FUNGHI tavole riassuntive e schede pronte per la stampa e il download gratuito,in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.
ALGHE tavole riassuntive e schede pronte per la stampa e il download gratuito, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.
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MUSCHIO tavole riassuntive e schede pronte per la stampa e il download gratuito, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.
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FELCI tavole riassuntive e schede pronte per la stampa e il download gratuito,in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.
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LE COMPOSTE tavole riassuntive e schede pronte per la stampa e il download gratuito,in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.
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LE OMBRELLIFERE tavole riassuntive e schede pronte per la stampa e il download gratuito, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.
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LE ROSACEE tavola riassuntiva e schede pronte per la stampa e il download gratuito, in formato pdf, per bambini della scuola primaria. Aggiungo all’articolo illustrazioni e didascalie che possono essere utili per preparare un cartellone da parete.
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LA CLASSIFICAZIONE DELLE PIANTE scheda riassuntiva pronta per la stampa e il download in formato pdf, per bambini della scuola primaria.
Le piante si suddividono in due grandi categorie: le piante con fiore e le piante senza fiore.
Tra le piante con fiore troviamo quelle con foglie a nervature non parallele e quelle a nervature parallele.
Tra le piante con foglie a nervature non parallele troviamo tutte le piante che presentano fiori completi, cioè con stami, petali, sepali e pistilli, che sono: – crucifere – rosacee – leguminose – ombrellifere – composte – solanacee
e piante che presentano due qualità di fiori sullo stesso albero, che sono gli alberi forestali come la quercia.
ITALIA materiale didattico – una raccolta di materiale didattico vario per iniziare lo studio della geografia italiana nella scuola primaria.
Come l’Italia sorse dal mare Durante una gita in montagna, Roberto scoprì con sorpresa, nella parete rocciosa, l’impronta di una piccola conchiglia, e chiede al babbo come potesse quella conchiglia trovarsi lassù, a duemila metri sopra il livello del mare. Il babbo sorrise. “La cosa è semplice” spiegò. “Milioni di anni fa, tutte queste montagne erano sepolte sotto il mare. Poi emersero, portando in alto dei fossili, cioè i resti pietrificati di pesci e di molluschi. Dove ora sorge la nostra bella penisola,una volta si stendevano e acque del Mediterraneo”. “Ma come fece l’Italia a emergere dal mare?” “Guarda” fece il babbo. Prese il giornale, lo distese per terra, poi appoggiò le mani sui due lati e incominciò a premere verso il centro. Il foglio si accartocciò, si sollevò in tante pieghe. “Vedi?” riprese il babbo, “Ecco come si sollevarono i monti. Fa’ conto che la mano destra sia il continente africano e la mano sinistra sia il continente europeo. Ora devi sapere che i continenti si muovono, come se fossero degli immensi zatteroni. I due continenti, accostandosi lentamente, fecero sollevare in tante pieghe il fondo del Mediterraneo, appunto come mi hai visto fare con il giornale. Così nacque la catena delle Alpi e la lunga, frastagliata catena degli Appennini…”. Roberto ascoltava stupefatto.
“Hai presente la cartina geografica dell’Italia fisica? Sembra uno stivale proteso verso il mare. Ma guarda bene: c’è tutta una struttura montagnosa che ne costituisce l’ossatura. A nord, come un grande arco, si stende la catena delle Alpi. Dalle Alpi Occidentali si dipartono gli Appennini che percorrono in lungo tutta l’Italia. Le stesse montagne della Sicilia sono un prolungamento degli Appennini, e perciò si chiamano Appennini Siculi”. “E le pianure, come sono nate?” “Dai depositi dei fiumi. Guarda la Pianura Padana. Dalle Alpi scendono molti fiumi che trasportano detriti e terriccio. Col passare dei secoli questi detriti hanno colmato il mare e così si sono formate le pianure. Non è chiaro?” Roberto si fermò un attimo a guardare. All’orizzonte si estendeva la pianura sconfinata, velata da una leggera nebbiolina. Sembrava appena uscita dal mare, proprio come aveva detto il babbo.
Come si è formata l’Italia Siamo nell’era terziaria (l’uomo apparirà soltanto nell’era successiva, la quaternaria). Le precedenti ere: primigenia, primaria e secondaria, avevano già visto alcune terre sprofondare lentamente nel mare ed altre emergere; ora un’altra grande vicenda, detta “corrugamento alpino” sta per cambiare volto all’Europa. Una parte dell’Europa meridionale sprofonda nel mare, e nel Mediterraneo soltanto il massiccio Sardo-Corso continua a spuntare dalle acque, mentre comincia ad emergere, ciò che sarà il nostro suolo, una leggera falce di terra, costituita dalle maggiori creste alpine. Lentamente ecco affiorare poi, fra le spume del mare, il bruno dorso dell’Appennino nelle sue cime più alte, cosicchè l’Italia appare come una serie di isole. Continuando i movimenti corruganti per effetto delle immani forze endogene della terra, ecco man mano delinearsi l’alto e potente arco alpino e ad esso, e tra di loro, saldarsi le isole, che si spingono nel mare verso sud a formare un’unica lunga catena: l’Appennino.
Nel Pliocene, ultimo periodo dell’era terziaria, la cui durata si calcola dai sei ai dieci milioni di anni, l’Italia comincia a delinearsi nella sua struttura essenziale, caratteristica: c’è quantomeno lo scheletro, cui i successivi innalzamenti e i depositi alluvionali dei fiumi aggiungeranno, poco per volta, la polpa delle pianure. Nel passaggio dal Pliocene al Quaternario si ebbe un forte abbassamento della temperatura con relativo imponente sviluppo dei ghiacciai, e con un’intensa attività vulcanica. Dell’epoca glaciale si calcola la durata in 600.000 anni. Tutti i più alti rilievi alpini erano coperti di ghiaccio; solo le cime più ripide e scoscese emergevano nude. I sistemi glaciali più estesi delle Alpi erano quelli della Dora Riparia, della Dora Baltea, del Ticino, dell’Adda, dell’Oglio, dell’Adige, del Piave e del Tagliamento. I ghiacciai depositavano, ai margini e soprattutto alla fronte, i detriti di cui erano carichi: i depositi frontali si presentano tuttora come archi di colline disposte ad anfiteatro. Al ritirarsi dei ghiacciai, le conche situate a monte di tali sbarramenti morenici si colmarono d’acqua, a costituire gli odierni laghi d’Iseo, di Garda, Maggiore, di Como.
I ghiacciai hanno modellato anche le vallate sulle quali scorrevano, arrotondandone e lisciandone il fondo ed i fianchi (sezione a U), cosicchè la forma di queste valli si presenta oggi ben diversa da quella delle valli erose unicamente dai fiumi (che hanno una sezione a V). Dai ghiacciai scendevano enormi fiumane, che divagavano capricciosamente, su letti larghissimi, per l’intera Pianura Padana, in più punti acquitrinosa e intransitabile. Sull’Appennino, data la minore altezza dei rilievi e la diversa latitudine, non si ebbe un’espansione glaciale imponente come sulle Alpi; ma ghiacciai locali ebbero tutti i massicci più elevati, dal monte Antola nell’Appennino ligure, al monte Pollino in Calabria. I ghiacciai più estesi furono quelli del Cimone e della Cusna nell’Appennino toscano; nell’Appennino centrale quelli dei monti Sibillini, del Gran Sasso, del Velino-Sirente, della Maiella, del monte Marsicano, del monte Greco; nell’Appennino meridionale quelli dell’Alburno, del Matese, del Pollino e della Serra Dolcedorme; qualche ghiacciaio ebbe anche l’Etna. Estesi invece furono i bacini lacustri appenninici, prosciugati poi in varie epoche, e di cui restano, comunque, cospicui residui.
Alla fine del Terziario l’Etna aveva iniziato la sua attività; attività endogena si era avuta nei monti Berici, nei Lessini, nei colli Euganei, nei monti Iblei in Sicilia, nel monte Ferru in Sardegna, e nell’interno di Alghero e di Bosa (dove si trovano colate laviche caratteristiche: le giare). Il Pleistocene vide imponenti attività vulcaniche sul versante tirrenico: centri eruttivi si ebbero nella Toscana meridionale (Orciatico, Montecatini, Roccastrada, ecc…), nel monte Amiata, nel gruppo della Tolfa, dei monti Volsini, Cimini, Sabatini, dei Colli Laziali; più a sud furono attivi il vulcano di Roccamonfina, i Campi Flegrei, il Vesuvio, i vulcani delle isole Ponziane, di Ischia, il Vulture, e quelli delle Eolie e di Linosa. Estintasi l’attività eruttiva, i crateri, in molti casi si trasformarono in laghi. Le ceneri e i lapilli eruttati si consolidarono in estesi depositi di tufo; Roma stessa è in parte costruita su rilievi tufacei provenienti dal Vulcano Laziale.
Il periodo che segue il ritiro dei ghiacciai è detto Olocene e risale al 20-25.000 anni fa. E’ difficile farci un’idea dell’aspetto che presentava la nostra Italia. Sulle Alpi i ghiacciai si andavano ritirando verso le loro posizioni attuali: la montagna si copriva di boschi fittissimi, popolati da fiere, da mammiferi giganteschi, da uccelli. Al ritiro dei ghiacciai corrispondeva un maggior deflusso di acque che andavano ad innalzare il livello dei mari; l’Adriatico avanzava verso nord a sommergere lo spazio tra la Penisola Italiana e la Balcanica. I grandi laghi si venivano colmando e al posto di essi subentravano pianure interne, spesso cosparse di bacini residui o di acquitrini. Frequente anche la formazione di torbiere. L’attività vulcanica si veniva a poco a poco spegnendo o attenuando. La rete idrografica si veniva stabilizzando con fenomeni di cattura, erosione regressiva, ecc… L’Italia andava assumendo a poco a poco quella che è la sua attuale fisionomia; l’uomo vi si diffondeva, e con l’uomo iniziava anche l’intelligente opera trasformatrice del paesaggio naturale.
Come è nata l’Italia
L’Italia è una terra di incomparabile bellezza per i suoi stupendi paesaggi che vanno dalle alte vette nevose delle Alpi alle splendide coste, dai boschi alle fertili pianure. E’ una penisola e cioè una terra circondata dal mare da tutte le parti meno una. Si stende nel Mar Mediterraneo ed è simile, per la sua forma, a uno stivale. Ma un tempo non aveva questa forma, anzi, in tempi assai più remoti non esisteva affatto, come qualsiasi altra terra: è noto infatti che i continenti sono terre emerse. Da un potente sconvolgimento della crosta terrestre era sorto dal mare un immenso fascio di catene che attraversava quasi tutto il globo. In questo fascio, c’erano anche le Alpi. E alla base delle Alpi, di frangevano, spumeggiando, le onde.
In seguito, lentissimamente, il suolo cominciò a sollevarsi, a emergere dall’acqua ed ecco il dorso dell’Appennino nereggiare fra le spume del mare. A grado a grado, la catena appenninica si unisce a quella delle Alpi. Altre terre emergono qua e là come tante isole, e dopo milioni di anni, queste isole affioranti dal mare si saldano insieme. E’ lo scheletro montuoso dell’Italia. Intorno a questo scheletro, lentamente si vengono formando le pianure. Fra queste, la più vasta, la pianura del Po. Dove ora sono le fertili terre coltivate, una volta c’era il mare, e pertanto vi si rinvengono numerose conchiglie fossili, testimoni di un tempo in cui le acque si spingevano nelle gole alpine che allora erano insenature costiere, profonde e strette. Una parte delle Alpi, quella che si chiama Dolomiti, sorge addirittura su banchi di corallo.
A quest’epoca il globo era ricoperto, quasi interamente, dai ghiacci e, nella loro corsa al piano, le acque provenienti dai ghiacciai trasportavano ammassi di pietre, rocce e detriti di ogni genere, strappati ai versanti lungo i quali precipitavano. I ghiacciai delle Alpi, nonostante la loro apparente immobilità, avevano invece un moto lento ma continuo, e per l’azione di questo movimento, nel corso dei secoli il dorso dei monti si levigò, si abbassò, i crepacci si colmarono trasformandosi in ampie valli in fondo alle quali scorreva un fiume. I sassi e le rocce, trasportati dalle acque e trascinati dal movimento dei ghiacciai, formarono degli ammassi che oggi si chiamano morene. Le morene, sempre nel corso dei secoli, si alzarono come barriere e le acque, arrestate da questi ostacoli, formarono i bellissimi laghi subalpini, gemme dell’Italia settentrionale.
Nel frattempo, il fondo del mare si andava sollevando e al posto delle acque si formava un’ampia e bassa pianura, attraverso la quale si convogliavano le acque provenienti da una parte dalle Alpi e dall’altra dagli Appennini. Queste acque infine si raccolsero in un ampio e maestoso fiume che un giorno si sarebbe chiamato Po. Nel corso dei millenni l’Italia prese la forma attuale. Ma questa non sarà certo la sua forma definitiva. Se, fra migliaia e migliaia di anni gli uomini saranno ancora su questa terra, essi vedranno un’Italia ben diversa dall’Italia di oggi. Quelli che attualmente sono picchi altissimi, si saranno trasformati in vette arrotondate e in dolci pendii; le valli si saranno colmate e i fiumi avranno cambiato il loro corso. Dove oggi c’è una verde pianura, ci sarà forse una montagna di detriti rocciosi; nuove spaccature si saranno aperte e in fondo ad esse scorreranno le acque tumultuose di nuovi fiumi; dove oggi c’è un ghiacciaio forse ci sarà un lago azzurro, qualche isola sarà scomparsa nel mare e altre ne saranno emerse. Il delta del Po si sarà saldato all’opposta sponda adriatica, e Venezia, se ancora esisterà, sorgerà sulle rive di un lago…
Come potranno avvenire questi cambiamenti? Forse la nostra patria è davvero destinata ad essere vittima di paurosi sconvolgimenti e convulsioni della terra? Si tratterà sì anche di sconvolgimenti e convulsioni, ma soprattutto dell’azione secolare degli elementi. L’aria, l’acqua, il fioco sono le forze naturali che modificano incessantemente la forma della terra. Il vento che spazza, per migliaia e migliaia di anni, il crinale di una montagna, finisce con l’appiattirlo, col levigarlo; la pioggia che flagella il monte per secoli, scalza i massi di pietra e li fa rotolare lungo i pendii, approfondisce i crepacci, corrode le vette, trascina a valle i detriti. Il ghiaccio che si forma nelle fenditure, spacca le pietre più dure, le disgrega, le riduce in frammenti…
Nell’interno della terra il fuoco ancora rugge e divampa. Talvolta, questo fuoco trova una via d’uscita in una frattura della crosta terrestre e allora erompe all’esterno in un getto violento di fiamme, di cenere, di lave liquefatte.
E il fuoco? Con l’andar del tempo, dove prima c’era soltanto una spaccatura della roccia, eruttante fuoco, si forma un vulcano. In Italia abbiamo ancora alcuni vulcani attivi: l’Etna, il Vesuvio, lo Stromboli. Ma un tempo i vulcani di questa nostra terra erano molto più numerosi e con le loro eruzioni coprirono intere regioni di alti strati di tufo, di cenere, di lava che si andarono solidificando. I sette colli su cui venne fondata Roma sono fatti di tufo, cioè di cenere vulcanica solidificata.
Passano mille e mille anni e il vulcano si esaurisce, si quieta, si spegne. Nel suo cratere, ormai inattivo, si raccolgono le acque formando un lago pittoresco. Tale è l’origine di alcuni laghi dell’Italia centrale, il lago di Vico, di Nemi, di Albano, ecc…
Ma il fuoco non scaturisce soltanto dalla terra, bensì anche dal fondo del mare. E col tempo si formano delle isole tutte di origine vulcanica, come Ischia, Procida, Capraia, Ponza, le Eolie, ecc… E, nell’andare dei secoli, così si formeranno anche isole che forse gli uomini un giorno abiteranno. Nel 1931 sorse, dal fondo del Mar Ionio, un’isola vulcanica che fu chiamata Fernandea e che dopo qualche settimana fu di nuovo inghiottita dalle acque.
Ecco come il paesaggio cambia, ecco come nel corso dei millenni cambia l’aspetto dei monti, delle pianure, dei mari, della costa.
Ma il paesaggio non cambia soltanto per opera degli elementi o degli sconvolgimenti o dei cataclismi. Cambia anche per l’opera dell’uomo che assoggetta la terra alla sua volontà, ai suoi bisogni, alle esigenze della sua vita. Prendiamo, come esempio, ancora una volta, la Pianura Padana. Oggi, questa terra è una delle più fertili d’Italia, ma un tempo, mille e mille anni fa, era una distesa arida e sassosa dalla parte dei monti, paludosa, cespugliosa e fangosa lungo il fiume. I fiumi che l ‘attraversavano spostavano continuamente il loro corso, lasciando ammassi di ghiaia e invadendo terre fino allora asciutte.
Com’è avvenuta la trasformazione che ha fatto, di questa regione ingrata e malsana, una delle più ricche e fertili terre d’Italia? E’ avvenuta per opera dell’uomo. L’uomo ha sistemato le acque costringendole entro il loro letto mediante l’erezione di argini e di muraglioni; le ha convogliate in canali, formando così un sistema di irrigazione che ha reso fertili le zone prima di allora malsane e paludose; ha costruito potenti dighe per costringere le acque a mettere in moto macchinari, opifici e, soprattutto, ha impiantato centrali elettriche per dare la forza motrice e la luce a città e paesi anche molto lontani.
Non contento di questo, l’uomo ha scavato il sottosuolo e ne ha tratto il gas metano che va ad alimentare impianti casalinghi, portando fiamma e calore da per tutto. Con il sorgere delle industrie, con l’incremento dell’agricoltura, con l’avanzare della civiltà, la regione si è popolata di grandi e attive città che l’uomo ha collegato fra loro con chilometri e chilometri di strade, creando una fitta rete di comunicazioni che ha favorito rapidi spostamenti da un paese all’altro. Ecco che cosa può mutare profondamente l’aspetto di un luogo.
(Mimì Menicucci)
era secondaria
era terziaria
era quaternaria
oggi
Il nome “Italia”
Molti furono i nomi usati nell’antichità per designare la nostra penisola. I Greci la chiamarono Esperia o “Terra del tramonto” per indicarne la posizione rispetto alla loro patria (l’Italia è a occidente della Grecia); altri la dissero Enotria o “Terra del vino”; altri ancora Saturnia o “Terra di Saturno”, dio delle messi. Prevalse infine il nome Italia, usato in un primo tempo per designare l’estrema punta della Calabria e poi dai Romani esteso a tutta la penisola.
E’ un nome bellissimo, ma purtroppo non se ne conosce l’esatta etimologia. Un tempo lo si faceva derivare da quello di un leggendario re Italo, più tardi lo si ritenne una derivazione dal termine osco Viteliu (o dalla voce latina vitulus) a indicare che l’Italia era una terra ricca di bovini. Oggi si è propensi a credere che esso derivi da Italoi che significa abitanti dei monti, quali infatti sarebbero stati i primi abitanti della montuosa Calabria.
Nel IV secolo aC il nome Italia era già esteso a tutto il territorio a sud dell’Arno; durante l’impero di Augusto comprendeva anche la Pianura Padana. Le tre grandi isole Sicilia, Sardegna e Corsica furono denominate Italia soltanto durante il regno di Diocleziano (IV secolo dC).
Dove l’Italia cresce di sette millimetri all’ora
Alle foci del Po la terra d’Italia avanza in mare di sessanta metri all’anno, che, se non sbaglio i conti, sono circa diciassette centimetri al giorno: qualcosa come sette millimetri all’ora. Possono sembrare pochi, perchè il mondo, in fatto di rapidità, si è fatto esigente; ma se si pensa che la marcia continua da decine di migliaia di anni e che a forza di millimetri l’instancabile fiume ha riempito tutto quello che era, un tempo, il golfo padano e che oggi è la Pianura Padana, il pensiero di questo lavoro, che si svolge dalla preistoria e continuerà quando di noi non sarà più nemmeno un pizzico di polvere, fa venir voglia di levarsi il cappello. (O. Vergani)
L’azione modellatrice del mare L’azione morfologica del mare, rispetto alle coste, si esercita attraverso le due forme fondamentali dell’abrasione e dell’alluvionamento, ciascuna della quali assume però diversi aspetti. Ci limiteremo a quelli che interessano le coste italiane. Quando si affacciano sul mare rocce argillose o argillosabbiose di consistenza omogenea, l’abrasione genera delle ripe a picco (analoghe alle falaises francesi), di cui si hanno esempi sulle coste delle Marche; quando le rocce piombano a picco sul mare, l’abrasione crea, a livello del mare, una piattaforma costiera sulla quale poi si smorza il moto ondoso. Quando invece si affacciano al mare rocce con strati di diversa consistenza, si generano piccole insenature dove l’abrasione è più forte, alternate a piccoli promontori in corrispondenza degli strati più resistenti. Il mare scava poi solchi di battente e grotte, frequentissime sulle coste alte italiane. La più celebre delle grotte erose dal mare è certamente la Grotta Azzurra di Capri, ma numerose altre ve ne sono nelle isole dell’Arcipelago napoletano, nella Penisola Sorrentina (Grotta Verde), al Capo Palinuro, sulla costa della Calabria tirrenica, lungo il Promontorio Circeo, nell’Argentario, nel Promontorio di Portovenere, sulla costa ligure di ponente e in Sardegna. Parecchie grotte si trovano a diverse altezze rispetto all’attuale livello marino: esse testimoniano antiche linee di spiaggia e spesso, come la grotta delle Arene Candide nella Riviera di Ponente, danno reperti preistorici. Altra azione dell’abrasione marina è il distacco dalla terraferma di scogli, faraglioni, isolotti: ne sono esempi l’isola Palmaria (il cui distacco dalla costa di Portovenere fu però dovuto anche ad altre cause); l’isola di Dino presso la costa calabra; alcune isolette davanti alla costa occidentale e l’isolotto di Capo Passero all’estremità sud-est della Sicilia; l’isola Monica davanti alla costa di Santa Teresa di Gallura in Sardegna, ecc… In senso opposto all’abrasione, e con effetti molto più rilevanti, agisce l’alluvionamento. I materiali erosi e quelli riversati dai fiumi, talora, dopo un più o meno lungo trasporto ad opera delle correnti e una elaborazione meccanica e chimica, vengono dal mare depositati a formare coste alluvionali piatte, sabbiose, normalmente strette (ad esempio in molte piccole insenature liguri, sulle coste calabresi, marchigiane, abruzzesi ecc…) accompagnate spesso, in quelle di maggior ampiezza, da dune accumulate dal vento in cordoni litorali, quali si trovano sulle coste toscane (dove vengono chiamati tomboli), laziali (dove vengono chiamati tumuleti), della Sicilia e della Sardegna. I più vistosi effetti dell’alluvionamento si hanno alle foci dei fiumi, nei delta. Nei mari più riparati, come nell’Adriatico centrale e in fondo al golfo di Taranto, i materiali riversati dai fiumi formano cimose litoranee regolari; altrimenti si ha la formazione di veri e propri delta dalle complicate e irregolari ramificazioni, che in epoca storica, per effetto dell’azione abrasiva e delle correnti litoranee del mare, hanno subito alterne vicende di avanzamento, di stasi, di spostamenti che, complicati dall’intervento dell’uomo, ne hanno più volte mutato la configurazione: tali l’apparato deltizio Po – Adige, i delta della Magra, dell’Ombrone, del Garigliano, del Tagliamento, del Serchio – Arno, del Volturno, del Crati, del Simeto ecc… Complessivamente la costa avanza a spese del mare: Adria e Ravenna, che nell’antichità erano città marine, ora distano dal mare rispettivamente 14 e 8 chilometri; Luni, da cui prende nome la Lunigiana, ora nell’interno, era anticamente un porto etrusco.
Il nostro paese
Vi sono paesi nel mondo, i quali, per la loro posizione geografica e configurazione, sono destinati a rappresentare sempre una delle prime parti della storia mondiale: fra questi vi è l’Italia. Pochi paesi nel mondo hanno confini così ben delimitati, come il nostro; pochi paesi hanno una posizione geografica così privilegiata come quella dell’Italia. Situata nel centro del più bel mare del mondo, esso riassunse in sè quella civiltà mediterranea, romana e cristiana, che oggi è la civiltà del mondo intero. (Gribaudi)
La forma dell’Italia
L’Italia è una penisola circondata da tre parti dal mare e a nord incoronata dalla fulgida catena delle Alpi. Ma un tempo non aveva questa forma. Una serie di paurosi e violenti sconvolgimenti fecero affiorare alcune terre e sprofondarne altre; il mare invase immensi territori e da altri si ritirò ruggendo. Il risultato di queste convulsioni di acqua e di terra fu la forma caratteristica di acqua e di terra fu la forma caratteristica delle Alpi, alle splendide marine, dai boschi selvosi alle fertili pianure.
La pianura Padana
Dove ora sono le fertili terre coltivate della pianura padana, una volta c’era il mare che si spingeva nelle gole alpine che allora erano insenature costiere. I ghiacciai che ammantavano le alte cime delle Alpi e che, apparentemente erano immobili, si muovevano, invece, con un moto lentissimo, ma continuo, trascinando ammassi di pietre, rocce e detriti di ogni genere, strappati dai versanti lungo i quali scendevano. Nel frattempo, il fondo del mare si andava sollevando e si formò così una vasta pianura attraverso la quale si convogliavano le acque irruenti dei fiumi. Fra questi, il più grande, il più ricco d’acqua, il Po.
L’azione degli elementi
Il vento che spazza, per migliaia e migliaia di anni, il crinale di una montagna, finisce per appiattirlo, per levigarlo. La pioggia che flagella il monte per secoli, scalza i massi pietrosi e li fa rotolare lungo i pendii, approfondisce i crepacci, corrode le vette, trascina a valle i detriti. E il fuoco? Nell’interno della terra il fuoco ancora rugge e divampa. Talvolta, questo fuoco trova una via di uscita in una frattura della crosta terrestre e allora erompe all’esterno in un getto violento di fiamme, di cenere, di lave liquefatte. Con l’andar del tempo, dove prima c’era soltanto una spaccatura della roccia eruttante fuoco, si forma un vulcano. La terra, insensibilmente, cambia forma e dimensione.
L’opera dell’uomo
Il paesaggio non cambia soltanto per opera degli elementi e dei cataclismi. Cambia anche per l’opera dell’uomo che assoggetta la terra alla sua volontà, ai suoi bisogni, alle esigenze della sua vita. Egli sistema le acque costringendole entro il loro letto, costruisce dighe e centrali elettriche che daranno vita ai suoi opifici ed energia elettrica alle sue città. Traccia chilometri e chilometri di strade, rende fertili zone un tempo paludose e malsane, costruisce case che formano paesi e città. Ecco che cosa può mutare profondamente l’aspetto di un luogo.
Come si è formata l’Italia
La penisola italiana è emersa dal mare. Per secoli e secoli dalle azzurre onde di un mare sconvolto, affiorano punte, scogli, terre che a settentrione si disposero a semicerchio, le Alpi. E si formarono montagne, colline, pianure; i fiumi precipitarono nelle valli e dove le acque passavano crescevano le erbe e le piante, sbocciavano i fiori. Presto la terra fu tutta un verdeggiare di floridi campi. Nelle selve cinguettarono gli uccelli, per le pianure corsero, code e criniere al vento, torme di cavalli selvaggi; dalle macchie folte uscirono grandi buoi che giravano intorno i grandi occhi stupiti. Poi nei campi, presso i fiumi, apparvero uomini alti e forti, dallo sguardo fiero, che impugnavano rami nodosi e schegge di selce.
I primi abitatori dell’Italia
Chi furono i primi abitatori dell’Italia? Oggi ci soni i Veneti, i Liguri, i Romani, i Piemontesi, tutti Italiani dalle Alpi alla Sicilia, ma migliaia e migliaia di anni fa gli abitanti erano ben diversi e anche l’Italia presentava un aspetto del tutto differente da quello di oggi. Una regione coperta di fittissime foreste, senza abitazioni, senza coltivazioni, senza alcun segno di civiltà. E su questa terra, lussureggiante di boschi, ancora scossa dalle convulsioni di decine e decine di vulcani, gruppi di uomini irsuti, dalle grosse teste e dalle lunghe braccia, vagavano fra gli alberi in cerca di cibo.
I primi abitatori dell’Italia
Nelle grotte del monte Circeo si sono trovati resti di uomini vissuti in Italia migliaia e migliaia di anni fa, razze del tutto scomparse. Ma la civiltà non è avanzata con lo stesso passo in tutte le regioni del mondo. Le migrazioni portarono ondate di popoli più civili di quelli che abitavano la penisola.
Popoli d’Italia
Col passare del tempo, ondate di uomini migrarono nella penisola; erano popoli provenienti dalle città del Mediterraneo, che avevano imparato a costruire le navi, che conoscevano il commercio e sapevano fare i calcoli; erano Etruschi, che sapevano fabbricare bellissimi vasi di terracotta e avevano una forma di avanzata civiltà, erano i Galli che provenivano dal nord, erano i Cartaginesi che venivano dall’Africa. Tanti popoli, tante razze, che si mescolarono fra loro, costruirono le abitazioni, diffusero le loro scoperte. Uomini dai capelli biondi o bruni, ma tutti di carnagione chiara, forti, intelligenti, industriosi: gli antenati dei futuri Italiani.
Le morene
Nell’antichità tutta la pianura dell’Italia settentrionale formava un vasto golfo. Le pittoresche gole alpine erano, allora, altrettante anguste insenature costiere che servivano di afflusso alle acque scendenti dai ghiacciai che in quel tempo coprivano la maggior parte dell’Europa. Nella loro corsa al piano, i ghiacciai convogliavano macigni rocce detriti che strappavano ai versanti tra i quali precipitavano: a questo materiale si dava il nome di morena. Le morene ostruivano così le vallate e all’atto dello scioglimento dei ghiacciai trattenevano l’acqua formando così un lago.
Regioni d’Italia
Vorrei cantarvi tante canzoni, o dell’Italia dolci regioni: Piemonte, Veneto e Lombardia, Liguria, Emilia, Toscana mia! Le Marche e l’Umbria vorrei vedere, l’Abruzzo, il Lazio e le costiere della Campania, tutto un giardino, ricche di frutta, di grano e vino. Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia bella, terra incantata, Sardegna bruna di là dal mare, oh, vi potessi tutte ammirare! (A. Cuman Pertile)
Lo stivale
Io non son della solita vacchetta nè sono uno stival da contadino, e se paio tagliato con l’accetta chi lavorò non era un ciabattino; mi fece a doppia suola e alla scudiera e per servir da bosco e da riviera. Dalla coscia in giù fino al tallone sempre all’umido sto senza marcire, son buon da caccia e per menar di sprone. I molti ciuchi ve lo posson dire: tacconato di solida impuntura ho l’orlo in cima e in mezzo la costura. (G. Giusti)
Italia Quando nomino “Italia” voglio dire questa terra divina su cui si corica e cammina il mio povero corpo e mi fa piangere e soffrire: questo azzurro che riempie le pupille dei miei bambini, quest’aria che respiriamo; questi campi, questi giardini pieni di fiori così belli e perfetti che sembrano fatti con gli stampi. Quando nomino “Italia” voglio dire questa pianura, questi monti, che sono solo italiani perchè non sono così belli in nessun altro luogo; questo mare ch’è tutto mio perchè l’ho accarezzato con le mani, queste città serene e soleggiate. (C. Govoni)
Italia Italia: parola azzurra bisbigliata sull’infinito da questa razza adolescente ch’ha sempre una poesia nuova da costruire una gloria nuova da conquistare. Italia: primavera di sillabe fiorite come le rose dei giardini peninsulari, stellata come i firmamenti del Sud fatti con immense arcate blu. Italia: nome nostro e dei nostri figli, via maestra del nostro amore, rifugio odoroso dei nostri pensieri, ultimo bacio sulle nostre palpebre nel giorno che la morte serenamente verrà.
Osservando la carta geografica troveremo la spiegazione dei versi “Dalla coscia in giù fino al tallone sempre all’umido sto senza marcire”. L’Italia, infatti, è circondata per tre parti dal Mar Mediterraneo che, in vicinanza delle coste, prende diversi nomi: Mar Ligure, Mar Tirreno, Mar Ionio, Mare Adriatico, facilmente rilevabili sempre dall’osservazione della carta. E ci sarà facile anche spiegare il significato dell’ “orlo in cima e in mezzo la costura“, osservando la catena delle Alpi che a nord costituisce una potente frontiera naturale, e quella degli Appennini che si stende per tutta la lunghezza della penisola.
La felice posizione che l’Italia occupa nel Mediterraneo, ne fa il centro delle comunicazioni fra l’Europa, l’Asia e l’Africa. Anche per tale motivo, nel passato Roma potè divenire caput mundi, il centro del mondo conosciuto allora. La scoperta dell’America, spostando questo centro dal Mediterraneo all’Atlantico, dette un duro colpo alla supremazia commerciale dell’Italia; tuttavia, la sua posizione geografica continua ancor oggi ad essere molto importante, in quanto la nostra penisola fa da tramite tra l’Europa centrale, l’Africa ed i paesi del Medio Oriente.
L’Italia Quando gli antichi Greci sbarcarono in quella regione dell’Italia che oggi chiamiamo Calabria, vi trovarono un popolo che portava il nome di Vituli. Quel nome significava “popolo di vitello” perchè era, per quella gente, un animale sacro. La pronuncia greca cambiò in Itali la parola Vituli, perciò quella reglione fu chiamata Italia. Più tardi, con la venuta dei Romani e con l’espansione del loro dominio, il nome venne a designare tutta la Penisola, oltre il Po fino ai piedi delle Alpi. La nostra Penisola, che si protende per più di mille chilometri al centro del Mar Mediterraneo, ha la forma di un ampio stivale, con un tacco un po’ alto, sormontato da un robusto sperone. Essa è come un gigantesco ponte gettato a congiungere l’Europa con l’Africa. Per questa sua particolare posizione l’Italia subì dapprima l’influenza di alcune civiltà sorte lungo le coste del Mediterraneo, e divenne poi essa stessa sede si una grande civiltà, quella di Roma, che si diffuse in tutto il mondo antico.
La natura ha dato all’Italia confini ben definiti. A nord la grande cerchia delle Alpi la separa dall’Europa. Attraverso facili valichi e numerose gallerie, sono possibili le comunicazioni con la Francia, la Svizzera, l’Austria, la Slovenia. Scendendo verso sud, l’Italia è lambita dal Mar Mediterraneo, che ad est prende in nome di Mare Adriatico, a sud di Ionio, ad ovest di Tirreno e Ligure. Dai mari italiani emergono numerose isole, spesso raggruppate in arcipelaghi. Le più vaste sono la Sicilia e la Sardegna. Le isole minori, sparse un po’ in tutti i mari, sono raggruppate in arcipelaghi. L’arcipelago Toscano comprende la ferrigna isola d’Elba, attorno alla quale sono disseminate Gorgona, Capraia, Pianosa e l’isola del Giglio. Dell’Arcipelago delle Ponziane fanno parte le isole di Ponza, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano. L’Arcipelago Campano è costituito dalle isole napoletane di Ischia, Procida, Capri e Nisida. L’Arcipelago delle Eolie o Lipari, di fronte alle coste settentrionali della Sicilia, comprende Salina, Filicudi, Alicudi e i grandi crateri attivi di Vulcano e Stromboli. Al largo di Palermo emerge, solitaria, Ustica. L’Arcipelago delle Egadi, ad ovest della Sicilia, comprende le isole di Favignana, di Marettino e di Levanzo. Pantelleria, famosa per i suoi vini, fa parte della provincia di Trapani. Le Pelagie sono situate presso le coste dell’Africa. Fra esse abbiamo Lampedusa, Linosa e Lampione. Le Tremiti emergono nell’Adriatico, a nord del Gargano, con le isolette di Caprara e San Domino. Altre isole, sparse attorno alle coste della Sardegna, sono San Pietro, Sant’Antioco, Asinara, Caprera, La Maddalena.
Per il lavoro di ricerca Come è nato il nome della nostra Patria? Che forma ha l’Italia? Ha sempre avuto la forma attuale, l’Italia, oppure, come tutte le terre emerse, ha subito numerose trasformazioni? I confini dello Stato Italiano, retto oggi a Repubblica, coincidono sempre con i confini naturali della regione? Quali territori restano esclusi? Quanti abitanti conta l’Italia? Che cos’è il censimento? Da quali mari è bagnata la penisola italiana? Dove sono situati tali mari? Qual è la massima profondità del mar Ligure? E del mar Tirreno? Del mar Ionio? Del mar Adriatico? Del mare di Sicilia? Del mare di Sardegna? Quali tipi di coste conosci? Com’è il clima d’Italia? Quali sono i principali golfi della costa ligure, tirrenica, ionica e adriatica? Quali sono le principali penisole italiane? Quali sono le due maggiori isole? Quali altre isole conosci? Sai dire il nome dello stretto che separa le coste calabresi dalla Sicilia? Come si chiamano i punti estremi dell’Italia?
Osserviamo la carta geografica (località marine) Qual è il mare che bagna la spiaggia di Ancona? E la spiaggia di Napoli? Pensate che i mari siano tutti uguali? Chissà quale sarà il più profondo… il più salato… il più pescoso… Sapete nominare ed indicare sulla carta il nome dei mari italiani e distinguere, dall’intensità del colore blu, il più profondo?
Lo Stato italiano Perchè una nazione diventi Stato occorre che vi sia un ben determinato confine (detto confine politico) il quale può identificarsi con quello naturale, che segna i limiti della regione; e poi occorre anche che entro questo territorio circoscritto vi sia un governo, con proprie leggi, con un proprio esercito, una propria bandiera, insomma che la nazione costituisca un’entità politica differenziata dalle altre. Nella nostra regione fisica si è formato lo Stato Italiano, retto oggi a Repubblica, i cui confini però, per quanto ottimi, non coincidono sempre con i confini naturali della regione. Restano infatti esclusi circa 21.000 km2 corrispondenti al 7% del territorio totale della regione fisica. E precisamente: – l’isola di Corsica (Francia) – il Nizzardo – il monte Chaberton, la valle stretta di Bardonecchia, il Passo del Moncenisio, tre piccoli lembi sulle Alpi Occidentali (alla Francia) – il Canton Ticino (alla Svizzera) – la Venezia Giulia e l’Istria (all’ex Jugoslavia) – l’isola di Malta e Gozo (Stato indipendente) – il Principato di Monaco (Stato indipendente) – la Repubblica di San Marino (Stato indipendente) – la Città del Vaticano (Stato indipendente). Solo modestissimi lembi di terre al di là dello spartiacque alpino sono stati incorporati nello Stato Italiano: – la valle del Reno di Lei – la valle di Livigno – il passo di Dobbiaco – il passo di Tarvisio Pure le Isole Pelagie, nel mar Ionio, fanno parte dello Stato Italiano (Lampedusa, Lampione, Linosa). Esse fisicamente sono isole africane. Questi lembi, sommati assieme, danno una superficie di appena 684 km2.
Il clima d’Italia Possiamo suddividere il territorio italiano, per caratteri climatici, in sei regioni: 1. regione alpina. Temperatura decrescente con l’altitudine; inverni lunghi e nevosi, estati brevi e fresche. Piogge abbondanti soprattutto verso est. Clima mite nella zona dei laghi e delle valli ben riparate. 2. regione padano-veneta. Clima continentale. Minime invernali che scendono a 15° – 17° sotto zero; massime estive fino a 36° – 38° sopra lo zero. 3. regione ligure-tirrenica. Clima mite, piogge autunnali, cielo prevalentemente sereno; neve rara. 4. regione adriatica. Maggiori contrasti fra estate e inverno quanto a temperatura, e minore piovosità rispetto alla regione ligure-tirrenica. 5. regione peninsulare interna. Formata dagli altipiani e dalle conche dell’Umbria e dell’Abruzzo, dalle alte terre del Sannio, dell’Irpinia, della Basilicata e della Calabria. Temperatura decrescente con l’altitudine; inverni rigidissimi, neve copiosa; estati molto calde. Piovosità variabile da zona a zona. 6. regione insulare. Clima mite ed uniforme; inverni temperati, estati lunghe e calde. Piogge scarse, soprattutto invernali; neve soltanto sulle cime più alte.
Le isole La Sicilia è la più grande isola italiana e di tutto il Mediterraneo; dagli antichi era detta Trinacria per la sua forma a tre punte. Misura 25.000 km2 di superficie; i vertici del triangolo sono costituiti da Capo Faro, da Capo Passero e da Capo Boeo. Il lato maggiore, verso il Tirreno, ha coste alte e rocciose; notevoli la penisoletta di Milazzo, i golfi di Termini, di Palermo e di Trapani. Fronteggiano questa cosa le isole di Lipari o Eolie (tra le quali la maggiore è appunto Lipari; tuttavia molto note sono anche Stromboli, per il suo vulcano, e Ustica) e il gruppo delle Egadi. Il lato medio, verso il canale di Sicilia, ha coste prevalentemente basse e unite; sporge appena Capo Granatola e molto falcata è l’insenatura di Terranova; porti artificiali sono Marsala e Porto Empedocle. Fronteggiano queste coste, a notevole distanza, l’isola di Pantelleria e il gruppo delle Pelagie (Linosa e Lampedusa). Il lato più breve, rivolto verso il mar Ionio, ha coste frastagliate e basse nel tratto meridionale, unite a quelle settentrionali. Molto ampia e aperta è l’insenatura del golfo di Catania; dei tre porti (Messina, Siracusa e Augusta) il più importante è certamente il primo, per le comunicazioni col continente. I monti della Sicilia sono una continuazione dell’Appennino. A nord, lungo la costa, si elevano i monti Peloritani, i Nebrodi, le Madonie, a sudest si stendono gli altipiani collinosi, come i monti Erei e i monti Iblei. Isolato sorge l’Etna o Mongibello (m 3279), il più imponente vulcano attivo d’Europa. Ai piedi dell’Etna si stende la piana di Catania. Ad ovest l’isola è occupata da una serie di altipiani, da groppe collinose e da piccoli massicci.
La Sardegna è la seconda isola dell’Italia e del Mediterraneo, coi suoi 24.000 km2 di superficie. Sulla costa settentrionale notevoli sono il golfo dell’Asinara, delimitato a ovest dall’isola omonima, e le Bocche di Bonifacio, che dividono la Sardegna dalla Corsica; Porto Torres è lo scalo di Sassari. La costa verso il Tirreno, nel tratto rivolto a nordest, è incisa da rias e forma i golfi degli Aranci, o di Terranova, e di Orosei; è fronteggiata da numerose isolette tra cui Caprera, Tavolara e La Maddalena. La costa meridionale, verso il canale di Sardegna, sporge coi capi di Carbonara e di Spartivento, che racchiudono il golfo di Cagliari. La costa che guarda il mar Esperico si sviluppa sinuosa, coi golfi di Alghero a nord e di Oristano al centro, e a sud con le isole di San Pietro e di Sant’Antioco, la quale ultima forma il golfo di Palmas. In Sardegna, più che vere e proprie catene montuose, vi sono altipiani e massicci separati da pianure o da larghi avvallamenti. Il massiccio più aspro è il Gennargentu, che tocca i 1834 metri; da ricordare per la loro ricchezza di minerali, nell’angolo sudovest dell’isola, i monti di Iglesias. L’unica pianura di una certa estensione è quella del Campidano, tra i golfi di Oristano e di Cagliari.
Delle isole minori italiane meritano di essere ricordate, nel Tirreno, l’arcipelago toscano formato dall’Isola d’Elba e dalle più piccole Gorgona, Capraia, Pianosa, Montecristo, Giglio, Giannutri; le Pontine, di fronte al golfo di Gaeta, formate dalle isole di Ponza, Zannone, Palmarola, Ventotene e Santo Stefano; le Napoletane, cioè Ischia, Procida, Vivara e Capri. Nell’Adriatico ricordiamo le Tremiti e Pelagosa.
Principali isole italiane (superficie in km2) Sicilia…………….. 25.426,2 Sardegna………… 23.812,6 Elba…………………….223,5 Sant’Antioco…………108,9 Pantelleria……………..82,9 San Pietro………………51,3 Asinara………………….50,9 Ischia…………………….46,4 Lipari…………………….37,3 Salina…………………….26,4 Giglio…………………….21,2 Vulcano…………………20.9 Lampedusa…………….20,2 La Maddalena…………20,1 Favignana………………19,8 Capraia………………….19,5 Caprera………………….15,8 Marettimo………………12,3 Stromboli……………….12,2 Capri……………………..10,4 Montecristo……………10,4 Pianosa………………….10,3 Filicudi…………………….9,5 Ustica………………………8,3 Ponza………………………7,5 Tavolara………………….5,9 Levanzo…………………..5,6 Linosa……………………..5,4 Stagnone………………….5,4 Alicudi……………………..5,1 Spargi………………………4,2 Procida…………………….3,9 Molara……………………..3,4 Panaria…………………….3,3 Santo Stefano…………….3,1 Giannutri…………………..2,3 Gorgona……………………2,0 San Domino……………….2,0
I fiumi
Per l’abbondanza delle piogge e per la presenza delle due catene montuose delle Alpi e degli Appennini, i fiumi che scorrono in Italia sono numerosi. Essi, però, a causa della forma stretta e allungata della Penisola, hanno in gran parte corso breve. Per le loro particolari caratteristiche possiamo distinguerli in fiumi alpini e fiumi appenninici. I fiumi alpini sono di origine glaciale, hanno cioè origine dai ghiacciai, nascono dalle Alpi e sono soggetti a piene primaverili ed estive, causate dallo scioglimento delle nevi. I principali hanno corso lungo e sono ricchi di acque. I fiumi appenninici, mancando sull’Appennino i nevai e i ghiacciai, sono alimentati quasi esclusivamente dall’acqua piovana. Essi hanno corso breve, e sono soggetti a improvvise e talvolta rovinose piene primaverili ed autunnali, e a secche estive quasi assolute. Sono quindi fiumi a carattere torrentizio.
Il Po è il più grande fiume d’Italia. Nasce dal Monviso, nelle Alpi occidentali, e percorre tutta la Pianura Padana fino all’Adriatico, nel quale si getta con foce a delta. Durante il suo corso di 652 chilometri, riceve e numerosi affluenti che discendono in parte dal versante meridionale della catena alpina (affluenti di sinistra) e in parte dal versante settentrionale della catena appenninica (affluenti di destra). Bagna le città di Saluzzo, Torino, Casale Monferrato, Piacenza, Cremona. Gli affluenti di sinistra del Po sono la Dora Riparia e la Dora Baltea, la Sesia, il Ticino, l’Adda, l’Oglio e il Mincio. Gli affluenti di destra sono il Tanaro (l’unico che nasce dalle Alpi Marittime, presso il Col di Tenda), la Scrivia, la Trebbia, la Secchia, il Panaro.
Gettano le loro acque nell’Adriatico, oltre il Po, i seguenti fiumi alpini: l’Adige, il Brenta, il Piave, la Livenza, il Tagliamento e l’Isonzo. Dagli Appennini scendono il Reno, la Marecchia, il Foglia, il Metauro, l’Esino, il Tronto, la Pescara, il Sangro, il Biferno, il Fortone e l’Ofanto. Nel mar Ionio sfociano, con abbondanza di acque in primavera ed in autunno, il Bradano, il Basento, l’Agri, il Sinni e il Crati. Nel Tirreno si gettano la Roia, la Polcevera, la Lavagna, l’Arno, l’Ombrone, il Tevere, il Garigliano, il Volturno e il Sele. I fiumi delle isole sono di scarsa importanza ed hanno un regime di acque incostante; assomigliano più a grossi torrenti che a veri e propri fiumi. In Sicilia scorrono l’Alcantara, il Simeto, il Salso, il Belice e il Platani. In Sardegna i fiumi più importanti sono il Coghinas, il Triso, il Flumini Mannu e il Flumendosa.
I laghi
L’Italia è, tra i paesi dell’Europa, uno dei più ricchi di laghi. Sparsi un po’ in tutte le regioni della Penisola, se ne contano 4100. Essi danno una nota di bellezza a molti paesaggi. Possiamo distinguerli in laghi alpini, laghi prealpini, laghi vulcanici, laghi appenninici e laghi costieri. I laghi alpini, piccoli e sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio d’alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli alberi e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono i laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina. Allo sbocco delle valli prealpine si stendono i laghi più importanti della Penisola. Solitamente sono di forma irregolare, e le loro acque riempiono il fondo di lunghe valli scavate dai ghiacciai, che un tempo scendevano fino ai margini della Pianura Padana. Sono tutti alimentati da un fiume e circondati da monti che si specchiano a picco nelle acque azzurre, o discendono con dolci declivi e a balze verdeggianti verso le rive popolate di ville e di giardini.
I laghi prealpini esercitano una benefica influenza sul clima e sulla vegetazione. Infatti sulle loro sponde prosperano piante proprie dei paesi caldi, quali il limone, il cedro, l’ulivo. La suggestiva bellezza del paesaggio, inoltre, è motivo di richiamo per numerosi turisti italiani e stranieri. I principali laghi prealpini sono: – il Lago Maggiore o Verbano, che ha per immissario e per emissario il fiume Ticino. La parte settentrionale del bacino appartiene alla Svizzera. Dallo specchio delle sue acque emergono le meravigliose Isole Borromee: Isola Madre, Isola Bella, Isola dei Pescatori. – il Lago di Como o Lario, che è formato dall’Adda e si biforca in due rami: di Como e di Lecco. E’ il più profondo fra i laghi prealpini (m 410). – il Lago d’Iseo o Sebino, che riceve le acque del fiume Oglio. In esso sorge l’isola più vasta dei laghi prealpini: Montisola.
– il lago di Garda o Benaco, che è il più esteso d’Italia. Per la sua posizione, che è la più meridionale tra quelle dei laghi prealpini, gode di un clima particolarmente mite, che favorisce una vegetazione di tipo mediterraneo: ulivi, viti, agrumi. E’ formato dal fiume Sarca il quale, uscendone, prende il nome di Mincio. I laghi vulcanici sono situati nella fascia antiappenninica del Lazio, della Campania e della Basilicata, e riempiono con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. Perciò la loro forma è generalmente circolare. I principali sono i laghi di Bolsena, di Bracciano, di Albano e di Nemi, nel Lazio; il lago d’Averno, nei Campi Flegrei, in Campania; i laghi di Monticcchio, in Basilicata. Anticamente molti laghi, ora prosciugati e scomparsi, occupavano vaste conche dell’Appennino. Fra quelli rimasti i più notevoli sono il lago Trasimeno, in Umbria; il lago di Scanno, nell’Abruzzo; il lago del Matese, in Campania. Lungo le coste della penisola vi sono dei laghi che si sono formati a causa del moto ondoso del mare, il quale ha accumulato cordoni sabbiosi dinanzi alle insenature chiudendole. Tali laghi sono i laghi di Lesina, di Varano, di Salpi, in Puglia; il lago di Fusaro in Campania; i laghi di Fondi, di Fogliano, di Sabaudia, nel Lazio; i laghi di Massaciuccoli, di Burano, di Orbetello in Toscana; i laghi di Elmas, di Cabras, di Sassu in Sardegna.
Il suolo d’Italia Veramente meravigliosa è la varietà delle terre e delle coste d’Italia. Qui sono monti giganteschi, avvolte da nubi le cime nevose e scintillanti al sole, dirupi solcati da ghiacciai e flagellati dalla tempesta, balze scoscese, cupi burroni precipitosi, massi erranti per la pianura, e sassi e ciottoli e ghiaie alle falde. Foreste di castagni, di faggi, di larici e di pini fanno veste a quei monti, poi cespiti di rododendri ed erbe dal cortissimo stelo, e muschi e licheni, che di varie tinte, brue, argentine, dorate, coronano le rocce. Urla il lupo fra quelle foreste, e balza la lince, s’appiatta l’orso e corre presso la neve, nel suo manto invernale, il candidissimo ermellino, e ronzano insetti. E alle cime, ai pendii, alle nevi, alle foreste, ai vaganti nuvoloni, fanno specchio nella valli romite le onde limpidissime degli incantevoli laghi. Costà son valli di soavissime chine, sparse d’ulivi, echeggianti, d’autunno, delle grida festose delle vendemmiatrici, e fertili piani sparsi e biondeggianti messi, solcati da fiumi maestosi o da fecondi canali; e colà vaste, malinconiche pianure, e terre scaldate da un ardentissimo sole, dove allignano piante e volano e corrono e strisciano animali dell’Africa vicina.
Cinta dal mare per sì gran parte, s’allunga l’Italia in una distesa di svariatissime coste; qua con dolce pendio lentamente digradanti, là scosse e percosse dalle onde; ora selvose, ora nude, ora coronate da ridenti colline, che si protendono in lunghi promontori e capi, e file di scogli, o scavate in vasti golfi, o seni o porti amplissimi e contro ogni mare sicuri. Invero, se la varietà e la bellezza della terra opera in bene sull’uomo, gli Italiani dovrebbero essere i primi del mondo. (M. Lessona)
Grotte d’Italia Nel Carso Triestino abbiamo le grotte di Trebiciano, dei Serpenti, dei Morti e le cavità di San Canziano, percorse dal Timavo nella parte sotterranea del suo corso; in quello della Cicceria, l’Abisso Bertarelli, profondo 450 metri; in quello carniolino le Grotte di Postumia col Piuca sotterraneo; presso la Selva di Tarnova l’Abisso Montenero di 480 metri; sulla Bainsizza quello di Verco di 518 metri. Ma la massima profondità, d’Italia e del mondo, è data alla Pluga della Preta nei Lessini con 637 metri; sul monte Campo dei Fiori presso Varese abbiamo la Grotta abisso Guglielmo di 350 metri; nelle Alpi Apuane la Tana dell’uomo selvatico di 318 metri. Migliaia sono le grotte italiane che sono state regolarmente esplorate con successo, molte infatti hanno permesso di ritrovare e riportare alla luce manufatti appartenenti alle diverse epoche preistoriche. Numerose sono quelle situate in terreno calcareo, come quelle dei già nominati altipiani carsici: del Cansiglio, di Asiago, dei Tredici Comuni, di Serle nel bresciano, oppure quelle dei diversi tratti dei monti lombardi, laziali, campani, e delle Murge pugliesi. Fra le grotte più famose citiamo quelle di Castellana; le più vaste quelle di Postumia e San Canziano; quelle di Grimaldi (Liguria); delle Scalucce di Breonio nel veronese; del Diavolo e ROmanelli nella Terra d’Otranto; di Pertosa nel salernitano; di Pastena (Frosinone); di Capri; di Sant’Angelo nel ternano. Quelle dell’isola di Levanzo, nelle Egadi, hanno rivelato graffiti che si avvicinano alla famosa arte paleolitica delle caverne franco-cantabriche, e figure dipinte.
Il clima italiano
La temperatura La nostra penisola è tanto allungata che necessariamente i paesi del nord hanno temperature più basse dei paesi del sud. Infatti i paesi del sud sono più vicini all’Equatore, mentre quelli del nord sono più vicini al Polo Nord. Per l’influenza benefica, poi, dell’ampio Tirreno, le spiagge tirreniche sono più calde di quelle adriatiche, essendo queste bagnate da un mare più ristretto, quasi interno e poco profondo. Inoltre le zone montane hanno temperature più basse delle zone di pianura. E questo perchè l’umidità della pianura conserva meglio il calore, e perchè le parti più basse sono più estese e perciò rimandano all’aria molti più raggi caldi ricevuti dal sole. Questo valga per la temperatura media dell’anno.
Inoltre, mentre nelle zone marittime non vi è molta differenza tra estate e inverno, nelle zone di pianura non marine, come la Pianura Padana, la differenza è enorme. Infatti il calore viene conservato meglio dalle acque che non dalle terre, le quali rapidamente lo rimbalzano e lo disperdono. Invece nelle zone di montagna, come ad esempio sulle Alpi, vi è enorme differenza tra le calde giornate (calde anche d’inverno, quando c’è il sole e non c’è troppo vento) e le rigide nottate (rigide anche d’estate, specialmente nelle notti serene).
La piovosità Le regioni più piovose in Italia sono quelle montuose. Questo perchè i monti, essendo più freddi, condensano l’umidità più delle pianure; si producono così le nubi e dalle nubi le piogge. Sui monti del Lago Maggiore, sui monti della Carnia e dell’Istria, sull’Appennino Ligure alle spalle di Genova, si possono avere anche tre metri d’altezza di acqua all’anno; cioè se avessimo un recipiente aperto alto tre metri, all’aria libera, in un anno si riempirebbe totalmente (purchè naturalmente impedissimo l’evaporazione). Le zone meno piovose sono le pianure molto basse, come il Ferrarese e il Tavoliere della Puglia, in cui a mala pena si raggiunge il mezzo metro.
Ed è poco perchè la vegetazione possa crescere bene, a meno che come a Ferrara non vi passino molti fiumi o, come nelle Puglie, non siano stati costruiti molti canali di irrigazione. Ma che importa se in posto piove anche molto, ma solo nel periodo in cui le piante non ne hanno bisogno? Le zone più fertili sono quelle in cui piove tra la primavera e l’autunno, cioè quando la vegetazione vive attivamente o sta per mettersi a riposo. In Italia si hanno a questo riguardo tre caratteristici regimi.
Sulle coste della Sicilia, della Sardegna e di altre terre meridionali, piove specialmente d’inverno. Il perchè è semplice. D’inverno il mare è più caldo della terraferma, quindi si formano dei venti che dalle fredde terre circostanti vanno verso il più tiepido mare sulle cui isole convergeranno i venti umidi, saliranno e determineranno perciò le piogge. D’estate, siccità quasi assoluta. E’ il clima chiamato mediterraneo. Peccato che piova solo d’inverno, perchè è d’estate che le piante volentieri si inebrierebbero di acqua! Però debbo dirvi che in queste regioni, sempre tiepide e calde, anche d’inverno, vi sono piante caratteristiche che possono sopportare la siccità estiva: pini mediterranei dalla chioma a ombrello, olivi, querce da sughero, fichi d’india, agavi, ginepri, mirti, lauri, ginestre, eriche, pistacchi, capperi e altro ancora.
Sulle Alpi e sui monti in generale piove o nevica specialmente d’estate. Infatti è d’estate che i monti, ben riscaldati dal sole, richiamano i venti dai mari attorno; e i venti umidi incontrandosi o condensando l’umidità a contatto dei monti, producono nubi e poi piogge. E’ il clima chiamato continentale. I pini e gli abeti d’alta montagna molto opportunamente non perdono le foglie, perchè non potrebbero nei tiepidi ma brevi tre mesi estivi rifarsele e lavorare per fabbricarsi il cibo. Fanno eccezione i larici, che perdono le foglie anche se sono conifere come i pini e gli abeti e anche se, come questi, crescono sulle montagne. Duvunque altrove piove di primavera e d’autunno con grande vantaggio della vegetazione. In conclusione in Italia vi sono quattro tipi di clima: – il clima alpino, con molto basse temperature notturne e invernali, e con piovosità abbondante estiva: le Alpi e parte dell’Appennino settentrionale e centrale; – quello mediterraneo, con temperature miti per tutto l’anno e con piovosità invernale e non troppo abbondante, anzi talora scarsa: le isole e la penisola a sud di Salerno; -quello peninsulare con temperature miti lungo la costa, mediocri nell’interno e con piovosità primaverile e autunnale: tutta la parte rimanente della Penisola; – quello della Pianura Padana, con temperature elevate d’estate e basse d’inverno, piovosità primaverile e autunnale.
Elementi del clima Il clima è composto di più elementi e le sue caratteristiche sono influenzate in modo determinante da numerosi fattori. Per stabilire lo stato del tempo si prendono in considerazione la temperatura dell’aria (misurata con il termometro), la pressione atmosferica (misurata con il barometro) ed i venti (la cui velocità è misurata con l’anemometro), la nebulosità del cielo (stimata in decimi), l’umidità dell’aria (misurata con l’igrometro) e le precipitazioni (misurate col pluviometro).
L’osservazione metodica, giorno per giorno, delle condizioni meteorologiche nel loro diverso combinarsi e manifestarsi e la registrazione dei relativi dati, condotta per più anni di seguito, permettono non solo di seguire il loro andamento nel corso delle quattro stagioni, ma anche di identificarne le caratteristiche medie e di stabilire così il tipo di clima di una certa regione, vasta o ristretta che sia.
La previsione del tempo in montagna Sono i grandi moti atmosferici che determinano le condizioni meteorologiche generali; e sono le diverse condizioni meteorologiche generali; e sono le diverse condizioni della superficie terrestre che reagiscono diversamente, a seconda della reazione particolare che le terre, le acque, le foreste, le paludi, i deserti, e soprattutto le montagne, esercitando sui venti, la temperatura e l’umidità delle correnti aeree.
Specialmente e in maniera rilevantissima sono le catene montuose, e fra queste naturalmente le Alpi, che modificano potentemente l’andamento generale del tempo, determinando così fenomeni locali, i quali sono spesso in aperta contraddizione con le previsioni fatte dai centri meteorologici, che occorre ripeterlo, si limitano a riferire sulle condizioni generali generali del tempo, dipendenti nell’immediato futuro dalle leggi generali di successione dei grandi fenomeni atmosferici.
Per il tempo locale occorre possedere quella lunga precisa conoscenza della regione per cui si può tentare di prevedere il tempo che farà, cercando di concordare le segnalazioni dei bollettini meteorologici con i pronostici eminentemente locali, ma fidandosi soprattutto di questi ultimi. E’ indubbio che la meteorologia ha fatto grandissimi progressi, ma è altrettanto vero che nulla di assolutamente definitivo è stato raggiunto. Meno che meno, in materia di previsioni in montagna, problema questo quanto mai arduo e forse insolubile per la scienza stessa.
In montagna si possono ascoltare tutti i bollettini di questo mondo; si possono avere a disposizione barometri e termometri e fare le più accurate osservazioni, e confrontarle e studiarle: tutto ciò, diciamolo francamente, servirà certamente, ma non c’è da fidarsi troppo. Questo ben tenga presente chi frequenta la montagna e soprattutto chi fa dell’alpinismo: nulla trascurino di quanto può insegnar loro la scienza, anzi ne facciano pure tesoro; ma si valgano soprattutto dell’esperienza dei montanari e della loro personale esperienza. E più di tutto, gli alpinisti, quando si mettono sull’alta montagna, siano ben certi della loro robustezza, del loro allenamento e della loro capacità, e si affidano fiduciosi alla buona fortuna. (A. Sanmarchi)
Un lembo d’Italia in territorio straniero Sulla sponda orientale del Lago di Lugano sorge Campione d’Italia, piccolo Comune che occupa un’area di soli 2,6 kmq, ed è abitato da poco più di mille persone. E’ grazioso, ma non varrebbe la pena di segnalarlo se non rappresentasse una vera e propria curiosità storica. Esso, infatti, pur essendo in territorio svizzero, appartiene all’Italia e precisamente alla provincia di Como, città dalla quale dista solo 25 km. La sua posizione, unica al mondo, trova origine nel lontano secolo VIII, quando l’allora signore di Campione fece dono dei propri beni agli Abati di Sant’Ambrogio. Alla fine del secolo XVIII fu assegnato alla Lombardia e, con la Lombardia, passò poi all’Italia.
Il posto di frontiera più alto d’Italia Da Courmayeur, nelle notti serene, guardando verso il Monte Bianco, sulla sinistra del Dente del Gigante, si scorge un lumicino che sembra sospeso nel vuoto. E’ la casermetta di Punta Helbronnen, situata a quota 3462, sede del più alto presidio di frontiera d’Italia, anzi d’Europa. Cinque carabinieri italiani e altrettanti gendarmi francesi controllano qui i passaporti dei passeggeri della Funivia dei Ghiacciai, che dal dicembre del 1957 unisce l’Italia alla Francia sorvolando il massiccio del Bianco.
La traversata, lunga 15 km, ha inizio a La Palud, piccola frazione di Courmayeur, in territorio italiano, e termina a Chamonix, capitale dell’alpinismo francese, dopo aver raggiunto la massima altitudine di 3842 m a l’Auguille du Midi. E’ un volo entusiasmante durante il quale si può ammirare ciò che di più sublime hanno le Alpi. Da Punta Helbronner all’Aiguille du Midi, per un tratto di cinque chilometri, si sorvola uno dei massimi ghiacciai alpini e la formidabile cupola del Bianco sembra così vicina che si è tentati di allungare la mano per accarezzarla.
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Materiale didattico sui minerali per la scuola primaria.
Il regno minerale
Un sasso, un pezzo di ferro sono corpi senza vita, senza movimento: non respirano, non mangiano, non crescono e non si riproducono. Restano sempre in quello stato senza invecchiare nè morire. Non somigliano proprio per nulla agli animali e alle piante: sono infatti corpi inorganici e si dicono minerali. Molti minerali si trovano nelle cave, alla superficie della terra. Altri invece sono estratti con duro e faticoso lavoro dalle miniere, profonde e lunghe gallerie scavate sotto terra.
Minerali commestibili
L’acqua è un minerale composto di due gas: l’idrogeno (due parti) e l’ossigeno (una parte), combinati insieme. L’acqua, come l’aria, è indispensabile alla vita animale e vegetale. E’ molto abbondante sulla terra, sia allo stato liquido (mari, laghi, fiumi e sorgenti) sia allo stato solido (ghiacciai), sia allo stato di gas, come vapor acqueo (nell’aria). Essa è presente in grande quantità anche nel nostro corpo (circa il 70%) e in quello di tutti gli esseri viventi (animali e piante). L’acqua è un liquido insapore, incolore e inodore; diventa ghiaccio, cioè solidifica, a zero gradi; bolle, invece, a 100 gradi.
Il sale è un minerale ricavato dall’evaporazione dell’acqua del mare in grandi bacini, costruiti lungo la costa. Oltre che in cucina il sale viene usato per la preparazione di vari prodotti industriali, mediante speciali accorgimenti.
Il salgemma è il sale che, a forma di grossi cristalli, si estrae dalle miniere.
La città di sale Vi è una città in Polonia, Wieliczka, sotto la quale è scavata una grande città sotterranea lunga quattromila metri e larga milleduecent0, con una rete stradale lunga complessivamente novantatre chilometri. Strade scavate nel minerale grigio, lucido, che scintilla alla luce delle lampade elettriche; di tanto in tanto piazze coperte, dalle volte sostenute da eleganti colonne grige e luminose; scale che conducono da un piano all’altro: tutto ciò che vediamo è sale. Monti anni fa i minatori che scendevano qui sotto, intagliarono la roccia salina e diedero forma a una bella chiesa che dedicarono a Santa Cunegonda e a una cappella che consacrarono a Sant’Antonio. Muri, altari, statue, colonne, lampade: tutto è di sale.
L’aria
L’aria è un minerale allo stato gassoso, indispensabile alla respirazione e quindi alla vita degli animali e delle piante. Essa è costituita da un miscuglio di azoto, ossigeno e piccole tracce di altri gas, come l’anidride carbonica, il vapor acqueo, ecc… L’aria avvolge la terra formando quell’immenso involucro che si chiama atmosfera.
Minerali da costruzione
L’argilla è una terra che, lavorata con acqua, si lascia modellare con facilità. Viene usata per la fabbricazione di mattoni pieni e forati e di tegole e piastrelle per l’edilizia; per la preparazione di vasi, stoviglie, ceramiche, maioliche, porcellane. Per ottenere i mattoni ed altri laterizi, impiegati come materiale da costruzione, l’argilla viene bagnata, impastata, modellata in una macchina, lasciata essiccare all’aria libera e poi cotta in fornace.
Il calcare è una pietra comune; cotta in fornaci ad alta temperatura, si riduce in finissima polvere bianca (detta calce viva); bagnata con acqua (calce spenta), si riscalda gonfiandosi; rimescolata poi con sabbia dà la calcina o malta che si usa nella costruzione di edifici.
Il gesso è friabile allo stato grezzo. Cotto a forte temperatura, perde l’acqua che contiene e diviene polvere finissima; mescolato di nuovo con acqua, indurisce prestissimo. Si usa per intonaci e per decorazioni in rilievo di pareti e di soffitti e per la preparazione di statuette, di busti, di medaglioni decorativi. (I gessi per la lavagna si ottengono ricuocendo l’impasto di gesso).
Nei cementifici si cuoce e si tritura una miscela di calcare e di argilla ottenendo il cemento, un materiale da costruzione importantissimo. Il cemento, ridotto in polvere, mescolato alla ghiaia e alla sabbia, forma il calcestruzzo, un impasto con cui vengono gettate le fondamenta ed innalzate le strutture degli edifici. Il cemento armato è un insieme d calcestruzzo e di sbarre di ferro. E’ molto resistente alla compressione e alla trazione e garantisce la massima solidità.
Il marmo è la più pregiata tra le pietre da costruzione. Serve per statue, colonne, monumenti e per la preparazione di elementi decorativi nell’edilizia: rivestimenti di pareti e di scale, pavimentazioni, ecc… I marmi più noti e pregiati sono: il bianco di Carrara, il rosso di Verona, il verde di Polcevera, il nero Portoro, il Botticino, il badiglio, l’alabastro, l’onice, il cipollino, il serpentino.
Una cava di marmo Operai al lavoro con la perforatrice e il martinello. Il marmo viene staccato dalla montagna in grandi blocchi. Si praticano alcuni fori profondi con la perforatrice, nei fori si introduce una carica di dinamite, si accende la miccia e, pochi minuti dopo, uno scoppio. Il blocco si stacca e viene poi tagliato in grosse lastre col filo metallico elicoidale, formato da tre fili d’acciao avvolti in spirale. Il filo sega il marmo con l’aiuto di un poco di sabbia silicea bagnata con molta acqua.
Cave di marmo Quasi tutti del paese lavorano in vario modo il marmo. Chi sale la montagna all’alba per scavarlo. E chi lo trasporta dalle montagne al piano. A mezzo di certe strade lisce e storte, come il gioco delle montagne russe; il masso imbracato con doppie corde, le cui cime attorcigliano i pilastri, si muove e scende, piano, sgusciando sui travetti di legno, insaponati. Gli uomini visti da lontano sembrano api attorno a un pezzo di pane bianco che si muove lentamente verso un alveare in pianura. Invece sono uomini che trafficano, intorno ad un masso gigante, con pali, con legni, con cavi ininterrottamente, finchè il masso non è sulla carretta che lo aspetta sulla via carraiola. (E. Pea)
Minerali combustibili
Gli strati profondi della crosta terrestre racchiudono alcuni minerali che hanno una grandissima importanza per la vita dell’uomo: i combustibili. Essi costituiscono una preziosa fonte di energia perchè, bruciando, sviluppano calore e forniscono alle macchine l’energia necessaria per compere il loro lavoro. I combustibili più importanti sono il carbone, il petrolio e il metano.
Il carbone Il carbone ha un’origine antichissima. In epoche lontanissime, quando l’uomo ancora non esisteva, profondi sconvolgimenti si susseguirono nella crosta terrestre. La Terra era in gran parte ricoperta di alberi giganteschi e, quando i terremoti squassavano il suolo, intere foreste rimanevano sepolte sotto enormi strati di fango e di roccia.
I vegetali subirono una lenta trasformazione. Si carbonizzarono e diedero origine a una roccia nera e compatta: il carbon fossile. Il carbon fossile più antico, e quindi più pregiato, è l’antracite. Esso brucia lentamente, sviluppando grande calore. Un altro tipo di carbone, meno antico dell’antracite, ma anch’esso assai pregiato, è il litantrace, che viene usato nella fabbricazione di gas illuminante.
Al termine della lavorazione per produrre il gas, rimane un carbone chiamato coke. Esso veniva usato per il riscaldamento e, negli altiforni, per la produzione della ghisa. La lignite è un carbone non molto pregiato perchè bruciando sviluppa poco calore e lascia molte scorie. Il carbone più recente è la torba, che è un combustibile di scarso rendimento. In Italia esistono miniere di carbon fossile in Val d’Aosta e in Sardegna, ma la quantità prodotta è scarsa e insufficiente al fabbisogno nazionale.
In una miniera di carbone Dal pozzo della miniera salgono le gabbie dell’ascensore. Ritornano alla luce, dalle profondità della terra, i minatori che hanno terminato il loro turno di lavoro. Sono neri di polvere di carbone e stanchi per la dura fatica. Una nuova squadra è già pronta per dare il cambio. Ogni minatore indossa la divisa di lavoro: pantaloni chiusi negli stivaloni, giubbotto ed elmetto di cuoio. Sul davanti dell’elmetto brilla la lente di una piccola torcia elettrica. Montano nella gabbia, ordinati a gruppi di sei alla volta. Il cancelletto si chiude. Un rumore di catene e di ruote indica che l’ascensore è in movimento e che gli operai della miniera scendono nella profondità della terra. Un’altra gabbia si riempie a parte.
Ancora gabbie che risalgono e che scendono. Nella miniera il lavoro non si interrompe mai. Dai fondo del pozzo si diramano a destra e a sinistra gallerie larghe e basse. Ogni due o tre metri, puntelli di legno reggono la volta del soffitto. Un cartello vistoso ammonisce che dentro la galleria non si deve fumare nè accendere qualsiasi fiammella. Una sigaretta accesa, un piccolo insignificante fuoco, può produrre scoppi di grisou, incendiare il carbone e seppellire nelle frane i minatori. Carrelli pieni e vuoti percorrono in su e in giù le gallerie, sferragliando sulle piccole rotaie. Arrivano all’imbocco di speciali pozzi, dove vengono agganciati a resistenti cavi di acciaio, che li afferrano e li fanno salire alla superficie per depositare il loro carico.
Tornano vuoti in fondo alla miniera, per essere di nuovo riempiti. In ogni braccio di galleria si sente il martellante picchiettio delle perforatrici, che scavano e intaccano i blocchi di carbone. Allo scialbo chiarore delle lampade elettriche, i minatori, nudi fino alla cintola, perforano le pareti. Sotto i colpi dei martelli elettrici, blocchi di nero minerale si staccano, vengono subito frantumati in piccoli pezzi e caricati sui carrelli. Il lavoro è febbrile.
Gli uomini, lucidi di sudore, illuminati dalle lampade attaccate agli elmetti, sembrano strani fantasmi. Il calore è soffocante. L’aria, pressata nelle gallerie dalle pompe esterne, è pesante, calda, e non dà alcun refrigerio. Nella miniera non si canta e non si parla; si s’intende coi gesti. Il rumore assordante delle perforatrici, lo sferragliare dei carrelli in movimento, i sordi colpi dei picconi, lo stridere delle catene delle ruote, sovrastano qualunque voce.
Finalmente, dopo un turno di quatto ore di lavoro, i minatori montano nelle gabbie e salgono a rivedere la luce ed a respirare di nuovo aria libera e pura. Una nuova squadra di minatori è pronta per scendere nelle profondità della terra, per scavare nuovo carbone. Così, ogni giorno, ogni notte. (D. Romoli)
In una miniera di carbone Siamo a mille metri sotto terra. Davanti a noi si apre un lungo corridoio scavato nel carbone, illuminato ogni cento metri da una lampada di sicurezza appesa all’armatura di legno. Camminiamo tra le rotaie della ferrovia di scarico con la testa inclinata sulla spalla per non urtare nelle travi della volta. (C. Malaparte)
Il lavoro in miniera Il calore è terribile… l’aria è densa, grassa, irrespirabile. Lo stridere degli scalpelli, l’ansimare dei petti, le voci roche, il sibilo dell’aria compressa delle pistole, i colpi sordi dei picconi e dei martelli riempiono di un frastuono orrendo lo spazio dove i minatori lavoravano. Uno degli addetti alle perforatrici ferma l’attrezzo, si mette a sedere, in disparte, sul manico di un piccone, addenta vorace un pezzo di pane; e in quel semplice gesto si rivela umano, creatura viva a mille metri sotto il proprio paese, la propria casa. (C. Malatesta)
Minatori Soldati di un’arma sconosciuta per cui tutta la vita è guerra eterna, bandiera essi non hanno, nè fanfara: e il loro tamburo è il rombo del motore. Han cucito il piastrino sulla blusa son sopra inciso il nome che testimoni della loro presenza quando all’appello non risponderanno. In una mano reggono la lampada e nell’altra il piccone, a brano a brano rompono la notte quasi in cerca di un altro sole. (N. Moscardelli)
Il carbon fossile In epoche lontanissime, quando l’uomo ancora non esisteva sulla terra, la natura badò ad immagazzinare le grandi riserve di energia che sono servite e servono all’industria moderna: in grandi cataclismi, foreste gigantesche scomparvero sotto terra; qui bruciarono senza fiamma (come il legno nelle cataste del carbonaio) e si trasformarono in carbon fossile.
Il petrolio Il petrolio è un minerale liquido che si è formato nel sottosuolo moltissimi secoli fa. Sul fondo dei mari si accumularono nei secoli resti di animali e di piante. Col tempo questi depositi furono ricoperti di sabbia e fango, e lentamente si trasformarono in petrolio. I giacimenti di petrolio vengono sfruttati mediante potenti macchine trivellatrici dotate di motore e di un’asta di trivellazione munita, all’estremità, di uno scalpello perforatore.
Il petrolio è un minerale molto prezioso: fornisce il bitume per pavimentare strade e terrazze, serve per preparare una speciale cera per candele e materie plastiche. Ma soprattutto il petrolio ci dà la benzina che fa muovere macchine, automobili, aeroplani e navi.
La raffinazione del petrolio grezzo Quando, trivellando il terreno, cioè perforandolo a grandi profondità, sgorga il petrolio, esso deve essere a lungo raffinato per trasformarlo in benzina. Le raffinerie sorgono spesso lontano dai giacimenti. Enormi recipienti, colmi di petrolio grezzo, vengono scaldati a lungo: il calore divide il petrolio grezzo in cinque parti diverse che galleggiano una sopra l’altra, senza mescolarsi fra loro. La benzina è la più leggera e sta in alto, senza confondersi col petrolio da illuminazione che, a sua volta, galleggia sulla nafta più densa. Sotto, in fondo al recipiente, stanno gli olii e il bitume.
Sono pronti, così, la benzina per le automobili e gli autocarri e le navi; gli olii per lubrificare le macchine e il bitume per pavimentare le strade. Gli stabilimenti nei quali il petrolio viene raffinato spesso sono lontani dai pozzi; e il prezioso liquido, per giungervi, deve fare un lungo viaggio: prima, in grossi tubi (gli oleodotti), per esser portato a grandi petroliere, che gli faranno passare il mare; dopo essere stato raffinato il petrolio riprende nuovamente il viaggio per essere distribuito.
Il petrolio in Italia
C’era una volta una gallina sbarazzina che fuggì dal pollaio e andò a rifugiarsi in un vecchio pozzo abbandonato. E c’era un contadino che la inseguì: discese appeso a una fune, deciso a riportarla a casa. Sul fondo accese una candela per vedere dove si fosse rifugiata la ribelle, e allora successe il cataclisma: uno scoppio, una fiammata, un odore nauseabondo… Gallina e contadino rimasero nel pozzo anneriti, bruciacchiati e ben decisi a non rimettervi più dentro ne piede ne zampa.
Questo accadeva parecchi anni fa in un podere della Pianura Padana: si trattava delle prime tracce di idrocarburi (petrolio e gas metano) trovati in Italia. Poi il petrolio sembrò scomparire. Fu cercato con ostinazione, anche se con mezzi non troppo potenti, ma sembrava che l’Italia non avesse nessuno di quei giacimenti sotterranei che arricchivano altre nazioni. Alcuni tecnici, però, continuarono a lavorare con accanimetno, animati da un uomo di grande energia, Enrico Mattei. E nel 1946 proprio nel centro della Pianura Padana, una trivellazione giunse a 1600 m di profondità e fece scaturire un getto di gas metano.
Voi forse sapete com’è fatta una trivella. Un altissimo castello di acciaio regge un’asta metallica che affonda nel terreno, girando su se stessa: è una trivella con una punta dotata di denti durissimi, capaci di sgretolare e forare qualunque roccia. Gira e scende, lentamente, sempre più in basso: a mano a mano che penetra nel sottosuolo, si aggiungono all’asta nuovi settori.
Ma i ricercatori non procedono alla cieca. Prima di loro i geologi, cioè coloro che studiano la composizione della terra e delle rocce e la loro disposizione, hanno cercato di capire che cosa ci poteva essere a mille e più metri di profondità: hanno fatto esplodere cartucce di dinamite per ascoltare l’eco dello scoppio, hanno usato strumenti precisi e delicati. Ma quanto è difficile trovare il punto esatto di un autentico giacimento di petrolio o di metano! I tecnici italiani dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) acquistarono fiducia e slancio, dopo il primo successo. Altri possi diedero metano in abbondanza. Poi, nel 1949, la notizia clamorosa: a Cortemaggiore, in Emilia, i pozzi davano anche petrolio, oltre a gas.
Da allora si è fatta molta strada: oltre che nella Pianura Padana, il metano è scaturito in Abruzzo e in Basilicata. Giacimenti di petrolio sono stati scoperti sulle coste e sotto il mare di Gela, in Sicilia. Sono sorte così nuove industrie, con un nome nuovo: “petrolchimiche”. Esse ricavano dagli idrocarburi innumerevoli altri prodotti, dalle materie plastiche d’ogni tipo ai concimi chimici. Oggi i tecnici italiani sono abilissimi e lavorano anche all’estero. Perforano pozzi in molte zone dell’Africa e dell’Asia, nei deserti, nelle savane e sul mare, con la stessa abilità, con la stessa pazienza, con successo e fortuna. (D. Volpi)
Storia del petrolio Il petrolio (dal latino petra ed oleum, cioè “olio di pietra” era già conosciuto migliaia di anni fa. Si sa, infatti, che gli antichi Egizi ricavavano dal petrolio la pece in cui immergevano le bende usate per fasciare le mummie. I Romani adoperavano questo liquido per lubrificare le ruote dei carri. In America, molto tempo prima dell’arrivo degli Europei, gli Indiani raccoglievano il petrolio che galleggiava sulla superficie di alcune acque sorgive; lo usavano per curare malattie e ferite.
Ma bisogna giunger al XIX secolo per trovare uno sfruttamento industriale del petrolio. Verso la metà del XIX secolo lo sviluppo della tecnica fece ricercare nuove fonti di energia. Per centinaia di anni gli uomini avevano svolto la loro attività finchè durava la luce del sole; al calar delle tenebre dovevano interrompere il lavoro perchè i mezzi di illuminazione erano scarsi e poco efficaci: torce, fiaccole, lampade a olio e candele, poi olio di balena.
Si era presentato inoltre un nuovo e urgente problema da risolvere. Nuove macchine si stavano costruendo in tutti i Paesi più progrediti. Fino a quei tempi, quasi tutti i prodotti erano opera del lavoro manuale, oppure si ottenevano con l’aiuto di semplicissime macchine azionate a mano, le cui lente ruote potevano essere ingrassate con un pezzetto di lardo o con poche gocce di olio vegetale. Ma ora le nuove macchine erano più complesse ed esigevano lubrificanti migliori e in grande quantità. Ed ecco che qualcuno in America si accorse che l’olio di Seneca (così veniva chiamato il petrolio dal nome di una tribù di Indiani che ne faceva uso), una volta purificato, bruciava nelle lampade con una luce molto chiara e luminosa. Lo scoprì un certo Sam Kier, venditore ambulante di petrolio per uso medicinale. Egli aveva distillato il petrolio per togliergli il caratteristico odore sgradevole; fu così che ottenne il cherosene, primo prodotto estratto dal petrolio grezzo.
Nello stesso periodo, la parte più pesante del petrolio venne analizzata e si trovò che sostituiva un ottimo lubrificante. Dunque, il petrolio poteva soddisfare le esigenze della nuova industria. La prospettiva di ingenti guadagni spinse i pionieri americani ad accaparrarsi le terre dove si trovavano giacimenti petroliferi. All’inizio tentarono di raccogliere il petrolio schiumandolo dalla superficie delle acque su cui galleggiava. Poi, per merito di Edwin Drake, fu trovato un sistema più pratico e redditizio, quello che, perfezionato e potenziato, viene usato ancor oggi: la trivellazione di un pozzo.
Dopo il successo di Drake (1859) migliaia di persone si dedicarono alla ricerca del petrolio. Anche in Europa, nel frattempo, venivano scoperti e sfruttati dei giacimenti. Si cominciò in Romania, dove il primo “campo petrolifero” venne scoperto nel 1856 con una produzione di duemila barili all’anno; la stessa cifra venne raggiunta dagli Stati Uniti. L’Italia venne terza nel 1860 con la scoperta dei giacimenti dell’Appennino Tosco – Emiliano, raggiungendo alcuni anni dopo la produzione degli altri due Stati. Ma mentre la Romania andò aumentando la sua produzione e l’aumento degli Stati Uniti raggiunse cifre iperboliche, il progesso produttivo del nostro Paese si arrestò ed è ancor oggi modesto.
Il metano E’ chiamato anche “gas delle paludi”: si forma, infatti, dalla putrefazione delle acque stagnanti. E’ un utile minerale gassoso che si estrae dal sottosuolo attraverso pozzi simili a quelli per il petrolio, ma solitamente meno profondi. Viene usato in sostituzione della benzina per i motori a scoppio, nell’industria e per usi domestici.
Per trasportarlo da un luogo all’altro si usano i metanodotti, condutture che portano, appunto, il metano. Per far giungere questo gas anche ai piccoli paesi si usano anche delle bombole speciali che permettono la conservazione e un facile trasporto del prodotto.
Lo zolfo E’ un minerale di colore giallo. L’Italia ne ha ricchi giacimenti in Sicilia, nelle Marche, nella Romagna e in Calabria. Lo si trova a fior di terra (solfatare) e in ricche miniere (solfare). Serve per la fabbricazione dei fiammiferi, della polvere da sparo e dei concimi. Viene pure impiegato per preparare coloranti, medicinali, per la vulcanizzazione della gomma e per combattere alcune malattie della vite.
Carbone rosso Nuvole di vapore, bianco come la neve, si alzano violentemente nel cielo. Lentamente si dissolvono e lasciano cadere sulla terra, quasi senza alberi, deserta, riarsa, una polvere impalpabile fine e bianca. Quegli sbuffi di vapore sono più caldi dell’acqua bollente. Si sprigionano da spaccature del suolo, e tra boati e fischi, si alzano dalla terra molle per condensarsi nell’aria. Le case del paese sono quasi addossate agli stabilimenti, che sorgono nel mezzo di una conca vulcanica, orrida e desolata. Siamo a Larderello, il regno dei “soffioni boraciferi”; nella terra, che anticamente era creduta l’ingresso dell’inferno.
Si respira un’aria acidula, odorante di zolfo e di marcio. I soffioni naturali, che sono i più deboli per getto di vapori, si raccolgono in acque fumanti, nei cosiddetti “lagoni”. Quelli provocati artificialmente, con trivellazioni del suolo, sono coperti con grandi cappe metalliche, in modo che il vapore non vada perduto. Ogni cappa di soffione imprigiona il vapore e lo conduce, per mezzo di robuste tubature di ferro, agli stabilimenti, dove si unisce ad altri tubi, di altri soffioni. Le tubazioni immettono in “lagoni” artificiali, che scaricano l’acqua sopra immense distese di lamiere ondulate.
Altri soffioni, meno importanti, riscaldano, coi loro 200 gradi di calore, le lamiere di essiccazione. Fanno evaporare l’acqua, che lascia nelle scanalature una polvere bianca: l’acido borico. I soffioni più potenti vengono incanalati verso macchine gigantesche, che muovono ruote e motori. Mastodontiche dinamo elettriche, azionate dalla forza del vapore, tra un rumore assordante, producono enormi quantità di energia. Danno la possibilità alle centrali di fornire elettricità alle ferrovie della Toscana ed a molti stabilimenti industriali.
Luce, calore, moto, energia, sono forniti dal “carbon rosso”, cioè dal calore delle manifestazioni vulcaniche. Tutto viene dato gratuitamente dalla natura. Larderello, con i suoi soffioni e i suoi stabilimenti posti nella vasta conca di un grande cratere vulcanico, continua giorno e notte a gettare al cielo le sue alte e violente colonne di fumo bianco. La sua costante potenza supera quella delle più poderose centrali termiche d’Europa. Le alte ciminiere, le gabbie delle sonde, le armature dei suoi pozzi di trivellazione, sono come alberi fantastici, che sorgono fra il fumo dei vapori di quella terra riarsa, ma benefica. Sembra l’ingresso dell’inferno, ma invece è la gloria della volontà umana, che ha saputo imprigionare, a suo profitto, le forze della natura. Il nome Larderello, che viene dato alla zona, deriva dal conte Francesco Lardarel che iniziò lo sfruttamento del “carbon rosso”.
I soffioni, oltre all’energia elettrica, danno acido borico, acido carbonico, azoto, idrogeno e metano, che vengono usati in moltissime industrie. Un solo soffione può avere la portata di oltre centomila chilogrammi di vapore all’ora. Ogni centrale elettrica, azionata dai soffioni, può produrre cinquecento milioni di chilowatt (kW) di energia elettrica all’anno. (D. Romoli)
I metalli
I metalli sono fra i minerali più utili all’uomo. Si trovano nel sottosuolo, quasi sempre mescolati con altri minerali. Gli utensili dell’artigiano, gli attrezzi del contadino, le macchine, gli arnesi, i motori, i tubi e moltissimi altri oggetti sono di metallo. Il fuoco fonde i metalli e l’uomo se ne serve per separarli dai minerali coi quali sono mescolati. Le caratteristiche dei metalli sono la lucentezza e la pesantezza. Alcuni, poi, si dicono malleabili perchè si possono ridurre in lamine sottilissime; altri sono detti duttili perchè si possono ridurre in fili sottilissimi.
Il ferro Ho ottenuto il permesso di visitare una miniera di ferro, perciò mi unisco a un gruppo di minatori che stanno per incominciare il loro turno di lavoro. Entriamo nella miniera. La gabbia di un ascensore ci accoglie: subito sprofondiamo nelle viscere della terra. Dopo pochi istanti l’ascensore si ferma e noi usciamo nel buio.
Gli uomini fissano la lampada sugli elmetti e imboccano una galleria di cui non si scorge il fondo. Io cammino in mezzo a loro. Da lontano mi giungono strani rumori: rimbombi, stridori di macchine, gorgoglii di acque che scorrono invisibili. Finalmente scorgo alcune deboli luci: sono le lampade di altri minatori che devono essere sostituiti dai miei compagni. Mentre quelli si allontanano, questi incominciano a lavorare: afferrano i martelli perforatori e li accostano alla roccia. “Dov’è il ferro?” chiedo al caposquadra.
“Qui, davanti a lei!” “Ma questa è pietra, non è ferro…” L’uomo sorride, afferra un pezzo di roccia che era per terra e me lo mostra: “Il ferro, com’è conosciuto dalla gente, non si trova quasi mai allo stato puro. Esso è nascosto nelle rocce. Questo sasso è appunto un minerale di ferro, cioè una roccia che lo contiene in abbondanza. Per ottenere il ferro, bisogna liberarlo dalla sua prigione di pietra. Ma per far questo dobbiamo portarlo fuori dalla miniera”. Intanto i minatori hanno terminato di forare la roccia che chiude il fondo della galleria. “Perchè fate questi buchi nella montagna?” domando ancora.
“Per preparare le mine”, mi risponde il caposquadra. “In questi fori noi mettiamo l’esplosivo. Quando esso scoppierà, spaccherà il minerale in tanti pezzi”. Mentre egli mi spiega, i minatori introducono nei fori i candelotti di esplosivo, poi li collegano con le micce. Ora dobbiamo allontanarci perchè c’è pericolo. Di corsa ci rifugiamo lontano, in una nicchia della roccia. Dopo qualche minuto si sentono fortissimi scoppi e la galleria si riempie di fumo e di polvere.
Nella ferriera Seguiamo un carico di minerale di ferro. All’uscita dalla miniera i vagoncini scaricano nei carrelli di una teleferica il minerale portato dal basso. Per questa via esso giunge nella ferriera. Qui è frantumato da apposite macchine e preparato per entrare nell’altoforno.
L’altoforno è una grande costruzione a forma di tino, aperto in alto. Dalla sua sommità vengono introdotti i minerali di ferro, il carbon fossile e altre sostanze che favoriscono la fusione. Il forno rimane acceso in continuazione. Il carbone, per il calore interno, si incendia, sviluppando 1500 gradi. A questa temperatura il minerale fonde. Il ferro che vi era contenuto si raccoglie in basso; le altre sostanze galleggiano sopra il ferro fuso.
Allora si apre lo sportello della colata, posto alla base del forno. Il metallo, liquido ed incandescente, esce sotto forma di un ruscelletto sfavillante, corre verso gli stampi, li riempie. Qui diventa solido e lentamente si raffredda.
Il ferro uscito dall’altoforno si chiama ghisa: non è ancora ferro puro perchè contiene tracce di altre sostanze. A sua volta la ghisa viene rifusa in altri forni e purificata. Così si trasforma in acciaio ed in ferro puro. L’acciaio è un composto di ferro e carbone. E’ assai più duro, più resistente, più flessibile del ferro e perciò si presta meglio alla costruzione di macchine e di congegni.
Utilità del ferro Il ferro è di un’utilità che sorpassa quella di ogni altro metallo ed entra nella maggior parte degli oggetti che ci circondano.
Di ferro è probabilmente il telaio della nostra finestra, di ferro è l’asta e la maniglia che servono a chiuderla; di ferro la serratura che dà sicurezza alla nostra stanza; di ferro la chiave che ne muove i congegni; di ferro gli alari del nostro caminetto; di ferro le molle con cui vi accomodiamo sopra i pezzi di legna; di ferro i chiodi su cui abbiamo appeso i quadri; di ferro il fusto del nostro letto; di ferro molti utensili di cucina, di ferro le sbarre di sostegno della casa; di ferro, nelle loro parti più importanti, gli strumenti dell’agricoltura…
Sulla bocca dell’altoforno L’altoforno! Ne avevo visto, da bambino, il lampeggiare corrusco oltre i tetti fumosi di un capannone lungo, massiccio, greve, simile a un mostro antidiluviano, addormentatosi per errore tra le piccole case grige, spaurite, della periferia industriale.
Ed un giorno, ero poco più di un giovinetto, entrai nello stabilimento. Il mio posto era tra lo scarico dei vagoni e una specie di gabinetto d’analisi; ma una mattina non resistetti e sgattaiolai nel capannone dell’altoforno.
Era inverno e, appena entrato, ebbi una sensazione piacevole di tepore; ma subito mi accorsi che l’aria aveva qualcosa di acre, di pesante. La gran fornace era lì, a pochi metri. I carrelli, caricati da manovali pagati a cottimo che lavoravano con una frenesia inumana, entravano, si aprivano nel be mezzo come una mela spaccata, lasciavano cadere il loro carico e se ne tornavano via, richiudendosi mentre dalla gola del forno erompeva una nube giallastra, fetida, che si disperdeva, pigramente, oltre i travicelli bluastri. (M. Comassi)
Il rame E’ un metallo di un bel colore rossiccio, molto abbondante in natura. A contatto con l’umidità perde la sua lucentezza e si riveste di uno strato verdastro, il verderame, sostanza pericolosa quando di forma sui contenitori per alimenti. Il rame si usa soprattutto per la fabbricazione di cavi elettrici e di caldaie. Fuso in lega con lo stagno forma il bronzo; in lega con lo zinco forma l’ottone.
L’alluminio E’ un metallo color bianco argenteo, molto malleabile, di facile lavorazione. Non si trova libero in natura, ma è contenuto nei minerali della bauxite e del caolino. E’ usato per la fabbricazione di fili elettrici, di utensili da cucina, di scatolame. In lega con altri metalli, serve alle industrie automobilistiche ed aeronautiche.
Il piombo E’ tenero, grigio, pesante. E’ adoperato per la fabbricazione di tubazioni, di caratteri tipografici (in lega con l’antimonio), di accumulatori elettrici, di pallini da caccia. Entra in diverse leghe.
Lo zinco E’ azzurrognolo; si usa per rivestire fili, lamiere, reti metalliche, grondaie, secchi e vasche di ferro, onde evitare il formarsi della ruggine.
Il mercurio E’ l’unico metallo liquido. Si estrae da un minerale rossastro, il cinabro, che era conosciuto come sostanza colorane dagli Etruschi e dai Romani. Era molto usato nella costruzione di termometri, ed è utilizzato per pompe ed altri strumenti.
Lo stagno E’ di colore argenteo; è usato per rivestire recipienti di ferro o di rame. La latta dei barattoli è una leggera lamina di ferro stagnato. Unito al piombo dà la lega dei saldatori.
Minerali preziosi
L’argento è usato per coniare medaglie, per posaterie di lusso, per bracciali e collane, per orologi ed anelli, ecc… L’oro si trova in natura in forma di pepite o in granelli mescolati a sabbia. Giallo e lucente è, come l’argento, metallo duttile e malleabile. Come l’argento, esso entra in lega con il rame ed acquista così la durezza necessaria per la sua utilizzazione, che è simile o uguale a quella dell’argento. Non è attaccabile da alcun acido. Il platino, assai raro, è di colore bianco argenteo: è metallo che resiste ad alte temperature e, come l’oro, ma è assai costoso.
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Dettati ortografici e materiale didattico sulle PIANTE
Una strana pianta Stamani la zia Bettina s’è molto inquietata con me per uno scherzo innocente che, in fin dei conti, era stato ideato con l’intenzione di farle piacere. Ho già detto che la zia è molto affezionata a una pianta di dittamo che tiene sulla finestra di camera sua, a pianterreno, e che annaffia tutte le mattine appena si alza. Basta dire che ci discorre perfino insieme e gli dice: “Eccomi, bello mio, ora ti do da bere! Bravo, mio caro, come sei cresciuto!”. E’ una mania, e si sa che tutti i vecchi ne hanno qualcuna. Essendomi dunque alzato prima di lei, stamattina, sono uscito di casa, e guardando la pianta di dittamo m’è venuta l’idea di farla crescere artificialmente per far piacere alla mia Bettina che ci ha tanta passione. Lesto lesto, ho preso il vaso e l’ho vuotato. Poi al fusto della pianta di dittamo ho aggiunto, legandovelo bene bene con un pezzo di spago, un bastoncino dritto, sottile ma resistente, che ho ficcato nel vaso vuoto, facendolo passare attraverso quel foro che è nel fondo di tutti i vasi da fiori, per farci scolare l’acqua quando si annaffiano. Fatto questo, ho riempito il vaso con la terra che vi avevo levata, in modo che la pianta non pareva fosse stata minimamente toccata; e ho rimesso il vaso al suo posto, sul terrazzino della finestra, il cui fondo è di tante assicelle di legno, facendo passare tra l’una e l’altra di esse il bastoncino che veniva giù dal foro del vaso e che io tenevo in mano, aspettando il momento il momento di agire. Dopo neanche cinque minuti, eccoti la zia Bettina che apre la finestra di camera, e incomincia con la sua scena patetica col dittamo: “Oh, mio caro, come stai? Oh, poveretto, guarda un po’: hai una fogliolina rotta.. sarà stato qualche gatto… qualche bestiaccia…” Io me ne stavo lì sotto, fermo, e non ne potevo più dal ridere. “Aspetta, aspetta! seguitò a dire la zia Bettina. “Ora piglio le forbicine e ti levo la fogliolina troncata, se no secca… e ti fa male alla salute, sai, carino!” Ed è andata a prendere le forbicine. Io allora ho spinto un po’ in su il bastoncino. “Eccomi, bello mio!” ha detto la zia Bettina tornando alla finestra. “Eccomi, caro !” Ma ha cambiato a un tratto il tono della voce ed ha esclamato: “Non sai cos’ho da dire?Che tu mi sembri cresciuto!” Io scoppiavo dal ridere, ma mi trattenevo, mentre la zia seguiva a nettare il suo dittamo con le forbicine e a discorrere: “Ma sì, che sei cresciuto.. E sai cos’è che ti fa crescere? E’ l’acqua fresca e limpida che ti do tutte le mattine… Ora, ora.. bello mio, te ne do dell’altra, così crescerai di più…” Ed è andata a pigliar l’acqua. Io intanto ho spinto in su il bastoncino, e questa volta l’ho spinto parecchio in modo che la pianticella doveva parere un alberello addirittura. A questo punto ho sentito un urlo e un tonfo. “Uh, il mio dittamo!” E la zia per la sorpresa e lo spavento di veder crescere la sua pianta a quel modo, proprio a vista d’occhio, s’era lasciata cascar di mano la brocca dell’acqua che era andata in mille pezzi. Poi sentii che borbottava queste parole: “Ma questo è un miracolo! Ferdinando adorato, che forse il tuo spirito è un questa cara pianta che mi regalasti o desti per la mia festa?” Io non capivo precisamente quel che voleva dire, ma sentivo che la sua voce tremava e, per farle più paura che mai ho spinto più in su che potevo il bastoncino. M mentre la zia, vedendo che il dittamo seguitava a crescere, continuava ad urlare: “Ah! Oh! Oh! Uh!, il bastoncino ha trovato un intoppo nella terra del vaso, e siccome io lo spingevo con forza per vincere il contrasto, è successo che il vaso si è rovesciato fuori dalla finestra, ed è caduto rompendosi ai miei piedi. Allora ho alzato gli occhi e ho visto la zia affacciata, con un viso che faceva paura. “Ah! Sei tu!” ha detto con voce stridula. Ed è sparita dalla finestra per riapparire subito sulla porta, armata di un bastone. Io, naturalmente, me la son data a gambe per il podere, e poi sono salito sopra un fico dove ho fatto una gran scorpacciata di fichi verdini, che sredovo di scoppiare. Vamba (da “Il giornalino di Gian Burrasca”)
Dal fiore al frutto
Tra la nube dei fiori del frutteto le api sono incessantemente all’opera; e se osserviamo un fiore schiuso da qualche ora, sullo stimma verde ed umido non sarà difficile scorgere qualche granulo di polline giallo portato lì da un’ape. L’impollinazione è il primo atto della nascita di un frutto. Prendiamo due fiori, il primo lasciamolo libero all’aria, il secondo ingabbiato in un sacchettino di garza in modo che le api non vi si possano posare. Il primo verrà impollinato, il secondo no; poche ore dopo vedremo che i petali del primo fiore stanno cominciando a scolorire; il rosa del fiore di pesco diventa bianco, il bianco del pero diviene grigio. Il secondo fiore si mantiene invece fresco e puro, i suoi colori risplendono per richiamare un insetto che porti il polline così necessario.
Torniamo ora al primo fiore, che è stato impollinato; i suoi petali cadono, il suolo sotto agli alberi è coperto di petali. Il fiore del mele e del pero si riduce così al solo calice, una stellina verde a cinque punte. Nel fiore del pesco anche il calice appassisce; ma entro pochi giorni vedremo che sotto alla spoglia rinsecchita c’è qualche cosa che preme e si gonfia, finchè la spoglia si spacca e cade; è l’ovario, che nel fiore era minutissimo ed ora invece è già trasformato in una minuscola pescolina. Dentro di esso vi sono diverse loggette nelle quali si trovano dei corpicini verdi: i semi.
Nel frutticino del melo, come in quello del pesco, già poche ore dopo l’impollinazione si svolge un’attività straordinaria; se potessimo osservare la respirazione di queste creaturine ci accorgeremmo che respirano il doppio o il triplo di un fiore non impollinato. Lo sviluppo dei semi, che comincia subito dopo l’impollinazione, è la causa di questa notevole attività. Il seme è la parte più importante del frutto. Nel seme vi è un embrione ossia una pianta piccolissima: lo si vede molto bene ad esempio fendendo in due il seme del cachi. Per le piante il seme è la parte più importante del frutto; avviene così che esse nutrano più volentieri un frutto che ha molti semi di uno che ne ha pochi; e che lasciano cadere un frutto che non ne ha nessuno. Si verificano così, poco dopo la fioritura, le “cascole” delle piante da frutto. Cadono prima i fiori che non hanno ricevuto il polline; poi cominciano a cadere i frutticini. Sono le mele e le pere in cui l’embrione è morto perchè ha sofferto la siccità o la brina; oppure i frutti con pochi semi. Non c’è da preoccuparsi in genere per queste cadute di frutti; sull’albero ce ne sono talmente tani che ne restano sempre abbastanza per un buon raccolto.
Ed ecco che i frutti cominciano a prendere colore; il verde diventa giallo, certe parti della buccia cominciano a prendere il color rosso. Le ciliegie, per esempio, sono di un rosso acceso bellissimo; merli e passeri non possono fare a meno di fermarsi ad ammirarle e dar loro una beccatina. Finchè il seme è immaturo, il frutto ha cercato di non farsi notare, è rimasto verde; ma ora che il seme è pronto, il frutto si rende visibile, perchè c’è il caso che il merlo o il passero invece di beccare semplicemente la ciliegia voglia portarsela via per mangiarla con comodo; e in questo caso il seme verrebbe portato lontano.
Una quantità di alberi da frutto e di altre piante vengono diffuse dagli uccelli; il caffè per esempio viene diffuso dalle scimmie e il tasso e il vischio dal merlo. Ci sono parecchi semi che hanno una buccia talmente dura da poter sopportare i succhi gastrici dello stomaco degli animali. L’animale mangia il frutto, lo digerisce e lascia cadere il seme a qualche chilometro di distanza. Confrontiamo ora due tipi di frutto, la nocciola e la ciliegia: il primo è un frutto secco, ossia l’ovario del fiore si è trasformato in un guscio durissimo che protegge il seme. Il secondo è invece un frutto polposo: all’esterno troviamo una buccia elastica; poi un secondo involucro: la polpa del frutto; infine un terzo involucro, il guscio durissimo che protegge il seme. I botanici hanno cercato di classificare i frutti in una serie di tipi diversi, e hanno avuto un bel da fare perchè su cento piante troveremo cento tipi di frutto. Vediamone qualcuno. Il baccello del fagiolo è di nuovo un frutto secco. Però, al contrario della noce, quando è maturo si apre lasciando uscire i semi.
Un altro bel tipo di frutto è la capsula: anch’esso si apre quando è maturo, ma non si divide in sue valve come il baccello. Prendiamo ad esempio la capsula del garofano e dei suoi parenti: finchè i semi sono teneri è un piccolo orciolo verde ben chiuso. Quando i semi maturano si apre alla sommità con una perfetta corona di dentini che si rovesciano all’indietro; sono sei oppure dieci, o talora cinque secondo la pianta. Anche il papavero possiede una capsula altrettanto graziosa: ha un coperchio piatto che a maturità si solleva leggermente scoprendo una serie di fessure. Gli steli nel frattempo si sono essiccati e sono divenuti rigidi; il vento non li fa più ondeggiare dolcemente, ma imprime loro una serie di scosse brusche che fanno volar fuori i semi.
Insomma la varietà di forme dei frutti è veramente straordinaria, come potremmo osservare guardando qualche decina di piante diverse. Un curioso passatempo è quello di sezionare un fiore cercando quale parte diventerà il frutto. Nel pesco e nel pisello, per esempio, togliendo il calice, la corolla e la corona degli stami rimarrà libero l’ovario con lo stimma: e sarà molto facile riconoscere nell’ovario la futura pescolina o il futuro baccello. Nel fico invece sarà piuttosto difficile trovare il fiore perchè è al sicuro e ben protetto.
sull’argmento impollinazone e fecondazione trovi altro materiale didattico qui:
Prendiamo un seme di una mela e togliamogli la buccia scura: nell’interno troveremo due masserelle simili a foglie bianche spesse e dure: i cotiledoni. In alto, tra i cotiledoni, vi è un piccolo essere dall’apparenza insignificante che racchiude in sè tutta la vita della futura pianta: è l’embrione. Questo, quando il seme sarà interrato, prenderà nutrimento dai cotiledoni e diventerà una nuova pianta. Ma i cotiledoni a che cosa servono? A nutrire l’embrione finchè non avrà la forza sufficiente per assorbire dal terreno il nutrimento.
L’astuzia delle piante per la diffusione dei semi
Le piante non si possono muovere dal posto dove si trovano abbarbicate e perciò adoperano i sistemi più ingegnosi per poter diffondere i loro semi. Alcune ricoprono il seme di una polpa dolce e succosa, perchè gli animali e l’uomo stesso se ne impadroniscano e, gettato via il nocciolo, che è duro, permettano, anche senza volere, la nascita di una nuova pianta. Alcune hanno i semi muniti di ganci e uncini, che si aggrappano al pelo degli animali e ai nostri vestiti e vengono trasportati lontano, prima di cadere sulla terra dove genereranno un’altra pianta.
Altre hanno i semi muniti di eliche o di paracadute, graziosi ombrellini di fate. Il vento li stacca dalla piante madre e, su per le vie dell’aria, li conduce con sè fino al luogo dove la terra li accoglierà. Altre piante ancora, che vivono vicino all’acqua, hanno semi come piccole navicelle, che navigano sulla corrente senza che l’acqua li corrompa, finchè approdano e danno vita ad una nuova pianta. Ma le piante più curiose sono quelle che esplodono addirittura i loro semi, come fanno il geranio, la viola, il popone. I semi sono tanto pigiati dentro la loro stanzina che, quando non ne possono più, schizzano fuori come piccoli proiettili, si capisce, senza far fracasso. (A. Lugli)
Importanza dell’albero
Enorme è l’importanza che riveste l’albero nell’economia dei popoli, con la sua triplice funzione: produttrice, difensiva e climatica. Chi può enumerare tutti i prodotti che l’albero ci fornisce sia direttamente che attraverso i mirabili processi chimici e meccanici delle industrie moderne?
Dai frutti, che ci donano, insieme con tutte le fragranze, l’intero complesso degli alimenti indispensabili alla vita (zuccheri, amidi, proteine, grassi, sali, vitamine), al legno che, nelle sue fibre dure e pur cedevoli, tenaci e pur elastiche, assomma le virtù di una materia prima insostituibile per le industrie del legname, per l’ebanista, il liutaio, il carpentiere; dal sughero soffice e impermeabile alle pregiate resine, dalle materie tannanti alle sostanze medicinali, dalla carta alla seta artificiale.
Non meno importante è la funzione difensiva esercitata dall’albero. Guai se i monti non fossero, almeno in parte, coperti dal manto protettore dei boschi, guai se i terreni incoerenti e franosi rimanessero esposti all’azione distruttiva delle acque dilavanti e degli agenti degradatori dell’atmosfera. Si chiamano dilavanti le acque che, durante le piogge torrenziali, scorrono impetuosamente lungo i declivi asportandone la coltre terrosa e mettendo a nudo la roccia. (esperimento sull’erosione del suolo )
Quanti colli, in passato adorni di magnifiche selve, sono oggi completamente isteriliti a causa di un inconsulto diboscamento e mostrano i loro fianchi incisi da solchi profondi separati da lame di roccia striata e corrosa, gli orridi calanchi e, al piede dei declivi, ammassi caotici di sfasciume, selvagge petraie di grigio calcare rupestre, in un quadro di squallore e desolazione. E’ l’albero che protegge gli argini dei torrenti e contiene l’impeto delle acque, è l’albero che trattiene e consolida i terreni franosi nell’intreccio delle sue radici salde come maglie d’acciaio, è l’albero che imbriglia le mobili dune e le trasforma in colline verdeggianti, che redime la mortifera palude, erompe trionfante dalle ardenti sabbie del deserto sol che le sue radici trovino un minimo di umidità vitale.
Ben nota è l’influenza che l’albero esercita sulle condizioni climatiche del territorio circostante. La vegetazione boscosa attenua le radiazioni solari, assorbe calore e lo restituisce lentamente all’atmosfera, rendendo meno aspra l’escursione termica diurna; rompe, con l’ostacolo opposto dal tetto delle sue chiome, la forza del vento, e la sua azione prosciugante trattiene e condensa l’umidità atmosferica, influenzando il regime delle piogge. Infine, il bosco accresce bellezza al paesaggio e gli dà un’impronta di solennità e di magnificenza. (B. D’Alessandro)
Le piante sono amiche generose degli uomini e degli animali. Chi ci darebbe il pane e gli altri cibi, le vesti e il legname per costruire mobili ed altri oggetti utili, se non ci fossero le piante? Inoltre esse ci danno medicinali, cellulosa e gomma tanto necessarie alle nostre industrie. Sono utilissime alla nostra salute. Infatti hanno il mirabile potere di assorbire dall’aria un gas nocivo, l’anidride carbonica, e di donarne un altro prezioso che si chiama ossigeno.
Le loro radici ramificate nel terreno ed i loro tronchi sono come delle barriere che impediscono il formarsi di frane e valanghe. Le loro foglie ci donano l’ombra e la frescura nelle ore afose dell’estate ed i loro fiori ci rallegrano con i loro colori.
La bellezza degli alberi
Gli alberi sono belli in qualunque stagione: quando d’inverno ricoperti di brina o di neve assumono, al nostro sguardo, le forme più strane; quando, in primavera, le tenere foglie li ricoprono; quando, d’estate, offrono comodo ristoro; quando, d’autunno, si vestono dei più vari e vivaci colori.
Per il lavoro di ricerca:
. Quali differenze ci sono tra alberi, arbusti ed erbe? . Quali sono le parti principali di una pianta? . A che cosa serve la radice? E il fusto? . A che cosa servono le foglie? . Quali piante si dicono alimentari e perchè? . Che cosa sono i cereali? . Quali piante da frutto prosperano nelle nostre campagne? . Quali sono le piante industriali? A che cosa servono? . Che cosa sono le conifere? . Dai semi o fiori o frutti o radici di molte piante si ricavano sostanze preziose per la salute dell’uomo: ricerca il nome di alcune di esse. . Che cosa scorre sotto la corteccia delle piante? . Dormono anche le piante? . Senza le piante, potrebbero vivere gli uomini e gli animali? . Che cosa sono gli ortaggi? . Perchè alcune piante si dicono tessili? . Ricerca notizie sulla canapa, il lino e il cotone. . Che cosa sono le piante grasse? . Dove vivono le alghe? . Quali sono i nemici degli alberi?
Alberi, arbusti, erbe
La terra verdeggia di piante: sono alberi, arbusti, erbe. Gli alberi hanno tronco altro e vigoroso e rami estesi, ricchi di foglie. Gli arbusti hanno gambi brevi, legnosi, flessibili, intrecciati fittamente. Le erbe hanno stelo sottile, corto, fragile e crescono folte nei prati.
Le piante offrono alimenti e sostanze utili agli uomini ed agli animali. L’uomo si nutre di frutta e di ortaggi; costruisce mobili di quercia e di noce; molti animali si nutrono di semi e di erbe.
Le parti principali di una pianta
Le parti principali di una pianta sono la radice, il fusto e le foglie. La radice serve a fissare la pianta al terreno. Assorbe da questo l’acqua e le sostanze minerali necessarie alla nutrizione della pianta.
Il fusto sorregge le foglie ed i fiori. Nel suo interno vi sono canali che servono a trasportare, dalle radici alle foglie e da queste agli altri organi, le sostanze necessarie alla nutrizione della pianta. Alcuni fusti (bulbi, rizomi, tuberi) servono alla pianta come magazzini di riserva.
Le foglie sono generalmente verdi. Esse sono i polmoni delle piante: con le foglie la pianta respira. Inoltre, le foglie provvedono a fabbricare una parte del nutrimento necessario alla pianta.
Come sono fatte le piante
Tre sono le parti fondamentali della pianta: le radici, il fusto e le foglie. Le radici affondano nel terreno come le fondamenta di una casa ben costruita. Ad esse, infatti, è affidato il compito, importantissimo, di sostenere la pianta. E come le fondamenta di un edificio racchiudono la cantina nella quale si possono conservare le provviste, anche le radici funzionano da cantina e dispensa per la pianta.
La terza funzione delle radici, forse la più importante di tutte, è quella di assorbire il nutrimento dal terreno. A questo scopo le estremità delle radici sono coperte da sottili peluzzi che si insinuano nel terreno. La parte estrema di essi è protetta da una cuffia che permette alla radice di avanzare nel terreno. Così, attraverso la sottilissima membrana che ricopre la radice, la pianta assorbe dal terreno il nutrimento che le occorre.
Il fusto ha forme diversissime; è fusto il filo d’erba come una quercia gigantesca. Si hanno così fusti che durano un anno e fusti che possono sfidare i secoli. All’esterno il grosso tronco legnoso è ricoperto da una spessa corteccia che ne difende le delicate parte interne. A volte questa corteccia si trasforma in sughero. Lungo il fusto spuntano gemme da cui nasceranno i rami e le foglie. L’interno di un fusto è un meraviglioso impianto di condutture. I canali che lo percorrono sono di due tipi: tubi legnosi che portano verso le foglie l’acqua e le sostanze alimentari assorbite dal terreno e tubi crobosi (tessuto vegetale che forma pareti sottili e ricche di fori, in funzione di crivello, cioè di setaccio) che riportano giù verso le radici ed i suoi depositi sotterranei ciò che le foglie hanno trasformato. Osservando la base tagliata di un tronco, noi vediamo tanti anelli concentrici: sono i tubi o canale crobosi. Le foglie nascono sul tronco e dai rami, che del tronco sono la continuazione. Prima appare una piccola gemma, protetta da squame pelose ed attaccaticce, poi da questa si dispiega la foglia in tutta la sua bellezza. Sole e luce sono la vita delle foglie e la loro funzione è proprio questa: assorbirne il più possibile. La loro forma può essere svariatissima, semplice, composta, ovale, tonda, irregolare, ma sempre esse rappresentano una grande finestra aperta verso il sole.
La foglia è composta di una delicata trama di nervature che sono le parti ultime e sottilissime dei vasi crobosi e legnosi. La parte (o pagina) superiore di una foglia è la grande vetrata attraverso la quale la luce entra a fiotti. Dietro questa delicata pellicola si accalcano le cellule ricche di clorofilla, la sostanza verde capace di trasformare un gas dell’aria in alimento per la pianta.
La pagina inferiore invece, molto meno verse, opaca, ha delle piccolissime aperture, dette stomi, attraverso le quali l’aria passa e circola dentro la foglia. Per vivere, anche le piante, come l’uomo, e gli animali, hanno bisogno di respirare ossigeno, un gas contenuto nell’aria, emettendo poi un altro gas, l’anidride carbonica, come sostanza di rifiuto.
Le foglie
A cosa servono le foglie? Le radici succhiano acqua e sali minerali dal terreno. Il gambo trasporta acqua e sali minerali fino alle foglie. Ma l’acqua e i sali minerali non bastano a fare il cibo per la pianta. Occorre anche aria e sole. Sotto le foglie ci sono tante piccole aperture; attraverso di esse, l’aria entra nelle foglie e si mescola all’acqua e ai sali minerali trasportati dal gambo e sparsi in tutta la foglia attraverso sottili vene. Quando il sole splende sulle foglie, esse fanno il cibo con l’aria, l’acqua ed i sali minerali. Le foglie, dunque, sono molto importanti perchè permettono alla pianta di fabbricarsi il cibo.
Quando le foglie hanno fabbricato il cibo, lo mandano in tutte le parti della pianta attraverso altri sottili canali, simili a quelli che servono a portare l’acqua e i sali minerali dalle radici alle foglie. Questo cibo ha l’aspetto di un liquido e si chiama linfa. La pianta non adopera tutto il cibo che le piante producono. Una parte del cibo prodotto dalle foglie viene immagazzinato come riserva, per quando la pianta sarà senza foglie e non potrà fabbricarne. Il cibo che non viene adoperato può essere immagazzinato in varie parti. Tutte le piante, però, immagazzinano cibo nei loro semi, perchè esso serve per far crescere le nuove piante.
Il sangue delle piante
Gli alberi dell’orto si sono svegliati nel chiaro mattino di aprile. – Che cosa succede? – domanda un giovane pesco a un pero suo vicino. – Sento qualche cosa di strano serpeggiarmi in ogni parte. Come un dolce umore che dalle radici sale fino all’ultimo ramo e mi rende forte e felice. Che sia questo tiepido sole che di ha svegliati? – – Anch’io sento lo stesso umore scorrermi dentro – risponde il pero – ma non è il sole. E’ la linfa, mio caro, è il nostro sangue che dalle radici sale su su, fino alle foglie, e da lì scende di nuovo e si spande in ogni nostra fibra. E’ la linfa: quella che darà alle foglie le sue sostanze preziose, ai fiori il colore ed il profumo, ai frutti la polpa e lo zucchero, al legno e alla scorza quanto è loro necessario per crescere. – – E darà sempre così, ogni anno? – domanda ancora il pesco.
– Sempre. Ogni anno questo miracolo si rinnova. Io sono assai più vecchio di te, vedi, e pure adesso mi sento giovane e forte. E se tu crescerai grosso e robusto e ti coprirai di fiori e darai tanti frutti, lo dovrai sempre a questo sangue nuovo e generoso che a primavera ti sentirai scorrere dentro. – – Pensare che io credevo di essere mezzo morto durante tutto l’inverno! E’ bello svegliarsi con questa nuova vita! – esclama il pesco. – Sì, è bello! – e il vecchio pero distende meglio i suoi rami in un impeto di rinnovata giovinezza.
Le piante respirano, mangiano, bevono, dormono
La pianta respira, la pianta mangia, la pianta beve, la pianta dorme. Essa respira come noi l’aria atmosferica che avviluppa il globo di una sfumatura azzurrina, ma la sua respirazione ha luogo in senso inverso della nostra: essa infatti consuma l’anidride carbonica, elemento mortale per noi.
Essa mangia e beve: i suoi alimenti sono l’acqua, il carbonio, l’ammoniaca, lo zolfo, il fosforo. L’organizzazione meravigliosa delle sue radici e delle sue foglie le permette di prendere, e perfino d’andare a cercare, i suoi principi nutritivi nell’aria e nel suolo, tanto lontano quanto le sue braccia possono estendersi.
Essa dorme: la maggior parte delle piante segue docilmente la natura e dorme dal tramonto al levar del sole; ma altre osano appena di levarsi prima del mezzogiorno e perfino non di svegliano affatto quando il tempo è piovoso. (D. Sant’Ambrogio)
Anche le piante si nutrono Oltre all’azione clorofilliana, di cui abbiamo fatto cenno, la pianta svolge altre attività, intese a crearsi il necessario nutrimento, attraverso le radici (quasi sempre sotterranee, qualche volta acquatiche). Attraverso i peli assorbenti, le radici assimilano dal terreno le sostanze indispensabili alla vita vegetale, disciolte in acqua, cioè in soluzione, come fosforo, potassio, azoto, calcio, magnesio, zolfo, tutti sotto forma di sali. Come il nostro stomaco secerne diversi acidi che trasformano il cibo ingerito in chimo, così le radici emettono acidi che trasformano le sostanze del terreno in modo da poter essere assorbite. Le radici inoltre sono molto più lunghe e più vaste della parte aerea della pianta; se mai abbiamo visto sradicare una pianta, possiamo averne un’idea approssimativa: più alta è una pianta, più profonde ed estese sono le radici, che devono non solo assorbire il nutrimento, ma sostenere anche tutta la pianta.
Alcune strani piante sono, almeno in parte, carnivore, quasi come gli animali; per esempio la dionea, che vive nell’America settentrionale, possiede foglie particolari e, quando un insetto si posa su di esse, immediatamente si chiudono, trattenendo imprigionato l’insetto. Subito dalle foglie esce un liquido che uccide la bestiolina e la rende digeribile per la pianta. Quando il pasto è consumato, le foglie si riaprono e ciò che non è stato digerito viene lasciato cadere.
La radice La pianta vive costruendo il suo corpo con i materiali che ricava dall’aria (anidride carbonica) e dal terreno (acqua e sali minerali sciolti in essa). Una parte della pianta, la radice, scende nel terreno, mentre l’altra si innalza nell’aria. Il vento, con la sua forza, potrebbe buttare a terra le parti aeree della pianta, se questa non fosse ben fissata al terreno. La radice compie questo lavoro. Inoltre la radice, come abbiamo detto, mediante i suoi peli assorbenti, che si inseriscono tra i detriti del terreno ed assorbono come tante pompe aspiranti il liquido nutritivo del terreno stesso, alimenta la pianta. La radice può anche compiere in certe piante, come la carota e la barbabietola, la funzione di magazzino di sostanze nutritive.
Ogni pianta ha una sua particolare radice che si sviluppa in maniera diversa secondo la struttura del terreno. Nel deserto dell’Africa esiste una pianta cespugliosa, l’Alhagi camelorum, che è capace di sviluppare ben 40 metri di radice per raggiungere l’acqua sotterranea. Le radici possono essere a fittone o fascicolate.
Sono a fittone le radici che si sviluppano in continuazione del fusto, come quella della fava, della carota, del pino e del garofano.
radici a fittone
radice napiforme
Sono fascicolate le radici che si sviluppano a ciuffo, come quelle del frumento, del granoturco, della segale.
radice tuberosa fascicolata carnosa
radice affastellata
L’apparato radicale e la zona pilifera Sulla superficie delle radici sono sparsi i peli radicali che facilitano l’assorbimento dell’acqua e dei sali contenuti nel terreno. Al termine la radice è protetta da una cuffia che si rinnova.
L’aria e le piante Non hai mai pensato che la pianta, oltre che della luce, del calore, dell’umidità e dell’acqua ha bisogno, per vivere, anche dell’aria? E’ proprio così: come gli uomini e gli animali tutti, anche la pianta respira. Possiamo fare un piccolo esperimento. Ci occorrono due vasi o campane di vetro. Lasciamo completamente vuoto il primo recipiente.
Nel secondo mettiamo una pianticina e ricopriamo il recipiente con un foglio di carta nera perchè non passi neppure un po’ di luce. Passato un giorno e una notte introduciamo nei recipienti una candelina accesa. Che cosa succede? Succede che la fiamma della candelina rimane accesa nel recipiente vuoto mentre si spegne in quello in cui è stata messa una pianticina.
Questo esperimento ci dimostra che la pianta ha assorbito tutto l’ossigeno contenuto nel recipiente ed ha emesso l’anidride carbonica che ha fatto spegnere la candelina. La respirazione delle piante avviene soprattutto per mezzo delle foglie, che presentano sulla loro superficie tante piccole aperture o stomi, cioè bocche attraverso le quali avviene appunto lo scambio gassoso necessario alla vita delle piante.
Funzione delle foglie Le foglie sono i polmoni della pianta, quindi respirano l’aria che le circonda, trattengono l’anidride carbonica ed emettono ossigeno. Ma come avviene? Ciò che rende verdi le foglie è la clorofilla (pigmento colorante, attivo), che sotto l’influenza della luce ed ad una certa temperatura (10° – 35°) scompone l’anidride carbonica contenuta nell’aria, trattiene il carbonio e libera l’ossigeno (infatto l’anidride carbonica è CO2, cioè composta da carbonio e ossigeno). Cosa ne fa la foglia del carbonio?
Sempre per azione della clorofilla, sotto l’influenza della luce, il carbonio si combina con gli elementi dell’acqua contenuti nella linfa proveniente dalle radici, e dall’unione si questi tre elementi inorganici (carbonio, idrogeno, ossigeno) si forma una sostanza organica vegetale: l’amido, che poi, a sua volta, si trasforma in altre sostanze, che circolano nella pianta, un poco come nel nostro sangue, che viene continuamente rifornito dai cibi digeriti e dall’ossigeno della respirazione.
Se le piante compiono questa meravigliosa funzione di purificare l’aria, diminuendo la quantità di anidride carbonica, nociva per noi, è indispensabile avere molto verde a disposizione, accrescerne il numero, rimboschire le zone prive di alberi, rispettare le piante e averne cura.
Le piante di difendono dal caldo, dal freddo, dalla fame, dalla sete, e dai pericoli. Come? Le radici delle piante affondano nel terreno. Perciò le piante non possono muoversi come gli animali per cercare il cibo e l’acqua. E, quando arriva il freddo, non possono migrare in cerca di luoghi più caldi. La maggior difesa, per una pianta, consiste nel crescere e nel vivere in quei luoghi dove essa può trovare quello che le occorre: terreno che fornisca il nutrimento necessario, acqua a sufficienza, temperatura adatta ai suoi bisogni.
Ma le piante hanno anche tanti nemici! Gli erbivori mangiano l’erba dei prati, le foglie e le cortecce degli alberi; alcune larve di insetti e insetti adulti rodono le radici o divorano foglie e frutti. Come si difendono le piante da questi nemici? In alcuni casi, le piante si difendono con armi che ricordano le unghie e i denti degli animali. Il biancospino e la rosa sono armati, per esempio, di spine; il cardo e il carciofo hanno foglie e fiori pungenti; l’ortica brucia la pelle di chi sfiora le sue foglie.
La maggior difesa di una pianta è però data dall’abbondante produzione di semi. Se una pianta muore, molte altre crescono e prendono il suo posto.
Perchè gli alberi perdono le foglie in inverno?
Quando l’albero ha le foglie circolano per tutto il tronco l’acqua e i sali minerali assorbiti dal terreno. Se questi liquidi circolassero anche d’inverno, il freddo potrebbe farli gelare e, così gelati, essi spaccherebbero internamente la piana, facendola morire. Per questo molti alberi perdono le foglie.
Vi sono però anche alberi che non perdono le foglie: l’alloro, l’ulivo, l’edera. Anche l’abete, il cipresso, il pino non perdono le foglie. Nei paesi freddi, il periodo caldo dura poco. Se l’abete e le piante simili ad esso dovessero aspettare il caldo per mettere le foglie e nutrirsi, avrebbero troppo poco tempo per farlo. Non riuscirebbero ad accumulare cibo a sufficienza per sopravvivere durante la stagione fredda. Per questo continuano a tenere le foglie, e a nutrirsi anche quando fa freddo. Ma come mai la linfa che circola nel tronco di questi alberi non gela? Quando fa molto freddo, possiamo vedere appeso ai distributori di benzina un cartello che dice: “Mettete nell’acqua della vostra automobile l’antigelo”. Vi sono cioè delle sostanze che, messe nell’acqua, impediscono a questa di gelare.
Avete mai provato a prendere in mano un pezzo di corteccia di abete, o di pino, o di cipresso? E’ appiccicosa, perchè contiene una sostanza che si chiama resina. La resina è l’antigelo delle piante che vivono dove fa freddo e continuano a tenere le foglie. Insieme con la linfa, circola nella pianta anche la resina, che impedisce alla linfa di gelare. Così l’abete, il pino, il cipresso possono continuare a tenere le foglie d’inverno.
La disseminazione
La natura ha provveduto perchè le piante giovani vadano a svilupparsi lontano dalla madre. L’abete e il pino hanno semi alati. Il tiglio ha addirittura il frutto alato. I semi del cotone sono avvolti in una peluria vaporosa.
La pianta chiamata dente di leone ha il frutto secco con tanti pelini raggiati che formano come un paracadute. Il vento stacca dalla pianta madre questi semi e questi frutti e li sparge lontano. Nelle leguminose, quando i semi sono maturi, il baccello esplode e lancia lontano i semi che contiene. Altri frutti sono pesanti e il vento non li potrebbe trasportare. E allora?
Anche questo caso è stato risolto. Il profumo, il colore, il sapore dolce dei frutti invita gli animali a mangiarli. La polpa dei frutti è facilmente digeribile, ma i semi che vi stanno dentro, coperti da una buccia durissima, no. Essi vengono espulsi dall’intestino dell’animale e lasciati a terra. Lì essi germogliano. (O. Valle)
Il fusto Il fusto o caule è quella parte della pianta che si sviluppa dal fusticino dell’embrione, in una direzione che di solito è opposta a quella della radice; serve a portare le foglie e a condurre la linfa. Per lo più ha forma cilindrica, diventando conico più in alto, verso l’apice; vi sono però anche fusti poliedrici (salvia, menta), appiattiti o sferici (come in certe piante grasse), ecc…
Varia è la consistenza: quelli deboli, pieghevoli son detti erbacei; quelli lignificati, tronchi; al fusto del grano e delle altre graminacee, vuoto nell’interno e ingrossato ai nodi, dove si inseriscono le foglie, si dà il nome di culmo. Varia è anche la lunghezza dei fusti, da quelli così brevi che si direbbero mancanti a quelli giganteschi, alti più di 100 metri, come varia è la grossezza: ve ne sono di sottilissimi e di colossali, il cui diametro raggiunge, e può anche superare, una dozzina di metri.
Il fusto che si innalza e sta dritto per virtù propria, reggendo rami e foglie, si dice eretto; quello che invece striscia sul suolo si chiama prostrato. Altri ancora per innalzarsi hanno bisogno di aiuto, e cioè o si avvolgono a spirale intorno a sostegni rigidi (fagiolo, vilucchio, luppolo) e sono detti fusti volubili, oppure diventano rampicanti, aggappandosi ai sostegni per mezzo di radici avventizie (edera) o di organi di attacco detti cirri o viticci (vite, zucca, pisello, ecc…).
E’ la necessità che hanno le foglie di essere esposte alla luce a determinare il portamento, la ramificazione del fusto ed anche il suo allungamento; così, dove sono molto fitte, le piante hanno il fusto più alto.
Gemme
L’apice vegetativo del tronco, delicato come quello della radice, è coperto, invece che dalla cuffia, da tante foglioline: all’insieme dell’apice e delle foglie che lo proteggono si dà il nome di gemma. Oltre alla gemma apicale, di solito il gusto ne porta altre laterali, che danno origine ai rami; i rami, a loro volta portano gemme terminali e laterali, dalla quali si hanno ulteriori ramificazioni, oppure foglie e fiori.
Le piante, la luce e il calore
Una delle scorse estati trovai, in una vallata alpina, una galeopsis alta circa mezzo metro. Ne raccolsi i semi e li affidai al terreno nel giardino botanico alpino Chanousia del Piccolo San Bernardo, a 2000 metri sul mare. Ebbene, l’anno dopo, ebb delle piante minuscole, alte appena due o tre centimetri. Un’altra volta, sempre nello stesso giardino, coltivai una pianta di stella alpina (edelweiss). La pianta prosperò e mise i suoi candidi e caratteristici fiori, che fotografai. A ottobre porti con me, in vaso, la pianta a Tivoli, presso Roma, e la collocai sul muro di una terrazza. Verso la fine di novembre, la pianta perdette le foglie, in aprile cominciò a rimetterle e in maggio fiorì. Con grande meraviglia di tutti però, foglie e fiori non erano più bianchi, come avrebbero dovuto, bensì verdastri, quasi come quelli di una qualunque erba. Che cosa era accaduto? La pianta si era accorta che a Tivoli le notti non erano così rigide come in alta montagna, nè i raggi del sole così ardenti e luminosi e… aveva trovato inutile l’acquisto del suo bianco mantello di lana che l’avrebbe, a un tempo, riparata dal freddo e dall’energetica insolazione. Perciò aveva abbandonato i peli che la ricoprivano e la rendevano bianca… lasciando vedere tutto il colore verde delle sue foglie. A luglio riportai la pianta in montagna; essa soffrì, per il brusco cambiamento. Avvizzì, perdette le foglie, ma non morì. Ne rimise delle nuove… che, erano bianche per fitta peluria. La stella alpina aveva rimesso il mantello. Ecco dunque provato che le piante sentono lo stimolo del calore. Ma esse avvertono anche la luce. Osservate il girasole. Non volge sempre la sua grande inflorescenza verso l’astro luminoso? E, se si piega da quella parte, non sente, forse? Osservate quelle graziose campanelline che si chiamano convolvoli. Sono aperte e bellissime sul far della sera e per tutta la notte, fino alla mattina; ma, non appena sorge il sole, una dopo l’altra si chiudono, come se temessero la luce troppo intensa. Altri fiori, al contrario (la margherita, ad esempio) temono le tenebre e chiudono e abbassano i petali non appena il sole tramonta. Non indica questo che le piante avvertono la mancanza e la presenza di luce? Osservate un campo di trifoglio. Di giorno le tre foglioline, di cui è formata ogni foglia, sono aperte a ventaglio, ma di notte sono abbassae le une contro le altre. Così fa l’ippocastano, il ben noto albero dei nostri viali. (L. Vaccani)
Curiosità sulle piante
Una scoperta recente ha svelato il segreto delle piante. Una sostanza chiamata auxina presiede alla crescita delle varie parti della pianta (radici, foglie, rami, fiori, ecc…). L’uomo è riuscito a estrarre da diverse fonti vegetali questa straordinaria sostanza e ha provato le prime applicazioni pratiche. Trattando dei fiori di pomodoro recisi con auxina estratta da frutti, ad esempio, si sono ottenuti, in vitro, dei pomodori grandi e senza semi, ma di buon sapore.
In ogni pianta vi sono gemme dette dormienti perchè possono rimanere prigioniere della corteccia anche più di cento anni senza sbocciare. Si apriranno, invece, quando, essendo stati distrutti gli altri germogli dall’uomo o dalle intemperie, la pianta si trovi in condizioni particolarmente difficili, che minacciano la sua vita.
Un seme può mantenersi vivo per anni, anche per secoli. Alcuni semi di pianta sensitiva sono infatti germogliati dopo sessant’anni. Semi di fagiolo dopo cento anni e altri di segale dopo centocinquanta anni. In mancanza di umidità, però, nessun seme è in grado di germogliare.
Alcuni alberi possono giungere a età molto avanzata. Per esempio, il cipresso e il tasso possono vivere tremila anni, il castagno duemila, il pino settecento. Le maggiori altezze raggiunte dagli alberi dei nostri boschi sono: abete bianco 75 m; larice, cipresso e pino 50 m. In America, certe conifere come la sequoia gigante, superano i 120 m di altezza, i 15 m di diametro alla base e talvolta raggiungono i cinquemila anni di età.
Una palma che cresce in Brasile ha foglie enormi: circa 20 m di lunghezza e 10 m di larghezza. Altra foglia gigante è quella della Victoria Regia che galleggia sulle acque degli stagni e dei fiumi dell’America tropicale. Ha la forma di una coppa di due metri di diametro.
I fuoriclasse della botanica
Ecco alcuni semi, fiori, frutti, piante ed alberi che sono veri e propri “campioni mondiali” di qualche specialità che indicheremo: il seme più grosso: cocco il fiore più grande: bolo il frutto più voluminoso: turien l’albero più alto: sequoia l’albero più grosso: baobab il legno più leggero: balsa il legno più pregiato: ebano la pianta più delicata: sensitiva la pianta più ricca di olio: sesamo la pianta che piange di più: vite l’albero europeo più longevo: tiglio.
Le piante alimentari
Sono piante alimentari quelle che danno all’uomo foglie, frutti e semi utili al suo nutrimento. Alimentare vuol dire nutrire. L’uomo coltiva queste piante con molta cura e cerca di migliorarne la qualità e la quantità. Esse popolano i campi, i frutteti, gli orti; fanno bella mostra di sè sui banchi del mercato e nelle vetrine dei negozi.
Il grano
In tutte le campagne d’Italia, in giugno, è facile osservare un campo di grano, che ci appare come un mare di spighe bionde. Gli steli, che prendono il nome di culmi, si piegano ed ondeggiano quando il vento soffia furiosamente. Essi resistono bene alle raffiche violente; cessato il vento, si rialzano come se nulla fosse accaduto. Anche se abbattuti al suolo, riescono a raddrizzarsi. Perchè i culmi sono tanto resistenti?
Il culmo resiste meglio alle flessioni perchè è cavo. L’uomo, forse prendendo esempio dalle piante, ha imparato a usare i tubi per le sue costruzioni. Il culmo è diviso in tanti pezzetti, o segmenti, perchè un tubo corto resiste alle flessioni meglio di uno lungo. Dai nodi dello stelo partono le foglie che lo avvolgono per un tratto. In alto, lo stelo termina con la spiga, composta di numerose spighette, difese da piccole lance, le reste. Ogni spiga porta dai trenta ai quaranta chicchi di grano. Da noi, in Italia, il grano viene seminato in autunno. L’umidità della terra fa gonfiare il seme, in cui si può vedere una puntina, detta germe o embrione della nuova pianta. Prima di tutto l’embrione forma una radichetta che si affonda nel terreno. Poi si forma una fogliolina che ben presto spunta dal suolo.
In seguito si formano molte altre foglie e poi la spiga, che contiene i semi nutrienti che il sole fa maturare e imbiondire. L’agricoltore coltiva il grano per la preparazione del pane e della pasta. Quando il sole di giugno ha maturato e indorato la spiga, il contadino miete il grano. Le spighe vengono trebbiate in una macchina che separa la paglia e la pula dai chicchi, che cadono nei sacchi.
Il grano è portato al mulino ed i chicchi vengono ridotti in farina. La farina, mescolata con lievito, acqua e sale, viene impastata; la pasta è modellata in pagnotte che sono poste a cuocere nel forno. Altra farina è utilizzata dai pastifici e trasformata in pasta alimentare.
E’ alto più di due metri, ha un gambo robusto e grosse foglie ruvide. In cima porta un ciuffo di fiori e, dove le foglie si attaccano al gambo, si forma una pannocchia protetta da un cartoccio di foglie spesse. La pannocchia è formata da un torsolo, il tutolo, sul quale sono fissati centinaia di grani rotondi, di colore giallo rossiccio. Quando la pannocchia è bionda viene raccolta, scartocciata e lasciata al sole perchè i grani finiscano di maturare. Poi è sgranata e i chicchi vengono macinati o usati interi per alimentare il pollame e il bestiame. Con la farina di granoturco si cuociono polente squisite.
Ma a quante altre cose serve il granoturco! Da esso derivano più di duecento prodotti. Si usa nella manifattura della carta, del sapone, dei bottoni, della colla, della tela cerata, delle vernici. Non basta: la radio, i telefoni, le gomme per automobili, l’industria dei gelati e dei fuochi d’artificio sono tutte tributarie del granoturco.
L’orzo e la segale
Appartengono alla stessa famiglia del grano. L’orzo ha uno stelo più breve di quello del grano e cresce in luoghi freddi. Il suo seme è usato come alimento per gli uomini e gli animali e per fabbricare la birra. La segale ha uno stelo molto più lungo e pieghevole di quello del grano e una spiga più magra, più allungata. E’ coltivata nei paesi di alta montagna. Con la sua farina si impasta il pane scuro.
Il riso
E’ un cereale che cresce sotto l’acqua, nelle risaie, che sono terreni allagati. La pianta rimane nell’acqua fino a che lo stelo è alto circa un metro e porta la spiga matura. Essa è un ciuffo che contiene un gran numero di chicchi. In Italia il riso è coltivato nella Pianura Padana.
Le piante da frutto
Quante piante da frutto prosperano nelle nostre campagne! A primavera, ecco le ciliegie, che ci giungono con le fragole di cui sono ricchi, oltre che i giardini, i boschi dei nostri monti. A giugno maturano le albicocche dorate, a cui tengono dietro le pesche morbide e vellutate. Contemporaneamente matura il ribes rosso, acidulo, apprezzato per le conserve. Le susine sono gustose e sane: la loro pianta non richiede troppe cure e cresce facilmente. I bei poponi gustosi ed i grossi cocomeri ci dissetano nel cuor dell’estate.
Poi arrivano i fichi, saporiti e dolcissimi, ci avvertono che l’autunno è vicino con le sue mele e le sue pere. L’autunno è anche la stagione dell’uva e delle noci, mentre, sui monti, si raccolgono le castagne. Lungo le sponde dei nostri mari crescono gli aranci: i loro frutti spiccano fra il verde cupo del fogliame. Ad essi si accompagnano i gialli limoni, i grossi cedri ed i mandarini profumati.
Il melo ha foglie tondeggianti, seghettate ai margini. I fiori, bianchi all’interno e rosati all’esterno, hanno cinque petali e sono riuniti in mazzetti. I frutti hanno la polpa dolce e profumata e contengono semi molto piccoli.
Il ciliegio
Ha foglie ovali, seghettate ai margini. I bianchi fiori, riuniti in mazzetti, hanno un lungo picciolo. Il frutto contiene un nocciolo che racchiude il seme. Anche il pesco e il susino hanno i semi racchiusi in un duro nocciolo.
Il fico
E’ un albero non molto alto, con rami contorti. Le foglie sono ampie e ruvide. I fiori sono racchiusi in quella specie di piccola pera che noi chiamiamo frutto e mangiamo quando è matura. I veri frutti sono i granellini contenuti nel suo interno.
L’olivo
mosca olearia
E’ un albero che ama il sole e l’azzurro. Non importa che la terra in cui affonda le radici sia arida e pietrosa. L’olivo è un albero che sa cercare con le profonde radici anche la minima goccia d’acqua. Il suo tronco è contorto e nodoso; gli anni della sua vita non si contano. Quanti anni vive un olivo? Esso vive centinaia di anni. E’ antico come i templi della Grecia, è vecchio come certi castelli in rovina. Molte volte il tronco dell’ulivo è scavato, sembra lì lì per morire. Ed ogni anno, invece, al soffio della primavera, appaiono i suoi fiori a grappolo che a poco a poco si trasformano in drupe, i suoi frutti gonfi di olio. Il tempo del raccolto dura tutto l’inverno. Le donne e gli uomini, con sacchi e ceste, si avviano verso gli oliveti.
Gli alberi aspettano gli uomini per cedere i loro preziosi frutti. Si adoperano pertiche, si battono con riguardo i rami. Sotto gli olivi sono distesi grandi lenzuoli per raccogliere i frutti che cadono e per metterci quelli che si sono staccati da soli dai rami. Le olive mature, di un bel violetto – nero, vengono poi portate all’oleificio, e da esse si estrae l’olio con macchine speciali: frantoi, torchi e filtri.
Le olive verdi vengono mangiate subito o messe in salamoia. L’uomo fin dall’antichità ha ricavato un olio alimentare, oltre che dalle olive, dalle noci, dalle arachidi, dalle mandorle.
Gli ortaggi sono le piante alimentari che di coltivano nell’orto. L’orto è un terreno che si estende, di solito, vicino alla casa dell’uomo e può essere facilmente irrigato. La famiglia degli ortaggi è molto numerosa; essi germogliano in ogni stagione, anche sotto la neve, e gli ortolani li inviano a ceste e a sacchi su tutti i mercati.
Tra essi ha particolare valore la pianta della patata, di cui consumiamo il tubero, ricco di una materia farinosa e nutriente detta fecola. Così consumiamo il bulbo dell’aglio e della cipolla, la radice della carota e della barbabietola.
Altro ortaggio di notevole valore per la nostra mensa è il pomodoro, il cui frutto rosso e saporito viene consumato fresco o conservato sotto forma di salsa. L’orto di dà anche i legumi che costituiscono un alimento gustoso e nutriente.
La carota
Le foglie della carota sono frastagliatissime e i fiori sono riuniti a formare una specie di ombrello. La radice ingrossata è per la pianta una specie di magazzino di sostanze nutritive. Proprio perchè contiene queste sostanze, noi mangiamo la radice. Anche la barbabietola e la rapa hanno radici ingrossate che noi utilizziamo come cibo.
Il cavolo
Il cavolo ha foglie larghe e carnose, che costituiscono un ottimo alimento per l’uomo. Ha un fusto breve e una grossa radice. Nell’orto crescono altre piante di cui noi utilizziamo le foglie: spinaci, insalata, prezzemolo , salvia. Le foglie della salvia non ingialliscono e non cadono in autunno: la salvia è perciò una pianta sempreverde.
La patata
Ha fiorellini bianco – violacei raccolti in mazzetti. Il fusto ha rami sotterranei ingrossati e carnosi, chiamati tuberi, ricchi di sostanze nutritive. Noi mangiamo i tuberi. Ogni tubero porta delle gemme, dalle quali può nascere una nuova pianta.
Anche la cipolla ha un fusto sotterraneo ricco di sostanze nutritive, il bulbo. Esso è la parte che mangiamo. Forse sarà una sorpresa per molti ragazzi sapere che parenti della patata sono il pomodoro, la melanzana, il peperone e perfino il tabacco.
pomodoro peperone e tabacco
Qualcuno potrà dire: “Ma la patata ha i frutti sottoterra, mentre i suoi parenti li hanno sui rami”. Non è vero: anche la patata ha i suoi frutti sui rami: sono delle piccole bacche verdi che all’uomo non servono, anzi sono velenose.
Il fagiolo
Nell’orto, anche se piccolo, possiamo trovare un gran numero di piante utili all’uomo. Tra queste, una delle più diffuse è il fagiolo. Il seme del fagiolo è formato, oltre che dall’embrione, da due parti dette cotiledoni, dapprima unite, che si dividono appena la germinazione è incominciata. Il fagiolo rampicante ha bisogno di un sostegno; lo cerca e vi si attorciglia.
Le larghe foglie del fagiolo, assetate di luce, si dispongono in modo da ricevere i raggi solari. Nel luogo in cui stavano i fiori, si formano i frutti: i baccelli, entro i quali stanno i semi. Il fagiolo ha diversi parenti, che fanno parte della famiglia delle leguminose: il pisello, che può essere consumato fresco, ma si conserva facilmente essiccato o anche cotto e inscatolato; la fava, che viene per lo più consumata fresca. Oltre a questi, sono parenti del fagiolo la lenticchia, la soia, il lupino, il glicine, l’arachide e diecimila altre piante.
Il pepe
Il pepe, la forte spezia che viene dall’Indocina e dal Siam, è fornito da alti alberi, di cui vi sono esemplari bellissimi in Sicilia. I frutti del pepe, distaccati ancora immaturi e disseccati, danno il pepe nero, mentre i frutti maturi, essiccati con parte della polpa, formano il pepe bianco, che è molto più forte.
Il caffè
E’ una pianta che è assai importante per l’economia del mondo. La sua patria originaria è stata l’Abissinia. Gli Arabi diffusero l’uso della bevanda di caffè: essi non potendo bere vino, perchè vietato dal Corano, ricorsero al caffè, che è il vino dell’Islam.
In Europa il suo uso divenne di moda alla fine del secolo XVII: a Venezia lo si beveva amaro, perchè si riteneva che l’amaro servisse a mantenere in giovinezza chi lo beveva. Ormai il caffè è bevuto da per tutto: costituisce una bevanda stimolante, che vince la stanchezza ed acuisce la mente.
Le piante tessili
C’è un gruppo di piante che forniscono, nello stelo o nelle foglie, fibre adatte ad essere intrecciate e tessute: sono le piante tessili. Le loro fibre hanno lunghezza diversa e vario spessore, resistenza e flessibilità. Dalle fibre si estraggono i fili per la tessitura che, oggi, è fatta con telai meccanici molto perfezionati. Sono piante tessili la canapa, il cotone, il lino e la iuta.
La canapa
canapa
La canapa ha uno stelo alto fino a due metri, ha foglie larghe come il palmo della mano e ciuffi di foglioline aguzze e ruvide. Il contadino coltiva la canapa con molta cura, lavora profondamente il terreno e lo concima in abbondanza. La semina avviene in febbraio o marzo, e la raccolta in luglio e agosto. Dopo il taglio, i fusti si lasciano essiccare per due o tre giorni. Poi vengono messi in vasche piene d’acqua (maceri): successivamente si sfilacciano e le fibre ottenute sono inviate nelle grandi fabbriche per la lavorazione industriale. Queste fibre servono a fare tele, corde e spago. In Itali asi coltiva la canapa nell’Emilia, nel Piemonte, nel Veneto e in Campania.
Il cotone
cotone
Molti dei nostri indumenti sono di cotone. Che cos’è il cotone? E’ una bella pianta che cresce nelle pianure di zone molto calde. Nella valle del Nilo, in Egitto, nel sud degli Stati Uniti d’America e in India è molto abbondante. In piccole quantità viene coltivato anche in Italia, in Sicilia. La pianta del cotone è piuttosto alta; può raggiungere anche i due metri. Quando i suoi frutti sono giunti a maturazione, si aprono e mostrano i semi ricoperti di un candido fiocco. Al momento della raccolta, i fiocchi vengono messi in sacchi ed inviati ai cotonifici. In queste fabbriche il cotone viene lavorato; da esso si ottengono fili lunghissimi, che apposite macchine avvolgono in grosse matasse. In seguito, altre macchine tesseranno il filo col quale si otterranno tessuti di ogni genere.
Il lino
lino
E’ una pianta alta una sessantina di centimetri. Nel periodo della fioritura, la pianta del lino si copre di piccoli fiori di color azzurro pallido e il campo assomiglia a una distesa d’acqua. Dal fusto del lino si ricavano le fibre che, filate, torte e intrecciate, sono usate per tessere tele assai fini, trine, merletti. Il seme del lino è fortemente oleoso.
Le piante industriali
Molti alberi popolano i boschi della collina e della montagna o fiancheggiano le sponde dei fiumi; essi offrono il loro tronco al lavoro dell’uomo e al riscaldamento della sua casa. Questi alberi producono legno per mobili, legname da costruzione, legna da ardere, pasta di legno per la produzione della carta. Il noce e il faggio offrono legno pregiato per mobili; il rovere ha legno adatto per i pavimenti; il pioppo produce legno per la preparazione di compensati e di cellulosa; l’acacia, l’olmo, il gelso danno legna da ardere.
Le conifere
Appartengono a questa classe gli alberi che producono frutti duri, a forma di cono: le pigne. Sono il pino, il larice, l’abete. Essi crescono sulla montagna; una specie di pino, il marittimo, ha la chioma a forma di ombrello e vive lungo le coste italiane. Questi alberi hanno foglie trasformate in sottili aghi verdi; dai loro tronchi cola una sostanza profumata: la resina. Con il tronco dell’abete e del larice si preparano travature e serramenti.
La quercia
La quercia è un albero rude e forte che si innalza lento, vestito di una scorza ruvida, ma che custodisce un legno che dura eterno e resiste alle insidie del tempo. La quercia è nel fiore della sua bellezza quando ha, almeno, un secolo di vita; ed è bellissima quando è tre, quattro volte centenaria.
Piante che guariscono
Non si può avere un’idea di quante sono le piante dai cui semi o fiori o frutti o radici si ricavano sostanze medicinali preziose per la salute dell’uomo; anche da quelle che sono velenose, purchè se ne usi il succo con molta discrezione. Per esempio c’è una pianta chiamata belladonna le cui bacche sono velenosissime; ma da esse si ricava un liquido che, preso in poche gocce, aiuta la cura di molte malattie; non solo, ma serve anche a dilatare la pupilla degli occhi, se vi si lasciano cader due o tre gocce, in modo che l’oculista possa meglio osservare chi ricorre a lui perchè ha la vista debole.
Dalla corteccia dell’albero di china si ricava un’altra sostanza preziosa che si usa soprattutto per confezionare il chinino, che abbassa la febbre ed un tempo era indispensabile per la cura della malaria. In India cresce una pianta alta fino a sette metri, che da noi non raggiunge i due metri di altezza, il ricino. La modesta camomilla, che cresce come una margherita nei nostri orti dà, bollita, un infuso che aiuta la digestione e il sonno; e così si preparano infusi con le foglie di mente, di timo, di malva. Taluni gradevoli, taluni no, ma tutti balsamici. E, d’inverno, quante volte la mamma ha preparato quella specie di polentina fatta con i semi di lino, racchiusa in una pezzuola e posta calda calda sul petto per sgombrarlo da qualche brutto catarro? E il catarro, le bronchiti e tanti altri mali delle vie respiratorie si curano con le gocce di eucalipto; l’eucalipto è una grande pianta che cresce in India e nei paesi che le sono vicini.
Dalla radice di una pianta detta liquirizia si ricava un altro succo tanto utile; non serve solo a fare dolci, ma anche a preparare pastiglie per il mal di gola perchè ha la proprietà di ammorbidire le vie respiratorie. Oggi molte medicine sono preparate esclusivamente con prodotti chimici, fabbricati nei laboratori, ma una volta quante malattie si curavano solo ricorrendo alle erbe, alle foglie, alle piante; decotti, infusi, distillati erano comuni in tutte le case. Tutte queste piante così benefiche per l’uomo hanno un nome: piante officinali.
Le piante grasse
Sono piante originarie di zone dove le piogge sono rare. Hanno il fusto verde, capace di conservare l’acqua assorbita dalle radici durante le piogge, per utilizzarla nei periodi di siccità. Anche le loro foglie si sono trasformate in spine per non disperdere l’acqua.
Le alghe
Anche sott’acqua vivono alcune pianticelle: le alghe, che formano sul fondo marino meravigliose praterie, macchie, radure e foreste. Tra queste strane piante vivono moltissimi pesci e animaletti che si nutrono di esse, vi si nascondono e vi depositano le uova. Alcune alghe sono sottili come capelli, altre larghe e ondulate come nastri, altre disposte a ventaglio e a ciuffo. Ci sono alghe rosse, verdi, brune. Ci sono alghe piccolissime che l’occhio umano non distingue e che vivono sospese nelle acque. Ce ne accorgiamo soltanto quando si trovano in grande quantità, perchè fanno apparire torbide le acque.
Le piante della strada
Un mondo meraviglioso, sconosciuto a moltissimi, ci offre persino la strada della città dove attorno allo zoccolo di un lampione, nello spigolo del marciapiede spunta un filo verde, un ciuffo di fiorellini: le erbacce, le più umili tra le creature che vivono sulla terra. Ma lo stesso filo d’erba, per quanto piccolo possa essere, è una di quelle meraviglie che l’uomo non è riuscito ancora a decifrare completamente. Anche le altre erbe della strada hanno una loro storia, le loro caratteristiche.
La lattuga selvatica è addirittura un indicatore geografico. Le sue foglie, esposte al sole, sono costantemente orientate in direzione Nord – Sud. In questo modo i loro lembi ricevono solo di striscio i raggi cocenti del mezzogiorno. La poa è l’erbetta che annuncia per prima, col suo tenue verde, l’arrivo della primavera. Questa pianta occhieggia al sole di ogni strada, a qualsiasi altitudine, resistendo al calpestamento continuo. La più audace è senz’altro la petacciola che sfida, con le foglie tenaci, persino le ruote dei carri spingendosi fino al centro della carreggiata.
Altre erbe, come la malva e la stessa ortica, sono ben note come erbe medicinali. Il fieno stellino munisce i semi di gancetti che si attaccano a tutto ciò che li avvicina; il dente di leone ha invece armato i suoi semi di un paracadute per farli volare lontano. La sanguinella, dalle foglie sottili, si difende dal calpestio dei passanti, stando aderente al suolo.
Le piante carnivore, o insettivore, costituiscono una delle parti più interessanti e più strane dell’immensa flora terrestre. Si tratta, come il nome stesso indica, di piante che si nutrono di piccoli animali, per lo più insetti o minuscoli crostacei, dai quali utilizzano le sostanze loro necessarie, ad esempio l’azoto, che non possono trovare nell’ambiente in cui vivono. Infatti crescono generalmente in luoghi umidi, acquitrinosi o sono piante acquatiche: solo alcune abitano terreni sabbiosi o rocciosi.
Dato il singolare modo di nutrizione, esse sono fornite di speciali dispositivi per imprigionare la preda e producono sostanze dette enzimi che permettono la digestione e quindi l’assimilazione dell’animale catturato. Gli apparati per la cattura non sono altro che foglie trasformate in organi cavi (ascidi) di vario aspetto, simili ad urne o a vescicole, così da essere perfettamente adatte alla nuova funzione. La parte più interessante dunque di questi vegetali sono le foglie, dall’apparenza innocua, che si tendono simili a tentacoli, per catturare l’incauto insetto. Queste piante carnivore prosperano nei nostri paesi come in quelli tropicali, e ve ne sono di moltissime specie, circa cinquecento; ma qui parleremo delle più interessanti.
Bellissima è la Nepente, pianta rampicante delle foreste indonesiane; la parte terminale delle sue foglie costituisce un ascidio a forma di urna ricoperta di piccoli peli, munita di coperchietto e colorata vivacemente. La natura, così saggia e giusta nel disporre l’ordine delle cose, ha donato a queste foglie, nell’orlo dell’ulna, sostanze zuccherine che attirano gli insetti verso quell’irresistibile dolcissimo cibo. Essi si posano, ignari della fine crudele che li attende, e succhiano avidi lo zucchero, ma la foglia muove i peli come minuscoli tentacoli e l’insetto vi resta inesorabilmente impigliato, scivola nel fondo dell’ulna, dove il liquido secreto della pianta stessa prepara il processo di digestione.
L’Erba vescica, invece, che è una pianta acquatica priva di radici, ha foglie trasformate in piccole vesciche, vere e proprie trappole per gli incauti animaletti che vi penetrano.
E stranamente belle, ma piene di insidie, sono le foglie della Drosera, le cui tre specie Drosera rotundifolia, intermedia e longifolia sono molto diffuse anche da noi, specialmente nelle torbiere di montagna. Le foglie,rotonde od allungate, di un bel verde, sono ricoperte da numerosi e lunghi tentacoli rossi, le cui estremità secernono una sostanza vischiosa, rifrangente la luce, che appare come una gocciolina di rugiada. L’insetto, richiamato da quella multicolore trasparenza, vi si posa e subito rimane invischiato, mentre i tentacoli, lasciato ormai il loro aspetto innocuo e bellissimo, si curvano su di lui e lo soffocano.
Terminato il processo di digestione, i tentacoli ritornano nella posizione primitiva, pronti ad attirare altri animaletti, con spietata ed incosciente crudeltà. Un’altra interessantissima pianta carnivora è la Dionaea muscipola, comunemente detta “piglia – mosche”. E’ un’erba alta circa 20 centimetri, che cresce nell’America settentrionale e le cui foglie sono dotate di una sensibilità notevolissima. La lamina fogliare, sostenuta da un picciolo spatolato, ha i margini provvisti di denti lunghi e acuminati: essa è divisa dalla nervatura principale che funziona da cerniera, in due tempi mobili. Su ciascuno di essi si trovano, oltre a numerose ghiandole, tre setole, che stimolate dal contatto di piccoli animali, fanno avvicinare i due lembi con movimento brusco e rapido, cosicchè i denti marginali si incastrano uno all’altro e la preda resta prigioniera.
E cento e cento altre piante, di apparenza strana e diversa, che qui sarebbe impresa ardua elencare, vivono sui monti, negli acquitrini, tra le misteriose folte vegetazioni tropicali. Ma ognuna ha in comune l’istinto crudele di catturare le piccole prede, ragione del loro nutrimento e della loro perpetuazione.
Piante viaggiatrici
Anche le piante viaggiano, e vanno addirittura da una parte del mondo all’altra. Il riso, col quale la mamma prepara la saporita minestra, nacque in India; di là fu trapiantata nell’Estremo Oriente: in Cina e in Giappone, ove divenne il cibo preferito di questi popoli. Molto più tardi, e precisamente nel 1468, giunse anche in Europa, portato da alcuni mercanti italiani Il primo riso fu da noi coltivato nella pianura di Pisa.
Quasi lo stesso viaggio del riso fecero gli agrumi. Solo che, mentre il riso scelse le umide pianure, gli agrumi scelsero le coste ben soleggiate del Mediterraneo. Nacquero essi pure in India, poi si diressero nell’Estremo Oriente. Primo ad arrivare in Europa fu il cedro, che anche i Romani adoperavano; poi arrivarono le piante di limone e di arancio amaro, portate dagli Arabi intorno all’anno mille; infine, dopo altri cinquecento anni i Portoghesi trapiantarono nel Mediterraneo anche l’arancio dolce, dai bei frutti succosi.
Ma la pianta più girellona è certo quella del caffè. Essa nacque nelle montagne dell’Abissinia e di lì passò, ma non si sa ne quando ne come, in Arabia. In Arabia fu anzi preparata la prima tazza di caffè per merito di un pastorello, attento osservatore delle sue pecore. Egli aveva notato, infatti, che le sue miti pecore diventavano irritate, belavano, restavano sveglie la notte, quando avevano mangiato i frutti di una certa pianta. Provò a cogliere quei frutti, ne fece un infuso e così nacque la prima tazza di caffè. La bevanda piacque moltissimo agli Arabi ed ai Turchi che ne fecero subito grande uso; da essi lo conobbero i mercanti veneti, e vollero introdurne l’uso anche nella loro città, dove aprirono la prima bottega del caffè. Ma da principio nessuno voleva bere quell’amaro miscuglio (allora non c’erano le macchine espresso, e lo stesso zucchero era un genere rarissimo venduto dai farmacisti, come medicina), ma poi piacque, e nessuno ne potè fare a meno.
Nel 1705 arrivò in Europa anche la prima pianta di caffè: la regalò un olandese al re di Francia Luigi XIV, Abituata ai climi caldi, non avrebbe potuto sopravvivere all’inverno di Parigi, e allora il re pensò di farla viaggiare ancora, mandandola nientedimeno che in America, nel suo possesso della Martinica. L’affidò al cavaliere Declieux che fu davvero compito cavaliere, e protesse la pianta, che minacciava ad ogni momento di morire, come se fosse stata una principessa di sangue reale. Basti dire che, quando a bordo mancò l’acqua, il fedele cavaliere rimase senza bere, pur di dissetare la sua protetta. Così essa giunse ancora viva alla Martinica, che è un’isola dell’arcipelago delle Antille; e lì riprese forza, crebbe, mise al mondo figlioli, nipoti e pronipoti a migliaia e migliaia.
Le immense coltivazioni americane di caffè ebbero tutte origine da quella prima piantina viaggiatrice, salvata dal buon Declieux. Il Nuovo Mondo ci aveva già regalato molte piante utilissime, prima che il caffè vi sbarcasse. Lo stesso Cristoforo Colombo, insieme con i sigari degli indigeni, aveva portato in Spagna i chicchi del granoturco, che dà il buon pane dei poveri negli anni di carestia. Più tardi gli Spagnoli trovarono in Cile la patata, e la mandarono in patria. Ma nessuno voleva cibarsene, ne in Spagna ne in Inghilterra ne in Francia. Ci vollero decine e decine di anni prima di convincere la gente a nutrirsene, e dovette mettersi di mezzo un re di Francia, che fece servire patate ai suoi pranzi, e portò appuntati sulla giacca mazzetti di fior di patata. Allora i cortigiani, per far cosa gradita al re, mangiarono anch’essi patate; quando le persone del popolo videro che i nobili mangiavano patate, le vollero anche loro, e così la patata entrò, come prezioso cibo, in tutte le case: in quelle ricche come in quelle povere.
Altri arrivi si ebbero in quello stesso tempo: arrivarono i pomodori dal Perù, e da altre regioni varie qualità di fagioli. E insieme con le piante arrivò anche un volatile dalla carne saporita: il tacchino, che gli Aztechi del Messico già avevano addomesticato. (R. Frattina)
Piante secolari
Non tutte le specie di piante vivono, naturalmente, lo stesso numero di anni: vi sono piante, soprattutto quelle delicate dei fiori, che hanno vita assai breve; ve ne sono invece altre la cui vita dura lunghi anni e anche secoli. Fra queste ultime poi vi sono piante eccezionali, quasi fossero i campioni della loro specie, la cui vita dura per un tempo che lascia sbalorditi.
Vicino a Gerusalemme, nell’orto dei Getsemani, vi sono ulivi che hanno più di duemila anni. Sempre in Palestina, sulle pendici del Libano, alcuni cedri di età incalcolabile hanno raggiunto alla base dei loro tronchi una circonferenza di ben dodici metri.
In Sicilia, fino a pochi anni fa, si ammirava un castagno detto dei cento cavalli perchè la tradizione narrava che un re con cento cavalieri avesse trovato ristoro sotto le sue enormi fronde. E tanti avrebbe potuto accogliere infatti; misurava, solo di tronco, sessanta metri di circonferenza!
In America, nella California, ha sempre destato la più viva curiosità un albero che per la sua gigantesca proporzione è stato battezzato Mammut. Si dice che abbia addirittura più di seimila anni di età. Un tronco altrettanto gigantesco fu portato una volta a un’esposizione di San Francisco, in America: il suo interno era stato svuotato e vi si potè tenere un concerto, con tanto di pianista davanti a un piano a coda e quaranta invitati in comode poltrone!
La terra Dentro la terra c’è un qualche cosa che nessuno conosce, che si trasforma nel tronco duro e legnoso degli alberi, nella polpa morbida e zuccherina delle fragole, in quella farinosa del grano, nel nettare dei fiori, nella sostanza carnosa del fungo. E’ un qualche cosa che sale su dalla terra per le scaglie, per i tronchi nodosi e contorti e si trasforma nel profumo delicato dei fiori, nel sapore dolce dell’uva, nel succo amarognolo delle prugne, in quello bruciante dell’ortica, in quello untuoso delle olive.
Attraverso quali filtri, in quali misteriosi laboratori si fabbricano le combinazioni chimiche che danno origine a queste sostanze? E come tutto ciò sta rinchiuso nel mistero della terra umida, scura, friabile, che non sa di nulla? Quando penso e osservo tutto ciò, mi pare impossibile che io sia sulla terra, piccino piccino, a vedere tali cose grandi.
Piante parassite
Ecco una pianta che non trae il nutrimento dal terreno: è il vischio, che affonda le sue radici sui rami di alcuni alberi, rubando loro la linfa già elaborata: è una pianta parassita.
Nasce una pianta
Prendiamo un seme di fagiolo, pianta tra le più comuni e conosciute. Mettiamolo in un bicchiere contenente un po’ d’acqua. A poco a poco l’involucro tenace che proteggeva il seme si è screpolato e ha lasciato vedere due piccoli ammassi farinosi, i cotiledoni, che serviranno ad alimentare la nuoca pianticina. Guardiamo bene il nostro seme di fagiolo: non si possono già riconoscere una radichetta, un fusticino, una piccola gemma? Nel piccolo seme non c’è dunque già tutta la pianta? Proprio così: anche la più gigantesca pianta dei monti e delle foreste è già tutta contenuta nell’umile seme.
La germinazione
Se poniamo dei semi di fagiolo a poca profondità in un terreno umido e areato, vedremo che a poco a poco si svolgerà una radichetta, che si copre di peli succiatori e si ramifica. Apparirà poi il fusticino che cerca subito la luce, mentre i cotiledoni, dopo che hanno offerto sostanze nutritive alla pianticina, appassiscono e cadono. Infine ecco le foglie che si disporranno in un modo singolare sul fusto che è erbaceo e ha bisogno di avvolgersi ad un sostegno. Il fiore del fagiolo comprende il calice, la corolla, gli stami e il pistillo: è dunque un fiore completo. Il calice è composto, come tutti fiori in cui esso è presente, dai sepali; la corolla è composta dai petali. Allorchè il frutto del fagiolo è maturo, ecco che si forma il baccello che ha la forma di un sacchettino dalle pareti assai resistenti, nel cui interno si trovano i semi, o fagioli.
Il risveglio della pianta
Dopo circa quattro mesi dalla germinazione, la nostra pianta di fagiolo incomincia ad ingiallire, dopo che ha prodotto i fiori ed i frutti. Poi, a poco a poco dissecca e muore. Il ciclo del fagiolo si compie in breve tempo: si dice che il fagiolo è una pianta annuale. Ma una forza misteriosa è racchiusa nei semi: basterà che siano messi nella buona terra perchè diano origine a nuove piante.
Esercizi di ricerca e di sperimentazione
Prova a far germogliare tra due pezzi di carta imbevuta d’acqua dei semi: le radici appariranno coperte di piccolissimi peli. Qual è la loro funzione? Come si chiamano? Prova a togliere dal terreno una piantina: vedrai che i peli radicali sono coperti di particelle terre fitte. Anche se tieni immersa a lungo la piantina nell’acqua on potrai liberare le sue radici si quelle particelle di terra. Sembra che vi siano incollate. Ricorda che le funzioni delle radici sono quelle di alimentare la pianta e di ancorarla saldamente al terreno. Studia ancora la funzione dei peli succiatori. Poni in un bicchiere contenente acqua una piantina e mettine un’altra in un bicchiere contenente olio. La pianta che la zona pilifera nell’acqua continuerà a vegetare: l’altra invece come si presenterà dopo poco tempo? In che modo i peli succiatori assorbono dal terreno l’acqua contenente i sali nutritivi in essa disciolti? Fai la seguente esperienza e saprai rispondere bene. Procurati una membrana semipermeabile (un po’ di cellophane) e metti in essa un poco di colla da falegname sciolta. Lega poi la membrana ad un tubo di vetro lungo 30 cm ed avente il diametro di mezzo centimetro. Questo apparecchio da te costruito si chiama osmometro. Prova ad immergere e a mantenere l’osmometro in acqua colorata. Vedrai che l’acqua salirà nel tubo di vetro passando attraverso i pori della membrana. Questo passaggio dall’esterno all’interno della membrana si chiama fenomeno di osmosi. Com’è l’estremità della radice delle piante? Non somiglia la cuffia al puntale di un bastone? Osservane una con l’aiuto di una buona lente. Perchè è più resistente. Quale compito ha? Che cosa emettono i peli succiatori della pianta? Prova a lasciare per alcuni giorni su una lastra levigata di marmo una pianticella in germinazione. Vedrai l’impronta che vi lascerà la zona pilifera, che ha corroso la superficie del marmo. I peli succiatori della pianta emettono acido carbonico, che ha il potere di sciogliere il carbonato di calcio, che si trova nel terreno, fornendo così il calcio utile alla nutrizione della pianta. Prova ad immergere un ramo di giglio bianco in una vasca in cui ci sia dell’acqua colorata. Come diventeranno dopo qualche giorno i candidi fiori del giglio? Perché? Puoi fare lo stesso esperimento con un fusticino legnoso. Guardalo bene dopo aver immerso immerso in acqua una parte di esso: osserva l’alone circolare colorato al centro del fusto. Perchè un albero muore, se si toglie un anello di corteccia? La clorofilla ha un immenso valore per la vita degli animali e delle piante: senza clorofilla non di sarebbe vita nella terra. Il processo clorofilliano non si produce nel buio. Prova a seminare del frumento in due vasi pieni di terra. Uno di essi lo terrai al buio, l’altro alla luce. Come saranno le pianticelle cresciute al buio? Esponendole alla luce rinverdiranno? Il colore verde è più vivo nella pagina superiore o in quella inferiore della foglia? Perchè? Pesta in un mortaio delle foglie verdi di una pianta: metti poi la poltiglia ottenuta in un bicchiere contenente alcool. Come si colorerà l’alcool? Quale sostanza si è disciolta nell’alcool? Copri una parte di una foglia con della stagnola e lasciala attaccata ala pianta per tutta la giornata. Quando è giunte la sera, stacca la foglia e togli la stagnola: immergi poi la foglia in una soluzione di iodio. Noterai subito che la parte non coperta dalla stagnola assumerà il colore blu, perchè contiene amido, mentre la parte che durante il giorno era coperta dalla stagnola rimane incolore. Ciò dimostra che la funzione clorofilliana si svolge di giorno sotto l’azione della luce e del calore del sole. In estate una grande quantità di vapore acqueo passa dalle foglie nell’aria: pensa che un solo albero in un giorno emette fino a cento litri d’acqua! Come si chiama questa attività della pianta? E’ utile per la nostra vita?
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Materiale didattico sul FIORE per bambini della scuola primaria.
I fiori
Il gambo dei fiori si chiama peduncolo.
sezione di un fiore
La parte più bella ed appariscente è la corolla, composta da foglioline variamente colorate che si chiamano petali.
petalo
Al di sotto della corolla vi è il calice, le cui foglioline verdi, dette sepali, sono più piccole dei petali. Il calice serve a proteggere il fiore quando è ancora in boccio.
sepali
Nell’interno della corolla vi sono gli stami, filamenti sottili che terminano in un rigonfiamento pieno di polline, una polverina di colore giallo.
stami
Ancora nell’interno della corolla si possono notare uno o due pistilli (simili a bottigliette), la parte più larga dei quali è l’ovario.
pistillo
Aprendo delicatamente l’ovario troviamo gli ovuli (simili a piccole uova), che daranno vita ai semi. Quando il polline entra nell’ovario, i petali e gli stami cadono, l’ovario si ingrossa ed a poco a poco si trasforma in frutto.
Com’è fatto un fiore
Per il lavoro di ricerca
– Quali parti puoi distinguere nel fiore? Tali parti esistono sempre in ogni fiore? – Che cos’è il polline e a che cosa serve? – Che cosa contiene l’ovario? – A che cosa servono gli ovuli? – Che cos’è l’impollinazione e come può avvenire? – Quando è avvenuta l’impollinazione che cosa accade? – Che cos’è il seme e a che cosa serve? – Perchè i fiori sono tanto diversi l’uno dall’altro? – Tutte le piante fioriscono? – Come si chiamano le piante che hanno fiori e frutti e che quindi si riproducono per mezzo di semi? – Come provvedono a riprodursi le piante che non hanno fiori? Quali sono le principali di esse? – Quali sono i più comuni fiori dei nostri prati e dei nostri giardini? – Generalmente i fiori si dischiudono di giorno; ve ne sono alcuni però che di giorno, quando c’è troppa luce, si chiudono. Ne hai già sentito parlare? – Altri fiori si chiudono appena toccati accartocciando i petali, come per proteggersi. Ne conosci qualcuno? – Che cosa sono le serre?
A che cosa servono gli ovuli e i granelli di polline?
Gli ovuli sono gli organi destinati a trasformarsi in semi. Perchè questa trasformazione avvenga occorre, però, che gli ovuli si incontrino con un granello di polline.
tipi di granuli di polline ingranditi
Il polline viene prodotto dalle antere. Esso dovrà perciò venir trasportato fin sulla punta del pistillo: da qui potrà scendere fin nell’ovario dove incontrerà gli ovuli. Allora si formeranno i semi, ed il fiore avrà adempiuto il suo compito; infatti a questo punto il fiore appassisce e cade.
sezione schematica di un fiore
Bisogna ricordare una importante legge che regola l’impollinazione dei fiori: in genere il fiore, perchè dai suoi semi possa nascere una pianta sana e vigorosa, deve essere fecondato con polline prodotto da un altro fiore. Ma chi provvede a portare il polline dall’uno all’altro fiore?
Ciascuna famiglia di piante ha scelto il suo modo per provvedere a questo trasporto: c’è chi si serve del vento, chi dell’acqua e chi dell’opera di diversi animaletti, generalmente insetti, ma in qualche caso anche uccelli e molluschi.
Impollinazione
Perchè possa aver luogo una impollinazione è necessario che il polline di un fiore venga portato sul pistillo di un altro fiore della stessa specie.
Impollinazione per mezzo di insetti
Molti fiori nel punto più profondo della loro corolla secernono il nettare, un succo sciropposo, dolce e profumato, che è un ottimo cibo per gli insetti. L’insetto, per nutrirsi, vola sul fiore e si intrufola fra i petali; nel raggiungere le goccioline di nettare sfiora le antere e impolvera di granelli di polline il suo corpicino peloso.
Quando ha succhiato tutto il nettare di un fiore l’insetto si leva a volo e va in cerca di un altro fiore della medesima specie per trovare altro nettare dello stesso sapore. Anche qui, intrufolandosi nella corolla, urta gli organi del fiore e finisce col depositare sulla punta appiccicosa del pistillo qualche granello del polline che reca addosso. Il polline può venire così a contatto con gli ovuli contenuti nell’ovario e fecondarli.
Gli insetti sono dunque dei diligenti corrieri di trasporto di polline; compiendo questo servizio essi compensano i fiori del nettare che viene offerto loro ad ogni sosta.
Impollinazione per mezzo del vento
Altre piante producono fiori piccoli, privi di corolle, di odore, di nettare. Esse si affidano per la fecondazione al vento. Un esempio tipico è la quercia: preleviamo in aprile – maggio, quando le foglie stanno formandosi, un rametto; noteremo dei lunghi filamenti. Se osservati con la lente, noteremo in essi dei ciuffetti di stami con le loro antere.
Piogge di polline
I pini e le conifere in genere sono fecondati dal vento. Essi, quando è l’epoca di maturazione dei loro fiori maschili, lasciano cadere il polline in quantità così grande che nelle pinete si assiste ad una vera e propria pioggia di polline.
La varietà dei fiori
La varietà dei fiori è veramente grande. Ci sono fiori con petali nettamente distinti (rosa, garofano); altri con petali tutti saldati insieme, come nelle campanule e nelle primule; fiori con petali diversi l’uno dall’altro e disposti in modo del tutto particolare; altri con petali e sepali dello stesso colore (tulipano).
Spesso i fiori sono irriconoscibili: assumono l’aspetto di animali, di foglie; alcuni sono snelli e armoniosissimi, atri tozzi e pesanti; sono piatti o cilindrici o allungatissimi, hanno forma di bottiglia, di tubo, di croce, di mano aperta, di pantofola, e altro ancora.
Naturalmente, viene subito spontanea una domanda: perchè la natura ha creato fiori tanti diversi, a volte tanto strani? Una spiegazione completa non si può dare, ma una risposta abbastanza sensata è questa: per necessità. In natura, tutto quello che chiamiamo bellezza, stranezza, non è che necessità. Le forme strane, i colori fantastici, gli odori repellenti o soavissimi non sono stati creati per nostra meraviglia e diletto, ma rispondono a bisogni ben precisi della vita vegetale. La natura non fa nulla di inutile. Quali sono queste esigenze, queste necessità? Evidentemente quelle connesse con la vita e la funzione del fiore. Il fiore è un organo della pianta a cui è affidato un compito importante e delicato: quello di produrre il seme perchè la pianta possa riprodursi.
Quindi le corolle sgargianti, le forme strane, le bizzarrie (o meglio, quelle che a noi sembrano forme strane o bizzarre), i profumi intensi servono a favorire in tutti i modi quella importantissima funzione. Servono quindi ad attirare gli insetti; a costringerli a penetrare nell’interno e magari ad agitarsi, a dibattersi per caricarsi ben bene di polline; servono per respingere gli animali non graditi; per riparare il preziosissimo polline dalla pioggia e dalla polvere, e per altri motivi ancora.
Le fanerogame
Fiori e frutti, per quanto strano possa sembrare, non sono altro che foglie trasformate. E trasformate per la più importante delle funzioni, quella di riprodursi. Non tutte le piante possiedono fiori; non ne hanno le alghe, ad esempio, nè i funghi: anch’essi provvedono naturalmente a perpetuarsi, ma lo fanno in modo diverso, mediante delle piccolissime spore.
alghe
fungo
La massima parte delle piante che cadono sotto i nostri occhi si riproducono mediante i fiori e prendono perciò il nome di fanerogame (piante a nozze visibili).
Curiosità: il linguaggio dei fiori
Per chi volesse esprimere con i fiori un proprio sentimento, ecco il significato attribuito ad alcuni di essi: gelsomino – amabilità violetta – modestia e bellezza d’animo magnolia – simpatia viola del pensiero – ricordo geranio rosso – stupidaggine miosotis – non ti scordar di me narciso – egoismo bocca di leone – non ti fidare papavero rosso – indifferenza margherita – ci penserò.
La serra
La primavera è la stagione in cui i semi che i contadini hanno seminato nei campi crescono, perchè oltre alla terra, che dà nutrimento, trovano tutte le cose di cui hanno bisogno: acqua, perchè piove molto; luce, perchè i giorni di allungano; caldo, perchè il sole riscalda più che in inverno.
Si possono far crescere le piante anche in inverno, se riusciamo a dare alle piante tutto ciò di cui hanno bisogno, cioè nutrimento, acqua, caldo, luce, se cioè facciamo in casa nostra una primavera artificiale.
Dove fa freddo, le piante si possono far crescere nelle serre. Una serra è una grande costruzione con le pareti ed il soffitto di vetro. Attraverso il vetro entra la luce del sole, che serve alle piante; ma il freddo non riesce ad entrare, inoltre ci sono stufe per scaldare le piante. Il calore della stufa non esce fuori, perchè il vetro lascia entrare la luce, ma non lascia uscire il caldo.
I fiori guardano il sole
Un rapporto misterioso lega le piante alla luce e al calore. La loro attività, si sa, è in funzione delle stagioni e delle variazioni della temperatura. Alcune sembrano conformarsi al cammino apparente del sole e seguirlo nel suo percorso in cielo: tale è il caso del papavero e del girasole, la cui grossa testa d’oro presenta sempre la sua ampia faccia all’astro del giorno. Molte, infine, variano le posizioni di veglia e di sonno in relazione con l’alternanza del giorno e della notte: ciò è rilevabile particolarmente in alcune piante delle leguminose, come il trifoglio, l’erba medica, l’acacia, il fagiolo e soprattutto la sensitiva.
All’avvicinarsi della notte, il trifoglio e l’erba medica inclinano le foglioline, portando le loro pagine superiori in contatto le une con le altre. Nel fagiolo, nell’acetosella, nel lupino, nella robinia e in alcune altre piante di questo genere, le foglioline, invece, si abbassano e accostano le loro pagine inferiori.
Nella sensitiva (Mimosa pudica), i movimenti di veglia e di sonno sono molto più complicati. Questa pianta, come abbiamo visto, ha le foglie composte di foglioline pinnate, situate lungo quattro piccioli secondari retti a loro volta da un picciolo principale. Venuta la sera, le foglioline si ripiegano verso l’alto, abbracciandosi a due a due con le loro pagine superiori e ripiegandosi sul picciolo secondario. Nello stesso tempo, il picciolo principale si abbassa e si inclina lungo lo stelo, trascinando così il resto della foglia; verso le otto della sera, il movimento di discesa è terminato. Il riposo è breve perchè, a partire dalle dieci della sera, il picciolo principale comincia a rialzarsi e prima dell’alba ha superato la linea orizzontale, i piccioli secondari divergono, le foglioline si piegano e la foglia intera riprende la posizione di veglia, che conserve poi durante tutta la giornata. Fatto curioso: se si sopprimono artificialmente i periodi alternati del giorno e della notte, cioè di luce e di oscurità, sottomettendo le sensitive a una luce continua, le fasi di attività e di riposo, di veglia e di sonno, persistono ancora per un certo periodo. Abbiamo qui un sorprendente fenomeno di memoria organica, una specie di abitudine acquisita della pianta, che essa può perdere solo gradatamente.
Anche lo sbocciare dei fiori è legato, il più delle volte, all’alternanza del giorno e della notte e, in generale, alle vicissitudini luminose o termiche.
L’orologio dei fiori
Flora, la dea della primavera, che è stata spesso rappresentata nella pittura romana come una giovane donna adorna di fiori, ha dato il suo nome al complesso delle piante spontanee e coltivate di una certa regione. Questo gentile… dono, se così possiamo chiamarlo, è opera di un famoso naturalista svedese del XVIII secolo, Carlo Linneo, il quale usò per primo con questo significato il nome di Flora in una sua opera.
Linneo ha fatto anche qualcosa d’alto, ha donato a Flora… un orologio. Egli cioè ha stabilito una specie di orologio, secondo le ore in cui si schiudono o si chiudono numerosi fiori, dai più mattinieri, che si aprono prima dell’alba, ai più tardivi, che spiegano le loro corolle all’arrivo della notte. Tra i fiori indicati da Linneo ne abbiamo scelti alcuni e abbiamo ricostruito un orologio, non completo, ma sufficientemente indicativo: convolvolo delle siepi – si apre tra le 3 e le 4 cicoria – si apre tra le 4 e le 5 lino – si apre tra le 5 e le 6 calendula officinalis – si apre tra le 6 e le 7 anagallide – si apre tra le 7 e le 8 malva – si apre tra le 9 e le 10 ornitolago – si apre tra le 10 e le 11 portulaca – si apre tra le 12 e le 13 malva – si chiude tra le 13 e le 14 polmonoria – si chiude tra le 14 e le 15 bella di giorno – si chiude tra le 15 e le 17 enotera – si apre tra le 17 e le 18 bella di notte – si apre tra le 18 e le 19 geranio – diffonde il suo profumo verso le 20.
Curiosità sui fiori
Si trovano, in natura, fiori piccolissimi, lunghi soltanto alcuni decimi di millimetro. Altri, invece, raggiungono dimensioni straordinarie, probabilmente allo scopo di rendersi visibili agli insetti, anche da lontano e tra la folta vegetazione tropicale. I due più grandi fiori esistenti vivono nelle foreste tropicali dell’arcipelago malese: la Rafflesia Arnoldii che ha il diametro di un metro e pesa circa undici chili; e lo Amorphophallus titanum che raggiunge un’altezza di due metri e mezzo!
Una strana orchidea, il selenipedio, ha petali lunghissimi, simili a un nastro, talvolta lunghi oltre 70 cm. La passiflora è anche chiamata “fiore della passione” perchè la forma degli stami e dei pistilli ricorda i simboli della passione di Gesù.
Sorprendente è la fioritura del bambù: queste piante fioriscono in età molto avanzata (alcuni a 120 anni!) e una sola volta nella loro vita. Infatti, appena fiorite, muoiono. Ma il fatto davvero curioso è che le piante di bambù di una stessa specie fioriscono contemporaneamente in ogni parte del mondo, indipendentemente dai fattori climatici.
Impollinazione e fecondazione del fiore
Spesso i fiori attirano e cedono il polline solo a un certo tipo di insetti, per evitare di disperderlo su fiori non della stessa specie. Cioè, un fiore che attira e carica di polline un calabrone, può darsi che non faccia altrettanto nei confronti di un’ape o di una farfalla. Una prova di ciò è da questo fatto curioso. Quando il trifoglio rosso fu introdotto in Australia, esso prosperò ma non si riprodusse: mancava l’insetto impollinatore adatto. Fu indispensabile acclimatare nel nuovo continente anche l’imenottero (bombo), che era l’insetto pronubo del trifoglio.
Per meglio regolare la distribuzione del polline, i fiori si aprono e chiudono a ore fisse, quasi semafori nell’intenso traffico degli insetti. Vi sono piante che emanano un odore disgustoso per l’uomo, simile a quello della carne marcia o del concime. Pronubi di questo tipo di fiore sono moscerini e mosche che amano questi odori. Quando un’ape ha visitato un’orchidea, esce a ritroso dal piccolo spazio contenente il nettare. Il fiore, allora, le configge nella nuca una freccia che porta due sacchi pollinici. L’ape vola su un altro fiore che a sua volta le toglierà questa sua curiosa acconciatura.
La natura ha pensato proprio a tutto: nei paesi tropicali dove vivono fiori dalla corolla molto lunga, si trovano farfalle che hanno la spiritromba (apparato succhiatore della farfalla) che può raggiungere anche la lunghezza di 25 cm. Esiste un fiore, il gichero, che tiene prigionieri nel calice gli insetti che vengono a succhiare il suo nettare. Questa… dolce prigionia può prolungarsi anche per diversi giorni, fintanto cioè che gli stami, maturando, non lasciano cadere il polline su di loro.
Tracce per temi per la terza classe – una raccolta di tracce per temi per la classe terza della scuola primaria, scaricabile e stampabile in formato pdf.
Incolonnamento di numeri decimali – esercizi per la classe terza della scuola primaria stampabili in formato pdf.
Scrivendo i numeri interi, abbiamo visto che le unità vanno scritte sotto le unità, le decine sotto le decine, le centinaia sotto le centinaia e le migliaia sotto le migliaia. Così, scrivendo i numeri decimali, dovremo scrivere i decimi sotto i decimi ecc… virgola dopo virgola.
Se ci capiterà di incolonnare un numero intero sotto un numero decimale, sarà bene trasformare il numero intero in numero decimale, cioè aggiungere al numero una virgola, seguita da tanti zeri quante sono le cifre decimali.
Ad esempio, per incolonnare il numero intero 34 sotto il numero decimale 0,5 devo trasformare il numero intero in numero decimale così:
Esercizi di Aritmetica – numeri entro il 700 – Classe terza. Una raccolta di esercizi di aritmetica per la classe terza della scuola primaria, stampabili in formato pdf.
Moltiplicazioni e divisioni per 10 100 1000 di numeri interi – una raccolta di esercizi per bambini della classe terza della scuola primaria, stampabili in formato pdf.
Abbiamo visto che per dividere per 10 un numero intero terminante per zero, basta togliere lo zero dalla destra del numero. Ora invece divideremo per 10 un numero che non termina per zero:
35:10 =
Siccome, dividendo un numero per 10, ogni cifra diminuisce il suo valore di 10 volte, ecco che le 3 decine diverranno 3 unità e le 5 unità… diverranno 5 decimi. Sappiamo che i decimi si scrivono alla destra della virgola, perciò sarà necessario mettere la virgola, così:
35:10 = 3,5
Ricorda:
per dividere un numero intero per 10, si separa con la virgola una cifra, partendo dalla destra del numero.
Consideriamo questa divisione:
326 : 100 =
Siccome dividendo un numero per 100 ogni cifra diminuisce il suo valore di 100 volte, ecco che le 3 centinaia diventeranno 3 unità, le 2 decine diventeranno 2 decimi e le 6 unità diventeranno 6 centesimi. Sappiamo che i decimi ed i centesimi si scrivono a destra della virgola, perciò sarà necessario mettere la virgola, così:
326 : 100 = 3,26
Ricorda:
per dividere un numero intero per 100, si separano con la virgola due cifre, partendo dalla destra del numero.
Consideriamo questa divisione:
1.324 : 1.000 =
Siccome dividendo un numero per 1.000 ogni cifra diminuisce il suo valore di 1.000 volte, ecco che un migliaio diventa 1 unità, le 3 centinaia diventeranno 3 decimi, le 2 decine diventeranno 2 centesimi e le 4 unità diventeranno 4 millesimi. Sappiamo che i decimi, i centesimi ed i millesimi si scrivono a destra della virgola, perciò sarà necessario mettere la virgola, così:
1.324 : 1.000 = 1,324
Ricorda:
per dividere un numero intero per 1.000, si separano con la virgola tre cifre, partendo dalla destra del numero.
Moltiplicazioni e divisioni per 10 100 1000 di numeri interi
Moltiplicazione e divisione per 10 100 e 1000 di numeri decimali – esercizi per la classe terza della scuola primaria, disponibili gratuitamente in formato pdf.
Abbiamo visto che per moltiplicare per 10 un numero intero basta aggiungere uno zero a destra del numero. Ora invece moltiplicheremo per 10 un numero decimale. Ad esempio:
4,6 x 10 =
Poiché moltiplicando un numero per 10 ogni cifra che lo compone aumenta il suo valore di 10 volte, ecco che le 4 unità diventano 4 decine, e i 6 decimi diventano 6 unità. Perciò sarà necessario spostare la virgola di un posto verso destra, così:
4,6 x 10 = 46
Ricorda: per moltiplicare un numero decimale per 10 basta spostare la virgola di un posto verso destra.
Quando moltiplichiamo un numero decimale per 100, le cifre che lo compongono aumentano il loro valore di 100 volte. Ad esempio, nel caso di:
5,48 x 100 =
le 5 unità diventano centinaia, i 4 decimi diventano decine, gli 8 centesimi diventano unità. Perciò per moltiplicare un numero decimale per 100 è necessario spostare la virgola di due posti verso destra, così:
5,48 x 100 = 548
Se manca una cifra, si aggiunge uno zero. Ad esempio:
9,8 x 100 = 980
Ricorda: per moltiplicare un numero decimale per 100 basta spostare la virgola di due cifre verso destra. Se manca una cifra si aggiunge uno zero.
Moltiplichiamo ora un numero decimale per 1.000:
2,5 x 1.000 = 2500
Ricorda: per moltiplicare un numero decimale per 1.000 si sposta la virgola verso destra di tre cifre (quanti sono gli zeri del moltiplicatore). Se le cifre non bastano, si aggiungono degli zeri.
Dividendo un numero per 10 o per 100 o per 1.000 ogni cifra che lo compone diminuisce il suo valore di 10, 100 o 1.000 volte.
Nel caso di una divisione per 10, ad esempio:
342,5 : 10 = 34,25
le 3 centinaia diventano decine, le 4 decine diventano unità e le 2 unità diventano decimi; i 5 decimi diventano centesimi.
Nel caso di una divisione per 100, ad esempio:
342,5 : 100 = 3,425
le 3 centinaia diventano unità, le 4 decine diventano decimi, le 2 unità centesimi e i 5 decimi millesimi. Se le cifre non bastano, si aggiungono degli zeri. Ad esempio:
1,5 : 100 = 0,015
Nel caso di una divisione per 1.000 avremo ad esempio:
49,3 : 1.000 = 0,0493
Ricorda: per dividere un numero decimale per 10 o per 100, basta spostare la virgola di una o due cifre verso sinistra. Se le cifre non bastano si aggiungono degli zeri.
Per dividere un numero decimale per 1.000 si sposta la virgola, da destra verso sinistra, di tante cifre quanti sono gli zeri del divisore. Se le cifre non bastano, si aggiungono degli zeri.
Numeri decimali esercizi per la terza classe – una raccolta di esercizi e problemini per la classe terza su decimi, centesimi e millesimi stampabili in formato pdf.
I decimi
Se prendiamo una tavoletta di cioccolata e la tagliamo in dieci parti uguali, ogni pezzetto è un decimo della cioccolata. Un decimo, oltre che sotto forma della frazione 1/10, si può indicare anche col numero decimale 0,1. La virgola separa la parte intera dalla parte decimale (i decimi occupano il primo posto alla destra della virgola). Così:
1/10 = 0,1 2/10 = 0,2 3/10 = 0,3 4/10 = 0,4 10/10 = 1 2,3 = 2 unità e 3 decimi 10,7 = 10 unità e 7 decimi 32,6 = 32 unità e 6 decimi 9,9 = 9 unità e 9 decimi 50 = 50 unità e 0 decimi
Si chiamano numeri decimali i numeri che comprendono unità decimali.
I centesimi
Prendiamo una lunga striscia di carta e tagliamola in 100 parti uguali. Ogni pezzetto è un centesimo 1/100 del foglio. Un centesimo, oltre che sotto forma di frazione 1/100, si può indicare anche con il numero decimale 0,01. La virgola separa la parte intera dalla parte decimale, e i centesimi occupano il secondo posto a destra della virgola. Così:
1/100 = 0,01 2/100 = 0,02 3/100 = 0,03 4/100 = 0,04 5/100 = 0,05 100/100 = 1 2 unità e 18 centesimi = 2,18 7 unità e 2 centesimi = 7,02 19 unità e 37 centesimi = 19,37 24 unità e 1 centesimi = 24,01 2 unità e 18 centesimi = 2,18 0 unità e 10 centesimi = 0,10
I millesimi
Prendiamo una stella filante, svolgiamo il rotolino e dividiamolo in 1000 parti uguali: ogni pezzetto è un millesimo (1/1000) della striscia. Un millesimo, oltre che sotto forma di frazione 1/1000, si può indicare anche con il numero decimale 0,001. La virgola separa la parte intera dalla parte decimale. Così:
2/1000 = 0,002 3/1000 = 0,003 4/1000 = 0,004 1000/1000 = 1 0 unità e 37 millesimi = 0,037 4 unità e 2 millesimi = 4,002 14 unità e 328 millesimi = 14,328 10 unità e 7 millesimi = 10,007
I millesimi occupano il terzo posto alla destra della virgola.
Problemi sul litro e le misure di capacità per la classe terza – una raccolta di problemi sul litro e le misure di capacità, difficoltà varia, per bambini della classe terza della scuola primaria.
Giochi logici per la terza classe – una raccolta di giochi logici e piccoli rompicapo per bambini della terza classe della scuola primaria.
Impossibile! Perchè?
Ciascuna delle seguenti frasi contiene qualcosa di assurdo. Invitiamo i bambini a cogliere l’assurdità ed a fornirne la spiegazione.
1. Ieri mattina ha preso a piovere e son tre giorni che non smette.
2. Il fruttivendolo coltiva il suo orto per metà a cavoli, metà a piselli e metà a insalata.
3. Camminando all’indietro quell’uomo non si avvide del muro finchè non vi ebbe battuto la fronte.
4. Luigi dichiara che non entrerà nell’acqua finchè non avrà imparato a nuotare.
5. Un vecchio, lamentandosi di non poter fare il giro completo di un parco perchè tale passeggiata lo affaticava troppo, si accontentava di fare il giro fino a metà.
L’ascensione della lumaca
Una lumaca sale un muro alto cinque metri. Ogni giorno sale tre metri e ogni notte ne discende due. Povera lumaca, quanta fatica! Sapreste dire dopo quanti giorni la lumaca sarà giunta in cima al muro? La lumaca sale il muro in tre giorni perchè il terzo giorno, giunta in cima al muro, non discende più.
I due recipienti
Un signore manda il proprio domestico al fiume, incaricandolo di raccogliere e portargli cinque litri di acqua. Gli consegna un recipiente di tre litri e uno di quattro litri. Come fa il domestico ad eseguire l’incarico? Il domestico riempie il recipiente da 4 l e, con questo, quello da 3 l. Vuota quest’ultimo e vi mette il litro d’acqua rimasto nel primo, che poi riempie di nuovo, portando così 4 + 1 = 5 l di acqua.
Come te la caveresti?
Se tu entrassi in una casupola molto buia per ripararti dal freddo, avendo in tasca un solo fiammifero, e in quel riparo ci fossero una lucerna ad olio, un vecchio giornale e un po’ di sterpi nel caminetto, cosa accenderesti per primo? Il fiammifero, ovviamente.
Il contadino intelligente
Un contadino possedeva un campicello quadrato. A ogni vertice, subito oltre la cinta, era posto un albero che non gli apparteneva.
Volle raddoppiare la sua proprietà, mantenendole la forma quadrata. Acquistò il terreno, ma non gli alberi, che rimasero al medesimo posto e oltre la cinta del suo nuovo campo. Come fece?
Risposta In questo modo l’estensione del campo è stata raddoppiata, senza toccare gli alberi:
Diagonali magiche
Scriviamo in tre quadrati di nove quadratini l’uno le prime nove cifre della serie naturale dei numeri nell’ordine indicato dalle tre figure.
Sommiamo ora i numeri di ciascuna diagonale. Il totale sarà per tutte e sei le diagonali il numero 15. Queste diagonali si chiamano “diagonali magiche”.
La pesca magica
Ponete in un cappello, o in una scatola, alcune monete uguali. Prendetene una a caso e segnatela visibilmente con una matita colorata. Mostrate la moneta con il segno ai bambini e invitate poi uno di loro a magnetizzarla, tenendola ben serrata in pugno per qualche istante. Nel frattempo, bendatevi gli occhi, o ponetevi nella condizione di non poter pescare guardando. Tastate le monete che sono nel cappello (la “magnetizzata” compresa) e sarete subito in grado di riconoscerla al semplice tatto perchè questa sarà più calda delle altre tre per essere stata a lungo tenuta in mano.
L’alfabeto degli amici
Il direttore del gioco dice una lettera dell’alfabeto e lancia una pallina. Il bambino che la riceve è obbligato a tenere un discorsetto. Se la lettera è M, dire ad esempio: “Io ho un amico che si chiama Mario, è modesto, abita a Milano; per la mia festa mi ha regalato una matita”. Se la lettera è la P: “Io ho un amico che si chiama Paolo, è pietoso, abita a Palermo; per la mia festa mi ha regalato un pallone”. Il bambino che non è pronto a rispondere paga pegno.
Quando, dove, come?
Invitiamo un bambino ad allontanarsi dalla stanza, in modo che non possa ascoltare quello che si dice. Gli altri bambini, in sua assenza, stabiliscono il nome di un oggetto, di un cibo, o altro, che l’assente deve indovinare al suo ritorno. Fatta la scelta, l’assente è invitato a ritornare nella stanza. Egli rivolge, successivamente, a tre compagni le seguenti domande: “Come ti piace?”, “Dove ti piace?” e “Quando ti piace?” I compagni rispondono con frasi che si riferiscono all’oggetto scelto. Se si tratta, poniamo, di una palla, gli interrogati possono rispondere: “Mi piace grossa e colorata” “Mi piace ai giardini pubblici” “Mi piace quando siamo in tanti ad adoperarla”. Se le tre risposte non bastano a far capire l’oggetto designato, si può rivolgere ad altri giocatori con qualche altra domanda, ad esempio: “Tu la possiedi?” “E’ di legno?” “Dove si compera?” Ma le domande non possono poi oltrepassare un numero preventivamente stabilito, che può essere di sei o sette. Se l’interrogante non indovina, torna ad allontanarsi dal gruppo. I suoi compagni scelgono il nome di un altro oggetto e il gioco riprende. Se indovina, rientra nel gruppo ed è sostituito da un suo compagno estratto a sorte.
Gli espedienti di Menicone
Menicone, il mugnaio, aveva quel giorno un sacco di farina, una bilancia, e solo un peso da 2 kg. Arrivò Nena e gli chiese un chilo di farina. “Prendine due chili” disse Menicone, “Un chilo non saprei come pesarlo” “O un chilo, o non se ne fa niente!” ribattè Nena, e fece per andar via. “No” disse Menicone, dopo un attimo di perplessità, “Farò come tu vuoi: te ne peserò un chilo”. Come fece? (Pesò 2 kg; poi divise la farina sui due piatti della bilancia in modo che si equilibrassero)
Dove?
Sai mettere in dieci secondi la mano destra in un posto dove non puoi mettere la sinistra? (sul gomito sinistro)
Piripicchio piripacchio
Chi dirige il gioco stabilisce: – alla parola piripicchio (ad esempio) mani sul banco – alla parola piripacchio (ad esempio) mani in alto… … ma dicendo “Piripicchio” o “Piripacchio” chi dirige il gioco fa il contrario di quanto ha stabilito, per indurre gli altri in errore. Naturalmente le due parole si alternano a piacere. Chi sbaglia paga pegno.
Fantasia di numeri
Come puoi ottenere 100 adoperando tutte e nove le cifre significative in ordine decrescente? Così: (9 x 8) + 7+ 6 + 5+ 4 + 3 + 2 + 1 = 100
Indovina numero
Dettate queste cinque serie di numeri:
1 ______ 2 _____ 4 ____ 8 ____ 16
3 ______ 3 _____ 5 ____ 9____ 17
5 ______ 6_____ 6____ 10____ 18
7 ______ 7 _____ 7 ___ 11____ 19
9 _____ 10 ____ 12____ 12____ 20
11 ____ 11____ 13____ 13 ____ 21
13 ____ 14 ____ 14 ____ 14____ 22
15 ____ 15 ____ 15 ____ 15 ____ 23
17 ____ 18 ____ 20 ____ 24 ____ 24
19 _____ 19 ____ 21 ____ 25 ____ 25
21 ____ 22 ____ 22 ____ 26 ____ 26
23 ____ 23 ____ 23 ____ 27 ____ 27
25 ____ 26 ____ 28 ____ 28 ____ 28
27 ____ 27 ____ 29 ____ 29 ____ 29
29 ____ 30 ____ 30 ____ 30____ 30
31 ____ 31 ____ 31 ____ 31 ____ 31
Poi chiedete ad ogni bambino di scegliere, tenendolo segreto, un numero qualsiasi. Voi indovinerete ogni numero segreto, facendovi dire da ogni bambino in quante e in quali colonne esso si trova. Vi basterà fare la somma dei primi numeri delle colonne che ogni bambino vi indicherà. Tale somma è il numero segreto. E se un bambino vi indicherà tutte e cinque le colonne? Allora, non vi occorrerà eseguire la somma dei cinque numeri, poichè solo il 31 è visibilmente presente in tutte le colonne.
Sembra facile
Se tre gatti ammazzano tre topi in tre minuti, quanto tempo impiegheranno cento topi ad ammazzare cento gatti? (Non li ammazzeranno mai neppure in cento anni, perchè i topi non ammazzano i gatti, ma viceversa)
Se tre gatti ammazzano tre topi in tre minuti, quanto tempo impiegano cento gatti ad ammazzare cento topi? (Tre minuti, poichè il rapporto gatto – topo resta invariato, cioè di uno a uno).
Una stella di monete
Hai 12 monete tutte uguali; sapresti collocarle in modo da ottenere sei file di quattro monete ciascuna?
Risposta:
Curiosità sui numeri Il 100 si può scrivere ripetendo 5 volte la stessa cifra:
La differenza è sempre 396 Dire a un bambino di scrivere la serie dei numeri dispari da 1 a 9. Così:
1 3 5 7 9
Fargli scegliere poi, a suo piacere, tre cifre consecutive e formarne un numero, ad esempio 357.
Rovesciare ora il numero ottenuto: 753.
La differenza tra i due numeri così ottenuti è 396.
Prova e verifica con altre cifre. Lo stesso fatto si verifica con la serie dei numeri pari da 0 a 8. Verifica con numeri da te scelti. Ricorda che le cifre devono essere consecutive. Ripeti il gioco coi tuoi compagni.
La gara della memoria Disponiamo in ordine dieci oggetti diversi (una matita, un orologio, una caramella, un paio di forbici, un turacciolo, una gomma, una noce, ecc…) sopra un foglio di carta numerato dall’1 al 10, in modo che ad ogni numero corrisponda un oggetto. Chiamiamo un bambino e facciamogli osservare il foglio per un minuto. Poi nascondiamogli il foglio e chiediamogli di ripeterci esattamente il nome e l’ordine degli oggetti osservati. Ogni oggetto esattamente ricordato gli farà guadagnare un punto. Si può ripetere il gioco in forma di gara, con più bambini.
Il gioco della mano svelta I bambini vengono divisi in due gruppi di uguale valore fisico. I gruppi si allineano in fila su due linee parallele alla distanza di 8 – 10 metri. Si traccia una linea vistosa, nel mezzo, parallela alle precedenti, e si fa un piccolo segno al centro, sul quale può venir posto un fazzolettino o un altro oggetto di tessuto. I bambini porteranno uno stesso numero a due a due (uno per fila). Al comando, ad esempio “Pronti i numeri 5!”, i due 5 usciranno di corsa con l’impegno di cogliere l’oggetto e dubito fuggire senza toccarsi. Se uno riesce, fa vincere un punto alla propria squadra. Se uno si fa toccare, pur avendo preso l’oggetto, perde; se uno tocca l’avversario prima che questi prenda o tocchi l’oggetto, perde. Questo gioco esercita l’attenzione visiva dei bambini e promuove l’esercizio del loro riflessi. Può essere eseguito sia all’aperto sia in palestra.
I raccoglitori Gruppi di tre o più bambini in fila indiana si dispongono su di una linea tracciata sul terreno. Essa segnerà la partenza e l’arrivo. Di fronte ad ogni gruppo (a 10 metri circa) viene tracciata una circonferenza (50 cm di diametro): dopo di essa ve ne saranno segnate altre tre o quattro alla distanza di 4 metri l’una dall’altra. In ogni cerchio sarà racchiuso un oggetto (cappello, fazzoletto, pezzo di legno, ecc…). Al via, il giocatore numero 1 di ogni gruppo correrà a prendere uno alla volta gli oggetti contenuti nelle singole circonferenze e li deporrà in un limite di terreno segnato sulla linea di base. Quando il numero 1 avrà terminato il suo compito, toccherà il compagno numero 2, che partirà per riportare ad uno ad uno gli oggetti nella posizione primitiva. Il numero 3 toccato dal numero 2 li riporterà alla base. E così di seguito. Vince il gruppo che riuscirà a far giungere prima il suo ultimo giocatore. Gli oggetti devono essere deposti, non lanciati, entro la circonferenza. I giocatori non potranno partire dalla base senza esser stati toccati dal proprio compagno sulla base stessa.
Numeri romani – esercizi per la terza classe scaricabili e stampabili in formato pdf, nella versione semplice e in forma di scheda autocorrettiva.
scarica e stampa le schede qui:
Istruzioni per le schede autocorrettive: ritagliare lungo le linee orizzontali, quindi piegare ognuno dei foglietti ricavati lungo la metà verticale. In questo modo otterrete delle schede fronte-retro.
Il bambino può svolgere l’esercizio sulla scheda, quindi aprirla per correggersi.
Gli esercizi sono quelli comunemente utilizzati in terza classe, come vedete. Ho sempre però difficoltà a trovare materiali che offrano ai bambini anche la possibilità dell’autocontrollo e dell’autocorrezione (per gli esercizi per i quali si può fare, naturalmente…).
Utilizzo delle schede autocorrettive: bambini hanno a disposizione in classe una scatola-schedario di esercizi vari per ogni materia, da scegliere liberamente, che è uno per tutti: abbiamo uno schedario per la Matematica, uno per l’Italiano, uno per l’Inglese, ecc…
Ogni bambino ha poi una scatola-schedario individuale, col suo nome, dove conserva i cartellini che ha usato per i suoi esercizi. E’ assurdo incollare fotocopie su fotocopie sui quaderni! Questa modalità favorisce il lavoro individuale e individualizzato, ma anche l’aiuto reciproco e la collaborazione: se un bambino ha già provato un dato esercizio, può dare una mano al compagno che lo sta facendo; poi ci sono anche schede per lavorare in coppia, ad esempio quelle dei dettati che prevedono che un bambino legga al bambino che scrive.
E’ naturalmente sempre il bambino a scegliere; se lo desidera può portare anche il lavoro a casa: vi sembrerà assurdo, ma a me che non uso dare compiti, i bambini li chiedono…
A differenza degli eserciziari “a libro”, lo schedario mi permette di aggiornare l’offerta di esercizi in base agli interessi dei bambini, o alle difficoltà che mostrano, e inoltre si integra benissimo coi materiali montessoriani già a disposizione.
La pianura – materiale didattico vario: dettati ortografici, racconti, testi brevi, di autori vari, per la scuola primaria.
La pianura
La pianura è un’estensione di terreno piatto o leggermente ondulato che, di solito, non supera i 200 metri di altitudine, misurando dal livello del mare.
Nei tempi antichissimi scorrevano sulla Terra fiumi giganteschi: le loro acque trascinavano con sè, strappandoli dalla montagna, frammenti di roccia e terriccio. Questo materiale, accumulandosi per millenni e millenni, formò le pianure.
Anche oggi, nelle pianure, scorrono i grandi fiumi. Gli uomini devono costruire argini potenti per trattenerne le acque e ponti di cemento e di ferro per scavalcarne le correnti.
Centinaia di anni fa, gli uomini non si fermavano volentieri nella pianura a costruire case e città. Temevano gli assalti dei nemici e il pericolo delle paludi. Nei tempi moderni, invece, la pianura è il luogo preferito per la costruzione delle grandi città, centri di industrie e di commerci. Nella pianura è possibile tracciare strade, autostrade, ferrovie ed aeroporti senza troppi impedimenti di salite, discese e curve.
Le pianure, bene irrigate dai fiumi e dai canali scavati dall’uomo, sono coltivate intensamente. Negli ampi terreni pianeggianti è possibile l’uso dei trattori e delle altre macchine agricole. Nelle pianure si coltivano i foraggi (erbe di cui si ciba il bestiame), cereali (grano, granoturco, riso), tabacco, barbabietole da zucchero, alberi per legname (pioppi, faggi) e alberi da frutto.
Nasce una pianura
Molti e molti secoli fa, la grande valle del Po era occupata dal mare e le sue onde si frangevano ai piedi delle Prealpi. Ma poi, dalle gole nascoste delle Alpi, discesero i ghiacciai, i quali colmarono i fiumi e i torrenti che portavano tonnellate di detriti.
Questa terra, strappata alle acque, si coprì di immense foreste e qua e là, nelle grandi radure che si aprivano nell’intrico della vegetazione, sorsero miseri villaggi di capanne, circondati da brevi campi coltivati a cerali o a viti.
Furono i Romani che, dopo molti secoli, cominciarono per primi ad abbattere le dense boscaglie per farvi passare le larghe strade che dovevano congiungere i paesi conquistati. Più avanti nel tempo, specialmente per opera dei monaci, altre vastissime zone furono diboscate; si prosciugarono plaghe paludose, si costruirono canali di irrigazione.
La pianura era ormai nata e l’intensa opera dell’uomo la rendeva di anno in anno più fertile; eppure ancora oggi il vomere del contadino affonda nei resti delle antiche vette demolite dal gelo, e qualche volta appare, tra i sassi, il fossile di qualche antica spiaggia dalle onde che flagellavano le scogliere di ghiaccio. (A. Stoppani)
Flora e fauna
Nei campi della pianura vivono i lombrichi e moltissimi insetti di ogni specie. Ci sono i ricci, voraci insettivori, e i timidi conigli selvatici.
Gli uccelli sono numerosi: il cardellino, la tortora, la quaglia e l’allodola amano le ampie distese della pianura. In alcune zone della Maremma e della Sardegna si trova ancora il cinghiale, che è un maiale selvatico. Ma anche gli animali selvatici, come le piante spontanee, vanno scomparendo dalla pianura.
Anche la pianura ha le sue piante. Nella zona di alta pianura crescono platani, robinie, betulle, pini silvestri, sambuchi, ginestre e brughi. Dai cespugli di brugo, certe zone di alta pianura hanno preso il nome di brughiere.
Nella bassa pianura troviamo pioppi, salici e numerosissimi tipi di erbe.
Ora le brughiere e le zone non coltivate della pianura vanno scomparendo perchè l’uomo, mediante imponenti lavori di bonifica e di irrigazione, cerca di sfruttare ogni zona di terreno.
Le comunicazioni
In pianura le comunicazioni sono facili e dirette: anche per questo la vita tende ad accentrarsi nelle pianure. Qui sorgono grandi città, centri industriali e commerciali dove le merci e i prodotti possono rapidamente giungere e partire per le varie destinazioni.
Il traffico maggiore è svolto per mezzo delle ferrovie e degli automezzi. Veloci automobili e autotreni col loro rimorchio corrono sulle autostrade. Queste sono grandi e moderne strade riservate agli automezzi: pedoni e ciclisti non possono percorrerle. Esse congiungono direttamente le grandi città, sono abbastanza larghe e ben pavimentate e non sono mai tagliate di strade trasversali.
Così i veicoli possono viaggiare a grande velocità senza pericolo. Agli incroci spesso una strada scavalca l’altra come un ponte: si ha così un cavalcavia. Anche i fiumi talvolta vengono usati in pianura come vere e proprie vie d’acqua. Per mezzo di barconi e chiatte, molte merci vengono trasportate lungo i fiumi e i grandi canali.
Il lavoro industriale
Le facili comunicazioni permettono il rapido trasporto delle materie prime che le industrie lavorano e trasformano in utili prodotti. Per questo i più grandi stabilimenti industriali sorgono più numerosi in pianura che altrove. Quante industrie sono necessarie per rifornirci di tutto quello che ci serve per vivere! Gli stabilimenti tessili ci forniscono i vestiti che indossiamo, i calzaturifici ci preparano le scarpe, le cartiere fabbricano i nostri quaderni, i mobilifici arredano di mobilio le nostre case, gli stabilimenti meccanici ci donano utensili e macchine di ogni tipo, necessari per il nostro lavoro, per i nostri trasporti e per rendere la nostra casa più comoda. Ma ad essi occorrono ferro, acciaio ed altri metalli che sono lavorati negli stabilimenti siderurgici e metallurgici.
Paludi e stagni
Non tutte le zone di pianura sono abitate e coltivate. Vi sono dei luoghi dove l’acqua, non assorbita dal terreno, si ferma e ristagna, formando le paludi. Molte di esse, separate da sottili lingue di terra, si trovano lungo le coste dei mari: sono le lagune.
Quando l’acqua si raccoglie in piccole conche del terreno, forma gli stagni, acquitrini melmosi, ricchi di erbe acquatiche, di arbusti intricati e di canneti. In questi luoghi, che rappresentano il paradiso dei cacciatori per i molti uccelli acquatici che vi si possono trovare, l’aria è malsana, densa di moscerini e di zanzare.
In alcune regioni d’Italia sono state compiute opere di bonifica, per prosciugare e rendere produttivi molti terreni paludosi.
Nelle marcite, tipi particolari di campi in cui l’acqua circola tra le piantine e le mantiene umide, si possono fare anche otto tagli di erba all’anno.
Il riso
Il riso è una pianta che cresce solo nell’acqua: viene perciò coltivata nei terreni paludosi o appositamente allagati. In marzo i contadini preparano i piccoli appezzamenti destinati alla semina del riso, zappano la terra a mano, lavorando nel fango, e sminuzzano le zolle con l’erpice tirato da due robusti cavalli. Prima della semina, che di solito si effettua in aprile, immettono l’acqua nei campi.
Dopo due mesi le piantine verdi, cresciute fitte fitte nel campo, sono pronte per il trapianto. Le mondine scavano un piccolo buco nella melma e vi affondano ad una ad una le radici dei cespi di riso. In giugno o in luglio procedono a varie mondature, cioè strappano le erbacce dalla risaia.
In settembre le pianticelle si incurvano sotto il peso dei chicchi maturi: è l’ora della mietitura. Le risaie vengono prosciugate e le pianticelle falciate a mano. Quindi il riso viene trebbiato con la macchina trebbiatrice e portato sull’aia ad essiccare.
Infine passa nelle riserie, dove altre macchine trasformano i chicchi scuri, violacei, rossastri, in granelli bianchi e brillanti. La sua lunga storia è finita: il riso è pronto per apparire nelle nostre cucine.
In campagna
Dalla casa colonica lo sguardo spazia, al di sopra della pianura, per un vasto orizzonte; sono lontani i monti che appaiono di un azzurro più scuro nell’azzurro vivo del cielo.
Attorno alla casa, prati e campi di frumento, di granoturco, di avena. Da campo a campo, lunghe file di pioppi fanno alta siepe di verde; le foglie tremano al vento leggero.
Nelle belle, calde sere di giugno, dai prati rigogliosi, dai campi dove già le messi cominciano a biondeggiare, si levano a mille le lucciole. Sembrano stelline vaganti che si agitano per rispondere, con la loro minuscola lucetta, allo scintillio delle grandi stelle nei cielo.
Nel silenzio si leva il canto dei grilli.
Le grandi fattorie
In pianura sorgono numerose fattorie. Visitiamone una. Appena entrati ci troviamo in un ampio cortile cinto da un alto porticato. Nel mezzo si trova l’aia, sulla quale si stendono le biade ad essiccare. Intorno si affacciano le stanze di abitazione, le stalle e i ripostigli. Sotto il portico è ammucchiato il fieno, vicino a cataste di legna da ardere e a balle di paglia. Qua e là si scorgono diverse macchine agricole. Tutt’intorno è un brulicare di galline, di anatre, di oche, e non mancano mai cani fedeli che fanno la guardia e agili gatti a dar la caccia ai topi.
Perchè il fiume è chiuso fra due argini?
In pianura i fiumi non hanno forte corrente, dato che la pendenza del terreno è minima. I barconi e le chiatte cariche di merci possono così risalire facilmente i grandi fiumi placidi della pianura. Ci sono anche i canali scavati dagli uomini per irrigare i campi o per impedire che in certe zone l’acqua del fiume ristagni a formare le paludi. I canali, togliendo molta acqua ai fiumi, impediscono anche che essi inondino la campagna durante le piene. Servono perciò a regolare il corso dei fiumi. In certe zone però ciò non basta. Il fiume, che in pianura scorre lento, deposita sul fondo tutti i detriti che le sue acque portano via dalla montagna. Il solco del suo letto si riempie e il fiume viene poco per volta ad essere più alto del terreno che sta intorno e minaccia di straripare. Per impedirlo, l’uomo ha dovuto costruire dei robusti argini di terra lungo le sponde. Per costruire questi argini, gli uomini adoperano la terra che tolgono dallo stesso letto del fiume con le draghe. Le draghe che scavano il fondo del fiume servono a rendere navigabili tutte le sue parti anche ad imbarcazioni piuttosto grosse. Inoltre contribuiscono ad impedire che il fondo del fiume si alzi troppo.
(in costruzione)
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Le catene di perle sono serie di barrette (di perle colorate per i numeri da 1 a 9) e di perle dorate per la decina, che rappresentano in forma lineare il quadrato ed il cubo di ogni numero. Coi bambini più piccoli si prestano ad esercizi legati al contare ed all’esplorazione del numero e del sistema decimale, coi più grandi supporta lo studio delle potenze e dell’algebra.
Qui trovi qualche suggerimento per la costruzione in proprio del materiale, o in alternativa la versione stampabile.
Se desiderate realizzare il materiale con perle vere, dopo aver preparato le 10 barrette da dieci perle, congiungetele tra loro preparando degli anellini di fil di ferro:
Se non avete la possibilità di realizzare il materiale con perle vere, potete considerare l’idea di stampare e comporre sempre con anellini di fil di ferro o graffette queste catene pronte per la stampa:
Sia che usiate perle vere, sia che vogliate ricorrere alla versione stampabile, completano il materiale le frecce per contare (blu per le decine, rosse per le centinaia):
Catene di perle Montessori TUTORIAL E DOWNLOAD
Le altre catene dei quadrati, oltre a quella del 100 (quadrato del 10) si preparano allo stesso modo, utilizzando le barrette di perle colorate
per i numeri da 2 a 9 (il quadrato di 1 è 1), congiungendo attraverso gli anellini di fil di ferro (o le graffette): – 2 barrette del 2 – 3 barrette del 3 – 4 barrette del 4 – 5 barrette del 5 – 6 barrette del 6 – 7 barrette del 7 – 8 barrette dell’8 – 9 barrette del 9
è un materiale che, una volta preparato, si presta poi ad essere utilizzato anche per giochi con le tabelline e successivamente allo studio delle potenze dei numeri.
Questa è, se può essere utile, la versione stampabile:
E anche in questo caso, completano il materiale le frecce per contare.
Ho preparato una versione colorata (nei colori utilizzati per preparare il materiale stampabile) e una versione bianco e nero se utilizzate barrette di colori diversi (da colorare o da stampare su fogli colorati):
Catene di perle Montessori TUTORIAL E DOWNLOAD
La catena del 1000 e le altre catene dei cubi dei numeri
Per la catena del 1000, dopo aver preparato le 10 catene del 100 necessarie, congiungetele tra loro con un ulteriore anellino, in modo tale che la catena presenti un anello a congiungere le decine tra loro, e due anelli a congiungere tra loro le centinaia.
Allo stesso modo potete congiungere tra loro, se preferite, il materiale stampabile proposto più sopra, insieme alla catena del 100.
Sia che usiate perle vere sia che usiate il materiale stampabile, completano il materiale le frecce per contare.
Catene di perle Montessori TUTORIAL E DOWNLOAD
Per i cubi dei numeri da 1 a 9 congiungete tra loro:
– 4 barrette del 2
– 9 barrette del 3
– 16 barrette del 4
– 25 barrette del 5
– 36 barrette del 6
– 49 barrette del 7
– 64 barrette dell’8
– 81 barrette del 9
Questo è il materiale in versione stampabile:
Anche in questo caso, il materiale è completato dalle frecce per contare, compreso nelle frecce per contare le catene delle potenze:
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