Calendari dell’avvento fai da te: una raccolta di 70 e più idee creative per calendari dell’Avvento fai da te da stampare, in tessuto, con le mollette da bucato, con buste di carta, a forma di orologio, di stivaletto di Babbo Natale, di abaco, di spirale, di stella cometa, coi rotoli di carta igienica, in carta o cartone, origami, lana cardata, pannolenci, coi contenitori dello yogurt, e molto altro ancora…
…ho diviso la raccolta in due pagine, (trovi il link in fondo): dopo questi primi 30 calendari dell’avvento fai da te, trovi gli altri qui:
Calendari dell’avvento fai da te: ventiquattro illustrazioni dell’artista Thereza Rowe per realizzare un calendario dell’avvento di carta o rinnovare il calendario dell’anno scorso, http://winterdrawings.blogspot.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: calendario d’avvento a forma di pupazzo di neve. E’ realizzato rivestendo due palle di polistirolo con panno bianco, in vendita qui: http://www.potterybarnkids.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: delizioso calendario realizzato cucendo delle pantofoline con ritagli di stoffe natalizie, applicando il numero, e appendendo le 24 pantofoline a un bel filo con le mollette di bucato, di http://www.flickr.com/
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bellissima idea: cucite 24 anelli da tenda su un pannello di feltro, quindi con le mollette da bucato appendete i pacchettini numerati, di http://kjerstislykke.blogspot.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: dopo aver rivestito un anello con della lana verde, si preparano 24 buste numerate. Ogni busta conterrà l’indicazione per un’attività in tema natalizio, ad esempio: Preparati una cioccolata calda e inizia a leggere il tuo libro di Natale preferito; prepara i biscotti di panpepato; fai una collana di popcorn; prepara l’albero di Natale; prepara i biglietti di auguri da spedire agli amici lontani, ecc… di http://www.dandee-designs.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: qui le buste numerate sono usate per contenere piccoli regalini, di http://www.bhg.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: LEGO-City-Advent-Calendar, conosco più di un bambino che sicuramente apprezzerebbe… qui http://shop.lego.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: gli stivaletti di Babbo Natale sono realizzati con la carta da pacchi; disponibile il modello scaricabile gratuitamente qui: http://www.canadianliving.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: questo calendario dell’avvento-orologio si realizza decorando un grande disco di cartone e aggiungendo le 24 scatoline per i regalini lungo il bordo esterno. Mi piace molto. Di http://www.michelemademe.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: si possono realizzare 24 scatoline a forma di piramide: utilizzando carta verde con decorazioni dorate appariranno come alberelli di Natale stilizzati. Il download è offerto a pagamento qui http://www.etsy.com/
Calendari dell’avvento fai da te: di http://mylittlemochi.typepad.com/ l’idea di truccare un pacchetto di gomme da masticare o di caramelle in blister: una al giorno fino a Natale!
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Calendari dell’avvento fai da te: non poteva mancare un progetto che ricicla i rotoli di carta igienica; questo è di http://mayamade.blogspot.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: bella e semplicissima anche l’idea dei coni di carta (senza fondo) di http://eighteen25.blogspot.com/
Calendari dell’avvento fai da te: tutorial semplice e illustratissimo per realizzare questi cubi colorati, che possono essere numerati e contenere un bigliettino o un regalino, di http://www.origamimommy.org/
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Calendari dell’avvento fai da te: avete uno scaffale Expedit a casa? Questo calendario dell’avvento gigante è un’idea di http://www.ikeahackers.net/
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Calendari dell’avvento fai da te: altre scatoline origami numerate, realizzate riciclando i sacchetti di carta del pane, con un video tutorial molto chiaro da seguire, qui http://www.whateverdeedeewants.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: calendario dell’avvento a fogli mobili per il “conto alla rovescia”, di http://eighteen25.blogspot.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: tutorial con modello stampabile gratuitamente per realizzare buste per il calendario dell’avvento riciclando vecchia carta da regalo natalizia o pitture e disegni dei bambini, tutorial di http://myhomespunthreads.blogspot.com/
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Calendari dell’avvento fai da te: parecchio laborioso attaccare perfettamente tutti i tondini, e fare i fori nel cartoncino, ma questo tutorial è veramente ben fatto e il risultato mi piace molto; di http://paperplateandplane.wordpress.com/
Calendari dell’avvento fai da te: scatoline tonde di misura via via crescente formano insieme un bell’albero di Natale e un calendario dell’avvento che fa aspettare ogni giorno un regalo più grande, idea di http://www.landjugend.at/
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Calendari dell’avvento fai da te: di gran moda il riscatto per uso didattico delle mollette da bucato, e non poteva mancare il calendario dell’avvento. Qui il tutorial e i numeri stampabili gratuitamente: http://limegreenbogiegirl.blogspot.com/
Calendari dell’avvento fai da te: calendario dell’avvento realizzato decorando i vasetti di vetro dello yogurt (gli omogeneizzati non li usate, vero?), di http://naptimecrafters.blogspot.com/
Calendari dell’avvento fai da te: questo è il calendario realizzato da Jessica di Mammagiochiamo
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Calendari dell’avvento fai da te: rotoli di carta igienica e qualche ritaglio di pannolenci per realizzare i folletti di Babbo Natale, numerati per il calendario dell’avvento, di http://www.flickr.com/
Calendari dell’avvento fai da te: di http://maymomvt.blogspot.com/ il tutorial per realizzare questo calendario dell’avvento con lana cardata e ago da feltro, di ispirazione steineriana. Si accende la candela al centro e ogni giorno la mela fa un passo verso il centro, andando di stella in stella. La stessa idea può essere riprodotta in altri materiali, ad esempio con carta blu e dorata, o utilizzando le stelline adesive.
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Calendari dell’avvento fai da te: semplice, tutto riciclato, si realizza usando come fondo un sacchetto di carta grande, e per le tasche sacchettini più piccoli, di http://craftastica.blogspot.com/
Advent calendars DIY: 70 and more ideas – first part. DIY Advent calendars to be printed, textile, made with clothespins, with paper bags, shaped as a clock, as Santa’s boot, abacus, spiral, star of Bethlehem, made with rolls of toilet paper, paper or cardboard, origami, carded wool, felt, with yogurt cups, and more. I have divided the collection into two pages: after these first 30 advent calendars, you can find others here
Twenty-four illustrations of the Thereza Rowe to make an advent calendar card or renew the calendar of last year, http://winterdrawings.blogspot.com/
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Advent calendars DIY: Advent Calendar shaped snowman. It is made by coating two balls of polystyrene with a white cloth, for sale here: http://www.potterybarnkids.com/
Having played a ring with green wool, prepare 24 numbered envelopes. Each envelope will contain the indication for an activity in the Christmas theme, for example: Prepare a hot chocolate and start reading your favorite book of Christmas; preparing gingerbread cookies; make a necklace of popcorn; preparing the Christmas tree; prepares greeting cards to send to distant friends, etc http://www.dandee-designs.com/
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here the numbered envelopes are used to store small gifts, http://www.bhg.com/
This advent calendar-clock is accomplished by decorating a large cardboard disc and adding 24 boxes for the gifts along the outer edge. I really like it. http://www.michelemademe.com/
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You can realize 24 boxes in the shape of a pyramid: using green card with golden decorations appear as stylized Christmas trees. The download is available fee required here http://www.etsy.com/
Simple and highly illustrated tutorial to make these colorful cubes, which may be numbered and contain a note or a small gift, by http://www.origamimommy.org/
tutorial with free printable template for creating bags for the advent calendar by recycling old Christmas wrapping paper or paintings and drawings of children, http://myhomespunthreads.blogspot.com/
By http://maymomvt.blogspot.com/ the tutorial to make this Advent calendar with carded wool and needle felt, inspired Steiner. It will light the candle at the center and each day the apple takes a step toward the center, going from star to star. The same idea can be reproduced in other materials
La spirale dell’avvento – Il primo giorno di scuola del mese di dicembre, o se possibile la prima domenica di avvento, si può preparare in casa, a scuola o anche all’aperto una grande spirale con rami di abete.
Cantando insieme i canti natalizi, ogni bambino percorre la spirale dell’avvento con una candela spenta tra le mani, la accende alla candela grande posta al centro, e nel percorso inverso depone la candelina accesa tra i rami. Poi esce dal percorso dando spazio ad un altro bambino.
Se i bambini sono troppo piccoli per percorrerla da soli, l’adulto può accompagnarli stando dietro a loro. Sulla spirale possono essere poste a distanza regolare delle stelline di carta, per segnare i posti dove i bambini metteranno le loro candeline accese. La candela grande al centro, che rappresenta la luce di Natale, può essere decorata con dei cristalli.
La mela può divenire in questa festa il miglior portacandela. Nelle mele rosse precedentemente lucidate, viene scavato un foro perfettamente perpendicolare e non troppo fondo col cavatorsoli (2cm circa). Le candele, mentre vengono inserite nella mela, possono essere circondate da punte di abete molto corte o da una rosellina di carta dorata.
Su di un tavolino posto all’ingresso della spirale di preparano tutte le mele con le candeline, e si mettono in un bel cesto. Dopo aver fatto tutti i preparativi, per ogni evenienza poniamo un secchio d’acqua con uno straccio in un luogo nascosto ma facilmente accessibile.
Quando tutti i bambini hanno portato nella spirale dell’avvento la loro luce, è bello restare ad ammirarla qualche istante. Poi ci sono due possibilità di conclusione, entrambe molto belle.
Si può, dopo un momento di ammirazione, fare che ogni bambino ripercorra la spirale e ne porti fuori una candelina ancora accesa, che terrà tra le mani, sedendo su delle sedie poste precedentemente in cerchio attorno alla spirale.
Quindi la maestra passa con una campanella a spegnere le candeline ad una ad una, perchè possano essere portate a casa ed essere riaccese dalla mamma e dal papà.
Oppure si può decidere di lasciare come ultima impressione visiva nei bambini quella della spirale illuminata, e condurli fuori dal salone mentre ancora tutte le candele sono accese.
Poi, di nascosto, si spegneranno le candele e in un altro momento della giornata si consegneranno le mele ai bambini perchè possano essere portate ed usate a casa.
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
La quarta settimana di avvento nella scuola steineriana è dedicata all’uomo.
L’angelo viola
La quarta settimana di avvento si può raccontare ai bambini che sulla terra discende un grande e bellissimo angelo dal manto violetto, molto tenero e caldo. Tiene nelle sue mani una grande arpa e con questa suona una dolce melodia, cantando con la sua voce soave. Il suo è il canto della pace. Lo accompagnano molti piccoli angeli, ed anche loro cantano allegri. Così tutti i semi che dormivano nascosti nella terra si risvegliano e anche la terra esulta. Il canto dice che l’inverno finirà e tornerà la primavera.
Nella corona dell’avvento, a partire da questa domenica, si accendono tutte e quattro le candele: quella blu, quella rossa, quella bianca e quella viola.
Mentre si accendono le quattro candele si può leggere o recitare una piccola poesia natalizia, ad esempio:
Nel cuor dell’inverno, fra neve e fra gelo discende il bambino dall’alto del cielo riporta alla terra la luce e il calore e dona ad ognuno speranza ed amore.
Il presepe
La quarta settimana di avvento accanto ai sassi e alle pietre preziose, i geodi di feltro e i rami di santa Barbara, il muschio, i bulbi di giacinto, le pigne, gli alberelli e i cespugli e tutti gli animali, compaiono finalmente Giuseppe, Maria e i pastori.
Solo Gesù bambino, naturalmente, aspetterà il giorno di Natale. La sua apparizione può essere curata di nascosto dai bambini, come per tutti gli altri personaggi, oppure si può seguire un’antica tradizione italiana, che vuole che sia il bambino più piccolo della famiglia ad adagiarlo nella mangiatoia del presepe. Allora possiamo mettere il piccolo Gesù sullo zerbino fuori dalla porta, o sul davanzale di una finestra, o in un altro posto magico e speciale della casa, e il bambino può prenderlo e portarlo nella sua culla. Si può anche appendere il fagottino al cielo del presepe, e poi farlo prendere dal bambino.
Anche i Re Magi possono poi fare la loro apparizione, magari col cammello. Si possono far partire da lontano (un angolo della stanza dove si trova il presepe, oppure già nel presepe, ma distanti dalla capanna) e giorno dopo giorno di possono far avvicinare fino a quando, il 6 gennaio, raggiungeranno anche loro la capanna.
Sullo sfondo possiamo aggiungere agli angeli azzurro, rosso e bianco, anche quello viola; le stelle nel cielo possono aumentare; si possono aggiungere tanti angioletti più piccoli intorno alla capanna.
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
La terza settimana di avvento nella scuola steineriana è dedicata al regno animale…
La terza settimana di avvento – L’angelo bianco
La terza settimana di avvento si può raccontare ai bambini che sulla terra discende un angelo bianco ( o giallo) luminosissimo. Tiene nella mano un raggio di sole che, toccando gli uomini buoni, li fa diventare bellissimi.
Nella corona dell’avvento, a partire da questa domenica, si accendono tre candele: quella blu, quella rossa e quella bianca.
La terza settimana di avvento – Il presepe
La terza settimana di avvento accanto ai sassi e alle pietre preziose, i geodi di feltro e i rami di santa Barbara, il muschio, i bulbi di giacinto, le pigne, gli alberelli e i cespugli, compaiono finalmente gli animali.
Il bue e l’asinello, naturalmente, ma anche tante pecorelle e gli animaletti domestici e del bosco, che ai bambini piacciono moltissimo. Aggiungetene pochi al giorno, così sarà un bel gioco per loro andare a scovare dove si trovano quelli piccoli…
Sullo sfondo possiamo aggiungere all’angelo azzurro ed a quello rosso, anche l’angelo bianco, e le stelle nel cielo possono aumentare.
La terza settimana di avvento
Durante la terza settimana di avvento , il 13 dicembre, cade anche il giorno di Santa Lucia. La leggenda della santa martire siracusana è un po’ troppo forte per i bambini.
Il suo culto è legato alle celebrazioni contadine del solstizio d’inverno, poichè in origine veniva festeggiata il 21 dicembre (Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia). E’ tradizione del 13 dicembre fare le candele coi bambini: trovi il tutorial qui …
Angelo colorato in lana cardata tutorial fotografico passo passo per imparare a realizzarlo con e per i bambini.
Angelo colorato in lana cardata – Materiale occorrente
lana cardata per angeli (quella a fibra lunga e liscia), bianca, rosa incarnato e colorata
un ciuffo di lana cardata gialla per i capelli (se si vuole),
filo dorato per le rifiniture,
ago da feltro (oppure ago e filo).
Preparare la base come illustrato per l’angelo bianco, così:
Con la lana bianca ricavare due strisce: una di circa 60cm e l’altra di circa 25cm (per le ali)
Prendere la striscia lunga e fare un semplice nodo che cada a metà della striscia di lana stessa:
poi dividere in due ciuffi uguali una delle due estremità e procedere alla formazione della testa dell’angelo, come mostrato nelle foto seguenti:
poi rivestire con della lana color rosa incarnato la testina, come mostrato nelle foto:
Dividere in due metà la lana che forma la veste dell’angelo, e inserire ali e braccia, come illustrato nelle foto. Le manine si fanno con la lana rosa, poi si vestono le braccia con la lana bianca:
Sulla lana bianca delle ali mettere un velo di lana colorata:
Procedere al montaggio ed alle rifiniture, come per l’angelo bianco:
Preparare la tunica colorata come mostrato nelle foto:
Fermare la tunica in vita e procedere con le rifiniture come mostrato per l’angelo bianco (capelli, filo dorato, aureola ecc…):
Angelo colorato in lana cardata : una variante
Questa è un’idea in più, se volete un angelo tutto rosso, ad esempio, e non bianco con delle sfumature di colore.
Per formare la testa e la veste, annodare una striscia di lana colorata
Poi rivestire il nodo con della lana color rosa incarnato, come già spiegato:
Quindi seguire la procedura spiegata nel tutorial precedente, sostituendo sempre alla lana bianca quella colorata:
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Tutorial: colored angel in carded wool. Photo tutorial step by step to learn how to make an angel with and for children.
Tutorial: colored angel in carded wool What do you need?
carded wool for angels (the one long and smooth fiber), white, pink and incarnate colored a tuft of yellow carded wool for hair (if you want) golden thread to the finish, felting needle (or a needle and thread).
Tutorial: colored angel in carded wool How is it done?
Prepare the base as shown for the white angel, like this: with the white wool to obtain two strips: one of about 60cm and the other of about 25cm (for wings)
Take the long strip and make a simple knot in the middle:
then divide into two equal tufts one end and proceed with the formation of the angel’s head, as shown in the following photos:
then cover with incarnate-colored wool the head, as shown in the photos:
Divide into two halves the wool that form the angel’s robe, and put wings and arms, as shown in the photos. The hands are made from the wool pink, then dress arms with white wool:
On white wool of the wings put a veil of colored wool:
Proceed with the assembly and finishing touches, as with the white angel:
Prepare the colored tunic as shown in the photos:
Stop tunic on the chest and proceed with the final touches as shown for the white angel (hair, golden thread, aureole etc …):
Angel in colored carded wool carded: a variant
To form the head and the robe, tie a knot on a strip of colored wool:
Then coat the knot with pink incarnate wool as already explained:
Then follow the procedure explained in the previous tutorial, replacing more the white wool with the colored:
Angelo di lana cardata bianco – versione semplice. Fare angeli è sempre fonte di grande soddisfazione per i bambini, che in poco tempo vedono realizzato il loro capolavoro… inoltre sono molto stimolati ad aggiungere decorazioni e particolari e creare oltre all’angelo un’infinità di altri personaggi per il gioco e il teatrino (come vedremo nelle prossime puntate…).
L’unica difficoltà per quanto riguarda la proposta, è che i bambini devono essere in grado di fare i nodi. Se si vogliono far partecipare i piccoli del gruppo, si può sempre fare il nodo, e chiedere al bambino di stringerlo lui.
Angelo di lana cardata bianco – versione semplice – Materiale occorrente
lana cardata per angeli (quella a fibra lunga e liscia),
un ciuffo di lana cardata gialla per i capelli (se si vuole),
filo dorato per le rifiniture,
ago da feltro (oppure ago e filo per cucire i capelli).
Angelo di lana cardata bianco – versione semplice – Come si fa
Con la lana bianca ricavare due strisce: una di circa 60cm e l’altra di circa 25cm (per braccia ed ali)
Prendere la striscia lunga e fare un semplice nodo che cada a metà della striscia di lana stessa:
poi dividere in due ciuffi uguali una delle due estremità e procedere alla formazione della testa dell’angelo, come mostrato nelle foto seguenti:
Appoggiare sul tavolo il lavoro, e prendere la striscia corta di lana. Dalla striscia corta prendere una piccola quantità di lana e formare i nodi per le manine dell’angelo come mostrato nelle foto seguenti:
Ora inseriamo le ali e le braccia come mostrato nelle foto seguenti:
Col filo dorato fermare la lana cardata formando un bell’incrocio sul tronco e una cintura per la vita. Se si desidera, si possono mettere i capelli, aiutandosi con un aghetto da feltro (o con ago e filo):
Infine col filo dorato formare intorno alla testa una bella aureola e modellare le ali e la veste a piacere, a mano o anche aiutandosi con l’aghetto da feltro: ecco fatto!
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Tutorial angel of carded wool white – simple version.
Making angels is always a source of great satisfaction for the children, which soon see their masterpiece completed … they are also very excited to add decorations and details and create over the angel a multitude of other characters for the game and the theater (as we shall see in the next episodes …).
The only difficulty with regard to the proposal, is that children should be able to tie knots. If we want participating even younger children of the group, you can always make the knot, and ask the child to tighten it.
Tutorial angel of carded wool white – simple version What do you need?
carded wool for angels (the long fiber and smooth) a tuft of yellow carded wool for hair (if you want) golden thread to the finish, felting needle (or a needle and thread to sew the hair).
Tutorial angel of carded wool white – simple version How is it done?
With the white wool to obtain two strips: one of about 60cm and the other of about 25cm (for arms and wings)
Take the long strip and make a simple knot in half of the wool strip itself:
then divide into two equal tufts one end and proceed with the formation of the angel’s head, as shown in the photos below:
Lay on the table the work, and take the short strip of wool. From strip short take a small amount of wool and form nodes for the very little hands of the angel as shown in the following photos:
Now insert the wings and the arms as shown in the following photos:
With golden thread stop carded wool forming a cross on the trunk and a belt to the waist. If you want, you can put your hair, using a felting needle (or with needle and thread):
Finally with gold thread forming a beautiful aureole around the head and model wings and dress as you like, by hand or with the help of the felting needle: here is done!
CANTI DI NATALE Lulajże Jezuniu (Dormi, bambin Gesù) – con testo in versione italiana e inglese, spartito stampabile, e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.
CANTI DI NATALE Lulajże Jezuniu (Dormi, bambin Gesù) testo
Dormi, bambin Gesù Dormi, Bambin Gesù, amor mio santo. Dormi, Bambin Gesù, sono qui accanto. La ninna nanna ti canta la mamma, asciuga il ciglio, dolce mio figlio. La ninna nanna ti canta la mamma, asciuga il ciglio, dolce mio figlio.
Sleep little Jesus Sleep, little Jesus, my little pearl! While Mama Comforts you, tender, caressing! Lullaby, little one, in loving arms lying, Guarding my darling and stilling Thy crying! When Thou awakenest, Jesus, my treasure, Raisins and almonds I have for Thy pleasure. Lullaby, little one, in loving arms lying, Guarding my darling and stilling Thy crying! High in the heavens a lovely star sees us, But like the shining sun, is my little Jesus. Lullaby, little one, in loving arms lying, Guarding my darling and stilling Thy crying!
CANTI DI NATALE Lulajże Jezuniu (Dormi, bambin Gesù) spartito e file mp3 qui:
Acquarello steineriano – l’abete. Colori utilizzati: giallo limone, giallo oro e blu di prussia.
Acquarello steineriano – l’abete Come si fa
Riempire tutto il foglio di tante stelline giallo oro e giallo limone:
continuare a fare stelline col blu di prussia. Poi col blu di prussia creare una base in basso, dalla quale far emergere un bel tronco dritto:
cercare nelle stelline la chioma dell’abete, lavorando coi gialli e col blu:
Se volete farne un albero di Natale, aspettate che il foglio sia ben asciutto, poi lo potrete decorare applicando palline e stelline di carta, oppure disegnandole con le matite colorate…
Waldorf watercolor tutorial- the fir tree. Colors that are used: lemon yellow, golden yellow and Prussian blue.
The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but not essential:
Waldorf watercolor tutorial- the fir tree How is it done?
Fill the entire sheet of many starlets with golden yellow gold and lemon yellow:
continue making starlets with Prussian blue. Then with Prussian blue to create a base at the bottom, from which bring out a nice straight trunk:
Search in little stars on the sheet the foliage of the fir tree, working with the yellows, and the blue:
If you want make a Christmas tree, wait until the sheet is dry, then you can decorate applying balls and stars of paper, or by drawing them with colored pencils …
Poesie e filastrocche sul Natale – una raccolta di poesie e filastrocche di autori vari sul Natale, per la scuola d’infanzia e primaria.
Lo zampognaro Se comandasse lo zampognaro che scende per il viale, sai che cosa direbbe il giorno di Natale? “Voglio che in ogni casa spunti dal pavimento un albero fiorito di stelle d’oro e d’argento”. Se comandasse il passero che sulla neve zampetta, sai che cosa direbbe con la voce che cinguetta? “Voglio che i bimbi trovino quando il lume sarà acceso tutti i doni sognati più uno, per buon peso”. Se comandasse il pastore del presepio di cartone sai che legge farebbe firmandola col lungo bastone? “Voglio che non pianga nel mondo un solo bambino, che abbiano lo stesso sorriso il bianco, il moro, il giallino”. Sapete che cosa vi dico io che non comando niente? “Tutte queste belle cose accadranno facilmente; se ci diamo la mano i miracoli si faranno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno”. (Gianni Rodari)
Invito al presepio Venne un angelo al mio cuore, al mio cuore di bambino. Disse: mettiti in cammino, troverai il tuo signore, più radioso di una fiamma, sui ginocchi della mamma.” Nella notte santa e bella camminai dietro i pastori camminai dietro la stella coi miei piccoli dolori, e ad ogni passo mi sentivo più leggero e più giulivo. Giunsi infine ad una grotta, (come povera di tutto!) dalla porta vecchia e rotta la Madonna col suo putto vidi, e l’angelo e il pastore adorare il mio signore; e tre re soavi e buoni giunti là chissà da dove; ed un asino ed un bove silenziosi testimoni che l’avevano scaldato con la nuvola del fiato. Adorai il bimbo, e poi lo pregai di farmi buono e gli chiesi qualche dono qualche dono anche per voi. (R. Pezzani)
Il presepe Vi sono monti scoscesi, nudi ed erti e un ciel di carta azzurra a punti d’oro, vi son le snelle palme dei deserti, tra la neve coi pini e con l’alloro. C’è un bel prato di muschio verdolino, tante casette sparse qua e là un ponticello ed un laghetto alpino proprio d’un monte sulla sommità. E vi sono pastori e pastorelle che vanno con gli armenti in compagnia. un elefante e tante pecorelle verso la capannuccia del messia. E la santa capanna è illuminata sol da una stella che vi splende su… oh, quanta gente intorno inginocchiata anche i re magi, ai piedi di Gesù! Ed il Gesù piccino sorridendo, stende le braccia a tutti quei fedeli, angeli e cherubini van scendendo sopra quel tetto dagli aperti cieli. (E. Morini Ferrari)
L’asinello di Gesù L’asinello lascia il pasto e la schiena sotto il basto va per strade senza siepe e vuol giungere al presepe. Son passati i pastorelli con le lane, con gli agnelli, c’è un fiorire per le fratte, le fontane danno latte e tra i pruni zuccherini è un vagar di cherubini. Lui, ch’è irsuto, bigio, brutto, non ha un dono per il putto: ma riscalderà col fiato il signore del creato. (L. Carpanini)
Presepio E’ una notte fredda e serena con in mezzo la luna piena; poi la luce di fa più bella per l’accendersi di una stella; e quando gli angeli scendono a volo in terra nasce il divino figliolo. Ora è Natale e nella capanna c’è un dolce bimbo con la sua mamma mentre il padre dal volto sereno la mangiatoia riempie di fieno. C’è tanto freddo e tanto gelo e per coprirlo non c’è un velo. Ma l’asino e il bue messisi a lato lo riscaldano col fiato. (G. Rossi)
E’ nato Dite se avete mai visto un fantolino più bello con qui colori di pomo. E’ vispo come un uccello. Ha tutto il cielo negli occhi, tutte le grazie sono sue. E’ nato re in una grotta, tra un asinello ed un bue. (R. Pezzani)
Notte santa Scintillano le stelle, fiaccolette d’argento, e illuminano a festa l’azzurro firmamento, mentre a migliaia, in terra, spandono le campane ad invitar le genti mistiche note arcane. Laggiù, nella chiesetta, brillano come gemme i ceri sacri, accesi al bimbo di Betlemme. Ed al presepio santo c’invita il redentore: qui la preghiera sale dal cuore come un fiore. (R. Tosi)
E’ nato, alleluia alleluia è nato il sovrano bambino la notte che già fu sì buia risplende di un astro divino orsù cornamuse, più gaie sonate, squillate campane venite pastori e massaie oh genti vicine e lontane per quattro mill’anni s’attese quest’ora su tutte le ore è nato, è nato il Signore è nato nel nostro paese la notte che già fu sì buia risplende di un astro divino è nato il sovrano bambino è nato, alleluia alleluia. (G. Gozzano)
Doni al bambino Gesù bambino nella notte santa ebbe i doni del cielo e della terra: ebbe i fiori più belli d’ogni serra, e le più belle foglie di ogni pianta. Ogni stella gli offerse un raggio vivo: ebbe da tutti i re gemme e corone: il vento gli cantò la sua canzone, gli mandò i suoi sospiri il dolce rivo. E chi soffriva gli donò il suo pianto, chi godeva gli diede il suo sorriso. Dalle soglie dell’alto paradiso gli gettarono le nubi un roseo manto. Ebbe la lana di ogni pecorina, tutto quello che aveva ogni pastore. Ogni mamma gli diede un suo dolore, ogni siepe gli diede una sua spina. Ma c’era un bimbo povero che, senza mantello, verso il suo destino andava. Era giunto così presso il bambino: cercava un dono, ma non lo trovava! Toccare non osò la santa culla: un muto pianto gli bagnò le gote: si strinse al cuore le manine vuote, guardò il bambino e non gli diede nulla. Ma nella notte così fredda e nera quel nulla diventò luce e calore: di tutti gli astri aveva lo splendore e tutti i fiori d’ogni primavera. (Milly Dandolo)
Albero di Natale Le candeline accese sui rami dell’abete sembrano tutte liete di vegliar da vicino il dolce sonno di Gesù bambino. I gingilli d’argento, le belle arance d’oro, chiedono tra di loro scampanellando piano: “Ci toccherà la sua piccola mano?” Gli angioletti di cera dalle manine in croce sussurrano con voce quasi di paradiso: “Se avessimo soltanto un suo sorriso!” E la stella cometa che vide tutto il mondo dice con profondo sospiro di dolcezza: “Non vidi mai quaggiù tanta bellezza!” (Milly Dandolo)
Notte di prodigio Mezzanotte! Le fonti gelate si disciolgono per incanto; si ridestano dal greve sonno tutte le piante addormentate. E le strade non hanno più spini, i sassi non fanno più male; le siepi sono tutte chiare, come fiorite di biancospino. Ogni cuore si leva al richiamo d’un azzurro messaggero, ogni viandante segue una stella che gli illumina il sentiero… (Graziella Ajmone)
Il Cristo bambino I suoi occhi acquamarina si aprono al sorridente mare del mattino. Due soli splendenti hanno illuminato l’alba. Le sue gote di melagrana sono fiori di rosa di alloro, fiori rosa i cui steli e radici salutano l’umanità con amore. Le sue esili braccia levate in un simmetrico arco armonioso che abbraccia il mondo. La sua bocca due petali di rosa la sua lingua un’arpa dolce e melodiosa i capelli brillano di luce intrecciati con rami di rosmarino. I polsi mazzolini di violette e quando respira la stanza si riempie d’incenso che brucia in un fuoco divino. Quando cammina sarà un ondeggiare di broccato vermiglio, blu e d’oro bordato d’argento e tempestato di pietre. Gloria eterna a Lui neonato salvatore, il Re e a Colui che Lo adorna. (K. Naregarsi)
Oh bambino Gesù, sei piccolino e poveretto forse più di me hai solo un po’ di paglia per lettino ma tu scendi dal cielo, oh re dei re tutto quello che ho, Gesù bambino è tutto dono della mia bontà tu mi hai dato la vita, un cuoricino la mia mamma adorata, il mio papà mi hai fatto tanti doni cari e belli ed io, che non ti ho dato ancora nulla prego in ginocchio come i pastorelli dinnanzi allo splendor della tua culla e il mio piccolo cuore dono a te oh signore del mondo, oh re dei re.
Canto di Natale del ciliegio Giuseppe e Maria passeggiando qua e là scorsero ciliegie e mele in grande quantità e Maria chiese a Giuseppe. con fare gentile e carino: coglimi qualche ciliegia perchè aspetto un bambino rispose Giuseppe così rozzo e scortese chiedi al padre del bimbo perchè non te le ha prese e allora il bambino dal grembo ordinò piegati ciliegio che mia madre ne abbia un po’ e il ciliegio come un arco si piegò un istante per far raggiungere a Maria il ramo più distante e allora Giuseppe prese Maria sulle ginocchia dicendo: Signore, perdona la mia spocchia e abbracciando Maria disse: Negli anni che verranno mio piccolo salvatore, per il tuo compleanno colline e montagne a te si inchineranno e dal ventre materno parlò ancora il bambino il mio compleanno sarà a Natale, di mattino quando colline e montagne mi faranno un inchino.
Natale Si squarcia nella notte il fondo velo ed un vivo splendore appare in cielo. Scendon giù dalle saperne sfere infinite degli angeli le schiere: -Osanna, osanna- cantano in coro e manifestan la grandezza loro. Abbagliati i pastori, ed esultanti senton nel cuore l’eco di quei canti. Balzan in piedi, pieni di fervore per cercare nel mondo il redentore. e van e vanno guidati dalla stella fin sulla soglia della capannella E’ nato là il salvatore, è nato le genti vuol redimer dal peccato è venuto qui in terra il Dio d’amore per riscaldare a tutti a tutti il cuore nell’anime la pace scenderà agli uomini di buona volontà. (E. Minoia)
O Simplicitas Un angelo mi visitò ed ero impreparata a esser di Dio strumento madre diventerò ma ero spaventata tremai per un momento l’angelo era ancora là, sia fatta la sua volontà ed accettai l’avvento. Dovrebbe un re solenne nascere in nobile dimora pensavo in quel momento partimmo per Betlemme, tutto era strano allora soffiava un freddo vento portavo un vecchio mantello, non ci accolsero nell’ostello la città era in fermento Un bimbo appena nato, che ancor non sa parlare giace in umiltà Giuseppe lo ha vegliato, le bestie lo san scaldare si muovono a pietà è nato in una stalla? Capii quella novella più di un re lo adorerà era un fatto strano, la stalla di un pastore un gregge che belava, il verbo fatto umano giaceva sul mio cuore, la gioia mi inondava e i pastori vennero a rendere onore a quel bimbo nostro signore e a tutta la saggezza che incarnava. (M. L’Engle)
Natale Nel cuor dell’inverno tra neve e tra geli discende il bambino dall’alto dei cieli riporta alla terra la luce e il calore e accende nei cuori speranza ed amore. (E. Minoia)
Una sposa magica Ebbi una dolce, candida visione una sposa magica, splendida apparizione che sapeva parlare di gioia e di dolore una giovane madre che con devozione a vegliare il bimbo nella culla si dispone lo custodisce cantando per ore ninna nanna, ninna oh, dormi dolce bambino.
Presepio Il mio pastore c’è. Anche quest’anno lassù, tra i monti, ha lasciato il capanno e scende a visitare il re dei re. Va, scalzo, per sentieri di muschio, in mezzo a laghetti e ruscelli. Portano agnelli altri pastori, le donne panieri. Egli ha le mani vuote: è poverello e non ha nulla per la divina culla. Ma la gioia gli scalda il volto bello. Dietro il fulgore dei Magi chinerà timido e muto il suo capo ricciuto: offrirà il cuore. (L. Barberis)
Natale Voli d’angeli nel ciel di turchese, sorrisi incantanti di bimbi, ceppi tra gli alari di mille focolari. Presepi fasciati di sogno di trepida attesa, alberelli raggianti di luce, voci di chiese in ogni paese. Doni che giungono a mille da mille remote contrade, biglietti d’augurio, conviti che tutti ci voglion riuniti. (Luisa Zoi)
Natale Stella stellina che brilli lassù ravviva il tuo lume, che passa Gesù Campana piccina che attendi lassù intona il tuo canto che nasce Gesù Oh cuore piccino che attendi quaggiù prepara i tuoi doni che nasce Gesù.
Natale Un canto nell’aria Un campo innevato! Una stalla piena di fieno! Ronfa un asinello! Una madre il suo bimbo culla! Una mangiatoia, e una mucca col vitello! -Noi ricordiamo tutto quello_ e voci gaie, nell’aria quieta! E tre re magi, e una cometa! Duemila anni di neve sanno che nell’aria c’è un canto a Natale ogni anno e si sente in questo incanto una melodia serafica, un inno fatato che dice a tutti che lui è rinato che tutto ciò che amiamo è rinato. (J. Stephens)
Natale Lo spirito del mondo discende sulla terra e in quel grembo profondo per mesi si rinserra. Con la mano leggera mille fiaccole accende sì che la notte nera ad un tratto risplende. La pietra si ravviva, si ridestano i semi la larva si fa viva. Anche nel cuore dell’uomo lo spirito discende e una fiamma d’amore e una speranza accende. (E. Minoia)
Salus mundi Vidi una stalla bassa e scura nella mangiatoia giaceva un neonato i buoi lo conoscevano, se ne presero cura dagli uomini era ignorato del mondo la salvezza futura ai rischi del mondo abbandonato. (M. Coleridge)
Natale Nella notte oscura io non ho paura brillano le stelle nel cielo così belle guardan Gesù bambino piccolino piccolino che ci è nato per amore sulla Terra e qui nel cuore. (L.Baratto)
Natale Quanto più triste è attorno a noi l’inverno quanto dura è la zolla e spento il cielo dal profondo fiorisce a noi tra il gelo un fiore eterno. Suonano dai suoi petali parole di pace in terra ad ogni buon volere e per il cuore che lo sa vedere rinasce il sole. (L. Schwarz)
Natale Lei giaceva tranquilla sulla paglia mentre lui veglia il bambino, incerto e le ombre danzano sulla porta della stalla i buoi ondeggiano, nella capanna volteggia una falena è Gabriele con ali di seta, che va dove lei giace tranquilla sulla paglia un falegname e sua moglie, ignari che re e pastori li cercan da lontano e le ombre danzano sulla porta della stalla dorme il bambino, un asinello sbuffa lui mormora prudente e guarda lei che giace tranquilla sulla paglia canta il gallo, ma il canto non vien fuori sulla collina sagome scure di pastori e le ombra danzano sulla porta della stalla nell’aria calma si sente vita nuova che copre il profumo lontano della mirra lei giace tranquilla sulla paglia e le ombre danzano sulla porta della stalla. (J. Nicholls)
Natale Nato è il bambino nella capanna veglia Giuseppe, veglia la mamma nel cielo appare la nuova stella che annuncia il mondo la gran novella gli angeli cantan in una schiera risorgi uomo, risorgi e spera fa che il bambino ti nasca in cuore e che ti porti luce ed amore. (E. Minoia)
Natale …che neve, che sera! Ma a un tratto comparve una stella; ed ecco sembrò primavera. La siepe che dianzi era brulla fiorì d’improvviso. S’udiva leggero un pio ritmo di culla, e un palpito d’ali d’argento, e un dolce tinnar di campane portato giù a valle dal vento. E vivo splendeva laggiù sull’umile grotta, a Betlemme, un fiore divino, Gesù. (Zietta Liù)
Ascolta… senti? Senti! Non odi questa melodia, non senti il grido del pastor contento un coro di fanciulli; e per la via, tra gli alberi, frusciar lieto il vento? Non vedi dunque il fiocco lieve lieve, non vedi su nel cielo la cometa non vedi il folleggiare della neve, che nel cadere sembra bianca sete? Ascolta! …Senti questo battere d’ale che pare il tintinnar di mille gemme, e il richiamo dell’angelo trionfale, perdersi nella valle di Betlemme? Non scorgi dunque il fioco lanternino che illumina la stalla, non vedi il bove quieto ed il ciuchino, non vedi il bimbo sulla paglia gialla? Non vedi la dolce maria che rapita mira il bambino? E al fianco suo Giuseppe cui trema la gran barba incanutita? E i tre re Magi giunger dalle steppe? Ascolta!… Senti? Il coro celestiale canta lassù: “Auguri! Oggi è Natale!” (A. Zelli)
Natale Maria dentro la grotta si posò, e Giuseppe a Betlemme si avviò. Ma d’un tratto sentì che mentre andava a mezzo il passo il piè gli s’arrestava. Vide attonita l’aria e il cielo immoto, e uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto; e poi vide operai sdraiati a terra, e posata nel mezzo una scodella; e chi mangiava ecco non mangiava più chi ha preso il cibo non lo tira su chi leva la man la tiene levata e tutti al cielo volgono la faccia. Le pecore condotte a pascolare sono lì che non possono più andare fa il pastor per colpirle con la verga e gli resta la man sospesa e ferma e i capretti che all’acqua aveano il muso ber non possono al fiume in sé rinchiuso E poi Giuseppe vide in un momento ogni cosa riprender movimento tornò sopra i suoi passi, udì un vagito Gesù era nato, il fiore era fiorito. (D. Valeri)
Natale E l’angelo volò sotto le stelle vide un castello con tre grandi porte e sulle porte nove sentinelle. L’angelo del Signore gridò forte: “E’ nato!” E l’angelo volò sotto le stelle e vide tre pastori in una corte presso un fuoco, ravvolti in una pelle. L’angelo del Signore gridò forte: “E’ nato!” I pastori si misero in cammino coi montoni, le pecore, gli agnelli, e per la prima volta Gesù bambino apparve a tre pastori poverelli. (S. Plona)
Natale Cosa mai porterà quel poveretto al bambino che è nato il cespo è nudo, spoglio è l’alberetto e le sue mani, ruvide di gelo pendono vuote, vuota è la bisaccia ma la sua scarna faccia si illumina di cielo. Va nella notte bianca di neve aspro il sentiero ma più s’accosta, più il passo è leggero s’affretta, si rinfranca. Eccolo, è giunto, è giunto al limitare della santa capanna fulgori, incensi, osanna ed egli non ha nulla da donare. Vuote le mani, lacrime alle ciglia… oh, dai cenci scuote i bianchi fiocchi e d’improvviso pare, meraviglia, che una cascata di gemme trabocchi. (D. Mc Arthur)
Natale Canta la chiesetta del monte la sua pastorale è apparsa nel buio orizzonte la stella del santo Natale è apparso un angelico stuolo nel cielo d’oriente e annunzia ch’è nato il Figliolo di Dio a tutta la gente Din don din don! Che dolcezza, che gioia nel cuore o notte di eterna bellezza, o notte di pace e d’amore! La terra di neve s’ammanta, cammina una stella lassù è questa la notte più santa, din don din don è nato Gesù.
Natale Che ti ha portato il Bambino? Un aeroplano che vola, tre arance, un burattino e la cartella di scuola con libri belli ha riempito poi c’era accosto al mio letto un nuovo grazioso vestito e, nuovo, su quello, un berretto… Nient’altro il Bambino ti ha offerto? Nient’altro ti ha fatto gioire? E’ molto mi pare, ma certo, qualcosa ancora ho da dire e a dirtelo, vedi, ora stento oh, dentro al cuore un bel dono io solo, io solo lo sento: la voglia di esser più buono. (G. Fanciulli)
Natale Cosa c’è sull’abete piccino che ride come un bambino? C’è una lieve campana sospesa a un filo bianco a chi l’urta nel fianco parla con voce umana C’è un grazioso uccellino occhietti d’oro, alucce d’argento se appena lo tocca il vento è pronto a spiccare un saltino C’è una trombetta discreta che non suona forte ma brilla e in alto, come sfavilla! C’è la stella cometa E c’è un angelo che vola: non risponde se lo chiamo appende stelle di ramo in ramo e candeline celesti e viola Questo c’è sull’abete piccino che ride come un bambino.
Natale Attraverso quelle nubi onde è oscuro il nostro ciel passan pur di gloria i raggi e si squarcia il denso vel. Odi l’eco dolce e arcano di quegl’inni pien d’ardor che si cantan nella luce nella patria dell’amor.
I pastori “La luce di una stella” dice il vecchio pastore “ci insegna la strada, la strada che porta al Signore”. Ed i pastori, umili e buoni, alla capanna vanno e recano doni. E le pie pastorelle preparan lini candidi, e latte, e lana delle agnelle. Il più piccolo pastorello ha già pronto lo zufoletto, per cantare la ninna nanna al divino pargoletto. Don… dan… don… Dice il vecchio pastore: “La mezzanotte scocca udite il cor degli angeli? E’ nato il redentore!”. “Gloria al signore!” ripete ogni pastore “E pace in terra agli uomini! Pace… ed amore!” (Elisa Furiosi)
Ninna nanna a Gesù bambino Nella gelida capanna c’è un bambin che fa la nanna. Gli è vicino la sua mamma che lo ninna e che lo nanna. Fa’ la nanna, o piccolino, fa’ la nanna, o re divino! San Giuseppe poverello sta attizzando il fuocherello per scaldare il corpicino di quel fiore di bambino. Fa’ la nanna, o fiorellino, fa’ la nanna, o re divino! Son venuti i pastorelli con le pecore e gli agnelli, le zampogne per suonare e Gesù riaddormentare. Fa’ la nanna, o fantolino, fa’ la nanna, o re divino! (Domenico Vignali)
Natale Nella notte tutta stelle passa un angelo piccino. Ha soltanto un camicino e le alucce chiare e belle. Van pastori e pastorelli dietro a lui nella capanna, dove il bimbo fa la nanna, e gli portano gli agnelli. La Madonna veglia e tace, veglia e tace a capo chino; guarda trepida il bambino, il suo cuore non ha pace. Lo riavvolge dentro il manto, lo contempla con dolore; senza fasce è il Dio d’amore. Trattenere non può il pianto. San Giuseppe inginocchiato guarda il bove e l’asinello che riscaldano col fiato quel bambino così bello. Ed intanto tutti in coro cantan gli angeli l’osanna a Gesù che fa la nanna sotto la cometa d’oro. (Giannina Facco)
Notte santa Il sole accesso calava dietro i monti di Giuda: lungo la valle nuda il vento mugolava. Ma sul colle alto, Betlemme radiava come gemme. Stanchi, senza parole, montavate. Sparve il sole nel silenzio, e mentre annotta non albergo, una grotta trovaste; e tu Maria, dicesti: “Così sia”. Su rozza paglia stavi, sonno ti prese. Sognavi che ti nasceva Gesù. Angosciata ti svegli, e ai tuoi piedi, in un mare di luce, lo vedi! Come uccelletto in nido la sua boccuccia apriva, piccoletta quasi uliva; i piedini e le manine sue li scaldavan l’asinello e il bue. Giuseppe in rapimento muto, le braccia in croce, chino sul petto il mento, adorava. Ma tu, che voce, che grido, o Maria, mettesti. quando aprì gli occhi celesti! (Angiolo Silvio Novaro)
Il vecchio Natale Mentre la neve fa, sopra la siepe, un bel merletto e la campana suona Natale bussa a tutti gli usci e dona ad ogni bimbo un piccolo presepe. Ed alle buone mamme reca i forti virgulti che orneran furtivamente d’ogni piccola cosa rilucente ninnoli, nastri, sfere, ceri attorti. A tutti il vecchio dalla barba bianca porta qualcosa; qualche bella cosa e cammina e cammina senza posa e cammina e cammina e non si stanca. E dopo aver tanto camminato nel giorno bianco e nella notte azzurra canta le dodici ore che sussurra la notte, e dice al mondo : “E’ nato!” (M. Moretti)
Natale Maria dentro la grotta si posò e Giuseppe a Betlemme si avviò, ma un momento sentì che mentre andava a mezzo il passo il piè gli s’arrestava. Vide attonita l’aria e il cielo immoto e gli uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto e poi vide operai sdraiati a terra e posata nel mezzo una scodella e chi mangiava, ecco non mangia più chi ha preso il cibo non lo tira su chi levava la man la tien levata e tutti al cielo volgono la faccia. Le pecore condotte a pascolare sono lì che non possono più andare, fa il pastore per colpirle con la verga e gli resta la man sospesa e ferma. E i capretti che all’acqua aveano il muso ber non possono al fiume in sé rinchiuso. E poi Giuseppe vide in un momento ogni cosa riprender movimento. Tornò sopra i suoi passi, udì un vagito, Gesù era nato, il fiore era fiorito. (D. Valeri)
Natale Bianca la terra, il cielo grigio “Suonate campane a distesa, è nato!”. Sul vivo prodigio la Vergine è china e protesa. Non broccati, non grevi tende, proteggono il bimbo dal gelo qualche tela di ragno pende dal soffitto che mostra il cielo. Gesù tutto bianco e vermiglio sulla paglia fredda si muove gli rifiatano sul giaciglio a scaldarlo l’asino e il bove. Sopra il tetto che si spalanca nero, la neve fiocca uguale. Angioletti in tunica bianca ricantano ai greggi: “E’ Natale!” (T. Gautier)
Quieta notte Quieta notte, santa notte! Tutto dorme, veglia solo la diletta coppia santa; il bel bimbo, capelli ricciuti dorme in pace celestiale. Quieta notte, santa notte! Ai pastori il primo annuncio con il cantico degli angeli squilla forte, lontano e vicino: “Gesù il salvatore è qui!”. Quieta notte, santa notte! Figlio di Dio, oh come sorride l’amore sulla tua divina bocca! Suona per noi l’ora salvatrice, Cristo, nel suo Natale! (G. Regini)
Serenità natalizia E’ Natale! Batte l’ale per il freddo l’angioletto e si scalda il fanciulletto della mamma presso il cor. E’ Natale! Nessun male faccia piangere i bambini anche gli orfani e i tapini passin lieto questo dì. E’ Natale! Sovra l’ale scenda l’angiol come neve porti a tutti, dolce e lieve, i bei doni dell’amor! (A. C. Pertile)
Uber sonne, uber sterne Lentamente va Maria tra le chiare stelle d’or, prende luce, prende gloria per il bimbo suo Signor. Nell’immensità stellare su nel cielo Maria va reca i doni che il Natale alla terra porterà. Chiede al sole ed alla luna fili bianchi e fili d’or per cucire una vestina al bambino suo Signor. Stan le stelle tutte attorno a guardar Maria che va con i doni che il Natale alla terra porterà. (canto tradizionale)
Natale è vicino Il gelido vento che scende giù giù dal camino ha detto: “E’ vicino” Il passero in cerca di briciole l’abete ed il pino Han detto: “E’ vicino” Col vecchio dicembre la neve vien giù e i bimbi vicino al camino ripetono lieti: “E’ vicino” “Arriva il bambino Gesù”.
Vigilia di Natale Nella grande cucina di campagna era riunita tutta la famiglia per quella dolce sera, tanto attesa. Oh, dolce sera della gran vigilia! Erano i grandi intorno al focolare, a rievocar Natali ormai lontani, come in un sogno, pieno di dolcezza, lieti Natali della fanciullezza. E i bimbi erano intorno ad un presepe a rimirar pastori e pecorelle, laghetti, monti, limpidi ruscelli e la capanna umile, e in ciel le stelle. La mezzanotte lentamente suona. Tutti in ginocchio dicon la corona. Sulla capanna splende un sole d’oro: nato è Gesù e or vive in mezzo a loro. Il nonno, una figura patriarcale, intona l’inno della pastorale: “Tu scendi dalle stelle, o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo”. Un angelo si ferma ad ascoltare la dolce nenia della pastorale. Un palpito nei cuoi, un fruscio d’ale, e l’angelo sussurra: “Buon Natale!”. (Elisa Furiosi)
Notte di Natale Chiara notte, notte bella i pastori, gli agnellini gli angioletti ed i bambini tre re magi ed una stella vanno tutti da Gesù.
Notte di Natale Nella gelida notte di Natale un canto di campane si diffonde: nell’aria ondeggia, e il firmamento sale azzurro e cupo come mar senz’onde. Gli angeli piegan sulle culle l’ale narrando ai bimbi favole gioconde. Chi stanco vigilò, riposa in pace. Cantano le campane e il mondo tace. (Fausto Salvatori)
La sacra famiglia Maria lava al ruscello e gli uccellini intanto accompagnano il moto col loro dolce canto. San Giuseppe sui rami i panni va stendendo e l’acqua del ruscello scorre via sorridendo. Cantano gli angioletti e i rami sono in fiore dove brillano le fasce di Gesù mio signore. (S. Plona)
La notte di Natale Mamma, chi è nella notte canta questo canto divino? Caro, è una mamma poveretta e santa che culla il suo bambino. Mamma, m’è parso di sentire un suono come di campanella. Sono i pastori, mio piccolo buono, che van dietro alla stella. Mamma, c’è un battere d’ali un sussurrar di voci intorno intorno. Son gli angeli discesi ad annunciar il benedetto giorno. Mamma, il cielo si schiara e si colora come al levar del sole. Splendono i cuori degli uomini è l’aurora del giorno dell’amore. (D. Valeri)
Notte di Natale Calma è la notte, limpida, serena; la luce delle stelle è mite e buona. Il venticello fiata appena appena, nelle braccia al mistero s’abbandona. La neve bianca arricchisce la scena della natura e più luce le dona, la ciaramella intona una novena che arriva al cielo come una canzona. Sacro è il silenzio, misterioso e fondo, quasi che non volesse profanare l’aspettativa dolce che è nel mondo! (P. G. Cesareo)
Sogno di Natale Stanotte ho sognato che tu, dolce mamma, accanto mi stavi, quand’ecco una fiamma nel cielo s’è accesa. La notte già buia qualcuno ha percorso cantando alleluja. E il coro armonioso di voci d’argento ho udito cantare sull’ali del vento: “Dio vero discese tra gli uomini: osanna!” E il coro era preso una grigia capanna. Fin là siamo andati. Pian piano. La neve di soffici piume sembrava più lieve: fasciava la terra sopita nel bianco. Il viaggio fu dolce, o mamma, al tuo fianco! Allora l’ho visto il bimbo divino più bello di un fiore e piccino piccino. Splendeva, coperto soltanto d’un velo d’un tenero, azzurro chiarore di cielo. Per te, dolce mamma, per il babbo mio, il bene gli ho chiesto di cui son capace: pei morti il riposo, pel mondo la pace; pei poveri un tetto, pei tristi l’oblio. (Mario Pucci)
Il vecchio Natale Mentre la neve fa, sopra la siepe, un bel merletto e la campana suona, Natale bussa a tutti gli usci e dona ad ogni bimbo un piccolo presepe. Ed alle buone mamme reca i forti virgulti che orneran furtivamente d’ogni piccola cosa rilucente, ninnoli, nastri, sfere, ceri attorti… A tutti il vecchio dalla barba bianca porta qualcosa, qualche bella cosa e cammina e cammina senza posa, e cammina e cammina e non si stanca. E dopo aver tanto camminato, nel giorno bianco e nella notte azzurra, conta le dodici ore che sussurra la notte e dice al mondo: “E’ nato!”. (Marino Moretti)
Piccole mani Manine di Gesù, piccoli petali rosa che mamma stringe di più per riscaldarvi al suo cuore, manine che or vi schiudete in atto d’amore; o soavissime mani che le pupille dei ciechi risanerete domani, piccole dita di fiore che dalla fronte d’ognuno nel giorno di Natale cancellerete il dolore, sfioratemi la fronte, venite al mio guanciale e da babbo e mamma mia ogni pensiero doloroso, io vi prego, mandate via, soavi piccole mani. E così sia! (Zietta Liù)
Offerta “Io porto al presepe il sempreverde, ancora fresco della mia siepe”. “Io un bocciolo che odora di primavera, lieve bocciolino di serra, bianco come la neve che vela cielo e terra”. “Io a mani giunte andrò al bimbo mio Signore; in dono porterò il mio piccolo cuore”. (Dina Mc Arthur Rebucci)
La Madonna dei pastori Come sempre, Maria, la notte di Natale, al suo presepe antico, nel gran gelo invernale, discese in compagnia: c’era Gesù sul fieno, Giuseppe, i Magi, gli angeli tutti del paradiso e Giovanni con l’esile croce premuta al seno. C’erano le Madonne di tutti i santuari di tutti gli oratori discese dagli altari, nelle lucenti gonne, discese dai dipinti di tutti i dipintori, da tutti i crocevia, ricche di sete e d’ori di ninnoli e di cinti. Recavano in omaggio voti, gioielli, fiori; recavano il perdono per tutti i peccatori giunti in pellegrinaggio. Ce n’era una, di legno, scolpita rozzamente con abito e mantello stinti dalle tormente del piccolo suo regno: apparve la più povera, senza cuori d’argento. Scendeva dai suoi monti dove ululava al vento il lupo solitario, e lassù non salivano che pochi pastorelli forse una volta all’anno, con la bisaccia e il pane, avvolti nei mantelli. Essa è là, non si muove, quasi mortificata di tutte le ricchezze stipate sull’entrata, sparse per ogni dove; e reggendo con molta cura il grembiule nero, reca sol bianca neve: quella del suo sentiero, così, per via, raccolta. Maria la scorse, e lieve: “Come ti chiami?”. Ed ella dal suo cantuccio, fuori: “Mi chiamano, sorella, Madonna dei pastori”. Disse, ed in quel momento le cadde giù il grembiule dalle mani tremanti, e una pioggia di falce si sparse sul viale: diventarono fiori, si dilatò un profumo ed una luce, e fuori belarono le agnelle. Maria sorrise al dono, felice. E a quella i venti che vagano sul monte, e i torrenti e le genti, infiorarono il trono. Ogni Natale ancora rifioriscono al molle tepore del suo piede cespugli di corolle candide, come allora. (Giuseppe Porto)
Natale Ascolta mammina… C’è qualcuno che bussa alla porta! E’ un angel del cielo che porta un dolce messaggio per te! E’ un dolce messaggio d’amore, è un dolce messaggio di pace che certo ti piace, messaggio che dice: “Ti rendo felice!”. Lo manda il celeste bambino che tanto ho pregato per te, con tante promesse di bene al mio piccolo re. Babbo non senti? Qualcuno qui batte per te! E’ il mio piccolo cuore che ha detto al Signore le dolci parole cercate per te. Gli ha detto: “Celeste bambino, il babbo, ti prego deh, fallo contento! Un sacco d’argento tu portagli qui, un sacco con dentro la pace, la gioia, l’onesto lavoro”. Così ho pregato, e Gesù redentore ascoltarmi saprà. Vedrai tu mamma… vedrai papà! (B. Marini)
Messa di mezzanotte C’era un silenzio come d’attesa lungo la strada che andava alla chiesa; è fredda l’aria di notte, in quell’ombra là, solitaria. C’eran le stelle nel cielo invernale; e un verginale chiarore di neve, ma lieve e rada. C’era una siepe nera e stecchita: parea fiorita di suo biancospino. E mi tenea oh, mio sogno lontano mia madre per mano. E nella tiepida chiesa, che incanto! fra lumi e un denso profumo d’incenso e suono d’organo e voci di canto, ecco il presepe, con te, bambino… (Pietro Mastri)
Natale Gremito di stelle è il firmamento; di ghiaia d’argento brilla la strada del mare per qualcuno che deve arrivare. Manti di neve agli alti crinali come drappi ai davanzali parano i monti a festa. Vicino, lontano, di luce accesa, pare la terra un altare. Socchiuse tuttora son le porte dei casolari; sconosciuti che in quest’ora si salutano in cammino si riconoscono familiari. Il mastino li guarda passare e si scorda di abbaiare. Non nelle fiabe soltanto è questa notte d’incanto. O cuore di tanta gente che ritornato innocente t’apri come un fiore, nasce, stanotte, nasce il Signore! (Ignazio Drago)
Le sue ricchezze Gesù, Gesù bambino è nato poverino come nessuno fu. La casa una capanna, la culla un po’ di fieno, per vestirlo una spanna di lino o forse meno. Per fargli caldo, il fiato d’un asino e d’un bue. Queste che vi ho contato son le ricchezze sue. (Renzo Pezzani)
Natale Quei fiori di brina alla finestra sono piume di tenere colombe, così candidi e fragili, mio Dio. Oh Maria, gentile madre amorosa che una spina già punge: i tuoi occhi sono dolcemente tristi, mentre preghi tuo Figlio. Gli angeli intanto con le trombe lucenti del giorno del giudizio annunciano la lieta novella: “Dei poveri è il regno dei cieli, Alleluia”. Ma i poveri piangono ancora di freddo, o Signore, e di pena. (A. Franchi)
Natale al lago turchino E’ un Natale poverino quello di Lago Turchino piccolo paese lassù che non ha neppure un campano per farsi sentire lontano. Forse un lumino di più arderà sui focolari; brucerà un ciocco di più tra le castagne e il vino. Ma a mezzanotte quando romberanno gli angeli osannando sopra il sospeso sonno di ogni piccolo giaciglio si schiuderanno nimbi di fulgide comete trepide e liete più d’ogni bella strenna di città. (Marcello del Monaco)
L’albero di Natale La stella d’Oriente, arrivata a Betlemme, fu più veloce dei Magi, che andavan lemme lemme. Un po’ per aspettarli, un po’ per contemplare, si fermò su un abete vicino a un casolare. Ma, ohimè, la bella coda tra i rami si impigliò: di frammenti una pioggia frusciando cascò, Balzarono i dormenti, stupirono i bambini nel mirare l’abete palpitar di lumini. (Giuseppe Consolaro)
La notte che verrai Gesù, la notte che verrai la porta aperta troverai del cuore mio. Ci sarà il fuoco acceso ed un lumino, così la letterina leggerai. Mi lascerai i tuoi doni, ed io del cuore ti farò offerta. Vieni, Gesù, e troverai la porta aperta. (da Il corriere dei piccoli)
Una casina di pace In una casina di pace c’è un bimbo che giace su un poco di paglia. Sì povero è nato che il bove lo scalda col fiato. Tra canti divini la madre lo adora lo fascia di candidi lini. Giuseppe va in cerca di legna per fare un fuochetto, ed ogni angelo insegna, ad ogni pastore, la strada che guida al Signore. Anch’io l’ho visto il mio Dio. Anch’io confuso agli agnelli gli chiedo per mamma e papà la pace e la felicità. (Renzo Pezzani)
Natale, notte santa L’angelo: “Di Natale la notte santa vengo ai bimbi ad annunciare: tutto il cielo al mondo canta che il suo re sta per passare, che il suo re sta per venire senza manto né corona per lasciare a tutti in dono una gioia dolce e buona”. La stella: “Son la stella d’oro e argento che ha segnato la sua via per gridare al freddo e al vento: Presto, presto, andate via! Per guidare il pastorello che la via non conosceva con la pecora e l’agnello fino al Re che l’attendeva”. Pastorelli: “Siamo noi quei pastorelli, che han sentito il dolce canto, che per valli e per ruscelli han trovato il luogo santo”. Pecorelle: “E noi siam le pecorine che han belato di dolcezza, nel mirar quelle manine che han creato ogni bellezza”. Bambini: “E noi siamo quei bambini che al presepio hanno portato puri doni e fiorellini. Or torniamo col cuor beato per recare a tutti in dono la parola del Signore la promessa del perdono la promessa dell’amore”. (Luisa Nason)
Bimbi attorno al presepio Quando s’apre il velario che il lontano paese di Betlemme cela, dalla calca dei bimbi sgorgano torrenti di gioiosi sguardi. Solo allora l’ingenua stella d’argento risplende e gli animali al chiuso dello speco fiatano e il cereo fantolino vive e Maria dice: “Sorridi, sono essi, i bimbi: quelli che sui muretti e le deserte vie colsero il muschio per il suo presepe”. (Vittorio Maselli)
La rosa di Natale L’angelo annuncia d’improvviso: “Nasce Gesù del paradiso!” E il rosaio che buca tutto, le sue spine ha senza frutto, butta una rosa porporina gocciolata dalla brina. Il giardino raggelato se n’è tutto illuminato! La fontana che era muta canta, il prato l’invelluta; e già occhieggian mele appiole, s’apron gigli e fresche viole, al colore senza uguale della rosa di Natale. (Lina Carpanini)
Annuncio Ascoltate la novella che portiamo a tutto il mondo; è di tutte la più bella, è fiorita dal profondo. Nella stalla ecco ora è nato il dolcissimo bambino; la Madonna l’ha posato sulla paglia, il poverino, ma dal misero giaciglio già la luce si diffonde, già sorride il divin figlio ed il cielo gli risponde. Quel sorriso benedetto porti gioia a ogni tetto! (Giuseppe Fanciulli)
Notte di Natale Porti ognuno il suo cuore il suo cuore come un agnello: se incontra un lupo lo chiami fratello, se incontra un povero, quello è il Signore. Andiamo, dunque, che l’ora è propizia. Notte d’angeli s’è fatta ormai. Sotto la neve dan fiori i rosai. Ecco la stella natalizia. Non fu mai vista più chiara stella sul campanile del nostro paese. La più povera delle chiese fa sentire la campanella. Una campana così contenta che non c’è cuore che non lo senta. (Renzo Pezzani)
Bacia, o figlio Stava dentro la capanna Maria, figlia di Sant’Anna: e mirando il suo bel sole gli diceva queste parole: Dormi, dormi, o cuor di mamma, fai la ninna e fai la nanna! Dormi, o figlio tenerello dormi, figlio vago e bello; chiudi, chiudi i lumi santi, le tue stelle fiammeggianti. Dormi, dormi o cuor di mamma, fai la ninna e fai la nanna. Vedi su dall’oriente tre corone risplendenti: porteranno per ristoro mirra, incenso e un dono d’oro. Bacia, o figlio, la tua mamma, non più ninna e non più nanna. (Canzone popolare toscana)
Natale Cielo nero, terra bianca: lieti, i bronzi hanno squillato. Maria china il dolce viso sul bambino: Cristo è nato. Non cortine festonate per proteggerlo dal gelo ma le trame, i ragni, ai travi hanno ordito al re del cielo. Giace il re dell’universo sulla paglia. Con il fiato miti il bove e l’asinello il bambino han riscaldato. Frange bianche sulla stoppia, ma sul tetto spalancato vedi il ciel. “Gloria al Signore!” hanno gli angeli cantato. “Pace agli uomini di buona volontà”. Guidò il pastore al presepe l’astro. “Osanna!” grida, “E’ nato il redentore!” (M. Lucchesi)
La capannuccia Dov’è la stella, che sì rade e smorte faceva tutte le altre nella quieta notte, battendo alle terrene porte col suo pendulo raggio di cometa? Noi lo vedemmo, o bambino Gesù. Passava per l’aria un balenio di chiare fiamme e un rombar di grandi ali veloci: pareva che avessero sovrumane voci, passavano alte con un gran cantare. Noi le ascoltammo, o bambino Gesù- E i pastori che stavano nel ghiaccio alzavano gli occhi alla buona novella, E si avviarono e avevano in braccio, chi l’agnellino e chi una caramella. Noi li seguimmo, o bambino Gesù. (Pietro Mastri)
Natale E l’angelo volò sotto le stelle, vide un castello con tre grandi porte, e sulle porte nove sentinelle. L’angelo del Signore gridò forte: “E’ nato!” E l’angelo volò sotto le stelle e vide tre pastori in una corte, presso un fuoco, ravvolti in una pelle. L’angelo del signore gridò forte: “E’ nato!” I pastori si misero in cammino coi montoni, le pecore, gli agnelli, e per la prima volta Dio bambino apparve: a tre pastori poverelli. (Stefania Plona)
Davanti al presepio Santo Gesù bambino che a te chiami i fanciulli col tuo amore divino ho lasciato i trastulli eccomi qui in ginocchio per farti, umile, un dono: t’offro tutto il mio cuore serbalo puro e buono. (Edvige Pesce Gorini)
Notte di Natale Mezzanotte: discende all’improvviso un angelo che sta nel paradiso. Sfiorando con le bianche ali distese il campanile aguzzo del paese, risveglia dolcemente le campane. Ora chiese vicine, altre lontane, dagli angeli destate, fanno un coro chiamando e rispondendosi tra loro. Dicono “pace, pace sulla terra!” mentre gli uomini s’odiano e fan guerra. Un angelo che ha visto pianto e male in questa notte santa di Natale, con l’ali s’è coperto il dolce viso poi tornato è lassù, nel paradiso. (Matilde Caccia)
La santa notte Il vecchio pastore: “La luce della stella, questa notte, è più bella. Oh giovane pastore seguiamo quella luce: di certo ci conduce dov’è nato il Signore”. Coro di pastori: “Siamo tutti pastori umili e buoni, svegliati dalla stella luminosa veniamo tutti con anima gioiosa, a recar doni”. Coro di pastorelle: “Noi siamo giovinette pastorelle e faremo noi pur la stessa via. Vogliamo recare al figlio di Maria latte ed agnelle”. Il più piccolo dei pastorelli: “Il pastorello io sono più timido, più buono, più di tutti piccino; al celeste bambino farò la ninna nanna con lo zufolo di canna”. Il vecchio pastore: “Mezzanotte è suonata… La stella si è fermata! E’ nato il redentore: sia lodato il Signore!” Voce d’angeli: “La stella, in cielo, immobile, chiara e lucente sta. Sia pace, in terra, agli uomini di buona volontà”.
Il pellegrino L’orto secco acqua non beve, il campo dorme sotto la neve; lume di luna cammina a passo sulle montagne di freddo sasso. Solo i pastori vegliano al chiuso presso i fuochi, com’è d’uso. Ed ecco giungere il pellegrino fatto di e di cielo turchino. “Non temete, mi manda il Signore”. Batte a ognuno forte il cuore. E la pastora va coi lini il pastore con gli otri di vini. Gli alberi che lo guardano passare, si fanno belli di corolle chiare, l’acqua che era impietrita, scrolla il sonno, torna alla vita, e il biancospino fiorisce la siepe lungo la strada, fino al presepe. Là il pastore depone l’agnello presso il lupo che gli è fratello e per la gioia grande che ne ha tutta notte suonerà. (Lina Carpanini)
Natale Maria dentro la grotta si posò, e Giuseppe a Betlemme si avviò. Ma un momento sentì, che mentre andava, a mezzo il passo il piè gli si arrestava. Vide attonita l’aria e il cielo immoto e uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto; e poi vide operai sdraiati a terra, posata nel mezzo una scodella: e chi mangiava, ecco, non mangia più, chi ha preso il cibo non lo tira su, chi levava la man la tien levata, e tutti al cielo volgono la faccia. Le pecore condotte a pascolare sono lì che non possono più andare; fa il pastor per colpire con la verga e gli resta la man sospesa e ferma; e i capretti che all’aria aveano il muso ber non possono al fiume in sé rinchiuso… E poi Giuseppe vide in un momento ogni cosa riprender movimento. Tornò sopra i suoi passi, udì un vagito, Gesù era nato, il fiore era fiorito. (Diego Valeri)
Umili visitatori Poiché mezzanotte scocca e Gesù la terra tocca in un bel fiorir di fratte San Giuseppe va per latte. E “Venite” dice a tutti gli animali belli e brutti. Dietro a lui si sono messi tutti in fila, e i serpi anch’essi. Vedi l’anatra da fiume e la lucciola col lume, la cicala senza sporta che ancor canta, mezza morta. L’ermellino che dormiva per la strada si vestiva di quel bianco immacolato per veder Gesù beato. (Lina Carpanini)
La notte di Natale Mamma, chi è che nella notte canta questo canto divino? Caro, è una mamma poveretta e santa che culla il suo bambino. Mamma, m’è parso di sentire un suono come di ciaramella… Sono i pastori, o mio bambino buono, che van dietro alla stella. Mamma, c’è un batter d’ali, un sussurrare di voci intorno intorno… Son gli angeli discesi ad annunciare il benedetto giorno. Mamma, il cielo si schiara e si colora come al levar del sole. Splendono i cuor degli uomini e l’aurora del giorno dell’amore. (Diego Valeri)
Canzoncina di Natale San Giuseppe sega e pialla pialla e sega in fretta in fretta, ché il suo bimbo è in una stalla e ci vuole una culletta. La Madonna cuce e taglia taglia e cuce a testa china ché il suo bimbo è sulla paglia e non ha la camicina. Non ha niente il bambinello ma sorride ed è beato le stelline su nel cielo sembra fiori dentro un prato. San Giuseppe, che t’affanni? Maria dolce, leva il capo. Senza culla e senza panni s’è il bambino addormentato. (Lia Zerbinotti)
L’agnellino di Gesù L’agnellino nato appena cammina nella notte, dietro le sante frotte dei pastori che vanno di lena. Ma con sottile belare odora di latte la bocca e il tenue passo non tocca le strade di neve chiare. Giungerà con il pastore l’agnellino, o cadrà? L’angelo solo lo sa che gli ode battere il cuore. (Lina Carpanini)
Carrettiere O carrettiere che dai neri monti vieni tranquillo, e fosti nella notte sotto ardue rupi e sopra aerei ponti; che mai diceva il querulo aquilone che muggia nelle forre e fra le grotte? Ma tu dormivi sopra il tuo carbone. A mano a mano, lungo lo stradale venia fischiando un soffio di procella: ma tu sognavi ch’era di Natale; udivi i suoni d’una ciaramella. (Giovanni Pascoli)
La nascita del Messia Quando a Betlemme giunsero tutti gli alberghi pieni già erano. Brillavano le stelle, alte, nel seno del freddo ciel d’inverno, che ancora un posticino, per le lor membra rotte, trovato non avevano; E dalle torri l’ore incalzanti battevano: E nove!… E dieci!… E undici! Oh, Signore! Oh, Signore! Quando la mezzanotte scoccò, si udì un vagito nell’umile capanna: era nato, il divino sovrano, il redimito dalla più grande attesa! Portò l’annuncio l’astro ai Magi d’Oriente; cacciarono i pastori con l’esile vincastro le greggi dalle grotte, e ognuno al grande invito accorse. E un cor d’angeli cantò, per tutti i secoli che sono e che verranno, alto, nell’infinito: “Osanna! Osanna! Osanna!” (Vincenzo Bosari)
Natale Dicembre… Che neve, che sera! Ma a un tratto comparve una stella… La siepe che dianzi era brulla fiorì d’improvviso. S’udiva leggero un pio ritmo di culla e un palpito d’ali d’argento un dolce tinnar di campane portato giù a valle dal vento. E vivo splendeva laggiù, nell’umile grotta, a Betlemme, un fiore divino: Gesù. (Zietta Liù)
Il presepe di Greccio Salgono i frati: vien dalla vallata la buona gente nella notte fonda. Fiaccole e lumi segnano i sentieri e l’aria è immota sotto lo stellato. Culla la valle suono di campane. Lieve è il cammino; vanno i passeggeri recando ognuno un cuore di bambino colmo di attesa. Van come i pastori verso il presepio e intorno è tanta pace. Ecco appare la grotta, ecco, sospesa, brilla la stella! Gli occhi desiosi guardan la greppia, il bue e l’asinello guardan l’altare; poi ciascuno sogna. Ma il Santo vede: vede il Dio bambino piccolo e bianco nella mangiatoia. Si china; ascolta il tenero vagito, gli fa culla d’amore tra le braccia sopra il suo saio povero e sdrucito e il cuor divino batte sul suo cuore. Angeli scendon lungo vie di stelle; un cielo d’indicibile splendore s’incurva sul presepe; a tratti, sale un dondolio lontano di campane. Vive ciascuno il sogno di Natale. (Graziella Ajmone)
La notte santa “Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei. Presso quell’osteria potremo riposare, ché troppo stanco sono e troppo stanco sei”. Il campanile scocca lentamente le sei. “Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio, un po’ di posto avete per me e per Giuseppe?” “Signori me ne duole; è notte di prodigio, son troppi i forestieri; le stanze sono zeppe”. Il campanile scocca lentamente le sette. “Oste del Moro, avete un rifugio per noi? Mia moglie più non regge ed io son così rotto!” “Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi, tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto”. Il campanile scocca lentamente le otto. “O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno avete per dormire? Non ci mandate altrove!” “S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove”. Il campanile scocca lentamente le nove. “Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella! Pensate in quale stato e quanta strada feci”. “Ma fin sul tetto ho gente: attendono la stella… Son negromanti, magi persiani, egizi, greci…” Il campanile scocca lentamente le dieci. “Oste di Cesarea…”. “Un vecchio falegname? Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente? L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame: non amo la miscela dell’alta e bassa gente”. Il campanile scocca le undici lentamente. La neve! “Ecco una stalla!”. Avrà posto per due? “Che freddo!”. Siamo a sosta. “Ma quanta neve, quanta! Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…” Maria già trascolora, divinamente affranta… Il campanile scocca la mezzanotte santa. E’ nato! Alleluia! Alleluia! E’ nato il sovrano bambino. La notte, che già fu sì buia, risplende d’un astro divino. Orsù, cornamuse, più gaie suonate: squillate, campane! Venite, pastori e massaie; o genti vicine e lontane! Non sete, non molli tappeti, ma, come nei libri hanno detto da quattro mill’anni i profeti, un poco di paglia ha per letto. Per quattro mill’anni s’attese quest’ora su tutte le ore. E’ nato! E’ nato il Signore! E’ nato nel nostro paese! Risplende d’un astro divino la notte che già fu sì buia. E’ nato il sovrano bambino. E’ nato! Alleluia! Alleluia! (Guido Gozzano)
Natività Bei pastori, venite alla Capanna: sentirete cantar gloria ed osanna. Solleciti veniti e con amore. In ciel vedrete una lucente stella che mai si vide al mondo la più bella. Solleciti venite e con amore. Voi troverete giacer sopra il fieno quel che ha creato il ciel vago e sereno. Solleciti venite e con amore. Maria vedrete. Maria graziosa, più bella assai che non è giglio o rosa. Solleciti venite e con amore. Giuseppe ancora in quel presepio santo voi troverete pien di gloria e canto. Solleciti venite e con amore. (Fra Serafino Razzi)
Ninna nanna Ninna nanna, c’è la neve sulla siepe, c’è una stella sul presepe e c’è un bimbo che sorride nella gelida capanna… Ninna nanna. Ninna nanna, lo difendono dal gelo la Madonna col suo velo, l’asinello col suo fiato… anche il bove immacolato a scaldarlo ecco s’affanna… Ninna nanna. Ninna nanna, come nevica di fuori! Ma gli agnelli ed i pastori vanno, fra nevischio e vento; e un grande angelo d’argento scende in terra e grida osanna! Ninna nanna. Ninna nanna, fra la neve e fra le spine delle siepi montanine s’ode un piccolo singhiozzo. E’ un uccello, un passerotto. Tanta neve, tanto freddo a morire lo condanna… Ninna nanna. Ninna nanna, ma Gesù che non s’inganna e ha sentito il pigolio, parla piano alla sua mamma. Ninna nanna. E con l’alito divino sul suo cuore, il bimbo biondo, già riscalda l’uccellino, l’uccellino moribondo… Vola il passero guarito. Ride in festa la capanna… Ninna nanna. (Pasquale Ruocco)
Il pianeta degli alberi di Natale Dove sono i bambini che non hanno l’albero di Natale con la neve d’argento, i lumini e i frutti di cioccolata? Presto, presto, adunata, si va nel Pianeta degli alberi di Natale, io so dove sta. Che strano, beato Pianeta… Qui è Natale ogni giorno. Ma guardatevi intorno: gli alberi della foresta, illuminati a festa, sono carichi di doni. Crescono sulle siepi i panettoni, i platani del viale sono platani di Natale. Perfino l’ortica non punge mica, ma tiene su ogni foglia un campanello d’argento che si dondola al vento. In piazza c’è il mercato dei balocchi. Un mercato coi fiocchi, ad ogni banco lasceresti gli occhi. E non si paga niente, tutto gratis. Osservi, scegli, prendi e te ne vai. Anzi, anzi, il padrone ti fa l’inchino e dice: “Grazie assai, torni ancora domani, per favore: per me sarà un onore…” Che belle vetrine senza vetri! Senza vetri, s’intende, così ciascuno prende quello che più gli piace: e non si passa mica alla cassa, perchè la cassa non c’è. Un bel Pianeta davvero anche se qualcuno insiste a dire che non esiste… Ebbene, se non esiste, esisterà: che differenza fa? (Gianni Rodari)
Zampognari Vanno con le zampogne sotto il braccio, vanno con lunghi ruvidi mantelli, tengono il volto chino verso terra e hanno il corpo sì alto e vigoroso e si muovono con tanta tristezza, come nessuno mai. Vanno con lo strumento sulle labbra, vanno con i berretti di pelliccia, e ora con la destra ora con la sinistra suonano la zampogna così tristi, come nessuno mai. Vanno con la zampogna sotto il braccio, vanno con lunghi ruvidi mantelli, vanno con i berretti di pelliccia, vanno e rivanno lo stesso cammino, parlano modulando la zampogna, come nessuno mai. (Josip Murn-Aleksandrov)
Presepe Già tutto è un presepe: i campi, e d’attorno, la siepe, il piccolo borgo, la pieve sepolti sotto la neve. Passano angeli in cielo con grandi ali di velo: bussano con lieve tocco sui vetri, al primo rintocco; li insegnano a dito, a momenti, i bimbi, con occhi innocenti. E’ musica di campane sperdute, ovattate, lontane; o un suono già tanto vicino di zampognari in cammino? Cuore di povera gente, povera gente lieta che ha visto una stella cometa. Ognuno, lo può giurare sul tetto l’ha vista brillare. C’è un bimbo sotto ogni tetto che sogna il tepore del letto. Sia bruno o ricciolino somiglia a Gesù bambino. Sogna il corteo dei Re Magi che muove, dai grandi palagi, cofani d’oro e brillanti, cammelli, paggi, elefanti, o doni di piccole cose meravigliose? Scompaiono sotto la neve il piccolo borgo, la pieve, i campi, e, attorno, la siepe… Che grande presepe! (Mario Pompei)
Cantilena di Natale Dormi, bambino della mamma! Se dormi, fra poco vedrai l’angelo grande, e la stella cometa. Ninna nanna, bambino della mamma! Se dormi, verranno i pastori con gli agnellini e la dolce zampogna. Ninna nanna, bambino della mamma! Se dormi, verranno i Re Magi carichi d’oro, d’argento, di mirra. Ninna nanna, bambino della mamma! Se dormi, vedrai la Madonna che adora in ginocchio Gesù Bambino. Ninna nanna, bambino della mamma! Se dormi, ti verrà vicino, per giocare, Gesù Bambino: ti dirà i balocchi del cielo, le stelle del firmamento, zampogne d’oro e d’argento, perchè tu dorma contento, bambino della mamma! Ninna nanna! (M. Dandolo)
Vigilia di Natale Sotto il cielo chiaro ed uguale la nuvola d’oro distesa resta come un drappo spiegato a festa per la fiera di Natale. Le bancarelle coi sempreverdi, hanno gli abeti, le stelle argentate, bianchi angioletti dall’ali gemmate, e campane rosse e blu. Ma chi attira la folla, laggiù, è l’omino che vende casette, pecorelle, pastori, caprette, e il presepio di Gesù. C’è una casina con l’orticello che ha il suo pozzo con la puleggia e vicino un alberello (un rametto di saggina tinto di verde) che ombreggia tutta la rossa casina. I bimbi intorno a guardano intenti sorridendo di gioia sincera: i loro volti, così contenti, hanno una luce di primavera. E’ per tutti un incanto d’amore: è il Natale del Signore! (G. Liburdi Giovanelli)
Vespro d Natale Incappucciati, foschi, a passo lento, tre banditi percorrevano la strada deserta e grigia, tra la selva rada dei sughereti, sotto il ciel d’argento. non rumore di mandrie o voci, il vento Vasto silenzio. In fondo, Monte Spada ridea bianco nel vespro sonnolento. O vespro di Natale! Dentro il core ai banditi piangea la nostalgia di te, pur senza udirne le campane: e mesti eran, pensando al buon odore del porchetto e del vino, e all’allagria del ceppo, nelle lor case lontane. (S. Satta)
Le ciaramelle Udii tra il sonno le ciaramelle ho udito un suono di ninne nanne. Ci sono i lumi nelle capanne. Sono venute dai monti oscuri le ciaramelle senza dir niente; hanno destata nei suoi tuguri tutta a buona povera gente. Ognuno è sorto dal suo giaciglio; accende il lume sotto a trave: sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio, si cauti passi, di voce grave. Le pie lucerne brillano intorno là nella casa, qua su la spiepe: sembra la terra, prima del giorno, un piccoletto grande presepe. Nel cielo azzurro tutte le stelle paion restare come in attesa; ed ecco alzare le ciaramelle il loro dolce canto di chiesa: suono di chiesa, suono di chiostro, suono di casa, suono di culla, suono di mamma, suono del nostro dolce e passato pianger di nulla. (G. Pascoli)
Notte santa Il sole acceso calava dietro i monti di Giuda lungo la valle nuda il vento mugulava, ma sul colle alto Betlemme radiava come gemme. Stanchi, senza parole montavate! Sparve il sole nel silenzio, e mentre annotta non albergo, una grotta trovaste e tu, Maria, dicesti: “Così sia!” Sulla rozza paglia stavi, sonno ti prese… sognavi che ti nasceva Gesù… Angosciata ti svegli, e ai tuoi piedi, in un mare di luce, lo vedi: così fu. Come uccelletto in nido la sua boccuccia apriva piccoletta quasi oliva; punto freddo non dentiva; i piedini e le manine sue li scaldavan l’asinello e il bue. Giuseppe, in rapimento, muto, le braccia in crode, chino sul petto il mento, adorava. Ma tu che voce, che grido, o Maria, mettesti quando aprì gli occhi celesti! (A. S. Novaro)
Natale Un asinello, un bue, una stella, una grotta… Fate presto voi due, fate presto che annotta. Vi basterebbe un guscio di casa e una fiammella… Date una voce a quella gente che chiude l’uscio. Il cielo è così nero e solo il ciel v’ascolta. Prendete quel sentiero. Arrivati a una svolta fate altri venti passi. Lì c’è una capannuccia: un tetto su una gruccia e un muretto di sassi. Maria ha il cuor sgomento, non trova più coraggio. Fu così lungo il viaggio, fu così aspro il vento; la strada così brutta nel polverone bianco! Ma Giuseppe le è al fianco e gli si affida tutta. Son giunti, oh, finalmente! S’è mai visto ricovero più sconnesso, più povero? dite voi, buona gente. Giuseppe andò per brocche. Tocca spini e si punge. Ah ecco, quando giunge vede tra quattro cocche d’un lino di bucato un fagottino tondo il più bello del mondo, un bimbo appena nato. Piegata sulla cuna che raggia non più squallida, Maria, ch’è tanto pallida splende come la luna. E vede pel deserto sentiero e in mezzo ai prati dei pellegrini alati che provano un concerto; e soavi cantori calan dal firmamento; vede arrivar pastori dalla barba d’argento; il fabbro e l’arrotino; il servo, il falegname; la mamma e il suo bambino; l’uomo sazio e chi ha fame. E in mezzo a un gregge vede, vello di color cupo, venire, mansueto, un lupo… E quasi non ci crede. (R. Pezzani)
Campane di Natale Per gli umili e pei grandi le campane suonano tutte nella Notte Santa. Per le case vicine e lontane degli angeli la schiera in cielo canta. C’era una santa donna che cercava con il suo sposo un posto per dormire. Cercava, la Madonna, e non trovava; ed il figlio di dio dovea venire. Dovea venire in terra per morire spora la croce, martire d’amore, dovea venire in terra per patire tutto il tormento dell’uman dolore. Cercava la Madonna , e non trovava. Infin l’accolse una capanna pia; sulla capanna il ciel chino vegliava e sul figlio divino di Maria. Campane di Natale, ora v’imploro che portiate al Signor la mia preghiera. Oh, non ci sia nessun senza ristoro nel chiaro giorno e nella notte nera! Campane di Natale, non ci sia chi cova l’odio triste nel suo cuore; intenda ognun la santa poesia, la vostra voce di fraterno amore. (L. Orsini)
Su, pastore, e seguila C’è una stella in Oriente il mattino di Natale. Su, pastore, e seguila. Ti condurrà nel luogo dove è nato il Salvatore. Su, pastore, e seguila. Lascia le greggi e lascia gli agnelli. Su, pastore, e segui, segui. Lascia le pecore e lascia i montoni. Su, pastore, e segui, oh, segui, segui, segui. Su, pastore, e segui, segui, segui la stella di Betlemme, su, pastore, e seguila. Se vuoi dare ascolto alla voce dell’angelo… Su, pastore, e seguila. Dimentica il tuo gregge, dimentica la mandria. Su, pastore, e seguila. Lascia greggi e lascia agnelli, Su, pastore, e segui, segui. Lascia pecore e lascia montoni… Su, pastore, e segui, oh, segui, segui, segui, su, pastore, e segui, segui, segui la stella di Betlemme, Su, pastore, e seguila. (J. W. Johnson)
La stella di Natale E’ la prima parte, la più semplice, di una bella poesia dello scrittore russo Boris Pasternak. Nota come il paesaggio di questo piccolo presepe ha un che di tipicamente russo, della Russia orientale, con la steppa, la neve, i pastori che, alzandosi, si scuotono di dosso la paglia dei poveri giacigli e, in alto, il grande cielo della mezzanotte, tutto pieno di stelle. E’ un altro omaggio al Natale. C’era l’inverno. Soffiava il vento dalla steppa. E freddo aveva il neonato nella tana sul pendio del colle. L’alito del bue lo riscaldava. Animali domestici stavano nella grotta, sulla culla vagava un tiepido vapore. Scossi dalle pelli il polverio del giaciglio e i grani di miglio, dalle rupi guardavano assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte. Lontano era il campo della neve e il cimitero, i recinti, le pietre tombali, le stanghe di corro confitte nella neve, e il cielo sul camposanto, pieno di stelle. E lì accanto, sconosciuta prima di allora, più modesta di un lucignolo nella finestrella del capanno tremava una stella sulla strada di Betlemme. (B. Pasternak)
La messa di mezzanotte C’era un silenzio come di attesa lungo la strada che andava alla chiesa; e fredda l’aria di notte, in quell’ombra là solitaria. C’eran le stelle nel cielo invernale; e un verginale chiarore di neve, ma lieve e rada. C’era una siepe nera e stecchita: parea fiorita di suo biancospino. E mi teneva, oh, mi sogno lontano, mia madre per mano. E nella tiepida chiesa, che incanto! Fra lumi e un denso profumo d’incenso e suono d’organo e voci di canto, ecco, il Presepe con Te, Bambino… (P. Mastri)
Gesù Bambino Quello di Francis Thompson è un omaggio personale, una conversazione amichevole con il Bambino Gesù. Il poeta si mette nei panni di un bimbo e s’informa., con preoccupazioni e parole di bimbo, sulla vita trascorsa in terra da un bambino abituato a stare in cielo a giocare con gli angeli belli. Eri tu fragile, Gesù Bambino, un giorno, e come me piccino? E che sentivi a vivere fuori dai Cieli, e proprio come io vivo? Pensavi mai le cose di lassù, dove fossero gli angeli chiedevi? Io al tuo posto avrei pianto per la mia casa fatta di cielo; io cercherei d’intorno a me, nell’aria, “Gli angeli dove sono?” chiederei, e destandomi mi dispererei che non ci fosse un angelo a vestirmi! Anche tu possedevi dei balocchi come li abbiamo noi, bimbe e bambini? E giocavi nei Cieli con tutti gli angeli non troppo alti, con le stelle a piastrella? Si giocava a rimpiattino, dietro le loro ali? Tua madre ti lasciava sciupare le sue vesti sul nostro suol giocando? Com’è bello serbarle, sempre nuove, per i cieli d’azzurro sempre tersi T’inginocchiavi, a notte, per pregare, e le tue mani come noi giungevi? E a volte erano stanche, le manine, e assai lunga sembrava la preghiera? E ti piace così, che noi giungiamo le nostre mani per pregare te? A me sembrava, avanti io lo sapessi, che la preghiera solo così vale. e tua madre, la sera, ti baciava, i tuoi panni piegandoti con cura? Non ti sentivi proprio buono, a letto, baciato e quieto, dette le orazioni? A tuo Padre, la mia preghiera mostra, (Egli la guarderà, sei così bello!), e digli: “O Padre, io, Figlio tuo, ti reco la preghiera di un bambino”. Sorriderà, che la lingua dei bimbi sia la stessa di quando tu eri bambino! (F. Thompson)
Ho nel cuore un presepe Ho nel cuore un presepe senz’angeli a volo: con solo… con solo un vagito di bimbo. Non voglio pastori, né greggi sui monti, ma un mazzo di cuori e pupille… di volti africani cinesi ed indiani. Ho nel cuore un presepe… da nulla: una culla, un bimbo sconsolato, un pellerossa a lato che lo scalda col fiato: e poi con aria tranquilla un bimbetto lo ninna. E il bambino Gesù non piange più. (M. Ricco)
Il pellerossa nel presepe Il pellerossa con la piuma in testa e con l’ascia di guerra in pugno stretta, come è finito tra le statuine del presepe, pastori e pecorine; e l’asinello e i maghi sul cammello, e le stelle ben disposte, e la vecchina delle caldarroste? Non è il suo posto, via, Toro Seduto: torna presto di dove sei venuto. Ma l’indiano non sente. O fa l’indiano. Se lo lasciamo, dite, fa lo stesso? O darà noia agli angeli di gesso? Forse è venuto fin qua, ha fatto tanto viaggio perché ha sentito il messaggio; pace agli uomini di buona volontà. (G. Rodari)
Il mago di Natale S’io fossi il mago di Natale farei spuntare un albero di Natale in ogni casa, in ogni appartamento dalle piastrelle del pavimento, ma non l’alberello finto, di plastica, dipinto che vendono adesso all’Upim: un vero abete, un pino di montagna. con un po’ di vento vero impigliato tra i rami, che mandi profumo di resina in tutte le camere, e sui rami i magici frutti: regali per tutti. (G. Rodari)
Presepio Il mio pastore c’è. Anche quest’anno, lassù tra i monti ha lasciato il capanno e scende a visitare il Re dei re. Va scalzo per sentieri di muschio, in mezzo a laghetti e ruscelli. Portano agnelli altri pastori, le donne panieri. Egli ha le mani vuote: è poverello e non ha nulla per la divina culla. Ma la fede gli brucia il volto bello. Dietro il fulgore dei Magi chinerà timido e muto il suo capo ricciuto: offrirà il suo cuore. (L. Barberis)
Il presepio Vi sono monti scoscesi, nudi ed erti e un ciel di carta azzurra a punti d’oro, vi sono le snelle palme dei deserti, tra la neve coi pini e con l’alloro. C’è un bel prato di muschio verdolino tante casette sparse qua e là, un ponticello ed un laghetto alpino proprio d’un monte sulla sommità. E vi sono pastori e pastorelle che vanno con gli armenti in compagnia, un elefante e tante pecorelle verso la capannuccia del Messia. E la santa capanna è illuminata sol da una stella che vi splende su… Oh, quanta gente intorno inginocchiata, anche i Re Magi, ai piedi di Gesù! Ed il Gesù piccino sorridendo, stende le braccia a tutti quei fedeli, angeli e cherubini van scendendo sopra quel tetto dagli aperti cieli… (B. Morino Ferrari)
I pastori al presepe Mossero; e Betlehem, sotto l’osanna de’ cieli ed il fiorir dell’infinito, dormiva. E videro, ecco, una capanna. Ed ai pastori l’accennò col dito un Angelo: una stalla umile e nera, donde gemeva un filo di vagito. E d’un figlio dell’uomo era, ma era quale d’agnello. Esso giacea nel fieno del presepe, e sua madre, una straniera, sopra la paglia… … e non aveva ella né due assi: all’albergo alcun le disse: “E’ pieno”. Nella capanna povera le sue lacrime sorridea sopra il suo nato; su cui fiatava un asino ed un bue. “Noi cercavamo quei che vive…” entrato disse Maath. Ed ella: “Il figlio mio morrà (disse, e piangeva su l’agnello suo tremebondo) in una croce…”. “Dio…!” Rispose all’uomo l’universo: “E’ quello!” (G. Pascoli)
Luce nel presepe Gesù Bambino, c’è tanto freddo nel mondo in questa notte del tuo Natale. C’è ancora tanto male e tante anime sono come giardini di ville abbandonate, povere anime agghiacciate e senza fiori. Gesù bambino, il mondo forse è un vecchio pellegrino carico di stanchezza e di dolore, che va cercando nel buio della notte la luce del suo presepe. Gesù, Gesù bambino, lasciati ritrovare nella tua culla d’amore perché il mondo ti possa riabbracciare.
Piccolo albero Piccolo albero piccolo silenzioso albero di Natale così piccolo sei che sembri piuttosto un fiore chi ti ha trovato nella verde foresta e tanto ti dispiacque di venire via? Vedi, io ti conforterò perché odori di tanta dolcezza bacerò la tua fresca corteccia ti terrò stretto stretto al sicuro tu non devi avere paura guarda: i lustrini che tutto l’anno dormono in una scatola buia e sognano d’esserne tolti per poter luccicare le palline le catenelle rosso-oro i fili di lana alza le tue piccole braccia e teli darò tutti ogni dito avrà il suo anello e non ci sarà più un solo posto buio d’infelicità poi quando sarai completamente vestito ti affaccerai alla finestra, ché tutti ti vedano e con che meraviglia ti guarderanno! E tu ne sarai molto orgoglioso… e la mia sorellina ed io ci piglieremo per mano con gli occhi incantati sul nostro bell’albero danzeremo canteremo “Natale! Natale!” (E.E. Cummings)
Al bambin Gesù Lo so perché sei nato poverello tu che comandi a tutto il mondo e al cielo: per ricordare al ricco ch’è fratello di chi soffre la fame e soffre il gelo: per ricordare al povero che il core può trovar pace in ogni povertà, per dire al mondo che non c’è dolore che non sia vinto dalla carità. Lo so, lo so! Ma sono pigro a dare: ma, se per poco soffro, mi dispero; ancora amar non so; non so sperare come vorresti tu, proprio davvero. Benedici dal cielo, mio Signore, la mia piccola buona volontà: fammi sempre più buono e forte il core, il core che ubbidirti ancor non sa. (V. Battistelli)
Poesie e filastrocche sul Natale – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
La seconda settimana di avvento nella scuola steineriana è dedicata al regno vegetale…
L’angelo rosso La seconda domenica dell’avvento, si può raccontare che un altro angelo scende dal cielo: ha un grande mantello rosso e nelle mani tiene una coppa d’oro. Questa coppa è vuota, perchè l’angelo scende proprio per riempirla sulla terra e riportarla in cielo. Cosa ci mette? L’amore puro che trova nel cuore degli uomini. E terminato il suo lavoro consegna la coppa agli angeli, che col suo contenuto fanno luce per le stelle.
La corona dell’avvento La seconda settimana di avvento, accendendo la seconda candela insieme alla prima nella corona d’avvento, si può recitare o leggere una breve poesia.
Nelle scuole steineriane usa questo motto: “All’angelo rosso noi tutti doniamo l’amore puro che nel cuore abbiamo.” Io preferisco non calcare troppo su quest’immagine, e mi piace qualcosa che richiami al mondo delle piante, come questa:
Albero secco Un albero secco fuori della mia finestra solitaria leva nel cielo freddo i suoi rami bruni. Il vento rabbioso la neve il gelo non possono ferirlo. Ogni giorno quell’albero mi dà pensieri di gioia: da quei rami secchi indovino il verde a venire. (Wang Ya-Ping)
Il presepe
La seconda settimana di avvento, accanto ai sassi e alle pietre preziose, i geodi di feltro e ai rami di santa Barbara, possiamo aggiungere muschio, pigne, alberelli e cespugli realizzati coi bambini in lana cardata o con qualsiasi altra tecnica, frutta secca, un san Nicola, dei fiorellini di feltro…
Naturalmente sullo sfondo possiamo aggiungere all’angelo azzurro quello rosso e usare del rosso anche per abbellire l’interno della capanna, che può essere fatta con cortecce e rametti secchi, oppure nascondendo una scatola sotto il telo blu e drappeggiadola a forma di grotta.
Anche delle roselline rosse sistemate in un angolo sono una bella idea. Le stelle nel cielo possono aumentare.
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
E qui trovi le istruzioni per realizzare il tradizionale presepe in lana cardata:
Racconti natalizi – una raccolta di racconti di autori vari sul Natale, per bambini del nido, della scuola d’infanzia e primaria.
Racconti natalizi La leggenda dell’abete (G. Benzoni) S’approssimava l’inverno di tanti e tanti anni fa. Un uccellino, che aveva un’ala spezzata, non sapeva dove ripararsi dal freddo e dalla neve. Si guardò intorno per cercare un asilo e vide i begli alberi di una grande foresta. A piccoli passi si portò faticosamente al limitare del bosco. Il primo albero che vide fu una betulla dal manto d’argento.
– Graziosa betulla, vuoi ospitarmi fra le tue fronde fino alla buona stagione?- – Che curiosa idea! Ne ho abbastanza di custodire le mie foglie!- L’uccelletto saltellò fino all’albero vicino. Era una quercia dalla fitta chioma. – Grande quercia, vuoi tenermi al riparo fino a primavera?- – Che domanda! Se io ti riparassi mi beccheresti tutte le ghiande!- L’uccellino volò alla meglio fino a un grosso salice che sorgeva sulla riva di un fiume. – Bel salice, mi dai ricovero fino a che dura il freddo?- – No davvero! Va’, va’ lontano da me!-
Il povero uccellino non sapeva più a chi rivolgersi, ma continuò a saltellare… Lo vide un abete e gli chiese: – Dove vai, uccellino?- – Non lo so. Nessuno mi vuole ospitare e io non posso volare tanto lontano, con questa ala spezzata.- – Vieni qui da me, poverino. Riparati sul ramo che più ri piace- – Oh, grazie. E potrò restare qui tutto l’inverno?- – Certamente, mi terrai compagnia.-
Una notte il vento gelido sferzò le foglie, che caddero a terra mulinando. La betulla, la quercia, il salice, in breve tempo si trovarono nudi e intirizziti. L’abete invece conservò le sue foglie, e le conserva tuttora. Sapete perchè? Perchè Dio volle premiarlo della sua bontà.
Racconti natalizi Storia del piccolo abete Era autunno e gli alberi del bosco perdevano le foglie. E non erano affatto contenti di rimanere nudi e spogli, coi rami stecchiti. Per questo non badavano al pianto di un uccellino che si trascinava per terra perchè aveva un’ala spezzata. L’uccellino si fermò al piede della quercia e le disse: “Oh quercia grande e potente, fammi rifugiare tra i tuoi rami! Ho un’ala spezzata e il freddo che sta per arrivare può farmi morire”.
“Non ho voglia di essere buona!” rispose la quercia. “Quando perdo le foglie sono di cattivo umore”. L’uccellino si trascinò allora ai piedi di un castagno: “Oh, signore del bosco” cinguettò “fammi rifugiare in un buco del tuo tronco! Ho un’ala spezzata e non so dove passare l’inverno”.
Il castagno fu scosso da un forte soffio di vento e molte foglie caddero. “Non sono il signore del bosco” disse “Se lo fossi, proibirei al vento di strapparmi le foglie, ma non ho tempo di occuparmi di una creaturina piccola come te!”. L’uccellino, sospirando, chiese aiuto a un altro albero, poi ad un altro ancora, ma tutti gli risposero di no, perchè perdevano le foglie e si sentivano cattivi. Allora, il povero uccellino si accucciò per terra e, se avesse saputo farlo, avrebbe pianto.
“Dove vai, povero uccellino dall’ala spezzata?” chiese un piccolo abete che ancora aveva tutti i suoi aghi verdi. “Non vado in nessun posto” rispose l’uccellino, “nessun albero ha voluto darmi rifugio per quest’inverno”. “Te lo darò io” disse il piccolo abete. “Quando avrò perdute le foglie, stringerò più forte i rami per ripararti. Speriamo di farcela”. In quel momento apparve un grande angelo bianco. Disse: “Il Signore ti ha benedetto, piccolo albero. Tu non perderai la tua veste verde nemmeno in inverno. Dio premia tutti gli atti di bontà”. Venne l’inverno, e il bosco era silenzioso e ammantato di neve. Gli alberi erano immobili e stecchiti come se fossero morti. Ma il piccolo abete non aveva perduto le foglie. Era rimasto col suo vestito verde ed era il solo in tutto il bosco.
Un giorno passò il vecchio Dicembre. Cercava un albero per appendervi i doni che ogni anno portava alle famiglie. Ma quegli alberi così spogli gli mettevano la la tristezza nel cuore. “Non posso attaccare i lumini e i doni a un albero dai rami stecchiti” diceva, e sospirava. Stava per andarsene, quando vide un alberello tutto verde. Era il piccolo abete che aveva dato rifugio all’uccellino. “Oh” esclamò gioiosamente il vecchio Dicembre “Ho trovato finalmente l’albero che ci vuole!” Da allora l’abete, che resta sempre verde, anche d’inverno, fu scelto per appendervi i lumini e i doni ed è accolto con gioia da tutte le famiglie. (M. Menicucci)
Racconti natalizi L’oste … Sì, ora ricordo, ma vi ripeto, non è facile tenere a mente i clienti. E poi, i clienti di quei giorni! Che trambusto! Che via vai! Augusto, il grande imperatore romano, aveva emanato un editto per il censimento. Voleva sapere quanti cittadini popolassero il suo grandissimo Impero. Anche la Palestina si trovava sotto il suo dominio. Noi Ebrei avevamo, è vero, un re nostro. Si chiamava Erode, e risiedeva a Gerusalemme, la capitale del Regno. Ma sopra di lui c’era l’imperatore romano, che contava più di lui. Bisognava obbedire. Perciò tutti tornavano al paese d’origine per farsi segnare sulle liste della propria tribù.
Ve l’ho detto, furono giorni di grande affluenza, di grande confusione, e devo ammetterlo, di grande guadagno. Il cortile era pieno di animali e di gente. I servi non ce la facevano a servire tutti. Si era giunti alle ultime forcate di fieno, e quanto alla paglia, lo dico con vergogna, molte volte fui costretto a ridistribuire quella già usata. Una sconvenienza, lo so, ma come volete che facessi?
Fu una sera, sull’ora della notte. I servi vennero a dirmi che alla porta si erano presentati due nuovi clienti. Detti in giro un’occhiata. Sotto il portico, la gente si pesticciava. Chiesi ai servi: “Che gente è? Persone di riguardo?” Scrollarono il capo.
“Poveri” mi dissero “un operaio e una donna sopra un asino”. “Se vogliono buttarsi in un canto…” dissi, indicando i portici affollati. “Chiedono una camera particolare” mi fu risposto. “Allora mandateli con Dio. Bella pretesa; una camera particolare in questi momenti, e per gente povera”. “La donna è stanca del viaggio” mi disse un vecchio servo. “E che cosa ci posso fare io? Anch’io sono stanco! Non ne posso più. Se fossero stati clienti buoni… ma con certa gente spesso ci si rimette anche la paglia”.
I servi erano incerti. Allora mi feci io sulla porta. “Mi dispiace” dissi col migliore dei modi, “mi dispiace, ma non c’è posto. Con questo benedetto censimento! Anche voi siete qui per l’editto?” “Sì” rispose l’uomo, un tipo di operaio. “Di che famiglia siete?” “Della famiglia di David”.
Lo guardai sorpreso. La famiglia dell’antico profeta era famiglia reale. “E non avete parenti in città?” L’uomo abbassò gli occhi. Guardai la donna raccolta sull’asino. Che viso pallido e bello! Sotto la coperta che le ricadeva sulle spalle, nella semioscurità, sembrava che facesse luce. “Sono dolente” dissi ancora “ma non c’è posto. Neppure nel cortile; una camera particolare mi è impossibile”. “Questa donna è stanca” disse sommessamente l’uomo. La riguardai. Ella abbassò le ciglia. “Sentite” dissi loro “se volete restare soli e passare una notte al coperto, vi consiglio una cosa. Sul fianco del colle ci sono alcune grotte che servono da stalla. In mancanza di meglio, possono servire come camere particolari. Non ve ne offendete. Così risparmierete anche quei pochi denari”. I due non fiatarono. L’uomo tirò la cavezza dell’asino che si mosse zoppicando. Il lume di quel volto di donna affaticata sparve nel buio.
Rimasi sulla porta, ascoltando lo zoccolo dell’asino che si allontanava. Mi invase una grande tristezza. Li avrei voluti richiamare. Ma come era possibile ospitarli? Vi assicuro che non c’era più posto sotto il portico, e di camere particolari, neppure parlarne. Con tutto ciò ero triste. Rientrai. Avevo una pietra sul cuore. (P. Bargellini)
Racconti natalizi Un mantello speciale (S. Lagerloff) C’era una volta un uomo che uscì fuori nella notte per cercare del fuoco. Andò di casa in casa e picchiava: -Oh, buona gente, apritemi! Ho un bambinello appena nato e cerco del fuoco per riscaldare il mio bambino e la sua mamma.-
Era una notte profonda: tutti dormivano. L’uomo camminò ancora finchè, lontano, scorse un chiarore: si avvicinò e vide nell’aperta campagna un bel fuoco che ardeva, e intorno molte pecore, che dormivano vigilate da un pastore e dai cani. Quando l’uomo si avvicinò alle pecore, tre grossi cani si destarono e spalancarono le bocche per abbaiare, ma non poterono; allora mostrarono i denti e fecero per slanciarsi su di lui, ma i loro denti non poterono morderlo. L’uomo voleva avvicinarsi al fuoco, ma le pecore erano così fitte che tra loro non si poteva passare e l’uomo passò sopra di loro, senza che nessuna si svegliasse o si muovesse, e giunse vicino al fuoco. Allora il pastore si svegliò; era un vecchio severo e violento.
Vedendo quell’uomo vicino al suo gregge, prese un lungo bastone e glielo lanciò contro, ma il bastone cadde proprio ai suoi piedi senza toccarlo. Lo straniero si fece allora vicino al pastore e gli disse: -Dammi un po’ di fuoco che riscaldi il mio bambino appena nato e la sua mamma.- -Prendine quanto ne vuoi- rispose il pastore, ma intanto pensava “Costui non potrà prenderne nemmeno un poco, perchè non ha con sè una pala, nè un recipiente per portare i tizzi accesi”. Ma l’uomo si chinò, prese con le mani alcuni carboni accesi, e li mise nel mantello. Il pastore meravigliato pensava: “Che nottata è questa, che i cani non mordono, e il fuoco non brucia?”. E, pieno di curiosità, seguì l’uomo che aveva già preso la via del ritorno. Vide che lo straniero non aveva una casa: si era fermato davanti a una grotta, nella quale erano una donna e un bimbo. Il pastore allora ebbe pietà del bambino tremante nella notte fredda, e dal sacco che aveva sulle spalle trasse fuori una morbida e bianca pelle di pecora, e la offrì all’uomo per il bambino.
In quel momento, proprio quando il suo cuore diventava buono, vide intorno a sè una fitta schiera di angeli dalle grandi ali d’argento. Tutti insieme cantavano che nella notte era nato il Redentore. Allora il pastore capì perchè in quella notte tutto era così buono e nessuna cosa faceva del male.
Racconti natalizi Il pastorello povero (G. E. Nuccio) Quando gli angeli del cielo annunciarono per valli e per monti ch’era nato Gesù, tutti si misero in cammino per andarlo a visitare. E chi gli portava pane e frumento, chi cacio e ricotta, chi miele e latte, chi capretti o conigli. Venne anche un garzoncello di pastori; ma si sentiva umiliato, e quasi si vergognava, perchè non possedeva nulla da donare a Gesù Bambino. E come entrò, si stette in un angolo della grotta; e stringeva sul petto il suo zufolo, l’unica cosa che avesse.
Ma lo vide la Madonna, e venne a prenderlo per una mano, e gli fece coraggio col suo dolce sorriso. Allora il pastorello si fece animo e disse: -Non ho niente da donare a Gesù Bambino. Solo vorrei offrirgli una sonatina con questo mio zufolo-.
-Sì, figlio mio- disse la Madonna, sorridendogli amorosa. Ma proprio in quel momento, entrarono i tre Re Magi, tutti vestiti di porpora e d’oro, con largo seguito di servitori carichi di ricchissimi doni. Allora il pastorello tornò a mettersi in un angolo della grotta, ma la Madonna lo cercò con gli occhi amorosi, lo scorse e venne di nuovo a prenderlo per mano.
E, facendolo passare tra i magnifici Magi vestiti di porpora e d’oro, lo guidò fin presso la culla di Gesù. Allora il pastorello, voltosi dalla parte del bambino, intonò col suo zufolo la più dolce canzone. Nella grotta si fece un silenzio grande: tutti, Magi e pastori, cacciatori e contadini, donne e ragazzi, tacquero; e le pecore e i colombi e gli uccelli, che stavano dentro e fuori della grotta, tacquero anch’essi; e lo stesso il ruscello, che scorreva lì presso; e il mulino si fermò per non fare rumore. La voce dello zufolo era dolce e soave, come quella di tutte le madri della terra, messe ginocchioni per adorare il Figliolo divino. E Gesù Bambino stava ad ascoltare e guardava, con i suoi occhi dolci di luce, negli occhi del pastorello. E il pastorello si sentiva tanta dolcezza nel cuore; proprio gli pareva di essere tutto solo con Gesù e la Madonna.
Allorchè il suono dello zufolo si tacque, la santa Vergine venne accanto al pastorello, e gli fece una carezza sul capo. E Gesù Bambino, levando la sua bianca manina, lo benedisse. E quando il pastorello passò in mezzo alla folla, tra pastori e contadini, fra servi e Magi, tutti si chinarono al suo passaggio, quasi fosse il re più ricco. Perchè egli aveva offerto il dono più prezioso a Gesù: la musica sgorgata dal suo cuore.
Racconti natalizi Il pastorello Il bambino Gesù era nato nel presepe. Era un bambino piccolo e povero, avvolto in poche fasce e messo a giacere sulla paglia, ma era il Signore del mondo. Questo aveva detto l’angelo ai pastori meravigliati. Quando l’angelo ebbe annunciato la nascita di Gesù, i pastori si levarono, abbandonarono le greggi e si avviarono per visitare il piccolino che era nato.
Ma non si va a mani vuote da un bambino nato da poco, e ogni pastore prese qualche cosa, chi un agnello candido e ricciuto, chi una forma di formaggio, chi una fiasca di latte. Solo un povero pastorello non aveva niente, perchè era molto povero. Povero quasi come il bambino Gesù. Ma anche il pastorello volle andare a visitare quel piccino che era nato.
Si avviò insieme agli altri. La strada era lunga e faticosa, e il pastorello restò indietro. Mentre si affrettava, solo solo, sentì nel buio un lamento. “Chi è?” chiese, e aguzzò gli occhi nella notte. Seduto sul margine della strada, vide un bambino che si stringeva fra la mani un piedino, e piangeva. “Ti fa molto male?” chiese il pastorello. “Sì” rispose singhiozzando il bambino. “Mi sono punto con uno spino e ora non posso camminare” “Dove abiti?” “Lassù” e indicò la cima della montagna. “Io dovrei andare da tutt’altra parte” sospirò il pastorello “ma non posso lasciarti qui solo e ferito. Ti porterò fino a casa tua”.
Prese in braccio il bambino e cominciò a salire. Che fatica! Invece di un bambino, pareva che portasse un macigno! Finalmente, tutto sudato e trafelato, arrivò in vetta al monte e depose il bambino davanti all’uscio di una capanna, sopra un po’ di paglia. Ed ecco che una stella si staccò dal cielo e venne a posarsi sul tetto; e il povero giaciglio splendette come se la paglia fosse diventata d’oro. In mezzo a una gran luce, il pastorello vide, invece del piccolo ferito, un bambino di grande bellezza che dolcemente gli sorrideva.
“Io sono il bambino che è nato stanotte” disse “Il salvatore del mondo annunciato dagli angeli. Tu credevi di allontanarti da me e invece ti ero tanto vicino. Chi aiuta gli altri è vicino a Dio”. Il pastorello si inginocchiò guardando il bambino con occhi pieni di meraviglia e stupore. Poi si ricordò di qualcosa e, mortificato, disse: “Signore, non ho nulla da offrirti…”
“Mi hai già dato molto, perchè mi hai dato la tua bontà” rispose il bambino, e con la piccola mano raggiante, benedisse l’umile pastorello della montagna. (M. Menicucci)
Racconti natalizi Il pastore Che freddo quella notte! Le stelle bucavano il cielo come punte di diamante. Il gelo induriva la terra. Sulla collina di Betlemme tutte le luci erano spente, ma nella vallata ardevano, rossi, i nostri fuochi. Le pecore, ammassate dentro gli stazzi, si addossavano le une sulle altre col muso nascosto nei velli. Noi di guardia invidiavamo le bestie che potevano difendersi così bene dal freddo. Si stava attorno ai fuochi che ci cuocevano da una parte, mentre dall’altra si gelava.
Sulla mezzanotte il fuoco cominciò a crepitare come se qualcuno vi avesse gettato un fascio di pruni secchi. Nello stazzo, le pecore si misero a tremare. Levavano i musi in aria e belavano. “Sentono il lupo” pensai. Cercai a tastoni il bastone e mi alzai. I cani giravano su se stessi e uggiolavano. “Hanno paura anche loro”, pensai.
Intanto, anche i compagni si erano alzati da terra. Facevano gruppo scrutando la campagna. Non era più freddo. Il cuore, invece di battere per la paura, sussultava quasi di gioia. Era di notte e si vedeva luce come di giorno. Sembrava che l’aria fosse diventata polvere luminosa. E in quella polvere, a un tratto, prese figura una creatura così bella che ne provammo sgomento. “Non temete” disse l’apparizione “io vi annunzio una grande gioia destinata a tutto il popolo. Oggi vi è nato un salvatore, nella città di David. E questo sia per voi il segnale: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”.
Non aveva finito di parlare, e da ogni parte del cielo apparvero angeli luminosi, e cantavano “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Poi tornò la notte e noi restammo come ciechi nella valle piena di oscurità. I fuochi si erano spenti. Le pecore tacevano. I cani si erano acciambellati per terra.
“Abbiamo sognato!” pensammo. Ma eravamo stati in troppi a fare lo stesso sogno. Lì vicino, sulla costa della collina, erano scavate alcune grotte, che servivano da stalla. Avevano una mangiatoia formata di terra dura. Se il salvatore si trovava in una mangiatoia, voleva dire che era nato in una di quelle grotte. Infatti trovammo, come ci aveva detto l’angelo, un bambino fasciato, in mezzo a due animali, un bue ed un asino. Il bue era quello che dimorava nella stalla. L’asino vi era giunto coi genitori del bambino. Sul basto sedeva il padre, pensieroso; presso la mangiatoia si trovava inginocchiata la madre, in adorazione del suo nato. Guardai quel bambino e il mio cuore si intenerì. Sono un povero pastore, ma ogni volta che vedo un agnellino mi commuovo. E quel bambino mi parve il più tenero, il più innocente degli agnelli. Non so dire altro. Posso aggiungere che non ho più trovato in vita mia una dolcezza simile a quella provata davanti a quel bambino. Anche ora che ci ripenso, mi torna la tenerezza per quell’agnello innocente e gentile. Sono un povero pastore. Perdonatemi se lo chiamo così: è per me il nome più dolce e più caro. (P. Bargellini)
Racconti natalizi Dell’abete solitario
Nel Vosgi, molto vicino a Strasburgo, c’è lo Schneeberg. Fra la sua cima e quella del Donon vi sono diversi gruppi di rocce sugli altopiani o nelle gole delle valli, dove una volta stavano i sacerdoti dei celti e dove guardavano al di là di Stasburgo il levar del sole.
La leggenda contava dodici alte rocce che, nelle sante notti dopo la nascita di Gesù, si mettono in cammino e, ognuna per la sua strada ed ognuna nella sua notte particolare, si affretta ad andare sullo Schneeberg per inchinarsi, da lassù, al sole che sorge.
Su una si queste alte rocce stava, nella dodicesima notte al tempo del compimento dei tempi, un abete solitario sotto il cielo pieno di neve. Per tutta la notte aveva sognato della stalla di Betlemme. Sul far del giorno arrivarono tre carovane con i Re che avevano adorato il bambino a Betlemme ed ora con il loro seguito e con gli animali cercavano il centro del mondo per dirigersi verso oriente, occidente e sud.
Davanti all’abete solitario si fermarono, pensando che proprio qui fosse il centro del mondo. Mentre pensavano questo, divamparono dodici fiamme sopra alle cime ed alle rocce del circondario, fin giù nella pianura dell’Alsazia. I Re si abbracciarono e gli animali delle tre carovane parlarono ancora una volta gli uni con gli altri. Ma l’abete si inchinò profondamente davanti ai tre re venuti dall’Oriente e davanti ad ognuno degli animali, perchè nella sua nostalgia sapeva che questi avevano visto il Signore del mondo nella stalla e vedeva la luce che albergava ancora nei loro cuori. Allora i tre Re benedissero l’abete solitario ed ognuno di loro ne staccò un ramo, per portarlo con sè, finchè l’abete tremò di gioia.
Prima di separarsi i Re predissero solennemente all’abete che un giorno, in un lontano futuro, esso sarebbe sceso dall’altura del Vosgi verso Strasgurgo e poi, da qui, in tutte le valli ed i paesi e le città del mondo e che sarebbe diventato l’albero di Natale, un simbolo della luce nella stalla di Betlemme, che come un sole dei mondi guarda ancor oggi sulla terra addormentata. (Camille Schneider)
Leggenda dei pastori C’era una volta, in un fredda e gelida notte invernale, un povero pastore che svegliandosi spaventato contò le pecore del suo gregge. Mancava una mamma pecora: la pecora migliore che aveva. Il pastore si mise alla sua ricerca, camminava per prati e campi cercando ovunque, sui picchi e in fondo ai burroni. Ascoltava sperando di sentire qualche belato spaventato, ma tutto era silenzioso. Camminò a lungo senza trovare la pecora e si meravigliò del fatto che non era per niente stanco. Un morbido tappeto di fiori stava sotto ai suoi piedi e un soffio tiepido di primavera alitava sul suo viso, eppure si era nel mezzo dell’inverno…
Le gemme si schiusero e il suo cuore stesso fioriva come un bocciolo. Cosa c’era? Tutto era così trasformato! Solo quando pensava alla sua pecora lo riprendeva la tristezza. Mai più avrebbe avuto una simile bella mamma pecora nel suo gregge, con un vello così morbido e bianco! Egli l’amava molto, più di tutte le altre pecore. Oh, se potesse ritrovarla!
Mancava poco e gli avrebbe dato un agnellino, e lui durante la notte l’avrebbe scaldato avvolgendolo nel suo mantello, e di giorno l’avrebbe portato sulle spalle nel cammino verso i pascoli alti del monte, a primavera. Alzando lo sguardo verso i monti lontani vide salire una grande stella lucente come un brillante. “Che stella sarà mai?” si chiese. Non aveva mai visto una stella simile. La stella del mattino non poteva essere, era ancora notte piena. La stella saliva, saliva, e la sua luce era così potente che tutt’attorno cominciò a luccicare.
Il cuore del giovane pastore era pieno di meraviglia, e lui camminava proprio seguendo la direzione della stella. Da quanto tempo camminava, non lo sapeva. Andò avanti finchè arrivò ad una capanna bassa, una misera stalla irradiata dall’oro della stella. Alle sue orecchie arrivò un canto dolcissimo… e quando arrivò vicino dovette coprirsi con la mano gli occhi, tanto era lo splendore che irraggiava da un piccolo bimbo appena nato. Il bimbo giaceva sulla paglia dura e la madre lo cullava cantando dolcemente. Poi lei prese delicatamente un po’ di paglia d sotto ai suoi piedini e la diede al bue e all’asinello che stavano accanto alla greppia.
Il pastore non sapeva di stare davanti a Maria che in quella povera stalla aveva fatto nascere il bimbo celeste. Come si meravigliò il pastore quando il bambino Gesù allungò le sue manine verso una pecora bianca che fiduciosamente posò il muso sulla greppia. Come gioiva il bambino toccando la morbida lana bianca e quando lo sfiorò il tiepido alito dell’animale. Il giovane pastore riconobbe la pecora che aveva cercato tutta la notte.
Maria sorrise, accennò con la testa al pastore e lui potè vedere un po’ dello splendore della stella nei suoi occhi. La madre gli disse, passando le dita tra i morbidi fiocchi della pecora: “La stella l’ha guidata, essa ci ha dato da bere, grazie buon pastore!”.
Il pastore si inchinò davanti al bambino. Nella sua povertà non sapeva cosa donargli. Tagliò un angolo della pelliccia che portava sulle spalle e la stese sulle delicate gambine del bimbo, così che nessun soffio gelido di vento lo sfiorasse. Dalla sua borsa prese l’ultimo pezzetto di pane e lo offrì a Maria.
Un uccellino volò leggero sul palmo della mano di Maria a beccare alcune briciole e trillò. Dal bambino irraggiò una luce che arrivò sul petto dell’uccellino e le sue piume si colorarono d’oro. L’uccellino col petto d’oro passò sopra la greppia e volò via gioioso.
S’era silenzio nella stalla, gli animali respiravano calmi. La pecora si avvicinò al pastore e si inginocchiò accanto a lui, che la accarezzò. Com’era bianca e morbida la sua lana, poteva essere un morbido e caldo lettino per il bambinello.
“Caro bambinello, io ti ringrazio e ti voglio regalare la mia pecora. La lana morbida ti riscalderà nella notte, e il suo latte ti darà forza e farà bene anche a tua madre!” Come in sogno il pastore camminò per prati e campi per raggiungere il suo gregge, il cielo sopra di lui era pieno di migliaia di stelle che illuminavano la sua via. Dopo un pezzetto di strada incontrò Giuseppe, che come Maria aveva negli occhi lo splendore della stella. Giuseppe gli disse: “Il mio bambino ti dona la pace”. Come campane risuonarono queste parole nel cuore del pastore. Oh, notte meravigliosa!
Il pastore contò le sue pecore. Si sbagliava? Si stropicciò gli occhi e ricontò di nuovo. Ma per quanto ricontasse il numero era sempre lo stesso: le pecore erano tre volte di più. I suoi occhi increduli guardarono il gregge diventato così numeroso e grande. Un raggio della stella toccò il suo cuore e il pastore andò con il pensiero al cammino appena fatto, e rivide il bambino giacere nella greppia, pieno di luce celeste. La madre lo cullava e da così lontano sorrise al pastore: “Molte meraviglie accadono in questa notte, tutti saranno benedetti!”. Vicino a lui sentì un lieve belare. Un agnellino appena nato, con la pelliccia candida come la neve, giaceva sulla tera. Egli lo raccolse e l’agnellino si strinse a lui. Il cuore del giovane pastore voleva saltare dalla gioia. Vide il cielo aprirsi sopra di lui e un fermento riempì l’aria, tutte le stelle brillavano e in file lucenti apparvero le schiere celesti. Gli Angeli cantavano, volarono in basso e benedissero la terra e tutto ciò che c’era su di essa.
Racconti natalizi La leggenda del Re segreto Non tanto tempo fa c’era un paese che era il più grande del mondo perchè aveva sottomesso quasi tutti gli altri paesi. Aveva raggiunto non soltanto grande fama, ma anche ricchezze straordinari e i suoi abitanti dovevano confessarsi che alla loro fortuna non mancava quasi nulla.
Un giorno scoppiò in questo paese una strana malattia. Essa colpì dapprima poche persone, poi sempre di più, ed infine divenne un’epidemia. Si manifestò dapprima con strane forme di paralisi, non solo esterne ma anche interne. Le persone colpite non potevano più muoversi, dopo un po’ non riuscivano più a parlare, e infine nemmeno a pensare.
Gli abitanti del paese si disperarono per questa calamità, scoppiata proprio nel loro periodo più felice. Quando la malattia si dilatò e colpì anche le persone più importanti, il re convocò i suoi consiglieri e li interrogò sul da farsi in questa situazione di emergenza. Ma i consiglieri non sapevo dire nulla di più di quanto i medici avevano stabilito. L’unica cosa che consigliavano al re era di far spargere la voce nel regno che chiunque conoscesse un rimedio si presentasse senza indugio. Così fece il re, e dopo un po’ di tempo si presentò al castello un anziano pastore. Esso diede al re un consiglio inaspettato. Disse: “In questa emergenza ti può aiutare una sola cosa. Manda tua figlia al re segreto. Esso ti darà ciò di cui hai bisogno”.
Sentendo queste parole, il re non fu molto felice. Mandare sua figlia, da sola, presso un re sconosciuto, che inoltre era anche segreto: questo non gli garbò per nulla. Ma quando poco dopo fu lui stesso colpito dalla malattia, si decise a seguire il consiglio.
Così la giovane figlia del re se ne andò e cominciò a cercare il re segreto. Non sapeva in quale luogo abitasse, non conosceva nemmeno la strada per arrivarci, era solo piena di un desiderio profondo di trovarlo e di aiutare gli uomini. Camminò dal mattino alla sera e non trovò niente. E quando alla fine della giornata non aveva ancora concluso nulla, decise di non entrare nell’osteria, ma di passare la notte all’aria aperta, per cogliere eventualmente un segno. Così scalò una collina e lì si fermò. Un cielo infinito, di un blu profondo, si stendeva sopra di lei. Mai prima aveva visto un cielo così. A lungo contemplò quella vista e si lasciò trasportare dallo sguardo in quelle lontananze. Si sentì sempre più libera e le sembrava di comprendere molti segreti del mondo. Poi si addormentò profondamente. Quando la mattina dopo si destò, si accorse con grande meraviglia di essere avvolta in un mantello stupendo, blu scuro. Il giorno dopo proseguì la sua marcia. Incontrò numerose persone che le chiedevano aiuto, certe volte anche con malagrazia, con parole sgarbate e cattive.
La figlia del re li ascoltò tutti senza protestare nè arrabbiarsi, e li aiutò tutti, come potè. Infine le venne incontro un uom o che era ormai quasi nudo. Egli le domandò di dargli qualche indumento caldo. Allora lei gli donò il suo vestito perchè, si disse, in fondo lei aveva il mantello. Appena ebbe dato il suo vestito si accorse di indossare un nuovo abito che brillava del rosso più meraviglioso.
Quando il giorno seguente proseguì per la sua strada, le si presentarono molti ostacoli. I sentieri diventavano sempre più difficili e le sue forze stavano per abbandonarla. Solo la sua volontà di raggiungere la meta restò ferma.
Arrivò su un prato che era ornato da splendidi alberi con molto fogliame e frutti luminosi. Si sedette sotto l’albero più grande; le sue forze erano finite. Seduta così, pensò tra sè: “Se solo avessi oltre alla volontà anche la forza!”. In quel momento l’albero potente cominciò a muoversi. Si scosse, si spostò, e un paio di splendide scarpine caddero a terra: erano fatte di oro lucido e caldo. Quando la figlia del re indossò le scarpine, le sue membra furono pervase da una forza che mai aveva sentito prima. Ora poteva riprendere il cammino.
Il quarto giorno il sentiero si inabissò piano verso l’interno della terra. Dapprima la principessa fu circondata da un buio angosciante, poi divenne sempre più chiaro, ed infine arrivò una luce di un’incredibile morbidezza. Le sembrò di entrare nella camera più intima della terra. Nel centro della sala si trovava un trono sul quale era seduto un giovane re che era illuminato come da un sole dolce. Era circondato dagli spiriti della natura, dalle guide degli uomini e dai capi degli angeli. Ora la figlia del re seppe di essere arrivata alla meta.
Il giovane sul trono guardò la principessa e vide ciò che indossava: il mantello blu che aveva sulle spalle, l’abito rosso e le scarpine dorate. Allora disse: “Meriti di ricevere il bene per aiutare gli uomini”, e le porse una coppa d’oro, riempita di acqua limpidissima. La invitò a bere. Poi le diede l’incarico di portare quest’acqua agli uomini e di dare loro la notizia dell’esistenza del re segreto. Quelli che avrebbero creduto al suo messaggio, avrebbero potuto bere e sarebbero stati salvati dalla loro malattia.
In questo modo molti già hanno ricevuto una nuova vita, ma ci saranno ancora molti altri che apriranno i loro cuori al messaggio che esiste un re segreto che è il guardiano e il donatore dell’acqua della vita. Egli abita tra noi e protegge gli uomini. (Eberhard Kurras)
Racconti natalizi Il pastore Giona nella stalla Giona il pastore giaceva avvolto stretto nella sua coperta nella paglia, e dormiva. L’estate era passata da un bel po’. I pascoli erano brulli; già nell’autunno, quando le tempeste spazzavano sopra i campi arati, aveva raccolto le sue pecore e trovato un rifugio insieme a loro dall’oste dell’osteria Corona. Esso aveva dietro l’osteria una grotta stretta dove teneva la sua mucca e d’inverno potevano alloggiare lì tutti quanti, Giona, la mucca e le pecore. Spazio non ne aveva più nessuno, ma il pastore non ci faceva caso e non aveva niente in contrario a dormire con le sue care pecore.
La mucca era mite, sognava forse della primavera prossima, quando avrebbe avuto di nuovo tutta la grotta per sè. Ma nel frattempo godeva del calore che emanava dai lanosi coinquilini.
Il vento d’inverno soffiava rigido attraverso le aperture tra le travi, ma perdeva quasi subito la sua potenza fredda in questo povero rifugio abitato da uomo e animali.
Improvvisamente il pastore si destò, si strofinò gli occhi e si guardò intorno tutto stranito. Osservò con cura ogni dettaglio del vano che già conosceva tanto bene, come se durante il sonno esso gli fosse diventato estraneo. Le mura di roccia, irregolari, che limitavano la grotta su tre lati e formavano anche il soffitto, erano neri dei fuochi che si accendevano lì un tempo. La porta era di legno grezzo, attaccata su dei cardini poco stabili, e aveva delle fessure così larghe che anche senza finestra si poteva osservare tutto ciò che si svolgeva nel cortile.
Giona tastò la paglia che copriva appena la terra nuda, toccò la mangiatoia che conteneva il fieno per la mucca e per le pecore come se la volesse esaminare: “Sì, sì…” mormorò finalmente, “si tratta solo della nostra stalla!”. Però nel frattempo scosse la testa, ancora incredulo.
Dove credeva di essersi svegliato? Il pastore pose una mano sul capo di una pecora e cominciò a raccontare… alcuni pensano che sia stupido parlare agli animali, perchè non capiscono una parola, ma Giona ne sapeva di più, e naturalmente anche le sue pecore ne sapevano di più! Girarono tranquillamente le teste verso di lui e ascoltarono il suono della sua voce calda e profonda che diede loro una sensazione di sicurezza e di protezione.
– Pensate un po’…” raccontò Giona, “ero in un castello, in un palazzo dorato, lì c’era una sala così meravigliosa, che non ho mai visto nulla di simile prima. I muri erano d’oro puro e il soffitto era come un cielo stellato, il tappeto come un giardino fiorito di rose e di gigli. Inoltre lì veniva suonata la musica più deliziosa da musicisti ineguagliabili. Nel bel mezzo della sala si trovava un letto a baldacchino con dei cuscini di piuma soffice. E pensate un po’, in questo letto di piume dormivo io, così morbidamente come sulle ali di un angelo.
Ma improvvisamente si sentì un richiamo forte: “Il re viene, fate posto per il re!”. Un servitore venne correndo e mi disse, anzi mi pregò di far posto nel castello per il re. “Vero che lo fai per il re?” mi disse. Allora io mi alzai, ma quando i miei piedi toccarono terra mi svegliai, ed ora il castello è scomparso e mi trovo di nuovo qui da voi nella stalla-.
Le pecore continuarono a guardare il pastore con i loro occhi tranquilli e scuri. Avevano capito, potevano immaginarsi la bella sala nel castello dorato. Ancora una volta Giona si strofinò con mani forti gli occhi, ma il sogno non si lasciò cacciare. Restò lì e questa era anche la sua intenzione, perchè era stato un angelo a far sognare così il pastore, con una buona ragione.
Fuori il vento soffiò la sua canzone gelata. Giona tirò su la coperta più stretta intorno alle spalle. “No… di sicuro questa è una grotta e non un castello… ma fa un bel calduccio qui, vicino alle pecore dal folto vello! Siamo proprio fortunati!”, constatò Giona “Siamo proprio fortunati a poter essere qui, tutti insieme. L’inverno è un pastore crudele, è meglio evitarlo!”.
Poi sbirciò curioso attraverso le fessure della porta, perchè dal cortile si sentivano delle voci. La voce dell’oste un po’ tonante ma non sgradevole, e la stanca voce di un uomo. Giona non poteva vedere i due, perchè il sole era già tramontato e il mondo era grigio e senza contorni. Improvvisamente però vide avvicinarsi una luce: era l’oste che bussava alla porta tenendo una lanterna: “Giona… Ehi, Giona… sei sveglio?, disse l’oste a voce bassa. “Ma sì, certo” rispose il pastore, ed aprì la porta.
L’aria fredda che entrò lo fece rabbrividire. “Ah, Giona, mio buon amico,” disse l’oste “pensa un po’… è venuta ancora gente, non riescono a trovare un alloggio perchè tutte le case sono piene. Sono talmente stanchi e deboli che proprio non riesco a mandarli via. Giona, per una notte sola, conduci le tue pecore di nuovo sul pascolo. Hanno in fondo una pelliccia calda e non patiranno il freddo. Fai posto per questa brava gente…”
Il pastore non sentì nemmeno più l’aria fredda dell’inverno. Aveva ascoltato l’oste con meraviglia. Il sogno che aveva avuto si ripresentò di nuovo luminoso davanti a lui. “Oste” disse finalmente in tono mite “è il re che cerca alloggio?”
L’oste lo guardò meravigliato, scosse la testa e disse: “Che strane cose dici certe volte, Giona. Il re nella mia stalla? No, no, è gente poverissima. Un uomo e una giovane donna che porta un bambino sotto il cuore. Vero Giona che lo fai, per questa povera gente?”
Così, esattamente così, aveva chiesto anche il servitore nel sogno, pensò improvvisamente il pastore. Ma all’oste disse semplicemente: “Lo faccio”. Poi andò verso le sue pecore e chiamò: “Venite, venite mie care, dobbiamo uscire, il nostro palazzo viene usato da gente povera!”
Senza nessuna fretta, ma senza opporre alcuna resistenza, le pecore lo seguirono: Giona prese il lungo bastone da pastore e si mise davanti al gregge. Guardò gli stranieri molto intensamente quando passò accanto a loro. “Ma no, l’oste aveva ragione, non si trattava di un re che chiedeva alloggio…” Giona vide un uomo con la barba arruffata dal vento, le guance magre arrossate dal vento, e un po’ più in là, su un asino magrissimo, era seduta una giovane donna avvolta in un mantello blu col cappuccio, gli occhi stanchi e tristi, il viso pallido. “No, è semplicemente povera gente che ha bisogno d’urgenza di un tetto…”
“Su… su… mie care… venite al pascolo” disse Giona alle sue pecore, e si incamminò con passo deciso. Il freddo non avrebbe avuto la meglio su di lui. Fuori dalla porta della città erano accesi dei fuochi: uno, due, tre, e lì erano seduti altri pastori che per far posto a tutta la gente che cercava alloggio avevano dovuto abbandonare stalle molto migliori di quella di Giona.
Si scaldarono accanto al fuoco, di buonumore e con qualche buon boccone portato dall’uno o dall’altro. Giona fu salutato cordialmente e tra canti e conversazioni presto dimenticò il suo sogno, la stalla e la povera gente.
Si fece tardi, e un profondo sonno si impadronì dei pastori, che non si accorsero della quiete infinita e piena di pace che improvvisamente scese sulla terra. Solo le pecore alzarono la testa per guardare il cielo, nel quale le stelle brillavano della loro luce più bella. Non c’era nulla in quella notte, in quel cielo, se non quella tranquillità meravigliosa e limpida.
Improvvisamente, poi, il cielo sembrò aprirsi e una luce dorata precipitò sulla terra. A questa luce dovette cedere ogni buio. Allo stesso tempo l’aria si era riempita delle melodie più dolci. I pastori ormai svegli, ma ancora intontiti dal sonno, guardarono la luce, ascoltarono il messaggio della nascita del bambino divino sulla terra e il canto “Osanna nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Balzarono su, senza sentire freddo nè stanchezza. Volevano vedere il bambino al quale era dedicato tutto questo. La musica celeste indicò loro la strada verso la città, li accompagnò alla stalla.
Credete che Giona abbia riconosciuto la sua stalla, quella grotta dalle pareti nere e con la porticina di legno? Ma no, tutto sembrava così diverso, perchè tutto era stato trasformato dalla nascita del bambino divino. Non più nere erano le pareti della grotta, ma luminose d’oro, e il soffitto si era inarcato come un cielo stellato, il pavimento era un tappeto di rose e gigli, e lì in mezzo stava seduta la regina in un abito pieno di stelle, accanto ad una culla dorata; nella culla, su cuscini d’oro, un piccolo bambino che era così bello che i pastori sentirono una fitta di gioia nel cuore, forte quasi da sembrare un dolore.
Restarono inginocchiati a lungo davanti alla mangiatoia. All’inizio in silenzio, poi pregando e cantando le loro canzoni da pastori. Donarono al bambino celeste ciò che avevano con sè, e quando infine si alzarono e si congedarono, Giona non potè fare a meno di prendere la mano del bambino e baciarla. E allora sentì chiaramente che il bambino gli diceva: “Grazie caro Giona per avermi fatto posto”.
Confuso l’uomo si guardò intorno: aveva veramente sentito quelle parole, o aveva soltanto sognato? Non riusciva a rispondere a questa domanda, e non c’è nulla di cui meravigliarsi: quando i cieli scendono sulla terra e noi possiamo vederli con i nostri occhi, non siamo in grado di dire se siamo svegli o se si tratta di un sogno.
Alcuni giorni dopo l’oste mandò a chiamarlo per dirgli che la grotta era di nuovo libera, e Giona vi fece ritorno con le sue pecore. Benchè le pareti fossero nere come sempre, e la porta di legno sgangherata, nella mangiatoia il pastore vide un cuscino dorato. Confuso si strofinò gli occhi: un cuscino dorato… ma no… non era un cuscino… era la paglia che luccicava come oro, come se il bambino celeste avesse dormito proprio lì. Giona non parlò mai di questo evento a nessuno, e nessuno al di fuori di lui aveva visto l’oro: solo lui e forse le pecore. Ma esse conservarono il segreto proprio come fece il loro pastore. Qualche volta però, quando Giona avvolto nelle sue coperte dormiva sulla paglia, vedeva di nuovo il bambino e sentiva di nuovo la voce che gli diceva: “Grazie caro Giona per avermi fatto posto”. (George Deissig)
Racconti natalizi L’ultima visitatrice Si era a Betlemme, allo spuntar del giorno. La stella stava sparendo e l’ultimo pellegrino aveva lasciato la stalla, Maria aveva rassettato la paglia ed il bimbo si era addormentato. Ma si dorme, il giorno di Natale? Dolcemente la porta si aprì, spinta, si direbbe, da un soffio di vento più che da una mano, e una donna apparve sulla soglia, coperta di stracci, così vecchia e rugosa che nel suo viso color della terra la bocca sembrava soltanto una ruga in più.
Vedendola Maria si spaventò, quasi fosse entrata una fata cattiva. Fortunatamente il bambino dormiva! L’asino e il bue masticavano pacificamente la loro paglia e guardavano avvicinarsi la donna senza alcuna meraviglia, quasi la conoscessero da sempre.
Maria, invece, non scattava gli occhi da lei.
Ogni passo che la donna faceva, sembrava lento come un secolo. La vecchia arrivò vicino alla mangiatoia, mentre il bambino continuava a dormire. Ma si dorme, il giorno di Natale?
Improvvisamente il bambino aprì gli occhi, e sua madre fu molto meravigliata, vedendo che gli occhi della vecchia e quelli del suo bambino, erano esattamente uguali, e brillavano della stessa luce di speranza. La vecchia si chinò sulla paglia, mentre la sua mano cercava tra le pieghe dei suoi stracci qualcosa, che pareva ci volessero secoli a trovare.
Maria la guardava con la stessa inquietudine, le bestie la guardavano invece senza sorpresa, come se sapessero cosa stava succedendo. Infine, dopo lungo tempo, la vecchia tirò fuori dai suoi panni un oggetto che, nascosto nella mano, diede al bambino. Dopo i tesori dei Magi e i doni dei pastori, cos’era anche questo regalo? Da dove si trovava, Maria non poteva vederlo. Vedeva solamente la schiena della vecchia curva per l’età, che si piegava ancora di più per chinarsi sulla mangiatoia. Ma l’asino ed il bue la vedevano, e non si meravigliarono affatto.
Questo durò a lungo. Poi la donna si rialzò, come alleggerita da un peso così gravoso che la tirava verso la terra. Le sue spalle non erano più arcuate come prima, la sua testa toccava quasi il tetto di paglia, e il suo viso aveva ritrovato miracolosamente la sua giovinezza. Quando si allontanò dalla culla per tornare verso la porta e sparire nella notte da dove era venuta, Maria potè finalmente vedere che cos’era quel misterioso dono.
Eva (poichè era lei) aveva appena dato al bambino una piccola mela. E questa piccola mela rossa brillava nelle mani del bambino come il globo del mondo nuovo che stava per nascere con lui. (Jerome e Jean Tharaud)
Racconti natalizi – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento – una raccolta di dettati ortografici per la scuola primaria, difficoltà miste, di autori vari.
L’ambiente natalizio Il Natale si festeggia in dicembre, all’inizio dell’inverno astronomico. Tutta l’atmosfera è pervasa dall’incanto di questa ricorrenza. Il Natale si associa al freddo, alla neve, al rovaio e quindi alla casa riscaldata, intima, festosa, all’amore rinnovato per la propria famiglia anche perchè questa festa è attesa e desiderata in particolar modo dai bambini. Il nuovo nato è un bambino come loro ed essi lo sentono vicino, hanno confidenza con lui, gli chiedono grazie e doni. Osserviamo l’ambiente natalizio. Dell’inverno abbiamo già parlato, ma cercheremo di rinnovare le nostre impressioni naturalistiche. Elementi del paesaggio natalizio sono il freddo, la nebbia, la neve, il ghiaccio, gli alberi spogli. Ed ecco questo ambiente vivificato da una stella luminosa, ecco i cieli azzurri del presepe, le palme dei paesi caldi, il contrasto fra gli smorti colori dell’inverno e i vivi colori del presepe, che eccita i bambini e li dispone all’attesa. Anche la casa acquista grande importanza. Oltre all’ambiente naturale, osserviamo le vetrine cariche. Vetrine di negozi alimentari con salumi, pollame, cibi d’ogni genere, sempre invitanti ed eccezionali, vetrine di giocattoli, vetrine di pasticceri dove fanno mostra di sé i dolci caratteristici del Natale, panettoni, torroni e quanto la tradizione locale offre.
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento Notizie storiche Il Natale, che oggi si festeggia il 25 dicembre, non fu solennizzato sempre nello stesso giorno. Pare che nel secolo III si festeggiasse il Natale insieme all’Epifania il 6 gennaio, specie in Oriente; ma verso la metà del IV secolo la Chiesa romana fissò tale solennità al 25 dicembre, forse sotto Papa Liberio. Ciò per sovrapporre la festa cristiana a quella pagana del sole. Tra i costumi natalizi, comuni a tutti i paesi cattolici, sono la messa si mezzanotte e il presepe. Il primo presepe viene attribuito a San Francesco, il quale ricostruì la scena della natività a Greccio, un piccolo paese dell’Appennino umbro. La parola presepe vuol dire stalla e, anche, mangiatoia che si pone nella stalla. L’uso del presepe, dapprima limitata alle chiese, si estese in seguito fra i privati e molti scultori e pittori vi si ispirarono per produrre pregevolissime opere. Altro uso natalizio, che ha auto origine nei paesi del Nord, è l’albero di Natale.
La terra di Gesù Palestina si chiamava anticamente la sola parte costiera della regione a cui più tardi fu esteso questo nome; il nome deriva dall’ebraico Pelistin con cui veniva indicato il popolo dei Filistei. Questo paese è formato da tre zone parallele: la zona costiera, l’altopiano e la valle del Giordano. Il Giordano è un piccolo fiume che scorre nel fondo di una stretta valle, forma alcuni laghi, dei quali il più celebre è quello di Genezareth o Tiberiade, e finisce nel Mar Morto, un mare interno che è posto a 400 m sotto il livello del Mediterraneo e le cui acque sono salmastre e contengono bitume, cosicchè le sue rive sono desolate e deserte. L’altopiano è monto accidentato, ed è il prolungamento della catena del Libano; oggi è nudo e roccioso, ma nei tempi antichi aveva ampie foreste e vi crescevano viti, olivi e buoni pascoli, tanto che agli occhi degli Ebrei, quando vi si stabilirono cacciandone i Filistei, sembrò un paese incantevole e lo chiamarono la “Terra Promessa”. La parte settentrionale dell’altopiano si chiama Galilea, la centrale Samaria, le due meridionali Giudea e Idumea. (P. Silva)
Il Natale di Gesù La data della nascita di Gesù fu parecchio controversa. Per parecchio tempo, le chiese orientali festeggiarono il Natale il 6 gennaio. La chiesa romana, invece, adottò la data attuale fin dal IV secolo dC. Alla scelta di tale data contribuì anche la considerazione di un fatto religioso pagano: il 25 dicembre veniva celebrato dai pagani il giorno natalizio del Sole vittorioso, la cui nascita coincide appunto col solstizio d’inverno. Dopo il 21 dicembre, infatti, il sole ricomincia a percorrere nell’azzurro del cielo archi sempre maggiori e le giornate si allungano. Contrapporre la nascita di Gesù a quella del sole invitto significava poter distogliere dalla celebrazione della festa pagana molte persone. E come, poi, non pensare a Gesù, sole delle genti, via e luce, quando il sole ricomincia ad annunciare la sua vittoria sulle brume della stagione inclemente? (R. Lesage)
Tre messe Quel che caratterizza la festa di Natale è la celebrazione delle tre messe solenni a mezzanotte, all’aurora e alla mattina. La messa di mezzanotte risale a pappa Sisto III (432-440) che, a seguito del Concilio di Efeso, aveva fatto grandi restauri alla Basilica Liberiana, dedicata alla Madonna, costruendovi in una piccola cripta una riproduzione della grotta di Betlemme, che diede poi il nome alla Basilica stessa, facendola chiamare Santa Maria del Presepe. Qui infatti, forse ad imitazione della celebrazione notturna che si faceva alla Basilica della Natività a Betlemme, Sisto III ordinò un’ufficiatura notturna, che si concludeva poi con la messa. (R. Lesage)
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento Natale, cenni storici Il Natale si celebra il 25 dicembre. Anticamente questa festa non si celebrava sempre nello stesso giorno; fu il papa Giulio II che, nel secolo IV, fissò la data del 25 dicembre, dopo aver fatto eseguire diligenti ricerche negli archivi. Dal secolo VI fu permesso ai sacerdoti di celebrare tre messe in questo giorno: la prima è detta “messa di mezzanotte”, la seconda “messa dell’aurora” e la terza “messa del giorno”. Nel Medioevo si celebravano i “Misteri”, cioè scene della vita e della passione di Gesù. Oggi si celebrano ancora in alcuni paesi. Fra gli usi natalizi più comuni è il presepe, il quale dapprima si faceva solamente in chiesa, poi si diffuse nelle case. Verso il Settecento ebbe la massima diffusione. (C. Bucci)
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento Regione che vai, Natale che trovi
Cominciamo il nostro itinerario dalle regioni settentrionali, seguendo solo il filo della fantasia e citando in ordine alfabetico le località dove si possono trovare tracce originali di storie curiose ed abitudini antiche, legate alla mistica suggestione della Santa Notte.
Ad Andalo, in Valtellina, la vigilia di Natale, in segno di promessa, gli innamorati depongono sul davanzale delle loro amate, usando un lungo bastone, uno zoccolo dipinto, arricchito da nastri e nappe. L’usanza ricorda lo sfortunato amore di un mago dal “pie’ bisulco” che, recandosi a trovare la sua bella, perse uno zoccolo a doppia unghia e con esso il suo magico potere, tramutandosi in un povero pastore.
A Bergamo è diffusa la credenza che nella Notte Santa tutti gli animali, e specialmente i gatti, acquistino poteri divinatori e con il loro atteggiamento suggeriscano l’esito delle future vicende familiari.
In Brianza, a Porto d’Adda, all’avvicinarsi del Natale gruppi di giovani confezionano dei fischietti con canne di bambù e girano per le vie del paese suonando nenie natalizie, formando una banda che la gente chiama degli “organini”.
A Como quasi tutti, a Natale, fanno un presepe molto grande e bruciano il ginepro. Alla sera, tutte le famiglie si riuniscono nelle cucine accanto ai grandi camini e intonano cori natalizi accompagnati dai caratteristici strumenti musicali del luogo: gli zufoli, chiamati in dialetto fifuc.
A Mantova la sera della vigilia il più anziano della casa benedice i tortelli con l’acqua santa e tutti recitano le preghiere prima di iniziare la cena.
Si racconta che il Monte Bernina ed il suo celebre ghiacciaio, sorto dove un giorno si stendeva un florido pascolo, siano opera del diavolo che, nella notte di Natale, volle punire un pastore il quale, rifiutando asilo a un mendicante, gli concesse soltanto di accostarsi al truogolo del maiale. Immediatamente prese a nevicare e l’indomani, al dissolversi di una pesante nuvola nera, al posto del pascolo e della malga apparve l’immenso ghiacciaio.
A Boca (Novara) nel 1600, a breve distanza da un miracoloso crocefisso, il 24 dicembre a tarda sera, due ladri attendevano il passaggio di un giovane che tornava al paese dopo un anno di lavoro, con in tasca un discreto gruzzolo. A passo lesto per giungere in tempo alla Messa di mezzanotte, il viandante attraversa il bosco recitando il rosario quando, giunto in vista dei due ladri, li vide fuggire a gambe levate. Il giorno seguente seppe che a mettere in fuga i malfattori era stata l’apparizione di due aitanti gendarmi alle sue spalle. Inutile dire che dei due misteriosi protettori non si ebbe più notizia. Sul luogo dell’incontro il giovane fece erigere una chiesetta, oggi diventata un celebre santuario.
Sul monte Cesarino, il cui nome ricorda il passaggio di Giulio Cesare, è credenza popolare che viva un cane feroce il quale sputa fiamme dalla bocca e azzanna e divora i bambini che di notte si avventurino per boschi o sentieri. Soltanto la sera della vigilia il cane fantasma si ammansisce; e anzi, se incontra un fanciullo lo accompagna per tutta la strada, difendendolo e lambendogli le mani.
A Deiva Marina (La Spezia) all’interno della chiesa di Santa Maria Assunta si legge su una lapide del settimo secolo una strana iscrizione che riporterebbe fedelmente il testo di una lettera di Cristo, caduta dal cielo per ammonire i fedeli. Nel messaggio è detto, tra l’altro, che dalla mezzanotte della vigilia all’alba di Santo Stefano persino i diavoli fanno festa, perchè neppure loro possono sottrarsi alla suggestione ed al misticismo della divina notte.
Secondo la credenza popolare, al Pian di strì (Piano delle Streghe), sotto il monte Gridone,verso la Val Vigezzo, streghe, maghi e folletti si riuniscono da tempo immemorabile in base a un ben prestabilito calendario settimanale. Solo nella settimana di Natale il “Pian di strì rimane deserto ed ognuno può passarvi anche in piena notte senza timore di cattivi quanto ultraterreni incontri.
Il nome di Frassinoro, una località vicino a Modena, deriverebbe secondo un’antica leggenda da un prodigioso fatto accaduto durante una processione natalizia e che viene ancor oggi celebrato nella ricorrenza. Un simulacro della Vergine, appeso al ramo di un grande frassino, avrebbe preso a brillare intensamente facendo diventare tutta d’oro la chioma dell’albero, fra la commossa esultanza dei fedeli.
A Genova, come è d’uso da secoli, a Natale si accende un ciocco di legno in mezzo alle piazze e tutti vanno a prendere un tizzone di brace per il proprio camino. Chi non ha il camino lo mette ad ardere negli scaldini di ferro.
A Graines (Aosta) in ricordo di una vecchia usanza per cui i contadini del luogo erano costretti, all’inizio dell’inverno, a coprire di terriccio i risplendenti ghiacciai della Becca di Torchè, affinchè il loro riverbero non bruciasse la delicata carnagione delle signore del castello, la vigilia di Natale, durante una fastosa luminaria, i giovani vanno a buttare ai margini del ghiacciaio sacchetti di terra e fiori di carta in segno augurale e in atto di omaggio verso le ragazze del paese.
A Pieve di Cadore la sera del 24 dicembre, prima che giungano gli ospiti per il cenone di mezzanotte, si pone in ogni casa una scopa attraverso la soglia della cucina. Secondo la leggenda, se una delle ospiti fosse una strega travestita, alla vista della scopa, sua tradizionale cavalcatura, non saprebbe resistere al desiderio di inforcarla, facendosi così riconoscere. A Treviso per la vigilia di Natale è tradizione accendere al tramonto grandi falò, intonando una filastrocca propiziatrice per un raccolto abbondante: “Pan e vin, la laganega soto el camin, la farina soto la panera…” e così via. Poi, spento il fuoco propiziatorio, si fruga nella cenere con lunghi bastoni e dalla direzione che prendono le faville si traggono auspici per la prossima annata: se esse prendono il vento verso il Friuli conviene rassegnarsi ad un raccolto misero, mentre se vanno verso occidente tutto andrà nel migliore dei modi. La beata Stefania Quinzani, oggi venerata in tutto il cremonese, durante la sua gioventù era giunta a Zappello, da Brescia, col proposito di fare la domestica in un pio istituto. La notte di Natale, per far sì che i bambini affidatile attendessero tranquillamente i dodici rintocchi per assistere alla santa messa, miracolosamente ottenne che un grande melo dell’orto del convento fruttificasse d’improvviso, in modo da permettere ai piccini di cogliere e mangiare quei saporitissimi pomi.
In provincia di Piacenza si usa preparare il pranzo due giorni prima. Alla vigilia si fa il pranzo serale: è composto di un bel piatto di tortelli alla piacentina, cioè col ripieno a base di spinaci, ricotta, formaggio e uova.
A Benevento nella notte natalizia si usa sempre, in tutto il territorio di questa provincia, porre una scopa fuori della porta d’ingresso nella credenza che le eventuali streghe, prima di entrare, debbano strappare i fili di saggina, ad uno ad uno, finchè l’alba, sorprendendole ancora affaccendate in questo lavoro, le costringe a fuggire. Ed effettivamente, per quanto ciò possa destare incredulità, le scope lasciate sulla soglia la sera, al mattino vengono sempre ritrovate rotte o sciupate.
Nelle Marche in occasione del Natale, i fidanzati si scambiano fazzoletti di lino ripieni di castagne, di noci e di mandorle.
A Nereto (Teramo) alle due di notte dell’antivigilia di Natale a campana maggiore della parrocchia viene puntualmente messa in moto ed i suoi rintocchi risuonano a lungo, in ricordo del prodigioso intervento della Madonna che, anticamente, mise in fuga una colonna di Francesi incamminata verso il paese con il proposito di metterlo a ferro e fuoco.
In Puglia anche sei il progresso ha sostituito ai vecchi camini più moderni sistemi di riscaldamento, la tradizione del ceppo natalizio sopravvive tuttora tenace nelle campagne e nelle borgate. In Puglia il ceppo viene circondato da dodici pezzi di legno diversi, che rappresentano i dodici apostoli; attorno alla tavola siede la famiglia che ospita tanti poveri quanti sono i suoi defunti. Analoga è l’usanza che vige in Calabria, dove però si usa adornare il ceppo con tralci di edera.
A Bari a mezzanotte si vedono tutte le strade illuminate di stelle filanti e di fuochi d’artificio sotto forma di topi che vanno dietro alle persone. Poi, il topo va in aria e scoppia, illuminandosi. Con queste luminarie si sta alzati fino alla mattina del Natale. I dolciumi che si fanno a Natale sono cartellate, torrone, castanielle, panzerotti, taralli con il pepe e con lo zucchero.
Nel Santuario de La Verna (Arezzo) per tradizione i frati devono recarsi in processione due volte nel pomeriggio e di notte lungo il corridoio delle Stimmate. Si racconta che una vigilia di Natale, non potendo i frati raggiungere, per la troppa neve caduta, il porticato che si snoda sino alla cappella dove San Francesco ricevette i sacri segni, il mattino seguente si scorsero sulla bianca coltre le impronte degli animali della foresta che avevano compiuto, invece dei monaci, il mistico percorso.
In molti paesi della Sardegna a Natale si usa confezionare dolci speciali a forma di nuraghi, che si chiamano passalinas e che vengono offerti a chiunque bussi alla porta perchè la leggenda vuole che Gesù e San Pietro scendano sulla terra vestiti da mendichi e bussino alla porta di tutti per provare il cuore degli uomini.
In Toscana la festa del ceppo è una tradizione natalizia che consacra il dovere dell’ospitalità: il 24 dicembre, al tramonto, il capofamiglia pone sugli alari una grossa radice di ulivo o di quercia e vi dà fuoco; fintanto che il ciocco continua ad ardere la porta di casa resta aperta e chiunque entri ha diritto ad un piatto di arrosto e, se vuole, anche ad un letto per la notte. In altre regioni il compito di accendere il gaio fuoco natalizio non spetta al capofamiglia ma alla persona più anziana, la quale chiama poi attorno a sè i giovani, invitandoli a percuotere con un bastone il ciocco per farne sprizzare le scintille allo scopo di trarne auspicio. Altrove sono i fidanzati a ricavare l’oroscopo dal ceppo acceso nella santa notte, sulla cui brace vengono gettate alcune noci a seconda che esse scoppino o brucino lentamente.
In Calabria finita la messa di mezzanotte le persone baciano Gesù bambino ed escono dalla chiesa. I pastori con le loro zampogne suonano per le strade principali ed annunciano la nascita del redentore. Nelle vie sparano i mortaretti. In altri paesi dell’Italia meridionale c’è l’abitudine di tenere, la notte di Natale, la porta aperta e la tavola imbandita fino al ritorno dalla chiesa dopo aver ascoltato la messa di mezzanotte. Una vecchia leggenda dice che la Madonna e il Bambinello hanno modo di scaldarsi e di nutrirsi e benedire così la casa. In certi paesi gruppi di ragazzi si riuniscono nel pomeriggio di Natale e poi passano di casa in casa a cantare una canzone natalizia, ricevendo così vari doni.
In Sicilia sul piazzale della chiesa, sempre nella notte della vigilia, brucia un fuoco di legna che vuole significare che il popolo intende riscaldare il santo bambino. Un’altra usanza, che fa sembrare sempre più bella la giornata del Natale, è di scegliere un bambino povero e di vestirlo come Gesù, e poi deporlo presso l’altare. Ogni abitante del luogo porta a quel piccino un piccolo dono. Terminata la messa, il bimbo trionfante ritorna alla propria casa. Ciò che mangiano alcuni Siciliani alla vigilia è pesce e olive, il loto cibo preferito, e nello stesso giorno preparano dei buonissimi dolci.
In Campania alla vigilia di Natale si spara il mortaretto e, giusto alla mezzanotte della vigilia, si lancia nel cielo una stella tutta illuminata a ricordo della nascita del redentore. Concludiamo questa nostra rapida carrellata ricordando un’altra simbolica consuetudine profondamente radicata in tutte le regioni italiane: quella del pungitopo, la pianta sempreverde che in occasione delle festività natalizie e di Capodanno fa la sua comparsa in migliaia e migliaia di case. Essa ha origine da una delicata e commovente leggenda che risale all’alto Medioevo e che può essere così riassunta: molti secoli fa, nella notte del 24 dicembre, un arbusto disadorno, dalle foglie dure e aguzze come aculei, se ne stava tutto solo in mezzo alla radura di un bosco, schivato da ogni essere vivente, quando si accorse che un grosso lupo si teneva nascosto dietro a un cespuglio, pronto ad assalire due leprotti; la pianticella allora cercò di attirare l’attenzione di un topolino di passaggio, si chinò e lo punse leggermente e gli sussurrò di far sì che le piccole lepri minacciate di morte corressero a mettersi sotto la sua protezione. Così infatti avvenne: l’arbusto diede asilo alle tre bestiole disponendo i rami in modo da formare una specie di gabbia con gli aculei rivolti verso l’esterno; il lupo tentò invano, per tutta la notte, di ghermire la sua preda, finchè fu costretto a rinunciare e dovette allontanarsi ferito e scornato. Al mattino, molte delle foglie aguzze erano spezzate o divelte, e in loro vece delle bellissime bacche rosse, nate all’improvviso, adornavano la pianta, che da allora in poi si sarebbe chiamata “pungitopo”. Così, tra streghe e folletti messi in fuga, tradizioni serene ed altre un po’ meno, continua ancora oggi e si perpetua in Italia, come in ogni altro Paese del mondo, il lunghissimo racconto di Natale, questa favolosa storia punteggiata di comete e di prodigi, ovattata dal candore della neve: la storia di una Notte in cui l’impossibile diventa realtà e la realtà, quanche volta, sfiora l’incredibile: la notte santa, che vide la nascita del redentore di tutte le genti che vivono su questa terra.
Natale nel mondo Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento
Tra i Lapponi, insieme con i pastori di renne che vivono vagabondi lungo le giogaie di questa sterminata landa, sono disceso per la notte di Natale a Karasjok, villaggio formato da una trentina di capanne sparse attorno alla chiesetta. Per la celebrazione natalizia più di seicento Lapponi sogliono adunarsi a questa volta. Alcuni sono giunti a cavallo dalle regioni della Finlandia, dai clivi settentrionali della Svezia, dai mardi del Fiord di Tana che sfocia sulle coste del Mare di Barents. Altri su slitte trainate da renne hanno risalito le anse tortuose dei fiumi trasformati in lastre di cristallo. Altri ancora, i poverissimi, i derelitti, sono venuti a piedi, armati di canna e di bisaccia, dalle impervie montagne del Capo Nord aprendosi a forza il varco tra gli arbusti congelati della tundra, come la gente di dio al tempo dei miracoli. Su tutti i pellegrini si stende la notte: questa ininterrotta, spietata notte polare, che solo nell’intervallo di due ora meridiane sembra elevare all’orizzonte una promessa ingannevole e fugacissima. La piccola chiesa di Karasjok, unico tempio cristiano in tutta questa regione, è eretta al centro di un piazzale sopraelevato a cui fanno barriera due rozze cancellate. E’ una costruzione di legno verniciato di bianco, sormontata da un tetto a punta aguzza, da un campanile corto e sottile come l’orecchio di un coniglio. A un richiamo della campana il sagrato si affolla; sta per cominciare la messa. (V. B. Brocchieri)
Tra gli Eschimesi passare il Natale in una capanna di ghiaccio, su un paesaggio di neve, è un’emozione che solo il Polo può donare. Per giunta il 25 dicembre è il punto culminante della notte polare, e le stelle brillano fin quasi a mezzogiorno. Nonostante il freddo e il buio, i cristiani vogliono passare bene le feste. Alcuni giorni prima, si riuniscono a consiglio, caricano le slitte con montagne di roba: pelli, letti, carne gelata di caribù, orso, foca e salmone; gli uomini a piedi, le donne col più piccino le cappuccio dietro il dorso, e gli altri bambini sopra la slitta, e si parte in carovana verso la chiesa. Vi arrivano da lontano, talvolta da trecento chilometri, dopo tre, otto, dieci giorni di corsa sul ghiaccio. Il Natale, insieme alla Pasqua, è forse l’unica solennità in cui si può contare l’entità numerica di un distretto cattolico del nord: trenta slitte con più di centocinquanta Eschimesi e trecento cani. E poichè è una festa comune, oltre che l’igloo di famiglia, se ne costruisce un altro molto grande dove i pellegrini si raccolgono per passare il tempo in allegria. E’ la migliore occasione per il cantastorie di farsi onore.
Nelle distese bianche della Norvegia, il Natale reca naturalmente la gioia a tutti; ma è nata qui una gentile e specifica tradizione secondo cui devono gioire non soltanto gli uomini, ma anche le bestie. E quindi, già nei giorni della vigilia, i bimbetti norvegesi, imbacuccati nelle pellicce, corrono nei campi coperti di neve e vi spargono a piene mani il grano. Così gli uccelli, almeno a Natale, troveranno di che sfamarsi anche sul bianco e nemico lenzuolo gelido che ricopre per tanto tempo la terra norvegese. Questo atto gentile vuol essere una specie di simbolico atto di gratitudine al bue e all’asino che riscaldarono Gesù. In Inghilterra le feste natalizie, pur tra freddo, pioggia e bruma, durano più di una settimana ed hanno un carattere del tutto familiare. La sera della vigilia i bambini, con un palo a cui è sovrapposta una lanterna con due corna di bue, girano per le strade nebbiose, e di tratto in tratto gridano: “Buon Natale!”. Le sere del 24 e del 25 dicembre quel grande alveare umano che è Londra assume quasi l’aspetto di una città abbandonata , perchè tutti rimangono in casa, nella dolce intimità familiare.
In Svezia la notte di Natale in ogni casa uno dei figli entra, seguito da quattro bambini vestiti di bianco con fasce rosse attorno alla vita e porta appeso ad un bastone una lanterna di carta come una grande stella. La gioia esplode da tutti i cuori a quella vista e i genitori porgono ai bambini dolci e doni.
In Norvegia, sempre nella notte natalizia, i pastori e i contadini riuniti a frotte, si recano nelle vecchie foreste e abbattuto un albero, gli danno fuoco tra la più grande allegria generale.
Nella vecchia Russia si usava invece innalzare un mucchio di grano sulla tavola con un grande dolce in mezzo. Il padre si sedeva ad un capo della tavola e chiedeva ai figlioli che erano dal lato opposto, se lo vedevano. I figli rispondevano che non lo vedevano. L’ingenua risposta era un segno d’augurio che nell’annata il grano sarebbe cresciuto così alto nei campi, da nascondere una persona.
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento Il primo presepe
San Francesco, nel 1223, era tornato da poco dalla Palestina. Qui era riuscito a visitare i luoghi santi grazie a un salvacondotto concessogli miracolosamente dal sultano, ed ancora aveva nel cuore le commoventi visioni di quella terra.
Pensava certamente a Betlemme quando, essendo ormai vicino il Natale, chiamò l’amico Giovanni Vellita e gli disse: “Vorrei celebrare la messa di Natale nel bosco di Greccio, di fronte a una grotta che è sulla collinetta che tu hai donato ai frati. E vorrei che in quella grotta ci fossero una mangiatoia, un bue e un asinello come quando nacque Gesù. Puoi, amico mio, procurarmi tutto questo?” Giovanni Vellita, che era un generoso proprietario terriero benefattore dell’Ordine dei Frati Minori fondato da San Francesco, si adoperò per far trovare al santo quanto desiderava.
La notte di Natale, con grande devozione, i contadini, i pastori e gli artigiani del luogo, gente di ogni età e condizione, si avviarono alla grotta in pellegrinaggio. Un sacerdote celebrò la messa di mezzanotte sopra una mangiatoia. San Francesco, non essendo sacerdote ma soltanto diacono, cantò il vangelo della nascita e lo spiegò al popolo, accorso nel bosco con le fiaccole accese. Giovanni Vellita ebbe il premio della sua bontà e tutti quello della loro fede: nella mangiatoia, fra il bue e l’asinello, apparve il Bambin Gesù, luminoso e sorridente. Questa fu l’origine del presepe: riprodurre la scena della natività, prima con quadri viventi, con sacre rappresentazioni, con personaggi reali, e poi con statuine e plastici.
Presepi artistici La più antica raffigurazione del presepe di cui si abbia documentazione sicura è quella che si conserva a Roma nella Basilica di Santa Maria Maggiore; si tratta di una grandissima opera d’arte, scolpita verso la fine del 1200 da Arnolfo di Cambio. Fin dal V secolo, però, la basilica possedeva una rozza scultura in legno della natività, e dal VII secolo custodisce quella che, secondo la tradizione, è la culla di Gesù bambino, costruita da san Giuseppe durante la fuga in Egitto per adagiarvi il bimbo, e formata da cinque assicelle di legno scuro.
Per venire alle vere e proprie statuine e alle raffigurazioni del presepe in Europa, ecco alcune notizie delle origini e dei primi secoli di questa arte minore.
Pare sia stata la regina Sancia, moglie di Roberto d’Angiò re francese di Napoli, che fece allestire il primo presepe artistico a statuette. Da allora i presepi napoletani hanno avuto una grande tradizione. Celebre fu quello di S. Domenico Maggiore, nel 1400: le pietre della grotta furono portate da Betlemme fra difficoltà enormi, come è facile immaginare.
Nel 1375 le suore domenicane di Lucca donarono a santa Caterina da Siena che le visitava una statuina di Gesù bambino in stucco dipinto. Queste statuine venivano fatte nei conventi della città. Due secoli dopo suor Costanza Micheli si adoperò per spedire le statuine in tutte le capitali europee, al prezzo di 50 scudi. La Repubblica Lucchese le inviava come omaggio tipico della città agli altri Governi.
Ai primi del 1700 si ha notizia di figurinai (cioè fabbricanti di statuine) lucchesi in Germania. Alla fine del settecento i figurinai, esperti nella lavorazione del gesso, erano organizzati in compagnie sui mercati di Spagna, Francia e Inghilterra.
Diversa la tecnica dei Napoletani, più elaborata ed artistica. A san Giovanni a Carbonara si può ammirare il primo presepe dell’Italia meridionale, in legno intagliato: realizzato nel 1484, segna l’inizio di un modo particolare di realizzare la scena natalizia che si diffuse anch’esso in tutta Europa: profondità di spazio, moltiplicarsi di figure secondarie, e l’adottare lo stile e i costumi del popolo e del luogo in cui l’opera viene realizzata, quasi a dire che il presepe ha un significato eterno e può essere raffigurato in costumi popolari napoletani invece che in quelli storici. Il più bel presepio del mondo di questo tipo si trova nella Reggia di Caserta, nella Sala degli Specchi.
Gli altri popoli adattarono dunque, sull’esempio napoletano, la raffigurazione del presepe all’ambiente e ai costumi nazionali.
In Spagna i presepi artistici del passato ed anche le presenti realizzazioni mostrano, sull’esempio di un celebre modello di Granada, un patio dell’architettura andalusa, con archi moreschi, e persino gon gitani che ballano le tipiche danze iberiche. Inutilmente cerchereste un asinello nella grotta: vi troverete invece accanto al bue la mula, il paziente animale cui il popolo spagnolo tanto ha dovuto sui campi e per i sentieri, per secoli.
In Olanda i personaggi trovano collocazione non in una grotta, ma in una graziosa casetta (è noto l’amore che gli Olandesi hanno per la casa!) e, sullo sfondo, un mulino a vento. Non pastori, ma mugnai infarinati e contadini, pescatori, marinai.
I Finlandesi, e specialmente i Lapponi e altri popoli nordici, costruiscono il presepe in un igloo o in una capanna lappone, con pastori di renne e non di pecore, e cacciatori in abiti di pelliccia e di lane multicolore. Risulta evidente così si comporta come se la natività fosse avvenuta sul suo territorio.
In Inghilterra il presepe non era molto conosciuto; i cattolici sono solo una piccola percentuale della popolazione, e l’usanza prevalente era quella dell’albero. Oggi l’uso del presepe si diffonde ovunque, anche presso gli Anglicani, ed è diventata una tradizione dei grandi magazzini che allestiscono una vetrina apposta.
I materiali usati sono i più rari: legno o maiolica nelle opere di maggior impegno, legno nel Tirolo, gesso dalla Lucchesia in tutta Europa, argilla per terrecotte a Roma( famosissimi i figurinai romani!), in Umbria e nelle Marche (celebri i figurinai di Ascoli), di cartapesta con teste di creta (a Napoli), di corallo, rame dorato, cera, avorio, madreperla, alabastro, sughero, conchiglie marine, tela incollata in Sicilia e Sardegna, tanto per restare in Italia.
In Provenza c’è un fiorente artigianato di statuine (“santos”) in argilla, o anche ceramica. Vengono esposte e vendute in una fiera annuale nella principale via di Marsiglia.
Presepi viventi Da quel primo di Greccio, molti altri presepi viventi sono derivati. In Inghilterra, a Leeds, per tutte le sere del periodo natalizio un corteo sfila per le vie della città: c’è la sacra famiglia, ci sono i re magi e i pastori; il gruppo si ferma sempre sulla scala del Municipio, dove viene accolto a turno dalla popolazione e dai rappresentanti di varie organizzazioni che cantano melodie natalizie.
In Francia, nella Provenza, la messa di mezzanotte è l’occasione per una sorta di sacra rappresentazione detta del “Pastrage”. Dietro l’altare, una voce che rappresenta un angelo annuncia la natività; allora entra in chiesa, al suono di pifferi e tamburi, un corteo di pastori e pastorelle nei costumi della regione; li segue un carretto trainato da un montone ben infiocchettato, che trasporta un belante agnellino. Il pastore più anziano prende l’agnello e lo offre inginocchiato al bambino Gesù.
In Svizzera, a Rappenswill (Cantone di San Gallo), il presepe vivente inizia con un solenne e pittoresco corteo che si dirige verso la piazza principale, gremita di folla. Lo precedono bambini e bambine vestiti di tuniche bianche fluttuanti, seguono i personaggi della sacra famiglia, poi i re magi e i pastori con le loro greggi.
L’albero di Natale Accanto all’italianissima tradizione del presepe, si è diffusa sempre più anche da noi la consuetudine dell’albero di Natale. Come è nata questa tradizione? Molti sono propensi a credere che l’albero di Natale sia un residuo del culto pagano adottato dai cristiani e da essi rivolto alla propria fede.
I Romani usavano portare in giro, durante i Saturnali, un giovane abete quale segno della fine dell’inverno e dell’avvento della primavera, e migliaia di alberi sempreverdi in tutta la città erano adornati con lumi e festoni colorati, per indicare il fervore della vita che caratterizza l’inizio della primavera. Questa pratica fu estesa alla Germania e ad altri Paesi dell’Europa centrale, quando i Romani occuparono questi luoghi verso il 15 aC.
Un tardo mito germanico narra di San Vilfredo, come di colui che per primo vide nell’albero di Natale un simbolo della nascita di Gesù. Il santo aveva tagliato una grossa quercia, che era stata oggetto di venerazione da parte dei Druidi; appena la quercia fu abbattuta, si scatenò un furioso temporale che distrusse completamente l’albero, mentre un giovane abete che stava lì vicino rimase intatto. San Vilfredo ne trasse argomento per una predica, nella quale chiamò l’abete albero della pace, poichè dal suo legno si fanno le abitazioni degli uomini, e emblema della vita infinita perchè le sue foglie sono sempre verdi, e terminò con l’esortazione di chiamare l’abete anche albero del bambin Gesù.
La Germania è il Paese che più entra nella storia dell’albero di Natale. Leggiamo che Martin Lutero fu tanto impressionato, una sera di Natale, dal miracolo del cielo trapunto di stelle, che preparò per i suoi figli un albero illuminato da candele, quasi a rappresentare con esso il cielo stellato, da dove scendeva Gesù. Più tardi l’albero di Natale fece la sua comparsa in Inghilterra. Nel 1840 la regina Vittoria collocò un albero di Natale tra i suoi ornamenti natalizi, e sembra che questo fatto abbia dato il segnale dell’adozione generale dell’usanza. In alcuni Paesi il significato religioso dell’albero è così sentito che non è permesso appendere ai suoi rami altro che candele e ornamenti, mentre i doni vengono collocati davanti o intorno alla pianta. Che l’albero di Natale sia o non sia un residuo del culto pagano, è certo che esso è diventato col cristianesimo un emblema della natività e un elemento essenziale di tutte le feste che riguardano l’infanzia.
Il primo Babbo Natale Babbo Natale, personaggio di fiaba che si inserisce nella realtà della tradizione natalizia dei nostri giorni, è una figura molto cara all’infanzia. Il buon vecchio incappucciato, con la lunga barba bianca, il rosso vestito, il bastone in mano e la gerla in spalla, è il mago benefico che tuttora si può incontrare anche nel frastuono delle affollate vie cittadine, animate per la ricorrenza natalizia.
Eppure questo personaggio un po’ burlesco e di fiaba ha la sua vera storia che risale, nientemeno, a San Nicola di Bari, vescovo di Mira (Venezia), santo dei giovani, dei bambini, degli studenti e che quasi tutti i paesi del mondo elessero a loro patrono, tanto la fama del santo era diffusa.
Il santo fu infatti assunto a patrono dei giuristi, avvocati e studenti in Francia; dei mercanti in Germania; dei marinai in Grecia; dei viaggiatori e dei bambini in Belgio; dei bottegai in Inghilterra; degli scolari in Olanda. Ovunque egli fu sempre raffigurato con la mitria in testa, il rosso pallio sulle spalle, il pastorale in mano e la lunga barba bianca.
Narra la storia che a Parigi, verso la fine del XII secolo, era invalsa l’usanza presso un collegio di quella città, che nella ricorrenza della festa del santo, il 6 dicembre, uno studente travestito da San Nicola distribuisse doni ai bimbi bisognosi.
Questa simpatica usanza si diffuse presto anche in Germania ed in Olanda, paesi prevalentemente protestanti, e qui il San Nicola perse i caratteri sacerdotali e divenne il buon vecchio che porta i doni ai bambini; il pastorale fu sostituito da un comune bastone, la mitria vescovile da un rosso cappuccio orlato di bianca pelliccia, ed il pallio da una tunica, pure rossa.
Ecco come nacque il personaggio del Babbo Natale che, qualche secolo più tardi, attraversò anche l’oceano ad opera degli emigranti olandesi; così il Sint Klaes olandese si tramutò nel Santa Claus degli americani, che è poi ritornato a noi come Babbo Natale, ma in definitiva altri non è se non il San Nicola laicizzato.
Natale si avvicina. La nebbia sale dalla valle e si confonde col fumo lento delle case. E’ una lentezza pacata che si distende sulle fatiche ultimate degli uomini; è una carezza, un premio. Cominciano le veglie nelle case, che sono tutte una lunga veglia di Natale. La natura è spenta e la terra svapora. I suoni sono spogliati e si perdono in un’aria vuota, dove sembrano morire. S’odono voci di bimbi, versi di tacchini, campane che si sciolgono l’una dietro l’altra, come lo snodarsi di una catena sonora. (B. Sanminiatelli)
Presto sarà Natale: la più dolce, la più attesa festa dell’anno. Si comincia ad attenderla sin dal primo venire del freddo, sin dal primo giorno di cielo buio. E i giorni passano. Le ultime foglie secche fuggono crepitando davanti al vento gonfio di neve. Il sole e l’azzurro non sono più che un lontano ricordo. Sembra che la primavera non debba venire più, che gli alberi non avranno più fiori, che il cielo non avrà più luce. Allora tutte le speranze si rifugiano nel Natale, questo giorno tiepido e risplendente, questo spuntar miracoloso di frutti d’oro e d’argento e di candeline accese sui rami degli alberi, questo palpitante accendersi di stelle, nel purissimo azzurro del cielo del presepe. Ai primi di dicembre il Natale si annuncia con la vista e l’odore dei mandarini, quei mandarini ravvolti nella carta velina colorata che, a bruciarla, vola sin quasi al soffitto e, se giunge a toccarlo, è di buonissimo augurio. Poi i dolci nelle vetrine, le botteghe adorne di foglie di alloro, di stagnola, di striscioline di carta, le mostre di giocattoli in tutte le strade; ed ogni giorno che passa è un passo in più verso la sempre più grande, sempre più risplendente luce del Natale. (G. Mosca)
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento
Il Natale arriva ogni anno, eppure ogni volta ci sembra un Natale nuovo e la festa ci riempie il cuore di rinnovata dolcezza. Possiamo dire veramente che il Natale è la festa di un bambino e di tutti i bambini, che più degli adulti sentono la gioia della nascita di un bambino simile a loro.
Fuori fa freddo. Le cose posano tacite, immobili, nella notte invernale. Lenta ed uguale cade la neve. Dan! Dan! Dan! All’improvviso il suono largo e festoso della campane rompe il grande silenzio della notte tranquilla. Questa è la notte santa. Din, don, dan! Venite. E’ nato. (A. Colombo)
Fra nebbie grigie e candori di neve, trascorrono i giorni più brevi dell’anno. E’ tornato dicembre a portarci le feste serene, a ricondurre a casa coloro che erano lontani, a riunire le famiglie attorno al presepe. Grande o piccino, ogni casa conosce la gioia del presepe, preparato nei giorni dell’attesa. A poco a poco s’innalzano e si allungano sullo sfondo verdi colline incoronate di palmeti e di castelli. Ruscelli d’argento scendono giù, dai brevi pendii, ad abbeverare i bianchi greggi in cammino verso la capanna. I pastori riposano all’ombra delle palme: seduti, sdraiati, alcuni davanti al fuoco acceso. Bianche stradine di ghiaia conducono donne e uomini, bimbi e piccoli branchi di animali domestici ad incontrare Gesù. Lento e silenzioso è il loro andare. Non c’è fretta: non è ancora il giorno della vigilia! Ma la mangiatoia della capanna è già colma di bionda paglia. L’asino e il bue aspettano pazienti. Maria e Giuseppe stanno per giungere. Quando suoneranno le campane di mezzanotte, il bimbo più piccolo di casa poserà il piccolo Gesù nella fredda stalla, e al chiarore delle candeline, la cometa brillerà di grande splendore. (R. Lageder)
La notte era senza luna, ma tutta la campagna risplendeva di una luce bianca ed uguale come nel plenilunio, poichè il bambino era nato: dalla capanna lontana i raggi si diffondevano nella solitudine. Il bambino Gesù rideva teneramente, tendendo le braccia aperte verso l’alto; e l’asino e il bue lo riscaldavano col loro fiato, che fumava nell’aria gelida come un aroma sulla fiamma. Maria e Giuseppe di tratto in tratto di scuotevano dalla contemplazione estatica e si chinavano per baciare il figliolo. Vennero i pastori, dal piano e dal monte, portando i doni, e vennero anche i re magi. Erano tre. (G. D’Annunzio)
Il Natale si celebra il 25 dicembre in tutto il mondo, ma specialmente nei paesi cattolici questa è una festa della massima importanza. In questo giorno le famiglie si riuniscono, e anche chi si è dovuto allontanare da casa per ragioni di lavoro, fa tutto il possibile per tornare a trascorrere la festa natalizia con la propria famiglia. (F. Monelli)
Nel presepe dalle valli sbucano fiumi; le montagne sono ripide e selvagge. Sembra un paese vero. C’è quello che porta la ricottina. C’è il cacciatore col fucile, c’è quello che porta l’agnello e fuma una lunga pipa; c’è il mendicante. C’è la gente che balla fra il tamburino, il piffero e la zampogna davanti al presepe. C’è l’osteria dove si mangia il maiale e la gente beve, accanto alla fontana dove la donnina lava i panni. I re magi spuntano dall’alto della montagna con i servitori che guidano i cammelli. La stella splende sulla grotta e gli angeli vi danzano sopra leggeri e celesti come i pensieri dei bambini e degli uomini, in questi giorni. (C. Alvaro)
S’avvicina il momento della nascita di Gesù bambino. La notte è tranquilla. La luna è nascosta. All’improvviso le campane si svegliano e, da collina a collina, si rispondono in mezzo alla nebbia. Da vicino e da lontano, su prati e su boscaglie, si innalzano e si abbassano e sembrano ripetere sonore e chiare: “Pace”.
San Francesco d’Assisi trovandosi, nella notte di Natale, in un paesello di montagna, si recò in una grotta e, per raffigurarsi meglio la scena della natività, vi depose una mangiatoia e, ai lati di questa, mise un asino e un bue. Mentre era immerso in profondi pensieri, vide apparire sulla paglia Gesù bambino che lo benediceva sorridendo. Questo fu il primo presepe.
A Natale, la tavola è imbandita festosamente e sopra vi compaiono saporite pietanze e dolci squisiti. Ma il pranzo più prelibato è quello che si celebra in pace e allegria e soprattutto quello che lascia il posto agli ospiti che possono bussare alla porta.
Natale è la festa più bella di tutte, perchè con la nascita di Gesù, l’innocenza tornò nel mondo. Da allora, questa è la festa della speranza e della pace. Tutto sembra fatto per la gioia dei ragazzi che sono la speranza del mondo. Nei paesi s’è lavorato tutta la settimana per fare il presepe. Nel fondo si tendono rami di aranci carichi di frutta. Si lanciano ponti coperti di muschio da un punto all’altro, si costruiscono montagne ripide e selvagge, steccati per le mandrie, e laghetti. (C. Alvaro)
Che cosa c’è, nell’anno, di più soave, bello, gioioso? Nel Natale è la festa luminosa della natura, della vita, dell’incanto e della grazia. Il Natale è la gioia delle nostre case, anche dove esistono preoccupazioni e tristezze. (Breviario di Papa Giovanni)
I pastori vegliavano nella notte quando furono sorpresi dalla luce e dalle parole di un angelo. E appena videro, nella poca luce della stalla, una donna giovane e bella, che contemplava in silenzio il figliolo, e videro il bambino con gli occhi aperti allora, quel corpicino roseo e delicato, quella bocca che non aveva ancor mangiato, il loro cuore s’intenerì. Offrirono quel poco che avevano, quel poco che è tanto se è dato con amore: il latte, il formaggio, la lana, l’agnello. (G. Papini)
Una felice tradizione racconta che San Francesco d’Assisi, tre anni prima di morire, fece apparecchiare il primo presepe a Greccio, nella selva, fra la mangiatoia e il fieno, con l’asinello e il bue. Era limpidissima la notte di Natale: la selva splendeva di lumi e risonava di canti. Da ogni parte il santo aveva chiamato i suo i fratelli e la gente devota. Fu celebrata anche la messa, e san Francesco, come inebriato di allegria, cantò il Vangelo. (F. Flora)
Il presepe sorge di sughero e di muschio a creare una regione di piccole valli, ove qua l’argento crea un fiumicello e là uno specchio, cinto di terra, forma il lago, e variamente le casette e i pastori e gli animali formano gruppo, e una fontana con un piccolo vero zampillo fluisce: e nella grotta Maria e Giuseppe, l’asino e il bue, aspettano Gesù bambino. All’ora della nascita, tra i lumi delle candele, spente le altre luci in ogni stanza, lo porta nella bambagia il più piccolo della casa. Ed è la festa più cara, dove gli adulti e i vecchi ritrovano per poco l’infanzia e odono il canto degli angeli che dice gloria e pace sulla terra agli uomini di buona volontà. (F. Flora)
E il gallo cantò: “Cuccurucù, è nato Gesù!”. “Do?”, chiedevano i buoi dalle stalle. “Betlem, betlem!” belavano le pecore. Passava il vento: “Ave, ave, ave!”. Come fuori al transitar della notte, la luce si faceva strada da oriente, si profilava l’oro dell’aurora in cammino. I pastori, trasognati, si levarono abbagliati dalla gran luce. E il cielo era pieno di incanti. “Che c’è, che c’è, che c’è?”, diceva una cincia. “Dio, dio, dio!” garrivano tutti gli uccelli. E l’intero firmamento di astri cedeva il posto a uno solo. (F. Tombari)
Anticamente con la parola “avvento” si indicava soltanto il giorno della nascita di Gesù. Ora invece si intende indicare anche un periodo precedente il Natale e che esattamente comprende le quattro domeniche prima della festa. In principio, durante l’avvento, si osservava il digiuno, ma col tempo questa regola severa fu abbandonata ed attualmente viene rispettata solo dagli ordini religiosi. L’avvento è un periodo di meditazione e di attesa. Il ciclo dell’anno liturgico inizia proprio con l’avvento.
Il Natale si celebra in tutto il mondo cattolico il 25 dicembre e ricorda la nascita di Gesù a Betlemme. Questo avvenimento segna una data fondamentale anche nella Storia che, da questo momento, si divide in due grandi periodi: quello che comprende gli anni prima della nascita di Cristo, e quello degli anni trascorsi dopo. Tutti gli avvenimenti della Storia perciò vengono considerati come avvenuti “avanti Cristo” e “dopo Cristo”.
Nell’aria di Natale si entrava decisamente solo con l’arrivo degli zampognari. Giungevano all’improvviso, si fermavano alle porte del paese, e cominciavano subito a suonare. Erano di solito due. Non guardavano in faccia nessuno mentre suonavano, i loro occhi pareva non vedessero, come quelli delle statue. E il loro viso era immobile, fisso, non diceva nulla. Il più giovane, finita la suonata, faceva il giro della cerca, ignorando il folto cerchio dei ragazzi. Raccolto qualche soldo, la zampogna ripigliava come prima. Gli zampognari entravano anche nelle case dove c’era il presepe, e in quelle suonavano anche la “pastorella” come si sarebbe cantata in chiesa la notte di Natale. Poi ripartivano, nevicasse o piovesse. Passati gli zampognari, il Natale pareva più vicino. L’aria della festa restava nel paese come un’attesa fiduciosa, una buona notizia, un’allegria comune. (G. Titta Rosa)
Ad un tratto cominciai a udire un suono di campane, lontano, lontano, d’una dolcezza infinita. Erano cinque campane che sonavano a concerto: prima la più piccina, poi la grandicella, poi ancora la piccina, e così via: la mezzana, la grande… intrecciandosi strettamente via via, fino alla maggiore che chiudeva la cantata con il suo vocione, e dicevano: – Sai bene, sai bene che domani è Natale.- (F. Chiesa)
E’ festa grande il giorno di Natale! Ogni bambino nel lettino sogna una cesta di dolci e di balocchi, e appena sveglio, con i piedi scalzi, corre a guardare l’albero, felice.
L’albero è pieno di luci e di fuochi che fan sembrare d’oro e di cristallo ogni ninnolo appeso. Ed anche l’albero, anche l’abete è felice. Egli pensa: “Quand’ero nel bosco, sognavo d’avere la vela un giorno, e condurre col vento una nave lontana! E tutto allora io mi beavo di questo mio sogno e ne fremevo impaziente d’attesa.
Ora che più non odo l’usignolo, che nel mio verde teneva dimora, pur sono felice perchè qui ricolmo di luci e di doni, mi beo delle voci di tanti bimbi, che sì, non conosco, ma sono buoni, e trillano sereni come i miei passerotti. Questa casa se non è quieta come il verde bosco dove sono nato, tuttavia rispetta il giorno santo che Gesù nasceva. E qui mi sento come in Paradiso.” (G. Serafini)
A mezzanotte, ben coperti, chiudevano la porta e s’avventuravano nell’ombra, sulla strada piena di neve, per recarsi alla messa di Natale. Ai rintocchi della campana, la montagna si popolava di lumi, di fiaccole. Quando i rintocchi tacevano, si distingueva lontano la nenia di una zampogna, rispondeva più vicino il gaio ritornello di uno zufolo, che si intrecciava a una sinfonia di pifferi e di viole: erano i pastori che lasciavano nell’ovile le pecore e scendevano a messa. E lungo la via si affratellavano coi contadini che portavano manciate di grano da far benedire, con i montanari dalle grosse scarpe ferrate e dai cappelli ornati di vischio. (O. Visentini)
Felice giorno di Natale, quando i piccoli con le gambine si agitano per l’impazienza, e gli occhi accesi, spiano davanti alle porte chiuse, dietro alle quali di preparano luminose e fragranti meraviglie, e stanno a guardare con visi intenti la mamma che cuoce il pesce per la cena! Con vecchie canzoni sulle fresche labbra, trotterellano verso la nonna, che sogna nell’alta poltrona davanti al fuoco, per baciarle le mani piene di rughe. Poi arriva anche il babbo. Racconta di Gesù bambino: che gli è venuto incontro coi i capelli che sembravano d’oro e le mani piene di meravigliose cose variopinte. Fuori urla la bufera, una slitta si ode tintinnare lontano e tutto ciò è così pieno di mistero e così grande e così gioioso che non lo si può mai dimenticare. (M. R. Rilke)
La sera della vigilia di Natale la luce dei negozi pioveva sulle merci esposte fuori, e i riflessi si stendevano sul selciato appiccicaticcio della via. Il cielo era nascosto da una nebbiolina che tremava intorno agli aloni dei fanali. Per le vie strette e irregolari non passavano nè automobili, nè tram. Ceste colme di arance fra le arance di carta velina. Mele rosse e lucenti.
A passarci accanto scorgevo l’interno illuminato di una bottega. Continuando la via, mi restava negli occhi l’immagine di quell’interno: lo splendore della lampada sospesa nel mezzo sotto il piattello bianco, la luce che pioveva in basso, dolce, sulle persone che parlavano, sul cranio lucido del bottegaio e sui suoi gesti silenziosi. Seguitavo a camminare. Senza scosse passavo sul selciato umido e sconnesso, sui ricami di fanghiglia iridati dai riflessi incerti delle luci, sui rifiuti, sui detriti, sull’umidore in ombra.
L’indomani era festa! Un sorriso mi saliva dall’anima agli occhi e alle labbra. Camminavo nella città, fra la gente, i passi suonavano quieti sul selciato. Accanto, altri rumori di passi. L’attesa colava nella via come un liquido impalpabile. Tutti si muovevano come me, attenti a evitare ogni stridore che rompesse l’incanto. (M. Cancogni)
Erano venuti per fare raccolta di muschio e di fronde verdi, essendo l’antivigilia di Natale, vale a dire il momento di costruire in una delle cappelle della chiesa il presepe. Chi portava un sacco, chi un cesto, chi un falcetto, chi semplicemente le proprie mani, le quali pure bastavano a strappar via dai tronchi lunghi strascichi di edera ed a svellere alla terra e ai ceppi quelle belle zolle pelose, d’un verde forte e dorato, morbide e pulite, che anche gli angeli potevano essere contenti di farvi due passi sopra. Il maestro sceglieva qua e là nel bosco i più bei rami d’agrifoglio, di tasso e di pino silvestre. (F. Chiesa)
Dettati ortografici sul Natale e l’Avvento L’attesa
Presto sarà Natale: la più dolce, la più attesa festa dell’anno. Si comincia ad attenderla sin dal primo venire del freddo, sin dal primo giorno di cielo buio. E i giorni passano. Le ultime foglie secche fuggono crepitando dinanzi al vento gonfio di neve. Il sole e l’azzurro non sono più che un lontano ricordo. Sembra che la primavera non debba venire più, che gli alberi non avranno più fiori, che il cielo non avrà più luce. Allora tutte le speranze si rifugiano nel Natale, questo giorno tiepido e risplendente, questo spuntare miracoloso di frutti d’oro e d’argento e di candeline accese sui rami degli alberi, questo palpitante accendersi di stelle, nel purissimo azzurro del cielo del presepe. Ai primi di dicembre il Natale si annuncia con la vista e l’odore dei mandarini, quei mandarini avvolti nella carta velina colorata che, a bruciarla, vola sin quasi al soffitto, e se giunge a toccarlo è di buonissimo augurio. Poi i dolci nelle vetrine, le botteghe adorne di foglie di alloro, di stagnola, di striscioline di carta, le mostre di giocattoli in tutte le strade; ed ogni giorno che passa è un passo di più verso la sempre più grande, sempre più risplendente luce del Natale. (G. Mosca)
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Candele di cera d’api – tecnica ad immersione – Santa Lucia – tutorial e consigli per preparare le candele con la cera d’api coi bambini.
Candele di cera d’api – tecnica ad immersione – Prima di lavorare coi bambini
Preparare due pentole che possano stare una nell’altra, in quella più grande mettere dell’acqua, in quella più piccola i blocchi di cera d’api (si acquistano dagli apicoltori). A fuoco bassissimo e lentamente far sciogliere la cera.
Preparare con del cordoncino di cotone gli stoppini. Tagliare tante strisce di cordoncino, un po’ più lunghe di quanto si vogliono fare le candele (considerata anche la profondità della pentola) e fare su ogni cordoncino un cappio.
I bambini piccoli possono infilarlo al dito come un anello, per i più grandi facilita la presa.
Poi rende anche più comodo appenderle per farle raffreddare.
Per irrigidire gli stoppini, fare un primo bagno di cera e raddrizzarli bene tirando ai due estremi, prima di appenderli
Mettere un fornelletto da campeggio elettrico su uno sgabello basso, impostare la temperatura minima, e predisporre le due pentole una nell’altra.
Per preservare il pavimento sistemare del cartone o delle stoffe intorno.
Poi consegnare ad ogni bambino uno stoppino, e chiedere ai bambini di mettersi in fila.
Poi mettetevi seduti accanto al fornelletto.
Candele di cera d’api – tecnica ad immersione
La fila non serve a tenere ordine nella stanza, ma a permettere ad ogni strato di cera che via via si deposita intorno allo stoppino di rapprendersi tra un’immersione e l’altra.
Infatti il bambino che ha immerso lo stoppino nella pentola, cioè il primo della fila, si mette poi per ultimo, ed ora che è di nuovo il suo turno la candela si è rappresa.
Man mano che i bambini arrivano, spiegare loro, ad uno ad uno, come immergere lo stoppino, e chiedere di non agitare la candela mentre aspettano il turno successivo per evitare di romperla.
Bisogna dire che le immersioni devono essere veloci, altrimenti invece di creare un nuovo strato intorno allo stoppino, si sciolgono quelli precedenti, e la candela invece di crescere si assottiglia.
E’ bene che anche noi facciamo una candela insieme a loro, così possono vedere bene i gesti.
Nella fila i bambini più grandi possono essere accoppiati a quelli più piccoli.
Raggiunto un certo diametro, mettere le candele a raffreddare appese a dei chiodi o infilate ad un bastone.
Quando sono fredde e la cera si è ben solidificata, passare alle rifiniture, tagliando la base in modo tale che la candela possa stare bene in piedi, e il cappio, lasciando naturalmente almeno 1cm di stoppino.
Tutorial: beeswax candles. Step by step directions and tips for preparing candles with beeswax with children.
Tutorial: beeswax candles
Before working with children
Prepare two saucepans that can be one in the other, in the bigger one put water, in the smaller one put the blocks of beeswax (they can be purchased by beekeepers). A very low heat to melt the wax slowly.
Prepare with cotton string the wicks. Cut many strips of string, a little longer than you want to make candles (also considering the depth of the pan) and make a loop on each string.
Young children can insert it to their finger like a ring, then also it makes it more comfortable to hang candles for cool them.
to stiffen the wicks, do a first bath in wax and straighten well pulling at both ends, before hanging
Put a electric stove on a low stool, set the minimum temperature, and set up the two pans one in the other.
To protect the floor placing cardboard or cloth around.
Then hand each child a wick, and ask the children to get in line.
You put yourself seated next to the stove.
Tutorial: beeswax candles
How is it done?
The line is not needed to keep order in the room, but to allow each layer of wax that gradually settles around the wick to congeal between a dive and another.
In fact the child who has dipped his wick in the pot, that is the first in line, going for last, and when it’s his turn again the candle will be congealed.
As the children arrive, explain to them, one by one, like dip the wick, and ask not to shake the candle while waiting for the next round to avoid breaking it.
It must be said that diving must be fast, otherwise, instead of creating a new layer around the wick, melt the previous ones, and the candle instead of growing, it thins.
It is good that we also do a candle with them, so they can see well the gestures.
In line older children can be coupled to the smaller ones.
Reached a certain diameter, put the candles to cool hanging from nails or strung at a stick.
When they are cold and the wax is well solidified, go to the finish, cutting the base so that the candle can be comfortable standing, and the loop, of course leaving at least 1cm of wick.
Santa Claus di George Albert Smith – straordinario corto del 1898 di George Albert Smith, è un piccolo gioiello, molto ambizioso dal punto di vista della realizzazione tecnica se si considera la sua età. In poco più di un minuto, il regista ci racconta la storia di una vigilia di Natale di due bambini. E’ un film delizioso e poetico, affascinante anche da un punto di vista storico.
Santa Claus di George Albert Smith
Smith, fotografo ritrattista, ex mago e ipnotizzatore, fu uno dei primi cineasti a livello mondiale ad utilizzare così ampiamente effetti speciali per creare scene fantastiche. Insieme al suo più noto omologo francese Georges Méliès, Smith lavorò ai temi dell’immaginario e del fantastico, utilizzando effetti speciali incredibilmente sofisticati per l’epoca.
Il film si apre con un’unica sequenza nella quale una balia si affretta a mettere a letto i bambini. Poi l’immagine in primo piano resta fissa, mentre le luci si abbassano e compare sullo sfondo uno spazio nero. Su questo spazio si inserisce un’immagine circolare nella quale compare Santa Claus mentre atterra sul tetto della casa con un albero di Natale e si cala per il camino.
Ciò che rende interessante questa elaborazione è il modo in cui i cambi di scena si susseguono sia in termini di spazio sia di tempo: la nuova immagine si sostituisce a quella del camino, mentre continuano ad esseri presenti nella scena, a sinistra, i bambini che dormono. Santa Claus allora esce dal camino, distribuisce i regali, e scompare.
Questo corto è il primo esempio conosciuto di pellicola realizzata con la tecnica della doppia esposizione, e rappresenta la pellicola più sofisticata dal punto di vista visuale e concettuale che sia mai apparsa prima nel panorama cinematografico britannico.
L’immagine di Babbo Natale che ci restituisce la visione di questo film, è interessante anche perchè ci permette di vedere come questa figura si è evoluta dai primi del XX secolo ad oggi.
Presepe in lana cardata – ebook. Per caratterizzare i personaggi, gli animali, le piante, la capanna e tutti gli altri elementi del presepe serve un assortimento di lana cardata e non in vari colori, qualche pezzetto di fil di ferro, aghetto da feltro, qualche filo dorato, e se volete infeltrire acqua e sapone.
La lana cardata si trova, ad esempio, qui:
Le statuine che trovate qui sono piuttosto piccole, e per questo mi sarebbe stato molto difficile ricamare occhi e bocca, per cui ho rinunciato in favore di un effetto scenografico d’insieme.
A scuola l’unico posto disponibile per il presepe era un piccolissimo caminetto. Se siete abbastanza abili, completate i visi con ago e filo da ricamo, e saranno molto più belli.
La prima settimana di avvento – Natale si avvicina, però i giorni e le notti sono gli stessi di prima.
Ai bambini si può raccontare che la prima domenica d’avvento succede una cosa molto importante: un grande angelo discende dal cielo, ed invita tutti gli uomini a preparare il loro cuore al Natale.
E’ vestito con un grande mantello blu fatto di pace e di silenzio.
Nella corona dell’avvento si accende la candela blu, magari accompagnandola da una piccola poesia.
Affidare ad ogni settimana un colore aiuta tantissimo i bambini più piccoli a percepire lo scorrere del tempo, percezione che si rafforza riproponendo la sequenza di anno in anno.
Per la prima settimana di avvento a me piace scegliere qualcosa sulla neve, ad esempio:
Sopra i tetti, sulle strade piano piano, lieve lieve cade giù la bianca neve. Danza, scherza, su nell’aria, si rincorre, si riprende e poi lenta lenta scende come candida farfalla che è già stanca del suo volo si riposa sopra il suolo ed in breve lo ricopre d’un uguale bianco manto: sembra tutto un dolce incanto. (P. Guarnieri)
Si comincia anche ad allestire il presepe: prepariamo un tavolo appoggiato al muro e vestiamolo con un telo blu che, come un angelo, scende dall’alto.
Questa immagine del silenzio va lasciata per almeno un giorno, e poi via via si può completare con i simboli legati alla prima settimana dell’avvento, che sono: – la stella – l’angelo blu – il calendario dell’avvento – i rami di Santa Barbara (si aggiungono il 4 dicembre, come racconterò meglio poi…) – sassi e minerali preziosi, per preparare montagne, stradine, e il percorso verso la grotta – la corona dell’avvento.
San Nicola, il 6 dicembre, cade quest’anno nella seconda settimana.
Per rappresentare questi elementi nel nostro presepe, esistono moltissime possibilità di scelta. Decidere è spesso difficile, ma è molto importante non eccedere nelle decorazioni.
Alla maggior parte dei bambini piace molto collezionare sassi: questa settimana si possono raccogliere durante le passeggiate, e si possono far trovare pietre preziose nelle tasche del calendario dell’avvento…
Un angioletto blu da portare a casa da scuola può essere un gradito regalo a fine settimana.
Tra le attività manuali che si possono proporre per la prima settimana di avvento , quella che riscuote maggior successo è senza dubbio la preparazione di geodi di feltro.
Le quattro settimane dell’avvento – ebook. Creando a scuola e in famiglia momenti speciali che possano scandire lo scorrere delle settimane, l’avvento può diventare occasione per coltivare coi nostri bambini le capacità dell’attesa, dell’ascolto, del guardare e dello stupirsi…
Le quattro settimane dell’avvento – ebook – link diretto al file pdf per il download e la stampa qui:
Avvento coi bambini – Per la tradizione ecclesiastica, l’anno liturgico inizia la prima domenica di avvento, in anticipo quindi rispetto all’inizio dell’anno civile.
Questo si fonda sulla legge dell’anticipazione morale, in base alla quale noi non cogliamo la realtà delle cose nel momento in cui la natura ce le offre esteriormente, ma in anticipo.
Ad esempio in inverno la natura offre poche occasioni per ricordarsi del sole, ma proprio in questo periodo dell’anno guardare un albero spoglio ci fa sentire cos’è la primavera e la luce del sole.
Una raccomandazione importante: l’avvento non è Natale. L’avvento è attesa. Non è la festa, ma aspettare la festa. Oggi questo è difficile da sentire, perchè da ogni vetrina, e molto in anticipo, siamo bombardati da immagini natalizie, canti, luci.
Però, creando a scuola e in famiglia momenti speciali che possano scandire lo scorrere delle settimane, l’avvento può diventare occasione per coltivare coi nostri bambini le capacità dell’attesa, dell’ascolto, del guardare e dello stupirsi.
Aspettare significa trattare con il tempo: mentre i desideri appartengono al futuro, la loro realizzazione richiede tempo. I bambini possono sperimentare l’attesa attraverso il calendario dell’avvento, la preparazione di biscotti che potranno essere mangiati solo a Natale, ecc…
Per ciò che riguarda l’ascolto, entriamo consapevolmente in momenti di silenzio, e creiamo la giusta atmosfera di intimità per il racconto di una fiaba, con ancor maggior cura di come facciamo di solito.
Tra quelle dei Grimm quelle consigliate per il periodo sono:
La chiave d’oro (dai 4 anni); L’oca d’oro (dai 6 anni); La guardiana delle oche (dai sei anni); Biancaneve e Rosarossa (dai sei anni); Biancaneve e i sette nani (dai sei anni); Gli gnomi, la prima fiaba (dai tre anni); I sette corvi (dai sei anni); La pioggia di stelle (dai sei anni).
Guardare: nel periodo dell’avvento il sole tramonta presto. Possiamo ad esempio approfittarne per guardare coi nostri bambini la bellezza del tramonto o del cielo notturno.
Infine lo stupore. Ricordiamo che la capacità di stupirsi è il primo passo dell’apprendimento, e questo dura tutta la vita. E sullo stupore possiamo imparare molte più cose noi dai bambini, che non i bambini da noi.
L’avvento è l’attesa di una nascita. Una cosa che piace molto ai bambini è vedere crescere il presepe lentamente, giorno dopo giorno. Ad esempio si può partire la prima domenica con un semplice telo blu, e aggiungere giorno dopo giorno i vari elementi, prima la scenografia, poi le piante, poi gli animali e infine i personaggi.
La corona dell’avvento si prepara con rametti di abete, e può essere completata con quattro candele che richiamano il colore simbolo della settimana: blu, rosso, bianco e viola. Ogni domenica si accenderà una candela in più, facendo l’esperienza di una luce che diventa sempre più intensa man mano che il Natale si avvicina.
Con qualche ramo avanzato dalla spirale dell’avvento di domenica abbiamo preparato la nostra corona dell’avvento, aggiungendo soltanto qualche bacca presa in giardino, della lana cardata colorata e qualche filo dorato. Le candeline le abbiamo fissate con un po’ di colla a caldo.
Per fare la corona basta legare tra loro con del nastro robusto (magari rosso) i rami scelti, a formare una lunga fila, che poi si curva e si modella facilmente nella misura che si desidera.
Una volta fissata, bisognerà forse accorciare un po’ i rametti troppo sporgenti, ma non serve altro.
Preparare un quadretto con carta velina colorata e attaccarlo alla finestra è una bellissima attività prenatalizia, perchè permette di fare esperienze interessanti di luce e colore.
I primi alberi di Natale erano semplicemente addobbati con mele rosse, biscotti e rose di carta, tutti simboli di rinnovamento, ma oggi non possiamo immaginare un albero di Natale senza candele o lucette.
Nella tradizione nordica l’albero si addobba solo la vigilia di Natale, noi forse siamo abituati a farlo molto prima, a seconda delle zone. Però per rendere il giorno di Natale più luminoso potremmo pensare di prepararlo, ma accendere le luci solo a partire dalla vigilia.
Infine è molto bello dedicarsi con i nostri bambini alla preparazione di doni fatti a mano per parenti ed amici.
Se cerchi idee per attività in stile steineriano per il periodo dell’avvento, puoi trovarle raccolte qui:
CANTI DI NATALE – Deck the halls – Metti un lume alla finestra – con testo in versione italiana e inglese, spartito sonoro stampabile, e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.
CANTI DI NATALE – Deck the halls – Metti un lume alla finestra – testo
Inglese:
1. Deck the halls with boughs of holly, Fa la la la la, la la la la. Tis the season to be jolly, Fa la la la la, la la la la. Don we now our gay apparel, Fa la la, fa la la, la la la. Troll the ancient Yuletide carol, Fa la la la la, la la la la.
2. See the blazing Yule before us, Fa la la la la, la la la la. Strike the harp and join the chorus, Fa la la la la, la la la la. Follow me in merry measure, Fa la la la la, la la la la. While I tell of Yuletide treasure, Fa la la la la, la la la la.
3. Fast away the old year passes, Fa la la la la, la la la la. Hail the new, ye lads and lasses, Fa la la la la, la la la la. Sing we joyous, all together, Fa la la, fa la la, la la la. Heedless of the wind and weather, Fa la la la la, la la la la.
Italiano:
Versione 1: Metti un lume alla finestra Metti l’agrifoglio in casa, falala lalala lalala questo è un giorno pieno di gioia falalalala lala lala Metti l’abito di festa falala lalala lalala canta l’inno del tuo Natale falalalala lala lala. Il tuo cuore sia più bello falala lalala lalala metti un lume alla finestra falalala lala lala Questo è un giorno di gran festa falala lalala lalala canta l’inno del tuo Natale falalala lala lala
Versione 2: Festa di Natale Nella sala preparata, falala lalala lalala con i rami addobbata, falalalala lala lala il Natale festeggiamo, falala lalala lalala tutti quanti insiem cantiamo, falalalala lala lala. Arde il fuoco nel camino, falala lalala lalala brocca piena di buon vino, falalala lala lala questa notte brinderemo, falala lalala lalala fino a tardi balleremo, falalala lala lala. Non dormite pastorelli, falala lalala lalala ecco un suon di campanelli, falalala lala lala festa grande nel mio cuore, falala lalala lalala oggi è nato il Signore, falalala lala lala.
CANTI DI NATALE – Deck the halls – Metti un lume alla finestra – spartito e file mp3
CANTI DI NATALE – Vieni pastorello – con testo, spartito stampabile e file mp3 della traccia musicale, scaricabile gratuitamente.
CANTI DI NATALE – Vieni pastorello – testo
Vieni pastorello, vieni a Bethlem, perchè a Bethlem è nato il Signor. Vieni pastorello, vieni a Bethlem, adora Gesù che è nato quaggiù. Bella è la palma in mezzo al giardino, più bello il bambino che oggi adoriam.
CANTI DI NATALE – Vieni pastorello – spartito stampabile e file mp3 qui:
CANTI DI NATALE Pastorale cinese – con testo, spartito stampabile, e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.
Testo
A Betlemme nato è Gesù, Alleluia a portare l’amore quaggiù, Alleluia Alleluia Alleluia Alleluia Alleluia. Su nel cielo tra mille splendor, Alleluia gli angioletti cantano al Signor, Alleluia Alleluia Alleluia Alleluia Alleluia. Ogni stella brilla in ciel d’amore, Alleluia ed annuncia il Redentore, Alleluia Alleluia Alleluia Alleluia Alleluia.
Poesie e filastrocche GLI ALBERI – una raccolta di poesie e filastrocche sugli alberi, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Nel bosco Nel bosco ogni vecchio gigante sia abete, sia quercia, sia pino, ha intorno, ai suoi piedi, un giardino di piccole piante. Son muschi, son felci, son fiori, e fragole rosse e lichene cui l’albero antico vuol bene suoi teneri amori. E mentre le fronde superbe protende più su verso i cieli ai pensa a quegli umili steli nell’ombra, fra l’erbe. (L. Schwarz)
Albero secco Un albero secco fuori della mia finestra solitaria leva nel cielo freddo i suoi rami bruni. Il vento rabbioso la neve il gelo non possono ferirlo. Ogni giorno quell’albero mi dà pensieri di gioia: da quei rami secchi indovino il verde a venire. (Wang Ya-Ping)
Pioppi al tramonto Io so chi colora di rosso, nell’ora già prossima a sera, il cielo, soffuso di un pallido blu: i giovani pioppi a specchio nell’acqua laggiù. Li ho visti piegare il pennello dell’agile chioma e intingerlo dentro il ruscello di limpida porpora, sempre, a quell’ora. Poi, subito ritti, con zelo svettando; striare di rosso la pagina chiara del cielo. So ancora nel suo folleggiare nel fosso nel suo folleggiare monello si lascia sfuggire talora qua e là qualche macchia vermiglia che a nube sospesa somiglia. (G. Vaj Pedotti)
Pini in cortile Crescono i pini di fronte alla scala. Toccano coi rami il muro della casa dai tegoli bruni; e di mattina e di sera li visita il vento e la luna. Nelle tempeste d’autunno sussurrano un verso vago; contro il sole d’estate ci prestano un’ombra fresca. Nel colmo della primavera una pioggia sottile, a sera, riempie le loro foglie d’un carico di perle pendule; e alla fine dell’anno, il tempo della gran neve stampa sui loro rami una trina lucente. (liriche cinesi)
Alberi Alberi! Frecce voi siete dall’azzurro cadute? Quali tremendi guerrieri vi scagliarono? Sono state le stelle? Vengon le vostre musiche dall’anima degli uccelli, dagli occhi di dio. (F. Garcia Lorca)
Il pioppo Il pioppo nell’azzurro è un vivo tremolio di grigio e argento; fa in mezzo ai rami il vento lento sussurro. (G. Camerano)
Festa a scuola Mamma, lo sai che abbiamo fatto festa a scuola, stamattina? Allineati dapprima; e poi, con il maestro, in testa a piantar gli alberelli siamo andati. E ne abbiamo piantati un per ciascuno, ma bello come il mio non è nessuno: svelto, diritto, a cuspide perfetta, verde cupo nel folto e chiaro in vetta. Un per ciascuno, eravamo in cento: Ora cento alberelli al sole, al vento, come fiere sentinelle se ne stanno… e pensa che bel bosco diverranno! (L. Salvatore)
Castagni Nulla è più bello dei frondosi e ampi castagni a selve sterminate in mezzo a questi monti… Nulla è più dolce. Cascano con tonfi leggeri le castagne, e a quando a quando ne sguscia fresca sotto il piede una. Casca in gran copia e tutte l’erbe imbruna di bei cardi spinosi il frutto buono. (G. Marradi)
Speranza C’è un grande albero spoglio in mezzo all’orto: pare che soffra e non si possa coprire e riscaldare. Vola sui nudi rami un passero sperduto, e cinguetta più forte in segno di saluto. Geme l’albero: “Un tempo fui giovane e fui bello: candidi fiorellini erano il mio mantello.” Il passero cinguetta: “Oh vecchio albero, spera! Si scioglieran le nevi: verrà la primavera. (M. Dandolo)
L’alberetto Sul principio del boschetto l’alberetto guarda intorno, aspetta e spera primavera. Non ha foglie, non ha fiori, non ha umori; non ha nidi, nè richiami sopra i rami. AL suo piede una viola sola sola, stenta a fare capolino tra uno spino. Fischia il vento, scuro è il cielo: ahi, che gelo! Com’è triste, nell’aspetto, l’alberetto. (F. Socciarelli)
Il bosco Specie per voi bambini il bosco è bello, ospita tanti uccelli e tanti nidi: c’è talvolta un ruscello e l’eco che risponde ai vostri gridi. D’estate che bell’ombra! Che frescura! Quante frutta selvatiche e gustose in mezzo alla verdura! E di notte, quante voci misteriose! Anche d’autunno, quando s’è spogliato e di frutta e di nidi, è bello ancora, ma i colpi del pennato vi si fanno sentir fino all’aurora. Or più non vi canta l’assiolo con la sua voce dolorosa: “Chiù!” E’ l’inverno, e il boscaiolo picchia di scure e molto butta giù. E taglia tanta legna, chè i bambini quando sentono il freddo stanno male. Avran tutti i camini un ceppo per la notte di Natale. (F. Socciarelli)
Due palme Due palme son nel giardino; al mattino che allegro cinguettio le anima al sole. E se talvolta il fragore di motorini, camion o altro motore lo sovrasta per poco, ben presto passa il rumore, ma il cinguettio rimane come limpida acqua da cui traspare incantato fondo di mare. (F. Gisondi)
Alberi Sempre fermi, sempre ritti, sempre zitti, come impavidi soldati, stanno i buoni alberi, armati sol di foglie e fiori e frutti, di cui fanno dono a tutti. Tutto danno quel che hanno e per sè tengono solo un gorgheggio d’usignolo un fischietto di fringuello un sussurro di ruscello. (D. Valeri)
Il ciliegio Ho un ciliegio nell’orto (proprio sotto al murello) vecchio, rugoso e storto, che rinnova il mantello ad ogni primavera; e tra le nuove foglie, quando viene la sera, i passeri raccoglie. Nel sussurrar del vento, tra il cinguettar vivace, parla, sereno e lento: “Son vecchio, ma mi piace allargare i miei rami nell’aria cilestrina, udir questi richiami di sera e di mattina…”. “Se poi i dolci frutti” un passero gli dice “te li mangiamo tutti, ancora sei felice?” “Ma sì!” lieto risponde il ciliegio. “La vira di queste annose fronde se non dona… è finita”. (G. Fanciulli)
Boschetto In questo boschetto di poche gaggie ricanta un uccello le sue poesie. Se un cuore vi passa, si ferma e ristà, riparte provvisto di felicità. E’ un bosco d’un’ombra armoniosa e leggera e un angelo viene a dormirvi la sera. Per farsi un lettuccio men duro raccoglie, dai ceppi muschiosi, bracciate di foglie. E vede, addondando nell’umida cuna passare tra i rami più alti la luna; e sente tra fronde dal vento toccate tremore e bisbigli di calde nidiate; e trova la pace d’un sonno tranquillo tra un canto d’uccello e il canto d’un grillo. (R. Pezzani)
Il testamento dell’albero Un albero d’un bosco chiamò gli uccelli e fece testamento: “Lascio i miei fiori al mare, lascio le foglie al vento, i frutti al sole e poi tutti i semetti a voi, a voi, poveri uccelli, perchè mi cantavate la canzone della bella stagione… E voglio che gli stecchi, quando saranno secchi, facciano il fuoco per i poverelli. (Trilussa)
L’abete Nel nord sull’altura nuda un abete sorge solo, ha sonno, e di ghiacci e di neve lo cinge un bianco lenzuolo. Sognando va d’una palma, che nel remoto levante, solinga e muta s’attrista sopra il dirupo bruciante. (E. Heine)
L’arbusto Un arbusto si protende dalla roccia alta sul mare; vede un solco che risplende, ode l’onda sussurrare… E vorrebbe volar via per svanire nell’azzurro, dietro la fiammante scia, dietro il magico sussurro.
Il pioppo Conosci il riso del pioppo al margine del ruscello? E’ come un allegro monello che sia cresciuto troppo. Ride alla melodia dell’ospite usignolo, ride alla luna e al volo d’un’ala che sfiora e va via. Quando scherzoso arriva tra le fogliette il vento, ride e fruscia contento d’una risata viva. E guarda piegando piano la cima di qua e di là, l’acqua passata che va lontano lontano lontano. (L. P. Mazzolai)
La foresta Pare un gran tempio ad agili colonne, un tempio antico, scuro, con tappeti di muschio e con festoni verdi e lieti. Un tempio antico che ha per finestra il cielo; di canzoni n’ha tante e la preghiera la dicono gli uccelli mane e sera. (M. Bertolini)
Nel libro della natura Vanta una storia la quercia superba, ma l’ha forse men grande un filo d’erba? (M. Spiritini)
Se odorano le felci Se odorano le felci e il sole entra discreto tra le foglie e l’aria sfiora tra i castagni il sonno degli uccelli prendi la tua sorella per mano falle un cuscino di muschio e nel silenzio ascolta l’ora più bella del bosco. Domani la pioggia ed il vento avranno disperso l’incanto. (L. Deli Gazo)
Pini All’estremo orizzonte i grandi pini se n’andavano curvi in lunga traccia, a uno a uno come pellegrini: e ciascuno recava per bisaccia, alto sopra la livida brughiera, una nuvola d’oro della sera. (D. Valeri)
L’olivo Argento placcato di verde mi sembra la foglia che il verno giammai non dispoglia nè il vento disperde. Egli offre la drupa sua nera in tempo d’avvento, al tordo che vola contento, all’uomo che spera. E quando il freddo è più vivo, con funi, con scale, con cesti e panieri si sale la pianta d’olivo. Usando un arnese ad uncino s’incurvan le vette, si strusciano e s’empion sacchette chè aspetta il mulino. (F. Socciarelli)
La canzone dell’ulivo Non vuole per crescere, che aria, che sole, che tempo, l’ulivo! Nei massi le barbe, e nel cielo le piccole foglie d’argento! Tra i massi s’avvinghia, e non cede se i massi non cedono, al vento. (G. Pascoli)
Il canto del ciliegio
Sorrise con l’aprile la gioia in ogni cuore e zefiro gentile vide i ciliegi in fiore. I bianchi fiorellini zefiro si portò e in frutti corallini il maggio li cambiò. Su verde ramo appese con le ciliegie rosse dai bimbi sempre attese e piccoline e grosse. Al vivido richiamo venite coi cestelli ma resti sopra il ramo la parte degli uccelli! “Uccelli e bimbi avanti!” canta il ciliegio, “I frutti che porto sono tanti! Venite! Ne ho per tutti!”
I doni dell’albero
L’albero è tanto bello, l’albero è tanto buono, ha sempre pronto un dono per te e per l’uccello. A te regala l’ombra, la frutta nutriente e la provvida legna per la stagione algente. E ti dà il legno, utile per i mobili tuoi, chiedendoti bonario: “Che cosa ancora vuoi?” “Io voglio che tu arrsti i venti e le bufere, le frane, le alluvioni di morte messaggere…” “Lasciatemi dunque vivere sulla natia pendice; non venirmi a tagliare! Ti aiuterò felice.” (T. Romei Correggi)
Alberi
Gli alberi tengono il cielo azzurro prigioniero dei rami, si vestono di silenzi e di abbandoni e tremano di voli e di canzoni. Spandono un lume di fiori ai mesi chiari e camminano col vento per ignoti reami. La notte li ritrova incappucciati monaci solitari nel convento: ma, dove cantò l’usignolo, resta, nel fiato dell’alba, l’eco di un singhiozzo d’oro. (I. Dell’Era)
L’albero taciturno
L’albero aveva un cartello che solo gli uccelli potevan decifrare: “S’affittano rami per nidificare” dicea la scritta che un uomo non avrebbe potuto capire. Pur malgrado l’annuncio non venne alcun uccello, nè picchio, nè fringuello, e, deserto di nidi, a capo chino muor di tristezza l’albero, lungo il cammino. (A. M. Ferreiro)
L’albero
Vennero da vie lontane le rondini rapide e snelle a bere presso le fontane ancora fresche di stelle. Il sole apparve dal tetto effondendo oasi d’oro e l’albero del giardinetto sfavillò come un tesoro. S’accese di mille collane e stette estatico a udire le voci delle campane. Dalla dolce terra veniva musica d’onde lontane e verso il suo cuore saliva. (G. Titta Rosa)
Il cipresso
Al margine di un breve praticello sta un cipressetto solo e sembra triste tutto ravvolto nel verde mantello. Scherza, invece, col vento; a nascondino fa con la luna, o pure, in cima ai rami svelto l’appende come un lampioncino. Più spesso a sera, quando tutto imbruna, chiama le stelle a inghirlandargli il capo, fino all’alba le conta ad una ad una! E se piove, se rugge la tempesta, si piega, grida, stringe le sue braccia, ma non si spezza e fermo al suolo resta. Chè un bel nido protegge: un nidietto fragile e lieto, colmo di gorgheggi, tesoro grande per il cipressetto. (T. Stagni)
La quercia caduta
Dov’era l’ombra, ora sè la quercia spande morta, nè più coi turbini tenzona. La gente dice: “Or vedo: era pur grande!”. Pendono qua e là dalla corona i nidietti della primavera. Dice la gente: “Or vedo: era pur buona!”. Ognuno loda, ognuno taglia. A sera ognuno col suo grave fascio va. Nell’aria, un pianto… d’una capinera che cerca il nido che non troverà. (G. Pascoli)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Poesie e filastrocche per San Martino per bambini della scuola materna e primaria.
San Martino Umido e freddo spunta il mattino, ed a cavallo va San Martino Quand’ecco appare un mendicante, lacero e scalzo vecchio e tremante Il cavaliere mosso a pietà, vorrebbe fargli la carità Ma nella borsa non ha un quattrino, e allora dice Oh poverino Mi spiace nulla io posso darti, ma tieni questo per riscaldarti Divide in due il suo mantello, metà ne dona al poverello Il sole spunta e brilla in cielo, caccia la nebbia con il suo velo E San Martino continua il viaggio, sempre allietato dal caldo raggio.
San Martino Nero il cielo era; la pioggia fitta al suol precipitava nè una casa nè una roggia al meschin si presentava avanza sconfortato, le sue gambe eran tremanti ecco un giovane soldato si presenta a lui davanti snello biondo ardito e bello, ei sta ritto sul cavallo guarda e subito il mantello svelto taglia senza fallo ne dà mezzo al poveretto, che l’indossa, e il donatore fissa. Dice ” Benedetto, sia per sempre il tuo buon cuore.” Il meschino era Gesù, e Martin si prosternava ora non pioveva più, ecco il cielo rischiarava riapparì smagliante il sole, s’udì dolce un’armonia gelsomini, rose, viole, infioravano la via. (N. Giustino)
San Martino La nebbia agl’irti colli piovigginando sale e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir dei tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar. Gira su ceppi accesi lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando su l’uscio a rimirar. Tra le rossastre nubi stormi d’uccelli neri com’esuli pensieri nel vespero migrar. (G. Carducci)
San Martino Lampioncini colorati che sfilate lungo i prati stan le stelle ad osservare per vedervi scintillare voi fiorite nei giardini come lieti fiorellini stan le stelle ad osservare per vedervi scintillare siete come le farfalle, bianche rosse verdi e gialle stan le stelle ad osservare per vedervi scintillare.
San Martino Chi passa al gran galoppo su quel cavallo bianco? Un prode cavaliere con la sua spada al fianco. Poi torna al suo castello e per il bosco va gli uccelli lievemente gorgheggiano qua e là.
San Martino Se passa un cavaliere con un pennacchio rosso sull’elmo è san Martino, senza mantello indosso. Il sole novembrino che stacca foglie gialle, pelliccia bionda e soffice gli cade sulle spalle (R. Pezzani)
La leggenda di San Martino San Martino sul destiero galoppava, galoppava, tutto avvolto nel mantello, tutto assorto nel pensiero. Nero il cielo, freddo il vento ed un turbine di foglie… Era autunno. San Martino galoppando udì un lamento. “Muoio”, un poverello ripeteva irrigidito. San Martino con la spada tagliò a mezzo il suo mantello. Che tepore! Al poverino gli ritorna sangue e vita, or ch’è avvolto nel mantello del pietoso San Martino. Ricomincia a galoppare nel grigiore il cavaliere quando tiepido il bel sole, per prodigio, ecco riappare! D’un azzurro intenerito che ricorda primavera si sinnova tutto il cielo, pare il mondo rifiorito. (Olga Siniscalchi)
Poesie e filastrocche per san Martino – tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Poesie e filastrocche su NOVEMBRE – Una collezione di poesie e filastrocche sul mese di Novembre per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Novembre Il novembre sta alla porta freddoloso e intabarrato, poggia in terra la sua sporta ed un sacco ben legato. Scioglie il sacco: nebbia, neve… La va mal pei poverini! Ma la sporta è colma e greve di castagne pei bambini. (Ferraresi)
Novembre Io son novembre: i buoi conduco all’aratura e nella terra scura nascondo i semi d’or. Cadon le foglie, i rovi splendon di bacche rosse, s’empion rivi e fosse e a me si stringe il cor. (D. Valeri)
Nenia di novembre Al contadino, nel novembre, piace la terra che riposa contemplare in pace. Al contadino, nel novembre, piace pensare alla semente che nei solchi giace. Al contadino, nel novembre, piace pei campi lavorati camminare in pace. (V. Masselli)
Novembre E’ triste questo mese! Nella campagna spoglia trema sui rami, appesa, qualche ingiallita foglia! Nei prati brulli e arsicci lassù sulle montagne, sgusciano fuor dai ricci le lucide castagne. (Bruno Grella)
Novembre Sferza, fischiando, il vento gli alberi nudi, ch’alzan verso il cielo gli scheletrici rami e tutto, intorno, dice che presto arriverà la neve, il gelo. Non più frutti negli orti, non c’è quasi più un fiore nei giardini, è questa la stagione del crisantemo, il triste fior dei morti. A mazzi, od in corone, tra i salici ed i neri cipressi dei solinghi cimiteri or tutte se ne infiorano le tombe, perchè nella lor casa ultima e mesta abbiano pur gli estinti un pio giorno di festa. (U. Ghiron)
Novembre La donnetta nello scialle si rannicchia intirizzita, piovon foglie e foglie gialle sulla terra insonnolita. Nubi fosche, nubi nere, van pel cielo a stormi, a frotte, calan rapide le sere, scende rapida la notte. (A. Ferraresi)
Novembre Un velo d’acqua trema al calore d’un raggio una foglia di faggio si distacca e non cade. Lembi di nebbie rade fumano a fior di terra dal leggio di una serra piovon gocce iridate. Sulle cose create che sembravano morte che sembravano assorte in un sonno dolente ecco! vola il sole d’oriente con la chioma di nubi (R. Mucci)
Chi lo sa? Ora dormono tutti i prati, senza l’erbe, senza i fiori; dove mai son rimpiattati i grillini saltatori? Dove mai saranno andate le graziose farfalline? Perchè mai si son chetate le cicale canterine? Chi lo sa? (B. L. Pistamiglio)
Galline Al cader delle foglie, alla massaia non piange il vecchio cor, come a noi grami: chè d’arguti galletti ha piena l’aia; e spessi nella pace del mattino delle utili galline ode i richiami: zeppo, il granaio, il vin canta nel tino. Cantano a sera intorno a lei stornelli le fiorenti ragazze, occhi pensosi, mentre il granoturco sfogliano e i monelli ruzzano nei cartocci strepitosi. (G. Pascoli)
La foglia nella pozzanghera Sullo specchio appannato d’una pozzanghera ho visto cadere una foglia. Tremava nell’acqua limacciosa portando con sè l’ultimo brivido del vento di novembre. Girava lentamente lungo le sponde del livido lago senza approdare mai. Nel silenzio si udì cadere qualche goccia e la fragile foglia rovesciò l’oro di tutte le stagioni nell’acqua fangosa. (M. Altieri)
Novembre San Martino cavaliere trova un cielo di nuvole nere: ogni nuvola un mantello che regala al poverello. Dolce tepore si scioglie nell’aria rifattasi celeste; splendono le foglie nell’effimero oro della veste. (Ignazio Drago)
Canzoncina di novembre Schiarita di novembre, al tuo breve sereno già il camposanto di fioretti è pieno. Di solingo giardino quasi marmoree panche, aspettano le tombe, al sole, bianche. L’erba, che ai sonni invita, come d’aprile è folta; gonfiano le radici un’altra volta. Come aprile sia tornato e l’amoroso affanno, dentro la terra i morti crederanno. Schiarita di novembre, al pallido sereno il camposanto di fioretti è pieno. (U. Betti)
Novembre Gemmea l’aria, il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore e nel prunalbo l’odorino amaro senti nel cuore. Ma secco è il pruno e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno; e vuoto è il cielo e cavo al piè sonante sembra il terreno. Silenzio intorno. Solo alle ventate di lontano, da giardini e orti, di foglie è un cader fragile. E’ l’estate fredda dei morti. (G. Pascoli)
Gemmea: limpida e fredda come una gemma. che tu ricerchi: tanto chiaro è il sole che vien quasi da ricercare gli albicocchi fioriti, come se fosse già primavera. del prunalbo… nel cuore: l’atmosfera fa quasi sentire quell’odore amarognolo proprio del biancospino (prunalbo). Ma secco: è un’illusione, quel presentimento di primavera: gli alberi sono secchi. le stecchite… il sereno: rami stecchiti tracciano disegni oscuri contro il fondo sereno del cielo. cavo… il terreno: in quell’atmosfera secca e cristallina il terreno risuona sotto i passi, come fosse vuoto. alle ventate: ad ogni folata di vento. fragile: le foglie morte battono al suolo col rumore secco e breve delle cose che si rompono. l’estate: la cosiddetta “estate di San Martino”. Ma è un’estate senza calore, appropriata alla ricorrenza dei defunti.
Novembre Io son novembre: i bovi conduco all’aratura e nella terra scura nascondo i semi d’or. Cadon le foglie, i rovi splendon di bacche rosse, s’empiono e rivi e fosse, e a me si stringe il cuor. (Diego Valeri)
Canzoncina di novembre Schiarita di novembre, al tuo breve sereno il camposanto di fioretti è pieno. Di solingo giardino quasi marmoree panche, aspettano le tombe, al sole, bianche. L’erba, che ai sonni invita, come d’aprile è folta: gonfiano le radici un’altra volta. Che aprile sia tornato e l’amoroso affanno, dentro la terra, i morti crederanno. Schiarita di novembre, al tuo breve sereno il camposanto di fioretti è pieno. (Ugo Betti)
Novembre Al monte e alla pianura ecco novembre toglie anche l’ultimo verde, e morte, al suol, marciscono le foglie. Sferza, fischiando, il vento gli alberi nudi, ch’alzan verso il cielo gli scheletriti rami e, tutto, intorno, dice che presto arriverà la neve, il gelo. Non più frutti negli orti, non c’è quasi più un fiore nei giardini; é queste la stagione del crisantemo; il triste fior dei morti. (Ugo Ghiron)
Novembre Oh, quei fanali come s’inseguono accidiosi là dietro gli alberi, tra i rami stillanti di pioggia sbadigliando la luce sul fango. Oh, qual caduta di foglie, gelida, continua, muta, greve, sull’anima! Io credo che solo, che eterno, che per tutto il mondo è novembre. (G. Carducci)
Inverno vicino
Oh, come piove! …Da più giorni, il cielo, tutto il suo pianto, inconsolabilmente versa alla terra… D’ogni intorno un velo, grigio, si stende sull’immensità, Oh, come piove! … Son le vie, veloci torrenti, e laghi immensi le campagne. Che grigiore! … Non s’odono più voci: squallida, desolata è la città. Ma dove, i poverelli, senza tetto e senza pane, dove, nel rigore di sì cruda stagione hanno ricetto? Qual è il rifugio della povertà? Pietoso concedi agli indigenti un poco del tuo pane e un po’ di sole: accogli gli infelici, i sofferenti, tra le grandi braccia di pietà. (Gaetano Corrado)
Novembre
Dicon le siepi brulle: “O dolce sole di marzo, quando ci darai di nuovo il verde delle foglie, le viole?” Dice sotto la gronda il nido vuoto: “Quando ritornerà la rondinina, che mi ha lasciato per un lido ignoto?” Dicono i morti nella terra greve: “Siamo più tristi e desolati qui, sotto il bianco mantello della neve!” Dicono i poverelli, che la sera han per coperta il cielo senza stelle: “Torna per noi, sorella primavera!” (Zietta Liù)
Fuochi di novembre Bruciano nella gramigna Nei campi, Un’allegra fiamma suscitano E un fumo brontolone. La bianca nebbia si rifugia Fra le gaggie, Ma il fumo lento si avvicina. Non la lascia stare. I ragazzi corrono intorno Al fuoco Colle mani nelle mani, Smemorati, Come se avessero bevuto Del vino Per lungo tempo si ricorderanno Con gioia Dei fuochi accesi in novembre Al limitare del campo. (A. Bertolucci)
Paesaggio Nell’autunno sereno la pianura non offre al sol che bacche aspre di arbusti e tra un grigiore argenteo di fusti riposa, stanca d’ogni genitura. Uomini attendon gravi all’aratura spingendo i bovi sotto il giogo angusti, altri già spargon, d’una sacca onusti, il seme biondo sulla zolla oscura. Raggiano i monti vigilando eccelsi l’opere agresti, e nel loro grembo giace qualche nuvola, e qualche fumo impigra. A tratti un volo da spogliati gelsi si leva e, come a non turbar la pace laboriosa, tacito, trasmigra. (F. Pastonchi)
Poesie e filastrocche su NOVEMBRE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
Canti per san Martino – MARTIN CAVALCA NELL’OSCURITA’: un canto tradizionale da cantare durante la festa delle lanterne; qui trovi il testo, lo spartito, il file mp3.
Fa parte di una serie di articoli sul tema:
Canti per san Martino – MARTIN CAVALCA NELL’OSCURITA’
Canti per san Martino – MARTIN CAVALCA NELL’OSCURITA’ – testo
Martin cavalca nell’oscurità, freddo il vento che paura fa; curvo là un vecchio egli ved’arrancar, e sulla candida neve gelar; lucente spada nel pugno afferrò, il cavalier in due pezzi tagliò purpureo manto da cima ai piè, uno al vecchietto in dono lo diè; oh, possa anch’io percepir nel mio cuor, di un uomo fratello il suo cupo dolor e le mie mani solerti adoprar, gioia e sollievo dovunque a portar.
Canti per san Martino – MARTIN CAVALCA NELL’OSCURITA’ spartito e file mp3 qui:
Queste canzoncine appartengono al repertorio classico tedesco di canzoncine che i bambini cantano durante i cortei di lanterne che si tengono a San Martino.
Le traduzioni nella nostra lingua non sono sempre riuscitissime. I testi originali si possono trovare qui http://www.martin-von-tours.de/lieder/, dove è anche possibile ascoltarle e scaricarle in Quicktime.
San Martino cavaliere – canto per San Martino: un classico canto che accompagna la festa delle lanterne; trovi qui lo spartito, il testo, lo spartito sonoro e la traccia mp3.
Fa parte di una serie di articoli sul tema:
San Martino cavaliere – canto per San Martino – spartito
San Martino cavaliere – canto per San Martino -Testo
San Martino, cavaliere, ti ringrazio per la luce, che per strada mi conduce, e mi illumina il cammin.
San Martino cavaliere – canto per San Martino – spartito e traccia mp3:
Io vo con la mia lanterna – canti per San Martino: un canto tradizionale che accompagna la festa delle lanterne; trovi a seguire testo, spartito, spartito sonoro e traccia mp3.
Io vo con la mia lanterna – canti per San Martino – spartito e mp3 qui:
Io vo con la mia lanterna – canti per San Martino – testo:
Io vo con la mia lanterna, la porto sempre con me. Nel cielo splende una stella e qui lei arde per me. La luce poi si spegnerà, rabimmel rabammel rabum la luce poi si spegnerà, su bimbi a casa torniam.
Questa è la leggenda di San Martino in versione cantata (Sankt Martin ritt durch Schnee und Wind). La “traduzione” è quella che è…
prima strofa: San Martino, san Martino, san Martino va, tra la pioggia e il vento, il suo cavallo va forte e contento. Martino con coraggio va, ed il suo mantello caldo gli dà.
seconda strofa: Lì vicino, sulla neve, un vecchietto c’è, quasi nudo egli è, e dice al santo con voce di pianto. Aiutatemi, io bisogno ho, altimenti per il freddo morirò (o gelerò)
terza strofa: San Martino, san Martino, san Martino il suo cavallo fermò e presso il vecchietto sì arrestò. Lucente spada nel pugno afferrò, e il suo mantello in due parti tagliò.
quarta strofa: san Martino, san Martino, il vecchietto col suo mantello coprì, così il poveretto caldo sentì. Col cuore contento voleva ringraziar, ma san Martino umilmente riprese a cavalcar.
Come dicevo, queste canzoncine appartengono al repertorio classico tedesco di canzoncine che i bambini cantano durante i cortei di lanterne che si tengono a San Martino. Le traduzioni nella nostra lingua non sono sempre riuscitissime. I testi originali si possono trovare qui http://www.martin-von-tours.de/lieder/, dove è anche possibile ascoltarle e scaricarle in Quicktime.
Lanterna che brilli – canto per san Martino: una canzoncina tradizionale per la festa delle lanterne, con spartito, testo, spartito sonoro e traccia mp3.
Fa parte della raccolta:
Lanterna che brilli – canto per san Martino – spartito
Lanterna che brilli – canto per san Martino – Testo
Lanterna, che brilli, nella notte oscura. Dimmi dove andar, dimmi dove andar, senza luce al buio non posso restar…
Lanterna che brilli – canto per san Martino – spartito ed mp3 qui:
Queste canzoncine appartengono al repertorio classico tedesco di canzoncine che i bambini cantano durante i cortei di lanterne che si tengono a San Martino.
Le traduzioni nella nostra lingua non sono sempre riuscitissime.
San Martino nella tradizione: ci sono molte leggende che riguardano San Martino, e le sue gesta sono note a tutti i bambini in Germania, Austria e Svizzera. San Martino è festeggiato anche in tutt’Italia, con tradizioni popolari diverse che vanno dai falò al sud (simili alle feste delle lanterne), ai sammartinelli o sama di Venezia.
In effetti l’origine della tanto amata processione delle lanterne non è chiara. Però è molto accreditata l’ipotesi che si tratti di un’elaborazione più “cittadina” dei falò di San Martino, che ancora oggi vengono accesi nelle campagne in tutta Europa.
Per quanto riguarda le tradizioni gastronomiche, per San Martino si preparano dolci tipici e l’oca. Al ritorno dai festeggiamenti all’aperto si consumano insieme al vino caldo.
Pur essendo morto l’8, San Martino viene ricordato il giorno in cui la sua salma venne tumulata, l’11 novembre appunto.
Questa data probabilmente non venne scelta a caso, poiché è una data fondamentale sia nella tradizione cristiana e cattolica sia nel mondo rurale e nelle sue tradizioni: nella tradizione cristiana e cattolica questa data rappresentava infatti il penultimo giorno prima dell’inizio del periodo di penitenze e digiuni che precedevano il Santo Natale, mentre per il mondo contadino rappresentava la fine dell’anno agricolo, nonché la data della svinatura e l’inizio del ciclo invernale.
In questo periodo si spillava il vino novello dalle botti e si festeggiava accompagnando il vino con i frutti della stagione, quali ad esempio le castagne. Ecco perché ancora oggi in tale ricorrenza si servono caldarroste e vin brulé (http://www.restoredtraditions.com/)
Oltre ad essere l’inizio del ciclo invernale, l’11 Novembre segnava anche la fine dei contratti agricoli. Infatti in tale data i mezzadri preparavano le loro masserizie e lasciavano la loro mezzadria al signore del podere; se questi decideva di rinnovare il contratto, ritornavano nella loro casa a festeggiare con i prodotti di stagione, altrimenti dovevano traslocare.
Ed ecco come è nata l’espressione “Faxemo San Martin” ovvero “Fare San Martino”, che indicava appunto il trasloco dei mezzadri.
Dai traslochi del mondo rurale, anche nelle città divenne consuetudine cambiare casa nel periodo di San Martino e l’utilizzo dell’espressione “Fare San Martino” dalle campagne arrivò nelle città.
Molti dei detti popolari hanno origine da queste usanze. Tra questi ricordiamo “Oca, castagne e vino, tieni tutto per San Martino” ed il veneto “Chi no magna oca a San Martin no’l fa el beco de un quatrin”.
Va però anche ricordato che sempre in questo periodo, soprattutto nel Veneziano, i popolani più poveri andavano in giro di casa in casa e, porgendo il grembiule vuoto, cantavano: “In sta casa ghe xe de tuto, del salame e del parsuto, del formagio piasentin viva viva San Martin!” (In questa casa c’è di tutto, del salame e del prosciutto, del formaggio piacentino viva viva San Martino), con la speranza di ricevere qualcosa, ricordando il gesto caritatevole di San Martino verso il Mendicante.
Inoltre, i festeggiamenti per i nuovi affari o per il rinnovo del contratto avvenivano spesso per le strade ed erano accompagnati, oltre che dall’oca arrosto, da bicchieri di buon vino novello e da castagne arrosto, anche da canti, spesso anche a squarciagola viste le abbondanti libagioni.
Spesso, coloro che festeggiavano in strada non si limitavano a cantare, ma facevano ogni sorta di rumore pur di convincere chi era in casa a donare loro altro vino e altre castagne.
E chi era in casa, sia per gesto di bontà sia perché non ne poteva più del baccano, donava!
Ed ecco perché si dice “battere il San Martino” e tale usanza è rimasta ancora oggi a Venezia e nella laguna.
Ancora oggi a Venezia l’11 novembre i bambini girano con pentoloni e campanacci per i negozi chiedendo qualcosa in dono e cantando, oltre al ritornello di S.Martino campanaro, anche filastrocche più complesse, sul genere di “In sta casa ghe xe de tuto, del salame e del parsuto, del formagio piasentin viva viva San Martin!”:
Oh che odori de pignata! Se magnè bon pro ve fazza, Se ne de del bon vin cantaremo S.Martin
Oh, che odori di cucina, se state mangiando vi faccia bene, se ci date del buon vin, canteremo san Martin.
S.Martin n’à manda qua Perché ne fe la carità Anca lu, co’l ghe n’aveva Carità ghe ne faceva.
San Martino ci ha mandati qua perchè ci facciate la carità. Anche lui, con quel che aveva, la carità lui la faceva.
Fe atenzzion che semo tanti E fame gavemo tuti quanti Stè atenti a no darne poco Perché se no stemo qua un toco!
Fate attenzione che siamo in tanti, e fame l’abbiamo tutti quanti. State attenti a non darne poco, perchè sennò staremo qua un bel po’
Due poi erano le conclusioni della filastrocca a seconda che i bambini avessero ricevuto in dono qualcosa, caramelle, soldi, cibo:
E con questo la ringraziemo Del bon animo e del bon cuor Un altro ano ritornaremo Se ghe piase al bon Signor E col nostro sachetin Viva, viva S.Martin.
E con questo la ringraziamo del buon animo e del buon cuore. L’anno prossimo ritorneremo, se piacerà al buon Signor. E col nostro sacchettino, viva viva san Martino.
O, non avessero ricevuto niente:
Tanti ciodi gh’è in sta porta Tanti diavoli che ve porta Tanti ciodi gh’è in sto muro Tanti bruschi ve vegna sul culo.
Tanti chiodi ha questa porta, tanti diavoli che vi portano. Tanti chiodi ha questo muro, tanti foruncoli vi vengano al culo
Si parla anche di “Estate di san Martino” per i giorni intorno all’11 novembre, riconducendoli all’episodio del mantello; in effetti spesso è proprio in questo periodo che si osservavano pochi giorni di tempo bello e tiepido, subito dopo le brume autunnali e poco prima delle gelate invernali.
E’ perciò probabile che l’osservazione dei fenomeni naturali nel mondo agricolo e le consuetudini contadine si siano integrate profondamente nella costruzione della leggenda sul santo.
I biscotti di san Martino
I “Weckmänner” sono biscottoni tedeschi a forma di omino, con la pipa in bocca, che si preparano per san Martino. Per il tradizionale Weckmann, la pasta è modellata a mano a forma di omino, e con l’uvetta o i mirtilli secchi si fanno occhi e bottoni della giacca. In Germania si trovano facilmente le pipe in terracotta per decorarli, ma è molto difficile trovarle altrove…
Anche in Italia c’è qualcosa di simile, a Venezia. Nella tradizione di Venezia e della sua terraferma, per san Martino si regala un biscotto di pasta frolla, raffigurante il santo a cavallo sempre con mantello e spada, decorato con glassa o cioccolato (ma questa è una tradizione già più moderna!) e con confettini colorati o altri dolciumi.
Questa usanza nasce dal regalo che si scambiavano i fidanzati (i morosi), poiché proprio nel periodo dei contratti legati al mondo agricolo, spesso si scambiavano promesse di matrimonio e si dava inizio al fidanzamento ufficiale. La tradizione si è poi evoluta passando dai fidanzati ai bambini.
I biscotti di san Martino venivano consumati l’11 novembre, chiaramente, ma questa data era detta “san Martino dei ricchi”, perchè i più abbienti potevano permettersi di comprare i biscotti e la bottiglia di moscato per inzupparli, nel giorno stesso della ricorrenza.
I poveri, invece, dovevano aspettare di ricevere il salario (simanata), che veniva corrisposto il sabato e quindi mangiavano i biscotti col moscato la domenica successiva all’11 novembre, che si chiamava “san Martino dei poveri”.
Ora, non ci restano che le oche…
Quella dell’11 novembre, abbiamo visto, era una festa pagana di origine antichissima , già della tradizione celtica, ed entrata a far parte delle feste cristiane grazie a S. Martino.
La leggenda racconta infatti che il Papa volesse a tutti i costi nominare vescovo Martino, il quale invece molto umilmente non desiderava occupare posizioni importanti, poiché voleva dedicare la sua vita alla preghiera, all’evangelizzazione e all’aiuto dei poveri.
Allora Martino si nascose in un convento sperando che nessuno lo potesse scovare. C’erano però delle oche, che si sa sono animali molto chiassosi. Le oche fecero un tale baccano con i loro “qua qua”, che alla fine Martino venne scoperto. E divenne vescovo.
Da allora ogni anno, a ricordare il “tradimento” delle oche, un’oca veniva arrostita.
Nella tradizione contadina, come già detto, l’11 novembre si chiudevano i vecchi contratti agricoli, ma se ne aprivano anche di nuovi. E va detto che l’oca rappresentava, assieme al maiale, la riserva di grassi e proteine durante il periodo invernale del povero contadino, il quale si cibava quasi esclusiamente solo di cereali e di grandi polente.
Nel Medioevo, inoltre, l’oca veniva allevata anche nei conventi e nei monasteri, come aveva decretato Carlo Magno. L’oca divenne perciò una preziosa e fondamentale merce di scambio. I fittavoli ed i mezzadri spesso pagavano la pigione al nobile possidente con un’oca; i contadini portavano alle fiere, che venivano organizzate in tale periodo, le loro oche per barattarle con altre merci, quali ad esempio capi di vestiario.
A tale proposito, famosa è la “Fiera delle oche e degli stivali”, che si svolge a S. Andrea di Portogruaro e che conserva la memoria dei baratti tra contadini e mercanti. Inoltre, considerato che in questo periodo aveva inizio il ciclo invernale, gli uccelli migratori, come le oche selvatiche muovevano verso sud e nelle zone di passo, come appunto la Laguna di Venezia, era più facile cacciarli proprio in questo periodo.
E per finire una ricetta tedesca
Oca di San Martino con mele, castagne e gnocchi di pane (Martinsgans mit Rothkohl und Schmoräpfel)
È un piatto che richiede molto tempo. La cottura dell’oca è di per sé semplice. La preparazione dei contorni richiede però pazienza.
Ingredienti per 6 persone: 1 oca di circa 5 kg, 30 g di ambrosia (favorisce la digestione), 2 cipolle, 2 mele, sale e pepe.
Eliminare la parte più grassa all’oca e porla in una pentola a fuoco basso con un bicchiere di acqua. Eliminare il collo e le ali (serviranno nella preparazione del condimento). Tagliare a tocchetti la cipolla e le mele. Insaporirle con ambrosia, buccia di arancia, sale e pepe. Salare internamente l’oca e riempirla con le mele e la cipolla appena preparate. Salare e pepare poi l’oca esternamente e porla a cuocere sopra una teglia da forno, con un po’ di acqua (leggermente profonda per poter raccogliere tutto il grasso che si scioglierà durante la cottura) in forno preriscaldato a 180° C. Non appena l’oca inizia ad assumere colore diminuire la temperatura a 160° e continuare la cottura in forno per 90 minuti. Ogni 15 minuti irrorare l’oca con il grasso di cottura.
Mele al forno
Ingredienti: 6 piccole mele (Cox Orange), 200 g di marzapane (naturale), 90 g di uvetta sultanina
Eliminare con l’apposito coltellino il torso delle mele. Mischiare l’uvetta sultanina con il marzapane e riempire la parte centrale delle mele svuotate. Porre le mele su una teglia da forno ed infornarle a 160° C sino a quando non si ammorbidiscono.
Cavolo
Ingredienti: 90 g di grasso di oca, 100 g di cipolla tagliata a fettine sottilissime, 1 kg di cavolo rosso tagliato a fettine sottilissime, 50 g di gelatina di mirtilli rossi, 2 piccole mele tagliate a fettine sottilissime, un sacchettino aromatico con: 4 chiodi di garofano, 2 foglie di alloro, 3 bacche di ginepro, 1 dl di aceto di vino rosso, sale, zucchero, 1/2 l di vino rosso
Porre il cavolo con la cipolla a rosolare in una capiente pentola ove si sarà messo a sciogliere un po’ di grasso d’oca. Dopo circa venti minuti aggiungere l’aceto e il vino rosso. A pentola coperta lasciare stufare per ulteriori venti minuti. Aggiungere quindi il sacchetto aromatico e le fettine di mela e continuare la cottura. Poco prima di terminare la cottura aggiungere la gelatina di mirtilli rossi. Riscaldare al momento di servire.
Marroni
Ingredienti: 200 g di zucchero, 1 bicchiere di vino bianco, un po’ di brodo di oca (i cosiddetti “fondi”si trovano in commercio presso i negozi specializzati e sono di ottima qualità), 7 fette di sedano sottilissime, 40 castagne (tipo marroni), 3 stecche di cannella
Incidere la buccia dei marroni e porli in forno preriscaldato a 180° C per circa 15 minuti, indi sbucciarli. In una padella fare caramellare lo zucchero. Aggiungere il vino bianco e il fondo di cottura d’oca per sciogliere il caramello, versate i marroni. Appoggiare le sottili fette di sedano sui marroni, aggiungere le stecche di cannella e continuare la cottura dolcemente sino a quando le castagne saranno morbide ma compatte.
Gnocchi di pane
Ingredienti: 400 g di pane bianco del giorno prima, 100 g di burro, 0,7 L di latte caldo, 4 uova, 60 g di cipolla imbiondita in un po’ di burro, 4 cucchiai di prezzemolo tritato finemente, sale, noce moscata
Tagliare i panini in piccoli pezzi e abbrustolirne 100 g in una padellina con un po’ di burro. Prendere una ciotola e mettervi i pezzettti di pane (anche quelli abbrustoliti) e coprirli con il latte tiepido. Sbattere le uova e aggiungerle, assieme agli altri restanti ingredienti (cipolla rosolata e prezzemolo tritato), alla mollica di pane. Salare e pepare, corregggere con un po’ di noce moscata e lasciare riposare per circa 45 minuti. L’impasto risultante dovrà essere morbido ma compatto. Con tale impasto formare delle piccole “palle” (Knödel) del diametro di circa 5 cm. Per la cottura: riempire una capiente pentola con acqua. Salarla. Portarla ad ebollizione e diminuire immediatamente la fiamma. Gli gnocchi si dovranno infatti cuocere solo attraverso il calore moderato. Non appena vengono in superfice, sono pronti per essere serviti. Questi gnocchi si possono preparare per tempo. Si possono cuocere e, al momento di servire, si posson versare per 1-2 minuti nell’acqua bollente per essere riscaldati
Per il ripieno
Ingredienti: fegato e cuore dell’oca, 60 g di pane a dadini, 70 g di timo e maggiorana freschi tritati, 80 g di patate a dadini, 60 g di cipolla a dadini, 2 uova, buccia grattugiata di un’arancia e di un limone, carta stagnola per avvolgere il ripieno
Tagliare il fegato e il cuore dell’oca a pezzetti. Rosolarli in un po’ di grasso d’oca assieme alla cipolla. Aggiungervi quindi le patate, le erbe aromatiche e il pane. Lasciare insaporire il tutto per circa dieci minuti. Lasciare raffreddare e aggiungere le due uova, la buccia grattugiata dell’arancia e del limone e amalgamare bene il tutto. Lasciare riposare per circa venti minuti. Prender della carta argentata. Ungerla con del grasso d’oca e porvi l’impasto dando una forma allungata. Chiudere il “salamino” avvolgendo su se stessa la carta e appoggiarlo sulla teglia dove cuoce l’oca lasciandolo cuocere per 20 minuti. Quando l’oca sarà cotta, porzionarla, ponendo le porzioni su una teglia da forno, irrorarle col grasso di cottura e coprirle con un foglio di carta argentata. Dieci minuti prima di servire rimettere in forno a 200° C per riscaldare. Le parti restanti della carcassa verranno aggiunte al condimento preparato con il collo e le ali, le verdure, la salsa di pomodoro ed il brodo di volatile (dovrà cuocere per 2 ore). Per addensarlo, utilizzare all’occorrenza un cucchiaio di fecola di patate. Prima di servirlo, filtrarlo con un colino.
Per la salsa: collo, ali e scarti di cottura dell’oca, 150 g di verdure (cipolla, carota, sedano), 30 g di salsa al pomodoro, 1 bicchiere di vino bianco, brodo di pollo o altro volatile
Per servire: riscaldare i piatti. Assicurarsi che tutte le componenti (marroni, mele, verza, oca, ripieno, salsa) siano caldi, quindi, su ogni piatto porre: 1 pezzo d’oca; 2-3 fette di ripieno; al centro la verza; la mela; i marroni; irrorare con abbondante salsa.
Ecco spiegato perchè i Tedeschi prenotano i ristoranti per mangiare l’oca di san Martino anche con molti mesi d’anticipo…
ora un tutorial per principianti, come al solito anche troppo dettagliato.
Il “problema” dei sacchetti di noccioli di ciliegia è che riscaldando il cuscino si può danneggiare il tessuto. Per questo preferisco prepararli con la federa estraibile.
Altro problema è l’utilizzo per chi non ha il forno a microonde, per questo oltre alla versione con sacchetto interno chiuso, ne ho preparata un’altra che permette di estrarre i noccioli per riscaldarli in padella, forno tradizionale o stufa. Altro vantaggio è la maggior facilità di lavaggio.
Sacchetto interno chiuso
Tagliate a doppio un pezzo di stoffa (io ho scelto il lino) nelle misure 26x30cm,
cucite con un punto dritto e stretto lasciando un lato corto aperto, poi rifilate i bordi con le forbici a circa 0,5cm dalla cucitura e fate una cucitura a punto zigzag fitto:
Rivoltate il lavoro, stirate e inserite i noccioli di ciliegia (per questa misura di cuscino circa 600 grammi):
Stirate una doppia piega girando due volte verso l’interno del sacchetto l’orlo aperto:
poi chiudete scegliendo un punto dritto e stretto:
Sacchetto interno aperto
Tagliate a doppio un rettangolo di stoffa sempre largo circa 26cm, ma lungo il doppio del sacchetto chiuso (circa 60cm)
Procedete come sopra: cucite a rovescio con punto dritto lasciando un lato corto aperto, rifinite col punto a zigzag e rivoltate il lavoro.
Orlate il bordo aperto stirando un risvolto doppio e rifinite cucendo questa volta non a doppio, ma lasciando il lato completamente aperto.
Inserire i noccioli di ciliegia e poi ripiegate su se stesso il sacchetto.
In questo modo i noccioli caldi non potranno uscire e metterli e toglierli sarà molto semplice (anche in caso di lavaggio).
Oltre che coi noccioli di ciliegia, un sacchetto aperto consente di utilizzare altri materiali naturali scaldati, ma deperibili: miglio, riso, pastina da minestra, e soprattutto (consigliatissimo contro i dolori muscolari) il sale grosso:
scaldato in padella e applicato all’interno del sacchetto è un rimedio economico e davvero efficace, che molti fisioterapisti consigliano… naturalmente dovrete aver cura di non lasciare il sale nel sacchetto dopo l’uso.
Mettete il sacchetto ripiegato all’interno della federa:
Federa (per sacchetti chiusi o aperti)
Tagliate una striscia di tessuto (non a doppio) nelle misure 70 x 28 cm
Girate il tessuto a rovescio e stirate i due bordi: uno largo 4cm e l’altro 12cm. Marcate bene queste due pieghe:
Rispettando le pieghe fatte, rivoltate il tessuto eccedente per circa 1cm e stirate nuovamente, quindi cucite con un punto dritto stretto per orlare il tessuto. Così per il bordo più stretto:
e così per il bordo più largo:
Ora ripiegate la striscia su se stessa, con davanti della stoffa esterno, lungo la metà e stirate.
quindi, sempre con la stoffa a dritto, fate le due cuciture laterali:
Rifilate i bordi con le forbici il più vicino possibile alla linea delle cuciture, ma senza esagerare:
Rivoltate la vostra federa a rovescio e stirate:
Fate una seconda cucitura sempre con un punto dritto e corto ad almeno 1cm dal bordo. In questo modo la federa sarà bella anche vista dall’interno e la cucitura sarà molto resistente:
Rivoltate la federa sul dritto, e inserite il sacchetto.
Tutorial: cherry stone thermal pillows. The “problem” of the cherry stone thermal pillows is that heating the cushion may damage the fabric. This is why I prefer to prepare them with removable pillowcase. Another problem is the use for those without the microwave, so in addition to the version with inner bag closed, I have prepared another that allows you to extract the stones for heat them in a pan, oven or stove. Another advantage is the ease of washing.
Tutorial: cherry stone thermal pillows
Inner bag closed
Cut twice a piece of cloth (I chose the linen) in sizes 26x30cm,
sewn with a straight and narrow stitch sewing, leaving one short side open, then trimmed the edges with scissors to about 0.5 cm from the seam and make a zigzag stitch sewing:
Turned over the job, ironed and insert the cherry stones (for this measure of pillow approximately 600 grams):
Ironing a double fold by turning twice towards the interior of the bag the open edge:
then sewn:
Tutorial: cherry stone thermal pillows
Inner bag open
Cut a rectangle of fabric always double width of about 26cm, but double the length of the closed bag (approximately 60cm):
Proceed as above: sewn backward with straight stitch, leaving one short side open, finished with zigzag stitch and turned the job.
Edged the open edge ironing a double lapel and finished stitching this time not double, but leaving the side completely open.
Insert the cherry stones and then folded on itself the bag.
In this way the hot stones can not get out, and put them and remove them will be very simple (even in case of washing).
In addition to the cherry stones, an open bag allows you to use other natural materials heated, but perishable: millet, rice, and especially (highly recommended for muscle pain) the coarse salt:
heated in a pan and applied inside the bag is a really cheap and effective remedy, which many physiotherapists recommend … of course you’ll have to take care not to leave the salt in the bag after use.
Put the bag folded inside the pillowcase:
Tutorial: cherry stone thermal pillows
Pillowcase (for bags closed or open)
Cut a strip of fabric (not double) in the measurements 70 x 28 cm
Turn the fabric inside out and iron the two edges: one 4cm wide and the other 12cm. Mark well these two folds:
Respecting the folds made, turned over excess tissue for about 1cm and ironed again, then sewn with a straight stitch to hem the fabric. So for the narrower edge:
and so for the wide edge:
Now fold the strip on itself, along the middle with the right side of the fabric outside, and iron:
therefore, always with the fabric on the right side, do the two side seams:
Cut the edges with scissors as close as possible to the line of stitching, but do not overdo it:
Turned over your pillowcase inside out and ironed:
Make a second seam always with a straight stitch at least 1cm from the edge. In this way the pillowcase will be beautiful also seen from the inside and the seam will be very resistant:
Turned over the pillowcase right side out, and insert the bag.
Esperimenti scientifici per bambini – Il palloncino che non scoppia: questo esperimento, chiamato anche “kebab”, è semplicissimo e di grande effetto. Provate: funziona!
Esperimenti scientifici per bambini Il palloncino che non scoppia Cosa serve
Un palloncino e un bastoncino di legno da spiedino.
Alcuni consigliano di bagnare lo spiedino con acqua o olio o detersivo, ma in realtà lo spiedino asciutto funziona benissimo: il palloncino non scoppia semplicemente perchè viene forato in due punti dove i polimeri che lo compongono sono più densi, e non serve altro.
Esperimenti scientifici per bambini Il palloncino che non scoppia Cosa fare:
Gonfiate il palloncino in modo che la sua lunghezza sia leggermente inferiore alla lunghezza dello spiedino e chiudete col solito nodo.
Noterete che il palloncino presenterà un’area meno tesa intorno al nodo e all’apice dalla parte opposta (in queste due aree il palloncino è più scuro).
Prendete lo spiedino e tutta la vostra fiducia nella scienza e fatelo passare prima nell’area meno tesa intorno al nodo (sentirete uscire dell’aria, ma il palloncino non scoppierà) e poi velocemente fatelo uscire dalla parte opposta, sempre centrando l’area di gomma meno tesa (ora non si sentirà più uscire aria).
I bambini ne saranno davvero stupiti! E’ un trucco consigliatissimo alle festine di compleanno…
Esperimenti scientifici per bambini Il palloncino che non scoppia Perchè?
I palloncini sono fatti di gomma naturale, che è un polimero dell’isoprene.
Le catene polimeriche sono ripiegate e legate tra loro formando una rete che ha un elevato grado di flessibilità.
Applicando una forza su questo materiale, ad esempio gonfiando un palloncino, le catene del polimero, inizialmente orientate casualmente, si distendono grazie alla rotazione intorno ai legami.
Il fatto che le catene siano legate tra di loro in una rete determina l’elasticità della gomma. La porosità della gomma è dimostrata dal fatto che i palloncini lentamente si sgonfiano.
Una interessante dimostrazione delle proprietà della gomma è il trucco, spesso usato dai prestigiatori, dell’ago che attraversa il pallone. Il segreto è quello forare le parti del palloncino in cui le molecole di gomma sono sotto la minimo stress o sforzo, cioè le estremità del palloncino.
Se poteste vedere la gomma al microscopio, vedreste molti lunghi filamenti o catene di molecole. Questi lunghi filamenti di molecole sono chiamati polimeri.
Gonfiando il palloncino questi filamenti di catene polimeriche si distendono.
Bucando il palloncino in un punto dove esse sono meno tese, le lunghe catene di molecole si estendono attorno alla spiedino e mantengono l’aria all’interno.
Esperimenti scientifici per bambini Il palloncino che non scoppia Fonti
Esperimenti scientifici per bambini – Il palloncino sul letto di chiodi. Quando la pressione è distribuita su molti chiodi, ogni singolo chiodo esercita una pressione minore, insufficiente a far scoppiare il palloncino: tutta la pressione esercitata si distribuisce equamente tra i chiodi e i punti di pressione si diffondono su tutta la superficie del palloncino.
Quando usiamo una quantità di chiodi inferiore, ogni singolo chiodo esercita una pressione maggiore e il palloncino scoppia: tutta la pressione si concentra su pochi punti.
In questo esempio viene usato un letto formato da 25 chiodi e un peso da mezzo chilo. Si confronta poi con un letto formato da un solo chiodo e lo stesso peso:
Esperimenti scientifici per bambini Il palloncino sul letto di chiodi Costruite coi bambini il letto di chiodi
Avrete bisogno di una tavoletta di legno per il fondo, nella quale potrete fissare due bacchette in posizione verticale ai due lati, per inserire eventualmente la tavoletta superiore (munita di due fori corrispondenti alle bacchette della tavoletta inferiore).
Su una tavoletta più piccola piantate un centinaio di chiodi, in modo tale che sporgano dalla parte opposta a formare il vostro letto. Se volete potete utilizzare anche una tavola di polistirolo spessa per rendere più semplice l’operazione.
Se volete fare il confronto predisponete altre tavolette della stessa dimensione, ma con un numero di chiodi inferiori, e una con un solo chiodo.
Preparate anche dei pesi (che possono essere anche pacchetti di zucchero o farina o sassi precedentemente pesati e marcati).
Procedere con l’esperimento.
Se si segue la gradualità da un chiodo a un numero di chiodi sempre maggiore, l’esperimento sarà molto più interessante per i bambini, che vedranno prima scoppiare un certo numero di palloncini, e poi… sorpresa!
Poesie e filastrocche SAN MICHELE – una collezione di poesie e filastrocche su San Michele. La raccolta è in costruzione…
San Michele Quando il sol tramonta in cielo e alle nubi dà fulgore ecco brilla il tuo mantello rosso e giallo di splendore. La tua spada è sfavillante fiero indomito guerriero il tuo sguardo rilucente ci rammenta sempre il vero. Oh, tu prode San Michele che nei cieli hai vinto il male dacci forza e puro cuore chè s’affermi alfin l’amore.
Atmosfera di Michele Divengono i giorni più brevi divengono i cuori più chiari Al di sopra dell’autunno splende il luminoso San Michele. San Michele, signore del tempo! Tu dai il vero pane ed una nuova veste. (H. Ritter)
Il cavaliere Me ‘n vo, me ‘n vo sul mio destrier timor non ho da solo andrò se vincerò, ritornerò.
Poesie e filastrocche SAN MICHELE – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Poesie e filastrocche: 2 ottobre, la festa dei nonni. Una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Nonno e nipotino Passan sul prato nonno e nipotino. Il nonno è vecchio, il bimbo è piccolino: il bimbo è biondo, il nonno è tutto bianco, il bimbo è dritto, il nonno è curvo e stanco. Passan sul prato dandosi la mano. Il nonno dice: “Presto andrò lontano, molto lontano e più non tornerò…” E il bimbo: “Nonno mio, ti scriverò”. L. Schwarz
La nonna D’inverno ti mettevi una cuffietta coi nastri bianchi come il tuo visino, e facevi ogni sera la calzetta, seduta al lume, accanto al tavolino. Io imparavo la storia sacra in fretta e poi m’accoccolavo a te vicino per sentir narrar la favoletta del Drago Azzurro e del Guerrier Moschino. E quando il sonno proprio mi vinceva m’accompagnavi fino alla mia stanza e m’addormivi al suono dei tuoi baci. Agli occhi chiusi allor mi sorrideva in mezzo ai fiori una gioconda danza di sonni dolci, splendidi e fugaci. G. D’Annunzio
La nonna Era partita la nonna per un luogo lontano mentre diceva: “Sì…” piano la nipotina alla gonna le stava “… nel bosco… la fata…” e poi s’era addormentata. La nipotina attendeva diceva: “Ritornerà, tanto, che aspetto lo sa”. E giocava e sorrideva. Ma la nonna s’era svagata, chissà! Non era tornata. L. C. Zilioli
Cari nipoti miei Cari nipoti miei, veri e onorari, mi giungono ogni tanto accenni vari, lievi, gentili… “Oh sì, l’abbiamo amata come poeta, un dì! Ora è invecchiata”. E’ vero. Ma c’è un piccolo segreto che voglio dirvi con animo lieto: or la zia lascia a voi tutto il moderno. e lei va a rifugiarsi nell’eterno”. Lina Schwarz
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Esperimenti scientifici per bambini – Il diavoletto di Cartesio o ludione è uno strumento di misurazione della pressione dei liquidi. Deve il suo nome a Cartesio; in realtà però fu inventato dall’italiano Raffaello Magiotti e descritto per la prima volta nel 1648.
Scopo
Realizzare un diavoletto di Cartesio o ludione, cioè uno strumento di misurazione della pressione dei liquidi.
Età
Dai 5 anni.
Materiali
Una bottiglia di plastica trasparente con tappo da un litro o un litro e mezzo Un bicchiere acqua una cannuccia per bibite graffette nastro isolante o nastro adesivo o biadesivo forbici un righello. Note di sicurezza Insegniamo ai bambini l’uso corretto delle forbici.
Presentazione
. Questo esperimento può essere presentato a un piccolo gruppo di bambini o all’intera classe
. mettiamo tutto il materiale necessario sul tavolo
. spieghiamo ai bambini che questo esperimento mostra che con la variazione della pressione del liquido circostante e la conseguente variazione del volume dell’aria, si modifica anche la massa del diavoletto, che perciò sale o scende a seconda dei casi
. rimuoviamo eventuali etichette presenti sulla bottiglia
. riempiamo completamente la bottiglia con acqua di rubinetto
. per costruire il nostro diavoletto tagliamo dalla cannuccia un pezzo lungo circa 6 cm
. chiudiamo completamente un’estremità del pezzo di cannuccia con nastro isolante o biadesivo. Appendiamo all’altra estremità due graffette
. per testarlo immergiamolo in un bicchiere d’acqua: se galleggia restando in posizione verticale, con le graffette in basso, vuol dire che funziona correttamente
. se il test fallisce, dovremo provare a chiudere meglio l’estremità superiore, o aggiungere o togliere graffette
. inseriamo il diavoletto nella bottiglia piena d’acqua e chiudiamo bene il tappo
. possiamo chiedere ai bambini di dirci cosa succede secondo loro al diavoletto se schiacciamo la bottiglia tra le mani
. schiacciamo con forza la bottiglia tra le mani: vedremo scendere il diavoletto verso il fondo della bottiglia
. rilasciamo la bottiglia e vedremo il diavoletto tornare in alto
. con un po’ di pratica, possiamo far fermare il diavoletto al centro della bottiglia
. chiediamo ai bambini di registrare le loro osservazioni e conclusioni.
Varianti
Funzionano come diavoletti di Cartesio anche:
Sono in commercio diavoletti di Cartesio in vetro soffiato, della lunghezza di circa 3 cm, con un forellino all’estremità inferiore (generalmente la “coda”):
Il diavoletto di Cartesio può essere immerso in una bottiglia di plastica riempita quasi completamente di acqua e chiusa col tappo, oppure in un vaso di vetro cilindrico chiuso con una membrana di gomma (ad esempio un vecchio guanto) fissata con un elastico.
Premendo o rilasciando la membrana del vaso, o semplicemente premendo la bottiglia di plastica (come mostrato nei video che seguono) il diavoletto galleggia e affonda.
Osservazioni e conclusioni
Il diavoletto di Cartesio o ludione è uno strumento di misurazione della pressione dei liquidi. Deve il suo nome a Cartesio; in realtà però fu inventato dall’italiano Raffaello Magiotti e descritto per la prima volta nel 1648.
Con la variazione della pressione del liquido circostante e la conseguente variazione del volume dell’aria, si modifica anche la massa del diavoletto, che perciò sale o scende a seconda dei casi.
Se ad esempio la pressione sale, l’aria nel diavoletto rimane compressa: in questo modo il volume dell’aria diminuisce e il liquido affluisce all’interno.
Il peso del diavoletto e dell’aria al suo interno rimane invariato, ma il volume complessivo si riduce, e con esso la spinta verso l’alto. Quando il peso è maggiore della spinta, il diavoletto affonda. Il principio è sfruttato dalle boe oceanografiche.
Questo esperimento mostra dunque la densità dell’acqua rispetto a quella dell’aria.
Tenendo la bottiglia ben tesa, la bolla d’aria all’interno del diavoletto diventa più piccola, cioè più compressa. Lo spazio che era occupato dall’aria viene occupato dall’acqua, che entra nel diavoletto, e questo rende il diavoletto più denso dell’acqua.
Per questo se comprimiamo la bottiglia, il diavoletto affonda.
Quando smettiamo di premere sulla bottiglia, la bolla d’aria aumenta di nuovo di dimensioni spingendo l’acqua fuori dal diavoletto, e facendo risalire il diavoletto verso l’alto.
I liquidi, quindi anche l’acqua, sono incomprimibili, cioè il loro volume è costante.
I gas, quindi anche l’aria l’aria, sono comprimibili.
Quando schiacciamo la bottiglia chiusa, l’acqua non può essere compressa, ma l’aria all’interno del diavoletto può farlo.
Acquarello steineriano L’ ALBERO IN AUTUNNO: una proposta di lavoro. L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a riflettere sulla condizione dell’albero in questa stagione.
Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due alberi uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…
Acquarello steineriano – Materiale occorrente
acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori: giallo limone, giallo oro, blu oltremare, blu di prussia rosso vermiglio (nelle foto c’è anche il rosso carminio, ma non è stato usato). I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.
Un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)
una bacinella e un vasetto d’acqua
una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)
un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)
Acquarello steineriano – Come si fa
Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna.
Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.
Poi si dispone il materiale, se volete così:
E’ il modo migliore per evitare incidenti.
Al bambino possiamo dire che stiamo dipingendo un albero in autunno prima, oppure possiamo semplicemente dire che faremo una “pittura” e sarà lui a scoprirlo facendo.
Col blu oltremare si comincia a far scendere la luce dall’alto verso il basso (essere buoni mimi in questi casi aiuta); si può dire che la luce viene sempre dall’alto, e che questa è una luce un po’ mescolata al freddo e all’umidità.
Siccome i bambini non hanno visto la pittura già fatta, ognuno troverà il suo gesto, (breve, lungo, irregolare, verticale o tondeggiante ecc…) l’importante è che ogni pennellata vada dall’alto al basso, senza tornare indietro ma staccando… Si prende dal vasetto il colore in più riprese. Alla fine il blu oltremare è su tutto il foglio.
Ora, senza lavare il pennello, aggiungiamo all’elemento aria l’elemento terra, utilizzando il blu di prussia. Possiamo dire che un appoggio duro sta sotto l’aria, mimando un percorso orizzontale con la mano.
E quando il bambino ha fatto la sua “striscia” blu, gli diciamo che i due si parlano sempre tra loro, e che il blu non se ne sta sdraiato, ma comincia ad andare un po’ incontro alla luce.
Allora possiamo dire che sono cielo e terra, ma che così sembra un paesaggio polare, invece noi vogliamo un paesaggio che si ricorda il sole dell’estate. Infatti in autunno e in inverno la terra è calda anche se l’aria è fredda, ed è per questo che il contadino semina il grano e molti animali si scavano tane per il letargo… così possiamo dire ai bambini di lavare benissimo il pennello, asciugarlo sulla spugna e poi prendere il giallo oro (una volta) e farlo giocare sul foglio col blu di prussia, poi si può rilavare il pennello e far giocare un po’ anche il giallo limone.
Ora è chiaro che siamo in un prato.
E possiamo dire ai bambini di prendere una punta di rosso vermiglio, sempre senza lavare il pennello. Perchè il seme è il ricordo dell’estate e del suo calore, per la pianta. E chiediamo ai bambini di piantare questo seme.
Ora è molto importante non lavare mai il pennello, e non prendere altro rosso: si usa solo il rosso del seme, che si mescola agli altri colori sul foglio.
Il seme nella terra incontra calore, luce e acqua, e così si apre: una parte va verso il basso (le radici), quindi si mette il pennello sul seme e si scende, sempre staccando e senza mai tornare indietro:
e una parte comincia ad andare verso l’alto (sempre dal seme in su, senza tornare indietro). Naturalmente mescolandosi rosso blu e giallo si forma il marrone, e non ci saranno due marroni uguali…
e il tronco cosa fa? Prende dalle radici il nutrimento e lo porta su, verso i rami…
se si usano solo i colori che ci sono sul foglio, naturalmente i rami diventano sempre più sottili e chiari, e non serve dire ai bambini di disegnarli così.
Ora diciamo che questo è un albero che ha già perso tutte le sue foglie, ma invece noi vogliamo ricordarci di quando, prima di cadere, c’erano ancora ,anche se non erano verdi verdi come in primavera.
Sempre senza lavare il pennello chiediamo di prendere una puntina di giallo oro e di ricordarci insieme all’albero di quando il sole era ancora un po’ luminoso, e di fare la chioma…Le foglie naturalmente spuntano dai rami, non arrivano sull’albero volando o rimbalzando da terra…
… poi ci si può ricordare anche del tepore, prendendo una puntina di rosso, e poi si lavora la chioma senza prendere altri colori…
Questo è quello che succede all’albero in autunno: anche se c’è ancora un po’ di luce e di calore, smette di portare nutrimento alle foglie (blu), e così queste perdono il loro verde (giallo+blu), e mentre si decompongono prendono colorazioni rossastre, gialle e marroni, e anche la decomposizione produce calore…
Poesie e filastrocche – Una raccolta di poesie e filastrocche per bambini del nido, della scuola d’infanzia e della scuola primaria sul tema “I frutti dell’autunno”, di autori vari.
La filastrocca delle frutta
Gira, gira, s’arrivasse
nel paese delle frutta
che, si dice, ha una stagione!
E ci fosse proprio tutta,
pera, fragola, popone,
quella bella frutta sana,
melarancia, melagrana,
quella bella frutta fina,
l’albicocca, la susina,
quella bella frutta aspretta,
uva spina, nespoletta,
giuggioletta di montagna;
e il marrone, e la castagna;
e, tra i pampini a corona,
l’uva buona!
E ci fosser le nocciole
e le mele lazzerole
con le noci tutte quante
tutte insieme sulle piante,
tutte insieme nel corbello;
ce ne fossero mai tante
da giocarci a rimbalzello,
da poterne regalare,
da poterne dare a tutti
da poterne (che allegria!)
far razzia! (Térésah)
Filastrocca
Il castagno ha lavorato:
tanti frutti ci ha donato
or col canto più giocondo
intrecciamo il girotondo.
Il castagno s’addormenta
e la luna lo inargenta,
si addormenta a poco a poco
mentre stiamo accanto al fuoco.
C’è un paiolo che borbotta:
“Non è cotta, non è cotta!”
mentre stiamo ad aspettare,
su corriamo a lavorare!
Ravviviamo un po’ la fiamma
aiutiamo un po’ la mamma
riordiniamo la cucina:
verrà poi la merendina.
Merendina di castagne;
dolci, piccole compagne
il castagno ce le ha date
non le abbiamo guadagnate! (L. Nason)
Vendemmia
Con un secchio ed un cestello,
con le forbici o il coltello,
donne ed uomini, da ieri,
tutti allegri e faccendieri
colgon l’uva zuccherina
e la portano in cantina.
La vendemmia è un gran lavoro!
Nella vigna era un tesoro
di bei grappoli dorati.
Or li han colti e li han pigiati;
ed il mosto, in un gran tino,
già fermenta e si fa vino. (F. Socciarelli)
Il castagno
Sotto il castagno, durante l’estate,
fu una festa di bimbi e d’allegria;
che dolci ombre egli diede alle chiassate
della garrula e vispa compagnia!
Or solitario, al gran cielo velato,
nel deserto squallor delle campagne
s’alza quel nudo tronco desolato.
E i bimbi? … I bimbi mangian le castagne. (L. Schwarz)
Si vendemmia
Lieta festa di bei colori:
pampini, grappoli maturi,
grappoli biondi, grappoli scuri…
Su cantate, vendemmiatori.
Colmo il canestro, colma la gerla
e il tralcio è ricco di frutti ancora:
brilla ogni chicco che il sole sfiora
come il rubino, come la perla.
Bigoncia colma, colmo il cestello:
vendemmiatrici, uno stornello. (D. Rebucci)
Il pesco e la vite
Diceva un pesco altero
all’uva: “Oh, sciagurata,
tu finirai calcata!”
Gli fu risposto: “E’ vero;
ma, all’uom che mi calpesta,
fo’ poi girar la testa. (Luigi Carrer)
continua nelle pagine seguenti (segui i numeri delle pagine):
Esperimenti scientifici per bambini – il succo di cavolo rosso: esperimenti per scoprire se le sostanze sono acide, basiche o neutre utilizzando il succo di cavolo rosso (per saperne di più vai al post esperimenti scientifici: misurare il pH col cavolo rosso ):
Versando il succo di cavolo rosso in tante ciotoline diverse, e posandole su un foglio di carta, i bambini possono testare le varie sostanze, annotarle sul foglio, e scrivere sul quaderno le loro osservazioni:
Si possono testare tantissime sostanze presenti in casa: sale, dentifricio, candeggina, ammoniaca, succo di limone, succhi di frutta, zucchero, spray per i vetri, detersivo per i piatti, ecc…
Le varie sostanze testate possono essere classificate e ordinate dalla più acida alla più basica…
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