Soprattutto pensando alle insegnanti che sentono quanto la psicoartimetica Montessori potrebbe essere d’aiuto nella scuola, non solo per il sostegno, ho anche preparato del materiale “virtuale” stampabile:
Versione stampabile delle perle dorate Montessori
materiale pronto per download e stampa qui:
Dopo aver stampato, consiglio di plastificare, o almeno di incollare ad un cartoncino per rendere il materiale più resistente e facile da maneggiare.
Potete utilizzare le barrette semplicemente ritagliate, ma sarebbe meglio completarle inserendo alle due estremità di ogni barretta una graffetta:
o un anellino di fil di ferro (basta attorcigliarlo attorno alla pinza e tagliare):
Questo accorgimento vi permetterà poi di utilizzare il materiale anche per altri giochi ed attività interessanti come il serpente dell’addizione e le catene di 100 e di 1000.
Soprattutto pensando alle insegnanti che sentono quanto la psicoaritmetica Montessori potrebbe essere d’aiuto nella scuola, non solo per il sostegno, ho anche preparato del materiale “virtuale” stampabile:
Dopo aver stampato, consiglio di plastificare, o almeno di incollare ad un cartoncino per rendere il materiale più resistente e facile da maneggiare.
Potete utilizzare le barrette semplicemente ritagliate,
ma sarebbe meglio completarle inserendo alle due estremità di ogni barretta una graffetta:
o un anellino di fil di ferro (basta attorcigliarlo attorno alla pinza e tagliare):
Questo accorgimento vi permetterà poi di utilizzare il materiale anche per altri giochi ed attività interessanti come il serpente dell’addizione…
Dettati ortografici – LA SCUOLA – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Una scuola di città La ghiaia del cortile, le pozzanghere, i muri alti, con tante finestre tutte uguali, ogni finestra una classe, tanti maestri, tante maestre, tanti ragazzi tutti vestiti con lo stesso grembiule, e le stesse parole, gli stessi rimproveri, gli stessi problemi, da anni… Non c’è proprio niente di nuovo… Uno sguardo nel corridoio: come sempre un attaccapanni lunghissimo, tanti cappotti, tante mantelline, sciarpe rosse, duo o tre pelliccette e dentro le tasche, che cosa? Fischietti, bottoni, viti, il coperchio di una scatola di lucido, briciole di dolci mangiati chi sa quanto tempo fa, briciole che diminuiscono perchè ogni tanto, a ricordo di quel sapore, anche una briciola è buona. (G. Mosca)
Una vecchia scuola di villaggio Il locale aveva tre pareti su quattro, dimezzate dal tetto a punta e due aperture per la luce simili più a feritoie che a finestre. L’una infatti spiava su un vicolo angusto e l’altra guardava le montagne che chiudevano l’orizzonte dalla parte di tramontana. I banchi erano lunghi e di quercia stagionata e portavano i segni ingloriosi delle offese ricevute da cinque generazioni di scolari. Al momento dell’entrata i primi arrivati si annunciavano con il battere dei loro zoccoli sui gradini della ripida scala di legno. (M. Menicucci)
Scuola Tutti, tutti studiano ora. Pensa agli operai che vanno a scuola la sera, dopo aver faticato tutta la giornata; alle donne, alle ragazze che vanno a scuola la domenica, dopo aver lavorato tutta la settimana. Pensa agli innumerevoli ragazzi che, press’a poco a quell’ora, vanno a scuola in tutti i paesi. Vedili con l’immaginazione, che vanno, vanno per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi, dove sotto un sole ardente, dove tra le nebbie, tutti con i libri sotto il braccio. E pensa: se tutto questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie. (A. De Amicis)
Animo, al lavoro! Animo, al lavoro! Al lavoro con tutta l’anima e con tutti i nervi! Al lavoro che mi renderà il riposo dolce, i giochi piacevoli, il mangiare allegro; al lavoro che mi renderà il buon sorriso del maestro e quello benedetto di mio padre. A. De Amicis
La cartella Stamattina ho ripreso in mano la mia cartella per tornare a scuola. E’ la mia cartella dell’anno passato che la mamma ha ben spolverata e lucidata. Mi seguirà ancora per un intero anno scolastico e sarà partecipe delle mie gioie e dei miei dolori. Come l’anno passato conterrà libri, quaderni, astuccio. Cercherò di conservarla bene.
Ritorno L’estate è finita. I felici giorni trascorsi sulle spiagge, in campagna, sui monti, rimangono vivi soltanto nel nostro ricordo: si torna al lavoro, le vacanze sono finite. Anche i bambini, a cui il riposo ha ritemprato le forze, tornano volentieri a scuola. Cominciano serenamente il nuovo anno scolastico: è bello lavorare, è bello imparare! (Teresa Stagni)
La scuola Anche la scuola ha le sue lotte, le sue battaglie; ma lotte pacifiche, battaglie amichevoli, dove la vittoria è comune, comune il premio. Vittoria è sentirsi dopo la battaglia più ricchi di virtù e di sapere; premio è il sentire cresciuta l’amicizia e la stima. Lontano dalla scuola i rancori e le insidie; oh, non arrivino mai questi a turbare l’aria pura e serena della scuola! (F. De Sanctis)
Ritorno Bentornati, bambini, a scuola. Il tempo del riposo e dello svago è finito ed ora dobbiamo dedicarci allo studio. C’è in noi un certo rincrescimento per aver lasciato il mare, i monti e la campagna, ma c’è anche la gioia di esserci incontrati ancora tutti, per riprendere insieme il nostro lavoro. La scuola non vi toglierà tutto il vostro tempo, di cui avete bisogno per giocare, ma vi ricorda che prima del gioco avete un dovere da compiere: studiare. Amate la scuola, accorrete alle vostre aule puntuali, volenterosi e soprattutto sereni. Ricordatevi che le vacanze estive vengono tutti gli anni e saranno sempre più belle per chi durante l’anno scolastico avrà ben meritato. Buon lavoro e siate buoni! (G. Spanu)
A scuola Eccoci di nuovo a scuola. Tu non sei più uno scolaretto timido come nelle classi precedenti, quando eri più piccino. Sai che il tuo dovere è quello di studiare e di imparare tante cose che ti faranno diventare onesto, forte, buono.
I migliori amici I libri sono nostri amici. Essi ci fanno compagnia nella quiete del nostro studio, ci seguono nella campagna, rallegrano la nostra solitudine, riempiono le ore placide della vita. Ci parlano se interrogati; se li lasciamo non si lamentano; divertono nei tempi quieti e sereni, danno forza e coraggio nelle terribili circostanze, aprono le pagine della storia, ci fanno vivere coi grandi uomini che già furono. (F. Pananti)
Compagni di scuola Tu vuoi bene, vero, ai tuoi compagni di scuola? Potrai avere una predilezione per il tuo vicino di banco, per il più bravo della classe, per quello che è stato colpito dalla sventura, ma a tutti, vero? A tutti vuoi bene. Al più ricco come al più povero tu doneresti, se venisse a casa tua, un fiore del giardino e tua madre gli chiederebbe della sua mamma, e gli aprirebbe il suo cuore chiamandolo “Figlio mio”. (M. Moretti)
Il maestro
Ogni maestro è come il comandante di una nave pronta a salpare. La scuola è la tua nave e tu sei scolaro e marinaio. A ogni lezione si parte e si arriva. Ed è sempre il maestro che ti dà il segnale, indica i punti da vedere e insegna le cose da imparare. Spesso scrive sulla lavagna lettere e vocali, numeri e parole. E sempre guarda negli occhi e guarda nel cuore di ciascuno come un buon comandante fa coi suoi marinai. Ogni mattina si parte per una tappa nuova. E la nave scuola solca il grande mare del sapere. (N. Salvaneschi)
A scuola
La scuola vi accoglie con un sorriso e vi dice: “Siete ritornati a scuola, come a una festa. Sono passate le vacanze, e ne avete abbastanza di giochi, di corse, di libertà. I vostri occhi brillano di gioia, della gioia di ritrovare i vostri compagni, le vostre compagne, la vostra maestra. Vi ritrovo cresciuti, con un bel colorito: quasi non vi riconosco più. Il vostro viso è sorridente, nei vostri occhi c’è il desiderio di imparare. Al lavoro, bambini, con serenità!” (A. R. Piccinini)
Parla il libro
Io sono soltanto un libro, una cosa che tu potresti strappare con tue mani impazienti, che tu potresti sgorbiare con la tua penna, che tu potresti gualcire in un momento di stizza. Ma ricordati che sono il frutto del lavoro di tanti uomini. Per farmi così, come mi vedi, una fabbrica ha lavorato per produrre la carta. Su questa carta gli stampatori hanno impresso i caratteri e le illustrazioni. Ma, prima di questo, lo scrittore ha dovuto scrivere i racconti e il pittore ha disegnato e colorato le figure. Ora sono nella tua cartella e tu puoi leggere su di me tante belle e nuove cose. Se tu vuoi ti insegnerò a diventare più buono e più bravo. In cambio ti chiedo di non sciuparmi e di leggermi, di studiarmi. Non è molto in confronto a tutto quello che ti dono. (M. Menicucci)
I miei compagni 22, sabato. Ieri, mentre il maestro ci dava notizie del povero Robetti, che dovrà camminare un pezzo con le stampelle, entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte; tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttore, dopo aver parlato all’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito. Allora il maestro gli prese una mano, e disse: “Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia da qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra Patria, dove son grandi montagne, abitate da un popolo pieno di ingegno e di coraggio. Vogliategli bene in maniera che non si accorga di essere lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta piede, ci trova dei fratelli”. Detto questo si alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte: “Ernesto De Rossi!”, quello che ha sempre il primo premio. De Rossi si alzò. “Vieni qua” disse il maestro. De Rossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese. “Come primo della scuola” gli disse, “da’ l’abbraccio del benvenuto in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio del figliolo del Piemonte al figliolo della Calabria”. De Rossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: “Benvenuto!”, e questi baciò lui sulle due guance, con impeto. Tutti batterono le mani. “Silenzio!” gridò il maestro, “Non si battono le mani a scuola!”. Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento. Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: “Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perchè questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino, e che un ragazzo di Torino fosse come a casa sua a Reggio Calabria, il nostro Paese lottò per cinquant’anni, e tremila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti tra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno, perchè non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore”. Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa e un altro ragazzo, dall’ultimo banco gli mandò un francobollo di Svezia.
Martedì, 25 Il ragazzo che mandò il francobollo al calabrese è quello che mi piace più di tutti, si chiama Garrone, è il più grande della classe, ha quasi quattordici anni, la testa grossa, le spalle larghe; è buono, si vede quando sorride; ma pare che pensi sempre, come un uomo. Ora conosco già molti dei miei compagni. Un altro mi piace pure, che ha nome Coretti e porta una maglia color cioccolata e un berretto di pelo di gatto; sempre allegro, figliolo di un rivenditore di legna, che è stato soldato nella guerra del ’66, nel quadrato del Principe Umberto, e dicono che ha tre medaglie. C’è il piccolo Nelli, un povero gobbino, gracile e col viso smunto. C’è uno molto ben vestito che sempre si leva i peluzzi dai panini e si chiama Votini. Nel banco davanti al mio c’è un ragazzo che chiamano il muratorino, perchè suo padre è un muratore; una faccia tonda come una mela, con un naso a pallottola; egli ha un’abilità particolare, sa fare il muso di lepre, e tutti gli fanno fare il muso di lepre, e ridono; porta un piccolo cappello a cencio che tiene appallottolato in una tasca come un fazzoletto. Accanto al muratorino c’è Garoffi, un coso lungo e magro, col naso a becco di civetta e gli occhi piccoli piccoli, che traffica sempre con pennini, immagini e scatole di fiammiferi, e si scrive la lezione sulle unghie per leggerla di nascosto. C’è poi un signorino, Carlo Nobis, che sembra molto superbo ed è in mezzo a due ragazzi che mi sono simpatici: il figlio di un fabbro ferraio, insaccato in una giacchetta che gli arriva al ginocchio, pallidino che par malato e ha sempre l’aria spaventata e non ride mai; e uno coi capelli rossi che ha un braccio morto, e lo porta appeso al collo: suo padre è andato in America e sua madre va attorno a vendere erbaggi. E’ anche un tipo curioso il mio vicino di sinistra, Stardi, piccolo e tozzo, senza collo, un grugnone che non parla con nessuno e pare che capisca poco, ma sta attento al maestro senza batter palpebra, con la fronte corrugata e coi denti stretti; e se lo interrogano quando il maestro parla, la prima e la seconda volta non risponde, la terza volta tira un calcio. E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un’altra sezione. Ci sono anche due fratelli, vestiti uguali, che somigliano a pennello, e portano tutti e due un cappello alla calabrese, con una penna di fagiano. Ma il più bello di tutti, quello che ha più ingegno, che sarà il primo di sicuro anche quest’anno, è De Rossi, e il maestro, che l’ha capito, lo interroga sempre. Io però voglio bene a Precossi, il figlio del fabbro ferraio, quello dalla giacchetta lunga, che pare un malatino; dicono che suo padre lo batte; è molto timido e ogni volta che interroga o tocca qualcuno, dice “Scusami”, e guarda con gli occhi buoni e tristi. Ma Garrone è il più grande e il più buono. (E. De Amicis)
Dettati ortografici – LA SCUOLA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Dettati ortografici PULCINI GALLINE E GALLETTI – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Sono due pulcini usciti ieri dall’uovo. Sono già nel prato a godersi la primavera. Guardano intorno, beccano in terra e si bisticciano. Bisticciano per una crostina di pane trovata fra l’erba. Tira uno, tira l’altro… nessuno vince. Il pulcino più scuro dà una beccata alla crostina; il pulcino più chiaro dà una beccata al compagno; l’altro scappa via contento col boccone. Non è passato che un momento; ecco i pulcini già in pace. Beccano contenti l’uno quasi contro l’ala dell’altro.
(in costruzione)
Dettati ortografici PULCINI GALLINE E GALLETTI – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Dettati ortografici IL RICCIO – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Sotto la grande quercia vive tutto un popolo strano: formiche brune, ricci, lumache, una faina. Si lavora continuamente giorno e notte. Ogni tanto la riccia torna a casa con un fascio di foglie sopra la schiena. E’ andata a rotolarsi sotto i castagni e tante foglie le si sono infilzate sul dorso, tante ne porta a casa. E’ stata sveglia, come di solito, tutta la notte e ha ancora molto da fare. Il piccino suo, seduto sopra una radica di quercia, la guarda tutto contento. E’ simile a un minuscolo porcellino da latte, più ignorante di una talpa, e non sa niente, non capisce niente. (F. Tombari)
(in costruzione)
Dettati ortografici IL RICCIO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Dettati ortografici – IL LOMBRICO- una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Il lombrico uscì da un buco della terra e si allungò e si snodò per venire fuori tutto. Stava volentieri sotto terra, perchè era nudo, molle e cieco e i nemici erano tanti: il vomere, la vanga, la zappa del contadino e poi gli uccelli. Essi, alla vista di un lombrico grasso e tenero, si buttano giù a capofitto tutto becco e fame, e il verme, senza accorgersene, passa dal buio della terra, al buio di uno stomaco. Sottoterra, dove lento e tenace, il lombrico si scava la sua strada, esso è sicuro e sta bene. Lo chiamano mangiatore di terra, ma non è vero; per scavare il suo buco il lombrico ingoia la terra, ma poi la restituisce resa più grassa, più fertile dal passaggio del suo corpo. Benedetto il campo dove i lombrichi stanno di casa!
Il lombrico Nudo, molle, cieco, striscia sul terreno e si infila volentieri nel primo buco che incontra. Si dice che il lombrico mangia la terra. In realtà, quando scava, il lombrico ingoia la terra che scava e poi la restituisce più grassa. Perciò quest’umile verme è di grande vantaggio al contadino, perchè rende la terra più soffice, porosa, fertile.
Il lombrico E’ un verme simpatico, perchè non soltanto è prezioso per il terreno dove abita, ma se lo ferisci, anzi, se lo tagli addirittura a metà, in due pezzi, in tre pezzi, in quattro, vedrai che ogni pezzo se ne andrà tranquillo per conto suo come se non gli fosse accaduto nulla di male. E invece di un lombrico solo, ne abbiamo due, tre, quattro, ognuno con la sua testa, il suo stomaco, i suoi anelli!
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Dettati ortografici – animali dello stagno e del fosso – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Nel fosso l’acqua non era profonda, ma limpida e ridente. Vi abitavano molti pesci, spinelli e carpe, che passavano e ripassavano in fila. C’erano anche libellule verdi, azzurre, brune, che non appena si posavano sui vincastri, io afferravo piano piano, dolcemente, o mi sfuggivano, leggere, silenziose, col fremito delle loro ali di velo. C’erano certi insetti bruni dal ventre bianco, che saltellavano sulla superficie dell’acqua, e facevano muovere le loro esili gambe allo stesso modo dei calzolai quando tirano lo spago. E non mancavano le ranocchie che non appena si accorgevano di me, si tuffavano nell’acqua. C’erano poi delle salamandre acquatiche che rovistavano nella mota e dei grossi scarafaggi che si davano un gran da fare nelle pozzanghere. (F. Mistral)
(in costruzione)
Dettati ortografici – animali dello stagno e del fosso – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Dettati ortografici IL LETARGO – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Il risveglio del tasso
Quatto quatto, ancora un po’ incerto, è uscito dalla tana anche il tasso. Poveraccio, com’è dimagrito! Ne ha guadagnato la linea, è vero, ma sembra il ritratto della fame. Ghiottone com’è, si accorge che è ancor presto per le grandi scorpacciate, la natura offrendogli ben poco; ma forse è meglio riabituarsi al cibo un po’ alla volta, con moderazione. Data un’occhiata in giro e addentato qualcosa, ritorna guardingo verso la tana; è stanco e una dormitina non gli farà male. D’improvviso si arresta, poi, rassicurato, prosegue: il fischio che aveva sentito l’aveva subito riconosciuto. Toh, s’è svegliata pure la signora marmotta: aperto il cunicolo che immette alla tana, è uscita al richiamo della primavera. (V. De Marchi)
Lo scoiattolo si risveglia
Lo scoiattolo non riusciva più a dormire. Il sole lo guardava. Si strofinò gli occhietti, afferrò una noce e si pose a sedere. Aveva molta fame, ma era ben provvisto: tutto il nido era foderato di noci, poi ne tirava fuori un’altra di sotto il letto. Così, quando nel pancino non ce ne stettero più, si diede una gran lisciata di baffi e si mise a guardare intorno. Passava da un ramo all’altro a corsettine, senza mai toccar terra. Saltava su un abete, rimbalzava su un pino, gettava pinoli in tesa ai conigli. Riappariva su un nido di gazza per rubarvi le uova. Le uova col sole dentro. (L. Volpicelli)
Le lucertole
Le lucertole, riscaldate dal sole tiepido, escono dai buchi dove sono state in letargo per tutto l’inverno e si fermano al calduccio, guardando qua e là con gli occhietti vispi. Sono alla caccia di un insetto. Hanno tanto dormito che ora vorrebbero proprio saziarsi di qualche insettuccio incauto che arrivi alla porta della loro lingua. (M. Menicucci)
La lucertolina
Ecco là sul muricciolo la lucertolina che sta a godersi il sole. No, non sta lì a goderselo, sta lì al sole per vera necessità. E’ una lucertolina giovane, uscita da poco da una crepa del muro, dove ha passato l’inverno, e ora aspetta che il caldo la irrobustisca, le dia snellezza per acchiappar mosche e vivere. Ecco dunque chi potrebbe diminuire il gran numero di mosche che minacciano la nostra salute. Ma vi è forse al mondo un’altra bestiola più perseguitata dai ragazzi? (Reynaudo)
Che cos’è il letargo
Molti animali, per difendersi dai rigori dell’inverno, si rinchiudono nella tana sin dall’autunno e vanno in letargo. Durante questo sonno profondissimo, la temperatura del loro corpo si abbassa e il loro respiro si fa più lento: essi consumano pochissime energie e non hanno bisogno di nutrirsi. E’ il caso del ghiro e della marmotta. Lo scoiattolo, invece, si sveglia di tanto in tanto per mangiare il cibo immagazzinato nella sua tana.
Letargo e ibernazione
Agli inizi dell’inverno milioni di animali, in ogni parte del mondo, cadono in un particolare stato di riposo: il letargo. Il letargo è un mezzo per sopravvivere, offerto dalla natura ad alcune specie di animali che in questa stagione non troverebbero più il cibo adatto.
Molti animali hanno un letargo che consiste semplicemente in un sonno più o meno profondo e prolungato: tra questi vi sono l’orso, il tasso, lo scoiattolo, la talpa.
Alcuni mammiferi, invece, durante il letargo mutano profondamente le condizioni del loro organismo: si dice che ibernano. L’ibernazione non consiste in un semplice sonno: la temperatura del sangue dell’animale si uniforma a quella dell’ambiente (come avviene, in ogni stagione, nei rettili), il cuore dà un battito ogni due o tre minuti, il respiro si fa impercettibile, cessa completamente la necessità di nutrirsi. Sono animali ibernanti la marmotta, il riccio, il ghiro, il pipistrello.
I pesci, i rettili, gli anfibi, durante il riposo invernale limitano anch’essi tutte le funzioni del loro organismo al minimo indispensabile per conservare la vita; questo stato si dice “vita latente”.
Il riccio
Quando giunge l’inverno il riccio comincia a trovarsi nei guai; il suo mantello spinoso è un ottimo strumento di difesa contro le zanne e gli artigli dei nemici, ma è un riparo assai scadente contro gli assalti del freddo. Per combattere la grande dispersione di calore a cui è sottoposto il suo corpo dovrebbe, in inverno, mangiare moltissimo, ma ha la sfortuna di essere un insettivoro e… di insetti in questa stagione, specialmente quando il terreno è gelato, è quasi impossibile trovarne. Per risolvere questa difficile situazione il riccio, appena la temperatura comincia a scendere sotto i 15°, si appallottola nella sua tana e cade in letargo; vi resterà finchè il clima non sia tornato più favorevole alla sua nutrizione. Durante la sua ibernazione il riccio regola continuamente la temperatura del proprio corpo, mantenendola sempre di un grado superiore a quella dell’ambiente. Facciamo un esempio: se la temperatura esterna è a +10° il riccio mantiene il suo corpo solamente a +11°. E’ questo un ottimo sistema per risparmiare… combustibile, cioè i grassi accumulati nel corpo durante l’estate. Però, se la temperatura esterna si abbassa sotto i +5°, il riccio non si può permettere di seguirla nella sua discesa, perchè finirebbe col diventare congelato; allora il suo organismo comincia automaticamente a consumare una quantità maggiore di grassi, per mantenere nel corpo la temperatura minima sufficiente alla vita. Mentre avviene tutto ciò, il riccio seguita tranquillamente a dormire. Si direbbe che questo animale sia dotato di un perfetto termostato, l’apparecchio che c’è nei nostri frigoriferi, e che riaccende automaticamente il motore se la temperatura non è più al punto voluto.
La marmotta
Il luogo ove le marmotte trascorrono in letargo sei o sette mesi invernali è una vera camerata sotterranea: essa si trova a due o tre metri di profondità ed è larga una decina di metri; vi stanno a dormire una quindicina di marmotte. Durante l’estate questi animali hanno tagliato coi denti molta erba e l’hanno fatta seccare al sole; poi, con la bocca hanno trasportato il fieno nella caverna, disponendolo ordinatamente a strati. Ora, su questo soffice materasso, dormono un profondissimo sonno: se ne stanno acciambellate col capo stretto fra le zampe posteriori. Nella marmotta, durante il letargo, le funzioni della vita sono ridotte al minimo: l’animale compie 36.000 respirazioni in quindici giorni, tante quante ne compiva in un sol giorno durante l’estate. La temperatura del corpo, che durante la veglia è di 36°, nel letargo si mantiene sui 10° e può eccezionalmente scendere anche a 5°, quando quella esterna si approssima allo zero. Anche per mantenere queste basse temperature occorre però un certo consumo di grassi; le marmotte, infatti, durante il letargo, perdono una buona parte del loro peso.
Il ghiro
I ghiri sono i più famosi dormiglioni del regno animale; tutti conosciamo il detto “dormire come un ghiro”; figuratevi infatti che quando dorme, e se ne sta tutto raggomitolato come una palla, possiamo prenderlo e farlo rotolare per terra senza che neanche si svegli. Alla fine dell’estate i ghiri cominciano a raccogliere in un vasto nido, nel cavo di un albero, una quantità di ghiande, noci, faggiole. Poi si radunano a dormire in parecchi nella stessa tana. Le provviste che hanno raccolto serviranno per la prima colazione nell’aprile dell’anno seguente, quando si ridesteranno.
Il pipistrello
Il pipistrello cade in letargo… ogni giorno. Questo animale esce in cerca di cibo soltanto la notte; di giorno se ne sta nascosto in una caverna, in una soffitta o in una fessura della roccia e cade in uno stato di sonno detto letargo diurno; infatti, in quelle ore, il suo sangue si raffredda, i respiri e i battiti del cuore si fanno più distanziati. Ma quando giunge l’inverno e la temperatura scende al di sotto dei 10°, il sonno si prolunga per settimane e mesi e la vita rallenta ancor più il suo ritmo. Il pipistrello resiste al sonno anche se la temperatura del suo sangue scende a -2°. E’ l’unico mammifero che possa sopportare temperature del corpo inferiori a zero gradi, senza pericolo per la sua vita. Si desta invece facilmente al calore, alla luce, al tatto, al rumore e si riscuote subito, a differenza degli altri animali. Curioso è il suo modo di dormire, appeso a capo all’ingiù; ma non si stanca? Verrebbe voglia di chiedersi. Niente affatto, perchè le sue zampette si serrano automaticamente sull’appiglio per azione del peso del corpo che fa contrarre i tendini delle dita.
Animali in letargo
E’ sopraggiunto l’inverno e tutto, intorno, è spoglio, triste, silenzioso. Lucertole, bisce, ghiri, tassi e marmotte dormono profondamente. Consumano il grasso accumulato nella buona stagione e così possono resistere senza mangiare per i lunghi giorni dell’inverno… Anche il loro respiro si è rallentato: è quasi impercettibile e il loro cuore batte pianissimo.
Le signore Grassone a convegno
Le signore Grassone discutevano in cerchio, attente e serie. Ognuna diceva la sua, con calma e moderazione, ma la Strillona gridava più di tutte e poichè chi grida di più ha sempre ragione, le altre tacquero e la Strillona parlò. “Bisogna affrettarci!” gridava. “L’acqua sa già di neve. Tra poco la terra sarà tutta gelata, le piante si spoglieranno e non di troverà più un frutto né un seme da mettere sotto i denti. Presto, presto, a scavare le tane per l’inverno, abbastanza grasse per sopportare il lungo digiuno, presto, presto, che il sonno arriva a chiudere gli occhi dei giovani e degli anziani!”. “Ah, il sonno!” esclamò una marmotta anziana con espressione di grande beatitudine. “Quando penso che fra poco ci scaveremo la tana, profonda, molto profonda, fra i sassi e le rocce, che ne imbottiremo una stanza con fieno tritato e asciutto e che lì potremo rifugiarci con tutta la famiglia, abbracciati e dormire… mi sento felice. Ah, la vita è bella!” Un sonno lungo, quello delle signore marmotte, che durerà molti mesi e, se potessero sognare… Montagne di frutta secca, colline di semi, pascoli di radici saporite… Una delizia! Purché l’uomo… Un brivido di terrore passa su quelle schiene grasse. La marmotta anziana ricorda, purtroppo, la gran strage di quell’anno e racconta. Si erano tutte diligentemente purgate, come ogni volta, con acqua purissima di sorgente. E intanto si erano costruite la casa: una casa profonda e sicura, con un corridoio cieco che serviva da deposito di immondizie e una bella camera calda con un letto di fieno profumato. Avevano chiuso l’ingresso con un muro di fango, di pietre e d’erba secca, un vero calcestruzzo. Si credevano sicure lì dentro e si erano abbandonate alla beatitudine del lunghissimo letargo invernale. Altrimenti, di che cosa si sarebbero potute nutrire le povere marmotte? Durante la brutta stagione non avrebbero trovato né un frutto né un seme, forse nemmeno una radice sepolta dalla neve. La natura provvida aveva loro concesso il gran sonno. Appena un debole fiato d’aria per tenersi in vita, e così, quasi senza respiro e senza calore, ma con una grossa riserva di grasso sotto la folta pelliccia, le marmotte si erano addormentate profondamente. Durante il sonno era avvenuto lo scempio. Decine di famiglie non si erano più svegliate. L’uomo era avido della bella pelliccia morbida e anche del grasso che secondo lui, spalmato sulla pelle, guariva ogni male. Scavando nel muro di calcestruzzo, anche alla profondità di otto o nove metri, le aveva raggiunte e catturate senza pietà. Per questa ragione quell’anno avevano deciso di emigrare. Avrebbero cercato di sfuggire all’insidia degli uomini, recandosi in alto, ai confini delle grandi nevi, al di là del bosco e del torrente. In quel luogo spirava un vento propizio, Era una zona sicura… L’aveva detto il camoscio, venuto a brucare il finocchio ai margini del bosco. Nemmeno il camoscio era amico dell’uomo e sapeva dove si poteva stare al sicuro da lui. Le signore grassone, precedute dalla Strillona, che doveva eventualmente dare l’allarme, avanzavano caute, affacciandosi prima ai cigli delle rocce per perlustrare il terreno. Un grande silenzio sulla montagna. Non un colpo d’arma da fuoco, non un colpo di piccone, ma un’aria di pace completa. Solo il lieve stormire delle fronde mosse dal vento. Non c’era traccia d’uomo. Le marmotte durante il cammino, facevano grandi bevute d’acqua di fonte e non mangiavano nulla, non di facevano tentare nemmeno dalle ultime bacche cadute per terra. Dovevano andare verso il gran sonno col corpo purificato. Finalmente arrivarono. Alzarono verso l’aria le narici umide e vibranti per aspirare gli odori, odori rassicuranti e amici, poi cominciarono a scavare le tane. Dovevano mettersi al sicuro dall’uomo e dal falco, anche lui ghiotto di marmotte. Finalmente, il lavoro fu compiuto. Le famiglie di radunarono, si riconobbero sfiorandosi i baffi e finalmente giù nel profondo, dove, abbracciate in una tenera stretta, avrebbero aspettato il tepore della primavera che le avrebbe svegliate. (Mimì Menicucci)
Gli scoiattoli
Gli scoiattoli, durante l’inverno, non dormono continuamente. Quasi ogni mattino escono dal loro nido, posto sulla sommità di un albero, per sgranchirsi un poco le gambe, inseguendosi e correndo a spirale lungo il tronco ed i rami. Vanno anche a prelevare un poco del cibo che durante l’estate avevano accumulato in piccoli magazzini nascosti nelle cavità dei tronchi. Nelle altre ore del giorno se ne stanno ben tappati nel loro nido ove alternano mangiatine a lunghe dormite.
Le vipere
Le vipere, quando avvertono i primi freddi, si radunano in gruppi numerosi (talvolta anche di venti o trenta) in una sola tana, fra le radici di un albero, o sotto una pietra. Così. aggrovigliate assieme, cadono in letargo.
La lucertola
Si nasconde in qualche buchetto, per cadere in letargo, soltanto nelle zone in cui l’inverno è rigido.
Le rane
Nelle zone dove l’inverno è rigido, si sprofondano nel fango del loro stagno e vi rimangono inerti fino alla primavera seguente.
La tinca
Quando le acque si raffreddano, si immerge nel fango del fondo e vi rimane a lungo immobile.
La chiocciola
Durante l’inverno, si nasconde fra le pietre, chiude con una membrana l’apertura del suo guscio e s’addormenta.
E’ finito il letargo
La primavera è la stagione in cui la natura si sveglia. I fiumi, che il ghiaccio ha resi prigionieri durante l’inverno, riprendono liberi il loro corso, gorgogliando e chioccolando. Negli alberi rifluisce la linfa. Essa risveglia i germogli addormentati, che si aprono, rivelando le foglie. I fiori incominciano a sbocciare. Su dall’arida terra morta spuntano i fili della verde erba. Il mondo, che pareva diventato inerte, ricomincia a mostrare i primi segni di vita. Gli animali, che durante l’inverno hanno dormito, si destano. Gli uccelli ritornano dal Sud. I lavori dell’anno stanno per riprendere. Tutti sono affaccendati. Per il castoro la primavera è la stagione in cui bisogna ricominciare a lavorare. Mamma castoro vuole un bel letto per i suoi piccoli. Il padre può dormire sulla nuda terra, ma i bambini devono avere un giaciglio più soffice; perciò babbo castoro deve preparare per loro un materasso di ramoscelli teneri e di fili d’erba. Presto vi saranno le inondazioni primaverili. I ruscelli mormoranti si trasformeranno in torrenti impetuosi. Il castoro deve, presto presto, riassettare la sua diga, se non vuole che le acque tumultuose gliela spazzino via. Deve rafforzarla con rami e pietre; deve aggiungere tronchi e grossi sassi che tengano a posto i tronchi; deve ammucchiare rami e sterpi e zolle di terra che leghino insieme ogni cosa. Deve far sì che la sua diga diventi ogni anno più grossa e più bella. A volte le dighe dei castori diventano talmente alte e forti, che anche i cavalli ci possono camminare sopra. Spesso papà castoro non riesce, da solo, a far tanto lavoro. Invita allora i parenti ad aiutarlo. Fa un fischio ai suoi fratelli, agli zii, alle zie, i quali arrivano al chiaro di luna e lo aiutano finchè il lavoro è terminato. A sua volta esso aiuta i parenti quando hanno bisogno di lui. A primavera anche la marmotta si sveglia: è magra, affamata e sola. Quando era andata a rintanarsi per l’inverno era coperta di spessi strati di grasso. Sotto la sua pelliccia non ce ne sarebbe stato un pezzettino di più. Non poteva neppure correre! Perciò tutti la chiamavano “grassona”. Quando era caduta in letargo, era un animaletto incredibilmente assonnato, e sino a primavera aveva continuato a dormire senza mai svegliarsi, neppure per mangiare. Ed ecco che adesso, all’arrivo della primavera, la marmotta è magra, affamata e sola. Annusa nervosamente le gallerie che la circondano: alcune sono state scavate da lei stessa; altre sono state scavate dai suoi fratelli, dalle sorelle e da altri parenti. Poi la marmotta si mette in viaggio, di galleria in galleria, in cerca dei vecchi amici. A volte, entrando in una galleria, si imbatte in un opossum che vi si è insediato, oppure in un coniglio o in una moffetta. Allora scappa in un’altra galleria. Nel suo giro di ricerca incontra molti animali, i quali, vedendo che la marmotta si è svegliata, capiscono che è primavera. (A. Webb)
Lo scoiattolo
Lo scoiattolino non riusciva più a dormire. Nella brezza del mattino che continuava a cullarlo, lassù sul cavo più alto del faggio, sotto il cumulo delle foglie, si sentiva pungere gli occhi da uno spino d’oro, che invano cercava di togliere con la zampina. Schiuse le palpebre, fece capolino di sotto la gran coda in cui era avvolto, sbirciò da uno spiraglio del tettuccio. Il sole lo guardava. Presto presto si strofinò gli occhietti, diede una scrollatina al pelliccione, arruffò il letto, afferrò una noce e si pose a sedere. Aveva molta fame, ma era anche ben provvisto: tutto il nido era foderato di noci. Ne vuotava una, gettava via il guscio e ne tirava fuori un’altra di sotto il letto. Quando nel pancino non ce ne stettero più, si diede una gran lisciata di baffi e si mise a considerare l’inverno. L’aria odorosa di resina scintillava fresca e pungente perchè c’era ancora un poco di neve all’ombra degli alberi e sulla montagna; ma il lago era sgelato. Lo scoiattolino si agitò tutto per la gran festa. (F. Tombari)
Animali in letargo… Lo sapevate che se gli uomini potessero cadere in letargo vivrebbero fino a 2162 anni? Infatti durante il letargo i battiti del nostro cuore subirebbero un rallentamento, e ciò prolungherebbe di molto la nostra vita. Che cos’è l’ibernazione? E’ un periodo felice che gli animali trascorrono in luoghi diversi (tronchi, buche, tane) durante il quale la loro temperatura diminuisce. E’ inesatto dire che certi animali, come rane, rettili o pesci hanno il sangue freddo: la loro temperatura dipende unicamente dall’ambiente in cui si trovano. Per esempio una serpe, sui sassi al sole, avrà sangue caldo, ma se la troverete sotto una pietra, toccandola la sentirete gelida. I mammiferi e gli uccelli in generale hanno temperatura costante: sia che voi andiate a spasso con un gran freddo, sia che ve ne stiate ad arrostire sulla spiaggia, la vostra temperatura interna sarà sempre di 37 gradi. Tra gli animali che vanno in letargo, o ibernanti, ce ne sono di quelli che hanno temperatura variabile e di quelli che hanno temperatura costante; comunque sia, la temperatura di questi animali diminuisce d’inverno. E fra questi mammiferi ci possono essere i roditori, gli insettivori, ed anche i carnivori che hanno la proprietà di diminuire moltissimo la temperatura. Ci sono poi dei falsi ibernanti, come l’orso, che pur andando in letargo non subisce una diminuzione della temperatura. La marmotta è un esempio tipico di roditori ibernanti. Quando il termometro scende dotto i 15 gradi, dolcemente il piccolo animale si addormenta e sembra cadere in letargo: ma ogni due o tre settimane la marmotta si risveglia per eliminare dalla sua tana tutta la sporcizia. Un abbassamento troppo rapido della temperatura la ridesta ugualmente dal letargo: occorre perciò che essa si riscaldi per non morire di freddo. Si agiterà allora in tutti i modi e farà delle vere e proprie acrobazie. Durante il letargo la marmotta non mangia più e consuma le sue riserve di grasso. Gli invertebrati dormono proprio tutto l’inverno; gli insetti trascorrono questa stagione sia come larve, sia come crisalidi. Mi è capitato una volta di osservare una farfalla attaccata a un muro alla fine dell’estate e di averla vista immobile ancora nella stessa posizione duasi alla fine dell’inverno. (U. Gozzano)
Dettati ortografici IL LETARGO – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Dettati ortografici l’albero in primavera – Una collezione di dettati ortografici di vari autori sull’albero in primavera, per la scuola primaria, adatti alle classi dalla prima alla quinta.
Dettati ortografici l’albero in primavera
L’albero si sveglia e sgranchisce i rami; già è l’ora! Che sonno! Il primo sole di primavera ha destato il pigrone, col suo teporino. Ora scuote i rami e mette qualche gemma: così, tanto per cominciare. Oh, qualche gemma piccola, gommosa, fatta di tante foglioline serrate e di tessuti giovani: un abbozzo, insomma, dei nuovi rami e delle foglie. Non vede l’ora di averle, tutte verdi, tenere. (R. Tommaselli)
L’albero si risveglia e sgranchisce i rami a primavera. Ecco apparire qualche gemmetta piccola, gommosa, fatta di tante foglioline serrate disposte come le tegole dei tetti. In ogni gemma, c’è l’abbozzo dei nuovi rami, delle foglie, dei fiori. Ecco le gemme poste sui rami più alti divenire più grosse: hanno cominciato a godere, più delle sorelle, i primi raggi del sole. La vernice vischiosa trasuda dalle squame rosse. Finito il loro compito di impermeabili protettrici del cuore delle gemme, si trasformano, diventano sempre più tenere e verdastre. Incominciano ad allargarsi e lasciano intravvedere selle punte grigiastre: sono i sepali, mani amorose, trepide che difendono i bocci floreali. In seguito si curveranno all’esterno per lasciare liberi i fiori di crescere, distendersi e ricevere tanta luce. In seguito, da altre gemme, si libereranno le nuove foglie, dapprima timide e delicate e poi robuste e vivaci. Dalle gemme apicali, quelle poste sulle punte, spunteranno i nuovi rami che provvederanno a donare all’albero una chioma più abbondante. (A. Martinelli)
Osserviamo le gemme del castagno: al centro, la bambagia avvolge le sue tenere foglioline; all’esterno una solida corazza di scaglie disposte come le tegole di un tetto, la chiude strettamente. Le parti dell’armatura scagliosa sono incatramate con un mastice che diventa molle, in primavera, per permettere alla gemma di schiudersi. Le scaglie, non più incollate fra loro, si allargano vischiose, e le prime foglie si spiegano al centro della loro culla socchiusa. (H. Fabre)
Il ciliegio fino a ieri era nudo. Cosa sarà accaduto perchè stamattina io abbia visto, invece dell’albero, una nube bianca, fatta tutta di fiori, non saprei dirvi. Mi avvicino al miracolo e vedo che la nube ha fremiti sulla superficie continua dei suoi piccoli fiori aperti, ed ascolto un ronzio di insetti alati che passano rapidamente da un fiore all’altro e mi colpisce il volo di farfalle bianche le cui ali sembrano petali che si siano distaccati dai fiori stessi. L’aria attorno alla nube è più chiara e vibra come uno strumento musicale con melodie di suoni che sono diventate melodie di profumi. (A. Anile)
Dettati ortografici l’albero in primavera – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Erosione del suolo – Esperimenti scientifici – L’importanza del verde
Erosione del suolo – Questo esperimento sull’erosione del suolo, che ha un impatto visivo formidabile anche per la sua semplicità, serve a dimostrare la relazione esistente tra precipitazioni, erosione del suolo, tutela dei corsi d’acqua e vegetazione.
Un esperimento estremamente semplice che sottolinea quanto sia importante la copertura vegetale del terreno.
Si può proporre in tre varianti: – predisponendo la semina di piantine – utilizzando piante pronte da trapiantare – utilizzando campioni di suolo.
Erosione del suolo – Esperimento – Prima variante
Prepariamo tre bottiglie di plastica uguali, ritagliamole come mostrato nelle foto e posizioniamole su una superficie piana (io le ho incollate con la colla a caldo su una tavoletta di compensato):
l’imboccatura delle tre bottiglie deve sporgere un po’ fuori dal piano d’appoggio. In ogni bottiglia distribuiamo la stessa terra, in pari quantità, premendola bene per compattarla quanto più possibile. La terra deve essere al di sotto del livello dell’apertura della bottiglia:
Tagliamo il fondo di altre tre bottiglie di plastica trasparente, e pratichiamo due fori per inserire la cordicella. Queste coppette hanno la funzione di raccogliere, durante l’esperimento vero e proprio, l’acqua in eccesso delle innaffiature che riproduce l’acqua piovana:
Poi rimettiamo il tappo alla prima bottiglia, dove semineremo:
e mettiamo nella seconda bottiglia un letto di residui vegetali morti (rametti, cortecce, foglie secche, radici morte).
Nella terza bottiglia lasceremo solo la terra.
Spargiamo i semi nella prima bottiglia (io ho scelto crescione, basilico ed erba cipollina), copriamo con un velo di terra e premiamo un po’, poi innaffiamo.
Possiamo utilizzare la parte di bottiglia tagliata per creare una serra che aiuterà i semi a germogliare più velocemente:
Esponiamo alla luce del sole, e prendiamoci cura della nostra semina finchè le pantine non si saranno ben sviluppate. L’esperimento vero e proprio si potrà fare solo allora…
Questa variante è particolarmente adatta ad essere proposta ai bambini più piccoli, perchè genera curiosità ed aspettative, invita a prendersi cura nel tempo del terreno di semina e stimola l’osservazione del processo di sviluppo della pianta a partire dal seme.
Un processo completo come questo, insegna ai bambini piccoli tantissimi concetti che possono apparire “troppo complicati”, e crea un legame col mondo reale: la pianta viene dal seme (e non dal supermercato o dal fiorista). Quando poi, dopo tanta attesa e tante cure, avremo le piantine nella prima bottiglia, e dopo che chissà quante volte i bambini avranno guardato le altre due e quelle strane coppette facendosi tutte le loro domande, sarà indimenticabile quello che vedranno…
Senza dover dare particolari “spiegazioni” verbali (i piccoli possono apprendere concetti astratti attraverso la loro esperienza e non dalle nostre parole astratte), anche se forse solo i più grandi potranno arrivare all’idea di erosione del suolo, sicuramente tutti avranno chiaro il legame verde=pulito.
Facendo invece l’esperimento con bambini della scuola primaria, che già hanno affrontato i temi dell’ecologia, dell’impoverimento del suolo, della franabilità del terreno legata al diboscamento, della tutela dei corsi d’acqua, tutti questi concetti si chiariranno davvero “in un colpo d’occhio”.
Una volta che le nostre piantine si saranno sviluppate, potremo osservare acqua limpida uscire dalla prima bottiglia, ed acqua progressivamente più sporca dalla seconda e dalla terza; ecco le immagini scattate un paio di settimane dopo la semina:
Erosione del suolo – Esperimento – Variante due
Acceleriamo il processo sostituendo alla semina il trapianto di piantine già sviluppate (io avevo dei gerani):
e naturalmente in questo caso togliamo il tappo anche dalla prima bottiglia:
Ora versiamo la stessa quantità di acqua in ogni bottiglia. Perchè la cosa sia più chiara possibile, e ogni concetto passi attraverso l’esperienza diretta, possiamo fare un segno all’interno dell’innaffiatoio :
Versiamo dunque l’acqua in tutte e tre le bottiglie, in tutte e tre nello stesso punto (l’estremità opposta all’apertura)
e osserviamo:
Le immagini sono scattate in sequenza.
Utilizzando piantine da trapianto, come vedete, l’acqua del primo contenitore al termine non è perfettamente limpida (inevitabilmente attorno all’apparato radicale ci sarà del terriccio aggiunto di fresco che sporca un po’ l’esperimento), ma l’acqua nella ciotola risulta comunque pulita rispetto a quella contenuta nelle altre due.
Erosione del suolo – Esperimento – Terza variante
Questa variante è adatta a bambini della scuola primaria e oltre: aggiunge infatti all’esperimento la scientificità e la serietà del “prelevare campioni di suolo”, cosa che per i bambini piccoli, invece, può generare un’impressione non proprio positiva.
E con questo arriviamo a poter citare gli ispiratori dell’esperimento:
Come vedete, qui sono state utilizzate bottiglie più grandi per i campioni, e per l’innaffiatura si è utilizzato un tubo con tre rubinetti (per questo è evidente il foro nel terzo campione).
Si tratta di andare all’aperto e prelevare tre zolle differenti di terreno: una di erba viva, una di terra coperta di residui vegetali morti, una priva di qualsiasi altro elemento.
Si aprono i rubinetti, ma pochissimo, in modo che l’acqua goccioli lentamente in ognuna delle bottiglie, si attende e si osserva. Si può anche versare l’acqua senza usare rubinetti, purchè ogni bottiglia ne riceva, come già detto, la stessa quantità.
Visitando il blog (anche se in portoghese) potrete trovare altri interessanti esperimenti e molto materiale sul tema dell’erosione.
Science experiment on soil erosion – This experiment, which has a tremendous visual impact due to its simplicity, it will demonstrate the relationship between precipitation, soil erosion, protection of watercourses and vegetation.
A very simple experiment that stresses the importance of the vegetation cover of the soil. You can propose in three versions: – Preparing the planting of seedlings – Using plants ready to be transplanted – Using soil samples.
Science experiment on soil erosion – First version
Prepare three identical plastic bottles, cut as shown in the pictures and put them on a flat surface (I’ve stuck with the hot glue on a tablet of plywood):
the opening of the three bottles should protrude a little out of the surface. Put in each bottle the same amount of ground and press hard to pack as much as possible. The ground must be below the level of the opening of the bottle:
Cut the bottom of other three bottles of transparent plastic, and make two holes for the string. These cups will serve to collect, during the experiment, the water in excess, which reproduces the rainwater:
Then put the cap on the first bottle in which to plant the seeds:
put inside the second bottle some dead vegetal wastes (twigs, bark, leaves, dead roots). In the third bottle just leave ground.
Spread the seeds in the first bottle (I chose watercress, basil and chives), cover with a layer of ground and press a little, then watering; you can use the piece of plastic cut from the bottle to cover the soil seed like a greenhouse, which will help the seeds to germinate faster:
Expose to sunlight, and take care of planting until the plants are well developed. The actual experiment can be done only then …
This version is particularly suitable to be offered to younger children, because it generates curiosity and expectations, invites you to take care of sowing and stimulates the observation of the process of development of the plant from seed.
A process as complete teaches children many concepts that may appear “too complicated”, and creates a link with the real world: the plant is from seed (and not from the supermarket or florist). When, after a long wait and a lot of care, we have the plants in the first bottle, and after the children have watched day after day the other two bottles and cups, making all their questions, what they see will be unforgettable …
Without having to give specific verbal explanations (little ones can learn abstract concepts through their experience and not by our words), though perhaps only the older children come to the idea of soil erosion, surely everyone will clear the link green = clean .
If you do this experiment with primary school children, who have already studied about ecology, land degradation, landslides, deforestation, protection of watercourses, etc … all of these concepts will become experience.
When the plants will be developed, we can see clear water out of the first bottle, and water progressively dirtier out of the second and third. Here are the pictures taken two weeks after sowing:
Science experiment on soil erosion – Second Version
Speed up the process and replace the sowing with the transfer of plants already developed (I had geraniums):
of course, in this case, remove the cap also from the first bottle:
Pour the same amount of water in each bottle. To make it as clear as possible, and to learn each concept through direct experience, make a mark inside the watering can:
Pour the water into all three bottles, in all three at the same point (the end opposite the opening) and observe:
The images are taken in sequence.
Using plants already developed, as you can see, the water from the first container at the end of the experiment, it is not perfectly clear (inevitably, there will be some fresh soil around the root), but the water in the first bowl will always be clean compared to the water contained in the other two bowls.
Science experiment on soil erosion – Third version
This version of the experiment on soil erosion is suitable for children of primary school and beyond: it adds the seriousness of “taking samples of the soil.” With younger children, however, take samples of soil (especially living plants) can generate a negative impression. And so I can quote the inspirers of this experiment:
As you see, here were used larger bottles for the samples, and it is used for watering a tube with three taps (for this reason it is so evident the hole in the third sample). It is to go outside and take three different clods of soil: a patch of grass alive, a ground covered with dead plant residues, a clod without any other element. Open taps, but very little, so that the water drips slowly in each of the bottles, wait and observe. It can also pour water without using taps, provided that each bottle receives, as already said, the same amount of water.
Visiting the blog (although in Portuguese) you can find other very interesting experiments and educational materials on the topic of soil erosion.
Carlo ha ricevuto 3 decine di matite colorate. Quante matite colorate sono?
Nell’astuccio ci sono 3 decine di pennarelli. Quanti pennarelli sono?
Antonio ha compilato 15 schede. Quante decine e quante unità sono?
Da quante decine e da quante unità è formato il numero 39?
La mamma mette in un sacchettino 4 decine di bottoni. Quanti bottoni sono?
Scrivi i numeri 12, 34, 57, 82 e scomponili (ad esempio 12 = 1 decina e 2 unità)
Ieri Luciano ha risparmiato 25 centesimi. Oggi ha risparmiato 15 centesimi. Quanto ha risparmiato in tutto Luciano?
Ho sei decine di bottoni e voglio darle a sei bambini. Quanti bottoni darò a ciascun bambino?
In una gabbia ci sono 12 uccelli, in un’altra 29, in una terza 33. Quanti uccelli ci sono in tutto nelle gabbie?
Quante centinaia di bambini posso formare con 10 classi di 30 bambini ciascuna? E con 5 classi?
Per un viaggio in treno il papà paga 2 centinaia di euro. Tu paghi la metà. Quante decine di euro costano in tutto i vostri biglietti?
Per ottenere la somma di 300 euro, quante banconote da 100 occorrono? Quante da 10, da 20, da 50?
Ho letto 28 decine e 5 unità di pagine di un libro che ne conta 300. Quante pagine mancano alla fine?
Conti una somma di denaro: sono due centinaia, 8 decine, e tre mezze decine di euro. Quanto hai in tutto?
Nel negozio del fruttivendolo ci sono: due grosse ceste, ognuna delle quali contiene un centinaio di mele; 5 cestini con una decina di mele, e in un sacchetto di carta, 6 mele sciolte. Quante sono in tutto le mele?
La mamma vuole acquistare una bicicletta che costa 300 euro ed ogni settimana risparmia 50 euro. Quante settimane ci vorranno per avere il denaro necessario?
La mamma ha nel portafoglio 2 centinaia, 4 decine e cinque unità di euro. Quanti euro ha in tutto?
Il papà deposita sul suo conto corrente 4 centinaia, 4 decine e cinque unità di euro. Quanto deposita in tutto?
La mamma ha 25 banconote da 10 euro; il papà invece ne ha 3 da 100 euro. Chi dei due possiede la somma maggiore?
Un cartolaio ha comprato 3 grossi pacchi, contenenti ciascuno un centinaio di quaderni, e li ha divisi in pacchettini da 10 quaderni. Quanti pacchettini avrà fatto?
Luigi ha aperto il salvadanaio e vi ha trovato 50 monete da 10 centesimi. Quanti rotoli da 100 centesimi (cioè da 1 euro) ha potuto preparare con quelle monete?
In una scatola ci sono 2 centinaia e mezzo di spilli, in una seconda 27 decine e in una terza 230 spilli. Quale delle scatole contiene più spilli? Quale meno?
Un bambino ha già riempito 5 albi di figurine, ognuno dei quali ne contiene un centinaio. Quante figurine ha in tutto?
Una penna costa 5 euro. Quanto si spenderà per comprarne 10?
Se un maglione costa 35 euro, quanto costano 10 maglioni?
Un operaio lavora 8 ore al giorno. Quante ore lavora in 10 giorni? E in 100 giorni?
Un negoziante ha comprato 10 forme di formaggio. Se una forma costa 85 euro, quanto ha speso complessivamente?
Se un metro di tessuto costa 8 euro, quanto si spenderà per comprarne 100 metri?
Quanto costa un’opera in 10 volumi, se ogni volume costa 25 euro?
Un paio di scarpe costa 50 euro. Quanto costeranno 10 paia di scarpe?
Una busta di figurine ne contiene 8. Quante figurine ci sono in 10 buste? E in 100?
Una stufa consuma 12 chili di legna al giorno. Quanti chili ne consuma in 10 giorni? E in 100 giorni?
Mamma e papà hanno speso 320 euro per 10 sedie. Quanto è costata una sedia?
Un cartolaio ha speso 200 euro per una scatola da 100 matite. Quanto ha speso per una sola matita? E per 10?
Un negoziante spende 1.200 euro per 100 magliette. Quanto costa al negoziante una maglietta? E 10 magliette?
In 100 bustine ci sono 600 figurine. Quante figurine contengono 10 bustine? Quante figurine contiene una sola bustina?
Voglio incollare 150 figurine in un albo che ne contiene 10 per ogni pagina. Quante pagine dell’albo potrò riempire?
Un’operaia vuole mettere 1.200 fazzoletti in 100 scatole uguali. Quanti fazzoletti conterrà ogni scatola?
Paolo gioca con le biglie. Prima di iniziare il gioco ne ha 42; ne vince 16. Quante sono ora le palline di Paolo? (risposta: 58)
La mamma va a fare la spesa e spende 40 euro per latte e formaggio, 35 euro per i detersivi e 20 euro per riso e pasta. Quanto spende in tutto? (risposta 95)
Carlo ha due sacchetti di blocchi da costruzione. Il primo ne contiene 45, il secondo 35. Quanti blocchi da costruzione possiede Carlo? (risposta 80)
Mamma e papà hanno speso 50 euro per la scala e 220 euro per le latte di tempera che servono a dipingere il salotto. Quanto hanno speso in tutto? (risposta 270)
Mamma e papà hanno speso al supermercato 180 euro e nel portafogli sono rimasti 125 euro. Quanti euro avevano prima di andare al supermercato? (risposta 305)
Con una banconota da 100 euro compriamo un paio di scarpe da 30 euro. Quanti euro riceviamo di resto? (risposta 70)
In un cestino c’erano 32 panini. Ne sono stati tolti 18. Quanti panini ci sono ancora nel cestino? (risposta 14)
La merciaia aveva 3 centinaia di bottoni d’una stessa qualità. Finora ne ha venduti 96. Quanti bottoni ha ancora? (risposta 204)
Una raccolta completa di figurine ne conta 2 centinaia e mezzo. Per completare la tua ne mancano 75. Quante figurine hai fino a questo momento? (risposta 175)
Da una botte contenente 220 litri di vino ne sono stati spillati 185. Quanti litri restano nella botte? (risposta 35)
Quanto spenderesti per comprare 4 dvd, se ognuno di essi costa 35 euro? (risposta 140)
Se la mamma ti comprasse una dozzina e mezza di dinosauri di plastica a 5 euro l’uno, quanto spenderebbe? (risposta 90)
Si caricano su un trattore 15 sacchi di sementi del peso di 9 chili l’uno. Quanti chili trasporta il trattore? (risposta 135)
Un negoziante ha venduto 4 telefonini a 80 euro l’uno. Quanto ha incassato? (risposta 320)
Ogni mese spendiamo 60 euro per l’abbonamento al corso di nuoto. Quanto spendiamo in 5 mesi? (risposta 300)
Un agricoltore vuole travasare 62 litri di olio in bottiglie della capacità di 2 litri ciascuna. Quante bottiglie occorrono? (risposta 31)
In 6 sacchi di uguale capacità sono distribuiti 90 chili di riso. Quanti chili contiene ogni sacco? (risposta 15)
Sono di più 3 decine e 6 unità di bottoni, oppure 3 dozzine di bottoni?
Se ho quattro scatole con 15 matite l’una, più quattro matite, quante matite ho in tutto?
Carlo ha 45 adesivi. Quanti adesivi gli mancano per avere 5 decine di adesivi?
In una classe sono presenti 2 dozzine e mezzo di bambini; in un’altra ne conto tre decine. Qual è la classe più numerosa?
Nel cielo vedo 15 passeri. Quante decine di ali hanno in tutto?
Ieri avevi 2 decine di biglie. Ora ne hai mezza dozzina in più. Quante biglie ti mancano per averne 3 decine?
Ieri hai scritto una decina di righe. Oggi ne hai scritte mezza dozzina più di ieri. Quante righe in tutto?
Un negoziante ha 3 decine di uova. Ne vende una dozzina. Quante uova gli restano?
Quante dita si contano in tutto nelle mani di mezza decina di bambini? Quante decine di dita?
Un allevatore aveva 4 dozzine di galline. Ora ne ha 4 decine. Quante galline ha venduto?
In un autobus i posti a sedere sono 5 decine. Di essi, tre dozzine sono occupati. Quanti sono i posti liberi?
Chiara conta sui fili della luce 5 decine di zampine di rondine. Quante sono le rondini? Quante decine?
Esercizi di matematica – classe terza – PROBLEMI
Qui il download gratuito degli esercizi in formato pdf
Esercizi di matematica – classe terza – Unità decine e centinaia
Esercizi di matematica – classe terza – Unità decine e centinaia – una raccolta di esercizi, pronti per il download e la stampa in formato pdf.
Questi sono gli esercizi contenuti…
Giochi con calcoli veloci 4 da – 5 u + 3 u = …………………… 6 da – 2 u + 1 u = …………………… 2 da – 10 u + 4 u = …………………… 5 da – 8 u + 6 u = …………………… 3 da – 7 u + 15 u = ……………………
9 u e 3 u = ………… da e …………. u 5 u e 7 u = ………… da e …………. u 2 u e 8 u = ………… da e …………. u 4 u e 9 u = ………… da e …………. u 7 u e 8 u = ………… da e …………. u 8 u e 9 u = ………… da e …………. u
2 u, 1 da e …….. u = 20 4 u, 2 da e …….. u = 30 25 u, 3 da e …….. u = 40 7 u, 4 da e …….. u = 50 9 u, 5 da e …….. u = 60
2 da + 6 u – 3 u = ……………. 6 da + 0 u – 5 u = ……………. 4 da + 8 u – 7 u = ……………. 5 da + 7 u – 3 u = ……………. 8 da + 1 u – 11 u = ……………. 9 da + 7 u – 97 u = …………….
Quante unità mancano al numero 8 per formare la decina? Quanto manca a 35 per arrivare a 60? Quanto manca a 42 per arrivare a 57? Se a 52 togli 4 decine, che numero rimane? Se a 84 togli 4 decine, che numero rimane? Se a 79 togli una decina, che numero rimane?
Scomposizione di numeri 89 = 8 da + 9 u 62 = ….. da + ….. u 43 = ….. da + ….. u 71 = ….. da + ….. u 88 = ….. da + ….. u 81 = ….. da + ….. u 54 = ….. da + ….. u 90 = ….. da + ….. u 96 = ….. da + ….. u 67 = ….. da + ….. u 84 = ….. da + ….. u 34 = ….. da + ….. u
Composizione di numeri 6 da + 4 u = 64 3 da + 4 u = …….. 2 da + 5 u = …….. 8 da + 7 u = …….. 9 da + 3 u = …….. 7 da + 2 u = …….. 4 da + 6 u = …….. 5 da + 5 u = …….. 1 da + 9 u = …….. 6 da + 3 u = …….. 7 da + 5 u = …….. 5 da + 4 u = ……..
Ricorda: 100 unità = 1 centinaio; 10 decine = 1 centinaio Scomposizione di numeri 126 = 1 h + 2 da + 6 u 120 = ….. h + ….. da + ….. u 140 = ….. h + ….. da + ….. u 137 = ….. h + ….. da + ….. u 169 = ….. h + ….. da + ….. u 124 = ….. h + ….. da + ….. u 178 = ….. h + ….. da + ….. u 191 = ….. h + ….. da + ….. u 186 = ….. h + ….. da + ….. u 157 = ….. h + ….. da + ….. u 103 = ….. h + ….. da + ….. u 150 = ….. h + ….. da + ….. u
Composizione di numeri 1 h + 3 da + 2 u = 132 1 h + 2 da + 4 u = ……… 1 h + 4 da + 3 u = ……… 1 h + 6 da + 5 u = ……… 1 h + 3 da + 9 u = ……… 1 h + 1 da + 1 u = ……… 1 h + 5 da + 7 u = ……… 1 h + 9 da + 8 u = ……… 1 h + 7 da + 3 u = ……… 1 h + 8 da + 9 u = ………
Esercizi h 2 = u ………… = da ………. h 1 = u ………… = da ………. h 4 = u ………… = da ………. h 7 = u ………… = da ………. h 9 = u ………… = da ………. h 10 = u ………… = da ………. u 200 = h …………. u 100 = h …………. u 400 = h …………. u 700 = h …………. u 1.000 = h …………. u 800 = h …………. da 20 = h …………. da 10 = h…………. da 50 = h…………. da 100 = h…………. da 40 = h…………. da 70 = h………….
Scrivi i numeri corrispondenti a Un centinaio e quattro unità …………. Un centinaio e cinque decine …………. Un centinaio e trentadue unità …………. Un centinaio e tre decine …………. Un centinaio e otto unità …………. Un centinaio e quarantasei unità …………. Un centinaio e ottantasei unità …………. Un centinaio e sei unità …………. Un centinaio e otto decine …………. Un centinaio e nove unità ………….
Scrivi in colonna i numeri Centoquarantacinque ……………………… Centosettantaquattro ……………………… Centonovantatre ……………………… Centodiciassette ……………………… Centocinque ……………………… Centoventisei ……………………… Centocinquantaquattro ……………………… Centosessantadue ……………………… Centodieci ………………………
Esercizi per il calcolo orale Da 145 a 200 mancano …………… Da 180 a 200 mancano …………… Da 151 a 180 mancano …………… Da 136 a 154 mancano …………… Da 125 a 185 mancano …………… Da 160 a 200 mancano …………… Da 191 a 200 mancano …………… Da 174 a 186 mancano …………… Da 110 a 200 mancano …………… Da 100 a 200 mancano ……………
Esercizi h 3 = u ………… da …………. h 2 = u ………… da …………. h 10 = u ………… da …………. h 1 = u ………… da …………. h 7 = u ………… da …………. h 8 = u ………… da …………. u 300 = h ………. u 200 = h ………. u 100 = h ………. u 700 = h ………. u 150 = h ………. u 450 = h ………. da 30 = h ………. da 10 = h ………. da 20 = h ………. da 80 = h ………. da 90 = h ………. da 50 = h ……….
Calcolo orale Se ho tre scatole con 20 matite colorate ciascuna, quante matite colorate ho in tutto? Sono di più due decine e 4 bottoni, oppure 2 dozzine di bottoni? Mario ha 17 quaderni, quanti quaderni gli mancano per fare due decine? Franco ha 8 decine di palline e ne vorrebbe avere un centinaio. Quante gliene mancano? Stai leggendo un libro di 10 decine di pagine. Sei arrivato a pagina 40. Quante decine di pagine devi ancora leggere? Ho 6 decine e mezzo di pennini. Quante decine e quante unità di pennini mi mancano per raggiungere il centinaio?
Scrivi in cifre i numeri formati da: 1 centinaio, 4 decine, 0 unità ………….. 1 centinaio e 4 decine …………………….. 3 centinaia, 2 decine, 7 unità ………….. 1 centinaio, 5 decine, 0 unità ………….. 1 centinaio, 3 decine, 5 unità ………….. 2 centinaia, 4 decine, 0 unità ………….. 4 centinaia e 5 decine………….………….. 3 centinaia, 4 decine, 9 unità …………..
1 centinaio sono 6 decine + …………u 1 centinaio sono 4 decine + …………u 2 centinaia sono 8 decine + ……………u 2 centinaia sono 14 decine + ….……u 3 centinaia sono 29 decine + ….……u 2 centinaia sono 10 decine + …………u 3 centinaia sono 12 decine + …………u 3 centinaia sono 19 decine + ….……u
1 h + 3 da = u ………………. 2 h + 2 da = u ………………. 3 h + 6 da = u ………………. 1 h + 9 da = u ………………. 1 h + 5 da = u ………………. 2 h + 9 da = u ………………. 3 h + 1 da = u ………………. 2 h + 3 da = u ……………….
Lavoretti per San Martino QUADRO TRASPARENTE – un lavoretto classico per la festa di San Martino, adatto a bambini della scuola primaria, a partire dalla terza classe.
Lavoretti per San Martino QUADRO TRASPARENTE – Materiale occorrente avanzi di carta velina colorata colla per carta taglierino cartamodello stampato:
Lavoretti per San Martino QUADRO TRASPARENTE – Come si fa
Stampa il modello su un normale foglio bianco A4 (se hai a disposizione carta un po’ più spessa di quella solita è meglio per la maggiore resistenza, ad esempio andrebbe benissimo la carta fotografica opaca o anche lucida usata a rovescio; comunque io ho usato carta normale ed è assolutamente fattibile):
I bambini ritagliano tutti i contorni con il taglierino (eventuali piccoli strappi sono del tutto sistemabili poi con la carta veline… non scoraggiateli, strappano anche le maestre 🙂 )
Le imperfezioni nel ritaglio possono essere corrette ripassando il tutto col pennarello scuro:
Poi si gira il quadro sul rovescio:
E si incolla la carta velina colorata, così:
Questo è il quadretto ultimato, sul rovescio:
E questo è il quadretto come appare applicato su una finestra:
E’ un lavoretto che richiede più giorni di lavoro, ma che proprio per questo dà ai bambini molta soddisfazione.
Questo articolo fa parte dell’Album di Vita pratica:
Esercizi di matematica – Numerazioni per la terza classe – una raccolta di numerazioni per la classe terza della scuola primaria, pronte per il download gratuito e la stampa.
Questo è il contenuto:
Numera per 2 da 0 a 40
Numera per 3 da 0 a 60
Numera per 4 da 0 a 80
Numera per 5 da 0 a 100
Numera per 2 da 1 a 41
Numera per 3 da 1 a 61
Numera per 4 da 1 a 81
Numera per 5 da 1 a 101
Numera per 2 da 40 a 0
Numera per 3 da 60 a 0
Numera per 4 da 80 a 0
Numera per 5 da 100 a 0
Numera per 2 da 45 a 5
Numera per 3 da 62 a 17
Numera per 4 da 87 a 19
Numera per 5 da 97 a 22
Numera per 2 da 50 a 120
Numera per 3 da 30 a 60
Numera per 4 da 40 a 0
Numera per 5 da 50 a 100
Numera per 6 da 18 a 54
Numera per 7 da 28 a 70
Numera per 1 da 9 a 100
Numera per 2 da 62 a 150
Numera per 5 da 45 a 100
Numera per 6 da 60 a 90
Numera per 2 da 100 a 200
Numera per 4 da 100 a 200
Numera per 3 da 150 a 180
Numera per 5 da 100 a 200
Numera per 2 da 140 a 200
Numera per 5 da 200 a 300
Numera per 3 da 180 a 300
Numera per 4 da 200 a 300
Numera per 2 da 100 a 300
Numera per 6 da 120 a 300
Numera per 5 da 100 a 300
Numera per 2 da 6 a 58
Numera per 3 da 9 a 63
Numera per 4 da 39 a 159
Numera per 5 da 27 a 172
Numera per 6 da 16 a 124
Numera per 7 da 33 a 215
Numera per 8 da 38 a 246
Numera per 9 da 13 a 229
Numera per 10 da 19 a 279
Numera per 2 da 83 a 9
Numera per 3 da 89 a 8
Numera per 4 da 122 a 6
Numera per 5 da 168 a 18
…
Numera per 6 da 155 a 23
Numera per 7 da 180 a 12
Numera per 8 da 207 a 15
Numera per 9 da 227 a 11
Numera per 10 da 257 a 17
Esercizi di matematica – Numerazioni per la terza classe
Qui le schede pronte per il download gratuito e la stampa
Esercizi di matematica – Numerazioni per la terza classe pdf
Esercizi di matematica – classe terza – DOPPIO E META’: una raccolta di esercizi pronti per il download gratuito e la stampa, per la scuola primaria.
Questo è il contenuto degli esercizi…
La metà dei numeri pari oltre la decina
La metà di 12 è 6 La metà di 14 è 7 La metà di 24 è 12 La metà di 26 è 13 La metà di 48 è 24 La metà di 62 è 31
Ricorda: per calcolare la metà dei numeri pari oltre la decina, prima si calcola la metà delle decine, poi quella delle unità, infine si fa la somma.
Esempio: la metà di 62 è 31. Ragionamento: la metà di 60 è 30; la metà di 2 è 1; 30 + 1 = 31
La metà dei numeri dispari oltre la decina La metà di 13 è 6 e mezzo La metà di 15 è 7 e mezzo La metà di 17 è 8 e mezzo La metà di 25 è 12 e mezzo La metà di 29 è 14 e mezzo La metà di 33 è 16 e mezzo
Ricorda: per calcolare la metà dei numeri dispari oltre la decina, prima si calcola la metà delle decine, poi quella delle unità, infine si fa la somma.
Esempio: la metà di 71 è 35 e mezzo. Ragionamento: la metà di 70 è 35; la metà di 1 è mezzo; 35 + mezzo = 35 e mezzo.
Il doppio dei numeri
Ricorda: doppio vuol dire due volte. Il doppio di 2 è 4 Il doppio di 4 è 8 Il doppio di 10 è 20 Il doppio di 15 è 30 Il doppio di 18 è 36 Il doppio di 40 è 80
Ricorda: per calcolare il doppio dei numeri oltre la decina, prima si calcola il doppio delle decine, poi quello delle unità, infine si fa la somma.
Esempio: il doppio di 34 è 68. Ragionamento: il doppio di 3 è 6; il doppio di 4 è 8; 60 + 8 = 68
Il paio
Ricorda: un paio vuol dire 2 cose: un paio di guanti sono 2 guanti; un paio di scarpe sono 2 scarpe; un paio di calze sono 2 calze.
Esercizi
Due paia di pantofole sono ………… pantofole Tre paia di calzettoni sono ………… calzettoni Cinque paia di stivali sono ………… stivali Otto paia di scarponi sono ………… scarponi Dieci paia di pianelle sono ………… pianelle Quindici paia di calzini sono ………… calzini Venti paia di orecchini sono ………… orecchini Trenta paia di occhiali sono ………… occhiali.
La metà di 80 è ……………….. La metà di 74 è ……………….. La metà di 78 è ……………….. La metà di 53 è ……………….. La metà di 69 è ………………..
Il doppio di 38 è ……………… Il doppio di 42 è ……………… Il doppio di 31 è ……………… Il doppio di 27 è ……………… Il doppio di 39 è ……………… Il doppio di 55 è ……………… Il doppio di 66 è ……………… Il doppio di 77 è ……………… Il doppio di 44 è ……………… Il doppio di 100 è ……………
Trova la metà di 15 ………… 32 ………… 47 ………… 95 ………… 74 ………… 66 ………… 82 ………… 57 ………… 59 …………
Trova il doppio di 16 ………… 24 ………… 32 ………… 15 ………… 43 ………… 37 ………… 25 ………… 17 ………… 50 …………
Calcola in doppio dei seguenti numeri 120 ……………………… 125 ……………………… 95 ……………………… 38 ……………………… 102 ……………………… 220 ……………………… 107 ……………………… 141 ……………………… 132 ……………………… 105 ……………………… 84 ……………………… 99 ………………………
Calcola la metà dei seguenti numeri 300 ……………………… 280 ……………………… 232 ……………………… 98 ……………………… 104 ……………………… 136 ……………………… 142 ……………………… 268 ……………………… 168 ……………………… 224 ……………………… 106 ……………………… 640 ………………………
La metà di 128 è ………… La metà di 240 è ………… La metà di 386 è ………… La metà di 460 è ………… La metà di 282 è ………… La metà di 468 è ………… La metà di 520 è ………… La metà di 370 è ………… La metà di 600 è …………
Il doppio di 135 è ………… Il doppio di 150 è ………… Il doppio di 220 è ………… Il doppio di 245 è ………… Il doppio di 304 è ………… Il doppio di 315 è ………… Il doppio di 280 è ………… Il doppio di 139 è ………… Il doppio di 307 è ………… Il doppio di 428 è …………
Esercizi di matematica – classe terza – DOPPIO E META’
Qui gli esercizi pronti per il download e la stampa in formato pdf:
Esercizi di matematica – classe terza – MISURE DI TEMPO: una raccolta di esercizi, pronti per il download e la stampa, sulle misure di tempo. Questi sono gli esercizi contenuti…
Esercizi con le misure di tempo per la terza classe
1 settimana è formata da 7 giorni
3 settimane sono formate da giorni ………………. 5 settimane sono formate da giorni ………………. 4 settimane sono formate da giorni ………………. 2 settimane sono formate da giorni ………………. 6 settimane sono formate da giorni ………………. 7 settimane sono formate da giorni ………………. 9 settimane sono formate da giorni ………………. 8 settimane sono formate da giorni ………………. 1 lustro è formato da anni 5 3 lustri sono formati da anni …………………. 2 lustri sono formati da anni …………………. 4 lustri sono formati da anni …………………. 5 lustri sono formati da anni …………………. 7 lustri sono formati da anni …………………. 6 lustri sono formati da anni …………………. 8 lustri sono formati da anni …………………. 9 lustri sono formati da anni ………………….
1 trimestre è formato da mesi 3 3 trimestri sono formati da mesi …………………. 5 trimestri sono formati da mesi …………………. 4 trimestri sono formati da mesi …………………. 2 trimestri sono formati da mesi …………………. 8 trimestri sono formati da mesi …………………. 9 trimestri sono formati da mesi …………………. 7 trimestri sono formati da mesi …………………. 6 trimestri sono formati da mesi ………………….
1 bimestre è formato da mesi 2 4 bimestri sono formati da mesi ………………… 3 bimestri sono formati da mesi ………………… 2 bimestri sono formati da mesi ………………… 6 bimestri sono formati da mesi ………………… 8 bimestri sono formati da mesi ………………… 5 bimestri sono formati da mesi ………………… 9 bimestri sono formati da mesi ………………… 7 bimestri sono formati da mesi ………………… 1 semestre è formato da mesi 6 3 semestri sono formati da mesi ………………. 2 semestri sono formati da mesi ………………. 5 semestri sono formati da mesi ………………. 4 semestri sono formati da mesi ………………. 8 semestri sono formati da mesi ………………. 9 semestri sono formati da mesi ………………. 7 semestri sono formati da mesi ………………. 6 semestri sono formati da mesi ……………….
1 mese è formato da settimane 4 3 mesi sono formati da settimane ………………. 2 mesi sono formati da settimane ………………. 5 mesi sono formati da settimane ………………. 8 mesi sono formati da settimane ………………. 7 mesi sono formati da settimane ………………. 9 mesi sono formati da settimane ………………. 6 mesi sono formati da settimane ………………. 4 mesi sono formati da settimane ………………. 1 anno è formato da mesi 12 3 anni sono formati da mesi …………….. 2 anni sono formati da mesi …………….. 5 anni sono formati da mesi …………….. 4 anni sono formati da mesi …………….. 6 anni sono formati da mesi …………….. 7 anni sono formati da mesi …………….. 8 anni sono formati da mesi …………….. 2 semestri sono formati da mesi …………………. 4 mesi sono formati da settimane …………………. 5 anni sono formati da mesi …………………. 8 bimestri sono formati da mesi …………………. 7 trimestri sono formati da mesi ………………….
5 lustri sono formati da anni …………………. 10 settimane sono formate da giorni …………………. 10 lustri sono formati da mesi …………………. 10 anni sono formati da mesi …………………. 9 anni sono formati da mesi …………………. 2 settimane sono formate da giorni ………………… 5 trimestri sono formati da mesi ………………… 4 bimestri sono formati da mesi ………………… 2 mesi sono formati da settimane ………………… 3 anni sono formati da mesi ………………… 1 semestre è formato da mesi ………………… 6 lustri sono formati da anni ………………… 1 secolo è formato da anni ………………… 1 trimestre + 9 mesi = anni ………………… 1 semestre + 6 trimestri = mesi ………………… 2 settimane + 1 mese = giorni ………………… 4 anni + 1 trimestre = mesi ………………… 1 mese + 2 settimane = settimane ………………… Problemi Quanti giorni ci sono in due settimane? E in quattro settimane? E in 9 settimane? Quanti mesi ci sono in 2 anni? E in quattro anni? E in 5? Quante ore ci sono in 2 giorni? E in 3 giorni? E in 5 giorni? Un bambino frequenta la scuola 4 ore al giorno. Quante ore in una settimana (6 giorni)?
Esercizi di matematica – classe terza – MISURE DI TEMPO
Qui il download gratuito degli esercizi in formato pdf
Esercizi di matematica – classe terza – MISURE DI TEMPO pdf
Materiale didattico scuola primaria geografia – IL MARE – una raccolta di letture e dettati ortografici sul mare, per lo studio degli ambienti naturali in geografia e per perfezionare lettura e ortografia.
Il mare
Le acque dei fiumi raggiungono il mare. Il mare è una grande estensione di acqua salata, di colore verde – azzurro, che circonda le varie regioni della Terra.
La superficie del mare è mossa, di continuo, dal vento che provoca le onde. Esse sono appena accennate quando il mare è tranquillo, in bonaccia; sono alte e pericolose, crestate di schiuma, quando c’è burrasca.
Il limite tra terra e mare è la costa. Essa si presenta ora alta e rocciosa sulle acque, ora bassa e coperta di sabbia o di ghiaia. Le onde urtano contro le coste, le scavano, le frastagliano in modo bizzarro.
Le coste basse e sabbiose (spiagge) e specialmente quelle alte e rocciose sono molto varie: formano le sporgenze di promontori e di capi e le rientranze di baie e di golfi.
Ci sono terre che si allungano per molti chilometri nel mare; si chiamano penisole. L’Italia è una grande penisola estesa nel mar Mediterraneo. Completamente circondate dal mare ci sono terre di estensione talvolta notevole: si chiamano isole. La Sicilia e la Sardegna sono grandi isole italiane.
I mari, che occupano gran parte della Terra, producono con la loro evaporazione l’umidità necessaria per le piogge; quindi i mari sono anche regolatori della temperatura. Nella buona stagione, le acque marine si riscaldano e conservano questo calore. Quando giunge l’inverno, esse lo cedono a poco a poco all’aria e la intiepidiscono. Durante l’estate, le acque marine sono fresche e donano all’aria un po’ della loro frescura. Le terre presso il mare hanno così inverni ed estati miti.
Chi si è divertito tra le onde si è sicuramente accorto che l’acqua del mare ha un sapore sgradevole. Ciò è causato dalle grandi quantità di sali trasportate dalle acque dei fiumi e depositate nel mare, le quali si concentrano per la forte evaporazione. Il sale è un elemento indispensabile per la vita dell’uomo: egli non potrebbe nutrirsi solo di cibi dolci, perciò l’uomo ricava il sale facendo evaporare l’acqua marina nelle vasche delle saline.
Il mare è popolato da una quantità enorme di pesci grossi e piccoli. Gli uomini si sono sempre nutriti di pesce, ed oggi hanno vere e proprie flotte di pescherecci capaci di affrontare l’alto mare e di preparare e conservare il pesce appena catturato.
Gli uomini, fin dall’antichità, hanno saputo dominare e solcare il mare con imbarcazioni sempre più veloci e sicure; oggi il mare è una via di comunicazione facile ed economica.
Le navi che solcano i mari hanno, lungo le coste, le loro stazioni: i porti. Nei porti esse sostano per caricare e scaricare merci, per imbarcare e sbarcare passeggeri.
L’uomo dell’antichità trovò, sulla sponda, luoghi adatti per riparare le navi dai venti e dalle onde: erano insenature profonde, protette da coste alte, i primi porti naturali. Ritroviamo, oggi, lungo le coste e alle foci dei fiumi, porti costruiti dall’uomo; essi sono bordati e difesi da lunghe muraglie di cemento o di pietra: i moli.
Oh, com’è grande e bello il mare! Quando è tranquillo sembra un’immensa distesa azzurra con tante bianche vele, immobili, come in attesa del messaggio di un angelo. Nelle giornate più chiare il mare si confonde col cielo e le onde mansuete, come piccoli agnelli, baciano la sponda. Ma guai se il vento si mette a soffiare! Allora il mare sembra un mosto scatenato. Che paura!
Doni del mare
Il sole è scivolato dalle nubi di fiamma fino al mare. A poco a poco scende la sera buia. Nel cielo brillano le stelle e la luna tonda tonda. I pescatori ritirano le reti che hanno lasciato cadere nell’acqua scintillante. Quanti pesci nella rete! Il pescatore è contento e, mentre ritorna, pensa al suo bimbo che può dormire tranquillo: il mare ha pensato anche a lui.
Al mare
Come è grande il mare! Così grande che, a vederlo laggiù, sulla riga dell’orizzonte, pare che non debba avere fine. Come è mutevole l’aspetto del mare! Ora, a cielo sereno e ad aria ferma, ci appare liscio come una tesa coltre di seta azzurra, se si leva una leggera brezza s’increspa appena; giocano a rincorrersi piccole onde irrequiete. Lasciate però che si levi forte il vento, che si faccia impetuoso e che il cielo prometta burrasca: ecco che le onde si fanno più alte, diventano cavalloni, si coronano di creste schiumose, vengono a frangersi con forza contro la riva, gettando nell’aria, tra gli alti spruzzi, il loro fragore. Allora il mare fa paura. Quando il mare si calma e ritorna sereno, non si sa più dove siano le furie della tempesta.
Civiltà del Mediterraneo
Mare Mediterraneo vuol dire “mare chiuso tra le terre”. Esso è circondato dalle coste dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa. E’ un mare che non conosce le grandi tempeste ed i venti furiosi; i navigatori vi si possono avventurare in lunghi viaggi senza perdere di vista la costa. Proprio sulle sue sponde nacquero alcune tra le più grandi civiltà. Questo mare costituì la via rapida per il commercio e per le conquiste.
Quando gran parte degli uomini viveva ancora in capanne ed affilava armi e strumenti di pietra, Gli Egiziani in Africa, i Fenici, gli Assiro-Babilonesi e gli Ebrei in Asia e i Greci in Europa erano forti, ricchi, organizzati. Foggiavano con arte i metalli; costruivano navi sicure e palazzi meravigliosi; scrivevano, dipingevano, scolpivano con gusto raffinato.
L’acqua sulla Terra
Se osservassimo il nostro pianeta stando su un altro corpo celeste, vedremmo un globo ricoperto per la maggior parte di acqua e senza dubbio verrebbe da dargli il nome di Mare e non di Terra. La Terra è infatti il pianeta delle acque: su 510 milioni di chilometri quadrati della sua superficie totale, quasi i tre quarti sono occupati dai mari e solo per 149 milioni si estendono terre. Nessun altro mondo, fra quelli osservati dagli scienziati finora, possiede una distesa d’acqua e in tutto l’Universo l’acqua, allo stato liquido, costituisce una vera rarità.
Le vie del mare
Il mare, così vario, non impedisce le comunicazioni tra i vari paesi. Immagina che sul mare siano tracciate centinaia di grandi strade che portano in ogni parte del mondo: sono le rotte, cioè i percorsi seguiti dalle navi. Sul mare si svolge un continuo traffico di merci e di passeggeri: i punti di partenza e di arrivo sono i porti.
All’ingresso dei porti c’è il faro; una torre sulla cui cima è posta una luce potentissima, che si scorge dal mare anche da lontano e serve di indicazione alle navi.
Il porto è generalmente protetto da un molo, che lo ripara dalla violenza delle onde. I grandi porti hanno più moli, i quali servono anche come banchine per l’attracco delle navi.
Sulla riva sorgono le attrezzature portuali: gru per il carico e lo scarico, magazzini di deposito per le merci. Vi sono anche gli uffici della Dogana, dove si controllano i passaporti dei viaggiatori che partono o arrivano da Paesi stranieri e si esaminano i bagagli e le merci.
Il porto
Il porto è la stazione delle navi che, cariche di uomini, di merci, di petrolio, arrivano e salpano per tutte le parti del mondo. E’ una vasta estensione d’acqua separata dal mare aperto per mezzo di lunghissime dighe chiamate moli, costruite dagli uomini per impedire che le onde del mare in tempesta portino danno alle imbarcazioni ferme.
Nel porto le navi riposano tranquille una accanto all’altra, attraccate ai piloni piantati nei ponti di approdo.
Gli sportivi del mare
Con poderose bracciate, il nuotatore avanza sicuro, muovendo ritmicamente il capo fasciato dalla lucida cuffia di gomma. Il nuoto è uno degli sport più antichi e più completi, perchè permette di tenere in esercizio tutti i muscoli del corpo. Perfino nell’antica Roma, per indicare una persona da poco, si diceva “non imparò nè a leggere nè a nuotare”.
Munito di maschera respiratoria, di pinne palmate ai piedi, il cacciatore subacqueo scende nelle profondità marine. E’ armato di uno speciale fucile che lancia una lunga e appuntita freccia, alla quale è agganciata la sottile gomena che serve per il recupero dei pesci colpiti. A questo sport si dedicano specialmente abili e coraggiosi nuotatori.
In fondo al mare
Forse voi credete che il fondo del mare sia formato soltanto da sassolini o da sabbia o da rocce. Invece gli abissi marini presentano gli aspetti più vari.
Scendendo in fondo al mare si scoprono alberi strani di rosso corallo e alghe multicolori che disegnano fantastici arabeschi. Si incontrano animaletti che sembrano fiori e pesci simili a farfalle.
La nostra vista è attirata da agili e trasparenti meduse o da spugne enormi fisse alle rocce del fondo.
Più scendiamo e più animali e piante diventano strani per forma e colore. A migliaia di metri di profondità troveremmo un mondo di tenebre e di freddo. Qui abitano esseri mostruosi e voraci che certamente ci incuterebbero grande spavento.
I prodotti del mare
Il pesce è certo, con il sale, il più importante dono del mare. Tutti conoscono il gusto prelibato delle sogliole e delle orate.
A volte i pescherecci si spingono fuori dal Mediterraneo per affrontare l’oceano ove la preda è abbondante e preziosa. Stoccafissi e baccalà sono appunto i merluzzi catturati in mari lontani. I primi vengono conservati facendoli essiccare, i secondi mediante un processo di salatura.
Celebri in Sicilia e in Sardegna sono la pesca del tonno e del pesce spada, e la raccolta delle spugne.
Tipica è la coltivazione di certi molluschi marini, come i mitili, e diffusa è la raccolta di altri frutti di mare, come i tartufi, le ostriche, le arselle e i datteri.
Sale e salgemma
La maggior parte del sale terrestre è contenuta nel mare e negli oceani. Milioni di anni fa le acque di molti golfi marini rimasti separati dal mare e quelle di laghi salati evaporarono e il sale si depositò sul fondo in colossali ammassi. Questi strati di sale furono, poi, ricoperti da sedimenti impermeabili trasportati dai fiumi e rimasero sepolti a varie profondità. Questo sale si chiama salgemma e viene scavato come un minerale nei giacimenti.
Le saline
Il mare è una miniera inesauribile di sale, un minerale prezioso che l’uomo estrae dalle saline. Esse sono grandi vasche, poco profonde, con il fondo di cemento, costruite sui tratti di costa pianeggiante. Per mezzo di un canale di immissione, che comunica con il mare, vengono riempite di acqua marina che, per il calore del sole, evapora, depositando uno strato di sale.
Pescatori al lavoro
Laggiù, in alto mare, nel buio della notte, appaiono all’orizzonte lunghe file di luci: sono le lampare. Le hanno accese i pescatori che al tramonto sono usciti dai porti con le loro barche da pesca e hanno gettato in mare le reti. La luce di quelle lampade è forte, accecante. Attrae i pesci curiosi e li abbaglia. Quando essi si accorgeranno dell’insidia tesa dagli uomini sarà ormai troppo tardi: saranno già prigionieri della rete.
Prima dell’alba i pescatori prendono la via del ritorno; se la pesca è stata buona scaricano sulla banchina del porto cassette piene di pesci d’ogni sorta: cefali, sardine, triglie, sogliole, aguglie, e un’infinità di granchietti incappati nella rete, che cercano ora di ributtarsi in acqua correndo.
La marea
Chi abita sulla costa conosce lo strano fenomeno della marea. Durante le ore di una giornata l’acqua non conserva sempre lo stesso livello: vi sono periodi di bassa e periodi di alta marea.
In Italia la differenza tra i due livelli è trascurabile. Ma vi sono coste dove si raggiungono vari metri di dislivello. Questo fenomeno è dovuto all’attrazione esercitata dalla Luna sulle acque del globo terrestre.
Il mare distrugge e costruisce
Quando un’onda infuriata si abbatte su uno scoglio, questo riceve un colpo da gigante. Lo scoglio resiste, anzi sembra che neppure lo avverta. Ma col passare dei secoli, le onde vincono: formano grotte e archi meravigliosi. Poi lo stesso scoglio viene staccato dalla costa e infine distrutto. Ma il mare restituisce tutto. Dopo aver sbriciolato e spezzato le rocce, le rende alla costa sotto forma di ghiaia e di sabbia. Così nasce una spiaggia.
Come nascono le isole
Ci sono isole sorte dal mare, proprio come funghi. Si tratta di vulcani che hanno trovato il loro sfogo nel fondo marino. La lava, accumulandosi rapidamente, giunge un bel giorno alla superficie formando, talora in pochi giorni, isolotti di forma conica.
Certe isole vicino alla costa, invece, erano un tempo saldate ad essa. Poi, a causa di un lento sprofondamento del suolo, se ne sono distaccate. Talora questo distacco avviene in seguito all’inesorabile lavoro di lima del mare.
I guardiani del faro
Il faro è una torre di pietra che, all’ultimo piano, ha una lampada molto luminosa che guida nella notte i naviganti. Di notte, le strade del mare sono buie; le navi, perciò, non possono vedere gli scogli o il porto. Il faro, con la sua luce amica, sembra dire: “Attenzione!”, oppure: “Vieni, qui c’è la casa che ti aspetta!”.
I fari sono sparsi un po’ da per tutto sulle coste, ma i più interessanti sono quelli sperduti su qualche scoglio, in mezzo al mare tempestoso. Ogni faro aveva due guardiani, che pensavano ad accendere la lampada e, di notte, a turno, facevano la veglia. Ogni settimana, e talvolta ogni mese, arrivava una nave che li riforniva di viveri.
Al mare
E’ tanto bello tuffarsi nell’acqua tiepida e salmastra, oppure restare sdraiati sulla sabbia calda ad ammirare l’immensa distesa azzurra, che si stende lontano, fino a confondersi col cielo.
Quando c’è bonaccia le onde increspano appena la superficie tranquilla. Ma basta che soffi il vento perchè i flutti si mutino in cavalloni bianchi di spuma che si avventano mugghiando contro la spiaggia, gli scogli, le insenature della costa. Allora è pericoloso avventurarsi in mare e anche i pescatori sono costretti a interrompere il lavoro.
Il mare
Guardiamo il mare: un’onda incalza l’altra e questa è incalzata da mille, e tutte, ad una ad una, con eguale misura, con monotona cadenza, giungono al lido, vi strisciano, coprendolo di spuma e si perdono sotto le onde che seguono. Davanti al mare l’uomo si sente prendere da un sentimento grande come il mare. E’ il sentimento di stupore e meraviglia che ci invade ogni volta che la natura ci presenta quanto ha di più grande nel cielo o sulla terra. (A. Stoppani)
Il bimbo e il mare
Giocavano così lui e il mare, soli soli. Il mare a lambirgli i piedi, e il bambino scalzo, a non farseli bagnare. E ridevano. Se il mare avanzava il bambino indietreggiava, se il mare indietreggiava il bambino avanzava. Finchè il mare, cingendogli di schiuma le gambette, era riuscito ad attirarlo a sè, e il bambino prese a saltare fra gli schizzi. E giù calci. (F. Tombari)
Le conchiglie
Le conchiglie che trovi sulla spiaggia sono le case di molluschi che vivevano nel mare, presso le coste, e che un giorno ebbero la disgrazia di essere colti di sorpresa e divorati dai loro nemici. Moltissimi animaletti marini, senza scheletro e dotati di un corpo molle, hanno imparato a fabbricarsi un guscio duro per proteggersi, utilizzando la sostanza calcarea che si trova disciolta nell’acqua. Alcuni se ne costruiscono come la chiocciola terrestre, altri preparano la loro casetta formando una cavità con due valve a forma di ventaglio, attaccate tra loro nel lato più breve, che si aprono quando il mollusco deve mangiare, mentre si chiudono di scatto non appena si presenta qualche pericolo.
Il sale
Questo prezioso minerale entra in tutti i cibi dell’uomo, persino nei dolci. Una minestra, una bistecca, una qualsiasi vivanda senza sale, non potresti gustarla. Peggio, anzi: ti ripugnerebbe.
Poi il sale è necessario al nostro organismo, come l’acqua, lo zucchero e altre sostanze.
Fortunatamente il mare è straricco di sale. Ne contiene tanto che, se l’acqua evaporasse, potremmo, col sale rimasto in secco, ricoprire completamente tutta la terra con uno strato alto dieci centimetri.
Il sale del mare ci fa conoscere l’età della Terra
In principio, i mari non erano salati. Come i nostri fiumi e i nostri torrenti d’adesso, anche gli oceani di quel tempo così lontano erano formati di acque dolci, cioè delle acque che il cielo aveva versato sotto forma di immense piogge. Chi ha recato al mare tutta la grande ricchezza di sale che ora contiene?
I torrenti e i fiumi, che dalle catene dei monti scendono al piano, scorrendo sulle rocce e portando con sè tutti i materiali che possono sciogliersi nelle acque o da queste essere strappati con la forza del corso.
Certo, si tratta di minime quantità, tanto che noi troviamo dolci, cioè prive di sale, le acque dei torrenti e dei fiumi. Ma in tanto lungo periodo d’anni, il poco accumulandosi è diventato il molto ed ha costituito la forte riserva salina dei mari.
Ora gli scienziati hanno fatto un calcolo. Hanno stabilito quanto sale si trova disciolto nelle acque di tutti gli oceani esistenti. Poi hanno calcolato quanto sale portano in un anno al mare tutti i corsi d’acqua, grandi e piccoli, che scorrono sulla Terra. Dividendo il primo numero per il secondo, si viene a conoscere da quanti anni dura questo continuo dono di sale che le acque viaggianti sopra il suolo portano alle infinite distese marine.
Quanti anni? Tanti, tanti: nientemeno che cento milioni. Un milione di secoli, dunque, è lontano da noi quel periodo in cui dalla nera fascia di nubi che circondava la Terra è sgorgato il grande flutto d’acqua che ha formato gli oceani.
Queste cifre sono molto approssimative. Nessuno viveva in quel tempo, nessuno ha potuto raccontare quello che allora è avvenuto.
I guardiani del faro
Il faro è una torre di pietra, che, all’ultimo piano, ha una lanterna molto luminosa che guida nella notte i naviganti. Di notte, le strade del mare sono buie; le navi, perciò, non possono vedere gli scogli o il porto. Il faro, con la sua luce amica, sembra dire: “Attenzione!” oppure “Vieni, qui c’è la casa che ti aspetta!”.
I fari sono sparsi un po’ da per tutto sulle coste, ma i più interessanti sono quelli sperduti su qualche scoglio, in mezzo al mare tempestoso. Ogni faro ha due guardiani. Essi pensano ad accendere la lanterna e, di notte, a turno, fanno la veglia. Ogni settimana, e talvolta ogni mese, arriva una nave che li rifornisce di viveri.
Il mare e Aki – leggenda finlandese
Il mare, quando nacque, era placido e gaio. Cantava, accarezzava le terre che gli stavano vicine, voleva che le onde fossero educate, le mandava a passeggio con un leggiadro cappuccio di pizzo bianco e, prima che uscissero dalla verde casa di vetro, diceva loro: – Mi raccomando, niente chiasso per la strada, nessun gesto scomposto. –
Milker, il padrone del mondo, condusse nella casa di vetro una donna bellissima, Aki, e disse al Mare: – Ecco tua moglie -.
Il Mare sulle prime fu contento. Gli piaceva avere una compagna che lo aiutasse a tenere la disciplina tra le onde e tra i pesci e che, nelle ore di riposo, gli raccontasse qualche storia bella e strana. Ma si accorse subito che Aki era bisbetica. Pretendeva che, nel liquido regno, tutti, dalle meduse pallide ai salmoni di roseo argentato, assecondassero tutti i capricci più pazzi che le passavano per la testa.
Investiva il marito con parolacce volgari, dava calci alle piccole onde e canzonava le balene, tirando fuori due metri di lingua.
Il mare, carattere dolce e animo generoso, sopportò, per un poco, l’arpia. Ma anche lui, poveraccio, aveva il suo orgoglio, o almeno il suo amor proprio.
Visto che Aki non si placava con la dolcezza, cambiò sistema e adotto misure severissime. Scoppiarono scenate d’inferno. Urlava la moglie, urlava il marito, e le onde, pazze di terrore, cercarono inutilmente di fuggirsene dalla liquida loro patria, di raggiungere l’alto paese degli astri, arrampicandosi l’una sull’altra, facendo balzi paurosi, chiedendo soccorso, ma invano, allo zio Vento e alla nonna Pioggia.
Si scatenarono così le prime terribili tempeste. La maschia volontà del Mare trionfava sulla sciocca petulanza della donna e per un poco nella casa di vetro, nella gran patria oceanica, ritornava la calma. Le onde, con le leggiadre cuffie di pizzo, andavano, gentiline e gaie, a passeggio. Il Mare accarezzava con dolcezza le rive amiche, cantando qualche canzone patetica, e i pesci ricominciavano i giochi, guizzando lieti, dai giardini delle alghe alle selve dei coralli. Ma la gran pace, la pace perfetta della sua giovinezza, babbo Mare, per colpa della moglie bisbetica, non potè più goderla.
Da quel tempo, nell’oceano, ai periodi di bonaccia si alternano i periodi di tempesta, e chi tenta sulle navi le avventure dei lunghi viaggi, conosce il carattere collerico della terribile Aki.
E le vittime innocenti delle bufere, scatenate dai capricci della volubile Aki, non si contano più.
Una famiglia di marinai
Un tale si imbatte, sulla banchina di un porto, in un marinaio e gli domanda, tra una boccata e l’altra di funo, se ha dei marinai tra i suoi ascendenti (genitori, nonni, ecc…).
Il marinaio risponde che in casa sua sono stati marinai di padre in figlio. E allora l’altro gli domanda in che modo morì suo padre.
– In mare, naufrago –
– E vostro nonno? –
– Anch’egli in mare –
– E il bisnonno? –
– Signor sì, anche lui in mare –
– E allora, come mai voi che sapete questo vi ostinate ad andare in mare? –
– Ecco; ora ve lo spiego, ma prima voglio anch’io rivolgervi una domanda. Come morì vostro padre? –
– Oh, a letto, circondato dalla sua famiglia –
– E vostro nonno? –
– Egli pure nel suo letto –
– E il bisnonno? –
– Per quanto mi fu detto, perchè io non lo conobbi, anch’egli morì nel suo letto. –
– E allora, signore, come mai ve ne andate a letto? Mi pare che vuoi siate molto più imprudente di me -. (Jack La Bolina)
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Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria: una raccolta di racconti, dialoghi e piccole recite sulla Preistoria, di autori vari, per la scuola primaria.
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria Dialogo
– E’ permesso? Posso entrare? Sono venuto ad ammirare le tue nuove armi. Desidero molto vederle?-
– Entra, entra pure! Ti farò vedere anche alcuni monili che ho perfezionato ieri! Intanto, vedi questo? E’ un pugnale di ferro, ti piace?-
– Oh, com’è appuntito! Questa sì che è un’arma!-
– Non siamo più nell’età della pietra, mio caro! Con la scoperta dei metalli, è finita! –
– Osserva, ti prego, queste frecce con la punta di ferro.
– Come sono acuminate! E questi monili sono di rame? –
-No, sono di bronzo. Ho impiegato un po’ di tempo a fondere insieme rame e stagno. Ma guarda, che bel lavoro ho fatto! –
-Sei bravo davvero! Ti ringrazio di avermi mostrato i tuoi lavoretti e ti attendo presto a vedere l’imbarcazione che ho costruito. E’ molto più comoda e più solida di quella che avevo prima. –
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria Il primo amore per gli animali
Al tempo dei tempi, quando gli uomini abitavano le caverne e si vestivano di pelli, un uomo, Grog, ebbe l’idea geniale di scavare il primo trabocchetto per gli animali.
Che barriti lanciava il grosso mammut quando vi cadeva dentro! Come grugniva il cinghiale! Grog, tutto contento, accorreva al trabocchetto con gli altri uomini della tribù, e tutti insieme, servendosi di sassi, di pali appuntiti e di accette di pietra, uccidevano la bestia.
Grog aveva un bambino e una bambina. Un giorno i due fratelli ebbero l’idea di fare come il babbo. Dove la terra era più tenera, scavarono una buca coprendola di rami e frasche. La mattina dopo vi trovarono una pecorella che belava pietosamente. Anche le pecore, si intende, erano allora animali selvaggi. Tutti e due si dettero a raccogliere pietre per ucciderla, ma quando il bambino fu pronto per scagliarle, la sorella gli fermò il braccio: “Sarek, fermati!”, gli gridò.
“Che c’è, Mughi?” chiese il bambino.
Mughi fissò la pecora che chiedeva pietà. “Non voglio ucciderla!” gridò, e con un salto si calò nel trabocchetto, andando a finire accanto alla pecorella.
Sarek, a salti, come un cerbiatto, tornò alla caverna dai suoi genitori.
“Papà!” disse Sarek, “Mughi ed io abbiamo preso in trappola un animale bianco, ma Mughi non vuole ucciderlo!”
Il padre si alzò. “Andiamo”, disse a Sarek.
Quando padre e figlio giunsero al luogo del trabocchetto, non vi trovarono più nessuno. Ma, più in là, lungo un ruscello, Mughi stava accarezzando la pecorella. All’arrivo dell’uomo, l’animale fece un balzo e tentò di fuggire, ma Mughi lo calmò accarezzandolo.
“Papà”, disse Sarek, “ecco l’animale che Mughi non vuole uccidere”.
L’uomo osservò con meraviglia la pecorella che si lasciava accarezzare. Allora, dentro di sè, fece questa riflessione: “Se esistono degli animali che si lasciano ammansire dalle carezze, perchè non catturarli ed allevarli? Così a nessun uomo mancherà mai più il cibo, neppure nei periodi più tristi dell’inverno, quando la neve rende pericolosa la caccia”.
Grog, allora, suscitando la sorpresa di suo figlio, gridò: “Non si deve uccidere un animale così buono!”
R. Botticelli
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria Come il cane divenne domestico
Quel che vi racconto accadde quando gli animali domestici erano ancora selvatici.
Naturalmente era selvatico anche l’uomo, e soltanto quando la donna gli fece capire che così non le piaceva, cominciò a perdere la sua selvaticità. Ella preparò una graziosa caverna asciutta; per non dormire su un mucchio di foglie umide, sparse sul suolo un po’ di sabbia chiara e fine e accese un bel fuoco di legna, poi mise una pelle di cavallo all’ingresso della caverna e disse all’uomo: “Quando entri, asciugati i piedi”.
La sera, a cena, mangiavano un po’ di montone cotto su pietre calde e condito con aglio e pepe selvatici, dell’anatra selvatica ripiena di riso, del midollo di ossa di toro e delle ciliegie di bosco.
Mentre l’uomo si addormentava contento vicino al fuoco, laggiù, nel bosco umido, tutti gli animali selvatici si riunirono in un luogo da cui potevano vedere la luce della fiamma e si domandarono che cosa stesse succedendo.
Il cavallo scalpitò e disse: “Animali amici e nemici, mi sapete dire perchè l’uomo e la donna hanno fatto nella caverna quella gran luce? Che ci preparino qualche tranello?”
Il cane alzò il muso, fiutò l’odore di montone cotto e dichiarò: “Andrò io a vedere. Credo però che non preparino niente di male”.
E il cane se ne andò di buon passo. Quando giunse sulla soglia della caverna, alzò il muso e annusò l’odore del montone cotto; la donna lo sentì, rise e domandò: “Selvatico figlio dei boschi, che vuoi?”
Il cane rispose: “Mia nemica e moglie del mio nemico, che cos’è questo buon odore che si spande per i boschi?”
La donna prese un osso di montone e glielo gettò, dicendo: “Assaggialo e lo saprai”.
Il cane rosicchiò l’osso, lo trovò migliore di tutte le cose che aveva fino ad allora mangiato e dichiarò: “Dammene un altro”.
Disse la donna: “Se tu aiuterai l’uomo durante il giorno nella caccia e se custodirai di notte questa caverna, io ti darò tutti gli ossi che vuoi”.
Il cane entrò strisciando nella caverna, mise la testa sulle ginocchia della donna e disse: “Amica e moglie del mio amico, io aiuterò l’uomo nella caccia e custodirò la caverna”.
Quando l’uomo si svegliò e vide il cane, disse: “Che fa qui il cane?”
La donna rispose: “Non si chiama più cane selvatico, ma Primo Amico. Egli sarà nostro amico per sempre e ti aiuterà nella caccia.
R. Kipling
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria Il gatto
Migliaia e migliaia di anni fa, quando l’uomo abitava nelle caverne, il gatto era il più selvatico degli animali. Un giorno si avvicinò alla caverna dell’uomo. Sentì il buon calore del fuoco, il buon odore del latte che la donna aveva appena munto dalla mucca.
“Che vuoi?” gli chiese la donna, “Tu non sei ne un’amico ne un aiuto per l’uomo. Vattene!”
“Lasciami entrare nella tua casa, la sera, perchè mi riscaldi al tuo fianco e beva un po’ di latte”.
“Potrei entrare solo quando dirò una parola in tua lode; se ne dirò due ti riscalderai al fuoco; se ne dirò tre berrai il latte”.
“Va bene!” disse il gatto e si accovacciò al sole, fuori della caverna.
La donna mise fuori il suo bambino. Il bambino a star da solo di annoiava e si mise a piangere. Il gatto gli si accovacciò, strofinò il suo pelo morbido contro le gambette del bimbo e gli fece il solletico sotto il mento, con la coda. Il bimbo rise.
“Bravo micio!” disse la donna che preparava il pranzo. Pronto il gatto entrò nella caverna: la donna aveva detto una parola di lode. Il bimbo, fuori, si mise di nuovo a piangere e a strillare. Il gatto tornò vicino a lui e si mise a fare mille moine. Il bimbo cominciò a ridere forte, poi si addormentò.
“Caro gatto, sei molto abile!” disse la donna. Subito il gatto si accovacciò vicino al fuoco e fece le fusa. Tutto era tranquillo, quando un topolino attraversò la caverna.
“Aiuto! Aiuto!” gridò la donna, saltando qua e là. Il gatto, con un balzo, afferrò il topolino.
“Grazie, grazie! Sei più bravo del cane!” disse la donna.
“Questa è la terza volta che tu mi lodi. Ora posso bere il latte ogni giorno”, disse il gatto.
Così il gatto rimase nella caverna.
R. Kipling
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria Una lotta mortale nella preistoria
I terribili tori selvaggi detti uri, dalla testa crespa e barbuta, dalle corna arcuate e fangose, stavano avvicinandosi alla riva del fiume, quando un alto clamore si levò dalla foresta: arrivavano i mammut.
La schiera dei mammut sbucò dalla foresta e si precipitò verso la riva del fiume, arrivandovi contemporaneamente alla schiera degli uri. I mammut, secondo le loro abitudini, pretesero di passare per primi: qualcuno tra gli uri si irritò. Gli otto tori giganteschi che guidavano il branco, vedendo che i mammut volevano passare avanti, emisero un lungo grido di guerra, col muso in alto e la gola gonfia.
I mammut barrirono.
Gli uri scossero le criniere grasse: il più forte, il capo dei capi, abbassò la fronte grave, le corna lucenti, e, slanciandosi come un enorme proiettile, balzò addosso al mammut più vicino. Ferito alla spalla, benchè avesse attutito il colpo sferzando con la proboscide l’avversario, il colosso cadde sulle ginocchia. L’uro proseguì il combattimento con l’ostinazione della sua razza. Ebbe la meglio.
Da principio, il combattimento aveva sorpreso gli altri maschi. I quattro mammut e i sette tori stavano faccia a faccia, in una formidabile attesa. Nessuno fece l’atto di intervenire; ma tutti si sentivano minacciati. I mammut furono i primi a dar segni di impazienza. Il più alto, soffiando, agitò le orecchie membranose, simili a giganteschi pipistrelli, e avanzò.
Si scagliavano gli uni contro gli altri in un combattimento cieco; il ruggito profondo dei tori cozzava col barrito stridente dei mammut.
I capi maschi incarnavano la guerra; i loro corpi si mescolavano in un groviglio informe, in un immenso stritolio di ossa e di carne. Al primo urto i mammut avevano avuto la peggio; ma poi, avventatisi insieme sugli avversari, li avevano colpiti, soffocati, feriti. Infine un toro incominciò ad arretrare, poi si volse e fuggì, e la sua fuga provocò quella dei tori che combattevano ancora e che conobbero l’infinito contagio del terrore. Allora la colonna dei giganti color d’argilla si schierò sulla riva e si mise a bere in pace.
J. H. Rosny Aine
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria La scoperta del fuoco
Al piccolo coro parlato possono partecipare diversi bambini, anche tutta la classe. E’ consigliabile preparare piccoli gruppetti. Potete far osservare ai bambini che il linguaggio degli uomini primitivi doveva essere probabilmente molto povero, e che essi comunicavano più a gesti e a monosillabi, che non con un vero e proprio linguaggio.
Personaggi: Narratore, Primo uomo preistorico, Secondo uomo preistorico, Terzo uomo preistorico, Uomini, Bambini.
Narratore: Gli uomini preistorici abitavano nelle grotte e nelle caverne, cacciavano gli animali, si coprivano con le pelli degli animali uccisi e ne mangiavano le carni crude. Per armi avevano soltanto pietre. Ma infine conobbero il fuoco e la loro vita cambiò. Era una serata tremenda. L’immensa foresta era scossa da un terribile temporale…
Primo uomo preistorico: Ah!… Ah!… Là!
Secondo uomo preistorico: Cosa dire?
Primo uomo preistorico: Là! Luce alta! Muovere! Vivere!
Altri uomini: Oh, oh, spavento! Spavento!
Parecchi uomini: Terribile!
Terzo uomo preistorico: Io vedere! Luce cadere da cielo, poi luce salire da terra!
Bambini: Paura!
Uomini: Morire! Finito! Morire tutti!
Narratore: Sì, la prima impressione del fuoco fu di gran terrore, finchè, dopo un altro temporale…
Primo uomo preistorico: Fuoco fare giorno notte!
Secondo uomo preistorico: Fuoco fare caldo!
Parecchi uomini: Fuoco fare bene noi!
Primo uomo preistorico: Ma Fuoco lasciare noi. Fuoco lasciare! Diventare piccolo!
Parecchi uomini: Fuoco abbandonare noi!
Alcuni uomini: Andare chiedere luce a Fuoco, andare a chiedere calore noi!
Altri uomini: No! No! Morire!
Bambini: Oh, oh, freddo noi morire! Freddo morire!
Narratore: Fu l’amore per i bambini che spinse l’uomo a vincere la paura.
Primo uomo preistorico: Io andare Fuoco: no paura bestie, no paura grande luce. Fuoco salvare bambini!
Narratore: E l’uomo andò nella foresta e tornò con un ramo infuocato. Alla sua vista, gli altri si spaventarono nuovamente.
Uomini: Fuggire! Noi morire!
Primo uomo preistorico: Fermare! Fuoco di noi! Fuoco dare luce! Fuoco dare caldo!
(R. Botticelli, adattamento Lapappadolce)
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria L’uomo impara a domare il fuoco
Narratore: Una volta scoperto il fuoco, gli uomini preistorici furono presi dalla preoccupazione di conservarlo. C’era sempre chi lo vegliava e lo alimentava, perchè non si spegnesse. Ma un giorno, in una tribù…
Narratore: L’uomo aveva il fuoco. Ora non viveva più nelle caverne, ma all’interno di capanne. Tuttavia non si sentiva affatto al sicuro. Una grande paura lo assillava continuamente. Ed ecco che da tribù a tribù passò la voce di una geniale idea….
Grog: Sarik, tu cercavi me?
Sarik: Sì, Grog. Cosa importante! Cosa importante!
Grog: Ah ah ah ah! Fai ridere! Zala con te, bambini con te, vuoi anche mia compagnia?
Sarik: Grande Grog, cosa importante! Cosa importante!
Grog: Grog ha orecchie. Non ripetere. Parla.
Sarik: Dietro montagna qui c’è lago. Lago è calmo come faccia di luna.
Grog: Grog sa questo.
Sarik: Grog sa anche che tribù di stranieri conficcato grandi pali su fondo di lago? Poi steso legni, tanti legni e su legni su lago stranieri costruito loro capanne! Capanne come nostre!
Grog: Stranieri sono pericolo per noi come bestie?
Sarik: No, Grog
Grog: allora perchè Sarik dice questo a Grog?
Sarik: Grog… capanne straniere sono su acqua!
Grog: Sarik ha già detto. Grog ha sentito.
Sarik: Oh, grande Grog! Scendi anche noi su lago, anche noi capanne su lago!
Grog: No!
Sarik: Noi più forti con capanne su acqua…
Grog: Noi essere forti! Nostre pietre uccidono bestie! No. Grog dice no!
Zala: Oh grande Grog…
Grog: Basta!
Sarik: Grog senti Zala, Sarik prega Grog…
Grog: Zala parlare.
Zala: mio piccolo bimbo aveva pelle chiara come ruscello, occhi di luce come stelle, e belve sbranato di notte. Con capanna su lago, niente bestie! Pietà Grog per Zala… pietà Grog… Zala altri bimbi, loro diventare forti e aiutare sempre Grog!
Grog: Grog andare a vedere con Sarik e Zala. Grog vuole vedere tribù stranieri e capanne su lago.
Narratore: Andarono infatti al lago: e anche la tribù di Grog decise di costruire abitazioni su palafitte.
(R. Botticelli adattamento Lapappadolce)
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria: tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Racconti e recite sulla Preistoria per la scuola primaria
Dettati ortografici sugli ANIMALI – Una raccolta di dettati ortografici e letture per la scuola primaria sugli animali: i mammiferi, i ruminanti, i mammiferi marini, ecc..
Dettati ortografici sugli ANIMALI I mammiferi
Si chiamano mammiferi gli animali vertebrati che da piccoli si nutrono con il latte materno. Il loro corpo è generalmente ricoperto di peli, il loro sangue è rosso e caldo; respirano con i polmoni. La grande classe dei mammiferi comprende animali che vivono sulla terra, nell’aria e nell’acqua. Sono mammiferi i cani, i gatti, i topi, i cavalli, i buoi, le mucche, le pecore, le capre, i maiali, le volpi, i lupi, i leoni, le tigri, i leopardi, gli elefanti, le zebre, le giraffe, i conigli, le lepri, i canguri, gli scoiattoli, le scimmie, le balene, i delfini, i pipistrelli e tanti altri animali.
Dettati ortografici sugli ANIMALI I suini
Fra gli animali che l’uomo ha tolto dallo stato di selvatichezza per servirsene, magari trasformato in salsicce, è il maiale. Della stessa famiglia è il cinghiale, che preferisce la vita libera della macchia alle grasse brodaglie con cui l’uomo nutre il maiale. Ai suini appartiene anche l’ippopotamo, che non si trova nei nostri paesi e che noi ci accontentiamo di ammirare allo zoo.
Dettati ortografici sugli ANIMALI I ruminanti
Gli animali ruminanti hanno uno stomaco diviso in quattro sacche che si chiamano rumine, reticolo, omaso ed abomaso. L’erba, inghiottita senza essere stata masticata, va dapprima nel rumine, poi, quando l’animale è in riposo, il reticolo la rimanda in bocca; da qui, dopo che i denti l’hanno ben masticata, l’erba scende nell’omaso e nell’abomaso, dove è digerita. Oltre ai bovini, sono animali ruminanti: la pecora, la capra, il bisonte, il cammello, il dromedario, il cervo, il camoscio, lo stambecco, il caribù, la renna, l’antilope, e tanti altri.
Dettati ortografici sugli ANIMALI I roditori
E’ roditore il topo, il vispo topolino a cui piace moltissimo il formaggio chiuso nella nostra credenza; e, con lui, sono roditori i numerosi esemplari di topi che tanto danno possono recare all’agricoltura e quindi all’uomo. Roditori sono anche il coniglio, la lepre, lo scoiattolo, l’istrice, il criceto. A tutti sarà capitato di sentire rosicchiare uno di questi animali, e se qualcuno avesse pensato che, a forza di rosicchiare, gli si sarebbero consumati i denti, ha pensato giusto. Infatti, i denti dei roditori si consumano, ma ricrescono sempre, così per questi animali rodere è anche una necessità per mantenere la dentatura in perfetta efficienza. A causa di questi denti, i roditori non sono affatto graditi all’uomo, il quale cerca di rifarsi come può, utilizzando di alcuni la carne e la pelliccia, distruggendo gli altri.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Gli equini
Fra i migliori amici dell’uomo, sono il cavallo, l’asino e il mulo. Essi lo aiutano nel suo lavoro e si lasciano cavalcare. Hanno lo zoccolo formato di un solo pezzo e l’uomo vi applica un ferro per renderlo più robusto. Agli equini appartiene anche la zebra, che vive allo stato selvaggio. Sono tutti erbivori.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Mammiferi in libertà
Numerosi mammiferi vivono allo stato selvatico. Tra essi sono le scimmie, animali che, più degli altri, assomigliano all’uomo; alcuni insettivori come la talpa e il riccio, che si nutrono di insetti e che, quindi, noi dovremmo tenere molto cari. Ci sono gli elefanti, gli orsi, i canguri; questi ultimi hanno sul ventre una tasca dove tengono i piccoli finché questi non sono in grado di badare a sé stessi, e ci sono perfino animali che l’uomo ha faticato a classificare, perchè volano come gli uccelli e non sono uccelli, allattano i piccoli e sono ricoperti di peli. Vogliamo alludere ai pipistrelli, anch’essi mammiferi, che, anche se poco piacevoli a vedersi, sono utili all’uomo perchè si nutrono di insetti.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Mammiferi che non sembrano mammiferi
Sono grossi animali che vivono nell’acqua come i pesci, ma non sono pesci. Sono la balena, il delfino, il capodoglio, cioè i cetacei. Sono la foca, il tricheco e cioè i pinnipedi. Anche questi depongono piccoli vivi che allattano e hanno i polmoni per respirare. Se non potessero venire ogni tanto alla superficie per fare provvista d’aria, morirebbero asfissiati proprio in quell’acqua dove sembrano trovarsi perfettamente a loro agio. La balena è il più grande degli esseri viventi.
Mammiferi marini
La balena è il più grosso dei mammiferi. Vive nei mari polari, ove è cacciata per la carne, il grasso e i fanoni. Il delfino è un cetaceo molto comune nei mari temperati: è mammifero e carnivoro. La foca è un mammifero marino delle zone glaciali. Si ciba di pesci. Il tricheco è un mammifero che vive nei mari freddi.
Animali insettivori
Essi si dividono il campo di caccia; chi va nei prati, chi nei giardini, altri nei boschi e negli orti. Fanno una guerra continua ai bruchi che distruggerebbero i nostri raccolti. Essi sono più abili di noi, di vista più acuta, più pazienti e senza alta occupazione che quella. Fanno un lavoro che per noi sarebbe assolutamente impossibile. (Fabre)
I pinnipedi
Si chiamano così certi grossi animali che passano la vita sulle spiagge e nel mare. Essendo carnivori hanno, anch’essi, una buona dentatura, ma non hanno il dente ferino come i carnivori terrestri. Il loro corpo, che ha la forma di un fuso, è ricoperto di un pelo corto, fittissimo ed è quindi adatto alla vita acquatica. Gli arti sono ridotti a guisa di pinne atte al nuoto, con le dita unite da una membrana.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Gli animali e l’uomo
Fin dalla più remota antichità, l’uomo cercò di sottomettere gli animali per farsi aiutare nel suo lavoro ed avere carni ed abiti. Sembra che il primo animale ad essere addomesticato sia stato il cane. L’uomo viveva ancora nelle caverne, aveva intanto scoperto la maniera di procurarsi il fuoco.
Non si sa precisamente quale sia stato l’antico progenitore di questo fedele amico dell’uomo. Data la diversità di razze esistenti, così profondamente differenziate le une dalle altre, si può dedurre che il cane provenga da animali diversi. Tra questi è certamente lo sciacallo che rassomiglia al tipo più comune di cane. Lo sciacallo ulula lugubremente di notte e anche la voce primitiva del cane è l’ululato. E’ soltanto nella dimestichezza che egli ha imparato ad abbaiare, cosa che dimentica se ritorna allo stato selvatico.
Naturalmente, oggi il cane ha perso diversi caratteri della sua antica origine; i tipi da noi conosciuti sono il risultato di una lunga successione di generazioni, tutte sottomesse dall’uomo ed educate da lui. Quando il cibo carneo cominciò a scarseggiare, sia per la mancanza di selvaggina sia per il sopravvenire dei grandi freddi, l’uomo primitivo soffrì la fame e, allora, pensò di allevare degli animali. Si ebbero così gli armenti di pecore e di capre. L’uomo ebbe la carne e il latte e in seguito imparò anche a filare e a tessere il vello di cui questi animali erano forniti. Successivamente, alcune popolazioni si dedicarono esclusivamente all’allevamento. Ed ecco l’uomo pastore. Egli è, però, ancora nomade. Spinge davanti a sé i suoi greggi alla ricerca di nuovi pascoli; conosce così nuove contrade dove porta quel poco di civiltà che è venuto conquistando, seguito da quegli animali che si sono ormai definitivamente sottomessi.
Prima di conseguire la domesticità attuale, pecore e capre erano ben diverse dal tipo che oggi conosciamo. Forse, erano anche in grado di difendersi. La pecora, oggi così mansueta paurosa e assolutamente incapace di una vita indipendente, doveva possedere mezzi di difesa, altrimenti sarebbe scomparsa dalla terra prima che l’uomo avesse potuto addomesticarla. Era, per lo meno, in grado di salvarsi con la fuga, così come facevano tutti i ruminanti e come fanno ancor oggi quelli rimasti allo stato selvatico.
L’uomo conosceva una varietà di spiga di cui mangiava i granelli che, abbrustoliti e ridotti in farina, intrideva con l’acqua e cuoceva fra due pietre arroventate. Questa focaccia gli piaceva e egli la mangiava insieme alla carne della selvaggina di cui temperava il gusto e il forte sapore. Fu così che l’uomo imparò a coltivare egli stesso questa spiga e fu lieto quando vide biondeggiare il campo di messi, seminate e coltivate da lui. Divenne agricoltore, ma rimase nomade perchè quando il campo, ormai sfruttato, non dava che un raccolto misero e scarso, egli si trovava costretto a cercare terreni più fertili e pingui.
Ma il lavoro della terra era faticoso: quella specie di aratro che egli si era fabbricato con un tronco appuntito, era duro a trascinarsi sul terreno dove a stento riusciva ad aprire un solco superficiale. Fu così che l’uomo cercò di domare un animale forte e robusto che lo aiutasse nel lavoro dei campi. L’animale forte e robusto fu il toro e il sottometterlo non fu facile nè privo di pericoli.
La storia non ci dice nulla dei primi domatori di tori, ma questa conquista fu così preziosa che l’Oriente ne serbò memoria per lungo tempo, e ne fanno prova gli onori che l’antico Egitto attribuiva al bue Api, considerato un dio e al quale si offrivano sacrifici e si dedicavano templi. Anche ai nostri giorni, in India, la vacca è considerata sacra e perfino nei nostri paesi i buoni vengono ornati con fiocchi e nappe. Naturalmente, molto cammino si è fatto dal bestione furioso e ribelle dei tempi preistorici al docile e mansueto bue dei nostri giorni.
L’uomo è dunque diventato pastore ed agricoltore. Ormai sono molti gli animali che ha addomesticato e di cui si serve: il cane, che gli è diventato fedele compagno nella caccia e che custodisce il suoi armenti; la pecora, che gli fornisce cibo e vesti; il bue che lo aiuta nel lavoro dei campi.
Ma egli ha ormai bisogno di spostarsi velocemente da un luogo all’altro, le sue esigenze sono aumentate, lo spinge la curiosità invincibile che lo porta ad esplorare regioni lontane e ancora sconosciute. E’ spesso in guerra con gli altri uomini che gli insidiano il gregge e i raccolti. La guerra! Un fattore decisivo nella storia della civiltà umana. L’uomo deve utilizzare un animale veloce che gli permetta non solo di spostarsi rapidamente da una regione all’altra, ma che sia anche un animale coraggioso, capace di sostenerlo e di aiutarlo nel combattimento. E’ così che l’uomo utilizza il cavallo che poi avrebbe addomesticato ed allevato come animale da tiro e da carne. Lo chiamò pittorescamente il “figlio del vento”, e questa fu certo la più nobile conquista che egli abbia fatto nei tempi dei tempi.
Pare che questo animale provenga dalle pianure della Mongolia, dove esistono ancora branchi di cavalli selvatici. Anche in America si trovano branchi che vivono in libertà, allo stato brado, nelle sterminate pianure erbose, ma essi sono soltanto i discendenti rinselvatichiti dei cavalli domestici.
Per catturarli, gli uomini usano il lazo, una specie di correggia terminante con palle, la quale si attorciglia al collo e alle zampe del cavallo e lo atterra. Forse, non molto dissimile fu la cattura del cavallo nell’antichità. Non fu facile domare questo fiero animale, ma quando l’uomo vi riuscì, il cavallo gli fu prezioso in pace e in guerra.
Il mite e paziente asinello non è un cavallo degenerato come alcuni vorrebbero: anch’esso vanta le sue antiche origini e anzi, l’asino sembra aver preceduto il cavallo nella domesticità. L’uomo nomade che trasmigrava con tutti i suoi armenti, aveva bisogno di un animale da poter caricare con le masserizie e gli strumenti di lavoro. L’asino gli fu utilissimo perchè era forte, paziente, di poche esigenze e resistente ai disagi. Oggi, gli asinelli delle razze montane hanno un aspetto dimesso perchè vengono anche trattati male, ma in Oriente, dove questa cavalcatura è tenuta molto in onore, l’asino è un animale dall’aspetto robusto, che trotterella vivacemente.
Gli animali domestici crescevano di numero e l’uomo ne traeva cibo e aiuto per il suo lavoro, ma la serie non doveva finire tanto presto. Ecco il gatto, che l’uomo forse in principio tollerò, quando attratto dall’odore dei cibi e dell’abbondanza di piccoli animali, questo felino grazioso ed agile si avvicinò alla sua capanna. Pare che il gatto domestico derivi dal gatto selvatico che ancora vive in Abissinia e che gli assomiglia molto. Infatti, per quanto il nostro gatto sia pieno di smorfiette e di grazie, esso rivela la sua origine felina nelle improvvise rivalse fatte con denti e unghie. Il gatto fu ospite dell’uomo fin dalla più remota antichità. L’Oriente, dal quale l’abbiano ricevuto, lo possiede da tempo immemorabile. In Egitto, il gatto era ritenuto sacro e gli venivano attribuiti onori divini.
Fra gli animali addomesticati ed allevati soprattutto per le loro carni, vi fu il maiale, derivato certamente anche dall’irsuto e selvatico cinghiale, che ancora popola le nostre macchie. Ed ecco, infine, le numerose varietà di polli che oggi schiamazzano nei nostri cortili e che l’uomo, attraverso selezioni lunghe e pazienti, ha modificato a suo vantaggio: galline grasse e feconde, galli pettoruti e arditi, tacchini e palmipedi. Mentre il gallo e la gallina ci sono pervenuti dall’Asia, il tacchino proviene dall’America del Nord. Per tale ragione viene chiamato anche dindo, cioè proveniente dalle Indie (occidentali). L’oca e l’anatra esistono ancora allo stato selvatico, e sono note le lunghissime migrazioni che esse compiono da un capo all’altro del mondo per andare a deporre le uova nei paesi d’origine, situati entro il Circolo Polare. Altri pennuti preziosi sono i piccioni, allevati in domesticità anche se numerose specie vivono ancora libere nei buchi delle vecchie torri o sui tetti. (Mimì Menicucci)
Dettati ortografici sugli ANIMALI L’uomo e gli animali nella preistoria
I nostri lontanissimi antenati ben presto dovettero osservare tutto ciò che li circondava e in modo speciale gli altri viventi, soprattutto gli animali, alcuni dei quali rappresentavano un pericolo da evitare e altri una fonte di vita di cui occorreva impadronirsi. Il risultato di queste osservazioni è giunto fino a noi negli stupendi disegni graffiti sulle pareti delle caverne dove l’uomo, allora, abitava.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Tanti animali, tanti record!
Lo sapevate che, in una giornata, un topolino mangia la stessa quantità di cibo che mangiate voi? Lo sapevate che se nel salto in alto fossimo bravi come la pulce, potremmo superare d’un balzo una collina? Vi diciamo quali sono gli straordinari primati sportivi di animali piccoli e grandi.
E la forza? Voi penserete subito all’elefante, immagino, che può trainare un intero treno merci. Ciò può anche non stupirci troppo, se pensiamo alle dimensioni del bestione. Assai più eccezionale è una simile forza, fatte le debite proporzioni, in una bestiolina come lo scarabeo stercorario, uno dei nostri più comuni coleotteri, che può sostenere e trainare un peso 850 volte superiore a quello del suo corpo. Ma c’è dell’altro! Una formica riesce a trascinare dietro di sé il corpo di un’ape, su una distanza che, rapportata alla misura umana, è superiore a molte decine di chilometri. Forse queste eccezionali qualità degli insetti dipendono dal fatto che essendo dotati di vita assai breve, riescono a concentrare in uno spazio di tempo ristretto tutta l’energia che un uomo sviluppa in una durata di circa settant’anni. Ci sono poi gli animali golosi, o più semplicemente mangioni. Il primatista in questo senso è senz’altro il topo, che in un giorno riesce a mandar giù tanto cibo quanto un ragazzo di dieci anni! C’è poi un caso di golosità che torna assai utile nell’agricoltura. E’ il caso della civetta che, per nutrire la sua nidiata, sacrifica fino a 6.000 topi campagnoli in un anno, salvando così i nostri raccolti.
Gli animali non finiscono mai di stupirci: incredibile è ancora la potenza dei loro sensi. Si dice occhio di lince per indicare la vista acuta per eccellenza, ma è una fama un pochino usurpata. La civetta ci vede assai meglio. Gli occhi della civetta, infatti, sono dotati di cellule che distinguono non i colori ma la luce, e contengono una sostanza che permette al rapace di percepire anche la luce più tenue, e di trasformarla in una vera e propria impressione visiva, là dove noi non scorgeremmo probabilmente un bel nulla. Così la civetta anche nella notte più fonda può andare a caccia di topolini e scorgerli tra le erbe.
Questi occhi peraltro eccezionali hanno un difetto: sono fissi come i fari di un’auto. Ma neanche a farlo apposta, questo difetto dà all’uccello la possibilità di conquistare un altro record: quello della mobilità della testa. Infatti la civetta riesce quasi a far ruotare la testa intorno al collo, senza cambiare di posizione e senza perdere di vista quel che le interessa. Non è certo un caso unico di vista eccezionale, la civetta: c’è un pesce tropicale che, navigando in superficie, riesce a vedere nello stesso tempo il pelo dell’acqua e le profondità del mare, e può captare e distinguere due immagini alla volta. Numerosi insetti, inoltre, grazie ai loro enormi globi oculari, hanno una vista che copre un’angolazione assai maggiore della nostra.
E per finire vi parleremo di una… lingua, che detiene il primato della stranezza. E’ la lingua della lumaca: una lingua con i denti. Sulla sua superficie di sono qualcosa come quattromila piccolissimi denti con cui la lumaca riesce ad attaccare le piante di ogni tipo e più tranquillamente rosicchiarle. Sulle foglie, nelle verdure degli orti avrete di certo notato il suo passaggio.
Se facciamo un confronto fra le possibilità fisiche nostre e quelle degli animali, non siamo certo noi a fare… la parte del leone. Pensate: un uomo può correre solo per alcuni secondi alla velocità di 36 chilometri all’ora, ma ci sono delle antilopi che toccano tranquillamente i cento chilometri all’ora, e il ghepardo supera addirittura i 110! C’è poi una specie di rondine asiatica che, dicono, vola addirittura a 320 km/h! La gazzella del deserto è il canguro superano con un salto addirittura i dieci metri.
Ma le vere primatiste di salto sono la rana e la pulce! Pensate: se un uomo fosse tanto bravo come la pulce, riuscirebbe a saltare trecento metri a piedi giunti, un salto pari alla torre Eiffel, insomma! Il topo del deserto, dal canto suo, che è lungo poco più di due centimetri, salta in lunghezza oltre quattro metri: in proporzione voi dovreste saltare 100 metri!
Lo sapevate che esistono alberi con più di duemila anni, che hanno visto tutta la storia dai tempi antichi ad oggi? In Francia c’è un’enorme quercia, il cui tronco a stento tre uomini potrebbero abbracciare, e che nel nel XVI secolo era il centro di riunione dei cospiratori contro gli spagnoli del Duca d’Alba.
Nel mondo degli animali non esistono casi così clamorosi di longevità. Si parlò un tempo di piovre vissute per secoli, il che spiegava la loro enorme mole dovuta a una lentissima crescita. E si è anche detto che il pappagallo e il corvo raggiungono la rispettabile età di 200 anni! La verità è però assai diversa: difficilmente un grosso corvo supera i sessanta anni. Non si sa molto sulla longevità dei pesci, ma si ricordano pesci rossi vissuti oltre dieci anni nel loro acquario, senza peraltro aumentare molto di dimensioni. Una carpa può vivere circa 25 anni. Una grande tartaruga vive circa 200 anni. Un coccodrillo vive a lungo anche lui: la vipera invece non vive più di sette o otto anni. E direi che è anche troppo per un animale così. Vita relativamente breve hanno i nostri più cari amici, il cane e il gatto. E’ un vero peccato che queste bestiole non possano accompagnare per tutta la vita il loro
(da “Il Corriere dei Piccoli”)
Dettati ortografici sugli ANIMALI Animali che giocano
I loro giochi non sono molto complicati. Le lontre, per esempio, si divertono con una specie di toboga. Cercano la riva liscia e bene in pendio di un fiume, la puliscono dagli arbusti e dai sassi, e quando l’hanno resa sdrucciolevole si lasciano scivolare in basso, fino a piombare nell’acqua, ventre a terra e muso in alto.
Qualcosa di simile fanno i camosci sulle Alpi. Nell’estate saltano di cima in cima tra le solitudini dell’alta montagna, inseguendosi in una giostra vorticosamente pericolosa. Ma anche per i camosci il toboga è lo svago maggiore: scelgono alcuni declivi coperti di neve, si acquattano, poi agitando le zampe come se remassero, si lasciano sdrucciolare e scendono a precipizio anche per centinaia di metri. E’ uno spettacolo. Tanto che i camosci anziani fanno da spettatori. Ed è gioco, proprio gioco. Infatti l’esercizio si ripete continuamente, per due o tre volte, dallo stesso soggetto, escludendo così possa trattarsi di un mezzo di locomozione rapida per superare le distanze. Anche i più grossi animali, come gli elefanti e i rinoceronti, amano, in giovinezza, i giochi. I tassi hanno un loro gioco speciale: fanno le capriole e i salti mortali. Gli orsi, invece, ballano: e non solo gli orsacchiotti ma anche gli adulti.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Cominciamo a distinguere
C’è differenza tra il leone e la viscida lumaca? C’è differenza tra l’uccello e il ragno? Ci sono tante differenze che, a volerle trovare tutte, si impiegherebbe moltissimo tempo. Ma cominciamo da una differenza fondamentale: il leone ha lo scheletro, cioè una solida impalcatura che ne sostiene il corpo, la lumaca invece non lo possiede. Anche l’uccello ha lo scheletro e il ragno no. Gli animali quindi, si possono dividere in due grandi gruppi: quelli che hanno lo scheletro e quelli che non lo hanno. E poichè lo scheletro si regge soprattutto sulla colonna vertebrale, cono stati chiamati, i primi, animali vertebrati, i secondi animali invertebrati. (Mimì Menicucci)
Dettati ortografici sugli ANIMALI Animali vertebrati
Anche fra gli animali vertebrati ci sono grandi e profonde differenze. Ed ecco l’uomo procedere ancora nella distinzione. Volle distinguere, innanzitutto, gli animali che mettevano al mondo i figlioletti vivi e li nutrivano col loro latte. Li chiamò mammiferi. Erano animali che respiravano per mezzo di polmoni e avevano sangue sempre alla stessa temperatura, indipendente dalla temperatura esterna. Erano cani, bovini, ovini, leoni, tigri, ecc. Chiamò uccelli quegli i cui piccoli nascevano da uova e che avevano ali fornite di penne che permettevano loro di alzarsi a volo nell’aria. Erano rondini, aquile, galline e passerotti. Molto diversi dai mammiferi e dagli uccelli, alcuni animali non solo non volavano, ma non avevano nemmeno le zampe o, se queste c’erano, erano corte. Fra essi, i coccodrilli, i serpenti, le lucertole, le tartarughe. Il loro sangue non aveva sempre la stessa temperatura, ma assumeva quella dell’ambiente: caldo se faceva caldo, freddo se faceva freddo. Furono chiamati rettili. Anche le rane, i rospi, le salamandre, avevano il sangue alla temperatura ambientale, ma l’uomo non potè collocare questi animali tra i rettili perchè essi potevano vivere tanto nell’aria che nell’acqua ed avevano bizzarre caratteristiche. Quando nascevano, per esempio, non rassomigliavano affatto ai loro genitori. La rana non avrebbe certo riconosciuto come suoi figlioli, i girini che sembravano pesciolini e potevano vivere solo nell’acqua. Soltanto in seguito, subita una metamorfosi completa, i girini si sarebbero trasformati in rane. L’uomo chiamò gli animali aventi queste caratteristiche anfibi, che vuol dire aventi due vite. Non li confuse, certo, con i pesci che, se vivevano anch’essi nell’acqua, non potevano però respirare nell’aria. Infatti, non avevano polmoni, bensì branchie. Erano tonni, sardine, merluzzi e sogliole. Studiando la vita e le abitudini dei pesci, l’uomo si accorse che non tutti gli esseri che vivevano nell’acqua potevano essere considerati soltanto pesci. Certi bestioni giganti, balene, capodogli, delfini, foche, respiravano l’ossigeno dell’aria, avevano sangue caldo e mettevano al mondo i loro piccoli vivi. Erano mammiferi, anche se avevano abitudini differenti da quelle degli altri mammiferi. Li chiamò cetacei. (Mimì Menicucci)
Dettati ortografici sugli ANIMALI Animali invertebrati
Anche tra gli animali invertebrati l’uomo trovò profonde differenze. Chiamò molluschi quegli animali che avevano il corpo molle come la chiocciola, la lumaca che strisciavano sul terreno; la seppia, il calamaro, il polpo, le ostriche che vivevano nell’acqua di mare. Classificò poi insetti tutti gli animaletti che avevano sei zampe e il corpo diviso in tre parti distinte: capo, torace, addome. Nella più parte della specie, i figli non rassomigliano, appena nati, ai genitori. In genere, si trattava di piccoli bruchi, di larve, che soltanto dopo aver subito una metamorfosi, diventavano insetti perfetti. E i ragni? Non si potevano mettere insieme agli insetti anche se avevano, con questi, una vaga rassomiglianza. C’era una differenza importante: avevano otto zampe, non sei come gli insetti, e l’uomo classificò i ragni insieme agli scorpioni, alle tarantole e li chiamò, tutti, aracnidi. Non fu un nome dato a caso. Aracne era una bella fanciulla greca che sapeva tessere meravigliosamente. Minerva, la dea della sapienza, gelosa della sua abilità, la sfidò a fabbricare la tela più bella. Aracne vinse la gara, ma non potè rallegrarsene perchè la dea, indignatissima, la trasformò in un ragno. Anche così trasformata, la fanciulla continuò a tessere ma ahimè, la sua fu una tela che, pur tessuta mirabilmente, non serviva più a nulla: la ragnatela. Nell’acqua, oltre i pesci, i molluschi e i cetacei, (i grossi mammiferi di cui abbiamo parlato), vivevano altri animali che non potevano essere classificati né con gli uni né con gli altri. Erano aragoste, erano gamberi, erano granchi… L’uomo li chiamò crostacei forse a motivo della loro corazza resistente che li ricopriva. Con questo, credette di aver finito nelle sue classificazioni, ma si accorse ben presto che qualcosa, o meglio, qualcuno, era sfuggito. Si trattava di umili esseri che non camminavano, non volavano, non nuotavano. Si contentavano di strisciare, modesti, tranquilli; spesso non si riusciva a distinguere dove avessero la testa. Si trattava di lombrichi, rosei, snodati, molli, di sanguisughe, che si attaccavano voracemente alle gambe di chi si immergeva nell’acqua degli stagni e persino di alcuni disgustosi individui che l’uomo si accorse di ospitare nel suo intestino: la tenia e l’ascaride. Furono chiamati vermi. Soltanto allora l’uomo pensò di aver finito le sue classificazioni del mondo animale, per lo meno di quelle fondamentali e si sentì soddisfatto. Non per nulla se ne considerava il re. (Mimì Menicucci)
Ricorda che gli animali sono esseri viventi, sensibili al piacere e al dolore. Comprendili ed evita loro, per quanto ti è possibile, fastidi e sofferenze.
Non usare gli animali per il tuo diletto, non produrre strazio o danno alla loro salute, non far soffrire loro la fame o la sete.
Non devastare le tane degli animali; non depredare i nidi degli uccelli, armoniose creature dell’aria.
Non tormentare rospi, lucertole, insetti, talvolta utilissimi all’agricoltura.
Rifuggi da spettacoli barbari e ripugnanti, vittime dei quali sono innocenti animali: impediscili, se puoi.
Pensa agli svariatissimi vantaggi che l’uomo trae dagli animali e dimostra verso di essi la tua simpatia con il rispetto e la benevolenza.
Ricordati che mostrarsi generoso con gli animali e rispettarli è indizio di anime nobile e gentile.
Ogni animale è una creatura sensibile: non tiranneggiarla, ma accoglila sempre con tenerezza, proteggila, amala.
Ricordati che dai sentimenti di giustizia e di carità scaturiscono tutte le virtù e che se le colpe talvolta vengono perdonate, la crudeltà non lo sarà mai.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Amici e nemici
Tra tutti gli animali che popolano la terra l’uomo ha scoperto che alcuni gli sono nemici, come le bestie feroci, i serpenti e alcuni insetti; altri vivono lontano da lui senza fargli né bene né male, come tutti gli animali selvatici in generale; altri infine, gli diventano facilmente amici, vivono volentieri nella sua casa o nel suo cortile, lo aiutano nei viaggi trasportandolo rapidamente, nella caccia, nei lavori dei campi; gli danno il latte, le uova, il pelo, la pelle, la carne; questi sono gli amici domestici i quali, fin dai tempi antichissimi hanno accettato il dominio dell’uomo. (C. Lorett)
Dettati ortografici sugli ANIMALI Gli animali
Gli animali possono vivere senza l’uomo, mentre è difficile pensare che l’uomo avrebbe potuto sopravvivere senza gli animali. Per necessità, ma talvolta anche senza necessità, l’uomo ha turbato profondamente l’esistenza degli animali; talune specie per opera dell’uomo sono state cancellate dalla Terra, altre ridotte a pochissimi esemplari, alcune non esistono più allo stato selvatico, ma solo domestico. Soltanto in tempi recenti l’uomo saggiamente protegge quello che nei secoli passati è sfuggito alla totale distruzione.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Guardatevi intorno
Guardatevi intorno: vedrete piccoli insetti, quali alati, quali striscianti, quali saltellanti, muoversi incessantemente in mezzo alle piante. Vedrete, nelle limpide acque del lago, guizzare rapidi pesci argentei; noterete le grosse anguille verdastre, i gamberi nei fossati. Udrete il gracidare delle rane vicino agli stagni, vedrete i granchietti, le arselle attaccate agli scogli marini e quei pesciolini minutissimi che nuotano dove l’acqua è bassa.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Un grande albero
Il regno animale si può paragonare a un grande albero, da cui si dipartono parecchi rami. In basso, sulle radici, vi sarebbero gli animali più semplici; in alto, sulla vetta estrema, che non può essere superata da nessun altro ramo, starebbe l’uomo. In mezzo, fra le radici e il vertice dell’albero, stanno gli animali che collegano l’uomo alle forme più semplici degli esseri viventi.
Dettati ortografici sugli ANIMALI Ricerche e relazioni sugli animali: – Scrivi il nome di alcuni animali e distingui quelli che appartengono al tipo dei vertebrati. – Fai lo stesso per gli invertebrati. – Ricopia i seguenti nomi, facendo due colonnine, una per gli animali vertebrati, una per gli invertebrati: ragno, lumaca, vipera, toro, seppia, ostrica, scorpione, gatto, sogliola, cavallo, zanzara, sardina, passero, asino, lombrico, coccodrillo, leone, chiocciola, tonno, balena, tenia, foca, vitello, moscerino, cane. – Ricopia i seguenti nomi raggruppandoli a seconda che si tratti di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci: pulcino, pipistrello, rana, salamandra, passero, gatto, coccodrillo, sogliola, triglia, rospo, canarino, cane, tigre, vipera, balena, squalo, biscia, delfino, usignolo, foca, merluzzo, lucertola, raganella, carpa, ippopotamo, rinoceronte, cavallo. – Ricopia i seguenti nomi raggruppandoli a seconda che si tratti di crostacei, molluschi, insetti, aracnidi, vermi: gambero, chiocciola, mosca, zanzara, sanguisuga, lombrico, bruco, granchio, ascaride, seppia, ragno. – Scrivi il nome di alcuni animali vertebrati e scrivi accanto a ciascun nome se si tratta di un mammifero, o di un uccello, di un rettile, di un anfibio, di un pesce. – Scrivi il nome di alcuni animali invertebrati e scrivi accanto a ciascun nome se si tratta di un crostaceo o di un mollusco, di un insetto, di un aracnide o di un verme.
Amici e nemici Tra tutti gli animali che popolano la terra l’uomo ha scoperto che alcuni gli sono nemici, come le bestie feroci, i serpenti e alcuni insetti; altri vivono lontano da lui senza fargli né bene né male, come tutti gli animali selvatici in generale; altri infine, gli diventano facilmente amici, vivono volentieri nella sua casa o nel suo cortile, lo aiutano nei viaggi trasportandolo rapidamente, nella caccia, nei lavori dei campi; gli danno il latte, le uova, il pelo, la pelle, la carne; questi sono gli amici domestici i quali, fin dai tempi antichissimi hanno accettato il dominio dell’uomo. (C. Lorett)
Dettati ortografici sugli animali – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Dettati ortografici sul sistema solare : una collezione di dettati ortografici per la scuola primaria, di autori vari, sul sistema solare. Difficoltà ortografiche varie.
Il sistema solare
Il cielo, di notte, offre ai nostri occhi uno spettacolo meraviglioso. Chi non si è fermato ad ammirare le migliaia di luci che brillano nel buio? Sono mondi come il nostro, quasi tutti immensamente più grandi.
Essi sono ordinati in famiglie: la famiglia delle stelle, caldissime e luminose; la famiglia dei pianeti e dei satelliti.
I Pianeti sono corpi celesti freddi, perciò oscuri, che non hanno luce propria, ma la ricevono da una stella attorno alla quale girano.
Anche il Sole è una stella. Attorno ad essa girano nove pianeti: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone; tutti ricevono luce e calore dal Sole.
Naturalmente, più ne sono lontani meno intensi giungono loro i raggi solari. Anche i satelliti ricevono luce e calore da una stella attorno alla quale girano. Essi però devono girare anche attorno ad un pianeta. La Luna è il satellite della Terra.
Tutti i pianeti ed i satelliti formano la grande famiglia del Sistema Solare di cui fanno parte anche le comete ed i bolidi che qualche volta vediamo comparire fugacemente nel firmamento con una scia luminosa.
Ognuno di questi mondi compie sempre lo stesso percorso, alla stessa velocità e trova nell’immensità (Universo) la sua strada, senza urtare altri mondi.
Essi ci appaiono molto piccoli; ci sembra di poterne raccogliere a decine in una mano. Tutt’altro: sono enormi, talvolta assai più grandi del Sole, ma sono lontanissimi.
Immaginiamo che sia possibile viaggiare in treno dalla Terra agli altri mondi. In 260 giorni giungeremmo sulla Luna; in 300 anni toccheremmo il Sole; per arrivare al pianeta Nettuno impiegheremmo 8.300 anni. E questo è niente! Scenderemmo sulla Stella Polare dopo 700 milioni di anni!
Il sistema solare
Per l’uomo dei tempi antichi la Terra era il centro dell’universo: attorno ad essa, ferma, ruotavano tutti i mondi celesti; per l’uomo moderno il nostro pianeta non è che uno degli innumerevoli pianeti che si muovono nello spazio secondo leggi ferree ed immutabili. Noi oggi sappiamo che anche il Sole non è che una delle tante stelle, e non certo il maggiore, sebbene per noi la più importante. Esso è il centro del sistema solare formato dal Sole e dalla Terra, dagli altri pianeti e dai loro satelliti, dalle comete, tutti gravitanti attorno al grande astro fulgente. Ogni pianeta ruota attorno al Sole seguendo un cammino definito a forma più o meno allungata detto orbita. La forza che impedisce ai pianeti di cadere l’uno sull’altro, reggendosi in mirabile equilibrio, è la forza di gravità, che fu scoperta dal grande fisico inglese Newton, verso la fine del 1600.
La legge dell’universo
Un giorno, circa trecento anni fa, mentre lo scienziato inglese Newton se ne stava tranquillo seduto sotto un melo del suo giardino, gli cadde accanto un frutto maturo. Acuto osservatore qual era, pensò: “La mela è caduta; se l’albero fosse stato più alto, di mille metri, di mille chilometri, sarebbe caduta ugualmente. Come mai allora la Luna non cade e così le stelle?”
Rifletti e rifletti, Newton scoprì che gli astri non cadono perchè si attraggono l’un l’altro. La forza di attrazione, combinata con quella che li avrebbe fatti andare dritti, li obbliga a percorrere una linea curva e chiusa chiamata orbita, sempre uguale.
Il Sole
Il Sole è la stella più vicina alla Terra: per questo ci appare tanto più grande e luminoso di tutte le altre. Fra le stelle che vediamo nella notte scintillare nella volta celeste, ve ne sono molte anche più grandi del Sole, ma sono così lontane…
La Terra ha anch’essa la forma di un globo, ma è molto meno grande del Sole e mentre questo è formato di materia incandescente, la crosta della Terra è fredda e compatta e riceve luce e calore dal Sole. Al Sole devono la vita le piante e gli animali che popolano la Terra.
Il sole è grandissimo. Se un uomo potesse farne il giro, percorrendo 4 Km all’ora e camminando 10 ore al giorno, impiegherebbe più di trecento anni.
Se un bambino si mettesse in mente di fare il giro della Terra e camminasse otto o dieci ore al giorno, arriverebbe al punto di partenza otto anni dopo. Un uomo impiegherebbe circa 3 anni; un ciclista capace potrebbe cavarsela in sei mesi; per circondare il mondo con le braccia ci vorrebbe un girotondo di quaranta milioni di bambini!
La Luna
La Luna è l’unico satellite della Terra. Essa non risplende di luce propria, ma, come uno specchio, ci riflette la luce del Sole, così come la parete bianca della casa di fronte, illuminata dal Sole, rischiara la nostra stanzetta che è nell’ombra. Naturalmente se noi fossimo sulla Luna vedremmo, per la medesima ragione, la Terra illuminata. La luna ha la forma rotonda come la Terra. E’ l’astro più vicino a noi, che noi conosciamo meglio. E’ quarantanove volte più piccola della Terra. La Luna è un astro morto, cioè non possiede nè aria nè acqua; non vi possono quindi vivere nè le piante, nè gli animali, nè gli uomini.
Come sappiamo, i satelliti girano attorno ad un pianeta. La Luna gira infatti attorno al nostro pianeta, la Terra, impiegando circa 30 giorni, cioè un mese.
Il movimento di rotazione della Terra
Il Sole, al mattino, illumina le case, le strade, la campagna; è il momento del risveglio. Trascorrono le ore, fino a quando si stendono le ombre della sera e il Sole sembra scomparire. Poi si fa buio e, in cielo, rivediamo le stelle. Nello spazio di un giorno, passano ore di luce e ore di buio. Questo accade perchè la Terra, illuminata dal Sole, non gli presenta sempre la stessa faccia, ma gira su se stessa (movimento di rotazione) e si fa, a poco a poco, rischiarare. Una faccia, quella rivolta al Sole, è chiara; l’altra faccia, quella che non riceve i suoi raggi, è oscura. Il movimento di rotazione si compie in 24 ore circa; dura cioè un giorno. Il giorno si divide in sue parti: le ore chiare formano il giorno; le ore buie formano la notte.
Per capire meglio infiliamo un ferro da calza in un’arancia. Poniamola davanti ad una candela accesa ed immaginiamo che l’arancia rappresenti la Terra, e la candela il Sole. Vedremo il frutto rischiarato a metà dalla piccola fiamma, mentre l’altra metà rimane in ombra. Facendo ruotare l’arancia come ruota la Terra, tutta la sua buccia passerà, a poco a poco, dalla luce all’ombra e dall’ombra alla luce.
Il movimento di rivoluzione della Terra
Ricordiamo con nostalgia i giorni dell’estate, quando si poteva giocare all’aperto nei lunghi pomeriggi e il sole rimaneva alto fino a tardi e l’aria era calda attorno a noi. Ci viene da pensare che le ore chiare e le ore buie non sono sempre uguali nei giorni dell’anno. In inverno il giorno è breve, la notte lunga, l’aria fredda. In estate il giorno è lungo, a notte breve, l’aria calda.
Questo avviene perchè la Terra compie un largo giro intorno al Sole (movimento di rivoluzione) mantenendosi inclinata rispetto al fascio di raggi che il Sole li invia. Quindi, i raggi del sole, arrivano, durante l’anno, più o meno inclinati, riscaldando di meno e il Sole appare basso sull’orizzonte (giorni brevi). Per questo giro della Terra intorno al sole e per questa sua inclinazione si ha l’alternarsi delle quattro stagioni: inverno, primavera, estate, autunno.
Per capire meglio facciamo l’esperimento della lampada. I raggi solari scaldano più o meno la Terra secondo che siano dritti o inclinati. Ciò si può dimostrare con l’esperimento della lampada. Appoggia sul tavolo una lampada con paralume mobile e dà al paralume inclinazioni diverse. Quando esso è diritto rispetto al piano del tavolo, illumina un cerchio stretto e i raggi della lampada scaldano di più la piccola zona. Quando esso è inclinato, illumina un cerchio più ampio e i raggi della lampada scaldano di meno la zona larga.
Dettati ortografici sul sistema solare – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
I punti cardinali – dettati ortografici: una raccolta di dettati ortografici sui punti cardinali e l’orientamento, di autori vari, per la scuola primaria.
I punti cardinali
All’alba, in un punto dell’orizzonte, sempre dalla stessa parte, vedi apparire il sole, che da prima sale lentamente nel cielo, raggiunge a mezzogiorno la massima altezza e subito dopo comincia lentamente a scendere, finchè al tramonto scompare dietro l’orizzonte, nella parte opposta a quella da cui era sorto.
La parte dove sorge il sole si chiama Levante, Est oppure Oriente; dalla parte opposta troviamo il punto chiamato Occidente oppure Ovest. Se ci mettiamo col braccio destro teso verso Est e il sinistro verso Ovest, avremo davanti a noi un terzo punto chiamato Nord, Tramontana o Mezzanotte e alle nostre spalle un quarto punto, che è chiamato Sud, Meridione o Mezzogiorno. Questi quattro punti dell’orizzonte si chiamano punti cardinali ed è bene che tu sappia riconoscerli sul tuo orizzonte.
Sapersi orientare
Come facciamo a camminare senza smarrirci, quando siamo in mezzo a un bosco? Per trovare la via del ritorno, cerchiamo di vedere fra gli alberi qualcosa che ci serva da punto di riferimento per dirigerci: una fonte, una capanna di boscaioli, la forma di un monte lontano. Possiamo trovare il Nord guardando la corteccia degli alberi; dalla parte del Nord il sole non batte mai e perciò la corteccia è più umida, più scura, e spesso coperta di muschio.
Ma supponiamo di trovarci in una pianura vasta, senza alberi, senza capanne, senza montagne visibili all’orizzonte, senza quindi alcun punto di riferimento: allora dobbiamo ricorrere a qualche altro mezzo per orientarci, cioè per trovare la direzione giusta. I popoli antichi, che viaggiavano fra i monti e attraverso boschi e deserti e che solcavano il mare con le navi, sapevano in che direzione andare perchè sapevano orientarsi guardando il cielo. Essi avevano appunto notato che al mattino il sole sorge sempre dalla stessa parte dell’orizzonte: a oriente.
La parola orientarsi significa riconoscere l’oriente, cioè la parte dalla quale vediamo sorgere il sole al mattino. In pratica, però, per orientarsi basta trovare uno qualsiasi dei punti cardinali. Infatti, stabilita la posizione di uno, si può facilmente stabilire la posizione degli altri.
Di notte il sole non c’è, ma guardando le stelle i viaggiatori antichi si accorsero che una di esse, la stella polare, si trova sempre nello stesso punto del cielo, a Nord.
I punti cardinali – L’orientamento
Il sole sorge da Est: io mi volgo, faccia al sole nascente. Di fronte ho l’Est, alle spalle l’Ovest, alla mia destra il Sud, alla sinistra il Nord.
Mi rivolgo, faccia al Sole calante: di fronte avrò l’Ovest, alle spalle l’Est, alla mia destra il Nord, alla sinistra il Sud.
Ho osservato il punto verso cui volgono le ombre all’ora di mezzogiorno. Mi volgo verso quel punto: di fronte avrò il Nord, alle spalle il Sud, a destra l’Est, a sinistra l’Ovest.
Ho osservato il punto in cui si trova il sole a mezzogiorno. Mi volgo verso quel punto: di fronte avrò il Sud, alle spalle il Nord, a destra l’Ovest, a sinistra l’Est.
Come orientarsi di notte
Di notte ci si orienta con la Stella Polare, che indica sempre il Nord. Ma come riconoscerla? Vi sono nel cielo due costellazioni, che hanno quattro stelle disposte come le ruote di un carro e altre tre come un timone. La costellazione più grande si chiama Orsa Maggiore, l’altra Orsa Minore; l’ultima stella del timone dell’Orsa Minore è la Stella Polare.
La bussola
La bussola è come un piccolo orologio, ma sul quadrante invece delle ore sono segnati i quattro punti cardinali e quelli intermedi. Al centro su un perno c’è l’ago calamitato, libero di girare. Orbene, quest’ago ha la proprietà di volgere la sua punta calamitata sempre verso Nord.
La bussola è stata inventata dai Cinesi molti e molti secoli or sono. E’ stata poi perfezionata da Flavio Gioia, un geniale navigatore di Amalfi.
La bussola è uno strumento indispensabile non solo per chi sfida il mare, ma anche per chi deve pilotare un aereo o per chi deve affrontare viaggi in regioni desertiche.
La rosa dei venti
Ogni vento ha un nome ben preciso, secondo la direzione in cui spira. Si tratta di nomi antichissimi, quasi tutti di origine marinara.
I più importanti sono: Tramontana, vento freddo e secco che soffia da Nord; Greco o Grecale, da Nord-Est; Levante da Est; Scirocco, piuttosto umido e tiepido, che spira da Sud-Est; Mezzogiorno, da sud; Libeccio, spesso violento, da Sud-Ovest; Ponente, da Ovest (detto Ponentino quando è debole); Maestro o Maestrale, da Nord-Ovest.
Il movimento del cielo stellato è solo apparente: mentre noi vediamo girare il cielo da oriente ad occidente, siamo invece noi a girare da occidente ad oriente. Ma questo movimento apparente ci ha dato modo di fissare vari punti: EST dove il sole sembra levarsi, OVEST dove tramonta.
Se ci volgiamo verso est e apriamo il braccio destro di ha il punto dove il sole, che è ormai a metà cammino, batterà i suoi raggi a picco sulla terra (mezzogiorno, sud, austro). La parte opposta è il nord (settentrione, tramontana).
I punti sud e nord possono essere determinati tutti i giorni esattamente con la luce del sole. Ciò non avviene per est ed ovest, se non negli equinozi, cioè il 23 settembre e il 21 marzo. Solo agli equinozi il sole segnerà esattamente est ed ovest, spostandosi poi verso nord o verso sud, a seconda delle stagioni.
Fra i 4 punti cardinali, a metà distanza da ciascuno di essi, si segnano altri quattro punti secondari:
– greco, o nordest
– scirocco, o sudest
– libeccio, o sudovest
– maestro, o nordovest.
Ogni vento ha un nome ben preciso, secondo la direzione in cui spira. Si tratta di nomi antichissimi, quasi tutti di origine marinara. I più importanti sono:
– tramontana: vento freddo e secco che soffia da nord
– greco o grecale: da nordest
– levante: da est
– scirocco: piuttosto umido e tiepido, che spira da sudest
– mezzogiorno, da sud
– libeccio: spesso violento, da sudovest
– ponente: da ovest, detto ponentino quando è debole
– maestro o maestrale: da nordovest.
Dettati ortografici I punti cardinali
Dettati ortografici I punti cardinali – una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per bambini della scuola primaria. Difficoltà ortografiche miste.
Sono due pulcini usciti ieri dall’uovo. Sono già nel prato a godersi la primavera. Guardano intorno, beccano in terra e si bisticciano. Bisticciano per una crostina di pane trovata fra l’erba. Tira uno, tira l’altro… nessuno vince. Il pulcino più scuro dà una beccata alla crostina; il pulcino più chiaro dà una beccata al compagno; l’altro scappa via contento col boccone. Non è passato che un momento; ecco i pulcini già in pace. Beccano contenti l’uno quasi contro l’ala dell’altro.
Dettati ortografici I punti cardinali – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Esercizi COMPOSIZIONE E SCOMPOSIZIONE DI NUMERI – Una raccolta di esercizi e problemini per esercitare la composizione e scomposizione dei numeri in terza classe. In fondo al post trovate il file stampabile in formato pdf.
Componi il numero 30 in quattro modi diversi (con tre addendi).
Forma in diversi modi i seguenti numeri:
81 – 30 – 20 – 54 – 25 – 76 – 42
Problemi per il calcolo orale
Mario ha ricevuto in dono 4 decine di confetti. Quanti confetti sono?
La maestra ha raccolto 29 quaderni. Quante decine e quante unità sono?
Giuseppe possiede 40 soldatini. Quante decine di soldatini possiede?
La mamma ha comprato 5 decine di aghi e 4 aghi sciolti. In tutto quanti aghi ha comprato?
Il papà ha raccolto 3 decine di francobolli e la mamma ne ha raccolto 5 decine. Quale dei due ha un numero maggiore di francobolli?
Un negoziante ha venduto 26 abiti. Quante decine e quante unità sono?
Lucio ha due decine di pastelli; Giorgio ne ha 3 decine. Chi ha più pastelli?
La nonna ha raccolto 12 bottoni colorati, 3 decine di bottoncini bianchi e 4 bottoni neri. In tutto quanti bottoni ha raccolto?
Nel borsellino ho 8 decine e 9 unità di monetine da 1 centesimo. Quanti centesimi ho in tutto?
Se a 5 decine di matite ne aggiungi altre 2 decine, quante matite ottieni?
Nel mio portamonete ho 25 centesimi. Quanti centesimi mi mancano per averne 50?
Ho ricevuto un centinaio di palline e ne voglio dare una decina ad ogni bambino. Quanti bambini riceveranno il mio regalo?
Gino mette ogni giorno una moneta da 5 centesimi in una cassettina. Quanti giorni impiegherà a mettere da parte il denaro necessario per comperare un quaderno che costa 90 centesimi?
Il giornalaio mi cambia una moneta da 50 centesimi e una da 20 con tante monete da 10 centesimi. Quante me ne dà?
Il papà pesa 7 decine di chili. Il figlio pesa esattamente la metà. Quanti chili pesa il figlio?
In una cesta ci sono 70 uova. Quante decine di uova? Quante mezze decine?
Quante zampe si contano in 2 decine di conigli? E quante orecchie?
I numeri della tombola sono 90. Quanti ne restano nel sacchetto se ne hai già estratti 4 decine e mezzo?
Il maestro distribuisce 8 decine di matite tra 4 dei suoi alunni. Quante matite spettano a ciascun alunno?
Ho in tasca 95 centesimi. Di essi, 3 sono monete da 20 centesimi; le altre sono monetine da 5 centesimi. Quante sono le monetine da 5 centesimi?
Quante lenti ci sono in due decine di paia di occhiali?
Il nonno ha compiuto il quindicesimo lustro (periodo di 5 anni). Quanti anni gli mancano per raggiungere 8 decine?
Pierino conta sui fili della luce 5 decine di zampine di rondini. Quante sono le rondini? Quante decine?
Esercizi COMPOSIZIONE E SCOMPOSIZIONE DI NUMERI – classe 3a
Puoi scaricare e stampare gli esercizi proposti, in formato word o pdf, qui:
Esercizi COMPOSIZIONE E SCOMPOSIZIONE DI NUMERI – classe 3a – pdf:
…idee per realizzare delle sensory tubs preistoriche che, seguendo i corretti principi scientifici, riproducono uno scavo archeologico in forma di gioco didattico…
Queste due sensory tubs preistoriche sono nate da un’idea di Enza (vedi qui)…
io mi sono solo prestata a fare il “braccio”, cercando di interpretare nel modo più corretto possibile il suo progetto (le parti in grassetto).
Realizzate le vaschette, Enza ha potuto aggiungere le sue note (le parti in corsivo), che penso potranno davvero essere utili per chi vuole presentare questa attività ai bambini .
Le due proposte si rivolgono, con finalità un po’ diverse:
– ai bambini più piccoli
– ai bambini più grandi, considerando che i programmi scolastici collocano lo studio della Preistoria in terza classe di scuola primaria.
Coi bambini più piccoli, teniamo presenti tutti gli obiettivi del gioco sensoriale.
Inoltre, facendo anche leva sul periodo nel quale più o meno tutti i bimbi amano il mondo dei dinosauri, senza dare particolari informazioni verbali, ma semplicemente presentando il materiale e gli strumenti, possiamo fare una grande cosa che si rivelerà vantaggiosa in seguito: creiamo un’immagine e un ricordo di uno scavo archeologico, che potrà essere la base per un interesse vivo e attivo verso lo studio della Storia.
Naturalmente sta tutto nell’abilità dell’adulto preparare la vaschetta pensando al bambino reale che ne godrà, e dirigere ed osservare l’attività facendo in modo che possa svolgersi in modo piacevole e magico: non essere rigidi, osservare se subentra stanchezza, valutare quanti reperti inserire, quanto nasconderli, ecc… sono alcuni aspetti importanti. Come sempre la preparazione dell’ambiente è tutto.
Considerate anche che l’attività può essere preparata e presentata, ma poi la vaschetta può essere lasciata a disposizione del bambino per più giorni, in modo che possa dedicarsi allo scavo quando è lui a desiderarlo. Se l’esperienza invece di essere stimolante diventa noiosa, non avremo certo fatto un buon lavoro: altro modo per dire “la felicità del bambino è la prova della correttezza dell’agire educativo”.
Sarebbe importante creare un angolo dedicato alla Preistoria, dove mettere a disposizione del bambino, accanto alla vaschetta, dei bei libri illustrati, dinosauri giocattolo, memory e carte tematiche a tema, ecc…
Coi bambini più grandi, e sarà meraviglioso se da piccoli hanno potuto fare esperienze più ludiche di scavo, possiamo creare una situazione che riproduce con un certo grado di esattezza scientifica il lavoro dell’archeologo.
L’elemento della sensorialità (stimolazione visiva, olfattiva, tattile, ecc…) rimane importante e va tutta a beneficio dell’apprendimento, ma possono essere aggiunte informazioni scientifiche in merito alla procedura di scavo, all’analisi degli strati, alla corretta cronologia, ai metodi di archiviazione e classificazione dei reperti, ecc…
L’esperienza, e questo a maggior ragione vale coi bambini più grandi, non esaurisce tutto quello che c’è da dire sul lavoro dell’archeologo e sugli scavi, e iniziando la studio della storia parlando di documentazione e fonti, dopo l’esperienza pratica sarebbe importante organizzare schede, lezioni, carte delle nomenclature, esercitazioni di compilazione di schede reperto, ecc… Per tutto questo Enza ci darà nei prossimi appuntamenti nuovi spunti.
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Sostrato
Una sensory tub preistorica dovrebbe prima di tutto avere due o più livelli, perché’ uno dei principi dello scavo e’ proprio la stratigrafia, la capacita di distinguere i diversi livelli che (generalmente ma non per forza) si susseguono in ordine cronologico: in alto il più recente, in basso, mano a mano che si scava, il più antico. L’ideale è trovare materiali ben distinti, per colore e per consistenza.
Io ho pensato di realizzare entrambe le sensory tubs preistoriche con tre strati: sul fondo argilla espansa, poi terriccio bagnato e in superficie sabbia. Per creare un legame visivo con lo scavare davvero sotto di noi, ho aggiunto una “siepe” di crescione.
I reperti
Enza ci consiglia:
– ciottoli di fiume, di qualche centimetro, di calcare o selce, in tutti e tre gli strati
– per il primo strato (più recente), dei frammenti di ceramica smaltata (basta rompere una tazza della nonna) ed aggiungere frammenti di ceramica, mattoni e mattonelle: sono la costante di qualunque scavo! Si può arricchire con qualche perla (meglio se di vetro soffiato, pasta di vetro o pietre dure) e qualche moneta
– per il secondo strato, postulando che sia preistorico, servono strumenti di selce o altra pietra. La selce si trova lungo le sponde di fiumi e ruscelli, ma una qualunque pietra rotta in modo appuntito, o affilato, può andare bene. Per trovare ispirazione si può fare una ricerca immagini nel web inserendo “flint tools”
– per non schizzinosi l’ideale sarebbe aggiungere ossa, anche solo un paio di cosce di pollo (basta far bollire le ossa per pulirle perfettamente). In alternativa, nei negozi si trovano scheletri di plastica di vario tipo…
– in entrambi gli strati si possono aggiungere conchiglie di terra e di mare
– un terzo strato potrebbe essere quello precedente alla comparsa dell’uomo, e potrebbe contenere ossa e fossili (ma non conchiglie)
Il tutto verrà spiegato meglio in seguito…
Seguendo le indicazioni, questi sono i reperti che sono riuscita a produrre:
– la tazza della nonna, naturalmente, e un po’ di cocci rossi per completare il sostrato superficiale (non avevo mattoni a disposizione):
– sassolini vari e conchiglie
– perle e qualche yen giapponese
– gli strumenti di pietra, che ho realizzato spaccando qualche sasso col martello e rifinendo col Dremel (in modo molto poco preistorico!):
– alcuni “fossili”, che potete realizzare così:
versate un po’ di sabbia in un cartone per uova, bagnate bene, poi premete bene le conchiglie. Se avete a disposizione una sabbia molto fine (o conchiglie più belle), potete rimuovere la conchiglia, io ho dovuto lasciarle:
preparate in un bicchiere un po’ di cemento o di gesso aggiungendo dell’acqua, versate e fate asciugare:
Una volta asciutti, togliete la sabbia con un pennello:
– le ossa: non sono schizzinosa, per cui ho bollito le ossa di pollo:
Se le ossa vengono messe nello strato più profondo insieme ai fossili, potrebbero anche essere ossa di dinosauro; se vengono messe insieme ai sassi scheggiati, possiamo immaginare altri animali preistorici, come il mammut o il rinoceronte lanoso! (vedi il terzo strato per la vaschetta per grandi).
Reperti – variante per i più piccoli
Coi bambini più piccoli, se pensate che le perline siano troppo piccole per loro, o se i frammenti di tazza risultano troppo taglienti, oppure se temete che i vostri utensili di pietra scheggiata preistorica possano passare per “normali sassi”, si può preparare un play dough che una volta asciutto si sbricioli molto facilmente; basterà mescolare 4 cucchiai di farina, 4 di fondi di caffè (o terra), 2 di sale e 3 di acqua; dimezzando la farina risulterà ancora più friabile.
E’ la ricetta classica che tutte le maestre conoscono per preparare il gioco delle “uova di dinosauro”, nelle quali di solito si nascondono dinosauri di plastica che il bambino deve aprire col martello… In questo caso lo useremo con la funzione di “incrostazione di terra” attorno agli oggetti, con il vantaggio per i piccoli di poter usare con tutta tranquillità le mani per cercarli ed estrarli: sabbia e terra sono un richiamo irresistibile per le loro manine.
Per la tazza, le perline e le monete, appartenendo allo strato “più recente” potete lasciare l’oggetto in evidenza:
Per gli oggetti appartenenti agli strati più antichi potete nascondere completamente l’oggetto. Qui ho decorato con conchiglie i “sassi” contenenti gli strumenti di pietra, e con pietre preziose i “sassi” contenti le ossa.
Per rendere lo scavo ancora più interessante, possiamo fotografare i reperti prima di inserirli nel play dough, preparare delle schede tipo memory o bingo, plastificarle, e proporle ai bambini in fase di rottura dei “sassi”. Il bambino metterà sui tabelloni i reperti corrispondenti alle immagini.
Queste sono ad esempio le mie schede:
scheda memory per sensory tub preistoria – pietre scheggiate pdf
scheda memory per sensory tub preistoria – fossili pdf
scheda memory per sensory tub preistoria – ossa pdf
Reperti – variante per i bambini più grandi
Coi bambini più grandi il play dough non serve:
– le perline, proprio perchè molto piccole, si possono raccogliere con la pinzetta, oppure setacciando la terra con lo scolapasta
– per quanto riguarda la tazza, se si raccolgono i reperti all’aperto, questi saranno naturalmente smussati e non ci sarà il rischio di tagliarsi; inoltre si possono semplicemente levigare le parti taglienti oppure spiegare ai bambini che in uno scavo archeologico è importante utilizzare gli strumenti e non le mani.
Per i bambini più grandi Enza ha preparato una scheda modello, da utilizzare in fase di scavo, che potete scaricare e stampare qui:
(i diritti appartengono all’autrice)
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Materiali per scavare e altre cose da archeologi:
1. Per rimuovere la sabbia, si può usare praticamente tutto, anche le mani, però si può rendere la cosa più complicata e divertente usando per esempio una peretta, che gonfiata e sgonfiata soffia via i granelli (vedi qui: http://www.veneziando.it).
Va anche benissimo aggiungere uno spazzolino da denti per far emergere il reperto un po’ più velocemente.
2. Per lo scavo della parte più compatta, si potrebbero usare:
– un bastoncino di legno appuntito del diametro di un dito più o meno, e lungo una ventina di centimetri (vedi qui: http://www.archtools.eu/)
– una pinzetta per le sopracciglia usata
– una paletta da giardinaggio di metallo con manico di legno, in alternativa alla trowel (cazzuola con punta) che usiamo noi
– un kit paletta/scopetta.
3. Per bambini piu’ grandi, si possono aggiungere:
– una macchina fotografica per fotografare i reperti prima di tirarli fuori
– un metro (da sarto o a stecca) per prendere le misure
– una lavagnetta piccola con i gessetti: noi le usiamo per scriverci sopra la data e il nome dello strato quando facciamo le foto.
– un quaderno “Diario di scavo”
– penne, matite, blocchi da disegno, eventualmente puntine da disegno, spago
– 3 schede di scavo, una per ogni strato (vedi sopra)
4. Per tutti gli strati la sensory tub dovrebbe essere corredata da:
– paletta o una bottiglia di plastica tagliata a metà che funga da paletta
– uno scolapasta e un secchiello, e uno o più secchi dove buttare il sostrato setacciato (si possono inserire sacchetti di plastica in un’insalatiera o secchio, così non servono troppi contenitori e il piano di lavoro dei bambini resta più ordinato)
5. Per il recupero dei reperti servono:
– delle bustine di plastica trasparente da frigo, meglio se con chiusura incorporata e possibilmente adatte alle dimensioni dei reperti
– un pennarello ed un rotolo di scotch carta, da usare per etichettare quello che si trova (noi facciamo veramente cosi!). In alternativa si può scrivere direttamente sulla bustina.
Per avere un’idea dei materiali che si usano comunemente durante uno scavo si può consultare questo sito: http://www.archtools.eu/.
Per i più piccoli, se usate il play dough, possono servire (se volete) un piccolo martello e un tagliere, ed eventualmente le schede memory – bingo. Potete anche aggiungere strumenti interessanti per i piccoli, come un rullino da pittura, uno spruzzino d’acqua, ecc…
Come si possono preparare le sensory tubs preistoriche
(per i bambini più piccoli e per quelli più grandi)
Per questa vaschetta sensoriale ho preferito in entrambi i casi la trasparenza della plastica, pensando che fosse importante dare un’impressione visiva degli strati.
Terzo strato – per i piccoli:
Sul fondo ho messo argilla espansa, conchiglie e sassi; come leggerete poi, sarebbe più corretto non mettere in questo strato le conchiglie, ma casomai i fossili. Ho pensato che per i più piccoli, che arrivati a questo strato avranno ormai lavorato tantissimo, potesse essere meglio per loro mettere molte decorazioni colorate e attraenti e pochi reperti…
e ho aggiunto i “sassi” che nascondono le ossa, decorati con pietre preziose…
… in alternativa alle ossa vere, meno scientifico ma con un grande impatto visivo, nei sassi di play dough potrebbero essere inseriti dinosauri di plastica e magari anche ossa finte:
Terzo strato – per i più grandi:
Per i più grandi si può invece preparare un vero “strato dinosauri” con argilla espansa, sassi, ossa (le più grandi) e fossili:
Secondo strato – terra
Terminato lo strato di argilla espansa, ho ricoperto tutto, per entrambe le vaschette, con uno strato di terra (avevo terriccio per cactus), ho bagnato un po’ con lo spruzzino e pressato con la cazzuola.
Secondo strato – per i piccoli
in questo strato ho messo i “sassi” che nascondono gli strumenti di pietra preistorici, ed i fossili. Uno strato che contiene insomma molti reperti, alcuni da aprire, altri già pronti…
Secondo strato – per i grandi
Come accennato sopra, è più corretto da un punto di vista scientifico mettere i fossili con le ossa: i fossili stanno bene nello strato più antico, quello dove non c’e’ l’uomo, per intenderci, e quindi ci sono i dinosauri. Quando noi troviamo conchiglie nei nostri scavi, non sono fossili. Quindi conchiglie fossili di preferenza sotto e conchiglie normali in entrambi gli strati superiori (quello di sabbia, cioè il primo e quello di terra, cioè il secondo).
Le ossa fossili stanno bene coi dinosauri, ma anche negli scavi paleolitici si trovano tantissime ossa, piu o meno fossilizzate (perchè la parte organica si mineralizza col passare del tempo). Volendo quindi si possono mettere delle ossa in entrambi gli strati.
Quindi, ipotizzando una sensory tub per bambini più grandi, il secondo strato potrebbe essere preparato così: pietre scheggiate preistoriche, conchiglie ed ossa (le più piccole)
Primo strato – sabbia
Preparato anche il secondo strato, ho coperto con altro terriccio e pressato con la cazzuola dopo aver bagnato un po’ con lo spruzzino.
Ho poi preparato lo strato di sabbia, e ho posato la tazza rotta, le monete e le perle, e aggiunto cocci di terracotta, pietre e conchiglie.
Primo strato – per i piccoli
Primo strato – per i grandi
Infine, per entrambe le vaschette, ho nascosto tutti i reperti con un altro po’ di sabbia e ho aggiunto il crescione.
Attività con questa sensory tub coi bambini più piccoli
Attività con questa sensory tub coi bambini più grandi
(L’attività di scavo può essere organizzata per gruppi di bambini, o si può anche svolgere in più giorni successivi)
Procedere nello scavo cercando di togliere la terra molto piano e senza fare buchi: si deve togliere uno strato per volta.
Individuare dolcemente il reperto, scoprirlo il più possibile con il pennello o la peretta.
Scrivere la scheda di scavo, fare le eventuali fotografie ed infine toglierlo.
Metterlo su una superficie pulita dove si può liberare della terra rimasta, molto lentamente, usando il bastoncino di legno e le mani. Lo stesso vale per eventuali reperti che possono trovarsi nello scolapasta dopo il setacciamento.
Una volta finito, riporre il reperto nella bustina e segnare cos’e’ e il numero. Se possibile usare due numerazioni: una continua per tutti i reperti, ed una per ogni tipo di reperto. Esempio: trovati due frammenti di tazza, una perla ed un osso. Saranno 1-tazza 1; 2-tazza 2; 3- perla 1; 4- osso 1 eccetera.
Lo scavo archeologico non e’ una caccia al tesoro, ma un’attività scientifica organizzata!
Nei prossimi giorni la generosa attività di divulgazione di Enza ci aiuterà a realizzare:
– vere schede reperto da archeologa
– la ricostruzione della tazza della nonna, che al momento si presenta così:
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Enza Spinapolice e’ un’archeologa del Paleolitico e lavora all’Istituto di Antropologia Evoluzionista Max Planck, di Leipzig. Ha studiato Preistoria a Roma, poi ha conseguito un dottorato Europeo tra Roma e Bordeaux, e da tre anni fa ricerca in Germania. Si interessa in particolare all’origine biologica e culturale della nostra specie, all’estinzione dei neandertaliani ed alle società di cacciatori raccoglitori passate e presenti. Oltre a girare il mondo e studiare il passato, Enza ha una famiglia multiculturale, ed un bimbo di due anni e mezzo, a cui spera di insegnare molto presto la preistoria.
Dettati ortografici PREISTORIA – Una collezione di dettati ortografici sulla preistoria, di autori vari, per la scuola primaria.
L’uomo antico. L’uomo più antico era un mammifero molto brutto e piccolissimo; il calore del sole ed il vento ne avevano colorito la pelle di un bruno scuro. La testa, la maggior parte del tronco e le estremità erano coperte di peli ispidi e lunghi. La fronte era bassa e la mandibola era come quella di un animale che usi i denti come coltello e forchetta insieme. Non portava indumenti e non aveva mai visto il fuoco. Quando aveva fame mangiava le foglie crude e le radici delle piante e rubava le uova agli uccelli per procurare cibo ai suoi piccoli. Passava le ore del giorno in cerca di nutrimento.
I ragazzi della preistoria. I ragazzi vivevano accanto ai grandi. Aiutavano la mamma nei lavori di casa, attingevano acqua, accendevano il fuoco, imparavano i riti e le poche parole dello scarso vocabolario. Imparavano a lanciare il giavellotto contro le belve, ma un solo sbaglio era la morte; imparavano a distinguere le erbe buone da quelle velenose, ma un solo sbaglio era la morte. In quella vita non erano ammessi sbagli: la loro scuola era quindi più difficile della tua. C. Negro
Una capanna nel villaggio. La capanna del capo è nel centro del villaggio. In essa vi sono molte cose interessanti: armi e grande quantità di attrezzi di legno o di osso. C’è, per esempio, una serie di aghi appuntiti, con una cruna perfetta, ricavati da ossa di cervo. Assai belli sono alcuni vasi e ciotole di terracotta. Il capo li ha foggiati con le sue mani, li ha dipinti, ne ha rassodato la forma e fissato il colore con il fuoco. E c’è dell’altro nella capanna: un telaio quadrato, con una trama di fibre vegetali tenute ben tese dal peso di una dozzina di sassi. Stuoie, mantelli e tuniche nascono sul telaio, sotto le agili dita delle donne. Il capo, domani, al mercato del villaggio, cambierà una stuoia con una collana di conchiglie raccolte sulla riva lontana del mare e ne farà dono alla sposa.
Lungo la strada dei secoli: l’uomo e il lavoro. Quando l’uomo apparve nel mondo, viveva nelle caverne; nudo, coperto di ispidi peli, correva per le foreste in cerca di cibo, non aveva armi per difendersi, non conosceva il fuoco, tramava di terrore quando udiva scoppiare il tuono fra le nubi, e si nutriva di carne cruda e di frutta selvatica. Ebbene, l’uomo così debole, vinse il leone e la tigre, conquistò il fuoco, trasse dalle viscere della terra i metalli, si fabbricò le armi, costruì le case e le città, addomesticò gli animali e li piegò alla sua volontà, tracciò le strade, navigò sui mari; e tutte queste meraviglie compì appunto col lavoro, grazie a quel suo senso di irrequietezza che lo spinge a non essere mai pago, a fare sempre, a studiare, cercare… F. Perri
L’uomo è smarrito in un mondo misterioso. I primi uomini che comparvero sulla terra vivevano in un mondo che appariva loro misterioso ed ostile. Sotto i ripari delle rocce, nel fondo delle caverne, essi ascoltavano, smarriti, il brontolio del tuono, il fragore delle cascate, l’urlo degli animali selvaggi; e per le loro menti ignare tutto era motivo di stupore e di incontrollato terrore. Mille pericoli li circondavano ovunque: il freddo, il caldo, la siccità, le alluvioni, i movimenti della terra ancora in fase di assestamento. Se cercavano scampo sulle montagne, per sfuggire alle inondazioni e ai torrenti impetuosi, spesso dovevano abbandonarle perchè da esse scaturiva il fuoco dei vulcani. Il suolo dove posavano i piedi talvolta tremava, scosso dai terremoti. In questa natura selvaggia ed insidiosa, essi, per nutrirsi, dovevano andare in cerca di acqua, di erbe, di semi commestibili, di frutta, di cacciagione. E questo significava dover affrontare le fiere che popolavano le pianure e le foreste, dai mammut, grandi più di qualunque elefante,agli orsi e alle tigri; e anche correre il rischio di smarrirsi o di trovarsi separati dai compagni. Sembra quasi impossibile che l’uomo primitivo abbia potuto sopravvivere, nella disperata lotta per l’esistenza, a tante insidie. Eppure vi riuscì proprio perchè non era quell’essere indifeso e disarmato che sembrava a prima vista: aveva la forza dei muscoli, l’abilità delle mani, la potenza dei sensi. Aveva soprattutto l’aiuto inestimabile dell’intelligenza. M. Confalonieri
L’uomo primitivo. L’uomo primitivo viveva nell’oscura umidità delle selve. Quando sentiva lo stimolo della fame, mangiava le foglie crude e le radici delle piante e rubava le uova agli uccelli per procurare cibo ai propri piccoli. Alle volte gli capitava, dopo una caccia lunga e paziente, un uccello o un cagnolino selvatico, magari un coniglio. E li mangiava crudi, perchè non aveva ancora scoperto che la carne è più saporita quando è cotta. Quando scendeva la notte, nascondeva la moglie e i bambini nel cavo di un tronco o dietro qualche riparo naturale, perchè era circondato da belve che sceglievano la notte per andare in cerca di vitto e gradivano il sapore delle carni umane. Era un mondo nel quale bisognava o mangiare o essere mangiati. Al pari di molti animali che riempiono l’aria di grida, anche l’uomo primitivo amava ciarlare. O meglio, ripeteva senza posa lo stesso vociare incomprensibile, solo perchè gli piaceva udire il suono della propria voce. Col tempo imparò che poteva usare quei suoni gutturali per mettere in guardia il compagno contro la minaccia di un pericolo: ed emetteva certi strilli che, col tempo, vennero a significare “Una tigre”, oppure “Degli elefanti”, e gli altri rigrugnivano di ritorno qualche cosa che significava “Ho visto” oppure “Scappiamo a nasconderci”. Fu probabilmente questa, l’origine del linguaggio. Van Loon
I primi abitatori dell’Italia. I primi abitatori dell’Italia per difendersi dalle fiere e dai nemici usarono la clava, un grosso bastone, simile a quello che nelle statue e nelle pitture vedete in mano ad Ercole. Gli uomini primitivi impararono ad usare la pietra, non solo per scagliarla contro i nemici, ma per foggiare quegli utensili e quelle armi che potete vedere allineati nelle sale dei Musei preistorici delle principali città italiane. E’ assai probabile che, passando in quelle sale, davanti a quei rozzi avanzi preistorici non vi siate neppure fermati, trovandoli privi di interesse. Li guarderete invece con stupore, se penserete che quegli oggetti furono foggiati parecchie migliaia di anni fa, da uomini che non conoscevano i metalli e che con quei pezzi di pietra triangolari ed ovali cacciavano le fiere, combattevano, tagliavano il legno. Gli uomini che modellarono ed usarono quegli strumenti abitavano nelle caverne, vivevano di pesca e di caccia, lottavano con gli ultimi mammut e con altri spaventosi animali. Una volta uccisi, ne lavoravano, con i rozzi coltelli di pietra, le ossa e le corna, e ne facevano utensili. Si coprivano con le pelli degli stessi animali, e quando volevano ornarsi, si facevano monili di vertebre di pesce e di conchiglie o si tingevano il corpo di rosso. Avevano gran cura dei morti e li seppellivano, con tutti i loro ornamenti, entro le caverne nelle quali erano vissuti. A poco a poco questi uomini impararono a levigare la pietra, a far vasi con l’argilla, a coltivare il lino e il frumento; ebbero animali domestici ed impararono a costruirsi capanne. Se vi recate in visita al grazioso laghetto di Varese in una giornata in cui l’acqua sia molto bassa e trasparente, potrete vedere dei pali conficcati nel fondo del lago: sono gli avanzi di un villaggio costruito 4000 anni fa. Gli abitanti (che non erano forse della stessa razza degli uomini che vivevano nelle caverne, ma erano venuti da noi attraverso le Alpi) conficcavano tronchi di pini, di betulle e di altri alberi, nel fondo del lago, e su queste palafitte costruivano le lor capanne, nelle quali vivevano tra il cielo e l’acqua che li difendeva dal pericolo degli animali feroci. Nei musei preistorici, insieme agli oggetti di pietra, di terra, di osso su cui è scritto “proveniente da abitazioni lacustri”, troverete anche i primi oggetti e strumenti di bronzo.
Aspetto dell’Italia antica La scienza ha cercato di ricostruire l’aspetto dell’Italia preistorica e di scoprire chi furono i suoi antichissimi abitatori e come vivevano. La pianura padana era in gran parte coperta d’acqua: i fiumi che confusamente scendevano dalle Alpi e dagli Appennini, non frenati dall’opera dell’uomo, impaludavano. Vaste foreste coprivano gran parte dei suoi monti e delle sue valli; le coste, spesso invase dalle acque, avevano clima malsano.
I primi abitatori della nostra penisola Gli scavi hanno rivelato l’esistenza di nuclei di popolazione dell’età della pietra grezza. Poco o nulla sappiamo di quelle antichissime genti. Abitavano in caverne, vivevano di caccia e di pesca, ignare quasi della pastorizia e dell’agricoltura. Liguri furono chiamati questi antichi abitatori della penisola, sparsi non solo nella Liguria propriamente detta, ma in gran parte dell’odierno Piemonte e nelle valli delle Alpi occidentali. Anche zone del Veneto erano abitate fin dall’età paleolitica dagli Euganei, che lasciarono il nome colli vicini a Padova: provenivano forse dall’Illiria. I Sicani e i Siculi della Sicilia, come pure i Sardi ed i Corsi, pare fossero affini agli Iberi o addirittura Iberi. Verso il 2000 aC le popolazioni più antiche della valle del Po furono sopraffatte sa altre popolazioni indoeuropee più numerose e forti, scese dalle Alpi, che avevano un grado superiore di civiltà (pare conoscessero l’uso del bronzo). Queste invasioni avvennero a ondate successive al principio dell’età del bronzo, e i nuovi venuti spinsero di mano in mano sempre più a sud, lungo la penisola, quelli che li avevano preceduti. Frattanto, dalle caverne si passò alle palafitte, raggruppate in villaggi lacustri. Un po’ più tardi villaggi simili sorsero anche in zone non lacustri, su terrazzi sopraelevati trattenuti e sostenuti da pali infilati saldamente nel suolo e circondati da un fossato che difendeva dall’assalto delle belve e dei nemici. Terramara è chiamata questa speciale costruzione. Gli abitanti delle terramare conoscevano l’uso del bronzo, allevavano animali addomesticati, coltivavano la terra, tessevano il lino e la lana.
Come gli uomini primitivi trovavano riparo. Per migliaia di anni, gli uomini primitivi, muniti soltanto di rozzi bastoni e di pietre dovettero accontentarsi di ripari naturali: caverne, strette valli riparate dagli alberi, rocce sporgenti costituirono i loro unici rifugi. In ogni caso, dimore fisse e ben costruite sarebbero state di scarsa utilità a uomini obbligati a trascorrere la loro vita vagando da un luogo all’altro in cerca di cibo. Alcune popolazioni che vivono tuttora di caccia e di raccolto, come gli Waddis dell’Australia settentrionale, non si costruiscono dimore fisse. Ma col tempo, gli antichi uomini cominciarono a costruirsi dei ripari mobili, che potessero trasportare con sè. Talvolta, come gli Waddis, essi usavano semplicemente delle pelli animali, che, tese fra i rami degli alberi, potevano formare una specie di tetto. Talvolta, come gli Indiani d’America, essi si costruirono delle vere e proprie tende. Più tardi, quando gli uomini divennero proprietari di greggi e cominciarono a coltivare la terra, sentirono la necessità di un posto riparato dove tenere i loro attrezzi, dove cucinare i cibi e dove dormire al sicuro la notte, per molti anni. Queste prime case erano talvolta costruite col fango seccato e indurito al sole. Quando gli uomini ebbero a disposizione scuri robuste per abbattere alberi e tagliare grossi rami, le case furono costruite con tronchi. Un altro materiale da costruzione conosciuto dai tempi antichi è la pietra; ma poichè essa era pesante ed era difficile darle forma, non fu impiegata subito nella costruzione di abitazioni comuni. L’impiego della pietra presentava molte difficoltà: tra le altre, quella di lasciare delle aperture per le porte e per far entrare la luce; i primi architetti, infatti, non conoscevano l’arco con cui più tardi i Romani costruirono i loro ponti di pietra. Talvolta si risolveva il problema appoggiando su due o più pietre verticali una pietra orizzontale. Oppure si scavava in una collinetta una specie di vasta camera sotterranea; le pietre servivano poi a puntellare il soffitto e le pareti e a rinforzare l’entrata.
Si costruiscono templi. Gli antichissimi architetti dell’età della pietra costruivano i loro templi con grossi e rozzi macigni. Per il trasporto venivano usate rudimentali slitte. Per sovrapporre ai due o tre massi verticali una di queste enormi pietre, veniva probabilmente costruito un terrapieno a piano inclinao che raggiungesse la sommità dei pilastri. Resti di questi grandiosi monumenti si vedono ancor oggi in alcune zone dell’Inghilterra e della Francia.
L’uomo impara a usare il fuoco. Nevicò per mesi e mesi. Tutte le piante morirono e gli animali fuggirono in cerca di sole. L’uomo prese i piccoli sul dorso e si unì agli animali. Ma non potendo viaggiare con la stessa rapidità delle creature più veloci di lui o era condannato a morire oppure doveva ingegnarsi a sopravvivere. Anzitutto trovò modo di coprirsi per non morire congelato. Imparò a scavare buche, nascondendole sotto ramaglie frondose, e in esse intrappolò orsi e iene che poi uccise con macigni e scorticò per usarne le pelli come indumento per sè e la famiglia. Poi c’era il problema della casa: più semplice. Molti animali avevano l’usanza di dormire in caverne; l’uomo li imitò. Cacciò le bestie dai loro ricoveri, e si impadronì delle loro case calde. Ma, anche così, il clima era troppo freddo. Allora un genio ideò l’uso del fuoco. Una volta che era fuori a caccia s’era trovato in mezzo a una foresta incendiata. Ricordava solo di aver rischiato di arrostirsi; e da allora in poi aveva considerato il fuoco come un nemico. Ma ora se lo fece amico. Portò nella caverna un tronco secco e vi appiccò il fuoco usando i tizzoni ardenti raccolti in una selva in fiamme. Con questo mezzo convertì la caverna in una stanzetta deliziosamente riscaldata. E poi, una sera, un pollastro cadde nel fuoco. Nessuno ve lo tolse finchè non fosse diventato arrosto. L’uomo scoprì che la carne cotta aveva un sapore più buono, e senz’altro smise una delle abitudini che aveva fin allora condiviso con gli altri animali, e da quel giorno in poi cominciò a cucinarsi il cibo. Van Loon
L’illuminazione. Com’erano buie le caverne! Dalla piccola apertura, nelle notti di luna, s’intravedeva un incerto chiarore, ma quando il cielo era coperto da nubi, ai poveri abitanti non restava che raggomitolarsi, stretti l’uno contro l’altro, nei caldi giacigli imbottiti di erba e rivestiti di soffici pellicce d’orso. E i loro occhi, inutilmente spalancati nel buio, finivano per chiudersi nel sonno. Ma un giorno l’uomo fece una grande scoperta: riuscì ad imprigionare il fuoco, e la sua caverna conobbe la prima forma di illuminazione notturna. Per molto tempo il ramo infuocato dell’albero fu il solo mezzo di illuminazione conosciuto. Poi l’uomo si accorse che certi rami impiegavano più tempo a spegnersi perchè erano ricchi di una gomma profumata: la resina. Ci fu chi raccolse questa resina e la fece liquefare in recipienti di terra. Bastava immergere un ramo in questo liquido e lasciarlo asciugare per avere una torcia dalla fiamma brillante e duratura. Finalmente ci fu chi trovò l’olio. E l’uomo inventò la lanterna. Le prime erano in terracotta, simili a tazze, chiuse sopra, con un foro e un beccuccio da cui usciva il lucignolo che, acceso, bruciava lentamente. Risale al tempo delle persecuzioni cristiane l’apparizione delle prime candele di cera.
La famiglia al tempo dei tempi. Sì, era molto diversa dalla nostra la vita degli uomini primitivi, ma qualcosa di uguale c’era: una famiglia stretta da un sentimento di amore. Senza l’amore, senza l’affetto familiare, l’uomo sarebbe rimasto selvatico. Ecco perchè si dice che la famiglia è la base della società, il fondamento, il piedistallo della grande famiglia umana. I papà e le mamme, in ogni tempo, hanno fatto il loro dovere. Hanno dato nutrimento, protezione e affetto ai loro piccoli. Ma questo non bastava. C’era da insegnar loro tante cose, tante e poi tante: come si accende il fuoco, come si mantiene e come si custodisce; quali frutti ed erbe si possono mangiare; come si imita il grido degli animali per richiamarli, quali sono le grida delle tribù; come si rende aguzza una pietra; come si fa stagionare un ramo per ricavarne un arco; come si segue, si affronta, si colpisce, si scuoia un animale; come si lavora una pelle; come si costruiscono i cesti di giunchi; come si conservano i frutti… E poi quegli antichi genitori insegnavano a leggere nel cielo i segni della prossima pioggia, nelle acque del fiume il preannuncio della piena, e nella terra le orme degli animali. Insegnavano a mettere delle pietre bianche sul sentiero in modo che esse indicassero “qui sono passato io inseguendo un branco di cervi”. Oppure a incidere la corteccia di un albero in modo da far comprendere che quelle intorno erano terre nemiche. G. Valle
Negli anni più lontani la nostra terra non è sempre stata così, come oggi noi la vediamo. Appena nata, negli anni più lontani, la terra era infuocata, ribollente. Era avvolta da una nube fittissima di vapori scuri. Molto lentamente essa si andò raffreddando, prese forma e si rivestì di una crosta dura di roccia. La nube di vapori che avvolgeva la terra si trasformò in acqua e precipitò sotto forma di piogge torrenziali; tutto ne fu inondato, ogni valle ne fu riempita. Nacquero fiumi, laghi, mari. E, dentro, la terra ancora ribolliva. Tale sua forza scuoteva la crosta di roccia con terremoti violenti; la spezzava, la deformava, vi apriva le bocche infuocate dei vulcani. Sulla terra, intanto, trascorrevano periodi lunghissimi in cui, di volta in volta, il clima era mite o estremamente rigido. Quando il freddo avvolgeva ampie zone della terra si formavano ghiacciai immensi, dalla cima delle montagne fino alla pianura. Poi i ghiacci si ritiravano, si scioglievano, lasciando dietro di sè un paesaggio nuovo. Dopo un lunghissimo periodo di sconvolgimenti, la terra si riposò. Sulla sua superficie si formarono foreste immense; le acque furono popolate di alghe. Animali mostruosi e terribili, molto simili ai draghi, vagavano per foreste e montagne, combattendosi ferocemente per il possesso della preda ed emettendo gridi terribili. Un giorno essi scomparvero ed altri animali, di grandezza smisurata, come ad esempio il mammut, abitarono la terra. L’uomo comparve molto più tardi; per poter sopravvivere dovette combattere questi mastodontici animali, difendendosi unicamente con armi offerte dalla natura: pietre, rami, ossa… Egli non aveva casa, non conosceva il fuoco per scaldarsi e cuocere i cibi, non conosceva i metalli, non sapeva coltivare i campi, nè navigare o servirsi delle infinite cose che erano attorno a lui. Per sua fortuna, aveva con sè un tesoro inestimabile: l’intelligenza.
La caverna fu la scomoda abitazione degli uomini primitivi. In essa vi era ben poco: alcune grosse pietre e, nell’angolo più riparato, un mucchio di ramoscelli e foglie secche su cui poter dormire. La caverna riceveva luce soltanto dall’imboccatura. L’uomo primitivo si copriva il corpo con le pelli degli animali che uccideva.
La vita dell’uomo incominciò quando già da migliaia e migliaia di anni sulla terra verdeggiavano le foreste e si muovevano gli animali. Usando l’intelligenza, dono che egli solo possedeva, seppe ben presto distinguersi dalle altre creature; imparò a difendersi dai pericoli e a migliorare le sue condizioni di vita.
Era un uomo muscoloso, scuro di pelle, aveva la fronte bassa e la mascella robusta, munita di denti che gli servivano da forchetta e da coltello. Durante il giorno era continuamente alla ricerca di cibo per sè e per la sua famiglia. Di notte metteva al riparo la moglie ed i piccoli nel cavo di un albero o tra le rocce, ed era pronto a difenderli dagli assalti degli animali feroci.
I primi uomini vivevano in un mondo nemico, nel quale si uccideva o si era uccisi. Essi non sapevano ancora parlare ed esprimevano con grida la paura, il dolore, la gioia.
L’uomo si spostava continuamente. Quando nella zona non vi erano più frutti da raccogliere e animali da cacciare, era costretto ad andare a cercarli altrove. Se si fermava nelle località montuose poteva ancora rifugiarsi nelle caverne, ma nelle località pianeggianti doveva pensare a costruirsi un riparo dal freddo e dalle fiere. Nacquero così le prime capanne che, secondo i luoghi, erano ora di fango, ora di tronchi d’albero, ora di rami. Per difendersi meglio dagli animali, gli uomini le costruirono sugli alberi oppure le recinsero con siepi e con pali.
Vicino ai laghi, i villaggi erano ancora più sicuri. Le capanne costruite su pali infitti nella melma (palafitte), avevano un ponte che li univa alla riva. Di notte gli uomini lo ritiravano in modo che gli animali non potessero penetrare nelle capanne. Per costruire le palafitte furono tagliati e lavorati migliaia di pali con rozze accette di pietra.
Come si scoprì il fuoco? Tante volte l’uomo, durante furiosi temporali, aveva visto gli alberi della foresta incendiarsi, colpiti da misteriose “lingue” che venivano dal cielo. Egli era sempre fuggito terrorizzato, come gli animali. Poi, a poco a poco. cominciò ad avere meno paura: quella luce rischiarava la notte e diffondeva intorno un piacevole chiarore. Un giorno, un coraggioso prese un ramo in fiamme e lo portò con sè a rischiarare la caverna… Come era utile quella fiamma! Con essa l’uomo imparò a cucinare il cibo, a riscaldare il proprio corpo e a difendersi dagli assalti degli animali. Bisognava però aver cura che il fuoco non si spegnesse; perciò dapprima, l’uomo dovette custodirlo e alimentarlo continuamente. In seguito, riuscì ad accenderlo quando voleva, strofinando tra loro due pietre e facendo scoccare la scintilla vicino a foglie secche.
Le armi preistoriche
Per difendersi dagli animali e per cacciarli, l’uomo usò, dapprima, un ramo o un sasso. Rami e sassi furono le prime armi. L’uomo primitivo usò specialmente le pietre, per la loro durezza e per il loro peso. Egli seppe renderle armi pericolose: le appuntì, le lisciò, ne assottigliò i bordi. Preparò così pugnali, asce, punte di lancia e di freccia legate a bastoni, ottenendo armi per la lotta da vicino e da lontano. Con il legno e con la pietra, l’uomo foggiò oggetti di uso comune: raschiatoi, macine, ornamenti.
La prima arma
Il cacciatore cadde, senza forze, davanti alla caverna: il sangue gli usciva da ferite profonde sulle braccia, sulle gambe, sul volto. Quel giorno era stato sfortunato: aveva tentato di uccidere un orso per averne la calda pelliccia; era balzato impugnando un sasso appuntito, ma l’orso era stato più svelto di lui, si era alzato sulle zampe posteriori e gli aveva piantato gli unghioni nelle carni. Il cacciatore era riuscito a stento a liberarsi della belva ed era fuggito, urlando di dolore.
Ecco: era troppo pericoloso assalire gli orsi da vicino… occorreva trovare il modo di colpirli a distanza.
Il cacciatore, mentre lavava le sue ferite con l’acqua e le fasciava con lunghe foglie, pensò: “Legherò una punta di selce ad un bastone, lo scaglierò sull’orso da lontano, all’improvviso, e l’orso cadrà e non potrà ferirmi”. Si mise subito al lavoro; scelse la pietra più aguzza ed il ramo più dritto, poi li unì saldamente; il cacciatore aveva nelle sue mani la prima lancia.
I metalli
Il focolare primitivo era composto di pietre sovrapposte. Alcune di queste pietre contenevano metalli. Un giorno, per il gran calore, il metallo contenuto nelle pietre si liquefece e colò sul basamento irregolare del focolare. Raffreddandosi, indurì, mantenendo inalterata la forma delle asperità del focolare sulle quali era colato. L’uomo preparò degli stampi, vi fece colare il metallo e ottenne nuove armi e nuovi utensili, molto più resistenti delle antiche armi di pietra scheggiata. Il primo metallo che l’uomo seppe fondere e lavorare fu il rame. In seguito, l’uomo imparò a fondere altri metalli, a lavorarli e a ricavarne armi, utensili e monili sempre più perfezionati. L’età della pietra era finita e la vita dell’uomo divenne più facile.
Verso la civiltà
Lottando con gli animali e vivendo tra essi, l’uomo imparò a riconoscere i più mansueti, quelli che si lasciavano accostare. Pensò all’utilità di avere sempre vicino, per la carne, per il latte, per le pelli, un buon numero di pecore o di buoi o di cavalli. Imparò a servirsene ed a proteggerli. L’uomo diventò così pastore. L’uomo affamato si cibava di molti frutti e di molte erbe. Alcuni particolarmente gli piacquero. Egli osservò che le pianticelle rinascevano dai loro semi. Provò a deporli in quantità nella terra ed ebbe la grande gioia di vedere il primo campicello verdeggiante. L’uomo rimase fedele alle sue pianticelle e divenne agricoltore.
Qualcuno osservò che gli oggetti rotondi rotolano, e inventò la ruota; più tardi costruì il carro. Un altro si accorse che il legno galleggia sull’acqua e si ingegnò a navigare sopra tavole di legno oppure dentro un tronco d’albero scavato. L’uomo dei paesi freddi costruì la slitta, vi attaccò un animale addomesticato e si fece trascinare sulle ampie distese di neve e di ghiaccio.
Gli uomini avevano ormai i loro mezzi di trasporto. Si spostarono più volentieri, si incontrarono con altri uomini , cominciarono a scambiare tra loro gli oggetti che sapevano far meglio o che possedevano in abbondanza: una manciata di grano per una ciotola di latte, bei frutti maturi per una pelle di pecora.
L’uomo imparò a contrattare. Molti prodotti nuovi arricchirono la sua tavola e la sua casa. Nacquero così i primi commerci.
A piccoli passi, gli uomini si avviarono verso nuove civiltà, godendo di maggior benessere.
Poi essi inventarono la scrittura e ci lasciarono notizie scritte. Da quel momento termina il lungo periodo della preistoria, e ha inizio la storia.
Madre terra
L’uomo preistorico fece un passo decisivo sulla via della civiltà quando scoprì che la terra si poteva coltivare. L’uomo delle caverne è diventato, oggi, l’uomo dei grattacieli, ma non ha ancora inventato qualche cosa che gli permetta di sfamarsi senza ricorrere, direttamente o indirettamente, alla terra. E la coltiva diligentemente perchè produca sempre di più.
Il sottotitolo di questo post potrebbe essere: abbasso la confusione! Chiedetelo ad uno qualunque di noi, archeologi, (paleo)antropologi, paleontologi e saranno tutti unanimi nell’affermare che le nostre rispettive discipline sono spesso considerate tutte un po’ la stessa cosa.
A quanto pare basta indossare pantaloni con le tasche ed un buffo cappello et voilà, il gioco è fatto, l’iconografia ci ha intrappolato!
Cioè, certo che siamo tutti fratelli e nessuno vuol negare che le discipline in questione siano affini, ma di fatto facciamo un lavoro diverso, ed abbiamo formazioni diverse.
Non vorrei esser troppo presuntuosa e presumere che i giornalisti scientifici leggeranno questo post e useranno le dovute etichette d’ora in poi, anche se confesso che la cosa mi solleverebbe non poco.
Né tantomeno oso sperare che parlando di giocattoli si incorra in un’improvvisa illuminazione:
Aspiro più realisticamente ad un pubblico di lettori-genitori ed educatori, pronti ad correggere tutti gli errori dell’amata prole.
Quali sono quindi le differenze? Vi propongo un rapido e spero efficace prontuario dei mestieri.
L’archeologia (secondo la Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/archeologia/) e’’la “Scienza dell’antichità che mira alla ricostruzione delle civiltà antiche attraverso lo studio delle testimonianze materiali (monumentali, epigrafiche, numismatiche, dei manufatti ecc.), anche mediante il concorso di eventuali fonti scritte e iconografiche. Caratteristica dell’archeologia è il metodo di acquisizione delle conoscenze, mediante cioè lo scavo sul terreno, la ricognizione di superficie, la lettura dei resti monumentali residui.”
L’archeologo è colui che ricostruisce il passato tramite lo studio diretto di ciò che è giunti fino a noi. E allora, dov’è il trucco? Il trucco è nella parola “civiltà’”, proprio lì nella definizione. Gli archeologi studiano l’uomo, il passato dell’uomo, i comportamenti, gli usi e costumi, la storia. L’archeologia, anche quella preistorica, fa parte delle “scienze sociali” e gli archeologi quindi hanno generalmente una formazione umanistica.
Di conseguenza i siti in cui non c’è la testimonianza di attività umana non sono “siti archeologici”. Quindi, poiché ovviamente i dinosauri si sono estinti molto molto tempo prima la comparsa dell’uomo, l’”Archeologia dei dinosauri” non esiste.
L’archeologia ha numerosissime branche, che possono variare per il periodo studiato (Preistoria, Protostoria, Età Romana eccetera), ma anche per il tipo di materiale studiato di preferenza (litica, ceramica eccetera). Alcuni archeologi si occupano di ossa animali, sono gli zooarcheologi (o archeozoologi), e studiano le faune presenti negli scavi archeologici ed in particolare l’impatto dell’uomo su questi animali (sono stati cacciati? cotti e mangiati? allevati? macellati?…eccetera).
La paleontologia è lo studio dei fossili, ed in generale delle specie estinte. Essendo un campo molto vasto, questa scienza è divisa in molte categorie (invertebrati, vertebrati, micropaleontologia, eccetera). Tra i paleontologi dei vertebrati, c’è chi studia di dinosauri e chi si dedica ad altre specie. Si può essere paleontologi senza aver mai sfiorato un dinosauro! Questa scienza copre un lasso temporale molto ampio, dall’origine della vita (cioè dalle sue prime testimonianze fossili) fino a tempi molto più recenti.
I paleontologi hanno quindi una formazione scientifica, generalmente studiano Scienze naturali o Geologia. A loro non interessa la traccia “umana”, ne’ la civiltà del passato che ha dato origine ai siti. Si occupano dello sviluppo, anzi dell’evoluzione delle specie nel tempo, la loro nascita, ed eventualmente la loro estinzione.
E i paleoantropologi allora? Beh, questi signori sono innanzitutto antropologi fisici. Sono specialisti nello studio dell’uomo ed in particolare del “posto dell’uomo nella natura”. I paleoantropologi sono specializzati nelle specie di ominidi fossili, e le studiano con lo scopo di ricostruire la successione di specie del nostro ramo evolutivo, quella quindi che ha portato fino a noi (o si è estinta).
I paleoantropologi generalmente sono biologi, biologi evoluzionisti o anche medici.
Come fare allora a distinguere questi signori?
Per allenarvi vi propongo un rapido quiz. Rispondete: a = archeologo; z = zooarcheologo; p = paleontologo; pa = paleoantropologo.
1) Vi trovate nel museo di Storia naturale di Milano e siete cosi fortunati da imbattervi in uno studioso intento ad esaminare una zanna di Homotherium. Che disciplina pratica questo signore?
2) La vostra scuola organizza una conferenza di Giorgio Manzi, che vi parlerà dell’Uomo di Neanderthal in Italia. Il professor Manzi è un a) az) p) o un pa?
3) In viaggio in famiglia, fate una sosta al complesso di siti Paleolitici dei Balzi Rossi, al confine tra Francia ed Italia, dove io ed altri colleghi vi accompagnamo in una visita guidata dei siti. Qual è la nostra disciplina?
4) Ai Balzi Rossi, visitando il laboratorio annesso al museo, la Dott.ssa Zeppieri vi mostra le ossa animali provenienti dal sito di Riparo Mochi, spiegandovi che tipo di animali erano, quanti anni avevano e mostrandovi le tracce che gli strumenti di selce hanno lasciato sulle ossa. Cosa studia questa ricercatrice?
Risposte esatte: 1) p; 2) pa; 3) a; 4) za
Bene, se avete risposto correttamente a tutte le domande, congratulazioni! Se invece vi è sfuggito qualcosa, tornate su e rileggete con attenzione. Oppure scrivetemi, cercherò’ di sciogliere i vostri dubbi.
Enza Spinapolice e’ un’archeologa del Paleolitico e lavora all’Istituto di Antropologia Evoluzionista Max Planck, di Leipzig. Ha studiato Preistoria a Roma, poi ha conseguito un dottorato Europeo tra Roma e Bordeaux, e da tre anni fa ricerca in Germania. Si interessa in particolare all’origine biologica e culturale della nostra specie, all’estinzione dei neandertaliani ed alle società di cacciatori raccoglitori passate e presenti. Oltre a girare il mondo e studiare il passato, Enza ha una famiglia multiculturale, ed un bimbo di due anni e mezzo, a cui spera di insegnare molto presto la preistoria.
Dinosauri – nomenclature Montessori. Sul tema dinosauri ho preparato queste carte delle nomenclature che includono le carte illustrate, i cartellini dei nomi, le carte con immagine e nome del dinosauro, e anche delle schede illustrate abbinate a schede con testo descrittivo.
Altro materiale didattico sull’argomento dinosauri si trova qui:
queste carte delle nomenclature includono: – le carte illustrate, – i cartellini dei nomi, – le carte con immagine e nome del dinosauro, – le schede illustrate abbinate a schede con testo descrittivo.
L’epoca dei dinosauri corrisponde al periodo di tempo chiamato dai geologi ERA MESOZOICA, da 248 a 65 milioni di anni fa. L’era Mesozoica si divide a sua volta in tre periodi: – PERIODO TRIASSICO: 248 – 208 milioni di anni fa. Sono comparsi i primi dinosauri. – PERIODO GIURASSICO: 208 – 144 milioni di anni fa. I dinosauri hanno raggiunto le loro massime dimensioni. – PERIODO CRETACEO: 144 – 65 milioni di anni fa. Il popolo dei dinosauri ha raggiunto la massima varietà.
Nell’era MESOZOICA le masse terrestri si sono gradualmente spostate a causa di un processo che noi oggi chiamiamo “deriva dei continenti”: – nel TRIASSICO tutti gli attuali continenti erano uniti per formarne uno solo, chiamato PANGEA; – nel GIURASSICO il supercontinente Pangea si è diviso in due parti: LAURASIA a Nord e GONDWANA a sud; – nel CRETACEO Laurasia e Gondwana si sono a loro volta suddivise, dando luogo ai continenti così come li conosciamo oggi.
I dinosauri hanno dominato il mondo per 160 milioni di anni, più a lungo di qualsiasi altro gruppo animale. 65 milioni di anni fa si sono estinti, cioè sono morti tutti, e molti altri rettili preistorici acquatici e volanti sono scomparsi insieme ai dinosauri. Questa “estinzione di massa” ha coinvolto anche altri animali e piante.
Una possibile spiegazione potrebbe essere fornita da qualche nuovo tipo di malattia, diffusasi per terra e per mare.
L’estinzione di massa può essere attribuita a una serie di disastrose eruzioni vulcaniche, che avrebbero sparso su tutta la Terra le proprie ceneri velenose.
Un’altra spiegazione per l’estinzione di massa fa riferimento a un possibile cambiamento climatico: un riscaldamento globale che potrebbe essere durato secoli, o anche più.
Una teoria ben nota vuole che l’estinzione di massa sia stata dovuta a un meteorite precipitato dallo spazio sulla Terra. Un meteorite gigante, del diametro di circa 10 km, avrebbe scatenato terremoti ed eruzioni vulcaniche, oscurando il cielo di polvere. Il cielo oscurato dalla polvere, per un anno o più, avrebbe portato alla morte di gran parte delle piante, dunque degli animali erbivori e infine dei carnivori.
Rimane un enigma irrisolto: perchè altri rettili, come i coccodrilli, le lucertole, le tartarughe, sono sopravvissuti?
STUDIARE I DINOSAURI
La maggior parte delle informazioni che abbiamo sui dinosauri ci vengono dai loro fossili.
I fossili sono quel che resta di organismi viventi trasformati, nel corso di milioni di anni, in solida roccia. Non solo i dinosauri, ma molti altri esseri preistorici hanno lasciato per noi i propri resti fossili: mammiferi, uccelli, lucertole, pesci, insetti, e anche piante di vario genere. La carne, le interiora e le altre parti molli di un dinosauro morto venivano di solito mangiate rapidamente da altri animali, oppure andavano in decomposizione, perciò molto raramente ne troviamo tra i fossili. La sabbia e il fango che circondavano i resti di un animale o di una pianta venivano nel corso del tempo sottoposti a una grande pressione, cementandosi in un’unica massa rocciosa. Come il sedimento (cioè la sabbia o il fango) anche i resti animali e vegetali si sono poi trasformati in pietra. La fossilizzazione è un processo estremamente lungo e soggetto a ogni tipo di imprevisto.
Solo una minima parte degli esseri viventi ci è giunta sotto forma fossile. Dato il modo in cui i fossili si sono formati, la maggior parte di essi si trova nei pressi dei corsi d’acqua.
La maggior parte dei dinosauri deve essere ricostruita da resti fossili che si limitano alle parti più dure del corpo: denti, corna, artigli. Nella ricostruzione ci si aiuta spesso guardando alle caratteristiche di altri dinosauri simili, e cercando così di immaginare la forma delle parti mancanti: denti, ma anche code, arti, e perfino la testa. Per quel che riguarda le parti molli, ci si aiuta osservando le caratteristiche di rettili simili tra quelli viventi oggi, specialmente lucertole e coccodrilli. Si cerca di immaginare la struttura dei muscoli e degli organi interni.
Molto raramente il corpo del dinosauro si è rapidamente disseccato e ce ne sono giunti alcuni resti mummificati e fossili. Uno dei più noti dinosauri che ci sia giunto parzialmente mummificato è Sue, un esemplare di Tyrannosaurus trovato negli USA nel 1990: il Tyrannosaurus più grande e soprattutto meglio conservato che sia mai stato trovato. Sue era una femmina e il suo nome deriva da quello della sua scopritrice: Susan Hendrickson.
trovato nel Villaggio dei Pescatori a Trieste. È un “Tethysadros insularis”, specie vegetariana di medie dimensioni. Viveva 70 milioni di anni fa fra l’Africa e l’Europa.
ritrovato nel 1980 a Pietraroja (Benevento), è conosciuto in tutto il mondo per l’eccezionale conservazione degli organi interni: l’intestino contenente i resti dell’ultimo pasto, il fegato, la trachea, gli occhi, persino fasci di fibre muscolari. Ciro è il primo dinosauro al mondo a poter essere stato sottoposto ad una vera e propria autopsia. Probabilmente lo scheletro apparteneva ad un cucciolo trascinato in acqua durante un’alluvione e morto annegato 113 milioni di anni fa. Da adulto avrebbe raggiunto la lunghezza di almeno due metri per un metro e mezzo di altezza ed il peso di circa 20 kg; si pensa fosse affine al più famoso Velociraptor.
I fossili non sono le uniche informazioni che abbiamo sui dinosauri. Ci sono rimaste altre tracce, che non si riferiscono a parti del loro corpo. Queste informazioni derivano dalle uova, dalle impronte, dai segni lasciati da denti e artigli, e anche dai coproliti, gli escrementi fossili dei dinosauri.
Maschi e femmine
Per stabilire il sesso dei dinosauri gli studiosi osservano le ossa del bacino e le creste sul capo.
Gli occhi
Prima del ritrovamento di Ciro, non si sono mai trovati occhi fossili di dinosauro: gli occhi sono molli, si decompongono rapidamente dopo la morte e sono le prime parti ad essere divorate dai predatori. I principali indizi sugli occhi dei dinosauri sono le cavità del cranio, le orbite, destinate ad ospitarli. Le orbite dei crani fossili dei dinosauri suggeriscono che i loro occhi fossero simili a quelli dei rettili attuali. I dinosauri dagli occhi piccoli probabilmente avevano una buona vista nelle ore diurne. Gli occhi di molti dinosauri erbivori erano posti ai lati del capo, garantendo così una visione a 360 gradi.
Il naso
Come tante altre creature, i dinosauri respiravano per mezzo della bocca e del naso. I crani fossili dei dinosauri ci mostrano l’esistenza di due aperture nasali, o narici, che portavano alle camere nasali, dove si trovavano gli organi dell’odorato. Alcuni carnivori avevano camere nasali particolarmente grandi, e probabilmente il loro senso dell’olfatto era molto sviluppato.
Le corna
Il corno di un dinosauro cresceva con il crescere dell’animale; non cadeva per ricrescere ogni anno, come succede con le corna dei cervi. Ogni corno aveva un’anima ossea e un rivestimento esterno di una sostanza cornea, formata prevalentemente di cheratina. E’ probabile che le corna siano state usate più per intimidire i rivali scuotendo il capo, che per infliggere reali ferite. E’ anche possibile che i dinosauri si sfidassero in prove di forza allacciando rispettivamente le corna: un po’ come fanno oggi le antilopi.
I becchi
Molte specie di dinosauri avevano il muso che terminava in una specie di becco senza denti. La maggior parte dei dinosauri col becco avevano denti per la masticazione nel retro della bocca, all’altezza delle guance. Con ogni probabilità i dinosauri usavano il becco per strappare, spezzare e tagliare il cibo; il becco può essere servito anche come arma difensiva contro i nemici.
I denti
I denti del dinosauro sono tra i resti fossili più comuni, perchè sono le parti più durature del corpo. I denti di dinosauro sono estremamente diversi fra loro per forma e dimensioni: scalpelli, coltelli, cesoie, chiodi, raspanti, stringenti, trituranti, a pettine, a rastrello… La forma, il numero e la disposizione dei denti sulle mascelle costituiscono indizi chiari di ciò che mangiava ciascun dinosauro. I carnivori come il Tyrannosaurus avevano denti grandi e affilati per dilaniare le loro prede. Alcuni erbivori, come l’Apatosaurus, non avevano neppure un molare. I denti vecchi, rotti o usurati dei dinosauri forse potevano ricrescere, come succede a quelli dei rettili di oggi.
Zampe e postura
Tutti i dinosauri avevano quattro zampe. A differenza di altri rettili, come i serpenti, non hanno perso le zampe nel corso del processo evolutivo. Alcuni dinosauri, come i grandi sauropodi, camminavano a quattro zampe. Quando un animale cammina a quattro zampe si dice che è quadrupede. Altri dinosauri, come gli agili dromesauri carnivori del tipo del Deinonychus, camminavano stando ritti sulle zampe posteriori. Gli arti anteriori erano usati come braccia. Quando un animale cammina utilizzando le sole zampe posteriori si dice che è bipede. Altri dinosauri ancora, potevano muoversi a quattro zampe oppure, a scelta, sulle sole zampe posteriori. I dinosauri hanno le zampe poste direttamente sotto il corpo, e questa postura, più efficiente rispetto all’avere le zampe poste lateralmente, è una delle ragioni che possono spiegare il successo dei dinosauri rispetto ad altri animali del loro tempo.
Ossa dell’anca
Tutti i dinosauri sono classificati all’interno di due grandi famiglie a seconda della forma delle ossa dell’anca:
– SAURISCHI, che significa dinosauri “dall’anca di lucertola”. Nei saurischi le ossa del pube sporgono in avanti e verso il basso. Tutti i dinosauri carnivori erano saurischi, ma lo erano anche i più grandi dinosauri erbivori. La forma ad “anca di lucertola” è quella particolarmente adatta alla corsa, perchè permette un miglior ancoraggio dei muscoli delle zampe.
– ORNITISCHI, che significa dinosauri “dall’anca di uccello”. Negli ornitischi le ossa del pube si proiettano verso il basso e all’indietro. Tutti gli ornitischi erano erbivori.
Artigli
Come molti rettili di oggi, i dinosauri erano muniti di artigli, cioè di forti unghie all’estremità delle dita. Gli artigli dei dinosauri erano probabilmente fatti di cheratina, la stessa sostanza che rivestiva le loro corna e di cui sono costituite le nostre unghie. La forma e la dimensione degli artigli varia molto da un dinosauro all’altro; in molti dinosauri carnivori, che si muovevano sulle zampe posteriori, gli artigli erano lunghi ed affilati come quelli dei felini, mentre i grandi erbivori avevano zampe simili a quelle dell’elefante con unghie simili a zoccoli.
Pelle
Resti fossili di pelle sono stati trovati in più occasioni, così sappiamo che i dinosauri erano ricoperti di squame, come i rettili di oggi. Come nei coccodrilli, le squame dei dinosauri non erano distribuite sovrapposte sulla superficie della pelle, come nei serpenti, ma affondate in una spessa pelle, forte come il cuoio. Le squame sovrapposte proteggevano i dinosauri dai denti e dagli artigli degli avversari, come anche dalle ferite accidentali e dai fastidiosi morsi degli insetti.
Molti dinosauri possedevano corazze difensive. Alcuni di queste corazze erano composte da grandi piastre ossee inserite nella pelle. Un dinosauro corazzato poteva pesare il doppio di un dinosauro della stessa mole non corazzato.
Cresta
Molti dinosauri avevano sul capo escrescenze e protuberanze ossee dalle forme più diverse; è possibile che queste creste fossero rivestite in vita da pelle vivacemente colorata allo scopo di servire come richiamo, e poteva anche servire ad amplificare i suoni.
Vele
Dalla schiena di alcuni dinosauri si alzavano verticalmente delle spine o bastoni; è probabile che queste protuberanze ossee reggessero una vasta superficie di pelle, a formare quelle che ora sono chiamate vele dorsali. Troviamo le vele dorsali sia in dinosauri erbivori sia carnivori. La pelle della vela dorsale dei dinosauri poteva avere colori brillanti e forse anche cambiare colore, come avviene oggi alla pelle dei camaleonti. Poteva servire per controllare la temperatura corporea: esposta in pieno sole, poteva assorbire rapidamente il calore e trasmetterlo al corpo del dinosauro; tenuta all’ombra, poteva garantire un rapido refrigerio evitando il surriscaldamento del corpo.
Piedi
I piedi dei dinosauri erano molto diversi a seconda della forma, del peso, e in generale dello stile di vita dell’animale. Il tipico piede anteriore aveva ossa metacarpali oltre il polso e due o tre falangi per ogni dito con un artiglio al termine. Il piede posteriore del dinosauro era costituito da ossa metatarsali sotto la caviglia. Alcuni dinosauri avevano cinque dita per piede, come avviene per la maggior parte dei rettili (e anche degli uccelli e dei mammiferi).
Coda
Tutti i dinosauri erano muniti di coda, a meno che non l’avessero persa in combattimento. La lunghezza della coda relativamente al corpo, la sua forma, la sua consistenza e altre caratteristiche ci rivelano molto sull’uso che ne faceva ciascun dinosauro. Molti dinosauri carnivori che si appoggiavano e correvano sulle zampe posteriori erano muniti di una coda massiccia destinata a controbilanciare il peso del corpo e della testa. I piccoli carnivori, agili e veloci, usavano la propria coda per mantenere l’equilibrio quando scattavano e balzavano sulla preda.
Cervello
Esiste una relazione tra l’intelligenza di un animale e il rapporto fra la grandezza del suo cervello e quella del corpo. I crani fossili di alcuni dinosauri ci mostrano il volume della scatola cranica, che ci rivela il volume e la forma del cervello; in certi casi all’interno della scatola cranica si è formata una massa fossile con la forma e le dimensioni del cervello originario. Il cervello dello Stegosaurus rappresentava soltanto 1/25.000 del suo peso; quello del Brachiosaurus era forse pari a 1/100.000, e quello del piccolo carnivoro Troodon era circa 1/1.000. Il rapporto cervello-corpo nei dinosauri, insomma, non deve essere stato molto diverso che nei rettili attuali. Si pensa che i carnivori piccoli e medi avessero un’intelligenza paragonabile a quella di un pappagallo o di un topo.
Supponiamo che i dinosauri fossero a sangue freddo come i rettili di oggi: in questo caso sarebbero rimasti inattivi o quasi durante la stagione fredda. Se al contrario fossero stati animali a sangue caldo, come gli uccelli e i mammiferi di oggi, sarebbero stati in grado di mantenersi caldi e in attività anche nella stagione fredda. Una volta gli scienziati ritenevano che i dinosauri fossero tutti a sangue freddo, oggi le opinioni sono diverse. Una prova a favore del sangue caldo è fornita dalla struttura interna di alcune ossa fossili particolarmente ben conservate, compatibile più con gli animali a sangue caldo che con i rettili attuali. Alcuni piccoli dinosauri carnivori sembrano essersi evoluti in uccelli, e gli uccelli sono animali a sangue caldo. Considerando i reperti fossili, il numero dei predatori sembra più simile a quello riscontrabile tra i mammiferi rispetto a quello riscontrabile fra i rettili. Se i dinosauri fossero stati a sangue caldo avrebbero dovuto procurarsi quantità di cibo dieci volte superiori rispetto ai rettili a sangue freddo. Questo perchè occorre bruciare cibo per fornire l’energia destinata a riscaldare il corpo.
Nidi e uova
Le scoperte di nidi e uova fossili si contano a centinaia, spesso accanto ai genitori. Per quel che ne sappiamo, le femmine di dinosauro deponevano uova da cui nascevano i cuccioli. Il tempo che trascorreva tra la deposizione delle uova e la loro schiusa (tempo di incubazione), poteva variare da settimane a mesi, anche in base alla temperatura esterna, come avviene oggi nei rettili.
Nessuno può dire come fosse la crescita dei dinosauri, quanto durasse l’infanzia e quanto lunga fosse la loro vita. Possiamo immaginare che la loro crescita e il loro invecchiamento fossero simili a quelli dei rettili d’oggi; in questo caso i dinosauri crescevano continuamente fino alla morte, ma più velocemente da giovani che da vecchi. Le stime sull’età di un carnivoro adulto come il Tyrannosaurus vanno da 20 fino a oltre 50 anni, mentre la vita dei piccoli carnivori poteva andare dai 3 ai 10 anni. Gli erbivori sauropodi giganti potevano vivere almeno 50 anni, ma forse anche più di 100. Nel corso della sua vita un Brachiosaurus poteva aumentare il proprio peso fino a 2.000 volte, contro le 20 volte di un essere umano.
Migrazioni
Quasi nessun rettile terrestre di oggi affronta migrazioni, cioè spostamenti regolari su lunga distanza, ma negli ultimi 30 anni gli studiosi hanno raccolto le prove di migrazioni regolari da parte di alcuni dinosauri. Un elemento a favore delle migrazioni si trova nella posizione dei continenti all’epoca dei dinosauri: in certe regioni, gli inverni freddi potrebbero aver impedito la crescita delle piante mangiate dai dinosauri. I ritrovamenti fossili dimostrano che le piante smettevano di crescere nei periodi particolarmente caldi e asciutti, costringendo così i dinosauri a emigrare in cerca di cibo. Un’altra possibile prova delle migrazioni è data dalle orme di interi branchi di dinosauri in marcia.
Letargo
E’ probabile che i dinosauri attraversassero lunghi periodi di vita latente durante la stagione invernale, come fanno molti rettili anche oggi. Fossili di dinosauro sono stati trovati anche nelle regioni artiche vicine al Polo Nord, e anche se 120 – 100 milioni di anni fa il clima era relativamente mite e i due Poli non erano coperti di ghiaccio, i dinosauri artici durante l’inverno dovevano per forza cadere in letargo oppure migrare verso sud.
Domande e risposte
I dinosauri erano gli unici abitanti della Terra nella loro era? No. C’erano molti altri animali, dai vermi agli insetti, ai pesci e ai rettili di ogni specie.
C’erano dinosauri volanti? No, però esistevano rettili volanti, chiamati PTEROSAURI.
C’erano dinosauri marini? No, però esistevano rettili marini, come l’ITTIOSAURO o il PLESIOSAURO.
I mammiferi sono comparsi sulla Terra dopo la scomparsa dei dinosauri? No. Al tempo dei dinosauri vivevano numerosi piccoli mammiferi.
C’è una specie di dinosauri che è vissuta durante tutta l’era dei dinosauri? No. Alcune specie sono riuscite a sopravvivere per 10, 20 e anche 30 milioni di anni, ma nessuna si è neppure avvicinata ai 160 milioni di anni che rappresentano l’intera durata dell’era dei dinosauri.
I dinosauri erano lucertole giganti? No. I dinosauri erano rettili, ma non appartenevano alla famiglia delle lucertole.
I dinosauri partorivano i loro cuccioli? No. Per quanto sappiamo tutti i dinosauri deponevano uova.
Ci sono dinosauri sopravvissuti fino ad oggi? No, per quanto ne sappiamo, ma possiamo continuare a fantasticare.
Uomini e dinosauri si sono battuti all’ultimo sangue? No. L’ultimo dei dinosauri è scomparso più di 60 milioni di anni fa, prima della comparsa dell’uomo.
Curiosità
Pietre singolarmente lisce e arrotondate, simili a ciottoli di fiume, sono state trovate frammiste ai resti fossili di alcuni dinosauri. Questi ciottoli vengono rinvenuti troppo spesso per pensare che si tratti di un caso. Le pietre lisce sono state trovate soprattutto nel caso di ritrovamenti fossili di grandi dinosauri erbivori: alcuni dinosauri erbivori possono aver utilizzato le pietre lisce per aiutarsi nella digestione. Questi dinosauri, insomma, non masticavano il cibo prima di inghiottirlo, e ingoiavano sassi per triturare il cibo in un grande ventriglio. Questo permetteva loro di procurarsi il cibo senza perdere tempo nella masticazione. I ciottoli lisci trovati tra i resti fossili dei dinosauri vengono perciò chiamati gastroliti o macine gastriche.
Impronte di dinosauro sono state trovate a migliaia, praticamente in ogni angolo del mondo. A volte i dinosauri hanno lasciato le loro impronte camminando lungo le rive fangose o sabbiose dei fiumi. Il fango si è poi indurito al calore del sole ed è stato ricoperto da altro fango o altra sabbia. Così le impronte fossilizzate sono giunte fino a noi. In altri casi le impronte di fango sono state ricoperte dalla cenere emessa da un vulcano in eruzione. Anche in questo caso le impronte fossilizzate sono giunte fino a noi. Spesso le impronte sono allineate lungo percorsi chiamati “piste”: ciò suggerisce l’idea che le impronte siano state lasciate da dinosauri che si muovevano in branchi, seguendo regolarmente gli stessi percorsi. La distanza tra impronte dello stesso tipo ci rivela se il dinosauro stava camminando, trottando, oppure correndo.
Nessuno può dire di conoscere i colori dei dinosauri. Esemplari fossili di pelle di dinosauro non mancano, ma il loro colore attuale non può che essere quello della pietra. Un fossile infatti non è altro che una sostanza organica pietrificata. Alcuni scienziati suppongono che il colore dei dinosauri fosse simile a quello dei coccodrilli attuali: bruno e verdastro. Posto che fossero colorati di bruno o verdastro, i dinosauri si sarebbero mimetizzati in un ambiente di alberi, terra e rocce. Altri esperti pensano che i dinosauri esibissero colori vivaci come giallo, rosso e blu, senza escludere manti striati e maculati, come quelli di molti serpenti e lucertole di oggi. I dinosauri potrebbero aver esibito colori vivaci per intimorire gli avversari o per prevalere sui rivali nella stagione dell’accoppiamento.
I coproliti sono gli escrementi fossili di animali preistorici come i dinosauri. I coproliti non sono molli e non puzzano; come tutti i fossili sono ormai fatti di solida pietra. Migliaia di coproliti di dinosauro sono stati trovati nei giacimenti di fossili di tutto il mondo. Sezionando i coproliti, a volte si può vedere quel che il dinosauro aveva mangiato negli ultimi tempi: i coproliti dei grandi carnivori contengono spesso le ossa delle loro prede. Gli studiosi sono anche in grado di stabilire quali specie vegetali crescessero in un determinato periodo esaminando i coproliti dei dinosauri erbivori.
Per quanto riguarda la voce dei dinosauri, sono pochi i rettili di oggi che emettono suoni, limitandosi al più a sibili e leggeri ruggiti. I resti fossili suggeriscono invece che i dinosauri potessero emettere una varietà di suoni in molti modi diversi. Diversi posso essere stati anche gli scopi per cui i dinosauri emettevano suoni: per mantenersi in contatto con gli altri individui del branco, per spaventare i nemici, per intimidire i rivali oppure per corteggiare le femmine.
Il film Jurassic Park fa vedere dei dinosauri resuscitati come creature viventi nel nostro mondo a partire dal DNA proveniente non dai resti fossili dei dinosauri, ma dal sangue succhiato dalle zanzare, che si sono a loro volta conservate fino ad oggi incapsulate nell’ambra fossile. Nella realtà gli scienziati hanno davvero trovato frammenti di DNA da resti fossili risalenti all’epoca dei dinosauri, ma questi frammenti rappresentano una minima parte del DNA che sarebbe necessario per ricreare un essere vivente. La maggior parte degli scienziati dubita fortemente che si possano ricreare dinosauri viventi partendo dal DNA trovato nei fossili: sarebbe come voler riscrivere tutte le opere di Shakespeare a partire da un paio di parole. Inoltre i vegetali del nostro tempo potrebbero essere del tutto inadatti alle esigenze di un dinosauro e i dinosauri potrebbero essere sterminati dalle malattie moderne.
I PRIMI DINOSAURI
I primissimi dinosauri erano animali piuttosto piccoli, carnivori, con denti e artigli affilati. Correvano veloci sulle zampe posteriori, che erano lunghe e robuste.
HERRERASAURUS
I resti fossili dell’Herrerasaurus risalgono a 228 milioni di anni fa e furono trovati a San Juan, in Argentina. Era lungo circa 3 metri e doveva pesare circa 90 Kg. Fu uno dei primi carnivori. Si reggeva su due robuste zampe. La testa relativamente sottile, i denti robusti e gli artigli affilati anticipano le caratteristiche dei carnivori che lo hanno seguito. Andava a caccia di piccoli animali come insetti, lucertole, e altri piccoli rettili.
STAURIKOSAURUS
Uno dei primi dinosauri, un carnivoro relativamente piccolo, lungo circa 2 metri. Correva veloce sulle zampe posteriori, mantenendo l’equilibrio grazie alla lunga coda. Simile all’Herrerasaurus, visse nello stesso periodo, ma più a nord, nell’attuale Brasile.
I GRANDI CARNIVORI
I grandi dinosauri carnivori appartenevano a un gruppo noto col nome di carnosauri. Tutti i carnosauri avevano un aspetto simile: il loro modello era il terribile TARBOSAURUS.
Il più grande tra i carnosauri fu il GIGANOTOSAURUS, il più grande carnivoro mai esistito sulla terra. Era lungo fino a 16 metri e pesava almeno 8 tonnellate.
Alcuni carnivori possono aver avuto un cervello relativamente sviluppato, che permetteva loro di cooperare e cacciare in gruppo. I dinosauri erano rettili, ma oggi nessun rettile caccia in gruppo, mostrando cioè segni di cooperazione. Coccodrilli ed alligatori talvolta si buttano insieme sulle prede, ma senza mostrare segni di cooperazione. I resti fossili dei dinosauri sembrano invece dimostrare che molti carnivori cacciavano in gruppo cooperando tra loro. Si sono ritrovati i resti fossili di molti individui della stessa specie in un unico luogo. Ciò sembra testimoniare qualche forma di vita sociale. I resti fossili di alcuni dinosauri erbivori portano il segno di morsi inferti da predatori di taglia diversa, che dunque sembrano aver cacciato in gruppo.
TARBOSAURUS
Il tarbosaurus, asiatico, era molto simile al TYRANNOSAURUS americano. Vissero entrambi nella stessa epoca, 70 – 65 milioni di anni fa. Alcuni scienziati ritengono che il Tarbosaurus non sia stato altro che la versione asiatica del Tyrannosaurus americano e che ad entrambi gli animali spetti il nome di tirannosauri. Le possenti dita di questo dinosauro terminavano con piedi muniti di tre dita. Le zampe anteriori erano ridotte, ma le mascelle erano grandi e fortissime.
TYRANNOSAURUS
E’ forse il dinosauro più famoso, e anche uno dei più conosciuti. Grazie a numerosi ritrovamenti in molti luoghi del Nordamerica, abbiamo molte ossa, denti fossili, e anche scheletri completi. Il Tyrannosaurus visse verso la fine dell’era dei dinosauri, circa 68 – 65 milioni di anni fa. Il suo nome completo è TYRANNOSAURUS REX, che vuol dire “re dei rettili tiranni”. Un Tyrannosaurus adulto era lungo 13 metri circa e più alto di un autobus a due piani. Pesava 6 – 7 tonnellate. La sua testa era lunga 1 metro e 20 cm, ed era munita di 50 denti simili a pugnali, lunghi anche 15 cm; le mascelle si articolavano molto indietro nella testa consentendo una grande apertura della bocca. Fino agli anni novanta del secolo scorso, cioè fino alla scoperta del Giganotosaurus, si riteneva che il Tyrannosaurus fosse stato il più grande carnivoro mai esistito. Le sue zampe anteriori, munite di due dita, erano così corte che non gli permettevano ci portare il cibo alla bocca: sembra non abbiamo avuto nessuna utilità. Il collo ricurvo permetteva alla testa di guardare in avanti, e il torace sviluppato garantiva una buona resistenza nella corsa. Durante la marcia, la coda forte e pesante controbilanciava il resto del corpo. I piedi terminavano in tre enormi dita e reggevano ciascuno un peso di 3 – 4 tonnellate. Scavi recenti hanno portato alla luce i resti fossili di un gruppo di tirannosauri, inclusi alcuni cuccioli. Questo suggerisce la possibilità che questi animali vivessero in piccoli branchi familiari. Il Tyrannosaurus poteva essere un cacciatore attivo in grado di catturare la preda battendola in velocità, ma anche un predatore capace di tendere agguati improvvisi agli animali vecchi o malati.
I RAPTOR
Raptor è il nome attribuito al gruppo dei dromeosauri (“rettili veloci”). Raptor significa “cacciatore”, “ladro”, “rapinatore”: la radice è la stessa di “rapace”. I dromesauri o raptor erano dinosauri carnivori di media dimensione, agili e forti. Vissero tra i 150 e i 65 milioni di anni fa. Misuravano tra 1,5 e 3 metri dal muso alla punta della coda, ed erano alti 1 o 2 metri. Avevano su ciascun piede un lungo artiglio ricurvo che poteva infliggere profonde ferite nel corpo delle vittime.
VELOCIRAPTOR
Il Velocitaptor (ladro veloce), era un tipico dromesauro, con un terribile unghione su ciascun piede capace di infliggere alle prede ferite lunghe anche un metro. I suoi resti sono stati ritrovati nell’Asia centrale. Visse 70 – 75 milioni di anni fa nelle steppe e nei deserti della Mongolia. Come gli altri raptor, era probabilmente un corridore veloce, che poteva compiere grandi balzi grazie alle forti zampe posteriori.
DEINONYCHUS
Il deinonychus è probabilmente il più noto tra i raptor. Oltre ad essere agile e veloce, era capace di balzare sulla preda aiutandosi con la coda. Il nome Deinonychus significa “artiglio terribile”. Visse nel Cretaceo medio, 115 – 100 milioni di anni fa. I fossili di Deinonychus provengono dagli Stati Uniti. Questo dinosauro misurava, dal muso alla coda, circa 3 metri e il suo peso era sui 60 – 70 kg, pressapoco come un essere umano. Quando si sono potuti studiare, negli anni sessanta, i resti dei Deinonychus, è stata completamente abbandonata la leggenda che rappresentava i dinosauri come animali dal cervello minuscolo, lenti e stupidi. Veloci, agili, forti, i Deinonychus cacciavano probabilmente in gruppo, come oggi fanno i leoni e i lupi. Il Deinonychus aveva grandi zampe, munite di dita possenti e unghioni affilati. Ciascun piede era dotato di un grande artiglio falcato che poteva infliggere gravi ferite alle vittime. La coda era piuttosto rigida e non poteva essere usata come frusta. La combinazione di zampe lunghe e forti, che permettevano di balzare sulla preda, con artigli e denti affilati faceva di questi raptor una formidabile macchina da caccia. Attaccavano in gruppo ed erano così in grado di affrontare prede molto più grandi di loro.
OVIRAPTOR
L’Oviraptor era un curioso carnivoro che visse nel Cretaceo superiore (85 – 75 milioni di anni fa). I fossili di Oviraptor sono stati trovati nel deserto del Gobi (Asia Centrale). Il suo nome significa “ladro di uova”, perchè il primo di questi fossili fu trovato in mezzo alle uova rotte di un altro dinosauro. Dal becco alla punta della coda misurava circa 2 metri, aveva un becco sdentato simile a quello di un pappagallo e una robusta cresta ossea, che forse serviva ad indicare gli individui dominanti in un gruppo o un’area particolare. All’interno del becco aveva due punte ossee che probabilmente servivano per rompere le uova. Si nutriva di uova, e forse anche di crostacei, di cui poteva rompere il guscio grazie al forte becco.
UCCELLI – DINOSAURO
Negli ultimi vent’anni sono stati ritrovati fossili che provano come vi fossero dinosauri coperti di penne o di pelo. Per la scienza moderna ogni pennuto è un uccello. E così ci sono scienziati che sostengono che i dinosauri pennuti non sono in realtà dinosauri, ma propriamente uccelli. Altri scienziati sostengono che sono gli uccelli a non essere un gruppo separato di animali: si tratterebbe in realtà di un sottogruppo dei dinosauri sopravvissuto fino a noi. Dovremmo dunque considerare gli uccelli come dinosauri pennuti.
AVIMIMUS
L’Aviminus era un dinosauro piccolo e leggero, vissuto 85 – 82 milioni di anni fa. I suoi fossili sono stati trovati in Cina e in Mongolia. Il suo muso terminava con una specie di becco, le ossa degli arti anteriori avevano piccole creste, esattamente come le ossa delle ali che reggono le penne negli uccelli. Le sue penne potevano avere una funzione mimetica, servire come segnale, oppure per tener caldo il corpo. In quest’ultimo caso si tratterebbe di un animale a sangue caldo.
I DINOSAURI PIU’ PICCOLI
COMPSOGNATHUS
Uno dei dinosauri più piccoli era il COMPSOGNATHUS, che visse tra i 155 e i 150 milioni di anni fa, nel Giurassico superiore. I fossili di questo dinosauro provengono dall’Europa, in particolare dalla Germania e dalla Francia, e sono relativamente rari. Non era più lungo di 1 metro e si sono trovati esemplari ancora più piccoli (70 cm); era snello, con una lunga coda sottile, e pesava probabilmente meno di 3 kg. Gli arti anteriori avevano due dita unghiate, mentre quelli posteriori avevano ciascuno tre dita unghiate per la corsa. Un ultimo dito unghiato si trovava all’altezza della caviglia. I denti erano ricurvi, piccoli ma acuminati. E’ probabile che il Compsognathus infilasse il muso nel sottobosco alla ricerca di insetti, vermi, ragni e altre piccole prede. I Comsognathus erano agili e veloci, ma forse si muovevano in branco per autodifesa.
DROMAEOSAURUS
Il Dromaeosaurus, snello e agile, era un bravissimo cacciatore. Correva veloce e cacciava in gruppo: questa capacità gli permettevano di avere la meglio anche su animali molto più grandi.
SPINOSAURUS
Lo Spinosaurus era un predatore grande quasi come il Tyrannosaurus. La sua vela deve aver raggiunto quasi due metri di altezza. E’ vissuto 100 milioni di anni fa, e i suoi fossili sono stati trovati nel Nordafrica.
I DINOSAURI ERBIVORI
Durante il periodo Giurassico, caldo e umido, la vita vegetale si sviluppò lussureggiante, affermandosi anche in aree che prima erano desertiche.Le specie di dinosauri erbivori, che cioè si nutrivano di vegetali, si contano a centinaia. Con il passare del tempo, le piante che costituivano il loro cibo si sono evolute, sono cambiate.
All’inizio dell’era dei dinosauri, durante il periodo Triassico, le principali piante a disposizione dei dinosauri erano conifere, ginkgo, cicadine, felci, equiseti e muschi. Alcune cicadine sono giunte fino a noi. Sembrano palme dal tronco grosso e cilindrico recanti all’estremità un gran ciuffo di foglie pennate. Il ginkgo è una grande pianta, di cui un’unica specie è giunta fino a noi, coltivata da sempre in Cina e in Giappone.
Nel periodo Triassico soltanto i dinosauri prosauropodi erano abbastanza grandi o avevano un collo lungo a sufficienza per raggiungere le foglie del ginkgo e delle cicadine. Nel periodo Giurassico si affermarono le grandi conifere come le sequoie e le araucarie. I grandi sauropodi del periodo Giurassico potevano raggiungere, con il loro lungo collo, i rami bassi delle grandi conifere.
Nel medio Cretaceo comparirono piante di un nuovo tipo: le piante con fiori. Alla fine del periodo Cretaceo le piante con fiore erano diventate abbondanti: magnolie, aceri, noci. I dinosauri non mangiavano erba. Le prime erbe comparvero sulla Terra soltanto 20 o 30 milioni di anni fa, quando i dinosauri si erano estinti da tempo.
PROSAUROPODI
Furono i primi dinosauri veramente grandi ad apparire sulla Terra; erano vegetariani e vissero tra i 230 e i 180 milioni di anni fa. Avevano una testa piccola, un lungo collo, una lunga coda e quattro zampe massicce.
PLATEOSAURUS
Uno dei primi prosauropodi fu il PLATEOSAURUS, che visse circa 220 milioni di anni fa in Europa (Svizzera, Francia, Germania). Il Plateosaurus camminava normalmente a quattro zampe, ma probabilmente riusciva ad alzarsi sulle zampe posteriori per raggiungere i rami più alti (2 o 3 metri dal suolo). Raggiungeva gli 8 metri di lunghezza e pesava circa una tonnellata.
Il nome PLATEOSAURUS significa “rettile piatto”.Il Plateosaurus aveva denti piccoli e fitti, per strappare e masticare i vegetali. Le dita unghiate erano molto flessibili, forse per portare i rami alla bocca, e consentivano al Plateosaurus di camminare a quattro zampe. Il pollice aveva un’unghia particolarmente lunga e affilata, probabilmente un’arma per colpire e ferire gli aggressori. I paleontologi del passato pensavano che trascinasse la coda a terra durante la marcia; oggi si pensa invece che tenesse la coda rialzata per controbilanciare il peso del capo, del lungo collo e della parte anteriore del corpo. Fu uno dei primi dinosauri ad essere ufficialmente battezzati, nel 1837, quando non si era ancora adottata neppure la parola “dinosauro”.
SAUROPODI
Ai Prosauropodi seguirono i SAUROPODI: con lo stesso aspetto, colli lunghi e lunghe code, ma con un corpo ancora più grande. I Sauropodi, come il Brachiosauro o l’Argentinosauro furono i più grandi tra i dinosauri, ma stabilire esattamente quanto pesassero è molto difficile. Il peso di un dinosauro viene stimato sulla base di un modello dello scheletro “rimpolpato” con muscoli, viscere e pelle. Per la stima ci si basa su rettili simili conosciuti, come il coccodrillo. Il volume di un modello di dinosauro viene calcolato immergendolo in acqua, e il volume del dinosauro reale viene calcolato poi tenendo conto della scala in cui è realizzato il modello. I giganteschi sauropodi erbivori vissero nel periodo Giurassico: 208 – 144 milioni di anni fa. Il sauropode tipico aveva una testa piccola, un collo e una coda molto lunghi, un grande corpo arrotondato e quattro zampe massicce, simili a quelle di un elefante, ma molto più grandi. Tra i sauropodi troviamo dinosauri molto noti: il Mamenchisaurus, il Cetiosaurus, il Diplodocus, il Brachiosaurus e l’Apatosaurus.
BRONTOSAURUS
Alcuni fossili di dinosauri noti come Brontosaurus furono in seguito riconosciuti come identici ai fossili di APATOSAURUS. Poichè l’Apatosaurus era stato battezzato per primo, questo fu il nome prescelto: ufficialmente non ci sono più dinosauri chiamati Brontosaurus. L’APATOSAURUS, dunque, ci è noto grazie al ritrovamento di circa 12 scheletri: praticamente abbiamo a disposizione tutte le ossa del suo corpo. Diversi scienziati hanno tentato di “rimpolpare” lo scheletro di un Apatosaurus: le stime sul suo peso oscillano tra le 20 e le 50 tonnellate; la sua lunghezza è invece conosciuta con precisione: 23 metri. Si pensa che l’Apatosaurus, nonostante la mole massiccia, potesse trottare con sorprendente velocità, grazie alle zampe relativamente lunghe.
ANCHILOSAURIDI
Gli Anchilosauridi erano protetti da una corazza di placche ossee. A differenza dei NODOSAURIDI, anch’essi corazzati, gli Anchilosauridi avevano una mazza ossea all’estremità della coda, che usavano come martello o come clava.
EUOPLOCEPHALUS
L’ EUOPLOCEPHALUS (“testa ben corazzata”) è uno degli Anchilosauridi di cui sappiamo di più, grazie al ritrovamento dei resti di circa 40 esemplari. Aveva il capo e il corpo protetti da scaglie ossee; perfino le palpebre erano ossee. Era un robusto dinosauro lungo 7 metri e pesante almeno 2 tonnellate. Visse in Canada e negli USA circa 75 – 70 milioni di anni fa. Gli esemplari trovati erano isolati: possiamo dedurne che non viveva in branco. Nonostante la corazza, questi dinosauri avevano il ventre molle e vulnerabile, e probabilmente erano costretti a camminare quasi raso terra. Avevano denti piccoli e deboli: probabilmente si nutrivano di felci (morbide e basse) e di equiseti. La mazza ossea posta all’estremità della coda era costituita da varie placche ossee fuse tra loro e poteva essere usata con forza tremenda contro un assalitore.
ANKYLOSAURUS
La mazza caudale dell’Ankylosaurus aveva il raggio di un metro e poteva infliggere colpi tremendi a un predatore impreparato. Inoltre, la testa e il dorso erano protetti da punte e pesanti placche ossee.
CERATOPSIDI
Ceratopside significa “faccia cornuta”, per i vari corni presenti sul muso e sulla fronte di questi dinosauri. I Ceratopsidi erano grandi dinosauri erbivori, apparsi meno di 90 milioni di anni fa. La maggior parte dei fossili di ceratopsidi proviene dal Nordamerica. Si tratta di un gruppo di dinosauri caratterizzati da un vistoso collare, da un muso cornuto e dal becco simile a quello di un pappagallo. Le loro mascelle erano fortissime e consentivano di masticare le piante più coriacee. Probabilmente si spostavano in branchi. In Canada si sono trovati più di 300 scheletri in un unico giacimento. Tra i ceratopsidi più noti troviamo il TRICERATOPS, lo STYRACOSAURUS e il CHASMOSAURUS
TRICERATOPS
I resti fossili del TRICERATOPS sono relativamente abbondanti, e perciò questo è uno dei dinosauri su cui sappiamo di più. Nel Nordamerica sono stati rinvenuti i resti fossili di una cinquantina di Triceratops, ma non si è mai trovato uno scheletro completo. Il Triceratops fu il più grande tra i dinosauri cornuti (Ceratopsidi). Era lungo circa 9 metri e pesava 5 o 6 tonnellate: quanto un grande elefante di oggi. Visse alla fine dell’era dei dinosauri, circa 67 – 65 milioni di anni fa. Il Triceratops aveva un corno frontale e due grandi corni orbitali, e un collo tozzo protetto da un collare osseo simile a uno scudo ricurvo. Il collare osseo serviva anche da ancoraggio per i suoi potenti muscoli masticatori, oltre a proteggere nei confronti dei predatori. E’ possibile che il collare fosse vivacemente colorato: i colori avevano lo scopo di impressionare i rivali e i nemici. Il muso del Triceratops terminava con una specie di becco senza denti, ma le mascelle possedevano robusti denti per la masticazione. I Triceratops si muovevano in branchi per proteggersi dai predatori. Furono tra gli ultimi dinosauri, alla fine del periodo Cretaceo.
STYRACOSAURUS
CHASMOSAURUS
MAMEMCHILOSAURUS
Il Mamemchilosaurus era un colossale dinosauro erbivoro. Il suo peso è stimato attorno alle 20 – 35 tonnellate. Visse nel tardo Giurassico, tra i 140 e i 160 milioni di anni fa. Il lunghissimo collo del Mamemchilosaurus rappresentava oltre la metà della sua lunghezza totale, e contava fino a 19 vertebre: più di ogni altro dinosauro. Erano ossa cave, per ridurre il peso del collo. I muscoli e i legamenti fra ogni paio di vertebre devono essere stati incredibilmente robusti perchè il collo non trovava un adeguato contrappeso nella coda, e tali da consentire al dinosauro di alzare ed abbassare il capo con disinvoltura. I fossili di Mamenchilosaurus sono state trovate in Cina, e il suo nome deriva dal luogo in cui sono stati scoperti: il torrente Mamen. Il lungo collo può essere servito per raggiungere le foglie alte degli alberi o anche, ma è meno verosimile, per raggiungere il cibo sul fondo degli stagni e delle paludi.
HETERODONTOSAURUS
L’Heterodontosaurus era un dinosauro molto piccolo: lungo 1,2 metri, arrivava all’altezza delle nostre ginocchia, ed era grande quanto un grosso cane. Visse tra i 205 e i 195 milioni di anni fa, all’inizio del periodo Giurassico. I suoi fossili sono stati trovati nello Stato di Lesotho e in Sudafrica. Si nutriva di piante basse, come le felci. Heterodontosaurus significa “rettile con diversi tipi di denti”, perchè mentre la maggior parte dei dinosauri aveva denti tutti dello stesso tipo, questo animale aveva tre tipi di denti diversi.
STEGOSAURIDI
Gli Stegosauridi erano un gruppo di dinosauri erbivori vissuti nel tardo periodo Giurassico, 160 – 140 milioni di anni fa. Il nome Stegosauridi deriva dal più noto membro del gruppo: lo Stegosaurus. Sono comunemente noti come “dinosauri a placche”, per le grandi placche o scudi ossei che ne proteggono il dorso. Gli stegosauridi sono comparsi originariamente in Asia, diffondendosi poi in Africa e Nordamerica. La maggior parte degli stegosauridi era priva di denti anteriori, ma aveva becchi ossei che permettevano di strappare le foglie dagli alberi e avevano file di piccoli denti all’interno della bocca, che consentivano loro di masticare.
KENTROSAURUS
Lo stegosauride Kentrosaurus visse nell’Africa orientale circa 155 – 150 milioni di anni fa, era lungo circa 5 metri e si pensa che pesasse una tonnellata. Kentrosaurus significa “rettile spinuto”. Questo dinosauro aveva un apparato difensivo davvero notevole: un insieme di placche e punte lungo il dorso e lungo la coda. Il cosiddetto “secondo cervello” collocato in una cavità all’altezza dei fianchi si è rivelato essere una massa di nervi destinati al controllo dei movimenti della coda e delle zampe posteriori.
STEGOSAURUS
Lo stegosaurus fu il più grande degli stegosauridi: lungo in tutto 8 o 9 metri, pesava più di due tonnellate.I fossili di stegosaurus sono stati trovati per lo più negli Stati Uniti. Visse alla fine del periodo Giurassico, circa 150 milioni di anni fa. Si pensa che lo Stegosaurus sia stato il dinosauro con il cervello più piccolo in relazione alla massa corporea. Eppure gli Stegosauri sono sopravvissuti per oltre 50 milioni di anni. Erano erbivori lenti e pacifici, e perciò non avevano bisogno del cervello necessario ai predatori veloci. Il nome Stegosaurus significa “rettile dal tetto”, e deriva dalla convinzione dei primi scopritori che le grandi placche ossee, lunghe 80 cm, fossero disposte di piatto sul dorso, come tegole su un tetto. Oggi si pensa invece che le placche fossero disposte verticalmente su due lunghe file. E’ possibile che queste placche avessero una funzione di controllo termico: disponendo al sole le placche irrorate di sangue, il rettile poteva scaldare rapidamente il proprio corpo. E’ anche possibile che le placche dorsali fossero vivacemente colorate allo scopo di intimorire gli avversari. In ogni caso, le placche erano troppo sottili per servire come protezioni effettive. Le zampe anteriori relativamente corte indicano che lo Stegosaurus si cibava di piante del suolo. Il becco era senza denti e la masticazione avveniva grazie ai denti posti più indietro, all’interno delle guance. La coda dello Stegosaurus era armata con quattro grandi aculei: usando la coda come una frusta, il dinosauro poteva difendersi dai nemici.
HYPSILOPHODON
Il piccolo erbivoro Hypsilophodon era un dinosauro bipede, che camminava e correva reggendosi sulle zampe posteriori.
ADROSAURIDI
Gli Adrosauridi sono comunemente chiamati BECCHI D’ANATRA. Erano degli erbivori che camminavano prevalentemente sulle robuste zampe posteriori. Sono stati una delle ultime famiglie di dinosauri comparse sulla Terra, meno di 100 milioni di anni fa. Gran parte di questi dinosauri aveva un muso appiattito fino a formare una specie di becco senza denti, simile al becco di un’anatra; denti numerosi, disposti in file serrate, si trovavano invece nella parte posteriore della bocca, per masticare i vegetali più coriacei. Alcuni Adrosauridi avevano sul capo creste ossee dalle forme variegate.
PARASAUROLOPHUS
Il Parasaurolophus usava forse le cavità interne della sua lunga cresta per amplificare i suoni. Si trattava di cavità tubolari che andavano dal naso fino all’estremità della cresta. I suoni così ottenuti potevano servire per avvertire della propria presenza o come segnali di allarme. La cresta del Parasaurolophus, nel caso di individui adulti e probabilmente maschi, poteva raggiungere la lunghezza di 1 metro e 80 centimetri.
ho realizzato un libro artigianale sull’arte preistorica:
che si compone di due parti: la stella che mostra una galleria di pitture rupestri, ed un libretto inserito nella tasca realizzata all’interno della copertina, che contiene un estratto di un bellissimo racconto di Fabrizio Silei, “Solo una macchia” pubblicato all’interno della rivista di Artebambini Dada, anno VI n°24 (se non la conoscete, la consiglio di cuore 🙂 ), e appunti di storia dell’arte sull’arte preistorica.
Per realizzarlo ho utilizzato, come spiegato nel tutorial del libretto a stella, 18 strisce di carta suddivise a 6 a 6 in tre lunghezze diverse:
– strisce lunghe: cartoncino beige
– strisce medie: carta “artigianale” (Ikea)
– strisce corte: della carta “sperimentale” fatta in casa, dall’aspetto molto “roccioso” che si è rivelata l’ideale per riprodurre l’arte preistorica.
Per la “carta roccia” in particolare ho fatto macerare:
cartoni delle uova, come ingrediente principale
altra carta di scarto (carta di stampante, sacchetti del pane e altra carta da pacco marrone),
altro materiale di scarto: fiocchi di riso, bucce di melanzana e cipolla (non bolliti), fili vari, cocco tritato, spezie varie per colorare, peperoncini secchi, semi (per rendere la superficie più ruvida)
legante: farina di riso e di mais e aceto bianco (in alternativa potete usare colla vinilica o colla in polvere per carta da parati).
Preparata la pasta di carta con i vostri ingredienti preferiti, diluite nella vaschetta in proporzione 1 parte di pasta per 3 parti di acqua, per ottenere fogli di un certo spessore (per la carta normale si diluisce di solito in un rapporto 1 a 4)
Cueva de las manos (grotta delle mani), 9.330 anni aC, Valle del rio Pinturas, Patagonia, Argentina. Queste pitture rupestri mostrano delle mani rosse, gialle, nere e bianche, negative e positive, realizzate con la tecnica della mascherina mediante aspersione di coloranti naturali.
Per realizzare sul mio libretto questo genere di “pittura rupestre” ho preparato delle mascherine positivo e negativo, e ho colorato spruzzando colore e utilizzando tamponcini di cotone, pennellini, lo spazzolino da denti…
Prima pagina:
Lascaux – scena di caccia – riproduzione di Asok Mukhopadhyay
This is a derivative image of the stag hunting has been found in Lascaux Cave 15,000-13,000 B.C.
Per questa e le altre “pitture rupestri” ho stampato l’immagine, ho ritagliato approssimativamente i contorni ed ho incollato l’immagine alla mia carta-sasso.
Poi ho bagnato il foglio e pressato in modo tale che la carta fatta a mano ha inglobato la carta stampata, ho ripassato la figura a penna, e seguito la colorazione dell’originale con acquarelli, carboncino, pastelli e gessetti.
(pagina a destra) Figure antropomorfe stilizzate in gruppi che evocano miti o cerimonie. Sembra una lunga processione di figure tutte senza faccia, con maschere o capigliature che nascondono la fisionomia. Tanzania, presso Kondoa. Fonte: Rivista Dada – Artebambini anno VI n°24
e questa è la “stella” montata, prima delle rifiniture:
Con uno scarto di lino marrone ho preparato un rinforzo per il dorso del libretto, l’ho incollato e sfilacciato con l’aiuto di un taglierino:
Per la copertina ho preparato ed applicato una tasca, che dovrà contenere il libretto di storia dell’arte:
Ho fissato un cordoncino sulla tasca, e rivestito la parte anteriore del libretto così:
Ho applicato un cordoncino anche sul retro (senza aggiungere tasche) e l’ho rivestito:
Ho messo ad asciugare il mio libretto con delle mollette da bucato a tenere la rilegatura, e dei sassi:
Per il libricino di storia dell’arte ho piegato a metà dei foglietti A3 e li ho rilegati (presto qualche tutorial sulle tecniche di rilegatura a mano)…
Questo è il contenuto della parte più “nozionistica” del libretto:
La Preistoria viene suddivisa in periodi, individuati in base alla conquista di nuove abilità nella lavorazione delle materie prime e ai conseguenti mutamenti economici e sociali. Il passaggio da uno stadio all’altro non è avvenuto ovunque nello stesso periodo; le tappe qui riportate appartengono all’evoluzione culturale europea.
650.000 – 10.000 aC: Paleolitico. L’uomo è nomade e cacciatore. Vive in caverne e si serve della pietra, scheggiandola per ricavare rudimentali strumenti per la caccia e la difesa. Solo intorno al 35.000 aC, con l’HOMO SAPIENS, la specie umana raggiunge capacità artigianali e tecniche tali da far parlare di espressioni artistiche. Nell’arte pittorica del paleolitico prevalgono figure di grandi dimensioni dipinte nella gamma delle ocre e dei bruni, con il nero. I fini magici e rituali portano alla creazione di immagini realistiche e ricche di azione. I cavalli, i bisonti, i mammut rappresentati diventavano un modo per appropriarsi in maniera magica di animali che erano essenziali per la sopravvivenza. Si praticano pitture rupestri e graffiti. Per ottenere i colori si impastavano terre e pietre polverizzate con acqua o con grasso animale. Il nero del carbone era impiegato come gli attuali carboncini. Le terre davano l’ocra, l’ematite per il rosso, la limonite per il giallo, il caolino per il bianco. Ossa svuotate servivano come recipienti, e i colori venivano applicati direttamente con le dita, o utilizzando pelli animali erano spruzzati con la bocca sulle pareti delle rocce. I colori venivano inoltre applicati con tamponi di materiale vegetale, ciuffi di peli o bastoncini pestati che fungevano da pennelli. L’autore si sforza di dare realismo alle immagini: nelle scene di caccia dipinge gli animali di grandi proporzioni e in alcuni casi addirittura sfrutta la sporgenza delle rocce per rafforzarne il volume. In tutto il Paleolitico la figura umana è poco rappresentata. Fanno eccezione le cosiddette veneri, scolpite in pietra, in osso o in avorio e rappresentanti figure femminili. In queste statuette, che possono essere alte da due o tre, fino a quindici centimetri, le forme femminili sono molto accentuate.
10.000 – 6.000 aC: Mesolitico. L’uomo impara ad addomesticare gli animali e abbandona le caverne.
6.000 – 3.000 Ac: Neolitico. L’uomo impara a levigare la pietra in modo più raffinato, produce ciotole e vasi in ceramica, si dedica alla tessitura. Ormai vive in insediamenti stanziali e si dedica all’allevamento e all’agricoltura. Nell’arte pittorica del Neolitico prevalgono figure schematizzate, segni geometrici ed astratti. Si descrivono elementi della quotidianità: persone, animali, ruote, utensili. Si utilizzano segni convenzionali, simbolici. L’uomo osserva a lungo l’ambiente e impara a conoscerlo meglio. Le cose rappresentate assumono così contorni più definiti. Il bisonte ora vive accanto all’uomo, nel recinto. Rappresentarlo può essere un gesto pensato e voluto. In alcuni casi è raffigurato con pochi tratti riconoscibili: bastano le corna, le zampe, una linea per il corpo. I segni geometrici e quasi astratti che compaiono nell’arte del neolitico evidenziano ciò che gli animali hanno in comune. Lo stesso vale per raffigurare gli elementi naturali, ad esempio il sole, o l’uomo e i suoi oggetti: armi, ruote, carri, l’aratro. Le immagini ora servono per documentare un avvenimento, per trasmettere informazioni. I disegni schematici formano un codice espressivo e anticipano, quasi, la prima forma di scrittura. L’arte neolitica ci ha lasciato svariati documenti graffiti. Ricordiamo quelli dei Camuni della Valcamonica, presso Brescia, o gli splendidi esempi realizzati dalle popolazioni sahariane. Questa tecnica consiste semplicemente nel graffiare ripetutamente la roccia con una pietra dura e appuntita. Il segno poteva essere poi colorato in varie sfumature con terre. L’arte delle incisioni è spesso legata all’attività religiosa. Forse si trasmetteva di sacerdote in sacerdote, o da maestro in allievo.
3.000 – 1.800 aC: Eneolitico. L’uomo utilizza il bronzo, e costruisce grandi edifici in pietra : i megaliti. Tra i megaliti ricordiamo il menhir (dal bretone men “pietra”, e hir “lunga”), costituito da una possente pietra conficcata nel terreno (alcuni sfiorano i 20 metri di altezza) e il dolmen (dal bretone doul “tavola” e men “pietra”) che caratterizza luoghi sacri o sepolcri collettivi. In questo caso è formato da più blocchi portanti, e talvolta presenta un corridoio di accesso. L’insieme è interamente ricoperto di terra. Si compone di due o più pietre verticali conficcate nel terreno, cui è sovrapposta una lastra orizzontale. Questo sistema costruttivo è il primo utilizzato dall’uomo e prende il nome di trilitico perché composto da tre pietre: due verticali (piedritti) che sostengono una terza orizzontale, l’architrave. Applicazione monumentale del sistema trilitico è il cromlech (dal bretone crom “rotondo” e lech “pietra”). Si tratta di una serie di dolmen disposti in modo da formare figure circolari concentriche. Il cromlech più noto è quello di Stonehenge, in Gran Bretagna, costruito tra il 2.500 e il 1.500 aC.
(fonti: Storia delle arti visuali, Gillo Dorfles, Cristina Dalla Costa, Marcello Ragazzi – Atlas; Rivista Artebambini Dada, anno IV n°24)
Questo è il libretto chiuso; fronte: retro:
E questo è il libretto aperto, con il suo libricino inserito nella tasca anteriore:
E questa è la galleria aperta:
Prehistoric art star book tutorial. Following the model of the star book (you can find the tutorial here), I made a handmade book on prehistoric art:
which it consists of two parts: the star that shows a gallery of rock paintings, and a booklet inserted into the pocket made inside the cover, which contains an extract of a beautiful story of Fabrizio Silei, “Only a stain”, and notes of art history.
To make it I used, as explained in the tutorial of the book Star 18 strips of paper divided in 6 to 6 in three different lengths:
– Long strips: beige cardboard – Strips medium: “craft” paper – Short strips: “experimental” paper, homemade, looking very “rocky” which proved ideal to Reproduce the prehistoric art.
For “rock paper” in particular I macerated:
egg cartons, as the main ingredient
other scrap paper (printer paper, bread bags and other wrapping paper brown)
other waste materials: rice flakes, peels of eggplant and onions (not boiled), various threads, shredded coconut, spices to color, dried chillies, seeds (to make the surface rougher)
Binder: rice flour and corn and white vinegar (or you can use glue or adhesive powder for wallpaper).
Prepared paper pulp with your favorite ingredients, diluted in the pan in proportion 1 part of dough to 3 parts water, to obtain sheets of a certain thickness (for normal paper, it dilutes usually in a ratio of 1 to 4)
Cueva de las Manos (Cave of the Hands), 9330 years BC, the Valley of the Rio Pinturas, Patagonia, Argentina. These cave paintings show many hands red, yellow, black and white, negative and positive, made with the technique of the mask by sprinkling of natural dyes.
To achieve on my book this kind of “cave painting” I prepared masks positive and negative, and I colored spraying color and using cotton swabs, brushes, toothbrush…
First page:
Lascaux – scena di caccia – riproduzione di Asok Mukhopadhyay
This is a derivative image of the stag hunting has been found in Lascaux Cave 15,000-13,000 B.C.
For this and other “cave paintings” I printed the image, I cut approximately the contours and pasted the image to my paper-rock.
Then I wet the paper and pressed so that the handmade paper has incorporated the press, I rehearsed the figure in pen, and followed the original coloring with watercolors, charcoal, pastels and crayons.
(page right) stylized anthropomorphic figures in groups that evoke myths or ceremonies. It seems a long procession of figures all faceless, with masks that hide the appearance or hairstyles. Tanzania, from Kondoa. Source: Journal Dada – Artebambini year VI No. 24
Creazionismo ed Evoluzionismo: cosa rispondere ai creazionisti (adulti) e come educare alla scienza i vostri bambini
“Infine, avrei una domanda per Enza riguardo la datazione. Una persona che conosco inorridisce o sorride ironica quando si parla di ‘x milioni di anni fa’ sostenendo che la datazione ufficiale è completamente sbagliata (tesi secondo lei sostenuta da molti studiosi). Inoltre, essendo lei ‘creazionista’ per religione non può ammettere che la terra sia così vecchia: la Bibbia parla di molti meno anni!!!!!
Ecco, io non ho dubbi in merito, però mi piacerebbe chiedere a Enza cosa ne pensa e cosa risponderebbe a queste affermazioni, soprattutto alla questione della datazione.” (qui)
[Cari tutti, confesso che è da un po’ che sto rimuginando su questo post, perché’ l’argomento mi sta particolarmente a cuore e credo che sia anche un po’ mio “dovere” di divulgatrice e scienziata, dire la mia e farlo in modo semplice e chiaro.
La domanda di Vanna ha risvegliato i miei istinti bellicosi, e quindi eccomi qua.
Cari genitori,
se avete un credo religioso forte e pensate che questo credo vada di là di qualunque dimostrazione, di qualunque evidenza, di qualunque ragionamento, perché la FEDE è la risposta a tutte le vostre domande, allora potete smettere subito di leggere. Però poi, una volta smesso, dovreste anche spegnere il computer, e magari aprire la porta e regalarlo alla prima persona che passa. Fatto questo potete passare a sbarazzarvi di tutti gli elettrodomestici, dell’auto, e svuotare il vostro armadietto dei medicinali. Fatto?
Credo che anche una bella ripulita dell’armadio, per eliminare tutti questi fastidiosi abiti fatti con telai a macchina ci starebbe bene. Conto su di voi per esaminare il contenuto del frigo, rimuovere tutta la plastica che avete in casa…ah e controllate i mobili. Probabile che ve ne siano di fabbricati con legni esotici, che non sarebbero potuti arrivare fino a voi senza un trasporto su ruota o (orrore!) aereo.
Fatto questo, avrete tutta la mia stima di persone coerenti…e se volete qualche indicazione sui comportamenti dei pastori dell’Età del Bronzo (che hanno ricevuto la rivelazione), su come costruirvi una capanna, allevare il bestiame, tessere e filare, io e qualche altro collega benintenzionato siamo a vostra disposizione!
Voi che avete continuato a leggere avete probabilmente la curiosità di guardarvi intorno e, soprattutto se siete genitori, il compito di rispondere alle domande dei vostri figli. Non è sempre facile, ed è qui che intervengo io, almeno per quello che conosco un pochino.
E parliamo della Scienza. Con la maiuscola. Siccome oggi mi sento pedante, vi propongo un paio di definizioni dal dizionario Treccani (http://www.treccani.it/vocabolario/scienza/)
2 Sapere, dottrina, insieme di conoscenze ordinate e coerenti, organizzate logicamente a partire da principî fissati univocamente e ottenute con metodologie rigorose, secondo criterî proprî delle diverse epoche storiche.
3. Al sing., la totalità delle varie scienze, il sapere scientifico, l’insieme delle cognizioni acquisite attraverso la ricerca scientifica; in partic., la sc. moderna, l’insieme delle conoscenze quale si è configurato nella sua struttura gerarchica, nelle sue partizioni disciplinari, nei suoi aspetti organizzativi e istituzionali, a partire dalla rivoluzione scientifica del Seicento: concepita inizialmente (per es. con Galileo) come concezione del sapere alternativa alle dottrine tradizionali, in quanto sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e criticabili pubblicamente (e quindi libera da ogni principio di autorità), si è andata via via affermando sia dal punto di vista sociale e istituzionale, sia dal punto di vista metodologico e culturale, finendo per divenire uno degli aspetti sociali che meglio caratterizzano, anche per le sue innumerevoli applicazioni tecniche, il mondo contemporaneo e i valori culturali che esso esprime.
Ecco qua, tiro un sospiro di sollievo! Era cosi facile!
“Insieme di conoscenze ordinate e coerenti”! “Ottenute con metodologie rigorose”! “L’insieme delle conoscenze acquisite dal Seicento”!
Non so a voi, ma a me PIACE la scienza. Mi piace sapere che migliaia, milioni di persone si sono fatti delle domande e per trovare le risposte hanno lavorato duro, hanno fatto esperimenti, hanno discusso per giorni e notti. Mi piace sapere che il mio punto di partenza è il punto di arrivo di qualcun altro, e cosi via, in una catena che va indietro, fino alle profondità del tempo.
La scienza parte dall’osservazione di quello che ci circonda. Ditelo ai vostri bambini! Imparare ad osservare il mondo è uno dei migliori regali che possiamo far loro.
E’ attraverso questa osservazione, ed il tentativo di spiegare le cose, che la nostra specie è arrivata fin qui. E’ attraverso attività apparentemente insensate, tentativi a vuoto, esempi vani.
E quindi, a chi vi chiede perché credere all’evoluzionismo, cari miei, volendo potete rispondere semplicemente “Perché è scienza”. Perché, allo stato attuale delle nostre conoscenze (accumulate da centinaia di anni), è l’UNICA spiegazione “ordinata, coerente, ed organizzata logicamente”, del mondo naturale.
Essendo scienza, non è una risposta DEFINITIVA perché’ la scienza non è mai definitiva (per questo non è una religione!). Non è un credo. Non è una presa di posizione. E’ la constatazione di un dato di fatto, è la ricerca della spiegazione migliore, oggi e qui. Ah, la scienza ha uno standard. Non ci si inventa scienziati. Gli scienziati fanno parte di una comunità scientifica che può approvare i loro lavori oppure no. Gli scienziati hanno bisogno di convincere la loro comunità della giustezza delle loro osservazioni. Convincerli con le prove, cari miei. Non basta formulare illazioni, non basta appellarsi al buon senso, non basta giurare di aver parlato con entità superiori.
Il neo-darwinismo è la migliore spiegazione qui ed ora, di fenomeni osservati da scienze indipendenti come la biologia, la genetica, la geologia, la paleontologia eccetera. Dal 1859, anno di pubblicazione dell’Origine delle Specie, molte nuove discipline si sono affacciate nel panorama scientifico e tutte hanno apportato nuove evidenze alla teoria dell’evoluzione.
Quindi, per quanto riguarda gli adulti che mettono in dubbio l’Evoluzionismo, io li liquiderei usando la parola magica (scienza!). Ma per i bambini, armiamoci di pazienza e snoccioliamo qualche fatto.
In campo paleontologico, le evidenze che provano la teoria dell’evoluzione sono:
1) la documentazione fossile
2) la sequenza dei fossili negli strati
3) la relazione tra specie estinte e specie attuali
4) la presenza di forme di transizione.
Riassumendo, esistono un certo numero di specie fossili che sono ordinate cronologicamente e stratigraficamente, ed è possibile stabilire i legami di queste specie con le specie attuali.
E’ possibile inoltre legare le specie viventi con determinati ecosistemi, e comprendere i meccanismi della selezione naturale attraverso l’osservazione del comportamento degli animali in Natura. La selezione naturale opera infatti anche adesso, nuove specie nascono ed altre si estinguono.
Inoltre, è possibile ricostruire il percorso evolutivo delle specie attraverso l’universalità del codice genetico, evidenza della loro discendenza comune.
Ed ecco qui un breve prontuario con risposte possibili per pargoli curiosi.
Chi era Darwin? Darwin era un naturalista, e un viaggiatore. Le sue osservazioni lo hanno portato alla pubblicazione del libro “L’Origine delle Specie” nel 1859.
Perché’ è importante?Wow, questo meriterebbe un altro post! Diciamo che la teoria di Darwin ha rivoluzionato il nostro modo di vedere il mondo e la natura, unendo informazioni provenienti da diverse aree ed offrendoci una nuova chiave di lettura del mondo.
Che cos’è l’evoluzionismo? L’evoluzionismo è la teoria scientifica che spiega i cambiamenti delle specie attraverso il tempo.
L’evoluzionismo è “provato scientificamente”? Si. Attualmente tutte le scienze della vita confermano la teoria neo-evoluzionista.
Come funziona la selezione naturale? Lo dice la parola stessa. E’ la Natura (con la maiuscola! yuhu!) che seleziona….i più adatti alla sopravvivenza in un determinato ambiente e tempo.
Cosa si vince? Si vincono la sopravvivenza 1) individuale 2) della propria discendenza (figli, nipoti, eccetera) 3) della propria specie.
E se si perde? Allora si muore senza lasciare una discendenza (figli), mettendo a rischio la sopravvivenza della specie. Stephen J. Gould, il padre del Neodarwinismo, diceva che la sopravvivenza è l’eccezione, non la regola!
La Selezione Naturale esiste anche adesso? Si, esiste anche in questo momento, tutto il nostro pianeta è soggetto a questo principio, tutto quello che vedi, tutti gli animali che ti vengono in mente, e anche tu. Si proprio tu!
Come fa la Natura a selezionare i più adatti? La Natura seleziona concedendo una lunga vita, in cui si hanno (molte) occasioni di lasciare una (abbondante) discendenza. Attraverso questo tesoro di geni, lasciato ai nostri figli, noi contribuiamo alla conservazione della nostra specie.
A proposito, noi che specie siamo?Homo sapiens.
Come funziona l’evoluzione delle specie? Tramite l’effetto combinato della selezione naturale e di un processo chiamato speciazione. Cioè la nascita di nuove specie. Alcune specie si estinguono, e nuove specie nascono.
Come nascono nuove specie? Le nuove specie nascono attraverso una combinazione di due fattori. Il primo fattore sono i cambiamenti CASUALI che avvengono nella genetica. In questo modo, alcuni individui possiedono delle caratteristiche che li rendono diversi dai loro parenti. Queste caratteristiche possono includere il colore della pelle, la lunghezza degli arti, la forma della bocca eccetera. Il secondo fattore deriva dall’interazione tra i cambiamenti genetici e l’ambiente.
Come facciamo a sapere cose è successo nel passato? Tramite la geologia, la paleontologia e l’archeologia. La geologia studia la Terra, la Paleontologia le specie che sono vissute nel passato attraverso i fossili e la loro posizione stratigrafica, l’archeologia si occupa delle culture del passato (quindi l’azione dell’uomo!).
Come datiamo il passato? Possiamo dire all’amica di Vanna che conosciamo l’età della Terra attraverso due tipi di datazioni, quelle relative e quelle assolute. Le datazioni relative si basano sui principi di stratigrafia, già stabiliti nel 1600. Possediamo poi un potente strumento scientifico che si chiama datazione radiometrica. Andate pure a fare un giro su Wikipedia per saperne di più.
Quando è stata scritta la Bibbia? La Bibbia è una riscrittura tarda di avvenimenti avvenuti alla fine dell’Età del Bronzo (XIV-XIII sec.) in Palestina e tramandati attraverso la tradizione orale. Nel libro di Mario Liverani “Oltre la Bibbia” la storia di questo periodo viene ricostruita sulla base delle fonti storiche, archeologiche ed epigrafiche.
Ai tempi in cui è stata scritta la Bibbia esistevano la geologia, la paleontologia e l’archeologia? No.
Vi consiglio caldamente la frequentazione di:
PIKAIA il portale italiano dell’evoluzione,
La teoria dell’evoluzione -“corso online”
La teoria dell’evoluzione schede e giochi didattici;
MINIDARWIN l’evoluzione raccontata ai bambini
MINIDARWIN giochi…
A presto!
Enza Spinapolice
Enza Spinapolice e’ un’archeologa del Paleolitico e lavora all’Istituto di Antropologia Evoluzionista Max Planck, di Leipzig. Ha studiato Preistoria a Roma, poi ha conseguito un dottorato Europeo tra Roma e Bordeaux, e da tre anni fa ricerca in Germania. Si interessa in particolare all’origine biologica e culturale della nostra specie, all’estinzione dei neandertaliani ed alle società di cacciatori raccoglitori passate e presenti. Oltre a girare il mondo e studiare il passato, Enza ha una famiglia multiculturale, ed un bimbo di due anni e mezzo, a cui spera di insegnare molto presto la preistoria.
La ceramica è stata inventata circa 10.000 anni fa, nell’epoca Neolitica, e da allora noi uomini non abbiamo mai smesso di usarla! Per questo motivo, questo materiale è uno dei più diffusi negli scavi archeologici, molto spesso sotto forma di frammenti.
Ed eccomi qua, a riprendere l’idea del restauro della tazza della nonna.
Il laboratorio diventa ancora più interessante per i bambini se prepariamo per loro due o più tazze della nonna rotte, i cui frammenti sono mischiati. Supponiamo di averle messe entrambe nella nostra vaschetta sensoriale preistorica,
di averle scavate e numerate, di averle classificate con l’etichetta “ceramica” e messe nei nostri sacchettini da frigo.
Nel nostro esempio abbiamo due tazze di ceramica ed un vaso in terracotta:
Nel caso in cui si avesse solo una tazza da restaurare, si può saltare la fase di divisione dei materiali (vedi più sotto) ed andare direttamente oltre. Un’alternativa è quella di mischiare alla tazza “intera” altri frammenti di ceramica che non sono attinenti, scegliendoli perché hanno colori diversi, o si distinguono in qualche modo dall’altro materiale.
Se non si è fatto lo scavo della vaschetta, si può comunque preparare il tutto rompendo una o due tazze che non ci servono più (è per una buona causa!), scegliendone due abbastanza diverse tra loro. Si imbustano poi i pezzi uno per uno in sacchetti da frigo, e si numerano in ordine progressivo (mischiando le tazze!) con l’etichetta “ceramica 1, 2, 3” eccetera, come abbiamo spiegato qui.
Ricordate che se rompete appositamente delle tazze per questa attività, i bordi possono essere taglienti (mentre è molto raramente cosi nei siti archeologici), quindi sorvegliare il lavoro da vicino. Un’alternativa può essere quella di limare i bordi prima di rendere i frammenti di tazza accessibili ai bambini.
Ed ora si procede con il lavoro sul materiale.
Per prima cosa si tolgono tutti i pezzi di ceramica dalle rispettive bustine, riponendoli sulla bustina stessa…ricordiamoci che sulla busta è indicato il numero che classifica ciascun pezzo!
Fase 1 – lavaggio
Servono una semplice bacinella da bucato ed uno spazzolino da denti.
Si prende ciascun pezzo di ceramica,
lo si immerge nell’acqua
e lo si strofina delicatamente con lo spazzolino.
Lo scopo è di eliminare tutti i residui di terra dello scavo.
Dopo aver lavato ogni pezzo lo si ripone accuratamente sulla sua bustina e si aspetta che tutti i frammenti siano ben asciutti.
Fase 2 – siglatura
La siglatura consiste nello scrivere su ogni pezzo di ceramica il numero che lo identifica, in modo da poter poi eliminare le bustine.
Si scrive direttamente sul pezzo con un pennarello indelebile (noi di solito usiamo i lumocolor) oppure con pennino ed inchiostro.
Ovviamente con i bambini più piccoli si può saltare questa fase, oppure disegnare sui pezzi dei piccoli simboli, come fiori, cuori, sfere o triangoli.
Fase 3 – riordino
Una volta finita la siglatura, si possono eliminare le bustine.
A questo punto, allineando tutti i frammenti, dobbiamo cercare di capire quali appartengono potenzialmente allo stesso vaso. Aiuteremo i bambini a dividerli per colore, consistenza, decorazioni, eccetera.
Immaginiamo di avere, alla fine del lavoro, due o tre mucchietti di ceramiche diverse sul nostro piano da lavoro.
Fase 4 – ricomposizione del vaso
E’ arrivato il momento di cominciare la ricomposizione del vaso!
Si sceglie un mucchietto (il più promettente!) e si allineano tutti i pezzi sul tavolo. Si comincia a questo punto a cercare di ricostruire la tazza, come se fosse un puzzle. Noi archeologi chiamiamo questa fase “trovare gli attacchi”.
Il modo ideale per procedere a questa operazione è di farlo in una bacinella larga e dai bordi bassi riempita di sabbia. A mano a mano che troviamo un attacco, oppure l’orientamento di un pezzo, lo “piantiamo” nella sabbia per tenerlo su.
Per far tenere insieme i pezzi, si può usare uno scotch carta.
Questa è la fase centrale del lavoro, può richiedere un po’ di tempo, ma è anche la parte più creativa!
Ricordatevi che se qualche pezzo manca, si può sempre dare un’occhiata negli altri mucchietti di ceramica, quella “scartata” per vedere se abbiamo dimenticato qualche pezzo!
Fase 5 – incollaggio
Una volta finito, si può eventualmente ripassare il reperto restaurato con la colla. Ricordatevi però che i restauratori giudicano di volta in volta se sia il caso di incollare e quale colla usare!
Per questa attività vi consigliamo di usare la colla UHU, ma attenzione! Questa colla richiede una posa di contatto di circa 15 minuti, durante i quali occorre tenere premuto un coccio contro l’altro, e questo per ogni pezzo.
In alternativa esistono colle per ceramica che richiedono tempi di contatto decisamente minori, quella scelta per realizzare le immagini richiede un tempo di contatto di 10 secondi, e un tempo di asciugatura di 24 ore.
Il restauro e’ un’attività che richiede molta pazienza!
Consiglio di incollare i pezzi due a due e lasciarli asciugare (dopo aver premuto un coccio contro l’altro per i minuti richiesti dalla colla scelta), o almeno fino a quando se si lascia uno dei due pezzi questo non si stacca dall’altro, sostenuti dallo scotch di carta e magari piantati nella vaschetta di sabbia.
L’ideale sarebbe lasciarli asciugare tutta la notte, il giorno dopo rimuovere lo scotch e incollare di nuovo i pezzi così ottenuti due a due e ripetere le operazioni di asciugamento, fino a ricomporre la tazzina.
È un procedimento molto lungo che può durare anche qualche giorno, ma se non si lascia asciugare bene la colla, i pezzi si staccano o il vaso “collassa”.
Fase 6 – documentazione
Quando avete finito ed il vostro vaso è pronto, si può procedere con un bel disegno, ed una descrizione nella scheda apposita:
La scheda è disponibile gratuitamente per gli abbonati
Enza Spinapolice e’ un’archeologa del Paleolitico e lavora all’Istituto di Antropologia Evoluzionista Max Planck, di Leipzig. Ha studiato Preistoria a Roma, poi ha conseguito un dottorato Europeo tra Roma e Bordeaux, e da tre anni fa ricerca in Germania. Si interessa in particolare all’origine biologica e culturale della nostra specie, all’estinzione dei neandertaliani ed alle società di cacciatori raccoglitori passate e presenti. Oltre a girare il mondo e studiare il passato, Enza ha una famiglia multiculturale, ed un bimbo di due anni e mezzo, a cui spera di insegnare molto presto la preistoria.
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Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS (guest post). Ceramics was invented about 10,000 years ago, in the Neolithic period, and since then we humans have never stopped using it! For this reason, this material is one of the most widespread in archaeological excavations, very often in the form of fragments.
And here I am, to take up the idea of the restoration of the grandmother’s cup.
The laboratory becomes even more interesting for children if we prepare for them two or more broken cups, whose fragments are mixed. Suppose we have made both in our prehistoric sensory tub,
have them excavated and numbered, have them classified with the label “ceramic” and have them put in our plastic bags.
In our example we have two ceramic cups and a terracotta vase:
In case you had only a cup to be restored, you can skip step of the division of materials (see below) and go straight over.
An alternative is to mix the cup “entire” with other ceramic fragments that are not related, choosing them because they have different colors, or are distinguished in some way from other material.
If you have not made the excavation of the tub, you can still prepare everything by breaking one or two cups that no longer serve us (it’s for a good cause!), choosing two quite different. Then put the pieces one by one in plastic bags, and number them consecutively (mixing cups!) with the label “ceramics 1, 2, 3” and so on, as we have explained here.
Remember that if you break the cups specifically for this activity, the edges can be sharp (but is rarely so in archaeological sites), then supervise the work closely. An alternative may be to sand the edges before you make the fragments of cup accessible to children.
Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS And now we proceed with work on the material.
First remove all the pieces of ceramics from the respective bags, placing them on the bag itself … remember that on the envelope there is indicated the number that classifies each piece!
Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS Step 1 – Washing
They serve a simple bowl and a toothbrush. Take each piece,
immers it in water:
and rub it gently with a toothbrush.
The aim is to eliminate all traces of earth of the excavation.
After washing each piece, place it carefully on his bag and expects that all the pieces are completely dry.
Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS
Step 2 – labeling
The labeling consists in writing on each piece of ceramics the number that identifies it, so you can then remove the bags.
Write directly on the piece with a permanent marker (we usually use the Lumocolor) or with pen and ink.
Obviously with younger children you can skip this step, or draw on the pieces small symbols such as flowers, hearts, spheres or triangles.
Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS Step 3 – reordering
After finishing the labeling, you can eliminate bags.
At this point, aligning all the fragments, we must try to understand what potentially belong to the same vase. We will help the children to separate them by color, texture, decoration, and so on.
Imagine that you have, at the end of the work, two or three piles of different ceramics on our plan work.
Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS
Step 4 – recomposition of the vase
It ‘s time to begin the reconstruction of the vase!
Choose a pile (the most promising!) and line up all the pieces on the table. Now try to reconstruct the cup, as if it were a puzzle. We archaeologists call this stage “to find the attacks.”
The ideal way to carry out this operation is to do it in a wide and low sides basin filled with sand. As we find an attack, or the orientation of a piece,we “plant” it in the sand to keep it up.
To hold the pieces together, you can use masking tape.
This is the central phase of the work, can take a long time, but it is also the most creative!
Remember that if any piece is missing, you can always take a look in the other piles of ceramics, to see if we have forgotten a piece!
Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS
Step 5 – bonding
Once finished, you can possibly reviewing the finding restored with glue. But remember that the restorers judge from time to time whether it is appropriate and what glue to use to paste!
There are glues for ceramics which require rapid contact times, that chosen for producing the images requires a contact time of 10 seconds and a drying time of 24 hours.
The restoration is an activity that requires a lot of patience!
I recommend to glue the pieces two by two and let them dry (after pressing a piece against the other for the minutes required by the glue choice), or at least until when you leave one of the two pieces that do not come off the other , supported by the masking tape and perhaps planted in the pan of sand.
The ideal is to let them dry overnight, the next day to remove the tape and glue back the pieces obtained two by two, and repeat the operations of drying, until reassemble the cup.
It is a long process that can last a few days, but if you do not let dry the glue, the pieces come off or the vase “collapses”.
Archeology for children: RESTORATION OF CERAMICS
Step 6 – documentation
When you are done and your vessel It is ready, you can proceed with a beautiful drawing, and a description of it in the sheet:
Enza Spinapolice is an archaeologist of the Paleolithic, and works at the Institute of Evolutionist Anthropology Max Planck, Leipzig. She studied Prehistory (Rome), obtained an European PhD (Rome and Bordeaux), and in the last three years working in Germany. She is particularly interested in biological and cultural origin of our species, the extinction of the Neanderthals and the hunter-gatherer societies past and present. In addition to travel the world and study the past, Enza has a multicultural family, and a child of two and a half years, and she hopes to teach him prehistory very soon.
…un gioco grafico per eseguire le moltiplicazioni tra numeri a due o a tre cifre, noto come moltiplicazione vedica…
I bambini trovano questo gioco grafico molto interessante, e presenta notevoli vantaggi. Lo consiglio perchè:
– può essere proposto ai bambini a partire dalla seconda o terza di scuola primaria, anche se non sanno ancora moltiplicare con grandi numeri, perchè consente di esercitare l’addizione e le tabelline , e anche il contare, il tutto con la possibilità di autocontrollo dell’errore (basta confrontare il risultato con quello una calcolatrice 🙂 )
– naturalmente può essere proposto poi ai bambini e ai ragazzi della scuola secondaria, come variante del procedimento classico di moltiplicazione, o anche come “prova”
– è un esercizio che migliora le capacità di orientamento spaziale e l’ordine
– è molto gratificante anche in termini estetici
– fa sentire molto bravi in matematica, trovandosi in grado di lavorare anche con grandi numeri.
______________
Cominciamo con l’esempio più semplice, e moltiplichiamo 12 x 32 =
Per il 12 tracciamo una riga orizzontale in alto (corrispondente alla prima cifra 1)
e due righe orizzontali in basso corrispondenti alla cifra 2:
Poi tre linee verticali corrispondenti alla cifra 3 del 32:
e, più a destra, due linee verticali corrispondenti alla cifra 2 del 32:
Ora delimitiamo alcune specifiche zone del nostro bel disegno isolando due angoli, così:
e contiamo disegnando un puntino in corrispondenza dei punti di intersezione delle linee, per ognuna delle tre zone delimitate (i due angoli e la zona centrale):
Controlliamo con la calcolatrice, e sì: 12 x 32 fa proprio 384 !
Questo esempio è scelto appositamente perchè contiene solo le cifre 1 2 e 3, ma il gioco grafico funziona con qualsiasi cifra… se il conteggio dei puntini dà risultati a due cifre, però, occorre aggiungere un ulteriore passo alla procedura.
Moltiplichiamo ora 46 x 53
Per prima cosa tracciamo le linee orizzontali corrispondenti al 46, e quelle verticali corrispondenti al 53, come spiegato sopra:
Poi delimitiamo le tre aree del disegno:
e contiamo i puntini in corrispondenza di ogni punto di intersezione delle linee, divisi per area:
Abbiamo 20, 42 e 18. Come possiamo fare?
Partiamo dal 18, lasciamo l’8 al suo posto, togliamo l’1 e lo spostiamo avanti, verso il 42. 42 +1=43
Del 43 lasciamo il 3 al suo posto e spostiamo avanti il quatto, verso il 20.
20+4 = 24
e 46 x 53 = 2.438
Giochiamo ora con cifre ancora più grandi, il primo esempio è 312 x 131 =
In questi casi, dovendo moltiplicare tra loro due numeri di tre cifre, le aree vanno divise così:
Contiamo, i punti di intersezione presenti in ogni areea, e scriviamo a lato il numero corrispondente:
Come spiegato sopra le cifre che compongono il 10 vanno separate: lo 0 resta al suo posto, l’1 va ad aggiungersi al 3, che diventerà 4:
E il risultato sarà 40.872
Utilizzando cifre più alte, il bambino sarà stimolato a mettere in atto strategie diverse per contare i puntini, e senza dover dire nulla in proposito, presto deciderà da solo di utilizzare le tabelline, ad esempio così:
Per ottenere il risultato, dovrà spostare, a partire dal 18, ogni prima cifra ed aggiungerla al numero che sta davanti, così:
ottenendo il risultato corretto di 357.588
Ho usato spesso a scuola questo semplice gioco grafico per eseguire le moltiplicazioni, esercitare il calcolo orale, l’addizione e stimolare la memorizzazione delle tabelline, ma non sapevo si trattasse della “moltiplicazione vedica“, in questo video chiamata “moltiplicazione cinese“:
visitando questi link troverete informazioni storiche su questo procedimento, varie curiosità, e anche un software…
The vedic
The vedic multiplication. Children find this graphic game very interesting. It has considerable advantages. I recommend it because: – May be brought to the children in the second or third of primary school, although not yet know with multiply large numbers, because it allows you to exercise the addition and multiplication tables, and even the count, all with the possibility of self-control error (simply compare the result with a calculator 🙂 – Of course it can be proposed then the older kids, as a variant of the traditional process of multiplication, or even as “proof” – Is an exercise that improves the ability of spatial orientation and order – It is also very rewarding in terms of aesthetics – It makes you feel very good at math, being able to work well with large numbers.
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The vedic multiplication Let’s start with the simplest example, and we multiply 12 x 32 =
For 12 we draw a horizontal line at the top (corresponding to the first number 1):
and two horizontal lines at the bottom corresponding to number 2:
Then three vertical lines corresponding at the number 3 of 32:
and, more to the right, two vertical lines corresponding at the number 2 of 32:
Now we delimit some specific areas of our beautiful design by isolating two angles:
and we count plotting a point at the points of intersection of the lines, for each of the three zones demarcated (the two corners and the central area):
We check with the calculator, and yes: 12 x 32 does just 384!
This example was chosen specifically because it only contains the numbers 1, 2 and 3, but the graphic game works with any number … if the count of dots gives results in two numbers, however, we must add another step to the procedure.
The vedic multiplication
Now multiply 46 x 53
First we draw the horizontal lines corresponding to the 46, and the vertical corresponding to 53, as explained above:
Then we delimit the three areas of drawing:
and we count the dots in correspondence to each point of intersection of the lines, divided by area:
We have 20, 42 and 18. How can we do?
We start from the 18, 8 to leave the place, we remove the 1 and we move it forward, towards 42. 42 + 1 = 43
43: leave 3 in place and move forward the four, towards 20. 20 + 4 = 24
and 46 x 53 = 2,438
The vedic multiplicationThe vedic multiplication Let’s play now with even bigger numbers, the first example is 312 x 131 =
In these cases, having to multiply together two three-digit numbers, the areas should be divided so:
We count, the intersection points in each areea, and we write the number corresponding to the side:
As explained above, the numbers that make up the 10 should be separated: 0 stays in place, the 1 to be added to the 3, which will become 4:
And the result will be 40,872
Using higher figures, the child will be encouraged to implement different strategies to count the dots, and without having to say anything about it, soon will decide on its own to use multiplication tables, such as:
To get the result, you will have to move, starting from 18, each first number and add it to the number that is in front, as well:
Un gioco con le dita per esercitare il calcolo orale e le tabelline. Ho imparato questo gioco per il calcolo orale e le tabelline anni fa, durante un corso di aggiornamento che trattava dell’ “apprendere la matematica attraverso i sensi”, e vorrei proporlo e consigliarlo perchè presenta numerosi punti di forza:
– come funzioni è abbastanza inspiegabile, per cui ha qualcosa di magico
– richiede memoria e coordinazione: ad ogni dito è assegnato un numero, ma non tutte le dita sono uguali
– permette di esercitare sia le tabelline, sia l’addizione
– si può presentare come metodo “per fare veloce”, mentre in realtà si propone un esercizio abbastanza impegnativo: il bambino lo affronterà con scioltezza percependolo come “trucco più facile”.
Si può proporre a partire dalla terza classe.
Regole
Il gioco serve a moltiplicare tra loro i numeri a partire dal 6
ad ogni dito è assegnato un numero:
– i pollici sono il 6 – gli indici sono il 7 – i medi sono l’8 – gli anulari sono il 9 – i mignoli sono il 10
ogni dito, a partire da quelli che si toccano e tutti quelli sotto ad essi, valgono ognuno 10
le altre dita valgono ognuna un dito: si contano quelle di una mano e si moltiplicano per quelle dell’altra.
Esempi
In realtà è semplice, basta provare. Gli esempi spiegano meglio…
Esempio 1
vogliamo eseguire la moltiplicazione: 6×6
6 (il pollice sinistro) x 6 (il pollice destro) = le dita corrispondenti ai numeri da moltiplicare si toccano, quindi in questo caso pollice contro pollice
Quante dita avanzano? 4 dita a sinistra e 4 a destra. Quindi faremo 4×4 = 16
Quante dita si trovano a partire da quelle che si toccano o più sotto? 2 (i due pollici). Ognuna vale 10, quindi 10+10 = 20
Allora 6×6= (10+10) + (4×4) = 20+16 = 36
Secondo esempio
vogliamo eseguire la moltiplicazione: 6×7
6 (il pollice sinistro) x 7 (l’indice destro) = le dita corrispondenti a numeri da moltiplicare si toccano, quindi in questo caso pollice contro indice
Quante dita avanzano? 4 dita a sinistra e 3 a destra. Quindi faremo 4×3 = 12
Quante dita si trovano a partire da quelle che si toccano o più sotto? 3 (i due pollici e l’indice destro). Ognuna vale 10, quindi 10+10+10= 30
Allora 6×7= 12+30=42
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Terzo esempio
vogliamo moltiplicare 8×7
8 (il medio sinistro) x 7 (l’indice destro) = le dita corrispondenti ai numeri da moltiplicare si toccano, quindi in questo caso medio contro indice.
Quante dita avanzano? 2 dita a sinistra e 3 a destra. Quindi faremo 2×3 = 6
Quante dita si trovano a partire da quelle che si toccano o più sotto? 5 (i due pollici, i due indici e il medio destro). Ognuna vale 10, quindi 50
Allora 6×7= 6+50=56
A finger play for exercise mental math and multiplication tables.
I learned this game years ago, during a course that was of ” learning math through the senses “, and I would like to propose it and recommending it because it has many advantages: – as a functions it is quite inexplicable, so has something magical – It requires memory and coordination: A number is assigned to each finger, but not all fingers are equal – Allows you to exercise both tables, both addition – We can tell the children that is a method “to fast”, when in fact it offers a fairly challenging exercise: the child will face fluently perceiving it as a “trick”.
You can propose starting from the third class.
A finger play for exercise mental math and multiplication tables
Rules
The game is to multiply together the numbers from 6
For each finger is assigned a number:
– Thumbs are 6 – Indexes are 7 – The middles are the 8 – Ring fingers are the 9 – The little fingers are 10
each finger, starting with those that are touching and all those under them, each worth 10
the other fingers hold each one finger: are counted those of a hand and they are multiplied by those of the other.
It’s actually simple, just try it. Examples explain better …
A finger play for exercise mental math and multiplication tables we want to perform the multiplication: 6×6
6 (left thumb) x 6 (right thumb) = fingers corresponding to the numbers 6 and 6 are touching, then in this case the thumb against thumb
How many fingers are advancing? 4 fingers to the left and 4 right. So we will do 4×4 = 16
How many fingers are from those that are touching or below? 2 (two inches). Each worth 10, then 10 + 10 = 20
Then 6×6 = (10 + 10) + (4×4) = 20 + 16 = 36
we want to perform the multiplication: 6×7
6 (left thumb) x 7 (right index finger) = fingers corresponding to numbers 6 and 7 are touching, then in this case the thumb against index
How many fingers are advancing? 4 fingers to the left and 3 to the right. So we will do 4×3 = 12
How many fingers are starting with those that are touching or below? 3 (both thumbs and index finger right). Each worth 10, then 10 + 10 + 10 = 30
Then 6×7 = 12 + 30 = 42
we want to multiply 8×7
8 (middle left) x 7 (right index finger) = fingers corresponding to the numbers 8 and 7 touch, so in this case, the middle finger against index.
How many fingers are advancing? 2 fingers to the left and 3 to the right. So we will do 2×3 = 6
How many fingers are starting with those that are touching or below? 5 (two inches, the two indices and middle right). Each one is worth 10, then 50
…un’altra esperienza di scavo archeologico preistorico ispirata dalla sensory tub preistorica di Enza…
L’articolo è il frutto del lavoro di due grandi archeologi, Mr A (quasi 3 anni) e Mr B (quasi 6), e della loro mamma Vanna.
A loro la parola…
Nel leggere il post della sensory tub preistorica sono rimasta affascinata. Ho due bambini di quasi 3 e quasi 6 anni, e ho deciso di proporre loro questo bel percorso sulla Preistoria e lo scavo archeologico, che affascina tantissimo anche me (adoro la storia!)
Per prima cosa siamo stati in biblioteca a documentarci; abbiamo preso a prestito alcuni libri per bambini che descrivevano in maniera semplice e con molte figure la preistoria, i dinosauri, l’uomo preistorico, il lavoro dell’archeologo. Così ogni tanto leggevamo insieme qualche pagina, senza fretta ma con molta curiosità. Ho visto che i piccoli apprezzavano l’argomento (soprattutto i dinosauri! Ma anche i mammut e gli uomini vestiti solo di pelliccia), e ho iniziato a preparare la tub preistorica, seguendo le indicazioni del post.
E’ stato molto facile reperire tutto il materiale necessario in casa: conchiglie e sassi rinvenuti durante varie gite fuori porta, ossa di pollo, monete, ‘perle’ e ‘pietre preziose’, terra, sabbia, palette, pennelli, attrezzi da giardino di vario genere, etc.
Nonostante la differenza di età dei due bambini ho proposto un unico contenitore in modo che collaborassero.
Ecco le fasi di preparazione e poi le attività di scavo.
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I reperti
conchiglie fossili
ossa di pollo
qualche conchiglia
monete
pietre dure
perle e preziosi
Un uovo di dinosauro (in polistirolo e colorato con pennarello) e due ghiande
sassi di vario genere
Preparazione della vaschetta
Terzo strato: fossili + ossa di dinosauro + uno stegosauro di plastica nascosto dal play dough marrone.
Secondo strato: sassi e conchiglie
Primo strato: perle, monete, qualche pezzo di mattone e un qualche pietra affilata.
L’attività di scavo
Siccome i bambini non sanno ancora leggere e scrivere ho preparato dei contenitori dei reperti divisi per categorie e con disegnato il tipo di reperto da riporre.
Una perla viene riposta usando la pinzetta
Un reperto viene osservato con la lente di ingrandimento
Un reperto viene pulito con un pennello
Un altro reperto ripulito con le mani
Una conchiglia fossile!!!
Veduta ‘aerea’dello scavo
I reperti riposti nei contenitori
Un reperto viene ripulito con uno straccetto
I bambini si sono divertiti molto, tanto che il giorno seguente mi hanno chiesto di poter giocare di nuovo ‘allo scavo’. Ho risposto che non avevo niente di pronto e così si sono offerti di auto-costruirsi la vaschetta. Ho dato loro i reperti e la terra, e loro si sono rifatti la tub e li hanno ri-estratti!
Attività aggiuntive
In un parco dei divertimenti che abbiamo visitato in questo periodo abbiamo potuto osservare una mostra di fossili del terziario e varie riproduzioni di dinosauri!
In aggiunta a questo, ho cercato su internet se ci fossero vicino a noi luoghi di scavo o simili, adatti ad una gita, e ho scoperto che esiste un paesino di nome Bolca (vicino a Vicenza) che è chiamato ‘La capitale mondiale dei fossili dell’era terziaria’. Così abbiamo organizzato una bella gita in occasione della Festa della Paleontologia (prima domenica di Luglio) e abbiamo visitato il Museo dei Fossili, oltre che gli scavi della Pesciara (chiamata così perché vi sono stati ritrovati migliaia di pesci fossili), il Monte Purga e i dintorni.
Alla Pesciara, all’esterno della cava dove vengono estratti i fossili, dotati di martelletto, abbiamo cercato tra le pietre(che sarebbero ‘gli scarti’) … ed ecco che meravigliosa scoperta!
Un fossile tutto per noi!!!!!!!!!!
Per chiarezza: alla cava eravamo accompagnati da chi si occupa del museo e degli scavi, ed essendo quelle pietre scarti di estrazione, chiunque può cercarvi piccoli resti fossili e nel caso di ritrovamento può tenerli, salvo che il reperto non rappresenti una scoperta straordinaria… il che è quasi impossibile visto che quelle pietre sono di piccole dimensioni e sono gli scarti, appunto.
Però per noi che emozione grandissima!!!
Sto poi rispolverando un po’ delle mie conoscenze di storia dell’arte per preparare un’attività di pittura rupestre. Vi farò avere notizie!
_______________
Infine, avrei una domanda per Enza riguardo la datazione. Una persona che conosco inorridisce o sorride ironica quando si parla di ‘x milioni di anni fa’ sostenendo che la datazione ufficiale è completamente sbagliata (tesi secondo lei sostenuta da molti studiosi). Inoltre, essendo lei ‘creazionista’ per religione non può ammettere che la terra sia così vecchia: la Bibbia parla di molti meno anni!!!!!
Ecco, io non ho dubbi in merito, però mi piacerebbe chiedere a Enza cosa ne pensa e cosa risponderebbe a queste affermazioni, soprattutto alla questione della datazione.
Vanna
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Meraviglioso! Grazie, grazie, grazie, Mr A., Mr B. e Vanna! Grazie per l’entusiasmo, per la bravura, e per la condivisione. La vostra elaborazione con le vaschette a scomparti e i disegni per i bambini più piccoli sarà sicuramente un ottimo spunto per molti altri bambini. Conosco Bolca, è un gran classico dalle nostre parti per le gite scolastiche, e merita davvero. Grazie anche per la domanda, Enza sarà felice di occuparsi di questo argomento in uno dei prossimi post preistorici (mentre io conoscendola già sorrido un po’…) e non vedo l’ora, insieme a voi, di leggerla 🙂
Ora un ringraziamento e un saluto specialissimo ai nostri due grandi archeologi, tutti i nostri complimenti per il loro splendido lavoro (avete anche rifatto la vaschetta da soli, siete fantastici!), e tutti i nostri migliori auguri per la vostra carriera (già più che brillante) di ricercatori.
E’ una grande emozione per me presentarvi il lavoro di due grandi archeologi, Miss Z. (9 anni) e Mr J. (7anni), e della loro straordinaria MammaMaestra:
Loro stanno studiando, all’interno del loro programma di homeschooling, l’epoca preistorica, e sono riusciti a realizzare uno scavo archeologico all’aperto:
I reperti sono di grande impatto: terracotta, ossa di grandi dimensioni (anche un teschio!), bellissime conchiglie, e molto altro…
e i bambini hanno potuto collaborare allo scavo, con compiti diversi ed adeguati alle loro diverse età:
Allo scavo è seguita la compilazione delle schede, e anche il restauro della ceramica:
Grazie di cuore, Miss Z. e Mr J. per aver voluto condividere questa esperienza con noi, Enza ed io siamo rimaste davvero senza parole… ma non abbastanza per non farvi tanti, tantissimi complimenti ed i nostri migliori auguri per la vostra già brillante carriera di ricercatori!
Guest post: an outdoors archaeological excavation. The images of the prehistoric sensory tub elaborated in the form of outdoor archaeological excavation .
It is a thrill for me to present the work of two great archaeologists, Miss Z. (9 years) and Mr. J. (7 years), and their extraordinary mom “MammaMaestra”
They are studying, within their program of homeschooling, the prehistoric era, and have managed to create an archaeological excavation outside:
The finds are of great impact: tile, large bones (even a skull!), beautiful shells, and much more …
and the children were able to collaborate with the excavation, with different tasks and adapted to their different ages:
The excavation is followed the data recording, and also the restoration of ceramics:
I laghi: dettato e disegno – una breve descrizione e l’esempio di un disegno alla lavagna per introdurre i bambini di seconda e terza classe allo studio degli ambienti naturali.
Geografia I LAGHI
Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada da qualche grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, ha riempito la conca naturale che si è formata, e poi lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta.
Altri laghi, invece, sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Questi sono i laghi vulcanici.
Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai sulle montagne. Questi sono i laghi glaciali.
I laghi alpini, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio di alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti, e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono i laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.
I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle. Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei mesi di siccità. Prima, nei periodi di piena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese, perchè rendono più fertili i campi. Inoltre l’acqua mette in moto le turbine e queste azionano i generatori di energia elettrica, che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.
Il lago
Gli stessi ghiacciai che, in anni lontanissimi, segnarono il corso delle valli e innalzarono barriere di colline, scavarono conche profonde, riempite poi dalle acque dei torrenti e dei fiumi: si formarono così molti laghi.
Allo sbocco delle nostre valli prealpine, incontriamo grandi laghi, circondati dai monti che li riparano dai venti freddi. Lungo le rive, dove sorgono cittadine e paesi pittoreschi, la vegetazione è molto simile a quella che alligna sulle coste del mare.
Il clima, eccezionalmente mite, favorisce le colture di viti, ulivi, cedri, limoni. Nei giardini fioriscono le azalee, le magnolie, le acacie, le palme. Le popolazioni rivierasche solcano con le loro barche le acque tranquille del lago, ricche di lucci, di trote, di anguille.
Sulle Alpi, piccoli laghi dalle acque fredde e limpide rispecchiano le cime dei monti e gli scuri abeti che fanno loro corona.
Infine, alcuni laghi dell’Italia centrale occupano con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. La loro forma è quasi sempre circolare.
I laghi alpini
Come sono belli i nostri laghi alpini!
Sembrano specchi azzurri che si stendono nel fondo delle valli a riflettere le cime candide delle Alpi e le verdi foreste. In ognuno di essi si va a perdere un fiume turchino che scende dal monte; un altro fiume esce dalle loro acque incantate e riprende il suo corso verso il mare lontano.
Le rive sono pittoresche: alcune si gettano a picco nelle acque, dando al lago un aspetto selvaggio e imponente; altre digradano dolcemente verso le spiagge, ricche di vegetazione. (G. Giacosa)
Sul lago di notte
Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremore e l’ondeggiare leggero della luna, che si specchiava da mezzo il cielo. Si udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido; il gorgoglio più lontano dell’acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di quei due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti e si rituffavano.
L’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata , che si andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata indietro guardavano i monti e il paese, rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grandi ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne. (A. Manzoni)
Visione del lago
Com’è tranquillo il lago! Raramente le onde si agitano, i battelli e perfino le barche tracciano nell’attraversarlo una lieve scia bianca che subito scompare.
Le sue rive hanno olivi e viti, qualche volta anche aranci e limoni, anche se sulle montagne vicine brillano le nevi. Infatti il lago conserva a lungo il calore del sole e lo diffonde attorno. Per questo si vedono intorno al lago, oltre che ridenti cittadine e paesini di pescatori, anche alberghi e ville con magnifici parchi colmi di fiori. Ogni anno vi sono persone che dalla città vengono sulle rive dei laghi a trascorrere un periodo di riposo e di svago.
Anche d’inverno la temperatura non è mai troppo bassa e il paesaggio è sempre meraviglioso.
Come si formano i laghi
Qualche volta il fiume, lungo il suo corso, si è trovato sbarrata la strada da una grande frana che gli ha impedito di proseguire il viaggio. L’acqua si è fermata, e poi, lentamente ha scavato per aprirsi un nuovo varco. Ma la conca è rimasta. Altri laghi invece sono stati formati dall’acqua piovana che si è raccolta nelle grandi conche naturali di vulcani spenti. Altri ancora sono nati dallo scioglimento delle nevi e dall’opera esercitata dai ghiacciai delle montagne.
I laghi alpini
Questi piccoli laghi, sparsi in tutta la catena alpina, abbelliscono il paesaggio d’alta montagna. Nelle loro acque fredde e limpide si specchiano spesso le alte cime rocciose, il verde cupo degli abeti e il cielo azzurro. I più pittoreschi sono il laghi di Ledro, di Carezza, di Caldonazzo, di Braies, di Misurina.
I laghi vulcanici
Questi laghi riempiono con le loro acque il cratere di antichi vulcani spenti. Perciò la loro forma è generalmente circolare. I principali sono i laghi di Bolsena, di Bracciano, di Albano e di Nemi, nel Lazio; il lago d’Averno in Campania; i laghi di Monticchio, in Basilicata.
I laghi prealpini
Il lago Maggiore o Verbano ha per immissario ed emissario il fiume Ticino. Il lago di Como o Lario è formato dall’Adda che di biforca in due rami: di Como e di Lecco. E’ il più profondo tra i laghi prealpini (410m).
Il lago d’Iseo o Sebino riceve le acque del fiume Oglio.
Il lago di Garda o Benaco è il più esteso d’Italia. E’ formato dal fiume Sarca il quale, uscendone, prende il nome di Mincio.
A cosa servono i laghi artificiali
I laghi artificiali sono sorti in questo modo: gli uomini hanno sbarrato il corso di un fiume con una robusta diga, e l’acqua ha riempito la valle.
Alcuni di questi laghi, e precisamente quelli che si trovano numerosi sulle Alpi, servono solo per alimentare le centrali elettriche; altri invece, come quello del Tirso in Sardegna, servono anche per l’irrigazione dei campi. In questi casi il lago artificiale raccoglie nei mesi piovosi l’acqua, che restituisce nei periodi di siccità. Prima, nei periodi di pena, il fiume straripava ed era perciò causa di distruzione e di rovina; ora invece il suo corso viene regolato e le sue acque sono fonte di prosperità per il paese perchè rendono più fertili i campi.
Inoltre l’acqua mette in moto le turbine, e queste azionano i generatori di energia elettrica che viene distribuita agli stabilimenti ed alle abitazioni.
Dice il lago
“Io rifletto nelle mie acque il cielo, i monti, i colli, i piccoli fiori, le cose grandi e le umili cose. Io accolgo sulla mia superficie i battelli che trasportano gli uomini e le cose necessarie alla vita. Accolgo le barchette dei pescatori che trovano, frugando nel mio grembo, piccoli tesori vivi. Accolgo sulle mie rive incantevoli mille e mille persone malate alle quali ridono la salute e la gioia.” A. Rovetta
Laghetti alpini
Talvolta appare un tranquillo laghetto solitario dalle acque limpide e fresche che riflettono l’azzurro intenso del cielo. Spesso, se guardi intorno a quel solitario laghetto, gli trovi a lato un lago gemello; poi altri attorno, ed altri ancora: una intera famiglia di laghetti, che da buoni fratelli si dividono l’acqua delle nevi e dei ghiacciai. A. Stoppani
Dettati ortografici sull’estate: una raccolta di dettati ortografici, di autori vari, per la scuola primaria.
L’estate è la stagione più calda dell’anno. Il sole ardente fa maturare nei campi il grano; le spighe piene e mature sembrano d’oro. Il contadino le guarda e, vicino al raccolto, dimentica le fatiche passate. E’ la stagione dei temporali,degli acquazzoni, delle grandinate. Spesso le grandinate distruggono in pochi minuti, coi raccolti, le fatiche di molti mesi. Il contadino le teme come il peggiore flagello. (Bianchi e Giaroli)
Di giorno le cicale cantano sugli alberi, e i grilli, a sera, cantano fra l’erba del prato. I contadini mietono il buon grano, che darà il pane per tutta l’annata. Le rondini stridono nel cielo e, quando scendono le prime ombre della sera, rientrano nei nidi, sotto le gronde. I pastori lasciano la pianura e salgono col gregge ai pascoli montani. I giorni sono lunghi, le notti sono corte. S’incomincia a pensare alla villeggiatura. Giunge l’estate, la bella stagione della quiete e del riposo.
D’estate le giornate sono lunghe e abbaglianti di sole, il cielo è di un colore azzurro intenso, le notti sono brevi, luminose, stellate. Corrono le lucertole lungo i muri, nei prati cantano i grilli, sulle siepi stridono le cicale, le rane e le raganelle gracidano nei fossati: volano le farfalle, le lucciole. Mille insetti palpitano fra la vegetazione rigogliosa della terra.
E’ estate. Sui monti le ultime nevi si sciolgono. Nel piano gli alberi sono in pieno rigoglio. La campagna è tutta verde. Sciami d’api ronzano tra le corolle dei fiori, gli uccelli scendono sui campi a beccare i chicchi, a scegliere insetto da insetto; risalgono nel più alto dei cieli con magnifico volo. Lo stagno rispecchia le nubi e l’azzurro del cielo; il ruscello gorgoglia e bagna le sponde fiorite.
D’estate certe notti di luna sono così chiare che le farfalle, ingannate da quest’ambiguo albore di eclissi, continuano a volare come se fosse ancora giorno; e il palpito dei loro voli insonni, che si intravede nella perlacea nebbiolina notturna, dà l’impressione che i prati siano popolati di fantasmi d’ali, evocati dal plenilunio. (P. Calamandrei)
Attorno a me il sole occhieggiava sull’erba, e faceva brillare qualche filo di ragno ancora coperto di rugiada. Un venticello tenerissimo piegava con grazia i sottili arbusti del boschetto di nocciole, e qualche foglia giungeva ad accarezzarmi la fronte. (G. Titta Rosa)
Com’è bella nella sua vestina bianca con sfrangiature verdi e marroni sulle punte, con il corpicino elegante. Ma il povero cavolo come la teme! Questa farfalla, la pieride cavolaia maggiore, si posa sulla pagina inferiore delle sue grandi foglie. Qui depone tante uova ben nascoste. Dopo pochi giorni, dalle uova nascono i bruchi. E che cosa fanno? Brucano la foglia, passano sulla pagina superiore e si mettono a divorare. In breve della bella foglia non restano che le nervature.
Cre… cre… cre… cre… Come sono noiose queste raganelle! Non tacciono un minuto. Sono là sulle rive del fosso. Saltano dall’acqua all’erba della riva, e dall’erba ai cespugli… E tutto il giorno si sente la loro voce. Gri… gri… gri… gri… Appena l’aria si fa bruna, ecco il sottile canto dei grilli. Di giorno sono nascosti nei buchetti sotto terra; di sera, escono, stanno tra l’erba fresca, trillano. Cantano alle stelle, alla luna, alla notte serena e silenziosa. (E. Graziani Camillucci)
I raggi del sole non hanno la stessa efficacia secondo che ci giungono a piombo o in modo obliquo. Essi riscaldano fortemente le regioni che li ricevono a piombo, e poco quelle che li ricevono obliquamente. Per capirlo basta aver osservato che, per godere in pieno il calore di un focolare, bisogna collocarvisi in faccia e che, tenendosi in disparte, si riceve assai meno calore. Nel primo caso, il calore cade dritto su di noi e produce più effetto; nel secondo ci arriva di traverso e rimane indebolito. Così, posta innanzi al focolare del sole, la terra non riceve in tutta la sua superficie la stessa quantità di calore, perchè per certe regioni i raggi dell’astro arrivano a piombo, e per altre in modo più o meno obliquo. Inoltre, al guadagno in calore durante il giorno sotto l’irradiazione solare succede la dispersione della notte, il raffreddamento notturno. Più la giornata sarà lunga e corta la notte, più elevata sarà la temperatura, perchè il guadagno eccederà di molto la perdita. Per queste due cause riunite in una stessa epoca dell’anno la temperatura è lungi dall’essere la stessa dappertutto. Fa caldo in certi punti, più o meno verticalmente assolati con giorni lunghi e notti brevi; fa freddo in altri a insolazione obliqua, dalle giornate corte e notti lunghe. Qua è l’inverno, là è l’estate. (J. H. Fabre)
Tutto brilla nella natura all’istante del meriggio. L’agricoltore che prende cibo e riposo; i buoi sdraiati e coperti di insetti volanti, che, flagellandosi con le code per cacciarli, chinano di tratto in tratto il muso, sopra cui risplendono spesse stille di sudore, e abboccano negligentemente e con pausa il cibo sparso innanzi ad essi; il gregge assetato che col capo basso si affolla e si rannicchia sotto l’ombra; la lucertola che corre timida a rimbucarsi, strisciando rapidamente e per intervalli lungo la siepe; la cicala che riempie l’aria di uno stridore continuo e monotono; la zanzara che passa ronzando vicino all’orecchio; l’ape che vola incerta, e si ferma su di un fiore, e parte, e torna al luogo donde è partita: tutto è bello, tutto è delicato e toccante. (G. Leopardi)
Era l’ora del caldo e del riposo. La terra si ampliava nella distesa del sole. Il cielo era chiuso e grave. Neanche una vela sul mare. Tacevano le vespe e i bombi. Un frutto tonfava giù da un ramo. Era il grande silenzio infuocato, quando gli occhi dei colombi stanno chiusi sotto l’ala e il bue rumina accosciato corpulento sulla paglia fresca. (D. Slataper)
Passeggiammo per le vie desolate tagliando qua e là alla ricerca dell’avara ombra lungo i muri… Decidemmo di sederci a un caffè vicino a una fontana, lo scroscio dell’acqua violento e monotono. A un tavolo poco lontano ragazzi strepitavano a gran gesti in un’accanita discussione di calcio. Nomi di giocatori e insulti giostravano pesanti nel vuoto per liquefarsi in pausa di greve silenzio. Le forme delle motociclette appostate lungo il marciapiede scintillavano. Dagli ombrelloni cadevano magri cerchi d’ombra. Sentivo il piano del tavolo caldissimo sotto le dita. Intorno botteghe chiuse, targhe stinte sui muri. Qualcuno spiava dalla fessura d’una persiana. (G. Arpino)
E’ l’ora in cui la luce si smorza, in cui mi rimane qualche minuto per andare un po’ in giardino. Si apre la porta, ed ecco la cavità del giardino, con l’ampio cielo al di sopra. Una sottile mezzaluna nel verde della distesa, pere che pendono, afferrando un raggio col ventre rotondo e riflettendolo come una lampada. I grappoli d’uva bianca si dorano sulla spalliera. Un uccello saltella ancora nel cespuglio di noccioli. Il mio giardino si addormenta su cuscini di fiori e di verdure; ecco le rudbekie gialle, gli astri color d’ametista, le dalie a rosoni di carta pieghettata, gli ultimi fagioli che intrecciano i loro pendagli, i porri dalle larghe chiome aperte come quelle dei palmizi, i cavoli azzurrastri e rotondi. Il mio giardino si addormenta coi piedi al fresco nel rivoletto di metallo bianco che brilla, allungandosi tra le sue rive e va, verso il gran fiume, laggiù… Ecco che a poco a poco tutto si immerge nell’ombra e tace. Non distinguo più il volto dei pomodori impolverati di solfato di rame, nè la sfinge alla ricerca di nettare sulle ultime bocche di leone, nè i pipistrelli che scrivono non so cosa nell’aria oscura. (M. Roland)
Fra i piccoli trifogli l’ape ebbra e rumorosa svolazza e raccoglie l’impercettibile nettare. Il merlo sommessamente modula una sua frase che sembra significare assentimento alla pace che qui regna uguale anche tra gli spini dalle punte violette dei cardi o per le caselle delle stipule percorse da piccolissime farfalle color lillà. La bianca cavolaia barcolla ebbra fra i cespugli delle felci. E quale immagine più cara di quella del fragile rosolaccio rosso scarlatto: come un tenero fuoco che ravviva le blandizie d’una breve radura? (L. Bartolini)
Cominciava il caldo, un duro caldo che pesava nell’aria e continuava a pesare imperturbato sino alla sino alla fine di settembre. Come i pesci di un’acqua, sotto il cui recipiente sia stato acceso il fuoco, e che mandi già le prime bollicine, gli uomini rallentavano ancor più la loro andatura, mentre sugli occhi portavano, come una palpebra sottile e perennemente abbassata, la stanchezza e il desiderio di non veder nulla. Altri, che passeggiavano verso le sei di pomeriggio, non richiamavano i pesci alla memoria, ma le beccacce, allorchè, morte, vanno penzolando dal pugno del cacciatore. (V. Brancati)
L’estate è la stagione più calda dell’anno. Comincia il 21 giugno e termina il 23 settembre. Il sole spunta molto presto (prima delle cinque) e tramonta molto tardi (verso le venti). Le giornate sono lunghissime e il caldo diventa insopportabile ogni giorno di più. Di tanto in tanto improvvisi temporali rinfrescano l’atmosfera. Non è raro il caso che campi e frutteti vengano devastati dalla grandine, molto temuta dai contadini. Per fuggire il caldo soffocante, la gente va al mare o in montagna. Ma non tutti si possono concedere un meritato riposo in vacanza. Per gli agricoltori, l’estate è una stagione di intensa attività. Infatti ci sono molti lavori da compiere e non bisogna perdere tempo. Il grano deve essere mietuto.
Un tempo si mieteva a mano, oggi invece ci sono macchine meravigliose che avanzano nei campi di grano, lasciando dietro di sè i sacchi pieni di chicchi puliti, la pula e le balle di paglia. Poi c’è il granoturco da sarchiare; l’erba da falciare; le viti e gli alberi da frutta da irrorare con le sostanze antiparassitarie che disinfestano cioè liberano le piante dai parassiti.
D’estate i giardini sono un incanto. Fioriscono i gerani, i gigli, le rose variopinte, i garofani, le dalie. Maturano i cocomeri, i meloni, le albicocche, le prugne, le ciliegie e le pesche. Un’infinità di insetti e di animaletti vari animano come in primavera i prati, i giardini e i boschi: api, farfalle, formiche, grilli, cicale, zanzare, libellule, calabroni… Però i loro canti, i loro voli, i loro bisbigli e ronzii sono diventati più intensi, chiassosi: sembra che vogliano rendere omaggio alla più bella stagione dell’anno.
Sul calar della sera compaiono i pipistrelli, che svolazzano qua e là a caccia di insetti. Questi animaletti non sono uccelli, ma mammiferi: gli unici che sanno volare. Nel cuore della notte si odono i gorgheggi dell’usignolo, il verso del gufo e il grido della civetta.
Arriva l’estate. E’ incoronata di spighe mature e tutta vestita d’oro; i suoi grandi occhi color del fiordaliso sfavillano. Diffonde intorno a sè lo splendore e l’allegria del sole. Davanti a lei tutti si presentano con fiducia, e i poveri specialmente la tengono per loro grande amica: il buon caldo allora non costa nulla! Quando arriva nell’aia, l’estate si siede su un mucchio di grano falciato e canta. Gli uomini la guardano e le dicono: “Benedetta, tu ci porti il pane!” (G. Fanciulli)
In questi giorni il sole la fa da padrone. E le notti sono calde. Alla mutevolezza della stagione sopravviene l’estate vampante. Anche l’usignolo, che ha i piccoli, ha smesso di verseggiare alle stelle. Rimane vicino al nido, svolazzando nei boschetti. Sotto la mia finestra c’è un ranocchione vecchio. Il suo gracidare sembra un ammonimento. Vive presso una pozza d’acqua che una polla mantiene viva tutta l’estate, nascosto tra un ciuffo di selci. Sta di casa sotto un embrice che le donne hanno appoggiato alla sponda per lavare i panni. Se si muove l’embrice, poi riaffiorano i suoi occhioni, come bolle nel mezzo della pozza, e spariscono di nuovo risucchiati. (B. Samminiatelli)
E’ l’estate. Il sole arroventa l’aria , ci fa sudare e ci abbrunisce la pelle. E’ in questa stagione che si falcia il fieno, si miete il grano e matura la frutta. In questi giorni, il mietitore, curvo sul mareggiare d’oro delle spighe, lavora e suda; è felice perchè raccoglie il frumento, che è il frutto del suo lavoro. Anche tu, ragazzo, se hai studiato con amore, riceverai il premio delle tue fatiche, sarai promosso e potrai godere le vacanze. (G. Fanelli)
Il campo ondeggia come un mare, il grano verde si fa biondo. Sulla proda sono cresciuti alcuni steli di grano meno alti di quelli del campo. In mezzo ad essi un papavero spiega la sua larga corolla che pare di seta rossa; due fiordalisi, accanto ad esso, sono come due occhi azzurri che lo guardano stupiti. Una farfalla, con le ali color arancione, vola dallo stelo di grano al papavero e da questo ai fiordalisi e sembra un bellissimo fiore vivo.
Nei campi fino a qualche mese fa era quasi impossibile distinguere un prato da un campo di grano. Ora quelle piante sono cresciute ed hanno generato una spiga che il sole ha indorato. L’erba è diventata molto alta, in alcuni punti è stata già falciata e si essicca al sole. E’ proprio tra l’erba alta che si aggira una moltitudine di insetti e di piccoli animali tutti intenti nel loro lavoro. Alcuni, come le api e i calabroni, si inebriano di nettare, altri tagliano e incidono ogni filo d’erba come le cavallette. (G. Piovene)
Il grano è maturo. Le bionde distese di pianticelle ondeggiano ancora per pochi giorni. Già si sente nei campi lo scoppiettio sonoro delle mietitrebbie, le moderne macchine capaci di tagliare il frumento e di liberarlo contemporaneamente dalla paglia e dalla pula. Sui campi d’oro e sulle verdi distese coltivate si leva intanto il monotono frinire delle cicale. E’ il canto dell’estate, un inno al sole intenso di questi giorni, che dà luce, vita, gioia. Ridono, rosse e fresche nel banco del fruttivendolo, le prime fette di popone. Le fontane invitano a dissetarsi. I giardini sono tutti una festa di fiori e di colori.
Le giornate sono lunghe e i bambini possono stare tante ore a giocare nel cortile e nei prati. Il caldo piace, e con i vestiti leggeri si muovono meglio. Ma non devono andare scalzi. Per terra ci possono essere vetri, cocci, spini, chiodi. Se entrano nel piede fanno tanto male. (P. Boranga)
Alcuni pipistrelli svolazzano attorno alla casa con un piccolo grido lieve. Dal seno delle erbe in fiore si alza il monotono concerto dei grilli; un rospo solitario, collocato al fresco sotto una pietre, emette di tanto in tanto la sua nota flautata, mentre le rane riempiono i fossati delle praterie vicine dei loro rauchi gracidamenti. Le civette alternano le loro dolci voci di richiamo; la capinera, infine, dà l’addio della sera alla chioccia, già sonnecchiante sulle sue uova. (E. Fabre)
M’ero fermato su un ponticello in pineta a guardare la fretta dei contadini che raccoglievano il fieno falciato e seccato. Nel pomeriggio sciroccale l’afoso vento nero adunava nuvole di pioggia, e le rondini volavano basse. Tre erano armati di forcone: uno, uomo; l’altro, ragazzotto; il terzo, poco più che bambino. Levavano i fastelli di legno sulle lucide e temibili branche, e facevano il cumulo. Finchè restava basso ed informe, concorrevano promiscui al mucchio, ma quando saliva a spalla d’uomo ed era quindi al punto di ricevere sesto e misura e garbo a spiovente di cupola appuntita, allora il minore dei tre si faceva da parte a cominciarne un altro. Il maggiore sul suo forcone non si trovava mai nè più nè meno di quel che gli occorresse a riempire un vuoto, a rincalzare uno sdrucio nella compagine, a rialzare una curva. Pettinava, toglieva, rimetteva e aggiungeva: in poco d’ora il cumulo era fatto e assettato. R. Bacchelli
Partite, ragazzi, senza libri, e portate con voi solo reticelle per farfalle, palle di gomma, bambole, secchielli, palette per scavare la sabbia e innalzare castelli sulla riva del mare. E per un mese almeno non pensate ad altro che a giocare, e la sera, poichè le sere del mese di giugno sono piene di lucciole, raccoglietene molte in scatoline trasparenti, e andate con esse in giro per i prati come portaste una lampada, la lampada più bella che si possa immaginare, una lampada viva. Finiti i vostri giochi, prima di andare a letto, aprite la scatolina e liberate le piccole stelle che vi sono dentro. La sera dopo, ritorneranno spontaneamente nella scatola e torneranno a formare la lampada che illumina i vostri giochi. Dopo un mese di vita senza pensieri, fatta di castelli di sabbia, di aquiloni e di lampade vive, pregate il vostro papà di regalarvi qualche libro. Ma non libri di scuola. Libri di racconti e di favole. E ogni tanto leggetene qualche pagina. Ma, sempre, il maggior tempo passatelo a giocare. E, di tanto in tanto, sapete, per non perder l’esercizio dello scrivere, che cosa dovete fare? Mettete sulla carta il racconto di una bella giornata trascorsa, d’una gita, di un gioco, di un’avventura. G. Mosca
Dopo un intero anno di lavoro la scuola si chiude. I nostri cuori già pregustano i lieti ozi delle giornate estive, in cui sola cura sarà il trovare nuovi giochi e nuovi svaghi. Pure qualche volta il nostro pensiero tornerà alla scuola: rivedremo il nostro maestro alla cattedra, i compagni nei banchi, le pareti ornate dei nostri disegni. Forse sentiremo un po’ di nostalgia e vedremo con gioia avvicinarsi il giorno in cui torneremo tutti insieme qui.
In una settimana il fieno fu tutto falciato; e allora con le forche andavano a rivoltarlo, prima di fare i mucchi, perchè si seccasse bene di sotto e il sole entrasse anche dentro. La caldura aveva bruciato ogni cosa, e anche il grano pigliava un colore bianco che diventava più giallo o anche di notte si vedeva bene. Il terreno era così arroventato che senza gli zoccoli bruciava i piedi, e le passere che varcavano le vallate da poggio a poggio, pareva che cadessero giù a strapiombo. F. Tozzi
L’abbeveratoio era in fondo al gran prato. La fila delle bestie sciolte si avviava lentamente,a testa bassa; e il sole sfiorava con un raggio tenero le schiene, bianche, per la più parte. Immergevano nell’acqua il muso fino alle froge e si riavviavano alla stalla, sempre da sole, pacifiche e senza ruzzare, mansuete e sazie. Il cane di casa, abbaiando, fingeva per gioco di assalire questa o quella. Rientrarono ad una ad una nella stalla le bestie. Era il tramonto del sole. R. Bacchelli
Era mezzogiorno e splendeva un sole ardentissimo. Non stridore di cicala, non canto d’uccello, non volo di farfalle, non voce, non moto nè vicino nè lontano; ogni cosa quieta, pareva che la natura dormisse. Allora la campagna s’anima di una vita fantastica, come di notte. Si sentono suoni indefiniti, come di lunghe grida lontane.; soffi, fruscii, ora a molta distanza, ora all’orecchio, qui, là, non si sa dove, da ogni parte; pare che nell’aria ci sia qualcuno o qualcosa che fluttua e che si agita; s’avvicina, si scosta, ritorna, ci rasenta, s’allontana; si direbbe ch e vi sono degli esseri invisibili che stanno macchinando qualcosa. A un tratto si sente un acuto ronzio di insetto; passa e silenzio. S’ha una scossa, ci si volta: è caduta una foglia. Sbuca una lucertola, si ferma, par che stia a sentire, e, come impaurita da quel silenzio, via. La campagna ha qualcosa di solenne e di triste come un mare solitario; la testa si abbassa come per forza e l’occhio socchiuso vaga per le valli oscure e per i cupi recessi che la fantasia languida finge tra i fili d’erba e i granelli della terra. E. De Amicis
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Dettati ortografici sul tema temporali estivi e grandine e l’arcobaleno.
Il lampo che illumina il cielo finisce in uno schianto sul tronco di un cipresso, e fortissimo rintrona. La grandine precipita fitta: sui tetti e sulle piazze danzano granelli e perle gelate. E il vento volteggia e rigira nell’aria bruna e fosca le povere foglie strappate dai rami. Quando la bufera si quieta le anatre corrono sull’aia e guazzano nelle pozze d’acqua, ove si mescolano granelli pallidi e foglie tritate. La pace ritorna: gli usci e le finestre si schiudono e la lucertolina si stende sulla pietra a prendere il sole che, rosso di vergogna, volge al tramonto. (A. Paluschi)
Nell’aria pende la tempesta; osservate il paesaggio vegetale in quei momenti di calma minacciosa che ne precedono lo scoppio. Dalle zolle erbose su per i cespugli degli alberi, in largo giro, sta come se fosse scolpito: ciascuna forma vegetale nell’imminenza della lotta, si fa quasi pensosa restando protesa verso la luce residua. Il vento irrompe: le erbe hanno un largo brivido, gli steli si piegano in moto ondoso, i cespugli si convellono, le foglie tremano, svolazzano, frullano sui piccioli tesi, volgendosi di tratto in tratto in un unico verso che ci dà l’immagine della superficie vibrante dell’acqua al colpo del maestrale; i rami bassi degli alberi si piegano verso terra, i sovrapposti sussultano, ed il fusto solenne oscilla. Il vento ha una pausa: dalle erbe ai culmi, ai fusti è una pronta riconquista degli atteggiamenti di quiete… Se sopraggiunge un imperversare di pioggia, l’urto delle gocce crea per ciascuna apparenza vegetale nuovi rapidi moti di difesa. Al cessare della tempesta si scoprono qua e là, per terra, sparse foglie strappate dal vento, battute dalla pioggia e qualche divelto fusticino di pianta erbacea; ma il paesaggio vegetale appare ricomposto nelle sue linee e con una rinnovata, gemmante veste di bellezza. (A. Anile)
Subito dopo la grandine biancheggiò saltellante per terra, risuonando come sassi sulle tegole, tambureggiando le foglie, formando strati sull’erba, sul cortile. Tutti gli alberi, le viti, le piante dell’orto, le acacie della strada si tenevano fermi, spauriti, oppressi dalla martellante caduta. I contadini guardavano e non fiatavano, gli occhi dilatati, inebetiti, stringendosi le braccia con le mani, guardavano e sembrava non volessero credere. Le viti si scarnivano di foglie sotto i loro occhi, lo strato bianco cresceva; passò una decina di minuti e poi la pioggia prese a mischiarsi alla grandine e questa a scemare. Più tardi, quando fu possibile uscire a camminare verso i campi, subito si intese un odore di foglie cadute come per un prematuro autunno. (G. Comisso)
Le nuvole grige e nere si urtano, si pigiano spinte del vento, nascondono il sole, oscurano il cielo. Ci son ancora, qua e là, lembi d’azzurro, ma vanno facendosi sempre più piccoli, sempre più radi. Ecco un lampo: guizza, abbaglia, sembra incendi il cielo. Poi scoppia il tuono. Un tonfo forte, un brontolio lungo. I passeri si rifugiano sotto i tegoli, le rondini volano basse, senza stridi. Cadono le prime gocce d’acqua, si fanno fitte, sembrano grossi aghi lucenti. Poi la pioggia scroscia impetuosa.
Poco dopo mezzogiorno il sole cominciò ad essere meno limpido. Non c’erano nuvole ancora; ma proprio nel mezzo del cielo, il turchino cominciò a diventare sempre più smorto; fin che all’improvviso vi nacque una nuvola grigia che si faceva sempre più scura. Poi altre nuvole, dello stesso colore e più bianche, si accostarono, insieme. Quando tutte furono chiuse l’una con l’altra, un lampo abbagliò gli occhi e fece luccicare le ruote del carro, gli aratri e tutti gli strumenti di ferro sull’aia. Allora i tuoni cominciarono, come se avessero dovuto schiantare anche le case, e le prime gocciole, quasi bollenti, si sentirono picchiettare sulle tegole e sui mattoni. Dopo un poco l’acqua venne giù sempre più grossa, e il temporale durò quasi tre ore. (F. Tozzi)
Dopo il temporale il sole era tornato, e i pioppi parevano più verdi: avevano sentito quella rinfrescata e ne godevano. Lungo qualche filare erano nati i girasoli, grandi e gialli, che tentennavano un poco quando passava il vento. Tra i grani, dove era più umido, erano nati il ciano coi fiori azzurri; le campanelle bianche, venate di rosso chiaro, che s’attorcigliavano fin sulle spighe, e la borrana con le stelline celesti. I ragni avevano teso tanti fili, che quando brillavano parevano un’altra messe. (F. Tozzi)
Dopo la grandinata, quando fu possibile riuscire a camminare verso i campi, subito si intese un odor di foglie cadute come per un prematuro autunno. I contadini prima ancora di vedere realmente i danni causati ripetevano sommessi: “Siamo rovinati”. E veramente la campagna aveva un aspetto lugubre: il verde prima traboccante non esisteva più. Il granoturco abbattuto, stracciato nelle sue larghe foglie, i campi di foraggio calpestati, come da una torma di cavalli, le pesche rosee mordicchiate, l’uva scoppiata nei suoi grani, e foglie e piante, per terra, mischiate al fango. (G. Comisso)
Venne un temporale che flagellò la campagna e rose le strade, per fortuna senza grandine. Lo passammo in casa, da una finestra all’altra, fra donne e bambine che correvano e gemevano sotto i lampi. Il crepitio dei sarmenti nel camino sbatteva in cucina una luce rossastra, che dava riflessi fantastici ai festoni di carta colorata, sulla batteria di rame, alle stampe della Madonna, e al ramulivo appeso al muro. Tremavano i vetri. Qualcuno, di sopra, urlava di fermare le finestre… Venne un momento di strana solitudine, quasi di pace e di silenzio, nel diluvio. Mi fermai sotto la scala dove dal lucernario accecato volavano gocciole e odor d’acqua. Si sentiva la massa dell’acqua, quasi solida, cadere e muggire… Finì com’era cominciato, d’un tratto. Quando uscimmo sul terrazzo, dappertutto in paese si sentiva vociare, il cemento seminato di foglie aveva già chiazze d’asciutto. Tirava un vento di vallata, schiumoso, e le nuvole galoppavano… M’investì un sentore folle di fradicio, di frasche, di fiori schiacciati, un odore acre, quasi salso, di fulmine e di radici. (C. Pavese)
A nord i cavalloni del cielo, avanzando a ondate, già chiudevano la valle. Quando qualche raro soffio giungeva, le bocche aperte a respirarlo bevevano dell’aria calda e soffocante che faceva desiderare l’acquazzone vicino. Sulle fronde immote gli uccelli tacevano, ed un volo di colombi che passò in alto e si disperse nel grigio diffuso, sembrava aprirsi a fatica la via con i colpi rari dell’ale nell’aria densa. Poi, sotto il nembo nero e compatto, altre nubi leggere corsero, spinte da un vento che non toccava terra. Adesso tutta la valle era chiusa in alto dalla nuvolaglia come da un gigantesco coperchio, e un breve chiarore, che brillava oltre la montagna, si spense sotto l’incalzante minaccia. (A. Bonsanti)
Il tempo accennava a rimettersi. In alto, un vento fortissimo assaliva le nubi, le divideva, apriva vasti spiragli attraverso i quali si vedeva un cielo incredibilmente tranquillo. Il sole inondava i poggi e le colline su cui apparivano come di notte sotto i raggi di un riflettore ville e case di contadini. Le finestre luccicavano come specchi. Soltanto lungo il fiume, la bruma pareva stagnare fra gli alti pioppi; ma finalmente anche questa zona di campagna fu illuminata. S’era aperta definitivamente la matassa delle nebbie: apparì un ponte che luccicava d’umidità; anche gli steli delle erbe e la terra, dov’era ferma l’acqua delle piogge recenti, rilucevano. (A. Benedetti)
Il temporale rovesciava ancora brevi scariche di acqua ma fulmini e tuoni andavano allontanandosi. Dalla finestra dell’albergo vidi un guardamacchine attraversare di corsa, curvo nella sua improvvisata mantella di cellophane. S’acquattò in un portone di dove già apparivano gambe e scarpe di gente assiepata al riparo. Ogni tanto un volto di ragazza si sporgeva a spiare, a ridere. I muri gialli mostravano larghe chiazze di pioggia; il selciato e un’asimmetrica fila di tetti erano percorsi da brividi di serpentino argento, gore vive di viola. Un ombrellone colorato dondolò lentamente su una terrazza, un’ultima ventata lo capovolse. (G. Arpino)
All’improvviso il cielo diventò scuro, si levò un vento fortissimo, lampeggiò, tuonò, poi cominciarono a cadere grossi goccioloni. La terra secca, bruciata dal sole, bevve a larghi sorsi l’acqua ristoratrice. Caddero alcuni chicchi di grandine. Con colpi secchi batterono sui tetti e sui davanzali delle finestre, ma non fecero danni. L’aria divenne fredda. Piovve a lungo, prima a dirotto, poi piano piano. I lampi e i brontolii del tuono si fecero radi radi. La pioggia cessò. Le nubi scomparvero. Il cielo tornò sereno e splendette l’arcobaleno. (Scotti – Davanzo)
Il temporale
Guizzi di lampi serpentini serpeggiano nell’oceano oscuro delle nuvole, come saette di fuoco. Gocciole rade e grosse di pioggia cadono col rumore delle pietre sulla terra assetata, che la beve avidamente. E poi le gocciole si addensano in pioggia rumorosa, che martella foglie, pietre e animali e case. Fuggono le rondini turbinando per l’aria; geme il vento per le case e per gli alberi; le strade diventano fiumi di fango, le piazze laghi di fango, e poi fango e fiumi scompaiono bevuti dalla terra e dalle cloache e la faccia del pianeta si lava in un lavacro universale. Lampi e tuoni si vanno allontanando, come se l’esercito vittorioso inseguisse il nemico in fuga, e anche le nubi corrono, corrono verso regioni ignote, aprendo qua e là oasi di azzurro. (P. Mantegazza)
Temporale
A ogni attimo un lampo violetto o verdastro palpita; è seguito immediatamente da un tuono formidabile che fa rintonare i vetri della mia finestra. L’acqua cade rabbiosamente, fa le funi; il vento la spinge di traverso e i suoi fili sono come frecce di vetro. Gli alberi si divincolano sotto il turbine; le frasche paiono povere bestie legate a catena o mezzo sepolte nella terra e che si sforzino di liberarsi e fuggire. La pioggia intanto le percuote, le lava e ne fa lustrare le foglie. L’orizzonte dei campi si perde in una nebbia folta, cieca. (A. Soffici)
Si avvicina il temporale
La nebbia s’era a poco a poco addensata e accavallata in nuvoloni che, rabbuiandosi sempre più, davano l’idea di un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo cupo e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la sfera del sole, pallida, che spargeva intorno a sè un barlume fioco e sfumato, e pioveva un colore smorto e pesante. (A. Manzoni)
Il temporale Il cielo p diventato nero nero. E’ tutto carico di nuvole. Il vento soffia impetuoso e porta innanzi polvere e foglie secche. Poi un lampo passa tra le nuvole e il tuono brontola in lontananza. Ecco, cadono le prime gocce di pioggia: sono grosse e pesanti. Le gocce si fanno sempre più fitte; piove a scroscio. (G. Fanciulli)
L’acquazzone Da oriente vennero galoppando grandi nuvole bianche che poi si fecero bigie e pesanti. L’azzurro sparì, ingoiato da quella nuvolaglia spessa. Scoccò un lampo abbagliante, seguito, da lontano, da un tuono profondo. Qualche goccia cominciò a cadere, rada. Poi, la pioggia si infittì, precipitò, scrosciò violenta. Le strade subito ruscellarono, le foglie degli alberi stormirono sotto la sferza, la terra giacque ristorata sotto l’acqua dirotta. (F. Herczeg)
Tempesta nel bosco Tutta la notte il vento soffiò. Andava e veniva. Era una ninna nanna. Si udiva lo sgocciolio dei rami. Poi, di lontano, attraverso gli alberi, giungeva la nuova raffica e sembra di vedere gli animali della foresta anch’essi in attesa e in ascolto nelle loro tane. Quando la raffica si abbatteva vicino, si udivano i grossi tronchi curvarsi come canne e i rami stroncarsi, con un colpo secco come una fucilata. Il vento passava sulle cime degli alberi, sui rami, poi scendeva fino a terra, frusciando tra le foglie. (Richter)
L’arcobaleno Il cielo si schiariva. Sull’ampio scenario turchino come un mare sconvolto, si illuminava un arcobaleno vivissimo, iridescente, che ne accendeva subito un altro di fuori, più grande, ma incompleto. Dall’altra parte il sole riappariva tra gli strappi delle nuvole e tagliava nettamente in due l’orizzonte, dividendo luce e ombra, come per un invisibile immenso diaframma. (J. S. Meyer)
L’arcobaleno
Talvolta, dopo un violento temporale, il sole fa capolino tra le nuvole che si allontanano mentre la pioggia continua ancora a cadere, e allora, dalla parte del cielo opposta al sole, si ammira uno degli spettacoli più belli della natura: l’arcobaleno. E’ come se un grande arco fosse stato dipinto attraverso il cielo coi più vivi e luminosi colori della tavolozza di un pittore. C’è il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, il celeste, l’indaco e il violetto, tutti armoniosamente fusi. (J. S. Meyer)
La grandine Il caldo era soffocante, ma il cielo era tutto azzurro. Solo una nuvola nera era ferma all’orizzonte. In breve, la nuvola divenne un nuvolone e non fu più ferma all’orizzonte, ma coprì tutto il cielo. Gli uccellini tacquero, tutto sembrò immobile e silenzioso sotto la minaccia di quella nuvola. Ad un tratto, un tuono rimbombò cupo; nel cielo si susseguirono i lampi, fitti ed abbaglianti. Ad un tuono più forte sembrò quasi che il cielo si aprisse. Venne giù prima un acquazzone dirotto, e poi la grandine. Una grandine fitta, scrosciante, martellante, che batteva forte sui tegoli, sulla strada; bianca, gelida, rovinosa.
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