Lavoretti per Pasqua – pulcini galline e galletti: venticinque e più progetti creativi per realizzare lavoretti sul tema Pasqua e primavera con soggetto pulcini, galline e galletti per la scuola d’infanzia e primaria. A seconda dell’età si va da semplici idee con pittura a tempera, sagome delle manine, riciclaggio, a progetti di cucito e ricamo…
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1. cestino “gallinella” realizzabile in panno o cartoncino, tutorial e modello pdf gratuito di http://www.bluemarguerite.com
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2. bellissima gallinella realizzata con cartone ondulato. E’ semplice da riprodurre facendo riferimento all’immangine, ma se si vuole il tutorial completo di cartamodello occorre registrarsi a http://www.bluemarguerite.com
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3. pulcino realizzato con cartoncino e un piatto di carta, tutorial di http://playresource.org
7. pulcini e non solo realizzati con uova colorate e applicazioni in cartoncino; tutorial e modelli pdf gratuiti per le decorazioni di http://www.goodhousekeeping.com
9. gallinella in tessuto, tutorial e cartamodello gratuito di http://whipup.net
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10. pulcini che escono dall’uovo; nell’idea originale vengono utilizzati per esercizi con le addizioni, ma possono essere un bel biglietto d’auguri. Di http://saylorslog.blogspot.it/
24. Pulcini realizzati su carta azzurra con tempera bianca e gialla data con le spugnette tonde per testa e corpo, spugnette triangolari e tempera arancio per il becco, parte posteriore del pennello per occhi, zampette ed erba. Di http://artiswhatiteach.blogspot.it/
Lavoretti per Pasqua conigli e carote – 40 e più progetti: una collezione di tutorial per realizzare coi bambini della scuola d’infanzia e primaria vari lavoretti sul tema “coniglietti e carote” per festeggiare Pasqua e la primavera: origami, idee per il pic nic di Pasquetta, piegatura di tovaglioli, paper cutting, cucito, progetti coi rotoli di carta igienica, confezioni regalo, decorazioni, piccoli giocattoli, ecc…
10. tovaglioli verdi inseriti in un cono di cartoncino arancione, di http://www.niftythriftythings.com. Una bella idea per la tavola di Pasqua o per il pic nic di Pasquetta…
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11. mobile di coniglietti, con modello stampabile gratuitamente (clicca su -Hier-), di http://titatoni.blogspot.it/
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12. coniglietto, pulcino e uccellino realizzati con rotoli di cartoncino (si possono usare anche i rotoli di carta igienica, di http://krokotak.com/
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13. bambola a fazzoletto “coniglietta” in maglia; l’idea può essere realizzata anche con una vecchia maglia, di http://stitchcrazy.wordpress.com
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14. il gioco della coda dell’asino, ma in versione coniglio. Di http://lets-explore.net. Il gioco è notissimo, si tratta di bendare un bambino alla volta e cercare di mettere la coda all’animale al posto giusto.
16. ancora per la tavola di Pasqua o il pic nic di Pasquetta, posate di plastica verdi avvolte in tovagliolini di carta arancioni, di http://lachocolefestasinfantis.blogspot.it/
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17. coniglietto e carota realizzati con nastro colorato, in vendita da http://www.etsy.com/
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18. Lavoretti per Pasqua – bambolina da viaggio “coniglietta” nella sua culla – carota, di http://waldorfmama.typepad.com
24. Lavoretti per Pasqua – l’uovo di Pasqua si apre e diventa un coniglio (le orecchie sono il guscio aperto) di http://www.littlegiraffes.com. Molte altre idee in tema Pasqua.
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25. Lavoretti per Pasqua – un piatto di carta diventa un cestino a forma di coniglio, di http://familycrafts.about.com
32. Lavoretti per Pasqua – conigli copri uova in lana cardata infeltrita, in vendita da http://www.impressionen.de (non c’è tutorial)
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33. Lavoretti per Pasqua – questo coniglio che si arrampica è una decorazione in metallo per vasi, in vendita da http://www.impressionen.de. Coi bimbi possiamo realizzare qualcosa di simile in cartoncino.
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34. Lavoretti per Pasqua – tutorial fotografico molto dettagliato per imparare a piegare i tovaglioli a forma di coniglio, di http://www.goodhousekeeping.com/
41.altra versione del tovagliolo piegato a forma di coniglio (per le istruzioni clicca su “Die Anleitung als PDF-Download”), di http://www.brigitte.de/
Acquarello steineriano – L’albero in primavera: una proposta di lavoro sul tema “l’albero in primavera”. L’esperienza procede rispettando una data sequenza di azioni, che porta il bambino a riflettere sulla condizione dell’albero in questa stagione.
Molto importante è non presentare ai bambini lavori già fatti: vi accorgerete così che proprio chiedendo ai bambini di rispettare una certa sequenza, verrà fuori la personalità di ognuno di loro, e non potranno esserci due alberi uguali, o due verdi uguali, o due marroni uguali ecc…
Acquarello steineriano – L’albero in primavera Materiale occorrente:
acquarelli di qualsiasi marca in tubetto o flaconcino (non in pastiglia) nei colori:
giallo limone,
giallo oro,
blu di Prussia
I colori vanno diluiti nei vasetti, in modo che il colore risulti non denso e non carico: diciamo una diluizione abbastanza decisa.
Un pennello a punta piatta largo e con setole di qualsiasi genere, purchè morbide (altrimenti il bambino rischia di graffiare il foglio e noi rischiamo che l’esperienza non venga vissuta come un pieno successo)
una bacinella e un vasetto d’acqua
una spugna che servirà per stendere bene il foglio bagnato sul tavolo, e poi per asciugare il pennello (molto meglio degli straccetti o della carta)
un foglio di carta robusta, meglio se da acquarello (le carte scadenti bagnate possono fare i “pallini”)
Acquarello steineriano – L’albero in primavera preparazione
Immergere il foglio nella bacinella, quindi stenderlo con cura sul tavolo con l’aiuto della spugna. Bisogna evitare che si formino bolle d’aria, perchè altrimenti la carta rischia di arricciarsi.
poi si dispone il materiale, se volete così è il modo migliore per evitare incidenti:
Acquarello steineriano – L’albero in primavera Lezione
Al bambino possiamo dire che stiamo dipingendo un albero in primavera prima di iniziare, oppure possiamo semplicemente dire che faremo una “pittura” e sarà lui a scoprirlo facendo.
Per prima cosa realizziamo portiamo su tutto il foglio una bella luce leggera, tiepida e allegra, col giallo limone. La luce scende dall’alto verso il basso, ma gioca sul foglio saltellando qua e là.
intensifichiamo il giallo in basso, di modo che poi con poco blu di prussia otterremo un bel verde giovane, nel quale piantare il seme del nostro albero (rosso carminio)
A partire da questo seme, senza lavare il pennello o prendere altro colore, far scendere le radici verso il basso e il primo abbozzo di tronco verso l’alto.
E’ molto importante non lavare mai il pennello, e non prendere altro rosso: si usa solo il rosso del seme, che si mescola agli altri colori sul foglio.
Il seme nella terra incontra calore, luce e acqua, e così si apre: una parte va verso il basso (le radici), quindi si mette il pennello sul seme e si scende, sempre staccando e senza mai tornare indietro; una parte comincia ad andare verso l’alto (sempre dal seme in su, senza tornare indietro). Naturalmente mescolandosi rosso blu e giallo si forma il marrone, e non ci saranno due marroni uguali…
Ora possiamo sviluppare l’albero, utilizzando alternativamente rosso carminio, giallo oro e limone e blu di prussia, prendendoli dalle ciotoline quando serve.
Infine lavare benissimo il pennello e con giallo e blu di Prussia molto diluito, creare una bellissima chioma
Poesie e filastrocche il papà una raccolta di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Il babbo Povero babbo! Stanco, scalmanato, tutte le sere torna dal lavoro, ma per cantar la nanna al suo tesoro ha sempre un po’ di forza e un po’ di fiato. L. Schwarz
Festa del papà Tanti auguri babbo caro di salute e d’ogni bene or che sono un o scolaro li so far come conviene. Se sapessi, babbo mio, in cucina che da fare un gran moto, un tramestio un andare e ritornare. Già ti annuncio in confidenza (tanto tu non lo dirai) che un budin nella credenza c’è, ma grande, grande assai. Che tripudio, che contento! Ah, se fosse ognor così che giulivo movimento caro babbo, che bel dì.
Il padre Mio padre non è morto, mio padre cammina con me, sento ancora il suo passo. Sento che s’accosta ai libri, toglie la bibbia dallo scaffale: da tanto la sua immagine è scomparsa, ma mio padre è sempre con me. Sotto la lampada egli siede la sera, e tiene il libro in mano: e a volte chiede piano se ho trovato la pace. A volte lo sento parlare, ma non vedo il suo viso, mi sembra d’essere ancora bambino e ascolto le parole d’Isaia. E se siedo alla notte sulla soglia, e la luna percorre il dorato sentiero, sento che siede accanto a me come un tempo sedava. (E. Wiechert)
A mio padre Padre, se anche tu non fossi il mio padre, se anche fossi un uomo estraneo per te stesso egualmente t’amerei. Chè mi ricordo d’un mattin d’inverno che la prima viola sull’opposto muro della tua camera scopristi e ce ne desti la novella allegro. Poi la scala di legno tolta in spalla di casa uscisti e l’appoggiavi al muro. Noi piccoli stavamo alla finestra. E di quell’altra volta mi ricordo che la sorellina, bambinetta ancora, per la casa inseguivi minacciando (la caparbia avea fatto non so che). Ma raggiuntala che strillava forte dalla paura, ti mancava il cuore: chè avevi visto te inseguir la tua piccola figlia, e tutta spaventata tu vacillando l’attiravi al petto, e con carezze dentro le tue braccia l’avviluppavi come per scamparla da quel cattivo ch’era il tu di prima. Padre se anche tu non fossi il mio padre, se anche tu fossi un uomo estraneo fra tutti quanti gli uomini già tanto pel tuo cuore fanciullo t’amerei. (C. Sbarbaro)
Padre Padre, un giorno ti condurrò per queste vie, con queste mani che reggevi un giorno nelle tue. T’indicherò come facevi, i seminati, i colli, le case sparse, quasi con le tue stesse parole; e tutto sarà nuovo per te, come per me in quei lontani giorni, e sorriderai col mio sorriso. Allora io non avrò più l’innocenza, ma la ritroverò negli occhi tuoi, e sarà, padre, il tuo ultimo dono. (T. Colsalvatico)
A mio padre Caro papà che te ne stai rinchiuso in quell’ufficio sempre a lavorare esci a vedere il sole, vieni anche tu un po’ fuori a respirare. Fai quattro passi, arriva alla stazione, arriva al bar a prendere un gelato, mettiti un po’ a giocare in mezzo a noi, sopra un grande prato. Se stai fra noi, papà, ritornerai felice, e tante noie scorderai. (A. Valsecchi)
Poesie e filastrocche il papà Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Costumi e travestimenti – maschere, parrucche, mantelli, accessori, tute, idee per il trucco, tutto “fai da te” per il gioco dei travestimenti (non sono a Carnevale)…
Costumi e travestimenti : Pippi Calzelunghe, leone, gatto, panda, draghetto, cavaliere con l’armatura, subacqueo, ecc… Molti dei lavori proposti sono adatti ad essere realizzati dai bambini stessi.
2. tutorial con modelli stampabili gratuiti per realizzare queste bellissime maschere in panno per giocare a fare il leone, il panda, la civetta, di http://www.petitpoulou.com/
Recita per Carnevale – CARNEVALE IN RIMA – Personaggi: Meneghino, Colombina, Arlecchino, Pinocchio, Pierrot, Brighella, Pantalone, le damine, le comari, Balanzone, le pettegole, pagliacci e Gianduia…
Meneghino Io sono Meneghino ed ecco la mia Cecca. Di questa gran Milano le maschere noi siamo. Siamo persone serie e sodo lavoriamo ma quando è carnevale saltar, ballar vogliamo! Oh, chi ci tiene allora, vogliamo far buon sangue almeno per un’ora!
Colombina Ed io son Colombina la moglie di Arlecchino un buon uomo, sapete, ma il carattere, ahimè, non c’è, non c’è, non c’è. Cerco sotto i colori smaglianti del vestito ma invano: se n’è ito! Mi infurio qualche volta faccio baruffa, e poi accetto il mio destino, e pace sia con noi!
Arlecchino Non badarci, cara mia non crucciarti per me, quello che oggi è stato, domani è già passato…
Pinocchio Fate largo, fratelli, fate largo al mio naso, vedete che sventura? La fata mi ha punito perchè senza volerlo qualche volta ho mentito. Il trascinarmi attorno questa lunga appendice è cosa ben penosa e mi rende infelice! Oh, la brutta bugia! Dobbiam tutti lottare per ricacciarla via. Ma questo non è il giorno di pianto e di lamento il signor carnevale esige cuor contento. In me voglio fidare per poter l’allegrezza di nuovo ritrovare.
Pierrot Oh, quale quale incanto questa sera di luna! Invita a passeggiare a cantare, a suonare. Mi trema qui nel cuore la dolce serenata che nasce dall’amore per una bella fata.
Brighella Non perderti nel canto fratello tristolino ci metti una gran voglia di fare un sonnellino. Andiamo, andiam, brighiamo, che oggi è carnevale non si deve sognare ma saltare e ballare.
Pantalone Oh, non corriamo troppo! Mi voglio divertire, ma con calma, fratelli. Mi fareste soffrire se dovessi affannarmi: amo la vita quieta senza scosse funeste, il mio cuor non è fatto per le grandi tempeste. Vi seguo piano piano fratelli burrascosi chi sa camminare piano va sano e va lontano.
Damina Permetti a una damina che composta vuol stare di farti compagnia nel tuo tranquillo andare? Io pure amo le cose gentili e misurate mi fan rabbrividire le genti non pacate.
Comari Oh, dio, che schizzinosa! Guarda, guarda, sorella, non sembra una pavona con quella veste bella?
Balanzone Voi siete criticone mie piccole comari badate solo a voi e non ai vostri pari. Il dottor Balanzone la sa lunga, sapete? Voi criticate solo quello che non avete.
Pettegola Mio caro Balanzone oggi si può parlare non fare il dottorone vogliamo ridacchiare.
Pagliaccio Chi non ha voglia, cari, di smascellarsi un poco oggi dalle risate? Questi istanti son rari! Eccomi qui per questo un salto, un bel balletto, un capitombolino un piccolo scherzetto, fan ridere un pochino. Io tutti ve li faccio per obbedire sempre al mio umor di pagliaccio. Se poi divento triste me ne vado lontano a piangere da solo in luogo fuori mano. Ma ora son pagliaccio e ridere vi faccio!
Gianduia Sì, sì, ridiamo pure io da Torino vengo per ridere con voi. Mi dicono “Bugiardo” ma non è vero affatto e lo prova questo oggi il miracolo che ho fatto. E’ l’amore che mi muove oh miei cari fratelli perchè lo stare insieme è un piacere tra i più belli. Balliamo dunque amici e godiamoci uniti senza turbarle mai queste ore felici!
Lavoretti per San Valentino – Cuori 60 e più tutorials. Lavoretti, decorazioni, ricette e altre idee sul tema “cuori”, per San Valentino ma non solo… Cuori di carta, di frutta, di stoffa, di panno… cappelli, occhiali, bigliettini, ghirlande e festoni, piccoli doni e spunti per attività varie coi bambini: pittura, tessitura, cucina, paperfolding, ricamo, collage, ecc… Più di 60 progetti.
6. tutorial per realizzare coi bambini questi cuoricini, di http://www.teaching-tiny-tots.com . Servono carta oleata trasparente, pastelli a cera e il ferro da stiro. Si grattugiano sulla carta i pastelli a cera, si passa il ferro da stiro e si ritaglia a forma di cuore.
7. tutorial fotografico, molto chiaro e semplice da seguire, per realizzare cuoricini origami, di http://www.flickr.com/
28. tutorial di http://www.minieco.co.uk per un messaggio segreto in bottiglia, pieno di cuoricini colorati. Per scrivere il messaggio segreto usare semplicemente succo si limone (il messaggio apparirà magicamente espondendolo a una fonte di calore)
38. tutorial dettagliatissimo per dare alle uova sode la forma a cuore, di http://www.annathered.com/ . Servono solo uova sode, una bacchetta cinese, degli elastici e un cartone vuoto del latte…
Commedia dell’arte – recite con le maschere tradizionali italiane. Questi brevi dialoghi, pensati per le recite scolastiche, sono anche degli ottimi strumenti per esercitare la lettura in modo divertente. Facendo in modo che ogni bambino legga solo la voce di un personaggio, si stimolano tutti i bambini a seguire il testo mentre legge il compagno, e si migliora nella lettura a voce alta la capacità di cogliere l’intonazione e l’espressività data dai segni di interpunzione e dal contenuto del testo stesso. E’ inoltre una bella attività per viaggiare tra le Regioni italiane attraverso le maschere della Commedia dell’Arte.
Ho raccolto tutti i copioni in formato ebook, qui:
La scenetta si svolge su una piazza da fiera tra Brighella, venditore di cialde, e Arlecchino.
Brighella: (davanti al banco delle cialde) Da Brighella, orsù venite; e le cialde sue sentite, fatte al gusto bergamasco, da condir con un buon fiasco! Arlecchino: Anche tu alla bancarella, e che vendi, buon Brighella? Brighella: cialde, cialde ancor fumanti, ma per te saran pesanti (tra sè) Ci scommetto che Arlecchino non ha il becco di un quattrino! Arlecchino: belle, invero!… (tra sè) Che disdetta rimaner sempre in bolletta! Brighella: Bella gente; cialde uguali, fan passare tutti i mali; e la spesa e ben meschina: cento lire una dozzina! E, su dodici, ecco qua: una in dono se ne avrà! Arlecchino: (tra sè) Una in dono? O intesi male? Che pensata originale! Brighella: Arlecchino, vuoi comprare? Vieni avanti, è un buon affare! Arlecchino: Dimmi ancor… dodici cialde… Brighella: cento lire… calde calde! Arlecchino: E una cialda… hai detto tu… Brighella: La regalo in sovrappiù! Arlecchino: (servendosi di una cialda ed allontanandosi in fretta) Allor senti, buon Brighella, per intanto prendo quella e, per le altre a pagamento, tornerò un altro momento! (mangia la cialda fra le risa del pubblico) Brighella: il furfante m’ha giocato… Ah, il citrullo che son stato!
Bugie
Brighella: avevo lasciato sul tavolo un bel pezzo di torrone. E’ sparito! Ehi, Arlecchino. Ma che guancia gonfia! Che ti succede? Arlecchino: un terribile mal di denti. Ahi! Ahi! Brighella: un momento fa stavi bene, però… Arlecchino: improvvisamente ho sentito un gran male e il dente si è gonfiato! Brighella: il dente? Vorrai dire la guancia Arlecchino: Sì, la guancia destra Brighella: ma non è la sinistra? A proposito: c’era qui un pezzo di torrone avvelenato per i topi… Arlecchino: Avvelenato? (sputa il torrone) Aiutooooo!
Scena 1 Una stanza in casa di Brighella. Sulle pareti di fondo la porta d’ingresso. La stanza è arredata con poche seggiole spagliate e un tavolino zoppicante. All’aprirsi del sipario, Brighella è in scena, seduto in terra, intento a rattopparsi le scarpe. Si ode bussare all’uscio.
Colombina: E’ permesso? (entra appoggiandosi ad un grosso ombrello) Brighella: (alzandosi) avanti, avanti. Che cosa comanda? Colombina: sta qui di casa un certo Arlecchino? Brighella: sì, abita qui; ma in questo momento non c’è Colombina: va bene, l’aspetterò. (si siede) Brighella: Madamigella, il mio amico Arlecchino è uscito per un affare di premura; non so quando tornerà. C’è il caso che rientri molto tardi Colombina: non importa. L’aspetterò lo stesso. (Si accomoda meglio sulla seggiola che scricchiola) Brighella: Se intanto vuole dire a me di che cosa si tratta… Colombina: Non vi prendete pena, brav’uomo. Quello che ho da dire, lo dirò al signor Arlecchino in persona quando si degnerà di tornare. Devo dirgli due paroline… (accompagna le ultime parole con un gesto minaccioso dell’ombrello).
Scena 2 Pulcinella: si può? (entra appoggiandosi ad un grosso bastone) Brighella: Avanti… oh, caro Pulcinella, qual buon vento ti porta? Pulcinella: (minaccioso) vento di bufera, caro Brighella Brighella: che dici? Non comprendo… Pulcinella: Mi capisco da me… C’è quella buona lana di Arlecchino? Brighella: Sì, non vedo l’ora di vederlo (alza l’ombrello in maniera minacciosa) Pulcinella: capisco. Ed io non vedo l’ora di suonarlo! (agita il grosso bastone)
Scena 3 (si odono per le scale i passi di Arlecchino che sale cantando) Arlecchino: Fior di mortadella! Voglio mangiare e bere un anno intero, in barba a Colombina e Pulcinella… (Colombina e Pulcinella balzano in piedi e si mettono ai lati della porta: appena Arlecchino entra, lo prendono a ombrellate e a bastonate cantando): Colombina e Pulcinella: Fior di imbroglione! Va’ a lavorar invece di rubare! E balla intanto al suono del bastone!
_________________ Commedia dell’arte – Castelli in aria
Rosaura: (la padrona) Colombina! Colombina! Colombina: (la cameriera) Eccomi, signoara, Che c’è? Rosaura: un cliente, un cliente di riguardo! Colombina: e com’è? Rosaura: com’è, com’è! Vai di là! Vallo a servire e lo vedrai. Ma spicciati e trattalo bene Colombina: volo! (esce) Rosaura: che cliente! Che vestiti! Colombina: (rientra esultante) Signora, signora! Mi ha ordinato anguilla al forno, vino di bottiglia… Rosaura: dici davvero? Ma questo è un gran cliente! Servilo subito, per carità Colombina: lasci fare a me, signora. Qui si diventa ricche! (esce di corsa) Rosaura: uno, due, tre, mille pasti. E dopo quello… Colombina: (rientrando) Ecco, è servito. M’ha detto grazie con un cenno del capo. Pareva un duca! Rosaura: sai che ti dico? Che se a quel cliente piacerà la nostra tavola, ritornerà Colombina: e porterà con sè gli amici Rosaura: duchi e marchesi Colombina: conti e baroni Rosaura: principesse, dame eleganti Colombina: vedremo splendere monili e anelli Rosaura: sarà la ricchezza. Trasformeremo la trattoria. Diventerà un albergo di prima classe Colombina: ed io sarò la direttrice della servitù Rosaura: le mie colleghe mi invidieranno. Ma non importa. Una splendida gondola mi porterà in sogno lungo la Riva degli Schiavoni Colombina: (affacciandosi alla porta di fondo) Signora! Rosaura: che c’è? Colombina: (coprendosi gli occhi con le mani) Il cliente! Ha mangiato tutto! Rosaura: beh, che c’è di male? Colombina: ha mangiato tutto e se n’è andato senza pagare! (Rosaura sviene)
Commedia dell’arte – Il grano d’oro
Atto 1 (Nella casa di Arlecchino; una stanza assai povera) Arlecchino: signor dottore, sto molto male Dottore: dove, figliolo mio, dove? Arlecchino: nelle tasche Colombina: ha il vizio di tenerle sempre vuote Dottore: vediamo… uhm! E’ un vuoto spaventoso! (esamina una tasca…). Ma che cos’è questo seme? Arlecchino: sarà un chicco di grano, o di miglio, avanzato da quelli che offro ai piccioni sulla piazza Dottore: (esamina il seme) Ma no, ma no… Questo è un grano d’oro… Granum auriferum… perbacco! Vale un tesoro! Arlecchino: Un tesoro? Davvero? Qua, qua… Dottore: Granum auriferum… rarissimo. Preziosissimo. Avete un vasetto? Un po’ di terra? Colombina: sì sì Dottore: pianterete questo grano, e in capo a sei mesi la pianta vi darà tanti pomi, tutti d’oro! Arlecchino: oh, pomidori! Dottore: dico che saranno pomi fatti d’oro. Però perchè la pianta dia il suo frutto, bisogna annaffiarla… Colombina: con l’acqua fresca? Arlecchino: con la malvasia? Dottore: no, col sudore della fronte. Tu poi, Colombina, ascoltami bene. (parla sottovoce a Colombina)
Atto 2 (la medesima stanza, che ha un aspetto meno misero. Sul davanzale della finestra c’è un vasetto con una piantina) Brighella: (entrando) C’è Arlecchino? Colombina: è a lavorare Brighella: anche oggi? Povero amico mio, è ammattito. Perduto. Spacciato. Colombina: voi siete un uomo perduto, che passate i giorni all’osteria e vorreste trascinare anche gli amici alla rovina! Brighella: badi come parla, signora Colombina, io sono un servo onorato Colombina: non vi dico nè sì nè no, ma sono contenta che Arlecchino non frequenti più la vostra compagnia. Ah! Eccolo che viene! Arlecchino: (entrando in furia) Lasciatemi passare, che il sudore si raffredda! Brighella: e per non raffreddarti vai sotto la finestra? Arlecchino: (curvo sul vasetto del davanzale) Devo provvedere all’innaffiatura del mio grano dorifero Brighella: grano? Dorifero? E con che cosa lo annaffi? Arlecchino: col sudore, caro, col sudore della fronte! Brighella: povero amico mio! E’ davvero ammattito! (esce di corsa)
Atto 3 (la stanza non ha più quell’aria di povertà che prima faceva male. Vi è qualche mobile nuovo, e le tendine candide fanno allegria) Arlecchino: eppure, comincio a credere che Brighella abbia ragione. Per questo grano indorifero io lavoro dalla mattina alla sera. Lustro le scarpe ai forestieri, spazzo le strade, porto lettere urgenti, scarico le tartane, spolvero le insegne delle botteghe, scaccio le mosche… tutti i mestieri. E lui? (guardando il vasetto sul davanzale). Il signor grano ha messo fuori un palmo di piantina, e ancora nemmeno un pomo Colombina: il dottore ha detto che ci vorranno sei mesi, caro Arlecchino Arlecchino: e proprio oggi scade il semestre Colombina: ma davvero? Arlecchino: verissimo, difatti ecco qui il dottore Dottore: buongiorno, amici Arlecchino: dottore, se è venuto per verdere il suo grano dorifero sta fresco! Per ora niente. Dottore: comincerò col visitare le tue tasche… Ehi! Andiamo molto meglio! Qui ci sono tre monete d’argento! Arlecchino: oh, a furia di sudare, ne è passato di denaro nelle mie mani! Colombina: è un bel gruzzolo, eccolo qui! (va al cassetto, ne trae un rotolo di monete e lo mostra) Arlecchino: possibile? Tutto questo denaro è nostro? Colombina: sicuro. Da quando non vai più all’osteria e lavori, io ho seguito con impegno i consigli del buon dottore. Cioè ho messo in serbo gran parte dei tuoi guadagni, mentre non ti ho fatto mancare nulla; e ho anche potuto pagare i debiti e abbellire un poco questa casa. Dottore: come vedi, il granum auriferum ha mantenuto la promessa. I suoi pomi sono nati nelle tue tasche. Arlecchino: Ho capito! Bellissima cura…
Il naso di Cirano
Cirano: Sbrigati! O rispondi! Perchè mi guardi il naso? seccatore: (sbigottito) io… Cirano: (andandogli addosso) perchè ti confondi? seccatore: (retrocedendo) vostra grazia s’inganna! Cirano: dimmi… è molle e cascante come la proboscide, forse, di un elefante? seccatore: io… non… Cirano: è adunco come il becco di una civetta? seccatore: io… Cirano: forse alla punta c’è qualche pustoletta? seccatore: ma… Cirano: qualche mosca forse vi passeggia o vi dorme? Che c’è di strano? seccatore: oh! Cirano: forse c’è un fenomeno straordinario? seccatore: ma di non porvi gli occhi mi ero fatto un dovere! Cirano: e perchè non guardarlo, se è lecito sapere? seccatore: io… Cirano: vi disgusta, dunque? seccatore: signore… Cirano: il suo colore vi fa pena? seccatore: signore… Cirano: vi par di forma orrenda? seccatore: ma niente affatto! Cirano: e allora, perchè fate quel muso? Lo trovate forse un po’ troppo diffuso? seccatore: ma io lo trovo invece piccolo, impercettibile… Cirano: Come! Mi accusate di una cosa così ridicola? Possibile? Piccolo il naso mio? seccatore: cielo! Cirano: enorme il mio naso? Vilissimo camuso, siate ben persuaso che di quest’appendice mi glorio e mi delizio; capita che un gran naso sia il vero e proprio indizio di un uomo buono, affabile, cortese, liberale, di coraggio e di spirito, quale io sono e quale non vi sarà mai lecito di credervi, marrano! Perchè l’ingloriosa faccia che la mia mano si degna di cercare sul vostro collo è priva… (lo schiaffeggia) seccatore: ahi! ahimè! Cirano: … di fierezza, di slancio, d’inventiva, di lirismo, di genio, di grandezza morale, di naso insomma. Come quella… (lo rivolge per le spalle, aggiungendo il gesto alla parola) … che il mio stivale viene a cercarvi sotto le terga! seccatore: (fuggendo) aiuto! Cirano: avverto, a chi trovi faceto il centro del mio viso! E se il burlone è nobile, a punirlo provvede, davanti, e un più in alto, la spada e non il piede!
(E. Rostand-Cirano di Bergerac)
Il seccatore
Pantalone sta leggendo un libro. Bussano alla porta d’ingresso e Arlecchino va ad aprire; poi, con sgambetti e piroette, farà da spola tra il visitatore e il padrone. Cavaliere di Ripafratta: vorrei parlare col tuo padrone, è in casa? Arlecchino: non lo so Cavaliere di Ripafratta: e allora fammi il favore di andare a vedere Arlecchino: non occorre, adesso glielo domando. (A Pantalone) Padrone, c’è di là un tale che vorrebbe parlare con lei, che cosa gli dico? Pantalone: Auff! Non si può stare un momento tranquilli. Digli che non ci sono. Arlecchino: Sta bene. (al cavaliere)Il mio illustrissimo signor padrone, Pantalone dei Bisognosi, in casa non c’è. Cavaliere di Ripafratta: ne sei certo? Arlecchino: Certissimo. Me l’ha detto lui. Cavaliere di Ripafratta: ebbene, io sono il Cavaliere di Ripafratta. Digli che devo assolutamente parlargli. Si tratta di un affare che urge e che non può essere rimandato. Arlecchino: glielo dico subito! (A Pantalone) Quel tale dice di essere il Cavaliere di Ripafritta e che si tratta di un affare che urge Pantalone: quel tale è un seccatore! Gliel’hai detto che non sono in casa? Arlecchino: gliel’ho detto, ma vuol parlare lo stesso Pantalone: digli che non posso riceverlo, che sto poco bene, che sono a letto ammalato. Arlecchino: Signorsì. (al cavaliere) Eccellenza, il mio padrone non può riceverla perchè sta poco bene. E’ a letto ammalato. Cavaliere di Ripafratta: oh, mi dispiace. Ma sono capitato a proposito. Ho studiato medicina e mi basterebbe tastargli un momentino il polso, per sapere di che malattia è affetto. Va’ a dirglielo. Arlecchino: Vado. (a Pantalone) Il Cavaliere ha fatto un grande discorso. Pantalone: insomma, non vuol andarsene? Arlecchino: no, non vuol andarsene. Ma gli basterebbe tastarle il polso. Pantalone: vorrebbe tastarmi il polso? Digli che ho una malattia contagiosa. Digli che ho gli orecchioni e se mi viene vicino se li prende anche lui. Vai, corri. Arlecchino: corro con tutte le mie gambe. (al cavaliere) Il mio padrone ha le orecchie asinine e se uno lo tocca diventa un asino anche lui Cavaliere di Ripafratta: niente paura! E’ una malattia che ho avuto anch’io da bambino e chi l’ha avuta una volta non la prende più. Ma digli che, per fortuna, ho con me una pomata prodigiosa e se mi permette di spalmargliela, guarisce all’istante. Arlecchino: E’ una vera fortuna! (a Pantalone) Dice che ha una marmellata speciale da mettere sulle orecchie Pantalone: questa è una vera persecuzione! Io voglio essere lasciato in pace. Digli che sono moribondo e sto dettando il testamento Arlecchino: è una buona idea. (al cavaliere) Il mio padrone è occupatissimo a fare il testamento e deve farlo in fretta perchè sta per morire Cavaliere di Ripafratta: il questo caso potrei essergli utile come testimone e metter la firma sul documento. Va’ subito a dirglielo Arlecchino: (a Pantalone) dice che potrebbe far da compare Pantalone: digli che sono morto Arlecchino: (al cavaliere) il mio padrone è morto Cavaliere di Ripafratta: sono veramente addolorato. Vengo a recitare una preghiera per lui. (Passa imperterrito davanti all’esterrefatto Arlecchino)
Commedia dell’arte – Fabrizio e Succianespole (Arlecchino)
Fabrizio:Ehi Succianespole! Succianespole: Signore… Fabrizio: E’ acceso il fuoco? Succianespole: gnor no Fabrizio: come stiamo in cucina? Succianespole: Bene Fabrizio: perchè non è ancora acceso il fuoco? Succianespole: perchè non c’è legna Fabrizio: non mi star a far lo scimunito, chè oggi ho da dar pranzo a un’eccellenza Succianespole: ci ho gusto Fabrizio: Succianespole, che cosa daremo a pranzo a sua eccellenza? Succianespole: tutto quello che comanda vostra eccellenza Fabrizio: quante volte mi faresti arrabbiare con questa tua flemmaccia maledetta! Succianespole: io sono lesto Fabrizio: lo sai fare il pasticcio di maccheroni? Succianespole: gnor sì Fabrizio: un fricandò alla francese? Succianespole: gnor sì Fabrizio: una zuppa con l’erbucce? Succianespole: gnor sì Fabrizio: con le polpettine? Succianespole: gnor sì Fabrizio: e coi fegatelli arrostiti? Succianespole: gnor sì Fabrizio: hai denari da spendere? Succianespole: gnor no Fabrizio: ti ho pur dato uno zecchino! Succianespole: quanti giorni or sono? Fabrizio: lo hai già speso? Succianespole: gnor sì Fabrizio: e il tuo salario che ti ho dato, l’hai speso? Succianespole: gnor sì Fabrizio: e non hai più un quattrino? Succianespole: gnor no Fabrizio: maledetto sia il gnor sì e il gnor no. Si sente altro da te che gnor sì e gnor no? Succianespole: insegnatemi che cosa ho da dire Fabrizio: bisogna pensare a trovar denari Succianespole: gnor sì Fabrizio: quante posate ci sono? Succianespole: sei, mi pare Fabrizio: sì, erano dodici, se le ho impegnate restano sei. Siamo in quattro, impegniamone due. Succianespole: gnor sì Fabrizio: vai al Monte e spicciati Succianespole: gnor sì Fabrizio: non mi fare aspettare due ore Succianespole:gnor no Fabrizio: andremo a spendere quando torni Succianespole: gnor sì Fabrizio: c’è vino? Succianespole: gnor no Fabrizio: c’è pane? Succianespole: gnor no Fabrizio: gnor sì, che tu sia bastonato Succianespole: gnor no…
(Carlo Goldoni)
__________________ A Carnevale ogni scherzo vale
Brighella: (solo, parla fra sè) Non so che cosa darei per potermi pappare una di quelle scatole di cioccolatini che al solo vederle in vetrina ti fan scendere giù per la gola una certa acquolina… Arlecchino: (che giunge in quel momento) Ciao, Brighella. Ho piacere di incontrarti. Può darsi che tu mi possa aiutare. Senti, ho assoluto bisogno di duecento lire che mi servono subito. So che tu sai trovare il modo di farle saltare fuori. E non lo farai gratuitamente, s’intende. Guarda qui: una scatola di cioccolatini che mi è stata regalata due giorni fa per il mio compleanno. E’ tua, se mi dai duecento lire. Eh, che ne dici? Brighella: (che fa gli occhi lucidi nel vedere l’oggetto dei suoi sogni) Perdinci, Arlecchino, che bella scatola! Cioè, no, non è poi tanto bella… e duecento lire sono duecento lire… Arlecchino: ehi, ma dico? Non lo sai che una scatola simile la pagheresti duemila lire in un negozio come si deve? E tu fai il tirchio per duecento… bene… bene… o prendere o lasciare. Decidi. Brighella: per avere duecento lire, io le avrei. Me le ha regalate mio zio proprio ieri per un servizio che gli ho reso. Ma dartele proprio tutte… non potresti accontentarti di 150? Arlecchino: sei matto? O 200 o non se ne fa niente. Per l’ultima volta: accetti o non accetti? Brighella: (che non resiste alla dolce tentazione) E va bene, eccoti le 200 lire. Arlecchino: ed eccoti la scatola. (consegna la scatola e poi se ne va di gran corsa) Brighella: (senza metter troppo tempo in mezzo rompe la carta che avvolge la scatola, rompe la scatola stessa, e ahimè! Che cosa trova? Gusci di castagne, di noci e di nocciole) Aiuto! Al ladro! Gente, venite! Mi hanno rubato 200 lire! E’ stato Arlecchino! Pigliatelo! Un ragazzo: (fra il gruppo di alcuni che si sono avvicinati alle sue grida) Ehi, Brighella! Cosa dici? Come è andata? Come ha fatto Arlecchino a rubarti 200 lire? Brighella: Non è in verità che me le abbia proprio rubate. Ma io gliele ho date in cambio di una scatola di cioccolatini. Ed ecco invece che cosa ho trovato! (mostra le bucce) Ragazzo: Ah, ah, furbo Arlecchino! Più furbo di te che credi di esserlo tanto. Non sai che siamo a Carnevale? E che a Carnevale ogni scherzo vale? Smettila di fare quella faccia e fatti furbo, un’altra volta!
Commedia dell’arte – Arlecchino e l’oste
Arlecchino, a cavallo del suo asino, viaggia da qualche ora lungo una strada di campagna. Ha in tasca soltanto dieci soldi ed è affamato. Trova finalmente un’osteria e vi entra… Oste: cosa volete? Arlecchino: Tre soldi di minestra, tre di pane, tre di salame e tre di vino (L’oste gli mette in tavola quanto ha ordinato) Arlecchino: (dopo aver mangiato) se ho più fame di prima, devo pagare lo stesso il conto? Oste: ciò che si mangia si paga, poco o tanto che sia Arlecchino: giusto. Quanto devo pagare? Oste: dodici soldi in tutto Arlecchino: Ohibò, qui c’è un imbroglio. Oste: come sarebbe a dire? Arlecchino: il conto è presto fatto: tre di minestra, tre di pane e tre di salamino. Nove in tutto. Oste: e il vino? Arlecchino: ah, dico bene. Tre di pane, tre di minestra e tre di vino. (L’oste comincia a perdere la pazienza e.. continuando a tenere alzate tre dita della mano destra, ripete sottovoce: “Tre di minestra, tre di pane…”. Arlecchino posa sul tavolo nove soldi e si allontana col ciuco, lasciando l’oste immerso nei suoi calcoli Arlecchino: (parlando all’asino) Vecchio mio, allegria! M’è rimasto un soldo per comprarti un po’ di biada! Oste: (nella bettola, facendosi portavoce con la mano) E il salamino? Arlecchino: (gridando da lontano) Se lo incontra me lo saluti tanto!
Commedia dell’arte – Dialogo di Arlecchino e Pantalone
Arlecchino: oh, come sono stanco! Non ho proprio voglia di far nulla! Pantalone: Arlecchino! Arlecchino: Uh, è già qui! Un’idea! Mi fingerò sordo e così non lavorerò Pantalone: Arlecchino Arlecchino, va’ subito a prendermi la medicina! Arlecchino: Come? Devo andare in cucina? Pantalone: Ma che cucina! La medicina ho detto. Corri a prenderla in farmacia! Arlecchino: quale Lucia? Non ne conosco io di Lucia! Pantalone: ma cosa dici, Lucia! Sei diventato matto? Arlecchino: il gatto? Queste è bella! Pantalone: Mattooo! Arlecchino: No, mi son venuti gli orecchioni e sono diventato sordo… Pantalone: che cosa? Arlecchino: no, non la rosa! Sordo! Pantalone: sei diventato sordo? Ora prenderò il bastone e ti farò guarire! Arlecchino: no, no! Aiuto! Vado subito in farmacia!
___________________ Commedia dell’arte – Pulcinella e le frittelle
Rosaura: Pulcinella! Pulcinella: ai suoi ordini, signora Rosaura: ascoltami bene. Ora verrà Colombina. Mentre io parlerò con lei, tu sorveglierai le frittelle perchè non brucino Pulcinella: (facendo un inchino) Ma con piacere, signora. (Suona il campanello) Rosaura: Ecco la mia cara Colombina! Va’ va’ Pulcinella! (Questi fa un altro inchino ed esce. Entra Colombina) Colombina: Rosaura mia, come sei bella! Che abiti splendidi! Rosaura: anche tu Colombina sembri una regina Colombina: non facciamoci troppi complimenti, amica mia. Andiamo piuttosto sul balcone per vedere le mascherine… (si ode un urlo di Pulcinella che arriva in scena tenendosi una mano sulla bocca) Colombina e Rosaura: Che cosa hai fatto, Pulcinella? Pulcinella: (continua a tenersi una mano sulla bocca e gira intorno, mugolando) Rosaura: vuoi dire che cosa hai fatto? Pulcinella: (parlando male) Sorvegliavo le frittelle e mi… mi… mi sono scottato la lingua Colombina: Come? Pulcinella: mi sono scottato la lingua. Rosaura: Ah, briccone! Tu mangiavi le frittelle, altro che storie! Via di qua, prima che ti bastoni! (Pulcinella scappa gesticolando) Colombina: Perdonalo, Rosaura Rosaura: sì, lo perdonerò, tanto si è già punito da solo.
Il bugiardo sbugiardato
Arlecchino: ciao Brighella Brighella: ciao Arlecchino, che fai da queste parti? E come sei vestito bene! Arlecchino: la fortuna, caro mio, sono un signore Brighella: vedo… che ti è capitato? Arlecchino: viaggio in incognito Brighella: che nome ti sei preso? Arlecchino: Conte dei Talleri Brighella: Uhm… bello. E che fai? Arlecchino: nulla. Sono ricco. Brighella: beato te…ora vado, ho fretta. Arlecchino: sempre a piedi, eh Brighella? Io invece, carrozze e cavalli. Brighella: come mai sei solo e a piedi? Arlecchino: ehm… aspetto. Così, per mio piacere e diletto Brighella: Arlecchino, oh, mi scusi. Signor Conte dei Talleri…si ricordi di me, del povero Brighella Arlecchino: non dubitare Pantalone: (di dentro) Arlecchino! Arlecchino! Ma dove si è cacciato quel servitore fannullone? Arlecchino: Santo cielo, il mio padrone… Brighella: ma come? Non sei qui per piacere? Arlecchino: povero me. Bisogna che vada subito. Per forza! Addio, Brighella… Brighella: addio signor bugiardo,conte dei Talleri!
_____________________ Commedia dell’arte – I due fannulloni
Narratore: Arlecchino e Pulcinella sono a letto. Fa molto freddo e un colpo di vento a un tratto spalanca la porta… Arlecchino: per favore, chiudi la porta Pulcinella: Già… è un favore che volevo chiederti io Arlecchino: ma io mi sento male. Devo avere la polmonite Pulcinella: mi alzerei subito, ma ho un gran mal di testa, quattordici geloni e l’appendicite Narratore: il vento soffia alla porta: uh! Uh! Arlecchino e Pulcinella ficcano il capo sotto le coperte. Intanto entra il Dottor Balanzone Balanzone: perbacco! Mai visto gente che dorme con la porta aperta con questo freddo. Ma i padroni dove sono? Arlecchino e Pulcinella: siamo qui sotto. Balanzone: perchè non avete chiuso la porta? Arlecchino: io ho la polmonite Pulcinella: e io l’appendicite Balanzone: bene bene, sono arrivato al momento buono… Prendo i ferri e in quattro e quattr’otto… Arlecchino: i ferri? Aiuto! Pulcinella: i ferri? Aiuto! Narratore: e i due fannulloni saltano dal letto e scappano a gambe levate…
Discussione aritmetica
Arlecchino: prima di tutto pensiamo a mangiare, sacco vuoto non sta ritto Pulcinella: pensiamo a mangiare e a bere, a bere e a mangiare Colombina: mettetevi a sedere e vi servo subito: quanti siete? Gianduia: io uno, Arlecchino due, Pulcinella tre, Pantalone quattro, Stenterello cinque, Meo Patacca sei, e io sette. Siamo sette, sette precisi. Meo Patacca: e invece siamo cinque: Stenterello, Pantalone, Pulcinella, Arlecchino e tu. Dico cinque, e se non ci credi ho qui il mio bastone che conta meglio di tutti Gianduia: e allora se siamo cinque due di noi restano senza mangiare Stenterello: io sarò uno dei due, perchè non ho quattrini Pantalone: che importa se non hai quattrini? Non sai che pago sempre io? Ma Colombina, com’è questa faccenda? Hai portato cinque porzioni e io sono rimasto senza… eppure mi avevano contato! Meo Patacca: Vuol dire che a tavola c’è qualcuno che prima non c’era Gianduia: dicevo bene! Eravamo sette, e pagherei per sapere chi è lo stupido che se ne è andato.
Commedia dell’arte – Meglio tardi
(una camera da letto) Scena I Silvestro: chi bussa? Dottore: sono io, il dottore Silvestro: entrate Dottore: m’hanno detto che state male e son venuto a trovarvi Silvestro: roba da poco, dottore, un po’ di tosse Dottore: vediamo… (gli poggia l’orecchio sul petto) …sè, tosse e un po’ di bronchite. Un male di stagione Silvestro: di stagione o no, se non c’era stavo meglio e potevo curare i miei affari Dottore: oh, quelli possono anche aspettare Silvestro: lo dite voi! Con l’aria che tira in paese. Questi assassini non si decidono mai a rendermi i miei soldi. A farseli prestare sono tutti buoni. Ma a renderli, ti voglio! Dottore: pagheranno, pagheranno, state sicuro. Intanto prendete queste goccioline prima dei pasti. Faranno miracoli, vedrete. Ora debbo andare. Silvestro: speriamo bene. Arrivederci, dottore.
Scena II Silvestro: chi bussa? Fedele: Sono Fedele, il vostro amico fedele Silvestro: vieni, vieni Fedele: ho qui con me i soldi che vi devo. Ma vorrei riavere quella ricevuta che vi firmai. Silvestro: non ti fidi? Amico fedele davvero! Fedele: già… insomma, sapete, da un momento all’altro potreste morire e io non voglio pagare due volte Silvestro:cosa, cosa, cosa? Io, morire? Ti piacerebbe, eh… Piacerebbe a tutti voi! Fedele: ma che dite? Io voglio solo la mia ricevuta Silvestro: (tira fuori da sotto il materasso una borsetta di pelle e con fare misterioso tira fuori un fogliettino) Tieni, Fedele amico fedele. Tieni, ma non farti più vedere, fila
Scena III Silvestro: chi bussa? Michele: sono Michele Silvestro: non conosco Micheli, io Michele: come? Sono Michele, il becchino Silvestro: cosa? Michele: ho saputo che stai male e allora sono venuto a prendere certe misure… Silvestro: rendimi i miei soldi piuttosto Michele: e se poi morite? Silvestro:via di qua. Cani, cani. (grida, ma la tosse lo interrompe)
Scena IV Silvestro: il dottore, o il becchino… anche l’amico non si fida più. Ma perchè? Cos’ho fatto, che mi lasciano qui solo, come un povero lebbroso. Eppure sono nato anch’io in questo paese. E li conosco tutti meglio di chiunque altro. Se mi volessero un po’ di bene, chi sa quanti sarebbero venuti a tenermi compagnia. Si giocherebbe un po’ a carte… Non si parlerebbe d’affari… Povero Silvestro! (Mentre sta con la borsetta delle ricevute fra le mani, bussano alla porta)
Scena V Silvestro: chi bussa? Don Luigi: Sono don Luigi, il parroco Silvestro: venite proprio a proposito. Prima il dottore, poi il becchino e ora il prete. Don Luigi: Perchè dite così, signor Silvestro? Io non sapevo che eravate malato. Son passato di qui e mi son ricordato che non ci vediamo da un pezzo, noi due, e intanto in paese la gente mormora sempre di più contro di voi Silvestro: ma cosa vogliono, infine! Don Luigi: Vogliono che vi comportiate più da cristiano! Ecco cosa vogliono. E poi, detto fra noi, cosa volete farne dei vostri soldi? Prima o poi dovrete lasciarli. Se sapeste quanti poveri vi bacerebbero le mani se… Non avreste più paura del dottore, del becchino e del prete. Pensateci signor Silvestro, non è ma tardi per cominciare a fare il bene Silvestro: ma non vedete che nessuno si cura di me. Mi lasciano solo qui, come un cane arrabbiato Don Luigi: Volete scommettere che domani avrete la casa piena di gente? Datemi le vostre ricevutine… Silvestro: (con voce commossa) Tenete, tenete, e pigliate anche quei soldi là nel cassetto del tavolo. Dateli a chi vi pare. Voi sapete più di me e farete meglio. Ma vi prego, non mi abbandonate più. E ditelo, ditelo ai miei compaesani. Silvestro vuol bene a tutti, capito? Anche ai debitori che non pagheranno più!
(U. Grimani)
____________________________ Commedia dell’arte – Le lettere per la mamma
Pantalone: (solo) Arlecchino! Arlecchinooo! Arlecchino: (entra) Eccomi, illustrissimo signor padrone Pantalone: me lo sai dire perchè quando ti si chiama non rispondi subito? Me lo sai dire? Arlecchino: signornò, illustrissimo padrone, non lo so Pantalone: non ho mai visto un servitore infingardo come te. Ora ascoltami bene. Mi ascolti? Arlecchino: Signorsì, illustrissimo signor padrone. Pantalone: ho fatto un po’ di ordine nei cassetti della mia scrivania. Tu adesso prendi quella cartaccia e la butti nelle immondizie. Hai capito? Arlecchino: signorsì, ho capito. Devo buttare via tutta quella cartaccia. Ma proprio tutta? Pantalone: Sì, tutta. E’ roba che non serve più: vecchi giornali, vecchi conti del lattaio, vecchie lettere Arlecchino: anche le lettere devo buttar via? Pantalone: certamente, anche le lettere Arlecchino: signor padrone, queste lettere… Pantalone: ebbene? Arlecchino: potrei… Pantalone: che cosa? Arlecchino: queste lettere potrei tenermele io? Pantalone: vuoi tenerle tu? E cosa vuoi farne? Arlecchino: è una storia un po’ lunga. Quando io partii da Bergamo… Lei sa che io sono di Bergamo? Pantalone: Lo so, continua Arlecchino: dunque, quando io partii da Bergamo, la mamma era molto triste. Mi disse: “Arlecchino mi raccomando, mandami ogni tanto una lettera”… Pantalone: e tu gliel’hai mandata? Arlecchino: No Pantalone: e perchè? Arlecchino: perchè io non so scrivere e penso che adesso potrei forse mandarle una di queste, ogni tanto…
Commedia dell’arte – In piazza
Pulcinella: Dove vai, amico Arlecchino? Arlecchino: Il mio padrone mi ha detto di comperargli due chili di orecchiandoli ben tirati Pulcinella: Quand’è così, eccoti servito! (gli tira più volte le orecchie) Arlecchino: Ahi! Ahi! Mi hai fatto male! Pulcinella: (ridendo) Sono questi gli orecchiandoli ben tirati! Arlecchino: (piagnucolando) Un’altra volta ci faccio andare il padrone a comprarli. Pulcinella: Bravo. Ora sentiamo Brighella, che intenzione ha. Ehi, Brighella, non saluti neppure? Brighella: (capo chino, come se cercasse qualcosa per terra) Mi è accaduta una grave disgrazia. Ho perduto una moneta d’oro.
Dettati ortografici CARNEVALE – Una collezione di dettati ortografici sul Carnevale, di autori vari, per la scuola primaria.
Benvenute, mascherine di Carnevale! Quando arrivate voi, mettete il sorriso sulle labbra di tutti. Siete allegre nei vostri costumi variopinti e scherzate sempre. Ecco Pulcinella col suo camiciotto bianco e il grosso naso nero, ecco Arlecchino col suo vestito multicolore, ecco Rosaura e Colombina, graziose e smorfiose. Ogni paese ha la sua maschera, tutte allegre, con una gran voglia di fare scherzi e di divertirsi.
Quando le mascherine, una volta all’anno, vengono fuori, ne combinano di tutti i colori. Ecco Pantalone, veneziano, con la sua barbetta a punta. Arlecchino nel suo vestito a toppe di tutti i colori, minaccia, col suo bastone, di dar botte a tutti. Balanzone, dottore di Bologna, di dà molta importanza, ma nessuno si cura di lui e dei suoi purganti. Tutte le maschere sono allegre, festose, e la gente le vede volentieri.
Quando Carnevale dà la libertà alle maschere, è una festa dappertutto. La gente si diverte a tirare coriandoli e stelle filanti che si attaccano ai rami degli alberi e vanno da un balcone all’altro. I passeri si fermano a guardare, incuriositi, e non sanno che cosa accade. E’ Carnevale, passerotti, l’epoca in cui gli uomini fanno festa, mentre per voi, uccellini spensierati, è Carnevale tutto l’anno!
Il Carnevale è un periodo di allegria tra il Natale e la Quaresima; praticamente ha inizio il giorno di Sant’Antonio abate, il 17 gennaio, ma generalmente la festa si limita agli ultimi tre giorni e in particolare al cosiddetto “martedì grasso”. Nelle chiese di rito ambrosiano il Carnevale termina con la prima domenica di quaresima.
Tutti si riversano nelle strade e nelle piazze ad ammirare le maschere. Durante gli ultimi due giorni si vedono le strade affollate di maschere vestite nelle fogge più strane. Per le maschere tutto serve; si vuotano i canterani e si sciorinano gli indumenti delle bisnonne, le divise militari. E poi barbe, nasi, pance e gobbe fuor di squadra. (U. Vaglia)
Ecco i grandi carri mascherati! Ecco i pupazzi giganteschi che tentennano la testa e spalancano la bocca enorme! E’ carnevale che passa per le strade. Guardatelo: è vestito di cento colori, ha manciate di coriandoli sui capelli, ride come un matto e si diverte a prendere in giro la gente. Ma non è cattivo: non vuole che si facciano scherzi pericolosi. (M. Mortillaro)
Sin dall’antichità, i popoli istituivano varie feste di tripudio con riti festosi e travestimenti. Nel Medioevo risorsero le antiche tradizioni e in Italia fu famoso il carnevale di Venezia a cui partecipavano il doge, la Signoria, il Senato e gli Ambasciatori. L’antica usanza delle maschere, che ha origine antichissima, raggiunse il massimo splendore in Italia, nelle principali città. Infatti quasi tutte le regioni hanno la loro maschera caratteristica.
In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua.
Per Carnevale si usano alcuni dolci caratteristici: le castagnole, gli struffoli, le ciambelle, la cicerchiata, le chiacchiere e i crostoli: nomi particolari di ogni regione che ha i suoi usi e le sue ghiottonerie.
Non tutti sono d’accordo sull’origine del nome “Carnevale”. Secondo alcuni esso deriva dal primo giorno di quaresima in cui s’inizia il digiuno e l’astinenza e significherebbe “togliere la carne”. Secondo altri, siccome in latino “vale” significa “addio”, Carnevale significherebbe “addio alla carne”. Il periodo carnevalesco era, in origine, compreso tra il Natale e la Quaresima. In seguito si iniziò il giorno seguente l’Epifania per terminare il giorno delle Ceneri. Oggi il Carnevale ha inizio comunemente il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio abate, e finisce il giorno che precede le Ceneri.
Il carnevale le chiamò e le maschere accorsero. Uscivano una volta all’anno, ma quando uscivano, che baldoria! Il più allegro era Arlecchino, col suo vestito di tanti colori e la sua mascherina nera. Aveva sempre voglia di bisticciarsi, ma allegramente, s’intende. Il suo fido amico era Pulcinella, vestito di bianco, con un nasone che faceva venire allegria.
Dopo trentun giorni di cammino, anche gennaio, sentendosi morire, chiamò forte: “Febbraio! Febbraio! Piccolo fratello, tocca a te!”. Ed ecco che, con tintinnii di sonaglietti, colpi di grancassa e scrosci di risa, spuntò febbraio, il più sbarazzino e il più piccolo dei dodici fratelli. Si trascinò dietro il Carnevale con cortei di maschere e mascherine. Intanto la coltre di neve che copriva la terra aveva di già qualche strappo, perchè febbraio, capriccioso, lasciava che il sole giocasse a rimpiattino con le nubi. La terra si vestiva di puntine verdi e offriva i primi fiori di mandorlo e le prime viole. (G. Nuccio)
Febbraio è anche il mese delle allegre gazzarre, delle maschere, delle frittelle. Che bel tripudio di carri mascherati per le strade e per le piazze! Arlecchino, Pulcinella, fanno a gara a chi grida di più. Dalle finestre piovono i coriandoli: verdi, gialli, rossi, violetti e le stelle filanti corrono da balcone a balcone, girano attorno ai fili elettrici, si aggrovigliavano in matasse e ricadono in bizzarri festoni. (Palazzi)
I ragazzi si misero i nasi finti, maschere di cartone da pochi soldi, e cominciarono ad andare su e giù facendo schiamazzo con i dischi di terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come maschere. La brigata infastidì parenti e amici, con i suoi coriandoli. Alla fine, dopo essere saliti nelle proprie case, i bimbi gettarono un ponte di stelle filanti da finestra a finestra, attraverso la strada. Ma la notte piovve, e il ponte crollò. (V. Pratolini)
Pulcinella giaceva sul letto. Era malato. Da una parte stava il notaio, che scriveva il testamento; dall’altra i parenti, che piangevano in silenzio. Pulcinella diceva: “A Carminella lascio la roba della casa e gli oggetti d’oro…”. Carminella, a quelle parole, rispondeva con un singhiozzo. “A Gennaro, a Mariuzza lascio…”. “Dov’è tutta questa roba che tu lasci, o Pulcinella?”. “Dov’è?” rispose il malato, “io la lascio, sta a loro cercarsela!” (I. Drago)
Una delle stelle filanti che dondola dalla ringhiera di un balcone, un pugno di coriandoli che il vento ha spinto nel rigagnolo, l’eco degli schiamazzi di un’allegra brigata che poco fa è scomparsa dietro l’angolo di una casa… e nella livida alba di febbraio, in questo scenario di “festa finita” ecco presentarsi, quasi irreale, la figura dello spazzino. Intanto, una finestra illuminata all’ultimo piano del caseggiato, si spegne, mentre un’altra, al primo piano, si accende. C’è chi si corica dopo una nottata di baldoria, chi si alza per mettersi a lavorare. (B. Mercatali)
Carnevale è passato. E dei giochi buffi, delle burle, dei carri mascherati, degli sberleffi e delle matte risate di questa favola che si ripete ogni anno, non rimane che poca carta colorata sospinta dalla scopa dello spazzino. Una trombetta di cartapesta, infiocchettata di striscioline di carta rossa, prende a rotolare adagio verso una pozzanghera. Lo spazzino la raggiunge e la prende. Poi, sorridendo, se la porta alle labbra. Ma il suono che ne esce è breve e stonato, sgradevole; e allora l’ometto scaraventa il giocattolo nel resto della spazzatura. (B. Mercatali)
Giorno di carnevale In piazza San Carlo, tutta decorata di festoni gialli, rossi e bianchi, s’accavallava una grande moltitudine; giravan maschere d’ogni colore; passavano carri dorati e imbandierati, della forma di padiglioni, di teatrini e di barche, pieni d’Arlecchini e di guerrieri, di cuochi, di marinai e di pastorelle; era una confusione da non saper dove guardare; un frastuono di trombette, di corni e di piatti turchi che laceravano le orecchie; e le maschere dei carri trincavano e cantavano, apostrofando la gente a piedi e la gente alle finestre, che rispondevano a squarciagola, e si tiravano a furia arance e confetti: e al di sopra delle carrozze e della calca, fin dove arrivava l’occhio, si vedevano sventolare bandierine, scintillar caschi, tremolare pennacchi, agitarsi festoni di cartapesta, gigantesche cuffie, tube enormi, armi stravaganti, tamburelli, crotali, berrettini rossi e bottiglie: pareva tutti pazzi. (De Amicis, Cuore)
Il carro Andava dinanzi a noi un carro magnifico, tirato da quattro cavalli coperti di gualdrappe ricamate d’oro, e tutto inghirlandato di rose finte, sul quale c’erano quattordici o quindici signori, mascherati da gentiluomini della corte di Francia, tutti luccicanti di seta, col parruccone bianco, un cappello piumato sotto il braccio e lo spadino, e un arruffo di nastri e di trine sul petto; bellissimi. Cantavano tutti insieme una canzonetta francese, e gettavan dolci alla gente, e la gente batteva le mani e gridava. (De Amicis, Cuore)
Platero e il carnevale. Com’è bello, oggi Platero! E’ il lunedì grasso, e i bambini che si sono vestiti chiassosamente da pagliacci e da guappi, gli han messo la bordatura moresca, tutta ricamata di rosso, verde, bianco e giallo in ricercati e complessi arabeschi. Acqua, sole e freddo. I coriandoli di carta vanno rotolando parallelamente sul marciapiede sotto la sferza del vento… Quando siamo arrivati in piazza han preso in mezzo Platero in un cerchio tumultuante, e poi, tenendosi per mano, hanno cominciato a girare allegramente intorno a lui. Tutta la piazza non è più che un concerto allusivo di ottone giallo, di ragli, di risate, di canzoni, di tamburelli e di mortai. (J. R. Jimenez, da Platero y yo)
Il giorno delle frittelle Quando le donne fanno le frittelle, non è detto che stiano sempre in cucina. Qualche volta escono di casa, corrono a più non posso, e sempre correndo, girano le frittelle nella padella. Questo succede ogni anno, il martedì grasso, a Olney in Inghilterra. Le donne si allineano nella piazza del paese, tutte hanno con sè una padella con dentro una frittella calda, e devono voltare la frittella almeno tre volte prima di giungere alla porta della chiesa, all’altra estremità della piazza. Pronte…via! Le frittelle saltano, i piedi volano. Una donna vestita di blu è quasi arrivata alla chiesa, sta per voltare la frittella per la terza volta e… sì! Ce l’ha fatta! Ha vinto! Ora riceve il premio: un bacio dal campanaro. E la frittella? La mangia il campanaro, ma se glielo chiedi, può darsi che te ne dia un pezzetto.
L’aria si rincrudì e comiciò a venir giù un brutto piovigginio con qualche farfalluccia di neve. Ma erano gli ultimi giorni di carnevale, e al brutto tempo chi ci badava? In quasi tutte le osterie si ballava a più non posso. Non passava notte, senza che fossimo destati da baccani, cantate, liti giù in strada. Qualche mascheraccia bislacca compariva di tanto in tanto, con un codazzo di marmocchi dietro. Si sentiva, attraverso l’aria fosca, un odore di gran baldoria, che dava alla testa. (F. Chiesa)
Sera di carnevale Certe sere di carnevale vi accorgete che è Carnevale perchè, nel rincasare, pensando ai casi vostri incontrate a ogni passo sparati bianchi, code di vestiti dorati su scarpini metallici… …che gesta, ora, che allegria e che splendore nella casa, poc’anzi silenziosa e triste! Una piccola regina sta nascendo a poco a poco dall’ammasso dei veli e dei nastri, mentre un principe un po’ scapestrato lotta col bottoncino del colletto che non vuole entrare nell’asola. Chi pensa più alla miseria di tutti i giorni? Chi ha voglia di cenare? Le patate, abbandonate e neglette, giacciono in fondo a un oscuro tegame, in cucina. (A. Campanile)
Il carnevale Non c’è ormai alcun dubbio, in base agli studi di eminenti glottologi, che Carnevale deriva da carnem levare, e prove sicure di questa etimologia ci vengono anche dal termine siciliano carnilivari e da quello spagnolo carnestoltes. Carnevale, all’origine, indicava il giorno da cui sarebbe coniciato il periodo della quaresima, durante la quale non si sarebbe più mangiata carne, perchè dedicato a penitenza e digiuni. Prima che tale periodo di privazioni incominciasse bisognava approfittarne per fare baldoria. La vita moderna, offrendo ormai durante il corso dell’anno divertimenti e spettacoli, ha attenuato di molto i motivi di interesse per il carnevale che un tempo si presentava come l’unica, intensa stagione di godimento. Tuttavia, questo periodo di baldorie non è scomparso del tutto. Anzi, per particolari condizioni psicologiche e sociali, in alcuni luoghi si è conservato e talvolta con una reviviscenza alimentata anche da ragioni turistiche.
Carnevale nella via Quest’anno il carnevale sarebbe passato lontano dalla nostra strada se non ci fossero stati i ragazzi a ricordarne l’esistenza e a mettersi nasi e baffi finti e maschere di cartone da pochi soldi, ad andare su e giù facendo il più possibile schiamazzo con i fischi di terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come nacchere. In questo, Giordano è un maestro. Egli stringe i due legnetti della stessa misura fra indice e medio e fra medio e anulare della destra ed è capace perfino di eseguire il Rataplan verdiano… Giordano aveva quest’anno una maschera di cinese, e Gigi quella di un vecchio con la barba bianca. Musetta si era accontentata di un apparato naso-baffi-occhiali, più adatto ad un avvocato che a una bambina. A Piccarda, suo fratello aveva comperato un cono stellato con sul dietro dei riccioli di stoppa, per cui ella era il Mago Merlino. (V. Pratolini)
Carnevale a Nuoro Le vie erano affollate; mascherate barocche e variopinte andavano su e giù, tra un nugolo rumoroso di monelli che urlavano improperi e parole scherzose. Maschere sole, vestite a vivi colori, passavano, seguite dallo sguardo indagatore e beffardo degli operai e dei borghesi: passavano signore, bimbe, serve dai corsetti scarlatti; gruppi di paesani un po’ brilli si pigiavano in certi tratti del Corso; e musiche malinconiche di chitarra e fisarmonica salivano e vibravano in quell’aria tiepida e velata che rendeva i suoni più distinti come in un crepuscolo d’autunno. (G. Deledda)
Il carnevale di Viareggio Il carnevale è sempre un periodo di gaia baldoria e di spensieratezza, ma in nessun luogo come a Viareggio la gioia di questa festa invernale prorompe in modo così clamoroso. Nella bella cittadina balneare toscana si svolgono sfilate di carri, che restano indimenticabili per chi le ha viste. Il martedì, ultimo giorno di carnevale, e le tre domeniche precedenti, il meraviglioso viale che si snoda lungo il mare, fra la pineta foltissima e la sabbia dorata della riva, si anima come per incanto. Folla e folla accorre dalle città vicine e lontane per godersi questo spettacolo. Come si affaticano per mesi e mesi, i Viareggini, a fabbricare giganteschi pupazzi, uno più buffo dell’altro; a costruire carri grandiosi che rappresentano navicelle, castelli o aeroplani; a guarnirli in modo originale così che la gente, vedendoli sfilare lungo i corsi, non può trattenere le grida di meraviglia. Ci sono le maschere isolate che sfilano a piedi, portando in capo buffi testoni enormi, fra un lancio continuo e instancabile di coriandoli, di stelle filanti, di caramelle. E intanto le bande suonano, la gente grida, canta, ride… (L. Bindi Senesi)
Carnevale per le strade La città si animava; si animava il vento, la neve per le strade. E, all’improvviso, pur dentro il buio, il colore dei costumi, dei coriandoli. Fummo in mezzo alla piazza con attorno bambini dai cappelli a cono con la mezzaluna d’argento. Le mascherine ci sfioravano, scherzavano, ridevano. Pareva che non importassero il freddo, la neve, il vento: senza rumori che non fossero musica o viva voce o risa.
Un carnevale in piena estate Il carnevale di Rio è una festa di Piedigrotta moltiplicata per cento: eso esprime la gioia di vivere, la volontà di dimenticare almeno per quattro giorni tutti i guai di questo mondo… La città assume l’aspetto di un immenso palcoscenico durante l’allestimento di un grande spettacolo. E quando l’ora scocca, la Fiesta esplode. Donne e uomini, brasiliani e stranieri, tutti sono spettatori e attori della sagra sfrenata. Per quattro giorni ogni altra attività è sospesa, ogni strada e ogni piazza sono teatro di uno spettacolo disordinato e pittoresco che si rinnova continuamente. E’ quasi un punto d’onore non ritornare a casa durante le notti carnevalesche. Il cielo di Rio si trasforma in una crepitante fornace da cui piovono in continuazione scintille multicolori, e la città in un’enorme cassa armonica risuonante… di motivi che poi prenderanno le vie del mondo…(M. Procopio)
Maschere tradizionali
Quando le mascherine, una volta all’anno, affollano le strade, sono allegre e ne fanno di tutti i colori. Ecco Pantalone, veneziano, con la sua barbetta a punta; Arlecchino, col suo vestito a toppe, minaccia, col suo bastone, di dar botte a tutti. Balanzone, dottore di Bologna, si dà molta importanza, ma nessuno si cura di lui e dei suoi purganti. Preferiscono Gianduia, che è di Torino, patria dei cioccolatini e delle caramelle. Gianduia ha un viso festoso e un codino ridicolo legato con un fiocchetto. Ma il più buffo è Pulcinella, napoletano, vestito di un camiciotto bianco; ha un gran naso nero e scherza su tutto.
Carnevale in Calabria Carnevale è il re dei ghiottoni, e ricompare tutti gli anni, in febbraio, a morire d’indigestione nelle piazze dei paesi tra lo scherno del popolo. E’ proprio il mese in cui si ammazza il maiale. L’aria è piena di grugniti e di fumo grasso delle caldaie spalmate di sugna. Per le strade, ad ogni imbocco, è drizzato su due forche il maiale, fra i curiosi che notano quanto pesa, e guardano le lunghe strisce di grasso incise sulla cotenna senza una goccia di sangue, bianche. Intanto i cani si danno attorno a fiutare il sanguinaccio cremisi. Poi arriva Carnevale, con delle strabilianti decorazioni di salsicciotti, e catene e cordoni di salsicce. E’ destinato a morire di indigestione e di ridicolo, ma fino all’ultimo crederà di guarire mangiando fette di grasso. Il popolo intanto balla per le piazze e per le strade: il contadino si è messo un abito a falde da avvocato, e il signore si veste da contadino. Tutto il paese, una volta tanto, si scambia la parte e il vestito, e fa un gran ridere di ritrovarsi così, come se davvero avesse mutato fortuna. Poi, Carnevale, in groppa a un asino, ben imbottito di paglia, è buttato in mezzo alla piazza e dato alle fiamme. La massaia copre i vasi di sugna e appende i rocchi di salsicce che consoleranno le lunghe stagioni di lavoro. (C. Alvaro)
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Poesie e filastrocche Carnevale – una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria
Pranzo e cena Pulcinella ed Arlecchino cenavano insieme in un piattino: e se nel piatto c’era qualcosa chissà che cena appetitosa. Arlecchino e Pulcinella bevevano insieme in una scodella, e se la scodella vuota non era chissà che sbornia, quella sera. (G. Rodari)
Il vestito di Arlecchino Per fare un vestito ad Arlecchino ci mise una toppa Meneghino: ne mise un’altra Pulcinella, una Gianduia, una Brighella. Pantalone, vecchio pidocchio, ci mise uno strappo sul ginocchio, e Stenterello, largo di mano, qualche macchia di vino toscano. Colombina che lo cucì fece un vestito stretto così. Arlecchino lo mise lo stesso, ma ci stava un tantino perplesso. Disse allora Balanzone, bolognese dottorone: “Ti assicuro e te lo giuro che ti andrà bene il mese venturo se osserverai la mia ricetta: un giorno digiuno e l’altro bolletta.” (G. Rodari)
La maschera Vent’anni fa mi mascherai pur io! E ancora tengo il muso di cartone che servì per nasconder quello mio. Sta da vent’anni sopra un credenzone quella maschera buffa, ch’è restata sempre con la medesima espressione, sempre con la medesima risata. (Trilussa)
Pagliaccio Ed ecco un flauto si mette a suonare. Allora un pagliaccio rosso coperto di campanellini esce a ballare con lazzi ed inchini! E tenta una capriola… fa finta di farsi male… ride… Si rizza con un salto mortale! Poi s’arrampica, come fa il gatto per acchiappare i pipistrelli! E poi fa finta di ruzzolare, perchè ridano tutti quanti. (U. Betti)
L’allegra mascherata Che risate che allegria per la via! Con tamburi di cartone, con lustrini di… stagnola, i monelli van cantando a squarciagola. Son vispi come uccelli che han trovato l’usciolino spalancato dell’aerea prigione. Chi s’è tinto di carbone, chi s’è tutto infarinato, chi strombetta per la via… che allegria! (M. Castoldi)
Burattini Son di legno, son piccini, sono svegli e birichini, semre buoni ed ubbidienti, sempre allegri e sorridenti, son delizia dei bambini: viva, viva i burattini. Pulcinella ed Arlecchino, Stenterello e Meneghino, e Brighella e Pantalone, Facanappa e Balanzone, fanno ridere i bambini: viva, viva i burattini. Quando alcun non li molesta, dormon tutti nella cesta, se ne stanno in compagnia, sempre in pace ed armonia, come tanti fratellini, viva, viva i burattini. (E. Berni)
Il gioco dei “se” Se comandasse Arlecchino il cielo sai come lo vuole? A toppe di cento colori cucite con un raggio di sole. Se Gianduia diventasse ministro dello Stato farebbe le case di zucchero con le porte di cioccolato. Se comandasse Pulcinella la legge sarebbe questa: a chi ha brutti pensieri sia data una nuova testa. (G. Rodari)
Maschere Sono una maschera dotta e sapiente chiacchiero molto, concludo niente! Son di Bologna un gran dottore, mi sottopongono ogni malore, ed io con l’abile mia parlantina sputo sentenze di medicina. Curo il malato col latinorum per omnia saecula saeculorum! Sono una maschera multicolore di professione fo il servitore. Mia prima origine fu bergamasca, ma non avendo mai un soldo in tasca vissi a Venezia come emigrante. Son litigioso, furbo, intrigante, ma sono il principe dei birichini! Sono una maschera sempre affamata biancovestita e mascherata. Mia patria è Napoli, dove perfetti nascono i piatti degli spaghetti. Son della terra delle canzoni, son del paese dei maccheroni, son specialista in bastonate: quante ne ho prese tante ne ho date! (D. Volpi)
La trombettina Ecco che cosa resta di tutta la magia della fiera: quella trombettina, di latta azzurra e verde che suona una bambina… Ma, in quella nota sforzata, ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi, c’è la banda d’oro rumoroso, la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini. Come, nel gocciolare della gronda, c’è tutto lo spavento della bufera, la bellezza dei lampi e dell’arcobaleno; nell’umido cerino d’una lucciola che si sfa su una foglia di brughiera, tutta la meraviglia della primavera. (C. Govoni)
Armi dell’allegria Eccole qua le armi che piacciono a me: la pistola che fa solo “pum” (o “bang”, se ha letto qualche fumetto) ma buchi non ne fa… Il cannoncino che spara senza fare tremare nemmeno il tavolino… il fuciletto ad aria che talvolta per sbaglio colpisce il bersaglio ma non farebbe male nè a una mosca nè a un caporale… Armi dell’allegria! Le altre, per piacere, ma buttatele tutte via! (G. Rodari)
Le maschere Io sono fiorentino vivace e birichino; mi chiamo Stenterello l’allegro menestrello. Cantando stornellate fo far mille risate. Ed ecco qua Brighella, la più brillante stella del gaio carnevale quando ogni scherzo vale… Arrivo io ballando, scherzando e poi saltando. Mi chiamano Arlecchino e sono il più carino. Mi chiamo Pantalone: il vecchio brontolone; ma in tutto onor vi dico: “Io sono vostro amico”. Ed io son Pulcinella! La maschera più bella. Oh oh, che ballerino, somiglio ad un frullino… (S. Antonelli)
Carnevale E’ arrivato carnevale con coriandoli e stelline e graziose mascherine. Van cantando per la via in allegra compagnia Arlecchino e Pulcinella Balanzone con Brighella, e Rosaura e Colombina. Con le maschere la gente se la spassa assai beata: è stagione spensierata va passata allegramente. (L. Borselli)
Che allegria! Guarda, mamma, nella via quanta gente e che allegria! Che bizzarre mascherate, dalla banda rallegrate! Quante voci, quanti fiori quanta gioia inonda i cuori! Vedo Cecca e Meneghino, Scaramuccia ed Arlecchino, e quell’altro? Ah, è Trivella, che dà il braccio a Pulcinella! E quel goffo Pantalone con i baffi… di cartone? Or s’avanzano bel bello e Pagliaccio e Stenterello… Senti, senti, mia mammina, che gazzarra! Una ventina di giocondi fanciulletti mascherati da folletti. (G. Pisani)
Viva le maschere Viva le maschere! Evviva! Evviva! Io ti conosco, maschera bella: tu sei Gianduia, tu sei Brighella, qui Colombina con Pantalone, quindi Arlecchino con Pulcinella. O mascherine, chi ve l’ha fatto quell’abituccio tutto a colori quell’abituccio che ci ricorda la primavera coi mille fiori? Chi ve l’ha messa nel fondo del cuore quell’allegrezza che a tutti date? O mascherine, grazie di cuore per tanta gioia che ci portate. (A. Caramellino)
Volta la carta di carnevale Volta la carta di carnevaletto quattro salti e uno sgambetto. C’è Arlecchino “venessiano” Pulcinella “nabbolidano” c’è Gianduia piemontese Pantalone bolognese. C’è Rosaura e Colombina cameriera sopraffina, Meneghin vien da Milano Sor Tartaglia gli è toscano. L’uno mangia maccheroni l’altro grossi panettoni, uno suona il mandolino l’altro al fianco ha lo spadino, ma son tutta una brigata bella, allegra, indiavolata, che si bacia, che s’azzuffa, che combina una baruffa, ma che alfin allegramente, ricomincia come niente il più gaio girotondo che rallegra tutto il mondo. (C. Gasparini)
A carnevale Pensato han tutti e due che in carnevale ogni burletta vale. E per fare un bella mascherata, la camera dei nonni han saccheggiata. Lui s’è pigliato il panama, il bastone, un solenne giubbone; ed una grossa pipa con la canna, certamente più lunga di una spanna. Lei s’è messa una gran cuffia trinata, la vestaglia fiorata, ha preso un ombrellino del Giappone e con gli occhiali legge un giornalone. Così a braccetto, come due sposini, vanno a far chiasso in casa dei cugini, perchè ogni burla vale nella lieta stagion di carnebale
Mascherata Carnevale pazzerello, sei davvero tanto bello! Tu porti sulla via un pochino d’allegria. Coi coriandoli e le stelle, mascherine gaie e belle fanno smorfie e sorrisini, fan balletti e fanno inchini. C’è Pierrot e Pierottina, Arlecchino e Colombina, Rugantino e Pantalone con Tartaglia e Balanzone; Stenterello e Meneghino vanno a spasso con Gioppino; e si vede Pulcinella fare chiasso con Brighella. Carnevale pazzerello, sei davvero tanto bello. (T. Romei Correggi)
Carnevale Il febbraio pazzerello ci ha portato Carnevale a caval di un asinello e con seguito regale: Pantalone e Pulcinella e Rosaura e Colombina, Balanzone con Brighella e Pieretta piccolina. A braccetto con Gioppino, che dimena un gran bastone, van Gianduia e Meneghino sempre pronti a far questione. Arlecchin chiude la schiera, che, fra canti e balli e lazzi lieta va, da mane a sera, con gran coda di ragazzi. Va, tra salti e piroette, seminando per la via, di coriandoli una scia, tra un frastuono di trombette. (L. Re)
Teste fiorite Se invece dei capelli sulla testa ci spuntassero i fiori, sai che festa? Si potrebbe capire a prima vista chi ha il cuore buono, chi la mette trista. Il tale ha in fronte un bel ciuffo di rose: non può certo pensare a brutte cose. Quest’altro, poveraccio, è d’umor nero: gli crescono le rose del pensiero. E quello con le ortiche spettinate? Deve aver le idee disordinate, e invano ogni mattina spreca un vasetto o due di brillantina. (G. Rodari)
Canzoncina Danza lieta, mascherina, danza fino a domattina! Son coriandoli le stelle! E i panini son frittelle. Sono tutti sorridenti, sono tutti assai contenti. Lo sapete che Arlecchino fu vestito, poverino, con cenci regalati dai bambini fortunati? Arlecchino sorridente è l’immagine vivente dell’aiuto che può dare chi anche agli altri sa pensare. Danza lieta, mascherina, danza fino a domattina!
Il girotondo delle maschere E’ Gianduia torinese Meneghino milanese. Vien da Bergamo Arlecchino Stenterello è fiorentino veneziano è Pantalone con l’allegra Colombina. Di Bologna Balanzone con il furbo Fagiolino. Vien da Roma Rugantino, pur romano è Meo Patacca, siciliano il buon Pasquino di Verona Fracanapa. (G. Gaida)
La giostra Eccola nella piazza della chiesa, eccola sorta come per incanto! Chi non l’avea desiderata tanto? Chi non l’avea tanto sognata e attesa? Bella la giostra! E’ tutta luce e argento, tutta specchi, bagliori, oro, turchesi, così come quei fantastici paesi ch’io vedo solo quando mi addormento. (M. Moretti)
Carnevale Carnevale vecchio e pazzo s’è venduto il materasso per comprare pane e vino tarallucci e cotechino. E mangiando a crepapelle la montagna di frittelle gli è cresciuto un gran pancione che somiglia ad un pallone. Beve e beve e all’improvviso gli diventa rosso il viso poi gli scoppia anche la pancia mentre ancora mangia, mangia… Così muore carnevale e gli fanno il funerale dalla polvere era nato ed in polvere è tornato. (G. D’Annunzio – Filastrocche del mio paese)
Maschere Rosaura geme Florindo freme, Lelio domanda, Pantalon nega; Brighella stringe solida lega con Arlecchino; chè, se Cavicchio trova Batocchio presso un crocicchio, gli strizza l’occhio e stretto il patto, saldo il contratto. Pierrot non vede… egli strimpella la serenata… e Colombina che l’ha sentito fruscia in sordina nel vano scuro della vetrata… E là, premendosi la man sul cuore, trepida ascolta… (G. Adami)
La mascherina povera Lazzi e schiamazzi fanno i ragazzi tutti un po’ pazzi. E il bimbo va col cappello del nonno, la giacca del papà, stanco, pieno di sonno, per la grande città. Lazzi e schiamazzi fanno i ragazzi. e il bimbo è lì aria di funerale a godersi così il suo “bel” carnevale. (A. Novi)
Mascherine Bentornate, mascherine, nell’allegro girotondo! Arlecchini e Colombine in un palpito giocondo. Trallalera, trallalà. Ogni lieto scherzo vale: benvenuto carnevale che vi porta tutte qua. C’è bisogno d’un sorriso dopo tante tante pene, che c’illumini un po’ il viso. Vi vogliamo tanto bene. (Zietta Liù)
Carnevale Che fracasso! Che sconquasso! Che schiamazzo! E’ arrivato carnevale buffo e pazzo, con le belle mascherine, che con fischi, frizzi e lazzi, con schiamazzi, con sollazzi, con svolazzi di sottane e di vecchie palandrane, fanno tutti divertire. Viva viva carnevale, che fischiando, saltellando, tintinnando, viene innanzi e non fa male, con i sacchi pieni zeppi di coriandoli e confetti, di burlette e di sberleffi, di dispetti, di vestiti a fogge strane, di lucenti durlindane, di suonate, di ballate, di graziose cavatine, di trovate birichine! Viva viva carnevale, con le belle mascherine! (M. Giusti)
Stornellate di carnevale Fior di melone! Giochiamo e divertiamoci ben bene: è carnevale! Evviva Pantalone! Fior di mortella! A carnevale tutto il mondo balla; la maschera più gaia è Pulcinella! Fior di cedrina! Anche Rosaura danza la furlana, con Florindo e la vispa Colombina! Fiore di grano! Arrivano Tartaglia e Rugantino; facciamo girotondo: qua la mano! Fiore di spino! Ogni viso sia lieto e il cor sereno. Viva, viva, Brighella ed Arlecchino! (V. Masselli)
Carnevale E’ tornato carnevale. Quante belle mascherine per per strade e per le sale! Son tesori di damine in merletti e crinoline, con la cipria sui musetti. Castellane e gnomettini, pellirosse e gnomettini, che si scambiano gli inchini: “Colombina, i miei rispetti” “Un saluto ad Arlecchino!” “Ciao, Brighella!” “Pierottino, vuoi confetti?” “Mi regali una ciambella?” Ora fanno un girettino per le strade, per le sale per mostrare il costumino, dell’allegro carnevale. Poi la sera stanche, alfine, delle chicche e dei balletti, tutte a nanna, mascherine, a sognare gli angioletti. (V. S. Pagani)
Carnevale Mascherine, mascherine, per i bimbi e le bambine son venute da lontano, nel costume antico e strano Pulcinella ed Arlecchino, Pantalone e Colombina facce buffe, occhio ridente, saltan tutte lietamente tra i bambini e le bambine, benvenute mascherine! (G. Vaj Pedotti)
Carnevale Chiuso nel suo cappottino, sta nella terra il semino sogna le cose più belle: sono dei fiori o son stelle? Fuori c’è un mare di gelo, vento tra i rami del melo cime coperte di neve, che scende placida e lieve ad un tratto il silenzio si rompe: tra rumori e squilli di trombe mille canti si sentono fuori, nelle strade frastuoni e colori mascherine allegre cantate, che l’inverno ha le ore contate ricordate voi tutte al semino, che il suo sogno è davvero vicino.
La canzone delle mascherine Un saluto a tutti voi: dite un po’: chi siamo noi? ci guardate e poi ridete? Oh, mai più ci conoscete! Noi scherziam senza far male. Viva, viva il Carnevale! Siamo vispe mascherine, Arlecchini e Colombine, diavolini, follettini, marinari, bei ciociari, comarelle, vecchiarelle: noi scherziam senza far male. Viva, viva il Carnevale! Vi doniamo un bel confetto, uno scherzo, un sorrisetto: poi balliamo, poi scappiamo. Voi chiedete: “Ma chi siete?” Su, pensate, indovinate. Siamo vispe mascherine, Arlecchini e Colombine, diavolini, follettini, marinari, bei ciociari, comarelle, vecchiarelle: noi scherziam senza far male. Viva, viva il Carnevale! (A. Cuman Pertile)
Viva carnevale La stagion di carnovale tutto il mondo fa cambiar. Chi sta bene e chi sta male carneval fa rallegrar. Chi ha denari, se li spende; chi non ne ha, ne vuol trovar; e s’impegna, e poi si vende per andarsi a sollazzar. Qua la moglie e là il marito, ognun va dove gli par; ognun corre a qualche invito chi, a giocar e chi a ballar. Par che ognun di carnovale, a suo modo possa far, par che ora non sia male anche pazzo diventar. Viva dunque il carnovale, che diletti ci suol dar. Carneval che tanto vale, che fa i cuori giubilar. (C. Goldoni)
Mascherine Ecco qui le mascherine tutte vispe tutte belle mascherine pazzerelle che vorrebbero danzar. Io vo’ fare un bell’inchino un bacetto io vo’ mandar. Una gaia piroetta con bel garbo io voglio far. Ecco qui un girotondo pieno di grazia e di allegria che saluta tutto il mondo prima ancor di andare via. L’allegria non fa mai male, viva viva il carnevale!
Pulcinella
Sono una maschera sempre affamata, biancovestita e mascherata. Mia patria è Napoli, dove perfetti nascono i piatti degli spaghetti. Son della terra delle canzoni; son del paese dei maccheroni. Son specialista in bastonate: quante ne ho prese, tante ne ho date.
Rugantino
Sono la maschera più brontolona, anche se arguta, semplice e buona. Se ti facessero ‘na prepotenza, chiamami subito: corro d’urgenza! Faccio una strage, faccio macelli, specie col vino de li Castelli! Se dopo tutto vengo alle mani c’è poco da rugà, semo romani.
Meneghino
Sono una maschera innamorata della città che m’ha creata. Porto nel cuore la Madunina e canto sempre ogni mattina, col panettone in una man, ch’ el me’ Milan, l’è un gran Milan. Contro i ribaldi e gli oppressori in ogni tempo feci fuori.
Balanzone
Sono una maschera dotta e sapiente: chiacchiero molto, concludo niente. Son di Bologna un gran dottore: mi sottopongono ogni malore ed io con l’abile mia parlantina sputo sentenze di medicina. Curo il malato col latinorum per omnia saecula saeculorum.
Carnevale viene
Viva viva Carnevale che fischiando saltellando tintinnando viene avanti e non fa male, con i sacchi pien di zeppi di coriandoli e confetti, di burlette e di sberleffi, di dispetti, di vestiti a fogge strane, di lucenti durlindane, di suonate, di ballate; di graziose cavatine, di trovate birichine. Viva viva Carnevale con le belle mascherine. (M. Giusti)
A carnevale ogni scherzo vale
Pensato han tutti e due che in Carnevale ogni burletta vale. E per fare una bella mascherata, la camera dei nonni han saccheggiata. Lui s’è pigliato il panama, il bastone, un solenne giubbone; ed una grossa pipa con la canna, certamente più lunga di una spanna. Lei s’è messa una gran cuffia trinata, la vestaglia fiorata. Ha preso un ombrellino del Giappone e con gli occhiali legge un giornalone. Così a braccetto, come due sposini, vanno a far chiasso in casa dei cugini, perchè ogni burla vale nella lieta stagion del Carnevale.
Il gioco dei se
Se comandasse Arlecchino il cielo sai come lo vuole? A toppe di cento colori cucite con un raggio di sole. Se Gianduia diventasse ministro dello stato farebbe le case di zucchero con le porte di cioccolato. Se comandasse Pulcinella la legge sarebbe questa: a chi ha brutti pensieri sia data una nuova testa. (G. Rodari)
Ecco le maschere
Io sono fiorentino vivace e birichino; mi chiamo Stenterello l’allegro menestrello. Cantando stornellate, fo’ far mille risate. Ed ecco qua Brighella, la più brillante stella del gaio Carnevale, quando ogni scherzo vale… Arrivo io ballando, scherzando e poi saltando. Mi chiamo Arlecchino e sono il più carino. Mi chiamo Pantalone, il vecchio brontolone; ma in tutto onor vi dico: “Io sono vostro amico”. Ed io son Pulcinella la maschera più bella. Oh oh, che ballerino somiglio ad un frullino. (S. Antonelli)
Burattinaio al lavoro
Da paese a paese egli cammina portando la baracca sulle spalle da paese a paese, dalla valle alla collina. E quando incontra un piccolo villaggio egli si ferma per quei tre marmocchi chiama Arlecchino che straluni gli occhi per suo vantaggio chiama la reginetta e il suo bel paggio che si facciano ancor qualche moina e Brighella cuor d’oro e Colombina rosa di maggio; e raccattato qualche buon soldino dal capannel che un poco si dirada, egli continua sull’aperta strada il suo cammino. (M. Moretti)
Il vestito di Arlecchino
Stan le allegre mascherine strette intorno alla lor mamma ch’è davvero molto stanca: da più giorni taglia e cuce cuce e taglia senza posa variopinti costumini per Gianduia e Meneghino Pulcinella e Pantalone Stenterello e Rugantino ma pel povero Arlecchino nulla ancora ha preparato… E’ domani Carnevale tutte insiem le mascherine dovran vispe folleggiare; e lei, povera mammina, cerca e fruga dappertutto fruga e cerca sempre invano. Cassettoni ha ribaltato armadietti e cassapanche, neppur l’ombra di una pezza per il povero Arlecchino le riesce di trovare… Ma un’idea meravigliosa le balena all’improvviso: coi ritagli avanzati degli altri vestitini tutto a scacchi un abituccio potrà ancora preparare. Mezzanotte è già suonata, ma felice veglia ancora quella mamma industriosa, chè il più allegro dei vestiti Arlecchin potrà indossare! (G. Martinelli)
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CANTO PER CARNEVALE – Il ballo dei burattini – Testo: Nella cesta dormono i vecchi burattini ma un bel dì si svegliano più vispi e birichini Su, coraggio, miei signor, non si deve più dormir ci vogliamo divertir, la la la la la la la. Tutto il giorno ballano Brighella ed Arlecchino con Gioppino cantano Gianduia e Meneghino Su, coraggio, miei signor, non si deve più dormir ci vogliamo divertir, la la la la la la la. Quando già si spengono le luci della festa molti ancor non vogliono tornare nella cesta Su, coraggio, miei signor, non si deve più dormir ci vogliamo divertir, la la la la la la la.
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Altro materiale sulle maschere tradizionali italiane
IL CARNEVALE materiale didattico In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua…
Il Piemonte ha Gianduia, montanaro dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Meneghino, milanese, è un golosone impertinente, ma anche cordiale, sincero, generoso. A Bergamo c’è Gioppino, sornione e trasognato, almeno in apparenza, perchè, se qualcosa non gli va, eccolo a roteare il suo bastone e a distribuire sonanti cariche di legnate. Arlecchino ha un abito fatto di pezze di tutti i colori, cento ritagli di stoffa offertigli dagli amici per potersi confezionare un indumento che non possedeva. Pantalone è di Venezia. Vestito di rosso, col mantello nero, secondo la tradizione è piuttosto avaro ma, come capita spesso agli avari, è a lui che si estorcono i denari per pagare i debiti agli altri. Talvolta gli si accompagna Colombina, maliziosa e pettegola, che fa il paio con la sua amica Rasaura, anch’essa di lingua lesta e di movenze aggraziate e civettuole. Compagno inseparabile di Rosaura è Florindo, azzimato e lezioso. Bologna la dotta ha per esponente Balanzone, sputasentenze, spaccone e bonario, sempre pronto a distribuire purganti e pillole. Stenterello è fiorentino: arguto e di lingua appuntita, non risparmia motti da levare il pelo, così come è in uso tra gli abitanti della sua città. Roma ha Rugantino, anche lui spaccone, ma di cuor d’oro. Pulcinella è la maschera tipica di Napoli; vestito di un bianco camicione, ha una maschera nera con un grosso naso caratteristico. E’ buffo, sornione, arguto e… scroccone. Reggio ha Fagiolino, Modena Sandron, Verona Facanapa … … e si può dire che ogni regione ha la sua maschera, sempre allegra, ridaciana e arguta. Ogni maschera usa il dialetto caratteristico della città in cui vive e rappresenta un personaggio che riassume in sè i vizi e le virtù dei suoi cittadini. … continua qui:
Il Carnevale: materiale didattico – In febbraio comincia il lieto periodo del Carnevale, che può dirsi la festa dei bambini perchè, in genere, sono loro che tramandano ancora la tradizione delle maschere. I Greci e i Romani usavano maschere tragiche o comiche che i loro attori tenevano sul viso durante la rappresentazione. Nel settecento, su questi modelli, altri tipi di maschere furono escogitati e introdotti nel teatro. Nacquero così le maschere italiane, e si può dire che ogni regione abbia la sua…
Il Piemonte ha Gianduia, montanaro dalle scarpe grosse e dal cervello fino. Meneghino, milanese, è un golosone impertinente, ma anche cordiale, sincero, generoso. A Bergamo c’è Gioppino, sornione e trasognato, almeno in apparenza, perchè, se qualcosa non gli va, eccolo a roteare il suo bastone e a distribuire sonanti cariche di legnate. Arlecchino ha un abito fatto di pezze di tutti i colori, cento ritagli di stoffa offertigli dagli amici per potersi confezionare un indumento che non possedeva. Pantalone è di Venezia. Vestito di rosso, col mantello nero, secondo la tradizione è piuttosto avaro ma, come capita spesso agli avari, è a lui che si estorcono i denari per pagare i debiti agli altri. Talvolta gli si accompagna Colombina, maliziosa e pettegola, che fa il paio con la sua amica Rasaura, anch’essa di lingua lesta e di movenze aggraziate e civettuole. Compagno inseparabile di Rosaura è Florindo, assimato e lezioso. Bologna la dotta ha per esponente Balanzone, sputasentenze, spaccone e bonario, sempre pronto a distribuire purganti e pillole. Stenterello è fiorentino: arguto e di lingua appuntita, non risparmia motti da levare il pelo, così come è in uso tra gli abitanti della sua città. Roma ha Rugantino, anche lui spaccone, ma di cuor d’oro. Pulcinella è la maschera tipica di Napoli; vestito di un bianco camicione, ha una maschera nera con un grosso naso caratteristico. E’ buffo, sornione, arguto e… scroccone. Reggio ha Fagiolino, Modena Sandron, Verona Facanapa …
… e si può dire che ogni regione ha la sua maschera, sempre allegra, ridaciana e arguta. Ogni maschera usa il dialetto caratteristico della città in cui vive e rappresenta un personaggio che riassume in sè i vizi e le virtù dei suoi cittadini.
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Furono i Greci a introdurre nel teatro il modo di camuffarsi e l’uso delle maschere così uno stesso attore poteva sostenere più ruoli, ampliare per mezzo della maschera stessa la propria voce, sottolinare i lineamenti del volto che dovevano esprimere o ira, o gioia… Giunsero in Italia attraverso i teatri della Magna Grecia e poi per tutta la penisola. Lorenzo il Magnifico, nella seconda metà del 400, incoraggiò le pompe carnevalesche e le sere meravigliose e importanti. Verso la fine del XVI secolo nasce la Commedia dell’Arte e le maschere italiane diventano popolari in tutta Europa.
Arlecchino
Arlecchino è una maschera dal costume fatto di stracci di tutti i colori. Sua città d’origine è Bergamo. Arlecchino rappresentò i bergamaschi in un primo momento, poi divenne una maschera popolare e anche il suo costume cambiò. Prima era servo, poi diventò un poltrone e un imbroglione, desideroso solo di mangiare. Il più importante autore di commedie che hanno per protagonista questa maschera fu Goldoni.
Arlecchino si presenta Vi saluto, piccoli amici. Allegria! E’ Carnevale! Come, non mi riconoscete? Non vedete il mio vestito di pezze multicolori, la mia barbetta nera, la spada di legno, la scarsella sempre vuota appesa alla cintura? Sono Arlecchino Batocio, nato a Bergamo più di quattrocento anni fa: la più bizzarra, la più originale di tutte le maschere del mondo! Sono agile come una cavalletta, coraggioso come un coniglio grigio, goloso come quel biondino seduto nell’ultimo banco. Se qualcuno mi dà noia, guai a lui! Mi accendo di rabbia come un fiammifero svedese e lo bastono di santa ragione. Non importa se poi, le prendo sonore anch’io: il mio destino è questo ormai: bastonare e essere bastonato. Tanto c’è chi mi consola: la mia dolce e buona Colombina. (G. Kierek e D. Duranti)
Arlecchino Da dove viene? Da Bergamo. Intendiamoci bene: non è che a Bergamo sia nato un omettino come lui, con quel testone fuligginoso e tondo e quelle setole di sopracciglia sopra due buchetti lucidi e neri, che gli fan da occhi; nè a Bergamo usarono mai vestiti come quello che egli indossa, tutto quadrettini rossi, bianchi, gialli, turchini. Ma dal buonumore bergamasco fu donato al teatro questo buffissimo tipo di servo, di facchino, di vagabondo che tutti i paesi del mondo hanno amato e festeggiato. In fondo è un gran bonaccione, anche quando vuole imbrogliare, l’imbrogliato è sempre lui. Colpa della sua ignoranza non dovuta, ohimè, a negligenza personale, ma al fatto che, mentre andava a scuola, una vacca gli ha mangiato i libri. (R. Simoni)
Pulcinella Figura goffa e buffa; gran nasone, mascherina nera, una bobba, un cappello a punta, un camiciotto bianco, oppure un grembiule giallo e rosso stretto alla vita, un par di braconi pure gialli, un mantelletto sulle spalle, giallo orlato di verde, collaretto e calze bianche, scarpe gialle con nastri rossi: un pappagallo tale e quale! Ma quante risate matte ha fatto fare questa maschera partenopea nota in tutto il mondo. (A. Gabrielli)
Arlecchino Arlecchino è bergamasco; viene dalle vallate che circondano Bergamo. Magro, con una curiosa pancetta sporgente, lesto di gambe e pronto di lingua, è chiacchierone, mettimale e mettibene, a seconda delle circostanze, e, quando fiuta odor di vivanda nessuno lo tiene più: Arlecchino ha sempre una fame da lupo.
Il dottor Balanzone E’ una maschera che parla molto; è la maschera che parla più di tutte. Bolognese, il Dottor Balanzone espone con sussiego le sue idee e i suoi consigli, ricorrendo a un diluvio di parole, infarcite di sentenze latine, di detti sgangherati nella grammatica e nella sintassi, ma risonanti, pomposi, imponenti, tali da far restare a bocca aperta. Procede imperterrito nei suoi discorsi senza spaventarsi delle colossali buaggini che gli escono dalle labbra. Veste una casacca nera e lucida, guarnita di un bianco collare. In testa un feltro a larghe tese, nero. Alla cintura un pugnale o un fazzoletto, e sottobraccio un librone. Calzoni corti, calze nere, scarpette con fibbia e gli occhi inquadrati in una mascherina nera.
Pantalone Veste rossa come il fuoco, ornata di una cintura che regge la borsa dei quattrini, (magari vuota) calzoni dello stesso colore, calze nere, scarpette dalla punta all’insù; naso lungo e adunco, baffi a mezzaluna, con le punte diritte fino agli occhi: ecco Pantalone, la più assennata delle maschere. Il mantello nero, che si mette sulle spalle, aggiunge dignità alla sua gobba figura. La maschera di Pantalone fa ridere proprio per la sua serietà, con la sua imponenza.
Pulcinella Cappello a cono, come il latte, casacca, calzoni che pendono molli e flosci, muso nero e, nel mezzo, un naso adunco: ecco Pulcinella, buffonesco e allegro, affamato e mangiatore come Arlecchino, agile nei salti e nelle capriole. (E. Possenti)
Le maschere Siamo in Carnevale. Per le strade si vedono girare le maschere. Come sono buffe! Chi le riconosce sotto quel pezzetto di stoffa che nasconde il viso facendo brillare solo gli occhi? Nessuno. Se parlassero senza cambiare voce, allora sì che verrebbero riconosciute! (G. Bitelli)
Pantalone Celebre maschera veneta. Il suo vestito è ben conosciuto: giubbetto rosso stretto alla cintura, calzoni e calze attillate, uno zimarrone nero sulle spalle, scarpettine gialle con la punta all’insù. In capo uno zucchetto a corno, come quello dei dogi, e sul viso una mascherina nera che lascia ben esposto il nasone adunco. Ricco mercante e avaro. Ma quante volte le vicende della vita lo costringono al allentare le corde della borsa, dalla quale cadono sonanti monete d’oro! Mai più numerose, tuttavia, delle lacrime e dei lamenti che le accompagnano. Arlecchino, trapiantato a Venezia, è suo non sempre fedelissimo servitore. (A. Gabrielli)
Arlecchino
E’ la più famosa ed internazionale delle maschere. Pare che Arlecchino sia nato nel 1572 e che il creatore di questa maschera sia stato un certo Alberto Ganassa da Bergamo, il quale si attribuì il nome di Arlechin Ganassa. La sua patria è dunque Bergamo, anche se generalmente, lo si sente parlare il dialetto veneziano; ma questo si spiega col fatto che Bergamo, a quel tempo, era un dominio veneto.
Fu chiamato anche Arlechin Batocio, dal bastone (batocchio) che porta alla cintola e che usa spesso per far intendere le proprie ragioni a quanti vengono in baruffa con lui.
Arlecchino interpreta la parte del servitore astuto, ficcanaso e attaccabrighe; passa in un momento dal pianto al riso, per tutte le occasioni ha pronta una battuta burlesca; è scansafatiche, ingordo e goloso. Nelle varie città e regioni d’Italia Arlecchino mutò d’abito e di nome. Ed ecco così apparire la pittoresca schiera formata da Truffaldino, Mezzettino, Tortellino, Fagottino, ecc…
Pulcinella E’ l’Arlecchino di Napoli ed è ancor oggi una maschera “viva” per opera di alcuni autori contemporanei di commedie in dialetto napoletano. Ha un carattere più bonario, rassegnato e meditabondo dell’Arlecchino bergamasco.
Storia di Gianduia Gianduia doveva personificare il Piemontese furbo, coraggioso, pratico, disposto magari a fare il “finto tonto” per raggiungere i propri fini. In quegli anni, in cui incominciavano le prime idee di Unità e di risorgimento, Gianduia venne a simboleggiare, in un certo modo, il Piemonte, che si era messo coraggiosamente alla testa della rinascita nazionale. “E’ una maschera libera, democratica”, scrive un suo biografo dell’Ottocento. “Non conosce padroni, parla francamente e schietto anche al suo Re. E’ la sola maschera italiana ad avere un carattere politico, e la rappresentazione di un popolo.” Il popolo infatti lo aveva soprannominato ” ‘l citt ciaciarett” (il piccolo pettegolo), perchè Gianduia si era improvvisato, sul palcoscenico, il temerario portavoce delle sue proteste e delle sue lagnanze: era l’avvocato volontario del popolo piemontese.
Passa Gianduia Il corteo delle maschere passa allegramente con un frastuono assordante tra una ressa soffocante di uomini, donne, bambini. Tutti corrono a gara a vedere; s’alzano sulla punta dei piedi o s’aggrappano ai pilastri e i bimbi strillano, perchè vogliono essere sollevati in braccio. Il cocchio di Gianduia scompare a poco a poco tra le case… (L. Aimonetto)
Meneghino Come tutte le maschere, Meneghino è un “carattere” nato per simboleggiare i vizi e le virtù dell’umanità. Nelle intenzioni di Carlo Maria Maggi, che ben a ragione si può considerare il padre della popolare maschera, Meneghino doveva rispecchiare le qualità dell’infaticabile e generoso popolo milanese, e mostrarsi furbo e galantuomo insieme, talvolta padrone, talvolta umile servo che non mancava di levare la sua critica mordace contro l’egoismo e la vanità di certa aristocrazia. E proprio per ricordargli questo suo compito di “strigliatore”, il Maggi volle dare a Meneghino il cognome di Pecenna (parrucchiere). Sul perchè poi del nome Meneghino i pareri sono discordi. Potrebbe infatti il nome significare “piccolo uomo” (omeneghino), o più propriamente “piccolo Domenico”, riferendosi all’antica consuetudine secondo la quale, in ogni giorno di domenica, alcuni uomini del popolo erano chiamati a prestare servizio di tuttofare nelle case dei ricchi signori. Il nostro Meneghino, nato sulla fine del Seicento, calcò le scene per circa due secoli acquistando, or nelle vesti di servo, or in quelle di padrone, ora col sussiego del diplomatico, ora con la rudezza del contadino, una sempre maggior fortuna, dovuta in gran parte alla bravura degli attori che lo seppero interpretare. Celebri fra questi furono, nella prima metà dell’Ottocento, Gaetano Piomarta e Giuseppe Monclavo. Con quest’ultimo divenne decisamente spregiatore degli Austriaci che ancora dominavano in Lombardia. Sulla fine dell’Ottocento la fortuna di Meneghino cominciò a declinare, vuoi perchè mancarono altri ottimi interpreti, vuoi perchè i tempi ormai andavano relegando le maschere nel teatro delle marionette. Anche il costume di Meneghino subì variazioni: in origine era simplicemente vestito d’una veste bianca, lunga fino al ginocchio, trattenuta in vita da una cintura, ed era calzato di calze verdi e di ruvidi zoccoli; in seguito acquistò un aspetto settecentesco, con parrucca e tricorno marrone, con veste pure marrone, con codino fasciato di rosso, con calzoni corti e calze a righe. Così lo si può vedere ancora sui carri carnevaleschi. E’ una maschera muta ormai, perchè le folle ora non hanno più tempo di ascoltare le maschere; ma il suo sorriso sembra ancora ammonirci: “Tegni sempre st’usanza: fè ‘l fatt vost con crianza”.
Storia della maschere dall’antico Egitto alla Commedia dell’Arte
Il nome di Carnevale è stato dato al periodo che va dal 26 dicembre al giorno precedente le Ceneri in tempi abbastanza recenti: forse soltanto nei secoli XV e XVi, quando divennero celebri i Carnasciali, fiorentini, organizzati dagli stessi Medici, e specialmente da Lorenzo il Magnifico. Da Carnasciale, appunto, venne il nome di Carnevale, che indicò non soltanto un periodo dell’anno, ma anche tutte le manifestazioni festose e mascherate che avevano luogo in quel periodo particolare. Ma in ogni tempo, e presso tutti i popoli, si sono avuti periodi di feste alle quali prendevano parte principi e popolo e che possiamo considerare come il moderno Carnevale.
Nell’antico Egitto Gli antichi Egizi adoravano molti dei, ma la sola dea adorata in tutto il Paese era Iside, invocata come maga nelle malattie e considerata la benefattrice dell’Egitto, perchè le sue lacrime producevano le benefiche inondazioni del Nilo. Ebbene, in suo onore, una volta all’anno, si faceva una grande processione, alla quale partecipava tutta la popolazione. La dea si presentava travestita da orsa, per simboleggiare la costellazione dell’Orsa Maggiore. Era seguita da un corteo di sacerdoti, tutti mascherati, i quali simboleggiavano fatti notevoli e, specialmente, le quattro stagioni. Un sacerdote mascherato da sparviero rappresentava l’inverno, un altro mascherato da leone raffigurava l’estate, un terzo mascherato da toro simboleggiava la primavera, mentre il sacerdote mascherato da lupo era l’autunno. Seguivano popolani e popolane mascherati a piacimento, danzanti e cantanti. Si tratta, insomma, del primo corteo mascherato del quale si hanno notizie storiche abbastanza precise.
Nell’antica Grecia I Greci ebbero un loro particolare periodo che possiamo dire carnevalesco: quello delle feste in onore di Dioniso e di Bacco, dette “Feste dionisiache” e “Baccanali”. Si trattava addirittura di quattro feste, celebrate in marzo-aprile; le più celebri e le più lunghe erano le “Grandi feste dionisiache”: si facevano solenni sacrifici al dio, vi erano processioni, gare, rappresentazioni, drammi in cui apparivano personaggi mascherati. E naturalmente, poichè Bacco è il dio del vino, si beveva molto…
Nell’antica Roma In Roma il periodo che possiamo dire carnevalesco era quello dedicato alle feste in onore di Saturno, perciò dette “Saturnali”: avevano luogo dal 17 al 23 dicembre. Saturno era considerato il dio dell’oro e del benessere agricolo e in onore suo era proibito lavorare durante i Saturnali; si facevano banchetti ai quali erano ammessi anche gli schiavi e ci si scambiavano doni, come facciamo noi nel periodo natalizio. Infine, erano ammessi anche i giochi d’azzardo, proibitissimi durante gli altri periodi dell’anno. Erano giorni di baldoria, di scherzi, e spesso, poichè non mancava chi alzava troppo il gomito, finivano con risse e feriti. Durante le feste dei Saturnali in Roma vi era l’abitudine anche di pagare gli avvocati. Gli avvocati meno celebri avevano la loro clientela di poveracci: gente disgraziata e biliosa i cui mezzi non corrispondevano al piacere di litigare. Era gente che pagava male l’avvocato, anzi spesso non lo pagava affatto, e si ricordava di lui soltanto durante i Saturnali. E l’avvocato che riceveva più doni si riteneva più grande e andava enumerando i doni ai conoscenti come prova della sua fama e dei suoi successi. “I Saturnali hanno fatto ricco Sabello: con ragione egli va tronfio e pettoruto, e pensa e dice che tra gli avvocati non ce n’è uno cui le cose vadano bene come a lui…” dice Marziale, un poeta romano, e aggiunge anche la lista dei regali: mezzo moggio di farro e mezzo di fave, una libbra e mezzo di pepe e di incenso, una salsiccia e un tocco di carne secca, una bottiglia di mosto cotto, un vaso di fichi in conserva, e bulbi, e chiocciole, e cacio; poi una cestella piena di olive… Evidentemente, benchè tronfio e pettoruto, Sabello non era un avvocato pagato troppo bene.
I principi e il Carnevale E’ noto che, specialmente durante il periodo medioevale e delle Signorie, anche i personaggi d’alto rango (re, principi e nobili) prendevano parte gioiosamente alle mascherate carnevalesche. A Torino, dove si svolgevano tornei e cavalcate che riproducevano fatti storici, i principi di Savoia partecipavano al Carnevale seguiti da tutta la corte, con carri colmi di fiori. A Venezia, dove il Carnevale era un richiamo per gli stranieri e si svolgeva principalmente lungo il Canal Grande, con gondole mascherate e illuminate, i Dogi, gli altri membri del Gran Consiglio e della Signoria e gli Ambasciatori, si univano al popolo festosamente. A Firenze poi, esisteva l’antica usanza di far girare per la città, durante il Carnevale, dei carri decorati e scortati da uomini in maschera, che cantavano canzoni composte per la circostanza. Lorenzo il Magnifico seppe vedere in questo genere di spettacolo un mezzo straordinario per divertire i fiorentini e attirarne le simpatie, e lo circondò abilmente di pompa inusitata. Così, attraverso la città, passavano carri con strane mascherate di una variopinta folla di fornai, di mercanti, di spazzacamini, e d’ogni categoria d’artigiani, ma anche carri in cui si rappresentavano le virtù, i diavoli, gli angeli, i trionfi della dea Minerva, della Gloria, della Fama, della Frode, della Calunnia, ecc… Alcune canzoni carnescialesche, le più belle, furono proprio composte dallo stesso Lorenzo e dai poeti della sua corte. Anche all’estero il Carnevale era divertimento tanto del popolo quanto dei regnanti. E’ infatti rimasta celebre una mascherata di stregoni diretta personalmente da Enrico IV re di Francia. A un re, Carlo IV, in uno dei tanti balli mascherati venuti di moda alla sua corte, capitò quasi di bruciare vivo. Si era camuffato da satiro, imbrattandosi tutto il corpo di pece e rotolandosi poi fra piume di uccelli; non si sa bene come la pece però prese fuoco e il re fu salvato appena appena…
La Commedia dell’Arte Pantalone, Arlecchino, Balanzone, il Capitano e così via furono in origine i personaggi della Commedia dell’Arte, nata in Italia nel ‘500 e diffusa poi trionfalmente in tutta Europa nei due secoli che seguirono. Commedia dell’Arte significa in sostanza “commedia dell’abilità” o “di mestiere” in quanto si affdava non ai testi, sommari o inesistenti, ma per l’appunto all’abilità degli attori, che sulla scena improvvisavano situazioni e battute. Tale abilità era a volte straordinaria: quando agivano le migliori compagnie, la Commedia dell’Arte diventava un’entusiasmante girandola di gag, una sorta di “fumetto animato” pieno di meraviglia e di sorprese, in cui la splendida libertà delle improvvisazioni si univa ad un meccanismo infallibile e preciso. La “maschera” è una “faccia tinta”, tragica o buffa, che indossata da una persona in aggiunta di solito a un particolare costume, vale a creare un “tipo”: il servitore furbo e famelico, il dottore pedante, il soldataccio spaccone, e così via; così che la parola “maschera” non indica più soltanto la testa o la faccia di cartapesta, ma proprio quel tipo che è identificato da “quella” maschera, e che presto assume un nome (Arlecchino, Pantalone, e così via), nome che gli resterà anche se, per caso, trascuri di mettersi sulla faccia la faccia finta, e la sostituisca per esempio col trucco, o anche soltanto col costume. Molte maschere che conosciamo nacquero come personaggi della Commedia dell’Arte. I primi, i più antichi di questi personaggi, furono il Padrone e il Servo. Tra i vari tipi di Padroni delle antiche farse, si affermò quello di un anziano e ricco cittadino di Venezia, avaro e burbero: prima si chiamava Magnifico, con allusione all’altezza della sua condizione sociale, e poi Pantalone. C’è anche un altro tipo di Padrone, il Dottore pedante e sputansentenze, che prende prima il nome di Graziano, e poi di Balanzone: è di Bologna, laureato alla famosa università. Il Servo proviene invece dalle valli bergamasche; veste un camiciotto bianco di fatica e si chiama dapprima Zanni (Giovanni), finchè un ignoto comico non ha l’idea di rappezzarne l’abito con toppe variopinte, e nasce Arlecchino. Un altro Zanni si chiamerà Brighella, che è, almeno all’inizio, un tipo da prendersi davvero con le molle. Un altro “tipo” antichissimo è il soldato spaccone, che rinasce anche lui come “maschera” e si chiamerà Capitan Fracassa, o Matamoro, o Rodomonte, o Sbranaleoni, o così via spaventando. Vi sono poi gli Innamorati, di cui gli ultimi e più noti sono Rosaura e Florindo, e le Servette come Corallina e Colombina. Tante altre maschere agiscono in quelle farse, come il gran Pulcinella, nato a Napoli tra il popolo, o il suo compatriota Coviello, o Scaramuccia, a volte capitano a volte servo, o Scapino, parente stretto di Brighella, o Giangurgolo calabrese. Conclusa la Commedia dell’Arte, nelle varie regioni d’Italia si affermarono altri tipi e caratteri, che divennero maschere anch’essi; come Gianduia in Piemonte, Meneghino a Milano, Stenterello in Toscana, Gioppino a Bergamo e Sandrone a Modena, e a Roma Meo Patacca e Rugantino… non si finirebbe più.
Portavano la maschera ma non era Carnevale Immaginiamoci di trovarci nella Venezia del ‘700. Che curiosa e bella città! Ecco le sue tortuose viuzze (le calli), e le piazzetti (i campi) ornate al centro da un pozzo di pietra. Percorriamo una fondamenta, lo stretto marciapiede che costeggia i canali che attraversano in ogni senso la città; ci viene incontro un vecchietto ricurvo; passandoci accanto solleva il capo per salutarci, secondo la consueta cortesia dei veneziani; lo guardiamo e la nostra risposta ci muore sulle labbra… il volto di quel vecchietto è mascherato! Affrettiamo il passo e andiamo oltre. Ecco uscire da un uscio una giovane servetta, che va a fare la spesa; canta nel suo bel dialetto… ed è mascherata. Ecco un mercante; è mascherato anche lui; ecco una mamma col bambino in braccio: anch’essa porta una mascherina nera. Ora incrociamo un gruppo di giovanotti che parlano e ridono fra loro: portano tutti la maschera. Ah, ma allora abbiamo capito! Però, persino questo mendicante che tende la mano, porta la maschera! Incontriamo una lettiga, portata a braccia da due servitori: il viaggiatore scosta la tendina e sporge il viso che (ormai non ci stupisce più) è mascherato. Passa una gondola: la dama che la occupa porta anch’ella la sua brava mascherina. Non c’è dubbio: è tutta questione di calendario. Ci avviciniamo a un popolano: “Scusi…” “Comandi, paron” ci risponde, guardandoci, naturalmente, attraverso le fessure di una maschera. “Scusi, siamo di Carnevale?” Nossignori: non eravamo affatto di Carnevale. A Venezia in quel tempo la maschera la portavano tutti, e tutti i giorni dell’anno. Inutile domandarsi perchè: era la moda. Oggi la parola maschera ci richiama alla mente soltanto la festa di carnevale. In altri tempi, e ancora oggi presso altri popoli, le maschere hanno invece avuto un’importanza e un significato ben diversi; ne abbiamo visto un esempio.
Il carnevale
Scommettiamo… scommettiamo che non sapete che, secondo una certa tradizione, Carnevale comincia subito dopo le feste natalizie, e che la parola cernevale significa “carnem levare”, ossia togliere la carne? No? Allora due paroline di spiegazione me le permettete, vero? L’espressione letterale della parola si riferisce più esattamente al giorno delle Ceneri (cioè al primo giorno di quaresima) e all’intero periodo quaresimale. Per lungo tempo, nell’era cristiana, da questo giorno in poi ci si doveva astenere dal mangiare carne. Ma i bravi cittadini, per rifarsi della lunga astinenza che li aspettava, prima di togliere la carne dalla tavola, pensarono bene di abbandonarsi ai più pazzi divertimenti. Oggi come oggi il carnevale nelle sue più evidenti manifestazioni corrisponde, pressapoco, a quella settimana che precede la quaresima. In teoria dovrebbe iniziare dopo Natale e terminare il primo giorno di quaresima. Vi piacerebbe, eh? Allora dovreste riferirvi a Venezia… o meglio alla Venezia di alcuni secoli fa, dove il carnevale durava sei mesi e il giovedì grasso veniva solennizzato in gran pompa alla presenza del Doge con l’accensione dei fuochi artificiali in pieno giorno. E già che ci siamo vogliamo vedere come era ed è festeggiato il carnevale in Italia e nel mondo? Nei secoli passati il carnevale assunse al massimo splendore in parecchi luoghi, specialmente a Venezia, a Ivrea, a Nizza. In Firenze, col favore dei Medici, signori della città, i festeggiamenti si svolgevano in forma grandiosa, in mascherate su carri allegorici (i “trionfi”), accompagnate dai canti carnescialeschi. L’uso dei carri allegorici è rimasto poi in molte città italiane e straniere. Nella Roma papale, i giorni destinati alle mascherate erano otto e il permesso di uscire per il corso era dato alle 13.00 dalle campane del Campidoglio. Nell’ultima notte di carnevale tutti i romani, principi e popolani, giocavano per la strada a “moccoletti”. Ciascuno aveva una candelina accesa, e tutti facevano a gara nel rubarsela di mano o nello spegnersela scambievolmente, motivo di riso e simbolo di uguaglianza, perchè la candelina (“moccoletto”) del principe, valeva quanto quella del popolano. Com’è lontano da noi il magnifico carnevale di Velletri del 1546! Per festeggiarlo, ai rami di centinaia di alberi di un bosco furono appesi, alla portata di mano di chi voleva mangiarli, capponi, torte, focacce, galline, mentre quattro cannoni sparavano quattro diverse qualità di vino! Ma se a Velletri si regalavano polli e capponi, a Venezia si scialava nello zucchero. Infatti, per mostrare al mondo stupito la sua potenza economica e la sua ricchezza, Venezia allestiva dei banchetti colossali con grande spreco di zucchero, prodotto allora rarissimo perchè importato dall’oriente. Per onorare Enrico III di Polonia, in un pranzo furono fatti di zucchero persino le tovaglie e i tovaglioli; l’ospite, che non ne sapeva nulla, rimase di stucco quando, prendendo il tovagliolo e spiegandolo sul petto, se lo trovò sbriciolato tra le mani. E nelle altre nazioni? Ovunque si trovano carri, danze, e pantagruelici pasti. A carnevale, nessuna distinzione di nazionalità. Anche oggi, più o meno, il carnevale viene festeggiato dappertutto con una sfilata di carri e qualche mascherata. Solo però in poche città, come Viareggio, Torino, Ivrea, rivive il vecchio carnevale. Sfilano carri tra musiche, canti e getti di coriandoli e fiori. Getti di fiori! Ma se andate in Perù, in Bolivia, in Venezuela o in uno qualsiasi degli altri paesi sudamericani, attenti! Non di gettano fiori nè coriandoli, nè stelle filanti, ma palloncini di gomma pieni d’acqua, che vi colpiscono all’improvviso bagnandovi tutto! E non basta: lucido da scarpe, vernici, tinte, tutto è buono per quei pazzerelloni per cambiarvi il colore della pelle… e degli abiti. Il carnevale ci mostra, mettendolo in caricatura, come sarebbe disordinato il mondo se ciascuno potesse fare ciò che gli passa per la mente senza pensare agli altri. Invece anche nel divertimento è importante la buona educazione. In Calabria vi è l’uso di portare in giro, sulla groppa di un asino, chiunque nel giorno si carnevale venga sorpreso al lavoro. Ben venga, dunque, il carnevale: e impazziscano gli uomini per un giorno, purchè si ricordino di non esserlo troppo per gli altri 364! (da “Il Vittorioso”)
Le origini del Carnevale
Il carnevale deriva, secondo alcuni studiosi, da antiche feste latine in cui, dopo un certo periodo di dissipatezze e di piaceri, veniva nesso a morte un fantoccio travestito da re, cosa che ancor oggi si fa in alcune città, specialmente in quel giorno di metà quaresima che è detto per lo più “Carnevalino” e che è come un ritorno di fiamma dell’autentico Carnevale. Questo rito burlesco sta forse a significare la morte dell’inverno: di qui il tripudio di tutti e l’attesa della primavera, della sua gioia, dei suoi frutti. Il carnevale ha dunque un’origine agricola, contadina.
Sembra certo che nelle costumanze carnevalesche debbano riconoscersi quelle feste religiose da tutti i popoli celebrate nell’antichità con gran pompa al principio del nuovo anno per propiziarselo, o all’inizio della primavera per simboleggiare la rinascita della natura.
Ricordiamo le feste degli Egizi e dei Babilonesi, che nell’equinozio d’autunno onoravano i cherubs, buoi importati dai primi sacerdoti etiopi. Venuto il giorno stabilito, il bue, dipinto a festa, con le corna dorate e ricoperto di un ricco manto, era tratto dal sacro recinto e lo si conduceva per tutte le vie di Menfi. Un ragazzo gli stava sul dorso. Uomini e donne, vecchi, adulti, giovani, bambini, travestiti e mascherati, a piedi, a cavallo, lo seguivano canticchiando inni in sua lode; venivano poi le ragazze che lo avevano servito… insieme ai sacerdoti. Soldati e ufficiali facevano ala nelle vie, al suo passaggio. Dal momento in cui il bue usciva, incominciavano per tutto l’Egitto e l’Etiopia le feste, i godimenti pubblici, le mascherate. Queste duravano sette giorni, fino al sacrificio dell’animale…
Il Carnevale degli antichi Romani Il giorno decimoquarto avanti le calende di gennaio o, per dirlo più alla buona, il 19 dicembre, era giorno di festa e di gazzarra per i discendenti di Romolo… Le vie erano affollate di gente ilare e gaudente, che riempiva il foro, i templi, le basiliche, le vie principali, i termopolii, le popine (taverne) e le più infime bettole, in preda alla più sfrenata allegria. E questa bella allegria, che doveva durare per tre giorni, era fatta in onore del dio Saturno. La particolarità che distingueva questa festa dalle altre, quanto al rito, consisteva in questo: che i sacerdoti sacrificavano le vittime a capo scoperto, mentre per le altre divinità sacrificavano con la testa coperta. Le feste di Saturno, o Saturnalia, erano aspettate con impazienza da tutti, ma specialmente dagli schiavi, che per tre giorni erano liberi dalle loro penose fatiche, e potevano fare quello che volevano…
Nasce la maschera Il comico dell’arte (salvo rarissime eccezioni), per raggiungere l’eccellenza, rinunzia all’illusione di potersi rinnovare sera per sera; e decide una volta per sempre di limitarsi, in perpetuo, a una sola parte. Per tutta la vita e in tutte le commedie che reciterà, il comico dell’arte sarà un solo personaggio: sarà unicamente o Pantalone, o Arlecchino, Rosaura o Colombina. Persino il suo nome si confonderà con quello della sua maschera, sicchè a un certo punto non si saprà più quale sia il vero e quale il fittizio. Alle volte come nel caso della Andreini, il personaggio che ella incarna, la maschera che ella crea, prende il nome di battesimo dell’attrice, della donna, Isabella. Molto più spesso sarà il nome della maschera che farà sparire quella dell’attore: sicchè, all’arrivo di Francesco Andreini a Parigi si dirà: “E’ arrivato Capitan Spaventa!”; alla morte di Domenico Biancolelli, correrà la notizia: “E’ morto Arlecchino.”. Carnevale qui e lì per il mondo
Maschere per i vivi e per i morti (Messico) La fabbricazione delle maschere rappresenta per i Messicani uno dei più curiosi aspetti del loro artigianato. Le maschere vengono fabbricate con vari materiali: legno, stoffa, carta, cuoio, stagno e vengono dipinte o laccate nelle maniere più strane e divertenti che denotano una grande originalità di gusto e di talento. Le maschere, oltre che per i giorni di carnevale, servono anche per il giorno dei morti. In questo caso, sono di carattere macabro e, per mezzo di esse, gli abitanti sono convinti di poter comunicare con le anime dei defunti.
Si balla dappertutto (Guadalupa) In occasione del carnevale, si balla ovunque: nelle campagne, si balla al suono di strumenti primitivi come scatole o bidoni pieni di sassi che vengono freneticamente agitati dai suonatori, mentre nelle città si balla il doudou al quale gli invitati intervengono mascherati o vestiti con le acconciature più strane. Un’altra danza caratteristica delle città e anche delle campagne, è quella dei tagliatori della canna da zucchero, durante la quale uomini e donne si muovono agli ordini di un comandante: gli uomini devono presentarsi armati di coltelli, mentre le donne tengono in mano una canna da zucchero verde.
Costenos, tigri, coccodrilli (Colombia) Per i Colombiani, il carnevale è la più importante delle feste. Per tre giorni nessuno lavora, ma i preparativi hanno inizio già tre settimane prima. Tali preparativi occupano migliaia di persone addette alla fabbricazione delle maschere più curiose. La maschera è quasi d’obbligo durante i tre giorni che precedono la quaresima. Oltre alle maschere, molte sono le usanze del carnevale colombiano. Una è quella dei costenos, che sono giovani mascherati i quali girano facendo la questua e lanciando frizzi, insulti, o cospargendo di nerofumo coloro che osano negare un’offerta. C’è poi l’uso di molti carri allegorici, come quello di Barranquilla che è superato in splendore solo da quello del gran carnevale di Rio de Janeiro. Altre manifestazioni sono la caccia alla tigre. C’è poi il ballo del caimano che si svolge il 20 gennaio con la fabbricazione di un enorme coccodrillo nel quale si nasconde un uomo che lo fa muovere in una frenetica danza avanti e indietro, davanti ad ogni negozio o bar: per liberarsi dal mostro i proprietari devono offrire al grosso animale un dono in liquore o in altri generi.
La festa delle lanterne (Cina) Dopo la grande festa del primo dell’anno, la vita in Cina si fa più vivace e festosa per un periodo che corrisponde su per giù al nostro carnevale. Molte sono le feste, ma la più caratteristica è senza dubbio quella delle lanterne. Essa ha inizio al rombo del cannone, delle campane e di tutti gli strumenti musicali disponibili. Per tre giorni consecutivi milioni di fuochi brillano sui fiumi, sul mare, sui monti, nelle strade, nelle campagne, nelle città, alle finestre dei poveri e a quelle dei ricchi. I più ricchi, sfoggiano naturalmente lanterne magnificamente decorate, mentre i meno ricchi si accontentano di lanterne più modeste. Nessuno comunque vuole esserne privo. Sono lanterne quadrate, triangolari, cilindriche, a globo, a piramide. Ce ne sono di carta, di seta, di corno, di vetro, di madreperla. Per tutta la durata della festa i negozi restano chiusi e la gente circola per le vie vestita con fogge strane e insolite. Anche per i Cinesi, come per qualsiasi altro popolo del mondo, questa specie di carnevale rappresenta uno sfogo alla vita di tutti i giorni con i suoi pesi, le sue fatiche, le sue quotidiane preoccupazioni.
Halloween Halloween è il carnevale dei ragazzi che si travestono nelle fogge più spaventose raffiguranti scheletri, streghe, diavoli, spettri. Così camuffati, essi, di notte, girano di casa in casa e chiedono ragalucci o dolci pronunciando la formula: “Treat or trick” che significa “o mi regali qualcosa oppure la vedrai brutta”. Se qualcuno infatti osa negare il dono, la vendetta non si fa attendere: i colpevoli si vedranno in un batter d’occhio imbrattati i vetri delle finestre, delle vetrine, delle macchine.
La festa degli insulti (Ghana) Ogni tanto gli uomini sentono la necessità di rompere la monotonia della vita quotidiana facendo qualche cosa di strano e di diverso. Così nel Ghana, in Africa, nacque la festa degli insulti. Per qualche giorno, tutte le abitudini vengono sconvolte. Gli Akan, abitanti del Ghana, affermano chelo spirito Sunsum, legato ad ogni singola persona, in quei giorni si ribella e vuol sfogarsi fadendo fare a tutti una specie di grande vacanza. Si mangia, si beve, si danza, e soprattutto si dicono tutti gli insulti che vengono in mente. Gli Akan, nascosti sotto maschere, ombrelli, baldacchini, si lanciano a vicenda ogni sorta di parolacce, scherzi, insulti. E questo dura per ben otto giorni. Passato questo periodo, i sacerdoti, sotto la maschera di leopardi, leoni, iene o sciacalli, sacrificano una capra con il sangue della quale purificano i loro vasi sacri. Fatto questo, gli spiriti Sunsum tornano nell’ordine abituale e ognuno riprende la vita di ogni giorno
Il Coon Carnival (Città del Capo) Durante gli ultimi tre giorni dell’anno, a Città del Capo, in Africa, succede un fatto straordinario: ogni sera un gran numero di persone scompare dalla città. Dove vanno? Nessuno lo sa. Tutti però conoscono il motivo della loro scomparsa. Si sa, cioè, che sono scomparsi per andarsi a nascondere nella foresta, dove preparano, sotto la guida di un capo, costumi, maschere, carri carnevaleschi, danze e canti che dovranno essere una grande sorpresa per la città. Guai se qualcuno osasse tradire il segreto del Coon Carnival, cioè prima di capodanno qualdo il carnevale avrà inizio nella città che in un batter d’occhio si trasformerà in un fantastico carosello di musiche, di costumi, di carri meravigliosamente addobbati e carichi delle maschere più strane e varie.
Il carnevale brasiliano Il carnevale brasiliano non è solo quello famoso che si celebra a Rio de Janeiro, ma è il carnevale di tutto il Brasile. Fu introdotto dall’Europa e, se in parte conserva ancora le caratteristiche del continente d’origine, esso ha d’altra parte assimilato molti elementi pagani del popolo brasiliano. I preparativi del carnevale brasiliano richiedono mesi di lavoro; si può affermare che, appena terminato il carnevale di un anno, già si comincia a pensare a come preparare quello successivo. Costumi europei, fogge russe e tirolesi, si mescolano a quelli hawaiani in una splendida fantasiosa fantasmagoria di colori. I festeggiamenti durano quattro giorni: cominciano il sabato a mezzogiorno quando, ad un dato segnale, si chiude ogni negozio, laboratorio, fabbrica; per terminare a mezzogiorno del mercoledì delle Ceneri. Per quattro giorni, su Rio e su ogni centro piccolo e grande, sembra passare un vero ciclone: maschere, danze, carri, musica, frastuono, sfilate. Ogni sfilata è un fantastico carosello di maschere svariate che passano tra la folla a ritmo di samba e di marcia, invitando la folla stessa ad entrare nel corteo.
Carnevale qui e lì per l’Italia
Il carnevale di Viareggio Il carnevale di Viareggio è vecchio. Ma il carnevale è un mattacchione che più invecchia e più diventa allegro. Figurarsi che gli storici gli attribuiscono cinquemila anni di vita. Invecchiare per lui è niente, morire ancor meno di niente. Ringiovanisce e resuscita sempre più ingegnoso di trovate, sempre più colorato e sempre più vivace. In Toscana il carnevale sembra sia nato per opera di Lorenzo il Magnifico. A Viareggio poi, il carnevale sembra una festa di uomini e di cose, una fantasia bellissima dove collaborano il cielo, il mare, le pinete incantevoli, la parlata sonora e abbondante, e gli uomini con colori, canti, scenari. Il carnevale a Viareggio è uno spettacolo di cui cercheresti invano lo scenografo, il macchinista, il pittore, il cantore, l’inventore, perchè non sapresti se andarlo a trovare fra gli uomini o fra la natura. Per preparare il carnevale ogni anno, centinaia e centinaia di operai per parecchie settimane non conoscono riposo, nè di notte nè di giorno. Dormono qualche ora e sognano il carro mascherato con cui hanno deciso di partecipare alla gara. Questo corteo fantasioso di carri oscillanti sotto le manovre delle maschere che cantano nel sole, questi giganti che sembrano usciti dalla fantasia di poeti, questi mostri dalla corteccia di carta, che, tagliando la folla, passano suscitando risa fragorose, non solo costano fior di soldi, ma costano fatiche e sacrifici. Ogni anno ognuno dei più famosi costruttori di carri ha un’idea, cerca degli aiutanti, si chiude nel proprio laboratorio e fabbrica. Cosa fabbrica? Quello che l’estro gli ha suggerito. Un carro. Cosa metterà su questo carro? Chi lo può sapere, prima del giorno fissato? I fabbricanti di carri sono gelosissimi l’uno dell’altro. Inventano tutti i sotterfugi per sapere cosa fanno gli altri, e per mascherare ciò che faranno loro. Talvolta assoldano i ragazzetti per far loro da spie, per introdursi nel laboratorio di un concorrente temuto. Il ragazzetto, quando non è scoperto (e allora sono guai!) riferisce quel che ha visto, facendo nascere preoccupazioni e timori. (G. Cenzato)
Il carnevale torinese Il carnevale torinese, negli anni passati, ormai lontani, era ritenuto uno dei più fastosi che si celebrassero in Italia. Anche la corte interveniva in equipaggi alla postigiona, con cocchieri, staffieri, valletti in parrucca bianca, incipriati, in costume scarlatto argento; e la Regina Maria Teresa, consorte di Carlo Alberto, vi compariva festosa, sopra un cocchio tirato da otto cavalli bianchi. Le vie erano adorne di festoni, i balconi gremiti di gente, e sotto i portici giravano le maschere a piedi: Gianduia, Giacometta, Gipin, mentre nella strada circolavano le cavalcate e i carri allegorici. I torototela, poeti da strapazzo, cantastorie, rimavano la canzoncina: “Cerea bela fia cerea bel gasson ch’a stago an alegria ch’a beivo del vin bon” mentre ferveva, tra i balconi, la vivace battaglia delle caramelle e dei mazzolini di fiori. L’ultima notte di carnevale, il martedì grasso, si bruciava in piazza Castello il bogo, un enorme fantoccio pieno di fuochi d’artificio. A mezzanotte in punto la fiamma provocava lo scoppio, salivano fischiando numerosi razzi al cielo; e così fra lingue di fuoco rossiccio, grida, urla, canti, moriva il carnevale.
Questo libro illustrato, da leggere dal basso verso l’alto, narra di una vecchietta che viene lanciata verso il cielo all’interno di un cesto, ma non senza scopa… Si tratta di “The flight of the old woman who was tossed up in a basket“, di Aliquis. Le illustrazioni sono accompagnate da un breve testo che raccoglie le didascalie delle avventure della vecchietta mentre sale, sale, sale, in alto fino ad arrivare a spazzare le ragnatele del tetto del cielo…
Se ora andate in fondo al post e risalite, potete farvi un’idea….
The flight of the old woman who was tossed up in a basket. Potete trovare il tutto, digitalizzato, qui http://www.nonsenselit.org/oldwoman/ , con molte altre informazioni, e links, e tantissimo altro ancora…
The flight of the old woman who was tossed up in a basket
Epifania e la befana – dettati ortografici sull’Epifania, la Befana e i Re Magi, di autori vari, per la scuola primaria.
L’Epifania
L’Epifania è il giorno dell “manifestazione”, poichè la stella apparve ai Magi il 6 gennaio e indicò loro la strada per raggiungere la capanna. Fu stabilita come festa nell’813, perchè a quel tempo il Natale si festeggiava per dodici giorni di seguito, e il dodicesimo era l’anniversario dell’apparizione che guidò i tre re Magi.
Nel Medioevo questo evento si rappresentava alle corti di Spagna e di Inghilterra dai sovrani stessi. In Francia si sceglieva tra i preti un re spartendo una grande focaccia con dentro una fava: chi riceveva la fetta con la fava veniva proclamato re: “Re della Fava”. Altrove si rappresentano drammi di circostanza, come “la festa della stella”.
In Italia, da Epifania è venuta la parola Befana, che indicava un fantoccio di stracci che le donne e i ragazzi usavano mettere per scherzo alle finestre. E ancora oggi la Befana viene giù la notte della vigilia per la cappa del camino. I bambini appendono scarpette, calze e cestini che la vecchia riempie di doni.
Che grida di gioia, quando, al mattino, la casa si sveglia e i bimbi vuotano le calze e i cesti! Ma i doni che la Befana ha portato nottetempo, e che ricordano quelli dei Re Magi, riservano a volte sgradite sorprese: carbone, cenere, agli e cipolle…
La notte dell’Epifania ha, nella fantasia popolare, tinte di leggenda. Si dice che, nelle stalle, gli animali parlano e predicono il destino degli uomini.
6 gennaio: Epifania
Con questo nome, che significa apparizione della divinità, la chiesa cattolica ricorda l’arrivo alla capanna di Gesù dei Rei Magi che, guidati da una stella luminosa apparsa nel cielo, si erano messi in cammino dai lontani paesi d’Oriente. Avevano nomi strani: Melchiorre, Gaspare, Baldassarre, e portarono in dono al bambino oro, incenso e mirra.
L’oro è il metallo più prezioso. L’incenso ha il profumo soave della virtù. La mirra, che è una sostanza data da un arbusto del deserto, ha un sapore amaro ed è il segno dell’umanità.
La parola Befana, con cui si denomina spesso l’Epifania, ha un significato che di religioso non ha nulla: indica una specie di fata, vecchia e brutta, ma benefica, che, la notte del 6 gennaio, scendendo per la cappa del camino, porta i doni ai bambini che vi hanno appeso la calza.
L’Epifania in alcune regioni d’Italia
In Romagna una leggenda dice che nella notte dell’Epifania le mura diventino di ricotta; nelle Marche, nell’Abruzzo e in altre regioni si dice che gli animali acquistino la favella, ma chi osasse ascoltare e riferire morirebbe il giorno stesso.
A Palermo è nota la leggenda che i Re Magi attraversarono l’isola e fecero fiorire per incanto gli aranceti brulli per una nevicata.
In Calabria le ragazze, prima di addormentarsi la vigilia, cantano una canzoncina augurale; se sogneranno una chiesa parata a festa o un giardino fiorito, sarà per loro un anno fortunato.
In Toscana i contadini infilano il capo sotto la cappa del camino; se riescono a scorgere le stelle, stappano il vino buono perchè è segno d’annata buona; altri pronostici traggono da altri segni.
L’Epifania segna anche l’inizio del Carnevale: in Sicilia corre il proverbio “Per i tre re, tutti olè”. Ma soprattutto a Roma, in piazza Navona, la Befana presenta le più caratteristiche espressioni del folklore, anche di carattere carnevalesco.
In Austria
Nel periodo tra il primo dell’anno e l’Epifania, in molte regioni sembra di rivivere un’ingenua e delicata favola. Nelle strade, verso sera, brilla una luce lontana che, avvicinandosi, prende la forma di una stella. La portano tre uomini vestiti di bianco, che raffigurano i Re Magi; colui che impersona il re dei Mori ha il viso annerito di fuliggine. I “cantori della stella”, rischiarati dal suo calore, vanno nella notte. Vanno di casa in casa e cantano le loro semplici canzoni popolari; poi, rifocillati e ristorati di cibo e bevande, riprendono il loro girovagare. Entrano nei cascinali, visitano cortili e stalle, mentre i contadini, col gesso, scrivono sulle porte le iniziali dei Re Magi: G M B, e invocano la benedizione divina per l’anno appena iniziato.
In Inghilterra
In Inghilterra la festa del Capodanno è simile a quella che si svolge in tutta Europa; più originale è la festa dell’Epifania. Tra le cerimonie più suggestive ricordiamo la funzione religiosa che si svolge a Londra nella cappella reale di San Giacomo: in memoria dei doni dei Re Magi, il Lord Ciambellano, in rappresentanza della Regina, presenta tre borse di denaro all’offertorio. Le borse sono per i poveri della parrocchia.
I tre Magi
Alcuni giorni dopo, tre Magi giungevano dalla Caldea. Una nuova stella, simile alla cometa che riappare ogni tanto nel cielo per annuciare la nascita di un profeta o la morte di un Cesare, li aveva guidati fino alla Giudea. Erano venuti per adorare un Re e trovano un poppante mal fasciato, nascosto dentro una stalla. I Magi non erano re, ma erano, in Media e in Persia, padroni dei re. I re comandavano i popoli, ma i Magi guidavano i re. Sacrificatori, interpreti di sogni, profeti e ministri, potevano comunicare con la divinità: conoscevano il futuro e il destino, possedevano i segreti della terra e quelli del cielo. In mezzo a un popolo che viveva per la materia, rappresentavano la parte dello spirito. Inginocchiati, dentro ai sontuosi mantelli reali ed ecclesiastici, sulla paglia dello strame, essi, i potenti, i dotti, gli indovini, offrono anche se stessi come pegno dell’obbedienza del mondo. (C. Papini)
Re Magi
Sono i Re più dolci che siano mai esistiti. Li trovi davanti a un bambino, inginocchio e adoranti. Tre: un maestoso raduno da lasciar sgomenti. Ma re in ginocchio non fanno paura. L’abito del pellegrino ha forse sostituito il mantello di porpora? E il bordone ha sostituito lo scettro? No. Sono giunti a Betlemme con scettro e lumeggiamento di vesti, han portato le loro corone stellanti: non appena per provare a chiunque la loro identità, ma per umiliare ogni loro grandezza ai piedi del bambino. Dopo l’omaggio della semplicità, pastori e pecore, sta bene questo omaggio della regalità, cammelli e popoli. (C. Angelini)
I Re Magi
Chi erano i Re Magi? Re o principi di piccoli e lontani Stati nel cuore dell’Asia misteriosa, o filosofi che sapevano di scienza e di astronomia, o sacerdoti di un mistico culto del sole e degli astri? E venivano dall’Arabia deserta, o dalla Mesopotamia, o dalla Persia, paesi tutti che anticamente venivano genericamente indicati tutti col nome di Oriente?
Portavano alla capanna le loro offerte, secondo la consuetudine dei Persiani, dei Caldei e si tutti i popoli orientali in genere, la quale non voleva che si comparisse davanti ai re se non con qualche dono. E le loro offerte si prestavano facilmente al simbolo: oro per sollevare dalla povertà, incenso contro l’odore della stalla, mirra per consolidare le tenere membra del bambino; mistici rimedi alla miseria, al peccato, alla debolezza.
Dettati ortografici EPIFANIA E LA BEFANA – Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere. La pubblicazione ha scopo unicamente didattico e non verrà effettuata nessuna operazione di vendita o di tipo editoriale.
Racconto La Befana torna indietro – Ai tempi antichi la Befana fabbricava da sè i giocattoli, che erano fatti di legno e di maglia. Ma i bambini nuovi vedevano solamente il legno e torcevano la bocca. Perciò la Befana comprava i giocattoli di lusso nelle grandi fabbriche e i suoi rimanevano sempre in fondo al sacco, perchè non piacevano a nessuno…
La Befana, stanca stanca, tornava verso la sua casa, che è lontana, tanto lontana che, fra andare e tornare, ci vuole un anno.
Ai tempi antichi la Befana fabbricava da sè i giocattoli, che erano fatti di legno e di maglia. Ma i bambini nuovi vedevano solamente il legno e torcevano la bocca. Perciò la Befana comprava i giocattoli di lusso nelle grandi fabbriche e i suoi rimanevano sempre in fondo al sacco, perchè non piacevano a nessuno.
La Befana camminava in silenzio nel lume di luna. Ad un tratto inciampò e si fermò. Che cos’era? Un filo di pianto teso fin lassù.
“Un bambino che piange? A quest’ora?” borbottò. E riprese a camminare.
Quel filo però la tirava e non si spezzava. Allora la Befana tornò indietro. Arrivò ad un comignolo alto: due voci si distinguevano legate a quel filo di pianto. Una diceva: “Nemmeno oggi me l’hai portato il giocattolo!”. E quell’altra rispondeva: “Come potevo fare, amore mio, se non m’avanzava nemmeno un soldo!”.
La Befana, appoggiata al camino, aveva già aperto il sacco e frugava nel fondo. Tirò su due manciate di quei giocattoli che faceva lei e che ora nessuno voleva più, poi avvicinò la bocca del sacco a quella del camino e adagio adagio vuotò ogni cosa.
Allora il filo di pianto si spezzò e la sua voce si tramutò in una risatina lunga lunga che, arrivata fuori del camino, si sparpagliò nel cielo come una fioritura di stelle piccine.
La Befana, stanca stanca, riprese a camminare, ma quelle stelline sbocciate dalle risa del bambino la inseguivano come lucciole. Finchè ne prese una manciata e le mise nel sacco.
“Farò gli occhi alle bamboline per quest’altro anno!”.
Racconto Scaramacai e la Befana – avevo attaccato la mia calza sotto la finestra perchè il camino nella mia capanna non c’è e tutta la notte ero stato sveglio, sperando che arrivasse la Befana. Invece, niente. Quando mi accorsi che fra poco sarebbe spuntato il giorno, pensai di farmi la Befana da solo. In un cassetto avevo quattro palline di vetro che mi erano state regalate da un bambino al quale avevo raccontato una barzelletta…
Avevo attaccato la mia calza sotto la finestra perchè il camino nella mia capanna non c’è e tutta la notte ero stato sveglio, sperando che arrivasse la Befana. Invece, niente. Quando mi accorsi che fra poco sarebbe spuntato il giorno, pensai di farmi la Befana da solo. In un cassetto avevo quattro palline di vetro che mi erano state regalate da un bambino al quale avevo raccontato una barzelletta.
Erano quattro palline con centro dei fili colorati, molto preziose. Le presi e le infilai nella calza, senza ricordarmi che nella calza c’era un buco, e così tin tin tin, le quattro palline caddero sul pavimento. Mi ero appena messo carponi per cercarle, quando la porta si aprì e, oh meraviglia delle più meravigliose meraviglie, entrò la Befana.
La riconobbi subito per il sacco che portava sulle spalle stanche, per il gran naso che le si incurvava sulla bocca, per la neve che aveva sui capelli e per gli occhi, due occhi strani e dolci che invece di sembrare da vecchia erano da bimba: ecco, due occhi di bimba in mezzo a mille rughe di vecchia.
Io ero rimasto lì, come un tonto, senza riuscire a parlare, ma lei non ci fece caso e disse: “Scaramacai, per favore aiutami…”
“In che cosa posso servirla, signora Befana?”, chiesi educatamente senza far vedere che avevo il cuore che correva come un cavallo matto perchè pensavo che lei avesse bisogno del mio aiuto per levare dal sacco un regalo grossissimo e tutto per me.
Invece la Befana disse: “Manca poco, ormai, all’alba e devo ancora fare due consegne, aiutami, sennò, da sola non ce la faccio…”
“Ma io non ho la bicicletta!” osservai senza far vedere che ero molto deluso.
“Macchè bicicletta!”, si spazientì la Befana, “Fuori ho la scopa, avanti, sali!”
“Per far che?”, chiesi.
“Ma per volare sulle case! Su, muoviti!”
Sentii una gran tremarella scuotermi le gambe, ma come si fa a dire no alla Befana? Così, salii a cavalcioni sulla scopa, dietro di lei, chiusi gli occhi, la abbracciai forte forte, e via!
Mi sentii sollevare da terra, come una foglia secca portata dal vento, e quando riaprii gli occhi, li richiusi subito perchè vidi sotto di me la città che girava come una giostra.
Ma la Befana mi riscosse (forse aveva sentito che io mi ero stretto più forte a lei) e mi chiese: “Riesci a vedere su che strada siamo?”
Dovetti per forza riaprire gli occhi e mi accorsi che ora volavamo basso, rasente ai comignoli. Lessi chiaramente la targa della via: via della Gallina Rossa e lo dissi alla Befana.
“Bene” commentò lei, “quando passiamo sul comignolo del numero 7, sgancia il sacchetto di carbone, che c’è nel sacco…”
“Per chi è, se è lecito?” , chiesi.
“E’ per Luigino, un bimbo capriccioso”, rispose la Befana.
“Non si potrebbe perdonargli?”
“Fa come ti dico! Conosco il mio mestiere!”
Mogio mogio, allungai la mano per prendere il carbone dal sacco, ma invece, forse per sbaglio, forse no, trovai un trenino… Lo lasciai cadere in fretta e lo vidi infilare prodigiosamente il comignolo, come guidato da un filo.
Un attimo dopo, una finestra si illuminò, si aprì, un bimbo, proprio Luigino in camicia da notte, si affacciò e lo sentimmo gridare: “Grazie Befanina!”
“Che strano…” commentò la Befana, mentre faceva compiere alla scopa una larga virata, “mi ringrazia del carbone…”
Io stavo per confessare la verità, ma lei non me ne lasciò il tempo, dicendo: “Controlla se siamo su corso Pomponio. Queste nuove targhe stradali io, quando viene l’alba, non riesco più a leggerle…”
“Sì, ci siamo” , risposi.
“Allora, sul numero 21 sgancia un trenino elettrico…”
“E’ per un bimbo buono?”
“No, è per un vecchietto buono”
“Un trenino a un vecchietto?”
“Fa come ti dico, impertinente!”
Allungai la mano per prendere il trenino dal sacco ma, invece, forse per sbaglio, forse no, trovai il sacchetto di carbone… Con un lieve sibilo il sacchetto cadde e si infilò nel comignolo del vecchietto.
Un attimo dopo, una finestra si illuminò, si aprì, un vecchietto con la papalina in testa si affacciò, e lo sentimmo gridare: “Grazie, Befana! Avevo tanto freddo!”
“Che c’entra il freddo col treno?” borbottò la Befana, “Ma, deve essere un po’ matto…”
Non potevo più tacere: “Ecco, veramente…” mormorai, “mi sono sbagliato”
“Cos’hai fatto?” chiese la Befana con un tono di voce che non vi auguro mai di sentire.
Risposi in fretta: “Senza volere apposta, ho dato il trenino a Luigino, che sono sicuro che diventa buono, e il carbone al vecchietto che tanto lui non sa cosa farsene, invece del carbone sì, perchè i vecchi hanno sempre freddo…”
Mi aspettavo che la Befana si mettesse a urlare con la voce della tempesta, invece non disse niente.
“Peggio” pensai, “è tanto arrabbiata che adesso mi butta di sotto… addio Scaramacai…”
Invece dopo un po’ disse (ma con una voce dolce, un po’ roca): “In fondo, Scaramacai, sei un bravo pagliaccio… E io sto diventando vecchia…”
Il cielo era ormai color del latte annacquato. Si volava rapidi e in silenzio: sentivo il vento frusciare vicino alle orecchie…
“Ecco, sei arrivato” disse a un tratto la Befana e dolcemente mi atterrò davanti alla mia capanna, “Ciao, Scaramacai, scendi adesso”.
“Aspetti, signora Befana” dissi scendendo dalla scopa.
Macchè, quella era già ripartita e ormai era diventata piccola piccola e nera nera sullo sfondo del cielo biancastro.
Spinsi l’uscio della capanna. Ero un po’ triste. Che cosa ci avevo guadagnato dall’avere aiutato la Befana? Un certo indolenzimento alle gambe (é scomodo cavalcare una scopa) e forse un bel raffreddore. Entrai a capo chino e le mie orecchie furono colpite da un rumore quasi di cascata, ma non di acqua tenera, di roba dura…
Alzai il capo e guardai. Oh, che prodigio di dolcezza! Dal buco della mia calza appesa, usciva uno zampillo colorato di caramelle, cioccolatini, torroncini, fichi secchi, castagne, confetti… Il pavimento ne era già tutto pieno, e il meraviglioso zampillo continuava, continuava, continuava…
Poesie per bambini e filastrocche sul tema epifania, befana e re magi; una collezione di autori vari, adatta a bambini della scuola d’infanzia e primaria.
La Befana spaziale Su quel pianeta la Befana viaggia a cavallo di un razzo a diciassette stadi, e in ogni stadio c’è un bell’armadio zeppo di doni e un robot elettronico con gli indirizzi dei bambini buoni. Anzi con gli indirizzi di tutti i bambini, perchè ormai s’è capito che di proprio cattivi non ce n’è. (G. Rodari)
La befana La befana vien pianino cala giù per il camino, porta ai bimbi che son buoni tante chicche, tanti doni. Ma se buoni non sarete, nella calza troverete, come chicchi, come doni, aglio, cenere e carboni. (M. Maltoni)
I Re Magi Tre Re Magi da lontano son venuti piano piano per veder Gesù bambino. Una stella fra il turchino li ha guidati col suo raggio, li ha guidati col suo lume. Gesù dorme e non ha piume, non ha fuoco, non ha fiamma, ha soltanto la sua mamma… (L. Nason)
I Re Magi La notte è tiepida e serena. I Magi d’Oriente vanno, vanno sui lor cammelli, e ancor non sanno dove sia nato al mondo il Re dei Re. Dice il moro: “Io gli porto l’oro”. L’altro gli fa eco: “L’incenso io reco”. Dice il terzo prono: “La mirra gli dono”. (M. Ronzoni)
I Re Magi Lontano, tra il fischiare del vento per le forre i biondi angeli in coro: ed ecco Baldassarre, e Gaspare e Melchiorre con mirra, incenso ed oro. (G. D’Annunzio)
Epifania I Re Magi dall’Oriente si son messi già in cammino, per trovar Gesù bambino, il figliolo di Maria. Buon Natale! Epifania! (Anonimo)
I tre santi re I tre santi Re Magi d’Oriente chiedevano sostando a ogni città: “Oh bimbe, oh donne, ci sapreste dire la strada per Betlemme dove va?” Né giovani né vecchi lo sapevano ed essi riprendevano il cammino ma una cometa dalla chioma d’oro or li guidava come un lumicino. La stella sulla casa di Giuseppe ristette e i santi tre Re Magi entrar; muggiva il bove, gridava il bambino, ed i Re Magi presero a cantar. (E. Heine)
La Befana Discesi dal lettino son là presso il camino, grandi occhi estasiati, i bimbi affaccendati a metter la calzetta che invita la vecchietta a portar chicche e doni per tutti i bimbi buoni. Ognun chiudendo gli occhi, sogna dolci e balocchi; e Luca, il più piccino, accosta il suo visino alla grande vetrata per veder la sfilata dei Magi, su nel cielo, nella notte di gelo. Quelli passano intanto nel lor gemmato manto, e li guida una stella nel cielo, la più bella. Che visione incantata, nella notte stellata! E la vedon i bimbi come vedono i nimbi degli angeli festanti ne’ lor candidi ammanti. (G. Gozzano)
La Befana Vien da lontano, per le vie nevose, lascia giù, al cancello del giardino, il somarello, e tra le sue calzette una ne sceglie per ciascun bambino e gliela porta: e sal dritta e sicura per ogni stanza, sia pur chiusa e scura. In ogni stanza di bambini buoni entra pian piano, e il loro sonno spia: e ai piedi del lettino lascia i suoi doni. (P. Calamandrei)
La Befana Quando è l’ora, la Befana alla scopa salta in groppa l’alza su la tramontana, fra le nuvole galoppa. Ogni bimbo nel suo letto, fa l’esame di coscienza: maledice il capriccetto, benedice l’obbedienza. La mattina, al primo raggio, si precipita al camino: un regalo ha il bimbo saggio, il monello… ha un carboncino! (C. Rosselli)
I Re Magi Una luce vermiglia risplende nella pia notte e si spande via per miglia e miglia e miglia. “Oh, nuova meraviglia! Oh fiore di Maria!” Passa la melodia e la terra s’ingiglia. Cantano tra il fischiare del vento per le forre i biondi angeli in coro; ed ecco Baldassarre, Gaspare e Melchiorre, con mirra, incenso e oro. (Gabriele d’Annunzio)
La Befana Con la diaccia tramontana è arrivata la Befana e gironzola in calzini tra comignoli e camini che l’aspettano impalati, sorridenti e affumicati. “Qui” un comignolo l’avverte “c’è un piccin che si diverte tutto il giorno: un fannullone!” “Ecco, cenere e carbone!” “Qui c’è un bimbo giudizioso? Ecco un dono generoso, ma al fratello negligente lascio subito un bel niente. C’è una bimba vanerella? Ecco qua la paperella, ma il giocattolo più bello lo regalo a un orfanello: per un attimo il sorriso tornerà sul mesto viso. (E. Zedda)
La Befana Senti? Suona mezzanotte. Dormi! Viene la Befana con le scarpe tutte rotte dalla casa sua lontana… Entra: il dito sulla bocca, con quel sacco che le pesa… Tutto vede e nulla tocca, vuol silenzio come in chiesa. Vuota il sacco mano mano, posa tante cose belle… Torna a casa piano piano, alla casa tra le stelle. (Zietta Liù)
La Befana Viene viene la Befana vien dai monti a notte fonda. Com’è stanca! La circonda neve, gelo e tramontana. Viene viene la Befana e la neve è il suo mantello. Ha le mani al petto in croce ed il gelo è il suo pennello ed è il vento la sua voce. Ha le mani al petto in croce. E s’accosta piano piano alla villa, al casolare, a guardare, ad ascoltare, or più spesso, or più lontano. Piano, piano, piano, piano… (G. Pascoli)
La burla della Befana Presso la nera cappa del camino, una calzina in grande attesa sta. Con il suo sacco ed il suo lumicino a notte la Befana scenderà. Ma un tormento sta in cuore a Tino e a Tina: “Ci vorrebbe la calza di una donna, la nostra è troppo corta e piccolina!” “Appendiamoci quella della nonna!”. Vanno al mattino i piccoli bricconi alla scoperta dei sognati doni. Ma che c’è nella calza lunga e nera? Un paio d’occhiali e una dentiera… (G. Vaj Pedotti)
I re magi Nei paesi lontani di Uno Due e Tre vivevano tre re chiamati da una stella si misero in cammino per andare a trovare Gesù bambino. “Stella, siamo lontani?” “Stella, siamo arrivati?” dicevano i re magi affaticati. “Il nostro viaggio sarà lungo ancora?” La stella rispondeva: “Ancora… ancora…” E finalmente la stella si fermò e sopra una capanna si posò e svanì la fatica del cammino in un sorriso di Gesù bambino.
La stella dei re magi Era una cometina che neanche si vedeva ma capitò che un giorno altissima volò “Tu giungi qui a proposito” le dissero lassù e una gran coda lucida di dietro si trovò. E corri, e corri, e corri, tornò a volar quaggiù la videro i re magi e giunsero a Gesù.
I re magi Tre re magi, da lontano son venuti piano piano per veder Gesù bambino. Una stella ha il turchino li ha guidati nel viaggio dolcemente col suo raggio li ha guidati col suo lume. Gesù dorme e non ha piume non ha fuoco, non ha fiamma, ha soltanto la sua mamma.
Oh magi d’oriente Oh magi d’oriente, che siete sì belli nello splendore dei vostri mantelli chi vi ha insegnato la via di Betlemme? Ce l’ha insegnata una stella splendente nata improvvisa nel cielo d’oriente. Vedi? La stella che ancora, lassù, guida la gente al cuor di Gesù.
I balocchi di Titina Sui balocchi di Titina è discesa la sventura: già la palla Saltellina mostra un’ampia spaccatura. Già il cavallo Vincilvento alla morte è condannato e si regge in piedi a stento tentennante e spelacchiato. L’automobile di latta è ridotta una frittata ed invano s’arrabatta malinconica e malata. Al pagliaccio (poverino!) distaccata s’è la testa; guarda questa il burattino con un’aria afflitta e mesta. Il bel libro adorno tutto di bellissime figure ora è un cencio, brutto brutto, tutto sgorbi e spaccature, e Titì, tutta piangente della strage ora si pente, nel pensar quanto lontana sia la prossima Befana. (Antonio Rubino)
I Re Magi Questa notte dai lucidi paesi dove il sol nasce sono giunti i Magi… Han cavalcato a lungo i Re cortesi per le notturne ambagi. Come ai begli anni vecchio cuore, udisti a notte il trotto dei bruni cavalli? Sbocciarono fiori ed astri non mai visti per i cieli e per le valli mentre passan i vegliardi buoni! Ed essi lungo l’aspettato viaggio nelle scarpette, rosse, sui veroni come rose di maggio, han messo per voi, felici bimbi, mani di giglio e boccucce di rosa, i giocattoli strani, i fiori, i nimbi… ogni più dolce cosa. Ma ai bimbi che li udirono, da una brulla tana, passare fra il tinnir dell’arpe, i buoni Magi non ha dato nulla… Quei bimbi non han scarpe! (S. Satta)
Sempre lei “Nonna, ai tuoi tempi c’era la Befana?” E la nonna sorride e dice: “Sì. Se mi ricordo! L’alba era lontana, era ancor notte, non spuntava il dì: ma presto andavo accanto al focolare dov’era la mia calza ad aspettare…” “Mamma, ai tuoi temi la Befana c’era?” E la mamma sorride e dice: “Sì. Era d’inverno, ma come primavera, Mi pareva che fosse quel bel dì… Mi alzavo quasi all’alba, in tutta fretta e correvo a cercar la mia scarpetta…” E passa il tempo, e il mondo avanti va: e la Befana antica è ancora qui; Per monti valli e isole e città ritorna come un tempo, in questo dì; è sempre lei, non può mutare più perchè c’è sempre al mondo gioventù. (A. Galante Garrone)
I Re Magi Nella notte che odora di gelsomino e acacie, tre re, mirando il cielo, vedono una gran brace di stella. Il dolce lume al grande arco confitto è un divino presagio che nei libri è già scritto. Svegliano dal sonno un servo e gli dicono: “Presto, metti un basto al cammello più robusto e più lesto”. E cercando con mano felice nel tesoro ricolmano tre scrigni di mirra, incenso e oro. E notte e giorno vanno, alti sopra i cammelli. Tintinna il loro passo di sonagli e gioielli. Si piegano talora, a domandar la via. Vanno a Gerusalemme per cercare il Messia. Vanno per pianure dove non è casa né pianta, né vi odora un cespuglio, né un ruscello vi canta. Vedon fuochi di stoppie, vedon occhi di brace accessi in mezzo ai campi come falò di pace. Cantano insieme un inno tolto alla Scrittura e la stella li guarda come una creatura. Ma d’un tratto declina, così lustra che abbaglia su una povera casa con il tetto di paglia, e rimane sospesa come un frutto sul ramo come a dire ai tre re: “Pellegrini, ci siamo!” Sono giunti. Han lasciato pascolare i cammelli e davanti alla porta han buttato i mantelli. S’inginocchiano insieme e con gli occhi rotondi adorano il bambino Gesù dai riccioli biondi. poi, aprendo gli scrigni che ognun porta con sé, fanno vedere i doni degni del Re dei Re. (Renzo Pezzani)
Dopo Natale Son passati i bei giorni di Natale. Suon di zampogna, non ci culli più. Forse tornasti ai placidi tuoi monti insieme ai verdi abeti rilucenti? Ma un angelo passò, lieve, e v’ha spenti. Solo, in un canto d’una stanza buia, un piccolo presepe ancor rimane; ma che abbandono, che malinconia: è secco il muschio, pendono le case, stanchi i pastori cadono per via. Stanchi, sì, è vero; stanchi di portare sopra l’esili spalle i molti doni. Vorrebbero posarli per un poco, vorrebbero sedersi sopra un masso ed accendere almeno un po’ di fuoco. Così, in tutto il minuscolo paese, c’è malcontento e una stanchezza estrema. Solo Gesù, nel fieno, ancor sorride, guarda e perdona, senza nulla dire: e non si stanca, Lui, di benedire! (Mario Pucci)
I Re Magi La notte è tiepida e serena. I Magi d’Oriente vanno, vanno sui loro cammelli e ancor non sanno dove sia nato al mondo il re dei re. Dice il re moro: “Io gli porto l’oro!” L’altro gli fa eco: “L’incenso io reco!” Dice il terzo prono: “La mirra gli dono!”. (Maria Ronzoni)
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CANTI DI NATALE Canto dei tre re magi – con testo, spartito stampabile, e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.
CANTI DI NATALE – Canto dei tre re magi Testo
Tre magi vengono dal sol levante le stelle splendono là sull’infante lungi è la meta, ma il bel chiaror della cometa va innanzi a lor. Incenso e mirra portan con sè oro pel bimbo ch’ è il re dei re. A Bethlem trovano Gesù bambin commossi adorano il piccolin.
CANTI DI NATALE – Canto dei tre re magi spartito E FILE MP3
CANTI DI NATALE – I Re Magi con testo, spartito stampabile, e traccia mp3 scaricabile gratuitamente.
Testo
Nel deserto senza luna vanno i tre Re Magi han passato un’altra duna ma non trovano Gesù Ma d’un tratto in ciel si accende una splendida stella la cometa che Betlemme guida i Magi a Gesù Messaggera del Signore che tu sia benedetta se per te il Redentore noi potremo adorar.
Recite per bambini – La bella Primavera e Primosole. La recita è scritta in rima da Lina Schwarz e racconta lo scorrere delle stagioni; anche il libro illustrato di Sibylle v.Olfers racconta di Madre Terra, delle stagioni, e dei piccoli semi…
Wurzelkinder, i bimbi radice è diventato un classico della letteratura per l’infanzia in lingua tedesca. Scritto e illustrato da Sibylle von Olfers all’inizio del secolo scorso, non ha mai perso la sua attualità. Con delicatezza e poesia le illustrazioni e il testo ci narrano dei bimbi radice che, come i fiori e le piante del bosco, si svegliano a primavera per sbocciare in estate e tornare a riposare alla fine dell’autunno. Età di lettura: da 3 anni. Io ce l’ho in tedesco, dono di una cara amica, ma ne è uscita l’edizione italiana:
Madre Terra (vecchia, veste un immenso mantello bruno, che copre tutto intorno a lei. Accovacciata in mezzo alla scena. Davanti a lei dorme distesa la bella Primavera) Di notte e di giorno, di mattina e sera, sempre tu dormi, oh figlia Primavera! La Madre Terra che non si conforta che tu sia morta, ti canta la nanna, come dormissi in braccio alla tua mamma. Di notte e giorno, di mattina e sera, sempre tu dormi, oh figlia Primavera!
Il ricordo dei giorni belli (vestito d’azzurro con una stella in fronte; entra in punta di piedi e parla sommesso…) Ti ricordi com’era bella la figlia tua, quando rideva d’aprile, e tutto il mondo brillava di luce e i fiori sbocciavano a gara, e tutta l’aria trillava di canti d’uccelli?
Madre Terra (singhiozza col capo tra le mani) Oh, se era bella la figlia mia! Più bella dei fiori e più soave del canto degli uccelli! Più bella della luce stessa. Ed ora è morta, Ohimè! Ohimè!
Ricordo dei giorni belli Ti ricordi i crepuscoli sereni, quando il cielo era tutt’una fioritura di giacinti, che la piccola falce della luna andava mietendo a poco a poco, affinchè potessero brillare le sue figlie, le stelle?
Madre Terra (Sollevando il capo) Ma la figlia mia era più fulgida di tutte le stelle! Ed ora è morta! Ohimè! Ohimè! (si rimette a singhiozzare)
Ricordo dei giorni belli Ti ricordi quando Primosole l’amò e la volle sua sposa? Andavano insieme per la foresta e sotto i loro piedi tutto rinverdiva. E la bellezza dell’una faceva sfolgorare lo splendore dell’altro; nel vederli tutto il mondo gridava: “Com’è bella la vita!”. Una cosa più meravigliosa non s’era vista mai.
Madre Terra Ed ora è morta! Morta!
Ricordo dei giorni tristi (vestito di grigio, con un velo nero intorno al capo) Ti ricordi quando giunse l’estate crudele a rapir Primosole alla sua sposa? Severa, imperiosa, gridò: “Perchè indugi così tra i fiori e i sorrisi? Il mondo ha bisogno di te! Vogliono spighe i miei campi! Vogliono frutti i miei alberi! Vogliono grappoli maturi le mie vigne! Al lavoro! Al lavoro!”
Madre Terra E Primosole partì, fedele al suo dovere
Ricordo dei giorni tristi E partendo cantò un canto meaviglioso.
Coro (da dietro le quinte come un eco) Primavera, dolce amore, da te parte il tuo signore. Primosol dai raggi d’oro ha un divino suo lavoro, che gli toglie amor giocondo per amor di tutto il mondo, tutto il mondo che lo vuole: “Dammi vita, oh sole, oh sole!”
Madre Terra Ed essa, dolcemente, soavemente, lo lasciò partire. “Va, splendi e matura!” gli disse. Gli mandò il più luminoso dei suoi sorrisi, lo seguì con lo sguardo. E poi… quand’egli dileguò nella lontananza, mi cadde tra le braccia addormentata per sempre
Tempo (vecchio, curvo, con una lunghissima barba bianca ed una falce in mano) Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa, chi dorme si sveglierà.
Vento di tramontana (prorompe sulla scena con violenza, urlando e sibilando, scompigliando col suo grande mantello svolazzante tutti i fiori e le foglie sparsi per terra. Davanti a lui fuggendo entrano le foglie secche e i semini) La fine! La fine! Ecco la mia gloria, il mio trionfo! Ecco le mie ultime vittime! Oh morte! Oh gioia! Tutto è devastato! Tutto è distrutto! Non più una foglia sugli alberi. Io solo regno ormai! Io solo padrone del mondo!
Tempo (in disparte) Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: il male si annienterà.
Le foglie secche Brillava magnifica la nostra foresta, trillava di giubilo ogni albero in festa. Quand’ecco il gran brivido di morte ci assale, col vento fatale. Quel soffio malefico che tutto distrugge, c’investe strappandoci all’albero e fugge. Rapite dal turbine, lontane dal ramo, disperse moriamo.
Tempo Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: che piange sorriderà.
Madre Terra (raccogliendo dolcemente le foglie le compone a dormire intorno al giaciglio di bella Primavera) La madre che piange la figlia sua morta, pietosa le lacrime degli altri conforta; nel seno amorevole qui tutte raccoglie le povere foglie.
I semini Siamo semini piccini piccini, nati e cresciuti dentro scatolini: bei scatolini fatti dai fiori…oh, come ci si stava da signori! Ed ora? Ohimè, per la ribalderia di quel ventaccio che ci spazza via, eccoci sparsi, poveri semini! Che sarà mai di noi così piccini?
Tempo Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: chi è piccolo crescerà.
Madre Terra (li raccoglie e li mette a dormire intorno a bella Primavera, poi li copre tutti col suo grande mantello, si accoccola e s’addormenta anche lei) La madre che piange la figlia sua morta, pietosa le lacrime degli altri conforta; nel seno amorevole raccoglie qui insieme fin l’ultimo seme.
Ricordi tristi e ricordi belli (insieme) Morte, morte! Dura sorte! Ogni vita ha l’ore corte. Vien la morte e picchia forte, perchè le aprano le porte. Morte morte, dura sorte!
Tempo Il tempo tutto ha visto, il tempo tutto sa: chi è morto rinascerà. (esce con passo lento e misurato)
Neve (dopo un intervallo di silenzio, entra in punta di piedi, con passo leggero e saltellante, vestita di bianco e scuotendo candidi fiocchi dalle braccia levate) Lieve lieve, nel sonno greve, cade la neve. Fior senza stelo, bacio di gelo, scende dal cielo. Segnano l’orme sull’uniforme terra che dorme, soavi e buoni sogni e visioni, benedizioni. (cala il sipario; si riapre con uno squillo di tromba)
Tempo (entrando) Il tempo ve l’ha detto, il tempo che tutto sa: chi è morto rinascerà.
Madre Terra (altro squillo di tromba, Madre Terra comincia a muoversi, agita le braccia con movimenti lenti e misurati, sollevando come a ondate il grande mantello) Semi! Piccoli semi! Svegliatevi dal sonno! Su, su, piccoli dormiglioni! Il tempo torna, è l’ora, è l’ora! (Li tocca uno ad uno carezzandoli)
Tempo Il tempo ve l’ha detto, il tempo che tutto sa: chi dorme si sveglierà.
Semini (Si sfregano gli occhi e si stiracchiano) Dal sonno ci svegliamo, semini più non siamo. Guardate, ormai si mette germogli e radichette. Miracolo stupendo! Mentre stavam dormendo, ognun di noi s’apriva; or siamo piante, evviva! (ora sono adorni di foglie sul capo e di radici ai piedi; agitano le fronde con le mani e si contemplano con meraviglia)
Madre Terra (Da sotto il mantello escono fiori, altri entrano da fuori scena e insieme formano un semicerchio intorno a bella Primavera) Bravi! Bravi! Come siete germogliati bene! Bravi semini, ed ora a voi foglioline! A voi fiori! Su tutti, da bravi! Margheritine, violette, primule, campanelline. E voi miosotodi, crochi, ranuncoli, reseda, anemoni, lillà, amorini… Lesti, piccini, pronti a fiorire! Il tempo torna, e Primosole già sento venire!
Primosole (Inizia a parlare da fuori, finchè arriva dalla bella Primavera e la bacia… lei comincia a muoversi) Primavera, dolce amore, fa ritorno il tuo signore! Primosole dai raggi d’oro ha compiuto il suo lavoro, e ritorna a lei che l’ama, che nel sonno ancor lo chiama, che da lui baciata vuole ridestarsi al mondo, al sole.
I fiori e i semi (in girotondo) Margheritini, violette, primule, campanelline, e voi miosotidi, crochi, ranuncoli, reseda, anemoni, pronti alla festa! Vien Primosole, e bella Primavera si ridesta!
Bella Primavera (si alza) Son desta o sogno ancor? Non ero morta! Dolce era il sogno. Accanto ognor gli fui nel lungo viaggio; sempre fui sua scorta, la fida scorta che vegliò su lui.
Primosole Io ti sentii, soave compagnia, mentre seguivo la mia lunga via. Sentivo il tuo pensiero, o dolce sposa, che mi spronava all’opera gloriosa.
Bella Primavera Ed io sentivo nel sonno profondo l’anima mia più forte e più sicura, e ti dicevo: aiuta, aiuta il mondo! Dà luce e vita, vai, splendi e matura!
Primosole Fu la potenza del tuo santo amore, che luce e vita diede al mio calore, fu la dolcezza del tuo cuor profondo, che mi diede la forza di illuminare il mondo.
Primavera e Primosole (insieme) Come una madre mi ha di te nutrito, t’ho di me nutrito, sia benedetto il dì che ci ha riunito.
Tempo (si inginocchia guardandoli con reverenza) Il tempo che tutto ha visto, il tempo che tutto sa, dinanzi a tal miracolo sente l’eternità.
Fiori e semi (si inginocchiano in semicerchio guardandoli) Come risplendono, come sono belli! Spiri di zefiri, voli d’uccelli, sorrisi d’angeli, passano su loro.
Madre Terra (getta il mantello e appare ringiovanita) E contemplandovi forme leggiadre, v’intona un cantico la Terra Madre: “Al mondo, amandovi, donate amore!”
Rugiada (dopo un silenzio, entra con passo leggero) Su voi la rada gocciola cada della rugiada. E’ il ciel che manda questa sua blanda sacra bevanda. Ogni creatura goda la pura rinfrescatura, che il mondo invita a nuova vita. (cala il sipario)
Testo: Lina Schwarz Illustrazioni: Sibylle v.Olfers (Etwas von den Wurzelkindern, edizioni Esslinger)
Una storia per il compleanno – Un adattamento (molto alleggerito) di una storia di ispirazione steineriana per il compleanno… purtroppo non conosco la fonte originale.
Giovanni abitava in una casa tutta luce: una stella. Viveva là con molti altri bambini, e insieme giocavano mille giochi sulle nuvole. La sera, stanchi, rientravano nella Casa d’Oro e mangiavano il pane delle stelle, e non serviva dormire perchè quel pane era il miglior riposo che si possa immaginare. Tutti i giorni erano belli lassù, ma tra tutti uno fu per Giovanni davvero speciale: il giorno in cui incontrò il suo angelo. Era bellissimo. Quel giorno Giovanni aveva visto una nuvola molto diversa da tutte le altre avvicinarsi alla Casa d’Oro, e su quella nuvola c’era proprio lui. Era ancora lontano, ma già Giovanni pensava: “Che bello che è, e mi vuole bene…” Quel giorno così si incontrarono e si riconobbero, e da allora i giochi sulle nuvole diventarono anche più divertenti.
Quando era il momento il Signore della Casa d’Oro chiamava uno dei bambini e lo faceva entrare nella stanza del trono, e così anche Giovanni un giorno si trovò davanti al Signore, che gli disse: “Caro Giovanni, è già da un bel po’ che sei qui con me nella Casa d’Oro. Ora mi piacerebbe mandarti sulla Terra, cosa ne pensi?” “Oh, no!” disse Giovanni, “Io sto bene qui, e mi diverto un sacco col mio angelo e con tutti i miei amici… voglio restare sempre qui!” “Lo so, Giovanni,” disse sorridendo il Signore, “ma vedi, laggiù sulla terra ci sono delle persone che ti stanno aspettando e che hanno davvero molto bisogno di te. Vorrei mandarti da loro, e mi piacerebbe che laggiù tu raccontassi di noi, della Casa d’Oro, dei giochi sulle nuvole e del pane delle stelle. Ascolteranno solo te, e solo tu puoi farlo…” “D’accordo… va bene…” rispose allora Giovanni, “io ci andrò, ma soltanto se il mio angelo potrà venire con me!” Molti altri giorni trascorsero tra i mille giochi sulle nuvole, infine una mattina l’angelo si avvicinò a Giovanni su di una nuvola più grande e densa delle solite, con un piccolo carretto dorato al suo fianco, dicendo: “Ora ti farò visitare tutti quei regni che fino ad ora hai visto solo da lontano, e riceverai tantissimi regali. Ecco a cosa serve il carretto!” Ed insieme partirono per il loro lungo viaggio verso la terra.
La nuvola speciale si avvicinò al primo regno, tutto profumi e trasparenze blu. Giovanni in questo regno camminava senza nessuna fatica, come spinto gentilmente da un venticello azzurro e leggero, e presto si trovò davanti al signor Saturno, seduto sul suo trono blu e avvolto in una bellissima luce blu e nel suo meraviglioso mantello, naturalmente blu, e trapuntato di stelle. Quando il signor Saturno lo vide, aprì le braccia sorridendo, e lo invitò ad avvicinarsi. “Caro Giovanni” disse, “benvenuto! So che stai andando sulla terra, e mi piacerebbe darti qualcosa che possa aiutarti a non dimenticare mai che sei luce di stella”. Così dicendo, tagliò un lembo del suo mantello, quel che serviva a farne uno per Giovanni, e glielo mise sulle spalle. E gli regalò anche un piccolo scettro da re, tutto d’oro, dicendo: “Questo ti aiuterà a dare la giusta misura ad ogni cosa, e vedrai! Ti servirà molto, una volta sulla terra…”
La nuvola poi si avvicinò al secondo regno, che sembrava fatto di fiori arancioni piccoli come calendule. Il signore di questo regno, Giove, sedeva su un trono arancione e aveva una lunga barba bianca e in testa una corona a dodici punte. Sembrava molto serio e pensieroso, ma accolse comunque Giovanni con gioia e calore. “Caro Giovanni, che piacere vederti!” disse, “stai andando sulla terra, vero? Sarà bene darti un po’ di saggezza prima che tu arrivi laggiù, perchè sai essere figlio degli uomini può essere più complicato che essere luce di stella!” Il signor Giove mise allora sulla testina di Giovanni una piccola corona d’oro, e aggiunse: “Se laggiù ti dovessi trovare in difficoltà, pensami e io ti darò la saggezza che ti serve: brillerà sul tuo capo come una corona, e tu saprai cosa fare…”
Il terzo era un regno tutto rosso, e a differenza del regno blu e del regno arancione, non era fatto solo di trasparenza e profumo, ma ci si poteva anche camminare sopra. Il signore di questo regno, Marte, indossava una bellissima armatura e aveva al suo fianco una pesante spada di ferro. Giovanni lo vide avvicinarsi a lui sorridente, e lo trovò bellissimo. “Ciao, Giovanni!” disse Marte, “Ma, …come farai ad arrivare sulla terra leggerino come sei? Avvicinati…” Il cavaliere lo abbracciò e, subito Giovanni si sentì forte, molto forte. Poi gli regalò una piccola spada di ferro, simile alla sua.
Ripreso il viaggio sulla nuvola, con l’angelo sempre con lui e tutti i doni ricevuti, i due videro davanti a loro il quarto regno, ma non poterono avvicinarsi troppo. Era un regno troppo luminoso e caldo per loro. Il signore di questo regno, che si chiamava Sole, mandò presto a Giovanni un suo messaggero, un angelo imponente e tutto vestito d’oro. Il messaggero gli diede il dono scelto per lui dal signor Sole: una spilla d’oro. Quando la indossò, per la prima volta potè sentire il battito del suo cuore.
Il quinto regno era di soffice verde, così calmo e accogliente che veniva voglia di tuffarcisi dentro e starsene lì a farsi coccolare. Venere, la regina di questo regno, fu davvero felice di vedere Giovanni. “Che piacere averti qui, caro!” disse, “Sento il tuo cuoricino battere, devi già essere stato dal signor Sole! Voglio proprio aggiungere il mio piccolo regalino al suo!”. E così dicendo diede a Giovanni una scatolina, che conteneva tantissime piccole boccettine, tutte diverse tra loro per forma e colore. Una meraviglia! “Prendi!” disse “dal tuo cuore alle tue mani! Con queste potrai regalare agli uomini che incontrerai sulla terra il tuo aiuto. Possono aiutare chi è triste, chi è sfortunato, chi ha paura… insomma ce n’è per ogni guaio e per ogni disgrazia, se vorrai…”
Il sesto era un regno tutto giallo, e prima di scendere dalla nuvola l’angelo disse: “Speriamo bene! Qui il signore è un certo Mercurio, e capirai! Ha l’incarico di fare il messaggero di tutto il cielo, e trovarlo in casa è un miracolo!” Infatti dovettero aspettare un bel po’, ma quando finalmente fece ritorno, anche lui diede a Giovanni il suo dono, anzi gliene diede addirittura tre. “Giovanni, eccoti finalmente!” disse, “Vedi? Io ho queste ali sulle spalle, sono il messaggero e mi servono a fare tutte le mie consegne, ovunque e a tutta velocità… così ho pensato che anche tu potrai fare come me, una volta sulla terra.” Il signor Mercurio diede un piccolo bacio a Giovanni: “Ora hai Parola e Pensieri…ma prendi anche questa, ti sarà indispensabile”, e mise tra le sue mani una piccola bilancia. E subito ripartì per altre consegne.
Lasciando il regno giallo del signor Mercurio, il cielo cominciò a scurirsi e la nuvola li portò nel settimo regno, il regno della signora Luna. Questa misteriosa e bellissima regina stava seduta sul suo trono e sembrava proprio lì ad aspettarli. Era tutta bianca e argento splendente, aveva un sorriso buono e luminoso, e teneva tra le mani uno stranissimo oggetto, che Giovanni non aveva mai visto prima. “Ma che bello che sei!” disse “Col tuo mantello, la corona, la spada e tutto il resto … dovresti proprio vederti!” “Ma io so chi sono, signora” disse Giovanni senza capire. “Oh, certo…” rispose dolcemente la signora Luna “…sei Giovanni. Ma non ti sei mai visto… avvicinati ancora un po’, guardati…”, e così dicendo porse a Giovanni l’oggetto misterioso e sconosciuto che teneva tra le mani: un piccolo specchio. Giovanni era estasiato, non riusciva a distogliere lo sguardo dallo specchio, e finì con l’addormentarsi placidamente tra le braccia della signora Luna. L’angelo, che si trovava a pochi passi da lui, sorrise amorevolmente e insieme alla signora Luna portò sulla terra tutti i doni che Giovanni aveva ricevuto lungo il viaggio, perchè sapeva che lui da solo non avrebbe potuto farcela. Lì sulla terra li avrebbe ritrovati tutti. Poi prese Giovanni in braccio e insieme tornarono sulla loro nuvola, per proseguire il loro viaggio.
Quando Giovanni si svegliò sulla sua nuvola, si sentiva benissimo. Sapeva che tutti i suoi doni lo stavano aspettando sulla terra, e che una meravigliosa avventura stava per cominciare. Sentiva di essere atteso e desiderato, ed era solo impaziente di arrivare. La nuvola si fermò davanti ad una grande porta, Giovanni la aprì, e vide davanti a sè un lunghissimo ponte. Scese dalla nuvola e cominciò a camminare; il suo angelo era sempre un passo dietro di lui, anche se ora non poteva vederlo. Lontana brillava una piccola luce, e Giovanni cominciò a correrle incontro, e la luce diventava sempre più grande. Era felice. Si accorse di essere arrivato quando la luce lo avvolse completamente e si ritrovò in una casetta piccola piccola, sì, ma con due graziose finestrelle da cui guardare il mondo. Mamma Claudia e papà Paolo l’avevano preparata per lui, proprio per lui, con tanto amore. Si era sul finire dell’estate e in quella giornata di settembre stavano lì a guardarlo ammirati, insieme al piccolo Giacomo e alla piccola Sara, i suoi fratellini. Da quel giorno sette anni sono trascorsi… … felice compleanno, Giovanni!
Racconti per Capodanno – una raccolta di racconti, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
L’aeroplano sconosciuto
-Comandante, un aeroplano sconosciuto chiede di atterrare.- -Un aeroplano sconosciuto? E come è arrivato fin qui?- -Non so, comandante. Noi non abbiamo avuto alcuna comunicazione. Dice che sta per finire il carburante e che atterrerà anche se non glielo permettiamo. Uno strano personaggio, comandante.- -Strano?- -Un po’ pazzo direi. Un momento fa lo sentivo ridacchiare nella radio: “Tanto, nessuno mi può fermare…” -Ad ogni modo facciamolo scendere, prima che combini qualche guaio.- L’apparecchio atterrò sul piccolo campo d’aviazione, alla periferia della capitale, alle ventitrè e ventisette precise. Mancavano trentatre minuti alla mezzanotte. Già, ma non a una mezzanotte qualunque, bensì alla mezzanotte più importante dell’anno. Era la sera del 31 dicembre e in tutto il mondo milioni di persone vegliavano in attesa dell’anno nuovo.
L’aviatore sconosciuto balzò a terra agilmente e subito cominciò a dare ordini: -Scaricate i miei bauli. Sono dodici, fate attenzione. Mi occorreranno tre tassì per trasportarli. Qualcuno può fare una telefonata per me?- -Forse sì o forse no- rispose per tutti il comandante del campo, -Prima si dovranno chiarire alcune cosette, non le pare?- -Non ne vedo la necessità- disse l’aviatore, sorridendo. -Io però la vedo- ribattè il comandante, -La prego, intanto, di mostrarmi i suoi documenti personali e le carte di bordo.- -Mi dispiace ma non farò nulla del genere-. Il suo tono era così deciso che il comandante fu lì lì per perdere la calma. -Come vuole- disse poi, -ma intanto abbia la cortesia di seguirmi-. L’aviatore si inchinò. Al comandante parve che l’inchino fosse piuttosto esagerato. “Che voglia prendermi in giro?” pensò, “Ad ogni buon conto, dal mio aeroporto non uscirà con quelle arie da padrone del vapore”. -Guardi- diceva intanto il misterioso viaggiatore, -che sono atteso. Molto, molto atteso.- -Per la festa di mezzanotte, immagino?- -Appunto, comandante carissimo- -Io invece, come vede, sono di servizio e passerò la notte di Capodanno all’aeroporto. Se lei insisterà a non volermi mostrare i documenti, mi terrà compagnia.- Lo sconosciuto (erano intanto entrati insieme in una saletta del campo), si accomodò in una poltrona, si accese la pipa e rivolgeva intorno occhiate curiose e divertite.
-I miei, documenti? Ma lei ne è già in possesso, comandante- -Davvero? Me li ha infilati in tasca con un giochetto di prestigio? E adesso mi caverà un uovo dal naso e un orologio da un orecchio?- Per tutta risposta lo sconosciuto indicò il calendario dell’anno nuovo, che pendeva dalla parete dietro una scrivania, aperto alla prima pagina. -Ecco i miei documenti, prego. Sono il Tempo. Nei miei dodici bauli ci sono i dodici mesi che dovrebbero avere inizio tra… vediamo un po’… tra ventinove minuti precisi.- Il comandante non si scompose. -Se lei è il Tempo- disse -io sono un aviogetto. Vedo che le va di scherzare. Benissimo, mi terrà allegro. Le dispiace se accendo il televisore? Non vorrei perdermi l’annuncio della mezzanotte.- -Accenda, accenda. Ma non ci sarà nessun annuncio, fin che lei mi trattiene.- Sul teleschermo era in corso uno spettacolo di canzoni e arte varia. Di quando in quando una graziosa presentatrice consultava un grande orologio appeso dietro l’orchestra, proprio sulla testa del batterista, e annunciava: “Mancano ventidue minuti…” L’aviatore sconosciuto pareva divertirsi un mondo allo spettacolo. Canterellava, batteva il piede a tempo con l’orchestra, rideva di cuore alle battute dei comici… -Un minuto a mezzanotte- sorrise il comandante, -mi dispiace di non poterle offrire lo spumante. In servizio io non bevo mai.- -Grazie, ma lo spumante non serve. Da questo momento il tempo cesserà di scorrere. Dia un’occhiata al suo orologio- Il comandante obbedì meccanicamente. Guardò il quadrante, si accostò il polso all’orecchio. “Strano” pensò, “l’orologio cammina, ma la sfera dei secondi si è guastata e non gira più…” Egli cominciò mentalmente a contare i secondi. Ne contò sessanta, poi tornò a guardare l’orologio: le sfere erano sempre ferme sulla mezzanotte meno un minuto. Anche sul grande orologio del teleschermo le sfere erano immobili. L’annunciatrice, con un sorriso un po’ imbarazzato, stava dicendo: “Sembra che ci sia un piccolo guasto…” Musicisti, cantanti, comici, spettatori, come per un segnale, cominciarono a scrutare i loro orologi, a scuoterli, ad accostarseli all’orecchio, con aria sorpresa. In breve tutti si convinsero che le sfere non si muovevano più. -Il tempo si è fermato- gridò qualcuno, scherzando. -Forse ha bevuto troppo spumante e si è addormentato prima della mezzanotte.-
Il comandante dell’aeroporto gettò uno sguardo allarmato sullo strano forestiero, il quale, dal canto suo, gli sorrise educatamente. -Ha visto? Colpa sua.- -Come sarebbe… colpa mia…- balbettò il comandante. -Non è ancora convinto che io sia il Tempo? Guardi quella rosa- (ce n’era una sulla scrivania, freschissima. Al comandante piaceva tenere qualche fiore in ufficio) -Vuol vedere che cosa le succede, se la tocco?- Lo sconosciuto si avvicinò alla scrivania, soffiò delicatamente sulla rosa: i petali caddero tutti insieme, avvizziti, secchi, si sbriciolarono, non furono più che un mucchietto di polvere… Il comandante balzò in piedi e si attaccò al telefono…
Pochi minuti dopo la telefonata del comandante al ministro, già tutti sapevano, in America come a Singapore, in Tanzania come a Novosibirsk, che il Tempo era stato fermato in un piccolo aeroporto, perchè privo di documenti. Milioni di persone che aspettavano la mezzanotte per stappare lo spumante ruppero il collo delle bottiglie per fare prima, e si scambiarono brindisi entusiastici. Cortei festosi percorrevano le strade di Milano, Parigi, Ginevra, Varsavia, Londra, Eccetera: scrivendo Eccetera con la maiuscola vogliamo indicare tutte le città che non ci sarebbe possibile nominare una per una.
-Evviva!- gridava la gente, in tutte le lingue. -Il tempo si è fermato! Non invecchieremo più! Non moriremo più!- Il comandante dell’aeroporto passava il tempo al telefono. Lo chiamavano da ogni parte del mondo per dirgli: -Lo tenga stretto!- -Gli metta le manette!- -Gli tiri il collo!- -Gli metta un sonnifero nel bicchiere!- -Macchè sonnifero: veleno per i topi, di deve mettere!-
Il ministro aveva avvertito i suoi colleghi. Una riunione del consiglio dei ministri era in corso. L’ordine del giorno: “Misure da prendere. Bisogna tramutare il fermo del Tempo in arresto o liberarlo?” Il ministro dell’Interno tuonava: -Liberarlo? Mai non sia! Se cominciamo a lasciare andare in giro la gente senza documenti, siamo fritti in padella. Questo signore ci deve dire nome, cognome, paternità, luogo di nascita, domicilio, residenza, nazionalità, numero di passaporto, numero delle scarpe, numero del cappello; ci deve mostrare il certificato di vaccinazione, quello di buona condotta, il diploma di quinta elementare, la ricevuta delle tasse. E poi, ha ben dodici bauli: ha pagato dogana? Si rifiuta di aprirli: e se ci avesse dentro delle bombe?- Il ministro aveva settantadue anni: capirete che aveva ogni interesse a tener fermo l’orologio… I ministri decisero di chiedere il parere alle Nazioni Unite. Alle Nazioni Unite, a quell’ora, c’era soltanto il portiere: tutti i delegati erano in giro a far festa.
-Quanto ci vorrà per riunire l’assemblea?- -Una quindicina di giorni. Però, se il tempo non passa, non passano neanche i quindici giorni e l’assemblea non si può riunire.- Anche questa notizia fece il giro del mondo, contribuendo ad accrescere l’allegria generale. Dopo un po’… Ecco, veramente questa frase non si potrebbe scrivere: se il tempo era fermo, la parola “dopo” non aveva più senso. Diciamo che un bambino, svegliato dal fracasso e messo al corrente dell’accaduto, sommò due più due e cominciò a protestare: -Cosa? Sarà sempre adesso? Allora io non diventerò più grande? Devo prendere per tutta la vita gli scapaccioni del babbo? Devo continuare a risolvere problemi di pizzicagnoli che comprano l’olio e si fanno calcolare dai bambini delle scuole la spesa e il ricavo? Ah, no, grazie tante! Io non lo accetto!- Anche lui si attaccò al telefono, per dare l’allarme ai suoi amici. I bambini non vollero sentir parole. Si infilarono il cappotto sul pigiama e scesero anche loro per le strade a fare il corteo. Ma le loro grida e i loro cartelli erano ben diversi da quelli degli altri cortei: -Liberate il tempo!- dicevano. -Non vogliamo restare sempre dei marmocchi!- -Vogliamo crescere!- -Io voglio diventare ingegnere!- -Io voglio l’estate per andare al mare!- -Incoscienti!- commentava un passante, -in un momento storico come questo pensano ai bagni di mare.- -Però- riflettè un altro passante, -su un punto almeno hanno ragione: se il tempo non passa più, sarà sempre il trentun dicembre…- -Sarà sempre inverno…-
-Sarà sempre mezzanotte meno un minuto! Non vedremo più spuntare il sole!- -Mio marito è in viaggio- sospirò una signora, -come farà a tornare a casa, se il tempo non passa?- Un malato nel suo letto si lamentava: -Ahi, ahi! Doveva fermarsi il tempo proprio mentre avevo il mal di testa?- Un carcerato, aggrappato alle sbarre della sua prigione, si domandava accorato: -Non riavrò più la mia libertà?- I contadini borbottavano: -Qua, col raccolto, si mette male… Se non passa il tempo, se non torna la primavera, gelerà tutto… Non avremo niente da mangiare- Insomma, il comandante dell’aeroporto cominciò a ricevere telefonate allarmate: -Beh, lo lasciate andare sì o no? Io aspetto un vaglia, me lo manda lei, se il tempo non può passare?- -Comandante, per favore, liberi il Tempo: abbiamo un rubinetto che perde, e se non viene domattina non possiamo chiamare l’idraulico- Il Tempo, allungato sulla sua poltrona, continuava a fumare la sua pipa, sorridendo. -Cosa devo fare?- protestava il comandante, -Uno la vuole bianca, l’altro la vuole nera… Io me ne lavo le mani. Io la lascio andar via…- -Bravo, grazie.-
-Ma così, senza ordini superiori… Capisce che ci rimetto il posto?- -E allora mi tenga qui. Io ci sto benissimo.- Un’altra telefonata: -E’ scoppiato un incendio! Se non passa il tempo non arrivano i pompieri! Brucerà tutto! Bruceremo tutti! Abbiamo in casa vecchi e bambini… non può fare niente, comandante?- Il comandante, a questo punto, picchiò un pugno sulla scrivania.
-Bene, succeda quel che vuol succedere. Mi prenderò questa responsabilità. Se ne vada, lei è libero.- Il Tempo balzò in piedi: -Permetta che le stringa la mano, comandante. Conoscerla è stato un vero piacere-. Il comandante aprì la porta: -Se ne vada, presto, prima che io cambi idea!- Il Tempo uscì dalla porta. Le sfere degli orologi ricominciarono a muoversi. Sessanta secondi più tardi scoccò la mezzanotte, scoppiarono i fuochi artificiali. Il nuovo anno era cominciato.
G. Rodari
Racconti per Capodanno
Capodanno
Nelle vallate del comasco usavano, una volta, la notte di Capodanno, appendere alla porta dei casolari un bastone, un sacco e un tozzo di pane. Ecco il perchè.
Molti anni fa, al tempo dei tempi, e precisamente nella notte di San Silvestro, padron Tobia stava contando il proprio gruzzolo in un angolo della sua capanna, quando bussarono alla porta. L’avaro coprì con un gabbano i suoi ducati e andò ad aprire. Una folata d’aria gelida e di neve lo colpì in viso. Era una notte d’inverno. Sotto la tormenta, nel nevischio, egli vide un pover’uomo che si reggeva a stento e che non aveva neppure un cencio per mantello. Padron Tobia fu molto contrariato da quella visita e domandò bruscamente allo sconosciuto: -Che fate qui? Che volete? Chi siete?- -Sono un povero viandante sperduto e sorpreso dalla bufera, e vi chiedo in carità di poter dormire nel vostro fienile-
-Io non lascio dormire nessuno nel mio fienile. Andate, andate. Non posso far nulla per voi!- -Datemi almeno un tozzo di pane- -Non ho pane, andate!- -Datemi un sacco, un cencio da mettermi al collo, che muoio di freddo!- -Non ho sacchi! Non ho cenci!- -Almeno una fiaccola per ritrovare il sentiero… un bastone per appoggiarmi…- -Non ho fiaccole e non ho bastoni!- E, chiuso l’uscio in faccia all’infelice, Tobia ritornò al suo gruzzolo, ma… sotto il gabbano, invece dei ducati, trovò un pugno di foglie secche… Padron Tobia impazzì e terminò i suoi giorni vagando per le vallate natie e raccontando a tutti la sua disgrazia. Da allora in poi la notte di Capodanno tutti appesero alla porta del proprio casolare un bastone, un sacco e un tozzo di pane. (leggenda comasca)
Racconti per Capodanno
Il castello dei dodici mesi
C’era una volta un omino gentile ed educato che si chiamava Faustino. Tanto lui era perbene, quanto suo fratello era sgraziato e villano, tanto che la gente lo chiamava Rusticone. Un giorno Faustino andò a cercar fortuna, e si mise per il mondo. Una volta, però, perse la strada e si trovò in un bosco fitto. Era buio e Faustino non si sentiva affatto tranquillo. Vide tra gli alberi un castello illuminato e pensò di chiedere ospitalità.
Bussò e un servitore lo fece entrare. Il castello era abitato da dodici signori, che accolsero gentilmente Faustino e lo fecero accomodare. I dodici signori appartenevano tutti alla stessa famiglia, ma non si somigliavano affatto. Poichè era l’ora di cena invitarono Faustino alla loro tavola. Mentre mangiavano, uno di questi signori, guardando la pioggia che cadeva a dirotto disse: “Che brutto mese dicembre!” “No, perchè?” replicò Faustino, “Anche l’acqua ci vuole e bisogna pure che la terra beva in inverno se vuole fiorire in estate…”
“Non dirai però che sia bello anche gennaio?” disse un signore che aveva una lunga barba bianca. “Sotto la neve pane, signore mio! Non lo sapete?” “Ma… febbraietto… corto e maledetto?” replicò un omino piccino che non arrivava nemmeno alla tavola, “Lo dice anche il proverbio!” Seguì un coro di voci: tutti avevano la loro da dire. Marzo e aprile erano matti; maggio, il pane era scarso perchè la campagna ancora non dava frutto; giugno, mosche a pugno; luglio, dava fastidio per via del caldo; agosto poi meglio non parlarne, un’afa da non poter respirare; anche settembre aveva i sui difetti per le variazioni del clima ora caldo ora freddo, e Dio ci guardi da ottobre novembre e dicembre: pioggia, neve e gelo e chi più ne ha, più ne metta.
Ma, neanche a farlo apposta, Faustino pareva l’avvocato difensore di tutti i mesi dell’anno. Per lui, febbraio era quello che preparava le sorprese sotto terra; marzo il gentile portatore della primavera; aprile maggio e giugno i più bei mesi dell’anno; per non parlare del luglio che riempiva i granai. Agosto e settembre davano frutta in abbondanza; ottobre riempiva i tini; novembre era un mese benedetto per le semine. Dicembre poi, il mese più felice dell’anno per i doni che portava in occasione delle feste. Tutti, per Faustino, avevano il loro lato bello. “Se la provvidenza li ha fatti così, vuol dire che così dev’essere!” E quei signori sembrarono proprio contenti delle parole di Faustino che gli regalarono una bisaccia dicendo: “Ogni volta che l’aprirai, ne uscirà tutto quello che desideri!”
Figuratevi la rabbia di Rusticone, quando vide la fortuna capitata al fratello… Si fece raccontare tutto per filo e per segno, poi si mise in cammino verso il castello dei dodici signori. Fu ricevuto gentilmente, ma quando cominciò a parlare di mesi, apriti cielo! Rusticone diceva male di tutti. Gennaio faceva morire di freddo i poveretti, febbraio faceva tremare, marzo era il mese dei raffreddori, aprile ogni giorno un barile… trovò persino il coraggio di dir male di maggio e giugno! Di luglio e agosto si lamentò per il caldo, settembre gli dava noia per via delle zanzare, rimproverò a ottobre di favorire gli ubriachi come se fosse colpa sua se gli uomini bevevano troppo; novembre era il peggiore di tutti i mesi perchè lui soffriva di reumatismi e quel mese glieli peggiorava, e infine dicembre era un mesaccio per la nebbia e per il gelo. “Dunque, non ti piace nessun mese dell’anno?” chiese il signore più vecchio. “Per me non ce n’è uno che faccia il suo dovere!”
“Bene!” dissero, e gli regalarono un nodoso bastone dicendo: “Battilo contro una pietra quando ti occorrerà qualcosa, e vedrai…” Rusticone, tutto contento, se ne andò senza neppure ringraziare. Appena fuori battè il bastone sopra una pietra e questo cominciò a dargli tante botte fino a fargli gridare: “Mi piace gennaio! Mi piace febbraio!” e giù fino in fondo all’anno… … e soltanto allora il bastone si fermò.
Mimì Menicucci
Racconti per Capodanno
La diligenza dei dodici mesi
C’era un freddo secco, pungente: la neve scricchiolava sotto i piedi, tutto il cielo risplendeva di stelle. Una diligenza si arrestò alla porta della città, e i viaggiatori si presentarono alla dogana. -Io mi chiamo Gennaio- disse il primo: era rosso in viso e lieto, con una bella barba bianca, -Buon anno a voi! Venite da me domani, avrete un bel regalo e poi faremo festa. Io amo le feste, le mance e i doni, e per questo molti sperano in me: buona fortuna a tutti voi!- Il secondo viaggiatore pareva un buontempone, e per bagaglio aveva un grosso barile: -Quando c’è questo- diceva, -non c’è pericolo che manchi l’allegria. Voglio che il prossimo si diverta e mi piace divertirmi anch’io, visto che ho poco tempo: solo ventotto giorni. Ma non m’importa, evviva!- -Non faccia chiasso, per favore!- disse il doganiere.
-Badi a come parla!- gridò il vaggiatore, -Io sono il principe Carnevale, e viaggio in incognito col nome di Febbraio.- Scese allora il terzo viaggiatore. Era magro quanto la quaresima, poverino, ma si dava un sacco di arie, forse perchè era astrologo e sapeva predire il tempo: portava all’occhiello un mazzolino di violette, piccole piccole e pallidine. -Ehilà, professor Marzo!- gridò il viaggiatore che era sceso dopo di lui, -Di là c’è uno scatolone per te, credo che sia un uovo di Pasqua.-
Però non era vero niente: il quarto viaggiatore era un gran burlone, ecco tutto. Chi sia, lo potete immaginare. Portava a spasso mezza dozzina di pesci in carta d’argento: il suo nome era Aprile. Era un tipo strano: un po’ si comportava da allegrone come vi ho detto, ma poi si metteva a piangere senza una ragione al mondo: un po’ sole, e po’ pioggia. -In questa valigia- diceva, -ho i miei vestiti d’estate, ma non sono tanto sciocco da mettermeli, gente. Una bella sciarpa di lana, ecco quel che mi ci vuole, ma più di tutto un buon ombrello; l’ho inventato io, l’ombrello…- Dopo di lui scese una ragazza, si chiamava Maggio, e aveva un vestito leggero, verde pastello, con le maniche corte. Al braccio, però, portava un impermeabile. Maggio aveva nei capelli un mazzolino di fiori. Come le stava bene, e com’era carina! -Dio vi benedica- disse al doganiere, e poi si mise a cantare a mezzavoce. Era molto brava, per quanto non avesse molta scuola; usava cantare per suo piacere, confessò, mentre andava a spasso nei boschi al tempo di primavera.
-Fate largo alla signora Giugno!- disse l’uomo della diligenza. Era una giovane dama, bella e un po’ altera. Era molto ricca, e dava una gran festa nel giorno più lungo dell’anno, in modo che gli ospiti potessero gustare tutti i piatti della sua fornitissima tavola. Da vera gentildonna, aveva una carrozza tutta sua; ma viaggiava in diligenza con gli altri, perchè non dicessero che si dava delle arie. Usava il ventaglio con gran distinzione, e aveva con sè un fratello minore. Costui era un giovanotto grassottello, in abito estivo e con un gran cappello di panama. Bagaglio ne aveva pochino, in tutto e per tutto un paio di mutande da bagno, che certo non gli erano di ingombro. Appena arrivato andò a sedersi in poltrona, e si tolse la giubba senza nemmeno chiedere permesso alle signore; rimasto in maniche di camicia, trasse un fazzolettone e se lo annodò intorno al collo. Infatti sudava molto, nonostante il freddo.
Mamma Agosto vendeva frutta all’ingrosso, ed era proprietaria di molti ettari di terreno. Grassoccia com’era e per giunta sempre accaldata, sapeva lavorare con le sue mani, quanto e più dei contadini; lei stessa andava nei campi, a mezzogiorno, per mescere ai lavoratori il vino fresco. Dopo di lei, scese dalla diligenza un noto pittore, Settembre di nome. Tutti lo conoscono, ma i boschi più di ogni altro: sotto il suo pennello le foglie cambiano colore, si tingono di paonazzo e di terra di Siena, che sono i toni che il Professor Settembre predilige. Lui dipinge sul tralcio i grappoli d’uva, e prima di andarsene spreme nel suo boccale il vino nuovo. Quando se ne va, a braccetto con le vacanze, tutti i ragazzi lo rimpiangono. Lo seguiva un anziano gentiluomo di campagna, il conte Ottobre, robusto nella persona e ben portante. Ottobre è sempre molto occupato con le sue terre, ma ha la passione della caccia. Se ne esce al mattino col suo cane e col fucile, e camminando per i boschi riempie il suo carniere di noci e di castagne. Se sia un buon tiratore non lo so, ma a sentir lui non c’è nessuno che lo superi. Può darsi che le sballi un po’ grosse, da buon cacciatore!
L’undicesimo viaggiatore tossiva da far pietà. Parola mia, non ho mai incontrato nessuno più raffreddato di lui! In altri tempi era assai impegnato a fornir legna per i camini e le stufe; ora, col diffondersi del riscaldamento centrale, un po’ meno. Lui naturalmente se ne lamentava, tra uno starnuto e l’altro. Novembre, così si chiamava, mi parve un buon diavolaccio, ma un tipo allegro no di certo; intorno a sè aveva un alone di nebbia. Finalmente la diligenza sbarcò l’ultimo viaggiatore, il vecchio nonno Dicembre. Aveva in mano lo scaldino e pareva tutto infreddolito; ma gli occhi gli brillavano come due stelle e recava in mano un vasetto con un minuscolo abete. -Crescerò questo abete- disse, -perchè il prossimo Natale tocchi con la vetta il soffitto, e l’angelo di carta che sta sulla cima voli giù, e vi si accosti all’orecchio per darvi la buona novella. Arrivederci, e siate buoni!-
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Recite per bambini – Mamma Luna e i dodici Mesi. Personaggi: la Luna, che starà in piedi su una sedia; basterà un disco di cartone bianco tenuto davanti alla faccia; i dodici Mesi, che si distingueranno perchè ciascuno porterà un oggetto simbolico, come un ombrello, una rosa, ecc…
Luna: Figli miei, io sono la vostra mamma. Mi trovo quassù lontana, ma veglio su di voi e penso al vostro giro sulla terra. Vi chiamo ad uno ad uno coi vostri bei nomi.
Gennaio: sarei curioso di sapere perchè mi chiamo Gennaio.
Luna: ti chiami così da Giano.
Gennaio: E Giano chi è?
Luna: Hai mai sentito parlare degli antichi Romani? Per ogni fatto, essi immaginavano che ci fosse un dio. E Giano era il dio che, secondo loro, apriva le porte.
Gennaio: (ridendo) Un dio portinaio!
Luna: Proprio così. E anche tu, caro Gennaio, sei un mese portinaio.
Gennaio: Come, come?
Luna: Sì, tu sei il portinaio, perchè apri le porte del nuovo anno. L’anno nuovo non comincia con te?
Gennaio: E’ vero, non ci avevo mai pensato…
Febbraio: E io, perchè mi chiamo Febbraio?
Luna: Tu ti chiami così perchè gli antichi immaginavano un altro dio che lavava e purificava. Si chiamava Febbraio.
Febbraio: Io sarei allora un mese lavandaio?
Luna (sorridendo): Proprio così. Tu lavi con le tue piogge e purifichi col tuo freddo.
Marzo: Anch’io prendo il nome da un dio antico?
Luna: Certo. Ti chiami Marzo dal dio Marte, che era il dio della guerra.
Aprile: E io?
Luna: Tu ti chiami Aprile, che vuol dire aprire. Durante i tuoi giorni si aprono le gemme e comincia la fioritura.
Maggio: Ma i fiori più belli sono i miei!
Luna: Sì, infatti ti chiami Maggio da Maia, la dea dell’abbondanza.
Giugno: La dea Giunone era anche più bella e ricca. E’ vero che il mio nome viene da lei?
Luna: Sì, è vero. Infatti tu sei un mese ricco di raccolti.
Luglio: E il mio nome da quale dio deriva?
Luna: Il tuo nome, caro Luglio, non deriva da un dio, ma da un uomo, Giulio Cesare.
Luglio: Giulio Cesare. Il grande condottiero romano.
Luna: Sì, e un imperatore fu Augusto
Agosto: Ho capito, il mio nome di Agosto deriva da lui.
Luna: L’hai indovinato.
Settembre: Ci voleva poco. Il mio nome è più difficile.
Luna: No, invece è facilissimo. Vuol dire settimo. Tu, anticamente, eri il settimo mese dei Romani.
Ottobre: E io allora era l’ottavo.
Novembre: E io il nono.
Dicembre: E io il decimo.
Luna: Come siete intelligenti!
Gennaio: Ma allora i nostri nomi sono tutti antichi?
Luna: Sì, i vostri nomi sono antichissimi.
Febbraio: E tu come hai fatto a sapere queste cose?
Luna (sorridendo): Oh, io sono vecchia, molto vecchia…
Marzo: Ma c’eri anche al tempo dei Romani?
Luna: Sì, e credevano che fossi anch’io una dea.
Aprile: Davvero? E come ti chiamavano?
Luna: Mi chiamavano come mi chiamo ancora: Luna.
Maggio: E’ un bel nome.
Luna: Tutti i nomi sono belli. Basta portarli con gioia.
Proverbi sui mesi dell’anno – una raccolta di proverbi e detti popolari sui mesi dell’anno, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Gennaio Non c’è gallina nè gallinaccia che di gennaio l’uovo non faccia. Epifania tutte le feste si porta via. Gennaio asciutto, grano dappertutto. Gennaio ortolano tutta paglia e niente grano.
Febbraio Febbraio asciutto, erba da per tutto. Pioggia di febbraio empie il granaio. Chi vuol di avena un granaio, la semini in febbraio. A Carnevale ogni scherzo vale. A Carnevale, si conosce chi ha la gallina grassa.
Marzo Marzo asciutto e april bagnato, beato il villan che ha seminato. La nebbia di marzo non fa male, quella di aprile toglie il vino e il pane. Di marzo chi non ha scarpe vada scalzo, e chi le ha le porti un po’ più in là. Per l’Annunziata è finita l’invernata. Se marzo non marzeggia, aprile non verdeggia. Se marzo non marzeggia, april mal pensa.
Aprile Aprile, dolce dormire. Aprile freddo: molto pane e poco vino. Aprile temperato non è mai ingrato. Se tagli un cardo in aprile, ne nascon mille. Aprile e maggio son la chiave di tutto l’anno. D’aprile piove per gli uomini e di maggio per le bestie. D’aprile non ti scoprire, di maggio vai adagio. Aprile fa il fiore e maggio gli dà il colore. Aprile dolce dormire, gli uccelli a cantare, gli alberi a fiorire.
Maggio Maggio asciutto e soleggiato, molto grano a buon mercato. Se di maggio rasserena ogni spiga sarà piena, ma se invece tira vento nell’estate avrai tormento.
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre Tuono dell’ottobrata, bella e calma l’invernata. Uomo di vino non vale un quattrino. Ottobre piovoso, campo prosperoso. A santa Riparata ogni oliva olivata.
Novembre A novembre si lasciano campi e orti per dedicarsi più ai nostri morti. Di novembre quando tuona è segnal d’annata buona. Novembre bagnato, in aprile fieno al prato. Per santa Caterina, o acqua o neve o brina.
Dicembre Dicembre gelato non va dispezzato. Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia. Fino a Natale, il freddo non fa male, da Natale il là, il freddo se ne va. Dolce invernata, poca derrata.
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Poesie e filastrocche: Capodanno. Una collezione di poesie e filastrocche, di autori vari, per bambini della scuola d’infanzia e primaria.
Capodanno Filastrocca di Capodanno fanno gli auguri per tutto l’anno: voglio un gennaio col sole d’aprile, un luglio fresco, un marzo gentile, voglio un giorno senza sera, voglio un mare senza bufera, voglio un pane sempre fresco, sul cipresso il fiore di pesco, che siano amici il gatto e il cane, che diano latte le fontane. Se voglio troppo non darmi niente, dammi una faccia allegra solamente. (G. Rodari)
L’anno nuovo Indovinami, indovino tu che leggi nel destino: l’anno nuovo come sarà? Bello, brutto, o metà e metà? “Trovo stampato nei miei libroni che avrà certo quattro stagioni, dodici mesi, ciascuno al suo posto, un carnevale e un ferragosto, e il giorno dopo del lunedì sarà sempre un martedì. Di più per ora scritto non trovo nel destino dell’anno nuovo: per il resto anche quest’anno sarà come gli uomini lo faranno”. (Gianni Rodari)
L’anno nuovo Con il tren di mezzanotte puntualissimo, in orario, ecco il nuovo calendario. E’ arrivato un treno merci con un solo passeggero piccolissimo, ma fiero. Tra gli evviva dei ragazzi l’anno nuovo mostra, gaio, il duo grande bagagliaio, pien di gioia e di dolori, di successi, ed amarezze. Su, ragazzi, son per voi, queste merci, e si vedrà chi ben scegliere saprà. (E. Zedda)
Calendario nuovo Nel chiudo tuo blocco trecento sessanta più cinque foglietti: un libro che sfogliasi lento nel volger di un anno. Puoi dire che cosa ci aspetti nei dì che verranno? Ignoro se belli o se brutti ma so che dipende dall’uomo di far che ogni giorno sia buono. (A. Fucili)
Anno nuovo Anno nuovo! Ed ogni anno una promessa una promessa che per via si perde, e che ogni anno, purtroppo, è ancor la stessa. Si promette, si tenta… Ed io non so, non so capir perchè crescan le gambe ed il giudizio dei bambino no! Ma questa volta, per quest’anno nuovo quello che si promette si farà: a cominciar da oggi mi ci provo, mamma, e il tuo bimbo ci riuscirà. (Zietta Liù)
Anno nuovo Anno nuovo anno nuovo, qui alla porta già ti trovo rechi forse nel cestello un impulso buono e bello? Porti agli uomini l’amore, che riscaldi a tutti il cuore? Anno nuovo non scordare la salute nel tuo andare e la pace porta teco che nel mondo abbia un’eco veglia sempre sui miei cari, serba loro doni rari ed a me concedi, senti, di poter farli contenti Se benigno il volto avrai, benedetto tu sarai.
Buon Capodanno! Buon Capodanno! S’alza il sipario… via il primo foglio del calendario! Sui suoi foglietti scritto che hai, anno che sorgi? Letizia e guai, giornate bianche, giornate nere? No, i tuoi segreti non vo’ sapere; sopra ogni pagina che Iddio mi dona io voglio scrivere: “Giornata buona”. (L.Schwarz)
Auguri per il nuovo anno O mamma e papà, vi porti il nuov’anno salute e tesori senz’ombra d’affanno; vi porti le gioie più pure e serene! Centuplichi il bene che fate per me! (G. Soli)
Capodanno Mezzanotte suonò sopra il villaggio nella placida piazza solitaria: le ore sobbalzarono nell’aria per la tacita notte senza raggio; recava da lontano intanto il vento come un tintinno garrulo d’argento, e pel villaggio solitario errare un trotto di cavalli si sentì. La diligenza a dodici cavalli arrivava con dodici signori, e tutti, presto presto, venner fuori con valige, con scatole, con scialli: e il primo, un vecchio tremulo e bonario: “Benissimo!” esclamò “siamo in orario!” (Andersen)
Lunario Cos’è mai un anno? Un mazzolino di giorni: qualche fiore e qualche spino, fiori di campo, spini della siepe; è il viaggio da un presepe ad un presepe; un volgere di lune in grembo a Dio; un dolce ritrovarsi e dirsi addio; una nube che passa, il sol che torna; pan seminato e pane che si sforna; dodici mesi tra bagnati e asciutti; quattro stagioni cariche di frutti. Su ogni giorno stende il suo sorriso un santo che vien giù dal Paradiso. Così è fatto, mutevole, il lunario e l’anno nuovo l’ha per sillabario e si legge ogni dì fra stella e stella che per chi ama, la vita è bella. (R. Pezzani)
Anno nuovo Salutiamo riverenti il vecchio anno che se ne va col greve suo fardello e fidando muoviamo incontro al nuovo uscente dal mistero tutto bello. Porta al mondo, che tiepido t’aspetta, doni d’amore, di pace, di armonia. E così sia. (E. Minoia)
Felice nuovo anno Nella notte di magia l’anno vecchio scappa via non sei neppure addormentato che uno nuovo è già arrivato bello, ricco di giornate, sia d’inverno, che d’estate. Anno allegro e fortunato sia quest’anno appena nato!
Anno nuovo Ho incontrato per la via un vecchietto tutto bianco camminava curvo e stanco pieno di malinconia. Tristemente ha mormorato “Sono l’anno che è passato”. Saltellando poi veniva un allegro fanciullino e rideva birichino dietro l’anno che finiva; pien di gioia mi ha cantato “Sono l’anno appena nato”.
Anno vecchio ed anno nuovo Tin tin l’orologio rintocca tin tin quanti colpi ha suonato? Tin tin qual è l’ora che scocca? Tin tin qualcheduno ha bussato! Anno vecchio, tin tin, ti saluto! Anno nuovo, tin tin, benvenuto!
Sole d’inverno Capo d’anno: sì mite, e quanto sole! Io già respiro il marzo, in questa luce d’oro che so breve e bugiarda. E rido alla menzogna, ma ne godo e ad essa mi scaldo, come fan pruno e castagno cui rispunta a capriccio qualche gemma nella certezza che morrà domani prima d’aprirsi. Gemme senza fiore sui rami e nel mio cuore, gioia d’un giorno, conscia d’esser viva sol per un giorno! Non importa. E’ gioia. (A. Negri)
Il futuro Il futuro, credetemi, è un gran simpaticone, regala sogni facili a tutte le persone. “Sarai certo promosso” giura allo scolaretto. “Avrai voti lodevoli, vedrai, te lo prometto”. Che gli costa promettere? “Oh, caro ragioniere, di cuore mi congratulo: lei sarà cavaliere!”. “Lei che viaggia in filobus, e suda e si dispera: guiderà un’automobile entro domani sera”. “Lei sogna di far tredici? Ma lo farà sicuro! Compili il suo pronostico: ci penserà il futuro!” Sogni, promesse volano… Ma poi cosa accadrà? Che ognuno avrà il futuro che si conquisterà. (G. Rodari)
Tutte le opere contenute in questa raccolta restano di proprietà dei rispettivi autori o degli aventi diritto. Il proprietario di questo blog non intende in alcun modo violare il copyright o farle passare come proprie opere.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9 – tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a quindici punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9 materiale occorrente
15 quadrati di carta trasparente
colla da carta.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 9 come si fa
Preparate quindici quadrati di carta trasparente colorata, i miei misurano 7,5 x 7,5 cm, poi procedete per ognuno nello stesso modo.
Piegate lungo la diagonale:
Poi piegate due angoli così:
e fate questa seconda piega:
Infine rivoltate un piccolo triangolino verso il margine interno:
Transparent paper star tutorial – model 9 – Tutorial to make an fifteen-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 9
What do you need?
15 squares of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 9
How is it done?
Prepare 15 squares of colored transparent paper; my squares measure 7,5 cm x 7,5 cm. Fold each of the squares, in the same way, as shown below.
Fold along the diagonal:
Then fold two corners:
and make this second fold:
Finally turned over a small triangle to the inner edge:
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8. Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8 materiale occorrente
8 quadrati di carta trasparente
colla da carta.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8 come si fa
Preparate otto quadrati di carta colorate trasparente, nelle misure che preferite. I miei misurano 7,5 x 7,5 cm, poi procedete nello stesso modo per tutti i quadrati…
Piegate lungo una diagonale e riaprite:
Portate gli angoli a destra e a sinistra verso linea centrale:
quindi fate questa seconda piega:
Preparate tutti gli elementi e assemblateli con poca colla da carta:
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 8
Transparent paper star tutorial – model 8 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 8
What do you need?
8 squares of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 8
How is it done?
Prepare 8 squares of colored transparent paper; my squares measure 7,5 cm x 7,5 cm. Fold each of the squares, in the same way, as shown below.
Fold along a diagonal and reopen:
Bring the corners to the right and to the left toward the center line:
then make this second fold:
When the eight elements are ready, assemble the star in this way::
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 7. Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Materiale occorrente
8 quadrati di carta trasparente
colla da carta.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Come si fa
Preparate otto quadrati di carta colorata trasparente della misura che desiderate: i miei misurano 7,5 x 7,5
Per ogni quadrato procedete così: piegate a metà,
poi piegate i quattro angoli così:
e riaprite:
Ad una estremità piegate così due angoli:
Poi piegate a destra e sinistra portando l’apice verso la linea centrale:
aprite:
All’estremità opposta a quella lavorate piegate questo piccolo triangolino verso l’alto:
quindi richiudete a destra e sinistra:
Ora portate l’angolo indicato dalla freccia sulla linea centrale:
Preparati otto di questi elementi procedete all’assemblaggio:
Transparent paper star tutorial – model 7 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 7
What do you need?
8 squares of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 7
How is it done?
Prepare 8 squares of colored transparent paper; my squares measure 7,5 cm x 7,5 cm. Fold each of the squares, in the same way, as shown below.
Fold in half,
then fold the four corners:
and reopen:
At one end fold so two angles:
Then fold to the right and left carrying the apex toward the center line:
open:
At the opposite end, fold this small triangle upward:
then reclose to the right and the left:
Now bring the corner indicated by the arrow on the center line:
When the eight elements are ready, assemble the star in this way:
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 6 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente
otto rettangoli di carta trasparente
colla da carta.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa
Preparate otto rettangoli di carta colorata trasparente 10 cm x 5 cm.
Per ogni rettangolo procedete così: piegate a metà nel senso della lunghezza e riaprite,
Piegate i quattro angoli:
Per due dei triangoli di una estremità procedete così: riaprite
piegate un triangolino verso l’interno:
richiudete la piega iniziale:
Ora piegate i margini lunghi e poi riapriteli, così:
Poi, all’altra estremità, fate questa piegatura:
E infine richiudete seguendo la piegatura lunga:
Assemblate gli otto elementi con della colla da carta, sul rovescio:
Transparent paper star tutorial – model 6 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 6
What do you need?
8 rectangles of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 6
How is it done?
Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.
First, fold the rectangle in half and open:
Fold the four corners:
For two of the triangles of one end, proceed as follows: reopen
fold a triangle towards the inside:
Close the initial fold:
Now fold the long edges and then reopen these as well:
Then, at the other end, make this folding:
And finally, following the close folding long:
When the eight elements are ready, assemble the star in this way:
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 5 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto o sedici punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente
8 (o 16) rettangoli di carta trasparente
colla da carta
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Come si fa
Preparate otto (o sedici) rettangoli 12cm x 4,5cm:
Per ognuno dei rettangoli seguite poi le seguenti istruzioni. Per prima cosa fate una piegatura lungo la metà nel senso della lunghezza, e poi riaprite:
Piegate i quattro angoli:
Ora procedete alle due estremità in modo diverso. Da una parte così:
aprite i due triangoli e fate un ulteriore piega così, prima di richiudere:
All’altra estremità fate questa piega:
e poi questa:
Una volta preparati gli otto (o i sedici) elementi, procedete all’assemblaggio con della colla da carta:
Transparent paper star tutorial – model 5 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 5
What do you need?
8 (or 16) rectangles of transparent paper glue.
Transparent paper star tutorial – model 5
How is it done?
Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 12 cm x 4,5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.
First, fold the rectangle in half and then reopen:
Fold the four corners:
Now proceed to the two ends in a different way. On the oneend in this way:
open the two triangles and make another fold before closing:
At the other end do this fold:
and then this:
When the eight (or 16) elements are ready, assemble the star in this way:
Acquarello steineriano – L’albero in inverno . In inverno la luce e il calore non appaiono come elementi esteriori, soprattutto se osserviamo un albero spoglio. Eppure sappiamo che sono contenuti nella terra.
Colori utilizzati: blu oltremare, blu di Prussia, giallo oro rosso carminio.
Per questo prepariamo l’ambiente lavorando col blu oltremare e il blu di prussia, così:
facendo giungere il colore sul foglio dall’esterno verso l’interno, a ricordare sia la luce fredda, sia la nebbia e l’umidità della terra.
Poi concentriamo il blu di prussia in un punto in basso, da lì diamo un abbozzo di radici e poi spingiamo il colore verso l’alto, a formare il tronco e poi i rami. Il tronco si sviluppa sempre prendendo colore dalla radice, i rami prendendo colore dal tronco e dai rami più grandi.
In nessun caso, possiamo dire ai bambini, i rami piovono dal cielo già fatti e si appiccicano a un albero. Nascono sempre dall’albero stesso e si dirigono verso l’esterno.
ora abbiamo un’immagine di un albero completamente privo di vita, un albero di ghiaccio, ma non è così.
Dalla terra su verso l’alto facciamo scorrere nell’albero la sua vita nascosta, il giallo oro e il rosso carminio.
Waldorf watercolor tutorial: tree in winter. In winter, the light and the heat does not appear as external elements, especially if we see a bare tree. Yet we know that are contained in the ground.
Waldorf watercolor tutorial: tree in winter
Colours used
ultramarine blue, Prussian blue, golden yellow carmine red.
The colors should be diluted in jars. In the Waldorf school we use Stockmar watercolor, which are beautiful, but it is not essential:
Waldorf watercolor tutorial: tree in winter
Procedure
Prepare the environment by working with ultramarine and Prussian blue, like this:
by getting the color on the sheet from the outside towards the inside, remembering the cold light, mist and moisture of the earth.
Then concentrate the Prussian blue, in a point at the bottom, from there to make a sketch of roots and then push the color upwards, to form the trunk and then the branches. The trunk grows increasingly taking color from the root, the branches taking color from the trunk and larger branches.
In any case, we can say to the children, the branches fall from the sky already made and cling to a tree. Always come from the tree itself and go towards the outside .
Now we have a picture of a tree completely devoid of life, a tree of ice, but it is not.
From the land upward flow in the tree his hidden life, the golden yellow and the carmine red.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 4 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi. In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente
otto rettangoli di carta trasparente
colla da carta.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – Come si fa
Preparate otto rettangoli di carta colorata trasparente 10 cm x 7,5 cm
Piegate il rettangolo a metà nel senso della lunghezza, quindi riaprite il foglio
piegate i quattro angoli così:
poi ad un’estremità aprite ognuno dei due triangolini, piegate una seconda volta su se stesso, e richiudete:
all’altra estremità piegate in quest’altro modo gli altri due triangoli:
ora piegate una seconda volta gli ultimi triangoli piegati facendo in modo che il margine esterno coincida con la linea centrale del rettangolo:
Transparent paper star tutorial – model 4 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 4
What do you need?
8 rectangles of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 4
How is it done?
Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 7,5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.
First, fold the rectangle in half, then reopen:
fold the four corners:
then open at one end each of the two triangles, fold it a second time on itself, and close:
at the other end fold it this way the other two triangles:
now fold a second time the last triangles folded in such a way that the outer edge coincides with the center line of the rectangle:
When the eight elements are ready, assemble the star in this way:
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 3 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi.
In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente
otto rettangoli di carta trasparente
colla da carta.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa
Preparate 8 rettangoli di carta colorata trasparente 10 cm x 7,5 cm
piegate a metà nel senso della lunghezza e aprite di nuovo
piegate i quattro angoli così
e poi così:
All’altra estremità aprite ognuno dei triangoli, piegate all’interno un triangolo più piccolo, quindi riportate alla piega originaria:
Fate otto di questi elementi, poi assemblateli così:
Transparent paper star tutorial – model 3 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 3
What do you need?
8 rectangles of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 3
How is it done?
Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 7,5 cm.
fold in half lengthwise and open again:
fold the four corners:
and then in this way:
At the other end open each of the triangles, fold inside a smaller triangle, then brought back to the original fold:
When the eight elements are ready, assemble the star in this way::
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 2 –Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi.
In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – materiale occorrente
otto rettangoli di carta trasparente colla per carta.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa
Preparate otto rettangoli di carta colorata trasparente nelle misure 10 cm x 7,5 cm, poi procedete così: piegate a metà il rettangolo nel senso della lunghezza,
Aprite nuovamente e piegate due degli angoli così:
Transparent paper star tutorial – model 2 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 1
What do you need?
8 rectangles of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 1
How is it done?
Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 7,5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.
First, fold the rectangle in half:
Reopen and fold two of the corners:
reopen these to make a further folding, like this:
When the eight elements are ready, assemble the star in this way:
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 1
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – modello 1 – Tutorial per realizzare una stella di carta trasparente a otto punte con la tecnica del paperfolding (o piegatura della carta).
E’ un’attività che consiglio, da proporre ai bambini dai 6 anni in su. Oltre ad essere un esercizio importante per sostenere lo sviluppo di una sana coordinazione occhio-mano, ha elementi rilassanti e meditativi.
In queste giornate di solstizio d’inverno e di attesa del Natale, queste stelle, applicate alle finestre di casa, portano meraviglia agli occhi dei bambini e ci fanno sentire tutta la bellezza della luce.
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – cosa serve
8 rettangoli di carta trasparente
colla da carta
LAVORETTI PER NATALE – stella di carta trasparente – come si fa
Preparate 8 rettangoli di carta trasparente colorata; i miei misurano 10 cm x 5 cm. Si procede alla piegatura di ognuno dei rettangoli, sempre nello stesso modo, come mostrato di seguito.
Per prima cosa di piega il rettangolo a metà:
poi si stira un po’ la piega aperta, in modo che rimanga solo la traccia, e si piegano i quattro angoli, facendoli combaciare con la linea centrale:
Ora le due estremità si piegano in modo diverso. Da una parte si piega una seconda volta, formando un triangolo che combacia con la linea centrale così:
Dall’altra parte semplicemente si piega indietro parte del triangolo facendolo combaciare con la linea esterna, così:
Questo è il risultato:
Quando gli otto elementi sono pronti, procedere all’assemblaggio della stella in questo modo:
Stendete della colla sul davanti di un elemento
ed incollatelo sul rovescio del secondo, tenendo come punto di riferimento la sua linea centrale.
Transparent paper star tutorial – model 1 – Tutorial to make an eight-pointed star with transparent paper with the technique of paperfolding.
It is an activity that I recommend, to be offered to children ages 6 and up. Besides being an important exercise to support the development of a healthy hand-eye coordination, it is an activity relaxing and meditative.
In these days of the winter solstice and waiting for Christmas, these stars, applied to the windows, bring wonder to the eyes of children and make us feel all the beauty of the light.
Transparent paper star tutorial – model 1
What do you need?
8 rectangles of transparent paper glue
Transparent paper star tutorial – model 1
How is it done?
Prepare 8 rectangles of colored transparent paper; my rectangles measure 10 cm x 5 cm. Fold each of the rectangles, in the same way, as shown below.
First, fold the rectangle in half:
then stretch a little the folding open, so that it is only the track, and fold the four corners, making them matching with the center line:
Now fold the two ends in a different way. On the one end to fold a second time, forming a triangle which matches with the center line:
On the other end simply bend backwards part of the triangle making matching with the external line:
This is the result:
When the eight elements are ready, assemble the star in this way:
Roll out the glue on the front of an element
and paste it on the back of the second, taking as a reference its center line.
Una raccolta di tutorial e idee per fare piccoli regali e lavoretti natalizi coi bambini: decorazioni, biglietti d’auguri, scatole, fiocchi, nastri, giocattoli, quadretti, candele e molto altro…
1. Lavoretti natalizi: tutorial con video per realizzare i sacchettini scandinavi a forma di cuore (possono essere fatti in feltro o anche in carta), di http://radmegan.blogspot.com
2. Lavoretti natalizi: fiocchi di neve ricamati su cartoncino, anche per costruire biglietti di auguri, di http://www.flickr.com/
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3. Lavoretti natalizi: tutorial per ottenere un cubo trasparente da una bottiglia di plastica di http://veroicono.blogspot.com/
4. Lavoretti natalizi: tutorial per ottenere una scatolina trasparente apribile da una bottiglia di plastica, di http://veroicono.blogspot.com/
26. Lavoretti natalizi: palline realizzate con sagoma di cartoncino, carta trasparente e pezzetti di carta velina colorata, di http://123learnonline.blogspot.com
28. Lavoretti natalizi: quadretto o biglietto d’auguri realizzato con una linea ricamata e una stellina di panno, tutorial di http://www.amyalamode.com
44. Lavoretti natalizi: fiocchi di neve realizzati coi cristalli di borace (la polvere di borace si acquista in farmacia), di http://deliacreates.blogspot.com
60 and more Christmas gifts and crafts made with kids. A collection of tutorials and ideas to make small gifts and other crafts with kids for Christmas: decorations, greeting cards, boxes, bows, ribbons, toys, pictures, candles and much more …
Decorazioni natalizie fai da te: 50 idee per decorare la casa e l’albero di Natale. Una raccolta di tutorial e immagini di decorazioni per la casa, e addobbi per l’albero di Natale: festoni, lucette, lanterne, palline, ecc… in carta, materiale riciclato, panno, tessuto, lana cardata, maglia, uncinetto e molto altro.
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1. Decorazioni natalizie fai da te: facili facili da “copiare” per chi ha la macchina da cucire, di http://www.marieclaireidees.com/ (non c’è tutorial)
3. Decorazioni natalizie fai da te: Rudolph in cartone e altro materiale riciclato, con modello stampabile gratuitamente di http://www.goodhousekeeping.com
5. Decorazioni natalizie fai da te: palline di spago, realizzate con spago, colla vinilica e un palloncino, tutorial di http://crafted-love.blogspot.com/
7. Decorazioni natalizie fai da te: palline tradizionali, ma personalizzate con l’impronta delle mani dei bambini, idea di http://megduerksen.typepad.com
34. Decorazioni natalizie fai da te: tutorial molto dettagliato per realizzare una decorazione per le lucette di Natale in lana infeltrita con acqua e sapone, di http://artmind-etcetera.blogspot.com
Christmas ornaments: 50 ideas for decorate home and Christmas tree. A collection of tutorials and images of home decorations, and decorations for the Christmas tree: garlands, little lights, lanterns, balls, etc, made in paper, recycled materials, cloth, fabric, carded wool, knit, crochet and much more.
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