led,
una bacchetta di metallo (un ferro da maglia o un raggio di ruota di bicicletta, ad esempio),
un pezzetto di gomma da cancellare o del mastice,
una cannuccia da bibita (o un vecchio pennarello) e un tubo di plastica (ad esempio un contenitore per rullini).

Unire i due magneti col mastice o la gomma, e passare attraverso la giuntura la bacchetta di metallo.

Praticare due fori sul cilindro di plastica, inserire due pezzetti di cannuccia, ed alloggiarvi la bacchetta, in modo che possa ruotare liberamente.

Girare attorno al cilindro il filo di rame (almeno 700 volte) e collegare il led.

Tutto come spiegato qui

Girando la bacchetta il led si accenderà.

Esperimenti scientifici per bambini
Costruire un generatore di corrente alternata
Progetto 2

In questo progetto, simile al precedente, si consigliano magneti di almeno 22mm:

http://www.amasci.com/

http://www.arvindguptatoys.com/toys/Spoolgenerator.html

Questa è una variante con 5 led, sempre da azionare a mano:

http://www.arvindguptatoys.com/

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Idee per azionare la bacchetta più velocemente:

http://www.arvindguptatoys.com/

In realtà nel video la cinghia è collegata ad un motore di un vecchio giocattolo, ma il collegamento può essere fatto anche alla bacchetta del nostro generatore, così:

 

 

http://www.arvindguptatoys.com/

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 E qui, meraviglia…

…un faro!

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Esperimenti scientifici per bambini
Costruire un generatore di corrente alternata
Fonti:

http://www.sapere.it/sapere/strumenti/

http://madscientist.altervista.org/

http://www.arvindguptatoys.com/

Science experiments for children  – Simple electric generators. An electrical generator is a tool that converts mechanical energy into electrical energy, whose operating principle is based on the phenomenon of electromagnetic induction.

If, through the variation of a magnetic field, it is possible to induce a current in a circuit, the current produced can also be used, for example to turn on a light bulb.

The electric generators used in plants for the production of electricity are tools rather complex, but their operating principle is very simple.

Schematically they are constituted by one or more windings of conductive wire (coil), to which is supplied mechanical energy to rotate them within an intense magnetic field. The mechanical energy can be provided for example by a turbine powered by water in a hydroelectric plant, or from the combustion in a thermoelectric power plant.

The coil, free to rotate, is called the rotor, while the fixed magnet is said stator.

How it works: the rotation of the magnet generates a variable magnetic field, this produces inside of it   the generation of an electric current according to one of the fundamental principles of electromagnetism: “In a conductor immersed in a variable magnetic field generates an electric current.”

To obtain a higher voltage is necessary to increase the number of turns of the winding.

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Science experiments for children  – Simple electric generators

project 1

What do you need?

two cylindrical ceramic magnets powerful (at least 10x10mm)
copper wire,
a LED light bulb,
a metal rod (an iron mesh or a radius of a bicycle wheel, for example),
a piece of eraser or mastic,
a drinking straw (or an old marker)
a plastic tube (such as a container for photographic film).

http://www.arvindguptatoys.com/

What to do?

Combine the two magnets with
mastic or rubber, and go through the joint the metal rod.

Drill two holes in the plastic cylinder, place two pieces of straw, and insert the rod, so that it can rotate freely.

Turning around the cylinder the copper wire (at least 700 times) and connect the LED.

All as explained here

Turning the rod The LED will light.

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Science experiments for children  – Simple electric generators

project 2

In this project, similar to the above, are recommended magnets of at least 22mm:

http://www.amasci.com/

 

 

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Science experiments for children  – Simple electric generators

Other media, the same principle:

http://www.arvindguptatoys.com/toys/Spoolgenerator.html

This is a variant with 5 led, always to operate by hand:

http://www.arvindguptatoys.com/

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Science experiments for children  – Simple electric generators

Ideas for operating the wand faster:

http://www.arvindguptatoys.com/

Indeed in the video the strap is connected to a motor of an old toy, but the connection can also be made to the rod of our generator, in this way:

 

 

http://www.arvindguptatoys.com/

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And here, wonder…

…a lighthouse!

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Science experiments for children  – Simple electric generators

Links

http://www.sapere.it/sapere/strumenti/

http://madscientist.altervista.org/

http://www.arvindguptatoys.com/

http://www.creative-science.org.uk/gen1.html

http://www.allaboutcircuits.com/textbook/alternating-current/chpt-1/what-is-alternating-current-ac/

http://amasci.com/amateur/coilgen.html

Esperimenti scientifici per bambini – La biglia antigravità

Esperimenti scientifici per bambini
La biglia antigravità
Cosa serve:

una biglia e un bicchiere.

Importante: l’esperimento funziona solo con un bicchiere che sia  più stretto alla base, ad esempio un calice da vino; non utilizzare bicchieri cilindrici.

Esperimenti scientifici per bambini
La biglia antigravità
Cosa fare:

la versione più semplice consiste nel mettere la biglia nel bicchiere e iniziare a ruotare sempre più velocemente: la biglia comincerà a salire e ruotare lungo le pareti di vetro. Una volta che ha preso velocità si può capovolgere il bicchiere: finchè si mantiene il movimento rotatorio, la biglia non cadrà.

La versione più elaborata e d’effetto prevede di posare la biglia sul tavolo, capovolgere su di essa il bicchiere e iniziare a ruotare. Quando la biglia comincia a scalare le pareti di vetro, sollevare il bicchiere dal tavolo. Anche in questo caso finchè si mantiene il movimento rotatorio, la biglia non cadrà.

Prima di questo esperimento si può dire ai bambini: “Scommettiamo che si può sollevare la biglia dal tavolo senza toccarla?”

Esperimenti scientifici per bambini
La biglia antigravità
Come funziona?

La forza che mantiene la biglia aderente al vetro si chiama forza centripeta.

Isaac Newton la definisce così:« … è la forza per effetto della quale i corpi sono attratti, o sono spinti, o comunque tendono verso un qualche punto come verso un centro.

Di questo genere è la gravità, per effetto della quale i corpi tendono verso il centro della terra, […] e quella forza, qualunque essa sia, per effetto della quale i pianeti sono continuamente deviati dai moti rettilinei e sono costretti a ruotare secondo linee curve.[…]

Tentano tutti di allontanarsi dai centri delle orbite; e se non vi fosse una qualche forza contraria a quella tendenza, per effetto della quale sono frenati e trattenuti nelle orbite […] se ne andrebbero via con moto rettilineo uniforme. » http://it.wikipedia.org/wiki/Forza_centripeta

Qualsiasi oggetto in movimento tende a restare in movimento seguendo una linea retta, a meno che qualcosa si metta di mezzo. Una volta in movimento, la biglia vuole continuare a muoversi in linea retta, ma le pareti curve del vetro le fanno cambiare direzione. Di conseguenza la biglia, che vorrebbe andare in linea retta, spinge contro il vetro.

Esperimenti scientifici per bambini
La biglia antigravità
Link

http://www.stevespanglerscience.com/
http://www.abc.net.au/science/

Science experiments for children – Marble gravitron

What do you need?

a marble and a glass.

Important: the experiment only works with a glass that is narrower at the base, for example a wine glass; not use cylindrical glasses.

Science experiments for children – Marble gravitron

What to do?

The simplest version is to put the ball in the glass and begin to spin faster and faster: the ball will start to rise and rotate along the glass walls. Once he picked up speed you can flip the glass: long as you keep the rotary motion, the ball will not fall.

The version most elaborate and striking It plans to lay the ball on the table, flip the glass over it and start rotating. When the ball begins to climb the walls of glass, lift the glass from the table. Also in this case as long as it retains the rotary movement, the ball will not fall.

Before this experiment can be said to the children: “We bet that you can lift the ball off the table without touching it?”

http://www.stevespanglerscience.com/

Science experiments for children – Marble gravitron

What happens?

The force that keeps the ball tight to the glass is called centripetal force.

A centripetal force (from Latin centrum “center” and petere “to seek”) is a force that makes a body follow a curved path. Its direction is always orthogonal to the motion of the body and towards the fixed point of the instantaneous center of curvature of the path. Isaac Newton described it as “a force by which bodies are drawn or impelled, or in any way tend, towards a point as to a centre.” In Newtonian mechanics, gravity provides the centripetal force responsible for astronomical orbits. https://en.wikipedia.org/wiki/Centripetal_force

Any object in motion tends to stay in motion along a straight line, unless something is put in between. Once in motion, the ball wants to keep moving in a straight line, but the curved walls of glass make them change direction. As a result, the ball, which wanted to go in a straight line, pushing against the glass.

Science experiments for children – Marble gravitron

Links

http://www.stevespanglerscience.com/

http://www.abc.net.au/science/

Esperimenti scientifici per bambini – Il fiore magico

Esperimenti scientifici per bambini – Il fiore magico. Questo semplice esperimento, che può essere usato anche per stimolare la lettura nei bambini piccoli e per giocare alle feste, mostra l’effetto della capillarità: la carta assorbe l’acqua e si gonfia progressivamente.

Esperimenti scientifici per bambini
Il fiore magico
Cosa serve:

carta,
colori (possibilmente pastelli a cera),
forbici,
una ciotolina,
un cucchiaio d’acqua

Esperimenti scientifici per bambini
Il fiore magico
Cosa fare 

Disegna il tuo fiore (qualcosa che somigli a una margherita o un girasole funziona molto bene), coloralo e ritaglialo con attenzione.  Soprattutto se utilizzi pastelli a cera, colora il fiore solo da una parte per evitare di impermeabilizzare la carta. Nel centro puoi scrivere un “messaggio segreto”.

Piega i petali uno alla volta verso il centro, come mostrato nelle immagini e nei video, quindi posalo sul fondo di una ciotolina, dopo aver versato un cucchiaio d’acqua, in modo che il tuo fiore chiuso galleggi nella ciotola con i petali rivolti verso l’alto.

Aspetta.

Esperimenti scientifici per bambini
Il fiore magico
Cosa succede

Il fiore  si apre mostrando il messaggio segreto.

Esperimenti scientifici per bambini
Il fiore magico
Perchè

Questo semplice esperimento, che può essere usato anche per stimolare la lettura nei bambini piccoli e per giocare alle feste, mostra l’effetto della capillarità: la carta assorbe l’acqua e si gonfia progressivamente.

 La carta è fatta di fibre di cellulosa.

Quando la carta viene piegata, le sue fibre si  compattano all’interno della piega. Quando l’acqua penetra nella carta, le fibre si espandono e la piega si distende.

I capillari sono tubicini molto sottili.

Avrete notato che il livello dell’acqua all’interno di una cannuccia è leggermente più alto del livello dell’acqua esterno: questo perchè  l’acqua è  più attratto dalle pareti della cannuccia che non dal contenitore più grande che la contiene, ad esempio il bicchiere.

 

Se si immergono in acqua cannucce di diametro diverso, si scoprirà che più la cannuccia è stretta più il livello di acqua al suo interno sarà alto: si tratta della capillarità…

Cosa c’entra tutto questo  con il nostro fiore magico?

Vista al microscopio la carta si presenta come un insieme di fibre di legno molto piccole intrecciate fra loro, e tra queste fibre ci sono degli spazi vuoti.

Quando la carta entra in contatto con l’acqua, la capillarità attira rapidamente l’acqua in tutti questi spazi minuscoli, perché l’acqua è attratta dalle sottili fibre di legno, come abbiamo visto succedere con le cannucce.

Cosa succede quando si utilizzano diversi tipi di carta? Cosa succede quando si modifica la forma del fiore?

Esperimenti scientifici per bambini
Il fiore magico
Fonti

http://www.abc.net.au/science/articles/
http://lesson-plans.theteacherscorner.net/
http://www.ehow.com/
http://www.hawaiinewsnow.com/
http://gomestic.com/gardening/

Esperimenti scientifici per bambini – Il palloncino che non scoppia

Esperimenti scientifici per bambini – Il palloncino che non scoppia: questo esperimento, chiamato anche “kebab”, è semplicissimo e di grande effetto. Provate: funziona!

Esperimenti scientifici per bambini
Il palloncino che non scoppia
Cosa serve

Un palloncino e un bastoncino di legno da spiedino.

Alcuni consigliano di bagnare lo spiedino con acqua o olio o detersivo, ma in realtà lo spiedino asciutto  funziona benissimo: il palloncino non scoppia semplicemente perchè viene forato in due punti dove i polimeri che lo compongono sono più densi, e non serve altro.

Esperimenti scientifici per bambini
Il palloncino che non scoppia
Cosa fare:

Gonfiate il palloncino in modo che la sua lunghezza sia leggermente inferiore alla lunghezza dello spiedino e chiudete col solito nodo.

Noterete che il palloncino presenterà un’area meno tesa intorno al nodo e all’apice dalla parte opposta (in queste due aree il palloncino è più scuro).

Prendete lo spiedino e tutta la vostra fiducia nella scienza e fatelo passare prima nell’area meno tesa intorno al nodo (sentirete uscire dell’aria, ma il palloncino non scoppierà) e poi velocemente fatelo uscire dalla parte opposta, sempre centrando l’area di gomma meno tesa (ora non si sentirà più uscire aria).

I bambini ne saranno davvero stupiti! E’ un trucco consigliatissimo alle festine di compleanno…

Esperimenti scientifici per bambini
Il palloncino che non scoppia
Perchè?

I palloncini sono fatti di gomma naturale, che è un polimero dell’isoprene.

Le catene polimeriche sono ripiegate e legate tra loro formando una rete che ha un elevato grado di flessibilità.

Applicando una forza su questo materiale, ad esempio gonfiando un palloncino, le catene del polimero, inizialmente orientate casualmente, si distendono grazie alla rotazione intorno ai legami.

Il fatto che le catene siano legate tra di loro in una rete determina l’elasticità della gomma.  La porosità della gomma è dimostrata dal fatto che i palloncini lentamente si sgonfiano.

Una interessante dimostrazione delle proprietà della gomma è il trucco, spesso usato dai prestigiatori, dell’ago che attraversa il pallone.  Il segreto è quello forare le parti del palloncino in cui le molecole di gomma sono sotto la minimo stress o sforzo, cioè le estremità del palloncino.

Se poteste vedere la gomma al microscopio, vedreste molti lunghi filamenti o catene di molecole. Questi lunghi filamenti di molecole sono chiamati polimeri.

Gonfiando il palloncino questi filamenti di catene polimeriche si distendono.

Bucando il palloncino in un punto dove esse sono meno  tese, le lunghe catene di  molecole si estendono attorno alla spiedino e mantengono l’aria all’interno.

Esperimenti scientifici per bambini
Il palloncino che non scoppia
Fonti

http://wwwcsi.unian.it/educa/pedagogia/

http://www.stevespanglerscience.com/

http://www.coolscience.org/CoolScience/

http://scifun.chem.wisc.edu/

http://sciencesquad.questacon.edu.au/

http://www.thenakedscientists.com/HTML/experiments/exp/balloon-kebab/

http://www.coolsciencedemos.com/2012/01/22/balloon-and-skewer/

http://www.education.com/activity/article/skewered_balloons/

http://www.physics.org/interact/physics-to-go/balloon-kebabs/

http://www.coolscience.org/CoolScience/KidScientists/balloonskewer.htm

Esperimenti scientifici per bambini – Lanterna magica

Esperimenti scientifici per bambini – Lanterna magica. Conoscerete di certo le lanterne magiche, quelle lampade da comodino che proiettano immagini in movimento intorno alla stanza, sfruttando il calore emanato dalla lampadina accesa

Esperimenti scientifici per bambini
Lanterna magica
Cosa serve

una bottiglia di plastica da 2l,
fil di ferro,
un dischetto di metallo,
una punta e un martello,
una base per lampada da comodino con lampadina,
cartoncino,
carta da decorazioni varia,
eventualmente un foglio di carta tipo pergamena.

Per realizzare l’alloggiamento del perno si può utilizzare anche il “maschio” di un bottone a pressione, come suggerito qui:

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